Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno

di musa07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sera - Yamamoto Takeshi ***
Capitolo 2: *** Mattina – Gokudera Hayato ***
Capitolo 3: *** Pomeriggio - Takeshi&Hayato ***



Capitolo 1
*** Sera - Yamamoto Takeshi ***


Ok, non voglio rovinarvi il climax quindi solo piccola nota tecnica per dirvi che i ragazzi sono in versione TYL. E Dino e Takeshi lovelove sono sempre più figherrimi. Noo! Dovevo stare seria, almeno ‘sta volta, uffi!
 
 
 

Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno”

 


 
Sera – Yamamoto Takeshi
 
 
Quei capelli dorati gli apparvero come un faro nella notte. Una notte buia e tempestosa.
Poco importava che sopra di loro le stelle brillassero in cielo. Quello che non brillava affatto in quella sera era il suo sorriso.
Takeshi neanche sapeva come e perché fosse arrivato fino a lì …  Sapeva solo che non poteva neanche lontanamente immaginarsi di restare in quella casa. La loro casa …
Dove rifugiarsi allora? 
Tsuna non c’era, si trovava in quel momento a chilometri di distanza. Da chi andare dunque a chiedere soccorso? Non avrebbe sopportato i silenzi di Hibari, non avrebbe sopporto - per contro – la confusione mitragliante alla quale l’avrebbe sottoposto Ryohei per tentare di tirarlo su di morale. E allora? E allora era corso dall’unica altra persona che sapeva avrebbe ascoltato sì in silenzio, ma che sarebbe anche stata in grado di fargli sentire meno il peso della schiacciante solitudine che gli stava massacrando il cuore.
Aveva sollevato gli occhi nocciola quando aveva sentito la porta aprirsi davanti a lui e il suo sguardo si era posato su quei fili aurei. Era così difficile far scendere lo sguardo fino agli occhi marroni dell’altro. Era difficile posare lo sguardo su qualsiasi paia d’occhi in quella sera perché non voleva assolutamente leggervi la pena o peggio: la pietà o la compassione. Ce n’era già tanta nei suoi.
Sospirò, abbassando mestamente il capo a terra.
- Non hai freddo? – la voce di Dino arrivò come un guanto, ad avvolgerlo, notando il suo abbigliamento leggero nonostante il vento frizzantino che si era abbattuto implacabile durante tutta la giornata. Si limitò a scuotere la testa, sempre tenendo lo sguardo fisso a terra almeno fino a quando quel silenzio non gli pesò. Perché gli ricordava altri silenzi … Silenzi di risposte non date e di domande non fatte. Silenzi di domande rimaste senza risposta molto semplicemente perché risposte non ce n’erano. Per l’ennesima volta si chiese se fosse stata la cosa giusta tacere quando invece sarebbe stato il momento di parlare o, per assurdo, tacere e imparare ad ascoltare di più, magari a leggere in quei silenzi. E dire che era convinto che ormai loro due, lui e Hayato, fossero in grado di comunicare semplicemente con lo sguardo. Ed è vero. Eccome se era vero. Lo era sempre stato fin da subito. Proprio per questo non c’era stato tanto bisogno di parole in quei giorni. Un’ora prima. Era bastato semplicemente fissarsi negli occhi per capire quello che nessuna delle due bocche aveva il coraggio di formulare. Per l’ennesima volta sentì una stilettata attraversargli l’anima, implacabile. Mai avrebbe pensato che l’animo umano fosse in grado di sopportare tanto dolore.
Takeshi alzò gli occhi, davanti a sé. Davanti alla vita che impetuosa continuava a scorrergli di fronte.
Domani mattina il sole sarebbe sorto lo stesso e sarebbe tramontato. Come faceva tutti i giorni. La vita sarebbe andata avanti, non avrebbe aspettato nessuno.
- Vieni dentro … - nuovamente la voce dell’altro sembrò arrivargli da una dimensione spazio-temporale che non gli apparteneva. Tutto gli stava arrivando ovattato. Ma non il dolore. Oh no: quello era cieco e sordo. Pungente e implacabile.
Dino, nel momento in cui si scostò dalla soglia per farlo entrare, si ritrovò a pensare che dalle poche parole che era riuscito a strappargli durante la breve telefonata che Takeshi gli aveva fatto poco prima, aveva capito dovesse essere successo qualcosa, ma non pensava qualcosa di così grave.
 
