La Quarta Era - Chain Novel de La Ruota del Tempo

di I Camminatori dei Sogni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte prima] ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte seconda] ***
Capitolo 4: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte terza] ***
Capitolo 5: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte quarta] ***
Capitolo 6: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte quinta] ***
Capitolo 7: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte sesta] ***
Capitolo 8: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte settima] ***
Capitolo 9: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte ottava] ***
Capitolo 10: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte nona] ***
Capitolo 11: *** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte decima] ***
Capitolo 12: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte prima] ***
Capitolo 13: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte seconda] ***
Capitolo 14: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte terza] ***
Capitolo 15: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte quarta] ***
Capitolo 16: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte quinta] ***
Capitolo 17: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte sesta] ***
Capitolo 18: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte settima] ***
Capitolo 19: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte ottava] ***
Capitolo 20: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte nona] ***
Capitolo 21: *** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte decima] ***
Capitolo 22: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte prima] ***
Capitolo 23: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte seconda] ***
Capitolo 24: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte terza] ***
Capitolo 25: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte quarta] ***
Capitolo 26: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte quinta] ***
Capitolo 27: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte sesta] ***
Capitolo 28: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte settima] ***
Capitolo 29: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte ottava] ***
Capitolo 30: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte nona] ***
Capitolo 31: *** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte decima] ***
Capitolo 32: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte prima] ***
Capitolo 33: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte seconda] ***
Capitolo 34: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte terza] ***
Capitolo 35: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte quarta] ***
Capitolo 36: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte quinta] ***
Capitolo 37: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte sesta] ***
Capitolo 38: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte settima] ***
Capitolo 39: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte ottava] ***
Capitolo 40: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte nona] ***
Capitolo 41: *** Capitolo 4: Certezze infrante [parte decima] ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Prologo

La Ruota del Tempo gira e le epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda. La leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato quando ritorna l'Epoca che lo vide nascere. In un'Epoca chiamata da alcuni Epoca Quarta, un'Epoca ancora a venire, un'Epoca da gran tempo trascorsa, il vento si alzò dalle antiche rovine di Samrie, la città del Re Distruttore. Il vento non era l'inizio. Non c'è inizio né fine al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.
Il vento giocò con le foglie secche, facendole danzare tra i grossi blocchi di pietra ormai ricoperti dalla vegetazione. In quei ruderi aveva vissuto gente che si credeva immortale, persone in grado di manipolare i quattro elementi e l'essenza dello spirito attraverso il Potere e per questo convinti di dover dominare su tutti gli altri, di avere il diritto di usarli come bestie. Il vento abbandonò quelle pietre maledette, annusato e seguito dagli occhi di creature immonde che ancora infestavano quel luogo, per dirigersi verso la città.
Attraversò le piazze in festa, trasportando le voci dei mercanti e i canti dei menestrelli, storie di condottieri valorosi che grazie alla fede nella Luce liberarono il mondo dai Tiranni, costringendoli a vivere su un'isola remota del grande mare interno, lontani dalle terre che avevano sottomesso. I Tiranni, il Popolo del Sangue, in attesa di Colui che avrebbe riportato l'antica gloria a Kiserai. Nella loro città fortificata resistevano alle forze armate dei Manti Bianchi da più di mille anni ormai, rifiutando di accettare la nascita della Confederazione della Luce.
Dalle piazze in festa il vento raggiunse il mare interno, gonfiando le candide vele dei vascelli e spruzzando gocce d'acqua salata sui volti rassegnati di alcuni prigionieri rinchiusi nelle stive, poveri diavoli colpevoli solo di essere in grado di raggiungere la Fonte del Potere. Si diresse a Ovest, raggiungendo le città della Luce, accarezzando i capelli delle donne piegate nei campi e facendo sventolare con orgoglio le bandiere dei Figli della Luce a caccia di dannati corrotti dal Potere. La caduta dei Tiranni aveva sostituito il loro odio con un altro. Gli oppressi avevano sconfitto i loro oppressori affidando le proprie speranze alla Religione. Attraverso il rancore e la rabbia l'avevano trasformata e distorta elevandola a legge, bandendo e cacciando chiunque avesse il più piccolo legame con il Potere, prendendo infine il posto dei loro antichi nemici.
Condannati a vivere come schiavi, considerati dalla Religione una minaccia a tutto ciò che vi era di buono e giusto, coloro in grado di usare il Potere, gli incanalatori, erano destinati a fuggire e a nascondersi in luoghi remoti e ostili per evitare una vita di reclusione nelle città-stedding dei Manti Bianchi, allontanati dalla Fonte per sempre, sperando invano di essere salvati.
Allontanandosi dai campi di lavoro il vento soffiò ancora più a Nord, liberandosi dal fetore dei centri abitati mentre percorreva le distese incolte e raggiungendo infine le Montagne delle Nebbie. Giocò con l'umidità sospesa, muovendo spettri di vapore attraverso i valichi senza ingannare l'occhio attendo delle sentinelle che li sorvegliavano. I Ribelli. Esiliati dai Tiranni prima e dalla Religione poi, condannati nell'antichità per non voler dominare il mondo ed in seguito per la sola capacità di poterlo fare. Vivevano nascosti tra le montagne, in città favolose plasmate nella roccia lasciando che attorno a loro si creassero leggende e difendendosi dalle incursioni dei Figli della Luce. Il vento ormai gelido fece rabbrividire gli esploratori inviati ancora più a Nord, sollevando i loro mantelli e costringendoli a rannicchiarsi sulla neve. Gettò loro in faccia cristalli ghiacciati, creando dei piccoli turbini danzanti sul manto candido come per invitarli a desistere, per avvertirli del pericolo. Ma al volgere di quell'Era ormai nessuno ricordava l'antica minaccia, il Tenebroso era solo una vecchia leggenda e le creature informi, mezze uomini e mezze bestie in agguato su quel valico ricoperto di neve, non erano altro che storie per spaventare i bambini capricciosi. Al volgere di quell'Era davvero poche persone sapevano che il Tenebroso si sarebbe liberato ed avrebbe nuovamente cercato di distruggere la Ruota del Tempo. In quell'Era i suoi seguaci erano riusciti a nascondere la sua esistenza, a far credere al mondo che il male fosse rappresentato dal Potere. Il Drago rinato sarebbe stato un fuggiasco e quando gli eserciti dell'Ombra sarebbero risaliti dalle profondità nelle quali si rintanavano, avrebbero trovato un mondo incapace di difendersi. Il vento venne attraversato da una grossa freccia, fece vibrare le sue penne e deviare leggermente la traiettoria. Poi trasportò il gemito del soldato mentre si accasciava stupito e le urla disumane che si levarono mentre il suo sangue creava dei profondi solchi rossi nel manto nevoso.

Continua...


Personaggi in gioco e Autori:
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte prima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte prima]

Siadon

Erano passati cinque giorni dal primo incontro con Leira. Li aveva cercati per un'intera settimana e proprio quando le speranze lo stavano per abbandonare la situazione era precipitata, rischiando di rovinare tutto. Quella mattina si stava aggirando nel piccolo mercato di Kiendger, affascinato da alcune pipe intarsiate con maestria in un legno tanto chiaro da sembrare marmo. Non si era recato in quel luogo per comprare delle pipe, non fumava nemmeno ma gli piaceva osservare simili opere d’arte. Lo distraevano da quello che ormai riteneva un fallimento completo. Assorto com’era, ci mise qualche istante per identificare il gruppo di soldati che stava iniziando ad ispezionare il mercato.
Dannati imbecilli pensò salutando cortesemente il mercante, congratulandosi nuovamente per la mercanzia e promettendo che sarebbe tornato l’indomani. Con disinvoltura si infilò in un vicolo poco distante, trovandosi a camminare al fianco di una giovane donna che stava lasciando il mercato trasportando un grosso cesto colmo di provviste. Le sorrise gentilmente ma prima di uscire dal vicolo si fermò, anche in quella strada c’era una pattuglia di Figli della Luce. Improvvisamente si accorse che la giovane donna era ancora al suo fianco, aveva un’espressione allarmata ed ora lo stava fissando inumidendosi le labbra.
Non aveva scelta, sperò con tutto il cuore che anche lei si fosse fermata per evitare la pattuglia. Erano soli in quel vicolo così le disse:
«Dubito che possano riconoscerci ma rimanere qui non è una buona idea. Passeggiando in due attireremo meno attenzioni… le posso portare il cesto?».

Stava ancora meditando sugli ultimi giorni, rigirandosi tra le dita la stupenda pipa bianca. Non riusciva a credere che ne fossero passati solo cinque da quella mattina. Non lo conoscevano, eppure lo avevano accettato come un familiare scomparso da molto tempo, ospitandolo nel loro nascondiglio. Di certo era un gruppo formatosi da poco. Nessuno all'interno di quella caverna sembrava comprendere davvero quali pericoli correvano. Altrimenti non lo avrebbero accettato tanto facilmente e non avrebbe nemmeno potuto lasciare il nascondiglio in tempo per ritrovare quel mercante.
Però non erano nemmeno degli sprovveduti, la stanza nella quale ora stava riposando era stata ricavata manipolando la roccia tramite il Potere ed alcuni tra gli uomini del gruppo avevano ottime potenzialità. Uno di questi entrò all’improvviso, colmo della parte maschile di quella forza, con uno volto terrorizzato. Prima ancora che potesse parlare le grida provenienti dall’ingresso della caverna gli fecero capire cosa stava accadendo.
«Ti seguo» gli disse alzandosi di scatto e raggiungendo quell’implacabile tempesta di fuoco e di vita che era la Fonte. Estrasse dalle custodie posate poco distante due lunghi pugnali ricurvi ed iniziò a dirigersi verso l’uomo. Questo si avvicinò all’entrata per studiare la situazione all’esterno quando due lame affilate gli sbucarono dal petto. Siadon accompagnò il corpo ormai privo di vita adagiandolo all’interno della stanza, poi osservò la battaglia che stava rapidamente giungendo al termine. Incendiò le vesti di una donna poco distante, rimanendo sorpreso nel vederla dimenarsi quando avrebbe potuto incanalare per spegnere le fiamme. Subito dopo rilasciò il Potere e tornò nella sua stanza, non voleva diventare un bersaglio.
Pochi istanti e Leira lo raggiunse correndo, piangeva disperata ed era ferita ad un braccio. Lo guardò, sconvolta nel vederlo lì in piedi come se nulla fosse, intento a pulire i pugnali e non ad usarli per combattere. «Perché…» fece in tempo a dire prima che i suoi occhi si allargassero in un’espressione incredula, mentre una lama la colpiva alle spalle ponendo fine alla sua vita.
«Che la Luce guidi i tuoi passi, Sorella» disse alla donna che stava estraendo un pugnale simile ai suoi dal corpo immobile di Leira.



Mabien Asuka

E' finita.

Le grida, i rumori della colluttazione, lo sferragliare di spade, la sua voce... ora arriveranno da me.
E' finita.

La testa che le pulsava e il buio a disorientarla: appena provò ad alzarsi non potè fare a meno di dare di stomaco. Addosso aveva qualcosa di pesante, ma morbido, forse una tenda di velluto o un tappeto. Riuscì a fatica a liberarsene e procedere a carponi alla ricerca di un qualsiasi punto di riferimento, ma ricadde per un lancinante dolore al ventre. Un ricordo fulmineo le mise davanti agli occhi l'immagine di Krooche che la colpiva al volto e le piantava lo stiletto in pancia. Arrancando, toccò il legno malandato di un vecchio portone e capì di trovarsi nell'ala vecchia del quartier generale.
Lentamente le idee si schiarivano e ricordò gli ultimi momenti di quella giornata: tutto era degenerato all'improvviso quanto Graham era entrato di corsa nella camera dove lei si trovata con Krooche, senza rispettare il suo solito cerimoniale, per avvisare il suo venerato superiore dell'arrivo di un'insolita delegazione di Inquisitori. Anche se non era mai stato ufficialmente informato, Graham sapeva benissimo chi fosse Mab in realtà e cosa facesse per Krooche, e anche se lo tollerava solo in nome della devota reverenza nei confronti del suo capitano, era corso ad avvertirlo, avendo subito capito la gravità di quella visita. Vestitisi frettolosamente, i due erano corsi verso l'ala vecchia, più per guadagnare tempo, che per fuggire veramente: un capitano dei Figli della Luce non poteva certo rifiutarsi di ricevere una delegazione di Inquisitori.
Ma l'idea dell'ala vecchia era stata evidentemente poco originale, dal momento che appena scesi ai corridoi che portavano alle stalle, sentirono l'eco dei passi di altri uomini che procedevano verso di loro chiudendo ogni via di fuga. Avevano rallentato la corsa davanti alla vecchia armeria, col suo portone dissestato e squarciato dagli anni, Mab si era girata a guardare Krooche, che in quel momento, più di ogni altro dal giorno in cui l'aveva incontrato, rappresentava insieme il suo boia e la sua ancora di salvezza. Lui già la stava guardando con occhi che non mentivano su quale dei due ruoli avesse già deciso di interpretare: mentre lei estraeva lo stiletto nascosto come sempre tra le pieghe della gonna, lui le aveva sferrato un duro colpo al volto che l'aveva fatta vacillare, poi le aveva tolto di mano la lama e l'aveva usata per colpirla.

Si issò sulle ginocchia e fece forza per aprire il portone: nel buio della notte, riuscì a riconoscere il corridoio che portava alle stalle. Dopo averla ferita, l'aveva gettata nell'armeria, dov'era svenuta trascinandosi dietro i vecchi tendaggi ormai stracciati e impolverati, che erano stati riutilizzati per ricoprire mobili antichi ancora lì custoditi.
Il corridoio ora era deserto, lo percorse tenendosi appoggiata alle pietre gelide del muro, gemendo per il dolore che le causava la ferita. All'esterno c'era un solo uomo di guardia, troppo annoiato e assonnato per riuscire a scorgere la sua figura nel buio o sentire il rumore dei suoi passi, attutito dalla morbida pelle degli stivali. Camminando il più disinvolta possibile tra i vicoli più stretti della città, cercando nemmeno lei sapeva cosa, andò a sbattere contro un uomo sicuramente uscito da poco da una taverna, a giudicare dallo stato d'ebbrezza in cui versava: vista l'ora e la zona della città, l'uomo afferrò la donna per un braccio, convinto si trattasse di una prostituta e la portò con sé nella squallida bettola a pochi passi dove probabilmente viveva solo. Rassegnata a doverlo assecondare per non attirare l'attenzione delle guardie, Mab lo seguì, accettò il suo denaro e fu estremamente grata alla Luce quando l'uomo, dalle proporzioni di una botte, crollò addormentato mentre si abbassava le brache.
Sperare di trovare qualcosa di pulito da mettersi nell'armadio dell'uomo era chiedere davvero troppo, ma per fortuna la gonna porpora nascondeva bene il colore del sangue di cui era imbrattata. Per il resto, dopo essersi pulita dalle macchie più vistose ed essersi pettinata come meglio poteva, e dopo aver derubato l'uomo di quel che non aveva ancora speso in vino, uscì in cerca di un posto che potesse tenerla nascosta ancora un po', mentre studiava un modo per abbandonare la città possibilmente l'indomani.

Continua...

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Capitolo 3
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte seconda] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
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Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte seconda]

Merian Elen Syana

Le strade della città erano deserte a quell'ora della notte, e le case erano buie e prive di vita. Talvolta si poteva scorgere un'ombra in lontananza ma a un secondo sguardo era già svanita: raramente le persone si fermavano a parlare infatti, e quando lo facevano era solo per pochi istanti. Molti avevano visi sconosciuti, persone incontrate una sola volta e mai più riviste, altre con un viso familiare ma che non perdurava nella memoria. Sembrava si trovassero tutti lì per caso, come se in realtà dovessero, e volessero, essere da un'altra parte.
C'era un uomo però, un uomo alto e con il viso in ombra la maggior parte del tempo, che era spesso presente negli ultimi mesi.
Niende non sapeva chi fosse o da dove venisse ma era sempre in quel luogo che lo incontrava, e generalmente preferiva una locanda per parlare con lei.
Era là che stava andando adesso.
Con un senso di urgenza che non riusciva a comprendere, arrivò alla ormai familiare piazza con al centro una statua che doveva essere stata una donna in tempi migliori, l'attraversò e si preparò ad entrare nella locanda. Poco prima di aprire la porta, però, si fermò per un momento ad osservare l'abito che indossava.
Era un bel vestito, di seta blu con un ricamo dorato sulla scollatura profonda e una cascata di merletti che scendeva con grazia dai polsini che le coprivano le mani, curate come non lo erano mai state.
Era un vestito degno di una nobile, e lei si sentiva una stupida per averlo indossato, ma non poteva farci nulla, quell'uomo la faceva comportare in modo strano. Cercando di assumere una postura fiera, aprì la porta e entrò.
L'aria all'interno era calda per via di un piccolo fuoco acceso in un camino nella grande sala comune.
Non c'erano avventori, solo una figura ammantata che fumava la sua pipa, seduta nell'angolo più remoto e buio della stanza.
Niende si diresse verso di lui, e con un piccola riverenza - non di certo adatta a una nobile - lo salutò.
L'uomo non disse nulla ma la fiamma nel cannello della pipa illuminò per un momento il suo viso, e la donna poté vedere che sorrideva. Era durato poco più di un battito ma le era bastato a mandarle in subbuglio lo stomaco. Come poteva farle quell'effetto un uomo che non sapeva nemmeno che faccia avesse Niende non se lo spiegava, ma quel sorriso la riscaldava e questo le bastava.
Sorridendo a sua volta la donna si sedette di fronte a lui e l'uomo si allungò per prenderle la mano, togliendosi la pipa di bocca per parlare.
«Il momento sta per giungere, non puoi più aspettare. Spogliati di quello che sei e indossa la tua vera natura.»
Lei rimase per un attimo sconcertata, non le aveva mai parlato in quel tono ansioso, e non di certo con parole così arcane, ma non ebbe il tempo di ribattere perché un bruciore improvviso le fece ritirare di scatto la mano: le era caduta sul dorso una parte del contenuto della pipa. Mentre se lo massaggiava, sentì una voce di donna che la chiamava, prima debolmente, poi sempre più forte, fino a quando sembrava l'unica cosa presente, mentre l'uomo invece era sempre più distante.

«Ragazza, ragazza svegliati, o farai tardi all'orazione!»
Niende aprì gli occhi appesantiti dal sonno e le ci volle un po' per rendersi conto di dove si trovava.
Un'altra volta, pensò con rammarico, era solo un sogno…
La luce dell'alba filtrava fievole dalle sbarre della cella che fungeva da stanza, e la ragazza si alzò con una strana sensazione. Era sempre così quando si svegliava da quei sogni che sembravano tanto reali.
Tutto era cominciato qualche mese fa, quando per la prima volta aveva incontrato quell'uomo, e da allora non faceva altro che sognare quella piazza, quella locanda e quello sconosciuto ad attenderla al suo interno.
A volte non c'era, altre volte lo vedeva di sfuggita in un villaggio attraversato da un fiume, oppure passeggiava con lei per le strade buie di qualche città morta da tempo, ma in questi casi si teneva sempre a distanza, mai disposto a fare vedere il suo viso.
Quell'uomo era al tempo stesso gioia e dolore e quei sogni lo stesso.
Doveva andare a parlare immediatamente con un Illuminato e purificarsi.
«Hai intenzione di restare fissa come una statua ancora per molto?» La voce di Larin giunse come una secchiata d'acqua fresca, l'aveva completamente dimenticata.
«Ho solo avuto un brutto sogno, mi preparo subito.»
Fece per alzarsi ma l'altra donna la interruppe.
«Cos'hai lì? Alla mano.»
Niende sconvolta osservò il dorso della mano destra - istintivamente aveva alzato la mano che era stata scottata nel sogno - e soffocò appena un singhiozzo spaventato.
Si alzò di scatto dal letto e si avvicinò al bacile d'acqua per lavarsi, dando così le spalle all'altra donna, che l'osservava con interesse e preoccupazione.
«Non è nulla Larin, mi sono bruciata ieri sera con una candela, ero così stanca che sono andata a dormire senza metterle niente sopra. Rimedierò subito.»
«Ah voi giovani! Non vi preoccupate abbastanza, sempre con la testa fra le nuvole. Se non avete il minimo rispetto per voi stessi, come potete pensare di averlo per gli altri...» La donna continuò a predicare come faceva tutte le mattine, lamentandosi dei giovani e la mancanza di disciplina, di quanto le cose andassero bene ai suoi tempi.
Era diventata la sua compagna di cella da un anno ormai, quando la sua amica di sempre aveva pensato bene di unirsi ai Ribelli scappando nella notte come una furfante. Senza dubbio era stata aiutata, e sapere che qualcuno poteva penetrare le difese dei Manti Bianchi così facilmente le procurava sempre un brivido lungo la schiena. Eleanor era stata una brava amica e le aveva voluto bene come a una sorella, fino a quando non era passata all'Ombra. Non la odiava, non poteva, ma per lei era morta e sepolta, chiunque rinnegasse la benedizione della Luce non meritava compassione e nemmeno di essere ricordato.
Niende era persa nei suoi pensieri, mentre Larin continuava a parlare, preoccupata com'era di quello che le era appena successo. Mise un unguento sulla mano e vi avvolse attorno una benda, il tutto sotto l’attento cipiglio di Larin, si vestì in tutta fretta - non ci voleva molto a mettere un abito sgualcito che somigliava più a un sacco - salutò la donna con un inchino e si avviò fuori verso il Tempio.
Ishamera brulicava di gente già a quell'ora presto. Erano per lo più lavoratori come lei che si recavano all'orazione mattutina. Molti di loro camminavano a testa bassa, non ancora convinti che la loro condizione fosse migliorata, e si trascinavano per le strade assolate come anime immerse in una profonda pena.
I lavoratori però non erano i soli a vagare per le strade: oltre alle guardie dei Manti Bianchi c’erano infatti anche gli Incanalatori schiavi che venivano usati per la Luce, sebbene questa non fosse una cosa approvata da tutti. Questi ultimi si riconoscevano per via del tatuaggio che avevano su una guancia, il sole dei Manti Bianchi oscurato dall'Ombra del Potere.
Il Marchio dei Traditori, così veniva chiamato, era stata una mossa astuta da parte del Signore Capo degli Illuminati. Un secondo tradimento da parte di questi Incanalatori era in questo modo di sicuro scongiurato, nessun Ribelle infatti lo avrebbe accolto tra le proprie fila.
Questo accorgimento era stato reso indispensabile quando uno dei Traditori, durante uno scontro in un villaggio, era insorto contro i suoi ufficiali uccidendo almeno tre persone prima di essere abbattuto.
Il Signore Capo, nella sua misericordia, aveva concesso agli Incanalatori la possibilità di camminare nella Luce, e non aveva chiesto altro in cambio se non che lavorare per la Luce stessa scovando altri loro simili.
A nulla era servito prendere sotto la propria ala i familiari di questi uomini e donne, evidentemente la loro salute non era una motivazione abbastanza forte per questi Traditori, mentre il Marchio invece faceva il suo effetto. Tatuaggio o meno, i Manti Bianchi, nella loro grandezza di cuore, continuavano a prendersi cura delle famiglie dei Traditori, che Niende guardava con disprezzo mentre passava davanti a loro entrando in chiesa.
Quello che più odiava in quelle persone non era la capacità di incanalare - in fondo anche lei era stata contaminata - ma la mancanza di dignità, non aver avuto abbastanza forza per convertirsi totalmente alla Luce e rimanere invece con due piedi in una staffa.
L'unica cosa positiva è che almeno erano utili alla causa.
Lasciandosi i Traditori alle spalle, entrò al Tempio pronta ad ascoltare con passione la prima omelia della giornata.



Mabien Asuka

L'idea di abbandonare la città in quel momento non era nemmeno da prendere in considerazione: le guardie ai cancelli avrebbero sospettato di lei in una situazione normale, figurarsi se si fosse presentata conciata in quel modo, da sola e senza una scusa vagamente plausibile per viaggiare di notte. Inoltre aveva assolutamente bisogno di curarsi: sentiva il sangue rapprendersi tra la ferita e i vestiti, provocandole dolore ad ogni movimento.
Ragionando velocemente si rese conto che nessun posto le avrebbe garantito completamente la salvezza, anche perchè non sapeva cosa fosse accaduto a Krooche: l'aveva sentito combattere prima di perdere i sensi, il che poteva significare che era stato arrestato e che lei era ricercata... ancora una volta.
Le sue gambe si mossero quasi da sole verso la sola valida alternativa contemplabile: odiava quell'imponente edifico squallido nel suo stucchevole perfezionismo esteriore, ma arresasi all'idea che la Signora Hari in quel momento fosse l'unica persona che le potesse offrire un rifugio e una via di fuga l'indomani, ci rientrò. Erano passati circa quattro anni dall'ultima volta che aveva percorso quel corridoio dalle pareti sgargianti, pensava di essere molto più forte ora e invece provò ancora la stessa sensazione di vergogna e paura della prima volta: quel luogo la faceva sentire piccola e indifesa ora come allora, ora si trattava di abiti imbrattati di sangue e forse un ordine di arresto col timbro dei Figli della Luce, allora erano i capelli quasi rasati che la identificavano come una schiava incanalatrice nella città da cui era appena fuggita, Kerine. Alla porta della Signora Hari c'erano due energumeni, come sempre
«Potete riferire che Lamya», questo il nome con cui si faceva chiamare «desidera incontrare la Signora Hari?»
Una delle due guardie scomparve dietro la porta, per uscirne di nuovo poco dopo, facendo segno a Mab di entrare. Hari era sempre la stessa, sicuramente da giovane era stata bellissima e forse anche ora sarebbe stata una donna piacente, se solo avesse ammesso a sè stessa la propria età e avesse quindi evitato di nascondere disperatamente le rughe dietro una spessa maschera di poltiglie dai colori innaturali che la rendevano ridicola, quando non addirittura mostruosa. L'espressione sul suo volto era strana e non solo per il trucco pesante: non che Mab si aspettasse un comitato di benvenuto da parte sua, ma quello che attraversò il volto della donna alla vista della ragazza fu una rassegnata tristezza. Ma poi sorrise, si levò dalla sedia e aggirò la scrivania per andarle incontro.
«Lamya, speravo che non ti avrei più rivista qua dentro»
«Era quello che speravo anch'io, ma sei la sola che possa aiutarmi adesso» e scostando leggermente gli abiti, mostrò la macchia di sangue che si era allargata nella sottoveste.
Hari spalancò gli occhi e la prese dolcemente per un braccio scortandola nel retro «Cos'è successo?»
«Non farmi domande a cui non potrei rispondere. Ho bisogno di cure, abiti puliti e un modo per lasciare la città al più presto»
Sul volto della donna anziana apparve di nuovo quella fugace espressione triste mentre annuiva e apriva la porta da cui si accedeva alle sale da bagno: era una zona surreale per un posto come quello, coi suoi rivestimenti in marmo e le decorazioni in porfido bianco, ma era una tappa irrinunciabile per i più bigotti clienti delle ragazze di Hari che qui si purificavano il corpo dopo aver usufruito del servizio che da decine di anni quella casa offriva, con ufficioso beneplacito della Confederazione. Dopo aver controllato che non fosse già impiegato da qualcuno, la donna entrò portando Mab con sé e facendola poi distendere su una sorta di triclinio ricoperto da piccole tessere di ceramica debolmente colorata di celeste.
«Spogliati» le disse mentre riempiva d'acqua un paio di secchi.
Il sangue, che si era seccato attorno al taglio, si scrostò man mano che Mab vi staccava gli abiti che ci si erano appiccicati sopra: per quanto lo facesse lentamente, il dolore era atroce. Quando Hari tornò con acqua, teli, ago, filo e una tintura disinfettante, la ragazza ancora non era riuscita a togliersi tutto: facendole fare un grido che rimbombò nel silenzio della sala, la donna le strappò letteralmente di dosso ogni indumento che si trovava ancora sulla ferita. La pulì e le tamponò il taglio con un telo bagnato per arginare l'emorragia, poi vi passò la tintura prima di ricamarle qualche punto di sutura in diagonale sinistra sopra l'ombelico.
«Sei stata fortunata: hai fatto arrabbiare qualcuno piuttosto scarso ad usare le lame.»
Mab, la mascella ancora indolenzita per lo sforzo di sopportare il dolore senza gridare, sollevò appena la testa per guardare Hari stupita
«Davvero, è solo un graffio» proseguì la donna non più giovane «sanguina tanto, ma non è niente. Peccato che rimarrà un brutto segno su questo bel corpicino, eri una delle mie ragazze migliori» sorrise brevemente e continuò «Rimani qui, vado a prendere una cosa» e si incamminò verso la porta da cui erano entrate poco prima.
Mab si sfiorò la ferita con le dita. Solo un graffio. Krooche non era affatto inesperto con le lame: non l'aveva voluta uccidere di proposito, perchè? Aveva ucciso altre donne che avevano ricoperto il suo ruolo prima di lei, non appena gli erano diventate scomode, lo sapeva, come sapeva che sarebbe potuto toccare a lei in qualsiasi momento. A stupirla era quindi il fatto di essere viva, anzi... di essere stata salvata. Sospirò ricacciando dubbi a cui si era sempre rifiutata di dar fondo, senza accorgersi che intanto Hari era tornata, scortata dalle due guardie che aveva incontrato all'ingresso. Quando uno dei due la sollevò in braccio, pensò che col passare degli anni la sua vecchia datrice di lavoro si fosse addolcita al punto da riservarle questa premura per accompagnarla a letto, ma quando la donna disse «Lamya, mi dispiace», Mab capì che non era affatto una cortesia. Resistendo al dolore, cercò inutilmente di divincolarsi dalle braccia dell'uomo.
«Non rendermi le cose più difficili di quanto già non lo siano».
Mentre una delle guardie la teneva ferma, l'altro la legò al letto, poi fecero spazio per lasciare che Hari si potesse avvicinare. La donna aprì una busta il cui sigillo col Sole dei Manti Bianchi era già stato spezzato, ne estrasse un foglio e glielo mostrò
«Lo conosci?»
Non era firmata, ma riportava su cera rossa lo stemma personale di Graham, tre spighe di grano intrecciate e circondate da un serpente. Spesso era venuto qui a prendere Mab per portarla dal suo capitano, avrebbe dovuto pensarci che questo sarebbe stato il primo posto in cui lui l'avrebbe cercata.
Hari ritrasse il messaggio e lo guardò tristemente «Me l'hanno portata non più di due ore fa e solo la Luce sa quanto ho pregato che non saresti venuta davvero.»
«Hari ti prego, non puoi farmi questo» il panico stava prendendo il sopravvento mentre realizzava che l'ultima speranza stava svanendo. Fissava l'altra donna con occhi sgranati, senza trovare parole che non fossero miserabili quanto inutili suppliche.
«Tesoro, mi fa male» disse l'anziana poggiando una mano sul volto di Mab «ma se i Figli della Luce ti stanno cercando qui, sanno che è qui ti troveranno e sai meglio di me che se è quello che si aspettano, non accetteranno scuse. Non voglio sapere in che cosa ti sei cacciata, tanto so che non te ne potrei tirare fuori, ma se ti può essere d'aiuto, leggila» e le diede la lettera.

A nome e per conto della Confederazione dei Figli della Luce, comunico quanto segue:
ho ragionevolmente motivo di pensare che Lamya Jabar verrà a cercare il suo aiuto nelle prossime ore. La Confederazione dei Figli della Luce le ordina di trattenerla anche con la forza in luogo sicuro e privato fino a diverso comando, senza farne parola con nessuno. Accetterà altri ordini in merito al soggetto solo ed esclusivamente dal mittente di questa lettera, che riconoscerà dall'anello con cui porrà suo personale sigillo in calce. Nessun'altro dovrà in alcun modo essere messo al corrente di quanto qui riportato.
La Confederazione dei Figli della Luce è certa della sua devota obbedienza.

Il panico aveva preso il sopravvento su Mab, che ora giaceva paralizzata sul letto tra stanchi singhiozzi di pianto. Non poteva nemmeno prendersela con Hari: la costernazione del suo sguardo era sincera, in nessun modo si sarebbe potuta opporre al volere dei Figli della Luce, lei più di ogni altro comune suddito cittadino, lei che gestiva un'attività retta dal capriccioso compromesso tra vizi irrinunciabili di molti e l'immacolata reputazione di tutta la Confederazione.



Siadon

Aveva freddo. Per quanto la sua mente fosse addestrata ad ignorarlo, sapeva bene che il corpo umano non poteva resistere per molto a quelle temperature. Doveva rientrare ma non riusciva a distogliere lo sguardo da ciò che lo circondava. Adorava il monastero di De’domorashi e non lo considerava semplicemente casa sua. Sentiva che quelle mura, aggrappate alla rocciosa cima del monte Kiend, erano parte del suo essere. Quelle spesse mura alle quali era appoggiato gli raccontavano di altre vite simili alla sua, appartenute a fratelli e sorelle scomparsi da prima che lui nascesse ma che era certo di conoscere intimamente. Divagava sempre tra mille pensieri simili quando si affacciava su quel balcone. Poteva vedere buona parte di Hirlomap, il paese costruito oltre duemila metri più in basso ai piedi di quella montagna. Scendere con lo sguardo fino all’altopiano di Kiendger e nei giorni più limpidi raggiungere le coste del grande mare interno. Oppure perdersi nel labirinto di picchi, valichi, pascoli e valli circostanti fino a diventarne parte, dimenticando tutto il resto. Quella notte lo spettacolo era ancora più intenso. Hirlomap era coperto da nubi temporalesche, illuminate da una luna piena e candida al centro di una limpida volta stellata. Periodicamente un bagliore si scatenava tra le nuvole sottostanti, seguito dopo un lungo periodo dal lontano boato. Alcune volte i lampi rimanevano in qualche modo intrappolati, correndo impazziti senza riuscire a toccare terra, altre poteva scorgere come delle piccole fontane di luce salire dalle nubi.
Osservò le proprie mani chiuse attorno ad una coppa di porcellana finissima, comprata anni prima nel porto di Dobied. Si rese conto di non percepire da tempo il calore del liquido contenuto. Vedendo il sottile strato di ghiaccio formatosi sulla superficie dell’infuso, decise che doveva davvero rientrare. Non prima di un’ultima lunga occhiata a ciò che lo circondava comunque, alle pareti che scendevano a picco fino a scomparire tra le nubi, ai lampi, alla luna ed alle stelle. In quel luogo il confine tra vita e morte era sottilissimo, in realtà quasi inesistente. I pellegrini che raggiungevano De’domorashi, sempre meno con il passare degli anni, attribuivano il senso di pace alla profonda spiritualità dei residenti ma la realtà era ben diversa. Lui ed i suoi cari erano stati maledetti dalla nascita, corrotti dal Potere fin dal loro primo istante di vita, senza possibilità di redenzione. Dimenticati dalla Luce si erano rifiutati di abbracciare le tenebre che portavano nell’anima. Consci di non potersene separare avevano deciso di usarle contro l’Ombra stessa, diventando demoni cacciatori di demoni, dannati assassini di dannati. Quello che i pellegrini percepivano come pace e spiritualità era, in fin dei conti, la morte stessa.

Posò la coppa vicino al caminetto acceso, sentendo il calore filtrare attraverso la pesante tunica grigia che indossava. Ogni rientro al monastero doveva seguire una rigida procedura, sospesa tra tradizione e necessità. Sarebbe rimasto in isolamento nelle sue stanze, indossando solo quelle tuniche, fino a che gli interrogatori non sarebbero finiti. Ne aveva sostenuti già alcuni dal suo arrivo, ogni volta diversi suoi cari l’avevano scortato in una stanza, ponendo domande sull’ultima missione e indugiando sui dettagli delle sue azioni e dei suoi sentimenti. Ovviamente aveva risposto in modo sincero senza nascondere nulla, in caso contrario probabilmente sarebbe già stato ucciso. Riteneva il meccanismo affascinante, lui stesso aveva posto quelle domande ad altri suoi simili appena tornati. Non serviva solo a smascherare i traditori, certo quello era uno scopo importante ma aiutava anche i fratelli e le sorelle a condividere le proprie colpe e le proprie paure. Ogni interrogatorio alleggeriva la coscienza dell’interrogato, lo faceva sentire tra simili in grado di capire le sue azioni ed i suoi pensieri. Missione dopo missione, rientro dopo rientro, i legami tra i membri diventava sempre più forte mentre quelli con il mondo esterno sempre più deboli fino a sparire, completamente tagliati dalla certezza di non poter più essere capiti o anche solo accettati dal resto della popolazione.
Bussarono di nuovo alla sua porta e poco dopo entrò Gurlav, un anziano che gli aveva insegnato molte cose sulle erbe e sui veleni che si potevano ricavare da esse.
«Bentornato Fratello», non era mai stato un uomo loquace e quelle parole erano quanto bastava per porre fine agli interrogatori, ora era davvero a casa.

«Non ti arrendi facilmente» commentò Gurlav vedendo la coppa vicino al fuoco, scaldandosi le mani mentre Siadon si cambiava d’abito. «Quanti sono, dieci anni ormai? E quali risultati?»
I veleni rappresentavano uno dei pochi argomenti in grado di farlo parlare con tanto interesse, «Dodici, ora posso reggere quasi una coppa. Perdo i sensi con circa il quadruplo della dose normale» rispose aggiustandosi i pantaloni.
«E’ già più di quanto ritenessi possibile, quando rimarrai per qualche giorno potremmo vedere quante ferite sopporti» proseguì l’anziano sinceramente interessato, con gli occhi solitamente freddi come un ghiacciaio ora accesi dalla curiosità.
«Molto volentieri Fratello» replicò sorridendo «Ma.. quando rimarrò per qualche giorno? Cosa significa, sono appena tornato.»
Gurlav rimase pensieroso ancora qualche istante, poi il suo sguardo tornò gelido
«Mi spiace, purtroppo il lavoro da fare è sempre maggiore. Tu e Thea partirete domani notte, i sogni dicono che dovrete incontrare un nostro conoscente a Sud di Dobied, sembra che avrete poco più del tempo necessario per arrivarci».

Continua...

Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 4
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte terza] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte terza]

Merian Elen Syana

Quando l'orazione finì, Niende andò a cercare il vescovo per espiare le proprie colpe, quei sogni erano un contatto con l'Ombra e la facevano sentire sporca, ma non trovò nessuno e dovette così uscire dalla chiesa senza la purificazione, cosa che la faceva stare assai male. I suoi compiti non le permettevano di attendere oltre, per cui si sarebbe dovuta accontentare di vedere il vescovo all'orazione pomeridiana.
Mentre camminava spedita verso uno dei campi di lavoro della città, Niende cercava di riflettere su quanto era accaduto.
Come poteva un sogno lasciare un segno reale? Come poteva lei essere finita in un tale sogno?
Il suo legame con il Potere era stato reciso molto tempo fa, perché all'improvviso tornava a presentarsi?
Le vennero in mente le parole dell'uomo, spogliati di quello che sei e indossa la tua vera natura.
La mia vera natura è questa, nient'altro, sono cambiata, che la Luce mi aiuti!
Difficilmente Niende si abbandonava agli scatti d'ira ma quando pensava alla sua vita precedente non era semplice mantenere il controllo.
Aveva sempre fatto dei sogni strani, sin da bambina, e questi erano stati uno dei motivi per cui i suoi genitori avevano deciso di farla purificare.
Era capace di vedere cose che ancora dovevano accadere e quando ne parlava la gente si spaventava, soprattutto se erano visioni spiacevoli. Le persone accettavano solo ciò che più gli piaceva, dimenticandosi a volte con cosa avevano a che fare, ma quando dicevi loro che qualcosa sarebbe andato storto, che una persona si sarebbe ammalata, o peggio sarebbe morta, le stesse persone cominciavano a vederti per ciò che eri in realtà: una seguace dell'Ombra. Come se non bastasse, quando aveva circa tredici anni aveva cominciato anche a fare accadere cose al di fuori del suo controllo. L'aveva tenuto a bada per un po', ma una volta, mentre ricamava con le altre ragazze, aveva perso la pazienza e l'ago le era schizzato via andando a conficcarsi nella mano di una di esse. Questa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Era stata portata a Ishamera e da allora non aveva visto più nessuno del suo villaggio.
Erano trascorsi dieci anni ormai.
Poco prima di arrivare al campo, Niende venne raggiunta da un'altra donna, anch'essa vestita di grigio come lei, di qualche anno più grande ma da molto meno tempo in città.
Niende era la ragazza più giovane ad aver trascorso più tempo in quello stedding ed era voluta bene da tutti per via del suo carattere dolce e pacato. Era sempre pronta al sorriso e ad aiutare gli altri, soprattutto i nuovi arrivati, nel difficile percorso verso la Luce eterna. Rispettava le regole rigidamente ed era sempre pronta ad accettare la giusta punizione qualora venisse meno ai suoi doveri.
Tuttavia non era amata solo per il suo carattere.
I capelli colore dell'oro, che le scivolavano dritti dietro le spalle fino alla vita, incorniciavano un viso perfetto dalla pelle ambrata in cui vi erano incastonati come gemme preziose due grandi occhi verdi.
Gli anni di lavoro non le avevano donato una postura perfetta ma nulla poteva sminuire la sua bellezza, nemmeno il vestito di lana grezza rovinato in più punti.
Gli uomini si voltavano spesso a guardarla, persino i Manti Bianchi, e questo la metteva a disagio, ma non poteva fare molto per coprire il suo corpo, non poteva permettersi un abito più adeguato.
Le venne quasi da sorridere al pensiero del vestito che aveva indossato nel sogno per quell'uomo e arrossì, ma si ammonì mentalmente da sola pensando alla gravità della cosa.
«Cosa ti è successo alla mano?» chiese la donna al suo fianco.
«Nulla di grave, solo una piccola bruciatura dovuta alla mia disattenzione,» le rispose Niende con un sorriso.
L'altra donna allora si illuminò e parlò con entusiasmo.
«E' venuto un uomo in città oggi, sapessi quanto era bello Niende! Peccato fosse in compagnia di una donna, credo sua moglie.» L'ultima frase la disse facendo una smorfia che fece sorridere Niende.
Quella donna era sempre in cerca di uomini, sapeva che avrebbe dovuto aiutarla a frenare i suoi istinti comunicandolo ai vescovi, ma era così divertente che non riusciva mai a farlo. Arlene era la sua amica più fidata, dopo che Eleanor era fuggita, come lei consegnata dai genitori ai Manti Bianchi molto tempo addietro. Nessuno conosceva il suo vero nome, come del resto nessuno conosceva il vero nome di Niende.
Ogni nuovo adepto, al momento della conversione spirituale riceveva un nuovo nome e dimenticava chi o cosa fosse stato in precedenza. Lei aveva ricevuto il nome Niende, che nella Lingua Antica significava “perduta”, perché era così che si sentiva appena arrivata, spaesata e lontana da tutti.
Come erano cambiate le cose da allora…
Arlene stava continuando a parlare ma aveva cambiato tono.
«Si sono fermati alla locanda di Mastro Sien e hanno detto che volevano parlare con te.»
La ragazza si voltò di scatto verso Arlene e il sorrise scomparve.
«Con me? Perché mai vorrebbero farlo, io non conosco nessuno e nessuno conosce me, sei proprio sicura di quel che dici?»
Arlene corrugò la fronte, attonita, come se non capisse di cosa stesse parlando l'amica, ma sorrise e abbassò la voce che divenne all'improvviso dolce e materna.
«Sembra che tu abbia ancora qualche parente in vita, cara. Sono venuti a trovarti e, stando a quanto detto da loro, a perdonarti.»
Niende era ancora più confusa di prima, non era davvero possibile che qualcuno del suo sangue volesse ancora avere rapporti con lei, ma non poté fare a meno di sorridere tra sé all'idea che potesse sbagliarsi.
Il perdono era una cosa agognata da tutti, significava che tutto quello per cui avevi lavorato aveva dato i suoi frutti.
La locanda in questione si trovava in una delle piazze secondarie e dalla parte opposta ai campi, ma se i suoi calcoli erano giusti sarebbe riuscita a fare in tempo a incontrare la misteriosa coppia prima di cominciare il turno di lavoro. Aumentò quindi il passo seguita da Arlene, che non riusciva a contenere l'eccitazione, quasi fossero stati suoi, i parenti ad attenderla.
Arrivate alla piazza, il grande orologio solare che si trovava al centro indicava che aveva ancora tempo a disposizione, e così Niende si affrettò verso la locanda di Mastro Sien: un'ampia costruzione in pietra a due piani circondata da un piccolo giardino fiorito.
Una volta all'interno a Niende si bloccò il respiro.
In fondo alla sala comune, già immersa nel fracasso della gente, due persone spiccavano visivamente.
La donna era alta, aveva i capelli scuri e un viso molto severo, poteva avere dieci anni più di lei.
L'uomo invece...
Era stato l'uomo che le aveva fatto bloccare il respiro. Per un momento le era parso di vedere lo sconosciuto dei suoi sogni, ma non era lui, e non sapeva se questo le dispiacesse o la facesse sentire sollevata.
Arlene la condusse spedita verso il tavolo isolato occupato dalla coppia, non era cosa insolita che i parenti venissero a trovare i convertiti, per cui nessuno concesse alle due donne più di uno sguardo. La donna fece un inchino e lasciò Niende alla loro presenza, andandola ad aspettare vicino all'ingresso.
L'uomo la fissava con quegli occhi scuri come la pece, soppesandola e facendola sentire a disagio come non mai. Una cicatrice gli attraversava la guancia destra ma in qualche modo riusciva solo a conferirgli più fascino. Aveva i capelli più neri che avesse mai visto e li portava legati indietro da un nastro. Da qualche ciocca che gli ricadeva su una spalla si poteva intuire che erano molto lunghi... e ben curati, pensò Niende distrattamente.
Quando Arlene si fu allontanata, la donna severa la invitò a sedersi e guardò l'uomo accanto a sé con aria indispettita.
Non potevano essere più diversi da lei, era evidente che non erano suoi familiari.
Ma se non erano parenti allora cosa volevano da lei?
Stranamente però non aveva paura.
L'uomo non fece nemmeno caso allo sguardo dell'altra donna e, senza staccare gli occhi da Niende, parlò, con una voce suadente e profonda che avrebbe fatto sciogliere persino le nevi invernali nelle montagne a nord:
«Tu non sai chi siamo, ma noi conosciamo te… Merian Elen Syana.
Ci manda colui che cammina nei sogni.»



Mabien Asuka

Una mano che le si posava sulla spalla la fece svegliare di soprassalto: alla fine la stanchezza aveva prevalso sull'angoscia e Mab si era addormentata rassegnata a ciò che le stava accadendo. Tra un'asse di legno e l'altra degli scuri ancora chiusi filtravano lievi spiragli del biancore del giorno, nella stanza l'unica vera fonte di luce, per quanto debole, proveniva dal fuoco del camino. Hari era seduta sul bordo del letto accanto a lei:
«E' arrivato» disse girandosi poi ad osservare l'uomo che stava avanzando da dietro.
Mab allungò il collo per vedere Graham. Era giovane e di bell'aspetto, non molto alto, ma con un fisico magro e asciutto, il viso aveva lineamenti armoniosi, gli occhi erano scuri: non si poteva certo dire che fosse brutto, ma forse era il suo carattere e il suo modo di fare, che lo rendevano un uomo del tutto insignificante.
Mab si sollevò di scatto per quanto i legacci e il dolore dei punti di sutura le permisero, il cuore in gola e già le lacrime che premevano per uscire, ma a lui non voleva dare quella soddisfazione. L'espressione di Graham era di disprezzo, come la maggior parte delle volte che aveva avuto a che fare con lei: lui credeva ciecamente nei principi fondatori della Confederazione, lui davvero aborriva l'Ombra con tutto sé stesso, aveva un rigoroso senso della moralità, così come la intendevano i Figli e indossava con orgoglio la bianca divisa, felice di adempiere al proprio dovere fino in fondo. Per Mab era sempre stato un mistero irrisolvibile ciò che, nonostante questo, lo portasse ad essere il sottufficiale proprio di un uomo come Krooche, eppure lo seguiva come un'ombra e gli obbediva senza remore anche quando significava fare l'esatto opposto di quanto i Figli predicassero. Disprezzava Mab fin dal loro primo incontro: non tollerava la sola esistenza di donne che vendevano il proprio corpo, il disprezzo era mutato in odio quando lei era diventata, volente o nolente, la concubina del suo capitano, nonché la donna che svolgeva per lui mansioni per nulla in linea con i principi della Confederazione, poi l'odio si era spinto anche oltre quando lui aveva capito che lei poteva incanalare. Se non l'aveva uccisa era solo per quell'assurdo legame di incomprensibile sudditanza nei confronti di Krooche e a lei tanto bastava, ora però lui sembrava agire da solo e ne ebbe paura per la prima volta.
«Signora Hari, le dispiace?» disse lui indicando l'uscita.
La donna strinse per un attimo un braccio di Mab, come ad imprimerle coraggio, poi si alzò per uscire come le era stato chiesto, ma prima che avesse varcato la porta, lui, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza, aggiunse
«Mi faccia avere abiti da uomo che lei possa indossare. Deve sembrare un contadino o qualcosa del genere», poi attese che Hari, che nel sentire quelle parole aveva indugiato un attimo prima di aprire la porta, uscisse.
«Non so perchè ti abbia lasciata vivere ancora una volta, ma a questo punto sono costretto ad aiutarti a scappare.» il tono era inequivocabilmente stizzito. «Dov'è? Cos'è successo?» chiese lei
«L'hanno arrestato: lo stanno ancora interrogando dalla notte scorsa e non sembrano convincersi molto del fatto che non stesse proteggendo un'Incanalatrice, maledizione! Ho portato il cadavere di Ellis, spacciandolo per il tuo, a prova della sua buona fede, ma non so se basterà. E' assolutamente necessario che tu vada il più possibile lantana da qui.»
Ellis. Anche lei era al servizio di Krooche, era stata la sua unica Incanalatrice che lei sapesse, nonché il suo braccio destro, finchè Mab aveva rivelato il proprio talento, usurpando il ruolo all'altra donna, che per questo non l'aveva mai perdonata, come se diventare la schiava preferita di un dannato assassino pervertito fosse una fortuna. In ogni caso da quel giorno Ellis, nonostante il suo potere, era diventata una dei tanti che tenevano in piedi la folta rete di traffici clandestini per conto di Krooche e non aveva più avuto molto a che fare lei, ma gli sguardi che le lanciava ad ogni loro incontro erano palesi messaggi d'odio. L'idea che fosse morta per permetterle di salvarsi, aveva un che di ironicamente macabro, in ogni caso le dava un vantaggio e non si sarebbe certo fatta venire i sensi di colpa per una come Ellis.
«Se lo dovessero incriminare di alto tradimento e condannarlo a morte, ti troverò ovunque tu sia e avrai quel che ti meriti. Sempre che non venga accusato anch'io: già ho dovuto seminare un paio di spie per arrivare. Mi tocca dire che è una fortuna che tu sia venuta qui: è un posto al di fuori da ogni sospetto. O hai avuto altri clienti?»
«Non da quando Krooche mi ha portata con sé»
Graham tirò su col naso, poi estrasse una busta col sigillo dei Figli.
«Appena inizia a far buio, andrai alla magione del colonnello Qinte e a chiunque ti farà domande una volta arrivata, mostrerai questa. Nelle stalle troverai un carico, là qualcuno ti spiegherà tutto. Sanno che sei Torr Vedes e che sei stato pagato per trasportare fuori città merce da parte del colonnello, il messaggio in questa busta lo dimostra e ti permetterà di passare il cancello est senza che facciano ulteriori controlli su di te. Allo stesso modo ti darà libero accesso ad altre città, ma non abusarne. Chiaro?»
Mab annuì, ma stava tremando.
«Puoi tenerti cavallo e carro. Domande?» chiese lui. Lei scosse la testa. Sentiva pian piano i nervi che cedevano: stava per tornare in libertà... iniziava a non ricordare più il significato di quella parola. Inoltre erano passati più di tre mesi dall'ultima volta che era uscita dalla città per una missione e l'idea di poter riabbracciare Saidar le sconvolgeva i sensi. Ancora le lacrime spinsero per uscire, di gioia questa volta, ma le trattenne. Inspirò profondamente, chiuse gli occhi e cercò di calmarsi, in fondo non era ancora finita e non era il caso di essere tanto ottimisti. Ma dopo l'angoscia della sera prima, non poteva non sentirsi euforica.
Graham si affacciò alla porta, disse qualcosa a qualcuno li fuori e poi rientrò, mettendosi ad attizzare il fuoco girandole le spalle, finchè bussarono. Aprì velocemente la porta con la mano sinistra, tenendo la destra appoggiata sull'elsa della spada, ma appena vide che era Hari, la usò per prenderle il sacco che stava portando. La donna entrò, si richiuse dietro la porta e si giustificò «Non è stato facile trovare abiti per lei in così poco tempo», intanto l'uomo aveva già rovesciato il contenuto a terra e lo stava ispezionando. Mentre Hari slacciava i legacci che ancora tenevano Mab imprigionata al letto, lui sollevò un paio di pantaloni di viscosa marrone molto scuro, una sorta di camicia di lana sottile che forse da pulita sarebbe stata bianca, coi bottoni che arrivavano solo al petto e una giubba di lana pesante color nocciola e glieli lanciò. La ragazza si mise in piedi e andò per togliersi la camicia di lana che le era stata infilata a forza la notte prima, aspettandosi che Graham si sarebbe girato dall'altra parte, ma non fu così: l'uomo rimase fermo a fissarla con le mani incrociate sul petto. Non c'era nulla di malizioso, lo faceva solo ed esclusivamente per umiliarla e farle sentire il suo potere addosso: più volte l'aveva vista totalmente nuda e anche in situazioni che andavano ben oltre l'imbarazzante, Krooche provava un gusto perverso nel metterla in mostra ai suoi subalterni, e più la situazione era umiliante per lei, maggiore era il divertimento. Che morisse quel dannato bastardo!
Le mancò per un attimo il respiro e sentì un peso insopportabile allo stomaco, lo attribuì alla rabbia di quei ricordi e se ne scrollò, quindi si spogliò di fronte a Graham fingendo che il suo sguardo non la turbasse minimamente, infine indossò gli abiti che lui le aveva scelto: ci stava dentro goffa come un bambino negli abiti del padre, ma nel sacco non c'era niente di meglio e infondo, come lui osservò
«Nascondono abbastanza bene il fatto che sei una donna. Evita di metterti in mostra: se non ti si guarda troppo, puoi passare per un ragazzino.»
«Mi porti un paio di forbici» disse poi a Hari.
«No, ti prego, non tagliarmi i capelli!» Mab si gettò verso Graham implorante, poggiandogli le mani sulle braccia ancora incrociate. Già una volta le avevano rasato i capelli, quando era stata portata a Kerine: aveva solo diciotto anni allora e non avrebbe mai scordato i suoi urli mischiati alle risa e agli insulti di quei Manti Bianchi suoi coetanei che le ponevano il marchio che l'avrebbe indicata a tutti come una schiava colpevole di essere un'Incanalatrice. Poterli far ricrescere, dopo essere riuscita a scappare, fu per lei come una rivalsa e da allora provava verso i suoi lunghi capelli neri un amore quasi morboso.
L'uomo fece un passo indietro e ritrasse le braccia in uno scatto brusco e schifato per il contatto con lei, quindi ordinò con maggior forza che gli fossero portate le forbici. Hari uscì e rientrò in pochi minuti, si avvicinò a Mab, le accarezzò una guancia, poi le passò dietro: senza dire una parola, raccolse i capelli all'altezza del collo e tagliò, mentre Graham osservava, il volto che non esprimeva altro che odio.
Mab fece un passo verso destra e si vide riflessa in uno specchio: ora davvero sembrava uno stupido ragazzino, con indosso gli abiti sporchi e sgualciti ereditati chissà da chi. Si toccò i capelli che le rimanevano e si consolò pensando che almeno non l'avrebbero riconosciuta così, ma non riuscì ad evitare di rivolgere uno sguardo gelido all'uomo.
Poco dopo nella stanza rimase di nuovo sola con lui, che le ricapitolò il piano e concluse «Se ti farai catturare, ti riterrò responsabile e quello che ti faranno non è niente in confronto a ciò che ti attenderà quando avrò occasione di incontrarti io. Devi sparire da questa città. Non voglio più sentire o leggere il tuo nome se non inciso su una lapide.» La scrutò per qualche instante dritto negli occhi e poi si girò di scatto, quasi frustandola col suo mantello. Prima che uscisse, Mab lo afferrò per un polso
«Non accadrà nulla ad Hari, vero?»
Graham strappò via il suo braccio dalla presa e sentenziò secco
«Non ti riguarda»
«Mi riguarda eccome. Non farai a lei quello che non hai potuto fare a me» Mab si aspettava una cosa del genere da quel viscido, anche se non aveva motivo di farlo, dal momento che Hari proprio non era nella posizione di ricattarlo.
«Quella donna ti ha venduta senza nemmeno sapere cosa ti avrei fatto, cosa ti importa di cosa le accadrà?»
«Quella donna ha fatto l'unica cosa che poteva fare. Nemmeno voi sapete più cos'è giusto e cos'è sbagliato. I cittadini non possono far altro che obbedire ad ogni capriccio e questo è quel che lei ha fatto.»
Graham sembrò quasi ringhiare e alzò una mano verso Mab, pronto ad usarla per colpirla
«Non ti permettere di contestare l'autorità dei Figli, sgualdrina!»
La ragazza era già pronta a ricevere il dorso di quella mano in pieno volto, ma non accadde: il Manto Bianco sembrava insolitamente confuso, abbassò gli occhi all'improvviso e poi uscì senza dire più niente.
Mab rimase attonita, in piedi ad osservare la porta che si era chiusa dietro di lui: non poteva far del male alla signora Hari, avrebbe solo attirato l'attenzione e non era certo ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Per quanto fosse cieco e ottuso di fronte a tante cose, non era stupido e non avrebbe commesso errori che potevano compromettere il suo capitano.
Ancora poche ore e sarebbe stata fuori città.



Continua...



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Capitolo 5
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte quarta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte prima]

Morgan Neglentine

Un veloce affondo e anche l’ultimo trolloc cadde, ma Morgan non calò la guardia, era infatti circondato da un branco di grossi lupi di montagna che lo guardavano con gli occhi gialli e le fauci grondanti del sangue nero dei mostri.
Quel giorno era uscito di prima mattina per pattugliare i boschi e si era imbattuto nelle tracce di tre trolloc, quegli esseri difficilmente raggiungevano le montagne, ma capitava che a volte riuscissero a passare le difese più esterne e arrivassero alle foreste tra Tsorovarin e Calavron. Trovate le tracce sarebbe dovuto tornare all’avamposto e avvisare i superiori, ma,come gli capitava ormai da giorni, aveva avvertito una strana voglia di dare la caccia senza quartiere a quegli esseri immondi, voglia che gli era trasmessa da una sorta di presenza che avvertiva ai margini della propria mente,anche quando raggiungeva il vuoto per esercitarsi con le armi o con saidin.
Al tramonto giunse in vista del campo delle bestie immonde.
quei maledetti si fanno audaci, non hanno paura nemmeno di accendere il fuoco dentro le nostre terre!.
Avvicinandosi furtivamente poté contare il numero di trolloc e, maledicendosi, constatò che nell’accampamento ce n’erano ben venti, troppi per lui da solo, non essendo ancora stato iniziato aveva il divieto assoluto di usare il potere quando si trovava da solo, stava per andarsene quando sentì la presenza nella propria mente farsi insistente e trasmettergli una sensazione di rabbia, che si acuì notando che sul fuoco arrostiva la carcassa di un lupo; travolto dalla rabbia forte sguainò lo spadone che portava legato alla schiena e si avventò sulle bestie, mentre uccideva i primi due trolloc, colti di sorpresa e quindi non pronti, si accorse che delle sagome scure stavano uscendo dal bosco per avventarsi sulle creature, si iniziavano a sentire le prime grida d’allarme che già cinque trolloc erano stesi al suolo agonizzanti; distratto da quella visione si avvide all’ultimo di uno dei maledetti, con becco da rapace e corna di caprone, che si avventava contro di lui con una lama seghettata stretta fra le mani, schivò all’ultimo momento e, con l’abitudine derivata dalla pratica, la sua mente cercò il vuoto, subito incalzò la bestia, mentre già un’altra sopraggiungeva in aiuto del compagno, con movimenti aggraziati degni di un mastro spadaccino calò lo spadone tranciando di netto la testa del primo essere, quindi portando un veloce affondo trafisse anche l’altro, che stramazzò al suolo morente, avuto un attimo di respiro si guardò attorno accorgendosi che quello da lui trafitto era l’ultimo, gli altri erano tutti morti, uccisi dal branco di lupi di montagna, che ora lo stavano circondando. Improvvisamente il più grosso degli animali, probabilmente il capobranco, si avvicinò e giunto a pochi passi da lui lo fissò dritto negli occhi, la pressione che da giorni avvertiva ai margini della mente si fece sempre più forte fino a pervaderlo interamente. Strabuzzando gli occhi per l’incredulità capì finalmente di cosa si trattasse, «grazie per l’aiuto nella caccia fratello-sentì nella propria mente- è da una luna che seguiamo questi deformi, per vendicare l’uccisione dei nostri fratelli, e da qualche giorno abbiamo avvertito la presenza di un due gambe in grado di correre coi lupi, è da parecchio che non incontriamo uno di voi e siamo lieti di fare la tua conoscenza, Piccolo Orso, io sono Nebbia d’argento e questo è il mio branco»
Poco a poco anche gli altri lupi si presentarono; non erano parole quelle che gli giungevano, ma un misto di immagini e odori che la sua mente riusciva però a decifrare; aveva sentito parlare di questa capacità ma mai avrebbe pensato di possederla, ancora stordito rispose nella propria mente «ho incontrato le tracce di alcuni di questi esseri più a valle, troppo vicini all’insediamento del mio branco (disse per farsi capire dai lupi); allora la rabbia che mi ha spinto a seguirli e attaccarli mi veniva da voi, non l’avrei mai immaginato, fratelli. Ora devo tornare tra i miei ma se il vostro branco vive qui è probabile che ci vedremo di nuovo».
Finito di dire questo i lupi si accomiatarono dirigendosi nuovamente verso il folto della foresta «a presto Piccolo Orso» gli giunse nella mente il saluto del capo branco.
«Erano secoli che non comparivano umani in grado di comunicare coi lupi- spero che i miei insegnanti mi possano aiutare» pensava mentre le lunghe gambe lo portavano verso l’avamposto.



Siadon

Adorava quell'attesa. Soprattutto gli ultimi attimi prima di un'imboscata, quando ogni minimo dettaglio sembrava assumere un'importanza fondamentale. Mentre ripassava mentalmente ogni aspetto del piano osservò Thea controllare i propri pugnali. Anche questa volta si stupì di quanto quella donna riuscisse ad apparire letale ed attraente allo stesso tempo. Non erano una coppia, due come loro non avrebbero mai potuto esserlo, eppure non riusciva a considerarla una semplice Sorella. Come in risposta ai suoi pensieri Thea ricambiò lo sguardo. Ovviamente sapeva che la stava osservando da un pezzo, era molto capace e sicuramente anche lei era circondata da tessiture di protezione e percezione invertite. Con un sorriso malizioso gli fece capire che non avevano più tempo per giocare, le loro prede stavano arrivando.
Senza emettere alcun rumore, lentamente incoccò una delle frecce e si appostò. Vide Thea muoversi tra le rocce sottostanti fino a raggiungere il tronco cavo di un grosso faggio al lato del sentiero. Era certo che spostando lo sguardo non sarebbe più stato in grado di vederla, quindi attese ancora pochi attimi prima di concentrarsi sui suoi obiettivi.
Dopo pochi minuti sbucarono dalla foresta, erano in cinque, uno più del previsto ma potevano ancora farcela. Cavalcavano senza fretta ed i due apripista davano l’idea di soldati molto competenti, forse troppo per essere dei semplici soldati. Erano seguiti da due dame impegnate a parlare tra loro mentre l’ultimo, un giovane su un mulo, era la perfetta immagine di un servo rassegnato ad eseguire ordini senza parlare.
Il luogo era ideale per i loro piani, avrebbero potuto osservare il gruppetto ancora per qualche minuto e se avessero deciso di non intervenire, nessuno si sarebbe accorto della loro presenza. Tutto sommato era un lavoro semplice. Stava per scoccare la freccia quando si accorse che qualcosa non andava. Il ragazzo in coda al gruppo aveva guardato già tre volte il pendio sul quale si era appostato e questa era la quarta, non poteva certo vederlo ma non era una coincidenza, non lo era mai. Ricontrollò velocemente le proprie tessiture di allarme e diede una rapida occhiata attorno, nulla. Non poteva più rimandare, ancora pochi secondi e Thea avrebbe pensato di dover abbandonare la missione, quindi scoccò. Non era una freccia comune, non lo era nemmeno quella che con ogni probabilità stava lasciando la chioma del grosso faggio, le punte erano studiate appositamente per spezzarsi in modo tale da rilasciare il loro contenuto nella ferita del bersaglio. Vide le due donne cadere a terra ma prima di poter studiare le reazioni del gruppo un allarme lo avvertì che non era solo. Si tuffò all’indietro giusto in tempo per vedere una freccia conficcarsi nell’albero vicino, pochi istanti di ritardo e sarebbe morto. Posò l’arco a terra ed estrasse due lunghi pugnali ricurvi del tutto simili a quelli di Thea, l’uomo si stava avvicinando e dava l’idea di saper usare davvero bene la spada che teneva tra le mani, grazie alla Luce non era in grado di incanalare. Lo lasciò attaccare, parando una serie di figure usate solitamente per studiare l’avversario più che per colpirlo.
Decisamente non sono semplici soldati... Thea.
Iniziò ad indietreggiare parando gli attacchi sempre più decisi, con il Potere intralciò i piedi e le mani dell’avversario durante un affondo e lo finì mentre ancora stava cadendo. Recuperò l’arco e le frecce rimaste e corse ad osservare la strada.
Un soldato giaceva immobile trafitto da una freccia, come una delle due donne mentre l’altra si reggeva al proprio cavallo con un’espressione terrorizzata dipinta in volto, il ragazzo disperava rannicchiato poco distante. Thea stava duellando con l’ultimo soldato, letale e provocante come sempre. Li raggiunse dopo aver controllato rapidamente la zona, stupito del fatto che l’uomo fosse ancora vivo. Gli dispiacque interrompere uno spettacolo tanto affascinante ma iniziava a dubitare dell’esito della lotta, con pochi flussi di Aria fece perdere l’equilibrio allo spadaccino e Thea lo finì immediatamente, lanciando a lui un’occhiataccia.
La donna rimasta si accasciò a terra gridando e dimenandosi come impazzita. Siadon la osservò perplesso per qualche istante, era una reazione esagerata anche per l'amante più fedele. Sembrava tormentata da un dolore fisico, ben più serio di una freccia conficcata in una spalla spalla. Scacciò il pensiero con una scrollata di spalle, l'effetto del veleno le avrebbe impedito di incanalare per diverse ore ma erano in mezzo ad una strada in pieno giorno, dovevano sbrigarsi. Lasciò a Thea il compito di perquisire ed interrogare la donna mentre lui controllò le sacche ed i cadaveri. Secondo il loro informatore, incontrato il giorno prima a Sud di Dobied, questo gruppo stava trasportando qualcosa di molto importante. Certo sarebbe stato utile sapere cosa.

Stava leggendo rapidamente il contenuto di alcuni documenti, trovati nelle bisacce dei cavalli delle dame, quando il ragazzo si decise a calmarsi o per lo meno smise di piangere come un disperato.
«Erano condannate dalla nascita, tu invece no quindi vivrai. Come ti chiami?»
Incredulo e ancora terrorizzato, ci mise diverso tempo a singhiozzare una risposta «Nelao»
«Bene Nelao, tra poco io e la mia amica ce ne andremo e tu sarai libero di andare dove ti pare. Personalmente ti consiglio Kiendger, è davvero una bella cittadina. Dista soli due giorni, forse meno e i Manti Bianchi pattugliano regolarmente le strade quindi non dovrai temere ladri, briganti e cose simili. Ci sono anche diversi piccoli paesi sulla via, non avrai bisogno di accamparti all’aperto da solo.»
Dopo anni passati a condurre e subire interrogatori gli risultava semplice leggere quel giovane volto. Era molto scosso da quanto accaduto, troppo per essere solo un servo. Quelle semplici frasi erano bastate per ridargli speranza e distrarlo, pochi sguardi furtivi al corpo della donna indicavano un legame affettivo mentre gli occhi avevano tradito una grande paura all’accenno dei Manti Bianchi e sollievo alla possibilità di evitarli accampandosi.
«Ora Nelao, prima di salutarci, mi dirai tutto quello che sai su questo... Drago che a quanto pare stavate cercando con tanto interesse» disse al ragazzo con calma, iniziando a tessere una complessa rete di flussi di Spirito.

«Ci credevano davvero» disse Thea mentre sistemava la sella al proprio cavallo, aveva appena finito di raccontare dell’interrogatorio alla donna.
«Il ragazzo non sapeva molto ma quel poco conferma le risposte che hai ottenuto tu.» Rispose Siadon osservando da lontano Nelao, disteso al fianco dei resti carbonizzati di cinque corpi. Avrebbe ripreso i sensi di lì a poco, gli aveva cancellato tutti i ricordi su quanto successo, sostituendoli con la convinzione di aver visto i suoi compagni inceneriti dall’ira della Luce. A volte quelli come lui si arruolavano nell'Esercito della Luce, alcuni diventavano addirittura Inquisitori. La maggior parte passavano un paio mesi a raccontare quanto pensavano di ricordare, spesso in taverne buie tra fiumi di alcolici, per poi dimenticarsi di tutto e tornare alla vita di sempre. In ogni caso nessuno avrebbe potuto descrivere lui o Thea, nemmeno rimuovendo la rete di Spirito che portavano nella testa.



