Il sole all'alba

di Be Only One
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 capitolo ***


 

 


 
Il sole all'alba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e che si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. E' un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato >>
                                                                                   -William Shakespeare-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                        A mio fratello, Mirko.
 
 
 
 
 
 
 
 
1.
Aprii gli occhi.
La prima cosa che vidi fu il mio profumo, Chanel n 5, ancora aperto sul comodino. L'aria era, ormai intrisa del suo profumo. Mi rigirai lentamente e mi guardai intorno. La luce del sole, ancora neonato, entrava dalla finestra spalancata e illuminava il letto beige. I mobili erano raffinati e moderni. La stanza era ampia e luminosa. Mi rigirai nel letto ancora intontita e mi sorpresi di non sentirmi cadere. Il mio letto non era così grosso.
Quella non era camera mia. Panico.
Dove mi trovavo?
Guardai meglio la stanza.
Era una stanza circolare, con un letto enorme beige. Aveva le delle piastrelle a terra bianche ed un grosso lampadario che pendeva dal soffitto grigio. Le pareti grige scure si aprivano verso un piccolo balcone che si sporgeva verso il centro di Milano.
Guardai il mio corpo sul letto, indossavo una camicia da uomo azzurra e vicino ai miei piedi c'era un biglietto. Mi alzai lentamente e lo lessi sperando che mi desse qualche risposta:
Spero che la notte sia andata bene. Scusa ma sono dovuto scappare per lavoro, fai pure come se fossi a casa tua. Ciao.
Notai con particolare interesse una scrivania posta alla mia sinistra su cui giacevano diversi libri ne lessi i titoli : Cime Tempestose, Amore e Psiche, Ragione e Sentimento...
' Oddio', pensai 'mi sono ritrovata un rincoglionito romantico che legge classici. '
Provai a ricordarmi della notte, ma il mio unico ricordo era di una macchina, una Porshe gialla, poi più nulla.
Un buco.
Dove ero finita? Lentamente mi alzai dal letto. La testa mi faceva ancora un po' male. Mi guardai allo specchio. I miei capelli castano chiari erano sciolti e ricadevano leggeri sulle spalle e avevo gli occhi azzurri un po' chiusi per tutta la luce di quel mattino. Mi diressi in bagno quasi strisciando per la stanchezza. La casa era ben ordinata e sobria, ma io non mi ricordavo nemmeno il nome del proprietario. Mi svestii ed entrai dentro la doccia.
Sentivo ancora il mio alito, vodka mischiato a gin lemon e forse un po' di whisky. Barcollavo anche nella doccia. Aprii l'acqua che mi travolse il corpo facendomi tirare un sospiro di sollievo. Mentre mi insaponavo i capelli pensai a come arrivare a casa e cosa avrei potuto raccontare ai miei genitori adesso. Uscii dalla doccia mi lavai i denti con uno spazzolino non mio e sempre con l'asciugamano avvolto addosso andai in cucina.
Lasciai delle impronte di piedi per tutto il parquet del corridoio. Arrivata in cucina, notai con dispiacere che era piuttosto piccola.
Aprii tutti gli sportelli fino a trovare la Nutella. Era un po vecchia e nascosta nell'angolino più remoto dell'armadietto. Probabilmente cercava di mantenere una linea perfetta, ma a me non importava, presi due o tre cucchiaiate e poi lasciando la Nutella e il cucchiaino ancora sporco sul tavolo andai in camera. Poi velocemente mi vestii e uscii da quella casa che già mi annoiava troppo.
Mi chiusi il portoncino alle spalle e iniziai a scendere le scale. A metà scale mi ritrovai una vecchietta con i capelli bianchi che mi squadrò dall'alto al basso. Io tirai dritto, ma lei non si fece sfuggire l'occasione e con voce leggera mi chiese
<< E' lei la nuova ragazza dell'Alessio ? >>.
' Ma chi è sto Alessio? ora scusi ma devo ritornarmene a casa' ecco cosa le avrei voluto rispondere, ma invece tirai fuori un raggiante sorriso e risposi:
<< No sono sua sorella, piacere Alice >>.
La vecchia strabuzzo gli occhi.
<< Non mi aveva mai detto di avere una sorella >>.
E ora cosa le dicevo?
<< E invece eccomi qui, probabilmente non le ha mai parlato di me perché sono la sua sorellastra, mia madre si è risposata con mio padre dopo il suo e sa lui ci sta ancora cosi male che non ne parla molto volentieri>>.
Feci una faccia sconsolata.
<< Ah allora lo saluti da parte mia e buona giornata >>.
<< Senz'altro e buona giornata a lei >> le risposi cercando di trattenere il sorriso che mi stava già spuntando sulle labbra.
Uscii dal portone principale e mi ritrovai all'aria aperta.
Il vento fresco mi travolse come una burrasca gelata, ma piacevole. Ispirai l'aria fino a non avere più spazio nei polmoni ed iniziai a camminare a vuoto per le strade di Milano. Quando mi resi conto che casa mia era a pochi isolati da qui decisi di andarci a piedi. I passanti camminavano velocemente con l'aria monotona del lunedì mattina.
Era estate e molte famiglie erano in vacanza magari li scocciava il dover essere rimasti in questa grigia città. Un paio di ciclisti si girarono a guardarmi, mi ero messa a canticchiare. Mi sentivo stranamente leggera ed allegra. Troppo presto arrivai al portoncino di casa mia. Suonai incerta.
Al citofono non mi rispose nessuno, mi aprirono semplicemente. Sapevano che ero io. Salii le scale controvoglia, mi immaginavo già la scenata che mi aspettava superata la soglia. Spinsi leggermente la porta.
Giorgia, mia sorella, era li. Appoggiata al muro mi guardava come se stesse aspettando una spiegazione. Giorgia era una bella ragazza aveva 19 anni ed era alta e snella solo un po' di pancetta che avevo notato quando si faceva la doccia. Ora aveva i capelli rossi legati in una coda e gli occhi marroni cioccolato che sembrava mi lanciassero uno sguardo accusatore erano stanchi e circondati da pesanti occhiaie. Non aveva dormito mi aveva aspettato. Lei non mi capiva. Non riusciva a comprendere il perché io fossi così. Del resto non lo sapevo neppure io.
Lei era migliore di me lo sapevo benissimo. Era responsabile e, matura, educata, curata. In pratica il contrario di me.