 
Il biondo lo ritrovò nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciato poco prima fuori in giardino quando era rientrato in casa per recuperargli qualcosa per coprirsi oltre alla camicia che indossava, dato che stava tremando dal freddo. Seduto a terra, ginocchia strette al petto, sguardo perso nel vuoto, muto … nel più completo e totale silenzio.
Takeshi sentì qualcosa posarsi delicatamente sulla testa tanto da coprirgli gli occhi.
- Grazie …. – sussurrò infilandosi la felpa grigia. La prima parola che le sue labbra avessero formulato da quando era entrato. Tirò su la zip della cerniera inspirando. Sapeva di buono. Sapeva di Dino. Sospirò anche nel momento in cui il padrone di casa gli porse una tazza fumante di the.
- Grazie … - biascicò di nuovo. Si sentiva come un animale braccato, ferito.
- Basta ringraziarmi. – ridacchiò il biondo cercando di destarlo dal suo torpore mentre gli si sedeva affianco. Portando le labbra alla tazza gli lanciò un’occhiata di sottecchi per poi riportare gli occhi marroni davanti a sé, a fissare l’enorme pino grigio che svettava in giardino.
Non l’avrebbe di certo forzato a parlare. Finchè Takeshi non si fosse sentito di dire qualcosa, lui non avrebbe fatto altro che aspettare.
- Tra me e Hayato è finita … -
Ecco: era riuscito a formulare quelle terribili parole. Ma fu Dino a muoversi a disagio dalla posizione seduta nella quale si trovava mentre sgranava gli occhi incredulo. Fu un duro colpo da incassare per il giovane boss italiano. Quei due, nell’immaginario collettivo di tutti loro, erano LA coppia. Indistruttibile. Inaffondabile. Incrollabile. Per questo dalla sua bocca non riuscivano ad uscire parole di senso compiuto. Spostò nuovamente lo sguardo sullo spadaccino che si stava torturando nervosamente le dita, quasi ancora incredulo a sua volta.
- Ma … ma com’è possibile? – riuscì a formulare alla fine Dino. Certo, non era una cosa sensata e nemmeno neanche tanto originale o incoraggiante da dire, ma veramente furono le uniche cose che gli uscirono e furono queste parole a destare l’altro dal suo torpore. Finalmente Takeshi spostò lo sguardo su di lui.
- Non … non andava molto bene ultimamente … - confessò per la prima volta a qualcuno facendo mancare di nuovo il fiato al biondo. E quanta sofferenza senza fine questi riuscì a vedere negli occhi dell’altro, accompagnata anche dal rimorso, da un senso di colpa latente pronto ad esplodere.
– Hayato era un po’ strano negli ultimi tempi. Stanco, nervoso, intrattabile ed io non capivo cosa fosse. Non capivo perché non me ne parlasse. Inizialmente pensavo fosse qualcosa di cui non mi poteva dir nulla, sai: cose che dovevano sapere solo lui e Tsuna …. – e qui si dovette fermare cercando quell’aria che si sentiva mancare da qualche ora a quella parte, portando lo sguardo lontano. Dino si limitò ad appoggiargli una mano sul braccio a fargli sentire che lui c’era. Che era al sicuro in quel momento. Takeshi gli fu grato di quel gesto riportando lo sguardo su di lui e di nuovo il biondo si sentì lacerare dentro. Com’era possibile che nessuno di loro si fosse accorto di nulla? Si chiese per l’ennesima volta. Ripercorreva con la memoria ogni singola volta in cui li aveva visti insieme ultimamente e non aveva percepito niente di strano.
- Dino tu hai idea di cosa voglia dire per me non essere stato in grado di capire i suoi turbamenti interiori? Di non essere stato in grado di leggergli dentro, di non capire il perché di tutto questo. Ma soprattutto … il fatto che lui non me ne abbia reso partecipe. –
E fu allora che una lacrima, una sola lacrima calda, sgorgò sul volto di Takeshi. La sentì pizzicare all’angolo dell’occhio sinistro incerta, indecisa … Quasi non se la aspettava Takeshi. Rimase per un attimo interdetto perché era consapevole del fatto che se le avesse permesso di uscire molte altre l’avrebbero seguita. La sentì scendere lungo la guancia per poi poggiarsi delicatamente sulle labbra prima di concludere la sua corsa sul mento. E l’unica cosa che poté fare Dino fu di render ancora più salda la presa stringendogli ulteriormente il braccio.
- Lui continuava a dirmi che non c’era niente, che andava tutto bene. L’ho pressato. Gli sono stato sotto. Ho taciuto quando mi ha detto che lo stavo stressando, che se ci fosse stato qualcosa me ne avrebbe sicuramente parlato. Fino a stasera … -
E qui di nuovo il Guardiano dovette fermarsi, asciugandosi velocemente gli occhi con il dorso della mano. Dino vide che le sue dita stavano tremando.
- Quando Hayato è rientrato in casa e … e come sempre ultimamente si è buttato sul divano salutandomi appena … io … io … gli ho detto che non potevamo continuare così … -
Ormai non tentò neanche più di asciugarsi le lacrime e la mano la usò per aggrapparsi a sua volta a quella dell’altro sempre posata sul suo braccio mentre continuava a fissare davanti a sé anche se, con lacrime agli occhi, non vedeva più nulla.
- Lui mi ha detto che se non mi andava più bene, che … - Takeshi fece una significativa pausa nella quale raccolse tutta la sua forza per realizzare quanto gli era stato detto. – Che quella era la porta … - concluse con un flebile mormorio mordicchiandosi il labbro inferiore.
- E tu cosa hai fatto? –
- Ho preso la porta e me ne sono andato. – ammise a disagio. Non andava molto fiero di quel gesto ma Dino non poté di certo dargli torto. Anche per uno buono e paziente come Takeshi c’era un limite umano di sopportazione.
Il biondo trasse un profondo inspiro prima di parlare ma l’altro lo precedette. Aveva bisogno di sfogarsi, di capire.
- E’ stata la prima volta Dino. E’ stata la prima volta che siamo stati così tanto senza parlarci. Ho come l’impressione che qualcosa si sia incrinato. -
- Takeshi, sai volte che io e Kyoya stiamo giorni senza parlarci? Anzi, ad essere più precisi: è Kyoya che non mi rivolge la parola per giorni e giorni e io non ne vengo mai a sapere il motivo. – ci tenne a precisare il biondo cercando di farlo sorridere e stemperare al contempo la tensione.
- Sai com’è Hayato, no? Non è uno che dice una cosa per poi ritrattare. – gli ricordò il Guardiano.
- Quello sei tu veramente. – si permise di correggerlo il giovane Cavallone sorridendogli dolcemente. – Gokudera-kun è “ l’ira funesta del pelide Achille” – citò ricordandogli come a volte – anche se meno che in passato in verità - Hayato parlasse in preda al nervosismo per poi pentirsi l’attimo immediatamente dopo di quanto detto.
- Dovreste parlarvi. – lo incoraggiò vedendo come l’altro continuasse a tacere.
- Mpf, non penso abbiamo più molto da dirci. – dissentì Takeshi piegando le labbra in un sorriso amaro. – Quello che dovevamo dire ce lo siamo detti. Io sono stanco Dino. Stanco e sfiduciato. Non so più cosa pensare, io so solo … – non riuscì a finir di parlare perché stava cercando di fermare i singhiozzi che gli stavano salendo prepotenti alla gola mentre si stringeva ancora di più le ginocchia al petto, in una posizione di difesa, di autococcola.
Il biondo lo osservò attentamente attendendo che il suo dolore esplodesse come un fiume in piena quando spezza gli argini. E quel momento non tardò ad arrivare.
-  … io so solo che lo amo ancora. Ma non potevamo andare avanti così perché non stavamo andando da nessuna parte. Era come essere ad uno stallo. Ad un bivio. Dovevamo saltare. Saltare insieme, come abbiamo sempre fatto. Ma uno dei due non ha afferrato la mano dell’altro, troppo chiusi e presi dai nostri silenzi e abbiamo lasciato andare le cose alla deriva … Ma io lo amo. -
E fu allora che gli argini si spezzarono.
- Lo so Takeshi, lo so. – gli sussurrò dolcemente Dino passandogli un braccio intorno alle spalle per stringerlo a sé e lasciarlo finalmente sfogare. Takeshi pianse anche lacrime che non credeva di possedere aggrappandosi alla maglia dell’altro che si limitò ad accarezzargli la schiena, cullandolo fino a quando non si fu calmato.
- Takeshi guardarmi: si sistemerà tutto, ok? Adesso avete solo bisogno di prendervi tempo e un attimo di respiro. – bisbigliò il biondo asciugandogli via con i pollici le lacrime dal volto. Lo spadaccino assentì con il capo, dubbioso in verità. Non era certo che Hayato volesse rimettere le cose in carreggiata. Per la prima volta in dieci anni, non era in grado di leggergli dentro.
- Posso fare qualcosa per te? – di nuovo la voce di Dino si riportò in una modulazione che dire dolce sarebbe stato usare un eufemismo.
- Posso restare qui stanotte? –
- Ma certo, ovvio! Questo era scontato. – replicò il padrone di casa sgranando gli occhi. -Qualcos’altro? – e lo invitò con gli occhi a parlare perché vedeva chiaramente che nello sguardo dell’altro c’era un altro desiderio inespresso.
- Posso, posso dormire con te? – spiattellò alla fine Takeshi massaggiandosi la nuca imbarazzato. – Scusami, so che ti sembrerà una richiesta infantile e non è una proposta oscena giuro, ho troppo rispetto di te e Hibari. È solo che … sono anni che non dormo in un letto da solo e morirei schiacciato dalla solitudine. In una nottata del genere poi … - farfugliò imbarazzato parlando ad una velocità supersonica così inusuale in lui, non avendo il coraggio di guardare in faccia il suo interlocutore che invece se la stava ridendo sotto i baffi. A Dino fece una tenerezza indescrivibile. Gli sembrava un cucciolo smarrito e indifeso. In tutti quegli anni che lo conosceva non l’aveva mai visto con un’espressione così confusa e smarrita e sentì un bisogno istintivo di proteggerlo.
- Ehi! – lo ammonì prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a fissarlo negli occhi. – Shh, non serve che ti giustifichi, non con me. Dormiamo insieme, ok? Sì? –
- Sì … - biascicò Takeshi riconoscente all’amico con lo sguardo ricolmo di gratitudine.
- Sì! – ribadì Dino con uno dei suoi sorrisi.
- Pensi che Hibari ci ucciderà per questo? – gli chiese tra il serio e il faceto.
- Molto probabile. – rise Dino che invece sapeva che Kyoya avrebbe capito benissimo. – Ma noi glielo spiegheremo parlando molto lentamente e scandendo bene le parole. –
Per la prima volta in quella serata, il volto di Takeshi si aprì in un sorriso.
 
- Dino, questa non è la tua stanza. – proferì incuriosito Takeshi dopo che si erano accomandati sotto le lenzuola e ora, mani incrociate sulla nuca, fissavano entrambi i disegni arzigolati che le ombre dei rami del pino in giardino disegnavano sul soffitto della camera.
- No. – biascicò il diretto interessato, sentendosi colto in fallo. – No, non è la mia stanza … Scusami Takeshi scusami, ma non riuscirei mai a condividere il mio letto con qualcuno che non sia Kyoya. Questa stanza è neutra per tutti e due, sia per me che per te. – si giustificò ridacchiando, sentendosi terribilmente in colpa perché non voleva mettere l’altro a disagio in nessuna maniera.
- Non ti devi scusare. – si affrettò a rassicurarlo il moretto sorridendo a sua volta. – Ti capisco perfettamente. – concluse in un soffio che mise sull’attenti l’altro che capì che bisognava correre ai ripari in fretta prima che l’amico ricadesse nel baratro della malinconia più cupa e disperata proprio adesso che si era un po’ calmato. Si girò di lato mettendosi disteso sul fianco fissandolo prima di uscirsene con un innocente: - Vuoi fare l’amore? – sussurrato appena.
- EH?! – quasi urlò Takeshi voltandosi a fissarlo scioccato mettendoci tuttavia una frazione di secondo per capire che l’altro lo stava bonariamente prendendo in giro e l’aveva fatto con il solo e unico intento di distrarlo e gliene fu silenziosamente grato anche se lo apostrofò con un divertito: - Scemo! – colpendo con il cuscino mentre si metteva seduto.
- Sì, dai Cavallone: spogliati! – stette allo scherzo. – Però stai tu sotto. – lo sfidò puntandogli l’indice sul petto in maniera fintamente minacciosa.
- Oh, questo sarebbe tutto da vedere. – replicò il biondo imperturbabile mentre sorrideva all’idea colpendolo a sua volta con il cuscino costringendolo a distendersi nuovamente.
- Dino, vero che si sistemerà tutto? – mormorò lo spadaccino l’attimo immediatamente dopo facendo calare nuovamente un pesante silenzio mentre lo fissava con uno sguardo speranzoso a cercare in lui quelle parole che voleva assolutamente sentirsi dire. Quella conferma che placasse la sua anima in pena.
- Ma certo. Certo che si sistemerà tutto. – gli promise, pregando in cuor suo che l’altro non avesse percepito l’attimo di esitazione che aveva avuto nella voce perché Dino non poteva assolutamente sapere cosa stesse balenando nella mente di Hayato in quegli attimi. A cosa stesse pensando in quegli stessi identici istanti e l’unica cosa che poté fare, fu posargli una carezza sulla guancia  invitandolo a dormire.
 
