The Hidden Truths

di Therainsmelody
(/viewuser.php?uid=277118)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abby ***
Capitolo 2: *** Lettere d'amore ***
Capitolo 3: *** L'autunno ***
Capitolo 4: *** La Fotografia ***
Capitolo 5: *** T'odio nella misura che t'amo ***
Capitolo 6: *** Come un'ombra ***
Capitolo 7: *** L'opportunità ***
Capitolo 8: *** Non avessi visto il sole ***
Capitolo 9: *** Le regole del gioco ***
Capitolo 10: *** La figlia ***
Capitolo 11: *** Un posto introvabile ***
Capitolo 12: *** Nel tuo cuore ***
Capitolo 13: *** Non lasciarla andare ***
Capitolo 14: *** Inutile ***
Capitolo 15: *** Non c'è altra via ***
Capitolo 16: *** Nelle tenebre ***



Capitolo 1
*** Abby ***


Capitolo 1- Abby

Lucas mi fissava in silenzio, sembrava mi stesse valutando, il che da parte sua era normale, io rimasi ferma in attesa:
<< Mi piace come sei vestita oggi, l’abbinamento di colori è fantastico. >>
<< Lo vuoi far sapere a tutti? >>
<< Cosa? >>
<< Che sei gay. >>
<< Certo che no! >>
<< Allora fossi in te non parlerei di abbinamenti di colori e vestiti, non sono cose prettamente maschili. >> lui scoppiò a ridere, eravamo cresciuti assieme, ci eravamo sempre detti tutto per questo io ero una delle poche persone a sapere la verità, anche se a me sembrava palese: Lucas era omosessuale.
<< Ok, la smetto di parlare di argomenti femminili. Pensi che ce la faremo ad arrivare in orario oggi? >>
<< No, almeno che Cara non sia pronta entro due minuti. >>
<< Venti minuti fa ha detto che le servivano solo cinque minuti. >>
<< Tendenzialmente i suoi cinque minuti durano mezz’ora. >>
<< Arriveremo in ritardo anche oggi. >> lo decretò con convinzione mentre appoggiava la testa sulla mia spalla, il che non è affatto semplice visto che lui è molto più alto di me. Il quel momento il portone della villa più grande e costosa di Wahoo si spalancò sotto la forza di una ragazza alta e snella, dai lunghi capelli biondi, piccoli occhi azzurri e un sorriso capace di accecare chi ne venisse colto impreparato. Saltò di netto i tre scalini che la separavano da noi, come ci riuscisse con i tacchi per me restava un mistero, e ci abbracciò investendoci con il suo costosissimo profumo di rose:
<< Hey ragazzi! Avete visto? Sono in orario! >>
<< Già è un miracolo, probabilmente ora nevicherà in estate! >>
<< Abby non essere così crudele! >>
<< No, Lucas, ha ragione ma si sa che essere perfetta ruba parecchio tempo. >> scoppiammo tutti a ridere, il bello è che Cara ci credeva davvero, pensava di essere perfetta eppure non era se stessa: i capelli erano tinti, il suo colore naturale era un castano leggermente più chiaro del mio; nemmeno gli occhi erano azzurri, portava delle lenti a contatto, il loro vero colore era simile a quello dei capelli; senza contare i quintali di trucco che aveva sulla faccia ma era mia amica e io le volevo bene.
<< Forse è il caso di muoverci, per una volta potremmo riuscire ad arrivare in tempo. >> iniziammo quindi a correre verso la scuola: giù per la discesa che ci conduceva lontano dal quartiere ricco, attraverso stretti vicoli che puzzavano di marcio e morte nel quartiere malfamato, sino alle “case nuove” come le solevano chiamare anche se ormai erano lì da vent’anni. In una di quelle case, la numero sette per precisione, abitava l’ultimo componente di quelli che consideravo i miei migliori amici: Nicholas Lewis. Non serviva bussare alla sua porta, lui sapeva esattamente quando uscire, quasi ci spiasse dalle finestre, con tendine ricamate a mano da sua zia, di casa sua. Ci venne incontro sul vialetto lastricato al centro del il piccolo giardino fiorito che precedeva la casa sorridendo:
<< Ciao ragazzi! Oggi abbiamo deciso di compire un miracolo, arriveremo prima del suono della campanella! >> poi spostò lo sguardo su di me e parve arrossire un poco
<< Ciao Abby. >> ci incamminammo per la via principale della cittadina, la scuola si trovava a solo un quartiere di distanza. Lucas si avvicinò al mio orecchio e ridendo mi sussurrò:
 << Ciao Abby. >> tentando di imitare la voce di Nicholas, cercai di non scoppiare a ridere ma, soprattutto, cercai di non arrossire. Quando avvistammo i cancelli della scuola in lontananza l’istinto prese il sopravvento e iniziammo a correre a perdifiato, lo facevamo tutti i giorni, non eravamo tipi da arrivare in tempo alle lezioni, io non riuscivo nemmeno a ricordare se fosse mai successo in passato. Una volta varcata la soglia Cara si mise a strillare e saltellare come una pazza:
<< Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta! Siamo entrati prima della campanella! Whooooo! >> alzò i pugni al cielo con fare vittorioso, manco avesse vinto la medaglia d’oro nello sprint sui cento metri, e ci abbracciò di slancio continuando a urlare di gioia. Le persone nel corridoio ci fissavano come se fossimo matti e infondo non avevano tutti i torti ma a noi piaceva così, la normalità non era nelle nostre corde.
 
La scuola ha la brutta abitudine di annoiare gli studenti ma la nostra scuola era superiore: ci distruggeva letteralmente! Gli insegnanti erano tutti ultrasessantenni sulla via della pensione; parlavano in modo sbiascicato e incomprensibile, anche nella remota ipotesi in cui qualcuno volesse seguire la lezione rinuncerebbe dopo neanche un minuto, annaspando tra parole incomprensibili e termini che sembravano provenire dall’elfico antico. Per non parlare poi della nostra pausa pranzo: durava solo mezz’ora, avevi giusto il tempo di mangiare e ritornare alla monotonia della tua aula senza riuscire a scambiare due parole con i tuoi amici, veramente terribile! Senza contare che non ho ancora accennato ai gabinetti, quelli sì che facevano schifo, l’unico utilizzo pratico che ne veniva fatto era ficcarci la testa dei poveretti che finivano sotto le grinfie del gruppo dei “bulli” della scuola capitanato da quel senza-cervello di Ethan McKaine: non lo sopportavo, nessuno lo sopportava in realtà ma tutti si guardavano bene dal dirglielo in faccia, tutti tranne Cara. La campanella dell’ultima ora suonò, meno male che il lunedì finivo presto, gettai l’astuccio e i quaderni nello zaino senza badare se si erano rovinati o meno e mi fiondai fuori dall’aula, nessuno era più veloce di me quando si trattava di fuggire. Uscii dalla scuola e mi sedetti sulla nostra solita panchina ad aspettare, dopo qualche minuto Cara fece la sua uscita trionfale seguita da un manipolo di ammiratori che la imploravano in ginocchio di concedergli un appuntamento, lei mi raggiunse e si sedette al mio fianco, notando che i ragazzi non accennavano ad andarsene o anche solo a zittirsi gli fece un cenno con la mano e, con la voce più dolce e zuccherosa che le avessi mai sentito, disse:
<< Ragazzi vi prego, mi serve un po’ di tempo da sola con la mia migliore amica. Sareste così gentili da lasciarci sole?  >> Si passò una mano tra i capelli, fece svolazzare le sue lunghe ciglia e sorrise dolcemente verso gli ammiratori che risposero all’unisono:
<< Certamente Cara! >> prima di dileguarsi nel cortile.
<< Mi sto ancora chiedendo come ci riesci. >> lei sorrisi beffarda
<< È tutta questione di fascino ma non è bello come sembra, sono piuttosto seccanti. >>
<< Perché lo fai allora? >> la vidi arrossire sotto lo spesso strato di fondotinta, era una cosa assai rara, Cara non arrossiva, mai.
<< È solo che … insomma … c’è questo ragazzo che, diciamo, mi piace ma … >> non le lasciai finire la frase perché ero troppo sorpresa, lei non inseguiva nessuno erano gli altri a dover inseguire lei, il fatto che le piacesse un ragazzo era una novità
<< Che cosa?! Ti piace un ragazzo? Chi è? Dimmi lo conosco? >> la fissavo in attesa, ero così curiosa, lei invece indugiava mordicchiandosi le unghie perfettamente curate e pitturate di un tenue rosa pastello, dopo qualche secondo, che a me parve un secolo, si decise a parlare:
<< Certo che lo conosci, è sempre stato il tuo migliore amico. >> Che. Cosa. Aveva. Detto? Non poteva essere vero, avrei dovuto accorgermene, avrei dovuto dissuaderla dell’innamorarsi di lui fin dall’inizio ma i miei pensieri erano sempre stati altrove, su di un altro fronte amoroso.
<< Stai parlando di Lucas? >> lei mi guardò stupita e poi ridendo aggiunse:
<< Chi se non lui? >> Oh, accidenti! Questo sì che era un bel casino, Cara non sapeva e pensavo non avesse mai neanche riflettuto su quell’ipotesi. Sarebbe stato un disastro!
<< Ma, sì, insomma … ne sei proprio sicura? >> nella mia testa ripetevo “no,no,no,no” come un mantra ma guardando la faccia di Cara e il sorriso stampato sulle sue labbra non potevo che essere felice per lei, non l’avevo mai vista così radiosa.
<< Certo che sono sicura e dopo avertelo detto ne sono più che certa. Ho intenzione di dichiararmi! >>
<< Cosa?! >> il suo sorriso si affievolì leggermente, e ora cosa le avrei detto, non potevo certo dirle di non farlo senza svelarle il segreto di Lucas ma non potevo nemmeno restare a guardare
<< Sì, lo so che per te è impensabile. Credo che il verbo “dichiarare” non faccia nemmeno parte del tuo vocabolario ma dovresti farlo anche tu. >> Cosa? Io non avevo nessuno a cui dichiararmi o almeno non avevo intenzione di dichiararmi a nessuno, che argomento spiacevole ma almeno non stavamo più parlando di lei e del suo amore per i gay.
<< Dichiararmi a chi? >> sbuffai esasperata
<< A Nicholas, mi sembra ovvio! >> abbassai lo sguardo sulle mie unghie, era un bel po’ che non le limavo
<< Smetti di osservarti le mani e rispondimi! >>
<< Che ti devo dire? Non so come tu abbia potuto pensare una cosa simile, lui non mi piace! >> Cara rise con la sua voce cristallina e armoniosa, ogni ragazzo nel giro di duecento metri si voltò a guardarla con un sorriso ebete stampato sulla faccia
<< Certo, come no. Lui ti piace e parecchio, oserei dire, in più che ci perdi? Lui è cotto di te! >> abbassai nuovamente lo sguardo e arrossii
<< Non credo di piacergli … >> Cara si trattenne dal ridere di nuovo
<< Ciao Abby. >> anche lei con l’imitazione di Nicholas, se a Lucas piacessero le ragazze sarebbero la coppia perfetta
<< Smettila di prendermi in giro! >> aprì la bocca per replicare ma poi la richiuse e il suo sguardo si fece serio, mi voltai per vedere cosa avesse attirato la sua attenzione, non era facile distogliere Cara Williams dall’argomento “ragazzi”. Mi ritrovai a guardare una scena già nota, una specie di deja-vu tipico di chi va nella stessa scuola per molti anni: Ethan McKain che se la prendeva con un ragazzino del primo anno, Cara lo odiava e ancora di più odiava gli scontri impari. Si alzò di scatto e si diresse contro Ethan, lo colpì in pieno viso con un pugno, lui ovviamente non se lo aspettava:
<< Smettila di prendertela con quelli più piccoli di te, Ethan McCoglione! >> lui si rialzò, una mano era sul viso e copriva il naso grondante di sangue mentre l’altra era stretta a pungo, pronta a colpire ma nemmeno lui si sarebbe abbassato a tanto, non avrebbe picchiato una ragazza
<< Levati dal cazzo, barbie, questi non sono affari che ti riguardano! >> vidi le labbra di Cara contrarsi in una smorfia di disgusto, sapevo cosa stava per fare e a Ethan non sarebbe piaciuto.
<< Ma davvero? Risposta sbagliata! >> lo colpì in pieno con le sue scarpe tacco dodici nelle parti basse, un urlo soffocato scappò dalle labbra di lui mentre si accasciava a terra, su quelle di lei invece spuntò un sorriso trionfale, si voltò scuotendo i suoi lunghi capelli biondi e tornò a sedersi al mio fianco. Dalla sua posizione a raso terra Ethan non faceva che imprecare e maledirla
<< Uno di questi giorni te la farò pagare cara, Cara! >> io risi
<< Bel gioco di parole per uno con il quoziente intellettivo di un’ameba! >> anche lei rise
<< È la prima volta che ti prendi gioco di lui Abby, pensavo ne fossi spaventata come tutti gli altri. >>
<< Sì, ma questa scena era troppo divertente per non aggiungerci il tocco finale! >> entrambe scoppiammo a ridere nuovamente finché non mi accorsi che Nicholas e Lucas si stavano avvicinando, mi ricomposi, spostai alcune ciocche di capelli dietro l’orecchio e mi liscia la gonna. Mi girai in direzione di Cara, lei fece lo stesso e all’unisono ci chiedemmo:
<< Come sto? >> misi una mano sulla bocca per non ridere
<< Stai benissimo. >> mi rispose
<< Anche tu. >> quando mi voltai nuovamente verso l’entrata i ragazzi ci avevano raggiunto
<< Allora, chi è stata? >> chiese Lucas osservando Ethan che si reggeva palle e naso doloranti
<< E lo domandi pure? È stata Cara. >>
<< Modestamente. >> disse lei sorridendo
<< Andiamo a casa? >> domandò invece Nicholas, sembrava parecchio agitato
<< D’accordo >> risposi, Cara si alzò di scatto battendosi un mano sulla fronte
<< Che stupida! I miei genitori vengono a prendermi in limousine, mi spiace ragazzi ma devo proprio scappare! >> così dicendo corse via, oltre il cancello della scuola, dove una lunga macchina nera pareva attenderla da un po’, com’è che non ci avevo fatto caso? Noi tre invece ci incamminammo sulla strada principale del quartiere vecchio, una strana sensazione mi colse all’improvviso, come se avessi degli occhi puntati addosso. Mi voltai spaventata e incrociai lo sguardo di Alan, uno del mio stesso anno con cui non avevo mai parlato, durò solo qualche secondo poi distolse lo sguardo, eppure la sensazione di disagio non mi abbandonò anzi più cercavo di dimenticarla più la rivivevo nella mia mente, quegli occhi ambrati così simili ai miei si erano come stampati nella mia memoria. Non sarei riuscita a cancellarli mai più.
<< Ehi Abby? Ci sei? >> di colpo tornai alla realtà, Lucas mi stava sventolando una mano davanti alla faccia per vedere se reagivo, la bloccai e mi girai nella sua direzione
<< Scusa ero sovrappensiero, dicevi? >> con uno strattone liberò la mano e si strofinò il polso leggermente arrossato dalla mia stretta
<< Se domenica ti va di andare a vedere la partita di Nicholas, io vado. A cosa stavi pensando? >>
<< Certo che ci sono, chiederò anche a Cara. >> indugiai un attimo prima di aggiungere
<< Alan mi fissava, quel ragazzo è inquietante! >>
<< Tutto qui? È solo strano lascialo perdere. >> le parole di Lucas mi rassicurarono e il mio cuore smise di battere all’impazzata. Continuammo a camminare in silenzio per altri cinque minuti poi Lucas ci salutò, era arrivato a casa. Restavano due minuti di strada fino alla rotonda, due minuti interi solo io e Nicholas, ero così imbarazzata, mi tornò in mente il discorso di poco prima tra me e Cara. No, non dovevo pensarci, non avevo voglia di arrossire davanti a lui, dopo neanche un minuto ruppe il silenzio
<< Emm Abby, ecco io …  >> altro silenzio imbarazzante, ma chi è che l’aveva inventato? Sarei stata capace di andare lì e strozzarlo con le mie mani
<< Tu cosa? >>
<< Io … volevo solo dirti che … >> Oddio, non vorrà dirmi quello che penso stia per dirmi! Ti prego, fa che mi sbagli!
<< Mi piace come sei vestita oggi … sì, ecco >> tirai un sospiro di sollievo
<< Grazie, sei il secondo che me lo dice oggi. >> una leggera espressione d’infelicità passò sul suo volto ma non feci in tempo a domandargliene il perché che parlò di nuovo
<< Eccoci alla rotonda, bene, buona serata, divertiti! >>
<< Con mio padre? Non penso proprio! >> mi salutò con un cenno della mano e continuò dritto, verso le case nuove, io invece svoltai a destra, sulla strada mal asfaltata che conduceva al municipio, la casa di mio padre, il sindaco di Wahoo.
 
Spalancai l’imponente portone in legno e lo richiusi, con un cigolio alquanto sinistro, alle mie spalle. Nella casa regnava il silenzio più assoluto, forse mio padre era fuori per questioni di lavoro. Mi recai in cucina: misi due fette di pane a scaldare; preparai un piatto ed un coltello; presi la marmellata dal frigo e aspettai che il pane fosse pronto. Quando presi in mano la prima fetta mi bruciai le dita, scottava terribilmente
<< Ahi! Accidenti, odio questo tostapane! Quel bastardo a tanti di quei soldi che potrebbe comprare una casa nuova se lo volesse eppure eccomi qui con il tostapane che cuoce il pane come gli pare! >> raccolsi la fetta caduta a terra e la gettai nella spazzatura, presi l’altra con più attenzione e la posai sul piatto, ci spalmai sopra una buona dose di marmellata e mi spostai in soggiorno per gustarmela davanti alla televisione. Dopo neanche cinque minuti sentii dei rumori provenire dall’entrata: qualcuno stava aprendo la porta, spensi in fretta la tv e mi pulii dalle briciole di pane. Quando mio padre entrò mi squadrò da capo a piedi e sospirò demoralizzato
<< Non ci siamo Abigail, quante volte ti ho detto di non mangiare davanti alla televisione? >>
<< Ma io non stavo … >>
<< Stai zitta! >> istintivamente strinsi le braccia sul petto, quando urlava mi faceva paura
<< Ora pulisci! >>
<< Abbiamo una donna delle pulizie per questo. >> risposi indignata
<< Come scusa? >> lo sapevo che aveva capito, mi stava solo dando l’opportunità di cambiare versione e scusarmi, probabilmente era di buon umore, peccato che io non avevo intenzione di scusarmi
<< Ho detto che abbiamo una donna delle pulizie per questo. >> mi fissò rabbioso
<< Certo ma tu non sei superiore a lei e ora muoviti! Pulisci questo schifo, stupida ragazzina! >> andai in cucina, presi scopa e paletta dall’armadio e tornai in sala. Lui mi osservò per tutto il tempo che mi fu necessario a raccogliere le briciole dal tappeto e dal divano, quando tornai indietro feci per salire le scale ma lui mi bloccò afferrandomi il polso
<< Non rispondermi mai più con quel tono di voce, intesi? >>
<< Con quale tono di voce esattamente? >> sapevo che si sarebbe arrabbiato ma non m’importava, poteva urlare quanto voleva, se solo provava a picchiarmi l’avrei denunciato alla polizia e lui sapeva che le mie non erano minacce vuote, l’avrei fatto, nessuno mi avrebbe creduto perché lui era il sindaco e tutti lo credevano un brav’uomo, ma io l’avrei fatto e gli avrei lasciato una piccola macchia indelebile sul suo curriculum da cittadino modello. La sua reputazione immacolata era la cosa a cui teneva di più, addirittura più della sua stessa vita e io l’avrei rovinata, anche se di poco, in eterno.
<< Con questo tono da saputella! >> il polso cominciava a farmi male
<< Lasciami andare. >> mollò la presa, io feci qualche altro scalino poi mi fermai indecisa, mi voltai nuovamente nella sua direzione e aggiunsi:
<< Ci serve un tostapane nuovo, questo fa schifo. >> alzò una mano come per colpirmi, poi parve ripensarci e si fermò, non mi disse se avrebbe provveduto a comprarne uno nuovo ma capii da sola che non gliene importava nulla, come tutto quello che dicevo sarebbe stato dimenticato nel giro di un’ora ma vederlo andare via arrabbiato e insoddisfatto era abbastanza per me, al tostapane avrei pensato poi. Raggiunsi la mia stanza e chiusi la porta a chiave, nel caso John avesse deciso che infondo voleva farmela pagare e io di certo non volevo rendergli le cose facili, avrebbe dovuto sfondarla quella porta per entrare. Mi sdraiai sul letto sospirando, non ero mai andata d’accordo con mio padre, ultimamente poi andava sempre peggio, sarei dovuta scappare ma dove? Wahoo è una piccola cittadina e quando colui che ti cerca ne è il sindaco non ti ci puoi nascondere, nemmeno in casa dei tuoi amici. Avrei dovuto andarmene lontano, se solo avessi avuto il coraggio l’avrei fatto, se qualcuno si fosse offerto di partire con me sarei andata, se Nicholas avesse bussato alla finestra dicendo di volermi salvare dalla mia terribile sorte io gli avrei detto di sì, senza esitare neanche un secondo, tra le sue braccia mi sarei sentita al sicuro, ne ero certa. Forse Cara aveva ragione, forse dovevo dichiararmi: infondo ero innamorata di lui da ben tre anni.

Spazio Autrice
Bene eccomi qui con una nuova storia! :) Non la sto scrivendo da sola ma in collaborazione con Abbysullivan
Spero vi piaccia, aspetto le recensioni! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lettere d'amore ***


Capitolo 2 – Lettere d’amore

Pov Lucas

Il campo sportivo della Wahoo High School era affollato da una miriade di studenti, io cercavo di arrancare, spintonando e scusandomi in ogni direzione, verso i posti destinati agli allievi dell’ultimo anno e contemporaneamente cercavo le mie due amiche: Abby e Cara. Ero certo del fatto che quest’ultima sarebbe stata in ritardo ma speravo che almeno Abby si degnasse di arrivare in tempo. Una volta raggiunti i seggiolini dell’ultima fila presi posto posando la giacca sui due posti affianco, qualche minuto più tardi sentii la voce di Abby che si faceva strada nella massa, piccola com’era non ci sarebbe mai riuscita senza un po’ d’aiuto: mi alzai e andai a ripescarla, salvandola da un componente della squadra di football che rischiava di schiacciarla, tenendola per mano la guidai fino all’ultima fila.
<< Grazie per avermi salvato la vita là in mezzo. >> sbuffò lei cercando di riprendere fiato
<< Non c’è bisogno di ringraziarmi, lo so che senza di me non sopravvivresti un solo giorno qua dentro! >> scoppiai a ridere e lei mise in broncio facendo finta che le mie parole l’avessero offesa allora iniziai a solleticarli la pancia, sapevo che non riusciva a resistere per più di due secondi, infatti si mise subito a ridere come una pazza:
<< Piantala! – ristate – Smettila subito! Prima che decida di – altre risate – prenderti a calci! >> tirai indietro le mani e lei si ricompose un poco, senza staccarmi i suoi occhi accusatori di dosso
<< Ora sono veramente arrabbiata con te. >>
<< Sei pessima con le bugie e poi sappiamo entrambi che non puoi restare arrabbiata con me a lungo. >> mi regalò uno dei suoi sorrisi più belli, era tanto che non sorrideva così, ultimamente era spesso di malumore, triste o irritata. Il più delle volte cercava di nasconderlo: faceva battutine ironiche, chiacchierava divertita con Cara o con me, magari riusciva ad incantare la nostra amica bionda ma io e lei eravamo cresciuti assieme e se pensava anche solo di riuscire ad imbrogliarmi si sbagliava. Stavo ancora riflettendo su questo quando Cara apparve, correndo sui tacchi, e si lasciò cadere pesantemente nel posto accanto ad Abby:
<< Santo cielo quanta gente! Credo che nella lotta per superare quell’energumeno laggiù mi si sia spezzata un’unghia! Dannazione le avevo appena limate! >> sospirò esasperata, si mise a frugare nella sua borsetta e dopo poco tirò fuori una minuscola limetta e si mise al lavoro; nel giro di cinque minuti l’unghia sembrava come nuova solo più corta delle altre.
<< Sua altezza ora è pronta? Ci degnerà della sua attenzione? >> chiese Abby cercando di trattenere le risate
<< Scusatemi ragazzi! Non vi ho nemmeno salutato, sono una completa idiota ma sapete quanto ci tengo ad avere mani perfette. Giuro che mi farò perdonare! >> fece una piccola pausa prima di aggiungere:
<< Prima o poi. >>
 
Le partite di calcio non mi avevano mai entusiasmato, erano solo un branco di umani che rincorrevano una palla manco fossero dei cagnolini ma avevo due buoni motivi per essere lì quel giorno: il mio migliore amico giocava a calcio e i suoi compagni erano uno più bello dell’altro, forse avrei dovuto mandare Nicholas in missione per scoprire se ce n’era almeno uno a cui non piacesse guardare sotto le gonne delle cheerleader. L’arbitro fischiò la fine del primo tempo, la nostra squadra era in vantaggio di due goal, mi voltai verso le ragazze per chiedere se qualcuna di loro avesse per caso sete ma Cara mi precedette:
<< Io vado a prendere qualcosa da bere, avete sete? >>
<< No, grazie. >> rispose Abby ancora imbambolata a fissare Nicholas a bordo campo senza maglietta, ma quando si sarebbe decisa ad ammettere che lui gli piaceva?
<< Grazie Cara, questa volta passo. Sarei andato io a prendere da bere ma visto che ti sei offerta, cosa alquanto rara, ti lascio andare. >> lei sorrise stizzita alla mia provocazione e si allontanò scomparendo tra la folla. Abby, che aveva smesso di guardare l’amore della sua vita, scrutava preoccupata la direzione in cui si era diretta Cara, allungava il collo a destra e a sinistra per cercare l’amica.
<< Stai tranquilla, è solo andata a prendere da bere. >>
<< È questo che mi preoccupa, lei non si sforza mai di fare qualcosa se qualcun altro la può fare al posto suo. >> aveva ragione, era uno strano comportamento da parte sua ma a volte capitava che fosse più gentile del solito, sarebbe stato molto più preoccupante se avesse deciso di tornare al suo colore naturale o se una mattina fosse uscita senza trucco. Quindi, tutto sommato, non c’era nulla di strano finché non vidi la squadra di calcio che fissava, immobile, una ragazza alta e bionda mentre avanzava fino al centro del campo di gioco. La guardai allibito: si era tolta i tacchi e aveva raccolto i capelli in un’ elegante coda alta, in mano teneva un microfono ma non avrei saputo spiegarmene il motivo, sorrideva felice come se quello che stesse per fare fosse una delle cose per lei più importanti, tipo una sfilata di moda. Vidi Abby schizzare in piedi agitata
<< Siediti, sarà una delle sue solite idee per mettersi in mostra oppure ha scordato di dire alle cheerleader gli orari del prossimo allenamento. >> risi ma lei non mi stava ascoltando, potevo vedere la sua mente lavorare frenetica alla ricerca di una soluzione per un problema impossibile, quelle fosse il problema però lo ignoravo.
<< Mi stai ascoltando? >>
<< Non c’è tempo! Non è come pensi tu, è … oddio ora che faccio! Lo sapevo che avrei dovuto convincerla a non farlo, avrei dovuto dirgli … no, non potevo! Accidenti a quella stupida promessa! >>
<< Ma che stai blaterando!? Quale stupida promessa? >>
<< Quella che ho fatto a te! Ora è troppo tardi, mi spiace così tanto Lucas non sapevo che l’avrebbe fatto oggi davanti a così tante persone! >>
<< Fatto cosa? >> lei non fece in tempo a rispondermi, Cara iniziò a parlare e tutti potevano sentirla
<< Scusate l’interruzione gente ma c’è qualcosa di davvero importante che devo annunciare! È una sacco di tempo che sto aspettando il coraggio di dirlo e oggi l’ho finalmente trovato. >>
Sentii il respiro di Abby farsi affannoso
<< No, no , non può farlo. >> continuò a sussurrare sempre più agitata
<< Mi sono innamorata del più bello, simpatico e dolce dei miei migliori amici. >>
<< Devo fermarla, lo faccio per lei! >> Abby iniziò a correre lungo gli spalti nel vano tentativo di raggiungerla, non ci sarebbe mai riuscita
<< Sto parlando di Lucas Parker. Lucas io ti amo! >> Cosa? Tutto questo non aveva il minimo senso per almeno tre motivi fondamentali, primo: Cara non s’innamorava degli altri, erano gli altri a innamorarsi di lei; secondo: se lo fosse stata me ne sarei accorto; terzo, non che il più importante: ha me interessavano i ragazzi, non le ragazze. Sulla folla calò il silenzio più assoluto, tutti si voltarono a guardarmi con espressioni di sorpresa sul volto; vidi Abby ferma a metà strada tra il nostro posto e le scale che scendevano sul prato, aveva un’aria così dispiaciuta, probabilmente si sentiva in colpa perché era ormai abbastanza ovvio che lei sapesse. Mi alzai e con estrema lentezza scesi verso il campo, quando superai Abby le sussurrai dolcemente:
<< Non è colpa tua dolcezza, non è colpa di nessuno. >> quando raggiunsi il punto in cui si trovava Cara erano ancora tutti in silenzio
<< Quindi? >> sprizzava gioia da tutti i pori, saltellava da un piede all’altro agitata, in attesa della mia risposta. Le afferrai una mano e la trascinai letteralmente via da lì, fin dentro gli spogliatoi della palestra adiacente, da fuori rincominciarono a venire rumori: il pubblico si era ripreso dalla sorpresa; l’arbitro aveva fischiato l’inizio del secondo tempo e i calciatori erano tornati in campo. Quando ci fermammo avevo ancora il vuoto in testa, non avevo idea di cosa dirgli ne un modo gentile con cui spiegargli la situazione.
<< Mi hai portato qui perché ti vergognavi a baciarmi in pubblico? >> sorrideva, ignara di come si sarebbe sentita di lì a poco
<< No, è solo che non posso farlo Cara. >>
<< Cosa? Baciarmi? >> sembrava confusa e probabilmente lo era ma sorrideva ancora
<< Stare con te. >> la felicità scomparve del tutto sostituita da un’espressione triste e arrabbiata
<< È perché ti piace un’altra? >> magari, almeno sarebbe stato più semplice da spiegare. Presi un bel respiro e mi ripetei che non avevo scelta, lo stavo facendo per il suo bene, meritava di sapere
<< Cara, io sono gay, e almeno che tu non voglia cambiare sesso non credo che la cosa potrebbe funzionare. >> dovevo smetterla con le mie battute idiote, questo non era proprio il momento, ma perché non tenevo la mia boccaccia chiusa ogni tanto?
<< Oh. >> fu l’unica cosa che riuscì a dire, rimasi in silenzio, in attesa della sua prossima domanda, probabilmente la peggiore
<< E non l’hai mai detto a nessuno? >> eccola, questa l’avrebbe distrutta definitivamente
<< Abby e Nicholas lo sanno. >> mi aspettavo che si arrabbiasse con me perché l’avevo detto a tutti tranne che a lei invece se la prese con Abby
<< Cosa? Io mi sono confidata ad Abby una settimana fa e lei non ha fatto nulla per fermarmi! Ha lasciato che mi ridicolizzassi davanti all’intera scuola! Oh ma la pagherà per questo, io … >> non riuscì a finire la frase, scoppiò in lacrime e si accasciò a terra con la schiena contro uno dei tanti armadietti grigi che riempivano la stanza. Mi abbassai e l’abbracciai
<< Le avevo chiesto di non dirtelo, è colpa mia. >> le asciugai le lacrime, lei tirò su col naso un paio di volte prima di riuscire a parlare nuovamente
<< Il primo ragazzo di cui m’innamoro e lui ha la faccia tosta di essere gay, non ti senti un po’ in colpa? >> rise tra i singhiozzi, il sorriso migliore è quello che lotta per farsi strada tra le lacrime: è la felicità che vince il dolore.
<< Sì, forse un po’ ma sono sicuro che là fuori c’è qualcun altro che ti farà battere il cuore e che sarà in grado di ricambiare il tuo amore. >> la strinsi un po’ più stretta
<< E quando lo troverai io sarò in prima fila. >> si sciolse dal mio abbraccio per guardarmi negli occhi
<< Grazie, sarà lo stesso per te, ne sono sicura. >> ci alzammo con l’intenzione di svignarcela prima che i calciatori rientrassero trovandoci nel loro spogliatoio chiedendoci cosa diavolo fosse successo ma poco prima di uscire lei mi afferrò un braccio tirandomi indietro e posò delicatamente le sue labbra sulle mie: era un bacio dolce non passionale; le sue labbra sapevano delle lacrime di poco prima, leggermente salate; era così vicina che potevo udire il suo cuore battere all’impazzata contro il mio petto e allora capii che quello non era un bacio d’amore bensì un bacio d’addio. Quando si allontanò era arrossita leggermente, una cosa che non si addiceva per niente alla Cara Williams che conoscevo
<< Scusami, volevo solo sapere come sarebbe stato. >>
<< Non preoccuparti anche Abby mi ha baciato una volta. >> vidi il suo volto passare da sorpreso a geloso fino a riempirsi di quella curiosità morbosa delle ragazze per le relazioni altrui
<< Che cosa? >> forse sarebbe stato meglio non dirglielo
<< Lascia stare non ha importanza. >> dissi sorridendo, prevedevo già la bufera che si sarebbe scatenata di lì a poco
<< Sì che ne ha! Raccontami tutto! Com’è successo? Perché? Ormai lo hai detto, parla! >> me ne andai ridendo con Cara che mi seguiva sparando domande a raffica con quel tono di voce tipico degli agenti di polizia convinti del fatto che tu sia colpevole, a quanto pareva si era già ripresa dalla delusione amorosa che le avevo procurato.
 

Pov Abby
 
La partita era finita da un pezzo quando Cara e Lucas riapparvero, io li stavo aspettando al solito posto assieme a Nicholas che era appena arrivato. Cara mi corse in contro e con una poderosa spinta mi fece cadere di faccia dalla panchina
<< Tu, che ti autodefinisci la mia migliore amica, razza di idiota! Il cervello lo usi ogni tanto o per te è solo un optional? Non farmi mai più una cosa del genere! >> mi rialzai a fatica tossendo polvere, il naso mi faceva così male che ogni respiro era pura agonia ma per fortuna non era rotto.
<< Lo so, mi dispiace. >>
<< Cara ma sei completamente pazza? Pensavo avessimo chiarito che non è stata colpa sua! >> sbottò Lucas arrabbiato
<< Stai zitto! Io ho chiarito le cose con te, non con lei! >> Cara si girò nuovamente nella mia direzione
<< E ora spiegami quando, dove, come e perché l’hai baciato. >> Baciato? Non era possibile! Lucas le aveva detto del bacio nonostante la promessa!
<< Perché gliel’hai detto? >> lui abbassò lo sguardo con fare colpevole e aveva ragione, era colpa sua.
<< Mi spiace mi è scappato. >> Nicholas, che per tutto quel tempo era rimasto in silenzio, esplose in un urlo pieno di rabbia del tutto atipico per qualcuno così calmo come lo era lui
<< Tu l’hai baciata? >>
<< No, lei mi ha baciato. >> specificò Lucas, sembrava quasi offeso dall’accusa. Nicholas si voltò verso di me scandalizzato continuando a sbraitare come un ossesso
<< Tu l’hai baciato? >> Cara perse anche la poca pazienza che le era rimasta, non che ne avesse mai avuta molta
<< Visto? A tutti interessa parlare del tuo bacio perciò siediti e parlacene! >> ubbidii sedendomi sulla panchina, un gesto che mi strappo un gemito di dolore: nella caduta dovevo aver sbattuto anche una gamba
<< È successo due o tre anni fa. >> iniziai a raccontare
<< Io volevo solo sapere come fosse baciare qualcuno ma … non ero e non sono il tipo di ragazza a cui i ragazzi s’interessano così ho chiesto a Lucas. >> feci una piccola pausa per riprendere fiato, tutti mi ascoltavano in silenzio, Cara sembrava dispiaciuta di avermi trattato con tanta durezza mentre Nicholas era in imbarazzo probabilmente per la sua reazione, ripresi a parlare
<< Mi aveva appena detto di aver capito di essere gay e così ho pensato che era la scelta migliore: lui non mi avrebbe deriso e io non mi sarei sentita in imbarazzo. Tutto qua, non è una grande storia. >> lo dissi con tono triste, lo potevo vedere dagli occhi dei miei amici che riflettevano sempre le miei emozioni, eravamo legati da un’amicizia così profonda che ci sembrava di essere parte di un’unica persona. Cara mi abbracciò
<< Mi spiace tesoro, non avrei dovuto chiederti niente. La rabbia mi ha accecato. >> Lucas alzò lo sguardo da terra per incrociare i miei occhi, nei suoi io leggevo rimorso.
<< Avrei dovuto stare zitto, scusa Abby. >> sorrisi debolmente, era sempre così gentile nei miei confronti anche se spesso parlava più del necessario
<< Sei perdonato. Siete tutti perdonati. >>
<< Anche tu sei perdonata. >> mi sussurrò dolcemente Cara. Il sorriso tornò sul volto di tutti i presenti fino a trasformarsi in una sonora risata.
<< E tu perché hai dato in escandescenza Nik? Geloso che la tua ragazza abbia baciato prima un omosessuale? >> Cara si trattenne a stento dal ridere, io diventai rossa come un pomodoro maturo e Lucas rideva divertito dalla sua stessa battuta
<< Non è la mia ragazza. >> ribatté Nicholas
<< Però vorresti che lo fosse. Dai ragazzi vi piacete da una vita e non avete nemmeno il coraggio di dirvelo in faccia, prendete esempio da Cara! Lei almeno ci ha provato! >> Cara lo colpì con un pugno amichevole alla spalla e Lucas si finse offeso prima di scoppiare a ridere assieme alla mia migliore amica. Nicholas rimase in silenzio ed io voltai la testa per nascondere il rossore che continuava ad ardere sulle mie guancie finendo per incrociare gli occhi ambrati di Alan, mi fissava in silenzio senza nessuna espressione sul viso, non capivo se lo faceva perché era interessato a me, cosa assai improbabile, o per qualche altro oscuro motivo che sfuggiva alla mia mente. Distolsi velocemente lo sguardo e richiamai l’attenzione dei miei amici
<< Alan mi sta fissando, di nuovo! >> tutti voltarono contemporaneamente lo sguardo nella sua direzione
<< Grazie tante! Ottimo modo per farvi notare! >> sbuffai esasperata
<< È davvero inquietante, forse dovremmo fare qualcosa. >> suggerì Nicholas
<< È davvero bellissimo! >> sospirarono Cara e Lucas all’unisono voltandosi poi di scatto l’uno verso l’altra
<< L’ho visto prima io. >> specificò Lucas
<< Si ma oggi mi hai già spezzato il cuore, non vorrai rubarmi anche il ragazzo che mi piace?! >>
<< Ma se l’hai visto solo per qualche secondo? >>
<< E con questo che vorresti insinuare? >> Lucas imprecò silenziosamente verso Cara e riportò l’attenzione su di me
<< Io non me ne preoccuperei Abby, è solo strano. Magari gli piaci. >> risi divertita dalla battuta, io non piacevo ai ragazzi, loro non mi consideravano nemmeno. Se poi contiamo anche il fatto che la mia migliore amica era praticamente una modella si capiva perfettamente perché nessuno mi notava.
<< Lo escludo ma lasciamo perdere, non ho voglia di parlare di questo adesso. >> ci alzammo e di comune accordo ognuno si diresse verso casa propria.
 
Ero convinta che mio padre fosse già uscito, entrai sbattendo la porta per farla chiudere e un urlo mi raggiunse dal piano superiore:
<< Abigail! Si può sapere che ti salta in mente?! >> Accidenti! Ma che ci faceva ancora a casa a quell’ora? Doveva uscire a cena!
<< Mi spiace, c’era corrente d’aria e la porta … >>
<< Sta zitta! Non voglio sentire le tue cazzo di scuse! >> lo vidi scendere dalle scale con foga, vestito di tutto punto: pronto per andare a cena con i suoi colleghi. Se solo fossi entrata qualche minuto più tardi!
<< Mi spiace. >> sussurrai abbassando la testa
<< Ti ho forse detto di parlare? No? E allora taci! >> mi superò e uscì di casa lasciandomi sola all’entrata a riflettere sugli errori della mia vita, su di uno in particolare: perché non ero ancora fuggita?  Mi diressi al piano superiore con l’intenzione di rifugiarmi nella mia stanza per non uscirne mai più, avrei riflettuto seriamente sull’ipotesi del suicidio se non fosse stato per gli amici che avrei dovuto lasciare indietro, loro mi avevano salvato donando alla mia vita qualcosa che l’aveva resa degna di essere vissuta: amore. Quando passai davanti allo studio di mio padre mi accorsi che la porta era socchiusa, un occasione d’oro visto che la chiudeva sempre a chiave. La spinsi delicatamente facendola aprire quanto bastava per poter passare: dentro era buio e caldo, le finestre erano chiuse e le tende tirate per non lasciar passare nemmeno uno spiraglio di luce; i muri erano pieni di mensole ricolme di libri di ogni genere, riuscii a leggere solo qualche titolo “Basi dell’economia aziendale” e “Costituzione degli Stati Uniti D’America” l’ultimo l’avevamo letto a scuola almeno una ventina di volte. Il centro della stanza era occupato da un’enorme scrivania in mogano finemente lavorato, ereditata da non so quale bi-bisnonno, completamente ricoperta da fogli e appunti di lavoro. Aprii tutti i cassetti ma non trovai nulla d’interessante: solo penne e matite varie; alcuni post-it e un’agenda con la copertina logorata dal tempo. Tornando verso la porta inciampai nel tappeto persiano che copriva gran parte del pavimento e mi aggrappai a uno degli enormi volumi della biblioteca personale di mio padre nella speranza di non cadere, cosa che ovviamente non successe! Quando mi rialzai mi accorsi che il libro in questione in realtà era una scatola e che durante la caduta si era aperta rivelando il suo contenuto segreto: lettere. Ne presi una a caso e incominciai a leggere:
 
Caro Chris,
sto bene ma la vita senza te è un inferno, voglio tornare a casa. Ho sentito dire da alcuni terribili cose sul mio conto, tu non crederci, sono la stessa di sempre e non cambierò solo perché lui mi ha imposto il suo amore. Ci vedremo presto, è una promessa!
Tua per sempre,
Alexis
 
Alexis era il nome di mia madre, sentivo mio padre parlarne a volte mentre dormiva ma non mi aveva mai raccontato nulla di lei. Quella lettera non era mai stata spedita, non c’era il timbro postale però c’era l’indirizzo del destinatario: Chris Gray, 6th Str, Wahoo, NE. Le altre lettere erano tutte risposte da parte di questo Chris a mia madre in cui lui le prometteva di aiutarla o le diceva che si sarebbero visti presto e finivano tutte nel medesimo modo “Ti amo”. Sapevo che mio padre era un uomo terribile ma pensavo che mia madre lo amasse dopotutto, invece lo tradiva con un altro, un altro che però amava veramente e profondamente. Chissà quanto avevano sofferto entrambi per amore, mi facevano così tanta tenerezza che mi ritrovai inconsciamente a tifare per loro e per il trionfo di un sentimento così forte anche se sapevo che non poteva essere finita bene visto che mia madre era morta. Sul fondo della scatola trovai una brutta copia scritta a mano da mio padre, era indirizzata a Chris Gray:
 
Tu credi che io non sappia? Alexis mi ha confessato tutto prima di morire e mi ha chiesto di darli a te e così avevo deciso ma ora ho cambiato idea, lei resta con me e se non ti va bene dirò tutto alla polizia: il traffico di armi e droga e anche l’omicidio commesso da quello stupido del tuo amico e che tu hai aiutato a coprire. A te la scelta, l’amore o la liberta?
John Sullivan
 
Era una minaccia, non c’erano dubbi, ma perché? Non feci in tempo a formulare un’ipotesi, dei rumori provenienti dal piano inferiore mi distrassero, infilai nuovamente le lettere nella scatola a eccezione di quelle scritte da mia madre e mio padre e la rimisi al suo posto. Corsi in camera mia e richiusi in tutta fretta la porta alle mie spalle nel momento esatto in cui mio padre rientrava sbuffando e imprecando perché aveva dimenticato dei documenti importanti. Mi ero salvata per un pelo.