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Capitolo 6
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte quinta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte quinta]

Mabien Asuka

Cercava di camminare per strada come avrebbe fatto un comune ragazzo, ma la ferita dava ancora qualche problema se voleva accelerare il passo e comunque non riusciva a fare a meno di avere un sussulto ogni volta che incrociava un Manto Bianco: Mab aveva la terribile sensazione che tutti la guardassero, ma in realtà nessuno la degnò di un secondo sguardo lungo tutto il tragitto fino alla tenuta del colonnello Qinte.
Il sole era già molto basso all'orizzonte, i contadini avevano abbandonato i campi, i pastori avevano lasciato le bestie al sicuro nelle stalle, qualche mercante era ancora intento a stringere affari, ma la maggior parte della gente ancora in giro la si vedeva radunarsi attorno alle taverne. Alcune voci già riportavano di qualcosa capitato la notte prima, alcune parlavano di combattimenti, alcune arrestati, altre ancora di un omicidio, i protagonisti erano in genere Manti Bianchi, ma a volte erano implicati anche civili o addirittura fantomatiche creature dell'Ombra. Una sola volta sentì parlare di una donna ricercata e di una morta, ma mai udì fare il proprio nome, né quello di Krooche. Temendo di destare sospetti, non si era mai soffermata, cogliendo così sono stralci di conversazioni, ma in ogni caso si trattava sempre solo di dicerie e non valeva la pena correre rischi per sentirle meglio.
Giunta ai cancelli della magione, mostrò al Manto Bianco di guardia la lettera che Graham le aveva dato e, come lui le aveva preannunciato, fu fatta passare senza dover aggiungere altro. Non era la prima volta che agiva seguendo procedure simili: non avrebbe potuto svolgere le missioni che Krooche le aveva affidato in quei quattro anni, senza una copertura dall'alto. In teoria non c'era nulla di diverso da tutte le altre volte che aveva lasciato da sola la città per lui, ma mai come ora aveva avuto paura. Oltre i cancelli il cortile che doveva attraversare era un viavai di servitori, mercanti e soprattutto Figli della Luce. Un piccolo gruppo di reclute faceva capannello in fondo, dove lei doveva passare:
«Ma ne sei davvero sicuro? Proprio la sua donna?» chiedeva uno di loro
«Ero lì quando il suo sottufficiale ha portato il corpo e l'ho vista: era ridotta male, ma era lei!»
«Non ci posso credere! Ho sempre pensato che gli incanalatori avessero un aspetto più... più... brutto»
«Ma dite che davvero costringesse il capitano Krooche a fare quello che voleva con il... potere?» chiese un altro ragazzo facendo una smorfia su quell'ultima parola.
«Io l'avrei fatto anche senza!» sghignazzò uno di loro, ma alle pessime occhiate degli altri, si corresse «Ovviamente se non avessi saputo che era una dannata strega!»
Mab non pensava di essere diventata tanto popolare tra le fila dei Figli della Luce, ma in effetti soprattutto nell'ultimo anno Krooche la portava quasi sempre con lui in pubblico senza nascondere affatto che fosse la sua amante. In quel modo, lui diceva, non avrebbero sospettato di lei, ma evidentemente non aveva fatto troppo bene i suoi calcoli. L'ego di quell'uomo era troppo smisurata e spesso l'aveva portato ad errori di valutazione molto pericolosi: questo era l'ennesimo esempio lampante e ora lei avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
I ragazzi avevano continuato a parlare, ma lei era passata oltre e ormai non poteva più sentirli. Era quasi giunta alle stalle quando un uomo la fermò
«Chi sei?» le chiese ponendosi davanti. Lei si limitò ad estrarre la busta con il messaggio e passargliela.
«Ah, si» disse l'uomo restituendola «Com'è che ti chiami?»
«Torr, signore. Torr Vedes»
L'uomo la guardò dall'alto in basso, esaminandola
«E' un viaggio lungo fino a Losm’taal, te l'hanno detto? Mi aspettavo che mi avrebbero mandato uno con qualche anno più di te. Sei solo?»
«Si signore. Non c'è problema per il viaggio» La destinazione era l'ultimo dei suoi problemi: aveva in mente di rivendere il suo carico, qualsiasi cosa fosse, appena fosse stata abbastanza lontana da Kiendger da non temere più di essere riconosciuta. Era una pessima zona per lei quella, piena di città importanti per la Confederazione, ma doveva passarci per forza se voleva andare verso nord.
L'uomo la guardò molto perplesso, poi girandosi verso le stalle, alzò le spalle e disse solo «Se va bene a loro... seguimi.»
L'ingombrante stazza dell'uomo gli permise con facilità di far scorrere il portone di una delle stalle, vi entrò e percorse il corridoio tra i cavalli, una lunga serie di splendide bestie, perfettamente tenute e poi svoltò in uno spazio più ampio dove erano accatastate diverse balle di fieno, sacchi di biada e un carretto con un carico coperto da un telo di iuta.
«Aspettami qui» disse l'uomo
Mab obbedì, avvicinandosi al carro: aveva sicuramente visto tempi migliori, ma se gliel'avevano dato significava che pensavano che sarebbe almeno arrivato integro fino alla sua destinazione.
«Folar?!» chiamò qualcuno dal fondo della stalla.
La ragazza rimase dov'era senza fiatare, ma quello continuò
«Folar, ci sei?» e poi prese ad avanzare, fino ad arrivare inevitabilmente dove si trovava lei. Era un ragazzo giovane, forse di una decina d'anni meno di lei, molto alto e con una chioma spettinata di blandi boccoli neri, che gli ricadeva in modo disordinato anche sul viso, a coprirgli parzialmente gli occhi. Portava con sé due sacchi, chiusi a fagotto, uno dei due sembrava contenere libri a giudicare dalla forma e dal peso che pareva esercitare sulla sua spalla.
«Dov'è Folar?» le chiese
Mab indicò la direzione in cui era sparito poco prima l'uomo che aveva seguito, immaginando fosse lui quello che cercava. Il ragazzo si incamminò in quella direzione, ma poi guardò il carro e si fermò di colpo, guardò meglio il carro, poi lei e di nuovo il carro
«Non dirmi che sei tu quello che deve portare le otri a Losm’taal!»
Lei annuì e lui si portò una mano alla fronte, infilandola fra i capelli e sollevando così il ciuffo. Stava per parlare, quando dei passi annunciarono l'arrivo di Folar e di un ronzino.
«Quando mi hai detto che mi avevi trovato il passaggio per Dobied, non mi avevi detto che avrei dovuto fare da balia al conducente!» lo accolse il ragazzo.
Nel tentativo di bloccare l'imprecazione che le stava uscendo di bocca, Mab quasi si strozzò, cominciando a tossire. Cosa significava un passaggio? Dover viaggiare in compagnia di uno sconosciuto non poteva che essere un impaccio.
Folar intanto si era messo a ridere più forte di quanto quella battuta meritasse, poi diede una pacca sulla spalla al ragazzo, mentre gli passava accanto per andare ad attaccare il ronzino al carro
«Son due giorni che si rade la barba e già si sente un uomo. Coi Manti non ci vuoi viaggiare, con le signore ti senti in imbarazzo, ora neppure i ragazzini ti vanno bene?» disse lo stalliere continuando a ridere «Se non fossi il figlio di mia sorella, penserei che sei un principino viziato. Non so chi dei due farà da balia all'altro!»
Il ragazzo era arrossito, aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma poi non lo fece.
«Eccola qua: vi presento Giocasta» disse carezzando il muso del cavallo «Non sarà la più bella tra le cavalcature di Qinte, ma è un animale eccezionale!» poi guardò Mab, le indicò il nipote e continuò le presentazioni «Lui invece è mio nipote Hysaac, non è altrettanto eccezionale ma verrà con te fino a Dobied. Non ti dispiace, vero?»
Mab cercò velocemente una scusa per rifiutare, ma non la trovò: non avrebbe potuto dire nulla di sensato per cui un ragazzino non volesse avere la compagnia di un altro ragazzo per un tratto di viaggio. Dovette acconsentire e sforzarsi non poco perchè il suo volto non rivelasse nervosismo. Hysaac le si avvicinò e lei si presentò «Sarà un piacere. Mi chiamo Torr» e gli strinse la mano, trattenendosi dal desiderio di frantumargliela.

Folar spiegò alla perfezione dove e a chi avrebbe dovuto consegnare il suo carico di acquavite, poi sollevò dal carro qualcosa di lungo avvolto nello iuta: ne estrasse un paio di spade e vari pugnali «E' quanto di meglio sono riuscito a recuperare» disse, estraendo dal suo fodero una spada dalla lama con qualche sbecco «Dicono che le strade fuori città siano diventate pericolose ultimamente. Anche se non avete mai usato cose del genere, meglio che le mani nude, no?» Nascose di nuovo le armi, poi abbracciò forte il nipote facendosi promettere che avrebbe dato notizie di sé non appena avesse potuto, quindi Mab e Hysaac presero posto sul carro e si diressero verso il cancello est della città. Alle loro spalle il sole tramontava dietro la scogliera a precipizio sul mare interno, emanando la sua luce rossa sui muri degli edifici. Era arrivata a Kiendger sei anni prima, mentre fuggiva da Kerine per andare più a nord che potesse, ma qui aveva dovuto fermare la sua corsa. Ora finalmente il viaggio riprendeva: avrebbe raggiunto i ribelli ad ogni costo.



Morgan Neglentine

Raggiunse l'avamposto che la notte era già inoltrata; fattosi riconoscere dalle sentinelle entrò nel cerchio di tende e subito si diresse verso l'alloggio del comandante. Si presentò all’attendente e attese di essere annunciato prima di entrare,una volta dentro si avvicinò alla scrivania dove sedeva il comandante Duncan, un uomo non molto alto e senza una particolare forza nell'uso del potere, ma combattente abilissimo e dalle spiccate doti di comando; l'uomo alzò lo sguardo su di lui, visibilmente infastidito, e disse: «Finalmente hai deciso di rientrare! Ti aspettavamo per il tramonto e siamo a metà della notte ormai; sei uno dei migliori combattenti che abbiamo a disposizione e hai tutte le qualità per diventare un buon comandante, ma questo non vuol dire che puoi disobbedire agli ordini,per lo meno non fino a quando non avrai superato la prova. E ora dimmi velocemente: dove accidenti eri finito?!».
Morgan lo lasciò finire di parlare e, assumendo un'espressione contrita, rispose: «Ho trovato tracce di alcuni trolloc, e prima di tornare ho deciso di seguirle per vedere dove erano accampati.», mentre parlava notò il viso del comandante accigliarsi ancor di più «E' successa una cosa... strana. Mentre stavo per tornare sono stato colto da una rabbia incontrollata, che mi giungeva da una presenza non ben definita nella mia mente, e mi sono ritrovato ad attaccare quegli esseri immondi. Mentre combattevo alcuni lupi si sono uniti allo scontro e in breve non è rimasto in piedi nemmeno uno dei trolloc, che erano una ventina; finito lo scontro ho finalmente scoperto l'origine della presenza nella mia mente: credo di essere un Fratello dei Lupi, purtroppo la rabbia che mi hanno trasmesso non mi ha fatto ragionare lucidamente e non ho potuto fare a meno di assalire i trolloc. So che mi merito una punizione per non aver rispettato gli ordini e mi rimetto alla vostra decisione.»
Il comandante ascoltò attentamente quel che Morgan aveva da dire; si fece pensieroso e passò un momento prima che rispondesse: «Fratello dei Lupi, dici? E’ da parecchio che non se ne sente parlare.
Quello che so è che non è facile resistere alle emozioni dei lupi quando si è alle prime armi, e non pochi sono stati quelli che si sono persi completamente in un contatto del genere, questo rappresenta sicuramente un'attenuante al tuo comportamento, ma sono sicuro che non avrai questo problema ancora per molto: è da diverso tempo che ti osservo attentamente e ho potuto vedere che sei un ragazzo dal carattere forte e che pondera bene tutte le proprie azioni. Tuttavia non devi affatto sottovalutare quanto pensi ti stia accadendo, perciò ti consiglio di visitare Maemtaar, di sicuro là sapranno aiutarti meglio di chiunque altro. E ora, visto che sei qui, è arrivata per te una convocazione da Tsorovarin; ora va a dormire, domattina devi partire per la città.»
Una volta congedato uscì e raggiunse un ruscello che scorreva vicino all’avamposto, si lavò, quindi si recò al bivacco al centro dell’accampamento per mangiare qualcosa prima di andare a dormire; una volta a letto la stanchezza lo colse immediatamente e si addormentò.
Si trovava su una collina che dominava la strada, non conosceva il posto ma doveva essere da qualche parte nei territori dei clan, perché riconobbe alcune delle cime che s'intravedevano sullo sfondo; mentre si guardava attorno, vide che vicino a lui si trovava Nebbia d'Argento: «Dove siamo fratello?», chiese al lupo, «Questo è il sogno dei lupi» rispose l'altro «Qui è dove tutti i lupi esistono; ma per te è ancora un luogo pericoloso! Per voi umani è diverso qui, e prima di potervi accedere, Piccolo Orso, devi apprenderne le regole; quando sarà il momento capirai.».
Mentre il lupo parlava, Morgan notò un ragazzo accampato vicino alla strada, quasi al limitare del proprio campo visivo. Fece per avviarsi verso di lui quando il lupo gli si parò davanti, con fare minaccioso «E’ ora che tu vada, lascia perdere il due gambe, fratello, e torna al tuo mondo». «Ma come posso fare?», rispose Morgan, «Inoltre quel ragazzo potrebbe essere chiunque, una spia oppure qualcuno bisognoso d'aiuto!», il lupo si avvicinò ringhiando leggermente: «Lascialo perdere per ora! Avrai modo di incontrarlo, ora torna indietro.» Il giovane fece per protestare con maggior forza quando il lupo gli si avventò contro. Incredulo e spaventato Morgan sollevò le mani davanti a se per cercare di ripararsi...
E si svegliò nella propria tenda, nell'avamposto, grondante sudore e col cuore che gli martellava in petto a un ritmo folle, nella mente le ultime parole lasciategli dal lupo: «Quando incontrerai nuovamente quel giovane due gambe aiutalo e prenditi cura di lui come fosse un membro del tuo branco: da lui dipenderà la nostra salvezza». Si alzò dal letto e posò i piedi nudi a terra; il contatto lo fece rabbrividire: l’inverno a quelle altezze sarebbe durato ancora a lungo. Raggiunse l’apertura della tenda e la spalancò: fuori era iniziato uno dei forti temporali tipici di quelle montagne, e da cui derivava il nome di Tsorovarin; rimase allo scoperto lasciandosi colpire da raffiche di vento e spruzzi d'acqua che lo aiutarono a schiarirsi un po' la mente. Devo parlare assolutamente con mia madre: è una camminatrice dei sogni e forse saprà aiutarmi a trovare un significato a tutto questo. Rientrando, caricò la pipa e si sedette sul suo giaciglio, osservando lo scrosciare della pioggia; poi, ancora perso nei propri pensieri accese la pipa con un sottile flusso di fuoco. Negli avamposti era consentito incanalare almeno per svolgere semplici compiti come accendere il fuoco e cose simili. Aspirò ampie boccate del fumo dal sapore forte mentre lasciava vagare la mente, alla ricerca dei lupi, che avvertì lontani: difficilmente si sarebbero avvicinati a insediamenti umani di qualsiasi genere comunque.
Mentre fumava, tranquillizzandosi sempre più, iniziò a convincersi che il sogno fosse dovuto allo shock tardivo, derivato dagli avvenimenti di quella giornata.
Distratto da questi pensieri, quasi non si accorse che nel frattempo il temporale era cessato e che l'alba iniziava a colorare di rosa le cime dei monti, mentre l'odore forte di terra bagnata e foresta umida entrava portato da una brezza leggera. Nonostante il fumo della pipa, ormai quasi finita, poteva avvertire l'intenso odore dei muschi e quello più acido degli aghi di pino; ma avvertiva anche un odore nuovo: prestando maggior attenzione si accorse che gli ricordava, ma in maniera più nitida, l'odore che si poteva avvertire entrando d'inverno in una stanza chiusa piena di gente... in poche parole, odore di esseri umani! Dalle letture fatte, sapeva che avrebbe acquisito una maggiore capacità olfattiva, ma rimase comunque sorpreso dalla rapidità del cambiamento e dalla nitidezza degli odori avvertiti. Si stupiva di non essere spaventato da quella nuova strana esperienza, si sentiva invece calmo, cuioso al limite, ma non sentiva paura nel suo cuore.
Il sole era già in parte spuntato quando si alzò e svuotò la pipa per terra; si vestì di tutto punto, mise i propri effetti personali e un cambio d'abiti in due bisacce da sella, caso mai un temporale lo sorprendesse lungo la strada. Si appese lo spadone sulla schiena e uscì dalla tenda, bisacce in spalla, dirigendosi al fuoco comune per fare una rapida colazione prima di sellare il cavallo e partire per Tsorovarin.



Siadon

«Rosa! Rosa vieni ci sono i ragazzi!» Gridò l’anziano uomo mentre trasportava della legna verso l’ingresso di una piccola casa, immersa nella foresta ai piedi del monte Kiend non molto distante dal centro abitato di Hirlomap. I due assassini stavano avanzando lentamente nella neve alta, sprofondando ad ogni passo seguiti dai loro cavalli. Durante la bella stagione il paese poteva essere raggiunto in poco tempo ma in inverno quel luogo rimaneva isolato per settimane.
La donna, piccola ed asciutta con lunghi capelli d’argento legati in una treccia ben curata, uscì ridendo mentre i due cavalieri stavano raggiungendo la stalla. Andò loro incontro percorrendo un breve labirinto di sentieri ricavati spalando la neve, collegavano la casa alla legnaia e alle altre strutture.
«Ma non dovevate! Con tutta questa neve... venite dentro a scaldarvi... Thea, dovresti essere più giudiziosa, non seguire in pieno inverno questa testa dura che ti porti dietro!» Disse rivolta alla ragazza, fingendosi arrabbiata ma con gli occhi colmi di gioia mentre la abbracciava. «Su, venite dentro ad asciugarvi.»

Siadon si fermò nella stalla il tempo necessario a curare i cavalli, affidando al vecchio le tre lepri che avevano cacciato poco prima.
«Ah! Solo voi due sapete come fate a vederle in mezzo alla neve, sono sicuro che i lupi vi chiederebbero consigli se solo potessero» Disse l’anziano divertito, studiando la selvaggina.
«Credo proprio che tu potresti insegnare a tirare con l’arco persino ad un lupo» rispose Siadon, chiudendo il recinto e mettendosi in spalla due sacche. Avevano nascosto la maggior parte delle armi e delle altre cose in una grotta poco distante, portandosi solo quello che ci si sarebbe aspettato da due bracconieri.
«Come state tu e Rosa? E’ stato duro questo inverno?» Conosceva l’anziana coppia da diversi anni, la prima volta che raggiunse quella casa lavorava per un macellaio a Hirlomap. Era una copertura, una specie di vacanza. Gli aveva permesso di farsi conoscere dalla gente come un cacciatore, per lo meno nessuno si sarebbe stupito nel vederlo vagare armato in quei boschi. Inoltre era importante non dimenticare cosa provava una persona comune tutti i giorni. Nessuno si fida di un volto privo di sentimenti, diventare troppo freddi e distaccati significava creare sospetti e lui voleva evitarli il più possibile. Allora raggiungeva periodicamente quella casa, portando agli anziani le provviste e aiutandoli nei lavori più pesanti. Da allora cercava di passare a trovarli almeno una volta al mese, soprattutto in inverno per vedere come stavano e se gli serviva qualcosa. Anche Thea vi si era affezionata.
«Oh, abbiamo visto di peggio, non sarà un poco di neve a darci problemi. Provviste e legna ne abbiamo e Rosa non s’è ancora stancata di accudire questo vecchio» Disse l’uomo strizzando un occhio e facendo un cenno verso le pareti della casa, ogni lato era ancora nascosto da un muro di legna accatastata, segno che anche la legnaia ne conteneva ancora.

Quella sera Siadon sedeva immobile, rapito dalle fiamme del caminetto mentre pensava a quante cose sarebbero potute cambiare, a quale strada percorrere dopo quanto appreso dall'ultima missione. La sua Famiglia era alleata dei Manti Bianchi ma era molto più antica della Confederazione, anche se solo pochi di loro ne erano al corrente. Sapeva che in passato aveva servito altri poteri, era una delle conoscenze accessibili solo dopo anni di appartenenza, quando ormai i ponti con l’esterno erano irrimediabilmente crollati ed un tradimento era impensabile. Non lo turbava sapere che durante la tirannia i suoi Fratelli venivano pagati per eliminare gli oppositori del potente di turno, così come in tempi ancora più remoti si affidavano quasi esclusivamente alle premonizioni per individuare gli obiettivi più pericolosi. Quello che lo preoccupava era la consapevolezza che ogni cambiamento era accompagnato da una lotta fratricida, breve ma sanguinosa, per eliminare chi non voleva adattarsi o chi sosteneva un cambiamento poco gradito.
«A volte abbiamo meno scelta di quanto sembri» Disse lentamente l’anziano, seduto poco distante su una vecchia sedia a dondolo. Stava caricando una pipa scurissima, il volto illuminato dalle fiamme. Le ombre dei suoi movimenti ballavano sui tronchi del soffitto. Dopo averla accesa si aggiustò la vecchia coperta sulle gambe, «A volte l’unica strada possibile è proprio quella che temiamo di più, in quei casi è inutile cercare di evitarla» continuò espirando un cerchio di fumo chiaro, soddisfatto della forma che era riuscito a dargli.
Siadon lo guardò sospettoso, sicuro di non aver pensato ad alta voce, domandandosi per la prima volta fino a che punto quell’uomo lo conoscesse.
«Ragazzo, l’età non porta molte cose buone se non l’averne viste abbastanza da poter immaginare cosa passa per la testa alla gente. Quello sguardo l’ho visto altre volte, mi ricorda certi ufficiali quando ero un soldato, solo che loro avevano centinaia di vite per le mani.» Diede un'altra lunga boccata alla pipa, poi continuò più allegramente «Non dirmi che stai pensando di arruolarti! Oppure questa volta Thea ti ha incastrato per bene?»
Luce vecchio, per un momento ho pensato di doverti uccidere. Pensò Siadon sorridendo sollevato, stava per rispondere quando le due donne scesero dalla stanza che avevano preparato per la notte.
«Io lo incastro sempre per bene, ormai non troverebbe nemmeno le tracce di un cinghiale inferocito se mi lasciasse indietro» poi lo baciò, mentre i due anziani ridevano di gusto.



Continua...



Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Perrin
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 7
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte sesta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte sesta]

Merian Elen Syana

Le parole dell'uomo si fecero strada nella mente di Niende cercando di assumere un significato logico e razionale, ma più si insinuavano dentro di lei, più la ragazza le respingeva con forza.
Tutto questo era assurdo, nessuno era a conoscenza del contenuto dei suoi sogni, nemmeno l'Illuminato al quale li confessava.
E quel nome... sentirlo pronunciare ad alta voce dopo tanto tempo le aveva procurato un brivido lungo la schiena, una sensazione dovuta non al terrore che qualcuno potesse ascoltare, no, ma al pensiero che le avesse fatto piacere udirlo di nuovo.
Cercando di non far trapelare le sue emozioni, Niende rispose all'uomo ma un leggero tremolio nella voce tradì le sue intenzioni.
«Non so chi vi abbia dato quel nome, ma quella persona è morta molto tempo fa, nulla di lei è rimasto ora.» Aveva deliberatamente ignorato l'altro argomento, adesso era spaventata, e parlarne avrebbe solo dato più peso alla cosa. L'Ombra infestava i suoi sogni e l'unico modo per scacciarla era smettere di pensare a lei, anche se questo significava rischiare di non incontrare mai più lo sconosciuto.
Continuava a ripeterselo con fermezza, forse alla fine ci avrebbe creduto.
«Merian,» l'altra donna interruppe i suoi pensieri, «è importante che tu ascolti ciò che abbiamo da dirti, non devi avere paura di noi, siamo qui per aiutarti.»
Se il suo intento era quello di calmarla era miseramente fallito, da come la donna si rivolgeva a lei sembrava stesse affrontando un'armata di creature dell'Ombra!
«E' la verità ragazza. » L'uomo si intromise dolcemente rivolgendo alla sua compagna un'occhiata in tralice. «Non siamo Incanalatori se è questo che ti preoccupa, e non abbiamo a che fare con l'Ombra. Quello che ti succede non è casuale, i tuoi sogni sono reali, e quell'uomo è parte di essi. Noi...»
«Chi è?» esplose Niende prima di riuscire a trattenersi, dando sfogo a tutta la sua frustrazione. Ormai non tentava nemmeno più di nascondere le lacrime che scendevano dal suo viso arrossato.
L'uomo - si rese conto solo ora che non conosceva ancora il nome dei due - estrasse un fazzoletto dalla tasca della giubba ben lavorata, porpora con ricami oro sulle maniche, e lo porse alla ragazza con un sorriso comprensivo. Questa volta la sua compagna rivolse un'occhiataccia a lei, ma Niende si preoccupò solo di prendere il fazzoletto mantenendo lo sguardo fisso sul tavolo, troppo imbarazzata persino per ringraziare.
«Si è fatto tardi,» riuscì infine a proferire, sempre senza alzare lo sguardo, «devo andare al lavoro.» Fece per alzarsi e la donna le afferrò la mano, trattenendola. Niende la guardò sorpresa ma l'altra donna non allentò la presa.
«Rimarremo alla locanda finché sarà necessario... Niende.» Fece una smorfia quasi disgustata nel pronunciare il nome. «Parleremo ancora.»
Quella donna aveva la capacità di far suonare tutto come una minaccia, ma almeno le aveva lasciato andare il polso.
A quel punto si alzarono, salutando la ragazza come parenti affettuosi, abbracciandola e baciandola sulle guance, e l'uomo ne approfittò per sussurrarle all'orecchio.
«E' stato un uomo valoroso e lo sarà ancora, finché la Ruota girerà e il Disegno avrà bisogno di lui.»
Niende lo fissò per un momento prima di capire che si stava riferendo allo sconosciuto dei suoi sogni.
Che voleva dire? E' stato?
Avevano un'altra cosa da dirle prima di lasciarla andare, in caso qualcuno avesse fatto domande avrebbe dovuto sapere chi erano i suoi zii lontani: Loras e Sarah, anche se qualcosa le diceva che questi non erano i loro veri nomi.

Arlene non aveva detto una parola da quando erano uscite dalla locanda ma la osservava con la coda dell’occhio come per valutare il momento opportuno per aprir bocca. Non ci fu mai, Niende non era in vena di parlare e camminava con la testa bassa, di tanto in tanto esaminando il fazzoletto di Loras che aveva ancora in mano, prova tangibile che era tutto reale. Avevano detto di non essere Incanalatori, ed era sicuramente vero altrimenti sarebbero stati fermati prima ancora di mettere piede in città, ma sapevano dei sogni e conoscevano l’uomo misterioso, che a quanto pareva era stato un eroe.
Stava sognando un uomo morto da tempo allora? E perché Loras aveva detto che lo sarà ancora? La cosa non aveva senso.
Tutto questo aveva a che fare con l’Ombra, non poteva essere altrimenti. Forte di questa convinzione Niende decise che avrebbe confessato tutto a un Illuminato non appena avesse finito il lavoro ai campi.
Si, era la cosa giusta da fare.
Con un sorriso quasi convincente piegò il fazzoletto, lo ripose nel risvolto della manica e si girò verso Arlene, che adesso la guardava apertamente con un sopracciglio inarcato, e le sorrise per rassicurarla che era tutto a posto. L’altra donna si rilassò visibilmente e incitò Niende a camminare più veloce o sarebbero state frustate. I Manti Bianchi non ammettevano ritardi, non ammettevano una grande quantità di cose in verità, ma queste erano le regole, che piacessero o meno, e andavano rispettate.

Il lavoro nei campi procedeva lentamente come ogni giorno, nessuno poteva parlare con i compagni vicini e nessuno poteva fermarsi un momento a riprendere fiato, a meno che non volesse scatenare le ire dei Manti Bianchi. Ai margini della città vi erano differenti campi, dedicati ognuno a una particolare coltivazione, e i lavoratori venivano smistati ogni giorno in un luogo diverso, di cui venivano a conoscenza solo la sera prima. Questo serviva a scongiurare il più possibile i rapporti tra i lavoratori che, vedendosi obbligati a concentrarsi sul proprio lavoro, non potevano complottare tra di loro e dare vita a sommosse.
Si cercava sempre di tenere lontani gli amici e i parenti, per cui Arlene salutò Niende per dirigersi al campo al quale era destinata quella mattina.
Niende si sarebbe occupata dei meravigliosi fiori sacri per i templi della Confederazione, e tutto sommato non le dispiaceva quella parte del lavoro, le piante erano compagne ideali. Era più preoccupata per il lavoro pomeridiano: dopo l’orazione l’aspettava infatti una giornata di bucato, e voleva dire immergersi fino alle braccia nell’acqua mai troppo calda finché non le sanguinavano le mani.
Mentre tagliava con cura gli steli e riponeva i fiori nei cestini, colse alcune delle parole che due guardie si stavano scambiando mentre passavano accanto a lei, e si fermò di colpo.
«… erano ai margini della città, non si preoccupano nemmeno più di nascondersi, quei maledetti servitori dell’Ombra!»
«Non dire sciocchezze, nessun Ribelle è così stupido da spingersi fin quaggiù, anche se la cosa non mi dispiacerebbe affatto, avrei tante cose da mostrare a quei porci.» L’uomo abbaiò una risata come se la prospettiva di incontrare un Incanalatore fosse divertente. I Manti Bianchi sapevano essere incredibilmente coraggiosi quando si trattava di combattere l’Ombra, ma spesso sottovalutavano l’avversario e il Potere non era una cosa sulla quale scherzare.
«Che hai da guardare tu?» L’uomo coraggioso si rivolse a Niende, che presa dalle parole degli uomini era rimasta lì in piedi a fissarli, e si avvicinò per colpirla. La ragazza abbassò lo sguardo in segno di scusa e si preparò a ricevere la punizione, ma l’uomo le tirò su il mento e la fissò con un ghigno dipinto in volto.
«Sarebbe un peccato rovinare un viso così carino… » L’uomo continuava a tenerle alto il viso e lei non poteva fare altro che guardarlo negli occhi, terrorizzata all’idea di quello che avrebbe potuto subire.
Essere picchiati era tollerabile ma una donna non sempre era così fortunata.
«La Luce sa di cosa gli uomini hanno bisogno per tenere alto il loro morale, non è vero Lucard?» Si era rivolto al compagno con un’altra risata oscena. «Potremmo usarla per qualche giochetto…» Aveva inclinato la testa da un lato come per meditare su cosa fare, e all’improvviso il ghigno scomparve e l’uomo le tirò un pugno allo stomaco, così forte da farla cadere a terra. Lucard, che era rimasto immobile a osservare, adesso rideva e si congratulava con l’amico che, guardandolo come per giustificarsi, rispose:
«Sarebbe stato un peccato rovinare un viso così carino… »
A quel punto i due si allontanarono senza degnarla più di uno sguardo, ridendo e scherzando su quanto era accaduto. Niende, stordita, riuscì a sentire le ultime parole dell’uomo che l’aveva colpita.
«Scommetto che sperava in qualcos’altro, la sgualdrina, ma io non mi mischio con la feccia.»
Sentì la rabbia salire e un desiderio improvviso di scagliarsi sull’uomo si impadronì di lei, finché non si rese conto di cosa stesse pensando e dovette fare un profondo respiro per calmarsi.
Cosa le stava succedendo? Non si era mai comportata così prima.
Era convinta che una purificazione le avrebbe fatto bene, ma quando arrivò l’ora dell’orazione stranamente decise di non andarsi a confessare con l’Illuminato.
Continuava a pensare alla coppia incontrata quella mattina, lo sconosciuto dei suoi sogni, le parole dei Manti Bianchi. Prima Loras e Sarah, e adesso a quanto pareva c’erano Incanalatori ai margini della città, una coincidenza? Avevano detto di non avere a che fare con il Potere, ma questo non significava che non potessero essere arrivati con chi invece lo utilizzava. Pensava che raccontare l'accaduto l'avrebbe fatta solo allontanare di più dalla verità, e lei voleva sapere.

La giornata lavorativa trascorse costantemente con questi pensieri, e una volta scesa la sera, dopo l’orazione serale, Niende, sfinita, si gettò a letto senza nemmeno svestirsi.
Si sorprese a desiderare di incontrare lo sconosciuto, e non provò alcun rimorso al pensiero, aveva bisogno di risposte e solo lui poteva dargliele.
Sognò di passeggiare con lui su un prato di margherite, le sue preferite, mano nella mano, parlando del più e del meno. Lui le raccontava della sua vita e sorrideva, e lei era felice come non lo era mai stata prima.
Ma questo era solo un fantasia, non aveva nulla di reale.
Il sogno cambiò, si fece più cupo, una nebbia avvolse i suoi sensi e si sentì come se stesse guardando con occhi che non erano suoi.
Nuvole di cenere e polvere erano nell’aria, si poteva sentire un forte odore di fumo e vi era una sensazione di attesa.
Uomini e donne armati di spada, immobili come statue, osservavano concentrati qualcosa di fronte a loro che lei non poteva vedere.
Un grido improvviso le fece accapponare la pelle: esseri deformi apparvero dietro la linea degli alberi – ecco cosa stavano osservando quelle persone - e si lanciarono all’attacco urlando parole che suonavano come grida di morte. Poteva scorgere delle corna appuntite, zanne affilate e dita artigliate.
Un nome risuonò nella sua mente, Trolloc, come se avesse sempre saputo di quelle creature. D’un tratto si accorse che lei si trovava nel mezzo della battaglia, ma non era la stessa persona di adesso. Il viso striato di nero era determinato, e quegli occhi un tempo così dolci e pieni di meraviglia, sembravano iniettati di sangue.
Aveva una spada con sé, ma non la usava, era un’altra l’arma che le serviva. Palle di fuoco scaturivano dalle mani protese in avanti, fulmini scendevano dal cielo e spaccavano il terreno abbattendo i nemici.
Sentiva il dolce sapore della vita che scorreva dentro di sé, ribolliva e sembrava sommergerla come un mare in tempesta. Era una sensazione meravigliosa.
Si voltò a guardare i suoi compagni che come lei attingevano a quella immensa fonte di Potere e il sogno mutò ancora.
Un uomo le dava le spalle e guardava il cielo stellato mormorando tra sé. Lei gli si avvicinò toccandogli una spalla gentilmente e l’uomo si voltò sorpreso.
Il viso dello sconosciuto era sempre in ombra, celato da un cappello, ma questa volta poteva vedere i suoi occhi, due enormi pozzi neri in cui ci si poteva perdere ed esserne felici.
Un velo di tristezza e preoccupazione attraversava quegli occhi, ma durò solo un attimo.
L’uomo sorrise come al solito, lanciò in aria dei dadi e disse qualcosa in una lingua a lei incomprensibile, non conosceva il significato, ma sapeva che si trattava della Lingua Antica.



Aaron Gaeleaf Selohim

Aaron studiò per l'ennesima volta la sua immagine nello specchio. Nell'ultima ora aveva provato un'infinità di gioielli, alcuni dei quali, ben pochi in realtà, veri e propri artefatti di Potere.
Annuì fiero a sé stesso, senza far trasparire la frustrazione per essere costretto ad indossare una semplice tunica nera, perfettamente uguale a quella che avrebbero indossato tutti gli altri Membri del Sangue che stava per incontrare nella Sala di Ossidiana.
Non riusciva ad accettare l'idea di dover apparire come qualcun altro, certo anche loro erano delle degli esseri superiori ma a che scopo negare le individualità vestendosi tutti allo stesso modo? Conosceva la risposta, ovviamene, ma rispettare alcune tradizioni, in particolare quelle legate al Drago Rinato, non gli rusciva semplice.
Lanciò un'ultima occhiata alla pietra bianchissima che portava appesa al collo, il contrasto con la veste sottostante sembrava farla brillare di luce propria. Era l'artefatto più potente in suo possesso, un regalo di Traenghien Char Selohim, Sommo del Fuoco, suo padre. Aveva pensato di indossare anche degli anelli o alcune spille ma non aveva nulla che si avvicinasse a quella pietra. Non sarebbe riuscito ad ingannare tutti, qualcuno avrebbe di certo notato il differenziale di Potere tra gli oggetti e con qualche speculazione si sarebbe avvicinato fin troppo alla verità: tolta quella gemma, le proprietà di Aaron non avevano un gran valore. Non ancora.
Sì voltò, dirigendosi verso l'ampio balcone, il sole stava per tuffarsi tra la nebbia che circondava costantemente l'Isola. Immediatamente due schiavi iniziarono a sistemare i vari gioielli nelle rispettive custodie, trattando ognuno di essi come un infante. Davano per scontato che anche la più piccola spilla fosse in grado di radere al suolo una città, di tramutarli tutti in pietra o qualcosa di altrettanto pericoloso. Aaron concesse loro un solo sguardo distratto, più per assicurarsi di conoscere quei volti che per controllare quanto stessero facendo. Non aveva molti schiavi, qualcuno in più rispetto alla media dei suoi coetanei ma ben pochi in confronto alle proprietà di suo padre, o anche solo a quelle di un Membro del Sangue in vita da molto tempo. Eppure non gli risultava semplice ricordarsi i volti di quelle persone, iniziava ad essere talmente abituato ad averli attorno da considerarli come un vecchio tappeto. Sai che è lì, conosci bene i suoi colori ma non ricordi davvero il motivo con il quale si intrecciano. Alcuni marchiavano i propri schiavi con un sigillo personale ma Aaron non ne aveva ancora inventato uno suo che gli piacesse davvero, inoltre non era sicuro di voler deturpare il volto delle ragazze che gli aveva donato la madre. Quei lineamenti se li ricordava piuttosto bene.
Il suo palazzo, un altro dono dei genitori, non era vicino ai luoghi più importanti di Kiserai. L'aveva scelto proprio per garantirsi un minimo di riservatezza, inoltre era abbastanza vicino alle mura cittadine che dal terzo piano, il più alto, era possibile ammirare uno splendido panorama sulle coste meridionali dell'isola. Alcune luci, probabilmente i fuochi delle fucine o delle carpenterie, testimoniavano la presenza dei piccoli villaggi di pescatori, allevatori e schiavi in generale che sorgevano fuori dalla città. All'interno delle mura, oltre agli Incanalatori erano ammessi solo i loro personali schiavi e altri servitori con dei particolari permessi. La punizione per un essere inferiore scovato a Kiserai senza permesso era la morte. In effetti quella era la punizione per quasi tutti gli errori che uno schiavo potesse commettere, anche se il Sangue poteva dimostrarsi parecchio indulgente verso persone particolarmente dotate in qualche campo. Per i portatori del Dono invece esistevano molte meno regole da rispettare, poco più del necessario a garantire una convivenza civile, cosa piuttosto semplice per un gruppo di poche centinaia di individui. Non che mancassero le lotte interne, tutt'altro, l'ambizione era una caratteristica piuttosto comune e le cinque cariche dei Sommi erano estremamente ambite.
Sospirò un'altra volta alla vista della tunica che stava indossando, poi si costrinse a raggiungere il prima possibile la Sala di Ossidiana. Prima avrebbe concluso quella faccenda dell'assemblea, prima sarebbe potuto tornare ai suoi affari.
La Sala di Ossidiana si trovava all'interno del vulcano sulle cui pendici meridionali era sorta Kiserai. Diversi cunicoli, tutti scavati usando il Potere, raggiungevano un'enorme sala d'attesa, nella quale gli schiavi dovevano attendere i rispettivi padroni. Chi non aveva il Dono non poteva varcare la soglia dell'enorme portone in cristallo nero, ora spalancato. Se qualcuno ci avesse provato, non avrebbe percorso più di qualche passo in quel lungo corridoio che scendeva fino alla Sala di Ossidiana. Una tessitura l'avrebbe incenerito come paglia secca.
Molti Membri del Sangue erano già arrivati, Aaron non poteva vederli ma ne era in qualche modo consapevole. Ci mise alcuni istanti per capire che l'intuizione era dovuta alla presenza di parecchi colori nella sala d'attesa. Diversi gruppetti di schiavi, vestiti di livree di innumerevoli forme e tonalità, la dicevano lunga sulla presenza di questa o quella personalità di spicco.
Oltrepassò l'imponente arcata e subito venne investito da un muro di aria insopportabilmente calda. La ignorò senza pensarci davvero, quel trucco era una delle prime cose che gli era stata insegnata e ormai vi ricorreva inconsciamente quando necessario. Non poté però ignorare il significato di quella temperatura e dei bassorilievi che lo circondavano mentre percorreva il lungo corridoio. Non serviva solo a scoraggiare eventuali intrusi, per quanto ne sapeva Aaron nessun intruso era mai arrivato fin lì. In effetti non aveva mai sentito parlare di intrusi. No, il suo scopo era quello di mettere a disagio chiunque scendesse quella lunga spirale che conduceva alla Sala di Ossidiana. Il Maestro dello Spirito gli aveva insegnato che ogni passo di quel sentiero serviva a ricordare al Sangue chi fosse davvero. E che le ambizioni personali erano importanti ma non dovevano compromettere obiettivi più grandi.
Inutili stupidaggini pensò Aaron dopo aver osservato, con la coda dell'occhio, la rappresentazione di un'orda di bestie dalle fattezze semi-umane. Non dubitava della loro esistenza, sapeva bene che trolloc e creature ben peggiori non erano solo leggende. Quello che contestava era l'idea che il Drago Rinato avrebbe portato il Sangue a riconquistare il dominio sul mondo intero. Era intrigato dall'idea, ovviamente voleva che ciò avvenisse, ma lui aveva visto bene i volti di quei bambocci e non riusciva a provare la stessa fede che molti suoi simili mostravano di avere. Il Sangue avrebbe dovuto arrangiarsi, magari usare la figura del Drago Rianto come ispirazione, non era tanto stupido da ignorare la forza della fede. Ma la gloria non sarebbe mai arrivata per un popolo in attesa del compimento di stupide profezie. Avevano aspettato anche troppo. Avevano un potere enorme ma, tolte alcune piccole colonie nascoste sul continente, governavano la sola Isola del Drago. Avebbero dovuto radere al suolo ogni città della Confederazione, una per volta fino a che gli stessi Manti Bianchi avessero supplicato perdono strisciando. Invece si erano esiliati da soli, mostrando debolezza alle menti di quelle bestie, rendendole tanto audaci da spingerle ad attaccare l'Isola del Drago. Ovviamente nessuna delle loro navi era riuscita ad avvicinarsi alla costa, la maggior parte era affondata ben prima di uscire dalle nebbie ma alla difesa non era seguito un contrattacco. Così i Manti Bianchi erano tornati, più volte, sempre con lo stesso esito.
Dannati idioti, potremmo incenerirli a migliaia per volta, assediarli nelle loro città fino a quando la fame li spingerebbe a mangiarsi a vicenda.
Il corridoio smise improvvisamente di scendere, la vista della Sala di Ossidiana riuscì a distogliere Aaron dal risentimento verso i suoi predecessori. Era una semisfera perfetta, creata certamente tramite il Potere. Il vetro nero che ricorpiva la volta, per quanto lontano fosse, rifletteva anche la più piccola luce, così da creare uno spettacolo in grado di togliere il fiato a chiunque, persino ad un essere superiore in vita da secoli. Nemmeno la notte più stellata sarebbe stata in grado di raggiungere quello splendore, soprattutto negli ultimi anni, da quando nel mezzo della volta era apparso il Drago. Un'enorme bestia, simile ad un serpente alato, che brillava di una luce violetta e sembrava liberarsi sopra il centro della Sala, dove sedevano i cinque Sommi.
Era successo meno di venti anni prima, allora Aaron era troppo piccolo per poterselo ricordare, figuriamoci per dimostrare di possedere il Dono e quindi poter accedere alla Sala di Ossidiana. Ma chiunque lo sapeva a Kiserai: Il Drago era apparso con un'esplosione di luce candida, tanto luminosa da stordire il custode della Sala di Ossidiana.
E così si compì la prima Profezia del Ritorno pensò Aaron rapito dall'immagine violetta che sembrava pulsare viva e scrutare famelica il Sangue radunato. Era stato un grande evento per Kiserai, seguito da mesi di festeggiamenti e, soprattutto, dall'adunata di tutti i bambini nati quel giorno. Uno di loro doveva essere il Drago Rinato e ora stavano raggiungendo l'età giusta per dimostrare di possedere o meno il Dono. Aaron li aveva visti diverse volte, stupidi bambinetti viziati che non erano ancora morti solo perché abbastanza fortunati da essere nati nel giorno giusto.
Era assurdo che il destino del Sangue fosse nelle mani di uno di loro, perché non nelle sue allora? Perché affidarsi tanto ad una profezia?
Si sforzò di scacciare quei pensieri, sapeva bene a cosa portavano e aveva bisogno di rimanere concentrato per seguire l'adunata. Si guardò attorno scrutando i suoi simili fino a notare la madre che lo stava fissando in attesa di avere la sua attenzione. Quando i loro sguardi si incrociarono, lei gli sorrise indicando un posto vuoto al suo fianco.
Hanno convocato veramente tutti pensò con un pizzico di invidia notando Edenor, sua sorella minore, seduta vicino alla sua poltrona. Aveva dimostrato il Dono solo il mese prima, togliendo ad Aaron la soddisfazione di essere il solo erede del Sommo Traenghien Char Selohim. Non che significasse molto in termini di carica sociale ma non era ancora riuscito ad accettare l'idea di non essere più l'unico.
Sorrise alle due donne e prese posto, per essere subito sommerso dalle chiacchiere della sorella. Riuscì a seguirla per alcuni momenti ma quando la ragazza si avvicinò agli argomenti che prelidigeva, i pettegolezzi, Aaron iniziò a limitarsi ad annuire fingendo interesse, rispondendo occasionamente con un cenno di intesa mentre studiava discreto il Sangue che stava prendendo posto.
Finalmente i Sommi si radunarono al centro della Sala. Il brusio di sottofondo si ridusse rapidamente fino a scomparire in un silenzio molto suggestivo.
«La seconda Profezia del Ritorno è compiuta»
Tanto bastò a incrinare la calma di Aaron. Il Sommo dello Spirito attese alcuni momenti prima di riprendere la parola, voleva essere certo che tutti avessero colto l'importanza delle sue parole.
«Il Tenebroso si è risvegliato e il suo tocco ha ricominciato a contaminare il mondo. Abbiamo le prove che diversi gruppi di Trolloc hanno iniziato a devastare i villaggi più isolati sul continente. Non v'è più dubbio quindi. Il Drago Rinato è vivo e il Tenebroso ha iniziato a muovere i suoi eserciti per dominare sul mondo che ci appartiene.»
«La colonia di Monte del Sale, nell'estremo Sud, è riuscita a difendersi a caro prezzo.» Questa volta era stato il Sommo dell'Aria a parlare. Il Sommo dello Spirito custodiva la storia e le credenze ma non spettava a lui parlare delle notizie più concrete. «Nessuno di noi ha perso la vita ma quelle miniere non potranno più soddisfare le nostre richieste. Secondo i rapporti le bestie stavano fuoriuscendo come formiche dalle nostre stesse cave, siamo stati costretti a far collassare gli ingressi dei tunnel. Abbiamo perso quasi tutti gli schiavi e la segretezza della colonia è compromessa.» fece una significativa pausa prima di continuare. Le colonie dovevano rimanere segrete perché indifendibili, normalmente erano comandate da non più di due o tre Membri del Sangue. Quanto bastava per far lavorare gli schiavi ma non abbastanza per difendere l'avamposto da un vero attacco. «Inoltre ci sono altri rapporti dalle nostre spie, non v'è dubbio che queste bestie siano apparse un poco ovunque nelle zone isolate del continente.»
Ad Aaron i Sommi erano parsi nervosi prima che la seduta iniziasse, ora iniziava a capirne il motivo. La perdita di una colonia non era cosa rara, presto o tardi qualcuno nella Confederazione si accorgeva della sua presenza e a quel punto il Sangue si ritirava. Non aveva senso sprecare risorse per difendere una di quelle posizioni quando potevano benissimo conquistare un altro paese sperduto, non difeso, e ricominciare da capo.
Fino a che i nemici erano i Manti Bianchi la strategia era piuttosto efficace ma ora, come queste bestie che scorrazzavano proprio nelle zone isolate, i rifornimenti di Kiserai erano minacciati.
Stupidi vecchi, se solo avessimo attaccato i Manti Bianchi ora non saremmo sotto assedio...
«Aspettavamo questo momento» i pensieri di Aaron vennero interrotti dalla voce del padre. Era decisa e priva di ogni emozione. «Sappiamo che si stanno avvicinando dei tempi difficili da quando il Drago è rinato. Ma non temete, in questi secoli non abbiamo oziato. Abbiamo occhi e orecchie ovunque, ciò che non potremo più ottenere dalle colonie lo prenderemo dai villaggi della Confederazione. Le razzie aumenteranno di frequenza, ho già dato ordini in tal senso. Avremo persino più di quanto non avevamo in precedenza, stiamo già costruendo dei magazzini per accumulare delle scorte per il futuro.»
Aspettare! Ancora aspettare! E sarebbe questa la tua brillante strategia?!
Aaron era tanto furioso da non badare più a quanto stavano dicendo i Sommi. Guardò le labbra del Sommo della Terra muoversi e sentiva la sua voce ma era troppo arrabbiato per capire il significato di quei suoni. Non poteva essere vero, l'attesa degli ultimi secoli li aveva messi sotto assedio ed ora che una nuova minaccia, ben più pericolosa dei Manti Bianchi, bussava alle loro porte, non avevano altra strategia se non quella di isolarsi ancora di più. Quando finalmente l'assemblea terminò, Aaron rivolse un veloce saluto alla madre e alla sorella e si diresse verso l'uscita. Camminò quanto più velocemente la situazione gli permettesse, doveva mantenere l'aspetto dignitoso, non poteva certo mettersi a correre. Anche se non vedeva l'ora di arrivare alle terme per farsi sciogliere i nervi dai massaggiatori, sperando che l'abilità di quegli schiavi fosse davvero pari alla loro fama.



Mabien Asuka

Prima di uscire dalla città, si girò a guardarla: i pensieri volarono velocemente sui volti che in quegli anni aveva imparato ad amare e ad odiare, i primi erano davvero pochi, sui secondi quello di Krooche si impose, lasciandole una sgradevole sensazione a cui non riuscì a dare una definizione. Tornò a guardare la strada avanti a sé e schioccò le redini sui fianchi di Giocasta perchè aumentasse il passo.
Man mano che la città si allontanava alle sue spalle, la mente di Mab si concentrava su una cosa sola: la Fonte. L'averla finalmente percepita dopo mesi, già le aveva arricciato gli angoli della bocca dandole un'espressione divertita, ma doveva controllare ancora per un po' il forte impulso che la spingeva ad attingervi, era ancora troppo presto.
«Ti ringrazio per aver accettato di farmi venire con te» disse Hysaac, interrompendo il flusso idilliaco dei suoi pensieri «Aspettavo l'occasione da qualche settimana»
«Figurati» tagliò corto Mab. Da una parte ce l'aveva stupidamente con lui per essersi intruso, diventando la causa di probabili imprevisti che si sarebbe altrimenti risparmiata, dall'altra preferiva non parlare per evitare di fargli capire che era una donna: il problema non era tanto la voce, perchè la sua era di una tonalità piuttosto bassa e roca per essere considerata prettamente femminile, più che altro temeva di commettere errori che potevano tradire la sua identità. Se la Luce avesse voluto si sarebbe liberata di lui in quattro giorni, forse anche cinque vista l'andatura a cui il carro malconcio e il fango li costringeva. Aveva piovuto molto spesso di recente, il debole sole invernale non aveva ancora asciugato la strada e i profondi solchi lasciati dai carri erano un problema da non trascurare. Forse cinque giorni erano da considerarsi addirittura un risultato ottimista.
«Scusami per prima, per la battuta della balia. Non volevo offenderti, è che sembri poco più di un bambino, ma se ti hanno dato questa consegna non credo tu sia tanto piccolo, no? Quanti anni hai?» continuò la conversazione Hysaac
Mab non aveva pensato che si sarebbe dovuta creare una biografia per la propria temporanea identità, ma a quanto pareva il suo compagno di viaggio aveva voglia di far chiacchiere e non gli si sarebbe potuta sottrarre facilmente
«Diciassette» rispose sperando che fosse plausibile. Da tempo non era abituata ad aver a che fare con ragazzi giovani, a dirla tutta non aveva quasi mai avuto la possibilità di frequentare suoi coetanei: aveva passato l'infanzia seguita da tutori ed educatori col compito di creacerla come si confaceva al ruolo che avrebbe forse dovuto ricoprire da grande, poi durante la schiavitù a Kerine si considerava fortunata quando riusciva a scambiare due parole coi mercanti da cui veniva mandata a scaricare merci, infine i suoi clienti a Kiendger erano sempre stati più grandi di lei, anche di molto a volte, abbastanza da poter essere loro figlia in certi casi. Come potesse essere un diciassettenne insomma se lo poteva solo vagamente immaginare ed evidentemente non aveva immaginato molto bene, perchè i piccoli occhi verdi di Hysaac si sgranarono leggermente «Sinceramente pensavo meno» ecco perchè preferiva non fare conversazione.
«Io ne ho ventuno» disse lui.
Anche Mab avrebbe voluto replicare che pensava ne avesse meno, ma poi, esaminandolo un po' con la coda dell'occhio si vedeva che non era più un adolescente: era stata tratta in inganno dai lineamenti delicati del suo viso, ma da li vicino poteva vedere che quella che si era rasato poteva diventare una folta barba, se lasciata crescere.
«Vado a Dobied per studiare all'accademia delle scienze: voglio diventare un architetto» continuò il ragazzo.
Mab si girò a guardarlo apertamente stupita: non erano frasi che si sentivano di frequente, non dette da un ragazzo che non fosse di nobili origini o addirittura figlio di un Manto Bianco. Ma lui si era cercato un passaggio gratuito per Dobied, suo zio era uno stalliere e aveva detto che non voleva viaggiare coi Figli, qualcosa non tornava.
«Che c'è? Perchè mi guardi così?» chiese il ragazzo
«No, niente»
Dopo di che piombò il silenzio.

Ormai non si vedeva più la città alle loro spalle, come da programma sarebbero arrivati al primo villaggio che era già buio. Era il momento giusto: Mab chiuse gli occhi e si aprì a Saidar, sorridendo mentre quella gioia impetuosa e travolgente la inondava. Quanto le era mancata quella sensazione di appagamento, non l'avrebbe mai lasciata andare e invece si costrinse a farlo dopo poco, scoprendo che intanto Hysaac la stava fissando incuriosito. Che fosse folgorato! Se l'avesse ucciso in quel momento, se ne sarebbe potuta sbarazzare facilmente e si sarebbe tolta una bella zavorra, ma non ne era capace. Aveva dovuto scoprire cosa si provava a togliere la vita ad un'altra persona a sangue freddo e da allora più di prima aveva fatto di tutto per non provarlo di nuovo. Ma era successo ancora e non s'illudeva che il futuro le avrebbe risparmiato di doverlo rifare, ma non ora, non con lui, povero ragazzo. Nonostante questi pensieri, l'aver incanalato l'aveva lasciata troppo euforica per riuscire ad attenuare del tutto il suo sorriso. Grazie alla Luce lui ebbe il buon senso di non dir nulla.

Il primo villaggio che si incontrava lungo la strada era poco più che un agglomerato di edifici, con un paio di piccole locande adatte ad ospitare viaggiatori di passaggio. Già qui si presentò il primo problema causato dalla presenza di Hysaac: avrebbero ovviamente dovuto condividere la stessa stanza.
La paga di chi consegnava merce, come sarebbe stato per Mab se davvero fosse stata Torr Vades, consisteva in un bel gruzzolo, ma diviso in due parti: uno veniva pagato alla partenza e serviva a ricoprire a malapena le spese di viaggio, il resto arrivava solo alla consegna della merce e calcolando che lei non aveva intenzione di arrivarci, doveva fare i conti con quello che Folar le aveva dato e qualche moneta che Hari le aveva infilato in un piccolo bagaglio. Il fatto di dividere le spese delle stanze in cui avrebbe pernottato con Hysaac non poteva quindi che essere considerato un vantaggio, motivo per cui Mab non si preoccupò nemmeno di trovare una scusa per evitarlo, meglio piuttosto concentrarsi sul come riuscire a non doversi spogliare davanti a lui.
Dopo aver assicurato Giocasta e il carico nella stalla della locanda, salirono insieme in camera: i letti almeno erano due, ma non c'era niente che potesse nemmeno da lontano somigliare ad un separè dietro cui potersi nascondere quando si sarebbe ovviamente dovuta togliere i vestiti di dosso. Appena entrato, Hysaac posò i suoi bagagli a terra, accanto ad uno dei letti, si tolse mantello, giubba e camicia restando a torso nudo e, seppur battendo i denti, rovesciò un po' d'acqua nel bacile della stanza e la usò per lavarsi. Aveva la pelle di un bianco latteo, la muscolatura accennata, ma non dava l'idea di essere gracile vista la statura e la notevole ampiezza delle spalle. Si girò verso di lei con un gran sorriso, i capelli che in genere gli ciondolavano davanti alla faccia si erano bagnati attaccandosi ad un lato del volto «Non vedevo l'ora!». Poi si asciugò, indossò una maglia pulita, su cui rimise la stessa giubba e quindi, sedutosi sul letto, estrasse foglie di tabacco da una piccola scatola. Che la Luce lo benedicesse! Con la scusa che il fumo le dava fastidio, invitò il ragazzo ad uscire, quindi finalmente anche Mab si lavò, si cambiò quel che poteva e quando Hysaac tornò in camera si fece trovare già sotto le coperte. L'indomani all'alba si sarebbe alzata sperando di sfruttare le fioche luci del sole che sorgeva per vestirsi, e poi sarebbero ripartiti.



Continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di Balthamel
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Perrin
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 8
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte settima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte settima]

Merian Elen Syana

I giorni passavano lenti e in assenza di avvenimenti degni di nota da quando aveva avuto quelle visioni, perché di visioni si trattava, non vi era alcun dubbio su questo, ne era certa come lo era dell’aria che respirava. Quella stessa notte si era svegliata in preda alla nausea, come ogni volta dopo uno dei sogni profetici che le erano costati la sua vecchia vita. Inizialmente si era spaventata - era da molto tempo ormai che non le capitavano e aveva cominciato ad abituarsi all’idea di essere cambiata - passava dal lavoro alle sue stanze vagando il meno possibile, sperando di evitare spiacevoli incontri, ma ben presto la sete di conoscenza aveva preso il sopravvento e si era ritrovata a pensare a Loras e Sarah e a un modo per incontrarli di nuovo. Continuava ad addormentarsi pensando allo sconosciuto che aveva finalmente un volto, anche se ancora non ne conosceva il nome, ma non si era più fatto vedere dopo le strane parole di quella notte alla locanda. Adesso sapeva che parlava la Lingua Antica, che era una sorta di eroe e che in qualche modo era legato a lei, lo aveva avvertito dalla visione. Poteva sentire ancora le sensazioni che aveva provato mentre si avvicinava a lui, lo osservava, lo toccava… era qualcosa di più che una semplice conoscenza, una complicità che sapeva si sarebbe venuta a creare prima o poi, sebbene non capiva come potesse verificarsi, dato che non aveva idea di dove l’uomo si trovasse. Con questo tormento era andata avanti per quasi una settimana, sperando ogni giorno in qualcosa che le spezzasse la monotonia che stava vivendo, ormai incapace di tornare alla vita che aveva prima di incontrare lo sconosciuto. Questo era sbagliato, lo sapeva: i sogni, le visioni, i due forestieri, tutto aveva a che fare con l’Ombra, e se i Manti Bianchi ne fossero venuti a conoscenza… rabbrividì al pensiero di ciò che avrebbero potuto farle.
Sono davvero convinta di fare la cosa giusta? pensò Niende mentre distesa sul letto rifletteva a occhi aperti.
La mia mente mi suggerisce di scordarmi di tutto, ma il mio cuore batte più forte al solo pensiero di saperne di più.
Cos’era più giusto, seguire la logica o l’istinto? Il raziocinio o la passione?
Con un sospiro carico di determinazione si alzò, mancava poco all’alba ormai, e si vestì del suo solito straccio pronta per le faccende giornaliere, cercando di non svegliare Larin che iniziava la sua giornata molte ore più tardi.
Era sicura, avrebbe fatto ciò che sentiva giusto e non si sarebbe tirata indietro.
Con passo svelto ma sicuro Niende arrivò alla locanda di Mastro Sien. Il lavoro al campo era trascorso senza complicazioni e sperava che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza all’orazione, ma non poteva aspettare che finisse la giornata, a quell’ora sarebbe stata troppo stanca e aveva bisogno di tutta la sua concentrazione per affrontare questa cosa.
Perla, la figlia del locandiere, la squadrò da capo a piedi quando Niende disse che i suoi zii l’avevano mandata a chiamare - era palese che la ragazza non le credeva - ma Loras l’aveva vista non appena entrata e si alzò, facendo un cenno di conferma a Perla, che rimase letteralmente a bocca aperta. Niende nascose un sorriso compiaciuto mentre chinava il capo per salutare la donna, e si diresse verso il tavolo in fondo alla sala, lo stesso della volta precedente.
«Siamo felici che tu sia qui Niende,» disse Loras con un sorriso sincero. «Cominciavamo a pensare che non ci saremmo più rivisti.»
«Finalmente hai cominciato a ragionare ragazza.» Sarah come al solito non mostrava segni di delicatezza, quei due erano proprio il sole e la luna, difficile credere che fossero sposati.
Loras fermò al volo una cameriera che stava passando proprio in quel momento, le disse qualcosa sottovoce, poi si rivolse alle due donne al tavolo:
«Andiamo, parleremo in camera.»
Si alzò facendo strada e Niende lo seguì con Sarah che chiudeva la fila. Mentre passava vicino al bancone rivolse un sorriso seducente a Perla, intenta a pulire un bicchiere mentre il padre elargiva ampi sorrisi ai vari clienti. La donna avvampò e si sentì un gran fracasso di vetri spezzati. Le imprecazioni di Mastro Sien arrivarono alle orecchie di Niende, che non sapeva se esserne scioccata o divertita, mentre Loras e Sarah invece ridacchiavano come due ragazzini compiaciuti di una loro bravata.
Arrivati in cima alle scale Niende scoprì che i due avevano in realtà camere separate, la stanza nella quale erano appena entrati possedeva infatti solo un piccolo letto a una piazza, non di certo adatto a una coppia di sposi.
Il resto dell’arredamento era composto da un armadio a due ante, un basso comodino accanto al letto, un bacile e una brocca d’acqua per lavarsi, una sedia malandata e un tavolo vicino all’unica finestra aperta sul giardino. Nonostante ciò ogni cosa era pulita e perfettamente sistemata e si poteva sentire un gradevole odore di lavanda provenire dai resti delle erbe bruciate che si trovavano sul tavolo. Era evidente che si trovavano nella camera di Sarah, un uomo non era in grado di essere così ordinato.
La donna si gettò pesantemente sul letto e invitò Niende ad accomodarsi accanto lei, mentre Loras prima era andato all’armadio a riporre la sua giubba - oggi di un bel verde acceso - e dopo prendeva posto sulla sedia con una grazia degna di un re. Confusa, la ragazza si sedette come le era stato detto e allora Loras scoppiò in una fragorosa risata, che giungeva strana da un uomo di tale contegno.
«Non siamo sposati, se è questo che ti stavi chiedendo. Sarah non potrebbe mai fare la moglie, preferisce le sue armi all’abbraccio di un uomo. Dovresti vedere la sua stanza, ci sono più coltelli che vestiti!» La donna gli rivolse un sorriso che confermava le sue parole, ma gli occhi dicevano qualcos’altro, dispiacere forse?
«Veniamo a noi Merian, se sei qui non è di certo per sentire le chiacchiere di un uomo che ha bevuto un po’ troppo.»
«Ah non crederle, è solo invidiosa perché io reggo l’alcool meglio di lei.» Un’altra risata da parte dell’uomo sembrava decisamente indicare il contrario.
Niende era sempre più sconcertata e continuava a guardare da uno all’altra come se si trovasse di fronte a un rompicapo da risolvere.
Così com’era giunta la risata si spense all’improvviso, e Loras si fece serio scrutando Niende come il giorno in cui si erano incontrati. Anche Sarah adesso la stava osservando: entrambi attendevano che fosse lei a cominciare.
Con voce ferma che non sembrava provenire da lei, la ragazza parlò come un fiume in piena:
«Sono qui per avere delle risposte. Cosa volete da me, e come fate a conoscere il mio nome? Avete detto che volete aiutarmi, ma non capisco cosa ci sia da soccorrere e… » Si fermò un attimo per riprendere fiato, la voce un po’ meno ferma ora. «… E voglio sapere tutto riguardo all’uomo dei miei sogni.»
Poteva tornare a respirare normalmente adesso, il cuore che tornava ai suoi battiti regolari.
Osservò la coppia con intensità, senza abbassare lo sguardo: Sarah guardava il compagno ma Loras aveva gli occhi fissi su di lei. Come se non ci fosse alcuna fretta si versò del vino dalla caraffa sul tavolo - non dovette preoccuparsi di offrirne alle due ospiti dato che era presente una sola tazza - ne sorseggiò il contenuto, sempre senza staccare gli occhi da Niende e, soppesando con cura le parole, lentamente iniziò a parlare.


«Io e Brienne, questo è il suo vero nome, veniamo da un piccolo villaggio a sud di qui, a pochi giorni di viaggio da Samrie. Coloro che si recano a nord passano spesso in vista delle nostre case, sebbene pochi tendano a ricordarsene. Siamo un popolo schivo, che si tiene il più lontano possibile dagli eventi esterni, sperando così di preservare la propria libertà. Noi non diamo fastidio a nessuno, e nessuno ne dà a noi. O almeno così è stato per decenni, finché il Disegno non ha voluto che ci svegliassimo e tornassimo a brandire le armi deposte migliaia di anni fa dai nostri antenati.»
L’uomo si fermò un momento, scrutando dentro la tazza che teneva con entrambe le mani, incerto su come continuare. Nella stanza regnava un silenzio rotto solo dal rumore del vento che sferzava la finestra con forza, quasi anch’esso volesse essere partecipe dei segreti raccontati dagli uomini. Ma ogni rumore era lontano dalla mente di Niende: protesa verso Loras aspettava con ansia che proseguisse, ma lui guardava Brienne come in cerca di sostegno e la donna attese solo un battito di cuore prima di annuire con forza. Loras allora abbassò la tazza e in tono più deciso continuò:
«Tra la nostra gente vi è qualcuno che possiede il dono che hai tu, Merian. Sono detti Camminatori dei Sogni, persone che possono entrare a loro piacimento in un mondo fatto di nebbia e ombre, un luogo misterioso e senza tempo, dove le cose che accadono possono lasciarti un segno concreto.»
Loras non si fermò davanti allo sguardo interrogativo di Niende.
Dono? Camminatori dei Sogni? Di cosa stavano parlando?
«Anni addietro lo stesso uomo di cui tanto aneli sapere è apparso nei loro sogni, parlando in modo arcano di cose che sono state e che ancora dovranno essere. Ci ha dato la forza di lottare, di insorgere contro i despoti e di sconfiggere l’Ombra.
Sappiamo di non essere soli in questa lotta, altri come noi si battono per tornare a essere liberi, uomini e donne che muoiono ogni giorno per un ideale, per avere un mondo migliore di questo. Il nostro popolo ha resistito per tutto questo tempo, ma ora non siamo più solo un piccolo punto sulla carta agli occhi del Nemico. Il mondo così come lo conosciamo sta volgendo al suo termine, ragazza, ci sono forze in gioco che non possiamo fermare, quell’uomo l’ha sempre saputo e ci ha istruiti per arrivare a questo momento. Lui…»
Bussarono alla porta e Niende sussultò. Una donna - la cameriera che era stata fermata - era entrata a portare un vassoio coperto da un candido telo che lasciava filtrava l’odore di pane appena sfornato e qualcosa che somigliava ad arrosto e patate dolci. Niende si ricordò che non aveva ancora mangiato e fu grata a Loras quando le disse che il pranzo era tutto per lei, loro si erano già abbondantemente saziati prima che lei arrivasse.
L’uomo diede alla ragazza il tempo di finire prima di proseguire, a bassa voce, la sua storia.
«Qualche mese fa tornò da noi... » Si ostinava a non volergli dare un nome, perché? «E ci disse che dovevamo trovare una persona che ci avrebbe aiutato nella nostra lotta, una persona che ci avrebbe condotto da colui che può essere insieme la nostra salvezza e la nostra distruzione… il Drago Rinato.»
Niende fu felice di avere terminato il suo pasto, altrimenti era sicura che sarebbe soffocata.
Il Drago Rinato? Sono solo storie per spaventare i bambini… e anche gli adulti, pensò la ragazza.
Se fosse vero i Manti Bianchi ne parlerebbero.
Diede voce alla sua considerazione, sorridendo nervosa all’idea che qualcuno potesse credere a quelle favolette, poi le sovvenne il pensiero che la persona che dovevano cercare era lei e il sorriso si tramutò in una smorfia, ora cominciava ad avere paura. Questa gente doveva essere pazza!
Ho bisogno di sapere, si disse Niende. Sono qui solo per questo motivo, sapere chi è quell’uomo, nient’altro conta, ascolterò le loro assurdità finché non mi diranno ciò che mi interessa.
Sarah… no, Brienne, prese finalmente parola e per una volta il suo tono era pacato:
«Merian, colui che cammina nei sogni è apparso anche a te, non vi è più alcun dubbio che sia tu quella persona. “La sua salvezza porterà a quella di molti”, sono state queste le sue parole quando ci ha inviati qui.»
«Io non ho bisogno di essere salvata.» Niende esplose stringendo con i pugni il vestito.
Brienne la guardò dall’alto al basso e sorrise beffarda. Non si degnò nemmeno di risponderle, quel sorriso diceva tutto.
Respirando profondamente la ragazza allentò la presa sull’abito tentando di ricomporsi, e con voce sorprendentemente calma fece la domanda che più le premeva.
«Chi è l’uomo nei miei sogni? Voglio un nome.»
«Sarà lui a dirtelo, se e quando vorrà. Noi siamo solo un tramite.» Adesso era Loras a essere irritato e la cosa la faceva tremare, non l’aveva ancora visto perdere la calma.
«Avrai tutte le risposte che cerchi, se verrai con noi. Abbiamo bisogno di te per trovare il Drago Rinato e non ce ne andremo da qui finché non ti sarai decisa a seguirci.» Brienne era tornata quella di sempre, stizzosa e per niente paziente.
Niende era in preda al panico, anche se cercava di non darlo a vedere; doveva fuggire da lì, quella gente era pericolosa! Si apprestò ad alzarsi con la scusa di dover tornare al lavoro - Luce doveva essere davvero tardi! - ma non fu così semplice andarsene, Brienne ancora insisteva. Loras dovette tornare alla sua naturale compostezza per riuscire a calmare la donna, anche se l’impresa non era delle più facili.
«Non dirmi di stare calma Rohedric!» Bene, adesso sapeva anche il vero nome dell’uomo. «Non siamo giunti fino a qui solo per vederci sbattere la porta in faccia da questa ragazzina!»
A quel punto Niende si alzò bruscamente, attraversò la stanza in due passi e raggiunse la porta; sentì dietro di sé il commento dell’uomo: «Stupida donna, l’hai spaventata a morte, come credi che vorrà aiutarci adesso!» Non ebbe il tempo di scoprire cosa Brienne avesse risposto - senza dubbio nulla di piacevole - perché si ritrovò presto a correre giù per le scale, solo per poi fermarsi di botto arrivata quasi in fondo.
Fece un ampio respiro, cercando di mantenere la calma, ed entrò nella sala comune con tutta l’umiltà che riuscì a trovare: una Devota non se ne andava in giro a testa alta e per giunta correndo a rotta di collo.
Niende si sorprese nel vedere che aveva ancora tempo a disposizione per cui si incamminò verso il suo incarico pomeridiano con assoluta calma, forzandosi di rilassare la mente e traendo ampie boccate di aria fresca per eliminare la discussione appena avuta.
Luce fa che sia un incubo! Voglio svegliarmi e scoprire di essere ancora nel mio letto.
Ma non era un sogno questa volta, tutto era mostruosamente reale.

