Cuori Masticati

di hiromi_chan
(/viewuser.php?uid=73329)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il duello del drago ***
Capitolo 2: *** Cuore di mago, cuore di uomo ***
Capitolo 3: *** L'ombra da afferrare ***
Capitolo 4: *** Riflesso ***
Capitolo 5: *** Sul palmo di una mano ***
Capitolo 6: *** Come fanno gli esseri umani ***
Capitolo 7: *** Per te ***
Capitolo 8: *** L'essenziale è invisibile agli occhi ***
Capitolo 9: *** Da altri punti di vista ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Si arrischia di piangere un poco, se ci si è lasciati addomesticare ***
Capitolo 12: *** Cuore di strega ***
Capitolo 13: *** Questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima (+ Extra) ***
Capitolo 14: *** Di padre in figlio (prima parte) ***
Capitolo 15: *** Di padre in figlio (seconda parte) ***
Capitolo 16: *** Preludio ***



Capitolo 1
*** Il duello del drago ***



Cuori Masticati

 

 

 

“Se so che cos'è l'amore, è per merito tuo.

Te ho potuto amare, te solo fra gli uomini.

Tu non puoi misurare ciò che significhi.

Significa la sorgente in un deserto, l'albero fiorito in un terreno selvaggio.

A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito,

che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia.”

(Narciso e Boccadoro, Herman Hesse)

 

 



Capitolo 1: Il Duello del Drago

 

 

 

È solo che... è solo che qualche volta vorrei...

 

Una testa scattò di lato, capelli scuri leggermente mossi dal movimento nel vento. Tutti i sensi si rizzarono. Lo sguardo saltò lontano: campo di grano duro, campo di edera fresca, altro grano, coltivazioni di erbe per sortilegi, casa di un fattore, rifugio degli eremiti alchimisti e, alla fine della vallata, casa sua, e sua madre che si affacciava alla finestra rotonda sventolando un lenzuolo candido.

Niente di strano.

 

È solo che... è solo che io...

 

Gli odori erano gli stessi di qualche secondo prima, gli stessi che si erano potuti sentire durante quel mese, sicuramente per tutta quella stessa stagione, per non dire in tutte le estati che avesse mai vissuto. Era così che andavano le cose – l'aveva saputo dall'inizio che andavano così e che forse avrebbero continuato ad andare così fino alla fine del mondo.

Ancora, nulla di nuovo o di anomalo.

 

È solo che qualche volta... vorrei...

 

La mano passò tra le spighe cotte dal sole, le accarezzò piano. Davvero non sembrava esserci niente di diverso dal solito (tutto come al solito, sempre e solo come al solito), la terra taceva.

Però qualcuno parlava. Una voce stava parlando.

 

È solo che qualche volta... vorrei... solo ogni tanto... non sempre...

 

Occhi blu nel cielo azzurro. Orecchie tese ma, di nuovo, la natura non rispondeva alla sua domanda. Le fronde lontane tacevano. Gli uccelli migratori lo ignoravano. Merlin si voltò indietro – nel movimento gli girò un po' la testa e incespicò sui suoi piedi.

 

È solo che qualche volta, solo ogni tanto, non sempre... vorrei non essere così.

 

“Hai detto qualcosa? Will? Hai parlato tu?” gridò Merlin all'amico che camminava avanti a lui di qualche metro.

“Non ho detto niente! Perché?” disse Will, facendosi strada a fatica tra l'erba alta del campo.

“No, è che mi era sembrato...”

Lo sguardo attento di Merlin vagò ancora intorno a lui; la sua curiosità era stata smossa e non si sarebbe acquietata tanto facilmente. Dopotutto, quella era la prima volta che non riusciva a individuare da dove provenisse una voce nella natura. Era chiaro che qualcuno, qualcosa, aveva parlato, ma Will non aveva aperto bocca. E la flora e la fauna si erano messe apparentemente in combutta per coprire chiunque fosse stato a lasciarsi scappare quelle parole sussurrate nella brezza. Un bisbiglio pacato, rassegnato. Una richiesta d'aiuto, forse?

“Insomma, mi chiami e poi ti nascondi?” disse piano Merlin. “Non puoi fare tanto l'insistente e poi decidere di non mostrarti.”

Chiunque fosse stato il proprietario della voce, oh, doveva avere un bel caratterino, Merlin se lo sentiva. Ma nemmeno lui scherzava: adesso che aveva trovato la sua novità, non l'avrebbe lasciata andare tanto facilmente. “Mi hai chiamato tu, quindi so che tornerai a cercarmi,” sorrise soddisfatto alle nuvolette bianche che puntellavano il cielo. “E se non lo farai tu, prima o poi troverò io il modo di imbattermi di nuovo in te.”

“Ehi, Merlin!” vociò Will, richiamando la sua attenzione. “Non è tua madre quella che sbraita qualcosa laggiù?”

Merlin guardò dove l'altro aveva indicato. Come prima, a occhio nudo non vedeva nulla, quindi il suo sguardo, per riflesso naturale, diventò ambrato. La sua vista corse e corse e corse in avanti per metri in mezzo ai campi di grano, d'edera, sorpassando la casa del fattore e il rifugio degli alchimisti, fino a che non incontrò la figurina di una donna che muoveva le braccia sventolando il lenzuolo per farsi notare.

“Mamma!” urlò Merlin, saltellando e facendo a sua volta enormi cerchi con le mani nell'aria.

Will lo guardò divertito. Anche i suoi occhi, ovviamente, rimasero ancora per qualche secondo splendenti del colore dorato della magia. “Che pagliaccio che sei! A volte mi chiedo se davvero non tieni presente che tua madre non possa vederti a quella distanza, se non te lo ricordi sul serio oppure se ci fai apposta.”

Come se fosse mai possibile dimenticare che la propria madre, in un mondo di stregoni, appartenesse alla cerchia dei pochi che non potevano usare la magia. No, ovviamente Merlin non lo scordava mai, neanche per un attimo. Ma si era sempre comportato come se in realtà non fosse stato così, come se Hunith fosse stata perfettamente alla pari di qualunque altra strega. Perché infatti lo era e anzi, date tutte le sue qualità di splendida donna e madre, era di certo superiore a molti altri. Di sicuro era una delle persone più meravigliose e meritevoli che Merlin avesse mai conosciuto.

Poi... non gli piaceva affatto quando qualcuno si prendeva il diritto di sminuire o giudicare chi gli era diverso. Di sentirsi superiore tanto da poter estraniare qualcun altro.

Dato che l'ultima cosa che Merlin desiderava era vedere sua madre in qualche modo ostracizzata dalla comunità magica, era lui stesso il primo a non trattarla come se non ne facesse parte. Gli era proprio impossibile digerire l'idea che la sua mamma potesse cadere in balia di un qualcosa dal quale nemmeno Merlin avrebbe saputo proteggerla: lei sentiva il sentimento. Lei provava il sentimento vero. Merlin invece no, e da questi pericoli non avrebbe mai potuto tenerla al sicuro.

Nessuno stregone avrebbe mai potuto immaginare cosa significasse trovarsi nella condizione di Hunith, nessuno.

Merlin ci aveva sempre pensato, però, e nel corso degli anni era diventata un'abitudine radicata in lui il trattarla come fosse stata una strega; come se i suoi occhi avessero saputo guardare lontano, quando invece lei non sapeva farlo poiché sentiva.

Non avrebbe saputo come spiegare bene queste sue ragioni a Will, semplicemente per il fatto che ogni tanto nemmeno lui sapeva spiegarle bene a se stesso. Quindi si limitò ad ammiccare, il sopracciglio alzato con aria significativa e il sorrisetto furbo di repertorio. “Ohi! Non ho considerato la cosa solo per un attimo. Stare con la testa tra le nuvole non ha mai ucciso nessuno,” gli disse. Mentendo un po'. Ma solo un po'.

“Alla lunga ucciderà me e Hunith!” sbuffò Will. “A proposito, che le hai combinato stavolta?”

“Non ne ho la minima idea!” Merlin rise, appoggiando la mano sulla spalla dell'amico. Da lì prese lo slancio e lo superò di corsa. “Andiamo a sentire cosa vuole! E chi arriva ultimo... non lo so, chi arriva ultimo fa qualcosa per penitenza!”

“Ma quanti anni hai, Merliiiiin?” si sgolò Will, anche lui subito in azione per tenergli testa.

A casa di Merlin ci arrivarono qualche minuto dopo, senza fiato per le risate e la corsa. Hunith stava venendo loro incontro trafelata, le guance arrossate. “Tesoro,” annaspò quando raggiunse Merlin, aggrappandoglisi ai gomiti.

Lui la sostenne senza smorzare il sorriso. “Mamma? Giuro che non ho fatto niente!”

“No, no! Merlin!” La donna si sistemò il fazzoletto che le raccoglieva i capelli attorno alla testa, si schiarì la voce e tirò fuori dalla tasca del grembiule una pergamena un po' spiegazzata. Da quella pendevano sigilli in ceralacca colorati di verde e rosso. “Proclama reale. Arrivato poco fa direttamente dalla residenza della Regina del Lago – ci sono i sigilli, vedi. Per te,” annunciò con solennità.

“Per me?” Merlin si sentì per un attimo frastornato. Perché mai un proclama reale dovesse essere diretto proprio a lui non lo sapeva; perché mai fosse stato siglato dalla Regina, di quello ne sapeva ancora meno.

Rapidamente ripercorse con la memoria le cose che aveva fatto negli ultimi giorni; eppure era sicuro di non aver combinato alcun danno! Arrivare perfino a dubitare di se stesso non era incoraggiante, certo, ma che ci poteva fare? In genere era uno stregone in gamba. Ogni tanto gli capitava di commettere qualche errorino, ma solo perché i suoi stessi incantesimi lo sorprendevano per l'intensità che emanavano, scappandogli poi dalle mani in modo buffo e imprevedibile.

Insomma, era successo di rado e Merlin non se n'era mai preoccupato veramente. Doveva essere perché era nel pieno della giovinezza e non aveva mai amato, e il suo cuore non era intaccato, quindi la sua magia era al massimo grado di intensità. Almeno così avevano detto un paio dei sacerdoti più anziani dell'Antica Religione.

Ma adesso, un avviso reale? Forse il pescivendolo era andato a lamentarsi direttamente coi sovrani perché Merlin il mese prima gli aveva accidentalmente fatto esplodere la bancarella al mercato... eppure si era scusato così tanto.

“Insomma, vuoi legge questa lettera?” sbottò Will, una vena tra l'esasperato e il preoccupato nel tono.

Merlin prese la pergamena dalle mani della madre (mani nodose che avevano lavorato molto), la aprì per bene e una calligrafia arricciata e puntinata comparve sotto i suoi occhi, come se uno scrivano invisibile la stesse tracciando in quel momento. Lesse ad alta voce di volta in volta le sillabe che apparivano. Ad ogni parola completa che pronunciava sentiva uno strano tuffo al cuore, e una sensazione inaspettata, una vertigine sconosciuta ma non spiacevole, lo trascinava via. “La vostra sovrana, la Regina del Lago, ordina che vi rechiate alla Caverna dei Mille Giorni non appena avrete ricevuto questo avviso formale. Un nuovo Duello del Drago si terrà dopo molti anni. Il Grande Drago ha espressamente richiesto la presenza di due contendenti: lo stregone Merlin di Ealdor e la strega Morgana delle Terre Desolate. Loro e solo loro dovranno presentarsi alla Caverna. Se diserteranno, non dovranno risponderne ad altri se non direttamente al Grande Drago.” Alla fine pronunciò le ultime parole fiocamente, la voce consumata come un lumino che non aveva quasi più nulla da bruciare.

“Dio mio, Merlin!” Hunith si coprì la bocca, restando senza fiato.

“Questa è roba grossa!” esplose Will, dando una pacca sulla schiena a Merlin. “Ovviamente la regina se ne lava le mani! Pure laggiù sotto il lago nel loro castello di cristallo immacolato devono avere una paura matta di quel vecchio sputa fuoco! Allora, Merlin, ti toccherà andare subito alla caverna, credo?”

Merlin alzò un sopracciglio alla volta degli altri due presenti. La regina che si metteva come intermediaria per consegnare un invito ad entrare nella caverna proibita, giaciglio dell'ultimo drago rimasto ancora in vita? Un duello del drago e lui, proprio lui era stato scelto tra tanti come contendente. Strana storia. Storia curiosa e... affascinante.

A nessuno sarebbe mai piaciuta l'idea di trattare con un drago, soprattutto con uno rinchiuso per decenni in una caverna a contare i giorni rimasti che gli scivolavano via come le squame dalle sue ali – probabilmente era un drago piuttosto arrabbiato.

Eppure, proprio perché era una cosa che non sarebbe capitata forse mai più, la prospettiva si faceva maggiormente attraente. Le dita di Merlin tremarono un po' sulla carta. Non era uno a cui piaceva seguire a testa bassa gli ordini che gli venivano imposti. Tuttavia, sotto uno spesso strato di imprudenza sorprendente e cocciuta, il suo spirito di auto-preservazione era sempre ben presente.

La ruga che oscurava la fronte di Will e la morsa che aveva chiuso l'una nell'altra le mani ruvide e belle di sua madre gli facevano pensare che la situazione fosse abbastanza seria per prendere in considerazione l'idea di non fare bravate.

Ma quello spirito di auto-preservazione era nascosto da strati e strati e strati di curiosità genuina. E, più che l'autorità che gli stava imponendo di far visita a un signor gran drago, era pressante la voglia di sapere perché. Merlin buttò fuori la tensione con un qualcosa a metà tra un sospiro e un sorrisetto. Si leccò le labbra, ammiccando a Hunith per risollevarla dalla preoccupazione. “Allora, cosa... cosa si porta a un padrone di casa che vive letteralmente in una caverna, mamma?”

“Merlin...”

“Andrà tutto bene, non mi mangerà mica! Sono troppo magro, in caso avrebbero scelto una vittima sacrificale più in carne come Will.”

L'amico sbuffò una risatina incrociando le braccia. Hunith si portò una mano alla fronte come per aiutare la testa a sorreggere un peso fin troppo gravoso, mentre Merlin prendeva a trotterellare toccando cose a casaccio, in preda a un'euforia sbadata. “Be', pare che mi aspetti una bella avventura!” disse, e suonò fintamente distratto anche a se stesso. Articolò subito dopo un muto “non ti preoccupare” diretto a Hunith.

La donna gli rivolse quel suo sguardo particolare da mamma, quello carico di un miscuglio esplosivo di tristezza e dolcezza e di una qualche altra cosa che Merlin non poteva ben definire. “Come se mi fosse possibile non preoccuparmi per te,” soffiò, talmente piano che il ragazzo vide solo muoversi la sua bocca senza udire alcun suono.

 

 

 

ʘ

 

 

 

Così, Merlin si mise subito in cammino, diretto alla Caverna dei Mille Giorni. Poiché questa si trovava oltre il bosco che separava la zona centrale del Regno dalle Terre Desolate, gli ci vollero diverse ore per arrivare (ad ogni ora il suo corpo vibrava di più per l'emozione, come non succedeva Merlin non sapeva dire da quanto).

Proprio per la sua posizione liminare, il luogo era stato scelto come giaciglio per ospitare l'ultimo drago; se non fosse bastata l'ubicazione stessa a scoraggiare i curiosi non autorizzati a una gitarella di piacere, ci avrebbe pensato la conformazione del posto a far scappare via i più coraggiosi. Non che ci fosse qualcosa di particolarmente spaventoso in quella valletta d'edera semi-circondata dall'abbraccio roccioso di un piccolo rilievo. La caverna, però, era un luogo proibito; la stessa valletta era apparentemente deserta e sembrava che persino gli animali preferissero stare alla larga da quella conca di terra.

C'era qualcosa, nell'atmosfera tutta intorno: un filtro, un velo che ti si posava direttamente sopra gli occhi e scoloriva i toni del paesaggio, in modo che ogni cosa sembrasse vagamente immersa in una tela di seppia opaca.

Nel bel mezzo di un silenzio innaturale, il primo soggetto che si parava davanti agli occhi di un visitatore era la caverna. Non sembrava più di una scavatura nel panorama naturale. Eppure, Merlin sentiva provenire da lì certe vibrazioni che gli imprimevano nella testa strane immagini, come se in realtà tutto quel luogo non fosse stato altro che un graffio enorme in un quadro, opera di una divinità dotata di artigli giganteschi.

In quel momento, Merlin non era l'unico ad ammirare quel tempio singolare: Morgana la strega era già lì. Se ne stava ritta davanti all'ingresso della caverna, ed era... spigolosa. Non sarebbe stato quello il primo aggettivo che la maggior parte delle persone avrebbe usato per descriverla, ma Merlin sapeva quello che diceva: la conosceva. Erano più o meno coetanei, avevano frequentato insieme la scuola di magia e anche se Morgana alla fine dei corsi era andata a vivere lontano da Ealdor, ai confini del regno, gli era successo a volte di incontrarla per le vie della capitale durante le giornate di grande festa.

Forse qualcosa aveva spinto Morgana verso uno splendido e altezzoso isolamento nelle Terre Desolate, ma doveva esserci una vena narcisista nel suo carattere che non le impediva di fare mostra di sé di tanto in tanto al grande pubblico. I dettagli più vistosi del suo aspetto rimanevano per sempre marchiati a fuoco nella memoria di chi la incontrava anche solo per una volta. Non c'era nessuno in tutto il mondo della magia che non avesse presenti le sue labbra sempre rosse e quell'ipnotizzante gorgo di grossi ricci scuri contro la pelle diafana.

Tuttavia, a Merlin non sfuggiva che oltre la sua immagine definita ci fosse qualcosa in lei di veramente inafferrabile. Vuoi che fosse lo sguardo difficile da catturare, o magari la sensazione che un vulcanico universo ribollisse dentro la sua ammaliante persona. Merlin non sapeva che cosa glielo facesse pensare, solo, poteva sentirlo. C'era una sorta di connessione tra loro, un canale di comunicazione a doppio filo. Così come lui intuiva che Morgana fosse in grado di nascondere alla maggior parte degli altri gli aspetti più profondi del suo animo, la strega era perfettamente consapevole che quel filtro di auto protezione fosse poco utile con Merlin.

Lo stregone a volte si era chiesto se anche lei riuscisse a sentire quel qualcosa – un'ispirazione, un pensiero che volava nell'atmosfera e che li rendeva, in un certo senso, somiglianti e legati l'uno all'altra.

Forse era proprio ciò che in quel momento Morgana stava pensando, mentre valutava Merlin da sotto il cappuccio verde che le copriva quasi tutto il piccolo viso. Ma il mento di Morgana era puntato in alto e la sua espressione assolutamente spigolosa (davvero, non si poteva dire altrimenti).

“Finalmente l'altro invitato ha fatto la sua apparizione,” disse piano, il tono vibrante e basso. “Merlin... ti stavo aspettando.”

“Io – scusami per l'attesa,” buttò lì lui, “ho fatto più in fretta che potevo. Ma è stata una sorpresa, vero? Voglio dire, chi avrebbe mai immaginato sarebbe potuta succedere una cosa del genere proprio a noi? Poi, non sapevo se fosse il caso di portare un pensierino al nostro cavernoso ospite,” scherzò. “Tu...”

“Vuoi dirmi che non avevi sentito nulla?” tagliò corto Morgana. Le sue parole tese sferzarono l'aria intorno a loro. “Non avevi notato proprio nulla di strano in giro che ti facesse venire qualche sospetto?” continuò, formulando la domanda in modo che risultasse solo vagamente interessata. Non si trattava di una ragazza cattiva, no. Morgana era solo maleducata in modo aggraziato. E terribilmente piena di sé.

Merlin tentennò su una gamba. Certo che una cosa strana l'aveva notata: la voce smorzata che l'aveva messo in allarme prima, in mezzo ai campi. Ma quanto di tutto ciò era saggio rivelare a Morgana? Oh, davvero, non era una cattiva ragazza; però stavolta c'era un drago di mezzo, e i draghi erano imprevedibili e a volte sapevano essere manipolatori, e Morgana... be', aveva delle inquietanti affinità con i draghi.

“Ah, be', non saprei... non mi pare di aver notato nulla. Non mi ricordo, eh, eh! Ma dove avrò la testa...”

“Gli anni passano ma tu resti una costante,” sogghignò lei. “In fondo non mi stupisce molto, ma pensavo che almeno avrebbero chiamato due persone dello stesso livello.” Ora era chiaramente più rilassata.

Merlin era sicuro che anche la strega avesse udito qualche voce misteriosa, altrimenti non gli avrebbe posto proprio quella domanda, ma omettere una piccola parte di verità era stato sufficiente perché Morgana si sentisse un gradino superiore a lui. Riponeva a tal punto fiducia nelle sue capacità oppure era fin troppo predisposta a sottovalutare quelle di Merlin?

“Basta tergiversare, vogliamo entrare?” disse lei sbrigativa, voltandosi di botto verso la caverna che distava pochi passi da loro.

“Ai suoi ordini,” le fece strada lo stregone, inchinandosi esageratamente. “Oh...” Il sorriso gli morì un po' sulle labbra quando si accorse che l'entrata era sbarrata da un enorme masso di pietra dura. Eppure era certo di non averlo visto, prima... sicuramente si trattava di una magia di camuffamento.

Per un attimo, Merlin si chiese come avrebbero potuto fare per oltrepassarla. Sarebbe stato inutile tentare di farsi strada con incantesimi distruttivi: a occhio, doveva trattarsi di un incantesimo superiore lanciato forse da qualche sacerdote dell'Antica Religione.

Un formicolio di attesa elettrizzante gli salì fino alla testa e l'istinto gli suggerì di poggiare una mano sulla roccia. Morgana fece lo stesso.

Delicatamente, lui saggiò la superficie e la interrogò col pensiero. “Siamo venuti qui su richiesta del grande drago. Come possiamo fare per entrare?” Allora Merlin percepì delle vibrazioni sotto le dita, onde che pian piano si dipanavano armoniosamente da quel centro verso le pareti esterne, toccando il legno degli alberi adiacenti, spingendosi sempre più lontano. Come quando si tirava un sassolino in un lago e si formavano tanti cerchi sull'acqua, loro erano proprio nel mezzo, le orbite magiche che gli sbocciavano tutt'intorno.

La roccia che chiudeva l'ingresso oscillò, avanzando a poco a poco verso Merlin e Morgana. I due fecero qualche passo indietro mentre quella rotolava di lato, producendo un rumore ferruginoso da marchingegno antico.

“Facile... bastava solo chiedere permesso,” disse Merlin a Morgana, puntando le mani sui fianchi.

Lei roteò gli occhi al cielo, le labbra rosse piegate in una smorfietta fascinosa.

Nel giro di una manciata di secondi l'ingresso fu libero. Tuttavia non si vedeva assolutamente nulla di cosa ci fosse all'interno dell'antro; un buio troppo fitto e quasi palpabile, sicuramente opera di un incantesimo, bloccava la visuale di Merlin. “Prima le signore,” disse a Morgana.

“Dopo di te, insisto,” fece lei, indicandogli la strada col braccio.

“Allora...” Merlin si morse le labbra aride, gli occhi che si facevano più vispi e attenti, i sensi messi in allerta. Tre passi e l'oscurità lo inghiottì.

Immergersi lì dentro fu un tuffo in qualche cosa di pungente e appiccicaticcio e estraneo e forse un po'... malevolo. Lo stregone non fece in tempo ad andare oltre che sentì una massa indefinita rotolargli tra i piedi. Inciampò trattenendo il respiro, un assurdo senso di vuoto gli chiuse la gola per una frazione di secondo. “Ah! Tutto bene, tutto bene,” disse poi a voce alta, tirandosi su mentre lisciava i pantaloni spiegazzati. “Uh, ci è mancato poco.”

“Su che cosa hai inciampato?” chiese Morgana, pratica.

Merlin si abbassò di nuovo, tastando il pavimento dissestato. “Su... due comodi bastoni, a quanto pare?” e riemerse con due oggetti legnosi dalla forma allungata tra le mani.

“Due torce, immagino.”

“Oh! Ci stanno dando il benvenuto,” realizzò Merlin. Poi allungò il braccio alla sua destra per passare una delle due torce a Morgana.

“Prima magari dovresti accenderle. Io sono dall'altra parte, comunque,” disse lei, un ombra di divertimento nella voce.

Merlin fece una risata secca e subito i suoi occhi brillarono di magia. Due fiamme si alzarono dalle punte dei bastoni, stagliando nell'oscurità ovali di luce fioca. Davanti a loro si apriva una lunga galleria di cui non era possibile individuare la fine. Non c'era altro da ammirare se non qualche pietra sparuta e oscura che spuntava dalle pareti rocciose.

Morgana gli sfilò un bastone dalle mani e senza dire altro si incamminò, il mantello verde mangiato per una metà dal buio e per l'altra dal chiarore del fuoco. Merlin la seguì; stavano attraversando una notte priva di luna con nient'altro che una candelina in mano. L'aria era salmastra e si imprimeva sulla pelle in modo invasivo, dando l'idea che ci avrebbe lasciato a vita il suo marchio umido sopra. L'unico rumore che si sentiva era il tonfo sordo dei loro stivali che battevano sul suolo, intervallato dai loro respiri regolari. Merlin inspirava, Morgana espirava e il battito accelerava un po'.

“Riesco a sentirti sorridere,” ruppe il silenzio la ragazza. “Tutto questo ti diverte così tanto?”

Merlin guardò il mantello di lei che gli ondeggiava davanti, pensando. In realtà sì, quasi si stava divertendo. Perché si trattava di qualcosa di sconosciuto, di eccitante, qualcosa di nuovo e chissà che sarebbe potuto succedere tra qualche secondo, chissà dove li avrebbero portati i loro piedi, chissà che cosa avrebbero trovato ad attenderli a dieci, venti, trenta, mille passi da lì?

Il fatto era che a Merlin piaceva tutto ciò che andava al di là delle sue conoscenze. Si sentiva inesorabilmente attratto verso qualunque scappatoia improvvisa gli si parasse davanti.

Ultimamente si era sentito così diverso... Tutto quello che aveva intorno lo conosceva già: le abitazioni, le persone, gli uccelli migratori, i papaveri che spuntavano come grosse gocce rosse ai lati dei campi secchi, tutto. Non c'era niente che non conoscesse, nessuna forma che non sapesse rievocare a memoria nella sua mente quando chiudeva gli occhi, nessun nuovo incantesimo da imparare dai libri.

Ma allora per quale motivo tutto ciò che gli era così familiare lo faceva sentire così... estraneo? Merlin aveva iniziato a pensare che forse era lui ad essere diverso. L'aveva percepito bene le ultime volte che un qualche incantesimo gli era scappato dalle mani, quando era rimasto colpito dalla sua incontentabilità e non era riuscito a trattenerlo.

Poi la bancarella del pescivendolo del mercato era andata distrutta, lui si era scusato ed era tornato a testa bassa a casa e si era rifugiato sotto le coperte e... per uno straniante momento, quella non gli era sembrata più casa sua. Il letto era sempre stato così corto? Le pareti sempre così strette intorno a lui?

Non gli piaceva sentirsi diverso. Così com'era per sua madre, la stessa cosa valeva per lui. Non gli piaceva l'idea che una persona potesse improvvisamente sentirsi scardinata dalla sua stessa vita e per qualche motivo ne venisse esclusa. Non gli stava bene, no.

“Merlin?”

La voce di Morgana lo distolse dai suoi pensieri. Doveva essere rimasto qualche minuto di troppo in silenzio. “Io... dicevamo? Sì. Sì, trovo tutto questo abbastanza divertente.”

“No, Merlin, ti stavo dicendo un'altra cosa. Non lo senti questo strano odore?”

Solo dopo essersi concentrato, il ragazzo si accorse di avere le narici piene di una penetrante puzza di zolfo. A meno che la caverna non nascondesse un cuore sulfureo, quella doveva essere l'inconfondibile traccia della presenza di un drago. A mano a mano che avanzavano, l'odore si faceva sempre più pressante e, di conseguenza, il signore della grotta più vicino. Il vago pensiero di un arrosto a base di spiedini di stregoni iniziò a sfiorare la mente di Merlin.

“Che c'è, stai sudando freddo?” lo provocò Morgana, puntandogli addosso la luce della torcia con una veemenza che lo fece sobbalzare.

“No... anche tu sei piuttosto magra. Si tratterebbe di un pasto troppo asciutto per sfamare un drago.”

Morgana ghignò. “Ci siamo quasi. L'aspetto delle pareti sta cambiando, e anche la terra sotto i nostri piedi.”

Merlin cercò di mettere meglio a fuoco ciò che aveva intorno; in effetti, la pendenza del terreno si stava tuffando sempre più vertiginosamente verso il basso, e sassi scuri in rilievo si infittivano sulla roccia. Puntando la fiamma in su, vide che grappoli di pietre misteriose stavano appese sopra i loro nasi come pipistrelli addormentati. Fu proprio per fissare quelli che non sia accorse della forma scoscesa in cui improvvisamente sprofondava la strada. Quando si sentì mancare una base sotto i piedi, Merlin perse l'equilibrio e rotolò via per qualche metro come un sacco di patate. La torcia gli scappò dalle mani spegnendosi, e il ragazzo si ritrovò steso di schiena in un mare di oscurità. Rimase immobile per qualche istante, sentendosi un idiota, mentre la sua testa galleggiava in un piccolo dolore sordo.

Poi, una zaffata calda e umida, improvvisa, spiacevolissima. Il viso di Merlin fu istantaneamente madido di sudore. In un secondo solo sgranò gli occhi cercando di vedere con la magia, ma, constatata l'inutilità della cosa, recuperò la torcia fortuitamente finita all'altezza delle sue caviglie e schizzò in piedi. Ondate di un fumo caloroso continuavano a bagnarlo a intervalli regolari mentre il suo respiro si mescolava in quello che, ne era certo, era il fiato del Grande Drago.

Merlin sussurrò l'incantesimo, le sue parole un crepitio in un falò quasi esaurito. La fiammella sulla torcia si riaccese e il cranio gigantesco del drago apparve davanti alla sua faccia. Ragazzo e drago rimasero bloccati come due statue per un lungo momento che parve privare Merlin di ossigeno, di qualunque tipo di cognizione di tempo o di spazio. Gli occhi gialli e ferini della creatura gli rimandavano l'immagine delle sue pupille, e fu forse un po' sorpreso di trovarle dilatate da un qualcosa che era più simile allo scoramento che alla paura.

Il fiato Merlin lo stava trattenendo lo stesso, insieme a una smorfia di aspettativa che stava lì lì per piegargli le sopracciglia e la bocca. Il rimbombo leggero di passi affrettati gli suggerirono l'arrivo di Morgana. Lui percepì distintamente la sua presenza entrare nel quadro, dilatando i bordi di quel frammento di singolarità che aveva appena condiviso con il drago.

Questi, adocchiata la strega, allontanò il muso dalla traiettoria di Merlin e si distese verso l'alto in modo maestoso, tanto che la luce delle loro fiammelle risultò troppo fioca per illuminarlo tutto.

Era come una figura esageratamente grossa che usciva da una cornice rotonda. Ma la cornice si allargò senza alcun preavviso quando il drago soffiò due lame di fuoco sulle loro torce. Le fiamme divamparono di magia, il ragazzo sobbalzò e l'intera caverna risplendette sotto l'influsso dell'opera dell'animale.

Merlin si lasciò scappare un “oh” per la sorpresa – la gola in cui veniva inghiottita la caverna era molto più grande e alta di quanto non si fosse aspettato.

Le squame dell'essere millenario rimandavano riflessi di fiamme, però la cosa più inaspettata era che le pietre oscure che avevano visto finora si stavano solo in quel momento rivelando per quello che erano: diamanti chiari, chiarissimi, che pendevano dal soffitto e sbucavano dal terreno, circondandoli ovunque. Il loro baluginio straniero rifletteva il fuoco alternandolo a schegge di verde, rimandando forse il colore del mantello di Morgana, oppure... era possibile che emanassero luce propria? Come se qualcosa scaturisse direttamente da dentro di essi?

“Stregone Merlin di Ealdor,” tuonò il Grande Drago, facendo scattare la testa di Merlin verso di lui come una molla. La sua voce gutturale e tagliente era quanto di più inumano avesse mai sentito. “Strega Morgana delle Terre Desolate!” continuò a chiamare perentorio.

“Siamo noi, Grande Drago,” rispose Morgana, ferma e sicura.

“I due contendenti hanno dunque risposto alla chiamata del Duello del Drago,” disse e, per un attimo, a Merlin parve che ci fosse qualcosa di simile al compiacimento nella voce dell'essere. “Uno di voi sarà colui al quale andrà il merito di preservare l'esistenza della mia nobile specie. Uno di voi due salverà la mia vita, aiutandomi a cancellare la maledizione che ha sterminato la mia razza e che ora incombe su di me, logorandomi da dentro.”

Merlin deglutì.

Il motivo per il quale sulla loro terra i draghi erano andati scomparendo gettava le radici in una delle guerre tra creature magiche lontana millenni dalle loro teste – quando gli stregoni erano decisi a impadronirsi di tutte le terre emerse anche a costo di strapparle agli esseri che veneravano, e quando i draghi non avevano alcuna intenzione di condividere ciò che ritenevano di loro proprietà.

Maledizioni congiunte scagliate dai druidi più potenti avevano ucciso a fatica centinaia di draghi, fino a che di quella razza, che ormai aveva dichiarato la resa, non erano rimasti che pochi esemplari.

Una maledizione, però, una volta scagliata è quasi impossibile da sciogliere. E così i draghi superstiti da divinità della guerra si erano tramutati in specie in estinzione. Ogni drago era stato confinato in un luogo lontano e nascosto ad aspettare lo scadere dei suoi giorni, una sentenza di morte annunciata.

Nessun mago si era mai ritenuto capace di cambiare il destino di quelle nobili creature. Tutti sapevano, d'altra parte, che era molto più comodo continuare a venerarle quando quelle erano rinchiuse alla fine del mondo.

Ma un drago, uno solo, era vivo ancora oggi, vivo e temuto da chiunque, poiché era impossibile non conservare un grande timore per chi era stato in grado di resistere così a lungo al tempo e a una maledizione. Quel drago aveva chiamato Merlin e Morgana affinché lo liberassero dalle sue catene. Ma una volta liberato?

“Una volta che la tua vita sarà salva, che cosa farai?” Merlin non riuscì a trattenersi dal chiederlo; l'immagine di spiedini di stregone era tornata a invadergli parte del cervello. Del resto, aveva genuinamente voglia di saperne di più di tutta quella faccenda.

Il drago schioccò la coda gigantesca a terra. “Non temete, poiché pur riacquistando le forze non riuscirei mai ad ottenere una vendetta per la mia razza, lo so bene. Il mio unico desiderio è poter continuare la mia vita al di fuori della caverna. La vostra regina sa tutto: lei mi ha fatto da intermediaria.”

Fidarsi? Non fidarsi? Una gocciolina di sudore bagnò la tempia di Merlin – forse era il caldo o tutta quell'umidità, ma più probabilmente la tensione.

“Vi proverò che potete fidarmi di me,” disse il drago, e allora Merlin ebbe la spiacevole sensazione di venire invaso, come se quell'essere avesse acquisito la capacità di vedergli dentro quando prima l'aveva fronteggiato occhi negli occhi. “Come segno della mia onestà, a voi e solo a voi svelerò il mio vero nome.”

Un'esclamazione secca scappò a Merlin, mentre Morgana si mosse quasi impercettibilmente sul posto. Il drago faceva su serio: imparare le parole segrete delle cose significava saper padroneggiare la magia. Allo stesso modo, sapere il vero nome di qualcuno equivaleva a conoscerne la vera natura, identificarne la vera sostanza. Conoscendo il vero nome di qualcosa, si poteva perfino arrivare a possederla. Certo, Merlin non avrebbe mai saputo come fare ed era sicuro che lo stesso valesse per Morgana, dato che si sarebbe trattato di una magia da sacerdote dell'Antica Religione.

Tuttavia, era qualcosa di assolutamente potente e significativo; era come se il drago stesse scoprendo loro un fianco, mostrando volontariamente una sua debolezza.

Senza alcun preavviso, l'animale inspirò forte, protendendosi un po' all'indietro come per immagazzinare quanta più aria possibile. Per un attimo sconcertante, Merlin credette che avrebbe sputato addosso a loro una fiammata infernale e quasi sembrò che fosse così quando aprì le fauci; ma invece che del fuoco, dalla bocca gli uscì un grido cupissimo che fece tremare ogni cosa, Merlin e Morgana compresi. “Kilgharrah!” ruggì l'animale in una folata d'aria secca.

Le torce si spensero per un secondo, oppure erano gli occhi di Merlin ad essersi chiusi, non lo sapeva. Il silenzio tintinnò nella caverna; una parola segreta era stata svelata, un patto era appena stato siglato da tre individui, e da lì si poteva solo andare avanti, il ragazzo lo percepiva.

Quel solo fatto lo faceva già sentire così... nuovo.

Allora come procedere, cos'altro andava detto e chiarito prima di lanciarsi avanti? “In che cosa consiste il duello?” chiese Merlin in fretta.

Kilgharrah si accigliò, un briciolo di sorpresa nello sguardo affilato. “La curiosità in te è più grande del rispetto o di qualunque timore, giovane stregone.”

“No no no no, io volevo...”

“Ma,” ruggì ancora il drago, interrompendolo con forza. “Tale è la portata dell'evento che ogni tua sete di sapere verrà saziata.” Fu strano il modo in cui lo disse, come se in realtà avesse voluto speziare la frase di una vena sibillina.

Merlin si chiedesse a quale dimensione delle cose Kilgharrah si stesse in realtà riferendo.

Egli però non gli diede tempo di pensare oltre, perché continuò a parlare. “Colui il quale riuscirà nell'impresa a cui vi chiedo di partecipare verrà ricompensato grandemente: dalla mia magia sarà esaudito un suo desiderio, qualunque esso sia. Sebbene la mia specie sia stata quella sconfitta, i draghi hanno accesso ad alcuni rami della magia che agli stregoni sono sconosciuti. Sono sicuro che non ci sia bisogno di ricordarvelo.”

Morgana a quel punto rizzò palesemente la schiena; se prima di allora si sarebbe potuta definire circondata da un'aura di elegante di stacco, con quella promessa Kilgharrah si era appena guadagnato la sua completa attenzione. La cosa fece sorridere Merlin per un attimo. La curiosità di Morgana era stata catturata, quindi la competizione sarebbe stata di certo accesissima. Tuttavia fu ciò che Kilgharrah disse subito dopo a destare ancora di più l'interesse del ragazzo, l'ingrediente che finalmente lo accese del tutto.

“In occasione del duello verranno aperte di nuovo le porte per il Mondo Riflesso.”

Il mondo delle creature opposte. Il mondo degli esseri senza magia, gli esseri che però sentivano. Il mondo degli uomini.

Merlin non credette alle proprie orecchie. Era sempre stato affascinato dalle storie sulle creature umane... erano così diverse, così impossibili, così sconosciute, che aveva sempre avuto una gran voglia di saperne di più. Fino ad allora si era trattata di una mera utopia: le porte che collegavano i due mondi si aprivano solo per occasioni particolarissime, e così gli esseri umani non erano mai rimasti che personaggi di storie di fantasia per lui.

Erano passati vent'anni dall'ultima volta che qualcuno aveva potuto avere accesso al Mondo Riflesso. Adesso però si presentava l'occasione! Merlin voleva andarci. Oh, sì, ci sarebbe andato. Il duello, il nome del drago e tutto il resto erano cose interessanti, ma questo sì, Merlin voleva farlo davvero. Questa sì che era un'avventura che gli avrebbe aperto sul serio nuove strade.

Lo stregone guardò di sbieco Morgana; anche lei sfoderava un'espressione compiaciutissima e il suo viso sembrava meno pallido del solito.

“Solamente nel Mondo Riflesso c'è una cosa che ha il potere di spezzare la mia maledizione,” disse Kilgharrah, e Merlin si schiarì la voce perché finalmente si era arrivati al succo.

Ora avrebbe saputo qual era la chiave che gli avrebbe aperto la porta di un nuovo inizio.

“Il duello consisterà in questo: il primo che riuscirà a riportami ciò che vi dirò dal Mondo Riflesso avrà la vittoria”

“E dunque, Kilgharrah? Cosa dovremo riportarti da lì?” lo sollecitò il ragazzo, mordendosi le labbra.

“Il cuore di un Principe dei Draghi. Un cuore umano di un Principe dei Draghi.”

Morgana trattenne rumorosamente il respiro.

La testa di Merlin scattò verso di lei in cerca dei suoi occhi, ma all'improvviso quelli se ne stavano nascosti sotto al cappuccio e sembravano non avere intenzione di mostrarsi, una volta tanto.

Merlin tornò a fissare il drago; non sapeva che espressione stesse facendo in quel momento, non sapeva più nulla nemmeno di sé. Sentiva il proprio viso come si sente addosso una maschera di cera, la torcia che scivolava un po' dalle sue dita.

 

 

ʘ

 

 

Dall'altro capo dell'esistenza di Merlin, separato da lui da un mero specchio d'acqua, nascosto in un'ombra nel Mondo Riflesso, così lontano eppure così vicino, stava Arthur Pendragon.

Ora vociava qualcosa a qualche cameriera, ora si infuriava con qualche valletto, ora usciva senza la scorta, non stava attento, rimorchiava un'avvenente stellina al club dei figli di papà, veniva fotografato, finiva in prima pagina. Poi tornava a casa, desolato e desolante, un unico commento asciutto e spinoso di suo padre che era la peggiore delle lavate di testa: “Quando crescerai? Non è in questo modo che si comporta un principe.”

Allora si chiudeva nelle sue stanze, Arthur, gridando l'ordine tassativo di non venire disturbato. Tende tirate, oscurità ovunque, si buttava a peso morto sul letto. “Lo so che non è in questo modo che si comporta un principe,” diceva alle pareti da sotto il reticolo delle sue braccia. “È solo che qualche volta, solo ogni tanto, non sempre... vorrei non essere così.”

Ma invece era sempre così, ed ad ogni fallimento che collezionava nel suo patetico album, il cuore gli sembrava diventato piccolo piccolo. Stropicciato a più mandate, ridotto a brandelli, quanto ancora avrebbe potuto resistere? E dopotutto, lui che se ne faceva di un relitto simile?

Non serviva a niente cercare di colmare il vuoto coi sorrisi, i bei servizi stampa e una o due relazioni di convenienza. Arthur lo sapeva: nessuno mai avrebbe voluto le schegge di un cuore masticato come il suo.

 

 

 

~

 

 

 

Salve a tutti e grazie a chi è riuscito ad arrivare fin qui! Torno dopo molti mesi a pubblicare qualcosa grazie alla merthur, una coppia stupenda che ho conosciuto da poco e che in breve tempo ha scalato la mia top ten personale. Adoro questi due idioti, hanno un sacco di potenzialità e grazie a loro dopo un buon annetto sono riuscita a riprendere a scrivere con passione. Comunque, cosa sono questi “cuori masticati” che trovate nel titolo? Innanzitutto si tratta di una piccola citazione a uno dei miei libri preferiti, “Il castello errante do Howl”: la protagonista del romanzo crede che il mago Howl sia senza cuore, metaforicamente e letteralmente, e che si cibi dei cuori di giovani fanciulle per rimediare alla mancanza... Quindi quando va nel suo castello si aspetta di trovare da qualche parte nascosti i resti dei famosi cuori di fanciulle masticati...
Poi, ovviamente, è “masticato” ed acciaccato il povero cuore di Arthur... e non sarà solo il suo a passarne delle belle (niente paura Arthur, nonostante tu non la pensi così ci sarà un sacco di gente che vorrà portarti via il tuo cuoricino).
Che cosa rappresenta un cuore umano per gli stregoni, e perché sapere che la prova del drago consiste proprio nel riportarne uno ha scioccato i nostri duellanti? Questo lo scoprirete nel prossimo capitolo ^-^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cuore di mago, cuore di uomo ***


 

(x)

 

Capitolo due: Cuore di mago, cuore di uomo

 

 

“Dovrete portarmi il cuore di un Principe dei Draghi. Un cuore umano di un Principe dei Draghi.”

Un cuore umano.

Un cuore umano!

Le parole di Kilgharrah rimbalzavano nella mente di Merlin come lucciole impazzite. Senza riuscire a computare nulla, lui continuava cercare lo sguardo di una Morgana che ostinatamente non ricambiava. In quel momento erano solo due figurine stagliate nel baluginio dei diamanti contro la massa squamosa del drago. Sopra le loro teste aleggiava come una sostanza solida la richiesta veramente inaspettata e assurda di Kilgharrah: doversi confrontare con un cuore umano.

Ciò avrebbe implicato inevitabilmente avere a che fare con il sentimento umano. Streghe e stregoni provavano sentimenti, era ovvio; anche loro erano padri, madri, figli, amici. Ma era un dato di fatto che non sentissero, non provassero con l'intensità con cui poteva provare qualcosa un essere umano (un vecchio proverbio diceva che uno stregone bruciava di passione come una mezza stella morta, mentre un essere umano come cento soli splendenti).

D'altro canto, era una cosa che nessuno stregone avrebbe davvero voluto, “bruciare cento soli come fanno gli esseri umani”, poiché la nemesi naturale di ogni creatura magica, il sentimento umano, bloccava la magia. Era l'unica arma in grado di distruggere completamente la malia di una creatura magica, di prosciugare del tutto ogni briciolo di forza incantata che gli scorreva nelle vene. Tra tutti i sentimenti umani, l'amore in special modo.

Questo era l'amore: subdolo, pericoloso, il tranello peggiore in cui potesse cadere uno stregone. E l'amore umano, poi! Portava quel pericolo all'ennesima potenza. Nel Mondo Riflesso, il mondo delle creature terrestri, ogni cosa era rovesciata rispetto a lì: se gli stregoni conoscevano i segreti dell'antica religione e, per difendersi e non perderli, erano naturalmente portati a non amare, gli umani non sapevano nulla della magia e per questo amavano. E poiché era nella loro natura amare, non potevano essere come loro. E poiché non potevano essere come loro, venivano tenuti a distanza.

Era la prima cosa che ti insegnavano quando venivi alla luce. Tutti sapevano che era questo il motivo per cui le porte che collegavano il loro mondo a quello Riflesso restavano sigillate per aprirsi solo in casi eccezionali.

Ma adesso Kilgharrah stava dicendo loro di andare nel Mondo Riflesso, di tuffarsi dentro la terra delle creature opposte, di avere a che fare direttamente con gli unici in grado di annientare la loro vera essenza. Di fronteggiarli e strappare a uno di quelli la cosa più micidiale da cui erano sempre stati istruiti a tenersi alla larga.

“Hai detto che un cuore umano ti serve per guarire dalla maledizione che ti sta uccidendo” esitò Merlin, faticando a far venire fuori la voce a causa della gola secca. “Ma quando avrai avuto quel cuore, che cosa te ne farai di preciso?”

Kilgharrah mosse il collo in un movimento sinuoso simile a quello di un serpente; l'enorme reticolo delle sue ali si dipanò quasi impercettibilmente e dalle narici uscì un po' di fumo sulfureo. “Me lo mangerò.” La sentenza glaciale risuonò per tutta la caverna, rimbombando contro le punte acuminate dei diamanti grezzi, soffiando attraverso ogni feritoia.

Fu come se una lama d'acciaio avesse trapassato il collo di Merlin, e un brivido percorse tutto il suo corpo. “E di quella persona... quello a cui il cuore appartiene, di lui che ne sarà?” disse un po' stupidamente. In realtà immaginava che cosa sarebbe successo, ma non poté evitare di chiederlo comunque. Magari c'era una scappatoia. Se si trattava di magia, c'era sempre una scappatoia.

“Che cosa può succedere a una persona quando gli viene sottratto il cuore, Merlin?” soffiò Morgana, beffarda ma anche dura. Sebbene il profilo fosse in parte nascosto dal cappuccio e da una cascata di capelli sistemati in onde nere ordinate, Merlin poté vedere che la mascella le si era contratta. Era chiaro che nemmeno lei si era immaginata che la prova avrebbe implicato un pericolo per loro e una condanna per un essere umano ignaro e innocente.

Perché accidenti quel drago ci teneva tanto ad essere così criptico, poi? La faccenda era mortalmente seria, di certo molto meno divertente di quanto Merlin avesse sperato, e voleva mettere le cose in chiaro. “Scusami, ma... ma prendere un cuore può voler dire molte cose. Catturarlo, o conquistarlo, o strapparlo...”

Il drago sembrò seccato dall'ennesimo intervento di Merlin. Alzò la testa enorme con superbia e tagliò corto, poiché aveva perfettamente capito dove il ragazzo volesse arrivare. “Ciò è vero, eppure in qualunque maniera decidiate di agire, la conseguenza sarà sempre la morte dell'uomo che sarà privato del suo cuore.”

Il braccio di Merlin che teneva in alto la torcia si abbassò un po' meccanicamente.

Morgana restava ferma.

“Strappare un cuore con un coltello a un essere umano è strappargli un organo vitale” continuò Kilgharrah. “Allo stesso modo, il risultato è tale se quel cuore gli viene portato via dal corpo senza che venga ferito, anche con la magia, se esistono incantesimi in grado di fare una cosa del genere; un essere umano senza cuore è un essere umano che non può amare. Un uomo che non può amare è un uomo che non può vivere.”

“Però sarebbe inutile per noi stregoni anche solo provare ad avere il controllo di quel cuore con la magia per ottenerne la stima, la fiducia, per conquistarlo e fare in modo che ci appartenga” intervenne Morgana, ponderando le parole.

Aveva ragione. Non era possibile controllare i sentimenti di una creatura, soprattutto di un umano. La magia e un cuore umano erano due cose opposte. Gli stregoni conoscevano i segreti della natura e in cambio non erano in balia dei sentimenti. L'intensità delle passioni delle creature riflesse era loro estranea, non gli apparteneva. Per questo l'unica cosa che l'antica religione non sarebbe mai stata in grado di influenzare erano i sentimenti.

“Quindi se non si tratta di manipolare un cuore con un incantesimo, dovremo proprio... portarglielo via? Strapparglielo fisicamente?” insistette Merlin – era quello il punto che lo impensieriva di più. “Oppure cercare di conquistarlo in un altro modo... ma quale altro modo può esistere? Per noi esseri del Regno della Magia che non conosciamo i cuori degli umani non è poss-”

“Non importa come, ma portatemi quel cuore, duellanti!” ruggì il drago. Le fiammelle delle loro torce scomparvero per un attimo sotto il soffio del suo fiato prima di riprendere vita, ma più sommesse. “Se avessi potuto farlo io stesso o se avessi conosciuto qualche creatura che sapesse come fare, l'avrei già costretta a obbedirmi!” continuò a tuonare Kilgharrah. “Ma sembra che nessuno mai abbia compiuto tale impresa. Non se ne parla nelle leggende, non esiste alcuna tradizione scritta, l'antica religione è muta a tal proposito. Si limita solo a definire il cuore umano l'elemento più terribile, il veleno più debilitante contro la magia stessa. Solo uno stregone potentissimo potrà riuscire contro il veleno primigenio.”

Uno stregone potentissimo? “Allora come potremo mai riuscirci?” chiese Merlin, scettico.

“Ma è per questo ho chiamato proprio voi.” Una breve risata uscì dalla gola del drago come fosse nata nelle profondità della caverna stessa. “So che siete voi due gli stregoni più forti e promettenti di tutto il regno, gli unici in grado di potercela fare. Ve ne do la prova: avete spostato il masso che chiudeva l'ingresso della caverna. L'incantesimo che la chiudeva l'avevo lanciato io: magia dei draghi. Nemmeno il migliore dei sacerdoti sarebbe stato in grado di scioglierlo... tuttavia voi l'avete fatto.”

In quel momento galleggiò distintamente nella caverna la grandezza dell'impresa. Nessuno stregone era mai riuscito a carpire un cuore umano, forse nessuno ci aveva mai davvero provato. Il timore di avvicinarsi a una cosa tanto avversa doveva essere sempre stato troppo per chiunque. Solo qualcuno di davvero potente avrebbe potuto riuscirci. Solo il migliore. Il peso di quella considerazione, sommato al resto che aveva già sentito, gravò tutto in un attimo sulle spalle di Merlin.

Non si era mai considerato neanche lontanamente il migliore. Sapeva di essere dotato, sì, ma la magia era una cosa naturale, aveva sempre fatto parte di lui e, anche se ultimamente si era sentito un po' diverso, non c'era mai stato qualcosa che l'avesse distinto nettamente dagli altri. O almeno, non in senso positivo.

Se la sua magia era risultata di tanto in tanto un surplus che aveva costretto Merlin a scusarsi di se stesso quando non riusciva a gestirla, be', ora quella stessa magia si rivelava essere, dopotutto, qualcosa di davvero speciale. Qualcosa di non comune che stava chiamando lui, e non qualcun altro ma proprio lui, a fare i conti con uno strano destino.

E questo era eccitante. Ecco che davanti a Merlin si era materializzata una strada misteriosa che lo chiamava con insistenza a sé. Era forse quello il percorso che negli ultimi tempi era andato cercando?

Morgana non faceva una piega, il tentennamento che le aveva indurito prima i lineamenti era già scomparso. Se anche lei fosse stata preda di pensieri simili a quelli di Merlin, non lo dava a vedere.

Ma era anche probabile che in realtà stesse già saggiando sulla punta della lingua la sensazione di una vittoria futura. Era il tipo che sembrava ritenersi il meglio che c'era in circolazione, dopotutto.

“La richiesta che vi faccio è grande. Ma grande sarà anche la ricompensa.” Sembrò che il drago avesse deciso di imboccare una strada precisa: invogliare i due ragazzi con l'idea della gloria e dei guadagni.

Entrambi se ne erano resi conto, e Merlin fu convinto che ormai Morgana non stesse più valutando la situazione, ma fosse proiettata nel cuore dell'azione. Il suo sguardo era troppo determinato per poterla fraintendere.

Lui però rimaneva ancora interdetto dal fattore morte-di-un-innocente. Voleva sapere se fosse davvero una cosa inevitabile, non poteva accettarlo senza essere sicuro di non poter fare qualcosa. Dato che sembrava che al drago non piacessero le risposte dirette, tentò di continuare a farlo parlare per ottenere altre informazioni. “C'è una cosa che non ho capito” disse, e sentì la coda di Kilgharrah schioccare a terra con impazienza. “Se un cuore umano cancella la magia, mangiarlo non cancellerebbe solo l'incantesimo mortale che ti sta consumando da dentro, ma anche tutta la magia che possiedi, sbaglio?”

“Vale la pena pagare qualunque prezzo se si tratta di una cosa veramente importante, giovane stregone” disse il drago, quasi in un soffio, quasi come se avesse esalato il suo ultimo respiro.

E Merlin sentì universi interi nascosti nelle ombre di ognuna di quelle parole. C'era così tanto risentimento nel modo in cui si era espresso, tanto languore e un senso di desolazione frenetica. C'era davvero così tanto.

Il ragazzo si morse il labbro inferiore, accorgendosi solo allora che le sue dita, serrate sulla torcia, erano diventate scivolose.

“Senza più poteri, come potresti mai esaudire il desiderio del vincitore?” disse Morgana a Kilgharrah. Parlò piano, ma di certo solo perché ai draghi ci si doveva rivolgere con rispetto. Sotto la voce vibrante, Merlin la percepì scalpitare. “Adesso non sei comunque in grado di gestire a pieno la magia, sei morente.”

“Il processo non sarà immediato. L'influsso di un cuore umano contrasta la magia lentamente. A poco a poco la cancella. Prima di riuscire a portare via tutta la mia farei in tempo ad esaudire cento dei desideri di creature come voi. Ma tu esiti ancora, ragazzo, lo sento.”

Merlin deglutì a vuoto. Da una parte stava prendendo corpo in lui l'idea che quella missione avrebbe potuto fargli trovare la risposta al disagio che la sua essenza andava manifestando – uno scopo! Una strada! Qualsiasi cosa! Dall'altra parte, il prezzo da pagare non era trascurabile.

“Sei intimorito dall'idea di cogliere una vita? Non devi.” Un altro sbuffo sulfureo venne fuori dalle narici del drago e, quando questo abbassò improvvisamente la testa portandosi di nuovo vicino a lui, in modo da guardarlo in faccia, i capelli di Merlin gli si appiccicarono sulla fronte per il vapore.

“Il destino ha già compiuto la sua scelta” disse gravemente Kilgharrah. “Una decisione che non è certo stata presa da me. Io non so chi sia lui. Ma il fato lo sa, l'ha sempre saputo e la scelta è già stata fatta. I portali per il Mondo Riflesso si sono oggi spontaneamente aperti da soli: da essi avrebbero potuto fare il loro ingresso nella nostra terra ogni tipo di frammenti delle vite di esseri opposti. Eppure la voce di uno solo ci ha raggiunti. L'avete già sentita, l'abbiamo sentita tutti e tre: la voce di colui che il destino ha designato.”

È solo che qualche volta, solo ogni tanto, non sempre... vorrei non essere così.

Merlin inspirò profondamente, vedendo negli occhi gialli del drago il riflesso delle proprie pupille che si dilatavano. Quindi le parole che aveva sentito soffiate nel vento non appartenevano a un essere umano fra tanti. Attraverso le crepe dei portali era filtrata proprio la voce di quel principe che loro avrebbero dovuto trovare. Perfidamente, un indizio chiaro gli era stato dato ancora prima di sapere qualunque altra cosa.

“Quell'uomo morirebbe comunque, giovane stregone.”

“Perchè mai dovrebbe morire comunque?” si agitò un po' Merlin. “Se non sarà uno di noi a portargli via il suo cuore, dubito che qualcun altro lo farà!”

“Sta scritto nel suo destino” ripetè Kilgharrah. Ma stavolta non con impazienza, quanto piuttosto con una certa comprensione autoritaria. “Dal momento in cui si nasce, si viene al mondo per uno scopo: il suo era quello di rimanere in vita finora affinché quella sua vita potesse salvare la mia.”

“Ma se nessuno di noi riuscisse nell'impresa, il suo destino non si compirebbe e quell'uomo continuerebbe la sua esistenza” insisté Merlin.

“Nessun uomo può fuggire dal proprio destino, ragazzo!” Allora il drago rise, rise e rise, e al rumore della sua risata cavernosa si unì il vibrare pericoloso delle stalattiti e delle stalagmiti, e quelle note penetrarono nelle ossa di Merlin e lui sapeva che ci sarebbero rimaste in modo permanente insieme a quelle parole.

Un destino per un destino, dunque. Per una vita che aveva raggiunto il suo culmine, un'altra vita sarebbe arrivava a un punto di svolta. Così un percorso si sarebbe chiuso e forse un altro avrebbe trovato nuovi sbocchi.

“Non si può evitare, allora. È più grande di me, di tutti noi” constatò tra sé Merlin, ingoiando i dubbi. “È già stato deciso. È deciso. Non si può evitare.”

 

 

ʘ

 

 

“Resta solo da vedere chi tra noi due porterà a compimento il destino di quell'uomo” cantilenò Morgana.

Erano appena usciti dalla Caverna dei Mille Giorni, entrambi con in mano una pietra offerta loro da Kilgharrah. Merlin si sentiva più vecchio di quando c'era entrato, Morgana sembrava appena tornata da una piacevolissima gita di piacere.

“Io ho proprio intenzione di vincere questo duello” disse lei, le labbra rosse piegate in una linea furba. Poi tornò per un attimo al masso enorme che era rotolato prima al lato della parete e ci poggiò sopra il palmo, sussurrando qualcosa. Quello andò a occupare il suo posto originario, scricchiolando lento, e le ombre della grotta sparirono dalla loro vista. Un'ultima opprimente zaffata salmastra si diffuse per un po' intorno a loro.

Morgana si voltò verso Merlin, tutta un vorticare di nero e verde, capelli e stoffa. “Sono agguerrita. Farò sul serio. Non l'avrei mai detto, ma secondo Kilgharrah la nostra forza si equivale. Quindi non mi risparmierò di certo.”

Merlin si rigirò tra le dita la pietra che aveva portato con sé. Adesso era perfettamente calmo, ogni insicurezza era sparita e una nuova consapevolezza pian piano si stava impossessando di lui: stava iniziando qualcosa. Stava avendo inizio qualcosa di nuovo, completamente sconosciuto, forse ancora più elettrizzante di qualunque altra esperienza Merlin avesse mai affrontato.

Uno tra lui e Morgana sarebbe stato provato il migliore – il migliore di tutti, e allora la sua magia eccessiva avrebbe trovato un senso. Niente più sentirsi fuori posto: che avesse vinto o perso, Merlin avrebbe finalmente capito chi era.

Il suo ruolo era già molto più definito rispetto solo a quando si era svegliato quella mattina: lo stregone che partecipò con onore al duello del drago ed arrivò secondo, il secondo stregone migliore di sempre. O lo stregone che vinse. O in qualunque caso, lo stregone che vide il Mondo Riflesso.

Già, il Mondo Riflesso! L'avrebbe visto davvero, ci avrebbe addirittura vissuto... a contatto con gli umani! Il mondo degli umani... gli strani, strani, terribili e affascinanti umani. Dèi del cielo...

“Nemmeno io mi risparmierò” disse Merlin con decisione, sentendosi su di giri. Poi mise in tasca la pietra tagliata e tese la mano verso Morgana. Lei non l'afferrò, incrociando invece le braccia al petto. Sbuffò una risata. Lui fece lo stesso e ritrasse la mano piegando le sopracciglia in un'espressione divertita ed esasperata.

“Niente mano! Da questo momento in poi siamo rivali, Merlin. Ma voglio dirti una cosa per avvisarti, per puro spirito sportivo. Io vincerò... perché ho una motivazione forte per farlo.”

“Vuoi dire che hai un desiderio che vuoi fortemente chiedere di realizzare al drago in caso vincessi tu?” Merlin era genuinamente curioso di sapere cosa volesse ottenere Morgana dal drago. Era sicuro che lei non avesse bisogno di ulteriori conferme per sentirsi una grande strega, e di certo non le mancavano ammiratori da tutte le parti del regno che glielo ricordassero ogni volta che potevano.

Se non si trattava di una questione di auto-affermazione, doveva esserci sicuramente sotto un motivo ben preciso: qualcosa che la strega poteva ottenere materialmente solo dalla magia di Kilgharrah.

In caso vincessi io? Vuoi dire quando vincerò io” rimbeccò Morgana, la bocca rossa tutta un ghigno provocatorio.

“Volevo proprio dire in caso vincessi tu.”

Lei non rispose, limitandosi a uno sbuffetto che aveva tutta l'aria di uno “staremo a vedere”. Però rigirò in fretta la domanda a Merlin. “E tu, invece, quale desiderio esprimeresti?”

“Io... non ci ho pensato” fece a mezza voce. E in effetti era vero. Non c'era niente che Merlin desiderasse possedere oltre ciò che già aveva. L'unica cosa che in quel momento bramava era scoprire quale fosse il suo posto nel mondo, ma quello magari, con un po' di fortuna, l'avrebbe capito da solo, senza l'aiuto di nessun desiderio.

“Che carino, il nostro Merlin... non ha davvero pensato al suo guadagno personale. Così umile e ingenuo, così puro” lo canzonò Morgana.

Il ragazzo si grattò la testa. “Forse è vero che sono così, ma tu dovresti stare attenta comunque. Le persone tranquille sono quelle che ti sorprendono di più... e poi, anche io ho una motivazione forte per dare il meglio di me nella gara.”

Vedere un altro universo. Vedere altro, vedere altri. Vedere se stesso. Vedere fino a che punto avrebbe potuto spingersi. E se poi nel processo fosse pure riuscito a vincere, be'...

“Bene, allora. Bene. Farò sul serio contro di te” ripeté Morgana, soddisfatta. “Sarà una sfida memorabile.”

 

 

ʘ

 

 

La casa di Merlin e Hunith era semplice e piccola. Ci erano sempre vissuti loro due soli, e sembrava fatta su misura per madre e figlio. Forse era un pochino spoglia, ma non mancava nulla di veramente essenziale.

Prima che Merlin iniziasse a sentirsi quelle pareti troppo strette addosso, era stata costantemente un infallibile, caldo e confortevole rifugio da tutte le insoddisfazioni esterne.

Una delle cose che più rilassavano Merlin era sedersi a gambe incrociate davanti al fuoco durante la stagione fredda, con sua madre accanto a lui, protesa verso il caminetto a rammendare un paio di calzini.

Chissà se anche quest'anno avrebbe potuto accoccolarsi in quel modo sul pavimento e divertirsi a far ballare le fiamme con la sua magia. Forse invece per l'arrivo della prima neve Merlin sarebbe ancora stato in missione nel Mondo Riflesso...

Il suo sguardo vagò per un attimo tutto intorno, mentre le mani ficcavano distrattamente nella sacca suppellettili prese a casaccio dal mucchio sul tavolo. “C'è qualche desiderio che ti piacerebbe chiedessi al drago? Qualcosa in particolare che non abbiamo e che ti serve?” disse ad alta voce, guardando il tetto. “Tipo, non so... dovrei chiedergli di far apparire un'abitazione migliore? Un castello, magari? In realtà, non mi dispiacerebbe avere una stanza tutta mia.”

“Ho già tutto quello di cui ho bisogno, caro” fu la risposta pacata di Hunith. “L'unica cosa che voglio è che tu torni sano e salvo – ecco, mettici dentro anche questa sciarpa – ma la mia tranquillità dipende solo da quanto sale in zucca avrai tu.”

“Sono una persona responsabilissima!” protestò Merlin, fintamente oltraggiato.

Allora la donna raggiunse in un soffio la sua mano sul tavolo, poggiandoci sopra le dita calde e callose. “Dico sul serio, tesoro” mormorò. “Cerca di non... Quando sarai laggiù, non innamorarti.”

I suoi occhi erano ripieni di un tale, palpabile velo di preoccupata gravità che a Merlin scappò una risata. “Lo sai che non mi è mai successo, mamma! Non c'è alcun pericolo. Ho il cuore più duro e impenetrabile del Regno della Magia! È come fatto di ghiac-”

“Non è vero, sei molto tenero invece, e tu lo sai!”

Merlin allora si ammutolì e Hunith gli strizzò forte le dita tra le sue.

Già. Merlin non poteva negare di avere un carattere piuttosto focoso e, diversamente dalla maggior parte degli stregoni, abbastanza incline all'emozione in generale.

Certo, non aveva mai perso la testa per qualcuno. Però spesso si era scaldato, mal sopportando le chiacchiere che la gente faceva su quelli come Hunith. Altrettanto spesso aveva dubitato di qualunque tipo di imposizione o ordine che gli venisse dato senza spiegarne le motivazioni.

E negli ultimi mesi... quella specie di formicolio che gli aveva attanagliato lo stomaco svegliandolo nel cuore della notte, tutti quei momenti durante i quali non aveva saputo cosa fare di se stesso, tutti quegli altri in cui aveva semplicemente avuto voglia di andarsene lontano...

Non erano sentimenti intensi come quelli umani, no, e come avrebbero potuto esserlo? Ma comunque... erano sentimenti. E un pochino più forti di quanto avrebbero dovuto. Ma solo un pochino.

“Per fortuna non ti sei mai innamorato, finora” continuò sua madre, accorata, “ma ho sempre pensato che tu fossi predisposto a... cadere nella rete dell'amore. Perché sei nato da quello.”

Sì, Merlin era nato dall'amore, un amore vero che aveva legato sua madre a suo padre. C'erano state conseguenze per quello, ma Hunith aveva sempre detto di essere stata così felice – chissà che cosa significava sentirsi felice fino a tal punto? Così felice di aver amato il suo uomo. E così immensamente grata di aver avuto Merlin.

Aveva sempre detto di non aver rimpianto nulla, tuttavia non aveva mai nascosto a Merlin le rinunce che aveva dovuto fare. Per essere completamente onesta con lui, gli aveva detto. Per fare in modo che fosse del tutto consapevole di come stavano le cose. Per evitare che Merlin potesse rimanere ferito in futuro – e chissà che cosa significava rimanere ferito per davvero?

Merlin comprendeva bene il motivo per cui Hunith stesse tornando con insistenza sull'argomento. O meglio, credeva di poter capire i sentimenti di sua madre solo fino a un certo punto, ma comunque li rispettava. Hunith era una donna d'amore: adesso l'amore per suo figlio le faceva mettere il benessere dello stesso prima di tutto il resto.

“Se puoi, non innamorarti mai” continuò lei, spingendosi di più verso Merlin, gli occhi dilatati da dubbi lontani. “E se ti dovesse proprio succedere, fai qualunque cosa pur di tirarti indietro. Sei così giovane, e così promettente, sei mio figlio ed io non voglio vederti buttare via tutto, perdere la tua magia... non voglio vederti soffrire. Non anche tu. Quindi non pensare neanche di posare gli occhi su un essere umano, perché quella sarebbe la tua fine.” Lo disse amaramente, ed entrambi sapevano che era fiato sprecato perché, mentre un'infatuazione tra due creature magiche come loro poteva essere bloccata prima che facesse il suo decorso, un sentimento nato a causa di un essere umano, quello no, non si poteva controllare in alcun modo.

Afferrava il cuore di uno stregone, divorandolo inesorabilmente da dentro, indebolendolo, intenerendolo, rendendolo sempre e sempre più simile a uno umano fino a che ogni briciolo di magia non ne veniva espulso. Come fosse una strana malattia.

Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.

“Sarebbe così spaventoso... così potente” si ritrovò a pensare a voce alta Merlin.

“E ricordati che la parte più crudele è che per gli esseri umani è un ciclo infinito: loro possono spasimare per qualcuno, adorarlo fino all'ultimo respiro, perdere l'oggetto della loro venerazione e soffrire tremendamente di questo... ma poi! Poi alcuni hanno la capacità di riprendersi e vanno avanti. Così quella giostra crudele può ricominciare il giro. Potenzialmente, può continuare a girare fino alla fine dei giorni di un essere umano.”

“È davvero terribile” rabbrividì Merlin.

“Mi raccomando, ricordati sempre che il cuore umano è il veleno che disintegra la magia. Tieni sempre presenti le tue priorità e non esitare.”

In quel momento, con sua madre che gli chiudeva il polso tra le mani e la loro piccolo casa raccolta tutta intorno a loro, Merlin strinse le labbra.

Alcune delle parole rivoltegli da Morgana gli tornarono rapide a ronzare nella testa.

“Hai esitato molto quando si trattava della vita di quell'uomo” gli aveva detto lei, poco prima che si separassero davanti all'ingresso della caverna. “Quando hai saputo che la conseguenza sarebbe stata la sua morte, all'inizio eri impallidito. Stai attento: se ti rammollisci troppo, il tuo cuore diventerà umano.”

No. Quello a Merlin non sarebbe successo. Non si sarebbe ripetuto ciò che era accaduto a sua madre... Sua madre che aveva conosciuto suo padre, l'aveva amato, l'aveva amato troppo e non aveva bloccato quella passione anche se avrebbe potuto farlo, perchè suo padre era uno stregone e l'amore tra due creature magiche poteva essere bloccato, se lo si voleva.

Ma Hunith non l'aveva fatto. E in questo modo aveva perduto i suoi poteri in cambio di un cuore umano, mutilato e zeppo d'amore.

Merlin non avrebbe commesso lo stesso errore. Non avrebbe mai potuto aprire le porte del suo cuore a qualcuno fino a quel punto, tanto meno non l'avrebbe fatto con un essere umano. “Stai tentando di darmi un consiglio? Non dovresti, siamo rivali. Niente consigli tra rivali!” aveva detto a Morgana, prendendola sul ridere per non pensarci più.

“Allora ti faccio un'ultima domanda, Merlin, e poi il nostro diventerà un rapporto del tutto agonistico. Una rivalità senza pietà.”

“Sentiamo, avanti.”

“Credi che sia possibile sul serio trovare un Principe dei Draghi nel Mondo Riflesso?”

La solita, pratica Morgana. Il solito, sbadato Merlin che a questo non aveva minimamente pensato, preso com'era da tutto il resto.

“In effetti, trovare il figlio di un Signore dei Draghi in una terra senza draghi... la vedo piuttosto dura. Ma sicuramente qualche scappatoia ci sarà” aveva detto lui in un'alzata di spalle.

Morgana aveva sospirato in modo teatrale e si era sistemata il cappuccio, dando segno di iniziare ad avviarsi per la sua strada. “Peccato, volevo farti desistere subito dal partecipare, convincendoti che non avresti mai potuto farcela. Ma tu sei incredibilmente... pieno voglia di fare. Nonostante il tuo entusiasmo, però, non potrai battermi. Non sono mai stata impensierita neanche per un attimo dal dover sacrificare un essere umano, io.” Detto questo, la giovane strega aveva ammiccato con enfasi verso Merlin, e, in un movimento aggraziato, aveva girato i tacchi e si era incamminata a falcate sorprendentemente lunghe.

“Bugiarda!” le aveva protestato dietro Merlin.

Era stato davvero sicurissimo di aver percepito l'esitazione dell'altra durante il colloquio con Kilgharrah, fosse stato anche solo per pochi attimi.

“Che vuoi che sia, Merlin! Dopotutto, sarà come eliminare una formica. Una formica cattiva, per giunta!”

“Cosa?” Il ragazzo ormai si era ritrovato a gridare, poiché Morgana non pareva volergli concedere un minuto in più del suo tempo e continuava a camminare dandogli la schiena, mentre lui era rimasto sul posto, le braccia che penzolavano inquiete.

“L'hai sentita anche tu la voce di quell'uomo che è passata attraverso i portali, no? Il tono imperioso con cui ordina ai suoi servi ogni tipo di mansione? Non c'era alcuna compassione né rispetto in quelle parole!”

“È questo che hai sentito tu?” aveva gridato Merlin, le mani a coppa sulla bocca.

“E tu cos'hai sentito?” aveva vociato Morgana, sventolando il braccio.

È solo che qualche volta, solo ogni tanto, non sempre... vorrei non essere così.

“Io ho sentito più... più o meno la stessa cosa” aveva detto Merlin. Ma stavolta la sua voce aveva incespicato con sorpresa attraverso la gola, per riuscire ad uscir fuori soltanto in forma di un mucchietto di sussurri incerti.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L'ombra da afferrare ***


(x)

 

Capitolo tre: L'ombra da afferrare

 

 

 

Si poteva riuscire ad assaporare il senso di aspettativa che vagava nell'aria, quel pomeriggio caliginoso. Era come se un po' dell'atmosfera che Merlin aveva respirato nella valletta della Caverna dei Mille Giorni si fosse trasferita lì.

C'era già stato a visitare il Lago Avalon, ma mai il posto gli era sembrato così... estatico. Era un qualcosa di simile al trovarsi all'interno di una campana di vetro: non si sentiva alcun suono se non un gorgoglio misterioso che veniva dalle profondità delle acque.

Merlin sapeva che le bolle d'aria che ogni tanto si infrangevano sulla superficie del lago erano semplicemente respiri (la Signora del Lago aveva la sua dimora nel profondo di esso e pure lei, magia o no, doveva sentire il bisogno di respirare, di tanto in tanto).

Però, adesso che era venuto a conoscenza dell'apertura dei portali per il Mondo Riflesso, Merlin non poteva fare a meno di chiedersi se in mezzo a quei respiri non ce ne fosse anche qualcuno di essere umano. Qualche soffio arrivato direttamente dalla terra delle creature opposte, passando attraverso il portale del Lago Avalon.

Magari era proprio da qui che era penetrato il sospiro spezzato del Principe dei Draghi umano. Ed era da lì che Merlin sarebbe arrivato nel Mondo Riflesso. Non era sicuro che Morgana avrebbe usato lo stesso passaggio: forse non era ancora partita, oppure aveva trovato un'altra via, o più probabilmente l'aveva preceduto e in quel momento se ne stava già sguazzando in un universo pieno di... umanità e... e cose umane.

Oppure avrebbero seguito strade diverse: dopotutto, Morgana sarebbe potuta partire dalle Terre Desolate, e Merlin aveva scelto il lago perché gli era stato suggerito come il portale più vicino a lui dal suo Diamante.

Il ragazzo si rigirò tra le dita quella pietra tagliata dalla Caverna dei Mille Giorni, mentre un raggio di sole si fece insolentemente largo tra una nuvola per andare a colpire l'acqua, facendola brillare tutta.

Era stato Kilgharrah a dire ai due stregoni di portare via dalla grotta un Diamante ciascuno tra quelli che spuntavano dalle pareti. “Li chiamano Diamanti del Giorno” aveva detto il drago con solennità. “Sono oggetti intrisi di magia. Ve li offro come segno della mia buona fede. Vi saranno utili nel corso del vostro duello.”

Morgana era subito andata verso il grappolo di pietre più vicino per estrarne una con un incantesimo. Muovendosi con cautela, però, evitando mosse che avrebbero potuto far alterare Kilgharrah. Il suo sguardo indagatore comunque era rimasto puntato su Merlin quando lui si era rivolto al drago per chiedere a cosa servissero di preciso i Diamanti.

“Il Diamante del Giorno reagisce in modo diverso a seconda di chi se ne prende cura: assorbe l'essenza della magia che gli sta intorno, quindi potrà fornire abilità diverse rispondendo agli scopi e al carattere di chi lo tiene con sé” aveva spiegato Kilgharrah.

Poi, come era successo in precedenza, i suoi occhi spiazzanti avevano trafitto quelli di Merlin, giallo nell'azzurro, e per un momento il ragazzo era diventato un libro aperto tra le cui pagine il drago sapeva muoversi abilmente.

“Vedo che tu, giovane stregone, sei in cerca della tua strada” aveva continuato Kilgharrah, e con questa affermazione Merlin aveva avuto nuovamente la conferma che sapesse guardargli dentro. “Ebbene, quando ne avrai più bisogno, quando avrai smarrito il sentiero, il diamante ti mostrerà la via.”

In tale modo era accaduto. Nel momento in cui Merlin, lasciandosi alle spalle la sua casa, e sua madre e Will sull'uscio di quella, aveva esitato per un breve attimo senza saper bene cosa fare, le parole di Kilgharrah gli erano tornate alla mente. Allora aveva interrogato il Diamante, bisbigliando: “Dove trovo il Principe dei Draghi umano? Qual è il passaggio per il Mondo Riflesso più vicino a me?”

Osservando per la prima volta con attenzione tra le ramature dell'oggetto prezioso, aveva scorto un'immagine: quella dello splendente Lago Avalon, uno spettro che baluginava incerto direttamente dal cuore della pietra.

Per questo ora Merlin se ne stava lì, sulle sponde di quel lago, consapevole di non essere semplicemente sulla terraferma a un passo dalle acque: in realtà in quel momento si trovava in bilico tra la sua terra e la terra degli umani. Tra i vent'anni di una vita trascorsa in sordina, secondo dopo secondo fino a quell'esatto momento.

A un passo da un universo pieno zeppo di esistenze così rumorose che anche l'eco di una miserrima tra quelle aveva trovato la forza per raggiungerlo e richiamarlo a sé.

Il problema che aveva impedito a Merlin di tuffarsi nel lago nell'istante esatto in cui ci era arrivato davanti non era il fatto che lui non sapesse nuotare. E non era nemmeno il fatto che non sapesse se avrebbe poi visto il castello reale in fondo al cratere. O se avrebbe davvero potuto andarsi a incagliare su quella famosa spada che si diceva se ne stesse depositata lì a punta all'insù...

Insomma, non era il fatto che non sapesse cosa avrebbe potuto trovare che lo bloccava. Merlin non aveva paura, no. Forse non ne aveva mai avuta davvero – era anzi probabile che non avesse mai avuto, del resto, la più pallida idea di cosa significasse aver paura.

È che era così immensamente coinvolto in tutto quello. Così coinvolto che riusciva a mala pena a pensare cosa fare, a ricordarsi di respirare, a realizzare che, eccolo qua il punto di svolta, proprio qua. Qualunque cosa fosse successa, un presentimento abbagliante e fortissimo gli stava dicendo che la sua situazione sarebbe cambiata per sempre. Che lui non sarebbe mai più stato lo stesso, dopo. E che lo voleva. Talmente tanto da rimanere immobilizzato dalla portata della realizzazione.

Forse sarebbe rimasto così, spiazzato, ancora per un po', se all'improvviso la superficie del lago non si fosse increspata in una serie di cerchi concentrici. Uno di quelli diede alla luce una singola, fragile bolla d'aria, che si staccò lentissimamente dall'acqua, un neonato che viene al mondo e si separa con reticenza dalla madre. Galleggiò incerta per pochi centimetri e Merlin ne seguì il percorso. Senza fiato e del tutto ipnotizzato, sentiva quasi che fosse diretta a lui.

Così, irrazionalmente, tese la mano in avanti, il palmo aperto per tentare di proteggere quel soffio vitale da tutto il resto. La bollicina gli si avvicinò ma, come toccò la pelle di Merlin, si infranse penosamente nell'aria.

Fu tutto un esplodere di frammenti luminosi simili a filamenti di una stella caduta in procinto di morire. Una voce già familiare, liberata dalla sua cella per mezzo della piccola esplosione, risuonò come in un sogno:

Nessuno vorrebbe avere per davvero un cuore masticato come il mio.

“Io lo vorrei” si ritrovò a bisbigliare Merlin.

La realtà si fece più chiara, un paio di raggi solari scansarono altri nuvoloni opprimenti e le sopracciglia di Merlin si piegarono con determinazione e una punta appena di frenesia. “Lo voglio io il tuo cuore, e adesso me lo vengo a prendere, sta' a vedere!”

Una falcata verso il lago, un mezzo passo bastò per fargli bagnare le caviglie, un altro passo ancora e l'acqua gli arrivò a metà gamba, ancora un passo in più e...

Merlin sprofondava. Stava cadendo sempre più giù, come se un peso immenso sulle sue spalle lo trascinasse verso il basso a una velocità impressionante.

Affondava, acqua tra i capelli, nei vestiti e nel naso, bollicine tutte intorno, e le labbra di Merlin si piegavano sempre più all'insù.

Affondava, mentre la caldera vulcanica che aveva dato origine al lago si era tramutata in un tunnel, sommerso e oscuro.

Affondava, lo spazio intorno a lui si tramutava, si restringeva a poco a poco fino a che Merlin non si ritrovò inghiottito in un budello dalle pareti lucide come specchi.

Stava scivolando su quella superficie freddissimamente liscia, le mani in alto e le gambe tese, e se avesse potuto sarebbe esploso in una risata, o forse lo stava già facendo. Nelle orecchie gli scoppiavano tante bollicine d'aria, voci di creature riflesse che, oh, ormai non erano poi così lontane. Magari stava anche nuotando in mezzo ai sospiri del suo principe, ma adesso il suo respiro era diventato uno fra tanti altri estranei, che erano umani e dicevano cose da umani.

Si lamentavano del tempo o di qualcosa che non andava bene, ridevano a crepapelle fino a perdere il fiato, sputavano ingiurie come se non ci fosse un domani, “ti odio” con rabbia velenosa, “ti amo” con un ardore che, che, che Merlin non lo sapeva.

Ma ce li aveva nelle orecchie, ce li aveva dentro, e sarebbe bastato talmente poco per poterli raggiungere. Sarebbe bastato tendere la mano, così, per poterli afferrare. Allungarla verso quell'ombra lassù, proprio lì, proprio quella.

“Segui l'ombra” gli diceva una voce nella testa. “Sarà il riflesso della tua luce”.

E Merlin l'afferrò. E tirò. E riemerse.

Urtando con forza qualcosa, o forse qualcuno, o forse il... posteriore di qualcuno. Glielo fece pensare la figura che aveva davanti a lui: quella di uno con la schiena curiosamente piegata e le braccia che nuotavano nell'aria in cerca di equilibrio. Uno che adesso stava incespicando in avanti di parecchi passi, per poi fermarsi in un momento allibito.

Merlin, le orecchie tappate, la vista ancora un po' appannata, analizzò veloce la situazione meglio che poté: il paesaggio era diversissimo. Non c'era più il lago, non c'era la natura aperta, ma c'erano tanti suoni ammassati e stritolati tra loro, l'aria era affollata di tanti odori strani e la vista bloccata da tante forme per lui inusuali. Soprattutto, non si poteva percepire alcuna vibrazione magica in giro. Doveva appena essere approdato nel Mondo Riflesso usando come ancora l'ombra di una persona del posto.

Sì, sicuramente aveva scaricato tutto il suo peso sul didietro dello sfortunato sconosciuto e (qua, nonostante lo stordimento, fu difficile non ridere), coi palmi delle mani che prima aveva teso alla ricerca di un appiglio, Merlin doveva avergli colpito la nuca.

Doveva proprio essere andata così, dato che la prima cosa che riuscì a mettere per bene a fuoco fu un cappello per terra, di certo caduto dalla testa del proprietario a causa di una manata di Merlin. Tutto questo lo stregone lo realizzò in una frazione di secondo. “Oh” fu l'unico commento che gli uscì, la testa che un po' gli girava per colpa delle novità improvvise e della loro assurdità.

Intanto la persona che aveva travolto si era girata, molto, molto lentamente. Aveva i capelli chiari tutti arruffati, un paio di enormi occhiali arancioni storti sul naso che Merlin giudicò subito orribili, e la bocca spalancata in un ovale sconcertato.

Ah, era anche probabile che prima della collisione avesse avuto un bicchiere ripieno di una qualche bevanda, a giudicare dalle dita ancora strette attorno a un oggetto invisibile e alla... macchia marrone sulla maglia.

“Ooh” disse Merlin, mettendo le mani avanti, “mi dispiace, scusami tanto!”

Ma la scena era piuttosto comica dal suo punto di vista, quindi la voce gli scappò più divertita che rammaricata.

Allora le labbra del ragazzo (era solo un ragazzo come lui, a una prima occhiata veloce) si chiusero con uno scatto sonoro, piegandosi in una linea stizzita. Respirò forte gonfiando il petto, si raddrizzò, e la mano, notò Merlin, si chiuse a pugno con una violenza tale che, se avesse ancora avuto il contenitore con la bibita, di quello ne sarebbe rimasto ben poco. “Questo. È. Troppo” articolò, ogni parola uscita fuori stropicciata e martoriata.

Merlin si armò del sorriso più rammaricato e incoraggiante che avesse nel suo repertorio. Prima che potesse dire qualunque altra cosa, però, l'altro avanzò verso di lui, sovrastandolo con la sua voce.

“Adesso basta, adesso... adesso, ah!” rise seccamente, una singola risata che sembrò più un colpo di tosse. “Mi sono proprio stufato, questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso, Leon... LEON!” urlò in tono piuttosto isterico e polemico.

Merlin si guardò intorno nella direzione in cui aveva sbraitato il ragazzo. Quella si rivelò una mossa sbagliata poiché nel movimento sentì il proprio cervello esibirsi in un salto mortale carpiato, e tutto prese a girare.

Le forme estranee che aveva intorno, i due o tre alberi sparuti, gli edifici enormi, davvero enormi, le facce di passanti curiosi, il tizio urlante che gli stava davanti – tutto girò come in una giostra impazzita.

Merlin si portò le dita tra i capelli. Era talmente impegnato a fare i conti con le conseguenze dello sbalzo nel mondo terrestre che fu un miracolo se si accorse della presenza di un altro uomo accorso accanto a loro – Leon?

Probabilmente sì, dato che il ragazzo con gli occhiali tremendi aveva iniziato a dirigergli addosso le sue lamentele, chiamandolo vigorosamente con quel nome.

Merlin, nella confusione, trovò che avesse un modo assai buffo e strano di chiamare per nome qualcun altro. Nella pronuncia delle lettere ci metteva un'inflessione particolare, così alterata, così ridicola.

E tutto continuava a vorticare e niente e nessuno pareva intenzionato a restare fermo e a volergli semplificare le cose.

“Oggi non sopporterò di più, capito?” stava continuando Occhiali Terribili, il tono sbalzato dall'umore, “io ho la pazienza di un santo e sopporto tutto, ma questo è oltraggioso, e non mi importa proprio un bel niente se la gente mi guarda, LEON! Stavolta esplodo sul serio. E TU!” sibilò, fronteggiando alla fine Merlin. “Ti ha dato di volta il cervello? Eh?”

Lo stregone cercò di tornare abbastanza lucido per poter mettere insieme una frase di senso compiuto e risolvere il malinteso prima che degenerasse ulteriormente.

“Mi dispiace, io non...” tentennò, ma di nuovo l'altro ragazzo lo bloccò.

“Guarda che stordito. Che sei, drogato o cosa? Ci mancava pure un maniaco, tanto finora ne ho viste poche!”

… Lo stava insultando? Merlin strizzò gli occhi. Non aveva proprio voglia di mettersi a litigare, la situazione era già abbastanza strana così com'era, ma adesso doveva pure subirsi la sfuriata di uno sconosciuto? Lui stava tentando di scusarsi! Nel Mondo Riflesso la gente era così irascibile da prendersela con il primo che capitava senza lasciarlo finire di parlare?

“Signore...” tentò di intervenire quel Leon, poggiando una grossa mano sulla spalla di Merlin per spostarlo fisicamente di qualche passo indietro.

Dèi del cielo, era proprio alto. Lo svettava dalle spalle in su, e la sua presa era salda e decisa.

Lo stregone, che non amava affatto venire mosso come una pedina, tentò di scansare educatamente la mano di Leon dalla sua spalla tirandola via con due dita.

Il risultato fu un'occhiataccia glaciale di quello, che fece crollare ogni altra sua idea di fuga. Allora sentì un respiro seccato scappare dalla propria bocca con esasperazione, come se si fosse rifiutato di restarsene nascosto dentro ai polmoni. “Sentite, scusate, possiamo parlarne con calm-”

“Si faccia da parte, lei. E voi, signore, allontanatevi. Non sappiamo chi sia questo ragazzo, potrebbe essere pericoloso.”

“Pericoloso!” esclamarono in coro i due più giovani, il biondo in tono sarcastico e sfacciato, Merlin scioccato.

Bel modo di iniziare un nuovo capitolo della sua vita, con un energumeno che lo teneva piantato a terra e un tipo collerico che, a ogni passo indietro di Merlin, tornava avanti per tirargli le sue accuse dritte sul naso.

La cosa veramente irritante era che sparasse a raffica tutte le sue sentenze continuando a fissare Merlin da distanza ravvicinatissima anche quando si rivolgeva a Leon. “Lasciami fare, LEON!” sbraitò infatti in faccia a Merlin. “Stavolta non potrai impedirmi di arrabbiarmi. Piuttosto un'altra cosa dovresti impedire, che avvengano proprio aggressioni del genere!”

Aggressioni? Quella che stava subendo Merlin, quella sì che era un'aggressione.

Non bastava inarcare un po' la schiena all'indietro per sottrarsi all'invasione dello spazio personale. Come il biondo tornava alla carica, l'irritazione si faceva più pressante e meno facile da reprimere.

“Signore... non l'ho visto arrivare da nessuna parte” si scusò piattamente Leon. “È come se il ragazzo fosse sbucato... dal nulla.”

Una risata scocciata; Occhiali Terribili gettò la testa all'indietro. “Sbucato dal nulla, ma per favore! In fede alla tua onnipresente professionalità, Leon, o dovrei dire quasi onnipresente, per stavolta lascio correre. Ma tu... con te non ho neppure iniziato” disse, premendo l'indice sulla fronte di Merlin. A questo punto la voce gli si abbassò di colpo, palesemente sfacciata e pure minacciosa. Anche se non stava urlando, non perdeva nemmeno un briciolo di veleno, semmai l'acquistava. “Mi avete proprio stufato, voialtri giornalisti invasati. Ma. Si. Può. Sapere. Che. Diamine. Volete?”

A ogni parola tamburellava l'indice sulla fronte di un Merlin che, bloccato dal peso di Leon, non poteva far altro che limitarsi a sospiri sonori.

“Ah... Ehi, adesso piantala di fare così, non mi toccare” non poté che soffiare lo stregone, il ridicolo della cosa che gli piegava la bocca in un sorriso tirato.

Tuttavia la sua richiesta venne completamente ignorata dall'altro ragazzo, impegnato nel suo monologo con una certa vena di soddisfazione compiaciuta.

“Che diamine pensate di ottenere facendomi questi stupidi assalti a sorpresa, uh? Come se non faceste uscire un articolo su di me due giorni sì e uno no. Come se ci fosse altro da tirare fuori. Ma si trova sempre qualcosa da inventare, vero?”

“Adesso mi sto proprio stufando... toglietemi le mani di dosso, per favore.”

Nessuno dei due sconosciuti lo fece. Di conseguenza, nella mente di Merlin prese forma un'idea concreta: non avrebbe dovuto farlo, lo sapeva.

Era appena arrivato, poteva essere pericoloso esporsi a quel modo e, per la miseria, erano solo due uomini – stupidi uomini, dove stava tutto il loro fascino misterioso, adesso?

Eppure una piccola, minuscola magia non ci sarebbe stata male, in quell'occasione. Un incantesimo rapido per buttarli entrambi a gambe all'aria, ma senza fargli male, e poi filarsela da lì e iniziare per bene la sua avventura.

Sarebbe stato tanto sbagliato? Se Merlin fosse stato attento a far bene, non si sarebbe nemmeno fatto scoprire. Occhiali Terribili e Leon non sarebbero riusciti neanche a realizzare cosa fosse successo.

“Aaaah, adesso ho capito. Non sei un giornalista... sei un fan, mh?”

Certo il tono saccente del ragazzo biondo non l'aiutava per niente a rifuggire il pensiero di dargli una lezione. Nemmeno la sua figura tronfia, se era per quello, con le mani ora appoggiate sui fianchi e un ghigno antipatico che scopriva una fila di denti bianchi.

“Ma sì, hai la faccia da uno di quei miei fan accaniti sul serio” disse il biondo, odiosamente estasiato dalla scoperta. “Be', sai che ti dico?”

Merlin lo stette a guardare mentre con un gesto rapido lui si sfilava, finalmente, gli occhiali messi storti sul naso, rivelando un paio di occhi potentemente accigliati e molto... azzurri. “Ecco, ti regalo questi Rayban, falli vedere a tutti i tuoi amichetti o dormici la notte o vendili su internet, facci quello che ti pare. Poi non andare a lamentarti su Twitter dicendo che Arthur Pendragon non è un tipo generoso” disse, e gli sbatté gli occhiali in mano.

Merlin lo trafisse con uno sguardo gelido da sotto le ciglia. Non aveva capito metà delle accuse che gli erano state rivolte, neanche la situazione gli era proprio chiara e, a voler essere sinceri, ancora si sentiva un po' disorientato. Ma tra tutto quel caos qualcosa non gli era sfuggita: il tono minatorio dell'altro. La sua aria superiore.

Come se si credesse chissà chi. Come se si ritenesse in grado di poter dire e fare quello che voleva soltanto perché lui era lui, e gli altri non erano lui.

Che Kilgharrah avesse potuto carbonizzarlo, se quella non era la cosa che Merlin odiava di più al mondo.

Scaraventarlo via o meno adesso dipendeva solo dalle prossime mosse del ragazzo stesso. E probabilmente se lo sarebbe meritato.

Fu il turno di Merlin di schiacciare con decisione gli occhiali in mano al proprietario. “Qui c'è un bel fraintendimento” disse per dargli un'ultima possibilità, la magia che gli sfrigolava in tutto il corpo premendo per venire fuori.

“Che c'è, quelli non ti bastano?” domandò l'altro con finta educazione. “Ah, vuoi qualcos'altro di mio, tipo il capello che mi hai fatto cadere? Vedo già i titoli sul giornale, L'erede al trono fa la carità a un giovane appena uscito da... ho detto lasciami fare, Leon! … Da una fiera medievale, a giudicare da come sei vestito” E rise, buttando ostentatamente la testa all'indietro. “Oppure Fan denuncia il Principe di Galles per comportamento molesto, magari?”

Parlò con una certa classe nella strafottenza, come se per lui tutto quello fosse una cosa ordinaria. Tuttavia, fu lo sguardo intriso di una spolverata di pietà che fece realizzare sul serio a Merlin di essere mortalmente irritato.

E di colpo un campanello gli risuonò in testa: si era mai sentito così prossimo all'orlo di un'esplosione? Gli era mai successo prima?

Era questo l'effetto che facevano le creature opposte?

Se era davvero così, allora non gli piacevano. Non gli piacevano affatto, gli esseri umani. Possibile che le creature che avevano popolato le storie che amava da bambino, e che ancora adesso lo affascinavano, fossero così ottuse e... diverse da come se l'era immaginate?

No. Si doveva continuare sulla strada del compromesso. Se non altro, Merlin lo doveva a se stesso e a tutti gli anni passati in fantasticherie.

“Stammi a sentire, per l'ultima volta” biascicò quindi al biondo, “ti sto chiedendo scusa per esserti venuto addosso, di nuovo. Non so bene cosa tu abbia capito, ma toglimi quel dito dalla fronte e nessuno si farà male.”

Ciò che disse scatenò due reazioni: da una parte, la presa di Leon sulla spalla di Merlin si fece ferrea.

Dall'altra, quello che era, a questo punto chiaramente, il protetto di Leon, inspirò forte, la testa piegata di lato con curiosità e gli occhi grandi come due biglie di vetro. “Cioè, adesso mi staresti minacciando?” disse.

Ma improvvisamente non suonava arrabbiato. Piuttosto, sembrava solo... divertito. Desideroso di mettere alla prova Merlin, per vedere se davvero avesse avuto il fegato di rispondergli.

E se quella era la sfida, be', chi era lui per tirarsi indietro?

“Non è una minaccia” gli disse Merlin, un sorriso provocatorio spuntato per conto suo. “Non sono mica nella posizione di poter minacciare qualcuno, adesso.

“Oh” fece l'altro ragazzo, allargando il ghigno obliquo, “perché, se Leon non ti stesse trattenendo, saresti in grado di farmi qualcosa?”

“Vedere per credere.”

“Perché dovrei voler vedere?”

“Non so, ma forse sei troppo codardo per rischiare e non sapresti sbrigartela da solo senza il tuo amico.”

Merlin se ne accorse: alla parola “codardo”, l'espressione dell'altro cambiò radicalmente. Il sorriso sicuro si stirò in una linea dritta, il viso divenne una maschera difficile da decifrare.

Impossibile. Che ci fosse... rimasto male?

Quell'individuo borioso e arrogante non doveva davvero essere abituato a sentirsi parlare in quel modo. La cosa divertì Merlin in una maniera che nemmeno lui si sarebbe aspettato.

“Adesso lascia andare quella specie di Dumbo, Leon” comandò l'altro, la voce seriosa.

“Signore...”

“Lascialo, è un ordine.”

Leon sospirò rassegnato, rilasciando la presa. Merlin lo guardò per un attimo: adesso che ci faceva caso, piuttosto che di essere sottomesso all'ordine di un suo superiore, aveva tutta l'aria di un uomo stanco di avere a che fare con le sciocchezze del suo fratellino.

Lo stregone non fece in tempo a riderne che il biondo tornò a spostargli la testa facendo forza con l'indice sulla sua fronte. L'irritazione si impennò più di prima, Merlin agitò le mani in aria come per scacciare una mosca.

“Ehi! Quindi, che cosa mi faresti adesso?”

Doveva essere veloce; un incantesimo facile, non troppo potente. Sarebbe bastato guardare per terra o dall'altra parte per non far vedere gli occhi che si coloravano d'oro... “Anche dopo che avrò finito, non avrai la minima idea di cosa ti abbia fatto.”

Il biondo indietreggiò di qualche passo, allargando le braccia con fare provocatorio. Aveva le pupille dilatate e mai, mai prima d'ora Merlin aveva giudicato una faccia più meritevole di un paio di schiaffi ben assestati.

“Che cosa mi farai? Cosaaa? Avanti, dai, fammi vedere. Avaaaaaanti!”

E proprio quando Merlin aveva iniziato a portare a mezz'aria la mano per lanciare l'incantesimo, a un briciolo dal far brillare gli occhi di oro, e l'altro ragazzo si era abbassato, protraendosi per caricarlo come un ariete, qualcuno gridò: “Fermi! Fermi tutti, fermi!”

Merlin si voltò a guardare, il suo rivale scattò in avanti ma Leon fece sfumare i suoi piani afferrando prontamente lo stregone per la sciarpa e trascinandolo di lato.

Un qualcosa di simile a uno squittio strozzato scappò dalla gola di Merlin mentre il gruppo veniva raggiunto da un uomo trafelato: era di età piuttosto avanzata e, più che correndo, era arrivato trotterellando, carico di buste che sbatacchiavano qua e là.

La sua voce suonò ferma e decisa quando si rivolse loro. “Smettetela, per carità, dev'esserci un equivoco! Lascialo, Leon, quello è mio nipote!”

Calò il silenzio.

Merlin, una mano ad allentare la sciarpa sul collo, sentì di essersi perso qualcosa. Era possibile che quel signore si stesse riferendo a lui? Non l'aveva mai visto prima.

“Gaius!” esclamò ex Occhiali Terribili, oltraggiato (probabilmente perché qualcuno si era permesso di dare un ordine a lui).

E per tutti i draghi, se non aveva un modo irritante davvero di pronunciare un nome. Non era certo il caso di prestare attenzione a dettagli del genere, tuttavia era di una distrazione enorme quel suo mettere enfasi nelle prime lettere della parola per poi mangiarsi il resto, trascinandolo via.

“Gaius!” disse ancora, e Merlin rabbrividì di fastidio. “Che stai dicendo? Questo coso qui sarebbe tuo nipote? Sicuro che non ti stai confondendo... non avrai mica preso un colpo di sole?”

Che avesse preso un colpo di sole o meno, l'intervento di quel Gaius era stato provvidenziale. Per l'ennesima volta nel giro di una decina di minuti, Merlin si sentiva annaspare nel caos degli eventi. Non sapendo cos'altro fare oltre sperare che il tutto si evolvesse in suo favore, fece una smorfia a ex Occhiali.

Intanto Gaius era andato a circondargli a tradimento la spalla con un braccio. “Sì, questo è proprio mio nipote venuto da lontano fin qui apposta per rivedermi” disse l'uomo.

“Non avevi mai menzionato alcun nipote” fece il biondo, incrociando le braccia al petto. La diffidenza del suo sguardo trafisse Merlin. Forse non se la sarebbe bevuta.

“Oh, è perché è il figlio di un lontano nipote di un nipote” rimbeccò prontamente Gaius, scuotendo Merlin. “E non lo vedo da così tanto. Mi sembra passata una vita. Non è vero, caro?”

Lo stregone lo guardò, l'esasperazione che ormai si era colorita di divertimento. “Sei così diverso dall'ultima volta che ti ho visto, zio, che mi sembra addirittura di non averti mai incontrato in vita mia!”

L'uomo gli pizzicò la pelle sotto ai vestiti e Merlin sobbalzò, accompagnando la sua risata isterica con la propria.

“Una famiglia ben strana” mormorò Leon, aggiustandosi la giacca scura. “Ma almeno sappiamo che è stato un falso allarme e che non si trattava di un vero assalto.”

Anche il biondo annuì, con un velo di riluttanza altezzosa.

Dunque la faccenda si chiudeva così? Quei due dovevano fidarsi ciecamente della parola di Gaius.

(Erano anche questo, le creature opposte? Si fidavano piuttosto facilmente... quanta ingenuità mischiata alla passione. Istinto puro.)

“Sì, sì, è stato un falso allarme” intervenne di nuovo Gaius, muovendo le mani in aria come se nulla fosse. “Adesso, se non vi dispiace, vi consiglierei di rientrare, Altezza. Stavate dando un certo spettacolo, è un miracolo che nessuno vi abbai riconosciuto. Suggerirei di approfittare di questo colpo fortunato per dirigersi in fretta verso l'auto.”

“Oh, sì, Gaius, proprio una gran fortuna incontrare così tuo nipote... tuo nipote... ?”

“Merlin” fu veloce a rispondere lo stregone.

“Merlin, esattamente!” esclamò il più anziano.

Merlin, allora” soffiò con sufficienza il biondo. “Se si tratta davvero di un malinteso, suppongo...”

Nella pausa che si prese per schiarirsi la voce, Merlin si fece tutto orecchie, scattando diritto.

“Suppongo di dovergli... mh” bofonchiò l'altro, grattandosi il collo.

Merlin si leccò le labbra, pre-assaporando il gusto di una sana umiliazione. Ah, un pensiero soddisfacente sul serio, quello della rivalsa.

“Non gli dovete proprio nulla, Altezza” intervenne però Gaius, sfasciando il glorioso momento. “Perdonatelo, credo che mio nipote non vi abbia riconosciuto. Se avesse saputo subito chi eravate... ma capite, è sempre vissuto...”

“Nella giungla?” concluse ex Occhiali Tremendi, un sorriso sarcastico d'incoraggiamento.

“In campagna! Un po' tagliato fuori dal mondo, potete immaginare. Ma davvero, sarebbe proprio il caso di rientrare, adesso. Mi pare di aver visto una comitiva di ragazze farvi delle foto con i cellulari.”

Fino a quel momento Merlin si era limitato a far scorrere lo sguardo da un uomo all'altro, ma se aveva capito bene e il gruppetto si stava per separare, lui a quel punto non poteva trattenersi. “Ehi, aspetta, che cos'era che supponevi di dovermi? Stavi per farmi le tue scuse, non è così?” disse.

Il biondo allargò le braccia e si morse il labbro. L'espressione dignitosa non tradiva nemmeno un filo dell'irritazione di cui però, Merlin ne era sicuro, era pieno fino all'orlo.

“Certo, io... ti faccio le mie scuse” concluse quello in fretta.

“Perché dovresti pro- oh.”

Che strano. Lo stregone si era aspettato un altro attacco di collera o, come minimo, un ennesimo botta e risposta stizzito. Invece aveva ottenuto le sue scuse, anche fin troppo facilmente. Adesso non sapeva se fosse lecito rimanere stupito dalla punta di senno che aveva intravisto in quella zucca vuota.

“Che c'è?” berciò il biondo. “Sono in grado di ammettere quando ho torto – non che stavolta abbia esclusivamente torto io, sia chiaro, ma riconosco di aver... un po' esagerato. Ero di cattivo umore per conto mio, è stata una pessima giornata.”

Oh.

Merlin sbatté le palpebre, colto in contropiede. Un nuovo intervento, questa volta di Leon, lo salvò dal breve momento di vuoto cerebrale che l'aveva investito.

“Rientri insieme a noi con tuo nipote, Gaius?”

“No, non ti preoccupare. Io e... Merlin vi raggiungiamo dopo. Abbiamo così tante cose da dirci, ci ritagliamo un po' di tempo solo per noi.”

Merlin annuì più volte con vigore, incespicando in qualche parola di circostanza.

Riassumendo, fino a quel momento aveva avuto: un approdo movimentato nel Mondo Riflesso, una rissa sventata per un pelo, un signore che lo stava aiutando chissà per quale motivo e un... asino che adesso lo guardava, no, lo fissava, con un'espressione molto dura e allo stesso tempo molto neutrale – impossibile determinare il preciso stato d'animo che l'aveva scatenata.

“Vorrei ospitare mio nipote da me per un po' di tempo” fece poi Gaius, destando Merlin dai suoi pensieri. “Che ne dite, Altezza, mi date il permesso?”

Un lampo passò per tutto il viso del ragazzo a cui si era rivolto; benché Merlin non sapesse proprio dare un senso a quell'illuminazione momentanea, il semplice fatto che la sua presenza da Gaius facesse scattare una reazione nell'altro gli diede da pensare.

Quelle scuse affrettate non l'avevano convinto per niente; e se avesse avuto voglia di vendicarsi su di lui, o qualcosa del genere? Adesso avrebbe saputo dove trovare Merlin.

Chissà se stava diventando irrazionale e paranoico, o se faceva bene a non aspettarsi niente di buono da tutto ciò.

“Ah, Merlin viene a stare da te” commentò intanto con vago interesse il biondo. “Certo, certo, perché no.”

Dopo qualche altra parola di saluto fredda e imbarazzata, lo stregone si staccò dagli altri, con Gaius che lo teneva per il gomito facendogli strada.

Una vocina, spuntata da una sorgente misteriosa nel profondo della sua testa, gli suggerì di voltarsi indietro giusto per vedere se sua Altezza Testa di Legno gli stesse perforando la schiena con un'occhiataccia. L'ostinazione però vinse la curiosità, e Merlin non ascoltò la vocina.

“C'è mancato un pelo, ragazzo” sentì invece dire Gaius. “Se non fossi intervenuto io, sarebbe successo il finimondo. Ma dico, sei impazzito?”

Lo stregone allora si bloccò, liberandosi gentilmente dalla presa del più anziano.

“La ringrazio per avermi dato una mano... zio” ammiccò. “Ma per quale motivo si è preso il disturbo di farlo?”

“Secondo te sarei dovuto stare a guardare mentre scaraventavi per aria con la magia il Principe di Galles?”

Merlin sussultò. Allora Gaius sapeva! Bastò quella consapevolezza per sollevare un piccolo peso dalla gola del ragazzo. In mezzo a tutte le stranezze, c'era qualcuno su cui forse avrebbe potuto contare. “Anche lei è uno streg-”

L'altro gli tappò la bocca con una grande mano nodosa. “Abbassa la voce! Santo cielo, quanto sei avventato. Regola numero uno per vivere tranquillamente nel Mondo Riflesso – d'ora in avanti scolpiscitela nella testa e non dimenticarla mai: non si va a sbandierare in giro la propria magia. Non si fa” bisbigliò, rivolgendosi a Merlin come a un bambino molto piccolo.

“Non si fa” ripetè laconico Merlin. “E perché no?” chiese, per il gusto di farlo.

A quel punto lo sguardo del vecchio venne iniettato di un'oscurità che mandò un brivido giù per la schiena dello stregone. Non si aspettava un cambio così radicale d'umore; cosa aveva chiesto di tanto sbagliato?

“I roghi medievali non ti dicono nulla, vero, ragazzo? Gli uomini a volte hanno un modo piuttosto curioso di reagire a ciò che è diverso da loro. Ma come potresti sapere...” sospirò, rasserenando un poco l'inquietudine. Poi riacchiappò Merlin per il polso. “Dovrò insegnarti parecchie cose e già so che mi farai penare, mio caro.”

“Aspetti, perché dovrebbe insegnarmi lei? E perché sa tutte queste cose? E...”

“Perché, perché, quanti perché!” rise l'uomo. “Un punto alla volta. Innanzitutto, so cosa stavi per chiedermi e no, non sono uno stregone. Non lo sono più, adesso.”

Ciò fu sufficiente perché Merlin capisse subito: Gaius sapeva della magia, ma non era più uno stregone e viveva tra gli umani. Quindi c'era una sola possibilità: era uno stregone che aveva perduto i suo poteri in cambio di un cuore umano.

“Già, ragazzo” disse Gaius, rassicurante e condiscendente. “Scommetto che l'hai realizzato da solo. Te lo vedo negli occhi. Sei sveglio, anche se piuttosto spericolato. A questo proposito” si illuminò, “mi viene in mente subito un altro consiglio da darti, la regola numero due: potrai anche possedere grandi capacità, ma se non hai la pazienza per guardarti bene intorno, ti sfuggiranno sempre le cose più importanti.”

Merlin non disse altro, aspettandosi la conclusione del discorso. Quando constatò che quella non arrivava, guardò Gaius piegando la testa di lato con un sorriso allusivo.

L'uomo si aprì in una risata pulita e allargò le braccia nello spazio intorno a lui. “Ti sto dicendo di dare un'occhiata in giro: adesso sei nel Mondo Riflesso, ragazzo mio!”

Fu solo allora che Merlin riuscì, per la prima volta da che era arrivato, a guardarsi sul serio intorno. La sua bocca si aprì in una “o” di sorpresa: gli era tutto così estraneo.

Riconosceva le forme e sapeva dire qual era una casa, quale una pianta, quale un muro. Eppure quelle stesse case, piante, muri, avevano addosso un odore che li rendeva assolutamente dissimili da qualunque altro elemento esistesse nel suo Regno.

Sapevano di umanità: di giorni da bambini che erano passati e che non sarebbero più tornati, di battaglie che erano state perdute e qualche volta vinte.

Sul terreno in cui poggiavano le suole dei suoi stivali ci avevano camminato generazioni di esseri umani. Merlin alzò i piedi per ammirare le piastrelle precise e tutte uguali sulle quali era lastricata la strada; concentrandosi, poteva percepire passi perduti e fusi sotto i suoi.

Le immagini che erano dipinte sui mattoni delle mura che andavano giù diritte per la via, chi le aveva disegnate? Teschi, arcobaleni, scritte e fogli strani appesi, a qualche mano dovevano essere appartenuti. Ma ora erano lì, a portata di ogni passante; come le insegne che si susseguivano l'una dopo l'altra ogni certo intervallo – rossa, blu, gialla, rossa, blu...

“Senti il brulicare della vita umana, non è così?” disse compiaciuto Gaius. “E adesso siamo solo a East End! Aspetta di vedere il cuore di Londra.”

Merlin gli lanciò il suo miglior sorriso a trentadue denti, l'ansia della scoperta di nuovo accesa che gli ballava lungo tutti gli arti.

“In questo momento ci troviamo in una specie di periferia” spiegò Gaius. “Dovevo fare degli acquisti per lavoro e qui c'è un rivenditore fantastico che mi tiene da parte un sacco di fertilizzante speciale. Le rose della serra ultimamente hanno un aspetto così sciupato” E sventolò le buste che teneva tra le mani.

“Ma lei chi è davvero?” chiese Merlin ridendo.

“Il giardiniere della famiglia reale! E quello con cui stavi per azzuffarti è l'erede al trono inglese. Il figlio del re.”

“Un principe erede al trono” constatò piattamente lo stregone.

Ma poi una rotella scattò dentro la sua testa, azionando il meccanismo che attendeva solo l'ultimo segnale per mettersi definitivamente in moto. E di contro, tutto si fermò, e l'importanza di ogni cosa sbiadì di fronte a quell'accenno di scoperta. Come aveva fatto a non pensarci?

“Aspetta! Come ha detto di chiamarsi, questo principe?” disse Merlin a Gaius con un'urgenza che nemmeno sapeva da dove gli provenisse.

“Arthur.”

“No, il cognome!”

“Pendragon...”

Pendragon? Principe Pendragon... dragon...

“Un Principe... dei Draghi” soffiò Merlin. Fu come se quel pensiero gli fosse scappato per conto suo dalle sue labbra – era già successo, quel giorno. Il desiderio di rimangiarsi l'ultima affermazione lo colpì con la potenza di una valanga. “No... no” si ritrovò a balbettare, irrazionalmente.

E non sapeva perché, davvero non lo sapeva. Ma non poteva essere vero. Merlin non voleva.

“Oppure invece sì?” disse Gaius, un velo di tenebra nel tono improvvisamente roco. “Questo devi dirmelo tu, Merlin. Ti basterà chiederti se è davvero sua la voce che hai sentito nel Regno della Magia.”

“È a conoscenza anche del Duello del Drago, Gaius?” disse lo stregone, confuso.

“Certo che sì” rispose quello, sbrigativo. “Saperlo è il minimo, considerando che sono il mentore ufficiale che ti è stato assegnato.”

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Riflesso ***



(x)

 

 

Capitolo quattro: Riflesso

 

 

 

In un riflesso, aveva detto Gaius, è contenuto il segreto dell'universo. Sta tutto lì: se ci riesce di capire davvero il significato del concetto di “riflesso”, se ci riesce di inoltrarci sul serio nel mistero e di tirare, dentro di noi, il filo giusto per sciogliere la matassa... allora si può comprendere davvero cosa significhi avere un cuore da creatura magica o averne uno da essere umano.

“Un riflesso è qualcosa di uguale e opposto allo stesso tempo. Se in uno specchio rivedi la tua immagine, di sicuro riconosci i tuoi occhi chiari, i capelli ricci e corti, ti identifichi nella tua postura e dici 'quello sono io'. Ma gli occhi azzurri del Merlin nello specchio non sono effettivamente quelli del Merlin che sta dall'altra parte. Così i suoi capelli non sono davvero quelli di Merlin, la postura non è del vero Merlin ma è dell'immagine di Merlin. Il tuo riflesso nello specchio non sei davvero tu: è la tua immagine. Tu sei il vero te stesso. Ma la tua immagine? È qualcosa di completamente illusorio.”

In quel momento, Merlin non sapeva dire quanto potesse essere illusoria la faccia sorridente che gli veniva restituita dal finestrino dell'auto. Sapeva, però, che gli importava ben poco a chi effettivamente appartenessero le pupille sgranate e l'espressione illuminata dal ghigno incontenibile.

Se erano del vero lui stesso o se stava solo rimirando una mera immagine priva di significato, che cosa importava? Di certo la sua eccitazione non poteva definirsi un'illusione.

La veridicità del suo riflesso in un taxi era la cosa meno interessante, considerando che quello stesso taxi lo stava portando a spasso per Londra.

Quando lui e Gaius, camminando, avevano iniziato a inoltrarsi nella zona più strettamente urbana, il panorama era cambiato drasticamente.

Folla di persone, rimbombi casuali, nell'aria tuoni di strane intensità (“clacson”, aveva detto Gaius), e quell'odore di cottura che gli faceva pizzicare il naso (“Una bancarella di fish and chips. Ti va? No?”), e quella giovane che era sbucata affianco a Merlin e gli aveva ficcato tra le dita un foglio colorato (“Non ci serve nulla, cara. Saldi? No, non siamo interessati. Merlin, non allontanarti, per l'amor del cielo!”).

Merlin si era trovato dentro un pallone di sfumature e ritmi attraenti, e sarebbe stato un peccato perdersi anche solo un briciolo di ciò che lo circondava. Quindi aveva provato a immagazzinare quanto più poteva, facendo scattare la testa di qua e di là, ruotando sul posto come un'ape che non sa bene su quale fiore dedicare le proprie attenzioni e vola dappertutto.

Alla fine Gaius, piuttosto esasperato, gli aveva infilato nella mano sinistra le buste con i prodotti da giardinaggio, mentre la destra l'aveva presa saldamente nella sua, guidando Merlin per la strada.

In questo modo, ogni volta che lo stregone aveva sobbalzato alla vista di qualcosa di sconosciuto o aveva tentato di seguire un gruppetto di umani dall'aspetto interessante, l'altro l'aveva strattonato riportandoselo a fianco.

“Insomma ragazzo, non fare storie! Sono il tuo mentore, la tua guida in questa terra. Secondo te saprò dove portarti oppure o no ?” gli aveva detto.

La storia del mentore aveva colto Merlin di sorpresa, e, a quanto pareva, pure lo stesso Gaius.

Quando, qualche giorno prima, l'uomo si era ritrovato sotto la porta di casa una lettera con i sigilli reali della Signora del Lago, era rimasto pietrificato per un po' senza decidersi ad aprirla.

“Era da così tanti anni che non ricevevo neanche il più piccolo dei segnali dell'esistenza del Regno... tanto che quasi me n'ero dimenticato” aveva detto a Merlin con una strizzata d'occhi.

Lui non gli aveva chiesto altro in merito. Poteva solo immaginarsi cosa significasse riavere indietro qualcosa che ti ricordava della tua vita passata, qualcosa che ti veniva a bussare alla porta dopo vent'anni.

Solo in un secondo momento, comunque, Gaius aveva aperto la missiva.

In quella gli veniva illustrata la venuta nel Mondo Riflesso di due stregoni in competizione in un duello del drago. E soprattutto, Gaius, in quanto amico della corte reale e veterano dell'universo terrestre, veniva investito del ruolo di guida tra gli umani per Merlin di Ealdor.

“Il mio compito è aiutarti a muoverti per il meglio tra le creature opposte ed indicarti la strada giusta per imparare a capirle” aveva detto a Merlin, tirandolo per il gomito in modo che evitasse un palo della luce. “Non riuscirai ad afferrare il cuore di nessun umano se non saprai bene che cosa significa avere un cuore umano.”

“Insomma, conosci il tuo nemico” aveva scherzato lo stregone.

Il più anziano invece gli aveva risposto con serietà. “Puoi giurarci. Direi che il contenuto della missiva reale era piuttosto simile a 'insegna al ragazzo a riconoscere i percoli che il nemico gli cela, così da non farlo cadere nel tranello dell'umanità'. Il che, secondo il mio modesto parere, è una sciocchezza totale.”