Spazio Autrice
Finalmente sono riuscita a finire il secondo capitolo, spreo vi piaccia! :) Vi pregerei di lasciare delle recensioni (anche negative) solo per farmi sapere che ne pensate o cosa c'è da migliorare, mi aiutereste tantissimo!!
Ricordo che la storia la scrivo in collaborazione con Abbysullivan
Al prossimo capitolo! :D

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L'autunno ***


Capitolo 3 – L’autunno

 
Pov Lucas

 
 
Ero sdraiato sul prato dei giardini pubblici da almeno dieci minuti, possibile che non ci fosse una volta, una sola, in cui i miei amici erano puntuali? Ci eravamo dati appuntamento alle dieci esatte, il mercoledì era una giornata di scuola terribile per tutti noi perciò avevamo deciso di saltarla. I miei si fidavano ciecamente di me, potevo uscire senza lo zaino di scuola e loro non ci facevano neanche caso;
“Lucas è un bravo ragazzo, non è il genere di persona che marina la scuola!” ricordai la voce di mia madre mentre lo diceva, orgogliosa, alle sue amiche casalinghe con cui si fermava a chiacchierare durante la spesa. Per gli altri però era diverso: Abby viveva come una reclusa in casa sua, tutto veniva controllato nei minimi dettagli, anche un errore banalissimo poteva farla scoprire; Nicholas viveva con la sua unica zia, lei era molto protettiva nei sui confronti e si assicurava continuamente che lui stesse bene e infine Cara, nessuno di noi sapeva con certezza come andassero le cose a casa sua ma eravamo tutti a conoscenza della sua fissa per la perfezione perciò sarebbe stata in ritardo comunque.
Respirai a fondo l’aria autunnale: il caldo dell’estate l’aveva abbandonata da tempo ma il freddo pungente dell’inverno, quello che ti gela dentro con un solo respiro, non l’aveva ancora ghermita con le sue mani di ghiaccio; sapeva di fumo, di foglie cadute dagli alberi, di brividi a fior di pelle perché non ci si era vestiti abbastanza pesanti, di parole non dette o dette al momento sbagliato, di stanchezza perché l’anno scolastico era appena iniziato e di amicizia.
Sì, l’aria autunnale profumava d’amicizia.
Non un’amicizia qualunque, una di quelle che dura una vita intera, di cui non potrai mai fare a meno, il genere di sentimento che legava me, Abby, Cara e Nicholas. Io e Abby siamo stati inseparabili fin da piccoli: stesso asilo, stesse elementari, stesse medie, stesse scuole superiori, stesse persone che ci prendevano in giro, esclusi dagli altri ci siamo fatti forza l’un l’altra e siamo diventati migliori amici. Ho provato molte volte ad immaginare la mia vita senza Abby e il risultato è stato il vuoto più totale: senza di lei nulla avrebbe più senso, il mondo finirebbe sottosopra, tutto diventerebbe grigio e cupo, senza significato. Da che mi ricordi lei c’è sempre stata, eravamo noi due soli contro il mondo, fino all’arrivo di Cara: si trasferì in paese undici anni fa; la scuola era iniziata da una settimana la prima volta che le rivolgemmo la parola. Per sette giorni l’avevamo osservata mangiare da sola perché nessuno degli altri bambini voleva avere niente a che fare con lei, troppo bella, troppo perfetta e irraggiungibile ma noi eravamo riusciti a vederla per quello che era: una bambina sola e triste che aveva bisogno di amici. Il secondo lunedì Abby prese il suo vassoio e lo posò al fianco di quello di Cara, le tese la mano e si presentò, lei la strinse sorridendo e da quell’istante entrò a far parte dei “Bambini Invisibili”, così ci chiamavano gli altri con cattiveria eppure noi ne avevamo fatto il nostro vanto, l’invisibilità era pur sempre un superpotere. Nicholas arrivò più tardi, in terza elementare, non fece in tempo a mettere piede nella scuola che tutti conoscevano la sua triste storia: i genitori erano morti e lui aveva dovuto lasciare l’Inghilterra per tornare a vivere in America con sua zia Gemma. Ovviamente questo convinse gli altri che doveva essere un tipo strano, uno con cui era meglio non giocare ma non per noi, i “Bambini Invisibili” accoglievano tutti gli esclusi con il sorriso sulle labbra, infondo le persone più interessanti e speciali sono anche quelle più strane.
Un scricchiolio di foglie mi riportò alla realtà, mi alzai a sedere e mi ritrovai faccia a faccia con Cara che imprecava a denti stretti contro me e la mia stupida idea di andare ai giardini, teneva in mano uno dei suoi stivaletti neri col tacco a spillo letteralmente distrutto e mi guardava infuriata.
<< Lo ripagherai tu questo? Tu e le tue stupide idee! >>
<< Non mi pare ti sembrasse così stupida ieri mentre ti lamentavi del test di chimica in programma per oggi. >> sbuffò spazientita e incrociò le braccia sul petto
<< Ok, va bene, hai vinto! >> si lasciò cadere di peso al mio fianco sospirando e poi mi sorrise all’improvviso come se un pensiero meraviglioso le avesse di colpo riempito la testa
<< Hai visto! Non sono arrivata per ultima! È un avvenimento storico, dobbiamo festeggiare! >> scoppiammo a ridere entrambi e io tornai a stendermi sull’erba umida di rugiada aspettando l’arrivo degli altri per potermi sentire effettivamente a casa.
 
Passarono altri dieci minuti, l’unico rumore che si sentiva era il frusciare del vento tra le foglie secche degli alberi, anche Cara aveva smesso di lamentarsi. L’inquietudine si stava facendo strada dentro di me: e se Abby non fosse riuscita a non farsi scoprire dal padre? Lui l’avrebbe punita, forse l’aveva picchiata.
<< Cara, non sei preoccupata? >> lei parve risvegliarsi da un profondo stato di meditazione, probabilmente stava riflettendo su come aggiustare il suo stivale.
<< Sì, dove lo troverò un paio uguale? >> sospirai, ormai la conoscevo non avrei dovuto più stupirmi di nulla
<< Intendevo per Abby, non per le scarpe. >>
<< Sono stivaletti, non scarpe! Comunque sono sicura che ce la farà, è una ragazza in gamba e se suo padre solo la sfiora sappiamo cosa fare. >> rimase un attimo in silenzio pensierosa poi aggiunse
<< Sai cosa mi preoccupa? Il fatto che lei e Nick non si siano ancora messi assieme, voglio dire lo sanno tutti che si piacciono, persino quel coglione di Ethan! >> effettivamente tutti erano a conoscenza del fatto che Abby e Nicholas si piacevano ma non pensavo che questo potesse rappresentare una fonte di preoccupazione per Cara.
<< Sono sicuro che prima o poi uno dei due si dichiarerà. >>
<< Invece non lo faranno! Serve un piano d’azione, siamo i loro migliori amici dobbiamo assolutamente risolvere questa situazione! >> perfetto, l’avevo persa
<< E cosa vorresti fare, sentiamo! Costringere Abby a fare una dichiarazione in mezzo a un campo da calcio durante la pausa tra il primo e il secondo tempo? >> mi colpì con un pugno sulla spalla sbuffando d’irritazione mentre io scoppiavo a ridere per la faccia scandalizzata e offesa che aveva fatto.
<< Non ridere, tu mi hai spezzato il cuore! >> lo disse con una serietà tale da farmi morire il sorriso sulle labbra
<< Sai avevo già immaginato la nostra vita assieme: ci saremmo sposati dopo il college; avremmo vissuto in una meravigliosa villa a South Beach perché so che è lì che vorresti vivere; avremmo avuto due bambini magari due gemelli, un maschio e una femmina, e magari anche un cane. Avevo contemplato tutte le possibilità tranne quella che tu mi tradissi con il giardiniere sexy che avevo intenzione di assumere. >> si voltò verso di me sorridendo ma il suo sguardo carico di tristezza la tradiva, l’abbracciai stretta a me e sussurrai:
<< Mi spiace di aver rovinato i tuoi piani ma, sinceramente, tu cosa pensavi di fare con il giardiniere sexy? >> lei mi spinse via e cominciò a ridere fino ad arrivare alle lacrime
<< Colpita, uno a zero per te. >> tornammo entrambi a stenderci sul prato in silenzio per qualche minuto
<< Hai ragione, non devo intromettermi tra Nicholas e Abby. Due a zero per te. >> mi voltai verso di lei e la trovai che mi guardava con un sorriso appena accennato sulle labbra. La sua mano scivolò delicata nella mia e restammo così, immobili ad osservare il cielo nuvoloso di fine ottobre, fino all’arrivo dei due ritardatari.
 
Pov Abby
 
Ero uscita alla solita ora, come se a scuola ci stessi andando veramente, per poi appostarmi nei pressi di casa in attesa che mio padre raggiungesse il municipio: l’edificio a fianco di casa nostra. In pratica erano una sola costruzione divisa in due parti distinte da un muro centrale.
Quando uscì mi feci piccola piccola dietro i cespugli del vialetto osservando con attenzione la sua espressione: era stanco; disgustato, probabilmente da se stesso, e frustrato perché non era rimasto nulla per la colazione nel frigorifero. Non c’erano segni di rabbia o collera, significava che la scuola non aveva chiamato per segnalare la mia assenza, ero salva.
Appena il portone si chiuse alle sue spalle sgusciai fuori dal mio nascondiglio e iniziai a correre il più velocemente possibile verso il parco, ero in ritardo di ben venti minuti.
La strada la conoscevo a memoria perciò non stavo prestando molta attenzione alle altre persone finché non andai a sbattere violentemente contro qualcuno
<< Oddio! Mi scusi! Non vole … Nicholas?! >> lui si stava massaggiando il petto dove con molta probabilità avevo sbattuto la testa, mi sorrise divertito
<< Originale come saluto mattutino! >> risi tastandomi la testa alla ricerca del bernoccolo che sospettavo di avere da qualche parte
<< Pensavo fossi già al parco. >>
<< Mia zia ha pensato di tenermi a casa per la prima ora, così avrei potuto studiare chimica in tutta calma ed essere pronto per il test. Poverina non aveva idea che avessi deciso di saltarlo! >>
Ci incamminammo verso il punto d’incontro in silenzio, m’imbarazzava restare sola con lui e ancora di più quando non parlavamo. Avevo notato che da un po’ mi fissava di sfuggita per poi distogliere lo sguardo quando mi voltavo nella sua direzione.
<< Perché mi fissi? >> questa volta ero riuscita ad incatenare i nostri sguardi e lui non aveva avuto il coraggio di far finta di nulla e guardare altrove.
<< Non ti sto fissando! >> sospirai alzando gli occhi al cielo
<< Non sono stupida, ti dico che lo stai facendo! >>
<< E la cosa ti da forse fastidio? >> arrossì leggermente e nascose le mani nelle tasche larghe della felpa. Odiavo questo genere di domande: potevo dire la verità, cioè che non mi davano fastidio perché lui mi piaceva ma era troppo imbarazzante oppure mentire dicendo di no e rovinare una delle migliori occasioni di sempre. Cara mi avrebbe certamente urlato di scegliere la prima opzione e saltargli letteralmente addosso mentre Lucas di fare quello che sentivo più giusto. Respirai a fondo cercando di non perdere il controllo e di non arrossire, o almeno non troppo.
<< No, non mi da fastidio. Non se sei tu a farlo. >> sentivo il cuore battere così forte contro il petto che ero quasi certa potesse sentirlo anche lui. Il suo sguardo, che si era spostato a terra mentre io riflettevo in silenzio, si alzò nuovamente per incontrare il mio e m’imposi di non distoglierlo.
Notai che nei suoi occhi verdi c’era una luce diversa dal solito, era come se i fuochi artificiali del quattro luglio gli fossero scoppiati dentro illuminandoli dall’interno.
Smise di camminare e rimase immobile a fissarmi con un sorriso sulle labbra che diventava, di secondo in secondo, più grande. Prese il mio viso fra le mani e quello che seguì fu uno dei momenti migliori della mia vita: Nicholas Lewis, il ragazzo che mi piaceva da tre lunghi anni, mi baciò.
Avevo sognato tante volte quel momento e, come ogni ragazza perdutamente innamorata sa bene, pensavo che non sarebbe mai accaduto realmente invece ero lì, tra le sue braccia, ed era tutto molto più bello e perfetto di come l’avevo sempre immaginato.
Quando ci allontanammo avevo uno stupido sorrisino stampato in faccia e per quanto ci provassi non se ne andava finché non si tramutò in una sonora risata alla vista delle guancie di Nicholas che sembravano aver preso fuoco dal tanto rossore.
<< Che hai da ridere? >>
<< È solo che non ti sei visto, sembri un pomodoro! >> e allora anche lui si mise a ridere.
Lo afferrai per mano e iniziammo a correre in direzione del parco dove Cara e Lucas aspettavano da più di mezz’ora.
 
Quando arrivammo Lucas si alzò di scatto con un aria soddisfatta e vittoriosa, probabilmente non ne poteva più di aspettare. Quanto a Cara il suo sguardo scese inevitabilmente sulle nostre mani intrecciate, non era una che si lasciava sfuggire i dettagli importanti, e un sorriso di vittoria si stampò anche sul suo viso. Lasciai andare la mano di Nicholas arrossendo leggermente, cosa che fece distendere le labbra della mia amica ulteriormente, e andai a sedermi al fianco di Lucas.
<< Iniziavo a pensare che non sareste più venuti, vi immaginavo già fuggire assieme verso Parigi, la città dell’amore! >> sospirò Lucas ridendo, lo colpii sulla spalla senza fargli male: anche se avessi voluto non ci sarei riuscita, avevo la forza di una lumaca morta!
<< A proposito di te e … >> iniziò a dire Cara ma non le permisi di finire la frase, non avevo tempo ne voglia di affrontare l’argomento e c’erano cose più importanti di cui dovevo metterli al corrente: le lettere che avevo trovato.
Iniziai a raccontare la litigata tra me e mio padre, cosa non troppo insolita, fino ad arrivare alla scoperta delle suddette lettere. Gli altri mi avevano ascoltato in silenzio e così rimasero per qualche minuto anche dopo che ebbi finito di parlare, Lucas fu il primo a romperlo:
<< Devo ammettere che questa cosa m’inquieta un po’ ma potrebbe essere la volta buona per scoprire qualcosa su tuo padre con cui poterlo tenere in pugno. >> effettivamente non l’avevo guardata da questo punto di vista ma Lucas aveva ragione, mio padre aveva minacciato qualcuno e questo andava a mio vantaggio.
<< Quell’uomo era l’amante di tua madre, mi sembra ovvio che tuo padre lo abbia minacciato ma conoscendolo non si sarà fermato solo a quello. >> aggiunse Cara sommessamente confermando ciò che aveva detto il nostro migliore amico
<< È inutile che stiamo qui a fare ipotesi su cosa abbia o non abbia fatto John Sullivan, andiamo da questo Chris Gray e chiediamoglielo di persona! >> quella di Nicholas sembrava la cosa più sensata da fare, vidi gli altri muovere la testa in segno di assenso, ma non potevo presentarmi davanti alla porta di uno sconosciuto e dire:
“Salve, lei era per caso l’amante segreto di mia madre, l’uomo minacciato di morte da mio padre conosciuto anche come il perfido e spregevole sindaco di questa città?”.
Avevo bisogno di tempo per preparare un discorso sensato e che non mi facesse sembrare una pazza fuggita da un manicomio, quindi avremmo dovuto rimandare la “gita” di qualche giorno.
<< Mi sembra una buona idea ma non oggi, se vogliamo farci dire la verità dovremo essere molto convincenti e preparati. >> tutti annuirono all’unisono e tirai un sospiro di sollievo, mi ero già immaginata mentre tentavo inutilmente di convincerli a desistere perché quando si lanciavano in qualcosa lo facevano a capofitto e senza riflettere, non che io fossi da meno.
 
Dopo pranzo ci dirigemmo verso scuola: anche se il mercoledì mattina era pesante il resto della giornata era dedicato alle attività extrascolastiche e non ce lo saremmo perso per nulla al mondo.
Cara e Nicholas si diressero verso i campi sportivi: la prima entrò in quello da football americano nel quale si stavano allenando i giocatori, infondo al terreno di gioco c’era un’area adibita all’allenamento delle cheerleader e Cara, quest’anno, ne era il capitano;
il secondo invece raggiunse i suoi compagni che avevano appena iniziato a riscaldarsi nel piccolo stadio di calcio della scuola.
Io percorsi un altro tratto di strada con Lucas, lui non praticava alcuno sport ma, visto che era obbligatorio fare qualcosa durante quel pomeriggio, si era offerto volontario come aiuto-bibliotecario per l’intero anno scolastico e io sola ne conoscevo il vero motivo: Lucas amava alla follia i romanzi rosa! Il suo amore era, però, proporzionale alla vergogna che provava nel confessarlo agli altri perciò tutti pensavano che il suo passatempo fosse quello di guardare i film horror più terrificanti in circolazione.
Quando arrivammo in prossimità della scuola lo salutai e presi la strada che portava verso le palestre, entrai nella numero tre, quella con la migliore parete da scalata di tutto il Nebraska. Ovviamente era solo il mio pensiero anche perché non le avevo provate tutte, non ancora almeno!
Varcai l’entrata dello spogliatoio e salutai Mandy Pimple, meglio conosciuta come BrufoloMandy, l’unica altra persona che praticava questo sport oltre me forse perché era l’unico in cui nessuno poteva prenderla in giro: si arrampicava meglio e più velocemente di uno scoiattolo impaurito, era formidabile.
Mi cambiai, uscii dallo spogliatoio e m’incamminai in direzione della parete, la mente libera da ogni pensiero e preoccupazione, c’eravamo solo io e la gioia che provavo nel praticare quello sport. Mandy era già arrivata in cima e si apprestava a scendere, infilai l’imbragatura e poggiai il piede sulla prima sporgenza.
 
Pov Cara
 
Le altre avevano lasciato lo spogliatoio da un pezzo: le avevo fatte lavorare molto quella sera e tutto quello che volevano, probabilmente, era tornare a casa, sdraiarsi sul letto e non muoversi più fino al mattino.
Mi strofinai i capelli con l’asciugamano ormai fradicio anche se sapevo che non sarebbe servito a nulla, questione di abitudine suppongo, li legai in uno chignon alto e mi rivestii con tutta calma evitando di bagnare la maglietta pulita mentre la facevo scivolare sopra la testa.
Raccolsi le mie cose e le gettai alla rinfusa nel borsone bianco e azzurro delle cheerleader e mi apprestai a uscire per tornarmene a casa ma mi bloccai davanti alla porta, feci qualche passo indietro e guardai il mio riflesso nel vecchio specchio rovinato dal tempo con più attenzione: la ricrescita castana era ben visibile all’attaccatura dei capelli, era ora di rifare la tinta.
Spensi le luci e chiusi a chiave la porta degli spogliatoi poi presi il telefono e scrissi a mia madre che avevo bisogno di altri soldi sulla carta, non si degnò nemmeno di rispondermi, qualche minuto dopo il telefono suonò: “Avviso: sono stati depositati duecento dollari sul suo conto.” Almeno sui soldi non dovevamo discutere.
Sulla strada di casa mi fermai al supermercato, comprai la tinta; una nuova boccetta di smalto rosa pallido; il fondotinta e una di quelle scatole piene di cibi precotti irriconoscibili che, una volta infilate nel microonde, diventavano commestibili.
Entrai in casa con il borsone a tracolla, la borsa di plastica in una mano e i miei stivaletti col tacco rotto nell’altra. I capelli erano ancora bagnati, dopo la doccia non avevo rifatto il trucco e avevo tenuto le scarpe da ginnastica sporche di fango pur di non camminare a piedi nudi.
<< Rebecca, sono a casa! >> non ricevetti nessuna risposta
<< Rebecca! >> un mugugno proveniente dalla cucina mi fece capire dove si trovava mia madre e che, come al solito, non era molto contenta di vedermi.
<< Non strillare, la testa mi sta esplodendo. >> era seduta al tavolo della cucina, non lo usavamo mai per mangiare visto che solitamente cenavamo nella sala da pranzo, davanti a lei erano appoggiati una bottiglia di vino e un bicchiere mezzo pieno. Bel modo per curare un’emicrania.
<< Volevo solo dirti che sono tornata, grazie per i soldi. >>
<< Spero fosse qualcosa di importante, tipo un trattamento di bellezza. Ne avresti veramente bisogno. >> da quand’ero entrata non mi aveva degnata di uno sguardo ma appena sbuffai i suoi occhi furono su di me.
<< Oh cielo! Come sei conciata? I tuoi capelli fanno schifo, per non parlare della faccia e delle scarpe che indossi! >> gettai gli stivaletti a terra
<< Il tacco si è rotto. >> proclamai con enfasi nel tentativo di fermare la sua cascata di rimproveri
<< Non è del tacco che mi sto preoccupando. >> prima che rincominciasse a parlare mi voltai e la lasciai da sola in cucina diretta verso la mia stanza.
Sentii i suoi passi ticchettarmi dietro:
<< Sei un disastro come figlia! Possibile che tu non riesca ad essere carina ogni tanto? >> mi bloccai a metà delle scale, la rabbia che saliva a imporporarmi le guancie
<< Io lo sono sempre ma tu non te ne accorgi nemmeno! >> lei alzò le braccia al cielo e le lasciò ricadere sui fianchi
<< Dove ho sbagliato con te? Perché non posso avere la figlia perfetta che vorrei? >>
<< Perché nessuno è perfetto Rebecca e tu non l’hai ancora capito. >> rimase a fissarmi in silenzio mentre finivo di salire le scale e raggiungevo la mia stanza, scomparendo dalla sua vista.

Spazio Autrice

Finalmente sono riuscita ad aggiornare! ( Mi sto applaudendo da sola lol )
Spero ovviamente che il capitolo vi piaccia e che l'attesa non vi abbia snervato troppo (anche perché le cose non andranno molto migliorando).

Volevo ringraziare 
_heartbreaker per i suoi continui messaggi che sono l'unico motivo per cui ho finito il capitolo così in fretta (questa sì che faceva ridere!), sono veramente felice che la storia ti piaccia così tanto! :)

Ricordo che la sto scrivendo in collaborazione con
Abbysullivan.

Al prossimo capitolo!



 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La Fotografia ***


Capitolo 4 – La Fotografia

 
Pov Abby

Era sabato. A svegliarmi era stato il rumore della porta che sbatteva, il segno che mio padre era uscito. Via libera. Scostai le coperte e saltai letteralmente giù dal letto, avevo dormito vestita in vista di quel giorno, avevo pianificato tutto ed ero sicura che non ci sarebbero stati intoppi. Sarei andata a casa di Chris Gray per scoprire la verità e lo avrei fatto da sola. Chiusi il portone di casa alle mie spalle e mi avviai verso la 6th Street , il vento non faceva che gettarmi i capelli negli occhi, il ché era degno di nota visto che li portavo tagliati a caschetto, e farmi gelare fin dentro le ossa. Chiusi la zip della giacca fino in cima e m’infilai sciarpa e guanti: era da poco iniziato novembre ma sembrava già pieno inverno, mancava solo la neve! Raggiunsi l’incrocio e lo superai, stavo per imboccare la 3rd Street quando una voce, che sembrava spuntata dal nulla, mi bloccò.
<< Dove stai andando? >> Fendette il silenzio attorno a me come può farlo il canto delle allodole a primavera, note perfette e cristalline che non possono far altro se non strapparti un sorriso: la sua voce era la melodia della serenità. Mi voltai ad incontrare il suo sguardo sorridente e lui ricambiò, non c’era nulla da fare, Nicholas ai miei occhi avrebbe sempre rappresentato la perfezione. Dovevo essere rimasta immobile a fissarlo per un tempo considerevolmente lungo perché quando ripeté la domanda c’era una punta di preoccupazione nella sua voce che ruppe il perfetto equilibrio in cui si trovava la mia mente:
<< Abby? Tutto bene? >>
<< Sì, scusa. >> I pensieri iniziarono a vorticare nella mia testa nel vano tentativo di trovare una scusa valida, non potevo dirgli la verità o sarebbe voluto venire con me a tutti i costi.
<< Dove stai andando? >> E tre. Forza cervello! Trova un motivo decente del perché sto camminando per la città così presto e con questo freddo assurdo.
<< Passeggiavo, sai per prendere un po’ d’aria fresca. >> Era forse una del bugie più mal riuscite della storia.
<< Ti fa niente se vengo con te? >> Complimenti, ottimo lavoro! Non avevo la più pallida idea di cosa dire
<< Perché? >>
<< Vorrei parlarti. >> Il mondo intero odiava quella frase, ti faceva pensare a tutto ciò di sbagliato che avevi fatto durante la tua vita, a tutti i tuoi errori, ma non detta da Nicholas. Riusciva a rendere belle anche le cose più terribili.
<< Va bene. >>
Per un po’ camminammo in silenzio, non sapevo come liquidare alla svelta la discussione per poi svignarmela il più in fretta possibile senza farmi seguire.
<< Volevo parlarti della settimana scorsa, di quando io … noi … >> la sua voce si affievolì fino a diventare un sussurro inudibile da orecchie umane e le sue guancie si tinsero di rosso. Sapevo di cosa voleva parlarmi, da quel mercoledì non eravamo più riusciti a vederci da soli e il mio cervello era abbastanza confuso sulla questione.
<< Del bacio. >> conclusi per lui.
<< Sì. >> Sembrava sollevato dal fatto che fossi stata io a dirlo.
<< Io ci ho ripensato e non vorrei aver fatto una cazzata, insomma magari tu non lo volevi … magari avrei dovuto chiedertelo. >>
<< E da quando si domanda per un bacio? >> scoppiammo a ridere entrambi poi, passato il momento, continuai più seriamente
<< Lo volevo è solo che … >> ora era il mio turno di rimanere senza parole.
È solo che ho paura, paura di dare tutto e non ricevere niente in cambio, paura che tu ti accorga di non volermi poi così tanto e te ne vada, paura di restare sola con il cuore spezzato.
<< Solo che cosa? >> Il suo tono si era addolcito e con la mano sfiorava distrattamente il profilo della mia spalla.
<< Sai, la sensazione più bella del mondo è quella di ottenere ciò che si ha desiderato così a lungo e intensamente da pensare che fosse impossibile e quella peggiore è perderlo, perderlo per sempre e definitivamente. Nella mia vita ogni istante bello è stato seguito da un altro altrettanto terribile, come se fosse una sorta di punizione per la mia felicità e ora, con te, sono così felice che non oso immaginare quanto sarebbe doloroso perderti. Io ho paura di soffrire, ancora. >> Avevo parlato senza pensare, senza respirare e sentivo i polmoni che reclamavano aria, respirai a fondo un paio di volte e poi lo percepii: qualcosa di caldo e bagnato che stava scendendo lungo le mie guancie, stavo piangendo e nemmeno me n’ero accorta. Nicholas allungò la mano e asciugò le lacrime dal mio viso e nei suoi occhi vidi una tristezza angosciosamente profonda ma anche una determinazione assoluta che li accendeva di una luce tutta particolare, brillavano come stelle cadenti.
<< Mi dispiace per tutta la sofferenza e il dolore che ci sono state nella tua vita ma c’è una cosa che non hai preso in considerazione: tu non mi perderai mai. Non ho intenzione di andarmene per nessun motivo al mondo perché sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e io stesso non voglio perderti! Io ti amo Abby ed è una cosa che nessuno potrà mai cambiare, è per sempre, è una promessa. >> Le parole rimbombarono nella mia testa
“Ti amo ed è una cosa che nessuno potrà mai cambiare”,
un lieve sorriso solcò le mie labbra cercando di vincere le lacrime.
<< Basta piangere, ti preferisco con il sorriso. >> Gli lanciai le braccia al collo e lui mi sollevò da terra senza fatica, lo sentii che mi stringeva a sé e poi le sue labbra raggiunsero le mie: un brivido di piacere mi percorse la schiena e il cuore cominciò a battere a mille. Tutto il mio corpo parve diventare più leggero, come se stessi volando e un’energia sconosciuta mi pervase rendendomi euforica. Fu solo allora che compresi davvero quanto ci tenessi a lui, nemmeno io volevo andarmene, ne ora ne mai. Quando i miei piedi toccarono nuovamente terra e mi staccai da lui per riprendere fiato le parole mi uscirono di bocca senza dubbi o esitazioni:
<< Anch’io ti amo. >>
 
Chris Gray abitava in una delle villette a schiera degli anni venti che si trovavano in periferia, sulla stessa collinetta in cui si ergeva la villa di Cara ma dal lato opposto. Alla fine avevo dovuto dire la verità a Nicholas e lui aveva insistito per accompagnarmi dicendo che “certe cose non andavano fatte da soli”.
La casa un tempo doveva essere stata bella ed elegante, di un vivace colore azzurro mentre ora tendeva di più al grigio-azzurrino-smorto e l’intonaco era rovinato dall’umidità e dal tempo. La porta di legno era mezzo scrostata e sul campanello lì a fianco il nome si leggeva a fatica: Famiglia Gray, probabilmente vivevano a quell’indirizzo da generazioni. Allungai la mano per premere il bottone ma esitai, erano solo le otto ed era sabato, ritrassi in fretta il braccio.
<< Forse è meglio se bussi. >> disse Nicholas dando voce ai miei pensieri. Allungai nuovamente la mano e bussai due volte. Non rispose nessuno.
<< Non c’è nessuno. >> volevo andarmene, era stata una pessima idea quella di presentarsi a casa di un perfetto sconosciuto a chiedergli del suo passato e me n’ero accorta solo in quel momento.
<< Non essere sciocca! Abbiamo bisogno di risposte e lui ce le può dare. >> Nicholas, che si trovava dietro di me, si sporse leggermente avanti premendo il suo petto contro la mia schiena e bussò altre due volte ma più forte. Dall’interno si udì un rumore di passi strascicati e imprecazioni soffocate che si dirigevano verso l’entrata seguite poi dalla serratura che girava e dalla maniglia che si abbassava. La porta si aprì cigolando e ci trovammo di fronte a un uomo che poteva avere l’età di mio padre: era alto e abbastanza muscoloso, dava l’idea di uno che si teneva allenato, probabilmente da giovane era stato uno sportivo; i capelli neri, scompigliati dal sonno, erano percorsi da leggere sfumature grigie e gli occhi, di un azzurro profondo con striature nocciola che s’irradiavano dal centro, ci fissavano assonnati.
<< Chi siete? Che cavolo ci fate a casa mia a quest’ora del mattino? >> Abbassò lo sguardo su di me e trasalì, fu solo per un attimo ma era come se tutta la gioia e tutto il terrore del mondo si fossero riversati dentro di lui, com’erano arrivati però se ne andarono. Ora sembrava solo scocciato di essersi dovuto alzare dal letto per venirci ad aprire. Osservandolo meglio vidi che le braccia erano interamente ricoperte di tatuaggi a spirale: un’infinità di frasi, la maggior parte in latino, che s’intrecciavano a formare le linee sinuose di quel particolare disegno. Una, leggermente più grande delle altre, attirò la mia attenzione:
Numquam Deorsum, non avevo la minima idea di cosa potesse significare ma sembrava molto più importante del resto. La voce del uomo mi riportò alla realtà e tornai a prestare attenzione al discorso.
<< Si può sapere perché siete qui o avete intenzione di fare scena muta? >> fu Nicholas a parlare per primo
<< Mi chiamo Nicholas Lewis e questa è Abigail Sullivan, abbiamo bisogno di farle alcune domande. >> Chris Gray sgranò gli occhi al suono del cognome di Nicholas ma non fece commenti finché lui non smise di parlare.
<< Sembra una frase fatta tratta da una di quelle serie poliziesche tipo CSI, avrete sì e no sedici anni, siete troppo piccoli per giocare ai detective. >> Mi avevano sempre dato sui nervi gli adulti che non prendevano sul serio nulla di quello che i ragazzi dicevano.
<< Tanto per cominciare io ne ho diciassette di anni e lui diciotto e poi non stiamo “giocando a fare i piccoli detective” vogliamo sapere perché mio padre l’ha minacciata! >> Gli avevo praticamente urlato in faccia ma era quello che si meritava, aveva incrociato le braccia sul petto e la sua espressione non era cambiata di una virgola, come se la cosa non lo riguardasse minimamente.
<< Intendi tu padre il sindaco? Effettivamente è una minaccia pubblica quel uomo! >> sogghignò evidentemente divertito dalla sua stessa battuta.
<< È una cosa seria ! Ho trovato una brutta copia di una lettera che mio padre le spedì, minacciava di denunciarla alla polizia per spaccio e omicidio! Lui non è uno che scherza, lo conosco. >> l’ultima parte della frase la dissi così a bassa voce che probabilmente fui l’unica a sentirla.
<< Senti ragazzina, io non ho ricevuto nessuna lettera di minaccia da tuo padre e prego Dio che non mi succeda mai, capitano brutte cose a chi si mette sulla sua strada. >> la voce del uomo si era addolcita, forse non avevo parlato così sottovoce come pensavo, mi posò una mano sulla spalla e mi rivolse lo sguardo che ricevevo da ogni abitante di quella città: compassione perché l’unico genitore che mi restava era un mostro. Prestando più attenzione però notai che nel suo c’era qualcosa di diverso, era più triste della media, nostalgico, come se quello che volesse dire realmente suonasse più o meno così “Vedo il tuo dolore, lo comprendo e lo condivido”.
Allontanò la mano da me e fece due passi indietro afferrando lo stipite della porta
<< Vorrei dirvi arrivederci ma temo che poi lo prendiate in parola perciò addio. >> la porta si chiuse davanti a noi con un rumore secco, qualcosa mi diceva che eravamo stati congedati.

 
Pov Nicholas
 
Cercai di entrare senza fare troppo rumore, erano le otto e mezza e probabilmente zia Gemma stava ancora dormendo.
Non volevo svegliarla visto che dormire era una delle cose che le riusciva peggio, aveva sempre terribili incubi e spesso, nel cuore della notte, la sentivo urlare ma non aveva mai voluto raccontarmi cos’era a spaventarla tanto. Quando arrivai in cucina mi accorsi che era già in piedi o meglio seduta su di uno sgabello a fianco del tavolo su cui mangiavamo di solito. Mi stava fissando, le braccia conserte e un’espressione arrabbiata sul volto:
<< Dove sei stato? >> si alzò e una ciocca di ricci biondi le sfuggì da dietro l’orecchio finendole sul viso, la soffiò via irritata.
<< Sono uscito con Abby. >>
<< Senza dirmi niente? >> Ora più che arrabbiata sembrava preoccupata.
<< Stavi dormendo e  non pensavo che … >>
<< Che mi sarei accorta della tua assenza? Oppure credevi che non avrei capito che stavi mentendo? >>
<< Non ti ho mentito! >> Strinse gli occhi verdi a fessura fino a renderne il colore irriconoscibile, erano diventati due pozzi d’oscurità furente.
<< Dimmi dove sei stato! >> Avevo la tentazione di mentirle di nuovo ma sapevo che sarebbe stato tutto inutile anche se non capivo questa sua testardaggine, quando si comportava così mi ricordava moltissimo mia madre che voleva sempre sapere dov’ero stato e mi ripeteva in continuazione che Londra era una città pericolosa per un bambino di sette anni.
<< Ho accompagnato Abby da una persona. >> La rabbia sbollì leggermente dal suo viso ma le mani strette a pugno indicavano quanto fosse ancora tesa.
<< Da chi di preciso? >> Tanto valeva dirglielo, probabilmente non lo conosceva nemmeno.
<< Chris Gray. >> Spalancò gli occhi sorpresa e la bocca prese la forma di una piccola o di stupore, forse mi ero sbagliato.
<< Lo conosci? >> Per tutta risposta lei svanì veloce come il vento nel corridoio e la sentii salire le scale che portavano in soffitta, che cavolo ci stava andando a fare là su?
Quando ricomparve era interamente ricoperta da un sottile strato di polvere e fra le mani teneva una piccola scatola di legno decorato, sembrava lavorato a mano. L’appoggiò con delicatezza sul tavola e fece un passo indietro.
<< Puoi aprirla. >> disse in tono sommesso. Mi avvicinai e pulii il cofanetto dalla polvere soffiandoci sopra poi lo aprii facendo attenzione a non romperlo o rovinarlo. Al suo interno erano ammucchiati parecchi oggetti che sembravano appartenere ad una liceale, come se mi avesse letto nel pensiero zia Gemma parlò:
<< Sono i miei ricordi dei tempi del liceo, l’ultimo periodo felice della mia vita. >>
La prima cosa che notai fu una collana d’argento: il tempo sembrava non averla nemmeno toccata, era lucida e brillante proprio come se fosse stata appena acquistata. La feci scivolare tra le mie mani e osservai il pendente a forma di luna, sembrava incompleto, nello spicchio del satellite c’erano alcune strane rientranze a forma di punta.
Nella mia mente comparve l’immagine di una collana simile, con un pendente a cuore, che Abby portava sempre al collo. Il cuore era spaccato a metà e l’altra parte pendeva da una catenella simile indossata da Cara. I due semi-cuori s’incastravano alla perfezione, “Perché ognuna è la metà mancante dell’altra, senza Cara non sono completa” era così che Abby ne aveva descritto il significato.
<< Chi possiede la sua altra metà? >> zia Gemma parve stupita dalla mia domanda.
<< Te ne sei accorto? >> rimase in silenzio per un po’ mangiucchiandosi le unghie prima di rispondere con un sospiro di tristezza
<< La mia migliore amica, Alexis Campbell. >> La catenella mi scivolò dalle mani e precipitò nuovamente nella scatola con un tonfo sordo, Alexis.
<< La madre di Abby? >> lei annuì con un lieve movimento della testa.
<< Tu la conoscevi? >>
<< Come ho detto era la mia migliore amica e non era l’unica. Cerca la foto sul fondo. >> Si voltò verso la finestra, dandomi le spalle mentre si stringeva le mani sulle braccia strofinandole come se avesse freddo.
Rovistai fino a trovare la fotografia: ritraeva cinque ragazzi seduti sulla scalinata della Wahoo High School.
Sulla sinistra c’erano un ragazzo e una ragazza: lui era seduto qualche gradino più in alto di lei e l’abbracciava da dietro, lei stringeva le mani del ragazzo, la testa rivolta all’indietro per guardarlo e sorrideva. I capelli ricchi e biondi erano gli stessi per non parlare poi degli inconfondibili occhi verdi, si trattava senz’altro di zia Gemma.
In quanto al ragazzo non avevo idea di chi fosse anche se stuzzicava qualcosa nella mia mente come se l’avessi già incontrato da qualche parte. Spostai lo sguardo sul resto della fotografia: c’era una ragazza con la testa appoggiata sulla spalla di un ragazzo che a sua volta la cingeva con un braccio e con l’altro tirava un pugno amichevole all’ultimo rimasto.
Lei era la fotocopia di Abby.
Gemma, che nel frattempo si era spostata alle mie spalle silenziosa come un fantasma, l’indicò trattenendo un singhiozzo.
<< Lei è … era Alexis. >> Somigliava ad Abby in tutto e per tutto tranne per il fatto che non portava gli occhiali.
<< Gli altri chi sono? >> Partì dall’ultimo ragazzo in fondo, quello che veniva colpito dal pugno dell’altro, aveva i capelli tagliati corti ma si capiva lontano un miglio che erano biondi, gli occhi azzurri erano spalancati per la sorpresa.
<< Questo è Dan, Daniel McKaine. >> Il padre di Ethan, in effetti si assomigliavano. Poi passò al ragazzo che stringeva Alexis: anche lui aveva gli occhi azzurri ma di una tonalità più intensa di quella di Daniel, i capelli neri sparavano in ogni direzione possibile sfidando la forza di gravità. Sogghignava divertito e solo dopo averlo osservato meglio capii di chi si trattava, infondo l’avevo appena incontrato.
<< Lui è Christopher Gray. >> Lo conosceva, lo conosceva sul serio.
Il suo dito si mosse veloce spostandosi sull’ultima persona rimasta.
<< E lui è … >> la voce le si smorzò, rotta dal pianto. Zia Gemma non piangeva mai, quella persona, chiunque fosse, doveva essere stata molto importante per lei; doveva avergli spezzato il cuore. Lo guardai meglio mentre lei cercava di riprendersi: i capelli erano castani, di qualche tonalità più scura di quelli di Alexis e Abby; gli occhi erano nocciola e anche se sorrideva era come se da loro fuoriuscisse un vento gelido che mi penetrava fino al cuore facendomi rabbrividire. Distolsi lo sguardo. Gemma si asciugò gli occhi e tirò su col naso.
<< Doveva essere una persona speciale e anche un gran bastardo se ti basta guardare una sua foto per piangere. >> Un piccolo sorriso fece capolino sulle sue labbra umide di lacrime.
<< Era il mio ragazzo, l’ho amato con tutto il cuore ma lui non è mai stato capace di ricambiare. È sempre stato irrimediabilmente innamorato di Alexis e alla fine ha ottenuto ciò che voleva. Come sempre del resto. >> Un’orribile sensazione di disagio e un muto terrore incominciarono a farsi strada dentro di me strisciando come viscidi vermi mentre iniziavo a realizzare che quel ragazzo dallo sguardo gelido e affilato come una lama a doppio taglio poteva essere solamente una persona …
<< Lui è John Sullivan. >> Il padre di Abby.