«Finalmente anche questa giornata è finita,» mormorò sottovoce Niende mentre entrava nella sua stanza, «la Luce sa quanto abbia bisogno di riposare.»
La cella era buia se non per la luce delle stelle che si intravedevano nello scorcio della finestra, ma bastava per arrivare ai piedi del letto a pochi passi di distanza. Una forma indefinita alla sua destra le disse che Larin era già tornata e che dormiva profondamente, a giudicare dai suoni che arrivavano alle sue orecchie. Doveva stare attenta a non svegliarla o la donna l’avrebbe scorticata. Larin era una lavoratrice come lei, e si diceva si fosse spontaneamente consegnata ai Manti Bianchi tanto di quel tempo fa ormai, che il ricordo del suo peccato si era perso nella memoria. Personalmente Niende dubitava che la donna fosse arrivata a tanto, ma aveva imparato ad aspettarsi di tutto dalle persone nell’arco della sua breve vita. In ogni caso, grazie alla sua anzianità Larin godeva di certi “privilegi”, non tra i Manti Bianchi chiaramente - il massimo che le concedevano era variare gli orari di lavoro - ma tra le altre donne, che la tenevano in gran conto quasi fosse la governante di un castello!
Mentre si avvicinava al suo giaciglio si accorse che i rumori provenienti da Larin sembravano più mugolii, e le si accostò con circospezione.
La donna era sveglia e aveva gli occhi sbarrati, un bavaglio sulla bocca le impediva di parlare e sembrava avesse mani e piedi legati. Con orrore Niende fece per slegarla, ma un mugolio più forte da parte dell’altra la fece voltare di scatto.
«Mi dispiace ragazza, ma non ci hai dato altra scelta.»
L’unica cosa che vide prima di cadere a terra priva di sensi fu la figura di un uomo, alto e con una cicatrice sulla guancia, che si chinava su di lei, poi l’oscurità l’avvolse.



Aaron Gaelaf

Immerso nell'acqua bollente, in una piccola vasca rivestita da un mirabile mosaico in ceramica, Aaron fissava distratto il vapore salire davanti ai suoi occhi. Era rilassato. Ogni nervo sciolto dalle abili mani delle schiave addette ai massaggi. Era rilassato e continuava a ripetersi di ignorare tutto il resto. Faceva parte del Sangue, vero padrone di ogni terra. Era rilassato.
Certo sull'Isola non c'era davvero tutto, molte cose dovevano essere... recuperate dai villaggi sparsi sulla terraferma. Sì, recuperare era la parola giusta, il Sangue era il padrone di tutto quindi le loro incursioni non potevano essere considerate dei furti. Non erano dei banali ladri!
Chiuse gli occhi lasciandosi sprofondare, fino a sentire i lunghi capelli ondeggiare assecondando gli spostamenti dell'acqua. Trattenne il fiato a lungo, ascoltando il ritmico ribollire dell'aria soffiata nella vasca. Quando riemerse la sua mente era nuovamente vuota, proprio come voleva che fosse. Si lasciò sfuggire un gemito di piacere quando appoggiò la testa su uno dei cuscini che rivestivano il bordo in ceramica.
Tutto sommato la sua vita non era affatto male, ricordava ancora bene cosa significasse non possedere il Dono. Certo, i giovani non ancora maturi avevano qualche diritto in più rispetto agli schiavi, sarebbe stato davvero terribile scoprire di essere un comune uomo. Prima di manifestare il Dono non aveva accesso alle terme, non aveva una casa sua e tutto il resto. In effetti non poteva nemmeno entrare a Kiserai, se non in paricolari occasioni. La consapevolezza di essere più importante della quasi totalità della popolazione lo fece sorridere. Aprì gli occhi con un sospiro compiaciuto, trovandosi ad osservare l'antico affresco che rivestiva la volta della stanza. Tra gli innumerevoli luoghi privati come quello che le terme contavano, era capitato in uno dei pochi che ancora raffigurava la vastità dell'impero del Sangue prima della rivolta degli schiavi. Richiuse subito le palpebre, cercando di pensare solo all'acqua bollente e al senso di pace che il suo corpo gli comunicava. Ad ogni pulsazione però, i dettagli dell'affresco tornavano a martellare l'equilibrio a cui cercava di aggrapparsi, riuscendo infine a distruggerlo e riportando a galla il rancore che Aaron provava per la situazione attuale del Sangue.
Se solo avesse trovato il modo di risolvere gli ultimi problemi del suo piano! Certo c'erano ancora molti dettagli da definire, ben più di quanti Aaron era disposto ad ammettere a sé stesso, ma non puntava a risolvere la situazione con una sola mossa. Quello sarebbe stato solo il primo passo.
Da quando il Drago era riapparso, illuminando la Sala di Ossidiana come predetto, il Sangue aveva accudito e allevato ogni bambino nato sull'Isola in quel mese, a prescindere dal sesso o dai genitori. Il Drago Rinato doveva essere uno di loro, di certo non un nascituro nella Confederazione o chissà dove!
Il Sangue però non era sincero con i candidati, Aaron li aveva visti. Erano tutti bambocci viziati, cresciuti a suon di leggende e senza la minima idea di come stessero le cose in realtà. Lui voleva aprire gli occhi a colui che avrebbe riportato il Sangue all'antica gloria. Era convinto che sarebbe bastato farlo partecipare ad una incursione in un qualsiasi lurido villaggio, mostrare cosa Kiserai era costretta a fare per sopravvivere. Far vedere e toccare la miseria in cui erano caduti per risvegliare l'orgoglio del Drago Rinato e porre così fine a quel folle isolamento il prima possibile. Nascondere la realtà ai candidati era assurdo, Aaron sospettava che i Sommi lo facessero per riuscire a manipolare il Drago Rinato a loro vantaggio.
Ormai aveva pianificato quasi tutto. Quasi. Lui stesso prendeva parte alle incursioni un paio di volte al mese. Spesso era l'unico Incanalatore, non gli sarebbe stato difficile portare due o tre persone in più. Spesso non c'era nemmeno bisogno di combattere, quindi il Drago Rinato non sarebbe stato in pericolo. L'unico problema consisteva nel prelevare i candidati migliori, sarebbe servito il sigillo di un Sommo e Aaron, ovviamente, ne era sprovvisto. A lungo aveva meditato su come usare quello del padre a sua insaputa o su come contraffarlo ma non aveva ancora trovato la soluzione a questo rompicapo.
L'altro problema sarebbero stati i bambocci stessi. Le leggi di Kiserai erano molto permissive verso i membri del Sangue ma era sicuro che non pochi avrebbero sfruttato le testimonianze dei candidati per mettere lui in cattiva luce. Contando che suo padre ultimamente non godeva nemmeno di molta popolarità, probabilmente si sarebbe trovato coinvolto in lotte di potere troppo grandi per lui. Di certo i membri del Sangue che tramavano per il ruolo di Sommo del Fuoco l'avrebbero sfruttato come una pedina. Rischiava la pena di morte per tradimento. Aaron si ritrovò a pensare, per l'ennesima volta, che essere figlio di un Sommo era una gran fregatura.
Rassegnato all'impossibilità di tornare a rilassarsi, uscì dalla vasca senza curarsi dell'acqua che stava spargendo per tutta la stanza. Presto sarebbe stata di nuovo pulita e in ordine come sempre, se grazie a qualche antica Tessitura o per il lavoro degli schiavi, non era di alcun interesse per Aaron.

Passeggiò tra le vie di Kiserai per ore, senza una vera meta. Fermandosi di tanto in tanto ad ammirare l'armonia di qualche scultura, a ricercare la serenità nella quiete di un parco, provando a svagarsi sfogliando il programma del teatro o cercando di indovinare quale schiavo sarebbe sopravvissuto al prossimo scontro nell'arena.
Quando finalmente arrivò a casa era ormai notte fonda ed era riuscito a stancarsi abbastanza da non vedere l'ora di affondare nel suo morbido letto.
«Mio Signore, avete un Ospite»
Aaron guardò il servitore perplesso, non si aspettava visite. Lasciò che fosse l'uomo ad occuparsi di richiudere l'entrata e si diresse subito verso la sala d'attesa. Controllò velocemente il proprio aspetto mentre passava davanti ad uno specchio, ornato da un'infinità di fiori di cristallo e legno intarsiato.
La sala era arredata in modo da creare un ambiente caldo e amichevole, con arazzi, quadri e un largo caminetto le cui fiamme riscaldavano in inverno e rinfrescavano nelle stagioni estive. Una serie di poltrone imbottite circondavano un basso tavolo finemente lavorato, sul quale non mancavano vini e pietanze adatte ad un rapido rinfresco.
Basir era intento ad osservare il ritratto di un antenato della famiglia Selohim. Dava le spalle all'ingresso ma Aaron lo riconobbe subito dai capelli castani molto curati, dalla carnagione chiarissima e soprattutto dall'abituale portamento rigido. Teneva una mano dierto la schiena, reggendo con l'altra una coppa di liquore invecchiato, immaginò Aaron con una punta di inconfessabile invidia. Basir riusciva a mostrare almeno dieci anni più di quanti non ne avesse senza nemmeno sforzarsi. Aaron lo conosceva da molto tempo ma negli ultimi mesi avevano stretto un legame più profondo. Basir era l'unica persona che conoscesse i pensieri di Aaron riguardo la situazione politica di Kiseral. E li condivideva completamente, ne parlavano piuttosto spesso.
«Basir Da'Cab, una piacevole sorpresa! Benvenuto» lo accolse Aaron entrando nella sala, lieto nell'incontrare un amico e non qualche seccatore.
«Aaron Selohim» rispose lui dopo essersi voltato con calma, perfettamente a suo agio «Perdonami per l'ora tarda, non mi tratterrò a lungo»
Aaron sospirò «Nessun disturbo, me lo sarei dovuto aspettare. Ho cercato di distrarmi e temo di aver fatto più tardi del previsto. Vieni, andiamo nel mio studio.»
Basir annuì sorridendo. Sorseggiò un'ultima volta il liquore denso, posando poi il bicchiere sul capitello di una bassa colonna, di fianco al caminetto, prima di seguirlo.
Lo studio di Aaron, quello che non riteneva strettamente privato, era proprio di fronte alla sala degli ospiti. Le pareti erano spesse ma parlare di certi argomenti senza il minimo accorgimento non sarebbe stato saggio, la lotta per il potere politico era spietata a Kiserai, molti dei discorsi che spesso facevano non dovevano essere ascoltati da estranei.
Appena accomodati, Aaron creò una Tessitura che avrebbe impedito a qualsiasi suono di abbandonare la stanza, avvertendolo al contempo se qualcuno avesse provato ad ascoltarli. Si avvicinò ad una credenza e versò personalmente del distillato di pino mugo in una serie di bicchierini in cristallo, disposti e modellati sapientemente su un supporto in legno intarsiato, in modo tale che versando nel bicchiere più alto, una serie di cascatelle andasse a riempire tutti gli altri. Prese posto al fianco di Basir su un basso divano, appoggiando l'opera d'arte su un tavolino facilmente raggiungibile da entrambi.
«Se preferisci parlarne domani... non c'è fretta» disse Basir prendendo il bicchierino posizionato più in basso, come suo solito.
Aaron partì dall'alto. Si scambiarono un cenno e bevvero con un'unico sorso, riempiendo l'atmosfera di un'intenso odore di resina e pigne.
Dopo alcuni respiri, quando finalmente riuscì a percepire la propria lingua, Aaron pensò alle parole dell'amico. Lo fissò indeciso per alcuni istanti, avrebbe preferito scherzare e diversirsi ma in quegli occhi chiari vedeva qualcosa di diverso dalla solita inquietudine e non seppe resistere alla curiosità.
«Ho cercato di non pensarci per tutto il giorno. Non funziona.» fece una pausa per prendere un altro bicchierino. Avvicinandolo al volto per apprezzare l'intenso aroma del distillato. «Quando l'ho sentito parlare di nuovi magazzini e altre razzie non volevo crederci.»
Basir, rigido e controllato come sempre, annuì «Assurdo. Il mondo è nostro e ci ostiniamo a rimanere su uno scoglio. Spero che venga presto destituito, si è fatto parecchi nemici e non sono pochi a pensarla come noi.»
«E' un folle, ecco cos'è» lo interruppe Aaron «non farti remore a parlarne, sai bene come vedo mio padre. Aumentare le razzie! Cosa si aspetta? Che il Sangue passi le giornate a setacciare ogni villaggio in cerca di risorse? Contenderci ogni tozzo di pane con le bestie dell'Ombra? Ci sta riducendo ad una banda di briganti! Siamo costretti a rubare ciò che è già nostro di diritto! Quella gente dovrebbe lavorare per noi, portarci quelle cose come tributo come avveniva un tempo.» Aaron era furioso, tutta la rabbia repressa durante la sera stava affiorando prepotentemente.
«Calmati» gli disse Basir gentilmente, appoggiandogli una mano sull'avambraccio.
Aaron svuotò con decisione il cristallo che teneva in mano, sbattendo ripetutamente le palpebre mentre l'intenso aroma gli esplodeva in gola, risalendo fino alle narici.
«Il mio piano è quasi pronto» riprese con un filo di voce. Deglutì qualche volta poi continuò «manca solo un piccolo dettaglio» mentì «poi il primo passo sarà fatto e il Drago Rinato conoscerà la realtà. Allora sì che le profezie avranno senso, non sarà più un burattino dei Sommi»
Basir annuì lentamente, guardandolo curioso. Passarono alcuni momenti, Aaron non voleva rivelare di essere in realtà ancora ben distante dal completare il piano. Il piccolo dettaglio mancante non era altro che il sigillo di un Sommo, Basir l'avrebbe preso per un perdente. Stava per cambiare discorso quando il ragazzo iniziò a parlare.
«Ho trovato qualcosa stamane.» disse aggiustandosi una piega dei pantaloni «te ne avrei parlato prima se non ci fosse stata quella pagliacciata nella Sala di Ossidiana.»
Aaron fu ben felice di non dover trovare una scusa per non parlare più del suo progetto, così attese che l'amico finisse di raccogliere le idee.
«Ho sviluppato un piccolo piano... niente di complicato o pericoloso ma la ritengo una buona idea. Devi garantirmi che se te ne parlo, io ne farò parte. Praticamente nessun rischio ma se ci riusciremo, il Sangue sarà più incline all'attacco e tuo padre sarà disposto ad ascoltare le nostre idee e a darci più fiducia.»
Aaron sorrise «Ovvio che ne faresti parte! E' una tua idea.»
«Come sai, sto catalogando l'archivio degli Artefatti. Ho trovato un'arma» continuò Basir, fissando con attenzione i giochi di luce creati dal cristallo del nuovo bicchierino «D'assedio per la precisione, con una gittata spaventosa. Non è nemmeno troppo ingombrante, due Incanalatori potrebbero spostarla e manovrarla senza grossi problemi.» lentamente alzò lo sguardo, fissando Aaron negli occhi «E il proiettile non ha bisogno del Potere per distruggere il bersaglio.»
Le implicazioni dell'ultima affermazione ci misero del tempo a prendere forma. Basir osservò il volto di Aaron mentre questi rifletteva sull'utilità di una macchina d'assedio in grado di colpire obiettivi protetti contro il Potere, come lo erano tutte le maggiori città della Confederazione. I Figli della Luce erano risuciti a prosperare sfruttando alcune zone entro le quali le Tessiture non funzionavano, dove gli Incanalatori non potevano raggiungere la Fonte. Il Sangue non aveva modo di distruggerle col Potere e non poteva nemmeno assediarle in modo efficace. Quest'arma però poteva cambiare le cose. Colpendo una Città della Luce la situazione di stallo sarebbe crollata e forse il Sangue sarebbe stato più incline a rompere l'isolamento.
«Esatto» concluse Basir con un sorriso soddisfatto, intuendo i pensieri di Aaron «E se trovassimo un luogo sicuro, abbastanza vicino ad una città della Luce ma al tempo stesso difficile da raggiungere per i Manti Bianchi, se attaccassimo da lì e colpissimo un simbolo dell'intera Confederazione... la gloria del Sangue sarebbe più vicina.»
Aaron era stupefatto, settimane spese su un piano per smuovere il Sangue tramite il probabile Drago Rinato e Basir, in un giorno, aveva trovato un modo migliore. Più semplice, con meno rischi e molto più efficace. Stava per abbracciare l'amico quando un ostacolo familiare si presentò davanti ai suoi sogni di grandezza.
«Aspetta. Per trasportare e usare l'Artefatto serve l'autorizzazione di un Sommo...»
Basir annuì grave «Sì, questo è l'aspetto più incerto.» sospirò «per dirla tutta, trattandosi di un'arma da guerra, servirebbe la firma e il sigillo del Sommo del Fuoco.»
Aaron lascò cadere la testa all'indietro inspirando rassegnato. Avvolto dal morbido tessuto osservò il motivo che riempiva il soffitto, ironicamente ricordava lo stemma di famiglia, lo stesso che sapeva essere riportato sul sigillo del padre. Roteò gli occhi, annotando nella sua mente di ordinare che venisse modificato con qualcosa di meno significativo. Percorse con lo sguardo la libreria colma di antichi testi e alcuni manufatti che aveva iniziato a collezionare, analizzando il problema in cerca di una soluzione.
«Forse...» pensò Aaron a voce alta «Forse potremmo avere qualche possibilità... la missione è pressoché priva di rischi e lui ha bisogno di riconquistare consensi, se riuscissimo nell'impresa la sua posizione sarebbe molto più solida» suo padre non avrebbe mai acconsentito a far allontanare un possibile Drago Rinato dall'Isola ma questo era completamente diverso.
«Se fosse una missione segreta» continuò Basir «Il Sommo del Fuoco non si esporrebbe nemmeno. Se non riuscissimo a far funzionare l'Artefatto, nessuno verrebbe a saperlo e lui non ci perderebbe nulla, mentre un successo sarebbe una grande vittoria. Il suo ruolo non verrebbe più messo in discussione, almeno per qualche settimana.»
«Sarebbe perfetto, dobbiamo solo trovare l'obiettivo giusto e la posizione più sicura per colpirlo» concluse Aaron eccitato, alzandosi per prendere un atlante dalla libreria.
«Pensavo alla statua di Mugor, a Kerine.» disse Basir prima che Aaron raggiungesse il mobile. «Dovrebbero esserci degli scogli al largo proprio di fronte al porto. Se quanto ho ritrovato sull'Artefatto è accurato, la gittata coprirebbe tranquillamente quella distanza.»
Aaron lasciò perdere l'atlante e si girò euforico verso l'amico.
«Sarebbe fantastico!» esultò con un cenno del bicchiere, dando il via all'ennesima bevuta.



Continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di Balthamel
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Perrin
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 9
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte ottava] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte ottava]

Mabien Asuka

Erano partiti di buon mattino con l'intento di giungere quasi a metà della strada che li separava da Dobied prima di fermarsi per la notte, il maltempo dei giorni passati sembrava aver finalmente ceduto il passo a giornate di sole, ma il freddo era ancora pungente. Hysaac si era stupito parecchio del fatto che Mab avesse tirato fuori le armi che Folar aveva dato loro prima della partenza: come aveva dimostrato da una breve conversazione, il ragazzo non aveva idea dei pericoli al di fuori delle città, ma lei sì, il problema era giustificarlo e ancor più complesso sarebbe stato farlo poi se quelle armi avessero anche dovuto usarle, ma era meglio non pensarci nemmeno. Riuscì comunque a convincerlo che per sicurezza fosse meglio tenere un pugnale in cintura e un paio di spade a portata di mano.
La parlantina del giovane era di costante compagnia durante il viaggio e presto Mab dovette ammettere che non le dispiaceva affatto: Hysaac era davvero simpatico e spiritoso, aveva un bel modo di fare, così aperto e ingenuo che sembrava uscito da un racconto. La mattina e un bel po' di chilometri passarono rapidi tra chiacchiere e risate, Mab sentiva allentarsi la morsa di angoscia che l'opprimeva e tutto questo grazie a lui, non ricordava nemmeno l'ultima volta che si era sentita tanto... leggera. Girandosi a guardarlo con un sorriso di gratitudine e incredulità allo stesso tempo, gli propose di fermarsi per pranzare con il pane e il formaggio che si erano portati.
Mentre lui concedeva fieno e un po' di libero movimento a Giocasta, Mab accese un piccolo fuoco su cui far bollire l'acqua per un paio di tazze di te con cui scaldarsi. Quando Hysaac la raggiunse, prese la sua tazza e si mise a sedere poggiato al tronco di un albero di fonte a lei.
«Tu non sei di Kiendger, vero?»
Prima o poi glielo avrebbe chiesto, se lo stava aspettando, non per questo riuscì ad evitare di farsi andare di traverso il te.
L'aspetto fisico di Mab non celava per nulla le sue origini meridionali e l'occhio di un viaggiatore molto esperto sarebbe persino stato in grado di individuare la sua precisa città natale, ma questo non pensava fosse il caso di Hysaac: Daing era una città troppo ai margini della Confederazione e pochi, per fortuna, ne conoscevano leggi e usanze. Ad ogni modo la pelle scura era una caratteristica tipica di alcune popolazioni delle terre al confine col deserto, Mab inoltre aveva occhi affusolati e capelli neri che non solo la identificavano come abitante di Daing, ma la classificavano come ad'ien, ovvero pretendente sposa per la famiglia reale dei Darak'ien, secondo le ferree leggi di successione stipulate per mettere fine alla sanguinosa guerra per il trono tra la dinastia dei Reyd'kin, il cui ceppo si diceva provenire dal deserto prima della frattura del mondo, e quella dei Darak'ien appunto. Dai tempi del concordato, la pace della città era sempre stata assicurata alternando al trono i discendenti delle due dinastie, dei quali veniva rigidamente preservata la purezza somatica tramite matrimoni combinati: per questo motivo Mab Asuka, ribattezzata Mabien, era stata sottratta alla propria famiglia in tenera età per il solo «merito» di avere capelli neri perfettamente lisci e occhi affusolati altrettanto neri ed era stata cresciuta, insieme ad altre cinque ad'ien, al solo scopo di poter essere scelta in sposa dal futuro re Darak'ien di Daing. Allo stesso modo i discendenti dei Reyd'kin sceglievano i loro consorti tra gli ad'kin dai capelli rossi e i brillanti occhi verdi.
«Mia madre era figlia di un mercante originario di un piccolo villaggio a sud di Kerine» disse Mab tra un colpo di tosse e l'altro. Era la risposta che si era preparata e che altre volte aveva usato, ma Hysaac rimase a fissarla mentre sorseggiava il suo te.
Finirono il pranzo e ripresero il viaggio in silenzio, finchè lui l'interruppe
«E' che hai qualcosa di strano... sembri voler nascondere qualcosa»
lo disse con tono quasi imbarazzato, guardandola un attimo e poi tornando a fissare la strada davanti a loro
«Se la vuoi mettere così, allora anche tu dovresti spiegami come può il nipote di uno stalliere permettersi di studiare all'accademia di Dobied» replicò lei, con tono piatto e distaccato
«Allora davvero mi nascondi qualcosa!» esclamò lui girandosi a guardarla.
Mab fece spallucce «E allora? Anche tu»
Il silenzio di nuovo la fece da padrone, lasciando pensare e sperare alla ragazza che la discussione fosse conclusa li e invece ancora una volta fu Hysaac ad interromperlo
«E va bene! In realtà mio padre è un colonnello dell'ordine dei Figli» disse come se gli fosse stata estorta la confessione con la forza. Mab s'irrigidì e serrò le mani attorno alle redini tanto forte da far scricchiolare la pelle dei guanti per l'attrito. Hysaac fece un lungo sospiro e poi continuò
«Corteggiava mia madre, ma lei lo respingeva e così l'ha presa con la forza e sono nato io.» La sua voce era poco più di un mormorio, mentre parlava guardando il lembo del mantello che continuava a farsi passare tra le dita. «Poi ha pagato profumatamente il suo silenzio. Mia madre non voleva quei soldi, ma poi li ha accettati al solo scopo di darmi la possibilità di vivere libero dai soprusi dei manti e di realizzare i miei sogni ed è quello che voglio fare.»
Tacque un po' e poi riprese «Odio i Figli, odio il loro ingiusto potere e lo sconsiderato uso che ne fanno. Mi piacerebbe fare qualcosa per... per... sovvertire tutto, ma sono solo il figlio di una contadina che sa e ama leggere. Seguirò la mia strada, diventando un bravo architetto e renderò fiera mia madre, aspettando il giorno in cui i Figli cadranno sotto il loro stesso potere!» le sue mani ora tremavano di rabbia mentre stringeva il mantello.
«Non dovresti esternare certi pensieri con tanta leggerezza» fu il solo commento che venne da fare a Mab, ormai rilassata: l'ingenuità avrebbe messo nei guai quel ragazzo. Lui la guardò un po' preoccupato, ma lei sorrise «La penso come te, ma è meglio non fare certi discorsi con gli sconosciuti.»
«E allora conosciamoci: io ti ho raccontato il mio segreto, ora tocca a te!» replicò lui
«Non ti ho mica chiesto io di raccontarmelo. Io non...» Mab si azzittì sentendo un preoccupante fruscio provenire dalla vegetazione ai margini della strada. Con la mano sinistra andò alla ricerca del pugnale che si era messa in cintura, mentre con la destra esplorò il carro dietro la schiena, per portare davanti la spada.
Hysaac spalancò gli occhi «Non c'è bis...» Mab gli chiuse malamente la bocca, poi gli fece cenno di star zitto. Non mancava molto al prossimo villaggio e le zone limitrofe ai centri abitati erano spesso frequentate da banditi pronti ad assalire i mercanti di passaggio: a questo era pronta, a vedersi invece spuntare fuori dagli alberi tre trolloc davvero no. Non era la prima volta che le capitava un simile sgradevole incontro, ma così vicino ad una città aveva dell'incredibile. Lanciò subito il pugnale verso uno di loro, senza ottenere un gran risultato, poi con la spada tagliò le corde che tenevano Giocasta legata al carro, troppo tardi per evitare che questo si ribaltasse a causa della corsa folle a cui l'aveva sottoposto la cavalla impaurita. Istintivamente poi prese Hysaac per un braccio e se lo trascinò dietro saltando via appena prima di essere coinvolti dalla caduta del carro e del suo carico. Non fece in tempo a rimettersi in piedi brandendo la spada con entrambe le mani, che già il muso zannuto di una delle tre creature grondava bava davanti a lei: abbassandosi evitò di essere presa e riuscì anche a mandare a segno un colpo, causando al trolloc una ferita che lo fece solo incollerire maggiormente. Si allontanò quindi dai rottami del carro, facendosi seguire dalle bestie come previsto, poi si concentrò su quello a lei più vicino: era più alto di lei di almeno mezzo metro, sulla pelle gli sputavano sporadiche piume nere, il naso e la bocca erano uniti a formare una specie di becco poco pronunciato e le dita, quattro, terminavano in lunghi artigli che cercavano di afferrarla. Con un colpo deciso riuscì a tranciargli un arto, quando già il secondo trolloc le si parava davanti. Dall'altra parte Hysaac urlò, il trolloc ebbe un attimo di esitazione che lei sfruttò per conficcargli la spada nel basso ventre. La creatura emise un grido che poco aveva di umano e si tirò indietro portando l'arma con sé, ancora piantata nelle carni.
«Hysaac! Le otri!» gridò al ragazzo, che tremava impaurito palesando quando fosse inutile la spada che stringeva, mentre un trolloc gli si faceva incontro. Non ebbe tempo di vedere se lui aveva colto il suggerimento perchè le due bestie che aveva solo ferito già stavano tornando alla carica e lei era disarmata adesso. Senza perdere altro tempo intessè aria per tenerseli lontani e poi con filamenti di fuoco colpì il terzo trolloc prima che raggiungesse Hysaac. Concentrata ad eliminare quello, abbassò la sua protezione dai due a lei più vicini quel tanto che bastò ad uno dei due per riuscire ad agguantarla con l'unica mano che gli restava, ma qualcosa gli fece perdere l'equilibrio e diede la possibilità a Mab di liberarsi dalla presa. Rotolò via rapidamente e con aria e fuoco scagliò dardi infiammati verso le due creature che Hysaac era riuscito a far cadere come birilli facendo rotolare le otri di acquavite verso di loro: non era propriamente l'idea di Mab, ma era stata comunque una mossa efficace.
Solo quando fu certa di avere ucciso tutte e tre le creature, la ragazza percepì il dolore della ferita al ventre che probabilmente si era riaperta durante la lotta. Si lasciò cadere a sedere e poi si stese con la schiena a terra, respirando con affanno, gli occhi chiusi in una smorfia di fatica e il sapore di sangue in bocca. Rimase ferma così a recuperare il fiato per un po', sperando che il dolore scemasse e pensando alle spiegazioni che avrebbe dovuto dare poi ad Hysaac: avrebbe dovuto giustificare non solo di saper usare piuttosto bene una spada, ma addirittura di poter incanalare.
Prese un ultimo respiro, poi alzò la testa: Giocasta era fuggita chissà dove, il carro era ridotto ad un ammasso di legname dalla forma poco riconoscibile, il carico era perso e Hysaac, un'espressione attonita in volto, sembrava essersi pietrificato. Stringendo i denti per il dolore, Mab alzò il busto poggiando il peso su un gomito. Hysaac la fissava a bocca aperta in un punto preciso del corpo, probabilmente la ferita stava sanguinando parecchio e l'aveva impressionato. E così mentre con una mano andava ad indagare cosa ne fosse stato dei punti e delle bende con cui era stata curata solo il giorno prima, si guardò in basso scoprendo quale fosse in realtà la sorpresa finale che aveva sconvolto il ragazzo, come se già tutto il resto non fosse bastato: la maglia di lana di Mab si era quasi completamente lacerata davanti per il lungo, denudandole un seno. Mentre si ricopriva più irritata che imbarazzata, alzò gli occhi al cielo, si fece ricadere a terra con la schiena e imprecò.



Siadon

Era quasi l’alba e si era svegliato da poco. Sdraiato a letto fissava il buio sopra di sé con la sgradevole sensazione di non essere nel posto giusto. Non era per Thea che ancora dormiva usando il suo petto come cuscino, gli piacevano i momenti passati fingendo di essere una coppia, il problema era che si sentiva come tirato verso qualcosa e più i giorni passavano più la sensazione si faceva reale.
«Hmm.. Buongiorno amore» le sentì dire con voce assonnata, lui la accarezzò ignorando il senso di torpore che gli correva lungo il braccio e rimasero qualche istante in silenzio.
«Dovremmo andarcene da qui, oggi» disse Thea dopo un lungo momento, questa volta con voce chiara, tracciando sul petto di Siadon un simbolo per fargli capire che nessuno al di fuori della stanza li avrebbe sentiti.
«Si» rispose lui, non nevicava ormai da un quarto e la neve caduta di recente era abbastanza assestata da permettergli di raggiungere il monastero. «Diamo la solita scusa?»
«Puoi sempre dire che vuoi cercare un prete che ci sposi se preferisci»
«Eh, ci sto quasi facendo l’abitudine: una casetta isolata, quattro animali, un focolare, tu con addosso un grembiule che cucini torte..»
«Si, davvero fantastico..»
«Si.. andiamocene»
«Cos’hai contro le mie torte?» Continuò Thea ormai incapace di trattenere le risate
«Io nulla, sono loro che provano ad uccidermi ogni volta!»
«Si vede che te lo meriti» Rispose baciandolo, facendo segno che aveva rilasciato la barriera.

Dannazione! Pensò Siadon sprofondando per l’ennesima volta nella neve con tutta la gamba. La partenza aveva preso più tempo del previsto, tra i saluti, il recupero di quanto avevano nascosto nella grotta e l’affidare i cavalli ad una stalla dei manti bianchi a Hirlomap, si erano trovati ad affrontare la lunga salita proprio nelle ore più calde della giornata. Procedevano lentamente, fermandosi spesso a riprendere fiato e spendendo gran parte delle energie per uscire dalle buche che i loro stessi passi formavano nella neve. Avrebbe voluto ripensare agli ultimi avvenimenti, come era solito fare quando percorreva quel sentiero, comprendeva l’importanza delle notizie che portavano e avrebbe voluto trovare un modo per evitare le conseguenze peggiori ma la lenta progressione occupava tutta la sua mente, tanto che quasi si stupì nel trovarsi dinnanzi al monastero, ormai in tarda serata.
Esausti si salutarono e dopo aver indossato le tuniche grigie iniziarono ad affrontare i primi interrogatori. Solo dopo aver ripetuto gli avvenimenti degli ultimi giorni a tre persone diverse gli portarono una zuppa e della carne.
Sono ancora vivo pensò mentre controllava che le pietanze fossero prive di veleni, non poteva esserne certo senza le corrette tessiture ma dubitava che avrebbero usato mezzi tanto costosi per eliminarlo.
Quindi, o reputano quella ribelle una pazza visionaria oppure sono davvero disposti a credere all’esistenza di creature leggendarie e di questo Drago che combatterà una battaglia contro l’ombra stessa.
Nei giorni precedenti si era domandato spesso come avrebbe reagito la sua famiglia a queste notizie, fortunatamente i suoi fratelli e le sue sorelle non avevano deciso di nascondere quei fatti, in tal caso sarebbe già morto, c’era però qualcosa di sbagliato nelle domande che gli avevano posto. Era un aspetto curioso del complesso meccanismo che governava il monastero, dopo anni di esperienza gli interrogati riuscivano a leggere tra le domande alcuni pensieri di chi le poneva. Non era abbastanza per nascondere qualcosa o per mentire senza essere scoperti ma a volte si riusciva a cogliere qualche informazione.
Loro già sapevano realizzò ingoiando l’ultimo boccone. La storia del Drago era una novità anche per loro ma il resto no, qualcun altro deve avergli parlato di queste creature dell’Ombra.



Merian Elen Syana

«Si sta svegliando.»
La voce squillante di un ragazzo le arrivò alle orecchie come una sferzata; non le era familiare e Niende pensò che stesse ancora sognando. I ricordi dell’incubo appena vissuto erano ancora freschi nella sua mente, troppo reali per poterli dimenticare, e aveva un gran mal di testa che le offuscava i pensieri.
«Finalmente!»
Un’altra voce si aggiunse alla prima e la ragazza aprì gli occhi riconoscendola. Si tirò su a sedere appoggiandosi su un gomito e un primo sguardo di quello che aveva di fronte le bastò per capire che non aveva sognato: un’ampia radura circondata da alberi piena di persone dai visi sconosciuti e Rohedric davanti a tutto il resto. L’uomo si stava inginocchiando davanti a lei, un ampio sorriso gli solcava il volto, e aveva in mano quello che sembrava un piccolo fagotto.
«Dove mi trovo?» chiese la ragazza con voce impastata dal sonno. «Cosa mi avete fatto?»
«Calma, non ti agitare... ecco metti questo sulla testa, -il fagotto altro non era che della neve avvolta in uno straccio- ti allevierà un po’ il gonfiore.» Rohedric l’aiutò a mettersi a sedere con la schiena rivolta a un albero e le porse l’involtò. La ragazza sussultò quando lo appoggiò alla nuca, se per il freddo o il dolore non sapeva dirlo, ma premette con decisione sulla ferita. La fitta alla testa non accennava a diminuire e adesso qualcos’altro si faceva strada nella sua mente: una strana sensazione al di là della sua portata, una presenza a lungo sopita che tornava a ridestarsi, ne ebbe paura.
«Ariel può prepararti qualcosa per il mal di testa se lo desideri, è molto brava con le erbe.»
Era stato il ragazzo dalla voce estranea a parlare, un giovane allampanato con grandi occhi azzurri - non poteva avere più di vent’anni - che sorrideva a Niende come fosse un bambino di fronte a un nuovo giocattolo. Aveva in mano un pezzo di legno che chiaramente stava lavorando poco prima che lei si svegliasse - dalla forma sembrava essere un uccello - e appoggiato a terra a portata di mano c’era un arco con una freccia pronta per essere incoccata.
«Lui è Jon, il mio fratellino,» disse Rohedric accennando al ragazzo sedutogli di fianco. «Guardati da lui, è un gran mascalzone. Ti ha già puntato gli occhi addosso.»
I due fratelli si scambiarono un sorriso complice ma che non aveva nulla di malizioso e Rohedric sorrise a sua volta a Niende per rassicurarla, ma la donna li guardava intontita.
Abbassando la voce l’uomo proseguì:
«Sono costernato Merian, non avrei voluto colpirti, e certamente non così forte, ma vedi…» L’uomo abbassò lo sguardo a disagio cercando qualcosa di meglio da dire.
«Allora perché l’hai fatto?» chiese Niende senza rabbia.
«Perché era necessario.» Brienne era arrivata senza che lei l’avesse sentita, spuntata da un punto alle sue spalle che non riusciva a vedere. La donna, alta e fiera, si ergeva in tutta la sua statura e la guardava con il solito cipiglio altezzoso quasi non gradisse la sua presenza. Braccia incrociate al petto, le gambe leggermente divaricate ben piantate sul terreno, sembrava un capitano sul ponte della sua nave, pronta a dare ordini e ad aspettarsi che tutti li eseguissero senza fiatare.
Rohedric al contrario, nella sua giubba blu e argento, ricordava un nobile nella sua sala da ricevimento. Se non avesse avuto quell’espressione letale negli occhi.
«Non turbarla più di quanto non sia già, Brienne, penso tu l’abbia spaventata a sufficienza.» L’uomo si era alzato fronteggiando la nuova arrivata - la donna era alta, ma lui riusciva comunque a guardarla dall’alto in basso - e l’altra abbassò le braccia con un sospiro: era difficile non arrendersi a quello sguardo. Si voltò verso Niende e fece una smorfia, poi se ne andò dalla parte opposta a dove era arrivata chiamando a gran voce Ariel. Rohedric tornò a sedersi di fronte a lei.
«Devi perdonare Brienne, a volte ha dei modi un po’ bruschi - solo a volte? pensò Niende - ma è una brava persona. E’ solo preoccupata per quello che sta succedendo.»
«E cosa sta accadendo, per amore della Luce?» Parlare le costava fatica, tanto più se andava in collera, e sentì di nuovo quella presenza in un angolo della sua testa.
«Vuoi dire che non lo sai? Sangue e ceneri ragazza, dove hai vissuto fino adesso?»
Rohedric scoccò un’occhiataccia al fratello, che fece un ampio gesto con le mani come in segno di scusa e tornò a lavorare il suo legno.
«Per dieci anni sono stata sotto la protezione dei Manti Bianchi, per lavorare e servire il Signore Capo degli Illuminati - che la Luce lo protegga - ed essere lontana dalle tentazioni e i peccati del mondo. E ora voi mi avete portato via dalla mia casa e ancora non mi avete dato nessuna spiegazione, e non parlo di tutte quelle assurdità sul Drago Rinato.» Tutto questo lo aveva detto con una tale compostezza che lasciò Jon a bocca aperta. Il ragazzo aveva lasciato andare l’oggetto - questa volta poteva vederlo bene, sembrava un corvo - e con espressione allibita guardò il fratello, che sorrise, suo malgrado.
«Potrei dirti che non esiste nessun Drago Rinato e che tutto questo non è reale. Potrei dirti che i Manti Bianchi proteggono i nostri sonni dall’Ombra e che i Trolloc o i Myrddraal sono solo favole per bambini. Potrei dirti che il nostro mondo sta vivendo anni di pace e che continuerà a farlo.
Potrei dirti tutto questo e altro ancora, se ti fa stare meglio, ma non è la verità.
Sei venuta da noi ieri per avere delle risposte e ora devi accettarle, che ti piacciano o meno.
Spogliati di quello che sei, Merian, e indossa la tua vera natura.»
Lei lo guardò sorpresa, le lacrime che già si raccoglievano agli angoli degli occhi, e Rohedric annuì col capo come per infonderle forza. Quelle parole….
Non ebbe il tempo di ribattere né tanto meno di lasciarsi andare al pianto: Brienne era ritornata, seguita da una donna leggermente paffuta dagli occhi gentili.
Aveva una coppa fumante in mano e le sorrise affettuosamente mentre si inginocchiava per porgergliela.
«Che la Luce ti protegga Merian! Benvenuta tra noi, io sono Ariel.» La donna aveva una voce musicale e profonda che suscitava serenità, e attorno a lei aleggiava un dolce profumo di rosa selvatica che stonava con quello che proveniva dalla tazza: forte e speziato.
«Questo è un infuso di varie erbe che ho colto io stessa, ti servirà a calmare il mal di testa e a rasserenare lo spirito. Il sapore è disgustoso - aggiunse sorridendo - ma è molto efficace.»
Si assicurò che Niende lo bevesse tutto prima di alzarsi e, salutando Rohedric con un cenno del capo - che questi ricambiò con uno dei suoi sorrisi affascinanti - si allontanò ancheggiando, conscia degli sguardi dei due uomini su di sé.
Brienne sembrava oltraggiata e borbottava sottovoce guardando di traverso Rohedric.
«E’ una strega?» chiese Niende accennando ad Ariel. Jon scoppiò a ridere - aveva la risata del fratello, l’unica cosa che li accomunava - e scosse la testa divertito.
«Sei davvero strana, lo sai? Se non me lo avessero detto non avrei mai creduto che fossi tu la persona che stiamo cercando.» Poi rivolgendosi ai suoi due compagni: «Temo non sarà facile insegnarle. Forse Lord…» Un’occhiata da parte di Rohedric lo fermò all’istante e Jon cambiò argomento.
«Penso che andrò a finire il mio corvo in santa pace. Se vuoi scusarmi Merian…» Si alzò facendo un profondo inchino quasi fosse un menestrello, raccolse le sue cose e se ne andò a grandi balzi fischiettando un motivetto allegro. Niende non aveva mai visto una persona più bizzarra.
«Non appena ti sentirai meglio partiremo. I Manti Bianchi potrebbero essere già sulle nostre tracce; è trascorsa la seconda ora ormai, si saranno accorti che manchi all’appello.» Rohedric parlava tra sé riflettendo sulla strada migliore da prendere.
La seconda ora? Luce, aveva dormito per dieci ore di fila! Ma non erano i Manti Bianchi il suo pensiero in quel momento, Jon stava per dire qualcosa prima di andarsene che avevano volutamente tenuto nascosto.
«Chi è questo Lord?» chiese con aria innocente come se stesse parlando del tempo.
Rohedric si riscosse dai suoi pensieri ma non rispose, e Niende incalzò dissimulando interesse.
«E cos’è che dovreste insegnarmi?»
«Lo saprai quando sarà il momento,» rispose Brienne in un tono che non ammetteva repliche.
Rohedric si alzò e disse a Niende di riposarsi ancora per un po’ finché poteva, aveva intenzione di partire in meno di mezz’ora e sperava che quel tempo le sarebbe bastato per recuperare le forze. La donna era ancora debole e non poteva fare altro che stare ai loro ordini, ma decise che sarebbe scappata alla prima occasione. Si coricò di nuovo sulla coperta ai piedi dell’albero e rimase con gli occhi aperti a fissare il cielo mattutino mentre i due si allontanavano verso il centro del campo. Non era sua intenzione dormire, l’aveva fatto anche troppo, ma si appisolò senza rendersene conto e il sogno tanto atteso arrivò all’istante.

Si trovava all’interno della ormai familiare locanda, tutto era immoto e uguale a come era sempre stato, tranne per la luce: un chiarore dovuto alle molte candele accese si diffondeva per tutta la lunghezza della sala comune e lei poteva vedere bene l’uomo che l’attendeva seduto al suo solito tavolo.
Con il cuore in gola si avviò verso di lui, camminando a passo svelto quasi avesse timore che potesse sparire da un momento all’altro.
Quando gli si avvicinò lui si alzò e le sorrise. Luce poteva morire per quel sorriso! Pensò che non potesse esserci un uomo più attraente al mondo, e uno strano pensiero le passò per la mente: arrossì di colpo cercando di concentrarsi su altro, ma ogni volta che guardava l’uomo quell’idea si affacciava nella sua mente. Aveva passato troppo tempo con Arlene!
«Dove sei stato?» gli chiese con la voce tremante dall’emozione. L’uomo le sfiorò una guancia con la mano e sentì il calore del suo corpo diffondersi in lei attraverso quel breve contatto. Chiuse gli occhi assaporando il momento, inspirando profondamente, il cuore che le batteva all’impazzata.
«Sono sempre stato qui,» e poi, toccandole il petto con l’altra mano, «e qui.»
Avvicinò il viso a quello di lei e ne respirò il profumo, socchiudendo gli occhi estasiato, e sfiorò le labbra con le sue fino a lasciarsi andare completamente in un bacio pieno di ardore.
Sembrava che il tempo si fosse fermato, tutto intorno a lei era indefinito e sfocato, consapevole solo dell’uomo che le stava di fronte. Abbandonarsi alle proprie emozioni, farle scorrere dentro di sé come un mare in tempesta, era questo il significato della vita?
Niende aprì gli occhi e si ritrovò a fissare quelli dell’uomo, che la guardava come se non l’avesse mai vista prima. Le sorrise ancora e la strinse nel suo abbraccio: rimasero così per quella che parve un’eternità prima che lei interrompesse il silenzio.
«Qual è il tuo nome?»
L’uomo guardò un punto fisso di fronte a sé, come perso nei suoi pensieri, poi si sciolse dalla stretta dolcemente e la fissò.
«Le persone di Hamadrelle si riferiscono a me come a un Lord, sebbene non capisca il perché, ma tu puoi chiamarmi Mat.»



Continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di Balthamel
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Perrin
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 10
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte nona] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte nona]

Morgan Neglentine

Montò a cavallo non appena fu fuori dall'avamposto e si diresse verso Sud ad un trotto leggero. Dopo circa una mezz'ora raggiunse uno degli ingressi nascosti ai tunnel che portavano a Tsorovarin: si trattava di cunicoli artificiali, creati con l'ausilio del Potere, che attraversavano la montagna fino alla caverna naturale dove la città era stata edificata.
Una volta all'interno spinse il cavallo al galoppo, lì la pavimentazione era piatta e continua e l'animale non rischiava di azzopparsi. Sottili flussi di Spirito attraversavano trasversalmente il cunicolo, formando una sorta di ragnatela visibile solo ad un incanalatore. Morgan attraversò la ragnatela di Potere senza rallentare: il guardiano che l’aveva intessuta avrebbe avvertito l’interruzione dei flussi e avrebbe attivato i sistemi di difesa, chiudendo il tunnel in modo da intrappolare eventuali invasori, poi sarebbero entrate in opera le sentinelle che si trovavano nella guardiola a metà del tunnel. Avrebbe trovato un’altra rete simile a tre quarti del condotto, che a sua volta segnalava la presenza di intrusi ad un posto di blocco posizionato all’ingresso della caverna. Le sentinelle conoscevano bene Morgan e sapevano che era atteso, per cui non lo disturbarono. Ciò nonostante, ci mise un'ora per giungere allo sbocco del lungo tunnel; una volta fuori si trovò di fronte l'immensa caverna, il cono di un antico vulcano ormai inattivo. Al centro esatto si trovava un lago dalle acque limpidissime. Il fondo della caverna era composto da un terreno particolarmente fertile, coltivabile grazie alla luce solare che giungeva dalla cima del cono vulcanico rimasta aperta, e su cui erano sparse diverse fattorie, sia isolate che in piccoli gruppi. Quattro gallerie davano accesso alla caverna, sbucando in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Da esse quattro strade convergevano verso una collina che sorgeva sulle sponde del lago, e che ospitava il Forte. Il Forte era un palazzo squadrato, costruito con la stessa roccia scurissima che costituiva le pareti del vulcano, dimora del capo clan e sede delle riunioni del Consiglio del clan Neglentine. Alle pendici della collina si raccoglieva la città di Tsorovarin, una delle più caratteristiche delle Città della Notte. In breve tempo Morgan raggiunse le prime case della città; poi, percorrendo l'ampia via principale, abbastanza trafficata a quell'ora, arrivò al Forte. Lì le guardie lo lasciarono passare, riconoscendolo. Morgan lasciò il cavallo alle abili cure degli stallieri ed entrò, dirigendosi agli alloggi destinati ai membri del consiglio, certo di trovarvi sia suo padre che sua madre.
Mentre vi si recava fu intercettato da un servitore, che lo fermò dicendogli «Siete atteso alla sala del Consiglio, mio signore. Vi hanno visto arrivare e sono stato mandato per condurvi». Speravo di avere il tempo di darmi una rinfrescata, disse il ragazzo tra sé e sé, ma se il consiglio ha tutta questa fretta deve trattarsi di qualcosa di importante! «Fai pure strada!» rispose all'uomo. Seguì il servitore attraverso alcuni corridoi e giunse alle ampie porte di quercia che introducevano alla sala del consiglio; il servitore lo lasciò lì in attesa mentre annunciava il suo arrivo, quindi gli fece cenno di entrare e se ne andò nuovamente per svolgere le proprie mansioni. Prendendo un profondo respiro, Morgan fece il suo ingresso nell'ampia sala circolare, per metà della quale correvano delle gradinate in pietra, da dove le persone comuni potevano assistere alle riunioni pubbliche del consiglio. Terminate le gradinate c'era uno spazio di circa un metro per parte, quindi iniziava una fila semicircolare di seggi, in tutto venti, di cui solo dieci erano in quel momento occupati. Ad occuparli erano quattro generali, il capo clan e le rispettive mogli. Era infatti usanza che le mogli dei condottieri avessero parola all'interno del consiglio. Il giovane si portò di fronte ai seggi, al centro dello spazio circolare rimanente, e rimase in attesa; il capo clan, Liam Neglentine, un uomo di statura media con spalle ampie, corti capelli neri e acuti occhi azzurri, si alzò dicendo: «Benvenuto, Morgan. Sei stato convocato poiché, dopo aver letto i rapporti del capitano Duncan, il consiglio ha deciso di affidarti una missione di prova, dal cui esito dipenderà il tuo immediato futuro: se dimostrerai di essere all'altezza delle nostre aspettative riceverai il permesso di sottoporti all'iniziazione per ufficializzare il tuo passaggio all'età adulta.»
Morgan strabuzzò gli occhi: finalmente il consiglio aveva deciso di metterlo seriamente alla prova. Non aspettava altro da quando aveva raggiunto l'età in cui si manifestava la capacità di incanalare, che in lui era risultata innata, «Ne sono onorato!», rispose dopo pochi istanti, « posso chiedere in che cosa consiste la missione?».
«È molto semplice.», rispose Lord Liam, «Tu e trenta soldati scelti, che hanno da poco terminato l'addestramento, sotto il tuo comando, vi dirigerete a Coraman, tramite un passaggio aperto appositamente. Da lì partirete per pattugliare la zona a sud della città: i nostri alleati Faine hanno ricevuto la segnalazione di un nutrito gruppo di trolloc e hanno richiesto il nostro aiuto. Tu e i tuoi uomini, tra cui sono presenti alcuni altri incanalatori, dovrete scovarli ed eliminarli, cercando, se possibile, di scoprire qual’è il motivo della loro presenza nelle Montagne della Nebbia. Per la durata della missione ti sarà permesso di incanalare, qualora ve ne sia necessità. Una volta concluso rientrerai qui per essere sottoposto al rituale».
Morgan ascoltò attentamente quindi annuì «Molto bene, allora andrò a prepararmi.» disse; stava per voltarsi ed uscire quando il capo clan aggiunse: «Hai tempo fino al pomeriggio; il passaggio verrà aperto nel cortile interno, nel frattempo sono certo che i tuoi genitori vorranno averti un attimo tutto per loro. Ora va, sai tutto ciò che ti serve sapere».
Morgan e i suoi genitori si incontrarono negli appartamenti privati. Il padre, un uomo alto e dalla corporatura slanciata che somigliava molto a Morgan nei lineamenti del viso, somiglianza accentuata dalla corta barba castana che entrambi portavano, lo aspettava vicino al caminetto acceso. La madre, una donna di altezza media dalla carnagione chiara e lineamenti delicati, dai lunghi capelli corvini e brillanti occhi verdi, che il figlio aveva ereditato, era seduta in una comoda poltrona con un libro aperto in grembo. Oltre al caminetto e a due poltrone, la stanza aveva un arredamento molto semplice, un tavolino posto tra le due poltrone e una libreria lungo una delle pareti. Per renderla più calda, il pavimento e le pareti erano stati rivestiti con legno di quercia, mentre il soffitto era formato da pannelli di noce abilmente lavorati.
«Morgan!» esclamò la madre alzandosi per andare incontro al figlio, che la abbracciò calorosamente mormorando affettuosamente «Madre, sono felice di rivedervi.». Mentre Morgan salutava la donna il padre lasciò silenziosamente la stanza, diretto verso la camera da letto, quasi non volesse esser visto.
Lasciato l'abbraccio di sua madre, Morgan disse: «Ho bisogno di parlare con voi di una cosa che mi è successa, al consiglio non ho avuto modo di esporla e preferivo parlarne prima con voi... ma, dov'è finito papà?» chiese guardandosi attorno «Voglio parlare anche con lui di quel che mi è successo, ho bisogno del consiglio di entrambi».
«Sta già tornando.» rispose la donna con fare misterioso, poi aggiunse, vinta dalla curiosità: «Di cosa ci vuoi parlare?». Morgan radunò un momento i pensieri, ancora in parte confuso, quindi disse: «E’ difficile parlarne, ma cercherò di arrivare diritto al punto... cosa ne sapete dei Fratelli dei Lupi?» chiese.
La madre sembrò spiazzata «Sappiamo che sono combattenti forti e valenti.», rispose, «Più di qualsiasi essere umano, quasi ereditassero dai lupi forza e spirito combattivo. Sono inoltre in grado di comunicare con i lupi anche a grandi distanze, benché nessuno sia mai riuscito a capire come. Tuttavia il loro destino può essere molto triste: se si lasciano dominare dalla parte lupesca in loro rischiano di perdere la propria natura umana; ricordi le leggende su Perrin Occhidoro!?». «Sì, madre.», rispose il giovane «Le ricordo... E cosa mi sapete dire del legame tra il mondo dei sogni e i lupi?», chiese nuovamente, «Voi siete una camminatrice dei sogni, forse qualcosa in più mi saprete dire?»
«I lupi camminano nei sogni come noi umani, ma più di questo non ti so dire... ma perché tutte queste domande Morgan?» domandò preoccupata; il ragazzo rispose con voce tremante «Perché motivo di credere di essere un fratello dei lupi, madre. Ho fatto uno strano sogno, e un lupo era con me». Il ragazzo sospirò tristemente e aggiunse: «Da una parte credo che nei lupi potremmo trovare dei valenti alleati, sempre stando alle antiche leggende, ma dall'altra ho il timore di non riuscire a controllare la parte lupesca e di perdere la mia umanità! E' un richiamo così forte!», mentre diceva questo si avvicinò a una delle poltrone e vi si lasciò cadere stancamente, appoggiando il gomito ad un bracciolo e portandosi la mano alla tempia per massaggiarsela. «Il lupo del sogno mi ha detto che non sono ancora pronto per visitare il mondo dei sogni, ma anche di prendermi cura del ragazzo che vi ho visto, qualora dovessi incontrarlo... non so davvero che fare madre!».
Nascondendo la propria preoccupazione la madre si avvicinò e, senza dire nulla, si mise ad accarezzargli i capelli; in quel mentre il padre rientrò nella stanza nascondendo qualcosa dietro le spalle. Morgan lo notò, tolse la mano dalla tempia e con un timido sorriso chiese «Cos'avete lì padre? E come mai fate tanto il misterioso?».
«L'avevamo conservata per questo giorno, il giorno in cui saresti diventato un membro a tutti gli effetti dei Neglentine» mentre parlava l'uomo mostrò l'oggetto che aveva in pugno: si trattava di uno spadone dall'elsa a croce, con un pomello a forma di testa d'orso, il simbolo dei Neglentine. L'elsa era d'argento e l'impugnatura era ricoperta di cuoio nero. «Che aspetti? Prendila: è tua!», disse, porgendola a Morgan, che appariva stranito. Il ragazzo prese delicatamente la spada, inguainata in un fodero di morbida pelle nera decorato in argento, e si accorse con stupore di quanto fosse leggera. Afferrando l'elsa, con l'altra mano estrasse la lama, e fu ancor più stupito nel notare un airone inciso, da entrambe le parti, sul piatto della lama. «Padre!», esclamò, «Ma questa è una lama creata col potere! Questo è davvero un dono stupendo... ma non so se sono davvero all'altezza di una lama come questa!».
Il padre lo guardò severo e si limitò a dire: «Sei un Neglentine!». La madre, leggermente irritata, fissò prima il padre e poi Morgan, «Sei anche per metà Ladrielle, non scordarlo. Nelle tue vene scorre il sangue dei protettori! E poi sono fiera di poter affermare che sei uno dei migliori combattenti tra quelli della tua età. Dipana i tuoi dubbi, figlio mio, e non pensare di non esserne all’altezza!»
Morgan rinfoderò la spada, rinfrancato dall'amore e dall'orgoglio che poteva leggere negli occhi verdi della madre e in quelli grigi del padre, «Avete ragione madre, farò tutto il possibile per rendere onore alla mia famiglia, prima di tutto, e per dimostrare di essere degno di questa spada!» disse fieramente «Grazie per tutto quello che fate per me, so che posso sempre contare sul vostro aiuto.», aggiunse con la voce che tremava per l'emozione. Non era bravo a parole, ma amava molto i suoi genitori e avrebbe fatto di tutto per dimostrare di esser degno della loro fiducia.
«Fai attenzione lupacchiotto.» Gli sussurrò all'orecchio la madre, non resistendo alla tentazione di abbracciarlo; Morgan la fissò un po' sconvolto. Solo in quel momento il padre si rese conto che c'era ancora qualcosa di cui doveva essere informato, «Che succede?», chiese, un po' seccato per non essere stato il primo a ricevere le confidenze del figlio. Morgan respirò a fondo quindi fece un rapido riassunto al padre di quanto gli era accaduto il giorno prima, sogno incluso.
Mentre finivano di parlare si sentì bussare alla porta. Il padre, che era il più vicino, andò ad aprire; parlò brevemente con chi aveva bussato quindi chiuse la porta e tornò verso la famiglia «Era un servitore mandato a chiamarti Morgan: è tutto pronto per la partenza.», disse, e senza aggiungere altro strinse brevemente il polso del figlio, nella tipica stretta da guerriero.
«Sarà meglio che vada, allora.», disse il giovane, «Sono felice di aver avuto il tempo di parlare con voi, ora sono un po' più tranquillo riguardo il mio futuro.»
Si riscosse da quei pensieri mentre usciva nel cortile interno dove si era aperto il passaggio. Preso posto alla testa dei guerrieri Neglentine al suo comando, spronò il cavallo e attraversò il portale, ritrovandosi a Coraman. Salutò quindi una delegazione dei Faine che li stava aspettando in quello che pareva essere il cortile di un imponente palazzo. «Benvenuti amici!», disse loro l'uomo a capo della delegazione, «Vi mostrerò i vostri alloggiamenti, così avrete modo di sistemarvi; a cena vi verranno dati i dettagli per la missione che vi aspetta, e domattina all'alba partirete»



Merian Elen Syana

Il tempo impiegato a partire fu più lungo del previsto.
Brienne e Rohedric battibeccavano sulla destinazione da prendere senza giungere a una conclusione, mentre Ariel li osservava in silenzio facendo di sì con la testa a ogni proposta dell’uomo. Jon si teneva alla larga già pronto per il viaggio: con quel suo strano arco ricurvo appeso dietro la schiena e un grosso fagotto posato ai suoi piedi, se ne stava appoggiato a un albero a braccia conserte, di tanto in tanto guardando il cielo come se fosse la cosa più interessante del mondo e fischiettando un altro dei suoi motivetti allegri. Anche gli altri membri del gruppo che era venuta a salvarla - due grossi uomini dall’espressione truce intenti ad affilare le enormi lame delle loro spade - attendevano pazienti che i due finissero di discutere. Evidentemente era uno spettacolo al quale tutti erano abituati, Rohedric e Brienne sembravano pronti a litigare per qualsiasi cosa!
Aveva pensato che quello poteva essere un momento perfetto per scappare, nessuno sembrava fare caso a lei - anche se era certa che i due uomini fossero molto più consapevoli di quanto accadeva loro attorno di quanto dessero a vedere - ma l’idea le sfiorò la mente solo per un momento e se ne andò velocemente così come era venuta. Adesso era convinta della veridicità delle parole di Rohedric e del motivo per il quale erano venuti a cercarla: Mat aveva confermato tutto quanto, e udire il suo nome pronunciato dalla bocca dell’uomo d’un tratto non le sembrò più così spaventoso.
Aveva ancora paura e non sapeva se sarebbe stata in grado di affrontare questa missione, ma l’avrebbe comunque portata a termine, se non altro perché gliel’aveva chiesto lui.
L’uomo le aveva detto anche altro però, e questo l’aveva turbata più di ogni altra cosa, lasciandole dentro un grande senso di vuoto.
Come avrebbe fatto a quel punto? Se quello che gli aveva detto era vero - e non aveva motivo di dubitarne - non credeva che avrebbe avuto la forza di andare avanti.
Ci doveva pur essere una soluzione, per la Luce! Forse qualche Incanalatore poteva… no! Quale pensiero orrendo le era venuto, cercare aiuto da quella gente!
La mia gente, pensò con amarezza.
Fu all’improvviso di nuovo consapevole di quella presenza in un angolo della sua mente e rabbrividì.
Era comparsa nel momento stesso in cui aveva aperto gli occhi quella mattina, ma l’aveva associata al mal di testa e non vi aveva fatto caso. Ora invece si rendeva spaventosamente conto che era ancora lì, in attesa.
Era sempre stata lì in verità, solo quietata dall’impossibilità di raggiungerla, e adesso che era fuori da Ishamera gridava a gran voce di essere toccata. Merian tentava di resistere a quel richiamo, ma più si opponeva, più desiderava aprirsi a quello che sapeva essere il Potere.
Fu difficile distogliere l’attenzione ma dovette farlo, aveva passato metà della sua vita al sicuro da quel tocco e non sapeva come avrebbe potuto reagire al suo contatto, chissà quali cose tremende ne sarebbero scaturite. Rabbrividì di nuovo.
«Indossa questi, alla svelta.» Brienne e le sue dolci maniere si erano avvicinate di soppiatto - di nuovo! -
e Merian sussultò quando le lanciò i vestiti che aveva in mano.
«Quando sarai pronta Ariel ti metterà uno dei suoi impiastri ai capelli. I Manti Bianchi cercheranno una donna bionda e dai lunghi capelli e immagino tu non voglia tagliare quella magnifica chioma, giusto?» Era sarcastica ovviamente, non era certo il tipo che faceva complimenti. Merian sospettava che la donna si sfogasse con lei per tutte le volte che non l’aveva vinta con Rohedric e la cosa cominciava a irritarla. Una buona dose di schiaffi non le avrebbe fatto male!
Forse si poteva usare il Potere in tal senso… magari pensandoci intensamente… scacciò immediatamente il pensiero - bè, non proprio immediatamente - e si concentrò sui vestiti, guardandosi attorno per cercare un riparo adeguato per cambiarsi. Fece a malapena un passo in direzione del limitare degli alberi che Brienne la fermò alzando perentoria una mano.
«Dove credi di andare? Non pensarai che ti lasceremo gironzolare qua e là a tuo piacimento! Sanno tutti com’è fatto il corpo di una donna, il tuo o quello di mia nonna non fa differenza, togliti quello straccio e muoviti, abbiamo già perso troppo tempo.»
Vedendo che Merian la guardava con occhi sbarrati, Brienne sospirò spazientita e raccolse la coperta da terra, tenendogliela davanti come fosse un paravento. «Così va meglio sua altezza?»
In risposta Merian si limitò a svestirsi in tutta fretta. I nuovi abiti erano decisamente più confortevoli del suo vecchio vestito - d’altronde non ci voleva poi tanto - anche se forse un po’ troppo maschili per i suoi gusti e persino fuori misura. Le brache del colore della terra, di una semplice lana leggera in vista della primavera imminente, erano alquanto abbondanti e dovette stringere con forza i lacci per tenerle in vita; la blusa color panna era invece stretta sul davanti e lasciava intravedere una considerevole porzione di seno, cosa che tutto sommato non le dispiaceva, riflettendoci. Una cintura la teneva aderente al corpo più di quanto avrebbe dovuto e i morbidi stivali di pelle erano un tantino larghi, ma dopo aver portato per anni un vecchio indumento malandato, questi erano abiti degni di un nobile e nonostante tutto erano comodi e le permettevano di muoversi con libertà.
Libertà… che dolce suono aveva quella parola!
Ariel si avvicinò alle due donne col suo passo ondeggiante: le gonne divise per cavalcare mettevano in risalto le gambe nude sopra gli stivali, ma a lei sembrava non importare, anzi camminava orgogliosa e quasi sembrava oscillasse apposta per mostrare più carne possibile.
Brienne la guardò storto ma l’altra donna le rispose con il suo ampio sorriso gentile, anche se gli occhi avevano un che di malizioso. In qualche modo questa cosa non fece che irritare ancor più Brienne, che imprecò a denti stretti e incrociò le braccia al petto, dandole le spalle.
L’erborista non le concesse un secondo sguardo e dedicò tutta la sua attenzione a Merian.
La ciotola che aveva in mano conteneva uno strano impiastro che le spalmò per tutta la lunghezza dei capelli e dopo di che li fece entrare in qualche modo in una cuffia che avrebbe dovuto tenere per quasi un’ora se voleva fare attecchire la tintura. Ariel sosteneva che infine, dopo un buon risciacquo, avrebbe ottenuto un colore rosso scuro, ma la sua espressione diceva che aveva forti dubbi a riguardo. In ogni caso non poteva fare diversamente, o questo o un taglio netto, anche se poteva voler dire andare in giro con i capelli color carota!
«Allora, dove andiamo adesso?» chiese la ragazza una volta pronta.
Brienne si voltò e sogghignò alla vista della cuffia che conteneva a stento i capelli, ma stranamente non fece nessuna battuta.
«Dovresti essere tu a dircelo ragazza! Non siamo venuti fin quassù per farti fare un viaggio di piacere.»
«Brienne, i tuoi modi sono sempre così dolci da fare sciogliere il cuore.» Ariel la canzonò guardandola con innocenza. «Forse dovresti cominciare a mostrare un po’ di polso o la ragazza penserà di essere in vacanza.» Detto ciò se ne andò senza nemmeno dare all’altra il tempo di replicare.
Sopprimendo a fatica un sorriso, Merian sentì l’altra donna borbottare qualcosa che non suonava particolarmente gentile prima di rivolgersi di nuovo a lei, questa volta ammorbidendo il tono, per quanto poteva.
«Merian, hai avuto qualche visione, fatto qualche sogno che possa darci un’indicazione sulla strada da percorrere? Rohedric è impaziente di muoversi ma io non ne vedo il senso se non abbiamo una meta precisa. Qualsiasi suggerimento sarebbe gradito.»
La ragazza la guardò stupita per un momento come se non si aspettasse quella domanda - ma in fondo era per questo che era qui, no? - e rifletté a lungo prima di rispondere.
Dopo aver parlato con Mat era ripiombata in un sogno che non faceva da settimane e che ormai aveva completamente rimosso. In realtà erano due, ma in qualche strano modo sembravano essere collegati.

Un bellissimo ragazzo dai lunghi capelli castani lottava con delle creature dalle teste di animale. Si muoveva con la grazia di un felino e la sicurezza di un uomo addestrato da tempo a combattere: la sua spada portava a segno ogni colpo e in breve aveva ucciso i tre aggressori.
All’improvviso un suono di corni lo aveva circondato. Il ragazzo era forte e determinato, pronto ad affrontare qualsiasi cosa stesse andando lui incontro, ma prima che il sogno scivolasse via da lei aveva scorto sul suo viso un’espressione spaventata.

Il vento si era appena alzato e portava con sé il freddo dell’inverno, mentre l’uomo si avventava sulle orrende bestie deformi con una furia spaventosa. Era circondato da quegli esseri da tutti i lati, ma nulla potevano contro la rabbia che lo travolgeva. Altri lo aiutavano nella sua lotta con altrettanta determinazione, ma non riusciva a vedere chi fossero. L’immagine di un lupo le si era affacciata alla mente per un momento per poi tramutarsi di nuovo in quella dell’uomo l’istante successivo.
Il portamento fiero gli dava un’aria di comando, un uomo abituato alla guerra che incuteva timore e rispetto. C’era però qualcosa di strano in lui, qualcosa che lo rendeva speciale. I suoi occhi…

Merian ricordò che erano stati proprio quegli occhi a farla svegliare di soprassalto. Non aveva mai visto nulla del genere in vita sua!
Aveva appena cominciato a parlare che Rohedric si era unito alle due donne senza dire una parola. Una mano sul pomo della spada, l’altra sul fianco, osservava Merian come se volesse trapassarla con lo sguardo. Una volta finito, l’uomo inclinò leggermente la testa di lato e guardò in alto aggrottando le sopracciglia. Brienne lo studiava intensamente, il viso addolcito come ogni volta che lo guardava. Sembrava che entrambi si fossero dimenticati della sua presenza, ognuno assorto nelle proprie riflessioni - anche se non era sicura che quelle dell’altra donna riguardassero i suoi sogni. Merian si schiarì la voce e Brienne si girò verso di lei, palesemente seccata di essere stata disturbata - qualunque cosa stesse pensando - e aprì la bocca per parlare, ma Rohedric la precedette.
«E’ molto strano… ma decisamente interessante.»
Tutto qui? Era questo il massimo che aveva da dirle?
«Quando faccio questi sogni è come se guardassi al di fuori del mio corpo. Sono me stessa e sono ogni cosa che vedo. Io ero l’uomo, ed ero il ragazzo, e avvertivo le loro sensazioni.»
Adesso aveva la completa attenzione di Rohedric e la donna continuò:
«L’uomo, quello dagli occhi dorati - un brivido le attraversò la schiena al ricordo - attorno a lui era come se vi fosse un senso di aspettativa. Non so spiegarmi meglio, ma sentivo che doveva sbrigarsi a fare qualcosa, qualcosa di importante. E il ragazzo…» Sospirò non riuscendo a proseguire «…una minaccia di morte incombe su di lui,» disse infine con riluttanza.
Un silenzio di soli pochi istanti e Brienne entrò finalmente nella conversazione.
«Questo non è molto d’aiuto se non sappiamo dove si trovano!» disse alzando le braccia al cielo.
Merian chiuse gli occhi per un attimo sforzandosi di ricordare.
«C’era molto freddo, e un vento gelido che sferzava un terreno ancora coperto di neve. Attorno la radura era spoglia tranne che per gli alberi sempreverdi e una piccola pianta a forma di stella dal colore rosa acceso.»
Aprì gli occhi alzando le spalle rassegnata e continuò:
«Ricordo solo di avere pensato come poteva una pianta così bella crescere in un luogo così ostile. Nient’altro…»
Rohedric la guardò e un sorriso scaltro gli comparve sul volto.
«E’ davvero una fortuna che i sogni siano tornati a ripresentarsi proprio adesso.» Poi, come meditando tra sé: «Fortuna, o il Disegno...»
La osservò attentamente e il sorriso scomparve.
«Preparatevi a partire,» gridò volgendo indietro la testa, «andiamo a nord!»



Continua...



