This Must Be The Place

di potterlover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Just Dance ***
Capitolo 2: *** Don't Stop Me Now / Life In Technicolor II ***
Capitolo 3: *** Shattered ***
Capitolo 4: *** I'm With You ***
Capitolo 5: *** Please Don't Stop The Rain ***
Capitolo 6: *** Somewhere Only We Know ***
Capitolo 7: *** What Goes Around... Comes Around ***
Capitolo 8: *** Piccola pausa! ***



Capitolo 1
*** Just Dance ***


Capitolo I
Just Dance.



I've had a little bit too much, much
All of the people start to rush, start to rush by
How does he twist the dance? Can't find a drink, oh man
Where are my keys? I lost my phone, phone


La sveglia suonò puntuale come sempre, avvertendomi di prepararmi per una nuova giornata.
Come ogni altro ragazzo -ogni altro ragazzo sano di mente, almeno- presente sulla faccia sulla terra, tra il restare ancora a letto senza pensare a nient'altro che a rotolarmi tra le coperte, e alzarmi per affrontare tutta la sfilza di impegni che riempiva ogni giornata, preferivo decisamente la prima.
Tuttavia, grazie alla musica di una delle mie cantanti preferite, e sapendo di avere solo un'ora a disposizione per prepararmi e andare a scuola, mi alzai dal letto.


What's going on on the floor?
I love this record baby but I can't see straight anymore
Keep it cool, what's the name of this club?
I can't remember but it's alright, a-alright


Quello che mi rendeva diverso dagli altri ragazzi, era che per alzarmi dal letto non avevo bisogno di staccare la sveglia.
Perchè al contrario, la musica era quella che mi spingeva ad andare avanti. Mi scorreva nelle vene.
Andai in bagno per prepararmi e prima di entrare nella doccia mi lavai energicamente i denti davanti allo specchio, canticchiando di gola. Sapevo perfettamente che l'energia e la determinazione che stavo mettendo in quei gesti erano ingiustificati, ma era semplicemente la musica che mi faceva comportare così.


Il mio nome è Hugo. Ho sedici anni, e vivo in una piccola città della Florida. Ma fin qui tutto normale.

Quello che mi rende un po' diverso dagli altri è qualcosa che sta dentro di me. E con questo non mi riferisco alla mia omosessualità, nonostante non mancasse chi me la faceva pesare, ma non era importante.
Quello che mi scorreva dentro era la musica.

Sin da quando ero piccolo mi era stato insegnato ad apprezzare una delle più antiche creazioni dell'uomo. Perchè sì, cosa importante, la musica era stata creata dall’uomo, forse appena dopo la scoperta del fuoco, o forse addirittura prima di esso.
C’era un motivo, comunque, se sentivo un tale legame con la musica. Mio padre suonava il pianoforte, anche se lo faceva per hobby, non come lavoro, e mia madre aveva una bellissima voce. Si erano incontrati ad una serata di beneficenza dove mia madre aveva cantato qualche brano e mio padre aveva suonato insieme ad altre persone che avevano perorato quella causa. Insomma, i miei si conobbero lì, quindi si può dire che ero nato grazie alla musica.
E la musica, del resto, era la mia vita.
Quando avevo sei anni avevo iniziato a studiare canto, e successivamente avevo cominciato a studiare chitarra da autodidatta. Dopo dieci anni ormai cantavo benissimo, ma continuavo comunque ad andare all’unica scuola di musica della mia città, mentre ormai si poteva dire che sapevo suonare la chitarra perfettamente. Il mio gioiellino, una chitarra elettrica, era esposta in un angolo della mia stanza totalmente consacrato a lei.
In realtà, la mia stanza si poteva benissimo definire il tempio della musica. Non c’era una parete che non fosse tappezzata almeno da un paio di poster. Avevo Madonna, Michael Jackson, i Queen, i Pink Floyd, i Guns ‘n Roses, che ogni notte vigilavano su di me mentre dormivo.
Ma oltre alla musica, amavo il teatro. Non c’era uno dei musical storici che non conoscessi: Les Miserables, Singing in the Rain, Moulin Rouge…anche se il mio preferito era una trasposizione cinematografica di un musical uscito a Londra nel 1973, il Rocky Horror Picture Show.
Sarà per la vicinanza che sentivo con le tematiche trattate, sarà per l’esagerazione e la pomposità delle scene, sarà per l’ironia che vibrava per tutto il film, sarà per l’irresistibile interpretazione del dottor Frank ‘n Furter da parte di Tim Curry, ma insomma, ero stregato da quel musical.
Avevo persino una parrucca dello scienziato esposta sulla mia scrivania, e il mio sogno era proprio quello di interpretare i panni di Frank a Broadway.

Erano tanti i ragazzi che sognavano Broadway, forse troppi, ma questo non mi distoglieva dalla mia passione. Non vedevo questo sogno come un obiettivo, non sottoponevo l’amore per la musica e il teatro a quello che volevo raggiungere. Per me non erano mezzi, erano la mia vita.
Erano la cosa che mi invogliavano ad andare avanti quando ero convinto che non ci fosse niente per cui valesse la pena farlo.
E non erano poche le volte che succedeva. Certo, non si poteva parlare di depressione, quello no, ma ultimamente la mia vita era andata sempre un po' peggiorando. E con questo non volevo fare il melodrammatico, perchè non lo ero affatto, ma era quello che stava succedendo.

La mia passione per la musica aveva finito, insomma, per far trasparire all'esterno tutto quello che avevo dentro. Non mascheravo per niente il mio amore per il teatro, per il canto, per tutto quello che poteva essere spettacolare, fantasioso. Provavo un fascino particolare per quel mondo, che ormai mi aveva coinvolto, rapito, manifestandosi anche nella mia creatività.
Ma questo non era stato accolto con entusiasmo dalle persone che mi circondavano, dai miei compagni di scuola, anzi. Ormai ero sempre preso di mira e additato come « frocio » praticamente perchè inseguivo quello che amavo, cosa che loro non capivano. Avevo provato più volte a rialzare la testa, perchè a me, alla fine, non importava. Non importava di nulla che non fosse la musica.
Certo, a sedicanni era brutto non avere amici. Era brutto soffrire a tratti di solitudine. Ma mi avevano costretto. Non l'avevo scelto io. Spesso ci stavo male, spesso avrei voluto urlare al mondo quello che avevo dentro, sbatterlo in faccia a chi mi prendeva in giro per quello che amavo. Ma non potevo farlo. Mi ripiegavo su me stesso, perchè sapevo che non sarei mai stato accolto. Il mio unico rifugio, ormai, era la mia chitarra, era la mia voce, era indossare la parrucca di Frank e ballare da solo nella mia stanza sulle note di Sweet Travenstite.
Ma un giorno ce l'avrei fatta. Sarei andato via da lì. Avrei urlato al mondo quello che sentivo.
Quello che avevo dentro.


Spazio dell'autore.
Un caloroso abbraccio a tutti! :)
Vi ringrazio per aver letto il primo capitolo di questa Fan Fiction.
Mi auguro che vi sia piaciuto, e spero che vi invogli ad andare avanti e seguire con me questo cammino.
Non so bene cosa ne verrà fuori, perchè è un progetto un po' strano. L'idea di base è di raccontare una storia attraverso diverse canzoni, una o più per capitolo. Come vi sarete accorti tutta la Fan Fiction è intessuta di musica, a partire dal titolo fino al testo stesso...per questo infatti la descrivo come un viaggio attraverso la musica.
Hugo, il nostro protagonista, è un ragazzo come tutti gli altri, ma con una grande passione che lo porterà a provare emozioni di cui non sapeva nemmeno l'esistenza.
Attraverso la musica, sarà un viaggio alla scoperta della vita, dell'amore, l'amicizia, i sogni e le aspettative. E' tanto quello che spero di riuscire a comunicare con questa storia, vorrei solo riuscire a farlo nel migliore dei modi, anche se non è facile.
Spero comunque che sia di vostro gradimento, così da essere ancora più invogliato a proseguire.
Ci sentiamo con il prossimo capitolo :)


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Capitolo 2
*** Don't Stop Me Now / Life In Technicolor II ***


Capitolo II
Don't Stop Me Now / Life In Technicolor II.



Quella giornata, a scuola, non avrebbe potuto essere più noiosa. Guardavo le lancette dell’orologio muoversi insopportabilmente lente, mentre ero accasciato sul banco in attesa della fine di ogni ora. Non che l’ora successiva avessi qualche materia che potesse salvarmi la giornata, ma almeno sapevo che una volta fatte le quattro sarebbe finita del tutto.
La cosa peggiore, a scuola, era non avere nessuno con cui ingannare il tempo. Capitava che delle volte cominciassi a stringere amicizia con qualcuno che sembrasse bendisposto nei miei confronti, ma poi mi ritrovavo nuovamente da solo.
Il motivo?
Liam Adams.
Liam era il classico ragazzo dell’ultimo anno che credeva di avere l’intera scuola ai suoi piedi. Ed effettivamente un po’ era così.
Alto, affascinante, capitano della squadra di football e di buona famiglia, quel ragazzo era il mio incubo personale.
Sebbene una volta fosse stato il centro dei miei pensieri per un altro motivo.
Quando cominciai l’High School rimasi subito colpito dal suo fisico perfetto, i piccoli occhi scuri e affascinanti, i capelli neri e a spazzola, la corporatura muscolosa, il sorriso sghembo un po’ tipico degli spacconi…era il tipico ragazzo che non aveva mai una ragazza fissa, ma che praticamente poteva portarsi a letto tutte le ragazze più belle della scuola quando voleva.
Un giorno, a mensa, nel mio angolo solitario, mi ero definitivamente perso a contemplarlo, e lui se ne era accorto. Si alzò con tutta la sua squadra di football –già quando era al terzo anno ne faceva parte- e aveva cominciato a venire verso di me scrutandomi in un modo che mi fece venire i brividi. Un po’ perché ero intimidito dalla sua bellezza, un po’ perché ero spaventato dal suo comportamente, quando mi chiese Che cazzo di problemi avessi con lui non fui in grado di rispondere.
Fu quello l’inizio della mia rovina e del suo passatempo preferito.
Da quel giorno, infatti, ogni volta che mi incontrava per i corridoi Liam non poteva fare a meno di offendermi con trovate ogni giorno più originali, anche se la sua offesa preferita, dopo avermi visto una volta nell’aula di musica mentre mi esercitavo a cantare, era Finocchio del cazzo.
Fu da lì che praticamente la scuola cominciò a diventare un inferno senza speranza per me, più che altro perché non appena qualcuno sembrava disposto a fare amicizia con me, Liam interveniva intimidendolo in modo da farmi restare da solo.
E per potermi picchiare più facilmente quando ne aveva voglia.
Comunque quel giorno, a mensa, Liam non sembrava particolarmente interessato a me, perché stava flirtando con una bionda del suo anno. Così potei consumare il mio pranzo in santa pace e non appena suonò la campana andai in classe.
Terminate le tre ore successive, finalmente potei uscire dalla mia prigione –non che andassi male a scuola, potevo definirmi un buono studente, ma odiavo stare a scuola per il motivo sopra citato- e pregustarmi il mio pomeriggio.
Già mentre camminavo verso casa non vedevo l’ora di posare tutte le cose di scuola, lavarmi, e poi uscire di nuovo per andare a lezione di canto, dove finalmente mi sarei sentito me stesso.
Entrai a casa, salutai i miei senza nemmeno controllare se ci fossero, e subito salii in camera mia per cambiarmi.

