What happened to us?

di _matthew_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Salve a tutti! Eccomi qui,con una nuova fic! è stata un'ispirazione improvvisa...spero che la storia vi possa piacere! Buona lettura! ;)




Tony guardò nervoso l'orologio. Dieci minuti di ritardo; Gibbs l'avrebbe ucciso,se fossero diventati undici. Le porte dell'ascensore si aprirono sull'open space,ma non riuscì a scendere. Gibbs lo ributtò con malagrazia all'interno dell'ascensore,mentre Ziva e McGee si infilarono dentro di corsa,mentre le porte si stavano chiudendo.
"Ciao capo" salutò Tony,sorpreso "Dove andiamo di bello?" L'uomo gli diede uno scappellotto.
"Sempre in ritardo,DiNozzo!" lo rimproverò. "Andiamo ad interrogare Sullivan" gli rispose poi.
Arrivarono al garage; Tony si diresse verso la macchina,tentando di aprire la portiera del guidatore.
"DiNozzo,guida Ziva" gli annunciò Gibbs,sorridendo. Tony incassò il colpo,senza reagire. Quel viaggio in ascensore,stretto tra Gibbs e la parete l'aveva lasciato quasi senza fiato; solo in quel momento si accorse di ansimare leggermente. Per arrivare in ufficio aveva corso; doveva essere quella la causa,nulla di cui preoccuparsi.
ZIva partì sgommando,come suo solito. Si ritrovarono con le schiene incollate ai sedili,e gli occhi fissi sulla strada,pregando di arrivare a destinazione interi.
"Allora?" chiese Gibbs dopo cinque minuti di silenzio. Voleva essere aggiornato sul caso; un caso banale,in verità.
"Sullivan ha rivenduto le armi sottratte ad una base della marina dal Sergente Malley,capo" rispose pronto il pivello.
"Dimmi qualcosa che non so già,McGee!" ruggì lui,scocciato. Tim sorrise sornione,tirando fuori dei documenti spiegazzati.
"Ho le prove che le ha già messe all'asta,capo" Gibbs annuì,soddisfatto. "Molto bene,non ci resta che arrestarlo,allora"

Edward Sullivan era un ometto ordinario,quasi insignificante.
Li aveva accolti nel suo lussuoso ufficio da direttore di una compagnia d'import export con gentilezza; aveva reagito sdegnato alle accuse di Gibbs; e si era sgonfiato,dichiarandosi sconfitto,non appena McGee gli aveva mostrato le prove che avevano raccolto.
Ziva non prestava la minima attenzione all'interrogatorio che Gibbs e Tony stavano conducendo; quell'ometto dai capelli neri e dagli acquosi occhietti grigi non era certo pericoloso,o degno d'attenzione. Era un debole,uno che andava sempre dove tirava il vento.
Qualcosa attirò la sua attenzione,un luccichio. Salì i pochi scalini che portavano alla vetrata di fondo dell'ufficio. Un'intera parete composta unicamente di cristallo,che inondava l'ufficio di luce,e offriva una vista spettacolare sulla città.
Erano al trentesimo piano di un grande grattacielo,da li si poteva osservare gran parte di Washington. Ancora il bagliore di prima. Qualcosa rifletteva la luce; qualcosa che si trovava sul tetto di un edificio situato a qualche centinaio di metri da loro.
Il parapetto era all'altezza dell'ufficio di Sullivan; Ziva l'osservò più attentamente,incuriosita. Un altro bagliore. McGee era uscito,sentì la porta di vetro chiudersi. Tony E Gibbs continuavano a spremere Sullivan; volevano sapere chi avrebbe acquistato le armi. L'uomo scattò in piedi, Ziva sentì la sedia grattare sul pavimento,cercando di difendersi; ma le sue parole furono coperte dal grido della ragazza.
Aveva notato una sagoma scura,dove prima aveva visto il riflesso del sole. Aveva notato un movimento strano,c'era qualcuno su quel tetto.
"Cecchino!" gridò.
La vetrata dell'ufficio s'infranse; una cascata di gelido vetro investì la ragazza che si riparò il viso con le braccia. Era stesa a terra,sulla pancia,circondata da schegge di vetro. Sentì un secondo proiettile sibilare a mezz'aria,mentre strisciava per mettersi al riparo degli scalini che aveva salito poco prima. Si tagliò,ma era inevitabile.
Un terzo proiettile colpì il piano della scrivania; altro vetro si sparse per l'ufficio,mentre alcune schegge raggiunsero il viso di Tony.
Ziva iniziò a contare. Un secondo. Due secondi. Arrivò un altro proiettile,ma non l'eco dello sparo: il cecchino stava usando un silenziatore. Avrebbe potuto tenerli inchiodati lì all'infinito,nessuno se ne sarebbe accorto.
"Fortuna che era un caso semplice,capo" esclamò DiNozzo,mentre un proiettile rimbalzava contro il metallo della scrivania dietro a cui aveva trovato riparo.
"Ringrazia che Sullivan amasse i mobili in acciaio,invece di lamentarti" lo rimbeccò lui,da dietro uno schedario che aveva rovesciato per proteggersi.
"Acciaio e vetro" lo corresse Ziva. Aveva le braccia coperte di graffi; era rannicchiata dietro il rialzo che una volta dava sulla vetrata,ora in frantumi.
"Sullivan come sta?" chiese Gibbs,pratico. Tony diede un'occhiata all'uomo alla sua sinistra,anche se conosceva già la risposta.
"Morto" rispose. Era da tanto,che non vedeva qualcuno ucciso da un cecchino. Lei era stata l'ultima.
Tossì; la tosse lo tormentava ormai da qualche giorno. In bocca doveva anche avere un qualche taglio; sentiva il retrogusto ferroso del sangue.
Silenzio. Avevano smesso di sparare. Detestava quel silenzio carico di tensione. Detestava quel corpo privo di vita,con un piccolo foro scarlatto sulla fronte. Evocavano il passato. Quel passato che era morto quasi due anni prima.
Ziva si sfilò il berretto,alzandolo appena oltre il bordo degli scalini. Un proiettile glielo strappò di mano. Era ancora li,pronto ad ucciderli. Era così illogico. Doveva essere un caso semplice; perchè era comparso quell'uomo? Perchè voleva ucciderli?
Un'ombra si materializzò davanti alla porta in vetro dell'ufficio. La maniglia si abbassò.
"McGee,togliti dalla porta!" gridò Tony.
"Cos..."
"Levati da li,pivello!" tuonò Gibbs. Due proiettili infransero il vetro,conficcandosi nel muro del corridoio. Tim osservò con occhi vacui quei due piccoli fori.
Pochi istanti d'esitazione,e quei due piccoli,insignificanti,pezzetti di piombo avrebbero spezzato la sua vita.
"Che succede,capo?" chiese,rimanendo coperto dal muro del corridoio.
"Un cecchino McGee,sul palazzo di fronte a questo; ottocento metri a nord-est" rispose pratica Ziva.
"Avverto subito la polizia,capo!" disse lui.
"In fretta,pivello. Non ne posso più di fare da bersaglio" frecciò Tony,ironico.

"Tutto bene?" gli chiese,aiutandolo ad alzarsi. Ricevette uno scappellotto. "Ma Tony,cos..."
"Guarda a destra,e poi risponditi,pivello" fu il commento del moro,mentre usciva dall'ufficio.
"DiNozzo!" lo richiamò Gibbs.
"Si capo?" rispose lui,un'aria poco rassicurante sul volto. Ziva si stupì,chiedendosi dov'era finito il Tony sempre sorridente.
"Domani va a farti visitare. Quella tosse inizia a darmi sui nervi"
"Ricevuto capo,a domani."
Scomparve oltre la porta. Voleva solo andare a casa; sarebbe andato a casa,e poi a trovare un'amica. Un'amica che non vedeva da tanto tempo.
"Ma che diavolo gli è preso?" sbottò Ziva. "Non è mica l'unico a cui hanno sparato addosso!" L'israeliana era davvero arrabbiata. Gibbs non rispose.
"Non è per quello Ziva. Ha bisogno di stare un po' da solo,tutto qui" McGee aveva risposto continuando a fissare il punto in cui si trovava Sullivan fino a cinque minuti prima; capiva benissimo Tony. Sapeva cosa stava provando,anche per lui era lo stesso. O almeno,lui aveva perso un'amica,ma lei per Tony non era mai stata un'amica.
La ragazza gli rivolse uno sguardo carico di dubbi,ma non replicò; avrebbe scoperto da sola cosa bolliva in padella,o in pentola,o come accidenti si diceva. Odiava i modi di dire; erano così stupidamente insensati.

"Allora,Abby?" chiese Gibbs,irrompendo come suo solito alle spalle della scienziata,poche ore dopo. Lei gli si buttò addosso,abbracciandolo. Ziva notò che il laboratorio era silenzioso; la musica era ad un volume bassissimo,appena percettibile.
La dark mostrò ai tre un piccolo contenitore di plastica circolare,con del cotone sul fondo. Sul cotone era adagiato un proiettile. Era di grosso calibro,solcato da profonde striature. McGee l'osservò rapito,Gibbs,invece,lo degnò appena di un'occhiata.
"Calibro 308,Gibbs" sentenziò Abby "Sparato con quello" continuò,indicando un fucile di precisione appoggiato sul suo tavolo. Era stato rinvenuto sul tetto da cui avevano sparato.
"Impronte?"
"Nessuna,ho controllato quattro volte" rispose lei,dispiaciuta. Inutile,Gibbs era già sparito oltre la porta,diretto all'ascensore. Una tazza gigante di caffè come unica traccia del suo passaggio.
"Chi è,Abby?" Ziva stava osservando il salva-schermo di uno dei computer della dark. Una giovane donna,molto attraente. Lunghi capelli neri,lisci; occhi nocciola,pieni di vita ed un sorriso enigmatico ed accattivante. Il tipo di donna per cui Tony avrebbe sbavato,constatò.
Abby e McGee si scambiarono un'occhiata preoccupata. Quanto ci avrebbe messo Ziva a ricordare?
"Ah,no...niente. Non so come ci sia finita li quella foto" rispose Abby,in evidente imbarazzo. Diede un colpo alla tastiera,schiacciando i tasti a caso,e l'immagine scomparve.
Lo sguardo di Ziva la perforò; deglutì. Non sarebbe riuscita a mentire all'israeliana per più di trenta secondi.
"David! McGee! Vi volete sbrigare?!" li richiamò Gibbs,contrariato. I due scattarono. Abby tirò un sospiro di sollievo. Era salva.


Allora...immagino che tutti avrete intuito l'identità della "lei",giusto? XD
Ok...questo era il primo capitolo,e spero che vi sia piaciuto ;) Aspetto i vostri commenti! Che ne pensate di questa storia? a presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve a tutti! grazie a tutti i lettori,e alle persone che hanno recensito! Mi fa' piacere che anche questa storia vi piaccia! Spero che continuerete a seguirla... XD buona lettura a tutti!




"Tony,era ora!" esclamò McGee,vedendo spuntare il collega dall'ascensore.
"Già...temevamo ti avessero rapito" commentò pungente Ziva "Da quando ci vuole mezza giornata per una visita?" chiese inquisitoria. Tony alzò le spalle,sedendosi alla sua scrivania.
"Da quando sei così curiosa?" le rispose,fissandola negli occhi. Gibbs apparve improvvisamente alle sue spalle,dandogli uno scappellotto.
"Ti avevo detto di andare a farti vedere,non di fare il giro degli ospedali della città!" lo rimproverò. Tony non replicò; era inutile tentare di rispondere a Gibbs.
"McGee,vieni con me!" continuò l'uomo. Il pivello prese rapido la sua attrezzatura,scomparendo con Gibbs dietro le porte dell'ascensore. Tony e Ziva erano rimasti da soli.
"Tony..." esordì l'israeliana,con un tono insolitamente dolce "Da quando vai in ospedale con un mazzo di rose?" concluse pungente. Lui per poco non cadde dalla sedia,ma si riprese subito.
"Ah-ah! Allora mi pedini!" esclamò trionfante,il suo sorrisetto sornione tirato sul viso. Ziva assunse un'espressione disgustata.
"Ho di meglio da fare nel mio tempo libero!" frecciò acida. Tony le rivolse un'occhiata scettica; non ne era troppo convinto.
"E allora perchè quella domanda sulle rose?" chiese,cercando di coglierla alla sprovvista. Lei sorrise.
"Hai dei petali di rosa appiccicati alla giacca,Tony" gli fece notare con disinvoltura. Era vero.
Suonò il telefono,e Ziva rispose,togliendolo dall'imbarazzo di darle una risposta. L'aveva proprio incastrato; doveva inventarsi qualcosa alla svelta. Ziva riattaccò,tornando a concentrarsi su di lui.
"Allora?"
"Ho incontrato una bella ragazza,e non ho resistito alla tentazione di..." lei lo interruppe,sbuffando esasperata; sempre il solito Tony,con quel suo sorrisetto sornione tirato sul viso,e la stupida convinzione che non fosse in grado di capire quando mentiva.
"Ok ok...lascia stare" replicò alzandosi.
"E ora dove vai?" le chiese lui.
"In bagno,posso?" pessima battuta. Lo capì quando vide i suoi occhi illuminarsi di malizia.
"Se vuoi ti posso accompagnare" frecciò lui,divertito. Si scansò appena in tempo per evitare il pota-matite scagliatoli contro da Ziva,che colpì violentemente la parete alle sue spalle. La ragazza si allontanò,mormorando qualcosa che suonava molto offensivo,anche se non riusciva a distinguerne le parole.
Sospirò,sollevato; mentre i ricordi di quella mattina gli invadevano la mente.
Dopo due anni l'aveva rivista; era tornato da lei. L'episodio del giorno prima l'aveva scosso,riaprendo ferite dimenticate,ma che bruciavano ancora. Lei sorrideva; non avrebbe potuto fare altro,le foto non possono cambiare espressione.
Era stato stupido,per due anni aveva evitato di andare a trovare Kate,ogni scusa era buona per non farlo; almeno fino a quella mattina.
Era a lei che aveva portato le rose,uno di quei tanti gesti che non aveva avuto il coraggio di fare quando Kate era ancora viva. E ora,non poteva fare altro che inginocchiarsi davanti ad una fredda lapide,fissando una foto; lasciando i ricordi liberi di fluire.
L'ascensore si aprì,e la voce di Gibbs riempì la stanza,facendolo trasalire,e riportandolo alla realtà: non aveva mai visto il capo così arrabbiato.
L'ex marine scaraventò lo zaino sulla scrivania,salendo poi a passo di marcia le scale che portavano all'ufficio del direttore. Lo sentì entrare senza bussare,e chiudersi violentemente la porta alle spalle,mentre le urla di protesta di Jenny andavano via via affievolendosi,soffocate dalla sua voce.
"Che è successo,pivello?"
"Malley è stato ucciso in prigione" rispose McGee mesto. Il sergente era la loro ultima traccia,l'ultima speranza di arrivare alle armi rubate,e ai loro acquirenti.
"E dire che sembrava un caso facile" sospirò Ziva comparendo alle loro spalle,facendoli trasalire.
"Ziva! Non usare i tuoi modi da Mossad con noi!" esclamò Tony,portandosi una mano al cuore,facendo finta di verificarne il battito regolare. I suoi colleghi non notarono l'ombra che gli attraversò il volto. Non ricordava di avere un battito così affannoso.
"Ok,ok..scusa" disse lei senza troppa convinzione.
"Ah,Tony,cosa ti ha detto il medico?" chiese curioso McGee,fissandolo.
"Nulla di preciso,mi farà avere gli esiti degli esami tra qualche giorno..." rispose evasivo. Ziva stava per replicare,ma fu interrotta da Gibbs.
"DiNozzo,con me!" ordinò l'uomo. Tony si affrettò a seguirlo,infilandosi appena in tempo tra le porte dell'ascensore. Gibbs premette il terzo pulsante,Tony capì che stavano andando da Duky. Stava per parlare,ma uno scappellotto lo fece tacere.
"Ahia capo!" lo guardò con sguardo contrito; per la prima volta in vita sua Anthony DiNozzo aveva ricevuto uno scappellotto senza capirne il motivo.
"Questo perchè non sei andato all'ospedale,DiNozzo...e questo" Tony provò a scansarsi,ma non riuscì ad evitare il secondo scappellotto della giornata,più forte del primo "è per averci messo due anni ad andare da Kate".
Era sbalordito. Gibbs lo aveva abituato a tutto,ma non era ancora pronto a quello. Da quando il suo capo riusciva a leggergli nella mente?
"Capo,ma come...." l'uomo lo interruppe,sorridendo,mentre le porte dell'ascensore si aprivano sull'anticamera della sala autopsie.
"Non fare domande,e non ti dovrò mentire,DiNozzo" disse,entrando nel freddo e asettico regno di Duky.

"Sai Jethro,mi ricorda tanto quella volta in cui mia madre stava condendo l'insalata con..."
"Come è morto,Duky?" chiese pratico Gibbs,interrompendo il monologo del dottore.
"Stricnina" rispose "Come quella che mia madre stava mettendo nell'insalata qualche settimana fa. Sai,ormai non c'è più tanto con.." l'uomo si bloccò un attimo,ascoltando il silenzio che lo circondava. Alzò le spalle,rassegnato,e ritornò a parlare con il sergente Mallory,illuminato dalla fredda luce della lampada.
"Sai,è un gran brav'uomo,ma estremamente impaziente,mai che si fermi un attimo"
Raccontò tutta la storia di Gibbs,mentre finiva di ricucire la profonda incisione a "y" sul corpo dell'uomo. La sua voce risuonava sulle pareti della stanza,perdendosi in orecchie ormai inadatte ad ascoltare.

"McGee,David!" abbaiò Gibbs,con Tony alle calcagna "Qui,subito!"
I due saltarono dalle sedie,dirigendosi verso il loro capo.
Lui voleva risposte,e loro,al momento,avevano solo domande. Non sarebbe stata una giornata facile.
Tony fece per parlare,ma si trattenne,sentendo in bocca,dopo un altro leggero colpo di tosse,il pungente sapore ferroso tipico del sangue.
Forse era davvero il caso che andasse da un medico.




Ed eccoci alla fine...lo so,è un po' cortino XD però con il prossimo mi farò perdonare (spero ;) vabbè,spero vogliate lasciarmi una traccia del vostro passaggio con un commentino XD a presto!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve a tutti!! scusate per il ritardo, ma la scuola in questo periodo era un po' pesantuccia, e come se non bastasse l'ispirazione era andata a farsi un giretto XD vabbè... ora vi lascio al capitolo...buona lettura!!