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Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 11
*** Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte decima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 1: Un nuovo inizio [parte decima]

Morgan Neglentine

La truppa, composta da cinquanta giovani uomini e donne, si stava dirigendo verso Sud: erano tutti apparentemente rilassati e stavano chiacchierando tra loro, così Morgan stava approfittando di quei momenti per conoscere meglio le truppe che gli erano state assegnate. Il ribelle sapeva che le sentinelle di Coraman vigilavano sulla zona limitrofa: di certo era presto per incontrare trolloc. Il terreno, brullo e sassoso, saliva progressivamente verso sud, verso una catena di monti particolarmente elevati che racchiudeva il versante meridionale della valle in cui si trovava Coraman. Si trovavano ormai ad una certa distanza dalla città quando si accorse che, da più avanti, giungeva un rumore di zoccoli, probabilmente tre cavalcature. Concentrandosi, fece segno agli uomini di tacere e si portò più avanti per scoprire di chi si trattava. Oltrepassato un piccolo rilievo scorse, così come aveva intuito, tre uomini a cavallo. I tre viandanti stavano cavalcando al passo e, dal loro equilibrio precario in sella, davano l’impressione di essere esausti quanto i loro cavalli, o forse erano feriti. Nonostante i sensi acutizzati dei Fratelli dei Lupi, Morgan non riusciva a distinguere il vestiario dei tre, né i loro volti. Segnalò quindi alla truppa di fermarsi, sperando che dal punto in cui si trovavano gli stranieri i soldati non fossero ancora visibili. Smontò da cavallo e, tranquillizzando la bestia perché non si allontanasse, scese velocemente dall’altra parte del poggio. Passando furtivamente da una roccia all’altra, Morgan si avvicinò quanto bastava per vedere che gli sconosciuti indossavano vesti semplici, alla guisa di Coraman. Inoltre puntavano dritto verso la città, la cui ubicazione era conosciuta ai soli abitanti. Tuttavia la prudenza era una virtù che tutti i ribelli imparavano già da bambini, per cui Morgan rimase nascosto fino all’ultimo prima di mostrarsi ai tre cavalieri, così da non dare loro modo di prepararsi delle menzogne o altri trucchi. Almeno due degli uomini erano visibilmente feriti, e il terzo appariva stremato, forse dallo sforzo di condurre anche le altre cavalcature. Morgan percepì in quest’ultimo, un uomo di mezz’età con un viso squadrato e segnato da alcune cicatrici, la capacità di incanalare. Pur vergognandosi di dovere essere così severo, gli si rivolse perentoriamente:
«Identificatevi!».
L’uomo che teneva le briglie non fermò subito i cavalli ma fissò Morgan con sguardo frastornato per alcuni istanti; poi, riscuotendosi, tirò le redini e si guardò attorno.
Non mi conosce, pensò Morgan, quindi sta valutando la situazione. Per prima cosa giudicherà se costituisco una minaccia o meno: dalla sicurezza che ho ostentato sa che non sono solo. Poi, però, valuterà quanto dista Coraman: essendo ormai vicini, si dovrebbe fidare. Maledetti Manti Bianchi! Se non ci fosse continuamente il rischio di spie ed infiltrati non saremmo costretti a questo stupido gioco di sospetti!
«Siamo Faine, veniamo da un avamposto dall’altro versante del passo di Avende.», rivelò infine lo sconosciuto «L’avamposto è stato attaccato da trolloc in forze. Siamo probabilmente gli unici superstiti...».
Riconoscendo l’accento di Coraman e la sincera disperazione nella voce del sopravissuto, Morgan si presentò velocemente e richiamò il proprio cavallo con un fischio, «I miei uomini sono appena al di là di questa collina. Aiuta i tuoi compagni a smontare, intanto vado a chiamare un guaritore dei Nad’al che è con noi.».
Una Guarigione venne infusa ai feriti, che poi, fatti montare con due soldati, furono accompagnati a Coraman. Morgan intanto aveva chiesto al terzo superstite qualche dettaglio in più sull’attacco, «Saranno stati almeno un centinaio di trolloc, ma è difficile dire con esattezza perchè non li abbiamo visti arrivare. E’ successo poco prima dell’alba: sono piombati sul campo circondandoci. Ancora non riesco a capire come siano riusciti ad eliminare le sentinelle senza che lanciassero l’allarme... Erano in quattro di guardia, tutti incanalatori. Io ero il quinto incanalatore: uno a turno rimane di riposo; so bene come funziona la sorveglianza. Con le tessiture d’allarme di Spirito tutt’attorno, è impossibilie avvicinarsi! E poi, anche se la sentinella cade, risuona un allarme al centro dell’accampamento!».
Il ribelle, seduto su un masso, con le mani che tremavano per lo sforzo compiuto e per la tensione che gli causava il ricordo dell’attacco, scuoteva la testa incredulo: «Da quando avevamo eretto l’avamposto, alcuni mesi fa, nessuno si era avvicinato al campo. I Manti Bianchi hanno un distaccamento lì vicino, ad Adendath, e la nostra missione era appunto di tenerli d’occhio; ma in quattro mesi non sono riusciti ad individuare la nostra postazione! Forse i ragazzi, sentendosi al sicuro, avevano un po’ abbassato la guardia... Mantenere gli allarmi è faticoso, ed essendo in pochi eravamo sottoposti a turni estenuanti... Erano tutti giovani della tua età, li avevo addestrati io personalmente. Dannazione! Perchè è dovuto succedere proprio quando ero di riposo?».
Morgan abbassò lo sguardo davanti all’espressione angosciata del Faine: non aveva una risposta alla sua domanda. Pur non essendo esperto nell’uso di Spirito, conosceva le tessiture d’allarme, e sapeva che non si potevano oltrepassare, a meno che... «I flussi erano invertiti?».
«No, lo consideravamo laborioso ed inutile: non hanno Traditori ad Adendath...», rispose l’altro «Perchè? Sospetti che degli incanalatori abbiano disinnescato gli allarmi? Non è da escludere. Il manipolo di trolloc era ingente, e ho intravisto almeno un Myrdraal... Non mi sorprenderebbe se avessero avuto anche degli incanalatori. Ma perchè prendersi questo disturbo per eliminare un piccolo avamposto?».
«Non lo so, spero di scoprirlo. Però occorre portare questa notizia a Coraman il più presto possibile: forse l’Ombra sta attaccando gli avamposti per poi convergere sulla città!».
Nonostante la stanchezza, il Faine si costrinse ad alzarsi in piedi «Che la Luce ci protegga! Devo andare immediatamente a fare rapporto agli Anziani.».
«Cambia il tuo cavallo con uno dei nostri: sono ancora freschi.», suggerì allora Morgan. «Grazie ragazzo. E fai attenzione!», e i due si accomiatarono.



Mabien Asuka

«Aiutami ad alzarmi» disse Mab, allungando una mano verso Hysaac. Lui si avvicinò, ma prima di aiutarla balbettò «Cos... cos'erano quelli?» tremava.
«Aiutami adesso, alle spiegazioni ci pensiamo dopo» e afferrò le mani del ragazzo, per mettersi in piedi. Aggrappandosi dolorosamente a lui raggiunse il bordo della strada e si mise a sedere appoggiandosi ad un albero poi gli ordinò «Vai a recuperare i nostri bagagli e vedi se riesci a portare qui un po' di acquavite»
Hysaac si muoveva più lentamente di quanto lei avrebbe voluto, non smetteva di fissare i cadaveri dei trolloc e aveva l'aria assente di una persona che ha appena perso tutte le proprie certezze, ma Mab non aveva tempo per preoccuparsi della sua salute mentale. Cercò di esaminarsi la ferita: come previsto si era riaperta, era imbrattata di fango e aveva un pessimo aspetto, il dolore non accennava ad attenuarsi.
Il ragazzo tornò con le loro cose: i suoi libri sembravano quelli che avevano risentito maggiormente dell'incidente, ma lui non pareva preoccuparsene, appoggiò tutto a terra accanto a lei e si chinò a guardarle il taglio. Per prima cosa Mab prese una borraccia d'acqua, con cui tentò di pulirsi, ma lui la fermò
«Lascia fare a me: ho fatto pratica sugli animali di mio zio, il sangue non mi fa impressione»
Spostò con delicatezza i lembi degli abiti della ragazza per liberare il più possibile la zona ferita, iniziò a rovesciarci sopra dell'acqua, ma quando andò per toccarla, la sua mano si bloccò titubante
«Sono un'incanalatrice, non ho una malattia, se è quello che ti disturba» disse lei, immaginando quale fosse la causa del suo tentennare
«No, non è quello, cioè... si... no, quello è un altro discorso, è che è diverso che avere a che fare con la zampa ferita di un vitello. Ho paura di farti male»
«Per la Luce, me lo auguro di essere diversa da un vitello!» sdrammatizzò lei, ma lui non disse nulla, non sorrise nemmeno, lo sguardo ancora fisso sul ventre di Mab e quella sua tipica espressione da ragazzino scanzonato che già pareva un vecchio ricordo. Si era tirato indietro quasi tutti i capelli, ma qualche ciocca continuava a ricadergli davanti, le folte sopracciglia e la mascella delineata erano contratte mentre pensava a come intervenire.
«Forse è meglio che ne bevi un po', prima che la usi per disinfettarti» e le allungò quel che rimaneva di una delle otri, ora ridotta ad una sorta di scodella malmessa. Quella roba era dannatamente forte, ma la tracannò sperando che potesse aiutarla a sopportare il dolore. Non fu affatto così e quando lui gliela passò sulla ferita, Mab non potè fare a meno di gridare.
«Non ha funzionato, eh?» chiese lui che intanto si era fermato
«Assolutamente no, dammi qua» e si fece aiutare a berne ancora: il risultato fu che sentiva comunque dolore, le girava la testa, lo stomaco le si rivoltava e la stanchezza dovuta al fatto di aver lottato e incanalato si faceva sentire ancora più forte. Mentre lui continuava a pulirle la ferita e cercava di fermare l'emorragia almeno temporaneamente, la ragazza sentiva le forze venir sempre meno, ma non poteva cedere: al prossimo villaggio mancava circa un'ora di viaggio se avessero avuto ancora il carro, ma adesso che erano a pieni e lei era in quello stato, almeno quattro ore di cammino non gliele avrebbe tolte nessuno. Era già pomeriggio inoltrato, dovevano rimettersi in strada al più presto per raggiungere un posto sicuro, dopo quel brutto incontro a maggior ragione.
Hysaac l'aveva curata come meglio poteva e l'aveva aiutata ad alzarsi, dopo che lei si era cambiata con qualcosa che almeno non fosse ricoperto di fango e sangue. Recuperare le armi era una cosa che le aveva sempre dato fastidio e non riuscì ad evitare di dare di stomaco mentre estraeva la spada dai resti di uno dei trolloc. Malgrado tutto non stava troppo male e riuscì ad affrontare la lunga camminata: a parte il fatto che doveva reggersi a lui, era quasi presentabile e quando arrivarono al villaggio non diedero troppo nell'occhio.
Durante il viaggio Mab aveva dovuto dare qualche spiegazione sull'accaduto: nell'incredulità del ragazzo, gli aveva parlato di trolloc, di creature dell'Ombra e del Tenebroso, del Potere e delle persone in grado di usarlo, per quel che ne sapeva almeno, specificando che non erano affatto leggende o racconti di menestrelli, come aveva appena potuto constatare. Quando però lui volle sapere qualcosa in più su di lei, Mab pose fine alla discussione
«Ma scusa, sei tu che mi hai coinvolto in tutto questo» protestò Hysaac
Mab lo trapassò con lo sguardo «Tu ti sei autoinvitato sul mio carro, o accettavo o tanto valeva dire che ero un'incanalatrice in fuga dalla città. Quei trolloc ti avrebbero assalito anche se avessi viaggiato con un vero mercante di liquori, dovresti piuttosto ringraziarmi perchè ti ho salvato la pelle»
«Su questo non c'è dubbio, anzi davvero, cercherò il modo di sdebitarmi, però credo comunque di avere il diritto di sapere chi sei»
«No»
«Se i Manti Bianchi dovessero prenderci, sarei accusato anch'io di tradimento per il solo fatto di viaggiare insieme a te, non hai motivo di tenermi ancora nascosto qualcosa. Non credi che sarebbe giusto farmi almeno sapere per chi sto correndo il rischio?»
«No»
«Non ho intenzione di tradirti, puoi fidarti di me!»
«Se non mi fidassi, saresti già morto. Dovresti ringraziarmi anche di questo»
Gli occhi verdi di Hysaac erano schizzati mentre si girava a fissarla, dopo di che non disse più nulla.
Al villaggio trovarono ancora una stanza con due letti, dove Hysaac riuscì a prendersi meglio cura del taglio di Mab, quindi scesero a mangiare ancora nel silenzio quasi totale: forse l'aveva spaventato più del dovuto, era solo un ragazzo la cui visione del mondo era stata sovvertita nel giro di una decina di minuti, nessuno però aveva consolato lei quando le era capitato lo stesso anni prima eppure era ancora lì, il ragazzo si sarebbe fortificato, il che era solo un bene. Rinfrancata dal pensiero, diede un altro morso alla coscia di pollo che teneva poco elegantemente in mano. Parlarono solo per decidere il da farsi per riprendere il viaggio: l'indomani avrebbero comprato due cavalli, compromettendo seriamente le loro finanze, ma così sarebbero bastati due o tre giorni al massimo per arrivare a Dobied e una volta lì Hysaac avrebbe potuto accedere liberamente al denaro di cui disponeva in banca. Mab aveva sperato di non doverci nemmeno entrare in città, ma il ragazzo voleva sdebitarsi con lei almeno in quel modo e lei non era affatto nella posizione di poter rifiutare una simile offerta.
Ora che sapeva, Hysaac rimase in sala mentre la ragazza saliva in camera per prepararsi per la notte. Da sola nella stanza si lasciò prendere da riflessioni amare, tanto che le venne voglia di mettersi a piangere, cosa che detestava fare. C'erano momenti però, e questo era uno di quelli, in cui aveva la netta sensazione che tutti i suoi sforzi fossero vani. Si stupì nel trovarsi a pensare con nostalgia a quegli ultimi anni a Kiendger: in un certo senso Krooche le aveva dato una sorta di stabilità, o comunque qualsiasi cosa fosse ora le mancava terribilmente, per quanto le desse fastidio ammetterlo. Pur non avendo ceduto alle lacrime, l'espressione del suo volto doveva essere abbastanza esplicita perchè Hysaac si mise a sedere sul letto accanto a lei
«Posso fare qualcosa?»
Mab alzò su di lui lo sguardo assente, stupendosi di trovarlo lì. Non si era accorta che fosse entrato in camera.
«No. Niente. Buonanotte» cercò di liquidarlo
«Smettila di trattarmi come un moccioso. Mi hai salvato la vita oggi, se posso aiutarti in qualche modo, lo voglio fare, dico davvero»
Mab sospirò
«Sono solo stanca Hysaac, stanca di tutto questo, stanca di scappare continuamente, nascondermi e arrabattarmi in ogni modo per sopravvivere. Dopo tutta questa fatica l'idea che la mia corsa possa essere fermata da uno stupido trolloc... Vorrei solo potermi fermare, ma non posso, dovrei non essere chi sono, ma è un discorso senza senso»
Doveva assolutamente raggiungere i ribelli, ovunque essi fossero: di loro aveva solo sentito parlare, ma erano la sua sola speranza per vendicarsi di tutto ciò che aveva subito e per riportare alla normalità la sua città natale, posto che ce ne fosse ancora bisogno o che semplicemente non fosse irrimediabilmente troppo tardi. Quando era stata allontanata da Daing, la situazione volgeva al peggio, ma chissà cos'era successo in ormai dieci anni di lontananza. Con aria di rassegnazione tornò a guardare il ragazzo
«Sono solo stanca»
Si sentì a disagio nel trovarsi all'improvviso tra le sue braccia, tanto che non ricambiò il gesto, rimanendo immobile mentre lui la stringeva e diceva
«Non sarà molto, ma è l'unico aiuto che posso darti per ora»
Poi allontanandosi da lei continuò
«Almeno puoi dirmi il tuo vero nome adesso?»
«Puoi chiamarmi Mab»
Era la prima volta che diceva il proprio nome ad alta voce da quando a diciotto anni era stata portata a Kerine per essere venduta come schiava.
«Devo proprio confessarti una cosa, Mab: sono lieto di aver scoperto che sei una donna»
«Perchè?»
«Mi stavo rendendo conto che mi faceva troppo piacere vederti sorridere. Avevo cominciato a farmi delle domande!»
Mab sorrise «Non farmi ridere che mi fa male il taglio»
La rassicurante espressione da ragazzino era ritornata, segno che digeriva piuttosto bene i cambiamenti. Il tempo di augurarsi la buona notte e lei crollò nel sonno.

Il mattino sembrò arrivare troppo presto per Mab, ancora terribilmente indolenzita dall'attività del giorno prima, ma entrambi avevano voglia di mettersi in marcia al più presto: trovarono un paio di cavalcature a buon prezzo e in men che non si dica erano già in strada. La ragazza però non poteva permettersi un'andatura troppo veloce e dopo due giorni di viaggio, ancora non erano giunti a Dobied. Dopo una sosta per la notte ad un villaggio in cui avevano dovuto dormire in una camera matrimoniale, si erano messi in strada di buon'ora contando di arrivare in città nel pomeriggio. Hysaac aveva una pessima cera, gli occhi pesti di chi non aveva chiuso occhio, addirittura non parlava: le aveva detto che avrebbe dormito meglio seduto sulla sedia, ma lei aveva insistito pensando che lo facesse solo per cavalleria, invece... Luce, da dove usciva fuori quel ragazzo?
Mab si stava divertendo a punzecchiarlo in proposito quando videro la figura di un uomo a cavallo procedere in direzione opposta alla loro, niente di insolito o preoccupante se non che dopo qualche metro capirono che si trattava di un Manto Bianco. Procedettero fino ad incrociarlo, per sicurezza Mab aveva messo in pratica un trucco imparato da Ellis – quel nome continuava a farla sentire ingiustamente in colpa - anni prima, che le permetteva di nascondere il fatto che poteva incanalare, una precauzione eccessiva visto che lui non se ne sarebbe comunque potuto accorgere, ma la prudenza non era mai troppa. Quando furono abbastanza vicini riconobbe il volto di un uomo che lavorava per Krooche e che disgraziatamente conosceva bene anche lei per aver fatto alcune missioni insieme. Salutarono con reverenza, come si conveniva normalmente al cospetto di un Figlio della Luce, lui ricambiò con un lieve cenno della testa e li oltrepassò. Mab stava per rilassarsi quando udì gli zoccoli del cavallo dell'uomo tornare verso di loro, il cuore le tornò in gola
«Aspetta un attimo. Tu! Girati!»
Hysaac si era già voltato, lei dovette fare altrettanto. L'uomo le si avvicinò, osservando il suo viso con attenzione
«Che la Luce mi accechi se tu non sei Lamya Jabar. Cosa stai cercando di fare qui?»
«Hysaac allontanati» disse lei piano, senza guardarlo. Il ragazzo confuso fece fare qualche passo indietro al cavallo
«Vattene!» ma lui fece solo qualche altro passo indietro
L'uomo intanto aveva portato il proprio cavallo di fianco a quello di Mab, le loro gambe erano a contatto
«Mi è appena giunta la notizia della tua morte, ma mi sembri in forma per essere un fantasma» e le prese il volto con una mano
«Lasciala stare!» Hysaac si stava stupidamente facendo avanti per fronteggiarlo, ma Mab, liberatasi dalla presa, si girò furiosa
«Ti ho detto di andartene!» e gli indicò la strada «Vai!»
Lui tentennò, ma poi si allontanò. Mab tornò a guardare l'uomo a pochi centimetri da lei
«Graham mi ha fatta andare via»
Il Manto Bianco rise di gusto «Certo proprio lui, come no? Mi ha appena chiamato a rapporto: è successo qualcosa in città e dobbiamo intervenire.» Sorrise beffardo «E' una fortuna averti incontrata, così verrai con me»
«Io ne sono fuori»
Lui rise di nuovo
«Immagino che ti piacerebbe, ma non esiste che io lasci libera una strega maledetta: se non vuoi seguire la Luce, non hai diritto di vivere!» un attimo dopo con un flusso d'aria Mab bloccava il pugnale con cui lui stava tentando di ucciderla. Il resto avvenne in pochi istanti: lui aveva allungato l'altra mano per afferrarle la gola, ma si era trovato bloccato anche quella, poi si era trafitto letalmente con la sua stessa arma spinta dai flussi controllati dalla ragazza, che intanto lo fissava in occhi iracondi e terrorizzati insieme. Gli si colorarono di sangue le labbra e poco dopo cadde da cavallo. Mab tolse la sella dall'animale e lo colpì per farlo correre via. Poi, ancora con l'aiuto del Potere, bruciò il cadavere e le sue cose perchè non fossero minimamente riconoscibili, quindi ne gettò i resti tra la vegetazione, il più possibile lontano dalla strada. Spossata dallo sforzo, risalì a cavallo e raggiunse Hysaac che aveva fatto solo poche decine di metri e che quindi aveva visto tutto. Prima ancora che lui potesse aprir bocca, lei cupa disse «Non dire una sola parola» e ripresero il viaggio.
Era tardo pomeriggio quando scorsero le mura di Dobied: il documento mostrato alle guardie ai cancelli provocò un mormorio tra i due soldati che lo lessero, ma i ragazzi vennero fatti passare senza controllare altro. Per quella notte avrebbero dormito in una locanda fuori dal centro, il giorno dopo Hysaac sarebbe andato in banca, avrebbe dato a Mab di che campare per un po' e poi si sarebbero salutati: lui sarebbe entrato all'accademia come sognava, lei avrebbe ripreso il suo viaggio verso nord, come doveva.



Siadon

Seduto di fronte al caminetto acceso, nelle sue stanze al monastero di De’domorashi, Siadon stava osservando i riflessi delle fiamme rincorrersi lungo la lama di un antico pugnale, il migliore che avesse mai avuto. Era un’arma terribile, creata tramite il Potere dai suoi fratelli durante la tirannia, forse addirittura prima. Non era lunga quanto le armi che usava ultimamente, non sarebbe servita a molto contro una spada ma era perfetta per i lavori discreti e silenziosi, talmente affilata che sembrava in grado ti tagliare persino i riflessi del fuoco e con un complesso intreccio di solchi e scanalature studiati appositamente per trattenere del veleno e rilasciarlo nelle ferite.
Sarai stanco di fare il soprammobile pensò rivolto al pugnale, poi ne immerse la lama in un liquido scuro, ormai tiepido, contenuto in un bicchiere poggiato di fianco a lui. Siadon osservò ammirato il metallo rifiutarsi di gocciolare mentre lo estraeva lentamente, per poi avvolgerlo nella custodia e nasconderlo sotto la pesante tunica grigia che ancora portava.
Dal suo arrivo, la sera prima, era stato sottoposto a otto interrogatori ed ancora non era finita. Solitamente significava la morte di qualcuno del gruppo ma in questo caso poteva trattarsi semplicemente della particolarità delle notizie. Se così deve finire, così sia pensò gettando il bicchiere dal balcone.

Era tornato a sedersi da poco quando bussarono alla sua porta e Gurlav entrò nella stanza. «Seguimi» disse semplicemente l’anziano, significava che ancora non era stato riconosciuto come un fratello. Dannazione, tra tutti proprio lui?! Chissà che razza di antidoti si beve questo a colazione! Pensò Siadon mentre usciva dalla stanza. Era sicuro di non aver lasciato nessun indizio, il fungo usato per il pugnale non emanava nessun odore, inoltre stava sveglio solo grazie ad un infuso di alcune foglie che di certo avrebbe coperto qualsiasi altra essenza.
Ignorò i due uomini che attendevano appena fuori e seguì il vecchio percorrendo diversi stretti cunicoli illuminati da una serie di candelabri. Un’altra volta? Si domandò Siadon realizzando che si stavano dirigendo verso le stanze usate per gli interrogatori. Non ne fu sollevato, lui stesso aveva ucciso qualcuno li dentro, era più che altro sorpreso, non capiva come potessero pensare di ottenere qualcosa di nuovo.
Prima di aprire una pesante porta in metallo Gurlav lo guardò negli occhi, freddo come la morte, il volto solcato da molto più tempo di quanto mostrasse non tradiva alcuna emozione.
Se così deve finire, addio vecchio pensò Siadon sostenendo quello sguardo ed escludendo ogni pensiero, probabilmente sarebbe morto ma non se ne sarebbe andato da solo.
Conosceva quella stanza, era una delle più grandi di quella parte del monastero. Numerosi candelabri illuminavano l’interno, le pareti umide ed ammuffite sostenevano diversi attrezzi in grado di far collaborare chiunque o di far confessare qualsiasi cosa, anche il falso. Non venivano usati spesso, normalmente la sua famiglia non faceva prigionieri e la tortura non era il loro metodo preferito, eppure a volte era un mezzo estremamente efficace per ottenere informazioni.

Quella mattina la stanza era piuttosto affollata, oltre a lui e Gurlav c’erano altre quattro persone, tra cui Thea. Luce.. non vorrà davvero sposarmi! Pensò Siadon mandando in frantumi la calma che lo pervadeva fino ad un attimo prima, poi vide la tavolata al centro della stanza. I ganci e le catene erano stati rimossi per fare spazio a un corpo enorme, dalle forme impossibili. Era stato tagliato e studiato, vedeva chiaramente alcuni organi interni che rispecchiavano l’aspetto esterno. Qualsiasi cosa fosse non era un uomo, ne aveva alcune caratteristiche ma altri tratti appartenevano a qualche bestia delle nevi, soprattutto le corna e gli zoccoli. Ecco perché non erano stupiti.
«Trolloc. O per lo meno è così che chiamano queste bestie i ribelli che abbiamo incontrato» disse in tono piatto Elsa, una Sorella che gli aveva insegnato parecchie cose sul corpo umano. «Ne avevi già viste di simili?» Continuò la donna
«No» rispose Siadon
«Non sembri molto sorpreso»
«Corrisponde a quanto ho appreso in questi giorni»
«La maledetta ed il ragazzo, sì, se non sbaglio vi hanno parlato anche di altre creature, descrivile»
«Una dovrebbe essere più simile ad un uomo, solo molto pallido, con occhi spenti che paralizzano chi li guarda, molto veloce.. dicono abbia dell’acido al posto del sangue e che comandi i trolloc. L’altra creatura l’hanno descritta come una persona comune, solo molto difficile da vedere fino a che non entra in azione, molto agile»
«E tu le hai creduto?»
«Ho creduto che sia lei che il ragazzo la ritenessero la verità»
«E secondo te lo è?»
«Sui trolloc non ho più molti dubbi,» Rispose Siadon guardando la tavolata «immagino esistano anche le altre creature.. anche se mi risulta difficile credere ai loro poteri, penso siano in qualche modo ingigantiti dalla paura»
Elsa prese da terra un sacco e ne svuotò il contenuto di fianco all’enorme corpo. Qualcosa di pallido e tondeggiante rotolò per un istante sul tavolo fermandosi di fronte a lui, era una testa ma non c’erano occhi a fissarlo, solo due cavità, non stentava a credere che combattere contro una cosa simile terrorizzasse la gente.
«Questo lo abbiamo lasciato a contatto del suo sangue» disse Elsa posando un pezzo di ferro corroso sul tavolo, doveva essere stato un pugnale un tempo. Poi continuò «Da quanto tempo li conoscono?»
«Da poche lune, prima facevano parte dei loro miti»
«Li hanno creati loro?»
«Non secondo la maledetta ed il ragazzo, li consideravano nemici, l’ombra stessa» Rispose Siadon. Sapeva di rischiare parecchio includendo l’ombra tra i nemici dei maledetti ma doveva farlo se voleva ottenere qualche indizio.
«Ragazzo, conosci già la prossima domanda» Si intromise Tamara. Non gli aveva mai rivolto direttamente la parola, era una tra le Sorelle più importanti e raramente partecipava agli interrogatori. Era una sognatrice ed a volte aveva vere e proprie premonizioni, con ogni probabilità era stata lei a mettere lui e Thea sulle tracce degli ultimi ribelli.
Luce, potrebbe anche già aver visto questo incontro. Pensò Siadon, non sapeva davvero come funzionassero i doni della donna ma aveva la certezza che quegli occhi potessero leggere i suoi pensieri in quel preciso momento. Ripassò mentalmente i movimenti che stava studiando da quando era entrato, anche se dubitava di poter fare molto. Forse avrebbe ucciso Elsa e con una buona dose di fortuna anche Gurlav ma poi sarebbe morto di certo, probabilmente tramite un coltello lanciato da Thea, era la più veloce tra i presenti.
«Sì» disse infine, percependo la sua voce lontana, come se appartenesse a qualcun altro «penso che il Padre sia giunto, e che dovremmo abbandonare i nostri attuali scopi per cercarlo e per unirci a Lui» Il tempo si fermò nella mente di Siadon, pronto a scattare al minimo movimento ci mise qualche attimo a dare un senso alla risposta di Tamara
«Lo pensiamo anche noi, fratello caro» e quando fu certa che lui avesse capito continuò «noi sei siamo i primi, altri si uniranno ma non vi nascondo che saranno meno di quelli che dovranno morire.» e per un attimo Siadon fu convinto di aver letto amarezza sul volto della donna.



Morgan Neglentine

Stavano scendendo dal passo di Avende, divisi in gruppetti di cinque distanziati tra loro, per meglio coprire il territorio; la spensieratezza e l’allegria dell’inizio del viaggio erano scomparse del tutto, sostituite da fredda determinazione e da un’attenzione assoluta a tutto quello che li circondava, frutto dell’addestramento cui tutti erano stati sottoposti.
Morgan guidava il gruppo centrale ispezionando attentamente tutto intorno, quando improvvisamente il suo udito, reso molto più acuto dalla sua fratellanza con i lupi, colse in lontananza il suono di alcuni corni. Cercando di valutare la distanza, segnalò agli altri di fermarsi: l’ordine raggiunse in breve tutte le squadre, che si raggrupparono nuovamente attorno a lui.
«Cosa succede?», chiese Murriel, una snella ragazza dei Faine, con capelli nerissimi e maliziosi occhi scuri. «Corni.», rispose Morgan sbrigativo, «Davanti a noi, ma non riesco a capire quanto; quasi di sicuro si tratta dei trolloc che cerchiamo.».
Prese dalle bisacce da sella la cartina e aprendola si mise a studiarla attentamente, «Qui!», disse indicando un punto sulla mappa, «Dovremo raggiungere questa collina: da lì avremo una visuale più ampia e forse potremo avvistarli. Affrettiamoci però: se quelli che sento sono i corni dei trolloc significa che si stanno radunando.».
Riposta la cartina, partirono al trotto verso la collina scelta. Dopo poco, pure gli altri iniziarono a sentire i corni e guardarono Morgan un po’ stupiti, non sapendosi spiegare come riuscisse ad udire suoni così distanti. Dopo circa mezz’ora di cavalcata raggiunsero le falde della collina; poi, prestando attenzione, la risalirono, fermandosi poco sotto la cima per non farsi vedere. Smontando, Morgan chiamò a se Murriel e Rourke, un Ladrielle di poco più basso di lui, dai capelli rossi ramati e gli occhi grigi. I tre raggiunsero, strisciando, la cima della collina per scrutare l’altro versante: nell’avvallamento sotto di loro erano una cinquantina di trolloc, guidati da una figura umana coperta da un mantello nerissimo che, anche nella brezza leggera, rimaneva perfettamente immobile «Sangue e maledettissime ceneri!», imprecarono quasi in coro i tre giovani. Poco oltre il manipolo di trolloc ve n’era un altro altrettanto consistente che, aperto a ventaglio, stava spingendo verso il primo un ragazzo, alto e con lunghi capelli castani, armato di spada ma vestito in modo semplice.
«Dobbiamo aiutarlo!», disse Morgan rivolto agli altri due, «Dividiamoci in tre gruppi. Rourke, tu e i gli altri due Ladrielle aggirate sulla destra i trolloc e colpite per primi col Potere. Fulmini e palle di fuoco dovrebbero andare bene, ma cercate di non farli disperdere troppo. Murriel, tu guiderai tutti i non incanalatori laggiù, dalla parte opposta. Io terrò con me alcuni dei Neglentine per attaccare a cavallo, scendendo da questa collina. Prima di entrare in azione raggiungete la posizione e contate fino a cinquanta, dovrebbe essere sufficiente per agire tutti contemporaneamente. Il piano è questo: una volta colpiti con il Potere i trolloc andranno nel panico e fuggiranno nella direzione opposta a Rourke, ritrovandosi bloccati dal gruppo dei non incanalatori. Murriel, se per caso vedi che non abboccano, inventati tu qualcosa con il Potere per attirare la loro attenzione su di voi: ho assolutamente bisogno che i trolloc rompano le righe, altrimenti potrebbero resistere alla nostra carica. Io mi dirigerò al centro, per aiutare quel disgraziato. Quando ci vedrete penetrare nel loro schieramento cessate l’attacco a distanza e cominciate a stringerli in una morsa, prima che abbiano il tempo di riprendersi! Vi è tutto chiaro?».
I due annuirono. «Molto bene, andate allora!».
Quindi tornarono ai cavalli e si divisero come stabilito. Mentre i gruppi di Murriel e Rourke se ne andavano, Morgan spiegò ai suoi la situazione ed il piano, poi iniziò a contare mentalmente per permettere agli altri di disporsi; giunto a cento, spronò il cavallo al galoppo, imitato subito dagli uomini. Mentre si lanciava giù per il versante della collina, scivolò nel vuoto e abbracciò la fonte: ora saidin ruggiva in lui; la lotta per non farsi travolgere era terribile, ma lo faceva sentire più vivo. Iniziò subito a preparare mentalmente i flussi d’Aria e di Terra che lo avrebbero aiutato nella lotta. Era una tecnica di battaglia che apparteneva alla centenaria tradizione di Tsorovarin: l’uso del Potere migliorava le normali forme di combattimento corpo a corpo rendendole micidiali. Flussi d’Aria velocizzavano gli arti e la spada, mentre flussi di Terra infondevano maggior potere ai colpi e alle parate. Dei trenta Neglentine aveva selezionato per la carica solo gli otto che potevano incanalare, proprio perchè potevano usare questa tecnica. Nondimeno, i restanti non incanalatori, andati con Murriel a costituire il muro contro cui speravano di schiacciare i nemici, non erano affatto degli sprovveduti nel corpo a corpo. I Neglentine, infatti, erano considerati i migliori combattenti tra tutti i ribelli, soprattutto con la spada. Nel frattempo, palle di fuoco avevano cominciato a schizzare attorno a lui, mentre fulmini si abbattevano sulle creature creando scompiglio tra le loro schiere. Morgan tirò un sospiro di sollievo: i suoi compagni avevano iniziato l’attacco nel momento stabilito. Disdegnava l’impiego del Potere a distanza, che a suo parere privava una battaglia del leale confronto uomo a uomo, però in questo caso non affrontavano uomini ma bestie deformi e malvagie. Inoltre i ribelli erano in numero di uno a due con i trolloc, e Morgan sapeva di dovere sfruttare il terrore che il Potere incuteva in quei mostri se voleva pareggiare le sorti. Dei dieci Ladrielle che facevano parte della sua compagnia, solo tre, Rourke compreso, incanalavano; eppure qui, al centro della battaglia, sembrava che i proiettili mortali provenissero da tutte le parti in una tempesta di Potere. Questo è strano, si disse Morgan, come fanno a creare tante tessiture così rapidamente? E a scagliare colpi da diverse direzioni? Poi capì: qua c’è la mano di Murriel! Deve avere creato un’illusione per fare apparire più imponente l’impiego del Potere. Morgan non poteva vedere i flussi di saidar, ma era certo che l’ingegnosa ribelle stesse usando un gioco di specchi per confondere e spaventare i trolloc, i quali infatti stavano sbandando. Incerti se fuggire in questa o quella direzione, le creature erravano perse nel mezzo della battaglia, nonostante gli sforzi dei Myrdraal per mantenerle in riga. Le esplosioni avevano creato ampi varchi tra i nemici, e, attraverso essi, Morgan guidò i suoi verso il cuore dell’assembramento. Ad un certo punto, un trolloc sulla sua traiettoria sembrò riscuotersi dalla paura che lo paralizzava e alzò la sua rozza spada arrugginita in un tentativo di opporsi. Morgan inizialmente caricò un fendente diretto al capo del mostro, poi si abbassò improvvisamente sulla sella per evitare il colpo dell’avversario e colpirlo invece a metà del tronco. Una delicata tessitura d’Aria rendeva lo spadone che gli aveva regalato il padre ancora più leggero di quanto fosse già di per sé, e Morgan fece volteggiare l’arma con semplicità. Un flusso di Terra aggiunto all’ultimo istante al movimento della lama fece sì che questa trapassasse il corpo della robusta creatura come se fosse stato di burro. Un secondo trolloc che si era piazzato sul suo cammino fissò sbalordito il compagno che veniva dilaniato e con un ringhio roteò la propria ascia bipenne per calarla sul cavallo di Morgan. Quest’ultimo intessé rapidamente un’altra tessitura d’Aria che fece cambiare istantaneamente direzione alla propria spada, e con questa scoccò un colpo ad uscire che tranciò il braccio del mostro causando un fiotto di sangue nerastro. Un battesimo di sangue per il mio nuovo spadone, pensò Morgan con sarcasmo.
Il ragazzo si permise una veloce occhiata tutt’intorno. I suoi otto compagni si erano disposti dietro di lui in un piccolo cuneo e la carica li portò bene addentro le linee dei trolloc. Mentre cavalcavano colpivano a destra e sinistra dispensando morte e atroci ferite alle creature, ancora stordite dal violento e inaspettato attacco.
Dopo averne abbattuto altre quattro, aiutato dall’impeto della cavalcata Morgan si trovò nel mezzo dell’ammasso di creature. Alle sue spalle gli altri incanalatori Neglentine stavano combattendo ferocemente per aprirsi un passaggio. All’esterno, Morgan vide i guerrieri di Murriel disporsi in circolo per accerchiare il nemico.
La battaglia era frenetica: i trolloc erano stati decimati dalla scarica di Potere, ma erano pur sempre avversari temibili da combattere. Improvvisamente un lampo di luce solcò l’aria proprio di fronte a lui, e Morgan si voltò appena in tempo per vedere una palla infuocata esplodere a poca distanza sulla sua destra. Ma cosa gli è saltato in testa? Gettare palle di fuoco in questa mischia? Stava per girarsi verso Rourke per fermarlo, quando si accorse che il proiettile era stato indirizzato ad un myrdraal. L’essere umanoide aveva schivato all’ultimo, con un’agilità sovrannaturale, e ora si dirigeva verso un suo simile impegnato in un duello per dargli manforte, anche se l’avversario sembrava già sul punto di cedere. E’ il ragazzo che abbiamo visto dalla collina... I fade lo faranno a pezzi, per fortuna che Rourke se n’è accorto! E, con un colpo di sprone, Morgan lanciò il cavallo puntando dritto su una delle due creature. Il myrdraal si accorse però dell’attacco e, con un movimento fulmineo, si spostò di lato in modo da essere coperto dal ragazzo che stava affrontando. Morgan trattenne il colpo e fece deviare il cavallo, con l’intenzione di voltarsi e tornare alla carica sul myrdraal. Quest’ultimo, però, si era mosso con destrezza e, con un unico fluido movimento, aveva contemporaneamente schivato un colpo del giovane sconosciuto e tranciato con una sciabolata il sottopancia della sella di Morgan. Il cavallo venne ferito leggermente e si impennò, disarcionando il ribelle. Attutita la caduta con una capriola, Morgan balzò in piedi, impugnando saldamente a due mani lo spadone e preparandosi allo scontro. Mentre l’altro ragazzo fronteggiava uno dei due Myrdraal, Morgan, dandogli le spalle, si mise di fronte a quello che l’aveva appiedato. I due esseri ebbero un momento d’esitazione, guardandosi. O, per meglio dire, volgendo il viso l’uno verso l’altro, visto che erano privi di occhi. Morgan colse l’occasione per mettere in guardia lo straniero: «Stai molto attento, questi maledetti sono veloci e pericolosissimi. Soprattutto cerca di non farti ferire: le loro lame sono velenose!».
«Non so chi siete, ma vi devo la vita!», rispose quello. Riportando l’attenzione sul Fade, Morgan vibrò un fendente diagonale, dall’alto verso il basso, cercando si squarciarlo per tutta la lunghezza, ma il myrdraal parò con la propria spada. La lama nera, macchiata dalla contaminazione del Tenebroso, si scontrò con un forte clangore con quella sfavillante marchiata con l’orso dei Neglentine, e scintille sprizzarono ovunque. Veloce come un serpente la creatura passò all’attacco, ma Morgan non si lasciò cogliere impreparato e parò a sua volta, irrobustendo la parata con una tessitura di Terra. Dopo una serie di affondi e risposte rapidissimi, il ragazzo colse uno spiraglio e, con un colpo preciso, amputò la mano del Fade che reggeva la spada; poi, con un violento montante, gli staccò la testa. Il corpo della creatura crollò al suolo agitandosi violentemente, rifiutando di accettare la propria morte. Scostandosi leggermente, il ribelle si voltò per controllare come se la stesse cavando l’altro uomo, appena in tempo per vederlo trafiggere il suo avversario e, convinto di averlo finito, ritrarre l’arma e voltarsi. «Sciocco!», gridò Morgan, lanciandosi in un balzo disperato verso lo sconosciuto. Poi, aiutandosi con flussi d’Aria, lo superò, frapponendosi tra questo e il myrdraal. La creatura fu quindi colta di sorpresa mentre indirizzava una facile stoccata alle spalle del giovane. Morgan, deviato appena in tempo l’affondo, colpì di nuovo velocissimo e, con la grazia di un vero maestro spadaccino, decapitò anche questo nemico. Ansimante, si rivolse al ragazzo: «Allontaniamoci da qui: queste creature sono dure a morire. Il loro corpo continua ad agitarsi e colpire, rifiutandosi di ammettere di essere morto!».
«È la prima volta che affronto un nemico del genere...», rispose, «Ti sono debitore. Comunque adesso muoviamoci!».
Allontanandosi, i due poterono vedere la valle disseminata di corpi dei trolloc eliminati durante il massacro, alcuni che ancora bruciavano in conseguenza delle palle di fuoco. Morgan rimase stupefatto della velocità con cui lo scontro si era concluso; preso dal duello con i myrdraal, non si era accorto che parecchi trolloc avevano sfruttato un varco nell’accerchiamento per fuggire, ed ora venivano inseguiti da una serie di fulmini e palle di fuoco. Sul campo di battaglia rimanevano numerose carcasse dei mostri, probabilmente almeno due terzi del loro numero, secondo una rapida stima. Morgan si guardò attorno con ansia cercando i propri caduti. Mentre passava in rassegna i cadaveri, di quando in quando dando il coplo di grazia ai Trolloc che davano un minimo segno di vita, vide il Guaritore del gruppo correre da una parte all’altra del campo, cercando di assistere i feriti più gravi. Benché sapesse che non avrebbe dovuto fargli perdere tempo, Morgan non resistette all’impulso di chiedergli una stima delle perdite; tirando fiato, il ragazzo dei Nad’al rispose che aveva trovato cinque cadaveri, e che su due dei feriti la Guarigione non era riuscita: non sarebbero arrivati a sera. Morgan sentì il peso della responsabilità piombargli improvvisamente sulle spalle. Era stato relativamente facile trovare il coraggio di accettare questa missione: anche se avevano saputo dall’inizio che avrebbero incontrato nemici, nessuno dei ragazzi della sua compagnia aveva esitato. «So che non temi la morte, Morgan, la morte non fa paura quando sei giovane.», gli aveva detto un anziano membro del Consiglio di Tsorovarin alla loro partenza, «Vivere quando i tuoi compagni sono morti: ecco di cosa devi avere paura.».
Cercò di convincersi che il debito di morte che aveva pagato per avere affrontato un nemico di due volte più numeroso era oggettivamente scarso. Ma sapeva che, nella propria coscienza, avrebbe rimpianto ogni singolo caduto, di questa e delle future battaglie. Tornando sui propri passi, Morgan si diresse poi verso il proprio cavallo per ammansirlo: il taglio che aveva ricevuto non era grave e non avrebbe avuto bisogno di cure urgenti. D’un tratto, avvertì alle sue spalle la presenza di un incanalatore e si voltò, aspettandosi di trovarvi Rourke o uno dei Neglentine che avevano partecipato alla carica. Con uno stupore che stentò a celare, si trovò invece di fronte al ragazzo che avevano salvato. Intento nel proprio sopralluogo del campo di battaglia, si era dimenticato del poveretto, che ora gli si era avvicinato e lo gaurdava con uno sguardo perso. Chi è quest’uomo che pur attaccato da un drappello di trolloc disdegnava di usare il Potere? O forse non sa di avere il Dono? Improvvisamente la strana scena che aveva visto dalla collina, con cento trolloc che si prendevano la cura di circondare un uomo solo, assumeva un significato ai suoi occhi: le creature temevano il ragazzo, sapevano che può incanalare! Questo naturalmente presupponeva che le forze dell’Ombra fossero state inviate qui appositamente per ucciderlo, e Morgan si chiese quale potesse essere il motivo di tanto disturbo. Poi gli tornò in mente il sogno in cui Nebbia d’Argento gli aveva raccomandato di aiutare un ragazzo che vi era apparso per un istante, accampato lungo una strada. Le fattezze del viso, i grandi occhi castani e i capelli portati sciolti: la persona che gli stava ora davanti era l’immagine esatta del giovane visto in sogno. Lo sconosciuto non aveva rinfoderato la spada, e guardava Morgan con un sospetto crescente. Il ribelle allora si costrinse a mettere da parte gli interrogativi e si presentò, porgendo la mano: «Io sono Morgan. Combatti bene, sei un soldato? Non è da tutti abbattere un myrdraal senza ricevere ferite.».
«Mi chiamo Davrath.», rispose l’altro, lentamente e controvoglia, senza stringere la mano di Morgan, «Avete usato il Potere.».
Quella del ragazzo non era una domanda, ma un’affermazione, pronunciata in un tono che mescolava curiosità e timore. Non sapendo cosa ribattere, Morgan decise di ignorare il commento e, con voce rassicurante gli disse: «Dove sei diretto, Davrath? Se vuoi puoi viaggiare con noi. La zona non è ancora sicura: è probabile che ci siano altri trolloc nei paraggi. Non saresti più tranquillo facendo almeno parte della strada insieme a noi? Lungo il cammino ci potremo conoscere meglio.». Nel frattempo Rourke e Murriel si stavano avvicinando, il primo osservando le carcasse mutilate o bruciacchiate dei trolloc con palese disprezzo, l’altra a testa alta e con un’espressione di autocompiacimento dipinta sul volto. Anticipando l’impazienza dei suoi luogotenenti di parlare della battaglia, Morgan alzò una mano per interromperli ancor prima che potessero aprire bocca, «Questo ragazzo si chiama Davrath. Gli ho proposto di unirsi temporaneamente al gruppo. Naturalmente, se lo desidera, potrà seguirci al villaggio.», e accompagnò questa frase con un’occhiata ad entrambi che li invitava a misurare le parole davanti allo sconosciuto. Davrath, dal canto suo, sembrò combattuto per qualche istante, poi scrollò la testa come per scuotersi di dosso l’indecisione e rinfoderò la spada. Deve aver capito che, se davvero fossimo stati ostili, non ci saremmo lanciati all’attacco di una forza più grande per salvargli la vita, intuì Morgan, e in ogni caso ormai non potrebbe opporre resistenza. «Chi combatte le Tenebre cammina nella Luce! E poi mi avete salvato la vita: diffidare di voi sarebbe un insulto nei vostri confronti.», disse Davrath «Però, quello a cui ho assistito oggi... Quelle esplosioni....», e così dicendo volse lo sguardo al campo di battaglia, su cui già volteggiavano alcuni uccelli da carogna. Rourke, che doveva avere percepito nel ragazzo la capacità di incanalare, sembrò confuso dall’atteggiamento stupito di Davrath nei confronti di palle di fuoco e fulmini. Per evitare che il Ladrielle svelasse incautamente più di quanto fosse sicuro rivelare, Morgan intervenne velocemente: «Quello era il Potere, Davrath, usato come arma. Nel nostro gruppo usiamo il nostro Dono per difenderci dall’Ombra; purtroppo per questo siamo stati banditi dalla Confederazione e dobbiamo vivere in isolamento tra queste montagne... Oggi, se non avessimo usato quelle esplosioni per rompere i ranghi dei trolloc, saremmo noi il pasto di quegli avvoltoi.».
Davrath ebbe un brivido e sembrò convincersi: «Sì, verrò con voi... per un tratto. Devo ancora decidere dove dirigermi esattamente...».
«Bene!», esclamò quindi Morgan con un certo sollievo; per un attimo ho pensato di doverlo condurre con noi a forza, pensò, sono sicuro che quest’uomo ha un posto di rilievo nel Disegno: Nebbia d’Argento non me l’avrebbe mostrato altrimenti.
«Rourke, Murriel, fate seppellire i nostri caduti. E cercate di convincere il Guaritore a riposarsi: ormai ha fatto quel che poteva. I feriti più lievi dovranno aspettare, altrimenti il prossimo a richiedere una Guarigione sarà proprio il Nad’al.», disse Morgan. Poi, guardandosi intorno, pensò: vorrei tanto bruciare le carcasse di queste disgustose creature: sono uno scempio per questa valle. No, no... siamo tutti troppo stanchi per questo lavoro: dobbiamo ripartire subito se vogliamo valicare il passo prima di sera. Morgan sapeva di dover riferire il prima possibile sull’accaduto agli Anziani di Coraman. Pensava, infatti, di aver finalmente individuato la causa del risveglio dell’Ombra.



Fine del primo capitolo



Aaron Gaeleaf Selohim di Balthamel
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Perrin
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 12
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte prima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte prima]

Mabien Asuka

«Che accidenti ha quella da fissare?» biascicò Mab, guardando un punto alle spalle di Hysaac. Dopo essersi accomodati nell'ultima stanza che avrebbero condiviso, i ragazzi erano scesi per la cena e poi si erano intrattenuti nell'ampia sala comune della locanda per rilassare i nervi, cosa di cui Mab soprattutto aveva disperato bisogno. Probabilmente per questo aveva mandato giù qualche bicchiere di troppo, era finalmente tornata a parlare dopo quanto era accaduto quel giorno, ma adesso era decisamente ubriaca. Anche Hysaac aveva alzato un po' il gomito, ma era riuscito a non farsi coinvolgere in tutti i giri d'alcol che lei gli aveva proposto, quindi anche se non era del tutto sobrio, manteneva ancora una discreta lucidità. A quelle parole si era girato seguendo lo sguardo di Mab: ad un tavolo erano seduti cinque Manti Bianchi, quattro uomini e una donna, la quale stava palesemente fissando la sua compagna. Il ragazzo si girò nuovamente verso di lei, le prese l'ennesimo bicchiere di mano, per la verità quasi già finito e disse
«E' meglio se ce ne andiamo»
Quindi si alzò, fece il giro del tavolo e prendendola per le mani, l'aiutò ad alzarsi dalla panca
«Che fai? Ce la faccio benissimo da sola» protestò lei, che appena si liberò dal sostegno, incespicò sulle proprie gambe e fu di nuovo afferrata da lui prima di cadere in avanti. Mentre lei sbuffava ammettendo di aver bisogno di aiuto, Hysaac divertito la scortò fino in camera. La bella donna bionda, la Figlia della Luce, non aveva smesso per un solo istante di tenerle addosso gli occhi gelidi mentre attraversavano la sala.
Appena in camera, Mab si trascinò fino al primo letto e ci si lasciò cadere sopra a peso morto, pancia in basso, braccia spalancate e le gambe che pendevano di lato.
«Ti fidi se sto di spalle?» disse il ragazzo girandosi a contemplare la porta, mentre aspettava che lei si svestisse. Non udendo alcun rumore, si girò: Mab era ancora nella stessa posizione.
«Mab?»
e poi le si avvicinò. Scuotendole una spalla ripetutamente l'aveva fatta mugugnare
«Che vuoi? Lasciami dormire»
«Non puoi dormire così. Dai, tirati su almeno»
L'aiutò a sistemarsi un po' più decentemente sul letto, le sfilò gli stivali quando già si era riaddormentata, dopo di che si fermò a lungo a riflettere sull'ipotesi di toglierle i vestiti. Infine prese una coperta e gliela mise addosso: se si fosse svegliata mentre le slacciava anche solo la giubba, avrebbe potuto ucciderlo e non per modo di dire. Aveva sinceramente paura di lei, da una parte, dall'altra beh...
«Mh... grazie» farfugliò lei, senza nemmeno aprire gli occhi.
Sembrava così indifesa lì in quel momento, era così bella.
«Di nulla, buonanotte».

Nonostante un po' di mal di testa, si era svegliato presto ed era subito uscito per andare in banca, dove aveva ritirato il denaro da dare a Mab. Ora se ne stava seduto su una piccola poltrona in un angolo della stanza, un gomito sul bracciolo e la mano a pugno piantata contro una guancia per sostenersi la testa, qualche spiraglio di luce passava attraverso le ante della finestra quel tanto che gli bastava per poter vedere la ragazza, che ancora dormiva. Non sapeva nulla di lei, era anche onestamente spaventato dalla vita che pareva condurre, eppure all'idea di lasciarla andar via si sentiva male. Continuava a guardarla già da diversi minuti, chiedendosi come aveva potuto non capire subito che era una donna: i capelli corvini avevano si un assurdo taglio pari che scendeva di poco sotto le orecchie, ora le coprivano in modo scompigliato una guancia, nascondendo parzialmente quei suoi occhi strani, neri e misteriosi come la notte e quel grazioso neo vicino all'angolo sinistro della bocca, ma i suoi lineamenti erano così dolci che più l'osservava più si sentiva stupido per aver creduto per un paio di giorni alla bugia che gli aveva raccontato.
Aveva una tale confusione per la testa: si aspettava che la sua vita sarebbe cambiata una volta abbandonata Kiendger, ma certo non poteva immaginare che in soli cinque giorni avrebbe avuto a che fare con un'incanalatrice in persona, avrebbe scoperto sulla propria pelle che i trolloc non erano creature inventate per spaventare i bambini, avrebbe assistito all'omicidio di un Manto Bianco e ne sarebbe stato indirettamente complice. No, questo davvero non se l'era minimamente immaginato. Ancora stentava a credere che fosse successo davvero e che il dolce viso che ora stava guardando appartenesse alla responsabile di quasi tutto ciò. In realtà una parte di lui ammetteva in tutta onestà di non riuscire a rendersene conto, anzi di non volerlo proprio accettare. La cosa che più lo impressionava è che lei invece sembrava aver affrontato tutto con la fredda naturalezza di qualcuno tutto sommato abituato a quel genere di cose, questo lo spaventava e lo confondeva sopra ogni altra cosa. Da quello che era accaduto il giorno prima e da alcune mezze frasi che lei aveva detto mentre si ostinava a tenergli nascosto praticamente tutto, aveva capito che doveva essere strettamente invischiata nei traffici dei Manti Bianchi, per necessità più che per altro. Non credeva fosse una persona malvagia, anzi, ma apparteneva ad un mondo così distante dal suo da non poterlo concepire e dire che probabilmente lei era di poco più grande di lui, ma sembrava esserci un abisso che li poneva su due dimensioni lontanissime per quello che lei doveva aver già vissuto alla sua giovane età.
Mab si mosse, aprì un occhio, lo vide e scattò come un gatto impaurito, per poi rilassarsi subito dopo emettendo un lungo sospiro appena realizzato che si trattava solo di lui. Mugugnò qualcosa che poteva essere un saluto, mentre si stropicciava gli occhi. Poco dopo si prese la testa tra le mani emettendo un pietoso lamento e rimase così per qualche minuto, finchè si alzò e si diresse verso il bacile per immergere la faccia nell'acqua fredda. Appena si fu asciugata, prese un lungo respiro, si girò verso Hysaac con un'espressione che non mostrava emozioni particolari e disse
«E' meglio che io parta subito» e si mise a raccogliere le sue cose.
Il ragazzo era sconcertato, non poteva liquidarlo così come se niente fosse!
«Resta qui» era ancora seduto sulla poltrona, schiena rigida contro il velluto e le mani che stringevano i braccioli.
Mab tornò a guardarlo per un attimo solo accigliata, ma non smise di preparare il proprio bagaglio.
«Davvero Mab, non voglio che tu te ne vada»
«Sei un tesoro Hysaac, ma non è che lo posso scegliere. Questa la posso prendere io?» disse mentre provava la cuffia di lana che gli aveva fatto sua madre. Hysaac allora si alzò, le tolse il copricapo dalla testa e il sacco che stava riempiendo dalle mani. Svettava sopra di lei, non che lei fosse bassa, per essere una donna era nella media, era lui che era molto alto. Sperava che almeno quello gli avrebbe conferito un minimo di autorità.
«Prendimi sul serio una volta tanto: non posso pensare che continuerai a vivere in quel modo.»
Mab si riprese il suo bagaglio seccata
«Ripeto, non è una cosa che posso scegliere: io devo andare»
«L'altro giorno se non ci fossi stato io, chi ti avrebbe aiutata con la ferita? Non posso permettere che tu continui ad affrontare tutto questo da sola!»
«Se non ci fossi stato tu, me la sarei cavata alla meno peggio come ho sempre fatto e ti posso assicurare che ho passato momenti anche peggiori. Hysaac per favore, non rendere le cose più difficili»
«Allora verrò con te!”»
Mab si mise a ridere
«Non dire cose a cui non credi nemmeno tu»
Era vero, non credeva di volerla davvero seguire, sangue e ceneri, non sapeva nemmeno dove! Però sentiva di dover far qualcosa per stare ancora con lei o non se lo sarebbe perdonato.
«Almeno rimani qualche giorno, il tempo di guarire del tutto» il tono era di patetica supplica, se ne rendeva miseramente conto.
Mab allungò una mano per poggiargliela su una guancia
«Basta Krooche, questo è un addio» le sue labbra sorridevano, gli occhi no
«Krooche?»
«No, niente scusa, gli effetti dell'alcol»
Sembrava stupita di quel che aveva detto. Hysaac ricordava di aver letto su un libro di filosofia che certi errori avevano significati reconditi, in particolare chiamare una persona col nome di un'altra poteva essere facilmente riconducibile a desideri inespressi.
«Chi è? Conosco un ufficiale maggiore dei Figli con quel nome»
«E' solo un errore, ho bevuto troppo ieri sera. Smettila!» rispose secca. Aveva ripreso energicamente a mettere le sue cose nel sacco e sembrava non ammettere repliche sull'argomento, non c'era più nulla da fare.
Lui abbassò la testa e si lasciò cadere a sedere in fondo ad uno dei letti
«Quel sacchetto è per te» e gli indicò il sacchetto di monete. Lei lo prese, mise qualche moneta nel borsellino che legò in cintura, altre le infilò sotto la camicia e un'altra parte ancora la mise nel bagaglio. Si lisciò un po' gli abiti sgualciti su cui aveva dormito, si passò la soda sui denti e si spazzolò i capelli. In fretta indossò stivali e mantello, raccolse le sue cose e gli si avvicinò
«Mi dispiace averti coinvolto in tutto questo, dimenticati del mio nome e anche di quello che hai sentito pronunciare dall'uomo di ieri, però mi dispiacerebbe se ti dimenticassi di me»
e detto questo si chinò su di lui, gli passò una mano su una guancia fino a fargli scorrere le dita tra i capelli e lo baciò.
Con il cuore che gli martellava in petto e le idee che gli turbinavano in testa, stava ancora cercando qualcosa, una qualsiasi cosa da dire, quando realizzò che la porta si era già richiusa per sempre alle spalle di Mab.



Merian Elen Syana

Sangue e morte colmavano la valle. Uomini e donne ingaggiavano battaglia contro centinaia di creature deformi. Il fuoco scaturiva dalle loro mani, le spade saettavano senza sosta. Figure dalle sembianze umane si muovevano come ombre silenziose, quasi immuni al tocco delle lame.
Due uomini si trovavano al centro di quel tumulto, schiena contro schiena, fronteggiando quegli esseri senza volto.
La lama nera del Myrddraal si scontrò con quella marchiata con l’airone: un forte clangore riempì l’aria e scintille sprizzarono ovunque. Sinuosa come un serpente la creatura attaccava con rapidità, passando da un movimento all’altro con sorprendente eleganza, ma l’uomo riuscì ad avere la meglio su di essa e con un violento fendente gli staccò la testa.
Il giovane alle sue spalle combatteva con altrettanto ardore la creatura che aveva di fronte: fendente dopo fendente le spade si scontrarono ripetutamente finché il ragazzo non trafisse il nemico.
I capelli castani al vento, il viso spossato, il giovane si voltò per raggiungere il compagno, ignaro del Myrddraal ancora vivo alle sue spalle che calava implacabile su di lui la lama nera...

«No!» gridò Merian tirandosi su di scatto a sedere.
Brienne si svegliò immediatamente e due coltelli comparvero nelle sue mani.
«Che succede?» chiese alla ragazza distesa accanto a lei.
Respirando con affanno e sudando copiosamente, gli occhi sbarrati per il terrore che brillavano nella notte, Merian afferrò una mano della donna – il coltello sparì all’istante nella manica - e sussurrò in preda all’ansia:
«Il ragazzo, lui è...» Lasciò la frase a metà, troppo scossa per continuare.
Brienne ripose anche l’altro coltello al sicuro nella sua manica, si guardò intorno con circospezione e, avvedendosi che nessuno era sveglio, allungò una mano verso la ragazza accarezzandole i capelli come per rassicurarla.
«Non è nulla Merian, è stato solo un brutto sogno. Respira profondamente e cerca di calmarti, va tutto bene.»
Dette da lei quelle parole di conforto suonavano strane, nulla che non fosse brusco usciva mai dalla bocca della donna, ma Merian sconvolta com’era sul momento non vi fece caso.
«Non era solo un sogno, Brienne. Lo sai di che parlo.» Rabbrividì, e accortasi solo allora di stringere ancora la mano dell’altra allentò la presa, senza tuttavia abbandonare del tutto il contatto.
«L’uomo, quello dagli strani occhi, era insieme al giovane e combattevano schiena contro schiena due creature...» Fece una smorfia prima di continuare. «Erano orribili. Non ho mai visto nulla di simile. Potevo avvertire il terrore emanare da quelle... cose e il volto era pallido e privo di occhi. Privo di occhi, ti rendi conto?» Adesso stringeva con forza entrambe le mani di Brienne, ma la donna non si scostò e ricambiò la stretta facendole un sorriso rincuorante. Un sorriso! Da Brienne! Forse stava ancora sognando, si disse Merian, improvvisamente consapevole del comportamento dell’altra donna.
Scacciò dalla sua testa Brienne - non aveva tempo per questo adesso - e continuò:
«Il secondo Myrddraal, lui… lei, non so cosa accidenti sia, per la Luce! Stava per uccidere il ragazzo quando mi sono svegliata. Ho visto la sua lama che scendeva per colpire alle spalle ma non so cosa sia successo dopo.»
Brienne sospirò sollevata e lasciò andare la presa.
«Se non hai visto uccidere il ragazzo allora non puoi sapere con certezza che sia morto. Ti sei svegliata prima che la spada lo colpisse, giusto? E se l’altro uomo lo avesse salvato? Tu stessa hai detto che è un grande combattente, ha ucciso decine di nemici e persino uno di quegli esseri a sangue freddo!» Parlava cercando di infondere sicurezza alle sue parole, ma sembrava volesse convincere più se stessa che Merian.
«Hai detto che doveva sbrigarsi a fare qualcosa di importante e lo hai visto insieme al ragazzo, forse era questo che doveva fare: salvarlo. Sono sicura che ci sia riuscito. Ricorda che lui potrebbe essere il Drago Rinato, credi davvero che non sia stato in grado di difendere un ragazzo dopo quello che ha fatto?» Adesso credeva davvero in quello che diceva e Merian si rilassò e abbozzò un sorriso.
«Forse hai ragione Brienne. Se quell’uomo è davvero il Drago Rinato sarà stato di sicuro in grado di difendere il ragazzo. E’ solo che...» Si strinse nelle spalle, a disagio, scostandosi da Brienne che attendeva immobile come una statua senza dire una parola.
«Questi sogni mi lasciano in bocca un sapore amaro, è difficile conviverci. Tutto quello che vedo non è mai piacevole e non posso fare nulla per cambiare gli avvenimenti. Sogno cose che nemmeno capisco ma che stranamente conosco...» Sospirò. «A volte vorrei solo essere una persona normale, niente sogni e niente...Potere.» Fece una smorfia amara e si volse per sdraiarsi di nuovo, ma Brienne la prese per una spalla per farla girare.
«Il tuo è un dono Merian, non pensarlo mai come qualcosa di diverso.»
La ragazza alzò lo sguardo verso l’altra donna, sorpresa per la sua gentilezza, ma c’era sarcasmo nella voce quando le rispose:
«Un dono dici? Hai visto a cosa mi ha portato. Siamo persone pericolose, dobbiamo essere controllate, tenute lontane dagli altri e in luoghi che ci garantiscano il distacco dall’Ombra, come quello in cui vivevo fino a poco tempo fa.» Disse con una nota di tristezza.
«Vuoi davvero farmi credere che per te quel posto era come una casa? Non essere ipocrita ti prego.
I Manti Bianchi rendono schiave le persone che hanno a che fare con il Potere, ed è questo che hanno fatto di te, una schiava, qualsiasi cosa tu voglia raccontare a te stessa.»
La gentilezza era svanita, anche se sussurrare rendeva le parole della donna meno dure del solito.
«Mi hanno dato una casa quando nessun altro voleva o poteva darmela. Cosa avrei dovuto fare? Il minimo che potessi rendere loro era la mia assoluta devozione. Non sono pentita della mia scelta, il mio è un dono pericoloso Brienne, non sai cosa la gente come noi è capace di fare.»
«Non esistono doni buoni o pericolosi Merian. Sono le persone a fare la differenza, attraverso i loro intenti e le loro azioni. Siamo noi a decidere chi vogliamo essere.» Fece una pausa per guardarsi intorno e poi aggiunse in tono perentorio:
«Vieni con me.»
Si alzò e si diresse verso gli alberi che delimitavano la piccola radura nella quale si erano accampati quella notte. Avevano cavalcato per quasi tutto il giorno cercando di mantenere un’andatura costante che li portasse il più lontano possibile dalla città. Rohedric non aveva ancora detto quale fosse la loro meta, solo che si trovava molto a nord tra le montagne, e che se volevano arrivarci sani e salvi avrebbero dovuto allungare il percorso evitando la strada, per cui si erano diretti a nord-ovest e si erano inoltrati nei boschi che circondavano le grandi città dei Manti Bianchi poste sulla Via Occidentale.
Il terreno accidentato e la copertura degli alberi che lasciava filtrare poca luce non avevano permesso loro di avanzare speditamente, ma almeno erano al sicuro e Rohedric contava comunque di arrivare a destinazione - qualunque essa fosse - in una settimana al massimo.
Merian si alzò senza fare domande e seguì l’altra donna fino al breve corso d’acqua appena entro i margini della boscaglia.
Brienne si sedette su un masso e indicò a Merian di fare lo stesso prima di cominciare a parlare.
«Che cosa sai del tuo potere ragazza?»
Merian la guardò con circospezione: si sentiva confusa dal comportamento di Brienne, le sembrava quasi che l’altra donna nascondesse qualcosa, ma era per natura curiosa e voleva arrivare a fondo di tutte le cose, buone o cattive che fossero.
«Non ne so molto a dire il vero. Da quando i miei genitori hanno scoperto che potevo incanalare mi hanno mandato a Ishamera e non conosco altro che la mia vita all’interno di quelle mura. Vivere in uno stedding mi ha permesso di allontanarmi dalla tentazione e nella mia mente è rimasto solo un vago ricordo di quello che potevo fare. Adesso che sono fuori dalla città è come se qualcosa si facesse strada in me, qualcosa che spinge per prendere possesso delle mie facoltà. Se è questo il Potere, mi spaventa Brienne.»
L’altra donna la guardò per un lungo momento, cercando con cura le parole, prima di parlare.
«Tutto ciò che conosciamo al mondo è governato dall’Unico Potere, Merian.
Quando incanali accedi a quella che viene chiamata la Vera Fonte, più precisamente alla sua parte femminile, saidar. La sua forza può essere travolgente e devi imparare a controllarla, ma quando lo fai, oh Merian, che sensazioni straordinarie potrai provera!» Brienne sorrideva rapita, come se vedesse quella meraviglia con i suoi occhi in quell’istante.
«Come fai a sapere queste cose?» chiese Merian stupita. «Sei un’Incanalatrice? No, non può essere, tu...»
Brienne si riscosse e osservò l’altra donna aggrottando la fronte, poi si alzò e le diede le spalle.
«Mia madre lo era. Mi ha istruito su tutto quanto c’era da sapere sul Potere prevedendo che un giorno la scintilla sarebbe comparsa in me. Aveva una grave malattia, ed essendo l’unica persona della comunità a sapere incanalare, non voleva rischiare di lasciare sua figlia senza un’adeguata preparazione quando se ne sarebbe andata. Avevo dieci anni quando successe.» Emise un sospiro tremante e Merian pensò che stesse piangendo; mosse le labbra per cercare parole di conforto, ma Brienne continuò:
«Si sbagliava. La scintilla non è mai comparsa, sebbene a lungo l’abbia desiderata.» Si girò di scatto e la voce divenne all’improvviso dura.
«Mia madre era una brava donna, guariva le persone grazie a ciò che il Creatore le aveva donato, non puoi dire che questo sia frutto dell’Ombra.»
Merian era disorientata, sembrava che qualcosa di solido l’avesse colpita, non sapeva cosa dire:
una confidenza così intima era l’ultima cosa che si aspettava da parte di Brienne.
Provò un moto di affetto nei suoi confronti, forse dopotutto quella donna severa e rude non era poi così male. Sentì che poteva fidarsi e che quanto le aveva detto era la pura verità, almeno agli occhi di Brienne, e le rispose con sincerità:
«Non metto in dubbio le buone azioni di tua madre Brienne e mi dispiace che tu debba essertene separata così presto, hai tutta la mia comprensione.»
Brienne sembrava altrettanto sorpresa dalla reazione dell’altra, a giudicare dall’espressione del suo viso, e mosse leggermente il labbro in quello che doveva essere un sorriso.
«Se vuoi posso aiutarti a controllarlo,» disse dopo un momento, non c’era bisogno di specificare a cosa si riferisse. «Purtroppo non posso darti altro che le indicazioni che mia madre diede a me, spero saranno sufficienti.» Senza attendere una risposta si sedette a gambe incrociate di fronte Merian e le prese le mani.
«Chiudi gli occhi e svuota la tua mente da ogni pensiero. Mia madre mi diceva sempre di quanto questo fosse difficile all’inizio, ma con il tempo ti verrà naturale come respirare. Ricorda che prima di poter controllare il Potere devi abbandonarti ad esso.»
Merian annuì, incrociò le gambe a sua volta e chiuse gli occhi.
«Ora immagina un bocciolo di un fiore, i petali, le foglie, il suo odore...ogni dettaglio. Immagina di essere il bocciolo stesso, un bellissimo fiore che si schiude alla vita.»
Un bocciolo che si schiude, pensò Merian concentrata.
Un bocciolo… una margherita, un giardino, un giorno di sole su un campo fiorito, camminare all’ombra degli alberi, passeggiare mano nella mano con Mat... oh le sue dolci labbra, il suo caldo sorriso, i baci appassionati...
«Merian!» la sgridò Brienne. «A che accidenti stai pensando?»
La ragazza aprì gli occhi di scatto e arrossì quando si rese conto che stava sogghignando come una stupida ragazzina: la sua mente aveva cominciato a vagare per luoghi che era meglio non prendere, non in compagnia di altre persone almeno!
«Scusami Brienne,» disse con imbarazzo «mi sono distratta.»
«A chi stavi pensando?» le chiese l’altra con un sorriso malizioso. «Non pensare di ingannarmi, so bene che espressione ha una donna quando pensa a un uomo.»
Merian storse le labbra aggrottando le sopracciglia e chiuse gli occhi riprendendo l’esercizio, ignorandola deliberatamente. Sentì Brienne ridacchiare.
Questa volta riuscì a mettere da parte Mat, sebbene con riluttanza, e un bocciolo si aprì pian piano dentro di lei, verso una luce, divenendo un tutt’uno con essa. Si abbandonò completamente alla luce, sentendola scorrere dentro di sé, avvertendo il Potere avvolgerla come l’abbraccio di un uomo, l’abbraccio di Mat... e inevitabilmente perse il controllo di nuovo: luce e fiore scomparvero insieme a saidar.
Provò e riprovò per quella che sembrò un’eternità - era davvero difficile concentrarsi, qualsiasi cosa pensasse l’associava a lui - ma infine riuscì ad attirare a sé quella forza e a controllarla abbastanza a lungo da incanalarla in un flusso che formò una piccola fiammella azzurra. Sorrise deliziata mentre la teneva alta sul palmo della sua mano guardandola con orgoglio: era qualcosa che veniva da lei, creata da lei! Brienne la osservava in silenzio, un lieve riso sulle labbra e un velo di tristezza negli occhi.
Quando la fiamma si spense si alzarono all’unisono scambiandosi sguardi compiaciuti che non avevano bisogno di parole. Mentre si dirigevano verso il campo ancora avvolto dal sonno, Merian si sentiva il cuore più leggero: il Potere la intimoriva ancora, ma adesso conosceva un modo per controllarlo e questo la rendeva infinitamente più sollevata. Aveva anche pensato per un momento che tra lei e Brienne sarebbe potuta nascere un’amicizia, ma si dovette ricredere quando l’altra parlò.
«Prova anche solo ad accennare a quanto accaduto stanotte e pregherai il Creatore che ti trovino i Trolloc!» Le disse poco prima di entrare nella radura.
La Brienne di sempre era ritornata.