Spazio Autrice

Sono riuscita ad aggiornare!
Vorrei complimentarmi con me stessa per essere riuscita a scrivere il capitolo e contemporaneamente: studiare; guardare la terza stagione di American Horror Story in inglese; guardare la seconda stagione di Once Upon a Time; leggere il primo libro di Shadowhunters le origini e andare avanti con gli episodi di Fairy Tail!
Spero di non metterci un'eternità a finire il prossimo -.-"

Ricordo che sto scrivendo in collaborazione con
Abbysullivan.

Al prossimo capitolo!



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** T'odio nella misura che t'amo ***


Capitolo 5 – T’odio nella misura che t’amo

Ta tête, ton geste, ton air
Sont beaux comme un beau paysage;
Le rire joue en ton visage
Comme un vent frais dans un ciel clair.
[…]
Ces robes folles sont l’emblème
De ton esprit bariolé;
Folle dont je suis affolé,
Je te hais autant que je t’aime!
 
Pov Cara

La casa era silenziosa come un cimitero, non che di solito ci fosse molto più rumore ma mia madre aveva l’orribile tendenza a vagare per le stanze lamentandosi di ogni cosa. Rebecca era una donna difficile, lo era sempre stata, non ero sicura che nella sua vita avesse mai amato qualcosa. Almeno in questo ero migliore di lei. Chiusi delicatamente la porta alle mie spalle e scesi le scale dirigendomi in cucina senza incontrare anima viva, la cosa iniziava a preoccuparmi: il lunedì era un giorno di fuoco nella mia famiglia, tutti che schizzavano a destra e a sinistra senza degnarmi di uno sguardo. Al massimo ricevevo qualche rimprovero su quanto fossero disordinati i miei capelli. Un leggero spostamento d’aria fece svolazzare alcune ciocche bionde sfuggite dalla coda e attirò la mia attenzione facendomi voltare. Mi ritrovai faccia a faccia con mio padre, era in pigiama e i capelli scarmigliati dal sonno sembravano immuni alla forza di gravità. Gli occhi azzurri mi fissarono per un attimo assenti per poi illuminarsi di colpo come se avesse dovuto sforzarsi parecchio per riconoscermi. Lo scrutai accigliata:
<< Ciao tesoro! Come andiamo questa mattina? >> Non so se fu per il suo aspetto o per le parole che mi aveva rivolto ma il mio cervello smise di funzionare per quello che mi parve un interminabile secondo.
<< Bene, credo. >> Ero paralizzata, il mio corpo non accennò a muoversi nemmeno quando la mano di mio padre si appoggiò delicatamente sulla mia testa scompigliandomi i capelli con fare affettuoso. Che diamine gli era successo? Vincent Williams era sempre stato quello che il mondo definirebbe “Il perfetto uomo d’affari”; a volte, quando cercavo d’immaginarmelo da piccolo, me lo figuravo con già il completo e la cravatta su misura. Quando lo guardavi poteva venirti in mente solo una parola: broker. Mio padre era sempre serio, non avevo ricordi di una sua versione felice o anche solo sorridente ma su una cosa ero assolutamente certa: nonostante l’indifferenza che sembrava mostrare per il mondo intero, compresa me, aveva una sorta di luce propria, una stella personale che lo illuminava da dentro. Chi non lo conosceva non poteva capirlo, avrebbe attribuito il merito di quello sfavillio al denaro (come se questo potesse comprare la felicità!) e per tanto tempo lo avevo creduto io stessa eppure era qualcosa di totalmente diverso. Era un misto di adorazione, devozione e amore che provava verso mia madre a farlo apparire così, era ciò che lo rendeva umano e amabile ai miei occhi. L’amore che provava per Rebecca era il motivo per cui io lo amavo. Anche se lo faceva in silenzio e ignorandomi io sapevo che mi voleva bene e che mi accettava per quella che ero, senza cercare di cambiarmi. In un certo qual modo potevo affermare senza dubbio che lui fosse il mio unico genitore.
<< Non vai al lavoro oggi? Perché Rebecca non è ancora sveglia? >> Nel suo sguardo sembrò abbassarsi un velo di preoccupazione, durò solo un istante.
<< Da questa settimana in poi lavorerò da casa, niente più corse per raggiungere l’ufficio. In quanto a tua madre … sta riposando. Ha passato tutta la notte a lamentarsi della sua emicrania. >> Mi diede un altro buffetto affettuoso sulla testa per poi superarmi e sparire in cucina.
<< Ti preparo i pancakes tesoro? >> L’ultima volta che si era offerto di prepararmi i pancakes a colazione avevo circa sei anni, avrei risposto di sì ma un’occhiata truce di Rebecca mia aveva fatto cambiare idea. Avrei tanto voluto dirgli di prepararmeli, ricordargli che volevo mangiarli da una vita ma ero in ritardo per la scuola e dovevo ancora vestirmi e truccarmi.
<< Non ho tempo papà, facciamo un’altra volta. >> Quando la risposta arrivò attutita dalla cucina mi si spezzò il cuore:
<< Va bene, sarà per la prossima volta. >> la sua voce suonava terribilmente triste.
 
Il vento freddo di novembre mi soffiava in faccia scompigliandomi i capelli mentre scendevo verso il centro città. Quella mattina né Abby né Lucas mi erano passati a prendere perché iniziavano le lezioni prima di me, percorrere la distanza che mi separava dalla scuola da sola era una cosa terribilmente deprimente. Soprattutto se si teneva conto del fatto che portavo un tacco dodici e la strada, oltre che in discesa, era acciottolata. La mia via conduceva alla parte abitata più lontana dal centro, quella in cui vivevano la maggior parte degli ex-carcerati e degli spacciatori, in sostanza la zona peggiore in cui passare indossando vestiti firmati. Camminavo di fretta cercando di evitare gli sguardi dei passanti, non volevo farmi notare più di quanto fosse strettamente necessario, almeno finché non fossi uscita di lì. Qualcosa però attirò la mia attenzione e mi fece voltare: Ethan McKaine stava uscendo da una palazzina fatiscente, si spostò leggermente tenendo la porta aperta per permettere ad un ragazzino di sgusciare fuori e poi la richiuse. Il bambino poteva avere all’incirca dodici anni, i capelli biondi erano pettinati con cura e ricadevano in modo così preciso e ordinato da sembrare finti, esattamente l’opposto di quelli del fratello. Mi bloccai a fissarli stranamente attratta da quella scena così intima e famigliare, Ethan stava raccomandando al fratello più piccolo di comportarsi bene a scuola e l’altro annuiva apparentemente annoiato come se avesse sentito quella frase un’infinità di volte. Non avevo mai visto McKaine comportarsi bene con nessuno ma il modo in cui guardava il fratellino mi riempì di un sentimento a cui non avrei saputo dare un nome: era come se il mio cuore si fosse sciolto diventando dolce miele che scorreva veloce nelle vene raggiungendo ogni angolo del corpo. Improvvisamente il bambino spostò lo sguardo nella mia direzione e i nostri occhi s’incontrarono, fu così che notai l’unico dettaglio che sembrava distinguerlo fisicamente dal fratello maggiore. Le sue iridi erano un perfetto miscuglio di nocciola e verde, un incredibile contrasto se confrontate con quelle azzurro intenso di Ethan. Nel frattempo Ethan non si era fermato, lasciando indietro il fratello minore. Quando se ne accorse sbuffò impazientito:
<< Jess ti vuoi dare una mossa? Cosa cavolo stai guardando? >> Si voltò nella stessa direzione del fratello e mi vide. I suoi occhi di ghiaccio mi fecero scendere un brivido freddo lungo tutta la schiena. Distolsi lo sguardo e rincominciai a camminare.
 
La campanella era appena suonata e uno stuolo di ragazzi già mi attorniava rendendomi veramente difficile il tragitto aula-cortile. Diedi loro un lieve movimento della mano per indicargli di lasciarmi in pace e loro scomparvero a malincuore, sembravano un gruppo di cani ammaestrati sempre dietro al loro padrone, non li sopportavo. Raggiunsi la nostra panchina su cui Abby e Nicholas mi stavano aspettando o meglio su cui stavano tranquillamente mangiandosi l’un l’altro con gli occhi. Di Lucas nessuna traccia. Non volevo interromperli ma non vedevo in cos’altro avrei potuto occupare il mio tempo mentre aspettavo che i due piccioncini finissero di tubare, così feci quello che mi riusciva meglio: ostentai la mia bellezza e, a testa alta e passo spedito ma elegante, li raggiunsi prendendo posto accanto alla mia migliore amica.
<< Non badate a me, continuate pure. >> Abby mi rivolse uno sguardo che avrebbe potuto incenerire una foresta intera tanto era intenso.
<< A che ti riferisci ? >> Domanda retorica ma mi sembrava il caso di rispondere e metterli a parte del fatto che io e Lucas sapevamo tutto quello che c’era da sapere sulla loro relazione.
<< Al fatto che, magari, andando avanti di questo passo potrebbe anche scapparvi un piccolo bacio pubblico. Giusto per sottolineare il fatto che state assieme. >> Sulla bocca di Abby si formò una piccola O di stupore mentre Nicholas rimase impassibile se non per un leggero rossore che gli tinse le guancie.
<< Oh sì! Io e Lucas lo sappiamo, non potremmo considerarci i vostri migliori amici se non ci accorgessimo neppure di una cosa così evidente, ti pare? >> Le labbra della ragazza si distesero in un sorriso e senza accorgermene mi ritrovai stretta nel suo abbraccio:
<< Oh Cara! Sei la migliore delle migliori amiche! Quelli della C.I.A dovrebbero assumerti seduta stante. >> L’attenzione ai dettagli era una cosa che avevo appreso da piccola, mia madre aveva sempre preteso da me non meno della perfezione e ancora non ero riuscita a soddisfarla ma la cosa aveva giocato a mio vantaggio insegnandomi che nulla andava lasciato al caso e che ogni indizio era importante. Nonostante ciò, essendo umana, ero comunque soggetta ad errori.
<< Dove si è cacciato quell’idiota? >> dissi cambiando discorso. Abby e Nicholas ci avevano detto di avere delle novità sulla questione Chris-Alexis e che dopo la scuola ne avrebbero parlato con me e Lucas ma quest’ultimo non si era ancora fatto vivo.
<< Non saprei, in biblioteca forse. >> rispose Abby in un sussurro, l’espressione pensierosa ancora stampata sul viso. Vidi il suo sguardo saettare per il cortile e fermarsi in un punto preciso, forse stava cercando Lucas ma l’evidente preoccupazione che riempì i suoi occhi cancellò quel pensiero dalla mia testa. Mi voltai nella stessa direzione e, come avevo intuito, non fu lo sguardo sorridente del mio migliore amico a rispondermi bensì quello cupo e ambrato di Alan. Il ragazzo mi lanciò solo una breve occhiata prima di tornare a dedicarsi alla mia amica senza mutare minimamente espressione, era indecifrabile. Con la coda dell’occhio notai che anche Nicholas se n’era accorto e fissava Alan con una rabbia totalmente atipica, forse stare con Abby l’aveva cambiato, non era più il ragazzo timido e silenzioso di un tempo che sarebbe morto piuttosto che mostrare un briciolo di emozione. Nessuno disse una parola e lo sguardo di Alan non vacillò: c’era tutto un mondo dentro quegli occhi e il modo in cui guardava Abby era come un invito a farne parte, un luogo esclusivo che solo lei aveva il diritto di raggiungere. Tutti gli altri avrebbero potuto soltanto scorgerne uno scorcio e provare una sorta di dolce malinconia per un posto che non avrebbero mai visto davvero. La voce di Lucas mi riportò alla realtà, notai che Abby si era voltata verso l’amico per salutarlo mentre Nicholas fissava la schiena di Alan mentre quest’ultimo se ne andava.
<< Scusate il ritardo, una ragazza del primo anno non aveva ancora capito dove bisogna tirare il pugno per fare aprire il suo armadietto. >> Prese posto sulla panchina tra me e Abby e appoggiò la testa sulla spalla di lei.
<< Allora, queste novità? >> La domanda non era rivolta a nessuno di specifico ma sapevamo tutti che era compito di Abby aggiornarci e soltanto in seguito avrebbe parlato anche Nick.
<< Siamo andati a casa di Chris. >> lo disse tutto d’un fiato, probabilmente si aspettava una qualche reazione negativa ma in realtà sapevo che ci sarebbe andata da sola e in segreto, quello che mi dava fastidio era che si fosse portata soltanto Nick. D’altronde era il suo ragazzo, avrei dovuto immaginarlo.
<< Questo lo sappiamo, quello che dovresti dirci è altro. >> Lucas lo disse con il solito tono calmo, da quando lo conoscevo non lo avevo mai visto veramente arrabbiato per qualcosa. Non era tipo da escandescenze. Notai il lieve rossore sulle guancie di Abby prima che prendesse nuovamente parola.
<< La verità è che non ci ha detto un bel niente! Ci ha trattato come dei bambinetti e ha semplicemente negato tutto! >> le sue mani erano strette a pugno sul grembo e tremavano leggermente per il nervosismo, Nicholas le strinse delicatamente tra le sue cercando di non farsi notare più del necessario.
<< Non penso che sia tutto, c’è dell’altro vero? >> lo sguardo di Abby si spostò su Nicholas
<< Questo sta a Nick dirvelo, riguarda sua zia. >> Lucas alzò la testa come se la conversazione avesse iniziato ad interessargli davvero solo in quel momento anche se sapevo che aveva ascoltato con attenzione anche prima. Aspettavamo in silenzio che Nicholas iniziasse a raccontare, sentivo il famigliare pizzicore dell’agitazione irradiarsi dal cuore verso il resto del corpo e quella voglia matta di correre che mi pervadeva prima di ogni esibizione bruciava nelle mie vene più forte che mai, odiavo le attese.
<< Quando sono tornato a casa ho avuto una discussione con Gemma e lei mi ha mostrato una foto dei tempi del liceo. C’era un gruppo di ragazzi sulla scalinata della nostra scuola … >> il suo sguardo si posò preoccupato su Abby prima di continuare
<< La madre di Abby con Chris Gray che, a detta di mia zia era il suo ragazzo; il padre di Ethan, mia zia Gemma e il suo ragazzo: il padre di Abby. >> Il silenzio che seguì fu la migliore descrizione del turbinio di emozioni che provai in quel momento solo che, come sempre, non ero in grado di mostrarle. Quando qualcosa era troppo forte mi chiudevo in me stessa e assumevo quella che mia madre chiamava “la maschera di porcellana”: non un solo muscolo facciale si muoveva, nessun sentimento trapelava, vista da fuori era come se non provassi niente. Lucas si strinse leggermente ad Abby, una reazione incondizionata dettata dai tanti anni passati come suo migliore amico. Nicholas invece abbassò lo sguardo prima di continuare:
<< Mi ha anche detto che John amava Alexis, che per lui non c’era mai stata nessun’altra e poi ha aggiunto … >> s’interruppe di nuovo, vidi la mano di Abby stringersi ancora più forte fino a farne sbiancare le nocche.
<< Alla fine ha ottenuto ciò che voleva. >> Abby si alzò di scatto dalla panchina. Il vento le soffiava in faccia facendo svolazzare i suoi corti capelli castani, la braccia tese lungo i fianchi erano rigide come pezzi di legno e le mani erano irrimediabilmente chiuse a pugno. L’espressione che aveva sul viso non gliel’avevo mai vista in undici anni di amicizia: era la determinazione fattasi persona. Più la osservavo più pensavo alla “maschera di porcellana”; la mia mostrava l’indifferenza, la sua il coraggio e le parole che in seguito uscirono dalla sua bocca confermarono i miei pensieri:
<< Dobbiamo tornare da Chris Gray e se ci mentirà di nuovo non sarà più mio padre quello di cui avrà paura. >> E così come aveva fatto con i suoi capelli il vento raccolse la sua promessa e la fece volare.

 
Pov Alan
 
Anche se era passata quasi un’ora quella sensazione era ancora lì, il brivido che provavo nel vederla non cambiava col tempo e neppure accennava a diminuire. Non che la cosa mi dispiacesse ma cominciava a preoccuparmi. Non mi ero mai interessato a nessuno, la mia era una vita sola e felice ma poi era arrivata lei. Ricordo la prima volta che la vidi, fu tre anni fa: mio padre era venuto a prendermi a scuola, stavo entrando in macchina e i miei occhi, come spinti da una forza superiore, si erano ritrovati a guardarla. Era diversa da ogni altra ragazza, il suo modo di essere e di osservare il mondo la rendeva unica e il fatto stesso di notarlo faceva sentire unico anche me. Mio padre seguì il mio sguardo e quando la vide parve trasalire, mi disse di lasciarla perdere perché mi avrebbe soltanto fatto soffrire e io non ne compresi il motivo finché non mi accorsi del modo in cui il suo amico la guardava, lo stesso modo in cui lo facevo io. Una folata di vento improvvisa mi risvegliò dai miei pensieri, strinsi leggermente la sciarpa e aumentai il passo, volevo solo raggiungere casa senza altre distrazioni. Ignorare la morsa di ghiaccio che sentivo sul cuore però era molto difficile.
Nicholas Lewis.
Per quanto qualcuno può combattere la gelosia prima che questa lo divori?
 
I giorni si susseguivano uno uguale all’altro, nella mia vita niente cambiava. Quella mattina mi svegliai alle sette come ogni altra mattina da quando ne avessi memoria e preparai la colazione; pane, burro e marmellata e una brocca di caffè fumante. Mio padre non si sarebbe alzato prima delle nove, per lui era inconcepibile come lo erano parecchie altre cose. Le persone che volevano restargli vicine dovevano imparare in fretta: o ti adattavi o te ne andavi, la terza opzione non era contemplata. Mangiai velocemente, mi vestii e mezz’ora più tardi ero già per strada con il solito turbinio di pensieri in testa; quanto avrei voluto poterli semplicemente lasciare andare, far sì che il vento li portasse via con sé, ma c’erano cose a questo mondo su cui non avevi il minimo potere decisionale. Le villette dove abitavo non erano lontane dal centro, bastava discendere la collina seguendo la 6th Street fino ad arrivare alla grande rotonda e da lì potevi raggiungere la scuola in cinque minuti anche se avevo visto persone impiegarcene qualcosa come venti a percorre quel tratto di strada perché camminavano così lentamente che anche una lumaca si sarebbe spazientita. Quando varcavo il cancello della Whaoo High School sapevo che lei non era ancora arrivata, loro non erano mai in orario, io ero sempre in anticipo. Perlomeno era un attimo di sollievo, lei mi piaceva ma io non facevo parte della sua vita, non potevo averla. Lui invece sì. Sentii la rabbia che cominciava a ribollirmi dentro, respirai a fondo l’aria fredda di novembre e la sensazione di bruciare dall’interno si attenuò fino a scomparire. Mi aspettava una monotona giornata  di scuola, solo una delle tante dove i minuti scorrevano lenti e i pensieri veloci. Dopo il suono della campanella ero in cortile, a differenza di tutti gli altri non c’era nessuno ad attendermi: niente fratelli, amici o parenti; nessuna ragazza. La notai con la coda dell’occhio, seduta da sola alla solita panchina, stava sicuramente aspettando i suoi amici perché Abby Sullivan non amava stare da sola e pareva che gli altri amassero stare con lei. Io però non facevo parte degli “altri”.  Provai l’impulso irrefrenabile di avvicinarmi, sedermi al suo fianco e parlarle ma tutto quello che riuscii a fare fu restare immobile a contemplarla. Come se avesse sentito il tocco leggero del mio sguardo alzò gli occhi per incrociare i miei e corrugò la fronte, si diede una leggera spinta con le mani per alzarsi dalla panchina dove si trovava e iniziò a camminare nella mia direzione. Avevo sempre pensato che se avesse provato a parlarmi sarei andato nel panico ma in quel momento ero perfettamente tranquillo forse il mio cervello non aveva ancora compreso appieno il significato di ciò che stava vedendo. Per un attimo il mondo scomparve, eravamo solo io e lei. Poi la voce di Nicholas squarciò il silenzio. Lei si fermò e con gli occhi seguì la direzione da cui era giunto il suono, quando lo vide si diresse verso di lui e lo abbracciò con slancio. Distolsi lo sguardo e iniziai a camminare il più velocemente possibile verso la strada. Sentivo le lacrime bruciare infondo ai miei occhi ma non volevano saperne di uscire, in vita mia non avevo mai pianto per nulla. Non badai a dove stavo andando finché non mi ritrovai davanti al cimitero: da piccolo ci venivo spesso per cercare d’indovinare quale fosse la tomba di mia madre; mio padre non mi diceva nulla di lei, non sapevo nemmeno il suo nome. Entrai e sfilai in silenzio tra quelle lapidi di marmo levigato, tutte così perfette e uguali, fredde come solo la morte sa esserlo. Ripensai ad Abby e inevitabilmente a lei e Nicholas insieme, pensai a quanto insignificante fossi e a quanto la mia vita facesse schifo. Vomitai. Forse alcuni penseranno che vomitare in un cimitero, sulla tomba di un perfetto sconosciuto, sia qualcosa da mettere sulla lista delle “Cazzate indispensabili per essere fighi”, dal canto mio mi sentii terribilmente in colpa. Lessi il nome sulla bara. Se fossi riuscito a ricordarmelo le avrei sicuramente portato dei fiori per scusarmi. “Alexis Sullivan nata Campbell”.
 
Si era fatto tardi, nemmeno me n’ero accorto, corsi fino a casa e quando arrivai in cima alla salita non avevo più fiato. A qualche metro dalla villetta numero 15 mi bloccai. Lei era lì, i suoi amici erano lì, tutti premuti davanti la porta di casa mia mentre tiravano a sorte per chi dovesse suonare e chi parlare. Ero abbastanza sicuro del fatto che non fossero venuti per vedere me quindi che volevano da mio padre? Mi avvicinai, la prima a notarmi fu Cara Williams:
<< E tu che ci fai qui? >> lo disse con il suo solito tono superiore. Non la sopportavo, era falsa. Il suo carattere era falso. La sua bellezza era falsa. La sua stessa esistenza era basata su falsità. Quando parlò gli altri ammutolirono e si girarono nella mia direzione, parevano tutti sorpresi a parte Nicholas; lui sembrava furioso come se fosse in procinto di saltarmi addosso e pestarmi a morte. La cosa era reciproca. Visto che nessuno aggiungeva commenti o attentava alla mia vita decisi di rispondere:
<< No, voi che ci fate qui! Questa è casa mia! >> Seguì un silenzio assoluto finché Abby non parlò rivolgendomi per la prima volta la parola.

<< Tu sei il figlio di Chris? >> sembrava alquanto stupita, lo sembravano tutti.
<< Sì, sono Alan Gray, il figlio di Christopher Gray. >>

Spazio Autrice

Finalmente ho finito il capitolo! Ci metto sempre un'eternità, ne sono consapevole e mi scuso con i lettori. (Perdonatemiiiii! :( )
Sul capitolo in se non ho molto da dire, spero vi piaccia e v'invito, come sempre, a lasciare una recensione per farmi sapere che ne pensate.
Volevo aggiungere che ho deciso di mettere alcuni versi di poesie all'inizio del capitolo perché l'ho visto fare spesso ed è una cosa che amo vedere ma soprattutto leggere. 
Per questo capitolo ho scelto una poesia di Baudelaire tratta dalla raccolta "I Fiori del Male", il titolo originale è : 
À celle qui est trop gaie (A colei che è troppo gaia).

L'aria che hai, la tua testa, il tuo gesto,
sono belli come un bel paesaggio,
il riso gioca sul tuo viso
come in un cielo chiaro un vento fresco
[...]
Sono l'emblema, queste pazze vesti,
del tuo spirito variopinto;
folle che mi rende folle,
io t'odio nella misura che t'amo!


Ricordo inoltre che sto scrivendo questa storia in collaborazione con
Abbysullivan.


Al prossimo capitolo!



Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Come un'ombra ***


Capitolo 6 – Come un’ombra

L'amore fugge come un'ombra
l'amore reale che l'insegue,
inseguendo chi lo fugge,
fuggendo chi l'insegue
 
 
Pov Abby
 
L’interno della casa dei Gray sapeva di antico. Non quell’odore di polvere e vita vissuta della casa di un anziano. Era un profumo tutto particolare: sapeva di secoli passati, di gloria e di saggezza. Era intrisa in un aroma di segreti e mezze verità. Io ero sempre molto attenta agli odori a differenza dei miei amici che sembravano avere il naso otturato per lo smog e l’indifferenza che contraddistingueva la nostra generazione. Quando entrammo i loro occhi vagarono sul mobilio, sulla struttura della casa e sulla figura di Chris Gray che ci guardava con stupore misto a rabbia. Io chiusi gli occhi e presi un bel respiro, assaporai l’essenza della casa e dei suoi abitanti e cercai di capire cosa volevano comunicare a chi varcava la loro soglia. Normalmente nessuno ci faceva caso ma quella volta, quando riaprii gli occhi, trovai lo sguardo di Alan. C’era una comprensione così totale in lui che ne rimasi colpita. Capiva esattamente quello che stavo provando perché lui faceva la stessa cosa ogni giorno, anche lui prestava attenzione. Prima di distogliere lo sguardo e proseguire mi sorrise leggermente. Quel sorriso carico di tristezza lo porto ancora nel cuore.
 
Chris Gray ci aveva fatto accomodare nel salotto, lui aveva preso posto su di una vecchia poltrona sgualcita mentre io, Nicholas e Cara ci eravamo seduti sul divano arancione smorto che si trovava nel lato opposto della stanza. Lucas, visto che non c’era più posto, si era posizionato al fianco di Cara, la schiena contro il lato destro del divanetto. Alan era rimasto in piedi, appoggiato allo stipite della porta con una spalla. Le braccia erano incrociate sul petto, in quel momento mi sembrò palese che lui fosse il figlio di Chris: esclusi gli occhi erano uno la fotocopia dell’altro. Forse non prestavo così tanta attenzione come credevo di fare. Ci fu un lungo attimo di silenzio e fu Chris a romperlo:
<< Allora ragazzi, Alan mi ha detto che vi ha trovato fuori dalla porta di casa, se siete qui per la questione dell’altra volta io vi ho già detto che … >>
<< Lo sappiamo cosa ci ha detto ma non era la verità, giusto? >> raramente mi permettevo di interrompere una persona ma odiavo essere trattata come una bambinetta ignorante. Il viso del signor Gray rimase impassibile mentre quello di Alan si corrugò, pensieroso, pensai stesse per domandare qualcosa invece rimase in silenzio. Tornai a posare gli occhi su Chris e capii che aveva notato lo scambio di sguardi tra me e suo figlio, ora c’era una specie di avvertimento che lampeggiava come una tempesta tra le sue iridi azzurro cielo.
<< E voi come siete arrivati a questa conclusione? >> lo chiese con lo stesso tono di voce di prima ma io vidi l’angolo della sua bocca alzarsi leggermente e seppi che stava giocando con noi, voleva vedere cosa sapevamo esattamente.
<< Mia zia mi ha parlato di voi quando sono tornato a casa la scorsa volta, strano che non abbiate riconosciuto il cognome. >> Nicholas, come me, aveva capito a che gioco stavamo giocando. In quell’istante fu come se la maschera che Chris Gray aveva portato fino a quel momento si sbriciolasse, un’enorme tristezza gli pervase i lineamenti. Staccò gli occhi da noi per posarli sui suoi piedi.
<< Gemma >> sussurrò. Rialzò la testa e tornò a fissarci intensamente, ora sapevo che quello sguardo Alan l’aveva ereditato da lui.
<< Cosa volete sapere esattamente? >>
<< Quello che siamo venuti a chiedervi la scorsa volta. >> risposi.
<< Quindi volete sapere della lettera. >> concluse lui. Seguì un assenso generale. Vidi Chris prendere un bel respiro prima d’incominciare a parlare.
<< Come vi avrà già raccontato Gemma, al liceo eravamo molto uniti. Io, i tuoi genitori, Gemma e Daniel eravamo inseparabili, erano i miei migliori amici ma col tempo le cose cambiano. >> si fermò e fece un piccolo sospiro, sembrava essersi perso nel labirinto tortuoso dei ricordi.
<< Gemma lasciò John, diceva che stare con una persona che non ti ama è peggio che non starci affatto. Io credo che nonostante tutto lei lo ami ancora, è stata una scelta difficile e molto sofferta la sua. Non ha più voluto avere niente a che fare con tutti noi. >> si interruppe di nuovo e solo per un attimo mi parve di vedere i suoi occhi luccicare per le lacrime. Forse era solo un’impressione.
<< John non era più lo stesso, si approfittava delle debolezze degli altri per costringerli a fare ciò che voleva e questo lo allontanò da tutto e da tutti, tranne che da Alexis. Lei vedeva il buono in ogni persona, era convinta di poterlo salvare dandogli l’affetto che il mondo sembrava negargli con sempre maggior forza. Inutile dire che non servì a nulla. >> lo stavano tutti ascoltando nel silenzio più totale, non sembrava una storia vera ma una sorta di triste favoletta della buona notte. Chris Gray era un eccellente oratore.
<< Io e Daniel eravamo giovani e stupidi, credevamo che nessuno avrebbe mai potuto piegarci al suo volere, nemmeno la legge. Trafficavamo illegalmente di tutto: dalle armi alla droga e John l’aveva scoperto. In quegli ultimi anni era diventato sindaco e aveva alle sue dipendenze molti uomini spietati. Ovviamente i cittadini non sapevano nulla di tutto questo, per loro lui, benché fosse un’orribile persona, era comunque onesto. Mandò uno dei suoi a dirmi che se non avessi lasciato Alexis mi avrebbe sbattuto in prigione. >> fin’ora aveva continuato a guardarsi le scarpe senza fare caso alle reazioni di nessuno di noi ma mentre narrava il resto della sua storia i suoi occhi restarono fissi sui miei.
<< Io lo ignorai. Tempo dopo lo rimandò con l’ordine di picchiarmi e, se fosse stato necessario uccidermi. Solo che non trovò me ma Daniel. Quando arrivai scoprì che Dan per difendersi aveva ucciso l’uomo, lo aiutai a nascondere il corpo, era il mio migliore amico ed era tutta colpa mia, glielo dovevo. Da lì non ci vidimo più. Non potevo mettere a rischio la vita di un amico così lasciai Alexis perché tuo padre potesse finalmente avere ciò che più al mondo desiderava. Suppongo tu abbia trovato le lettere quindi sai che continuammo a vederci nonostante il suo matrimonio fino alla fine. >> sospirò
<< Io l’amavo, non avrei mai potuto lasciarla andare. >> seguirono degli interminabili minuti di silenzio. Nessuno aveva idea di cosa dire dopo una rivelazione del genere. Vidi lo sguardo di Chris spostarsi leggermente e allora li udii: passi che si allontanavano. Guardai verso la porta, Alan se n’era andato.
<< Se tuo padre viene a sapere che sei stata qui per me è finita, lo sai vero? >> mi voltai nuovamente e lui incatenò i nostri occhi in cerca di una promessa.
<< Conosco la sensazione. >> ci fissammo per un altro po’ prima che aggiungessi:
<< Non ne parlerò con mio padre, è una promessa. >> lui sembrò rilassarsi. Si alzò dalla poltrona e tutti noi facemmo altrettanto.
<< Ora se volete scusarmi dovrei parlare con mio figlio. >> di comune accordo raggiungemmo la porta, Chris Gray ci congedò velocemente e poi la richiuse alle nostre spalle. In quel momento fu come se per la prima volta realizzassi che ciò che avevamo appena udito era reale, che la donna che lui aveva amato e che gli era stata portata via per un suo errore di gioventù e l’egoismo perverso di mio padre era mia madre.
Alexis.
 John non mi aveva mai parlato di lei ma forse Chris l’avrebbe fatto se avessi insistito.
<< Abby? Stai bene? >> Nicholas mi aveva passato un braccio attorno alle spalle e mi stava stringendo dolcemente a sé per confortarmi.
<< Sì, tutto bene. >> mi stavano guardando tutti con dell’espressioni tremendamente sconvolte sul viso, probabilmente la mia non era migliore. Poi capii cos’era che non andava, avevo l’orribile sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.
Ripensai al dolore sul volto di Chris mentre ci raccontava la sua storia.
Aveva detto la verità questa volta.
Ripensai alla lettera che ci aveva portato fin lì.
Non ci aveva detto tutto.
 
Pov Alan
 
Pensavo di conoscere mio padre, credevo che l’unico segreto tra me e lui fosse mia madre. Evidentemente non avevo capito nulla.
Mi sentivo bruciare.
La rabbia.
Il risentimento.
La sensazione di essere stato tradito.
Andava tutto a fuoco.
Continuai ad ardere finché le lacrime non arrivarono a darmi un po’ di sollievo e riuscii finalmente a mettere in chiaro la situazione: mio padre aveva raccontato la storia della sua vita davanti ad un gruppo di miei compagni di scuola, tra cui Abby, solo perché i loro genitori erano i suoi migliori amici del liceo.
Era assurdo che avesse parlato per loro e non per me.
Era assurdo anche solo pensare che avesse trafficato in armi e droga e che avesse nascosto il cadavere di un uomo.
Era assurdo che avesse amato tanto la madre di Abby da piangere tutte le sue lacrime solo per pronunciarne il nome mentre la mia non aveva importanza.
Non sapevo neppure come si chiamava.
Niente aveva più senso.
Mi lasciai scivolare contro la porta della mia stanza che avevo precedentemente sbattuto per chiudere fuori un mondo che non riuscivo più a comprendere. Fu allora che udii i passi di mio padre sulle scale seguiti da un leggero bussare che mi fece vibrare la schiena.
Rimasi in silenzio.
I colpi si ripeterono.
Non avevo voglia di vederlo, figuriamoci parlargli!
<< Alan so che sei arrabbiato. >>
Bella scoperta.
<< Volevo che nessuno sapesse ma devi capire, lei è … >>
La persona a cui tenevo di più, quella per cui avrei dato la vita senza esitare, l’unica che potesse rendermi felice. Abby era il mio tutto.
Allora capii cosa stesse provando mio padre.
La mia Abby era la sua Alexis.
Solo che Abby era viva, la potevo vedere tutti i giorni, mentre Alexis non c’era più. Abby era tutto ciò che rimaneva a mio padre del suo grande amore e per questo era stato sincero con lei: era il suo modo per dimostrare quanto ancora fosse profonda la sua devozione.
<< Lei è sua figlia >> risposi quasi in un sussurro
<< E tu la ami ancora >> conclusi.
Dall’altra parte ci fu silenzio ma anche se non riuscivo a vederlo lo conoscevo così bene che la mia mente poteva immaginarlo: la testa appoggiata alla porta; gli occhi chiusi umidi di lacrime e un leggero sorriso sghembo pieno di tristezza sulle labbra. Entrambe le mani appoggiate alla mia porta, una delle due chiusa a pugno, l’altra che scivolava implorante sul legno lucido.
Immobile.
Forse tratteneva il respiro per non piangere, era quello che aveva fatto prima davanti agli altri per non versare lacrime sul nome dell’amata.
Mi alzai e mi posizionai così come l’avevo immaginato.
Era decisamente una posa da Chris Gray, esprimeva le sue emozioni ma al contempo era dannatamente sexy.
Una sua abilità che senza dubbio non ero riuscito ad ereditare.
Dopo quelle che mi parvero ore parlò di nuovo:
<< Come sempre non c’è stato bisogno di spiegarti nulla, l’intelligenza l’hai presa da tua madre. >>
Fu come un piccolo colpo al cuore, lui non parlava mai di lei.
Avrei voluto chiedergli il suo nome ma sapevo che non mi avrebbe risposto.
Pensai ad una domanda più facile.
<< Lei com’era? >> Chris rimase in silenzio di nuovo ma io udii il suo sorriso
<< Proprio come te. >>
I passi di mio padre si allontanarono dalla porta e scesero nuovamente le scale.
Mi accasciai ai piedi del letto e fissai l’oscurità fuori dalla finestra, le luci distanti del centro.
In una delle case che non potevo vedere c’era Abby e mentre io la pensavo lei probabilmente pensava a Nicholas.
Che strana cosa l’amore.
Nella mia vita c’erano state tante ragazze interessate a me solo perché pensavano che fossi bello e di cui non mi era mai importato niente e poi, quando finalmente avevo trovato la ragazza perfetta per me, lei si era gettata tra le braccia di un altro.
Il viso di Abby riempì la mia mente.
Non l’Abby cupa e preoccupata che avevo visto questa sera ma l’altra, quella sorridente e allegra che avevo osservato con attenzione per tre lunghi anni.
Poi qualcos’altro spazzo via il suo sorriso lentigginoso: lei ultime parole di mio padre.
 
Lei com’era?
Proprio come te.
 
Forse non avrei mai scoperto il suo nome e non l’avrei rivista nel mio aspetto fisico ma da quel momento sapevo con certezza che ogni mia scelta o decisione sarebbe stata come la sua.
Il mio modo di essere era come il suo.
Perché io ero proprio come lei.
 
Pov Ethan
 
Era passata un’ora o forse due. Spensi la quinta sigaretta della serata sul muretto al quale mi ero appoggiato e alzai gli occhi verso il cielo. Erano anni che non guardavo le stelle, erano sempre state così belle o era un’illusione dovuta al tempo passato senza osservarle?
Non avevo voglia di tornare a casa, papà aveva il turno di notte in fabbrica perciò avevo intenzione di starmene fuori dai piedi fino alle sette di sera.
Guardai l’orologio.
Erano solo le sei.
Accesi un’altra sigaretta e la tenni ferma fra le dita, l’osservai consumarsi e infine la spensi contro il muro. La mia vita era esattamente così.
Un gruppo di voci attirò la mia attenzione e mi voltai svogliato nella loro direzione. Era buio e non riuscivo a distinguere nessuno di loro ma capii che erano in quattro.
Poi riconobbi l’inconfondibile voce di Cara Williams e mi diedi una spinta per rimettermi in piedi con la voglia di prenderla a pugni.
Mi trattenni. Non potevo certo pestare una ragazza.
Se c’era Cara gli altri tre dovevano per forza essere Nicholas, Lucas e Abigail.
Quei quattro erano come un tutt’uno.
M’incamminai verso una strada laterale pregando di scomparire nelle tenebre prima che uno di loro mi notasse: gli insulti banali e senza senso erano l’ultima cosa che volevo sentire quella sera. Una  volta nel vicolo mi voltai. Non so esattamente perché lo feci, forse volevo solo osservare l’amicizia passarmi accanto sottoforma di quattro ragazzi, sta di fatto che i miei occhi incontrarono quelli di Cara e vidi il sorriso morirle sulle labbra. Mi aspettavo anche uno dei sui sguardi minacciosi invece niente. Nelle sue iridi azzurre c’era solo il vuoto come quando, settimane fa, mi aveva visto con Jess.
Cos’era cambiato esattamente non lo sapevo, forse si era accorta che non passavo tutto il mio tempo a pestare persone a caso.
Sentii un brivido freddo percuotermi da capo a piedi e mi strofinai la mani sulle braccia per riscaldarle, dopotutto indossavo solo la felpa che faceva parte dell’uniforme scolastica.
L’assenza di reazioni di Cara mi stava mettendo a disagio così mi voltai e rincominciai a camminare sperando, senza nessun motivo particolare, che lei non fosse più la tipica cheerleader carina da scuola superiore americana.
 
Quando rientrai a casa papà era già uscito da mezz’ora e Jess era seduto al tavolo della cucina intento a risolvere alcuni problemi di matematica che, ne ero sicuro, facevano parte del programma dell’ottavo anno.
Lui era al settimo.
Il mio fratellino era diverso da tutti in famiglia. Era silenzioso e riflessivo, molto più intelligente di tutti gli altri ragazzini della sua età messi insieme ma per un certo verso questo lo faceva sentire molto più solo di quanto non mi sentissi io.
Lui ancora non lo capiva ma il suo genio era un dono, era la sua chance di andarsene da qui.
La nostra famiglia era un disastro. Nostro padre faceva turni lunghissimi in una fabbrica fuori città e quando era a casa era sempre o troppo ubriaco o troppo fatto per darci retta. Il che non era male visto che l’alternativa all’essere ignorati era venir pestati a sangue. Non che m’importasse, potevo sopportare un paio di pugni e qualche calcio ma non volevo che lui toccasse Jess, non ne aveva alcun diritto.
Se avessi trovato un solo livido su mio fratello l’avrei ucciso. Senza esitare.
Nostra madre invece sembrava non venir sfiorata da nulla come se sulla Terra non ci fosse niente in grado di turbarla.
A lei non importava di noi e non le importava di papà.
Lora se n’era andata una mattina d’estate quando avevo tredici anni: mi aveva svegliato baciandomi sulla guancia; ricordo il canto dei grilli nel praticello sul retro e la brezza calda e leggera di quando aveva aperto la porta per uscire.
“Torno subito, bada a tuo fratello” erano state le sue uniche parole.
Non l'avevo più rivista.
Andai in camera e gettai lo zaino per terra poi mi sdraiai sul letto coprendomi il viso con un braccio.
Restai così per alcuni minuti finché non sentii la voce di mio fratello arrivare dalla cucina:
<< Se hai fame ti ho messo da parte un po’ di ramen. Vuoi che te lo riscaldi? >>
Quindi quella sera avevano ordinato giapponese invece che indiano.
Sempre meglio che niente.
<< Faccio io, finisci i compiti. >>
Mi alzai e andai in cucina. Riscaldai la scatoletta nel microonde e mangiai in silenzio osservando Jess che scriveva con foga sul suo libro.
Avrei fatto qualsiasi cosa per lui.
Di punto in bianco smise di scrivere e appoggiò la penna sul tavolo alzando la testa nella mia direzione. Mi stava guardando nello stesso modo in cui si guarda qualcosa d’incomprensibile solo che per lui tutto aveva un senso.
<< Devi smetterla di evitare papà, i problemi non si risolvono girandosi e facendo finta che non esistano. >>
Lo guardai ammirato. Come poteva un genio del suo calibro essere nato in una famiglia tanto disastrata?
Dovetti ammettere, ancora una volta, che aveva ragione.
Io sbagliavo sempre, su tutti i fronti.
<< Non voglio che anche tu te ne vada. >> aggiunse.
Questo no.
Questo mai.
Io non ero come mia madre.
<< Non potrei mai andarmene da te Jess, lo sai. >> lui annuì lievemente e tornò a fare i suoi esercizi.