Era passata una settimana; una settimana di minacce e scappellotti da parte di Gibbs, che voleva assolutamente scoprire dove fossero finite le armi rubate. Una settimana passata a cercare senza risultato il misterioso cecchino; una settimana passata a naufragare tra ricordi ormai lontani, che ritornavano alla superficie.
Tony sospirò, esausto. Era semi-sdraiato su un lettino d'ospedale; il braccio destro attraversato da un sottile ago metallico che gli stava togliendo il sangue necessario per le analisi.
Era andato a farsi visitare per quella stupida tosse; ma il dottore, appena letta la sua cartella clinica, l'aveva spedito in quella stanza, facendoli fare un sacco di esami.
Elettrocardiogramma, test sotto sforzo e poi, per concludere in bellezza, prelievo del sangue. Tony sorrise alla giovane infermiera; lei restituì un sorriso tirato, finto. Doveva essere proprio uno straccio, ora neanche il suo fascino faceva più colpo. Gli estrassero l'ago con un colpo secco, deciso, così come glielo avevano infilato; si segnò mentalmente di prendere a pugni il prossimo dottore che provava a dirgli che l'ago non faceva male.
Strinse contro il braccio il batuffolo di cotone, poi si mise il cerotto che gli avevano dato. La stanza era diventata improvvisamente blu e nera, e aveva iniziato a vorticare vertiginosamente. Si sdraiò, chiudendo gli occhi, aspettando che il brusco calo di pressione svanisse. Era stata una settimana orribile, e quel lunedì incominciava ancora peggio.
Accelerò, all'ospedale aveva perso più tempo del previsto, ancora cinque minuti e sarebbe stato in ritardo; ancora cinque minuti, e Gibbs l'avrebbe ucciso.
Uscì dall'ascensore sorridete, con il quadrante dell'orologio davanti agli occhi: quattro minuti e cinquantacinque.
"Ciao, Capo!" salutò allegramente, avanzando nell'open space "Hai visto? Sono in anticipo!"
"Di cinque secondi, Tony!" esclamò Ziva divertita.
"Cosa ti hanno detto, in ospedale?" chiese McGee. Tony sorrise, sornione.
"Mi faranno sapere appena avranno i risultati delle analisi" Gibbs lo squadrò, come se volesse stabilire se stesse bene o meno.
"Ottimo...c'è un lavoretto per te, DiNozzo" lo informò.
"Bene, con chi vado?" chiese lui, volgendo lo sguardo verso Ziva.
"Da solo Tony, devi infiltrati" rispose il capo, tranquillo. Lui rimase interdetto qualche istante; era certo di avere un'espressione stupida sul viso. Ziva stava cercando inutilmente di non scoppiare a ridergli in faccia.
"Per l'indagine sul furto d'armi?" si informò, riprendendosi. Gibbs annuì in silenzio.
"Da Abby troverai tutte le informazioni" gli disse, precedendolo verso l'ascensore.
Le porte si aprirono, e la scienziata si diresse a passo rapido verso di loro, afferrando la tazza di caffè che Gibbs le aveva portato; ne bevve avidamente un lungo sorso, tornando verso il suo computer seguita dai due uomini.
Digitò qualcosa sulla tastiera e apparve una scheda della marina con la foto di Tony, ma il nome non corrispondeva, e nemmeno la fedina penale.
"Capo! Io non mi sono mai fatto beccare a rubare auto!" protestò indignato. Non poteva mica fare la figura del pivello, incapace di grattare un'auto! Gibbs lo fulminò con lo sguardo, imponendogli il silenzio con gli occhi; un'arte che gli riusciva maledettamente bene.
"Tony Salvetti, italo-americano. 25 anni; sergente della marina congedato con disonore, piccolo delinquente con l'opportunità del colpo grosso" recitò Abby, tempestandolo con una raffica di parole appena distinguibili dal sottofondo musicale che riempiva il laboratorio.
"Piccolo delinquente? Sembrerò un pivello!" protestò lui.
"Infatti, DiNozzo!" replicò pungente Gibbs "Un ricettatore esperto non si metterebbe mai sul mercato come farai tu tra poco" sbottò, in modo da sottolineare la stupidità della sua obiezione.
"Ok,capo...ma se fanno un controllo con la mia foto..."
"Risolto anche questo!" esclamò Abby raggiante; digitando veloce sulla tastiera del suo computer.
"Ecco il nuovo DiNozzo!" esclamò soddisfatta, mentre la foto della sua scheda veniva invecchiata e decisamente abbruttita, e venivano modificate date di nascita, indirizzo, codice fiscale e tutti i suoi dati sensibili. Non gli avevano creato una nuova identità; gli avevano semplicemente distrutto la vecchia.
"Ei! Quella foto non mi fa per niente giustizia!" esclamò, indicando un viso rubizzo, pieno di rughe e dalla pelle flaccida.
"Preferisci si modifichi l'originale, DiNozzo?" chiese il Capo, pungente. Tony scosse violentemente la testa, in un cenno di diniego.
"No, capo! Accetto l'incarico." replicò, cercando di farsi perdonare l'uscita inappropriata.
"Molto bene; Ziva ti accompagnerà nel tuo nuovo appartamento" gli comunicò.

Salirono lentamente le scale di una palazzina di periferia a tre piani; ovviamente il suo appartamento si trovava all'ultimo, e ovviamente non c'era l'ascensore.
"Dai Tony, muoviti!" non vorrai dirmi che sei stanco!" lo canzonò Ziva, guardandolo arrancare dal pianerottolo del terzo piano; lui era ancora due rampe di scale più sotto.
"Se avessimo fatto a metà, ora io..." provò a difendersi lui, ma Ziva scoppiò in una fragorosa risata. Figurarsi se si lasciava sfuggire l'occasione per prenderlo un po' in giro.
Lei stava portando solo lo zainetto dell'attrezzatura anti-cimici; mentre a lui erano toccati la sua valigia e uno scatolone pieno di congegni elettronici per intercettazioni, che pesavano come minimo un quintale. Raggiunse la ragazza sullo stretto pianerottolo, ansimando.
"Fuori forma, Tony?" frecciò lei divertita
"Apri..." replicò, guardandola torvo. Non vedeva l'ora di distendersi sul letto a riposare.
Entrarono. L'appartamento era abbastanza grande; tutti i mobili erano coperti da teli bianchi, ormai ingrigiti dalla polvere. Tony lasciò cadere i bagagli nell'ingresso, seguendo poi Ziva verso il salotto.
La stanza era illuminata da una grande porta-finestra, che dava su un ampio balcone. Piccole poltroncine monoposto erano schierate a semicerchio intorno ad un tavolino basso da coktail, mentre dalla parte della stanza un tavolo in marmo faceva bella mostra di se.
Il parquet alle loro spalle emise un sommesso scricchiolio; solo in quell'istante si resero conto che due delle quattro poltrone erano occupate.
Uno schiocco secco, inconfondibile. Rumore di ossa rotte. Capì subito che si trattava delle sue ossa; era il suo collo ad essersi spezzato; un velo nero iniziò a calargli davanti aglio occhi, lento ma inesorabile. Com'era possibile? Perchè il carnefice doveva trasformarsi in vittima?
Tony si trovò in mano la pistola senza neanche rendersene conto; due anni a stretto contatto con Ziva avevano notevolmente migliorato i suoi riflessi; vide un uomo sconosciuto cadere a terra, il collo spezzato; Ziva non aveva certo perso tempo.
I due sconosciuti balzarono in piedi, portando le mani alle pistole, ma un gesto eloquente di Tony li fece desistere.
"Armi a terra, ragazzi" disse tranquillo. I due obbedirono, imprecando silenziosamente.
"Chi diavolo è lei?" chiese quello che sembrava essere il capo. Indossava un completo costoso, scarpe in vernice e occhiali scuri che nascondevano metà del volto. Era completamente pelato. Tony fissò per un secondo Ziva, e la bugia gli uscì dalle labbra con estrema naturalezza.
"La mia socia" rispose sicuro. L'uomo parve non apprezzare quella risposta.
"Non si parlava di nessun socio, nell'annuncio!" esclamò irritato. Non sopportava di aver perso un uomo; odiava trovarsi in quella posizione d'inferiorità. Di solito era lui a trovarsi dietro la pistola, non i suoi avversari.
"Se è per questo, non c'era neppure scritto l'indirizzo" replicò Tony, sorridendo sornione.
"E neppure che erano gradite visite non annunciate" aggiunse Ziva, tranquilla.
"Zitta, troietta" la fulminò il secondo uomo. Uno sparo soffocato e il sangue iniziò a uscirgli lento dalla spalla, inzuppandogli la maglietta sportiva. Cadde in ginocchio, soffocando un urlo di rabbia e dolore.
"Ops..." sorrise Ziva, fingendosi dispiaciuta "Mi è scapato il dito"
L'uomo la guardò, gli occhi pieni d'odio. Si premeva la mano contro la spalla muscolosa, cercando di bloccare l'uscita del sangue.
"Grosso errore farla arrabbiare" commentò Tony, leggermente impressionato dalla reazione della collega. Si era già perfettamente calata nella parte della criminale incallita. Un po' lo spaventava.
"Bene ragazzi...che ne dite di uscire? Parleremo un altro giorno di affari, ok?" continuò, indicando la porta con la pistola. "Non vorrei che lo spiritosone morisse dissanguato in casa nostra...sarebbe una pessima pubblicità" aggiunse, facendo un'espressione da duro.
Ziva lo fissò ammirata; allora vedere tutti quegli stupidi film a qualcosa gli serviva. Sapeva recitare bene, Tony.
I due uomini si diressero verso l'uscita; sconfitti.
"Non finisce qui, troietta" sibilò il ferito, passando accanto a Ziva. L'israeliana sorrise, colpendolo violentemente allo stomaco.
"A presto, spaccone" gli sussurrò dolcemente ad un orecchio.
Appena la porta si fu richiusa, e i passi dei due uomini allontanati, Tony compose in fretta un numero di telefono.
"Capo?" esordì, quando Gibbs rispose "Abbiamo un problema"




povero Tony...non gliene faccio andare bene una XD spero che il capitolo vi sia piaciuto...! Fatemi sapere,ok?
Colgo anche l'occasione per ringraziare di cuore tutti i miei lettori, e soprattutto coloro che recensiscono; fa sempre piacere leggere i vostri commenti! A presto!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ciao! per farmi perdonare della prolungata assenza, eccomi di nuovo qui, con un altro capitoletto XD spero vi piaccia! buona lettura!




"Si capo". Guardò sconsolato fuori dalla finestra; gli occhi scorrevano sul desolato panorama di cortili degradati e muri scrostati, mentre dall'altra parte dell'apparecchio Gibbs gli stava impartendo ordini su ordini.
"Si capo" ripetè; quante volte l'aveva già detto durante quella conversazione?
Ziva intuì la sua muta domanda, e alzò nella sua direzione sei dita. Era la sesta volta che lo ripeteva in dieci minuti; era l'unica frase che Gibbs gli consentisse di pronunciare.
"Tutto chiaro, DiNozzo?" chiese infine l'uomo, la voce dura.
"Si, cap..." Gibbs riattaccò prima che potesse finire la frase; gli aveva risparmiato di ripetersi per la settima volta. Sospirò, chiudendo il cellulare e buttandolo sul letto.
"Cos'ha detto?" chiese Ziva, curiosa.
"Che devi andare a casa a fare le valigie; da adesso sei la mia socia" rispose lui, prendendole dalle mani il kit rileva-cimici.
"Manca solo la camera da letto, vero?" le chiese, mentre stava per lasciare l'appartamento.
"Si..." rispose lei, sorridendogli maliziosa. "E non farti idee strane, DiNozzo. Tu dormi sul divano!" esclamò ridendo.
"Ei, ma è un mono-posto! è scomodiss..." Ziva gli aveva chiuso la porta in faccia, andandosene. Sospirò rassegnato, preparandosi ad una nottataccia; preludio di molti altre notti simili.

"Ma capo!" tentò di protestare McGee, quando Gibbs ebbe terminato di raccontare l'incidente avuto da Tony e Ziva.
"Ci sono volute settimane per far scomparire Tony da tutti gli archivi! Non ce la faremo mai a fare lo stesso per Ziva in nemmeno ventiquattr'ore!" Gibbs lo fulminò con lo sguardo.
Tim cercò sostegno in direzione di Abby, che però rimase stranamente silenziosa, uno strano sorriso saccente ad incresparle le labbra.
"Dimmi, McGee" esordì Gibbs, la voce perfettamente calma e controllata "Quanta gente conosci che sia riuscita a violare gli archivi del Mossad, e sia vissuta tanto a lungo da poterlo raccontare?"
Timothy alzò gli occhi al soffitto, cercando di pensare. Uno scappellotto violento lo raggiunse, facendolo sobbalzare.
"Inutile che ci pensi, pivello!" lo redarguì l'uomo "La risposta è: nessuno".
"Gibbs ha ragione, McGee...L'identità di Ziva è perfettamente al sicuro" si intromise Abby. Lui annuì, rassegnato; sapeva che avevano ragione. Era stato stupido a farsi tante inutili domande.

Ziva stava sistemando le valigie, quando suonò il telefono.
"Pronto" rispose subito Tony, rimanendo poi in ascolto per un po'. Notò che aveva fatto partire il nastro per le registrazioni; evidentemente stava parlando con il tizio pelato di quel mattino.
"Domani alle dieci; vecchio magazzino sulla Harport street" disse piano Tony, scarabocchiando l'indirizzo su un pezzetto di carta "Ok, ci saremo" disse, prima di riattaccare.
Piegò la valigia di Tony, e l'infilò nell'armadio. Una fotografia scivolò fuori da una delle tasche laterali, posandosi lentamente a terra. Ziva la raccolse.
Ritraeva la stessa donna che aveva visto qualche giorno prima sul salvaschermo di Abby; occhi nocciola e capelli neri, lunghi fino alle spalle. Sorriso sincero,e una magliettina bianca attillata, completamente zuppa d'acqua che lasciava ben poco all'immaginazione. Proprio il genere di foto alla Anthony DiNozzo.
Stava per rinfacciarglielo, ma qualcosa la bloccò: c'era una dedica, dietro alla foto.
- Sei un'idiota, Tony! Kate - recitava una grafia sottile, molto femminile. L'inchiostro era leggermente sbiadito.
Ora capiva perchè quella donna le era familiare; ora capiva perchè il giorno in cui erano stati attaccati dal cecchino nella sua testa era suonato un campanello d'allarme; ora capiva perchè Tony quel giorno era così strano. Quella situazione gli aveva ricordato lei.
Risistemò in fretta la foto, ripromettendosi d'indagare in seguito. Non era assolutamente da Tony andare in giro con la foto di una collega morta due anni prima; quella era la foto che ti tieni su una credenza in casa, non la porti ovunque. Non la porti in missione! Si, avrebbe indagato.
Un forte colpo di tosse, proveniente dal bagno, la distolse da quei pensieri.
Si guardò allo specchio, bagnandosi il viso con l'acqua gelida; gli occhi erano leggermente segnati di stanchezza. Tossì una seconda volta, più debolmente.
Stava migliorando; ora non si piegava più in due ad ogni colpo di tosse, nè sentiva più il gusto del sangue. A quanto pareva aveva fatto tutte quelle analisi per nulla; tipico.
Un colpo leggero alla porta lo riportò alla realtà.
"Tony, tutto a posto?" chiese Ziva, preoccupata.
"Certo!" Rispose lui, sincero. Era la prima risposta sincera sulla sua salute da due settimane a quella parte. Lui si sentiva davvero bene, o comunque meglio.
"Non preoccuparti, tutto a posto" le disse, uscendo dal bagno.
"Che credi? Te l'ho chiesto solo per non sentirti tossire tutta notte!" si schernì lei. "Tieni, così siamo più sicuri" frecciò, lanciandogli una bottiglietta di propoli. Lui l'afferrò al volo, bevendone un lungo sorso.
"Grazie" le sorrise lui, afferrando una coperta e dirigendosi verso una delle poltroncine. Storse la bocca; avevano un'aria molto scomoda.
"Tony!" lo richiamò lei "Ho cambiato idea...possiamo anche dormire insieme" disse tutto in un fiato; per non cambiare idea a metà frase. Lui sgranò gli occhi, che si illuminarono, come tutto il volto.
"Dici davvero?" chiese, mentre un sorrisetto sornione gli si dipingeva sul volto.
"Certo" disse lei, dirigendosi verso la camera da letto "Ma prova a superare la tua metà di letto anche solo con un'unghia" soffiò, girandosi nuovamente verso di lui, una luce strana, inquietante, negli occhi
"E Gibbs dovrà trovarsi un altro agente anziano, chiaro?" La voce era ferma, decisa. Sapeva che non stava scherzando. Tony deglutì, annuendo in silenzio.
"Agli ordini, capo!" la prese in giro. Lei sbuffò, rispondendogli con una cuscinata. Afferrò al volo il cuscino, rimanendo poi imbambolato. Ziva si stava sfilando i pantaloni davanti ai suoi occhi.
"Bhe...non pretenderai mica che dorma vestita, vero?" chiese lei, notando il suo sguardo assente, che correva sulle sue gambe nude. Lui non rispose.
"Tony..." gli disse delicatamente, tirandolo sul letto, vicino a lei. Sentì i capelli sciolti della ragazza accarezzargli il volto; il suo profumo farsi prepotentemente strada nelle sue narici, le sue dita affusolate accarezzargli dolci il collo. Dolci?
"Z-Ziva" bofonchiò, a corto di ossigeno; le dita della collega premute sulla carotide.
"Piccolo avvertimento" disse lei, sorridendogli dolce "Giusto per ricordarti di tenere a freno gli ormoni"
"Solitamente alle donne piace quando non trattengo i miei ormoni" frecciò lui, sorridendole provocatorio. I loro visi erano ancora molto vicini.
"Si vede che non hai mai incontrato la donna giusta" ironizzò lei. "Ovvero?" chiese divertito.
"Una capace di ucciderti, per questo" rispose lei, scacciando la mano del collega, che giocava con i suoi capelli.
"Ok,ok...prometto che farò il bravo" si rassegnò Tony, avvoltolandosi tra le lenzuola.
"Meglio per te, DiNozzo" lo salutò lei, spegnendo la luce e girandogli le spalle. Perchè Tony aveva ancora la foto di Kate? Perchè durante il loro battibecco i suoi occhi erano assenti, anche cercava di non darlo a vedere?
Ziva si addormentò, mentre domande senza risposta le giravano per la mente, come fantasmi senza pace.




Ciao...! Allora, premetto che non so come mi sia venuto... al nostro Tony ha riniziato ad arridere la fortuna ( per lo meno non ha dormito su una poltrona ;) Invece, per quanto riguarda i "guai" , richiesti da alcuni di voi, abbiate fede! Nel prossimo capitolo ne passeranno delle belle XD a presto!
p.s. come sempre ringrazio tutti coloro che hanno letto e leggeranno; e soprattutto ringrazio chi mi ha recensito! leggere i vostri commenti fa sempre davvero tantissimo piacere!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ciao a tutti! Ecco qui il mio modo per farvi gli auguri di pasqua; un nuovo capitoletto XD sperò sarà di vostro gradimento! Buona lettura!