Tonight I'm gonna have myself a real good time
I feel alive and the world I'll turn it inside out - yeah
And floating around in ecstasy
So don't stop me now don't stop me
'Cause I'm having a good time having a good time


Chiusami la porta alle spalle, feci partire la musica e cominciai a preparare l’occorrente per la doccia mentre cantavo, sentendomi sempre più gasato dopo che pronunciavo ogni parola.
Presi una spazzola dal bagno e cominciai a cantare a squarciagola sulle note dei Queen, sforzandomi per cercare di arrivare alla tonalità di voce dell’inarrivabile Freddy, e arrivato al ritornello mi gettai sul letto, mimando con le mani come se avessi una chitarra, stringendo gli occhi e sentendomi una vera rockstar:

Don't stop me now I'm having such a good time
I'm having a ball
Don't stop me now
If you wanna have a good time just give me a call
Don't stop me now ('Cause I'm having a good time)
Don't stop me now (Yes I'm havin' a good time)
I don't want to stop at all


Lo sentivo di nuovo, mi scorreva nelle vene. Sentivo le note che mi attraversavano, e la voce che usciva dalla mia gola non faceva che rinvigorirmi…tornavo me stesso.
Mi alzai mentre ancora la musica rimbombava grazie allo stereo e mi fiondai sotto la doccia, sapendo di dovermi dare una mossa per arrivare a lezione il prima possibile.
Nel giro di mezz’ora ero già pronto.
Uscii di casa con un umore decisamente diverso da quello che mi aveva accompagnato quella stessa mattina mentre andavo a scuola, imboccai la strada più diretta per arrivare a destinazione, e cominciai a volare per strada senza nemmeno accorgermene.
« Ciao, Alice » salutai la segretaria all’ingresso non appena varcai la soglia della scuola di canto. Quella mi salutò con un sorriso e tornò alle sue carte, ben sapendo che ormai sapevo benissimo dove dovevo andare per cominciare la mia lezione.
Il mio insegnante di canto si chiamava Alex. Era sulla trentina, e dal suo aspetto non si sarebbe mai detto che fosse un cantante. Non era molto alto, ma la sua corporatura un po’ robusta lo appesantiva ancora di più, e la calvizie incipiente non lo aiutava nell’aspetto. Ma era, tecnicamente, la persona più esperta che conoscessi.
La cosa bella di Alex era che divideva le nostre lezioni in due o tre fasi. Una prima, durante la quale facevamo insieme i soliti esercizi per riscaldare la voce e lo studio teorico della musica, una seconda, la mia preferita, in cui ci faceva esibire nei brani che preferivamo, permettendoci di esprimerci come meglio potevamo. Non ci interrompeva mai, ma solo alla fine ci dava le giuste dritte.
La mia unica compagna di corso, poiché eravamo allo stesso livello, era una ragazza di un anno più grande di me, Serena. A mio parere, era una delle ragazze più belle della città, ed era anche molto simpatica. Sospettavo che sapesse della mia omosessualità, ma era sempre stata molto sveglia e, gentilmente, aveva sempre rispettato il fatto che non le avevo mai detto niente al riguardo, quindi faceva finta di niente. Le ero riconoscente per questo.
« Ciao Hugo » mi salutò con un sorriso quando mi vide entrare, per poi baciarmi sulle guance. In men che non si dica, anche Alex fu lì con noi, e cominciammo la nostra lezione in anticipo.
Dopo mezz’ora di studio sulla musica degli anni ’70 e mezz’ora di esercizi, finalmente Alex ci invitò a interpretare dei brani a nostra scelta. Prima si esibì Serena in Young and Beautiful di Lana del Rey, interpretandola così bene che mi fece venire i brividi. Aveva una stupenda voce calda. Poi fu il mio turno.
Eccitato come sempre prima di cominciare a cantare, mi posizionai al centro della sala e aspettai che le note della canzone che avevo scelto partissero. Non appena la musica partì Alex sorrise, capendo già cosa stavo per cantare, e quando fu il momento, attaccai:

There's a wild wind blowing down the corner of my street
Every night there the headlights are glowing
There's a cold war coming on the radio,
 I heardBaby, it's a violent world


Era Life in Technicolor II dei Coldplay, forse la mia band preferita. Avevo scelto quel brano fresco e allegro perché quel giorno era così che mi sentivo, e quando cantavo avevo bisogno di cantare quello che ero.

Oh love, don't let me go
Won't you take me where the street lights glow?
I could hear rain coming,
I could hear the sirens sound
Now my feet won't touch the ground

 
Con gli occhi chiusi, mi immaginavo le note che uscivano dalla mia bocca, ascoltandomi attentamente mentre cantavo. Respiravo ai momenti giusti, facendo fluire l’aria dentro di me, ingrossandomi la pancia. Poi, finalmente, potevo gettarla fuori, facendo vibrare le corde vocali producendo i suoni che volevo, che apparivano come colori davanti ai miei occhi.
Poi tutto finì, una volta che cantai l’ultima strofa.
 
Gravity, release me
And don't ever hold me down
Now my feet won't touch the ground


Rimasi in attesa come sempre del parere di Alex prima di pronunciarmi, sebbene sapessi di aver cantato veramente bene, e quando mi fece l’occhiolino mi abbandonai ad un sorriso radioso.
E adesso mi sentivo carico di adrenalina, non mi importava niente di quello che pensava il mondo di me. Non mi importava di Liam, non mi importava della scuola, non mi importava di quella piccola città dove vivevo e che mi teneva separato dal mio sogno, a diversi chilometri di distanza…
Per il momento non importava, ero lì con la mia voce. E nessuno poteva fermarmi.


Spazio dell'autore.
Ariciao, sono già qui :)
Sono molto ispirato, e la cosa mi piace un sacco!
Sono felice perchè ho visto che già qualcuno sta cominciando a leggere la storia, che ha già ricevuto qualche recensione! Ne sono veramente felice, vi devo un enorme grazie, soprattutto ai miei "vecchi" e fedelissimi lettori di
I Now You'll Take Me To Another World :) Siete fantastici <3
Che dire, cominciamo ad entrare nella storia. Il nostro Hugo si è ormai presentato del tutto, abbiamo scoperto anche il motivo delle sue frequenti "depressioni" e dei suoi problemi con la scuola, aprendo uno scorcio nel passato. Ma abbiamo visto anche come si sente quando è nel suo elemento. Quando mi sono immaginato la scena di Don't Stop Me Now in cui si stende sul letto mimando un chitarrista mi sono gasato un sacco anche io, spero che sia riuscito a farvi sentire come lui e come mi sono sentito io xD
Spero comunque che il capitolo sia di vostro gradimento, sebbene ancora non sia successo nulla, ma sapete come sono, mi serve un po' per preparare la situazione ed entrare nel vivo della storia. Ma già dal prossimo capitolo la storia si potrà dire iniziata a tutti gli effetti!
Per il resto, vi ringrazio ancora per le letture e le recensioni, e cosa più importante di tutte, vi raccomando di leggere bene i testi delle canzoni, perchè sono parte fondamentale della storia! Sono i sentimenti di Hugo, quello che prova, quello che la Fan Fiction vuole esprimere, quindi...teneteli d'occhio, in ogni capitolo ;)
A presto! <3


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Capitolo 3
*** Shattered ***


Capitolo III
Shattered.

« Signor Thompson. Signor Thompson! »
Mi riscossi quando il mio compagno di banco mi diede una gomitata nelle costole, attirando la mia attenzione.
Sbattei le palpebre e mi tirai su –ero con la testa appoggiata alla mano, totalmente abbandonato sul banco, in uno stato di totale isolamento dal contesto in cui mi trovavo- guardandomi attorno, intontito.
« Signor Thompson, vorrebbe degnarsi di unirsi a noi per il resto della lezione? »
Mrs Smith, la nostra professoressa di letteratura inglese, era un’insegnante accondiscendente e per niente troppo severa, ma si indispettiva enormemente quando non seguivamo o non davamo segni di interesse durante le sue lezioni. In effetti doveva essere frustrante tenere una lezione davanti a una ventina di ragazzi annoiati.
« Mi scusi, Mrs Smith, stavo… » cominciai, cercando una scusa.
« Dormendo, direi. Prima che mi accorgessi che non era mentalmente qui tra noi, le avevo chiesto se mi sapeva dire a che corrente letteraria sono riconducibili i coniugi Percy e Mary Shelley » chiese guardandomi con aria severa.
« Al… romanticismo » risposi dopo averci pensato un istante.
Pausa di silenzio.
« Molto bene » convenne lei « se è così gentile, adesso, spero torni ad unirsi a noi per la fine della lezione. Grazie » commentò acidamente, anche se avevo visto l’ombra di un sorriso soddisfatto agli angoli dei suoi occhi.
Io annuii e tornai ai miei appunti, in realtà vuoti. O meglio, vuoti delle parole della Smith, ma pieni delle parole di una canzone che stavo scrivendo da un po’.
Non avevo nulla contro Mrs Smith, anzi la sua era una delle materie che preferivo, ma stare a scuola non mi suscitava alcun interesse, non potevo farci nulla. Pensavo sempre ad altro…
Feci per prendere una penna dallo zaino quando vidi che Louis Davies, un mio compagno di corso che amava tormentarmi con Liam –era anche lui nella squadra di football- era girato verso di me, e mi guardava con un sorrisetto.
Io alzai le sopracciglia con un’aria sdegnosa, quello arricciò ancora di più il suo ghigno e si voltò.
Io rimasi a guardarlo per un paio di secondi, senza capire, ma poi lo lasciai perdere e tornai al mio taccuino.
 
 Suonata la campana, raccolsi le mie cose e, eccitato come sempre all’idea della libertà che mi veniva concessa fuori da quell’edificio, mi avviai velocemente verso l’uscita.
Scesi i gradini dell’entrata principale e cominciai a percorrere il parcheggio diretto verso la strada di casa quando mi sentii chiamare, alle spalle, da una voce spiacevolmente familiare, che mi fece venire un brivido lungo la schiena.
«Ehi! Ehi, Thompson! »
Era Liam, sicuramente con i suoi compari. Io finsi di non aver sentito –non avevo voglia di perdere tempo, né di farmi offendere di nuovo, visto che quella mattina al cambio tra la seconda e la terza ora già mi avevano umiliato davanti a un intero corridoio- e accelerai il passo.
Sentii le solite risate idiote dietro di me, ma chiusi gli occhi e continuai a camminare, fin quando non sentii una mano sulla spalla che mi girava con forza.
« Ehi, Thompson, interessante la lezione di inglese, vero? »
Fui costretto a voltarmi e me lo ritrovai a venti centimetri da me, che ghignava verso la mia direzione, come se fosse soddisfatto. Io non capii il motivo di quell’approccio così idiota, né come facesse a sapere una cosa simile, quando scorsi Louis tra i suoi compagni e feci due più due.
«Quello che faccio durante le lezioni » cominciai « non sono affari tuoi » feci guardandolo con aria di sufficienza. «E tu » aggiunsi poi, rivolto a Louis « ti diverte così tanto dire ai tuoi compari quello che faccio in classe? »  Dissi dopo aver sospitato, visibilmente intollerante alla loro ridicolezza. Non avevano proprio nulla di meglio da fare?
« Chiudi la bocca, Thompson » fece a voce alta Liam, richiamando la mia attenzione. Poi, sempre con il suo ghigno: « Pensavo ti piacesse tenerla aperta per altri motivi piuttosto che per parlare… » commentò a voce più bassa, facendo scoppiare a ridere tutti quanti.
Io alzai gli occhi al cielo, e mormorai: « Quanto cazzo siete ridicoli… »
«  Cosa cosa cosa? » fece Liam, chinandosi su di me e stringendo gli occhi. « Non ho sentito cos’hai detto »
« Ho detto » risposi « che siete ridicoli » ripetei alzando la voce. « Non avete un cazzo di meglio da fare che rompere le palle alla gente? Lasciatemi in pace, non me ne frega un cazzo di voi, fregatevene anche voi di me » conclusi, voltandomi e riprendendo la mia strada.
Non feci in tempo a fare tre passi che sentii un colpo alla schiena. Istintivamente, mi girai di colpo e vidi Liam con il braccio ancora levato, dopo che mi aveva colpito.
Io lo fissai, senza capire il motivo di quella spinta. Varie volte mi aveva infastidio e mi aveva colpito senza motivo, ma quella volta proprio non aveva senso, erano venuti loro a darmi fastidio giusto per il gusto di farlo.
Lo guardai negli occhi, scorsi l’accenno di lentiggini spruzzato sul suo naso, e mi odiai perché sentivo che ancora, per quel volto, non provavo il fastidio e il disgusto che provavo per quello degli altri, anzi, era un odio misto ad una sensazione di vuoto, come se lo odiassi perché volevo qualcosa di più, perché soffrivo per quello che faceva, perché non potevo sopportare che mi trattasse così.
Non potei più trattenermi, pensai a quante volte mi aveva umiliato, quante volte mi aveva offeso, e scattai.
Gli diedi un pugno sullo stomaco, cercando di trovare una delle parti più deboli, e cominciai a cercare di colpirlo il più velocemente possibile.
Subito sentii urla attorno a noi, e capii che i compari di Liam stavano cercando di intervenire per aiutare il loro amico e mettermi fuori gioco, ma tra una botta e l’altra che il moro mi infliggeva facendomi desiderare di sparire –era molto più forte di me- sentii che diceva: « No, lasciatelo, ci penso io! »
Ben presto non riuscii più a competere perché mi aveva immobilizzato, e mentre continuava a colpirmi mi sbattè a terra, alzandosi. Mi diede un calcio sullo stomaco e poi, quando era ormai sopra di me, sputò a terra.
« Questo che ti serva da lezione così che ogni volta ti venga la malaugurata idea di alzare la testa o, ancora peggio, contraddirmi, ti ricordi che sei solo un frocio del cazzo e tutto quello che devi fare è stare zitto e accettare quello che ti dico. Tornatene alle tue cose da finocchio, quel microfono che ti piace tanto tenere in mano come se stessi facendo una sega a qualcuno o quei cazzo di spettacoli da checca che ti vedi sperando di diventare qualcuno che in realtà non sei » Un altro calcio. « Ci vediamo, Thompson… » e dopo avermi fissato un’ultima volta, se ne andò con i suoi amici, che stavolta non ridevano, ma stavano in silenzio.
Rimasi a terra per qualche minuto, sentendo il sapore del sangue in bocca per via del labbro che Liam mi aveva spaccato, e le lacrime che mi rigavano la faccia.
Lentamente mi rialzai, anche se ogni movimento mi provocava un dolore enorme –più interno che fisico- e, raccolte le mie cose, presi la strada di casa, con il cuore pesante e un macigno sullo stomaco.
Camminavo continuando a piangere silenziosamente, lacrime che sentivo però lontane da me, come se non fossero i miei occhi a generarle; era come se mi sentissi distaccato da quello che stavo provando, cosa impossibile per definizione, eppure era così…
Stavo male, stavo malissimo, eppure era come se non me ne importasse o non ci facessi caso, come se non sentissi veramente il male che stavo provando, il dolore, l’umiliazione.