 
LA MATTINA DOPO
 
- La colazione viene servita in giardino, sotto il gazebo signore. – scherzò Dino seduto ai piedi del letto prima di alzarsi e uscire. Takeshi si lasciò sfuggire un piccolo sorriso prima di ricordare perché si trovasse in una casa non sua. In un letto non suo. Senza Hayato affianco … E allora il suo sorriso si offuscò mentre affondava il viso sul cuscino.
Avrebbe voluto dormire ancora un po’, almeno il sonno gli avrebbe impedito di pensare. Chiuse gli occhi ma era tutto inutile ormai, era sveglio.
“ Mio Dio!” pensò in preda allo sconforto più totale. “Cosa mi darà la forza per vivere questa giornata? Per vivere ogni santo giorno d’ora in poi.”
Non ebbe il coraggio di accendere il cellulare per timore non sapeva neanche lui di cosa. Temeva sia di vedere qualche messaggio da parte di Hayato, sia di non trovare nessun segno di mettersi in contatto con lui da parte sua. D’altra parte, neanche lui aveva fatto niente. Né un messaggio né una telefonata. Ma cosa avrebbe potuto, dovuto, fare? Il fatto di aver preso la porta ed essersene andato la sera prima non era già stato un gesto più che eloquente? E il fatto che Hayato non l’avesse seguito non era qualcosa di ancora più sintomatico? Si prese la testa tra le mani, nello sconforto più totale. Dentro di lui c’era il caos più profondo e atavico che gli impediva di capire quale fosse la cosa più sensata da fare.
- Forse era giusto che finisse così … - bisbigliò tra sé e sé.
“ No Takeshi, no!” ringhiò la sua anima in risposta. Certo era che le cose non potevano continuare come si erano trascinate negli ultimi tempi e se questo implicava essersi lasciati definitivamente … Un sospiro affranto gli uscì dalle labbra.
Si mise seduto, notando come Dino gli avesse lasciato sul comodino affianco un cambio di vestiti. Tanto la loro corporatura e statura erano pressoché identiche. Nuovamente, come la sera prima con la felpa, nel momento in cui indossò i capi fu travolto dal profumo dell’altro.
Arrotolandosi le maniche della polo uscì in giardino. E fu allora che lo vide …
 
 
Continua …
 


Clau: Com’è che mi è venuta da scrivere una cosa triste al limite dello angst (che devo ancora capire bene bene cosa sia^^,)? Mah… dopo tanta demenza mi è venuta fuori una cosa malinconica. Cioè, devo essere proprio posseduta. E perché mi sia venuta sui miei adorati Takeshi lovelove e Goku (uno più adorato dell’altro in realtà^//^)? Chissà … Se volete la faccio anche con la D18 eh!
Dino&Hibari: Ma anche no, grazie!
Clau: Hi hi hi. Comunque tranquilli: questa fic si dovrebbe risolvere in due capitoli, massimo tre. Comunicazione di servizio per chi segue anche l’altra mia long “ L’amicizia è amore senza le sue ali”: abbiate fede, non mi son dimenticata eh. Giurin-giurello che a breve mi metto sotto, che non mi piace lasciare le cose insolute. Tanto nella mia testa c’è già tutto il capitolo. Che poi non si capisca o si sappia se questo sia un bene o un male, questo è tutto un altro discorso ahahah. Arrivederci alla prossima e grazie per il sostegno che mi date sempre, davvero. Credo che non avrei neanche fatto la metà di quello che ho fatto se non avessi avuto il vostro prezioso supporto. Hum, mi sembra di essere Bilbo Baggins de “ Il Signore degli Anelli” con questa frase cacofonica^/////^. Detto questo, Vi abbraccio!!
 

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Capitolo 2
*** Mattina – Gokudera Hayato ***


Capitolo dedicato ai miei angeli del focolare. Grazie per aver letto, commentato, inserito tra le preferite, le ricordate o le seguite. Grazie, dal profondo del cuore. Mi rendete davvero tanto contenta, se si può dire^^
 
 
 
Mattina – Gokudera Hayato
 
 

- Tsuna? – bisbigliò Takeshi incredulo quasi avesse avuto un miraggio davanti a sé in quel momento.  – Tsuna! – ripeté felice l’attimo immediatamente successivo quando invece realizzò che il suo caro amico era proprio lì davanti a lui. Il Juudaime gli regalò uno dei suoi sorrisi buoni che lui ricambiò mentre gli correva incontro e lo abbracciava. Il piccoletto capì perfettamente in quale stato d’animo il Guardiano si trovasse dalla stretta con la quale si era ancorato a lui in quell’abbraccio.
- Sono rientrato non appena Dino-san mi ha avvisato. Appena l’assemblea si è sciolta son partito. Ho cercato di far prima possibile. –
Takeshi sgranò gli occhi lanciando uno sguardo al biondo che si trovava di fronte a loro, mormorandogli un silenzioso “ grazie” a fior di labbra.
Tsuna si lasciò stritolare in quella morsa e quando l’abbraccio finì portò lo sguardo verso il volto dell’amico. Sorrise istintivamente perché dopo tutti quegli anni doveva ancora sollevare di molto gli occhi per raggiungere quelli dell’altro.
Lo spadaccino sorrise a sua volta piegando la testa di lato, notando chiaramente nel volto dell’altro il fatto che avesse guidato per buona parte della notte senza dormire o darsi riposo. I capelli arruffati, lo sguardo dolcemente assonnato, le maniche della camicia arrotolate, i primi bottoni slacciati.
- Tsuna, mi piaci con questo look ricercatamente dandy. – si divertì a prenderlo bonariamente in giro Takeshi battendogli la nocca dell’indice sulla cravatta scompostamente allentata. – Dovresti adottarlo più spesso quando vai a convegni o Consigli d’Amministrazione. – concluse ridendo e facendo scoppiare a ridere anche gli altri due.
- Sì certo, come no? E poi chi lo sente Gokuder … Scusa. – si affrettò a chieder perdono il Juudaime maledicendosi dentro di lui per quell’imperdonabile gaffe. D’altra parte, nella sua testa, Takeshi e Hayato formavano un’entità inscindibile da tempo immemore.
Il Guardiano scosse la testa sorridendo tranquillamente, ad indicargli di non preoccuparsi, che andava tutto bene.
- Allora: raccontami un po’ cos’è successo. - s’informò Tsuna prendendo per mano l’ex giocatore di baseball e invitandolo a sedersi di fianco a lui mentre nuovamente gli sorrideva dolcemente, cercando di infondergli tutto l’affetto che provava nei suoi confronti.
 