<< Dove sei stata questa notte Elis ? >> mi chiese quasi con un tono disperato. Mi chiamano tutti così. Elis è la pronuncia del mio nome in inglese. Odio quando mi guarda così. Mi fa sentire malissimo.
<< Scusa Gio è stata una nottata tremenda e giuro che non ho bevuto >> cercai di improvvisare una bugia, ma ovviamente lei mi conosceva troppo bene per credere in una cretinata del genere.
<< E tu pensi ancora che io me la beva? >> mi chiese quasi ridendo.
<< Almeno ci ho provato. Mamma e papà? >> risposi con sincerità.
<< Stai tranquilla ti ho coperto io. Questa mattina quando si sono svegliati li ho detto che eri andata a comprare il giornale non credo che ci abbiano creduto, però >> rispose sedendosi sulla poltrona in salotto.
<< Poco originale. E adesso dove sono? >> chiesi sedendomi anche io sul divano.
<< Stanno ancora dormendo >> rispose lei semplicemente accendendo la televisione.
Cambiò circa dieci canali poi si girò verso di me e con lo sguardo fisso mi disse:
<< La devi smettere, Elis, hai 24 anni e non puoi continuare a non fare niente e ad ubriacarti fradicia la sera e dormire ogni notte con uno sconosciuto diverso. Devi crescere. Odio dirtelo perché sai quando ti voglio bene, ma è la verità. >> .
In quel momento mi sentii sprofondare, volevo sparire, come era umiliante sentire questo discorso da tua sorella minore di cinque anni e dover ammettere che aveva ragione.
Guardai la sua pelle chiara come il latte
<< Lo so, Gio, hai ragione, mi dispiace >>.
Finsi di guardare il telegiornale, ma intanto stavo ripensando a quella notte.
Io e le mie amiche eravamo andate in un pub, stasera basta alcolici, ci eravamo dette.
Era un piccolo posticino in periferia di Milano. Ordinammo un Martini e poi una birra e infine io per strafare vodka alla pesca con ghiaccio, il mio preferito. Mi ricordo solo che ad un certo punto ragazzi che non conoscevo si unirono a noi, io ero ubriaca ridevo, parlavo e bevevo. Poi uno di loro mi prese in disparte ,era bello e simpatico e mi portò su una Porshe gialla canarino. Ricordo che ero rimasta colpita da quella macchina, era favolosa. Poi un buco nero, non mi ricordo più nulla. Un rumore mi distrasse dai miei pensieri veniva dal piano di sopra.
<< Si sono svegliati >> mi bisbiglia Giorgia.
Dopo pochi minuti vidi i miei genitori scendere dalle scale ancora addormentati.
Mia madre, Rosa, portava bene i suoi cinquanta anni, era bassotta ed era un pò tonda, ma neanche troppo per dire che fosse grasso, aveva dei capelli rossi corti e degli occhi azzurri che mi ricordavano i miei, ora indossava una vestaglia da notte grigia e le mie pantofole.
Mio padre, invece dopo di lei, si chiamava Enrico , era molto diverso da lei. Era alto e magro e aveva un viso severo. I capelli ormai grigi, erano ribelli e neanche il gel riusciva a tenerli a posto. I suoi occhi erano neri come la pece e quando ti guardava non riuscivi a distinguere la pupilla dal resto dell'occhio non capendo mai cosa fissava. Ora aveva una canottiera bianca e dei pantaloncini blu.
Mia madre mi sorride. <>.
<< Auguri mamma >> dice Giorgia, quasi subito. Oddio mi ero dimenticata, aspetta oggi che giorno è il 20 ? No è il 22...Quindi è davvero il suo compleanno!
<< Si auguri.. >> dico io tra la vergogna e l'imbarazzo.
<< Grazie ragazze >> ci sorrise lei solare come sempre.
<< Allora io vado in camera mia >> dissi in fretta mangiandomi le parole e salii due scalini alla volta.
Entrai nella mia stanza e spalancai la finestra.
Il sole entrò dalla finestra e mi fece bruciare gli occhi. Aprii l'armadio e presi un paio di jeans e una canottiera. Mi cambiai e dopo mi sedetti sul letto. La mia stanza era arancione, io ho sempre odiato quel colore e infatti tutte le cose che avevo comprato dopo e di mia volontà le avevo prese di un colore diverso.
La mia stanza era disordinatissima. Avevo libri sparpagliati per terra, io adoravo leggere. Sulle pareti c'erano ogni tipo di fotografie, io e la mia ex migliore amica, Emily.
Emily. Distolsi in fretta lo sguardo da quella fotografia.
Io, mia madre e mia sorella...
Io amavo mia sorella, come una madre, una amica, una cugina, una compagna. Non avevamo mai avuto problemi io e lei non litigavamo mai. Mi ricordo che quando io avevo sei anni e lei uno mi cercava sempre e una delle prime parole che imparo fu Ali.
<< E' pronto >> sentii mia madre urlare dalla cucina.
<< Arrivo >> urlai di rimando.
Scesi le scale in fretta e mi diressi in cucina. C'era un buon profumo di pasta appena cotta e di pesce.
Aveva fatto gli spaghetti con le vongole. La tavola era ben preparata con la tovaglia migliore capii che era perché era una giornata speciale. Il compleanno di mia madre. Mio padre e mia sorella erano a tavola e parlavano di lavoro, di scuola, di quei discorsi seri che solo loro due riuscivano ad affrontare. Mi sedetti sull'unica sedia libera.
Mi sentivo un intrusa in quella famiglia perfetta, il puntino nero su un foglio bianco, la mela marcia del cestino. Mia madre arrivò e ci diede una porzione di pasta a ciascuno poi si sedette e disse rivolgendosi a me:
<< Ali, oggi è il mio compleanno e vorrei che stasera alla mia festa ci fossi anche tu e... >>.
<< Deve venire >> la interruppe mio padre lanciandomi uno sguardo trovo.
<< Enrico, ti prego >> lo ammonì mia madre.
<< Comunque la festa inizia alle 10 qui a casa e ci terrei che venissi >>.
<< Ci sarò >> dissi quasi strozzandomi con uno spaghetto. Sentivo lo sguardo di mio padre sulla testa. I discorsi allegri della mia famiglia non riuscivo a sentirli pensavo di essere diventata sorda vedevo la loro bocca muoversi, ma non sentivo nulla.
Loro ridevano e io no, io non li capivo. Mi veniva la nausea.
<< Scusate io devo andare >> borbottai e con la pasta ancora nel piatto uscii.
Ero stufa di tutti e di tutto. Uscii per la strada ed incominciai a correre. Ero stufa di essere me stessa, della mia famiglia, della mia casa, della mia città, della mia vita .
 