Spazio Autrice

Come sempre ho impiegato una vita a finire il capitolo (e sono pure stata malata per una settimana D: ) ma eccolo qui!
Ovviamente spero vi piaccia e se avete critiche o consigli recensite (infondo servono sempre per migliorarsi, no? ;) ).

La frase che ho scelto per l'inizio è presa da "Le allegre comari di Windsor" di William Shakespeare.

Ricordo che la storia è scritta in collaborazione con
Abbysullivan.


Al prossimo capitolo! :D

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'opportunità ***


Capitolo 7 – L’opportunità

If opportunity doesn’t knock,
build a door.
 
Pov Abby
 
Ero sdraiata sul letto e fissavo il soffitto. Sentivo il ticchettio dell’orologio scandire il tempo che passava inesorabile. Erano quasi le sette e mezza. Era quasi ora di cena. Significava che sarei dovuta scendere, sedermi a tavola e cenare con mio padre.
Mi veniva la nausea solo a pensarci.
L’avevo sempre disprezzato ma ora che conoscevo quasi tutta la storia era anche peggio.
L’odiavo per ciò che aveva fatto a mia madre.
E a Chris.
Per non parlare di Gemma e Daniel.
Rovinava ogni vita che sfiorava.
Scrutai fuori dalla finestra e l’oscurità della notte volse il suo sguardo su di me. Che ci facevo ancora lì? Poi, senza accorgermene e senza motivo, mi ritrovai a pensare ad Alan. C’era qualcosa in quel ragazzo che mi ricordava me stessa: da fuori non era visibile ma dentro aveva un mondo tutto suo e io sentivo come un disperato bisogno di farne parte. Era stupido da pensare, non lo conoscevo neppure, ma avevo la strana sensazione che lui provasse lo stesso quando guardava me.
Sentii il suono del timer dal piano di sotto e mi alzai, rimisi a posto i capelli per quanto mi era possibile e scivolai silenziosamente fuori dalla mia stanza. Il profumo di pizza mi raggiunse a metà scala; quando mio padre la preparava non c’era d’aspettarsi nulla di buono. Era il mio piatto preferito ma per lui era il modo migliore per corrompermi. Cosa si aspettava esattamente da me?
Quando entrai in cucina John era già seduto e stava educatamente aspettando il mio arrivo per cominciare a mangiare.
Presi posto.
<< Allora Abigail com’è andata la tua giornata? >> la fetta di pizza rimase bloccata a mezz’aria e le miei labbra formarono una piccola o di stupore. Cercai di riprendermi il più velocemente possibile e mi tolsi quell’espressione dal viso inarcando le sopracciglia per sembrare più perplessa che sorpresa.
<< Sul serio? >> lui non si scompose minimamente.
<< Sul serio cosa? >> rispose senza accennare a guardarmi.
<< Mi stai sul serio chiedendo com’è andata la mia giornata? >> mantenni lo sguardo fisso su mio padre mentre lui sembrava pesare con cura le parole da rivolgermi.
<< Che c’è di strano? Un padre non può chiedere alla figlia com’è andata la sua giornata? >> questa serie di domande senza fine stava iniziando a darmi sui nervi e lui lo sapeva. Quello che voleva fin dall’inizio era farmi perdere la pazienza così avrebbe potuto colpirmi con più forza e dove faceva più male. Il peggio della questione era che gliel’avrei lasciato fare perché non mi sapevo trattenere; ogni singola volta, senza lottare, mi lasciavo ferire ed ogni ferita era più profonda della precedente.
Ormai ero fatta di cicatrici.
Cercai di reprimere l’urlo che sentivo nascere nello stomaco ma era tutto inutile, dovevo sbattergli in faccia l’evidenza e liberarmi di un po’ di quel peso che portavo dentro anche se sapevo che gli sarebbe rimbalzato addosso e alla fine l’unica a rimetterci sarei stata io.
<< Non mi hai mai chiesto della mia giornata, negli ultimi diciassette anni non mi hai mai nemmeno chiesto come sto! >> lui staccò un pezzo di pizza e lo mangiò in tutta calma prima di rispondermi.
<< Tutti possono cambiare, no? >>
Respira Abby!
Questo era davvero troppo.
Non farlo!
Troppo per chiunque.
Te ne pentirai!
Non m’interessava.
<< Tu no! Tu non sei mai cambiato! Sei sempre stato l’orribile persona che sei adesso! >> mi alzai di scatto da tavola con l’intenzione di andarmene, non avevo neanche più fame. Per me la discussione poteva chiudersi lì.
<< E questo chi te l’ha detto? Christopher? >> mi bloccai. L’aveva detto con lo stesso tono di prima ma alle mie orecchie suonava come una minaccia, una tacita promessa di atroci sofferenze.
Come diavolo fa a saperlo?
Sentii il terrore precipitarmi addosso pesante come un macigno. Il fiato mi si mozzò per quelli che mi parvero minuti; sentivo il cuore battere a mille, sempre più veloce per la carenza d’ossigeno.
Respira.
Rincominciai a respirare.
<< Come fai a sapere che lo conosco? Mi hai fatta seguire? >> un piccolo ghigno di vittoria comparve sulla sua bocca e il mio respiro, da poco tornato regolare si fece più pesante, agitato. Dovevo andarmene da quella stanza.
Subito!
<< Oh, Abigail! Ancora non l’hai capito? Non c’è nulla che io non sappia su ogni abitante di questa città. Cosa credevi? Che perché sei mia figlia ti avrei trattata in modo diverso? >> gocce fredde di sudore mi colavano lungo la schiena, volevo andarmene ma era come se i miei piedi e il pavimento fossero diventati un tutt’uno. Ora che avevo capito dove voleva andare a parare non aveva più bisogno della sua facciata. La sua voce si era fatta più profonda e suadente come quando si cerca di convincere qualcuno a darti ragione su tutti i fronti ma il suo tono mi faceva pensare di più a quando si cerca di spiegare qualcosa di molto semplice ad un bambino stupido.
Ed era così che mi stava facendo sentire: stupida.
<< Tu sai tutto? >> le parole mi uscirono in un soffio quasi inudibile e questo parve accentuare la perfida gioia che aveva sul volto. Avrei dovuto immaginarlo, in tutti quegli anni passati a vivere con lui avrei dovuto almeno sospettarlo.
E ora avresti dovuto restartene zitta!
<< Io so sempre tutto. >> mi rispose soddisfatto.
Avevo promesso a Chris che non ne avrei parlato con mio padre eppure lui l’aveva scoperto lo stesso. Ora non c’erano più vie d’uscita.
Per nessuno di noi.
<< E giusto perché tu lo sappia non lascerò che le cose tra te e il ragazzo dei Lewis vadano avanti. Lui non mi piace. Se vuoi salvare i tuoi nuovi amichetti lascialo perdere. >> spostò lo sguardo da me e riprese a mangiare come se niente di tutto ciò fosse mai accaduto.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Non so come ma uscii dalla sala e iniziai a correre finché la porta della mia stanza non fu chiusa alle mie spalle.
Mi sedetti sul letto.
La mente così affollata che non riuscivo a distinguere un pensiero dall’altro.
John che rideva soddisfatto.
Stupida!
Chris che mi chiedeva di non farne parola con mio padre.
Stupida!
Il modo in cui avevo mostrato a mio padre quanto fossi debole in realtà.
Stupida!
E poi Nicholas, Nicholas e ancora Nicholas.
Stupida!
Mi strinsi la testa fra le mani, mi sentivo come se da un momento all’altro potesse  esplodere e porre fine alla mia patetica esistenza.
Non volevo piangere.
Non l’avrai fatto.
Non sarei mai caduta così in basso.
Invece sì!
Mi sdraiai, le ginocchia strette al petto, e scoppiai in lacrime.

 
Pov Lucas
 
Rigirai per l’ennesima volta le chiavi di casa tra le mani. Ero appoggiato al cancello della scuola da più di mezz’ora aspettando l’arrivo degli altri e incominciavano a farmi male i piedi. Mi voltai nuovamente in direzione del cortile e vidi Abby e Nicholas avanzare verso di me tenendosi per mano, ogni tanto si fermavano e lui si chinava per baciarla o per sussurrarle quelle che supponevo essere frasi sdolcinate. Erano così perfetti assieme, quel genere di coppia che dura per sempre. Anche sforzandomi non potevo immaginarli separati.
Erano tutto quello che avevo sempre desiderato trovare ma che non ero mai riuscito ad ottenere.
Nel frattempo i due mi raggiunsero e mi salutarono raggianti.
<< Cara non è ancora arrivata? >> Abby non sembrava troppo turbata dal ritardo della modella bionda che ci ritrovavamo come migliore amica, farsi desiderare faceva parte del gioco.
O forse si era rotta un tacco.
Di nuovo.
<< Lo sai com’è fatta, starà cercando di allontanare il suo manipolo di ammiratori prima di raggiungerci. >> scoppiammo tutti a ridere. Probabilmente era quello il motivo dell’attesa.
Dopo un’altra decina di minuti vidi Cara in lontananza.
Non sembrava un granché felice.
Camminava a passo spedito, le labbra strette come per soffocare un insulto e le mani serrate a pugno pronte a colpire.
Era davvero minacciosa.
Si fermò di fianco a Nicholas sbraitando:
<< Quell’idiota di Ethan stava picchiando uno del primo anno. Di nuovo! >> incrociò le braccia sul petto indignata e fece scattare la testa di lato spostando una lunga ciocca di capelli biondi dietro la schiena.
<< È proprio un coglione! >> la faida tra Cara e Ethan risaliva alle elementari: da quando lui aveva assalito un ragazzino più piccolo per rubargli la merenda e lei era corsa a difenderlo centrandolo in faccia con un calcio si erano odiati.
Solo che questa volta mi sembrava diverso, di solito dopo avergliela fatta pagare era sempre sorridente e faceva qualche battuta scema con il suo cognome. La nostra preferita era “Big McIdiota, così stupido ce n’è uno solo”. La Cara davanti al cancello però non era in vena di battute. Eppure non c’erano motivi per prendersela tanto, stavamo parlando di Ethan McKaine lo stronzo della Wahoo High School; quello idiota ci era nato e idiota sarebbe morto.
Nel frattempo Cara sembrava aver sbollito la rabbia, era tornata a sorridere come sempre e stava raccontando ad Abby di quanto fosse stato carino con lei un certo Luke del suo corso di recupero di matematica.
Era tornata la solita Cara.
Ci dirigemmo verso la panchina senza neanche parlare, era diventata il nostro posto di ritrovo dal secondo giorno del primo anno di superiori, non c’era bisogno di fare domande.
Visto che nessuno sembrava voler tornare sulla faccenda “John Sullivan ha rovinato tutto ciò che si poteva rovinare” pensai che fosse almeno il caso di discutere di Alan:
<< Alan dovrebbe entrare nel gruppo. >> Le parole mi erano uscite di bocca così all’improvviso che tutti si erano zittiti esterrefatti e mi avevano lanciato strane occhiate interrogative, mi parve allora il caso di chiarire.
<< Quello che sto cercando di dire è che c’era anche lui quando Chris ci ha raccontato del padre di Abby, Chris è suo padre quindi, che lo voglia o meno, anche lui è invischiato in questa storia. >> Non era esattamente questo il motivo per cui volevo Alan fra di noi ma mi serviva una scusa che suonasse plausibile.
<< E poi non ha nessun amico, lo evitano tutti. >> Vidi una scintilla scattare nello sguardo di Abby, la stessa che, anni prima, l’aveva fatta camminare senza esitazioni verso il tavolo al quale Cara sedeva da sola.
<< Mi sembra più che giusto! È facile per noi sostenerci a vicenda dopo quello che è successo ma Alan non ha nessuno con cui confidarsi. >> Era così presa dal suo discorso da non essersi nemmeno accorta degli sguardi truci di Nicholas. In più era anche scattata in piedi, cosa che le succedeva spesso quando teneva particolarmente a quello di cui stava parlando. Vidi un leggero rossore sulle sue guancie quando tornò a sedersi facendo finta che quello scatto impulsivo non fosse mai esistito.
Evidentemente Abby era dalla mia parte, come se potessi anche solo dubitarne.
Spostai il mio sguardo su Cara ma lei era così assorta nei suoi pensieri da non accorgersi della discussione nata attorno a lei.
Riuscivo quasi a vedere gli ingranaggi nel suo cervello girare freneticamente alla ricerca di qualcosa, solo non sapevo cosa. Era diversa, su questo non avevo alcun dubbio.
Decisi di lasciarla stare sola un altro po’ con le sue misteriose riflessioni.
La parte difficile veniva ora: Nicholas.
Non aveva ancora detto nulla ma lo vedevo chiaramente che non era d’accordo.
Alan non gli era mai piaciuto, non gli piaceva il modo in cui lui guardava la sua ragazza: come se l’amasse più di ogni altra cosa a questo mondo.
Ed era vero.
Lui l’amava davvero e ce n’eravamo resi conto tutti.
Tutti tranne Abby.
Continuai ad osservarlo silenziosamente, sapevo che da un momento all’altro sarebbe scoppiato.
Nella mia mente cominciai il conto alla rovescia:
Tre … Due … Uno …
<< Assolutamente no! State scherzando vero? Nemmeno lo conosciamo quello!! >>
Trassi un profondo respiro.
<< Non conoscevamo nemmeno te all’inizio! >> Mi ero preparato a rispondere, pensavo che Abby sarebbe rimasta troppo scioccata per ribattere invece lo aveva fatto.
E ci era andata parecchio pesante.
Vidi Nicholas aprire e chiudere la bocca un paio di volte senza riuscire a spiccicare nemmeno una parola. Visto che lui non obbiettava Abby si sentì in dovere di continuare:
<< Quando ti abbiamo chiesto di unirti a noi sapevamo solo il tuo nome, che venivi dall’Inghilterra e che i tuoi genitori erano morti! Anzi sapevamo che tuo padre aveva ucciso tua madre e che poi si era suicidato! >> Eccolo lì, l’argomento di cui avevamo evitato di parlare con Nicholas per dieci anni e lei glielo spiattellava in faccia come se nulla fosse.
<< Abby, basta. >> Nicholas aveva abbassato lo sguardo e si stava fissando i piedi, avrei giurato che stesse per piangere. Lei aveva ancora le guancie arrossate dall’impeto di rabbia che l’aveva fatta esplodere in quelle parole poco gentili e le braccia tese sui fianchi con le mani così strette che le unghie avevano scavato un solco piuttosto profondo sul palmo. Respirava in fretta per recuperare fiato e non si era ancora accorta del casino che aveva appena combinato. Quando vidi la comprensione illuminare il suo sguardo era troppo tardi.
<< Fate quello che vi pare allora! Se questo Alan ti piace tanto perché non ti metti con lui invece che con me!? >> L’aveva urlato così forte che nel cortile tutti si erano voltati verso di noi incuriositi.
Abby aprì la bocca per cercare di scusarsi ma Nicholas si era già voltato e se ne stava andando. Vidi il braccio di lei allungarsi nella sua direzione per poi ricadere senza forze al suo fianco.
La strinsi in un abbraccio pieno d’affetto ma osservai impotente la luce morirle negli occhi.
Non era nelle mie braccia che voleva essere stretta.

 
Pov Alan
 
Era tutto il giorno che cercavo Abby, non ero ancora riuscito a parlare dopo martedì sera.
Attraversai il cortile della scuola e incrociai Cara che camminava da sola verso l’uscita:
<< Cara! Hai visto Abby? >> Che domanda stupida! Figuriamoci se in tutta la giornata non aveva visto la sua migliore amica almeno una volta! Lei parve tornare alla realtà tutto d’un colpo come se fosse stata immersa nelle sue riflessioni fino a un attimo prima.
Sgranò gli occhi e inclinò leggermente la testa di lato quasi mi stesse esaminando per un qualche motivo.
Passerò la prova?
<< È seduta alla panchina con Lucas ma non credo sia un buon momento per parlarle. >> Cara mi sembrava strana, per quanto ne sapevo di lei era sempre stata una persona allegra e quando iniziava a raccontare qualcosa non la smetteva più ma la Cara che avevo davanti era estremamente silenziosa, non tanto nelle parole quanto nel cuore. Forse era un cattivo momento anche per parlare con lei.
Mi superò marciando spedita sui suoi stivaletti tacco dodici senza la minima parvenza di difficoltà e sparì alla mia vista.
Quando raggiunsi la panchina Abby era sola.
Feci per aumentare il passo e raggiungerla quando sentii il primo singhiozzo e mi bloccai.
Stava piangendo.
Restai immobile per un po’, il vento soffiava freddo portando con sé l’odore tipico dell’inverno: la prima neve si stava avvicinando. Quando iniziai a non sentire più le punte delle dita, decisi che era ora di fare la prima mossa invece che restare fermo lì e finire col diventare una statua di ghiaccio.
Avevo pensato a diverse frasi brillanti per incominciare quel discorso ma, come sempre quando lei era vicina, le avevo dimenticate tutte così la prima cosa che le dissi fu:
<< Perché piangi? >> Mi sentivo un bambino dell’asilo! Lei alzò la testa di scatto e si affrettò ad asciugare le lacrime quasi si vergognasse a piangere in mia presenza.
<< Non è niente. >> Rispose con un filo di voce.
<< E dovrei crederci? >> Rimase spiazzata per qualche secondo, gli occhi ambrati fissi nei miei, prima di riuscire a rispondermi.
<< È solo che ho litigato con Nicholas, se vuoi parlare di ieri non mi sembra il caso ora io … >>
<< Stai male, si vede. >> La interruppi io. Non avevo certo intenzione di darle fastidio o di risultare ingombrante ma dovevo assolutamente parlare.
<< Senti possiamo vederci in un altro momento, va bene? >> Un leggero sorriso le increspò le labbra mentre una lacrima solitaria le scivolava furtivamente sulla guancia e la sua testa si muoveva in un lieve segno di assenso.
<< Grazie, è molto gentile da parte tua. >> Sembrò esitare prima di aggiungere:
<< Però dobbiamo essere soli, sai gli altri non sembrano molto propensi a farti entrare nel gruppo. >> Abbassò lo sguardo e si fissò le All Star  bianche per qualche secondo. Aveva detto gli altri ma sapevo che intendeva dire Nicholas.
Sentii una sensazione di trionfo inondarmi il cuore.
Abby ha litigato con Nicholas per me!
Durò un secondo, poi mi sentii uno schifo.
<< Va bene, ci vediamo domani pomeriggio dopo scuola. Davanti al vecchio cimitero sono sicuro che non ci vedrà nessuno. >> Abby annuì una seconda volta.
<< Adesso vai! Lucas è andato a prendermi qualcosa da bere, non voglio che ci trovi qui insieme. >>
La parola insieme suonò come la più celestiale delle voci alle mie orecchie, volevo sentirla di nuovo.
Volevo che lei la pronunciasse ancora.
Solo per me.
Feci per andarmene poi tornai sui miei passi.
<< Che ci fai ancora qui? >> Sembrava scocciata ma il mezzo sorriso sulla sua bocca mi convisse che non lo era poi tanto.
 Presi un bel respiro, stavo per mentire spudoratamente all’unica persona che avessi mai amato.
<< Mi dispiace che tu e Nicholas abbiate litigato. >>

Spazio Autrice

Finalmente! Nonostante la scuola mi assilli sono riuscita a finire il capitolo (con il solito immenso ritardo per cui mi scuso umilmente! Abbiate pietà!).
Prima di tutto parliamo della citazione iniziale (so che siete tutti bravissimi con l'inglese ma mi sembra giusto tradurla), "Se l'opportunità non bussa, costruisci una porta". Il significato mi pare abbastanza ovvio e mi sembra ovvio anche il motivo per cui l'ho scelta; Abby non sarebbe mai andata spontaneamente da Alan per professargli il suo amore (come lui vorrebbe) perciò il ragazzo si è dato una svegliata e prossimamente avrà la sua occasione! (Vai così Alan!).
Per concludere il mio piccolo sproloquio l'autore della frase è Milton Berle.

Tra due settimane sarò finalmente in vacanza perciò riuscirò ad aggiornare più spesso (Evviva!) e come sempre attendo le vosrte recensioni.

Al prossimo capitolo! :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Non avessi visto il sole ***


Capitolo 8 – Non avessi visto il sole

Had I not seen the sun
I could have borne the shade
 
Pov Cara
 
Abby aveva appena litigato con Nicholas e io avevo permesso ad Alan di andarle a parlare.
Concentrati Cara! Dove diavolo hai la testa?
Il problema era proprio quello, non riuscivo più a concentrarmi su niente. La mia mente era divisa tra la preoccupazione per tutta la storia raccontata da Chris e una sconcertante serie di pensieri che invece riguardavano quell’idiota di Ethan McKaine.
Iniziavo a credere che non fosse poi tanto cretino come mi era sempre parso in questi anni.
No, no, no, no , no!
Non ne sarebbe uscito nulla di buono.
Continuai a camminare lasciandomi alle spalle la scuola e cercando di fare lo stesso con i miei problemi.
A circa metà strada però furono loro a venire da me.
Ethan era appoggiato alla recinzione che delimitava il giardino privato di una casa e stava fumando. A giudicare dai mozziconi di sigaretta sparsi sul cemento ai suoi piedi era lì da parecchio.
Oppure aveva un serio problema di dipendenza.
Con un rapido movimento della testa scostati una ciocca bionda dalla spalla facendola ricadere sulla schiena, alzai di poco il mento con fare sdegnoso e pretesi di non averlo mai incrociato.
Mia madre ne sarebbe stata fiera.
Ethan invece non lo apprezzò per niente.
Si scostò dal muro gettando a terra l’ennesimo mozzicone e mi si avvicinò. Cercai di allungare il passo, cosa non facile con i tacchi che stavo indossando.
Perché non ho tenuto le scarpe da ginnastica con cui mi sono allenata oggi?
Dopo qualche secondo sentii la sua mano che mi afferrava all’altezza del gomito e mi faceva girare su me stessa. Aprii la bocca per protestare ma quel movimento improvviso unito alla pendenza della strada su cui stavo camminando e l’altezza dei miei tacchi mi fecero perdere l’equilibrio e senza che me ne rendessi conto io e Ethan ci ritrovammo distesi a terra.
O meglio: lui era a terra e io gli ero caduta sopra.
Vista da fuori era una scena che poteva essere interpretata in qualsiasi modo tranne che in una caduta accidentale.
<< Lo so che sono comodo ma non è che ti sposteresti? Non sei così leggera come credi. >> Le sue mani erano ancora sui miei fianchi dove si erano spostate per cercare di sorreggermi quando gli ero precipitata addosso e io ero ancora aggrappata alla sua maglietta come un cucciolo di koala alla sua mamma.
<< Guarda che il mio peso è perfetto! >> lo dissi staccandomi dal suo petto e appoggiando le mani ai lati della sua testa così da poterlo guardare dritto negli occhi. Mi aspettavo di vederlo arrabbiato invece stava sorridendo e le sue mani erano ancora fermamente appoggiate ai miei fianchi.
Ringraziai mentalmente per il fatto che non ci fosse nessuno ad assistere alla scena, non lo avrei sopportato.
<< Smettila! >> Il sorriso non accennava a spegnersi.
<< Di fare cosa? >> Mi stava prendendo in giro, non c’era altra spiegazione.
<< Di fare quello che stai facendo! >>
<< Intendi stare sdraiato a terra perché tu mi sei caduta addosso e non vuoi spostarti? Lo farei volentieri. >> Mi stava fissando e la sua bocca sembrava non avere intenzione di tornare seria.
<< Ti vedo interessata alle mie labbra, non è che per caso vuoi baciarmi? >> Ok, sinceramente non ero pronta a quella battuta. Non avevo la minima idea di come replicare. Rimasi immobile, tentai un paio di volte di dire qualcosa ma le parole sembravano morirmi in gola senza riuscire ad uscire.
Ethan spostò una mano sull’asfalto e la usò come leva per rialzarci entrambi.
Un’altra cosa che mi prese alla sprovvista.
Mi aggrappai a lui, la testa appoggiata nell’incavo del suo collo e cacciai un piccolo urlo.
Quando mi scostai eravamo seduti, lui mi stringeva a sé esattamente come prima e io gli cingevo il collo con le braccia.
Da quando lo conoscevo la distanza tra noi non era mai stata poca come in quel momento.
Lui avvicinò le labbra al mio orecchio così tanto che potevo sentire il suo respiro sulla pelle.
<< Puoi farlo. >> Sussurrò.
Un brivido mi percorse la schiena. Deglutii.
Lui tornò a fissarmi ma questa volta il suo sguardo passava dai miei occhi alla mie labbra e viceversa. Stava sorridendo di nuovo.
Il suo viso era sempre più vicino al mio.
<< Sempre che tu voglia. >> Aggiunse.
Una parte di me avrebbe voluto chiudere gli occhi e lasciarsi andare, l’altra voleva solo andarsene di lì. Possibile che volessi davvero baciare Ethan McKaine? Sembrava così facile, così giusto.
Tra noi era ormai rimasto solo lo spazio di un respiro.
Appoggiai le mani sul suo petto e lo spinsi nuovamente a terra. Lui parve sorpreso della mia reazione.
<< Davvero credevi che ti avrei baciato? Ma fammi il favore! >> Mi rialzai pulendomi dalla polvere e dai sassolini che erano rimasti attaccati ai miei vestiti. Lui si appoggiò sui gomiti, gli occhi azzurri che sembravano quasi ardere per la rabbia ma lo stesso sorriso di prima a illuminargli il viso.
<< Io lo so che avresti voluto farlo Cara, e lo saprà anche il resto della scuola. >>
Mi voltai e rincominciai a camminare.
 

Pov Nicholas
 
Appena arrivato a casa mi ero gettato sul letto, la testa sprofondata nel cuscino, ed ero rimasto in quella posizione per le due ore successive.
Ero così triste e così arrabbiato da non riuscire nemmeno a piangere.
Toc-toc
<< Voglio restare solo, Gemma. >>
Sentii il cigolio della porta che veniva aperta.
Voltai la testa in quella direzione e vidi la bionda chioma riccioluta di zia Gemma fare capolino all’interno della mia stanza.
<< Cosa c’è che non va? A me puoi dirlo Nick. >>
C’è che sono un idiota!
<< Cosa ti fa credere che ci sia qualcosa che non va? >> Gemma entrò e si sedette in fondo al letto; inclinò leggermente la testa a destra e rimase ferma a guardarmi con quei suoi occhi verdi da cucciolo.
<< Il silenzio. >>
<< Cosa? >>
<< Il silenzio. >> Ripeté. Non riuscivo a capire di cosa stesse parlando e probabilmente lei lo intuì perché dopo un attimo aggiunse:
<< Non hai acceso la musica. È una cosa che fai sempre. >> Restammo a fissarci senza dire niente per un altro po’.
<< Ho litigato con Abby. >> Vidi il suo sguardo incupirsi.
<< I Sullivan non vanno mai bene per noi Lewis. >> Sussurrò.
<< Abby non è John! >> Sbottai io arrabbiato. Anche se avevo litigato con lei non volevo che zia Gemma o qualcun altro parlasse male di lei. Gemma si passò le mani sulle braccia come se all’improvviso fosse stata attraversata da un brivido freddo e distolse lo sguardo.
<< Ma è pur sempre sua figlia >> Si alzò e s’incamminò verso il corridoio, prima di uscire dalla mia stanza si voltò un’ultima volta e concluse la frase:
<< E loro hanno sempre qualcuno di più importante da amare. >> Sprofondai nuovamente la testa nel cuscino e solo il rumore della porta che si chiudeva mi confermò che zia Gemma se n’era andata.
 
Il giorno seguente fu uno dei più lunghi e impegnativi della mia vita.
Feci di tutto per evitare Abby, anche se non volevo ammetterlo le parole di zia Gemma erano diventate un chiodo fisso e non mi avevano fatto chiudere occhio per tutta la notte.
Loro hanno sempre qualcuno di più importante da amare.
Nel mio caso si trattava di Alan, senza alcun dubbio.
Cosa ci trovasse in lui poi era un mistero. Ai miei occhi era un ragazzo banale, uno come tanti, del tipo che puoi incrociare per strada tutti i giorni senza mai notarlo veramente.
Solo in quel momento riuscii ad arrivare alla conclusione che stavo cercando da più di venti ore: Alan era esattamente come me. Certo i miei occhi verdi erano più belli ma a parte questo io e lui eravamo molto simili fisicamente e nel modo di relazionarci agli altri. Tra l’altro il suo carattere si avvicinava a quello di Abby in un modo che non avrei mai potuto eguagliare, nemmeno sforzandomi al massimo.
Mi ci era voluta quasi una giornata di riflessione per arrivare alla conclusione che Alan e Abby erano la coppia perfetta.
Avevo il morale a terra e il cuore a pezzi.
La campanella suonò e mi resi conto di non aver ascoltato una parola per tutta l’ora di storia.
Raccolsi le mie cose e mi trascinai fuori dall’aula pronto a svignarmela nel caso qualcuno dei miei amici avesse provato a parlarmi.
Attraversai il cortile senza incontrare nessuno. Una volta fuori tirai un sospiro di sollievo, volevo solo tornarmene a casa e deprimermi un altro po’ con i miei ragionamenti.
Lucas evidentemente la pensava diversamente.
Mi si parò davanti all’improvviso bloccandomi la strada.
<< Che vuoi Lucas? >>
<< Dovresti parlare con Abby. È tutto il giorno che la eviti. >>
<< Non la sto evitando! >> Sapevamo entrambi che stavo palesemente mentendo e Lucas decise di sbattermi in faccia l’evidenza. Non era il tipo da lunghi giri di parole.
<< Stamattina quando siamo passati eri già uscito; non hai mangiato con noi in pausa; non ti sei seduto con lei a biologia come fai di solito e non ti sei fermato dopo scuola. Noi ci fermiamo sempre dopo scuola. >> Non lo stava dicendo con cattiveria ma mi fece comunque sentire in colpa.
<< Ok, la sto evitando! >> Ammisi.
<< È solo che ho bisogno di un po’ di tempo. >> Lucas mi guardò di traverso, perplesso.
<< Tempo per cosa? >> Chiese. Non ero sicuro di volerne parlare con lui.
<< Per riflettere. >> Cercavo invano di prendere tempo; odiavo dover parlare di quello che provavo con altra gente, i miei sentimenti riguardavano solo me.
<< Riflettere su cosa? >> Replicò lui. La sua voce era sempre calma, non aveva intenzione di mettermi fretta, voleva solo capire.
Sospirai.
<< Su me e Abby, su quello che c’è tra di noi. >> Un leggero sorriso increspò le labbra di Lucas.
<< Oh, capisco. >> Tentò di soffocare una risata senza però riuscirci.
<< Che c’è da ridere? >> Sbottai io, irritato da quel suo atteggiamento.
<< Niente. È solo che voi due siete così buffi. >> Non riuscivo a capire dove voleva andare a parare e lui parve cogliere la mia confusione.
<< Voi due vi amate da così tanto eppure continuate a fare una gran fatica a capirlo. Ci avete messo tre anni la prima volta, non fateci aspettare così tanto anche questa. >> Lucas mi superò tornando verso il cortile.
Il discorso era finito.
Rimasi immobile qualche secondo poi rincominciai a camminare verso casa.

 
Pov Abby
 
Nicholas mi aveva evitata per tutto il giorno, Lucas era scomparso chissà dove e così mi ero ritrovata seduta alla nostra panchina con Cara che evidentemente aveva altro per la testa.
<< Va tutto bene? >> Era un po’ di giorni che si comportava così e stavo iniziando a preoccuparmi. A questo si aggiungeva il fatto che nell’ultimo periodo non parlavamo più molto. Avevo la netta  impressione che io e la mia migliore amica ci stessimo allontanando.
Solo che io non lo volevo.
<< Sì, sto bene. Tu? >>
<< Sto bene anch’io. >> Restammo un po’ in silenzio così che le nostre bugie potessero risuonare meglio.
<< Non è vero che sto bene. >> Ammisi dopo un attimo.
<< E non stai bene neanche tu, solo che tu sai cosa mi fa stare male io invece non so cosa fa stare male te. >> La sentii sospirare.
<< Credo di essermi presa una cotta. >> Lo disse con un tono così demoralizzato che mi sentii in dovere di tirarle su il morale.
<< Spero non si tratti di un altro ragazzo gay. >> Un piccolo sorriso fece capolino sulle sue labbra.
<< No, forse questa volta è anche peggio. >> Inarcai le sopraciglia, perplessa: cosa poteva esserci di peggio che innamorarsi del proprio migliore amico gay?
<< Chi è? >> Cara distolse lo sguardo, non l’avevo mai vista così abbattuta.
E per un ragazzo poi!
<< Ecco … lui è … >> Proprio in quel momento vidi i suoi occhi scattare verso l’entrata. Mi voltai giusto in tempo per vedere Lucas che la varcava camminando verso di noi.
In quell’istante seppi che la conversazione era finita.
Salvata dalla sua ex cotta.
<<  Ciao ragazze! >> Lucas sembrava l’unico del gruppo ad aver conservato il buon umore, non che avessi dubbi in proposito.
Mi alzai.
<< Devo andare a casa. Mio padre è piuttosto irritato ultimamente, non voglio fare tardi. >> Lucas prese il mio posto sulla panchina sogghignando.
<< Io mi preoccuperei di più se uno di questi giorni saltasse fuori che John può essere anche felice oltre che irritato. >> Sorrisi leggermente.
<< Ci vediamo domani. >> Quando Cara e Lucas risposero mi ero già voltata e mi dirigevo verso il vecchio cimitero.
 
Alan mi aspettava davanti al cancello in ferro battuto. Un tempo probabilmente era stato bello, con tutti i suoi intrecci elaborati e i fiori che spuntavano sulla cima ma ora era solo un vecchio cancello arrugginito alla cui base crescevano edera e muschio. La prima cosa che notai fu la custodia ai piedi di Alan, sembrava quella di una chitarra.
Mi avvicinai.
Non una chitarra, troppo piccola.
Un violino.
<< Ciao Abby. >> I suoi occhi ambrati parevano luccicare, sembravano due piccole stelle.
Le mie stelle personali.
<< Ciao Alan. >> Osservai di nuovo la custodia e lui notandolo l’aprì.
Avevo ragione sul violino.
<< Sai suonarlo? >> Solitamente i ragazzi suonavano strumenti come la chitarra, il basso o la batteria. Non conoscevo nessuno che sapesse suonare il violino.
<< No, lo porto in giro solo per fare colpo sulle ragazze. >> Le sue labbra si distesero in un lieve sorriso. Era ovvio che non stava facendo sul serio.
<< Quindi … l’hai portato solo per far colpo su di me? >> Se voleva scherzare io ci stavo.
<< In parte. Veramente un paio di giorni fa ho vomitato su una tomba, pensavo di scusarmi suonandole una canzone. >> Rimasi senza parole per un secondo.
<< Hai vomitato su una tomba? >> Ero sconcertata. Come caspita aveva fatto?
Scoppiammo a ridere entrambi e andammo avanti per due minuti interi prima di riuscire a fermarci.
<< Allora non lo sapevo ma … si tratta della tomba di tua madre. >> Nel dirlo era tornato improvvisamente serio.
Smisi di sorridere.
<< Per questo ti ho chiesto di vederci qui. Avevo intenzione di dirtelo dopo aver parlato della faccenda riguardante Chris e Alexis. >> Volse lo sguardo a terra prima di tornare a concentrarsi su di me.
<< Seguimi. >>
Non dissi nulla, seguii Alan in silenzio fino alla tomba di mia madre.
Alexis Sullivan nata Campbell
Alan appoggio il violino sulla spalla e cominciò a suonare.
Era una melodia dolce ma molto triste.
Mi faceva pensare alle lacrime, quelle che mia madre doveva aver versato nel lasciare il suo grande amore per vivere con quel mostro che era mio padre. Era stata costretta a sposarlo, a vivere con lui, ad andarci a letto insieme. Probabilmente era stata costretta anche ad avere me.
Mia madre doveva avermi odiata.
Chiusi gli occhi.
Una lacrima solitaria scelse quel momento per scivolare silenziosa lungo la mia guancia e terminare la sua corsa sul suolo dove giaceva la donna che, suo malgrado, mi aveva messa al mondo.
La musica finì.
Riaprii gli occhi.
Alan mi stava fissando, rimise il violino nella custodia e mi si avvicinò.
<< Non piangere Abby. Lei ti amava, ne sono sicuro. >> Mi prese il viso tra le mani e con il pollice asciugò quel che restava della lacrima accarezzandomi dolcemente.
<< Ricordi quello che ha detto mio padre? Che lei vedeva il buono in tutti? L’ha visto anche in John e, anche se non lo amava come Chris, a modo suo a cercato di aiutarlo. Alexis gli ha dato tutto l’amore che era in grado di riservagli. Tua madre era una persona dal cuore buono e una donna molto coraggiosa. >> Lo abbracciai.
Nessuno aveva mai capito i miei sentimenti in quel modo, con quella profondità.
Nessuno aveva mai trovato le parole giuste per consolarmi.
<< Penso ci sia ancora qualcosa che tuo padre non vuole dirci. >> Eravamo ancora stretti nell’abbraccio e nessuno dei due sembrava voler lasciare l’altro.
<< Ci sono tante cose che Chris non mi dice. È una persona difficile ma a modo suo è un buon genitore. Sono sicuro che a tempo debito riusciremo a scoprire la verità. >> Restammo stretti l’uno all’altro ancora un po’. Sentivo le sue braccia forti e sicure che mi avvolgevano e venni travolta da una sensazione di pace e serenità che non avevo mai provato.
<< Perché a scuola mi fissavi sempre? >> Avevo intenzione di chiederglielo già da tempo ma nel mentre il mio mondo era finito sottosopra e la domanda mi era completamente uscita di testa.
<< Pensavo ci fossi arrivata, una ragazza intelligente come te non dovrebbe avere problemi a trovare la risposta. >>
Oddio! Dimmi che non è quello che penso!
Visto che restavo in silenzio Alan si scostò quel tanto che bastava per potermi guardare senza però lasciarmi andare.
Io non volevo che mi lasciasse andare.
<< Io ti amo Abby. >> Ero quasi certa che il mio cuore avesse perso un battito. Nessun ragazzo mi aveva mai filata in diciassette anni e ora, nel giro di due mesi ne erano saltati fuori ben due!
Di nuovo rimasi in silenzio, il cervello nella confusione più totale.
Alan sorrise. Sembrava così rilassato, non aveva certo l’aria di uno che stava aspettando la risposta ad un “ti amo”.
Avvicinò il viso al mio e sussurrò dolcemente:
<< Non importa se ora non mi ami. Quello che so è che riuscirò a farti cambiare idea e un giorno sarai tu a dirlo a me, non perché ti sentirai obbligata ma perché lo vorrai. >> Alan abbassò lo sguardo sulle mie labbra. Avrei lasciato che mi baciasse?
Mi sentivo le guancie in fiamme e avevo rinunciato a qualsiasi tipo di ragionamento, non ne ero più in grado.
Era rimasto solo qualche millimetro a separarci.
Chiusi gli occhi.
Le nostre bocche si unirono.
Un brivido di piacere mi percorse da capo a piedi e mi strinsi di più a lui.
Baciare Alan era così bello, così semplice.
Lui mi spinse contro il muro che delimitava il cimitero continuando a baciarmi con urgenza come se da un momento all’altro io potessi cambiare idea.
Era così?
Infondo avrei potuto rifugiarmi nei suoi abbracci e nei suoi baci per sempre, dimenticare il mondo e tutti i problemi che mi aveva portato. Era facile bearsi dell’amore di un’altra persona soprattutto di Alan perché sapevo che avrebbe continuato ad amarmi incondizionatamente qualsiasi cosa fosse successa.
Sì era facile ma era giusto?
Io non lo amavo e sapevo, nel profondo, che non sarei mai riuscita a ricambiare il suo amore. Non nello stesso modo almeno.
Io amavo Nicholas e non era giusto tradirlo così solo per uno stupido litigio.
Alan mi amava e non era giusto illuderlo quando sapevo di non poterlo amare a mia volta.
D’un tratto tutta quella pace e quella tranquillità che mi avevano pervaso scomparvero e io mi sentii debole e stupida, uno schifo.
Ero diventata tutto ciò che odiavo: una traditrice; una sfruttatrice e una bugiarda.
Smisi di baciarlo.
Quando mi guardò un velo di tristezza coprì lo splendore dei suoi occhi, anche lui aveva capito a quali conclusioni ero arrivata. Anzi le aveva già comprese mentre mi spingeva contro il muro.
Mi sciolse dal suo abbraccio e io iniziai a correre, senza mai voltarmi. Superai il cancello e continuai a correre fino a non avere più fiato. Allora mi accasciai a terra e cominciai a piangere.


Spazio Autrice

Rieccomi! Situazioni difficili alle porte; tutti che tentano di baciare tutti; l'unico poveretto che non viene considerato ma neanche per sbaglio è Lucas. Abbiate pazienza arriverà anche il suo momento.
Come sempre aspetto le vostre recensioni (giusto per sapere che ne pensate e se vi fa schifo scrivetemelo pure, la mia reazione è sempre la stessa: "Oddio! Oddio! Una recensioneeeee!" a cui segue un balletto in tondo per la mia stanza. )
Ultima cosa, poi vi lascio.
La frase di questo capitolo è presa da una poesia di Emily (quantolaamo!) Dickinson:

" Had I not seen the Sun
I could have borne the shade
But Light a newer Wilderness
My Wilderness has made"

Vi metto la traduzione anche se probabilmente è chiara a tutti:

" Non avessi mai visto il Sole
avrei sopportato l'ombra
ma la luce ha aggiunto al mio deserto
una desolazione inaudita."

Con questo vi saluto!

Al prossimo capitolo :D


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Le regole del gioco ***


Capitolo 9 – Le regole del gioco

Devi imparare le regole del gioco.
E poi devi giocarci meglio di chiunque altro.