Storse leggermente il naso, deluso. Il magazzino era davvero vecchio; un ammasso indistinto di calcinacci ormai sgretolati dalla pioggia e vecchie travi d'acciaio arrugginite spiccava al centro di un cortile incolto, pieno di erbacce. Sospirò rassegnato; soltanto nei film gli incontri d'affari della malavita prendevano vita in lussuosi club, pieni di alcool e ballerine.
"Un po' più a destra, Tony!" lo rimproverò una voce squillante, che gli aggredì fastidiosamente il timpano sinistro.
"Ziva! Abbassa!" la rimproverò, sedendosi leggermente più a destra sulla trave ormai quasi completamente corrosa dalla ruggine. Sentì un lieve fischio; Ziva aveva abbassato il volume degli auricolari.
"Meglio, mister orecchi delicati?" chiese provocatoria. Tony annuì semplicemente, rimangiandosi la risposta tagliente che gli era saltata in mente. Era meglio non discutere con Ziva quando si trovava a due chilometri da lui, con un fucile di precisione tra le mani.
"Tutto bene, da quelle parti? Com'è il panorama, dal decimo piano?" chiese, più per fare conversazione che per vero interesse.
"Stupendo; da qui si vede perfettamente tutto il cortile" fu la sua risposta. "Sai...potrebbe sempre scapparmi un colpo" aggiunse poi, ridendo.
Un brivido gelido gli corse lungo la schiena, a quelle parole. Per un folle istante fu sul punto di chiederle di sparare, avrebbe capito cosa aveva provato Kate; avrebbe capito cosa volesse dire sentire il rumore dello sparo quando il proiettile aveva già colpito; l'avrebbe finalmente raggiunta.
Fu riportato al mondo reale dallo squillo del suo cellulare.
"Pivello, finalmente!" rispose
"Manca ancora molto per le armi? I gruppi di rinforzo?" McGee non rispose; prese tempo, cercando le parole adatte.
"Pivello?" lo chiamò Tony, la voce leggermente preoccupata.
"Niente armi,Tony...c'è stato un problema alla fonte" fu la laconica risposta.
"Problema alla fonte?! Stai scherzando, vero?" chiese; non sapeva se essere arrabbiato o preoccupato.
Quella frase, in gergo, voleva dire che l'esercito non voleva collaborare, rifiutandosi di prestare le armi necessarie ad inscenare la vendita.
"No Tony...sono serissimo"
"Ottimo, quindi ce ne andiamo?" chiese speranzoso lui. Mancavano ancora dieci minuti all'appuntamento; avevano tutto il tempo per sparire nel nulla.
"No, DiNozzo! Rimani li e ti inventi qualcosa, chiaro?" gli sbraitò contro la voce di Gibbs.
"Ma capo! Senza armi e da solo?! Come minimo mi ammazzano!" protestò.
D'accordo, c'era Ziva a coprirlo, ma se fosse stata costretta a sparare la loro copertura sarebbe saltata.
"Usa la faccia tosta DiNozzo! Mi risulta che tu ne abbia in abbondanza, no?" replicò secco Gibbs "Inventa qualsiasi cosa, basta che tieni buono il cliente! è l'unica traccia che abbiamo, e non la voglio perdere" continuò. La sua voce non ammetteva repliche.
"Ok, capo...improvviserò" disse rassegnato. In risposta gli arrivò il segnale di fine chiamata; Gibbs aveva riattaccato.
"Sentito Ziva?"
"Forte e chiaro, Tony! Cerca di essere convincente, non voglio sorbirmi le ire di Gibbs"
"E a me non pensi?!" esclamò il ragazzo, fingendosi indignato.
"Arrivano!" rispose lei. L'arrivo dei clienti le aveva risparmiato una risposta difficile. Portò l'occhio al mirino, mettendo meglio a fuoco.
"E la troietta dov'è?" chiese il tizio del giorno prima, guardandosi intorno.
"Randy! Lascia perdere!" lo rimproverò il pelato "Abbiamo cose più importanti a cui pensare"
Tony sfoggiò il suo miglior sorriso di circostanza, ma non ebbe alcun effetto sui cinque uomini che aveva di fronte.
"Allora, dove sono le armi?" chiese il pelato, guardandolo attraverso le lenti scure "Non ho tempo da perdere"
"Armi? Non era solo un incontro di circostanza?" chiese Tony, fingendosi sorpreso.
"Senti, frocetto" Randy lo aveva afferrato per il collo della camicia, trascinandolo giù dalla trave su cui era seduto.
"Non abbiamo tempo da perdere, tira fuori le armi e poche storie, d'accordo?" mollò la presa, lanciandolo contro il mucchio di detriti che aveva alle spalle. Tony riuscì a mantenere l'equilibrio, ma il suo sorriso era svanito.
"Tranquillo Tony, se ci riprova è morto" lo rincuorò Ziva.
Sbuffò; lo rendeva comunque nervoso avere davanti cinque uomini, armati e molto nervosi.
"Ti prego di scusarlo, ma la tua socia lo ha molto innervosito, ieri" si scusò il pelato, esibendosi in un sorrisetto falso e gelido.
"Lei non è qui?" chiese poi. Era una domanda che esigeva una risposta.
"No, aveva altre commissioni da sbrigare" rispose lui, sorridendo a sua volta.
"Vediamo di finirla, ok?" sbottò di nuovo Randy, estraendo la pistola da sotto la giacca.
"Chi è il capo,qui? Tu o il pelato?" chiese acido Tony. Iniziava ad odiare le alzate di quello spaccone. Anche con una spalla distrutta sembrava essere il più pericoloso.
"Penso che Randy abbia ragione, Tony" lo redarguì l'uomo. Aveva smesso di sorridere, e lo stava fissando serio "Fuori le armi, o potrei arrabbiarmi".
Tony rise. Era una risata dettata dal nervosismo, che suonò falsa persino alle sue orecchie.
"Non le ho qui, le armi...c'è stato un piccolo disguido con il fornitore" come scusa era patetica, lo sapeva, ma si doveva pur inventare qualcosa. Gli uomini si fissarono per qualche istante, perplessi. Poi, ad un cenno del pelato, Randy scattò in avanti, puntandogli la pistola alla testa.
"Le armi, pivello" intimò "Le armi o ti faccio saltare la testa"
"Ei, calma...se mi ammazzi le tue armi non le vedi più!" cercò di mediare Tony, ma fu tutto inutile.
"C'è sempre la tua socia,no? Basta dirle che ti abbiamo trovato già morto..." fu la sagace risposta di Randy. Tony deglutì rumorosamente; non avevano molte alternative, a quel punto.
Ziva aveva già inquadrato il viso dell'uomo; il dito stava già esercitando una discreta pressione sul grilletto: ancora pochi secondi e Randy sarebbe morto, ma qualcosa, al margine del suo ristretto campo visivo, attirò la sua attenzione.
"A terra!" l'urlo della collega gli attraversò il cervello; non ne capiva il motivo, ma si affrettò ad ubbidirle.
Tony si lasciò cadere a terra, aspettandosi di udire uno sparo isolato; forse due. Randy non si accorse nemmeno del gesto di Tony: mentre il ragazzo si lasciava cadere a terra, rotolando dietro un cumulo di calcinacci, diversi proiettili lo raggiunsero, trapassandolo.
Raffiche di mitra riempirono l'aria, mentre i proiettili volavano ovunque; attraversavano corpi, bucavano l'acciaio ormai arrugginito, rimbalzavano sui cumuli di cemento.
"Ziva?" chiese, spaventato. Gli uomini con cui stava trattando non erano armati di mitra.
"Tre uomini, Tony. Hanno degli ak-47" lo informò la collega.
"Li vedi?" chiese, speranzoso. Il suo giubbotto anti-proiettile non lo avrebbe salvato da una raffica di mitra.
"Negativo...sono tutti e tre coperti!" cercava di inquadrare i tre uomini, ma rimanevano nascosti dai resti dell'edificio; riusciva a vedere solo le canne dei mitragliatori, e gli uomini del pelato cadere l'uno dopo l'altro.
"Tony, sei rimasto solo tu" lo informò "Resta dove sei, da qui ti posso coprire"
"Ok..." avrebbe voluto aggiungere una battuta, o una frase simpatica, ma non gli venne in mente nulla. Tutti i suoi pensieri erano rivolti a Kate.
Almeno lei era morta sorridendo, senza accorgersi di nulla; lui invece era li, impotente, ad aspettare che uno di quei tre decidesse di mettere fine alla sua vita.
"è rimasto solo il fornitore" disse una voce dal forte accento slavo.
"Pensaci tu. Noi ti copriamo" fu la secca risposta. L'accento era americano, questa volta.
"Dovrebbe essere un federale, fai attenzione" si intromise il terzo uomo. Tony ebbe un sussulto; come faceva a sapere che era un poliziotto?
"E allora? federale o vero fornitore, comunque è morto" replicò il primo, avanzando verso il suo riparo. Una raffica di proiettili volò sopra la sua testa, sbriciolando alcuni frammenti di cemento.
"Vieni fuori tu, o vengo a prenderti io?" chiese beffardo.
"Fallo muovere, non c'è l'ho ancora" gli ordinò Ziva. Tony deglutì, richiamando tutto il sangue freddo che aveva.
"Vieni tu, io sono molto pigro" rispose, cercando di assumere un tono di voce molto tranquillo. L'uomo imprecò in una lingua a lui sconosciuta. Sentì i suoi passi farsi sempre più vicini; ad ogni passo il suo cuore accelerava il battito, ancora poco e gli sarebbe scoppiato nel petto.
Un urlo, uno sparo, imprecazioni sommesse e spaventate.
"Tutto ok, Tony?" chiese Ziva al collega, inserendo un nuovo proiettile in canna.
"Non aspettare così tanto, la prossima volta" rispose lui, con un filo di voce.
"Scusa...pensavo che l'adrenalina ti piacesse" ironizzò lei. Non le rispose; stava ancora lottando per cercare di regolarizzare il suo battito.
"Hey, bastardo! Chi diavolo c'è a proteggerti?" la voce era quella del terzo uomo; quello che aveva detto che probabilmente era un federale.
"Un angelo custode, no?" replicò lui, spavaldo. Sentiva che i due uomini si stavano muovendo, stavano cercando di aggirare il suo riparo per prenderlo in mezzo; Ziva non sarebbe riuscita a salvarlo da entrambi.
"Tony, destra!" gli urlò lei. Reagì d'istinto: rotolò verso sinistra, sparando nella direzione indicata dalla collega. Il rumore secco dell' ak-47 gli riempì le orecchie; il braccio destro prese improvvisamente a bruciare.
Si alzò in ginocchio: l'uomo che lo aveva aggredito era steso a terra, morto. Si osservò il braccio, aveva una ferita abbastanza profonda appena al di sotto della spalla, ma non sembrava nulla di troppo grave.
"Fine della corsa, bello" disse una voce alle sue spalle, mentre qualcosa di gelido gli accarezzava la nuca.
"Ti ammazzo subito, o prima mi dici chi sei,eh?" chiese divertito.
Uno sparo, e l'uomo crollò su di lui; l'espressione stupita e un piccolo foro scarlatto nel mezzo della fronte.
"Scusa il ritardo, Tony"
"Figurati...meglio tardi che mai" le rispose, cercando di sfoggiare un sorriso. Sapeva che lei lo stava osservando.
"Sta arrivando la polizia...meglio se ti fai riconoscere" gli suggerì. In quell'istante un paio di volanti fecero irruzione nel cortile a sirene spiegate.
"Ci penso io; vai pure" rispose lui, alzandosi.
"Agente federale" disse agli uomini in divisa, alzando sopra la testa, ben visibile, il distintivo. Aveva fatto bene a decidere di portarselo, anche se era rischioso.
Un agente gli si avvicinò, puntandogli contro la pistola.
"Armi a terra, amico!" intimò minaccioso, togliendo la sicura.
"Ehi, sono un federale! Guarda il distinti..."
Qualcosa di pesante lo colpì alla testa, un velo nero gli si abbassò davanti agli occhi mentre cadeva sul terreno duro e polveroso, impregnato di sangue.

Il telefono di Gibbs squillò; era Ziva.
"David!" rispose lui, duro come sempre; era ora che si degnassero di fargli sapere qualcosa.
"Capo...c'è un problema" esordì l'israeliana. Possibile che riuscissero a dirgli solamente che c'erano problemi?




Allora...spero che il capitolo vi sia piaciuto! Come annunciato...ecco a voi i guai XD che dite, sono stato troppo cattivo con il povero DiNozzo?
Come sempre ringrazio di cuore tutti coloro che leggono e soprattutto a chi recensisce; fa sempre piacere leggere i vostri commenti! Inoltre un grazie speciale a chi ha inserito la fic nei preferiti, troppo buoni! ^^
vabbè, ancora buona pasqua, e a presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ciao! Per festeggiare l'ultimo giorno di vacanza (snif snif) eccomi qua con un nuovo capitolo...buona lettura!




"Sveglia!" un colpo secco, a poca distanza dal suo viso; una eco metallica lo fece sobbalzare, svegliandolo bruscamente. Alzò lentamente la testa, tastandosi la nuca con una mano; le dita incontrarono un grosso bernoccolo.
"Allora, come ti chiami?" chiese un poliziotto, con voce annoiata. Tony scorse velocemente la stanza: la classica stanza da interrogatori. Sedie e tavolo in metallo, pareti nere, luci al neon fastidiosissime, telecamera e specchio. Telecamera? L'apparecchio video era spento; niente spia rossa che testimoniasse la registrazione della conversazione.
"Nome? Tony" rispose strafottente. Non aveva nessuna voglia di collaborare, quella situazione non gli piaceva per niente.
"Che carino...il primo terrorista che usa un nome americano" fu il commento acido del secondo uomo; lo stesso che al magazzino gli aveva spianato contro la pistola.
"Terrorista...e tu saresti la fata turchina?" chiese, sprezzante. La mano dell'uomo si abbattè pesantemente sul tavolo, ma lui non ci fece quasi caso. Gibbs era molto più intimidatorio di quei due gorilla, e lui aveva seguito fin troppi interrogatori con il suo capo; sapeva come resistere.
"Chi sono quelli che hai ucciso?" chiese nuovamente il primo, sedendosi a pochi centimetri da lui, fissandolo con aria minacciosa.
"Scusate, ma fra voi due chi dovrebbe essere il buono?" frecciò divertito. Un colpo secco alla mandibola, e un filo di sangue iniziò a scorrergli lungo il labbro.
"Ehi, vacci piano, ok? Conosco i miei diritti, e..."
"Cuccia, bello" il secondo uomo lo prese per le spalle, rimettendolo violentemente a sedere.
"Allora? Chi erano?" ripetè la domanda, fingendo un tono calmo e controllato. Era evidente che quei due erano solo alla ricerca di una scusa per poterlo colpire. Decise di cambiare tattica, doveva solo guadagnare tempo in attesa di Gibbs.
"Non lo so" rispose, alzando le spalle. In fondo era la verità; sapeva solo che uno di loro si chiamava Randy.
"Non lo sai...Con chi eri in contatto?" chiesero, gettando sul tavolo il suo auricolare. Tony non riuscì a nascondere un sorriso; credevano davvero di farlo crollare usando quei ridicoli trucchetti?
"Al momento non ricordo...dev'essere stata la botta" buttò li, ironico. Lo sguardo sornione fisso sui due uomini, sfidandoli.
Uno dei due prese in mano il sacchetto contenete l'auricolare, sventolandoglielo davanti.
"Usano frequenze limitate; non ci vorrà molto a risalire a quello con cui eri in contatto" disse sorridendo.
Tony rise. Quando lui era nella polizia di Baltimora aveva assistito ad interrogatori più seri di quello.
"Provate, allora" disse ammiccando. Certamente Ziva aveva già distrutto il suo ricevitore, e Abby aveva già provveduto a criptare le frequenze. Era curioso di vedere cosa sarebbero riusciti a scoprire.
"Bene" sibilò l'uomo seduto di fronte a lui, nervoso "Almeno ti ricordi del tuo amichetto con un fucile da cecchino?" chiese gelido. Era una domanda che pretendeva risposta.
"Amico cecchino? Mai frequentata certa gente, io!" esclamò convinto.
Un calcio secco alla sua sedia lo fece finire a terra; un ginocchio premette contro il suo petto, togliendogli il respiro. Il cuore accelerò i battiti per la mancanza d'ossigeno.
"Ci sono tre uomini uccisi da proiettili calibro 308; munizioni da cecchino!" sbraitò l'uomo, aumentando la pressione sul suo petto. I polmoni non riuscivano più a prendere aria; tossì. Alla saliva si mescolò il sangue.
La luce al neon batteva nei suoi occhi, provocando un effetto molto fastidioso e riscaldandogli il viso. Dal nulla riemerse la camera d'isolamento in cui era stato confinato con Kate; rivide il sorriso della donna, la rivide prendere da parte il medico, preoccupata per lui. Era normale provare quelle sensazioni lì, durante quell'interrogatorio? Forse dipendeva tutto dalla momentanea carenza d'ossigeno.
"Allora, chi era il cecchino?" chiese per la terza volta l'uomo.
"Sai...da vicino sei ancora più brutto" fu la risposta di Tony, appena sussurrata. Un pugno si abbattè sul suo viso; ora c'era un motivo per il sangue che gli riempiva la bocca.
"Senti, piccolo bastardello" continuò quello, alzandolo e sbattendolo contro la parete "O parli o potrei iniziare ad arrabbiarmi, chiaro?"
Sentì un tocco gelido sulla tempia; il gorilla aveva tirato fuori la pistola.
"Ei...se mi ammazzi, niente informazioni" sospirò Tony "E l'unica cosa che otterrai sarà una bella bomba in questo distretto" aggiunse sorridendo. Lo credevano un terrorista; tanto valeva approfittarne.
Un bel botto, e di voi solo briciole; come nei film". Già, anche quello era un interrogatorio da film; ma quella volta i buoni stavano tardando ad arrivare. Dove si era cacciato Gibbs?
L'uomo grugnì di rabbia, lanciandolo al centro della stanza. Tony ritrovò subito l'equilibrio, fissandolo poi con aria di sfida.
"Passata la rabbia, gorilla?" chiese. Vide gli occhi dell'uomo accendersi d'odio, la pistola che teneva tra le mani prese a tremare leggermente, mentre il dito iniziava ad esercitare più pressione sul grilletto.
"Solo una chiacchierata informale, eh?" chiese una voce gelida, mentre la porta della stanza si spalancava. Tony sorrise, vedendo un capitano di polizia che veniva trascinato nella stanza da un infuriato Gibbs; alle sue spalle Ziva e McGee.
"Giù le armi, subito" intimò Gibbs, gli occhi azzurri gelidi; era davvero arrabbiato.
I due uomini rimasero immobili; lui continuava ad avere una pistola puntata direttamente in faccia.
"Agente Gibbs! Lei non ha il diritto di interrompere un regolare interrogatorio, e nemmeno di ordinare ai miei..."
"Ziva, McGee" ordinò gelido lui, interrompendo il capitano che aveva al fianco con un brusco cenno della mano.
McGee si avvicinò al secondo poliziotto, disarmandolo. Ziva si diresse verso Tony, puntando la pistola contro il poliziotto che lo minacciava.
"Armi a terra" disse disinvolta, come se gli stesse chiedendo di offrirle da bere. Quello fece finta di non averla sentita, togliendo la sicura all'arma. Ziva sospirò, annoiata. Un colpo secco, e l'uomo cadde a terra, svenuto.
"Agente Gibbs! Non permetterò che questo abuso rimanga..."
"Ciao capo!" esclamò allegro DiNozzo, dirigendosi verso di lui.
"DiNozzo...hai mostrato il tuo distintivo, quando ti hanno arrestato?" lo salutò Gibbs. Tony sorrise; il capo non cambiava mai.
"Eccolo qui, capo!" gli rispose, prendendo il distintivo dalla tasca dell'uomo svenuto ai suoi piedi e lanciandoglielo. Gibbs lo prese al volo, sventolandolo davanti al viso del capitano.
"Terrorista internazionale, capitano Mallory?" chiese divertito, guardando gelido il suo interlocutore.
"Andiamo, si vede benissimo che è falso! Che diavolo sarebbe l'NCIS?!" sbottò il secondo uomo, spingendo da parte McGee e dirigendosi verso Gibbs. Cercò di colpirlo, ma si ritrovò steso a terra, un braccio torto dietro la schiena, il ginocchio dell'uomo poggiato sulla nuca.
"Unità investigativa della marina, agente" gli soffiò Gibbs all'orecchio, prima di lasciare la presa.
"Bene, ora che abbiamo chiarito l'equivoco, ci potreste consegnare i cadaveri prelevati al magazzino?" chiese dolcemente McGee, cercando di alleggerire la tensione creatasi nella stanza. Mallory lo guardò furente, il viso paonazzo.
"Darvi i cadaveri?! Abbiamo ricevuto ordini precisi! Trarre in arresto un terrorista" e indicò Tony con un gesto teatrale della mano "e custodire il sospettato e le varie prove fino all'arrivo degli agenti governativi" fece una piccola pausa, riprendendo fiato. "Quindi, ora...o uscite immediatamente di qui, o vi faccio arrestare!" concluse, sfoggiando un tono dolce e amabile.
"Noi siamo agenti governativi!" esclamò Ziva esasperata, mostrandogli per l'ennesima volta il distintivo. Avrebbe voluto essere ancora al Mossad: li nessuno si sarebbe lamentato se avesse ucciso un funzionario di polizia troppo petulante e ostruzionista.
"Gli ordini sono chiari: consegnare tutto alla polizia militare!" esclamò ancora Mallory, arretrando fino al tavolo, e premendo un tasto celato sotto il piano in metallo.
"Capo, l'allarme silenzioso!" lo informò Tony, accortosi della mossa dell'uomo. Gibbs fece per replicare, ma lo squillo del cellulare lo bloccò.
"Pronto!" esclamò irritato, portando l'apparecchio all'orecchio con gesto stizzito. Rimase ad ascoltare per qualche istante.
"Si direttore, ma potrebbero fare problemi per farci uscire" disse piano. Altra pausa, in cui si limitò ad ascoltare una nervosissima Jenny.
"Bene, direttore" disse infine, riattaccando.
"Cambio di programma, ragazzi" li informò, alzando la voce. "Prendiamo DiNozzo e torniamo all'NCIS, dei corpi ci occuperemo in seguito"
Passi affrettati iniziarono a risuonare nel corridoio, voci concitate iniziarono a dare qualche ordine, ancora poco udibile.
"Sempre che ci facciano uscire, capo" commento McGee, leggermente preoccupato.
"Gli ordini sono chiari, McGee...abbiamo l'autorizzazione a sparare, se necessario" disse freddo Gibbs, guardando con aria di sfida Mallory.
"Non oserete!" esclamò lui, gettandosi in avanti.
"Scommettiamo?" lo sfidò Ziva, puntandogli la pistola in mezzo agli occhi, e spingendolo contro il muro. La rendeva nervosa quella situazione intricata, dove non si capiva chi stesse con chi. A quanto pareva l'esercito si stava divertendo a metterli nei guai.
"Fossi in te non la farei arrabbiare, Mallory. Potrebbe diventare pericolosa" disse Gibbs, sorridendo. L'uomo deglutì rumorosamente, valutando per qualche istante la situazione. "Tutto a posto, ragazzi, falso allarme" disse Mallory ai suoi uomini, cercando di mantenere una voce calma e controllata. "Saggia decisione, capitano" approvò Gibbs, passandogli a fianco per uscire dalla stanza. "Peccato...avrei potuto sfogare un po' di nervosismo, con una bella sparatoria" buttò li Ziva, serissima. Tony e McGee fecero finta di non aver sentito la collega, scambiandosi occhiate preoccupate. "Mossad..." sospirò rassegnato Tony. Tim annuì in silenzio, sperando che Ziva non avesse sentito. "In macchina, forza!" sbottò Gibbs, esasperato per la loro lentezza. Subito dopo la berlina nera partì sgommando; Gibbs prese il telefono, immergendosi in una lunga telefonata in cui si limitava ad ascoltare.
Evidentemente stava parlando con il direttore.