 
 
 Angolo Autrice:

 
Cosa ne pensate? Era una storia che avevo scritto molto tempo fa, ma che ho pensato di pubblicare. L'ho scritta tre anni fa, mamma mia quanto tempo.. Scrivete una recensione e fatemi sapere come la trovate ;)
Alla prossima. Ciao 

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Capitolo 2
*** 2 capitolo ***


 
 
 
2.
Ero ad un negozio di scarpe e guardavo con attenzione tutte le possibile calzature che sarebbero piaciute a mia madre. Dovevo farle un regalo.
C'erano delle scarpe che costavano cento euro però erano bellissime con un leggero tacco blu scure appropriate anche per la sua età ma il costo era troppo per me. Mentre controllavo delle altre scarpe di gran lunga peggiori, ma con un costo molto più razionale, sentii toccarmi leggermente la spalla, mi girai di scatto.
Sabrina era li davanti a me che mi guardava sorridendo. Sabrina mi assomigliava un po' di carattere, era però un po' bruttina. Il naso era storto e gli occhi verdi erano spenti, aveva labbra sottili e quando sorrideva le venivano due splendide fossette. Con una mano si prese un ricciolo dei capelli biondi e iniziò ad arricciarlo.
<< Allora, come va ? >> mi chiese masticando una cicca pesantemente.
<< Tutto ok >> risposi semplicemente cercando di andarmene. Sabrina, significava guai.
<< Aspetta >> mi disse lei << Stasera c'è una festa favolosa da Roberto Masotti >>.
Mi sorrise.
<< No non posso è il compleanno di mia madre >> cercai di usare tutta la mia forza di volontà. Ero divisa in due una parte di me avrebbe voluto con tutto il cuore accettare quella proposta, l'altra più responsabile cercava di respingerla.
<< E tu preferisci stare con quei vecchi ammuffiti invece di divertirti ? >> replico lei ridendo.
<< Non sono dei vecchi ammuffiti, lei è mia madre Sabri, davvero non posso, ora vattene alle dieci devo essere a casa >> riprovai a dire questa volta con più forza.
<< Su dai, almeno accompagnami, sono le sette puoi restare un paio di ore e poi tornartene a casa...>>.
<< Davvero no non voglio >>.
<< Sei sicura di non volerlo? >>.
<< Si >>.
<< Invece no tu credi di non volerlo, invece vuoi venire con me e fregartene degli altri >>.
Quel poco di forza di volontà che mi era rimasta si sgretolò in un baleno e mi ritrovai a balbettare.
<< Allora... magari.. in questo caso...be..si va bene >>.
Lei si aprì in un sorriso sgargiante.
<< Ottimo >> disse << Ho visto che guardavi quelle scarpe blu te le copro io >>.
<< No davvero non devi >> cercai di dire io neanche troppo convinta.
<< Insisto>> si impuntò lei.
Alla fine uscii dal negozio con il pacchetto per mia madre in mano e con l'altra entra in macchina con Sabrina. Appoggia il regalo nel sedile posteriore e inizia a rilassarmi lasciandomi cadere sul sedile. Sabrina guidava come una pazza e in pochi minuti eravamo già li. La festa era già iniziata anche se erano solo le sette.
Ragazzi e ragazze si tuffavano dentro la piscina e bevevano cocktail.
Quello era il mio mondo. Scesi dalla macchina ed entrai. Persi subito di vista Sabrina, ma non mi importava. Io dovevo stare lì. Era come il pesce che deve stare in acqua, io dovevo vivere così, quella era la mia vita.
La musica era altissima ed io iniziai a ballare.
Mi sentivo una farfalla.
<< Ehi, vuoi da bere? >> mi sussurrò un ragazzo.
<< Si >> urlai, volevo bere ed ubriacarmi perché io ero così era inutile nasconderlo, io ero nata per questo.
Mi ritrovai in mano un liquido strano era giallo sapeva di vodka, alcol, grappa e perfino di Coca Cola.
Io alzai le spalle e lo bevvi tutto in un solo dorso.
Sentii il caldo famigliare invadermi la gola e scoccai la lingua, impaziente.
Continuai a ballare.
Musica, vodka,ballare, alcol, gin tonic, musica, tequila, mojito....
Capivo solo più questo e intanto bevevo e ballavo. Mi venne la nausea uscii, vomitai e poi rientrai.
Mentre barcollavo caddi per terra e iniziai a ridere. Non riuscivo più a smettere. Mi bruciava la gola, ma io ridevo.
<< Cazzo ma sei ubriaca ? >> era la voce di Sabrina leggermente preoccupata.
Io risi più forte.
<< Io ubriaca, ma ti pare? >> risposi masticando le parole.
<< Si mi pare, perché non riesci a camminare su una pavimento dritto senza cadere.. >> rispose con rabbia, io riuscivo solo a ridere.
<< Vieni che ti porto a casa >> mi disse.
Mi prese in braccio e con fatica mi portò fino alla macchina io caddi dentro come un sacco.
<< Che ore sono ? >> chiesi.
<< Le sei >> mi rispose.
Come potevano già essere le sei un minuto prima ero appena arrivata erano le sette di sera e ora già le sei di mattina. Poi un ricordo: mia madre che mi chiedeva se potevo andare al suo compleanno.
<< Merda, il compleanno di mia madre >> bofonchiai.
Ormai tanto era troppo tardi per rimediare. La macchina di Sabrina si fermò davanti a casa mia.
<< Sei capace a salire da sola ? >> mi chiese incazzata. << Si, credo >> risposi sulla difensiva.
Presi il regalo di mia madre e iniziai ad incamminarmi verso l'ascensore, ero troppo ubriaca per prendere le scale. Durante il tragitto rischiai di cadere minimo tre volte, speravo che Sabrina venisse ad aiutarmi, ma invece sentii le gomme della sua Mini stridere sull'asfalto e dopo un minuto lei non c'era più, ormai ero sola e sola dovevo affrontare i miei genitori.
Entrai in casa facendo meno rumore possibile.
Era tutto buio, sperai che tutti fossero andati a dormire. Ma poi mio padre mi disse:
<< Dove sei stata questa notte? >> lui cercava di tenere un tono serafico, ma la sua voce tradiva della rabbia.
<< In giro >> risposi assonnata.
<< Ma non ti fai schifo, guardati sei ubriaca, sporca, bagnata di alcol e hai perso il compleanno di tua madre, non sai quanto ci sia stata male >> mi disse alzando la voce e perdendo la pacatezza che cercava di conservare.
<< Che vuoi da me ? Io sono così. Scusa se non sono una figlia perfetta come Giorgia >> urlai io.
<< Non tirare in mezzo tua sorella, solo perché tu sei una irresponsabile lei non ne ha colpa >> urlò anche lui con cattiveria.
In questo momento mi odiava, lo vedevo dallo sguardo duro con cui mi guardava, non avevamo mai avuto un buon rapporto.
Io corsi su per le scale e spalancai con un calcio la porta della stanza di mia madre.
<< Tieni prenditi il tuo regalo di merda, stronza! >> urlai e mia madre si svegliò.
Sentii i passi pesanti di mio padre sulle scale. Mi si avvicino di corsa e mi diede uno schiaffo così forte da farmi cadere per terra.
<< Non osare più rivolgerti in quel modo a tua madre >> mi urlò.
In tanto, con quel caos anche Giorgia si era svegliata.
<< Cosa è successo ? >> chiese allarmata e poi vedendomi li per terra ai piedi di nostro padre che era arrabbiatissimo e mia madre che piangeva con singhiozzi sommessi ricollegò tutta la scena che aveva sentito già nella sua stanza.
Si avvicinò a nostra madre.
<< No mamma, non piangere, lo sai che non voleva dirti quello, è ubriaca, non le pensa davvero quelle cose >>.
Giorgia mi difendeva sempre, anche quando sapeva che avevo torto marcio.
<< Non ci pensare, Rosa, non ti preoccupare di cosa pensa lei >> le disse mio padre.
Io mi vergognavo di me stessa e quindi mi rialzai e andai in camera mia.
' Si papà mi vergogno di me' li volevo rispondere, ma la mia gola bruciava.
Mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi. Iniziai a piangere e poi vomitai.
Cosi, sporca, bagnata dalle lacrime ed infreddolita mi addormentai nella tristezza del mattino e del sole che sorge. 