 
 
 
- Oh Testa a Polpo, la colazione è pronta! –
E dire che Ryohei c’aveva anche pensato. Aveva pensato di entrar in salotto il più delicatamente possibile, senza fare una delle sue solite entrate tipo irruzione degna del FBI. Aveva anche cercato di tenere il tono di voce più basso possibile ma quello che ottenne fu, al solito, una delle sue entrate in scena a dir poco plateali. Ma tanto Hayato era già sveglio, o meglio: sarebbe stato più corretto dire che non si era mai neanche addormentato quella notte. La sua mente non aveva fatto altro che lavorare alacremente in maniera machiavellica, al suo solito.
- Ma che ore sono? – gli grugnì contro, grato comunque all’amico perché in quella scenetta così abituale in loro, Hayato poteva mantenere una parvenza di normalità. Illudersi che anche quella giornata si sarebbe svolta come tutte le altre.
- Le sei. – fu la risposta galvanizzata e per nulla scomposta dell’altro.
- Della mattina?! – replicò incredulo. – No, io mi rifiuto di alzarmi alle sei della mattina. – proferì tirandosi su la coperta e girandosi nell’altro lato del divano facendo scoppiare a ridere il pugile nella sua risata fragorosa.
- Fa come credi. Io vado a correre, se ti va di alzarti la colazione è di là in cucina. – gli disse uscendo dopo aver lanciato un’occhiata alla sua figura di spalle. Stava per andarsene, quando la voce dell’altro lo richiamò indietro.
- Testa a Prato? –
- Hm? – lo interrogò dubbioso voltandosi.
- Grazie. – disse semplicemente Hayato rimanendo tuttavia con lo sguardo fisso sul muro senza girarsi a guardarlo. Sorrise Ryohei, scuotendo la testa e rimanendo ancora un attimo a fissarlo quasi soppesando se fosse il caso di lasciarlo lì da solo o meno. Ma il boxeur lo conosceva talmente bene che sapeva che Gokudera non era tipo da gesti inconsulti. Anche la notte prima non aveva detto che due parole in croce, giusto per chiedergli ospitalità. Sapeva che non era uno che si piangeva addosso, che a parte con Takeshi nessuno di loro aveva visto mai tutta la sua vera natura, la sua natura fragile, quella umana. Tuttavia, la sera prima Ryohei poteva affermare con sicurezza di aver visto uno squarcio nella sua solita corazza d’integerrimità che mai aveva visto prima. Aveva visto quanto dolore e sofferenza potesse provare uno come Hayato, forse anche più degli altri proprio perché sotto-sotto, la sua era un’anima profondamente sensibile e delicata che solo Takeshi era in grado di preservare e proteggere. Il Guardiano del Sole sospirò affranto. Voleva fare qualcosa per l’amico – possibilmente evitando di far danni - ed era certo che mentre si faceva la sua sana corsetta mattutina, qualche geniale idea gli sarebbe sicuramente venuta in mente.
 
Hayato ovviamente non fu in grado di addormentarsi. Si mise seduto sul divano, poggiandosi la coperta in grembo. Ascoltò il silenzio della casa e il silenzio che, in quell’ora mattutina, gli arrivava anche dalla città. Scandagliò il suo stato d’animo, scandagliò la sua anima, cercando dove si fosse nascosto il dolore che l’aveva attanagliato senza tregua da ieri sera. Fece un rapido check-up dei suoi segni vitali e fu allora che la percepì. Quel senso di lacerazione si presentò implacabile davanti a lui. Deglutì a fatica, portandosi la testa tra le mani scostandosi i capelli da davanti agli occhi acquamarina. Pensò, incredulo, a che gamma di sensazioni avesse provato in quelle ore. A quando aveva cercato disperatamente di fare il vuoto e il silenzio dentro di lui. Inutilmente.
Quasi avesse assistito alla scena come se si fosse trattato di uno spettatore, rivide per l’ennesima volta nella sua testa l’immagine di Takeshi che, dopo averlo fissato incredulo, angosciato ma anche incredibilmente amareggiato, gli aveva voltato le spalle e se n’era andato. L’aveva visto recuperare le chiavi della macchina dallo svuota-tasche in entrata per poi invece lanciarle sul divano lì affianco. L’ultima carineria nei suoi confronti. Non voleva se ne andasse in giro a piedi di notte. Nonostante fosse il temuto e rispettato braccio destro del Decimo Boss Vongola, per Takeshi Hayato rimaneva sempre il suo Hayato. Il suo cucciolo da proteggere. Aveva visto la sua figura di spalle uscire - quella schiena ampia e forte alla quale lui si aggrappava da sempre, semplicemente adorando che il suo adorato fosse più alto di lui perché quando lo abbracciava si sentiva protetto, al sicuro – andarsene da lui. Aveva sussultato quando la porta in entrata si era chiusa sbattendo. E non aveva fatto nulla …
Si dice che le antilopi siano così sensibili che anche un solo rumore forte e improvviso sia in grado di paralizzare e farle morire. Ed era così che si era sentito Hayato in quel momento. Se non era corso in strada da Takeshi, non era stato per orgoglio, no. Molto semplicemente era rimasto paralizzato. Incredulo e attonito.
“ Ho … ho veramente detto io quelle cose?” si era chiesto basito, rivivendo solo in quel momento tutti gli episodi di quegli ultimi tempi. Era come se non gli avesse veramente vissuti fino a quell’istante. Troppo preso dal dopo e incurante del qui e ora. Era così preso da quel progetto, dalla sua buona riuscita, che aveva completamente trascurato la sua quotidianità. Proiettato nel futuro, aveva lasciato andare il presente alla deriva.
Anche in quel preciso istante, seduto sul divano di casa Sasagawa, sì sentì mozzare il fiato. Quante volte, negli ultimi tempi, Takeshi gli aveva detto, fatto capire che lo vedeva scostante? Quante volte? E lui l’aveva sempre ascoltato, aveva capito, ma era come se ci fosse qualcun altro in quel momento.
- Takeshi, ti senti trascurato? – gli aveva chiesto, seriamente preoccupato e l’altro gli aveva sorriso ma non con uno dei suoi soliti sorrisi raggianti. No! Era un sorriso triste, stanco mentre gli rispondeva un terrificante e lapidario: - Un pò. - E lui era così preso da sé che aveva pensato che sarebbe comunque andato tutto bene, che bastava che si comportasse con lui come aveva sempre fatto.
“ Son dieci anni che stiamo insieme. Ormai ci capiamo, non abbiamo bisogno di niente altro.” continuava a ripetersi e si era adagiato. Pericolosamente e stupidamente adagiato. Takeshi continuava a dargli tutto se stesso e anche di più, mentre lui … Mentre lui dava tutto per scontato. Era certo che per il suo innamorato fosse scontato sentire che lui lo amava. Una parte di lui sapeva perfettamente che non era così, che non era così che andavano le cose. Che un rapporto di coppia è come una pianta, che va continuamente vezzeggiata e coltivata. Non puoi lasciarla lì e limitarti semplicemente a darle acqua quando serve. Ma era come se questa parte di lui fosse in una sorta di limbo, mezza addormentata. Ogni tanto riemergeva e allora le cose andavano divinamente, com’erano sempre andate. Ogni tanto quella parte autentica si assopiva e allora era come se il vero Hayato non fosse presente nella vita reale ma avesse messo una sorta di pilota automatico. Da piccolo gli capitava spesso di vivere così, era una sorta di muta protettiva, di corazza difensiva, come se si fosse trovato in un bozzolo: guardava la vita andare avanti e lui si lasciava trascinare da questa, nel suo flusso. Ma mai, mai l’aveva fatto con Takeshi. Perché Takeshi era la sua linfa, era il suo sole ma alla fine si era lasciato trasportare, quasi che fosse solo lo spadaccino a dover tirar avanti la carretta.
E allora il loro rapporto si era tramutato in una sorta di staffetta, un circolo vizioso. Più Takeshi lo pressava, più lui si scostava non capendo cosa non andasse. Lui lo amava, punto. Non bastava?
- Evidentemente no … - mormorò sconsolato. Dalla tasca dei jeans prese il foglio che si era portato via da casa loro la sera precedente. Lo aprì fissando quelle poche righe. E dire che …
Si alzò con uno sbuffo recuperando dalla tasca posteriore il suo fido pacchetto di sigarette. Pensare che voleva smettere.
- Ho scelto proprio il momento giusto, non c’è che dire. – ironizzò amaramente mentre si spostava verso la terrazza dopo essersi accesso la sigaretta usando il fornello del gas tirandosi indietro i capelli e socchiudendo leggermente gli occhi.
Rabbrividì una volta fuori mentre osservava l’inesorabile levata del sole. Chissà cosa stava facendo Takeshi in quel momento, pensò mentre aspirava il primo tiro.
Non poteva di certo dargli torto se ieri sera se n’era andato dopo quell’uscita a dir poco infelice da parte sua. Quell’orrendo: “ Se non ti va più bene, quella è la porta” continuava a rimbombargli nelle orecchie. Al suo posto molto probabilmente, prima di andarsene, gli avrebbe tirato un destro micidiale che l’avrebbe lasciato boccheggiante. Ma Takeshi, il suo Takeshi una cosa del genere non l’avrebbe detta mai. Takeshi era quello che parlava, che diceva le cose, che ascoltava e capiva. Era lui il cretino che si chiudeva a riccio ma che al contempo voleva che fosse tutto perfetto. Solo che in quel momento sentiva solo freddo, tanto freddo. Fuori e dentro di lui.
- Io lo amo … - disse semplicemente rannicchiandosi sulle ginocchia.
Rivisse per l’ennesima volta, al rallentatore, la scena della sera precedente quando era rimasto solo in casa. Di colpo intorno a lui per un lungo istante c'erano stati solo immobilità e silenzio. Poi il dolore era esploso, come una detonazione e il dolore sordo aveva fatto ridestare la sua parte autentica.
Come in trance si era portato sull’uscio della loro camera da letto. Le lenzuola erano ancora sfatte, segno della loro unione di quella mattina. Ecco l’unico momento in cui Hayato c’era sempre, era sempre presente: quando facevano l’amore. Allora si lasciava possedere dal suo adorato e lo possedeva, in un’unione perfetta, vera, vissuta e senza tempo, dove non c’era né un prima né un dopo ma solo quel preciso istante. Allora Hayato c’era e poteva tranquillamente richiamare alla memoria ogni singolo particolare. Gli odori, gli sfioramenti, i sospiri, il respiro di Takeshi su di sé, quell’aggrapparsi a lui mentre continuava a sussurrargli nell’orecchio quel Ti amo quasi in maniera disperata, come a volergli dire: “Takeshi sono qua, non mi abbandonare”. Solo allora si rese conto di quanto egoista fosse stato. Lui chiedeva tanto a Takeshi. Chiedeva, chiedeva e ancora chiedeva. Tutto il suo amore, la sua presenza, il suo Essere, convinto di dar altrettanto in cambio e invece … Così preso dalle sue ambizioni lavorative alle quali si stava dedicando anima e corpo, egoisticamente e scioccamente pensava che “Tanto Takeshi c’è, lui resterà sempre al mio fianco. Mi capirà e sosterrà sempre.” E invece Takeshi aveva iniziato a dar segni di cedimento, comprensibilmente tra l’altro. Anche lui non era umanamente indistruttibile, aveva dei sentimenti che sì gli stava donando con tutto se stesso, ma questo non voleva dire che non soffrisse nel vederlo così scostante, così distante da lui.
Pensare che tutto quel casino fosse sorto solo per colpa sua, lo faceva morire dentro. E a ben poco serviva cercare di raccontarsela, dicendosi che lui non sapeva gestire i rapporti, perché il suo adorato amore gli aveva insegnato cosa fosse il calore di una famiglia. Gli aveva insegnato ad amare.
Ecco per cosa valeva la pena di lottare. Per quelle sensazioni che l’altro gli donava che non sarebbero mai morte, per il suo amore, il suo calore avvolgente. Senza scorciatoie. In quel momento sapeva solo che non voleva parlare di sé e Takeshi usando il tempo passato, pensando a quello che avrebbe potuto essere perché molto semplicemente sapeva che solo con il suo adorato poteva essere felice. Solo con lui … E l’aveva sempre saputo solo che … solo che l’aveva dato per scontato. Credeva di essere sempre vicino all’altro, di fargli sentire che lo amava, che per lui era importante. Che quando Takeshi ricercava un contatto, una carezza, un bacio, una coccola non bastava ricambiare in maniera frugale e frettolosa, pensando che “Tanto sa che lo amo”.
Imprecò battendo un pugno sul muro, in preda alla frustrazione più estrema. Lui sapeva quello che voleva e avrebbe mentito a se stesso se non avesse detto che era rimasto a dir poco scioccato e incredulo quando aveva visto l’altro voltargli le spalle la sera prima. Non poteva credere di averlo fatto esasperare fino a quel punto. Si ricordava di come alla fine fosse entrato nella loro camera sedendosi ai piedi del letto appropriandosi della maglia che Takeshi usava per dormire, stringendola a sé e inspirandone avidamente l’odore.
- Merda! - Imprecò nuovamente a quel ricordo. Non voleva fosse l’ultimo. Non voleva fosse quella l’ultima cosa che avrebbe conservato di Takeshi.
Si alzò in piedi iniziando a camminare in tondo. Era uno portato all’azione ma voleva evitare di far ulteriori danni. Non voleva più far star male il suo adorato amore. Ferirlo come aveva fatto in quegli ultimi tempi non con cattiveria, ma peggio: con la sua indifferenza nel dar tutto per scontato. Di colpo ritornò lucido. Valutò che quello che non poteva sapere in quel momento era quanto dolore avesse procurato all’altro, quanto avesse tirato la corda. Quanti danni irreparabili potesse aver fatto. Ignorando che anche Takeshi stesse formulando lo stesso identico pensiero, non aveva neanche il coraggio di accendere il cellulare, dandosi mentalmente del cretino, ma il non vedere nessuno messaggio, nessuna telefonata da parte dell’altro, era certo che gli avrebbe impedito di pensare correttamente e lucidamente.
Certo che era proprio vero che si dà valore ad una cosa solo quando la si perde. Aveva sempre odiato quelle frasi fatte, scontate. Ovvio che quando si perde qualcosa si capisce il valore che ha, aveva sempre pensato. “Stolti!” aveva pensato con aria di superiorità quando era qualcosa che non l’aveva toccato da vicino. “ Se è qualcosa di prezioso, come si fa a perderla?”
Ma si era beffato con le sue stesse mani. Hayato in quel momento rifletteva sul fatto incredibile di quanto facilmente si potesse finire nelle mani del destino.
Per fortuna sua e di Takeshi le mani del destino in quel caso, erano le mani dei loro cari e fidati amici.
 