Yesterday I died, tomorrow's bleeding
Fall into your sunlight
The future's open wide beyond believing
To know why hope dies
Losing what was found, a world so hollow
Suspended in a compromise
The silence of this sound is soon to follow
Somehow sundown


« quei cazzo di spettacoli da checca che ti vedi sperando di diventare qualcuno che in realtà non sei… » le parole di Liam ancora mi rimbombavano nelle orecchie, non riuscendo a dimenticarle, a non farci caso. E le sentivo ancora, e ancora e ancora, e me ne convincevo sempre di più. Cosa volevo veramente? Cosa pensavo di ottenere con il mio comportamento, quel continuo rifugiarmi in quel mondo ovattato fatto delle mie passioni… non sarei andato da nessuna parte.

And finding answers
Is forgetting all of the questions we called home
Passing the graves of the unknown
As reason clouds my eyes, with splendor fading
Illusions of the sunlight
And the reflection of a lie will keep me waiting
Love gone for so long
This day's ending is the proof of time killing all the faith I know
Knowing that faith is all I hold


Tornai finalmente a casa e aprii lentamente la porta sperando che i miei non mi notassero. Non volevo che mi vedessero così.
Riuscii nella mia impresa ed entrai velocemente ma in silenzio e salii subito le scale per andare a darmi una lavata e cercare di sistemarmi e darmi un aspetto decente, coprendo quelli che sicuramente ormai erano diventati lividi.
Andai a fissarmi allo specchio, e vidi il mio viso stravolto. Gli occhi erano ancora scuri e intatti, stessa cosa il naso regolare, i capelli erano sempre corti come li portavo, di un castano scuro. Il labbro era quello messo male, gonfio e spaccato nella parte superiore. Ma in fondo non ero ridotto così male.
Mi si leggeva negli occhi, però, tutto quello che stavo provando, quello che sentivo dentro, quanto stessi male, e quel dolore si manifestava all’esterno in un’aria distrutta, terribile.
Mi lavai il viso, ma prima di mettermi sotto la doccia tornai nella mia stanza, deciso a rompere definitivamente quella parte di me che mi stava rovinando.
Perché stava divorando l’intero me stesso.
Cominciai a staccare ogni singolo poster dalle pareti, tirandoli giù non curante di quello che sarebbe potuto accadere, se si fossero rotti o meno, non mi importava. Li piegai tutti insieme e li gettai nell’enorme armadio della mia stanza. Presi la parrucca di Frank ‘n Furter dalla scrivania e con tutto il l’espositore li gettai nell’armadio assieme ai poster. Presi ogni cosa, ogni simbolo, qualsiasi insignificante oggetto che potesse essere riconducibile alla musica, al teatro o a quello che ero stato fino a quel momento e li scaraventai tutti nell’armadio, come se mi stessi liberando della parte peggiore di me, sebbene fossi in lacrime. Provavo fitte di dolore all’idea di quello che stavo facendo, ma se il mio amore per quelle cose doveva causarmi tutto quel male, non potevo andare avanti così. Non ero abbastanza forte.
Stavo gettando la spugna. Ormai dovevo rinunciare.
Non potevo più essere quello che ero sempre stato.

And I've lost who I am
And I can't understand
Why my heart is so broken
Rejecting your love
Without love gone wrong
Life
Less words
Carry on


Non sapevo nemmeno perchè stessi dando tanto peso alle parole di Liam, dato che erano anni che mi offendeva, ma forse mai mi aveva attaccato con tanta chiarezza, arrivando fino in fondo al mio cuore. Mi aveva attaccato nelle cose a cui tenevo di più, portandomele via, defraudandomi di me stesso… e io non ero stato capace di tenermele strette, dovevo disfarmene se volevo cercare di restare ancora a galla.
Come ultima cosa mi posizionai davanti alla mia chitarra, guardandola per una manciata di secondi, con gli occhi ormai arrossati per le troppe lacrime e lo stomaco che non avevo mai sentito così attorcigliato.
La presi per il manico, e, fissandola, riposi anche quella nell’armadio, con tutto il tre piedi.
Chiusi le ante lentamente, poggiandoci le mani contro, e poi sbattendoci contro la testa, singhiozzando più forte.
Ecco, tutto chiuso.
Avevo detto addio, andando contro me stesso.


Spazio dell'autore.
Ma salve :)
Oggi sono un po' di fretta, quindi sarò più breve.
Il capitolo mi soddisfa abbastanza, diciamo che da adesso siamo entrati a tutti gli effetti della storia perchè da qui avranno inizio una serie di eventi xD
Spero che sia di vostro gradimento e non lo troviate troppo corto...non so se state notando che un po' tutti i capitoli fin'ora sono molto brevi, ma rimane sempre una song-fic, quindi rimane sempre il fatto di dover collegare un capitolo a una, massimo due canzoni, e non ho tutta questa possibilità di spaziare! E poi è una FF introspettiva, quindi come avrete visto i dialoghi sono ben pochi -soprattutto adesso che siamo all'inizio- punta più a suggerire e ad emozionare che a scrivere capitoloni xD Ah, nello scorso spazio dell’autore mi ero dimenticato di dirvi a chi era ispirato il personaggio di Liam. Badate, adesso un po’ mi dispiace che sia così, però sin da quando ho pensato alla Fan Fiction (ovvero circa sei mesi fa), l’ho immaginato come Cory Monteith, quindi è ispirato a lui. Non voglio che si pensi che la mia sia una trovata dato che purtroppo è venuto a mancare da poco, perché non è per niente così. Colgo anzi l’occasione per dedicargli un pensiero insieme a voi.
Per il resto grazie ancora a tutti per le recensioni, siete carinissimi!
PS: A partire dal prossimo capitolo aggiornerò la FF ogni mercoledì :)
Alla prossima <3

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Capitolo 4
*** I'm With You ***


Capitolo IV
I'm With You.

Da quel momento, ogni giorno trascorse inesorabilmente lento, sempre uguale a quello precedente, sempre uguale a quello successive, ma soprattutto, ogni giorno era terribilmente insignificante.
Non c’era niente che mi spingesse ad andare avanti, non era come prima. Non c’era l’adrenalina e l’emozione provocatemi dall’attesa di una nuova lezione, non c’era l’impazienza di andare a vedere il prossimo musical in uscita; la nostra vita è piena di emozioni, brutte o belle che siano, quando abbiamo degli scopi, degli obiettivi da raggiungere e delle tappe che ci prefissiamo, qualcosa che non vediamo l’ora che arrivi o qualcosa che vorremmo non arrivasse mai. Il tempo ci aiuta a scandire la nostra esistenza e le nostre emozioni.
Ma quando ti ritrovi a non desiderare nulla e a non temere nient’altro, non provi più nulla. Non lo percepisci nemmeno più.
Vivi come in un tunnel dal quale non hai nemmeno interesse a uscirne.
Eppure sapevo che la mia era una scelta. Avevo scelto di ridurmi così, perché non volevo più soffrire tanto.
Ma era meglio non soffrire vivendo come se fosse tutto in bianco e nero, o soffrire ogni tanto pur di fare una vita a colori?
Non mi ponevo nemmeno il problema, non ce n’era stato bisogno. Ormai provavo quasi ribrezzo per me stesso, per quello che ero. Per i sogni e i traguardi che mi ero posto e perché ero diverso dagli altri.
Perché sono così?
Mi detestai, perché non potevo essere uguale a tutti gli altri ragazzi. Perché proprio io dovevo essere gay? Se non lo fossi stato… sarebbe stato tutto diverso.
Avrei avuto tanti amici. Non avrei dovuto mai nascondere niente a nessuno. Non avrei avuto nessuno che mi tormentasse, sarebbe stato tutto più semplice.
Camminavo per le vie della città senza realmente pensare a dove stessi andando, non mi importava. Camminavo in silenzio sotto la pioggia, pensando a quanto fosse terribile che per colpa della mia omosessualità arrivassi ad odiare me stesso.
Come mi ero potuto ridurre così?

I'm standin' on the bridge
I'm waitin' in the dark
I thought that you'd be here by now
There's nothing but the rain
No footsteps on the ground
I'm listening but there's no sound


Non c’erano suoni a riempire le mie orecchie, non sentivo nessuno camminarmi vicino, c’era solo la pioggia attorno a me. Potevo vederla, ma non la sentivo. Non volevo sentirla, come non sentivo ormai più nulla.
Ero solo. Lo ero anche prima, solo che non me ne accorgevo. Ma quantomeno adesso ero conscio di quello che ero, e di quello che mi stava succedendo. Se la musica mi aveva fatto questo, mi aveva ridotto a vivere da solo una vita che era l’ombra di una vita che poteva essere vissuta veramente, all’ombra dei sogni che avevo e che –obiettivamente- non avrei mai potuto raggiungere, allora non era la forza che mi spingeva ad andare avanti, anzi. Era quella che non mi faceva vivere.
Ma allora cosa dovevo fare? Avevo perso me stesso, non sapendo più chi ero.
Cos’era, adesso, che poteva mandare avanti la mia vita?
Finora avevo sempre vissuto in funzione di una cosa sola, e solo ora mi resi conto di quanto fosse stato sbagliato. Perché ora che l’avevo persa… mi ero perso anche io. Non ero nessuno.

I'm looking for a place
I'm searching for a face
Is anybody here I know?
'Cause nothing's going right
And everything's a mess
And no one likes to be alone
Oh, why is everything so confusing?
Maybe I'm just out of my mind


Tornai a casa completamente bagnato, e non appena varcai la porta mia madre mi venne incontro, preoccupata.
« Hugo! Perché sei tornato a piedi? Potevi chiamarmi, ti sarei venuta a prendere io… »
« E’ cominciato a piovere mentre tornavo, ormai non aveva senso… sta tranquilla mamma » risposi cercando di rassicurarla.
« Vai a farti una doccia e ad asciugarti » mi disse quasi spingendomi su per le scale « Ah, com’è andata oggi la lezione? » mi chiese mentre ormai percorrevo i primi gradini.
« Bene, bene.. » risposi evasivo, cercando di non far trasparire nulla dalla mia voce.
Non avevo detto a mia madre che avevo lasciato le lezioni. Ormai era passata una settimana, e non ero più andato a scuola di musica. Non gliel’avevo detto perché non sapevo come spiegarle il motivo della mia scelta, non volevo che stesse male, che soffrisse per me. Prima o poi avrei dovuto dirglielo, certo, ma per il momento non volevo pensarci.
Quando era rimasta sorpresa del nuovo aspetto della mia stanza, spoglia di tutti i poster e le mie cose più care, le avevo risposto semplicemente che volevo darle un aspetto un po’ diverso, tanto per cambiare.
Mi ficcai sotto la doccia, per confondere le lacrime con l’acqua calda, cercando di illudere persino me stesso che stessi bene.
 