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Capitolo 3
*** 3 capitolo ***


 
3
Mi risvegliai che dovevano essere le otto di sera.
Ero pulita le coperte erano cambiate e il vomito sparito mi sentivo ancora un po' stordita e un timido bussare alla porta mi fece tornare il mal di testa.
<< Avanti >> dissi indecisa non avevo voglia di vedere nessuno.
Mia madre entrò furtiva dalla porta come se temesse che un suo passo falso avrebbe fatto scoppiare una bomba. Aveva pianto probabilmente tutta la notte lo vedevo dai suoi occhi gonfi e dal mascara sciolto sulla guancia.
Ma mi sorrise ugualmente.
<< Hai dormito bene ? >> mi chiese come se nulla fosse.
Io mi limitai a fare un grugnito di assenso.
<< Ho visto che avevi vomitato e ho cambiato le coperte e poi ti ho cambiato il pigiama >> continuò sempre con il suo tono tranquillo che mi faceva impazzire di nervoso.
Mi guardai i vestiti. Era vero, avevo un pigiama nuovo.
<< Grazie >> riuscii solo a borbottare e provai a sorridere, ma credo che più che ad un sorriso somigliasse ad una smorfia.
Mia madre si sedette sul letto al mio fianco.
<< Sai Elis, mi è dispiaciuto molto per ieri sera >> incominciò il suo discorso ed io capii che sarebbe stato molto lungo.
<< Penso che tuo padre e te abbiate solo problemi di comunicazione, perché, bé, ecco tu sei diversa e lui è forse un po' troppo rigido su certe cose, ma questo non vuol dire che tu non hai sbagliato,perché hai fatto un grosso errore ieri sera, però noi genitori dobbiamo essere anche capaci di dimenticare... >> mia madre stava continuando il suo bel discorso che avrei scommesso era già formato nella sua mente.
<< Mi dispiace, mamma >> la interrompi << ma arriva al dunque >>.
Lei divenne rossa come un pomodoro e balbettò
<< Be...ecco.... ti sto cercando un lavoro... >>.
Rimasi allibita.
Io, un lavoro. Cercai di ricordare i miei ultimi lavori come erano andati.
Malissimo.
La barista, mi ricordo, era il mio preferito finché un giorno non fusi i bicchieri nel microonde. Oppure l'assistente, una volta avevo confuso tutti gli appuntamenti al dottore che si era trovato tre pazienti allo stesso orario. Io non ero proprio portata per lavorare. Ma allora per cosa sei portata? mi chiese una vocina maligna nella mia mente.
<< Bé ecco e come sta andando ? >> chiesi non troppo convinta. Mia madre sentì questa indecisione nella mia voce e mi rispose:
<< Elis pensaci hai bisogno di un lavoro ormai hai 24 anni, vedrai che andrà bene me lo sento >> e mi sorrise.
<< Bene allora >> risposi << e papà? >> aggiunsi.
Il suo sguardo si incupì, e io capii che non mi aveva ancora perdonato.
<< Si riprenderà vedrai e solo un po' stressato sai il lavoro >> mi rispose mia madre.
Io la guardai.
<< Un' ultima cosa forse è meglio che tu mangi qui oggi ti porto il cibo in camera ed oggi fammi il favore di non uscire fallo per tuo padre >> mi supplico quasi lei.
Stava già uscendo dalla stanza quando si batté una mano sulla fronte e disse:
<< Mi stavo quasi dimenticando, è arrivata Emily e ti vuole vedere la faccio salire>>.
Con queste ultime parole uscì dalla stanza in punta di piedi per preparare il pranzo.
Emily.
Questo nome mi restava sulla punta della lingua e mi bruciava un po' avrei sputarlo fuori, ma non ci riuscivo. La porta si spalancò prima voluto che io potessi essere pronta ad una sua visita e lei entrò. Non riuscivo ad alzare lo sguardo dai miei piedi. Raccolsi tutto il coraggio che avevo e le piantai lo sguardo negli occhi. Il mio blu e il suo marrone si mescolarono in un unico insieme. La contemplai a lungo, non era cambiata da allora. Aveva le solite labbra carnose, il naso a patata e i capelli marroni di sempre. Era forse un po' ingrassata.
Mi guardava con aria di compassione. Non volevo essere capita, non volevo farle pena.
<< Ciao >> le dissi con voce roca.
<< Ciao Elis >> mi rispose lei. Il fatto che mi chiamasse con quel soprannome mi fece rifiorire molti ricordi.
<< Non pensavo che ti avrei mai più rivista >> continuai il discorso in modo vago.
<< Bé ecco io sono qui, per te >> mi rispose.
Scoppiai a ridere.
<< Dimmi cosa vuoi Emily e poi vattene. Come l'ultima volta del resto te ne sei andata >> risposi acida.
<< Ero giovane e spaventata di cosa eri diventata>> mi rispose in tono di supplica.
Mi sentivo spietata.
<< Io e te eravamo migliore amiche da quando siamo nate, dormivamo insieme, giocavamo insieme, mangiavamo insieme, facevamo anche la pipi nello stesso vasetto e poi io sono stata male e tu sei sparita e dopo quattro anni ecco che ti rivedo qui a casa mia. Cosa vuoi?>>
<< Tu ti drogavi, Elis, come puoi pretende che io non mi staccassi da te >>