 
Pov Lucas
 
Abby e Nick ancora non si parlavano. Lui la evitava palesemente e lei non faceva nulla per impedirlo.
Aveva quello sguardo duro e affilato negli occhi rossi e gonfi di pianto; le labbra tirate e piene di segni di morsi; inoltre non faceva che spostare avanti e indietro il pendente della sua collana.
Conoscevo bene questi segni: Abby si sentiva in colpa ed evidentemente non era solo per il litigio con Nick, doveva esserci di più.
Ero riuscito a convincere Nicholas ad accompagnarmi a casa e avevo chiesto la stessa cosa ad Abby assicurando ad entrambi che Cara sarebbe tornata con l’altro.
Grazie al cielo Cara si era dimostrata meno sulle nuvole rispetto agli ultimi giorni e mi aveva dato manforte, senza di lei non sarei riuscito a combinare niente.
Abby era appena arrivata e non aveva intenzione di fermarsi più del necessario.
<< Forza! Che stiamo aspettando, Lucas? >>
Aspettiamo che tu e l’amore della tua vita vi chiariate una volta per tutte, che vi sposiate e che abbiate un manipolo di piccoli esserini pestiferi!
<< Che c’è Abby? E non dirmi che è solo per il litigio! Se fosse per quello avresti già chiarito, ti conosco. È senso di colpa quello che vedo? >>
Abby abbassò lo sguardo e smise di torturare il suo ciondolo. Rimase in silenzio per un po’.
Non vuole dirmi la verità!
Fu il mio primo pensiero, ma non era da Abby.
Noi due ci dicevamo tutto, da sempre e per sempre.
Non sa se le conviene dirmelo!
Sì, aveva decisamente più senso. Che accidenti aveva fatto allora? Non poteva essere così grave da non sapere se dirlo o meno al suo migliore amico.
<< Ecco io … >> Alzò lentamente gli occhi su di me, la vergogna che stilava in piccole lacrime sul suo volto arrossato. Restai pazientemente in attesa, sapevo che aveva bisogno del suo tempo.
<< Io ho baciato Alan. >> Lo buttò fuori tutto d’un fiato per paura che le parole potessero morirle di nuovo in bocca.
Rimasi zitto, per lo shock questa volta.
Non era da Abby.
Non lo era per niente.
<< Tu hai fatto cosa? >> Lei cominciò a singhiozzare, probabilmente non faceva altro da mercoledì pomeriggio.
<< Mi dispiace! Mi dispiace così tanto! Perdonami! >> Mi avvicinai di un altro passo e la strinsi tra le mie braccia.
Potrei tenerla stretta fino alla fine dei tempi se servisse a farla stare meglio.
<< Non è a me che devi chiedere perdono. >> Abby si ricompose. Prese un pacchetto di fazzoletti dalla borsa e ne usò uno per asciugarsi le lacrime e un altro per soffiarsi il naso.
<< Sì, lo so ma non riesco nemmeno a guardarlo in faccia. Sono una persona orribile! >> Ripensai al mio invito per Nicholas, come persona orribile non ero da meno.
<< A dire il vero sarei io a dovermi scusare con te: ho chiesto a Nick di fare il percorso di casa assieme e a Cara di mentire ad entrambi. >> La bocca di Abby si aprì un paio di volte senza che neanche una parola ne uscisse. Alla fine però mi spintonò con entrambe le mani per allontanarmi da lei.
<< Tu hai fatto cosa?! >> Non era arrabbiata, lo si capiva.
Era terrorizzata all’idea di dover camminare per più di quindici minuti con Nicholas.
<< Senti se vuoi lo chiamo e … >> Lasciai la frase a metà. Nicholas stava già  camminando verso di noi con Cara subito dietro ad impedirgli di tornare da dov’era arrivato.
Un’espressione sofferente gli si dipinse sul viso quando vide che con me c’era anche Abby.
I due ci raggiunsero.
Nessuno disse una parola e, sempre in silenzio, cominciammo a camminare verso casa.
Nella mia testa avevo provato almeno mille frasi diverse per rompere il giacchio ma dopo il discorso con Abby non mi sembrava più il caso.
Cara mi osservava perplessa, si aspettava che facessi qualcosa, che attuassi il mio malefico piano.
La verità era che non c’era più nessun piano.
Feci un lieve cenno di dissenso nella sua direzione, lei strinse un po’ gli occhi in uno sguardo indagatore ma non proferì parola.
Eravamo quasi giunti al punto in cui di solito ci separavamo e mi ero convinto definitivamente a lasciar perdere quando quattro uomini corpulenti ci bloccarono la strada. Erano apparsi letteralmente dal nulla, cogliendoci di sorpresa. Osservai quello sulla destra, il più vicino a me: aveva i capelli neri tagliati a spazzola; un enorme serpente nero che si avvolgeva a spirale tatuato sul braccio sinistro, lasciato scoperto dalla manica della maglietta arrotolata fin sul gomito e uno sguardo assassino negli occhi.
Fece scrocchiare le dita.
Mi voltai per cercare una via di fuga ma ormai ci avevano circondato.
Vidi lo sguardo spaventato di Abby e quello più deciso e calcolatore di Cara.
Nicholas a confronto sembrava tranquillo ma sapevo che non lo era per niente, nessuno di noi aveva mai fatto a botte sul serio se non si contavano quelle che Cara aveva propinato ad Ethan e un paio di risse alla stadio a cui aveva partecipato anche Nick.
Io ero uno a cui piacevano i libri di Jane Austen e i film d’amore drammatici, non ero fatto per il combattimento!
I quattro si avvicinarono un altro po’ e vidi un piccolo ghigno soddisfatto spuntare sul volto dell’uomo-serpente.
Dobbiamo tirarci fuori di qui e alla svelta!
<< Vi manda mio padre, vero? Cosa volete? >> Chiese Abby coraggiosamente.
Anche se aveva cercato di nasconderlo avevo sentito lo stesso la sua voce tremare.
<< Cosa vogliamo? Niente. >> Rispose ridendo l’uomo-serpente.
<< La vera domanda è cosa vuole suo padre signorina Sullivan, se l’è mai chiesto? >> Il volto di Abby sbiancò, evidentemente sapeva qualcosa che non ci aveva rivelato.
Qualcosa che le aveva detto suo padre.
L’uomo, probabilmente il capo del gruppo, rise di nuovo.
Un suono rozzo e sgradevole, sembrava di sentire un animale agonizzante mentre lanciava un ultimo grido disperato prima di morire.
<< Allora riferite a mio padre che non intendo cambiare le miei compagnie e che conoscere la storia di famiglia è un mio diritto. Ora lasciateci in pace! >>
Cambiare compagnie?
Capivo la parte sulla storia di famiglia, si riferiva a Chris, ma da quando a John noi non andavamo più bene?
Gli uomini si avvicinarono ancora e noi finimmo tutti spalla contro spalla, ora non riuscivo più a vedere nessuno dei miei amici.
<< Poverina! Pensi che siamo qui in veste di messaggeri? Tuo padre sa bene qual è la tua opinione ed è arrivato alla conclusione che tu non gli darai mai ascolto spontaneamente. Siamo qui per farti cambiare idea. >>
L’uomo fece un passo avanti pronto a colpire Abby con uno schiaffo o un pugno, non riuscivo a vederlo ma avevo capito le sue intenzioni.
Sentii Nicholas e Cara scattare nella direzione di Abby e mi voltai per aiutarli.
Nessuno di noi arrivò in tempo.
Ethan McKaine era saltato da un muro di recinzione precipitando proprio addosso all’uomo-serpente che, preso alla sprovvista, aveva perso l’equilibrio ed era caduto a terra. Ethan si sfilò lo zaino di scuola dalla schiena e lo usò per colpire l’uomo in testa facendolo svenire.
Gli altri tre non la presero molto bene.
Si avventarono su di noi: Ethan ne affrontò uno grande il doppio di lui, l’uomo cercava di colpirlo ma nessuno dei suoi pugni sembrava andare a segno mentre quelli del nostro tanto odiato compagno di scuola non mancavano mai il bersaglio.
Un altro se la prese con Cara.
Grande errore!
La mia migliore amica indossava il nuovo paio di stivaletti, che erano andati a sostituire quelli rotti, con un tacco di quasi diciotto centimetri così sottile che avrebbe potuto perforare il petto di quel tizio e ucciderlo.
Fortuna per lui che Cara non fosse così brutale, si limitò a colpirlo con un calcio ben assestato nelle parti basse che lo costrinsero ad inginocchiarsi dal dolore.
E mentre lui era lì a piagnucolare Cara gli assestò un altro calcio in testa e l’omone finì a fare compagnia al suo compare svenuto.
<< Questa è la Cara Williams che mi piace! >> Le urlò Ethan mentre continuava a combattere con l’uomo di prima. A quest’ultimo non sembrava andare molto bene, prevedevo che nel giro di qualche minuto sarebbe finito pure lui con gli altri.
Cara lo ignorò.
Ne restava solo uno.
Si mosse in direzione di  Abby ma io fui più veloce: l’afferrai per il polso trascinandola via e Nicholas si parò fra noi due e l’ultimo scagnozzo di John.
Strinsi Abby più forte tra le mie braccia, non volevo che facesse qualche sciocchezza delle sue mettendosi più in pericolo di quanto già non fosse.
L’avversario di Ethan cadde al suolo, sconfitto.
L’ultimo rimasto si fermò a fissarci, sembrava quasi spaventato da noi.
Ethan e Cara si erano spostati al fianco di Nicholas.
McKaine lo guardava con calma assoluta, come se stesse calcolando dove le ferite potessero farlo soffrire di più, mentre con la mano si asciugava una goccia di sangue dal labbro spaccato.
Allora almeno una volta sono riusciti ad assestargli un cazzotto!
Cara aveva un espressione truce, da vera guerriera, che avrebbe fatto scappare anche il più valoroso dei combattenti e Nick aveva già i pugni serrati pronti a scattare.
L’uomo face un paio di passi indietro incespicando prima di darsela a gambe il più velocemente possibile.
<< Non erano granché. Mi aspettavo di più da John. >> Cara era molto fiera di sé, lo si vedeva lontano un miglio!
<< È solo che non si aspettavano me e nemmeno che qualcuno di voi reagisse. Di sicuro non si aspettavano i tuoi tacchi vertiginosi! >> Ethan le rispose a tono con un leggero sorriso a fior di labbra.
Che diavolo sta succedendo tra quei due? Pensavo si odiassero!
<< Grazie Ethan, siamo in debito con te. >> Abby era stata gentilissima, come sempre del resto, ma notai una certa stanchezza nella sua voce.
<< Passavo di qui, mi sembravate abbastanza nei casini e si dà il caso che io di casini me ne intenda. Ora è meglio che vada, Jess mi aspetta, e fareste meglio a tornarvene a casa anche voi prima che quel tizio ritorni con i rinforzi. >> Ethan si voltò, prese la seconda traversa sulla destra e scomparve dalla nostra vista.
<< Penso che abbia ragione, torniamocene tutti a casa. >> Abby si rabbuiò improvvisamente.
<< Io non posso tornare a casa. Non dopo questo. >>
Che idiota! Certo che non può tornare a casa, c’è John lì!
<< Vieni a stare da me. Mia madre chiede sempre quando hai intenzione di venire a pranzo da noi e mia sorella Lisa è appena arrivata a casa, saranno contente di rivederti. >> Il sorriso rispuntò immediatamente sul suo volto illuminandolo come una piccola luna.
<< Lisa è a casa?! Allora mi sembra ovvio che vengo! >>
Mi girai, per illustrare la mia idea agli altri:
<< Domani dobbiamo incontrarci e decidere cosa fare, questa situazione non può andare avanti! >>
Sia Cara che Nicholas annuirono in silenzio e Abby mi strinse un po’ più forte.
<< Ci vediamo domani. >> Cara strinse Abby in un abbraccio prima di andarsene. Nick fece solo un lieve gesto con la mano, sempre meglio che niente.
Io e Abby ci incamminammo verso casa mia nel silenzio più totale. Non sapevo cosa dire per spezzare quella situazione ma non dovetti crucciarmi a lungo.
Abby parlò per prima.
<< Allora come vanno le cose a casa tua? Sai con tutta questa storia sulla mia famiglia, la zia di Nicholas, Chris e Alan non so più cosa sta succedendo a te o a Cara. >>
Sento il sorriso nascere da dentro, è una strana sensazione ma mi è sempre piaciuta.
Lo sento crescere nella mia pancia ed espandersi sempre di più fino a raggiungere la bocca così che tutti lo possano vedere.
<< Stiamo bene, niente amori segreti e strane minacce. >>
Abby mi strinse la mano mentre avanzavamo sulla strada principale.
<< E Batuffolo come sta? >> Chiese ridendo.
<< Sta molto bene anche lui. Pensa che l’altro giorno gli abbiamo comprato una ruota nuova, vedessi come corre ora! >>
Scoppiammo entrambi a ridere, il mio criceto non era mai stato un animale particolarmente sportivo.
Ero contento che io e Abby fossimo assieme a ridere come due idioti in mezzo alla strada, era come tornare indietro di un paio di mesi.
Purtroppo però il tempo non scorre mai indietro e sapevo che quel momento felice era solo una piccola luce in una grotta oscura. Eravamo appena stati attaccati da degli uomini che, per fortuna, non erano armati e non erano per niente pronti ad una risposta da parte nostra altrimenti ce la saremmo vista molto brutta.
Lo sapevamo entrambi ed eravamo terrorizzati solo all’idea di pensarci.
Arrivati sulla porta di casa mi misi a cercare le chiavi, a volte il mio zaino era peggio della borsa di una ragazza. Pieno di oggetti inutili che ti finivano in mano continuamente impedendoti di trovare quello che stavi realmente cercando.
Ci vollero dieci minuti ma alla fine riuscimmo ad entrare in casa.
<< Lucas, aspetta un attimo! Penso sia giusto chiamare Alan, dobbiamo avvertirlo, questa storia riguarda anche lui e suo padre. >>
Annuii con un cenno del capo e la vidi scendere in giardino, il telefono già in mano, mentre digitava il numero di Alan.

 
Pov Alan
 
Cercavo in tutti i modi di togliermela dalla testa ma l’immagine era sempre lì.
Avevo baciato Abby ed era stato fantastico, per un momento, poi lei era scappata via praticamente in lacrime.
Avrei dovuto immaginarlo che non avrebbe mai scelto me, non se poteva avere Nicholas.
Per tutto il giorno non mi era venuta a cercare e io avevo fatto altrettanto con lei.
Aveva bisogno di tempo prima di potermi rivolgere nuovamente la parola e aveva tutte le ragioni del mondo per non farlo mai più. Ero stato davvero imperdonabile.
Iniziava a fare veramente freddo, ficcai le mani in tasca e presi una strada diversa per arrivare a casa; non volevo passare davanti al cimitero, non m’importava se così avrei allungato il percorso.
Di punto in bianco il mio cellulare squillò facendomi sobbalzare.
Chi può essere? Non mi chiama mai nessuno!
<< Pronto? >>
<< Ciao Alan, sono Abby. >> Abby? Forse lei era già pronta a parlare di quello che era successo ma io no. Non avevo trovato neanche una frase di scuse adatta!
<< Ciao, senti se vuoi parlare di ieri io veramente non … >> Non riuscii nemmeno a finire la frase. Ci fu un lungo silenzio imbarazzante.
<< Non ho chiamato per quello, non parlerei mai di una cosa del genere al telefono. >>
<< Oh. >>
Ottima frase Alan! Di sicuro sembrerai più intelligente e comprensivo ora!
<< Ascolta, è importante! Mio padre ha mandato quattro uomini per minacciarci, non sembravano avere buone intenzioni ma non erano pronti ad una risposta. Ethan e Cara ne hanno stesi tre, il quarto è scappato. Tu e tuo padre state bene? John sa di quello che mi ha raccontato, sono preoccupata per voi. >>
Sentii il mio respiro farsi più veloce e il cuore martellare sempre più forte nel petto mentre iniziavo a correre.
<< Non sono ancora tornato a casa. Corro più veloce che posso. Ti richiamo io, grazie Abby e … scusa. >> Riattaccai.
Arrivato a casa varcai la soglia come una furia.
<< Papà! Ci sei? Stai bene? >> Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
Ti prego rispondi! Ti prego rispondi!
<< Ma che cazzo Alan?! Perché stai urlando come un demente? >> Mio padre fece capolino dalla cucina con in mano una ciambella mezza mangiucchiata e un’espressione vagamente irritata sul volto.
<< Ha chiamato Abby. Dice che suo padre sa tutto e a mandato degli uomini per picchiare lei e i suoi amici ma se la sono cavata. Aveva paura che avesse mandato qualcuno anche qui. >>
L’irritazione scomparve dalla faccia di Chris, come se non fosse mai esistita, sostituita dalla determinazione e da una leggera nota di preoccupazione ad incupirgli l’azzurro degli occhi.
<< Se John sa tutto non abbiamo tempo da perdere, pagheremo per averlo sfidato, se non oggi domani. È un uomo metodico e paziente, se vuole vendetta l’avrà. >>
Il mio primo pensiero fu quello di correre da Abby, prenderla in braccio e fuggire il più lontano possibile da quella situazione.
Poi però pensai a mio padre e a tutte le persone a cui Abby teneva quasi più che a se stessa.
Non avremmo mai potuto andarcene senza di loro.
<< Cosa facciamo? >> Chris distolse lo sguardo, pensieroso, e dopo un attimo tornò a fissare gli occhi su di me.
<< Prima di tutto chiamali, tutti quelli coinvolti, e digli di venire qui domani mattina invece di andare a scuola. Digli anche di assicurarsi di non essere seguiti. >>
Non riuscivo a capire.
Avremmo dovuto fuggire, disperdere le nostre tracce, invece Chris voleva radunarci tutti in un unico posto!
Avendo passato una vita intera con mio padre pensavo di essere arrivato a conoscerlo meglio di chiunque altro e sapevo che non faceva mai nulla senza una ragione più che valida.
Sapevo anche che, se aspettavo pazientemente, me l’avrebbe rivelata.
<< C’è una parte della storia che ancora non vi ho raccontato. Credo si giunto il momento che voi scopriate tutta la verità. >>


Spazio Autrice

Ta-dah! Eccolo qui! Il capitolo 9 è arrivato!
Devo confessarvi che fin'ora è il capitolo meno riuscito (dal mio punto di vista, ora a voi i commenti!)

John è davvero un padre snaturato, come diavolo si fa a trattare una figlia così?!!

La frase all'inizio è di Albert Einstein (anche il buon vecchio Albert è finito tra le pagine di questa storia!).

Non ho molto altro da dire se non: commentate e fatemi sapere!
A presto (mi sembra di prendervi in giro a scriverlo ogni volta)!

P.S. Se vi va passate a leggere la mia nuova storia (è un prologo tanto corto e tanto carino) ----> Qui

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La figlia ***


Capitolo 10 – La figlia

La verità è figlia del tempo
 
Pov Abby
 
Eleonora, la madre di Lucas, mi aveva preparato un letto nella stanza di Lisa e quest’ultima stava parlando a raffica, come se da un momento all’altro me ne sarei potuta andare senza tener conto di niente e di nessuno. In dieci minuti era riuscita a riassumermi tutto quello che le era successo in due anni di college più i primi tre mesi di questo semestre.
<< Oh, Abigail! Sapessi cosa mi è capitato tre settimane fa! Ho conosciuto il ragazzo più bello, dolce e simpatico di tutta la UNL e indovina un po’? Studia architettura! La mia stessa materia! Ti rendi conto?! >>
Sì, mi rendevo conto che la vita di Lisa stava andando esattamente come quella di ogni altra ragazza normale, avrei dato qualsiasi cosa per far sì che anche la mia fosse così semplice.
Avrei voluto parlarle di Nick o della dichiarazione di Cara in mezzo ad una partita di calcio a suo fratello ma sembrava tutto così lontano e insignificante. L’ultima cosa di cui volevo metterla al corrente era la faccenda riguardante la mia famiglia perciò, in sostanza, non avevo proprio un bel niente da raccontarle.
<< Sono contenta che finalmente tu ti sia trovata qualcuno in grado di sopportarti Lily! >> Lucas era entrato nella stanza proprio mentre sua sorella declamava gli innumerevoli pregi di Casey, a quanto pare era quello il suo nome, e aveva iniziato a ridacchiare senza riuscire a fermarsi.
<< Lucas! Smettila di ridere! E smettila di chiamarmi in quel modo, il mio nome è Lisa! E Casey è davvero un bravo ragazzo e … >>
<< Ha un nome da cagnolino! >> Una cuscinata colpì Lucas in pieno viso e le risate cessarono.
<< Scusa Lily, non volevo offenderti. >> Un sorriso distese nuovamente le labbra di Lisa e come se nulla fosse successo tornò a parlare tutta entusiasta del “suo Casey”.
Il telefono di casa squillò e Lucas si precipitò giù dalle scale per andare a rispondere.
<< Sai, sei cambiata molto dall’ultima volta che ti ho vista. Sei più alta e più carina e i capelli corti ti stanno davvero bene! >> Il sorriso si allargò e la testa di Lisa si inclinò leggermente di lato, lo faceva sempre quando cercava di essere gentile con gli altri. Forse si era resa conto di avere parlato per troppo tempo solo di sé.
<< Dipenderà dal fatto che la scorsa volta ero una quindicenne che stava per iniziare il secondo anno di superiori mentre ora ne ho diciassette e questo è il mio ultimo anno prima dell’università. >> Lisa sospirò con fare materno.
<< La mia piccola e dolce Abby sta diventando grande! Hai già scelto dove vuoi andare all’università? >>
Avevo scelto già alle scuole medie in quale università sarei andata ma al momento mi sembrava una scelta così irrilevante e infantile, non sapevo se aveva ancora importanza o meno.
<< Università di Chicago, vorrei studiare scienze sociali o diritto e poi Chicago è sempre stata il mio sogno più grande. >>
<< Quindi la città del vento è la vincitrice! Non vai poi così lontano da casa, io già t’immaginavo a New York o sulla costa Californiana! Ti ho sempre vista come una ragazza in fuga ma a quanto pare non lo sei poi così tanto. >>
Non sai quanto ti sbagli!
<< Tu invece più vicina di così non ci potevi stare! Sai dove vuole andare Lucas? Mi ha sempre detto di essere indeciso ma un’idea ce la deve avere, no? >>
Il sorriso di Lisa si smorzò un poco.
<< Università Internazionale della Florida, vuole diventare un’insegnante da quando aveva cinque anni. Mi spiace che tu lo venga a sapere così ma sono sicura che non te l’ha mai detto per paura che tu abbandonassi i tuoi sogni per poter frequentare la stessa università o almeno vivere nella stessa città.  Lo dovevi pur sapere che il suo sogno è vivere in una villa a South Beach! >>
Sì che lo sapevo.
È solo che l’avevo sempre visto come un sogno da “Quando avremo finito il college e ci saremo fatti una bella famiglia”!
Non feci in tempo a ribattere perché il mio cellulare iniziò a vibrare nella tasca dei jeans, guardai lo schermo: “Alan”.
<< Scusa Lisa, devo rispondere. >> Uscii dalla stanza e mi chiusi in bagno.
<< Alan, stai bene? Non è successo nulla, vero? >>
<< Sto bene, Abby. Non preoccuparti. >> Tirai un sospiro di sollievo.
<< Mio padre ha detto di chiamarvi tutti e di dirvi di venire qui domani mattina invece di andare a scuola, ha qualcosa da dirci. >>
<< Domani è sabato, io non ho nessuna attività extrascolastica. Per me non è un problema, penso che Cara e Nick abbiano allenamento ma dubito che sia più importante di quello che vuole dirci tuo padre. >>
<< Lo penso anch’io. Sembrava molto preoccupato quando me ne ha parlato, dev’essere qualcosa di grosso. >>
Finalmente sapremo tutta la verità su questa storia!
<< Grazie per aver chiamato. >> Mi sembrò quasi di poterlo veder sorridere dall’altra parte della linea quando rispose:
<< Grazie a te, Abby. >>
Riattaccai.
Sentii i passi di Lucas che risaliva le scale.
<< Mi ha chiamato Alan. >> Uscii dal bagno e me lo trovai di fronte con un’espressione preoccupata e delusa che non avevo mai visto su di lui.
<< Sì, ha chiamato anche me. >> Ci fissammo in silenzio per qualche minuto.
<< È vero che vuoi andare a studiare a Miami? >> Non sapevo nemmeno io perché avevo tirato fuori quel discorso.
<< Sì. >>
<< E perché non me l’hai mai detto? >> Uno sguardo pieno di dolcezza gli distese i lineamenti facendolo tornare il Lucas di sempre.
<< Perché tu vuoi andare a Chicago e non volevo che sapessimo fin dal primo anno di medie che ci saremmo dovuti separare. >> Gli occhi mi diventarono umidi ma non avevo nessuna intenzione di mettermi a piangere per una cosa del genere, avevo versato fin troppe lacrime negli ultimi giorni.
<< Sei il migliore amico che potessi mai incontrare, lo sai ? >> Lucas mi strinse tra le sue braccia e il profumo del suo dopobarba mi avvolse come a voler restare impresso sulla mia pelle per sempre.
<< Lo so. >>
 
Non chiusi occhio per tutta la notte, avevo continuato a rigirarmi nel letto nella vana speranza che il sonno prima o poi mi avrebbe raggiunto ma non era stato così. Alle sette mi ero già alzata, vestita e camminavo irrequieta avanti e indietro per la stanza, così decisi di scendere a fare colazione e trovai Lucas seduto al tavolo della cucina con in mano una tazza di latte e cereali.
<< Svegliata presto? >> Chiese con la bocca ancora mezza piena.
<< Mai addormentata, a dire il vero. >> Risposi, mentre riempivo una seconda tazza per me.
<< Nemmeno io se la cosa può consolarti. >> Mangiammo in silenzio per un po’.
<< E se iniziassimo ad incamminarci? Tanto non abbiamo niente di meglio da fare. >> Lucas appoggiò la tazza, ora vuota, nel lavandino. Io lo imitai, m’infilai la giacca e lo seguii fuori.
Arrivati a metà della via in cui abitava si fermò di colpo.
<< Ho dimenticato a casa il cellulare! Che idiota! Aspettami, torno subito. >> Così dicendo corse verso casa e scomparve dalla mia vista. Mi strofinai le mani sulle braccia: faceva veramente freddo quella mattina!
<< Forse ti servirebbe una giacca più pesante. >> La voce alle mie spalle mi fece trasalire. Mi voltai di scatto, spaventata, ma appena vidi di chi si trattava mi rilassai un pochino.
Era Nicholas.
<< Già, sono una ragazza davvero stupida ogni tanto. >> Lui sorrise debolmente.
<< È solo che pensi di poter sconfiggere il mondo con la sola forza di volontà. Non è stupidità, è determinazione. >> Sorrisi di rimando a quell’affermazione.
La via più semplice per raggiungere il mio cuore.
<< Tu ti arrendi troppo facilmente, pensi sempre che gli altri siano migliori di te e che non ci sia nulla da fare a riguardo ma non è vero! Per me sei tu il migliore, sempre. >> Sentivo le lacrime che si avvicinavano ma avevo promesso a me stessa di non piangere più.
<< E tu sei la migliore per me. >> Mi ero davvero sforzata ma non potevo farci niente, le sentivo scorrere sulle guancie e non c’era modo di fermarle.
Per una volta, però, si trattava di lacrime di gioia.
Nicholas si avvicinò e con la mano, delicatamente, le asciugò.
<< Basta piangere. >> Chinò la testa verso di me e io mi alzai in punta di piedi per raggiungerlo. Quando le nostre labbra si sfiorarono scattò qualcosa dentro di me, tutto quello che fino a un attimo prima sembrava non poter andare peggio di così assunse immediatamente un aspetto migliore. Il mondo intero sembrò raddrizzarsi e tutto tornò al suo posto come se la mia vita non fosse mai finita sottosopra.
<< Ti amo, Abby. Mi dispiace così tanto. >> Lo strinsi un po’ più forte a me.
<< Anch’io ti amo. >> Sussurrai.
Dei passi sulla strada mi fecero separare da lui.
Mi voltai per incontrare il volto sorridente ed evidentemente soddisfatto di Lucas che si avvicinava.
<< E così i due piccioncini hanno fatto pace! >> Esclamò tutto contento quando ci raggiunse.
<< E io scommetto che è stato tutto un tuo piano, vero? >> Risposi fingendo di essere seria e anche un po’ scocciata.
<< Modestamente! >> Scoppiammo tutti e tre a ridere ma il momento di gioia durò poco. La rivelazione di Chris prese di nuovo il monopolio dei miei pensieri e gli altri parvero notarlo.
<< Forse è il caso di sbrigarsi. >> Suggerì Nicholas. Io e Lucas annuimmo in contemporanea prima di dirigerci verso la 6th Street.
 
 Quando arrivammo a casa di Chris, Alan ci fece entrare. Suo padre era seduto sulla stessa poltrona dell’altra volta mentre Cara ed Ethan si erano già accomodati sul divano. Lucas occupò l’ultimo posto rimasto accanto a Cara e Alan andò in cucina a prendere delle sedie per lui, me e Nicholas.
Quando ognuno ebbe preso posto nella sala calò un silenzio surreale, stavamo tutti aspettando che Chris ci spiegasse il motivo per cui ci trovavamo lì.
<< Come avrete capito, la scorsa volta non vi ho raccontato tutto. Ho omesso una parte, probabilmente la più importante, perché non volevo sconvolgere le vostre vite più di quanto fosse necessario ma dopo i recenti avvenimenti è chiaro che lo sia. >> Non guardava niente all’infuori delle sue scarpe e la sua voce aveva quel tipico tono che si usa per ricordare una persona amata che non c’è più. Sapevo che non aveva raccontato tutta la storia, c’era una parte della lettera che non mi tornava. Mio padre diceva di aver dato qualcosa a Chris perché era la volontà di mia madre poco prima di morire. Diceva anche di essersi tenuto qualcosa però.
Non riuscivo a capire era come se stesse parlando di …
<< Vi ho già detto che io e Alexis non smettemmo di vederci nonostante il suo matrimonio ma la parte che ancora non conoscete riguarda il dopo … quando rimase incinta. >>
Oddio!
<< Morì poco dopo il parto ma non prima di aver confessato la verità a suo marito: i figli non erano suoi. >>
I figli? Due gemelli?
Fu come precipitare da una rupe per chilometri e chilometri: volevo che l’angoscia della caduta finisse, volevo sentire lo schianto.
<>
Alan è mio fratello!
Alan è mio fratello gemello!
OH MIO DIO!
Staccai gli occhi da Chris, non mi aveva guardata neanche per un secondo mentre parlava, e li spostai su Alan.
Mi stava fissando con lo stesso vuoto e la stessa disperazione negli occhi che dovevo avere io. Anzi, probabilmente con molta più disperazione. Lui mi amava, non si può amare in quel modo la propria sorella.
E nonostante tutto mi sentii sollevata: anche se avevo fatto la mia scelta, pur facile che fosse, non ero più costretta a stare nel mezzo della contesa per il mio amore.
Ero libera dall’amore di Alan perché era sbagliato.
Lui distolse lo sguardo.
Nessuno degli altri sembrava voler dire qualcosa, forse perché non c’era niente da dire.
Poi, nel silenzio più totale, Lucas scoppiò a ridere.
Ricevette parecchie occhiate perplesse e uno sguardo della serie “piantala-o-ti-ammazzo” da Cara, questo solo perché loro non sapevano quello che sapeva lui. Quando realizzai perché stava ridendo avrei voluto sprofondare e sicuramente le mie guancie andarono a fuoco in un istante.
Ho baciato mio fratello!
Vidi Alan reagire nella stessa maniera quando, guardandomi, ne comprese anche lui il motivo.
Lucas si schiarì la voce un paio di volte cercando di soffocare le risa.
<< Scusatemi … è che … come dire … è davvero una situazione incredibile … cioè … è quasi da sitcom, sembra di stare in un episodio di Beautiful! >> Cara lo colpì in pieno con una gomitata zittendolo definitivamente e nel contempo sfoggiò uno dei suoi sorrisi più innocenti a Chris come a voler dire “Lo perdoni per la sua ignoranza, non sa di cosa sta parlando!”.
Ethan, dal canto suo, sembrava quasi troppo tranquillo per aver appena scoperto che suo padre, oltre che un ubriacone semi-drogato, era anche un ex-trafficante e spacciatore nonché un assassino. Cara mi aveva chiamato dicendomi che sarebbe passata da lui per spiegargli, per filo e per segno, tutta la vicenda ma questa più che sconvolgerlo sembrava aver dato un senso a tutto ciò che era successo nella sua vita.
Per Ethan era perfettamente sensato, non che dovesse importargliene qualcosa del fatto che Alan e io fossimo gemelli, ma invidiavo profondamente l’espressione calma e rilassata che stava sfoggiando.
Nicholas mi strinse la mano e l’accarezzò dolcemente nel tentativo di tranquillizzarmi.
Tentava di mostrarsi sorpreso e dispiaciuto, probabilmente per essere carino nei miei confronti, ma io lo leggevo nei suoi occhi che era contento, per lo stesso motivo che mi aveva fatta sentire sollevata sollevata. Sembrava quasi che un enorme macigno gli fosse stato tolto dal cuore.
Strinsi la sua mano a mia volta.
<< Mi dispiace di avervelo tenuto nascosto, non pensavo che John sarebbe arrivato a tanto. Questa città non è più sicura per voi, non che lo fosse mai stata ma ora non potete più restare, lo capite? Dove andarvene, subito! >>
Andarcene? E dove? Come?
<< Che fai? Ce lo offri tu il viaggio-vacanza per sfuggire ai cattivi? >> Chiese Ethan sogghignando.
Chris non rispose alla provocazione, era più serio che mai.
Era terrorizzato almeno quanto lo eravamo noi.
<< Posso darvi un po’ di soldi, per partire almeno. Andate il più lontano possibile. Non ditemi dove, non scrivetemi, pensate solo a fuggire. >> Alan scattò in piedi facendo rovesciare la sedia.
<< E tu? Pensi che John ti lascerà stare? >> Aveva il respiro pesante, come se avesse corso per miglia e miglia senza mai fermarsi a riposare.
Come se fosse inseguito da qualcosa di terribile.
Come se stesse già scappando.
<< John mi ha tenuto buono per anni con le sue minacce, è convinto di avermi in pugno solo perché gli ho sempre lasciato fare quello che voleva. Se gli dirò che non so dove siete ma che credo di sapere perché siete scappati, se fingerò di collaborare, lui mi crederà. >>
Il silenzio calò di nuovo.
<< I miei genitori sono ricchi, siamo pieni di soldi che non usiamo e credo che, per aver sopportato mia madre in questi ultimi diciassette anni, una vacanza me la sia meritata. >> Cara continuò a fissare intensamente i suoi nuovi stivaletti anche dopo aver finito di parlare, non l’avevo mai vista così a disagio.
Avrei tanto voluto dire qualcosa per consolarla ma avevo l’impressione che l’avrebbe solo fatta stare peggio, così rimasi zitta.
<< Allora è deciso! >> Chris cercava di sorridere, di sembrare allegro ma nessuno di noi lo era.
In una situazione del genere restava spazio per una cosa sola.
Paura.
 

Pov Cara
 
Li avevo lasciati tutti a casa di Chris: stavano discutendo su che mezzo di trasporto fosse meglio usare, in che tipo di luogo avremmo dovuto nasconderci, sul fatto che fosse indispensabile disfarci dei cellulari.
Quando uscii, Chris stava ripetendo per l’ennesima volta che non dovevamo contattarlo, per nessuna ragione.
Per le strade non incrociai persone che mi fossero famigliari o che potessero presentarsi alla porta di casa esordendo con “Ho incrociato vostra figlia per strada, pensavo avesse gli allenamenti di cheerleader il sabato mattina?!”.
Raggiunsi casa e mi fermai davanti al portone d’ingresso, guardai l’orologio, erano quasi le dieci e mezza. Calcolai mentalmente che mia madre doveva già essere uscita, la sua boutique era aperta anche il sabato sebbene con orario ridotto, e non sarebbe tornata prima delle tre di pomeriggio.
Entrai.
Mi diressi verso lo studio di mio padre dove sapevo che, dietro la copia di uno dei tanti dipinti di Degas sulle ballerine, si trovava la cassaforte con i soldi per le “emergenze da contanti” come le chiamava lui. Feci scorrere il pannello sul quale si trovava il quadro e iniziai a girare la manopola per la combinazione.
250590.
La data del matrimonio.
Probabilmente è l’unico uomo al mondo che riesce a ricordarla!
Mia madre è già tanto se sa di essersi sposata nel ’90 o che era il mese di maggio!
Presi tutti i soldi che c’erano all’interno, quasi tremila dollari, e gli infilai nella borsa.
Richiusi tutto e  mi preparai ad uscire per tornare dagli altri quando andai a sbattere contro mio padre che arrivava dalla cucina con in mano una tazza fumante di caffè.
Non si rovesciò per un pelo.
Oh cazzo! Mi sono completamente scordata che lui lavora a casa ora!
<< Che ci fai qui, tesoro? Pensavo avessi l’allenamento il sabato mattina! >>
Trova una scusa, trova una scusa, trova una scusa!
<< Già, mi sono scordata che oggi dovevamo portare indietro la vecchia divisa, sai com’è ogni tanto la rinnoviamo. Questa ormai è passata di moda da un pezzo! >> Cercai di ridere per sembrare un po’ più credibile. Le divise si cambiano ogni anno ad agosto ma dubitavo che mio padre potesse anche solo lontanamente immaginarlo.
<< Ah. Ok. Ci vediamo questa sera allora. Faccio gli hamburger quindi vedi di non arrivare in ritardo o li finirò tutti io! >> Si stava sforzando veramente per essere un padre migliore, più presente, più simpatico, più interessato.
Più di quanto mia madre fosse mai stata.
Mi sarebbe piaciuto essere una figlia all’altezza delle sue aspettative ma, per certi versi, erano quasi più alte di quelle di Rebecca.
<< Certo! Ci sarò. >> La maschera di porcellana, la più popolare del liceo, la capo cheerleader, la ragazza che non ha un solo problema nella vita.
Quella che vedeva ora mio padre e che gli stava promettendo di tornare presto per cena era la figlia che mia madre aveva sempre sognato: bella, alta, ricca, bionda con gli occhi azzurri, popolare, vestita all’ultima moda e piena di amici.
La verità, però, era ben diversa.
La vera Cara Williams stava rubandogli i soldi da sotto il naso per scappare.
La vera Cara gli aveva appena mentito sul perché si trovasse a casa quando doveva essere sul campo da football della scuola.
La vera me non sarebbe tornata a casa per cena.
Vincent sorrise, rassicurato, ed entrando nel suo studio si chiuse la porta alle spalle.
Mentre facevo la strada a ritroso verso casa di Chris, con i soldi per la nostra fuga nella borsa e il ticchettio degli stivaletti nuovi sull’asfalto, una sola immagine occupava la mia mente: mio padre, seduto in cucina, a mangiare hamburger da solo perché sua moglie non riteneva nessuno alla sua altezza e questo la riempiva di emicranie e malumore; e perché la sua unica figlia, che in quel momento si trovava in viaggio per chissà quale Stato americano, era davvero pessima nell’essere tale.


Spazio Autrice

Eccoci qui! Allora, come aticipato ad alcune lettrici in questo capitolo c'è stata la rivelazione su cui si è basata l'intera idea della storia.

Ebbene sì! Abby e Alan sono gemelli e sono i figli di Alexis e Chris!
Devo dire che è una parte che mi preoccupava parecchio perché volevo lasciarvelo intuire senza però renderlo troppo ovvio, ci sono riuscita? Fatemelo sapere!
Credo di aver lasciato parecchi indizzi in giro: prima tra tutte la lettera che parla di "cose" in modo umano (la chiama "lei") e parla di una verità confessata da Alexis di cui Chris non dice nulla ai ragazzi; il padre di Alan che gli dice di lasciar perdere Abby (perché non siamo nel Trono di Spade e loro non sono Cersei e Jaime Lannister); Alan e Abby hanno particamente gli occhi identici e viene detto più volte che Abby è uguale alla madre di conseguenza quelli sono gli occhi di Alexis; entrambi hanno perso la madre e nessuno a mai parlato loro di lei; Chris e Alexis hanno continuato a vedersi (che pensavate facessero assieme? Partite a scacchi?); ecc.
Perciò spero che non sia una notizia troppo scioccante, della serie "Non me lo sarei mai aspettato!" ma più una cosa da "Allora avevo effettivamente ragione! Ma sono un genio!"

Con questo è tutto, vi lascio.

P.S.
Ho un paio di immagini per voi:
1) Il quadro a casa di Cara è questo 

2) Gli stivaletti che Cara indossava in questo e nel precedente capitolo sono più o meno come questi


Alla prossima,
Gil :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Un posto introvabile ***


Capitolo 11 – Un posto introvabile

Perdersi è l’unico modo
 per trovare un posto che sia introvabile,
 altrimenti tutti saprebbero dove trovarlo.


Pov Cara

<< Dovremmo lasciare l’America, potremmo andare in Italia o in Francia. Visitare Parigi è sulla mia lista di cose da fare prima di morire! >>
<< Lucas! Non è una fuga definitiva! Dobbiamo andarcene fino a quando non avremo escogitato un piano per archiviare la faccenda “John tiene in pugno la città intera”e basta. >> Abby, nonostante fosse quella a rischiare di più era anche la più riluttante ad andarsene. Lei non voleva lasciare la sua nazione, non aveva mai desiderato visitare l’Europa.
Il suo sogno era sempre stato l’America, solo un po’ più a est di dove si trovava ora.
Da quando ero tornata non facevamo che discutere della destinazione definitiva del nostro viaggio mentre Chris era andato a far rifornimento di provviste, sostenendo che la sua vasta conoscenza sugli uomini di John l’avrebbe aiutato a non farlo insospettire.
Eravamo stati attenti a non farci seguire, nessuno sapeva che al momento alloggiavamo da Chris.
<< Potremmo andare verso la costa orientale. Lì è pieno di grandi città, sarà difficile trovarci. >> Nicholas non aveva tutti i torti ma, quando dei ragazzi cresciuti in piccole città scappano, i primi posti che fai controllare sono le metropoli.
<< Secondo me invece dovremmo andare sulla costa opposta, almeno ci divertiamo un po’. Finché dura s’intende! >> Ethan ci stava mettendo l’impegno di un lombrico morto. Non poteva importargli meno di così.
Voleva solo scappare di casa e divertirsi.
Che idiota!
<< Dovremmo rintanarci in un paesino sperduto nel nulla. Uno di quelli che se ci finisci lo fai per caso non certo per tua scelta. >> La discussione s’interrupe di colpo. Fino a quel momento non avevo partecipato molto attentamente perciò rimasero tutti stupiti dalla mia proposta.
Tutti tranne Alan.
Era rimasto zitto anche lui, gli occhi rivolti verso la porta, in attesa che suo padre tornasse.
Fissò il suo sguardo ambrato su di me per qualche secondo poi parlò:
<< Cara ha ragione. >> Una frase. Tre parole.
Nel giro di due secondi Alan Gray aveva guadagnato tutta la stima che potevo riservare ad una persona. Era proprio il fratello di Abby.
<< Come volete voi. >> Rispose Lucas con un inchino che fece scoppiare a ridere tutti quanti.
Ethan sbuffò.
<< Già che ci siamo perché non scegliamo anche uno stato con un nome impronunciabile e che si trova al centro del nulla! Come il Wyoming o lo Utah, ad esempio. >> Un piccolo sogghigno gli attraversò il volto.
Sorrisi di rimando prima di dargli il colpo di grazia.
<< Mi sembra un’ottima idea. >> Gli altri annuirono, Lucas si mise a cercare su internet il paese che faceva al caso nostro e Abby a comprare i biglietti del treno fino a Denver, in Colorado.