Isn't anyone tryin' to find me?
Won't somebody come take me home?
It's a damn cold night
I try to figure out this life
Won't you take me by the hand?
Take me somewhere new
I don't know who you are
But I'm, I'm with you
I'm with you


Da quando c’era stata quella rissa con Liam, che per fortuna era passata senza attirare l’attenzione dei professori, io e lui non ci eravamo nemmeno più guardati, e lui e i suoi compagni di squadra stranamente avevano smesso di tormentarmi.
Non ne avevo capito nemmeno il motivo, dato che pensavo che da quella volta avrebbero cominciato a darmi ancora più fastidio, invece era paradossalmente tutto troppo calmo.
Le lezioni trascorrevano le une uguali alle altre, solo che adesso anziché distrarmi per scrivere canzoni o pensare ad altro, fingevo semplicemente di stare ad ascoltare, mentre in realtà stavo con lo sguardo fisso nel vuoto. A mensa continuavo a stare seduto al mio tavolo, mangiando semplicemente per sostentarmi con il minimo indispensabile, senza realmente sentire il gusto delle cose.
« Ehi, posso sedermi qui? »
Nemmeno capii che quella voce fosse rivolta a me. Così abituato a stare assorto nella mia solitudine, senza dare conto agli altri, non mi ero reso conto della presenza di un ragazzo magrolino in piedi accanto al mio tavolo.
« Ehm… scusa? »
Quello alzò la voce per attirare la mia attenzione, e io mi riscossi, finalmente accorgendomi di lui.
« Oh… certo, scusa. Accomodati » dissi con un cenno del capo, per tornare al mio pranzo. Continuai a fare finta di niente, come se non ci fosse nessuno seduto di fronte a me.
« Ehm… comunque piacere, io sono Andrew. Andrew Thomas » si presentò quello, cercando di attaccare un discorso.
« Piacere, io sono Hugo Thompson » risposi senza mettere alcuna enfasi in quella conversazione.
« Io sono del secondo anno, e tu? » mi chiese poi.
« Terzo » risposi sospirando, cercando di eludere anche quel tentativo di fare conversazione.
Pausa di silenzio, durante la quale continuai a mangiare, noncurante, mentre quello ancora non aveva toccato cibo. Sembrava sul punto di dover dire qualcosa, un po’ teso. Era strano.
« Ehm…scusa se ti disturbo, ma…non vorrei farmi i fatti tuoi, ma la settimana scorsa non ho potuto fare a meno di vedere quello che è successo nel parcheggio, stavo per venire ad aiutarti, ma ho avuto un attacco d’asma, sai ci soffro e… »
« Cos, cosa…perché? » gli chiesi, reagendo con freddezza. « Perché vieni a dirmi questo? Io e te nemmeno ci conosciamo. Non vedo il motivo del tuo interesse. Sei libero di fare quello che vuoi, non sei tenuto ad aiutarmi, né tantomeno a giustificarti se non l’hai fatto…e se vuoi un consiglio » aggiunsi, alzando lo sguardo e vedendo Liam che, per la prima volta da giorni, ci stava fissando dal tavolo a cui era seduto con i suoi amici « sparisci prima che quell’idiota ti veda parlare con me » conclusi, guardandolo per la prima volta negli occhi.
Aveva un aspetto affascinante, ma ancora si vedeva che veniva dall’età in cui si cambia velocemente. Aveva il viso allungato, con il mento ancora un po’ arrotondato, dei capelli castani un po’ lunghi e sulla fronte e una bocca sottile, con due occhi chiari e dall’aria furba. Nel complesso, sembrava un elfo; avrei potuto scambiarlo per il figlio di Legolas.
« Scusa, non volevo farmi i fatti tuoi, ma ci ero rimasto male perché avrei voluto aiutarti ma mi sono sentito male. E’ che… » si bloccò.
« Cosa? » lo incalzai, avendo ormai lasciato perdere l’idea di ignorarlo.
Esitò. « Anche io ho sempre avuto problemi con i bulli a scuola. E non mi importa se quel tipo se la prenda anche con me, è il classico pallone gonfiato… » disse come se gli fosse costato uno sforzo enorme definire Liam così.
Io sorrisi, un po’ intenerito. Quel ragazzo era dopotutto solo un anno più piccolo di me, ma dal suo aspetto e dal modo in cui parlava –da cui traspariva una certa insicurezza- sembrava che fosse ancora più piccolo, e avevo sempre avuto un senso di protezione naturale nei confronti dei più piccoli.
« Ripeto, non ti preoccupare per me. Però grazie » dissi, e notai quanto fosse difficile ringraziare qualcuno. Non mi capitava da un sacco…
« Prego » disse quello con un sorriso enorme, evidentemente lieto della piega che stava prendendo quella conversazione.
« Thompson, hai trovato un altro frocetto come te? »
Chiusi gli occhi sospirando, avendo capito a chi apparteneva quella voce già da come aveva pronunciato il mio nome.
Non risposi, ma alzai il volto e lo fissai. Fu Andrew, però, a parlare.
« No, non sono gay » fece quello con naturalezza « ma se anche fosse? » chiese poi, sinceramente interessato alla risposta di Liam.
Quello lo fissò ed ebbi un brivido di paura per Andrew, temendo che potesse fargli male. Fortunatamente, Liam si limitò ad aprire la bocca per rispondere.
« Anche se fosse » disse, digrignando i denti « ti riserverei esattamente lo stesso trattamento di cui onoro il tuo amico. Così capiresti quanto sia sbagliato e faccia schifo una cosa del genere… » fece quello sempre con la mascella contratta.
« Beh… io non la penso così. Ognuno pensa quello che vuole, no? »
Guardai Andrew pronunciare quelle parole e osservai la reazione di Liam, e mi venne quasi un sorrisetto. Andrew gli si rivolgeva con naturalezza e sincerità, con un tono palesemente non provocatorio. Stava semplicemente parlando con lui. E notai che questo irritava Liam ancora di più, che nonostante tutto non aveva motivi reali per aggredirlo.
Si limitò a fissarlo in cagnesco, per poi riservare un ultimo sguardo a me e allontanarsi a grandi passi.
« Sei davvero gay? » mi chiese quello, una volta che Liam se n’era andato.
Io esitai. Non avevo mai detto a nessuno della mia omosessualità, nonostante molti lo sospettassero o ne fossero convinti. Eppure quel ragazzino mi ispirava fiducia.
« Sì » dissi seccamente, come a sfidarlo.
« Ok » disse quello, alzando le spalle. « Facciamo qualcosa dopo la scuola? » chiese poi, cambiando argomento, e io mi misi a ridere.
 
All’uscita da scuola aspettai Andrew nel parcheggio, dove ci eravamo dati appuntamento per andare a fare una passeggiata nei dintorni.
Mentre aspettavo presi il telefono, giusto per fare qualcosa, quando sentii un colpetto alla nuca.
« Ehi » dissi, quando mi voltai.
Era stato lui, evidentemente per attirare la mia attenzione.
« Allora, andiamo? » gli dissi.
« Perché tutta questa fretta? » mi chiese lui, cominciando tuttavia a camminarmi a fianco.
« Non ho fretta » risposi sbattendo le palpebre.
« E alloro perché tutta questa voglia di andare? » domandò.
« Io…boh » dissi, senza capire il senso della conversazione. « Giusto per fare qualcosa » aggiunsi.
Parlammo del più e del meno fin quando non arrivammo nei pressi di un piccolo parco, e decidemmo di entrare, per fermarci un po’ lì prima di separarci per andare a casa.
«… prima abitavo in Inghilterra » disse, continuando a raccontarmi la storia della sua vita –senza che io glielo avessi chiesto, tra l’altro; quel ragazzo aveva un dono per attaccare conversazione- fino a quando ho compiuto dodici anni e i miei si sono separati, e così mia madre è venuta a vivere qui, visto che lei è americana ed era lì soprattutto per mio padre » raccontò tranquillamente « quando sono arrivato è stato un po’ difficile adattarmi, perché mi hanno sempre preso in giro per il mio problema dell’asma…e fino ad ora è un po’ così. Però non sto male da solo. Anzi, ho tutti gli amici che mi bastano…» continuò pensieroso.
Io rimasi in silenzio, pensando alle sue parole. Possibile che le persone potessero fare così schifo da prendere di mira un ragazzino solamente perché aveva un problema di salute?
Il mondo era veramente in mano a creature mostruose, non esseri umani. Avevo sempre pensato che avevo sempre avuto problemi a fare amicizia perché ero gay e avevo delle esigenze un po’ particolari in fatto di amicizie, ma sentire che un ragazzo veniva sbeffeggiato perché era asmatico era troppo.
« E tu, invece? Come mai…beh, che problemi hanno con te le persone? » mi domandò, facendomi capire a cosa si riferisse.
« Hai sentito Liam » spiegai « quanto sia sbagliato e faccia schifo una cosa del genere » aggiunsi, citandolo imitando la sua voce. « Sono gay, e deve farmi pentire ogni giorno di esserlo, perché è sbagliato » dissi con voce atona.
Il ragazzo rimase colpito da come ne parlavo, ed esitò prima di chiedere di nuovo: « Ma lui… come fa a saperlo? »
Feci una risata amara. « L’ha sempre solo supposto. Non gliene ho mai dato la conferma, ma credo che dalle mie reazioni quando mi offende così ormai abbia capito che ci sto male veramente, e questo gli è bastato per esserne sicuro ».
« Sì, ma.. all’inizio come mai ha iniziato a offenderti così? »
« Non lo so » risposi, facendo spallucce « immagino che dire a qualcuno di essere frocio sia l’offesa più pesante e immediata, semplice da dire. Magari il mio comportamento, all’inizio, gliel’avrà suggerito…mi ha sempre preso in giro da quando mi ha visto una volta nell’aula di musica a cantare, cosa che succedeva spesso…»
« Ah, canti? » mi chiese quello, come illuminandosi.
« Una volta » risposi con voce secca « suonavo la chitarra, anche » aggiunsi come se mi stessi riferendo a secoli prima.
« E quando hai smesso? » mi fece la fatidica domanda.
Io mi innervosii, ma non potevo prendermela inutilmente con lui, dopotutto. Così risposi: « da un po’ », evasivo.
« E perché? » chiese dopo.
Okay, adesso stava cominciando ad irritarmi. I fatti suoi no?
« Perché ho capito che la musica non era una passione, ma qualcosa che al contrario mi faceva stare male. E così l’ho chiusa in un periodo ormai passato della mia vita ».
« Secondo me dovresti riprendere, invece » commentò quello, tranquillo.
« Ah, e perché? »
« Perché se era una tua passione, vuol dire che ti faceva stare bene. E non ha senso lasciare perdere una cosa del genere… »
Le sue parole mi infastidirono, e scattai.
« Magari lo so io cos’è che mi fa stare bene, grazie » commentai acido.
« Scusa… » disse quello, forse pentendosi di essersi inoltrato così tanto nel discorso. « Stavo solo dicendo che è un peccato…»
« No, lo so io cos’è un peccato, e non è niente che ti riguardi. Sono fatti miei se ho lasciato perdere, non c’è bisogno che venga tu a dirmi di ricominciare e a farmi il discorso da motivatore » lo interruppi, ormai mandando a quel paese le buone maniere; aveva toccato un nervo scoperto, soprattutto troppo recente, e sentivo di nuovo il bisogno di stare da solo.
« Non volevo… » cominciò a dire quello.
« Non fa niente, tranquillo. Comunque, mi dispiace ma adesso devo andare » dissi, alzandomi dalla panchina dove ci eravamo seduti. « E’ stato un piacere » dissi per educazione; dopotutto era vero, ma ero così seccato al momento che il mio tono di voce suonava glaciale.
Mi alzai a mi diressi verso casa, mentre sentii Andrew dire: « Ehi, ci vediamo domani a scuola! » con una nota di preoccupazione nella voce, e, forse, rimorso per la fine che aveva avuto la conversazione.
Io non risposi, poiché desideravo soltanto mettere metri tra me e quel ragazzino che sembrava essere uscito a forza dal nulla per rendermi tutto ancora più difficile, come se già non bastasse il dolore per quello che era successo e per aver abbandonato quello che per anni era stata la mia compagna di vita.
Cosa ne sapeva lui di quello che faceva bene e quello che faceva male…avevo preso la decisione giusta, dandoci un taglio.
Dovevo solo abituarmici.

Take me by the hand
Take me somewhere new
I don't know who you are
But I'm, I'm with you, oh
I'm with you
I'm with you



Spazio dell'autore.
Buonasera!
Credo che questo sia il capitolo più lungo della FF finora, e spero vi piaccia :)
E' stato introdotto un nuovo personaggio, che sarà fondamentale per Hugo e per la piega che ad un certo punto prenderà la FF.
Nel frattempo il nostro protagonista è decisamente confuso, pensa di aver preso la giusta decisione ma questo lo porta a soffrire e a sentirsi vuoto, perchè si trova senza quello che ha sempre amato.
Secondo voi Andrew riuscirà nel suo intento di farlo riavvicinare alla musica o no?
E come continueranno i rapporti con Liam, ora che Hugo ha trovato un amico?
Lo scopriremo presto :)
Per il momento, come sempre, vi abbraccio e vi ringrazio per le letture, le recensioni e le "seguite", lol.
Ah, dimenticavo, il personaggio di Andrew è ispirato a Logan Lerman.
Non è dolcissimo? :3
A mercoledì!

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Capitolo 5
*** Please Don't Stop The Rain ***


Capitolo V
Please Don’t Stop The Rain.
 