 
Continua …
 
 
Clau: Non credevate fosse possibile vero? Dite la verità^^ Un aggiornamento così veloce. Neanche io, se devo essere sincera ahahah. Hum, che debba iniziare a preoccuparmi che ultimamente riesco a mettermi così bene nei panni di Goku e di quell’altro sociopatico?
Hibari: Hn!
Yamamoto: Ah Clau, fintantoché non ti metti nei panni di Mukuro va ancora bene.
Clau: Vero anche questo.
Ryohei: Certo c’è da dire che, calandoti nei panni della Testa a Polpo e di quello schizzato di Hibari, sei già sulla buona strada per arrivare a Mukuro.
Clau: Sento un brivido ghiacciato attraversarmi la schiena …
Mukuro: Kufufu …
Clau: Oh Signore, eccolo!
Mukuro: E’ per questo signorinella che ti ho già prenotato una stanza, cara la mia quasi nuova vicina di camera. Kufufu.
Hibari: -__________-
Gokudera: Ohi, voi: ma non doveva essere una fic seria questa?
Clau: Goku, come sarebbe a dire “questa”? Sono tutte serie le mie fic!
Ryohei: Ahahah^////^ Clau: fai sempre la spiritosa. Che ridere quando cerchi di far la persona seria.
Clau: -_________- Sono seria. Vabbè lasciamo perdere. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo …
Goku: Sia Lode e Gloria!
Clau: Ti ho sentito maledetto. Guarda che il capitolo risolutivo devo ancora scriverlo quindi non ti conviene fare tanto il galletto.
Ryohei: AHAHAH! Il galletto! Bella Clau: dammi il cinque!
Goku: Non si può mica continuare così …
Mukuro: Kufufu.
Hibari: Appunto!

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Capitolo 3
*** Pomeriggio - Takeshi&Hayato ***


Buondì^^ Siamo arrivati alla fine anche di questa ficcina piccina-picciò. Grazie mille per il solito affetto che avete dimostrato anche in questo caso nei confronti di una mia creaturina barra sclero^///^ Grazie mille. Spero che anche questo terzo e ultimo capitolo sia in grado di soddisfare le vostre aspettative.
 