“Perché lo dice, Gaius?”

L'occhiataccia che gli aveva riservato non era stata d'aiuto a Merlin per chiarire la situazione.

“Lasciamo perdere, per ora” aveva concluso quindi l'altro, un po' seccato.

Dopo poco il sole aveva iniziato a tramontare, e il mentore aveva optato per un modo più rapido per dare a Merlin l'idea della realtà londinese: un giro panoramico per la City in taxi.

Inutile dire che gli avvisi preventivi di Gaius erano stati più che inefficaci; Merlin si era quasi messo a saltare quando si era avvicinato per la prima volta a un'automobile, tastandola per bene mentre gli girava tutt'intorno.

E poi ci erano saliti dentro, l'aggeggio si era messo in moto e il ragazzo aveva affondato le unghie sulla tappezzeria del sedile, gridando divertito dal rombo del motore.

L'autista aveva continuato a fissarlo stranito per tutto il tempo (“Ha qualche problemino, sa...” gli aveva detto Gaius), ma a Merlin non era importato un bel niente.

Adesso, che il delirio filosofico del suo nuovo maestro avesse un'applicazione pratica, gli importava ancora meno.

“Mi stai seguendo, Merlin?” lo richiamava ogni tanto la voce di Gaius. “Riassumendo, ciò che tu hai sempre considerato essere il tuo riflesso non lo è affatto. Ma allora qual è il vero riflesso di uno stregone? Tu sai bene che gli stregoni conoscono i segreti della natura e la verità che sta dietro alle cose. Dunque la verità che sta dietro alla magia mi sai dire che cos'è?”

Ridestato improvvisamente dalla domanda diretta, Merlin staccò il naso prima premuto sul finestrino solo per balbettare qualche suono incerto a Gaius.

“Dove potrai mai trovare la verità che sta dietro alla magia?” ripetè il mentore, muovendo le mani per esortarlo a rispondere.

Merlin scimmiottò il gesto per prendere tempo, cercando nella testa una risposta che non arrivava. “Ehm...”

“Insomma, dove siamo adesso?”

“Nel... ah! Nel Mondo Riflesso!” esclamò forte.

Gaius gli portò un indice sulle labbra, facendogli segno di parlare piano. Poi entrambi si voltarono lenti lenti verso l'autista, che, esasperato, inarcò le sopracciglia dallo specchietto e decise di concentrarsi esclusivamente sulla guida.

“Proprio così, la chiave sono gli esseri umani!” bisbigliò Gaius con entusiasmo. “Loro sono il vero riflesso degli stregoni. Se riesci a vedere dentro uno di loro, riesci a vedere dentro di te.”

Per la prima volta da che Gaius aveva iniziato a filosofeggiare sulle teorie che legavano i due mondi, l'attenzione di Merlin venne solleticata per davvero.

Certo, con la coda dell'occhio cercava ancora di tornare al paesaggio che scorreva fuori – avevano appena passato una torre orologiaia enorme!

Ma Merlin sentiva che alcune di quelle parole stavano rimanendo ingarbugliate nei fili della sua coscienza, e lui le lasciava fare. Doveva trattarsi di qualcosa di meritevole, se era riuscito a distrarlo un po' dalle meraviglie architettoniche degli uomini.

“In questo caso non si tratterebbe affatto di guardare un'immagine allo specchio, come ti dicevo prima” continuò Gaius. “Gli esseri umani sono vivi, reali; l'umanità è l'esatto opposto del mondo magico, e non c'è niente di illusorio in ciò. Ma allo stesso momento, l'umanità è la metà mancante che completa uno stregone. Perché uno stregone è privo di umanità per natura. Capisci questi due concetti?”

Merlin strinse le labbra. Un po' il discorso lo afferrava, ma era piuttosto difficile rimanere concertato su una vaga teoria quanto fuori c'era la vita che gli sussurrava suadente all'orecchio di aprire lo sportello e buttarcisi in mezzo.

La sua espressione si fece contrita, e Gaius gli sembrò più avvilito di prima.

Questo lo faceva sentire leggermente in colpa; non avrebbe voluto far sembrare che Gaius avesse parlato all'aria fino a quel momento.

L'uomo aveva messo le mani in tasca con rassegnazione, ma prima che Merlin tentasse di minimizzare sul proprio scarso livello d'attenzione, Gaius di colpo si illuminò. “Sta' a sentire!” scattò. “Due metà diverse, ma che fanno parte dello stesso insieme. Due cose lontane tra loro, ma fatte della stessa pasta. Umanità e stregoneria sono un po' come...” E, lasciando la frase volutamente in sospeso, tirò fuori dalla tasca una monetina di rame. “Come due facce della stessa medaglia!”

La mano di Merlin galleggiò fino a raggiungere la moneta che stava incastrata lì, tra il pollice e l'indice di Gaius. Era visibile solo una faccia piatta, un po' arrugginita sui bordi. Lo stregone sfilò piano il piccolo oggetto dalle dita del mentore.

Fino a mezzo secondo prima, Merlin era stato sicuro di essere unico al mondo; anzi in due mondi, lui, con le sue stranezze, con le sue capacità, unico e solo – solo, solo, solo.

Lentamente, si rigirò nel palmo la moneta fino capovolgerla per vederne l'altra faccia. Era così strano ritrovarsi ora, a distanza di un battito di ciglia, trasformato in uno spicchio appartenente a un tutto. E se quindi lui non era che la testa, significava che da qualche parte esisteva un'essenza umana nata per fargli da croce? “Oh, questo... questo sì che è...”

Com'era? Tutto quello, com'era, cosa significava? Cosa voleva dire essere in due? Voleva dire che una metà esisteva, c'era, era là da qualche parte nel Mondo Riflesso, dispersa forse tanto quanto era disperso lui...

In due.

Merlin e...

“Questo è...”

I suoi occhi vagarono nello spazio, le pupille si persero nell'orizzonte oltre quello che vedeva dal finestrino, arrivando lontano fino a sfiorare sponde che Merlin non aveva neppure ancora toccato, montagne sulle quali non si era ancora arrampicato, rifugi nei quali non aveva ancora trovato riparo.

“Ragazzo, tutto bene? Cosa stai fissando?”

Ma adesso avrebbe potuto trovarli, avrebbe potuto trovarli davvero! Le sponde aspettavano lui – loro, e così pure scalare una montagna sarebbe stato meno faticoso in due, e una casa non sarebbe mai stata troppo stretta, anche se ad abitarci fossero stati in due.

“Questo è... wow!” si animò Merlin, nella voce ancora una traccia di intontimento, come se qualcosa di pesante gli si fosse appena schiantato sopra. “Sul serio, davvero, wow!” esclamò.

Vertiginosamente fu colpito dall'urgenza di ululare alla città. Allora trafficò febbrile con la manovella che stava sullo sportello, come aveva visto fare prima a Gaius, e, riuscito ad abbassare il vetro, mise fuori la testa. L'aria lo schiaffeggiava ma il suo sorriso cresceva con entusiasmo, e “Merlin, per l'amor del cielo” rideva Gaius, ma Merlin gridava come un bambino: “WOOOOH!”

“Merlin... sì, è molto divertente ma adesso basta, metti via le mani da lì, magari pure la testa.”

“Gaiuuuuus! Voglio salire fino in cima!”

“A cosa?”

“A quella bellissima torre orologiaia che abbiamo appena superato!”

“Il Big Ben? Temo che non sia possibile, mio caro. Ma se ti piacciono le altezze, potresti fare un giro sul London Eye, guarda, si vede là.”

“Se la ruota è così enorme, non oso immaginare come sarà il mulino.”

“Ah, ah!... Sul fatto che è una ruota ci hai preso, però.”

 

 

ʘ

 

 

Arrivarono alla residenza della famiglia reale che il sole era ormai tramontato. Per strada avevano mangiato una delle cose più squisite che Merlin avesse mai provato (si chiamava pizza, non l'avrebbe dimenticata tanto facilmente).

Il palazzo irradiava magnificenza: l'ingresso principale era preceduto da una breve scalinata, che ricordò un po' a Merlin l'aria rigida e sacrale di certi templi dei sacerdoti visitati da piccolo – c'erano persino delle colonne. L'aspetto della facciata non incuteva però timore, quanto piuttosto una certa reverenza elegante. Il tutto era ammorbidito dal chiarore dei marmi che riluceva tenue anche se immerso nella sera. Cancelli pesanti ma lavorati in uno stile armonioso chiudevano l'entrata.

Gaius si fece riconoscere dalla sicurezza, garantendo per Merlin quando le guardie lo fulminarono squadrandolo malissimo per gli abiti che indossava. Il mentore lo presentò con indifferenza come il suo “innocuo nipote”.

Circumnavigando il palazzo per una strada di sassolini artificiale, abilmente mascherata agli angoli dei cancelli, si raggiungeva la dependance occupata da Gaius. Stava nascosta nel lato interno, invisibile da fuori l'ingresso della dimora principale. Anche se questa era comunque immersa in un prato curato e circondata da un abbraccio di alte siepi dall'aspetto smagliante, la casa di Gaius precedeva l'entrata alla vera zona verde, come il rifugio di un guardaboschi si affaccia alla macchia.

“E laggiù, a destra, guarda, si vede la serra delle rose” disse Gaius a Merlin, guidandolo in giro con soddisfazione. “Sono sicuro che ti piacerà, è una meraviglia... il mio orgoglio personale.”

Merlin diede una rapida occhiata intorno: il verde si espandeva per quella che giudicò una spropositata quantità di chilometri. “Se tu sei il giardiniere, significa che devi occuparti di tutto questo?”

“Come se le mie ossa me lo permettessero! No, non sono l'unico giardiniere. Ma sono il solo che ha un'abitazione qui. Principalmente mi occupo delle serre e del roseto, ogni tanto do una mano anche col labirinto.”

La testa dello stregone scattò così in fretta verso l'altro che sentì uno scricchiolio sospetto provenire dal suo collo.

“Sì, c'è pure un labirinto, ma quello lo vediamo domani. È meglio ammirarlo con la luce del sole. Comunque... più avanti ci sono le residenze della servitù, quindici minuti a piedi da qui. Quelli lassù, invece, quei balconi in stile vittoriano... già, tu non sai cosa significhi vittoriano” brontolò Gaius, e poi mise le mani in faccia a Merlin e gli girò la testa in alto a sinistra. “Quelle sono le stanze del principe Pendragon. Si affacciano qui... guarda caso.”

La casa di Gaius non era proprio adiacente al palazzo. Tuttavia Merlin riusciva a vedere bene, oltre i finestroni, i lunghi tendaggi di un rosso opaco che ornavano le stanze di Arthur. “Che fortuna averlo così vicino” commentò caustico con una smorfia.

Il mentore gli mise un braccio attorno alle spalle e lo condusse alla porta della sua abitazione. Dopo aver armeggiato goffamente con le chiavi e aver usato un paio di espressioni che lo stregone non conosceva ma che lo fecero ridere comunque, Gaius riuscì a far scattare la serratura.

Merlin entrò e ciò che vide lo fece subito sentire a suo agio: più che in una casa, sembrava che Gaius vivesse in un vero laboratorio dove il disordine conviveva pacificamente col resto. Un'unica grande stanza al piano terra, zeppa di mensole infilate in ogni angolo e cariche di libri, era adibita a cucina e soggiorno. C'erano parecchi fogli volanti, e Merlin non poteva esserne sicuro, ma qualcosa gli diceva che anche nel mondo degli umani non era il massimo lasciare sul tavolo una busta di terriccio mezza aperta, stravaccata sopra una fila di cocci colorati.

“Non fare caso a quelli. Sto sperimentando una nuova serie di incroci tra piantine grasse, ho scoperto una varietà piuttosto curiosa di una famiglia che... mh. È di vitale importanza che restino lì sul tavolo, è il punto migliore da dove filtra la luce e... la colazione domattina penso che la faremo in piedi.”

“Non si preoccupi” sorrise Merlin. “Già mi piace molto qui, davvero.”

“Perfetto. Inizia a darmi del tu, comunque. In genere non si parla in modo formale al proprio zio” ammiccò Gaius.

Lo stregone ghignò. “Per la notte potrei sistemarmi anche sul pavimento tra una pianta e l'altra. Sono abituato a dormire per terra.”

“Oh, no, no no no no!”

Gaius si affrettò a raggiungere una porta che stava in fondo al salone, accanto a una libreria di mogano; la aprì rivelando una piccola scalinata di pietra grigia.

“C'è una sola stanza al piano di sopra. Ora la uso come ripostiglio, ma una volta era la camera da letto. Possiamo risistemarla per te. Non è tanto grande, ma dovrebbe andar bene.”

Merlin ondeggiò sul posto, un po' stupito.

Una stanza tutta sua.

Non ce l'aveva mai avuta nemmeno nella loro casa di Ealdor. Buffo che poco prima di partire avesse valutato di chiedere come desiderio a Kilgharrah proprio una stanza.

L'altro lo incoraggiò a seguirlo per dare un'occhiata, brontolando poi che adesso avrebbe dovuto risistemare la luce delle scalette o Merlin si sarebbe rotto l'osso del collo a scendere di lì al buio.

“Posso risistemarla in un attimo con la magia, credo” propose lui, per rendersi utile.

“No! Merlin, no. Ascolta...” Gaius gli piantò con decisione le mani nodose sulle spalle, guardandolo in modo tremendamente serio. “Regola numero uno per vivere tranquillamente nel Mondo Riflesso, ricordi?”

“Non si va a sbandierare in giro la propria magia” cantilenò Merlin.

Il mentore annuì con vigore. “Meglio evitare di usarla per le piccole cose. Meno rischi di metterti nei guai e meglio è.”

Lo stregone storse la bocca, poco convinto. Quanto poteva sbagliare a lanciare un incantesimo utile e semplice? L'avrebbe fatto alla svelta, ed era veramente impossibile che qualcuno lo beccasse in flagrante dentro casa di Gaius.

Regalò comunque all'uomo un sorriso rassicurante e convinto, uno di quei sorrisi prefabbricati che ogni tanto gli riuscivano particolarmente bene.

Poi si affacciò con curiosità al cataclisma di roba che invadeva la stanzetta: non si vedeva nemmeno più dov'era il letto, e l'armadio era completamente oscurato da una serie di attrezzi da lavoro impilati l'uno sull'altro. Merlin tornò a stuzzicare il mentore. “Anche adesso insisti con la storia del non usare la magia? Nemmeno per riordinare questo disastro?”

“Soprattutto per quello! Pensa se qualcuno dovesse venire e vedesse che la stanza è di tutto punto svuotata e pronta.”

“Ma...”

“Prima iniziamo e prima avrai il tuo letto disponibile, Merlin!”

Lo stregone roteò gli occhi al soffitto... e fece male, poiché la mossa gli fece notare le ragnatele che lo decoravano, e la lista delle pulizie da fare si allungò.

Così i due iniziarono a dedicarsi a tutta una serie di ammassamenti, spazzolamenti, spostamenti e spolveramenti vari. Era chiaro che non avrebbero potuto finire tutto in una volta; allora si accontentarono di sistemare il letto, parte dell'armadio e di liberare un passaggio per poter per lo meno entrare agilmente nella camera.

Quando Merlin si asciugò la fronte annaspando, pronto a buttarsi sul plaid a quadri offertogli da Gaius, l'uomo lo guardò con una pietà un pizzico divertita. “Mi dispiace dirtelo, ma la nottata sarà ancora lunga per te.”

E quella fu proprio la nottata più lunga che Merlin avesse mai vissuto. Gaius infatti decise di ignorare bellamente le sue proteste sulla stanchezza per lo scombussolamento della giornata e per le pulizie. Era più importante, aveva detto, imparare il prima possibile quanto più poteva sul Mondo Riflesso, per non trovarsi impreparato di fronte agli imprevisti. “Non ce la farai mai a immagazzinare in una volta tutte le nozioni che avresti se fossi un comune ventenne umano. Ma come ho già detto...”

“Prima iniziamo e prima avrò finito” mugugnò Merlin, l'entusiasmo sbiadito in una bolla di sapone.

Non era mai stato un ragazzo pigro. L'unica cosa che faceva mal volentieri erano le faccende di casa, e non era molto ordinato, questo sì. Ma l'iniziativa non gli era mai mancata, e se qualcuno, due giorni prima, gli avesse proposto un corso rapido di “umanologia”, Merlin avrebbe accettato di buon grado.

Però due cose erano anche vere: la prima era che a lui piaceva fare tutto in fretta, e la pazienza non era mai stata una sua virtù.

La seconda, per ironia, era che non esistevano magie per poter apprendere velocemente.

Ma... c'erano quelle per poter leggere velocemente. Quindi, quando Gaius se n'era andato a dormire lasciandolo, in modo piuttosto sfacciato, con un suo brutto pigiama grigio topo da indossare e con la prima (e un brivido gli era sceso giù per la schiena) di una serie di pile di “compiti” da fare entro la settimana, Merlin si era messo all'opera.

In fondo Gaius gli aveva detto di fare il più in fretta possibile, no?

La prima nottata nel Mondo Riflesso perciò Merlin la passò quasi tutta in bianco, leggendo con una magia velocizzante opuscoli, manuali, libretti d'istruzione, riviste d'attualità, menù di ristoranti cinesi, italiani, messicani... insomma, materiale di ogni tipo che riguardasse gli uomini, e i londinesi in particolare.

Non fu strano che alle sei del mattino si ritrovò a scivolare per lo sforzo in uno scomodo dormiveglia, due libri appoggiati sulle ginocchia e la guancia schiacciata contro il muro.

I suoi pensieri sconnessi erano popolati da attrezzi tecnologici, nozioni geografiche e storiche basilari, hamburger con varie salse. Nuotavano con noncuranza tra famosi spezzoni di film, riferimenti casuali alla cultura popolare, strani accessori da ragazza, titoli e ranghi nobiliari e... tra tutto spiccava un asino reale che lo fissava, le labbra arricciate come unico elemento a spezzare l'armonia del viso marmoreo.

Era il principe Arthur Pendragon che, svettandolo, lo guardava. E lo faceva con l'interesse con cui Merlin aveva guardato le ragnatele appese all'angolo del muro: blanda sorpresa nel realizzarne la presenza, l'idea di come eliminarle che inizia a spuntare dalle pupille strizzate.

Teneva pure le braccia incrociate al petto con un fare a metà tra il pratico e il seccato – aveva addosso una maglia con le maniche a tre quarti, ed erano piuttosto grandi, i suoi avambracci. Merlin non li aveva notati l'altra volta, forse perché era stato troppo impegnato a non farsi picchiare, o forse perché adesso era veramente impossibile non notarli, anche se non ne capiva il motivo. Era strano, doveva ammetterlo, sognare tra tutto proprio gli avambracci di Arthur Pendragon. Specialmente se quello nel frattempo non faceva che continuare a squadrare Merlin, adesso con tanto di sopracciglia inarcate.

Il dettaglio curioso era che se ne stava a braccia conserte appoggiato lì, nel vano della finestra che rientrava nella parete, quasi fosse stato in posa.

Il sole filtrato dal vetro lo colpiva sulla nuca, così da formare attorno alla sua persona tutto un contorno di luce soffusa. Ma quando Arthur ondeggiò appena sul posto, un raggio picchiò direttamente gli occhi di Merlin,

che dovette schermarsi il viso con la mano. Attraverso le fessure delle dita e a discapito del chiarore offuscato, emergevano comunque le iridi di Arthur. E persino in sogno erano... erano...

“Maledettamente blu” mugugnò lo stregone.

“È mezzogiorno.” La voce di Arthur era stata un affondo dritto nel cervello di Merlin. “Se io sono già sveglio, perché diamine tu non lo sei?”

Se fino a quel momento avrebbe potuto continuare considerarlo un sogno, il commento seguente che gli venne sferzato addosso (“pigiama orribile, comunque”), fece mettere Merlin seduto di scatto.

Esaminò veloce la situazione mentre il cervello iniziava a carburare: i libri che aveva sulla ginocchia erano aperti miseramente per terra, le pagine tutte piegate. Era passato dal poggiare la schiena alla spalliera e la guancia al muro allo stendersi completamente sul letto. Nel sonno era pure riuscito a coprirsi col plaid a quadri. Piuttosto abile. “Mi ero addormentato” dedusse con la voce impastata.

“Lo vedo” annuì Arthur, e tutto nel suo tono piatto e nelle labbra imbronciate gridava “sarcastico”.

“Che ci fai qua?” grugnì Merlin, seguendo un istinto primordiale di auto difesa che gli suggeriva di attaccare prima di venire attaccato.

Il che era... strano. In genere non si comportava in modo scorbutico. Era quel presuntuoso che gli stimolava l'acidità.

Intanto la faccia del suddetto presuntuoso si era rabbuiata seriosamente, e Merlin realizzò, alzando il mento, che al signorino non piaceva il tono col il quale gli si era rivolto. Tentò allora un'applicazione delle nozioni sull'etichetta di quel mondo che aveva imparato nella notte.

“Cioè, voi... come mai... siete qua?” si corresse, moderando il tono.

“Sono venuto a darti il benvenuto” E un ghigno enorme fiorì sul volto squadrato di Arthur.

Per un breve attimo, Merlin si chiese se fosse serio. Poi si diede mentalmente dello stupido; impossibile che un tipo del genere conoscesse altre buone maniere oltre quelle che dovevano venire usate con lui.

“Gaius ha detto che resterai qui per un po' di mesi, e mi è venuta un'idea. Un'idea geniale. Sono venuto per comunicartela” continuò il principe, tutto compiaciuto. “Se vuoi rimanere, di qualcosa ti dovrai pur occupare. Non avrai mica pensato di fare da zavorra a tuo zio per la tua intera permanenza?”

Eccola là, la trappola. Merlin si fece guardingo.

“Non temere, mi sono già adoperato per trovare la soluzione più adatta a te. C'è un lavoretto, adeguatamente retribuito, per cui tu dovresti avere proprio le credenziali giuste.”

Le sopracciglia scure dello stregone si alzarono mentre Arthur tamburellava le dita sull'avambraccio, sorridendo per qualcosa che lui vedeva e Merlin no, ma che doveva trovare decisamente divertente.

“Allora?” lo incalzò.

“Starai alle mie dipendenze.”

Nel caso fosse stato quello il pensiero che tanto divertiva Arthur, allora sì, Merlin doveva convenire, era in effetti esilarante. Perché, lui, alle sue dipendenze? Andiamo, no! ... Giusto? “E chi lo dice che lo devo fare?” gli chiese quindi incredulo.

Arthur allargò un po' le braccia, i palmi aperti verso l'alto. E quella faccia, oh, quella faccia da schiaffi... “Lo dico io!” Come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. “Sono il figlio del re e si fa come dico io.”

Merlin si grattò la testa con furia. Magnifico! Era arrivato in un altro mondo solo per passare dallo status di stregone potenzialmente più potente del regno allo status di potenziale servitore di un principe. Una retrocessione bella e buona.

Tuttavia... non si poteva negare il risvolto sorprendentemente utile della faccenda. Arthur Pendragon era il Principe dei Draghi, l'uomo al quale lui o Morgana avrebbero portato via il cuore. Per quanto fosse assurdo per Merlin associare alla sua personalità tronfia la voce rotta che aveva ascoltato chiedere aiuto dal Regno della Magia, doveva ammettere che in effetti sembrava proprio appartenere a lui. La riconosceva.

Inoltre, Merlin era riemerso dalla sua ombra e la coincidenza sarebbe sembrata incredibile... se solo non avesse chiesto esplicitamente al Diamante del Giorno di trovargli la strada per poter raggiungere il Principe dei Draghi. Dunque il potere del Diamante era stato tale da portarlo direttamente da Arthur stesso.

E Gaius aveva anche detto che in fondo si doveva conoscere il proprio nemico – il proprio bersaglio, in questo caso. Quale occasione migliore poteva esserci per restargli appiccicato e studiarlo se non quella di lavorare per lui?

“Non puoi tirarti indietro” continuava intanto a ciarlare Arthur. “Gaius era pienamente d'accordo e l'ho già mandato a spargere la voce a tutta la servitù. Gli ho detto di dire in giro che Dumbo, il nuovo arrivato...” (Merlin, che adesso sapeva abbastanza da poter cogliere il riferimento impietoso alle sue orecchie, se le coprì sdegnato), “... Dumbo è il valletto personale del principe e d'ora in poi si occupa di tutto quello che lo riguarda: pulizia delle stanze del principe, assicurarsi che gli abiti del principe siano sempre apposto, commissioni varie per il principe, dall'andargli a prendere un bicchiere d'acqua al pulirgli il fango dalla suola delle scarpe” contò sulle dita ostentatamente. “Tutto quanto. Se qualcosa va storto o non soddisfa completamente il principe, la responsabilità è interamente del valletto.”

Merlin boccheggiò; a che prezzo terrificante aveva ottenuto la sua opportunità! “Questo... questo non è un lavoro, è una vendetta personale per l'altra volta! Altro che 'sono in grado di ammettere quando ho torto'!” si scaldò.

In tutta risposta, il ghigno di Arthur si fece palesemente vorace, come se il ragazzo fosse stato affamato del sapore della dolce vendetta. “Vedo che non sei così stupido come sembri, sai, te lo concedo.”

Con quello Merlin decise che non avrebbe retto oltre; Principe dei Draghi o no, non gli avrebbe permesso di parlargli in quel modo. Non si era mai fatto mettere i piedi in testa da nessuno, figurarsi da individui del genere.

Tuttavia, sembrò che avesse calcolato male quanto equilibrio iniettare nelle gambe, perché la destra gli si intrecciò chissà come con la sinistra, per conto suo. Era anche probabile che il suo rapido alzarsi non fosse stato agevolato dallo sforzo che aveva fatto infilandosi così in fretta tante nozioni in testa la notte passata. O, semplicemente, Merlin appena sveglio era più un esempio di stordimento che di brillantezza.

Qualunque fosse stata la causa, il risultato fu che lo stregone inciampò prima sui propri piedi, e poi, per riprendersi, finì sopra una scarpa di Arthur, scaricandoci sopra il suo peso col tallone.

Arthur, tra un'imprecazione, ebbe la prontezza di riflessi necessaria per sorreggere Merlin saldamente per una spalla.

“Oh!”

“Ehiii-accidenti-Merlin!”

“Scusate” balbettò lui, affrettandosi a staccarsi dalla solida fisicità di Arthur.

Il principe alzò comicamente le mani in aria, facendo due passi indietro. “Cavolo! L'altra volta ho pensato che tu fossi un po' fatto, ma adesso devo dedurre che è semplicemente una tua caratteristica, essere fuori fase.”

Merlin si schiarì la gola, lisciandosi la maglia del pigiama grigio topo che improvvisamente sembrava gli si fosse ristretta addosso. “Mi sono appena svegliato” disse, una giustificazione che somigliava più a una polemica.

“Fatto follie tutta la notte con Gaius?”

Fu naturale replicare all'ironia con l'ironia – si stava instaurando un certo meccanismo, notò Merlin. “Abbiamo festeggiato alla grande il mio arrivo in città.”

“Gaius non ce lo vedo molto a festeggiare fino a tarda notte. E nemmeno tu mi sembri particolarmente un tipo da party selvaggio.”

Merlin rispose a quello sguardo supponente con uno scettico.

“Non c'è bisogno che cerchi delle scuse, Gaius mi ha detto tutto, so come hai passato la nottata.”

Lo stregone si immobilizzò sul posto. Che cosa gli aveva detto Gaius – possibile che gli avesse rivelato sul serio come stavano le cose – ma se non aveva fatto altro che ripetergli la regola numero uno – quindi andava bene spiattellare in faccia la verità alla preda del duello – tipo ehi ciao lo sai che la magia esiste e che qualcuno ti strapperà il cuore e tu morirai – e poi Arthur, Arthur, Arthur come l'avrebbe presa?

“Insomma, una passione è una passione, si capisce” blaterò il principe. “Ma andare persino in giro con indosso abiti che sembrano direttamente usciti da Dungeons and Dragons... non ti vergogni nemmeno un po?”

Merlin buttò fuori l'aria sonoramente.

E solo allora si rese conto che aveva trattenuto il respiro.

“Sbuffare non ti sarà utile. Comunque sia, assicurati di non farmi più assistere a scemenze simili. Non posso farmi vedere in giro con un valletto vestito come un esaltato.”

“Perché... avete intenzione di portarmi in giro con voi?”

Arthur scosse le spalle, tornando ad appoggiarsi con noncuranza al vano della finestra interno al muro. “Nella mia vita ho sempre sentito la necessità di avere intorno un portaborse. Ma di sicuro non andremo da nessuna parte fintanto che non ti vedrò con addosso qualcosa di decente. Non ti farò indossare subito l'abito tradizionale dei valletti di corte solo perché non ho voglia di attirare attorno a me ulteriore attenzione...”, poi la sua espressione si illuminò perfidamente, “... considerando che quelle tue parabole sono già abbastanza visibili per conto loro.”

Merlin fece per coprirsi di nuovo le orecchie, ma grazie agli dèi l'istinto gli fermò le dita all'altezza dei lobi. L'idea di aver preservato l'orgoglio anche con un gesto piccolo come quello (si trattava di non dare soddisfazione ad Arthur) lo fece sentire un leone. Per evitare altre tentazioni, incrociò le braccia al petto, incatenando così le proprie dita.

“Il cappello della divisa ufficiale ti starebbe a pennello, però” continuò sovrappensiero il biondo.

Di sicuro si trattava di un copricapo del tutto ridicolo. “Grazie della premura” rimbeccò Merlin. Stava iniziando a inquadrare i processi mentali che Arthur seguiva. Non era poi così complicato stargli dietro nei battibecchi e rispondergli a tono, anzi, gli riusciva in automatico... Arthur era un po' un sempliciotto.

Un bambino capriccioso che si diverte come un matto a giocare al padrone.

Come se gli avesse letto nel pensiero, il principe confermò a Merlin il giudizio che si stava facendo su di lui a mano a mano che la conversazione proseguiva. “Fatti portare in giro da Gaius a vedere il palazzo. Entro oggi devi saperti orientare bene. Quando mi servirai ti chiamerò, e allora dovrai scattare subito ed essere da me in due minuti, capito?” fece, imperioso.

Merlin digrignò i denti. Il fatto che stesse imparando a trattare con lui non lo rendeva di sicuro meno irritante. “E se non dovessi farcela a raggiungervi entro due minuti?”

Allora Arthur staccò la schiena dalla parete per avvicinarsi a Merlin, piegandosi verso di lui. “Oh, non temere, le conseguenze dei tuoi ritardi le scoprirai da solo” disse, inarcando le sopracciglia significativamente.

Merlin, che a entrare in argomento non ci teneva, svicolò di lato. “Come fareste a farmi venire da voi ogni volta che volete, lo posso sapere?”

Arthur si mise tutto diritto, alzando la testa per guardarlo dall'alto in basso – non gli riuscì molto bene, l'effetto si perse perché in piedi e così vicini i due ragazzi avevano la stessa altezza.

“Dammi il tuo numero” ordinò comunque.

Numero... numero... diverse montagne di informazioni assorbite da libretti d'istruzione comparvero davanti agli occhi di Merlin. Ah, intendeva il numero di contatto di cellulare! Però... di quello lui, ovviamente, non disponeva.

Si morse quindi il labbro e disse semplicemente: “Non ho un cellulare”.

Arthur se ne stette zitto per due secondi buoni. Poi aprì la bocca, la richiuse, e arricciò le labbra di lato – lo faceva quando pensava a qualcosa? Si, di sicuro era un gesto che faceva quando stava pensando intensamente a qualcosa, accompagnato da quell'espressione vacua da dodicenne confuso.

Un dodicenne confuso con gli avambracci grandi e la presa salda e sicura. Che idiota! Merlin trattenne a stento una risata sonora.

“Non lo capisco molto, questo tuo senso dell'umorismo” disse Arthur.

“No, davvero, io...” disse lo stregone, schiarendosi la voce per tornare serio. “Non ho mai avuto un cellulare.”

A quel punto il tono del biondo si fece palesemente scandalizzato, come se Merlin avesse appena commesso un crimine enorme a viso scoperto. “Gaius aveva detto che eri vissuto in campagna, e a vederti hai proprio l'aspetto di un triste emarginato, ma... fino a questo punto? Come hai fatto finora a contattare le persone di cui avevi bisogno?”

“Andando direttamente a chiamarle e parlandoci faccia a faccia?” Merlin si strinse nelle spalle, sincero, e la risposta pronta zittì Arthur per un attimo.

Solo per un attimo, però, perché si riprese in fretta. “Fatti dare il cellulare di Gaius, per oggi. E vedi di procurartene uno tuo prima che puoi. Dio, che caso disperato.”

Detto questo, si voltò verso la porta e Merlin si mise in attesa della sua uscita di scena piuttosto ansiosamente: Arthur Pendragon andava somministrato a piccole dosi.

Il principe però si era fermato, pensosamente impegnato a rimirare il caos della stanzetta. “Spero che non sia questa la concezione che hai dell'ordine” disse, indicando il perimetro dell'intera zona.

Merlin fece un sorriso tirato. In realtà la sua idea di ordine era molto peggio, anzi, proprio non esisteva. “È solo ancora tutto in fase di...” allargò le braccia, cercando le parole, “... aggiustamento.”

“Sarà meglio per te che sia vero.”

Merlin lo considerò come un congedo, e in effetti Arthur scese in fretta i gradini, lanciò una parola di saluto a Gaius che era in cucina e se ne andò, lasciando lo stregone ancora con le braccia per aria.

 

 

ʘ

 

 

Merlin trovò Gaius intento a trafficare con le sue piantine che occupavano tutto il tavolo. Lo sguardo fermo, chirurgico quasi, con cui operava, gli fece per un attimo pensare a quel suo professore di pozioni dei tempi della scuola.

L'uomo lo sentì arrivare e lo salutò con un bel sorriso. “Vuoi fare colazione o data l'ora preferisci pranzare?” gli disse.

Merlin rise. “Colazione, grazie. Allora, vi siete divertiti a spettegolare su di me, tu e sua Altezza Testa di Legno?”

Gaius si piegò tutto sui vasi colorati. “Per mangiare serviti pure da solo. Guarda nel frigo, o nella credenza, o un po' ovunque, non sono sicuro di ricordare dove ho messo le tazze l'ultima volta. Per quanto riguarda Arthur, mi aveva chiesto il perché dei tuoi strani vestiti, così gli ho detto che sei un fanatico di fantasy e roba medievale” disse semplicemente.

Merlin scoppiò a ridere, passando la mano lungo la credenza per captare con la magia qualcosa di suo gusto. “Ecco perché ha nominato Dungeons and Dragons? Cioè, tipo... gli hai detto che sono un fissato di giochi di ruolo?”

“E collezioni anche miniature” lo informò il mentore.

Merlin scosse la testa, aprì un'anta di legno e individuò in un colpo solo una tazza e un pacco di biscotti, afferrando poi il cartone del latte accanto al lavello. “Sei andato piuttosto nel dettaglio per esserti semplicemente inventato una scusa su due piedi” disse a Gaius, ammirato.

“E tu sei andato piuttosto nel dettaglio con quel riferimento ai giochi di ruolo. Non è che avrai usato qualche trucchetto per aiutarti a studiare? E anche adesso, che cos'hai appena fatto lì con la credenza?”

“Assolutamente niente” mentì Merlin, immergendo il viso nella tazza.

“Ho gli occhi anche dietro la schiena, sai. Comunque, in realtà ieri notte mentre tu baravi spudoratamente (non farlo mai più o mi arrabbierò sul serio), ho preparato per te diversi scenari da usare come scuse in varie occasioni, tanto per restare sul sicuro.”

Merlin si appoggiò al bancone della zona cucina, sentendosi a suo agio, sentendosi grato nei confronti di Gaius. “Sei proprio notevole” gli disse sincero.

“Non per niente sono il tuo mentore” disse l'uomo al terriccio. “E ora, fila a cambiarti! Stamattina sono andato a procurati un po' di vestiti adatti a questo mondo.”

I pantaloni stretti e la maglia nera a maniche corte erano certamente adatti a quel mondo, ma la sua immancabile sciarpa rossa, che fosse stata di moda oppure no, Merlin decise di tenersela.

 

 

ʘ

 

 

Per prima cosa, Gaius portò Merlin al cospetto del re.

All'inizio lo stregone aveva opposto resistenza (“Mi stai portando a conoscere il padre della persona alla quale dovrei sottrarre il cuore?!”). Gaius però aveva insistito: Merlin non poteva restare lì se prima non si presentava ufficialmente al re. Era come il superiore del superiore del suo superiore. E se fosse stato alle dipendenze di Arthur, l'avrebbe visto spesso, quindi meglio presentarsi prima.

Alla fine, la cosa si rivelò meno ostica del previsto. Anzi, Merlin non era nemmeno sicuro che re Uther l'avesse visto sul serio. Chino su una scrivania stra piena di documenti nel suo enorme studio ufficiale, il re aveva salutato Gaius con un breve cenno della mano. Poi aveva degnato Merlin di una rapida occhiata, ma il ragazzo aveva fatto in tempo solo a ingoiare un po' d'aria che il re aveva restituito la sua attenzione al lavoro.

“È un tipo molto impegnato” disse poi Merlin al suo mentore, mentre quello lo portava a spasso per il palazzo.

“Lo è sul serio.”

Passarono velocemente a salutare nelle cucine e in un paio di altri ambienti della servitù, e per una buona oretta fecero su e giù per i corridoi, in modo che Merlin potesse prendere dimestichezza con l'ambiente. La cosa non sarebbe stata facile per nessuno, dato che la struttura dei corridoi si ripeteva in modo regolare e ogni zona al di fuori delle stanze sembrava a Merlin uguale all'altra – pure alcune stanze si assomigliavano paurosamente, a dirla tutta.

Alle pareti, quadri spropositati di nobili dalla faccia altezzosa e a volte pure un po' lugubre; sul pavimento, tappetti rosso scuro; tende dello stesso colore a coprire i finestroni delle camere.

Alla fine a Merlin venne il mal di testa. Le cose non migliorarono quando Gaius gli fece conoscere parte del personale della tenuta: facce e nomi dopo nomi dopo nomi che Merlin non era sicuro sarebbe riuscito a memorizzare... mai. Si risolse di salutare e sorridere educatamente a tutti, ma qualcuno che gli rimase impresso ci fu: gli unici altri due giovani della servitù, i figli del cuoco Gwen ed Elyan.

Appena saputo del nuovo arrivato, avevano voluto subito fare la sua conoscenza. Merlin e Gaius, al termine del loro giro, se l'erano trovati seduti a gambe incrociate fuori dalla porta di casa, che li aspettavano con un sorrisone di benvenuto.

A Merlin piacquero subito; non appena strinse loro la mano, sentì provenire da entrambi la stessa vibrazione positiva e solare. Sembravano avere quattro o cinque anni più di lui al massimo, ma l'aspetto maturo strideva completamente col loro comportamento da fratellini in amichevole lite perenne.

“Finalmente abbiamo trovato il nostro quarto uomo per i tornei alla Play!” esordì Elyan, dandogli una pacca sulla spalla. “Sei invitato ufficialmente a tutti i nostri incontri di partite clandestine, d'ora in poi puoi venire ogni volta che vorrai. Anzi, devi!”

“La fa passare per una gran cosa” rise Gwen, guardandolo di sbieco, “ma si tratta solo di un gruppo di ragazzini competitivi che si scaldano per un nonnulla.”

Intanto che Merlin li faceva accomodare sulle sedie che non erano occupate da qualche vaso, Elyan sbuffò sonoramente alla sorella. “È per questo che non è divertente giocare con te” le disse. “Comunque, Merlin, ci riuniamo sempre nello studio piccolo dell'ala nord. Vieni, ne vale la pena, davvero: Leon è una schiappa, sua Maestà il principino invece è più tosto, ma non è un avversario impossibile da battere.”

Merlin ci rimase di stucco. “Viene anche... il principe?”

Elyan si strinse nelle spalle con noncuranza. “Sì. Lo so che suona strano che un reale frequenti la servitù, e che a prima vista è un gran pallone gonfiato...”

“Oh sì, concordo” lo interruppe Merlin, convinto.

“L'hai già conosciuto?” gli parlò sopra Gwen.

Elyan le tappò la bocca con la mano, ignorando poi le sue proteste divertite. “... Ma è un tipo apposto, Arthur, sai” concluse. “Resterai sorpreso. Diventa antipatico solo quando inizia a perdere per due volte di fila.”

“Dice così perché non hai visto cosa fa lui quando perde” disse Gwen, liberandosi dalla mano del fratello e bloccandogliela dietro la schiena.

“Dice così perché non sai cosa fa lei! Gwen è il baro più mostruosamente scaltro del mondo. Quando giochiamo a carte avrebbe la capacità di fregarci a ogni mano, e invece ogni tanto lascia vincere apposta sua Altezza reale Chiappe d'Oro.”

“Elyan!” lo rimproverò la ragazza, ma Merlin notò che rideva ed era un po' arrossita.

“Cosa? Mi sto solo limitando ad usare il soprannome suggeritomi dal duca Gwaine. Oh, quello è un tipo forte, Merlin. Lo conoscerai, girano spesso qui intorno, gli amici del principe. Davvero non si direbbe, perché sono nobili e tutto il resto, ma è gente simpatica. Il preferito di mia sorella è il duca Lance, però... ogni tanto lascia vincere a carte pure lui. Chissà perché, ma le cartoline che manda dall'Africa sono sempre indirizzate a Gwen e mai a me...”

A questo punto Gwen era era vistosamente arrossita, e aveva preso a tormentarsi un ricciolo nero che le ricadeva di lato. Lo stregone la studiò con curiosità: era un segnale d'amore, l'imbarazzo, vero? Quindi Gwen amava questo Lance, oppure...

“Lascialo perdere” disse poi Gwen a Merlin, sopprimendo il tentennamento in modo sorprendentemente veloce. “Elyan si sente tradito solo perché lui detiene il record di partite perse di fila e non l'ha mai superata.”

Merlin rise, sincero. “Vuol dire che hai trovato un degno avversario con cui competere per il titolo di peggior giocatore, Elyan.”

Oh, di sicuro non avrebbe mai imparato in tempo tutte le regole di quei giochi, e usare di nuovo una magia per leggerle velocemente era fuori discussione (gli sarebbe esploso il cervello per le troppe informazioni!).

“Questo ragazzo mi piace, sorellina” disse Elyan soddisfatto.

In quel momento si sentì scoppiare dal nulla un rumore continuo, una melodia dalle note strane e un po' fastidiose. Merlin si guardò intorno, sentendo il suono provenire da vicino ma senza capire dove fosse la fonte. Gwen frugò nella borsa, mormorando “Non è il mio”.

“Merlin, che fai, non rispondi?” sorrise Elyan.

“Oh!” si illuminò lui. Il cellulare di Gaius! Si toccò le tasche dei pantaloni, facendo sgusciare fuori il telefono.

Sul display vide la scritta “Principe Pendragon”. Non sapendo bene cosa aspettarsi, premette il pulsante verde e si avvicinò l'oggetto all'orecchio, tenendolo saldamente con due mani. “Ehm...”

“Vieni nelle mia camera, ho trovato una cosa da farti fare” disse la voce di Arthur. Anche se più metallico, il tono era sempre infarcito di quella neutralità perentoria – voleva una cosa, voleva che venisse fatta, se lo aspettava come fosse stato scontato, quindi nemmeno si sforzava tanto nel comandarla. “E Merlin?”

“Sì?”

“Vieni immediatamente!”

 

 

ʘ

 

 

Per come l'aveva messa Arthur, riordinare tutto il suo armadio prima dell'ora di cena era di importanza capitale. Merlin avrebbe dovuto svuotarlo, riorganizzare tutti gli spazi, piegare bene gli abiti e mettere via quelli che andavano puliti.

Era passata un'ora e lui era ancora incagliato alla fase dello svuotare.

Nel frattempo, Arthur se ne stava seduto alla scrivania, intento a scrivere chissà cosa. Ogni tanto Merlin lo guardava con la coda dell'occhio per lanciargli una stoccata odiosa, ma veniva ignorato; Arthur era troppo concentrato a grattarsi la testa o a mordicchiare la punta della penna. Sembrava la versione più placida e svogliata del re all'opera che aveva visto prima.

Alla fine il Principe lo beccò mentre lo stava fissando in un momento in cui la sua esasperazione aveva raggiunto un picco piuttosto alto. Merlin sgranò gli occhi e chiuse la bocca di scatto, ma si riprese subito e trovò qualcosa da dirgli. “Non c'è la minima possibilità che voi veniate a darmi una mano, vero?”

Arthur alzò le sopracciglia con poca convinzione. “Il concetto di cosa sia un valletto deve esserti poco chiaro” gli disse.

Merlin prese una felpa rossa e la buttò sul letto con mal grazia, scaricandoci la sua frustrazione. Se avesse potuto usare la magia, quello non sarebbe stato affatto un problema. “Sono sicuro che un valletto non sia esattamente uno schiavo personale” disse, stendendo la felpa per cercare di capire come piegarla.

“Già, ma un valletto è uno che si occupa delle cose del suo signore” Arthur sottolineò signore, “quando lui non può.”

“Non potete almeno darmi delle direttive su come sistemare la vostra roba?”

“Ovvio che no.”

Merlin scoppiò in una singola risata stanca. Quasi non serviva più esasperarsi con uno che dava per scontato la sua superiorità con una tale naturalezza.

“Ovvio che no. E che cosa fate, intanto? Vi prendete il vostro tempo per rilassarvi?” disse alla felpa, accartocciandola apposta.

“Lavoro, Merlin. Non lo vedi? Sto lavorando” disse laconico Arthur, tornando a mordicchiare la penna. Fino a quel momento non aveva staccato gli occhi dal foglio che per qualche attimo; forse si stava dando da fare su serio.

Merlin allungò lo sguardo, ma da lì non riusciva a vedere cosa il principe stesse scrivendo – ovviamente la stanza era più grande di tutto il soggiorno di casa sua a Ealdor. “Fatemi vedere” disse allora, oltrepassando il letto.

Arthur lo guardò, le pupille strette, e mise su la sua miglior faccia da dodicenne pensieroso. Per un attimo a Merlin sembrò che lo stesse valutando, e in quel modo, in piedi davanti alla scrivania, si sentì stranamente scoperto.

“Non te ne intendi di scrivere discorsi, vero?” chiese il principe, piatto. “No, come potresti...” aggiunse, prima che Merlin avesse il tempo di rispondere. “Che hai da fissare tanto? Fila a finire il tuo lavoro!”

Merlin digrignò i denti, tornando verso il mucchio di panni abbandonato ai piedi dell'armadio.

Arthur era un tipo apposto, aveva detto Elyan. Merlin sarebbe rimasto sorpreso, aveva detto.

Ora l'unica cosa che lo sorprendeva era come stesse riuscendo a trattenersi dal far diventare gli occhi d'oro e scaraventare Arthur fuori dalla finestra.

 

 

ʘ

 

 

“Il pensiero di sottrargli il cuore è diventato improvvisamente più allettante” disse Merlin a Gaius mentre trangugiava della zuppa fredda.

Era riuscito a tornare alla dependance solo tre ore dopo. Sistemare quell'armadio era stata un'impresa titanica alla quale il principe non si era nemmeno degnato di assistere fino alla fine – a un certo punto era andato a cenare, lui.

Merlin era stato tentato di fargli sparire misteriosamente un paio di camice, ma poi aveva realizzato che le conseguenze sarebbero ricadute su di lui in ogni caso, quindi aveva rinunciato.

Gaius aveva riso bonariamente quando Merlin gli aveva raccontato le sue disavventure, e l'aveva consolato offrendogli un piatto di una zuppa che, per quanto fosse di dubbia composizione, restava pur sempre cibo.

Ma adesso il mentore s'era fatto serio – ogni tanto lo faceva, si oscurava in modo così repentino da risultare spiazzante. “Perché portargli via il cuore ti sembra più allettante?” gli disse, abbandonando le sue piante grasse.

“Perché... è un idiota!” balbettò Merlin. Si ritrovò a cercare le parole giuste per descrivere che razza di asino fosse ai suoi occhi il principe adesso che ci aveva passato insieme una giornata.

Con sorpresa, trovò che non era cosa facile; non riusciva a spiegarsi. Forse perché il grado di stupidità di Arthur era superiore alla norme e non era ancora stato creato un vocabolario adatto a descriverlo.

“Ti vedo in difficoltà” intervenne Gaius. Poi prese un respiro profondo. “Lo sai che cosa succederà dopo che Arthur verrà privato del suo cuore?”

“Morirà!”

Oh.

Merlin aveva preso fiato per dirlo, l'aveva quasi sputato – perché? La sua voce era suonata così avvilita anche alle sue stesse orecchie – perché?

Si affrettò allora ad aggiungere qualcosa, per spiegare meglio a Gaius, a se stesso, quello che voleva dire – ma che cos'era che stava tentando di dire, che cosa stava pensando? “Non sto dicendo proprio che si meriti... che si sia meritato di diventare il bersaglio mio e di Morgana” farfugliò, bloccandosi in tempo prima di dire “morire”, che ora era una parola così strana – insomma, non sembrava adatta. “Non lo conosco abbastanza da poter pensare una cosa del genere” aggiunse, agitandosi sullo sgabello. “Ma mentirei, Gaius, se ti dicessi di non avere la sensazione che... che esistano persone molto migliori di lui, e che si meritino questo destino molto meno di lui, perciò, non lo so... ora non mi impensierisce più così tanto la storia del duello.”

“Quindi non avrai alcun problema a rubargli il cuore?” incalzò l'uomo. “Nessun problema di nessuna sorta a vederlo morire per la vostra gara?”

Lo sgabello improvvisamente tentennò, oppure era stato Merlin a muoversi tanto da farlo oscillare, non ne era sicuro. “È... una persona arrogante!” ingoiò a vuoto lo stregone. “Insomma, è un idiota davvero, Gaius! Anche Morgana aveva detto di averlo sentito dire solo cose cattive e sgarbate.”

“Dimmi, Merlin, pensi di poter dire con sicurezza che una persona sia deprecabile dopo averla appena conosciuta?” Gaius si era espresso piano, sottilmente, non come se avessero parlato della vita di un ragazzo, ma come se fossero stati un alunno e il suo insegnante preferito che chiacchieravano del più e del meno dopo la lezione. “A volte non è neppure possibile esprimere un giudizio sicuro su una persona dopo che la si conosce da una vita.”

Merlin guardò Gaius, rapito. La casa era immersa nei colori opachi e nei suoni addormentati della sera, e il mentore, nell'ombra, sembrava così vecchio. Forse era per questo che ogni tanto s'impensieriva; Merlin doveva ricordarsi che Gaius aveva vissuto due esistenze: prima era stato un mago come lui, poi aveva ceduto il suo cuore diventando umano a tutti gli effetti.

Doveva saperne, di cose. Doveva averne viste parecchie, doveva aver provato tanto.

Quanta vita.

Era esattamente per questo che Merlin non lo capiva del tutto.

“C'è una cosa che è fondamentale che tu comprenda se vuoi orientarti bene in questo mondo, Merlin” disse Gaius, snocciolando le parole lentamente, valutandone il peso. “Non funziona così; non puoi pensare di capirci con uno schiocco di dita. Il cuore degli esseri umani è fatto di tanti strati. Non è solo tutto bianco o tutto nero.”

A quelle parole trillò, nella testa di Merlin, una vocina pronta a ricordargli qualcosa: alla fine della loro rissa mancata, Arthur aveva chiesto scusa per il suo comportamento. L'aveva ammesso come se gli fosse costato piuttosto caro e si era mangiato le parole, e tutt'ora gli stava dando un lavoro per prendersi una rivincita. Ma si era scusato comunque.

Merlin si guardò le scarpe, aggrottando le sopracciglia. Altro che imparare le regole dei giochi o assimilare le informazioni sul Mondo Riflesso. Trovare la chiave di lettura degli esseri umani, quello sì che era difficile.

“Non ti sto rimproverando, bada bene” continuò Gaius. “Volevo solo farti capire che sono proprio tutti i livelli emotivi in cui sono stratificati gli uomini a rendere arduo per gli stregoni rapportarsi a loro.”

E poi Gaius si bloccò, come congelato dalle sue stesse parole. “Dopo tutti questi anni” bisbigliò, “avevo scordato com'era essere uno stregone. Come si ragionava... cosa non si provava.”

Merlin, per un attimo, si sentì destabilizzato. Lentamente, stava iniziando a registrare il tutto da un altro punto di vista.

Ma adesso? “Tu che faresti, al posto mio?” chiese al mentore, non sapendo seriamente quali conclusioni trarre da quel discorso.

Gaius tornò alla sua sedia, la trascinò goffo davanti a Merlin e gli diede una pacca sul ginocchio. “Hai la mente aperta per essere uno stregone. Così stranamente aperta, direi anzi. Stai andando bene” lo incoraggiò. “Stai andando alla grande. Molto meglio di come mi sarei comportato io.”

Il ragazzo assunse un'aria interrogativa.

“È piuttosto... curioso, sai, tenere questa conversazione con te” farfugliò l'altro. “In teoria non dovrebbe importartene proprio un bel niente di ciò che ha in serbo il destino per Arthur. Ed è per questo che hai la mente aperta: dovresti star pensando solo al modo per appropriarti del suo cuore. Qualunque stregone farebbe così... anche io l'avrei fatto. Al posto tuo, se il mio mentore avesse contestato il mio modo di vedere la vita qui, gli avrei risposto di chiudere quella boccaccia da vecchia ciabatta.”

Merlin rise, spezzando l'insolita tensione che permeava l'aria. Ma c'era qualcosa che non andava del tutto bene; si sentiva diverso, molto più appesantito di prima.

“Ah, catturargli il cuore? Quarant'anni fa non avrei battuto ciglio all'idea. Che pena... povero ragazzo.”

Quell'ultima frase non era suonata come un consiglio da adulto. Merlin era sicuro si fosse trattato di un pensiero scappato per sbaglio dalla bocca di Gaius. Ma a chi si fosse riferito, a chi avesse dedicato la sua pena, Merlin non poteva dirlo.

 

 

ʘ

 

 

Quella notte Merlin provò per parecchio tempo a prendere sonno, ma senza alcun successo. Assurdo, perché la giornata era stata ancora più piena della precedente. Tuttavia, ogni volta che chiudeva gli occhi, non facevano che venirgli in mente stupide riflessioni sugli esseri umani.

Possibile che fossero così strani, così pieni di contraddizioni? E quanti potevano mai essere, quei loro dannati livelli?

Poi c'era Arthur, l'emblema dell'impenetrabilità umana.

Arthur.

Al pensiero della sua espressione da pesce lesso, Merlin ruggì di sconforto, tirandosi su seduto.

Dalla finestra della sua stanza poteva vedere il finestrone di quella del principe, illuminato dal chiarore della luna. Lo stregone si sistemò nella rientranza del muro per schiacciare la faccia contro il vetro, pensando.

Fino a quel momento Arthur era stato un vero imbecille nei suoi confronti, ma a detta di Gaius, Elyan e Gwen, c'era molto di più in lui. Solo che Merlin si chiedeva cosa fosse esattamente, questo “di più”.

Certo, le cose erano diverse se pensava che da quella stessa bocca erano potute uscire le parole che aveva udito nel Regno della Magia.

Era un grosso punto interrogativo, Arthur Pendragon. Magari si comportava differentemente a seconda di chi aveva intorno. Magari con Gaius e i suoi amici, per quanto potesse sembrare improbabile, era uno zuccherino.

Ma allora qual era il vero Arthur? Se solo Merlin avesse potuto vederlo in altre occasioni, in situazioni diverse, forse ci avrebbe capito qualcosa in più.

Ma... ma poteva farlo!

“Posso farlo, questo, accidenti!” esclamò, toccandosi la fronte con la mano.

Subito volò a rovistare nelle cose che aveva gettato alla rinfusa dentro l'armadio. Trovò la sacca che aveva portato da casa, cercò frenetico e dopo poco tirò fuori vittoriosamente la mano stretta a pugno sul Diamante del Giorno.

In fondo quell'oggetto gli aveva mostrato la strada per raggiungere il Principe dei Draghi, quindi tanto valeva tentare di vedere se funzionava anche in quel modo.

“Mostrami dove si trova adesso Arthur” soffiò Merlin.

Una macchia colorata prese a sbocciare sulla superficie della pietra; a mano a mano i colori si dividevano e i contorni delle cose prendevano una forma più netta. Presto Merlin fu in grado di distinguere lo studio del re che aveva visto quel pomeriggio.

Uther stava ancora dietro la scrivania; l'espressione inconfondibilmente adirata, le mani artigliate sui braccioli, emanava un'imperiosità tale da sembrare che fosse seduto direttamente sul trono.

Arthur stava in piedi, le mani incrociate dietro la schiena.

“Che cosa ti avevo detto?” disse il re in tono glaciale.

Merlin rabbrividì: era la calma prima della tempesta. Faceva paura.

“Era appena uscito l'ennesimo articolo scandalistico. Ti avevo semplicemente chiesto di restartene buono in casa finché non si fossero calmate le acque” continuò freddamente il re. “E invece vengo a sapere solo adesso che ieri sei comunque voluto uscire.”

“Papà...” iniziò Arthur.

“Mi hai disubbidito!” tuonò allora il re. “Te ne sei andato a East End con Gaius senza dire niente a nessuno! E portandoti dietro solamente Leon!”

“La scorta non era necessaria” disse a voce bassa il principe. “Ma è andato tutto bene, nessuno mi ha riconosciuto” aggiunse veloce.

“Non è una buona scusa, questa! Poteva succedere di tutto! Una semplice sciocchezza basta per metterti nei guai, lo capisci? Un passo falso è sufficiente, la stampa ingigantisce la notizia e la tua reputazione, la reputazione della famiglia reale, crolla!”

“Sono solo uscito un po', non ci sarebbe stato niente da ingigantire!” protestò Arthur, ma sempre immobile davanti alla raffica di parole di suo padre. “Non ce la facevo a rimanere chiuso qui.”

“Per l'amor del cielo, Arthur, un po' di autocontrollo...” Uther si sorresse stancamente la testa appoggiando i gomiti sul tavolo, il tono placato. “Solo questo ti manca, l'autocontrollo. Non puoi dire che ti manchi altro.”

“Invece sì” disse Arthur, la voce improvvisamente roca. “Non capisci, non so che cosa fare qui! Anzi, lo sai benissimo che non so cosa fare di me stesso.”

Re Uther sospirò esasperato, come se il figlio con cui stesse parlando avesse avuto sei anni. “Torniamo di nuovo su quest'argomento? Cos'è, allora preferiresti entrare in esercito?”

Arthur non rispose, ma il lungo silenzio e la faccia che fece dissero di sì al posto suo.

Il re allora si alzò di botto, tornando al tono di comando. “Ne abbiamo già parlato molte volte, sai che cosa ne penso e la risposta sarà sempre no.”

“Perché?” disse Arthur, accorato, avvicinandosi al padre per toccargli il braccio. “Sarei bravo, non ti farei vergognare, saresti fiero di...”

“No, perché lo dico io! E adesso basta.” Il re scartò suo figlio e uscì dallo studio, sbattendosi dietro la porta.

Il principe rimase dentro, fermo. Fu allora che Merlin si piegò sul Diamante che teneva tra i palmi, avvicinandosi con tutto il suo corpo, con tutto se stesso.

E lo riconobbe, lo vide chiaro e tondo sul volto duro, ferito di Arthur: quel senso vacuo di insoddisfazione di chi non sa ancora cosa vuole, ma sente un bisogno pressante da assecondare, una sete da scoprire che anela e teme allo stesso tempo.

“Voglio andarmene da qui” aveva detto una volta Merlin, sul tetto di casa sua.

Era stato il giorno in cui aveva rovinato la bancarella del pesce al mercato a causa di un incantesimo che non era riuscito a controllare. Quel giorno in cui si era scusato, se n'era tornato verso casa un passo dopo l'altro, veloce, sempre più veloce – se l'era filata.

Quella volta in cui, quando aveva avvistato la forma familiare del suo nido, con la sua porta col pomello d'ottone e la finestra rotonda, Merlin aveva avuto una gran voglia di non fermarsi, di continuare avanti come se non l'avesse vista.

Come se casa sua gli fosse sfuggita e, in qualche modo, non fosse stata più sua. Perché era certo che le pareti sarebbero state così strette addosso a lui.

E, non sapendo cos'altro fare, era salito sul tetto, la brezza estiva che gli pizzicava il collo in una notte senza stelle. Ginocchia strette al petto, il capo nascosto tra le spalle, “Voglio andarmene da qui”. Basta.

Ora invece era Arthur Pendragon a stare in piedi, ritto contro una stanza dalle mura strette tutte esclusivamente attorno lui. Si era voltato andando alla finestra e Merlin lo vedeva di schiena, immobile ma inquieto.

Il suo collo forte era piegato dal disappunto – strano pensare che qualcosa avesse la capacità di far abbassare la testa al principe. Eppure d'improvviso sembrava talmente diverso, quasi come...

“Non ha senso stare qui così.”

Come un'immagine speculare a quella di Merlin. Qualcosa che, misteriosamente, era insieme uguale e opposta a Merlin.

“Mi sento soffocare.”

Proprio come se avesse riconosciuto in lui un'ombra di se stesso, per un attimo appena... solo per un attimo, gli era sembrato di veder baluginare nell'essenza di Arthur il riflesso di se stesso.

 

 

 

~

 

 

 

 

 

Salve di nuovo! Siamo giunti al quarto capitolo...e intanto per me sono giunti gli esami ç_ç

Non a caso la parte iniziale del discorso di Gaius, il “delirio filosofico”, l'ho scritta in preda a un vero delirio dopo una sessione di studio di estetica...capitemi ç_ç

Comunque, per queste forze di causa maggiore non credo che riuscirò a mettere mano al nuovo aggiornamento prima della fine del mese; quindi ho pensato di lasciare questo capitolo più lungo degli altri, per facilitarvi un po' l'attesa fino alla prossima volta.

Ma dato che è uscito lunghissimo, ci ho messo il doppio per scriverlo, quindi non so quanto sia stato conveniente per voi in termini di attesa xD

Prima di darvi un paio di delucidazioni, una cosa che avevo dimenticato di scrivere la volta scorsa:

gli occhiali con le lenti arancioni che Arthur indossava li ho inseriti come puro omaggio a tutte le mitiche foto di Bradley a spasso per il set in costume con gli occhiali da sole xD scommetto che anche Arthur se li metterebbe sempre, se potesse!

Invece, per quanto riguarda questa volta...

Confesso che nello scrivere la scena di Merlin che si sveglia trovando Arthur che lo fissa da sopra, all'idea di potermi beare della visione celestiale del Principe appena sveglia, stavo sbavando io anche per Merlin *_*

Poi, una precisazione che ci tenevo a fare: quando Gaius parla con Merlin a proposito del destino di Arthur e dice “che pena, povero ragazzo”...qui sta pensando a ben tre persone: ad Arthur, ovviamente, contro il quale il destino è stato molto crudele.

Poi al se stesso del passato, poiché anche Gaius è stato uno stregone incapace di percepire l'amore e la disgrazia, e realizzare questo gli fa pena. E per lo stesso motivo, si riferisce pure a Merlin, ritenendolo inconsapevole dell'orrore che sarà il prezzo del duello (anche se in realtà non è proprio così, e infatti Merlin ha molti più dubbi di quanti non dovrebbe).

 

Ancora una volta ringrazio tanto i miei lettori e tutti quelli che hanno inserito la fiction tra le seguite, preferite e ricordate. Invece a coloro che recensiscono dico direttamente...vi amo ç_ç perché mi motivate molto a proseguire quando trovo delle difficoltà nello svolgimento della storia. Quindi vi ringrazio ancora per il supporto, e vi lascio il link per alcune canzoni che mi hanno ispirato per la stesura della fiction <3

 

 

Angolino Soundtrack (cliccate sul titolo della traccia)

Generale: Mirrors - Justin Timberlake

Melodia per Merlin: I Am From... (Tamra the Island OST)

Merlin e Morgana nella Caverna dei Mille Giorni: Martha Jones Theme (Doctor Who OST)

Il passaggio del Lago Avalon: Under the Sea (Tamra the Island OST)

Melodia per “Riflesso”: The letter that never came (Lemony Snicket OST)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sul palmo di una mano ***


(x)

 

 

Capitolo cinque: Sul palmo di una mano

 

 

 

Era passata una settimana appena da quando Merlin aveva messo piede nel Mondo Riflesso. Tanto gli era bastato per associare alla vita di corte l'idea di un enorme teatrino delle marionette.

Si era informato; aveva spulciato una quantità spropositata di giornali e, con l'aiuto di Gaius, si era pure addentrato nelle giungle di internet.

L'esito delle sue ricerche era stato chiaro: l'esistenza di re Uther e di suo figlio, l'erede al trono, era tutta un ripetersi meccanico di discorsi, conferenze stampa, incontri con i politici stranieri e qualche festa occasionale.

Il grande pubblico pareva nutrirsi dello spettacolo quotidiano dei Pendragon. C'erano i fedelissimi, quelli che li amavano da sempre e che avrebbero continuato ad assistere alle repliche dei balletti delle marionette reali. Agli occhi di questi spettatori, Arthur era un vero principe in armatura scintillante. Se non fosse bastato il suo aspetto romantico e allo stesso tempo virile per conquistare il cuore dei suoi sudditi, ci avrebbero pensato le sue azioni: sembrava infatti che fosse un vero filantropo. Merlin aveva scoperto che si era dato da fare attivamente con le associazioni di beneficenza e per gli aiuti umanitari sin da quando aveva sedici anni.

Sullo schermo obsoleto del computer di Gaius era apparsa una foto nel mezzo di un articolo, il resoconto dell'incontro annuale dell'associazione “Lady Ygraine”.

Nell'immagine, un Arthur più piccolo di due o tre anni al massimo stava elegantemente in piedi accanto al ritratto etereo di una signora giovane e pallida.

Merlin si era avvicinato per scorrere con gli occhi la didascalia scritta in caratteri microscopici sotto alla foto.

orgogliosi e compiaciuti di considerarlo il degno successore della defunta Lady Ygraine.

Prima la madre e ora anche il figlio, come due fulgide gemme, illuminano ancor di più la strada che la nostra associazione vuol tracciare per...

E poi... poi Merlin aveva frugato tra i fogli strappati da una decina di riviste di gossip, e dal mucchio era riemerso con una foto che occupava tutta una pagina. Ritraeva un ragazzo piegato in due fuori dall'ingresso di una discoteca. Una bottiglia in una mano, le dita dell'altra a schermarsi gli occhi, Merlin nemmeno l'avrebbe riconosciuto se non avesse letto “Arthur Pendragon fa follie di nuovo” scritto sopra a caratteri cubitali.

Grattandosi il mento, aveva portato quella pagina in alto per accostarla alla foto del computer.

Sì, c'era definitivamente un'altra porzione di spettatori seduta a godersi lo spettacolo dei pupazzi reali: erano quelli che preferivano tirare frutta marcia sul palcoscenico. E l'Arthur dal profilo nobile e dalla posa marziale scompariva per lasciare il posto a un altro che con lui aveva poco a che fare: un ragazzo ribelle, vizioso e viziato. Per niente rispettoso del prossimo e in primo luogo di suo padre, metteva in ridicolo la nazione stessa con le sue continue gaffes. Si faceva beccare nel bel mezzo di azioni non proprio consone con l'attricetta di turno, alzava troppo il gomito durante il gran gala del duca, smentiva pubblicamente ai giornalisti uno dei piani economici annunciati da suo padre stesso poco prima.

Con questo Arthur qui i giornali scandalistici ci andavano a nozze. Era, anzi, il loro protagonista preferito, e non deludeva mai le aspettative degli ammiratori che attendevano di ricevere le novità settimanali delle sue gesta.

Ma c'era un altro Arthur ancora che forse nessuno tra il pubblico aveva individuato. Uno che avrebbe fatto impallidire la sua versione a marionetta del principe azzurro e pure quella del suo gemello cattivo.

Era l'Arthur che conosceva Merlin: quello che, nel giro di una settimana, gli aveva fatto risistemare sette volte il suo armadio nella camera da letto più l'intera stanzetta adibita a guardaroba (sì, ne aveva pure una a parte!).

In quei momenti il giusto e magnanimo filantropo, di cui comunque Merlin non aveva intravisto nemmeno l'ombra, si era dissociato del tutto dalla sua persona.

Eppure, sorprendentemente, non restava nulla nemmeno del principe diabolico intento a ideare piani sovversivi per mettere in ridicolo la monarchia col suo pessimo comportamento.

Agli occhi dello stregone, l'unica persona che al massimo Arthur avrebbe mai potuto mettere in ridicolo era se stesso.

Perché forse in lui qualcosa del nobile cavaliere c'era, le testimonianze sembravano attendibili; ma non si poteva dire altrettanto della sua controparte sregolata che presentavano i media. La cosa era semplice: Arthur era troppo genuinamente stupido per essere diabolico. Lui e quella sua maledetta bocca arricciata. Chi scriveva cattiverie su di lui di certo non l'aveva mai visto fare quel broncio dubbioso.

Per Merlin, in breve tempo, la storia dell'accanimento mediatico sul principe Pendragon era diventata ridicola. Era chiaro che Arthur, per quanto ne dicessero i paparazzi, non fosse davvero una persona cattiva – be', da tutta quella storia dell'armadio un filino di perfidia sadica emergeva... ma non aveva un'indole così pessima, quello no.

All'inizio anche Merlin non l'aveva ritenuto un bravo ragazzo, era vero. Ma Gaius aveva detto che il cuore degli umani non è tutto bianco o tutto nero. E qualcuna delle sfumature che stavano nel mezzo, Merlin l'aveva scorta vedendo la conversazione tra Arthur e re Uther attraverso il Diamante del Giorno.

Non poteva esserci nulla di davvero malvagio in Arthur. In lui Merlin aveva riconosciuto un disagio simile a quello che l'aveva afflitto fino a quando non aveva saputo del Duello del Drago. In qualche modo se lo sentiva.

“Guarda nel tuo riflesso e vedrai te stesso” aveva detto Gaius.

E così era successo.

Non che questo giustificasse le pessime abitudini di comportamento di Arthur, che, tra parentesi, Merlin riteneva causate solo in piccola parte da problemi esterni – si trattava di brutto carattere e basta.

Arthur era un bambino troppo cresciuto che provava un piacere spropositato nell'essere servito e dare ordini? Oh, sì, quello era sicuro.

Era insopportabilmente autoritario? Ovviamente sì.

Era un asino, il peggior asino che lo stregone avesse mai conosciuto? Assolutamente sì.

Però... Non sembrava poi così strano, adesso, che fosse stato lui a dire che “solo ogni tanto, non sempre...”

 

“Vorrei che tu non fossi così, Merlin. Solo ogni tanto, sai, mi piacerebbe vederti piegare una maglietta nel modo giusto.”

Merlin arricciò il naso con rassegnazione al suono della voce di Arthur che rimbombava per tutta la stanza. Era arrivato alla conclusione che il Principe dei Draghi non fosse cattivo, ma ciò non lo rendeva meno sgradevole e arrogante.

In quel momento, poi, Arthur stava dando il meglio di sé per apparire al massimo grado in tutta la sua... asinità. Piegato in due col busto immerso completamente nelle profondità dell'anta centrale del suo armadio, lanciava fuori ad uno ad uno tutti i pantaloni che lo stregone aveva messo via la sera prima fino a mezzanotte. “E se piegare una maglietta è troppo complicato per te” continuò a dire, tra un tiro e l'altro, “per lo meno tenta di far bene con un paio di mutande, per l'amor del cielo!”

Merlin sospirò pesantemente, seccato ma troppo stanco per irritarsi sul serio. Facendosi largo tra un mucchietto di calzini e un paio di montagne di giacche, raggiunse Arthur per tentare di afferrare al volo quello che lui lanciava di volta in volta. “Non vi siete stufato di ripetere ogni giorno la stessa storia?” gli disse, schivando una canottiera prima che gli finisse in faccia.

A quel punto la raffica di panni cessò e Arthur riemerse di botto con l'espressione più scandalizzata dell'universo. “È quello che dovrei dire io a te! Non ti sei ancora stufato di fare la stessa cosa dopo aver sbagliato per sette volte di fila?”

“Avete tenuto il conto” lo incalzò Merlin con un'alzata di sopracciglia.

Il principe gli grugnì contro, esasperato, tornando alla sua attività di demolizione del lavoro altrui. Stavolta però prese a fare tutto con più furia e lo stregone, deciso a darci un taglio, lo accostò facendosi spazio. Poi iniziò a caricare tra le braccia mucchi di roba per rigettarla dentro l'anta centrale.

Così, a casaccio, uno buttava via e l'altro impilava dentro, e Merlin stava facendo seriamente fatica a trattenersi dallo scoppiare a ridere. “Ancora non ho capito come volete che ve li sistemi, questi vestiti” borbottò.

“In modo decente, no?!” gracchiò l'altro.

Lo stregone fu costretto a guardare per terra, mordendosi il labbro.

Arthur era molto divertente quando si agitava. Diventava ancora più ridicolo del solito, perché la sua voce, già normalmente tutta un insieme di picchi alti e bassi, partiva strascinata per raggiungere le note più stridule.

E come poteva essere una persona cattiva? Era troppo sciocco per essere davvero cattivo. Morgana doveva essersi sbagliata, quella volta, nel giudicare il suo carattere in base a quel poco che gli aveva sentito dire.

“Ridi? Hai ancora voglia di ridere?” disse il principe, che ormai aveva imboccato la strada dell'irritazione. “Vediamo quanto riderai quando dovrai sistemare tutto per l'ottava volta...”

“Non fatemi cambiare idea su di voi proprio adesso” si ritrovò a dire Merlin.

Non sapeva come gli fosse uscita, quella frase. Solo, gli era uscita e basta. E l'aveva fatto in una maniera curiosa, con qualcosa che era una vena di incertezza, forse, nel tono. Come se nemmeno Merlin stesso si fosse sentito sicuro del pensiero che aveva formulato ancora prima di realizzare che l'aveva formulato. Ciò lo lasciò così stupito da fargli fare un passo indietro.

Qualcuno aveva premuto un pulsante misterioso che aveva assurdamente trasformato l'atmosfera nel giro di un solo respiro. Il cambiamento non sfuggì ad Arthur, che si mise dritto per fronteggiare Merlin, la sua migliore espressione burbera sul viso. “Che intendevi dire?” gli chiese.

Lo stregone ingoiò l'aria, sentendosi come se avesse lanciato un incantesimo su se stesso per trasformarsi in un enorme punto interrogativo.

Che intendeva dire, davvero?

“Stavo pensando...” incespicò, grattandosi il collo.

“Che pensavi?” disse il principe, inquisitorio. Prima di dare tempo a Merlin di farfugliare la sua risposta, Arthur con un solo passo azzerò la breve distanza che li sperava, fino a che la punta della sua scarpa toccò quella della scarpa dell'altro.

Proprio allora successe qualcosa di ancora più strano. Una forte sensazione colpì Merlin alla bocca dello stomaco: era qualcosa di spiacevole, molto spiacevole, qualcosa di simile all'affanno che aveva provato nella Caverna dei Mille Giorni a causa del caldo pressante e sulfureo.

Uno scomodissimo caldo. Merlin boccheggiò, continuando a grattarsi nervoso l'attaccatura dei capelli.

Lo sapeva che cosa stava maldestramente tentando di dire. O meglio, ne aveva una vaghissima idea. C'era questo pensiero, appeso lì in mezzo a quel mare di lava sulla bocca dello stomaco. Uno di quei pensieri che sai che ci sono e forse sai anche come sono fatti, ma allo stesso tempo sono così offuscati che non riesci bene a distinguerli da tutto il resto.

Ed è un po' come trovare qualcosa di nuovo nel posto che frequenti da sempre, per poi scoprire, di colpo, che in realtà c'è sempre stato. E tutto quello che ti viene da fare è accogliere questa novità trattandola come si fa con un vecchio ricordo.

La verità era che Arthur non era poi così male – e Merlin se l'era immaginato, nel profondo, forse da subito, forse da quando era stato chiamato da lui. La verità era che sarebbe stato meglio il contrario.

“Allora? Ce la fai a costruire una frase di senso compiuto senza mettere un 'ehm' in mezzo ad ogni parola?” si spazientì Arthur, pestando con forza il piede a terra.

“Niente, iniziavo a pensare che voi non foste completamente, del tutto, al cento percento...”

Arthur lo studiò girando appena la testa e, come fece quel movimento, il collo di Merlin scattò indietro, impercettibilmente.

“Che io non fossi al cento percento cosa?”

Una persona che si meritava di vedersi strappato il cuore. Era quello.

Merlin!”

“Inso-insomma!” esclamò lo stregone.

Era quella la cosa che aveva sempre saputo, che Arthur non si meritasse minimamente il destino che gli era capitato. Ma non ci si poteva fare niente, Kilgharrah gliel'aveva detto chiaro e tondo; e di tutta la faccenda il Principe dei Draghi non avrebbe mai saputo nulla. Quindi andava seppellita da un parte, subito, e non rivangata mai più. Dopotutto, Merlin non avrebbe avuto altri motivi per pensarci ulteriormente.

“Proprio quando mi viene da dirvi che non siete poi così male... mi ritirate fuori questa storia infinita dell'armadio?” buttò lì, per uscire dal circolo dei suoi pensieri.

Arthur parve smarrirsi in una breve perplessità, ma l'attimo scemò subito lasciando il posto alla sua solita boria.

“Non è colpa mia se non sei in grado nemmeno di fare una cosa facile come questa!” gli disse, strabuzzando gli occhi azzurri. “Senti, è evidente che non sei capace di gestire le cose tutte in una volta, quindi d'ora in poi puoi iniziare a riorganizzare tutto a piccoli passi.” Detto questo, esaminò con aria fintamente perplessa prima l'armadio, poi allungò lo sguardo verso lo stanzino-guardaroba in fondo alla stanza da notte. “Un'anta alla volta forse è troppo difficile per te” disse con compatimento. “Comincia con un cassetto al giorno.”

Lo stregone sbuffò una risata. “Non sforzatevi troppo a pianificarmi il lavoro, o vi farete male al cervello.”

Arthur, fulmineo, prese tutti i panni dalle braccia di Merlin e glieli rovesciò in testa con una sola, fluida, mossa. Lo stregone restò con occhi e bocca spalancati. Qualcosa gli era rimasto tra i capelli e, quando intravide un bordino bianco penzolargli vicino alle ciglia e capì che si trattava di un paio di boxer, si affrettò a scrollarseli di dosso come fossero stati qualcosa di velenoso.

“Ah! E stai contento che non avevo un secchio d'acqua a portata di mano” disse Arthur, rimirando l'opera a braccia incrociate.

Merlin storse la bocca. “Se continuerete a fare così non finirò mai! Inizio a pensare che, più dell'ordine delle vostre cose, vi prema vedermi sgobbare all'infinito.”

“Hai una considerazione proprio alta di te stesso, se pensi che io non abbia niente di meglio da fare che stare a meditare vendetta contro di te.”

“Di vendetta ne avete parlato voi!” Merlin si animò, toccando la spalla di Arthur con l'indice. “Quindi ciò mi conferma che...”

“Vai avanti con le tue teorie, Merlin. Arriverai lontano” disse l'altro scacciando via la sua mano, neanche fosse stata un moscerino fastidioso.

Che razza di asino sarcastico e ingrato.

Pensando che fosse meglio tenersi occupato prima che gli rispuntasse la voglia di prenderlo a sberle (che ci fosse riuscito o meno era un'altra questione), lo stregone diede le spalle ad Arthur per tornare alla sua desolante mansione.

Sentì il principe ridere di scherno mentre raggiungeva la sua scrivania. Subito dopo aver smosso un po' delle carte che c'erano sopra, però, Arthur lo richiamò di nuovo. “Senti, lascia stare i vestiti, per ora.”

“Perché, ci pensate voi a sistemare?” propose Merlin, speranzoso.

“Ti piacerebbe. No, no, ovviamente riprendi la prossima volta.”

“Ovviamente...”

“Ovviamente. Comunque, sto uscendo, ho bisogno di passare un po' di tempo da Hatchards.”

Gli occhi di Merlin brillarono subito di desiderio. Hatchards era la libreria più antica di Londra. Lui l'aveva incontrata diverse volte nel corso delle sue lezioni serali di “umanologia”, spulciando tra le guide turistiche della città.

Era una vera attrazione rinomata per la sua aria classica, e spesso aveva ospitato famosi scrittori per le sessioni di autografi e incontri coi lettori. Gli sarebbe piaciuto molto andarla a vedere; non aveva ancora avuto il tempo di visitare per bene la City a causa di sua Altezza Reale Testa di Fagiolo. “Andate per un giretto rilassante, allora” gli disse. “Anche se non l'avrei mai detto che voi foste un tipo intellettuale.”

Non riuscì a trattenersi dal puntualizzarlo perché, insomma, l'immagine di Arthur in un luogo del genere pareva a Merlin decisamente stonata.

“Ma quale giretto rilassante! Ci vado per lavoro, capito? E poi scusa, cosa te l'ha fatto pensare che non sono un intellettuale?” berciò il principe, molto poco galantemente.

Merlin fece finta di rifletterci sopra, roteando gli occhi al soffitto. “Non saprei, me l'avranno suggerito le volte in cui vi ho visto addormentarvi alla scrivania in questi giorni. Ben sette. Una per ogni pomeriggio.”

“Chi è che tiene il conto, adesso?” disse Arthur buttandosi sulla sedia, quasi trionfale.

“Non potevo fare altrimenti, era impossibile ignorarvi. Russavate come un orso.”

La piega scettica e un po' stupita che prese la sua faccia fu impagabile.

“Guardate che vi sto dicendo la verità” continuò imperterrito Merlin, divertendosi sempre più a infilzare l'amor proprio dell'altro a mano a mano che gli si avvicinava. “Forse sarà dura da accettare per il vostro orgoglio, ma voi, Altezza, russate che è una meraviglia. Anzi, devo dire che non ho mai sentito qualcuno russare con tanta potenza vocale e...”

“Non ci credo” lo interruppe Arthur, piccato. “Nessuno me l'ha mai detto.”

“Forse nessuno ha mai osato farlo” replicò Merlin, rapido e noncurante.

“Se fosse stato vero, qualcuno prima o poi me l'avrebbe fatto notare, no?”

“Magari non vi hanno visto dormire in molti e nessuno tra quelli che vi ha visto ha mai notato che russavate. Oppure nessuno vi è mai rimasto vicino tanto a lungo per potervi sentir grugnire quando cadete in un sonno profondo.”

“Ti assicuro che un sacco di persone mi hanno visto dormire per tutta la notte e nessuno si è mai lamentato, dopo.”

“Un sacco di... ?” Merlin si fermò appena in tempo quando colse all'ultimo istante l'implicazione nelle parole di Arthur. Per la manciata di secondi che ne seguì, non trovò altro da ribattere e chiuse la bocca.

Non gli rimase che stare a guardare mentre il principe recuperava da un cassetto della scrivania due oggetti familiari: i terribili ed enormi occhiali arancioni e il cappellino nero.

“È lo stesso che l'altra volta vi ho fatto cadere per terra!” esclamò. “Quindi questa è la tenuta ufficiale che usate per andarvene a spasso tra la gente.”

“Deduzione arguta” lo prese in giro il principe, sistemandosi i capelli biondi sotto il cappello.

“Se state per avviarvi, chiamo il gruppo della scorta che è di turno oggi” disse Merlin. Ma non appena si voltò e fece un passo verso la porta, si sentì afferrare per il colletto della camicia da Arthur, che lo riportò indietro.

“Non devi chiamare nessuno, non ho detto niente nemmeno a Leon” gli soffiò, sbrigativo.

Merlin ricordò subito come la famosa discussione tra Arthur e suo padre si fosse aperta con un Uther che tratteneva a stento la rabbia dopo aver scoperto che suo figlio gli aveva disubbidito, uscendo senza scorta. “Siete matto! Se ve ne andate da solo senza una parola, farete di nuovo infuriare vostro padre.”

“Di nuovo?”

Cavolo. Certo, Arthur non doveva aspettarsi che Merlin avesse trovato un modo per spiarlo... cioè, tenerlo d'occhio in qualunque momento, e che quindi fosse venuto a sapere dell'ultima strapazzata che aveva subito dal Re.

“Ehm... immaginavo solo che vostro padre potrebbe arrabbiarsi se lo venisse a sapere” farfugliò veloce lo stregone.

“Ma se non lo verrà a sapere non succederà nulla” disse semplicemente l'altro.

“Ah, quindi state scappando.” Merlin si accorse dello scappellotto che gli arrivò sul collo solo quando fu ormai troppo tardi e sentì pizzicare la pelle.

“Ahi, accidenti! Non vi si può dire che non siete veloce.”

Arthur si strinse nelle spalle. “Comunque non esco da solo” aggiunse poi, indicando verso il letto. “Prendi lo zainetto che sta là sotto e infilaci dentro tutti questi miei appunti, potrei aver bisogno di fare delle correzioni quando sarò da Hatchards.”

Merlin fece come gli era stato detto e allungò lo zaino ad Arthur, che lo fissò piattamente. “Quello. Lo. Devi. Portare. Tu.” disse il principe, sottolineando ogni parola come se avesse voluto farsi capire da uno straniero.

“Oh! Quindi devo venire in città con voi?”

Ci sarebbe andato anche lui! Avrebbe attraversato Piccadilly e avrebbe goduto dello spettacolo di tutti quei posti meravigliosi – il Ritz, la Royal Academy e, di sicuro, se fossero andati in metropolitana, pure la piazza di Piccadilly Circus, con la fontana e il London Pavilion e il Criterion Theatre e tutto il resto.

“Sì, mi serviva un portaborse, te l'avevo detto” fece Arthur, inforcando gli occhiali. “Inoltre così, in caso di eventuale bisogno di giustificazioni, potrò dire che non sarò proprio uscito per conto mio.”

“Un ottimo modo per scaricare a metà le responsabilità” convenne ironico Merlin.

“Certo, tanto sei stato tu che hai insistito perché ti accompagnassi a vedere Londra. Non è vero? Tutto chiaro?”

“Cosa?!” Merlin fu preso da un breve attimo di agitazione. Non che avesse dovuto temere qualcosa o qualcuno – nel Mondo Riflesso non c'era proprio creatura alcuna che avesse potuto intimorire la sua magia. Purtroppo, però, ora gli incantesimi andavano tenuti sotto chiave il più possibile... e re Uther non rientrava affatto nella lista dei genitori dai quali Merlin si sarebbe fatto fare volentieri una ramanzina. “Non fate meglio a chiedere a Leon di accompagnarvi?” disse quindi di slancio, maledicendosi poi mentalmente subito dopo, quando si ricordò che era una cosa positiva avvicinarsi in quel modo al principe.

Più tempo ci avrebbe passato insieme, più sarebbe riuscito a capire come funzionava il suo cuore e, forse, questo l'avrebbe avvicinato al raggiungimento del suo obiettivo.

Per fortuna sembrava che Arthur non avesse avuto intenzione di portare con sé nessun che non fosse Merlin. “Leon certe volte è un po' troppo apprensivo” disse infatti. “È un amico, ma comunque resta la mia guardia del corpo, anche con lui non sarei completamente libero di andarmene a spasso come voglio. Figurarsi con la scorta... con tutta quella gente intorno non riuscirei mai a fare con calma, anzi, catturerei di più l'attenzione. Invece...” E mise una mano sulla spalla di Merlin, soddisfatto. “Sono sicuro che grazie all'influsso della tua mediocre presenza accanto a me passerò del tutto inosservato.”

“La mediocrità non è mica transitiva” cantilenò lo stregone al pari di un bambino che rinfaccia la vittoria al compagno di giochi. “E poi, ehi! Non ho un aspetto mediocre” aggiunse.

Anche dietro la protezione degli occhiali da sole, fu possibile percepire che lo sguardo di Arthur era puntato sulle sue orecchie. “Con quelle appendici che ti ritrovi, puoi giurarci che non rientri nella norma.”

 

 

ʘ

 

 

Merlin decretò che la metropolitana non era il suo mezzo di trasporto preferito non appena ci mise piede. Bisognava stare attenti alla gente che saliva, attenti a quella che scendeva, attenti a non perdere la propria fermata – bisognava stare sempre attenti. Cosa che a lui non riusciva proprio alla perfezione; era troppo impegnato a guardarsi intorno per mantenere la concentrazione (e a trattenersi dal saltare quando le carrozze si fermavano e ripartivano, quello sì, era piuttosto emozionante).

Un bel problema erano anche le ondate di persone che lo trascinavano via ad ogni apertura delle porte. Non era facilissimo rimanere accanto ad Arthur quando un omone della taglia di una zampa di drago ti premeva sulla schiena in cerca di spazio.

Per quanto riguardava il fattore privacy, invece, le cose stavano andando meglio del previsto. Ognuno pareva intento a farsi i fatti propri e a rimanere assolutamente disinteressato al ragazzo con il cappellino nero che si reggeva svogliatamente a una maniglia.

“Nessuno vi sta riconoscendo sul serio, Arthur” appuntò Merlin.

“E continueranno a non farlo, se la smetterai di rivelare la mia identità ad alta voce” bisbigliò il principe, il labbro alzato a scoprire i denti come avrebbe fatto un felino.

Merlin ignorò il velato tono minaccioso per concentrare tutte le energie sul non farsi destabilizzare. “Ehi, fai attenzione, piccolina... Ancora non mi avete detto che libri volete andare a cercare, comunque” disse, attaccandosi al volo a una maniglia quando una bambina che correva su e giù per il vagone riuscì a farlo inciampare.

Il principe sospirò sonoramente, afferrando Merlin per il braccio per portarselo vicino. “Sei impossibile, non ho mai conosciuto qualcuno più imbranato di te” decretò, stufo. “E non è che devo proprio cercare dei libri... mi serve l'ispirazione. Tra dieci giorni da Hatchards ci sarà un evento organizzato dalla 'Lady Ygraine'...”

“La fondazione per la promozione della lettura tra i più giovani” concluse Merlin.

Arthur si raddrizzò, un vago sorrisetto stupito che faceva capolino sul viso. “Lo sapevi?” gli disse, interessato.

“Per chi mi avete preso?” replicò Merlin, lisciandosi la sciarpa con aria di superiorità.

“Quando ci siamo incontrati non sapevi nemmeno chi io fossi.”

“Be', non vi avevo riconosciuto. Inoltre, adesso mi sono un po' informato, giusto perché sono alle vostre dipendenze.”

Era una mezza verità, in fondo.

“Questo tuo informarti su di me mi fa venire i brividi, sai” disse Arthur, scuotendosi tutto.

“Andate avanti e piantatela di fare il buffone” fece Merlin, con un sorriso aperto. “Che dicevate dell'evento da Hatchards?”

“Sono stato invitato come ospite ufficiale dalla fondazione e dovrò tenere un discorso e leggere qualcosa per dei bambini.”

“Sembra un'idea carina. Dov'è il problema?”

Arthur sospirò un'altra volta, facendo mezzo passo sul posto. Era a disagio? Doveva essere una cosa molto rara. Lo stregone piegò la testa, guardandolo curioso.

“Sono sempre stato abituato a tenere discorsi e mi è sempre riuscito facile parlare al pubblico” esordì Arthur, l'inizio di un periodo che presupponeva l'arrivo di un enorme “ma”.

“Questione di carisma naturale, immagino” scherzò Merlin, per incoraggiarlo a proseguire.

“Esatto” annuì serio l'altro. “Ma con i bambini... è un'altra storia. Non ho mai parlato direttamente per loro, con loro, durante un evento pubblico. Forse perché non ho mai avuto bambini intorno a me, ma non so proprio che cosa inventarmi, non ho la minima idea di che cosa dovrei parlare e in che modo farlo” disse in fretta.

Ed era così concitato e così incerto, incerto come Merlin non l'aveva ancora mai visto, e sembrava lui stesso più bambino che mai, e aveva un'aria davvero stupidamente adorab- no. Non che avrebbe mai potuto esserci qualcosa di vagamente simile all'adorabile in lui.

“Ehmmm, aspettate” farfugliò Merlin, “allora è su questo che vi vedo lavorare sin da quanto sono arrivato?”

Arthur annuì, mortalmente serio.

“Quindi è proprio grave” valutò lo stregone. “Non vi preoccupate troppo, una soluzione la troveremo.” Gli venne naturale tentare di tirarlo su di morale; tuttavia l'acidità del principe era una caratteristica ostinatamente radicata in lui, e non sarebbe svanita con un po' di gentilezza. Non che Merlin si aspettasse nulla di diverso.

“Limitati al tuo compito di dispensatore di mediocrità. Temo che se metterai mano tu sulla faccenda, finirò col traumatizzare quei poveri bambini.”

Come volevasi dimostrare. Merlin aveva iniziato a rispondergli a tono per l'ennesima volta quando Arthur lo interruppe sbrigativo (“Non ho tempo per sentirti fare la donnicciola offesa, siamo arrivati alla nostra fermata”), e si diresse verso le porte. Una frazione di secondo e lo stregone si sentì tirare come un pesce all'amo attraverso la folla.

Prima non se n'era accorto, ma Arthur non l'aveva lasciato da quando la ragazzina che correva per il vagone l'aveva fatto inciampare. E aveva continuato a tenerlo per il gomito per tutto il tempo.

 

 

ʘ

 

 

Una volta riemersi dalla metropolitana, nelle intenzioni di Merlin la prima cosa da fare sarebbe stata girare su se stesso per ammirare lo spiazzo di Piccadilly Circus. In realtà gli riuscì di fare solo un quarto di giro, arenandosi ai display con le scritte al LED luminose, poiché Arthur lo trascinò dietro di sé con malagrazia, procedendo a passo spedito.

“Se la vostra scusa per essere venuto è che dovevate accompagnare me, perché non me la fate fare, una visita turistica?” protestò lo stregone, tentando di opporre resistenza col suo peso.

“Una scusa è solo una scusa. Ed è inutile che ti impunti, Merlin, sono come minimo il triplo più forte di te. La libreria è qui vicino, dai.”

Arthur poteva ritenersi fortunato che Merlin avesse davvero avuto voglia di andarci, altrimenti se lo sarebbe scordato, il suo capro espiatorio.

Comunque, dopo una breve passeggiata, il principe indicò allusivamente a Merlin un edificio dall'altra parte della strada.

Al piano terra di un palazzo di mattoncini grigio tortora c'era l'ingresso della libreria: sul legno scuro di un colore simile all'ebano risaltava la scritta elegante, in caratteri dorati, “Hatchards”.

Merlin articolò un “wow” con le labbra e corse verso la vetrina, con Arthur che, per una volta, era quello più indietro.

Persino da fuori si riusciva a percepire l'atmosfera calda e confortevole del posto. Lo stregone si concesse di far sì che i suoi occhi si illuminassero d'oro solo per un breve secondo, prima di venire raggiunto da Arthur. Passò una mano sul vetro fino a una colonna dell'ingresso; di colpo lo investirono i pensieri che aleggiavano lì dentro. Erano tutte voci serene, appassionate, innamorate dei libri di cui si stavano cibando con gli occhi e con la mente. Merlin sorrise, contento; era meravigliosa, quella parte di umanità. Era meraviglioso potersi innamorare così di qualcosa, riuscire ad amare così tanto un'attività, un luogo, fino a che quell'attività e quel luogo diventavano tue, e tu ci lasciavi un segno, e loro in cambio avrebbero continuato a portare quel pezzo di te per sempre.

Vorrei tanto questo libro, lo vorrei così tanto” scoppiò d'improvviso una voce giovane e triste nella testa dello stregone.

Merlin sussultò, e il sussulto si trasformò in un balzo quando Arthur gli comparve da dietro, annunciando la sua presenza con una pacca abbastanza vigorosa da potergli danneggiare la spina dorsale.

“Smettila di lasciare le ditate come un moccioso. Ti stanno guardando tutti e, se non ti è chiaro, l'ultima cosa che mi serve è proprio farmi notare” disse, accompagnando Merlin fino a che non furono dentro.

Il dolce profumo di carta stampata che lo cullò al suo ingresso fu il più piacevole biglietto da visita che Merlin avesse mai ricevuto.

Come si era immaginato, la libreria all'interno era ancora più carina che fuori; le pareti color crema avvolgevano un ambiente ben organizzato. Il senso di ordine era garantito da molti scaffali scuri che ospitavano i volumi in fila perfetta. Perfino i libri sui tavolini posizionati appena superato l'ingresso erano disposti in cerchi precisi.

Eppure c'era qualcosa che rompeva l'armonia. Qualcosa che non dipendeva affatto da ciò che Merlin stava vedendo, ma che gli stava ronzando direttamente nella testa.

“Devo dare un'occhiata nella sezione per ragazzi” disse Arthur, concentrato nei suoi affari, “magari guardando qualche titolo mi viene un'idea per adesso lo prendo, lo metto nello zainetto e vado via.

“Cosa?” disse lo stregone, disorientato. “Che avete detto di voler prendere?”

“Io? Non ho detto di voler prendere un bel niente” disse il principe, avvicinandosi a un gruppo di scaffali ben forniti in fondo alla sala.

Merlin scosse forte la testa, seguendo l'altro con passi un po' incerti. Doveva essere rimasto attivo un residuo della magia che aveva operato prima, toccando la vetrina di Hatchards. Stava ancora sentendo i pensieri impressi nelle cose intorno a lui. “Ottimo” pensò ironicamente.

Quella era una magia piuttosto elementare da praticare, una delle prime che uno stregone apprendeva per conto suo, senza il supporto di un maestro. Veniva d'istinto alle creature magiche entrare in contatto con l'ambiente e sentirne la voce.

Merlin aveva pensato che non avrebbe fatto differenza usare quell'incantesimo nel Mondo Riflesso. In fondo, era stato grazie a quello che aveva percepito il brulicare della vita umana non appena riemerso dall'ombra dal passaggio del Lago Avalon, e non c'erano state controindicazioni allora.

Un conto era quando non riusciva a controllare la magia per spostare la cesta piena di spesa in volo e quella finiva per fracassarsi sulla bancarella del mercato; un'altra cosa era farsi scappare dalle mani un incantesimo di basso livello come quello.

Non mi vedrà nessuno” tornò a risuonare la voce dentro le sue orecchie, senza dargli pace. Aveva senza dubbio un tono infantile. Doveva appartenere a un ragazzino molto giovane, l'unico che, evidentemente, non aveva lasciato una traccia del tutto felice di sé. Sembrava invece abbastanza agitato e insicuro, sull'orlo di fare qualcosa di spericolato, che sapeva bene non gli era permesso.

Merlin si guardò intorno, tentando di capire se si fosse solo trattato di un ricordo rimasto registrato, magari, tra le pagine di qualche volume, o se il proprietario della vocina fosse lì in quel momento.

“La sezione del fantasy sta al piano di sopra” commentò placido Arthur, facendo strisciare l'indice sul dorso di una fila di tomi.

“Fa-fantasy?” disse lo stregone, il collo che era scattato verso di lui prima del suo cervello.

“È per questo che ti guardavi intorno, no?” disse il principe.

Poi si girò verso Merlin, critico, e gli sventolò la mano davanti al naso. “Ero già venuto a sapere da Gaius della tua piccola fissazione, ricordi? Non c'è bisogno che fai il finto tonto, puoi andare a saziare la tua sete di folletti e fatine mentre io mi occupo di qualcosa di serio.”

Merlin colse al volo l'occasione per andare a curiosare, congedandosi con un inchino ironico al principe e riuscendo pure a svicolare non appena quello manifestò la voglia di tirargli in faccia una copia di Pippi Calzelunghe.

Prese quindi le scale, passando piano il palmo sul corrimano mentre saliva. Gradino dopo gradino, le vibrazioni di cui era impregnato il legno gli solleticavano di più le dita. Le voci del cuore si alzavano, confondendosi con le voci materiali dei clienti, e parlavano, ridevano, lacrimavano – era impressionane quante persone si fossero appoggiate lì, avessero cercato inconsciamente lì qualcosa che sorreggesse le loro paure, qualcosa in cui riversare la loro felicità. Era impressionante quanto si potesse percepire degli esseri umani, sul palmo di una mano.

Prima di finire gli ultimi gradini, Merlin guardò indietro e intravide il cappello nero di Arthur fare capolino da un angolo.

Se solo gli fosse riuscito altrettanto semplice sondare la sua anima in quel modo... Ci aveva provato diverse volte, durante la settimana appena passata, ad ascoltare i pensieri del principe rimasti impigliati negli angoli delle sue stanze. Ma non aveva sentito quasi nulla, e quel poco che c'era era superficiale.

Era chiaro che Arthur non gli avrebbe reso le cose facili, mai. Con lui bisognava per forza andare in profondità, e non esistevano scorciatoie di nessuna sorta.

Ma se poi mi scoprono? Io voglio solo poter leggere.”

Una piccola scossa elettrica accompagnò l'ennesimo scoppio della voce nelle orecchie di Merlin. Lo stregone si soffiò sulle dita che formicolavano, facendo vagare lo sguardo per tutto il secondo piano: il bambino doveva proprio trovarsi lì in quel momento, il picco nella magia segnalava che era vicino.

Immediatamente una testolina nera catturò la sua attenzione; apparteneva a un ragazzino sui sette o otto anni al massimo. Se ne stava tutto solo, lontano dalla gente. Fissava con insistenza e determinazione un punto preciso in uno scaffale molto al di sopra della sua testa, i pugnetti chiusi. Merlin gli si avvicinò in punta di piedi.

Non ho i soldi per pagarlo... lo faccio o non lo faccio?”

Lo sbuffo del sorriso comprensivo che si aprì sul viso di Merlin lo tradì. Il bambino sobbalzò, facendo anche cadere per la sorpresa una cosa che aveva tenuto stretta in mano.

“Scusami, ti ho spaventato” disse Merlin, cercando di apparire più rassicurante possibile. Poi si piegò per raccogliere il piccolo oggetto che era rotolato vicino alla punta delle sue scarpe. La sua bocca si aprì in una “o” perfetta quando prese da terra un drago fedelmente riprodotto in miniatura.

La cosa divertente era che somigliava in modo incredibile a Kilgharrah: aveva gli stessi occhi gialli e ferini, ed era colorato di un tono scuro molto simile a quello della pelle dell'ultimo Grande Drago. Aveva pure le ali spiegate come le avrebbe aperte con aria superba lui e, passandoci sopra il dito, si potevano perfino sentire le asperità delle squamette in rilievo.

“Wow, è pazzesco!” disse Merlin con un misto di entusiasmo e ammirazione, portando il draghetto alla luce per esaminarlo meglio.

Il bambino lo fissò coi suoi disarmanti occhioni color ghiaccio, incerto.

“È... è il Dorsorugoso di Norvegia. È quello raro” tentennò, dando l'aria di star facendo un grosso sforzo per mettere insieme quelle parole. “Ho... mangiato un sacco di patatine per riuscire a beccare il pacchetto giusto, quindi...” concluse, allungando la manina verso Merlin.

“Oh, hai ragione, ecco a te” gli disse lo stregone, rendendogli la miniatura.

Doveva farsi venire in mente un'idea per attaccare bottone. Voleva fare qualcosa per aiutarlo. Non poteva ignorarlo, dopo che l'aveva sentito chiedere aiuto così accoratamente. Era solo un bambino che aveva una voglia matta di portarsi via con lui un libro che non poteva pagare. Rubare era sbagliato, certo, ma le intenzioni non erano affatto malvagie, glielo si poteva vedere negli occhioni screziati d'azzurro.

“Ehi, senti” tentò quindi Merlin, “avevo proprio voglia di prendermi qualcosa di nuovo da leggere, e ti ho visto parecchio interessato a questa sezione. Per caso hai qualche bel titolo da consigliarmi?”

Il bambino iniziò a guardare da tutte le parti tranne che verso la faccia di Merlin, torcendosi le mani. Perfetto, era riuscito a metterlo a disagio in due sole mosse.

“Ehm” riprovò allora, portandosi una mano sulla fronte. “Potresti dirmi qual è il tuo preferito. Se non l'ho letto potrei farci un pensierino.”

L'altro finalmente lo guardò, la bocca che gli tremava un po'. “Harry Potter” pigolò alla fine. All'occhiata interrogativa di Merlin, aggiunse con più forza, come se fosse stata una legge matematica basilare, “Harry Potter. Il mago più forte di tutti.”

Merlin scoppiò a ridere. Quella era bella; magari sarebbe finita che l'avrebbe preso sul serio pure lui, il libro di quel Potter, giusto per vedere se le loro capacità erano anche solo paragonabili.

Il bambino indicò precisamente il punto sullo scaffale in alto che stava fissando prima, e lo stregone tirò fuori una copia piuttosto voluminosa e gliela passò, sorridendo a trentadue denti. “Ma sa parlare con i draghi, questo Harry?”

“No” disse il più piccolo, serio, “non ci parla, ma li sconfigge durante il Torneo Tremaghi.”

“Una specie di Duello del Drago?” disse ammiccando. “Niente, lascia perdere, è una cosa che ho letto su un altro libro. Allora...” fece poi, piegandosi sulle ginocchia per parlare con il bambino a quattrocchi. “Qualcosa mi dice che questo qui lo vuoi pure tu.”

L'altro già si era assicurato al petto “Harry Potter e i Doni della Morte”, stringendolo gelosamente. “È... è l'ultimo. Mi rimane da leggere solo questo” disse.

“C'è qui la tua mamma?” domandò Merlin, alzando il mento per esaminare le facce dei vari clienti. “Le chiediamo se te lo compra lei?”

“Sono da solo. Ma tanto mi aveva detto che dovrò aspettare il mio prossimo compleanno per averlo... ne ho già presi tanti altri, di libri, ultimamente” disse piano, sconsolato.

Merlin lo guardò, comprensivo. E adesso? Voleva accontentarlo, ma non si poteva mica incoraggiare il furto! Gliel'avrebbe volentieri comprato lui, quel libro, però era uscito senza portarsi dietro il denaro. Certo, conosceva qualcuno che non aveva affatto problemi di soldi... “Vieni” si illuminò allora, “di sotto c'è un amico che potrebbe darci una mano.”

Il bambino fece un passetto indietro, guardingo.

“È un amico generoso, sai.”

Un'altra mezza verità. Arthur non gli aveva proprio dato l'idea di essere un tipo molto generoso, sebbene gli articoli sul suo impegno nel campo della beneficenza raccontassero una storia diversa. Comunque non si poteva mai sapere. Chissà che non fosse riuscito sul serio a convincere il principe.

“Non ci vengo con te. Non ti conosco. Non ci si deve fidare degli sconosciuti” disse il bambino, schivo.

Lo stregone si passò una mano tra i ricci neri, lievemente imbarazzato dal sentirsi ammonire da un ragazzino. “Già, hai ragione, ma rimediamo subito. Io mi chiamo Merlin, piacere di conoscerti. Tu come ti chiami?”

“Mordred” disse piano piano l'altro, allungando in alto la mano.

Lui gliela strinse per qualche secondo con contegno solenne. Poi rise, strappando un sorrisetto, finalmente, pure a Mordred. Non gli lasciò la manina; invece se la accomodò meglio nella sua e lo guidò giù per le scale con entusiasmo.

Le dita di Mordred erano piccole e calde sul palmo della sua mano; la sua anima si stava scaldando e aprendo a Merlin. Raramente aveva sentito una cosa del genere. Forse non l'aveva sentita mai.

La fiducia, la felicità improvvisa che esplode in un bambino e che contagia tutto, la gratitudine sincera, la complicità onesta. Tutto ciò era era molto bello, molto strano, molto... umano.

“Arthur!” esclamò Merlin nella foga del momento, quando avvistò il profilo del principe ancora bloccato nel punto di prima.

Quello si voltò furiosamente, facendogli segno di stare zitto. Merlin era sicuro che dietro gli occhiali avesse strabuzzato gli occhi tanto da farli diventare rotondi come due biglie.

“Scusate... Arthur” bisbigliò, ostentatamente piano.

“E questo chi è?” disse il principe, facendo un cenno con la testa verso Mordred che se ne stava per metà nascosto dietro la gamba dello stregone.

“Ehm... è una storia piuttosto divertente” iniziò Merlin. “Voi mi avevate detto di andare disopra e io ci sono andato. Ho conosciuto Mordred, qui, un tipo in gamba, un tipo simpatico. Abbiamo parlato un po' di Henry Potter...”

“Harry” corresse timido il bambino.

“Harry, giusto” riprese a raffica Merlin. “E sapete, una cosa tira l'altra e siamo diventati amici. Guarda caso pare che al nostro Mordred manchi solo l'ultimo libro per completare le avventure di questo famoso mago, e io non l'ho letto, quindi non lo so personalmente, ma pare che sia davvero il più forte di tutti, e...”

Merlin.” La bocca di Arthur aveva preso a mano a mano una piega sempre più storta a segnalare la pazienza che scivolava via, inesorabilmente. “Arriva al punto” ordinò.

“Dovreste proprio regalarglielo voi” disse lento lo stregone, stringendosi nelle spalle con aria di ovvietà.

“Cos-Merlin?!” strepitò il principe. “Che accidenti ti sei messo in testa?”

“Oh, Arthur, andiamo, è solo un bambino che vuole disperatamente leggere un libro ma non può comprarselo perché non gli bastano i soldi.”

“E allora io che c'entro, sentiamo?” disse l'altro, velenoso.

“Non avevate detto di voler imparare qualcosa sui bambini? Mi sembra un buon modo per iniziare.”

“A me sembra un buon modo per viziare” berciò Arthur, incrociando le braccia. “Se non può prenderselo adesso, basterà che torni in futuro in libreria con un suo familiare. È così che si impara la virtù della pazienza.”

“La paz... ah! Ah, ah ah!” scoppiò Merlin, ritrovandosi a dover pulire via una lacrimuccia dagli occhi. “Mi parlate di pazienza, voi? Volete proprio farmi ridere” annaspò.

“Attento a quello che dici” replicò Arthur, il tono decisamente imperioso. “Mi pare che hai più bisogno tu di una lezione che quel ragazzino.”

“Nessuno ha bisogno di una lezione, qui. Non siamo mica cani che vanno addestrati.”

“Ma ragiona, razza di idiota!” vociò Arthur, e diverse teste scattarono all'unisono voltandosi dalla loro parte. “Non sarà un buon insegnamento per il bambino se si vedrà accontentare un suo capriccio in questo modo! Che cosa imparerà, che ci sarà sempre uno sconosciuto pronto ad esaudire senza sforzo i suoi desideri al posto suo?”

“Imparerà ad avere un po' di fiducia nel mondo!” disse Merlin, infervorato. “Capirà che c'è un po' di bene negli altri, in tutti gli altri, e che le cose belle certe volte succedono quando non te lo aspetti, e che aiutare qualcuno solo per il gusto di farlo è...”

L'allarme della libreria si mise improvvisamente a suonare e Merlin, Arthur e tutto il resto delle persone che si trovavano al piano terra di Hatchards si voltarono verso l'ingresso.

Mordred se ne stava con un piede fuori dalla libreria, il suo libro preferito stretto al petto e lo sguardo sconcertato e spaventato. Le braccia di Merlin ricaddero a peso morto lungo i fianchi.

Per due secondi nessuno fece nulla.

“Ecco che cosa ha imparato” disse in fretta Arthur a denti stretti.

Poi volò subito alla porta, Mordred che, come lo vide, fece un passo in più, l'idea della fuga scritta palesemente in faccia. Il principe fu più veloce e afferrò il bambino per la vita, tirandoselo in braccio come fosse stato una piuma. “Non è niente, non è niente” disse ad alta voce, rientrando di corsa. “Siamo insieme, non è niente, è tutto apposto. Scusateci.”

Alcune signore si misero a bisbigliare tra loro, un gruppo di ragazzini rise, un paio di anziani si portarono una mano sul cuore, sospirando per lo spavento. La commessa dietro al bancone, una donna sulla trentina con la bocca rossa e gli occhiali dello stesso colore, si affrettò a spegnere l'allarme. Seccata, rivolse uno sguardo tagliente prima ad Arthur che aveva ancora in braccio Mordred, e poi a Merlin.

Lui guardò a terra. Improvvisamente sentì il desiderio di scavarsi una fossa e restarci dentro per un po' di anni. Ma poi pensò che quello che doveva stare peggio di sicuro era Mordred, quindi con un passo raggiunse Arthur.

Il bambino aveva gli occhi gonfi e rossi puntati di lato e la faccia quasi del tutto seppellita nella spalla del biondo. Merlin gli arruffò i capelli, sospirando. “Non avresti dovuto farlo, lo sai” gli disse, tentando senza successo di incrociare il suo sguardo.

“No che non avrebbe dovuto” disse Arthur, severo. Però aggiunse, più leggero, “di sicuro lo sa anche lui che ha sbagliato. E si è pentito, e ha voglia di giurare che non lo farà mai più. Non è vero, Mordred? Chiedi scusa, su.”

Il bambino mormorò qualcosa con la vocetta roca. Arthur allora fece un giro su se stesso, in modo che Mordred guardasse la commessa in faccia. “Le chiedo scusa, non lo farò più” disse tristemente.

Arthur si voltò di nuovo, regalando alla donna un sorriso decisamente brillante. “Le chiediamo scusa anche noi” disse, piegandosi verso il bancone. “Avremmo dovuto starci più attenti.”

Nonostante tutto, Merlin trattenne una risata. Che razza di stronzetto affascinante. Era riuscito a far arrossire la commessa che ora si stava sistemando nervosamente gli occhiali sul naso. “Awww... ehm... non fa niente, si figuri, sono cose che capitano” farfugliò lei, tra le risatine. “Ci siamo solo presi un piccolo spavento, no?”

“Mi fa il favore di farmi lo scontrino? Grazie ancora per la comprensione, comunque” ammiccò Arthur, la voce tutta uno zucchero.

Merlin vide bene Mordred paralizzarsi sulla spalla di Arthur, colpito dalla consapevolezza che il suo libro preferito stava venendo acquistato.

Lo stregone, per rendersi utile, afferrò la busta di carta con dentro il libro che la commessa gli porse. Quando si girò per fare una battuta che risollevasse il morale di Mordred, però, si accorse che stavolta era stato Arthur a immobilizzarsi sul posto. “Non ci posso credere... quando è arrivato?” stava dicendo stancamente il principe.

Merlin guardò curioso nella direzione nella quale era rivolto Arthur. Non gli sembrava ci fosse niente di strano, a parte... un uomo con un taccuino in mano, che febbrilmente scrutava tutta la zona intorno e poi tornava sempre a squadrare il loro terzetto.

“Chi è?” chiese Merlin, intuendo già che non si trattasse di niente di buono.

“Andiamo via” bisbigliò il principe. “Subito!” In tre rapide falcate uscì da Hatchards, con Merlin che in un primo momento era rimasto fermo ad assimilare la situazione.

Dopo, guardando alternativamente l'uomo sospetto e il punto in cui ormai Arthur non c'era più, gli corse dietro per raggiungerlo. E anche Arthur, appena fuori dalla libreria, aveva iniziato a correre sul serio, Mordred sempre in spalla. “Sbrigati, idiota!” soffiò con una smorfia a Merlin, voltandosi senza fermarsi.

“Asp... aspettate!”

Lo stregone accelerò per arrivare dagli altri due, ma Arthur era velocissimo. Con una grazia piuttosto sorprendente per uno dal fisico piazzato come il suo, si muoveva agilmente tra la folla, scartando i passanti. Merlin invece non faceva altro che pestare piedi, ricevere gomitate e lanciare delle scuse volanti, guardandosi in dietro di tanto in tanto per vedere se erano seguiti come Arthur pareva pensare.

Non vide nulla però, e a un certo punto non vide più nemmeno Arthur davanti a sé. Disorientato, si fermò di botto col fiato corto, portandosi le mani sulla testa. Qualcosa lo afferrò per il colletto della camicia e a Merlin sarebbe venuto colpo, se solo, istintivamente, non avesse riconosciuto la forza di una presa familiare nello strattone. Era stato il principe, infatti, a trascinarlo in un vicolo di una stradina laterale.

Lo stregone emise un lungo sospiro per permettere al suo battito di tornare regolare. Dopo un paio di tentativi riuscì a tirare fuori un “tutto bene?” strozzato rivolto a Mordred.

Il bambino, che ora si era aggrappato al collo di Arthur con tutte e due le braccia, fece segno di sì. Merlin fu sicuro di vedere le sue labbra piegarsi all'insù in minuscolo sorrisino, generato, probabilmente, dall'adrenalina.

“C'era un paparazzo in libreria, l'ho riconosciuto” spiegò Arthur, controllando che non ci fosse nessuno intorno a loro. “Non so da quanto fosse lì e non sono nemmeno sicuro che mi abbia riconosciuto. Ma meglio non rischiare e allontanarci da qui.”

“È davvero necessario? In fondo non è successo niente di così terribile” disse Merlin, guadagnandosi lo schiocco delle dita del principe sulla sua fronte (“Ahi!”).

“Allora sei proprio scemo. A loro non importa che sia successo davvero qualcosa oppure no. Per quanto ne so, vedermi con un ragazzino sconosciuto è più che sufficiente per mettere insieme la storia di un figlio segreto.”

Mordred si agitò visibilmente, tirando su col naso.

“Va tutto bene” disse Arthur, dandogli una pacca sulla schiena. “Ecco, metti questi.”

Merlin stette a guardare mentre il principe faceva le contorsioni per togliersi cappellino e occhiali e li faceva indossare a Mordred. Capì che lo stava facendo per proteggere la sua privacy in caso li avessero fotografati. Certo, sarebbe stato inutile se quell'uomo li avesse già immortalati in uno scatto a tradimento prima, da Hatchards. Tuttavia, Merlin apprezzò molto che Arthur si mettesse a viso scoperto per un bambino che aveva appena conosciuto.

Per la prima volta, l'apprezzò sul serio.

“Dove abiti, Mordred?” chiese Merlin, mentre gli sistemava alla meglio il cappello perché non ci sprofondasse sotto. “Qua vicino?”

“No. Per tornare a casa devo prendere la metropolitana.”

“Tutto solo?” disse, incredulo.

“Vedi, Merlin, pure i bambini, a differenza tua, sanno andare in metro da soli senza problemi” disse Arthur. “Però noi riaccompagniamo Mordred comunque. Tanto dobbiamo fare la stessa strada.”

Merlin annuì; nemmeno lui aveva avuto la minima intenzione di scaricare lì Mordred come un pacchetto e lasciarlo al suo destino. Fu contento che anche il principe la pensasse allo stesso modo. Allungando furtivamente metà faccia oltre l'angolo, si assicurò che non ci fosse tra la gente l'uomo col taccuino. “Via libera” disse, facendo un segno agli altri due. “Di corsa fino a Piccadilly Circus?”

“Cerca di non finire per terra” lo provocò Arthur. Poi si risistemò meglio Mordred in spalla come fosse stato un gattino e partì di nuovo.

Lo stregone cercò di stargli dietro, ma il principe era dannatamente svelto. E poi come mai gli apparivano sempre davanti delle vecchiette che lo facevano rallentare?

All'ennesima colluttazione, Merlin incespicò pure sui piedi di un tedesco formato armadio che lo fulminò con lo sguardo e, quando ripescò Arthur e Mordred, li vide che ridevano apertamente di lui.

Il bambino sembrava così sollevato e sereno, per fortuna doveva averla presa come un gioco. Ma era difficile, in effetti, non prenderla alla leggera quando anche Arthur ogni tanto si guardava in dietro e scoppiava in una risata. I capelli biondi sparati sulla fronte dall'aria, lo sguardo allegro, il sorriso smagliante, sorprendentemente limpido e senza freni, rideva.

E allora anche a Merlin venne da ridere.

 

 

ʘ

 

 

Arthur scaricò Mordred sui gradini della fontana di Piccadilly Circus, facendo due circonvoluzioni col braccio per sciogliere i muscoli della spalla.

“Non prendiamo direttamente la metro?” disse Merlin a fiato mozzo, indicando l'ingresso che stava poco distante.

“Ora ci andiamo. Prima voglio chiarire una cosa con Mordred” disse Arthur, accucciandosi su uno scalino. Poi si rivolse al bambino, serio. “Mettiti seduto. Facciamo un discorso tra uomini.”