Non mi sentivo veramente in colpa per come mi ero comportato con Andrew.
Dopotutto non lo conoscevo affatto, era semplicemente un ragazzino che avevo incontrato un giorno a scuola e con cui avevo avuto una chiacchierata, niente di più.
Questo certamente non significava che non me ne importasse niente di lui, non ero affatto un menefreghista con le persone, però con quel suo modo di fare si era spinto un po’ troppo oltre. Ci eravamo appena conosciuti e già si era preso la libertà e la confidenza di dirmi quello che dovevo fare. Di certo non lo aveva fatto con cattiveria, né per darmi fastidio, lo capivo dal modo in cui parlava, dalla sua spontaneità. Però aveva toccato una ferita troppo fresca, e per quanto potesse  avere buone intenzioni, io non avevo nessuna voglia di tornarci su.
Era già stato abbastanza difficile fare quella scelta, e non avevo bisogno di qualcuno che mi facesse vacillare ancora di più, cercandomi di farmi ricredere sulle mie decisioni.
Nei giorni successivi aveva tentato più volte di avvicinar misi, ma io ero sempre riuscito ad evitarlo, o quantomeno a liquidarlo con un saluto e un veloce scambio di parole.
Nel frattempo, Liam era tornato alle sue vecchie abitudini, ma io non facevo altro che ignorarlo, e lui non si era più spinto oltre come quella volta in cui mi aveva voltato e io, irrigidendomi, avevo dato inizio a quella zuffa da cui ero uscito conciato sicuramente peggio di lui.
I miei, tanto per peggiorare la situazione, avevano scoperto che non andavo più a lezione di canto. Del resto sapevo che sarebbe successo, dato che mensilmente i miei andavano a pagare la scuola. Quel mese ovviamente dissi a mia madre che ci avrei pensato io, che non c’era più bisogno che andassero loro perché ormai potevo benissimo farlo da solo, ma quando ero tornato da casa con una ricevuta falsa –ovviamente fatta da me- per certificare il pagamento, mi scoprirono, e non potendo negare l’evidenza, dissi loro che non ci andavo più da tre settimane.
Successe proprio quello che temevo, con mia madre che cominciò a preoccuparsi e tempestandomi di domande su quello che stava succedendo. Mi chiese se avevo litigato con qualcuno, se avevo avuto problemi a scuola, se una volta per caso era andata male una lezione, capendo anche il motivo per cui quel giorno avevo voluto per forza cambiare totalmente l’aspetto della mia stanza. Io mi limitai a dire che non volevo più continuare a studiare musica, e quando mi chiese il motivo di questa scelta e perché avessi sempre quell’aria triste, evitai di rispondere, facendo cadere l’argomento ogni qualvolta lei lo riprendesse.
Insomma, la cosa peggiore di tutta quella situazione era che oltre alle difficoltà che ovviamente io stavo avendo in quel periodo, perché soffrivo sempre di più per la lontananza da quello che più amavo, ci si mettevano anche le persone che mi circondavano, anche i semi sconosciuti, come se non bastasse, come ad esempio Andrew. Con i miei ovviamente era ancora peggio perché me li trovavo sempre tra i piedi a casa, ed era per questo che ormai cercavo di passarvi minor tempo possibile.
Il problema era che mi mancava decisamente la voglia di fare tutto, quindi quando stavo fuori non avevo nulla da fare.
Non facevo altro, quindi, che camminare senza meta in città, molto spesso per i pochi parchi della città, che nonostante il tempo invernale trovavo più accoglienti di molti posti. Certo, era pur sempre il mite inverno della Florida, ma quando dal cielo venivano giù le rade pioggie della stagione secca, allora il fresco diventava ben più difficile da sopportare.
Noncurante di ciò, comunque, continuavo imperterrito per le mie solitarie passeggiate prive di meta. In realtà, durante le mie uscite pensavo spesso a com’era tutto diverso quando ancora non avevo deciso di lasciarmi alle spalle quella che, lo sapevo benissimo, era la mia ragione di vita, ma anche se mi veniva difficile ammetterlo, avevo paura di tornare indietro.
Paura, perché pensavo che tornare sui propri passi era molto più difficile che andare avanti una volta presa una decisione. Paura, perché temevo che una volta tornato indietro, niente sarebbe stato comunque com’era prima, perché si sa, si rimane quasi sempre delusi da qualcosa quando si hanno alte aspettative.
Paura… perché sapevo che sarei stato di nuovo deriso per quello che più mi piaceva. Offeso e mortificato. E anche se ancora succedeva, perché Liam e i suoi amici mi tormentavano comunque, quantomeno non sentivo quelle offese e quelle frecciatine, perché sapevo che erano infondate, dato che ormai avevo abbandonato tutto. Ma se avrei mai deciso di tornare indietro… allora avrei ricominciato a starci male sul serio. Perché è molto più difficile sentire che vengano offese le proprie passioni e le cose che si amano, piuttosto che se stessi.
A volte mi chiedevo com’era possibile che nel ventunesimo secolo ci fossero ancora persone così razziste nei confronti.. di quelli come me. Insomma, non davo fastidio a nessuno.  Che motivo avevano di odiarmi? Non c’era un reale motivo per cui dovessi fargli schifo. Non c’era un vero motivo per farmi pesare quella che –ormai me ne ero convinto del tutto, mi avevano convinto con la forza di ciò!- era la causa della mia diversità.
Ma quanto poteva arrivare ad essere crudele il mondo, se riusciva a convincere qualcuno di essere sbagliato, diverso e di sentirsi fuori posto?
Perché era così che mi sentivo ormai. Sbagliato, senza il permesso di poter stare lì, come se fossi io a costringere agli altri di sopportare la mia presenza.
E non capivo più se ero veramente io quello sbagliato, o erano loro quelli con qualcosa che non andava.
Il problema era che ormai mi stavo sempre più convincendo della prima tesi. Mi erano entrati nel cervello, facendomi quasi finire per odiare me stesso.
 
I don’t know where I crossed the line
Was it something that I said or didn’t say this time?

And I don’t know if it’s me or you
But I can see the skies are changing
No longer shades of blue
I don’t know which way it’s gonna go
 
If it’s going to be a rainy day
There’s nothing we can do to make it change
We can pray for sunny weather
But that won’t stop the rain
 
[…]
You’re feeling like you’ve got no place to run
[…]

 
 
Andavo ormai strascicando i piedi, sentendomi privato di quello che ero, di quello che volevo, della mia capacità di scegliere.
Scegliere.
Non potevo più farlo, perché non mi sentivo più libero.
O meglio, sapevo di non esserlo.
Ce l’avevano fatta, alla fine l’avevano avuta vinta su di me.
Mi erano entrati dentro, le convinzioni, l’odio e i pregiudizi, e mi avevano sconfitto, mi avevano svuotato.
Ormai avevo perso il controllo su ogni cosa.
 
Oh, we’re a little closer now
In finding what life’s all about
Yeah, I know you just can’t stand it
When things don’t go your way
But we’ve got no control over what happens anyway

 
 
Una bella mattina di Febbraio mi svegliai senza permettere alla sveglia –che ormai, come tutti gli altri ragazzi del mondo, odiavo- di intonare il suo fastidiosissimo suono per svegliarmi.
In realtà non era stato proprio merito mio, ma di un sogno che mi aveva svegliato all’improvviso, senza lasciarmi però alcun ricordo di quello che avevo visto.
Controllando la sveglia sul comodino avevo visto che mancavano solo cinque minuti alle sette, così mi alzai ugualmente, dopo averla disattivata in modo che per quella mattina non suonasse, dato che mi ero già alzato, e andai a prepararmi.
Quella mattina, a scuola, non potei ignorare il mondo come ormai da un po’ ero solito fare, perché Andrew mi si parò davanti non appena oltrepassai la porta d’ingresso.
« Hugo » mi disse con una voce se possibile ancora più ferma della posizione che aveva preso. Non l’avevo mai visto, né sentito così.
« Che c’è? » gli chiesi, stupito.
« Mi dispiace se ti ho dato fastidio con il mio comportamento quel pomeriggio, è da un po’ che ci penso ormai e non vo… »
« Fermo, fermo, fermo » lo interruppi, riprendendo a camminare, facendogli cenno di venire con me. « Lascia stare, va bene? Ho esagerato un po’ anche io » spiegai, usando il tono di voce più tranquillo che riuscii a trovare nella mia riserva di toni di voce tranquilli.
« Oh » fece lui, sorpreso della facilità con cui era riuscito nel suo intento « bene » commentò.
In realtà, se fosse stato per me, avremmo potuto lasciarci quell’episodio alle spalle già tempo prima, perché non me l’ero poi presa così tanto. Avevo capito che l’aveva fatto bonariamente. Ma semplicemente non avevo la voglia di spiegarglielo, di riprendere l’argomento…non ce la facevo. E poi, era un mio difetto abbastanza tipico: anche se ormai avevo risolto un problema che avevo con una persona, non glielo facevo capire, né andavo da lei a dirle che l’avevo “perdonata” o che comunque fosse tutto apposto, se prima quella non faceva il primo passo.
Forse era orgoglio, forse era imbarazzo per quello che era successo, ma facevo sempre così.
« Come va? » mi chiese allora, mentre ci dirigevamo verso i nostri armadietti –si era fatto spostare apposta il suo vicino al mio-.
« Tutto bene » dissi meccanicamente, senza pensarci. « Tu? » domandai più per continuare la conversazione che per reale interesse.
« Non c’è male. Ieri un paio di ragazzi della scuola mi hanno rubato l’inalatore per prendermi in giro e me l’hanno buttato, ma per fortuna non è successo niente, sono riuscito a tornare a ca.. »
« Che cos’è che hanno fatto? » feci, avvampando e aprendo con troppa energia l’armadietto, che sbattè contro quello accanto. « Chi è stato? » chiesi, sapendo già la risposta.
« Ehm… non è successo nulla » cercò quello di dissimulare, diventando rosso.
« Andrew » dissi seriamente, con voce ferma « dimmi chi è stato a farlo. Non ti preoccupare, non farò niente. Ma lo voglio sapere. »
« Liam e uno dei suoi… » fece quello abbassando lo sguardo, come se si vergognasse di una sua colpa.
« Eh porca troia però » sbottai chiudendo energicamente l’armadietto, dopo aver preso quello che mi serviva, e allontanandomi da lì.
« EHI » urlò il ragazzino « dove vai? » mi chiese, vedendomi schizzare via, ma lo ignorai.
Non sapevo perché, ma vedere o sapere che quel ragazzino più piccolo di me veniva trattato male da quel bastardo e i suoi mi faceva incazzare molto di più di quanto succedesse quando quello si sfogava su di me.
Mi sentivo la vena della tempia pulsare, il sangue che mi scorreva più velocemente nelle vene, una determinazione che mi era estranea da settimane.
Sapevo benissimo dove trovarlo, nel parcheggio, in cerca di ragazzini a cui rubare il pranzo giusto per il gusto di farlo, dato che poi lo avrebbe buttato, dato che mangiava sempre alla mensa.
Ed eccolo lì, infatti, che scherzava con i suoi amiconi vicino alla sua auto.
« Ehi, ehi Liam! » lo chiamai a voce alta, raggiungendolo velocemente.
Quello alzò lo sguardo sentendosi chiamare, ma dalla sua espressione capii che non aveva riconosciuto la mia voce, fin quando non mi vide arrivare a grandi passi verso di lui, e fece un sorriso malizioso.
« Ehi fin.. » fece per cominciare.
« Hai rotto i coglioni » cominciai, fregandomene di qualunque cosa stesse per dirmi « sappi che hai rotto veramente i coglioni. Ti odio già da quando hai cominciato a prendertela con me per motivi che solo tu conosci, e ho cercato di fottermene, ma non posso fregarmene quando vengo a sapere che ti diverti a dare fastidio ai ragazzini, soprattutto quando te la prendi con loro per cose di cui non hanno nemmeno la colpa! » feci, senza dare conto ai suoi amici che ci stavano attorno. « Ti rendi conto che hai rubato l’analatore a un ragazzino che soffre d’asma? Ma che cazzo hai nel cervello, merda? Non sapevi che poteva sentirsi veramente male? E allora cosa avresti fatto, l’avresti aiutato? » sibilai, facendomi più vicino a lui e fissandolo negli occhi.
Quello non rispose, sicuramente sorpreso dal mio atteggiamento e da tutto quella rabbia che non mi aveva mai visto addosso. Ero fuori di me.
Poi finalmente sembrò trovare qualcosa da dire, e fu allora che aprì bocca.
« Quello che faccio non sono cazzi tuoi, frocio, e non immischiarti in cose che non ti riguardano; ma se proprio vuoi saperlo, va bene: stavo dando una bella lezioncina al tuo amico perché aveva qualcosa da ridire su quello che ti avevo detto l’altra volta… »
Fu allora che non ci capii più nulla e gli diedi uno schiaffo con tutta la forza che avevo in corpo, colpendolo sulla guancia sinistra.
L’impatto fu così violento che quello vacillò, e i suoi compagni erano talmente inebetiti che rimasero immobili.
« Vedi di smetterla di giocare con le cose più grandi di te, Liam Adams, perché ti potrebbe finire molto male, e sarei il primo ad accertarmene ».
Lo fissai per un altro secondo mentre mi guardava sconvolto e mi voltai, tornando velocemente dentro, sapendo che ero quasi in ritardo per la prima lezione.
Non sentivo rumori dietro di me, e mi sorpresi del fatto che non aveva ancora reagito. Ma sapevo che non sarebbe finita lì, e presto sarebbe arrivata la vendetta.
 