Ok, l'ammetto...non ho saputo resistere alla tentazione d'inguaiare un pochino Tony...in fondo, è anche questo il bello, no? XD Scherzi a parte, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Come sempre un grazie immenso va a chi legge e a chi recensisce, mentre ne dedico uno ancora più grande a chi ha inserito questa fic tra i preferiti...!! spero che continuerete a seguirmi! ( e che mi lascerete una piccola traccia del vostro passaggio... ;) a presto!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ciao a tutti! Rieccomi di nuovo qui! Chiedo umilmente scusa per il ritardo, ma ultimamente l'ispirazione era andata in vacanza... XD spero di farmi perdonare con questo capitolo! Buona lettura!




Entrarono tutti nell'ascensore; Tony stava per premere il pulsante del secondo piano, quando fu bloccato dalla voce imperiosa del capo.
" Si va da Abby, DiNozzo!" lui obbedì, spingendo il bottone del primo piano; era davvero curioso di sapere cosa stava succedendo.
Le porte si aprirono, e la squadra entrò nel laboratorio di Abby; l'abituale musica era stranamente assente, come era strana la presenza del direttore.
"Gibbs...abbiamo un problema, anzi no, un problemone, anzi..." la dark interruppe improvvisamente il suo monologo vedendo Tony. "Ciao Tony!" esclamò, esibendo un sorriso forzato, i codini che saltellavano ai lati della testa.
"Abby..." rispose lui, imbarazzato. Non aveva neanche preteso il suo solito maxi-caffè; le stranezze aumentavano.
"Allora, Abby?" chiese impaziente Gibbs, innervosito da quell'improvviso silenzio.
"Qual è il problema?" rincarò McGee, curioso. Abby continuava a fissare preoccupata Tony, dondolando leggermente il busto; non era certa che avrebbe preso bene quella storia.
"Andiamo, DiNozzo è grande abbastanza per sapere!" esclamò Gibbs, intercettando lo sguardo preoccupato della scienziata. Lei annuì, dirigendosi verso il computer e facendo apparire un avviso di cattura sul monitor.
"Ecco a voi Ari Haswari, terrorista, spia infiltrata nel Mossad, omicida, attualmente ricercato" recitò in fretta.
"é morto, Abby!" esclamò Tony, sorpreso.
"Non questo, Tony...guarda meglio" replicò lei, serissima.
Il cuore di DiNozzo saltò un battito, per poi fermarsi per un tempo infinitamente lungo. Il volto sbiancò leggermente, mentre le mascelle si serravano. Lui era Ari, lui era ricercato, lui aveva ucciso Kate; la foto e i dati su quell'avviso parlavano chiaro.
"Non è divertente come scherzo, Abby!" tentò, ma gli occhi di tutti gli dicevano che quello non era uno scherzo.
"Jenny, non è possibile che..." il direttore bloccò Gibbs a metà frase; sapeva cosa voleva chiederle, anche lei ci aveva già pensato. Non si trattava di un errore.
"No...ho già indagato. L'F.B.I. non ne sa nulla, come tutte le altre agenzie. L'avviso è stato diffuso solo alla polizia locale"
"E..." intervenne Abby, finendo di battere sulla sua tastiera. "è stato emesso dalla polizia militare, base di Norfolck" annunciò in tono teatrale.
"Capo, è la base che doveva fornirci le armi!" esclamò McGee, leggermente sorpreso.
"Doveva, agende McGee?" ringhiò il direttore. Lui annuì in silenzio, intimorito; la voce divenne fioca. "Si...ci hanno comunicato all'ultimo secondo che non avevano ricevuto l'autorizzazione"
Jenny estrasse un foglio di carta dalla tasca, sbattendolo stizzita sul tavolo. "Volete dirmi che non sapete dove sono finite queste?!" urlò, gli occhi fiammeggianti.
Gibbs osservò il documento; una comunicazione di consegna di tre casse di M16 all' NCIS per un'operazione sotto copertura.
"No, direttore" sussurrò "Vogliamo dire che noi non abbiamo neanche mai chiesto questa roba".
Il silenzio calò denso e opprimente, mentre tutti cercavano risposte alle troppe domande di quella storia; tutti, tranne Tony. Il suo cervello si era fermato molto prima, estraniandosi dai discorsi successivi. Continui flash gli attraversavano la mente; un tetto, una bandiera americana, Kate che si rialza sorridente, Kate che cade a terra, il sangue.
Un vortice che lo trascinava sempre più giù. La stanza prese a girare, chiuse gli occhi, ma non servì a niente; si aggrappò al tavolo, le dita artigliavano l'acciaio gelido, ma la situazione non migliorò. Qualcuno lo stava scuotendo.
"Tony...Tony!" un colpo decisamente troppo forte al braccio lo riportò al presente; Ziva gli aveva dato un pugno sulla spalla. Gibbs riprese a parlare, come se nessuno lo avesse interrotto.
"Come dicevo... McGee starà qui con Abby, dovrete venire a capo di questo" e sventolò davanti a loro la ricevuta. Abby scattò sull'attenti, dando una leggera gomitata a McGee perchè facesse lo stesso.
"David e DiNozzo...voi tornerete alla vostra copertura, che fortunatamente non è saltata. Cercate di riprendere i contatti con i potenziali acquirenti"
Loro tentarono di controbattere, provando a far presente che gli emissari degli acquirenti erano stati eliminati, ma la cosa non sortì effetto, come al solito.
Dieci minuti dopo erano già in macchina, ognuno con il ricordo di uno scappellotto insolitamente violento.
"Perchè mi hai colpito, prima?" chiese Tony, quando arrivarono al loro appartamento; più per rompere quel fastidioso silenzio che per altro.
"Perchè eri tra le nuvole...c'entra Kate?" replicò lei. Lui provò a svicolare dal discorso, dirigendosi in camera da letto.
"Ho trovato una sua foto nella tua valigia" si morse il labbro, non avrebbe dovuto dirlo. Lui si staccò dall'armadio, dirigendosi verso di lei; lo sguardo insolitamente freddo.
"Hai perquisito la mia valigia, agente David?" chiese tagliente, facendola arretrare di qualche passo. Le sue gambe urtarono il bordo del letto; il volto di Tony era per metà invisibile, colpito in pieno dalla luce della finestra che lei aveva alle spalle. Le mani del ragazzo le cinsero i fianchi, mentre il suo viso si avvicinava pericolosamente. Cosa le stava succedendo? Perchè il suo corpo si rifiutava di reagire?
"Non sarai gelosa, Ziva" le soffiò all'orecchio, divertito. Il fiato del ragazzo le accarezzò il viso; il suo profumo la raggiunse, intenso e prepotente. Dovette fare un piccolo sforzo per controllarsi.
"Gelosa? Di te?" chiese ridendo. Fu un attimo; lo sguardo del compagno fu attraversato da un'ombra scura, indecifrabile, e l'istante successivo si ritrovò sdraiata sul letto; il corpo premuto contro il suo, i loro visi vicinissimi. Arrossì lievemente a quel contatto così diretto ed inaspettato; cercò di tirarsi a sedere, ma lui la tenne inchiodata al materasso: solo in quel momento si accorse che il suo non era un gesto di affetto, come credeva.
Il vetro esplose, raggiunto da una raffica di pallottole; schegge iridescenti riempirono la stanza, mentre loro, ancora stretti, scivolavano sul pavimento.
Tony le aveva appena salvato la vita, e lei non se n'era neppure resa conto; totalmente persa nei suoi occhi scuri, distratta dal caldo tocco di lui sui suoi fianchi.
Estrasse la pistola, dandosi della stupida; non poteva certo innamorarsi di DiNozzo!




Ok...è un capitolo un po' strano...ma la mia mente contorta mi ha suggerito così XD
è la prima volta che scrivo un accenno di Tiva dal punto di vista di Ziva, spero sia uscito qualcosa di decente!
Come sempre ringrazio tutti coloro che leggono, recensiscono e hanno inserito la fic nei preferiti...! Grazie di cuore!
Ora vi lascio, sperando che vorrete lasciarmi una traccia del vostro passaggio....a presto!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Ciao a tutti! eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo, dedicato a chi era curioso di scoprire come intendessi "giocarmi" Ari... buona lettura!




Erano accucciati dietro al letto; le pallottole avevano smesso di sibilare per la stanza, i buchi nelle pareti erano l'unica traccia del loro passaggio.
"Questo appartamento porta sfortuna, direi" constatò Tony scocciato, facendo per alzarsi. Ziva lo bloccò.
"Dove pensi di andare, DiNozzò?" chiese dura, gli occhi che brillavano.
"Fuori di qui?" fu la risposta, venata dall'ironia. Lei allungò un braccio, tastando alla cieca il letto alle sue spalle; le sue dita incontrarono un tessuto leggero, e l'afferrarono.
"Ehi Ziva...cosa vorresti fare con la mia camicia di..." non fece in tempo a finire la frase che la camicia volava già a mezz'aria per la stanza. Cinque spari, e cinque proiettili attraversarono il tessuto, terminando la loro corsa nel pavimento.
"Sempre dell'idea di andartene?" frecciò pungente, incurante dello sguardo irato del compagno. "Era solo una camicia!" sbottò poi, esasperata; Tony continuava a fissarla in malo modo.
"Solo?! Era una camicia it..." si trovò a ringraziare mentalmente il loro aggressore; riniziando a sparare le aveva risparmiato la ramanzina di Tony sulla sua defunta camicia.
"Accidenti! Sempre a spararci addosso!" sibilò lui a denti stretti, cercando di sfogare in qualche modo il suo nervosismo.
"D'ora in poi sarà peggio, Ari" Ziva pronunciò quelle parole con un filo d'ironia, inconsapevole degli effetti che quella frase avrebbe provocato.
Fu solo attraverso gli occhi del ragazzo che capì: nel laboratorio di Abby aveva avuto ragione; Tony non aveva realmente capito quello che la scienziata aveva detto.
A quella semplice frase, appena sussurrata da Ziva, il mondi si fermò, crollandogli addosso. Le parole che poche ore prima si era rifiutato di capire ora gli apparivano chiare nella mente; come se qualcuno gli avesse appena fatto una doccia gelata.
Ora capiva gli sguardi di tutti; non era compassione quella che traboccava dai loro occhi, ma preoccupazione. Ora capiva le domande di Gibbs su chi avesse inoltrato quella segnalazione su Ari; ora capiva le parole di Abby.
La scienziata aveva detto che quell'Ari non era morto; ed era lui, Anthony DiNozzo, ad essere per la polizia il pericoloso terrorista Ari Haswari. Era lui quello su cui potevano sparare a vista; lui il colpevole della morte di Kate.
No, quella non era una novità; lui si sentiva da sempre responsabile della sua morte. Avrebbe potuto fare qualcosa, qualsiasi cosa, e qualcosa aveva fatto: l'aveva vista morire, impotente di fronte agli eventi. E ogni giorno che passava stava sempre peggio.
Si alzò, incurante di quello che gli accadeva intorno; non si era accorto che nessuno sparava più, e che Ziva lo stava chiamando ad alta voce, preoccupata.
Si diresse verso l'armadio, che spalancò: estrasse la sua borsa da viaggio, rovinata da un paio di proiettili, e ne estrasse una fotografia, miracolosamente intatta.
A ben pensarci era più o meno l'unico oggetto intatto di quella stanza; quello stupido pezzo di carta era riuscito dove il suo originale, Kate, aveva fallito: lei non era riuscita a sfuggire ai proiettili.
A quella constatazione si fece strada sul suo viso un sorriso amaro,che però scomparve immediatamente; fu invaso da una strana sensazione: aveva caldo, e allo stesso tempo tremava.
Era certo di aver già provato quella sensazione, anche se non ricordava quando, o perchè; aveva la mente annebbiata, stordita dal poco ossigeno che la raggiungeva. Si accasciò lentamente a terra, l'immagine di Kate che sfumava davanti ai suoi occhi, fino a perdersi del tutto nelle tenebre.
Non ricordava che un proiettile facesse quell'effetto; anche lei aveva provato quelle sensazioni?
"Tutto bene, ragazzi?" chiese la voce di Gibbs dall'ingresso.
"No, capo" urlò Ziva in risposta, avvicinandosi a Tony. Il respiro irregolare, gli occhi chiusi e un leggero rivolo di sangue ad un angolo della bocca.
Gibbs arrivò al suo fianco in quello che le parve un istante. Disse qualcosa al cellulare, chinandosi poi su DiNozzo.
"Un proiettile?" Fece la domanda anche se credeva di conoscere già la risposta; in fondo gliel'avevano detto che poteva succedere di nuovo.
"No, capo...il passato" rispose Ziva con un filo di voce. Aveva visto decine di colleghi stesi a terra, legati alla vita da un filo sottile; allora perchè solo Tony le procurava quella strana sensazione che le stringeva lo stomaco e le punzecchiava gli occhi?

"Tutto fatto?" chiese una voce dura, alle sue spalle. L'uomo annuì, chiudendo la terza e ultima cassa, dopo averne controllato il contenuto.
"Si, capo!" esclamò divertito. "Le armi sono arrivate, e gli impiccioni dell'N.C.I.S. a quest'ora saranno già morti" disse ridendo.
"Sempre che non gli abbiano uccisi prima i poliziotti" s'intromise un secondo uomo, caricando sul furgone un computer portatile.
"Davvero geniale l'idea di scambiare il file di quel terrorista con quello dell'agente DiNozzo, capo!" continuò, montando in macchina ed accendendo il motore.
"Lo so...diciamo che per Ari questa è una vendetta tardiva, ma sempre vendetta è" risero, mentre il mezzo partiva sgommando.




Come sempre ringrazio tutti coloro che leggono questa fic,e che mi lasciano i loro commenti! Spero che questo capitolo non vi abbia delusi! ^^ Ok...è un po' cortino, ne sono consapevole...ma prometto che aggiornerò presto (almeno spero! ;)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Salve a tutti! mi scuso per l'enorme ( nonchè orrendo e imperdonabile ) ritardo, ma ultimamente la scuola si è fatta fin troppo "ingombrante"... XD Comunque, ecco finalmente a voi un nuovo capitolo, sperando che sia di vostro gradimento! Prima d'iniziare, ovviamente, ringrazio di cuore tutti coloro che hanno commentato, e anche chi ha inserito la fic nei preferiti, ed infine anche chi si limita a leggere...! Buona lettura!




Aveva la fortissima tentazione di entrare in quella stupida camera d'ospedale a prendere a schiaffi DiNozzo, intimandogli di guarire all'istante, e invece passeggiava frenetico avanti e indietro per il corridoio asettico, come una belva in gabbia che misura a grandi passi le dimensioni della sua prigione. La sua era minuscola.
Ovunque si girasse vedeva sguardi preoccupati e volti tesi: Ziva, appoggiata al muro, cercava di mantenere un'espressione impassibile, ma il suo tentativo era vanificato da qualche sporadica lacrima; Duky era compostamente seduto su una sedia, il volto teso e preoccupato; Abby e McGee erano in un angolo a confabulare tra di loro, il pivello che cercava di calmare la dark, senza troppo successo.
Jen era impegnata in ufficio, ma lo tempestava di telefonate; non sapeva dire cosa lo infastidisse di più: se la sua voce tesa e preoccupata o le sue continue domande su come stesse lui, Leroy Jethro Gibbs. Come se lui non avesse mai visto un collega in ospedale!
Un medico emerse dal fondo del corridoio, il volto già atteggiato a dispiacere e cordoglio confermò le loro più pessimistiche ipotesi ancora prima che li informasse della diagnosi.
Era assurdo che qualcuno potesse rischiare la morte per una malattia ormai scomparsa, ma era proprio quello che stava succedendo a Tony: ricoverato in ospedale con la diagnosi di peste polmonare per la seconda volta in due anni.
Per i medici non era un caso clinico, per quelli come lui usavano un termine specifico: morto che cammina; ma queste non sono cose che si dicono ai colleghi del malato, a loro si espone la diagnosi, e una lontanissima possibilità di ripresa, tralasciando il fatto che se si riprendesse lo considererebbero un miracolo.
Gibbs fu quasi certo di sentire un gemito soffocato alle sue spalle; si girò, ma non riuscì a scoprire la fonte di quel rumore: Abby piangeva silenziosamente sulla spalla del pivello, Duky assimilava in perfetto silenzio la notizia della malattia di Tony, e Ziva... Ziva sostenne il suo sguardo, gli occhi leggermente troppo lucidi per essere privi di lacrime, la schiena era scivolata un po' più in basso lungo il muro. Cercava di fare la dura, ma si stava spezzando.
Andò verso di lei, ma non le posò una mano sulla spalla, ne tentò di consolarla; sapeva che lei non avrebbe gradito. Si limitò ad osservarla per qualche istante, lo sguardo fisso e duro; lei sostenne lo sguardo, senza neppure sbattere le palpebre.
Si perse per alcuni istanti in quegli occhi azzurro ghiaccio, che le trasmettevano un ordine silenzioso e diretto: non cedere. Alla fine sorrise lievemente, scuotendo la testa in cenno d'assenso; non avrebbe ceduto, per nulla al mondo.
Fece un respiro profondo, due, e poi si raddrizzò con un leggero colpo di reni, staccando la schiena dal muro gelato. Passo fermo e veloce, sguardo sicuro e occhi solo leggermente umidi; rimase davanti alla porta della stanza di Tony per quello che le parve un secolo, ma che nel mondo reale doveva essere stato un minuto.
Un ultimo respiro, giusto per far svanire le tensioni, e varcò la soglia.
La camera era spoglia, un semplice comodino e un letto regolabile con le sponde alte; una bombola d'ossigeno e l'immancabile, infernale, aggeggio che monitorava il battito cardiaco e la pressione, con i suoi incessanti "bip" ritmici.
Si avvicinò di più al letto dove un Tony più pallido del solito dormiva un sonno agitato, il respiro pesante e leggermente affannoso. Una mascherina per l'ossigeno era abbandonata sul cuscino, pronta all'uso, mentre in un angolo era già pronto il carrello per la rianimazione d'emergenza; aveva sempre odiato gli ospedali, e quello non faceva eccezione.
Sentiva gli sguardi degli altri fissarla attraverso la sottile parete di vetro che divideva quella stanza dal corridoio, alla ricerca di un segno di cedimento o anche solo di un gesto dolce; insomma, erano alla ricerca di un minimo gesto non da lei che potesse fornire una valida scusa per lasciare da parte gli scrupoli e gettarsi a consolarla.
Non avrebbe mai permesso che ci riuscissero; non avrebbe concesso loro un motivo valido per preoccuparsi per lei.