Quando Chris rientrò con la spesa eravamo pronti a partire.
Nelle borse mie e di Abby vennero messe provviste e soldi.
Negli zaini dei ragazzi: cellulari usa e getta in caso di necessità, torce elettriche, accendini e fiammiferi a volontà e infine tre tende nel caso ci fossero servite per dare meno nell’occhio. Il treno partiva dalla stazione di Lincoln e se avessimo preso tutti lo stesso autobus per andare in città la cosa avrebbe fatto nascere dei sospetti perciò avevamo deciso di dividerci.
Abby, Nicholas e Lucas l’avrebbero raggiunta in macchina con Lisa, a quanto pareva la sorella maggiore doveva tornare all’università e così si sarebbero fatti dare uno strappo. Alan avrebbe preso il preso il primo autobus disponibile. Io ed Ethan saremmo partiti assieme nel pomeriggio con suo fratello Jess.
Su quel punto era stato irremovibile: o con Jess o niente.
Sentivo l’ansia annidarsi nel mio stomaco; c’erano troppe cose nel nostro piano che avrebbero potuto andare storte, troppe varianti instabili.
Per esempio non mi capacitavo di come Chris fosse riuscito a comprare tutta quella roba senza che John lo sapesse o come noi potevamo essere sicuri che non ci avessero seguito.
Un orribile immagine mi attraversò la mente: John che ci lasciava credere di esserci riusciti, di essere salvi per poi tirare i fili e farci comprendere che ci trovavamo proprio nel mezzo della sua rete.
A quel punto non avremmo potuto più fuggire.

Abby e gli altri erano tornati a casa di Lucas, probabilmente erano già in viaggio. Alan stava per uscire e la cosa preoccupava non poco suo padre.
Sentivo la voce di Chris che dal corridoio arrivava fievole fino in sala.
Perlopiù erano raccomandazioni, nulla di veramente interessante, ma in vita mia nessuno mi aveva mai detto “Fai attenzione” o “Non dar retta agli sconosciuti” oppure “Non bere troppo”.
Chris sembrava un duro eppure si poteva capire lontano un miglio che era fondamentalmente una persona molto buona.
Sentii la porta chiudersi e i passi di Chris che si avvicinavano.
Avrei dovuto passare le seguenti quattro ore con McSenzaCervello e IlPadreInApprensione.
Dio, ti prego, fa che Jess sia un ragazzino simpatico!
In quel momento bussarono alla porta, il rumore di passi si interruppe per poi tornare ad allontanarsi.
Mi misi in ascolto.
<< Buongiorno. Mio fratello ha chiamato per dirmi di venire qui. >> La sua voce era simile a quella di Ethan solo un po’ più infantile. Il tono invece non aveva neanche una briciola della strafottenza del fratello, era molto più serio.
Jess era molto più adulto di quanto Ethan fosse mai stato.
<< Tu devi essere Jess! Tu fratello ti aspetta in soggiorno, prima porta sulla destra. Fa come se fossi a casa tua. >>
Il suono di piedi che calpestano il pavimento aumentò man mano che i due si avvicinarono.
Non era passata neanche una settimana dalla prima volta che l’avevo visto ma la somiglianza con suo fratello mi sorprese nuovamente appena Jess entrò nella sala.
Si guardò in giro per qualche secondo poi posò gli occhi su di me.
<< Tu sei quella che mi fissava lunedì mattina. Cara Williams, vero? >>
Smisi di respirare per qualche secondo.
Come fa a conoscere il mio nome? Mi ha vista solo una volta in tutta la sua vita!
<< Mi fratello parla spesso di te, ultimamente almeno. >> Non si era minimamente scomposto, la sua voce era rimasta ferma e calma come se stesse parlando del tempo o di cosa aveva guardato in tv la sera prima.
<< Jess! >> I due fratelli si guardarono in silenzio per quello che mi parve un secolo poi Jess scrollò le spalle e andò a sedersi vicino a Ethan.
<< Come vuoi ma penso di averti già detto che i problemi non si risolvono da soli. >>
Ethan parve arrossire ma quasi sicuramente si trattava solo della mia immaginazione anche perché non riuscivo proprio a capire a cosa Jess si stesse riferendo.
Sbuffai stiracchiandomi sullo schienale del divano.
Non vedevo l’ora di prendere quel dannato autobus.

Pov Ethan

Quasi non riuscivo a credere che ce l’avessimo fatta. Quando io, Jess e Cara scendemmo alla fermata della Lincoln Station gli altri erano già tutti lì ad aspettarci.
<< Il treno parte fra dieci minuti, sarà meglio sbrigarci. >> Abby sembrava molto agitata, il che era comprensibile visto quello che stava succedendo.
John doveva essere proprio uno stronzo.
Io li sapevo riconoscere.
Ero un vero esperto del settore.
I nostri posti sul treno erano tutti vicini, quattro sul lato destro e tre sul sinistro.
Da una parte sedevano Nicholas e Abby. Si tenevano stretti l’uno all’altra e lui le faceva scivolare lentamente il pollice sul dorso della mano per tranquillizzarla.
Sul lato opposto si erano accomodati Alan e Cara. Lui teneva la testa appoggiata al finestrino guardando distrattamente il paesaggio all’esterno, sembrava perso in un intricato labirinto di pensieri. Cara invece aveva afferrato la prima rivista a disposizione e la stava sfogliando con attenzione maniacale, chissà che ci trovava d’interessante! Per me la moda era l’esempio per eccellenza della vanità femminile.
I suoi occhi azzurri si staccarono dalle pagine patinate e si fissarono su di me con sdegno.
Distolsi lo sguardo finendo per incrociare quello di Lucas che si era seduto nel posto davanti al mio.
Lui fece scivolare rapido gli occhi da me a Cara per poi soffermarli ancora nella mia direzione mentre quello che sembrava un sorriso soddisfatto gli si stampava sul viso. Jess si lasciò cadere proprio in quel momento al mio fianco con un sonoro sbuffo.
<< Non credi sia ora di spiegarmi dove stiamo andando e perché? >> Era serio come al solito ma io ero suo fratello, lo conoscevo abbastanza bene da poter affermare con assoluta certezza che si stava cagando sotto.
<< In una riserva naturale nello Utah. Ci sono alcune persone che vogliono fare del male ad Abby e a suo fratello e di riflesso anche a noi perché li abbiamo protetti. >> Jess si accigliò.
<< Io non ho protetto nessuno. Non potevo starmene a casa? >>
Ma perché questo ragazzino è nato così intelligente?
<< Se io non ci sono significa che tu e papà siete soli a casa e questo è assolutamente fuori discussione. >> Jess sapeva per esperienza che quando tiravo in ballo nostro padre in un discorso era meglio non contraddirmi.
Infatti non lo fece.
Estrasse una penna e un quaderno dal suo zaino e si mise a scrivere.
<< Hey, Jess! Che fai di bello? >> Sorrideva.
Probabilmente Lucas voleva solo essere gentile. Voleva sentirsi rispondere “Disegno” oppure “Scrivo una storia”. Come tutte le persone gentili voleva una risposta semplice per poi poter ribattere con un “Bravo! Fai bene”.
Jess odiava le risposte semplici perché derivavano da domande semplici le quali, secondo lui, servivano solo a dimostrare un basso livello di conoscenza.
<< Se proprio devo fare questo viaggio, che durerà almeno una giornata intera, è meglio che io non resti troppo indietro con i compiti. Non voglio ritrovarmi allo stesso livello di quelli della mia classe una volta ritornato. >> Lucas tornò serio e senza aggiungere una parola volse lo sguardo fuori dal finestrino. Per ore non vedemmo che il paesaggio scorrere così velocemente da non poter essere osservato e la matita di Jess che si muoveva rapida sui fogli a quadretti.

Il vagone ristorante disponeva anche di un bar e, come ogni bar che si rispetti, quest’ultimo vendeva birra. Non mi restava che assumere un aria matura, da vero uomo di mondo, per convincerli che avevo sicuramente più di ventun anni e che non era necessario chiedermi la carta d’identità. Stavo giusto per sorridere alla barista di turno e comandare da bere quando la voce di Lucas mi fece sobbalzare.
<< Allora era qui che stavi andando. >> Aveva quel suo solito mezzo sorriso odioso. Come facevano i suoi amici a sopportarlo? Sorrisi a mia volta facendo trasparire tutto il sarcasmo di cui ero capace.
<< Vuoi comprarti da bere? Lascia perdere. Il viaggio è ancora lungo, non vorrai fartelo tutto da ubriaco! >> Il silenzio che seguì fu piuttosto imbarazzante. Di cosa si parla con una persona con cui, per la maggior parte della vita, non hai scambiato che insulti?
Il silenzio continuava.
<< E se ci sedessimo? >> Propose lui.
Annuii lievemente con la testa e prendemmo posto in un tavolino nell’angolo più remoto del vagone.
<< Visto che saremo obbligati a stare assieme per un periodo abbastanza lungo, almeno per me, forse è il caso di conoscerci meglio e di … andare d’accordo. Non pensi? >> Altro silenzio imbarazzante.
<< Va bene. Dimmi qualcosa che ancora non so di te Parker. >> Fu l’inferno.
Per un buon quarto d’ora non fece che parlarmi della sua famiglia, di quanto fossero felici e fortunati e così maledettamente noiosi.
Sbadigliai.
<< Sì, sì, tutto molto bello. Quello che intendevo però era: dimmi qualcosa di segreto e presumibilmente interessante che ancora non so di te. >> Lucas parve rabbuiarsi.
Tutti hanno un segreto, perfino il più perfetto fra noi.
Quello che Lucas Parker ancora non sapeva era che io, al suo, ci ero già arrivato.
<< Ecco, non credo ci sia nulla di così particolarmente eccitante nella mia vita che valga la pena essere raccontato. >>
Era bravo.
Questo bisognava ammetterlo.
Per sua sfortuna non abbastanza bravo per me, potevo sentire la puzza della sua bugia anche a chilometri di distanza.
<< Guarda che l’ho capito. >> Lucas spostò con delicatezza un ciuffo di capelli dalla fronte e le sue mani tremarono.
<< Capito cosa? >>
Sorrisi.
Avevo vinto.
<< Che sei gay. >> Per un attimo fu come se Lucas si fosse tramutato in una statua, la sua immobilità era pressoché perfetta. Il terrore nei suoi occhi era tale da farmi quasi dispiacere di aver tirato fuori l’argomento ma ormai era troppo tardi.
Il momento passò.
<< Posso chiederti cosa te lo ha fatto capire? >>
<< Forse non hai mai prestato attenzione al tuo riflesso nello specchio ma ti assicuro che, nella nostra scuola almeno, tu sei in assoluto il ragazzo più bello. Quando cammini nei corridoi tutte ti lanciano occhiatine, alcune sono così discrete che devi essere un buon osservatore per notarlo ma altre sono così palesi che davvero non riesco a credere che tu non ci abbia mai fatto caso e questo mi ha portato alla prima conclusione: tu non guardi mai le ragazze. >>
Sogghignai alla sua espressione sconvolta e ammirata prima di continuare.
<< All’inizio di quest’anno Cara ti ha fatto una dichiarazione davanti all’intero corpo studentesco. Ora, io non so cosa vi siete detti dopo ma da come vanno le cose fra voi direi che non state assieme e che tu non gli piaci più. Ci sono solo due possibili ragioni per rifiutare la ragazza più popolare della scuola, quella che almeno una volta nella vita tutti hanno sognato di portarsi a letto: o sei il più grande coglione che sia mai esistito oppure sei gay. >>
<< E com’è che non hai scelto la prima opzione? >> Ora stava di nuovo sorridendo.
<< Uno che è in grado di catalogare da solo i libri della nostra biblioteca scolastica non può essere così stupido. >> Scoppiammo entrambi a ridere.
Alla fine dei conti forse Lucas non era poi così male.
Feci per alzarmi e tornare al mio posto per controllare come stava Jess ma lui mi afferrò per la manica e mi rimise a sedere.
<< Anch’io l’ho capito, sai? >> Sorrideva divertito come se quella che stava per dirmi fosse la miglior battuta di sempre.
Come se stesse per dare scacco matto.
<< Cosa? >>
Non volevo chiederlo ma al tempo stesso bruciavo di curiosità al solo pensiero.
<< Che tu sei innamorato di Cara. >> Scossi la testa e mi misi a ridere.
Io non ero innamorato di Cara Williams.
Va bene, lo ammetto, la trovavo dannatamente sexy ma chi nella nostra scuola non l’aveva mai pensato? Dal volerla scopare all’essere innamorati la differenza era enorme.
Praticamente un abisso.
Lucas non aveva minimamente cambiato espressione.
<< Ok, sentiamo le tue motivazioni. >>
<< Ultimamente non la tratti più male, non la insulti come prima, anzi, è capitato che le facessi addirittura dei complimenti. Hai appena detto che se fossi stato etero sarei stato un idiota a non mettermi con lei e che è la ragazza più bella della scuola. Tu la rispetti, l’ammiri, la trovi bella e la guardi ogni volta che pensi che nessuno stia guardando te ma io ti ho visto. Ho visto lo sguardo che hai ogni volta che ce l’hai davanti, ho visto quella stessa luce che illumina gli occhi di Abby e Nicholas nei tuoi. Io ho visto il tuo amore Ethan e tu non puoi più nasconderlo. >>
Dannati gay sdolcinati!
<< Ti sbagli. >> Mi alzai di scatto e Lucas mi imitò con più lentezza e classe.
<< Allora provamelo. >>
<< Come? >>
<< Baciala. >>
<< Cosa?! >>
Il senso del suo discorso cominciava a sfuggirmi.
<< Se lei non ti piace non dovresti avere problemi a baciarla d’altronde l’hai fatto con un sacco di ragazze che volevi solo portarti a letto. Se davvero di lei non t’importa niente non dovrebbe neanche importarti in che circostanze la baci per la prima volta o se anche a lei va di baciarti, ti pare? >> Lucas scivolò fuori dal vagone ristorante senza aggiungere una parola, il suo mezzo sorriso ben fisso sulle labbra.
Baciala.
Io volevo baciare Cara Williams, questo sì, ma volevo farlo in quel modo?

Pov Abby

Da Denver avevamo preso un altro treno e dopo quello tre autobus diversi.
Il viaggio stava quasi per finire.
Nelle ultime ventisette ore non avevo chiuso occhio, avrei dovuto essere stravolta invece non mi sentivo neanche stanca.
Non sentivo nulla, come se il mio corpo fosse stato completamente anestetizzato.
L’ennesimo scossone mi fece sobbalzare. La strada era così piena di buche e avvallamenti che era un miracolo se per un minuto riuscivi a stare seduta e ferma senza venir sbalzata dove capitava o sbattere contro il tuo vicino di posto.
Finalmente l’autobus si fermò.
<< Hey voi! Dovevate scendere ad Antimony, giusto? Siamo arrivati. >> L’autista, un uomo più largo che alto con un’ispida barba poco curata e due occhi così grandi da risultare inquietanti, ci aveva promesso di avvertirci quando fossimo arrivati a destinazione. Nell’attimo in cui aveva spalancato la bocca per urlare stavo giusto guardando nella sua direzione e, visto il suo aspetto e il modo strano in cui le sue guancie si erano gonfiate per prendere aria, l’immagine che si formò nella mia mente fu quella di un enorme rospo bitorzoluto che guidava.
Mi sfuggì una risata che fermai immediatamente con evidente sforzo.
Mentre ci apprestavamo a scendere, nel momento in cui gli passai accanto, una zaffata di fetida puzza di sudore mi arrivò alle narici facendomi storcere il naso.
L’uomo-rana era davvero disgustoso, per fortuna non avrei più dovuto rivederlo.
Il bus ripartì lasciandosi dietro una scia di polvere e, potevo benissimo giurarlo, l’odore dell’acqua stagnante.
Mi guardai attorno: campi coltivati sulla destra; prati e distese secche sulla sinistra; lungo la strada dismessa c’era qualche casa qua e là ma a parte questo non avresti mai creduto di trovarti in un centro abitato.
Antimony.
Finalmente eravamo arrivati nel mezzo del nulla.
Era una cittadina di centoventidue abitanti situata in mezzo ad un parco nazionale, le persone ci andavano solo per fare escursioni e vedere i fuochi d’artificio del quattro luglio.
Era piccola e anonima, proprio come me.
<< Bel posto del cazzo che abbiamo scelto! >> Sbraitò Ethan.
Il suo commento fu seguito da un gemito di dolore a causa del cazzotto che Cara gli aveva tirato, infuriata,  sulla spalla.
Sospirai divertita.
L’aria fredda e pungente mi colpì il viso facendomi lacrimare anche se, per la prima volta in quella lunga e difficile settimana, volevo fare tutto tranne che piangere.
Decisi quindi di pensare a loro come lacrime di gioia e liberazione invece che di tristezza.
Chiusi gli occhi e le sentii scendere a rigarmi il viso sorridente poi presi un bel respiro prima di esclamare a gran voce:
<< È perfetta. >>



Spazio Autrice

Finalmente il capitolo è finito!
Questa volta è stato davvero un parto lungo e difficile! Tra la scuola che mi sta uccidendo e il mio computer che mi sta abbandonando non so chi mi abbia sabotato di più! Infatti ora sto usando il computer di mia madre (che lo ha gentilmente prestato alla causa) dove però non si può usare il programma di EFP per scrivere l'HTML perciò me lo sto facendo tutto da sola (è una cosa che odio profondamente ma per voi questo e altro!).

Non sono del tutto soddisfatta dal risultato perché ho alternato fasi di "devo scrivere se no non finirò mai" a fasi di "devo scrivere perché ne ho assolutamente bisogno e sono ispirata" quindi non so, giudicate voi! ;)

La frase iniziale, come alcuni avranno capito, è tratta dal terzo film dei Pirati dei Caraibi (il mio preferito!!)

A presto (spero),
Mel

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Nel tuo cuore ***


Capitolo 12 – Nel tuo cuore

Porta un albero verde nel tuo cuore
E forse gli uccelli vi verranno a cantare.
 
Pov Abby
 
Fuori si gelava ma all’interno della tenda la temperatura era più che accettabile.
Avevamo montato le nostre tre tende tra alcuni alberi, che si trovavano in mezzo a quella che sembrava la più grande distesa erbosa della storia; per arrivare in paese bastava camminare dieci minuti eppure nella riserva naturale pareva proprio di trovarsi al centro del nulla.
Io e Nick occupavamo quella centrale, la più piccola.
Cara si era fiondata al seguito di Lucas nella prima sulla destra e tutti avevamo notato quanto fosse sollevata nel aver trovato posto con uno dei suoi migliori amici.
Infine, sulla sinistra, stavano Alan e i due McKaine che, praticamente, non si conoscevano.
Non ero mai stata così felice di avere un ragazzo come in quel momento, non dovevo nemmeno pormi la questione sul chi avrebbe diviso la tenda con me!
I lembi dell’entrata si scostarono lasciando passare Nicholas che, una volta richiusa la “porta”, si lasciò cadere di peso sul suo materassino.
<< Stanco? >> Alzò la testa quel poco che bastava per poter sbirciare con un occhio nella mia direzione e sorrise impercettibilmente.
<< Montare queste tende è stata la cosa più faticosa e complessa che io abbia mai fatto. >>
<< Quindi sei stanco. >> Conclusi io.
Facendo leva sui gomiti alzò il busto e mi lanciò un’occhiata ben più seria della precedente.
<< E tu come stai? >>
Come sto?
Bella domanda.
Non ne avevo la minima idea.
Non avevo voluto nemmeno pensarci, non finché non fossimo stati abbastanza lontani dalla minaccia di John.
Ora lo eravamo.
Una vocina in fondo alla mia testa diceva che non era vero, che non eravamo in salvo.
Invece lo eravamo, dovevamo esserlo.
Lo avevo deciso io.
Volevo con tutta me stessa che fosse così.
<< Non lo so. >> Ci fu un lungo attimo di silenzio fra di noi. Io continuavo a fissarmi i piedi ma riuscivo comunque a sentire il suo sguardo indagatore su di me.
<< Ascolta. Nessuno ti dice che devi prendere tutto quello che Chris ha detto per vero. Ok, sappiamo tutti che John è una persona orribile e che probabilmente ha davvero fatto … insomma, quello che ha fatto, ma questo non significa che tu debba odiarlo e cancellare anche quei pochi ricordi belli che hai con lui. Per quanto ne sappiamo Alexis avrebbe potuto dirgli che voi non eravate figli suoi solo perché amava Chris e voleva sapervi al sicuro con lui. >> Nick si alzò del tutto e scivolò velocemente al mio fianco, circondandomi nel suo confortante abbraccio.
<< Abby, nessuno può essere certo della verità ma soprattutto nessuno può decidere come ti senti. È certo che Chris è tuo padre e che Alan è tuo fratello? Bene! Questo però non significa che per te debbano essere tali. Mio padre era un mostro; picchiava me e mia madre. Il fatto che fosse mio genitore era più che certo, ma questo non mi ha impedito di non reputarlo tale. Non l’ho mai considerato mio padre nel vero senso della parola; per me quello era solo il nostro grado di parentela, nulla di più. >>
Ero abbastanza sicura che la storia di Chris corrispondesse al vero, bastava guardare me e Alan: io ero uguale ad Alexis; lui era uguale a Chris, ma entrambi avevamo gli occhi ambrati di nostra madre; eravamo nati lo stesso giorno e se questo non fosse stato sufficiente c’era la lettera di John nella quale era più che evidente che si parlava di noi.
Era la verità, non c’era alcun dubbio.
Ma era vero per me?
Quello che Nick voleva dirmi era che solo io potevo decidere, nel profondo del mio cuore, se queste persone erano la mia vera famiglia.
<< Grazie, Nicholas. È incredibile come tu sappia sempre cosa dire per tirarmi su il morale. >> Sentii le sue labbra premere delicatamente sulla mia nuca.
<< In fondo sono il tuo ragazzo. >> Un bacio sulla fronte.
<< Sarei un pessimo ragazzo se non riuscissi a confortarti. >> Un altro sul naso.
<< O mi sbaglio? >> Finalmente la sua bocca raggiunse la mia.
Era tutto il giorno che aspettavo di poterlo baciare senza angosciarmi su quale treno o autobus saremmo dovuti salire di lì a poco.
Mi abbandonai tra le sue braccia.
Baciare Nick era come volare. Il mio corpo non aveva più peso, la forza di gravità non lo spingeva più verso il basso. Ero libera di andare dove volevo.
<< Non ti sbagli. >> Risposi dolcemente quando ci separammo.
Lo facevo malvolentieri ogni volta.
Avrei voluto poter restare per sempre così; vicino a lui non avevo paura di niente e di nessuno.
Ero davvero felice, sarebbe stato bello poterlo essere in ogni istante.
Nicholas mi scostò un ciocca di capelli dal viso accarezzandomi lentamente la guancia per poi scendere al collo.
Lo afferrai per la maglietta e lo trassi a me. Il mio gesto lo sorprese così tanto che finì per perdere l’equilibrio ed entrambi ci ritrovammo sulla mia parte di letto, uno sopra l’altro.
<< Ero piuttosto certa che saresti stato tu a farci finire in questa posizione. >> Dissi sogghignando.
<< Guarda che la mia era tutta una tattica per farlo fare a te! Mi piacciono le ragazze che prendono l’iniziativa. >> Non feci in tempo a ribattere che Nick mi stava nuovamente baciando.
Avrei voluto sciogliermi; fondermi con lui così da poter essere un tutt’uno. Per sempre.
Il calore che percepivo nel basso ventre aumentò fino a raggiungere ogni parte del mio corpo.
Nicholas scese con la bocca a baciarmi il collo; quanto adoravo quel punto, era il migliore per i baci. Feci scorrere le mani sulla sua schiena, lentamente, mentre le sue labbra continuavano a sfiorarmi il collo. Raggiunsi l’orlo della sua felpa e la tirai verso di me, sfilandola in un solo colpo assieme alla maglietta.
Le gettai lontano.
Nick tornò a concentrarsi sulla mia bocca; le mani che accarezzavano dolcemente i miei fianchi.
Poco dopo il mio maglione finì con gli altri indumenti in un angolo remoto della tenda.
I baci erano rincominciati a scendere, sempre più in basso, sempre più piacevoli.
Un gemito mi sfuggì dalle labbra e Nick alzò gli occhi su di me.
<< Devo dire che è terribilmente strano e mi mette parecchio in imbarazzo chiederti questo, ma … vuoi … ? >> Era diventato completamente rosso, nello stesso modo in cui lo era quando mi aveva baciata la prima volta.
<< Farlo? >> I suoi occhi verdi non si staccarono dai miei, neanche per una frazione di secondo, mentre aspettava la mia risposta.
C’era un tale casino nella mia testa in quel momento che, anche sforzandosi, non sarebbe mai riuscito ad immaginarlo.
<< No, non ora e non in queste circostanze. Ci sono cose che devo ancora capire e altre che forse non comprenderò mai davvero. Al momento sono piena di emozioni contrastanti e non voglio che queste m’intralcino nelle mie decisioni. >> Un ciuffo, nero come la notte, gli ricadde sulla fronte e, automaticamente, lo scostai imprimendo in quel gesto tutto l’amore di cui ero capace.
<< E riguardano anche me queste cose che devi capire? Hai dei dubbi su di noi? >> Sembrava realmente preoccupato che la risposta fosse sì.
<< No, riguardano solo me e la mia famiglia. >> Si lasciò cadere di lato, la sua testa appoggiata appena sotto al mio seno.
<< Quando succederà il mio cuore sarà solo per te. >>
 
Pov Alan
 
L’aria notturna era gelida; forse, se la temperatura fosse scesa ancora un po’, avrebbe addirittura potuto cominciare a nevicare. Non che me ne importasse; per me avrebbe potuto venir giù anche un metro di neve che non avrei notato la differenza.
Non sentivo niente.
Non provavo niente.
Il mio cuore era diventato di ghiaccio.
Mio padre era sempre stato il mio solo e unico genitore; il mio punto di riferimento; la mia ancora di salvezza e ora, dopo ben diciassette anni, saltava fuori che era stato un delinquente; che aveva nascosto un omicidio; che aveva dovuto vedere in segreto la donna che amava e che con lei aveva avuto due figli.
Due, non uno, due.
Potevo perdonargli qualsiasi cosa, ma non Abby.
Riempii i polmoni con tutta l’aria a cui riuscii a far spazio, poi espirai il più lentamente possibile e rimasi a fissare il mio respiro condensarsi in piccole nuvolette bianche.
Faceva davvero freddo, ma le basse temperature non mi avevano mai dato fastidio. Inoltre le nostre tende avevano una tenuta termica eccezionale; se avessi deciso che là fuori il gelo era troppo anche per me avevo sempre un posto dove andare a rifugiarmi. Alzai gli occhi verso il cielo: la luna era quasi piena, mancava solo un misera e sottile falce.
Un rumore improvviso mi fece voltare.
Passi che si dirigevano verso di me facendo scricchiolare il tappeto di foglie morte sul quale si posavano. Appena fu abbastanza vicino lo riconobbi: Lucas.
<< Che ci fai qua fuori al freddo e al gelo? >> Sorrideva.
Non c’era stata neanche una volta, da quando lo conoscevo, che non l’avessi visto con quel sorriso stampato sulle labbra.
Tornai ad alzare lo sguardo, ma continuai ad osservarlo con la coda dell’occhio.
<< Rifletto. >> Rimase a fissarmi, in silenzio, senza alcun motivo apparente. Non stava aspettando una risposta migliore; non voleva pormi nessuna domanda.
Attesi.
<< Sulla tua famiglia; su Abby; su tutto questo casino, immagino. >> Non c’era molto altro a cui pensare; non ci voleva un genio per capirlo.
<< Sì. >> Lucas smise di guardarmi e alzò gli occhi alla luna.
Io li abbassai, posandoli su di lui.
<< Nessuno di noi può scegliere la propria famiglia, ci si nasce e non c’è via di scampo. Io so di essere fortunato: la mia famiglia è piena d’amore, di affetto e siamo tutti molto legati tra di noi. So anche che non tutti lo sono; so che, per quanto la tua vita possa sembrarti noiosa o brutta, c’è sempre qualcuno messo peggio di te. Abby è cresciuta con un padre degenere, uno pseudo psicopatico che, tra l’altro, si è scoperto non essere il suo vero padre. Cara può sembrare felice, a prima vista, ma sua madre pretende che lei sia una persona diversa da quella che è realmente e nessuno dei suoi genitori si è mai dato la pena di chiederle cosa volesse dalla vita o che genere di persona aspirasse ad essere in realtà. Nicholas ha perso i suoi genitori perché suo padre era un alcolizzato violento che picchiava lui e sua madre; l’unica persona che gli è rimasta è sua zia e non si può dire che quella donna abbia avuto una vita facile. Di Ethan e Jess non so dirti molto se non che la madre li ha abbandonati anni fa e il padre è un drogato senza speranze. Nessuna famiglia è perfetta; tutti abbiamo dei problemi, solo che alcuni ne hanno di più grossi rispetto ad altri. Questo però non significa che siano insormontabili. >>
Bel discorso.
Cazzo, se lo avessi saputo farei io un discorso così, la verità sarebbe venuta fuori anni fa. Non avrei dovuto vivere nell’ombra delle bugie di mio padre.
<< È bello quello che stai dicendo, ma il fatto che i problemi si possano sempre superare non implica necessariamente che questo non causi dolore. Spesso è più semplice rinunciare che affrontare le difficoltà; quando attacchi non ne esci mai indenne, anzi, a volte non ne esci affatto. >> Le mie parole attraversarono l’aria e ,come scintille, accesero lo sguardo di Lucas di una determinazione così bruciante che avrebbe potuto radere al suolo l’intero universo.
<< Rinunciare non è semplice, è facile! Noi non siamo nati per le scelte facili, siamo nati per combattere e per rialzarci dopo ogni caduta. Chi fugge sopravvive, questo è vero, ma quanto è triste e desolata una vita da fuggiasco? Quanta sofferenza procurano i rimpianti? Ne vale davvero la pena? Se li affronti potrai anche non vincere, ma avrai il diritto di camminare a testa alta; potrai sempre dire che tu, almeno, ci hai provato. Chi ti dice, poi, che non prevarrai sui tuoi nemici? Chi ti dice che non riuscirai a raggiungere la felicità che stai cercando? Se non tenti non avrai mai le risposte a queste domande e ancora meno avrai il tuo lieto fine. >> Ansimava, in tutta la frase aveva preso fiato soltanto una volta: all’inizio. Il suo respiro di trasformava in piccole nuvole effimere, pochi istanti ed erano svanite.
Ero semplicemente ammutolito.
Nessuno aveva mai sprecato così tanto tempo e parole per me, nemmeno Abby.
Perché darsi tanta pena per uno che si conosceva su per giù da una settimana.
Lucas era ancora fermo nella stessa identica posizione: le braccia tese sui suoi fianchi; le mani strette a pugno; il petto che si alzava e si abbassava più in fretta del normale; le labbra senza la minima ombra di sorriso; la mascella contratta e una sorta di vago tentennamento negli occhi.
Sembrava sul punto di fare qualcosa e, allo stesso tempo, di non fare assolutamente niente.
Era un po’ come se il nostro discorso si stesse applicando alla realtà in quel preciso momento: Lucas stava decidendo se scappare o combattere.
La domanda sorse spontanea nella mia mente.
Per cosa?
Dopo quello che mi aveva detto non avrei scommesso per nulla al mondo sulla sua fuga, eppure indugiava.
Cos’è quella cosa che fa vacillare anche il cuore più saldo?
Mi chiedevo se la risposta fosse unanime, se a quel quesito corrispondesse un’unica soluzione.
Se era così, allora mi bastava pensare.
Come risponderei a questa domanda, se mi venisse posta?
Amore.
Anche il più deciso dei cuori trema di fronte all’amore.
Lo capii una frazione di secondo troppo tardi.
Lucas aveva deciso più in fretta di quanto io avessi ragionato.
Scattò in avanti afferrandomi per la giacca ed io ero troppo scioccato anche solo per reagire. Mi trasse a sé con sicurezza, facendo aderire perfettamente i nostri corpi, e poi le sue labbra trovarono le mie. Non avevo mai baciato un ragazzo in tutta la mia vita; in realtà l’unica che avessi mai baciato, oltre che essere la ragazza di un altro, era anche mia sorella.
La mia esperienza poteva quindi dirsi pressoché disastrosa.
Quando sentii la sua mano scivolare fra i miei capelli realizzai in quale situazione assurda fossi finito e la mia mente urlò a piena voce: fa qualcosa, qualsiasi cosa!
Non è che volessi ferire i suoi sentimenti; fu una reazione piuttosto istintiva.
Poggiai entrambe le mani sul suo petto e lo spinsi via con tutta la forza di cui disponevo.
Quello che vidi in lui fu un’immensa tristezza, io più di tutti sapevo quanto facesse male essere rifiutati, ma non potevo ricambiare quel bacio; non potevo mentire solo per farlo sentire meglio.
<< Alan …  >>
<< Non è colpa tua. >> Non riuscivo più neanche a guardarlo.
Ero proprio una persona orribile.
<< Scusa. >> Non aspettai una risposta, mi voltai e cominciai a correre.
 
Pov Lucas

 
Cara se n’era andata chissà dove e nella tenda c’ero solo io. Dovevano esserci almeno quindici gradi di differenza tra il dentro e il fuori. Era veramente impressionante.
Non che potesse importarmene davvero qualcosa, avevo ben altro per la testa.
Come diavolo m’è venuto in mente di baciarlo!
Ci conoscevamo da meno di una settimana, come avevo potuto anche solo pensare che avrebbe ricambiato? Sapendo quello che era successo tra lui e Abby avrei dovuto immaginarlo.
<< Lucas! Sei lì dentro? >> Quasi l’avessi evocata, la voce di Abby mi giunse, distante e ovattata, dall’altro lato di quella che Cara aveva soprannominato: “La Magna Entrata”.
<< Sì, entra. >> Dopo poco la sua esile figura fece capolino nella tenda e venne a sdraiarsi con uno sbuffo al mio fianco.
<< Come stai, Gigante Gentile? >> Una risata mi sfuggì dalle labbra quando sentii quel nomignolo. Era un sacco di tempo che Abby non mi chiamava così; l’ultima volta era stata all’inizio delle medie, forse. Risaliva ai tempi in cui ero cresciuto di ben otto centimetri in un solo anno, mentre lei era rimasta la tappetta di sempre, e sosteneva imperterrita che mi stessi trasformando in un gigante.
<< L’amore fa schifo e io sono proprio sfortunato in quel campo. >> Abby piegò la testa di lato, assumendo la sua tipica posa dubbiosa che, solitamente, era seguita da una richiesta di spiegazioni.
<< Cos’è successo? E, solo per la cronaca, non sei sfortunato! Voglio dire, sei probabilmente il gay che ha rimorchiato, senza volerlo, più ragazze in assoluto! >> Risi di nuovo. Quanto era dolce quando cercava di tirarmi su il morale.
<< Credo che tu ti sia dimenticata di Matt Bomer. >> Lei si coprì la bocca per cercare di fermare le risate; fu piuttosto inutile.
Ci mise ben cinque minuti prima di riuscire nuovamente a parlare.
<< Hai perfettamente ragione. >> Si era un po’ ripresa, ma ogni tanto veniva ancora colta da attacchi di ridarella acuta.
<< Allora, vuoi dirmi cos’è successo? >> Esitai. Non avevo voglia di parlarne, solo che lei era Abby e non potevo nascondere qualcosa alla mia migliore amica.
In più, quando loro due si erano baciati, lei me lo aveva detto.
<< Ho baciato Alan. >> La sua bocca si mosse nel vano tentativo di far fuoriuscire qualche parola, ma neanche il più piccolo dei suoni lasciò la sua gola.
Ci riprovò.
<< E lui? Che ha fatto? >> Era proprio da Abby.
Non mi avrebbe mai chiesto il motivo per cui avevo agito in un certo modo, non come prima domanda almeno. Quello che agognava sapere subito, era il dopo; cos’era successo e cosa avevo provato.
<< È corso via. Ora credo di aver compreso l’espressione “ho sentito il mio cuore cadere a pezzi”. >> Abby si avvicinò e mi avvolse nel suo caldo abbraccio.
<< Anch’io sono corsa via quando Alan e io ci siamo baciati, e sai perché l’ho fatto? >>
<< Forse perché dentro di te sentivi una vocina solitaria che ti urlava forte e chiaro: incesto! >> Un pugno mi colpì in pieno petto lasciandomi senza fiato.
<< Non scherzare! Stavo parlando seriamente! >> Disse sorridendo.
Mi scusai e la spronai a continuare.
<< Mi sentivo in colpa per via di Nicholas. Non tanto perché, anche se avevamo litigato, continuavo a considerarlo il mio ragazzo e vedevo quel bacio come un tradimento nei suoi confronti. Assolutamente no, nulla di tutto questo. La verità è che sono scappata perché avevo paura di non riuscire a fermarmi, di potermi rifugiare in Alan per sempre perdendo quello che in realtà era il mio vero amore, perdendo Nick. >> Feci scivolare il mio braccio sulla sua schiena e la strinsi più forte a me.
<< Che stai cercando di dirmi con questo? >> Lei sospirò, quasi esasperata dal fatto che non riuscissi a cogliere un messaggio per lei così semplice.
<< Ciò che intendevo è che, davanti a quello che potrebbe essere amore, le persone possono anche spaventarsi e fuggire. Non ti sto dicendo che Alan l’abbia sicuramente fatto per questo motivo, ma potrebbe darsi. Forse in quel momento si è reso conto che avrebbe potuto amarti e ha avuto paura di perdere quello che per lui è il suo vero amore. >> Ero a dir poco perplesso.
<< Paura di perdere te? Ma sei sua sorella! >>
<< Sì, ma l’abbiamo scoperto solo dopo che si era innamorato di me, scemo! >> Restammo in silenzio per un attimo.
Feci scorrere, con molta dolcezza, le mie dita per tutta la lunghezza della sua schiena formando piccoli cerchi e spirali.
<< Posso farti una domanda, Abby? >>
<< Puoi chiedermi tutto quello che vuoi. >>
<< Se Nicholas non avesse mai fatto parte della tua vita e se Alan non fosse tuo fratello, credi che saresti rimasta? L’avresti amato? >> Sapevo che era una domanda difficile dal modo in cui Abby corrugò la fronte e strinse le labbra.
Stava ragionando.
Potevo quasi vedere gli ingranaggi ruotare nella sua piccola testolina.
<< Sì, l’avrei amato con tutto il mio cuore. >> Ero stupito della risposta così rapida e decisa.
Così poco tipicamente da lei.
<< Quindi dici che ne vale la pena di amarlo e di continuare a lottare per il suo cuore? >> Abby alzò la testa e mi fissò intensamente negli occhi prima di rispondere.
 << Il cuore di Alan non vale solo una lotta, vale una guerra intera. >>


Spazio Autrice

La mia lentezza è, come sempre, incredibile. Nonostante questo eccomi qua con il nuovo capitolo!
Prima di tutto spero davvero che vi piaccia e, naturalmente, sono sempre felice di leggere le vostre opinioni (quindi recensite!).
Sono stata indecisa fino all'ultimo sul bacio di Lucas e Alan (perché, dai, si conoscono appena!) però volevo dar modo a Lucas, per la prima volta dall'inizio della storia (credo), di preoccuparsi di un SUO problema e non di quelli che sembrano sempre circondare i suoi amici.

La frase all'inizio è un proverbio cinese che ho trovato sulla prima pagina di una delle mie raccolte di haiku e che ho sempre reputato molto carino.

Detto questo, la chimica mi richiede quindi scappo.

Alla prossima,
Mel

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Non lasciarla andare ***


Capitolo 13 – Non lasciarla andare

If you like her, if she makes you happy,
And if you feel like you know her …
Then don’t let her go.
 
 

Pov Ethan
 
Avevo lasciato Jess solo nella sua tenda. Non che questo facesse una gran differenza per lui, era così preso dal ripassare le varie fasi della guerra di secessione che non aveva nemmeno sentito la mia voce.
Mi diressi il più silenziosamente possibile verso il minuscolo boschetto, chiamarlo così era quasi un eufemismo, cercando di non farmi notare da Lucas e Alan che stavano chiacchierando al centro del nostro accampamento.
Alan Gray.
Quel ragazzo era davvero strano.
Prima di tutto suo padre, a mio avviso, era pazzo. Non quanto quello di Abby, ma quasi.
Secondo, non per importanza, lui aveva una cotta pazzesca per sua sorella. Non sapevo se gli altri ne fossero a conoscenza, anche se mi sembrava così evidente che pure uno stupido l’avrebbe capito al primo sguardo.
Erano tutte cose da cui avrei dovuto tenere il naso fuori.
Mentre stavo per infilarmi tra gli alberi mi voltai un’ultima volta, per essere certo che nessuno si fosse accorto di me, e in quel momento mi trovai davanti ad una situazione a dir poco inaspettata.
Quel figlio di puttana di Parker aveva afferrato Alan per la giacca e lo stava baciando.
È questo lo spirito, fratello!
Non ne capivo nemmeno io la ragione, ma quella scena riuscì, inaspettatamente, a strapparmi un sorriso. Senza accorgermene mi ritrovai a fare il tifo per Lucas.
Rincominciai a camminare e il buio sotto le fronde mi avvolse. Il giorno seguente avrei scoperto come quello a cui avevo appena assistito fosse andato a finire.
 