A ora di pranzo, tuttavia, Liam era rimasto tranquillo al tavolo con i suoi compagni, e non aveva nemmeno dato un’occhiata a me e ad Andrew.
Io sentivo ancora un po’ gli effetti dell’adrenalina per quello che era successo, ed ero anche nervoso perché temevo che prima o poi mi avrebbe fatto pentire dello schiaffo, e il ragazzino se ne accorse, ma quando mi chiese se tutto andasse bene, io risposi di sì, rassicurandolo.
Mancavano ancora due ore e sarei stato libero, e salvo. Anche se l’ultima ora era forse quella che temevo di più.
Avevo storia avanzata. Il mio insegnante, il professor Harris, era riuscito a farmi spostare nel livello più alto del corso, dato che a quanto ne diceva lui ero troppo bravo per i miei compagni di corso, che mi rallentavano, così avevo sempre lezione di storia con i ragazzi del quarto anno. E nonostante quella fosse la mia materia preferita, da un po’ di tempo era diventata invece il mio piccolo incubo personale, dato che uno studente del quinto, al contrario, era stato passato un anno indietro nel corso di storia. E quello studente, ovviamente, era Liam.
Dio solo quindi sapeva quanto temessi quell’ora, specialmente quel giorno, dopo quello che era successo.
Fortunatamente, però, quando entrai in classe notai Liam seduto accanto ad un suo compagno di squadra che pendeva letteralmente dalle sue labbra, ed entrambi sembravano ridere di gran gusto. Così entrai e mi sedetti al mio solito posto, da solo, senza farmi notare, e quando entrò il professore la lezione ebbe inizio.
Il professor Harris, un uomo abbastanza avanti con gli anni, alto, e magrissimo, con un gran paio d’occhiali tondi sul naso, ci avvisò che aveva corretto i nostri ultimi test, e ce li distribuì. Mi sorrise quando mi consegnò il mio compito, dove avevo ricevuto una B+, di cui era evidentemente soddisfatto.
Nonostante tutto quello che mi era successo, il mio rendimento a scuola non era peggiorato, anzi. In tutte le materie forse ero addirittura migliorato un pochino, dato che avevo più tempo da dedicarvi, e fu per quello che ci rimasi male quando in storia mi trovai assegnato una B+ al posto della mia solita A.
Ben presto il professore ci spiegò che era soddisfatto dei risultati di quel compito, dato che era molto difficile, e si congratulò con me ed un altro paio di ragazzi per essere riusciti a prendere il voto più alto. Così mi rallegrai un po’, fin quando…
« Adams! » fece il professor Harris, spazientito. « E’ dall’inizio dell’ora che non fai che ridacchiare con il signor Calvin, nonostante guardando il tuo compito non ci sia nulla da ridere, anzi. » fece, aspro. « Se la smettessi di comportarti così durante le lezioni, forse eviteresti di prendere questi voti, e addirittura riusciresti a stare nel corso che si addice alla tua età, piuttosto che in quello del quarto anno » lo asfaltò, facendolo arrossire.
Io dovetti trattenermi dal sorridere maliziosamente, ma dentro, stavo godendo da morire dalla soddisfazione.
« Anzi, forse è un aiuto quel che ti serve. Thompson » fece, facendomi sobbalzare « da oggi sarai il tutor del signor Adams ».
Mi si raggelò il sangue nelle vene.


Spazio dell'autore.
Ciao a tutti! :)
Sono un po' di fretta, quindi mi limito a salutarvi velocemente, augurandomi che il capitolo sia di vostro gradimento :) Ormai siamo proprio entrati nel vivo della storia, quindi spero che vi abbia preso!
Ringrazio come sempre tutti voi che mi leggete, mi seguite e mi recensite, siete speciali! A mercoledì prossimo <3

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Capitolo 6
*** Somewhere Only We Know ***


Capitolo VI
Somewhere Only We Know.
 

« Anzi, forse è un aiuto quel che ti serve. Thompson » fece, facendomi sobbalzare « da oggi sarai il tutor del signor Adams » continuò, facendomi raggelare il sangue nelle vene, mentre tornava a rivolgersi a Liam « Vedi di seguire il signor Thompson in quello che ti dice, perché se entro la fine del trimestre non sarò soddisfatto dei tuoi risultati, ti farò ripetere l’anno ».
Detto questo, Harris tornò alla sua lezione, ma da quel momento io non seppi nemmeno di che cosa stesse parlando.
Guardavo fisso davanti a me, bloccato.
Io.
Ripetizioni.
Liam.
No, non poteva essere così.
Il prof aveva sicuramente sbagliato; dopotutto doveva essere una punizione per Liam, non per me, giusto?
Insomma, perché per colpa sua dovevo avere anch’io un ruolo in quella punizione?
Sarebbe già stata una pessima notizia con chiunque altra persona, perché nessuno sarebbe mai stato entusiasta di dare ripetizioni a qualcuno, ma per me era un incubo specialmente se quella persona era… Liam.
Alla fine della lezione tutti si alzarono velocemente come al solito, e uscirono.
Io rimasi pietrificato sulla mia sedia, a contemplare l’aria dinanzi a me.
« Thompson. »
Sentii la sua voce che cercava di attirare la mia attenzione.
Io alzai la testa e lo trovai davanti al mio banco, sulla parte destra, con la tracolla su una spalla, in attesa di una mia risposta.
E ora cosa avrebbe fatto? Dopo lo schiaffo che gli avevo dato nel parcheggio, si sarebbe sicuramente vendicato, ora che eravamo da soli. E adesso poteva avere tutte le occasioni del mondo.
Deglutii.
« Senti, Thompson » riprese a parlare quello, dato che la mia risposta non arrivava « stai pur certo che questa cosa mi rompe le palle molto più di quanto non lo faccia a te. Quindi vediamo almeno di sbrigarci così la facciamo finita. Passo oggi pomeriggio alle quattro da te » concluse, e si voltò per andarsene.
Io ebbi solo il tempo di pensare che effettivamente aveva ragione così almeno ci saremmo tolti il pensiero il prima possibile, quando qualcosa in quello che aveva detto non mi quadrò.
« Ehi, aspetta » lo chiamai, facendolo voltare con un’espressione perplessa « Come sai dove abito? » domandai.
Quello alzò gli occhi al cielo e si rigirò, sistemandosi meglio la tracolla in spalla. « Lo so e basta. Ci vediamo oggi pomeriggio, Thompson, e vedi di farti trovare a casa » sentenziò uscendo dalla porta.
Io tirai un sospiro di sollievo, chiedendomi come mai non si fosse vendicato di quello che era successo.
 
 
Tornai a casa leggermente in preda al panico, di fronte al pensiero di quello che avrebbe potuto accadere nel giro di un paio d’ore.
Trangugiai velocemente una barretta di cereali per tapparmi un buco nello stomaco che l’ansia mi aveva provocato –quando ero nervoso mangiavo sempre, era una pessima abitudine che avevo da qualche anno- e mi precipitai in camera mia.
Mi sedetti sul letto e mi guardai attorno, come se non mi fossi mai trovato prima in quella stanza.
Non sapevo nemmeno quando sarebbe arrivato, visto che aveva semplicemente detto “ci vediamo oggi pomeriggio”, e questo peggiorava ancora di più l’attesa.
Erano le tre e mezza, e ogni minuto che passava andavo sempre più nel panico.
I miei non c’erano. Tanto di guadagnato. Non si sarebbero incazzati se avessero scoperto che l’ospite di loro figlio lo aveva picchiato.
Cosa che, ne ero certo, sarebbe successa.
Saremmo stati da soli in un posto dove nessuno ci avrebbe potuto vedere, quale migliore occasione per il buon vecchio Liam per vendicarsi?
Mi alzai dal letto e presi il libro di storia dallo zaino, per prepararlo e metterlo sulla scrivania. Un attimo dopo averlo fatto, me ne pentii: se lo avessi avuto già pronto non avrei potuto prenderlo una volta che sarebbe arrivato Liam, e avrei avuto un’occasione in meno per combattere l’imbarazzo che si sarebbe inevitabilmente creato. Almeno avrei avuto la scusa per perdere qualche secondo prendendo il libro.
Ok, facevo discorsi maniacali. Ma non sapevo davvero come dovevo comportarmi.
Insomma, quel maledettissimo uomo doveva per forza fare un torto a me, proprio a me, costringendomi a fare da tutori proprio a Liam? Dovevo chiedergli se per caso non si fosse messo d’accordo con la mia sfortuna per farmi una cosa del genere.
Nel frattempo i minuti trascorrevano inesorabilmente lenti, e anche se avessi voluto fare qualcosa per ammazzare il tempo nell’attesa, probabilmente non ci sarei riuscito. Misi un po’ di musica senza pensarci, ma dopo qualche secondo mi riempì di fastidio e la staccai immediatamente.
Cominciai quindi a fare un po’ d’ordine, partendo dalla mia stanza.
Trascorsi almeno mezz’ora per sistemare la mia stanza e poi tutte le stanze della casa dove sarebbe potuto passare Liam, continuando a spostare inutilmente oggetti che in realtà erano in perfetto ordine dato che mia madre aveva da poco fatto le pulizie.
Una volta finito, o meglio, una volta accortomi che quello che stavo facendo era perfettamente inutile, mi sedetti sul divano e accesi la televisione, senza guardarla veramente. Il mio stomaco era totalmente ingarbugliato e attanagliato dall’ansia.
Finalmente, poi, il campanello suonò.
Scattai all’in piedi come se mi fossi scottato il sedere e rimasi poi immobile davanti al divano. Quando il campanello suonò nuovamente mi precipitai verso la porta, non senza sbattere il ginocchio contro il tavolino del salone, imprecando.
Feci un respiro profondo e aprii lentamente la porta.
« Ciao, Hugo »
Rimasi folgorato da quelle parole e sgranai gli occhi.
No, ok, non era lui.
« Signora White, che succede? » le chiesi non troppo gentilmente.
La signora White era una nostra vicina ormai molto anziana, che viveva da sola ad eccezione di quando i suoi numerosi nipoti andavano a trovarla. Era una donna dolce e gentile, con cui da piccolo avevo trascorso un bel po’ del mio tempo quando mia madre mi ci portava, ma adesso non era veramente il caso di stare con lei.
« Sono venuti Mike e Sara e mi hanno chiesto una torta, ma non ho nemmeno un po’ di zucchero…non è che me ne potresti dare un po’, tesoro? » mi chiese con la sua voce calma, che in quel momento mi dava sui nervi.
« Oh, certo… torno subito »
Andai velocemente in cucina, cercai frettolosamente una confezione di zucchero in credenza e, dopo averne trovata una aperta a metà, la afferrai e gliela portai.
« Grazie mille, tesoro, te la riporto appena ho finito »
« Non si preoccupi, non è un problema » feci, desiderando solo che se ne andasse « Arrivederci! »
La donna ricambiò il saluto e se ne andò.
Le chiusi la porta alle spalle e mi ci poggiai contro, respirando di nuovo a fondo, come per scaricare la tensione.
Diamine, stavo impazzendo.
Tornai in cucina per sistemare quel po’ di disordine che avevo creato prima e il campanello suonò di nuovo.
Oddio pensai stavolta dev’essere lui.
Andai ad aprire, ma stavolta mi ritrovai davanti un’amica di mia madre.
« Hugo, ciao…c’è tua madre in casa? » mi chiese cercando di guardare oltre di me.
« Ehm.. no, è fuori, sinceramente non so dov’è » risposi in imbarazzo dato che non mi stavo ricordando, in quel momento, il nome della donna davanti a me « dovevate uscire? » le chiesi
« Oh no, no, ero nei paraggi e volevo solamente passare a salutarla. Fa niente. Mandale i miei saluti…ci vediamo » disse, e se ne andò, lasciandomi lì a pensare a come avrei potuto mandare i suoi saluti a mia madre senza ricordarmi il suo nome.
Adesso però stavo cominciando ad innervosirmi. Erano già le cinque, Liam non era arrivato, io ero in preda all’ansia più che mai e tutte quelle visite inaspettate non miglioravano affatto la situazione.
Quando il campanello suonò  la terza volta, quindi, ero abbastanza seccato.
« Ora basta » sbottai, alzandomi per la terza volta dal divano e aprendo velocemente la porta « chi è che.. »
Ammutolii, ritrovandomi davanti, finalmente, Liam, che mi guardava con un sopracciglio inarcato.
« Che problemi hai, Thompson? » mi domandò, davanti al mio silenzio e sicuramente alla mia espressione ebete.
« Ehm…io… n-niente » feci, in pieno imbarazzo per quella figura e non sapendo cosa dire.
« Ok, allora muoviamoci così posso andarmene » disse quello, svogliato e con un tono che non aiutava per niente ad alleggerire l’atmosfera.
Io annuii in silenzio e, dopo averlo fatto entrare, gli chiusi la porta alle spalle.
« Che stavi facendo? » mi chiese, mentre gli indicai l’appendiabiti per fargli posare la giacca.
« Niente, guardavo la tv.. » risposi senza ben capire il motivo di quel tentativo di fare conversazione, indicandogli con la testa la tv accesa.
« Va bene » commentò lui, dopo aver posato la giacca e riprendendo lo zaino. « Dov’è camera tua? » chiese poi.
« Di sopra… » dissi, ancora in imbarazzo. « Andiamo » e lo precedetti su per le scale.
Entrai nella mia stanza con gli occhi chiusi, cercando di calmarmi, non vedendo l’ora che se ne andasse.
 