<< Allora cosa ci fai qui vattene >> urlai.
Lei iniziò a piangere.
<< E' successo quattro anni fa, mi arriva una tua chiamata ed erano le tre di notte. Io vengo lo stesso nel luogo che mi hai indicato e poi mi ritrovo davanti un ospedale di riabilitazione per drogati come posso averla presa >> mi dice tra i singhiozzi.
Ricordo la faccia delusa di Emily mentre mi guardava dall'altra parte dell'atrio insieme a una dottoressa, ricordo la sua voce << Io e te abbiamo chiuso per sempre >> mi ricordo l'odio con cui era scappata da lì....
<< Sei mesi sono stata lì dentro e neanche una merda di telefonata >> le dissi.
<< Però ora sei guarita vero ? >> mi chiese disperata.
<< Certo non ero un caso grave era solo da due mesi che andavo avanti e loro mi hanno aiutata molto, ora sono uscita dal giro >>
<< Sono molto contenta di questo, ma ti prego accetta le mie scuse, sono le scuse sincere di una bambina che rivuole la sua amica, per giocare, per mangiare il cioccolato insieme, per tuffarsi nel fango, per truccarsi e cantare al karaoke, stare sveglie la notte per parlare dei ragazzini e volerci bene come due sorelle... >> mi disse tutto questo con le lacrime agli occhi.
<< Ora non so però ti farò sapere >> le dissi in tono freddo.
<< Ho notato che conservi ancora la nostra foto del liceo, ne sono molto contenta >> disse indicando il quadretto sulla parete.
La fulminai con lo sguardo.
<< Sappi che io sarò sempre pronta a riaccoglierti con le braccia aperte. Ti lascio il mio numero >> mi diede un piccolo pezzo di carta sul quale erano scarabocchiate delle cifre.
<< Bene ciao allora >> le dissi.
<< Ciao >> lei si asciugò le lacrime in una manica del giubbotto e poi mi lanciò un' ultima occhiata prima di sparire oltre alla porta.
Mi coricai sul letto esausta e non ebbi neanche il tempo di pensare che la porta si spalancò di nuovo.
Era Giorgia che mi stava portando la cena. Era elegante. I capelli rossi erano sciolti sulle spalle aveva del leggero trucco sugli occhi e portava un vestitino che non arrivava al ginocchio.
<< Dove vai vestita così ? >> le chiesi curiosa.
<< Esco >> mi risponde semplicemente.
Posai la cena sul letto.
<< Dove ? >> le chiesi.
<< Vado in discoteca >> mi rispose.
<< Vengo anche io >> dissi e mi stavo già preparando quando lei mi fermo.
<< Tu no, non puoi, devi mangiare la cena e poi papà ha detto di no >> mi disse severa.
<< Ho ventiquattro anni e faccio quello che voglio e comunque non avevo fame >>.
<< No tu non vai da nessuna parte >>.
<< Non sarai certo tu ad impedirmelo Giorgia >>
Mi vestii in fretta ed uscii. Mio padre era sul divano e stava dormendo, mia madre non c'era.
Giorgia mi rincorse in silenzio.
<< Alice pensaci un attimo non puoi, non farlo >>. Giorgia mi aveva raggiunto ed era arrabbiatissima.
<< Invece posso vieni >> ribattei io. Scendemmo le scale insieme, io ero motivata dalla rabbia contro Emily.
Arrivai alla mia macchina e salii. Giorgia non si muoveva.
<< Non ti permetterò di farlo >> mi disse.
<< Ed invece si. Giuro che a mezzanotte saremo a casa. >> la guardai supplicando.
<< No >>.
<< Bene allora vai con la tua macchina alla festa, io ci vado comunque con o senza di te >>.
<< Che cattiva >>.
Alla fine lei si fece convincere e salì in macchina. Restammo zitte per tutto il viaggio e quando parcheggiai notai che era ancora nervosa.
<< Cosa c'è ? >> le chiesi.
<< Ho paura che se la prendano con me>> mi disse in ansia.
<< Non lo faranno se ti diranno qualcosa tu digli che sono venuta da sola... Io ti voglio molto bene Giorgia non potrei avere avuto sorella migliore di te >> le dissi.
Lei mi abbracciò e mi disse << Anche tu Elis anche se delle volte fai davvero delle cazzate come questa sera >>.
Scendemmo dalla macchina ed entrammo nella discoteca.
La musica mi travolse. Le luci multicolori illuminavano tutti gli angoli della sala che era enorme.
Una massa informe di ragazzi ballavano e urlavano. Iniziai ad adattarmi alla musica e piano piano mi dimenticai di tutti i miei problemi, di mio padre, di mia madre, del lavoro, di mia sorella, di Emily,del mio problema con l'alcool, di tutto. Ricominciai a bere, perché i vizi non muoiono.
Era notte fonda ormai io mi ricordo delle stelle e la luna che brillava e poi. Scrosci di ricordi offuscati. Ragazzi che saltavano, ballavano, tiravano in alto le mani, bevevano, danzavano,ridevano.
Ballavo con un bicchiere di vodka in mano e cantavo.
Ballavo e bevevo.
Bevevo per dimenticare, per ballare meglio, per sorridere, per ridere.
Mi ricordo solo che dovevo uscire, dovevo vomitare.
E poi svenni e tutto finì.  

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Capitolo 4
*** 4 capitolo ***