Come mi aspettavo lei era lì. Indossava un giaccone a dir poco sproporzionato, probabilmente l’aveva rubato a Lucas, e i suoi soliti tacchi alti. Camminare con quei cosi perennemente sui piedi doveva essere una vera tortura, mi chiesi quale motivo la spingesse a farlo.
Mi fermai quando lei si voltò nella mia direzione, con tutte quelle foglie secche probabilmente mi aveva sentito arrivare.
<< Che cosa ci fai qui, Ethan? >> Sorrisi divertito, era sempre stata scontrosa con me.
<< Quello che ci fai tu, suppongo. >> L’avevo vista uscire dalla sua tenda e infilarsi fra gli alberi, così avevo deciso di seguirla.
<< Volevo restare un po’ da sola a riflettere, ma tu hai appena rovinato tutto. >> Mi avvicinai.
<< Strano, di solito le ragazze sono molto felici di vedermi. >> Cara mi restituì un sorriso sprezzante.
<< Io non sono come le sciacquette che ti fai di solito. >> Ok, era decisamente arrabbiata per qualcosa.
<< Non le chiamerei proprio sciacquette … troiette facili mi sembra più appropriato. >> Cara scoppiò a ridere. Una risata vera, non sarcastica.
<< Che hai da sghignazzare tanto? >>
<< Troiette facili è praticamente la definizione di sciacquette! Quanto sei stupido, McIdiota! >>
Continuò a ridere per un po’, poi cercò di respirare più lentamente nel tentativo di riprendere il controllo.
<< Stupido quanto vuoi, ma almeno sono bello. >> Tra noi calò un silenzio imbarazzante. Gli occhi di Cara erano sfuggenti e sembravano non riuscire a soffermarsi su qualcosa per più di qualche secondo.
Baciala.
La voce di Lucas lo urlò nella mia testa.
Provami che non sei innamorato di lei. Baciala.
Io non ero innamorato di Cara, non lo ero punto e basta, per quale stupido motivo dovevo dimostrare a qualcuno di avere ragione?
Lei era ancora lì, immobile.
La luce della luna filtrava tra le fronde degli alberi e le ricadeva sul capo, illuminando le sue lunghe ciocche bionde.
Avrei potuto farlo.
Avrei potuto afferrarla e baciarla.
D'altronde l’avevo fatto con così tante ragazze d’arrivare a perderne il conto, ma non mi era mai importato niente di loro. Ferirle, spezzare i loro cuori o lasciarle per un’altra erano tutte cose di cui non mi ero mai preoccupato.
Non volevo comportarmi così con Cara, di lei m’importava.
In quel momento decisi che non ci sarebbe stato nessun bacio, ma non implicava in alcun modo l’amore.
Lei si strinse nel suo giaccone e fermò lo sguardo su di me.
<< È vero. >> Nel silenzio la sua voce suonò forte e chiara, quasi autoritaria.
<< Cosa? >> Abbassò gli occhi per un millesimo di secondo prima di rialzarli ed ero praticamente certo di aver visto un piccolo sorriso fare capolino dalle sue labbra.
<< Quello che hai detto poco fa, è vero. >> Il mio cuore perse un battito prima che il mio cervello realizzasse che, quasi sicuramente, si stava riferendo alla parte della frase in cui dicevo di essere stupido.
Poi parlò di nuovo e allora il mio cuore si fermò sul serio, o almeno quella fu la sensazione.
<< Sei davvero bello. >>
In pochi attimi colmai la distanza che ancora di separava e ci ritrovammo fronte contro fronte.
<< Dillo di nuovo. >> Pensavo che avrebbe nuovamente distolto lo sguardo o che se ne sarebbe uscita con una delle sue battute taglienti, invece restò nella stessa identica posizione di prima.
In silenzio.
Scrutare nei suoi occhi era come ammirare un altro cielo e in quel momento potevo farlo solo io, erano solo per me. Eravamo così vicini che i nostri respiri, danzando nell’aria fredda della notte, si fondevano diventando una cosa sola.
L’attesa era così snervante che non sapevo per quanto ancora sarei riuscito a resistere.
<< Tu sei bellissimo, Ethan McKaine. >> Non riuscivo a capire se ero più scioccato dal fatto che Cara Williams avesse detto che ero bello o che avesse pronunciato il mio cognome nel modo corretto, cosa che non era mai successa fino a quel momento.
Fu allora che la vidi davvero per quello che era.
La guardai e tutto quello a cui l’avevo sempre associata scomparve: non era la capo cheerleader; non era la ragazza più popolare della scuola; non era quella con uno stuolo di sbavanti ragazzi al suo seguito e nemmeno quella che mi urlava contro nel cortile quando picchiavo uno più piccolo. Era semplicemente Cara, in tutta la sua fragile e devastante bellezza.
<< Lo sei anche tu. >> Sembrò sorpresa dalla mia reazione, ma nonostante questo non si mosse.
Feci scivolare le mie mani sulla sua vita e anche quel poco spazio che era rimasto scomparve.
I nostri corpi aderivano perfettamente l’uno all’altro e la mia bocca trovò la sua. Quando finalmente ci baciammo realizzai che era quello che avevo sempre voluto, forse addirittura dalla prima volta in cui ci eravamo conosciuti.
L’avevo desiderato così ardentemente e profondamente da non essermene mai accorto e solo in quell’attimo la verità era uscita allo scoperto.
Tutto quello che avevo fatto e detto nella mia vita era teso al raggiungimento dell’unica cosa che avessi mai veramente voluto: Cara.
Mentre ci stringevamo nel nostro primo bacio un pensiero semplice, ma al contempo così tremendamente reale mi riempì la testa, non lasciando spazio a nient’altro.
Sono innamorato di lei.

 

Pov Abby
 
Io e Lucas ne avevamo discusso la sera prima ed eravamo arrivati alla conclusione che fosse giunto il momento per uno dei nostri celeberrimi scherzi. Lui mi aveva raccontato del viaggio in treno, di come fosse certo che Ethan provasse qualcosa per Cara ed entrambi c’eravamo accorti che lei si comportava in modo diverso nei suoi riguardi.
Era quello il motivo per cui, alle sette di mattina, eravamo entrambi svegli a bisbigliare nel mezzo del nostro accampamento improvvisato.
<< Lo sai che quella ha il sonno più pesante di un macigno. Fidati di me: io la prendo e la porto in braccio fin nella loro tenda e nel mentre tu fai, silenziosamente, uscire sia Alan che il fratellino di Ethan. >> Ero seriamente preoccupata dal fatto che Ethan potesse svegliarsi a metà della nostra operazione, ma non riuscivo a pensare ad un’alternativa migliore.
Avevamo già scartato quella di spostare Ethan nella tenda di Cara e Lucas per svariati motivi, primo dei quali il peso eccessivo del giocatore di football.
<< Ok, ok. Vai a prenderla, ci vediamo dopo. >> Guardai le spalle di Lucas sparire all’interno della sua tenda e poi mi voltai, muovendomi il più furtivamente possibile.
Aprii la cerniera esterna ed entrai.
Dentro regnava il silenzio del sonno e una tenue, e stranamente confortante, oscurità. Non ci misi molto ad individuare Jess: era più piccolo degli altri due; non russava e dormiva in modo incredibilmente composto. Lo scossi delicatamente per le spalle e lui aprì gli occhi senza emettere alcun tipo di suono; rimase semplicemente a guardarmi, in attesa di ulteriori istruzioni. Con un cenno della testa gli feci capire di uscire, poi mi portai un dito alle labbra per chiedergli di non fare rumore.
Lui annuì, si alzò e lasciò la tenda. Ringraziai mentalmente Dio per l’immensa intelligenza di quel ragazzino.
Uno era andato.
Mi rialzai e osservai i due ragazzi che stavano ancora dormendo, ignari di tutto. Nonostante la mancanza di luce, riconoscere la figura slanciata e i capelli neri e perennemente arruffati di Alan non fu molto difficile. Lo raggiunsi e tentai di scuoterlo come avevo fatto con Jess, ma lui non reagì minimamente, allora decisi di tentare un’altra strada. Mi abbassai e avvicinai il più possibile la mie labbra al suo orecchio, mentre con una mano gli tappavo la bocca perché, se era come me, per prima cosa si sarebbe lamentato. Soltanto a quel punto iniziai a chiamarlo per nome, cercando di non svegliare Ethan.
<< Alan. Alan, sono io, Abby. Alan, svegliati. >> Dopo qualche secondo spalancò gli occhi e li puntò nei miei con fare interrogativo.
Gli feci segno di restare zitto e poi spostai la mano.
Sentii Ethan rigirarsi nel suo sacco a pelo; dovevo assolutamente sbrigarmi.
Afferrai Alan per il gomito, costringendolo ad alzarsi, e lo trascinai fuori dalla tenda.
Jess stava seduto, la schiena poggiata contro il tronco di un albero, e leggeva un libro dalla copertina vecchia e logora. Non mi ero nemmeno resa conto che l’avesse portato con sé poco prima. Era così immerso nella lettura che non fece caso a nessuno di noi.
Mi voltai giusto in tempo per incrociare lo sguardo sorridente di Lucas mentre s’infilava nella tenda di Ethan con Cara che gli penzolava tra le braccia. Quella ragazza era davvero incredibile, sarebbe potuta scoppiare la terza guerra mondiale e lei avrebbe continuato a dormire senza accorgersi di niente!
Prima di conoscerla non pensavo esistesse un sonno così profondo.
Qualche istante e Lucas fu di nuovo fuori, al mio fianco.
Mi sorrise e alzò entrambi i pollici in segno di vittoria, poi distese le braccia verso il cielo e, stiracchiandosi per bene, sbadigliò.
<< Io me ne torno a dormire, ma quando mi sveglio voglio che sia tu ad aggiornarmi. Anche perché dubito che Cara riuscirà ad incrociare la mia strada senza provare il folle desiderio di saltarmi addosso e strangolarmi. >> Mi inchinai con finto fare cerimonioso e, usando il tono di voce della nostra professoressa di storia, risposi:
<< Come voi desiderate, mio signore. >> Lucas rise, a voce molto bassa, e svanì all’interno della sua tenda.
Soltanto allora mi accorsi che Alan era ancora lì e mi stava fissando in silenzio.
Gli dovevo almeno una spiegazione.
Gli feci cenno di seguirmi ed entrammo nel minuscolo boschetto a ridosso del nostro accampamento.
<< Scusa per il trambusto, io e Lucas volevamo fare uno scherzo a Cara ed Ethan. >> Nessuna reazione. Non una singola emozione aveva attraversato il viso di Alan.
Ritentai.
<< Mi dispiace che tu ti sia dovuto alzare così presto, è solo che mi sembra piuttosto ovvio che quei due si piacciono e così abbiamo deciso di regalargli un “risveglio a sorpresa”! >> Ancora niente. Non riuscivo a capire se dipendesse dal fastidio del risveglio indesiderato o se era arrabbiato con me per … per tutto il resto.
<< Alan, ho fatto qualcosa di sbagliato? Se è così ti chiedo scusa, ma per favore parlami! >> Sospirò. Se non altro era un inizio.
<< Abby, tu non hai fatto niente che non va, sono io che sono un disastro. >> Fece un piccola pausa. Riuscivo ad immagine il suo cervello che cercava di ramazzare le idee per poi espormele in modo logico e sensato.
<< Nella mia vita mi sono innamorato di una sola ragazza e questa, oltre che essere già fidanzata con il ragazzo perfetto, salta fuori che è anche mia sorella. Io non sono mai piaciuto a nessuna e l’unica volta che ricevo attenzioni di quel genere da qualcuno si tratta del migliore amico gay della mia gemella. Voglio dire, si può essere più sfigati di così?! E non fare quella finta faccia sorpresa, sono sicuro che Lucas te ne ha parlato. >> L’ultima frase mi strappò un sorriso. In effetti, vista da quel punto, la sua vita amorosa non era stata per nulla fortunata.
<< Dev’essere di famiglia, allora, perché io ero certa di non poter piacere a nessun ragazzo prima di Nick ed ero così insicura e disperata che ho chiesto a Lucas di poterlo baciare solo per sapere che effetto faceva. Credimi se ti dico che le cose miglioreranno, è la pura verità. Ok, ti sei innamorato di me ed è andata male, ma pensa cosa sarebbe successo se Nicholas non avesse fatto parte della mia vita e io avessi scelto te: non saremmo potuti stare assieme lo stesso perché, in un modo o nell’altro, avremmo comunque scoperto di essere fratelli gemelli. Lo so che suona dannatamente male eppure dovremmo essere grati del fatto che tu non abbia avuto il coraggio di dichiararti prima o che io abbia deciso di scappare via dopo quel bacio. Se avessimo dovuto lasciarci dopo essere stati assieme avrebbe fatto ancora più male; se ci fossi amati davvero non avremmo mai avuto la possibilità di costruire un legame fraterno fra noi. >> Erano parole dure, ne ero conscia, ma lo stavo facendo per il suo bene.
<< Ma io ti ho amata, Abby, e ti amo ancora. Non ci sarà mai nessun altra come te. >> Era così affranto che ebbi l’istinto di stringerlo tra le mie braccia e cullarlo finché non si fosse ripreso.
Ovviamente sarebbe stata una cosa stupida da fare.
<< Lo so, ma devi andare avanti. Il mondo è pieno di persone che farebbero carte false pur di averti, pensa un po’ che pure io ne conosco una! Quello che voglio dirti è che non devi disperare, là fuori, da qualche parte, c’è sicuramente qualcuno che sarà in grado di ricambiare il tuo amore come io non ho saputo fare. >> Il silenzio calò di nuovo fra noi.
<< Saresti un’ottima sorella, lo sai? >> Le sue labbra si distesero in un sorriso appena accennato.
<< Pensa a quanto sei fortunato, su questa mia versione hai l’esclusiva assoluta! >> Feci qualche passo e azzerai la distanza che ci separava con un abbraccio.
Sentii le sue braccia cingermi e il suo respiro vicino all’orecchio mentre sussurrava:
<< Ti voglio bene, sorellina. >>
Anch’io ti voglio bene.

 

Pov Cara
 
Qualcosa mi stava solleticando il collo, probabilmente un insetto. Alzai una mano per colpirlo e involontariamente mi ritrovai a schiaffeggiare una persona.
<< Oddio! Lucas non volevo colpirti, io … >> Mi ero alzata, pronta a scusarmi con lui, solo per trovarmi faccia a faccia con Ethan.
<< Che cosa ci fai nella mia tenda? >> Lui scoppiò a ridere e si lasciò ricadere sul suo materassino.
<< La vera domanda è cosa ci fai tu nella mia tenda! >> Mi guardai attorno con più attenzione. Gli zaini di Ethan e i molteplici libri di Jess erano appoggiati, vicini, in un angolo, mentre dalla parte opposta erano accatastati alla rinfusa alcuni maglioni, che appartenevano senza dubbio ad Alan.
Anche sforzandomi non riuscivo proprio a capire come fossi finita lì.
Ragiona, Cara. Ci deve essere una spiegazione logica.
Ethan, nel frattempo, si era girato su un fianco e mi stava osservando con il suo mezzo sorrisetto da spaccone ad increspargli le labbra.
<< Va bene volermi rivedere, ma bastava chiedere e avrei organizzato un incontro un po’ più discreto. >> Afferrai il cuscino e lo colpii in testa. Voleva essere una cosa seria, da persona arrabbiata, ma, quanto vidi la sua faccia ridacchiante, non riuscii ad evitare di sorridere.
<< Smettila! Sto cercando di capire cos’è successo! >>
In quel momento mi fu tutto più chiaro, come se, avendo espresso il pensiero ad alta voce, il mio cervello si fosse risvegliato dal torpore del sonno.
Lucas e Abby! C’è sicuramente il loro zampino in tutto questo!
Non mi capacitavo di come non fossi riuscita ad arrivarci più in fretta. Un seconda constatazione seguì a ruota la prima: loro due sapevano. Nessuno dei miei migliori amici faceva qualcosa senza motivo e se loro due avevano deciso di farmi uno scherzo del genere era perché avevano capito che mi piaceva Ethan.
<< Abby e Lucas! Sono stati loro due e di certo sanno quello che provo per te. >> Ethan si avvicinò leggermente, puntellandosi sui gomiti.
<< Cos’è che provi, esattamente, per me? >> Mi stava prendendo in giro. Di nuovo.
<< Piantala di fare il cretino almeno per qualche secondo! Sanno che tu mi piaci! >> Ethan si avvicinò ancora e mi lasciò un bacio, lieve come petali di rosa, alla base del collo.
<< Se è per questo sanno anche che tu piaci a me. Lucas me ne ha parlato mentre eravamo in viaggio. >>
La risata divertita di Lucas si fece spazio nella mia mente.
Se sapevano entrambi, tempi duri aspettavano sia me che Ethan perché quei due erano una fonte inesauribile di guai e risate.
Ethan mi baciò di nuovo, appena sotto la mandibola. Cercavo, in ogni modo possibile, di concentrarmi per trovare una soluzione e lui non faceva altro che distrarmi.
<< Sono quasi certa che non siano a conoscenza di quello che è successo ieri sera, altrimenti questo stupido scherzo sarebbe stato molto più elaborato. Bene, devono continuare ad ignorarlo, d’altronde non c’è nulla di serio tra di noi e sarebbe sciocco fargli credere altrimenti. >> Era vero che c’eravamo baciati, ma di sicuro non avevo intenzione di fare coppia fissa con Ethan. Lui, fra tutte le persone che conoscevo, era senza ombra di dubbio la meno portata per le relazioni.
Essendo la ragazza più popolare della scuola, di ragazzi ne avevo avuti parecchi, nessuno di cui mi fossi innamorata s’intende, ma questo mi aveva comunque insegnato a gestire perfettamente una relazione superficiale alla Ethan McKaine senza farlo sapere ad anima viva.
Lui alzò lo sguardo su di me e mi parve quasi … ferito?
No, dovevo essermelo immagina e basta.
Uno come lui non se la prendeva solo perché una ragazza non faceva sul serio; finché lei ci stava a lui andava bene.
<< Tranquilla, non dirò nulla a nessuno di loro. >> Il mezzo sorrisetto da bastardo spuntò di nuovo.
<< Se tu accetti un altro appuntamento al buio con me questa sera. >> Il mio cuore cominciò a battere più forte.
Stai calma, Cara. L’hai già fatto in passato.
Sorrisi, nel modo in cui ai ragazzi piaceva così tanto, e mi passai una mano fra i capelli per scostarmeli dal viso.
<< Ad un’offerta del genere non posso certo rifiutare. >>
 
Sgattaiolai fuori dalla mia tenda appena Lucas uscì per andare da Abby.
Era la seconda sera che me ne andavo di nascosto e questo mi fece sentire in colpa per nessun motivo in particolare, d’altronde non stavo facendo nulla di male. La sera prima avevo troppi pensieri per la testa o, meglio, un solo pensiero, ma del genere da essere troppo grande per gestirlo tutto in una volta sola. Ero andata a fare due passi per svuotare la mente e mi ero ritrovata di fronte al problema in carne e ossa, ma, visto che cercare d’ignorarlo non era stato abbastanza, l’avevo addirittura baciato.
Come al solito mi ero ficcata in un grande casino.
L’aria fredda mi accarezzò il viso, facendo svolazzare le mie ciocche bionde in ogni direzione. Quando arrivai sotto l’albero della notte prima lui era già lì. Non si era ancora accorto del mio arrivo perciò mi fermai e rimasi ad osservarlo in silenzio.
Avevo sempre visto Ethan come l’idiota della scuola; come il bullo che non provava sentimenti per niente e per nessuno, ma avevo scoperto che non era così. Per capirlo bastava osservarlo con suo fratello: non avevo mai visto qualcuno preoccuparsi così tanto per un proprio familiare.
Stava appoggiato al tronco nodoso con la schiena e teneva le braccia conserte. Si metteva in quella posizione anche a scuola, lo faceva sempre mentre guardava male i ragazzi più piccoli.
La sensazione che avevo provato la prima volta che l’avevo visto con Jess tornò a farsi sentire, molto più intensamente di quanto non avesse mai fatto. Era dolce come il miele, ma più forte, più prepotente e arrogante.
Era lava.
Decisamente.
C’era un piccolo vulcano dentro di me che mi stava trasformando in una donna fatta solo di fuoco. Con un tocco avrei potuto ridurre in cenere qualsiasi cosa, ma, se non avessi fatto attenzione, sarei finita per bruciarmi da sola.
Ethan non mi aveva ancora notata; avrei voluto raggiungerlo, ma c’era una domanda che pulsava nella mia testa da quella mattina e della quale ero enormemente spaventata:
Sono innamorata di Ethan McKaine?
Non lo sapevo e la cosa mi tormentava.
Mi avvicinai di qualche passo e lui si voltò.
<< Era ora che ti facessi vedere, Williams! >> Per la prima volta in vita mia non sapevo cosa rispondergli. Tutto quello che volevo era correre da lui, abbracciarlo, baciarlo e non lasciarlo andare mai più.
Che pensiero stupido.
<< Perché hai voluto vedermi? >> Lui sorrideva, io ero seria. Non potevo più andare avanti così.
Avevo provato a dirmi che Ethan non m’interessava, ma poi l’avevo baciato.
Avevo provato a credere che fosse una delle solite storielle senza importanza, ma il solo immaginarlo con una diversa da me mi spezzava il cuore.
Non sapevo se ero innamorata di lui e non mi aspettavo che lui ricambiasse, ma volevo che Etahn fosse mio.
Mio e di nessun’altra.
<< Pensavo di riprendere da dove c’eravamo interrotti ieri. >> Il suo sorrisetto era ancora lì.
Chissà quante ragazze erano finite a letto con lui solo grazie a quello.
<< No, spiegami perché. Perché mi hai baciata? Perché io e non un’altra? >> Avevo alzato la voce senza neanche accorgermene.
Ethan ammutolì.
Probabilmente nessuna gli aveva mai chiesto spiegazioni.
Aprì la bocca per rispondermi, ma intuii che stava per dire una bugia così parlai per prima.
<< Non voglio sentirti dire quello che tu pensi sia giusto dire per avermi, voglio che tu mi dica la verità! >> Ethan si avvicinò piano. Fece scivolare la sua mano nella mia delicatamente, gli occhi rivolti a terra, e io aspettai, immersa nel suo silenzio. Col pollice stava tracciando piccoli cerchi all’altezza del mio polso quando finalmente mi rispose.
<< Perché sono innamorato di te. >> Respirai a fondo due volte. Non poteva averlo detto davvero, era più plausibile il fatto che fossi impazzita del tutto e che avessi cominciato a sentire le voci.
<< Tu … >>
<< Io ti amo, Cara. >> Le sue braccia mi cinsero i fianchi, le mie finirono sul suo collo e qualche secondo dopo ci stavamo baciando. Non era strano e surreale come lo era stato la volta prima, era perfetto.
In quel momento capii che Ethan era il ragazzo che volevo fin da quando ero bambina: quello che riesce a farti sorridere; che ti fa battere il cuore ogni volta che incroci il suo sguardo; che ti fa sentire desiderata come nessun’altra; il genere di ragazzo che, quando sei stretta nel suo abbraccio, riesce a renderti davvero felice.
Ethan fece un mezzo giro e la mia schiena finì per sbattere contro il tronco dell’albero a cui si era appoggiato prima. Scese a baciarmi il collo fino ad arrivare al bordo della felpa che avevo preso in prestito da Lucas. L’afferrò e me la sfilò in un unico movimento. Sotto portavo una delle mie camicette preferite, inutile dire che quei poveri bottoncini in madreperla non fecero più ritorno al loro posto e che, in seguito, vennero sostituiti da semplici copie di plastica bianca. Ethan continuò con la sua scia di baci sulla mia pancia; mi lasciai sfuggire un gemito.
Perché dev’essere così dannatamente bravo?
Lui alzò lo sguardo su di me con quel suo solito sorrisetto strafottente.
Io colsi l’occasione per sfilargli, a mia volta, il maglione.
Ethan a petto nudo sembrava uno dei modelli dell’ Abercrombie, praticamente scolpito nel marmo. Alzai un sopraciglio con fare interrogativo e lui ribatté con un’alzata di spalle.
<< Il football è uno sport che aiuta molto in certe cose. >> Feci scorrere le mani sui suoi addominali mentre lui armeggiava con i ben cinque bottoni dei miei costosissimi jeans. Quando riuscì a sfilarmi anche quelli mi afferrò per i fianchi e mi sollevò di peso. Io, d’istinto, strinsi le braccia attorno al suo collo e allacciai le gambe all’altezza della sua vita e così mi ritrovai mezza nuda, contro un albero e in braccio ad Ethan McKaine.
<< Cose tipo questa. >> Aggiunse bisbigliando prima di baciarmi appena sotto l’orecchio. Potevo sentire il suo respiro caldo che mi sfiorava il viso; le sue mani che mi tenevano saldamente i fianchi il suo corpo che aderiva perfettamente al mio.
Lo baciai di nuovo.
Sulle labbra, sul collo, sulle scapole.
Gli strappai un gemito di piacere.
Volevo Ethan, lo volevo con tutta me stessa, ma non potevo continuare a mentirgli.
<< Ethan, aspetta. >> Lui si fermò e mi guardò sogghignando.
<< Ti prego, non dirmi che la capo cheerleader della nostra scuola è ancora vergine. Non ci crederei nemmeno se mi pagassero per farlo. >> Non era quello, non ci andava neanche lontanamente vicino.
<< Io non sono così come mi vedi. La vera Cara non è la snella ragazza bionda con gli occhi azzurri che gira per la scuola con una marea di ragazzi dietro o la cheerleader sexy che tutti si vorrebbero fare. È tutta un’enorme bugia! >>Respirai nel tentativo di contenere le lacrime che, lo sentivo, stavano per arrivare.
<< Dio! Nemmeno il colore dei miei occhi è vero! La realtà è che ti sei innamorato della Cara che faccio finta di essere, quella vera nemmeno la guarderesti. >>  Rimase immobile a fissarmi. Avevo paura che decidesse di andarsene, paura che tutto stesse per finire.
<< Ma se io la odio quella Cara?! Mi sono innamorato di te quando ho capito che non eri solo una stupida ragazza pom-pom come tutte le altre e non m’interessa se non sei bionda o se i tuoi occhi non sono azzurri oppure se odi portare quegli stupidi vestiti firmati! Io ti amerei anche se ti rasassi a zero e te ne andassi in giro in tuta per il resto della tua vita! Cara Williams, io ti amo! Riesci a capirlo? >>
Mi amava.
Ethan McKaine mi amava sul serio.
Lo baciai ancora e ancora, finché non dovetti fermarmi per riprendere fiato.
<< Anch’io ti amo, Ethan. >>
Era la verità, lo amavo.
Lui sorrise.
Un sorriso vero, non uno di quelli a metà.
<< Ora che abbiamo chiarito le cose … ti prego, ti supplico, se vuoi mi butto anche in ginocchio, ma facciamolo! >> Aveva la stessa espressione dei cuccioli quando vogliono le coccole, era troppo adorabile e bisognoso di attenzioni per dirgli di no.
Non risposi a voce, ma feci scendere lentamente le mie mani sfiorandogli ogni centimetro di pelle, dalle spalle fino al bordo dei suoi pantaloni.
Poi abbassai la zip.


Spazio Autrice
Sono riuscita ad aggiornare! Questa volta pensavo seriamente di non farcela: tra lo studio (ho dovuto fare ben due ricerche e sto tutt'ora lavorando ad una terza); la malattia (sì, perché il resto non era abbastanza e quindi mi sono anche ammalata!) e la solita mancanza di tempo, è finita che ho impiegato molto più del normale per scrivere questo capitolo.
Spero, come sempre del resto, che vi piaccia (ho molti dubbi a riguardo quindi fatemi sapere!).

Inutile dirvi che ho fangirlato sull' Etara per tutto il tempo! (Non so se ve l'ho mai detto, ma è così che chiamo la ship di Ethan e Cara).
Fra tutte è forse la mia coppia preferita ... non si era notato, vero? ;)

La frase iniziale è tratta da uno dei miei libri preferiti di Nicholas Sparks (preferiti è una gran parola visto che li amo tutti alla follia): Le parole che non ti ho detto (Message in a bottle), che, tra l'altro, vi consiglio vivamente di leggere.

Con questo è tutto, spero di non tardare troppo con il prossimo aggiornamento!
Mel

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Inutile ***


Capitolo 14 - Inutile

Futile – the Winds –
To a Heart in port –
Done with the Compass –
Done with the Chart!
 
Pov Nicholas
 
Soffiai piano sull’esile fiammella finché non crebbe di volume, tanto da iniziare a bruciare la pila di ramoscelli che avevamo raccolto con fatica. Dopo qualche minuto, da piccolo fuocherello, diventò un vero e proprio falò.
<< Ragazzi, per quelli di voi che ridevano all’idea che io fossi in grado di accendere alcunché, beccatevi questo! >> Neanche a dirlo, Lucas e Abby, che si erano fatti venire il mal di pancia dalle risate solo immaginandomi nell’atto di accendere un fuoco, fecero finta di non aver sentito e si misero a guardare i dintorni con falsa noncuranza.
Ormai eravamo accampati lì da quasi due settimane e conoscevamo tutti i negozianti del piccolo paese vicino; Cara, in modo particolare, aveva stretto amicizia con Becky, la parrucchiera, durante la loro lunga seduta della settimana precedente.
Mi voltai nella sua direzione; come al solito stava cercando di non farsi notare mentre bisbigliava qualcosa nell’orecchio di Ethan, era chiaro a tutti che stesse succedendo qualcosa fra quei due solo che non sapevo cosa fosse, di preciso, anche se un’idea me l’ero fatta. I miei occhi si soffermarono sui suoi capelli; erano passati giorni, ma ancora non ero riuscito a farci l’abitudine: Cara era scomparsa per un intero pomeriggio da Becky ed era ritornata con i capelli tagliati cortissimi ad eccezione di un lungo ciuffo che le ricadeva dal lato destro e che sfumava dal suo castano naturale al biondo che aveva prima. Oltre a quello si era tolta le lenti azzurre e aveva comprato un paio di jeans neri, strappati all’altezza delle ginocchia, e una felpa grigia dei Fall Out Boy.
L’unica cosa della vecchia Cara che era restata erano gli stivaletti tacco dodici.
Dire che eravamo rimasti tutti senza parole, sul momento, era dire poco.
Ci aveva lasciato completamente spiazzati.
Ricordavo che Ethan e Abby avevano sorriso quasi allo stesso modo un attimo prima che lei si gettasse tra le braccia dell’amica urlando: “Bentornata!”.
Distolsi lo sguardo da Cara e andai a sedermi al fianco di Abby facendo scivolare la mia mano nella sua; lei non si voltò, ma sentii la sua stretta aumentare.
Quando tutti ebbero preso posto Lucas distribuì i marshmellow e iniziammo a farli cuocere sul fuoco.
Per un po’ non ci fu altro che silenzio.
<< Potremmo fare a gara a chi racconta la miglior storia horror! >> Lucas sembrava davvero divertito dalla sua proposta.
<< Con tutti i film del genere che mi guardo vincerei di sicuro! >> Io, Abby e Cara ci trattenemmo a stento dallo scoppiare a ridere, sapevamo tutti che quella era la scusa che Lucas utilizzava quando gli si chiedeva cosa facesse nel tempo libero perché si vergognava terribilmente di rispondere che adorava i romanzi rosa.
<< Io ho un’idea migliore! >> Cara scattò in piedi con una rapidità inaudita.
<< Che ne dite di un giro di confidenze? Ognuno di noi dovrà confessare qualcosa che gli altri, o la maggior parte degli altri, non sanno. >> La sua proposta fu seguita da un’alzata di spalle collettiva.
<< Se non ci sono obiezioni inizio io. >> Nessuna obiezione seguì, tranne uno sguardo preoccupato da parte di Ethan che Cara ignorò bellamente.
<< Quello che voglio condividere non riguarda solo me … >> A questo punto Ethan si alzò in piedi e l’afferrò per un braccio.
<< No, tu non devi condividere proprio niente. >> Cara gli rivolse un’espressione imbronciata, ma non furiosa come avrebbe fatto solitamente.
<< Ne avevamo discusso, avevi detto che andava bene che lo sapessero. >> Lo disse quasi sottovoce, non per questo fu meno udibile.
<< Che sapessimo cosa? >> Lucas sorrideva. Mi ero sempre chiesto come facesse ad ottenere quell’effetto, ma quando sorrideva lo faceva come se lui sapesse già tutto.
Come se il mondo e le persone per lui non avessero segreti.
Forse era così o forse no.
Agli altri non era dato saperlo e quel dubbio lasciava sempre in soggezione.
In questo caso però ero certo che lui sapesse, se non tutto almeno qualcosa, di quello che Cara stava per dire. I suoi occhi erano puntati su Ethan e la sua espressione era vittoriosa alla pari di una persona che ha appena vinto una scommessa.
<< Io glielo dico! >>
<< Cara … >> La voce di Ethan era supplichevole come nessuno di noi l’aveva mai udita, ma Cara lo ignorò.
<< Io e Ethan … >>
<< Cara!>> Tentò d’interromperla nuovamente e lei andò avanti ad ignorarlo, come se non avesse proferito parola.
<< Come stavo dicendo, io e Ethan … stiamo assieme. >> Nessuno fiatò.
<< Hey? Vi sto dicendo che io e il mio nemico giurato da tempi immemorabili ci siamo innamorati, abbiamo una relazione e questa è la vostra reazione? >> Ethan sospirò e strinse Cara a sé.
Lucas scosse la testa divertito.
<< Io te l’avevo detto che eri innamorato di lei. >> Le labbra di Ethan si sciolsero in un ampio sorriso.
<< Lo so, avrei dovuto darti ascolto subito. >> I due scoppiarono a ridere mentre noi tutti li squadravamo senza capire. Evidentemente era una questione privata tra quei due.
Abby lasciò andare la mia mano e si fiondò verso Cara stringendola in un abbraccio.
<< Oddio! Lo sapevo che stava succedendo qualcosa tra voi due! Sono così felice per te! >> Cara ricambiò l’abbraccio e la fece volteggiare come facevano da piccole ogni volta che si vedevano.
Quando l’amica  la rimise a terra e le due smisero di sghignazzare come delle stupide il silenzio calò di nuovo.
<< Abby, ora tocca a te. >> La gioia sembrò lasciare il suo volto tutta in una volta.
Il mio cuore cominciò a battere più forte.
Sta nascondendo qualcosa? Qualcosa che non ha raccontato neppure a me?
La preoccupazione cominciò a farmi sudare le mani. Cercai di tranquillizzarmi dicendomi che di sicuro non era nulla di preoccupante, ma per quanto potessi crederci l’ansia non voleva saperne di lasciarmi.
<< Io … >> La sentii respirare a fondo quasi si stesse preparando ad elargirci un discorso degno di una candidatura presidenziale, ma venne interrotta.
<< Se posso, vorrei parlare prima io. >> Alan era serio, il suo sguardo era tagliente come quello del padre la prima volta che l’avevamo incontrato.
Lui e Abby si scambiarono una strana occhiata prima che continuasse a parlare.
<< Dovete sapere che, prima di venire a conoscenza della verità, ho baciato Abby. >> Non un singolo muscolo del suo corpo si mosse e la sua voce non tremò neanche per un istante. Guardai Abby, ma i suoi occhi erano fissi sul terreno e non sembravano intenzionati a spostarsi da lì.
Non ero arrabbiato, non ancora.
Sapevo che Alan non aveva finito di parlare e speravo per lui che la sua spiegazione fosse sensata oppure l’avrei fatto a pezzi.
<< Mi sono innamorato di Abby dal primo istante in cui l’ho vista e ho continuato ad amarla anche se la sapevo irraggiungibile. Quando ha litigato con te, Nicholas, ho pensato che fosse un segno, che quella fosse la mia occasione per cercare di conquistarla. >> Non una parola, sembrava che nessuno fosse più in grado nemmeno di respirare.
Ora lo sguardo di Abby era fisso su Alan.
<< Quando l’ho baciata lei è scappata via perché non era me che voleva. >> Alan fece un respiro profondo e spostò i suoi occhi su di me.
Erano identici a quelli di Abby.
<< Abby è sempre e solo stata innamorata di te e voglio chiederti scusa per aver anche solo pensato di potervi dividere. All’inizio credevo di essere la persona più sfortuna e triste sulla faccia della Terra perché non potevo avere quello che volevo, ma in realtà il fato stava solo cercando di aiutarmi allontanandomi da quella che in realtà era mia sorella, anche se ancora non lo sapevo. >> L’espressione di Alan era la stessa di quando aveva aperto bocca la prima volta, solo che ora riuscivo a vedere tutto.
Vedevo il suo dolore, la sua tristezza, la rassegnazione che pervadeva il suo sguardo.
E vedevo il suo immenso amore per Abby.
Per la prima volta riuscivo a vedere tutto quello che Abby aveva sempre visto in lui e in quel momento capii perché Alan era così importante per lei.
Non un semplice fratello, ma un amico.
Alan era uno di noi.
<< Nicholas, mi dispiace per quello che ho fatto. >> Mi voltai verso Abby e la trovai che mi guardava, gli occhi umidi di lacrime.
Tornai ad incrociare lo sguardo di Alan.
<< Non serve che ti scusi, non sono arrabbiato. >> Mi parve di vedere un piccolo accenno di sorriso sulle sue labbra prima che Abby mi travolgesse con il suo esile corpo, stringendomi fra le sue braccia e oscurando tutto il resto.
Per un attimo ci fu nuovamente silenzio poi Cara e Lucas cominciarono a ridacchiare e noi altri li seguimmo a ruota.
In breve stavamo tutti ridendo, Alan compreso.
Con la coda dell’occhio vidi Abby sfiorare leggermente la mano del fratello ringraziandolo per aver parlato al posto suo.
Alan le sorrise e poi lasciò che tornasse a stringersi a me.
<< Ok, basta ridere! Direi che questo conta come se avesse parlato anche Abby, inoltre esonera Nick dal dire qualcosa quindi … Lucas! >> Detto questo, Cara si voltò verso l’amico, in attesa.
Abby si mise a ridacchiare così piano che nessuno, tranne me, riuscì a sentirla, ma questo solo perché era appoggiata per metà sul mio braccio.
Evidentemente sapeva qualcosa su Lucas che lui non aveva raccontato ad altri.
In realtà, Lucas e Abby, avevano una conoscenza reciproca praticamente perfetta; non c’era nulla che quei due non sapessero l’uno dell’altra.
Solo che Lucas non sembrava intenzionato a rivelarci alcunché.
<< Ragazzi, per favore, io non ho segreti! Sono come un libro aperto per voi. >> Cara incrociò le braccia, assumendo quella che lei chiamava la sua “sexy posa minacciosa”, e puntò i suoi occhi in quelli di Lucas.
<< Ne sei davvero così convinto? >> Si vedeva dal suo sguardo che nemmeno lei era certa al cento per cento che il nostro amico nascondesse qualcosa, ma dal suo tono di voce un po’ troppo da spaccone rispetto alla norma doveva aver intuito che sotto sotto un segreto c’era.
<< Mai stato così convinto in vita mia. >> Tutti fissavamo Lucas; lui fissava Cara; Alan si fissava i piedi.
Fu in quell’ennesimo momento di stallo che Jess, dopo aver passato l’intera serata in disparte a leggere “La Grande Guerra”, chiuse il suo libro con un sonoro tonfo e alzò gli occhi su di noi.
Ci scrutò con attenzione, probabilmente per comprendere meglio l’intera situazione, e poi spezzò il silenzio con la sua voce da ragazzino.
<< Nessun segreto? Ma se l’altra sera, quando sono uscito per vedere dove andava mio fratello, ti ho visto baciare quel ragazzo con i capelli neri. Sì, il fratello della tappetta occhialuta. >> Ethan sogghignò. Ero sicuro che anche lui avesse assistito alla scena, ma per qualche strana ragione non lo aveva raccontato a nessuno.
Forse perché Lucas, che aveva capito del suo amore fin dall’inizio, non aveva sbandierato ai quattro venti il suo di segreto.
Abby si rimise a ridacchiare, questa volta ad un volume più elevato, più che per la notizia in sé, di cui sicuramente era già al corrente, per la reazione che aveva avuto Cara.
La ragazza era rimasta a bocca spalancata per qualche secondo, in seguito aveva farfugliato qualcosa d’incomprensibile e poi si era messa a saltellare con i suoi tacchi tutto attorno al fuoco.
<< Tu hai fatto cosa? Oh mio Dio! Io non so … oh mio Dio! >> Ed era andata avanti così per circa dieci minuti.
<< Ok, ok, ho baciato Alan. No, questo non significa che stiamo assieme perché, non so se avete notato, lui mi sembra piuttosto etero. Forse un po’ strano. Sì, diciamo un tantinello inquietante, ma pur sempre etero perciò la cosa non può funzionare. >> Questo mise a tacere i gridolini isterici di Cara ed evitò ad Alan di rispondere ad altre imbarazzanti domande.
Il gemello di Abby, durante il momento d’isteria, era rimasto perfettamente immobile, lo sguardo a terra e le mani, strette tra loro, appoggiate sulle ginocchia. L’unico cambiamento erano state le guance che si erano leggermente tinte di rosso.
Per rispetto dei nostri due amici, la questione fu abbandonata.
Senza che me n’accorgessi eravamo già passati ad altri argomenti: cosa fare il giorno dopo; quanto avremmo dovuto aspettare per tornare a casa; Alan doveva chiamare suo padre oppure no? E altri discorsi su quella falsariga.
Jess era di nuovo perso nella sua lettura; Ethan e Cara erano uno attaccato all’altra e lui le cingeva la vita con un braccio. Abby stava appoggiata alla mia spalla, proprio come prima e Lucas, irrequieto com’era non riusciva a stare seduto per più di due secondi. Dal canto suo Alan era silenzioso come sempre, ma prestava attenzione ad ogni parola che veniva pronunciata.
Era incredibile che tutte le cose di cui eravamo venuti a conoscenza quella sera, io più degli altri visto che loro sembravano sapere già tutto da tempo, non avessero cambiato nulla.
Anche con l’aggiunta di Alan, Ethan e suo fratello Jess niente sembrava essersi modificato.
Quella fuga, che si era ormai trasformata in un viaggio alla scoperta di noi stessi, ci aveva reso, se possibile, ancora più uniti e legati l’uno all’altro di quanto non fossimo stati in precedenza.
Forse gli altri non se n’erano ancora resi conto, ma in queste ultime settimane eravamo cresciuti e maturati più di quanto avremmo potuto fare con anni e anni di esperienza di vita. Non eravamo più dei ragazzini, che scappavano dai problemi perché non erano in grado di farvi fronte, ma eravamo diventati degli adulti e gli adulti le difficoltà le affrontano.
Mia zia, Chris, il padre di Ethan e anche quello di Abby non lo avevano mai fatto, non erano mai cresciuti e i loro casini adolescenziali li avevano seguiti anche nell’età adulta. Era per colpa loro se noi ci trovavamo lì e visto che loro non ci erano mai riusciti toccava a noi risolvere la situazione.
Mi voltai verso Abby.
La luce delle fiamme si riverberava sul suo viso e lo illuminava di sfumature rosse e arancioni.
Era così bella.
Guardai il viso della persona che più amavo al mondo ancora per qualche secondo e poi decisi.
Era ora di tornare indietro e mettere a posto le cose.