 
« No » risposi, per l’ennesima volta « non puoi dire che gli americani trionfarono nelle guerre indiane ».
« Ma se le abbiamo vinte noi! » commentò quello, ostinato.
Ormai andavamo avanti così da circa un’ora, e dopo i primi cinque-dieci minuti di silenzio l’imbarazzo si era sciolto. O meglio, la sua poca voglia di impegnarsi e la mia tanta voglia di fargli capire qualcosa così da rendere il meno necessari possibile quegli incontri pomeridiani avevano fatto in modo che avessimo qualcosa di cui parlare.
Solo che adesso io mi stavo spazientendo.
« Sì » ripetei per quella che doveva essere ormai la sesta volta « ma ti ho spiegato che gli indiani ci inflissero pesanti sconfitte, soprattutto quella di Little Big Horn, in cui il generale Custer fallì miseramente la sua impresa, battaglia che Harris ama praticamente alla follia e che quindi farai bene a ricordarti » gli spiegai come se avessi a che fare con un bambino.
« Mi stai prendendo per il culo, Thompson? » mi chiese lui alzando i toni e guardandomi minaccioso.
Io non capii. « Perché dovrei? » gli chiesi, sbattendo le palpebre. « Ti sto solo spiegando… »
« Oh, e che palle, lasciami un attimo respirare cazzo » sbottò quello, allontanandosi con uno scatto dalla scrivania andando indietro sulla sedia a rotelle.
« Come vuoi » dissi io, senza degnarlo di uno sguardo e tornando a sottolineargli il libro sperando che almeno andasse a cercarsi quelle cose da solo.
« Mi sono rotto di studiare » fece quello « come fai? »
« Non va di certo nemmeno a me, soprattutto visto che tu sembri non voler capire » iniziai « ma siccome non voglio passare troppi pomeriggi così, sto cercando di impegnarmi ».
Quello alzò gli occhi al cielo, e si guardò intorno fin quando lo sguardo non si posò sull’anta di un armadio, leggermente aperta.
Si alzò dal mio letto, dove nel frattempo si era seduto, e fece per andare ad aprirla.
« NO! Fermo » lo bloccai, scattando in piedi e raggiungendolo « non aprire quell’armadio » dissi.
« Perché? » mi chiese quello con un ghigno « nascondi qualcosa? » aggiunse, sprezzante.
Mi spostò con un braccio e aprì l’anta dell’armadio, trovando la chitarra che avevo posato lì ormai settimane prima.
« Non sapevo suonassi » fece quello, prendendola e rimanendo come colpito.
« Peccato » feci io, cercando di riprendermela « tanto ormai non suono da un po’ » aggiunsi senza pensarci.
« Perché? » mi chiese quello spontaneamente, voltandosi a guardarmi, e andandosi poi a sedere sul mio letto con la chitarra in mano, come se volesse suonarla.
« Proprio tu me lo chiedi » commentai sprezzante, andandomi a sedere nuovamente sulla sedia davanti alla scrivania, di fronte a lui.
Quello mi guardò con aria interrogativa.
« Oh, lascia perdere » dissi facendo per voltarmi.
« Ti ho chiesto » ripetè a voce più alta, bloccando la sedia con una mano. « Perché hai smesso di suonare » ripetè con un tono più basso e –possibile?- più dolce.
Io sospirai prima di rispondere, e chiusi gli occhi.
« Ho lasciato perdere sia la chitarra che le lezioni di canto che il teatro » cominciai a dire, a voce bassa, come se ogni parola mi costasse uno sforzo, dato che non ne avevo fatto mai parola con nessuno « perché non ne potevo più di sentirmi perseguitato per le cose che amavo. Ma ormai non è un problema. Non me ne frega più niente » spiegai con amarezza.
Riaprii gli occhi e lo vidi abbassare lo sguardo, che fino a quel momento aveva puntato su di me, sulla chitarra che teneva in mano. Poi fece come per porgermela.
« Ti va di suonarmi qualcosa? »
Io lo guardai negli occhi, non riuscendo a crederci.
Possibile che lo stesse facendo veramente?
Sicuramente era una trappola. Non potevo lasciarmi abbindolare da quello sguardo, quel viso che adesso aveva assunto un’espressione innocente.
« Ormai ho chiuso con la musica, Liam » dissi categoricamente.
« Per favore » disse, mettendomi ormai la chitarra in mano « voglio vedere cosa sai fare » aggiunse.
Io lo guardai ancora dubbioso, poi presi la chitarra in mano, pensando che dopotutto era meglio assecondarlo.
Mi sedetti accanto a lui sul letto, dove mi aveva indicato con la mano. Decisi di suonare una canzone che stavo scrivendo da qualche mese. Non l’avevo finita, ma non era importante, ormai. E poi era la canzone che stavo scrivendo in classe, quella volta che uno degli amici di Liam mi aveva visto e gliel’aveva detto, dando origine alla rissa che poi mi aveva portato a lasciare tutto…
Cominciai a spostare le dita sulle corde della chitarra, facendone scaturire suoni che ormai non sentivo da tantissimo tempo.
Cominciai a cantare, abbassando lo sguardo perché mi vergognavo a guardarlo in faccia.

I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand
I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete

Oh simple thing where have you gone
I'm getting old and I need something to rely on
So tell me when you're gonna let me in
I'm getting tired and I need somewhere to begin

I came across a fallen tree
I felt the branches of it looking at me
Is this the place we used to love?
Is this the place that I've been dreaming of?

 
Ogni parola che usciva dalla mia bocca, ogni nota che le mie mani facevano scaturire da quelle corde, mi sentivo sempre più bene, sentivo come se il sangue fosse tornato a circolare nelle mie vene, ridandomi l’energia e la voglia di vivere.
Alzai lo sguardo e lo vidi intento a osservarmi mentre suonavo.

Oh simple thing where have you gone
I'm getting old and I need something to rely on
So tell me when you're gonna let me in
I'm getting tired and I need somewhere to begin

And if you have a minute why don't we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?


Lo guardai negli occhi e sentii un brivido al pensiero che avevo iniziato a scrivere quella canzone sperando un giorno di poterla cantare a qualcuno. Avevo cominciato a scriverla sognando di poterla dedicare a qualcuno, e all’epoca speravo che quel qualcuno potesse essere proprio il ragazzo che mi stava davanti in quel momento.
E adesso era lì vicino a me, lo vedevo respirare calmo, vedevo i suoi occhi scuri che ricambiavano il mio sguardo, i suoi lineamenti morbidi ma decisi, le lentiggini sul suo naso appena accennate, che ora vedevo sempre più distintamente…
Si stava avvicinando, io avevo il cuore che mi batteva fortissimo, e quasi mi ordinava di andargli incontro, uscendomi fuori dal petto, fin quando mi avvicinai, e senza che potessi decidere cosa fare, le sue labbra si posarono sulle mie.
Smisi di suonare, lasciai scivolare lentamente la chitarra a terra e gli accarezzai il collo con una mano, mentre con l’altra mi poggiavo alla sua spalla.

Oh simple thing where have you gone
I'm getting old and I need something to rely on
So tell me when you're gonna let me in
I'm getting tired and I need somewhere to begin

So if you have a minute why don't we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don't we go
So why don't we go

This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?




Spazio dell'autore.
Ehilà :)
Spero che questo capitolo vi piaccia, perchè è uno di quelli che ho immaginato per primi quando ho avuto l'ispirazione per la FF.
Anche la canzone è molto importante... sia per la storia, perchè è la canzone da cui prende poi ispirazione tutta la storia -c'è un gioco di parole tra This Must Be The Place e Somewhere Only We Know, diciamo che la prima completa la seconda, più avanti nella storia capirete meglio :)- e oltretutto è una canzone che adoro.
Per il resto nulla, spero vi siate godendo le vacanze, io mi sto riposando un sacco :)
Un grazie e un enorme abbraccio a tutti.
A mercoledi!

 

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Capitolo 7
*** What Goes Around... Comes Around ***


Capitolo VII
What Goes Around... Comes Around.


Il tempo si era fermato mentre, con gli occhi socchiusi, seguivo i movimenti della sua lingua, che giocava dolcemente con la mia.
Il cervello mi si era come scollegato e mi ero dimenticato di tutto ciò che non fossero le nostre labbra che poggiavano le une sulle altre.
Gli accarezzai automaticamente un braccio con la mano, sentendo il suo fisico scolpito, e quel contatto mi fece come ricordare chi fosse il ragazzo che stavo baciando.
Liam?
Serrai gli occhi e posi fine al bacio bruscamente, allontanandomi e spostandomi al limite del letto, certo di essere arrossito come un peperone.
Anche lui forse si rese conto di quello che aveva fatto, e avvampò a sua volta quando lo guardai con un’aria interrogativa.
Si alzò, mi guardò con un’espressione indecifrabile e poi uscì velocemente dalla mia stanza dopo aver preso il suo zaino.
Io rimasi seduto sul letto con lo sguardo fisso nel vuoto.
 
 
« Ciao amore, tutto bene? »
« Mmm »
Era quasi ora di cena, mia madre era appena tornata con la spesa e io ero sdraiato sul divano, con la televisione spenta e lo sguardo assente, senza avere la forza di fare nulla.
Null’altro che non fosse pensare.
Pensavo a quello che era successo appena due ore fa, senza capire bene come tutto fosse possibile.
Possibile che Liam fosse gay?
Non poteva esserlo, perché non si sarebbero mai potuti spiegare gli anni di persecuzione che mi avevano reso la vita un inferno.
No, non poteva esserlo assolutamente. Si era praticamente portato a letto tutte le ragazze della scuola!
Era il capitano della squadra di football. Era praticamente il classico spaccone che c’era in ogni scuola.
Ma allora perché mi aveva baciato?
Non riuscivo a darmi una spiegazione, soprattutto perché dopo quello che era successo era praticamente scappato, lasciandomi addosso una terribile sensazione di abbandono. Mi sentivo solo e svuotato, perché non avevo neanche avuto il tempo di illudermi, però era successo tutto troppo in fretta. E adesso mi chiedevo cosa sarebbe successo il giorno dopo a scuola…
Appena pensai alla scuola, però, mi venne in mente la risposta alle mie domande.
Era sicuramente uno scherzo. Aveva architettato tutto giusto per rendermi ancora di più la vita un inferno. Voleva scombussolarmi il cervello, non farmi capire niente, magari illudermi e spezzarmi il cuore e farsi quattro risate alle mie spalle con i suoi amici.
E ci stava riuscendo benissimo.
Quella sera andai a letto senza mangiare, pensando e ripensando a quello che era successo.
Ma la cosa peggiore era che speravo che sarebbe successo di nuovo.
 
Thought it was me and you baby
Me and you until the end, but I guess I was wrong

 
Il giorno successivo mi svegliai con un’ansia indescrivibile al pensiero di dover andare a scuola e affrontare Liam senza sapere come sarebbe andata.
Mi preparai così velocemente che arrivai a scuola con ben mezz’ora di anticipo, e così non avendo nulla da fare decisi di dare un’occhiata ai compiti che il giorno prima non avevo finito perché ero troppo impegnato a rimuginare su quel maledetto –o benedetto- bacio.
Peccato che quel tentativo di leggere qualcosa si rivelò un totale fallimento, dal momento che ogni volta che una macchina si fermava nel parcheggio, io alzavo lo sguardo speranzoso sperando che fosse Liam.
La campanella suonò, e così andai incontro alla mia lezione di matematica. Poi geografia, due ore di letteratura inglese e finalmente il pranzo.
Le ore che lo precedettero furono interminabili, perché morivo dalla voglia di vederlo, di scoprire qualcosa; tanto che appena la campana suonò l’ora del pranzo mi alzai in men che non si dica dalla sedia e corsi fuori dall’aula, diretto in mensa.
Non appena varcai la soglia della grande sala diedi un’occhiata in giro, e con delusione mi accorsi che non c’era. Ma non c’erano nemmeno i suoi compagni di squadra, quindi voleva dire che doveva ancora arrivare.
Mi sedetti ad un tavolo da solo, senza prendere nulla da mangiare, e osservai insistentemente la porta, come se volessi farlo materializzare lì solo grazie al mio sguardo.
Finalmente vidi un paio dei suoi compagni arrivare, seguiti poi dagli altri, e io inarcai il collo per cercare di vederlo, ma quando furono tutti dentro mi resi conto, con delusione, che non c’era.
Non era venuto a scuola?
Rimasi fermo al mio tavolo per tutta la durata del pranzo, sperando che prima o poi il moro sarebbe arrivato, ma così non fu, e questo peggiorò la mia delusione.
Una volta suonata la campana mi alzai e mi diressi a malincuore in palestra.
Uscii da scuola tre ore dopo e mi diressi direttamente a casa, con il cuore che somigliava sempre più ad un macigno nel mio petto.
Quel giorno di Liam non avevo visto neanche l’ombra, ma se fino al giorno prima questo per me sarebbe stato un sollievo, adesso era una sofferenza indescrivibile.
Il giorno dopo sperai di rivederlo, ma purtroppo si assentò anche quel giorno, e anche quello dopo, e orecchiando una conversazione dei suoi compagni venni a sapere che si era dato malato.
Non sapevo descrivere, in quel momento, la delusione e la voglia che avevo di rivederlo, e soprattutto il bisogno di avere delle risposte alle mie domande.
Ma purtroppo sembrava che dovessero rimanere domande insolute.