 
4.
Mi svegliai ancora stordita. Sentivo la puzza di marcio e mi bruciava il naso. Aprii gli occhi di scatto.
Ero appoggiata ad un cassonetto questo spiegava la puzza, ma in quel momento le diedi poca importanza perché davanti ai miei occhi una figura maestosa mi guardava.
Era un ragazzo. Era il mio sole. Era bellissimo. Aveva i capelli corvini mossi dal vento e gli occhi azzurri tondi e profondi che mi fissavano. Era perfetto in ogni cosa.
Alto e snello, bello e perfetto.
Aveva il viso leggermente ovale ed un'espressione perplessa dipinta in volto, le labbra rosee erano arricciate e il naso dritto annusava l'aria come un segugio.
Era il mio sole.
Illuminava la mia vita oscura e in quel momento mi sentii completa.
<< Sei piena come una spugna >> mi disse con voce dolce, anche se mi stava rimproverando.
<< Non sono ubriaca >> cercai di difendermi da tanta perfezione.
<< Certo e io sono il presidente degli stati uniti! >> rise.
La sua risata mi fece mancare un battito al cuore. Mi intontì per un momento e poi risposi:
<< Vaffanculo >>.
<< Hai un bel caratterino per pensare che alle dieci di mattina, tu ti svegli vicino ad un cassonetto e mandi a fanculo chi ti vuole aiutare >>.
Io sbuffo semplicemente.
<< Arrangiati >> mi dice e stava per andarsene ma io li urlo dietro:
<< No, ti prego non andartene! >>.
Lui si ferma, si gira e mi guarda. Io mi rannicchio. Mi infastidisce con quel suo sguardo penetrante.
Mi si avvicina e mi porge una mano.
<< Su dai vieni con me >>.
<< No, io non posso, non so neanche chi sei >>.
Lui mi guarda e sembra che stia pensando poi lo vedo scrollare le spalle e mi prende in braccio, io cerco debolmente di oppormi, in realtà mi piace essere lì tra le sue braccia, ma non voglio neanche io ammetterlo.
Mi porta sulla sua macchina e io mi lascio scivolare sul sedile. Lui si siede vicino a me, al posto di guida e poi mi sussurra:
<< Ora dormi >>.
Lentamente chiusi gli occhi e mi abbandonai in un sonno profondo.
Quando mi risvegliai mi trovavo in un letto bianco. Mi guardai attorno. Ormai doveva essere tardi, il sole stava tramontando e dalle persiane si intravedeva il colore del cielo rosso sangue.
La stanza sembrava un catalogo dell'Ikea. Le pareti e il soffitto erano nere mentre il pavimento di parquet marrone scuro. Tutti i mobili, dal letto, all'armadio, al tappeto erano bianco candido. Mi stiracchiai e mi scappò uno sbadiglio.
Sentivo dei passi avvicinarsi. Il ragazzo che mi aveva portato qui, sbucò dalla porta.
<< Allora ti sei svegliata? Hai dormito un sacco, nove ore e prima avevi già dormito sul cassonetto. >> soffocò una risata.
<< Comunque io sono Riccardo, ma tu puoi chiamarmi Ricky >> aggiunse.
Riccardo. Quel nome mi piaceva quasi quanto il proprietario.
<< Piacere Alice, ma tutti mi chiamano Elis >> sorrisi.
<< Elis ? >> mi chiese aggrottando le sopracciglia.
<< Bé si è la pronuncia del mio nome in inglese >> spiegai con disinvoltura.
<< Ah, bene. Elis. Bello. Mi piace. Comunque ti ho preparato una vasca se vuoi il bagno e a tua disposizione e ti ho messo anche dei vestiti puliti. Sono miei quindi non so se ti andranno ma ho cercato le cose più piccole che avevo. Sai i tuoi puzzano un po' >> mi disse sempre sorridendo.
Era incredibile. Una vasca per me a casa sua.
<< Grazie >> risposi meravigliata.
Mi alzai dal letto ancora stanca.
<< Vieni ti accompagno in bagno >>.
Mi condusse per un corridoio rosso, i muri erano tappezzati da foto e disegnati. Alcuni sembravano murales. A terra invece, c'erano tantissime lampade dalle forme più svariate. Adoravo quella casa.
<< Ecco il bagno >> mi disse dopo essersi fermato su una porta a sinistra.
Entrai e restai sbalordita dall'immensità di quel bagno: era grande quasi quanto la mia stanza.
Era giallo, mi ricordava la luce. C'era una doccia trasparente, uno specchio enorme ed al centro esatto del bagno c'era una vasca enorme ora piena di acqua e di schiuma.
Mi girai verso Ricky.
<< Io ora vado, fai pure come se fossi a casa tua >> e chiuse la porta lasciandomi sola con quello splendore.
Neanche nei sogni più sfrenati avrei mai sognato di fare un bagno in una vasca del genere.
Mi svestii in fretta ed entrai nella vasca. Il mio corpo si adattò velocemente all'acqua e in pochi minuti mi ritrovai completamente rilassata.
Chissà perché ora mi trovo qui in una casa di uno sconosciuto a fare il bagno...
Dovrei chiamare Giorgia o i miei genitori per dirgli che sto bene e che cosa mi è successo, ma il mio cervello respinge subito quell'idea vorrei stare qui tutta la vita per il resto dei miei giorni.