Mordred ubbidì. “Sei il Principe Arthur” affermò sicuro subito dopo, cogliendo alla sprovvista gli altri due.

“Sì” si riprese però il biondo, annuendo. “E tu sei scappato di casa.”

Ma certo. Merlin si diede dello stupido per non averci pensato prima. Era strano che un bambino della sua età se ne andasse in giro da solo e prendesse pure la metro per conto suo, per arrivare in un posto in cui la madre aveva detto che non l'avrebbe riportato tanto presto.

“Oggi non ti sei comportato bene, Mordred” lo ammonì Arthur. E all'improvviso aveva assunto un'autorità che Merlin non gli aveva mai visto prima. Era tutta un'altra cosa rispetto a quando comandava di farsi portare le ciabatte ai piedi del letto.

Sembrava emanare un'aura di affidabilità, ora, come se fosse naturale starlo a sentire, come se fosse giusto fare quello che diceva. Perché tutto quello che usciva dalla sua bocca era vero e solenne, e lui era irreprensibile e parlava per il tuo bene.

Era un altro.

Mordred aveva abbassato la testa vergognosamente, ma quando ammise di aver sbagliato non lo fece con un fil di voce. Era fermo e sicuro, quasi che il carisma irradiato da Arthur avesse raggiunto pure lui e l'avesse contagiato. Un piccolo cavaliere che accettava coraggiosamente la punizione e non voleva svilirsi davanti al suo sovrano.

“Devi promettermi che non lo farai mai più. Intendo sia lo scappare di casa che il tentare di prendere qualcosa senza pagarlo” continuò il principe.

“Lo prometto” mormorò Mordred.

“Potevano finire molto male, tutte e due le tue bravate” rincarò la dose Arthur. “La prossima volta che vuoi qualcosa ma non puoi ottenerla subito, puoi provare a procurartela in un altro modo. Per esempio, con un po' di lavoretti in casa per guadagnarti la paghetta. Ci vorrà un po', ma poi il libro potrai comprartelo da solo.”

Merlin si ritrovò ad annuire. Quello era un buon consiglio, un discorso saggio. Si stupì che a pronunciarlo fosse stato lo stesso Arthur che gli aveva tirato i boxer in faccia.

Tuttavia era troppo presto per fare complimenti al Somaro Reale, che non si smentì nemmeno stavolta. Mentre parlava, infatti, il suo tono scivolò pian piano nel polemico e tutta la regalità di prima svanì in una bolla di sapone. “Comunque non devi aspettarti che arrivi sempre qualcuno a toglierti dai guai” stava dicendo ora a Mordred con pedanteria. “Non è così che funzionano le cose. E se ti avesse avvicinato qualcuno di non raccomandabile? Non puoi fidarti al volo degli sconosciuti. Le soluzioni ai tuoi problemi non cadranno mai più dal cielo, credimi. Stavolta sei stato fortunato, però non ci sarà sempre un principe a tirarti fuori dai guai. Questo libro, tieni, oramai è tuo. Ma spero che quando lo guarderai ricorderai di come te lo sei procurato, e allora...”

“Su, sono sicuro che ha capito” intervenne Merlin, troncando la predica perché anche la fierezza di Mordred stava pericolosamente trasformandosi in un senso di colpa imbarazzato.

“Se non insisto, tutta la faccenda non sarà servita a nulla. Non sarà un buon insegnamento per lui” disse Arthur, pomposo.

Un nervo pulsò visibilmente sulla tempia di Merlin. Ancora con quella storia dell'insegnamento. Le intenzioni di fondo del principe erano buone, ottime anche, ma lui era un po' un ipocrita se pensava di essere nella posizione per dare lezioni agli altri senza riceverne alcuna. “Non credo che sia il caso di esagerare. È solo un bambino, ancora non può rendersi conto completamente di che cosa è giusto o sbagliato” disse, un po' spazientito.

“Se è per questo nemmeno tu” lo attaccò Arthur, scandalizzato. “Ti ricordo che tutta questa storia è iniziata per colpa tua! Se non ti fossi messo in testa di coinvolgermi...”

“Be', nemmeno voi ragionate sempre a mente lucida” gli parlò sopra Merlin. “Vi devo ricordare come ci siamo conosciuti? Non siete stato un esempio di buone maniere, quella volta. Eppure siete adulto, e lo sapete cos'è giusto e cos'è sbagliato.”

Arthur espirò fortissimo, alzando le braccia in aria. “Va bene, va bene, abbiamo tutti qualcosa da imparare” concesse. “Tutti, pure tu...” e sottolineò il tu con una pausa ad effetto, “... e io.”

Merlin si accontentò di quella mezza ammenda. Sapeva che era il massimo che avrebbe ottenuto, e come compromesso non era male. Dopotutto, sapeva che qualche colpa ce l'aveva avuta anche lui... ma se fosse tornato indietro, avrebbe rifatto esattamente lo stesso.

Non avrebbe mai potuto ignorare la chiamata della voce di Mordred, ed era sicuro che se gli fosse capitato altre mille volte, tutte e mille le volte avrebbe trovato il modo di mandarlo a casa felice col suo libro in mano.

Merlin non avrebbe mai potuto far finta di non sentire qualcuno che lo chiamava. Non l'aveva fatto con Mordred per lo stesso motivo per cui non l'aveva fatto con Arthur; perché non aveva dimenticato nemmeno per un attimo l'idea di trovare il Principe dei Draghi che non sapeva cosa farsene del suo cuore.

“Pronto? Non lo prendi, Merlin?” lo richiamò alla realtà il suddetto principe.

Merlin abbassò lo sguardo e vide che Mordred gli stava allungando un chewing-gum. “Per ringraziarti per quello che hai fatto per me” disse il bambino, limpidamente.

Lo stregone sorrise, un sorriso che somigliava più a una smorfia. Ora, non era che non sapesse cosa fosse una gomma da masticare – aveva visto la gente che le mangiava. Solo, non sapeva come esattamente andassero mangiate e non aveva molta voglia di sperimentare altro, per quel giorno. “Graaaaazie, che bello” disse lo stesso, cercando di non deludere Mordred.

“Ed ora” continuò il bambino, frugando nello zainetto, “un drago... per il principe Pendragon.”

“Mini-Kilgharrah!” esclamò Merlin quando il piccolo estrasse dalla tasca esterna la miniatura del drago.

Arthur guardò prima il giochino, poi Merlin, poi di nuovo la miniatura e infine, con orrore dello stregone, di nuovo Merlin, con un sorriso di scherno ampio quanto tutta la faccia. Addirittura tossì per nascondere una risata. “Grazie Mordred, è molto carino” disse quindi. “E Merlin...”

Lui lo guardò di sottecchi, sicuro di essere un po' arrossito sulla punta delle orecchie. Adesso sarebbe arrivata un'altra frecciatina sulla storia dell'ossessione per il fantasy, e quel che era peggio, stavolta una base di verità c'era.

“Non mangi la tua gomma?” disse invece a sorpresa Arthur. “Mordred ci rimarrà male se non lo farai.”

“Ah...” Non sapendo come comportarsi, Merlin finì col fare la cosa più stupida: si buttò la gomma in bocca e la ingoiò direttamente. Mordred si nascose la faccia con le mani, tentando per rispetto, benedetto il suo cuoricino, di non ridere di lui.

Arthur soffiò divertito, spostandosi i capelli dalla fronte. “C'è proprio qualcosa di fuori dalla norma, in te, Merlin. Non so cos'è, ma ti assicuro che c'è.”

Lo stregone sbatté le palpebre con ostinazione. Come diavolo riusciva Arthur a farlo passare così facilmente per un imbecille?

 

 

ʘ

 

 

Durante il viaggio di ritorno in metro, Merlin prese al volo Mordred per mano per evitare di perderlo tra la folla. Attraversate con successo le porte e trovato un angolino libero in fondo al vagone, si voltò e vide che Arthur si era messo dietro a Mordred. Le mani grandi sulle sue piccole spalle, gli stava facendo da scudo in modo da evitargli colluttazioni con la gente.

Per una volta in più, in quella giornata Merlin vide la parte di Arthur che lo faceva davvero somigliare a un principe.

Non c'era solo quella facciata; non esisteva solo la marionetta del cavaliere, come non esisteva quella del figlio del cattivo. Però c'era proprio qualcosa che non rientrava negli schemi prefissati che la gente aveva di Arthur. Merlin non avrebbe saputo descrivere bene cos'era... ma di sicuro c'era.

 

 

ʘ

 

 

“Forse dovrei proprio leggermelo, questo Harry Potter” disse Merlin.

Lui e Arthur stavano rientrando a casa, passando per la stradina esterna che portava alla dependance di Gaius. La brezza si era fatta più pungente; le giornate calde stavano sfumando in un tiepido clima autunnale.

Si poteva vedere che nella serra, in fondo alla strada di sassolini, la porta era stata lasciata aperta. Probabilmente c'era ancora Gaius dentro, intento a sbrigare le ultime faccende. Nell'aria vagavano le note forti del profumo delle rose.

“Pensavo che se un bambino arriva pure a tentare di rubare un libro pur di averlo, vuol dire che muore dalla voglia di leggerlo” disse Merlin, guardando le nuvolette che si coloravano del rosso del tramonto. “Quindi deve valerne la pena, no? Cioè, deve essere una bella saga se fa venire voglia alla gente di leggerla a tutti i costi. Se non...”

Merlin” lo interruppe il principe, guardandolo come se avesse avuto un'illuminazione improvvisa.

“Cosa?”

“Vuoi startene zitto? È tutto il giorno che ho la tua voce che mi ronza nelle orecchie. Onestamente, non ne posso proprio più.”

“Figuratevi io. Comunque... oh, non abbiamo altro da sopportare, per oggi. Sono praticamente arrivato.”

Era vero. Tra una chiacchiera, un'accusa e una frecciata, erano giunti all'ingresso dell'abitazione di Gaius e Merlin nemmeno se n'era reso conto.

“Comunque cosa?” continuò però a incalzarlo il principe. “Cosa stavi dicendo? No, non fare quella faccia. O finisci o ti becchi un pugno. Odio quando la gente inizia un discorso e lo lascia a metà.”

La spruzzata di comportamento infantile fece roteare automaticamente gli occhi dello stregone al cielo. “Niente, dicevo che avevo capito che voi non ci sapeste fare coi bambini. E invece noi siete stato poi così orco” ammise. A un certo punto, anzi, era stato proprio bravo. Ma quello Merlin non gliel'avrebbe detto, o l'ego già enorme di Arthur si sarebbe gonfiato fino a diventare ancora più ingestibile. “Dopo, ovviamente, siete andato in discesa quando avete preso a insistere con la ramanzin-”

“Avevo detto solo che non sapevo bene come tenere un discorso per i bambini, non che non mi ci sapessi relazionare. Quello devi averlo dedotto tu con la tua fantasia galoppante” disse Arthur, tamburellandogli l'indice sulla fronte. Un'altra volta.

“Certo, come no” disse Merlin, schivando gli ultimi colpi. “Non vantatevi tanto, vi è andata bene perché a tutti i bambini piacciono i principi. Be', non a Will, però. Nemmeno quando era piccolo gli piacevano i reali.”

“Chi è Will?” chiese Arthur, rizzandosi di botto. Improvvisamente la sua faccia si trasformò come se avesse appena visto un insetto enorme posarsi sulla sua torta e rovinargli la festa di compleanno.

Merlin iniziò ad armeggiare con la sua copia delle chiavi che gli aveva procurato Gaius, avvicinandosi alla porta. “Will è un amico che vive nel mio stesso paese” disse intanto.

“Un amico campagnolo, quindi” disse acido il principe.

“Direi di sì. Oh, inoltre” fece lo stregone, ignorando il commentino provocatorio e aprendo la porta. “Sentite, mi dispiace” concluse, un mezzo sorriso di scuse.

Arthur parve rimanerci male; le sopracciglia scomparvero sotto la frangia bionda, le labbra si arricciarono confusamente. Forse non se l'aspettava, un'uscita del genere.

Nemmeno Merlin si era aspettato di dirlo. Solo che non sarebbe stato corretto, tenersi per sé delle scuse sincere che aveva sentito maturare dentro di lui. E se perfino Arthur era in grado di scusarsi, be', lui non sarebbe stato da meno. “Con tutta questa storia di Mordred, non avrete nemmeno avuto il tempo di pensare a qualcosa per il vostro discorso” si spiegò. “Ed era per questo che eravate voluto uscire, quindi...”

“Non lo so... forse qualcosa mi è venuto in mente” fece Arthur, incrociando le braccia al petto.

“Davvero? Meglio così. Allora, se non vi dispiace...” disse lo stregone, facendo per entrare in casa.

“Ci credi per davvero a quello che hai detto prima?”

Merlin guardò Arthur; non sapeva a cosa si stesse riferendo, ma doveva trattarsi di qualcosa di serio poiché i suoi lineamenti si erano stranamente induriti in un freddo scetticismo. Lo stava guardando proprio come se Merlin l'avesse in qualche modo voluto prendere in giro, e lui l'avesse smascherato beccandolo in flagrante.

La cosa non gli piacque; Merlin non aveva mai mentito ad Arthur.

Se si escludeva la parte di verità che doveva tacere per forza di cose riguardo al Duello... sì, ma che c'entrava, adesso? Per tutto il resto, non gli mentiva. E non gli piaceva sapere che il principe non lo credesse sincero nei suoi confronti, perché non era vero. “Parlate più chiaramente” gli disse allora, sulla difensiva.

“Eri serio quando da Hatchards parlavamo di Mordred, e tu hai detto che c'è un po' di bene in tutti?”

Ah, era quello allora? Una risata spezzata e sorpresa scappò dalle labbra di Merlin. Certo che gliel'aveva detto seriamente. In tutti gli umani doveva esserci almeno qualcosina di buono. L'aveva capito proprio da poco, per la faccenda degli strati molteplici di cui erano fatti e del cuore con le sfumature e tutto il resto. “Sinceramente, vi dico sempre come la penso, sì” disse, traducendo appena l'oceano dei suoi pensieri in un piccolo fiumiciattolo. E se ne rese conto. E si morse il labbro.

“Vedi il mondo con un paio di lenti rosa davanti agli occhi, Merlin” disse Arthur, la durezza del volto sciolta di colpo in un'espressione serena. Poi si mise le mani sui fianchi, facendo un cenno di saluto per congedarsi.

Già aveva imboccato la strada per la residenza principale quando Merlin gli disse, a voce più alta: “Perché, non c'è forse un po' di bene in tutti gli esseri umani? Non è così?”

Ma come... ! Certo che era così. Ed era stato proprio grazie ad Arthur che Merlin l'aveva capito. Arthur che era arrogante, insopportabile, a tratti superficiale, difficile, scorbutico, incontentabile.

Ma anche buono. Arthur era buono. Un bravo ragazzo, una persona buona.

E se il concetto delle sfumature del cuore di un essere umano l'aveva realizzato Merlin, che non era umano e che aveva l'umanità del tutto estranea a lui per natura, com'era possibile che il principe sembrasse non capire?

Forse... era lo stesso Arthur a non crederci sul serio? Non ci credeva in un cuore buono, non riusciva a immaginarselo?

“Ah, quasi mi dimenticavo!” fece il principe, lanciando, di schiena, qualcosa verso Merlin.

L'oggetto arrivò così velocemente che lo stregone non riuscì nemmeno a inquadrarlo bene e se lo fece rimbalzare da una mano all'altra come una patata bollente.

“Bei riflessi” disse Arthur, sventolando il braccio.

Quello fu il suo saluto definitivo della giornata e Merlin non aggiunse altro; non avrebbe saputo cos'altro dire. In quel momento non gli venne nulla da dire. Aprì solo il palmo della mano destra e si ritrovò la miniatura del drago tra le dita.



 

~

 

 

 

 

Salve miei adorati lettori! Anche questo capitolo è uscito molto lungo, ma, contro ogni mia aspettativa, è stato completato prima del previsto. Spero sia stata una bella sorpresa anche per voi >w<

Oggi voglio dedicare un abbraccio enorme ai recensori, con tanto di bacio sbavoso a coloro che mi avevano fatto l'in bocca al lupo per gli esami la volta scorsa...mi avete portato fortuna <3

Non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo, che, insieme a quello che sarà l'ottavo, è stato uno dei primi a venirmi in mente durante la progettazione della storia.

Ed è stato pure quello più facile da scrivere fino ad ora. Muovere Arthur e Merlin insieme per tutto il tempo è un vero divertimento e un piacere!

Ah, da alcuni commenti che ho letto la volta scorsa ho visto che non vi siete dimenticati di Morgana. Tranquilli, non me ne sono dimenticata nemmeno io (come potrei? xD) ma...Merlin sì, diciamo che adesso come adesso è preso da altri fattori (e come dargli torto *_*).

Tenete d'occhio anche Mini Kilgharrah, lo rivedrete spesso <3 (ovviamente il fatto che Kilgharrah sia un Dorsorugoso di Norvegia è stato inserito come puro omaggio a Harry Potter xD)

Vi lascio con delle immagine di riferimento per Piccadilly Circus e la libreria Hatchards e con l'angolo della colonna sonora. Alla prossima!

 

 

Piccadilly Circus

Hatchards

 

 

Angolino Soundtrack

Generale: Rubik's Cube – Athlete

Merlin e Arthur: You and Me (Faith OST)

Merlin, Arthur e Mordred in fuga: Running Up (Merry Me Mary OST)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Come fanno gli esseri umani ***


(x)

 

Capitolo sei: Come fanno gli esseri umani

 

 

 

 

Merlin seppellì la testa sotto le coperte. Un suono fastidioso e continuo aveva tutta l'aria di volergli rovinare il sonno, ma lui era determinato a ignorarlo. Pressò per bene il cuscino sopra le orecchie perché, accidenti, un po' di riposo se lo meritava.

Era tornato da poco in camera dopo l'ennesima serata passata al servizio del principe. Alle ridicole mansioni che gli assegnava si stava pure abituando, ma erano i lamenti sarcastici di Arthur sul suo operato la vera cosa difficile da digerire.

Stavolta gli aveva dato da spolverare la sala della biblioteca reale e, a quanto pareva, lo stregone non era nemmeno in grado di rimettere in ordine i volumi dell'enciclopedia nel modo corretto.

Inoltre, fare su e giù con le braccia cariche di libroni era più stancante che risistemare il guardaroba; quindi Merlin, aperta la porta di casa, aveva salutato Gaius sbattendo le palpebre, privo perfino dell'energia per parlare, e si era buttato sul letto senza nemmeno mettersi il pigiama.

Ma adesso qualcosa (il cellulare che squillava, dopo il quarto minuto Merlin l'aveva identificato) lo stava costringendo a rimettersi di nuovo in piedi. E se il telefono suonava a quell'ora, significava solo una cosa: Arthur lo stava chiamando.

Merlin ruggì, allungando la mano sul comodino per tastare a casaccio. “Ahi!” protestò, quando qualcosa di appuntito gli si infilzò sull'indice.

Svogliatamente, mise a fuoco Mini-Kilgharrah che troneggiava sul suo comodino, le faucette aperte pronte a pizzicare le dita degli ignari proprietari.

“Sei pericoloso quanto il vero Kilgharrah” gli borbottò lo stregone, “e mi tratti da ingrato esattamente come la persona a cui saresti dovuto appartenere.”

Chiedendosi se la suddetta persona non gli avesse lanciato Mini-Kilgharrah col preciso intento di far pungere Merlin dai suoi dentini, il ragazzo afferrò il cellulare e premette con rabbia il tasto per rispondere.

“Arthur – per l'amor del cielo, che volete adesso?” disse, tornando a stiracchiarsi tra le coperte. “È mezzanotte e mezza e stavo tentando di riprendermi dal lavoro da schiavo che mi è toccato fino a poco fa.”

“Oh, ti sei degnato di rispondere! E non fare la ragazzina, Merlin, quel poco che hai fatto l'hai pure fatto male. Piuttosto, vieni subito allo studio piccolo dell'ala nord” comandò la voce del principe.

Lo stregone si sforzò di trovare una scusa per evitare di mettere un piede fuori dal suo comodo giaciglio.

“È tardi, quelli della sorveglianza non mi faranno entrare” protestò deciso.

“Sì che ti faranno entrare, idiota, li ho già avvertiti.”

“Sentite” si scaldò allora, scattando a sedere, “se avete intenzione di farmi pulire un'altra camera a quest'ora, vi sbagliate di grosso. Se non riuscite a dormire e non avete altro di meglio da fare, provatela sulla vostra pelle l'ebrezza di cosa significa spolverare fino a che-”

“Merlin, razza di i-d-i-o-t-a.” La voce del principe si era settata in quella particolare frequenza a metà tra l'isterico e lo stravolto. Merlin aveva imparato che era la più pericolosa di tutte, perché segnalava che la pazienza di Arthur si stava esaurendo, e allora sarebbe potuta succedere qualunque cosa.

“Ci serve il quarto uomo. Vieni qui di corsa entro due minuti o ti vengo a prendere io, e giuro che non sarà una cosa piacevole.”

“Ubbidisco” soffiò Merlin, facendosi volare con uno sbuffo alcuni ciuffi di capelli sulla fronte. Stava per chiudere la chiamata quando dall'altra parte sentì la risata profonda e tranquilla di Arthur sollevarsi come il crepitare di un fuoco. Allora Merlin si schiacciò il cellulare all'orecchio in un riflesso condizionato, perché era uno spreco non bersi tutto d'un fiato quei rari momenti in cui il principe sorrideva così.

“Non dirmi che ho finalmente trovato la formula per farti eseguire gli ordini che ti vengono dati” gli stava dicendo intanto l'altro.

“Mi fate ubbidire a forza di minacce, proprio una gran scoperta” lo stuzzicò Merlin.

“Devo mettere in pratica una delle punizioni che ti ho promesso, per sollecitarti di più?”

“Ma non è proprio il caso, no. Sarò lì prima che riusciate a dire... ehm... aspettate... non mi viene in mente nulla...”

Merlin.”

“Sto zitto?”

“Meglio.”

 

 

ʘ

 

 

Lo studio dell'ala nord era una delle stanze comprese negli appartamenti di Arthur. Era piuttosto piccolo in confronto al resto, ma grande abbastanza da ospitare, oltre l'immancabile scrivania e gli scaffali di turno, pure una televisione con lo schermo a cristalli liquidi corredata di Play Station, un divanetto di pelle nera e un paio di poltroncine dello stesso rosso scuro delle tende.

Quando Merlin aprì la porta, trovò Arthur, Elyan e Leon strizzati sul divanetto, intenti a guardare lo schermo con aria assassina.

Il principe sembrava concentratissimo, aveva le sopracciglia aggrottate e stava seduto sul bordo, tutto proteso in avanti. Elyan si dimenava come un uccellino in gabbia, muovendo il corpo insieme al joystick mentre imprecava sottovoce. Leon a prima vista pareva il più composto, ma in realtà bastava guardare con attenzione per notare l'accanimento con cui premeva i tasti del cursore.

Solo Gwen, accoccolata su una poltrona, una mano a coppa sulla guancia, si accorse del suo arrivo. “Merlin!” lo salutò raggiante, andando ad accoglierlo alla porta. “Sono contenta che tu sia venuto, non ce la facevo più a sopportarli, stasera” disse, prendendolo a braccetto. Le sue dita si chiusero morbide e calde sulla pelle di Merlin, che le sorrise, un pochino confuso.

Non era mai stato toccato con tanto naturale affetto da nessuna donna – se non considerava, ovviamente, sua madre.

Gwen era così carina. Dopotutto si conoscevano da poco, ma lei era quella che lo trattava con più gentilezza di tutti, a palazzo. Gli riservava sempre qualche attenzione speciale, e Merlin aveva notato che c'era quest'aura, tutto intorno a lei, questa sensazione umile e onesta e confortevole.

Rimasero in silenzio un po' troppo a lungo, lo stregone preso nella sua valutazione e Gwen nel suo goffo senso delle buone maniere.

“La... la mano...” balbettò poi lei, accorgendosi di avere ancora Merlin a braccetto e mollando di colpo la presa. “Cioè, volevo dire – ti va una... mano di poker?”

Il fatto che fosse imbarazzante e maldestra con le parole tanto quanto Merlin lo era nei fatti le faceva guadagnare un sacco di punti extra.

“Mi spiace deluderti, Guinevere” intervenne a sorpresa Arthur, senza staccare gli occhi dal gioco, “ma Merlin è venuto apposta per fare il quarto, stasera.”

“Ehi, Merlin!” lo richiamò Elyan con una vena di finta polemica. “Perché hai aspettato solo oggi per venire? Ti aspettavo prima, te l'avevo detto. Mi avevi promesso che mi avresti sottratto il record di partite perse di fila.”

In realtà Arthur gli aveva sempre fatto intendere che, se avesse voluto, terminato il lavoro Merlin avrebbe potuto seguirlo per unirsi a loro. Ma Gaius era stato inflessibile, e aveva continuato a insistere perché portasse avanti i suoi “corsi d'aggiornamento” tutte le sere prima di andare a dormire.

“Sarei venuto volentieri” disse quindi, “se non fosse stato per Arthur che mi ha sempre fatto sgobbare come un somaro fino a tardi. Quando finisco sono così stanco che ho subito voglia di mettermi a letto.”

“Ti tratto semplicemente come il somaro che sei” attaccò il principe, velenoso.

“Be', adesso siamo tutti qua” si intromise Leon, placando gli animi. “Vogliamo vedere che cosa si può fare per questo famoso record? Anche io sono un tuo possibile rivale, Merlin, non mi farò soffiare il titolo di perdente tanto facilmente.”

Merlin rise, sentendosi a suo agio. Era bello come tutti loro l'avessero accettato. Non aveva mai avuto tanti amici a Ealdor, anzi, c'era davvero stato solo Will accanto a lui. Eppure ora eccolo qua, accolto a braccia aperte da un gruppetto insospettabile: c'era una guardia del corpo che sarebbe stata in grado di intimorire pure un drago, e che invece era buona come un pezzo di pane; una ragazza che era una perla nascosta dentro un forziere, e suo fratello, il re delle sconfitte prese con un sorriso sulle labbra; e c'era un principe, che... be', era pur sempre un principe, ma lo sembrava molto meno a vederlo così, con i pantaloni della tuta, tutto preso a polverizzare i suoi nemici virtuali.

Nell'insieme erano piuttosto ridicoli, ma gli piacevano. Iniziavano a piacergli tanto, in modo sorprendente.

“C'è la possibilità che finiate a un orario decente e che si faccia in tempo a giocare almeno una partita a Uno?” stava proponendo intanto Gwen, tornando a sedersi stancamente.

Elyan mise su un broncio da ragazzino. “Te l'avevo chiesto, prima, se volevi fare tu il quarto uomo. Ti sei bruciata la tua occasione da sola, sorellina” disse.

“Il quarto uomo?” puntualizzò lei con una smorfia.

“Donna. È la stessa cosa.”

“Ho un fratello che tende a dimenticare che sono una femmina.”

“E come si fa a dimenticarlo?” scappò a Merlin.

Gwen non era solo femminile, era un concentrato di femminilità. Come il suo carattere, il suo aspetto era altrettanto adorabile. La cosa che più risaltava erano i suoi grandi occhi: dolci, coronati da ciglia arricciate, sapevano di pomeriggi estivi. Sembrava una persona con la tendenza a svalutarsi, ma non era giusto, non lo era affatto; era ovvio che Gwen valesse molto più di tanti altri messi insieme.

Merlin ci avrebbe tenuto, a farglielo capire, se non altro per ricambiare tutte le gentilezze che lei gli riservava. Ma forse non si era espresso nel modo migliore, e infatti la ragazza si era imbarazzata, probabilmente travisando il commento di prima.

“Oh... oh. Be', gr-grazie, suppongo?” gli disse, giocando con le dita.

“Cosa? No, volevo dire... era un complimento innocente” rise lo stregone, alzando le mani.

“Non ti preoccupare, Merlin, nessuno potrebbe mai pensare male di te in quel senso. È ovvio che sei completamente innocuo” disse Arthur, tanto antipatico da risultare fuori luogo e da far storcere la bocca di quasi tutti gli altri. “E adesso vieni qua, fai qualcosa per renderti meno inutile. Iniziamo questa dannata partita o no?”

Leon, l'unico che aveva mantenuto intatta la sacralità del suo buon umore, fece una risatina, scuotendo la testa.

“È sempre così simpatico, il principe?” gli disse Merlin, afferrando il joystick e sistemandosi sulla poltrona vuota accanto a lui.

“Da qualche tempo sta dando il meglio di se stesso. Mi sembra che la sua acidità abbia raggiunto vette inaspettate” ironizzò, tranquillo. “Più o meno... da quando sei arrivato tu, Merlin.”

“Dovrei sentirmi onorato?” disse lo stregone.

“Forse. È proprio la tua faccia, sai, che mi da sui nervi” disse Arthur, regalandogli un sorriso smagliante. “Iniziamo. Poi non venite a piangere da me quando vi avrò stracciato tutti quanti.”

Il gioco, uno “spara tutto”, venne impostato in modalità “sfida a quattro”: era praticamente uno spietato tutti contro tutti, dove a vincere era l'ultimo soldato che rimaneva in vita.

Con sua grande sorpresa, Merlin si scoprì piuttosto ferrato. All'inizio ci mise un po' a familiarizzare coi comandi, ma in breve riuscì a sventare la trappola mortale di Leon e i diversi agguati di Elyan.

“Non è giusto” protestò vivamente quest'ultimo, “mi avevi detto che eri una frana, Merlin!”

“Ti giuro che è inaspettato anche per me, sul serio.”

“Sì, come no... asp- che cavolo?!”

All'improvviso il personaggio di Elyan calpestò una mina, lo schermo divenne rosso in una simulazione di esplosione e il gioco per lui finì. “Ma chi è stato... Arthur?” disse, facendo cadere il joystick dalle mani.

“Esatto. Faresti meglio a pensare per te, invece che badare agli altri” disse il principe, trionfale. “La concertazione è il tuo problema, amico.”

Tra le risate di Gwen e gli sbuffi annoiati di suo fratello, la fida si fece più serrata e tesa.

Alla fine a Merlin riuscì pure di eliminare Leon, facendolo cadere vittima di un assalto diretto. Ora rimanevano solo lui e il principe.

“Questa sì che è bella” fece il biondo, leccandosi le labbra. “Meglio che ti ritiri subito, Merlin. Non provarci neanche, contro di me, sarebbero solo energie sprecate.”

“Ah, si?” disse lui. “Secondo me siete solo preoccupato che possa svergognarvi davanti a tutti. Che c'è, vi ho messo in crisi?”

Arthur scoppiò in una risata. “Ma stai scherzando?”

“Avete paura di confrontarvi con me?” Merlin non riuscì a evitare di provocarlo. Non aveva la sicurezza di potergli dare una lezione, ma... che diamine! Era proprio irresistibile rispondergli in quel modo.

“Ti stai immischiando in qualcosa di grosso, sai” disse Arthur, la voce bassa.

“Be', non mi tirerò indietro.”

“Poi dovrai prenderti le tue responsabilità, se perdi.”

“Lo stesso vale per voi, allora.”

“Se perdi tu” e Arthur gli puntò addosso l'indice quasi fosse stata una spada, “da domani mi devi portare tutti i giorni la colazione a letto. E stai certo che non me lo dimenticherò. Hai ancora voglia di rischiare?”

“Se perdete voi” rimbeccò Merlin, “sarete voi a risistemare il mio armadio... più l'intera dependance. Tutti i giorni.”

Gwen roteò gli occhi al cielo mormorando un “assurda competitività tra maschi”, Elyan l'accompagnò, da bravo fratello, con un identico gesto e Leon alzò le braccia, lasciando vuoto il suo posto sul divano (Merlin lo occupò al volo).

Annuendo silenzioso e serissimo, il principe accettò le condizioni della scommessa. Così il duello all'ultimo sangue ebbe inizio. Merlin ce la mise tutta solo per non darla vinta all'Asino Reale – sarebbe stato impossibile conviverci, in caso di sconfitta. E si batté con onore e con uno spirito con cui, probabilmente, non si era mai battuto (si sentì un po' scemo solo quando ci ripensò dopo; in quel momento tutto gli pareva perfettamente normale e giustificato).

Tuttavia fu il principe, all'ultimo minuto, a prevalere. “Latte freddo o in alternativa succo d'arancia, tazzina di caffè con un cucchiaino di zucchero, cornetto caldo, due fette biscottate con marmellata, quattro biscotti secchi, un frutto” elencò, portandosi le braccia dietro la testa mentre si stirava come un gatto.

Merlin fece una smorfia. Aveva perso, ma gli era sembrato di aver giocato bene, quindi non si sentiva umiliato. L'idea di aver fornito con le sue mani una nuova scusa ad Arthur per bistrattarlo, questo sì che era umiliante. E poi era ancora su di giri per tutta l'adrenalina che gli era spuntata dentro da chissà dove. “Siete sicuro di non avermi descritto il menù del pranzo invece che la colazione?” disse quindi, tagliente.

Gwen scoppiò a ridere forte, senza nascondere la nota di irriverenza eccessiva in cui si piegò la sua voce. Ma quando il collo di Arthur scattò verso di lei, la ragazza si coprì la bocca con le mani.

E ci fu quel bizzarro momento, tra loro due, della durata di un battito di ciglia. Un momento solo durante il quale lui la guardò, vistosamente a disagio.

Merlin li notò. Fu come ammirarli dal di fuori della bocca più ampia di un imbuto enorme. C'era un buco nero nascosto in fondo allo studio, che attraeva le cose che aveva più vicino. Un passato che Merlin non conosceva, una complicità dalla quale lui era tagliato fuori, e ciò che stava più vicino a tutto questo erano proprio Arthur e Gwen.

Arthur e Gwen che in quell'unico, lungo secondo, stavano venendo trascinati via dalla loro stessa orbita. La certezza che l'immagine distorta e allungata di loro due sarebbe rimasta inghiottita nell'occhio di quello strano ciclone afferrò Merlin con prepotenza. E allora lui pensò che se quell'istante fosse durato anche solo un briciolo di più, li avrebbe di sicuro perduti per sempre.

Fu una sensazione strana e sconosciuta, ma Merlin non ebbe l'occasione di esaminarla oltre poiché si infranse nella manciata di secondi successiva. Nessun altro sembrava essersene accorto – l'unico spettatore di quell'evento privato pareva essere stato lo stregone. Era successo davvero qualcosa o si era immaginato tutto?

Difficile dirlo, quando Arthur era tornato a blaterare scuse sull'argomento del mangiare, la sua faccia di nuovo esattamente la solita maschera da nobile petulante.

Era sparita l'ombra di qualunque disagio anche in Gwen, che se ne stava con le gambe incrociate alla meglio sulla poltrona, come se Arthur nemmeno si fosse mai voltato dalla sua parte.

Ma come facevano, gli esseri umani, a fingere così l'indifferenza?

Come riuscivano a restare distaccati quand'era così palese, così dolorosamente palese, che qualcosa si muoveva nell'aria intorno a loro? Come si poteva ignorare una tensione nell'animo che perfino Merlin, una creatura magica, riusciva ad intuire, come, come scansare il problema ancora e ancora e ancora – fino a che si riusciva a convincersi che il problema stesso non esisteva più...

Perché era la conclusione alla quale, in qualche modo, era arrivato da quella rapida stoccata di sguardi. Ci doveva essere qualcosa, sotto, tra Arthur e Gwen, qualcosa che però loro tendevano vergognosamente ad evitare. Senza riuscire molto nell'intento, dato che perfino Merlin, stregone e svampito com'era, si era immaginato qualcosina.

Improvvisamente un brivido lo fece scuotere, passando dalle spalle lungo tutta la schiena in uno spiacevole formicolio. Sentiva freddo. Nella foga di prima non se n'era accorto, ma era uscito senza portarsi dietro una delle sue celeberrime sciarpe – e adesso aveva il collo scoperto e non andava bene, ed era freddo. Forse si era infreddolito tanto che la sensazione gli era penetrata nelle ossa, subdola, lenta. Come aveva fatto a non notarlo non lo sapeva, ma ora ce l'aveva dentro, pungente e affannosa.

“La colazione è il pasto più importante della giornata, non permetterti di contestarmela” stava dicendo di nuovo Arthur a Merlin.

Parole vuote, parole a vuoto...

Non perdere tempo così, non dire sciocchezze. Dovresti parlare con lei, sistemare le cose tra voi...

“Andatelo a dire al sarto quando dovrà tornare a prendervi delle nuove misure.” Il commento uscì a Merlin più gelato del dovuto – ma stava sentendo freddo, non poteva farci niente. Era lui stesso che stava gelando, lì.

Il principe si alzò, spaventosamente truce in faccia. Gli altri sorridevano, ancora nel clima scherzoso che si era rotto per Merlin soltanto.

Allora se il problema era solo suo, tanto valeva ignorarlo e riprendere il gioco; Arthur voleva giocare. Avrebbero giocato. Lo stregone fece un passo all'indietro, incerto (ma intanto si era abbassato le maniche per nascondere la pelle d'oca). Il principe ne fece uno gemello per avvicinarsi a lui. Merlin si spostò a sinistra, l'altro fiancheggiò la poltrona a destra, di qua e di là, preda e cacciatore, e Merlin che celava il tremore, e Arthur con l'espressione impenetrabile, e le risate intorno.

Alla fine Merlin, con uno scatto, prese la porta – uscire, uscire, via di lì – tentando di chiudersela dietro. Ma sentì distintamente Arthur che la bloccava con la mano e la spingeva di nuovo e che poi, dopo due frazioni di secondo, gli arrivava alle spalle senza sforzo.

Esattamente nello stesso istante in cui le risate degli altri scoppiavano libere nello studio, proprio a quel punto un'ondata di calore avvolgente afferrò tutto Merlin – orecchie, collo senza sciarpa, braccia, mani, gambe, piedi, tutto.

Arthur.

Il principe gli aveva bloccato la testa col suo braccio in una presa a tenaglia per potergli arruffare i ricci neri. Le sue nocche premevano con vigore fastidioso sui capelli di Merlin senza dargli un attimo di pace.

“Basta!” si lamentò lo stregone, ma gli venne da ridere.

Non poteva non ridere. Era assurdo, era stupido, una cosa prepotente, ridicola, da bambini. Una cosa da Arthur.

“Stavi forse insinuando che sono grasso?” disse il principe.

Lui cercò di spingerlo via con le mani, senza successo. “Non lo so, forse... ugh... smettetela!”

“Come forse?”

“No, va bene, no, non insinuavo niente – nessuna insinuazione!”

Arthur lo lasciò, ma il calore, il calore irradiato dalle sue dita, quello rimase con Merlin, gli restò addosso. La sentì quando tentò di appiattirsi i capelli, una sensazione di tepore; gli era rimasta tra i ricci o nelle mani? Forse si era incastrata ovunque, e Merlin si ritrovò a sperare che non svanisse tanto presto (era meglio che restare infreddolito, comunque).

Arthur si aprì in un sorriso obliquo e compiaciuto nel semi-buio del corridoio.

A pochi passi di distanza, dalla porta accostata dello studio, una riga di luce gialla si tagliava un varco nell'ombra. Le tende del grande finestrone che si apriva nel muro davanti a loro erano raccolte da fermagli dorati. L'illuminazione esterna filtrava dentro creando un gioco di bagliori contrastanti sulle pareti.

Il viso di Arthur, il biondo dei sui capelli, tutto era immerso nel riflesso bluastro della notte. “Spero per te che ricordi la lista della colazione che ti ho fatto prima; non mi ripeto” disse lui, rompendo il silenzio. “Poi domattina proviamo il discorso per l'evento da Hatchards. Non che mi aspetti che tu mi dia un giudizio da esperto. Ma il tuo livello intellettivo è alla pari di quello del pubblico dei bambini che ci sarà, quindi...”

Per qualche momento, Merlin non riempì il vuoto con altre parole.

C'era una cosa che gli era tornata in mente, riemersa con urgenza adesso che il principe aveva nominato di nuovo Hatchards. Si era già posto quella domanda, ma non aveva avuto occasione per rivolgerla all'altro, e così l'aveva accantonata.

Si trattava solamente di una curiosità. Eppure, in qualche modo, adesso lo stregone sentiva che avrebbe potuto essere importante.

Merlin?” lo chiamò Arthur.

“Sì?”

“Di solito dici così tante scemenze che è davvero strano, quando stai zitto.”

“Una domanda per voi ce l'ho, in realtà.”

Parlavano ancora così, uno di fronte all'altro, senza dare segno di volersi avvicinare, ma nemmeno di volersi allontanare. Lo stregone si strinse nelle spalle, il principe gli fece un cenno spazientito per esortarlo a esprimersi.

“Come avevate fatto l'altra volta a capire subito che Mordred era scappato di casa?” disse allora Merlin.

La cosa l'aveva colpito. In realtà era stato così chiaro anche ai suoi occhi, ma solo dopo che Arthur l'aveva specificato ad alta voce. Ed era stata ancora più una sorpresa, perché non credeva che il Principe fosse un tipo tanto sensibile e recettivo, e invece ci aveva visto più lungo di lui.

“Ho una certa esperienza, nel contesto dello scappare di casa e nascondersi dai problemi” disse il biondo.

Oh, sì, Merlin poteva scommetterci che, con quel padre che si ritrovava, Arthur avesse avuto spesso voglia di evadere, di mollare. Il discorso sull'entrare in esercito, sul non sapere cosa fare di lui – Merlin non l'aveva dimenticato.

Solo che... non sembrava giusto. Sembrava così poco adatto ad Arthur, che lui si comportasse in quel modo. Non era da lui, non era dal vero lui; il vero Arthur, Merlin stava iniziando a pensarlo, era quello che sapeva dare buoni consigli ad un bambino, parlandoci con sincerità e serietà. Quello che se ne prendeva cura come fosse stata una cosa scontata da fare, proteggendolo da occhi indiscreti e dagli scossoni della gente in metro. Era quello che aveva un capo carismatico in sé, che quando emergeva illuminava tutto il resto.

Lo stregone ne aveva avuto solo un assaggio, ma era stato quasi abbagliante. Non si poteva ignorare. Arthur per primo non avrebbe dovuto.

“Non ci credo” gli disse allora, con fermezza. “Voi non siete il tipo che scappa e si nasconde. Potete essere molto più di questo.”

Tutto il corpo dell'altro si fece rigido, ma gli occhi... quelli no, erano in movimento, un vorticare di toni blu nella notte. “Come fai a esserne così sicuro?” gli disse.

Merlin voleva dirgli che, in effetti, non sarebbe stato in grado nemmeno di dargli una motivazione precisa. Però lo sapeva, voleva dirgli, lo sapeva e basta. Perchè era chiaro, lampante, naturale, quasi ovvio.

Prima che potesse parlare, però, Elyan spalancò di botto la porta dello studio, affacciandosi verso di loro. “Tutto bene, Merlin? Ti serve un aiuto fisico?”

La testa di Leon spuntò sopra la sua. “Dovreste controllarvi, Altezza. Merlin è così magrolino... non è giusto prendersela tanto con lui” disse, da adulto responsabile.

Comparve pure Gwen, appoggiandosi allo stipite della porta per scuotere stancamente la testa verso il principe.

“Ma... che volete, tutti quanti?” esplose lui. “Bravo, ti sei pure fatto il tuo piccolo esercito di difensori personali, Merlin, e adesso io passo per quello cattivo.”

“Non è che passate per quello cattivo” disse Leon, portandogli un braccio attorno alle spalle. “È che vi conosciamo, sappiamo come siete fatto.”

“Inoltre, viene d'istinto proteggere Merlin” concluse Gwen, sorridendo con semplicità. Poi spinse dolcemente lo stregone sulla schiena per farlo rientrare nello studio. “Non è vero? È talmente carino... voglio dire, come persona – non che non sia carino pure come ragazzo, cioè... ehm...”

Mentre gli altri parlavano tra loro e il principe protestava, burbero, il sorriso di Merlin continuò ad allargarsi.

Forse un giorno avrebbe trovato le parole giuste da dire ad Arthur... ma fino ad allora, avere una banda di cavalieri al suo servizio che lo portavano in salvo da strane situazioni gli faceva piuttosto comodo.

 

 

ʘ

 

 

La mattina dopo, la sveglia suonò implacabile e spietata alle sei e un quarto. Merlin allungò la mano verso la fonte del rumore, sentendosi più morto che vivo, e, appurato che non gli riusciva di farla star zitta, la chiuse nel cassetto. Ovviamente la mossa fu inutile, quindi non gli rimase che tirarsi su seduto per spegnerla nel modo giusto. Dopotutto, era quello lo scopo delle sveglie.

“Aggeggio infernale” gli borbottò addosso Merlin, la voce roca, depositandola accanto a Mini-Kilgharrah.

Quello se ne stava beffardamente a guardare lo spettacolo dal suo posto in fila d'onore (era stato sistemato rialzato, alla base della lampada).

“Almeno tu ti diverti” disse lo stregone, uscendo dal bozzolo delle coperte tutto intontito.

Scese le scale con cautela, appoggiando le mani al muro gelato – non avevano ancora cambiato la lampadina, ma ormai lui si era abituato e avrebbe potuto camminare lì ad occhi chiusi, come in effetti stava facendo.

In cucina, sorprendentemente, trovò già Gaius; aveva il viso scomparso per metà dietro gli occhialoni da botanico, mentre dal naso in giù era nascosto dalle piante sulle quali era chino. “Già sveglio a quest'ora, Merlin?” lo salutò, accorgendosi di lui. “Come mai? Deve essere successo qualcosa di grosso per davvero.”

Il ragazzo si passò le mani sulle braccia, scrollandosi via il freddo.

“Da oggi dovrà diventare un'abitudine. Sua Altezza Reale Testa di Legno vuole che vada a tirarlo giù dal letto portandogli la colazione tutte le mattine. E tu che stai facendo?”

L'uomo si spostò gli occhiali protettivi sulla testa, gli occhi buoni che brillavano già. “Vedi, ho scoperto che le specie su cui sto lavorando adesso reagiscono in un modo particolare in certe specifiche ore della giornata” iniziò, appassionato. “Ma... suppongo che a te non interessi, del resto” disse, interrompendosi di botto.

Merlin sorrise, recuperando tazza, latte e marmellata – tutti messi nei posti sbagliati. In effetti non gli interessava, ma cercava di non darlo a vedere più di tanto. Gli piaceva quando Gaius era tutto preso dalle sue cose; a Merlin piaceva quando le persone che lo trattavano con gentilezza cercavano di coinvolgerlo nelle loro attività preferite. Lo faceva sentire pieno. Lo saziava.

“Non è il mio campo, ma mi diverte ascoltare le tue spiegazioni” disse allora all'altro. “Sei il mio mentore, comunque. Tutto ciò che dici potrebbe tornarmi utile.”

Gaius gli lanciò un'espressione piacevolmente stupita, stile “so che stai mentendo ma apprezzo il pensiero”, e lo stregone si sentì contento. Poi, mentre procedeva come al solito a fare colazione in piedi perché i posti disponibili erano stati occupati da vegetali, gli venne un'illuminazione.

“A proposito, Gaius, stavo pensando... se io ho un mentore, questo significa che ne avrà uno pure Morgana, giusto? Altrimenti non sarebbe equo.”

“E chi è Morgana?” disse l'uomo, cadendo dalle nuvole.

Merlin rise e il latte gli andò di traverso. “La mia sfidante nel Duello del Drago!”

“Ah, certo, certo” disse Gaius, scacciando l'aria con la mano. “Be', suppongo che ne sarà stato assegnato uno pure a lei. Ma pretendevi che mi ricordassi il suo nome? L'età è l'età, ragazzo mio. L'ho letto solo nella lettera che mi era arrivata dal Regno e poi non l'ho più sentito. Tu non me la nomini mai.”

Lo stregone si concentrò sulla tazza che teneva tra le dita. Doveva ammetterlo, non aveva pensato molto a Morgana, recentemente. Non era stata colpa sua, però: il Principe degli Asini l'aveva monopolizzato, prendendo il controllo, oltre che del suo tempo, anche della sua testa.

“Ma dimmi una cosa” disse Gaius, “che tipo è, questa Morgana? C'è da stare in campana con lei?”

“Assolutamente sì” rispose subito. “Il Grande Drago ha detto che io e lei abbiamo la magia più forte del Regno. Ma anche se non l'avesse specificato, ho sempre creduto che fosse una strega con molto potenziale. In più è scaltra e non si ferma davanti a niente” concluse, cercando di tracciare un ritratto più fedele possibile di lei.

A questo punto Gaius lo guardò male, incrociando le braccia al petto. “Non ti sembra strano, allora, che non si sia ancora fatta vedere in giro, se è così abile?” disse.

Oh. Effettivamente era molto sospetto.

Negli ultimi giorni Merlin era quasi arrivato ad accantonare come secondario il fatto che si trovasse lì per partecipare a una gara; doveva considerare che non era l'unico a muoversi su quella terra con l'intento di avvicinarsi al Principe dei Draghi.

“Dovresti iniziare a pensare a come muoverti con più serietà. Ormai ti sei ambientato bene, quindi potresti passare ai fatti. Se non altro, cerca di approfittare dell'assenza di Morgana per studiare un buon piano d'azione” suggerì il mentore.

Merlin annuì vigorosamente. “C'è un piccolo dettaglio, però” disse, le labbra strette e l'espressione vuota. “Non ho ancora la minima idea di cosa fare con Arthur.”

Perché avvicinarsi, gli si era avvicinato. Ma adesso?

Gaius sospirò, spostando una pianta grassa da uno sgabello al pavimento per poter prendere il suo posto. “Vediamo di procedere con ordine” disse. “Innanzitutto, come vuoi prenderlo, questo cuore? Strappandoglielo via dal petto?”

“No!” La velocità con cui rispose fece alzare il sopracciglio di Gaius con un'angolazione che Merlin non si era immaginato fosse possibile raggiungere. Anche il latte rimasto oscillò pericolosamente fino quasi a zampillare fuori dalla sua tazza. “Ehm... voglio dire, non credo sia quello il modo giusto, no?” balbettò poi Merlin. “Se fosse stato così semplice, chiunque sarebbe riuscito a prendere il cuore di un Principe dei Draghi. Invece nessuno stregone l'ha mai fatto finora.”

“Esattamente. È per questo che mi sento sicuro a suggerirti di scartare l'opzione” disse l'uomo, e allora Merlin si sistemò meglio contro il forno, molto più rilassato.

“Quindi mettiamo da parte i modi brutali e violenti; ovviamente scartiamo anche, per forza di cose, il tentare di operare con la magia su un cuore umano, perché sarebbe inutile... l'unica cosa che resta...”

Lo stregone sgranò gli occhi, le dita tanto strette intorno alla porcellana da iniziare a sbiancare sulle punte.

“L'unica altra via che mi viene in mente è, be', quella più scontata. Il vecchio sistema. Catturare il cuore di un essere umano... come farebbe un essere umano” concluse Gaius, portandosi una mano sul mento.

Merlin lo guardò come se l'altro avesse avuto voglia di prenderlo in giro con uno scherzo stupido, solo per vedere se ci sarebbe cascato.

“Ma io non sono un essere umano” articolò piano, piegando la testa.

“Ed è proprio per questo motivo che nessuno stregone ce l'ha mai fatta prima d'ora” puntualizzò Gaius. “Perchè nessuno ha mai avuto il fegato di mettersi tanto nei panni di un essere umano, di capire come funzionano per loro le cose.”

A Merlin sembrava un timore fondato e più che comprensibile. Poteva ben immaginare cosa frenasse gli stregoni che si trovavano di fronte alla possibilità di perdere la magia a causa di un contatto eccessivo con l'umanità.

La cosa strana, in quel momento, fu che si ritrovò a valutare l'ipotesi con un distacco inaspettato. Come se, da qualche parte dentro di lui, la stesse considerando una possibilità da non scartare.

Da in quando in qua era diventata accettabile l'idea di rischiare tanto?

Aveva davvero pensato, per una frazione di secondo, di mettere in gioco la sua magia per... “Dèi del cielo” disse, portandosi le mani tra i capelli.

Era impazzito?

“Aspetta, aspetta, Merlin. Forse per te questa cosa potrebbe funzionare. Perché mi hai detto che sei nato dall'amore, o sbaglio?”

“Così mi dice sempre mia madre” disse lui, schiarendosi la voce.

“E poi ti ho visto, e te l'ho già detto” si animò Gaius. “Ti stai comportando abbastanza diversamente da come avrebbe fatto qualunque altro stregone. Forse... ma sì, potrebbe essere la strada giusta. Dal primo momento mi sei sembrato molto... portato a capire le creature umane. Predisposto al sentimento, ecco.”

Sì, Merlin sapeva anche quello. L'aveva sempre saputo e sempre l'aveva considerata una debolezza enorme che lo esponeva al rischio più di chiunque altro. Invece adesso Gaius gli stava suggerendo che proprio il suo tallone d'Achille avrebbe potuto tornargli utile... ma sembrava talmente assurdo anche solo pensarlo.

“Quindi stai tentando di dirmi, che, poiché sarei... 'predisposto al sentimento', per me è possibile concretamente riuscire a fare come... come fanno gli esseri umani?” disse, a metà tra lo scettico e l'incuriosito.

“In teoria, potrebbe essere” disse Gaius, cauto. “Ora che ci penso, in passato lessi dei libri su quest'argomento. 'Figli dell'amore' li chiamano, quelli nati come te. Siete creature tanto rare quanto speciali” disse in tono significativo.

Merlin sbuffò una risata, sentendo il bisogno di appoggiarsi con tutte e due le mani al forno dietro di lui. Una creatura rara e speciale... lui. Prima lo stregone più potente, e adesso questo. Che cosa diamine stava succedendo Merlin non lo sapeva, ma era difficile interiorizzare certe verità quando fino a poco prima si era sempre sentito privo perfino di una direzione. “Va bene, va bene, lasciamo da parte la teoria” disse, non del tutto convinto. “In pratica cosa dovrei fare, precisamente, per, ehm... catturare un cuore umano come farebbe un umano?”

Gaius annuì una volta, fissando con intensità un angolo in alto a destra per una manciata di secondi così abbondante che Merlin quasi stava per innervosirsi con lui. “Continua solo a comportarti come hai fatto finora” gli disse alla fine, pensieroso.

“Cioè... devo continuare a pulire stanze e spostare enciclopedie?”

Lui aveva scherzato ma il mentore era più serio che mai. “Anche quello, sì” disse, convinto. “Continua a stare intorno al principe, a convivere con tutti gli altri, a scoprire tutti gli strati e tutte le sfumature. Ridi, grida, vivi, buttati, ma...”

A quel punto Gaius si alzò, raggiungendo lo stregone per allacciargli saldamente le mani nodose sulle spalle. “Devo ricordartelo, Merlin, tu devi esserne consapevole al cento percento. Il fatto che potresti perdere la magia, alla fine, non cambia” gli disse, puntando su di lui lo sguardo preoccupato in cerca di una risposta. “Comunque resta un processo rischioso. Magari sei più portato degli altri a sentire il sentimento, ma se ti ci addentri troppo, puoi anche non riuscire a staccartene più. Soprattutto, puoi immaginartelo...”

E Merlin, curiosamente, notò che la pelle del suo buon mentore si era fatta più colorita allo spuntare di una specie di disagio. Sembrava uno di quei padri che partono a razzo col loro discorsetto da uomo a uomo col figlio, e poi si arenano una volta raggiunti i punti scottanti.

“Standogli sempre accanto” disse Gaius, guardando da un'altra parte, “potresti finire col perdere tanto a causa del... lo sai bene che voglio dire – il coinvolgimento sentimentale.”

Il coinvolgimento... ?

“Tra – tra me e Arthur?” scoppiò Merlin, a voce alta. Poi prese a ridere, scostandosi i capelli dalla fronte. “Wow, ah ah! Sta' sicuro, Gaius, che questo pericolo non lo corro proprio.”

L'uomo lo guardò un attimo, una strana espressione sul viso. “Veramente, io parlavo un po' in generale” disse lento. “Potresti innamorarti di chiunque ma, certo, stando sempre insieme ad Arthur, suppongo che, del resto...”

“Aehm, be', non ti preoccupare, Gaius. Non sono uno che si innamora facilmente.”

Per tutti i draghi, era una delle conversazioni più imbarazzanti che Merlin avesse mai avuto. Non capiva bene quali punti, di preciso, l'avessero messo in imbarazzo, eppure di una cosa era sicuro: avrebbe cercato di non ripetere mai più una chiacchierata del genere col suo mentore.

Per fortuna quest'ultimo era tornato composto e, schiarendosi la voce, sembrava aver dimenticato la perentesi di prima. “Ragazzo mio” riprese, stavolta più grave, con più urgenza. “Se non te la senti di proseguire per questa strada, non ti preoccupare. Nessuno ti costringerà mai a farlo. Possiamo sempre pensare a un altro modo. Lo so bene, cosa significa mettersi in ballo così.”

Ma Merlin non lo sapeva, cosa significava mettersi in ballo. Ed era per questo che aveva voglia di ballare.

Lo stava facendo, c'era già dentro, eppure, allo stesso tempo, non lo capiva. Sentiva il bisogno innato in lui di non mollare con gli esseri umani, con il Mondo Riflesso, con Arthur. Sentiva che quello fosse l'unico approccio giusto per lui, l'unica prospettiva dalla quale avrebbe mai potuto vivere la sua avventura.

Il caos magmatico delle sue sicurezze, la confusione di quella specie di presentimenti, tutto questo gli era impossibile da ignorare.

Perché era arrivato fin lì seguendo un'ispirazione; sarebbe stato sciocco non continuare a fare lo stesso adesso. Anche se la posta in gioco era alta, l'essenza stessa di Merlin aveva già scelto, forse senza nemmeno valutare per davvero la possibilità della scelta.

“Voglio provarci” disse quindi, sicuro di sé.

“Già... sei coraggioso” disse Gaius. Era così convinto, carico di qualcosa che – era orgoglio? Lo era? Merlin non ci era abituato, a sentire nella voce degli altri una nota tale rivolta a lui.

“Penso che tu possa farcela” continuò l'uomo, e quando i suoi occhi divennero umidi Merlin si sentì per metà felice e per metà sconcertato. “Ho fiducia in te, figliolo. In quello che sei.”

Che cosa poteva fare, un essere umano.

Come era in grado di farti sentire, solo con poche parole.

Merlin deglutì, percependo la potenza di quanto gli era appena stato detto; e allora lo capì. Se su di lui avevano avuto tale effetto, chissà cosa facevano a una creatura riflessa parole del genere.

“Aspetta un attimo, Gaius; guadagnarsi la fiducia di qualcuno... può avere qualcosa a che fare col riuscire a catturare il suo cuore?”

“Direi che è il primo passo” disse il mentore.

La fiducia. Il primo passo. Guadagnarsi la fiducia di Arthur. Come fare?

“Tu come ci sei riuscito?” si agitò lo stregone. “Voglio dire, è chiaro che qui si fidano tutti ciecamente di te. Quando sono arrivato, nessuno ha fatto molte domande, è bastato che tu garantissi per me. Mi hai persino portato dal re in persona e, anche se a lui non è interessato molto, penso di essergli andato bene perché mi hai raccomandato tu.”

“È che lavoro qui da quarant'anni ormai, sai” rise Gaius. “Iniziai subito, non appena arrivai dal nostro mondo. Piano piano, col tempo, mi sono guadagnato la fiducia di queste persone, così come loro hanno la mia.”

“Quindi la fiducia di un essere umano si ottiene col tempo” concluse Merlin.

Se così stavano le cose, non era un punto a suo favore. Non poteva certo metterci tranquillamente quanto gli pareva, se dall'altra parte c'era un drago con le ore contate e una rivale che avrebbe potuto far prima di lui.

“Col tempo e con la pazienza” aggiunse l'uomo.

Aveva lo sguardo un po' amaro e un po' sognante, rivolto a un passato irraggiungibile per Merlin. “Inoltre, coltivando una relazione da entrambe le parti... con gli esseri umani funziona così: ricevi quello che dai, e qualche volta capita che dai ma non ricevi proprio nulla in cambio. Ed è una delle nostre regole per vivere nel Mondo Riflesso – solo che non ricordo a che numero eravamo arrivati...”

“Gaius” lo interruppe lo stregone prima che iniziasse di nuovo a sproloquiare. “È assurdo, però... Non ricevere proprio nulla anche dopo che si è dato tanto, non ti pare un'ingiustizia?”

Il mentore sorrise, la bocca piegata all'insù in una linea dolcemente beffarda. “È questo l'amore” disse, semplicemente.

Amore? Ma non stavamo parlando di fiducia?

Fu così, proprio così, ingenuamente, in quell'atmosfera di sgomento ed eccitazione e di grandi decisioni che, per la prima volta, Merlin lo realizzò: conquistare un cuore o farsi amare da qualcuno, in un certo senso, non erano due cose poi molto diverse.

 

 

ʘ

 

 

Merlin correva.

In realtà avrebbe dovuto svegliare Arthur alle sette, ma parlando con Gaius l'ora stabilita era ormai passata da trenta minuti senza che lui se ne rendesse conto. Un salto veloce in cucina dove Gwen, benedetta lei, aveva già messo da parte alcune cose pronte per lui e poi via, su per le scale interne.

Primo piano, cameriere al lavoro da evitare sui gradini, personaggi in completo nero che scrutavano il posto controllando che tutto fosse tranquillo (Merlin andò a sbattere sul braccio di uno, quello lo guardò malissimo), secondo piano, lo stregone non aveva già più fiato, e finalmente, in fondo, le stanze del principe.

Merlin bussò. Nessun suono si sentì da oltre la porta. Allora l'aprì, piano.

Fece spuntare la testa dentro: nel salottino dell'anticamera non c'era anima viva – era tutto troppo ordinato, quindi Arthur doveva star ancora dormendo.

Lo stregone camminò in punta di piedi fino alla stanza da notte, tenendo il vassoio della colazione saldamente, con due mani.

Eccolo là, Arthur.

Dormiva senza maglietta anche se ormai faceva piuttosto rigido di notte, l'idiota. Se ne stava esattamente al centro del suo letto a due piazze. Le coperte erano tirate giù fino al busto, le braccia erano scomposte sul cuscino. Aveva su l'espressione più infantile del mondo – le sopracciglia in una linea distesa, le labbra perfino un po' schiuse, e sembrava così rilassato. Come se non avesse mai conosciuto nessuna preoccupazione in vita sua. Visto in quel modo, era lontano anni luce dallo scemo che aveva ghignato la sera prima la sua esultanza per la sconfitta alla Play Station di Merlin.

Lo stregone faticò enormemente per non scoppiare a ridere o fare qualcosa per stuzzicarlo, tipo pizzicargli il naso. Ma alla fine non fece niente perché, per una buona volta, Arthur pareva così pacifico, tranquillo e addirittura – santo cielo, addirittura innocente e indifeso.

Merlin lo guardò meglio, mordendosi il labbro, e all'improvviso fu come guardarlo per la primissima volta da un punto di vista diverso.

Il Principe dei Draghi, Arthur Pendragon. Arthur e basta. Era sua la fiducia che Merlin stava tentando di guadagnare. Era da lui che avrebbe provato a farsi amare. Certo, la tappa della fiducia era la più facile e, probabilmente, l'unica che, al massimo, avrebbe potuto raggiungere. Perchè, farsi amare da Arthur... ? Impossibile. Ridicolo. Al solo pensarlo, lo stregone si sentì stupidissimo e rise di se stesso. Era improponibile, vero?

Chissà se era la stessa cosa che pensava anche il principe – cioè, di sicuro lo era... ma chissà cosa pensava, di preciso, il principe.

Cosa aveva pensato fino a quel momento di lui; che idea si era fatto riguardo alla sua persona, in quei giorni. Questo, si disse Merlin, sarebbe stato meglio saperlo. Se la fiducia sbocciava nella cornice di un rapporto reciproco, anzi, avrebbe dovuto proprio saperlo.

Quindi gli venne in mente di provare a fare una cosa nuova. Tentare di ascoltare la voce dei ricordi del principe nelle sue stanze non aveva funzionato; perché allora non vedere se gli riusciva di ascoltare i ricordi del suo cuore?

Non aveva mai studiato la tecnica per lanciare un incantesimo del genere, eppure, se quello che avevano ipotizzato con Gaius non fosse stato solo un mucchio di sciocchezze, magari per Merlin avrebbe funzionato. Magari quello sarebbe riuscito ad ascoltarlo.

Il suo corpo già si era messo in moto da solo. Si piegò, piano piano piano, per raggiungere il comodino e appoggiarci il vassoio sopra.

Ma il bicchiere della spremuta d'arancia cozzò con la tazzina del caffè, facendola tintinnare, e lo stregone dovette bloccarsi comicamente a metà dell'azione. Appurato che il sonno del principe era pesante come il suo senso dell'umorismo, si riprese e portò vittoriosamente a compimento il primo punto.

Poi andò a sedersi, cauto come non aveva mai fatto, sul letto. Nessun segno di vita proveniente dal principe.

Allora gli occhi di Merlin divennero d'oro e la sua magia fiammeggiò fino alla punta delle dita. Delicatissimamente portò il palmo sopra al petto di Arthur, a sinistra. A un millimetro dal contatto con la pelle, lo tenne sospeso lì, per qualche secondo.

Non riusciva a sentire proprio niente.

Tese di più le dita, piegò pure un po' la testa per avvicinare l'orecchio.

Ancora niente.

Ah, era stato così stupido, un'altra volta... – ma a quel punto successe qualcosa, e dopo quella altre cose tutte insieme una dopo l'altra – il principe sospirò profondamente, Merlin scattò, strizzò gli occhi, la sua mano coprì la distanza e infine si posò all'altezza del cuore di Arthur.

Il cuore di Arthur.

 

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

 

Merlin alzò una palpebra: l'altro, miracolosamente, dormiva ancora. E, dentro il suo petto...

 

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

 

E Merlin...

 

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

 

Dio, sei davvero imbarazzante. Ma sei sempre stato così goffo?

 

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

 

Sei fuori di testa a comportarti così. Mordred non imparerà niente da questa storia. Ma tu ci credi sul serio che c'è del buono in tutti?

 

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

 

Non l'avranno già fotografato? Bastardi. Lasciateci in pace.

Lasciatemi in pace.

 

Mi dispiace, se do cappello e occhiali al bambino, non ho niente per nascondere te.

 

Oddio, russo per davvero? Mi prendi in giro, stronzetto?

 

Chi cavolo è, Will? Cioè, fammi capire. Hai pure una vita al di fuori del palazzo – parli con altre persone oltre me?

 

Ci è mancato poco, mi hai quasi eliminato all'ultimo livello. Questa non me l'aspettavo.

 

Ma guardati, ti brillano gli occhi solo a vedere quel giochino. “Mini” che?

 

Piantala con quel sorriso idiota.

 

E così, è quello che pensi. Che io non sono uno che scappa, che posso fare di più. È così? Lo pensi sul serio? Come fai a esserne sicuro?

 

Papà, fammi provare.

Ti prego, dimmi che mi lascerai provare.

Dimmi che ti fidi.

 

Lo pensi sul serio, che io posso fare molto di più?

 

Non so neanche cosa voglio fare. È tutto così pesante che qualche volta mi è pure difficile respirare.

 

Se le cose fossero facili come la metti tu... non sarebbe male.

 

Oh... adesso pensi che non sono male?

 

Dopotutto, non sei male neanche tu.

 

Merlin staccò la mano in un gesto secco, ritrovandosi senza fiato. Per un attimo terribile e meraviglioso insieme, si sentì come se qualcosa gli stesse risucchiando il respiro. Stava sudando freddo, tutto il corpo tremava – quell'incantesimo l'aveva sfinito.

Percepì le sue membra come se fossero appartenute a qualcun altro. Si piegavano in due per lo sforzo, poi scivolavano mollemente fino al pavimento.

Eppure aveva ascoltato la voce di Arthur; ce l'aveva fatta, e questo lo faceva sentire forte, un campione. Ma era stato micidiale: i pensieri gli erano scoppiati nella testa accavallandosi l'uno sull'altro, portandosi dietro una miscela esplosiva di stati d'animo – curiosità, disagio, imbarazzo, ansia, ansia, ansia, delusione, felicità, oh, luce nel buio. Sottile, ma pura, viva, tanto viva.

Ricevere tutto in un colpo solo non era stato piacevole per Merlin. O forse... non lo sapeva, non sapeva.

Non l'avrebbe rifatto. No, non l'avrebbe rifatto; ora gli sembrava di non averne tratto nulla, e invece lo sforzo era stato madornale.

Merlin” sentì poi chiamare.

La schiena gli si gelò, rizzandosi contro il letto. Alzò la testa e trovò Arthur seduto, che lo guardava sporgendosi un po' in avanti. Aveva le sopracciglia inarcate e l'espressione vuota di chi si è appena svegliato. “Che accidenti stai facendo, lì per terra?” gli disse, annoiato.

Con orrore, Merlin percepì chiaramente un rossore vivido espandersi da un orecchio all'altro, passando per il ponte del naso, lungo tutta la sua faccia, mentre, stupidamente, pensava di aver appena violato i pensieri di Arthur.

Non ne aveva tratto che un forte mal di testa, era vero, ma allo stesso tempo gli sembrava ora una cosa veramente idiota da fare. E un minuto prima l'aveva considerata un'idea geniale.

Allora boccheggiò, rialzandosi maldestramente. “Cercavo una cosa che mi è caduta” disse, stupendosi da solo della classe con cui gli riusciva di uscirsene sempre con una risposta pronta.

“Se intendi il tuo cervello” disse il principe, stiracchiandosi, “deve esserti caduto da qualche parte insieme alla tua puntualità. Cerca meglio.”

Merlin si costrinse a ridere, ma nella risata venne assalito dalla debolezza. La magia dentro di lui protestò con forza, quasi come se lo stesse calciando, e gli parve di vedere davanti a sé la nausea materializzarsi e scoppiare in strisce di luce bianche e rosse. Dovette chiudere gli occhi per un attimo. Per non farsi vedere diede la schiena ad Arthur, fingendo di riprendere le cose per la colazione.

“Tutto bene?” gli chiese Arthur, che comunque di qualcosa doveva essersi accorto.

“Sì... sì. Andare a dormire tardi, svegliarsi la mattina presto, non ci sono tanto abituato” disse in fretta lo stregone. Scrollando forte la testa, sollevò il vassoio, si voltò, poi vide la faccia di Arthur – confusa ma pulita, i capelli sparati da ogni parte, gli occhi azzurri puntati addosso a lui – i pensieri del suo cuore, i suoi pensieri privati, aveva sfogliato quelli come le pagine di un diario segreto, accidenti!

Una mano gli cedette, il vassoio fece un mezzo giro aggraziato per aria e tutto quello che c'era sopra si rovesciò, miseramente, sul letto di Arthur.

Merlin rimase fermo, le braccia ancora mezze sollevate a reggere un vassoio invisibile.

Arthur strinse le labbra diventando livido. “Merlin” disse poi, la voce strozzata, “Santo dio, Merlin!” ripetè, ruggendo e strepitando come un bambino.

“Scusate...”

In un gesto solo Arthur si fiondò al bordo del letto e spuntò via le coperte per tirarle, con vigore, addosso allo stregone. Lui le ricevette come un pungo in faccia: il peso lo fece sbilanciare e il passo indietro per riacquistare l'equilibrio finì solo per fargli intrecciare i piedi nel lenzuolo.

Girando su se stesso nel tentativo di liberarsene, Merlin ci finì avvolto dentro; alla fine, con un lamento stanco, crollò a bocca davanti sul pavimento.

Non era nemmeno tanto scomodo. Poteva pure pensare di rimanere lì qualche minuto, ad occhi chiusi, mentre la magia si assestava dentro di lui e il suo fisico si ricaricava. Almeno era coperto e al caldo.

Arthur però pareva pensarla diversamente. Merlin lo sentì rotolare giù da letto e afferrarlo per le spalle. “Ma che cavolo?!” sbraitò, rimettendo in piedi Merlin.

“Niente, sono solo stanco, ve l'ho detto” disse lui, la voce fioca.

“Mi stavo lamentando per la mia colazione, veramente” disse il principe, acido. “Adesso mi toccherà scendere in cucina per conto mio. Tu butta questa roba in lavanderia e vai a darti una ripulita, intanto.”

Mentre Arthur si infilava una maglietta, Merlin pensò che in realtà l'altro avrebbe potuto benissimo chiamare qualcuno e farsi portare su un nuovo pasto. Ma non glielo ricordò.

Se scendeva anche lui avrebbero fatto un pezzo di strada insieme, e lo stregone non si sentiva tanto sicuro ad andare da solo, nelle condizioni in cui si trovava.

Quindi si limitò ad annuire, stringendosi nelle lenzuola che sapevano di latte e arance come se avesse avuto addosso un mantello.

“Cerca di rimetterti in sesto per oggi pomeriggio” disse Arthur, spingendolo oltre la porta. “Dev'essere tutto in ordine per il ritorno di mia cugina. Non oso immaginare le storie che potrebbe tirare su vedendo che ho un valletto sciatto come te.”

Merlin lo guardò, sbattendo le palpebre. “Vostra cugina?”

“Non te lo ricordavi, vero? Me l'immaginavo, ma speravo che mi avresti sorpreso, per una volta, visto che non si parla d'altro a palazzo.”

Lo stregone intercettò una cameriera che se ne stava andando in giro con un carrello di biancheria sporca. Ci ficcò dentro le coperte, tornando affianco as Arthur. Per lui era una vera novità, la storia della cugina, e voleva saperne di più.

“Andiamo, Merlin!” il principe si spazientì di fronte al suo sguardo perplesso e stanco. “È praticamente da quando sei arrivato qui tu che mia cugina ha annunciato il suo ritorno.”

“Non ne sapevo niente” disse, stringendosi nelle spalle.

“Figurati se per una volta eri informato su qualcosa.”

In realtà il fatto curioso era che Merlin non fosse informato proprio dell'esistenza stessa della cugina del principe. Non ricordava di averla incontrata mentre raccoglieva le sue informazioni sulla famiglia reale... e anzi, era certo non esistesse proprio alcuna nipote del re.

 

 

ʘ

 

 

Tornato alla dependance, Merlin, davanti a un bicchiere di tè caldo, aveva raccontato a Gaius cosa era successo con Arthur. Ovviamente aveva omesso di essersi sentito male dopo aver lanciato l'incantesimo, per non far preoccupare il mentore. Ma questo non aveva impedito a Gaius di intuirlo dalla sua cera, e Merlin si era beccato una strigliata colossale (“Vedi perché ti avevo detto di usare la magia il meno possibile nel Mondo Riflesso? Non ascolti mai!”).

Alla fine, però, l'uomo aveva accompagnato la ramanzina con un buffetto sui capelli di Merlin e lo stregone non aveva potuto evitare di sorridergli grato quando, una volta a letto, aveva aggiunto uno strato addosso a lui coprendolo con il plaid a quadri.

 

Finì che Merlin si addormentò come un sasso, e Gaius, preso dalle sue piantine, non si accorse delle ore che scorrevano via. Alle due e dieci tirò lo stregone fuori dal suo giaciglio con agitazione, ripetendo come una cantilena “siamo in ritardo, siamo in ritardo, ritardo”.

Non diede nemmeno a Merlin tempo di chiedere spiegazioni, gli abbassò i capelli spiaccicandoglieli goffamente con le mani e lo trascinò a passo svelto fuori di casa, imboccando la strada della residenza principale.

“Che sta succedendo, Gaius?” disse Merlin, trotterellandogli affianco.

“Siamo in ritardo! Dovevamo trovarci dieci minuti fa davanti all'ingresso insieme a tutto il resto del personale. Se facciamo in fretta forse ce la facciamo...”

Non ci fu bisogno che Merlin chiedesse altro, dato che avvistò subito la fila di teste che faceva capolino da dietro l'angolo del palazzo.

Vide che Uther e Arthur stavano solennemente in piedi accanto all'entrata, entrambi con indosso un completo elegante e, ai loro lati, la servitù era stata disposta in due lunghe file parallele.

Lo stregone si fermò a fissare sconcertato i suoi colleghi tutti impettiti nelle divise ufficiali bianche e nere; Gaius, nella fretta, non gli aveva detto nulla della divisa (comunque, Merlin non se l'era procurata, una divisa; Arthur, oltre la volta in cui l'aveva minacciato di fargli indossare il copricapo ufficiale dei valletti, non gli aveva mai detto di mettersene una).

Lo stregone si sentì a disagio toccandosi la sciarpa a quadretti azzurri e viola, coloratissima rispetto a quell'oceano di neri e bianchi.

“Immagino che dovremmo sistemarci da qualche parte lì in mezzo” bisbigliò Gaius, tentando di darsi un contegno.

Per fortuna Merlin individuò Gwen che, guadagnandosi le occhiatacce delle cameriere vicine, stava facendo loro ampi segni col braccio per farsi notare. Elyan, alla sua destra, strabuzzava gli occhi per fargli capire di fare in fretta. Li raggiunsero e Merlin, con un sorriso, si mise alla sinistra di Gwen, tentando di strizzare Gaius nel poco spazio accanto a lui. “Scusateci, scusate” disse agli altri camerieri che si stavano agitando perché la fila veniva smossa.

La sicurezza che un paio di occhi gli stavano perforando il collo avvolse lo stregone; prima ancora di guardare, seppe che quegli occhi erano azzurri: Arthur lo stava fissando accigliato, la bocca arricciata in un'espressione che voleva esprimere rimprovero ma che risultava solo seccata. “Sei impossibile” articolò il principe, senza emettere suono.

Merlin sfoderò il suo migliore sorriso di scuse.

Proprio in quel momento, il cancello si aprì cigolando e un macchinone nero scintillante fece il suo ingresso trionfale.

Merlin pensò che chiunque ci fosse stato dentro, se dotato di un pizzico di senso dell'umorismo, sarebbe scoppiato a ridere trovando ad accoglierlo tutta quella bizzarra sfilata. O almeno, lui l'avrebbe fatto. “È davvero una sciocchezza, tutta questa fanfara” bisbigliò a Gwen.

“E non è nemmeno l'evento più esagerato che abbiamo preparato per lei” mormorò in risposta la ragazza. “Tutti fanno sempre le cose in grande quando si tratta della cugina del principe.”

Merlin la guardò interrogativo.

“Voglio dire... fa sempre venire voglia agli altri di mettersi in mostra per lei, di tirare fuori il meglio davanti a lei” spiegò Gwen, nel suo tipico modo maldestro di non-spiegare. “Nessuno è immune a questo suo fascino, ecco... è come se venisse naturale, sforzarsi di impressionarla. Almeno credo.”

“Deve essere proprio una che la sa lunga” annuì Merlin.

“Vedrai... Eccola, sta per scendere!”

L'automobile si fermò perfettamente nel centro dello spiazzo e così Merlin, quando l'autista andò ad aprire lo sportello dietro, riuscì a distinguere bene il paio di scarpe fornite di stiletto assassino che si poggiavano delicate sui sassolini bianchi.

“Carine” commentò Gwen, bisbigliando di nuovo nell'orecchio di Merlin. “Ho sempre invidiato il guardaroba di Lady Morgana.”

Lo stregone ispirò così forte che si fece male da solo. La sua testa scattò verso la ragazza che stava uscendo dall'auto: la prima cosa che notò dopo le scarpe fu un grosso cappello a falde larghe. Sotto di quello riemersero i capelli tirati severamente in un nodo dietro la nuca, un viso di porcellana e un corpo snello fasciato da un abitino blu pervinca.

Era Morgana, ed era proprio sfacciatamente Morgana. I suoi sensi acuti non si smentirono nemmeno quella volta. Infatti si voltò subito verso la fila di Merlin, forse percependo le sue vibrazioni magiche, e in un secondo lo individuò. Se avesse concentrato la sua magia facendola uscire dagli occhi, lo stregone ne era certo, Morgana l'avrebbe sbriciolato.

Ma lui poteva dirlo perché la conosceva ed era piuttosto sicuro di poter interpretare anche le piccole trasformazioni nei suoi lineamenti. Per tutti gli altri presenti, al massimo sarebbe potuto sembrare che le sue pupille verdi si fossero appena dilatate – magari per la sorpresa della bella accoglienza.

Merlin ricambiò lo sguardo della strega, sorridendo come per dire “eccoci qua, alla fine”; ma Morgana era scaltra, una vera grande attrice, e distolse lo guardo così velocemente che Merlin avrebbe giurato che Morgana non l'avesse mai visto in vita sua.

La strega si stava concentrando ora sui Pendragon, valutando la prima mossa da fare per dare inizio al suo grande show. Una pausa di una frazione di secondo e poi... “Vieni ad abbracciare la tua cuginetta preferita” disse, determinata, allungando le mani verso Arthur. Le sue labbra rosse si piegarono in un sorriso provocatorio, ovviamente rivolto a Merlin, anche se nessuno oltre lui l'avrebbe saputo.

A quella vista qualcosa gli si ingarbugliò dentro. “Giù le mani da Arthur!” gridò una voce nella sua testa, e improvvisamente lo stomaco gli stava andando a fuoco, mandando lungo tutto il suo copro fitte così irritanti che era impossibile mettersi a rimuginare sulla follia di quel pensiero stesso.

L'unica cosa che Merlin poté fare, però, fu allungare ansiosamente il collo mentre il principe le andava incontro e l'avvolgeva in una tiepida stretta.

“Non ti è mancata, la tua cuginetta preferita?” ironizzò Morgana, tra le sue braccia.

“Solo perché sei la mia unica cugina” bofonchiò Arthur, staccandosi imbarazzato.

Fu il turno di Uther di stringere a sé “Lady” Morgana, che stavolta rimase più rigida. “È sempre un piacere rivederti, mia cara” le disse affettuosamente, e per Merlin fu piuttosto una scoperta che il re avesse la disponibilità di usare certe corde nella sua voce.

La strega batté sonoramente le mani guantate tra loro, esaminando con attenzione la residenza reale. “Ah, che meraviglia” disse, soddisfatta. “Non vedevo l'ora davvero di arrivare qui.”

A questo punto i tre si diressero passeggiando tranquilli verso il portone, coinvolti in una fitta conversazione tra loro.

“Che cosa si staranno dicendo?” disse Merlin, accigliato, tra le fitte dei bruciori che ancora gli circolavano dentro.

“Non ne ho idea, non si sentono più. Ma a dirla tutta non li vedo nemmeno, Merlin, mi copri la visuale” lo ammonì bonariamente Gwen.

Era proprio il caso di mettersi in moto. Ora che Merlin aveva visto che la nuova arrivata era la sua sfidante, era sicuro non si fosse trattato di una sua svista, prima: non era mai esistita, fino a ieri, nessuna Lady Morgana, ma ora tutti parevano convinti del contrario. “Gaius, come credi che abbia fatto?” bisbigliò pianissimo, attento a farsi sentire solo da lui.

“Chi, e a fare cosa?”

“Morgana! Come avrà fatto a farsi passare per una nobile?”

“Ma... che stai dicendo, Merlin? Quella lì è una nobile. È Lady Morgana, no?” disse l'uomo con ovvietà. “Vedo che qui qualcuno non ha finito i suoi compiti e non ha studiato l'albero genealogico della famiglia reale.”

“No, no, Gaius!” disse più forte lo stregone. Poi tornò a mormorare, guardandosi intorno furtivo. “No, stammi a sentire: lei è la mia rivale del duello del drago. Quella Morgana lì. Quella che fino a poco fa non sapevi nemmeno chi fosse.”

“Impossibile” fece il mentore, ma sembrava più incerto, quasi assente. “Io la conosco da tanti anni, Merlin. Frequenta il palazzo da sempre, da quando era piccola. Dopotutto, fa parte della famiglia reale, no? ”

“È questo che è impossibile” sibilò lo stregone. “I passaggi tra il Mondo Riflesso e il Regno non si aprivano da vent'anni, ricordi?”

Gaius non rispose ma prese a fissare per terra, perplesso. Era al cento percento sotto incantesimo, non lo si poteva mettere in dubbio, e così tutti gli altri. Merlin doveva solo assicurarsi fino dove Morgana avesse esteso la sua magia. “Da quanto conosci Lady Morgana?” farfugliò a Gwen.

La ragazza parve per un attimo non sapere cosa dire. I suoi occhi divennero distintamente vacui per una frazione di secondo. Poi, come se qualche meccanismo fosse scattato in lei, disse: “Da quando abbiamo iniziato a lavorare qui, sette anni fa. Ma lei frequenta il palazzo da sempre, da quando era piccola. Dopotutto, fa parte della famiglia reale, no?”

“Certo, certo” disse lo stregone.

Gwen aveva pure ripetuto le stesse frasi di Gaius. Se Merlin avesse interrogato tutto il personale, probabilmente la risposta che avrebbe ottenuto sarebbe stata la stessa.

Che razza di sortilegio aveva scagliato, Morgana, per instillare in chiunque la stessa versione dei fatti? Merlin davvero non avrebbe saputo da dove iniziare per replicare una magia come quella.

Forse era per questo motivo che la sua rivale si era fatta viva solo adesso.

Doveva averne studiata una bella, durante quelle settimane in cui lui aveva riordinato camere e aiutato piccoli fan di Harry Potter.

Solo in quel momento Merlin realizzò, sentendosi uno scemo, che in realtà non aveva fatto alcun progresso con Arthur; aveva perso tempo ed ora Morgana era lì. Ed era sicuramente pronta a mettergli i bastoni tra le ruote, come del resto era nella natura della loro sfida.

Il sorriso ammiccante che rivolse a Merlin quando si voltò, guardandolo da sopra una spalla, la diceva lunga. “Oh!” disse poi a voce alta, facendosi sentire da tutti. “No, caro zio Uther, non ho bisogno di andare a rinfrescarmi. Come prima cosa, sai, ti sembrerà strano... ma mi è venuta una voglia terribile di andare a rivedere la serra delle rose.”

“Come mai proprio la serra?” disse il re, condiscendente.

“Nostalgia, suppongo. Mi sembra una vita che non ci vado” disse Morgana, in una perfetta riproduzione di tono malinconico. “Ho bisogno di qualcuno che mi accompagni, però.”

“Accompagnerò io la mia sentimentale cugina” si offrì Arthur, porgendole il braccio.

Quel gesto non solo scatenò nuovamente in Merlin le assillanti fitte di bruciore allo stomaco; adesso sembrava pure che il suo intero corpo tentennasse pericolosamente in avanti, ignorando bellamente i richiami di buon senso mandati dal cervello.

No, Arthur – via quel braccio, Arthur – non hai la minima idea di chi sia Morgana in realtà, Arthur.

“Dove vai?” sentì dire un allarmato Gaius affianco a sé.

“Merlin, che accidenti fai?” sibilò più in là Elyan, tentando addirittura di afferrarlo con le dita.

Ma ormai, scoprì con sconcerto Merlin, era troppo tardi: non era stata solo una sensazione. Al segnale di pericolo si era effettivamente mosso, uscendo di diversi passi dalla sua fila.

“E quello lì?” disse la strega. Perfidamente, accompagnò le parole con un movimentano della testa e l'attenzione di tutti si concentrò su Merlin.

Arthur grugnì, gli occhi al cielo e una mano in faccia. “È il mio valletto.”

“Ah sì?” fece Morgana con interesse, incrociando le braccia al petto.

Merlin si schiarì la voce, tentando il più possibile di arretrare senza dare ulteriormente nell'occhio (anche se ormai era inutile, perché tutti lo stavano fissando con riprovazione o trattenendo a stento le risate).

“No, no, non ritornare in fila. Vieni qui” lo chiamò con tono soave Morgana. “Volevi offrirti volontario, vero? Allora credo che mi farò accompagnare da lui, se ci tiene tanto.”

Merlin la guardò malissimo, indispettito ma allo stesso divertito dalla classe di Morgana.

“Ti avviso che non saresti molto al sicuro, con lui” le disse il principe, piatto. “Ha un senso dell'equilibrio davvero pessimo. Non mi appoggerei a Merlin, se fossi in te.”

“Suvvia, Arthur, sono perfettamente in grado di reggermi in piedi da sola. Inoltre, accompagnare una signora a guardare i fiori non è proprio la tua specialità” disse tagliente, e Uther rise. “Un valletto che mi guidi mi basterà. Prestami il tuo.”

“Ma... Merlin...”

“Sì, Arthur... Merlin.” Detto questo, allungò la mano significativamente verso Merlin, che avanzò barcollando per raggiungere il terzetto e poi porse goffo il braccio a Morgana.

Lei ci assicurò la sua mano sopra, sfiorandolo appena. Lo stregone rabbrividì al contatto con la sua magia.

Era lo stesso gesto con cui la sera prima Gwen l'aveva tirato a sé, eppure era, allo stesso tempo, una cosa del tutto diversa. Non c'era il calore del contatto che gli aveva trasmesso Gwen (per non parlare neanche di quello che era successo quando Arthur l'aveva stretto in quella mossa da wrestling... ma Arthur non c'entrava niente, adesso). Al suo posto c'era però la complicità delle vibrazioni magiche. Quelle di Merlin risuonavano nelle sue vene riconoscendo qualcosa di affine, sfrigolavano facendogli venire la pelle d'oca.

Merlin si chiese se la differenza stava nel fatto che Gwen era una persona calorosa, e pure Mordred lo era stato – e pure Arthur, oddio, Arthur lo era. Mentre Morgana... no.

Oppure, semplicemente, la differenza era che toccare un essere umano stava a un universo di distanza dal toccare un'altra creatura magica.

“Andiamo, su.” Morgana richiamò l'attenzione di Merlin. “Ci metteremo solo qualche minuto, potete far portare dentro i miei bagagli, intanto” disse dietro di sé, quando già aveva iniziato a muoversi premendo sul braccio dello stregone.

La breve passeggiata dalla residenza dei Pendragon alla serra delle rose fu una delle cose più strane e in qualche modo imbarazzanti nella quale Merlin fosse mai stato coinvolto. Molti occhi erano palesemente addosso a loro; anche quando superarono la casa di Gaius, lo stregone poté giurare di intravedere qualche guardia piazzata in giro che allungava il collo verso le gambe di Morgana.

Merlin la sentì sorridere divertita al suo fianco, e di rimando sorrise anche lui. Entrambi, per sicurezza, se ne stettero zitti fino a che non furono del tutto lontani da occhi indiscreti.

Poi raggiunsero finalmente la serra, e, tenuta aperta la porta perché la ragazza entrasse, Merlin la richiuse dentro di sé e inspirò forte.

Poi esplose. “Morgana, come diavolo hai fatto, esattamente?” disse concitato, avvicinandosi.

Lei stava esaminando con compiacimento i fiori, toccandoli piano con la mano. “Bel giochino, vero?” fece tranquilla, portandosi accanto alla fila delle rose gialle. “Ti dirò, creare dei falsi ricordi per una nazione intera è stato piuttosto faticoso. Aggiungici anche uno schermo protettivo che isoli l'incantesimo al solo Regno Unito, mentre il resto del mondo rimane completamente ignaro, e di Lady Morgana si accorgono solo quelli che vivono dentro la cappa magica.”

Si tolse poi il cappello con un movimento elegante, protraendosi verso una rosa particolarmente bella, color pesca. Sembrava il soggetto di uno di quei dipinti a olio che si vedono nelle gallerie d'arte. All'improvviso, però, infranse il quadretto sradicando la rosa color pesca con un solo gesto magico. “Dopo essere arrivata nel Mondo Riflesso, i primi giorni li ho impiegati tutti per le ricerche del Principe dei Draghi” disse, pratica. “Ho eliminato a poco a poco tutti i candidati, uno dopo l'altro, grazie al solo ricordo della voce che avevo sentito nel Regno...” continuò, prendendo a staccare i petali del fiore man mano – e per un attimo Merlin raggelò, temendo che “eliminare i candidati” avesse un significato molto più oscuro. “Ma questa fase è durata pochi giorni. Ho trovato presto il nostro caro bersaglio e da quel momento mi sono informata per bene su di lui... l'avrai fatto anche tu, no?”

Merlin annuì come un bambino.

“Bene... e comunque ho scoperto delle cose molto interessanti, in base alle quali mi è venuta quest'idea: perché non avvicinarmi al Principe dei Draghi agendo da dentro? Ma vedo che pure tu hai avuto lo stesso pensiero” disse di colpo, avvicinandosi a lui. “E come avresti fatto, posso saperlo, ad arrivare qui prima di me?”

Merlin alzò le spalle. “Un colpo di fortuna, suppongo.”

Meglio non dirle del modo in cui l'aveva agevolato il Diamante del Giorno perché, ovviamente, quello di Morgana non aveva fatto altrettanto per lei.

“Lo immaginavo, non poteva che essere stato un caso. Il solito, fortunato, Merlin” lo canzonò la strega.

“Ma come facevi a conoscere la magia giusta per ottenere un effetto del genere? Voglio dire, non è da tutti” le chiese, sincero.

“Mi sono creata l'incantesimo da sola” fece lei, fiera di sé. “Ci ho messo un po', è vero, ma ne è valsa la pena.”

Merlin la guardò a bocca aperta. Molti lati della sua personalità erano discutibili, questo era vero. Ma Morgana era in gamba, decisamente in gamba, forse le strega più dotata che avesse mai conosciuto. La cosa, se da una parte lo metteva in guardia, dall'altra lo faceva sentire pure ingenuamente su di giri. “Wow” le disse, ammirato, “questa è magia da professionista.”

“Già” fece lei, sbattendo le ciglia e portandosi alle labbra la rosa ormai tutta spelacchiata. Visto da quella prospettiva, era come se dal gambo spuntassero le sue labbra rosse al posto dei petali. “Ma parliamo di te, Merlin” disse, la voce vibrante. “Adesso sei alle dipendenze del Principe dei Draghi, dunque. Fammi indovinare, ti fa pulire il gabinetto reale e lucidare l'armatura?”

“Non usano più le armature, qui” le ricordò Merlin.

“Giusto” disse l'altra, agitando seccamente la mano.

“Ma, parlando in tutta onestà, se le usassero suppongo che, sì, Arthur mi affibbierebbe pure quelle.”

Morgana lo guardò con ostentato compatimento e fece un verso che si fa quando si vede un cucciolo abbandonato per la strada.

Qualcun altro si sarebbe sentito offeso dal suo tono ironico, ma a Merlin venne solo da sorridere. Anche se era finto, non gli dispiaceva un po' di compatimento da parte di un'altra creatura magica. E sapeva che Morgana lo sapeva, e per questo era ancora più divertente.

“Sei stato ingegnoso, però” gli disse a sorpresa la ragazza, un sopracciglio alzato spigolosamente. “Ma guardati: il servitore fedele che in realtà trama alle spalle del suo padrone, per portargli via il cuore.”

A quell'affermazione, così, senza preavviso, l'atmosfera scherzosa di ripicca si infranse. La crepa si percepì tutta, chiara e scomoda, nella postura di Merlin, che aveva fatto un passo indietro e abbassato la testa.

Lo stregone cercò di risanare il gelo silenzioso che era calato, tentando di non dare a vedere più di tanto che ciò che aveva detto Morgana l'aveva disturbato – era inutile nascondere certe cose con lei, lo sapeva, eppure...

“E tu” disse allora, recuperando un po' di brio, “la cuginetta preferita del principe che fa la stessa identica cosa del servitore.”

Morgana lo stette a guardare piegando la testa di lato, e non disse altro.

“Ma... toglimi una curiosità, perché proprio la cugina e non... che ne so, la sorella?” sparò Merlin, guardandosi le unghie.

Sentiva il bisogno di tirare a parlare la sua rivale: così lei non avrebbe pensato oltre all'eccessiva reazione di prima, e, se tutto fosse andato bene, nemmeno lui ci avrebbe pensato più.

Per fortuna Morgana sembrava aver pescato da qualche parte la voglia di chiacchierare. “Ho fatto le mie ricerche, te l'ho detto” si spiegò. “Uther Pendragon è un pessimo soggetto e suo figlio è degno del cognome che porta. Anche se si tratta di una recita, meglio nipote e cugina che figlia e sorella dei Pendragon” disse fredda, come se le fosse rimasto in bocca il sapore di una medicina molto amara. “Inoltre, questa posizione mi ha permesso di creare con più facilità una storiella per Lady Morgana; è più normale che la nipote del re non viva a palazzo, rispetto alla figlia.”

“E perché estendere proprio l'incantesimo a tutto il Regno Unito?” chiese ancora lo stregone, comunque genuinamente curioso. “Potevi limitarti alla gente del palazzo.”

La risposta un po' se la immaginava già: era nell'indole di Morgana fare le cose in grande. Anche se lei non disse proprio così, ma lo lasciò intendere.

“Volevo allargare il campo. Qualche privilegio nell'essere una nobile dovrò pur averlo, no? E poi... la gente adora Lady Morgana” disse, portandosi una ciocca ribelle dietro l'orecchio. “Sai, Merlin...”

“Cosa?”

“Mi piacerebbe molto andare avanti a chiacchierare ancora un po' ma, dopotutto, non vedo il motivo per cui dovrei perdere altro tempo. Quindi credo proprio che ora dovrò sbarazzarmi di te.”

La bocca di Merlin si spalancò. Quel colpo basso non se l'era aspettato minimamente; la prima reazione del suo corpo fu di alzare una mano per tirare su una barriera che lo proteggesse da qualunque cosa Morgana avesse voluto scagliargli addosso.

In una fitta di panico, però, Merlin scoprì che non aveva più il controllo dei suoi arti; non riusciva a muoversi. Da qualche parte, negli ultimi due minuti, l'altra doveva avergli lanciato una magia immobilizzante senza che lui nemmeno se ne accorgesse.

Aveva pensato per tutto il tempo di star parlando amabilmente con la sua rivale... Ci sono dei limiti entro i quali si può pensare di conoscere bene una persona, soprattutto se si tratta di qualcuno imprevedibile come Morgana. Quant'era stato idiota ad abbassare del tutto le difese!

“Capisci” riprese la strega, guardandolo sgranando le pupille, “pensavo di trovarti ancora a brancolare nel buio per il Mondo Riflesso. E invece eccoti qua, più vicino e pericoloso di quanto mi aspettassi. Sarà meglio metterti un attimo da parte, così mi sentirò più libera e a mio agio, no?”

Subito alzò il braccio portando il palmo aperto all'altezza del viso di Merlin. Lentamente, prese a ruotare il polso in un gesto ipnotizzante. Le sue dita si piegarono come se stesse afferrando qualcosa nell'aria e Merlin, un burattino in balia sua, si sentì tirare avanti – era proprio lui che la strega stava afferrando.

Gli occhi, l'unica cosa che lo stregone riuscisse a muovere, gli roteavano come impazziti nelle orbite, mentre un senso di orribile impotenza lo invadeva.

Morgana lo stava mettendo fuori gioco così da rimanere sola con Arthur. Ora avrebbe potuto fare del principe quello che voleva, e nessuno sarebbe stato in grado di fermarla – Arthur, fai attenzione, Arthur...

“Ti vedo stanco, hai una brutta cera” disse la ragazza, sarcastica. “Dormi un po'.”

Le sue dita si chiusero piano, una dopo l'altra, in un pugno. Merlin barcollò verso di lei, incapace di sottrarsi all'incantesimo – non poteva lasciarla sola con Arthur, non poteva lasciare Arthur nelle mani di Morgana...

Le sue palpebre diventarono pesanti come due macigni – Arthur, Arthur... – e, alla fine, non riuscì più a tenerle sollevate.

Arthur...

Poi fu il buio.

 

 

~

 

 

 

 

 

L'avete voluta, e adesso rieccovela: Morgana è tornata, e non per fare soltanto la bella statuina xD

mi sono divertita tantissimo a scrivere le sue parti...anzi, devo dire che mi sono divertita tanto in generale a scrivere questo capitolo, in cui le cose si stanno smuovendo parecchio e Merlin è troppo preso da tutto per trovare il tempo di fermarsi per bene a chiedere spiegazioni al suo cervello.

Spero che a voi piaccia leggerlo tanto quanto a me è piaciuto scriverlo ^_^

Fun fact: ero partita convinta con l'idea di fare di questo un capitolo breve...e invece è uscito il più lungo di tutti X°°D

Concludo, dato che è così lungo (xD), con una doppia dedica: la prima va ai lettori silenziosi...suvvia, non siate così tanto silenziosi xD mi farebbe molto piacere sapere cosa pensate!

La seconda...al nostro Bradley James, da poco diventato trentenne *_____*

Niente, sono sicura che sta sempre qui a leggere fan fiction gay in italiano su lui e Colin ù_ù

Basta, chiudo prima di degenerare ulteriormente! XD Vi saluto, e alla prossima :3

 

 

 

 

 

Angolino Soundtrack

 

Cambio d'atmosfera nello studio piccolo: About Her (Flower Boy Next Door OST)

Merlin e il cuore di Arthur: Strange and Beautiful (I'll put a spell on you) - Aqualung

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Per te ***


(x)



 

Capitolo sette: Per te

 

 

 

Nel momento in cui qualcosa spostò delle ciocche di capelli dalla sua fronte, il calore sprigionato dal contatto investì Merlin, riportandolo al mondo sensibile.

Un balsamo che scivolava lungo tutto il suo corpo, raggiungeva le estremità di ogni suo arto, proprio quando l'incantesimo annichilente di Morgana sembrava spezzarsi...

Ancora prima di aprire gli occhi, dato che ormai quella sensazione gli era rimasta impressa in ogni cellula, Merlin lo capì, e tutto il suo essere accolse con sollievo la notizia: era Arthur. Non poteva dire con sicurezza che non gli mancasse qualche pezzetto del cuore fino a che non gli fosse riuscito di rapire gli occhi, ma almeno sapeva che era lì.

Che c'era. Che era lui.

Il calore era sicuramente di Arthur, aveva il suo marchio sopra. La vertigine di potenza, abbacinante, avvolgente, era identica a quella della sera prima, e ciò diceva a Merlin che Arthur era nel pieno delle energie, quindi vivo e vegeto.

La realizzazione lo fece sentire improvvisamente molle. La sua spina dorsale si rilassò contro il pavimento, mentre i polmoni ingoiavano l'aria seguendo il ritmo di ampi respiri.

Merlin!”

Ascoltare, finalmente, il suono della sua voce chiamare il proprio nome...

I muscoli del viso di Merlin si distesero. Era così piacevole, starsene lì in quel modo. Sebbene non avesse ancora ripreso il controllo delle palpebre e stesse nuotando nel buio, l'oscurità era colorata dagli squarci dei profumi delle rose e dalla presenza distinta di qualcosa contro il suo corpo... due cose – le mani di Arthur?

Sì, adesso le sentiva bene: una mano l'aveva appoggiata sulla fronte di Merlin, ora gliela copriva tutta; con l'altra gli stava sorreggendo la nuca.

Se riusciva a fare pure quello, allora stava più che bene. Forse Morgana non gli aveva torto nemmeno un capello. Forse neppure gli si era avvicinata. E Arthur stava bene.

“Merlin, Merlin!”

Stava bene, ed era assillante come al solito. Non poteva frenare per un minuto e dare a Merlin il tempo di riprendersi del tutto? Lo stregone avrebbe voluto dirgli “statevene un po' zitto, mi scoppia la testa”, per vedergli magari aggrottare le sopracciglia in quella sua buffissima piega oltraggiata. Ma le sue labbra non avevano ancora voglia di collaborare, e tutto ciò che gli uscì fu un mucchietto di suoni indistinti.

Alla fine riuscì almeno ad alzare le palpebre; attraverso una sottile fessura percepì i contorni della testa bionda del principe, chino su di lui. Forse a causa della vista di Merlin, che era appannata, Arthur sembrava avere tutto intorno una corona di luce, come quando si era appoggiato alla finestra in camera sua. Anche adesso, i raggi del sole che filtravano dalle vetrate della serra bagnavano magnificamente la sua figura.

“Questo è mettersi in mostra, però” pensò lo stregone, accomodandosi un poco tra le mani di Arthur.

E doveva pure essere riuscito ad esprimere il pensiero in una sorta di mugolio, perché Arthur gli disse, con una leggera preoccupazione che gli segnava la voce: “Stai delirando, è peggio di quanto credessi. Non ti agitare, chiamo subito qualcuno per...”

Chiamare qualcuno per fare cosa? Nessuno tra gli esseri umani avrebbe mai potuto disporre di un rimedio per aiutare Merlin a scrollarsi di dosso la magia di Morgana.

Anzi, se l'avessero portato all'ospedale, avrebbe anche corso il rischio di farsi fare delle analisi, e gli dèi solo sapevano che risultati avrebbero potuto dare. Oltretutto, sembrava che l'incantesimo stesse ormai svanendo per conto suo.

Fu per questo che Merlin si costrinse a riacquistare la lucidità più in fretta che poté. Sentì i propri occhi spalancarsi di botto e vide il principe sobbalzare per la sorpresa. “Non c'è bisogno di chiamare qualcuno” gli disse quindi lo stregone. Avrebbe voluto darsi un tono risoluto, invece le sue parole suonarono come uscite da una caverna.

“Merlin...” sospirò il principe. Poi disse, secco: “Non ha senso mettersi a fare il testardo, adesso. Morgana ha detto di essere rimasta in tua compagnia per poco e di averti lasciato qui più di due ore fa. Me lo confermi?”

“Ehm... non saprei dire. Mi sento un po' confuso.”

“Questo è sicuro.”

Solo allora Arthur gli tolse il palmo dalla fronte.

Arthur uguale calore uguale sensazione piacevole.

Niente Arthur, niente calore.

L'equivalenza, ammise a mala voglia Merlin, era ormai stata provata. Sperò soltanto che le sue sopracciglia non si fossero piegate troppo tristemente, o che, al massimo, l'altro avesse attribuito il cambio di espressione al suo stato confusionale – cosa che, del resto, era Merlin stesso a fare.

“Potresti essere rimasto svenuto nella serra per tutto il tempo, e mi dici che non vuoi chiamare nessuno?” continuò il principe. “Se non è auto-lesionismo, non so proprio di che si tratta.”

Merlin riuscì a tirare su una mano per scacciare l'aria, minimizzando l'accaduto. “Sto bene, davvero. È solo un po' di stanchezza” disse.

Arthur fece un verso di disapprovazione e Merlin lo guardò: sembrava perfettamente in forma, di certo molto più di quanto non fosse lui in quel momento. Ma se la strega si era impegnata a mettere Merlin fuori gioco, di quelle due ore doveva aver certamente approfittato, in qualche modo.

Doveva verificare.

Quando fece per mettersi seduto, Arthur lo aiutò, passandogli un braccio attorno alle spalle.

Con la scusa di appoggiarsi a lui per tirarsi su, lo stregone gli sistemò una mano sulla schiena. Quindi aprì bene le dita contro la maglia dell'altro e chiuse per un momento gli occhi, in cerca di vibrazioni che avrebbero potuto segnalare tracce di magia.

Mentre Arthur brontolava un “non capisco proprio cosa fai per stancarti tanto”, Merlin percepì due segni: uno lo riconobbe subito come l'incantesimo di camuffamento di Morgana, che era, ovviamente, ancora attivo.

Ma il secondo?

Anche quello aveva tutta l'aria di essere un incantesimo della sua rivale: al tatto era frizzante sotto le sue mani, turbinoso... spigoloso.

“È a causa vostra che mi stanco tanto” disse Merlin in tono vago, quando tutto quello a cui stava davvero pensando era che razza di sortilegio Morgana avesse usato contro Arthur.

La cosa lo preoccupava soprattutto perché, a un primo sguardo, non sembrava esserci nulla di strano nel principe. Doveva essere qualcosa di subdolo, una magia sfuggente...

Non gli avrà mica lanciato una maledizione?

Il solo accenno dell'idea fece rabbrividire Merlin dalla testa ai piedi. Ad Arthur, vicini com'erano, la sua spossatezza non sfuggì. “Non è colpa mia se hai la resistenza di una ragazzina e non reggi nemmeno la routine di un valletto” disse, facendo il broncio. “Ma come stai? Ti gira la testa, o...”

“Io sto bene, adesso.”

E tu, come stai?

“Allora ci alziamo?” disse Arthur. Tutta l'ironia pungente era scivolata via dalla sua voce, lasciando il posto alla cosa più simile alla premura che Merlin avesse mai sentito nelle sue parole. Questo lo stordì un po' e, prima che potesse fare altro, fu praticamente il principe da solo a rimetterlo in piedi. “Stasera non ti porto da nessuna parte” disse, tenendo fermo lo stregone. “Hai bisogno di rimetterti seduto?”

“Sto bene, sto bene, vi ho detto. Piuttosto, dove volevate portarmi?”

Lui roteò gli occhi al cielo. “Prima sono venuti gli altri. Hanno suggerito di andare tutti insieme in un locale per festeggiare il ritorno di Morgana.”

Merlin immaginò che “gli altri” dovevano essere il Duca Gwaine e Percival. Non li aveva ancora mai visti, nonostante frequentassero Arthur regolarmente, ma già si era fatto un'idea su di loro. Sarebbe stato impossibile diversamente, dato che Arthur e pure Elyan li nominavano sempre.

Elyan gli aveva anche raccontato alcuni aneddoti davvero divertenti e i migliori erano quelli che iniziavano con “una volta Gwaine...” (la storia di come Gwaine aveva finito col bruciarsi un calzino per asciugarlo davanti al fuoco era già diventata la sua preferita).

Merlin sapeva che del loro gruppetto faceva parte anche il Duca Lance, che però si assentava spesso da Londra, impegnato com'era nel volontariato a livello mondiale. Adesso, se non ricordava male, era in Africa... Aveva visto le cartoline appoggiate da Gwen sul camino in una delle stanze della servitù.

Sentire il nome dell'amica pronunciato, in quel momento, anche dalle labbra di Arthur, catturò l'attenzione dello stregone.

“Quando stavamo dicendo di andare al Rising Sun c'era anche Guinevere, e Morgana l'ha invitata.” disse il principe.

Guinevere. Sembrava che Arthur fosse l'unico a chiamarla così.

Merlin si sforzò di non far mulinare i suoi pensieri in circoli morti e li scacciò via scuotendo la testa.

“... A quel punto Morgana ha insistito perché venissero tutti i giovani del palazzo per evitare di passare la serata a fare la muffa come si fa sempre qui” concluse il biondo, imitando in modo tutt'altro che perfetto la voce di Morgana.

“È una di quelle uscite fatte di nascosto da vostro padre?” disse Merlin, iniziando a muovere qualche passo verso l'esterno.

Arthur lo lasciò, ma rimase al suo fianco, camminando al suo stesso ritmo.

“Come potrebbe? C'è di mezzo Morgana, è scontato che papà lo sappia” disse. “Ma faremo come sempre, quando andiamo al Rising. Entrerà con noi solo Leon, gli altri della sicurezza aspetteranno fuori.”

“Il punto di avere delle guardie del corpo non è che devono starti vicino per proteggerti?” chiese retorico Merlin.

“Certo, Signor Ovvietà. Ma cosa pensi che succederebbe se me ne andassi in pista chiuso in una botte... di... omoni in nero?” gesticolò Arthur. “Saremo solo ragazzi che vanno a passare una serata in un locale. Senza attirare l'attenzione o altro e andrà tutto bene. Voglio solo questo.”

Non sarebbe andato tutto bene, non se Morgana fosse stata lì con mille possibilità a disposizione per mettere le mani su Arthur, o per far funzionare il piano che sicuramente aveva già messo da parte, o chissà che altro.

“Vi ci vorrebbe proprio qualcosa che vi garantisca di riuscire a passare inosservato” disse allora Merlin, la faccia di bronzo. “Oh, ma guarda caso voi ce l'avete, un dispensatore di mediocrità.”

Arthur lanciò un sorrisino alle sue scarpe. “Hai tutta questa voglia di venire a ballare? Pensavo che avessimo stabilito che sei un tipo da Dungeons and Dragons più che uno da nottata brava.”

“Ci sono tante cose che nemmeno vi immaginate, di me” disse Merlin, costeggiando la dependance – e accidenti, se non era vero. “Vi ripeto che sto bene. Anzi, sapete che vi dico, non credo nemmeno di essere svenuto, prima. Cioè, penso... penso di essermi solo addormentato, sì.”

Arthur lo guardò, scettico e divertito. “Addormentato sul pavimento della serra?”

“C'è un buon odore di fiori, lì” disse lui, stringendosi nelle spalle. “Concilia il sonno.”

“Non essere ridicolo, Merlin. E poi non è che la tua presenza farà la differenza per la mia sicurezza, sai.”

Oh, era qua che si sbagliava di grosso.

In quel momento si levò una voce non familiare a Merlin; una voce piena, forte, che non passava inosservata. “Principessa! Principessaaaa!” chiamava, rimbombando ovunque.

Merlin pensò che fosse assurdo, perché a palazzo non c'era nessuna principessa. Per una frazione di secondo valutò l'ipotesi che fosse un altro dei trucchi di Morgana e, se non avesse visto Arthur mordersi il labbro e chiudere stancamente gli occhi, non sarebbe arrivato alla conclusione che, in realtà, la “principessa” era proprio il principe.

Dal viottolo che portava alla residenza reale fece la sua apparizione un piccolo gruppo capeggiato da un ragazzo che, con le mani a megafono sulla bocca, richiamava la sua “principessa perduta”. Dietro di lui Elyan stava chiacchierando con un altro che lo svettava con tutta la testa.

“Gwaine” chiamò poi Arthur, senza particolari inflessioni nel tono.

Ecco dunque il Duca del calzino bruciato, pensò Merlin, autore del nomignolo di “Altezza Reale Chiappe d'oro” e, a quanto pareva, pure di “Principessa”.

Lo stregone vide Gwaine aprirsi in un sorriso obliquo diretto a loro.

La cosa che saltava subito all'occhio, di lui, erano i capelli piuttosto lunghi, che ora ondeggiavano nella corsa mentre li raggiungeva. Era un'immagine per un certo verso buffa, ma allo stesso tempo studiatamente attraente, come una di quelle che si vedono nei servizi fotografici delle riviste di moda. “Eccovi qua, finalmente. Merlin, vero?” esordì Gwaine, facendo subito scattare la mano verso di lui. Sorrideva così ampiamente di un sorriso così magnetico che a Merlin venne spontaneo ricambiare allo stesso modo, quando gli strinse la mano.

“Piacere di conoscervi. Ho sentito tanto parlare di voi” lo salutò.

“Spero non riguardo la storia del calzino.”

Merlin scoppiò a ridere. “È stata una delle prime cose che ho saputo, a dir la verità.”

“Dopo farò i conti con chiunque si diverta a mettere in giro certe voci” disse Gwaine, ma accompagnando il sorriso simpatico con un'occhiataccia tirata di slancio dietro di sé. “Comunque anche io ho sentito tanto parlare di te, Merlin” aggiunse, lanciando stavolta uno sguardo palesemente ammiccante ad Arthur.

“Davvero?” disse lo stregone lento, valutando la cosa.

Quindi il principe, che aveva ora gli occhi strabuzzati e il viso di una curiosa sfumatura più pallida, aveva parlato di lui ai suoi amici.

Merlin frugò dentro di sé e scoprì che la rivelazione aveva scatenato un accenno di disagio – sicuramente Arthur non aveva perso l'occasione per diffamarlo davanti ad altre persone... sì, doveva essere questa la causa per la quale il suo stomaco si era appena chiuso a riccio.

“Wow, però” disse ancora Gwaine. “Arthur non l'aveva detto che eri così... cioè, guarda che zigomi. Wow. Potresti tagliarci il pane, per quanto sono affilati.”

La forte nota di apprezzamento colpì con la precisione di un dardo Merlin, che si sentì arrossire orribilmente in risposta. Gwaine gli aveva fatto un complimento, e lui non era abituato a riceverne. Nessuno gliene aveva mai fatti in modo così diretto, forse nessuno mai gliene aveva fatti.

Era molto... era davvero inusuale, come la cosa gli facesse sentire il solletico intorno alle orecchie. “Non... non ci crederete, ma il mio amico Will mi ha sempre detto che avrei potuto tagliarci i sassi, con gli zigomi che mi ritrovo” disse allora, sorridendo impacciato. “Non pensavo che avrei trovato una persona con un senso dell'umorismo simile al suo.”

Sullo sfondo si sentì Arthur berciare un “che senso dell'umorismo pessimo”.

Tuttavia venne completamente ignorato e Merlin, sorridendo senza farsi vedere, indovinò che si fosse indignato silenziosamente.

“Mettiamo le cose in chiaro, amico” disse poi con urgenza Gwaine. “Se vuoi andare d'accordo con me elimina subito le buone maniere, le cerimonie, le smancerie e dammi del tu. Perché vuoi andare d'accordo con me, vero?” aggiunse, lo sguardo che correva dalla testa ai piedi di Merlin esaminandolo apertamente, senza tralasciare neanche un centimetro di pelle.

Lo stregone rise, incredulo. “Certo, io... ?”

“Ovvio. Come si fa a non voler andare d'accordo con me?” disse Gwaine, e scosse la testa, soffiando via dal volto una ciocca di capelli con una mossa fascinosa. “Sai, solo a vederti, accidenti, anche a me viene subito voglia di andare d'accordo con te” concluse con semplicità.

Arthur si schiarì la voce e Gwaine finse di notare solo in quel momento la sua presenza. “Ah, Arthur!” vociò, dandogli una pacca sulla spalla. “Iniziavamo a pensare che ti fossi perduto nel labirinto mentre cercavi il tuo amico.”

“Eravamo un po' preoccupati sul serio” intervenne il ragazzo più alto, che li aveva raggiunti insieme ad Elyan. “Già Arthur ci aveva messo in agitazione, prima, col fatto che stava chiamando Merlin ma lui non gli rispondeva. Poi è andato a cercarlo e non abbiamo saputo più nulla... sono Percy, comunque. Ciao, Merlin.”

Percy scavalcò facilmente Gwaine e tese il braccio muscoloso verso lo stregone, che strinse la mano anche a lui. “Oh, mi dispiace tanto, è stato a causa mia?” gli disse, mentre le sue dita venivano strizzate amichevolmente, ma con una certa forza.

“Fai preoccupare anche la gente che ancora non ti conosce, Merlin” soffiò Arthur.

“Stai tranquillo, invece, non è successo niente. Era il principe ad essere andato un po' fuori di testa” disse Elyan, scambiandosi uno sguardo d'intesa con Percy.

“Così nervoso l'ho visto raramente, non ce la faceva a starci a sentire per più di cinque minuti senza controllare il cellulare” rise Percy.

Merlin si voltò verso un attonito Arthur, le labbra che iniziavano a piegarglisi millimetricamente all'insù. “Eravate preoccupato per me?” buttò fuori, scoprendo un accenno di stupore sincero nella propria voce.

Perché, andiamo. Arthur era venuto a cercarlo perché era...

Arthur era... venuto a cercarlo...

Perché... ?

“Sciocchezze” disse il principe, incrociando le braccia al petto. “Ero preoccupato dei danni che avresti potuto fare, se te ne fossi andato in giro per conto tuo per tutto quel tempo. È un miracolo che Morgana sia tornata da sola, sana e salva, dopo essere stata in tua compagnia...”

“A meno che Arthur non sentisse il bisogno urgente di assentarsi da noi per andare in bagno, penso che sì, il nervosismo fosse causato da un pizzico di preoccupazione” lo interruppe Gwaine, portandogli un braccio attorno alle spalle. “Che vuoi farci, Merlin, prima di riuscire a ottenere un'amichevole dichiarazione d'affetto da questa boccuccia qui” e strizzò le labbra di Arthur con le dita, “ne deve passare, di acqua sotto i ponti. Pensa che non sono sicuro che abbia mai detto nemmeno a me quanto mi ama. E ci conosciamo da tanti anni.”

Il principe si scrollò di dosso l'altro, e Merlin lasciò scappare una risata che era più un... qualcosa... carico di... qualcos'altro... che non ne voleva sapere di rimanere nascosto.

“Sentite, passiamo alle cose concrete” disse Elyan (zittendo Percy che lo prese in giro con un “tu che parli di cose concrete?”). “Le ragazze vogliono sapere se stasera ci sarai anche tu, Merlin.”

Lo stregone fece in tempo soltanto ad aprire la bocca, perché il principe rispose al posto suo, facendo pure un passo avanti per sporgersi verso Elyan. “No, Merlin non verrà.”

Tutti gli altri scoppiarono in un coro di protesta che fece sorridere Merlin come uno stupido.