Don't want to think about it
Don't want to talk about it
I'm just so sick about it
Can't believe it's ending this way
Just so confused about it
Feeling the blues about it
I just can't do without ya
Tell me is this fair?
 

Quando ormai avevo perso le speranze di vederlo e mi ero quasi rassegnato, un giorno –il quinto, forse, dal pomeriggio che ci eravamo baciati- lo vidi finalmente scendere dalla sua auto.
La prima cosa che notai vedendolo fu che era solo. Era senza i suoi compagni e sembrava in qualche modo diverso. Era più magro –colpa della malattia?- e sembrava aver perso il suo atteggiamento spocchioso.
Attraversò il parcheggio per entrare, e io cercai in tutti i modi di attirare la sua attenzione, fissandolo, ma lui non scostò mai lo sguardo dalla direzione in cui camminava e, ignorandomi, entrò a scuola.
Sperai che non mi avesse visto, anche se era impossibile, data la mia posizione.
Mezzo felice perché finalmente l’avevo rivisto, mezzo deluso perché mi aveva totalmente ignorato, mi trascinai a scuola sperando di rivederlo per pranzo.
Mi ero dimenticato, però, che quel giorno avevo il corso di storia con lui, così mi sorpresi quando lo vidi entrare in classe, per dirigersi poi verso un altro posto.
Nonostante il professore gli chiese come stessero andando le ripetizioni, mi ignorò per tutto il tempo, così come aveva fatto all’ingresso, e capii che la cosa era voluta.
Appena suonò la campana corsi in bagno, non potendo sopportare più di stare lì dentro con lui.
Mi chiusi in bagno cercando di trattenere le lacrime, e per fermarle mi bagnai la faccia fermandomi davanti al lavandino.
Alzai la testa per guardarmi allo specchio e respirai a fondo, cercando di non badare a tutto quello che stava succedendo. Dovevo lasciar perdere tutto. Dovevo farcela.
Mi asciugai lentamente le mani e feci per uscire dal bagno, se non fosse stato che andai a sbattere contro qualcuno.
Quando alzai la testa per scusarmi vidi che era lui, e arrossii, mentre mi venne a mancare il fiato.
Lui mi guardò e poi mi superò come se non esistessi.
Io  rimasi immobile sulla porta, non riuscii a trattenere le lacrime e corsi via.
 
Don't want to think about it
Don't want to talk about it
I'm just so sick about it
Can't believe it's ending this way
Just so confused about it
Feeling the blues about it
I just can't do without ya
Tell me is this fair?

 
Tornai subito a casa, sapendo di non poter affrontare la fine di quella giornata scolastica in quelle condizioni.
Averlo rivisto a quella distanza, a quella stessa distanza dell’ultima volta, con la differenza che adesso mi aveva guardato ed era passato avanti ignorandomi, era stato ancora peggio di qualsiasi pugno che avrebbe mai potuto darmi. O che mi aveva dato.
Ero stato uno stupido. Ero stato un idiota a credere veramente di vivere una favola e non la cruda realtà.
Camminai velocemente verso casa, volendo solamente gettarmi a letto e non voler sapere più niente di nessuno.
Ripensai a quegli occhi, quello sguardo, quelle labbra morbide che mi avevano ingannato, il suo profumo ammaliatore.
Uno stronzo.
Ecco cos’era.
E io un’idiota.
Lui era uno stronzo con i fiocchi, perché sapeva benissimo che ignorarmi mi avrebbe fatto molto più male che vederlo ridere di me. Ma non potevo credere che anche lui potesse arrivare a tanto, a giocare con i sentimenti delle persone.
Mi aveva persino chiesto di suonare per lui.
Arrivai finalmente a casa e mi fiondai nella mia stanza, gettandomi sul letto completamente vestito; chiusi gli occhi e non volli pensare più a nulla.
 
Is this the way it's really going down?
Is this how we say goodbye?
Should've known better when you came around
That you were gonna make me cry
It's breaking my heart to watch you run around
'Cause I know that you're living a lie
That's okay baby 'cause in time you will find...

What goes around, goes around, goes around
Comes all the way back around

 
Mi svegliai due ore più tardi, all’improvviso, pieno di tristezza ma quantomeno avevo ripreso le forze.
La ragione del mio risveglio improvviso giunse subito dopo: qualcuno stava suonando ininterrottamente il campanello.
Uscii dalla mia stanza e scesi le scale, chiedendomi come mai mia madre non si fosse portata le chiavi quella mattina –quello era l’orario in cui tornava in genere dal lavoro- così aprii la porta senza controllare chi fosse.
In un attimo mi ritrovai avvolto tra due braccia a baciare qualcuno.
Mi separai con forza spingendo la persona che mi aveva letteralmente assalito… e vidi che era Liam.
Io non potei più sopportare tanto.
« Che cosa vuoi? » urlai, non riuscendo a trattenere le lacrime « Non sei ancora soddisfatto di quello che mi hai fatto? » chiesi ormai scoppiando in singhiozzi.
« Ti prego » fece lui, con un’espressione sconvolta in volto « fammi entrare… ti devo spiegare.. »
« E perché? » domandai « stamattina non mi sembravi molto intenzionato a spiegarmi, in questi fottuti giorni non ti sei curato affatto di farmi sapere che cazzo ti fosse passato per la testa, mi hai lasciato come un idiota a pensare a quello che era successo.. »
« E secondo te io non ci ho pensato? » urlò lui, chinandosi su di me. La sua reazione mi colpì così tanto che smisi di piangere, e lo guardai duramente negli occhi.
Lo feci entrare senza una parola, mi voltai e andai a sedermi sul divano.
Lui si chiuse la porta alle spalle, imbarazzato forse per avere urlato, e mi si sedette accanto, senza dire una parola.
Io rimasi in silenzio, non avendo nulla da dirgli. Doveva essere lui a parlare.
« Allora? » chiesi poi, dato che esitava a parlare.
« Hugo… quello che è successo l’altro giorno non doveva succedere. Io… » sembrava in difficoltà, ma io stavo già iniziando a incazzarmi per l’umiliazione che era sul punto di infliggermi con quelle parole, lui lo notò e si affrettò a ricominciare « io non mi pento di quello che ho fatto. Non volevo prenderti in giro. Non volevo farti stare male. Sono convinto ancora che non doveva succedere, ma… scegliere di farlo accadere è stata la decisione migliore della mia vita » disse guardandomi negli occhi.
« Non capisco » dissi duramente, in tutta sincerità.
«  Cazzo, Hugo, non è difficile » disse lui, alzandosi. « Io sono gay. Sono gay esattamente come te. E l’unico momento della mia vita in cui l’ho accettato è stato in camera tua, l’altro giorno, quando ho deciso di baciarti. Non chiedermi perché l’ho fatto, perché non lo so. O meglio… » sospirò.
« Ti sarai sempre chiesto il motivo delle mie frecciatine, delle mie offese, di tutte le mie persecuzioni nei tuoi confronti. Ecco, stai per saperlo.
Quando ho scoperto che sei gay ho provato due cose per te. La prima, ammirazione, perché eri riuscito ad ammetterlo a te stesso e ad accettarlo fino al punto da viverci quotidianamente, pur sopportando le offese e le reazioni degli altri. La seconda, invidia.
Invidia perché io ancora non riesco a darmi pace, non riesco ad accettarmi così come sono mentre tu l’hai sempre fatto. E renderti la vita un inferno era l’unico modo per… per sfogarmi per quanto mi sono sentito frustrato fino ad ora. Credi che sia facile dover portare avanti questa pantomima tutti i giorni? Dover sopportare sulle spalle il peso di una famiglia così perfetta che non si aspetta nient’altro che un figlio perfetto, una scuola che si aspetta un playboy che passa da una ragazza ad un’altra nel giro di un paio di giorni, una squadra che si aspetta un capitano che la porti sempre alla vittoria nonostante del football non me ne importi niente, e sia costretto ad andare avanti così praticamente da quando ho iniziato a camminare » sputò fuori come se si stesse liberando di veleno.
« Io… » ricominciò « sono il più grande schiavo delle apparenze, delle aspettative di questa società di merda che ci sia mai stato! E ogni giorno… non riuscire a essere me stesso, è morire ogni giorno! E vedere te, che andavi avanti con i tuoi sogni, con la musica, con la tua passione per il teatro, e vedere che io nel frattempo non riuscivo ad essere chi sono e nemmeno a impedirti di essere chi volevi…mi ha fatto impazzire!
Hugo, io ti torturo da anni ormai perché vorrei essere come te, ma non posso. Vorrei avere la tua forza, ma non ce l’ho. Ma l’altro giorno…quando ti ho chiesto di suonare…è stato perché volevo vederti veramente di nuovo » si fermò, riprese fiato e io stesso mi accorsi di aver accelerato i miei respiri, perché sentivo la foga che stava mettendo in quel discorso. Non avevo mai visto quella luce nei suoi occhi. « Non capisci perché ti ho sempre impedito di avere amici? Ero geloso. Non posso sopportare di vederti con altri ragazzi. E da quando hai smesso di vivere per quello che ami, io… » arrossì « Con il passare del tempo mi sono innamorato di te, maledetto Hugo Thompson, del tuo coraggio, della tua forza…e vederti privato di tutto ciò per colpa mia, mi uccideva. E rivederti l’altra sera finalmente vivo, finalmente te… ha distrutto tutte le mie barriere. Non ce l’ho fatta più.
In questi giorni se non sono venuto a scuola era perché non avevo il coraggio di affrontarti. Perché volevo stare con te ma non sapevo come fare. Perché ho paura, perché non voglio che si sappia che sono diverso. Se potessi scegliere, sceglierei di essere etero, ma è una scelta che ho già preso, è un tentativo che ho già fatto ed è fallito miseramente perché mi uccide ogni giorno. Adesso mi rimane solo l’altra scelta. E… rivederti oggi mi ha fatto capire che non posso farcela da solo. Che non posso ignorarti, e che non ho la forza di continuare a fingere.
Voglio provare a essere me stesso, Hugo. Voglio provare a stare con te. Devi… aiutarmi ad essere me stesso.
E solo tu puoi farlo, perché sono innamorato di te. »



Spazio dell'autore.
Ciao a tutti!
Wu-uuuh, che dire! I nostri piccioncini (insomma, non sappiamo neanche se lo saranno davvero, per ora xD) cominciano a parlarsi come non hanno mai parlato. In particolare conosciamo fino in fondo il personaggio di Liam, che adesso ci appare un po' problematico, e si spiegano tante cose.
E come la prenderà il nostro protagonista?
Non so se si capisce, comunque, che la canzone (che adoro tra l'altro, qsjwhuw) esprime il punto di vista di Hugo, sia prima che durante la dichiarazione di Liam, un bel po' confusa ma che a suo modo fila liscia agli occhi del nostro protagonista, nonostante quanto abbia sofferto in precedenza a causa sua.
Vi ho voluto lasciare un po' così con questo capitolo di transizione; è importante perchè ovviamente scopriamo finalmente la situazione di Liam, ma a parte questo non succede nulla, perchè non sappiamo neanche come Hugo accoglierà questa sua rivelazione.
Deciderà di aiutarlo oppure no?
E Andrew che ruolo avrà in tutto questo?
Ci sentiamo mercoledì prossimo! <3

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Capitolo 8
*** Piccola pausa! ***


Mi dispiace deludervi, ma devo essere sincero: l'ispirazione è un po' andata a farsi benedire ultimamente, causa anche fine dell'estate...ho troppe altre cose per la testa! xD
Mi dispiace veramente tanto perchè dovremo fermarci per un po', ma non preoccupatevi perchè tornerò ad aggiornare il prima possibile, e non appena lo farò, vi avviserò tutti :)
A presto <3

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