Chiudo gli occhi e vedo il suo viso. Il viso del mio sole. Non riesco a non pensare a lui. Ogni cosa mi ricorda il suo essere e sapere che lui è nell'altra stanza mi fa colmare di gioia. Lo conosco da neanche ventiquattrore ma mi sento già parte di lui. Mi scende una lacrima che rimbomba sulla superficie dell'acqua. Era una lacrima di gioia, credo di essermi innamorata del mio sole.
Prendo in mano una bolla e la faccio scoppiare toccandola con un dito. Credo di essere troppo precipitosa, ma da quando lo visto è il mio unico pensiero.
Esco dalla vasca in punta di piedi cercando di non spargere sapone dappertutto e mi avvolgo nell'asciugamano che mi aspetta piegato accuratamente su una mensola. Cerco in tutti i cassetti e finalmente trovo il phon. Inizio ad asciugarmi i capelli sovrappensiero. Prendo una spazzola e li pettino con forza cercando di togliere tutti i nodi. Finiti i capelli osservo i vestiti che mi ha lasciato e me li metto.
Metto prima dei pantaloncini corti blu che mi vanno abbastanza bene ed indosso una camicia bianca. Quella è un po' grossa, però nell'insieme è carino. Esco dal bagno. Percorro quel corridoio rosso finché non vedo una luce in una porta a destra.
Entro e trovo Ricky seduto su una sedia sul tavolo della cucina. La cucina è grigia e viola, questa casa non ha ancora finito di sorprendermi. Le pareti sono grigie scuro e i mobili viola. Alla mia sinistra ci sono delle porte di vetro scorrevoli che portano su un balcone che ha la vista su tutta Milano. Dal balcone parte un'edera che entra persino dentro alla cucina, ma che è bellissima perché da un tocco naturale alla casa. Sul balcone c'era un piccolo tavolo circolare apparecchiato per due.
<< No, anche la cena no, hai già fatto troppo >> dissi.
<< Non ti preoccupare, lo faccio con piacere e poi è già pronta >> così dicendo si alzò dal tavolo e andò a prendere due pizze margherite dal forno e le portò in tavola.
Io mi sedetti e lui fece lo stesso davanti a me.
<< Allora >> li chiesi addentando un pezzo di pizza << cosa fai per lavoro? >>.
<< Gioco a calcio, ma probabilmente non mi conosci perché gioco in serie C, però mi bastano i soldi come un lavoro vero >>.
<< Davvero? Non ci credo, bé wow >> rispondo sorpresa.
<< E tu ? >>
<< Mantenuta >> rispondo vergognandomi un po' vorrei dire che vado all'università e che prenderò la laurea quest'anno, ma sarebbe una bugia.
<< Quanti anni hai? Sembri molto giovane >>
<< Ho ventiquattro anni e tu ? >>
<< Ventinove, ah e ti volevo dire che ho chiamato io i tuoi genitori mentre ti lavavi li ho detto di non preoccuparsi e che hai dormito da me, mi dispiace, ma dirgli che hai dormito vicino ad un cassonetto non mi pareva proprio il massimo >>.
Risi. << No in effetti no. Come l'hanno presa ? >>
<< Non troppo male, era tua madre al telefono, ha detto solo di riportarti a casa appena avevi finito di mangiare >>.
Non era andata così male in fondo.
<< Bene >>
Avevamo finito di mangiare. Il tempo era passato troppo velocemente.
<< Mi sa che dobbiamo andare, dai su vieni >> mi dice.
Io mi alzò dalla sedia goffa e cerco di camminarli dietro. In un attimo usciamo e io mi ritrovo a salire in una splendida 500 blu.
<< Wow, che bella macchina >> li dico.
Lui mi sorride. << Grazie me l' aveva regalata mio fratello >>
<< Hai un fratello ? >> chiesi pensando subito a Giorgia.
<< Si, si chiama Gianni e più grande di me di tre anni, abbiamo un buon rapporto >>.
<< Anche io ho una sorella è più piccola di cinque anni e si chiama Giorgia, io l'adoro >>.
Il discorso cadde lì per un paio di minuti e poi lui mi dice:
<< Scusa dove hai detto che abiti ? >>
<< Oh, gira a sinistra al prossimo incrocio e siamo arrivati >>
Troppo, troppo presto lui parcheggia la macchina davanti a casa mia.
<< Allora Elis magari uno di questi giorni ci vediamo >>
<< Si mi piacerebbe >>
Cerco di slacciare la cintura ma non riesco allora lui cerca di aiutarmi e mi sfiora la mano nel punto esatto in cui mi tocca la mia pelle brucia, ma non come di una scottatura, una bruciatura piacevole. Poi alzò lo sguardo verso il suo viso.
Era a cinque centimetri dal mio riuscivo a sentire il suo dopo barba: Light blue di Dolce e Gabbana.
Inconfondibile. Non so perchè lo faccio, forse perchè è troppo presto, forse perchè sono stanca, forse perchè non voglio, ma mi ritraggo faccio finta di niente mi giro esco dalla macchina e poi lo guardo, il suo sguardo è perso.
Lo fisso e li dico:
<< Si magari uno di questi giorni ci vediamo >>. 