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di Balthamel
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Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Perrin
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 13
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte seconda] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte seconda]

Norah

Era il crepuscolo quando Norah giunse a casa, stanca ed assonnata dopo una giornata trascorsa in città a fare pratica di Guarigione. Aprendo la porta, la ragazza anticipava con trepidazione l’aroma della cena pronta che probabilmente l’attendeva in cucina: la pratica del Potere le suscitava sempre un appetito vorace. Con disappunto, però, si rese conto che l’unico odore che proveniva dall’interno era quello acre del fumo, causato da un camino che non tirava più a dovere. Dimion era seduto accanto al focolare, lo sguardo perso nel vuoto ed un espressione preoccupata in volto. In piedi alle spalle del padre, Julian fu il primo a girarsi verso di lei, sorridendole; era però un sorriso tirato e gli occhi del ragazzo mostravano anch’essi una certa inquietudine.
Così adesso lo sa anche Dimion, si disse Norah, rassegnata. Troppo esausta e nervosa per salutare, si andò ad accomodare nella poltrona libera, di fronte ai due uomini.
«Norah, ragazza mia, sembri stremata!», le disse Dimion dopo averla squadrata. Lei però non rispose: non ne vedeva il motivo. Perchè perdere tempo a spiegare quando evidentemente Julian gli ha già raccontato tutto? Non potrebbe risparmiarmi la vergogna e l’imbarazzo? Norah non aveva mai pensato seriamente di potere nascondere il proprio disagio a Dimion, colui che aveva da sempre considerato un padre, colui che continuava a vegliare su di lei e su Julian nonostante il loro desiderio di indipendenza, e colui che riusciva ancora a leggerle nell’animo nonostante il bisogno di intimità e riservatezza di tutte le ragazze in età adolescenziale. Egli doveva ormai sapere che la stanchezza che Norah mostrava in viso non era solamente dovuta ai propri studi, per quanto duri ed estenuanti potessero essere. Julian avrebbe dovuto tenere il segreto degli incubi per sè: con lui Norah non si vergognava del fatto che in un angolo nascosto della propria mente si annidasse un incomprensibile richiamo per cose oscure. Ma con Dimion sarebbe stato diverso. L’uomo era premuroso, comprensivo e delicato quanto suo figlio, eppure Norah sapeva che di fronte a lui avrebbe provato imbarazzo nel mettere a nudo i propri sogni e le proprie paure.
Dimion la osservò attentamente: il suo sguardo indagatore non aveva perso, con gli anni, la minima traccia d’intensità. L’esperto Guaritore dei Nad’al sembrava insensibile all’invecchiamento, così come tutti gli incanalatori, anzi probabilmente ancor più di altri, grazie alle sue conoscenze mediche. Quando Dimion finalmente aprì bocca, Norah era pronta ad un interrogatorio, ma si sbagliava. «C'è una cosa importante che ti dobbiamo dire. Ecco, è... una storia. Una storia che ti riguarda da vicino e che io e Julian avremmo dovuto raccontarti tanti anni fa, ma mio figlio ha sempre temuto che ti potesse spaventare.». Norah alzò lo sguardo incrociando quello di Julian, ma il ragazzo si voltò di scatto verso il focolare.
«E onestamente anch’io avevo sperato, per un certo tempo, che i fantasmi del passato se ne fossero andati per sempre. Adesso, però...», riprese Dimion con voce improvvisamente roca, «Posso vedere chiaramente che la Ruota ha ripreso a ordire quella trama nel Disegno che ci unisce: noi tre, il popolo dei Nad’al... forse tutti gli uomini. Sei grande abbastanza per affrontare il tuo destino, Norah; è giunto il momento di raccontarti tutto dal principio. Julian, per favore, dille cosa ricordi di quella notte.». Chiamato in causa, il giovane sembrò stranamente a disagio: Norah, abituata a vederlo deciso e sicuro di sè, si stupì dell’incertezza sul suo volto. Dopo un attimo, tuttavia, senza staccare gli occhi dal fuoco del caminetto, Julian cominciò lentamente a narrare...

La neve cadeva a fiocchi, facendo da sfondo a una notte gelida ma splendente. Era incredibile come così in alto sulle montagne il cielo sembrasse incombere, con le sue migliaia di luci stellari. Julian si divertiva a osservare le stelle e a disegnare con quei puntini luminosi forme di tutti i tipi, al sicuro dalla neve sotto il tetto spiovente del portico di casa. Il silenzio era la colonna sonora perfetta per una notte del genere. Entro pochi minuti suo padre l’avrebbe richiamato in casa, per evitare che si prendesse un raffreddore o peggio; non aveva mai sopportato l’uso della Guarigione quando si poteva prevenire la malattia semplicemente col buonsenso. Ma Julian quella notte voleva stare lì, da solo ad aspettare il suo ottavo compleanno.
Molti ritenevano strano che un bambino preferisse stare solo anziché giocare con gli altri bambini. Ma a Julian non importava, a lui la solitudine piaceva: poter ponderare tranquillamente i suoi pensieri, senza prendere parte a stupidi giochi infantili, poter passare tutto il giorno cacciando, imparando a seguire le tracce… ah quello si che era il vero divertimento! Certo, forse la sua natura solitaria era dovuta anche al fatto che viveva fuori dalla città e che le possibilità di stare con gli altri bambini erano davvero poche. A volte desiderava davvero qualcuno con cui passare del tempo…
Sospirando, si alzò a sedere e le assi di legno del portico scricchiolarono, infastidendo la serenità di quella notte, ma Julian non se ne rese neanche conto perché il suo sguardo si era fermato, attonito, verso il limitare del bosco che circondava casa sua: nella penombra spiccava, nera più che mai, una figura.
Migliaia di brividi gli attraversarono tutto il corpo e una lacrima gli rigò involontaria la guancia sinistra. Non riusciva a respirare, immobile nel gelo, adesso, penetrante più che mai. Anche la figura nera era immobile, la sagoma di un uomo alto, totalmente indefinibile all’ombra di uno dei Grandi Alberi, a parte due puntini luminosi che avevano inchiodato lo sguardo di Julian. Due occhi gialli che gli avevano ghiacciato il sangue nelle vene. Il ragazzo non seppe mai definire con certezza quanto tempo durò quella sensazione di puro terrore e le parole cominciassero nuovamente a formare dei concetti ragionevoli nella sua testa. In quel momento, quasi contemporaneamente, gli affiorarono mille domande, accavallandosi.
Luce! E questo chi è? Come ha fatto a trovare il sentiero di questa casa?Quegli occhi gialli.. non possono essere umani! Devo chiamare papà! No! E se mi muovo ed è un nemico? Ci metterei in pericolo tutti… Sangue e maledette ceneri! Che faccio?
Non trovava il coraggio di muoversi, né di trovare una soluzione. Se quello li fosse stato davvero un Manto Bianco sarebbe stata la fine di tutto. Se i nemici dei Ribelli per eccellenza avessero davvero trovato la strada di Calavron tutti i Na’dal sarebbero stati perduti. Ma i Manti Bianchi avevano gli occhi gialli? Le descrizioni che aveva letto su di loro non ne accennavano…
No, un momento. Quello li non può essere un Manto Bianco. I Manti Bianchi si muovono in massa, non hanno il coraggio di avventurarsi nei Boschi della Sera da soli. Ma che mi è venuto in mente!
Cercando di respirare normalmente, di calmarsi, piano piano Julian raccolse le gambe e fece per alzarsi, convincendo se stesso che forse lo sconosciuto era un viandante, qualcuno che voleva raggiungere la città e si era perso. Succedeva spesso che i viaggiatori non riuscissero a trovare la strada per la segreta città dei Na’dal. La segretezza era tutto per i Ribelli, soprattutto per la Casata della Guarigione.
Forse gli serve aiuto per curare quegli occhi gialli! Anche io sarei terrorizzato da me stesso se mi ritrovassi con occhi del genere…
Proprio mentre il ragazzo si alzava, però, un rumore strano gli raggiunse le orecchie: una specie di strappo, ma più acuto e, nel silenzio della notte e con uno sconosciuto di fronte, non era per niente rassicurante. Con i sensi in allerta e, di nuovo, la paura annodata nello stomaco, Julian sondò immediatamente tutto il limitare del bosco, per poi concentrarsi sulla figura ammantata di nero e… Ma dove è finita?!
Stupito, iniziò a spaziare con lo sguardo tutto l’ambiente circostante, alla ricerca di uno scintillio giallo ma non vi era più segno dello sconosciuto; facendosi coraggio scese i gradini del portico e, lasciando orme fresche sulla neve che continuava a cadere, si avvicinò di un paio di passi al vicino bosco.
Scrutava in ogni direzione e cercava di auto convincersi della propria sanità mentale, quando la vide: sdraiata a occhi chiusi, pallida quasi quanto la neve con cui veniva a contatto, vi era una bambina nuda.
Luce! Ma così morira! Se già non lo è…
Julian corse verso la piccola, a occhio e croce un paio d’anni più piccola di lui, e inginocchiandosi le tastò subito il polso. Batte ancora ma è debole!
«Papà!!» urlò con quanto fiato aveva in gola «Papà corri c’è un bambina in fin di vita, presto!»
Alle prime urla il padre di Julian, Dimion, si precipitò fuori, arrancando nella neve per raggiungere il proprio figlio.
«Julian, stavo giusto per venirti a chiamare! Che è successo, figliolo?» disse mentre raggiungeva il bosco ma, senza attendere risposta, appena vide la piccola, le toccò il petto e, imprecando, iniziò subito a muovere le mani su e giù, dal torace alla bocca della bambina. Julian non poteva vedere i flussi del potere, ma sapeva che suo padre stava utilizzando Saidin per Guarire. I movimenti convulsi delle mani di Dimion scandivano i battiti del cuore del figlio, gli occhi terrorizzati di Julian davano, invece, sprono al padre. Dimion non si sarebbe mai permesso di fallire davanti a quegli occhi terrorizzati!
I secondi sembravano ore, la fronte di entrambi era impregnata di sudore, la fatica dell’uno accompagnava l’ansia dell’altro e, quando finalmente Dimion si accasciò accanto al corpo della bimba, tirando un sospiro di sollievo, Julian seppe che suo padre ce l’aveva fatta. L’aveva guarita! Beh non a caso era uno dei migliori Guaritori della città!
«Prepara delle coperte in casa, Julian, la porto dentro…».
Il ragazzino non se lo fece ripetere e corse dentro casa, salì le piccole scale interne e aprì l’armadio del padre, prendendo due coperte pesanti; poi si diresse nella sua camera, verso il suo armadio e prese qualche maglione e un paio di pantaloni Mica può rimanere nuda! pensò, correndo poi al piano inferiore, dove vide il padre adagiare il piccolo corpo bianco della bimba sul piccolo divano del salotto, accanto al fuoco.
Dopo averla vestita e coperta, il pallore candido della pelle era stato sostituito da un bel colore roseo e i capelli, che erano sembrati neri poiché fradici, adesso stavano diventando castani. Julian si accertò anche che il corpo avesse la regolare temperatura, la temperatura giusta affinché un corpo continui a vivere.
Adesso anche lui poteva tirare un sospiro di sollievo e, voltandosi verso il padre, era pronto a congratularsi con lui… quando gli tornò in mente che cosa era successo pochi attimi prima di trovare la bambina e nella mente gli si stamparono lancinanti quasi da far male, i due occhi gialli dello sconosciuto. Chiuse di scatto gli occhi, come per proteggere se stesso da quella visione, mentre sembrava che migliaia di spilli incandescenti gli attraversassero per un attimo tutta la superficie del corpo.
«Che c’è, figliolo? Qualcosa non va?»
Non ottenendo nessuna risposta Dimion si avvicinò al figlio e, prendendolo per le spalle, lo costrinse a guardarlo negli occhi.
«Julian ma che hai? Sembri terrorizzato! Che cos’è successo?»
«Ah…» non sapeva che rispondere, anzi non era sicuro di saperlo fare.
Sai papà ho visto un uomo nero che mi fissava dal limitare del bosco con degli occhi gialli che mi hanno terrorizzato come mai in vita mia. Poi è sparito nel nulla e al suo posto c’era lei. Certo, come no. Come minimo mi Sonderà finche non troverà la Macchia Nera nel mio cervello. Quasi quasi ci faccio un pensierino. Chissà che non sia impazzito davvero…Dove è finito quell’essere???
«Ah… ma no papà sono soltanto un po’ scosso, tutto qui» disse per rassicurare Dimion, accompagnando le parole con un sorriso tirato, molto tirato.
Dimion, forse, decise di credere alle parole del figlio poiché, accarezzandogli la testa, gli sorrise e gli assicurò che la bambina si sarebbe rimessa presto.
«Certo però non ho capito come ha fatto a spuntare dal nulla una bambina tra i boschi… l’hai semplicemente trovata li?»
«Eh, beh.. si mi sono avvicinato al bosco e l’ho trovata distesa lì»
«Mmm… dovrò parlarne in città domani. Questo evento può significare tutto o nulla. Ma voglio essere tranquillo. È un periodo di grande incertezza, cambiamenti, eventi improbabili che si verificano regolarmente… tutto come nelle scritture»
L’ultima parte era stata più un sussurro sinistro, come se Dimion stesse meditando fra sé… ma Julian non ci fece molto caso. Ultimamente suo padre passava molto tempo in camera sua o nella biblioteca della città, quando si recavano li, a studiare e contemplare antichi scritti, a mormorare fra sé, a parlare con qualche anziano pronto a perdere tempo. In un altro momento Julian avrebbe chiesto a cosa si stesse riferendo Dimion con quelle parole, ma la sua mente, al momento, era occupata da un unico pensiero: lo sconosciuto e a come accidente fosse riuscito a dissolversi così nel nulla.
Non sono pazzo. Io l’ho visto! Sangue ceneri devono esserci per forza delle tracce! Così scoprirò da dove è arrivato e dove si è cacciato!
«Padre, mi sa che ho perso il mio coltellino fuori; vado a vedere se riesco a trovarlo…»
«Ma Julian è tardi, domani lo cercheremo insieme prima di andare in città»
«Ma no ci sto un attimo! Vado e torno»
«Ah… va bene, ma fai presto. Ne ho avuto abbastanza oggi di bambini quasi congelati…».

Dimion stava sorridendo al ricordo rievocato dal racconto di Julian: «Mi ricordo di quel tuo coltellino... te lo regalammo che eri ancora un bambino, lo conservi ancora?». Julian però non rispose: ora era lui ad osservare attentamente Norah, probabilmente aspettandosi una reazione da parte della ragazza. Norah, da parte sua, non sapeva cosa pensare. Aveva sempre saputo, in cuor suo, di non essere la figlia naturale di Dimion: questo era evidente perfino dal loro diverso aspetto fisico; in famiglia non se n’era mai parlato, però, e Norah non aveva mai provato il desiderio di scoprire qualcosa di più. Da quando aveva ricordi, Dimion e Julian erano sempre stati la sua famiglia e tra loro lei si era sempre sentita amata ed accettata. Aveva accettato il vuoto di memoria che riguardava i primi anni della sua esistenza come una conseguenza di qualche evento scioccante che le doveva essere capitato prima di essere adottata, ma senza esserne mai veramente turbata: in fondo qualsiasi cosa fosse successa in passato non comprometteva la sua felicità attuale. Almeno finchè non erano incominciati i brutti sogni... E dunque Julian vide quegli occhi gialli. Perchè non me l’ha detto subito quando gli ho parlato dei miei incubi? Norah si sentì tradita: il ragazzo avrebbe dovuto confidarsi con lei come lei aveva fatto con lui.
Dimion improvvisamente ruppe il silenzio che si era creato chiedendo, a tutti e a nessuno: «Come fa una bambina a sbucare dal nulla? E per di più quasi morta? E perché Julian era così terrorizzato? Sentivo che mio figlio mi stava nascondendo qualcosa, ma non volevo turbarlo chiedendoglielo. Speravo che il giorno dopo le risposte srebbero arrivate dalla bambina stessa...». Per un attimo ancora il crepitio del fuoco fu l’unico rumore nella stanza, poi Julian riprese da dove era stato interrotto.

Il bambino osservò il padre avvicinare la poltrona al fuoco e al divanetto che faceva da ricovero, probabilmente preparandosi a passare la notte li, a fianco della vita che aveva appena salvato. Julian uscì di casa, eccitato e terrorizzato al tempo stesso. Ultimamente diceva un po’ troppe bugie al padre. Si ripromise di non farlo più da quel momento in poi.
Avvicinandosi al bosco, acuì i sensi, come sempre quando cacciava, anche se adesso si trattava solo di cercare delle impronte e sperando al tempo stesso di non incontrare mai più quegli occhi innaturali.
Luce, mi hanno a dir poco terrorizzato. Che strana serata però! Un losco individuo che sparisce e una bambina mezza morta al suo posto! Luce!
Arrivò col cuore martellante dove pochi minuti prima giaceva il corpo della bambina ed esaminò il terreno circostante alle orme che lui e suo padre avevano lasciato. Nulla…
Forse la neve appena caduta le ha cancellate…peccato non ne sia caduta abbastanza, però.
Sospirò cercando di aguzzare ancora di più la vista, tastando il terreno con le mai: solo le radici del Grande Albero e l’erba. Girò attorno al grosso tronco secolare, ma non vi era alcuna orma, né un accenno di traccia.
Lui era qui… proprio accanto al Grande Albero. Ma non ci sono orme da nessuna parte!
Frustrato ma sollevato, stava per abbandonare la ricerca e iniziare a farsene una ragione quando si accorse che una radice dell’albero era tranciata di netto. E anche l’erba circostante…
Niente in natura può tagliare in modo così perfetto. E poi andiamo!?! Cosa è tanto potente da spezzare una radice come questa! È enorme!
Attonito, si alzò in piedi e, guardandosi intorno un ultima volta, tornò a casa di corsa, perso in speculazioni degne del pazzo Key, giù in città…
Alla fine ho più domande di prima!
Dentro vide suo padre seduto nella sua poltrona accanto alla bambina beatamente addormentata.
Spero che lei possa chiarire quello che è successo stasera altrimenti impazzisco
«Trovato il coltellino?», chiese Dimion.
«Sì sì, era poco lontano a dove abbiamo trovato lei..» lo informò con un altro sorriso di circostanza.
«Peccato! Poteva essere una scusa per regalartene uno nuovo» gli rispose scherzando il padre «E, a proposito... buon compleanno, figliolo! È abbastanza tardi perché sia già domani. Otto anni… sarà un anno importante per te, potrai fare il test per l’ammissione all’accademia dei Na’dal, iniziare a imparare».
Era vero… per questo aspettava con impazienza il suo ottavo compleanno. Era l’anno in cui si poteva iniziare l’addestramento di Guaritore.
«Non sappiamo ancora se sono portato, padre. Potrei non avere il Talento.»
«Ma tu ci speri no?»
«Certo… lo sai che farei di tutto per diventare bravo almeno la metà di te. Quello che hai fatto stasera con questa bambina, quello che fai ogni giorno.. salvare vite umane è.. è la cosa più bella di questo mondo».
«Sono contento di sentirti parlare così… sono sicuro che mi renderai orgoglioso», lo diceva con convinzione, gli occhi già pieni d’orgoglio al solo pensiero di quanto potente il figlio potesse un giorno diventare, di quanto importante potesse essere per il futuro dei Na’dal.
«Lo spero papà, lo spero… intanto voglio solo andare a dormire. Buonanotte»
«Buona notte figliolo…»
Salendo verso la sua camera, Julian si sentiva già meglio. Voleva davvero rendere orgoglioso suo padre. Sarebbe stato il migliore Guaritore dei Na’dal di sempre!

«Ecco. Questo è tutto.», disse secco Julian. Suo padre però non sembrva soddisfatto. I ricordi del figlio lo avevano fatto sorridere, socchiudendo gli intensi occhi celesti, tanto che Norah si era chiesta se non si fosse perso completamente nella rievocazione; in realtà Dimion era, al contrario, assolutamente coinvolto e partecipe: «No, figliolo, c’è molto altro ancora. Ma prima, perchè non vai a prendere quella bottiglia di liquore che ci ha regalato Madama Jyll? Penso che un sorso ci aiuterebbe tutti quanti...». Il ragazzo però, solitamente così ubbidiente e premuroso nei confronti del padre, ora espresse tutto il proprio malcontento sbuffando. «No, aspetta: faccio io.», si affrettò a dire Norah, e si avviò verso la dispensa. Non era un gesto di gentilezza: la ragazza in realtà aveva bisogno di sottrarsi per un istante agli sguardi degli altri, per nascondere la tensione crescente che, ne era certa, le si sarebbe potuta benissimo leggere in volto. L’agitazione che provava non era per aver appreso di essere stata trovata abbandonata, nuda ed incosciente, e di aver rischiato la morte a quella giovanissima età, ma era causata da un improvviso ricordo che stava riaffiorando alla memoria. Ne era certa: questo era un suo ricordo; non un sogno, né qualcosa di raccontato, ma un frammento di vita vissuta.



Mabien Asuka

Non avrebbe dovuto permettere che le si affezionasse. Ancor meno avrebbe dovuto permetterlo a sè stessa, maledizione. Stava letteralmente scappando, la fredda fermezza che credeva di aver guadagnato negli anni aveva vacillato ad ogni parola di Hysaac, un ragazzotto appena conosciuto. Forse non era stato tanto lui in sé a farla sciogliere, quanto quella sensazione raramente provata in vita sua di sincero calore umano, ma poco importava, non poteva permetterselo. Era solo un ostacolo in più da superare e allora correva per lasciarselo alle spalle: giù per le scale, attraverso la sala, dietro fino alle stalle, in un attimo era in strada che si mischiava tra la gente in sella ad Oberon, il castrone nero che aveva dovuto comprare durante il viaggio.
Mascherava l'ansia di dover passare ancora una volta le mura con aria spensierata, guardandosi attorno, ma notando appena la moltitudine di persone che affollava le vie e la maestosità di una delle maggiori città della confederazione. Svoltato l'angolo i cancelli sarebbero stati in vista, decise una breve sosta per acquistare qualche frutto e una pagnotta da un gruppo di mercanti. Scese da cavallo e mentre selezionava le mele da comprare fu colpita da un profumo particolare, un aroma floreale dolce e intenso, rosa, gelsomino, qualcosa che aveva già sentito, qualcosa che la riportava indietro nel tempo. Socchiudendo gli occhi si girò piano istintivamente seguendo il proprio fiuto, di fianco a lei, leggermente dietro c'era la donna che la sera prima la guardava con troppa insistenza nella sala comune della locanda. Le caddero di mano le mele nel riconoscere, ora a mente lucida, un volto che mai si sarebbe aspettata di rivedere, non dopo dieci anni. Sgranò gli occhi, spinse la donna al petto facendola cadere a terra e saltò in groppa ad Oberon spronandolo alla corsa. Gli occhi di tutti i passanti erano su di lei, Hilda, questo il nome della Figlia della Luce, si era prontamente rialzata e aveva gridato che qualcuno la fermasse, ma grazie alla Luce nessuno aveva dimostrato riflessi tanto pronti o il coraggio di frapporsi ad un cavallo al galoppo, soprattutto non c'erano altri Manti Bianchi nei paraggi.
Svoltò nelle stradine che riportavano alla locanda pur conscia del fatto che sarebbe stato il primo posto dove Hilda l'avrebbe cercata, ma non poteva lasciare Hysaac ad affrontare le ripercussioni della sua vigliaccheria.
Spalancò la porta della camera con violenza, trovò Hysaac ancora seduto come l'aveva lasciato, il ragazzo si girò a guardarla stupito passandosi i palmi delle mani sugli occhi arrossati.
«Dobbiamo andarcene, sbrigati!» Mab aveva già preso a raccogliere tutte le cose del giovane infilandole malamente in un sacco. Lui ancora cercava di smaltire lo choc.
«Ho preso tutto?» disse poi lei guardandosi attorno. Lui fece altrettanto, poi annuì. Dava l'idea di uno che non voleva far domande per la paura delle risposte che avrebbe potuto ricevere.
Stavano procedendo a cavallo con calma tra i viottoli meno frequetati, cercando solo di non sembrare due fuggiaschi, la locanda già non era più in vista da un po' quando uscirono le prime parole dalla bocca di Hysaac.
«Dove stiamo andando?»
«Ci sto ancora pensando» doveva riuscire a far perdere ogni loro traccia e non sarebbe stato troppo difficile visto che nessuno fino a quel momento aveva saputo i loro veri nomi. Poi doveva fare in modo che nessuno potesse riconoscerli e ce la poteva fare, ma era necessario agire alla svelta.
Scelse un'altra locanda, più vicina alle mura, ma dall'altra parte della strada principale rispetto a quella della sera prima e mandò Hysaac a chiedere la stanza. Prima di farlo entrare, gli lisciò e tirò indietro i capelli il più possibile
«Fatti dare una camera per te e tua moglie. Paga anticipatamente e offrigli qualcosa in più perchè si dimentichi di noi appena ce ne saremo andati» Hysaac aprì la bocca, chiaramente avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma ci rinunciò prima ancora di parlare.
Saliti in camera, Mab sfogò i nervi prendendo a pugni un cuscino, aveva dannatamente voglia di gridare per la frustrazione, ma non lo fece. Come accidenti l'aveva riconosciuta dopo tanti anni! Maledizione! Non sapeva cosa aspettarsi da quella donna, allora era poco più di una recluta e ora poteva aver voglia di rimediare all'errore commesso per pietà nei suoi confronti. Ma c'era una cosa che la faceva dubitare: se così fosse stato l'avrebbe potuta far arrestare direttamente la sera prima.
Hysaac la stava guardando in silenzio, Mab sospirò e si alzò dal letto, avrebbe cominciato con lui, sperando che quella donna non fosse riuscita in qualche modo a risalire alla sua identità
«Siediti» gli disse prendendo una sedia e mettendola davanti all'unico specchio della stanza. Lui obbedì, ma si drizzò immediatamente quando la vide prendere in mano un paio di forbici
«Che intenzioni hai?»
«Devo fare in modo che chi ci ha visti da quando siamo arrivati non ci riconosca più. Siediti»
«Tu non mi fai nulla, se non mi spieghi cos'è successo»
«Hysaac per favore, non è per cattiveria, è meglio che tu certe cose non le sappia neanche»
Lui sbuffò e incrociò le braccia per mostrare la propria ostinazione.
«Sono tornata a riprenderti perchè non volevo lasciarti in balia dei Figli della Luce che mi sarebbero venuti a cercare. A questo punto, se non vuoi fare come ti dico, sono affari tuoi, io la coscienza pulita ce l'ho. Credo che staranno benissimo i tuoi boccoli nella mano del boia quando mostrerà la testa mozzata»
Hysaac deglutì sonoramente, ma non si fece convincere
«Voglio sapere cos'è successo»
«E' una storia troppo lunga, Hysaac. Smettila di fare il bambino e siediti qui. Non ho tempo da perdere.»
Il ragazzo non fece una piega, la guardava solo con aria di sfida. Dannato zuccone!
«D'accordo! Arrangiati allora!» e si chinò a raccogliere il proprio bagaglio. Quella gran donna di Hari, che la Luce potesse sempre risplendere su di lei, le aveva infilato nel bagaglio un abito da donna e una parrucca, un oggetto che solo chi faceva quel tipo di mestiere poteva conoscere. Sperava di rivederla un giorno solo per poterla ringraziare di tutto, lo pensava anche mentre estraeva l'abito e si rendeva conto che pochi non avrebbero capito da dove provenisse: tra quelli che la donna aveva a disposizione probabilmente quello era il più sobrio, ma l'ampia scollatura e i lacci di seta rossa su lana nera la dicevano lunga. Non era decisamente quanto una fuggiasca che desiderava passare inosservata avrebbe desiderato, ma forse il mantello avrebbe celato abbastanza.
«Mentre mi cambio, mi faresti almeno la cortesia di andare a cercarmi qualcuno disposto a scortare una signora fino al prossimo villaggio?» non sarebbe stato plausibile che una donna uscisse sola dalla città.
Hysaac tolse gli occhi sgranati dall'abito per dire
«Perchè? Io non vado bene?»
«Tu rimarrai in città, tu andrai all'Accademia»
«Ma io pensavo...»
«Prima che tu ti faccia altre strane idee, chiariamo subito la questione. Hai visto cosa mi può accadere ogni giorno, no? Faccio fatica a badare a me stessa, non posso pensare anche a te. E non provare ad offenderti per questo! Sii ragionevole»
Il ragazzo era chiaramente deluso, aprì la bocca per protestare, ma poco dopo la richiuse e annuì mestamente. Senza dire altro uscì.
Da sola nella stanza, Mab tornò a pensare a Hilda. Dieci anni non l'avevano cambiata molto, bella lo era già allora, ora sembrava solo più glaciale o forse il brivido che aveva provato incrociando il suo sguardo era solo dovuto alla paura che le incuteva. Non si sarebbe mai scordata il giorno in cui proprio quella donna aveva deciso della sua vita: obbedendo agli ordini dei suoi superiori, Hilda aveva scortato la prigioniera fuori dalle mura di Daing, su un dirupo roccioso, uno dei tanti di quella zona arida e spoglia. Mab sapeva qual'era il motivo di quel viaggio e ci stava andando incontro con rassegnazione, anzi rincuorata dal fatto che almeno non avrebbe assistito alla caduta della sua città nelle avide mani dei Manti Bianchi. Ma Hilda, rinfoderata la spada, l'aveva guardata negli occhi e piangendo aveva semplicemente detto di non poterlo fare. Non si era scomposta, le lacrime continuavano a rigarle le guance, ma niente del suo portamento elegante e impeccabile sembrava mutato. La giovane Figlia della Luce, discendente di una tradizione familiare di blasonati ufficiali della confederazione, nel trovarsi ad eseguire la condanna di una ragazza di pochi anni più piccola, era stata assalita per la prima volta e in modo violento dal dubbio che la visione della giustizia con cui era stata indottrinata fin dalla culla non fosse poi così corretta. Era stata quindi lei quel giorno a scambiare la morte di Mab per una vita di continua schiavitù, in un modo o nell'altro, non ricordava più le volte che l'aveva maledetta per questo.

Seppur finti, si accarezzava davanti allo specchio i lunghi capelli che le ricadevano fino alle scapole in morbidi ricci quasi neri, quando sentì bussare e la voce di Hysaac che la rassicurava con un
«Sono io»
Mab aprì e fu costretta a trascinare dentro il ragazzo, che era rimasto inebetito nel vederla vestita così
«Sei incantevole» aveva quasi balbettato una volta entrato
Mab cercò di non sorridere, ma non le riuscì
«Dov'è la mia scorta?» chiese quindi
«Ti sta aspettando nella sala comune. Vuoi già ripartire?» non faceva nulla per mascherare la sua tristezza.
«Non ha senso aspettare oltre» riprese in mano le forbici «Prima per favore, lascia che ti tagli i capelli, mi farebbe sentire più tranquilla»
«Se non te lo permetto, rimarrai?» chiese il ragazzo, che però già si stava sedendo davanti allo specchio
«No, Hysaac» e cominciò a tagliargli i capelli.
Quando ebbe finto, la barba, che da quando lei gli aveva detto che gli stava bene non si era più rasato, era più lunga della chioma che lei gli aveva lasciato in testa. Lo convinse a radere anche quella. Nemmeno lei lo avrebbe riconosciuto ora, si augurava che bastasse, ma davvero non poteva portarlo con sé e doveva ammettere che le dispiaceva.
«Siamo pronti!» disse risoluta, ma sembrava ancora più difficile dire addio la seconda volta.



Merian Elen Syana

Il risveglio fu assai duro dopo una nottata passata quasi insonne: la schiena le doleva per il continuo rigirarsi nel giaciglio, cercando di trovare una posizione comoda che faticava a trovare, e le girava la testa.
Merian era già in piedi, fresca come una rosa, come se avesse dormito il più dolce sonno!
Si stava spazzolando con cura i capelli rosso fuoco - l’impiastro di Ariel aveva funzionato anche fin troppo bene - come se non avesse altra preoccupazione al mondo, ed era persa in qualche suo pensiero come al solito: uomini, senza alcun dubbio.
Quella ragazza mi farà impazzire! pensò Brienne massaggiandosi la schiena e imprecando sottovoce per ogni punto intorpidito che premeva.
Non era mai stata molto brava nel prendersi cura di se stessa - era più abile a infliggere ferite che non a curarle - e i suoi massaggi erano alquanto scarsi, ma l’idea di rivolgersi ad Ariel per un toccasana non le sfiorò la mente nemmeno per un istante.
«Che il Creatore mi fulmini seduta stante se andrò a chiedere qualcosa a quell’arpia di erborista!» disse a denti stretti mentre si alzava malvolentieri in piedi. Il movimento le costò una fitta ai reni che le fece sfuggire un’altra imprecazione e questa volta non troppo sottovoce.
«Buongiorno anche te Brienne,» le disse Ariel tutta sorrisi mentre le passava accanto proprio in quel momento con quel suo odioso ondeggiare dei fianchi.
Brienne le rispose con un ghigno mormorando qualcosa di incomprensibile, ma evidentemente alla donna bastò perché le fece un cenno con la testa e continuò per la sua strada senza ulteriori commenti.
Lasciò le coperte dove si trovavano - non aveva alcuna intenzione di chinarsi di nuovo - e tornò al ruscello della notte prima per godersi qualche momento tutto per sé immersa nell’acqua fresca, per non dire gelida, del mattino.
Mentre si allontanava dal campo notò che non aveva visto Rohedric in giro e si chiese dove potesse essere a quell’ora presto. L’uomo era meticoloso oltre ogni dire e si sarebbe aspettata di vederlo già in sella al suo cavallo ancora prima che si svegliassero tutti, strano quindi che non fosse presente.
Pensò che forse potesse essere andato in esplorazione con Neal e Kain e lo maledisse per non avergliene parlato, ma già mentre lo pensava se ne pentiva: per quanto la facesse arrabbiare non riusciva proprio a inveire contro quell’uomo, era la sua più grande debolezza e saperlo non rendeva le cose più facili.
Imprecò di nuovo.
Lasciatasi alle spalle il pensiero di Rohedric si spogliò per entrare nell’acqua. Non era molto profonda - le arrivava a malapena al ginocchio - ed era davvero troppo fredda, ma si accovacciò e cominciò a lavarsi, resistendo all’impulso di uscire.
Un rumore alla sua destra le fece alzare di scatto la testa, guardinga, pronta ad affrontare a mani nude chiunque si stesse avvicinando.
Si bloccò a occhi sbarrati quando vide chi ne era la fonte: Rohedric era in piedi sul terreno davanti a lei -nascosta dagli alberi che piegavano sul ruscello nel punto in cui voltava - gocciolante e... nudo!
Brienne arrossì e si acquattò ancora di più voltandosi dall’altra parte, ma dopo un brevissimo momento si attentò a guardarsi alle spalle. Lui era ancora lì, ignaro della presenza della donna, intento ad asciugarsi con una calma che sarebbe stata snervante in qualsiasi altro caso ma che in quel frangente era benedetta dalla Luce! Cercando di fare meno rumore possibile Brienne si voltò del tutto e trattenne il respiro mentre lo osservava, o per meglio dire spiava, al sicuro nel suo nascondiglio.
«Sangue e maledettissime ceneri!» Alto, ampie spalle, una bella muscolatura... Luce, quell’uomo era perfetto!
Aveva molte cicatrici che gli attraversavano il corpo e una di esse tagliava in due il tatuaggio sul braccio sinistro che ogni combattente di Hamadrelle aveva deciso di fare in onore di Lord Mat: un triangolo con la punta rivolta verso il basso, uno strano simbolo che l’uomo stesso aveva deciso una volta a conoscenza delle intenzioni del popolo. I Camminatori dei Sogni avevano detto che era scoppiato a ridere mentre ne parlava, ma non aveva dato spiegazioni e loro non avevano chiesto. Qualunque cosa significasse era nota solo a lui e al momento a Brienne importava soltanto dell’uomo che le stava di fronte, che per sua sfortuna adesso si stava vestendo.
«Dannazione!» mormorò la donna mentre Rohedric tornava al campo.
Merian era ancora persa nei ricordi della notte scorsa e le sensazioni meravigliose che aveva provato mentre accedeva alla Vera Fonte e chiamava a sé saidar, quando Brienne le si fece incontro uscendo dagli alberi. Aveva un’espressione strana, sembrava scioccata e assorta allo stesso tempo.
«Che ti è successo? Sembra tu abbia visto un fantasma,» le chiese non appena le si avvicinò.
L’altra le rispose in modo brusco di farsi i dannati affaracci suoi - testuali parole - ma guardava da un’altra parte mentre parlava. Merian seguì la direzione del suo sguardo e di colpo comprese.
Non poté fare a meno di sorridere maliziosa mentre guardava da Rohedric a lei, entrambi con i capelli ancora bagnati, ma Brienne le diede un pizzicotto sul braccio e rispose acida:
«Togliti quel sorriso idiota dalla faccia! Non è come credi... purtroppo,» aggiunse sottovoce - ma non abbastanza - facendo una smorfia.
«Kain è venuto a chiedere di te, aveva bisogno di parlarti di qualcosa,» le disse Merian per cambiare argomento. Brienne non sembrava entusiasta della cosa, perché grugnì e le volse le spalle dirigendosi verso il suo giaciglio a grandi passi. L’altra la seguì quasi correndo e incalzò:
«Qual è il problema? A me sembra simpatico.» A differenza del suo torvo compagno Kain sembrava un tipo a posto, sempre sorridente ed educato con le donne, oltre ad essere molto attraente. Neal, al contrario, con quello sguardo truce e quella cicatrice che gli deformava la bocca in un orrendo ghigno, ti faceva venire voglia di trovarti il più lontano possibile da lui.
Brienne evidentemente non la pensava così, perché al suo commento rispose con una risata di scherno e un enigmatico “Vedrai!”

La giornata procedeva esattamente come quella precedente, lentamente e senza avvenimenti degni di nota, cosa che tutti tranne Rohedric vedevano come un segno positivo. L’uomo era irrequieto, sebbene non lo desse a vedere apertamente, e sembrava si aspettasse un attacco da un momento all’altro.
Brienne si teneva alla larga il più possibile, e quando lui le si avvicinava per consultarsi sulla strada da prendere, lei arrossiva oppure cominciava a farfugliare parole senza senso... o entrambe le cose.
Rohedric dal canto suo si limitava a guardarla aggrottando la fronte, ogni tanto volgendo lo sguardo verso Merian in cerca di spiegazioni, ma non indagava oltre grazie alla Luce! La situazione era davvero ridicola e quando finalmente l’uomo si decise a cavalcare da solo, Brienne non fu l’unica a tirare un sospiro di sollievo.
«Perché non glielo dici?» azzardò Merian dopo qualche tempo. Brienne le rivolse una tale occhiata che Merian pensò che fosse un bene che l’altra donna non potesse incanalare.
«Dirgli cosa, ragazza? Che è eccessivamente paranoico e si preoccupa fin troppo?»
Merian alzò lo sguardo al cielo sospirando profondamente e Brienne la guardò in tralice, spostando la conversazione su di lei.
«E tu che mi dici, invece? A chi è che pensi in continuazione?»
Merian la guardò con aria innocente e Brienne scoppiò a ridere.
«Andiamo, sono una donna anche io! Scommetto che chiunque sia, ti sta creando un sacco di problemi. Tipico degli uomini,» aggiunse sbuffando.
«Cosa te lo fa credere?»
«E’ da ieri che sembri turbata, e non è per via del colore dei capelli!»
Merian le sorrise ma non c’era divertimento nei suoi occhi.
«E’ per via di Mat... Lord Mat, come lo chiamate voi, e di quel che mi ha detto.» Sospirò.
«Un nuovo Drago è comparso e questo significa che si avvicina il momento in cui anche lui sarà di nuovo intessuto nel Disegno. Potrebbe essere chiunque, anche qualcuno non ancora nato, in fondo nessuno sa quanto ci vorrà prima che venga combattuta l’Ultima Battaglia. L’unica certezza che abbiamo è che prima o poi svanirà dal Mondo dei Sogni e io non lo rivedrò mai più.»
«Sei innamorata di lui!» sibilò Brienne sbigottita.
«Posso capirlo,» aggiunse riprendendosi all’istante «è un uomo affascinante.»
Merian si girò di scatto e la scrutò cercando di capire, e Brienne le spiegò con un mezzo sorriso:
«A volte è apparso in sogno anche noi, lungo il tragitto che ci ha condotti a te. Non c’è nessuno tra di noi che cammina nei sogni, per cui sarebbe stato impossibile contattarlo, ma lui poteva contattare noi.»
Merian rimase in silenzio, guardando in basso un punto fisso davanti a sé, e Brienne continuò:
«Sei giovane e bellissima, Merian, potresti avere qualsiasi uomo...»
«Ma io non voglio qualsiasi uomo!» la interruppe l’altra alzando lo sguardo su di lei. «Voglio lui!»
Brienne la osservò un momento, si volse poi verso Rohedric e le rispose in tono amaro:
«La vita è dura, non sempre possiamo avere ciò che desideriamo di più.»
Merian non aveva di che ribattere, Brienne aveva ragione purtroppo, e proseguirono in silenzio finché Rohedric non alzò una mano per fermare il gruppo nei pressi di un piccolo villaggio.
L’uomo attese che Neal e Kain tornassero dall’avanscoperta prima di spronare il suo cavallo al trotto ed entrare nel villaggio di Zemai.

Il gruppo era partito soltanto tre giorni addietro, ma nonostante fossero avanzati senza troppa velocità, era stato comunque difficile seguirne le tracce. Chiunque ne fosse al comando era molto bravo nello scegliere la strada da percorrere.
Quel giorno però sembrava esserci stata una svolta: delle orme fresche indicavano che erano vicini e con un po’ di fortuna si sarebbero fermati al prossimo villaggio.
Forse si sentivano abbastanza sicuri da rischiare una sosta in un’accogliente locanda, dopo la permanenza nei boschi, e allora la sua ricerca sarebbe giunta al termine, finalmente li avrebbe raggiunti!



Siadon

Muoviti.. dannazione so che ci sei, MUOVITI!
Non ne era certo ma ormai il sole doveva essere già tramontato. Quel pomeriggio stava percorrendo gli stretti cunicoli del monastero, dopo aver lasciato un piccolo gruppo di pellegrini a meditare su alcune frasi senza senso, lette da un antico libro, quando iniziò a credere di essere seguito. Doveva trattarsi di un Fratello o di una Sorella e ringraziò la Luce per aver benedetto quel luogo privandolo del Potere, altrimenti se ne sarebbe accorto troppo tardi. Raggiunta una zona poco frequentata e priva di candelabri aveva continuato a camminare al buio per poi appostarsi dietro ad un angolo, in attesa del suo inseguitore. Nelle ultime due settimane, da quando le notizie sulla progenie dell’ombra si erano diffuse, il monastero era diventato un luogo sempre meno sicuro. La Famiglia si stava spaccando in diverse fazioni e Siadon iniziava a credere di aver scelto quella con meno possibilità di sopravvivenza.
Non posso essermi immaginato tutto.. oppure sì?
Era immobile da troppo tempo ma per quanto le sue gambe reclamassero movimento, il minimo rumore poteva essergli fatale. Di solito il Potere rendeva tutto più semplice, sembrava fatto apposta per essere usato in situazioni simili, sarebbe bastata una semplice tessitura per capire dove si trovava il suo inseguitore. Senza quella tempesta di fuoco nelle sue vene si sentiva vulnerabile, i suoni parevano ovattati e non vedeva praticamente nulla nell’oscurità, per non parlare degli odori. Sapere che anche il Fratello o la Sorella dietro l’angolo si sentiva allo stesso modo non era di grande aiuto.

Qualcosa nella luce cambiò. All’inizio era più una sensazione, come se potesse distinguere meglio le ombre, poi divenne una certezza. Qualcuno stava percorrendo lo stesso corridoio che l’aveva condotto fin lì. Strinse il pugnale cercando di ignorare il torpore che risaliva dalla mano fino alla spalla. Ci fu un rapido movimento, un’ombra scattò da dietro l’angolo ed il suo corpo reagì d’istinto. Non era certo di cosa fosse accaduto, ci mise qualche attimo per ricordare la rapida sequenza di parate che l’aveva portato a fissare due occhi di ghiaccio a poca distanza dai suoi.
Il bruciore si stava facendo sempre più presente, non doveva essere un taglio profondo, probabilmente era molto simile a quello che lui stesso aveva provocato alla Sorella. Erano bloccati l’uno dall’altra, entrambi con un pugnale premuto contro la gola fermato più che dai propri avambracci, dalla consapevolezza di non poter causare una morte tanto rapida da lasciare scampo a sé stessi.

I passi erano sempre più vicini e la debole luce gli permise di riconoscere il volto che stava a pochi centimetri dal suo. Tempo prima aveva interrogato quella Sorella, ricordava quanto fosse fredda e priva di emozioni. Lentamente spostò il proprio peso verso il muro, lei capì e senza fare alcun rumore spostarono i piedi per avvicinarsi alla parete. Rimasero immobili, fissandosi a vicenda per qualche attimo, fino a che due figure in veste grigia non apparvero dall’angolo alle spalle della Sorella. Senza distogliere lo sguardo da quegli occhi gelidi, Siadon registrò l’immagine di due uomini che procedevano parlando a bassa voce. Uno dei due reggeva un candelabro mentre l’altro un grosso libro. Continuarono senza cambiare direzione e dopo pochi passi erano già spariti nel cunicolo successivo.
Il bruciore era aumentato ed iniziava a sentire la bocca impastata. Radice blu.Pensò cercando di rilassarsi il più possibile, senza mollare la presa sulla Sorella. Riuscì soltanto a respirare più lentamente ma dubitava di poter rallentare il proprio battito in quel momento. Poco dopo un leggero ronzio gli riempì le orecchie. Foglie dell’accecato? Quindi non vuoi uccidermi?Con la poca luce rimasta non riusciva a vedere la Sorella, poteva però immaginare i suoi occhi spegnersi lentamente, i suoi muscoli irrigidirsi. Sentiva il respiro della donna farsi sempre più breve e con le ultime forze cercò di allontanarsi da lei spingendo con la mano libera. La resistenza fu debole ma Siadon dovette sforzarsi con tutto sé stesso per riuscire a comandare quella gelatina che percepiva al posto delle proprie braccia. Sentì le gelide pietre del pavimento contro la propria guancia senza essersi reso conto di cadere. Il ronzio era ormai una tempesta che gli impediva di pensare lucidamente. La sua preoccupazione più grande, prima di perdere i sensi, era rivolta alla direzione nella quale sarebbe caduta la Sorella e quel suo maledetto pugnale.



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di Balthamel
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Perrin
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 14
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte terza] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte terza]

Morgan Neglentine

Quando erano partiti da Coraman, quella mattina, il cielo era coperto da poche nubi, poi, nel corso della mattinata e fino allo scontro con i Trolloc, le nubi si erano andate addensando in una spessa coltre plumbea che non lasciava presagire nulla di buono. Difatti, non molto tempo dopo essere ripartiti alla volta del passo di Avende, forti raffiche di vento gelido avevano iniziato a colpirli portando con sé alcuni fiocchi di neve. «Sangue e maledette ceneri!», esclamò Morgan segnalando di fermarsi. Quando tutti lo ebbero raggiunto, disse: «Temo che, se già qui incontriamo dei fiocchi di neve, ci aspetta una risalita molto difficile. Il passo è molto alto, e a quella quota di sicuro ha già iniziato a nevicare da un po’.». Guardarono tutti verso le alte montagne dove si trovava il passo: la visuale era parzialmente coperta dalle spesse nubi, che avvolgevano i monti dalla cima a circa metà della loro altezza. «A occhio e croce», intervenne Murriel, «Siamo distanti ancora quattro o cinque ore dal passo. Senza contare che, se cade molta neve, potremmo essere rallentati.».
«Già...», convenne Rourke, «Non mi va di provare a valicare il passo al buio e con la neve: qualche cavallo potrebbe azzopparsi, oppure una slavina ci potrebbe seppellire tutti quanti. Sarebbe meglio accamparci da qualche parte per la notte e vedere come evolve il tempo.».
Mentre parlavano, Morgan aveva estratto dalla tasca la cartina e la stava studiando attentamente. Trovato quel che cercava disse: «Avete ragione entrambi, tentare di valicare con queste condizioni potrebbe essere molto pericoloso, non me la sento di rischiare uomini e cavalli. Ma guardate qui.» e, porgendo loro la cartina, indicò il punto, «E’ segnata una piccola grotta a non più di un’ora di cavallo. Io direi di raggiungerla e di passare lì la notte... Sarà sempre meglio che stare all’aperto con questo tempo!». «La conosco.», intervenne Murriel che era di Coraman, «E’ spesso usata come riparo dalle pattuglie, ed è attrezzata con scorte di legna, viveri e fieno per i cavalli.». Gli altri annuirono, sollevati dall’idea di non dover affrontare l’ascesa al passo in condizioni così difficoltose. Date le disposizioni di marcia, ripartirono tutti.
Mentre giungevano alla grotta, la nevicata si infittì: in breve tempo, da pochi fiocchi portati dal vento si era scatenata in una vera e propria bufera. Non era inusuale che in quelle montagne così a Nord nevicasse anche all’inizio della primavera; inoltre l’inverno era stato particolarmente freddo e stentava a lasciare la presa su quelle terre.
La grotta era situata in fondo ad una galleria ben nascosta: chi non avesse saputo esattamente dove cercare difficilmente avrebbe trovato l’ingresso. Al termine del cunicolo si aprivano due ambienti: il primo, ampio abbastanza da consentire a un centinaio di uomini di accamparvisi, aveva pareti levigate dal Potere in cui erano fissati a intervalli regolari anelli metallici per le torce, oltre a diverse rientranze che ospitavano ordinate cataste di legna da ardere, e ad altre, poste più in alto per impedire agli animali selvatici di raggiungerle, contenenti le scorte di cibo; la seconda sala, altrettanto ampia, era invece attrezzata come stalla: il pavimento ricoperto di paglia, due corde a cui impastoiare i cavalli, mangiatoie, e una buona scorta di di fieno.
Appena entrati, alcuni dei giovani si occuparono dei cavalli, togliendo loro le selle, strigliandoli, impastoiandoli e riempiendo le mangiatoie. Altri accesero torce e fuochi, prepararono i giacigli per la notte, e si diedero da fare per cucinare qualcosa di caldo.
Morgan osservò Davrath che aiutava con i cavalli: bene, occorre tenerlo occupato, così non avrà tempo di farsi troppe domande. Poi si fece aiutare da Murriel, che era piuttosto forte in Spirito, per posizionare alcune tessiture d’allarme attorno all’ingresso esterno e lungo tutto il corridoio, al fine di non essere sorpresi nel sonno. Nonostante le protezioni, decise che avrebbero comunque stabilito alcuni turni di guardia.
Dopo aver consumato una soddisfacente cena, Morgan caricò la pipa e la accese, prendendo ampie boccate. Il fumo azzurrino saliva pigro andandosi a perdere in quello dei fuochi e delle torce che aleggiava sotto al soffitto dell’alta caverna; sembra esserci uno sbocco per il fumo, lassù, si disse Morgan, chissà se questo rifugio è stato interamente scavato con il Potere o se l’hanno ricavato da una grotta esistente. E si ritrovò ad immaginare che esistessero, come nella sua Tsorovarin, gallerie nella roccia per attraversare le montagne e raggiungere la valle di Coraman senza alcun ostacolo. Attorno a lui era sceso il silenzio: Davrath, probabilmente spossato dalla camminata e dagli eventi della giornata appena trascorsa, si era assopito su un giaciglio poco lontano, Rourke aveva raggiunto alcuni dei soldati che, attorno al fuoco al centro della sala, si stavano scambiando i racconti della battaglia; il resto dei ragazzi, esclusi i pochi che erano di guardia, dormivano già.

******

La battaglia era stata molto breve, nonostante i Trolloc fossero stati in netta superiorità numerica. La strategia scelta dal giovane capitano di quegli altrettanto giovani guerrieri era ottima e, unita alla mortale abilità di ciascuno di loro, aveva contribuito a far prendere allo scontro un esito imprevisto.
Dal suo nascondiglio il Cacciatore aveva osservato attentamente lo svolgersi della battaglia e l’incontro avvenuto tra i due giovani. Sicuramente il suo padrone non sarebbe stato contento: i due manipoli erano stati mandati proprio per cercare di impedire questo incontro, ma non era stata presa in considerazione la possibilità che, proprio a causa alla presenza dei trolloc, il giovane lupo sarebbe stato mandato fin lì per combatterli.
«Ta’veeren.», borbottò il Cacciatore, «Devono esserlo entrambi.». Quando il gruppo di guerrieri si allontanò, uscì dal suo nascondiglio, una depressione nel terreno collinare di quella valle. Si incamminò lesto per seguirli, mantenendosi comunque a una distanza sufficiente a non farsi scoprire.
Sempre da lontano scorse il gruppo cambiare direzione. Avranno preferito accamparsi in zona e aspettare la fine della nevicata, ben sapendo che in queste condizioni il passo è impraticabile, sorrise malevolo continuando a seguirli. Una volta scoperto dove passeranno la notte potrò comunicare la loro posizione e il Padrone manderà qualcuno per sistemarli, è stata una fortuna che la mia missione mi abbia portato a passare da qui!
Dovette pedinarli per poco più di un’ora prima di vederli entrare in un incavo nella parete rocciosa, che, nonostante le sue abilità, difficilmente avrebbe notato altrimenti. Nascondendosi nuovamente, attese il completo calare delle tenebre prima di togliere da sotto la giubba un fischietto d’osso finemente intagliato. Guardando l’oggetto attentamente ci si poteva accorgere che si trattava della falange di un dito umano, levigata fino a che l’osso non era diventato simile ad avorio, ed incisa con strani caratteri, che pochissimi avrebbero saputo riconoscere come quelli usati a Thakan’dar.
L’uomo portò il fischietto alle labbra e vi soffiò flebilmente. Attese a lungo prima che un grosso corvo dall’impennato nerissimo e con crudeli occhi rosso sangue si venisse ad appollaiare su un ramo poco lontano. Avvicinandosi al volatile, l’uomo stese un braccio e, quando l’uccello vi si posò, gli comunicò sommessamente il proprio messaggio: «Il giovane lupo e l’altro ragazzo sono dentro quella grotta. Vola veloce e comunica la loro posizione a quanti più manipoli possibile, questa volta non devono riuscire a scappare!». Poi, con un movimento del braccio incitò il corvo a prendere il volo «Ora va, svelto!».
Mentre il volatile spariva nella nevicata notturna, il Cacciatore voltò le spalle all’ingresso della caverna e si incamminò velocemente, senza preoccuparsi di lasciare tracce, dato che la nevicata prometteva di durare ancora quanto bastava a coprire abbondantemente ogni cosa. Adesso posso riprendere la mia missione, pensò, e arriverò a Coraman con almeno mezza giornata di anticipo sui ragazzi. Dazar sarà compiaciuto di avere queste notizie per primo.



Siadon

Siadon stava vagando nell’oscurità attraverso stretti cunicoli, avrebbe voluto correre ma non riusciva a muoversi velocemente. Sapeva di dover scappare, andarsene da quel posto ovunque si trovasse. Non ricordava come vi fosse arrivato ma doveva trattarsi di una miniera o qualcosa di simile, l’assordante rumore dei carrelli che sferragliavano sui binari e delle pietre che rotolavano non gli dava tregua. Provò a riprendere fiato reggendosi ad una parete, sicuro che di lì a poco avrebbe rivisto il suo ultimo pasto, quando diverse urla mostruose riuscirono quasi a sovrastare l’incessante baccano. Maledicendo sé stesso riprese a muoversi cercando di allontanarsi da quelle bestie, non li vedeva ma sapeva che erano trolloc, parecchi trolloc. Svoltò un angolo e si trovò di fronte a due uomini vestiti con delle tuniche simili a quelle usate al monastero. Rimasero immobili, con il volto in ombra fino a che uno dei due mosse il candelabro che reggeva e Siadon si trovò a fissare una faccia priva di occhi.

Aveva qualcosa di gelido premuto contro la guancia, la testa gli pulsava e una serie di punti luminosi danzavano dietro le sue palpebre. Lentamente riprese conoscenza, percepì la sua mano stretta attorno ad un’elsa, riuscì a muovere le dita dei piedi, le gambe e si accorse di essere sdraiato sul pavimento di uno stretto corridoio. Nella penombra distinse un corpo accasciato poco distante e si ricordò che lui ed una Sorella erano quasi morti.. no, lui aveva ucciso la Sorella ma non ne ricordava il motivo. Rimase sdraiato fissando il soffitto mentre cercava di organizzare le idee Quella strega mi ha avvelenato.. ma quando.. dove sono finiti i trolloc? Lentamente si ricordò di essere al monastero ed i dettagli di quanto successo si fecero sempre più vivi man mano il mal di testa scemava. Bene, era solo uno stupido sogno.. poi gli tornarono in mente i due uomini che aveva visto prima di perdere i sensi. Oppure no?.
Rimase sdraiato a lungo, conosceva gli effetti di quel veleno e sapeva che muoversi non era una buona idea. Veniva usato spesso prima degli interrogatori, provocava forti allucinazioni se non si manteneva la calma e quando si è legati ad un tavolo, circondati da ferri incandescenti, rimanere tranquilli non è per nulla facile.
Chi erano quei due? Dovevano essere due Fratelli, nessun altro aveva il permesso di raggiungere quella zona del monastero. Eppure nessuno della famiglia avrebbe indossato il grigio dopo essere rientrato. Che fossero due Fratelli non ancora tornati, assieme e senza scorta era davvero impossibile. Due fratelli ci avrebbero visti. Era una semplice verità ma non riusciva ad accettarne le implicazioni: due esterni vagavano indisturbati in settori proibiti del monastero e non sembravano affatto intimoriti, probabilmente non era la loro prima volta.
Sentì una porta chiudersi in lontananza e ricordò di trovarsi sdraiato nel mezzo di un corridoio al fianco di un cadavere. Si guardò attorno, in cerca di un nascondiglio poi si alzò lentamente e trascinò la Sorella in una stanza buia poco distante. Protetto dall’oscurità ascoltò il proprio battito respirando lentamente, era ancora debole e quel breve sforzo l’aveva affaticato più di quanto avrebbe voluto. Dei passi leggeri attirarono la sua attenzione, soppesò il pugnale della Sorella osservando l’incrocio mentre il rumore si faceva più vicino. Nella penombra vide una figura avvolta da una tunica svoltare l’angolo e fermarsi immobile al centro del corridoio. Poi lentamente ruotò la testa nella sua direzione, il volto era nascosto dall’oscurità ma Siadon poteva percepire che lo stava fissando. L’attimo successivo la figura si era avvicinata brandendo una spada ed il pugnale della Sorella stava sfrecciando verso il suo petto ma al posto di rimanervi conficcato lo oltrepassò come se non esistesse.
Maledetto idiota! Calmati, respira. Pensò mentre l’immagine prodotta dalla sua mente si dissolveva e sentiva il pugnale rimbalzare contro le pietre della parete opposta. Si sdraiò nell’angolo più nascosto della stanza, dietro quelle che al tatto dovevano essere alcune casse di legno dimenticate da anni. Poi si concentrò sul proprio battito ignorando qualsiasi rumore o sensazione, non era in grado di distinguere la realtà dalle allucinazioni ma sapeva che entrambe avrebbero potuto ucciderlo con la stessa facilità. Udì delle voci ed una volta vide due enormi trolloc scavalcare il suo nascondiglio per infilzarlo con delle picche ma con il passare del tempo avvenimenti simili si fecero sempre più radi fino a quando si convinse che il veleno aveva ormai perso ogni effetto. Rimase sdraiato un altro po’ prima di rendersi conto di non vedere più assolutamente nulla, anche la poca luce che arrivava dal corridoio se ne era andata. Dannata strega, m’hai tenuto qua sotto per quasi due giorni! pensò stupito mentre costeggiando la parete si avvicinava al corridoio. Dove sei? Era certo di aver raggiunto l’angolo nel quale aveva lasciato il corpo della Sorella ma non lo trovava, probabilmente alcune di quelle voci non erano frutto della sua mente, qualcuno doveva averlo spostato.

Non molto tempo dopo, Siadon era fermo davanti all’ingresso delle proprie stanze, qualcuno era stato lì da quando lui era uscito. Prendeva sempre delle precauzioni per accorgersene, soprattutto da quando le notizie sulla progenie dell’ombra avevano fatto impazzire praticamente tutti nel monastero. Qualche filo strappato o delle pagliuzze del materasso, niente di appariscente ma non rimanevano mai al loro posto se qualcuno apriva la porta ed ora non erano dove le aveva lasciate. Estrasse il pugnale ed aprì velocemente, trovandosi di fronte a Thea, seduta sulla poltrona che leggeva un piccolo libricino usurato dal tempo mentre con la mano libera puntava una balestra verso la parete. Poi si accorse di fissare l’immagine della Sorella riflessa nel suo specchio, spostato di fianco al camino in modo da attirare l’attenzione e dare a Thea il tempo di agire senza correre rischi.



Mabien Asuka

Com'era accaduto al suo ingresso in città, anche ora la guardia al cancello nord indugiava sulla lettera che Mab gli aveva mostrato per poter uscire indisturbata. Il manto bianco aveva chiamato un altro soldato, aveva fatto leggere il foglio anche a lui e poi si erano messi a discutere tra loro in modo che lei, dall'alto del suo cavallo, non riuscisse a sentirli. Di tanto in tanto guardavano lei e il suo accompagnatore, per Mab nascondere la tensione che le dava quell'attesa si faceva sempre più difficile, ma non doveva perdere la compostezza che ci si aspettava da una signora quale voleva sembrare. Il suo accompagnatore era di poche parole, anzi aveva sentito la sua voce una sola volta, quando si era presentato prodigandosi poi in un inchino malriuscito, un gesto a cui chiaramente non era abituato, ma che qualcuno gli aveva detto di fare. Poco importava che fosse uno zotico rissaiolo da taverna, anzi il fatto che sembrasse tutt'altro che sveglio aveva solo lati positivi. Se ne stava fermo sul cavallo, emettendo ad intervalli regolari un sibilo dal naso, l'evidente ricordo delle varie volte che se l'era fatto spaccare. Ora però quel fischio ripetitivo le urtava i nervi, insieme al confuso mormorio di quei due stramaledetti Figli che continuavano a discutere. Calma, doveva mantenere la calma.
«C'è qualche problema?» Hilda uscì dal passaggio che portava alle vedette sopra le mura, poteva essere lì fin da quando Mab era arrivata ai cancelli e averla riconosciuta. Oberon si mosse e Mab dovette tirare le redini per calmarlo, si era sempre stupita di quanto quegli animali sentissero lo stato d'animo di chi avevano in groppa. Hilda intanto si era avvicinata ai due soldati, che con la massima reverenza le aveano mostrato il foglio, le decorazioni sulla divisa della donna davano ragione di tanto rispetto nei suoi confronti. Lei afferrò la lettera, alzò un sopracciglio poi guardò Mab, non era sicura ma quello che le comparve per un breve istante ad un angolo della bocca sembrava un sorrisetto compiaciuto.
«Lasciate perdere questa: conosco la signora, mi occupo io di lei. Portatemi il mio cavallo» disse ai due soldati, quindi riportò lo sguardo su Mab «Potete congedare il vostro accompagnatore, se non vi dispiace sarò io stessa la vostra scorta fino alla prossima città»
A che gioco stava giocando? Le avrebbe voluto strappare dalle orbite quei maledetti occhi celesti che le stava puntando contro, se solo avesse potuto.
«Non vorrei mai disturbare un ufficiale dei Figli della Luce per così poco»
Hilda allungò una mano guantata di pelle bianca e la pose sopra il pugno con cui Mab stringeva le redini di Oberon.
«Nessun disturbo, credetemi, nessun disturbo.» Mab non aveva scelta.

Le mura di Dobied erano alle loro spalle, Mab non osava parlare, sperava che lo facesse l'altra donna, ma soprattutto aspettava con impazienza il momento in cui sarebbero state abbastanza lontane dalla città per poter incanalare e liberarsi così di lei. Ma non poteva essere tanto semplice, doveva esserci qualcosa: Hilda sapeva chi era lei, sapeva cosa poteva farle e nonostante questo continuava a cavalcarle a fianco sul suo grigio come se effettivamente scortasse una semplice nobildonna.
Quando l'effetto della città svanì potè percere di nuovo la Fonte, con la coda dell'occhio osservò la sua compagna: ancora niente, non una parola, non un'espressione che potesse tradire le sue intenzioni, nient'altro che il suo dannatissimo portamento sicuro ed elegante.
Erano abbastanza lontane dal centro abitato ormai e nessuno era in vista, lentamente tirò le redini di Oberon per farlo fermare, abbracciò saidar, preparò flussi d'aria, li avvolse attorno alla donna e li vide svanire. Mab battè le palpebre, poi rifece la stessa operazione col medesimo risultato per altre due volte, al terzo tentativo la rabbia e la frustrazione erano tanto forti da farle perdere il contatto con la Fonte. Hilda intanto si era fermata, si girò lentamente a guardarla, ancora una volta apparvero per un istante un paio di pieghe accanto all'angolo sinistro della sua bocca.
«Non puoi usare il Potere su di me» disse senza battere ciglio «Avanti, fai marciare quel cavallo, non voglio fare notte prima d'aver raggiunto un posto decente in cui dormire» quindi si era girata in avanti ed era ripartita.
Cosa? Questa proprio non l'aveva mai sentita: persone su cui il Potere non aveva effetto? Non ne aveva mai sentito parlare, però aveva appena visto coi suoi occhi i flussi sciogliersi al contatto con quella donna. Come poteva essere? Un insistente formicolio alle mani le diceva che ormai la calma era persa. Raggiunse Hilda e praticamente urlò.
«Cosa significa?»
Per quanto lei fosse sconvolta, l'altra donna al contrario manteneva una calma serafica da fare invidia alle leggendarie Aes Sedai di cui aveva letto su libri che pochi sapevano fossero ancora in circolazione.
«Non sono tenuta a spiegartelo, Mabien Asuka... o preferisci che ti chiami Lamya Jabar?» non si era nemmeno degnata di girarsi a guardarla.
«Come sarebbe che non sei tenuta?» un momento... come poteva sapere di Lamya Jabar? Quello era il nome con cui la conoscevano a Kiendger, che ne sapeva lei?
Si sentì affogare dalle mille domande che avrebbe voluto farle, ma rimase solo a guardarla a occhi sbarrati, respirare sembrava essere diventato difficile. Hilda si girò.
«Credo che avremo molto di cui parlare, noi due»
Le girava la testa per la confusione, per la paura, per la rabbia. Quella donna le doveva delle spiegazioni, non sapeva nemmeno da dove cominciare a chiedergliele, ma non poteva continuare a farsi prendere in giro in quel modo. Poteva essere anche immune a Saidar, per quanto la cosa la lasciasse basita, ma la lama di un pugnale avrebbe trafitto la sua carne come quella di ogni altro comune mortale. Il tempo di estrarre l'arma però che Hilda gliel'aveva già fatta volare via con un fendente e senza nemmeno scomporsi sulla sella. Ora le puntava la spada al petto, più per ammonimento che per minaccia.
«Calmati. Non sopporto le persone agitate. Ogni cosa a suo tempo: quando troveremo un posto tranquillo ti spiegherò quel che puoi sapere, e tu dirai a me quel che voglio sapere io. Ora per favore cerca di comportarti come ci si aspetta da una signora e non incanalare a meno che non te lo...»
La testa continuava a vorticare, non riusciva a smettere di respirare affannosamente, sentì la voce di Hilda come perdere tonalità di parola in parola, si rese conto che aveva gli occhi aperti, ma non riuscivano a mettere a fuoco, sapeva che stava per cadere da cavallo, ma non realizzava come avrebbe potuto impedirlo.