 

Pomeriggio  -  Takeshi&Hayato
 



Se l’interlocutore non rispondeva esattamente dopo due squilli, Sasagawa Ryohei cominciava a dar segni d’irrequietezza iniziando a stritolare il cellulare in mano. Lo sapeva molto bene Tsuna che infatti, per il cognato aveva messo una suoneria a parte.
- Onii-chan? –
- Yo Sawada! - Al solito, la voce squillante del pugile fu in grado di perforargli un timpano. – Cosa stai facendo di bello? –
- Sono da Dino-san. - spiegò il Juudaime leggermente in imbarazzo alzandosi dal dondolo posto sotto il gazebo e spostandosi verso la siepe di gelsomino.
Per un attimo ci fu, incredibilmente, silenzio. Segno che Ryohei stava soppesando quelle parole.
- Ma tu non dovresti esser … - iniziò il boxeur perplesso ma venne interrotto immediatamente dal piccoletto.
- Ho ricevuto una sorta di may-day. È una storia un po’ lunga. – ridacchiò, sperando di trarsi d'impiccio, ignaro che in tutta quella commedia anche il cognato avesse la sua parte. Lo sentì emettere il suo solito grugnito a segnalare che aveva capito, prima che questi riprendesse a parlare.
- Hai idea di dove sia Yamamoto? È tutta la mattina che sto cercando di chiamarlo ma ha sempre il cellulare spento. –
A quel nome Tsuna si fece attento, girandosi di colpo a guardare i suoi due amici che continuavano a chiacchierare amabilmente. O meglio: il biondo cercava di distrarre il più possibile lo spadaccino dai suoi funesti pensieri.
- E’ qui da Dino-san … - rispose, cominciando a farsi un quadro della situazione sentendo come il suo interlocutore fosse per strada.
- Anche lui? Ma cos’è: una reunion? – replicò perplesso il Guardiano con uno sbuffo. – Beh: meglio così, mi hai evitato un problema. La Testa a Polpo è da me. – spiegò e nella mente del piccoletto tutto fu finalmente chiaro.
- Gokudera-kun è da te? –
- Hm. Tu hai capito esattamente cosa sia successo tra quei due? –
- Più o meno. – dovette ammettere Tsuna.
- Bene! Perché a me non è stato dato di capire più di tanto. Pazzesco! ‘Sto ingrato dopo avermi buttato giù dal letto all’una di notte, non si è neanche degnato di spiegarmi cosa fosse successo e ho dovuto cavargli informazioni strappandogliele dalla bocca. Non che ci abbia capito molto comunque, dato che mi rispondeva a monosillabi neanche fosse un concorso a quiz. – brontolò il pugile e Tsuna dovette mordersi il labbro per non scoppiare a ridere perché ben s’immaginava la faccia di Ryohei in quel momento. – In ogni caso, tu tieni Yamamoto là, a casa di Cavallone. Ci penso io a portare la Testa a Polpo. Credo che questi due abbiano bisogno di parlare. –
- Ehm, Onii-chan: come pensi di convincere Gokudera-kun a venire qua? – gli chiese fortemente dubbioso. Conosceva molto bene il suo amico e il suo ostinato orgoglio. Se Ryohei gli avesse detto che lo stava portando da Yamamoto, Hayato si sarebbe buttato sotto a un treno piuttosto che farsi aiutare. Il fatto poi che in tutta la mattina non avesse fatto niente per mettersi in contatto con lo spadaccino, stava chiaramente a significare che stava ancora meditando su quale fosse la cosa migliore da fare. Al solito, Gokudera stava pensando troppo. Cosa che gli faceva indubbiamente molto male.
- Oh, non ti preoccupare: sai che io so essere molto convincente. – rise il Guardiano e il Juudaime sentì un lungo brivido percorrergli la schiena. Il tono sicuro del cognato voleva dire una sola e unica cosa: che avrebbe beccato l’altro per sfinimento, che non sarebbe propriamente stato l’animo giusto per affrontare Yamamoto e chiarirsi.
Stava per chiudere la conversazione, quando la voce di Ryohei lo fermò.
- Oh Sawada? – urlò.
- Dimmi. – rispose lui spostando il telefono lontano dall’orecchio prima di perdere il senso dell’udito per sempre.
- Non dire niente a Yamamoto. Dobbiamo sfruttare il più possibile l’effetto sorpresa. –
- Perché? – stava chiedendo ma l’altro gli chiuse la telefonata.
 
Messo al corrente Dino del piano, se così si poteva definire, di Ryohei per far incontrare gli altri due, Tsuna non poté far altro che attendere e aver fiducia nel cognato. Che ovviamente non lo tradì.
Allo scampanellare insistente alla porta, dire che il biondo e il piccoletto saltarono dalle sedie dove erano seduti, sarebbe stato usare un eufemismo.
Il giovane boss italiano si precipitò ad aprire dopo essersi scambiato un’occhiata d’intesa con Tsuna. Ancora prima di raggiungere l’ingresso, il biondo poté udire la voce squillante di Ryohei e i rimbrotti ripetuti di Hayato.
- Si può sapere perché siamo qui dal Cavallo Pazzo dopo che mi hai trascinato fuori di casa dicendomi che ti serviva una mano a fare la spesa?! – gli stava chiedendo per chissà quale volta e il pugile si limitò a scoppiare nella sua risata fragorosa scatenando nel suo accompagnatore un ulteriore serie di insulti.
- Non ridere Testa a Prato! Rispondimi! -
Dino li accolse con uno dei suoi sorrisi migliori, sperando nella buona riuscita di quell’imboscata. Era certo comunque che il Guardiano del Sole, nel caso in cui Gokudera avesse cercato di darsi alla fuga, l’avrebbe placato.
Udì dietro di sé la voce ridente di Tsuna che stava spingendo per la schiena Takeshi verso l’ingresso continuando a ripetergli che c’era una sorpresa.
- Quale sorpresa? – chiese lo spadaccino divertito ma il sorriso gli morì sulle labbra quando vide il suo compagno in entrata. Il quale restò spiazzato a sua volta. Lanciò un’occhiata di fuoco a Ryohei, fautore di quell’imboscata per poi accorgersi sbalordito della presenza del Juudaime che lui pensava a chilometri di distanza.
“ Che retata!” pensò dentro di sé mentre notava come i tre si fossero posti dietro Yamamoto e li fissavano, quasi a volersi accertare che nessuno dei due tentasse di darsi alla macchia.
L’aria che si respirava era a dir poco palpabile. Erano tutti perfettamente consapevoli che in quei pochi istanti si sarebbe giocato il tutto. Takeshi emise un piccolo sospiro e Gokudera finalmente posò lo sguardo su di lui. Non era valido! Quando Hayato lo guardava con i suoi occhi verdi, alzando lo sguardo verso di lui socchiudendoli leggermente quasi fosse stato un gatto, Takeshi non era più in grado di capire nulla. Lo mandava in confusione totale.
Ok, era fatta! Pensò Tsuna traendo un grosso espiro mentre prendeva sottobraccio il suo fratellone putativo e l’onii-chan.
- Dino-san: ce lo prepari un caffè? – chiese sorridendo, giusto per allontanarsi da lì con una scusa più o meno plausibile mentre batteva una pacca d’incoraggiamento sulla schiena di entrambi.
- Ma certo, con vero piacere. – rispose il biondo che aveva compreso perfettamente le intenzioni del suo fratellino, ossia lasciar da soli gli altri due.
- Non bevo caffè. – fu invece la replica perplessa di Ryohei che non aveva capito un’emerita mazza.
- Te lo preparo lo stesso. – disse Dino recuperandolo per la collottola e trascinandolo via da lì.
Ora i due dovevano vedersela da soli.
 