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Capitolo 5
*** 5 capitolo ***


 
 
5.
Mio padre non era in casa quando entrai. Mia madre, invece si, mi aspettava seduta in cucina con la testa fra le mani, i capelli solitamente puliti e ordinati, erano sparsi e sporchi e pareva molto stressata appena mi vide disse solo:
<< Perchè l'hai fatto ? >>.
Io avrei voluto darle un sacco di motivi: Perchè ero arrabbiata con Emily, perchè ormai ho ventiquattro anni e posso fare cosa voglio,etc...
Ma invece non risposi e mi sedetti al tavolo. Lei mi guardò sconsolata.
<< Tuo padre non ti vuole più vedere. So che li passerà, ma tu non devi farlo più. Sarebbe questo il ringraziamento che hai per la tua famiglia? Hanno rubato il telefono a tua sorella ed è dovuta venire a casa da sola alle tre perchè non ti trovava più >>.
<< Non lo sapevo. Io non mi ricordo, mi sono svegliata a casa di Riccardo, ma prima di questo non ricordo nulla >>.
<< Complimenti >>.
<< Mamma scusa, giuro non volevo è stato più forte di me >> cercai di giustificarmi.
<< Sparisci dalla mia vista, vai a dormire che è meglio >> mi disse in tono freddo.
Mi alzai e andai in camera mia. Mi misi velocemente un pigiama e dentro il letto. Che giornata bizzarra. Potevo però anche lasciarglielo un numero di telefono. Va be, sarei andata a casa sua tra un paio di giorni con la scusa di riconsegnarli i vestiti puliti.
Mentre fantasticavo su cosa gli avrei detto, qualcuno busso leggero alla porta. Speravo che fosse mia madre che mi venisse a chiedere scusa per l'atteggiamento di prima e invece no, era Giorgia.
<< Ti dispiace? >> mi chiese.
<< No, no, entra pure >>
<< Non riesco a dormire allora avevo pensato che magari potevamo parlare >>
<< Certo >> risposi lasciandole un po' di spazio nel letto.
Lei si sedette. << Dove sei stata stanotte ? >>
<< Vuoi la verità ? Ho dormito vicino ad un cassonetto e poi è venuto il mio sole che mi ha portato a casa sua mi ha fatta dormire farmi una doccia e mangiare >> dissi tutto d'un fiato.
<< Scherzi ? E chi sarebbe il tuo sole ? >>
<< E' un ragazzo bellissimo che si chiama Riccardo >>
<< Wow... peccato che io non abbia passato una serata così favolosa ieri >> mi disse abbassando lo sguardo.
<< Bè siamo arrivate poi io ti ho persa di vista e sono rimasta sola c'erano dei ragazzi che mi parlavano, ma la musica era troppo forte ed io non li sentivo. Erano troppo appiccicati e sai, io soffro di claustrofobia e li ho spintonati via, non riuscivo più a respirare e sono uscita. Avevo il cellulare in tasca e e quando ero fuori volevo cercare di chiamarti, ma in tasca il cellulare non c'era più ed io sono stata presa dall'ansia. Mi avevano rubato il cellulare. Ti ho cercato ovunque, ma non eri da nessuna parte. Allora, ormai erano le tre presi la macchina e tornai a casa. Non c'era una buona accoglienza ad aspettarmi. >>
<< Mi dispiace. Poi con il cellulare, come fate ? >>
<< Domani ne vado a comprare uno nuovo>>
<< E papà, è tanto incazzato con me ? >>
<< Abbastanza, ma io pensavo di peggio quindi consolati >>
<< La mamma? >>
<< No, ma che dici ? Lei ti ha sempre difeso.. e vedrai a papà passerà come le altre volte >>
<< Non so cosa farei senza di te >>
<< Anche io ti voglio bene, sorellona>>.
Si avvicina e mi abbraccia. Giorgia è il genere di sorella che tutti vorrebbero avere.
<>
<< Allora notte >>
<< Notte >>
Giorgia scese in punta di piedi dal letto e si diresse verso la porta mi diede un ultimo sguardo prima di sparire.
Io nella notte fonda appoggiai la testa al cuscino e piano piano mi lasciai sprofondare nel sonno pensando al mio sole.
Mi svegliai da un clacson insistente. Mi alzai dal letto ancora stanca e mi avvicinai alla finestra, volevo aprire la finestra ed insultare quel cretino che faceva quel caos all'alba, ma quando aprii la finestra le parole mi si troncarono in gola.
C'era Ricky con un mazzo di girasoli in mano appoggiato alla sua macchina che mi guardava sorridendo.
Alle sue spalle il sole stava nascendo in un'alba spettacolare colorando il cielo nero di un giallo vivace. Ma per me, non esisteva nient'altro che lui. Era lui, il mio sole e bruciava tutto intorno a lui. Irradiava una luce ed uno splendore che non poteva essere paragonabile a nessuna alba.
<< Dai dormigliona, preparati e scendi che oggi ti devo portare in un posto >> mi urlò.
<< Tu sei pazzo>> gli risposi, ma mi stavo già preparando.
Una quindicina di minuti dopo mi ritrovavo nella sua macchina con il mazzo di girasoli in mano a chiedermi dove mi stesse portando.
<< Dai, dimmelo >> lo supplicai ancora una volta.
<< No, è una sorpresa >> mi guardò ridendo.
<< Uffa sei venuto a prendermi all'alba e pretendi che io non dica nulla >> borbottai.
<< Mi piace quando borbotti, mi fai ridere >> mi guardò sorridendo.
<< Eh dai! Cosa ti costa dirmelo? >> riprovai.
<< Tra cinque minuti. Siamo arrivati quindi pazienta >> mi ammonì.
Io sbuffai ed annusai i girasoli.
<< Bravo che hai preso i girasoli, le rose non mi piacciono troppo classiche e romantiche >>.
<< I girasoli sono come te del resto, non sei proprio la classica ragazza, sai ci siamo conosciuti che tu eri ubriaca fradicia e dormivi vicino ad un cassonetto non è proprio il massimo. In teoria, avremmo dovuto incontrarci in un parco mentre io correvo e tu potavi le rose >> si mise a ridere.
<< Dai, ti prego >>.
Si fermò in un parcheggio.
<< Dai scendi siamo arrivati >>.
Io fremevo dalla curiosità.
Scesi dalla macchina e guardai un grosso cartello: ZOO.
<< Non ci credo, mi hai portato allo zoo ? >> chiesi stupefatta.
<< Si cosa ne pensi ? >>
<< Bè, wow >> riuscii solo a rispondere.
Lui mi prese per mano e mi accompagno all'entrata. Un ometto grassoccio faceva da bigliettaio. Aveva lunghi baffi a manubrio ed era pelato mi ricordava il circo. Trattenni a stento una risata.
<< Due biglietti per mezza giornata >> gli disse Ricky.
<< 15 euro >> bofonchiò il vecchio.
Ricky pagò in contanti e lui disse << Buona giornata a voi >>.
Entrammo nello zoo. Era all'aperto ed era enorme c'erano gabbie ovunque e vasche. Io obbligai Ricky a portarmi a vedere un esibizione dei delfini. Gli spalti erano enormi e al centro c'era una vasca enorme dall'acqua cristallina dove si rispecchiava il sole. Era pieno di gente di tutte l'età. Dai due anni ai novanta tutti acclamavano le addestratrici che facevano saltare i delfini. Farli fare delle piroette. Mi sorprese un'addestratrice particolare che nuotò insieme ai delfini e si fece buttare in aria da loro.
La mattinata passò molto in fretta. Andammo a vedere il rinoceronte, i rettili dove io dovetti scappare quasi subito per la paura che i vetri si rompessero, le giraffe a cui diedi da mangiare, i leoni, le pantere dei bellissimmi felini aggrazziati, ma micidiali insieme, gli struzzi, ma gli animali che in assoluto mi sono piaciuti di più erano le scimmie.
Era l'ultima gabbia ed io mi avvicinai a loro con calma e le osservai mangiare una banana. Una scimmia mi notò e mi venne vicino io per divertirmi , feci la mossa dello scimpanze grattandomi l'ascella e la testa e lei mi imitò. Ricky scoppiò dal ridere e mi prese in giro tutto il giorno. Mi comprò anche un lecca lecca enorme. Non so mi sentivo una nuova Alice con lui, un Alice più matura e responsabile, mi piaceva questa nuova Alice.
Lui era il sole che mi illuminava dalle tenebre.
Lo osservai mentre si metteva al volante della sua auto.
Aveva i capelli scuri leggermente spettinati e sulla fronte una goccia di sudore. Gli occhi azzurri erano tondi e controllavano che la chiave fosse inserita bene. Le labbra erano arricciate in un mezzo sorriso. Era bellissimo non riuscivo a capire come potesse anche solo guardarmi tutta quella perfezione.
La macchina partì con un tonfo e lui procedette sicuro sull'asfalto. Guardavo fuori dal finestrino quando sentii una musica diversa. Classica.
<< Ma questa è 'Per Elisa' di Beethoven ? >>.
<< Si, la conosci? >> mi domandò stupito.
<< Certo chi non la conosce? Da piccola la suonavo col pianoforte >>. Dissi ricordandomi di quelle lezioni infinite che poi avevo concluso in due anni.
<< Wow anche io l'ho suonata, mio padre era il capo della banda e mi faceva un po' di lezioni private >>.
Che invidia. Tutte le fortune doveva averle lui.
Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quella musica. << Siamo arrivati, Elis >> riaprii gli occhi.
Si in effetti ero davanti a casa mia.
<< Ah >> riuscii solo a dire.
Era già tutto finito? Dovevo già lasciarlo? Era durato tutto così poco.
<< Che ne pensi, se stasera ti invito a cena ? >> mi chiese.
Io mi girai a guardarlo grata che me lo avesse chiesto fissai i suoi occhi azzurri.
<< Si, ne sarei molto contenta >> le parole mi uscirono da sole dalla bocca.
Volevo fare più la preziosa, ma il suo sguardo sincero mi ha fatto sputare fuori la verità come un rospo.
Sorrise.
<< Allora a stasera >> mi disse.
Scesi dalla macchina e li dissi << Si a stasera >>.
Lui se ne andò sgommando sull'asfalto e io rimasi a fissare il vuoto dove un minuto prima c'era lui.

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