La prima cosa che percepì fu il buon profumo del mantello bianco che la copriva, ma riconquistate lucidità e forze, lo fece subito da parte e si sollevò. Tutto attorno c'era boscaglia, abeti per lo più e il terreno roccioso ricoperto di muschio tipico delle regioni del nord. I cavalli erano legati ad un albero poco distante, la strada non si vedeva, Hilda nemmeno.
Ancora un leggero torpore le impediva di stare in piedi senza doversi reggere da qualche parte, non sarebbe scappata lontano in quello stato.
«Non ti facevo tanto delicata» La voce di Hilda arrivò all'improvviso da dietro le sue spalle, sembrava essersi materializzata dal nulla.
«Tu non hai idea di quello che mi è capitato nel giro di nemmeno una settimana, è già tanto che possa essere ancora qui a raccontarlo. Ci mancavi solo tu ora, cosa vuoi, per la Luce?» Non voleva più perdere le staffe, quindi lo disse con tono pacato, ma ormai le aveva già dato la soddisfazione di sobbalzare quando l'aveva sentita parlare poco prima. Con una mano si sosteneva al tronco dell'albero più vicino, con l'altra si massaggiava una tempia. In un primo momento aveva pensato di essere stata avvelenata, no, era solo troppo troppo nervosa.
Hilda raccolse il proprio mantello, lo controllò e ripulì, poi indossandolo oltrepassò la ragazza, sembrava sondare il terreno e prestare attenzione a qualcosa.
«Chiariamo subito la situazione: prima di tutto non sei tu a fare le domande. Ad ogni modo non è il luogo né il momento questo per affrontare certi argomenti» la sua voce era piatta e non molto alta, si fermò e girò la testa come se avesse sentito un rumore che necessitava di maggiore attenzione, ma poi proseguì «Ti dirò una cosa sola, così magari ti dai una calmata. Non ho intenzione di denunciarti o peggio, almeno non se farai quanto ti chiedo» aveva parlato camminando lentamente e ora era tornata davanti a lei e la guardava dritto negli occhi, il ghiaccio non era tanto gelido «Mi servi. Non intralciarmi e segui i miei ordini, avremo entrambe di che guadagnarci. Intesi?»
Mab si sforzò di sostenere lo sguardo della donna.
«Come puoi pretendere che mi fidi?»
«Per ora pretendo solo che tu mi obbedisca, non ti conviene fare altrimenti» poi la sua espressione cambiò, sembrò farsi più grave «Non ti sarei venuta a cercare, se non fosse stata una cosa importante, se non fosse stato necessario.»
«Che significa che mi sei venuta a cercare? Vorresti farmi credere che quell'incontro non è stato casuale?»
«Ti ho detto che non sei tu a fare le domande, comunque è stato meno casuale di quanto tu possa immaginare» Poi finalmente le tolse gli occhi di dosso e Mab si accorse solo in quel momento che durante lo scambio di battute era finita per appiattirsi al tronco dell'albero a cui era inizialmente solo appoggiata. Quella donna le faceva paura, le aveva appena svelato che aveva bisogno di lei, per chissà cosa, il che metteva Mab in una posizione da un certo punto di vista vantaggiosa, ma comunque le incuteva timore, le incuteva uno stramaledetto timore! Appena le aveva girato le spalle, la ragazza aveva tratto un lungo sospiro di sollievo e si era staccata dall'albero.
«Ce la fai a riprendere il viaggio? Per un po' dovremo procedere a piedi: raggiungeremo un sentiero battuto che porta ad un villaggio piuttosto grande, verso nord. Arriveremo che sarà già buio, ma a questo punto è meglio non riprendere la via principale»
«Ho capito che non devo fare domande, ma almeno sapere dove stiamo andando mi farebbe piacere.»
Hilda aveva intanto raggiunto i cavalli e li stava slegando.
«Andiamo dove stavi andando tu»
«E dove stavo andando io?»
«A nord, no? E sappiamo entrambe da chi...»
«C...cosa?»
«Non fare l'ingenua Mabien! Dovresti sapere meglio di me che ci son cose che alcuni Figli nascondono con la stessa cura con cui ne cercano informazioni... Li raggiungeremo, è quello che volevi anche tu, no?»
Mab rimase allibita: era stata invischiata nei traffici più sordidi in cui si muoveva Krooche in quegli ultimi anni, ma era convinta che fosse un fenomeno ristretto quanto pericoloso. Il fatto che una come lei, una Figlia di ben altra risma rispetto a quello che era stato il suo padrone fino a pochi gorni prima, sapesse certe informazioni significava che circolavano più di quanto avesse immaginato.
Senza rendersene conto Mab si mise a ridere in modo isterico.
«E tu, una Figlia della Luce che per di più porta il nome degli Al'Kishira, vorresti "andare al nord"... e con me?» disse continuando a ridere, finchè non si trovò Hilda ad un palmo che di nuovo la fissava, glaciale come la morte.
«Non c'è niente da ridere, è esattamente quello che succederà e credimi, non c'è niente di divertente, ma finchè farai quel che ti dico andrà tutto bene. Hai finito con le domande ora?»
Un rumore di fronde che si muovevano, uno sbattere di ali e un verso stridulo precedettero una coppia di corvi che si alzavano in volo a non molta distanza da loro.
«Maledizione! Sbrighiamoci» la voce di Hilda si era fatta secca, prese Mab per l'avambraccio e le mise in mano le redini di Oberon.
Il fatto che la donna temesse i corvi era un pessimo segno: Mab sapeva che i corvi facevano parte in un certo senso della progenie dell'Ombra. In un mondo che rifiutava l'esistenza del Tenebroso era del tutto impossibile avere conoscenze di argomenti del genere che la confederazione vietava nel modo più assoluto. Doveva ringraziare Krooche per quel che sapeva, grazie a lui era riuscita ad avere copie di libri proibiti, testi riguardanti profezie, studi sull'uso del Potere e ricerche storiografiche risalenti a epoche precedenti che l'Ordine dei Figli della Luce provvedeva a bruciare... ufficialmente. Se Hilda temeva i corvi, significava che temeva il Tenebroso perchè in qualche modo ci aveva a che fare, ma non poteva credere che proprio lei fosse una Serva dell'Ombra. Certo non le stava simpatica e non stava facendo niente per guadagnarsi la sua fiducia, però che si fosse legata all'Ombra non le sembrava possibile: quando aveva deciso di renderla schiava piuttosto che ucciderla, l'aveva fatto per pietà, per bontà a modo suo. No, non poteva essere.
C'erano una marea di cose che Mab avrebbe voluto sapere da lei, ma impallidivano tutte di fronte al dubbio di essersi appena fatta incastrare da una Serva dell'Ombra e ora non riusciva a pensare ad altro mentre procedeva osservando quasi ipnotizzata il sole ricamato sul mantello bianco che pendeva alle spalle di Hilda.



continua...



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Capitolo 15
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte quarta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte quarta]

Siadon

«Anche io sono contento di vederti» le disse osservando il dardo della balestra puntato verso di lui.
«Ho creduto che fossi morto» sentì rispondere mentre spostava una panca contro la porta. Sono ancora avvelenato o è davvero preoccupata?
«Gurlav è morto e Tamara è scomparsa, immagino che io sarei stata la prossima se non ti avessi aspettato qui»
«In quanti siamo rimasti?»
«Fino a ieri nove. Poi ho trovato un messaggio di Tamara e mi sono nascosta. Lei sapeva cosa stava per accadere»
Nove e nessun anziano, non accetteranno mai la nostra posizione. «Quanti.. che significa lo sapeva?»
«Penso che l’abbia sognato, sapeva che la sua ora era vicina. I bambini ci sono ancora tutti, dopo Elsa siamo quelli con più esperienza. Siadon, non possiamo farcela.»
Tolti loro rimaniamo in quattro, quei maledetti sono stati veloci. In soli due giorni, probabilmente meno, li avevano resi inoffensivi. Non sarebbero riusciti a convincere nessuno, non senza anziani e per di più con diversi Fratelli e Sorelle che non avevano mai abbandonato il monastero, che non avevano ancora provato davvero di essere meritevoli, dei bambini secondo i canoni della Famiglia. Gli altri avevano deciso di non credere nella rinascita del Padre ma la via da seguire ancora non era stabilita. Parecchi sostenevano che bisognava continuare sulla strada percorsa negli ultimi decenni però Siadon sapeva che c’era almeno un’altra corrente di pensiero. Se qualche giorno prima era un sospetto, dopo aver visto degli esterni nelle segrete del monastero ne aveva la certezza, quei due dovevano avere la protezione di qualcuno per sopravvivere e di certo quel qualcuno non voleva mantenere le cose inalterate.
«Hai ragione, non possiamo convincerli» Le rispose infine mentre ispezionava diversi recipienti stipati in una cassapanca, posandone alcuni sul pavimento.
«Dobbiamo trovare Elsa e cercare un modo per andarcene da qui. Cosa stai cercando?»
Aveva pensato diverse volte a quel momento, intimorito ma anche curioso di sapere come si sarebbe sentito e come avrebbe reagito Thea. Ora che non era più un’ipotesi, ora che lo stava vivendo davvero, si sentiva quasi deluso nel non provare particolari emozioni. Estrasse un cofanetto di legno rosso intarsiato, i motivi dell’intaglio richiamavano una foresta acquitrinosa. Ogni volta che lo osservava non poteva evitare di domandarsi cosa passasse per la testa all’artigiano per spingerlo a credere che qualcuno avrebbe pagato per una decorazione simile.
«Un modo per ucciderli tutti.»
Thea lo studiò per qualche istante «Sei drogato?»
Non sembra poi molto stupita, possibile che non ci sorprenda più nulla? Eppure si ricordava un tempo in cui aveva osservato rapito un menestrello far ruotare in aria qualche palla colorata, quando i colori della primavera bastavano per farlo sorridere. Ricordava Thea i primi anni al monastero, le volte che avevano gioito o pianto assieme. Cosa siamo diventati? Che senso ha se l’ombra può generare simili creature?
«Siamo condannati Thea, ogni Fratello ed ogni Sorella ci rinnegherà e cercherà di ucciderci l’attimo dopo averci riconosciuti. Voglio solo fare in modo che non siano troppi.»
Lei continuò a studiarlo «Non mentirmi»
«Questo posto è maledetto dalla Luce, tutti noi lo siamo. Alcuni discepoli dell’ombra camminano tra noi indisturbati, probabilmente coperti da qualche Fratello o da qualche Sorella. Non possiamo permetterlo.»
«Come l’hai saputo?»
Perché nemmeno questo ti stupisce? Allontanò ogni emozione ed elencò mentalmente tutte le armi che teneva nascoste nella stanza. La più vicina era una spada corta in un fodero inchiodato sotto la cassapanca che stava esaminando.
«Non guardarmi così, Tamara mi ha lasciato il diario su cui annotava i suoi sogni. Sapeva cosa stava per succedere e ci ha inviati ad interrogare quei ribelli perché ci riteneva in grado di prendere la decisione giusta se le cose fossero andate male.»
«Uccidere tutti o andarcene?»
«Non è scritto ma dice che tu avresti incontrato qualcuno che ti avrebbe aiutato a ricordare qualcosa e che se fossi sopravvissuto avresti diviso per sempre la Famiglia. Diceva sempre che i sogni sono difficili da interpretare, credevo intendesse che ce ne saremmo andati ed avremmo creato una nuova setta ma immagino che anche dividere la Famiglia tra vivi e morti possa andare.»
«L’unica Sorella che ho incontrato mi ha ricordato che i veleni possono uccidere in molti modi. Dubito che intendesse questo.»
«Come hai scoperto che ci sono Fratelli votati all’ombra?»
«Ho visto due uomini vestiti di grigio nel corridoi proibiti agli esterni, erano soli e camminavano a loro agio, devono avere l’appoggio di qualcuno.»
Thea lo fissò perplessa «Non mi pare questa grande prova.»
«Mentre ero privo di sensi ho creduto di essere in una miniera infestata dai trolloc, c’erano anche quei due tizi ed uno di loro era uno di quei mostri pallidi senza occhi. Poi mi sono svegliato.»
«Sei sicuro di non essere ancora avvelenato? Vuoi uccidere tutti per un’allucinazione?»
Tutto sommato qualcosa può ancora stupirci pensò Siadon sollevato.
«Non era un’allucinazione e nemmeno un sogno, non so come ma era diverso.»
«Io ti credo ma non sarà facile spiegarlo agli altri, proviamo almeno a cercare quei due.»

Quel pomeriggio si appostarono nella stanza usata come nascondiglio il giorno prima. Siadon dubitava che sarebbe servito a qualcosa ma era certo che nelle sue stanze sarebbe stato molto meno al sicuro. Mentre osservava i corridoi farsi sempre più scuri pensò al modo migliore per abbandonare il monastero ma più ci provava, più forte si faceva in lui la convinzione di perdere qualcosa di importante. Apparteneva a quelle mura, era l’unico posto al mondo nel quale poteva vivere senza bisogno di mentire. Era perso nei ricordi quando vide delle luci farsi sempre più luminose, svegliò Thea sfiorandola e lei lo raggiunse senza fare alcun rumore. I passi si avvicinarono sempre di più fino a quando due persone apparvero da dietro un angolo per poi scomparire nel corridoio successivo, seguite da altre due ed una quinta a chiudere la strana processione. Tutte vestivano tuniche grigie.
Aspettarono qualche attimo, poi li seguirono nel labirinto di cunicoli fino a quando il gruppetto attraversò un portone chiudendoselo alle spalle. Nell’oscurità avanzarono fino a raggiungere l’ingresso, poi rimasero immobili ad ascoltare.
Sembrava che all’interno stessero tutti parlando contemporaneamente, sicuramente erano più di cinque, probabilmente una ventina. Luce, stanno pregando! Il pensiero colpì Siadon all’improvviso, così come le parole della litania. Conosceva la religione dei Figli della Luce, i pellegrini che raggiungevano il monastero si aspettavano di incontrare dei preti, quindi tutti i Fratelli e tutte le Sorelle studiavano i dogmi e le preghiere di quella fede. Quello che stava ascoltando ora però era l’esatto contrario, era una lode all’ombra, un giuramento di obbedienza, la richiesta di esaudire un desiderio in cambio di qualcosa, non riusciva a cogliere ogni parola ma dal tono delle voci gli sembrava che la cerimonia stesse per raggiungere un momento importante. Improvvisamente la preghiera si interruppe, il silenzio era rotto solo dal pianto di una donna. Poi anche quel rumore scomparve, sostituito da alcuni colpi sordi e da qualcosa di liquido che veniva versato sul pavimento.
Ancora avvolto dall’oscurità, sentì Thea disegnarli sul braccio alcuni segni. Uccidiamoli tutti
Le prese la mano e tracciò un «Sì» sul dorso, poi risalì il braccio fino ad arrivare alla nuca e la baciò.
Si allontanarono in silenzio dal portone e percorsero un lungo tratto di corridoio fino a raggiungere il primo incrocio, poi si nascosero e rimasero in attesa. Questa è l’unica via d’uscita e la percorreranno a piccoli gruppi per non farsi scoprire. Pensò Siadon sorridendo.



Merian Elen Syana

A prima vista il villaggio di Zemai era sembrato nient’altro che un semplice agglomerato di case incassate alla rinfusa in un’ampia valle, costruito in vista delle lontane montagne a nord su una terra dormiente e lontana dalle città. Ma man mano che la comitiva procedeva si era accorta ben presto che quella prima impressione era sbagliata: tra le molte case di semplice legno spiccavano alcuni edifici dai tetti in pietra, posseduti probabilmente da qualche mercante, e sembrava che ogni singola persona di quel luogo si fosse riversata sulle miriadi di viuzze che si diramavano in ogni dove. Zemai ricordava in tutto e per tutto un formicaio. Era pur sempre un piccolo villaggio ma la sua organizzazione lasciava senza fiato, con addirittura due torrette di guardia ben nascoste che però un osservatore attento poteva scorgere fare capolino sopra la linea degli alberi.
Merian cavalcava insieme a Brienne in groppa a Shan - il suo cavallo era stato infatti lasciato andare prima di entrare al villaggio, nessuno voleva rischiare che la gente del luogo notasse il marchio dei Manti Bianchi sull’animale - e non vedeva l’ora di arrivare a destinazione per poter fare finalmente un bagno caldo. Era emozionata mentre entrava nel paese: un luogo in cui poteva finalmente camminare libera senza dover chinare la testa davanti a nessuno o aver paura di essere punita; inoltre era eccitata di fronte all’idea di dormire in una locanda. Non si spiegava il perché ma le stuzzicava la fantasia più di ogni altra cosa, probabilmente un ricordo delle storie che le raccontavano da bambina in cui in ogni avventura che si rispettasse sembrava esserci l’obbligo di un soggiorno in una locanda dai nomi strani!
Quella in cui si fermarono non richiamava però alcunché di bizzarro e Merian fu quasi delusa quando, scesa da cavallo, si fermò ad osservare l’insegna penzolante del grande edificio di mattoni rossi. Mostrava la scritta “Il Grigio Pellegrino” in brillanti caratteri color argento sopra la figura di un vecchio dalla lunga barba appoggiato al suo bastone da viaggio.
Niente di strano dunque, solo un luogo che invitava i viandanti a riposarsi dopo una lunga giornata di cammino. Doveva essere davvero stanca se cominciava a desiderare delle avventure, come se la situazione in cui si trovava non fosse già abbastanza movimentata. Sorrise tra sé al pensiero mentre seguiva Rohedric e Ariel all’interno, tallonata da Brienne che borbottava sottovoce lanciando occhiate feroci all’erborista.
Gli altri tre erano stati mandati in cerca di informazioni utili e di un nuovo cavallo per lei: a quanto pareva Jon era molto bravo in queste cose e suo fratello si fidava ciecamente di lui nonostante la giovane età. Merian non sapeva nulla di cavalli - solamente come evitare di cadere - e per lei era sufficiente che il nuovo acquisto fosse più docile del precedente.
Se dall’esterno la locanda era sembrata insignificante, l’interno tuttavia mostrava tutto il suo splendore: la sala comune si estendeva di fronte a loro illuminata a giorno dalla moltitudine di lampade appese tra le ampie finestre lungo i due muri laterali, poste tra un tavolo e l’altro; nel mezzo, per tutta la lunghezza della stanza, si trovavano altri tavoli più piccoli che ospitavano alcune persone sedute su panche, barili o sgabelli, intenti a bere e a giocare a dadi. Ai due angoli opposti della parete alla loro destra vi erano due camini accesi che mantenevano l’ambiente nel giusto tepore, e in fondo si poteva scorgere una scala che portava al piano superiore accanto a un tendaggio, nell’angolo di fronte al camino, che senza dubbio nascondeva una porta.
Non appena ebbero messo piede all’interno la locandiera si fece loro incontro mostrando un ampio sorriso. Era una donna di mezza età, dai lunghi capelli corvini che mostravano un tocco di grigio sulle tempie e il seno più grande che Merian avesse mai visto! Non era per niente bella e il vestito nel quale era strizzata rendeva evidente che fosse un po’ troppo in carne, ma ogni uomo nella sala si era girato a guardarla mentre si avvicinava, e persino Rohedric non poté fare a meno di osservare intensamente l’ampia scollatura mentre si chinava profondamente davanti ai nuovi arrivati.
Uomini! pensò Merian alzando gli occhi al cielo mentre nello stesso momento Brienne sbuffava sonoramente. Ariel sorrise alla donna e fece un leggero inchino mostrando a sua volta la propria scollatura quasi fosse una gara, e la sala si riempì di mormorii. Merian si sentì a disagio e si strinse nel suo mantello, e la loro ospite rise così forte tanto da far riprendere Rohedric dalla sua distrazione.
«Che la Luce splenda su di te e la tua dimora mia signora,» disse con un leggero cenno del capo «io mi chiamo Loras e questa è mia moglie Sarah.» Indicò Ariel questa volta e Brienne si limitò solo a fare una leggera smorfia, in fondo si rendeva conto anche lei che vestita come un soldato non poteva certo sembrare una moglie credibile. «Veniamo da un lungo viaggio e gradiremmo avere al più presto una sistemazione per noi e il nostro seguito. Ci serviranno tre stanze e apprezzeremmo molto anche un buon pasto e un bagno caldo.»
Disse tutto questo con il suo solito garbo, sorridendo e parlando in tono suadente come solo lui sapeva fare, e la locandiera si interruppe a metà della sua risata pendendo dalle labbra dell’uomo come fosse un pesce in attesa dell’amo: Rohedric faceva questo effetto alle donne...
Madama Tinin chiamò con voce impacciata una delle giovani cameriere per accompagnarli al piano superiore, e dopo un ulteriore inchino andò nelle cucine a sbraitare ordini.
Una volta che la ragazza se ne fu andata, Rohedric assegnò loro le stanze: Merian si ritrovò con sua grande sorpresa insieme a Brienne – che stranamente non disse nulla - e lui si sistemò con il fratello lasciando ad Ariel una camera tutta per sé. L’uomo non diede il tempo a nessuna di riposarsi, e così, subito dopo aver lasciato i bagagli nelle stanze, si ritrovarono di nuovo nella sala comune.
Dietro la tenda accanto alla scala si nascondeva effettivamente una porta che portava a una stanza privata, e fu qui che la compagnia si accomodò per parlare in privato.
Madama Tinin venne personalmente a portare loro la cena, e si fermò qualche istante con la scusa di volersi intrattenere con dei forestieri le cui notizie erano sempre ben accette. In realtà fu solo lei a parlare, incoraggiata dal sorriso di Rohedric, che la guardava nel tipico modo di un uomo che desideri soltanto una cosa da una donna. Da come l’altra rispondeva a quegli sguardi languidi era evidente che non le interessava molto né delle notizie dei nuovi arrivati, né del fatto che l’uomo potesse essere sposato: sembrava che non esistesse altro che lui, e le altre donne dovettero provvedere loro stesse a versarsi il vino speziato nei loro calici.
Brienne era sempre più stizzita e mangiava ogni cosa con la stessa aria allegra di un condannato a morte, mentre Ariel interpretava la parte della moglie gelosa che ogni tanto scoccava un’occhiataccia al marito e richiamava l’attenzione tirando su col naso o schiarendosi la gola. Merian era l’unica che riusciva a godersi il pasto: pressoché indifferente a ciò che le accadeva intorno, era occupata a divorare una coscia di pollo più grossa della sua mano; negli ultimi tre giorni si era cibata soltanto di quello che il gruppo aveva portato con sé per il viaggio – vale a dire carne secca, pane e formaggio - non avendo avuto tempo per cacciare, e nemmeno a Ishamera si era mai potuta godere un pasto così fastoso. Ma una cosa che disse la donna la fece bloccare mentre addentava una fetta di pane tostato.
A quanto pareva il villaggio di Zemai commerciava con la città più vicina dei Manti Bianchi, ShaidarShain, per questo era così fiorente e pieno di vita, con i lavoratori che si davano da fare per soddisfare le sempre più crescenti richieste dei loro compratori. “Il Grigio Pellegrino” era l’unica locanda del villaggio e di conseguenza i mercanti si ritrovavano qui a portare a termine i loro affari; nulla di preoccupante dunque, non fosse per il fatto che alcuni di loro spesso erano accompagnati da guardie degli stessi Manti Bianchi. La donna trovava la loro presenza rassicurante, convinta che quei soldati facessero al meglio il loro lavoro, ed era terrorizzata dagli Incanalatori.
«Sono come animali, mio signore, lupi famelici che si nascondono la Luce sa dove in attesa che qualche malcapitato abbia la sventura di trovarsi dalle loro parti. L’ho visto con i miei occhi,» annuì convinta la donna «circa un anno fa, quando uno di quelli è entrato nella mia locanda facendosi passare per una mercante.» Merian mandò giù tutto d’un sorso il vino che aveva nel calice guadagnandosi un’occhiata stupita da Brienne, cui non fece caso - anzi fece per versarsi altro vino - ma l’altra donna le strappò di mano la caraffa. Arrossì violentemente e tornò a volgere lo sguardo imbarazzato sulla locandiera mentre Brienne la teneva d’occhio dalla parte opposta del tavolo.
«Grazie alla Luce in quel momento erano presenti due Manti Bianchi, e uno di loro ha riconosciuto l’impostora. Sapessi quanto ci è voluto per portarla via, continuava a blaterare che “l’Ombra stava tornando” e che tutti erano in pericolo e che dovevano rivolgersi ai Ribelli se volevano salvarsi! Bah, un sacco di assurdità, non è vero mio signore?»
Rohedric le sorrise più ampiamente e, versando del vino nella coppa della donna, le disse:
«Hai perfettamente ragione, a certa gente non dovrebbe essere permesso di vagare libera per le strade.» Alzò la sua coppa per bere e la donna imitò il gesto, ma Rohedric si limitò ad accostare le sue labbra al bordo fissando la locandiera con intensità. Madama Tinin arrossì – cosa che sembrava impossibile per una donna del suo stampo - e si inumidì le labbra smaniosa prima di bere. Merian non poté fare a meno di sogghignare: quell’uomo ci sapeva proprio fare!
Senza smettere di fissare la donna, Rohedric prese la coppa con entrambe le mani e si chinò in avanti verso di lei. Tamburellò con le dita sul bordo guardandola ancora per un po’ e poi assunse la sua solita espressione pensierosa, alzando gli occhi al cielo e inclinando la testa da un lato. Dopo un momento riportò quegli occhi penetranti su di lei e la donna quasi sobbalzò.
«Quello che hai detto mi ha riportato alla mente una storia… ma non voglio farti perdere altro tempo, senza dubbio hai del lavoro da sbrigare.» La donna fece per ribattere ma Rohedric non le diede il tempo. «Avremo modo di parlare ancora, non temere,» aggiunse provocante: in quella frase era inteso molto di più che una semplice chiacchierata, e la donna se ne rendeva perfettamente conto a giudicare dalla sua espressione. Si alzò per andarsene, ma Rohedric la fermò facendo un cenno con la mano come se gli fosse venuto in mente qualcosa da dirle solo in quel momento.
«Ah, Madama Tinin. Mi chiedevo… per caso ti ricordi come era fatta quella donna? Non vorrei mai dovermi trovare faccia a faccia con lei senza saperlo.» La donna rise forte e rispose:
«Non devi preoccuparti di questo mio signore, i Manti Bianchi l’hanno portata a Jennji insieme al resto della sua banda. In ogni caso,» aggiunse dopo un momento di esitazione «se proprio ci tieni mio signore, ricordo molto di più del suo aspetto fisico, conosco il suo nome: si chiamava Eleanor.»
Merian sgranò gli occhi così tanto che temette di farli uscire dalla testa, e quasi si strozzò con un pezzo di pane nel sentire il nome. Rohedric contrasse forte la mascella e sospirò irritato ma non le disse nulla; tornò a sorridere alla locandiera, la ringraziò per tutte le sue attenzioni e quella se ne andò soddisfatta.
Non appena la porta si fu richiusa alle spalle della donna, nella sala scoppiò un tumulto:
«Dobbiamo andarcene subito via da qui, non possiamo rischiare che i Manti Bianchi ci scoprano.»
«Rilassati Brienne, come al solito prendi le cose dal verso sbagliato, nessuno sa chi siamo e...»
«Scusa tanto se voglio andarmene prima che lo vengano a sapere, Ariel! A volte mi chiedo cosa diamine ci sia dentro le tue erbe per farti ragionare in questo modo!»
«Di sicuro quello che non metto nelle tue pozioni, altrimenti saresti più intelligente di così!»
«Come ti permetti! Tu! Sei...»
Nessuno seppe mai cosa fosse Ariel, perché Merian si intromise nel discorso:
«Eleanor era la mia compagna di cella! E’ fuggita con i Ribelli un anno fa!» gridò per sovrastare la voce delle donne.
Brienne e Ariel si zittirono per un momento, guardando entrambe Merian, ma prima che questa potesse proferire parola, tornarono alla carica con più foga di prima, parlando una sull’altra contemporaneamente.
«E’ andata con i Ribelli e non ci hai detto nulla?»
«Una dannata Devota scappata con i dannati Ribelli! Quando pensavi di dircelo dannazione?»
«E perché non sei andata anche tu con lei?»
«Diamine ragazza, se avessi avuto un po’ di sale in zucca saresti scappata anche tu!»
«Sangue e maledettissime ceneri, donne! Smettetela per amore della Luce!» Le donne ammutolirono, improvvisamente consce della presenza di Rohedric, che sembrava avessero dimenticato. L’uomo era rimasto in silenzio per tutto il tempo, senza dubbio riflettendo su quanto aveva appena appreso e meditando sul da farsi, finché non ne aveva avuto abbastanza ed era esploso in uno dei suoi rari scatti d’ira.
«E’ questa l’idea che avete di discrezione? Tanto varrebbe mandare fuori Merian a scagliare una sfera di fuoco!» Merian deglutì con forza, imbarazzata; Brienne arrossì e dedicò il suo interesse all’orlo sbeccato della sua coppa, e Ariel sorrise compiacente come se la colpa di tutto fosse stata delle altre due.
«Bene signore, ora che vi siete calmate possiamo tornare a parlare come persone civili.» Si appoggiò più comodamente allo schienale della sedia e incrociò le gambe, sorseggiando il vino che aveva ancora nel bicchiere. Nessuna aveva il coraggio di aprire bocca – persino Ariel non si azzardava a farlo - e aspettarono con calma che l’uomo finisse di bere.
«Merian, il fiore che tu hai visto... il nostro popolo lo chiama Rosa-Stella, è una rara pianta che cresce da qualche parte chissà dove nelle Montagne della Nebbia. I mercanti che ogni primavera scendono fino al nostro villaggio la vendono a caro prezzo e a piccole dosi, ma le sue proprietà curative sono così eccezionali che lo paghiamo ben volentieri. Certo, conoscere il luogo esatto in cui cresce sarebbe per noi un sogno, ma non è per questo che te ne ho parlato.» Posò il bicchiere vuoto sul tavolo prima di continuare. «E’ stato grazie a questo indizio che sapevamo di doverci recare a nord per incontrare il Drago Rinato. Ora, se aggiungiamo che la tua compagna scappata da Ishamera stava andando a nord insieme ai Ribelli, è evidente che la loro dimora si trovi tra le Montagne della Nebbia. Ma non solo, possiamo concludere con certezza che il nostro Drago si trovi con loro, se non è addirittura uno di loro.»
Sorrise compiaciuto e si versò dell’altro vino, guardando le tre donne una alla volta come per capire se avessero afferrato il concetto.
Merian non riuscì a trattenersi oltre:
«Vuoi farmi credere che stiamo vagando a caso verso le dannate montagne del nord senza sapere esattamente dove andare, avendo con noi come unico indizio soltanto un dannato fiore che cresce su chissà quale dannata cima?»
Brienne la fissò a bocca aperta, e stavolta anche Ariel non riuscì a nascondere lo stupore, sebbene lo mascherò all’istante girandosi stizzosa verso la compagna e mormorando qualcosa a voce bassa. Merian colse le parole “vicinanza” e “male”, e guardò le due donne di traverso.
Come se lei in tutta la sua vita non avesse sentito abbastanza imprecazioni da dovere essere obbligata a impararle da Brienne! Ridicolo!
Rohedric richiamò l’attenzione con un leggero colpo di tosse, e all’istante tre paia di occhi lo fissarono: stupore, sdegno e rabbia si riversarono su di lui. L’uomo alzò le mani disarmato e abbozzò uno dei suoi sorrisi, ma probabilmente sentì che era meglio non sfidare la sorte e si fece serio in volto.
Si schiarì ancora una volta la voce prima di rispondere a Merian:
«Vedi ragazza, quando siamo partiti da Hamadrelle non sapevamo altro che quello che ci aveva detto Lord Mat, molto poco per dirla tutta, ma abbiamo comunque intrapreso questa missione perché ci fidiamo di lui... e del Disegno. Così come il tuo sogno si è rivelato al momento opportuno, sono sicuro che anche la strada che dobbiamo percorrere si spiegherà dinnanzi a noi quando sarà ora. La Ruota tesse i fili del Disegno come vuole, Merian, ma a volte alcuni riescono a piegarli secondo il proprio volere.»
Con queste parole misteriose Rohedric congedò le donne, e Merian se ne andò in camera sua a riflettere, mentre Brienne invece preferì rimanere a giocare a dadi nella sala comune.
Non fece in tempo a poggiare la testa sul cuscino, e a cominciare a meditare su quanto le aveva detto Rohedric, che si addormentò.

In basso di fronte a lei si trovava la valle in cui aveva assistito allo scontro dei due uomini con quelle creature orrende, e si chiese se fossero riusciti a sopravvivere. Erano trascorsi quasi due giorni da quando aveva avuto quel sogno, ma nulla poteva dirle se quanto aveva visto fosse già accaduto.
Sospirò amareggiata e si accinse a scendere la collina, ma non appena fece un passo si ritrovò in un attimo nella valle sottostante. Sorpresa si guardò intorno per capire cosa fosse successo e le si bloccò il respiro quando vide un uomo alle sue spalle. Era alto e ammantato di nero, un’ombra tra le ombre degli alberi, e l’elsa di una lunga spada spuntava da dietro la schiena. Non riusciva a vedere altro ma qualcosa in lui gli conferiva un’aria familiare. L’uomo fece un passo verso di lei e si fermò, incerto se proseguire o meno: sembrava confuso e guardava da una parte all’altra come se cercasse una via di fuga.
Merian lo guardò più intensamente, e mentre l’uomo si girava ancora verso di lei, colse un bagliore nei suoi occhi, e allora non ebbe più dubbi. Gli andò incontro spedita e si fermò a un passo da lui, sorridendo.
«Sei vivo!» disse sbalordita, quasi si fosse aspettata il contrario.
L’uomo aggrottò le sopracciglia e si grattò la corta barba, chiedendo confuso:
«Ti conosco forse?»
Merian osservò con intensità quegli strani occhi verdi screziati di giallo e si chiese come avesse potuto trovarli spaventosi la prima volta che li aveva visti: lontani dall’essere inquietanti, li trovava di una bellezza singolare, perfettamente adatti a quel volto duro ma gentile.
«Io sono Merian,» rispose dopo un lungo momento, e poi, prendendogli la mano «ti ho già incontrato prima d’ora, ma l’ultima volta che ti ho visto ho creduto che fossi morto, insieme al ragazzo che era con te.»
L’uomo corrugò la fronte e le afferrò il polso saldamente, fece per aprire bocca ma Merian lo interruppe.
«Non devi aver timore, non sono una servitrice dell’Ombra se è questo che ti preoccupa. Non so ancora bene cosa mi stia succedendo, ma non ha nulla a che fare con quelle abiette creature...»
«Come sai del ragazzo? E della Progenie dell’Ombra?» la interruppe l’altro con voce perentoria.
Aveva aumentato la presa su di lei e la fissava con quei suoi occhi dorati, che adesso non trovava più così affascinanti, e cominciò ad avere paura. L’uomo non accennava ad allentare la stretta e Merian dovette raccontargli ogni cosa, anche se con riluttanza, nella speranza che l’altro le credesse e non le facesse nulla di male. Dai suoi sogni non gli era mai sembrato un uomo malvagio, ma preferiva non dare nulla per scontato. Continuò a fissare l’altro per tutto il tempo cercando di non mostrare timore – senza essere sicura di riuscirci però- e quando infine ebbe terminato il racconto, l’uomo le lasciò andare il polso.
«E’ una situazione assai strana,» rispose pensieroso, grattandosi di nuovo la barba «ma voglio fidarmi di te. Il ragazzo, Davrath, sta bene. Sono riuscito a parare l’affondo del Myrddraal e a finirlo prima che potesse nuocergli. Ora siamo accampati in una caverna per ripararci da una forte nevicata fuori stagione, e appena possibile ci dirigeremo verso una delle nostre città.» Il cambio di tono nella sua voce lasciò Merian stupita, poco prima era sembrato pronto ad ucciderla e adesso le parlava con gentilezza: anche lei volle fidarsi di lui.
«Io e i miei amici ci stiamo dirigendo a nord, è da lì che vieni?»
L’uomo la guardò ancora una volta sorpreso e accennò un sorriso, si guardò rapidamente intorno e si incamminò verso un punto non lontano al riparo degli alberi. Aspettò che Merian gli si avvicinasse prima di parlare, guardandola dall’alto verso il basso.
«Il mio nome è Morgan, Morgan Neglentine, e vengo da Tsorovarin, una delle principali città di quelli che i Manti Bianchi chiamano Ribelli. Io e il mio gruppo siamo stati inviati a sud per pattugliare il territorio alla ricerca di Trolloc, ultimamente ne sono stati avvistati parecchi e il mio clan da sempre si occupa di fornire guerrieri addestrati a difesa delle varie città.» Fece una pausa come per giudicare le sue reazioni, ma Merian lo guardava impassibile e allora proseguì. «Come ti dicevo stavamo rientrando dopo esserci scontrati con due manipoli di quelle bestie, ma una forte nevicata ci ha sorpresi per strada e siamo stati costretti a ripararci.» L’uomo la fissò ancora una volta e Merian si sentì all’improvviso a disagio. In che modo poteva dirgli ciò che pensava senza correre il rischio che l’altro scappasse a gambe levate, lontano il più possibile da quella donna pazza che aveva di fronte? Da qualsiasi lato affrontava la questione risultava comunque complicata, per non dire assurda, ma tergiversare non serviva a nulla per cui, arrossendo, si decise a parlare.
«So che ti sembrerà strano, ma il motivo per il quale abbiamo intrapreso questo viaggio ti riguarda personalmente. Siamo alla ricerca del Drago Rinato e…» esitò, traendo un profondo respiro, prima di proseguire in un soffio «sono fermamente convinta che sia tu, Morgan.»
Ecco, l’aveva detto. L’avrebbe visto fuggire con le ali ai piedi adesso?
L’uomo, al contrario, rimase impassibile di fronte alla rivelazione, ma forse era più per lo sbigottimento a giudicare dalla sua faccia. Distolse lo sguardo da lei e non disse nulla per quella che parve un’eternità, e in quel silenzio Merian poté sentire i battiti del suo cuore così forte che temette che anche l’altro potesse udirli. Che cosa sarebbe accaduto se l’uomo non avesse accettato quello che il Disegno aveva in serbo per lui? Rohedric e gli altri avrebbero continuato la loro missione in ogni caso? Questi e altri pensieri le riempirono la mente uno dopo l’altro, nell’attesa che Morgan parlasse, e sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa per non spaventarlo più del dovuto, ma cosa? Mentre ancora cercava una risposta nella sua testa, Morgan finalmente si girò verso di lei e, stranamente, sorrideva.
«Sai, per un momento ci ho quasi creduto,» disse con una nota di amarezza nella sua voce, «ma non credo sia questo il mio destino.» Sembrava lontano da lei, perso nei suoi pensieri, e fissava un punto oltre le sue spalle. Merian si girò a guardare e per un momento le parve di vedere un’ombra più scura nel fitto degli alberi, ma scomparve così velocemente che non ne fu sicura. Quando tornò a posare il suo sguardo su Morgan, l’uomo aveva riassunto la sua solita espressione sicura, come se nulla fosse accaduto.
«Non essere così presuntuoso da conoscere il tuo destino Morgan,» fece lei non appena incrociò i suoi occhi «io stessa ho fatto questo errore, e ti posso assicurare che per quanto tu lo rifugga, esso si piegherà su di te e farà in modo che si compia, che tu lo voglia o no.»
Morgan fece per ribattere, ma all’improvviso divenne una forma sfocata, indefinita, e per quanto Merian cercasse di afferrargli il braccio e trattenerlo, non vi riuscì, e l’uomo svanì davanti ai suoi occhi così com’era comparso.
Prima di uscire a sua volta dal sogno, tornò nella valle ammantata dalle ombre della sera e guardò la collina dalla quale era arrivata. Sarebbe riuscita a risalirla facendo un solo passo? Non ebbe il tempo di provare: poco più in là del punto in cui lei e Morgan si trovavano poco prima, ora le parve di scorgere la figura di un uomo che la osservava e per qualche strano motivo ne ebbe paura. Non aspettò di vedere se la sua sensazione aveva fondamento.
Chiuse gli occhi e uscì dal sogno.



Morgan Neglentine

Si era addormentato senza accorgersene, probabilmente la stanchezza lo aveva sopraffatto non appena si era rilassato, e subito era finito nel Sogno dei Lupi; lo confermava il fatto che, pur trovandosi nella caverna con le torce e i fuochi spenti, vi fosse comunque una tenue luce diffusa, che proveniva da tutte le direzioni. Mentre si stava chiedendo come mai si trovasse lì, un lupo mai visto prima gli si parò davanti: era un animale massiccio dal manto nerissimo, più grande anche di Nebbia d’argento, con gli occhi dorati che brillavano nella penombra.
«Seguimi.», gli disse la voce del lupo nella propria mente, «E non fare domande: a suo tempo avrai tutte le risposte. C’è qualcuno che devi incontrare presto.».
Mentre ancora stava parlando, l’enorme lupo si avviò fuori dalla caverna, senza dargli il tempo di ribattere, e a Morgan non restò che seguirlo. Una volta fuori, il lupo si diresse verso un boschetto di abeti, girandosi per accertarsi che il giovane lo stesse seguendo
«Qui, Piccolo Orso: prima di andare all’incontro esamina attentamente questa zona.».
Strano come nel sogno non stesse nevicando: il cielo era plumbeo, ma una fioca luce dava un’aspetto evanescente al paesaggio montano; l’aria, l’erba, le fronde degli alberi, tutto era immobile. Giunto accanto al lupo, il ragazzo, invero un po’ stupito dello strano comportamento dell’animale, girò circospetto nella piccola radura racchiusa dagli alberi, senza trovare però nulla di insolito. Stava per riferirlo al lupo, quando il suo naso colse, pur attenuato, un odore insolito... freddo gli venne da dire, che lasciava la sensazione di qualcosa di innaturale. Sgranando gli occhi, si volse verso il grande lupo dicendo
«Quest’odore: non l’ho mai sentito prima d’ora e non riesco a capire di cosa si tratta!».
L’animale gli rispose attraverso un flusso di pensieri:
«Imprimitelo bene nella memoria: l’essere cui appartiene questo odore è molto pericoloso. Stai molto attento qualora dovessi incrociare il suo cammino!».
Il lupo lasciò a Morgan ancora un momento, quindi disse al ragazzo:
«Stammi vicino ora, ti porterò al luogo dell’incontro.».
Non appena il giovane si avvicinò al lupo il mondo attorno si fece come sfocato, e di colpo si ritrovò ai margini di un bosco in vista della valle dove, quella mattina, avevano incontrato i trolloc. Ora, nel Sogno dei Lupi, non si vedevano cadaveri, e tutto era tranquillo.
D’improvviso, a pochi passi da lui comparve una ragazza. Un attimo prima non c’era nulla e, in un batter di ciglia, ecco proprio davanti a lui comparire una sconosciuta. Era una donna giovane e decisamente bella; alta, con la pelle ambrata e folti capelli biondi, lunghi fino alla vita, che incorniciavano un viso dall’ovale perfetto in cui risplendevano occhi verdi come smeraldi. Non conoscendola, pensò di nascondersi e subito un mantello nero con cappuccio gli apparve addosso. Nel frattempo il grosso lupo si era come volatilizzato. Si stava per nascondere dietro un tronco, quando la ragazza lo notò. Maledizione, pensò, facendo un passo verso la donna e guardandosi attorno, per vedere se ci fossero altre sorprese. Avvicinandosi a lei, si calò il cappuccio del mantello sulle spalle.
La ragazza lo squadrò per qualche istante, quindi, improvvisamente, si avvicinò a lui dicendo sbalordita:
«Sei vivo!».
Morgan aggrottò le sopracciglia e sollevò una mano a grattarsi la corta barba perplesso
«Ti conosco forse?» domandò alla donna.
La giovane pareva persa nei propri pensieri e passò un breve attimo prima che si riscuotesse
«Io sono Merian.»
rispose infine prendendogli la mano
«Ti ho già incontrato prima d’ora, ma l‘ultima volta che ti ho visto... ho creduto che fossi morto.» proseguì con la suo voce morbida, «E così anche il ragazzo che era con te».
Morgan, stupito, le strinse il polso sottile con una presa salda ma gentile, e stava per chiederle spiegazioni, quando ella aggiunse velocemente:
«Non devi avere timore, non sono una Servitrice dell’Ombra, se è questo che ti preoccupa! Non so ancora bene cosa stia succedendo, ma io non ha nulla a che fare con quelle abiette creature!».
Aumentando un po’ la stretta, e guardandola dritta negli occhi, il giovane la interruppe parlando con voce ferma
«Cosa ne sai del ragazzo? E della progenie dell‘Ombra?».
Merian, o quale che fosse il suo vero nome, ammutolì, un po’ spaventata da quella reazione improvvisa; però, dapprima un po’ riluttante poi più decisa, gli raccontò di come aveva sognato lo scontro avvenuto tra lui e i suoi uomini e i manipoli di trolloc incontrati quella mattina, e di come si fosse svegliata quando il Myrddraal stava per colpire alle spalle il giovane che avevano soccorso. Parlando, non staccò mai lo sguardo dal suo, e Morgan, non avendovi letto segni di menzogna, decise di fidarsi della ragazza. Del resto alcune tra le Camminatrici dei Sogni tra i ribelli, a volte, avevano sogni premonitori.
«E’ una situazione assai strana...», commentò pensieroso, lasciandole andare il polso e grattandosi nuovamente la barba.
«Ma voglio fidarmi di te. Il ragazzo, Davrath, sta bene. Sono riuscito a parare l’affondo del myrddraal e a finirlo prima che potesse nuocere; ora siamo accampati in una caverna per ripararci da una forte nevicata fuori stagione e, appena possibile, ci dirigeremo verso una delle nostre città.».
Dopo un momento di silenzio la giovane disse: «Io e i miei amici ci stiamo dirigendo a nord, è da lì che vieni?».
Accennando un sorriso Morgan le fece segno di seguirlo, si avvicinò agli alberi cercando un posto comodo quindi si sedette per terra indicandole di mettersi a proprio agio.
«Il mio nome è Morgan.», disse una volta che anche lei si fu seduta, «Morgan Neglentine, e vengo da Tsorovarin, una delle principali città di quelli che i Manti Bianchi chiamano ribelli, io e il mio gruppo siamo stati inviati a sud per pattugliare il territorio alla ricerca di trolloc, ultimamente ne sono stati avvistati parecchi e il mio clan da sempre si occupa di fornire guerrieri addestrati a difesa delle varie città. Come ti dicevo,», proseguì, «Stavamo rientrando dopo esserci scontrati con due manipoli di quelle bestie, ma una forte nevicata ci ha sorpresi per strada e siamo stati costretti a ripararci.».
La guardò attentamente per studiare le sue reazioni: pareva calma, anche se gli occhi tradivano una certa inquietudine.
«So che ti sembrerà strano», disse lei, «Ma il motivo per il quale abbiamo intrapreso questo viaggio ti riguarda personalmente»; mentre diceva questo arrossì, diventando se possibile ancor più bella. Passarono alcuni battiti di cuore prima che, forse per timore di qualche sua reazione simile a quella di poco prima, continuasse un poco incerta «Siamo alla ricerca del Drago Rinato. E...», esitò ancora per un breve istante, «Sono fermamente convinta che sia tu, Morgan.» concluse tutto d’un fiato.
Il giovane rimase interdetto, non sapendo bene come rispondere. Mentre pensava a cosa dirle qualcosa lo fece girare verso gli alberi, dove intravide la figura del grosso lupo. Voltandosi nuovamente verso di lei, le disse sorridendo:
«Sai , per un momento ci ho quasi creduto! Ma non credo sia questo il mio destino.».
Mentre le rispondeva, la voce del lupo echeggiò nella sua mente facendolo girare nuovamente vero gli alberi
«Siamo rimasti qui troppo a lungo, Piccolo Orso: è ora che tu vada!».
Stava ancora ascoltando il lupo quando si accorse che Merian gli stava dicendo qualcosa. Prima, però, che potesse chiederle di cosa si trattasse, il mondo attorno a lui si fece nuovamente nebuloso. Quando la realtà tornò più distinta, si accorse di trovarsi nuovamente alla grotta, il lupo di fronte a lui con gli occhi gialli che scintillavano,
«Devi assolutamente rientrare nel tuo corpo ora: c’è bisogno di te nel mondo reale!».
Morgan si sentì allora come svanire e vide il proprio corpo dissolversi, mentre il lupo si era voltato per andarsene.
«Aspetta!», gridò Morgan, «Dimmi almeno qual è il tuo nome.»;
L’animale si girò un momento verso di lui e l’immagine che giunse alla mente di Morgan fu quella di un possente toro con le ampie corna stranamente rilucenti.
«Giovane Toro...», borbottò mentre prendeva coscienza che qualcuno lo stava scuotendo con forza.
«Morgan!», gli giunse all’orecchio la voce allarmata di Murriel,
«Svegliati, le sentinelle hanno avvistato diversi manipoli di trolloc che si stanno avvicinando!».
Immediatamente, ogni traccia di sonno scomparve da lui, sostituita da un profondo senso d’urgenza; si alzò velocemente impugnando la spada, lasciata poco lontano e, archiviando nei reconditi della propria mente quel che era successo nel sogno, disse a Murriel:
«Maledizione! A quanto pare quelli incontrati non erano gli unici, allora. Va a svegliare tutti quelli che ancora dormono e fa preparare i cavalli. Che tutti siano pronti il prima possibile! Intanto vado a vedere com’è la situazione fuori.».
Mentre la ragazza correva ad eseguire gli ordini lui si diresse a grandi falcate verso l’ingresso della caverna. Speriamo non abbiano individuato l’ingresso, pensò, mentre attorno a lui i ragazzi già svegli si apprestavano a raccogliere le proprie cose.



continua...



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Morgan Neglentine di Neslepaks
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Siadon di -ws
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Capitolo 16
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte quinta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte quinta]

Siadon

Sangue, Siadon non ci aveva pensato. Avevano sorpreso solo due gruppi, sette persone in tutto e per quanta attenzione vi avessero prestato il corridoio ne era imbrattato in diversi punti. Ancora una volta maledisse il Potere per essere tanto utile nel nascondere le tracce Quella dannata cosa è fatta apposta per servire l’ombra.
Thea lo raggiunse dopo aver nascosto l’ultimo cadavere, fissò per un attimo le mura poi lo guardò negli occhi, stava per dire qualcosa quando in lontananza sentirono il portone aprirsi. Invece di parlare gli sorrise e soffiò sulle candele, l’oscurità più completa li avvolse immediatamente. Siadon fece per muoversi ma il corpo di lei lo spinse contro il muro, sentiva il suo respiro sul proprio collo mentre il portone veniva chiuso. Rimasero fermi per un lungo momento, ascoltando i rispettivi battiti accelerare mentre la stringeva a sé con un braccio accarezzandole una coscia con l’altro. Lei alzò la gamba piegandola dietro la sua ed iniziò a baciargli il mento, salendo lentamente fino a mordergli piano l’orecchio. Le accarezzò la schiena poi la sollevò da terra reggendola con entrambe le mani, lei gli cinse le gambe attorno alla vita premendo il proprio corpo contro il suo mentre i loro cuori battevano all’impazzata ed i respiri, nei brevi istanti in cui le loro labbra erano separate, si facevano pesanti. Il rumore dei passi indicava che due persone erano sempre più vicine e una debole luce si faceva sempre più consistente.
Mi farai impazzire. Pensò Siadon mentre muovendo le gambe ruotava sé stesso in modo che Thea potesse appoggiare la propria schiena contro la parete. Lei sciolse l’abbraccio allargando le braccia e si lasciò cadere all’indietro trascinata dal proprio peso. L’aria le uscì dai polmoni con un gemito soffocato quando le sue spalle si fermarono contro le grosse pietre intagliate secoli prima. Nei riflessi delle luci che si avvicinavano la vide aggrapparsi con una mano ad un vecchio candelabro fissato sopra di loro mentre con l’altra gli stringeva la nuca, affondando le unghie nella carne tanto forte da farlo sanguinare, mescolando al piacere il senso di bruciore che il sudore gli provocava a contatto dei graffi. Ormai i passi iniziavano ad essere davvero vicini e una lontana parte di Siadon si accorse che i nuovi arrivati erano in tre, l’ultimo doveva essere un Fratello o una Sorella troppo abituata al Potere per preoccuparsi di muoversi davvero in silenzio. Anche Thea se ne era accorta perché un attimo dopo si trovò a baciare l’aria mentre le gambe di lei allentavano la presa attorno alla sua vita.
Credo di non aver mai desiderato tanto ammazzare qualcuno.
Allontanò tutte le emozioni, sentendole graffiare ed urlare contro la sfera immaginaria che aveva eretto attorno alla sua mente. Ora era tutto più nitido, una frazione rispetto a come sarebbe stato usando il Potere ma abbastanza da poter percepire le due persone che stavano per svoltare l’angolo e la terza che le seguiva. Immerso in un senso di calma assoluta sentiva l’odore dell’umidità emanato dalle pareti mischiarsi a quello del sangue, della cera, del sudore e di Thea. Come in risposta le urla si abbatterono selvaggiamente contro la sfera e fu solo la voce di un uomo a non fargli perdere la concentrazione.
«Fermi» era un tono piatto, privo di emozioni ma il rumore di passi cessò in modo tanto improvviso da far credere a Siadon che almeno una persona si fosse immobilizzata con un piede ancora alzato. Un fruscio rivelò che qualcuno si stava inginocchiando, probabilmente per esaminare da vicino una macchia di sangue.
«Spegnete..» continuò la voce ma ormai era troppo tardi, con uno scatto Thea aveva già oltrepassato l’angolo lanciando due pugnali. Siadon saltò tra alcune figure indistinte gettandosi sull’uomo inchinato che stava ancora esaminando il sangue sulle proprie dita. In qualche modo riuscì a scansarsi abbastanza rapidamente da evitare che la ginocchiata gli rompesse il naso, assecondò l’impatto sfruttandolo per allontanarsi ed un istante dopo i due si stavano fronteggiando in un complesso scambio di parate ed affondi. Per Siadon l’esistenza si ridusse ad una serie di movimenti istintivi, con l’unico scopo di uccidere l’avversario. Il tempo divenne un concetto privo di significato, tutti i suoi sensi erano impegnati a portare a termine quel compito e solo una lontana parte di lui si ricordava di poter essere qualcosa di diverso che un assassino. Udì un suono famigliare, come di un soffio attutito seguito da un secondo e poi un altro ancora ed i movimenti dell’uomo si fecero meno precisi.
«Siadon non ucciderlo» conosceva quella voce, qualcosa gli diceva che apparteneva a qualcuno di importante ma non riusciva a comprenderne il significato. «Siadon ascoltami! Non ucciderlo!» L’uomo era diventato lento, aveva rinunciato ad attaccare e si difendeva in ogni modo, parando con le braccia quando i pugnali erano troppo distanti, respirava a fatica e sanguinava da diversi tagli. «Siadon fermati!» Thea e bloccò il proprio pugnale poco prima che affondasse nella gola dell’uomo. Indietreggiò mentre le gambe di quello cedevano facendolo rovinare a terra.
Avvolto dal nulla della sfera immaginaria analizzò sé stesso con fredda lucidità, non era ferito ma la velocità del combattimento doveva averlo provato, di certo la stanchezza sarebbe arrivata presto. Era diventato un’arma come gli avevano insegnato in quel monastero, allontanando sé stesso per evitare che il dubbio lo rallentasse, per evitare di vedere la sofferenza di chi aveva di fronte, di chi stava uccidendo. Si concentrò sulle emozioni escluse dalla sfera osservandole una ad una con attenzione, in quel momento erano la cosa più bella che avesse mai visto, erano la prova della sua esistenza. Tornare sé stessi dopo essere diventati un’arma non era facile, le sensazioni meno intense rischiavano di rimanere distanti e con il passare del tempo ci si trasformava in persone incapaci di provare emozioni. Lentamente permise ai propri sentimenti di raggiungerlo, li accolse gelosamente sperimentando il dolore, la soddisfazione, la perdita, la felicità, la rabbia, il desiderio e la frustrazione rimanendo sorpreso nel vederne uno che non si sarebbe aspettato di ritrovare. Thea pensò sorridendo mentre le sfera andava in frantumi inondandolo di vita e riportandolo alla realtà.
Il pavimento del corridoio era ormai coperto di sangue, non sarebbero più riusciti a cogliere di sorpresa nessuno e dovevano occuparsi dell’uomo privo di sensi. Thea lo stava fissando con aria pensierosa
«Vado a chiamare Elsa, sono sicura che vorrà conoscere il nostro nuovo amico»
«Bene vi aspetteremo nella sua locanda preferita, troveremo di certo un tavolo libero»
Gli sorrise sollevata e se ne andò. Lui la seguì con lo sguardo fino a che non si confuse con le ombre poi si girò e sferrò un calcio all’uomo svenuto Non potevate aspettare?



Mabien Asuka

Il pronostico di Hilda era stato esatto: era buio pesto quando le due donne raggiunsero Yree, un villaggio nel mezzo delle pianure del nord. Se l'obiettivo era arrivare alle città dei ribelli, che si trovavano per lo più tra le Montagne della Nebbia, di lì a poco la strada avrebbe preso a salire, per quanto ne sapeva. Aveva raccolto ogni documentazione possibile in proposito, ma c'era ben poco di ufficiale e in ogni caso, pur avendo appreso a memoria la topografia di quelle zone, non era mai stata da quelle parti e il panorama che ora aveva davanti agli occhi era ben diverso dai disegni tracciati sulle cartine geografiche: col chiaro di luna di quella notte, il biancore delle alture innevate riluceva nonostante la distanza ancora notevole, le Città della Notte potevano essere ovunque lassù.
Il freddo era pungente e l'impatto col calore di una sala comune dall'ampio camino acceso riuscì a strappare un sorriso a Mab appena varcata la soglia della locanda del Buon Giaciglio. Non era la prima volta che viaggiava in compagnia di un Manto Bianco, ormai non la stupiva più la velocità con cui il locandiere di turno si asserviva ad ogni comando degli ufficiali: in men che non si potesse dire erano pronte per le nuove arrivate due stanze, un bagno caldo e una cena succulenta, come Hilda aveva chiesto.
La stanza non era di lusso, così come non lo era la locanda in sé, ma era molto meglio di quanto si sarebbe potuta permettere viaggiando sola. Un attimo dopo essere entrata, la Figlia della Luce la raggiunse, portando con sé alcune delle sue cose
«Pensavi davvero che ti avrei lasciata sola?» aveva risposto al suo sguardo interrogativo.
Ora capiva il motivo per cui aveva chiesto per lei una camera con un letto grande. Era talmente spaventata, stanca e disorientata in quel momento che onestamente non aveva nemmeno pensato che sarebbe potuta scappare nella notte. Quelle erano state le prime parole di Hilda dopo... dopo i corvi.
«Dove pensi di andare vestita in quel modo?» nel vederla senza il mantello, Hilda era rimasta interdetta di fronte alla scollatura del suo abito. Le fece indossare uno dei suoi: Mab era di poco più bassa dell'altra donna, quei pochi centimetri che le mancavano in altezza li riempiva però con rotondità femminili che all'altra non è che mancassero del tutto, ma non erano tanto evidenti, così l'abito le calzava bene. Era più pudico, decisamente più pudico di quello che indossava prima, sobrio ed elegante, ma pur sempre l'abito di una donna soldato: la foggia era semplice, il tessuto era una soffice lana color verde scuro, la pratica gonna divisa per cavalcare veniva parzialmente coperta da una sorta di lunga stola bianca che copriva le spalle e scendeva lateralmente fino ai piedi, chiusa in vita con un intreccio di lacci, il che lo faceva aderire ai fianchi... pudico perchè mostrava poca pelle nuda, ma alla fine non era certo monacale.
Mentre faceva il bagno riconobbe le essenze floreali tipiche del profumo di Hilda, che era immersa nella vasca oltre il divisorio di legno: quel profumo era stata la prima cosa di lei ad averla colpita e doveva esserle rimasto ben impresso per averlo riconosciuto a dieci anni di distanza. Forse era il fatto che le persone profumate erano una rarità, forse semplicemente le piaceva quella fragranza, oppure a colpirla tanto era il contrasto tra quella delicata dolcezza e la rigida freddezza della donna che l'emanava.
La cena fu tanto abbondante che in certi periodi della sua vita se la sarebbe fatta durare un mese intero. Insieme allo stufato di patate, il cameriere posò sul tavolo un piccolo pezzo di carta arrotolato che Hilda fece immediatamente sparire con un rapido gesto della mano, neppure Mab, che pure le sedeva di fronte, l'avrebbe visto se non fosse stata particolarmente attenta in quel momento. Lo sguardo che la bionda le piantò dritto negli occhi dimostrava che si era accorta che lei aveva visto quel passaggio, l'intimazione a tacere era implicita.
Quando tornò in camera, nonostante tutto quello che le era accaduto, nonostante il fatto che avesse un polso incatenato alla sponda del letto, nonostante la presenza della sua «carceriera» nell'altra metà del morbido materasso, non tardò a prendere sonno. Solo un pensiero si fece strada prima di addormentarsi: sperava con tutto il cuore che Hysaac stesse bene e che ora dormisse agli alloggi dell'accademia. La cosa che le faceva più male era che se anche avesse saputo che così non era, non avrebbe potuto far nulla per aiutarlo. Poi il sonno vinse sui rimorsi di coscienza.

Un rumore metallico accanto al proprio orecchio l'aveva svegliata non troppo gentilmente: aprendo gli occhi aveva trovato Hilda intenta ad aprirle la serratura con cui l'aveva bloccata al letto. La donn era già vestita e qualcosa sembrava macchiare la sua solita maschera di imperturbabilità.
«Vestiti» aveva detto secca «Dobbiamo partire»
Ancora poca gente riempiva le vie del villaggio quando le percorsero per uscire, ma invece di dirigersi verso nord, come Mab si aspettava, Hilda imboccò uno svincolo che andava verso est. Procedendo, le abitazioni si diradavano, i palazzi lasciavano il passo ai cortili e alle fattorie. La Figlia della Luce cambiò ancora direzione e prese uno sterrato che portava ad un casolare, prima di arrivarvi svoltò ancora in direzione di un piccolo recinto, dove un uomo stava radunando un gregge che di lì a poco avrebbe probabilmente condotto al pascolo. Nel vederle arrivare l'uomo si fermò e appena furono abbastanza vicine, con un cenno della testa indicò Mab.
«E' con me, tranquillo. Ma facciamo presto» disse Hilda scendendo da cavallo. Lasciò Ghibli, il suo grigio, a Mab e seguì l'uomo fino ad un capanno poco distante. Doveva essere un suo informatore, forse il messaggio che aveva ricevuto la sera prima riguardava quell'incontro, avrebbe potuto usare il Potere per ascoltare quello che si dicevano mentre camminavano e mentre fingevano una compravendita di formaggio, ma temeva che lei in qualche modo potesse accorgersene.
Dopo pochi minuti Hilda tornò e ripresero il viaggio, verso nord questa volta. Nella luce limpida di quel mattino le montagne, seppur ancora lontane decine di chilometri, si stagliavano nette alla fine della pianura. Stavano superando le ultime fattorie quando ebbe appena il tempo di vedere Hilda che sguainava la spada, prima di essere strattonata con violenza giù da Oberon. Mentre, spalle a terra, bloccava la mano di un uomo e il pugnale che questa stringeva, sentì il tintinnare di oggetti metallici che si urtavano, poi il rantolo di dolore di qualcuno. Un attimo dopo, mentre stava cercando di far spazio alla calma necessaria per poter incanalare, vide spalancarsi gli occhi e la bocca del suo aggressore, la forza dell'uomo svanì di colpo, poi notò Hilda che con un piede lo spingeva da una parte, estraendo intanto la spada con cui l'aveva ucciso. A terra alle sue spalle c'era un altro uomo morto. Non c'era niente lì attorno dietro cui nascondersi, come avevano potuto farsi cogliere di sorpresa in quel modo?
Come avrebbe dovuto immaginarsi, la donna bionda non le allungò una mano per aiutarla a rimettersi in piedi, ma l'incitò a voce a sbrigarsi mentre già risaliva su Ghibli e lo spronava al galoppo. Mab la raggiunse il più in fretta possibile e appena le fu di fianco, senza che le avesse chiesto nulla, Hilda, continuando a fissare la strada che sfrecciava davanti a loro, disse
«Uomini Grigi. Sai di che si tratta, vero?»
Lo sapeva, si che lo sapeva, ma non ne aveva mai incontrati prima. Il suo stomaco diventò un blocco di ghiaccio.
«Dimenticati di avere un tetto sopra la testa la prossima notte: eviteremo i villaggi almeno fino a domani sera anche se questo ci allungherà la strada, faremo solo qualche breve sosta per far riposare i cavalli. Non credo di doverti spiegare a questo punto da chi o meglio da cosa devo scappare, quindi se ci tieni alla pelle incanala solo se strettamente necessario. Appena possibile ti dirò di più, ora limitati a seguirmi.»
Non ci pensava nemmeno ad allontanarsi da lei a quel punto, non avrebbe fatto un solo passo lontano da quella donna ormai: anche se era stata proprio lei a metterla in quella situazione, emanava una sicurezza tale che pareva essere in pieno controllo degli eventi, una sicurezza sufficiente a rassicurare Mab, per quanto la cosa la infastidisse.

Marciarono quasi ininterrottamente per tutto il giorno, si spostavano ancora verso nord, ma deviando leggermente verso est avevano lasciato le ampie distese di campi per avvicinarsi ad una zona più selvaggia, lontana dai centri abitati. Le montagne erano sempre più vicine, il freddo sempre più pungente e cominciavano a vedersi tracce di ghiaccio e neve sul terreno man mano che avanzavano.
Quando iniziava a far buio Hilda decise di fermarsi per la notte: risalendo un piccolo torrente che scorreva in mezzo ad una zona boschiva dalla vegetazione non troppo folta, avevano trovato riparo tra gli anfratti di grossi massi che si poggiavano l'uno contro l'altro. Legati i cavalli, prepararono un letto di sterpaglie, sopra cui si strinsero attorno l'unica grossa coperta che Hilda aveva nel sui bagaglio: presto il calore del corpo dell'altra donna cancellò la sgradevole sensazione di disagio del trovarsi a così stretto contatto con lei.
«Non è ancora il momento delle spiegazioni, immagino» disse Mab anche per stemperare l'imbarazzo.
«Non mi sento al sicuro da certe orecchie dopo un solo giorno di marcia.» rispose l'altra, piuttosto bruscamente.
«Volevo solo sapere una cosa... per adesso»
Al silenzio di Hilda, Mab continuò
«Il ragazzo che hai visto con me quella sera alla locanda...»
«Se non ha fatto niente di stupido, non gli è successo niente, se è questo quel che vuoi sapere. Mi interessavi tu, non lui»
Aveva voglia di abbracciarla... il freddo, doveva essere il freddo.



Siadon

L’unica candela accesa aveva ormai assunto una forma completamente nuova, la cera sciolta e poi indurita creava un’infinità di increspature e bolle lungo tutta la parte rimanente. Siadon la stava osservando da ore, seduto sopra ad un tavolo in un angolo buio della stanza. L’uomo legato ai pali aveva iniziato a riprendere conoscenza da poco, lo vedeva guardarsi attorno sospettoso mentre provava a forzare le catene attento a non far rumore. Tutto sommato non era uno sprovveduto, pur svegliandosi legato di fronte ad una serie di strumenti da tortura non si era lasciato prendere dal panico e stava studiando la situazione.
Chi sei? Siadon se lo stava domandando da quando l’aveva trascinato lì, non era un suo Fratello e non era maledetto dal Potere ma di certo era un buon assassino. Se i Figli della Luce avessero deciso di porre fine alla Famiglia, avrebbero potuto inviare gente simile per screditare il monastero e dichiararlo devoto all’ombra per poi attaccarlo apertamente ma non credeva molto in questa spiegazione.
L’uomo si stava guardando attorno, evidentemente convinto di essere da solo perché ormai non mascherava più i suoi tentativi pur continuando a prestare attenzione per non far rumore. Probabilmente credeva che ci fossero delle guardie fuori dalla porta e non voleva attirare l’attenzione. Siadon continuò a studiarlo dal suo nascondiglio. Gli era di fronte ma la luce della candela non lo raggiungeva e tra i due c’era la debole fiamma, l’uomo non poteva vederlo. Divertente pensò appoggiando una mano sul tavolo ed iniziando a grattare lentamente con l’indice, domandandosi che effetto avrebbe avuto quel suono ritmico sulla mente allucinata dell’uomo. Con ogni probabilità Thea aveva usato un estratto di foglie dell’accecato, un veleno che lui stesso conosceva fin troppo bene.
Il prigioniero non reagì subito, continuò a studiare le catene per qualche attimo ma poi si immobilizzò ed i suoi occhi iniziarono a scrutare l’ombra. Siadon mantenne costante il ritmo contando ogni volta fino a tre prima di ricominciare a grattare il legno con l’unghia. L’uomo chiuse gli occhi ed il suo respiro divenne più lento e regolare.
Non male, ora con tutte le dita.
L’effetto era piuttosto approssimativo ma per una mente in quello stato poteva bastare, probabilmente quel rumore si sarebbe trasformato in una qualche bestia impegnata nello scavare una via d’uscita dalla propria gabbia. Siadon contava sulle esperienze dell’uomo, se avesse assistito a qualche tortura di certo quei ricordi l’avrebbero messo in gran difficoltà.
Lentamente lo vide irrigidirsi, cercando a fatica di mantenere il proprio respiro sotto controllo fino a che gli occhi si spalancarono e guizzarono in tutte le direzioni nella disperata ricerca del pericolo, mentre il sudore gli imperlava la fronte.
Molto bene Siadon si sgranchì i muscoli ormai intorpiditi dall’immobilità prolungata, poi tornò a sedersi nel silenzio studiando l’uomo. Era evidentemente vittima di allucinazioni ma manteneva un certo autocontrollo, non sarebbe riuscito ad urlare con quel morso in ferro tra i denti ma nemmeno ci provava e tutto sommato non si agitava molto. Ad ogni modo ci mise parecchio tempo per calmarsi.
La candela aveva nuovamente cambiato forma e Siadon stava pensando a qualche altro gioco che gli permettesse di muoversi quando sentì la voce di Elsa
«Siadon? Scusa il ritardo, abbiamo aspettato di esserci tutti»
«Benvenuta Sorella, entrate pure» rispose lui. La porta era spalancata, quei saluti servivano più ad evitare di colpirsi a vicenda per sbaglio che per altro.
Tutti? Pensò vedendola entrare da sola. Stava per chiedere spiegazioni quando lei lo anticipò
«Gli altri sono sparsi nei corridoi qui attorno, temo che non sarà una cosa silenziosa» disse sorridendo all’uomo che la stava studiando con sospetto. «E nemmeno molto piacevole.. per te»
Siadon si avvicinò alla candela osservando Elsa estrarre i propri strumenti dalla borsa e posizionarli con cura sul tavolo di fronte all’uomo «Ti piacerà Sorella, è uno in gamba»
Il volto di lei si illuminò dalla felicità
Luce, fa che non mi trovi mai al posto di questo disgraziato

Il pomeriggio di due giorni dopo stava passeggiando con lungo le mura più alte del monastero. Il vento era ancora gelido e privo degli odori della primavera ma il sole scaldava abbastanza da rendere piacevole lo stare all’aperto. Era una di quelle rare giornate davvero limpide, tanto da poter scorgere il luccichio del mare interno. Tomas, un giovane Fratello considerato ancora un bambino dalla Famiglia, lo stava seguendo in silenzio da parecchio camminando al suo fianco.
«Non pensi mai di farti una vita lontano da qui?»
«Per me è troppo tardi. Anche se me ne andassi porterei una parte di questo luogo con me.»
Il ragazzo parve sorpreso da quella risposta, ancora poco abituato alla sincerità dei Fratelli nelle discussioni quotidiane. Era arrivato l’inizio dell’estate precedente, figlio di un alto ufficiale dell’Esercito della Luce tanto codardo da non avere il coraggio di ucciderlo con le sue mani. Siadon non riusciva a decidere se per Tomas fosse stata una fortuna o una disgrazia. Per lui era stato diverso, lui aveva già ucciso prima di varcare quella soglia. Il monastero era già casa sua prima di conoscerlo, forse addirittura da prima che Gurlav lo trovasse in quel dannato vicolo, tanto tempo addietro.
Il ragazzo continuò abbassando la voce, quasi bisbigliando «Quindi.. quando noi ce ne andremo non cambierà nulla?»
Siadon sorrise «Cambierà tutto. Ci daranno la caccia e prima o poi ci troveranno ma nel frattempo continueremo a combattere l’ombra.» lo guardò negli occhi «Tu ucciderai, oppure verrai ucciso. Sta a te la scelta.»
Tomas distolse lo sguardo puntandolo verso l’orizzonte «Non credo di esserne in grado»
«Chiunque lo è, soprattutto quelli come noi.» gli rispose soppesando la possibilità di spingerlo oltre la merlatura.
No, un bersaglio in più tornerà utile durante la fuga.
«E se avessero ragione i ribelli? Se non fossimo maledetti?»
«I ribelli.. Quelli che hanno rinnegato i Tiranni per poi costruire altre società basate sul Potere? Dagli tempo e ripercorreranno gli stessi errori, si considereranno sempre più superiori agli altri per diritto di nascita ed alla fine tornerà la schiavitù. La gente non ha bisogno del Potere, ha bisogno di uguaglianza.»
Il ragazzo non parve molto convinto, rimase in silenzio ad osservare uno stormo di corvi volteggiare sopra il passo delle tre pietre, un valico non ancora percorribile per le abbondanti nevicate che collegava Hirlomap ad Harama. Poi continuò con voce incerta:
«Tu la pensavi così anche prima di arrivare qui?»
«Io vengo da Samrie, ho sempre detestato gli incanalatori. Quando ho scoperto di esserlo volevo uccidermi.. A dire il vero ci stavo riuscendo piuttosto bene ma poi un Fratello mi ha trovato.»
Tomas apparve sorpreso. Poteva capirlo, gli avevano insegnato che la Famiglia cercava nuovi adepti nell’Esercito della Luce o tra i fanatici religiosi e soprattutto che gli incanalatori scoperti durante le missioni andavano uccisi al più presto.
«E ti ha portato qui?»
«No, mi ha interrogato, torturato e messo alla prova diverse volte, solo dopo parecchio tempo ho scoperto dell’esistenza del monastero. Non mi ha ucciso subito solo perché seguiva la persona che ho accoltellato quella notte» l’espressione di Tomas era sempre più incredula «visto che volevo morire avevo pensato di farlo portando qualche incanalatore con me.. anche se sinceramente dubitavo di riuscirci»
«Dubitavi di poter uccidere una persona?»
Idiota «Esatto. Ora vediamo di trovare gli altri.»



continua...