La luce era fastidiosamente viola, dava fastidio e faceva lacrimare gli occhi; in bocca aleggiava ancora un vago sentore di ferro e dolciastro, respirare iniziava a diventare faticoso, doloroso quasi.
Mise a fuoco a fatica la stanza candida e spoglia in cui si trovava; una figura indefinita era in piedi al suo fianco, e lo guardava.
Ora ricordava: la lettera, lui che l'apriva, la polvere bianca...Kate!
"Kate, come stai?" chiese preoccupato, alzandosi di scatto a sedere. La testa iniziò a ronzare, il petto mandò una fitta dolorosa, e il respiro si mozzò per un secondo, ma non se ne accorse neppure. L'unica cosa che percepì fu un contatto freddo, qualcosa di morbido e veloce che colpiva con forza il suo viso, seguito quasi subito da quelle che sembravano lacrime.
La guancia prese a pulsare, e un dolore sordo iniziò a diffondersi fino all'orecchio, e poi più giù fino ad arrivare dalle parti del cuore, dove gli antichi credevano risiedesse l'anima.
Si lasciò cadere sul materasso, rimbalzando leggermente; gli occhi di nuovo chiusi, aveva la vista ancora confusa a causa di qualche cosa che gli avevano somministrato li in ospedale, e aveva sonno, tanto.
Si rilassò, aspettando che il sonno tornasse; probabilmente quello schiaffo era solo un sogno, come quell'israeliana impertinente che l'aveva fatto quasi innamorare.

"Ziva!" la voce imperiosa di Gibbs risuonò per il corridoio, sovrastando il rumore dei suoi passi rapidi; non gli prestò attenzione, accelerando il passo. Qualche lacrima continuava a rigarle le guance, nonostante i suoi disperati tentativi di ricacciarle indietro.
Cercò di respirare a fondo, ma non ci riuscì, era ancora troppo scossa, troppo arrabbiata, troppo...gelosa?
No, si rifiutava di credere una cosa simile. Era solo arrabbiata; arrabbiata perchè dopo due anni Tony l'aveva scambiata per un'altra, arrabbiata per l'espressione preoccupata che era apparsa sul suo volto quando aveva pronunciato il suo nome, arrabbiata per quello sguardo affranto quando lo aveva preso a schiaffi.
Era arrabbiata, ma la rabbia peggiore la provava verso se stessa; in quel momento si odiava, odiava la sua debolezza e soprattutto odiava quel qualcosa che dentro di lei era andato in frantumi quando lui le aveva preso la mano, pronunciando il nome della ragazza di cui era innamorato; un nome che non era il suo.
"Ti vuoi fermare?!" una presa sicura le cinse le spalle, facendole fare un mezzo giro su se stessa e posandola delicatamente al muro. Gibbs incombeva su di lei, gli occhi che chiedevano, esigevano, una spiegazione.
I suoi lineamenti si ammorbidirono un poco alla vista delle sue lacrime, ma non allentò la presa, ne mutò lo sguardo inquisitorio.
"Allora?" il tono sbrigativo di sempre, che ordinava di andare dritto al sodo senza perdere tempo, il solito Gibbs burbero ma paterno; perchè lo vedeva in modo diverso, allora?
Un attimo, e nella sua mente apparvero mille ragionamenti illogici, mille motivazioni stupide, mille azioni possibili. Tra tutte scelse la più stupida, o semplicemente la più adatta al momento.
Chiuse gli occhi, si sentiva furiosa e tradita. Spostò tutto il corpo in avanti, alla ricerca di qualcosa che Tony le aveva negato. Avvicinò il volto a quello di Gibbs, pronta ad assaporare il gusto agrodolce ed appagante della vendetta; disposta a tutto pur di trovare un momentaneo sollievo.
A tutto, anche all'azione più sconsiderata.




Bene...spero che il capitolo vi sia piaciuto! Non avevo mai provato a rendere un Tony delirante e una Ziva irrazionale...spero che siano venuti almeno decenti...! XD
Per il bacio Ziva/Gibbs, sinceramente sono leggermente in imbarazzo...voi cosa suggerite, ci sarà o no?? XP a presto!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Ciao ragazzi...! scusate il ritardo, ma tra fine scuola e inizio vacanze non sono riuscito a trovare un momento libero per aggiornare XP Cooomunque...sotto l'ombrellone ho pensato a voi, e a come risolvere il poco apprezzato "bacio" Ziva/Gibbs.... buona lettura! XD




La sua schiena aderì perfettamente alla parete, leggermente ruvida. Un tocco caldo sull'addome, e il sapore del suo capo sulle labbra; legno, legno e colla.
Cercò di protestare, ma le dita di Gibbs premevano sulle sue labbra, impedendole di parlare.
"Allora, agente David?" chiese in tono leggermente irritato, lo sguardo che pretendeva una spiegazione esauriente.
Ziva deglutì, agitandosi leggermente; quella situazione d'inferiorità la infastidiva, non si aspettava che Gibbs le avrebbe resistito.
Lui la fissò, ammiccando; voleva una risposta, e la voleva subito. Il cuore accelerò i battiti, mentre il suo cervello si rifiutava di ideare una qualsiasi bugia utile a cavarsi d'impaccio.
"Gibbs Gibbs Gibbs.....!" Abby arrivò di corsa nel corridoio, fermandosi a pochi centimetri da loro con un'elegante scivolata sul pavimento lucido. Non si accorse nemmeno della loro posizione equivoca, o forse non la reputò importante.
"Abbiamo un problema...!" sbottò, muovendo concitatamente la testa, i due codini che vorticavano come impazziti.
"ok, forse un problemone" continuò "no, problemissimo...! Insomma.." "Abby?" si allontanò da Ziva, fissando il suo sguardo inquisitorio sulla dark.
"Che diavolo sta succedendo?"
"C'è di la un certo Mallory,dice di essere della polizia, secondo me è un poliziotto pazzo, vuole arrestare Tony!" spiegò lei tutto d'un fiato, senza curarsi troppo di separare le parole.
Gibbs scattò in avanti, percorrendo il corridoio a grando falcate, mormorando sottovoce quelle che sembravano imprecazioni.

"Capitano Mallory..." masticò tra i denti a mo' di saluto, il tono della voce apertamente ostile, l'espressione dura.
"Agente Gibbs" replicò l'uomo, il tono colmo di disprezzo, calcando ironicamente sulla prima parola. "Sono venuto per arrestare il terrorista" disse poi tronfio, indicando Tony con un cenno distratto del capo, gli occhi che brillavano di gioia mentre pregustava il suo successo.
"Temo non sia possibile" replicò il marine, cercando di far ricorso alla sua quasi inesistente diplomazia. "é ricoverato in gravi condizioni"
"Certo certo...arrestatelo e portatelo via" ordinò agli agenti in divisa che lo seguivano, liquidando le parole di Gibbs con un gesto della mano.
Si accorse di aver portato la mano alla fondina della pistola solo quando qualcuno gliela bloccò in una presa salda ma amichevole.
"Se vuoi proprio farlo, fallo fare a lei" gli sussurrò la voce di Fornell, mentre il vecchio agente dell' F.B.I. indicava Ziva con un cenno "è del Mossad, corre meno rischi" aggiunse con un sorriso, cercando di decifrare l'espressione di Gibbs.
"Non suggerirglielo Tobias, o potrebbe farlo davvero" si limitò a replicare atono.
"Cosa sei venuto a fare, qui?" s'informò poi, spinto da un sotterraneo moto di curiosità.
"A fare un favore al tuo direttore, Jetrho" rispose sbrigativo, prima di avvicinarsi a Mallory.
"Capitano Mallory?" chiese diplomaticamente, il tono cortese ed ufficiale. L'uomo si girò annuendo, trovandosi spianati davanti distintivo e mandato federale.
"è pregato di lasciare l'edificio con i suoi uomini...da questo momento il sospetto è sotto la nostra custodia" recitò impassibile, trattenendo a stento una risata nel vedere la faccia di Gibbs alla parola "sospetto"
Gli occhi chiari del capitano s'illuminarono d'ira, mentre i baffi biondi fremettero di sdegno. Rimase immobile per qualche secondo, incerto se controbattere o semplicemente urlare.
Decise di rimangiarsi la rabbia che gli stava crescendo dentro.
Annuì mestamente, facendo cenno ai poliziotti di seguirlo; si diresse verso l'ascensore, lanciando un'occhiata carica d'odio verso Gibbs.
"E' tutto vostro, ragazzi" rise Fornell quando Mallory scomparve nell'ascensore, lanciando il mandato federale a Gibbs, e allontanandosi per il corridoio.
"Ora mi devi un favore, Jetrho, e quelle famose tre casse di M16" frecciò prima di sparire dietro l'angolo.
A quelle parole Gibbs scattò in piedi, risoluto.
"Duky, Abby, McGee, con me!" intimò perentorio. I tre scattarono in piedi, reagendo d'istinto a quel tono duro che non ammetteva repliche.
"David, tu bada a DiNozzo" aggiunse poi. Intercettò l'occhiata di dissenso di Ziva, ma non le lasciò il tempo di protestare.
"Se ricompare Mallory sei autorizzata a sparare" disse, infilandosi nell'ascensore, e lasciando Ziva impossibilitata a replicare a quell'ordine, un sorriso amaro che le aleggiava sul volto per la battuta del capo.
"Stavi scherzando Jetrho, non è vero?" s'informò Duchy, preoccupato.
"Certo che no, dottor Mallard" fu la secca risposta, mentre l'ascensore si apriva sull'atrio dell'ospedale mostrando un Duchy sorpreso e senza parole.

Si sbattè la porta alle spalle con un pizzico di violenza, mandando al diavolo il dottore che cercava d'informarla dei remotissimi rischi di contagio. Il giovane cercò d'insistere, ma venne gelato da un'occhiata carica di rabbia ed odio.
Si ritirò in silenzio, lasciandola finalmente sola nella stanza; anche se, purtroppo, sola non era.
Dovette lottare per reprimere l'impulso di distruggere quel maledetto macchinario che non sapeva far altro che emettere fastidiosi "bip" capaci di annientare qualsiasi pensiero; per un attimo accarezzò l'idea di prendere a cazzotti DiNozzo, ma rinunciò.
Non avrebbe avuto nessuna soddisfazione da un Tony incosciente, incapace di lamentarsi ed esprimere dolore.
Si alzò di scatto, come se la sedia scottasse; nel farlo urtò il piccolo armadio in cui erano stati riposti i vestiti del collega, che finirono a terra. Maledì le camere troppo strette, gli armadi troppo sensibili e i vestiti ripiegati alla cavolo che cadono per un nonnulla.
Afferrò una gruccia e vi mise la giacca firmata e la camicia del ragazzo; poi capovolse con malagrazia i suoi pantaloni, per infilare anch'essi su quell'insulso oggettino di metallo.
Odiava fare quelle cose; lei amava l'azione, non era tagliata per la vita da brava casalinga.
Dalla tasca scivolò un fogliettino, che si posò elegantemente sul pavimento. Sorrise sorniona, in fondo fare la massaia aveva i suoi lati positivi.
Sistemò la gruccia nell'armadio, e raccolse il fogliettino; era spiegazzato, con un'annotazione a penna su uno dei margini. Decisamente Tony e l'ordine erano due cose incompatibili.
Lesse le poche parole, e un turbine d'emozioni la invase. "Kate; 3a strada, 5a"
L'indirizzo della mitica Kate; la misteriosa ragazza che l'aveva preceduta, e che aveva rapito il cuore di DiNozzo.
Era curiosa d'incontrarla, decisamente curiosa. S'infilò il bigliettino in tasca, aspettando diligentemente la fine del suo turno.
Kate: quel nome le faceva scattare un qualche campanello d'allarme, ma non riusciva a capire perchè; non aveva mai conosciuto nessuno con quel nome.





Bene...spero che vi sia piaciuto! Come sempre ringrazio di cuore tutti coloro che leggono, e anche chi recensisce...fa sempre piacere leggere i vostri commenti! Soprattutto quelli riferiti alla coppia Ziva/Gibbs...direi che non piace proprio, eh...? XD a presto...!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Salve a tutti! Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo...spero sia di vostro gradimento! Buona lettura..!




"Allora?"
Quella semplice domanda, arrivata improvvisa ed inaspettata alle loro spalle li fece trasalire. Scattarono entrambi sulle sedie, assumendo una posizione più rigida e marziale.
"Non ti piacerà Gibbs" annunciò la dark, girandosi verso di lui.
"Cosa non mi piacerà, Abby?" fu la gelida risposta. Quel giorno Gibbs sembrava più artico del solito, non era una buona cosa.
"Questo" si buttò McGee. Tanto valeva dare subito la notizia, e togliersi la preoccupazione. Anzi, le notizie.
"E quest'altro" concluse, facendo apparire un'altra finestra sullo schermo del pc.
Gli occhi di Gibbs rimasero fissi sullo schermo per un periodo indefinito di tempo, mentre la tazza di caffè che reggeva in mano diventava sempre più informe e schiacciata. Il liquido nero e bollente colava sul pavimento il rivoli fumanti, ma l'uomo pareva non accorgersene. Decisamente non era un buon segno.
"Quindi i cadaveri degli assalitori di DiNozzo e Ziva non sono quelli che ci sono stati consegnati?"
"No, capo! Duky è sicuro, le ferite e le pallottole non corrispondono" rispose pronto McGee.
"Gibbs! Io mi preoccupo di più per Tony!" esclamò Abby, leggermente alterata.
"E' con Ziva, Abby" si limitò a dire. Non aveva detto che era in ospedale, non aveva detto che era in un posto sicuro, no, aveva detto che era con Ziva; e tutti sapevano che la giovane israeliana poteva diventare molto pericolosa, se provocata. E da tempo si erano accorti che l'argomento "Tony" era uno di quelli che la facevano scattare.
"Sei sicuro di questo McGee?" chiese dopo un attimo di silenzio, indicando lo schermo.
"Certissimo capo! L'avviso che identifica Tony come terrorista è stato emesso dalla polizia militare di Quantico; gli stessi che hanno fatto sparire le armi" disse tutto d'un fiato Tim.
Lo sguardo di Gibbs lo innervosiva, o forse era la tazza di caffè accartocciata a terra a renderlo nervoso.
"E tu dottor Mallard?" aggiunse l'ex marine senza girarsi. In quel momento l'immagine di Duky comparve all'interfono, e la sua voce riempì il laboratorio.
"Si Jetrho. Un proiettile da cecchino non si può confondere con uno da nove millimetri" rispose pratico. Gibbs sbuffò, irritato. Quello stupido di Mallory e la sua fissazione di essere il più furbo.
"McGee, con me!" intimò, uscendo dal laboratorio.
"Dove andiamo capo?" chiese il ragazzo trottando per riuscire a rimettersi al passo.
"A prendere Ziva...spero che Mallory sia all'ospedale"
"Perchè, capo?"
"Ziva gli sparerebbe, e ce lo leveremmo di torno" rispose serafico, premendo il tasto corrispondente al mezzanino del loro ufficio.
Di sicuro Tony, in una situazione come quella, avrebbe tirato in ballo un film; lui, invece non era così preparato in materia.
Si limitò a rabbrividire alla risposta, e a sperare che il capo stesse scherzando. Però lo conosceva abbastanza da sapere che lui non scherzava. Mai.

Un rumore improvviso, uno scricchiolio sommesso appena fuori dalla porta, la fece scattare. Si sedette meglio sulla sedia, attenta, la mano poggiata al calcio della pistola, gli occhi fissi sulla porta.
Questa si scostò impercettibilmente, poi si aprì di scatto.
Lei era già in piedi, la sedia rovesciata all'indietro sul pavimento, le braccia tese in avanti, la pistola puntata in mezzo agli occhi del capitano Mallory.
"Giù quell'arma!" intimò lui minaccioso, facendo scivolare la mano verso la cintola. Un movimento troppo frettoloso e impacciato per non essere notato. Gli fece cenno di alzare le mani con un sorriso.
"Non ci provi. Ho ricevuto l'ordine di sparare" lo informò pacata, come se fosse stata la cosa più ovvia e naturale del mondo.
"Se spari, il rumore farà accorrere i miei uomini" disse trionfale, come se la cosa gli attribuisse automaticamente la vittoria.
"Se sparo, i suoi uomini saranno l'ultimo dei suoi problemi" replicò lei tranquilla.
Un lieve scatto metallico avvertì l'uomo che l'arma era priva di sicura e con il colpo in canna. Un secondo di estrema tensione, quasi palpabile, poi lo sparo.
Il vetro esplose, una carezza bollente le sfiorò il viso, schizzi di sangue le raggiunsero il viso, il rumore secco del colpo aleggiava ancora nell'aria, insieme all'odore di sangue e di morte.
Mallory stramazzò al suolo, Ziva lo vide cadere come fosse una scena al rallentatore, il sangue che macchiava il completo chiaro all'altezza del cuore.
Rimase immobile, le braccia tese in avanti, le gambe leggermente divaricate, l'indice della mano destra ancora a due centimetri dal grilletto.
Due figure scure, indistinte, apparvero ai lati della porta. Reagì d'istinto, buttandosi a terra e rovesciando al contempo il letto di Tony; non poteva permettere che una pallottola colpisse il suo collega. Gibbs non gliel'avrebbe mai perdonato. Lei non se lo sarebbe mai perdonata.
Il corpo di Tony cadde pesantemente accanto a lei, mentre le piume del materasso iniziavano a svolazzare per la stanza.
Stava per alzarsi per rispondere al fuoco, quando si rese conto dell'innaturale silenzio che regnava nella camera. Che fine avevano fatto gli spari?
"Ziva?" una voce cauta e molto preoccupata, al limite dello spavento, la chiamò debolmente. "Ziva...Sono McGee"
"McGee!" esclamò lei scattando in piedi. Ripose l'arma, e si diresse verso la porta della stanza: Gibbs stava finendo di disarmare i due poliziotti, e la sicurezza dell'ospedale stava arrivando di gran carriera. A volte era comodo avere il distintivo da federali, credevano sempre alla tua versione dei fatti.
"Agente David" la salutò il suo capo, entrando nella stanza e guardandosi intorno.
"McGee, sistema Tony!"
"Subito capo!" scattò il ragazzo, raddrizzando il letto e sollevando delicatamente il collega per riadagiarcelo sopra.
"Vedo che mi hai preso sul serio" disse poi, alludendo al cadavere ai suoi piedi. Ziva scosse la testa.
"Non ho sparato io" disse tranquilla, con voce ferma. Sapeva che di Gibbs si poteva fidare. L'uomo osservò per un altro momento la scena, impassibile.
Il foro sulla giacca di Mallory leggermente troppo grosso per un proiettile esploso dalla pistola di Ziva, la finestra rotta e i frammenti di vetro all'interno della stanza, la guancia della sua agente attraversata da un sottile taglio orizzontale.
"Non era male, il nostro cecchino" commentò con un mezzo sorriso. "Voi due, dritti all'N.C.I.S." ordinò deciso.
"Capo, e lei?" chiese McGee, incapace di trattenersi. Si pentì subito della domanda, rabbrividendo sotto una delle perentorie occhiatacce di Gibbs, quel giorno ancora più terribili del solito.
"Io andrò a parlare con il direttore" rispose poi, voltando le spalle alla sua squadra.