“Ma andiamo!”

“Noooo!”

“Arthur, non avrai mica voglia di metterti a fare la Principessa schiavista?”

“Non ho intenzione di vedere Merlin crollare in pista svenuto... o addormentato, come dice lui, o entrambe le cose” disse Arthur, guardando lo stregone con le labbra strette.

Evidentemente, la storia del colpo di sonno nella serra non se l'era bevuta.

Mentre gli altri continuavano a parlare uno sopra l'altro come bambini delle elementari, Merlin ricambiò di sottecchi lo sguardo di Arthur, mettendo su per finta un broncio annoiato.

La verità, lo sapeva lui e forse lo sapevano entrambi, era che era contento.

Arthur che, nel suo modo tutto particolare, dimostrava di prendersi cura di lui lo rendeva contento.

Non gli riusciva bene di metabolizzare la cosa, ma era contento. Così... semplicemente.

Anche se apprezzava l'intenzione, non gli avrebbe dato retta e più tardi li avrebbe seguiti di nascosto al Rising Sun, ovvio.

Ma quella era un'altra storia, e lui era contento comunque.

 

 

ʘ

 

 

Fu facile tenere d'occhio a distanza gli spostamenti di Arthur con il Diamante del Giorno. Merlin poté assicurarsi che Morgana non approfittasse in alcun modo della sua assenza, perché controllò il principe da quando si congedarono fino al momento in cui uscì da palazzo.

L'unica manciata di minuti durante i quali allontanò lo sguardo fu quando vide Arthur sfilarsi la maglia e iniziare a sbottonarsi i pantaloni.

Nel momento in cui aprì un solo occhio per ributtarlo quasi accidentalmente sul Diamante, Arthur era già vestito di tutto punto (camicia nera e pantaloni dello stesso colore) e si stava sistemando i capelli.

Con un sospiro, Merlin si liberò della tensione che aveva sentito appiattirgli stomaco, polmoni, gola e quant'altro.

Le cose avevano iniziato ad andare in modo molto strano, da quando aveva ascoltato i pensieri del cuore del principe. Gli era sembrato di non essersi ancora ripreso da quell'incantesimo schiacciante. Era proprio vero che gli effetti di un cuore umano non dovevano essere sottovalutati. Erano forse quelle le conseguenze che otteneva dopo essersi avvicinato tanto al veleno primigenio per eccellenza?

La possibilità lo disorientava e lo spaventava pure un po'.

Non ci fu tempo, comunque, per rimuginarci ulteriormente sopra. Qualcuno stava bussando alla porta del principe e Merlin vide che, quando Arthur la aprì, trovò dall'altra parte una Morgana stretta in un vestitino rosso. “Andiamo Arthur, gli altri ci stanno aspettando di sotto” lo invitò, suadente.

Merlin allora si fiondò giù dal letto, saltò le scalette tutte in una volta e si buttò verso la porta, senza staccare gli occhi dal Diamante.

“Dove vai a quest'ora?” grugnì Gaius dalla brandina che aveva sistemato in soggiorno, per portare avanti più comodamente i suoi esperimenti notturni sulle piante.

“A salvare il posteriore di quella testa di fagiolo” urlò Merlin, correndo via.

Poté giurare di aver sentito il mentore mugugnare un “ah, allora va bene”, come se tutto ciò fosse una cosa assolutamente nella norma.

 

 

ʘ

 

 

Il Rising Sun era un locale niente male. C'erano le luci soffuse e colorate, la gente che si dimenava ballando e tutto il resto delle cose che si possono trovare in posti simili; solo che la zona con il bancone del bar era sistemata più appartata dal resto.

La pista da ballo era sopraelevata rispetto al privé grazie ad alcuni gradini. Così, quelli che stavano seduti sulle poltroncine nere (Arthur e gli altri si erano sistemati lì) potevano disporre di una certa privacy... o almeno, potevano riuscire a risparmiare un po' le orecchie dall'assillo della musica.

Merlin desiderò ardentemente essere insieme a loro. Non perché il locale lo ispirasse poi così tanto – in effetti, la copertura messa in piedi da Gaius si stava concretizzando, e lui si stava scoprendo sempre più un tipo da collezionismo e letture serali piuttosto che un ragazzo da festa.

Il fatto era che starsene dentro al calduccio era sicuramente un'opzione più interessante del restare a gelarsi il sedere di fuori.

Infatti, gli altri due della sicurezza che erano venuti insieme a Leon si erano piazzati, rispettivamente, davanti all'ingresso del locale e dall'altra parte della strada.

In tal modo a Merlin era rimasto solo un posto in cui nascondersi per evitare di essere visto: il vicolo cieco che costeggiava il Rising Sun.

Di certo non si poteva definire un posticino particolarmente accattivante, quella stradina buia racchiusa da muri tutti appiccicaticci. Lo stregone doveva stare attento a ogni movimento, perché c'era pur sempre la porta del retro del Rising che poteva aprirsi in qualunque momento.

Senza contare che, dirimpetto a lui, c'era la porticina esterna di quello che aveva tutta l'aria di essere un ristorante – di serie B, a giudicare dall'odore poco confortante che ne veniva fuori.

Quindi le possibilità di venire beccato così, accucciato per bene tra due bidoni della spazzatura, raddoppiavano.

Ma Merlin continuava a starsene coraggiosamente là, sentendosi più che mai come un'epica vedetta che, in una notte di guerra, ha il compito di tenere sotto controllo la base durante l'attacco nemico.

Attraverso il Diamante constatò però che intanto la suddetta “base”, diversamente da lui, se la stava spassando, seduta tra Gwaine e Percy, e ogni idealizzazione scivolò via miseramente.

Eppure non gli riuscì di arrabbiarsi con Arthur, non solo perché stavolta era innocente e ignaro di tutto. Sembrava talmente rilassato mentre scherzava bevendo drink insieme agli amici... era unicamente impegnato a lanciare grandi sorrisi a destra e a sinistra, e non si poteva davvero avercela con una faccia da schiaffi del genere. Poi, non gli stava nemmeno rendendo difficile il sorvegliarlo. Fino a quel momento l'unica occasione in cui si era alzato era stato per andare a offrire da bere a Morgana e Gwen, che si erano sistemate in un angolo appartato.

Gwen era tornata da Arthur un paio di volte, cedendogli il suo bicchiere perché lei non riusciva a finire la bibita. Eppure, la terza volta in cui gli si era riaccostata, si era piegata su di lui per dirgli qualcosa all'orecchio, e allora poco ci era mancato che Merlin si sentisse di nuovo strappato via dal loro sistema gravitazionale privato.

Tuttavia, resosi conto di cosa stava succedendo, allo stregone era bastato pizzicarsi la guancia per focalizzarsi sulle cose importanti.

Il comportamento di Gwen, dopotutto, era più che innocente, e l'atmosfera era oscurata solo dal fatto che la ragazza, per il resto del tempo, era rimasta sempre in compagnia di Morgana.

Non avevano fatto altro che fissare Arthur, ridacchiare e scambiarsi commentini, e forse era così che si comportavano le ragazze... però Morgana non era una ragazza, era una strega.

“Devo rimanere sull'attenti. Anche se Morgana non sembra star facendo nulla di male, con lei non si sa mai” si disse Merlin, tirando su col naso quando uno spiffero d'aria particolarmente crudele gli lambì i fianchi.

Si portò la sciarpa fino agli occhi, stringendosi addosso il più possibile il giacchetto di pelle e, mentre iniziava a maledirsi per non essersi messo un maglione, sentì il cellulare che prendeva a vibrare.

Lo tirò fuori goffamente dalla tasca, guardandosi intorno furtivo. Sullo schermo c'era scritto “Asino Reale”.

Merlin controllò tre volte, per essere sicuro. Poi rise nella sciarpa quando, guardando il Diamante del Giorno, vide che l'immagine si era spostata: Arthur, il telefono in mano, cercava di scavarsi un passaggio tra la gente verso l'uscita. Leon era al suo fianco, discreto, ma in modalità “muro umano” attivata.

Non capiva proprio perché gli stesse facendo una telefonata adesso. L'idea che il principe avesse pensato di sentirlo così, senza alcun motivo apparente, mentre si stava divertendo con gli altri, per un attimo fece sì che il suo sorriso arrivasse a contagiare anche gli occhi. Li sentì piegarsi sotto l'onda di una complicità che nemmeno capiva da dove fosse saltata fuori...

Ma non si trattò che di un attimo, poiché subito dopo, Merlin vide Arthur uscire dal Rising.

Il principe, facendo segno a Leon di aspettarlo da una parte, si stava dirigendo alla destra, proprio verso il suo vicolo.

Preso dalla discutibile speranza che l'altro si sarebbe fermato dov'era, Merlin rispose alla chiamata con uno spasmodico “Arthur!”.

“Ehi” fu il saluto del principe, che, miracolosamente, si bloccò qualche passo prima di svoltare l'angolo.

Merlin cercò di far passare il sospiro di sollievo per un colpo di tosse.

“Pensavo che stessi dormendo” disse Arthur.

“Ehm... ero nel dormiveglia. C'è qualche problema?” disse piano, appiattendosi il più possibile contro i mattoncini.

I bidoni in mezzo ai quali si era nascosto, per sua fortuna, erano collocati quasi alla fine del vicolo. Anche se Arthur avesse deciso, per qualche pazza ragione, di mettersi a parlare lì, non l'avrebbe visto... vero?

“No, nessun problema. Hai mal di gola? Perché parli piano?” chiese il principe.

“Gaius dorme, non voglio svegliarlo.”

Merlin, attraverso la pietra magica, lo vide annuire e stringere la labbra. Anche se la situazione era un po' rischiosa, la parte più irresponsabile di lui lo convinse a tornare alla carica anziché troncare la conversazione. “Insomma, come mai mi avete chiamato?” mormorò.

Arthur, prima di rispondere, calciò svogliatamente un sassolino sulla strada. “Volevo sapere come stavi.”

Merlin si avvicinò il cellulare tra l'orecchio e la spalla, sentendosi, per un istante, perduto in mare senza salvagente.

I suoi pollici presero a vorticare tra loro in un furioso mulinello rosa.

Che cosa farsene, di quell'affermazione? Non era che gli dispiacesse, o che non avesse voluto sentirselo dire, o altro.

Non... non aveva assolutamente la più pallida idea di cosa farsene, di quelle parole.

Da dove si iniziava, per maneggiare una cosa simile? Quanta cura ci voleva, da che parte andava afferrata, quanto di tutto ciò andava assorbito, e, se andava assorbito, dove mai andava riposto?

“Non ero preoccupato, o cavolate simili, non azzardarti a metterti in testa le scemenze di Gwaine” disse Arthur con noncuranza.

E nonostante il suo tono perfetto e piatto sembrasse riuscire a riportare Merlin sulla terraferma...

“Diciamo che mi sentivo leggermente... responsabile per te, ecco.”

Per te.

Quel “per te” provocò un'altra impennata. Un'altra onda spaventosa, oscura, che lo artigliò, trascinandolo affondo con lei soltanto per spingerlo, poi, di nuovo verso la superficie. Risucchiandogli, nel processo, tutto il fiato che aveva in corpo.

“Responsabile perchè?” disse lo stregone. Lo scoramento glielo fece esclamare a un tono più alto e asciutto del dovuto e, strizzando gli occhi mentre si insultava da solo, Merlin diede una craniata al muro.

Sto impazzendo...

“L'hai detto tu di esserti stancato a causa mia” farfugliò il principe.

Una ricaduta ripida, adesso, da montagne russe. Subito dopo, una capriola, e Merlin si ritrovò a testa all'ingiù, immerso in quell'assurdo maremoto che era Arthur Pendragon.

“In effetti ho un po' esagerato, l'ammetto. Ma giusto un po'” continuò quest'ultimo. “Certo, per le persone normali non ci sarebbe stato il minimo problema a seguire certi ritmi di lavoro. Però avrei dovuto rendermi conto che, per un pappamolle come te, le cose avrebbero potuto risultare... piuttosto stressanti.”

“Piuttosto stressanti” infierì lo stregone, ma adesso aveva ripreso fiato e stava ghignando.

Stupido, stupido Arthur.

Così semplice, così complicato.

Così pericolosamente trascinante proprio quando meno te lo aspetti.

“Avete le pretese di un re” gli soffiò.

“Be', sono il figlio di un re. O te lo sei dimenticato, Merlin?”

Lo stregone sbuffò una risata, passandosi una mano sulla fronte – Dèi, Arthur.

Dèi, Dèi, Dèi... Sto impazzendo davvero.

“Non fare quella cosa che ridi, abbassi gli occhi e ti tocchi la fronte” disse incredibilmente Arthur, e a Merlin venne da guardarsi intorno per accertarsi che non l'avesse avvistato.

O che lui non fosse sul serio impazzito.

“Ho l'impressione che tendi a dimenticarti troppo spesso della posizione che ricopro. Sono un principe, sai.”

“Non lo farei, se voi...”

Il suono della porta di servizio del Rising Sun che si apriva fece sobbalzare Merlin come un gatto. Il telefono gli scivolò dalle dita, solo per puro caso riuscì ad afferrarlo prima che toccasse terra.

Qualcuno stava tenendo aperta la porta con la schiena: una ragazza con una maglietta bianca a maniche corte e i capelli biondi raccolti malamente in una crocchia spettinata.

Merlin la riconobbe al volo come la barista che aveva intravisto dietro al bancone quando Arthur era andato a prendere da bere.

Lo stregone, teso come una corda, premette a casaccio senza guardare sullo schermo del cellulare, sperando di essere riuscito a spegnerlo in un paio di colpi al massimo.

I suoi occhi erano puntati sulla barista, attento a ogni movimento che quella faceva mentre abbandonava a terra due sacchi e si infilava il giacchino che aveva legato in vita.

Il problema non era farsi scoprire da qualcuno che al massimo avrebbe potuto scambiarlo per un ubriaco o un senzatetto e gettargli una moneta per pietà. Il problema era farsi scoprire da qualcuno che avrebbe potuto chiamare aiuto o dire una parola ad alta voce o fare qualunque altra cosa che avesse potuto catturare l'attenzione di Arthur.

Merlin, il cuore che batteva più veloce del solito, buttò un occhio al Diamante che teneva nell'altra mano sudata (sentendosi anche abbastanza ridicolo. Perché diamine si era messo in quell'assurda situazione?).

Almeno ebbe la conferma di essere riuscito a riattaccare il telefono in faccia ad Arthur, che stava guardando il suo con aria vagamente seccata.

La barista richiamò ancora la sua attenzione quando tirò su i due sacchi che aveva lasciato prima, e Merlin, con orrore, realizzò che erano carichi di spazzatura quando ormai era troppo tardi, e lei si stava dirigendo proprio verso di lui.

Allora si schiacciò alla parete più che poté, sentendo le proteste della sua spina dorsale, fino a quando non gli sembrò di essere diventato un tutt'uno col muro.

Ma poi successe una cosa.

“Ehi, signorinaaaaa... dove te ne vai? Ti avevo detto di aspettarmi e invece sei scappata” sentì dire Merlin.

Era la voce strascicata e pesante di un uomo che non sembrava essere tanto lucido. Nel suo tono c'era qualcosa che infastidì immediatamente lo stregone: un'inflessione di provocazione, un sentore di possessione che non lasciava scampo. Ancora prima di vederlo, Merlin seppe che si trattava di una persona spiacevole.

La ragazza intanto stava sbuffando pesantemente. “Se ne vada a casa, su. É ubriaco” disse. “Ho lasciato correre per tutta la serata, ma ora le sto chiedendo di smetterla. Per favore.”

Merlin alzò con cautela la testa oltre il bidone.

L'uomo era un più che quarantenne calvo con la stazza e la raffinatezza di un orso bruno delle montagne. Aveva chiuso la porta dietro di sé e stava guardando la ragazza in un modo molto poco rassicurante.

Aveva degli occhietti piccoli e lucidi, per l'alcool o per il desiderio lo stregone non lo sapeva, ma di certo nessuna delle due opzioni in quel momento era buona. “Avanti, non fare tanto la difficile” disse. “Ti ho assicurato che, se farai la brava, ci guadagnerai più di quanto riesci a mettere insieme con le mance di un mese.”

Alla chiara implicazione, la ragazza girò semplicemente i tacchi e se ne andò verso la strada, decisa.

Però, dopo il terzo passo, l'uomo scattò, le afferrò il polso e lei gridò per la sorpresa.

Nell'esatta frazione di secondo in cui l'energumeno si tirò addosso la barista e Merlin fece per alzarsi e intervenire, sentì la mano bruciargli come se invece del Diamante del Giorno avesse tenuto stretto un carbone ardente.

Il tempo di guardarsi il palmo per riflesso condizionato e scoprire che non c'era segno di scottatura, e qualcun altro fece il suo ingresso in scena.

“Lasciala subito!” ordinò Arthur.

Merlin tornò a schiacciarsi contro il muro ritirando anche le gambe. Gli sembrava che i suoi polmoni stessero lavorando a velocità quadruplicata, ma allo stesso tempo un senso di indicibile sollievo gli sciolse in parte la tensione come un nodo.

La sola presenza di Arthur, solida e ferma, sembrava promettere che tutto si sarebbe risolto per il meglio.

L'ubriaco però la pensava diversamente, e protestò come un lattante. “Adesso chi cazzo sei, tu?”

Arthur lo accostò a grandi passi in due secondi. “Sono uno che ti sta chiedendo di piantarla. Dovresti fare come ti dico, prima di costringermi a passare ai fatti” disse autoritario, togliendo a forza la sua mano dal polso della ragazza. “Tutto bene?” disse poi a lei.

“Sì – attento!”

L'uomo scagliò un colpo maldestro verso il principe, che, grazie ai suoi riflessi pronti, lo schivò piegandosi di lato.

Merlin trattenne il fiato, ma Arthur sembrava sapere bene cosa stava facendo. Allontanò la ragazza con un braccio dicendole di andarsene subito, mentre si metteva in posizione, mezzo accucciato, le mani strette a pungo davanti al viso. “Non ti devo picchiare per forza” disse all'altro. “Fai ancora in tempo ad andartene.”

“Ma senti, questa pulce pensa pure di potermi stendere...” Con un urlo cavernoso, l'uomo tornò alla carica in un battito di ciglia e stavolta riuscì a prendere di sorpresa il principe.

Il suono di quelle nocche enormi che si schiantavano sul suo naso arrivò fino a Merlin – oh, merda!

Arthur barcollò un po' all'indietro, il sangue che iniziava a colare giù dalle narici, e se non era quello il momento giusto per usare un incantesimo, non ce ne sarebbero stati altri.

Il resto Merlin lo vide scorrere molto lentamente davanti ai suoi occhi dorati; la barista, che era rimasta al fianco del principe, scagliò con furia i sacchi d'immondizia contro l'ubriaco. Uno di quelli si ruppe e torsoli di mela, bicchieri di plastica, cartocci, limoni, rifiuti vari galleggiarono nell'aria.

Merlin ne approfittò allungando la mano, gli occhi più dorati che mai.

Sentì uno strappo seguito da uno sballottamento e lo capì: gli era riuscito di agganciare alla sua magia il corpo della ragazza, ed ora era in suo controllo.

Tirando il braccio verso l'alto, in un colpo secco, fece sì che lei si abbattesse con tutta la sua forza in una ginocchiata contro le parti basse dell'assaltatore. Questo, stupefatto e dolorante, si piegò in due, senza respiro.

Merlin sciolse immediatamente l'incantesimo ancora prima che il piede della ragazza toccasse il pavimento.

Fu un bene che fosse rimasto nascosto tra i suoi bidoni, perché, in quella, arrivò finalmente Leon. “Che accidenti sta succedendo?” chiese confuso, approcciando Arthur.

Il principe ammirò la scena, mormorando un “bel colpo” scioccato ma sincero; l'uomo si stava contorcendo a terra tra la spazzatura come un verme, mentre la ragazza si soffiava via dalla faccia arrossata i capelli biondi sfuggiti all'elastico.

Fatta eccezione per un po' di sangue che era colato fino al labbro, Arthur sembrava stare benone, e Merlin registrò la cosa sentendosi più leggero.

Più divertito dalla pazzia della situazione che altro, il principe spinse via in fretta la barista e Leon. “Non ti preoccupare, non è successo niente” disse a quest'ultimo. “Andiamocene prima che quello lì riprenda a fare danni... Sta bene pure lui, un calcio nelle palle non ha mai ucciso nessuno. E, Leon, chiama uno degli altri della sicurezza per riaccompagnarla a casa.”

“No, no, non c'è bisogno... Grazie per essere intervenuto, comunque...”

Mentre lei agitava buffamente le mani per aria, lo stregone sospirò via la stanchezza pressante che, solo ora se ne rendeva conto, gli aveva fatto tremare le ginocchia.

Davvero, perché si era cacciato in una situazione del...

Un flash improvviso illuminò tutto il vicolo.

Il collo di Merlin, insieme alle teste degli altri, scattò all'imbocco della strada, dove un tizio aveva appena immortalato la scena con la sua fotocamera.

“Arthur” boccheggiò Leon, gli occhi fissi all'orizzonte. “Quello è Valiant, il paparazzo!”

L'ultima parola la disse quando già Valiant aveva intrapreso la sua fuga sconclusionata ed era sparito oltre un angolo buio. Leon lo seguì all'istante, correndogli dietro.

“Sul serio?” pensò lo stregone, avvilito.

Poteva sentire la mascella di Arthur che cadeva fino a toccare il cemento.

“Oh... suppongo non sia una buona cosa, vero?” disse la ragazza ad Arthur.

Lui scoppiò in una serie di respiri profondi, portandosi le dita alla fronte.

“Questa storia non finirà qui” disse, stanchissimo.

Merda. Merda, merda, merda.

Oh, Arthur poteva anche scommetterci. Almeno per Merlin, la serata era tutt'altro che finita.

 

 

ʘ

 

 

Kilgharrah aveva detto che i Diamanti del Giorno avevano il potere di crescere e cambiare a seconda della magia della persona che li usava.

Ripensando a questo, Merlin aveva dedotto che prima, nel vicolo, l'oggetto magico avesse iniziato a scaldarsi sulla sua pelle per un motivo ben preciso: annunciargli che Arthur era lì, proprio vicino a lui.

Fino a quel momento Merlin aveva usato il Diamante non come un semplice strumento per trovare la strada, ma come una vera e propria bussola per trovare la strada per Arthur.

Una specie di navigatore satellitare del Regno della Magia, quindi, sempre settato sul principe Pendragon come destinazione fissa.

E adesso, a quanto pareva, era in grado pure di avvertire Merlin quando il suo “bersaglio” era nelle vicinanze. Cosa che prima non sembrava assolutamente rientrare nelle sue caratteristiche magiche.

Allora Merlin aveva pensato di testarlo di nuovo, provando a vedere se gli riusciva di modificare ulteriormente le impostazioni del suo diamante-navigatore. Se era in grado di indicargli la strada per raggiungere Arthur, perché non vedere se sapeva trovare pure la strada per quelli che avevano a che fare con Arthur?

Adesso Merlin aveva bisogno di rintracciare immediatamente due persone: uno era quel Valiant, che sembrava essere una vecchia conoscenza parecchio fastidiosa. Almeno così gli aveva suggerito la vena che aveva preso a pulsare sul collo del principe quando Leon era tornato dicendo di aver perso le tracce del paparazzo.

Lo stregone capiva la causa della sua preoccupazione: con una foto del genere (Arthur col naso sanguinante, un vicolo buio, un uomo a terra, una ragazza sconosciuta) le possibilità per una serie di articoli scandalistici erano infinite.

Ci avrebbero potuto scrivere romanzi interi, con quel materiale, e poco importava che non fosse successo nulla di davvero scandaloso.

In fin dei conti, la barista era stata quella che aveva picchiato un assaltatore. Arthur le aveva praticamente solo prese... ma Merlin ricordò con un pizzico di amarezza che aveva imparato che la verità era sempre la versione più noiosa dei fatti, e quella che interessava meno alla gente.

Non poteva lasciare che il principe corresse il rischio di venire coinvolto in una campagna diffamatoria del genere, non un'altra volta.

Non se lo meritava proprio.

Per agire aspettò che Arthur fosse tornato a casa sua e, ovviamente, che Morgana fosse rientrata nelle sue stanze. L'idea che il suo Diamante fosse in fase evolutiva gli dava una certa soglia di tranquillità contro i possibili ulteriori interventi della strega. L'oggetto rimaneva sempre fisso su Arthur, e se fosse successo qualche imprevisto, Merlin se ne sarebbe reso conto...

Se non altro perché aveva avuto l'accortezza di mettere su delle barriere magiche tutto intorno alle stanze del principe.

L'altra persona da trovare, la prima della lista, in effetti, era la barista.

Elena, aveva detto ad Arthur di chiamarsi.

Il principe l'aveva rimandata a casa molto galantemente, dicendole che non c'era bisogno che si attardasse a restare di più. Meglio evitare di farsi vedere ancora insieme, in caso fosse saltato fuori qualche altro giornalista nascosto, pronto a fotografarli.

Lei gli aveva ubbidito di buon grado, ma era stata categorica sul rifiutare che la riaccompagnassero a casa. Quindi aveva imboccato il marciapiede che costeggiava il ristorante di serie B, ed era sparita nel buio.

A Merlin dispiaceva un po' coinvolgere di nuovo, a quell'ora tarda, quella che doveva essere la più spaventata e provata dall'intera faccenda. Ma gli serviva la testimonianza di Elena.

Chissà, magari Valiant era un tipo ragionevole, e se fossero riusciti a convincerlo che Arthur non aveva fatto nulla di male...

O, più realisticamente, se Elena avesse insistito per farsi dare il file della foto per evitare che la sua privacy venisse violata...

O, ancora più realisticamente, Elena poteva pure distrarlo mentre Merlin faceva una piccola magia sulla fotocamera e friggeva tutte le prove.

In ogni caso, l'appoggio della barista gli serviva.

Fu con questo spirito di determinazione, le orecchie arrossate dall'aria e il sedere congelato, che Merlin mormorò al Diamante: “Allora... uhm... mostrami la strada per arrivare da Elena. Aehm, puoi farlo?”

I contorni di un quartiere carino e ben illuminato iniziarono a prendere forma sulla superficie della pietra. Un condominio di mattoncini arancioni in primo piano, zoom su un terrazzo con le fiorire piene di piantine rinsecchite e trascurate.

Sì, il Diamante del Giorno poteva farlo.

 

 

ʘ

 

 

“Chi è?” disse una voce guardinga dall'altra parte del citofono.

Merlin si schiarì la gola, avvicinandosi per parlare. “Ehm, Elena? Ecco, mi dispiace tanto disturbarti a quest'ora, io – mi chiamo Merlin, innanzitutto. E, ehm, noi non ci conosciamo, ma vengo da parte del ragazzo che è rimasto coinvolto con te prima in quella piccola baruffa... hai presente...?”

Pausa. Merlin alzò le sopracciglia, in attesa.

“Sangue dal Naso o Armadio a Quattro Ante Ubriaco?” disse Elena, sospettosa.

Lo stregone sorrise. “Sangue dal Naso, puoi stare tranquilla. So che ti sembrerà stranissimo, ma ho bisogno del tuo aiuto, e ti chiedo per favore di... eh... c'è nessuno?”

Non si sentiva più alcun suono. Merlin imprecò mentalmente, sicuro che la ragazza avesse riattaccato il citofono e fosse andata a dormire – come ogni persona dotata di senno avrebbe, probabilmente, fatto.

Invece dopo pochi secondi sentì di nuovo la sua voce, ma stavolta senza le alterazioni del filtro metallico. “Ehi, Merlin, o come ti chiami! Quassù!”

Lui fece qualche passo all'indietro e alzò la testa. Affacciata sulla terrazza con la fioriera in pessime condizioni, Elena lo stava fissando, la bocca carnosa piegata in una linea scettica. “Chi me lo dice che non ti manda quell'altro, per vendicarsi?” disse a voce troppo alta, spenzolandosi un po' verso di lui.

Merlin allargò le braccia, sospirando. “Posso solo dirti di credermi e chiederti, per favore, di concedermi un po' del tuo tempo. È importante, davvero.”

“Cosa vuoi di preciso?” urlò lei.

Un enorme sorriso illuminò la faccia di Merlin. “L'uomo che dopo vi ha fatto la foto, dovresti venire insieme a me per parlarci un attimo... Convincerlo a non pubblicarla, o qualcosa del genere, non so” disse, grattandosi la testa. “Se quella foto diventasse di dominio pubblico, potrebbe danneggiare seriamente la reputazione di, ehm, Sangue dal Naso.”

“Perchè, è uno famoso?” si interessò Elena. “Non sarà mica il principe Arthur?” e scoppiò in una risata acuta e sonora.

Merlin ghignò, un po' anche perché l'attacco di riso di Elena terminò in un piccolo grugnito quando l'ilarità scivolò via tutta d'un botto dal suo viso rotondo. Una mano andò a tapparle le labbra, gli occhi si fecero quasi sporgenti per lo stupore. “Oh mio dio, è davvero il principe” realizzò, il fiato mozzo. “ODDIO, È DAVVERO IL PRINCIPE!”

“Volete starvene zitti?” tuonò la voce di un uomo proveniente da una finestra non ben definita del condominio.

Elena mise le mani intorno alla bocca e guardò in alto. “Scusi tanto, signor Milligan! Torni a dormire!” vociò. “Aspettami lì, tu. Scendo subito!”

Merlin annuì, una parte della tensione che gli aveva attanagliato la gola che veniva trascinata via dall'entusiasmo di Elena.

Non passarono neanche dieci secondi e la vide aprire il portone con furia, le ciocche ribelli che ondeggiavano nel vento.

“Allora verrai?” le disse lo stregone, su di giri.

“Non hai proprio la faccia del malvivente. Penso di potermi fidare, dopotutto. Hai la macchina?” disse, guardandosi intorno.

“Mi hanno... accompagnato fin qui in auto mai poi sono... andati via” mentì Merlin, stringendosi nelle spalle – in realtà si era fatto una scarpinata, ed era sicuro che la mattina dopo i suoi piedi non gliel'avrebbero fatto dimenticare tanto facilmente.

Elena annuì, sporgendo il labbro. Poi però, come colta da un'illuminazione, tornò a fissare lo stregone con le pupille dilatate. “Mi avete seguita fino a casa” disse. Non era una domanda.

“La... famiglia reale ha i suoi mezzi?” tentò Merlin, un sorriso incerto.

Elena lo squadrò, scura in volto. Per un attimo lui temette di vederla fare marcia indietro e tornatesene su per le scale, ma subito dopo lei si aprì come un fiore nella notte. “Mi sembra di vivere in un film di James Bond!” esclamò contenta. “Però non ho intenzione di andare a piedi, ci metteremo una vita. Vieni, andiamo a prenderla.”

“Chi?” disse lo stregone, trotterellandole intorno mentre lei imboccava la discesa delle cantine del condominio.

“Vega.”

“Una tua amica?”

“Non nel senso che pensi tu. È la mia moto!”

 

 

ʘ

 

 

“Puoi togliere le mani dai miei fianchi, adesso” disse Elena, scherzosa.

Merlin riemerse dallo stato di apnea che gli aveva chiuso la bocca dello stomaco. Erano arrivati? Soprattutto, ce l'avevano fatta ad arrivare sani e salvi?

Non sapeva cosa si provasse a volare in groppa a Kilgharrah, ma qualcosa gli diceva che andare in moto con Elena non era poi tanto diverso.

Era assolutamente spericolata. Amava il senso di libertà dato dalla velocità, e guidava la sua Vega con la destrezza di un fantino – non a caso, aveva detto a Merlin, aveva ribattezzato così la moto in onore del suo cavallo.

Eppure era stato anche, in qualche modo, divertente, e Merlin, carico d'adrenalina, a un certo punto era scoppiato a ridere insieme a Elena... fino che lei non aveva aspettato l'ultimo secondo per evitare una macchina che veniva loro incontro dal senso opposto.

Ecco, da allora Merlin era rimasto con gli occhi sbarrati e il sorriso dolorosamente tirato fin quando la ragazza non si era fermata davanti a un pub dall'aria piuttosto anonima.

“Sicuro che sia questo, il posto?” disse allora, mentre Merlin si scusava goffamente per non aver ancora rilasciato la presa, riacquistando la sensibilità delle dita.

“Sì... sì, siamo arrivati.”

Poco prima, mentre Elena era impegnata a tirare fuori la moto dalla cantina, Merlin aveva controllato velocemente la posizione di Valiant sul Diamante del Giorno. Le indicazioni li avevano portati al locale dall'aspetto oscuro e un po' avvilente che avevano di fronte.

Sebbene lo spoglio ingresso non li incoraggiasse a farsi avanti (e non avrebbe incoraggiato di certo molti altri), Merlin sapeva che entrando avrebbero trovato il paparazzo intento a scolarsi l'ennesimo bicchiere della serata e farsi dare un due di picche dopo l'altro.

Infatti fu proprio così che successe.

Si avvicinarono a Valiant, piegato in due sul bancone del bar, l'aria leggermente assente di chi è appena un po' brillo.

Merlin si schiarì la voce per richiamare la sua attenzione, iniziando a sentirsi le mani di nuovo sudate – se avessero sbagliato qualcosa, tutti i sacrifici di quell'intera serata per aiutare Arthur sarebbero andati in fumo. Lo stregone non aveva proprio voglia che succedesse.

Valiant si voltò verso di loro, lento, scocciato, alzando il labbro superiore in una smorfia schifata. “Ce l'avete con me?” disse.

Merlin aprì la bocca, ma Elena lo precedette. “Lei ha scattato una foto davanti al Rising Sun circa un'ora fa. Vorrei che me la mostrasse, se non le dispiace” disse, arrivando al punto.

L'uomo alzò un sopracciglio.

Lo stregone non poté fare a meno di guardarla, stupito. Non era certo che fosse l'approccio giusto da usare, ma del resto sembrava che, una volta tanto, fossero loro quelli fortunati e che Valiant fosse già troppo poco lucido per contestare in modo concreto.

“Perché mai dovrei darti retta, ragazzina?” berciò il paparazzo, suonando più incuriosito che altro.

“Perché nella foto ci sono anche io. Sono coinvolta direttamente e non mi va di venire fotografata da sconosciuti senza il mio consenso.”

Bella mossa, quella.

“Mi dispiace, ma sfortunatamente non ho la fotocamera con me, ora” rispose alla stoccata Valiant, il senso di una vittoria facile già in bocca.

Merlin allora chiuse gli occhi per una frazione di secondo, portò le mani dietro la schiena e mosse le dita verso l'alto, lanciando un incantesimo per rintracciare l'oggetto. Dalla tasca della giacca di Valiant spuntò il bordo della fotocamera. Bastò una leggerissima spinta in più per farla rotolare fuori.

“Eccola lì, invece” disse lo stregone ad alta voce, indicando il punto in cui era caduta.

Valiant lo guardò digrignando i denti, Merlin gli sorrise, innocente, ed Elena fu svelta a raccogliere la fotocamera prima degli altri. “Voglio vedere come sono venuta” disse, rigirandosela in mano. “Ah, non ci capisco niente con questa roba tecnologica, guardaci tu per me” aggiunse, lanciando la fotocamera a Merlin quando Valiant fece per alzarsi dallo sgabello e allungare la mano.

Merlin afferrò al volo la fonte dei suoi guai, ma proprio in quel momento il paparazzo gli piantò solidamente la mano sulla spalla.

“Aspetta un attimo... io ti ho già visto” gli disse, scandendo le parole a una a una in tono antipatico e penetrante.

Sembrava che volesse bruciarlo con gli occhi. Il pensiero che i suoi lineamenti gli risultassero spaventosamente familiari solleticò per un attimo la mente dello stregone; tuttavia venne subito scansato, poiché non era quella la priorità.

In un batter d'occhio, o più esattamente in un battito di ciglia, Merlin concentrò la magia nelle dita e la foto incriminata fu completamente cancellata dalla memoria digitale.

Merlin esultò interiormente, soddisfatto – finalmente gliene andava bene una.

“Ehi, apri gli occhi, fatti vedere” iniziò a scaldarsi Valiant, scrollandolo per la spalla. “Sono sicuro di averti già... Ah.” Un sorriso compiaciuto e strafottente gli tagliò in due il viso. Non c'era alcun segno di allegria negli occhi duri, illuminati dalle luci stroboscopiche del locale. “Il mondo è piccolo” disse a Merlin, affondandogli le unghie nella giacca di pelle. “Ci incontriamo da Hatchards e ora anche qua... Sembri avere una qualche connessione con il principe Arthur, ragazzo.”

Un lampo di comprensione passò per il viso dello stregone. Possibile che il paparazzo che li aveva seguiti fuori dalla libreria... ? “Si sta sbagliando. Mi dicono spesso di avermi già incontrato, però. Ho una faccia molto comune” fece, serio.

“Io non direi proprio...”

“Non voleva riprendersi questa?” intervenne Elena, prendendo la fotocamera dalle mani di Merlin e offrendola a Valiant.

Lui si allungò verso di lei in una mossa automatica, ma prima che potesse agguantare lo strumento della discordia, Elena lo lasciò cadere sul pavimento. “Ops, mi scusi!”

Valiant si accucciò imprecando, ma gli occhi di Merlin brillarono sotto le palpebre e la fotocamera sgusciò via dalla sua presa come una saponetta, venendo scagliata dalla parte opposta della sala.

“Che diamine?!” si lamentò Valiant.

“Andiamo via” mormorò in fretta lo stregone a Elena, trascinandola per il gomito.

Lei non se lo fece ripetere e, andandogli a sbattere contro il fianco, lo seguì fuori dal locale, Valiant che ancora imprecava tentando di recuperare l'inafferrabile fotocamera.

 

 

ʘ

 

 

“E così, alla fine sei proprio il valletto del principe di Galles... visto che ti sei fatto riaccompagnare al palazzo.”

Merlin smontò dalla moto, sorridendo a trentadue denti, perché ce l'avevano fatta. Ce l'avevano fatta! “Ancora dubitavi della mia identità?” stuzzicò Elena, ma si sentiva troppo contento per sembrare seccato anche solo per finta.

Lei arricciò il naso. “Mi dispiace, però. Nella fretta non siamo riusciti a cancellare la foto... È stato tutto... inutile?” disse, guardando confusamente il sorrisetto trionfale dello stregone.

Lui tirò su due dita in segno di vittoria. “Missione compiuta, invece” ridacchiò.

La ragazza lo fissò, seria e stranita. “Ah!” esplose poi, dandogli una sonora pacca sulla spalla, ed entrambi risero di gusto ad alta voce, Merlin tenendosi la pancia.

“Ma come accidenti hai fattooo? Hai tenuto la fotocamera per pochi secondi, io non mi sono accorta di niente e nemmeno Valiant. Hai le mani magiche?”

Lo stregone mise su un'espressione nobile e altezzosa, il naso per aria. “Un mago non svela mai i suoi trucchi.”

Elena neanche si immaginava quanto fosse vero.

“Nah, non vantarti tanto, sono io che sono un disastro con le cose tecnologiche” rimbeccò lei. “Mio padre me lo dice sempre, che è impossibile che una della mia età non abbia dimestichezza con certi aggeggi.”

“Oh, ti capisco. Io ho imparato da poco” rise lo stregone. Ancora una volta, quant'era vero...

Elena inspirò compiaciuta, stiracchiandosi le mani dietro la schiena. “Ah, che serata... Prima tutta quella baraonda al Rising Sun, poi quel Valiant... Altro che James Bond! Potremo essere delle spie provette. Certo che il tuo principe poteva pure restarsene buono al suo posto e non intervenire. Ho apprezzato il gesto, ma me la sarei comunque cavata da sola. Quando facevo le superiori, sai, ho frequentato per un po' i corsi di karate... Sì, mi hanno cortesemente suggerito di abbandonare quando sono andata a sbattere contro gli attrezzi della palestra e uno specchio è andato in frantumi, ma ti assicuro che sono state tre settimane decisamente istruttive.”

Merlin ascoltò le sue chiacchiere a vanvera nascondendo il sorriso in una mano, e ne approfittò per soffermarsi bene sulla sua persona, per la prima volta dopo quella manciata di pazze ore.

C'era qualcosa di così bello, nel modo in cui le luci del palazzo bagnavano la pelle chiara di Elena.

C'era qualcosa di così speciale, una forza che lei irradiava dall'anima e che veniva fuori, per assurdo, timidamente nella sua vitalità. Solo per chi sapeva guardare.

Quante persone si sarebbero comportare come lei aveva fatto con Merlin? Nessuno, nel Regno della Magia, avrebbe dato spago a uno sconosciuto senza chiedere nulla in cambio. Questo sarebbe potuto succedere solo nel Mondo Riflesso. Creature come lei, era solo nel Mondo Riflesso che potevano stare.

“Elena, io ti devo ringraziare tantissimo” le disse, cercando di esprimere a parole ciò che pensava. “Nonostante tutto, mi hai dato fiducia, mi hai aiutato... Io non lo so nemmeno, se mi sarei aiutato.”

“No, no, l'ho fatto con piacere” minimizzò lei. “È stato folle e divertente e... romantico” disse, ammiccando poco elegantemente. “Anche James Bond era un tipo romantico, in fondo.”

Lo stregone inarcò le sopracciglia – non si era aspettato quella svolta nel discorso.

“Ma lui lo sa tutto quello che hai combinato stanotte?” gli disse Elena, pizzicandogli un fianco a tradimento.

“Ehi!” Merlin sobbalzò.

“Tutto quello che hai fatto soltanto per lui?” ripetè lei, sbattendo significativamente le ciglia. “Oh, vorrei tanto avere anch'io qualcuno che faccia cose pazze per me alle tre di notte” aggiunse, sognante.

Un momento.

Un momento, un momento, un momento.

“Non farti strane idee. Io per il principe ci lavoro” specificò in fretta Merlin. Ma si tirò furtivo la sciarpa fin sopra alle orecchie – le sentiva pizzicare in un modo che non gli piaceva tanto e non gli suggeriva nulla di buono. Meglio nasconderle prima che Elena travisasse ulteriormente.

“Oh, sì, ci lavori. E vai pure in giro per i locali di Londra oltre l'orario di lavoro, in una fredda, fredda notte, come se ne dipendesse della tua vita, soltanto per salvargli il culo... ehm, la faccia. Salvargli la faccia.” Elena si colpì la tempia. “Perdona il linguaggio. Ormai l'avrai notato, non mi comporto proprio come una signorina di classe, vero?”

“Non proprio” convenne Merlin, le braccia incrociate al petto. “Sei forte, però” le disse con ammirazione. “Sei davvero, davvero, davvero forte.”

“Devi esserlo, se sei una ragazza che fa i turni di notte al bar di un disco-pub” rispose con noncuranza lei.

Lo stregone però notò che il viso rotondo le si era ammorbidito in un rossore dolce.

“Che cosa avresti detto se mi avessi vista nel vicolo del Rising, allora? Ho steso quel tizio con una sola ginocchiata. Ed è avvenuto così, automaticamente. Quasi non me ne sono accorta! Saranno i riflessi naturali sviluppati col karate...”

“Sì, ehm, a proposito di quello” disse in fretta Merlin. “Stai attenta, con certe reazioni. Potrebbe essere pericoloso; se colpisci qualcuno nel modo sbagliato potresti farti male.”

“Sì signore!” disse lei, facendo il saluto militare. “E se non hai altre pazzie in cui trascinarmi, ora io me ne andrei...”

Merlin stava per dire che no, per fortuna non c'era altro, che la ringraziava ancora tanto e che non avrebbe saputo come fare senza di lei. Ma Elena scombussolò tutti i suoi piani, trasformando il vago tentennamento verso di lui in un abbraccio imbarazzante – praticamente si abbassò fino a spiaccicargli la guancia contro il petto. “Voglio che diventiamo amici. Voglio un amico leale, coraggioso e un po' matto come te” disse, a occhi stretti.

La sua sincerità fece provare a Merlin una sensazione di solletico sulla punta del naso.

Leale, coraggioso e un po' matto, eh?

“No” disse allora lo stregone, guardando in cielo.

La luna era enorme e bianca, era una notte fosca, fredda e senza stelle e qualcuno gli aveva effettivamente chiesto il permesso per diventare amico suo.

Elena staccò il viso dalla sua giacca a scatti, comicamente.

“Troppo diretta, vero?” disse, le pupille enormi e la bocca piena dischiusa nella sua miglior espressione da “ho fatto una cavolata”.

“Non c'è nemmeno bisogno che me lo chiedi, Elena” ghignò Merlin. “Siamo già amici.”

E si guadagnò in questo modo un altro pizzico improvviso sui fianchi da parte della ragazza.

 

 

ʘ

 

 

“Sveglia, fiorellino, è già mattino!” Merlin sbatacchiò via le tende che coprivano il finestrone della stanza di Arthur, facendo picchiare i raggi del sole, di proposito, un secondo sì e uno no sugli occhi del principe.

La luce tenue di una bella giornata di Settembre, però, si appoggiò comunque con delicatezza sulla sua zazzera bionda.

Lo stregone, sorridendo tutto contento, guardò Arthur nascondere la testa nelle coperte.

Iniziava a prenderci un certo gusto, ad andarlo a buttare giù dal letto. Era molto divertente assistere in prima fila alle sue reazioni degne di un morto appena risollevatosi dalla tomba.

“Mi hai chiamato fiorellino o sbaglio?” disse la voce sepolcrale di Arthur da sotto il lenzuolo.

Merlin aprì le ante per arieggiare la camera. “Be', faceva rima con mattino... non vi piace?” disse.

“Non è propriamente adatto a un principe ereditario, ti pare?”

“Allora che ne pensate di, vediamo... Alzati e sorgi! Questo suona molto regale.”

Arthur riemerse dall'involucro delle coperte con la faccia meno espressiva dell'universo. “Ti vedo particolarmente allegro stamattina, Merlin. E non è che la cosa mi faciliti il processo del risveglio.”

“Voi e il vostro processo del risveglio siete ridicoli” puntualizzò lo stregone, andando a recuperare il vassoio con la colazione. “Inoltre, io non ho motivi per non essere allegro di primo mattino. Non capisco perché debba essere diverso per un principe che riapre gli occhi tra lenzuola che saranno... probabilmente... di cachemire.”

Merlin...”

Ahi. Voce tremolante, tendente allo stridulo... ecco il segnale. Lo stregone fu svelto a bloccare Arthur prima che esplodesse per il fastidio, ficcandogli un biscotto in bocca. “Questi sono buonissimi, li ho assaggiati venendo su per le scale. Cioè, non è che vi rubo il cibo dal vassoio, ehm... Comunque, innanzitutto mangiate qualcosa. Poi, se vorrete, potrete arrabbiarvi, ma a pancia piena.”

Arthur lo guardò truce mandando giù il boccone. Il biscotto, però, doveva effettivamente essergli piaciuto, perché ne prese un altro senza aggiungere nulla. E non si esibì in una delle sue solite sfuriate, né si vendicò tirando un cuscino sul naso di Merlin. Il che era molto strano, un comportamento fin troppo inusuale da parte del principe.

Merlin si mise a rimirarlo, piegando la testa di lato, come si guarda un esemplare di una specie rara al di là del vetro allo zoo. Arthur intanto trangugiava il suo latte, mogio mogio, con ben visibile quella particolare vena tra le sopracciglia – la vena delle gradi occasioni. Merlin gliela vedeva spuntare sempre prima/dopo/durante i colloqui con re Uther.

“Che vi prende, siete di cattivo umore sul serio?” si interessò quindi.

“È successo l'ennesimo disastro” iniziò il principe, fissato su un punto non ben definito davanti a lui. “Ieri sera, al Rising Sun, dopo che ci siamo sentiti al telefono...”

Ah, vero. Vero, accidenti, vero.

Arthur non poteva sapere che Merlin aveva risolto tutti i suoi possibili guai cancellando la foto dall'apparecchio di Valiant.

Il sorriso che si era sentito praticamente tatuato addosso dal momento in cui si era svegliato (sì, nonostante i calli ai piedi) franò quando realizzò che non aveva nemmeno il modo per dire ad Arthur che ora poteva stare tranquillo.

“Ma a che serve parlartene?” continuò il principe, grattandosi la testa ferocemente. “Tanto tra un po' vedrai da te la notizia su internet o in televisione. A meno che tu non l'abbia già fatto e non sia questo il motivo della tua allegria.”

Merlin ricambiò la sguardo diffidente con uno gemello, sentendosi, in realtà, piuttosto piccato. Qualcosa gli si gli bloccò in gola in un graffio bruciante.

Offeso. Arthur l'aveva offeso.

Dopo tutto quello che aveva fatto – ritrovarsi con gli arti congelati, sorbire la puzza dei bidoni, restare nascosto e agire senza che nessuno se ne accorgesse, andare all'inseguimento di un giornalista, rischiare l'osso del collo in moto... dopo tutto questo, doveva pure sentirsi parlare così da quell'asino. “Vi aspettate sul serio che creda a quello che dicono i media?” disse allora, sbattendo il vassoio sul comodino con troppa forza.

Fu lì lì per sputargli addosso anche un “siete un maledetto ingrato”, ma poi si riprese e invece disse, guardando per terra: “La fonte originale della notizia ce l'ho qui. Già che ci sono, voglio sentire i fatti raccontati da voi.”

Arthur sospirò, premendosi le tempie con stanchezza. “C'era la barista del locale, fuori, sul retro, che stava avendo dei problemi con un tizio” spiegò. “Ho cercato di risolvere le cose con le buone, ma poi...”

A quel punto rise un po' istericamente, scuotendo la testa. “Questo è assurdo, ma l'uomo mi ha dato un pugno sul naso, subito dopo la ragazza gli ha scagliato addosso delle buste piene di immondizia e alla fine l'ha steso con una ginocchiata.”

Merlin si morse forte il labbro, ricordando la scena. Ok, era una cosa piuttosto comica, da un certo punto di vista.

“La ragazza, capisci?!” disse il principe, stralunato. “E indovina? Non è mica finita qua. Oh no, perché guarda caso lì intorno c'era un paparazzo, che ovviamente ha fotografato tutto. Ed io passerò per quello che ha picchiato un innocente, o, sai? Nemmeno mi stupirebbe leggere che sono stato io a tentare di infastidire la barista.”

Povero Arthur... Sembrava così afflitto, le guance un po' rosse nella furia della spiegazione e del senso di ingiustizia.

Merlin dovette dargli le spalle e fingersi indaffarato ad annodare le tende per non tradire l'espressione serena e decisamente inappropriata del suo viso. “Potreste rilasciare ufficialmente la vostra versione dei fatti, in caso scrivessero l'articolo.” Lo disse solo per tirarlo su, dato che nessun articolo, lo sapeva, sarebbe comunque uscito.

O per lo meno, che non sarebbe stata pubblicata alcuna foto.

“In effetti, se uscisse solo qualche trafiletto senza immagini, non sarebbe una grande preoccupazione” disse più a sé che all'altro. “La vostra parola contro quella di un possibile diffamatore, no?”

La risata secca e dura di Arthur sorprese lo stregone, che si voltò di nuovo a guardarlo.

“Quanta gente pensi che si fiderebbe della mia parola, Merlin?” disse, portandosi i palmi aperti dietro la testa con strafottenza. “Al contrario, sembrerebbe che sia io ad avere la coda di paglia. Passerei nel torto, non ci pensi?”

“Non potete esserne sicuro” ribatté lo stregone, accigliato. “Mi rendo conto che non tutti la penserebbero allo stesso modo, ma sono certo che c'è chi vi crederebbe.”

Il principe chiuse gli occhi, alzando la testa per parlare al soffitto, con ovvietà. “La maggior parte della gente non prederebbe le mie parti, Merlin. È molto più facile e divertente fare il contrario... Pure io lo farei, se fossi solo uno che sente dire in televisione dell'ennesima cavolata del principe di Galles.”

Merlin abbandonò definitivamente il vassoio della colazione per dedicarsi tutto al dialogo con l'altro. “State esagerando” gli disse, pratico. “Ci sono molte persone che stimano la famiglia reale e che sono affezionate a voi a vostro padre.”

“È per il titolo, accidenti!” ruggì improvvisamente il principe, tirandosi su a sedere.

Lo stregone sobbalzò, gli occhi grandi in quelli di Arthur, resi più cupi dalla foga.

“Il t-i-t-o-o-o-o-l-o-o-o, capito? È quello che viene onorato, la figura che rappresentiamo” continuò Arthur, la voce di un tono più tesa sopra la consueta linea. Poi, così, all'improvviso, quasi si spense.

Come un fuoco d'artificio che un secondo è lì a scoppiettare e quello successivo muore tristemente nella notte. “Indipendentemente da chi siamo, a volte... la maggior parte delle volte, è il titolo che va salvaguardato e rispettato. Alla gente importa solo di quello e del mio nome, quindi non parlarmi come se sapessi cosa pensa il mondo di me, Merlin.”

Lui lo guardò duramente.

Questo non andava bene.

Dalla prima volta in cui Merlin aveva visto Arthur parlare con suo padre, l'impressione che si era radicata in lui era che il principe avesse una concezione sfocata di se stesso. Come se si guardasse dall'esterno, senza la minima percezione di tutto quello che c'era dentro – e quello splendore nascosto, il suo splendore, di quello era del tutto ignaro.

Testardamente convintosi che era così che stavano le cose, era andato avanti mantenendo il distacco col suo cuore, perché non si capiva. Non ce la faceva, proprio come era successo a Merlin, fino a poche settimane prima.

E forse, iniziava a insistere una vocina nella testa di Merlin, forse Arthur era davvero, davvero... forse era davvero il suo riflesso – però, però, però...

Non era quello, l'importante, adesso.

La cosa che veramente premeva allo stregone era che lui, ora, stava intraprendendo la via da imboccare per trovare la sua identità. Ciò che voleva sul serio fare, ciò era in grado di fare...

Ma Arthur? Chi avrebbe aiutato Arthur a capire?

Tra le molte cose ingiuste che il destino aveva riservato al principe, c'era anche quella di essere privato ingiustamente della coscienza del suo valore.

Fu per questo che Merlin gli disse, di slancio: “Il titolo conta, è vero. Voi però non siete mica solo un titolo. Se non mi sbaglio, avete anche una testa sulle spalle – di fagiolo, ma pur sempre una testa.”

Arthur lo guardò, un grigio di tempesta ancora sopra il mare dei suoi occhi.

“Statemi a sentire” disse allora Merlin, sistemandosi meglio sul letto accanto al principe. (Quando, precisamente, si era seduto... ?) “Voi siete un Pendragon, siete un reale. Ma siete anche Arthur. Le capacità per essere un grande sovrano, e prima ancora un grande uomo, ce le avete voi. E allo stesso tempo, il titolo vi appartiene, e fa parte di voi proprio come il vostro nome, Arthur...”

L'unica reazione apprezzabile da parte dell'altro fu il piegarsi delle labbra in una linea storta.

Stupido, stupido testa dura. Quanto gli ci voleva, per scolpirsi nel cervello le parole di Merlin.

Per assorbire e accettare e fare suo il modo, così lampante, così onesto, con cui la sua persona si presentava a Merlin...

“È l'uomo che fa il nome. Il titolo non è niente senza l'uomo che c'è dietro” disse ancora lo stregone, convinto. “Non posso sapere cosa penserà tutto il paese, ma sono sicuro che ci sarà sempre chi sarà

disposto a stare dalla vostra parte.”

A seguirti, a crederti in qualunque caso.

Solo perché... sei tu.

Arthur allora abbassò la testa e anche se rimase zitto, tutta la sua faccia disse a gran voce: “Chi mai lo farebbe?”

“Io!” disse allora lo stregone, trascinato dall'impazienza. “Io, per esempio, vi credo.”

“Anche adesso?” disse finalmente l'altro. “Anche quando quello che dico sembra una follia? Ma dai, Merlin, nemmeno io riesco a crederci, se a ieri sera ci ripenso!”

Lo stregone allora si strinse tutto nelle spalle. “Be', io lo so qual è la verità.”

“Sai che bella consolazione” disse Arthur, sbuffando una risata. Ma Merlin notò con soddisfazione che non era più così amaro come prima. “Senti, poi nemmeno eri presente, non hai visto cos'è successo...” tornò comunque a insistere.

Asino, asino, asino...

Merlin stavolta si assicurò di tagliare corto e arrivare dritto al punto. “Se me lo dite voi, allora ci credo. Non riesce a entrarvi in testa, Principe degli ottusi? Io mi fido della vostra parola. Io vi credo. E credo in voi.”

Poi successe una cosa.

Arthur appoggiò le mani sulle ginocchia, il mento su una di quelle. Guardò Merlin, e, come un girasole, si aprì con uno schiocco di labbra quasi impercettibile in un sorriso – uno che lui non gli aveva ancora mai visto.

Così segreto, di una brillantezza tenuta fino a quel momento sotto chiave chissà dove e che, sprigionata solo ora, rilasciava la sua potenza in maniera sconvolgente.

La bocca era un po' dischiusa, di lato, a scoprire un accenno di denti, e gli contagiò gli occhi, quel sorriso strano, fino a farli trasformare in un modo... in un modo, in un modo...

Oh... oh.

Trasformò la luce che li muoveva, così tanto che quasi parvero cambiare forma. E le sopracciglia, piegate in un morbido arco, leggere, mentre Arthur annuiva a sé stesso, una volta, ancora nel suo sorriso...

Merlin guardò per terra, si alzò, guardò il soffitto, poi la scrivania giù in fondo. Non si era mai sentito più instabile di così sulle proprie gambe.

I postumi di tutto quel trambusto, sì, erano i postumi di tutto il trambusto della sera precedente. “Dicevo, com'è per me, del resto, sarà per un sacco di altra gente” balbettò. “L'avete capito cosa volevo dire, no? Il punto del discorso, intendo. Che tanta gente, ehm, ha fiducia in voi, ecco. Insomma, volevo dire solo questo. E adesso bevete il vostro succo” terminò bruscamente, scaricandogli il vassoio sopra le ginocchia.

“Stai dicendo a me cosa fare, Merlin?” disse l'altro, la voce tutta una provocazione scherzosa.

“No. Bevete, su.”

Arthur ghignò nel bicchiere ma poi cambiò faccia, come se un solo sorso del succo avesse risucchiato via tutta la sua predisposizione al buon umore.

“Questa spremuta d'arancia sa misteriosamente di pompelmo” disse, piatto.

“Oh... ho preso quella sbagliata?”

Arthur si fece serissimo; l'aria da nobile viziato che tanto gli si confaceva era tornata al posto suo. Quando piegò il bicchiere davanti a sé come per tirarglielo in uno scatto di fastidio, Merlin chiuse gli occhi e girò il viso... ma niente gli arrivò addosso.

Alzò una palpebra, allora, trovando Arthur che se la rideva silenziosamente, prendendolo in giro, tutto luminoso e contento del proprio senso dell'umorismo. “Con te è sempre troppo facile, Merlin. Quasi non è più divertente.”

“Posso sperare, allora, che la piantiate di attentare alla mia vita?”

“Se ti fa piacere vederla così. Detesto il pompelmo, comunque, questo bevitelo tu. Che fai, non da lì in piedi, ti cade tutto sul pavimento! Vieni qua seduto, cerca di limitare i danni.”

“Non mi ci date niente da mangiare? Lo dico per la vostra linea, eh. Dividere il pasto vi farà bene.”

“Metà cornetto, ecco. Soddisfatto, adesso?”

“Non proprio. Mi piacerebbe anche che la piantaste di dormire a torso nudo.”

“Non dirmi che ti mette in imbarazzo.”

“Figuratevi. È che se vi ammalate, poi mi farete correre in giro il doppio per farmi fare delle commissioni ancora più ridicole di quelle di adesso, già lo so.”

 

Nonostante dalla finestra entrasse uno spiffero dopo l'altro, nessuno dei due ragazzi si lamentò del freddo. Oppure nessuno dei due trovò il tempo per farlo, tra il tira e molla delle stoccate e delle battute.

Merlin fece rovesciare metà del succo sulle coperte e un forte odore di frutta si sparse per tutta la stanza. Arthur si arrabbiò ma poi rise, e rise anche Merlin – dopo fu il suo turno di arrabbiarsi per qualcosa che il principe aveva detto, anche se non era proprio sicuro di sapere bene cosa.

Il sole che entrava con prepotenza dalla finestra aperta rimase per tutto il tempo come un riflettore puntato su Arthur.

Le lenzuola sapevano di pompelmo.

 

 

ʘ

 

 

Più tardi, nel primo pomeriggio, Merlin sentì bussare alla porta di casa.

Andò ad aprire spensieratamente, pensando che fosse Gaius, di ritorno da una commissione.

Invece, quando vide Morgana a braccia incrociate sorridergli da sotto un enorme cappello viola, le sbatté senza tanti complimenti la porta in faccia.

“Oh andiamo, non fare tanto il maleducato, adesso. Non ti si addice neanche” la sentì protestare battendo un tacco a terra.

Merlin appoggiò la schiena contro la superficie di legno, scaricandoci sopra il suo peso – Morgana non avrebbe corso il rischio di farla saltare in aria, ma non si poteva mai sapere. “Il maleducato sarei io?” disse a voce alta, per farsi sentire. “Ti ricordo che sei stata tu a mettermi fuori combattimento senza preavviso, nella serra.”

“Vero” convenne la strega, compiaciuta. “Ma stavolta sono venuta con intenzioni pacifiche. Voglio solo parlarti di una cosa. Non riguarda il duello o altro, è solo una curiosità.”

Merlin alzò lo spioncino e ci guardò attraverso, strizzando un occhio.

Morgana, dall'altra parte, si avvicinò piegando la testa. Le sue iridi non erano dorate ma dell'usuale verde acido, e le braccia erano ancora allacciate al petto. Non sembrava stesse praticando alcuna magia, ma lo stregone era già stato fregato, l'altra volta, quindi era meglio diffidare.

“Puoi innalzare una barriera contro-incantesimi, se ti fa stare più tranquillo” cantilenò Morgana, intuendo i suoi pensieri.

“Lo sto già facendo, infatti.”

“Ma davvero?”

Qualche secondo dopo, lo stregone, preso un respiro profondo per calmarsi i nervi, fece scattare la serratura con un gesto secco.

Morgana lo salutò modellando le labbra rosse nella sua miglior posa sfacciata. “Non mi fai entrare?” disse, retorica, guardando oltre il braccio che Merlin aveva testo contro lo stipite.

“No, in effetti. Scusami se non sono un bravo padrone di casa, ma resta fuori, grazie.”

Morgana sbatté con grazia ostentata le ciglia.

“È risentimento quello che percepisco nella tua voce, Merlin?” disse, una mamma orgogliosa che vede il suo piccolino fare i primi passi da solo.

“No, niente risentimento. Ho solo realizzato che siamo rivali in tutto e per tutto, adesso.”
“Meglio tardi che mai. E l'hai realizzato quando ieri sera hai combinato qualcosa mentre eri fuori dal Rising Sun, per caso?”

A Merlin scappò un'imprecazione mentale. Non le sfuggiva mai niente, davvero.

Aprì la bocca mentre le rotelle del cervello lavoravano furiose per inventare una storia abbastanza credibile in due secondi, ma non ce l'avrebbe mai fatta a ingannare così la sua rivale, ne era ben consapevole.

Perciò la richiuse sonoramente, dopo aver emesso un singolo, incolore “ehm...”.

“Non provarci neanche, a mentire” gli disse la strega, una vaga minaccia appesa negli angoli della voce. “La puzza della tua magia si sentiva lontano un chilometro anche da dentro il locale” e storse il naso in una smorfietta molto snob.

“La mia magia non puzza!” protestò lo stregone, oltraggiato. “Sa di buono... sa di...”

Pompelmo.

… Pompelmo?

“Che stavi combinando, là fuori? Il principe a un certo spunto è sparito e quando siamo usciti l'abbiamo ritrovato col naso insanguinato. Ho provato in tutti i modi a farlo parlare ma non ha aperto bocca. Tu c'entri qualcosa.”

L'aveva detto in tono inquisitorio; non stava chiedendo. Pretendeva una risposta.

Merlin gongolò silenziosamente. Se Arthur non aveva detto nulla ne aveva avute tutte le ragioni, e adesso lui avrebbe tenuto Morgana un po' sullo spiedo, giocando con la sua curiosità. Non c'era niente da nascondere, ma in fondo lei non lo sapeva.

“Vuota il sacco, Merlin” insisté la strega.

“Parlo solo se tu mi dici che razza di magia hai lanciato su Arthur dopo avermi lasciato addormentato nella serra.”

Non se l'era dimenticato, Merlin. Non avrebbe potuto. Del resto, se aveva fatto tanto solo per salvare la faccia di Arthur, sarebbe stato un controsenso non preoccuparsi di una minaccia ben più grave. “È un incantesimo che potrebbe fargli del male?”

Morgana sorrise scuotendo la testa, un po' stranita. “Merlin, ma... che t'importa?”

La domanda nuotò nell'aria intorno a loro per tre lunghissimi e scomodi secondi.

“Be', Arthur deve restare vivo e vegeto. Non posso permettermi che tu gli faccia qualcosa, o non potrò prendergli il cuore. Devo difenderlo da te.”

Sì, suonava bene. Suonava piuttosto giusto, almeno alle orecchie di Merlin.

“È per questo che sei intervenuto, ieri sera? Per difenderlo, pensando che fosse opera mia? Voglio dirtelo, io non c'entro nulla con qualunque cosa sia successo al locale.”

Lui annuì. In altre occasioni non le avrebbe creduto, ma adesso sapeva che era vero.

Già... non aveva aiutato Arthur per proteggerlo da Morgana. L'aveva aiutato per proteggerlo e basta, e l'aveva saputo dall'inizio – non si era nemmeno posto il problema del perché lo stesse facendo, almeno non seriamente. L'aveva fatto e basta... per Arthur.

Era talmente strano, sentirselo dire da se stesso così, come se non ci fosse più nessun antro in cui poter seppellire il bisogno che l'aveva spinto ad agire.

Qualcosa, lì in mezzo al suo petto, iniziò ad agitarsi in segno di protesta.

Merlin tentò di ascoltare il suono di quella rivoluzione silenziosa che gli stava mettendo a soqquadro i pensieri. Quand'era iniziata? Quando si era insinuata, subdola, sotto la sua pelle, fino a raggiungere ogni fibra del suo corpo, per mettere d'accordo ogni parte di lui sul fatto che, sì, valeva la pena fare qualunque cosa... se la faceva per Arthur?

Lo stregone emise un respiro piccolo, bruciante dentro la sua gola. Sentiva il viso contratto nello sforzo di resistere a quell'uragano che stava sfasciando via tante incrollabili certezze.

O che l'aveva già fatto.

“Non dirmi che hai agito in modo disinteressato, soltanto per un essere umano.” La voce di Morgana gli scivolò addosso, distante, pungente, in quel particolare stato di ilarità sopra le righe che precede uno shock.

Tutto intanto rotolava via da Merlin, ogni scusa lo abbandonava impietosamente, fino a che non rimase solo un accenno di consapevolezza nelle sopracciglia corrucciate sugli occhi scuri, quasi con dolore.

“Non dirmi che hai usato la magia per aiutare quell'essere umano che tanto – te lo ricordo, giusto in caso l'avessi dimenticato, quell'essere umano che alla fine dei giochi morirà.”

Contemporaneamente, il braccio che Merlin aveva tenuto fino a quel momento sulla porta ricadde abbandonato lungo il suo fianco, e la testa scattò verso Morgana. “Te l'ho detto, non ti dico niente se non parli prima tu” le disse, ostinato.

“No, parla tu” rispose lei, ogni sfumatura amichevole scomparsa dalle sue parole.

Si fissarono, allora, al pari di due ragazzini imbronciati e testardi che hanno rotto un vaso e litigano per decidere chi andrà a dirlo agli adulti.

Il vaso ormai si era frantumato in mille pezzi, ma l'orgoglio rimaneva intatto anche nella confusione lucida.

E mentre una parte del mondo di Merlin, del loro mondo, si stava disfacendo, i due stregoni si guardarono – Merlin con una durezza sconvolta negli occhi, all'improvviso cerchiati dalla stanchezza; Morgana con la fiamma di un astio incredulo che iniziava a incendiarle l'espressione.

“Bene. Vedo che non hai intenzione di aggiungere altro” disse la ragazza, spezzando alla fine il silenzio teso.

“Nemmeno tu” le rinfacciò lui, portandosi una mano sul fianco – si sentiva talmente... piegato in due.

“Bene, allora. Nessuno di noi saprà altro.”

“Bene.”

Morgana girò sui suoi tacchi e riprese alla svelta la strada per la residenza principale. Merlin la sentì mormorare qualcosa di simile a un “stai facendo una sciocchezza”.

Guardò la sua figurina viola farsi sempre più piccola mentre si allontanava da lui, andando nella direzione opposta.

Allora serrò gli occhi, appoggiando la tempia alla porta.

Qualcosa di grosso si stava trasformando, alcune strade si stavano dividendo inesorabilmente e altre si aprivano in nuovi sbocchi verso l'ignoto. Quella chiara percezione lo stava sconquassando senza pietà... Eppure, Merlin non aveva intenzione di tirarsi indietro. Non avrebbe più potuto. E, gli urlava la sua voce interiore, nemmeno avrebbe più voluto.

Si immaginò che Morgana fosse ormai sparita dietro l'angolo della siepe alta, ma non controllò. Non ne aveva la forza – nemmeno la voglia.

Con un profondo sospiro, chiuse la porta dietro di sé.

Insieme a quella chiuse fuori i dubbi, l'ombra di una decisione importante che iniziava a prendere forma nel suo cuore.

 

~

 

 

 

 

E finalmente sono riuscita a pubblicare! Questo capitolo è stato un parto x°D

Non è uscito proprio come lo volevo al cento per cento...

In realtà è un passaggio molto importante nello svolgimento della trama, perché noi siamo abituati a vedere Merlin che si fa in quattro nell'ombra per Arthur...ma il Merlin di questa storia è la prima volta in assoluto che si comporta in modo del genere.

E non ha nemmeno motivo di farlo, ma lo fa lo stesso. Solo per Arthur.

(sappiate che questo capitolo, per il nostro stregone, è un po'...l'inizio della fine, mettiamola così xD non so se l'avete notato, ma quel briciolo di “distacco stregonesco” dall'umanità che aveva in partenza sta andando bellamente a farsi friggere x°D)

Insomma, spero che il capitolo possa piacervi lo stesso, anche se non sono proprio convintissima del risultato.

 

Tirando un attimo le fila del discorso, l'ultima volta ci eravamo lasciati con Merlin convinto di doversi guadagnare la fiducia di Arthur.

Ora, Merlin non se ne rende completamente conto, ma non gli serve pensarci tanto, perché la fiducia del Principe se l'è già assicurata.

Arthur si fida istintivamente e assolutamente di Merlin; è di se stesso che non si fida.

Alla fine, anche nel telefilm, si arriva sempre a quei bellissimi momenti in cui è il nostro stregone a ricordargli quanto vale e di cosa è capace. Lo fa con poche parole che però bastano sempre, perché Arthur tiene in considerazione il suo giudizio più di quello di chiunque altro – questa cosa mi ha fatto sempre sciogliere; penso che, se Merlin gli dicesse che piovono ciambelle, Arthur si fionderebbe fuori a bocca aperta per prenderle al volo senza pensarci due volte.

Questo, secondo me, è uno degli aspetti più belli della loro relazione, e ci tenevo a riportarlo in questa storia (oddio, a dire la verità è uno dei temi chiave della fiction, spero proprio di esserci riuscita xD).

 

Comunque, Merlin è adorabile *_* scrivendo dal suo punto di vista, mentre intanto riguardo le puntate, lo sto capendo sempre e sempre di più, e me ne innamoro sempre e sempre di più.

Penso che la cosa migliore del telefilm, quella sviluppata bene e portata avanti in modo coerente fino alla fine, sia la caratterizzazione di Merlin e di Arthur, e, di conseguenza, l'evoluzione del loro rapporto.

Sono due personaggi speciali, particolari e non statici, che in breve tempo hanno scalato le vette delle classifiche del mio cuoricino. Spero di riuscire a trasmettere almeno un po' il modo in cui percepisco la loro complessità.

Detto questo, ringrazio i lettori e, ancora una volta, in particolar modo ringrazio i miei adorabili recensori che mi incoraggiano tanto con le loro belle parole.

 

Ne approfitto per dare un paio di informazioni di servizio:

innanzitutto ringrazio coloro che hanno messo tra le seguite/preferite/ricordare la raccolta di momenti merthurosi post 5x13 “Kairos”.

Lo stesso discorso vale per i lettori di “L'amore secondo Gwaine”...e non ve la nomino a caso. In quest'ultimo capitolo di Cuori abbiamo incontrato Elena, e vi dico già che queste versioni di lei e Gwaine faranno capolino pure nella raccolta dedicata la nostro Galvanone ù-ù

 

 

Ah, i nuovi capitoli di Cuori mi escono ogni volta uno più lungo dell'altro, per questo ci metto di più per revisionarli >-< ma non mi va di tagliarli in più parti, perché ci tengo a mantenerli piuttosto tematici e a non spezzare la tensione.

Magari con gli aggiornamenti delle altre due raccolte riuscite a stemprare l'attesa per Cuori xD alla prossima :3

 

 

 

Piccole anticipazioni: nel prossimo capitolo sapremo qual'è la decisione che ha preso Merlin, e che determinerà una svolta nell'andamento del duello del drago...(anche se potete già intuirla da soli xD)

 

Angolino Soundtrack:

Per te: Freya (Merlin OST) [dal minuto 4:47]

Elena: She's so lovely – Scouting for girls

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'essenziale è invisibile agli occhi ***


(x)

 

 

Capitolo otto: L'essenziale è invisibile agli occhi

 

 

 

“Come ben sapete, la Fondazione Lady Ygraine ritiene che la lettura sia uno dei diritti fondamentali dei bambini. Per sostenere l'idea di cui oggi io sono portavoce ho scelto di leggervi, a conclusione di questa breve introduzione, alcuni brani tratti da un libro celebre per supportare proprio i diritti fondamentali dei bambini...” Arthur stava provando a voce alta il discorso che, di lì a un paio d'ore, avrebbe tenuto per l'evento da Hatchards.

Merlin, seduto dietro la sua scrivania, una mano a coppa sulla guancia, lo guardava.

Inchiodato in una posa marziale che strideva con il ciuffo biondo spettinato sopra la fronte e la camicia sbottonata, Arthur parlava, parlava... Fissava duramente un punto non ben definito verso l'anticamera, ogni tanto si fermava, portava le mani ai fianchi, riprendeva fiato. Ripeteva due o tre volte la stessa frase, cambiando appena l'intonazione, a ogni parola faceva un segno col capo.

Merlin si ritrovò a fingere di mangiarsi le unghie per nascondere il largo sorriso che gli tirava la pelle quasi dolorosamente.

“... Ed è per questo che la lettura è una tappa fondamentale per il percorso di crescita non solo di un bambino, ma di un uomo in quanto tale” disse a un certo punto Arthur. Poi si voltò verso lo stregone, l'aspettativa chiara sul viso.

“Cosa?” fece Merlin, mettendosi dritto contro lo schienale della sedia. “Avete finito?”

Il principe ruggì, grattandosi forte la testa. Il ciuffo che prima era ribelle prese una piega decisamente antigravitazionale. “In teoria avresti dovuto fare attenzione a quello che dicevo, Merlin. A cosa pensi che servirebbe, altrimenti, la tua presenza qui?”

“Be'” disse lui, “qualcuno dovrà pur assistere a questo spettacolo. Sarebbe uno spreco farvi comportare in modo così ridicolo senza avere nemmeno una testimonianza.”

“Il punto è proprio che non dovrei affatto sembrare ridicolo, ci arrivi?” si lamentò Arthur, virando verso la solita tonalità isterica. “Ma la colpa è mia, che ho pensato tu fossi in grado di capire una nozione così elementare. Del resto, se sei il primo ad essere ridicolo, non puoi insegnare agli altri come fare altrimenti.”

Merlin si tirò in piedi spingendo sui braccioli della poltroncina. “Sentite, innanzitutto rilassatevi un po'” disse, raggiungendo Arthur al centro della stanza. “I bambini non hanno una soglia d'attenzione molto elevata...”

“Come te?”

“... Quindi meglio evitare i giri pindarici di parole in cui vi siete appena esibito, che sono noiosi anche per me, figuratevi per un bambino.”

Arthur storse la bocca. “Non sforzarti di essere troppo condiscendente, mi raccomando.”

“Me l'avete chiesto voi un giudizio onesto, o no?”

“L'ho fatto” ammise il principe, a mala voglia. “E ti giuro che non so che cosa mi abbia spinto a farlo.”

Ah, quello nemmeno Merlin lo sapeva. Ultimamente, però, Arthur gli chiedeva spesso cose come “tu che ne pensi?” o “che te ne pare?” quando parlavano dei suoi impegni, o quando veniva il sarto e gli faceva provare le giacche, o quando doveva prendere una decisione in generale.

Merlin si domandò se non fosse troppo sperare che il principe avesse iniziato a fidarsi di lui.

Si era aspettato di dover fare delle vere acrobazie per conquistare la sua fiducia, e invece... possibile che fosse stato così indolore, facile e naturale al punto che ci fosse riuscito senza nemmeno essersene accorto?

Eppure sapeva bene che Arthur non gli avrebbe mai chiesto un consiglio se non gli fosse importata la sua opinione. La cosa fece venire a Merlin un'impellente voglia di schiarirsi la gola; il pensiero si tradusse in un'esecuzione troppo violenta che fece alzare il sopracciglio all'altro.

“Devo ancora avere un po' di raucedine” disse veloce Merlin. “Comunque, se sarete naturale se ne accorgeranno tutti e l'apprezzeranno. Parlate a cuore aperto, magari di qualcosa di personale. Basterà che stiate tranquillo.”

“Toglimi una curiosità, Merrrlin” disse Arthur, arcuando la bocca così tanto che per un attimo sembrò fare le fusa, “la gente che ti dice di stare tranquillo lo sa che così non aiuta affatto a tranquillizzare nessuno?”

Lo stregone sbuffò, ignorando lui insieme allo stupidissimo modo che aveva di piegare il suo nome tra le labbra. “Magari ci farete più bella figura se vi date una sistemata, però, eh?”

D'improvviso si ritrovò ad abbottonare la camicia di Arthur come se ciò avesse sempre fatto parte della sua routine quotidiana. La sicurezza con cui le proprie dita armeggiavano con il tessuto sorprese Merlin stesso, che, con franchezza, dovette ammettere che la cosa lo divertiva di cuore; arrivato al terzo bottone dall'alto, ricordò di punto in bianco di avere a portata di mano la pettinatura al momento impossibile di Arthur, pronta per essere scompigliata ancora di più da lui – per una volta poteva essere Merlin a spettinarlo a tradimento, e l'occasione era troppo ghiotta per farsela sfuggire.

La visione del ciuffo biondo sparato sopra la fronte del principe, però, lo fece sorridere in un modo che, gli ricordò il pigolio della sua coscienza, avrebbe dovuto allarmarlo. “Quello lasciatelo così” disse, sovrappensiero e con poca coerenza.

“Cosa?” La voce di Arthur lo raggiunse in un soffio sul naso.

Solo a quel punto si costrinse a prendere coscienza di quanto fossero vicini, in effetti, i loro nasi, quello del principe vagamente all'insù mentre lo guardava tra le ciglia.

“I... parlavo dei capelli” incespicò lo stregone.

Merlin...” Le fusa, cavolo, Arthur faceva le fusa, o peggio, a Merlin suonavano spaventosamente come tali, “... mettimi la cravatta.”

“Cosa. Cosa?” Lo stregone sentì la necessità leccarsi le labbra, diventate aride nell'arco di due secondi. “Ehm, no.”

Arthur spalancò gli occhi, tirandosi indietro. “No?”

“Non so annodare le cravatte” si giustificò, decidendo che per ora la cosa più urgente da fare fosse andare a sistemare i fiori finti sopra il tavolinetto, accanto alla scrivania.

Sentì Arthur ridergli dietro; non capì il perché ma s'immaginò fosse uno dei suoi soliti modi per schernirlo.

Passarono qualche momento senza dire altro, gli ingranaggi del cervello di Merlin che roteavano a vuoto mentre sconquassava i poveri fiori di plastica. Sentiva la presenza dell'altro, solida, a pochi passi di distanza da lui.

Il Diamante dentro la sua tasca gli segnalava, inutilmente, che Arthur era lì vicino, irradiando un calore avvolgente. Merlin notò per la prima volta quanto fosse simile alla stessa temperatura di Arthur. Praticamente, aveva il calore di Arthur in tasca.

Fu la voce di quest'ultimo a rompere il silenzio. “So che mia madre ci teneva moltissimo alle attività di questa associazione. Spero solo che fili tutto liscio” ammise.

Di colpo il nervosismo di Arthur prese un significato nuovo, e un'irrazionale voglia di andare lì e accarezzargli il braccio colse impreparato Merlin.

Nei suoi ricordi prese forma l'immagine del principe in piedi accanto al quadro della donna pallida che aveva visto su internet.

Ygraine, aveva saputo da Gaius, era morta dando alla luce Arthur. Il principe non ne parlava mai, seguendo fedelmente il percorso tracciato dal re stesso, che ne aveva parlato a lui il meno possibile nel corso degli anni.

Non fu difficile figurarsi un Arthur, ad ogni compleanno, rannicchiato nel lutto perenne e silenzioso di qualcosa che aveva perso senza mai aver avuto davvero.

Pensando a suo padre che non aveva mai conosciuto, Merlin passò il dito sulle decorazioni azzurre della porcellana, saggiando il sapore amaro del tentennamento appena percepibile dietro alle parole di Arthur.

Certo che sarebbe filato tutto liscio; Merlin non avrebbe permesso diversamente. “Andrà bene, vedrete” disse allora al vaso, annuendo una volta.

Non ti succederà niente di male. Mai.

“Mi fa piacere sentirti così convinto, anche se non so proprio da dove tiri fuori la tua sicurezza” disse Arthur, e Merlin lo ascoltò scuotere la testa con divertimento. “Sarà l'incoscienza?”

“Sarà l'incoscienza” convenne lo stregone, piegando le labbra verso l'alto.

Andrà tutto bene, perché d'ora in poi mi assicurerò io che sia così.

Te lo prometto, Arthur.

 

 

ʘ

 

 

Tornare da Hatchards fu piuttosto una sorpresa; dopo aver fatto due passi all'interno, lo stregone si disse che sì, quello era lo stesso posto, ma era come se ci fosse stato qualcosa di completamente diverso. Come se qualcuno si fosse preso la briga di ridipingere la libreria con colori più brillanti e vivi.

Se l'altra volta il solo toccare il legno dell'ingresso l'aveva sommerso nell'oceano dei ricordi degli altri, adesso erano i suoi ricordi che venivano a galla. La pancia gli si attorcigliò mentre rivedeva scorrere davanti a sé scene di vita quotidiana a Ealdor, casuali e forse un po' insignificanti.

Lo colpì in faccia l'immagine dell'ultima volta in cui aveva corso in mezzo ai campi con Will (la prima in cui aveva sentito la voce di Arthur... !). Allora non l'aveva nemmeno sfiorato l'idea che non l'avrebbe più fatto per diverso tempo. L'avesse saputo prima, avrebbe strappato un filo di grano per portarselo via nel Mondo Riflesso. Gli avrebbe fatto piacere, adesso, annusarlo una volta ogni tanto o tenerlo sotto il cuscino, mentre dormiva.

E poi, poi c'erano le pareti della libreria, che erano dello stesso color crema del nastro che teneva appeso il mazzolino di fiori secchi sopra il caminetto a casa sua.

E il tavolino rotondo al centro della sala, con una stesa di libri messi in bella mostra sopra, non era molto simile al seggiolino che tenevano nella rimessa del legno? Quello su cui Hunith stava seduta per ore a intrecciare la stoffa e rammendare.

La sua mamma e Will... quel posto parlava anche di loro.

Merlin incespicò verso le scale che portavano al piano disotto, chiedendosi come avesse fatto a non notare tutto ciò la prima volta.

“Tutto apposto?” gli chiese amichevolmente Gwaine, battendogli una mano sulla spalla.

“Sì – sì, stavo solo pensando...”

“Vedi, è proprio questo il problema” disse Arthur, rimanendo fermo sul primo gradino senza decidersi ad andare avanti. “Pensare consuma tutte le tue energie. Evita pure di farlo, tanto il risultato non cambia molto.”

Merlin passò oltre il suo commento, una mossa che ormai si stava facendo sempre più abituale, e si concentrò invece sulla sfumatura pallida che aveva iniziato a contrarre l'espressione impassibile di Arthur. “Suvvia, non avrete davvero paura di un gruppetto di marmocchi?” lo stuzzicò, per allentare la tensione.

Gwaine intervenne prima di dare tempo al principe di replicare. “Siamo tutti consapevoli della delicatezza interiore del nostro caro Chiappe d'Oro, altrimenti non saremmo venuti a fare da gruppo di supporto” ammiccò, indicando col mento se stesso, Merlin, Leon, Percy e Morgana, che era rimasta indietro a esaminare con interesse un libro, accompagnata da Gwen. “Scendiamo, su, non ho intenzione di farmi soffiare i posti in prima fila. Non vedo l'ora di vedere se l'educazione che ho ricevuto da bambino rispetta i criteri che detterà la nostra Principessa.” Fece l'occhiolino a Merlin, afferrò Arthur per il gomito e se lo trascinò dietro, la sua risata che già rimbombava per le scale.

Gli altri li seguirono, ma Merlin aspettò che le ragazze lo raggiungessero.

“Oh, sarà fantastico vero?” gli disse Gwen, contenta. “Con i bambini e il resto. Voglio dire, non mi è capitato spesso di assistere a eventi del genere, nonostante tutto, e in effetti se non fosse stato per Lady Morgana non sarei nemmeno potuta venire – ha fatto cambiare il mio turno con quello di Elyan, e lui era quasi livido, Merlin...”

“Non potevo permettere che la mia ragazza preferita del palazzo se ne restasse a fare la Cenerentola in casa durante il giorno del gran ballo” fece Morgana, calzando meglio un guanto.

“Molto gentile da parte tu- vostra” disse lo stregone, facendo loro segno di precederlo di sotto.

“Il nostro Merlin è proprio un gentiluomo, Gwen. Sembra venire da un altro mondo.”

Gwen rise, dando un buffetto sulla spalla di Merlin e lasciando che Morgana la prendesse a braccetto. “Davvero!”

Lo stregone le sorrise e, quando lei si voltò, indurì l'espressione per la strega. Quella si limitò ad alzare un sopracciglio, divertita.

Sembrava che Morgana non perdesse occasione per seguire il principe ovunque potesse. Scendendo le scale, Merlin si ritrovò a desiderare che il Diamante del Giorno gli permettesse di spiare lei anziché Arthur – sarebbe stato più pratico, per lo meno. Peccato che ci avesse provato, ma senza ottenere alcun risultato. La cosa non l'aveva stupito; chissà con che razza di protezioni magiche si era ricoperta Morgana.

Un forte chiacchiericcio pieno di aspettativa accolse il suo ingresso nella saletta dedicata alle conferenze.

L'ambiente, non molto grande di per sé, sembrava ancora più stretto con tutte quelle persone che avevano occupato gran parte delle sedie disposte in sei o sette file. Arthur si era posizionato vicino a un microfono un po' soprelevato. Ora stava parlando con alcuni signori distinti e una signora vistosamente ingioiellata, che Merlin dedusse essere i rappresentati dell'associazione Lady Ygraine.

Il principe non sembrava affatto nervoso, adesso. Il suo bel profilo nobile tagliava l'aria come una spada e tutti lo guardavano già, compiaciuti della sua sola presenza.

Spesso si levava la voce di uno dei bambini, la maggioranza del pubblico presente, che esclamava, meravigliato, “è davvero il principe Arthur!”.

Quando una bambina vociò distintamente un “mamma, da grande voglio sposare il principe!”, lui si voltò dalla sua parte e le regalò un grosso sorriso, che fece sorridere anche Merlin. Poi lo stregone intercettò il suo sguardo per un attimo, giusto il tempo per fare una smorfia alla quale l'altro rispose arricciando le labbra.

“Merlin!” chiamò poi Gwaine, sbracciando tutto storto su una sedia in prima fila. “Vieni a sederti con noi, ti ho tenuto un posto!”

Merlin scosse veloce la testa, facendo anche un segno con le mani per sottolineare la sua posizione irremovibile; solo restando in piedi in fondo alla sala poteva tenere sotto controllo i movimenti di Morgana. Inoltre, ci teneva poco a finire nelle mire dei fotografi appostati ai lati che già si stavano dando da fare per immortalare le nobili prime file.

Al broncio deluso di Gwaine, lo stregone scoppiò a ridere.

Intanto Arthur stava ordinando dei fogli sul leggio davanti a sé, schiarendosi la voce. I flash delle foto si fecero più intensi e, quando le ultime sedie rimaste libere vennero occupate, il principe iniziò a parlare.

Merlin stette ad ascoltare la sua voce ferma e impostata farsi largo tra i convenevoli, salutando gli ospiti presenti e ringraziando l'associazione per aver organizzato l'evento.

A un certo punto, però, il suo fiume di parole ben modulate si arrestò inspiegabilmente. Arthur abbassò per un momento gli occhi sul leggio, la gente che iniziava a mormorare dubbiosa. Poi alzò la testa, andando direttamente ad incontrare lo sguardo di Merlin.

Le labbra dello stregone si modellarono in una piccola “o” e il principe gli regalò, anche se solo per un attimo, un sorriso storto – Merlin aveva imparato che i sorrisi storti di Arthur erano quelli più sinceri.

“Non vi nascondo di aver passato molto tempo, nelle ultime settimane, a rimuginare su cosa dire oggi, qui davanti a voi tutti” fece Arthur, abbracciando con lo sguardo l'intera sala. “Dato che credo davvero nella causa per la quale si batte la 'Lady Ygraine', avevo un certo timore di risultare inadeguato, qualunque cosa dicessi. E il timore è raddoppiato proprio perché questa associazione di mia madre non porta soltanto il nome, ma anche i desideri e le aspirazioni.”

Le foto si intensificarono; i flash illuminavano i capelli del principe di una sfumatura artificiale di platino.

“Ma poi” continuò lui, senza farsi distrarre, “mi è stato suggerito che sarebbe stato meglio evitare i discorsi troppo complicati e noiosi, scegliendo invece di parlare a cuore aperto di qualcosa di personale. E quindi, eccomi qua.” Allargò teatralmente le braccia, alcuni bambini risero e Merlin, anche se Arthur non poteva vederlo, sentì di accendersi tutto quanto in un sorriso per lui.

“Recentemente ho conosciuto un ragazzino che, pur di avere una copia del suo libro preferito, sarebbe perfino arrivato a rubarla” iniziò a raccontare Arthur. “E alla fine, se a un bambino viene l'idea di rubare un libro, vuol dire che muore davvero dalla voglia di leggerlo.”

Molti tra i più giovani sghignazzarono insieme ai genitori.

Merlin si agitò sul posto, riconoscendo citato il discorso che aveva fatto ad Arthur mentre tornavano a casa, dopo quella volta con Mordred. Più tardi si sarebbe assicurato di rinfacciarglielo.

“Sarebbe bello avere sempre una passione del genere che ci spinga verso la lettura” continuò il principe, “anche se, ovviamente, non per tutti è la stessa cosa. Per esempio, da piccolo io non leggevo affatto. Molto strano, da parte del figlio della duchessa rinomata per il suo amore per la letteratura, vero? Il fatto è che... mia madre non c'era. Non era lì per trasmettermi questa passione.”

Merlin sentì le proprie dita avvinghiarsi alle maniche.

Arthur, sempre riservatissimo sulle faccende personali e sulla sua famiglia in generale, parlava ora come se stesse chiacchierando davanti a un tè insieme al suo amico più intimo.

“Scommetto che a mia madre sarebbe piaciuto un mondo leggermi un libro ogni sera prima di andare a dormire, e ne ero convinto anche da bambino. Tutti mi raccontavano del suo grande amore per la lettura... per questo io non leggevo. Speravo che, se avessi tenuto sul comodino qualche libro pronto per lei, prima o poi l'avrei vista comparire per leggermi la fiaba della buonanotte. Alla fine ho capito che, purtroppo, non sarebbe mai apparsa ai piedi del mio letto, per quanto io l'aspettassi... ma i libri erano sempre lì, sul comodino. Così ho iniziato a leggere io. Sfogliando le pagine, mi chiedevo: 'Chissà se anche lei le ha sfogliate, chissà con quale voce mi leggerebbe queste righe'. La sentivo così vicina...”

Forse fu perché Merlin rivide se stesso accucciato davanti al fuoco , intento a sognare sopra gli enormi volumi sulle leggende del Mondo Riflesso che pesavano più di lui; o forse fu perché gli tornò alla memoria la voce di Arthur che diceva a Mordred “non devi aspettarti che arrivi sempre qualcuno a toglierti dai guai, le soluzioni ai tuoi problemi non cadranno mai più dal cielo” – Arthur che aveva sempre dovuto contare su se stesso, Arthur che, pur crescendo con lo spettro di una mamma e con padre difficile, era diventato un uomo onesto e corretto e giusto; forse fu per il senso di inadeguatezza latente in entrambi, oppure fu per il fatto che lo splendore di Arthur stesse mostrando a Merlin proprio in quel momento che un modo per superarlo si poteva trovare, sempre.

Merlin non sapeva se fosse a causa di uno di questi motivi, o magari per un miscuglio di tutti insieme... ma nel suo petto, proprio là, qualcuno strattonò una corda. E se avessero tirato con maggiore forza, tutto ciò che Merlin aveva dentro sarebbe gocciolato fuori e sarebbe stato esposto al mondo. Come la marea pigra che deposita sulla sabbia le conchiglie con noncuranza, dimenticando che le sta strappando alla loro terra madre, rivoluzionando tutta la loro esistenza.

E faceva un po' male.

“Il potere della lettura è anche questo” proseguì il principe. “Può avvicinare persone lontanissime tra loro e farle sentire unite.”

Unite in un'unica stretta al cuore...

Come Merlin e Arthur?

“Sarebbe meraviglioso avere sempre qualcuno che legga per noi. Il brano che ho scelto di portare oggi, però, lo dedico in particolar modo a quei bambini che non hanno nessuno che possa leggere per loro. Non intristitevi per questo. Ricordate che potete sempre essere voi a leggere per gli altri. Magari anche per le persone a cui volete bene, come sto per fare io.”

Ed Arthur lesse.

 

Oh, Piccolo Principe, ho capito a poco a poco la tua piccola vita malinconica.

Per molto tempo tu non avevi avuto per distrazione che la dolcezza dei tramonti.

Ho appreso questo nuovo particolare il quarto giorno, al mattino, quando mi hai detto:

Mi piacciono tanto i tramonti. Andiamo a vedere un tramonto...”

Ma bisogna aspettare...”

Aspettare che?”

Che il sole tramonti...”

Da prima hai avuto un'aria molto sorpresa, e poi hai riso di te stesso e hai detto:

Mi credo sempre a casa mia!”

Sul tuo piccolo pianeta ti bastava spostare la tua sedia di qualche passo, e guardavi il crepuscolo tutte le volte che volevi.

Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatré volte!”

E più tardi hai soggiunto:
“Sai, quando si è molto tristi si amano i tramonti...”

Il giorno delle quarantatré volte eri molto triste?”

Ma il Piccolo Principe non rispose.

 

Il principe era un magnete: la sua catena di parole teneva incollati tutti i presenti in sala, l'uno all'altro e su di lui insieme. Arthur era il centro. Ogni tanto alzava gli occhi dai suoi fogli e a Merlin sembrava che accarezzasse la testa del pubblico con la sua voce.

Un picchiettare di gocce di pioggia che rimbomba in una grotta senza fine – questo erano le parole di Arthur. Si infrangevano sulla nuca di Merlin, insinuandosi sotto la sciarpa, scendendo giù lungo il collo e, alla fine, il suo corpo le assorbiva. Merlin beveva la pioggia delle parole di Arthur.

Ed era assurdo e contraddittorio, perché anche se gli sembrava di sentirlo sotto la sua pelle, allo stesso tempo era come se lo stesse ascoltando da molto, molto lontano, distante un mondo intero.

A poco a poco gli altri rumori si spensero, tintinnii messi a tacere sotto un bicchiere di vetro. Le esclamazioni estasiate dei bambini sparirono, si ammutolirono anche le loro risate, venne zittito il respiro degli addetti stampa o qualunque altra cosa.

Rimase solo la voce di Arthur e quelle che la magia di Merlin, estensione dei suoi sensi, riconobbe come delle vere gocce di pioggia, che avevano iniziato a posarsi contro la vetrina al piano disopra.

Alla fine Merlin non riuscì più a distinguere quale fosse la pioggia reale e quale no. Lo scrosciare delle parole di Arthur lo bagnava e lo stregone, inondato da quello, si sentiva lontano da lui e vicino a lui come non mai.

Il fragore di un lungo applauso gli fece riaprire gli occhi, che non si era nemmeno accorto di aver chiuso.

Il principe aveva terminato la sua lettura, tutti sembravano soddisfatti e contenti, le prime file addirittura erano in standing ovation, dirette da Gwaine.

Stette a guardare mentre il protagonista della giornata stringeva mani a destra e a sinistra, posava per un paio di scatti e poi lo raggiungeva tutto sorridente, seguito dagli amici e da un'impassibile Morgana.

Avrebbe voluto stringergli la mano anche lui, o fargli una battuta, e visto che non era poi così difficile? Visto che ce la puoi fare, quando ti levi dalla testa che hai costantemente uno standard da superare?

Invece non fece in tempo a fare nulla; Leon aveva messo una mano sulla schiena di Arthur e lo stava spingendo verso le scale, prima che i giornalisti iniziassero a trasformare quel bel momento nell'ennesimo conflitto.

Però c'era una cosa che Merlin ci teneva a fargli sapere. “Sono fiero di voi” mormorò, abbastanza forte perché Arthur potesse sentirlo mentre passava.

Proprio in quel momento qualcuno fece scattare un flash accanto a loro e lo stregone strizzò gli occhi, mancando la faccia del principe. Lo sentì però strofinare la spalla contro la sua in un gesto che sarebbe potuto benissimo passare per una casualità... se non fosse stato per quella leggera pressione in più che gli fece formicolare la pelle.

“Lo sapevo che sarebbe stato bello” disse un'entusiasta Gwen facendolo sobbalzare.

Le era arrivata accanto insieme a Morgana, e ora tutti e tre se ne stavano lì nell'angolo ad aspettare che un po' di folla defluisse.

“Chi è che è stato bello?” disse con indifferenza la strega.

“Il princip... il discorso! Il discorso del principe!” balbettò Gwen, tormentandosi le unghie. “Non sei d'accordo con me, Merlin?”

“Gwen, hai un ombrello nella borsa, giusto?” le parlò sopra Morgana. “Raggiungi Arthur, ho la netta sensazione che abbia iniziato a piovere e nessun altro di noi si è portato l'ombrello. Siamo in Inghilterra, in Inghilterra, e nessuno ha pensato di portare un ombrello per il principe ereditario. Buon dio, mi chiedo dove finiremo di questo passo.”

L'altra, ingenuamente, non colse l'ironia e invece fece vagare lo sguardo preoccupato da Morgana allo stregone. “Ma poi voi?”

“Merlin sarà contento di prestarmi la sua giacca per fare in modo che non mi bagni la testa.”

Merlin si toccò il ponte del naso con il pollice e l'indice. “Certo, io... sicuro.”

“Allora vai, Gwen cara, prima che Arthur esca” disse Morgana, facendole un ampio segno con la mano.

La ragazza non se lo fece ripetere ulteriormente e volò su per le scale, un vorticare di sorrisi e ricciolini neri.

“Che cosa volevi dirmi per mandare via Gwen così in fretta, Lady Morgana?” sussurrò poi Merlin, incrociando le braccia al petto.

“Oooh, ci andiamo giù pesante con gli incantesimi di protezione” disse lei, annusando l'aria intorno. “Senti che puzza... Devo farti proprio paura.”

“Ed io devo farne a te” replicò Merlin, percependo, ora che erano così vicini, le barriere che Morgana aveva abilmente nascosto. “E no, te lo ripeto, la mia magia non puzza affatto.”

La strega individuò un punto accessibile nell'intrico delle braccia di Merlin e ci fece scivolare una sua mano, spingendolo avanti. “Può essere che l'odore mi sembri amplificato a causa di tutte le protezioni che hai messo intorno al Principe dei Draghi. Sorridi, ora, sorridi per la stampa.”

Merlin piegò un pochino le labbra all'insù, fissando le punte delle scarpe con il tacco assassino della strega. Salirono in silenzio, le loro malie che si spintonavano a suon di scosse elettriche dove si toccavano.

“Non capisco cosa ci sia stato tanto da applaudire, comunque” soffiò Morgana quando Leon li individuò.

Mentre faceva un cenno per fargli capire che li stavano raggiungendo, Merlin notò che Arthur, molto galantemente, stava condividendo l'ombrello con Gwen.

“Certo che non capisci, Morgana” disse un po' perso, allungando il collo. “Arthur è stato molto coraggioso a parlare davanti a tutti di una cosa tanto personale.”

“Mi viene da chiedermi se non disponga anche lui di una qualche sorta di magia” mormorò velenosa la strega.

Merlin la fissò, stupito.

“Ma guardati... Ha incantato perfino te, solo con la forza della voce e con due paroline drammatiche su sua madre. Ti piacciono così tanto le storie strappalacrime, Merlin? Sembra che ti abbiano appena colpito in testa con una mazza.”

Lui roteò gli occhi al cielo, togliendosi poco delicatamente di dosso la mano di Morgana una volta raggiunta l'uscita. Quando lei fece per mettere un piede fuori, però, la bloccò e si tolse la giacca di pelle.

Morgana lo guardò con palese diffidenza, ma Merlin alzò la giacca sopra le loro teste. “Che c'è?” mugugnò. “Nonostante tutto, sono davvero un gentiluomo. L'hai detto tu.”

 

 

ʘ

 

 

Erano le nove di sera, Gaius aveva insistito per accendere il riscaldamento e il tepore della tisana alle erbe dolcificava la cucina.

Merlin si rigirò il bicchiere tra le dita, la schiena appoggiata all'usuale punto – all'altezza del fornello del gas, sopra al forno. “Gaius, non ti ho mai chiesto cosa ne pensi sul serio tu, di tutta questa faccenda del Duello del Drago” disse, pacato.

In realtà era da un paio di giorni che si preparava quella conversazione nella sua mente. L'attacco non era stato dei più brillanti; le parole erano uscite per conto loro, come gli succedeva spesso, ma Merlin si disse che sapeva dove arrivare, e che alla fine era quello l'importante. Quello, e cercare di non deludere lo “zio” comunicandogli la decisione che aveva preso.

Gaius si liberò le mani dal terriccio strofinandole distrattamente su uno straccio. “Io sono un mentore, Merlin. Do consigli, ma il mio ruolo deve rimanere piuttosto neutrale. Non vorrei mai influenzare i tuoi pensieri, capisci...”

“Ah, non preoccuparti, lo sai che non sono uno che si lascia influenzare facilmente” lo spronò lo stregone.

“Già, già, fai sempre di testa tua in generale” convenne subito l'altro.

“Quindi?”

“Quindi...” temporeggiò Gaius, passandosi il palmo sulla fronte. “Sarò onesto, ragazzo mio, è veramente una sciocchezza!” disse alla fine, buttando per aria lo straccio interrato. “Te lo dico con onestà perché so che tu farai in ogni caso quello che ritieni più giusto, e sei intelligente, Merlin, e mi pare corretto parlarti francamente.”

Lo stregone lo invitò ad andare avanti, interessato alla piega favorevole che stava prendendo la discussione.

“Mandare due giovani stregoni nel Mondo Riflesso per una vera e propria... battuta di caccia,” alzò un poco la voce Gaius, “mettendo a rischio la loro magia per salvare un drago che, onestamente, ha già vissuto la sua parte di vita!” disse ancora più forte. “Pretendere che, in quanto mentore, mi assicuri di preservare la magia del mio protetto, che lo aiuti a comprendere il Mondo Riflesso e allo stesso tempo a non immischiarsi troppo nelle faccende degli esseri umani... ma dico! Ti pare logico?”

Merlin era tutto un annuire e uno scuotere la testa con vigore, assecondando il fervore di Gaius con gli occhi spalancati.

“Ti pare logico” continuò l'uomo, “pretendere di catturare un cuore umano senza rimanere toccati almeno un po' dall'umanità? Come se fosse possibile, stare qui a lungo e non sentirsi un po' più umano, alla fine!”

Si smorzò di botto quasi comicamente, fissando Merlin con un sopracciglio molto più in alto dell'altro. “Voglio dire, per te forse è possibile, ragazzo, per il discorso dei Figli dell'amore... capire l'amore senza amare completamente” aggiunse, con un tono che faceva intendere avesse lasciato tra le righe un immenso “ma”.

“Ma?” disse allora lo stregone al posto suo.

Gaius allargò le braccia, sconfortato, quasi colpendo la sua tazza di tisana abbandonata sul tavolo. “Ma a me, in tutta sincerità, sembra così incompleto, così ingiusto nei tuoi confronti, cercare l'amore sforzandosi di non amare davvero. E anche...”

Merlin inspirò e fece un favore a entrambi, arrivando al punto. “Anche molto poco possibile?”

Gaius rimase interdetto per un attimo.

Merlin socchiuse gli occhi; non avrebbe avuto senso evitare di affrontare la cosa, a questo punto.

Era innegabile che nell'ultimo periodo lui fosse cambiato. Il contatto con le creature opposte l'aveva già influenzato, lui stesso se ne rendeva conto. “La libreria che sa di mamma...” mormorò, portandosi una mano tra i capelli. “Andiamo, a uno stregone non verrebbe in mente di associare un posto alla sensazione che si prova a stare con la propria madre. È molto...”

“Umano” concluse Gaius.

Merlin alzò lo sguardo per incontrare quello del mentore, che era cauto, forse perfino un po' guardingo. Come se Gaius stesse maneggiato un oggetto particolarmente delicato e avesse timore di romperlo con il minimo movimento sbagliato.

Solo che Merlin non era un soprammobile di vetro e non c'era motivo per non chiamare le cose col loro nome. “È sentimento” disse quindi, alzando la testa, “io sto già sentendo il sentimento.”

La simpatia istantanea per Elena, la voglia di aiutare Mordred, quel piacevole solletico quando Gwaine, Percy, Leon, Elyan e Gwen lo coinvolgevano nelle partite allo studio piccolo...

“Hai sentito la nostalgia” disse Gaius. “Ti manca casa tua, certo. Suppongo che tu la stia percependo per la sua innata predisposizione naturale.”

Entrambi però sapevano che non era tutto lì. La verità era che la linea che separava quel primo passo dall'umanizzare il proprio cuore era quanto di più sottile ed etereo Merlin avesse mai immaginato.

Sebbene all'inizio avesse creduto che il suo essere frutto dell'amore gli avrebbe reso le cose in qualche maniera più facili, be', ora non ne era più tanto convinto.

Nel corso di una delle loro prime sessioni di studio del mondo terrestre del dopo cena, Gaius gli aveva detto che un cuore umano parla solo a chi è disposto ad ascoltarlo. Merlin l'aveva ascoltato – perlomeno, aveva ascoltato i ricordi di quello di Arthur.

Ma il cuore degli esseri umani è magnificamente egoista, Gaius gliel'aveva ricordato, come aveva fatto sua madre prima di partire. E quando un cuore si apre a te del tutto, non gli rimane altro che volerti accogliere al suo interno. Rispondere alla sua chiamata, varcare il confine, avrebbe significato perdere la magia, lo sapeva bene.

“È molto labile” si ritrovò a dire Merlin, tormentandosi il labbro.

Il mentore lo guardò interrogativo, senza nascondere un velo di preoccupazione che aveva irrigidito il suo viso.

“È un confine molto labile, quello tra il capire e il provare” tentò di spiegarsi lo stregone, facendo grandi cerchi con le mani. “Non è facile rendermi conto di dove dovrei fermarmi.”

Sempre se avesse potuto fermarsi...

Le braccia gli ricaddero mollemente lunghi i fianchi.

“Temo che sarà più difficile, giorno dopo giorno” sospirò Gaius, intuendo a cosa si riferisse.

“Ed io ho un po' paura di questo... !” disse Merlin. L'ammise quasi lanciando in aria le parole. “Inizio ad avere paura che non saprò fermarmi se – ”

Se mai il cuore di Arthur mi chiederà di rispondere.

Una singola, secca risata scoppiò nella sua gola impedendogli di esprimere ad alta voce l'ultimo pensiero, e forse fu meglio così. “Ma hai sentito cos'ho appena detto?” riuscì invece a dire a Gaius, frettolosamente. “Che ho un po' paura. Credevo di non avere nemmeno la minima idea di cosa significasse avere paura. Invece adesso...”

Gaius lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla nel gesto più paterno che gli fosse mai stato diretto. Le sue dita malferme strofinarono sulla maglia dello stregone una goffa carezza che lui apprezzò immensamente, grato del sollievo che quel tocco gli portava.

“È proprio per questo che dicevo fosse una sciocchezza, quell'accidente di duello” disse l'uomo, comprensivo. “Non so se sia più contro natura per uno stregone o per un Figlio dell'amore, avere a che fare con il cuore degli umani tentando di non lasciarsene influenzare fino al punto di non ritorno.”

“Gaius, non puoi paragonare le due cose! Per Morgana è di certo più facile” fece Merlin, fintamente scandalizzato. “Scommetto che lei non si fa i miei problemi... davvero, però” disse, alzando il sopracciglio per sottolineare che era serio. “Per chi è semplicemente uno stregone è tutto molto meno complicato.”

A quella frase seguì un momento che non si sarebbe potuto definire con altre parole se non “un momento”.

Il mentore, in silenzio, trasformò i movimenti della sua mano sulla spalla di Merlin in pacche poco decise. Gesti a quali, sovrappensiero, associò un ritmo costante: un buffetto, un secondo.

Merlin si ritrovò a contare: pacca, pacca, pacca, pacca.

E le lancette dell'orologio a muro – tac, tac, tac, tac.

E la pioggia, di nuovo, sul finestrone – pic, pic, pic, pic.

Fino a quando Gaius non aprì di nuovo bocca, usando quel tono che Merlin sospettava riservasse per parlare di sé, talmente intimo da mettergli addosso un certo disagio solo a starlo ad ascoltare. “Opporre resistenza a oltranza al sentimento non è facile nemmeno per chi non è un Figlio dell'amore, credimi, ragazzo mio. Finisce che si soffre... e poi un giorno si realizza che proprio soffrire è il segnale che tutto è cambiato.”

La domanda stava appesa alle sue labbra. Merlin se la rimangiò.

Gaius spostò la mano dalla sua spalla alla schiena, che scosse con un singolo colpetto in un segno di compatimento diretto più a se stesso che a Merlin. Con una brusca virata, poi, tornò a rinforzare la lista dei motivi secondo i quali il Duello del Drago fosse, a quanto sembrava, una delle cose più assurde a cui avesse mai assistito in vita sua. “È privo di senso per tutti quelli che sono coinvolti” disse, scaldandosi di nuovo un po'. “Per non parlare del Principe dei Draghi. Quel povero ragaz...”

Merlin represse appena la protesta del suo stomaco al pensiero di Arthur.

Il balletto in cui si stava esibendo la magia nelle sue vene non sarebbe stato meno buffo anche se Gaius, notata la sua espressione, non si fosse bloccato mordendosi la guancia.

“Oh no, non guardarmi in quel modo” disse il mentore. “Non voglio farti sentire responsabile, non più di così. Lo so già quanto ci hai rimuginato sopra.”

“Non farti scrupoli, Gaius” lo rassicurò Merlin. Era proprio lì che voleva arrivare, sin dall'inizio della conversazione. “Vai avanti; puoi parlare di Arthur senza remore, lo sai. Preferisco un maestro onesto a uno che addolcisce la pillola.”

Gli rimaneva solo da sperare che l'indignazione di Gaius arrivasse ad abbracciare pienamente il discorso sulla sorte del principe. Altrimenti, be', Merlin avrebbe dovuto sperticarsi in un'opera di convincimento piuttosto colossale, e non era sicuro del risultato, se si trattava di Gaius.

L'uomo si avvicinò al tavolo con la sua caratteristica andatura traballante. Merlin liberò uno sgabello da un vaso di ibiscus e ci fece accomodare Gaius, riavvicinandogli anche la tazza di tisana. Meglio metterlo comodo per ogni evenienza.

“Quando sono arrivato a palazzo lui aveva appena tre anni, sai. Arthur...” iniziò a tradimento Gaius, bloccando lo stregone in un movimento a mezz'aria prima che potesse sedersi. “Con quelle guanciotte imbronciate e i grandi occhi blu.”

Passando le dita sul bordo della tazza sorrise affettuosamente, e Merlin con lui.

“Tirava le gonne delle domestiche perché gli venisse prestata attenzione e ha imparato presto a dare ordini a destra e a sinistra. Una peste con la faccia d'angelo.”

Merlin annuì con vigore; non era cambiato molto.

“Ogni volta che scappava dalle cene di gala, me lo ritrovavo sempre nascosto sotto il tavolo da lavoro. Ancora adesso ogni tanto viene da me quando ha bisogno di una scappatoia... quando ci siamo conosciuti, a East End, per esempio. Credi che sia normale che un principe accompagni un giardiniere a far compere fuori dalla City?” disse Gaius retorico.

Merlin scosse la testa piano, sbattendo una volta le ciglia.

Arthur che leggeva i libri impolverati lasciati per sua madre, Arthur che si rifugiava negli ambienti della servitù e cresceva sentendosi sempre fuori posto.

Merlin che aspettava invano sull'uscio di casa il ritorno del suo papà dal Mondo Riflesso, il librone delle storie umane stretto stretto tra le dita, Merlin sul tetto, la testa tra le mani, la magia insensata per una vita che non sembrava affatto giusta per lui...

“No, Arthur certamente non è tra quelli che si meritano di morire giovani” disse Gaius con grande amarezza. “È un bravo ragazzo. L'ho visto crescere.”

Lo stregone annuì ancora. “Se potessi, quindi, tu eviteresti che Arthur soffrisse le conseguenze del Duello?” disse, preparando il terreno.

Gaius lo fissò, un po' stralunato. “Ma certo, ovviamente! Da quando ho ricevuto la lettera dalla Regina, sto facendo tutte le ricerche possibili per trovare una soluzione alternativa. Tuttavia non sono ancora venuto a capo di nulla, e... so che se il destino ha parlato, non c'è scampo – no, Merlin, ci ho vissuto per più tempo di te, nel nostro regno. Però, che dovrei dirti... è sempre dura accettare che arrivi il momento di separarsi da una persona cara.”

“Ma quindi” lo incalzò nuovamente, allungandosi tutto sul tavolo fino a toccare la tazza di Gaius con le dita, “mi stai dicendo che preferiresti anche tu evitare tutto questo.”

“Se il Grande Drago ha detto che il destino è stato già-”

“Destino a parte!”

“Be', sì! Sì, ragazzo, certo che sì!”

Lo stregone si tirò su lentamente, cercando di frenare con scarso successo il tremolio di eccitazione nelle labbra che si stendevano in un largo sorriso.

Insieme a un microscopico sbuffo d'aria dalle narici, gli scappò anche una risata bassa, quasi silenziosa. E lanciò la bomba. “Perfetto, perché io non ho la minima intenzione di lasciare che Arthur muoia.”

Il sopracciglio di Gaius raggiunse vette astronomiche, indicando chiaramente che dovesse ritenere che il suo allievo aveva una rotella fuori posto.

“No, sul serio. Impedirò che ad Arthur venga torto anche un solo capello. È già da un po' che ci penso.”

Era vero. Merlin non avrebbe saputo dire quando, di preciso, avesse preso quella decisione. Era stato un processo graduale e forse un po' subdolo, e se all'inizio l'idea di privare del suo cuore un tizio scorbutico con degli occhiali tremendi non sembrava così sbagliata, ora immaginare se stesso come il fautore della fine di Arthur era diventata una barzelletta di cattivo gusto.

Merlin, in realtà, non era mai stato convinto di poter fare una cosa del genere a un povero essere umano, ma adesso...

Arthur.

Lui al Duello aveva deciso di partecipare per dare una svolta alla sua vita, magari per riuscire a trovare un senso alla sua magia che non ne aveva alcuno e che lo faceva sentire estraneo in casa sua.

Adesso lo sapeva bene, cos'avrebbe fatto: avrebbe protetto il cuore di Arthur, da Morgana, da un drago o da chiunque altro l'avesse minacciato. La sua magia sarebbe servita a quello.

“Se sono uno degli stregoni più forti, potrò farcela, no?” disse a Gaius, guardandolo dritto in faccia. “Altrimenti a che servirebbe tutta questa forza?”

La luce orgogliosa negli occhi del suo mentore suggerì a Merlin che aveva già trovato un alleato. Improvvisamente si sentì molto sciocco per aver dubitato dell'appoggio di Gaius, ma del resto non aveva potuto essere sicuro della sua reazione.

Sapeva che quella era la decisione più sconsiderata che avesse mai preso e il primo compito di Gaius, in quanto mentore, era di aiutare Merlin a preservare la sua magia dalla “contaminazione”. Decidendo che la sua priorità era proteggere il Principe dei Draghi anziché portarlo alla morte, lo stregone si stava volontariamente buttando in acqua senza saper nuotare. Ma mai niente gli era sembrato più giusto.

“Non c'è bisogno che ti ricordi che il destino del Principe dei Draghi è già segnato” disse Gaius.

Merlin sorrise di nuovo; capiva che la debole protesta non era una vera opposizione, ma solo un proforma che l'uomo si sentiva in dovere di rispettare. “Non mi importa di quello che ha detto Kilgharrah” gli rispose, stoico. “Per quanto ne so, potrebbe anche essere tutta una scusa colossale – va bene, diciamo un'esagerazione, messa in piedi da lui solo per ottenere più facilmente il suo sacrificio.”

Non suonò tanto convinto nemmeno alle sue orecchie, in verità. Però non si potevano escludere tutte le possibilità, no? In fondo, i draghi erano creature di cui ci si poteva fidare poco – come gli stregoni.

“E tu? E il Duello?” chiese ancora Gaius, tentando di suonare distaccato. Ma la voce celava molto male tutta la sua approvazione.

Merlin mulinò le mani in aria, cercando le parole. “Deve... deve esserci un modo per riuscire ad avere il cuore di Arthur senza che lui muoia e... lo so che cosa stai pensando, mi riferivo a un modo che, possibilmente, mi permetta di non perdere la magia.” Sperò che il mentore avesse afferrato che, tra le righe, intendesse piuttosto 'senza che tutta la faccenda del coinvolgimento degeneri ulteriormente'. “Se non riuscirò a trovare una soluzione, be', allora al diavolo il Duello. Lo lascerò perdere e penserò soltanto a proteggere Arthur. Per me, in fondo, vincere non è fondamentale.”

Non era mai stato quello il punto. E di certo una vittoria, un titolo, un desiderio realizzato non valevano la vita di Arthur.

“Ah!” fece Gaius, coprendosi la bocca con la mano.

Si alzò in piedi, raggiunse Merlin, fece per tornare indietro, girò su se stesso ma tornò sui suoi passi. “Ah!” disse ancora, e a quel punto entrambi erano scoppiati una serie di risolini piuttosto imbarazzanti, ma lo stregone non ci pensava nemmeno a tentare di trattenersi. “E io che temevo che ti saresti arrabbiato” disse, senza fiato.

“Oh, per tutti i draghi, razza di stupidotto” disse l'uomo, lanciandosi su di lui per abbracciarlo.

Restarono così per un po', con Merlin seduto sul bordo della sedia, le braccia del mentore che gli avvolgevano le spalle e la testa.

Nel silenzio scandito dalla pioggia e dal ticchettare dell'orologio a muro, lo stregone sbatté le palpebre, un po' confuso ma felice.