I tre famigerati se ne uscirono in giardino silenziosi e pensierosi, sperando nella buona riuscita del loro folle quanto temerario piano. Erano seduti sull’erba fresca meditabondi, quando la voce del boxeur li riportò con i piedi per terra.
- Oh, c’è Hibari. – disse quasi tra sé e sé, sempre con il mento appoggiato sulla mano.
- Cosa?! – esclamarono all’unisono Dino e Tsuna balzando in piedi quasi avessero ricevuto la scossa.
- Ma quando ci siamo sentiti stamattina mi aveva detto che non sarebbe arrivato prima di tardo pomeriggio, dato che si era andato ad allenare. – proferì il biondo in panico mentre cercava di attirare la sua attenzione vedendo che il compagno stava cercando le chiavi di casa sua sotto la tegola rotta, dove gliele lasciava sempre.
- Oh, no! – mormorò il Juudaime altrettanto in apprensione. Se Kyoya fosse entrato in quel momento in casa e avesse interrotto Takeshi e Hayato, avrebbe potuto compromettere il climax che si era venuto a creare tra i due ragazzi.
- Kyoya … Kyoya … - iniziò a chiamarlo il giovane Cavallone a bassa voce e per sua fortuna, Hibari era dotato dei sensi acuti di un felino e percepì immediatamente il suo richiamo.
Rimase per un attimo interdetto e sgranò gli occhi a dir poco perplesso quando vide quei tre fargli gesti inconsulti invitando a non entrare in casa.
“ Ma che diavolo …” pensò posando gli occhi di ghiaccio sul suo compagno che lo invitava a raggiungerli in giardino.
“ Dovrei scavalcare la siepe?!” stava chiaramente a indicare la sua occhiata perplessa e i tre si limitarono ad annuire speranzosi beccandosi una delle solite occhiate inceneritrici dell’ex disciplinare che, con un grosso sbuffo, alla fine acconsentì.
- Si può sapere che diavolo succ … - aveva iniziato a chiedere ma venne immediatamente zittito da Dino che si portò l’indice alle labbra intimandogli il silenzio mentre Tsuna lo pregava di abbassar la voce.
- E tu cosa ci fai qua Sawada? – gli chiese bruscamente Hibari, sapendo che in quei giorni era impegnato ben distante da lì.
- E’ una lunga storia. – risposero all’unisono il biondino e il piccoletto.
- E quel demente lì, cosa sta facendo? – ci riprovò Kyoya incrociando le braccia al petto con un piccolo sospiro rassegnato vedendo come Ryohei stesse gattonando fino alla porta-finestra che portava in salotto.
- Sta controllando che sia tutto sotto controllo. – rispose Dino sapendo che non era una risposta molto sensata da dare. Non che tutta la situazione lo fosse in verità.
- Mi volete spiegare. – ripeté Kyoya spazientito e stavolta il suo tono stava chiaramente ad indicare che non avrebbe ammesso nessun tipo di replica.
- Takeshi e Gokudera stanno facendo pace. O almeno spero. – gli spiegò il biondo e da come vide socchiudere gli occhi al suo compagno, capì che non gli bastava come spiegazione. – C’è stata una piccola crisi, penso fossero sul punto di lasciarsi. –
Perfino uno come Hibari Kyoya, che solitamente non manifestava mai apertamente le sue emozioni di fronte a qualcuno che non fosse Dino, sgranò gli occhi sbalordito.
- Ma non è possibile. – mormorò sconcertato per poi riprendersi l’attimo immediatamente successivo, dando prova per l’ennesima volta di aver un modo del tutto particolare per cercar di stemperare le tensioni. – Basta che poi non comincino a far i gatti in calore sul tuo letto. – disse, rimarcando molto bene sul quel tuo che stava chiaramente ad indicare nostro.
- Ahehm Kyoya, a tal proposito devo dirti una cosa … - biascicò Dino massaggiandosi la nuca imbarazzato.
Per una terribile frazione di secondo, Tsuna temette che il biondo si fosse spinto fino a quello per consolare Yamamoto.
- Io e Takeshi abbiamo dormito insieme. Hum sì … nello stesso letto … - spiattellò deglutendo a fatica e il sospiro di sollievo che il Juudaime stava per tirare gli morì mestamente in gola quando realizzò quelle parole sentendo un brivido gelato corrergli lungo la spina dorsale mentre lanciava un’occhiata apprensiva al suo Guardiano della Nuvola che assottigliò gli occhi piegando leggermente la testa di lato. Perfino un fatalista come Ryohei sentì una goccia di sudore imperlargli la fronte.
- Ok, di che morte vuoi morire? – proferì tranquillamente Hibari senza distogliere lo sguardo dal volto del compagno che continuava a sorridere impietrito.
- Abbiamo dormito eh! E non in camera mia, ma nella stanza degli ospiti. – ci riprovò Dino imperterrito.
- Hum-hum, di che morte vuoi morire? – non si scalfì minimamente Kyoya.
- Ahh Hibari, Dino ha fatto la cosa giusta. In quei momenti solo una buona dose d’affetto è in grado di curare le ferite del cuore. – corse in suo soccorso il pugile, stritolando nella sua solita morsa assassina il ragazzo dallo sguardo di ghiaccio. – Anch’io ho tentato ripetutamente di abbracciare la Testa a Polpo per tentare di consolarlo, ma ogni volta che ci ho provato lui mi ha preso a testate e a male parole. Non capisco proprio perché … - confessò ancora dubbioso e meditabondo sul perché di quella reazione da parte del dinamitario.
- Ahehm … Onii-chan … - si permise di dissentire Tsuna che invece ben poteva comprendere il suo braccio destro. Cosa che capirono perfettamente anche gli altri due dall’occhiata eloquente che scambiarono.
- Immagino invece che tu non sia stato respinto da Yamamoto, no? – si divertì a punzecchiarlo Kyoya, rivolgendosi al suo compagno.
- E’ perché io sono dolce. – si limitò a rispondere semplicemente questi senza falsa modestia modulando il suo solito sorriso irresistibilmente sexy e al contempo disarmantemente dolce che fece deglutire pesantemente i due cognati che si trovarono a pensare all’unisono che le autorità non avrebbero dovuto permettere a Dino e al suo sorriso di andarsene in giro per il mondo senza un regolare porto d’armi. L’unica cosa che invece poté fare Hibari fu mordicchiarsi il labbro inferiore e fu la sola presenza di Tsuna e Ryohei che gli impedì di scaraventare a terra il suo compagno e abusare ripetutamente di lui.
Le labbra del Decimo Boss Vongola s’incurvarono in un tenero sorriso quando vide la dolce occhiata d’intesa che i due innamorati si scambiarono. Era certo che quando si trovavano loro due da soli, Hibari si lasciasse coccolare da Dino. Tanto anche. Con un piccolo sospiro, voltò lo sguardo verso la casa a sperare che anche lì le cose si stessero sistemando.
 