"Voleva dire che andava a litigarci, vero?" chiese Ziva, sterzando improvvisamente per evitare una vettura troppo lenta. McGee si afferrò più saldamente al sostegno situato sopra la sua testa.
"C-Credo di si" biascicò, tenendo gli occhi fissi sulla strada.
"Attenta!" esclamò sgranando gli occhi. Si pentì subito di aver aperto bocca; la sterzata lo fece cozzare contro il finestrino e il sapore del sangue gli invase la bocca. Si era morsicato la lingua, esattamente come un bambinetto distratto.
"Nervoso, McGee?" chiese l'israeliana, esibendosi in un veloce slalom tra tre vetture troppo lente per i suoi standard di guida.
"No, Ziva" replicò sincero "Terrorizzato" Purtroppo lui non era Tony, non era riuscito ad imporsi con la collega per guidare; e poi, diciamocelo, Ziva faceva particolarmente paura quando era arrabbiata. E dopo quello che era successo all'ospedale era decisamente più irritabile del normale.
Iniziò a rallentare, scalando rapidamente in prima al semaforo; il cambio non fece un bel rumore, ma McGee si sforzò di non farci caso, era troppo spaventato e non voleva peggiorare ulteriormente la situazione dei suoi nervi.
Prese mentalmente nota di migliorare lo stile di guida dell'agente Lisa, nel suo romanzo.
Ziva iniziò a frenare delicatamente, per poi inchiodare di colpo leggendo il nome della strada. McGee emise un mugolio soffocato, mentre la cintura gli tagliava il fiato; e avevano anche il coraggio di dire che erano "di sicurezza".
Boccheggiò per riprendere fiato, mentre Ziva teneva gli occhi incollati sulla targhetta che annunciava che stavano transitando sulla 3a strada. Quella che era segnata sul foglietto uscito dalla tasca di Tony.
Fu tentata di fare un'inversione a U e andare a cercare il numero 5a, ma rinunciò subito, non poteva certo portarsi dietro Tim.
Per un attimo fu tentata di chiedere a lui di Kate, ma lasciò perdere, non voleva fare la figura dell'impicciona, o peggio della gelosa. Poi lei, gelosa di DiNozzo? Scemenza.
Il verde scattò a tradimento, cogliendola ancora persa nei suoi pensieri. Reagì con un attimo di ritardo, schiacciando troppo a fondo l'acceleratore; McGee si appiatti al sedile, mormorando quelle che le sembrarono preghiere. Lo guardò attraverso lo specchietto; in effetti era decisamente spaventato.

"Capo, perchè hai sparato?" Una figura era emersa alle sue spalle, visibilmente agitata.
"Ora avremo tutta la polizia addosso!" continuò, incapace di comprendere il suo ragionamento più raffinato.
"Sbagliato idiota" rispose calmo, smontando il fucile "L'N.C.I.S. avrà tutta la polizia addosso, non noi".
Un lampo di comprensione attraversò il volto dell'uomo, mentre un sorriso divertito gli si dipingeva in volto.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Ciao a tutti..! chiedo scusa per il ritardo, ma temo che d'ora in poi gli aggiornamenti saranno tutto fuorchè regolari...tutta colpa della scuola XD vabbè, dettagli! Come sempre ringrazio tutti i lettori, i recensori e chi ha aggiunto la ff ai preferiti! Ora la smetto con le chiacchiere, e vi lascio al capitolo...buona lettura!




Finì di scaricare il quarto caricatore contro il bersaglio, provando un senso di benessere fisico all'odore della polvere da sparo e al lieve contraccolpo dell'arma. Sparare era il miglior modo che conoscesse per rilassarsi.
Il caricatore, ormai vuoto, cadde sul pavimento producendo un suono metallico; mentre con gesti rapidi e meccanici inseriva il quinto. Percepì una presenza alle sue spalle, ma non ci fece caso.
"Quattro caricatori e solo quattro centri?" chiese una voce impertinente alle sue spalle, la frase appena udibile per via del paraorecchie. Non si voltò verso il nuovo arrivato, ne diede segno di aver sentito il suo commento; puntò l'arma contro la sagoma di cartone, e premette il grilletto per quindici volte, in rapida successione, finchè il cane non scattò a vuoto.
Sulla figura di cartone si era aperto un nuovo buco all'altezza dello stomaco, formato da quindici proiettili sparati esattamente nello stesso punto; ordinaria amministrazione per un'agente del Mossad come lei. Sfilò gli ingombranti occhialoni e i paraorecchi, decidendosi a regalare un briciolo d'attenzione al suo interlocutore che la fissava interdetto.
"Ha ancora qualche osservazione sulla mia mira?" chiese provocatoria, mentre espelleva il caricatore e lo sostituiva, per poi risistemare l'arma nella fondina.
"Desidera?" aggiunse poi falsamente cortese, la voce tagliente come una lama di rasoio.
"Parlare con lei" fu la lapidaria risposta, mentre un distintivo della polizia di Washington D.C. compariva nel suo campo visivo. Lo gelò con lo sguardo; non aveva la minima intenzione di perdere tempo con quell'insignificante ometto troppo sicuro di se.
"Credo che farebbe meglio a seguirmi in commissariato, signorina David" aggiunse, cercando di strappare una reazione al volto di Ziva, gelido ed inespressivo.
"La pistola, prego" mentre parlava allungò la mano verso la vita della ragazza per disarmarla, venendo colto di sprovvista dalla sua reazione; si sentì afferrare il polso, e un attimo dopo si ritrovò a terra, un ginocchio premuto sul petto.
"Problemi, signora?" passi affrettati si avvicinarono, e due militari fecero la loro comparsa da un angolo remoto del poligono.
"Si, lui" soffiò Ziva rialzandosi "Ma non trattatelo troppo male, è della polizia" li avvertì voltando le spalle all'uomo, mentre i due soldati lo invitavano a seguirli.
Sorrise compiaciuta, era troppo facile liberarsi degli scocciatori quando si giocava in casa; e lei ormai era di casa nei poligoni di tiro della marina.
Non aveva capito come, ma Gibbs era riuscito ad ottenere dal direttore che la polizia non si avvicinasse a loro, e dell'indagine sulla morte del capitano Mallory se ne sarebbe occupata l'F.B.I. ovvero Fornell.
Sospirò; a quanto pareva la polizia non la voleva lasciare in pace, erano convinti che fosse stata lei a sparare. Come se quell'idiota di Mallory non si fosse mai fatto un nemico. Ridicolo.
Montò in macchina, iniziando a guidare a memoria, la strada e le altre macchine scorrevano veloci davanti a lei, che non le vedeva davvero. Evitò per un pelo un paio d'incidenti ed un semaforo rosso, mentre la testa vagava per imprecisate e pericolose strade del pensiero, che la portavano sempre in una stanza d'ospedale. A volte in quella di Tony, a volte in una più nebulosa e sfocata.
Frenò d'istinto, riconoscendo con la coda dell'occhio un luogo familiare: le auto dietro di lei suonarono, ma non ci fece caso, continuò fino al semaforo e poi svoltò a destra. In quel momento non era con McGee e non era in servizio, aveva tutto il tempo per un giro sulla 3a strada, fino al numero 5a.
Era curiosa di conoscere Kate, o quantomeno di vederla in faccia; non sapeva da dove venisse quella curiosità, c'era e basta, e la stava divorando ormai da qualche giorno.
Parcheggiò, ritrovandosi a camminare in una lunga via poco trafficata ombreggiata da alti cipressi; alla sia destra, parallelo al marciapiede, correva un lungo muro color calce, sormontato ad intervalli regolari da curiose statuette. A metà della via si apriva un ampio cancello in ferro battuto, che immetteva su un altrettanto ampio viale di ghiaia scricchiolante. Non si attardò a leggere la scritta che campeggiava sulla sommità del cancello aperto, ne si accorse che intorno a quell'entrata erano raccolti quattro o cinque baracchini di vendita fiori.
Mosse qualche passo incerto sulla ghiaia, insicura della direzione da prendere in quell'immenso parco, finchè un uomo di mezz'età non le venne in aiuto.
Le rivolse un saluto frettoloso e un'occhiata appena accennata, giusto sufficiente a cogliere distintivo e pistola che portava alla cintura.
"Il cinque è da quella parte, signorina" disse sommessamente, indicando un vialetto alla loro destra che s'inoltrava tra prati ben tenuti e file di cipressi.
Ringraziò con un cenno del capo e s'avvio nella direzione indicata, sentendosi una stupida. Da come quel tizio aveva capito in fretta cosa stesse cercando, con una semplice occhiata distratta, le venne il dubbio di essere solo l'ennesima ragazza carina che veniva a cercare Tony per una scenata di gelosia; una di quelle barzellette da bar che si raccontano in locali male illuminati e pregni dell'odore di alcol e fumo.
Probabilmente era solo l'ennesima ragazzina che calcava quella ghiaia colma di rabbia che sarebbe scomparsa una volta raggiunta la destinazione, per lasciare il posto solo a gelosia ed imbarazzo.
Si tirò un lieve schiaffetto, dandosi della stupida; era più probabile che quel tipo avesse tirato ad indovinare e ci avesse azzeccato; e comunque lei non era ne una ragazzina, ne una delle ragazze di Tony, ne, cosa più importante di tutte, gelosa di quel latin lover da barzelletta.
Si stava riempiendo la testa di preoccupazioni inutili; era in quel posto unicamente per curiosità. Brutta bestia la curiosità, l'unico piccolo difetto di tutte le spie; e lei non faceva certo eccezione alla regola, anzi.
Arrivò ad un bivio, al centro di un'aiuola ben curata un cartello segnalava che per la zona A doveva prendere a sinistra.
Sbuffò, evidentemente "zona" era un altro di quegli insulsi modi di dire degli americani; in Israele non si sarebbero mai sognati di definire così una sezione di un complesso residenziale.
Svoltò, superando la curva ombreggiata da alberi che le impedivano la visuale, arrivando in una distesa erbosa invasa dal sole, i cui raggi s'infrangevano su decine di piccole lapidi bianchissime, molte delle quali sormontate da una piccola e poco pretenziosa croce.
Rimase interdetta per qualche secondo, certa di aver sbagliato strada, o quanto meno direzione; non era diretta ad un cimitero. Soprattutto si sentiva una stupida per esserci finita senza rendersene conto. Stava per andarsene, quando una lapide attirò la sua attenzione; la fotografia sulla lapide, per la precisione.
Ritraeva una giovane donna dai lunghi capelli neri, occhi accesi e sorriso radioso. Il mondo girò per un istante, mentre le riaffiorava alla mente l'immagine vista di sfuggita sul computer di Abby giorni prima.
Gli occhi corsero al nome, Kaitleen Todd; abbreviabile in Kate. Una morsa le attanagliò lo stomaco, privandola per qualche istante della facoltà di ragionale.
Si inginocchiò sul terreno erboso e umido, su cui erano ordinatamente disposti tre mazzi di fiori relativamente freschi, mentre un quarto giaceva in un angolo ormai appassito. Riconobbe subito lo stile spartano di Gibbs nel mazzo di centro, l'accennato formalismo di McGee nei crisantemi posti a sinistra, il gusto di Abby nella composizione appoggiata sotto la foto, in cui troneggiavano alcune rose nere.
Il mazzo ormai appassito doveva essere di Tony, e la scelta dei fiori sembrava confermarlo. Improvvisamente si spiegò tutti i ritardi, tutti gli improvvisi silenzi immotivati, tutte le allusioni sussurrate, tutti quegli sguardi indecifrabili.
Improvvisamente si rese conto di essere stata una stupida, aveva odiato Tony per averla chiamata Kate; forse invece quella confusione significava qualcosa. O forse non voleva dire niente, ed era lei che stava facendo confusione; creando congetture su qualcosa che aveva avuto il potere di sorprenderla come nulla fino a quel momento.
Una cosa era leggere di una Kaitleen Todd deceduta su un rapporto del Mossad al proprio arrivo all' N.C.I.S. un'altra era scoprire chi fosse Kaitleen Todd per puro caso, guidata da un sentimento che poteva assomigliare alla gelosia.
Gelosia, avrebbe davvero potuto essere gelosa di lei? Avrebbe potuto essere realmente gelosa di una delle pagine peggiori della vita di Tony?
Non cercò di capirlo; aveva come l'impressione che la risposta non le sarebbe piaciuta.
"Pensavo si fosse persa" la salutò l'uomo al cancello, dando una distratta occhiata all'orologio che portava al polso.
"E' passata più di un'ora" concluse per motivare quell'esternazione inopportuna.
"Mi sono persa...poi mi sono ritrovata" rispose atona; poco convinta dell'ultima parte della sua affermazione.
Non era certa di essersi ritrovata completamente, ma forse era anche inesatto dire che si fosse persa; o meglio, forse aveva iniziato a perdersi da molto tempo, e ora si era semplicemente limitata a toccare il fondo.
Si diresse verso la macchina, i pensieri che turbinavano in testa sempre più confusi ed insensati. E quella camera d'ospedale nebulosa e sfocata dal tempo iniziava a farsi sempre più nitida e definita.




Ok...Spero di essere riuscito a rendere bene il personaggio di Ziva...è complicato "usarla" per l'introspezione di se stessa XD

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Ciao a tutti! rieccomi qui ad aggiornare questa storia, che a quanto pare vi sta piacendo...mi fa piacere! premetto che questa storia era un po' troppo lineare per i miei gusti, quindi la mia mente contorta ha provveduto ad intricarla un pochino XD buona lettura!




"Mc..." piccola pausa, in cui McGee si convinse di aver sognato. Impossibile che qualcuno lo chiamasse in quella stanza d'ospedale dove l'unico essere vivente a parte lui, se così si poteva definire, era Tony.
"Pivello!" si diede un pizzicotto per accertarsi di essere sveglio, anche se il divanetto della stanza non era esattamente il luogo ideale per prendere sonno. Troppo scomodo.
Lanciò uno sguardo in tralice a Tony: gli occhi erano chiusi, ma le palpebre leggermente serrate come a difendersi dalla luce del sole che colpiva il viso, le labbra increspate in una muta protesta.
"Avete preso il numero di targa?" chiese ancora il malato, cogliendolo di sorpresa. Non riusciva a capire se fosse serio o meno.
"Mai sentito tanto a pezzi...era un camion?" continuò lui, fermandosi ad ogni parola per riprendere fiato.
"Si, Tony" rispose finalmente "Un camion che di nome fa peste, e di cognome polmonare" sicuramente una bella secchiata di realtà era il modo migliore per far tornare la lucidità ad un farfallone come Tony, sempre ammesso che non si stesse divertendo a fare la parte dello gnorri per farlo esasperare.
"Merda" soffiò lui, affondando un po' di più nel cuscino. No, a quanto pareva non stava recitando.
"Ah...e credo anche che tu abbia detto qualcosa di poco carino a Ziva" aggiunse subito. Era meglio dare le brutte notizie tutte insieme.
"Ma se ero in coma!" ribattè lui pronto, la prospettiva di una Ziva infuriata mentre lui era debole ed indifeso a letto non lo allettava granchè. Lo scontro era già impari in condizioni normali, in quel frangente per lei sarebbe stato fin troppo semplice lavare l'offesa nel suo sangue.
"Stato d'incoscienza, Tony, non coma" lo corresse prontamente McGee.
"Quindi a volte deliravi ad alta voce" si affrettò a chiarire ad una sua occhiata interrogativa. br> "E cosa dicevo?"
"Hai parlato con Ziva, non con me" specificò lui riluttante, cercando di rimandare il più possibile la confessione; si decidette a cedere solo dopo un paio di occhiate torve da parte dell'amico.
"Credo che tu l'abbia chiamata Kate" disse tutto in un fiato, come se dalla velocità con cui pronunciava le parole dipendesse la sua vita.
"Merda!" esclamò di nuovo Tony, mettendo più enfasi nella parola ed affondando maggiormente nelle coperte e nel cuscino.
"E cosa..." tentò di chiedere, stupendosi di non riuscire a finire la frase, e della sua improvvisa non voglia di sapere. Come se di Ziva gli importasse qualcosa sotto quell' aspetto. Assurdo, si affrettò a decretare.
"Quando è uscita dalla stanza era parecchio alterata" disse McGee, per poi affrettarsi ad uscire dalla stanza per fare una telefonata, lasciandolo solo a metabolizzare le notizie ricevute.

Stava per varcare la soglia del laboratorio, quando andò a sbattere violentemente contro un oggetto non identificato che emanava un forte aroma di caffè, e che sostenne incredibilmente bene l'urto.
"Gibbs!" lo salutò la scienziata, prendendo la tazza di caffè che le aveva portato. Lui rispose al saluto con un'occhiata molto più che eloquente, che Abby cercò di ignorare.
"Stavi venendo a dirmi che hai trovato qualcosa, Abby?" chiese poi, con i suoi soliti modi ruvidi.
"Stavo andando a trovare Tony...te l'hanno detto, no, che..."
"Si, Abby"
"Bene, allora..." tentò ancora la dark, provando inutilmente ad aggirare l'ostacolo Gibbs. L'ex marine si spostava con lei, impedendole di varcare la soglia.
"Nessuno si muove di qui finchè non scopriamo qualcosa" la informò gelido, invitandola a tornare tra la sua truppa di strumenti scelti.
"Ma Gibbs!"
"Niente ma, Abby!" la richiamò inflessibile, seguendola all'interno del laboratorio. I codini neri ebbero un guizzo improvviso mentre la proprietaria di girava di scatto, per assicurarsi che Gibbs non le stesse facendo un pesce d'aprile fuori stagione. Tornò a dirigersi verso il computer delusa, si sarebbe dovuta ricordare che Gibbs non scherzava mai.
"Cosa dovrei scoprire?" chiese abbattuta, picchiettando di malavoglia sulla tastiera. Non era per niente ispirata, e anche la sua tazza di caffè giaceva intonsa a qualche centimetro da lei, abbandonata sul tavolo pieno di elementi di prova.
"Per esempio chi ha sparato a Tony e Ziva, oppure chi ha messo in giro un avviso di cattura spacciando Tony per Ari, e anche" e qui Gibbs storse leggermente le labbra, infastidito dal doverlo dire "Chi ha eliminato il capitano Mallory, già che ci sei" concluse.
"Bene! Solo questo?" chiese ironica, alzando gli occhi al cielo.
"Ah, gia! Anche chi ha sparato a Sullivan nel suo ufficio, è da li che è partito tutto" replicò Gibbs con un sorriso tagliente.
"Prima finisci prima potrai andare all'ospedale" la informò infine, incontrando e sostenendo lo sguardo omicida di Abby. La dark, a quest'ultima affermazione, lo fissò per un'interminabile istante, come a soppesare il significato di ogni parola, poi scattò in piedi come una molla, gettandosi sul computer, e riappropriandosi in un guizzo dell'inseparabile fonte di caffeina.
"Avrai tutto in tempo di record, Gibbs!" affermò sicura, fissando con aria di sfida il pc. Gibbs sorrise sornione, ammirando l'effetto ottenuto con quella semplice ed innocua provocazione. In fondo bastava poco per far dare ad Abby il meglio di se: della caffeina e una sfida, e il gioco era fatto.
Tutti i marchingegni elettronici e ultramoderni contenuti in quel posto presero improvvisamente vita con un sommesso ronzio di ventole che entravano pigramente in funzione, quasi di malavoglia, mentre la musica che iniziava a diffondersi testimoniava che la giovane scienziata non era di ottimo umore, e sconsigliava l'ignaro viandante ad entrare, pena una scrosciante cascata di parole.
I codini sobbalzarono paurosamente, quando lei si voltò di scatto verso la soglia del suo regno, fissando con aria interrogativa la figura che non si era ancora decisa ad evanescere come suo solito.
"Questa volta aspetterò qui, Abby" rispose lui intuendo la domanda. Sapeva che non amava essere osservata mentre lavorava, ma quella non era una situazione normale; percepiva uno strano senso d'urgenza, come un presentimento oscuro ed inquietante.