“Ci speravo tanto, che tu lo dicessi, sai” mormorò Gaius tra i suoi capelli. “Non potevo dirti di più. Suggerirti come la pensavo non sarebbe stato giusto, perché avrei potuto influenzarti. Ma dall'inizio ho sperato che tu prendessi questa decisione. Che tu salvassi Arthur, e te stesso, e tutti noi da questa follia.”

“Non sapevo come dirtelo” disse Merlin, per qualche ragione quasi sussurrando. Forse perché era tutto così bello da sembrare surreale e non voleva parlare troppo forte nel timore di mandare in mille pezzi quel momento. “Pensavo che saresti rimasto deluso. Ti ho fatto fallire come mentore.”

Una pacca gentile sul collo lo ammonì amichevolmente. “Starai scherzando” disse Gaius. “Il mio compito era anche aiutarti a muoverti bene tra gli esseri umani, e meglio di così non avresti proprio potuto comportarti. Te l'avevo già detto, tu sei molto migliore di qualunque stregone. Sei talmente coraggioso... Sono certo che non mi deluderai. Non potrai mai deludermi, ragazzo mio, mai.”

Merlin volle dire qualcosa, ma non trovò le parole. Forse non ce n'erano nemmeno, quindi rimase placidamente in silenzio. Sentì la tensione scivolare via dalle sue articolazioni e abbandonò del tutto la testa nell'abbraccio del suo mentore. Odorava di tisana dolce e timo e origano.

“Ne ero sicuro” mormorò di nuovo Gaius, stringendolo un po' di più.

 

 

ʘ

 

 

“... E lei storce il naso e mi fa: 'Non hai messo l'ombrellino nel mio bicchiere'. Allora io: 'Be', gli ombrellini e le cannucce sono qui sul bancone. Se proprio lo vuoi tanto, serviti da sola'. Davvero non ne potevo più di quella Vivian. Mi ha fatto passare una serata... Ha continuato a lamentarsi fino alla chiusura. A un certo punto ha pure preteso che portassi io al tavolo da bere a lei e a tutte le sue amiche. Allora l'ho fatto perché, sai, sono una tipa educata. Non è colpa mia se poi sono inciampata e le ho rovesciato tutto sulle gambe. In quel momento mi sono sentita molto te... so che mi capisci. Perché mi capisci, vero Merlin? Merlin? Mi stai ascoltando?”

Lo stregone si riscosse, chiudendo con un piccolo tonfo il libro che aveva tra le mani. Spinto da un'idea improvvisa, aveva fatto in tempo a sgattaiolare nella sala della biblioteca. Non credeva nemmeno che sarebbe riuscito a trovarlo; e invece adesso eccolo lì, tra le sue mani.

Elena l'aveva chiamato prima che lui potesse iniziare a leggere in pace.

Ormai aveva appurato che le sue telefonate duravano come minimo una mezz'ora, e lui era talmente curioso... “Ehm, scusami, Elena” farfugliò. “È che stavo leggendo una cosa. Ma non ti stavo proprio precisamente ignorando.”

“Ma io ti sto parlando a raffica da... dieci minuti!”

La ragazza protestò con una tale veemenza che lo stregone credette che l'orecchio gli avrebbe preso a sanguinare, e il telefono quasi gli cadde di mano.

“Mi stai facendo parlare a vuoto da dieci minuti, Merlin?”

“Ehm...”

“Come minimo adesso devi leggermi ad alta voce questa cosa così interessante che ti distrae e ti impedisce di prestare attenzione a me.”

“Se insisti” disse Merlin, scivolando sui cuscini del letto fino a mettersi steso.

Ma Mini-Kilgharrah parve guardarlo con una luce saccente che lampeggiava negli occhi gialli. Lo stregone ricambiò per una frazione di secondo lo sguardo truce.

Con tutto quello che era stato detto prima, l'idea di avere un Kilgharrah, per quanto in miniatura, sul comodino pronto a giudicarlo, non lo faceva sentire del tutto a suo agio. Allora si alzò con un pigro colpo di reni e voltò il draghetto dall'altra parte, perché non lo guardasse direttamente. “Scusa, però è una conversazione privata” bofonchiò.

“Merlin? Chi altro c'è lì?” lo richiamò Elena, uno scoppio di disapprovazione della gomma da masticare ben udibile. “Quindi mentre parli con me al telefono, oltre che non ascoltarmi mi tradisci anche? Potrei non arrabbiarmi solo ed esclusivamente se tu avessi anche un terzo amico disponibile per me.”

Merlin fece finta di valutare la cosa. “Mmh, ti sto tradendo con un drago di plastica alto tre centimetri. Il più attraente dei suoi amici potrebbe raggiungere un'altezza massima di quattro, mi pare si chiami Ungaro Spinato. Aspettative deluse o ti fisso un appuntamento?”

“Nah, compagnia di amici sbagliata. Credevo che stessi tenendo nascosto sotto il letto il tuo dolce principe dagli occhi chiari. Sarei contenta per te, però, se mi stessi tradendo con lui.”

Merlin rise sonoramente. “Non succederà mai, tranquilla. Tanto per cominciare, non si nasconderebbe mai sotto il mio letto; è troppo grosso e non rischierebbe mai di impolverarsi i vestiti. E poi non è un dolce principe. E non è nemmeno il mio.”

“Ma ti piacerebbe, vero?” replicò subito lei, e Merlin poté quasi sentire il suo indice invisibile che lo pungolava sul fianco.

Sospirò con stanchezza, coprendosi gli occhi con il braccio. Se Arthur fosse stato suo, se il suo cuore fosse stato suo, non avrebbe dovuto temere che Morgana glielo rubasse sotto il naso; se fosse stato già suo, nessuno avrebbe rischiato nulla e tutto sarebbe andato bene. “Eh, Elena...”

“Merlin?”

“Elena?”

“Leggi!”

Lo stregone sorrise, aprendo il libro a caso. Trovò una pagina che lo ispirava particolarmente e lesse ad alta voce:

La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano.

E io mi annoio...

“È il discorso della Volpe, vero? 'Il Piccolo Principe'! Aww...” indovinò Elena.

Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla mia tana come una musica. E poi, guarda! Vedi laggiù, in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste...

Ma tu hai i capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano... Per favore, addomesticami.

Merlin si fermò. Le palpebre gli si erano abbassate un po' e il cuore... aveva accelerato il battito?

Quel passo gli aveva fatto pensare... gli aveva fatto pensare a...

Ecco il mio segreto, è molto semplice” continuò a citare per lui Elena, sentendo che non proseguiva. “Non vedo bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi. Era così, vero Merlin?”

“Sì, sì, è proprio in questo modo” mormorò lui, sfogliando le pagine distratto.

“È un passo davvero molto tenero. Non mi stupisce che ti piaccia. L'avevo capito che eri un tenerone!”

Lo stregone sorrise, roteando gli occhi. Poi li tenne chiusi; quelle parole erano state come una dolce litania che l'aveva cullato fino a che non si era ritrovato spalmato sul suo plaid preferito. Allora si rovesciò il libro aperto sul petto, sistemandosi il cellulare tra la spalla e l'orecchio.

D'istinto, buttò un'occhiata al Diamante del Giorno: Arthur, a pancia in sotto, un braccio sul cuscino e uno che penzolava verso il pavimento, dormiva di già. Finalmente si era deciso a mettersi la maglia del pigiama.

Una sensazione di calma accarezzò Merlin con leggerezza, posandoglisi sopra come una coperta di lana.

Improvvisamente si chiese che senso avesse avuto la preoccupazione che gli aveva dato un certo affanno prima, mentre parlava con Gaius. Scervellarsi sul Duello, pensare e ripensare al perdere la magia se si fosse spinto troppo oltre... tutto questo sembrava poco più grande di un granello di polvere, adesso.

Forse era la quiete data dal sonno ad alleggerirlo di ogni suo peso. Eppure, nella quiete il suo cuore stava battendo inspiegabilmente forte. Lo sentì pulsare sotto la sua pelle quando, dalla sua bocca, uscì un lieve sbuffare di “secondo te, che cosa significa il discorso sull'addomesticamento?”.

Elena si prese una pausa dal suo rumoroso masticare e lo stregone la sentì sorridere dall'altra parte della linea. “Be', Merlin” disse, schioccando la lingua sul palato. “Io penso che la Volpe stia semplicemente chiedendo al principe di insegnarle ad amarlo. Non ti pare?”

 

 

~

 

 

 

 

Salve! Innanzitutto mi scuso per la lentezza con la quale è arrivato l'aggiornamento...per questo capitolo ho dovuto fare un vero e proprio lavoro di restauro. L'avevo scritto in gran parte tempo fa, ma col procedere della storia ho cambiato parecchie cose, e alla fine ci ho messo tantissimo a riaggiustarlo...forse avrei pure fatto prima a riscriverlo del tutto xD

Comunque, le parti in corsivo, il discorso dei tramonti e quello della Volpe, sono, come avrete capito (xD) estratti dal “Piccolo Principe” di Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry.

Mentre ideavo questa fiction, mi venne in mente così, di colpo, quanto in effetti ci fosse del Piccolo Principe nel mio Arthur e della Volpe nel mio Merlin. E niente, era dai primi capitoli che non vedevo l'ora di arrivare al punto in cui poter inserire queste citazioni >w<

 

Oh, alla fine il nostro stregone ha deciso che la sua priorità è difendere Arthur, in barba al duello, anche se non ha messo via del tutto l'idea di riuscire a vincere il suo cuore.

Spero che non generi confusione lo stato (patologico xD) in cui Merlin si trova adesso.

Ma, vi chiederete, dopo tutto questo parlare d'amore, l'ha capito che cosa significa Arthur per lui? La risposta è...sì e no, ma più sì che no. Lo sta capendo. Work in progress. I suoi pensieri oscillano un po' tra il sapere, il nascondere inconsciamente la testa sotto la sabbia e l'indugiare. Però siamo un bel pezzo avanti rispetto a prima, vero? xD

 

 

Angolino Soundtrack:

Melodia per Morgana: Destiny, the Second Story (Brilliant Legacy OST)

Love Theme per Merlin e Arthur: Destiny (Arang and the Magistrare OST)

(nel video ci sono due versioni della melodia; in particolare, per la scena in cui Arthur legge in libreria mi sono ispirata alla seconda versione, che parte dal minuto 3:16. E' la più malinconica e lenta delle due, ed è estrapolata direttamente da un episodio di un drama coreano...quindi ignorate le voci che a un certo punto si sentono sotto xD)

 

Spazio pubblicitario: ho aggiornato con la quarta shot di “Kairos”.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Da altri punti di vista ***


(x)

 

Capitolo nove: Da altri punti di vista

 

 

 

Era davvero patetico il modo in cui le creature riflesse si lasciavano trascinare dal sentimento.

Sebbene Morgana l'avesse sempre saputo, non passava giorno in cui questa convinzione non si rinforzasse.

La debolezza degli umani indeboliva tutto il Mondo Riflesso; erano poco diverse dalle ombre stesse, queste creature non degne della magia. Dopotutto, cos'erano se non semplicemente le ombre degli stregoni? Erano fantasmi della magia.

 

L'ombra della magia non è che lo scarto di ciò che resta; le cose mondane, sorella mia, le cose senza valore.”

 

Morgana sorrise; l'aveva capito subito non appena aveva messo piede sulla Terra. La purezza delle creature magiche non avrebbe mai potuto prosperare, lì. Il contatto con il reale, la connessione con la magia del mondo, ciò era reso impossibile dalla rabbia accecante, dalla diffidenza, dal disgusto, dalle invidie e dalle gelosie.

Non si poteva provare pietà per queste cose – questi uomini, che erano nati ignari dei misteri dell'Antica Religione, e altrettanto ignari sarebbero morti. Non avrebbe mai potuto esserci pena, perché Morgana aveva subito intuito il peggio di loro, di tutti loro, percependoglielo dietro agli occhi.

 

Guardali. Guardali, Morgana, sperduti e tronfi come sono, pieni di loro stessi, spaventati da ciò che non conoscono e che è diverso da loro. Talmente spaventati, sorella mia, che solo l'assaggio di un dubbio, della diversità, li rende cattivi.”

Morgana aveva scosso la testa. “Non sanno. Non capiscono. Povere formiche.”

Povere no, sorella. Povere mai. Non dispongono della magia poiché non l'hanno mai meritata dal principio.”

Non meritano.”

Mai. C'è una sola cosa che meritano. Ed è quella che hanno.”

Morgana aveva alzato il mento, un formicolio sotto la pelle. L'orgoglio di sapere che il problema non l'avrebbe mai toccata. L'orgoglio di essere diversa. “Il sentimento.”

 

Il sentimento che cancellava la ragione. Il sentimento che accecava il buon senso e faceva sprofondare nei cicloni dell'umore.

Morgana rabbrividì al solo pensiero.

Una volta arrivata nel Mondo Riflesso, era stato semplice mantenere il distacco dagli esseri umani e concentrarsi sul raggiungimento del suo obiettivo.

E nonostante avesse deciso subito di scartare l'approccio con loro come una parentesi noiosa e potenzialmente pericolosa (un cuore umano si sarebbe potuto catturare senza farsi coinvolgere!), le carte in tavola si erano di punto in bianco rovesciate, facendo sì che Morgana si sentisse, a intervalli regolari, presa da quella strana nausea – nausea da vicinanza.

I consigli a primo impatto più improbabili erano arrivati a scompigliare il suo piano d'azione.

I consigli di Morgause.

Morgana aveva incontrato il suo mentore qualche tempo dopo l'inizio del Duello; una figura incappucciata, nascosta nella rientranza di una casa, fradicia di pioggia, il trucco sciolto in due ferite nere sbavate sul volto ovale – la prima volta che l'aveva vista: Morgause.

Da quando Morgause aveva preso Morgana con sé, be', i risvolti erano stati quanto meno... imprevisti. Morgana, la strega più brillante della sua generazione, si era ritrovata sotto consiglio di Morgause a diventare una lady ben inserita nel panorama umano. Amata, perfino venerata. Che fosse sulla base di motivi reali o indotti dalla magia, che importava?

Questa lady era la nipote del re, la cugina del principe – il Principe dei Draghi! Cielo! La cosa era da un verso assai ridicola, tanto che Morgana doveva spesso sforzarsi di non scoppiare a ridere davanti a quella faccia onesta, a quegli occhi chiari pieni di promesse. Non ne aveva la minima idea, vero, quel povero diavolo viziato?

(No, povero no. Povero mai.)

La strega doveva ammettere, comunque, che molti aspetti di questa esperienza la gratificavano in modo sorprendente: primo fra tutti c'era il piacere della collaborazione con Morgause, che aveva tanto da insegnarle, e tanto dolcemente insegnava. Poi, l'eccitazione della gara stessa, la voglia di far valere la sua forza contro il suo rivale, un suo pari; la voglia di emergere, di salire su, su, sempre più su.

Morgana la migliore, la più in gamba. Scaltra, oltre che come strega, pure nelle vesti di “umana”. Una lady servita e riverita e ammirata e rispettata da uno stuolo di umani – umani! Ecco l'assurdità. A diretto contatto con loro, si ritrovava adesso Morgana. Ad usarli, si ritrovava adesso.

Non che servirsi di qualcuno fosse anche minimamente un problema – il più forte vince. Un mezzo non è che un mezzo.

Il problema stava nel servirsi proprio degli umani, perché ciò costringeva Morgana ad avere contatti con essi. A cercare di capire i meccanismi dei loro pensieri, i desideri più nascosti, i sussulti del cuore... e che nausea, il cuore, che nausea al solo pensarci.

Al solo pensare del pericolo che rappresentava, dello stato in cui lei rischiava costantemente di ridursi... l'umanità. La debolezza. Niente magia.

No.

Morgana non l'avrebbe mai persa, non avrebbe mai perso se stessa. Non avrebbe mai perduto. Non avrebbe mai perduto altro.

Al contrario, avrebbe trovato. Niente e nessuno l'avrebbe ostacolata – niente e nessuno, sorella mia, niente e nessuno – né un ingenuo rivale che, sorprendentemente, manifesta la sua forza nascosta, né il veleno primigenio. E se per arrivare al successo si doveva rischiare, lei avrebbe rischiato. Avrebbe accolto il pericolo tra le sue braccia. L'avrebbe manipolato fino a farlo diventare qualcosa di familiare, un suo alleato, sì. Tutto, per poter vincere il duello.

 

Sopporta la vicinanza scomoda delle creature inferiori, sorella. Così mischiata tra loro ti sarà anche più facile la tua ricerca.”

 

Niente e nessuno, sorella mia.”

 

Non sono degni di conoscere i segreti del mondo, sorella. Ma, se usate bene, le creature riflesse possono risultare di qualche utilità. Loro il diverso lo eliminano; noi ne traiamo il meglio. Non lo torturiamo, non lo calpestiamo. Quando abbiamo finito con lui, non ce ne curiamo più. E a nessuno resta neanche la preoccupazione del ricordo.”

 

Niente e nessuno.”

 

So che è difficile, Morgana, ma io ti sono accanto, finalmente. Stringi i denti e pensa solo al desiderio che vedrai realizzato dal Grande Drago una volta raggiunta la vittoria...”

 

Non voglio più stare da sola.

 

Il desiderio del Drago, sorella...”

 

Non voglio nessuno...

 

Niente e nessuno.

 

 

“Cosa avete detto di volere?” chiese Gwen, scrutandola con quei suoi enormi occhioni scuri che Morgana trovava irritanti.

“Nulla, Gwen cara. Mi ero soltanto persa un poco nei miei pensieri” le sorrise, piegando la testa di lato.

Puah. Spalanca un po' di meno le palpebre, Gwen, o è la volta buona che ti rimarranno bloccate in quel modo a vita.

La cameriera arricciò il naso ma sostenne il suo sguardo – dèi, era proprio per questo che spesso, in sua presenza, Morgana si sentiva pizzicare la pelle per il fastidio.

Gwen non era poi tanto male; sapeva fare la manicure come nessuno nel Regno, amava spettegolare e aveva delle reazioni imbarazzanti che era una delizia stare a guardare. Ma sosteneva il suo sguardo. Lo sosteneva sempre. E aveva gli occhi grandi e troppo curiosi. Questo, più ovviamente il fatto che fosse un essere umano che le stava accanto per buona parte della giornata.

“Vi sentite poco bene?” si preoccupò Gwen, abbandonando sul tavolino limetta e forbicine per andare a toccarle la spalla. “Di nuovo i vostri problemi di nausea?”

Non ancora, ma se continui a starmi tanto appiccicata ci arriviamo.

Morgana sorrise allargando appena le narici e appoggiò la mano su quella della servetta umana che si era ritrovata per confidente. “Sai cosa mi farebbe sentire meglio, Gwen? Che tu riprendessi con la manicure. Non vorrai mica che me ne vada in giro con tre sole dita della mano destra smaltate di nero?”

Dèi del cielo, se non aveva appena detto a Gwen la verità; Morgana odiava fare le cose a metà. Al contrario, amava la perfezione e il bello. Sempre in ordine, la strega Morgana. Sempre tutto sotto controllo e impeccabile, per lei.

Era stata così fin dalla più tenera età, quando non giocava coi suoi coetanei se non era lei il capo del gruppetto della giornata e se non poteva decidere lei la formazione delle squadre (nessun altro avrebbe saputo distribuire bene le forze! Nessun altro bambino era intelligente come lei).

Solo in seguito, quando aveva iniziato a frequentare l'Accademia, tutti avevano riconosciuto il suo valore. Gli studenti facevano la fila per controllare i loro compiti con i suoi, i professori lodavano il talento naturale di Morgana, l'unica che sapeva crearsi incantesimi da sola, dal nulla.

C'era anche Merlin lì in mezzo a loro, se lo ricordava. Aveva catturato la sua attenzione perché era uno dei pochi che non facevano la fila davanti a lei, preferendo invece starsene in un angolo in compagnia di quel suo amico della campagna.

Anche Merlin l'ammirava, sì, Morgana lo leggeva sul suo volto luminoso ogni volta che, per caso, incrociavano i loro sguardi. Ma di tanto in tanto, quando nessuno lo notava, questo ragazzino magro e sorridente guardava lontano, oltre la finestra della classe, oltre le colline, oltre ogni cosa.

Morgana se n'era accorta – lei si accorgeva di tutto. In quelle occasioni alzava le sopracciglia e gli dedicava alcuni secondi della sua attenzione perché, in qualche modo, Merlin era diverso dal resto.

Diverso come lei.

Dopo pochi istanti, comunque, Morgana girava il collo e tornava al suo lavoro o al suo bagno di attenzioni. Così aveva trascorso il periodo della sua formazione. Poi, appena dopo il diploma, quella lettera e le Terre Desolate. Oh, sì, Morgana aveva continuato a essere la migliore anche lontano dalla capitale, era vero. Era rimasta sempre fedele a se stessa anche nel periodo di ritiro ai confini del Regno. Perfino mentre continuava a studiare per conto suo sopra i libri dell'Antica Religione... i libri delle sacerdotesse.

Non c'era stato nessuno accanto a lei, a quel tempo. Nessuno a lodare i suoi sforzi o a meravigliarsi delle sue doti fuori dal comune. Eppure, Morgana sapeva che prima o poi i suoi sacrifici sarebbero stati ricompensati.

Ma se qualcuno allora le avesse detto che la strategia da portare avanti per raggiungere il suo scopo avesse implicato farsi passare lo smalto da un'umana, spettegolando su altri umani...

“Perché sorridete, lady Morgana?” chiese Gwen, alzando la testa curiosa.

“Stavo pensando che il tempo è passato molto in fretta. Tutto qui.”

Gwen puntellò i gomiti sul tavolo, roteando il pennellino dello smalto tra le dita. “Anche voi avete questa sensazione? Gli ultimi due mesi sono davvero volati. Da quando siete tornata a palazzo... anzi, da quando è arrivato Merlin, mi pare che le giornate di tutti siano diventate più piene e frenetiche. Non che – non che ci diate più da fare di prima, ehm, intendevo...”

“Di certo Merlin occupa le giornate degli altri in modo curioso” disse Morgana, tagliando il blaterare dell'altra. Era snervante questo suo girare intorno ai concetti. “So che combina un guaio dopo l'altro e la servitù ha più da fare di prima per mettere pezze sui suoi errori.”

Gwen corrucciò le sopracciglia.

Aveva spolverato di troppa acredine la voce? Bene, nessun problema, si poteva rimediare. “Oh, Gwen, non è certo la mia opinione, questa. Sai che io trovo Merlin...” Pausa enfatica. Morgana alzò una mano, affondando le unghie nel proprio palmo. “... Sai che lo trovo adorabile. Ma sentendo le chiacchiere che circolano a palazzo... pare che in molti non capiscano come mai il principe non l'abbia ancora licenziato.”

Davvero, perché diavolo Merlin non era stato ancora licenziato? La strega se lo chiedeva spesso. Il suo rivale faceva davvero pietà come valletto. E non era che disponesse neanche di tali altre qualità da spingere il Principe dei Draghi a tenerlo ancora con sé.

Che Merlin avesse stregato Arthur per costringerlo a rimanergli accanto?

No, no. Non sembrava affatto una mossa nel suo stile. Morgana conosceva Merlin – lei poteva capire facilmente il carattere di tutti, ma Merlin, ah, era un vero libro aperto. Un piccolo libricino coraggioso e battagliero e onesto e scontato.

Il suo era seriamente un rivale prevedibile, e la strega era sicura che Merlin avrebbe considerato incantare il principe come “giocare sporco”.

Per questo non riusciva a spiegarsi la sua presenza costante affianco al loro bersaglio.

“In questo modo però è molto più divertente” disse Gwen, nascondendo il sorriso in un pungo. “Non si può negare che Merlin ci dia un bel da fare – la lavanderia lavora sul doppio delle lenzuola, con tutte le volte in cui lui ci rovescia qualcosa sopra... ma non si può volergli male, giusto?”

“Oh, sì” gorgheggiò la strega. “È una persona adorabile, davvero.”

Gwen non colse il sarcasmo. “Ha un faccino... adorabile. Ah, ma l'avete già detto voi” balbettò. “In fondo è simpatico a tutti anche perché dà sempre una mano quando può, ed è gioviale e divertente e... insomma, in cucina e negli altri ritrovi della servitù non dicono sul serio, quando si chiedono come mai il principe se lo tenga intorno. Non lo dicono con cattiveria, almeno, sapete.” Con una pennellata precisa ed elegante, Gwen terminò la prima passata della mano destra. “Merlin piace molto a tutti quanti. Credo che anche al principe piaccia molto.”

“Tu dici che al principe piace Merlin?” chiese Morgana, non riuscendo, stavolta, a nascondere la sorpresa nel tono guardingo della domanda.

Lei sapeva capire le persone al primo sguardo, sì. Ma i sentimenti umani...

Gwen la fissò con ovvietà. “Voi non credete? Voglio dire, quei due stanno sempre insieme. Sono diventati, direi, inseparabili.”

E non lo sapeva, questo, Morgana? Merlin era sempre tra i piedi. Dovunque andasse Arthur, c'era Merlin. Sarebbe stata quasi una barzelletta, se la strega non fosse stata consapevole che ciò implicava l'essere costantemente monitorata dal suo rivale.

Merlin doveva aspettarsi una sua mossa da un momento all'altro, dato che non aveva davvero la minima idea di cosa lei stesse architettando. Per questo lasciava scoperto il fianco del principe il meno possibile.

Il lato positivo? Era incredibilmente soddisfacente vederlo sempre più nervoso a mano a mano che il tempo passava e che lei, almeno in apparenza, non faceva la sua mossa.

Così, per tenere Merlin un po' occupato, per depistalo, ma anche per combattere la noia, Morgana aveva preso a lasciare, di tanto in tanto, tracce della sua magia in giro per il palazzo. In questo modo Merlin avrebbe di sicuro pensato che lei stesse scagliando incantesimi a destra e a sinistra... quando in realtà il suo piano procedeva tra una chiacchiera e l'altra.

La consapevolezza di star prendendo Merlin per il naso era una delle cose che permetteva a Morgana di affrontare col sorriso i suoi attacchi di nausea da vicinanza. Dèi, se non era divertente vederlo scoccare i suoi sguardi di sfida mentre le versava il tè delle cinque e lei allungava la mano verso il braccio del principe.

Merlin era diventato protettivo in modo singolare nei confronti di quel bamboccio; Morgana ancora faticava a capire i suoi motivi, ad accettare che uno stregone forte (forte come lei!) si stesse avvicinando tanto a un'ombra della magia. Ma la determinazione con la quale Merlin si preoccupava di alzare costantemente le difese intorno al suo protetto non poteva venire fraintesa. Ogni tanto il gattino sembrava trasformarsi in una tigre.

Questo motivava ancora di più Morgana. La competizione era migliore se era più accesa. La voglia di prendere per i fondelli un avversario agguerrito e dimostrare la sua superiorità era ancora più pressante. Morgana si sentiva stimolata a inventarsi metodi nuovi per punzecchiare e tenere sulla corda il suo sfidante.

Un'indimenticabile volta era riuscita a trovare, con un colpo di fortuna, una breccia nelle magie difensive di Merlin, e gli aveva portato via la voce con un incantesimo. Il che era davvero il massimo, considerando che la propensione per le chiacchiere a vuoto di Merlin era allo stesso livello di quella di Gwen. La rabbia e la leggera vena di panico sul viso di Merlin, dato dalla preoccupazione di cosa avrebbe fatto Morgana se lui non fosse stato in grado di comunicare col principe, erano stati senza prezzo. Morgana avrebbe ricordato a lungo le chiazze rosse che avevano colorato quel volto pallido e ossuto, mentre lui cercava di urlarle contro, riuscendo solo a tirare fuori una sottospecie di lamento raspato.

Poi, il risultato inaspettato: alla sera Merlin le si era avvicinato chiedendole candidamente se desiderasse della camomilla, quando, secondo i conti che si era fatta, non avrebbe dovuto essere in grado di pronunciare nemmeno una sillaba fino al giorno dopo.

“Arthur mi ha ridato le parole” aveva sussurrato lui a un'attonita Morgana prima di darle la buona notte. E di augurarle di non prendersi il virus influenzale che sembrava stesse girando a palazzo.

La mattina dopo, Morgana aveva scoperto di non avere più la voce. L'incantesimo su di lei aveva fatto tutto il suo corso, non svanendo prima di due giornate piene. Morgana si era sentita furiosa. Come aveva fatto Merlin a dimezzarne l'effetto? Arthur gli aveva ridato le parole... che significava mai?

Lei era sicura che lo stregone l'avesse detto soltanto per metterle una pulce nell'orecchio. Diventava vendicativo, se veniva tartassato a dovere. Questo non le dispiaceva affatto e l'aiutava a fomentare la rabbia, trasformandola in qualcosa di più produttivo – lo stimolo per la ripicca successiva.

Merlin si stava dimostrando un avversario all'altezza; era sveglio per certe cose, e Morgana apprezzava l'acume e il talento e sapeva riconoscerli (anche se all'inizio non era stato facile ammettere a se stessa la sua forza, abituata com'era a vederlo ingenuo e innocuo).

Qualche giorno prima l'aveva messo alla prova per l'ennesima volta, decisa a vedere quanto mancasse per far raggiungere allo stregone il punto di rottura. Quindi, per dare tempo a Gwen di girare indisturbata intorno al suo pollo reale, Morgana aveva chiuso Merlin dentro il bagno di servizio al piano terra, assicurandosi di sigillare bene la porta con un incantesimo tra i più resistenti.

Dieci minuti dopo Merlin aveva fatto capolino nelle sue stanze, roteando tra le dita la serratura del bagno. “Mi stai prendendo in giro?” le aveva detto, un sorriso a metà tra l'irritato e lo sconcertato. “Perché a me non è sembrato affatto divertente.”

Che Merlin rispondesse con sempre maggior decisione alle sue magie era una cosa che stuzzicava da impazzire Morgana, anziché impensierirla.

Tanto lei sapeva di doverlo temere come rivale solo fino a un certo punto; lo vedeva, quant'era... tenero. Lo vedeva quanto poco gli mancasse per perdere la testa, la ragione e il cuore. Su di lui la strega avrebbe sempre avuto un vantaggio naturale.

Ciò che l'annoiava a morte, in realtà, era un altro fatto: Merlin era talmente impegnato a proteggere che sembrava si fosse dimenticato di agire. Ma stava almeno tentando di mettere le mani su quel cuore umano o temeva Morgana talmente tanto da preoccuparsi solo che lei non lo battesse sul tempo?

In qualunque caso, era un bene; però rendeva la competizione meno accesa.

“Hai detto che al principe piace Merlin” disse a Gwen, modulando attentamente il tono di voce perché suonasse interessata in modo blando. “Pensi che anche a Merlin piaccia il principe?”

La risposta la conosceva già. Si trattava solo di vedere fino a che punto si estendesse quel “piacersi”. Era una delle pochissime cose delle quali Morgana non poteva sentirsi pienamente sicura. Non era la sua materia e non lo sarebbe mai stata.

Gwen ci pensò su per qualche attimo. “Merlin si lamenta sempre con me. Dice che il principe è incapace di provvedere a sé stesso e che lo chiama per qualunque sciocchezza” mormorò sorridendo, come se stesse parlando da sola (cosa che, di tanto in tanto, Morgana la sorprendeva a fare). “Dice che Arthur non è nemmeno in grado di nutrirsi da solo e che morirebbe di fame se non gli portasse lui i pasti. Pensate che mi ha pure chiesto di insegnargli come annodare le cravatte...”

Morgana sentì le proprie sopracciglia arcuarsi. “Arthur si fa addirittura annodare le cravatte da Merlin?”

“Merlin dice che è perché il principe ci tiene a rendergli la vita un inferno” fece l'altra, sventolando una mano per far asciugare lo smalto della strega. “Ma secondo me si divertono un mondo entrambi a stuzzicarsi a vicenda, sapete. Voglio dire, almeno Merlin...” A quel punto bloccò il gesto a mezz'aria, gli occhi che si stringevano confusamente. “Forse... non vorrei dire una sciocchezza... però ogni tanto ho come l'impressione che Merlin sia... molto, molto... molto affez-”

“Dovresti essere tu ad annodare le cravatte ad Arthur, Gwen” la interruppe Morgana, che aveva capito bene dove stesse arrivando la cameriera.

Ora non aveva bisogno di ulteriori conferme – Merlin si era affezionato senza alcun ritegno al loro bersaglio.

La cosa le fece sentire il bisogno di leccarsi le labbra, improvvisamente aride.

Morgana lo trovava assurdo, innaturale, incomprensibile. Tuttavia, alla fine questo si sarebbe risolto in suo favore, quindi perché rimuginarci sopra ulteriormente?

L'ultima cosa che le serviva adesso era una delle solite crisi di confusione di Gwen, che non mancavano mai di sfociare in un pietoso complesso di insicurezze. Quella ragazza aveva un'orribile necessità di ricevere incoraggiamenti e, per quanto la strega odiasse fare la parte della consigliera, era proprio questo il compito che le toccava. “Potresti dire a Merlin di fare cambio per questa mansione. Non intendo solo annodare le cravatte. Parlo di occuparsi del guardaroba di Arthur in generale” ammiccò la strega. “Ci guadagnereste entrambi. Lui avrebbe meno di che lamentarsi, e tu, be'... è ovvio.”

Gwen arrossì con furia, concentrando tutta la sua attenzione sullo strato di glitter da applicare sopra la base di smalto nero.

“Gwen, Gwen... ci guadagnereste tutti e tre” insisté Morgana. “Arthur sarebbe più che felice di farsi vestire, e magari anche svestire, da una ragazza fantastica come te, invece che da uno spaventapasseri di valletto.”

“Milady!” soffiò l'altra. La mano le tremò così tanto che arrivò ad applicarle i glitter fino alla pelle dell'indice. “Oh mio dio, scusate.”

La strega represse una fitta di fastidio (ah, odiava gli errori di distrazione) con un sorriso docile che poco le apparteneva. “Andiamo, potresti avere uno come Arthur ai tuoi piedi, se solo ci provassi sul serio.”

A onor del vero, non stava mentendo. Gwen era una ragazza troppo insicura per certe cose, anche dove non ce n'era bisogno. Era carina e pratica, sapeva prendere in mano le redini delle situazioni ed era premurosa. Un'esemplare di femmina umana che avrebbe fatto gola a molti, quindi. Sul serio, sulla carta era perfino troppo per qualcuno borioso e pieno di sé come il suo “cuginetto”.

“Non si tratta solo di questo... cioè, ovviamente io non potrei mai aspirare a tanto...”

“Gwen!”

“... Ma, a parte che lui è il futuro re e io una cameriera, una cameriera senza doti particolari...”

“Gwen...” Morgana si toccò il ponte del naso.

“... Senza doti particolari oltre il saper fare la manicure, e dubito che ciò possa interessare ad Arthur, dicevo, oltre questo... oh, lo sapete, lo sapete quant'è imbarazzante la situazione tra noi.” Gwen scoppiò in un singhiozzo sconfitto che fece tremare Morgana (Per tutti i draghi, se si mette a piangere giuro che esplodo). “Se lui non ha fatto proprio un bel niente finora, perché io dovrei... ?”

“Gwen! Questa è solo una scusa” la riprese severamente la strega. E non provare a dirmi che pensi ancora a quel folle che in questo momento se ne sta a spasso per l'Africa a sospirare per te mandandoti ancora di più in confusione, voleva aggiungere. Invece disse: “Non dirmi che pensi ancora a Lance.”

Lo sguardo addolorato e umido che l'altra le rivolse parlò chiaro.

Morgana non poté trattenersi dallo schiacciare la guancia contro il tavolinetto di marmo.

Ah, gli esseri umani e il loro maledetto, insicuro, imprevedibile cuore. Se non avesse potuto parlare con Morgause entro breve, Morgana avrebbe esaurito la sua già scarsa dose di pazienza prima del previsto.

 

 

ʘ

 

 

Dormi?

 

 

Da: Idiota

Dormivo... prima di ricevere questo messaggio. Che volete, sire?

 

 

Hai lasciato in camera mia quella specie di straccio che ti ostini a indossare come una sciarpa. Vienilo a riprendere.

 

 

Da: Idiota

Domani. Adesso è tardi.

 

 

Adesso! Non sopporto di vederlo neanche con la coda dell'occhio. È troppo rosso e stropicciato, mangiato ai lati e patetico. Rovina l'atmosfera.

 

 

Da: Idiota

Chiudete la sciarpa in un cassetto e non la vedrete! E poi, non dovrebbe darvi fastidio che sia troppo rossa, considerando che il rosso è il colore dello stemma reale dei Pendragon e a palazzo sta un po' ovunque. Ah, e poi come fa una cosa a essere troppo rossa? Non esiste che qualcosa sia “troppo un colore”.

 

 

MERLIN! QUANDO IL TUO CAPO TI DICE DI FARE UNA COSA DOVRESTI FARLA! Sei il mio valletto o no?

 

 

Da: Idiota

Preferirei non esserlo. E comunque non erano esattamente questi i termini del contratto quando sono stato assunto.

 

 

I termini li decido io.

 

 

Da: Idiota

Sentite, anche se non avete sonno dovete proprio tenere sveglio pure me? Mi pare che torniamo sempre su questo argomento ma non ne usciamo mai.

 

 

Arthur si morse il labbro, il pollice che scorreva a lato del cellulare, su e giù, su e giù. Era proprio vero che il modo migliore per occupare il tempo (quando non aveva sonno, o quando non sapeva cosa fare, o quando si sentiva agitato o quando gli andava) era stuzzicare Merlin.

Sarebbe potuto andare avanti per ore in quel modo, un via vai di lamenti senza fine per sms. Le risposte di Merlin sarebbero comunque arrivate in ogni caso. Merlin gli avrebbe sempre risposto, e questo Arthur lo sapeva.

Grattandosi la nuca, il principe si avvicinò d'istinto al finestrone che dava sui giardini. Da lì si poteva vedere proprio il lato della dependance in cui si trovava la stanza di Merlin.

Era solo un caso che il suo sguardo vagasse tanto spesso verso il piccolo edificio bianco dal tetto verde. In fondo, la sua camera da letto non era poi così grande e facendo due passi o tre in più era normale che l'occhio gli finisse... oh. Eccolo lì, Merlin.

Arthur riusciva a vederlo piuttosto bene; stava seduto nella rientranza della sua finestra, dietro il vetro sbarrato e le tendine bianche tirate di lato, come a fare da cornice a un quadretto.

O meglio, se quello fosse stato sul serio un quadretto, sarebbe stato il più patetico tentativo di quadretto che Arthur avesse mai visto; Merlin non era molto adatto per fare da soggetto.

Innanzitutto, non con quell'aspetto di chi è appena sceso dal letto – zazzera nera sugli occhi, pigiama grigio topo troppo corto che gli scopriva le caviglie, ridicoli calzini fucsia.

Nessun riquadro avrebbe mai potuto fissare il movimento nervoso del piede che batteva il tempo, o l'eccessivo entusiasmo con il quale Merlin premeva sullo schermo del cellulare.

Arthur si era sentito spesso tentato di fargli una foto mentre non guardava – per prenderlo in giro più tardi delle sue stranezze, chiaramente. Ogni volta, però, si era ritrovato a mettere da parte il proposito, perché... non sarebbe stato strano provare a bloccare Merlin in un'immagine?

Sarebbe stato assurdo, no? Nessuna foto, nessun ritratto avrebbe potuto cogliere quel qualcosa che quello stupido aveva – quel qualcosa di... vivo.

Arthur trovava curioso come questa figurina di un ragazzo magro con il mento appoggiato sulle ginocchia potesse sembrare talmente viva da dare l'impressione che fosse impossibile farla rientrare in una cornice.

Era proprio da Merlin, la sensazione che ci fosse sempre un più rispetto a ciò che si vedeva.

Certo, ammirarlo nell'atto di asciugarsi il naso su una manica del pigiama fece sentire Arthur particolarmente idiota per aver pensato tanto di lui.

Il suo valletto era infatti intento a squadrare lo schermo del cellulare, passandosi una mano sul braccio per scaldarsi, intervallando ogni tanto il gesto con una bella, salutare pulita del naso sulla manica.

Arthur rise forte, sentendo quella stretta allo stomaco che accompagnava, negli ultimi tempi, le sue risate liberatorie.

Era un po' come se qualcuno facesse pressione in quel punto – ma non una pressione di quelle cattive, che gli toglievano il respiro quando doveva parlare a un evento pubblico e d'improvviso dimenticava le parole. Solo... un piccolo peso.

Gli ricordava vagamente della cocker che Gwaine aveva avuto anni prima, Barbie. Barbie era solita posizionarsi con determinazione in grembo ad Arthur per addormentarsi lì, intenzionata a non scendere tanto presto.

Un peso di quel genere, il principe sentiva quando rideva per le sciocchezze di Merlin: caldo, costante, niente affatto spiacevole.

In quel momento, Merlin si rimise in piedi con un salto poco coordinato e si allontanò dalla finestra, sparendo dal campo visivo del principe.

Lui appoggiò una mano sul vetro, lasciandoci il fantasma delle sue impronte sopra. Fece appena in tempo ad allungare inutilmente il collo che Merlin tornò ad accovacciarsi contro la tenda, avvolto ora in un plaid a quadri come uno strano bruco. Si grattò il naso, poi fece emergere dal bozzolo il cellulare e tornò a fissarlo con qualcosa che, se Arthur avesse potuto vedergli meglio il viso, avrebbe probabilmente definito irritazione.

Merlin doveva star aspettando la sua risposta via sms.

Era così?

Le labbra del principe si piegarono in un ghigno, l'accenno di una risata gli scappò di nuovo dalla bocca. Be', chi era lui per far aspettare invano il suo valletto infreddolito? Il principe di Galles, gli rispose la voce nella sua testa, quella che somigliava spaventosamente alla voce di suo padre.

Arthur la ignorò – gli riusciva così bene di ignorarla, da qualche tempo.

Pensare che non ce l'aveva fatta per tutta la sua vita.

Non ce l'aveva fatta quando la voce gli aveva detto per la prima volta, durante la cerimonia pubblica per l'anniversario della morte di sua madre, “su la testa, non mostrarti debole o nessuno ti darà mai fiducia, sempre su la testa, Arthur” (lui aveva avuto sette anni, allora).

Aveva ascoltato la voce, quando quella gli aveva caldamente suggerito che la duchessina Sophia sarebbe stata una candidata ottimale come fidanzata ufficiale, sebbene ad Arthur Sophia non piacesse neanche un po'. Era stata la voce a scegliere per lui i corsi da frequentare all'università, e anche allora Arthur l'aveva ascoltata, ubbidiente. Perché era nel giusto, no?

La voce di suo padre era quella dell'autorità.

Spesso non andavano d'accordo, loro due, e Arthur riconosceva che Uther aveva commesso i suoi errori, come fanno tutti, del resto. Però Uther era un buon re, era un brav'uomo.

Un buon padre, forse... non del tutto. Ma era suo padre e Arthur l'amava e lo rispettava, ed era normale che un figlio volesse compiacere il proprio padre. Che volesse renderlo fiero.

Arthur, per quanto molti avrebbero avuto a che dire, non era uno stupido; sapeva benissimo che suo padre era il suo tallone d'Achille, e che lo sarebbe sempre stato. Il peso del suo giudizio incombeva sopra il collo di Arthur anche per le minime decisioni. Le aspettative da raggiungere costantemente, la soglia del limite da alzare... e la soddisfazione quando riusciva. Quando riusciva, tutto da solo.

Quella soddisfazione faceva a pugni col suo ego, ogni volta in cui Arthur aveva un faccia a faccia con Uther. Se c'era una cosa che il principe odiava sul serio era l'umiliazione, il dover abbassare la testa contro quell'autorità tanto amaramente irraggiungibile. Eppure l'odio si scontrava con il rispetto, e Arthur non era mai stato molto sicuro di sapere chi avesse la meglio nel corso di quelle lotte interiori e silenziose.

Fino a che, un giorno...

 

Voi siete un Pendragon, siete un reale. Ma siete anche Arthur. Le capacità per essere un grande sovrano, e prima ancora un grande uomo, ce le avete voi. E allo stesso tempo, il titolo vi appartiene e fa parte di voi proprio come il vostro nome...

 

Stupido Merlin. Stupido Merlin che aveva la misteriosa capacità di saper dire un sacco di cavolate, ma anche, sorprendetemene, la cosa più giusta nel momento più giusto.

“Bei... calzini... comunque” si ritrovò a digitare veloce Arthur, aprendo intanto il finestrone con la spalla.

L'aria più che frizzante della serata lo accolse non appena mise piede in terrazza. Il principe si tirò il cappuccio rosso sopra la testa, appoggiando pigramente i gomiti sul marmo.

Vide il suo valletto drizzare la schiena, portandosi il cellulare davanti al naso. Rimase così per qualche secondo e ad Arthur venne di nuovo da sghignazzare – era proprio impossibile.

Quando Merlin si voltò confusamente dalla sua parte, il principe sventolò la mano tracciando un'ampia semi circonferenza in aria, una parodia del gesto che ripeteva spesso per salutare la folla.

Merlin prese a lavorare con foga sul telefono.

Arthur rimase a guardare, facendo il broncio. Insomma, ma che razza di maleducato. Non era ovvio che avrebbe dovuto fare come lui e aprire la finestra per parlargli faccia a faccia? Ogni persona con un briciolo di buone maniere non avrebbe lasciato il principe di Galles al freddo senza compagnia.

La vibrazione gli annunciò l'arrivo di un nuovo messaggio, che lui aprì subito solo perché, se non si fosse tenuto impegnato, gli sarebbero cadute le dita a causa intorpidimento.

 

 

Da: Idiota

Mi spiate pure, adesso?

 

 

Ah.

 

 

Non posso più nemmeno affacciarmi alla mia finestra?

 

 

Da: Idiota

Vi rendete conto che è da pazzi starsene lì a quest'ora senza giacca, spero.

 

 

Vieni su, allora, o la colpa di aver fatto raffreddare il tuo principe ricadrà interamente su di te. Sarebbe alto tradimento. Sai che nel seminterrato del palazzo sono ancora conservate delle belle prigioni medievali? Altro che la Torre di Londra...

 

 

Carina, questa delle prigioni. Perché non ci aveva pensato prima? Erano un posto particolarmente adatto per spaventare qualcuno.

Arthur ricordava quando, da piccolo, aveva sfidato Gwaine e Lance a sgattaiolarci dentro per una prova di coraggio. Per entrarci avevano usato il passaggio nascosto del labirinto, e avevano finito col perdersi prima lì e poi nei sotterranei. Era stato Leon a ritrovarli, stretti l'un l'altro, Lance con un ginocchio sbucciato, Gwaine che tratteneva stoicamente i lacrimoni e Arthur che brandiva la spada di plastica. Tutti e tre terrorizzati ma decisi a non darlo a vedere, Arthur un po' per non spaventare gli amichetti, un po' per orgoglio e un po' (tanto) per la famosa voce che gli ricordava “su la testa, è così che fa un leader”.

Comunque, non sarebbe stato troppo difficile procurarsi la chiave per le vecchie prigioni. Di sicuro Merlin ci sarebbe cascato in pieno, se Arthur ce l'avesse portato e avesse minacciato di lasciarlo lì al prossimo errore.

In quella il telefono prese a suonare quasi in protesta, come se Merlin avesse percepito ciò che Arthur stava architettando e l'avesse chiamato subito per lamentarsi.

La sua voce offesa perforò l'orecchio del principe. “Siete completamente pazzo” esordì. “Non ho mai conosciuto nessuno più pazzo di voi. Lasciamo perdere i ricatti indegnissimi di un principe, quelli li attribuisco al vostro ego da perenne adolescente.”

La sua insolenza non aveva limiti, Arthur davvero ne rimaneva meravigliato ogni volta. Prese fiato per ribattere e rimetterlo al suo posto, ma Merlin parlava serratamente, senza dargli neanche un secondo di tregua.

“Il problema qui è un altro, e cioè, avete visto che ore sono, santo cielo? Ma non ce l'avete un minimo di coscienza? Chiedere a un valletto di precipitarsi da voi, ben oltre l'orario di lavoro-”

“Non abbiamo mai stabilito un orario di lavoro preciso. Per quanto ne sai tu, potrebbe benissimo essere una cosa del tipo ventiquattro ore su ventiquattro.”

“Al limite scendete giù voi” lo ignorò Merlin. “Non ci penso neanche a spostarmi di qui, fa freddo e voglio restare in pigiama e sì, i calzini sono molto belli, grazie tante. In ogni caso rientrate, testa di fagiolo. Se restate alla finestra posso vedervi comunque, anche da dentro.”

“Perché quest'ultima tua affermazione mi puzza tanto di ordine?” disse Arthur, facendo retro-front.

Una volta tornato al coperto, un afflusso di calore gli fece sentire il bisogno di togliersi il cappuccio da sopra la testa – gli sbalzi improvvisi di temperatura gli facevano cose terribili. “Comunque grazie, Merlin. Se non fosse stato per il tuo saggio consiglio, non mi sarebbe mai venuto in mente di rientrare. Non so che farei senza di te” disse, appoggiando la schiena al vetro.

“Divertente. Siete proprio divertente, ve l'hanno mai detto?”

“Ah! Sì, più volte di quante tu possa immaginare.”

Merlin buttò fuori una risata appena accennata nel respiro. Arthur l'ascoltò, non aggiunse nulla, e ne seguì una manciata di secondi silenziosi. Il principe sentì la propria spina dorsale accomodarsi placidamente contro il finestrone. Non gli dispiaceva il silenzio. Non gli era mai dispiaciuto. I silenzi migliori erano quelli che non ti dovevi preoccupare di colmare.

Con Merlin non ti dovevi preoccupare di colmare il silenzio. In genere ci pensava lui. “Ditemi cos'è che vi tiene sveglio e che, di conseguenza, non fa dormire nemmeno me.”

Arthur sorrise ai lacci delle scarpe. Come volevasi dimostrare.

Sentì freddarsi i polpastrelli della mano sinistra che aveva appoggiato inconsciamente contro il vetro. Continuò a dare la faccia al proprio letto, immaginandosi Merlin sempre accoccolato su se stesso nella sua tana. Magari, quando si fosse voltato di nuovo, l'avrebbe visto coperto pure con i lembi della tenda bianca. “Prima sono andato un po' su internet a leggere cosa dicono di me” buttò lì con casualità. Senza curarsi di specificare che la sessione di ricerca era durata qualcosa come un'ora e mezza.

Merlin ruggì, spazientito. “Lo sapete che è meglio non farlo, perché vi ostinate a insistere? Mi fate impazzire, siete così... testardo!” Arthur riuscì praticamente a vederlo digrignare i denti. “Che vi ha detto Leon, eh? E che vi dico sempre pure io? È meglio ignorare tutto senza curarsi delle cattiverie che-”

“No, Merlin, ascolta” si affrettò a interromperlo e, quasi l'avesse avuto davanti, alzò la mano libera a mezz'aria. “Non ci sono articoli diffamatori. Sì, be', qualche cavolata c'è sempre, ma non è lì che mi sono soffermato. In realtà è da un pezzo che non vedo circolare qualcosa di veramente pesante sul mio conto.”

“Uhm, allora... bene?” tentennò Merlin.

“Hai capito? Voglio dire, non parlano male di me. Non ci sono nuovi pettegolezzi, né voci fasulle di fidanzamenti, né foto imbarazzanti.”

“Sì? Sì, insomma, bene!” Una luminosità improvvisa colorò la voce del suo valletto, come se Merlin avesse realizzato solo a quel punto cosa Arthur gli stesse in effetti dicendo, una luminosità che, dio... perché gli veniva da chiudere gli occhi? Doveva essere la stanchezza.

Andava bene se li teneva chiusi ancora per un po'. Tanto nessuno l'avrebbe visto. “Parlano molto bene di me” aggiunse allora, e sì, chiudendo gli occhi con decisione. Perché se una cosa si poteva fare con decisione, allora valeva la pena farla così, e non in modo banale. “Parlano di come non siano scoppiati più scandali da un po' di tempo a questa parte... 'Il principe di Galles ha messo la testa a posto'.”

Era lo spettro di quel titolo, letto sulla rivista on line Camelot, che continuava a non volerne sapere di uscire dalla sua testa. In realtà, prima di vederlo, Arthur nemmeno aveva realizzato quanto il significato nascosto dietro quei caratteri cubitali fosse vero.

Ultimamente non era successo proprio nulla – niente frasi sconvenienti vere o presunte rilasciate da lui, niente foto compromettenti, niente.

La situazione era cambiata rispetto alla routine alla quale era abituato fino ad alcuni mesi prima; di norma, quando Uther lo faceva particolarmente infuriare e ad Arthur non bastava dare qualche pugno al sacco per scaricare la tensione, il principe se ne andava per club. La serata si concludeva con un fiasco tremendo, la notte si scioglieva indistintamente nella mattina e, quando Arthur si risvegliava nel suo letto, si ritrovava con tre cose: un mal di testa desolante, un vago ricordo di qualche bionda alla quale avrebbe dovuto mandare dei fiori in segno di scuse, una sensazione di misero vuoto allo stomaco che faticava ad andare via. O che forse non andava via mai.

Poi, Uther lo convocava nel suo studio, dove lo attendeva una doccia gelata di sdegno paterno, pronta a svegliarlo per bene. Portare avanti una conversazione che non fosse a senso unico era impossibile e il principe si ritrovava più irritato di prima – sconfitto, era quella la parola esatta.

La sera dopo, usciva di nuovo.

Ora sembrava che, da qualche parte nell'ultimo lasso di tempo, il circolo vizioso fosse stato interrotto.

Arthur aveva interiorizzato la cosa solo quella sera, ritrovandosi la frase della verità sotto il suo naso, “Il principe di Galles ha messo la testa a posto”. Era stato come se qualcuno avesse accesso una lampadina nella sua testa. Arthur si era buttato in una ricerca meticolosa tra le pagine web, cercando nemmeno lui sapeva bene cosa, e trovando... nulla.

Nemmeno della volta davanti al Rising Sun con quella barista se n'era poi saputo nulla.

Realizzarlo di botto era stato spiazzante. Arthur si era ritrovato a chiudere il portatile con furia per dedicarsi a una sana dose di sport serale – giri a vuoto intorno alla stanza nel tentativo di capire che cosa mai fosse cambiato. Quale fosse stata la variante che aveva dato una svolta all'andamento della sua vita.

Il motivo per il quale poteva permettersi il lusso, dopo tanto tempo, di prendere tutto con una certa calma... senza troppa insicurezza. Senza pressione. Il motivo per il quale riusciva di nuovo a respirare a pieni polmoni.

“Avrete un angelo custode che sistema i vostri pasticci” disse Merlin, mescolando le parole a uno sbadiglio.

Arthur respirò. “Nah... i miei risultati li devo a me stesso, così come è sempre stato” rispose, in modalità automatica.

Merlin rimase muto per qualche attimo. “Certo, certo” recuperò poi, velocemente, “comunque, bene. Angelo o no, le cose vanno meglio e io sono contento per voi.” Arthur sentì la sua voce modellarsi in una parabola ascendente, quello stadio che in genere era accompagnato dai sorrisoni più stupidi e genuini di Merlin, che arrivavano fino alle orecchie e occupavano tutta la sua faccia.

Arthur non aveva mai visto nessun altro sorridere così. Era talmente strano che non si poteva fare a meno di fissarlo. E, fissando, il principe aveva finito per memorizzare ogni singola piega nella quale si increspava il suo viso quando sorrideva, le fossette, le rughe intorno agli occhi.

“Sei contento e basta?” lo stuzzicò, perché si divertiva molto a mettere Merlin in difficoltà – la cosa più deliziosa era arrivare a farlo blaterare insensatamente; Arthur si era ritrovato spesso a giocare a “vediamo quanto ci metto stavolta a farlo balbettare”. I risultati erano stati spesso impressionanti.

“Certo, sono contento e basta” disse in fretta il suo valletto. “Ci dovrebbe essere qualcos'altro?”

“Non so, qualcosa tipo, uhm, fiero? Sei stato tu a dirmelo. Che eri fiero di me.”

Sono fiero di voi, aveva detto Merlin bloccandolo all'uscita da Hatchards, un sussurro appena accennato, tiepido sulla sua pelle. Ripensandoci, Arthur sentì quel piccolo peso sullo stomaco – Barbie.

“Ah. Da-davvero l'ho detto? Non me lo ricordo proprio” incespicò Merlin e, ah! Era troppo facile vincere così.

“Certo che sì. L'hai detto in libreria, l'ultima volta” insistette.

“Continuo a non ricordare.”

“Memoria corta.”

“Forse.”

“Ma se te lo dico io ci devi credere” disse Arthur, accomodandosi meglio contro il finestrone. Infilò un piede sotto l'altro e ancorò la mano libera nel fondo della tasca della tuta. Se Merlin l'avesse visto, gli avrebbe soffiato dietro qualcosa come 'che razza di strafottente'. Lo faceva spesso. “L'hai detto tu che se ti dico una cosa, ci credi. Me l'hai detto in camera mia, ti ricordi?”

Oh sì, il discorso del “io mi fido di voi”. Arthur allungò un po' il collo per liberarsi dal calore che il cappuccio tratteneva tutto lì intorno.

“Quello potrei anche averlo detto...” brontolò il valletto.

“Me l'ha detto pure mio padre. Che è fiero di me.”

“Oh!” Merlin squittì quasi. “Ci avete parlato? Ce l'avete la ruga delle grandi occasioni che spunta fuori quando ci parlate?”

“Prima mi ha convocato nel suo studio, dopo cena” spiegò Arthur. Probabilmente era da là che era partita, poi, tutta la ricerca su internet. Forse. “Ha detto che mi vede più sereno, che gli sembra io abbia trovato la mia via e che questo lo rende contento.”

“Tutto qui?”

“Già” fece lui, stringendosi nelle spalle.

Be', in realtà non c'era molto altro da raccontare. Le cose erano andate proprio in quel modo: Arthur era entrato nello studio privato del re, dove aveva trovato quest'ultimo con la testa piegata sopra un mare di scartoffie. La scena era consueta; non molto consueto era stato vedere Uther sollevarsi di botto dal proprio lavoro, commentare casualmente che gli faceva piacere vedere suo figlio sereno, e poi tornare alle sue questioni, come se nulla fosse accaduto.

Arthur se n'era rimasto in piedi davanti alla scrivania, ondeggiando quasi impercettibilmente col busto – non era stato molto sicuro di sapere cosa stesse succedendo. O se gli fosse stato permesso di dire qualcosa, o di battere in ritirata.

Vedere suo padre in quello stato relativamente innocuo lo disorientava più di qualunque altra cosa.

Arthur aveva aspettato per un minuto buono, durante il quale aveva incassato il colpo, e, sotto sotto, aveva sperato nell'arrivo di altro, tipo, magari, un parere un po' più sostanziale. Alla fine aveva alzato le sopracciglia, raccogliendo ciò che aveva ottenuto. “Grazie papà”, aveva detto, ed era uscito.

“Insomma, è comunque un passo avanti” disse, sentendo le labbra che si arricciavano all'infuori.

Merlin non disse nulla riguardo suo padre, ma il suo silenzio era carico di sottintesi.

Arthur, anche se il suo valletto non si era mai espresso direttamente in proposito, aveva intuito che a Merlin non piaceva il comportamento che Uther teneva nei confronti del proprio figlio. Be', un grosso indizio l'aveva avuto quando, una memorabile volta, Merlin si era dovuto occupare del servizio a tavola nel corso di una cena che aveva riunito la famiglia Pendragon (tre componenti in tutto; non era poi così difficile riunire la famiglia, eppure accadeva di rado).

Merlin, ovviamente, aveva fatto rovesciare una metà del minestrone sulla tavola mentre serviva le porzioni. Morgana aveva riso con passione, ma il re se l'era presa con Arthur, rimproverandogli di non saper scegliere nemmeno chi avrebbe potuto servirlo bene. Il principe aveva intercettato il labiale di Merlin, che era somigliato pericolosamente a qualcosa come “che vecchio bastardo”.

Da una parte gli aveva fatto drizzare i capelli in aria per il fastidio, perché Merlin, se non altro, doveva del rispetto a Uther; era sempre il suo re, oltre che l'uomo che gli stava dando da lavorare, l'uomo che suo zio Gaius rispettava e che Arthur stesso rispettava.

Dall'altra parte...

Merlin se ne fregava dei titoli e della scala sociale, se ne fregava al punto da superare la maleducazione e raggiungere l'oltraggio. In questo modo, però, si poteva essere sicuri che tutto ciò che diceva fosse sempre sincero, che non ci fossero filtri a schermare i suoi pensieri. Se Merlin diceva di essere fiero di Arthur, allora era vero, e nel senso più totale della cosa, perché a Merlin non avrebbe potuto interessare di meno se Arthur fosse stato un principe o uno sguattero. Lui lo rispettava in quanto uomo.

Questo... questo faceva cose strane ad Arthur. Cose molto strane. Cose che gli restringevano lo spazio nella cassa toracica, ogni volta che Merlin gli faceva capire cosa pensasse di lui, cose che avevano a che fare con tutto il discorso di Barbie.

Succedeva di frequente.

Merlin era un chiacchierone – non stava mai zitto, a dire il vero. In mezzo ai fiumi di sciocchezze, parlando, non si risparmiava dal ricordare ad Arthur quanto, cervello minuscolo a parte, lo considerasse una persona assolutamente degna di valore.

Ah...

Merlin gliel'aveva fatto capire chiaramente molte volte e, se non con le parole, nel modo in cui lo guardava, talmente limpido, talmente aperto.

In tutta onestà, Arthur non ce l'avrebbe fatta ad arrabbiarsi sul serio con lui anche se Merlin avesse dato del babbeo a suo padre in pubblico, perché, il principe ne era certo, l'avrebbe fatto solo ed esclusivamente in difesa di Arthur.

Un cosino magro e scoordinato come Merlin.

In sua difesa.

Il solo pensarlo sembrava ad Arthur... destabilizzante. Se lo diceva a mezza voce, quando era solo in camera sua (non che l'avesse mai fatto, comunque), anche allora suonava alieno tra le sue labbra.

Era Arthur quello che proteggeva, insomma. Era lui quello con la spada di plastica.

Eppure... eppure, se sentiva il battito accelerato, dal polso, al collo, alle orecchie, a tutto, se sentiva il battito accelerato realizzando che qualcuno restava al suo fianco senza vergogna, senza celare nulla, sempre, a fare da scudo alla sua spada, sempre...

“Arthur” lo richiamò Merlin, e il principe si schiarì la voce, tornando dentro alla conversazione. “Indipendentemente da ciò che dice vostro padre, voi l'avete trovata per davvero, la vostra via?”

Arthur ci pensò un attimo, colto alla sprovvista. Non era una domanda alla quale sentiva di poter trovare una risposta appropriata, per lo meno non ancora. Forse era troppo presto, forse aveva appena cominciato a capire ciò che gli piaceva e ciò che non gli piaceva, ciò che gli si adattava e ciò che sapeva fare.

Forse era passato troppo poco tempo da che si era scoperto anche lui bravo e competente in qualcosa di pratico, che per una volta non c'entrava nulla con i risultati accademici: il contatto aperto con la gente.

Avere a che fare con le persone durante le parate o le interviste era sempre stato uno degli aspetti che alleviava Arthur dal peso della responsabilità. Ma, da dopo il successo della lettura da Hatchards, il suo amore per eventi simili era moltiplicato. Era possibile raggiungere il cuore della gente, se ne era reso conto. E in realtà, per la prima volta, aveva pensato che non gli dispiacesse affatto farlo.

I sorrisi, gli sguardi d'incoraggiamento che aveva ricevuto in cambio da madri, bambini, persino giornalisti, tutto questo aveva parlato chiaro, e gli aveva dato una marcia in più.

Il sorriso di Merlin, in piedi in fondo alla sala... Il suo scudo.

“Non so cosa dire...” fece il principe. Ed era la verità. Non avrebbe mai saputo come esprimere quello che sentiva in quel momento, o che aveva sentito allora, o che sentiva spesso, sempre più spesso. Quindi optò per una cosa che gli riusciva bene, perché i suoi insegnanti privati, se non altro, gli avevano sempre detto che possedeva il dono della sintesi. “Comunque, in qualche modo, va meglio di prima.” Perfetto.

“Siete ritornati sull'argomento dell'esercito, con vostro padre?”

L'esercito, già. Non che Arthur avesse accantonato del tutto la cosa.

Ancora riusciva a immaginarsi piuttosto bene nei panni del militare, e credeva fortemente che se la sarebbe cavata, nel campo. Solo che...

Ecco, non era più l'unica possibilità che sentiva gli fosse rimasta, per fare qualcosa. Per rendersi utile.

“Lui non ne ha più parlato... ma non l'ho fatto nemmeno io” disse allora con lentezza, sincero. “Suppongo di... aver sempre pensato di entrare in esercito perché non sapevo cos'altro fare di me stesso. Non era la giusta motivazione.”

“Oh, su, scommetto che ci sono un sacco di... 'cose da principe' che potete fare” convenne Merlin, molto probabilmente sventolando una mano in aria. “Non siete poi così tanto inutile qui dove state, sapete. ”

“Ma grazie, Merlin, grazie mille” scherzò.

“Di niente, figuratevi, sono qui per questo.”

“Non ne dubitavo.”

“Non dubitatene.”

“Non lo faccio.”

“Continuate a non farlo.”

Arthur inspirò, allontanando un po' il telefono dall'orecchio – quand'era che ce l'aveva appiccicato così? Non se n'era accorto.

Merlin buttò fuori un sospiro gemello del suo respiro. “Dovrebbe dirvelo sempre” disse alla fine, il tono basso, ma fermo. “Dovrebbe ricordarvelo sempre, vostro padre, che è fiero di voi.” Di nuovo, a metà tra la difesa di Arthur e l'offesa niente affatto celata ai modi di suo padre. Così tipico di lui. “Se non altro, perché quando vi fanno i complimenti rendete meglio. Come l'aria calda che gonfia una mongolfiera per farla volare, avete presente?”

Ecco, adesso aveva virato pure verso l'offesa nei confronti di Arthur. Proprio tipico. “Mi stai dando del pallone gonfiato.”

“Nah... Dico solo che rendete meglio quando venite motivato.”

“Ed è quello che fai tu? Motivarmi, tipo preparatore atletico?” si scaldò il principe. Questa era proprio curioso di saperla. Si leccò le labbra, spostando il cellulare dall'altra parte in un gesto assolutamente non nervoso. “È questa la ragione per la quale mi hai detto che eri fiero?”

“No!” esclamò Merlin. Poi ne seguì un “ooof” soffocato e un inconfondibile suono di qualcosa che cadeva. “Ahi...”

Il principe allora si voltò di botto, per la prima volta da quando era rientrato dalla terrazza. Il posto occupato dal suo valletto era vuoto. “Merlin?”

Fu soltanto per un secondo... ma, per quel secondo, i polmoni di Arthur si svuotarono pericolosamente.

Subito dopo, una mano pallida emerse dal basso.

Respiro.

Davvero, Arthur si sarebbe messo a ridere solo per quanto la scena gli ricordava quel film con gli zombie che sbucano da sotto terra. Fu il vedere Merlin che si tirava su tenendosi il sedere, però, che lo fece scoppiare in una risata, con tanto di testa buttata all'indietro. “Merlin, ma che diavolo?!” riuscì a dire a stento.

“Sono caduto. Non ridete, cavolo” disse guardandolo in faccia, per mostrargli il broncio. “Ahi, che botta...”

“Potevi riuscirci solo tu” disse, assicurandosi che il suo scuotere la testa fosse ben visibile. “Ci credo che ti sei fatto male al sedere, ossuto com'è. Non c'è un filo di grasso a fare da protezione. E non!” tirò su l'indice, sentendo che l'altro prendeva fiato per rispondergli, “Non osare neanche fare il mimo commento sulla questione del grasso.”

Merlin chiuse la bocca come un pesce. “Arthur...” ricominciò poi.

Meeerlin” belò lui, roteando gli occhi.

“Arthur, quella volta l'ho pensato sul serio, che ero fiero di voi” disse, a sorpresa.

Dannazione. Arthur avrebbe dovuto esserci abituato, ai suoi sprazzi di sincerità improvvisa. Ma era più facile dirlo che farlo, quando sentiva la gola attorcigliarsi in un nodo sotto il comando della voce limpida di Merlin.

“Per la storia di vostra madre, io – io vi capisco” continuò quest'ultimo, ignaro di tutto, semplicemente, dio, semplicemente sincero. “Non so se al posto vostro sarei riuscito a fare lo stesso, parlarne davanti a tutti come avete fatto voi, intendo, parlarne in quel modo, così diretto, dire quanto vi mancava – umh...” Un sospiro tremolante, quasi addolorato, bloccò il torrente delle sue parole.

Arthur sentì l'urgenza di tornare a dargli le spalle, e così fece.

“Mi è piaciuto molto, quello che avete detto quella volta. Mi è piaciuto molto, Arthur.”

“Oh.” Il principe allungò il piede per sollevare appena il tappeto. “Be'.”

“Non ho mai conosciuto mio padre, sapete.”

Cosa? Quindi anche Merlin, come lui...

Le cose che aveva vissuto lui... anche Merlin le aveva provate?

“Non me l'avevi mai detto” gli rispose. Il proposito di dargli la schiena svanì immediatamente quando il suo collo tornò a voltarsi verso la dependance. La testa nera del suo valletto era appoggiata mollemente sulle ginocchia; le dita lunghe, troppo bianche nel buio, giocavano col bordo del plaid intorno al quale era arrotolato.

Solo allora Arthur si disse che Merlin, in realtà, parlava pochissimo di lui. Se fosse stato un tipo più misterioso, il principe avrebbe potuto pensare che Merlin gli parlasse solo del se stesso che viveva lì a palazzo. Del ragazzo che era stato prima di mettersi alle sue dipendenze, Arthur sapeva ben poco.

Ma non poteva esserci niente di troppo diverso, vero? Merlin era... Merlin. Così come lo vedevi inciampare e versare la zuppa. Come lo ascoltavi blaterare a vuoto. Come lo sentivi, il dorso freddo della mano che sfiorava per caso la tua, mentre camminava al tuo fianco.

“Non ci penso spesso, in realtà, a mio padre” disse il valletto. Arthur ascoltò bene, perché Merlin era Merlin, anche se parlava raramente di certe cose. Quindi, se lo faceva, meritava di essere ascoltato.

“Credevo... ho sempre pensato che non si potesse sentire la mancanza di ciò che non si ha mai avuto. Ultimamente, invece...” E sorrise in quel suo consueto gesto dello strofinarsi la fronte con una mano.

Ultimamente cosa? Merlin ha sentito la mancanza di cose che non ha mai avuto? Che cosa non ha mai avuto? Potrei aiutarlo ad avere queste cose?

“Stiamo entrando in un ambito un po' complicato” disse Arthur. “Sicuro di avere le capacità intellettive per sostenere l'argomento?”

“E io che, per un attimo, sentendovi parlare di vostra madre, avevo pensato che avessimo qualcosa in comune.”

Risero insieme, note basse che si diffondevano nella notte. La risata di Merlin era come una musica. Si prolungò più della sua, sembrava non volersi spegnere mai. Alla fine si trasformò, invece, in uno sbadiglio sonoro.

Il principe prese fiato, alzando gli occhi. Era una serata un po' fosca; nuvole scure nascondevano le stelle, accomodandosi intorno alla luna come per fare da cuscini. Arthur amava le serate così. Gli davano un senso di pienezza. “Merlin... vai a dormire. È molto tardi” disse, tirando le tende rosse sul finestrone.

“Mi state dando il permesso per ritirarmi, finalmente?”

“Più che altro sto tentando di liberarmi di te. Ho proprio sonno.” Si sentiva sazio e stanco come non succedeva da almeno dieci anni, ai tempi in cui non riusciva a dormire se non aveva mangiato la sua tazza di latte e cereali della mezzanotte.

“Bastava dirlo. Ma come faccio a credere che non mi ributterete giù dal let-”

“Sta' sicuro, Merlin. Adesso puoi dormire. Buonanotte.”

“Buonanotte. Se non ce la fate a prendere sonno, fatevi le parole crociate o andate a risolvere un problema di fisica o quello che vi pare, ma niente internet.”

Cavolo. “Merlin.”

“Sì, sì. Arthur...buona notte.”

“'Notte.” Il principe chiuse la chiamata. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, contò. Poi sollevò la tenda appena appena, con l'indice, per sbirciare. Zazzera nera, sorriso bianco a mezza luna, Merlin lo salutò agitando il braccio, e Arthur – tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Lasciò che la tenda ondeggiasse tornando al suo posto e appoggiò la schiena al muro. Respirando a pieni polmoni, liberamente.

 

 

ʘ

 

 

Gwaine si rigirò la cannuccia in bocca, facendo oscillare il ghiaccio nel suo drink.

“Come siamo virili, stasera” ammiccò Merlin.

Lui gli dedicò uno dei suoi ghigni più accecanti in risposta, uno di quelli che, lo sapeva, facevano impazzire tutte le ragazze (e, occasionalmente, anche qualche ragazzo). Gwaine adorava Merlin, cazzo. Aveva quel modo così merlinoso di dire le cose. Anche se la cannuccia tra i denti di Gwaine era rosa e il drink un bicchiere di cola (agitata, non mescolata), Merlin riusciva a far passare la sua battuta per un complimento sincero – oppure era Gwaine stesso a reputarsi costantemente virile e a prendere la battuta per un complimento. Entrambe le cose andavano bene.

In ogni caso, Gwaine adorava quel ragazzo.

“Grande serata” disse ancora Merlin, indicando col mento il resto della compagnia presente nello studio piccolo: un principe in tuta e una ragazza mezza appisolata sulla poltrona.

Gwaine rise. Cazzo, l'adorava sul serio.

E dire che aveva temuto di continuare a portare l'abito nero ancora per molto tempo. Da quando Lance se n'era andato in Africa, prolungando sempre e sempre di più la sua permanenza, una parte del loro gruppo era andata perduta. Lance era l'anima pacificatrice, la dannatissima spalla sulla quale potersi appoggiare in ogni occasione, il fratello di sangue suo e di Arthur, la fantasia non tanto segreta di Gwen.

I primi giorni successivi alla sua partenza, Gwaine si faceva vedere in giro soltanto se era vestito di nero. Il lutto simbolico si era trascinato per qualche tempo, mentre la faccia di Gwen si faceva sempre più lunga e i bisticci all'interno del loro circolo sempre più cattivelli (ok, erano solo lui e la Principessa a bisticciare, ma lo facevano con una tale forza da trasmettere il clima teso a tutti gli altri; la cosa lo rendeva un po' fiero).

Gwaine voleva molto bene a Lance e sentiva molto la sua mancanza. Quella barbetta e quei capelli fluenti che, segretamente, facevano invidia persino a lui, erano veramente insostituibili.

Però l'unica persona che aveva il diritto di piagnucolare per la sua assenza era, semmai, Gwen (e magari l'esperienza le sarebbe stata d'aiuto per far chiarezza nel suo cuoricino). In ogni caso, non era adatto a un gruppo di giovanotti restarsene a lungo mogi mogi per la lontananza di un amico, no?

Insomma, si poteva piangere al pub una sera durante la quale quell'amico ti mancava particolarmente, una bottiglia in mano e una copertina di ragazze morbide e consolatorie ai tuoi lati. Le ragazze andavano pazze per la lacrimuccia solitaria che scappava all'uomo virile, grazie tante, Lance, amico mio.

E invece ora eccoli qua, il lutto messo un attimo da parte da tutti (o quasi; ma a Cioccolatina, in ogni caso, era permesso). C'era qualcosa di diverso negli ultimi tempi, quando si riunivano nello studio, qualcosa che faceva sorridere di più l'intera banda. Quel qualcosa Gwaine lo chiamava il “fattore Merlin”.

Tutti avevano sviluppato una specie di cotta per Merlin che raggiungeva vari livelli d'intensità.

Leon, tanto per cominciare, l'aveva preso sotto la sua ala; ogni volta che Merlin rispondeva ad Arthur con una frecciatina particolarmente brillante, Leon gli dava qualche colpetto sulla testa come fosse stato il suo cucciolo di labrador ben addestrato. Ed è un vero onore, se il capo non ufficiale delle guardie del corpo del principe ti prende sotto la sua ala, sia chiaro.

Elyan aveva trovato in Merlin uno spirito affine sotto molti punti di vista. I due condividevano il gusto per le battute un po' datate e, si era scoperto con grande orrore di Arthur, la passione per Dungeons and Dargons.

Perfino Percy, che in genere ci metteva più degli altri ad entrare in confidenza con gli sconosciuti, sembrava totalmente a suo agio in presenza di Merlin. Insieme si scambiavano occhiate significative e gomitatine (Percy si curava sempre di moderare la forza, o avrebbe finito col bucare le costole dell'altro, e questo nessuno lo voleva).

Gwen aveva trovato in Merlin la cavia preferita per mettere alla prova le sue aspirazioni latenti da estetista e parrucchiera. Si era auto nominata sua parrucchiera ufficiale, in effetti, e gli aggiustava il taglio ogni dieci giorni. Dire che i risultati ogni tanto lasciavano a desiderare non era proprio esatto... Gwaine comunque credeva che la cara Cioccolatina avrebbe fatto meglio a limitarsi alla manicure. Merlin era fortunato a ritrovarsi quella meraviglia di profilo e quegli zigomi assurdi e ad avere, in generale, quel viso fottutamente affascinante che gli permetteva di star bene con tutto, perché Gwen aveva preso a tagliargli i capelli molto corti sulla fronte (Arthur diceva che lo facevano sembrare un chierichetto, ma nossignore, con quel viso che si ritrovava, Merlin era di certo un gran pezzo di ragazzo). Gwen, dal canto suo, diceva che nel tagliargli la frangetta non le era affatto scappata la mano, ma che faceva tutto parte di un piano per mettere in risalto i lineamenti particolari del viso di Merlin. Benedetta Cioccolatina.

Morgana era quella che, fra tutti, manteneva un approccio più ostile nei confronti di Merlin. Cioè, ostile un cavolo. Ogni tanto pareva proprio volerselo mangiare vivo, e non in senso sessuale e niente affatto in nessun senso positivo in generale. Del resto, Gwaine non l'aveva mai capita bene, lady Morgana. Dubitava che ci fosse qualcuno al mondo in grado di capirla sul serio.

Per quanto riguardava Arthur...

Gwaine lo pescò lanciare, per l'ennesima volta, una di quelle occhiate laterali dirette a loro. Per tutta la serata non aveva fatto che voltarsi, con studiata casualità, verso la scrivania, dove lui e Merlin si erano accomodati. Come se fosse un normale movimento, storcere il collo in quel modo, e non una specie di esercizio ginnico degno di medaglia d'oro.

Gesù, Arthur era proprio trasparente. Faceva tenerezza. Gwaine sorrise. Era da tanto tempo che lo non vedeva così. Forse non ce l'aveva visto mai.

Arthur aveva la tendenza a presentarsi come il galletto del pollaio, ma in realtà era una specie di pulcino spelacchiato, davvero. Era bravissimo a cazzeggiare con le conquiste occasionali – non un campione come lui, ovviamente, ma se la cavava. Quando si trattava di questioni serie, però, era un vero disastro. Quando Arthur aveva buttato all'aria anche la minima possibilità di far nascere qualcosa con Gwen, Gwaine era rimasto a guardare.

Dubitava che la situazione si sarebbe ripetuta, stavolta; qualunque cosa ci fosse in ballo con Merlin, era senza dubbio qualcosa di forte e, se conosceva il principe almeno un po', sapeva che non se lo sarebbe lasciato scivolare tra le dita.

Comunque, non si poteva mai sapere. Una mano poteva anche darla, che Arthur e Merlin lo volessero o meno. Quei due erano a metà tra il disgustoso e il tenero e, se non si decidevano loro a darsi una mossa, ci avrebbe pensato lui a dare una spintarella. Era a questo che servivano gli amici, dopotutto.

Gwaine si voltò, fissando il bel valletto della Principessa (occhi luminosi puntati sulla testa bionda, come di consueto), e ghignò. Merlin era una meraviglia; era seriamente materiale da relazione.

Un sospiro traditore gli scappò dalle labbra, mentre si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Arthur doveva ritenersi ben fortunato, ad avere un amico come Gwaine: gli voleva così bene da considerare Merlin assolutamente off limits. “Sono proprio un grande amico, già” disse ad alta voce, passando un braccio attorno spalle di Merlin. “Non ti pare?”

L'altro gli rispose con un dolce sorriso interrogativo che sembrò portargli gli zigomi ancora più in alto.

“Ah, Merlin, quanto ti voglio bene” si lamentò, poggiando la testa sulla sua spalla. “Ti voglio così bene” disse. Ed era vero, diamine. Gli si era talmente affezionato. Gwaine si attaccava con passione a quelli che considerava suoi amici e non vedeva perché non dovesse ricordarlo loro ad ogni occasione.

“Sicuro che ci fosse della cola, in quel bicchiere?” rise Merlin.

“Così mi ferisci, però” biascicò, strofinandogli il naso contro il collo. Merlin scoppiò a ridere e un'ondata di vibrazioni e calore colpì teneramente Gwaine.

“Volete qualcosa?” La voce brusca e asciutta di Arthur fece sollevare appena la testa di Gwaine dal suo confortante Merlin-giaciglio. “Vado a prendere da bere, volete altro? Magari, se dici anche a me cosa hai messo di preciso in quel bicchiere, Gwaine...” disse Arthur, un altezzoso cavaliere che lancia il guanto di sfida allo straniero venuto per portargli via la donzella.

Al pensiero di Merlin che sventolava un fazzoletto in aria, Gwaine scoppiò in una risatona che gli graffiò la gola. “Pfffffffff... No, grazie, Principessa, mi basta quello che ho” disse, ammiccando verso Merlin che ancora teneva allacciato a sé.

“Io vorrei...” iniziò Merlin.

Arthur l'ignorò con maleducazione, decidendo di aver bisogno, all'improvviso, di portare di là un libro che si trovava nello scaffale dietro di loro. Passò in mezzo a Gwaine e Merlin, dividendoli senza tante cerimonie. Gwaine non seppe come fece, ma riuscì a trattenersi dal pisciarsi nei pantaloni mentre Arthur afferrava un volume a caso e faceva retro marcia a testa alta, tutto impettito.

“Aspettatemi, vi aiuto...” intervenne a sorpresa Gwen, ridestatasi dal suo mezzo appisolamento sulla poltrona. Stiracchiò le braccia e subito dopo, ricordandosi al volo che gli altri la stavano guardando, si alzò, lisciandosi la maglia. “Vengo – vi aiuto a portare da bere” disse, seguendo Arthur fuori dallo studio.

Rimasto solo con Merlin, Gwaine lo fissò di sottecchi. Sembrava fosse rimasto offeso dal comportamento di Arthur e appariva così insicuro, con quel suo allungare il collo alla volta dei due che si erano allontanati.

“Qualche volta è un vero coglione, il principino” disse Gwaine, dandogli dei colpetti sulla spalla per tirarlo su. Non gli piaceva vedere Merlin giù di morale. Un Merlin giù di morale sarebbe stato da dichiarare illegale. Ogni volta che Merlin era giù di morale, un gattino moriva.

“Già, è un coglione” convenne l'altro. La sottile nota di tristezza nella sua voce fece saltare un nervo a Gwaine.

“Oh, andiamo, non prendertela. È che non ha modi. Non sa come fare. In fin dei conti, non è colpa sua se è così disperatamente imbranato.”

Merlin lo squadrò. I contorni del suo bel mezzo profilo erano disegnati, nel contrasto di luci e ombre, da dure linee scettiche.

“Vedi, se a una persona di norma va data una possibilità” spiegò Gwaine, gesticolando, “ad Arthur ne vanno date come minimo due o tre. È così. Non è scaltro, con tutta la faccenda dei sentimenti.”

“Sentimenti?” squittì Merlin.

“Oh, oh, oh, non ci provare neanche, a giocare con me la carta del 'non so di che parli'” disse, guidandolo verso il divanetto e incassandolo tra due cuscini. Poi gli si sedette sulle gambe magre, scuotendo teatralmente la chioma. “Che dici, tesoro, vogliamo far ingelosire un po' Arthur?”

Merlin gli rise in faccia, l'adorabile maleducato, e lo buttò di lato con una forza sorprendente. “Invece di fare il cupido per me, dovresti pensare a te stesso” gli disse, paziente. Il suo viso si colorò di una tenue sfumatura luminosa, come se improvvisamente avesse notato un dettaglio che era sempre stato sotto il suo naso. Un dettaglio particolarmente gustoso. “A proposito, Gwaine, voglio farti conoscere una mia amica. Forse l'hai già vista, fa la barista al Rising Sun. Si chiama Elena...”

Le labbra di Gwaine si piegarono in un sorriso sghembo. “... Godwyn?” concluse per Merlin. “Ah, non guardarmi con quella faccia, dovresti saperlo che io conosco chiunque.”

Il viso rotondo e le labbra piene di Elena, schiuse in un'espressione di stupore onesta e buffa, occuparono per qualche glorioso secondo la mente di Gwaine. Dovette mordersi il labbro, prima di tornare a rivolgersi a Merlin. “Non tentare di cambiare discorso, comunque. Non so perché, ma ho la sensazione che anche tu abbia qualche problema sul versante dei sentimenti, signorino.”

Merlin si grattò stancamente la testa. “Quant'è difficile, capire come ragiona un cuore” sospirò.

Gwaine gli scompigliò i capelli con affetto. “Vero?” concordò, accavallando un piede sull'altro. “È forse la cosa più misteriosa dell'universo intero. Ma ti svelo un segreto, Merlin: un cuore non ragiona. Anzi, sragiona. Almeno, è così che la vedo io.”

 

 

ʘ

 

 

Il cuore di Gwen correva all'impazzata, bumbumbumbum contro il suo petto. Era così che ci si sentiva quando si stava per svenire? Non lo sapeva, non era mai svenuta – cioè, una volta era successo, ma quando era molto piccola e quindi non se lo ricordava bene.

Nonostante ultimamente fosse rimasta sola con Arthur in diverse occasioni, non ci si sarebbe abituata mai, a quell'effetto. Oh, ri. Riabituata, insomma.

E pensare che una volta era stato così semplice, per lei – per loro due. Così naturale, passare del tempo insieme, da soli o nello studio o in mezzo a una folla. Anche quando il principe appariva in televisione e lei faceva il tifo per lui da dietro lo schermo, a Gwen sembrava che stessero insieme, in qualche modo.

È buffo, quando si è innamorati. Si ha la sensazione di essere legati anche se si è a mille miglia di distanza.

“Mi chiede sempre di te, sai” disse Arthur, versando il succo nel bicchiere.

Gwen saltò. Bumbumbum. “Ehm, chi?”

Il principe sorrise nel buio. La luna mandava una luce fioca e candida attraverso i finestroni della cucina. A Gwen piaceva la cucina. Era così ariosa, con tutte quelle vetrate che davano sul giardino. Ci aveva passato tanti anni, la sentiva come un'estensione di casa sua.

A Gwen piaceva anche il modo in cui la luce della luna bagnava il sorriso bianco di Arthur. Pure quello sapeva un po' di casa.

Il principe chiuse gli occhi lentamente, una volta, due. Poi la guardò sorridendo e indicò col mento verso di lei. Gwen seguì la traiettoria del suo sguardo. Puntava dritto sulle dita della sua mano, che, chissà come, erano volate in alto, poggiandosi sul lato destro del frigorifero... ad accarezzare quelle tre cartoline che Gwen aveva appeso lì – perché davvero, quello era un pezzo di casa sua.

Leoni placidamente addormentati al sole come enormi gatti, paesaggi bruciati dal calore, colori caldi che si tuffavano nel verde, nel blu più improbabile, nel nero.

Gwen portò la mano dietro la schiena. Anche se le cartoline erano fissate con del nastro adesivo ed era possibile vedere solo il lato dell'immagine, lei sapeva benissimo cosa ci fosse scritto sul retro.

Mi mancate tutti.

Mi manchi.

Lance.

 

 

 

Gli stivaletti affondavano appena nella ghiaia umida, mentre lei e Merlin camminavano verso le residenze della servitù. Era un amore, Merlin, a offrirsi sempre di accompagnarla, anche se poi era costretto a rifare la strada alla rovescia per tornare a casa di Gaius.

In genere non facevano che chiacchierare del più e del meno, e ridevano molto lungo tutto il tragitto. Quella sera, però, lui era stranamente taciturno. “Tutto bene?” gli chiese allora Gwen, una nuvoletta di fiato che le usciva dalla bocca nel freddo della notte.

Merlin annuì, svelto. “Scusami, è che ho un po' di pensieri per la testa.”

Se si fosse trattato di chiunque altro, Gwen avrebbe domandato qualcosa come “ne vuoi parlare?”. Invece non disse nulla, eccetto un “oh” sovrappensiero, perché aveva imparato a conoscere Merlin; sapeva che pressarlo di domande era stupido, nel suo caso. Se voleva dirti una cosa, te la diceva. Ti diceva qualunque cosa. Se invece stava zitto, be', allora insistere non serviva a niente. Ti avrebbe parlato una volta arrivato il momento giusto, se avesse voluto.

“Secondo te mi innamoro troppo facilmente?” disse invece Gwen.

E non sapeva perché l'avesse fatto, per quale motivo avesse scelto, fra tutti i milioni di miliardi di parole del mondo, proprio quelle lì. Forse aveva parlato così per spezzare la tensione, per far sì che Merlin si distraesse dai suoi problemi e pensasse ad altro. Forse la prima cosa che era andata a pescare era stata proprio quella perché Gwen, ultimamente, passava un quantitativo di tempo sconcertante a rimuginare sull'argomento.

“Mio fratello dice che mi basta poco per perdere la testa per un uomo” si affrettò a spiegare, sventolando le mani davanti a un Merlin dall'espressione confusa. Gwen non voleva quell'espressione confusa. Non voleva che lui la fraintendesse. “Secondo-secondo me però, sai, non esistono innamoramenti facili o difficili. Ci si innamora e basta. Tu che ne pensi?”

Merlin si fermò, allora, le sopracciglia corrucciate come se si stesse concentrando su un problema di matematica particolarmente complicato. “Gwen, tu... ami il principe?” tentennò.

Gwen sospirò, sconfitta. Ecco la domanda difficile. “In passato, te lo confesso, avevo tipo, un pochino... persolatestaperlui” disse, tutto d'un fiato. “E lui mi aveva fatto capire... Ma – ma non c'è mai stato niente di che.”

Esattamente. Era andata esattamente così, tra Gwen e Arthur. Intorno a loro, ai tempi, c'era perennemente stata un'aria carica di promesse. Promesse che poi erano state messe da parte, da entrambi. Promesse per le quali nessuno dei due aveva combattuto.

“Abbiamo solo flirtato un po'” disse, spaventandosi per come tutto ciò che aveva provato, tutto ciò che aveva sconvolto il suo mondo, potesse essere riassunto benissimo in quelle cinque parole. “Ci-ci è scappato qualche bacio, sì. Io però non ho insistito, perché era impossibile, no, sarebbe stato un sogno impossibile, vero? E lui, alla fine, non si è mai fatto avanti. Non che ci avessi mai sperato davvero... insomma, lui è l'erede al trono e io una delle sue cameriere.”

Merlin riprese a camminare, annuendo. Sembrava più incerto di prima, sui suoi passi. Prendeva tutti i sassi più grandi senza evitarli, inciampando un po'. “E l'ami ancora?” le disse, dopo qualche secondo di silenzio. “Intendo, adesso?”

No. Sì. Non lo so.

Lance. Lance, Lance, Lance.

Mi manchi, Lance.

“Oh, non lo so, Merlin” farfugliò, sentendosi ardere. “È quello che sto cercando di capire. È tutto talmente complicato...”

“Non dirlo a me” disse Merlin, pianissimo. O forse Gwen se l'era solo immaginato.

“Il fatto è che è rimasto sempre un velo di imbarazzo tra noi. Non ne abbiamo mai parlato, solo... abbiamo lasciato che la cosa svanisse. E io ho bisogno, ho proprio bisogno di chiarire questa faccenda. Perché vedi, non riesco ad andare avanti” non riesco a riaprire il mio cuore, “se non sono sicura e... Nell'ultimo periodo, oh, questa è proprio una sciocchezza, ma lady Morgana ha detto...”

La testa di Merlin scattò verso di lei. “Lady Morgana?”

Gwen annuì, prendendo a tormentarsi un ricciolo che le ricadeva sul viso. “Lei mi ha rimesso la pulce nell'orecchio. Mi ha detto che non era giusto seppellire tutto senza essere sicuri al cento percento, perché, e se fosse stato possibile? E se uno di noi due avesse insistito, avesse combattuto sul serio per l'altro? E io sono d'accordo, insomma, non che speri di poter davvero...”

“Gwen” disse Merlin, poggiandole una mano sulla spalla. La sua presa era sicura, leggermente troppo forte, persino.

Lei prese fiato. “Oh, Merlin, tutto ciò che voglio è capire cosa dice il mio cuore. E cosa dice, o diceva, quello... ehm... di Arthur.”

“È giusto, ti capisco. Lo-lo capisco. Lady Morgana cosa ti ha detto, di preciso?” incalzò lui.

“Che secondo lei dovrei riprovare. Dovremmo riprovare. Che devo fidarmi, perché lei è quella che conosce meglio Arthur e, be', è sua cugina, in fondo, e che io sarei la donna giusta per lui. La donna più compatibile con Arthur, ha detto proprio così. Pensa un po'. Io non ci credo per niente, ma... provare non costa nulla... no?”

Gwen non suonò convinta nemmeno alle sue stesse orecchie. Certo, era difficile mantenere un briciolo di coerenza, se il tuo interlocutore chiaramente non ti stava ascoltando più.

“Gwen, ho... dimenticato una cosa, devo tornare indietro. Ti dispiace finire la strada da sola? Non manca molto, eh? Scusami, ti prego” si mangiò le parole, e prese ad andarsene che ancora non aveva finito di parlare.

“Non fa niente, io... Merlin. Merlin!” gli urlò dietro, riuscendo a farlo voltare di nuovo. Gwen si morse il labbro. “Bisogna farsi coraggio, non è vero? Vale sempre la pena lottare per qualcosa a cui si tiene molto, non è vero?”

Lui le sorrise, allora. Era un sorriso molto ampio, uno di quelli in cui gli si vedevano tutti i denti. Ma, stranamente, mancava quella luce che di solito gli illuminava gli occhi. Merlin stava sorridendo, sì. Allora per quale motivo Gwen lo trovava così triste?

Lo stomaco le si chiuse nella morsa di una brutta sensazione (simile a un brutto presentimento), quando lui agitò una mano alla sua volta. Lei rispose comunque al saluto, portandosi la mano sul petto, a sinistra, nel punto in cui sentiva una pressione che quasi le fece mancare il fiato.

 

 

ʘ

 

 

Tre colpi decisi e insistenti alla porta, uno dietro l'altro senza pausa, toctoctoc, come tre rombi di tuono.

Morgana alzò la testa dal romanzetto harmony che si stava divertendo a distruggere mentalmente. “Sì?” chiese, arcuando un sopracciglio. Nessuno aveva mai bussato in quel modo nelle sue stanze.

“Morgana, apri-” iniziò la voce di Merlin, vibrante, accesa. “Lady. Lady Morgana, aprite, per favore” si corresse, un sussurro di lettere sputate.

La strega lasciò che il libro le scivolasse via dalle dita. Sorrise, la curva rossa delle labbra virò verso un solo lato, il sinistro. Si alzò con calma, lisciandosi le pieghe dei pantaloni scuri, aggiuntandosi addosso il giacchino bianco. “Piano, caro il mio Merlin. Nessuno ti ha insegnato che non è bene irrompere nelle stanze di una signora senza assicurarsi che lei sia presentabile?” disse, prendendosi del tempo per ravvivare la coda di cavallo davanti alla specchiera.

“Morgana – milady” disse solo lui.

Oh, era impaziente. Doveva essere successo qualcosa. Questa Morgana se la sarebbe gustata con calma. Si schiarì la voce assicurandosi di risultare perfettamente udibile, poi fece forza sulla maniglia.

Merlin era livido. Aveva gli occhi acquosi, le sopracciglia aggrottate, la bocca tirata in una linea arida. Lei si spostò di lato per farlo entrare, poi chiuse la porta dietro di sé. “Avrei dovuto sbattertela in faccia, proprio come hai fatto tu con me l'altra volt-”

“So che cosa hai fatto” la interruppe. “So che cosa hai fatto ad Arthur e a Gwen, so qual è il tuo piano.”

Finalmente! Adesso avrebbero giocato a carte scoperte. In tutta onestà stava diventando un po' noioso, prendere in giro Merlin facendogli credere chissà che. Morgana stava giusto iniziando a trovare il giochino monotono.

“Sei vento fin qui per annunciare la grande scoperta? Carino da parte tua.”

“Un incantesimo di compatibilità!” perse la pazienza lo stregone, allargando le braccia. “Morgana, mi avevi convinto che... Ho pensato di tutto: maledizioni, tiri sporchi, incantesimi pericolosi, di tutto!” disse in fretta, passandosi una mano tra i capelli.

Morgana si godette lo spettacolo a braccia incrociate, Merlin che si lisciava la fronte, un lamento stanco che gli faceva tremare la gola. “E invece hai semplicemente fatto un test magico per vedere se Gwen e Arthur sono compatibili come coppia?!”

“Sei soltanto invidioso perché non avresti mai potuto eseguirlo tu” lo prese in giro. E lo credeva bene: le magie di quel tipo si aggiravano pericolosamente verso il territorio dei sentimenti. Non si apprendevano in Accademia. Morgana le aveva studiate da sola, sui libri delle sacerdotesse. “Catturare un cuore umano come farebbe un essere umano... lo saprai anche tu, Merlin, no?”

Lui la guardò stralunato, completamente immobile sul posto.

Sì, era così che le aveva suggerito di fare Morgause. “Dato che non sarebbe mai stato possibile fare come un essere umano, be', perché non farlo fare a un essere umano?”

“Stai facendo pressione perché sia Gwen ad avere il cuore di Arthur” disse Merlin. “Avrei dovuto immaginarlo... Stai sempre in sua compagnia, state sempre lì a...” e mulinò le mani per aria, “parlare, a fissare Arthur, e tutte le volte che hai fatto in modo di lasciarli da soli, con l'ombrello da Hatchards, e portandomi via la voce e... Per tutti i draghi, Morgana, mi avevi chiuso in bagno per questo?” disse, oltraggiato.

Lei rise, una mano davanti alla bocca. “Anche per divertimento personale, l'ammetto.”

Merlin di colpo le si avvicinò, piantandole le dita sulle spalle con una decisione inaspettata.

“Ehi!” protestò la strega, scrollandoselo di dosso. L'ultima cosa che ci voleva era che un gattino arrabbiato le stropicciasse la giacca.

“Non puoi farlo. Morgana, non puoi forzare i sentimenti-”

“Non sto forzando un bel niente. Non è un caso se ho lanciato l'incantesimo di compatibilità su Gwen come prima cosa. Se non ci fosse stata alcuna compatibilità, non avrei potuto far nulla. Ma vuoi sapere qual è stato il risultato?”

Le pupille di Merlin si dilatarono lentamente. Sul suo viso passò l'ombra dell'incertezza e Morgana se la gustò tutta.

“Lo saprai già” continuò piano, “altrimenti non saresti piombato qui a mettere su questo spettacolino. Per quanto mi sia stato d'intrattenimento, Merlin, mi sono stufata di girarci intorno, quindi sarò chiara: Gwen è compatibile con Arthur al cento percento.”

Le braccia di Merlin penzolarono lungo i suoi fianchi. Lo stregone si morse il labbro, senza smettere però di sostenne lo sguardo di sfida di Morgana.

Ah, Merlin e Gwen e Arthur e i loro occhioni brillanti, mai intimiditi, mai sperduti, sempre fieri.

Da una parte, Morgana detestava che queste persone rimanessero a testa dritta davanti a lei in qualunque situazione. Dall'altra, il bello era esattamente tentare di farli capitolare, per tornare a battere nei loro punti deboli, tornarci ogni volta. “Sì, Gwen è la donna migliore per Arthur. La più giusta” rincarò quindi dose, facendo un passo per avvicinarsi ancora all'altro. “Nessun'altra potrebbe uguagliare questo risultato. Non è una coincidenza meravigliosa? Arthur ha l'amore della sua vita proprio qui, accanto a lui. È solo questione di tempo. Gwen è fatta per Arthur e il cuore del principe sarà suo” soffiò alla fine sul naso di Merlin.

E lui, come se avesse capito solo ora quello che gli stava dicendo, d'improvviso si spense tutto quanto. Fu come vedere la sua espressione dura sgretolarsi e cadere fino al pavimento.

La strega allargò le narici.

Che cos'era?

Si era aspettata l'ennesima alzata di cresta e invece Merlin se ne stava solo lì, in piedi, a sembrare triste. Dov'era finito il suo impeto caratteristico?

Morgana registrò la reazione deludente con disappunto; così le stava togliendo metà del gusto. Il tira e molla non funzionava più, se dall'altra parte non c'era nessuno che tirava.

“Quei due sono già sulla strada dell'amore” riprese allora, infilando il dito nella piaga. “Mi assicurerò che la raggiungano, motivando a dovere Gwen, mettendo qualche buona parola con Arthur e trovando delle occasioni perché possano stare insieme.” Mentre parlava ritornò alla specchiera rotonda, rimirando con fare pratico l'immagine che quella le restituiva. “Così io non dovrò fare quasi nulla, oltre, be', sopportare la compagnia umana e tenerti fuori dai piedi” disse, portandosi la coda di cavallo su una spalla e prendendo a pettinarsi con le dita.

Non si voltò, ma poteva vedere bene il riflesso di Merlin, dritto dietro di lei, che faceva compagnia al proprio. Il volto era pallido, i pugni chiusi.

Andiamo, è questo il meglio che sai fare?

“E quando il cuore di Arthur sarà completamente in mano a lei” cantilenò ostentatamente Morgana, “assumerò le sembianze di Gwen e condurrò il principe davanti a Kilgharrah. Il drago farà il resto.”

Fu a quel punto che l'espressione di Merlin si rianimò, contraendosi sotto un'onda di dolorosa rabbia – oh, era quello il pulsante giusto da premere, allora.

“Sei crudele!” alzò la voce, una tigre ferita che ringhia contro la compagna traditrice, ah! “È ingiusto, vuoi – vuoi farlo morire per amore!”

Morgana accolse l'accusa come un complimento. “Bel modo di rovesciare la situazione a mio favore, no?” fece notare a Merlin. Solo nel caso gli fosse sfuggita la brillantezza di una risoluzione del genere.

“Non te lo permetterò, questo” disse concitato, scuotendo la testa.

Morgana fermò l'espressione in una maschera congelata. Decise di essersi divertita abbastanza, per il momento. Era finita l'ora di scherzare. “E come farai? Non puoi fare nulla per impedirlo, perché non dipende da te e nemmeno da me. Il cuore umano vola e si muove per conto suo. E il cuore di Gwen è il cuore perfetto per Arthur. Magari ci vorranno altri incoraggiamenti e del tempo, ma so aspettare.” (Morgause era quella brava ad aspettare. Avrebbe insegnato a Morgana come fare.)

“Così li ucciderai entrambi!” urlò Merlin. I suoi occhi si colorarono d'oro e il vaso in fondo alla stanza andò in mille pezzi. La prese di nuovo per le spalle, poi, abbassandosi per guardarla dritta negli occhi. “Pensa che cosa significherà togliere a Gwen l'uomo che la completa. Pensa che cosa le farai perdere. Come farà a vivere senza la sua metà?” sibilò, gettando dietro ogni parola un'ombra di pericolo.

A Morgana bastò un sorrisetto storto per richiamare a sua volta la magia, con la quale si diede forza per respingere l'altro. Nel movimento, l'occhio le cadde sulle proprie mani – le unghie curate dalla cameriera che avrebbe portato alla rovina un uomo che forse un tempo aveva amato, e che doveva solo essere incoraggiata ad amare di nuovo. Ma un semplice cuore spezzato non avrebbe annientato Gwen. Era una ragazza pratica, e, ancora meglio, s'innamorava tanto facilmente quanto amava appassionatamente.

Morgana non credeva che Gwen avrebbe mai potuto morire per un amore perduto.

Nessuno sarebbe potuto morire affatto, per amore. Merlin si sbagliava di grosso, se pensava sul serio questo.

“Gwen sopravviverà” disse, alzando il mento. “Gli esseri umani hanno la capacità di sopravvivere alle perdite. Perdono quello che si divertono a dichiarare l'amore della loro vita, e poi che fanno? Si rialzano. Rimettono insieme i cocci. Proprio in questo modo” disse, schioccando le dita. Il vaso mandato in frantumi da Merlin tornò al suo aspetto originale. “Visto? È facile.”

“No” disse Merlin, indietreggiando di un passo. “Morgana, no. Se c'è una cosa che ho imparato, è che per gli esseri umani non è tutto bianco o tutto nero-”

“Sottovaluti l'istinto di sopravvivenza della loro razza” lo interruppe, sardonica.

“Con te è impossibile parlare!” sbottò lui, allargando le braccia. Poi qualcosa lampeggiò nel blu delle sue iridi, qualcosa di distante e non ben definito. “Di questo mi dispiace” aggiunse piano. “Mi dispiace, Morgana...”

Le scuse arrivarono inaspettate. La strega, un sopracciglio inarcato, fece appena in tempo a chiedersi di cosa, precisamente, Merlin si stesse scusando.

“... Ma non te lo lascerò fare. Mai. Costi quel che costi.”

Detto questo se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé. Morgana, nella stanza, rimase sola col proprio riflesso che la fissava dalla specchiera rotonda.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


 

(x)

 

Capitolo dieci: Si arrischia di piangere un poco, se ci si è lasciati addomesticare
(prima parte)

 

 

 

La luce sulle scale che portavano alla stanza di Merlin funzionava a intermittenza. Alternava momenti di accendi-spegni frenetico ad altri in cui restava accesa per una manciata di secondi. Poi, come per riposarsi dopo la fatica, si spegneva e tutto si oscurava per almeno un minuto, fino a che il gioco di accendi-spegni non riprendeva.

Nessuno si era curato di sistemare le cose; Gaius preferiva non mettere alla prova le sue ginocchia, e quando voleva parlare con Merlin si limitava a chiamarlo a gran voce per dirgli di scendere in soggiorno.

A Merlin non serviva neanche, l'illuminazione artificiale. Un po' perché aveva ormai memorizzato le forme e le dimensioni di ogni angolo della casetta, un po' perché era in grado di vedere un pochino meglio degli esseri umani, se lo voleva. Gli bastava far brillare gli occhi di magia e i contorni di ciò che era immerso nell'oscurità diventavano più nitidi. Anche adesso, durante una delle “pause di riflessione della luce delle scale”, lo stava facendo.

Stare seduto lì al buio con le mani chiuse a pugno a sorreggere la testa lo aiutava a pensare. E Merlin di pensare ne aveva parecchio bisogno.

Il problema era lei.

Lei, così meravigliosamente talentuosa e piena di promesse fatte in segreto al mondo. Lei, che non gli avrebbe lasciato altra scelta oltre quella di combatterla, se Merlin avesse voluto tenere al sicuro lui. Ed era ovvio, che lo voleva. Lo voleva così tanto da essere arrivato a fare cose folli per chiunque altro come loro, chiunque altro possedesse la magia – cose come mettersi contro lei, cose come, ah, lasciare che la mente vagasse intorno all'idea di perdere la magia stessa...

Merlin voleva la salvezza di Arthur con un'intensità che quasi lo disarmava. E lo disarmava di più per quanto gli sembrava giusto.

“Merlin!” chiamò la voce di Gaius, i suoi passi caracollanti che si avvicinavano a lui. “Mer-oh! Buon dio, ragazzo, mi hai fatto prendere un colpo, qui al buio con quegli occhi dorati,” disse, portandosi una mano al cuore.

Lo stregone sorrise. “Mi dispiace. Non dovresti essere già a letto, mh? Un uccellino mi ha detto che i giardinieri conducono uno stile di vita davvero stressante. Faresti meglio a dormire tutte le tue belle dieci ore di sonno a notte.”

“Ti ha detto bene, quell'uccellino,” disse bonariamente Gaius, mentre la lampadina ricominciava a mettersi in moto come un vecchio motore regalando loro qualche frenetico spaccato di luminosità. “Ma forse ha scordato di dirti quanto sia ancora più stressante la vita dei giardinieri che sono anche mentori di stregoni sbadati e testardi.”

“Non so, potrebbe aver accennato qualcosa in proposito” mormorò Merlin, stringendosi a destra quando vide l'altro che si abbassava maldestramente per sederglisi accanto. “Sicuro che sia una buona idea mettersi qui? Potremmo andare, non lo so, sul divano. Certo, la buca che si è formata al centro dei cuscini non è molto comoda, però-”

“Merlin,” disse Gaius, come un papà comprensivo e un po' stanco appena. “Che cosa ti succede?”

Bella domanda.

La luce si accese, di nuovo. Sarebbe rimasta stabile per poco, Merlin lo sapeva.

“Pensavi ad Arthur o a Morgana” indovinò il vecchio. “O forse a entrambi.”

“Dovresti farlo tu, il concorrente al Duello del Drago. Sei perspicace e non ne sbagli mai una.”

Gaius scoppiò in una risata spontanea. “Be', una volta ero uno stregone in gamba, sai,” disse, dandogli un buffetto sulla spalla.

“Non ne dubito.”

“Oh, grazie mille. Ma se hai voglia di smettere di cambiare argomento, potremmo anche riuscire a cavare un ragno dal buco e il tuo vecchio mentore potrebbe andarsene finalmente a letto con l'anima serena.”

Merlin si voltò a fissarlo, le dita che si cercavano nervose sopra le sue ginocchia, le iridi che lampeggiavano d'oro per compensare l'ennesimo calo di luce. “Morgana,” disse alla fine, con esasperazione. “Morgana è un problema continuo – no, è la fonte dei miei problemi. È andata a pescare un incantesimo di compatibilità innocuo e geniale che mi ha messo nel sacco, anche se poi delle sue intenzioni tutto si può dire se non che siano innocue, ma avrei dovuto immaginarlo, è sempre stata scaltra, la strega più in gamba del corso, e io che le facevo pure i complimenti per le sue magie, ugh!” disse quasi in un'unica emissione di fiato.

Il sopracciglio del mentore si arcuò come da copione.

La luce faceva acceso-spento, acceso-spento.

“E come le è venuta in mente, poi, l'idea di usare una tecnica magica delle sacerdotesse dell'antica religione? Cioè, materialmente, dov'è andata a studiarsi queste cose? La carica di sacerdotessa passa di madre in figlia e non mi risulta che sua madre sia stata una sacerdotessa, voglio dire, l'avrei saputo, le sacerdotesse studiano con i druidi, se fosse stata figlia di una sacerdotessa non avremmo frequentato insieme l'Accademia, no?”

Gaius aprì la bocca e si sporse in avanti. Evidentemente aveva qualcosa da dire, ma lo stregone non aveva affatto finito.

Acceso-spento.

“E c'è tutta la storia del cuore del principe umano, bla bla bla... ugh!” brontolò, portandosi le mani tra i capelli. “Un cuore umano cancella la magia, sì, lo so, grazie tante. Ma non ti pare un tantino pretenzioso da parte di Kilgharrah pensare di doverselo proprio magiare? Dico, mang-”

“In realtà,” lo interruppe Gaius, tappandogli la bocca con una mano nodosa, “potresti aver proprio centrato il punto.”

Spento.

Merlin sbatté le palpebre due, tre, quattro volte nel buio, prestando attenzione alla voce di Gaius, senza curarsi del fatto che l'immagine del suo viso squadrato non sembrasse più così netta.

“Pensavo... si tratta solo di ipotesi, bada bene,” disse lui, e Merlin scosse la testa facendo segno di sì contro la sua mano, “pensavo che forse non dovremmo rimanere tanto sul letterale. Il drago ne sa tanto quanto noi – hai detto tu stesso che alla caverna vi disse che le leggende non erano chiare in proposito.”

Merlin mugugnò un “sì”.

“Ebbene, forse è lui ad aver interpretato che il cuore umano va mangiato.”

A quel punto lo stregone si liberò della sua presa. “Tu dici? Ma se così fosse, ma insomma – perché doveva proprio andare a pensare di mangiarselo, accidenti?”

“Le leggende dicono che il Principe dei Draghi troverà la morte una volta privato del suo cuore,” spiegò. “Magari ha pensato che una cosa del genere sarebbe stata la causa più probabile della sua morte. E poi, be',” Gaius scrollò le spalle, “in fondo è un drago. Sai che i draghi non sono creature che ci vanno tanto per il leggero. Ma fatti questa domanda: cos'è che Kilgharrah vuole, di preciso?”

“Il cuore di Arthur.”

Gaius fece oscillare l'indice come un metronomo. “Non proprio, no. Pensaci bene.”

“A monte c'è... la maledizione da sciogliere,” mormorò lo stregone, riflettendo. “Ciò che Kilgharrah veramente desidera non è quel cuore, ma liberarsi della sua maledizione.” Quella che i druidi avevano lanciato sui draghi durante la guerra contro le possenti creature magiche. Quella che aveva costretto il Grande Drago, unico superstite, a scontare i suoi ultimi giorni in una grotta come in una vera prigionia. “Se solo potessimo sapere bene tutti i dettagli di quell'incantesimo che gli è stato scagliato...”

“Se solo potessimo sapere le parole esatte...” gli fece eco Gaius.

Già... in quel caso avrebbero avuto la possibilità di studiare affondo il problema; di esaminare la magia intrecciata nelle parole scelte per la formula della maledizione. E chi lo sapeva, magari avrebbero potuto trovare qualche via d'uscita. Non era raro che, nelle formule di certi incantesimi, fossero nascoste delle clausole o, addirittura, dei metodi per sciogliere l'incantesimo stesso.

“Soltanto il Grande Drago, però, potrebbe conoscere la formula precisa della maledizione. Lui è il solo testimone ancora in vita,” disse Gaius.

“Kilgharrah è...”

L'unico rappresentante di quel tempo che fu; l'ultimo simbolo dei desideri più oscuri degli stregoni, giunti a cancellare la razza degli dèi alati che veneravano, pur di dar sfogo alla loro sete di potere – a quella voce che diceva “di più, ancora di più”. Kilgharrah era l'unico simbolo che avrebbe potuto ricordare alle creature magiche un passato oscuro, vergognoso, che tutti facevano del loro meglio per dimenticare.

Kilgharrah era l'ultimo.

Kilgharrah era solo.

In quel momento, per la prima volta, Merlin lo realizzò completamente.

Non c'era più nessuno a condividere quella desolazione con il Grande Drago. L'unico desiderio che gli rimaneva era riacquistare la libertà, anche a costo di vedere la sua magia risucchiata dal veleno primigenio. “Vale la pena pagare qualunque prezzo se si tratta di una cosa veramente importante,” aveva detto nella Caverna dei Mille Giorni.

E adesso, forse... adesso Merlin lo capiva.

La luce si spense di nuovo nell'esatto momento in cui un brivido di tristezza lo fece tremare fin dentro le ossa. Lo stregone si voltò verso Gaius, sperando di trovare qualcosa nel suo sguardo, come spesso succedeva – una risposta, conforto, qualcosa.

Per questo richiamò la magia negli occhi.

Ma la magia non rispose.

“Oh,” disse Merlin, le labbra che si schiudevano nell'esclamazione sbigottita, una sensazione di smarrimento assolutamente estranea a lui che gli faceva drizzare la schiena.

“E, Merlin, per quanto riguarda Morgana,” disse Gaius, ignaro di ciò che intanto gli stava succedendo, “sarebbe meglio evitare troppi confronti diretti con la tua rivale. So che c'è qualcosa che vi lega... ma è meglio che te ne dimentichi, almeno finché non sarà tutto finito.”

Gli accarezzò goffamente i capelli alla base del collo, lo stregone si piegò seguendo il movimento, e c'era solo quello, allora, il calore della mano di Gaius sulla sua pelle nel buio – e dove avrebbe dovuto vedere, ora non vedeva più.

Merlin inspirò forte, perché non era possibile, era – era – era, non era, e se la magia non rispondeva bisognava solo chiamarla più forte e così fece.

D'improvviso il volto del mentore si fece di nuovo definito, segnato dalle rughe della saggezza, ben visibile come in pieno giorno.

“Ah, si è riaccesa questa benedetta lampadina,” disse il vecchio, il naso al soffitto.

Merlin ingoiò. “Gaius, di che colore ho gli occhi?” disse, la gola quasi chiusa.

“Mh? Come al solito, Merlin. Sono blu.”

 

 

ʘ

 

 

Merlin era nervoso.

Erano passati diversi giorni da quando aveva fallito, per la prima volta in vita sua, nel richiamare la magia. Per fortuna episodi come quello non si erano più verificati e la magia dentro di lui aveva continuato a dimostrarsi ubbidiente, quasi per riparare al torto che gli aveva fatto. La sentiva scorrere placida lungo tutto il suo corpo, ora; però, se si concentrava bene, riusciva ancora a percepire l'orribile formicolio che l'aveva colto alla sprovvista quando i suoi occhi non si erano illuminati d'oro. Dato che quando ci pensava gli si seccava la bocca, si era imposto di non pensarci affatto. La cosa non era facile.

Inoltre, si stava avvicinando Yule – il primo Yule che avrebbe trascorso lontano da casa sua. O meglio, il primo Natale, come lo chiamavano le creature riflesse. Certo, Yule e quel Natale non erano proprio la stessa cosa, ma si somigliavano parecchio. A Merlin non dispiacevano tutti quei dolci zuccherosi e pieni di glassa di dubbia composizione che gli rifilava Gwen, né gli dispiacevano le musiche a tema che la vecchia Willie e i dipendenti più scherzosi mettevano in sottofondo negli ambienti della servitù.

Non era proprio molto scherzosa, però, la vecchia cameriera Willie. Anzi, era piuttosto determinata nella sua campagna di natalizzazione della residenza principale e dintorni. Merlin l'aveva scoperto a sue spese. Da più di una settimana lui, Elyan e Gwen erano stati ridotti in schiavitù con l'unica scusa di essere i più giovani del personale. Una buona parte delle ore di servizio erano costretti a passarle occupandosi degli addobbi e non era una mansione era tanto semplice quanto sembrava. Willie non scherzava quando diceva di volere che ogni singolo angolo della residenza fosse adeguatamente sistemato per la festa. Perché si dava anche il caso che la sera di Natale fosse tradizione della famiglia Pendragon tenere una festa danzante nel salone grande. Duchesse, politici, esponenti dello show business, nobili e principi stranieri sarebbero stati invitati a partecipare. Niente sarebbe potuto andare storto, o, molto probabilmente, Uther non ci avrebbe pensato due volte a licenziare in tronco tutti dipendenti – con conseguenza diretta il taglio della testa dei novellini da parte dei più attempati.

Ecco, tutta questa agitazione un pochino lo rovinava, lo spirito natalizio – anzi, metteva proprio a dura prova i nervi di Merlin. Per lui non c'era molto da festeggiare, se non faceva che appendere ghirlande, vischio e agrifoglio e tentare di dare una qualche specie di forma alle composizioni mentre le appiccicava intorno alle porte. Quel pomeriggio era il terzo consecutivo che passava intrappolato nella decorazione dei piani inferiori, da solo, lontano da ogni forma di vita che non stesse ossessivamente facendo su e giù con in mano programmi, liste di cose da fare e nastri dorati.

Lontano da Arthur.

Sperticarsi sulla scala per riuscire ad arrivare più in alto possibile e sistemare le foglioline finte non era un'attività molto stimolante. Merlin stava iniziando a desiderare ardentemente che quel periodo si concludesse il prima possibile, o che almeno all'ultimo riuscisse a prenderla comoda e a godersi un po' di questo benedetto Natale umano. Stare con le persone amiche, guardare orribili speciali natalizi in televisione, fare l'albero e metterci i regali sotto.

Già, i regali.

“Merlin, Merlin, Merlin, farò un regalo al principe, sai,” gli aveva detto qualche giorno prima Gwen, mentre pulivano il pavimento del salone grande – Merlin era scivolato sullo straccio. “Oh, sono talmente agitata, farò un regalo al principe,” aveva detto, “me l'ha consigliato lady Morgana.”