 
Pov John
 
Erano passate ormai due settimane da quando mia figlia era scomparsa. Certo, scomparsa era un modo di dire perché sapevo esattamente dov’era, come c’era arrivata e anche che cosa aveva fatto da quando lei e i suoi insulsi amichetti avevano raggiunto quel luogo.
Io sapevo sempre tutto quello che c’era da sapere.
La conoscenza è potere.
Mio padre me lo ripeteva in continuazione quando ero piccolo ed era grazie ad essa che ero arrivato così in alto. Sapere quali erano le debolezze del tuo avversario rendeva la tua vittoria scontata e se, al contempo, eri in grado di nascondere le tue agli altri allora diventavi invincibile. Un cosa, però, non mi aveva detto a proposito della conoscenza e del potere: nessuno dei due era in grado di donarmi la facoltà di farmi amare da un’altra persona.
E nessuno, nella mia vita, mi aveva mai insegnato il modo giusto per amare ed essere amati.
Così, quando ebbi l’amore di Gemma non seppi come ricambiarlo e quando m’innamorai di Alexis non avevo idea di come farmi amare da lei.
Abby era stata la mia ultima possibilità di fare qualcosa di buono e ci avevo provato, davvero, ma avevo fallito miseramente. Per giorni avevo pregato che lei tornasse da me, eppure avrei dovuto capire che non sarebbe mai successo.
Quale sciocco faceva ritorno alla tana del mostro da cui pensava di essere riuscito a fuggire?
Le avevo lasciato tempo, giorni interi, settimane per riflettere e decidere di tornare da me, ma lei non l’aveva fatto. La sua stanza era vuota e silenziosa; non sentivo più i suoi singhiozzi soffocati durante la notte e neppure la porta che si chiudeva piano quando pensava di sgattaiolare via senza essere vista.
Benché la trattassi peggio di un’estranea mia figlia mi mancava.
Tutto quello che avevo sempre voluto era Alexis e l’avevo persa. Tutto quello che mi restava era Abigail e non avrei permesso a nessuno, nemmeno a lei stessa, di portarmela via.
Alzai la cornetta del telefono e premetti il tasto rosso per i numeri memorizzati, aspettai qualche secondo e poi pigiai sul numero due.
Mark Leery, il mio uomo migliore.
Squillò due volte prima che dall’altro capo rispondesse qualcuno.
<< Sono Mark, mi dica. >> Respirai. Diedi la schiena alla mia scrivania e, come d’abitudine quando telefonavo, mi misi ad osservare gli alberi giù nel piazzale.
<< Ho un compito molto importante per te, Mark. >> Dall’altro capo seguì solo silenzio.
<< Mia figlia e dei suoi amici sono scappati. Attualmente si trovano vicino al paesino di Antimony, in Utah, da circa due settimane. Voglio che tu vada lì e che li prelevi tutti quanti. >> La voce roca di Mark era molto più terrificante se non potevi vederlo in faccia, ma quella paura era compensata dal fatto che se non era lì con te non poteva nemmeno ucciderti.
<< Agli ordini, capo. >>
<< Portali al solito posto e non torcere un capello a nessuno di loro, soprattutto a mia figlia, intesi? >> Il respiro di Mark Leery era profondo, tranquillo e regolare.
<< Perché mai dovrei? Sono solo dei ragazzini. >> Mi passai la mano sulla fronte imperlata di sudore. Non ero certo che dirglielo fosse una buona idea, ma tanto vedendoli li avrebbe certamente riconosciuti.
<< Due di loro sono figli di Daniel McKaine e un altro è figlio di quello che l’ha aiutato a sbarazzarsi del corpo di tuo fratello. >> Di nuovo silenzio, non sentivo più nemmeno il suo respiro.
<< Mark? >> Solo dopo qualche minuto si decise definitivamente a rispondermi.
<< Non toccherò nessuno di loro, ma, per favore, mi dia il permesso di tirare un cazzotto al più grande dei McKaine. >> Non sarebbe stato giusto, ma c’era da dire che, in realtà, non m’importava nulla del ragazzo.
<< Va bene. >> Anche se non potevo vederlo sapevo che stava sogghignando come suo solito.
<< Un colpo solo, per tu fratello Brian. >> Riattaccai.
Il sole di fine novembre stava tramontando, il capo dei miei uomini stava partendo per Antimony e presto avrei riavuto la mia Abby.
Nessuno avrebbe potuto impedirmelo.
Al suo arrivo le avrei spiegato ogni cosa e lei avrebbe capito.
Mi avrebbe dato un’altra chance e io non l’avrei sprecata.
Sistemerò ogni cosa e, finalmente, Abigail mi vorrà bene come ad un vero padre.
Sì, avrei fatto qualunque cosa pur di non perderla di nuovo.
Io e lei saremmo rimasti assieme per sempre.


Spazio Autrice
Dopo un'eternità, rieccomi!
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Scusatemi immensamente, ma sono impegnatissima con il mio lavoro di maturità e ho davvero poco tempo per scrivere, perdonatemi.
Il capitolo è un po' corto e non è che succeda poi questo granché, ma, come avrete intuito, la difficile parte finale sta per cominciare.
Chi avrà pazienza, visto le tempistiche che ho ci vorrà almeno un altro anno per finirla, vedrà. Alla fine, più o meno, mancano 6 capitoli, ma è ancora tutto da decidere.

Per la frase iniziale: si tratta di un'altra poesia della fantastica Emily Dickinson.

Wild Nights - Wild Nights!
Were I with thee
Wild Nights should be
Our Luxory!

Futile - the Winds -
To a Heart in port -
Done with the Compass -
Done with the Chart!

Rowing in Eden -
Ah, the Sea!
Might I but moor - Tonight -
In Thee!


Notti selvagge, notti selvagge!
Fossi assieme a te
notti selvagge sarebbero
la nostra ricchezza.

Inutili i venti
per un cuore in porto
mappa e bussola
si mettono da parte

navigando nell'Eden -
Ah, il mare!
Potessi stanotte gettare
l'ancora in te!

E con questo concludo (non vorrei che il mio computer mi abbandonasse proprio ora!).
Ci sentiamo al prossimo capitolo (spero entro Natale),
Mel


 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Non c'è altra via ***


Capitolo 15 – Non c’e altra via

Per arrivare all’alba
Non c’è altra via che la notte.
 
 
Pov Abby
Ero seduta su un enorme roccia muschiosa al limitare del boschetto. Gli altri stavano smontando le tende e raccattando le loro cose in vista della partenza. Io fissavo il nulla, mentre spostavo il ciondolo della mia collana a destra e a sinistra, ritmicamente. La mattina del giorno prima Nick mi aveva esposto la sua idea: tornare indietro ed affrontare mio padre. Sembrava semplice, la scelta giusta da fare, ma io non ne ero convinta così avevo proposto di metterla ai voti.
Erano stati tutti d’accordo.
Nessuno di loro aveva più voglia di restare rintanato in un paesino sperduto.
Volevano tornare a casa e, in un certo senso, riuscivo a capirli.
Sapevo che era martedì ventisette novembre.
Sapevo che mancavamo da casa da ben diciassette giorni.
Dovevamo tornare.
Mi lasciai scivolare a terra e mi diressi dagli altri, con l’intenzione di aiutare Nicholas a ripiegare le nostre cose per poi infilarle negli zaini. Quando lo raggiunsi aveva quasi finito.
<< Mi spiace di non averti aiutato prima, ormai è troppo tardi. >> Sentii le sue braccia cingermi all’altezza della vita e tirarmi dolcemente nella sua direzione.
<< Questo perché sono dannatamente bravo ed efficiente. >> Sorrise e un attimo dopo mi stampò un bacio delicato sulla fronte.
<< Ho pensato che avresti avuto bisogno di stare un po’ da sola e così ho preparato anche la tua borsa. >> Lo baciai rapidamente sulle labbra prima di sciogliermi dal suo abbraccio per controllare che tutto fosse effettivamente al posto giusto.
<< Ti ho già detto che sei il ragazzo migliore del mondo? >> Nicholas si mise a ridere mentre stringeva l’ultima cinghia del suo zaino.
<< Certo, perché sto con la ragazza migliore del mondo! >>
 
Tutto sembrava pronto per il nostro ritorno a casa: sia le borse che gli zaini erano chiusi e in giro non sembrava esserci più niente di nostra appartenenza. D’un tratto mi accorsi che gli altri mi stavano fissando in silenzio, nessuno escluso, come se si aspettassero che dicessi loro qualcosa. Non ero mai stata brava nei discorsi; solitamente diventavo ansiosa, incominciavano a sudarmi le mani e finivo sempre per straparlare.
A questo discorso, però, non potevo sottrarmi così presi un bel respiro e incominciai a parlare:
<< Ragazzi, sono grata a tutti voi per essere venuti via con me. So di avervi chiesto molto: avete dovuto abbandonare le vostre famiglie, la scuola, la vostra vita di tutti i giorni, eppure nessuno di voi si è lamentato. Mi ha avete sostenuta per tutto questo tempo e per questo vi ringrazio, ma quando torneremo a casa sarò io, e io soltanto, a vedermela con mio padre. >>
Per un attimo le parve che Lucas volesse aggiungere qualcosa, probabilmente dirle che non doveva affrontare John da sola, invece rimase in silenzio insieme agli altri.
<< Forza, muoviamoci. >>
E così dicendo prendemmo la direzione che, dall’area semi boschiva destinata ai campeggiatori, portava alla fermata degli autobus.
 
Mentre attraversavamo la piccola cittadina di Antimony, Utah, non incontrammo nessuno. Non uno dei suoi centoventotto abitanti; nemmeno Becky, la parrucchiera che era diventata amica di Cara. Il posto era deserto, come se durante la notte tutti avessero racimolato i loro averi e fossero scoparsi prima dell’alba.
Antimony era diventata una città fantasma.
Camminare in mezzo a quel silenzio mi metteva in soggezione. Mi sentivo la schiena percorsa da un’infinità di brividi e certamente quest’ultimi non dipendevano dal freddo.
Strinsi la mano di Nicholas e premetti leggermente il mio corpo contro la sua spalla; il lieve calore che emanava mi tranquillizzò un pochino.
Sfortunatamente non abbastanza.
Sempre appoggiata alla sua spalla mi voltai verso Lucas nel preciso istante in cui lui si girava per cercare il mio sguardo. Dai suoi occhi capii che anche lui trovava strana quella situazione. Ora ero sicura al cento per cento che qualcosa non andava.
Il primo uomo comparve da una stretta stradina laterale che conduceva al Rockin R Ranch. Era alto e ben piazzato, con un tatuaggio a spirale che gli risaliva lungo il collo. Ruotò la testa lentamente verso destra e, anche se era piuttosto lontano da noi, riuscii comunque ad udire distintamente lo scrocchio.
L’ennesimo brivido mi attraversò interamente il corpo.
L’uomo incrociò le braccia sul petto, fissandoci in modo minaccioso, ma non si mosse.
<< Li ha mandati John, suppongo. >> Lucas l’aveva bisbigliato così piano che soltanto io ero riuscita a sentirlo.
<< Credo proprio di sì, sembra uno dei suoi uomini. >> Risposi senza staccare gli occhi da Tatuaggio-a-spirale; finché non cercava di colpirci, com’era successo in precedenza, sarebbe andato tutto bene.
<< Sembrano. >> mi corresse Lucas. Solo allora spostai lo sguardo e notai gli altri cinque uomini che ci circondavano.
Quattro di loro erano gli stessi che ci avevano aggredito settimane prima, tra cui Tatuaggio-a-serpente, mentre l’ultimo, così come il primo, era una faccia sconosciuta. Aveva i capelli molto corti e quasi del tutto grigi, ma qua e là si riusciva ancora ad intuire che un tempo erano stati biondi quasi quanto quelli di Ethan e di suo fratello. Rispetto agli altri era più basso e meno muscoloso, nel complesso il suo fisico era più scattante, un po’ come quello di un ex-atleta. Se avessi dovuto scommettere su chi, tra i sei tirapiedi di mio padre, era la mente avrei puntato tutto su di lui.
Ex-atleta-biondo era il capo.
Le mie conclusioni si rivelarono esatte quando fece un passo avanti e incominciò a parlarci, o meglio, a parlare con me.
<< Signorina Sullivan, il mio nome è Mark Leery e suo padre mi ha incaricato di riportare lei e i suoi amici a casa. Immediatamente. Se ci seguirete senza fare resistenza nessuno di voi si farà male, in caso contrario non mi sento di garantirle nulla del genere. >>
La cosa che più mi stupì del suo discorso fu la sua apparente cortesia unita ad un’incredibile proprietà di linguaggio per uno che nella vita faceva da scagnozzo a mio padre. Nonostante questo era chiaro dal suo tono di voce, così roco e terrificante, che non era il genere di persona con cui si poteva scherzare.
O decidevi di seguire i suoi ordini oppure ti avrebbe costretto a fare come voleva lui. Sostanzialmente non c’era via di scampo.
Fu in quel momento che compresi perché era lui il capo; oltre ad essere fisicamente prestante e in grado di emanare un’aura di puro terrore, Mark Leery era intelligente. La motivazione che l’aveva spinto a scegliere quello come lavoro e aspirazione di una vita restava un mistero per tutti noi. L’unica cosa che davvero importava era che quell’uomo era lì per riportarci a casa, con o senza il nostro consenso.
Stavo giusto per aprir bocca e rispondergli che, a casa, ci stavamo già tornando e che lui e la sua brigata di uomini erano del tutto inutili per quel compito. Ovviamente avrei pronunciato un discorso meno aggressivo di come lo avevo pensato, se Ethan me ne avesse lasciato il tempo.
<< Nessuno di noi andrà da nessuna parte con te e i tuoi amichetti, Mark L’idiota. >> Vidi Cara far scivolare lentamente il viso tra le mani con aria desolata, la sua testa che si muoveva leggermente a destra e a sinistra. Potevo capirla benissimo.
Ethan ci ha appena infilato in un casino di proporzioni stratosferiche!
<< Tu devi essere uno dei McKaine, vero piccolo figlio di puttana? >> Ethan mi scansò di lato, senza spintonarmi, ma con un’espressione così arrabbiata che per un attimo credetti che lo volesse fare sul serio. Vidi le sue braccia irrigidirsi sui fianchi e le sue mani stringersi a pungo mentre si avvicinava a Mark.
<< Come mi hai chiamato? >> Mark sogghignò e fece scrocchiare le dita della mano destra.
<< Figlio di puttana, tu e tuo fratello. Anche se devo ammettere che quello con la faccia da stronzo sei solo tu. >> Ethan scattò verso l’uomo che, pur essendo fisicamente meno minaccioso degli altri cinque, era comunque grande il doppio di lui e quest’ultimo lo afferrò per la giacca sollevandolo da terra.
<< Lo sai cos’ha fatto tuo padre? Lo sai che è un lurido assassino? >> Benché Mark gli stesse urlando in faccia Ethan non si mosse, o almeno non lo fece da quello che riuscii a vedere io.
<< So che ha ucciso uno dei vostri, ma l’ha fatto per difendersi. Quell’uomo era lì per uccidere il suo migliore amico e, molto probabilmente, anche lui! >> L’espressione seria, calma e solo vagamente scocciata che aveva contraddistinto Mark fino a quel momento scomparve. Quello che comparve dopo fu molto peggio.
Odio.
Puro e cieco odio.
<< Quell’uomo era mio fratello! >> Mentre le ultime sillabe della frase mi raggiungevano, sentii il suono del naso di Ethan che si rompeva a seguito del cazzotto con cui Mark l’aveva colpito. Ethan volò, letteralmente, e si schiantò a terra poco lontano da noi. Si portò una mano all’altezza del naso e rimase a fissarla stupito per qualche secondo quando si accorse che era coperta di sangue. Stava per alzarsi e ribattere, ma Cara lo raggiunse, fazzoletto alla mano, e con lo sguardo più minaccioso che le avessi mai visto lanciare lo costrinse al silenzio.
<< Ora muovetevi, vi porto da John. >> Tutti, Ethan compreso, ci accodammo a Mark e i suoi uomini si chiusero a cerchio attorno a noi. Un po’ come se fossimo stati dei vip e loro le nostre guardie del corpo.
Era solo più inquietante.
E con un numero decisamente minore di party e milioni da spendere in oggetti futili.
Mi voltai verso Ethan e Cara. Lei gli stava tamponando leggermente il naso, che aveva smesso di sanguinare, ma aveva un aspetto pietoso tanto quanto prima. Ethan cercava di fare il duro, eppure vedevo che soffriva dalle smorfie che faceva ogni volta che il fazzoletto gli sfiorava il naso.
Lucas camminava davanti a me con fare tranquillo. La sua filosofia nei momenti di panico era pretendere di non essere spaventato e dovevo ammettere che la cosa gli riusciva sempre particolarmente bene.
Jess, più che altro, sembrava preoccupato per lo stato di salute del fratello maggiore e al contempo infastidito dal fatto di non poter leggere uno dei suoi innumerevoli libri.
Io ero ancora stretta a Nicholas e lui era ancora stretto a me.
Fu in quel momento che notai quello che stava facendo mio fratello. Lentamente, con tutta la grazia possibile e cercando di non farsi notare, stava componendo un numero sul telefonino che Chris gli aveva lasciato per le emergenze.
John che tenta di rapirci rientra sicuramente tra le situazioni d’emergenza.
Distolsi lo sguardo per non insospettire nessuno, cosa che non sembrò servire a molto. Di lì a qualche secondo uno degli uomini si mise a urlare in direzione di Alan.
<< Hey tu! Cosa stai facendo? >> Al suono della voce di Tatuaggio-a-spirale, Mark si voltò. Abbassò lo sguardo sul telefono. Lo rialzò per guardare Alan negli occhi. Afferrò il cellulare dalle sue mani e lo gettò a terra con un colpo secco. Inutile dire che l’apparecchio andò in mille pezzi.
<< Prova a rifarlo, ragazzino, e il prossimo a finire spiaccicato sul terreno sarai tu. >> Se possibile la sua voce si era fatta ancora più terrificante che in precedenza.
Alan non fiatò.
Riprendemmo a camminare nel silenzio più assoluto. Solo dopo qualche minuto mi azzardai ad alzare lo sguardo su di lui e gli occhi ambrati di Alan erano lì ad aspettarmi.
Mi sorrise compiaciuto.
Sono riuscito a chiamare Chris.
Anche se non l’aveva pronunciato, e io non l’avevo udito, sapevo che era questo che voleva dirmi.

 
Pov Chris
I ragazzi erano partiti più di due settimane prima. Il fatto che non avessi ricevuto alcuna loro notizia avrebbe dovuto tranquillizzarmi, visto che l’accordo era di chiamare solo in caso di difficoltà, ma non ero per niente calmo. Avevo passato l’ultimo periodo a svegliarmi di soprassalto, colto alla sprovvista da un’infinita serie di orribili incubi.
Ricordavo il primo con estrema chiarezza.
 
Ero a casa, sdraiato sul divano, e leggevo il giornale come ogni mattina. Non sentivo nessuno di loro da giorni, ma non ero spaventato. Mi sembrava tutto normale. Di colpo il telefono di casa cominciò a squillare a volume molto più alto del solito. Iniziai a correre verso l’apparecchio, ma la sala sembrava non finire mai. Divenne sempre più lunga e gli squilli si fecero sempre più insistenti. Quando finalmente riuscii a rispondere dall’altro capo si udirono solo urla, il suono di spari e poi il silenzio. Infine la voce di John.
<< Ciao, Chris. >> In quel momento mi accasciai a terra, in lacrime, perché sapevo che erano tutti morti.  
 
Solo a ripensarci mi tornarono i brividi. Sogni del genere mi avevano accompagnato ogni notte sin dalla loro partenza. Mi diressi in cucina, con l’intenzione di prepararmi da mangiare, e rimasi incantato davanti al frigorifero per parecchi minuti. Era interamente ricoperto dei disegni che Alan aveva fatto da piccolo.
Quanto mi mancava.
Negli ultimi diciassette anni Alan aveva sempre vissuto con me. Anche quando stava chiuso in camera sua per tutto il giorno, e c’incontravamo solo per cenare, sentivo la sua presenza silenziosa riempire la casa. Tutto quello che restava ora erano quattro mura e un tetto. Dentro non era rimasto niente.
Non importa quanto lunga sarà l’attesa, se prometti di tornare ti aspetterò in eterno.
Alexis l’aveva detto quando ci eravamo lasciati e fino ad ora ero stato convinto di aver provato quella sensazione solo con lei. Di aver amato solo lei. In quel momento mi resi conto che non era così. Al mondo esistevano tanti tipi diversi di amore e io avevo amato Alexis; avevo amato i miei migliori amici e amavo Alan.
Mio figlio era l’unica cosa che mi fosse rimasta e non potevo permettermi di perderla.
Non potevo permettere a John Sullivan di sottrarmi anche lui.
Mi sarei battuto per i miei figli.
Per Alexis.
Per Alan.
Per me.
Appena formulai il pensiero nella mia testa con chiarezza, il telefono di casa squillò. Corsi in soggiorno e sollevai la cornetta. Silenzio e poi delle voci in sottofondo.
<< Hey tu! Cosa stai facendo? >> Dal tono di voce si trattava di un adulto.
Gli uomini di John sono lì!
Un tonfo assordante mi costrinse ad allontanare il ricevitore dall’orecchio, ma quando lo riaccostai la linea era caduta. Ogni mio incubo; ogni mio più orrendo pensiero fatto nei giorni precedenti mi pervase.
Li ha catturati, picchiati, uccisi!
Feci un respiro profondo. L’uomo aveva parlato con qualcuno di loro, probabilmente Alan visto che il cellulare l’avevo dato a lui. In quel momento mio figlio doveva essere ancora vivo.
Se voleva ucciderli o far loro del male a quest’ora sarebbe già stato fatto.
Se l’intenzione di John era solo quella di riportarli a casa, e quasi certamente rinchiuderli da qualche parte per spaventarli a morte, allora avevo tempo di scoprire dove e salvarli.
Se fossi riuscito a far capire alla gente che genere di uomo era John Sullivan l’avrebbero sbattuto in prigione e non ne sarebbe uscito mai più. Coinvolgere la polizia significava rischiare il carcere per quello che avevo fatto in passato, perché John non si sarebbe arreso così facilmente, ma per la salvezza di quei ragazzi, e della città intera, era un piccolo prezzo da pagare.
Lentamente il piano per incastrare John e salvare Alan e Abby si andava delineando nella mia mente. L’unico pezzo mancante era il luogo in cui poteva averli portati. Di sicuro era un posto a cui non avrei mai pensato, in cui non andavo e che non potessi trovare per caso.
Un luogo sicuro.
Nascosto.
Un posto come le grotte.
Le caverne naturali in cui io e Daniel avevamo costruito il nostro magazzino segreto.
Le caverne che John conosceva.
Quelle dove non ero più tornato da quel giorno di tanti anni prima.
Quelle che erano impossibili da trovare a meno che non le si stesse cercando.
Era il luogo ideale per qualsiasi attività illegale.
Loro sono lì.

Spazio Autrice
So di avervi promesso il capitolo entro Natale (è orami piuttosto ovvio che sono pessima con le scandenze, cercherò di migliorare, ma non vi prometto nulla perché passerò i prossimi mesi a preparare esami.)
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre se avete commenti/critiche lasciate una recensione.
La fine della storia si avvicina e sono davvero curiosa di sentire le vostre opinioni a riguardo.

La frase iniziale è una citazione di Khalil Gibran.

Al prossimo capitolo,
Mel

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Nelle tenebre ***


Capitolo 16 – Nelle tenebre

I wish I could show you,
 when you are lonely
 or in darkness,
 the astonishing light
 of your own being.
 
Pov Lucas
 
Dopo averci prelevati e caricati su un elicottero completamente nero, gli uomini di John ci avevano bendati. Il tragitto da quel momento si trasformò in una serie di suoni e sensazioni, ma nessuna immagine. Per le prime ore tutto ciò che udii furono le pale dell’elicottero e il brontolio scontento di un paio di quegli omaccioni. Rumori e scossoni d’assestamento durante il volo a parte, fu un viaggio piuttosto lungo e noioso.
Nessuno di noi disse una sola parola fino all’atterraggio.
La mia motivazione per il silenzio era la paura. Per tutto il tempo, nel profondo della mia mente, l’immagine di John che ci dava la caccia era stata ben presente, ma la verità era che non gli avevo dato il minimo peso. Avevo la brutta tendenza a vedere la mia vita come uno di quei film per teenager americani in cui pure il più idiota della scuola alla fine è felice e contento. Perciò nella mia visione del mondo noi ce la saremmo cavata alla grande.
Gli uomini di John? Quegli stupidi mastini non ci troveranno mai!
Quando Mark e i suoi amichetti erano comparsi la parte razionale del mio cervello, che aveva tentato più volte di avvertirmi, si era limitata a sospirare e a sussurrarmi: “Io te l’avevo detto”.
Il problema della paura e del panico è che non sono tuoi amici, anzi tendono a farti comportare come una perfetta testa di cazzo. La mia tattica nelle situazioni terrorizzanti era sempre e solo una: pretendere che non lo fossero. Questo era il motivo per cui per tutto il tempo rimasi in un serafico silenzio, come se, invece che venir rapiti da metà di quella che sembrava una squadra da rugby, stessimo andando a fare una fantastica vacanza ai caraibi.
Il vuoto creato dalla mancanza di discussioni cominciò a rimpicciolirsi solo una volta che fummo atterrati. Nello scendere dall’elicottero, sempre bendati, uno di noi inciampò rischiando di volare di faccia fuori dal velivolo. All’inizio si sentì un fortissimo clang metallico, proveniente dalla parte bassa dello sportello, subito seguito da un lamento soffocato. Solo dopo udii la voce di Cara lamentarsi:
<< Avrei potuto uccidermi! Non potete toglierci queste dannate bende? Tanto lo sappiamo tutti da chi ci state portando! >>
Uno degli scagnozzi le rispose che non poteva fregargliene di meno della sua salute fisica e che le bende erano un ordine di Mark perché non ci era dato conoscere il luogo in cui ci stavamo recando, che noi credessimo di saperlo oppure no.
In seguito camminammo per un paio di minuti in silenzio e poi ci fecero salire su quello che sembrava un piccolo furgoncino o un’auto con un rimorchio, ma il furgoncino mi sembrava più probabile. Il secondo viaggio fu decisamente più corto, ma molto meno comodo. Fino a quel tragitto pieno di scossoni non mi ero mai accorto di quante buche ci fossero sulle nostre strade. “Nostre” perché presumevo che fossimo tornati, se non ancora a Wahoo, almeno nello Stato del Nebraska.
Abby era sicuramente seduta al mi fianco; a ogni curva sentivo le punte dei suoi capelli che mi sfioravano la spalla destra, solleticandola. Tentai di allungare la mano per cercare la sua. Volevo stringerla e prometterle che sarebbe andato tutto bene, benché io fossi il primo a non pensarlo sul serio. Appena accennai il movimento la voce di uno degli omaccioni tutto muscoli mi riprese:
<< Tu, alto e smilzo, tieni le mani ferme e dove posso vederle. >> Ancora prima che finisse di parlare ero tornato nella posizione precedente. Farsi ammazzare durante un trasposrto ostaggi perché volevo stringere la mano della mia migliore amica non era esattamente nei miei piani.
Il viaggio continuò nel silenzio e nell’immobilità più totali. Sentivo il respiro irregolare di Ethan, per via del pugno di Mark, da qualche parte sull’altro lato del furgoncino. Probabilmente Cara si trovava nelle sue vicinanze perché i suoi lamenti per gli scossoni improvvisi mi sembravano giungere dalla stessa direzione. Per quanto riguardava gli altri non avevo la minima idea della loro posizione.
Come tutti gli avvenimenti della vita anche quel terrificante, infinito viaggio giunse ad una conclusione. Ci fecero scendere dal presunto furgoncino su quello che sembrava un prato piuttosto malmesso. Camminammo per qualche minuto prima che il terreno cominciasse a cambiare in qualcosa di più simile alla roccia. La temperatura, già non molto elevata, scese ulteriormente e solo allora ci fecero fermare e ci tolsero le bende.
Quella in cui ci trovavamo era, senza ombra di dubbio, una caverna. Intendiamoci, non una singola piccola caverna con ragnatele su ogni angolo e strani rumori di animali, ma una caverna collegata ad almeno cinque tunnel differenti che, con ogni probabilità, conducevano ad altrettante caverne. Non era totalmente naturale; qua e là si notava la rifinitura di qualche macchinario che aveva allargato i tunnel o smussato alcune sporgenze particolarmente pericolose. In oltre era estremamente pulita, come se venisse utilizzata regolarmente. C’era chiaramente qualcosa di incredibilmente sospetto in quel luogo, anche perché non ne avevo mai sentito parlare e io ero convinto di conoscere tutto di Wahoo.
Gli uomini di John ci scortarono attraverso un intricato labirinto di gallerie sotteranee fino a quelle che sembravano delle celle.
<< Sul serio? Mio padre ci fa rapire e poi non ha nemmeno la decenza di presentarsi di persona o di portarci a casa, ma ci fa rinchiudere in delle celle sotterranee chissà dove?! >>
Abby si era messa a urlare all’improvviso e nessuno di noi era pronto a quello scoppio d’ira, così, per un attimo, ci fu solo l’eco della sua frustrazione a risuonare tra quelle mura. Poi, uno degli uomini tatuati l’afferò per un braccio e le spinse, con molta poca delicatezza, all’interno della cella.
<< A nessuno importa di cosa pensi tu, ragazzina! >>
Uno dopo l’altro ricevemmo tutti lo stesso trattamento e ci ritrovammo rinchiusi, Dio solo sa dove. Due degli uomini di John si piazzarono all’esterno della cella. Uno sulla sinistra e l’altro sulla destra. Gli altri, Mark escluso, si allontanarono nelle tenebre.
<< Tenervi qui è un ordine di tuo padre. Vedi, vuole essere sicuro che, quando vi lascerà andare, nessuno di voi andrà in giro a raccontare quello che è successo. Sarebbe davvero un peccato se la verità venisse a galla dopo tutto il lavoro che è stato fatto per nasconderla, non vi pare? >> Sul suo volto si dipinse un orribile sorriso sbilenco, quasi sadico.
Per “vuole essere sicuro” non intende “vuole farvi torturare” o, peggio, “vuole uccidervi”, vero?
Il pensiero mi aveva solo sfiorato, ma era bastato per farmi venire la pelle d’oca e, molto probabilmente, per far assumere al mio volto un’espressione di puro terrore. Pur non potendo vedermi ero certo che fosse andata così per quello che Mark disse dopo:
<< Oh, ti prego, mammoletta! Adesso non metterti a piangere per la paura. Le direttive di John erano chiare: portavi qui, così che potesse essere il primo a parlarvi. Ha chiesto eplicitamente di non farvi del male. >> A seguito di quell’affermazione, Ethan si lanciò contro le sbarre, il volto deturpato dalla rabbia, arrivando a pochi millimetri da Mark.
<< Se il vostro compito era portarci qui e non ferirci, per quale cazzo di motivo mi hai colpito in piena faccia?! >>
Mark lo fissò sogghignando per qualche secondo, poi l’afferrò nuovamente per la giacca, schiacciandolo contro le sbarre alle quali si era aggrappato. Potevo vedere l’odio bruciare sul volto di entrambi, ma riuscivo anche a vedere la paura di Ethan di essere nuovamente colpito e di non essere in grado reagire all’affronto.
<< Vedi, McKaine, con te ha fatto un’eccezione. Mi ha detto che tu e tuo fratello eravate con sua figlia e, ovviamente, sapeva di mio fratello. Mi ha concesso un pugno, dritto in faccia, e io te l’ho dato. Ora vedi di stare zitto, prima che io decida di fregarmene e farlo di nuovo. >>
Mark lo lasciò andare e, solo per qualche secondo, Ethan rimase fermo ad osservarlo con rabbia. Era consapevole della sua impotenza, e non solo perché delle sbarre li separavano, così si fece da parte e tornò nella posizione da cui si era mosso al principio. Mark rise divertito quando lo vide indietreggiare. Si passò lentamente una mano tra i capelli e si voltò, con tutta l’intenzione di andarsene, ma prima che potesse farlo Abby lo interrupe nuovamente:
<< Se mio padre vuole parlarci perché non è qui? >>
Questa volta il suo tono era molto più controllato, ma la sua rabbia era lo stesso percepibile. Trasudava dalle sue parole e strisciava silenziosa fino a raggiungere chi le udiva.
Mark si fermò e girò leggermente la testa, senza voltarsi completamente.
<< Quando John sarà pronto per parlarvi ce lo farà sapere e solo allora verrò a prendervi. >>
L’uomo s’incamminò senza fretta per il tunnel, evidentemente voleva godersi il momento, ma non aveva più intenzione di ascoltarci. Non si fermò nemmeno quando Abby riprese a parlare.
<< Quando sarà pronto? Deve parlare con me mica presenziare a un talk show, non gli serve una seduta dalla truccatrice! >>
Ok, quando Abby si metteva a fare battutte del genere voleva dire che era arrivata al limite della sopportazione. Era chiaro che trovava la situazione insopportabilmente ridicola, così com’era chiaro che avrebbe preso a schiaffi John se solo se lo fosse trovato davanti in quel preciso momento.
Mi chiedevo per quale motivo John avesse bisogno di tempo per arrivare da noi, minacciarci per qualche minuto e ottenere una promessa di silenzio eterno sulla questione.
Lo sta facendo per Abby.
A John non interessavamo, anche se avessimo raccontato la storia in giro nessuno ci avrebbe mai creduto. No, a lui interessava Abby. Non era riuscito a conquistare Alexis, non era riuscito a tenerla stretta a lui; tutto quello che gli restava della sua amata era sua figlia e ora anche lei stava scivolando via. Che chiedesse perdono forse era aspettarsi troppo da John Sullivan, ma ero certo che avrebbe tentato di riconquistare l’amore di sua figlia.
Ricordavo un tempo in cui lui e Abby erano felici. Quando eravamo piccoli lei sorrideva sempre, non aveva paura di tornare a casa e chiamava John “il mio papà”. Non sapevo con esattezza quando le cose cominciarono a cambiare, so solo che lo fecero. Probabilmente più Abby cresceva, più somigliava alla madre, e questo per John era stato semplicemente troppo da affrontare.
Così ha pensato bene di fare lo stronzo! Geniale, visto come aveva funzionato in precedenza!
Gli altri si sedettero sulla fredda roccia da cui era composto il labirinto in cui eravamo rinchiusi e io feci lo stesso. Mi sedetti vicino ad Abby e cercai di spiegarle la mia intuizione.
<< Se lo fa perché vuole il mio amore potrebbe benissimo rinunciare, quello l’ha perso anni fa e non lo recupererà certo con un misero discorsetto intimidatorio. >>
Capivo la sua frustrazione e odiavo John quasi quanto lei per tutto quello che le aveva fatto passare.
Cosa cerchi di fare Lucas?
Non ne avevo idea, non volevo che Abby lo perdonasse, lui non se lo meritava. Una parte di me, però, rivoleva la bambina felice, quella che amava il suo papà. Vane illusioni, non sarebbero mai potuti tornare a essere così. Tutto quello che restava ad Abby della sua famiglia era un finto padre che le aveva fatto credere di essere buono; un vero padre che praticamente non conosceva; un gemello innamorato di lei e una madre morta prima ancora di conoscerla.
Però Abby ha noi.
Siamo noi la sua vera famiglia.
Lei ci ha scelti e noi non la deluderemo.

 
 
Pov John
 
Mark mi aveva telefonato per comunicarmi il suo arrivo al nascondiglio sicuro. All’inizio avevo pensato di prendere l’auto e recarmi lì il più presto possibile. Volevo farla finita con i capricci di mia figlia. Volevo riaverla indietro e chiudere la questione.
Più ci pensavo e più sentivo l’ansia scavarsi un posto d’onore al mio interno. Cominciai a sudare freddo. Distesi le mani davanti a me e vidi che tremavano in modo piuttosto evidente. Non potevo presentarmi in quel modo.
Mi sedetti e feci dei respiri profondi, cercando di calmarmi. Mai in vita mia mi era capitato di sentirmi così fragile e impotente. Ero sempre riuscito a far fare alle persone quello che volevo che facessero; se non con le buone, almeno con le cattive.
Ma Abby era un’altra storia.
Mia figlia mi odia.
Si sarebbe fatta uccidere piuttosto che stare con me.
Devi solo parlarle, nient’altro. Solo parlare.
Le avrei spiegato le mie ragioni e lei avrebbe capito. Doveva capire. Se avessi perso anche mia figlia non mi sarebbe rimasto più niente.
Ero rimasto fermo in quella posizione per ore, ma non potevo restare immobile e aspettare che la situazione si risolvesse da sola. Più tempo Abby passava rinchiusa e meno mi avrebbe creduto. Non potevo farla aspettare, non dopo tutto quello che le avevo già fatto.
Mi alzai dal divano in pelle del soggiorno e raccolsi il soprabito nero che usavo di solito. Scesi la piccola rampa di scale che portava all’entrata e, una volta di fronte alla porta, esitai per un attimo.
Se non mi perdona, cosa ne sarà di me?
Nella mia mente la risposta sembrava scappare, nascondendosi tra le nebbie dei miei pensieri. La verità era che sapevo esattamente cosa avrei fatto, ma era una soluzione così drastica e spaventosa che io stesso volevo sfuggirvi.
Eppure sapevo che, se avessi perso Abby, non sarebbe restato altro.
Senza di lei, io non sono niente.
L’esitazione scomparve, aprii la porta e mi diressi da lei.

 
 
Pov Lucas
 
Rimanemmo seduti in silenzio, nel mezzo di quelle grotte fredde e umide, per quelle che mi sembrarono, e quasi certamente furono, ore. Nessuno di noi parlava perché nessuno sapeva cosa dire. Eravamo stanchi, il viaggio stava giungendo al termine e ormai mancava solo la resa dei conti.
Cara e Jess dormivano appoggiati sulle spalle di Ethan, che fissava il pavimento con espressione vacua. Nicholas stringeva delicatamente la mano di Abby e l’accarezzava disegnando piccoli cerchi. Alan aveva gli occhi chiusi, ma sapevo che non stava davvero dormendo, il suo respiro era troppo lieve per una persona profondamente addormentata. Mi spostai leggermente più vicino a lui e sussurai, in modo che nessuno degli altri potesse sentirlo:
<< Mi dispiace per il bacio, penso di averti preso alla sprovvista. >>
Alan smise la sua messa in scena e alzò lo sguardo su di me. I suoi occhi erano identici a quelli di Abby, ma se quelli di lei mi facevano sorridere, quelli di lui mi facevano tremare. Mi facevano sentire piccolo e indefeso, come se potesse leggermi dentro.
Era una sensazione terrificante, ma in modo bello.
<< Già. >>
Come al solito non era uno da grandi discorsi o da risposte più lunghe di una sillaba.
<< E mi scuso anche per il falò. Non avrei mai confessato se non ci fossero stati testimoni pronti a raccontare tutto. >> Voleva essere una battuta, cercavo di sdrammatizzare.
Forse non c’ero riuscito.
<< E perché? Ti sei pentito di quello che hai fatto? >>
Dovevo ammettere che la sua risposta mi aveva colto alla sprovvista.
<< No, io pensavo che tu … sì, insomma … che tu non volessi farlo sapere agli altri. >>
Alan rimase qualche istante senza parlare.
<< Perché? Ti ho mai detto che doveva restare un segreto? >>
Rimasi senza parole. Sul suo viso si dipinse un sorriso, un vero sorriso, come non ne avevo mai visti da parte sua.
<< Sai, di solito i ragazzi etero tengono in alta considerazione la loro “virilità”, guai a chi anche solo insinua che potrebbero non essere etero al cento per cento. >>
Durante tutta la conversazione non c’eravamo mossi. Nessuno dei due aveva distolto lo sguardo.
Per un attimo, e un attimo soltanto, Alan lo abbassò, sorridendo, per poi riportarlo all’altezza dei miei occhi.
<< In realtà non ho mai detto di essere etero al cento per cento, la mia vita sessuale inesistente non mi ha mai portato a pormi alcuna domanda a riguardo. >>
Dopo la sua affermazione trattenni il fiato.
<< Sei ancora innamorato di Abby? >>
Vidi un barlume di confusione sul suo viso.
<< Sì e no, diciamo che ci ho messo una pietra sopra. In fondo è mia sorella. >>
Mi osservava dubbioso, probabilmente si domandava dove volessi andare a parare. La questione sarebbe diventa molto più chiara con la prossima domanda che mi ronzava in testa.
<< E ora? Pensi di portela quella domanda? >>
Alan sorrise di nuovo. Era così bello quando lo faceva; non che normalmente non lo fosse, ma così era tutta un’altra storia.
<< Può darsi. >>
E mentre tutte le mie speranze si riaccendevano, facendomi scoppiare il cuore di gioia, dei passi rieccheggiarono lungo gli angusti corridoi. La figura di Mark si delineò pian piano tra le ombre, un paio di chiavi tintinnanti tra le mani. Appena lo vide, Abby lasciò andare la mano di Nick e scattò in piedi. Corse fino alle sbarre, afferandole così forte da far sbianchare le sue nocche.
Una sola domanda lasciò le sue labbra.
<< Lui è qui? >>

 
 
Pov Chris
 
Successe in mattinata. Un furgoncino bianco risalì la piccola altura che portava alle grotte, facendo tremare la terra.
Avevo passato una notte intera nascosto nei pressi dell’entrata senza il minimo accenno di azione. Avevo dormicchiato, ma senza mai farlo profondamente per paura di perdermi il loro arrivo.
Gli uomini di John scesero e aprirono il portellone posteriore con un colpo secco, facendomi intravedere i ragazzi. L’istinto fu quello di correre verso di loro, far fuori gli stupidi scagnozzi e portarli tutti in salvo. Resistetti. Avevo elaborato un piano, non particolarmente dettagliato, ma pur sempre un piano. Avevo bisogno che John fosse lì con loro.
Pensavo che sarebbe arrivato poco dopo, invece le ore passavano e di lui non c’era la minima traccia. Cominciavo a domandarmi se, in fin dei conti, intervenire fosse l’unica opzione rimastami. Entrare là dentro, con tutti quegli uomini sarebbe stato un suicidio e chiamare la polizia non avrebbe fatto che aggevolare John. Mi rassegnai all’attesa.
Stavo iniziando a perdere le speranze quando il terreno sotto ai miei palmi cominciò a vibrare. Prima leggermente, poi sempre più forte, mentre scorgevo una lussuosa auto nera che si avvicinava.
Lui è qui!



Angolo autrice

Dopo un lunghissimo ritardo (fuori da ogni umana concezione e per cui vi chiedo immensamente scusa) sono riuscita ad aggiornare.
Manca poco ragazzi, la storia sta per finire!
Come sempre se avete commenti/critiche/consigli e/o correzioni recensite (sapete che mi fa piacere sentire la vostra opinione).

La frase all'inizio del capitolo è di Hafiz

Alla prossima (e spero non di nuovo tra sette mesi),
Mel

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2095301