Arrivò un po' trafelata all'ingresso dell'ospedale, superando a passo veloce il bancone dell'accettazione ed infilandosi in uno degli ascensori che stavano placidamente raccogliendo medici, pazienti e visitatori al loro interno. Schiacciò con eccessiva foga il tasto del quarto piano, mentre l'atmosfera ospedaliera l'avvolgeva con i suoi odori di disinfettante e profumo per ambienti, con quell'apparenza asettica e composta, che aveva imparato a detestare più di ogni altra cosa al mondo.
Anche più del poliziotto che continuava a starle appiccicato addosso, inseguendo chissà quale speranza di gloria o vendetta per il suo defunto capo; la costringeva ogni giorno di più a faticosi sforzi di autocontrollo per non cedere all'istinto da Mossad, che le suggeriva di scantonare per un paio di vicoli bui e poco frequentati, accertarsi dell'identità del bersaglio, e poi sparare. A scelta due colpi al cuore oppure uno alla testa; entrambe le soluzioni se si voleva essere puntigliosi.
Invece erano giorni che lo sopportava passiva, limitandosi a seminarlo di quando in quando, giusto per evitare che sapesse in quale lavanderia andasse, o dove facesse colazione la mattina. In quel momento era sicuramente appostato di fronte all'ingresso dell'ospedale ad aspettare che uscisse, per poter riprendere il suo pedinamento.
A tutto quello si era aggiunto McGee, che l'aveva chiamata un'ora abbondante prima dell'inizio del suo turno, dicendole che doveva assolutamente raggiungerlo in ospedale, senza però darle altre spiegazioni; aveva semplicemente riattaccato, lasciandola a bocca aperta e tremendamente preoccupata. Per quale motivo, poi, doveva ancora capirlo; forse era l'idea che qualcuno stesse cercando d'incastrarla, oppure il continuo trovarsi in quel continuo asettico ambiente che detestava tanto.
Una vocina continuava a gridare insistente che era colpa di Tony, ma lei continuava ostinatamente ad ignorarla; non poteva certo essere psicologicamente distrutta da un idiota in coma che la scambiava per una ex collega alla quale era legato. Se poi l'idiota di nome faceva Anthony DiNozzo, la cosa era ancora più ridicola, semplicemente impossibile, anzi.
Le porte dell'ascensore si aprirono con estenuante lentezza sul corridoio piastrellato del piano, permettendole finalmente di lasciarsi alle spalle quell'informe calca umana all'aroma di dopobarba da due soldi e disinfettante.
Percorse a passo rapido e sicuro i tre corridoi che la separavano dalla sua meta, sempre attenta a tutti quelli che incrociava, soprattutto se portavano una mascherina da sala operatoria calata sul viso. Un paio di volte la sua deformazione professionale la spinse a portare la mano vicino alla pistola, con un movimento fluido e ormai automatico; cosa che in passato le aveva salvato la vita parecchie volte.
Più si avvicinava, più sentiva le mani prudere, anche se non ne capiva la ragione. Improvvisamente McGee le si materializzò davanti, comparendo dall'angolo dei distributori automatici con due caffè, uno dei quali dall'odore troppo dolciastro per essere di Gibbs, e troppo poco abbondante per essere di Abby. Il calcolo era quindi presto fatto; il cuore, chissà perché, le fece un piccolo tuffo, mancando un battito e recuperando con una serie di battiti affrettati il momentaneo disguido.
"E' sveglio?" chiese con una voce troppo mielosa per i suoi gusti. Gli ospedali le facevano decisamente un brutto effetto.
McGee annuì leggermente, invitandola ad entrare con un cenno del capo e passandole la tazza di caffè dal forte contenuto di zuccheri.
"Credo che preferisca essere servito da te...di sicura ti ritiene più aderente al suo modello ideale di infermiera" disse ridendo.
Lei rispose con un sorriso inquietante, simile a quello che potrebbe avere un gatto mentre si prepara a giocare con il topo; con l'unica differenza che un gatto, per quanto abile, non può conoscere tutti i modi di uccidere noti ad un agente operativo del Mossad.
Quel pensiero parve attraversare la mente di McGee, regalandogli visioni a metà tra il comico e l'agghiacciante, e facendogli pregare che Tony si comportasse bene. Cosa decisamente impossibile, date le circostanze.
"Sei decisamente meglio delle ultime due infermiere che sono entrate...per non parlare del pivello" la accolse la sua voce, non appena aveva varcato la soglia della stanza, soleggiata e profumata di disinfettate.
"Ci stai provando Tony?" chiese pungente, fingendo un'aria scocciata e poggiando la tazza di caffè sul comodino, per poi sedersi a metà del letto, all'altezza delle sue ginocchia.
Avrebbe potuto sistemarsi sulla poltrona all'angolo opposto della camera, che portava tracce evidenti del soggiorno prolungato di McGee, o rimanere semplicemente in piedi a consona distanza; invece per un qualche strano motivo aveva sentito il bisogno di sedersi vicino a lui, e per un folle istante la sua mano aveva provato a cercare quella di lui. Poi si era subito ripresa, dandosi della stupida per quel gesto.
"Ti sono mancato, vero Ziva?" chiese lui con quel suo sorriso sornione che gli illuminava anche gli occhi, ammiccando provocante.
"No" dichiarò lei lapidaria, decisa a non dargli la minima soddisfazione.
"Vorresti dirmi che non eri preoccupata per me?" la punzecchiò ancora lui sfoggiando la sua migliore espressione da cucciolo bastonato. Decisamente Anthony DiNozzo sapeva recitare meglio di così.
"No" ripetè lei sicura, mentre le si dipingeva in volto un sorriso di sfida.
Tony allungò la mano verso la tazza di caffè, per bloccarsi poi a metà del gesto, preda di un forte accesso di tosse. Si portò entrambe le mani alla bocca, sollevando la schiena dallo schienale rialzato del letto, il corpo lievemente scosso da quello che sembrava un principio di convulsioni.
"Tony!" esclamò Ziva preoccupata, portandosi vicino al collega e cercando di scostargli le mani dal volto, completamente dimentica del proposito di non dargli soddisfazione. Quello che vide non le piacque; anzi, la raggelò, provocandole un improvviso moto di rabbia e forse dolore.
Senza riflettere regalò a quel viso sornione e sorridente, che si vantava in silenzio dello scherzo di pessimo gusto che le aveva appena fatto, il più sonoro dei ceffoni.
La sua mano rimase ad indugiare per un attimo sulla guancia di Tony, e lui l'afferrò prima che potesse ritrarla. Al contrario di lei non sembrava sorpreso per quel gesto, e la fissava con uno sguardo stranamente penetrante e serio.
"E questo per cos'era?" chiese tranquillo, regalandole un sorriso ambiguo e complice.
"Lo sai benissimo" lo gelò lei, fissandolo con la sua peggiore occhiataccia. Lui sostenne tranquillamente quello sguardo omicida, sperando che non diventasse tema ricorrente dei suoi incubi, scuotendo lievemente la testa.
"E' per l'innocente scherzetto..." iniziò lui, parlando leggermente sottovoce, come se iniziasse a mancargli il fiato "O perchè ti ho chiamata Kate?" concluse, cercando di inspirare, non visto, quanta più aria possibile. Stava iniziando a diventare faticoso parlare.
Lo sguardo di lei cambiò di colpo, assumendo uno strano miscuglio d'espressioni tra il triste e il sorpreso. A quanto sembrava la sua spia preferita non era brava a giocare ai segreti con i propri sentimenti.
Stava per rispondere, quando si sentì tirare la mano che Tony le aveva preso in precedenza; quell'azione tanto improvvisa quanto inaspettata la colse di sorpresa, facendola cadere verso di lui. Le loro labbra s'incontrarono, mentre le dita delle mani s'intrecciavano sulle coperte.
Per un tempo che le parve infinito, ma che per una mente mediamente razionale non doveva essere stato superiore al minuto, il suo cervello si spense completamente, abbandonandosi alle sensazioni che quel contatto tanto inaspettato le regalava.
Poi, così com'era andata, la corrente tornò, facendole notare l'assurdità di quella situazione, e la confusione che le provocava nella mente già sovraffollata. Immagini sfocate iniziarono a turbinarle davanti agli occhi, tra le quali una lapide dedicata a Kate e un bianco lenzuolo d'ospedale, macchiato da candide macchie rosso sangue, simili a mille rose appena sbocciate.
Poggiò le sue mani sul torace del ragazzo, sottraendosi poi a quel contatto tanto piacevole quanto irrazionale. Farfugliò qualcosa di simile ad una scusa, e si eclissò dalla stanza ad una velocità molto vicina a quella della luce, lasciandosi alle spalle un McGee perplesso e in cerca di risposte, che provò ad affacciarsi alla camera del collega, ma il suo sguardo di fuoco e il pesante ansimare lo informarono che non era il caso di fare domande.
Anche se avesse voluto rispondere, cosa di cui dubitava fortemente, la sua ancora ridotta capacità polmonare gliel'avrebbe impedito; era evidente che quei cinque minuti con Ziva, qualsiasi cosa fosse successa, l'avevano stancato più del previsto.

"Gibbs Gibbs Gibbs" trillò Abby, nel suo miglior tono da pessima notizia, girandosi verso l'angolo in cui si era asserragliato l'uomo, e rimanendo sorpresa dalla sua scomparsa. Di solito lui tendeva a comparire, quando lei trovava qualcosa, non a scomparire. Si fermò interdetta, il foglio che reggeva in mano fermo a mezz'aria.
"Sono qui, Abby" Le comunicò la sua voce alle sue spalle, strappandole un sorriso divertito. Sempre il solito Gibbs, che per nulla al mondo rinuncerebbe ad un'entrata di scena ad effetto.
"Ah...ecco, ci sono dei..." iniziò lei, accennando a girarsi verso di lui.
"Problemi, Abby?" completò lui, prendendole di mano il foglio appena stampato e leggendone il contenuto.
Il suo volto si rabbuiò all'istante; non aveva bisogno che qualcuno gli spiegasse il significato di tutti quei punti di riscontro per capire che si erano appena cacciati in un gran brutto guaio, anche se per una volta avrebbe tanto voluto sentirsi dire che stava sbagliando tutto, e che aveva capito male.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Salve a tutti, eccomi tornato! Allora, con questo capitolo un po' di cose verranno chiarite, ma non fatevi illusioni...i problemi di DiNozzo sono solo all'inizio! (si, lo so, sono sadico... XD ) Buona lettura!




Tony chiuse con estrema malagrazia l'anta dell'armadio a muro, che dopo aver sbattuto violentemente contro il sottile telaio in legno rimbalzò, riaprendosi.
Sbuffò, finendo d'infilarsi la giacca, e poi la chiuse definitivamente con un altro colpo violento; quella stanza d'ospedale era diventata insopportabilmente stretta e claustrofobica, e non solo perchè stare sdraiato in un letto con una dannata flebo infilata nel braccio gli impediva d'inseguire la fugace immagine di Ziva che faceva sporadiche e repentine comparse nel corridoio. Il suo naturale odio verso gli ospedali, radicato in lui fin dall'infanzia, era acuito da quella stanza in particolare, dove ogni cosa, ogni oggetto, ogni singola molecola, sembrava impregnata del profumo di Ziva; anche l'acqua gelida che si spruzzava in faccia la mattina per cercare di lavare via pensieri e rimasugli di sonno gli ricordava quella ragazza inarrivabile.
Era da dieci giorni, dal momento in cui si erano baciati, che non riusciva a parlarle: ogni volta che per un qualche motivo rimanevano soli lei si eclissava all'istante, gli occhi sempre pieni di turbini d' emozioni difficilmente decifrabili. Quando il giorno prima un'infermiera era entrata nella sua stanza dicendogli che se desiderava, firmando l'apposito modulo, poteva tornare a casa, aveva afferrato al volo l'occasione senza pensarci due volte: almeno quella sera avrebbe dormito in un letto che non profumava di mandorla, e che non gli riportava alla mente quel dolcissimo bacio rubato, dalle ancora indefinibili conseguenze.
Iniziava a capire il senso della regola numero dodici e mentre usciva dall'ospedale, fermandosi sulla soglia per abituare gli occhi alla luce del sole e i polmoni all'aria fresca, iniziò a preoccuparsi di cosa sarebbe successo se Gibbs avesse scoperto la loro -o meglio, la sua- piccola trasgressione. Era quasi certo che non se la sarebbe cavata con un semplice scappellotto.
Attraversò a passo rapido il parcheggio, pregustandosi un pomeriggio in poltrona in compagnia dei suoi film preferiti quando un tizio dai capelli impomatati e dal vestito di foggia molto discutibile gli si piantò davanti, sventolandogli sotto al naso un distintivo della polizia di Washington D.C.
"Anthony DiNozzo?" chiese in un eccesso di formalismo. Tony storse le labbra in una smorfia di disgusto; era difficile decidere se fosse stato peggio rimanere in ospedale o uscire da li per finire in una macchina della polizia. Per un istante accarezzò l'idea di fingere un'improvvisa ricaduta notando in un gruppetto d'infermieri riuniti sulla soglia per una sigaretta una delle infermiere che lo avevano avuto in cura, ma abbandonò subito l'idea. Un nuovo ciclo di flebo e di terapia non lo allettavano per nulla; molto meglio essere trattato da terrorista islamico in uno squallido distretto della polizia cittadina.
"Desidera?" esordì, sfoggiando il suo miglior tono strafottente. L'uomo non gradì, ma fu trattenuto dal rispondere a tono dal sopraggiungere del suo collega.
"Ascoltarla come testimone informato sui fatti" gli comunicò il nuovo arrivato, continuando a giochicchiare con le chiavi dell'auto di servizio.
"Informato su cosa, esattamente?" chiese perplesso, cercando di guadagnare tempo. A scanso di equivoci ripescò il cellulare dal borsone che teneva in mano, infilandoselo con disinvoltura in tasca. Si maledì mentalmente per non aver accettato l'offerta di McGee di passarlo a prendere; figurarsi se appena dimesso doveva cacciarsi in altri guai.
"Se non lo aveste notato.." non riuscì a finire la frase, venendo interrotto dal poliziotto che lo aveva fermato.
"Sappiamo che sei in ospedale da più di un mese, siamo arrivati qui seguendo la tua amichetta...è lei che vogliamo" alla parola amichetta i sensi di Tony si destarono, mentre una vocina leggera, molto simile a quella della coscienza, gli prefigurava guai in vista; guai grossi, per giunta.
"Amichetta?" soffiò forzando una risatina divertita "Non mi pare di averne avute, ultimamente" L'uomo stava per replicare qualcosa di sgradevole, ma il collega lo precedette ancora una volta, smettendo di giocare con le chiavi che teneva in mano e afferrando Tony per una spalla, guidandolo verso l'auto.
"Ziva David, signorino" gli comunicò tagliente. Tony alzò gli occhi al cielo, mentre la vocina nella sua testa si lanciava in un esultante te l'avevo detto. Afferrò il cellulare, ma il primo poliziotto gli bloccò il polso.
"Niente chiamate" lo ammonì. Tony gli regalò una smorfia schifata, rivolgendosi all'uomo che lo stava guidando verso l'auto.
"Posso almeno avvertire che farò tardi o sono in arresto?" chiese duro.
"Fai sta cazzo di telefonata, ma in fretta!" sbottò quello, mollandogli la spalla.
"Grazie" disse, regalandogli un sorrisino falso e componendo in fretta un numero, guardato a vista dai due.
Parlò lo stretto indispensabile, e a bassa voce. La voce che gli rispose era già particolarmente alterata, ed era certo che mentre il suo interlocutore riattaccava i suoi occhi stessero cercando un malcapitato da prendere a scappellotti per sfogarsi.
"Fatto" comunicò baldanzoso dirigendosi verso i due uomini ed entrando in macchina. Misero in moto e partirono sgommando; non sapeva che cosa volessero da lui, ma di una cosa era certo: non avrebbero ottenuto niente di più di un disarmante silenzio.

"Ne sei veramente certo, Jethro?" chiese il direttore, sollevando gli occhi dal foglio che l'agente gli aveva porto cinque minuti prima. Il viso era tirato in una smorfia di disgusto e preoccupazione alquanto inquietante, e gli occhi fiammeggiavano.
"Si" rispose laconico lui. Ne era matematicamente certo, e a ben rifletterci c'erano un bel po' di elementi che sostenevano quella tesi.
"Quindi sei assolutamente certo che i proiettili che hanno ucciso Mallory e gli indiziati del vostro caso siano quelli in dotazione alla marina?" chiese di nuovo, con voce tagliente.
"Abby ha rifatto il confronto quattro volte" rispose pronto lui, ed entrambi sapevano che Abby non poteva sbagliare per quattro volte. Abby non sbagliava, mai.
"Perchè?" chiese ancora il direttore. Gibbs se l'aspettava; era ovvio che prima di accettare un dato di fatto così compromettente avrebbe cercato ogni punto debole della sua teoria. Peccato che la sua teoria fosse priva di punti deboli.
"Dalla base di Quantico spariscono regolarmente armi che ricompaiono sul mercato nero" iniziò lui. Jenny annuì, questo lo sapeva; era quello su cui aveva incaricato di indagare Gibbs e la sua squadra.
"I due sospettati vengono provvidenzialmente uccisi, poco prima di essere arrestati, da proiettili della marina" continuò con voce piatta.
"Decidiamo un'operazione sotto copertura, la marina ci fornisce tre casse di M16, noi prendiamo contatto con i compratori che sospettavamo essere complici del traffico" Jenny annuì di nuovo; c'era un rapporto che dimostrava quella parte, tutto scritto nero su bianco, e con le firme in regola.
"Iniziamo l'operazione, e quando non possiamo più tirarci indietro dalla base di Quantico ci dicono che per un disguido interno non possono fornirci il materiale da noi richiesto" ricordava anche quello, e c'era una comunicazione ufficiale a provarlo.
"Sul luogo dello scambio arrivano tre individui che uccidono i compratori e tentano di eliminare Tony, indicandolo come agente federale" e anche quello era dimostrato da un rapporto scritto.
"I corpi dei tre uomini scompaiono misteriosamente dall'obitorio della polizia, che arresta Tony per ordine della polizia militare di Quantico. Sempre da Quantico, poi, reclamano le tre casse di M16 che affermano averci consegnato" continuò Gibbs implacabile, elencando con scrupolosità i fatti. "Infine il capitano Mallory, accanito persecutore della mia squadra, viene ucciso in una stanza d'ospedale dove si trova anche un mio agente, scatenando una montagna di insinuazioni e sospetti sull'N.C.I.S. e sul suo operato" fece una breve pausa fissando la sua interlocutrice negli occhi, poi riprese.
" E ora si scopre che il proiettile è di quelli in dotazione alla marina, e magari.." venne interrotto dall'apparizione di Abby, seguita da una sconsolata Patricia, ormai rassegnata a vedere la sua autorità di segretaria del direttore calpestata da Gibbs e dai membri della sua squadra.
"Gibbs Gibbs Gibbs" esordì la scienziata, sventolando nella loro direzione l'ennesimo foglio di carta partorito da una delle sue numerose stampanti.
"L'avviso di cattura per Anthony DiNozzo, alias Ari Haswari è partito dalla base della marina di Quantico, diretto unicamente alla rete informatica della polizia di Washington!" recitò tutto d'un fiato, fiera di quel suo successo.
"Allora, direttore?" chiese Gibbs fissando la donna "Ha ancora dei dubbi?" insistette pungente e sarcastico. La donna scosse lentamente il capo; con quel semplice gesto gli stava dando carta bianca. Lui ghignò soddisfatto.
"Ottimo lavoro, Abby" si congratulò, stampando un bacio sulla guancia della ragazza. Lei si diresse verso la porta, ma lui la richiamò.
"Ah, Abby..." Lei sorrise, ammiccando.
"Ho già provveduto a cancellare la spazzatura, capo" disse esuberante, prima di infilare la porta. Prima che lui potesse replicare il suo telefono prese a squillare; rispose, rimanendo in ascolto per un paio di minuti.
Chiuse bruscamente la chiamata sotto gli occhi indagatori del direttore, mentre il suo viso si induriva in una smorfia di rabbia repressa a fatica.
"Abby!" chiamò con voce autoritaria. La ragazza, già a metà delle scale, tornò indietro di corsa.
"Di a McGee di chiamare Fornell, lo voglio in linea ora!" ordinò gelido. La dark annuì preoccupata, per scomparire nuovamente oltre alla porta dell'ufficio del direttore.
"Che succede, Jethro?" indagò Jenny, preoccupata.
"Problemi" rispose lui criptico, uscendo.
"David!" esclamò una volta arrivato nell'open space della sua squadra. "Prendi pistola e distintivo, e anche tu, McGee" intimò, mentre il ragazzo gli allungava la cornetta del telefono. Lui la afferrò con malagrazia, portandosela all'orecchio.
"Tobias..." esordì, con una voce che non prometteva nulla di buono.