Pareva che lady Morgana non le avesse consigliato solo quello. Gwen, per una scusa o l'altra, orbitava intorno ad Arthur con sempre maggiore frequenza. Merlin si sentiva una languidezza nello stomaco ogni volta che li vedeva, ma non poteva farci nulla. Non avrebbe potuto farci proprio nulla, se Gwen e il principe si fossero avvicinati di nuovo. Non sarebbe stato giusto. E poi, in che modo avrebbe mai potuto agire?

Intanto il nervosismo cresceva, cibandosi del suo senso di impotenza e del pensiero sempre in agguato che la magia avesse potuto tradirlo di nuovo.

Un tale scombussolamento non faceva affatto bene al suo cervello. Comprometteva le sue capacità intellettive, era chiaro. Altrimenti Merlin non avrebbe saputo spiegarsi per quale motivo avesse pensato, stupidamente, di farlo pure lui, un regalo ad Arthur.

In una rivista femminile che aveva trovato per caso nelle cucine aveva letto che gli uomini andavano presi per la gola.

Vuoi conquistare il suo cuore? diceva il titolo a caratteri cubitali rosa shocking (e Merlin, ingoiando, aveva pensato “sì”). Per Natale preparagli il suo piatto preferito e ti assicurerai il tuo bacio sotto il vischio.

Tom, il padre di Gwen, l'aveva pescato a fissare ipnotizzato quella pagina e, schiarendosi la gola, gli aveva detto con una risata “siamo innamorati, eh?”

Ripensarci ora che proprio lui stava incollando maldestramente vischio ovunque rendeva il tutto ancora più mortificante.

A causa di tutta questa pressione, ora più che mai Merlin sentiva la mancanza del suo Yule; niente gare e conquiste romantiche sulle note di canzoncine leziose. Solo la mamma, Will e il ballo in piazza alla Capitale, quando ci si prendeva per mano e si forma un cerchio e si rideva, trasportati dalle note forti della musica della terra.

Lo stregone sospirò, aggrappandosi alla scala. Ricordava Morgana ballare al centro del cerchio, l'anno prima, tutta un vortice di veli azzurri e viola, gli occhi dorati e la magia che le si attorcigliava intorno alle dita. Merlin si era ritrovato incastrato nel cerchio più esterno, quella volta. Aveva continuato a inciampare sui suoi piedi e pure su quelli degli altri, e ogni tanto fuoriusciva dal suo corpo un rivolo di troppo di magia (ironia della sorte; era da molto che non gli succedeva più. Era davvero qualcosa che apparteneva a un altro mondo). Ricordava di come Morgana si fosse accorta dei suoi errori, di come gli avesse fatto l'occhiolino prima di voltarsi dall'altra parte.

Merlin sospirò di nuovo. Ormai era tutto diverso.

“Hai intenzione di buttare giù il muro a suon di sbuffi?” disse qualcuno alle sue spalle.

Merlin voltò il busto di scatto, la scala traballò. “Arthur!”

Il Principe piantò le mani ai lati della scala, equilibrandola col suo peso, poi si impegnò per mostrare allo stregone la sua espressione più seccata, quella con le sopracciglia aggrottate e gli occhi che roteavano al cielo. “Merlin. Siamo sicuri che sia stato saggio far appendere le decorazioni proprio a te?”

Lo stregone sorrise, ogni traccia di inquietudine scivolò via dalla sua espressione a velocità supersonica.

Era da tre giorni interi che non lo vedeva – be', non in maniera ufficiale, almeno. Ovviamente lo controllava sempre con il suo Diamante. Però era bello parlarci faccia a faccia, anche se era solo per sentire le sue frecciatine acide. Ci si era abituato così tanto che era stato veramente una follia, questo piccolo tour de force lontano da Arthur.

“Se dipendesse da me, starei facendo altro,” gli disse.

“Tipo distruggere qualcosa nelle mie stanze, seminare panico in lavanderia, fare danni durante il servizio a tavola,” disse il principe, appoggiando il mento su un braccio.

“Esattamente,” disse, sovrappensiero, perché ora che lo stava guardando bene in viso si accorgeva che Arthur esibiva due borse nere sotto agli occhi. “Non avete dormito?”

“Oh.” Il principe si mosse appena. “No, sì, voglio dire, ho dormito. È che il risveglio ultimamente è stato un po'... brusco.”

Merlin emise un suono interrogativo. Sapeva che il suo posto accanto ad Arthur non era rimasto vuoto, mentre lui era stato impegnato ad appiccicarsi le dita tra loro con la super colla. Non che nessuno avesse davvero pensato di assegnare al principe un altro valletto personale – il mondo intero concordava nel reputare il lavoro di Merlin piuttosto inutile, in fondo, cosa che lui stesso diceva. C'era stato George, però, che si era offerto di stare a “servizio di vostra Altezza”. George lo Zelante, come lo chiamava Elyan. Merlin aveva potuto guardarlo attraverso il Diamante mentre controllava Arthur, e non gli era sembrato che le sue tecniche di risveglio fossero così brusche.

Anzi.

George ce la metteva davvero tutta per essere il più servizievole e pomposo possibile. A Merlin non piaceva quante arie si dava, il tono che usava con Arthur, come si era impadronito del suo stupido lavoro e come sembrava saperlo fare mille volte meglio di lui, come si prendeva la libertà di toccare il torace nudo di Arthur – insomma, a Merlin non piaceva affatto George lo Zelante.

Però non si aspettava che non sarebbe piaciuto nemmeno al principe. Insomma, era tutto ciò che lui non era: educato, disponibile, elegantemente distaccato.

“È così noioso,” brontolò Arthur, dando una risposta ai suoi dubbi. “È una vera tortura vedere per prima cosa al mattino la faccia di George. Sai, Merlin,” disse, puntando su di lui quei disarmanti occhioni a mandorla, “preferisco di gran lunga tirare roba addosso a te, come esercizio di ginnastica mattutina, piuttosto che farmi sistemare i cuscini da George lo Zelante.”

Lo stregone arricciò il naso, tornando a concentrarsi sul vischio da appendere. “Eppure quando ci sono non fate che lamentarvi di me...”

“Può darsi che mi piaccia lamentarmi, che ne sai?”

Merlin fece una risatina. “Ah, quello vi piace molto, lo so. Continuate a reggermi la scala, per favore – Quindi dovrei supporre che siete venuto fin qui a cercarmi? Perché vi mancavo?” disse, concentrato nel grattare via della porporina dorata da una foglia finta.

“Nah. È che sono tre giorni che non vedo quel tuo sorriso,” disse Arthur, e Merlin si fece tutt'occhi e la fogliolina dorata andò in frantumi tra le sue dita. “Mi piace, quel sorriso idiota. Mi fa sentire più intelligente. Fa bene all'autostima.”

Oh. Ovviamente.

“Ci vuole proprio poco per farvi sentire più intelligente.”

Arthur si raddrizzò contro la scala, oltraggiato. “Non sono mica venuto qui per farmi insultare! Se la metti così-”

“Arthur...” disse lo stregone, tamburellando le dita sullo stipite della porta. Che era molto interessante. Non ne facevano di così belli, in giro. Già.

“Mh?”

“Qual è il vostro piatto preferito?” chiese con noncuranza, strofinandosi il naso.

“Perché questa domanda?”

Merlin si strinse nelle spalle. Il titolone in rosa shocking si accese nella sua testa come una luce al neon. “Niente, così,” si mangiò le parole.

Il “mmmh” pensieroso del principe rimbombò nella cassa toracica di Merlin, mentre un'assurda aspettativa iniziava a galoppargli dentro, facendosi strada con impazienza.

“Pollo in crosta di erbe aromatiche,” decretò Arthur, soddisfatto.

“Oh.” Non aveva nemmeno la più pallida idea di come si facesse una crosta di erbe aromatiche, o proprio quali fossero, queste erbe aromatiche, ma doveva essere una pietanza super complicata da preparare, se piaceva ad Arthur. Merlin non ne sarebbe rimasto sorpreso.

Non che sperasse di ottenere chissà cosa, in quel modo, era chiaro. Non che pensasse davvero che il cuore di Arthur sarebbe stato suo grazie a un bel piatto fumante del suo cibo preferito (anche se, goloso com'era, probabilmente avrebbe apprezzato il gesto).

Il fatto era che, da un po' di tempo, si era insinuata in Merlin l'idea che quella storia del “fare come farebbero gli esseri umani” implicasse qualcosa di simile al... uh... corteggiamento. Insomma, tenersi per mano, abbracciarsi, ba-

“Ti hanno già baciato?” disse Arthur, la voce neutra come se avesse chiesto se gli piaceva Londra, e Merlin si voltò di nuovo con troppo impeto e accidenti, una vampata di calore del genere poteva significare solo che fosse arrossito.

“No,” disse, la voce un po' troppo alta.

Le sopracciglia di Arthur si aggrottarono con comica lentezza. Aprì la bocca con fare sconcertato. La richiuse. “Mi riferivo a Willie,” disse alla fine, scandendo bene le parole. “Ha una vera fissazione per il vischio e prende molto sul serio le tradizioni. L'anno scorso mi ci ha baciato sotto una dozzina di volte, è questo che intendevo – um,” disse, prendendo sempre più velocità sillaba dopo sillaba, la voce che si faceva acuta. “Ma tu mi stai dicendo che non... ?”

Merlin spostò il peso su un piede solo, cosa molto stupida da fare considerando che si trovava a quasi un metro da terra. “Ehm?”

“Non dirmi che... no,” disse Arthur, e un ghigno beffardo gli illuminò l'espressione. “Non sei mai stato... Merlin, per l'amor del cielo, le tue labbra sono vergini?!”

“Be', no!” scoppiò lui. “Non proprio, almeno,” aggiustò il tiro, giocherellando con la composizione che stava distruggendo, invece di sistemare.

Meglio evitare di menzionare che l'unica persona che l'aveva mai baciato era stata sua madre. In fondo nel Regno della Magia non era una cosa molto comune, baciarsi. Di certo nessuno stregone se ne andava in giro a baciare la gente, anche perché baciare significava amare e se amavi, be', non eri più uno stregone.

Il principe, ovviamente, era scoppiato a ridere senza ritegno. Merlin sapeva di non avere niente di cui vergognarsi, perché la natura degli stregoni era quella e, anche se non fosse stato uno stregone, non avrebbe avuto di che vergognarsi comunque. Infatti non si sentiva in imbarazzo. Si sentiva di nuovo irritato, molto irritato, un briciolo irritato di più per ogni secondo in qui quella risata andava avanti. Quella sua risata maleducata e senza freni, quella che gli chiudeva gli occhi e gli faceva alzare e abbassare le spalle, la testa bionda buttata all'indietro.

Quella risata che, in parti uguali, riscaldava Merlin, lo riscaldava tutto dentro, per il fastidio e per...

“Arthur, che diamine stai facendo?” tuonò la voce del re, e Merlin fece un movimento brusco di troppo e fece in tempo solo a vedere la figura impettita e un po' scandalizzata di Uther con accanto George lo Zelante dritto come uno stoccafisso prima che la scala oscillasse pericolosamente sotto di lui, e pensò “adesso cado-mi faccio male-dovrò restare bloccato con la caviglia slogata-Arthur sarà esposto ai piani di Morgana senza la mia protezione”, ma...

Ma Arthur fu veloce a tenerlo fermo afferrandolo per le ginocchia, avvolgendolo stretto per piantarlo bene sulla base d'appoggio, e Merlin si sbilanciò in avanti e gli buttò le braccia intorno alle spalle per sorreggersi, e gli era mancato.

Nel mezzo di tutto questo, pensò che gli era mancato sentire il calore di Arthur sotto le sue dita e che forse era questo, era proprio questo il vero motivo per cui si era sentito così fuori fase, negli ultimi giorni.

La realizzazione lo trafisse come un dardo.

“Arthur, santo cielo!” disse Uther, esasperato. “Ti stavo cercando per tutto il palazzo mentre tu te ne stavi qui a,” e roteò un mano per aria, “giocare con... Sei il ragazzo che ha rovesciato la zuppa sulla tavola l'altra volta?”

“Ehm, sono Merlin,” disse lo stregone, avvinghiandosi meccanicamente alla maglia di Arthur mentre lui lo sollevava di peso e lo depositava a terra come se avesse tirato giù un gattino da un albero – “wow”, pensò intanto Merlin. Wow.

“Non stavo giocando, papà. Mi stavo prendendo cura del personale. Come un buon principe dovrebbe fare per dimostrarsi compassionevole e comprensivo,” disse Arthur con una faccia da schiaffi invidiabile, dando delle pacche sulla testa di Merlin che gli fecero piegare il collo.

“Certamente, già,” disse il re, che non se l'era bevuta ma che apprezzava la prontezza di riflessi nelle risposte. “Hai letto quei dati sulla percentuale di produzione che ti ho fatto mandare da... Come ti chiami? Glieli hai consegnati, spero.”

“Mi chiamo George, signore,” disse il valletto, gonfiandosi impossibilmente. “E sì, mi sono assicurato che sua Altezza il principe ricevesse il rapporto il prima possibile, così come mi sono assicurato di cercarlo per tutta la residenza in vece vostra.”

Merlin arricciò la bocca. Chissà perché non lo sorprese che il “ti stavo cercando per tutto il palazzo” di Uther fosse stato in realtà un “George ti ha cercato per tutto il palazzo”.

“Coraggio, Vostra Altezza, mi permetto di spronarvi a tornare a quei documenti, ora. Tanto Merlin rimarrà qui ancora a lungo, immagino,” disse lo Zelante, facendo segno col braccio verso Arthur perché lo seguisse.

Merlin strinse i pungi. Non si curò di nascondere la smorfia nemmeno quando intercettò lo sguardo sdegnato di Uther.

“Aspettami nel mio studio, Arthur,” ordinò il re, il mento alto.

Lui ubbidì e seguì George verso le scale. Prima di sparire al piano disopra, però, si voltò per lanciare a Merlin un fugace sguardo bastonato che lo ammorbidì subito. Non si poteva non sorridergli se ti guardava così, quindi lo fece, piegando la testa di lato.

Uther si schiarì la voce. Merlin trasalì. Il re era rimasto impalato là, al suo fianco, e non dava segni di volersi allontanare. Pareva anzi che volesse dirgli qualcosa, a giudicare da come inspirava guardando il soffitto, le mani incrociate dietro la schiena. O forse si aspettava che fosse lo stregone a dire qualcosa.

Proprio quando Merlin stava per congedarsi in qualche modo per il semplice fatto che non avrebbe retto alcun tipo di conversazione con quell'uomo, il re aprì la bocca. “Allora, Mervin.”

“Merlin,” lo corresse. Probabilmente avrebbe dovuto aggiungere un “signore”, se non altro perché il sopracciglio dell'altro era scattato in alto. Ma non lo fece.

“Sei il ragazzo di Gaius,” constatò Uther.

Lo stregone annuì facendo segno con la testa, due, tre volte. Ne seguì qualche secondo di imbarazzante silenzio.

“Uhm... dovrei-” iniziò, gesticolando verso la porta e l'ammasso di decorazioni natalizie.

“Perché stai sempre insieme a mio figlio, Merlin?” chiese il re, diretto.

Lo stregone ne rimase sorpreso. Non sembrava un'accusa, ma nemmeno una domanda del tutto innocua.

In genere Uther, quando parlava con gli altri, si riferiva ad Arthur come al principe, anziché come a suo figlio. In quel modo, invece, era come se stesse parlando da padre. Era strano. Merlin non era molto abituato a considerare Uther in quelle vesti. Era il sovrano severo che indirizzava il suo futuro successore verso quelle che reputava le vie migliori per governare la patria, spesso con metodi poco ortodossi.

A quanto pareva, invece, si comportava anche da genitore, qualche volta.

C'era anche da dire che Merlin non aveva dei criteri per poterlo valutare personalmente da quel punto di vista. Suo padre occupava il posto di una parentesi vuota nella sua vita. Tutto ciò che Merlin sapeva, istintivamente, era che non ci avrebbe mai tenuto, ad avere un genitore come Uther, e che avrebbe sicuramente preferito qualcuno come Gaius – in realtà non aveva mai pensato molto a suo padre, non fino a quando era arrivato sulla Terra, almeno; e da qualche parte nel mezzo di quel lasso di tempo, nella testa aveva associato la figura di suo padre a un'ombra che aveva le caratteristiche del suo mentore. Almeno, era questo che gli piaceva immaginare.

Si ritrovò comunque a rispondere al re con sincerità, perché si trattava di Arthur – si trattava sempre di Arthur. “Sto accanto a vostro figlio perché gli sono amico. Perché gli sono leale,” disse, tenendo lo sguardo fisso su di lui.

Uther parve incassare la risposta come un pungo nello stomaco. Annuì, sbatté le palpebre, si mostrò stoico nel suo silenzio teso. “La lealtà è una cosa grossa, ragazzo,” disse alla fine. “Una cosa che può anche diventare pericolosa.”

Merlin inspirò. Il re non sembrava sprezzante. C'era una vena di durezza, però, una sfumatura indecifrabile nel suo portamento. Alla fine decise di ignorare la presenza dello stregone e tornò indietro, pensieroso e determinato, come se quella conversazione non fosse mai stata tenuta.

Merlin guardò la sua schiena forte, che reggeva con fiera ostinatezza le responsabilità; lo guardò muoversi sicuro, segnando la strada coi suoi passi pesanti come massi. Era quel genere di persona che, anche quando si rende conto di aver torto, continua ad andare avanti fino a che non sbatte la testa contro il problema e poi la rialza, insanguinato ma con la coscienza apposto, perché ha fatto ciò che riteneva giusto.

Quello era l'uomo che, nel bene e nel male, aveva formato Arthur, che aveva determinato la persona che Arthur sarebbe diventata, plasmandolo sulle sue qualità e sulle sue mancanze.

In qualche modo, Arthur gli somigliava. Solo che, crescendo, aveva preso il vuoto di quelle mancanze e l'aveva riempito del suo meraviglioso calore, fino a farlo traboccare, illuminando tutto e tutti soltanto con la sua presenza. Era quel genere di carisma che, invece che schiacciarti, ti fa volare in alto.

Merlin sorrise.

 

 

ʘ

 

 

“Merlin-Merlin-Merliiiiiiin, buon Natale!” trillò Elena, schiantandosi addosso a Merlin quando lui aprì la porta.

“Buon-gnnh,” disse, sputacchiando via la chioma di lei che gli si era infilata con determinazione in bocca e nelle narici. “Shampoo nuovo? Sa di fragola.”

Elena lo strizzò per le spalle, guardandolo tutta luminosa. “Sì, ha un buon profumo, vero? L'ho usato appositamente per la gran serata, insomma, non sia mai che si partecipi a un ballo reale senza capelli che profumano di fragola.”

Lo stregone scoppiò a ridere, squadrandola per bene dalla testa ai piedi. Elena indossava la sua solita giacca leggera di pelle, nonostante fosse il venticinque Dicembre; i suoi capelli erano un ammasso biondo glorioso e disastroso e in mano teneva un borsone sospetto. “Non dirmi che il tuo abito... ?”

“È qui dentrooooo,” cinguettò lei, agitando il borsone.

Merlin si premette il ponte del naso. Non osò nemmeno immaginare in che condizioni potesse essere l'abito da sera, dato che Elena condivideva con lui la stessa abilità nel piegare i vestiti – il che era, quindi, preoccupante. “Sarà da stirare?”

“Ma no, ma no,” fece lei, accomodandosi sul divano come fosse stata a casa sua. “Dovrò stare molto attenta a non strapparlo o sporcarlo o rovinarlo in qualunque modo, però, perché l'ho preso in prestito da Mithian, sai, e mi staccherà la testa se farò qualche danno. È piccoletta, ma non ti immagineresti mai cosa sia in grado di fare,” disse, gli occhi enormi. “Nel caso, la colpa sarà tutta tua, Merlin. Mi inviti con pochissimo preavviso a partecipare a un ballo reale, dico, ti rendi conto, un ballo reale! Come pretendi che una persona normale possa avere un vestito adatto all'occasione? No, aspetta, aspetta – sei proprio sicuro, più che altro, che ci faranno davvero entrare?”

Merlin si lasciò cadere sui cuscini accanto a lei. “Ti ho già detto di sì. Per la millesima volta, sì,” la rassicurò, stiracchiandosi.

In realtà poteva capire i suoi dubbi. Era rimasto spiazzato anche lui, quando Arthur, mentre si impegnava a stracciare Leon a una sfida alla Wii, aveva buttato là che Merlin, Gwen, Leon ed Elyan erano dispensati dal servizio e ufficialmente invitati alla serata (“Sono il figlio del Re, Merlin, avrò o no il potere di invitare chi mi pare?”). Al che Morgana, presente anche lei perché aveva preso a partecipare alle loro rimpatriate serali per dare spintarelle a Gwen verso Arthur, aveva ricordato con divertimento eccessivo a Merlin che avrebbe avuto bisogno di un'accompagnatrice. “Agli eventi ufficiali ci si presenta sempre in coppia,” aveva detto, artigliando il braccio di Arthur. “Ahimè, io sarò costretta a presentarmi col mio caro cugino e dovrò sottrarlo a migliore compagnia,” aveva detto, ammiccando verso Gwen. “Tu con chi verrai, Merlin?”

Ad Elena, dopo, era quasi venuto un colpo, quando lo stregone l'aveva chiamata dicendo: “Tu. io. Ballo di Natale alla residenza reale.”

“È vero che ti avevo chiesto di presentarmi qualche nobile,” disse ancora lei, poggiando i piedi sul tavolinetto davanti a loro, “ma qui siamo a un livello superiore. E poi io non so ballare. Non balleremo, vero?”

“Santo dio, no!” grugnì Merlin. Era già scoordinato abbastanza nei balli di gruppo di Yule, quando doveva fare solo un passo a destra e uno a sinistra. Non osava immaginare cosa sarebbe potuto succedere con un valzer. “È per questo che ho invitato proprio te. Mal comune, mezzo gaudio,” disse, allungando i piedi vicino ai suoi.

“Sei un tesoro. E indossi dei calzini davvero adorabili.”

“Oh,” fece lui, guardandosi le caviglie, da dove erano ben visibili i piccoli muffin stampati sullo sfondo rosso scuro.

Calzini con i muffin. Glieli aveva portati Gwen, quella mattina, avvolti in un pacchetto delizioso con la carta profumata alla vaniglia.

“È un pensierino da parte mia e di Elyan,” aveva detto, tutta contenta. “Più da parte mia, in realtà, Elyan ha messo solo la metà dei soldi, ma poi li ho scelti io. Sono adorabili e mi hanno fatto pensare a te.”

“Gwen, non dovevi,” aveva tentato di protestare lui.

“Ma su, non fare tante storie. Natale è anche questo. È anche pensare alle persone a cui vogliamo bene, pensare a come renderle felici. Fargli sapere che ci importa di loro non è sempre facile... questo mi pare un buon metodo, no? A Natale divento un po' sentimentale... penso costantemente alle persone a cui voglio bene. Lo so che è un po' sciocco, ma...” e aveva sorriso, adorabile e sincera.

Merlin era stato preso allo stomaco da uno strano senso di colpa, allora. Non solo perché lui non aveva avuto nulla da dare in cambio a Gwen, ma si era sentito in colpa anche nei confronti di Gwen stessa.

Non avrebbe voluto che lei soffrisse, alla fine. Anche Gwen era una pedina coinvolta nel gioco che stava portando avanti il Grande Drago. Che stavano portando avanti lui e Morgana. La cosa gli dava la nausea.

Lo sguardo gli cadde sulla scatolina bianca che aveva abbandonato con rassegnazione sopra al televisore. Un sobrio fiocco rosso teneva ancorato il coperchio alla base.

“E quella?” domandò Elena, cogliendolo di sorpresa.

Lui strinse le labbra tra loro, rifiutandosi di dare una risposta.

“Oh! Oh mio dio,” si animò lei, agitando le mani, “È il tuo regalo per lui. È così, alla fine l'hai fatto. Ma mi sembra un po' piccolo per contenere un pollo.”

“Sono cioccolatini,” brontolò, fissando sconfitto la scatolina. “Ci ho provato, a fare quel pollo, e diciamo che il risultato non è stato... dei migliori.” Che Gaius non si fosse lamentato che il fumo che usciva dal forno avesse fatto scattare i sensori dell'allarme antincendio, be', non era molto consolatorio. “Poi la presentazione non sarebbe stata tanto raffinata. Insomma, incartare un pollo.”

“Poco romantico,” convenne Elena.

“I cioccolatini non sono tanto impossibili da preparare, invece.” Quel secondo tentativo gli era riuscito meglio. Anzi, era stato proprio bravo. Non aveva nemmeno barato facendosi aiutare dalla magia. Gaius aveva avuto anche la delicatezza di non ridere di lui per l'esplosione nucleare con cui aveva sconvolto la cucina, mentre lo aiutava a ripulire. “E Arthur mangia di tutto in ogni caso,” concluse, facendo spallucce.

“Così mi piaci!” disse lei, dandogli un potente schiaffo, “Determinato! E ora usa quella determinazione per aiutarmi con l'acconciatura.”

“Cosa?!” disse, strabuzzando gli occhi. I mille nodi che intrecciavano i capelli di Elena erano quasi visibili a occhio nudo. “Non sono mica capace di fare un miracolo del genere.”

“Pensi che io invece sia capace? C'è un motivo se mi vedi quasi sempre con i capelli legati, Merlin. E comunque,” disse, facendo l'occhiolino, “ho imparato che un po' magico lo sei. Fai la tua magia.”

Lo stregone sorrise, roteando gli occhi al soffitto. Be', supponeva che un piccolissimo incantesimo per districare i nodi avrebbe anche potuto lanciarlo, quando Elena non guardava. Un po' di magia ogni tanto era seriamente fondamentale.

Qualche volta, la magia era fondamentale.

Qualche volta...

 

 

ʘ

 

 

Merlin sciolse i muscoli del collo, Elena le caviglie. A guardarli così, nascosti in un angolo a fare una specie di semi-riscaldamento per allentare la tensione, sembravano più due atleti che due invitai al ballo. O, in un'alternativa più probabile, due idioti.

Eppure erano pronti; tirati a lucido come non mai, erano prima passati a scaricare i cioccolatini nello studio piccolo, piazzandoli strategicamente nel cassetto della scrivania che nessuno mai apriva.

Ora soltanto le porte chiuse con Owaine e Leon davanti li dividevano dal salone del ballo.

Merlin guardò Elena: l'abito giallo senape dalla forma a sirena in cui era fasciata non aveva davvero avuto bisogno di alcuna stiratura, alla fine. Aderiva troppo al suo corpo perché si vedessero le pieghe, comunque. Merlin le sistemò con cura l'unica spalla a forma di fiocco, rivolgendole un sorriso affettuoso. Quella sera più che mai Elena era proprio lei: un po' eccentrica, ma adorabile.

“Sei molto bella,” le disse.

“E tu sei davvero uno schianto, baby,” disse lei, lisciandogli con reverenza il cravattino che gli aveva rimediato Gaius (insieme al resto del completo blu petrolio). “Sul serio, fai davvero girare la testa, vestito così. Dio, ho voglia di rimpicciolirti e tenerti in tasca con me per sempre, si può fare?”

Merlin arrossì e rise – e sì, in realtà sì che si poteva fare, ma Elena non l'avrebbe saputo. “Andiamo allora.”

Elena annuì. “Andiamo ad acchiappare quel bel culetto reale per te,” disse e, prima che Merlin potesse strozzarsi con una risata o controbattere, lo prese a braccetto e lo trascinò davanti all'ingresso.

Leon, che aveva insistito per non abbandonare il suo incarico di guardia del corpo (accettando il compromesso di entrare a metà serata e fingersi un semplice invitato), li salutò con un piccolo cenno della mano. “Buona sera,” disse. “Siete... wow.”

“Grazie,” risposero in coro i due. Poi si guardarono, un cenno deciso del capo, e la porta si aprì per loro.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Si arrischia di piangere un poco, se ci si è lasciati addomesticare ***


 

(x)

 

 

Capitolo undici: Si arrischia di piangere un poco, se ci si è lasciati addomesticare
(seconda parte)

 

 

 

 

Gentiluomini in distinti completi scuri, donne alte in brutti abiti danzanti, signore basse e morbide con le acconciature nascoste da discutibili cappellini piumati, politici di mezza età con in mano bicchieri pieni di bollicine. C'era la musica, discreta, ad accompagnare il chiacchiericcio di cortesia, c'era il re che torreggiava senza un briciolo di rimorso sopra alla testa del primo ministro di un qualche paese europeo, c'erano Merlin ed Elena con le bocche che toccavano il pavimento che Merlin stesso aveva pulito con circa diecimila passate di straccio fino al giorno prima.

Le volte del salone sembravano ancora più maestose nell'illuminazione quasi soffusa; i camerieri con i capelli impomatati che non avevano avuto la fortuna di essere dispensati dal servizio (perché non facevano parte della compagnia del principe, loro) tenevano in equilibrio precario dei calici su vassoi d'argento.

“È un bene, in un certo senso, esseri qui come invitato,” boccheggiò Merlin. “Non so se ci sarei riuscito, a gestire la faccenda dei vassoi e dei bicchieri.”

Elena rise troppo forte. “Andiamo, Cenerentolo. Troviamo il tuo principe. In serate così possono succedere magie, come nei film romantici della Disney.”

Lo stregone iniziò automaticamente a cercare i segni di una testa bionda, drizzando le orecchie per captare una specifica risata, fastidiosa e pressante.

Lui ed Elena si fecero largo tra gli ospiti, evitando alla meglio strascichi e scarpette. A mano a mano che avanzavano e invece non vedevano nulla, il fiato arrivava con più difficoltà nei polmoni di Merlin.

Forse gli erano rimasti in circolo più residui di nervosismo di quanto non avesse immaginato. Erano state giornate lunghe e noiosamente monotone, e Merlin era uno che si trovava quasi a disagio a stare fermo troppo a lungo, ed era assurdo che non avesse trovato cinque minuti per parlare con Arthur, era veramente assurdo, e dove si era cacciato lui, adesso?

Lo stregone non si aspettava sul serio di ottenere risvolti stile film romantico della Disney, da quella serata. In realtà non si aspettava nulla, se non riuscire a vedere il principe, riuscire a stare con lui, almeno per un po'.

“Uh,” fece Elena, un suono basso e un po' ridicolo, immobilizzandosi d'improvviso. Merlin le finì addosso, ma lei non aspettò neanche che si rimettesse dritto per tirarlo vigorosamente per il gomito. “Eccolo lì! Merlin, eccolo, eccolo, eccolo lì!” si agitò.

“Dove?” soffiò lui, un grosso blocco d'aria che si spostava dalla trachea fino a qualche altra parte nel suo petto.

“È lì, lì, ohmiodio, oh. Mio. Dio.”

“Lì dove?!”

“Lì, lì, laggiù!” disse, prendendo la faccia dello stregone tra le mani per voltarlo verso il fondo della sala. “Adesso l'ha coperto quella specie di duchessa ananas con cui sta conversando.”

Merlin si alzò in punta di piedi, individuando così una signora che, per acconciatura e forma fisica, ricordava vagamente un ananas. Stava per mettersi a ridere per l'accuratezza del commento di Elena, ma poi la signora si spostò a destra e lui, finalmente, vide Arthur. E non rise più.

“Oh mio dio, Merlin, guarda com'è bello...”

Il principe Arthur, le braccia educatamente incrociate dietro la schiena, indossava un insolito smoking composto da una giacca bianco sporco su pantaloni con fusciacca neri. Nessun altro, tra i gentiluomini presenti in sala, sembrava essersi vestito di bianco; questo faceva sì che la sua figura spiccasse nettamente rispetto al resto. I capelli erano pettinati ad arte di lato e gli lasciavano la fronte scoperta.

Le labbra di Merlin schioccarono rumorosamente.

“Ti si è seccata la bocca, eh?” ammiccò Elena, sgomitando.

“No, è che... gli fa le spalle più grandi. La giacca, ehm.”

“Puoi pure dire che sembra un fottutissimo principe azzurro, tanto per restare in tema Disney,” disse l'altra. La sua risatina intervallata da un grugnito fece voltare dalla loro parte un paio di signorine secche come due alici e molto ingioiellate. Sia Merlin che Elena le ignorarono.

“Oh, avanti, siamo stati tutti un po' innamorati del principe, a un certo punto,” aggiunse lei, roteando gli occhi al cielo. “Pure io, quando facevo le scuole medie, se non ricordo male. È naturale, no? Voglio dire, è così... greco. Con quel suo naso, ugh, davvero greco. È il dio greco del sole, ecco.”

Merlin studiò Arthur – Arthur e le sue grandi spalle nella giacca bianca.

Non era mai stato un mistero per Merlin che il principe fosse belloccio. Insomma, sì, era piuttosto bello. Piuttosto molto bello. In realtà di ragazzi così avvenenti Merlin ne aveva visti pochini. O nessuno. Sì, Arthur avrebbe pure potuto essere il ragazzo più attraente che Merlin avesse mai visto – o la persona più attraente in generale.

“Vado a prenderti un fazzolettino per asciugare la saliva,” disse Elena, serissima.

Merlin grugnì, lo sguardo puntato verso il principe che annuiva alle chiacchiere di un distinto signore, nascondendo a stento la noia. Era proprio un asino, con o senza giacca bianca.

“Oh mio dio, non riesci sul serio a staccargli gli occhi di dosso,” trillò Elena, dandogli uno schiaffetto sulla schiena.

In fondo era vero. Merlin, dopotutto, lo guardava sempre: passava un enorme quantitativo del suo tempo a prendersi cura di Arthur da vicino. Così da vicino che quando gli lisciava le pieghe dei maglioni sulle spalle poteva saggiare sotto i suoi palmi le linee forti del collo; quando abbottonava la sua camicia, gli sfiorava il torace ampio; quando gli appiattiva la frangia, vedeva le ciglia chiarissime abbassarsi sui suoi occhi. E quando Merlin non si stava prendendo cura di lui, lo guardava comunque attraverso il Diamante del Giorno, accarezzando il suo riflesso in un gesto ormai consueto. E quando non faceva questo, ripercorreva la sua figura nei ricordi sfocati del dormiveglia, il sole che sorgeva filtrando attraverso le tende bianche, e Merlin che si rotolava nelle lenzuola e assaporava in bocca il gusto del pompelmo e, stupidamente, rideva, le palpebre abbassate.

Oh.

Era così. Era...

“Per tutti i draghi,” bisbigliò, sbattendo le ciglia come se fosse appena uscito da un bel sogno.

Il suo cuore saltava e saltava e saltava, trascinando dietro di sé in una samba improvvisata ogni cellula della sua essenza, e aveva mai fatto così?

“Avanti, vai a prendertelo,” lo incoraggiò Elena, l'espressione dolce. “Stasera avrai il tuo ballo con lui, sarà così romantico...”

“Elena, tu sei pazza,” disse lo stregone, i tonfi ritmici del suo battito cardiaco che gli risuonavano come grancasse nelle orecchie.

Eppure... sarebbe poi davvero stato troppo defilarsi, andare a pescare il principe, afferrarlo per il colletto e... fare cosa?

I cioccolatini. Doveva ancora consegnargli i cioccolatini.

“Perché, pensi che sarebbe strano vedere il principe volteggiare in mezzo alla stanza stringendo a sé un valletto?” stava dicendo intanto Elena, suonando sempre meno convinta parola dopo parola. “Be', va bene, magari un ballo no. Però almeno un baciamano ci assicureremo che tu lo riceva. Lui potrà dirti 'buona notte, dolce principe' e tu gli dirai 'buona notte, principessa', oh, aspetta, quello era Aladdin e, ehm, forse funzionerebbe meglio alla rovescia.”

“Trovo che il termine principessa sia molto adatto, però,” disse qualcuno alle spalle di Merlin.

Lo stregone si voltò.

Gwaine, perfetto completo nero corredato dall'immancabile sorriso smagliante, gli fece il saluto militare. “Elena, sei davvero incantevole,” disse, prendendole la mano svelto come un ladro per lasciarci un bacio senza toccarla. “E non è affatto vero che il vestito fa effetto salsicciotto. Ti sta benissimo.”

Merlin fece appena caso alla confidenza con la quale Gwaine si stava rivolgendo a Elena – Arthur si stava chinando per prendere in braccio una piccola duchessina vestita come un confetto bianco che lo guardava con aspettativa, i braccini tesi in alto. La scena meritava la sua completa attenzione, se non altro perché gli ricordava di quando il principe si era caricato in spalla Mordred in un modo molto simile. Sembrava passata una vita intera da quella volta che si erano buttati in quella folle corsa fino a Piccadilly Circus, finendo senza fiato per le risate. L'espressione spensierata che Arthur aveva avuto, i suoi capelli scomposti sulla fronte...

“Merlin? Non sei d'accordo anche tu?”

“Sì,” rispose senza pensarci lo stregone.

Un ghigno obliquo scoprì i denti bianchi di Gwaine. “Visto?” disse nell'orecchio di Elena. “Che ti avevo detto? Merlin è d'accordo. Faremo così.”

“Ah, per me va bene,” ammiccò lei.

Intanto Arthur aveva depositato a terra la duchessina ed era ora impegnato a distribuire sorrisi e moine alle signore deliziate che gli si erano raggruppate intorno. Merlin si allungò di lato per avere una visuale migliore e, proprio in quel momento, anche il principe si voltò. I loro sguardi si incrociarono per un attimo e Merlin già stava sorridendo di più, già era pronto a raggiungerlo, ma poi...

Arthur girò il viso dall'altra parte, non dando alcun segno di averlo notato. O, se l'aveva notato, lo stava semplicemente evitando.

Le braccia di Merlin penzolarono, abbandonate lungo i suoi fianchi.

“E tu invece da chi sei venuto accompagnato, alla fine?” sentì che Elena diceva a Gwaine. “Chi è la fortunata dama?”

“Percy,” disse Gwaine, e poi scoppiò nella sua fragorosa risata.

Lo stregone chiuse stancamente gli occhi, tornando a concentrarsi sui suoi amici. Il fatto che sembrasse impossibile avere anche un briciolo dell'attenzione di Arthur non significava che avrebbe dovuto farsi rovinare la serata. Già, meglio dimenticare che il motivo per il quale era lì quella sera fosse stato proprio vedere Arthur.

“Sei stranamente silenzioso, Merlin,” disse Gwaine, passandogli un braccio intorno alle spalle. “È perché sto flirtando spudoratamente con la tua dama?”

“Figurati, sono abituato al tuo flirtare. Ci provi con chiunque, perfino con me.”

Elena sghignazzò.

“Dico sul serio, se fossi in te non gli darei tutta questa confidenza,” le disse Merlin, arricciando il naso. “Non è un bravo ragazzo, Gwaine, sai.”

“Ehi! Non mi fai fare bella figura, così,” disse Gwaine, ma senza negare nulla.

“Niente paura,” disse Elena, guardandoli entrambi con una certa pietà negli occhi. “Ormai Gwaine la faccia l'ha già persa. Sentissi come ha strillato quando gli ho dato un passaggio con Vega... Strilla più di te, Merlin.”

“Mi sento in dovere di smentire la cosa,” protestò Gwaine, alzando la mano. “Devo dire a mia discolpa che Elena è un vero pericolo ambulante in moto. Ma potrei giurare che abbia fatto un paio di mosse azzardate solo per frasi stringere più forte sui fianchi...”

“Non ho intenzione di sapere altro su come occupate il vostro tempo libero, voi due insieme,” disse Merlin, tappandosi le orecchie.

“Ma ti perderesti il bello,” ammiccò Gwaine. “Potremmo dirgli di quella volta...”

“E se invece gli raccontassimo di quando...”

Merlin scosse la testa. “Non voglio sentire altro, no! Non mi va di rimanere traumatizzato.”

“Basta così poco per traumatizzarti, mio piccolo Merlin?” si aggiunse con classe una quarta voce, melodiosa e carica, nelle note basse, di sottintesi provocatori che solo lo stregone avrebbe potuto cogliere. Morgana.

La strega lo fissava sbattendo le ciglia. L'abito scuro di seta e pizzo lavorato, con un piccolo strascico, le dava quell'aria da perfetta creatura mistica che era. A chiunque, quella sera, Morgana sarebbe sembrata qualcosa di più che una semplice lady; una fata in nero, forse, o, per Merlin, una delle spose della Dea Triplice, così come venivano anche chiamate le sacerdotesse dell'Antica Religione.

“Milady,” biascicò lo stregone, facendo un mezzo inchino ma curandosi di rimanere con la fronte alta.

Elena fece una goffissima riverenza e Gwaine le afferrò la spalla per tenerla in equilibrio. “Morgana,” salutò poi, “stasera voialtri reali siete davvero inavvicinabili. Qual buon vento ti porta qui dai noi comuni mortali?”

“Una delle solite convenzioni da rispettare, temo,” disse lei. Le labbra piegate in quella sua immancabile smorfia rossa stonavano vistosamente con i suoi convenevoli. “Ci si aspetta che sia il principe a dare il via alle danze, sapete, ma lui al momento è un po' impegnato,” disse, un broncio di rammarico. “Così ho pensato che, be', tanto valeva fare uno strappo alla regola e vedere se uno dei suoi baldi amici avesse avuto voglia di accompagnare lady Pendragon nel primo giro di valzer. Ma, ahimè, non ci sono più i cavalieri di una volta. Oggigiorno una dama deve andarsi a cercare un cavaliere per conto suo, non è vero, Merlin?”

Lo stregone rimase impassibile all'occhiata significativa che gli lanciò. Purtroppo Morgana non era una che abbandonava un'idea, una volta che l'aveva considerata, e così aggiunse, sfacciatamente:

“Non c'è nessun gentiluomo che m'inviti a ballare, Merlin?”

“Sono solo un dipendente,” le fece notare lui a denti stretti.

“Non stasera. Ora sei un invitato come gli altri,” disse con poco interesse Morgana, accostandolo. “Non puoi rifiutare un ballo alla nipote del re, non quando hai gli occhi di tutti i presenti in sala puntati addosso,” sibilò, attenta a non scomporsi.

Merlin si guardò intorno: in effetti molte teste erano voltate sul loro piccolo gruppetto. C'erano di sicuro parecchi uomini in attesa della loro occasione per far volteggiare tra le loro braccia lady Morgana, e altrettante donne speravano, ardentemente e in segreto, che qualcosa andasse storto per poterne sparlare per gli anni a seguire.

“Io non so ballare, vi farei fare una figuraccia,” oppose resistenza lui, con una giusta motivazione. “Potreste chiedere a un altro qualunque dell'esercito di aitanti cavalieri che non vedono l'ora di farvi ballare.”

La strega gli regalò uno dei suoi sorrisi più angelici e ostentati, e gli si avvicinò al viso con la scusa di aggiustargli il cravattino. “È proprio questo il punto: loro vogliono. Tu no,” bisbigliò. Dopo aggiunse ad alta voce, rivolta a Gwaine ed Elena: “Vi rubo il vostro amico, ma non temete, ve lo restituirò presto tutto intero... o quasi.”

Subito procedette ad avvinghiarsi in qualche modo a Merlin, spingendolo nel contempo verso un grosso cerchio vuoto che si era formato quasi nel centro del salone e, gli dèi solo potevano sapere come, ma fece sì che sembrasse Merlin, quello che le offriva la mano. Lo stregone aveva una mezza idea di come fosse stato possibile; ma, se doveva essere onesto con se stesso, era meglio non pensare al modo in cui la sua rivale sembrasse ogni tanto riuscire a manovrarlo come un burattino, facendogli muovere le braccia a suo piacimento.

“Perché fai così?” mormorò seccato mentre lei gli si posizionava con grazia di fronte.

“Sono abituata ad avere il mio ballo a Yule. Al centro del cerchio, con tutti che guardano,” disse con ovvietà.

“Non so ballare,” le ricordò, pur sapendo che fosse inutile.

Infatti Morgana si esibì in una risata muta, gli occhi che brillavano per una fugace frazione di secondo di una sfumatura quasi ramata, d'oro giallo. “A questo si rimedia facilmente.”

In quel momento la musica cambiò, passando da un blando sottofondo a una melodia più viva, che catturò l'attenzione di chi ancora non si era accorto dell'apertura delle danze. Si alzò un chiacchiericcio eccitato e la circonferenza di spazio libero attorno a loro si fece più netta, mentre la schiena di Merlin si assestava in una linea impettita e poco familiare. Morgana mise la mano nella sua, gomiti alti, viso leggermente spostato di lato, motteggiò un “uno, due, tre” e infine i piedi di Merlin si sollevarono, e loro iniziarono a volteggiare lentamente.

Davanti a suoi occhi sfilarono mille facce (divertite, estasiate, alcune scandalizzate, di certo perché il partner della nipote del re era un viso anonimo), ignare che lo spettacolo al quale stavano assistendo fosse in realtà tanto insignificante per il protagonista maschile stesso.

A ogni giro a Merlin sembrava di riuscire a cogliere di sfuggita una macchia bianca. Forse, la giacca... ?

Sospirò, il corpo che continuava a muoversi con un'eleganza del tutto innaturale.

Si era proprio stufato. “Penso che sarebbe meglio per entrambi, sai, se interagissimo il meno possibile,” disse abbastanza forte per farsi sentire dall'altra.

Alzò il mento e la trovò raggiante e beffarda più che mai. “Cos'è, ti sei messo d'accordo con il mio mentore?”

Merlin la fissò apertamente, mandando al diavolo la postura da ballo. D'altra parte non percepì nessuno strappo provocato dalla magia di Morgana, quindi anche a lei doveva star bene ritrovarsi faccia a faccia.

“Mi è stato consigliato di evitarti dal mio mentore,” spiegò lei, come rivolgendosi a un marmocchio, mandando entrambi a piroettare pericolosamente vicino a una signora con un completino azzurro.

“Ugh, attenta... Sarebbe meglio fare in quel modo, allora, dato che ce lo hanno suggerito in due. Evitarsi.”

“Ma tu sei il mio rivale,” disse lei di slancio, un'unica bassa emissione di fiato. L'espressione dura e risoluta, gli occhi grandi nell'ovvietà della rivelazione.

Come se quella fosse l'unica spiegazione necessaria a giustificare la loro strana dinamica.

Forse lo era.

Altrimenti Merlin non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui, sebbene entrambi fossero consapevoli di dover stare più lontano possibile, ora si ritrovassero a ballare un valzer stringendosi per mano.

Da quando era arrivato nel Mondo Riflesso, ogni confronto con Morgana aveva avuto un sapore definitivo; ogni volta sembrava l'ultima, ma poi tornavano sempre l'uno alla porta dell'altra, e da una parte era strano, e da un'altra non lo era affatto. Perché per quanto Merlin fosse un illuso, nel profondo sentiva che non se lo sarebbe mai perdonato, se avesse lasciato andare Morgana così; come la sua nemesi. Lui non era uno che abbandonava gli altri.

Si era instaurato tra loro questo tira e molla insano, quasi folle – ma era voluto da entrambi.

Tuttavia, c'era un punto oltre il quale Merlin non si sarebbe potuto spingere nel tentativo di non mandare tutto in frantumi come aveva fatto con quel vaso nella stanza della strega. Il limite, per lui, era ovviamente Arthur.

Lo stregone sentiva il modo in cui si avvicinassero pericolosamente al punto di rottura, sempre di più a mano a mano che i giorni scorrevano e Morgana gli dava prova di essere disposta a qualunque cosa pur di affermarsi. Anche ora, lì, proprio lì, i due contendenti che danzavano senza curarsi dei perché, dei come, dei però... Nella loro danza, la loro lotta, era Morgana che manovrava i fili.

Quanto ancora avrebbero dovuto aspettare per il grande impatto, per la crepa irreparabile, Merlin non lo sapeva, ma-

“Ahi,” esclamò, stringendo gli occhi e fermandosi di botto.

Le proteste di Morgana erano un ammasso nebuloso e indecifrabile nelle sue orecchie. Tutti i suoi sensi erano concentrati su un grosso segnale d'allarme che gli stava inviando il suo corpo, un calore affannoso, una puntura spiacevolissima che sembrava scaturire direttamente dalla... tasca interna della sua giacca?

Merlin ci infilò la mano e fu con grande sorpresa che la riestrasse con uno scatto per trovare, incastrato tra le sue dita, un Mini-Kilgharrah decisamente incandescente.

“Scotta!” disse, lasciandolo cadere a terra e soffiandosi sulla pelle che sentiva come bruciacchiata.

Appena toccò il pavimento lucido, la miniatura prese a vibrare, diventando di un intenso rosso accesso. Merlin ebbe appena il tempo di guardarsi intorno, scioccato, e di appurare che c'era qualcosa di strano nella sala, prima che il draghetto iniziasse a dilatarsi esponenzialmente. Ancora e ancora di più, tanto da costringere strega e stregone a indietreggiare in fretta, la coda enorme che si biforcava fino al tavolo dei cocktail, le ali dalla ramatura possente che si dispiegavano a un palmo dal soffitto.

“Questa sì che è un'entrata in grande stile,” disse Merlin a bocca aperta, rimirando, mentre il drago prendeva forma, la scena bloccata nel tempo e nello spazio intorno a loro.

Una cappa color seppia inglobava l'ambiente, rendendo l'atmosfera innaturalmente statica; proprio come nello spiazzo in cui si apriva, graffiata nella roccia, la Caverna dei Mille Giorni.

In fondo alla sala Merlin intravide Arthur, congelato dalla magia nel mezzo di una stretta di mano con un vecchio dalla faccia contrita. Quella vista gli fece rivoltare lo stomaco.

“Avevi il Grande Drago in tasca, nel vero senso della parola. Come dovrei interpretarlo, questo?” sferzò Morgana, i contorni di Kilgharrah che lampeggiavano, traslucidi.

“Io... non ne ho idea. Be', non avevo il vero Grande Drago, comunque. È un'illusione, credo.”

C'era sicuramente troppa poca puzza di zolfo nell'aria perché Kilgharrah si trovasse effettivamente lì. Il fatto che la sua figura fosse piuttosto trasparente, poi, era un altro grosso indizio.

“Sei nel giusto, giovane stregone,” tuonò il drago, la lingua da serpente che si intravedeva tra le fauci. “Quella che state osservando davanti a voi non è che una mia proiezione. Come ben sapete, non mi è permesso lasciare in nessun caso la Caverna... per ora,” disse, e fu facile leggere tra le righe l'ammonizione che stava loro rivolgendo. Stava a Merlin e Morgana liberarlo dalla sua prigionia, infatti.

“Allora, mh- mi hai spiato per tutto questo tempo mascherandoti da giocattolino?” scherzò Merlin.

Il drago rimase per un po' in silenzio, dispiegando appena le ali come lo stregone vedeva fare ai passerotti zuppi d'acqua che si rifugiavano sotto il tetto di casa sua. “No. Non sempre,” disse alla fine.

“Cos- aspetta, l'hai fatto davvero? Mi hai spiato davvero?”

“Merlin, smettila di far perdere tempo al Grande Drago,” lo ammonì Morgana. “Sono sicura che una proiezione del genere richieda un notevole impiego di energie.”

Kilgharrah emise due rivoletti di fumo bianco dalle narici, soddisfatto. “La Strega delle Terre Desolate dice il vero. Usare per lungo tempo quello specifico mezzo materiale come base d'appoggio va molto oltre le forze di cui dispongo.”

“Specifico?” disse Merlin.

“A che cosa dobbiamo la tua visita, dunque?” gli parlò sopra Morgana, rivolgendosi a Kilgharrah con deferenza.

Lui esalò un sospiro fumoso e dopo, se i draghi sanno sorridere amaramente, sorrise amaramente. “La mia magia si è molto indebolita. Sono passati ormai diversi mesi da quando il Duello ha avuto inizio, e il tempo che mi rimane si è ormai drasticamente ridotto.”

Merlin ingoiò. Il drago stava morendo davvero. L'ultimo Grande Drago stava morendo, e il pensiero lo faceva stare male in modo sorprendente e intimo – e, dèi, ovunque voltasse la testa trovava un problema.

“Vi consiglio di sbrigarvi, se ci tenete davvero alla vittoria e al desiderio che vi ho promesso come pegno della mia gratitudine. Il tempo potrebbe non bastarvi,” disse la maestosa creatura. Poi aggiunse, il tono nostalgico e pacato di chi ha vissuto cose inenarrabili:

“Il tempo è qualcosa di misterioso e spaventoso. Ci sfugge molto più velocemente... quando le nostre convinzioni vacillano.” Parlò incrinando appena il muso verso Merlin. Sì, doveva sapere esattamente cosa stava succedendo nel suo cuore.

Lo stregone sostenne il suo sguardo, sperando che il drago riuscisse anche a capire davvero.

“Il compito che ci hai assegnato si è rivelato più ostico del previsto,” intervenne a sorpresa Morgana. Merlin la fissò, le sopracciglia corrucciate. Era strano che avesse davvero detto “ostico”. Non lo ammetteva mai quando si trovava in difficoltà, Morgana. La sua capacità di piegare la propria personalità per entrare nelle grazie di qualcuno era proprio curiosa. “Mi stavo chiedendo se, dall'alto della tua grande saggezza, potessi sciogliere un dubbio che rallenta le mie azioni, così che anche l'ora della tua libertà possa farsi più vicina.”

“Oh- oh, sì,” fece lo stregone, ricordandosi al volo della conversazione che aveva avuto da poco con Gaius sulle scale. La maledizione del drago, che il drago stesso era l'unico a conoscere in tutti i suoi particolari... “Ho anch'io una cosa da chiederti.”

Kilgharrah scioccò la lingua con interesse. “Avevo percepito che delle domande avevano agitato ancora di più i vostri cuori in tempesta, e sarò lieto di darvi una risposta, se mi sarà possibile.”

“Perfetto, allora-” iniziò Merlin.

“Ma!” lo interruppe Kilgharrah, i denti aguzzi che luccicavano in modo inquietante. “Capirete che, a questo punto, io senta il bisogno di ricevere una prova delle vostre buone intenzioni. È trascorso molto tempo e non ho assistito ad alcun vero progresso da parte di nessuno di voi,” fece notare.

Merlin si girò i pollici, ben consapevole di star andando piuttosto fuori strada, sul versante “diamo al drago il cuore del mio principe per farglielo mangiare.” Del resto, la cosa che più desiderava e per la quale avrebbe lottato era fare in modo che finisse bene per tutti quanti; non doveva propriamente sentirsi in colpa se aveva comunque delle priorità. “Mh- be', che cosa dovremmo fare, allora, per poter avere le tue risposte?”

“Il triplo patto va di nuovo siglato e rinnovato,” disse Kilgharrah. “Come è stato alla Caverna dei Mille Giorni quando decidemmo i termini del Duello e io vi svelai il mio vero nome.”

“Vuoi i nostri veri nomi,” disse la strega, senza scomporsi. “Conoscendo il vero nome di qualcosa si conosce la sua vera essenza, e si può perfino arrivare a possedere la cosa stessa.”

Merlin la riconobbe come una perfetta citazione da uno dei loro libri di testo dell'Accademia. “Ma io non so il mio vero nome. Non è una cosa che si può sapere così...” disse, passandosi una mano sulla fronte.

A quel punto il drago scoppiò a ridere della sua miglior risata graffiata. “Immaginavo che nessuno di voi due lo sapesse. Provatemi dunque, oltre la vostra buona fede, anche le vostre capacità, riuscendo a trovare il vostro vero nome. L'ultimo giorno dell'anno tornerò da voi e, se mi porterete ciò che vi ho richiesto, avrete le vostre risposte.”

“Sono solo sei giorni, è davvero poco tempo,” disse Merlin, allargando le braccia mentre l'immagine di Kilgharrah iniziava a rimpicciolire vistosamente.

“Il tempo, giovane stregone, è qualcosa di spaventoso,” fu l'ultima cosa che disse prima di scomparire, lasciando solo la sua piccola versione di plastica.

Merlin strinse le labbra, raccogliendo Mini-Kilgharrah e assicurandolo in tasca proprio quando il velo opaco intorno alla sala da ballo cominciava gradatamente a scolare via come pittura fresca. Morgana fu svelta a riagganciarsi a lui, affondando le unghie nel suo palmo con troppa veemenza. Gli angoli delle sue labbra, rosso ciliegia, erano piegati talmente in su che le davano un'aria quasi selvaggia.

“Tutto questo ti diverte, vero?” disse Merlin, arricciando il naso e sollevando il gomito come un manichino.

Morgana si alzò sulle punte e per parlargli nell'orecchio finì con l'appoggiare il petto contro il suo. “Non sai quanto,” lo provocò.

In quella, il chiarore di un flash fece scattare la testa di Merlin, che si allontanò dall'altra, facendo vagare gli occhi per il salone.

“Calmati, sarà semplicemente il fotografo ufficiale che il vecchio Pendragon ha fatto chiamare,” bisbigliò la strega, tirandolo per la manica della giacca per spronarlo a riprendere a ballare. “Merlin, non puoi fermarti così, ci guardano tutti!”

Che continuassero pure a guardare, pensò lui mettendo a fuoco una figura fin troppo familiare che si aggirava facendo foto; Merlin di sicuro se ne sarebbe andato in ogni caso, perché il fotografo ufficiale in questione era niente meno che Valiant, lo stesso che l'aveva inseguito fuori da Hatchards e al quale aveva manomesso la macchinetta con l'aiuto di Elena, quella volta al locale. E accidenti, Elena. Valiant avrebbe probabilmente riconosciuto pure lei, se l'avesse notata. Ciò non avrebbe portato a nulla di buono; qualunque paparazzo avrebbe pensato chissà cosa ritrovando sempre le stesse persone intorno al principe, e una serpe come sembrava essere Valiant non si sarebbe di certo risparmiata dal romanzarci felicemente sopra. L'ultima cosa di cui Arthur aveva bisogno era un ritorno alle vecchie abitudini di campagna pubblicitaria negativa; dunque lo stregone fece retro-front senza alcun rimpianto, dando le spalle a Valiant e defilandosi a testa bassa tra gli ospiti.

Sentì Morgana sibilargli dietro qualcosa, ma in quella situazione, sotto gli occhi di tutti, non poteva fare nulla per non tradirsi o mettersi in cattiva luce. Merlin si sentì grato nei confronti della sua buona stella che, una volta tanto, pareva essersi ricordata di lui.

E che continuava ad assisterlo, a quanto sembrava, perché, miracolosamente, dopo poco riuscì a individuare il vestito giallo senape di Elena, impegnata a sorseggiare (o meglio, trangugiare) un drink in un angolo. “Avevi detto che non sapevi ballare,” fu la prima accusa che gli rivolse, l'indice per aria, appena lo avvistò.

“Magia,” disse Merlin, facendole segno di stare zitta.

“Oh, ora sì che-mpfff!” bofonchiò quando lui la trascinò verso l'uscita. “Dio mio, vai piano o con queste scarpe mi schianterò – che succede?”

“Valiant, il tipo che aveva scattato le foto al Rising,” farfugliò Merlin, guardando dritto davanti a sé e impegnandosi a scartare la gente senza buttarla giù come birilli. “È proprio qui.”

Elena dovette aver afferrato la situazione, perché aumentò di parecchio il ritmo dei suoi passi. “Oh. Uhm, è un problema, vero?”

“Non se ce ne andiamo senza farci vedere.”

Lei non aggiunse altro e, preso Merlin per il polso senza alcuna grazia, si creò un passaggio fino a raggiungere la porta. Non sprecarono tempo per fare alcun cenno nemmeno ai valletti all'ingresso, improvvisando anche una mezza corsa lungo il corridoio, la ragazza che imprecava contro i tacchi.

Merlin avvistò la provvidenziale entrata dello studio piccolo e ci spinse Elena dentro, chiudendo subito dopo la porta col peso della sua schiena. D'istinto richiamò la magia in modo che la stanza fosse protetta da uno “scudo anti Valiant” e, per un vertiginoso attimo, si chiese se l'incantesimo non avrebbe fallito. Immediatamente, però, l'aria vibrò della familiare consistenza della magia; Merlin non fece in tempo a sospirare di sollievo che Elena già si stava tuffando sul divanetto, le scarpe in mano.

“La cosa è quasi positiva se nasconderci qui mi permette di togliermi questi trampoli,” esalò drammaticamente. “Nessun baldo nobile vale tanto quanto starsene con i piedi comodi.”

Merlin ridacchiò, sciogliendo, insieme alla tensione, il nodo del cravattino. “Tu sì che hai le tue priorità ben definite.”

La ragazza alzò le sopracciglia con enfasi, facendogli pigramente segno di sedersi accanto a lei. Merlin si tolse la giacca, la lanciò sullo spigolo della televisione e si sedette.

Elena gettò la testa sulle sue ginocchia, allungandosi tutta per far penzolare le gambe dall'altra estremità del divano.

“Mi dispiace tanto,” disse, mordendosi il labbro. “Doveva essere la tua serata. Dovevi farti vedere dal tuo principe azzurro e scappare non appena fosse scoccata la mezzanotte e portarti a casa il suo bacio di vero amore. Se non fosse stato per la possibilità che Valiant potesse riconoscermi, avresti potuto farcela.”

Sembrava veramente così afflitta, così dispiaciuta, che Merlin non poté fare a meno di pizzicarla sul naso per farla ridere. “Manca ancora parecchio alla mezzanotte, sai,” disse, sperando di tirarla su. “Non è detto che non possa succedere ancora qualcosa.”

Era una bugia gigantesca, ma non era giusto che la sua amica si sentisse depressa per qualcosa di cui non aveva la minima colpa. Era la serata che non era stata giusta, concluse Merlin. Erano andate tutte storte, una sfortunata combinazione di fattori che aveva fatto in modo che non riuscisse nemmeno a –

“Ehi!” La porta si aprì di botto e dall'altra parte, il viso un po' arrossato e i capelli volanti come se avesse corso, apparve Arthur.

Finalmente.

Merlin sgranò gli occhi rimanendo con le mani per aria, Elena squittì tirandosi su goffamente.

Il principe si schiarì la voce, fissando il corridoio, la scrivania in fondo alla stanza, il divano. “Ho visto Valiant, poi ho visto voi andare via e ho pensato...” disse. “Tu sei la ragazza del Rising Sun, vero?”

Elena annuì con vigore. “Mi dispiace tanto per il trambusto. E anche per quello che è successo l'altra volta.”

“Non ti preoccupare, io... è un piacere rivederti e sapere che stai bene,” disse, educato. Poi mosse un attimo le labbra come se avesse voluto aggiungere qualcos'altro, ma non avesse saputo nemmeno lui cosa. “Voi due...” tentennò alla fine.

“Ci siamo allontanati per evitare problemi,” lo interruppe lo stregone, il petto che si alzava e si abbassava, si alzava e si abbassava. Piano, ritmicamente. “Non penso che Valiant abbia notato Elena, comunque.”

“Bene. Avete fatto bene,” disse Arthur, appoggiando i palmi sui fianchi, e d'improvviso sembrava non sapere cosa fare di se stesso.

Stava lì, in piedi, quasi ingombrante, e Merlin non era abituato a vederlo in quel modo. Non aveva senso. Era assolutamente non da lui – eppure, eppure Merlin lo guardava. Non poteva non guardarlo.

Colse Elena lanciargli in tralice un sorrisetto per niente innocente che non gli avrebbe fatto pensare a nulla di buono, se lui non fosse stato completamente concentrato su Arthur.

“Permessoooooo,” si annunciò rumorosamente Gwaine, facendo capolino da una fessura della porta. Le teste di Percy, Gwen e Elyan lo seguirono a ruota.

Gwaine fece scorrere senza tanti complimenti lo sguardo dai piedi nudi di Elena alla giacca abbandonata di Merlin alla posa rigida di Arthur. “Be', a quanto pare la festa si è spostata qui,” esclamò.

“Come mai siamo sempre gli ultimi a saperlo?” si lamentò Percy, mentre Elyan borbottava qualcosa sul non riuscire a sopportare più il nodo della cravatta, e dato che tutti si stavano spogliando, perché non poteva farlo pure lui?

Gwen fu rapida a recuperare bicchieri di plastica e bibite dal mini-frigo, e tutti presero a comportarsi come se quella fosse stata una delle loro tipiche rimpatriate, abiti da sera a parte.

Merlin si leccò le labbra, annuendo a se stesso; per assurdo, la compagnia rendeva in qualche modo più naturale ciò che avrebbe fatto di lì a poco. Lasciò che le acque si calmassero, presentando Elena agli altri, aiutando Gwen a distribuire i bicchieri – ma intanto si sentiva la testa un po' leggera, forse aveva pure le pupille dilatate.

Quando fu chiaro che le ragazze si erano piazzate sul divano senza alcuna intenzione di rimettersi in piedi tanto presto, e gli altri stavano chiacchierando accanto allo stereo, sgusciò piano piano verso la scrivania. Aprì con due dita il cassetto, afferrò ciò che prima ci aveva infilato dentro e, come se nulla fosse accaduto, portò la mano destra dietro la schiena.

Voltandosi, come si era aspettato, trovò Arthur appoggiato alla libreria che lo fissava con un'espressione dubbiosa, le braccia incrociate al petto.

Lo stregone si mangiò un sorrisetto, avvicinandosi a lui a passi lunghi lunghi e lenti. Giocando, come giocano i bambini che saltano nei cerchi disegnati col gesso per terra. A ogni passo le linee del viso del principe si stendevano un po'.

Era così sciocco. Così scioccamente adorabile. Ed ora eccolo qui, era qui; ed era qui anche Merlin, davanti a lui. L'aveva desiderato talmente tanto e adesso se ne rendeva conto, sapeva, e non aveva motivo di sentirsi nervoso, perché adesso sapeva.

“Hai ballato il valzer con mia cugina,” constatò Arthur, lo sforzo di controllare la voce palese. “Siete piuttosto in... confidenza, mi pare.”

Merlin annuì. “E dunque?”

“Dunque, be', questa cosa deve finire,” sentenziò il principe, annuendo con determinazione come se avesse appena elargito una regola sacrosanta.

“Cosa,” disse Merlin, per qualche motivo deliziato dalla piega della conversazione. “Perché lei è una nobile e io sono solo un valletto?”

“No!” disse in fretta Arthur, staccando la schiena dalla libreria. “No... no. Perché – diavolo, Merlin, perché hai una ragazza. Non puoi andare in giro a...” e fece dei vaghi gesti in aria, “... ballare con altre persone se sei già impegnato. Non è rispettoso.”

Oh, andava sempre meglio.

“Quale ragazza?” chiese candidamente Merlin, accostandosi ad Arthur di un altro mezzo passo.

Lui rise e sbuffò. “Quella che non mi avevi detto di avere.”

“Ah... Elena?” Lo stregone si strinse nelle spalle.

“Suppongo di non dovermi stupire che tu sia tanto... intimo,” e quell'ultima parola suonò strana in mezzo ai suoi denti, “proprio con la ragazza che ho salvato qualche tempo fa.”

“Be', il mondo è piccolo davvero,” disse Merlin, facendosi ancora un po' più vicino. “E mi risulta che non l'abbiate salvata voi, ma che si sia salvata da sola”. In realtà era stato lui a salvare entrambi, quella volta. “Comunque non è la mia ragazza.”

Il principe si mosse impercettibilmente. “Ti stava spalmata addosso, sul divano.”

Un sorriso sghembo si aprì sul suo viso; più vicino di così non poteva andare, quindi fece sbattere la spalla contro quella di Arthur. “È un tipo molto amichevole, Elena.”

“Anche io sono un tipo amichevole, eppure non mi butto addosso nemmeno agli amici che conosco da una vita,” rimbeccò.

“Voi non siete mica un tipo tanto amichevole,” puntualizzò Merlin, giocherellando con la scatolina che teneva dietro la schiena.

Lui lo trafisse con un'occhiataccia. “Non penso che darò peso a una singola parola di più che uscirà dalla tua bocca, considerando che non mi avevi detto nulla di lei. E che ballavi con un'altra donna senza nemmeno porti il problema.”

Merlin si morse la guancia, fissando l'angolo del soffitto. “Arthur...”

“Non negare, Merlin, non c'è bisogno. Gwaine è stato abbastanza chiaro.”

Ah. “Ve l'ha detto lui. Ve l'ha detto Gwaine, che Elena è la mia ragazza.”

Il principe roteò gli occhi al cielo. “Una decina di giorni fa mi ha detto di avervi visto in moto insieme. Stamattina ha detto che saresti venuto accompagnato dalla tua ragazza alla festa, sì.”

Come aveva fatto Gwaine a sapere che sarebbe stato accompagnato da Elena? Merlin non gli aveva fatto sapere nulla.

A meno che non fosse stata Elena stessa a dirlo in anteprima a Gwaine, e allora, be', si sarebbero potute spiegare un sacco di cose.

Gwaine ed Elena erano proprio un bel duo.

“A dire il vero non credevo che tu avresti avuto sul serio una ragazza,” continuò l'altro, tronfio, per poi diventare senza preavviso più incerto. “Vedendovi, però... Insomma, sei sempre qui a lavorare, non pensavo che avessi tempo – e nemmeno che qualcuna avrebbe mai voluto-”

A quel punto si accese nella mente di Merlin l'idea che non si fosse trattato solo di una serie di sfortunate coincidenze. Che ci fosse stato un motivo preciso se non era riuscito ad avvicinare Arthur, e che quel motivo era che Arthur stesso si fosse voluto tenere alla larga da lui.

“Capisco che non dev'essere facile gestire la tua vita privata,” stava dicendo il principe, serio. “Di cose del genere me ne intendo, lo sai. Poi c'è stato tutto quel movimento per i preparativi per il ballo, sapevo che avevi da fare... ma se ti serviva più tempo per stare con lei, avresti anche potuto dirlo,” concluse, piuttosto rude.

Quest'idiota ha voluto lasciarmi da solo con Elena.

Quest'idiota mi ha evitato per tutti questi giorni per darmi tempo per stare con la mia “ragazza”, mentre io impazzivo lontano da lui.

Lo stregone trattenne rumorosamente lo scoppio di una risata, graffiandosi anche la gola. “Arthur, siete tanto nobile quanto stupido,” disse, esplodendo definitivamente a ridere allo “stupido”.

Gli altri si voltarono a guardarli ma a Merlin non importava, Arthur stava arrossendo sdegnosamente ed era un vero spettacolo.

Merlin!” minacciò, “non osare...”

“Pensate che se fosse la mia ragazza, lascerei che Gwaine le sbavasse sopra in quel modo?” disse indicando il divano, dove un tranquillissimo Gwaine si stava spenzolando verso Elena, fingendo di toglierle qualcosa dai capelli. Elena fece l'occhiolino a Merlin.

“Ah, non lo faresti?” disse Arthur, acido.

“No!”

“Ma se non hai mai nemmeno baciato qualcuno, come fai a sapere come ti comporteresti con la tua ragazza?” disse, ritrovando il suo spirito degno di uno scolaretto delle elementari.

“Be', non credo che glielo lascerei fare, almeno.”

“Oh, e questo dovrebbe convincermi?” disse Arthur in una risatina boriosa.

“Se non l'ha fatto, vi convincerà questo,” disse lo stregone, e sfoderò la sua arma segreta davanti al naso dell'altro: la scatolina bianca col fiocco rosso.

Arthur si fece guardingo, fissando prima la scatola, poi Merlin, poi di nuovo la scatola.

“Cioccolatini natalizi,” spiegò lo stregone, agitando l'involucro. “Li ho fatti io. Se Elena fosse la mia ragazza, li darei a lei.”

Arthur piegò appena la testa, come per esaminare con attenzione estrema la questione. “E invece?”

Merlin si tirò via con i denti una pellicina (erano troppo screpolate, le sue labbra) e gli sembrò, per un folle momento, che Arthur avesse seguito il gesto con gli occhi.

“Spero che vi piacciano,” disse solo, allungando appena il braccio perché il Principe cogliesse l'offerta, e , cavolo, sì, glieli aveva consegnati, e forse, be', era stato un po' azzardato metterla sotto quel punto di vista, ma non era importante, non era importante, Arthur aveva preso il suo regalo.

E ora lo teneva lì, su una mano – tutto ciò per cui Merlin aveva lavorato, tutto ciò che aveva sperato, tutto ciò che aveva pensato senza avere il coraggio di dirlo a voce alta nemmeno a se stesso stava lì, su una mano di Arthur, all'altezza del suo ombelico. Arthur ci teneva lo sguardo puntato, gli occhi grandi, ma non diceva nulla.

Merlin non si aspettava nulla, era solo contento così, che Arthur sapesse, proprio adesso che aveva iniziato a capire anche lui. E poi era così bello, in piedi accanto a lui, un po' sperduto ma impeccabile nel suo completo bianco, era così bello – e per tutti i draghi, se se lo fosse lasciato scappare a voce alta, Arthur l'avrebbe tartassato prendendosi gioco di lui per tutta la vita.

“Ehi! Merlin sta sotto il vischio!” disse Elyan.

Lo stregone alzò il naso e con sorpresa ci trovò sopra, legata nel punto più alto dello scaffale, una piccola composizione di vischio che, guarda un po', era stato lui stesso a mettere lì.

I casi della vita.

“Le tradizioni vanno rispettate,” disse Gwaine dal divano.

“Sono d'accordo,” fece Elena, facendo finta di tirarsi su le maniche che non aveva. Poi si leccò con enfasi le labbra e si alzò. “Ok, ragazzone, facciamo quello che dobbiamo fare.”

Merlin rise e con lui tutti gli altri, la tensione palpabile nella stanza (o forse palpabile solo per lui?) che si allentava di una minuscola frazione.

“Eh, no!” fece Gwaine, scavalcando con un salto il divano. “Non te ne vai da nessuna parte.”

Afferrò Elena per la vita e la fece girare con due piroette. Lei non sembrò troppo sorpresa – chissà che non facesse tutto parte di un piano ben organizzato dalle loro menti contorte.

“Stai proponendo una soluzione alternativa?” scherzò la ragazza, suonando, nonostante tutto, un po' senza fiato.

Gli altri risero.

“A me pare una soluzione più che valida. E poi, c'è già qualcuno pronto per reclamare il bacio di Merlin,” disse Gwaine, a bassa voce.

Lo stregone fece in tempo a vedere Elena che avvinghiava le braccia al collo di Gwaine, Gwen che li guardava sognante, Elyan e Percy che scherzavano tra loro, quando si sentì tirare leggermente per il gomito.

Si voltò, il sorriso stampato in faccia per la scenetta, e trovò Arthur vicino al suo naso – e non che non fosse stato iper consapevole della sua persona a un palmo da lui per tutto il tempo, ferma, calda, travolgente.

“Ti faccio questo favore per toglierti dall'imbarazzo,” mormorò veloce il principe, “giusto perché il cioccolato mi piace molto. Poi non dire che non sono buono con te,” e subito si allungò per colmare quel tanto che li separava, la mano libera sul suo gomito, lieve, la bocca che trovava quella di Merlin, incastrandosi lì come se ci appartenesse secondo i termini di una regola universale.

Le labbra di Arthur sulle sue.

Le labbra di Arthur sulle sue, morbide e decise in un bacio leggero che li legò per qualche secondo appena.

Merlin bevve il profumo di Arthur, il profumo di Arthur che gli faceva girare la testa, buonissimo, buonissimo, sentendosi svuotato di se stesso e poi riempito di Arthur, della presenza di lui sulla sua pelle, del suo calore avvolgente e confortante e assolutamente inebriante e – oh, dèi.

Le labbra di Arthur erano tutto, erano tutto ciò che gli era sempre mancato e ora che ce le aveva lo sentiva, e quando si staccarono da lui con un piccolo schiocco delizioso, presto, troppo presto, Merlin si scoprì stordito come quando Elena lo caricava sulla sua moto e poi lui scendeva e si ritrovava lo stomaco nel cervello e il cervello nello stomaco, e tutto girava, girava, girava.

L'istinto gli disse di inseguire ciò che gli mancava, che era stato strappato via da lui senza preavviso, e così Merlin si sporse cercando ancora la bocca di Arthur, gli occhi chiusi.

Non era andata troppo lontano, la sua metà; Merlin sentiva il respiro di Arthur sulle sue guance, appena accelerato, e quello gli fece spalancare gli occhi, perché nessun altro forse avrebbe potuto accorgersi di quel respiro se non avendo Arthur così vicino, e Arthur era così vicino, e lui lo voleva vedere.

E lo guardò.

Anche il principe lo stava guardando, le palpebre abbassate a metà, dolci, la bocca dischiusa che raccontava storie in silenzio, senza bisogno di parole. Merlin non era mai stato guardato così.

“Ma si sono baciati pure loro?”

La voce di Percy infranse il momento, entrambi se ne resero conto; si allontanarono l'uno dall'altro, senza sussultare, però, quasi riluttanti. Merlin aveva una gran voglia di mettersi a ridere – forse lo stava pure facendo.

Molte cose gli ronzavano nelle orecchie in quel momento, decisamente troppe per generare una qualche altra risposta dei suoi sensi che non fosse “Arthur”, “bacio”, “ancora”.

“Non è giusto, io stavo guardando Gwaine che pomiciava con Elena e me li sono persi,” si lamentò la voce di qualcuno (Elyan?), quasi come dall'altro lato del mondo.

“Io stavo pomiciando con Elena e me li sono persi,” disse Gwaine (probabilmente).

Qualcuno fischiò, qualcun altro ridacchiò e batté le mani.

“La tradizione è tradizione,” disse Arthur, e Merlin annuì e annuì. “Dovrei... l'assenza prolungata del principe non passerà inosservata,” aggiunse, muovendosi sul posto senza spostarsi davvero.

“Ci scuserai se non torniamo di là con te, vero?” disse Gwaine. “Odio i balli ufficiali. Preferisco di gran lunga ciò che succede dietro le quinte.”

Ci furono altre parole, altre battute, dei saluti. Tutto sfumò in una nuvola intorno a Merlin – la sua testa era la punta di un'altissima montagna, i pensieri che ci vorticavano intorno erano rarefatti e poco sensati, ma in qualche modo gli andava bene.

Si rese conto solo di Arthur che lasciava lo studio, alzando il mento verso di lui proprio prima di sparire dietro la porta, un po' beffardo, ma senza riuscire a mascherare l'impossibile affetto nel suo sorriso.

Lo stregone agitò appena la mano per salutarlo. Ogni cosa era talmente confusa, così confusamente gustosa, potente e inevitabile.

La porta si chiuse e partirono di nuovo le esclamazioni degli amici, arrivarono pacche sulle sue spalle, Elena l'abbracciò, “Ci avrei scommesso”, “Dateci dentro”, “Rifatelo quando potremo vedere tutti quanti per bene”, “Io ed Elena vi abbiamo pure procurato l'occasione, siamo stati bravi?”.

Lo stregone lanciò qualche sorriso casuale – non riusciva a fare altro, non aveva voglia di fare altro che sorridere; le labbra se ne stavano piegate verso l'alto, tirate fino a fargli quasi male, tese nel pizzicorio di un bacio che non c'era più ma che non se ne sarebbe mai andato davvero.

A sorpresa, in quel momento incrociò lo sguardo di Gwen; era rimasta accoccolata sulla sua poltrona preferita, le sopracciglia angolate in una specie di folgorazione, le labbra semi aperte. Lo guardò, boccheggiando un “Merlin”.

Lui inspirò. Cose da fare, cose da dire, cose da sentire nei confronti di qualcun altro...

“È stato... illuminante,” disse lei tra le risate troppo forti degli altri, con una delicatezza tale che Merlin pensò di essere stato l'unico ad averlo colto, e solo perché aveva seguito il movimento delle sue labbra.

 

La serata andò avanti ancora per un po', per un'oretta o due o forse per mezz'ora? Lo stregone non lo sapeva. Sapeva solo di sentirsi preso da un torpore felice.

Era lucidamente ubriaco del bacio di Arthur.

 

ʘ

 

Era buio, fuori; il cielo era blu petrolio come la giacca che si era buttato sopra la spalla, e l'erba gelata scricchiolava sotto le scarpe. Di certo era freddo, ma lui rimase in camicia, il cravattino ancora sfatto. Fece la strada fino a casa in uno stato di trance semi cosciente, sentendosi stupido mentre incespicava sui suoi piedi, ma allo stesso tempo fregandosene.

Aprì e chiuse dietro di sé delle porte (varie porte? Due porte?) e inciampò su per le scale fino a che non riuscì a individuare il proprio letto, sul quale cadde di faccia.

Solo allora, lontano da tutto, il corpo gli concesse la lucidità per scoppiare in un singhiozzo felice.

Intrappolò la faccia nel cuscino, si liberò, scalciò via le coperte per afferrare la sveglia sul comodino. Mezzanotte della notte di Natale. Elena sarebbe stata contenta.

Scostò le tende bianche dalla finestra, dopo. La luce nelle stanze di Arthur era spenta. Volò ad afferrare il cellulare, lo fissò con intensità; poi, per non farsi prendere da strane tentazioni, lo spense e lo chiuse nel cassetto, grattandosi la testa.

Era fregato.

Merlin era assolutamente fregato.

Era così pieno di Arthur che non avrebbe potuto esserci spazio per molto altro, dentro al suo cuore, adesso. Compresa la magia.

Estrasse dalla tasca della giacca Mini-Kilgharrah, rigirandoselo tra le dita per un po'. Sembrava che lo stesse scrutando con un'insolita severità. Invece che sistemarlo nella sua posizione privilegiata accanto alla lampadina, Merlin lo chiuse nel cassetto insieme al cellulare.

Doveva dormire; non doveva pensare.

Ormai il periodo dei folli preparativi per il ballo era terminato e dimenticato, e si era portato via Yule. Merlin aveva consegnato il suo regalo, aveva ottenuto il suo bacio sotto il vischio. Se se lo fosse ripetuto qualche altra volta ancora, forse sarebbe sembrato più vero, ma...

Ma non doveva pensare.

Avrebbe pensato domani, quando avrebbe ripreso la sua solita routine (Arthur aveva fissato la partecipazione a qualche evento o qualcosa del genere) e lui avrebbe avuto l'occasione per stargli di nuovo accanto, e tutto sarebbe tornato come prima. Solo che non sarebbe stato più come prima.

Non ci pensare, Merlin! Non pensare...

 

ʘ

 

“Merlin!” chiamò Gaius.

Lo stregone si allungò, facendo cadere il cuscino sul pavimento. Buongiorno, Terra.

“Merlin!”

Buongiorno anche a te, mentore.

Era l'inizio di una nuova giornata. Era l'inizio di qualcosa di completamente nuovo. Lo stregone si mise a quattro zampe, scostando la tenda; tutto tranquillo alla finestra di Arthur. La luce non era quella tenue del primo mattino alla quale era abituato, però. Aveva dormito troppo?

“Merlin, vieni giù,” disse ancora Gaius, e lui sbadigliò, aprendo il cassetto.

La sveglia segnava le undici e mezza. Per tutti i draghi! Aveva dormito troppo. Si tirò su di botto, oscillando per lo spostamento improvviso del baricentro. Mandò a sbattere il fianco sul comodino mentre tentava di infilarsi le ciabatte, e accidenti, aveva dormito troppo e Arthur se n'era andato dove doveva andare senza di lui. Rimise di nuovo la sveglia nel cassetto, ma così facendo le sue dita sfiorarono qualcosa di acuminato, e un fortissimo bruciore pungente gli fece annebbiare per un attimo la vista.

Una goccia di sangue era appena sbocciata dal suo indice: una, singola, inspiegabile.

Scarlatto su bianco. E il suo battito, a quella vista, aumentò la velocità. Una spiazzante sensazione iniziò ad arrampicarsi come un'edera velenosa nel suo petto, congelando tutto a mano a mano che si diffondeva.

Lo stregone si portò il dito in bocca, estraendo con cautela dal comodino Mini-Kilgharrah – il colpevole della ferita sul suo indice. Gli occhi del drago di plastica però, per quella che era davvero la prima volta, non tradivano alcun tipo di emozione; appariva come una semplice miniatura, ora. Non c'era nessuna risposta per lui, oppure... era la stregone che non riusciva a sentirla?

“Merlin,” chiamò ancora il mentore, e quello fu il tono che fece scattare dritta la sua schiena: perentorio, basso, allarmato. Un avvertimento.

Merlin si sperticò di sotto, il cuore che prendeva a martellare con tonfi sempre più profondi.

Gaius stava in piedi accanto al tavolo. L'unico sgabello libero dalle sue creazioni botaniche era stato dimenticato, la televisione era accesa.

“Cosa...?” disse Merlin, scoprendosi quasi senza fiato.

Il mentore lo guardò, le labbra strette. Poi fece saettare lo sguardo verso lo schermo. Merlin seguì i suoi occhi.

“... Davvero un evento imprevedibile,” stava dicendo una cronista dall'espressione tremolante sotto la patina di professionalità.

Merlin non sapeva dire da dove fosse tenuto il collegamento; il posto era tutto un irriconoscibile ammasso di detriti. Dietro la donna che stava parlando, tappandosi le orecchie contro il fortissimo vento e l'allarme ritmico di una qualche sirena, c'erano cumuli di macerie. Lo stregone pensò, scioccamente, che il completo rosa della cronista fosse molto fuori luogo su una scena caotica come quella, dominata da feriti spaesati e vigili del fuoco che si facevano largo chiedendo ai giornalisti di spostarsi, coperte azzurre in mano.

“Nonostante il teatro fosse un edificio storico, nessuno aveva mai riportato problemi di manutenzione, prima. Il crollo del tetto, come è già stato affermato, ha provocato diverse decine di feriti tra gli ospiti presenti al momento dell'inaugurazione della nuova ala ovest...” si affannò la cronista.

Teatro? Quale teatro? Inaugurazione... possibile che...

No. Merlin non ricordava bene, ma non era possibile che proprio...

Si voltò verso il mentore, allora, piano, torcendosi inconsciamente le mani. “Gaius?” disse in una voce che non riconobbe come la sua.

“Il London Pavilion, quel teatro a Piccadilly di cui oggi veniva inaugurata la nuova ala,” spiegò con freddezza chirurgica. “Pare che sia... è crollato il tetto, Merlin.”

Lo stregone annuì.

“... Diversi i feriti gravi,” continuò la giornalista in rosa, “tra i quali, lo ricordiamo, il nostro principe ereditario. Lievi ferite sono state riportate anche da lady Mo...”

Le orecchie di Merlin fischiarono – il fischio di un treno o di un animale che muore trafitto da una lancia. Una vertigine nauseante lo fece oscillare tanto che dovette aggrapparsi alla prima cosa trovò – l'angolo del tavolo.

Gaius gli si avvicinò preoccupato, ma lui gli fece cenno di restare dov'era.

Cosa, cos'era, cosa stava succedendo?

“Non si sa ancora bene quali siano le sue condizioni. È stato portato in ospedale, Merlin. C'è riserbo totale sulla questione,” disse il mentore, misurando le parole come per scegliere quelle che l'avrebbero distrutto di meno. Ma non sarebbe servito a nulla in ogni caso.

Merlin si voltò e fece la strada a ritroso fino in camera sua quasi alla cieca, andando a sbattere contro le pareti come una pallina da flipper senza controllo. Frugò tra le coperte non riuscendo a spostarle come voleva perché le mani erano un gelido ammasso tremante, e i nervi saltavano in tutte le direzioni sbagliate. Dopo un tempo infinito, trovò il Diamante del Giorno. La sua presa cedette, l'oggetto magico cadde rotolando sul pavimento. Merlin imprecò, lo raccolse, accucciandosi sullo scendiletto.

Lo strofinò due volte, tre, il suo fiato che ci lasciava sopra aloni umidi.

Non apparve nulla.

“Mostrami Arthur,” mormorò, “mostrami Arthur.”

Ancora nulla.

“Arthur,” disse Merlin, frenetico, “voglio vedere Arthur.”

Ma nulla, ancora nulla, non si vedeva ancora nulla.

Merlin sibilò per la frustrazione, aveva le dita appiccicate e la nuca imperlata di sudore gelato, ed era come se il cuore scivolasse in un baratro e poi schizzasse verso l'alto ogni volta, a ogni respiro.

“Voglio vedere Arthur, capito?!” gridò, tirandosi su. “Gaius!” urlò, precipitandosi in cucina, “Gaius, non... È rotto,” disse, tendendo ingenuamente il Diamante verso il mentore. “Dev'essere... C'è qualcosa che non va, non riesco a vedere nulla.”

Gaius lo guardò tristemente. “È la tua magia, Merlin. È la tua magia,” disse solo.

Lo stregone aprì la bocca. La richiuse. La riaprì.

Lo sapeva che cosa stava succedendo.

Come poteva non essersene reso conto? C'erano stati tanti segni, nel corso del tempo, ce n'erano stati tanti, e tutto era iniziato da quando aveva messo piede nel Mondo Riflesso. Da quando Arthur, provocandolo, gli aveva fatto provare per la prima volta cosa fosse l'irritazione più focosa; il cambiamento era incominciato così.

C'era stata la fatica che l'aveva stravolto nel leggere i ricordi del cuore di Arthur, dopo; c'era stato il suo non accorgersi dell'incantesimo che Morgana gli aveva lanciato, nella serra. Allora le sue barriere difensive avevano fallito nel proteggerlo. C'erano stati i suoi occhi che avevano fallito nel vedere oltre il buio delle scale.

Tutti segnali di magia indebolita.

Merlin non era più il ragazzo con gli incantesimi incontenibili che facevano esplodere le bancarelle del mercato, per il semplice fatto che la sua magia non era più incontenibile. Aveva iniziato ad esaurirsi, lentamente, silenziosamente.

Sempre di più a mano a mano che lui amava un po' di più.

E poi, oh, poi c'era stato Arthur che addirittura gli aveva “ridato le parole”, spezzando l'incantesimo che Morgana gli aveva lanciato per ammutolirlo, con la sua sola presenza, perché un cuore umano cancellava la magia.

E il cuore di Merlin batteva per Arthur. Stava diventando umano.

Merlin tutto questo l'aveva capito da parecchio. Se n'era reso conto, ma allo stesso tempo aveva aspettato per ammetterlo ad alta voce dentro se stesso.

Aveva cominciato a cambiare dal primo momento che era andato addosso ad Arthur, l'aveva saputo da quando aveva fatto cadere a terra il suo cappello e gli aveva mandato gli occhiali storti sul naso – la sua ombra, Merlin aveva trovato l'ombra di Arthur. Il suo riflesso, aveva trovato. La sua metà.

O forse aveva iniziato a cambiare fin da quando l'aveva sentito, da quando aveva ascoltato la sua voce. Quella voce che mai, mai avrebbe potuto ignorare, poiché la percepiva così vicina a sé, intimamente. L'aveva amata subito.

Il fatto di essere un Figlio dell'Amore aveva probabilmente rallentato il processo, frenato le conseguenze, così che a Merlin fosse sembrato un fluire del tutto naturale, perdere ogni volta un po' di magia mentre si riempiva di umanità. In fondo era nella sua natura di creatura a metà.

Ma adesso?

Adesso la razionalità non significava niente, e tutto ciò a cui riusciva a pensare era che non fosse possibile. Non era possibile che si ritrovasse a corto di magia, lui era uno stregone, lui – non adesso.

La sua magia non poteva tradirlo così! Non proprio ora che aveva più bisogno di lei, che aveva un bisogno assoluto di vedere che Arthur stesse bene, che non fosse...

“Ospedale, hai detto?” ingoiò, “L'hanno portato all'ospedale centrale, non è così? Devo andarci,” disse, e si voltò per andare a prendere le scarpe. “Devo, se non riesco a vederlo dal Diamante devo andare...” e fece per raggiungere la porta, perché a chi sarebbe importato, in fondo, se avesse indossato o meno le sue stupide scarpe?

“Merlin, Merlin,” fece Gaius, affranto, afferrandolo per le spalle – e che diamine stava facendo, che credeva di fare, tenendolo fermo così, non vedeva che lo stava bloccando?

“Lasciami, lasciami andare,” disse Merlin, allontanandosi dalle braccia del mentore che erano – erano sorprendentemente forti, lo tenevano stretto, ma Merlin non poteva, “Devo andare da lui,” non poteva restare lì mentre Arthur, mentre Arthur - “Devo andare da lui!” gridò, e la sua voce uscì spezzata da un singhiozzo.

“Sarebbe inutile, Merlin,” disse Gaius, pacato ma con quel senso di autorità che gli permetteva di imporsi sull'agitazione dello stregone. “Non ti farebbero entrare. Non permetteranno a nessuno di avvicinarsi, penso. E in questo stato io non ti lascerò uscire.”

“M-ma,” iniziò Merlin, tentando ancora di divincolarsi dalla sua stretta, tentanto di trovare una scusa, una via d'uscita, un pretesto soltanto, “devo andare da lui!” Ed era quello, il pretesto, solo quello, alla fine. “Io non posso rest-restare senza fare-” provò, sforzando ogni nervo, andando testardamente contro il bisogno di ossigeno che reclamavano i suoi polmoni, “... sen-senza fare niente, io – la mag... la mia, la mia, la-” e stava parlando tra i singhiozzi, adesso, le spalle che si alzavano e si abbassavano, scosse su scosse su scosse. “La mia magia, no-no-non risponde!”

“Lo so,” disse il mentore. Aveva smesso di muovere le braccia – no, era Merlin che aveva smesso di agitarsi, perché non ne aveva più la forza.

Perché le cose si erano fatte tutte una nebbia indistinta davanti a lui. C'era un velo che copriva tutto, che bruciava e gli si scioglieva direttamente nella gola, e... ?

La prima lacrima si staccò dalle ciglia dell'occhio sinistro; scivolò lungo il suo naso, raggiunse il mento solo per abbandonarlo con un triste tuffo, infrangendosi sul pavimento. Merlin fissò il piccolo cerchietto umido sulla mattonella arancione. Toccò con la punta dei polpastrelli il percorso bagnato che era stato scavato sul suo volto.

La sua prima lacrima, la prima che avesse mai pianto davvero. La prima pianta per il sentimento.

A quella ne seguì un'altra. Merlin se la pulì via quasi distrattamente, ma subito ne arrivò un'altra per rimpiazzarla, e poi un'altra, e poi un'altra e un'altra e un'altra ancora e ancora e ancora e ancora e –

“Ga-,” provò a dire lo stregone, alzando la testa, “Ga-ga-ius...”

“Sono qui,” disse il mentore, abbracciandolo completamente, ora.

Solo quando sentì la stoffa della manica dell'uomo contro la sua guancia che si bagnava delle sue lacrime, solo allora Merlin capì di avere paura. E pianse forte, a quel punto, senza ritegno, rilasciando la voce, strappandosi la gola, e quant'era facile piangere così, e quanto gli faceva male – ma questo non lo fermava, non gli impediva di continuare, e forse era proprio perché faceva male che continuava.

“Ar-Arthr...” mugolò, passando le braccia attorno alla schiena del mentore, uno scoglio in mezzo alla tempesta.

Si lasciò accarezzare i capelli, si lasciò cullare come fosse stato un bambino in fasce.

“Arthur...” pianse, uno filo di voce appena.

“Arthur...” si smorzò alla fine. Ed era stata come un'invocazione, come una preghiera.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cuore di strega ***


 

(x)

 

 

Capitolo dodici: Cuore di strega

 

 

 


 

La busta aveva gli angoli consumati dallo scorrere del tempo. Un sigillo, che una volta doveva essere stato ramato ma che ora era di un pallido color sangue, era stato apposto nel centro per fissare la piega della carta.

Morgana alzò il braccio in modo che la busta fosse esposta direttamente al tenue raggio lunare che filtrava dal vetro. In trasparenza non si riusciva a vedere nulla del suo contenuto.

La strega corrucciò le sopracciglia; non era abituata a ricevere lettere. A meno che non si trattasse delle solite comunicazioni dall'Accademia, ovviamente, ma i voti di fine semestre erano già stati consegnati qualche settimana prima. Inoltre, le missive della scuola erano ben riconoscibili per i sigilli reali verdi e rossi che le chiudevano.

Non c'era motivo che qualcun altro le scrivesse. Non aveva parenti lontani – non aveva famiglia, in realtà. I conoscenti che aveva (e cioè tutti gli abitanti del Regno, perché non c'era nessuno che non la conoscesse) potevano semplicemente venire a bussare alla sua porta, se volevano parlarle.

Eppure ora ecco qui questa lettera per lei, questa lettera che (Morgana se la accostò al viso) profumava di muschio e sabbia e luoghi lontani del passato. C'era anche una vaga nota di erba umida, in quel miscuglio di odori. E di... latte, e di polvere.

Senza ulteriori indugi, allora, ruppe il sigillo.

Trovò piegata in due una pergamena sottilissima, innaturalmente simile a una grossa foglia morta, pressata con forza. Era talmente fine che Morgana riusciva a vederci attraverso l'ombra dei suoi polpastrelli. Una serie di caratteri regolari erano lievemente marcati sulla pagina, stretti l'uno all'altro in un abbraccio misterioso. La strega non aveva mai visto una scrittura del genere. Probabilmente si trattava di una qualche forma arcaica di alfabeto runico.

Si morse il labbro, il ticchettare pensoso dei suoi stivali che scandiva il tempo nella stanzetta.

Perché mai qualcuno doveva prendersi la briga di mandarle una lettera che lei non era in grado di decifrare?

Di sicuro doveva esserci qualcosa sotto. Quello era un invito espressamente mandato a lei. Magari era una prova, magari l'oscuro mittente voleva testare le abilità della strega, constatare che Morgana fosse in grado di sciogliere l'indovinello che le stava proponendo.

Oh sì, così era più divertente.

Le ore della notte fonda si susseguirono veloci in una serie di tentativi uno più inutile dell'altro; nessuna magia sembrava in grado anche solo di scalfire la lettera, in nessun libro in possesso di Morgana si faceva il minimo riferimento a quell'alfabeto.

Alla fine la strega si accomodò sopra il lenzuolo bianco, il letto che scricchiolava come fosse stato fatto dei legnetti delle tane degli uccellini. Disperdendo con cura il gorgo di riccioli neri sul cuscino, pensò che fosse il caso di concedersi due o tre ore di sonno almeno. Ore che poi furono popolate da ombre pressanti e strani simboli e profumi colorati di sabbia, di polvere.

 

ʘ

 

La conclusione del periodo all'Accademia si stava facendo sempre più vicina. Morgana aveva studiato con passione, nel corso di tutti quegli anni. Si era impegnata perché aveva scoperto che le riusciva bene, naturale. Era bello quando le dicevano che era un talento, che era la strega più promettente della loro generazione. Era bello.

Per questo non si era mai concessa il lusso di fare la scansafatiche. Anche se per lei eccellere negli esami era piuttosto facile, non si era mai permessa di prendere la scuola sottogamba. E se poi l'avesse fatto e per caso avesse finito col deludere le aspettative – di tutti, le proprie?

Aveva bisogno di essere al primo posto perché era brava. Era brava perché aveva bisogno di essere al primo posto.

Eppure, quella mattina in classe nella sua mente non vagava che un pensiero: la lettera che non riusciva a leggere. L'idea la pungolava con la regolarità della lancetta dei secondi di un orologio.

Perché, come, chi...

Era una sfida bella e buona, e Morgana non si era mai tirata indietro di fronte a una sfida, specialmente se era difficile. Questo nuovo mistero era attraente in modo così familiare, così affascinante. Rimuginarci sopra era il minimo che potesse fare.

«Sai dirmi la risposta, dunque?» la richiamò alla realtà la voce del professor Edwin.

Morgana aprì la bocca, ma si bloccò in tempo non appena si accorse che la domanda non era stata rivolta a lei. Lo sguardo affilato dell'insegnante era impegnato a torturare una testa nera di capelli arruffati, qualche banco più avanti del suo. Merlin tentava di dare una risposta agitandosi sulla sedia, balbettando mentre sceglieva le parole che, di sicuro, erano quelle più sbagliate.

«Condizione, Soluzione e... Afflizione?» disse speranzoso, massaggiandosi il collo.

Ah, stavano parlando della costruzione delle maledizioni, quindi.

Una domanda piuttosto malvagia. Morgana sorrise tra sé. Povero Merlin. Da lì riusciva a vedere il suo quaderno pieno di scarabocchi e draghetti stilizzati.

«Qualcuno se la sente di accorrere in aiuto del vostro compagno o devo continuare con questa sorta di accanimento terapeutico?» sferzò il professore.

Morgana alzò la mano, ridendo mentalmente mentre riconosceva di essere un tipo sfacciato, dato che aveva passato tutta la lezione a pensare ai fatti suoi. Eppure non lo faceva mai, dunque che cosa le impediva di rispondere anche stavolta sentendosi sicura di sé, come al solito?

«Le maledizioni seguono una costruzione particolare nella formula dell'incantesimo» disse quindi, scandendo bene le parole, l'attenzione della classe che si concentrava su di lei. «I versi della Maledizione vera e propria sono i più facili da individuare perché parlano della condanna che si vuole lanciare sul bersaglio. Sono sempre accompagnati dagli importantissimi versi che esprimono la Condizione, cioè gli elementi che è necessario avere di base perché l'incantesimo faccia effetto. Se si fa in modo di rovesciare o annullare irreversibilmente la Condizione, la maledizione sarà del tutto inefficace. È possibile trovare, poi, i versi della Clausola, nei quali sono descritte le conseguenze secondarie che scaturiscono dalla maledizione. Infine ci sono i versi della Soluzione. Sono posti nelle formule raramente e non presentano punto per punto il modo esatto per sciogliere la magia, ma è un indizio che può fornire un grande aiuto ai fini della risoluzione dell'incantesimo.»

Molti tra i suoi compagni la guardarono ammirati, alcuni mal celando perfino una punta d'invidia prima di darle la schiena. Il sorriso di Merlin spinse ancora più in alto i suoi zigomi già pronunciati; le articolò un “grazie” facendole un cenno con la mano.

«Be', com'era prevedibile la vostra collega non ci ha deluso e per l'ennesima volta ci ha fornito una definizione da manuale» disse asciutto il professore. «Ora, riprendendo da questo punto...»

Morgana si aggiustò sulle sedia, portandosi le mani sul grembo. Sì, era così che dovevano andare le cose. Anche per oggi aveva fatto il suo dovere, aveva confermato la sua posizione. Ora poteva tranquillamente continuare a lasciare che i suoi pensieri vagassero alla lettera indecifrabile e al modo per non farla rimanere tale ancora a lungo.

Così fecero fino alla fine delle lezioni.

Nel pomeriggio Morgana lasciò l'aula, i veli della veste viola che ondeggiavano intorno ai suoi fianchi come grossi petali mentre sfilava per il corridoio. Dalle vetrate dell'Accademia, decorate con bellissimi disegni antichi, filtravano raggi di luce sfumata di blu e rosa.

Tutti voltavano la testa per guardare la strega che avanzava tra quei riflessi, tutti. Morgana portò il mento più in alto.

Poi, d'un tratto, una nuvola che aveva oscurato fino a quel momento il sole si spostò, lasciando che un dispettoso raggio arrivasse direttamente a picchiare sul suo viso. Lei chiuse gli occhi per un attimo; quando li riaprì, si accorse che la luce stava passando attraverso un frammento particolare di vetro rosso: una goccia di sangue, che spillava dall'occhio della Dea Triplice.

E in questo modo le venne l'idea.

 

ʘ

 

Sbatté la porta di casa, girando il pomello d'ottone che fece scattare la serratura. I piedi scivolarono via dalle scarpette mentre cercava la pergamena tra i fogli sulla scrivania. La trovò e sorrise, esultante. In tre passi fu davanti all'armadio di legno di quercia – casa sua era pur sempre elegante, ma era un piccolo nido sufficiente a ospitare solo lei. In questo modo, almeno, sapeva sempre qual era il giusto posto per ogni cosa. E dunque era perfettamente consapevole della posizione occupata dal pugnale col manico di perla in fondo al cassetto. Una ragazza sola doveva pur avere un'arma per difendersi (o per sventrare qualcosa o qualcuno, in caso necessitasse di viscere fresche per le divinazioni, s'intende).

Tornò al suo banchetto liberandolo di tutto ciò che non fosse la pergamena; l'unico suono era quello degli appunti scarabocchiati la notte prima che ora stavano svolazzando per la stanza, unito al tonfo della candela smezzata, impietosamente lasciata rotolare sul pavimento.

Morgana trattenne il fiato, aspettando un segno.

Un'allodola, messaggera del mattino, gorgheggiò nella rimessa sul retro, il suo canto quasi straziante nella prima sera; ecco il segno.

La lama scivolò sul palmo della strega, bruciando la pelle in una ferita che la aprì abbastanza da far cadere diverse gocce di sangue sulla pergamena.

Il suo cuore aveva preso a battere più forte nel silenzio della casa, l'attesa che le mandava fiotti di adrenalina a pulsare nelle tempie. Era talmente concentrata sulla lettera che si ricordò della ferita solo quando sentì il plic plic plic del sangue che colava a terra. Mosse la mano in aria, allora, seccamente, gli occhi ambrati di magia. La pelle si richiuse ma lei quasi non ci fece caso – era consapevole di sapersela cavare più che bene negli incantesimi curativi.

E poi successe; le gocce rosse si allargarono innaturalmente sulla carta ruvida, impregnandola, e mano a mano il colore si attenuava, quasi fosse stato bevuto dalla pergamena stessa.

«Sì» sibilò la strega, «avevo ragione, allora. Ci voleva una magia del sangue. Si trattava di un meccanismo di difesa, potevi essere letta da me soltanto quanto ti avessi dato la prova della mia identità. Però» e qui sentì la propria voce tremare di diffidenza e incupirsi, «per fare una magia del sangue ci vuole qualcuno che abbia il tuo stesso sangue. Chi mai... ?»

In quell'istante le lettere iniziarono a mutare, allungandosi, arricciandosi in forme che diventavano a mano a mano più familiari. Morgana piegò la testa, le parole che prendevano un senso nella sua mente, associandosi ai significati.

«Fi-gli-a...» sillabò, il senso della parola che la colpiva solo una volta pronunciata l'ultima lettera.

Figlia mia, recitava il testo della pergamena, se stai leggendo questo messaggio significa che hai oramai compiuto diciotto anni, e che la tua intelligenza è tanto brillante da permetterti di sciogliere l'enigma della lettera. Perdonami se sono dovuta arrivare a prendere tali precauzioni, ma non potevo permettere che queste mie ultime volontà cadessero in mani sbagliate.

Chi ti scrive nell'alfabeto dell'Antica Religione, che ora comprendi per l'incantamento che ho apposto nella magia del sangue, è tua madre, la più grande tra le sacerdotesse della Dea Triplice signora della vita.

Questa rivelazione sarà forse per te causa di grande turbamento, non avendo tu mai potuto vedere il viso di tua madre; per questo ho ritenuto opportuno stregare il messaggio in modo che si presentasse a te solo una volta tu avessi raggiunto la maturità.

Non hai nemmeno il più piccolo ricordo di me, non è vero? Eppure io ti ho tenuta nel mio grembo, ti ho cullata tra le mie braccia prima che tu mi venissi strappata via per la più terribile delle ingiustizie.

Saprai bene, figlia mia, che le Spose della Dea sono tra le creature più pure alle quali è permesso respirare l'aria del nostro Regno. Il compito di preservare la magia nel suo aspetto originario è nostro sacro dovere; noi lo portiamo avanti per tutta la vita, evitando ogni tipo di contaminazione col veleno primigenio. Saprai che le punizioni per chi viene meno ai suoi doveri sono tanto più gravi quanto è più turpe la colpa di cui ci si macchia.

Ebbene, tua madre ha subito le conseguenze di tali condanne, ma per i motivi sbagliati.

Ora i cancelli che collegano il nostro Regno alla Terra delle Creature Opposte sono stati sigillati; ma un tempo non era così. Un tempo, al mio tempo, l'accesso tra i due mondi era privo di restrizioni. Le autorità del nostro mondo hanno sempre ritenuto una punizione più che opportuna mandare in esilio gli stregoni peccatori nella terra dei biechi esseri umani. Ecco la sorte disgraziata che è toccata a tua sorella maggiore, Morgause, la mia primogenita! Colpevole solo di essere figlia di una sacerdotessa accusata di aver amato, mi fu portata via e fu condannata, lei che aveva esalato poco più che i suoi primi respiri, a passare la sua esistenza lontano dalla magia del nostro Regno.

Perché credettero che lei fosse frutto d'amore! Non servirono a nulla le mie promesse, le mie preghiere; lei non era nata dal seme odioso del sentimento, il mio cuore non si era indebolito nutrendosi di alcuna passione. Non vollero sentire ragioni, nonostante io fossi innocente. La mia colpa era aver generato una figlia con uno stregone senza che ci fosse stato altro che l'atto della procreazione, poiché entrambi decidemmo di rifiutare la disgrazia del sentimento; e dimmi dunque, figlia mia, si può definire questa una colpa?

La purezza della magia, per le alte cariche, significa tutto. Un solo sospetto bastò a condannarci.

In nome della nostra fede verso la Dea, accettai il mio destino, mentre anche lo sventurato stregone con cui generai Morgause venne esiliato nel Mondo Riflesso, in quanto aveva tradito l'alta carica di druido che occupava.

Poiché il mio primario dovere è sempre stato servire la Dea, tornai alla mia vita rinunciando a Morgause, con la consolazione di avere ancora con me il mio nome di sacerdotessa, sacro e intatto. Non potevo immaginare che di lì a poco avrei perduto anche quello! Oh, grandi divinità funeste, tutto ciò che ho sempre desiderato era rimanere devota a voi, donandovi la mia vita e la vita della mia progenie. Le leggi della nostra razza mi hanno ingiustamente soggiogata a un triste destino.

Purtroppo simili vicende si ripeterono, siglando anche la tua storia, figlia. Qualche anno dopo aver perduto Morgause, mi fu concesso, dopo molti sacrifici e terribili promesse, un viaggio attraverso lo specchio d'acqua di Avalon; volevo raggiungere il Mondo Riflesso per poter vedere almeno una volta mia figlia. Non l'avessi mai fatto!

Lì incontrai un uomo, un essere umano, che si approfittò della mia ingenuità, si approfittò di me. Anche quella volta non ci fu amore – non avrebbe potuto esserci. Da parte mia, c'era solo disperazione. E poi, come dal nulla, da quell'unione malaugurata arrivasti tu. Figlia di un essere umano nel grembo di una Grande Sacerdotessa! Oh, disonore, oh, vergogna...

Tornai nel Regno. La gravidanza e il forte senso di rabbia mi avevano indebolita, i miei poteri si erano attenuati. Quella fu prova sufficiente a farmi decretare dalle autorità colpevole di alto tradimento. Per loro ero una Sposa della Dea che aveva amato prima uno stregone, e poi un essere umano. Ero impura, la mia magia era contaminata.

Gridavo, mi graffiavo il volto, strepitavo facendo valere le mie ragioni, mi strappavo i capelli dicendo che non era vero nulla. Il mio cuore non era umano, figlia, credimi, non lo è mai stato! Tanto più che, col tempo, la magia si ripristinò in me.

Ma la paura è il più grande motore delle azioni. Agli occhi della corte di giudizio ero un pericolo, il simbolo del pericolo. Il mio esempio avrebbe potuto essere seguito da chi sognava il sentimento... Io, che in realtà non avevo voluto altro che la preservazione della magia! La mia presenza era scomoda; il problema andava eliminato.

Nascesti tu.

Le porte per la Terra erano state chiuse, dunque né io né te potevamo venire spedite lì insieme a tua sorella, alla pari di criminali. Non so se sarebbe stato meglio quello, rispetto all'odiosa sorte che ci è capitata. Ci separarono; non ti avrei mai più potuta vedere fino alla fine dei miei giorni. Quello che è peggio, mutilarono la mia anima privandomi della mia carica... Dal quel momento non ero più una Sacerdotessa! Il mio nome venne cancellato dalla memoria collettiva degli annali, il sangue del mio sangue privato della possibilità di servire la Dea – solo le figlie riconosciute pure delle sacerdotesse possono diventare tali. Io non lo ero più, dunque non avreste più potuto esserlo neanche voi.

Quanto soffro nel raccontarti tutto questo... Non c'è stato giorno in cui non abbia bruciato per la rabbia del torto che abbiamo subito. So, tuttavia, che le autorità del Regno hanno fatto ciò che più ritenevano giusto per la preservazione della magia. Per quanto nello sbagliato possa piegarsi il giusto...

Non sono loro i veri colpevoli di tutto, no. Quell'essere umano! Se io, sventurata, non mi fossi imbattuta proprio in lui, niente di tutto questo sarebbe successo. Le mie presunte e fasulle colpe precedenti sarebbero state dimenticate. Un essere umano è stata la mia rovina, una creatura così infima è riuscita a distruggere tanto! L'odio che sento, figlia, l'odio che dovresti sentire tu se davvero sei sangue del mio sangue, non è quantificabile.

Ma ormai la mia misera vita, che ha perso ogni significato da quando fui declassata a reietta, sta giungendo al termine. Io non posso fare più nulla.

Tu, figlia, tu sì.

Se hai ereditato il carattere forte di tua madre, la passione per le origini incontaminate della nostra stirpe, l'orgoglio per l'alta carica di sacerdotessa che scorre nelle vene della nostra famiglia da generazioni, tu sì. E non ne dubito. Se sei riuscita ad aprire questa lettera, so che le mie parole rimarranno nel tuo animo. Il sangue non mente; il tuo sangue ha parlato, risuonando col mio.

Riabilita, dunque, il mio nome! Così che, almeno nella morte, io possa trovare la pace sapendo che le mie figlie occupano il loro giusto posto come sacerdotesse. Trovando gli uomini che mi hanno rovinata si potrà dimostrare alla corte di giustizia che mai ci fu amore; la mia carica mi verrà restituita anche se sarò già morta.

Cerca l'aiuto di tua sorella; non dubito che lei, per quando tu avrai letto queste mie volontà, sarà già riuscita a trovare l'ex stregone suo padre e a raccogliere le prove della mia innocenza in quel caso. Perché non dubito? Perché è mia figlia. Così come sei tu.

Riappropriati della sorte che vi è stata negata! Ho visto nel tuo futuro segni propizi, l'occasione non ti mancherà. Vedo nelle stelle un desiderio profondo; vedo che un drago intercederà con la Regina a nostro favore.

Un desiderio per un desiderio, un destino per un destino.

Concludi i tuoi studi ordinari, se non l'hai già fatto. Dopo, continua la tua formazione seguendo la strada delle sacerdotesse, perché confido, figlia, che presto ti unirai al sacro gruppo. Purtroppo sei privata della possibilità di studiare con i druidi, come le figlie delle Spose fanno. Ma non temere, ho lasciato per te tutti i testi di cui avrai bisogno, nascosti nella mia casa ai confini del Regno, nelle Terre Desolate. I presagi mi dicono che quando avari rafforzato i tuoi poteri, potrai ricongiungerti con tua sorella. Da quel momento in poi, figlia, percorri la tua strada. Schiaccia tutti gli ostacoli finché non avrai ottenuto ciò che vuoi. Raggiungi la grandezza. Il rispetto degli altri, della tua anima.

Un desiderio per un desiderio, un destino per un destino, un cuore per un cuore. È questo ciò che vedo.

 

 

Morgana ondeggiò come ondeggia un giunco controvento, si coprì la fronte, inspirò con violenza; dopo, si rimise dritta, determinata e ostinata.

 

ʘ

 

La mattina successiva tornò in Accademia. Camminava tra le luci delle vetrate nel corridoio, i suoi passi ritmici riecheggiavano in una scena dove l'unico movimento, oltre il suo incedere, era quello degli occhi degli altri stregoni che la seguivano. Sorridevano. Per lei.

Morgana fece scricchiolare le dita dietro la schiena, senza fermarsi. Non era cambiato niente dalla notte prima; eppure era cambiato tutto.

Ieri una promettente strega sfilava, sicura di sé, verso il suo futuro preparato con cura da anni. Oggi, a veleggiare verso l'aula al suo posto, c'era la figlia di una sacerdotessa alla quale era stata usurpata la sua posizione.

Nemmeno il senso di solitudine era rimasto lo stesso; ora l'aveva amplificato il ribollire dell'ingiustizia nelle sue vene, il suo sangue che chiedeva vendetta per il suo sangue. C'erano le ultime volontà di una madre da compiacere. C'era una sorella da ritrovare, un essere umano da piegare – o da spezzare in due, se avesse opposto resistenza.

E non era proprio la grandezza ciò a cui Morgana aveva da sempre aspirato? Sì, pensò, sciogliendo l'intrico delle dita per mulinare i capelli con la mano, sì, forse l'aveva desiderato perché, nel profondo, aveva sentito dall'inizio di essere destinata ad altro.

Magari era anche figlia di un'insipida creatura opposta, ma non significava nulla, perché la linfa vitale che aveva attecchito in lei chiaramente era quella della grande sacerdotessa, e Morgana era ancora migliore per questo – era un miracolo vivente! Era doppiamente da prendere ad esempio, per la sua forza che schiacciava anche la sua natura. Non si sarebbe fatta abbattere da questo; non significava nulla.

Non significava nulla, nulla, nulla.

Adesso sì, adesso capiva cos'era che tormentava a volte i suoi sogni di visioni terribili e tristissime: c'era un “di più” che le apparteneva di diritto, era questo ciò di cui aveva sempre sentito la mancanza. D'ora in poi il suo scopo sarebbe stato riappropriarsene. Magia e corpo, avrebbe lottato per questo. Niente e nessuno avrebbe potuto mettersi in mezzo, mai, mai, niente le sarebbe stato d'ostacolo – ogni impedimento sarebbe stato eliminato. Lei poteva, doveva. Lo doveva a sua madre, a sua sorella, a se stessa. E suo padre, un essere umano, cos'era? Non era nulla. Un bel niente, dèi, un bel niente. E sua madre, la sacerdotessa, e lei e sua sorella (una sorella!), future sacerdotesse, e la via da seguire, e la vendetta da strappare, e le proprie mani da sporcare, il rispetto che era suo, che sarebbe stato suo perché tutti se ne rendessero conto, sapessero...

La bocca rossa le si piegò in un ghigno obliquo. Quello era il primo passo. Un passo dopo l'altro, piano piano, e avrebbe ottenuto ogni cosa.

D'improvviso aveva una famiglia e l'aveva perduta, d'improvviso si ritrovava con una storia da riportare alla luce al mondo intero, così che tutti sapessero cosa loro avevano subito, così che chi si doveva vergognare si vergognasse, e poi soffrisse e pagasse, così che il giusto venisse affermato per quello che era e non per quello che ci si immaginava. Quanta ipocrisia veniva fatta passare per verità! Per la verità, a quanto pareva, si doveva lottare.

La sofferenza provata e quella che avrebbe incontrato in futuro, nel corso della sua lotta, trovavano finalmente un senso in quella causa maggiore. Le avevano portato via una madre, una sorella, temporaneamente anche un ruolo; ma nessuno avrebbe potuto portarle via quel senso.

E una volta finito tutto, non sarebbe più stata sola.

Come si dice, la compagnia dei propri demoni è la più dolce.

Guardatemi, guardate pure. È la tempesta in arrivo quella che state ammirando.

 

ʘ

 

Dopo due anni di studi ritirati nelle Terre Desolate, nelle notti agitate dai bruciori dell'inconscio, arrivò un'altra lettera. Era chiusa dai sigilli reali rossi e verdi.

Kilgharrah, l'ultimo, aveva scelto Morgana per partecipare a un Duello.

La strega si presentò al suo cospetto. Il drago parlò di onore, di alte posizioni, e lei pensò a una reputazione ristabilita; parlò anche di un Principe da sacrificare, e poi parlò di un desiderio.

Vedo nelle stelle un desiderio profondo; vedo che un drago intercederà con la Regina a nostro favore. Un desiderio per un desiderio, un destino per un destino, un cuore per un cuore.

Sua madre aveva avuto ragione, l'occasione era davvero arrivata da lei.

Morgana tremò nel tripudio dei sensi.

Il suo sfidante era l'ingenuo Merlin; aveva praticamente la vittoria già in tasca.

 

ʘ

 

«Etcì!»

Uther alzò la testa dal piatto e le sorrise. Le guance piene di antipasti lo facevano somigliare a una specie di grosso e inquietante scoiattolo. Morgana gli rivolse un sorrisino smielato, ma dopo starnutì di nuovo.