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Capitolo 17
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte sesta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
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Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte sesta]

Mabien Asuka

Con il sangue blu ci si doveva nascere e Hilda c'era nata: in quel preciso momento aveva la stessa eleganza di una regina seduta sul proprio trono, quando invece si trovava a cavallo di una sella e in abiti militari sgualciti da tre giorni pressochè ininterrotti di viaggio. Mab era stata educata per anni a comportarsi come una regina, qualcosa nel suo portamento certamente ci aveva guadagnato, ma nei suoi modi non c'era nulla di lontanamente paragonabile alla naturale regalità di Hilda. Persino la divisa bianca dei Figli della Luce non poteva mettere in ombra la sua femminilità, men che meno turbarne l'indiscutibile bellezza. Era elegante, bella e autoritaria fino all'arroganza, tutto molto di più di quando l'aveva conosciuta una decina d'anni prima. La maturità aveva marcato le sue caratteristiche e aveva cancellato ogni traccia di incertezza nel suo modo di affrontare le situazioni: con tutto quello che stava accadendo, la calma che almeno apparentemente sembrava mantenere aveva dell'incredibile ed era sincero motivo di ammirazione da parte di Mab, che invece si sentiva ormai in totale balìa degli eventi. Che Hilda fosse solo una Figlia della Luce o una Serva dell'Ombra, il risultato cambiava ben di poco, l'unica cosa su cui valeva la pena concentrarsi era come riuscire a scappare dalla trappola, se mai fosse stato possibile farlo.
Avevano raggiunto le prime alture, come previsto avevano preso a salire sentieri sempre più ripidi in mezzo a macchie di bosco sempre più fitte e sempre più coperte di neve. Aveva ormai rinunciato a capire dove potessero essere, ma da quando avevano raggiunto le montagne avevano cambiato nuovamente direzione, andando verso ovest. Era primo pomeriggio quando Hilda decise una sosta accanto ad uno stagno, che raccoglieva le acque della piccola cascata creata dalla parete rocciosa che vi si immergeva.
«Svelta, accendi il fuoco e non disturbarmi per nessuna ragione... a meno che non ci sia un qualche pericolo, ovviamente.» disse Hilda mentre toglieva le bisacce dal suo cavallo e le posava a terra. Mentre Mab obbediva, vide la donna allontanarsi di qualche passo per raggiungere il bordo dello stagno e cominciare a spogliarsi. Si tolse ogni singolo indumento posandolo, facendo la massima attenzione a non sporcarlo, sul basso ramo di un albero a lei vicino. Quando fu completamente nuda avanzò in acqua, in quell'acqua che probabilmente, se non fosse stato per il continuo movimento a cui la sottoponeva la cascata, sarebbe stata ghiacciata. Che accidenti aveva in mente? Se voleva lavarsi poteva farlo in modo più veloce e meno cerimonioso, visto il freddo che faceva.
Cercando di ravvivare il fuoco di cui Hilda avrebbe presto avuto molto bisogno, Mab guardava incredula la figura longilinea della donna immergersi lentamente in acqua. Un riflesso le fece notare un particolare che fino a quel momento le era sfuggito, un anello al pollice della mano destra, l'unica cosa che aveva tenuto addosso.
La Figlia continuò ad avanzare, l'acqua le arrivava sopra la vita quando raggiunse la cascata: lasciò che per qualche secondo l'acqua le scorresse sul volto e poi tornò indietro. Mab non riuscì a fare a meno di andarle incontro con la coperta, anche se si aspettava in risposta un ammonimento per non aver rispettato quello che le era stato detto poco prima. Si stupì nel vedere invece Hilda accogliere il gesto senza fiatare.
Mentre la donna, ovviamente infreddolita, si posizionava accanto al fuoco, Mab le portò qualsiasi cosa la potesse asciugare e riscaldare, ma Hilda continuava a tremare, perciò si vide costretta a sederle a fianco e stringerla, ma puntualizzò la sua irritazione nel farlo
«Devi essere completamente pazza! Questa almeno spero me la spiegherai»
«Così è cominciato, così doveva finire» mormorò l'altra con voce tremante
«Cosa vuol dire?»
Hilda tacque qualche secondo poi continuò
«Quando rientrai dalla missione a Daing in cui ti conobbi, non riuscii a fare a meno di parlare a mio padre dei dubbi che avevo sull'Ordine, dubbi che a mio padre non solo non erano mai venuti e mai verranno, ma che nemmeno poteva ascoltare. Per farmi rinsavire e comprendere a pieno l'importanza dell'Ordine fece mettere il mio nome nella lista dei partecipanti ad una delle missioni speciali, missioni in cui reclute scelte si trovano a combattere in prima fila. Il nemico in via ufficiale erano banditi e la feccia della società da cui la brava gente doveva essere preservata e in effetti anche quello capitava, ma quello che poi si andava a cercare erano i Ribelli. Secondo mio padre in quel modo avrei visto coi miei occhi cosa faceva quella gente e quanto fosse importante il compito dei Figli della Luce nel continuare a difendere il popolo non solo da loro eventuali attacchi, ma anche dalla loro stessa esisteza. Dopo un paio di missioni andate a vuoto, li trovammo. La battaglia ebbe luogo a pochi chilometri da qui, i Ribelli ci attaccavano per ucciderci come facevamo noi con loro, poi l'arrivo di un gruppo di trolloc cambiò le cose e rese lo scontro un bagno di sangue maggiore di quanto sarebbe stato. Ci salvammo in tre, un mio compagno e il nostro maggiore e fu grazie ai ribelli. Di loro erano sopravvissuti un incanalatore e tre soldati. Appena conclusa la battaglia il maggiore trafisse l'incanalatore, i soldati ribelli ci attaccarono e mi trovai a dover uccidere un uomo che mi aveva salvato la vita poco prima. Il punto di vista del maggiore era ben diverso dal mio: non esisteva redenzione per i ribelli e questo caso non sarebbe stato un'eccezione. Ucciderli era stato adempiere al nostro dovere.»
Si fermò per raccogliere in un panno i capelli ancora bagnati e rivestirsi. Non indossò più la divisa, ma un abito da donna in velluto blu, con la gonna divisa per cavalcare. Era strano vederla così, tra l'abito e il tremore, aveva un'aria in un certo senso più umana. Forse era anche per quello che stava finalmente raccontando, anche se lo faceva senza il minimo coinvolgimento emotivo, almeno per quel che dava a vedere.
Si posizionò ancora accanto al fuoco in modo che le asciugasse i capelli nel più breve tempo possibile mentre li pettinava e continuò.
«Come premio per quella vittoria ci diedero un periodo di licenza: la prima cosa che feci fu tornare sul luogo della battaglia, trovai questo stagno e mentre facevo il bagno, riflettendo su quello che me aveva significato quel che avevo vissuto, decisi che avrei fatto di tutto per risanare l'Ordine che mi appariva ottenebrato da convinxioni che dovevano essere riviste oltreche infangato da membri che non avevano più alcun rispetto dei principi fondatori in cui io credevo fermamente, ancora ci credo in realtà, ma a volte temo di essere rimasta la sola. Credo che ormai la ferita sia insanabile, l'Ordine sta marcendo al suo interno e ora, mentre l'Ombra avanza, devo ammettere che i ribelli sono l'unica speranza.»
Doveva essere arrivato il momento delle spiegazioni che Mab tanto attendeva, finalmente quelle che riceveva da Hilda non erano più mezze frasi e inutili risposte che la maggior parte delle volte l'irritavano oltre che non darle nessuna informazione. L'attenzione di Mab fu assorbita in modo particolare da una cosa che necessitava di qualche chiarimento in più
«Cosa vuol dire che l'Ombra avanza?»
«Te ne sarai accorta anche tu, no? Mi hai detto che quella ferita te l'hanno fatta dei trolloc, quante altre volte ne hai visti in prossimità di un centro abitato? In questi anni, le mie indagini mi hanno portata alla triste verità dell'esistenza di una rete di Figli legati all'Ombra, un fenomeno che temo si stia allargando sotto i paraocchi delle alte sfere dellOrdine, in coincidenza con la presenza più massiccia di progenie dell'Ombra. Non mi fido abbastanza di te per metterti al corrente di tutto quello che so e in fondo di molto non ho nemmeno la prova, spero che i ribelli abbiano le risposte che sto ancora cercando. Per questo mi servi: tu mi porterai da loro.»
«Come credi che possa portartici io? Non so nemmeno se lasceranno entrare me in una delle loro città! Per non parlare del fatto che quanto a fiducia, il sentimento è reciproco e per quanto ne so niente di quello che mi stai dicendo potrebbe essere vero. Sei ripiombata nella mia vita dicendomi che il nostro incontro non era un caso, che non posso usare il Potere su di te e gongolando per tutta una serie di misteri simili...»
«Se ti svelassi tutte queste cose, mi crederesti poi?»
«Non lo so, forse no, ma almeno sarebbe qualcosa di più di quegli insopportabili sorrisetti che ogni tanto mi lasci intravedere.»
In tutta risposta ne comparve un altro, che la Luce la folgorasse! Poi cominciò una chiacchierata molto lunga, ma quelle che ricevette non furono risposte, bensì domande e l'argomento principale era Krooche. Seguendo il suo proposito di scovare le mele marce dell'ordine, era giunta al suo nome, anche se le sue indagini erano partite dalla città in cui era di stanza, DinDieb, che pur si trovava da tutt'altra parte rispetto a dove Krooche muoveva i propri traffici. Hilda volle sapere i nomi di tutti i suoi collaboratori, di tutti i suoi nemici e l'entità delle missioni che le faceva svolgere, poi finalmente si degnò di spiegarle come sapeva di lei, come sapeva di Lamya Jabar
«Gli uomini parlano... tanto, davanti a un boccale di birra in più e una donna che gli faccia credere chissà cosa, parlano anche troppo. Ho scoperto presto che non era troppo difficile ottenere informazioni anche piuttosto riservate, quando addirittura pericolose. Le voci che mi giungevano su quell'uomo erano impressionanti, già da tempo avevo raccolto materiale più che sufficiente per poterlo accusare di tradimento, ma volevo andare a fondo, così attesi di vedere se grazie a lui sarei riuscita a prendere anche un pesce più grosso che continuava a fuggirmi. Intanto cominciavano ad arrivare voci su Lamya Jabar, la sua "donna"» calcando quella parola, la guardò dritto negli occhi con una chiara nota di disprezzo, ma Mab non replicò
«Ultimamente quando chiedevo di Krooche sentivo parlare più di questa donna che di lui. Due cose mi colpirono: una era il fatto che la descrizione che me ne veniva fatta corrispondeva alla tua, l'altra riguardava una predizione che mi era stata fatta tempo prima. Un uomo, rinchiuso a DinDieb con l'accusa di essere un Servo dell'Ombra per strani poteri che aveva dimostrato di avere, mi predisse che un giorno avrei incontrato qualcuno a cui la mia vita era strettamente legata anche se ancora non lo sapevamo: mi disse che già una volta le nostre trame si erano intrecciate nel Disegno, influenzando a vicenda il nostro destino e che avremmo avuto bisogno l'una dell'altra per raggiungere i nostri obiettivi. Non ci avevo mai creduto, non fino in fondo, non finchè non ti ho ritrovata in quella taverna a Dobied. Ero partita da una decina di giorni per scendere fino a Kiendger, quando a Dobied e venni a sapere che qualcuno mi aveva messo i bastoni tra le ruote per non farmi scoprire troppo probabilmente: Krooche era stato arrestato addirittura dagli Inquisitori e il caso non era più di mia competenza. La sera dopo ti vidi in quella locanda: conciata in quel modo, dovetti guardarti attentamente per essere certa che fossi tu, ma a quel punto non ho potuto più fare a mano di ripensare a quella predizione.»
Mab non poteva credere alle proprie orecchie, all'improvviso la presenza di quella donna al suo fianco si era fatta terribilmente pesante, un qualcosa di ineluttabile. Hilda doveva aver letto lo sconcerto nei suoi occhi perchè continuò
«La ruota sta intrecciando i fili del nostro disegno, ormai non potevo più girare liberamente per Dobied senza imbattermi in te!» rise, una risata fredda, tesa «Quando sei stata fermata ai cancelli, non potevo credere ai miei occhi: di tutti gli ufficiali che potevano firmarti il permesso, doveva capitartene proprio uno coinvolto nella fuga di Krooche»
Cosa? Mab rimase senza fiato per qualche istante.
«Krooche è fuggito?»
«E' quanto mi è stato riferito, strano vero?» tese le labbra in un sorriso amaro «Arrestato per evitare che potesse trascinare con sé altri Fratelli per colpa mia e poi lasciato scappare. La notizia del suo arresto e della sua fuga mi sono arrivate a distanza di un giorno appena l'una dall'altra. Qualche giorno dopo il suo arresto pare che sia scoppiata una sorta di rivolta interna, le notizie ufficiali sono scarse, ma la situazione pareva volgere in favore di Krooche quando siamo partite da Dobied. Che hai da sorridere?»
Stava sorridendo? Non se n'era accorta
«No, forse la sorpresa» in effetti si sentiva stralunata per quella notizia, in qualche modo la agitava e si, le faceva incredibilmente piacere. Cercò di ricomporsi e di cambiare argomento
«Quel prigioniero ti ha predetto solo il nostro incontro? Non ti ha detto altro?»
«Nient'altro che ti devo dire» rispose calma l'altra, stringendo una delle tazze di tè che intanto avevano messo a scaldare. Ovviamente era ancora intirizzita dal freddo e i suoi lunghi capelli biondi non erano ancora asciutti. Mab continuava a pensare che fosse fuori di testa per quel che aveva fatto, un motivo in più per non fidarsi di lei.
«C'è altro che vuoi sapere?» le chiese
Mab attese un attimo e poi
«Perchè il Potere non ha effetto su di te?»
Hilda nascose un sorriso portando la tazza alle labbra
«Come ti ho detto poco fa, non mi fido di te, non ho nessuna intenzione di cedere anche il più piccolo vantaggio che ho. Altro?»
Lo sguardo torvo che le stava rivolgendo non scompose minimamente Hilda, che tornò a sorseggiare il suo tè, avvolgendo la tazza con entrambe le mani. Mab notò di nuovo l'anello che portava al pollice: era una fede larga che le prendeva tutta la prima falange, liscia, piatta e di un lucido color argento, non aveva segni o decori particolari.
Distolse lo sguardo prima che l'altra potesse pensare che stava studiando l'oggetto e chiese
«Da cosa o chi scappi, o forse dovrei dire scappiamo, di preciso?»
«Di preciso non lo so, ma devo essere arrivata vicina a qualcuno di parecchio pericoloso, vista la compagnia che mi ha messo alle calcagna. O forse qualcuno sa quali informazioni ho per le mani, sa che sono vere e vuole chiudermi la bocca prima che le divulghi. Mi sono fatta una marea di nemici e sono arrivata al punto che davvero non so più di chi posso fidarmi all'interno della Confederazione, devo riuscire ad arrivare ai ribelli»
Si girò a guardarla come se questo dipendesse da Mab, la determinazione del suo sguardo la metteva in soggezione: anche lei voleva raggiungerli, ma come già le aveva detto, non dipendeva da lei il fatto che ci riuscissero. Mab preferì cambiare discorso
«C'è un'altra cosa che forse tu potresti sapere: cos'è successo a Daing, dopo?»



Siadon

Dal balcone delle sue stanze osservò per una volta ancora il paesaggio che si estendeva sotto di lui, passando da un valico al successivo, da una vetta all’altra. La luce del tramonto tingeva di rosa la neve, le immagini si mescolavano ai ricordi degli ultimi anni che scorrevano davanti come un libro disegnato. Siadon era nato in quel luogo, sentiva di appartenergli e la cosa lo affascinava e preoccupava al tempo stesso. In realtà era stato partorito in una città molto distante ma tra quei vicoli lontani era anche morto. La sua vera vita era iniziata il giorno in cui qualcuno l’aveva chiamato Fratello. Sorrise rendendosi conto di non ricordare chi fosse stato il primo o la prima ad averlo fatto, ma quelle emozioni ritornavano vive ogni volta che ci pensava, era una delle poche cose a cui teneva davvero.
Molto più in basso le case di Hirlomap erano già avvolte dall’oscurità, rotta soltanto dal riflesso di qualche fuoco. La foresta circostante saliva fino alle vette ancora illuminate e gli fece pensare a Rosa ed al vecchio marito, si sorprese di provare una punta di dispiacere nel convincersi che probabilmente non li avrebbe rivisti mai più.
Addio pensò dando un’ultima occhiata.
Stavano per fuggire dal monastero o per morire nel tentativo. Dopo aver sigillato la porta che dava sul balcone, Siadon si assicurò i pugnali e le lame che aveva preparato durante il pomeriggio, pensando un’altra volta a quanto avrebbe dovuto abbandonare. Rigirò tra le mani una pipa in legno bianco intarsiato che aveva comprato non molto tempo prima a Kiendger. Il primo e l’ultimo di voi dovranno bastare pensò posandola in una tasca e guardando con rimpianto la collezione di oggetti che teneva sopra al camino.
Riesaminò l’equipaggiamento, assicurandosi che i veleni fossero ben protetti. Prese dal tavolo una piccola fiala e trattenendo il respiro ne versò la polvere contenuta su un braciere nascosto dietro alla poltrona
Vi ricorderete di queste stanze.

I corridoi del monastero erano deserti. L’uomo interrogato da Elsa aveva detto che quella sera ci sarebbe stata una cerimonia importante, molti dei corrotti vi avrebbero partecipato ma non tutti. Purtroppo avevano anche scoperto che buona parte della Famiglia si era convertita all’ombra e che l’entrata era sorvegliata da diversi traditori. Nell’ultimo periodo erano persino riusciti a far passare gente senza che nessuno se ne accorgesse, l’uomo che avevano catturato era uno di questi.
Thea lo stava aspettando sotto ad una scala, come lui vestita completamente di nero tranne che per il volto. Presto anche quello sarebbe stato ricoperto da bende scure, lasciando scoperti solo gli occhi. Dovremo prendere dei vestiti a Hirlomap, oltre che cavalli e provviste. Luce fa che i Figli dell’avamposto non abbiano idea di cosa stia succedendo qui.
Le accarezzò il mento senza dire nulla mentre lei lo fissava negli occhi con un sorriso malizioso, rigirandosi una benda tra le dita. Aspettarono in silenzio e dopo poco furono raggiunti da Elsa e dagli altri, avevano perso tre bambini in quei giorni, erano rimasti solo in sei. Sapevano tutti cosa stavano per fare e Siadon fu sollevato nel vedere la fredda decisione nello sguardo di Tomas. Non si fidava di quel ragazzo ma ora poteva sperare che non avrebbe esitato nell’eliminare una minaccia.
Pochi attimi dopo, lui e Thea stavano avanzando radenti alle pareti di un corridoio. Ne avrebbero dovuti attraversare diversi e di certo i Fratelli e le Sorelle di guardia li stavano sorvegliando tutti. Tomas li seguiva poco più indietro stringendo un arco scuro con una freccia già incoccata. Siadon si fermò appiattendosi dietro ad un angolo, ascoltando e catalogando ogni minimo rumore. L’olio delle torce bruciava poco distante, con le fiamme mosse dalla costante corrente d’aria che percorreva quei cunicoli. Avvolto dal nulla si concentrò su qualcosa di più ritmico, qualcosa che si stava avvicinando lentamente: un respiro. Attese qualche istante. La sua mano scattò oltre l’angolo, conficcando una lama nella gola dell’uomo che stava per svoltare. Accompagnò il corpo a terra per evitare di fare troppo chiasso, domandandosi chi fosse, quando un pugnale di Thea lo superò con un sibilo trafiggendo il cuore di un Fratello comparso dal nulla. Rimasero immobili qualche istante studiando la situazione fino a che furono abbastanza sicuri di essere di nuovo soli. Osservò Tomas fissare i due corpi ed il sangue che iniziava ad estendersi tra le pietre del corridoio, il volto teso tradiva le sue emozioni, vedere morire due persone doveva aver messo alla prova la sua sicurezza. Dannazione ragazzo, svegliati!
Ora dovevano sbrigarsi, l’uscita non era molto distante ma quella non era la loro destinazione. Non sarebbero riusciti ad uscire inosservati e non avevano alcuna possibilità di aprirsi un varco con la forza. Loro tre erano lì solo per confondere i corrotti, speravano che qualche corpo li distraesse abbastanza da dare loro il tempo di scappare da un’altra via. Quando nel pomeriggio avevano discusso quella possibilità Siadon aveva riso credendolo uno scherzo, tuttora dubitava che degli assassini esperti cascassero in un tranello tanto semplice ma l’alternativa non gli piaceva affatto quindi aveva proposto di occuparsene di persona. Nel frattempo l’altro gruppo sarebbe salito sulle mura ed avrebbe cercato un modo per calarsi tra le rocce e la neve raggiungendo il pendio che li avrebbe permesso di fuggire.
Percorsero alcuni corridoi con una lentezza esasperante, fermandosi ogni pochi passi per ascoltare. In due occasioni aspettarono immobili nell’ombra che delle persone si allontanassero dalla loro strada. Avevano ormai raggiunto le scale che salivano sulle mura quando sentirono dei sussurri.
«Ho visto qualcosa muoversi t’ho detto! Meglio se non andiamo su da soli. Tu aspetta qui, io vado a chiamare qualcuno.»
«Vengo anche io..»
«No tu tieni d’occhio la scala e se vedi qualcuno urla più che puoi»
«Ma... allora rimani tu, vado io»
«Cos’è? Hai paura del buio?»
«No.. è che.. io sono più veloce»
«Ecco bravo, se vedi qualcuno urla e corri più veloce che puoi»
Siadon era ancora stupito dall’incertezza e dalla paura che aveva percepito in quel breve dialogo Che ci fanno due idioti simili nel monastero? quando una figura piuttosto robusta gli passò davanti senza notarlo. Riprendendosi sfiorò l’avambraccio di Tomas ordinandogli di fermarlo, sentì l’arco tendersi ma la freccia rimase incoccata, il ragazzo era bloccato. Dannazione imprecò mentre un pugnale abbandonava la sua mano e raggiungeva alle spalle il malcapitato, facendolo rovinare a terra in una posizione scomposta. Un fruscio alle sue spalle gli diede la conferma che Thea si era occupata della sentinella rimasta. Aspettò qualche istante rimanendo in ascolto. Con uno scatto serrò la mano al collo di Tomas trascinandolo fuori dall’ombra per poterlo guardare negli occhi.
«E’ già abbastanza difficile senza dover badare a te ragazzo, svegliati o non uscirai vivo da qui»
«Io.. scusa, hai ragione»
Scusa? Luce io ti.. Thea lo abbracciò da dietro, «Andiamo» gli sussurrò in un orecchio.

La corda passava nell’anello di un rampino incastrato in una crepa sulla cima delle mura, le due metà precipitavano tese, confondendosi tra le rocce nell’oscurità sottostante. Siadon era rimasto da solo, avvolto dal vuoto percepiva appena il freddo pungente del vento. Sperò che Elsa e gli altri avessero trovato un modo per uscire da quella parete, secondo i piani non sarebbero servite più di tre o quattro calate per scovare una serie di cenge in grado di portarli al sicuro ma ora, studiando con brevi occhiate l’abisso, iniziava a domandarsi se non si stessero calando in una trappola di sassi e ghiaccio. Come in risposta le corde si allentarono, Thea aveva raggiunto la fine del primo tratto. Dopo averla raggiunta avrebbero recuperato la fune, cancellando ogni possibilità di tornare sui loro passi. Scrutò le mura e le strutture interne del monastero, salutandole un’ultima volta mentre controllava che non vi fosse nessuno pronto a sganciare il rampino facendolo precipitare, sarebbe bastato un calcio per farlo uscire dalla crepa. Osservando quel piccolo gancio precario recuperò un po’ di corda, si sporse aggrappandosi con la destra appoggiando i piedi su un blocco di pietra che sporgeva di poche dita dal muro. Le due funi scendevano tra le sue gambe tuffandosi nel vuoto sottostante. Guardò un’altra volta il rampino mentre avvolgeva le corde dietro una coscia facendole risalire fino alla spalla opposta e tenendole con la mano libera dietro la schiena. Non era la prima volta che scendeva in quel modo ma nessun castello aveva mura alte tanto quanto quella parete. Dopo poco raggiunse le prime rocce coperte di neve, le corde erano gelate ed iniziava ad essere più difficile manovrarle. Doveva anche prestare attenzione ai sassi precari per evitare di farli precipitare verso i suoi compagni.
Thea lo stava aspettando su una cornice che tagliava la parete fermandosi appena sotto una sezione strapiombante. Pensando al rampino sulle mura non osò dondolarsi per raggiungerla così tornò a scaricare il peso sulle proprie gambe e percorse lentamente lo stretto sentiero, le tracce di chi lo aveva preceduto erano ben marcate ma ad ogni passo non mancò di pestare ancora la neve prima di procedere.
Tirarono un capo della corda per recuperarla fino a che rimase bloccata, la sezione gelata aveva raggiunto l’anello e non riusciva a piegarsi abbastanza da scorrere. Dannazione imprecò Siadon tirando sempre più forte. Diede qualche strattone ed improvvisamente la tensione cessò, la fune stava scendendo libera. Subito dopo iniziarono a sentire il rampino rimbalzare sulle rocce sopra di loro. Luce! Si appiattirono alla parete mentre con un sibilo il gancio li sorpassava precipitando nel vuoto, seguito dalla corda e qualche masso.
«Tomas ha insistito per scendere per primo, credo voglia dimostrare di essere utile trovando la strada che hanno percorso gli altri» sussurrò Thea mentre lui avvolgeva la fune.
«Almeno reagisce, spero solo capisca chi è prima di farci ammazzare tutti»
«Siadon, è ancora un bambino e non è cresciuto per strada»
«Stava per dare l’allarme e lui non è stato in grado di fermarlo»
«Me ne ha parlato prima, dice che non riusciva a fare a meno di pensare che quello non era maledetto dal Potere»
«Luce.. è più idiota di quanto pensassi! Perché lo difendi?»
«Perché è simpatico» rispose lei sorridendo «e perché forse un innocente potrà tornarci comodo»
Siadon la osservò per un istante mentre si assicurava la corda recuperata in vita, lasciandola penzolare contro una gamba.
«Di certo non come guardia» rispose infine lui ridendo.

La seconda calata si fermava su una larga spaccatura inclinata che scendeva non troppo ripida verso destra, la neve accumulata l’aveva trasformata in uno scivolo bianco, disturbato solo dalle orme del gruppo di Elsa. I buchi lasciati disegnavano una curiosa scala che si perdeva molto più in basso, dove la spaccatura raggiungeva una larga cengia e girava attorno ad un costone di roccia nera.
Tomas lo stava aspettando. Come lo raggiunse, Siadon gli passò la corda che teneva in vita e con un cenno di capo il ragazzo iniziò a scendere affondando piedi e mani nella neve, stando attento a sfruttare le orme già presenti. Era circa a metà dello scivolo quando Thea raggiunse Siadon ed insieme recuperarono la seconda corda. Iniziando a scendere si resero conto che Tomas si era fermato poco sopra la cengia, quando lo affiancarono videro che lo scivolo si faceva più ripido e la neve lasciava il posto da uno spesso strato di ghiaccio verde. Tomas si era avvicinato alla roccia ed aveva fatto passare la corda attorno ad un sasso incastrato in modo piuttosto precario in una fessura.
«Bravo ragazzo» lo incoraggiò Siadon mentre quello si lasciava andare all’indietro affidando il proprio peso alla corda, con i piedi che scivolavano sul ghiaccio. «Avevi ragione, è già servito a controllare quanto tiene quel sasso» sussurrò poi a Thea quando il Tomas raggiunse la cengia sottostante.
Superando il costone videro che la cornice proseguiva ancora per un buon tratto, da dove si interrompeva il pendio innevato non era molto distante, ormai erano ad un terzo della parete. Seguirono quel sentiero in piano studiando preoccupati le orme che trovavano. I tre che li precedevano si erano fermati diverse volte ed in alcuni punti la neve era sporca di sangue. Procedettero spediti fino a raggiungere una corda, questa volta fissata a tre rampini incastrati in diverse fessure. Perché l’hanno fissata? Si chiese Siadon, immaginando subito dopo la soluzione Dannazione, hanno un ferito che non può calarsi da solo
«Sbrighiamoci»
Elsa era seduta raggomitolata in una larga spaccatura della roccia, in diversi punti le sue vesti erano ricoperte da un sottile strato di ghiaccio.
«Un sasso ha rotto il braccio di Lern e Nar’ba lo stava portando qui, non ce l’hanno fatta» fu tutto quello che disse.
«Siamo scesi parecchio, non può mancare molto» rispose Siadon sporgendosi per guardare verso il basso. La parete si tuffava ripida e non riusciva a vederla per un gran tratto ma il pendio era vicino, forse sarebbe bastata una sola corda. Scrutando nella neve sottostante vide due forme scure immobili, era dispiaciuto per la loro perdita, soprattutto per quella del Fratello.



Merian Elen Syana

«Sangue e ceneri!» furono le prime parole di Merian appena sveglia.
Non le capitava spesso di imprecare, in effetti quasi mai, ma gli ultimi giorni avevano messo a dura prova la sua pazienza, senza contare poi i continui mal di testa che provava ogni volta faceva quei sogni: si, era davvero difficile rimanere calma.
La sua mente si stava pian piano svuotando dei brutti ricordi e le vecchie abitudini, e per la prima volta in vita sua cominciava a sentirsi libera di esprimere se stessa. Brienne e la sua costante e opprimente presenza non c’entravano nulla, qualsiasi cosa dicesse Ariel. Quella donna bisbetica era solo un altro dei suoi grattacapi e nient’altro!
«Si, è così... nient’altro» disse decisa mentre si sforzava di alzarsi dal letto.
Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi per un momento prima di mettersi in piedi. Il sogno di quella notte le aveva lasciato un malessere peggiore del solito, e aveva bisogno di andare immediatamente da Ariel prima di andare a parlare con gli altri.
A giudicare dal letto intatto accanto al suo, o Brienne si era svegliata molto presto quella mattina - rimettendo in ordine in modo impeccabile - o non era ancora tornata dalla sera prima: la seconda ipotesi sembrava certamente la più probabile...
Sospirando si decise a prepararsi, e poco dopo uscì con passo malfermo dalla camera.
La stanza dell’erborista si trovava proprio di fronte alla sua, separata da questa soltanto da un ampio tappeto con motivi complicati che non riusciva a identificare. Elaborati candelabri su piedistalli erano posti ai quattro angoli del lungo corridoio, con grossi specchi alle loro spalle che servivano a diffondere maggiormente la luce. Tuttavia, il chiarore sui muri a quell’ora non era dovuto alle candele, ma alla luce del sole da poco levato che proveniva dall’unica finestra in fondo al corridoio.
Alle pareti tra le altre porte vi erano appesi arazzi le cui trame si riuscivano a intravedere appena nella scarsa luminosità mattutina: motivi floreali, bizzarri uccelli dalle ali variopinte e con becchi prominenti, e quelli che sembravano essere enormi gatti dallo strano manto maculato. Merian si ripromise di guardare più da vicino quei disegni una volta fatto pieno giorno ma per ora doveva occuparsi di faccende più importanti, come risolvere il dolore lancinante che sembrava aprirle in due la testa!
Non appena fece per bussare, la porta si aprì all’improvviso, e un uomo intento ad allacciarsi la camicia andò quasi a sbattere su di lei, alzando lo sguardo appena in tempo per vederla e rivolgerle uno dei suoi soliti sorrisi ammalianti.
«Buongiorno Merian, dormito bene?» disse Rohedric con noncuranza. Alla donna ci volle un attimo per riprendersi dalla sorpresa, ma rispose al saluto educatamente riuscendo anche ad abbozzare un sorriso. In quel mentre Merian si accorse di una figura barcollante che avanzava dalle scale alla loro sinistra, e che con ogni probabilità aveva assistito alla scena, a giudicare dallo sguardo inferocito che scoccò all’uomo una volta che si fu avvicinata. Rohedric salutò anche la nuova arrivata ma l’indifferenza era sparita dalla sua voce, sostituita invece da… imbarazzo? Perché mai doveva sentirsi imbarazzato da Brienne? No, sicuramente aveva interpretato male, doveva essere colpa di quel maledetto mal di testa!
«Io dovrei…> balbettò Merian per placare la tensione nell’aria. «Io dovrei parlarvi.»
I due si guardavano in cagnesco, o meglio, Brienne guardava l’altro in malo modo mentre Rohedric si limitava a sostenere lo sguardo, ignorandola completamente entrambi. A volte si comportavano come dei bambini! Si schiarì allora la voce e aggiunse più decisa: «Stanotte ho fatto un sogno.»
Impresse una certa enfasi sull’ultima parola e inarcò le sopracciglia per sottolineare l’importanza di quanto detto. Rohedric riportò immediatamente l’attenzione su di lei, ma Brienne osservava ancora l’altro con sguardo omicida. Se si comporta così con lui, pensò Merian distrattamente, chissà cosa farà con Ariel!
«Parleremo al mio ritorno,» disse intanto l’uomo finendo di abbottonarsi la camicia. «Rimani qui alla locanda con Brienne e non parlare con nessuno.» Rivolse un’ultima fugace occhiata a Brienne e si diresse a grandi passi in direzione delle scale. La donna continuò a seguirlo con lo sguardo, e fu solo dopo che scomparve alla vista che si voltò verso Merian, grugnendo:
«L’hai sentito, no? Parleremo al suo ritorno. Io vado a dormire. Tu cerca di non cacciarti nei guai. Buonanotte!» Diede le spalle a Merian senza darle il tempo di ribattere, e un basso brontolio la seguì lungo il breve tragitto fino alla sua stanza, finché non richiuse, sbattendo, la porta alle spalle. Probabilmente avrebbe continuato fino ad addormentarsi, pensò Merian mentre si rivolgeva nuovamente alla porta, ora socchiusa, di Ariel. Bussò flebilmente e attese che l’erborista le desse il permesso di entrare, prima di mettere piede nella stanza.
Ariel era seduta comodamente a un basso tavolino china su qualcosa, ma Merian poteva vedere dallo specchio lì accanto che era intenta a scrivere su un pezzo di pergamena, e che sorrideva.
«Immagino tu non sia qui per augurarmi il buongiorno, vero Merian?» disse la donna scherzosamente senza alzare lo sguardo dal suo lavoro. «Ho un forte mal di testa e…»
«Sei qui per uno dei miei intrugli» la interruppe l’altra sorridendo ampiamente. Non era una domanda.
Merian aggrottò la fronte confusa, in imbarazzo: se rispondeva di sì voleva dire che considerava gli impiastri di Ariel delle brodaglie, come li chiamava Brienne, e senza dubbio la donna si sarebbe offesa… o forse no? A differenza di Brienne, l’erborista era sempre gioviale e gentile, ma c’era qualcosa in lei, Merian non sapeva dire cosa, che la rendeva nervosa: come se fosse a conoscenza di qualcosa che nessun altro sapesse e che trovasse questa cosa estremamente divertente. Ma se diceva di no…
Ariel si accorse del suo cipiglio e ridacchiò, voltandosi finalmente verso di lei, ma rimanendo ancora seduta al tavolo.
«Oh non preoccuparti ragazza, ho un gran senso dell’umorismo io, non come tu sai chi...» Non c’era bisogno di specificare a chi si riferisse.
«Non startene lì impalata come un sacco! Posso avere la lingua avvelenata talvolta, ma non ho mai morso nessuno… bè, a parte il fondoschiena di qualche bel giovane.» Le strizzò l’occhio con aria complice e rise più forte. Era incredibile come riuscisse a essere provocante anche quando si divertiva a prenderla in giro. O forse non stava scherzando? Merian abbozzò un sorriso nervoso e fece un passo verso la donna.
La stanza di Ariel era più grande di quella che lei condivideva con Brienne, ma aveva un solo grande letto - ancora disfatto - e un’ampia finestra che dava su un cortile. Il resto dell’arredamento era semplice come quello della sua camera: un tavolo, un paio di sedie, un piccolo armadio e una brocca e un bacile per lavarsi. La differenza era che le cose qui non erano ammassate, senza contare inoltre che ci alloggiava una sola persona.
Per Merian comunque non era un grosso problema condividere una piccola stanza con un’altra persona, e quella che aveva adesso, seppur piccola, era una reggia se paragonata alla cella nella quale aveva vissuto per tutta la vita. Era Brienne a lamentarsi, come al solito!
In quelle poche ore da che erano arrivati, Ariel era già riuscita a rendere la stanza adatta alla sua presenza: file di erbe penzolavano dal soffitto, legate a una cordicella appesa da una parete all’altra, barattoli con dentro ogni genere di cose riempivano il tavolino, e un piccolo pentolino era stato messo a bollire con dell’acqua in un angolo su uno strano aggeggio fatto di pietra. L’odore pungente di numerose erbe differenti aleggiava per tutta la stanza, ma tutto sommato era abbastanza gradevole.
Ariel non accennava a volersi alzare, così Merian fu costretta ad avvicinarsi al tavolo, dove gettò un rapido sguardo a quanto stava scrivendo la donna: una lista interminabile di parole scritte in una grafia incomprensibile lasciavano supporre fosse un elenco delle cose da comprare.
Non appena fu accanto alla donna, questa si alzò e le poggiò prima una mano sulla fronte, poi le girò il viso da una parte e dall’altra - senza troppa delicatezza - e infine le fece aprire la bocca facendole tirare fuori la lingua. Era una consuetudine, aveva detto Ariel, per controllare che non fosse malata.
Appurato che tutto fosse normale, Ariel si accinse a prepararle il solito infuso disgustoso e, vedendo che Merian sempre ritornava con lo sguardo al letto disfatto, la donna ridacchiò di nuovo e disse con malizia:
«Non c’è niente di meglio che la compagnia di un uomo per scaldarsi nelle fredde notti invernali… anche se ormai l’inverno è finito.» Le strizzò di nuovo l’occhio e le porse la tazza fumante. Il sorriso che Merian le rivolse diceva che si trovava d’accordo con lei, anche se, a malincuore, non aveva idea di cosa potesse significare giacere con accanto un uomo.
«Rohedric è un uomo affascinante,» proseguì Ariel con un sorriso astuto, «lo avrai notato anche tu, e certamente sa come muoversi tra le lenzuola. Ma credimi, non è l’unico ramoscello che si può cogliere in un prato.»
«Vuoi dirmi che non senti niente per lui?» chiese Merian incredula prima di riuscire a controllarsi.
Ariel rise forte e si portò una mano sul petto e l’altra al fianco, guardandola come se fosse una bambina.
«Mia cara, quando un uomo ti desidera ardentemente la cosa migliore che puoi fare è lasciargli credere che anche tu sia interessata. Sarebbe di certo un’azione crudele non assecondare la sua passione, non credi? Se poi l’uomo in questione è uno come Rohedric… bè, puoi senza dubbio capire che il gioco vale la candela.»
Merian la guardò sbalordita per un momento ma si riprese subito facendo un breve cenno di assenso con la testa per assicurale che aveva capito. Cercò comunque di nascondere il rossore sulle guance mandando giù tutto d’un fiato ciò che rimaneva dell’infuso.
Quella donna non aveva ritegno!
Una volta finito di bere ringraziò Ariel, che ancora sorrideva compiaciuta, e uscì dalla stanza a grandi passi.

Il villaggio brulicava di gente già a quell’ora presto: negozi appena aperti che esponevano la loro mercanzia in vetrine invitanti, o su banchetti posti davanti all’ingresso; contadini che si recavano ai campi pronti per un’altra dura giornata di lavoro; bambini che correvano qua e là appesantiti ancora dal sonno… ognuno era immerso nei propri affari, indifferente al passaggio di due estranei lungo le vie del loro paese. Era una bella cittadina, e si poteva pensare di fermarcisi per un po’, non fosse stata così vicina alle dimore dei Manti Bianchi.
«Allora fratello,» chiese Rohedric mentre si guardava intorno con finta aria incuriosita «che te ne pare di Merian?»
«Dico che è troppo giovane per te!» rispose l’altro ridendo.
Jon era andato in cerca di un buon cavallo per Merian non appena arrivati, il giorno prima, ma sapeva che non aveva il permesso di pagare alcuna somma finché Rohedric, suo fratello maggiore e comandante della banda, non avrebbe controllato di persona. Non perché non si fidasse di Jon, sia chiaro, ma il denaro cominciava a scarseggiare e bisognava fare attenzione a ogni minimo acquisto finché non avessero raggiunto le montagne. Dopo di che Rohedric sperava che i Ribelli - ammesso che li avessero trovati - avrebbero dato loro vitto e alloggio finché ce ne fosse stato bisogno. Non era una bella cosa da pensare, ne era consapevole, ma non potevano sperare in niente di meglio per ora.
Chissà che cosa il Disegno ha in serbo per la mia gente? si chiese ancora una volta pensando al futuro.
Chissà che cosa ha in serbo per me?
Si scrollò di dosso quei pensieri, ben sapendo che non potevano avere risposta al momento, e si rivolse al fratello, sorridendo a sua volta.
«Non capisco perché tutti pensiate che debba infilarmi nel letto di ogni bella donna che vedo,» disse con aria innocente, «ho mai dato questa impressione?» Jon rise di gusto e Rohedric si unì a lui, sentendosi sereno per la prima volta dopo tanto tempo, grato della presenza del fratello. Gli vennero in mente i bei momenti passati insieme giù a casa, quando Trolloc e Myrddraal erano solo storie per spaventare i bambini, e il Drago Rinato una leggenda antica quanto la loro terra.
Prima o poi tutte le cose finiscono, pensò amareggiato, e quelle belle prima delle altre.
«Credo che la presenza di Brienne non le faccia bene,» disse all’improvviso Jon distraendo Rohedric dai sui pensieri, «ma forse Ariel può fare da controparte.»
L’uomo sbuffò nel sentire il nome dell’erborista, e Jon lo guardò corrugando la fronte, confuso.
«Ariel non è tanto meglio di Brienne in fatto di atteggiamento, puoi credermi» disse Rohedric facendo una smorfia.
«Credevo che voi due… insomma…»
«E’ solo una piacevole compagnia, nient’altro. All’inizio era solo divertimento, ma lei si è affezionata troppo, e adesso non so come farle capire che per me non è nulla di più che un bel modo di passare il tempo.» Scosse la testa e sospirò. «Non è certo una cosa che puoi dire a una donna senza rischiare di spezzarle il cuore, non credi.» Non era una domanda, ma Jon rispose lo stesso con un cenno d’intesa della testa. Nonostante la differenza di età, loro due si capivano alla perfezione.
Era sempre così tra uomini. Non c’era bisogno di dare spiegazioni, di doversi giustificare o essere costretto a chiedere scusa per qualcosa che non si era ancora fatto. Certo, sarebbe stato bello trovare una donna con la quale condividere le proprie esperienze, sentire una certa complicità… ma questo voleva dire essere innamorati e Rohedric non credeva nell’amore, non più ormai. Il tempo in cui si lasciava andare alle emozioni era passato, ora era tempo di pensare, di agire, e nulla al mondo per lui era più importante che trovare il Drago Rinato e assisterlo fino all’Ultima Battaglia. Tutto il resto era solo una distrazione, donne comprese, anche se queste avevano qualcosa per la quale valeva la pena distrarsi. Ariel era ne era la prova: bella, con grandi occhi scuri e lunghi capelli corvini che scendevano in morbidi riccioli fino ai fianchi generosi. Luce, quella donna era così provocante da fare dimenticare persino il proprio nome! Ma era solo un gioco per Rohedric, eccitante e sorprendente, ma pur sempre un gioco.
I due fratelli camminarono in silenzio per un lungo tratto, ogni tanto fermandosi in questo o in quell’altro negozio come ogni comune avventore.
Jon era affascinato soprattutto dalle botteghe degli artigiani e, ogni qual volta ne incontravano una interessante, Rohedric era trascinato dentro a forza dal fratello. E questo, si disse in seguito Rohedric, risultò essere un bene.
Si trovavano su un’ampia strada affiancata da basse case di legno - segno che qui la zona apparteneva ai più poveri - che proseguiva dritta per un lungo tratto. A un certo punto si snodava in due direzioni: a destra si perdeva in lontananza per portare infine all’entrata posteriore del villaggio, e a sinistra scendeva fino alle stalle di cui Jon aveva parlato. All’angolo di questa strada si trovava proprio un piccolo magazzino che vendeva ogni genere di oggetti fatti in legno, e Jon, avendone preso atto la sera prima, volle entrare immediatamente per mostrarlo al fratello. Rohedric si era stancato di tutti quei negozi uguali gli uni agli altri, ma Jon insistette che questo era diverso, perché il proprietario era cieco e nonostante ciò riusciva a realizzare delle cose incredibili. All’uomo non restò altro che assecondare il fratello, e così entrò nella bottega sospirando spazientito, anche se dovette ammettere - seppur mai ad alta voce - che la curiosità l’aveva vinto.
Non appena i due ebbero messo piede all’interno, una pattuglia di Manti Bianchi comparve sulla strada alla loro destra dirigendosi verso le stalle. Rohedric li vide con la coda dell’occhio e si voltò di scatto dall’altra parte, prendendo in mano il primo oggetto che gli era capitato a tiro e mostrandolo a Jon, in modo da fargli volgere le spalle ai Manti Bianchi.
«Sangue e ceneri fratello!» sbraitò Jon facendo voltare i pochi clienti presenti. «Non pensavo che avessi bisogno di ricorrere a certe cose per avere successo con le donne!» Il ragazzo rideva di gusto e Rohedric lo guardò senza capire. Gli ci volle un attimo per rendersi conto di cosa stesse parlando. Preoccupatosi di non farsi scorgere dai Manti Bianchi non aveva visto cosa aveva afferrato: la scultura di un uomo grande come il palmo della sua mano, con il fallo più grosso che Rohedric avesse mai visto! Sangue e ceneri, una statua che prometteva fertilità! Tra tutte le cose che poteva trovare! Grugnì irritato e la rimise a posto senza troppa delicatezza, guardando Jon che adesso era piegato in due dalle risate. Le altre persone scossero la testa e alcuni tornarono a rivolgersi ai loro affari, ma una bassa signora dal mento pronunciato rivolse loro uno sguardo così carico di sdegno che fece quasi imbarazzare Rohedric… e questo era dir tanto.
«Vogliate scusarlo,» disse l’uomo voltandosi verso gli avventori e facendosi serio in volto, «mio fratello ha preso un brutto colpo in testa quando aveva cinque anni, e da allora la sua mente non ha mai smesso di crescere.»
Jon smise di colpo di ridere scoccando un’occhiataccia al fratello, ma Rohedric ignorò lo sguardo e si avvicinò a lui per sussurrargli quanto era appena successo. L’altro spalancò gli occhi e si sporse per guardare fuori, ma i Manti Bianchi era già spariti da tempo, grazie alla Luce!
«… non credo che un gruppo così fitto sia qui solo per accompagnare mercanti» proseguì Rohedric sempre a bassa voce. «Sarà meglio tornare alla locanda e vedere se Madama Tinin ha qualche informazione in più.» Jon annuì e si girò verso la porta, desideroso di tornare al sicuro nelle sue stanze, ma palesemente riluttante a dover lasciare la bottega e le sue meraviglie.

«Vorrei poter uscire da qui…»
Era probabilmente la quarta volta che Brienne lo ripeteva. Nemmeno Kain ormai riusciva più sopportarla, di questo Merian era sicura.
L’uomo era occupato a tentare di ricomporre uno di quei rompicapi di ferro con cui gli piaceva tanto giocare, all’apparenza indifferente ai discorsi della donna. Merian, sedutagli accanto, gli rivolgeva di tanto in tanto fugaci occhiate di nascosto, e si era così accorta che non era poi tanto interessato al suo passatempo come lo era di Brienne. La donna, dal canto suo, si limitava a tirare su col naso ogni qual volta lo sorprendeva a guardarla. Era davvero una scena divertente.
«Che utilità abbiamo stando chiusi qui dentro?» proseguì Brienne incrociando le braccia al petto.
«Loro se ne stanno fuori a girovagare per la città, solo la Luce sa a fare cosa, e noi qui ad annoiarci…»
Merian sospirò esasperata.
Dopo che aveva scoperto che Ariel era uscita quella mattina, dopo i due fratelli, Brienne era diventata irrequieta, convinta che la donna fosse da qualche parte insieme a Rohedric. Di certo la nottata in bianco non le aveva giovato, nonostante avesse dormito un po’, e se si aggiungeva poi il suo carattere... Ma non c’era nulla che le si potesse dire per tranquillizzarla, non dopo che aveva visto Rohedric uscire dalla stanza di Ariel quella mattina. Avrebbero dovuto aspettare pazienti che smettesse di bollire.
Impresa alquanto ardua.
Brienne continuava a borbottare come aveva fatto per tutta la mattinata, ignorata da tutti. Nemmeno Neal le concedeva più una risposta ormai, si limitava soltanto a scuotere la testa e a sorridere. L’omone se ne stava seduto di fronte a Merian con un libro in mano - un’associazione che sembrava difficile da credere - e non alzava mai la testa dalla sua lettura, grazie alla
Luce! Al pensiero di incontrare il suo sguardo le veniva voglia di sprofondare sulla sedia.
Brienne non aveva tutti i torti comunque, anche se non glielo avrebbe mai confessato. Se ne stavano lì seduti da ore senza fare nulla, e Merian ormai si era fatta e disfatta la treccia almeno un centinaio di volte. Ogni tanto ripensava a quanto le aveva detto Ariel, e con lo sguardo perso in lontananza, le mani che accarezzavano i capelli, immaginava di scaldarsi accanto a Mat in una fredda notte di inverno.
Ah, che cosa sublime deve essere! pensò con gli occhi fissi al soffitto e lo sguardo vuoto.
D’un tratto si accorse di essere osservata dall’oste dietro al bancone e, guardandosi intorno notò che chiunque altro all’interno della sala scoccava loro di tanto in tanto delle occhiate curiose. Osservò poi le persone sedute al tavolo con lei e capì: Brienne che parlottava da sola, lei stessa persa in sogni a occhi aperti, due omoni dall’aspetto inquietante che passavano il tempo in attività fin troppo ordinarie… in effetti dovevano essere un quadretto a dir poco interessante agli occhi degli altri!
Sorrise tra sé e tornò ad occuparsi dei suoi sogni. Dov’era rimasta? Ah si, Mat le stava massaggiando il collo, baciandolo di tanto in tanto con delicatezza…
«E va bene allora,» esplose Brienne interrompendo le sue fantasie «conterò fino a dieci, dopo di che uscirò da questa locanda, che sia ritornato oppure no, dannazione!»
Dannata donna, pensò irritata, che tempismo!
Alzò lo sguardo verso Brienne, facendo una smorfia, e nel fare ciò incontrò quello di Neal: l’uomo sogghignava per via di quanto detto da Brienne e Merian sorrise, suo malgrado, a sua volta. Si sorprese di riuscire a sostenere quello sguardo per molto più che un istante.
Forse non è poi così inquietante come sembra...
«Uno,» cominciò Brienne, senza prestar loro attenzione.
Merian scosse la testa dimenticandosi di Neal e ritornò al suo fantasticare a occhi aperti.
«Due…»
L’uomo dal canto suo la guardò ancora per un momento e poi si dedicò di nuovo al libro.
«Tre…»
«Finalmente!» si lasciò sfuggire Merian raddrizzandosi sulla sedia e lasciando andare la lunga treccia. Dalla sua posizione riusciva a vedere molto bene la porta d’ingresso, e in quel mentre Rohedric e Jon avevano fatto capolino cercando con lo sguardo i quattro amici. Brienne smise di colpo di contare, afferrando il suo boccale e cercando di sembrare a suo agio, per niente impaziente. Non alzò nemmeno lo sguardo su Rohedric quando questo si avvicinò, facendo finta di accorgersi della sua presenza solo dopo che lui l’ebbe salutata.
Non cambierà mai! pensò Merian alzando gli occhi al cielo.
«Ho bisogno di parlarvi,» disse Rohedric facendo cenno alle due donne. «No, restate pure qui voialtri, ce ne andiamo noi.»
Lasciando Jon al tavolo insieme agli altri, Brienne e Merian si affrettarono a seguire l’uomo che procedeva svelto diretto alle scale in fondo alla sala, verso il piano superiore e alle loro stanze.
Rohedric le aspettava già davanti alla porta della loro camera e sembrava perso nei suoi pensieri, come spesso succedeva quando qualcosa lo turbava.
Cosa sarà successo? si chiese Merian preoccupata. Ma una volta entrati, Rohedric cambiò espressione, e rivolse il suo sorriso scaltro a Brienne.
«Sai, dovresti farci un pensierino.»
«Di che accidenti stai parlando?» chiese lei aggrottando la fronte.
L’uomo ridacchiò e incrociò le braccia, indicando la porta con un cenno della testa.
«Non dirmi che non ti sei accorta di come ti guarda?»
Brienne grugnì, intuendo di chi stesse parlando l’altro. Merian si volse dall’altra parte per nascondere il suo divertimento, osservando i due di sottecchi dallo specchio accanto al suo letto.
«E’ un idiota!» Fu l’unica risposta che Brienne gli concesse. Rohedric le sorrise di nuovo, ma questa volta non c’era scherno in quel sorriso, l’uomo sembrava anzi essere compiaciuto.
Brienne non sembrava essersi accorta di nulla, aveva infatti imprecato e si era girata dall’altra parte, incontrando lo sguardo di Merian.
Sei una stupida! sembrava voler dire quello sguardo.
«Di cosa volevi parlarci?» chiese Brienne cambiando discorso mentre andava verso il piccolo guardaroba.
Rohedric si sedette su una delle sedie e fece cenno a Merian di fare lo stesso prima di parlare. Aspettò che anche Brienne si sedette, ma quest’ultima non accennava a volersi voltare, impegnata com’era a rovistare nell’armadio in cerca di solo la Luce sapeva cosa! Rohedric sospirò irritato e raccontò quanto era accaduto al villaggio quella mattina.
Merian spalancò gli occhi nel sentire della presenza dei Manti Bianchi, e persino Brienne si preoccupò abbastanza da alzare lo sguardo da quanto stava facendo.
«Credi che stiano cercando noi?» chiese Merian non appena si fu ripresa dallo choc iniziale.
«Senza alcun dubbio stanno cercando qualcuno… ma non so dire se quel qualcuno siamo noi.»
«Forse sono stati avvertiti della presenza di Trolloc nelle vicinanze… o di un gruppo di Incanalatori Ribelli. In fondo siamo vicini alle montagne e non sappiamo con certezza dove si trovino le loro fortezze.»
«E’ quello che voglio scoprire, Brienne. Madama Tinin può esserci d’aiuto in questo.»
Brienne sbuffò infastidita ma non disse nulla, senza dubbio gelosa della locandiera e preoccupata di come Rohedric potesse guadagnarsi quell’aiuto. Merian provò una moto di comprensione nei confronti dell’altra donna. Lei non sapeva cosa avrebbe fatto al suo posto se avesse saputo che l’uomo che desiderava amoreggiava con altre donne, ignorandola completamente.
Gli uomini sanno essere così ciechi a volte…
Le parole di Brienne le fecero venire in mente il sogno della sera prima. Come aveva fatto a dimenticarsene? Si preoccupava troppo per quella donna!
«I Ribelli si trovano a Tsorovarin,» esordì guadagnandosi un’occhiata stupita da entrambi. Non diede loro il tempo di aprire bocca e cominciò a raccontare quanto le era accaduto in quello strano sogno così simile alla realtà.
Quando finì Rohedric sembrava più turbato di prima, ma c’era anche eccitazione nel suo sguardo: finalmente poteva condurre con esattezza i suoi uomini verso una meta che avrebbe significato una svolta nella sua vita, e in quella di tutti loro. Perché sembrava così scosso allora?
«Sembra che tu ce l’abbia fatta ragazza,» disse infine dopo qualche momento di esitazione.
La guardò negli occhi e le fece un sorriso, ma non uno dei suoi soliti impertinenti sorrisi, no… c’era dolcezza in quell’espressione. Merian non poté fare a meno di ricambiare a sua volta.
Anche Brienne sembrava ad un tratto triste, e allora Merian capì.
Queste persone erano venute da lei perché la ritenevano in grado di trovare il Drago Rinato, era diventata una missione per loro… e per lei. Ma adesso che quell’uomo era stato trovato, o quasi, lei a cosa serviva? Forse pensavano che non sarebbe più stata utile alla loro causa e che adesso era giunto il momento di lasciarla indietro. Erano così sicuri che lei non avrebbe più voluto continuare questa assurda avventura piena di pericoli e con gente che conosceva a malapena?
Lo credono perché è ciò che gli ho fatto credere. Ma sono davvero pronta ad andare per la mia strada?
Volse lo sguardo prima su uno, poi sull’altra, cercando di capire cosa si nascondeva dietro gli occhi di ognuno di loro, cercando di cogliere il più piccolo indizio riguardo le loro intenzioni.
Rohedric asserì con la testa, come per assicurarle che comprendeva e che la scelta spettava a lei. Brienne la guardò solo per un momento prima di tornare a voltarsi verso l’armadio e ciò che conteneva.
Sembrava arrabbiata.
Per un solo, brevissimo momento il suo pensiero era stato quello di alzarsi e uscire da quella locanda, allontanarsi da Zemai e tornare a casa. In fondo si trattava solo di tornare indietro per chissà quante miglia e dirigersi a ovest, verso il mare. Ma una volta tornata chi l’avrebbe accolta? Ammesso che i suoi genitori fossero ancora vivi, cosa avrebbe impedito loro di rispedirla a Ishamera un’altra volta? No, lei non aveva una casa, non l’aveva mai avuta. Ormai il suo posto era con questa banda che l’aveva salvata dalla sua misera vita e le aveva offerto una seconda possibilità.
Sorridendo apertamente si rivolse verso la donna che le dava le spalle.
«Penso che dovrai sopportarmi ancora per un po’ Brienne , chissà quali pericoli potrete trovare sulla vostra strada… un’Incanalatrice può tornarvi comodo.» Il sorriso sul viso di Rohedric si allargò ma Brienne si limitò a tirare su col naso. Orgogliosa e cocciuta come un mulo!
«E inoltre,» proseguì Merian senza dare sfogo ai suoi pensieri, «dobbiamo essere assolutamente sicuri che questo Morgan Neglentine sia davvero il Drago Rinato, prima di liberarvi di me.»
«Vero!» rispose Rohedric alzandosi. «A quanto pare abbiamo ancora bisogno del tuo aiuto Merian.» Era tornato a chiamarla col suo nome adesso, era un buon segno. Lei annuì con la testa e l’uomo fece per andarsene.
«Trovati!» Brienne emerse dall’armadio con un fagotto in braccio e l’aria soddisfatta dipinta in volto.
Rohedric e Merian la guardarono incuriositi.
«Sono i miei coltelli,» proseguì Brienne con un ampio sorriso. «Li avevo messi da qualche parte in una delle borse e non li trovavo.»
Merian sospirò. Solo quella donna poteva perdere qualcosa dopo solo appena un giorno averla messa al sicuro in un armadio!
Brienne si grattò la nuca con la mano libera, e per un attimo sembrò imbarazzata… Brienne! Ma si volse subito per chiudere l’armadio e andò verso il suo letto per mostrare il prezioso tesoro.
Quando srotolò l’involto a Merian si bloccò il respiro, c’erano almeno una ventina di pugnali lì dentro, e tutti dalla forma diversa: sottili e appuntiti con una lama molto lunga; robusti e seghettati come fossero un pettine; con la lama ricurva e larga, la punta come un uncino; con tre lame… ce n’erano almeno due per ogni tipo. Era davvero incredibile!
Brienne avendo notato lo sguardo allibito di Merian, si era raddrizzata orgogliosa in tutta la sua altezza, e aveva cominciato a spiegare l’utilizzo di ogni coltello.
«…e questo serve per intrappolare l’arma avversaria» disse infine indicando lo strano pugnale con le tre lame.
Lo scoppio improvviso della risata di Rohedric fece voltare di scatto le due.
«Vedi Merian,» disse l’uomo incrociando le braccia al petto, mentre rideva divertito, «ti avevo detto che possedeva più coltelli che vestiti!»
Brienne imprecò sottovoce e estrasse dal rotolo uno strano coltello dalla punta più acuminata e sottile che avesse mai visto - Brienne l’aveva chiamato “succhiasangue” - insieme a un altro paio di coltelli poco più spessi e lunghi: il primo lo ripose accuratamente all’interno di uno stivale, e gli altri due finirono in ognuna delle maniche.
«Sarà meglio che tu rimanga qui Merian,» disse alzando lo sguardo su Rohedric una volta finito di armarsi, «mentre io cerco di scoprire qualcosa.» L’uomo scosse la testa, perdendo il sorriso:
«Sai Brienne, penso che un uomo non ti farebbe affatto male, dovresti cominciare a cercarti una qualche compagnia»
«Come fai tu ad esempio?» sbottò la donna adirata.
Rohedric fece una smorfia e si voltò verso la porta. Senza voltarsi avvertì entrambe che sarebbero rimasti al villaggio finché la via non fosse stata sicura.
«… cosa che scopriremo senz’altro non appena Brienne farà ritorno dal suo sopralluogo» disse con una punta di acidità voltandosi appena verso la donna. Non aspettò di sentirla ribattere però, aprì la porta e se ne andò.
Una volta uscito Brienne si sedette sul letto, in preda allo sconforto. Merian non aveva mai visto Rohedric comportarsi così, mai l’uomo si lasciava andare a simili provocazioni, anche messo a dura prova da una come Brienne. Questa stava arrotolando con cura il suo fagotto - forse con troppa cura - e Merian le si avvicinò cauta appoggiandole un mano incerta sul braccio.
Brienne alzò di scatto la testa, e vide che c’erano lacrime sul suo volto.
«Tu non hai idea di cosa significhi desiderare qualcuno che non puoi avere…» La sua voce non era tuttavia addolorata: sembrava furiosa.
«Ah no?» rispose Merian portando le mani sui fianchi e alzando pericolosamente un sopracciglio. «Almeno Rohedric è un uomo in carne ossa! Il mio è soltanto un sogno, un bellissimo sogno, certo, ma che non potrà mai essere di più. Vorrei poterlo incontrare su questa terra e parlarci così come sto facendo con te ora. Vorrei potere andare a dormire sapendo che al mattino, svegliandomi, lui sarebbe accanto a me. Ma so che niente di tutto questo potrà mai accadere. Un giorno mi sveglierò dal sogno e lui non sarà più con me… e allora
farà male.» Non voleva scaricare tutta la sua frustrazione su Brienne, ma quella donna aveva la capacità unica di farla infuriare!
« Perché allora non chiudi con questa storia prima che sia troppo tardi?» rispose l’altra asciugandosi le lacrime.
«Perché è già troppo tardi…» Merian sprofondò sul letto accanto a Brienne, sospirando.
«So bene che dovrei smettere di pensare a lui, di cercare di vederlo, parlarci... ma non credo che il mio cuore lo sopporterebbe. Preferisco vivere anche un solo momento di vera passione e soffrirne, piuttosto che una vita intera serena ma priva di amore, lo puoi capire?»
Brienne la guardò negli occhi per un lungo momento, quasi la stesse studiando, ma infine annuì riluttante:
«Si, certo, lo capisco…»

Mentre usciva dalla stanza si chiese cosa le fosse passato per la testa per essersi lasciata andare così davanti a quella donna. Piangere come una ragazzina! pensò Brienne adirata. Come se non mi fossi già scoperta abbastanza, dannazione!
Meglio uscire da quella stanza all’istante e farle credere di essere una donna comprensiva e piena di amore e passione, e tutte quelle ridicole cose da donnicciola. Non era certo come Ariel!
Ariel… il solo pensare a quella donna le faceva ribollire il sangue nelle vene. Dannata erborista! Dovevano essere stati quegli stramaledetti intrugli a far correre Rohedric alla sua porta… e non solo… Che rabbia!
Rinunciò a infilarsi i guanti e li ripose non troppo delicatamente dietro la cintura, con le mani che le tremavano ancora per la collera.
Imprecò a denti stretti mentre scendeva le scale verso la sala comune, ripensando alla canzonatura di Rohedric a proposito di trovarsi un uomo. Chi accidenti era lui per dirle cosa doveva fare? Come si permetteva? Se voleva un uomo sapeva come trovarlo, e non era vero che possedeva più coltelli che vestiti… bè forse si, ma non era questo il punto!
E qual è il punto Brienne? si chiese mentre raggiungeva la sala comune. Che perdi tempo con un uomo che non ti merita, ecco qual è!
Seduti al tavolo che aveva lasciato c’erano ancora Kain e Neal, ora intenti a giocare a carte con quel mascalzone di Jon, l’esatta copia di suo fratello maggiore! Brienne accelerò il passo vedendo che Kain si era accorto di lei - doveva uscire di lì prima che l’uomo cominciasse a importunarla - ma poi le sovvenne un pensiero: le parole di quella sciocca di Merian si erano fatte strada nella sua mente più di quanto avesse creduto. In fondo non aveva tutti i torti, la passione va assecondata, anche se la sua sofferenza non sarebbe derivata di certo da un amore infranto… non in questo caso almeno.
Sospirando si avvicinò perentoria ai tre e, battendo una mano sul tavolo al posto di Kain, si rivolse all’uomo guardandolo dritto negli occhi:
«In camera mia, stanotte!»
Senza attendere risposta si volse verso la porta, e con ampie falcate uscì dalla locanda prima che potesse pentirsi di quanto aveva appena fatto.



continua...



Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 18
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte settima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte settima]

Siadon

Avevano trovato una baita di cacciatori alle prime luci dell’alba, abbandonata in attesa della bella stagione. Il villaggio era ancora distante ma si erano abbassati parecchio e la neve non era più tanto alta. Anche la temperatura era piacevole e la primavera iniziava a mostrare i primi segni. Nel sottobosco, ai bordi della radura, si potevano scorgere alcuni fiori bianchi sbucare dal leggero manto nevoso e l’odore di legno ed erba accentuava il senso di calore che i deboli raggi del tramonto riuscivano a trasmettere. Siadon osservava ammirato il sole scendere dietro le montagne, seduto su una panca in legno, con i piedi appoggiati su un ceppo di betulla e la testa contro la parete. Tra le mani teneva uno scoiattolo intagliato nel legno, trovato all’interno, le proporzioni dell’animale non erano molto realistiche, la testa era decisamente troppo piccola ed una zampa era più grande dell’altra. Scorrendo le dita su quelle imperfezioni Siadon riusciva ad apprezzare l’impegno dell’intagliatore, la sua volontà di creare qualcosa di bello con le proprie mani e la testardaggine nel voler migliorare la propria abilità, come dimostravano gli altri lavori sparsi nel capanno.
Avevano dormito tutto il giorno, protetti da una serie di sensori. Ora potevano pianificare le loro mosse in modo lucido, senza la costante sensazione di essere spiati, o peggio, di essere il bersaglio di qualche freccia già in volo.
«Scusami Tomas, mi sono comportato davvero male con te»
Il ragazzo stava osservando il tramonto appoggiato allo stipite della porta, si voltò sorpreso
«Tu? Ma.. sono io ad aver sbagliato»
Siadon lo guardò negli occhi
«Ti ho ordinato di uccidere una persona, ho voluto forzarti a farlo. Non eri pronto quindi non sei tu ad aver sbagliato. Prima o poi lo sarai ed allora ti chiameremo Fratello ma se ieri tu avessi ucciso quell’uomo ora il suo fantasma ti distruggerebbe.»
«No io.. si.. Voglio far parte della Famiglia, non so cosa m’è preso. Ieri pomeriggio ero deciso e pronto a farlo eppure non sono riuscito a scoccare, continuavo a pensare che non era un Maledetto, che non era giusto»
«Proveremo con un approccio più normale, con un Incanalatore e senza tutta quella fretta. Sei sulla buona strada, stai parlando di cosa hai provato ed è quello che facciamo ogni volta tra Fratelli. Ce la farai»
Tomas parve sollevato e tornò ad osservare il tramonto, poco dopo Thea ed Elsa li raggiunsero portando del tè bollente. La prima prese posto al fianco di Siadon mentre l’altra si sedette gambe incrociate su un blocco di granito che sporgeva dalla parete formando una panca.
«Dobbiamo decidere molte cose» disse Elsa dopo qualche sorso, le mani sottili cingevano la tazza fumante mentre con lo sguardo ammirava le nuvole tingersi di rosso.
«Prima di tutto chi siamo, qualcuno del villaggio conosce voi due come cacciatori e me come sacerdotessa. Potremmo avervi assunto come guide, due religiosi che chiedono una scorta per viaggiare non dovrebbero destare alcun sospetto. Sperando che i Figli all’avamposto non abbiano l’ordine di fermare qualsiasi sacerdote del monastero. Se tutto va bene dovremmo riuscire ad andarcene domani stesso.. ma dove?»
Fino a quel giorno si erano preoccupati di come uscire dal monastero, cosa fare una volta riusciti era un tema del tutto nuovo.
«Io ho qualche contatto a Samrie» rispose Siadon dopo un lungo silenzio, senza molta convinzione «gli Incanalatori lì sono odiati come se la tirannia fosse finita ieri, chiunque ci cercherà non avrà vita facile.»
Thea prese da una tasca un vecchio libricino usurato «Questo è il diario che ci ha lasciato Tamara, vi sono appuntate parecchie sue visioni. La maggior parte non sono molto chiare e gli appunti sono più che altro supposizioni ma sapeva che in qualche modo un piccolo gruppo avrebbe lasciato il monastero per cercare il Padre. A dire il vero riporta che due piccoli gruppi l’avrebbero fatto. Ad ogni modo le visioni successive a quella parte fanno riferimento alle città dell’Ovest, credo che dovremmo andarci»
I quattro rimasero in silenzio per qualche momento, mentre di fronte a loro uno scoiattolo scendeva circospetto da un abete per annusare contrariato una vecchia pigna.
«Potremmo imbarcarci a Dodieb, ho alcuni rifugi sicuri nella periferia» continuò Elsa. Al suono della sua voce l’animaletto si rizzò allarmato per poi correre ad arrampicarsi sull’albero più vicino.
Siadon bevve un lungo sorso apprezzando il calore della bevanda. Il sole era ormai ridotto ad una sottile linea oltre la catena montuosa «Tomas, tu che ne pensi?»
«Io?» rispose il ragazzo stupito dal trovarsi coinvolto nella decisione
«Noi quattro siamo quello che rimane della Famiglia, non sei ancora un Fratello ma ne fai comunque parte quindi anche la tua opinione è importante»
«Io.. ho sempre vissuto a Jennji, ci sono molti Figli della Luce ma è una città circondata da pianure e case sparse, da lì parte la Via Occidentale. Una volta abbandonato il porto non è difficile rimanere nascosti, mio padre diceva sempre che le pianure a Nord sono un covo di ribelli. Magari potremmo trovare qualche informazione.»
«La strada del tramonto» lo interruppe Thea sfogliando il diario. Si fermò a leggere alcuni appunti mentre gli altri tre la guardavano incuriositi. «Ecco: Sulla strada del tramonto in molti seguiranno le sue orme. Tamara non sa a chi appartengono ma è certa che in qualche modo portino al Padre.»