 
Takeshi e Hayato sedevano sotto il porticato nella porzione di giardino dall’altra parte dell’abitazione. Fissavano entrambi davanti a sé, senza il coraggio di lanciare neanche un’occhiata al loro compagno. Mille emozioni li stavano attanagliando. Paura di dire, nuovamente, la cosa sbagliata. Timore di tacere. Timore di parlare.
Gokudera continuava ad aprire la bocca per proferir qualcosa ma poi non gli riusciva di emettere nessun suono e allora si limitava ad un piccolo sospiro sofferto. Il suo adorato era così vicino a lui, com’era sempre stato in quegli anni, da sempre … E lui non aveva neanche il coraggio di sfiorarlo, di allungare una mano verso di lui e si limitò a posare uno sguardo alle sue di mani, solitarie come non lo erano più state da quando il suo idiota del baseball era entrato nella sua vita. Lanciò un’occhiata furtiva a Takeshi e lo vide con lo sguardo perso a fissare il vuoto, il mento appoggiato alle ginocchia strette al petto.
- Scusami per quello che ti ho detto ieri sera … - riuscì alla fine a spezzare il silenzio voltandosi timidamente a guardarlo.
- Scusami per le domande che non ti ho fatto e per quelle che invece ti ho fatto troppo spesso. – replicò Takeshi abbassando lo sguardo a terra, affranto.
Un nuovo sospiro sofferto da parte di entrambi. Non era mai stato difficile comunicare tra loro ma in quel momento si sentivano come se stessero camminando su una lastra di ghiaccio pericolosamente sottile.
Hayato appoggiò la mano a terra, al suo fianco, in un chiaro segnale. Takeshi socchiuse gli occhi appoggiandovi sopra la sua per poi stringerla, comunicando in quel gesto tutto quello che poteva trasmettere e finalmente riuscirono a guardarsi negli occhi. Il Guardiano della Tempesta prese il volto dell’altro tra le mani, appoggiando la fronte su quella dell’altro.
- Perdonami! Takeshi, scusami. È stata tutta colpa mia. Io … io ti amo. – proferì tutto d’un fiato, quasi che finalmente – con il contatto ritrovato tra loro– gli fosse stato permesso di respirare nuovamente.
- No Hayato, no: in queste cose la colpa è sempre da dividere a metà. Avrei semplicemente dovuto fidarmi di te, come ho sempre fatto. Invece ho temuto che ti stessi stancando e non mi amassi più, che stessi con me solo per abitudine. – fu la replica dello spadaccino. A quelle parole Hayato si sentì trafiggere il cuore da una stilettata e fu di nuovo gettato in apnea.
- Oddio! Hai pensato veramente una cosa del genere? – gli chiese angosciato. A quanto era arrivato! Si maledì profondamente dentro di sé mentre lo stringeva forte a lui, sciogliendosi tra le braccia del suo adorato compagno inspirando il profumo della sua pelle bollente così ben conosciuta. 
- Hai pensato veramente una cosa del genere? – gli domandò nuovamente prendendogli il volto tra le mani e scrutandone negli occhi lo stato d’animo. Il moretto incurvò le labbra in un piccolo sorriso impacciato e proferì un flebile-flebile che lo fece morire dentro di lui.
- Scusami. Mio Dio, a cosa sono arrivato … - bisbigliò Hayato angosciato, portandosi una mano davanti agli occhi mentre cercava di riprendere le file del discorso. – Ma non sentivi che ti amavo, come sempre? Più di prima? –
- Hayato, io non sapevo più cosa pensare. Tu non mi dicevi più niente. Ti limitavi a dirmi che era tutto apposto ma io ultimamente ti vedevo così scostante, nervoso, con la testa altrove … Quasi stessi pensando quale fosse la maniera migliore per lasciarmi o sperando che le cose si spegnessero naturalmente, che andassero alla deriva … - spiegò mordicchiandosi nervosamente il labbro e non perdendo nemmeno per un istante il contatto visivo con gli occhi verdi dell’altro.
- Oddio! – mormorò Gokudera, passandosi una mano tra i capelli. Quanto lo doveva aver fatto star male!  - No Takeshi, no. Io non voglio assolutamente che finisca. Se ultimamente mi vedevi con la testa altrove era perché … - iniziò a parlare ma poi preferì tacere e passare all’azione. Recuperò dalla tasca dei pantaloni il foglio che si portava dietro dalla sera prima e lo porse all’altro che lo guardò senza capire.
- Leggi. – lo invitò con un cenno del capo portando poi lo sguardo davanti a sé.
Takeshi aprì delicatamente il foglio.
- E’ una proposta per un contratto di locazione. – disse semplicemente dopo aver letto le poche righe senza ancora capire bene, mentre lo fissava di sottecchi attendendo. Hayato si limitò a buttare fuori l’aria. Era sempre molto nervoso quando si trattava di fare le cose per gli altri. Di far qualcosa di bello per il suo adorato amore perché temeva sempre di poterlo deludere.
- E’ una proposta per un contratto d’affitto per quell’appartamento vicino al parco che ti piaceva tanto. – spiegò in maniera brusca per tentare di mascherare l’imbarazzo continuando a fissare davanti a sé ma vedendo chiaramente come gli occhi nocciola dell’altro si sgranarono meravigliati.
Un giorno di qualche settimana prima di ritorno da casa di Tsuna, erano passati davanti ad un’agenzia immobiliare e Takeshi era rimasto a dir poco incantato a guardare le foto di quella casa esposte in vetrina e ritornando nella loro abitazione non aveva fatto altro che fantasticare insieme a lui sulla loro convivenza in quella nuova location.
- Pensa Hayato: dal settimo piano si può vedere sicuramente anche l’Oceano. Che meraviglia. – gli aveva detto trasognato e lui aveva fatto finta di ascoltarlo con il suo solito fastidio malcelato e invece il giorno successivo si era recato immediatamente in agenzia a raccoglier informazioni. Quando l’impiegata l’aveva accompagnato a visitar l’appartamento, la prima cosa della quale si era assicurato era che dalla terrazza si vedesse effettivamente la placida distesa d’acqua. E così era stato. Il Guardiano aveva permesso alle sue labbra di piegarsi in un sorriso, pensando a quanto felice sarebbe stato il suo adorato. In fin dei conti quando si ama qualcuno è questo che si desidera: che sia felice. Che si possa essere felici insieme.
Non era stato facile per lui tener la cosa nascosta a Takeshi, d’altra parte non c’erano mai stati segreti tra loro. Avrebbe voluto precipitarsi a casa loro e dargli la notizia, ma si era imposto di trattenersi fintantoché non fosse stata una cosa certa e sicura e quindi, cosa aveva fatto? Si era chiuso a riccio ancora di più, attendendo ogni giorno con ansia e trepidante attesa che dall’agenzia gli comunicassero notizie in merito al fatto se la sua proposta d’affitto era stata accettata o meno ma non essendo uno paziente, aveva iniziato a dar segni d’irrequietezza e nervosismo che l’altro aveva interpretato in maniera erronea.
“Porca merda!” imprecò Gokudera dentro di sé. Tra il suo carattere di merda, tra i suoi vaneggi mentali, tra il suo effettivo e reale averlo trascurato, aveva rischiato di mandare tutto al diavolo.
- Hayato! – la voce di nuovo gioiosa e felice di Takeshi lo risvegliò da queste meditazioni poco allegre prima di trovarsi stritolato nell’abbraccio dell’altro.
- Grazie … grazie … grazie … - continuava a sussurrarli all’orecchio procurandogli brividi in tutto il corpo. – Perdonami se ho dubitato del tuo amore. –
- Takeshi, scusami tu. Ero così preso da me stesso che ti ho dato per scontato. Ho dato il nostro amore per scontato. Ti prometto che farò in modo che non accadrà più e … - ma fu interrotto dalle labbra dell’altro che si posarono sulle sue, dapprima leggere per poi reclamare molto di più. “Questa è la realtà reale.” Si trovò a pensare il ragazzo dagli occhi verdi. “ Hayato: lo stai facendo di nuovo! Stai cercando di razionalizzare le tue emozioni, di assoggettarle dentro ad una definizione quando invece dovresti limitarti semplicemente a viverle. Come Takeshi ti ha insegnato.” E allora fece tacere la mente e visse le sole emozioni, le sole sensazioni che il suo compagno gli stava regalando e quando il bacio finì, Hayato s’innamorò per l’ennesima volta del sorriso del suo adorato amore.
- Mi ha fatto strano dormir da solo questa notte … - gli confessò timidamente. Yamamoto tossicchiò nervosamente.
- Ahm Hayato, io ho dormito qui da Dino stanotte … - biascicò grattandosi la punta del naso.
- Sì anch’io sono andato a chieder ospitalità a quel casinaro della Testa a Prato. Non avrei sopportato di star in quella casa senza di te. – replicò lui tranquillamente.
- Hum, è che io … ho dormito con Dino. – confessò con un grosso espiro, temendo la reazione dell’altro che non tardò ad arrivare infatti.
- Quel maledetto pervertito del Cavallo Pazzo! – s’inalberò Hayato con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
- Ahh no, Hayato: Dino è stato di una dolcezza indescrivibile. – tentò di tranquillizzarlo lo spadaccino non sortendo l’effetto sperato, anzi!
- Non ho dubbi! – fu la replica secca del dinamitario che incrociò le braccia al petto con un broncio a dir poco adorabile che fece scoppiare a ridere di cuore il moretto.
- Che hai da ridere stupido fissato del baseball?! – grugnì l’altro.
- Niente, niente. È questo l’Hayato che conosco. – spiegò con un sorriso dolcissimo mentre lo attirava nuovamente a sé e gli posava un leggero bacio tra i capelli facendolo arrossire irreparabilmente.
 
 
- Sta ridendo … - bisbigliò Dino con un sorriso di sollievo mentre tendeva le orecchie, imitato da Ryohei e Tsuna che annuirono felici e contenti come due bambini la mattina di Natale.
- Siete tre impiccioni. Nonché tre voyeuristi. – li ammonì serio Hibari incrociando le braccia al petto comunque lieto per gli altri due.
- Che cosa ha detto la Testa a Polpo? – chiese poi il pugile, facendogli segno di tacere.
- Non ho capito perché Kyoya stava parlando. – replicò Dino, stuzzicando apposta il suo compagno che infatti lo incenerì con lo sguardo.
Quello che Hayato aveva sussurrato a Takeshi era stata molto semplicemente la sua promessa d’amore eterno.
 
 
FINE
 


Clau: Ecco fatto. Davvero non riesco a credere di aver scritto una fic di tre capitoli nel giro di una settimana. Ok che non erano i miei soliti papiri^^,
G. : Ti ho scovato finalmente!
Clau: Oh, ciao G. Mi cercavi perché finalmente mi hai portato il trench di Alaude che mi piace tanto tanto?
G. : No, ti ho cercato per prenderti a mazzate giù per la testa.
Clau: ^_^, Ooopss
G. : Hai idea da quanto tempo stiamo attendendo l’aggiornamento della nostra fic?!
Clau: Sì, hai ragione. Scusa scusa T_T Psss: c’è nessuno che mi puoi aiutare e proteggere da questo pazzo scatenato?
Mukuro: Kufufu
Clau: T_T Dalla padella alla brace.
G. : Allora?!
Clau: Sì sì, adesso mi metto subito a scrivere giurin-giurello. Oh Alaude, sei venuto in mio soccorso?
Alaude: No!
Clau: A portarmi il tuo bellissimo trench allora? Che tra l’altro deve proprio essere da sangue da naso immaginarsi la scena di quando te lo sbottoni. Maronn! Da scriverci una fic intera solo su questa visione vaneggiante. Ehm, sì … dicevamo: qual buon vento ti porta da queste parti?
Alaude: Mi ha detto di venire qui quell’altro schizzato del Decimo Guardiano della Nuvola a veder cosa stavate combinando voi tre.
G. : Uno schizzato che parla di un altro schizzato definendolo schizzato. Che paradosso assurdo!
Alaude: Tzè. Ha parlato quello normale.
Clau: Hum …
Mukuro: Kufufu

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