«Queste tue allergie stagionali sono terribili» disse Arthur, ingoiando un enorme boccone. Poi mise accuratamente da parte le sue fettine di pane al formaggio. «Non ti invidio per niente, sai.»

«Oh, sì, sono proprio terribili.» Ma che allergie stagionali. Era quella maledetta allergia agli esseri umani, che non voleva saperne di lasciarla in pace.

Morgause aveva assicurato che, col tempo e l'abitudine, i sintomi si sarebbero di molto ridotti. Ormai, però, era da un bel po' che Morgana era arrivata sulla Terra, e ancora, quando si trovava a contatto così stretto per molte ore di fila con gli umani, non faceva che starnutire, lo stomaco che protestava a gran voce, attorcigliandosi su se stesso.

Come se non bastasse il fastidio di non riuscire a sentire bene la musica della terra e dell'acqua a causa di quei loro pensieri rumorosi e squillanti. Era come andarsene in giro con un paraorecchie e, occasionalmente, pure con il naso chiuso. Dèi! Poi Morgause le diceva che doveva sforzarsi di rimanere più calma.

Lei c'era abituata, però. Aveva passato tutta la sua vita nel Mondo Riflesso, sapeva separare bene la magia dal contingente ed era in grado di riconoscere le scie magiche ovunque si trovassero, per quanto fossero flebili. Evidentemente, pensava Morgana, quando si era menomati per qualcosa, per sopperire a quella mancanza si sviluppavano al massimo tutte le altre capacità. Doveva essere per questo che Morgause, dopo aver ricevuto la missiva della loro madre, era stata in grado di trovare il proprio padre e... occuparsi della situazione tutta da sola.

Morgana sorrise, pulendosi la bocca con un tovagliolo e lasciandoci sopra il segno del rossetto. Non avrebbe mai potuto esserle toccata una maestra migliore. Una sorella migliore.

«Ti vedo felice, mia cara.» Ovviamente Uther si sentì in diritto di interrompere le sue piacevoli riflessioni. Del resto, non c'era una singola cosa che non si sentisse in diritto di poter fare.

«È perché sono qui con voi» disse la strega, appoggiando la mano sul dorso di quella dell'uomo. Dopo avrebbe dovuto procedere a un attento scrub della pelle. Da fare con la carta vetrata, magari. «Mi rende così felice stare insieme alla mia famiglia.» Non era mica una bugia. Morgana aveva solo evitato di specificare quale famiglia.

Se Morgause fosse stata presente, si sarebbe sentita fiera di lei, in quel momento. A suo dire, adorava i versetti con i quali Morgana vezzeggiava le persone che più la ripugnavano. Si trattava esattamente di questo, con Uther Pendragon. Oltre il fatto che fosse un esemplare particolarmente pessimo di essere umano, la strega provava un innato risentimento viscerale nei suoi confronti.

Forse perché si era aspettata qualcosa di meglio dal padre del Principe dei Draghi. Beh, si era aspettata qualcosa di meglio dal Principe dei Draghi stesso.

Arthur era solo un ragazzetto un po' triste e decisamente pieno di sé. Tutto sommato, però, era divertente vedere come si affannasse a nascondere le sue debolezze dietro uno scudo di sicurezza apparente.

Il vecchio Pendragon, invece, era tutto apparenza, tutto dimostrazione di forza esteriore. Nella vita ci vuole polso, diceva spesso. Se anche lui nascondesse qualcosa dietro quel polso, Morgana non lo sapeva. Di certo le interessava molto poco.

C'era il modo in cui la trattava, poi. Mettendola su un piedistallo d'argento, al di sopra di chiunque altro. Se sapeva amare, Uther Pendragon, e se poteva definirsi amore quello che era il prodotto di ricordi fasulli creati da una magia (una magia bella potente, eh), allora sì, il re amava sua nipote.

In modo meno imparziale rispetto al suo unico figlio, anche.

Qualche volta, la strega aveva notato il dispiacere che inumidiva gli occhi del Principe, quando suo padre dimostrava più affetto a lei di quanto, era pronta a scommetterlo, avesse mai dimostrato nei suoi confronti. Però Arthur non sembrava geloso, no. Solo... ferito. E patetico. E debole.

Perché, andiamo, come poteva arrivare a farsi condizionare dal parere di un uomo che non aveva fatto che metterlo sulla graticola da quando aveva avuto un età sufficiente a pronunciare i primi gorgheggi?

E come poteva Arthur, nonostante tutto, dimostrare l'amicizia più sincera nei confronti di questa cugina che arrivava e gli portava via ogni cosa? Morgana non lo capiva. Doveva esserci un motivo, però, se il cuore di questo Principe valeva tanto. Forse perché era puro, dannatamente puro e innocente; non lo si poteva negare.

Se non altro, il mucchietto di pane al formaggio sul suo piatto diceva questo.

Anche adesso, Arthur stava accumulando le sottili fettine in un angolo; Morgana lo guardò con attenzione. A breve le avrebbe passate a lei reclamando il suo diritto allo scambio, e lei avrebbe protestato perché le piaceva tutto e non c'era nulla che avrebbe ceduto in cambio di quel pane. Alla fine Arthur avrebbe messo su un mezzo broncio, cedendole comunque la sua parte, perché tanto, diceva, a lui non piaceva, quella roba.

Quella era una bugia. Arthur avrebbe potuto trangugiare di tutto, Morgana lo sapeva. E lui aveva imparato che lei andava pazza per quel pane al formaggio. Così, ogni volta che lo portavano dalle cucine, la strega finiva sempre col mangiarne doppia razione senza neanche averlo chiesto.

Succedeva sempre, ed era curioso, in qualche modo. Morgana non se ne lamentava; fin tanto che poteva avere ciò che le piaceva, andava bene.

«Allora, cugina, ti va un equo scambio?» disse il Principe, come da copione.

Morgana rimase in silenzio per un attimo.

Pensò alla sua casa-nido nel Regno, nascosta, grande per lei appena.

Pensò alla casa di sua madre nelle Terre Desolate, un eremo sperduto nel buio del deserto.

E poi sfoderò il suo miglior sorriso prefabbricato e disse che le piaceva tutto, e che non c'era nulla che avrebbe ceduto in cambio di quel pane.

 

ʘ

 

Voltò la testa, freneticamente. Intorno a lei c'era solo oscurità. Dove si trovava? Non conosceva questo posto, dove si trovava? Le mancava il fiato. Voleva uscire, uscire, uscire. Era rinchiusa, intrappolata. Voleva uscire. Aiuto! Aiutatemi...

Piangeva, era disperata, liberatemi, vi prego, sono qui! Non voglio stare da sola, ho paura!

Qualcuno piangeva, singhiozzi che non lasciavano tempo ai respiri, non mi lasciare, ti prego, non mi lasciare... Le mancava il fiato, aiuto! Era troppo! Aiuto, no, no, nonono! Ti prego, non morire, mi sentite, sono qui, aiuto, aiuto, ai-

«Aithusa!» strillò Morgana, graffiandosi la gola.

«Sorella!» disse qualcun altro, prendendola delicatamente per le spalle.

Morgana lottò per liberarsi, si sentiva soffocare, era fradicia di sudore, cosa... ? «No» protestò, «Ait-» ma le parole morirono prima di poter raggiungere le labbra. Cosa stava dicendo?

«Sorella, va tutto bene, sono io, sono qui» disse la voce amica, scuotendola leggermente. «Calmati. Va tutto bene, ora.»

La strega alzò lentamente la testa, i respiri irregolari. Morgause era seduta accanto a lei, una vena preoccupata che le incrinava severamente l'espressione.

«Sorella?» disse, stupendosi di quanto fosse suonata debole.

«Sì, Morgana, sono io» la rassicurò l'altra. Le scostò i capelli appiccicati sulla fronte, dolcemente, guidandola affinché appoggiasse la testa sulla sua spalla. «Sì, così... sei al sicuro, adesso. Stavi sognando. E il pericolo, in ogni caso, è passato.»

Morgana si lasciò accarezzare dall'altra, si sentiva scossa e nauseata, la testa le stava scoppiando, aveva sete e quella sensazione... quel sogno... «Sembrava talmente reale» si ritrovò a sussurrare. «Ma cos – sorella mia, cos'è successo?»

La strega alzò la testa il più delicatamente possibile, accorgendosi di trovarsi in un luogo sconosciuto. Era una stanza dalle pareti chiare, la mobilia decente e sobria, ma sparuta. Stava seduta su un letto, Morgause accanto a lei, una strana divisa addosso che chiaramente non era affatto la sua. Era rosa, tanto per cominciare.

«Ti hanno portata in ospedale» spiegò il suo mentore, passandole le dita tra i capelli. «C'è stato un incidente. Un crollo, un teatro... non so bene, non ha importanza, comunque. Appena ho percepito che era accaduto qualcosa, mi sono precipitata da te. Ho fatto uscire tutti, possiamo stare tranquille per un po'.»

Ah, sì, il tetto. Ora iniziava a ricordare. Dèi, sarebbe potuta finire veramente male. «Ti sei finta un'infermiera, vedo» disse, tentando di darsi un tono leggero nonostante si sentisse un po' tremare.

«Una vecchia infermiera, per la cronaca, e tra poco dovrò rimettermi la maschera rugosa. C'è il re, fuori dalla porta, che muore di preoccupazione e che minaccia di forzare la serratura ogni due minuti.»

Morgana aggrottò le sopracciglia, sistemandosi sui cuscini aiutata da Morgause. Si sentiva un po' acciaccata. «Le mie condizioni sono tanto gravi?»

«No, mia cara, per fortuna no. Solo qualche ferita superficiale, qualche storta... Devo dire che la mia magia ha aiutato per qualcosa che avrebbe potuto essere un po' più problematico alla schiena» ammiccò, e Morgana si ritrovò a sorridere di rimando. Per quanto uno stregone non avesse il dono di curare ogni male, Morgause era ancora più ferrata di lei nelle magie curative. E questo diceva tutto. «Sembra che ti abbia tormentata di più un sogno, rispetto a questa brutta avventura.»

«Sì, ho visto...» iniziò la strega, ma poi qualcosa lampeggiò nella sua memoria, i ricordi di quanto accaduto all'inaugurazione si fecero nitidi di botto, e lei esalò un respiro, abbandonandosi pesantemente contro il cuscino. «Devo la mia vita al Principe del Draghi.»

Le labbra di Morgause si tirarono in una sottile linea rosa.

Morgana prese a tormentarsi l'unghia del pollice tra i denti, l'immagine di Arthur che, un momento prima, scherzava con lei dicendole qualcosa di stupido, e un momento dopo le volava affianco, buttandola a terra, e...

«Gli. devo. la. mia. vita» realizzò, sentendo che gli occhi iniziavano a uscirle dalle orbite.

«Pare che sia così, sì» disse in fretta Morgause, «siamo state fortunate, davvero. Ma ora calmati, sei molto agitata...»

«Devo la vita ad un uomo al quale voglio strappare la vita!» sibilò Morgana, portandosi le mani tra i capelli. «Un debito per la vita, capisci? Per tutti i draghi, questo... perché mai l'ha fatto?»

Ricordava l'espressione di Arthur cambiare in un secondo, passando da rilassata a sconvolta, ricordava di averlo visto buttarsi addosso a lei per allontanarla, ora lo sapeva, dal pericolo. Non doveva averci pensato nemmeno per un attimo. Probabilmente non aveva pensato affatto. Una cosa così avventata, così tipica di lui – così inspiegabile, per Morgana. Chi mai avrebbe potuto farlo, se non un essere umano, se non Arthur?

Un gesto dettato dall'emotività, dall'umanità, l'aveva salvata.

«Non importa il motivo per cui l'ha fatto» disse Morgause, accorata, voltandole il viso perché la guardasse. «Il Principe dei Draghi si è dimostrato utile. Non pensarci più e non lasciare che questo ti faccia tentennare.»

Morgana scoppiò in una debole risata. «Questo mai, non temere.»

Ma Morgause la conosceva bene. Non le si poteva tenere nascosto nulla, capiva sempre quando Morgana si sentiva impensierita e aveva un qualche problema. «E allora cosa c'è che ti turba?» disse infatti.

La strega sospirò, allargando le narici. Fece vagare il suo sguardo nella stanza che occupava; di certo non era una camera d'ospedale comune, nonostante tutto. Era piuttosto grande, per essere occupata soltanto da lei. Il letto era spazioso, c'era una televisione, e nell'angolo un armadio vagamente imponente. Il vecchio Pendragon le aveva come minimo fatto riservare la sistemazione migliore.

«Pensavo come sia... curioso, in fondo» disse, guardando i rami spogli di un albero fuori dalla finestra. «Mi sono semplicemente limitata a instillare in loro una serie di ricordi tutti uguali su Lady Morgana. Ma ognuno sembra aver reagito in modo diverso al mio incantesimo di camuffamento. Hanno sviluppato delle emozioni nei miei confronti. Arthur, per esempio, sembra non andare particolarmente d'accordo con me, eppure mi è affezionato e fedele, per vincolo di famiglia. È arrivato perfino a salvarmi la vita, per questo.»

E le metteva sempre nel piatto il cibo che più le piaceva, l'idiota sentimentale.

Non c'era abituata. Morgana non aveva mai pensato di ottenere qualcosa in cambio di niente.

«È così patetico che mi fa infuriare» alzò la voce, stringendo le mani a pungo nel lenzuolo fino a far diventare le nocche bianche. Fuori aveva lentamente iniziato a nevicare, i rami secchi di quell'albero si stavano bagnando di aloni tristi. «Gli esseri umani sono in grado di provare sentimenti anche verso qualcosa che è stato inserito nelle loro menti del tutto artificialmente, e questo io non lo concepisco. Di me hanno solo memorie fasulle, eppure le amano, o le rispettano, o non provano simpatia per esse. Per qualcosa che non è nemmeno mai accaduto veramente!»

«Lo so bene, ci ho convissuto da sempre» sentì che diceva la voce di Morgause, un po' piattamente. «Dobbiamo solo sentirci fortunate che ciò non ci tocchi, sorella.»

La strega sentì la sua mano che le si poggiava delicatamente sulla spalla in una carezza ferma, ma attenta. La stava richiamando. Morgana continuò comunque a non voltarsi verso di lei, mordendosi il labbro. Era stanca. Doveva essere più stanca di quanto non avesse creduto.

Il cielo ora faceva cadere la neve con più insistenza.

 

ʘ

 

Le suole delle scarpette scricchiolavano sul selciato gelato. Morgana si strinse nella pesante pelliccia bianca, ma senza affrettare il passo. Nel giro di una notte era caduta una quantità impressionante di neve. Il personale della residenza, ovviamente, si assicurava di mantenere tutto in uno stato di perfetto ordine e sicurezza; anche adesso uno dei giardinieri si stava dando da fare per spalare la neve ai lati del viottolo, ma del resto i nobili hanno sempre bisogno di ricevere cure, quindi non c'era nulla di cui stupirsi. L'inserviente si tolse timidamente il cappello in segno di saluto; Morgana gli fece un breve cenno con la testa.

Era quasi sera, e di persone in circolazione in quella zona esterna ce n'erano poche. Tutti erano talmente indaffarati a sistemare chissà cosa per garantire un'impeccabile convalescenza al principe e a sua cugina, quando nel frattempo la suddetta cugina se ne stava a passeggiare tranquillamente verso la serra delle rose.

Quella mattina era stata dimessa dall'ospedale e da quel momento esatto non aveva avuto un attimo di pace. Uther aveva addirittura insistito perché facesse una breve apparizione insieme a lui nel telegiornale dell'ora di pranzo per rassicurare i loro sudditi, o qualcosa del genere.

Morgana non aveva bisogno di camerieri che si improvvisavano infermieri e di un re che restava di guardia fuori dalla sua porta come uno stupido cane («Per l'amor del cielo» era esplosa alla fine, «so badare a me stessa!»). Morgana aveva bisogno di silenzio e solitudine. La situazione nelle ultime ore si era fatta fin troppo scombussolata, e lei si sentiva molto più sicura quando aveva tutto sotto controllo, quindi era proprio il caso di fare quattro chiacchiere con se stessa per vedere come, d'ora in avanti, andasse modificato il piano d'azione.

Innanzitutto bisognava risolvere il problema Gwen: la sua cameriera le aveva chiesto il permesso di passare il resto delle vacanze fuori dal palazzo, da qualche specie di amica, aveva detto – Morgana non aveva ascoltato bene. Un risvolto del genere era quantomai controproducente; il clima che gli esseri umani creano durante le festività invernali, insisteva Morgause, era quello ideale per garantire l'avvicinamento romantico di due persone.

Invece Gwen non le aveva più detto nulla riguardo alla situazione con Arthur. Morgana non era stupida, sapeva che forzarla non avrebbe portato a niente. Per questo aveva limitato, mangiandosi la lingua, la sua raffica di domande.

Doveva essere successo qualcosa la sera del venticinque dicembre. A un certo punto il loro gruppo era sparito dal salone da ballo, mentre lei era rimasta bloccata dalle chiacchiere di quel pazzo del re. A fine serata, Gwen era riapparsa nelle stanze di Morgana, scusandosi profusamente e dicendo che dalla mattina dopo sarebbe entrata in ferie.

Morgana non ne era certa, ma sospettava che ciò puzzasse di guai. Si trattava di un'ennesima crisi di insicurezza da parte di Gwen, forse? Eppure le era sembrata parecchio speranzosa, nell'ultimo periodo. Magari, saputo dell'incidente a teatro, sarebbe tornata prima del previsto a palazzo; se quello fosse stato il caso, ci sarebbero potuti essere risultati interessanti. Piangere sul letto di un ferito era considerato romantico dagli esseri umani, no?

La strega fece scorrere l'indice sul lungo tavolo su cui facevano bella mostra di sé le rose gialle, pensando. A un certo punto un odore la colpì, bloccandola sul posto, la punta del polpastrello ancora sul legno – un odore familiare. Una puzza di magia sdolcinata. Storse la bocca.

Merlin.

Assaporò sulla lingua la traccia magica. Era piuttosto lieve, quindi Merlin doveva trovarsi ancora a diversi metri di distanza dalla serra, ma, oh? Qualcuno stava aprendo la porta proprio adesso, e quel qualcuno era lo stregone. Morgana arcuò le sopracciglia. Che significava quella malia così debole?

Merlin sgusciò nella serra, pallido come un lenzuolo, due vistose occhiaie a rigargli la faccia. «Che cosa gli hai fatto?» disse, la voce che tremava.

La strega non riuscì a contenere un'espressione di sorpresa. «Ciao a te, mio caro Merlin. Si può sapere a che diavolo ti stai riferendo, con quel tono così accusatorio e quella faccia omicida? Dovrei prenderla a male?»

Merlin non rise. «Lo sai benissimo di che parlo. Voglio sapere se tu c'entri con quello che è successo ad Arthur. E se sei stata davvero tu, Morgana, giuro che...»

Una risata strozzata le scappò dalla gola, mente appoggiava i palmi al tavolo dietro di lei. Cos'era, la stava... velatamente minacciando? «Entri qui e queste sono le prime parole che rivolgi alla tua rivale ancora ferita e sconvolta da un incidente. La tua priorità è diventata dunque che cosa io potrei aver fatto al Principe dei Draghi.»

Merlin avanzò di colpo verso di lei, instabile sui piedi, come se il suo corpo intero singhiozzasse, colpito da scariche elettriche. Dèi, perché mai era ridotto in quello stato?

«Ho bisogno che tu sia sincera, almeno per una volta» le ringhiò a pochi centimetri dalla faccia. «Ho bisogno di sapere che non sei stata tu.»

Lei rizzò la schiena, ergendosi di riflesso. «Perché, anche se ti dicessi che io non c'entro nulla, mi crederesti?»

«Vorrei poterlo fare» disse, assottigliando lo sguardo.

«Tutto questo è ridicolo, spero che tu te ne renda conto. Innanzitutto, come puoi constatare, anche io sono rimasta coinvolta nell'incidente, e non sono tanto stupida da ordire un piano per far del male al principe che comprenda la mia schiena ridotta in briciole. Secondariamente, per tutti i draghi, quell'idiota serve vivo anche a me, come dovresti aver già capito. Ma poi... anche se avessi fatto sul serio qualcosa?»

Stavano parlando a voce singolarmente bassa, l'uno sul naso dell'altro, sferzando le parole in aria come coltelli. Morgana doveva venire a capo della questione. Merlin non poteva permettersi di rivolgersi a lei in quel modo.

«Sì, se in realtà tutto questo fosse un piano organizzato da me, tu che diritto avresti di venire qui a farmi le tue lamentele?» disse, alzando un po' la voce sotto un falso tono leggero. «Lo sapevi che sarei potuta arrivare a tanto, e te l'ho detto, Merlin, te l'ho detto un sacco di volte che non mi sarei tirata indietro di fronte a nulla. Siamo nel bel mezzo di un Duello del Drago, se l'hai dimenticato.»

«Sei tu che non hai capito. Non mi importa niente del Duello» disse, un tono strano, basso, pericoloso, e i suoi occhi erano umidi, e le sue mani, strette a pungo, tremavano, e la magia era... così debole...

Morgana allargò le narici, inspirò violentemente, la presa sul tavolino si fece stretta tanto che avrebbe potuto sentire dolore alle dita, se non fosse stato per l'avvilente fitta di nausea che la sconvolse. Adesso capiva. Adesso capiva tutto. «Tu» disse, piegando la testa di lato, un sorriso che le tirava la faccia. «Tu lo ami.»

Merlin, per una folle frazione di secondo, parve sorpreso, la bocca dischiusa e le parole invisibili che scorrevano come un fiume nel suo respiro secco. Poi, per la prima volta, distolse lo guardo dal suo, scostando il viso di lato, gli occhi chiusi.

«Tu lo ami» ripetè lei, «tu ami!» Articolò ogni parola in una singola esclamazione, scettica perché – com'era possibile che stesse davvero succedendo?

Merlin era uno stregone, un stregone potente quanto lei, il suo rivale. Il suo rivale. Avevano condiviso tanto, in tante di quelle occasioni, solo con la forza di uno sguardo, ed erano simili, sì, lo sapevano di certo entrambi, erano simili sotto tanti di quegli aspetti, e lei aveva perfino creduto che avesse potuto capire... che avesse potuto capirla...

Come poteva farle questo, come osava...

«Oh, Merlin» rise, vagamente frastornata, «in questo modo mi stai offrendo la vittoria su un piatto d'argento. Dovrei ringraziarti, ma perché sprecare fiato con te? Sei un folle, sei davvero pazzo. Però per quanto ci proverai sarà comunque inutile, e io resterò qui, a godermi lo spettacolo del tuo patetico fallimento.» Voleva fargli male. Voleva svegliarlo.

Lui non disse nulla. Scosse solo la testa.

Che significava? Ah, quanto la irritava. Morgana non si era mai sentita talmente presa in giro, e ciò la mortificava, perché non poteva permettere che un illuso la facesse vergognare di qualcosa di cui lei non aveva la minima colpa. «Smettila di fare così, lui morirà in ogni caso e tu lo sai!» si ritrovò a urlare, presa dalla rabbia. Perché non voleva capire?

«Lo impedirò a qualunque costo» disse stoico.

«Ma non puoi!» Morgana aveva una voglia spaventosa di prenderlo per le spalle, scuoterlo, dargli un ceffone. Non lo fece; scoprì che non voleva affatto toccarlo. «Il destino del Principe dei Draghi è la sua morte, indipendentemente da tutto, Kilgharrah era stato chiaro.»

«Troverò una scappatoia» ruggì lui, frustrato, «non deve andare per forza così!»

«Invece deve» disse la strega, definitiva. Si sentiva il collo imperlato di sudore e la schiena gelata. «È il suo destino, e se non hai intenzione di portare tu il suo cuore al drago, ciò significa solo una cosa: sarò io a farlo al posto tuo.»

«Sai benissimo che te lo impedirò con tutte le mie forze.»

Morgana scoppiò a ridere forte. Diceva davvero? «E come farai? Tu lo ami, tu ami, la tua magia è destinata a spegnersi, anzi suppongo che abbia iniziato già da un pezzo ad affievolirsi. La sento, che cosa credi. Adesso sento che si è ridotta all'ombra di ciò che era prima.» Che spreco, pensò, abbassando brevemente le palpebre. «Alla fine la tua magia morirà e poco dopo, senza uno stolto cavaliere che lo protegga, il tuo principe morirà con lei.»

Allora il sangue tornò a rifluire sul volto stanco dello stregone, le sue guance si colorarono sotto un'ondata di collera e determinazione. «Per fermarti userò tutto quello che mi rimarrà, tutto quello che resterà di me una volta perduta la magia, Morgana, unghie e denti, userò la mia vita, tutto!» urlò, e non l'aveva mai sentito usare quel tono, mai.

Morgana inarcò la schiena all'indietro. Come osava – come osava intimorirla così, quel piccolo, inutile... Stava perdendo la sua magia, diamine! Non poteva pensare di aver alcun potere su di lei! Stava perdendo la sua magia e la strega non si sarebbe sentita messa alle strette da un mezzo stregone, ormai già più umano che creatura magica.

Non avrebbe permesso che un altro di quel genere rovinasse di nuovo tutto.

«Se arriverai fino a questo punto, Merlin, sai benissimo che non avrò alcuna pietà per te. Non mi importerà un bel niente che tu abbia o meno la tua magia a difenderti. Ti spazzerò via come un qualunque ostacolo se ti metterai in mezzo» lo minacciò.

Lui si aprì in un sorrisetto obliquo. «Vuoi dire quando mi metterò in mezzo.»

Morgana si spostò di lato, allontanandosi dalla sua opprimente vicinanza, il respiro un po' accelerato. «L'unica cosa che si frappone tra me e il mio desiderio siete tu e quell'essere umano, mentre tu sai che io rappresento l'unica minaccia per il tuo Principe dei Draghi. Siamo consapevoli di essere l'uno l'ostacolo dell'altra. Tanto vale sistemare le cose tra noi adesso.»

Merlin fece un passo indietro, allora, sul suo volto lampeggiò palese la realizzazione di quanto la strega avrebbe potuto fargli del male, se avesse voluto. Lei non poteva sapere chiaramente fino a che punto i suoi poteri si fossero ridotti, ma non lo sapeva nemmeno Merlin. Lo stregone poteva fare la voce grossa quanto gli pareva, ma era chiaro chi tra i due avesse il coltello dalla parte del manico, adesso.

«Non deve andare per forza così» disse allora lui, alzando appena le mani al livello del petto. «Morgana, desisti... ti prego.»

Ah! Divertente, davvero. «Sei proprio nella posizione per dire cose del genere, già» ironizzò, sentendosi potentemente soddisfatta.

Merlin ingoiò, guardandola gravemente. Per qualche secondo nessuno aggiunse altro, l'aria nella serra appesantita dallo sfrigolare della magia di Morgana. Poi il viso del ragazzo si piegò con tristezza, quasi fosse stato addolorato dalla situazione – lo sporco ipocrita. «Ti prego, ascoltami» le disse, tornando ad avanzare verso di lei, «sono sicuro che potremmo trovare una soluzione alternativa se lavorassimo insieme-»

«E quale?» sputò, indietreggiando di nuovo, e lui, subito, «Non lo so, qualsiasi cosa!» e allungò la mano verso la sua spalla, ma Morgana, gli occhi ramati d'oro rosso, sferzò l'aria con un gesto del braccio, secco come una frustata, imponendogli di allontanarsi.

Lo schiocco dell'incantesimo contro la pelle di Merlin risuonò per tutta la serra e lui sibilò tra i denti, toccandosi il polso. Doveva avergli fatto male.

«Stammi lontano, Merlin» disse, e in un momento di sorprendente debolezza si portò il braccio dietro la schiena – ma cosa stava facendo? No, la sua frusta magica doveva stare davanti a lei, in questo modo. Per proteggerla da chiunque avesse voluto ferirla, in qualunque maniera. «Il tuo cuore tenero ti porterà alla rovina, ma io non lascerò che tu trascini in basso anche me.»

Non questo, non di nuovo! La sola accusa del sentimento aveva condannato la sua intera famiglia; ora, il sentimento che Merlin provava per un essere umano rischiava di frantumare ogni possibilità per Morgana. Merlin era quasi senza magia, sì. Ma il potere dell'amore, ah, quello non andava sottovalutato, mai.

Aveva creduto che lui potesse essere all'altezza di capire... Era stata stolta.

Mai più, pensò, mentre Merlin raggiungeva la porta, guardandola con un'espressione ferita e confusa.

«Pensavo che fossi diversa. L'ho sempre pensato» mormorò duramente prima di sparire dalla sua vista.

Anche io pensavo che tu fossi diverso.

Morgana sospirò, pestò un piede a terra, con forza. Strillò per la frustrazione. La serra tremò, tutte le rose appassirono.

Ma non significava nulla, nulla, nulla.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima (+ Extra) ***


 

 

Note

 

Merlin, parlando con Arthur, passerà dal “voi” al “tu” e viceversa non per una mia svista, ovviamente xD quanto per una svista di Merlin stesso, che vedrete, avrà altro a cui pensare rispetto al modo più corretto di rivolgersi ad Arthur.

Se ci avete fatto caso, poi, ogni tanto ho riportato i pensieri diretti di Merlin in corsivo, e anche lì lui si riferisce sempre ad Arthur senza usare il “voi”. Perché, nella dimensione personale e intima dello stregone, il principe è semplicemente il suo Arthur.

Il titolo del capitolo è una citazione da “La spada nella roccia”: “Questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima. È la forza più potente sulla terra!”

Terza cosa, il punto di vista di Merlin riprende da dopo la scoperta dell'incidente, quindi da prima del confronto con Morgana che avete trovato nella parte finale di “Cuore di strega”.

Alla fine trovate anche un piccolo extra relativo a una cosa che verrà detta nel capitolo... spero che vi faccia sorridere!

 

 

 

 

(x)

 

 

Capitolo tredici: Questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima
(+ extra: Arthur e i suoi “due o tre” messaggi)

 

 

 

 

Dalla mattina prima, quando quella giornalista in rosa gli aveva annebbiato il mondo con le sue devastanti notizie, Merlin non aveva ancora smesso di piangere.

Gaius si era preso cura di lui con un'attenzione estrema, chiedendo in cambio nulla se non una conferma che si sentisse bene. Lo stregone non era riuscito a rivolgergli nemmeno una parola. I suoni non venivano fuori che in modo sconnesso dalla sua bocca, graffiandogli la gola come spine acuminate.

Le lacrime, Merlin aveva presto imparato, erano un amaro rimedio che il suo corpo s'illudeva di contrapporre al dolore: con la scusa di lavare via ciò che uno si portava dentro, le lacrime scavavano un percorso fino agli occhi, strappando la pelle e riportando alla luce, nel tragitto, cose che credevi da tempo dimenticate.

Se fosse riuscito ad aprirsi con Gaius, Merlin gli avrebbe detto che non stava meglio, adesso. Se possibile, stava ancora peggio. L'immensa preoccupazione per Arthur gli schiacciava l'aria nel torace ogni momento, senza dargli tregua.

La famiglia reale aveva richiesto la discrezione più assoluta su quanto era accaduto. Così, dal giorno prima, la televisione non aveva aggiunto molto alle rassicurazioni sulle condizioni del principe che, a quanto pareva, non erano gravi. Merlin, benedetto da un attimo di respiro tra i singhiozzi, ne aveva avuto la conferma da Gaius: il mentore, riuscito a mettersi miracolosamente in contatto con Leon che era in ospedale, aveva riferito un messaggio da parte della guardia del corpo: «Di' a Merlin di non preoccuparsi».

Lui aveva riso nervosamente, piegandosi poi in due sul materasso per i crampi, e da lì non si era più mosso.

Come faceva a non preoccuparsi, se la sua magia sembrava averlo momentaneamente abbandonato, e se non sapeva quando sarebbe tornata da lui? Non si era staccata del tutto da Merlin, non era morta, lo sentiva. Solo, l'aveva lasciato a sé stesso, come se i sentimenti di cui si era riempito avessero occupato troppo posto, offendendola, portandola a ritirarsi in un antro nascosto.

«Avanti» si era ritrovato a pregarla nel cuore della notte, il naso pieno, la testa che gli scoppiava, «ti scongiuro. Almeno per vedere Arthur. Almeno con il Diamante.»

Era stato inutile. L'unico risultato che lo stregone aveva ottenuto era stato quello di ritrovarsi a mordere il cuscino, per non farsi sentire da Gaius.

Era cieco, adesso, impotente, inutile. Senza magia, lui... non valeva molto.

Era così arrabbiato con se stesso, così deluso.

Senza magia non valeva niente, non valeva niente perché aveva promesso di proteggerlo (se l'era ripetuto talmente tante volte – proteggere Arthur, proteggere Arthur, proteggere Arthur), ma come avrebbe mai potuto farlo se era privo della sua maggiore risorsa? Ed era vero che avrebbe fatto di tutto per avere Arthur al sicuro, incantesimi o meno, ma...

Alla prima occasione di vero pericolo, non era nemmeno stato lì con lui.

Si era trattato solo di parole, allora? Le sue promesse erano tanto vuote quanto era schiacciante il senso di colpa?

Sull'onda del rimorso, Merlin doveva aver pianto tutte le lacrime messe da parte nel corso del tempo – e dovevano essere veramente tante, perché proprio non volevano saperne, di fermarsi.

Non poteva credere che il destino di Arthur fosse quello, e che il destino di Merlin, intrecciato col suo, fosse di restare a guardare mentre moriva. Molte lacrime erano scese silenziosamente a quel pensiero, mentre lui stringeva in un pungo la miniatura di Kilgharrah, la stretta tanto serrata da lasciargli segni sul palmo.

Lo odiava, quello stupido drago di plastica. Gli ricordava Arthur, perché era stato lui a lanciarlo a Merlin, quella volta sull'uscio di casa, e perché allo stesso tempo gli ricordava la maledizione che pendeva sopra la testa del principe come una lama.

Cadeva una lacrima perché Merlin era stato ingenuo, ne cadeva un'altra per il modo in cui affogava, sommerso da troppe cose, e poi un'altra ancora per la persona che era stato. Prima, quando non poteva sapere, non poteva sentire.

Fino a pochi mesi fa era stato così ignaro. Addirittura all'inizio quasi era arrivato a pensare che Arthur se lo sarebbe meritato, questo. Che se era destino, beh, non ci si poteva fare nulla – ed era stato così eccitato all'idea del Duello, all'idea di trovare una strada sua, e se ci andava di mezzo un Principe dei Draghi, in fin dei conti, sarebbe andato bene. Sarebbe stata una condanna triste, ma inevitabile.

Cos'era la perdita di una vita in confronto a un'avventura, se quella vita era immeritevole e destinata dall'inizio a una tale conclusione?

Sapere che la mente che aveva partorito idee del genere era la sua gli faceva venire da vomitare. E vomitò, e l'unica cosa a cui pensò fu quel “Che pena, povero ragazzo” che Gaius aveva mormorato tempo prima.

Non si era reso conto di quanto fosse stato terribile, allora, non capire niente di tutto questo; e vomitare in bagno, in un modo quasi perverso, era comunque più soddisfacente che sapersi in quella condizione.

Meglio sentirsi piccolo e colpevole, meglio sentirsi un disastro, un verme, se prima era stato ancora peggio e nemmeno l'aveva capito. Era veramente spaventoso, non riuscire ad avere la vera consapevolezza del sentimento. Acquistarla per poi tornare sui propri passi e guardare la persona che si era stati un tempo, beh, lo stava dilaniando internamente.

 

ʘ

 

Alle prime luci dell'alba la testa canuta di Gaius fece capolino da dietro la porta. Merlin si voltò dall'altra parte, ma l'uomo, risoluto nella sua premura, appoggiò una tazza di tisana fumante sul comodino e poi si sedette ai piedi del letto. Le ginocchia scricchiolarono nel movimento e lui soffocò un'esclamazione sottovoce. Lo stregone buttò fuori l'aria dal naso, tendendo la linea arida delle labbra.

«È una specie di sorriso, quello che vedo?» disse l'uomo.

Merlin scosse appena la testa sul cuscino. No, non avrebbe potuto sorridere, adesso.

«Eppure, sai, sarebbe un bene se fosse un sorriso» continuò Gaius. «Il dolore è così che si combatte, a poco a poco.»

Lo stregone tirò su col naso e, dopo molti lunghi momenti di silenzio, disse, con una voce roca che non riconobbe: «E alla fine si riesce a sconfiggerlo, il dolore?»

«No» rispose l'altro, allungando la mano sulla sua testa in un gesto un po' incerto. «Una cosa del genere non sparisce, non davvero. Ma si impara a conviverci.»

Si andava avanti. Sì, l'aveva sempre saputo che gli esseri umani erano in grado di fare questo. E se all'inizio, in quel periodo che ormai gli sembrava distante da lui un universo, l'aveva trovato orribile, ora aveva capito tutta la forza che c'era dietro.

Ma andare avanti, lasciando indietro Arthur?

No, impossibile. No. Lui quella forza non l'avrebbe mai avuta, nemmeno se in quello stesso momento il suo cuore fosse stato al cento per cento umano.

Trascorsero dei minuti senza che nessuno aggiungesse altro, tra i respiri pesanti del più vecchio e quelli quasi inudibili di Merlin.

«Lei si chiamava Alice» disse a un certo punto il mentore.

Merlin lo guardò senza chiedere nulla; aveva già capito. Lì ricurvo sul bordo del suo letto, Gaius sembrava così vecchio e così addolorato. Un raggio di luce picchiava sul suo viso nascondendo la sua espressione in un'ombra grigia.

«Si chiamava Alice, la donna che rubò il mio cuore» disse flebile. «L'amavo così tanto, e ancora la penso con così tanto affetto... Per lei persi la magia... ne ero innamorato pazzo. Quel suo sorriso dolce...»

Ogni parola smezzata era pronunciata con reverenza, piena di sentimento, di un'intimità tale che Merlin si sentì a disagio e dovette distogliere lo sguardo.

«L'amavo così tanto che quando si ammalò giurai che avrei fatto di tutto per non perderla, Merlin. Di tutto. Ero pronto a tutto.»

Lo stregone sentì formarsi un nodo in gola, ed ebbe paura.

«Non avevo ancora perduto completamente la mia magia, allora. Me ne restava poca... sufficiente, però, perché potessi fare ricorso alle Noci Lacrima.»

«Cosa sono?» disse Merlin, la sua coscienza che rispondeva già «Non sono niente di buono».

Gaius sospirò pesantemente, portandosi una mano sulla fronte rugosa. «Manufatti magici appartenenti al mondo Sidhe. Estremamente potenti e pericolosi. Ne avevo una scorta nel mio studio di guaritore nel Regno. Per qualche ragione, le portai con me sulla Terra insieme a molti altri rimedi magici.»

Dopo una lunga pausa che traboccava sofferenza, riprese. «Vedi, quando una fata muore, le lacrime delle sue sorelle che la compiangono vengono raccolte da queste stesse creature. Mischiate alla polvere delle ali della deceduta, compattate con la magia Sidhe, danno origine alle Noci Lacrima.»

«La magia delle fate è oscura. È paragonabile alle forze dei druidi – Gaius, che cosa... ?»

Il mentore gli portò una mano sulla spalla, per confortarlo o forse per impedirgli di alzarsi.

«Una Noce Lacrima contiene sofferenza pura. Sentimento. E il dolore è forte come l'amore. Una Noce ha l'effetto di concentrare la magia senza cancellarla, perché è intrisa dell'antico potere delle fate. Raccoglie tutta la magia di uno stregone e la espelle dal corpo in modo violento.»

«L'unica opportunità che un mezzo stregone ha per mettere insieme un potere sufficiente a salvare qualcuno» disse funereo Merlin. Poteva solo immaginare quali fossero le conseguenze. Espellere la magia in quel modo...

«Ingoiare due Noci raddoppia la potenza, ma l'effetto è letale» gli lesse nel pensiero Gaius. «Il corpo di uno stregone non accoglie bene la magia Sidhe. Io ne usai una.»

Merlin annuì. «Funzionò?»

Gaius scosse la testa. «Era troppo tardi.»

Lo stregone si nascose nelle lenzuola. La voce del mentore arrivò ancora a lui come da un'altra dimensione.

«Non me ne sono mai pentito. Sarei morto se non ci avessi provato. Dopo, mi sono sentito come morto anch'io. Ma non è così... lei non avrebbe voluto che mi lasciassi andare. Era talmente piena di voglia di vivere...»

 

ʘ

 

Merlin si raggomitolò intorno al suo dolore, abbassando le palpebre con fierezza. Un sospiro tremolante accompagnò le lacrime che gli bagnavano le labbra, salate sulla sua pelle che era come sabbia.

La porta della stanza si aprì cigolando sui vecchi cardini.

Lui gemette debolmente, ancora ad occhi chiusi. «Gaius» disse, «fa male.» Era scioccante come tutto ciò che provava lo potesse esprimere con così poche parole.

I passi dell'altro mentre si avvicinava al suo letto erano meno instabili del solito, pesanti, misurati.

Merlin si portò una mano sul petto, sbrindellando ancora di più la maglia. «Non riesco a respirare bene.»

Il materasso si piegò sotto un secondo peso, quello di un uomo dalla presenza ferma, rassicurante... calda.

Lo stregone inspirò con furia mettendosi seduto, girò il busto, tese le mani avanti verso di lui e c'era Arthur tra le sua braccia, ora, c'era Arthur. C'era Arthur, Dèi, era vero, e Merlin si aggrappò a lui incastrando il viso sulla sua spalla, il naso sul suo collo.

Arthurarthurarthur.

Ora sì che riusciva a respirare meglio.

«Ciao» mormorò sorpreso il principe, quasi una risata. «Questo assalto devo prenderlo come un segno della tua delusione perché non sono Gaius? Offff-» disse, soffocandosi alla fine quando Merlin lo strinse forte, forte...

«Arthur.» Nel suo nome c'era proprio tutto quello che Merlin sentiva il bisogno di dire.

Il principe si mosse, un po' a disagio, ma ancorò una mano al fianco di Merlin, l'altra che prendeva a scorrere su e giù sulla sua schiena in maldestre carezze. Un pochino ruvida nei movimenti, ma con tutto il palmo aperto, le dita tese.

Merlin singhiozzò, e ridendo tra le lacrime si accomodò meglio tra le braccia dell'altro. Era meraviglioso, non riusciva a crederci. Arthur stava bene, era tornato da lui sano e salvo e ora lo stava stringendo, ed era tanto vicino che poteva bere il suo calore. Era meraviglioso, meraviglioso.

«Se continuerai così penserò che sei felice di vedermi sul serio» disse la voce roca del principe.

Merlin gli si schiacciò addosso il più possibile, torace contro torace, perché voleva sentirlo, voleva averlo con lui in ogni modo, completamente.

Il petto di Arthur si alzò una volta di troppo. Un respiro sorpreso; il battito del suo cuore nelle orecchie di Merlin, o di tutti e due i loro cuori; la pelle calda sotto le sue dita; il corpo di Arthur stretto nel suo abbraccio. Era tutto così familiare e al contempo così nuovo, così sufficiente perché Merlin pensasse che era ciò che aveva sempre desiderato. Una cosa di cui aveva sentito terribilmente la mancanza, pur non avendola mai conosciuta davvero. Ora lo capiva.

«Sì, sono felice, sono felice...»

«Oh» disse Arthur, muovendosi appena (e Merlin, per scongiurare l'ipotesi che si allontanasse da lui così presto, gli allacciò le mani alla vita senza pensarci per un secondo). «Mmmh-beh. Beh, mi fa piacere vederti tanto... entusiasta» continuò, dandosi un tono spavaldo, «considerando che fino ad adesso mi hai completamente ignorato e non ti sei nemmeno degnato di venire in ospedale.»

«Cosa?» Lo stregone si tirò un po' su, ma senza mollare la presa.

L'altro stava scandagliando il suo volto con un'aria decisamente scettica.

«Arthur, non sapevo nulla! Non ci facevano sapere nulla, non lasciavano avvicinare nessuno all'ospedale e stavo per venire comunque, anche se poi sono stato male, i-»

«Non li hai letti, vero? Quei... due o tre messaggi che ti ho mandato. Non hai la minima idea di cosa io stia parlando, non è così?»

Merlin scosse la testa lentamente, le guance che si colorivano d'imbarazzo al ricordo di se stesso che, preso dallo stordimento post bacio, lanciava il cellulare nel cassetto per poi dimenticarlo lì, preso dalle sue ansie.

Arthur scoppiò a ridergli in faccia senza ritegno. «Avrei dovuto immaginarmelo. Qualche volta è come se tu venissi da un altro mondo» disse, portandosi una mano sulla fronte. La tirò via con un respiro affilato tra i denti quando toccò per sbaglio un cerotto che aveva vicino alla tempia.

«Oh, Arthur» disse Merlin, sentendosi uno stupido per averlo notato solo ora. «Ti sei fatto male. Cosa sono, punti?»

«Mh-mh. Zoppico anche un po'. La caviglia non è messa molto bene, ma per il resto è tutto a posto.»

Merlin fece del suo meglio per ingoiare l'enorme masso che gli chiudeva la gola. «Ma cos'è successo di preciso?»

«Hai presente quell'inaugurazione alla quale sapevi da due settimane che avrei dovuto partecipare? Quella che ti sei perso perché hai, ne sono sicuro, dormito troppo?»

Merlin mise su il broncio, sentendosi, oltre che colpevole, anche un po' infastidito dal tono di ripicca.

«Beh, è venuto giù il soffitto del teatro» spiegò semplicemente Arthur. «E io, in un gesto eroico, ho salvato Morgana da un calcinaccio che, invece che cadere sulla bella testa, ha atterrato me.»

Morgana?

Merlin drizzò le spalle, sentendo un'ondata di rabbia bollente montargli dentro e stravolgergli lo stomaco. Se avesse scoperto che, in qualche modo, c'era lei dietro tutto quanto...

«Merlin?» Arthur corrucciò le sopracciglia, notando il cambiamento della sua espressione.

Lo stregone si sforzò di rasserenarsi. Non avrebbe dato al principe quella preoccupazione. Del resto, gli bastò osservare il suo volto così stranamente provato per mettere da parte, per il momento, qualunque altro pensiero.

D'istinto, allungò la mano per accarezzare il lato ferito del suo viso. Non volendo fargli male, però, si risolvette ad incastrare le dita tra i capelli biondi intorno all'orecchio e al collo. «Mi dispiace, avrei dovuto essere lì.»

Arthur rimase preso in contropiede. «Non avresti potuto fare molto in ogni caso.»

Quanto si sbagliava. «Avrei potuto impedirti di fare stupidi gesti eroici, tanto per dirne una.»

«Impossibile» ghignò, aggiungendo, tronfio, «e poi lo so che ti piaccio così, gesti eroici compresi.»

Merlin rise. Dèi, Arthur lo mandava fuori di testa. Riusciva benissimo a immaginarselo che si fiondava al salvataggio di quella che credeva essere sua cugina. Ma l'avrebbe comunque fatto per chiunque altro, perché era avventato, coraggioso, stupido e buono. Buono, buono, buono. Il cuore di Merlin crebbe di tre misure, reclamando per sé tutto il suo petto (poi non c'era da stupirsi che la sua magia andasse in sciopero). «È vero, mi piaci così» ammise, annuendo.

Arthur lo fissò per qualche secondo, l'espressione impenetrabile. «Uh. Cioè, già. Giusto» disse con indifferenza, ma inciampò sulle parole mentre un tenue rossore iniziava a spandersi lungo il ponte del suo naso.

Merlin era così felice, e così provato e stanco, e traboccante di, ugh, tutto, che aveva una voglia matta di baciarlo, adesso. Di incollarsi a lui e non staccarsi mai più, e di toccarlo dappertutto, per sincerarsi che fosse sano e salvo, o semplicemente perché poteva.

«È carino che ti metta in imbarazzo una cosa del genere» disse ad Arthur, coprendogli l'orecchio con la mano che ancora teneva al lato del suo viso.

La faccia di Arthur si contrasse come se avesse appena masticato un limone. «Ma quale imbarazzo?»

Lo scoppio della risata di Merlin si fermò di colpo quando la sua magia, evidentemente poco contenta della situazione, gli mandò una fitta allo stomaco che lo fece piegare in avanti.

«Ehi, come ti senti?» domandò in fretta il principe, il braccio che era volato a circondargli le spalle.

Merlin sospirò, appoggiandosi automaticamente contro di lui. Ormai poteva farlo, no? Arthur non l'aveva buttato giù dal letto, quindi significava che poteva. «Mi sento come uno che è stato pestato per un giorno intero.»

«Si vede, hai una faccia» commentò poco galantemente l'altro, dandogli delle pacche di compatimento. «Credevo che avessi solo pianto per me per tutto il tempo, invece vedo che stai male per davvero.»

«Siamo un po' presuntuosetti.» Grazie agli Dèi aveva il viso nascosto sul suo collo, perché la vampata di caldo che sentiva poteva solo significare che fosse arrossito.

Arthur dopo, sorrisino da schiaffi ben in vista, sistemò i cuscini contro la spalliera del letto e lo aiutò a mettersi seduto più comodamente possibile, senza trattenersi dal commentare che era lui, lì, quello che avrebbe dovuto essere accudito («Io ti accudisco tutti i giorni» gli ricordò Merlin, «se per una volta ricambi il favore, non ti sprechi mica.»).

Rimasero per un po' immersi in un confortevole silenzio, il principe ancora mezzo arrampicato sul materasso, la gamba della caviglia infortunata ora stesa accanto a Merlin. Non aveva dato alcun segno di volersi alzare, e allo stregone la cosa andava più che bene. Chiuse gli occhi, lasciandosi invadere da un inebriante stato di pace che non era riuscito a raggiungere da molte ore. Si sentiva devastato, ma felice fin nelle ossa. Andava bene, così. Andava bene.

Per quanto, però, sarebbe andato bene?

E ad Arthur – ad Arthur andava bene, era questo che lui voleva? No, Merlin sapeva bene cosa Arthur avrebbe dovuto volere, in quel momento.

«Non dovreste stare qui, adesso» gracchiò, gli occhi ancora chiusi. Le sue dita, sotto le lenzuola, andarono a stringere convulsamente la stoffa dei pantaloni del pigiama.

«Quindi, secondo il mio valletto, non posso neanche avere qualche ora libera per riprendermi dallo shock di un incidente che avrebbe potuto essere-»

«No, intendevo. Uh. Dovreste andare a far sapere anche agli altri che state bene. A Gwen, voglio dire.»

Il rumore di Arthur che si muoveva appena, facendo strusciare le coperte, quasi fece venire a Merlin voglia di guardarlo. Ma resistette alla tentazione, perché era più facile parlare in quel modo, senza avere davanti al naso quella sua tipica espressione da dodicenne imbronciato.

«Dovrei andare da Gwen

«Sì, uhm. Gwen. Sarà preoccupatissima, e credo che al momento non sia nemmeno nei dintorni, quindi non saprà nulla, come me fino a poco fa, e ho pensato...»

«Oh. Beh, verrà a sapere tutto tra poco, come il resto della nazione, suppongo. Sai, telegiornale, internet, eccetera.»

Merlin ingoiò a vuoto e aggiunse, sopra le sue forze: «Sì, ma... ecco, penso che a Gwen piacerebbe saperlo prima. Magari si sta uccidendo nel dubbio. Magari è talmente in pensiero che-»

«Merlin» disse il principe, inclinando la voce verso la sua tonalità seccata. «Sono sicuro che lei sappia cavarsela da sola. Tu invece, al momento, non resisteresti un minuto senza la mia presenza accanto a te. Sono appena uscito dall'ospedale, la prima cosa che ho fatto è stata venire qui, e non voglio vedere nessun altro per qualche ora – di certo il paese potrà fare a meno di me per qualche ora, no? Cosa di cui, nel tuo caso, dubito fortemente. Inoltre non ho la minima intenzione di muovermi di un solo centimetro, perché mi va fa male ovunque» e sottolineò pateticamente l'ovunque, «quindi non vado da nessun altro, non faccio nient'altro e resto qui.»

Lo stregone si voltò di scatto verso di lui, allora, esasperato. Perché doveva sempre rendergli tutto difficile, questo somaro che lo squadrava come fosse andato fuori di testa? Teneva le braccia incrociate al petto, pure, come se fosse lui quello che doveva spiegare le ovvietà all'altro. Come se non fosse lui, quello che, uscito dall'ospedale, aveva ignorato la donna perfetta per fiondarsi dal suo valletto. Facendogli pensare che, forse, c'era la possibilità...

«Innanzitutto, vi ricordo che non sapete prendervi cura nemmeno di voi stesso, e nemmeno per i vostri bisogni fondamentali» rimbeccò rabbiosamente, «quindi escludo che la vostra presenza qui mi sia di qualche aiuto.» Menzogna enorme, svergognata menzogna. «Inoltre, Gwen-»

«Insomma, che c'entra adesso Gwen?» alzò la voce Arthur.

«C'entra per quello che c'è tra voi due, e c'entra che non è giusto che tendiate a dimenticarvi di un fatto del genere, perché non si gioca con queste cose, Arthur, e uno deve essere chiaro, e se una ragazza prova dei sentimenti per voi che voi ricambiate è solo corretto rassicurarla sulle vostre condiz-»

«Aspetta, che?» fece Arthur, smarrito, alzando le mani a mezz'aria. «Cos-Gwen. Cosa? No!»

Merlin strinse le labbra, guardandolo di sottecchi. «No?» disse, poco convinto. Ma il suo battito cardiaco aveva preso a sconquassarlo da dentro con un ritmo frenetico e scoordinato, un ritmo che gli diceva «Ragazzo, sei un idiota».

«No» gli fece eco il principe, scuotendo piano la testa, le sopracciglia corrucciate.

«Il...» Merlin serrò con così tanta forza la presa sul pigiama che le unghie gli affondarono nella carne. «Il vostro cuore... non è suo?”

Arthur si grattò il collo, chiaramente imbarazzato. OhDèiohDèiohDèi. Quello era importante, era molto importante, quella risposta poteva cambiare tutto. Se Arthur ammetteva che il suo cuore non era di Gwen e non lo sarebbe stato, allora il piano di Morgana non avrebbe avuto alcun fondamento, e il principe sarebbe stato salvo almeno da quel punto di vista. E forse Guinevere poteva anche essere la donna più compatibile per Arthur, ma il cuore, oh, il cuore umano non segue logiche – e se al cuore di Arthur non fosse importato un bel niente della compatibilità massima con quella donna?

«Una volta, tempo fa, direi... mi piaceva molto, sì» ammise, e Merlin, che pure lo sapeva, affondò impietosamente, scivolando giù verso le coperte.

Ma Arthur andò avanti, con sempre maggiore difficoltà e sempre più velocemente. «Però ormai è passata da un pezzo. La nostra storia. Cioè. Non è nemmeno mai iniziata davvero, direi. Comunque non è mai stato quello che si potrebbe definire... uhm.»

«Vero amore?» finì per lui lo stregone, che non voleva permettersi il lusso di credere a quello che stava ascoltando fino a che non avesse avuto la conferma definitiva.

Arthur grugnì, fissando il soffitto. «Già. Lei non è... non è lei la mia... ehm...» e fece degli ampi gesti in aria con una mano, «... Non è la mia metà.»

«Oh.»

Qualcuno liberò un branco di farfalle direttamente nello stomaco di Merlin.

Il cuore di Arthur non è di Gwen, il piano di Morgana fallirà, Arthur sarà al sicuro, la compatibilità non è tutto, Arthur sarà al sicuro, al sicuro, al sicuro, posso tenerlo al sicuro, il cuore di Arthur non è di Gwen – Arthur non ama un'altra.

«Perché ridi, adesso?» disse il principe, diffidente al massimo livello.

Merlin piantò il proprio volto verso la finestra, oltre le tende bianche. Fiocchi di neve avevano preso a cadere lentamente, completando il quadretto perfetto che si vedeva dalla sua camera – la stanza con il balcone stile vittoriano e le grosse tende rosso scuro. Si morse la lingua.

«Mi viene da ridere perché non vi facevo così romantico.»

«Se la cosa esce da queste quattro mura, sei morto.»

«Mmh» mugugnò lo stregone, la spina dorsale che sembrava quasi sparire dal suo corpo mentre lui scivolava sempre più giù, mollemente.

Voleva continuare a guardare oltre il vetro (a Ealdor era già caduta la prima neve?), quindi fece forza sui gomiti, tentano di rimettersi dritto con scarso successo. Si afflosciò ancora più in basso, ormai quasi completamente steso, e la stanchezza si fece sentire più che mai. Poteva quasi percepire le occhiaie che gli rigavano gli occhi inariditi; tuttavia, doveva essere davvero pazzo, ma poteva giurare di essersi sentito poche volte così felice in vita sua.

Le mani di Arthur tornarono sulle sue spalle con una consuetudine che gli strizzò i polmoni. Mentre il principe lo rimetteva seduto, Merlin accantonò velocemente l'idea di ammirare la neve per lasciare, invece, che la testa indugiasse nella direzione opposta. Era così esausto che non risultava strano, appoggiarsi sulla spalla di Arthur. Strusciare un po' la guancia contro la sua maglietta per farsi posto, beh, neanche quello era strano. Era bello, anzi. E molto piacevole.

«Va meglio?» disse il principe al suo orecchio, piano.

«Molto meglio.»

«Allora resto per un po', se non hai altre sciocchezze con cui ribattere. Perché, come mi pare ovvio, la mia presenza qui è assolutamente necessaria. E poi sta nevicando. Non voglio uscire. Prenderei freddo, non mi fa bene nelle mie condizioni.»

Testa di fagiolo. «Sì, restate.»

«Qui invece è caldo.» Ed era vero, si era formato davvero un tepore piacevole tutto intorno a loro due. «Solo qualche minuto, poi vado via. Merlin...»

«Sì, resta.»

 

ʘ

 

Qualche minuto, tradotto dal linguaggio Pendragon, comprendeva tutta la mattina e si prolungava fino al pomeriggio inoltrato.

Gaius, dopo essere entrato nella stanza e aver beccato Merlin schiacciato addosso a un Arthur appisolato, ricomparve con due tazze di tisana, le lasciò sul comodino senza dire una parola e poi sparì misteriosamente per tutto il giorno.

A un certo punto Arthur uscì dal dormiveglia e iniziò a insistere perché guardassero dei cartoni animati («Quando si sta in convalescenza si guardano sempre i cartoni animati. Ma in che mondo vivi, Merlin?»). Quindi procedette a spostare il vecchio computer del paleolitico di Gaius su un carrellino che di solito ospitava delle piante. Durante l'operazione per angolarlo verso il letto, riuscì a intrecciare i cavi un milione di volte e perfino a far quasi cadere lo schermo. Imprecò copiosamente e Merlin rise molto, almeno fino a quando Arthur sbraitò dicendo che gli faceva troppo male la caviglia per andare avanti e lui dovette accorrere in suo soccorso, finendo col sistemare lo schermo da solo.

Quando tornò a letto trovò che il principe aveva occupato parecchio spazio rispetto a prima. Stava, in realtà, spalmato su più della metà del materasso, che già di per sé non era molto grande. Così finì che Merlin dovette appoggiarsi di nuovo sulla spalla di Arthur, con un braccio di questo che gli circondava tutta la schiena – per ottimizzare gli spazi, ovviamente.

Guardarono “La Bella e la Bestia” perché Merlin, non è possibile che non l'hai visto, “La Principessa e il Ranocchio” perché è decisamente sottovalutato, “Rapunzel” perché la Disney ha ritrovato il suo brio, “Toy Story” perché adesso ci vuole un cartone da ragazzi e basta con la roba sdolcinata, “Il Re Leone” perché è il mio preferito...

Dopo questa maratona, Merlin era sicuro di tre cose: numero uno, poteva capire, finalmente, come mai Elena dicesse che Arthur sembrava un maledetto principe Disney, visto che aveva gli occhi grandi, la mascella squadrata, le spalle larghe ed era coraggioso e un po' idiota. E visto che poi, beh, era un vero nobile dal sangue blu.

Numero due, non gli sarebbe dispiaciuto rimanere per l'eternità a guardare cartoni animati tra le braccia di Arthur, specie quando, fino a poche ore prima, aveva pianto l'anima per la paura vertiginosa di averlo perduto per sempre.

Numero tre, quelli della Disney non ci erano andati tanto lontano, con la storia del bacio di vero amore che spezza ogni incantesimo. In effetti era abbastanza ovvio, se Merlin ci pensava: l'amore cancella la magia, quindi un bacio d'amore cancella la magia, comprese le maledizioni lanciate su ignare principesse.

Rabbrividendo un po' alla sciocca riflessione, lo stregone si chiese se Kilgharrah non avesse bisogno proprio per questo del cuore di un Principe dei Draghi umano. Di Principi dei Draghi potevano essercene alcuni ancora in circolazione per il Regno, ma se si trattava di creature che non sapevano amare, il loro cuore di certo non poteva avere il potere di assorbire malie e maledizioni esterne.

Però, c'era un Principe dei Draghi che stava cancellando la magia di qualcuno, in quel momento esatto. E con la sua sola presenza, con il solo fatto di star stringendo quel qualcuno accanto a sé, le dita appoggiate alla base della sua schiena.

'Mai perdita della magia fu più dolce' pensò Merlin, mordendosi l'interno della guancia.

La sua magia non aveva dato altro segno di vita oltre qualche calcio occasionale che gli faceva dolere, a turno, il fegato e i reni. Probabilmente non aiutava la ripresa restando lì, con il profumo del dopobarba di Arthur che si attorcigliava dentro di lui a ogni respiro.

Quant'era buono, quel profumo...

Comunque.

Approfittando della concentrazione estrema con la quale il principe stava guardando “La spada nella roccia”, Merlin tese le dita della mano sinistra in modo incerto. Nessun formicolio magico rispose al suo appello, e lo stregone sentì le proprie labbra piegarsi all'infuori in una smorfia triste.

Era davvero spiazzante ritrovarsi di colpo in questo stato. La magia aveva sempre fatto parte di lui; era sempre stata lì, a scorrere nelle sue vene insieme al suo sangue. Adesso, ripresosi dal panico per l'incidente di Arthur, poteva percepire bene l'entità della mancanza. Una sensazione fastidiosa stava iniziando ad instillarsi con decisione in lui. Era come uscire di casa e accorgersi di avere ai piedi una scarpa e una ciabatta.

Ovviamente non rimpiangeva nulla. Avrebbe solo dovuto abituarsi alla ciabatta.

«E adesso che ti prende?» lo richiamò Arthur, facendolo oscillare con poca delicatezza fino a che non se lo schiacciò, senza tanti complimenti, sul suo petto.

Merlin sbatté le palpebre, ritrovandosi a pochi centimetri dal profilo del principe. Era bello, le sue labbra erano molto belle, ed era bella pure quella spruzzata di lentiggini quasi invisibile che aveva sul naso. Sì, alla ciabatta avrebbe decisamente potuto abituarsi.

«Uhm. È questa cosa della scoiattolina. Mi dispiace per lei, tutto qua.»

Arthur fece un verso neutrale e tornò allo schermo, dove al momento il giovane principe Artù era stato trasformato in uno scoiattolo e aveva fatto innamorare di sé un'ignara scoiattolina. La creaturina non aveva la più pallida idea che il suo amato non avrebbe mai potuto ricambiare i suoi sentimenti perché apparteneva a un mondo diverso, un mondo nel quale non ci si innamorava affatto delle scoiattoline.

Rimasero a guardare in silenzio fino a che, alla fine, l'incantesimo che aveva trasformato Artù si ruppe. La poverina innamorata, dopo aver perfino salvato la vita al suo amato, prese tristemente coscienza della forma reale del ragazzo, così incompatibile con la sua, e se ne andò piangendo.

Merlin provò un dolore al petto che lo fece sentire patetico. Sì, era vero che gli dispiaceva per quell'animaletto. Anzi, il destino che le era toccato non gli piaceva proprio per niente.

«Mica ti rimetterai a piangere per uno scoiattolo, adesso» lo prese in giro Arthur.

Merlin lo guardò male. «No. È solo che lo trovo deprimente e molto triste, va bene?»

Arthur rise. «Poi ero io quello romantico. Lo sai, vero, che non si può sempre avere un lieto fine?»

Merlin lo fissò, gli occhi grandi, le mani abbandonate sul grembo.

Non dire così, ti prego. Non dire così.

Il principe fece schioccare le dita sulla sua fronte e lo stregone si lamentò, fissandolo a bocca aperta.

«Beh, almeno è riuscita a salvare il suo principe, no?» continuò Arthur con casualità. «Ha fatto una cosa molto nobile. Col tempo si dimenticherà il dolore, e le rimarrà la consapevolezza di aver salvato la vita della persona che amava.»

Non dirmi così anche tu... Io non potrei mai dimenticarti.

Non io.

Merlin chiuse la bocca sonoramente, senza distogliere lo sguardo dal bel profilo dell'altro.

Si chiese se questo sarebbe stato sufficientemente d'aiuto alla scoiattolina per affrontare le notti lunghe e solitarie passate sveglia nel suo nido. Si rispose che sì, lei se lo sarebbe fatto bastare, poiché se non avesse amato affatto quell'essere umano, non avrebbe mai nemmeno pensato di salvarlo. E dunque ciò che aveva perso era niente in confronto a ciò che aveva guadagnato...

Ma questo non avrebbe mai cambiato il dolore per aver perduto qualcosa di così importante. Una sofferenza del genere ti accompagnava per sempre.

Artù, invece, avrebbe dimenticato la triste storia della scoiattolina, non era così?

«Sai» disse improvvisamente Arthur, «era sempre questo che facevo, quando mi ammalavo da piccolo. Stavo tutto il giorno in camera mia a guardare cartoni animati. Mi ero convinto che fosse una specie di prescrizione del medico, che fosse una cura efficace» constatò con serietà. «Poi arrivava mio padre, stava un po' con me... non tanto, perché aveva da fare. Ma mi raccontava delle storie. Andava sempre così, quindi penso che potrebbe funzionare anche stavolta.»

Merlin sorrise, le palpebre appesantite da ore di lacrime e televisione. «Cartoni animati e storie del papà... è questa la ricetta del dottor Pendragon?»

L'altro annuì con un sorriso arricciato. «Me ne ricordo una che ti piace, ci scommetto. È tutta draghi e misteri, il massimo per un fissato di fantasy come te.»

Una nuova carica d'affetto inondò lo stregone, che rise sommessamente, accomodandosi meglio sulla spalla dell'altro.

Se questo era il modo che Arthur aveva per tirarlo su di morale, doveva ammetterlo, ci stava riuscendo in pieno. Si sentiva così ammorbidito e felice, felice in una maniera stranamente amara che gli inumidiva gli occhi.

«È una storia che riguarda questo palazzo» iniziò il principe senza aspettare altre conferme da parte di Merlin. Intanto muoveva goffamente la mano sulla sua spalla – la pelle lì, ora, bruciava a fuoco lento. Anche il suo cuore bruciava.

«Le mie fonti dicono che è una storia vera, mh? Quindi fai attenzione e ascolta bene, perché un giorno potrebbe tornarti utile per salvarti la vita.»

La voce della televisione si era ormai ridotta a un mormorio indistinto che, piacevolmente, solleticava l'orecchio di Merlin, mentre lui si immaginava Uther raccontare storie impossibili a un piccolo Arthur. Lo faceva accarezzandogli la testolina bionda, facendo sentire suo figlio, forse, meno solo del solito in quella stanza grande e quasi sempre vuota.

Ah, il suo principe fieramente triste che tratteneva i lacrimoni, aspettando la visita del padre come fosse stata quella del medico... Una cura dolce per un cuore ammaccato. L'unica che Arthur conosceva e che adesso, ingenuamente, stava somministrando anche a lui.

Merlin sospirò, e in quel momento si ripropose di conservare un pensiero gentile per Uther Pendragon, un giorno. Uno piccolino, però.

«Sentiamo la tua storia» disse piano.

«Umh, allora» disse Arthur, umettandosi le labbra. Poi parlò come se stese recitando a memoria una vecchia poesia, con una cadenza un po' imbarazzante, ma tenera. «Ti capita mai di venire svegliato nel cuore della notte da strani lamenti? Come se qualcuno, nascosto nelle profondità del palazzo, gridasse e piangesse... Beh, non sei l'unico. Una volta su questo terreno, al posto del palazzo, si ergeva un castello medievale. Sono ancora conservate le vecchie prigioni della fortezza, scavate sottoterra. Si dice che in quelle prigioni venne sepolta viva una creatura pericolosa e vecchia come la Terra.»

«Un drago?» indovinò Merlin, chiudendo definitivamente gli occhi.

Le parole di Arthur scivolavano nell'aria come miele. Era così bello, sentirlo parlare. Come quella volta che aveva tenuto il suo discorso, e il mondo intero era sparito, ed era rimasto solo lui, lui e la pioggia...

«Un drago, sì. In molti l'hanno cercato, scandagliando le profondità più nascoste delle segrete. Nessuno è mai riuscito a trovare alcuna traccia del prigioniero, ma i lamenti notturni non si sono fermati, e continuano tutt'ora.»

«Mh... Tu l'hai mai cercato?»

«Ovviamente. Il coraggioso, piccolo principe Arthur è andato molte volte in missione insieme ai suoi fidati cavalieri Gwaine e Lancelot. Brandendo le loro armi (di plastica, ma di plastica sopraffina), i prodi guerrieri hanno esplorato più e più volte il complicato intrico delle gallerie...»

«Gallerie...»

«Non è così facile orientarsi laggiù, sai, ci sono un sacco di vie secondarie e passaggi segreti. Una volta ci siamo pure persi e ci è dovuto venire a salvare Leon. Comunque. Dopo quell'episodio il re, in pena per la sicurezza del giovane principe, gli impedì di tornare ancora nelle prigioni.»

«Mmh... Immagino che non lo ascoltò.»

«Esatto. Lui e i suoi fedeli compagni ormai erano diventati esperti, e, senza farsi scoprire, continuarono ad andare in missione utilizzando il passaggio segreto che collegava il labirinto alle prigioni... Ci hai mai fatto un giretto, nel labirint- Merlin? Stai dormendo?»

«N-ooo... labirinto, ancora non ci sono... mh.»

«Meglio così. Anzi, sai che ti dico, non andarci. Ti ci perderesti di sicuro. Insomma, questo drago. Si dice che si tratti di una creatura molto triste, e che le prigionia che la costringe nei sotterranei possa essere spezzata solo da un principe...»

Arthur parlava, parlava, parlava. E mentre lo faceva, la mano di Merlin, fino ad allora rilassata sul proprio grembo, andò ad appoggiarsi sul fianco dell'altro. In quel momento, proprio prima di lasciarsi cullare nel sonno, lo stregone realizzò appieno che, se le cose a teatro fossero andate storte, non solo lui, ma il mondo intero avrebbe perduto Arthur. E questo era inconcepibile.

Chiunque avesse minacciato di far accadere una disgrazia del genere non meritava alcuna comprensione.

Morgana non meritava più alcuna comprensione.

Morgana non...

 

ʘ

 

«Insomma ne sei proprio sicuro? Sicuro sicuro?»

Arthur si passò il cellulare da un orecchio all'altro, la caviglia che affondava un po' di più nel cuscino. «Sì Gwaine, te l'ho già detto, non vengo alla festa. Sono ancora in convalescenza. Stasera non mi muovo di qui. E poi ormai è tardi, sono quasi le undici e mezzo.»

Lo sguardo gli cadde sul piede tristemente adagiato su un cuscinotto fin troppo imbottito. Una storta era pur sempre un infortunio. Se aveva voglia di starsene spalmato come una stella marina sul suo divano la notte del trentuno Dicembre, era piuttosto comprensibile, no? Per lo stress dell'incidente e tutto il resto. «Voglio solo stare tranquillo. Per quest'anno niente festeggiamenti esagerati. Se non esco, mio padre è più tranquillo e, di conseguenza, io sono tranquillo.»

«Non è che in realtà vuoi restartene tranquillo in compagnia di Merlin?» disse Gwaine.

Arthur buttò la testa all'indietro, grattandosi il naso. Non era molto comodo, quel poggia-gomiti. Decisamente troppo duro. Gli stava spezzando il collo. «Il modo in cui ho intenzione di passare la serata è solo affar mio, grazie tante dell'interessamento.»

«No, perché sai, in caso potrei darti degli ottimi suggerimenti-»

«Fermo. Non una parola di più» fece il principe, alzando un dito per aria.

«Mi capita di pensare ogni tanto che il nostro Merlin, per quanto sia adorabile nella sua aria da bell'innocentino, potrebbe in realtà essere uno di quei casi di trasformazione selvaggia a letto-»

«Dio, Gwaine!» ruggì Arthur, spiaccicandosi una mano sopra agli occhi.

L'altro abbaiò una risata. «Va bene, va bene, facciamo finta che non ci abbia mai pensato neanche tu. Comunque non mi vorrai negare di avere preparato almeno una cenetta romantica a lume di candela in camera tua. Ti conosco come le mie tasche, signor principe azzurro. Vedo già tutto apparecchiato, le luci soffuse...»

Arthur voltò la testa quanto la posizione glielo permetteva, fissando con un broncio il tavolino di legno intarsiato, imbandito con una cena per due. I piatti davanti a una delle due sedie erano ancora immacolati, il bicchiere asciutto, le posate intoccate. «Lui non è venuto, va bene?» brontolò.

«La musica smielata in sottofond... cosa?»

Pausa imbarazzante.

Arthur sbuffò, maledicendo mentalmente Gwaine perché lo stava costringendo ad ammettere ad alta voce la sconfitta. «Non avevamo preso accordi specifici, ma mi aveva detto che sarebbe tornato per il trentuno, prima della fine dell'anno, e io ho pensato-» tentennò. Aveva pensato male. «Beh, fatto sta che invece non so dove sia. Sono giorni che non lo vedo.»

Gwaine aspettò cinque o sei secondi di cortesia prima di scoppiare a ride. Era come averlo lì che ululava direttamente nel suo orecchio, Arthur riusciva proprio a vederlo.

«Bene, mi fa piacere che almeno qualcuno si stia divertendo.»

«Oh, andiamo, tesoro, non farla tanto lunga» disse Gwaine, riprendendosi a stento. «Una regale buca una volta ogni tanto non può che far bene al tuo ego da prima donna. Anche se la cosa mi puzza un po'. Che significa che sono diversi giorni che non vedi Merlin?»

Arthur si premette il ponte del naso, ripensando a come Merlin fosse comparso sull'uscio della sua stanza a un orario spaventoso della mattina del ventotto. L'aveva trovato, invece che con il vassoio della sua colazione, con un grosso zaino in spalla. Senza tanti preamboli, il valletto gli aveva chiesto il permesso per per poter andare a trovare sua madre per qualche giorno. Anche Gaius l'avrebbe accompagnato. Arthur non aveva potuto che dire di sì; da quando era arrivato a palazzo, Merlin non era mai tornato a casa sua. Gaius, d'altro canto, non si prendeva un giorno libero da... mai.

«Mi dispiace chiedervelo così improvvisamente, ma non posso proprio evitarlo» si era scusato Merlin, agitando le mani. Allora Arthur aveva notato la fasciatura.

«Che hai fatto al polso?» gli aveva chiesto.

Il valletto aveva portato alla svelta il braccio dietro la schiena. «Niente, sono andato a sbattere. Contro lo spigolo dell'armadio. Comunque vi prometto che sarò tornato prima dell'anno nuovo. Il trentuno sarò al vostro fianco, come al solito.»

E così ora eccolo lì, Arthur; infortunato e solo, e imbarazzato per questo, ma ancora più irritato perché quell'essere solo significava essere solo senza Merlin. Di conseguenza, quindi, si sentiva ancora più imbarazzato.

Merlin gli aveva dato buca!

«Ci sarà da preoccuparsi?» chiese Gwaine, improvvisamente serio.

«Mh, no, no. Non l'ho chiamato per non disturbarlo, ma sta bene, io... gli ho mandato un messaggio per assicurarmene.»

«Oh» fece l'altro. Altra pausa e dopo giù un'altra grassa risata. «Arthur, Arthur, da quando ti prendi la briga di non chiamare qualcuno per non disturbarlo? Questo è oro puro.»

Arthur trovò miracolosamente la forza per non chiudere la chiamata all'istante. «È andato da sua madre» sferzò, ma successe che la sua voce si incrinò inaspettatamente alla parola “madre.”

«Sei così dolce, cazzo. Sei così dannatamente dolce, principessa» disse Gwaine, e per Arthur, che lo conosceva bene, era impossibile non sentire l'affetto e la sincerità dietro la presa in giro.

«Piantala» disse comunque, scacciando l'aria davanti a sé. «Non osare andare a ridirglielo, poi. Lo verrei a sapere, e questa umiliazione non me la merito proprio.»

«Dolce. Dolcioso. Dolciotto.»

«Faremo come se tutto questo non fosse mai successo. Per quel che concerne Merlin, probabilmente è già così. In questo momento si starà divertendo da qualche parte, mentre io sono qui a sorbirmi le tue cavolate. Magari è già pure tornato a Londra, e adesso è lì a quella vostra festa al Rising Sun, e vi state prendendo gioco di me tutti insieme. Ah, molto divertente.»

«Scusami, non riesco a sentirti bene. Il tuo piagnucolio da adolescente col cuore spezzato mi impedisce di ascoltare il resto.» Davvero, perché non aveva ancora chiuso la chiamata? «Comunque ti assicuro che Merlin non è qui. Oh, come? Elena dice che nemmeno lei l'ha visto né sentito. Ah, e ti saluta, anche se non te lo meriti, aggiungerei io.»

Il principe aprì la bocca per ribattere, ma proprio in quel momento la porta della stanza si aprì con un sonoro botto; a spalancarla fino a far sbattere il pomello contro il muro era stato niente meno che il suo valletto.

È venuto davvero...!

«Dio, Merlin!» ruggì Arthur, tirandosi su a sedere di scatto. Il respiro aveva iniziato ad accelerare – doveva essere per la sorpresa.

«È arrivato Merlin, ho capito bene?» rimbombò la voce di Gwaine.

«Sì, e mi hai fatto prendere un colpo» disse il principe, stando bene attento a parlare a voce alta, per assicurarsi che nessuno si perdesse neanche una singola parola. «Va bene che entra sempre quando gli pare senza chiedere permesso, ma questo è... esagerare?»

La sua tiritera si smorzò quando notò lo sguardo vacuo negli occhi dell'altro.

Merlin, le palpebre mezze abbassate e un sorrisino scemo, se ne stava tutto allungato contro lo stipite della porta, la mano ancorata alla maniglia. Non sembrava molto sveglio, al momento; anzi, sembrava parecchio più sfasato del solito, il che era tutto dire.

Se Arthur avesse prestato attenzione, si sarebbe accorto che, dall'altra parte del telefono, Gwaine stava dicendo qualcosa come “vallo a baciare e basta, mi sono quasi stufato di voi due,” accompagnato dal coro di “bacio, bacio,” di una Elena molto poco sobria.

Ma non ci stava facendo caso.

«Stai bene?» era invece impegnato a dire al valletto, mentre il telefono veniva abbandonato al suo destino sul divano.

Altro che niente Rising Sun. Se anche Merlin non c'era stato con Elena, poteva benissimo essere andato con qualcun altro – o essere andato a divertirsi da qualche altra parte, per quanto importava.

E ad Arthur non importava molto, no.

Merlin appoggiò la testa contro il legno e poi, con estrema concentrazione, si morse il labbro, procedendo a esalare una risatina in falsetto. No, ad Arthur non importava; era perché non poteva sopportarle di vederlo ridotto in modo così patetico che volò ad afferrarlo per il gomito, spostandolo dall'ingresso.

«Hai bevuto sul serio, razza di idiota! Senti che puzza» si lamentò, cominciando a fare pressione sulla sua spalla per spingerlo verso la stanza da notte.

L'odore dell'alcool stava iniziando a solleticargli fastidiosamente la gola e, va bene, forse non si trattava solo di quello. Forse era più che altro irritazione.

Merlin beveva? Non aveva mai bevuto davanti a lui. Merlin beveva e lo andava pure a fare senza di lui. E non sapeva gestire bene il... cos'era? Era odore di vino? Non sapeva gestire bene il vino, allora, se la testa che penzolava da una parte all'altra e le risatine sotto i baffi dicevano qualcosa.

«Non puzzo» puntualizzò il valletto, mettendo il broncio mentre il principe tentava di farlo avanzare in linea retta oltre il divano. «Morgana una volta ha detto che puzzo. Ha detto che puzza la mia magi- uhm. Ha detto che puzzo io. Non la magia. Io.»

Arthur cercò di farlo virare verso il letto, che sembrava lontano chilometri, ma ottenne un movimento stizzito nella direzione opposta («Ngh!» disse eloquentemente Merlin). Il principe si passò il braccio molle dell'altro attorno alle spalle, ed era proprio un cretino, ora; così, con il suo valletto buttato quasi a peso morto addosso a lui, la stessa persona con la quale aveva pensato di fare chissà cosa la notte dell'ultimo dell'anno. Non aveva considerato che Merlin preferisse andarsene in giro a ubriacarsi prima delle undici anziché stare con Arthur.

«Cos'è un bacio, in fondo?» si chiese, riuscendo a trascinare finalmente entrambi nei pressi del comodino.

Era stato lui a prendere l'iniziativa. Merlin l'aveva invitato ad agire, con quei suoi cioccolatini e quell'espressione dolce, onesta e acquosa sotto il vischio. Però poteva anche darsi che Arthur avesse capito male, che si fosse trattato tutto di un gigantesco equivoco e...

Il principe fece miracolosamente in tempo a strizzare gli occhi prima che l'indice di Merlin gli si infilasse in una palpebra, le altre dita che si aggiravano intorno alle sue narici. «Caz-!»

«Ehi, ehi, ehi, ascoltami, testa di fagiolo!» lo richiamò Merlin, prendendo a dargli dei deboli schiaffetti in faccia.

Arthur scostò il viso, riuscendo a imporsi la calma senza sapere come. Di certo per lo sforzo era diventato di un colore abbastanza simile al viola.

«Sai, sai, non puzzo mica. La mia mag-cioè, io, in realtà, il profumo è molto buono» si affannò Merlin. Sembrava tanto disperato nel fargli capire quel concetto che Arthur, anziché dargli un ceffone, dovette mordersi il dentro della guancia per non scoppiare a ridere istericamente.

«Niente puzza.»

«No?» si interessò, voltando il valletto perché fronteggiasse il letto.

Merlin scosse forte la testa per poi farla scivolare, con una certa grazia, nell'incavo del collo di Arthur, imitando la scena di qualche giorno prima. Il principe si immobilizzò, sgranando gli occhi.

«Pompelmo» mormorò Merlin, sognante, strofinando il naso freddo sulla sua pelle, cosa che, decisamente, l'altra volta non era successa.

«Whoa, ok, ok» scattò Arthur, rimettendogli dritta la testa con una spallata. «La situazione è più grave del previsto, andiamo a metterci sotto le coperte.»

«Sotto le coperte» disse a pappagallo Merlin, strusciando il fianco contro quello di Arthur a ogni movimento (e non lo stava facendo impazzire, nossignore). «Sotto le coperte? Oh, Arthur, sii gentile con me, ti prego» e si coprì il viso con la mano che non era avvinghiata alla sua felpa. «Sii gentile, non ho ancora mai fatto nulla, sotto le coperte.»

«Merlin!» scoppiò scandalizzato, ma anche, doveva ammetterlo, divertito.

Soprattutto perché il suo valletto sembrava seriamente impensierito dalla cosa del sotto le coperte, la pelle chiazzata di rosso dalla punta del naso fino alle orecchie. Il principe non aveva mai visto niente del genere, ed era – era davvero... ugh... adorabile no. Ma, sì, adorabile.

«Non temere, sono un vero gentiluomo» lo rassicurò allora, sentendo per qualche motivo il bisogno di dirlo ad alta voce. «Non mi approfitterei mai di una ragazza che non è in sé» aggiunse, angolandolo verso il piumone.

Merlin bloccò il movimento, raddrizzando invece la schiena per poterlo guardare con disapprovazione.

«Pardon, non mi approfitterei mai di un ragazzo che non è in sé. Di un ragazzo.»

Il valletto piegò le labbra impossibilmente in alto, lo sciocco sorriso che raggiungeva anche gli occhi, stringendoli agli angoli, incurvandoli.

«Ora, vuoi stenderti da solo o preferisci che ti scarichi giù come un sacco di patate?»

Al suo arricciare del naso, Arthur sbuffò, procedendo ad adagiarlo, finalmente, sul piumone rosso scuro. Merlin, per niente collaborativo, si mosse piano piano, quasi si fosse trattato di una pericolosissima manovra mortale. Nel momento in cui la sua nuca toccò il cuscino, però, le labbra gli si schiusero lentamente in una muta esclamazione di piacere.

Arthur, paralizzato per una frazione di secondo dalla visione, dovette ripetersi che era un gentiluomo, e che non si approfittava dei ragazzi che non erano in sé. Anche se quei ragazzi avevano delle bocche quanto mai carnose e invitanti. Quando si tirò indietro, le dita dell'altro premettero sul suo collo, suggerendogli invece di avanzare.

«Merlin» lo ammonì con un ghigno, arrossendo a disagio mentre pensava quanto il bere rendesse il suo valletto ancora più testardo e senza pudore.

«Arthur, Arthur» lo chiamò Merlin, come se non l'avesse avuto a pochi centimetri di distanza. Dopo fece una cosa che ebbe il potere di far cadere la mascella di Arthur: sporse in fuori le labbra stile pesce rosso, allungandole verso di lui in quell'inconfondibile gesto universale...

Il principe non ce la fece più: scoppiò a ridere, le spalle che tremavano, la pancia che gli faceva male mentre si sistemava sopra Merlin, a gambe divaricate. Dio, se non lo faceva morire.

Merlin, tuttavia, non sembrava contento del risvolto ottenuto dal suo approccio sexy. «Non mi vuoi baciare?» chiese, la voce appena incrinata.

Arthur ammutolì, guardandolo: Merlin, così fiducioso e dolce tra le sue braccia e sue le ginocchia – occhi blu appannati, per il vino o per la tristezza amplificata dal vino stesso – capelli in disordine – ciglia lunghe – sopracciglia arcuate – lineamenti difficili, eleganti, duri di contro alla bocca piena, semi dischiusa per la delusione.

Ti voglio baciare come non ho mai voluto baciare nessun altro. Ti voglio come non ho mai voluto nessun altro. Ti voglio, così tanto, così tanto...

Cazzo.

Il principe chiuse gli occhi con forza, un lamento rassegnato gli scappò dalla bocca.

Non era che non lo sapesse. Non era che non l'avesse capito, che non avesse intuito fin quanto in profondità questa persona impossibile avesse scavato dentro di lui, costruendosi un piccolo nido nel suo cuore che non avrebbe lasciato mai più.

Quello che non aveva mai pensato era il fatto che fosse stato lui stesso a permettere che Merlin si prendesse quel posto.

Lo guardò di nuovo, l'affetto che lo sommergeva, lo trascinava via, gli mozzava il fiato, dolorosamente. Dovette richiudere gli occhi, era più forte di lui. Si sentiva tremare, non era mai successo, si sentiva tremare mentre sfiorava il naso freddo di Merlin con la punta del suo. Non gli era mai successo tutto questo. Non aveva mai immaginato che...

«Non così, ok?» disse, arruffando i riccetti neri sulla fronte di Merlin, facendo quasi violenza contro se stesso per impedirsi di far aderire il torace su quello di Merlin, che sciocchezza, vero? Eppure...

Sulle sue labbra sentiva il sapore di quel bacio sotto il vischio, ora, della sorpresa nel cogliere qualcosa da parte di Merlin – possibile che lo avesse voluto, che avesse voluto Arthur?

«È già talmente difficile per me far funzionare tutto in condizioni normali» borbottò, più a se stesso che all'altro. «E tu già ragioni poco, in condizioni normali. Non voglio sbagliare, va bene? Voglio fare le cose come si deve, con te.»

Merlin annuì, annuì e annuì, coprendogli l'orecchio con una mano, come aveva già fatto in camera sua. Quando Arthur aveva capito che voleva toccarlo – Merlin aveva voluto toccargli il viso, una carezza forse? Ma Arthur aveva avuto quel grosso cerotto sulla tempia, e allora Merlin gli aveva incastrato le dita proprio lì, dove le teneva adesso.

Il principe arrossì di nuovo, guardando a intermittenza dall'altra parte. Non era abituato a essere toccato così. Nessuno si era mai preso la briga di toccarlo con tanta disarmante tenerezza.

«Sì, Arthur, Arthur, sì, anch'io, sì, lo capisco» farfugliò Merlin, l'espressione di colpo quasi sofferente. «Tu sei il mio riflesso. Sei la mia metà mancante, sei-»

Oh, be'. Chiaramente era impegnato a portare avanti quel monologo assurdo dal suo mondo, l'idiota.

«Arthur, sai di pompelmo.» E con decisione gli prese le labbra, strizzandole tra il pollice e l'indice. «Sono come salsicce, queste. Grosse salsicce rosa.»

Arthur roteò gli occhi al cielo. Doveva essere caduto vittima di un incantesimo; nonostante quelle stupidaggini, non riusciva ancora a trovare la forza per allontanarsi. Merlin, sciocco e completamente insensato, lo attirava elettricamente a lui. Arthur aveva ancora più voglia di abbassarsi, adesso. Ma era un gentiluomo, lui, era un gentiluomo. E Merlin era ubriaco. E magari da sveglio non avrebbe voluto, anche se prima aveva – aveva voluto, e il modo in cui lo guardava ogni tanto, come se lo – come se – e come lo abbracciava, dio, come l'aveva stretto, sul suo letto...

«No» fece il principe, tappandogli la bocca per impedire a entrambi di fare qualcosa.

Merlin per protesta gli strizzò le labbra che ancora teneva tra le dita.

«Quando sarai lucido ne riparleremo. Se-se vorrai ancora. Va bene?»

«Io vorrò, Arthur, vorrò sempre. Perché sei il mio riflesso, la mia metà. Tu vorrai?»

Sembrava talmente serio. Peccato che fosse decisamente poco sobrio.

Il principe buttò fuori un respiro che, col senno di poi, avrebbe probabilmente definito più un singhiozzo. «Vorrò» disse, e si morse le labbra troppo forte. «Adesso dormi un po' qui, penso sia meglio che io vada sul divano.»

Dopo aver biascicato svogliatamente l'ultima sillaba, fece in tempo solo a voltarsi che Merlin si allungò di nuovo verso di lui, prendendogli il viso a coppa tra le mani. «Dimmi il tuo nome» disse, già come mezzo avvolto in un sogno.

Arthur gli fermò i polsi, sentendosi fiero del proprio sfoggio di pazienza. Domani avrebbe raccontato tutto al suo valletto, svergognandolo per bene. Avrebbe potuto alterare un po' la storia, o, magari, avrebbe proprio potuto dire le cose come stavano. Non dubitava che la reazione ottenuta sarebbe stata in ogni caso soddisfacente. «Adesso non ti ricordi più come mi chiamo. Non dovevo essere la tua metà, mh? Non ti ricordi nemmeno come si chiama, la tua metà.»

Non lo ripetè perché gli faceva cose strane al cuore, dirlo. La tua metà. No.

Ghignò comunque, stupidamente.

«No, no, dimmi il tuo vero nome. Il vero nome» protestò Merlin, tirandogli le orecchie. «Quando sai il vero nome di una cosa, quella può diventare tua per sempre» spiegò con grande solennità.

Il principe sbuffò, assecondandolo comunque. «Mi chiamo Arthur.»

Allora l'altro, sotto di lui, con lentezza si accese in un sorriso sconvolgente, come se gli fosse appena stata data la chiave per risolvere un problema di importanza inimmaginabile. I suoi occhioni blu, più umidi che mai, sembravano mandare lampi nell'oscurità avvolgente.

«Arthur... adesso sei mio» mormorò, tutto soddisfatto, e, cogliendo di sorpresa il principe (che non era assolutamente distratto da quel suo viso), lo tirò giù sul materasso, accanto a lui.

Poi procedette a fare del suo petto un cuscino, arpionando un piede dotato di calzino con i pasticcini intorno alla sua caviglia buona. «E io sono Emrys» sussurrò, una stanchezza felice nella voce. «Adesso sono tuo.»

Beh.

«Allora niente divano, deduco» disse Arthur al soffitto, il cuore che gli batteva a trecento all'ora. Magari questa parte non l'avrebbe raccontata. O almeno, avrebbe evitato di far riferimento al suo restare rigido sul posto come un pesce lesso.

Lui era un gentiluomo, ma cavolo, più di tutto in quel momento era un uomo. «Un uomo dotato di autocontrollo» si ripeté come un mantra, «che sa sopportare e sa quand'è il caso di stare fermi. Completamente.»

Che razza di tortura. Arthur non aveva mai sudato per una cosa del genere, non c'era dubbio.

Merlin intanto aveva abbandonato una di quelle sue braccia lunghe e magre magre intorno alla sua vita, così, come se non avesse avuto altro posto dove sistemarla. Il principe ingoiò la saliva.

«Mi dispiace tanto di non essere stato lì con te a teatro, mi dispiace tanto» sentì dire dopo qualche secondo.

E una voragine enorme si aprì dentro di lui. Anche se in quel momento parlare con il suo valletto era del tutto inutile, si ritrovò a dire, spinto da qualcosa di preoccupante che gli strizzava le viscere: «Te l'ho già detto, non devi scusarti».

«Ti voglio solo proteggere, Arthur» continuò lui senza ascoltarlo, la voce attenuata perché aveva la bocca attaccata alla sua maglia. «Voglio davvero tanto che tu sia sempre al sicuro, mi voglio prendere cura di te.»

Uhm.

«Non è giusto» brontolò, strizzando le dita intorno alla stoffa, (e, oh), «Ho sempre voluto proteggerti, e adesso non posso farlo come vorrei. Morgana ha detto che ti amo.»

Solo quando si sentì quasi strozzare per la mancanza d'aria, Arthur si accorse di aver saltato un respiro (o due, o diversi respiri). Aveva pure chiuso ancora gli occhi, li aveva chiusi, diamine. Non poteva fare così, quando, ovviamente, tutto ciò che stava uscendo dalla bocca di Merlin non era che una manciata di chiacchiere sconnesse. Era sciocco farsi prendere in questo modo, crederci. Tuttavia, senza pentirsene neanche un po', si sentì soffiare: «Ed è vero, quello che ha detto Morgana?»

Perché non ne era proprio certo, ma c'erano buone probabilità che stesse ricevendo una dichiarazione d'amore in piena regola. Non poteva immaginare in quale altro contesto qualcuno avrebbe potuto dire a un'altra persona certe cose – sempre se non si prendeva in considerazione lo stato semicosciente del ragazzo che aveva professato di volersi prendere cura di lui. Lo sapeva, ma questo non impediva che si sentisse lo stomaco nella gola e il battito del cuore che rombava ovunque, nelle orecchie, nei polsi, e non poteva trattenersi. Merlin è ubriaco, si ripetè, ubriaco. Ma in vino veritas, o qualcosa del genere, e poi – poi...

«Merlin» tentò di nuovo, dio, non ci capiva più niente, che cretino che era, «allora, è vero?»

«Nonègiustochenonpossoproteggertiperchéamo» disse, i suoni che scivolavano indistintamente gli uni su gli altri.

«Come?»

«Non preoccuparti, però, ho-ho trovato comunque il modo, anche senza magia, ho trovato il modo.» Sembrava tutto compiaciuto di questa sua misteriosa scoperta, il palmo aperto che prendeva a disegnare piccoli cerchi sul petto di Arthur. «Preferirei di no, sai. Però. Se fosse necessario...» E d'improvviso ci fu un cambiamento inaspettato: il suo tono divenne insopportabilmente grave, il suo tocco si fece incerto, debole. «Se io alla fine dovessi... Arthur? Poi tu mi dimenticheresti, non è vero?»

Ora, ufficialmente, qualunque cosa stesse passando nella testa del valletto non era affatto di suo gradimento. «Smettila, dai. Che stai dicend-»

«Gli uomini lo fanno, sai» continuò Merlin, come uno che spiega una verità universale a un ragazzino. «Gli uomini alla fine dimenticano, trovano la forza per andare avanti, e io... credo che questo sia giusto, anche se mi fa paura.»

Arthur cercò i suoi occhi, allora, sentendosi smarrito in un modo che gli piaceva assai poco. Pareva che nelle parole dette da Merlin ci fosse stato qualcosa di importante e di troppo triste, e questo era destabilizzante, ed era sbagliato – Merlin non doveva suonare così triste, nemmeno da ubriaco. Non era... Merlin.

Ma l'altro non lo stava guardando, teneva il viso abbassato, incollato al suo petto, così che Arthur potesse vedere solo la nuvola nera dei capelli spettinati e il lungo naso, e neanche questo gli piaceva.

Perché se c'era una cosa sulla quale il principe sapeva di poter contare, era che avrebbe potuto scorgere gli occhi di Merlin ovunque: che fosse in mezzo alla gente mentre teneva il suo discorso in libreria, o dall'altra parte della finestra quando parlavano al telefono, o in piedi accanto all'armadio mentre lui lavorava sulle carte sopra la scrivania, e poi si addormentava, e quando si risvegliava scopriva che Merlin non aveva lasciato la stanza, che era ancora lì. Era ancora lì.

Era questo, Merlin l'aveva abituato a questo, alla sua presenza costante, dunque era sua la colpa se adesso qualcosa stringeva i polmoni di Arthur con violenza; una sensazione simile alla vertigine di quando uno si sveglia nel cuore della notte e si sente nel nulla, sente il letto scivolare via – Merlin stava scivolando via...?

No. Arthur si diede dell'idiota. Ma se anche sentì le proprie dita stringere più forte la presa sull'altro, lo ignorò.

Non sapeva bene cosa stesse effettivamente succedendo, lì in quel letto; se fosse il caso di prendere sul serio le cose che stavano venendo dette e pensate, che erano state conservate con cura fino a quel momento. Non osava concretizzare di più, forse era po' ubriaco pure lui. Eppure una parte della sua coscienza, una parte importante e determinante, decise di prendere quei pensieri, quei secondi, e di tenerli stretti attorno al suo cuore. Sperando che non si trattasse di un'illusione, sperando di non star sbagliando come al solito.

Buttò fuori un esagerato quantitativo d'aria dalle narici che lo lasciò con la testa quasi vuota. Magari, impegnandosi, avrebbe potuto attribuire a quello la causa dei capogiri che sentiva. Portò la mano destra alla base del collo di Merlin, le dita della sinistra andarono ad intrecciarsi con il palmo che Merlin aveva appoggiato sul suo petto, in modo che fosse lì – che ci restasse. Almeno quello, almeno quello sì.

In fondo lui era uno che si muoveva parecchio, la notte, conquistando spazio e coperte come sul campo di battaglia. Sarebbe sembrato innocente a chiunque, quindi, se si fosse risvegliato accoccolato intorno all'intruso che aveva minacciato la sua supremazia del letto.

Soddisfatto delle attenuanti trovate, il principe sorrise, sistemandosi tra i cuscini e il suo valletto, nel tepore tenero di un abbraccio. Ecco, in questo modo... un po' più stretto ancora. Perfetto.

Merlin, messa da parte la fase malinconica della sua sbronza, approvò la scelta con un mugolio di nuovo sereno, chiudendo la mano sotto la sua.

Sparì ogni brutta sensazione. Arthur non dovette nemmeno lottare per porre dei freni ai suoi pensieri; non pensava niente. Semplicemente, restando così, con Merlin, passarono i minuti. A poco a poco il respiro calmo di Merlin lo acquietò in un modo tutto nuovo, battendo il tempo come una musica. Alla fine anche i fischi e gli scoppi dei fuochi della mezzanotte dell'ultimo dell'anno non furono che suoni lontani. Suoni secondari rispetto a quei respiri lunghi e profondi, coordinati con l'alzarsi e l'abbassarsi del proprio petto.

L'ultima cosa che Arthur vide, con la coda dell'occhio, furono le luci che baluginavano dal vetro, proiettandosi sul muro in forme distorte dalle tende. Era davvero come un sogno. Forse stava già sognando da molto senza esserne accorto.

«Ma chi ti ha fatto bere così tanto, mh?» sussurrò, sentendosi cadere dolcemente nel sonno più morbido e rassicurante di sempre. Sentendosi a casa.

«Papà...»

 

 

 

 

 

 

 

Note di revisione:

Mi sono resa conto, rileggendo, che avrei potuto esprimere meglio le intenzioni di Arthur nell'ultima parte. Non è che lui si stia sforzando di trattenersi dal saltare addosso a Merlin nel vero senso della parola (capiamoci, quello sarebbe abuso, eh). Ciò che per Arthur è difficile è non stringere Merlin tra le braccia, non tenerlo accanto a sé pur avendolo a un passo. Arthur è una persona civile, non gli verrebbe mai in mente di approfittarsi di Merluzzo quando non è pienamente in sé, e temo invece che dalle mie parole possa venir fuori altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Extra: Arthur e i suoi “due o tre” messaggi

 

 

 

 

Da: Altezza Reale Testa di Fagiolo

Immagino che tu stia ancora dormendo. Mentre perdi tempo tra le braccia di Morfeo io qui ho avuto un incidente e ora sono in ospedale. Non posso chiamare o ricevere telefonate ma ti farò sapere perché tu possa tranquillizzare Gaius.

 

 

So che Gaius saprà mantenere la calma. Ma dato che so anche come ragiona il tuo cervello, immagino che tu ti sia spaventato comunque. Se riesco a scrivere dei messaggi significa che sto piuttosto bene, no?

 

 

Di' a Gaius che non c'è da preoccuparsi. Digli che devo passare qualche altra ora in ospedale per dei controlli, ma presto mi faranno uscire.

 

 

Digli che quando torno mi aspetto di trovare pronta una tazza fumante di quella sua tisana al finocchio e a dio solo sa che cos'altro ci mette dentro. E digli che non serve agitarsi, non è successo nulla.

 

 

Mio padre è insopportabile con tutto questo suo panico. La tua presenza qui è richiesta. Vieni a distrarlo. Scaricare la tensione su un subordinato funziona sempre.

 

 

Per una volta che ho bisogno di te qui, tu te ne strafreghi. Se stai giocando a Dungeons & Dragons sei licenziato all'istante.

 

 

Mi hanno messo su una sedia a rotelle. Di' a Gaius che non si preoccupi, se mi vede così su qualche ultim'ora. Mio padre ha insistito solo per fare un po' di scena quando uscirò dall'ospedale.

 

 

In realtà potrei abituarmici. Non a farmi vedere in giro sulla sedia a rotelle per raccogliere commiserazione, ovviamente. Ma ad usarla per spostarmi a palazzo e far impazzire papà e Morgana. Ce l'hai abbastanza forza per spingere una sedia a rotelle, poi? Problema tuo.

 

 

In effetti credo di stare ancora leggermente meglio da seduto, piuttosto che in piedi. Comunque è solo un piccolo indolenzimento della caviglia. Anche i migliori ci mettono un po' a riprendersi.

 

 

Sul serio, non c'è da preoccuparsi. Capito?

 

 

Sto venendo lì, zoppicando. Visto che sto facendo questo sforzo, farai meglio a fare almeno un po' finta di essere felice di vedermi anche tu.

 

 

Non che lo stesso valga per me, o nient'altro del genere, ovviamente.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Di padre in figlio (prima parte) ***


Note iniziali:

Salve! Finalmente, tra un maledetto esame e l'altro, sono riuscita a dare alla luce questo capitolo. Dopo la scorsa iniezione di Merthur, stavolta si va avanti con la storia. Vi sarete chiesti cos'era successo in quel lasso di tempo in cui il nostro principe ha atteso come una damigella nella torre il ritorno del suo campione (e spero che le ve lo siate chiesto, altrimenti vuol dire che ho sbagliato qualcosa). Bene, lo scoprirete qui.

Dato che ultimamente non ho seguito uno schema lineare nel raccontarvi questa storia, ho pensato di proporvi una piccola linea del tempo per rimettere insieme i pezzi degli ultimi avvenimenti (anche per rinfrescarvi la memoria, dato che è passato un po' dallo scorso aggiornamento).

 

 

26 Dicembre: incidente a teatro (cap 11, 13)

27 Dicembre: Arthur torna a palazzo e va da Merlin per guardare cartoni animati (cap 13)

poi Merlin e Morgana si scontrano nella serra delle rose (cap 12)

28, 29, 30, 31 Dicembre: Merlin e Gaius in viaggio (cap 14)

31 Dicembre: Merlin, ubriaco, torna da Arthur (cap 13)

 

Questo capitolo riprende il punto di vista di Merlin da dopo il confronto nella serra con Morgana.

Ho deciso di dividerlo in due per aggiornare prima.

Ci leggiamo nelle note finali <3





 






L'intera dependance era avvolta nell'abbraccio della luce grigia. Il lavandino gocciolava, accompagnando ogni quattro scatti la lancetta dei secondi dell'orologio a muro. Si sentiva ancora l'odore caldo del brodo – una ciotola di minestra era stata abbandonata sul tavolo. Gaius ci si era appisolato vicino, una guancia schiacciata sopra una pagina di un grosso libro. Ogni cosa era addormentata in un momento come tanti, così prezioso, e Merlin guardava attentamente, registrando i contorni di ciò che gli era caro.

Come staccò la schiena dalla porta, Gaius inspirò mollemente, rimettendosi seduto. “Merlin?” lo chiamò, una domanda che era a metà un'ammonizione. “Dove sei stato fino ad ora? Ti ho aspettato.”

Lo stregone lo raggiunse, oscillando. “Mi dispiace...”

Qualcosa nella sua voce parve risvegliare completamente il mentore. “Che è successo, come mai...oh, ragazzo mio. Cosa ti sei fatto al polso?”

Anche nella semi oscurità della sera era ben visibile una bruciatura rossa che chiudeva il polso dello stregone, opera del contatto con la frusta di Morgana. Merlin fissò il danno provocato dalla sua stupidità; faceva tanto male quanto sembrava.

“Vieni a sederti,” fece Gaius, andando a rovistare nella cassapanca accanto alla libreria. “Non so che diavoleria mi fosse saltata in testa quando decisi di portarmi dietro tante cose dal Regno, ma devo ammetterlo, ora mi stanno tornando utili.” Srotolò tra le dita una fasciatura dall'aspetto piuttosto tradizionale, ma quando la avvolse intorno alla sua pelle lesa, Merlin sentì un sollievo fresco e immediato che sapeva molto di magia. “Non pensavo che mi sarebbe capitato di dover usare questi rimedi per aiutare un mio protetto particolarmente pasticcione.”

Merlin sospirò. “Mi dispiace. Avevo bisogno di sapere come stavano le cose con Morgana, dovevo provarci ancora. Ho solo peggiorato la situazione, non è così?”

“Ti avevo detto che dovevate evitarvi, e tu come al solito hai voluto fare di testa tua.”

“Sì, l'hai fatto, però-” si scaldò, iniziando ad alzarsi. Ma subito dopo ricadde seduto con afflizione. “Già. Hai ragione, non avrei dovuto, e mi dispiace.” Di averlo fatto preoccupare, di aver visto davvero la situazione per quella che era. Di tutto.

“Credevo che avresti detto qualcosa tipo 'agire d'impulso fa parte del mio fascino',” tentò di alleggerire la tensione Gaius, fissando stretta la fasciatura.

Tuttavia desso non c'era molto da scherzare; lo scontro nella serra era stato più che sufficiente come ultimatum. Si trattava di Arthur, Merlin non poteva permettersi di rischiare oltre.

Leggendo nel suo silenzio, o forse convinto dalla sua espressione scura, il mentore mise da parte il tatto dettato dal suo affetto paterno per tornare ai toni pratici. Prese tra le mani il librone che aveva usato come cuscino e fece segno a Merlin di avvicinarsi. “Dunque, aspettarti alzato non si è rivelato infruttuoso, sai? Credo di aver finalmente trovato un modo per scoprire il tuo vero nome che fa al caso nostro.”

Merlin si fece tutt'occhi, trascinando senza finezza lo sgabello il più vicino possibile al libro. Mentre lui aveva avuto la mente annebbiata dall'idea di aver perduto Arthur, Gaius aveva continuato il suo lavoro di ricerca affinché Merlin potesse superare la prova del drago per ricevere in cambio dalla creatura un'importante informazione.

“Oh, Gaius, io non so come...” e arrossì. “Ti prometto che firmerò un contratto in cui mi dichiaro tuo schiavo delle pulizie per dieci anni,” disse in fretta, ritrovando nell'euforia del momento un po' del suo solito spirito.

L'uomo gli arruffò i capelli (“Non fare promesse che non puoi mantenere”), riuscendo perfino a strappargli una risata. Sì, le cose stavano andando per il verso giusto, finalmente.

Merlin, nelle ore offuscate post-incidente, si era vagamente reso conto di Gaius che gli diceva che ci sarebbero stati altri guai in vista, perché risalire al vero nome di una creatura magica era un'operazione veramente ostica. Il modo più conosciuto, pareva, era invocare con un rituale la Dea Triplice, signora della vita e custode di ogni anima. Un tale incantesimo, però, richiedeva una preparazione da druido o da sacerdotessa. Tentare di portare a termine il rituale senza un'esperienza del genere avrebbe portato a conseguenze quantomeno...spiacevoli (“Potrebbe staccartisi la testa dal collo,” lo aveva informato Gaius in tono neutro).

“E questo modo che hai trovato non ha come possibile conseguenza la caduta di qualche arto, vero?” chiese Merlin.

“Pare di no”, disse Gaius, sistemandosi sul naso gli occhialini storti. Poi indicò un punto sulla pagina, prendendo a far scorrere l'indice tra le righe. “Vedi, qui dice che quando una creatura magica vagisce per la prima volta, la Dea Triplice sussurra all'orecchio dei genitori il vero nome del neonato, siglando un patto con la natura. Lo fa con voce così discreta e sottile che i genitori lo dimenticano subito dopo, poiché una tale parola è talmente potente e sfuggente che non è possibile conservarla nella memoria. Si conserva nel cuore, però. E può essere rievocata dal cuore, letta come un ricordo, tramite una magia del sangue.”

Oh, be', se era così si trovavano ancora al punto di partenza.

“Io però non ho modo di incontrare mia madre,” disse Merlin, appoggiando la faccia sui palmi delle mani, “non finché i passaggi per il Regno non verranno riaperti di nuovo.”

Gaius si tolse gli occhiali, iniziando a pulirli con una pezzolina verde che estrasse dalla tasca. “E' esattamente per questo che stavo pensando a tuo padre.”

“Mio...?”

Suo padre Balinor aveva occupato un posto talmente piccino nella sua vita che a Merlin quell'opzione non era neanche venuta in mente subito. In ogni caso sapeva che sarebbe stato poco utile. “Non so nemmeno se sia vivo, o in che parte del mondo sia,” disse debolmente.

“Però sai almeno che, se è vivo, è da qualche parte in questo mondo.”

Era vero, ma in qualche modo Merlin aveva sempre considerato quella verità come poco più che una fiaba dell'infanzia. Non aveva mai contato veramente di riuscire a incontrare Balinor, e non aveva mai sentito il bisogno pressante di farlo. Probabilmente, si rendeva conto ora, perché non era stato in grado di provare una tristezza e un desiderio tanto autentici.

Eppure, a mano a mano che aveva visto dipanarsi davanti a sé la strana relazione tra Arthur e Uther, Merlin aveva iniziato a maturare la curiosità di sapere come sarebbero potute essere le cose, se anche lui fosse stato nella stessa condizione. Se avesse avuto accanto un padre.

Ed ecco che per caso, tra una chiacchiera e l'altra, una volta si era ritrovato a raccontare a Gaius di Balinor. Gli aveva detto che, vent'anni fa, il suo papà era andato nel Mondo Riflesso poco prima della chiusura dei portali. Hunith portava Merlin nel suo grembo, ma per uno strano scherzo del destino non l'aveva scoperto che qualche tempo dopo la partenza di Balinor, quando ormai i portali erano chiusi. Merlin era cresciuto conoscendo solo queste poche cose su suo padre. Ben presto si era reso conto che Hunith non ne parlava volentieri, e così aveva smesso di chiedere.

A poco a poco aveva anche smesso di attendere il ritorno di Balinor sull'uscio di casa, aperto ad illuminare la via nelle notti senza luna, affinché chi era stato lontano per tanto tempo non si fosse perduto sulla strada del ritorno.

Quella era stata un'epoca in cui Merlin non sarebbe potuto riuscire a percepire a pieno il peso di una mancanza, Figlio dell'amore o no. Eppure, ora iniziava a domandarsi se la sua curiosità nei confronti della terra delle Creature Opposte non derivasse, infondo, dal fatto che suo padre si fosse trovato in un qualche luogo in mezzo a loro.

“Suppongo...che valga la pena fare un tentativo,” ragionò, mordendosi l'unghia del pollice. Era così strano prendere davvero in considerazione quell'eventualità. Stava davvero per mettersi alla ricerca di suo padre? “Come dovremmo procedere? Non abbiamo niente da cui poter partire.”

Gaius inspirò, toccandosi il ponte del naso. “Purtroppo devo chiederti un ulteriore sforzo, Merlin. Solo tu puoi darci un indizio.”

“E come? La mia magia...”

“Sangue chiama sangue, figliolo. E' un legame che non si spezza. Inoltre, la tua magia non è ancora perduta, lo sai. Il processo di umanizzazione è lento. Certo, avremo bisogno di fortuna e determinazione.”

“Oh, la determinazione non mi manca,” disse sorridendo. “Quindi suppongo che l'unica cosa da fare sia provare e provare.”

“E provare ancora e riprovare, sì.”

Merlin grugnì, appoggiando la testa sul tavolo. Avrebbero dovuto nominarlo cavaliere reale o qualcosa del genere, per tutto quello che stava facendo per Arthur. Oh...Arthur! Lo stregone scattò in piedi, tirando fuori dalla tasca il Diamante del Giorno.

“Vuoi riprovarci con quello?” disse Gaius.

“Sì. Grazie al diamante in passato ho trovato la strada per la casa di Elena, perché, penso, si trattava comunque di un'informazione di cui avevo bisogno per Arthur. La strada per trovare quelli che hanno a che fare con Arthur,” recitò, ricordando il proprio ragionamento di qualche mese prima. Era un azzardo, ma che aveva da perdere?

Niente, si disse, e fidandosi del suo istinto, strofinò meccanicamente la pietra, mormorando un fiume di tipregotipregotiprego.

Fu un buco nell'acqua.

Lo stregone serrò i denti, riprendendo a parlare quasi con ferocia. “Ti prego, mostrami dove posso trovare mio padre, se puoi. Mi serve per sapere il mio vero nome che mi serve per fare una domanda a Kilgharrah che mi serve per salvare Arthur. Lo so, è complicato. Ma è per Arthur!”

Il mentore sbadigliò, dicendo qualcosa sul beneficio che si poteva trarre in situazioni del genere da una bella tazza di tè fumante.

Quella notte mise il bollitore sul gas per tre volte. O meglio, quel mattino.

Si erano ormai fatte le quattro, e Merlin aveva optato per proseguire i suoi tentativi con la faccia schiacciata sul cuscino del suo letto. Aveva anche tirato fuori dal cassetto Mini-Kilgharrah e se l'era piazzato accanto. Il suo sguardo ferino non falliva mai nel far sentire Merlin osservato e giudicato, e almeno per una volta questo poteva tornargli utile, se gli impediva di farsi prendere dal sonno.

Premendo l'indice sopra la testolina quadrata del drago, si chiese se Kilgharrah non lo stesse spiando proprio in quel momento attraverso il suo alter ego di plastica.

“Non hai niente di meglio da fare?” mormorò, giusto nel caso che lo stesse tenendo sott'occhio sul serio. “Come vedi siamo impegnati, qui. Ce la sto mettendo proprio tutta per...”

Che cos'era che stava facendo, esattamente? Merlin pensava a tante cose, troppe. Tanti destini si erano intrecciati in una stessa storia, e mentre si accavallavano e lui desiderava soltanto trovare un lieto fine per tutti, non poteva ignorare la preferenza egoista dettatagli dal suo cuore.

“Quello che è successo a te e alla tua razza è davvero orribile,” disse piano, accarezzando le squamette sul dorso del drago. “Credimi se ti dico che il solo pensarci mi fa soffrire, perché adesso so cosa significa soffrire. Ma anche quello che dovrebbe succedere ad Arthur se non faccio qualcosa è orribile.” A quella sola idea lo stomaco di Merlin si contrasse con forza, e la vista si appannò per il senso di ingiustizia. “Vorrei così tanto che si aggiustasse tutto, vorrei trovare un modo perché tutti quanti si salvino – Arthur, Morgana, tu...però, se non sarà possibile,” e allora il suo tono si fece teso e fermo, “se alla fine dovrò scegliere, non ci sarà storia. Io scelgo Arthur, mille volte.”

Mini-Kilgharrah oscillò impercettibilmente, spostandosi di un'unghia nella sua posizione sul cuscino. Merlin fece un sorrisetto.

“Sì, scelgo Arthur anche sulla magia. E tu lo sai. Ma dammi fiducia – fa' che il mondo mi dia una possibilità, e io farò qualunque cosa per aiutare tutti a uscirne bene.”

Fu proprio a quel punto che il Diamante del Giorno scottò sulle sue dita.

 

 

*

 

 

Aiuto...aiutatemi...

Morgana sprofondò con un tonfo muto; i capelli vorticavano in flutti scuri, attorcigliandosi davanti ai suoi occhi, soffocandole lo sguardo.

Fatemi uscire...è da così tanto tempo che sono sola...

La strega si affannò in movimenti inutili nel vuoto. Non riusciva a vedere nulla, davanti, sopra, a destra – niente. C'era solo quella sensazione di gelo desolante che le risucchiava il respiro.

“Dove sei?” chiese, agitandosi.

Sono proprio qui. Proprio qui dove sei tu. Aiutami...

“Dove? Qui dove?”

Dove sei tu. Perché sono come te: sola.

Una fitta disperata di esasperazione la fece gridare, “Io non sono sola!”

Sola e imprigionata...liberami, ti prego...

“Ma come posso fare?” disse Morgana, rannicchiandosi su se stessa.

Va pronunciato il mio nome...il mio vero nome. E tu lo conosci...lo conoscete entrambi.

“Aithusa,” singhiozzò la strega, ritrovandosi tra le coperte stropicciate del suo letto. Aveva il fiato corto come se avesse corso.

Si mise a sedere, il cuore che si agitava nel suo petto con la forza di un uragano, e – oh. Non doveva fare così. Non andava bene che succedesse questo. Ma quel sogno, ancora quel sogno...

Morgana abbandonò stancamente la fronte sulle ginocchia. C'era un nome, sulla punta della sua lingua, ne era sicura; ma già era andato dimenticato, svanito non appena aveva riaperto gli occhi. Com'era diventata, ormai, consuetudine.

Qualche giorno prima, Morgause aveva suggerito che quelli potessero essere i risultati dell'incantesimo di evocazione che stavano portando avanti. Ma Morgana non credeva affatto che fossero segni d'auspicio per una prossima apparizione della Dea. Perché mai le avrebbero marchiato sulla pelle certe sensazioni, altrimenti, lasciandola al risveglio quasi devastata? No, non era suo il nome che le veniva ripetuto ogni notte.

Non era della strega il nome che ribolliva, che le scatenava dentro una manciata di sensazioni spiacevoli. E quelle non l'aiutavano affatto con le sue crisi quotidiane da allergia all'umanità.

Forse era colpa di Merlin. Doveva essere colpa di Merlin, già, poiché era sempre colpa di Merlin. Anche se le nausee di Morgana non accennavano a diminuire, la responsabilità era sua. Tutto quell'amore spassionato nell'aria, tutta quella lealtà incondizionata e...spaventosa. Quasi sembrava di poterla vedere aleggiare intorno a quei due, quando Merlin scodinzolava dietro al suo protetto. Quindi sempre. Puha.