"La tua amichetta fa parte del Mossad, lo sapevi?" gli chiese un tizio mai visto prima, sbattendo un fascicolo sul tavolo. Il poliziotto con il vestito falso-italiano girava tranquillamente intorno a loro, cercando di innervosirlo con la sua presenza, mentre l'altro tizio che aveva incontrato all'uscita dell'ospedale se ne stava placidamente appoggiato ad un angolo della stanza.
"Mossad? Davvero?" esclamò lui, con un tono di genuina sorpresa, sfogliando distrattamente il fascicolo che gli avevano buttato davanti; quello che lesse non gli piacque.
"Grazie per l'informazione, starò attento a non farla arrabbiare d'ora in poi" scherzò lascivo, lasciando intendere con gli occhi il doppio senso del commento.
"Paura di non riuscire più ad alzarti dopo essertela portata a letto?" frecciò il biondo che continuava a girargli intorno. Senza capirne davvero il motivo sentì l'improvviso bisogno di tirargli un cazzotto in faccia, ma si trattenne, pensando che al Mossad non potevano certo aver gradito che qualcuno avesse ficcanasato nella vita privata di un loro agente. E Tali David era la cosa più privata della vita di Ziva. Inutile sporcarsi le mani quando altri lo avrebbero fatto meglio e più efficacemente.
"Mai detto questo" rispose lui, fingendosi offeso.
"Quindi te la porti a letto?" insistette il biondo, provocandogli un secondo moto di violenza.
"Geloso?" frecciò lui velenoso.
"No, interessati alla signorina David e alla sua indole da killer violenta" specificò l'uomo seduto di fronte a lui, lo stesso che gli aveva messo davanti quel fascicolo.
"Interessante...e io che c'entro?" chiese indifferente, stiracchiandosi distrattamente sulla sedia.
"Brutto.." il biondino era scoppiato, afferrandolo per il colletto della camicia e sbattendolo contro una parete. Gli altri due non si mossero, osservando la scena con apatica tranquillità.
"DiNozzo, faresti saltare i nervi anche ad un santo" lo salutò una voce lievemente canzonatoria, mentre la porta della stanza veniva aperta.
"Tobias! Dovrò ricordarmi di dire a Gibbs che ti deve un favore" rispose a tono DiNozzo, mentre la presa del poliziotto sul suo collo si faceva sempre più debole, fino a scomparire del tutto.
"Oh, lo sa già..." rispose con un sorriso furbo l'uomo, osservandolo divertito.
"In quanto a voi, signori.."
"Lascia stare la predica, Fornell...portami a casa" lo supplicò Tony, mettendogli una mano sulla spalla.
Quando furono usciti dall'edificio, accompagnati da un paio di agenti dell'F.B.I. Fornell rivolse al ragazzo un'occhiata indagatrice, fissandolo con i suoi acuti occhi da compassato investigatore.
"Che succede?" chiese con voce da cospiratore.
"Quei tre sono già condannati a morte..." l'uomo lo guardò perplesso, non capendo a cosa si riferisse.
"Avevano un rapporto da Mossad" chiarì lui "Ma non ottenuto tramite le vie ufficiali". Gli occhi del suo interlocutore brillarono di un lampo di comprensione.
"Dici che non si può far niente?" chiese poi, spinto da uno strano senso di pietà. Tony scosse la testa.
"Stanno cercando di incastrare Ziva con tutte le loro forze; ovvio che da qualche parte non l'abbiano presa bene" sospirò.
"Casus Belli" rise Fornell, un sorriso amaro a solcargli il viso.
"Già...potranno sostenere che quei tre avevano violato il sistema di sicurezza del Mossad, e nessuno potrà dire nulla" convenne lui, mentre la berlina scura si fermava davanti a casa sua. Un agente gli aprì la portiera e gli porse la sua borsa. Salutò ed uscì dall'auto, ma nel richiudere la portiera si ricordò di una cosa importante.
"Ah, Tobias...quel rapporto io non l'ho mai visto, e tu non ne hai mai sentito parlare" non sapeva perchè, ma sentiva lo strano bisogno di proteggere Ziva; strano, visto che lei non si faceva sentire da dieci giorni. Cercò di non spiegarsi quell'assurdo comportamento, e la risposta di Fornell l'aiutò a distrarsi.
"Ormai sono vecchio, la mia memoria inizia a perdere i colpo, DiNozzo..." sorrise lui furbescamente. "Figurati che non mi ricordo neppure come mai ti abbiamo dato un passaggio a casa" concluse, chiudendo la portiera.
Tony si diresse lentamente verso la sua abitazione, chiedendosi come facesse Gibbs ad ottenere tutti quei favori; quella era l'unica parte del lavoro di capo di cui non era ancora riuscito a scoprire il segreto.




Ciao a tutti..! In primis un grazie di cuore a tutti coloro che seguono questa storia, recensiscono o hanno messo la ff nei preferiti! Dovete perdonare se gli aggiornamenti non sono proprio il massimo della regolarità, ma al momento la scuola assorbe quasi tutto il mio tempo libero..!Allora, pensavate di vedere arrivare un Gibbs infuriato a salvare DiNozzo, eh? Ihihih...per lui la mia mente bacata ha altri progetti XD Alla prossima, e fatemi sapere se la storia continua a piacervi!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Buonasera! Allora, come va? Passate bene le vacanze? XP Io si, e mi hanno anche portato consiglio XD spero che il capitolo sia di vostro gradimento! buona lettura!




Si alzò di malavoglia, maledicendo i raggi di sole che filtravano dalle tende mal accostate. La sera prima si era buttato sul letto completamente vestito, da tanto era stanco, e ovviamente non aveva minimamente pensato di chiudere le persiane; risultato? Alle dieci del mattino del suo ultimo giorno di riposo, sebbene forzato, era già sveglio, sebbene lo stato di veglia non facesse assolutamente per lui. Sentiva la testa annebbiata e confusa, effetto collaterale dei farmaci, così gli avevano detto, le palpebre pesanti e i muscoli totalmente rigidi ed intirizziti.
Dopo quasi un mese passato in una stanza d'ospedale era ridotto peggio di uno straccio; e gli ultimi dieci giorni, bacio con Ziva escluso, non avevano contribuito a migliorare la situazione.
Undici giorni, si corresse mentalmente mentre andava a passo lento e strascicato verso il bagno, iniziando a sfilarsi gli abiti stropicciati con cui aveva dormito; dopo averli appallottolati li lanciò con gesto atletico nel cesto della biancheria sporca, complimentandosi con se stesso per il centro perfetto.
Rimase a fissare indeciso il rubinetto della doccia per un istante, prima di optare per il meno impegnativo lavandino; indossava ancora i pantaloni, e l'idea di una doccia non lo attirava particolarmente. Si limitò a far correre l'acqua fredda nell'elegante lavandino di ceramica bianca, scintillante, ficcandoci sotto la testa, lasciando scorrere rivoli d'acqua gelida sul volto e le tempie, prendendone poi un paio di sorsate che corsero giù per la gola, arrivando fino allo stomaco, gelandolo.
Adorava quella sensazione: il freddo pungente e rinvigorente dell'acqua che lo strappava dall'ultimo torpore del sonno, cancellando momentaneamente preoccupazioni e pensieri; anche l'immagine di Ziva, e il ricordo di quel bacio rubato, risultavano meno vividi e più vaghi mentre si strofinava con foga il viso e la testa con l'asciugamano.
Stava finendo di liberarsi i capelli da quella miriade di gocce gelate, quando qualcuno busso con foga autoritaria e quasi esagerata alla sua porta, facendola tremare. Sobbalzò, sorpreso e un po' preoccupato per l'integrità della sua porta d'ingresso; sarebbe stato scocciante chiamare un fabbro per farsela rimettere a posto.
I colpi si diradarono leggermente, ma crebbero d'intensità; attraversò il salotto, l'asciugamano sulle spalle, sbuffando un "arrivo" poco convinto. Possibile che lo scocciatore di turno non si fosse accorto della presenza di quel gioiello della tecnologia noto sotto il nome di campanello?
Solo dopo aver spalancato arrabbiato la porta ed aver incontrato lo sguardo di un'ancora più arrabbiata Ziva, si ricordò di essere a petto nudo, aiutato anche dalle mani bollenti della ragazza che si posarono incuranti sul suo petto, spingendolo nel salotto, mentre gli occhi scuri lo fulminavano con un'espressione che non prometteva nulla di buono.
Sembrava davvero arrabbiata, anche se non riusciva ad afferrarne il motivo; non poteva essere per il bacio all'ospedale, lo avrebbe ucciso subito se la cosa l'avesse fatta infuriare tanto, non avrebbe mai atteso undici giorni. Però si doveva anche considerare che l'ospedale era gremito di testimoni scomodi, mentre nel suo appartamento c'erano solo loro due, un lavoro facile e pulito, niente testimoni, niente tracce, niente prove.
Deglutì, cercando di ricordare quanti oggetti del suo salotto potessero diventare armi nelle mani capaci ed addestrate di Ziva; troppi, decise, mentre gli occhi saettavano dal tagliacarte in argento -regalo di una cugina di ritorno dall'Egitto- posato sul tavolo di quercia, alla brutta statua di gesso -ereditata da una prozia mai vista- che reggeva i libri nello scaffale più basso del mobile a muro che copriva un'intera parete.
Ziva continuò ad avanzare, spingendolo sempre più all'angolo, incastrandolo tra lei e uno dei due ampi divani in pelle che riempivano per metà l'ampia stanza ben illuminata. Le mani della ragazza erano ancora saldamente poggiate sul suo petto, bollenti ed inquietanti, ma allo stesso tempo dolci e sensuali; o per lo meno, così le percepiva lui.
Quando le sue gambe incontrarono i cuscini del divano fece uno sforzo inaspettatamente faticoso per non perdere l'equilibrio, afferrandosi ai polsi di Ziva, giustificando quel gesto abbassandole le mani, mentre le dita di lei scivolavano lente sulla sua pelle, lasciando sottili tracce bollenti al loro passaggio.
Un brivido lo percorse, ma non seppe dire se provocato da quel tocco inaspettato oppure dalla considerazione che a pochi metri da loro si apriva l'ampia cucina, con un assortimento di lame più che sufficiente a farlo morire tra atroci tormenti. Non riusciva ancora a capacitarsi di quello che gli stava accadendo intorno, sapeva solo che si era scordato di prendere la pillola che gli avevano prescritto per i polmoni; non sarebbe mai riuscito a capire, ne tanto meno a sbrogliare, quella stana matassa di sentimenti che lo invadeva quando si trovava vicino a Ziva.
"Si, Ziva?" si sforzò di chiedere, la gola secca, sfoderando il suo miglior sorriso, anche se leggermente inquieto. La ragazza arrossì lievemente, come se avesse realizzato solo in quel momento, dopo che la voce di Tony aveva spezzato quel loro intenso gioco di sguardi, che il ragazzo era per metà svestito.
"Ti facevo più muscoloso, camice imbottite?" frecciò pungente, mentre le dita, guidate dalla gravità e dai polsi ancora imprigionati nella salda presa del ragazzo, s'incastrarono nella sua cintura, provocando ad entrambi un'improvvisa vampa di rossore.
La risposta pungente che Tony aveva formulato si bloccò a metà strada, non riuscendo a giungere alle labbra a causa della gola improvvisamente secca. Un altro piccolo gesto come quello da parte di Ziva, anche se involontario, e non avrebbe più risposto di lui.
Allora alla fine era vero; si stava innamorando di lei. Deglutì, pensando alla regola numero dodici e alla caterva di pesanti scappellotti che gli sarebbe costata, ma era disposto a sopportare anche di peggio, per quella testarda, pazza, bellissima e spericolata agente del Mossad. Sempre che non l'avesse ucciso entro cinque minuti, ovvio.
"Perchè sei qui, agente David?" chiese con voce morbida, avvicinandosi impercettibilmente alle sue labbra. Movimento subito corretto, quando gli occhi di lei non si addolcirono, continuando a fissarlo irati.
Quello che avrebbe potuto essere un bacio a fior di labbra si trasformò in un sussurro provocante al suo orecchio, che la fece fremere.
In fondo quella di Tony era una domanda sensata: lei che diavolo ci faceva in casa sua, nel suo salotto, con i polsi imprigionati dalle sue mani e le dita poggiate sulla sua cintura? E per di più Tony era anche senza camicia; rischiava di perdere il controllo di se stessa se continuava a stargli così vicina, arrabbiatura o no. Reagì d'istinto, liberandosi con uno scatto secco dalla presa di DiNozzo, facendogli perdere l'equilibrio e facendolo franare sul divano in pelle alle sue spalle.
"Non ho bisogno di essere protetta, Tony!" sbottò improvvisamente, senza un senso apparente.
"Si...lo immagino" replicò lui spiazzato.
Lo immaginava, lui, certo, allora i tre poliziotti che indagavano su di lei erano morti per caso; erano sbadatamente andati a sbattere con la fronte contro un proiettile, ovvio. Si fermò, inspirando a fondo per riprendere fiato; anzichè parlare aveva quasi urlato, dando sfogo ad una rabbia giusta, ma allo stesso tempo immotivata.
Non poteva essere solo quello a farle provare tutto quel confuso guazzabuglio di emozioni; doveva c'entrare anche quello stupido bacio, e il fatto che Tony fosse sparito per undici giorni.
Ok, lei non l'aveva incoraggiato, e aveva cercato di evitare l'argomento, ma lui non si era certo sforzato un granché per parlarle, per cercare di chiarire. Si era limitato ad incassare in silenzio ed alzare le spalle: era questo che le dava fastidio, che le faceva male.
E chissene frega di tre stupidi poliziotti uccisi in un vicolo di uno dei quartieri più malfamati della città. Sparatoria con una banda, avevano detto, e da quando i membri delle bande uccidevano con due colpi al cuore e uno alla testa?
Diede voce a quell'ultimo pensiero, la voce però più flebile a causa della gola improvvisamente secca; doveva essere colpa di Tony. Il ragazzo si era rialzato, avvicinandosi pericolosamente a lei e prendendole il viso tra le mani.
Quel contatto le fece dimenticare la visita infruttuosa alla base di Quantico, dove alle accuse di Gibbs uno spocchioso sergente appena uscito dall'accademia li aveva buttati fuori ridendo loro in faccia. Solo il suo autocontrollo le aveva impedito di sparargli.
Tutta la rabbia che l'aveva sostenuta fino a quel momento scomparve, sciolta come neve al sole dalla vicinanza di Tony; e dire che fino a qualche minuto prima avrebbe voluto farlo a pezzi.
Il respiro accelerò, in accordo con il suo battito cardiaco: che gli era preso? Come gli era saltato in mente di prendere il viso di Ziva tra le mani, avvicinandolo così pericolosamente al suo?
Doveva essere colpa della notizia appena appresa, dell'omicidio di quei tre seccatori, attribuibile sicuramente al Mossad; certo avrebbero potuto fare un piccolo sforzo per confondere maggiormente le acque. Non voleva che Ziva potesse intuire la verità, e la sua mente, annebbiata dalla presenza della ragazza e dagli ultimi postumi della peste, aveva individuato un solo modo efficace per sviare l'argomento.
Un modo rischioso, che avrebbe potuto procurargli o un violento ceffone con conseguente colpo sotto la cintura, oppure una dozzina di sonori scappellotti,tanti come la regola infranta.
La distanza tra le sue labbra e quelle di Ziva si assottigliò ulteriormente, mentre le mani bollenti di lei tornavano, questa volta dolci e delicate, sul suo petto.
Quando la baciò trattenne il fiato, in attesa di un violento colpo basso che invece non arrivò. Riprese a respirare, assaporando il dolce profumo di mandorla di Ziva, il dolce sapore delle sue labbra, la sua pelle calda sotto le dita.


Aprì lentamente gli occhi, mettendosi con calma a sedere sul materasso morbido, il silenzio della stanza rotto dal ritmo regolare del respiro di Ziva accanto a lui, vestita solo dal sottile lenzuolo di cotone del suo letto.
Non resistette alla tentazione di accarezzarle la schiena con le dita, sentendo ancora una volta sotto i suoi polpastrelli quella fantastica pelle ambrata e calda, che sembrava aver imprigionato il sole del mediterraneo.
Sospirò piano, beandosi del suo profumo, del suo respiro, della sua presenza al suo fianco. Solo in quel momento si accorse di quante volte avesse sperato in quell'evento; solo in quel momento, con quella nuova consapevolezza, prese improvvisamente senso la gelosia profonda, irrazionale, che aveva provato a volte la notte, stretto nelle braccia di altre ragazze, quando veniva colto dalla consapevolezza che anche Ziva riposava tra le braccia di altri uomini.
E ora era li, rannicchiata vicino a lui, presa da un leggero brivido di piacere alle sue carezze gentili sulla sua schiena. Sorrise, non avrebbe mai pensato fosse così sensibili alle coccole.
Un mugolio, a metà tra piacere e protesta, lo informò che Ziva era sveglia; fece appena in tempo a scorgere il suo sorriso, prima di venire catturato in un nuovo bacio.
Cos'è che doveva ricordarsi? Ah, si, le medicine. Avrebbe avuto tempo dopo, per pensarci; ora l'unica cosa importante era vicino a lui, tra le sue braccia, e non se la sarebbe lasciata sfuggire per nulla al mondo.


Gibbs sbuffò, fissando per l'ennesima volta l'orologio che portava al polso. La commissione di Ziva si stava protraendo ormai da più di due ore, e DiNozzo non aveva ancora chiamato per comunicare se il giorno dopo avrebbe effettivamente ripreso servizio.
Sbuffò di nuovo, giochicchiando con la biro in attesa che la stampante del fax finisse il suo lento lavoro; qualcosa gli diceva che le sue regole avevano perso efficacia, e che la regola numero dodici, da quel giorno, durante le ore di lavoro, avrebbe dovuto essere imposta a suon di scappellotti. E forse anche con l'ausilio di qualche occhiata gelida.
La stampante, con un ultimo gemito soffocato, sputò l'ultimo dei suoi fogli; il volto di Gibbs si aprì in un sorriso sghembo: era curioso di vedere se avrebbero ancora avuto il coraggio di ridergli in faccia, a Quantico, quando sarebbe ricomparso con i mandati in mano.
Ma a quello ci avrebbe pensato domani, con calma; ora doveva rimettere in piedi la sua squadra, per metà dispersa in chissà quali strani meandri.
"McGee, chiama DiNozzo e scopri se è ancora vivo!" abbaiò poi, strappando dai suoi pensieri un distratto Timoty, e facendolo sobbalzare.
"Vivo, capo?" chiese perplesso.
"Credo fosse la 'commissione' di Ziva" spiegò con un sorrisetto eloquente, chiedendosi poi se lui avesse capito. Se così era stato, non aveva dato mostra di aver colto.

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