Quella faccenda si era protratta per più tempo del previsto. Era proprio il caso di sbrigarsi e concludere tutto il più velocemente possibile, se Morgana non voleva correre il rischio di uscirne con la magia danneggiata. Perché era orgogliosa, ma sapeva riconoscere quando si trovava impantanata in una situazione pericolosa. E quei sogni la stavano spossando. Tormentavano le sue notti impedendole il riposo, e le riempivano i polmoni di qualcosa di spiacevole. Qualcosa che avrebbe perfino potuto definire ansia – se lei fosse stata proprietaria di un cuore in grado di lasciarsi sconvolgere dall'ansia.

Persino Morgause l'aveva messa in guardia, spronandola a rimanere concentrata sui suoi obiettivi, quindi il rischio era serio.

“Anche il desiderio di vendetta è un sentimento molto umano,” l'aveva ammonita il suo mentore. “Non lasciarti prendere la mano, o sarà difficile tornare indietro.”

Morgana sospirò, strofinandosi le mani sugli occhi. Scese dal letto con una mossa aggraziata e si diresse, come ogni mattina, al mobiletto da toilette che stava nell'angolo della stanza da letto. Si accomodò sulla bella sedia color avorio, fissando il suo riflesso nella specchiera rotonda.

Colorito spento e occhiaie in bella mostra.

La sua pelle era sempre stata impeccabile prima d'allora. La permanenza in quella sottospecie di calvario faceva davvero sentire le sue ripercussioni in ogni modo.

La strega sospirò, rinunciando perfino al trucco. Non aveva voglia di agghindarsi, al solo pensiero le si torceva lo stomaco. A breve, comunque, una Morgause camuffatasi da cameriera avrebbe bussato alla sua porta. Insieme avrebbero tracciato col gesso un cerchio magico proprio là, sul pavimento, e dopo ci si sarebbero inginocchiate all'interno, prendendosi per mano.

Da lì in avanti, ore e ore di preghiere sussurrate alla Dea, umili invocazioni e promesse di venerazione eterna per farla apparire dinanzi a loro almeno per qualche attimo.

Già le facevano male le ginocchia al pensiero. Si chiese se l'incantesimo avrebbe fatto fiasco se si fosse appoggiata, solo per un po', su un regale cuscino marchiato Pendragon.

Il pensiero le volò, chissà per quale assurdo motivo, al colpo di frusta magica che aveva inferto al suo rivale. Se lui era riuscito a sopportare il dolore in silenzio, Morgana non sarebbe stata da meno.

Al diavolo il cuscino.

 

 

*

 

 

Gwen se ne stava china sul lavello a insaponare piatti con la luce spenta. L'illuminazione dei giardini della residenza filtrava nella stanza, creando chiaroscuri artificiali. Gwen aveva le maniche della camicetta rosa pallido arrotolate fino ai gomiti. I riccioli neri le incorniciavano morbidamente il viso.

“Sei molto carina,” esordì Merlin, andando verso di lei.

La ragazza si voltò, sorridendogli. Nel buio spiccavano i suoi occhi acquosi e le guance già arrossare. “Che darei per essere salutata sempre così.”

“Non dovrebbe stupirti che ti si dica una cosa del genere,” disse Merlin, afferrando uno dei grembiuli appesi al gancio lì vicino per annodarselo dietro la schiena. “Tu sei molto carina.”

“Oh, Merlin...be', grazie.”

Lo stregone le si sistemò accanto ispezionando i piatti che emergevano dal lavello. Quando Gwen gliene passò uno, lui afferrò uno straccio e prese ad asciugarlo.

“Fa piacere sentirsi rivolgere dei complimenti,” disse Gwen, “soprattutto se si è un po' insicuri come me.”

“Suppongo che sia vero, anche se non so cos'hai tu da essere insicura; sei appena tornata dalle tue vacanze, uno ti manda un messaggio all'alba dicendoti che ha bisogno di parlarti, e invece che mandarlo a quel paese tu gli rispondi 'ok, visto che siamo svegli entrambi vediamoci subito', e lo metti a lavare piatti. Con queste capacità potresti conquistare il mondo, sai.”

Gwen ridacchiò, immergendo le mani nel sapone con un piccolo splash. “Ho i miei pregi, già.”

Per un po' continuarono a lavorare, lei che risciacquava e Merlin che prendeva le stoviglie asciugandole senza dire una parola. Ma a un certo punto lo stregone non ce la fece più, si voltò a mezzo busto verso l'altra e ruppe il silenzio.

“Gwen – sei arrabbiata con me?” disse in fretta. Tra le mani teneva un bicchiere gocciolante, e il vetro gli trasmetteva una strana sensazione di freddo sotto alle unghie. “Farmi fare lo sguattero è il tuo modo passivo-aggressivo di affrontare il risentimento? Perché mi farebbe piacere saperlo, nel caso in cui io debba lavorare ancora per molto. Dovrei organizzarmi coi tempi, sai, sono in partenza...”

Lo disse scherzando, ma con una mezza paura che l'altra l'avrebbe costretto alle faccende domestiche punitive per l'eternità.

Gwen però scoppiò a ridere tenendosi un fianco, e allora anche lui non poté fare a meno di accompagnarla, anche se con il cuore un po' appesantito.

“No, Merlin, no,” boccheggiò, la voce piegata in una nota indulgente. Poi prese a sventolargli un cucchiaino sotto al naso. “Non c'è niente da essere arrabbiati, capito? E se è davvero questo che pensavi, allora sei proprio uno sciocchino.”

“Sarò uno sciocchino,” farfugliò lui.

Ma tirò un pesante sospiro di sollievo; Gwen era stata una delle prime persone che l'avevano fatto sentire a casa, e non avrebbe sopportato l'idea che rimanesse ferita per colpa del gioco di un drago e di due stregoni. Uno stregone e mezzo, cioè. Anzi, uno stregone e basta, poiché per Merlin non si trattava affatto di un gioco.

“Io...so che tu pensi ancora ad Arthur, un po',” le disse. Quando Gwen assottigliò lo sguardo lui si corresse al volo con un “so che ci pensi un...pochino?”.

“Ammetto – ammetto che non mi aspettavo di assistere a quelle effusioni natalizie sotto il vischio,” tentennò Gwen, e Merlin fu colto da un'impellente voglia di scavarsi una buca sotto terra. “Ma solo perché ho sempre considerato il Principe un tipo al quale non piacessero, quel genere di cose. Sai, effusioni in pubblico. E – e vischio.”

Merlin si pulì il naso col dorso della mano, le bollicine del sapone dei piatti che sfrigolavano sulla sua pelle. “E' stato improvviso.”

Lanciò uno sguardo di sottecchi a Gwen, che stava scuotendo la testa bonariamente, mordendosi il labbro. “Non è stato affatto improvviso, Merlin.”

Lui fece un verso che sapeva di “certo, come no”, guadagnandosi una gomitata dritta nelle costole.

“Ma dai! Starai scherzando, spero. Lo pensavano tutti e lo sospettavo da un po', a dire il vero, e mi dispiace, sono io quella che dovrebbe scusarsi, perché non ho fatto altro che parlarti di Arthur senza considerare i tuoi sentiment-”

Merlin la bloccò perdendola per le spalle, girandola con un movimento fluido dalla sua parte. “Si può sapere di che accidenti stai parlando?”.

“Oh, avanti,” disse lei, con quel suo tono patentato da mamma che ne ha viste troppe. Gli pizzicò il dorso della mano per fare in modo che smettesse di inzuppare di sapone la sua camicetta; poi disse: “Tu gli piaci per davvero.”

D'improvviso Merlin fu preso dalla consapevolezza di avere due mani e di non sapere cosa farsene; si risolvette a rigirarsi i pollici più discretamente possibile fissando Gwen, mentre si chiedeva se una persona potesse dedurre quanto un'altra si sentisse la bocca asciutta solo a giudicare dalla faccia che faceva.

La ragazza gli sorrise piegando la testa di lato. “Non te ne rendi conto? Tu sei un po' come me, vero?” Dovette dedurre che non sarebbe mai arrivata una risposta, poiché decise, saggiamente, di abbandonare il lavello per accomodarsi a sedere sul bancone. Incrociò le gambe, intrecciò le dita affusolate sul grembo e così, in quella posa graziosa, iniziò la sua arringa. “Arthur ti vuole bene, Merlin! Con te si comporta come con nessun altro. Ti lascia fare certe cose...credi che permetterebbe a chiunque di rispondergli sempre come fai tu?”

“Non è che proprio me lo permette,” protestò debolmente, i nervi che iniziavano a ballare il valzer per ciò che l'amica stava implicando.

“Chiunque altro al posto tuo sarebbe stato licenziato il primo giorno. Sappiamo tutti quanto possa essere permaloso il nostro principe,” disse Gwen, stoppando con la mano destra il nuovo tentativo di opposizione di Merlin. “Non ti ha mai detto niente anche se non hai indossato la divisa durante l'orario di lavoro nemmeno una volta, ma secondo me è perché non ti ha mai voluto intorno a lui per lavoro. Ti vuole intorno e basta,” disse arrossendo, e continuò tutto d'un fiato per impedire nuove intromissioni dello stregone – o forse perché in quel modo era più facile anche per lei. “Penso che tutta la storia dell'armadio che i primi tempi ti faceva rimettere in ordine senza fine sia stata una scusa per averti sempre al suo fianco, già da allora.”

Merlin ripensò alle molte ore trascorse nelle stanze del Principe, in quel primo periodo. Quando rimaneva lì così a lungo che Arthur andava e tornava dalla cena o, spesso, trovava tutto il tempo di addormentarsi placidamente alla scrivania, mentre Merlin ancora lavorava. Lo stregone si morse il labbro con un po' troppa forza.

“Uh. E' quello che pensi? Gwen...mi sembra una follia.” A questo punto non sapeva nemmeno più lui che cosa stesse dicendo.

“Be', ti informo che sei rimasto l'unico a credere che sia una follia,” disse la ragazza, pratica. “Non arrabbiarti, non avrei dovuto rivelartelo, però-” e qui si torse le mani nervosamente, “I ragazzi hanno pure scommesso. Su di voi. Su quando, ecco, insomma,” e fece ampi gesti con le braccia.

Merlin seguì i suoi movimenti con aria confusa, roteando la testa.

“Oh, per l'amor del...su quando concluderete!” sparò Gwen, diventando scarlatta.

Merlin raggiunse la stessa tonalità in zero virgola due secondi, il che avrebbe potuto essere preoccupante, considerando il diverso colore di pelle dei due.

“Concl- No, aspetta un attimo. Non è possibile,” farfugliò.

Gwen stava dicendo che tutti non avevano fatto che speculare su lui e Arthur, e che, a quanto pareva, fossero giunti unanimemente alla stessa conclusione: che tra principe e valletto ci fosse qualcosa in ballo. Per l'intera compagnia si trattava solo di una questione di tempo.

Dèi. Conoscendo Gwaine, di certo doveva essere andato a spifferare per ogni dove le sue convinzioni, mettendo su, nel frattempo, una specie di bisca clandestina di scommesse (ed essendo lui quello che teneva il banco, ovviamente). Come minimo Elena era una di quelli che avevano puntato di più.

E ancora, la vecchia Willie la baciatrice doveva essere venuta a saperlo, perché lei sapeva sempre tutto (da qui certi sguardi indulgenti che scoccava a Merlin ogni qual volta lo vedeva a spasso per i corridoi con Arthur); e se lo sapeva lei lo sapeva pure George lo zelante, e se lo sapeva lui lo sapeva pure...oh, dèi, di nuovo. Re Uther Pendragon. Ecco spiegati quei discorsini sfuggenti sul “perché stai sempre insieme a mio figlio Mervin.”

“Merlin – Merlin, calmati,” disse in fretta Gwen, notando probabilmente come lo stregone fosse andato per qualche momento fuori di testa. Lo prese per le spalle e lo scosse forte, direzionando la sua attenzione su di lei. “Senti, io lo so che qualche volta sembra davvero impossibile che possa succedere qualcosa di bello, specie se non ci si è abituati. Specie se tutto ciò a cui si è abituati sono le delusioni, o le insoddisfazioni.”

Impossibile? No, non si trattava di qualcosa di impossibile. Gwen gli stava dicendo che tutti consideravano ormai come cosa fatta il...qualunque cosa fossero lui e Arthur. Gwen gli stava dicendo che, se Merlin avesse voluto, avrebbe potuto davvero avere il cuore di Arthur. Che forse ce l'aveva già in mano.

Ma non era impossibile.

Era terrificante.

Perché adesso, per la prima volta, Merlin si torceva l'anima nell'idea che ciò equivalesse ancora alla morte del Principe dei Draghi, nella remota possibilità in cui davvero Arthur l'avesse amato (diamine, se l'avesse amato, era questo che si stava sul serio chiedendo).

Avere l'amore di Arthur, e quindi il suo cuore, era davvero lo scopo del duello? Era questo che avrebbe segnato la fine di Arthur, a meno che Merlin non fosse riuscito a trovare una scappatoia? Amare Merlin sarebbe stata la condanna del Principe?

Oh, no. No, no no no no.

“Non è facile fidarsi, men che meno di se stessi,” stava continuando Gwen, ignara della catastrofe interiore che le sue parole avevano aiutato a sollevare. “Non è facile mettersi in ballo – più che altro, non è proprio facile crederci. E per questo io ho già sbagliato tanto. Non c'è motivo per cui debba sbagliare anche tu. Te l'assicuro.”

Oh, sì che c'era. Oh, sì che il motivo c'era.

Merlin guardò Gwen, aprì la bocca, ma non ne uscì nulla. Non aveva più le parole. Aveva così paura e, allo stesso tempo, sentiva di amare Arthur così tanto. Aveva così paura, ma il suo cuore, l'avido, batteva forteforteforte, e pateticamente, all'idea che anche Arthur...

 

Se solo avesse potuto tornare indietro...

Se solo avesse potuto sparire dalla vita del suo Principe, portando via con lui tutti i pericoli che lo minacciavano...

L'avrebbe fatto, e senza alcun dubbio. L'avrebbe fatto subito, subito.

 

 

*

 

 

Il paesaggio correva via oltre il finestrino del treno. Gli alberi si susseguivano con un certo ritmo, intervallati da cadenze precise. Ogni tanto appariva dietro di loro qualche spiazzo d'acqua limpida sulla quale brillavano i raggi del sole; ogni cosa era fugace – restava come un impressione bruciante negli occhi di Merlin, lo accompagnava per qualche secondo, anche dopo che era svanita. Così lo stregone guardava ancora ciò che era ormai perduto, o forse lo ricordava e basta. E questo non faceva proprio nulla per aiutarlo ad essere un po' meno malinconico.

Quando un paesaggio verdeggiante era apparso sulla superficie del diamante, seppure frammentato e appena riconoscibile sotto una patina eterea, simile a una nebbiolina, Merlin e Gaius erano andati di corsa a fare le valige.

Le informazioni offerte dall'oggetto magico erano più che mai confuse, ma era meglio che avere niente. Basarsi solo su qualche sprazzo di vegetazione, simile al fondo di un bosco, era rischioso. Tuttavia non si trattava proprio di andarsene in giro a cercare alla cieca per tutta l'Inghilterra un posto che somigliasse a quello. Merlin l'avrebbe pure fatto, accidenti, ma non avevano tutto questo tempo a disposizione. Il drago aveva fissato dei paletti.

A quanto pareva, però, evitare per un po' di stare accanto ad Arthur avrebbe fatto bene alla sua magia, dunque mettersi subito in viaggio non era stata una mossa poi tanto stupida. Gaius, infatti, aveva detto che le emozioni forti erano quelle che bruciavano più velocemente la magia, e che quindi, più si sarebbe allontanato da Arthur, più chiara sarebbe stata l'immagine offerta dal diamante.

Merlin ancora si sentiva arrossire pensando che Gaius associasse le emozioni forti al suo stare o meno insieme ad Arthur. Tuttavia era proprio vero che un po' di lontananza stava aiutando la sua malia a riprendersi. In realtà non era che una guarigione apparente perché, una volta iniziato, il processo di umanizzazione era irreversibile se uno stregone s'innamorava di un essere umano. E ovviamente Merlin non avrebbe smesso di amare Arthur solo non vedendolo per un po' – ah, bella battuta.

In realtà, non c'era un minuto in cui non pensasse a lui. Gli mancava il suo sorriso storto e smagliante; al solo pensiero sentiva restringersi lo spazio nella cassa toracica, ed era come fare un piccolo salto nel vuoto. Merlin aveva voglia del profumo della pelle di Arthur, e aveva voglia di toccare i capelli ispidi sul suo collo con la scusa di sistemargli il colletto della camicia. Sentiva la mancanza perfino dei suoi modi da maleducato presuntuoso. Questo era grave.

E continuava ad avere paura – di star sbagliando tutto, di non star facendo il possibile per salvarlo. Di essere lui quello che l'avrebbe portato alla rovina.

No.

Merlin sapeva che ciò che stava facendo lo faceva per il Principe: ogni decisione presa, ogni respiro, ogni briciolo di magia in meno – per Arthur, solo per lui. Era questo che lo spingeva oltre i timori a vele spiegate, perché sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato, se avesse lasciato perire Arthur. Inconcepibile, ecco cos'era l'idea che avrebbe permesso ad Arthur di morire senza fare niente.

E avere sempre il Principe al centro dei suoi pensieri era stargli vicino in modo totale, anche se adesso non erano vicini affatto. Lo stregone sentiva una languidezza, dentro, costante e ferma, sicura e incrollabile; forse era questo che si provava quando ci si rendeva conto di poter amare qualcuno per sempre. Di poter fare di tutto per quel qualcuno.

Merlin, che aveva iniziato inconsciamente a seguire con gli occhi il paesaggio fin dove poteva prima che scomparisse, si chiese se era questo ciò che anche sua madre aveva provato.

Hunith non gli aveva mai fatto pesare il crescere senza un papà. Non l'aveva mai fatto sentire a disagio, o mutilato di una qualche presenza fondamentale per la sua vita. Quindi per Merlin era stato naturale convincersi che anche per lei quella mancanza non fosse stata vitale. Sicuramente doveva essere che alla sua mamma fosse basto avere solo Merlin.

Dèi, era stato stupido.

Chissà quante volte Hunith si era morsa forte la lingua, trattenendosi dal dire qualcosa che avrebbe potuto far sentire suo figlio ancora più inadeguato. Ancora più strano in quella massa di stregoni dalla magia perfettamente equilibrata. E chissà che cosa avrebbe detto Hunith adesso che la sua magia eccessiva si stava lentamente spegnendo. Pensare che aveva pregato affinché Merlin, una volta giunto sulla Terra, non si fosse innamorato...

Lei, quasi ferocemente protettiva nei confronti di suo figlio, lei che aveva perduto l'uomo della sua vita, lei doveva aver creduto che Merlin si sarebbe sentito felice solo trovando la sua strada nel far fiorire la magia. Doveva aver pensato che solo in quel modo Merlin sarebbe stato al sicuro.

Eppure, lo stregone sapeva che proprio Hunith l'avrebbe potuto capire alla perfezione, ora. Perché era una donna che amava testardamente, rischiando tutto, rinnegando tutto per il bene dei suoi protetti; e come lei faceva anche suo figlio.

Mentre accarezzava con lo sguardo un prato luminoso di brina che si diramava lontano, lo stregone pensò che forse, ciò che rendeva umani gli esseri umani era proprio la caparbietà di seguire qualcosa fino ai confini estremi – fino a che non svaniva. E di continuare a seguirla anche dopo che era svanita, consapevoli di allungarsi verso un ricordo, o convinti di stare ancora correndo insieme ad essa.

 

 

 

*

 

 

 

“E adesso devi raccontarmi proprio tutti i dettagli di questa tua vacanza fuori dal palazzo, Gwennuccia. Non hai scampo,” disse Morgana, quasi piattamente.

Gwen alzò la testa, il pennellino dello smalto a mezz'aria. Un suo sopracciglio era volato molto più in alto dell'altro.

Sì, e va bene; la strega era cosciente del fatto che le mancasse la solita verve, ma non poteva farci niente. L'ultima sessione rituale con Morgause era stata pesantissima, le sue ginocchia ne erano uscite piuttosto male. Per quanto il mentore dicesse di aver eliminato tutti i danni con la magia curativa, Morgana poteva giurare di riuscire ancora a sentire la pelle che tirava.

Inoltre, per quanto le sue doti di attrice fossero acclamate, iniziava a essere stufa di tutti quei preamboli. Guinevere era una persona diretta e schietta, quando non si trovava davanti a qualche bel ragazzo e, di conseguenza, perdeva il senno. Quindi potevano farla breve.

“Insomma, non guardarmi come se mi fosse cresciuta un'altra testa, lo so perfettamente che sono un po' sottotono,” le disse. “Sono rimasta molto scossa dall'incidente a teatro. E subito dopo ho scoperto che ti eri presa il giorno libero senza dirmi nulla. Pensa quanto ci sono rimasta male, io che avevo bisogno come non mai del sostegno di un'amica,” massì, facciamo un po' leva sul senso di colpa, che non guasta.

Gwen, come da copione, abbassò appena lo sguardo.

“Oh, tesoro, non te la prendere. Mi sento solo un po' melodrammatica, sai come sono fatta,” disse Morgana, dandole dei colpetti sulla spalla col palmo. “Sarai presto perdonata se vuoterai il sacco su...tutto quanto. Non provarci neanche a mentire, tanto indovino sempre quando menti.” E sorrise, piegando la testa.

Gwen allora avvitò il tappo allo smalto, studiatamente piano. Poi strinse le mani sul grembo e, con un sospiro, poggiò la schiena sulla sedia, come se fosse stata molto stanca. Stanca – lei. Ah.

“Mi dispiace davvero di avervi lasciata da sola in una situazione del genere, milady,” disse con determinazione. “Ma non avrei potuto prevedere ciò che sarebbe successo. So che non è stato corretto partire senza avvisarvi, eppure non lo avrei fatto se non ne avessi avuto un bisogno estremo.”

Morgana raddrizzò la schiena, mandando un po' in fuori le labbra. Qual'era stato, questo bisogno estremo? Non si era assolutamente accorta che la cameriera avesse avuto un qualche tipo di necessità impellente.

Gwen interpretò il suo silenzio come una richiesta di continuare. “Non ho voluto darvi un pensiero in più, è solo per questo che non ve ne avevo parlato prima. Ma ultimamente ho passato un periodo...confuso...illuminante.”

“Confuso o illuminante?”

“Entrambe le cose insieme,” sorrise Gwen.

Ugh. Che aveva da sorridere, adesso?

Gwen non le diede tempo di dedurre niente, però, poiché volò a coprire il dorso della sua mano con entrambe le sue, stando attenta ad evitare le dita (Morgana si tirò istintivamente un po' indietro, ma dovette riconoscere che Gwen ci sapeva fare, perché aveva evitato con cura di sfiorare le unghie smaltate).

“Tutto questo lo devo anche a voi, Lady Morgana.”

“A me?”

Gwen annuì con vigore. “Sapete come fosse rimasto in me il tarlo del dubbio sul Principe. Sotto sotto, anche se da una parte non ci credevo, mi sono sempre chiesta se tra noi avrebbe potuto funzionar-”

“Sì, sì, questo lo so, vai avanti,” la spronò Morgana.

“Bene. Non lo so.”

“Cosa,” disse, lapidaria.

Gwen sfoderò un irritatissimo sorriso a trentadue denti. “Non lo so se avrebbe funzionato. Non lo saprò mai. Ma sapete, non mi importa più,” e la sua risata cristallina si sparse per la stanza, perforando le orecchie della strega.

Che razza di vaneggiamento. Niente di grave, era solo insicurezza. Sarebbe bastato riportare la sciocca sulla retta via; non poteva saltare fuori con quella storia assurda e mandare alla malora il suo piano d'azione proprio adesso.

“Mi stai dicendo che non ti è mai importato nulla del tuo futuro col Principe di Galles,” tentò di farla ragionare enunciando chiaramente ogni sillaba, per assicurarsi che il concetto venisse assorbito. “Stai dicendo che non ti è importato nulla, anche se avreste potuto essere la coppia più compatibile,” e sottolineò il termine chiave, “di sempre.”

“Oh sì che mi è importato, è qualcosa che ti cambia la vita, dopotutto,” si affrettò a spiegare Gwen. “Mi è importato, ma è passato, capite. E' passato. Non ha più senso chiederselo ora.” Poi gli occhi le andarono al soffitto, come se si fosse concentrata su un ricordo particolarmente ostico. “Sapete, nonostante tutto non ho fatto altro che continuare a pormi domande sul passato. Mi chiedevo semplicemente 'ci siamo amati? Perché non ha funzionato?'. Mai, nemmeno per una volta mi sono chiesta 'ci amiamo? Funzionerà?'. Capite la differenza, vero?”

Morgana sottrasse con uno scatto la mano dal peso delle altre due della cameriera, facendola finire comicamente di due centimetri più avanti addosso al tavolo. Ci mancò poco che scoprisse le gengive quando sbraitò, indignata, “Ma tu sei la donna perfetta per lui!”

Gwen si ritrasse, guardinga e un po' sconcertata come se avesse avuto davanti un serpente a sonagli. “Ma lui non è l'uomo perfetto per me. Non...mi capite?”

La strega sospirò, desiderando ardentemente di trovare un varco in quel mare di sciocchezze. Si toccò le tempie, cercando di ritrovare la sua rinomata compostezza che oggi proprio non ne voleva sapere di farsi vedere. “Non ti seguo davvero. Spiegami, ti prego.”

Gwen strizzò le labbra, guardando ancora storto dalla sua parte, ma non si tirò indietro. “Be', a dire il vero è iniziato tutto da quando ho parlato con Merlin.”

Mer. Lin.

Era sempre colpa di Merlin.

Morgana non avrebbe dovuto stupirsene, eppure abbassò le palpebre e buttò fuori l'aria dalle narici, pesantemente.

“Pensare che sono stata proprio io a dirgli che, durante le festività natalizie, è normale correre con la mente alle persone che stanno nel nostro cuore.”

“E la tua mente non è corsa da Arthur?” chiese la strega, ironica ma anche talmente seccata. Gwen stava proprio sragionando. Se avesse continuato a essere così sicura di sé da questo punto di vista, avrebbero potuto esserci dei problemi.

La cameriera però non le stava rispondendo, ora. Si era alzata per raggiungere la borsetta abbandonata ai piedi del letto. Ci frugò dentro, estrasse il portafoglio e da quello tirò fuori un rettangolo di carta che porse a Morgana.

Un post-it rosa.

Morgana lo esaminò come se fosse stato qualcosa di tossico.

 

Ti penso sempre. L.

 

Oh, per tutti i draghi.

E lo disse anche. “Per tutti i draghi, Gwen! Non sei seria.”

L'altra intanto era diventata fucsia. “Lance l'aveva allegato a una delle sue prime lettere. Non mi ero nemmeno resa conto di averlo tenuto per tutto il tempo nel portafoglio – forse è stata una cosa inconscia, non so. E le cartoline, non faccio che guardare le cartoline sul frigorifero...”

No, no. Era tutto un enorme scherzo di pessimo, pessimo gusto.

“Quando ho visto Arthur baciare Merlin sotto il vischio, poi, è stato lì che ho capito davvero e ho sentito il bisogno di staccare un pochino dalla vita di palazzo. Per riflettere, sapete e--- nonostante ch ---- vero io ho pensato ---- mi sarebbe piaciuto farlo con Lanc ---- se ci fossimo stati noi al loro pos ---- to il vischio, è stata quell'idea ----”

Le parole di Gwen si sciolsero le une sulle altre in un miscuglio insensato. La testa della strega girava forte.

Arthur aveva baciato Merlin. Un bacio. Arthur l'aveva fatto.

La compatibilità massima con il cuore di Gwen si era rivelata un fattore inutile perché Arthur aveva davvero compiuto un gesto d'amore nei confronti di Merlin, il piano era ormai fallito, ma come era stato possibile, come, perché il maledetto cuore del Principe dei Draghi aveva ignorato la legge della compatibilità, perché quello della ragazza l'aveva allo stesso modo gettata dalla finestra, perché...

Dèi. Così tardi nel corso della gara, quella strategia si era rivelata inutile. Tutto era dunque perduto? Morgana aveva perso davvero? E il suo desiderio – e il nome di sua madre e della sua famiglia da ristabilire? No, no-no!

“E forse c'entra anche il fatto che per il Principe ci sia un...uomo perfetto. Oh, vederli insieme mi rende felice e speranzosa. Sono carini, bisogna ammetterlo. Non mi sembra strano, è strano che non mi sembri strano? Data la mia passata situazione, voglio dire? Perché sul serio, sono fatti l'uno per l'altro, possono dirlo tutti. Piacerebbe anche a me avere un rapporto del genere con Lance, quando tornerà, ma magari...lady Morgana, state bene? State tremando.”

“Voglio essere lasciata sola,” mormorò Morgana, la testa bassa.

Gwen però si alzò e accorse al suo fianco, toccandole delicatamente la spalla. “Siete sicura che-”

Con un singolo colpo secco la strega buttò giù dal tavolino gli smalti e la scatola degli accessori per la manicure. “Esci, ti ho detto – esci.”

Gwen tolse la mano dalla sua spalla ma non si mosse. Morgana non la degnò di uno sguardo.

Oh, vuoi restare? Fai come vuoi. Vediamo chi si stufa prima.

La cameriera rimase in pedi per molto tempo; Morgana restò piegata in due sulla sedia, gli occhi chiusi contro il silenzio assordate nella stanza.

Alla fine una delle due si stufò prima dell'altra.

La porta si chiuse; la strega rimase da sola, a farle compagnia solo la sensazione di essere stata di nuovo tradita ingiustamente.

 

 

 

***

 



 

Dunque, siamo arrivati a pochissimi capitoli dalla conclusione della storia. Ancora cinque o sei e poi ci salutiamo (pazzesco, vero? Quasi mi commuovo ;A;).

Certo, devo confessare che a ritrovarsi con quattro commenti ogni trecento letture uno poi ci rimane un po' male, eh. Per questo motivo mando un abbraccio strizza budella ai lettori che si preoccupano di farmi sapere il loro parere. Davvero non riesco a esprimere a parole quanto conti per me leggere le vostre risposte.

Un grazie comunque a chi segue dall'inizio e trova ancora del tempo per continuare a seguire questa storia, e ai nuovi lettori che si aggiungono di volta in volta. Vi direi che se ci siete, dovreste battere un colpo xD ma non posso che sperare che apprezziate il mio lavoro, seppure silenziosamente, e che questa storia vi faccia passare qualche ora piacevole. Me lo auguro di cuore.

Alla prossima con la seconda parte del capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Di padre in figlio (seconda parte) ***






 

 

 

Fu così che Merlin e Gaius si ritrovarono a esplorare febbrilmente le zone anche solo simili alle immagini rimandate dal diamante. Furono giorni strani, quelli; Merlin li visse con la gola stretta in un nodo perenne, ogni pensiero diviso tra Arthur e suo padre. I buchi nell'acqua ogni qualvolta setacciavano un bosco o una riserva, senza poi trovare traccia alcuna di Balinor, erano stilettate alla schiena. Merlin andava a dormire la notte, in un ostello o nella sua cuccetta in treno, con un gelo che partiva dalla punta degli stivali e arrivava fino a quella delle orecchie. Eppure qualcosa di luminoso tornava da lui, quando la mattina riapriva gli occhi: l'idea che fosse la volta buona, quella in cui finalmente avrebbe trovato suo padre, compiendo un passo in più verso la salvezza del suo principe.

Gli sarebbe piaciuto dire che il suo cuore, nel frattempo, si fosse acquietato tanto da permettere un ritorno di fiamma della sua magia. Purtroppo non fu così.

I giorni scorrevano e Gaius era sempre più stanco e afflitto dagli acciacchi (Merlin aveva davvero intenzione di farlo virare verso il pensionamento, una volta conclusasi tutta la faccenda). Fu per questo che, la mattina del trentuno dicembre, quando erano appena saliti sull'ennesimo treno e nel cristallo comparve l'immagine limpida di una radura, lo stregone arcuò un sopracciglio imitando l'espressione che il suo mentore gli stava rivolgendo.

Il Diamante del Giorno mostrò loro, proprio a lato della radura, una casetta di legno con delle tende gialle alle finestre. Una strada di sassolini che partiva dalla casetta si protraeva lungo un bosco, in una passeggiata ben curata. Alla fine del sentiero c'era un grosso complesso che imitava la struttura della casetta di legno; erano chiaramente delle stalle. Aveva tutta l'aria di essere un maneggio e – oh...c'era un'insegna posta davanti all'ingresso della proprietà, con un grosso drago dorato in bella vista.

“I...Giardini Dragone?” disse Gaius, avvicinandosi al diamante tra le mani di Merlin tanto da toccarlo quasi con il naso.

Lo stregone espirò, le ginocchia che quasi gli cedevano per il sollievo misto all'irritazione pulsante.

I Giardini Dragone. Davvero?

“Non posso credere che mio padre sia stato fino a questo momento così vicino a noi, poco fuori Londra. Non posso credere che sia stato fin'ora in una delle proprietà della famiglia reale,” esalò a occhi chiusi.

Doveva essere una vendetta studiata a puntino dalla sua magia, quella: farlo allontanare il più possibile prima di farlo rotolare di nuovo al punto di partenza.

“Vi siete ritrovati a gravitare entrambi attorno alla stessa orbita. Il destino è davvero qualcosa di impressionante,” disse il mentore, pensieroso.

Merlin fece una smorfia. “Torniamo indietro?”

Tornarono indietro.

 

Guardare le foto della famiglia reale ai Giardini Dragone era come guardare un cimelio appartenente a un'epoca passata. C'era quella patina di perfezione, di nobiltà favolosa che non può esistere se non in un sogno. Merlin, durante le sue lezioni sugli esseri umani dei primi giorni, si era imbattuto spesso nelle foto che ritraevano una Lady Ygraine a cavallo con il suo consorte, prima della nascita di Arthur. Con la pelle diafana colorata di rosa sulle guance era il ritratto stesso della felicità. In un certo modo somigliava terribilmente ad Arthur.

Come lui, sebbene amata da molti, aveva dovuto affrontare la sua dose di scandali sin dall'inizio; quando erano apparsi i primi articoli su di lei, i giornali si riferivano malvagiamente a Ygraine come “Lady Fortunata” o “Lady dei poveri”, poiché non proveniva davvero da una famiglia nobile, e aveva assunto il titolo solo una volta sposatasi con il Re. In realtà si era mantenuto un riserbo impressionante sulle origini di Ygraine, e tutt'ora sembrava fosse apparsa dal nulla, come se la sua breve parabola da consorte reale fosse stata solo frutto della fantasia collettiva della gente.

Eppure anche alle storie più belle non viene risparmiata l'ombra delle male lingue.

Lo stregone ricordava di aver letto qualcosa su una presunta relazione che aveva legato Uther a una certa Nimueh, una stagista dello staff della cancelleria reale. Lo scandalo era scoppiato proprio durante la gravidanza di Ygraine.

Si diceva che i Giardini Dragone, in quel periodo, fossero diventati il rifugio prediletto di Lady Fortunata.

Merlin aveva imparato a dubitare dei pettegolezzi che si diffondevano a proposito dei Pendragon, e del resto, per l'idea che si era fatto, Re Uther era stato completamente devoto a sua moglie, e ancora oggi lo rimaneva.

Lo rendeva triste e inquieto, però, il pensiero di cosa potessero significare i Giardini Dragone per Arthur alla luce di tutto quanto; il Principe, nonostante avesse trascinato il suo valletto con lui ovunque, non l'aveva mai portato in quel posto, e nemmeno ne aveva mai fatto menzione. Forse la sola esistenza dei Giardini Dragone faceva nascere in Arthur delle domande a cui nessuno avrebbe mai potuto rispondere, e Merlin conosceva fin troppo bene il suo principe per ignorare l'effetto che i pettegolezzi sulla sua famiglia avessero su di lui.

Questi pensieri si susseguivano uno dietro l'altro affollando la sua testa, mentre lo stregone attendeva Gaius davanti alle stalle. Il mentore, lavorando per i Pendragon da una vita, si era offerto volontario per andare in avanscoperta e confermare, grazie alle sue conoscenze, se Balinor lavorasse al maneggio. Aspettare il responso si stava rivelando una delle esperienze più stressanti di sempre. Il tempo sembrava essersi fermato e il labbro di Merlin era stato tormentato dai suoi denti più che mai.

Lo stregone pensava ad Arthur, a Lady Ygraine tradita poco prima della nascita che l'avrebbe portata alla morte, a Balinor che era sempre stato presso la tenuta famosa per aver raccolto le lacrime di Lady Fortunata, proprio quando dentro la sua pancia c'era Arthur...

E pensava al Principe, che per una casualità non aveva mai portato Merlin ai Giardini – ma se un bel giorno si fosse svegliato e avesse deciso di farlo, Merlin avrebbe incontrato suo padre molto prima, vero? Allora si sarebbe reso conto di chi avrebbe avuto difronte?

“Merlin.” Sebbene Gaius lo richiamò dolcemente, Merlin si ritrovò riportato alla realtà come da uno strattone. “L'abbiamo trovato. E' qui.”

 

 

I Giardini Dragone erano addirittura aperti al pubblico durante certi orari. Ai sudditi e ai fans era garantita la possibilità di ripercorrere a piedi la strada che i loro beniamini reali avevano tracciato tante volte a cavallo. Gaius, che aveva parlato con un paio di dipendenti di sua conoscenza, era riuscito a strappare il permesso per lui e Merlin nonostante per quel giorno l'orario di l'accesso al pubblico fosse concluso. Il cuore di Merlin saltava a ogni passo, a ogni scricchiolare degli stivali sui sassolini. Era una giornata limpida e pungente; non si sentivano nemmeno le creature del bosco, nascoste al riparo nelle loro tane o tra i rami degli alberi. Merlin pensò che, se fosse venuto qualche mese prima, avrebbe potuto percepire i loro respiri, le loro presenze vitali. Probabilmente sarebbe anche riuscito a sentire il richiamo del sangue di suo padre già dalle stalle. Adesso invece la sua magia crepitava pianissimo, anche lei come addormentata al pari degli uccellini. Lo stregone esalò un sonoro sospiro, che uscì dalla sua bocca in una nuvoletta secca.

“Tutto bene, ragazzo?” disse Gaius, arrancando dietro di lui con una determinazione invidiabile.

Merlin andò di corsa a liberarlo dal peso dello zaino, infilandolo a sua volta in modo da averlo schiacciato sullo stomaco, a fare da contrappeso all'altro che aveva sulla schiena. “Scusami, avrei dovuto pensarci.”

Il mentore si raddrizzò, tenendosi un fianco. “Mmh – No, non ti preoccupare. So che questo per te è un momento particolare. Non voglio metterti pressione, ma...come ti senti?”

Merlin stette per un attimo in silenzio, guardandosi intorno. Il percorso si apriva meravigliosamente fino al fitto del bosco. Era una giornata fredda, le foglie degli alberi erano colorate di una patina di brina pungente.

“Spero che faremo in tempo a tornare entro oggi,” disse alla fine. “Ho promesso ad Arthur che sarei stato lì prima della mezzanotte.”

E continuarono a camminare, il diamante che si faceva sempre più caldo nella sua tasca e combatteva il gelo del suo corpo, almeno un po'.

 

 

*

 

 

“Sorella mia, cosa ti è accaduto?”

Morgause sbatté la porta, volando verso Morgana per prenderle il viso tra le mani. Il suo aspetto si trasformò sotto agli occhi della strega; le fattezze anonime di una cameriera di palazzo tornarono quelle consuete ed eleganti del mentore che conosceva.

Morgana appoggiò le dita sopra le sue mentre l'altra le alzava delicatamente il mento, esaminandola. “Sto bene, non ti preoccupare,” disse, suonando stanca anche a se stessa.

“Ma sei così pallida, e i tuoi capelli...”

Morgana fece un sorrisetto, portandosi le onde nere spettinate su una spalla. “Non ero dell'umore per curarmi del mio aspetto. Sorella, come ti accennavo, la situazione è grave. La strategia della compatibilità è fallita,” disse. Cercò di essere più pratica possibile, ma non poté evitare la nota graffiata nella sua voce.

Morgause scosse la testa. “Basterà allora cambiare strategia.”

“Ma a questo punto?”

“Sì, a questo punto. Non temere, mia cara sorella, non si tratta che di un intoppo momentaneo.” Morgause le passò le dita sulla nuca in quel gesto che riusciva a far sentire Morgana istantaneamente meglio. “Troveremo un'altra soluzione. Una volta rivelato al Grande Drago il tuo vero nome, ci faremo dire da lui l'esatta funzione del Diamante del Giorno, e di sicuro scopriremo come procedere. Fidati, non permetterò che tu esca sconfitta dal duello.”

Morgana si ritrovò ad annuire. Il piano era venire a conoscenza dei meccanismi che governavano la magia del diamante per poterlo sfruttare al meglio. Grazie a quell'oggetto Morgana era riuscita a mettere in atto le sue mosse, quando, mentre si chiedeva di chi avrebbe potuto servirsi per arrivare al Principe, sulla superficie del diamante era apparsa l'immagine di Gwen.

Senza quell'indizio non avrebbe potuto far nulla dall'inizio; Kilgharrah aveva detto che il diamante reagiva diversamente a seconda di chi lo teneva con sé, ma come funzionava di preciso? Se avesse potuto usarlo con piena consapevolezza, di certo Morgana sarebbe stata un passo più vicina alla vittoria.

Guardò l'espressione convinta e ferma che le rimandava Morgause; dèi, era sempre così piena di fiducia, in se stessa e anche in lei.

...Ma avrebbero superato anche quel problema. La strega non poteva deludere il suo mentore, e con lei le ultime volontà della loro madre. Prese Morgause per mano, allora, e la guidò accanto al letto, nel solito posto che ultimamente occupavano per le loro magie.

Morgause si allungò verso il comodino rosa pallido ma Morgana la bloccò, dicendole con un sorriso, “Oggi lascia fare a me.”

Aprì il cassetto in basso, prese un gessetto e poi si accucciò. Girò su se stessa facendo strisciare il gesso sul pavimento lucido, tracciando un cerchio, poi un altro ancora all'interno, e un altro ancora. Al centro, mentre Morgause la guardava soddisfatta, disegnò una forma ovale – l'occhio della Dea che tutto vede. Da lì portò le mani al cielo e abbassò le palpebre, richiamando la concentrazione; al suo comando la magia prese a scorrere come un fiume in piena nel cerchio magico, il disegno che la tratteneva come fosse stato un argine.

Morgana si sedette all'interno del cerchio e Morgause prese subito posto accanto a lei. Congiunsero le mani, iniziando a recitare a un'unica voce le formule per invocare la Dea Triplice.

E stavolta sarebbe apparsa. Sarebbe apparsa, perché non avevano più tempo da perdere. Sarebbe apparsa, perché Morgana non avrebbe permesso qualcosa di diverso.

 

 

*

 

 

Il percorso sfociava nella radura circolare dove erano stati disposti abbeveratoi per rifocillare i cavalli e paletti di legno per legare le redini.

La casetta al lato dello spiazzo era piccina. Le tende gialle alle finestre erano inconfondibili; era la casetta di Balinor, il custode dei Giardini Dragone. Merlin ingoiò quel poco di saliva che aveva in bocca, scrollandosi di dosso, con una mossa sola, i due zaini che portava. Gaius era al suo fianco, silenzioso.

Lo stregone si avvicinò all'abitazione con passi misurati, intenzionato a bussare. Non appena le nocche toccarono il legno della porta, però, questa si aprì di una fessura, cigolando pigramente. Dall'apertura baluginava uno spicchio di tenue luce arancione, contro la quale si stagliava la schiena di un uomo, in piedi davanti a un tavolo. Aveva i capelli brizzolati, legati in un nodo basso e spettinato. Merlin fece in tempo ad allungare la punta del naso verso l'interno della casa, quando la voce dell'uomo tuonò improvvisamente: “Non siamo in orario di apertura al pubblico. Se avete delle domande rivolgetevi alla reception.”

Lo disse senza neanche voltarsi, e Merlin sobbalzò come un bambino colto con le mani nel vasetto della marmellata. Fu lì lì per richiudere la porta istericamente, assecondando un'oscura voce dentro di lui che gli suggeriva la fuga. Ma un'altra pulsione, forte come la precedente e forse anche un po' di più, gli fece stringere le dita contro la porta, tenendola ancora semi aperta.

“Balinor Ambrosius?” chiese allora, ondeggiando sul posto.

Le spalle dell'uomo si alzarono per poi afflosciarsi lentamente, come accompagnando un respiro sconfitto. “Vi hanno mandato qui dalla reception perché avete perso qualcosa durante la visita,” disse.

C'è qualcosa che ho perso,” disse Merlin. Venne fuori in modo strozzato.

A quel punto l'altro si voltò, rivelando un'espressione severa; una barba e un paio di sopracciglia decise gli scurivano ancora di più lo sguardo. Merlin sentì spianarsi di rimando le sue mentre realizzava che in quel momento, per la prima volta, stava fissando la faccia di suo padre.

Gli somigliava? Non gli somigliava? Non avrebbe saputo dirlo – non avrebbe saputo dire nulla, se non che si ritrovava di colpo con la voglia di scoprirlo, di imparare a memoria le forme di quel viso sconosciuto che gli stava facendo sudare la mani. Magari, osservando, avrebbe trovato in lui qualche segno di se stesso, e allora...

“Be', accomodatevi un attimo,” disse Balinor, indicando con un gesto goffo degli sgabelli di fattura po' rozza. Pareva che quella fosse l'unica conferma che avesse intenzione di dare a proposito della sua identità.

A Merlin, in ogni caso, non serviva altro. Entrò, e in due passi si trovò a fronteggiare suo padre, restando dritto come uno stoccafisso.

Dèi, suo padre.

“Mandano sempre qui quelli come voi, scambiando la casa del guardiano per l'ufficio oggetti smarriti,” disse Balinor, l'emozione illeggibile sul suo volto. “Si sieda, signore.”

“No, io...credo che andrò a prendere un po' d'aria fuori, se non vi dispiace,” fece Gaius. Nemmeno aveva finito di parlare che già era svicolato via.

Merlin non seppe se sentirsi grato per quel gesto di attenta delicatezza o se andare a riportalo dentro prendendolo per la collottola.

Per tutti i draghi, quello che aveva davanti era suo padre. Era un uomo solido, e sembrava in salute, ed era vero, era vivo, era proprio qui, e lo stregone non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Probabilmente lo stava fissando con una faccia un po' stralunata, anche, ma Balinor non fece nulla che potesse fargli pensare che se ne fosse accorto. Forse lo stava semplicemente ignorando.

L'uomo era intento a frugare all'interno di una cassapanca, di legno come tutto il resto della mobilia. Ne estrasse una sacca che depositò sul tavolo, facendo segno a Merlin di avvicinarsi. Lui obbedì, caracollando.

“Vediamo un po'...che cosa hai perduto, ragazzo?” disse, aprendo quella che doveva essere la sacca degli oggetti smarriti.

“Uhm. Una cosa. Le capita spesso di ritrovare oggetti smarriti nel bosco?” sparò Merlin. Un paio di frasi doveva pur dirle, prima di lanciare la bomba.

Balinor afferrò uno sgabello, ci si sedette con calma, appoggiò i gomiti sul tavolo e guardò duramente Merlin.

Lui per un attimo temette che l'avrebbe sbattuto fuori, ma poi Balinor aggiunse, “Capita più spesso di quanto non si immagini. La gente tende a dimenticare le cose con facilità. La maggior parte non torna nemmeno indietro a cercare. Si convince che ciò che è perso è perso per sempre.”

Merlin prese a sua volta l'altro sgabello e imitò le precedenti mosse di suo padre. Constatato che quello non l'aveva cacciato dalla sua proprietà per le libertà che si era permesso, si concesse una piccola ola interiore e si sentì un pochino più rilassato appena.

“Anche lei pensa che ciò che è perso sia perso per sempre?” disse. Voleva sentire la sua risposta. Voleva sapere che tipo fosse quel padre che aveva, finalmente, davanti ai suoi occhi.

Balinor non pronunciò una parola, ma accadde una cosa straordinaria: sorrise. Era un sorriso appena accennato, bello; semplicemente tirando un po' più in su le labbra, il suo viso divenne aperto, quasi familiare. Questo, a sorpresa, fece molto male a Merlin.

Perché era la prima volta che vedeva quel sorriso, e non era affatto giusto. Non avrebbe dovuto essere la prima. Merlin avrebbe dovuto avere quel sorriso nella sua vita, avrebbe dovuto averlo con sé da molto tempo.

“E tu,” disse Balinor, “pensi che ciò che è perso sia perso per sempre?”

Merlin si prese del tempo per pensare. Il suo sguardo vagò ovunque, posandosi sull'orologio che batteva pigramente i secondi, sulle lampade la cui cappa ammutoliva la luce di una tonalità arancione. La casa era spartana ma accogliente, impregnata dei profumi del bosco in inverno.

“Non so dire se davvero per tutti una volta che si è perso qualcosa non ci possa fare niente,” fece dopo qualche secondo, con lentezza. “Però so che io sono tornato a cercare. Anche se...con un po' di ritardo.”

Balinor inarcò curiosamente le grosse sopracciglia. “Quanto ritardo?”

Merlin tamburellò le dita sul bordo del tavolino. “Vent'anni.”

L'uomo lo squadrò con confusione crescente prendendo atto della sua età, forse chiedendosi dove volesse arrivare, o forse pensando che Merlin fosse un po' matto. “Ma...quanti anni hai?”

“Venti,” le dita dello stregone tamburellarono con maggiore velocità. “Sono nato poco dopo la chiusura dei passaggi per la Terra,” buttò fuori, e la voce era quella piccola appartenuta al Merlin ragazzino. “Sono il figlio di Hunith. Sono Merlin.”

Poté sentire il cuore schizzargli in gola a quella confessione, e a mano a mano che Balinor diventava sempre più pallido, lui s'immaginava di colorarsi, di contro, sempre più di rosa.

“Oh. Hunith...ha avuto – mh. Be', portale i miei auguri,” tentennò l'altro. E con le dita, inconsciamente, prese a fare proprio come Merlin, solo che invece che il bordo del tavolo aggredì la parte nascosta sotto la tovaglietta di plastica.

“No, no,” si mangiò le parole lo stregone – e dunque, dopo anni di vana attesa sull'uscio di casa, dopo mille fantasticherie sui libri del Mondo Riflesso, dopo aver perso ogni speranza e averla trovata davvero per la prima volta, era arrivato proprio . “Sono figlio di Hunith e tuo. Sono – sono tuo figlio.”

Gli occhi di Balinor si allargarono comicamente, tanto che Merlin dovette mordersi il labbro per impedirsi di ridere. Magari era una risata nervosa, oppure si sentiva felice e basta.

Suo padre, invece, sembrava piuttosto sconvolto. “Hunith era incinta?”

Merlin annuì.

L'orologio ticchettò, tre, quattro, cinque volte.

“Oh – Non so che cosa dire,” fece Balinor, alzandosi di botto per dirigersi verso la credenza.

Merlin lo osservò mentre l'apriva e prendeva due bicchieri di vetro. Le sue mani tremavano appena.

“Beviamo il tè?” disse lo stregone.

“Vuoi, uhm, del tè?” disse Balinor, restando di schiena. Poi si passò un palmo sulla fronte, in evidente difficoltà. “Per me pensavo a qualcosa di più forte, ma se tu vuoi...”

“No, va bene, no – va bene anche per me quello che prendi tu.”

Così Balinor poggiò una bottiglia di vino rosso sul tavolo, e finalmente alzò lo sguardo e lo puntò su Merlin. Lo stregone non sapeva che farsene di quello scrutinio; non capiva nemmeno cosa provasse suo padre. Non voleva che le cose tra loro fossero così imbarazzanti, non aveva pensato che avrebbero potuto esserlo – eppure lo erano.

In un certo senso poteva comprendere la prospettiva di suo padre. Tuttavia, aveva sperato...

“Come...come mai...come hai fatto ad arrivare...?” tentò di dire Balinor, riempiendosi il bicchiere mentre guardava lo stregone.

Merlin lo salvò, intuendo la domanda. E gli resse anche il bicchiere, per evitare danni. “I passaggi si sono riaperti qualche tempo fa per un Duello del Drago. Io sono uno dei due contendenti...ed ora ho bisogno del tuo aiuto.” Perché era lì per questo, infondo. Prima Arthur. Il resto avrebbero potuto sistemarlo più avanti.

Balinor passò a riempire l'altro bicchiere, poi tirò su una lunga sorsata dal suo. “Certo, io...se posso.”

Merlin non poté fare a meno di sorridergli, raggiante. Pensò che magari gli avrebbe fatto piacere se avesse bevuto anche lui, e del resto se non avesse occupato le mani la probabilità che avrebbe continuato a tamburellare sul tavolo era parecchio alta, quindi bevve.

Oh, per tutti i draghi.

Era roba forte.

...Ma non spiacevole.

Aspettò che la gola smettesse di bruciare e poi disse, schiarendosi la voce, “Dovremo fare un rituale del sangue, se me lo permetterai. Kilgharrah vuole che gli riveli il mio vero nome.”

“Quel vecchio sputa-fuoco è ancora vivo?”

Oh? Balinor conosceva il Grande Drago? “Sì, ma non penso che lo sarà ancora per molto. Ora è imprigionato nella Caverna dei Mille Giorni da una maledizione, e vuole concludere la sua vita da creatura libera. Il duello consiste nel riportargli qualcosa che possa spezzare la maledizione...ma si da il caso che io non abbia proprio intenzione di portargliela. Quindi ho bisogno di trovare qualcos'altro, e per fare ciò mi serve il mio vero nome,” spiegò a un Balinor ancora confuso. Aspettando un qualunque segnale da parte sua, bevve un altro sorso. “Mmh...Già, è una faccenda un po' ingarbugliata.”

Balinor si scolò ciò che restava del suo vino. “Mh. E che cos'è che tu dovresti portare al Grande Drago in primo luogo?”

Déi. Pure Merlin si scolò il resto del suo bicchiere. “Il cuore di una persona.”

Balinor era molto serio, ma i suoi zigomi iniziavano già a colorarsi di una sfumatura rosea abbastanza familiare. Lo stesso stava accadendo a Merlin.

“Capisco,” disse suo padre, e al tono comprensivo lo stregone percepì la tensione abbandonare del tutto la sua schiena. “Be', nemmeno io me la sentirei di diventare un assassino per aiutare Kilgharrah. Per quanto il mio sangue spingerebbe per il contrario, e, suppongo anche il tuo. Non vuoi che il drago soffra, non è così?”

Merlin annuì con vigore, appoggiandosi sui pungi chiusi, i gomiti sul tavolo. Trascinò la sedia il più possibile in avanti, e Balinor fece lo stesso, non prima di aver riempito di nuovo entrambi i bicchieri, ovviamente.

“Non vuoi che soffra nemmeno questa persona di cui dovresti portargli il cuore, posso indovinare.”

Arthur.

“Mai, mai,” disse Merlin, passandosi una mano tra i capelli.

Allora suo padre sorrise di nuovo, ancora più di prima. Erano davvero sorrisi molto belli, i suoi. “Sei come Hunith. Ragioni proprio come lei.”

“Ed è un bene?”

“Oh, sì – oh, sì. Hai il suo sorriso. Sorridi un po'...”, Merlin sorrise di nuovo fino a sentire la pelle che tirava, incapace di dirgli di no, anche perché non poteva davvero farne a meno.

“Già, in quel modo lì. Quelle fossette.”

E Balinor allargò il suo sorriso, e Merlin scoppiò proprio a ridere, e la risata bassa e melodica di suo padre seguì la sua, e per tutti i draghi, certo che lo reggevano entrambi molto poco, il vino.

Si calmarono, passando qualche minuto in un silenzio piacevole. Bevvero un altro po'. Lo stregone guardò le mani di suo padre tanto quanto intercettò i suoi occhi su di lui. Iniziò a pensare che non lo stesse fissando come qualcosa di terribile, infondo. No, sembrava solo...così stupefatto, ma in senso buono. Come se stesse riconoscendo in Merlin, a poco a poco, suo figlio.

“Pensi...non so. Che saresti stato bene con noi? Se fossi potuto tornare indietro – a casa?” Si ritrovò a dire. Avrebbe voluto aspettare per farlo, però – al diavolo.

“Non lo so. Non so come si fa il padre,” ammise onestamente Balinor.

Merlin non si sbagliava se sentiva qualcos'altro, sotto quell'affermazione; qualcosa di simile a “non so come si fa, ma vorrei imparare.”

“Potremmo...lavorarci su,” propose quindi, speranzoso. “Se vuoi.”

Balinor annuì, annuì, annuì (il cuore di Merlin fece una capriola). E si mise subito all'opera, dopo aver bevuto un altro sorsetto. “Dimmi – dimmi della tua vita qui.”

“Be', lavoro alla residenza reale. Già, anche io lì, è un po' assurdo, lo so,” disse, roteando gli occhi al cielo. Poi si bagnò di nuovo le labbra. “Lavoro per il Principe di Galles. Ed è lui, sai. Il bersaglio.”

“L'erede al trono. Ma tu pensa.”

“L'asino reale erede al trono,” sottolineò lo stregone. Da lì partì in quarta. “E' la persona più insofferente che io abbia mai conosciuto. Si lamenta di tutto, sembra incapace anche delle cose più elementari, fa lo sbruffone e si ritiene il migliore. Mi fa venire certi nervi...farei di tutto perché fosse al sicuro.”

Scoppiarono a ridere ancora una volta, timidamente.

“Sei un po' pazzo, vedo,” disse Balinor, asciugandosi gli occhi. “Come tua madre.”

“Me lo dicono spesso. Ti prego, ora facciamo il rituale del sangue, prima che io perda anche il briciolo di lucidità che mi resta,” si affrettò a dire. “Sai, temo che avrò bisogno di concentrarmi parecchio; devo leggere il mio nome nei ricordi del tuo cuore, e una volta ho fatto una cosa del genere ed è stato devastante, ed ho un po' paura di non farcela perché ora, a differenza dell'altra volta, sto esaurendo del tutto la magia.”

Balinor mandò molto in alto le sopracciglia. “Non ti preoccupare,” disse subito annuendo. “Ormai non posso aiutarti nemmeno io, tuttavia le magie del sangue sono semplici rispetto a una lettura del cuore completa. Innanzitutto sono mirate a un singolo ricordo. E' importante anche che lo farai col mio consenso, quindi non incontrerai le resistenze della volontà. Inoltre, l'incantesimo sarà filtrato dal richiamo del sangue. Se il grado di parentela è stretto e se i soggetti coinvolti sono insieme e non operano a distanza, è ancora più facile.”

Merlin gli fu grato per aver capito l'urgenza della questione e per non aver fatto domande sulla perdita della magia (anche se aveva il sospetto che non avesse avuto bisogno di chiedergli proprio niente). Si scoprì anche, con piacere, subito rincuorato dalla praticità dimostrata dall'uomo.

Gli ispirava una fiducia istantanea. Era suo padre, in fondo.

Liberarono quindi il tavolo, e Balinor estrasse da un cassetto un coltello dalla lama liscia e splendente. Merlin sospirò, chiudendo gli occhi. Richiamò a sé quanta più magia possibile; quando sentì il familiare calore delle iridi che si coloravano di una tenue tonalità dorata, lo salutò come un vecchio amico.

Con un cenno d'assenso spronò suo padre a procedere, e Balinor rispose con un gesto gemello. Si tirò su le maniche, scoprendo degli avambracci pallidi come quelli di Merlin, ma più robusti. Prese nella mano il palmo aperto che lo stregone gli offriva, gentilmente, e vi appoggiò appena la lama sopra, facendo una leggera pressione fino a far apparire una tenue linea rossa sulla pelle. Poi passò il coltello contro il proprio palmo, stavolta con molta meno cura. Dopo, i due unirono le mani in una stretta in modo che le gocce del loro sangue si mescolassero.

L'effetto fu immediato; si sentirono come cento battiti d'ali vibrare insieme, quasi che gli uccelli del bosco si fossero svegliati di colpo e fossero volati dentro la casetta di legno. Una raffica di vento mandò a sbattere la porta contro la credenza, i vetri tremarono, Balinor abbassò le palpebre – e Merlin lo sentì. Sentì il cuore di Balinor, scavò nei suoi ricordi, lo vide giovane e infelice e solo nel Mondo Riflesso, vide l'ultima immagine che aveva conservato di Hunith, bellissima, e una voce sovrannaturale si levò, e pronunciò un nome.

Poi, silenzio.

Merlin rialzò la testa che non si era accorto di aver abbassato, la mano ancora chiusa nella stretta sicura di suo padre.

“Hai letto nel mio cuore il nome sussurrato dalla Dea, allora?” lo incoraggiò l'uomo.

“Ho letto quel ricordo e conosco il mio vero nome,” disse Merlin. “E' Emrys.”

 

 

*

 

 

Le ante delle finestre si aprivano e si chiudevano come fossero impazzite, i libri volavano, le pagine si strappavano e schizzavano per la stanza. Un tuono seguiva l'altro ed era come se la tempesta stesse imperversando lì dentro, sopra le loro teste. Morgana trattenne uno squittio sorpreso, le mani di Morgause che stringevano forte le sue. Era accaduto tutto così in fretta e ora stava succedendo davvero, la Dea si stava rivelando a loro, e la strega aveva un po' di timore ma la sua pelle sfrigolava, e stava quasi per scoppiare in una rista trionfale. Guardò il suo mentore, che sembrava così soddisfatto, così fiero.

Sì, sorella, sì.

Morgana si sentiva invincibile. Adesso finalmente...

Un lampo cadde in mezzo al cerchio magico, in mezzo al loro; Morgana sobbalzò strillando e ridendo, ma la presa ferrea dell'altra la tirò in avanti, impedendole di rompere l'unione dei loro poteri. I capelli di Morgause erano una nuvola bionda, i suoi un groviglio scuro davanti alla sua faccia, ogni pelo elettrizzato si alzava, e dal lampo si generò una nebbiolina viola, e, nella nebbia, una figura...di tre teste...e una testa sola...

Sei occhi...e un occhio solo...

Siamo state dunque chiamate da due sacerdotesse che non sono sacerdotesse,” disse la Dea Triplice.

Era come se stessero parlando tre voci insieme. Pure concentrandosi la strega non sarebbe mai stata in grado di descrivere quel suono. Era qualcosa di ultraterreno; faceva venire i brividi.

Morgana e Morgause abbassarono la fronte contemporaneamente. “Mia signora della vita, ti onoriamo e ti rendiamo grazie per l'udienza concessaci,” dissero in coro.

Morgause l'esiliata,” chiamò la Dea, e il mentore sollevò lo sguardo, “e Morgana delle Terre Desolate,” e Morgana fece lo stesso. “La vostra presunzione di mettervi al livello delle Spose ci ha offese,” e una cascata d'acqua gelata si riversò sulla spina dorsale di Morgana. “Eppure riconosciamo il vostro valore, il vostro coraggio. Già sappiamo perché ci avete chiamate, e riconosciamo la nobiltà dello scopo. Per questo il tuo vero nome ti sarà rivelato, Morgana delle Terre desolate.”

Morgana si rizzò tutta, assaporando in bocca il sapore della vittoria. Sì, niente era perduto! Sì, quello era il primo passo...

Stai attenta, Morgana delle Terre Desolate, poiché la tua vita è legata a un'altra...in un debito per la vita...in un desiderio per un desiderio...in un destino per un destino...in un cuore per un cuore...

Le pupille della strega si dilatarono, i battiti nelle vene erano veloci, come quelli di un animaletto spaventato.

Vediamo il tuo vero nome, Morgana delle Terre Desolate; e vediamo che quel nome è Morgana Pendragon.”

 

 

*

 

 

Merlin e Balinor stavano ancora seduti l'uno davanti all'altro; l'incantesimo del sangue era stata portata efficacemente a compimento, però lo stregone si ritrovava reticente ad andarsene. Dopo la seconda bottiglia aveva schiacciato la guancia sul tavolo e non l'aveva più spostata. Gli sarebbero rimaste delle righe sulla faccia a vita? Inoltre aveva le braccia pesanti. Uh.

Adesso che conosceva il suo vero nome, non si sentiva diverso rispetto a prima, nemmeno di un po' – l'unica differenza erano le braccia pesanti, ma quelle dipendevano da un'altra cosa. Merlin aveva solo voglia di stare un altro minuto in compagnia di suo padre. Continuare a farlo bevendo non suonava una cattiva idea. Lo guardò che passava l'indice intorno al bordo del bicchiere vuoto a metà, e gli venne voglia di ridere.

“A che pensi?” gli chiese, accompagnando le parole con una risatina molto poco lucida. Ok, forse tutto quel vino aveva fatto effetto.

“Penso che ho un figlio,” disse Balinor, sospirando. “Penso che la prima cosa che ho fatto è stata farlo sbronzare.”

Merlin gli regalò un sorrisone un po' stupido.

Balinor lo guardò con una dolcezza negli occhi, con un imbarazzo quasi doloroso, tanto per lui quanto per Merlin. “Penso anche che mio figlio ha un cuore innamorato. Siete uguali, tu e Hunith. Vi innamorate dei casi disperati.”

“Oh...” Merlin si sentì arrossire furiosamente, ma non negò nulla. Anzi, si grattò il naso, soddisfatto. “Tu l'amavi?” chiese, però.

Domanda retorica. Lui era un Figlio dell'Amore, era nato dal sentimento, ovvio che i suoi genitori si fossero amati. Tuttavia improvvisamente sentiva il bisogno di sentirselo dire. E il vino, stavolta, c'entrava poco.

Il fatto era che da qualche parte nel tempo sua madre e quest'uomo che l'aveva tenuto per mano si erano amati, tanto da rinunciare alla magia per difendere e portare avanti il loro amore. Il frutto di quella scelta era stato Merlin.

Buffo come non avesse mai considerato la cosa da quel punto di vista. Lo stregone si sentiva d'un tratto orgoglioso come non mai delle sue radici. Si sentiva importante, invincibile, e oh, sì, forse questo in parte dipendeva dal vino.

“Certo che l'amavo,” disse Balinor, indulgente. “Sennò non sarei qui. Altro tradimento, Merlin. Stavo perdendo la mia magia per amore, e quindi mi hanno mandato in esilio nel Mondo Riflesso. E' così che fanno con chi mette in pericolo la purezza delle alte cariche.”

La prima cosa che Merlin registrò fu il tono usato da suo padre: tranquillo, non amareggiato. Forse perfino fiero. In un secondo momento arrivarono le parole.

“Sei – eri un druido?” chiese, e la sua faccia che si sollevò velocemente dal legno fece il rumore di quando si stacca un adesivo dalla carta.

“Non un druido. Un Signore dei Draghi,” disse Balinor, orgoglioso.

Lo stregone appoggiò i palmi al tavolo, piatti. Li usò per tirarsi su, pianopianopiano. Non lo sapeva, se stava ancora respirando. Non lo sapeva, eppure era stranamente calmo nel suo panico. Quasi distaccato.

“E quando la mia anima lascerà il mio corpo, sarai anche tu un Signore dei Draghi,” continuò Balinor. “Fino a quel momento, però, dovrai accontentarti di essere-”

“Un Principe dei Draghi.”

 

 

*

 

 

Morgana tremava; Morgause, ancora seduta all'interno del cerchio, la teneva sul suo grembo accarezzandole la testa.

Gli occhi della strega erano spalancati, quasi fuori dalle orbite, i capillari rossi che pulsavano; ma erano asciutti.

Morgana prese un respiro, inspirò, inspirò ed inspirò, fino a che non sentì dolore, fino a che gli occhi non le si inumidirono. Poi strillò.

Vendetta.

Vendetta.

Vendetta.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Note finali:

Aggiornamento veloce, vero? Ultimamente sto facendo miracoli da questo punto di vista xD Be', del resto ho solo pubblicato la seconda metà del capitolo che avevo già scritto per intero, e dato che è proprio la parte più succosa, non aveva senso farvi aspettare troppo.

Insomma, questi Principi dei Draghi spuntano come funghi ù-ù In realtà, non è proprio così; infatti, tanto, tanto tempo fa (si parla del secondo capitolo), avevo fatto dire a Merlin, quasi per caso mentre parlava con Morgana, che i figli dei Signori dei Draghi vengono chiamati Principi dei Draghi (quindi Merlin è stato un Principe dei Draghi fin dall'inizio). Alzi la mano chi se lo ricordava, vengo a farvi i complimenti a casa vostra xD

In questo capitolo ci sono un sacco di drammi esistenziali, ma vorrei specificare che quello che se la passa peggio è il povero Gaius ù-ù A lui va tutta la mia comprensione.

Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà l'inizio della fine...ops, diciamo l'inizio dell'arco finale *risata malvagia*.

 

 

 

Recentemente pensavo a come il Merthur mi faccia venire voglia di addentrarmi in un sacco di ambiti diversi, usando nuovi stili e provando generi in cui non mi ero mai cimentata.

Non potete nemmeno capire quante bozze per delle nuove fiction ho già buttato giù xD

Comunque, in uno slancio svergognato di auto promozione, ho pensato di segnalarvi alcune delle cose che ho già pubblicato, se non le avete lette. Tutte Merthur, ovviamente.

Crossover: con Game of Thrones, With fire and Blood. Temi un po' ambigui e qualche scena un filino forte...i toni sono diversi dal mio solito, ma niente di esagerato.

Canon: I Cavalieri sono buoni osservatori. Breve shot con un Leon che assiste a un momento fluffoso.

Post 5x13: Kairos. Una raccolta di “momenti giusti”. (Questa ci soffro sul serio che non abbia avuto successo, ci ho messo un pezzettino della mia anima x°D)

Modern AU: Arthur e una persona tutta per lui. Perché le merthur natalizie sì, punto.

 

Di nuovo, mi farebbe molto piacere leggere i vostri pareri, se non altro perché hanno voglia di commentare solo una minima parte dei lettori che mettono tra le seguite/preferite/ricordate, e questo fa cose abbastanza spiacevoli alla mia autostima =_= Intanto vi do appuntamento al prossimo aggiornamento, sperando che la tesi mi permetta di non farvi aspettare troppo. Vi saluto con un abbraccio >w<


 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Preludio ***


Note iniziali:

“Cuori” ha compiuto un anno! Non posso credere che sia passato così tanto da quando ho iniziato a scrivere questa storia... fin'ora è la cosa più lunga e complessa che io abbia mai portato avanti. Mi ha accompagnato nel corso di una serie di momenti difficili e, un po' come un figlio (xD) mi ha dato gioie e dolori. Ogni tanto penso che, se l'avessi scritta tutta insieme invece che pubblicare i nuovi capitoli a mano a mano, il risultato finale sarebbe stato diverso da quello che state leggendo. Comunque non posso che ritenermi soddisfatta e, guardandomi indietro, il cuore mi batte forte per l'orgoglio per tutto il lavoro che c'è stato.

Leggere i vostri commenti mi fa provare sempre qualcosa di speciale. Molti mi hanno detto che questa fiction coinvolge dal punto di vista emotivo; personalmente, credo che sia una delle cose più potenti che si possano dire a uno scrittore... quindi, grazie ancora a voi per avermi accompagnato in questo viaggio. Adesso che siamo quasi arrivati alla conclusione, poi, ho tanto bisogno che mi teniate la mano virtualmente xD

Me lo lasciate un regalino di compleanno? Voglio leggere i vostri commenti!

 

Alcune comunicazioni di servizio prima di lasciarvi al capitolo:

-confermo che in totale i capitoli saranno 20, più un eventuale extra a rating rosso inserito al di fuori della storia, dato che non mi andava di modificare il rating generale. So che così farò felici molti di voi, ammettetelo ù-ù

-ho revisionato il primo capitolo, eliminando gli errori e sistemando l'impaginazione (oh, mamma... all'inizio il nostro Merlin era così ingenuo che mi è quasi venuto da piangere!). Una volta conclusa la fiction, è mia intenzione portare avanti con calma la revisione per eliminare gli errori e uniformare tutto dal punto di vista dell'impaginazione.

Intanto, però, anche per festeggiare il compleanno di “Cuori”, ho realizzato delle immagini di copertina che potete trovare inserite in tutti i capitoli tranne il decimo. La prima funge anche da copertina in generale per la storia. Non è il massimo, ma ha un senso... gli specchi, il riflesso... no? XD

-se volete vedere Merlin e Morgana che fanno i tarocchi e vestono i panni di due investigatori psichici, potete trovarli nella mini long in tre capitoli Howling Ghosts. Cliccate qui.

-ho creato una pagina FB dove verranno segnalati gli aggiornamenti alle mie storie e dove riporterò i miei scleri in fase creativa e altre cosine del genere. Lì ho inserito anche un album per raccogliere le copertine di CM, in caso i collegamenti scadessero o le immagini si visualizzassero deformate per qualche motivo. Se vi va, venitemi a trovare qui.



 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

La mattina del primo Gennaio, nonostante il mal di testa post-sbronza, Merlin si risvegliò con un sorriso indecente stampato in faccia.

L'amato dopobarba di Arthur si prese il diritto di essere la prima cosa a solleticargli i sensi. Lo stregone si mosse cauto, scoprendosi accoccolato tra le braccia del Principe; era incastrato alla perfezione sotto il mento di Arthur, una gamba buttata sopra un regale e tornito fianco, a inchiodare a sua volta al letto l'altro. Ogni articolazione era sciolta nella pace di un calore dolce. Arthur russava placidamente, soffiandogli sui capelli con ogni respiro, e fuori un paio di uccellini cinguettavano nelle prime luci dell'alba.

Merlin si sentì contento di aver provato, almeno per una volta, cosa significasse svegliarsi stretto alla persona che ami.

Riguardo alla notte appena passata, ricordava un paio di cose sul proteggere Arthur e il dichiarargli il suo amore che era sicuro non fosse stato molto appropriato dire; ma si scoprì niente affatto pentito di averle dette.

Alzò un po' la testa, trovando un Arthur sereno e immerso nel mondo dei sogni. Aveva circondato il collo di Merlin con un braccio, e l'altro l'aveva appoggiato intorno alla sua vita.

Dèi.

Lo stregone si sfilò a malincuore dalla sua stretta, impegnandosi per non fare nessun movimento brusco che lo potesse svegliare. Chissà come ci riuscì e, con il cuore che scoppiava, fece il giro del letto in punta di piedi. Era meglio uscire subito di lì, non farsi prendere dai ripensamenti o dai dubbi, o dai rimorsi o... se avesse esitato, non sarebbe più riuscito a lasciare Arthur, lo sapeva.

Arrivò fino alla poltrona, ma poi si fermò – quindi fece un totale di quattro passi. Cavolo.

Si morse la lingua, ma non poté fare a meno di tornare dal suo principe addormentato; si chinò su di lui e gli lasciò un bacio sulla tempia, sfiorandogli con le labbra la pelle, i capelli. Ecco, solo questo. Solo questo – così, se avesse dovuto ricorrere alla soluzione estrema, almeno avrebbe potuto dire di aver baciato Arthur in quel modo.

Se parlare con il drago fosse risultato infruttuoso e Merlin avesse dovuto scegliere l'altra opzione...

Arthur non l'avrebbe capito, ne era sicuro. Era così impetuoso e ottuso, non avrebbe mai potuto fermarsi a ragionare abbastanza da comprendere le motivazioni dello stregone. Quindi, un altro bacio.

Vivi felice.

Arthur, nel sonno, grugnì qualcosa di simile a “mmmhlin” e poi si voltò su un fianco, stendendo le braccia.

Idiota. Meraviglioso, meraviglioso idiota.

Era l'ultima volta che lo vedeva? Non era così, vero? No, non era così. Pensarlo non avrebbe aiutato affatto Merlin, quindi no. Si convinse che non sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe visto. Comunque, un altro bacio ancora, portando le dita sopra i suoi capelli, senza toccarli. Piano. Per darsi coraggio. Per salutarlo – solo nel caso in cui...

Vivi.

Arthur non avrebbe capito, era vero. Ma, con il tempo, avrebbe dimenticato.

A quel pensiero, Merlin trovò la forza per lasciare le stanze del Principe. Chiuse la porta dietro di sé e insieme abbassò le palpebre. Poi prese un respiro, staccò la schiena dal suo appoggio e iniziò a camminare senza guardarsi indietro.

Il corridoio era avvolto nei primi raggi tenui dell'alba; sfumature bianche e rosate mescolavano tra loro i contorni degli arazzi, dei quadri, delle finestre. Nessun addetto alla sicurezza in giacca e cravatta se ne stava alle camere, nessuna cameriera si muoveva a passo veloce, le braccia cariche di panni o detergenti. Forse tutti dormivano ancora, o forse ciò era incredibilmente improbabile ed era proprio magia, quella che permeava l'aria facendo sì che Merlin si ritrovasse solo.

Le sue gambe si muovevano quasi per volontà loro, spingendolo con determinazione lungo le scale e poi fuori dal palazzo.

Uno strano calore a sinistra, contro il suo petto, lì... lo stregone infilò la mano sotto la camicia, e quando la estrasse trovò tra le sue dita Mini-Kilgharrah.

“Tipico,” mormorò, sogghignando. E, notando che qualcosa lo guidava perché imboccasse una via di sassolini ormai familiare, aggiunse, “Dove mi porti? Alla serra delle rose?”

Mini-Kilgharrah sbatté la coda sul suo palmo, puntandola poi in avanti. Merlin alzò gli occhi al cielo. Qualcosa di positivo nel ritrovarsi con i poteri agli sgoccioli c'era: essere colpito da un incantesimo che ti comandava i movimenti gli dava meno fastidio del previsto, dato che riusciva a percepire la magia a malapena. I suoi sensi, comunque, erano recettivi a sufficienza per permettergli di notare come la serra fosse circondata da un'aura potente. La sua pelle fremette per i brividi proprio come era successo nella Caverna dei Mille Giorni.

Ripensando alla persona che era stata quando aveva messo piede nella caverna per la prima volta, Merlin si sentì sopraffare da un senso d'amarezza. Il nodo in cui gli si era stretta la gola era così forte che, quando entrò nella serra e vide Morgana, si sentì dispiaciuto pure per lei.

Il suo volto dal pallore mortalmente severo era incorniciato da capelli selvaggi. Le labbra erano esangui, gli occhi iniettati di un odio lucido. Anche lei, in qualche modo, non era più la stessa.

“Che ti è successo?” le disse, scuotendo la testa.

La strega alzò il mento, fiera. “Sono cresciuta.” Lo disse come se avesse voluto mettergli le mani al collo e stringere forte.

Per reazione a quella pulsione d'allarme, la postura di Merlin si indurì totalmente. Com'erano diversi ora, tutti e due...

Il drago non diede loro occasione di temporeggiare oltre; la miniatura vibrò tra le mani dello stregone, iniziando a diventare sempre più calda mentre si espandeva. Merlin la appoggiò sul pavimento, indietreggiando poi di qualche passo. Nel giro di pochi secondi l'immagine di Kilgharrah prese forma. Il corpo possente occupava gran parte della serra; aveva piegato il dorso per poter fissare i due contendenti, gli sbuffi sulfurei che venivano esalati dalle narici a intervalli regolari. Le punte delle ali ripiegate erano sbiadite e si confondevano con le rose blu, rivelando la natura illusoria dell'animale.

“Il tempo concessovi per la prova dei nomi è concluso, duellanti,” ruggì, facendo schioccare la lingua tra le fauci. “Siete usciti vincitori nella ricerca delle vostre origini?”

Merlin annuì; si accorse che Morgana, giallastra in volto, aveva stretto le labbra in un taglio e aveva mosso appena la testa, come se un movimento eccessivo avrebbe potuto farla vomitare.

“Il triplo patto va rinnovato,” proseguì Kilgharrah, imponendo allo stregone di tornare a lui. “Come io scoprii un fianco per voi, facendovi partecipi della mia vera natura, voi dovrete scoprire un fianco per me,” ricordò. “E scoprirlo anche uno all'attenzione dell'altro.”

Strega e stregone si voltarono lentamente per fissarsi in tralice. Morgana sembrava sul punto di voler incendiare la serra, le mani strette a pungo e le rose dietro di lei appassite di colpo.

“Il mio nome è Emrys,” disse subito Merlin, senza staccarle gli occhi di dosso.

Tempo da perdere non ne avevano; era una sfida, quella che invece avevano.

“Emrys,” ripetè poi con convinzione, rivolgendosi al Grande Drago.

L'animale parve assaporare la notizia come un frutto delizioso. Annuì con gravità, le iridi gialle che lampeggiavano di magia. Dopo spostò il muso in direzione di Morgana, in attesa.

Il labbro della strega tremò visibilmente, andando a scoprirle i denti. Fu con un ghigno ironico e cattivo che buttò fuori, la voce graffiata, “Pendragon!”

Merlin la fissò, il viso ferreo nella confusione più totale, e il drago – il drago si mise a ridere. Lo stregone, allibito, fece scorrere lo sguardo da Kilgharrah, che sputava scintille ridendo tra le fauci, alla strega, sempre più livida.

“Non lo capisci, sciocco? Sono una Pendragon!” tuonò Morgana verso lo stregone. “Faccio parte di quella famiglia, lui... quell'uomo...” e strinse forte gli occhi, la bocca, il viso intero.

Merlin combatté l'istinto di fare un passo verso di lei, ma l'altra lo sorprese rialzando la testa di scatto. “No, non ti azzardare a fare domande. Se sei talmente stupido da non capire la situazione, sono solo affari tuoi. Nessuno ha tempo per questo... non è vero?” Lentamente spostò il volto verso Kilgharrah, che sbatté le palpebre come un grosso cane pigro.

Merlin cercò una risposta nel suo muso, la mente che tentava di giustificare in qualche modo la notizia appena appresa.

“La strega delle Terre Desolate è nel giusto, giovane stregone; non resta più molto,” disse Kilgharrah, la solennità intrisa di qualcosa di più sottile, sofferente... autentico. Senza alcun preavviso poi alzò il collo, le squame che si muovevano come accompagnando il suo ingoiare. Solo che Kilgharrah non stava ingoiando: sembrava proprio stesse facendo l'esatto opposto e, abbassatosi di colpo fino a far toccare la testa sul pavimento, con un rumore gutturale sputò la miniatura del drago tanto familiare a Merlin.

“Che sta succedendo?” esalò lo stregone, sempre più frustrato.

“Piantala di fare quella faccia sperduta,” lo ammonì Morgana. “Il drago di plastica è un veicolo, no?”

Oh.

Frammenti di noiose lezioni pomeridiane all'Accademia riemersero nella memoria di Merlin. Ricordava più o meno che un veicolo fosse un oggetto capace di collegare le creature magiche in modo indissolubile. Tramite un manufatto del genere si creava una linea a doppio filo tra i soggetti coinvolti, i quali potevano penetrare gli uni nelle coscienze degli altri.

Doveva essere esattamente questa la magia per cui nessuno aveva visto il drago durante il ballo di Natale; tutto era successo solo nella testa di Merlin e Morgana, nelle loro anime.

Ah, era stato davvero stupido a non considerarlo, e del resto aveva avuto altre cose a cui pensare, ma...

“Ma è magia che si avvicina ai sentimenti,” disse Merlin, piegando la testa. “Il veicolo deve avere come base d'appoggio dei sentimenti per creare un collegamento tra le anime, e...”

E se per lui, sempre più umano, tutto ciò era possibile, come potevano aver usufruito del veicolo anche Morgana e lo stesso Kilgharrah?

“Quel piccolo drago è un pegno d'amore, giovane stregone,” disse la creatura, ergendosi di botto fino a far scomparire la cresta oltre il soffitto. “Quell'oggetto ti è talmente caro, il suo significato è per te talmente profondo che, senza accorgertene, hai trasferito in lui parte dei tuoi sentimenti. Sentimenti di cui io e la strega ci siamo serviti come appoggio esterno per poter utilizzare i collegamenti del veicolo stesso.”

“Senza sporcarci le mani ed intaccare la nostra magia,” aggiunse rapida la strega, la voce come un colpo di spada.

Merlin poteva leggere la severità nello sguardo ferino di Kilgharrah e il ribrezzo in quello di Morgana, ma li sostenne entrambi con fierezza.

Gli occhi, però, gli pizzicavano un po' per la rivelazione.

La schiena di Arthur mentre lui lanciava alle sue spalle il regalo di Mordred, e poi Merlin che lo afferrava al volo...

Senza che lui se ne fosse reso conto, erano riusciti a servirsi del suo cuore e di quello di Arthur una volta in più.

“Per questo, durante il ballo, avevi detto che non avremmo avuto molto tempo,” disse, quasi un'accusa al drago. “Usare un veicolo è una pratica magica che si avvicina troppo ai sentimenti. E' troppo pericolosa per poterla portare avanti a lungo.”

Adesso capiva davvero perché Kilgharrah avesse richiesto i loro nomi. Ogni volta in cui aveva sfruttato il veicolo per un'apparizione, aveva rischiato grosso; aveva solo voluto una conferma della serietà delle intenzioni dei duellanti, dopo aver visto Merlin vacillare difronte ai suoi sentimenti per Arthur. Lo stregone comprendeva le sue ragioni, eppure la rabbia iniziava a montare nel suo stomaco e a fargli sudare il collo.

“Perché proprio questa tecnica, e perché hai rischiato tanto invece che essere onesto con me, invece che parlarmi con franchezza?” si ritrovò a urlare, dando sfogo alla collera. Morgana si era rivelata una Pendragon, il tempo a disposizione si stava esaurendo, sì, ma adesso tutto sembrava secondario davanti all'idea che ciò che legava lui e Arthur fosse stato trattato in quel modo. “Perché hai usato così Arthur, non ti bastava volerlo morto? E Morgana?” continuò con lo stesso tono, indicando con il braccio teso la rivale. “Morgana lo so com'è fatta, lo so che non si fa problemi a passare così sopra agli altri, ma credevo che tu...”

Qui si smorzò abbassando le braccia nella sconfitta, il fiume di parole strozzato da un nuovo, gigantesco groppo di rabbia alla gola.

“Che io?” chiese quasi educatamente il drago, mentre la strega aveva tutta l'aria di voler mandare all'inferno entrambi. “La risposta a tutte le domande che mi fai è solo una, giovane stregone: io sono un drago.”

Ed io un Principe dei Draghi, pensò Merlin, più ferito che mai.

“Ora che abbiamo chiarito questo punto,” intervenne Morgana, spazientita, “tanto vale essere completamente onesti con noi, Grande Drago. Considerando che il veicolo avrà ridotto ulteriormente le tue forze, quanto ti resta davvero?” La sua praticità non aveva limiti e, anche se la sua maschera di freddezza si era incrinata in più di un modo, il contrasto con la faccia contratta di Merlin e le sue labbra arrossate per i morsi restava spettacolare.

“Molto poco,” rispose Kilgharrah. “L'utilizzo del veicolo ha consumato grandemente la mia magia e miei giorni. Se sperate ancora di veder esaudito un desiderio, giovani duellanti, non vi restano che tre tramonti prima che la mia magia si dissolva insieme alla mia vita.”

Merlin ingoiò. Nonostante tutto, quasi gli venne da allungare le dita per accarezzare le squame di Kilgharrah, per rassicurarlo e dirgli che non gli avrebbe permesso di passare i suoi ultimi momenti in quella caverna. Doveva significare questo, avere il sangue di un Signore dei Draghi nelle vene: sentirsi irrimediabilmente vicini ai draghi tanto da perdonare persino un atteggiamento che lo stava facendo soffrire in modo brutale.

O forse era soltanto il carattere ereditato da Hunith a spingere Merlin verso i casi disperati, come aveva detto Balinor.

“Va bene, allora,” si decise, un sospiro tremolante ma fiero. “Va bene, andiamo avanti.”

Non aveva senso aspettare ancora; certe cose non sarebbero mai cambiate, e lui avrebbe fatto bene a continuare a dubitare sia del drago che della strega, pur sentendosi intimamente legato ad entrambi.

Era inutile negarlo, poi, ora che erano come non mai tutti e tre sulla stessa barca: ognuno aveva una ragione per temere lo scoccare del tempo limite, sebbene Merlin potesse solo immaginare quali fossero i motivi di Morgana; ognuno sapeva il vero nome dell'altro, una chiave d'accesso ai punti più deboli che poteva portare alla loro distruzione reciproca.

E ciò nonostante... Arthur era più importante di tutto, era superiore a tutto.

Il drago, come percependo la risoluzione finale dello stregone, si drizzò nello splendore della sua posa più maestosa. “Mi ritengo soddisfatto nell'aver appreso i vostri veri nomi, miei contendenti,” disse, e se non fosse stata una creatura imprevedibile e un po' doppiogiochista, Merlin l'avrebbe definito quasi fiero di lui e Morgana. “Con questa prova di abilità, acume e tenacia, vi siete guadagnati il diritto di pormi i vostri quesiti,” continuò. “Parlate, dunque, e io risponderò.”

Morgana avanzò inequivocabilmente di due passi, bloccando Merlin prima che potesse aprire bocca. I suoi occhi erano sgranati in modo un po' folle. “Il Diamante del Giorno,” esordì, una violenza nelle parole come se si fosse trattenuta a forza dal pronunciarle fino a quel momento. “Come funziona veramente? Non sono ancora riuscita a capirlo. Le sue potenzialità si sono modificate nel tempo e ciò mi confonde. Potrei aiutarti prima, se sapessi usare a mio vantaggio questo strumento.”

Merlin rizzò le orecchie mentre la rivale, imperterrita e scattante, ripeteva, “Come funziona?”

“Il Diamante del Giorno ti fa vedere ciò di cui hai più bisogno,” disse Kilgharrah con aria definitiva.

Ciò di cui aveva più bisogno... oh, era sempre stato Arthur.

Con il cuore stretto com'era in una morsa languida all'immagine del Principe addormentato, lo stregone si accorse appena che l'espressione di Morgana si era fatta ancora più allucinata.

“Questa informazione ti è d'aiuto, strega?” chiese il drago.

“Per niente,” ribatté lei troppo in fretta, arretrando per tornare nella sua posizione affianco a Merlin.

Lui non era affatto convinto della reazione di Morgana, che ora scoccava sguardi affilati alla sua volta e a quella di Kilgharrah. Non l'aveva mai vista così nervosa; era un segno chiarissimo dell'avvicinarsi della fine dei giochi.

Merlin prese un grosso respiro, mettendo da parte le strane storie su Morgana Pendragon, sforzandosi di accantonare il pensiero della morte che avanzava inesorabile verso il drago.

Si concentrò sulla sua priorità, le vene che pompavano sangue nelle tempie, la consapevolezza dell'importanza della domanda che stava appesa alle sue labbra. Dalla risposta che avrebbe ottenuto si sarebbe decisa la sua sorte... ma allora perché non aveva paura?

“Io voglio conoscere le parole della maledizione che ha sterminato la tua razza,” disse a Kilgharrah. “Voglio le parole esatte. Sapresti recitarmele?”

Le occhiate febbrili di Morgana addosso a lui, in passato, l'avrebbero agitato; adesso non c'era più spazio per quel tipo di tentennamenti. Adesso non c'era più spazio per altro che non fosse la salvezza di Arthur, non era così?

Il drago squadrò il volto rigido di Merlin piegando appena il muso enorme. Non doveva essersi aspettato quella domanda. Fin dal principio, Kilgharrah si era impegnato affinché i suoi duellanti sciogliessero la maledizione riportandogli il cuore di un Principe dei Draghi. Che ci fosse un altro modo era davvero poco probabile secondo lui, e dal fuoco che divampò nelle sue pupille aguzze lo stregone seppe di aver destato la sua curiosità.

Tra strega, stregone e drago passò qualche secondo carico di silenzio e tensione pressante. Poi Kilgharrah parlò e lo spazio si allargò intorno a loro in una manciata di attimi che bloccarono il respiro di Merlin.

Che nessun drago mai più i cieli possa solcare.

Gli ultimi giorni in reclusione li condanniamo a scontare.

Che la speranza di tornare a volare

sia sepolta nel fondo della prigione speculare.

Che un Principe dei Draghi in una lacrima debba morire,

ché senza il suo cuore umano nessun drago i cieli potrà più solcare.

Le parole dell'antico incantesimo ronzarono confusamente nelle orecchie di Merlin, ultime ancore di salvezza che si incagliavano negli angoli della sua memoria.

Morgana prese a ripetere a voce bassa la formula, gli occhi sgranati cerchiati da lividi viola.

“Che cosa te ne farai, adesso, ti questa vuota malia?” crepitò Kilgharrah.

Merlin fece qualche passo all'indietro, avviandosi verso l'uscita. Lo sguardo fisso sul drago, disse, con una sfacciata sicurezza che non sapeva da dove nascesse, “La userò per salvare tutti quanti.” Era diventato bravo, a mentire.

Poi si voltò, scartando Morgana, diretto oltre la serra.

“All'alba del terzo giorno, la Regina del Lago aprirà nuovamente i portali,” tuonò la voce del Grande Drago nel suo cervello. “Al tramonto dello stesso terzo giorno mi dovrà essere offerto il cuore umano di un Principe dei Draghi.”

Merlin si liberò di un sospiro che era rimasto intrappolato nella sua gola, gli occhi che gli pizzicavano per le punture di dolore che sentiva lungo il corpo – angoscia, la magia che si ribellava alle sue intenzioni, la mente ferma che teneva a bada il resto con fatica.

Forza, Merlin... forza.

Quando imboccò la via laterale che portava al labirinto, correva. Sapeva bene cosa stava per fare, oh, se lo sapeva.

Aveva guardato nel diamante di nascosto, mentre Gaius e suo padre si davano la mano e parlavano del Regno e dei tempi che ormai non esistevano più; aveva raccolto con disperazione ogni briciolo di magia, forte dell'assenza di Arthur che, per assurdo, le aveva donato un nuovo e breve slancio di vitalità. Aveva interrogato l'oggetto magico stretto nel suo palmo e nella pietra lucida era apparso il labirinto. Merlin quasi era scoppiato a ridere nervosamente, quasi si era fatto scoprire.

Il labirinto... ma sì, del resto si era sentito sicuro da subito che Gaius ne avesse tenuta qualcuna, sia in vece della sua storica curiosità per gli oggetti magici, sia perché nel Regno era stato un medico, e i medici non buttano mai via le medicine... nemmeno quelle amare.

Un giardiniere, poi, dove mai avrebbe potuto nascondere qualcosa se non nel fitto di un labirinto?

Merlin imboccò l'ingresso di quel dedalo di foglie intrecciate in alte mura, il cuore che martellava nel petto. Poteva giurare di riuscire a sentire il fiato che entrava e usciva dai polmoni direttamente nei timpani; quel ritmo veloce lo guidava mentre faceva scorrere il palmo contro i rametti sporgenti. Svoltò un angolo, non era quello giusto, non sentiva che lo fosse, tornò indietro, un'altra via, a destra, no, di qua, un grido – un grido!

Era stato un lamento, quello che gli era sembrato di sentire per un attimo? Un pianto di... drago? Merlin voltò la testa per guardarsi intorno, freneticamente. No, la proiezione di Kilgharrah doveva ormai essere scomparsa, il legame del veicolo si era spezzato. Si era sbagliato di certo...

Riprese a correre, il nervosismo e la determinazione glaciale che lottavano dentro di lui più di prima, e alla fine...

Si fermò di botto, oscillando per l'equilibrio perduto. Il punto era quello, l'aveva visto, lo sentiva. Allungò la mano nelle profondità di una parete erbosa, le dita che si graffiavano, le unghie che si alzavano, fino a quando... eccole!

Eccole.

Eccole...

 

ʘ

 

 

 

Quello era indubbiamente Arthur Pendragon, Principe di Galles, un cappellino nero in testa e un bambinetto imbronciato arpionato alle sue spalle come un fottuto gatto. Accanto ai due c'era un altro ragazzo, un orecchio a sventola ben visibile dal mezzo profilo.

Nella foto successiva, il Principe di Galles parlava con una ragazza bionda piuttosto scarmigliata; la stessa che era venuta a infastidirlo quella sera al pub insieme ad Orecchie a Sventola, reclamando il suo diritto a vedere le foto in cui era ritratta e altre stronzate simili.

“Ma scusa un attimo, com'è possibile che tu sia in possesso di questa foto?” grugnì, portandosi l'immagine vicino alla faccia tanto da lasciarci sopra un alone col fiato. “La memoria della mia fotocamera si era rivelata danneggiata, e non avevo visto nessun altro quella sera al Rising Sun che avrebbe potuto fare qualche scatto.”

Valiant, la bocca arricciata in una smorfia, alzò lo sguardo incredulo sulla vecchia che aveva davanti; si soffermò sul suo volto nascosto da uno scialle scuro, le rughe ben visibili nonostante il suo patetico tentativo di occultarle. Tsè. Voleva forse fargli credere di essere pure lei una reporter d'assalto? A chi voleva darla a bere?

“Ho i miei mezzi e i miei contatti,” gracchiò la vecchia, la voce un cigolio ispido. “Quello su cui deve concentrarsi, giovanotto, sono i soggetti nella foto,” aggiunse, tamburellando con un dito ossuto sul volto della bionda formosa.

“Sì, la conosco quella. Ma cos'ha a che fare con-”

La vecchia fece scorrere un'altra foto sotto il suo sguardo; era una di quelle recenti del gran ballo alla residenza reale. In mezzo alla folla, in un angolo a destra, la stessa ragazza stretta in un abito giallo pareva confabulare con Orecchie a Sventola.

“Mh, c'è qualcosa sotto,” ragionò Valiant, strizzando gli occhi. “Lo sguattero del Principe, accanto a lui in ogni momento...” sillabò, avvicinando alle altre un'immagine che ritraeva Pendragon spalla contro spalla con lo stesso ragazzo, il giorno del discorso tenuto da Hatchards. “...lo sguattero che poi porta persino dentro il palazzo una sua... complice?” chiese, alzando la testa di scatto.

La vecchia annuì gravemente.

“Ah-ah, lo sapevo che nascondeva qualcosa, il furfantello! L'avevo sentito a pelle, con quella faccia da schiaffi e quei modi irrispettosi!”

La rabbia salì al cervello di Valiant al vago ricordo, annebbiato dall'alcool, della presunzione con la quale quel ragazzetto aveva tentato di raggirarlo. Qualunque cosa fosse riuscito a fare, la sera che aveva trafficato con la sua fotocamera, gli era costata la prima pagina promessagli dal suo redattore. Valiant si era ritrovato con una lavata di testa epica e una dose di nervi da scaricare su quella stupida faccia non appena ne avesse avuto l'occasione; e lui era un uomo che non dimenticava i torti e gli affronti subiti, no.

Senza contare che il cambio radicale avvenuto di recente nei comportamenti di Pendragon Junior aveva fatto languire parecchio le sue offerte di lavoro. A nessuno importava più di tanto se l'erede al trono inglese se ne andava a spasso innocentemente con il suo valletto; qua ci voleva qualcosa di succoso per riportare in auge la sua carriera. Ci voleva uno scandalo bello fresco, ed era proprio ciò che la vecchia gli aveva promesso, quando l'aveva contattato perché la raggiungesse in quel tugurio.

Se solo si fosse data una mossa e si fosse spiegata...

“La nobile famiglia per la quale presto servizio da tanti anni è molto legata ai reali,” riprese lei (finalmente!). “Solo per questo, vede, richiedo l'anonimato più totale. Sono dubbi innocenti, quelli che attanagliano i miei signori e che mi hanno spinta per fedeltà ad agire per conto loro...”

Valiant alzò le mani in aria, andando a colpire la bassa lampadina che penzolava dal soffitto di quel maledetto scantinato lurido. Imprecò, sfregando con l'altra mano la parte lesa. “Va bene, va bene, ho recepito, vecchia. Falla breve.”

“Sono giunte all'orecchio dei miei signori delle voci che girano negli ambienti della servitù,” mormorò con fare cospiratorio. “Lei saprà bene, immagino, come funziona il passaparola. Un amico di una cameriera che lavora part-time anche-”

“Vecchia,” disse Valiant annoiato, strisciando le unghie contro il legno rovinato del tavolino. “La mia pazienza ha un limite. Sputa il rospo in tutta onestà ed io, sempre in tutta onestà, vedrò che posso fare. Non mi scandalizzo facilmente. Con Orecchie a Sventola e il Principino triste ho un conto in sospeso.”

Un lampo sinistro passò d'improvviso negli occhi verdi della donna. Valiant dovette mettercela tutta per bloccare i brividi nei quali si era accapponata la sua pelle.

“Pare che la famiglia del ragazzo abbia contratto dei gravissimi debiti con certi gruppi di persone poco pulite. Lui stesso è piuttosto famoso per dei furtarelli commessi nelle case delle famiglie presso le quali ha precedentemente preso servizio – ma si sa, i giovani sono ingenui, non l'avrà fatto con cattivi propositi.”

Le sopracciglia di Valiant si sollevarono come quelle di un lupo che ha puntato un agnellino succulento. “Stai forse insinuando che...”

“Non insinuo nulla,” sferzò la vecchia, ritirandosi sulla sedia. La luce fioca della lampada penzolante illuminava ora solo le sue iridi fredde e taglienti. “Sono i fatti che parlano, giovanotto. Le foto che ha scattato lei stesso testimoniano una vicinanza insolita tra il nostro beneamato Principe di Galles e un servo. Le pare mai possibile, mi dica, una cosa del genere?”

“No, affatto,” disse Valiant, toccandosi il mento. Era così facile seguire il filo dei pensieri di quella donna... era davvero tutto così logico e lampante... ma certo...

Destra, sinistra, destra, sinistra, oscillava la lampada. Il puzzo che permeava lo scantinato aveva invaso le sue narici e sembrava conficcarglisi dentro al corpo, annebbiandogli i sensi.

“Il ragazzo deve aver avvicinato di proposito il nostro ingenuo erede al trono per approfittarsi di lui, per trarre vantaggio dalla sua posizione e dalla sua ricchezza,” continuò la vecchia.

“Certo che sì, deve essere così,” convenne Valiant, annuendo ancora e ancora.

“Tutti sappiamo quanto Arthur Pendragon sia facilmente impressionabile, privo di una sua autentica personalità. Grazie all'aiuto della sua complice, che fa parte della combriccola del duca Gwaine Green, il ragazzo deve essersi inserito tra le amicizie intime del nostro principe.”

“Ma sì...”

“Gli avrà fatto il lavaggio del cervello, portandolo dalla sua parte!” concluse la vecchia, una forte nota di trionfo mentre batteva il palmo sul tavolo.

“Il lavaggio del cervello,” ripetè a pappagallo Valiant.

“Va fermato, prima che attenti gravemente alla vita del principe,” aggiunse lei, allungando il busto per avvicinarglisi.

In un momento lo soverchiò con la sua presenza. Valiant non riusciva a staccarsi da quello sguardo che reclamava tutta la sua attenzione; le pupille della donna si strinsero in un'espressione violentemente potente, carica di una forza impensabile.

Va fermato, sì, va fermato...

“Va fer- aspetta,” si bloccò il reporter, rinsavendo da quel turbine di esaltazione. “E io che ci guadagno? Non me ne frega un bel niente della famiglia reale, proteggere il principe non è compito mio.”

“Ci guadagni il titolo di salvatore della patria, sciocco!” strillò la vecchia, afferrandolo per il colletto della camicia. Le mani nodose e secche stringevano la stoffa in una morsa sorprendente, senza che ci fosse il minimo accenno di tremolio.

Valiant storse la bocca, allontanando il collo di lato.

“Anche se quelle voci non fossero vere,” proseguì lei, il tono basso carico di una rabbia malcelata, “potresti raccogliere le prove di certe preferenze di Arthur Pendragon e avresti comunque la tua notizia.”

Che stava dicendo, adesso, la vecchiaccia?

Valiant corrucciò le sopracciglia.

“Dèi, non capisci niente! Il futuro re predilige la compagnia degli uomini, chiaro?” sbottò, scrollandolo. “Il nostro ragazzo deve essersi approfittato di questa preferenza per i suoi scopi personali, dato che la bionda nelle foto è chiaramente la sua compagna.”

Ecco la notizia! Valletto seduce l'erede al trono per mettere le mani sulla sua ricchezza...

“Che schifoso,” disse il reporter, un sorriso untuoso che gli apriva la faccia in due, piano.

“E tutto ciò di cui hai bisogno sono delle piccolissime prove che confermino fino a che punto quel malfattore si sia conquistato le simpatie e l'affetto di Arthur Pendragon,” disse la donna, ringhiando tra i denti il nome del nobile.

Valiant di nuovo non riusciva a staccarsi dai suoi terribili occhi verdi, che lo richiamavano pretendendo tutta l'attenzione di cui disponeva. Non c'era altro da fare se non darle ascolto. Bisognava eseguire i suoi ordini.

“Che cosa dovrei fare per raccogliere queste prove?” mormorò, ormai del tutto sotto l'effetto ipnotico della magia.

Lei stirò le labbra esangui in un sorrisetto spaventoso. “Sai, dicono che difronte al pericolo un uomo riveli le sue priorità.”

 

ʘ

 

 

La residenza reale si stava svegliando solo adesso; Merlin poteva sentire i rumori lontani dalle cucine che iniziavano ad attivarsi per svolgere le mansioni mattutine. Una cameriera affacciata alla terza finestra dell'ultimo piano prese a far sventolare uno straccio per la polvere.

Per tutti non era che il principio di una giornata qualunque, ma per lui era cambiato il mondo intero. Con l'animo pesante e la mente ferma accelerò ancora un po' i suoi passi, fino a che la vista di qualcosa di inaspettato non lo bloccò: sulla stradina di ciottoli che portava alla dependance, già impeccabile in giacca e cravatta e con un paio di scarpe lucide ai piedi, c'era il Re in persona.

Probabilmente nemmeno lui si aspettava di incontrare qualcuno lì a quell'ora, perché si fermò. “Mervin,” disse stoicamente. “Anche tu sei dedito alle passeggiate mattutine, allora.” L'espressione austera che sfoderava sempre in presenza dello stregone pareva un po' meno annoiata del solito.

“E' Merlin,” lo corresse lui, piegando la testa in un cenno.

“Merlin, davvero? Che nome assurdo,” disse, pratico ma di sicuro anche ben deciso ad imporre la sua presa in giro.

Merlin si risolvette a ignorarlo; non aveva intenzione di sfaldare lo stato di concentrazione in cui si trovava, quindi fece per continuare per la sua via.

“In ogni caso, volevo parlarti,” lo bloccò Re Uther, ponendoglisi davanti anche se era chiaro che lui aveva altri piani.

In quel frangente, lo stregone sentì di capire come non mai da dove Arthur avesse ripreso certi modi di fare; allo stesso tempo, il solo pensare al suo principe lo ammorbidì tanto che Uther si approfittò della sua momentanea stasi per continuare a parlare.

“La natura del legame che c'è tra te e mio figlio non mi entusiasma,” disse, senza tanti giri di parole. “Non la condivido.”

In un'altra occasione, Merlin avrebbe incrociato le braccia al petto e avrebbe dato sfogo a tutte le sue frustrazioni. Però c'era qualcosa in quel momento, nella postura più legnosa che avesse mai visto sfoderare dal Re, che lo convinse a restare ad ascoltarlo.

“Ovviamente sarà un problema che si riproporrà in futuro, e non oso nemmeno immaginare che razza di scandalo ne verrebbe fuori se la cosa raggiungesse orecchie pericolose,” continuò l'uomo. “Il pensiero che un servo sia entrato nelle... grazie di mio figlio, be', non posso dire che mi piaccia,” aggiunse, e dèi... era imbarazzato, adesso? Oh, sì, era chiaramente a disagio.

Il modo veloce in cui aveva sputato fuori il “servo” al maschile e le “grazie” di Arthur era veramente qualcosa di spassoso. Cavolo, Merlin si sarebbe messo a ridere, se la situazione fosse stata un'altra. Invece si limitò a mordersi le labbra, subendo quello che sembrava a tutti gli effetti un discorsino da “padre del tuo ragazzo”.

“Eppure nemmeno sono in grado di negare ad Arthur questo. Anche i poteri di un re arrivano fino a un certo punto,” si giustificò Uther, portandosi le mani sui fianchi.

Merlin si sforzò di guardare con interesse la forma di un cespuglio alla sua destra.

“Non dirò che il cambiamento nei comportamenti di Arthur sia dovuto a te, perché sarebbe assurdo e pretenzioso,” disse il Re, continuando la sua tirata. “Tuttavia, vedo davanti a me un figlio ogni giorno più sereno e più sicuro di sé e motivato. Del resto, non posso che essere felice che non se ne vada in giro a spargere eredi illegittimi per tutta Londra.”

A questo punto Merlin non poté che rivolgergli un sorriso. Sapeva di avere un'aria stanca, le sopracciglia piegate quasi dolorosamente sugli occhi, ma non gli importava. Quello era il padre della persona che amava; gli stava dicendo delle cose imbarazzanti e, in qualche modo, meravigliose. Certo non lo faceva in maniera ortodossa, ma era chiaro che i suoi sentimenti fossero autentici.

Il padre del suo Arthur che gli parlava del loro rapporto... se solo fosse successo in un altro contesto, in un altro tempo...

Lo stregone si sentiva scoppiare il cuore.

“Per quanto sia assurdo dirlo, suppongo che Arthur sia in buone mani con te,” concluse il sovrano, annuendo soddisfatto. “Quindi continua a prenderti cura di lui come stai facendo ora.”

Merlin prese un respiro, la voce gli tremò appena. “Lo farò fino alla fine dei miei giorni,” promise. Un giuramento solenne fatto con gli occhi lucidi, con tutto se stesso.

Se Uther rimase sorpreso dalla sua serietà, o dal modo definitivo con cui pronunciò quella frase, o dal sorriso triste e determinato, si impegnò a darlo a vedere il meno possibile.

Quando sembrava che stesse per congedarlo, però, strinse gli occhi e li puntò direttamente sulle mani di Merlin. “Che cos'hai, lì?” chiese.

Lo stregone si portò le braccia dietro la schiena; le dita si strinsero più forte la presa intorno a...

“E' solo spazzatura.”

“Vorrei ben vedere,” convenne Uther, stirandosi la giacca. “Arthur è allergico alle noci, assicurati che quella roba non arrivi nel suo piatto.”

 

 

ʘ

 

 

Arthur tastò il materasso; c'era qualcosa che mancava, accanto a lui. Addosso si sentiva un teporino languido, un calore che avvolgeva ogni suo muscolo in una carezza. Una carezza... qualcuno gli aveva toccato i capelli, prima, non se l'era immaginato. Qualcuno... Merlin!

Le sue labbra si stirarono lentamente in un sorriso compiaciuto, i ricordi della sera precedente che tornavano a galla. Arthur si sforzò di aprire gli occhi assonnati con l'intenzione di individuare dove si fosse cacciato quell'idiota. Perché non era rimasto lì insieme a lui? Avrebbe potuto perdonargli quella scelta sfortunata solo se si fosse alzato per andare a prendere la colazione.

Quando alzò le palpebre, la prima cosa che entrò nel suo campo visivo fu l'immagine sfocata di un ragazzo in piedi davanti al comodino. Teneva le braccia incrociate dietro la schiena come se fosse in attesa del suo risveglio, e indossava una sciarpa rossa su una maglia blu elettrico... proprio così come sarebbe dovuto essere.

“Che ci fai fuori dal letto?” mugugnò il Principe. “Vieni qui.” D'istinto allungò il braccio, ma ancora prima che potesse maledirsi per aver scoperto tanto le sue intenzioni, l'altro si schiarì la voce.

“Per quanto la proposta mi lusinghi, mio signore, non credo sarebbe appropriato.”

Arthur rinsavì come se qualcuno lo avesse appena schiaffeggiato. Piegò la testa, le labbra che sporgevano sempre più infuori a mano a mano che i contorni di George lo Zelante si facevano definiti. “Tu non sei Merlin,” constatò. Poi ordinò al suo cuore, che era sprofondato fino allo stomaco con un piccolo tuffo deluso, ti ritornare in sé.

“No signore, chiaramente non sono Merlin,” disse George, ed era davvero incredibile come riuscisse a suonare così pomposo anche con così poche parole. “Il vostro valletto mi ha mandato a chiamare perché sia io a prendermi cura di voi per tutto il giorno.” All'espressione torva del Principe aggiunse in fretta, “Dice che ha promesso alla sua amica, la signorina Elena, di aiutarla a ripulire il Rising Sun dopo la festa di ieri notte.”

Arthur alzò gli occhi al cielo, sprofondando con la schiena contro la spalliera del letto.

Tipico di Merlin; solo lui avrebbe potuto lasciarsi convincere a fare una cosa del genere il primo di Gennaio.

“Ieri torna inspiegabilmente ubriaco e ora dichiara senza vergogna di abbandonarmi per andarsene al pub,” si lamentò, scaraventando via le coperte mentre si fiondava giù dal letto.

“Dice anche che, probabilmente, sarà impegnato pure nei prossimi due giorni,” fece presente George.

“E a far cosa?” disse Arthur, sconcertato.

“Non l'ha specificato, mio signore. Il che, se posso, lo definirei davvero un esempio di sconsideratezza unita a una maleducazione allarmante.”

Arthur arricciò la bocca fino a scoprire i denti, passando ad attaccare il guardaroba alla ricerca di qualcosa da mettere che non richiedesse l'aiuto di Merlin. Ma ogni camicia sembrava aver bisogno delle sue mani esperte che lisciassero le pieghe, adesso, ogni maglia andava ripresa e aggiustata secondo il suo gusto, e niente di tutto ciò era mai stato tanto irritante prima d'ora.

Quell'idiota senza criterio, quell'insubordinato con la testa tra le nuvole...

“Sebbene i suoi modi non siano stati molto adatti a un valletto alle vostre dipendenze, sono sicuro che avrà avuto i suoi buoni motivi per comportarsi così, mio signore,” fece per calmarlo George, tentando allo stesso tempo di recuperare le lenzuola buttate a terra e di afferrare al volo un paio di boxer reali.

Il Principe si congelò sul posto, abbandonando il suo processo di devastazione della stanza.

Cavolo. Aveva fatto qualcosa di sbagliato, la notte appena passata?

“No, no,” pensò, grattandosi la testa. Non sarebbe cascato di nuovo in una delle solite spirali di dubbi che bloccavano ogni pensiero razionale del suo cervello.

Non aveva fatto niente di male; si era comportato in modo educato e rispettoso nei confronti dello stato niente affatto lucido del suo valletto. Si era limitato soltanto a stringerlo a sé...

“Oh, dio,” disse, passandosi le mani sulla faccia.

E se, dopotutto, Merlin non avesse voluto nemmeno quello?

Arthur si voltò verso George, che lo stava squadrando con un distacco impeccabilmente professionale, il naso per aria.

“Ma è impossibile, non è vero?” gli disse Arthur, puntandogli l'indice contro la faccia.

Già, Merlin gli aveva confessato a mezza voce i suoi sentimenti con tante di quelle smancerie sufficienti a far arrossire perfino i protagonisti di quei film tedeschi sdolcinati che gli piacevano tanto. Merlin... se aveva capito bene, Merlin era innam...

E'innamoratodime,no?” chiese conferma a George, un rossore furioso che iniziava a fargli pizzicare tutta la faccia. Dio.

“Parlate di Merlin, signore?”

“E di chi, sennò?” ruggì il Principe.

“Be',” iniziò il domestico con studiata lentezza. Arthur, con una smorfia, gli fece istericamente segno di andare avanti. “Be', dando ragione alle voci che girano negli ambienti della servitù, e supponendo l'affidabilità del giudizio di Sua Altezza vostro padre, senza contare che la cameriera Willie viene considerata da tutti il centro nevralgico delle informazioni che circolano a palazzo, direi-”

“George!”

“Direi proprio di sì, mio signore,” concluse senza scomporsi.

Il Principe fece appena in tempo a rimproverarsi per lo stupidissimo sollievo che gli aveva reso molli le articolazioni alla conferma, quando quella sensazione non si trasformò in una nuova ondata di sconforto.

“Se è questo che prova, allora perché adesso mi sta evitando?” disse, buttandosi sulla poltrona blu. Lo stomaco gli si era ripiegato su se stesso e Arthur, se voleva essere onesto, non avrebbe mai potuto attribuire il gorgoglio vuoto che sentiva alla mancanza della colazione. “Tu, se fossi al suo posto, perché mi eviteresti?” chiese a George, rizzando la testa d'improvviso.

Il domestico alzò un sopracciglio, portando il naso ancora più per aria. “Se io fossi... ehm... innamorato di voi, signore?”

Arthur annuì, mordendosi l'unghia del pollice.

“Be',” iniziò di nuovo, prolungando l'ultima lettera, e Arthur ringhiò ancora il suo nome, spazientito. “Be', direi che mi sentirei a disagio perché voi siete il principe, mentre io sono soltanto un misero valletto.”

Oh. Avrebbe potuto trattarsi di questo? Arthur non aveva mai considerato la faccenda da quell'angolazione e del resto Merlin non gliene aveva dato ragione, visto che se n'era sempre bellamente infischiato della loro differenza sociale. Però, ora che ci pensava, Merlin era anche un idiota sempre pronto al sacrificio personale per il bene di qualcun altro... e se, ora che le voci si erano diffuse per tutto il palazzo, avesse deciso di doversi mettere da parte per evitargli problemi?

Arthur scattò in piedi, colpito dalla folgorazione.

Sì, era molto probabile che fosse andata così. Ormai sapeva bene come ragionava quello sciocco; riusciva a immaginarselo impegnato in mille faccende inutili, mogio mogio, che si riprometteva di non macchiare la reputazione di Arthur.

Il Principe prese a percorrere gli ambienti delle sue stanze a grandi falcate, i pensieri che gli vorticavano in testa frenetici. Ignorò i pressanti richiami di George, che gli scodinzolava dietro, mentre l'irritazione per lo spirito nobile di Merlin gli faceva prendere fuoco il collo (e anche un punto non ben definito proprio lì in mezzo al suo petto che Arthur avrebbe preferito ignorare).

Doveva parlare faccia a faccia con Merlin e chiarire le cose tra loro.

Non credeva che lui, a mente lucida, si fosse spaventato per le conseguenze delle loro azioni per se stesso, di questo ne era più che sicuro. Dio, come avrebbe potuto essere altrimenti? Il valletto era sempre avventato e incredibilmente onesto nell'esprimere i suoi sentimenti, ed era anche coraggioso – molto più di Arthur, a dire il vero.

Il Principe si fermò di nuovo nel bel mezzo del salottino d'ingresso (George gli caracollò addosso, ma venne ignorato), e la priorità apparve lampante: avere Merlin accanto non sarebbe potuto bastare. Bisognava anche proteggerlo, togliergli dalla testa qualunque idea imbecille che prevedesse la loro separazione e... e fargli sapere che Arthur si sarebbe preso cura di lui, così come Merlin non aveva mai mancato di dire che avrebbe fatto per Arthur.

Completamente soddisfatto dal suo brillante processo deduttivo e dalle sue risoluzioni, Arthur si voltò, le mani sui fianchi.

“Andiamo, George, prendimi il completo grigio, i miei doveri di Principe mi attendono,” disse, sfoderando un sorrisetto che avrebbe sciolto anche un sasso.

L'altro boccheggiò per una minuscola frazione di secondo, ma si riprese subito. “Certamente,” disse, fiondandosi verso l'armadio. “Se posso signore...”

Arthur si riaccomodò sulla poltrona, intrecciando le dita dietro la testa. “Sì?”

“Come avete intenzione di procedere, con Merlin?”

Arthur sbuffò una risata dal naso. “Gli darò il suo spazio,” spiegò, facendo oscillare la gamba destra che aveva accavallato sull'altra. “Un giorno o forse due al massimo per rendersi conto della sciocchezza che stava per fare e per pentirsi dei suoi peccati. Poi andrò a liberarlo io dalla sua miseria, accertandomi di ricordargli quanto sia stupido.”

E gli dirò anche che non lo lascerò mai, e che quindi sarà meglio che non si metta in testa di farlo nemmeno lui, per quanto buone siano le sue intenzioni.

George annuì, abbassando la testa, e il Principe rise, ritrovando un'ilarità appena un pochino troppo euforica.

Merlin era innamorato di lui.

Merlin era innamorato di lui e Arthur l'avrebbe tratto in salvo dalla sua idiozia. Tutto sarebbe andato per il verso giusto.

“E' davvero un piano d'azione perfetto,” sospirò, chiudendo gli occhi.

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2094685