Quella stessa notte stavano scendendo verso Hirlomap nell’oscurità del bosco. Non avevano bisogno di torce, il Potere permetteva loro di percepire ogni dettaglio dell’ambiente circostante e di muoversi senza emettere alcun rumore. L’unico ad avere qualche difficoltà era Tomas che non aveva mai sperimentato il senso di nausea che poteva dare quella tecnica, soprattutto se si continuava a voler usare gli occhi. A parte un paio di pause forzate per far riprendere equilibrio al ragazzo, procedettero spediti raggiungendo le prime abitazioni nel cuore della notte. Avevano pianificato tutto prima di lasciare il capanno dei cacciatori. Come prima cosa avrebbero recuperato delle provviste e dei vestiti più comuni rispetto ai completi neri che indossavano. Successivamente si sarebbero introdotti nelle stalle dei Figli della Luce per requisire dei cavalli, inizialmente pensavano di farlo in modo più legale ma poi avevano deciso che era meglio evitare di lasciare qualsiasi traccia.
Mentre le donne si dileguavano in cerca di abiti della loro misura, Siadon comunicò tramite dei gesti con Tomas. «Tutto bene? Riesci a vedere?»
«Sì»
Introdursi nella stanza di qualcuno addormentato era una delle prime prove che gli adepti dovevano superare, di per sé era una cosa abbastanza semplice e nel Monastero l’addestramento era costante e duro ma il ragazzo non l’aveva mai fatto usando il Potere.
Siadon fece un cenno col capo e si allontanò sperando che andasse tutto per il verso giusto. Il contatto con la Fonte lo rendeva euforico dopo tanti giorni di astinenza e spesso si sorprendeva con il sorriso sulle labbra. Scelse una casa che sapeva appartenere ad un falegname alto più o meno quanto lui, scassinò la porta con dei flussi di Aria senza voltarsi, non aveva bisogno degli occhi per essere certo che nessuno lo stesse guardando. L’arredamento era semplice ma bello, ogni mobile era stato realizzato dal proprietario con maestria e Siadon si concesse qualche momento per ammirare gli intagli nella trave del caminetto. Immerso nell’oscurità non li stava guardando davvero ma i sottili Flussi di Spirito che lo circondavano gli mostravano una scena di caccia. Un grosso cervo veniva seguito da diversi cani e da due persone, una impegnata nel tendere un lungo arco e l’altra nel soffiare in un corno. Indirizzò altri Flussi, percorrendo le corna dell’animale, gli alberi ed i volti dei cacciatori, seguendo le venature del legno e le scanalature che le assecondavano. Contrariato per essersi distratto tanto si impose di passare oltre e salire le scale, al piano superiore c’era una sola stanza. L’uomo e la moglie dormivano abbracciati in un piccolo letto sotto numerose coperte e di fianco c’era una culla imbottita di cuscini. Il bambino all’interno riposava col sorriso dipinto sul volto, muovendo occasionalmente i piedi e le mani mentre Siadon apriva i cassetti di un mobile cercando degli indumenti. Prese dei pantaloni e la camicia meno bella che trovò, oltre ad una maglia di lana cercando di lasciare tutto il resto in ordine. Controllò la stanza rimanendo immobile e trovò subito quello che stava cercando, il piede di un armadio era cavo ed all’interno c’erano diverse monete. Si avvicinò ed ispezionò il legno trovando un lato scorrevole, lo aprì mentre il bambino si muoveva nel sonno ed aggiunse un disco d’oro ai risparmi nascosti. Era una cifra davvero alta per dei vestiti ma non era un problema per lui e di certo quella gente ne aveva più bisogno. Dopo aver preso delle provviste all’emporio del villaggio, tornò al punto in cui si erano divisi, gli altri lo stavano aspettando.
Bene, ora mancano solo i cavalli

Mentre Tomas ed Elsa erano all’interno della stalla, Thea e Siadon rimasero all’esterno pronti ad addormentare chiunque si fosse avvicinato. Hirlomap era un villaggio tranquillo, a quell’ora le poche taverne erano chiuse e nemmeno le guardie dei Figli della Luce sembravano essere sveglie.
«Certe donne hanno idee davvero interessanti in fatto di sottovesti...» sussurrò lei sfiorando il suo orecchio con le labbra «spero che i rifugi di Elsa abbiano diverse stanze»
«Dobbiamo aspettare fino a Dodieb? Tu mi torturi»
Lei sorrise avvicinandosi, Siadon percepì le proprie tessiture venir sfiorate da quelle di lei, una forza invisibile ed aliena che giocava con i suoi sensi, avvicinandosi al suo corpo per poi ritirarsi.
«Magari potremmo trovare una locanda con stanze troppo piccole per quattro persone»
«La scorta dovrebbe lasciare dormire in pace i propri padroni»
Lei lo baciò sorridendo «Allora faremo bene a prendere una stanza distante dalla loro» disse poi ritirando i propri flussi e tornando a sorvegliare la zona.
Quand’è riuscita a farmi impazzire? Pensò Siadon costringendo il proprio cuore a rallentare e spostando la propria attenzione sull’ambiente circostante.



Mabien Asuka

Hilda girò leggermente il volto di lato per guardarla negli occhi, lasciò trasparire un velo di tristezza, ma fu solo questione di un attimo prima di tornare illeggibile come suo solito. Riportò con calma lo sguardo sul fuoco davanti a loro e cominciò
«A Daing è successo quello che temevi. E' stato qualche anno fa, ma ancora adesso non esistono rapporti ufficiali su quanto o meglio come è accaduto. Ottenere le informazioni che ho è già stata un'impresa: Daing è così facile da tenere lontano dagli occhi della Confederazione. Cinque anni fa circa re Bartel'ien è stato ucciso, Shelheev'ien ha accusato Doesal'kin di esserne l'assassina il giorno in cui sarebbe stata incoronata regina. Insieme a Shelheev'ien c'era il suo inseparabile colonnello Imogean, con un reggimento intero di Figli della Luce. Doesal'kin è stata giustiziata senza processo, la famiglia Reyd'kin, il fronte d'indipendenza e molti semplici civili si sono ribellati, è stata una carneficina. Cryvel'ien da allora è re, Shelheev'ien lo manovra e Imogean si occupa di mantenere la pace con la forza, oltre che di mantenere i rapporti con la Confederazione trasmettendo le sue verità, che parlano solo del fatto che i Figli della Luce avevano represso una rivolta e avevano guadagnato più potere in città.» *
Mab affondò il viso tra le mani, la sua città era caduta definitivamente ai piedi di quella strega, che l'aveva consegnata ai Figli della Luce. Gliel'avrebbe fatta pagare, un giorno le avrebbe fatto pagare ogni vita che si era presa in cambio del proprio dannato potere!
«Mi dispiace»
Mab sollevò di scatto il volto dalle proprie mani nel sentire pronunciare quelle parole.
«Immagino sia questo il tuo obiettivo, trovare qualche alleato con cui tornare a Daing» continuò Hilda, riusciva a sembrare sincera anche se non partecipe al dolore.
Mab annuì e rispose senza troppa convinzione
«Un giorno...»
Non osava illudersi davvero di riuscire nel proprio intento: erano passati dieci anni da quando aveva giurato vendetta a Shelheev'ien ed era ancora lì, nemmeno a metà del suo percorso. Non voleva illudersi, ma continuava a stringere i denti e a lottare giorno dopo giorno, ostacolo dopo ostacolo.
Rimasero qualche minuto in silenzio, poi Hilda posò la tazza e si passò le mani tra i capelli: non c'era bisogno di toccarli per capire che non erano ancora asciutti.
«Saremo ad Hama in un paio di giorni, credo. Non ci sono villaggi da qui alla città, ma se partiamo subito dovremmo riuscire a raggiungere una fattoria abbandonata prima che faccia buio: non sarà il massimo, ma l'ultima volta il tetto ancora reggeva e il camino era utilizzabile.»
Hama! Gioia e paura si mischiarono con violenza in un'emozione che la lasciò senza fiato, iniziò ad immaginare la città e a chiedersi come le avrebbero accolte, il che le provocò un fastidioso nodo alla gola, motivo per cui decise di evitare di pensarci: qualsiasi cosa sarebbe accaduta, l'avrebbe affrontata al momento. Non aveva alcun senso fasciarsi la testa prima di averla battuta.
«Sono ancora bagnati, vero?» chiese
«Vanno bene così, non voglio far notte qui» tirò su il cappuccio del mantello e si alzò
Mab la seguì per fermarla «Non dire sciocchezze, Hilda. Ti verrà un accidente. Se potessi usare il potere su di te, potrei asciugarteli in un attimo»
L'occhiata di Hilda fu di rimprovero e di divertimento insieme «Non provarci con me»
Mab alzò gli occhi al cielo, non valeva nemmeno la pena di insistere con lei.
Raccolte le loro cose, si rimisero a cavallo. Da come si stringeva nel mantello era chiaro che avesse freddo, ma se non la lasciava incanalare, non poteva aiutarla in nessun modo, quindi alzò le spalle e continuò a seguirla.

La luce del giorno si stava spegnendo velocemente: se il vento continuava a soffiare in quella direzione, il giorno dopo avrebbe quasi certamente portato con sé la plumbea coltre di nubi che ora schiacciava il tramonto.
Il sentiero finiva a quel che rimaneva del cortile di una vecchia fattoria: tra le tracce di neve, erbacce alte e piante rampicanti ricoprivano lo spiazzo libero dagli alberi e parte dei muri dell'abitazione, le imposte di una sola finestra erano chiuse e quasi intatte, per il resto erano divelte, rotte o completamente assenti. Avvicinandosi Mab si stupì nel vedere di fianco alla fattoria un cavallo legato steso a terra. Hilda aveva già lasciato la stretta sull'apertura del mantello e aveva afferrato della spada.
Nel sentirle arrivare, il cavallo mosse la testa, era vivo. Hilda scese da Ghibli e passò le sue redini a Mab perchè glielo tenesse, ma la ragazza la fermò.
«Una spada potrebbe non bastare» le disse a voce bassa, dopo essere a sua volta scesa da Oberon. Stranamente l'altra non obiettò.
Legati i cavalli, si avvicinarono attente a non fare rumore, ma i passi scricchiolavano sulla neve e le sterpaglie rinsecchite. Era l'unico rumore che si sentiva. Oltrepassato il vano dove non esisteva più una porta, si trovarono di fronte ad una sala con resti di mobilia e pavimenti logorati dal tempo, l'intonaco ai muri non esisteva più e c'erano punti in cui i mattoni avevano ceduto. Il camino in fondo alla sala era stato usato di recente, ora vi rimaneva solo cenere. Seduto a terra non molto distante c'era un uomo che fissava il vuoto davanti a sé.
«Sashell» lo chiamò piano Hilda, ancora la spada pronta all'uso.
L'uomo non si mosse minimamente. Sembrò non accorgersi di loro nemmeno quando gli si avvicinarono.
«Sashell» lo chiamò ancora Hilda, toccandogli una spalla.
L'uomo alzò la testa, ma il suoi occhi sembravano guardare oltre la donna. Gli abiti di buona foggia mal si combinavano all'aspetto sciupato, i capelli trasandati e la barba incolta. Teneva la bocca leggermente aperta, tracce asciutte di bava gli circondavano labbra secche e screpolate fino a sanguinare, sembrava non toccassero acqua da qualche giorno.
Hilda cercò di scuoterlo delicatamente
«Sashell, che ti è successo?»
ma l'uomo continuava a sembrare inanimato.
«Chi è quest'uomo?» chiese Mab
Hilda le fece segno di tacere e poi a voce bassa
«Stammi vicina» e l'intimò a seguirla. Non riuscì a mascherare il fatto che fosse spaventata, un brivido percorse la schiena di Mab per tutta la sua lunghezza.
L'abitazione era composta da un'altra stanza e un piano superiore a cui si accedeva da una scala a pioli, che non fu facile utilizzare visto lo stato del legno di cui era fatta. Uscirono, girarono tutto attorno al casolare, entrarono in quel che rimaneva del fienile e in una baracca che forse era stata una stalla. Non trovarono nulla. Raggiunto il cavallo legato, Hilda si chinò ad accarezzarlo, poi andò a prendere i loro due: dalle bisacce estrasse una borraccia e la svuotò per far bere l'animale. Impastoiarono tutte e tre le bestie e tornarono dentro la casa.
La donna si abbassò davanti all'uomo, gli prese il volto tra le mani senza che questo reagisse in alcun modo, stessa cosa quando provò ancora a scuoterlo e a schiaffeggiarlo persino. Infine la donna abbassò la testa desolata.
«Aiutami a portarlo fuori»
Lo dovettero trascinare, perchè nonostante lo avessero messo in piedi, sembrava non saper camminare. Mab provò più volte ad incrociare lo sguardo della sua compagna, anche solo per leggere qualcosa nella sua espressione, ma fu inutile, Hilda continuava a fuggirlo.
Portarono l'uomo tra i primi alberi oltre il cortile. Hilda lo schiaffeggiò ancora una volta
«Sashell, dì qualcosa!» lo scosse «Parla! Reagisci» ma non ottenne la benchè minima reazione.
«Mabien, vai ad accendere il fuoco nel camino. Io arrivo tra un momento.»
«Cosa vuoi fare?»
«Mabien, per favore, entra in casa» le girava le spalle, nel tono secco della sua voce si faceva strada una nota di amarezza.
Mab la prese per una spalla, costringendola a girarsi
«Cos'ha quest'uomo?» temeva di conoscere la risposta, ma non voleva crederci
Hilda lo guardò ancora una volta
«Non ho mai visto niente del genere, ma corrisponde a quanto ho letto sull'effetto del bacio del Draghkar. Ora puoi entrare per favore?»
La ragazza obbedì, ma poi rimase sulla soglia a guardare: Hilda abbracciò l'uomo, poi lo colpì con la spada e lo lasciò cadere a terra. La vide chinarsi e poi muoversi, forse cercando di comporre il corpo in modo decente, dal momento che non poteva offrirgli una degna sepoltura. Poi si fermò, ma non si alzò. Mab andò ad accendere il fuoco.
Hilda rientrò diversi minuti dopo, portava con sé tutti i loro bagagli, che intanto aveva scaricato dai cavalli. Fuori era già diventato buio, ma dentro il casolare il fuoco illuminò chiaramente gli occhi lucidi della donna. Si mise a sedere a terra, accanto al camino e porse a Mab il formaggio, l'unica cosa commestibile che avevano con loro.
«Tu non mangi?» disse la ragazza a bocca piena
«Non mi va»
Come se non fosse successo niente di particolare, si era messa ad affilarsi la spada mentre i caldi colori del fuoco giocavano sul suo volto più pallido del solito. Senza togliere gli occhi dalla lama, disse
«Ci saremmo dovuti incontrare qui almeno due giorni fa. Quel Draghkar era qui per me e non mi illudo di potermene star tranquilla perchè non mi ha trovata. Starò di guardia questa notte»
Non sprecò fiato a proporle di fare a turno: aveva già sottolineato più volte il fatto che non si fidava di lei. Mab invece si rendeva conto di aver già cominciato a mettere in dubbio la propria primaria riluttanza nei confronti della donna: il suo istinto la portava a non avere paura, l'esperienza di contro la spingeva a stare in guardia e a non credere a tutte quelle sue belle parole. Era una Figlia della Luce, maledizione! Non aveva un solo motivo razionale per crederle, non uno, eppure la tentazione era forte, forte quanto il bisogno di alleati che aveva, forte quanto la necessità di avere qualcuno con cui spalleggiarsi in quella lunga ed estenuante lotta per raggiungere il proprio obiettivo.
Doveva aver rimuginato su Hilda fino ad addormentarsi. Si svegliò con il proprio mantello che le faceva da coperta, era ancora buio e la sua compagna giaceva in modo scomposto a pochi metri da lei.



* nota (presente anche su Wiki)
Bartel Darak'ien (Bartel'ien). Successore di re Weeler Reyd'kin e fratello maggiore di Shelheev'ien.

Shelheeve Darak'ien (Shelheev'ien). Sorella minore di Bartel'ien e madre di Cryvel'ien. Dopo la morte del marito si è unita al colonnello Imogean, in una relazione non ufficiale, ma palese a tutti.

Doesal Reyd'kin (Doesal'kin). Legittima erede al trono in successione a Bartel'ien.

Cryvel Darak'ien (Cryvel'ien). Figlio di Shelheev'ien e discendente più giovane della famiglia Darak'ien durante la guerra interna per il trono. Mabien Asuka era una delle ad'ien tra cui ha scelto la sua sposa.



Norah

Aprì gli occhi di scatto e due lacrime involontarie scivolarono ai lati del suo viso e si tuffarono tra i capelli. Era comodamente sdraiata e si ritrovò a fissare quello che sembrava un tetto in legno. Non voleva richiudere gli occhi: la paura che quella visione ritornasse a tormentarla era troppo forte. Stava quasi per rimettersi a piangere al solo ricordo quando una mano caldissima le toccò la fronte. Trasalendo, si alzo subito a sedere, rannicchiando le gambe al corpo, trattenendo il respiro e rabbrividendo come non mai.
«Povera piccola, stai tranquilla, qui sei al sicuro...».
Parole che ricordavano troppo quelle che erano riecheggiate nell’incubo. Stava veramente per mettersi a piangere
«Mi chiamo Dimion. Mio figlio Julian ti ha trovata ieri notte al limitare della nostra casa… eri quasi morta assiderata e ti ho Guarita, stai tranquilla adesso stai bene. Avevi solo bisogno di riposo».
Dimion sorrise cercando di sembrare il più rassicurante possibile, ma senza avere molto successo. Norah, dal canto suo, aveva troppo vicina la visione di qualche minuto prima per smettere di tremare.
Luce, dove sono? Chi è quest’uomo? Perché non ricordo assolutamente nulla? Luce!
«Ah… piccola, stai tranquilla, sul serio qui non hai di che temere. Dimmi, come ti chiami?»
Norah era ancora rannicchiata su se stessa, ma alzò lo sguardo sull’uomo e, sembrando un po’ più rassicurata, rispose con una flebile voce esitante:
«No.. Norah»
«Norah, hai un bellissimo nome. Dalle parti dell’est, se non sbaglio, Hama forse?»
Norah abbassò lo sguardo, sfuggendo a quello di Dimion:
«Io.. io non lo so. Non ricordo nulla.».
Se la risposta sorprese il suo interlocutore, lei stessa era stupita della propria lacuna, ed anche angosciata…
«Va bene, non preoccuparti… forse hai ancora bisogno di riposar...»
«No! Non voglio riposare!». La sola idea di poter incorrere nuovamente in quel brutto sogno le diede la forza di ignorare la terribile stanchezza che ancora gravava su di lei.
«Va bene, va bene, se non vuoi… tranquilla, adesso tutto è finito.», disse quel gentile signore con un altro sorriso confortante.
Norah si rasserenò un po’ a quelle parole, anche se rimase ancora accovacciata su se stessa, pensierosa e angosciata al tempo stesso.
Non ricordo nulla, com’è possibile? Io sono Norah…Norah e poi? Chi sono io? Luce! Chi erano i miei genitori? Cosa mi è successo?
L’angosciante ciclo di pensieri venne interrotto dalla comparsa di un ragazzino, sembrava di un paio d’anni più grande, che scendeva delle scale; sembrava ancora assonnato e quando si accorse di lei fece un breve sorriso e la guardò attentamente. Anche Norah non riusciva a non guardarlo, le sembrò quasi che fossero uniti da qualcosa, così, istintivamente.
«Julian, ben svegliato!»
Entrambi i bambini trasalirono al suono di quella voce entusiasta, ma poi, quando Dimion abbracciò il figlio augurandogli buon compleanno, Norah si rilassò quasi completamente. Inspiegabilmente, infatti, si fidava di quel ragazzino e la tensione di quei pochi minuti da quando aveva aperto gli occhi l’aveva stancata parecchio. Appoggiò la testa sullo schienale del divanetto e chiuse per un attimo gli occhi. Quando la visione non apparve, le sembrò quasi di essere uscita da un incubo e tirò un sospiro di sollievo.

Norah riemerse da quel ricordo come risalendo in superficie da sott’acqua: i contorni delle cose erano più nitidi, i colori più vivi e le sensazioni più nette. Poteva sentire Julian e Dimion parlottare sommessamente nella stanza a fianco: le loro voci erano troppo basse per distinguere le parole, ma era chiaro dai toni diversi che il padre stava rimproverando il figlio, il quale a sua volta si scusava. In un qualche modo era confortante sapere che questo era il suo presente, la sua realtà: per qualche attimo, infatti, Norah aveva temuto di essere intrappolata in quella memoria così vivida della propria infanzia. Ed è sempre rimasta qui, in un angolo della mia mente, per tutti questi anni, pensò la ragazza; eppure non l’avevo mai rammentata prima d’ora: è come riscoprire una parte della mia vita di cui non sospettavo l’esistenza. E probabilmente quel ricordo sarebbe rimasto dormiente per sempre, non fosse stato per il racconto di Julian.
Non ricordava da quale brutto sogno si fosse svegliata quella mattina di tanti anni prima, ma senza dubbio sarebbe potuto essere uno dei tanti che da qualche mese ora infestavano le sue notti. Ombre, sangue, morte, luoghi tristi e desolati: le immagini si mescolavano caoticamente rendendo molto difficile interpretare quei sogni. Se adesso che aveva diciotto anni gli incubi ricorrenti la terrorizzavano e le facevano passare lunghe notti insonni, Norah poteva facilmente immaginare il trauma che essi dovevano averle inflitto quando era appena bambina.
Finalmente individuò il piccolo fiasco che cercava, in mezzo a tutte quelle anfore e bottiglie che affollavano la dispensa. Lo afferrò con una mano, mentre con l’altra prelevava tre coppe di metallo, poi ritornò nella sala. Qui versò un dito del denso liquido bruno in ciascuna delle coppe, captandone subito l’aroma penetrante, che ricordava l’odore inconfondibile del Bosco della Sera. Era infatti un liquore tipico di Calavron, distillato facendo fermentare le spesse foglie dei Grandi Alberi che crescevano unicamente nella vicina foresta.
«Mi dispiace di essere stato così sbrigativo nel raccontare, Norah.», disse Julian mentre accettava la coppa che lei gli stava porgendo «Il fatto è che non mi piace parlare di quella sera. L’ombra che vidi allora ha sempre guastato ai miei occhi il ricordo del tuo ritrovamento. Quel giorno è il momento in cui tu sei entata a far parte della nostra famiglia, ed è, per questo, una delle mie memorie più care. Ma quella misteriosa presenza rovina tutto... è come se gettasse uno scuro presagio su di noi.». Dimion gli scoccò un’occhiata in tralice all’udire qull’ultima frase, ma non disse nulla. Norah ebbe un brivido, ma riuscì a mascherarlo fingendo di avere freddo e avvicinando la propria sedia al fuoco; dopo un momento disse: «Qualcosa ricordo. E’ un po’ vago, ma sta riaffiorando poco a poco. Era probabilmente il mattino dopo, e tu mi chiedesti...»

«Stai bene?»
Era il bambino. Aveva una voce squillante, ma non le diede fastidio, anzi le sembrò ancora più rassicurante di quella del padre.
«Credo di si… si.»
«Sicura? Hai una faccia orribile»
«Julian!» si intromise il padre, rimproverandolo.
«Scusami padre, volevo dire che non mi sembra stia molto bene, tutto qui»
«Ma sì che sta bene… o almeno fisicamente è sana come una tigre», esclamò soddisfatto Dimion, dando una pacca sulle spalle del ragazzo e lasciandoli soli. Tra i due cadde un silenzio imbarazzato.
«Scusa se sono stato scortese prima», disse alla fine Julian «Come avrai capito sono Julian»
Le tese la mano e aspettò che Norah gliela stringesse: la sua sembrava caldissima a confronto con la propria, piccola, pallida e tremante.
«Hai freddo? Quelle coperte non sono abbastanza?»
«No, grazie sto bene così…»
«Va bene… ehm.. e tu sei?»
«Norah…»
«Beh piacere Norah… Non so se hai già parlato con mio padre, ma mi chiedevo, ecco, come sei finita qui vicino, ecco?». Lo chiese tutto d’un fiato, sembrava avesse paura di porre la domanda e anche di sentire la risposta.
Di nuovo Norah sentì l’angoscia formarle un nodo in gola, ma questa volta decise di rispondere a quel ragazzino che, a quanto pareva, l’aveva salvata.
«Io non lo so, non ricordo nulla di quanto mi sia successo», gli disse tristemente.
«Oh…», sembrò stupito ma stranamente sollevato «Non ricordi proprio nulla? Nessuno?», mise particolare enfasi sull’ultima domanda e sembrò scrutare la bambina ancora più in fondo, come per carpirle la verità. Norah sentì un brivido lungo la schiena. Qualcuno…sì qualcuno ricordo.
«No… nessuno»
«Ah.. beh.. magari sei stordita. Capita a volte con la Guarigione», disse esibendo un sorriso tirato, cercando di essere amichevole e di rassicurarla ancora con qualche parola.
Norah non capiva come mai ci stesse riuscendo. Neanche lo conosceva quel ragazzino. Fatto sta che, dopo poco tempo, i due si ritrovarono a ridere insieme di una battuta sui Manti Bianchi; beh almeno a sorridere.

Durante il racconto di Norah, Julian aveva distolto lo sguardo, ma il suo imbarazzo era evidente. Oh Julian, pensò divertita la ragazza, come puoi imbarazzarti ancora dopo che ci conosciamo da una vita? D’altra parte era sempre stato così, lui: sicuro di sè e perfino un po’ cocciuto con amici e conoscenti, ma con le ragazze diventava timido ed impacciato. E questa è la sua caratteristica che amo di più, realizzò Norah.
Questa volta Dimion non era riuscito a leggerle nel pensiero, oppure più probabilmente aveva deciso di ignorarlo; lo sguardo del padre adesso era serio e concentrato: «Dunque in effetti tu ricordi qualcosa.», le disse, più come affermazione che come domanda.
«Prima del racconto di Julian non ricordavo nulla di allora. Poi, invece, mi è tornato in mente il nostro primo incontro.», rispose la ragazza, sorridendo nuovamente del disagio che dimostrava Julian quando si parlava di loro due, specialmente davanti al padre. «Niente che riguardi la notte precedente, però. Non ho nessuna idea di come io sia potuta finire qui. Anche se, in effetti, l’immagine degli occhi gialli, così come l’ha descritta Julian, appare a volte nei miei sogni... Ma, chissà, potrebbe essere stato un lupo avvicinatosi alla radura in cerca di cibo, i suoi occhi resi gialli dal riflesso della lanterna...».
Non ci credeva nemmeno mentre lo diceva, ma per darsi coraggio aveva bisogno di inventarsi le risposte che non riusciva a trovare nella propria memoria. Non era un semplice lupo quella sera, e non è un lupo che occupa i miei sogni: è una presenza malvagia. Ma comunque sia, anche se questo avesse qualche connessione con il mio passato, dopo dieci anni è ormai evidente che non ha più a che fare con la mia vita. Con grande sollievo di Norah, Dimion sembrò giudicare l’ipotesi del lupo plausibile e non insistette oltre su questo dettaglio. Invece, girò il capo verso il figlio e gli disse: «Continua tu adesso, Julian. Raccontale del viaggio in città che facemmo più tardi quel giorno. Potrebbe richiamarle altre memorie...».

«Vedo che avete fatto amicizia. Bene!».
Dimion era ricomparso sulle scale, con un grande arco in mano e una faretra piena di frecce.
Mentre suo padre scendeva le scale, sulla faccia di Julian comparve un sorriso entusiasta come non mai… Quanto aveva desiderato un’arma con cui cacciare seriamente!
«Padre…»
«Lo so che lo desideravi da tanto. L’ho fatto apposta per te. Non troppo grande ma neanche un arco per bambini. Questo è l’arco di un cacciatore, Julian. Sei quasi un uomo, ci pensi?»
«Padre, io…», alzò lo sguardo dalla bellissima arma in mano al padre per incrociarne lo sguardo orgoglioso e abbracciarlo stretto.
«Grazie…» sospirò sul torace del padre, che lo abbracciò ancora più stretto.
Julian aveva quattro anni quando sua madre se n’era andata e da allora lui aveva avuto solo suo padre. Avevano vissuto bene ugualmente. Suo padre non gli aveva mai fatto mancare nulla e l’aveva cresciuto con tanto amore. Certo aveva sacrificato la sua carriera assicurata all’interno del Consiglio degli Anziani, però non aveva mai fatto pesare sul figlio la decisione. Julian amava suo padre e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui.
Sciogliendo l’abbraccio, Dimion si rivolse a Norah, che li guadava senza una vera espressione.
«Piccola, solitamente per il compleanno di mio figlio, gli faccio passare una giornata a Calavron… ti senti abbastanza in forze?»
«Se non stai bene restiamo qui, Norah. A me va bene lo stesso», disse Julian sorridendo; era sincero, ma l’avrebbe fatto a malincuore.
La bambina comunque accettò e Dimion la condusse fuori, dove l’aiutò a salire a cassetta sul suo carro. Intanto Julian, in silenzio, ispezionava il bosco che circondava, fitto e vicinissimo, il piccolo cortile della casa. La loro casetta sembrava fosse posizionata lì, nel bel mezzo del Bosco della Sera, quasi per errore. Tutt’intorno crescevano quelli che la gente definiva, e a ragione, i Grandi Alberi, mentre sullo sfondo si vedevano i picchi delle Montagne della Sera. Mentre caricava il carro con tutto ciò che Dimion voleva far riparare in città, Julian scrutava il Bosco ininterrottamente, non riuscendo a non togliersi di dosso la sensazione di essere osservato.
Quegli occhi gialli l’avevano tormentato anche durante i sogni, come aveva sospettato prima di addormentarsi. Aveva sognato che quegli occhi lo stessero scrutando nel profondo, che stessero perforandogli il cervello, che si stessero insediando nei suoi pensieri per non andare più via.
Scacciando quel genere di pensieri, finì di caricare un’ultima botte da riempire di vino in città e salì a cassetta accanto a Norah. La guardò e le sorrise cercando di rassicurare quel faccino perpetuamente triste e angosciato.
Neanche io vorrei svegliarmi in un posto sconosciuto e non ricordare nulla di quanto mi è successo. Anche io mi sentirei spaesato. Povera bambina.
«Dov’è che mi hai trovato?», chiese lei d’un tratto.
«Ehm.. lì.», rispose Julian indicando il luogo accanto al Grande Albero più vicino alla casa.
«Da sola… li sulla neve tutt’a un tratto?»
«Beh sì…», le rispose Julian abbassando lo sguardo e sperando che non gli facesse altre domande.
Pensa se le dicessi cosa ho visto prima… scapperebbe a gambe levate, terrorizzata peggio di quanto no lo sia già, pensò con amarezza.
Ma Norah non fece ulteriori domande.
Dimion uscì di casa e salì anch’egli sul carro: «Pronti?».
Senza attendere risposta incitò la giumenta bianca e cominciarono ad arrancare nella neve verso l’ala destra del bosco.

Norah ora ricordava nitidamente quella serena giornata di fine inverno in cui aveva visto Calavron per la prima volta. Cominciava a rivivere quei momenti con la stessa intensità con cui Norah bambina li aveva vissuti anni prima. Per quanto bizzarro le potesse sembrare adesso, da piccola aveva messo da parte con semplicità le mille domande che doveva aver avuto allora in testa: la spontanea natura che contraddistingue ogni bambino le aveva fatto accettare con naturalezza la proposta di una gita in città, se non altro per non essere di peso ai suoi salvatori.
Julian stava proseguendo il suo racconto, ma ora Norah non aveva bisogno di seguire le sue parole: attraverso le fiamme del focolare poteva vedere i solchi tracciati dal carretto nella neve fresca e la nuvoletta di fiato del cavallo che si volatilizzava nella pallida luce invernale...

Norah si chiedeva come avrebbero fatto a viaggiare ancora in quelle condizioni, arrancando nella neve. Di quel passo avrebbero raggiunto la città il mese dopo. Nell’ultima ora avevano fatto si e no un quarto di miglio.
«Ti conviene non essere una spia, sai?», esclamò d’un tratto Julian.
«Come?»
Il ragazzo rise della sua faccia stupita.
«Ho detto: ti conviene non essere una spia, perché quello che stai per vedere è un segreto. Se venisse scoperto la città dei Na’dal sarebbe veramente perduta!»
«Prima devono sapere come fare per svelarlo questo segreto, figliolo… e in ogni caso, i Na’dal non sono certo degli sprovveduti.».
«No, certo padre… ero solo divertito dalla faccia di Norah. Sicuramente avrà creduto che avremmo raggiunto la città viaggiando in carro, con la neve. Volevo anticiparle cosa succederà tra un po’...»
«Cosa succederà?» s’intromise la bambina, intrigata da tutto quel parlare di segreti e dei Na’dal.
«Vedrai, bambina…», Dimion adesso era concentrato. Guardava fisso davanti a sé, poi si tolse il mantello, la giacca e la camicia, ignorando il freddo. Julian tremò al fianco di Norah e la bambina vide che egli guardava il padre con venerazione, quasi. E altrettanta concentrazione, come se desiderasse vedere ancora più a fondo cosa stava succedendo. Norah, d’altro canto, non vedeva nulla fuori dall’ordinario: il bosco continuava a scorrere lento al loro passaggio. Poi d’un tratto, Dimion fece scorrere la propria mano destra sul petto, scoprendo una forma dapprima indistinta, poi via via sempre più dettagliata, finchè non si formò il tatuaggio di una mano a coppa e di una sfera di luce splendente tenuta sospesa su di essa…
«Il simbolo dei Na’dal…», sospirò Julian ammirando con desiderio quel disegno così perfetto da sembrare reale, e anche Norah rimase affascinata e attonita da ciò che i suoi occhi stavano registrando.
Dimion nel frattempo aveva alzato la mano destra di fronte a se e, quando Norah staccò lo sguardo dal tatuaggio, rimase a bocca aperta: di fronte a sé non aveva più l’infinità del bosco, quell’intricato insieme di enormi alberi sempreverdi e rami scheletrici colpiti dall’inverno, tutto su uno sfondo niveo splendente a causa dei forti raggi solari di quella mattina, ma una cittadella piena di vita e affollata di negozi: erano giunti a Calavron.



continua...



Dorian di Semirhage
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Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 19
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte ottava] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte ottava]

Siadon

Siadon stava ancora provando ad allontanare la presenza di Thea quando improvvisamente, attraverso le tessiture, percepì qualcuno incanalare all’interno della stalla. Dannazione! La rabbia per aver sottovalutato la situazione scomparve assieme a tutte le altre emozioni mentre focalizzava una sfera espandersi attorno a lui. Camminò lentamente verso un lato del portone, impugnando due lunghi pugnali ricurvi, all’interno qualcuno stava lottando usando il Potere. Chiuse gli occhi per concentrarsi su quanto le sue Tessiture gli stavano riportando. Una barriera invertita impediva ai suoni di abbandonare la stalla, permettere ai sensori di attraversarla poteva rivelare la sua presenza a chi la stava reggendo ma non aveva scelta. La quiete che regnava all’esterno venne sostituita dai versi degli animali spaventati, dai loro zoccoli che pestavano la terra battuta, dalle cinghie che venivano tirate e da una cacofonia di rumori indistinti. Percepì un attacco di Acqua ed Aria svanire nel nulla quando il contatto con la Fonte di un uomo veniva distrutto da una forza invisibile.
La battaglia fu tanto intensa quanto breve, quando raggiunsero l’entrata solo l’agitazione dei cavalli e la barriera che bloccava i rumori tradivano la tranquillità che li circondava. Aprì gli occhi per comunicare con Thea, era certo che anche la donna sapesse dei corpi inermi all’interno. Elsa e Tomas giacevano a terra immobili, erano riusciti ad eliminare un uomo ed a rendere inoffensivo un suo compagno ma Siadon sapeva che non erano soli, la barriera ne era la prova.
E questi chi sono? Con dei flussi di Spirito stava percependo una donna nascosta sopra ad un mucchio di fieno, teneva una lunga cerbottana d’osso vicino alle labbra, pronta a colpire chiunque varcasse la soglia. Elsa era riuscita ad abbattere le sue difese prima di cadere ed ora sarebbe bastata una debole luce per renderla visibile Possibile che non se ne sia accorta? Poco distante c’era anche un’altra persona, era ancora nascosta alle tecniche che stava usando Siadon ma il suo peso creava un affossamento nel cumulo di fieno che lasciava pochi dubbi.
«Due sul fieno. Altri?» Chiese a Thea gesticolando
«Una donna sul tetto. Ci sta cercando. I nostri amici sono ancora vivi. Vogliono catturarci.»
Siadon sorrise mentre rilasciava la maggior parte dei flussi di Spirito per intrecciare una spessa barriera di Aria dirigendola sopra la stalla. Poco dopo un’ombra cadde con un tonfo a qualche metro da loro, colpita durante il volo da un pugnale di Thea.
«Ci ha trovati»
«Idiota» rispose lei prima di chinarsi per recuperare l’arma.
«Proviamo dal tetto?»
In risposta la donna afferrò con due mani lo spigolo della stalla ed opponendo i piedi contro la stessa pietra si arrampicò velocemente, poco prima di raggiungere la cima si sporse agguantando una trave del soffitto e scomparve con un unico volteggio. Siadon la seguì domandandosi se davvero si fosse lasciato scappare un sospiro o se l’aveva solo pensato.
Percorsero alcuni metri senza far rumore, fino a trovare una botola aperta. Una scala a pioli scendeva su di un soppalco proprio sopra al cumulo di fieno. Rimasero immobili per un lungo periodo, esplorando con dei flussi di Spirito l’ambiente sottostante. La donna con la cerbottana era ancora al suo posto ma ora sembrava sola.
«Ne vedo uno»
«Anche io»
«Cerco con la rete»
Rilasciò quasi tutte le Tessiture, accontentandosi di mantenere solo poche protezioni, e stese un reticolo invertito di Spirito creando una sorta di cubo. Spostò l’intreccio esplorando tutta la lunghezza del soppalco senza incontrare alcun disturbo, quindi iniziò a controllare la zona sottostante. Era un metodo lento e dispendioso ma solo poche tecniche riuscivano ad ingannarlo. Trovò un uomo appoggiato ad una grossa trave e senza perdere tempo modificò leggermente i flussi aggiungendo Fuoco ed Aria, stringendo rapidamente le maglie attorno alla sua testa. La barriera svanì all’improvviso, gli animali iniziavano a calmarsi ma Siadon era certo che non sarebbe passato molto tempo prima che qualche Figlio della Luce uscisse per controllare cosa li stesse spaventando tanto.
Cercò la donna con la cerbottana e la trovò accasciata tra la paglia secca.
«Morta.» Sentire le dita di Thea tracciare lentamente quel segno lungo il suo collo, mise a dura prova il controllo che aveva sul reticolo. In qualche modo riuscì a mantenerlo ed a riprendere l’esplorazione.
«Possiamo scendere» confermò dopo qualche momento. La vide inginocchiarsi verso la scala e poi perdere l’equilibrio scivolando all’interno senza opporre resistenza. Registrò alcuni suoni sordi provenire da dietro di lui ed un bruciore intenso iniziò a diffondersi dalla sua nuca, sentì le proprie Tessiture svanire ed il contatto con la Fonte farsi sempre più sfuggente. Dannata radice! Dopo anni di assunzione costante era riuscito a sviluppare una buona tolleranza, oltre ad una leggera dipendenza. Conosceva bene gli effetti di quel veleno, se la dose era in grado di escludere lui dalla Fonte di certo sarebbe bastata per far perdere i sensi alla maggior parte degli Incanalatori per almeno un giorno intero. Privo di Potere la notte gli sembrò davvero buia. Cadde di lato, lentamente e quasi senza accorgersene si trovò sdraiato a fissare la volta stellata. Chiuse gli occhi e si concentrò sul formicolio che attraversava il suo corpo. Rimani sveglio dannato imbecille.

«Ricrea la barriera» era un sussurro rauco ma immediatamente percepì un uomo incanalare mentre due mani salde lo trascinavano per le caviglie verso la scala.
Fu grato ai cavalli per essere ancora tanto rumorosi da coprire i gemiti che gli sfuggirono raggiungendo il soppalco, l’avevano lasciato cadere senza tante cerimonie e solo dopo qualche momento si convinse di essere ancora tutto intero.
«Sicuro che non ce ne siano altri?» la voce apparteneva ad un ragazzo. Siadon fu sollevato nel trovare una punta di preoccupazione nel suo tono, soprattutto nel realizzare che dei Fratelli non avrebbero mai usato delle parole per comunicare in una situazione simile.
«No ma Jaro ha detto quattro e noi gli porteremo questi quattro. Ora taci e dammi una mano!»
Lo sollevarono e lo gettarono oltre il parapetto, non era certo di essere riuscito a muoversi come un corpo inerme durante la caduta ma i suoi aggressori non sembrarono farci caso. Atterrò sulla paglia secca e poco dopo un peso morto lo travolse. Thea...
Sentì i due uomini trascinare qualcosa sulla terra battuta e si arrischiò a socchiudere un occhio ma il cumulo di fieno nel quale era sprofondato gli impediva di vedere la scena, così si concentrò sui rumori. Gli animali ancora in movimento ne coprivano la maggior parte ma era abbastanza sicuro che i due uomini fossero rimasti soli. Lavoravano senza parlare e Siadon immaginò stessero perquisendo i loro prigionieri per privarli di qualsiasi arma.

Qualche momento dopo giaceva sul legno di un carro coperto abbastanza grande da permettergli di distendersi senza toccare le estremità, gli aggressori stavano legando dei cavalli preparando la loro partenza. Tese i muscoli muovendosi senza far rumore, nell’oscurità del carro sentiva il debole respiro dei suoi compagni attorno a lui. La Fonte sembrava ancora troppo distante ma era abbastanza sicuro di poter recuperare velocemente e la cosa lo preoccupava.
Non vogliono portarci lontano. Possibile che lavorino per il monastero? Come sapevano che saremmo stati in quattro?
«Sali, sta arrivando qualcuno» era la voce rauca. L’uomo aveva già preso posizione alla guida del carro a poca distanza dalla testa di Siadon, oltre il telo che copriva il carro. Lo sentì incanalare una gran quantità di Potere poi i cavalli iniziarono a trainare, incentivati da alcune vigorose frustate.
Poco dopo i rumori della stalla svanirono, sostituiti da un silenzio surreale rotto soltanto dal movimento del carro e dalla brezza che filtrava dal rivestimento. Era sorpreso, si aspettava una fuga rocambolesca con tanto di esplosione del portone ancora chiuso e palle di fuoco per dissuadere dall’inseguimento chiunque stesse per scoprirli, invece rallentarono. Non capiva nemmeno come l’uomo riuscisse a condurre tanto male un carro lungo una strada battuta quanto quella di Hirlomap. Gli sembrava di percorrere un sentiero pieno di buche e dopo l’ennesima testata decise che tutto sommato poteva anche smettere di fingersi svenuto ed iniziò a reggersi al carro.

«Dov'è quella dannata strega?» Disse la voce rauca dopo aver fermato i cavalli con alcuni versi poco convinti
«Sicuro che l'incrocio sia questo?»
«Certo dannazione! Il posto è quello giusto, è lei che manca.»
«Che facciamo?»
Qualcuno sputò rumorosamente «Andiamo a cercarla, secondo Jaro vive in un villaggio abbandonato ad Est»
«Viaggiando?»
«No... magari sta venendo a cavallo, rischieremmo di non incontrarla.... Tieni, segui il sentiero più battuto e svegliami all’alba. Se non la incontriamo per strada dovremmo arrivare al villaggio prima di sera, con loro ancora addormentati. Poi saranno affari suoi tenerli buoni.»
«Che possa bruciare, lei ed anche Jaro! Dove s'è cacciata? Se non riesce a convertirli siamo fregati!»
«Oh ce la farà vedrai, l’ho vista solo una volta e m’è bastata. Quella non è una donna, te lo dico io! E quando avrà finito avremo quattro soldatini obbedienti e ben addestrati che eseguiranno i nostri ordini»
«Anche troppo addestrati, per poco non ci ammazzavano tutti!»
«Jaro aveva ragione, devono esserci altre sette. Comunque rilassati, li abbiamo presi. Ora divideremo la paga in due e tra qualche giorno saremo più forti di prima.»
«Già! Ma questa volta non spendo tutto per Nataly e Rosa»
«Hahaha! Ragazzo ci sono metodi peggiori per spendere l’oro!»
«Beh... Ne troverò uno migliore.... Dopo qualche notte in loro compagnia....»
«Hahaha mi pare una buona idea! Ora lasciami riposare, voglio essere sveglio prima che i nostri amici capiscano di essere ancora vivi. Non abbiamo ancora finito, stai in guardia.»
«Va bene, lanterne basse e pugnali a portata di mano. Tengo la strada principale, se qualcosa non va ti sveglio altrimenti ci vediamo all’alba.»
«Bene»
Buona notte pensò Siadon respirando profondamente e muovendosi senza far rumore. Percepiva la presenza di alcune deboli tessiture quindi rimase sdraiato e, pur continuando a ripetere degli esercizi per raggiungere la Fonte, non vi si avvicinava mai troppo. Non che fosse in grado di incanalare, la radice stava ancora facendo il suo dovere, ma non voleva correre rischi.
Aveva tempo e si concentrò sulle Tessiture che sentiva vicino a lui. Spirito, quasi del tutto. Non sapevano della sua finzione quindi non servivano a controllare il loro stato. Dopo qualche riflessione decise che quei flussi avrebbero svegliato l’uomo dalla voce rauca se qualcuno avesse incanalato.
Perfetto. Tramortisco il ragazzo, l’uomo si sveglia ed incanala, io lo trovo e lo escludo dalla Fonte, poi aspetto che gli altri si riprendono e li interroghiamo. No meglio non rischiare, ammazzo il ragazzo tanto è l’altro a comandare. Qualcosa di rapido, Aria e Fuoco dritti nella testa poi mi sposto ed appena capisco dov’è l’altro lo prendo.... E se non incanala? L’allarme lo sveglia, sa che qualcuno sta usando il Potere.... che bruci, deve incanalare! Il ragazzo è sveglio se attacco l’uomo se ne accorge subito e poi non sa nemmeno dove siamo.... Dove siamo? Entro sera da una donna in grado di convertirci, potrebbe essere qualcuna nel Monastero ma che strada è? Dovrebbe salire e non sento il fiume. No stiamo attraversando il bosco, deve essere la zona pietrosa verso Sud, tra poco raggiungeremo la strada battuta che taglia il prato dove ho incontrato Thea la prima volta.... Thea.... Concentrati dannato idiota! Bene, l’uomo è proprio qui dietro quindi il ragazzo deve essere più o meno lì, e la testa.... Quanto può essere alto? La voce sembrava venire da lì.... no dovrò alzarmi e cercare meglio, se sbaglio sono fregato. Quindi, mi alzo e trovo il ragazzo e poi si inizia.... Bene.... Dannata radice quanto ci metti?!
Ancora parecchio ammise dopo alcuni esercizi.
Jaro, sarebbe interessante incontrarlo. Questi tizi appartengono ad una setta, dovremo farci dire quale e da chi prendono ordini. Prendono una paga ed il ragazzo l’ha spesa con due prostitute, nessuna setta lascia tanta libertà, più probabile che sia votata all’Ombra. Magari dagli stessi uomini che ora sono nel monastero.... Luce, quante altre? Dannati Manti Bianchi, hanno addestrato un esercito di assassini ed ora è l’Ombra a comandarli. Jaro deve sapere qualcosa ed anche questa strega, dobbiamo trovarli. Chissà perché questa donna gli fa tanta paura, che sia un’altra creatura tipo quei cosi senza occhi?

Siadon iniziava a temere che l’alba sarebbe arrivata troppo presto quando finalmente la Fonte gli apparve più vicina e ferma. Si alzò lentamente e si spostò di lato, le lanterne all’esterno proiettavano delle deboli ombre sul telone, molto tenui ma abbastanza marcate da disegnare il busto di una persona magra con la testa che si muoveva assecondando il movimento del carro. Allargò le gambe trovando un equilibrio migliore, poi allungò la mano destra verso l’ombra, seguendone i movimenti ritmici, preparando la sinistra in direzione dell’uomo addormentato.
Soldatini obbedienti un corno!
Pensò tuffandosi nel fiume in piena e scagliando due piccole sfere infuocate che attraversarono il telo e penetrarono a fondo nel cranio del ragazzo. L’altra figura rimase immobile ma Siadon percepì il legame con la Fonte che stava creando e lo attaccò selvaggiamente, distruggendolo. L’uomo urlò, alzandosi di scatto e cadendo di schiena dal carro. I cavalli nitrirono imbizzarriti e scattarono in avanti costringendo Siadon ad aggrapparsi all’intelaiatura. Con dei flussi sottili di Aria lacerò il telo e dopo alcuni rapidi movimenti raggiunse le redini, ancora strette tra le mani del ragazzo. Poco dopo riuscì a calmare gli animali, li costrinse a rallentare fino a fermarsi e li legò velocemente all’albero più vicino per poi correre verso le urla dell’uomo. Si sentiva pieno di vita, l’alba sarebbe arrivata più tardi ma il cielo appariva già più chiaro. Colmo di Potere riusciva a distinguere ogni dettaglio attorno a lui, ogni rumore ed ogni profumo apparivano nitidi. Sentiva il proprio cuore battere lentamente, profondo come un tamburo, riempiendo di fuoco ogni sua vena. L’uomo stava correndo tra gli alberi, gridando e tenendosi il volto tra le mani. Ad ogni passo lo vedeva più vicino, respirava il suo odore distinguendo il sudore delle sue carni ed il terrore della mente, sconvolta dall’attacco che l’aveva separata brutalmente dalla Fonte. Lo raggiunse con un ultimo balzo, afferrandogli i capelli e tirandolo a sé. Caddero entrambi a terra e Siadon gli fu addosso in un istante, colpendolo ripetutamente e soffocandolo con un laccio invisibile fino a fargli perdere i sensi. Lo legò stretto con dei flussi di Aria e mentre lo trascinava verso il carro si concesse alcuni momenti per guardarsi attorno. Non c’era nessun fiume, gli alberi erano diversi da quelli che crescevano attorno ad Hirlomap e tra le alte chiome non scorgeva alcuna montagna incombere sulla vallata. Guardando meglio non gli parve proprio di essere in una vallata.
«Dove?» Come?



Merian Elen Syana

La luce filtrava attraverso le tende dell’unica finestra, immergendo la piccola stanza nel bagliore accecante del tardo sole mattutino. Brienne fece una smorfia e si girò dall’altra parte, rannicchiandosi ancora di più sotto le coperte che condivideva con Kain.
Luce, Kain! pensò rizzandosi di scatto a sedere emergendo dalle coltri, imprecando sottovoce per l’improvvisa luminosità che le ferì gli occhi. Cercò di scavalcare l’uomo che ancora dormiva al suo fianco, ma l’idiota era ancora avvinghiato a lei e non accennava a lasciare la presa. Il suo movimento non l’aveva smosso nemmeno di un pollice!
Con tutta la delicatezza che riuscì a trovare, staccò ad una ad una le dita dell’uomo appoggiate alla sua vita. Perché mai doveva essere tanto accorta poi? Se gli avesse urlato qualcosa avrebbe ottenuto lo stesso risultato e.... in meno tempo.
Stupida donna! pensò imprecando a denti stretti. La vicinanza di Merian non ti fa bene, ti stai rammollendo!
Kain grugnì qualcosa e lo sentì muoversi accanto a sé - il suo corpo piacevolmente caldo contro il suo - e Brienne si fermò di colpo. Mossa sbagliata: l’uomo aveva recuperato la posizione.
Lo osservò per un momento, il viso dalla forma perfetta, i lineamenti ben marcati addolciti nell’atto di dormire, una ciocca dei capelli castani che gli ricadeva sul viso… e si sorprese nel constatare che lo stava in effetti ammirando. Era un uomo molto bello, dovette ammettere Brienne, reso ancor più affascinante da quegli strani occhi nocciola dalla forma affusolata che lo facevano sembrare costantemente allegro.
In realtà era poco avvezzo alla risata, e quando lo faceva era generalmente per scherno altrui.
Che cosa mi è saltato in testa? si chiese scuotendo la testa, lo sguardo ancora fisso su Kain.
L’uomo aprì un occhio e vide che Brienne lo fissava, e senza preoccuparsi di chiederle cosa stesse facendo l’attirò a sé per baciarla. Per un attimo aveva anche pensato di resistergli, ma perché privarsi del piacere di baciare un uomo che lo faceva così bene?
Aveva sempre creduto, giù al villaggio, che le sue fossero solo storie per vantarsi con gli altri uomini - tipico comportamento maschile - ma aveva piacevolmente constatato che l’uomo ci sapeva davvero fare. Qualsiasi cosa negativa si potesse dire su Kain, certamente non comprendeva la sua conoscenza delle donne.
Luce che nottata! pensò Brienne mentre si lasciava andare ancora una volta tra le braccia dell’uomo.
Le labbra di Kain si posarono sulla sua pelle, mordendole delicatamente il collo, poi un orecchio…
Chissà se Jon è riuscito a convincere Merian? si chiese mentre le dita di lui correvano su tutto il corpo sfiorandola appena, muovendosi per tracciare segni invisibili attorno al suo ombelico… per poi afferrarle un seno…
O quello, o andare a dormire nelle stalle con Neal! La faccia di Merian le apparve davanti agli occhi - sconvolta anche al solo pensiero di potersi trovare accanto a quell’uomo - e soffocò a stento una risata.
Kain alzò lo sguardo su di lei incuriosito ma le sorrise con aria complice senza lasciare andare la presa.
Strinse quindi più forte e si chinò su di lei, seguendo con la lingua ogni singola linea del suo corpo.
Se Jon è scaltro almeno la metà di suo fratello - e lo è senz’altro - avrà trovato sicuramente un modo per convincerla.
I denti affondarono nella carne come per richiamarla alla realtà e il respiro divenne affannoso, mentre le dita dell’uomo percorrevano sentieri proibiti seguite ansiose dalle sue calde labbra.
In fondo non c’è nulla di male nel condividere una stanza con una donna. Specie se quella camera ha un letto vuoto. Dannato Rohedric!
Cercò di concentrarsi su quanto stava accadendo attorno a lei, su di lei, ma il pensiero continuava a tornare all’uomo che molto probabilmente in quello stesso momento si trovava sotto le lenzuola di Ariel, la porta della sua camera a pochi passi di distanza da lei…
Frenò l’istinto di alzarsi e varcare quella soglia – non sarebbe servito a nulla in fondo - e riportò la mente sull’uomo che in quel momento stava facendo di tutto per farla impazzire, mentre le stringeva con forza i fianchi, continuando a baciarla, morderla, leccarla…
Ah Rohedric…
Per quanto si sforzasse di evitarlo i suoi pensieri correvano sempre a lui: gli occhi ammalianti, il sorriso seducente, le forti braccia.... Luce quanto desiderava essere stretta da quelle mani! Quanto desiderava sentire il suo corpo caldo muoversi su di lei, dentro di lei… senza mai darle il tempo di respirare…
Il cuore le palpitò impetuoso nel petto quasi a volersi liberare dalla costrizione della sua gabbia, e avvertì il battito di Kain muoversi all’unisono con il suo: il torace dell’uomo adagiato contro quello di lei, il suo respiro una brezza sul viso che portava con sé sommessi lamenti ansiosi di essere rilasciati.
Si muoveva con lei, in perfetta armonia, ogni suo gesto volto al solo scopo di sentirla ansimare.
Al diavolo Rohedric!
Afferrò Kain con entrambe le mani e lo spinse con forza facendogli volgere la schiena al letto. Senza mai staccarsi dall’uomo gli fu sopra in un attimo con un balzo felino e continuò a muoversi con veemenza in preda ad una travolgente passione.

«Che io sia folgorato Brienne! Dove hai imparato a fare certe cose?» Kain era ancora adagiato comodamente sul suo letto e non accennava a volersi alzare. Aveva un braccio dietro la testa e guardava fuori della finestra con aria assorta, respirando a fatica, mentre l’altra mano ciondolava oltre il bordo a sfiorare il pavimento, muovendo le dita quasi stesse toccando corde invisibili di un’arpa presente solo nella sua testa.
Brienne gli rivolse un’occhiata minacciosa, che lui però non colse, ma si trattenne dal rispondergli: aveva altri pensieri per la testa al momento, come ad esempio cercare di capire dov’era andato a finire un suo stivale. Dove diamine l’aveva lanciato Kain? Aveva giurato di averlo visto andare a finire sotto il letto di Merian. In una stanza così piccola non poteva essere finito chissà dove, dannazione!
«Prova a guardare nell’armadio,» le disse Kain senza distogliere lo sguardo dal quadrato di cielo azzurro. «E’ lì che ho cominciato a spogliarti.»
Brienne grugnì e si alzò da terra per andare a controllare: accidenti a lui, aveva ragione! Le rivolse un sorriso malizioso, ricordando senza dubbio quanto era successo la sera prima, e lei arrossì suo malgrado.
«Hai intenzione di restare lì tutto il giorno?» gli chiese per nascondere il suo imbarazzo.
Era più tardi di quanto credesse e molto probabilmente, al contrario di quanto aveva pensato, Rohedric a quell’ora doveva già essere nella sala comune a fare i preparativi per la giornata, mentre lei e Kain si attardavano per sfogare i loro impulsi naturali. Per un momento riuscì persino a sentirsi in colpa ma fu un breve, brevissimo momento: l’istante successivo stava già imprecando a denti stretti. Qualsiasi cosa stesse facendo adesso Rohedric non cambiava il fatto che quei due avevano passato la notte insieme… più di una, accidenti a loro!
«Perché no? E’ così comodo, specialmente se si è in compagnia…»
«Non farci un’abitudine Kain, è stato solo un caso.»
«Io direi due…» Di nuovo quel sorrisetto, che fosse folgorato!
Si decise però ad alzarsi e cominciò a cercare in giro i suoi vestiti: anche lei non era stata da meno nella foga del momento. Arrossì di nuovo e lui rise, una genuina risata che non gli sentiva fare da quando erano ragazzini. La cosa la preoccupò non poco.
«Pensi che il piano di Rohedric sia buono?» gli chiese per cambiare argomento.
Era tutta la notte che ci pensava - tra un bacio e l’altro - e più si sforzava di comprendere le ragioni dell’uomo, più gli sembravano assurde. Assecondava Merian come una figlia prediletta e questa cosa la infastidiva. Non era gelosa, ma da quando Rohedric sapeva di lei e di quanto aveva detto loro Lord Mat, di quanto Brienne fosse coinvolta, era diventato morboso nei confronti di quella ragazza. Forse sperava di avere un rapporto decente almeno con lei, visto che con Brienne non riusciva proprio ad andare d’accordo. E di certo non per colpa sua, lei ce la metteva tutta per la Luce, ma quell’uomo riusciva sempre a tirare fuori il suo lato peggiore!
«Entrare in una città governata dai Manti Bianchi - un ex-stedding per l’esattezza - con nessuna possibilità per Merian di incanalare, per quanto debole il suo controllo sull’Unico Potere attualmente sia; intrufolarci in una prigione; portare in salvo un'altra Incanalatrice, nonché vecchia compagnia di cella della nostra amata Devota, e scappare a nord alla ricerca di leggendari gruppi di ribelli che combattono contro la Confederazione… si, direi che sia un ottimo piano in effetti.» L'uomo aveva continuato ad allacciarsi i calzoni mentre elencava con disinvoltura tutti i punti dell'idea di Rohedric, senza accorgersi dello sguardo allibito di Brienne, rimasta a bocca aperta ad osservarlo con uno stivale ancora in mano.
Come aveva potuto sperare nel buon senso di quell' uomo! Quando si trattava di combattere era sempre pronto a sguainare la spada, non importava quanto pericolosa fosse la battaglia.
«Andare a salvare Eleanor è l'idea peggiore che Rohedric abbia mai avuto! Intrufolarsi in una città brulicante di Manti Bianchi senza nemmeno sapere se riusciremo ad uscire vivi da questa!»
«Dovresti fidarti di più del tuo amato Rohedric…» le rispose l'altro con una smorfia amara. «Sai bene che non rischierebbe le nostre vite se non fosse sicuro della riuscita del piano.»
Questa poi… Kain che difendeva Rohedric!
«Non dubito delle sue buone intenzioni,» le rispose lei accalorandosi, «ma dell'esito finale. Per quanto ne sappiamo abbiamo quei maledetti alle calcagna da quando abbiamo lasciato Ishamera, senza contare quelli che già si trovano qui…»
«Che si trovano qui per seguire le tracce dei Ribelli, non le nostre,» la interruppe l'altro.
«… e noi vogliamo dirigerci dritti dritti nella bocca del nemico? Lo trovo assurdo e insensato, due cose che non vanno d'accordo con Rohedric.» Sono più nel mio stile… aggiunse mentalmente.
Kain si fece serio in volto e si avvicinò a lei per abbracciarla.
«Cos' è in realtà che ti turba?»
Brienne si scostò e si occupò del suo stivale, ignorando la domanda dell'uomo.
Chi diamine pensava di essere! Aveva passato una notte con lei e già credeva di poterle leggere nella mente, cercando significati nascosti dove non c'era nulla.
E allora perché era così infastidita?
Il giro di perlustrazione del giorno prima non aveva dato molti frutti, l'unica cosa che aveva scoperto era che i Manti Bianchi si trovavano a Zemai perché sospettavano che un gruppo di Ribelli si aggirasse nei dintorni, probabilmente con l’intenzione di salvare i detenuti di Jennji. Quando Merian era venuta a conoscenza di questo fatto aveva immediatamente pensato a quanto aveva detto Madama Tinin la prima sera - una donna di nome Eleanor era stata catturata al villaggio e portata alla prigione più vicina, Jennji - e aveva insistito affinché l'intera banda andasse a salvarla.
E Rohedric ha detto di sì, stupido idiota!
Kain aveva ragione su un punto: qualcosa la turbava, e non era il pensiero di rischiare la propria vita… ma l'idea che Merian venisse catturata di nuovo.
«Sangue e stramaledette ceneri!»
Kain la guardò accigliato, un'altra domanda gli si leggeva negli occhi, ma Brienne lo anticipò dicendogli che non c'era nulla di cui preoccuparsi - non aveva intenzione di parlare ad alta voce, dannazione! - e che era tempo di uscire da quella stanza. L'uomo stranamente non ribatté e seguì in fretta Brienne prima che lei gli sbattesse la porta sul naso.

La prorompente locandiera le si era avvicinata immediatamente non appena aveva messo piede nella sala comune, rivolgendole un sorriso scaltro accennando all'uomo che le era dappresso, ma Brienne non le diede il tempo di fare domande chiedendole invece dove fossero i suoi compagni. Madama Tinin tirò su col naso - stizzita dalla brusca reazione dell'altra - e le rispose senza troppe cerimonie, tornando subito dopo a occuparsi dei suoi affari a testa alta e ancheggiando come un'oca impazzita.
Brienne scosse la testa e si diresse verso la porta esterna, seguita da Kain che la tallonava senza sosta.
Trovò Rohedric esattamente dove la donna le aveva indicato: seduto su un basso muro che delimitava un piccolo orticello di fronte alla locanda, fumava la sua lunga pipa con aria assorta, salutando di quando in quando un passante con un cenno del capo. Nessun altro era con lui.
Brienne lo salutò e non appena si voltò si accorse che l'uomo sembrava arrabbiato. Rivolse a Kain un solo breve sguardo e l'uomo si allontanò di alcuni passi per lasciarli parlare da soli.
Come accidenti faceva? A lei ci era voluta l'intera mattina per mandarlo via e a Rohedric era bastata un'occhiata!
«Ho mandato Jon a prendere il cavallo per Merian. Partiamo non appena ritornano. Lei ha insistito per andare con lui e non ho avuto il cuore di dirle di no.» Fece uno strano sorriso, come quello di un padre al pensiero dell’adorata figlia, assurdo! Brienne evitò di commentare, non aveva voglia di litigare quella mattina… non ancora almeno.
Si schiarì la gola e ribatté nel tono più gentile che riuscì a trovare:
«Non credi che sia un tantino pericoloso lasciarla da sola in un villaggio sconosciuto assediato da nemici?» Riuscì persino ad abbozzare un sorriso!
«Non è da sola, Jon è con lei, in caso non avessi sentito…» rispose l’altro spazientito.
Ma che accidenti aveva?
La guardò bieco per un lungo momento, aspettandosi una risposta a tono da parte dell'altra, ma vedendo che non arrivava si limitò a tirare dalla sua pipa volgendo lo sguardo altrove. Rilassati Brienne, non è ancora il momento di discutere.
«Te la sei spassata ieri notte,» disse lui all'improvviso cogliendola di sorpresa. «Non credevo che Kain fosse il tuo tipo ma tu sei sempre stata fonte di sorprese…» Con queste parole si voltò a guardarla dritta negli occhi come in segno di sfida.
Brienne sentì che la rabbia che aveva tentato così difficilmente di controllare stava affiorando in superficie sempre più velocemente, ma riuscì a fare un sorriso tirato mentre gli rispondeva:
«Ho avuto di meglio, ma tutto sommato non se la cava male.» E con tutta la malizia che riuscì a trovare continuò: «Penso che potrei abituarmi ai suoi corteggiamenti…»
Forse aveva colto nel segno perché l'uomo si fece serio e la sua voce divenne un dolce sussurro.
«Stai attenta a quel che fai Brienne. Ci sono ferite che non si rimarginano facilmente. Kain è un uomo viscido, è con noi solo perché è il miglior combattente che conosca.... dopo di me sia chiaro» aggiunse sogghignando.
Brienne lo guardò sconcertata, il viso arrossato per l'imbarazzo nel sentire che l'uomo teneva a lei, ma tutta la magia appena creata svanì nell'attimo in cui l'altro riaprì bocca.
«E comunque…» continuò Rohedric sorridendo, «non sei l'unica a potersi divertire. Ariel conosce certi giochetti....»
«Non mi interessa grazie, » lo interruppe Brienne bruscamente. «Sarà meglio che vada a mangiare qualcosa.» Fece un cenno a Kain e entrambi tornarono nella sala comune, mentre Brienne borbottava a denti stretti maledicendo Ariel e "i suoi giochetti".

Dire addio al tepore della locanda, il chiasso allegro del villaggio, i suoi mille volti e colori… era stata la cosa più dura che Merian avesse fatto. Anni e anni di schiavitù l'avevano abituata a non avere nulla da perdere ma la sensazione di quella mattina era stata più forte che mai, come di abbandono.
Sospirò di nuovo mentre cavalcava al fianco di Brienne sul suo nuovo cavallo. L'aveva chiamato
Dovienya, una parola che le era sembrata di buon auspicio. Non sapeva cosa volesse dire ma l'aveva sentita pronunciare più volte da Mat e le era sembrata appropriata per la sua giumenta. Si ripromise di chiedergli il significato quando l'avesse incontrato.... sperava il più presto possibile.
Sospirò ancora.
Erano partiti non appena lei e Jon erano arrivati, sebbene dovettero aspettare che Brienne preparasse la sua roba. Da quanto aveva appreso Merian, lei e Kain erano rimasti chiusi in camera quasi tutta la mattina, e questo era il motivo per cui Rohedric era così irritato quel giorno, pensava Merian.
Stavano cavalcando da molte ore, riposandosi brevemente ogni qual volta trovavano un posto sicuro, e il sole aveva appena cominciato il suo cammino verso ovest, quando all'improvviso Neal li raggiunse di corsa dalla retroguardia.
«Sembrerebbe che il nostro inseguitore non abbia mollato la presa,» disse a Rohedric facendo un sorriso. C'era ammirazione nella sua voce.
Uomini! pensò Merian scuotendo la testa. Qualcuno li stava seguendo da giorni e loro si compiacevano della bravura del loro avversario. Che differenza faceva se era un bravo soldato o un idiota? Era pur sempre un nemico no?! Non credeva che avrebbe mai capito i soldati.
Rohedric sorrise a sua volta e disse loro di spostarsi dalla strada. Questa volta non sarebbe corso a rifugiarsi in nessun luogo, voleva vedere in faccia il loro astuto inseguitore.
Dopo quella che parve un'eternità, nascosti immobili dietro gli alberi che circondavano una piccola radura, Merian avvertì finalmente qualcosa: un leggero rumore di foglie proveniva dall'altro lato, seguito dal tonfo inconfondibile degli zoccoli di un cavallo.
Jon scattò in piedi, arco già pronto in mano con una freccia incoccata, e non appena la figura uscì dagli alberi il dardo partì. A Merian sfuggì un urlo sommesso.
Rohedric e Jon uscirono dal nascondiglio nell'istante stesso in cui la vittima si accasciava a terra, e solo dopo aver visto che questa si muoveva ancora Merian li seguì a sua volta. Brienne e Ariel non avevano atteso troppo e scalpitavano per arrivare sul posto ognuna per prima, seguiti dappresso dai due omoni come fossero guardie del corpo.
Una volta che si fu avvicinata a sua volta a Merian si bloccò il respiro.
«Che io sia folgorata Jon! Se non avessi preso la spalla sarebbe…» Guardò la figura a terra e si chinò per assisterla, mentre gli altri, ripresisi dalla sorpresa, stavano già cominciando a tempestarla di domande.
«Se avessi voluto ucciderla sarebbe morta» rispose il giovane fieramente. Merian lo guardò storto per un momento e si rivolse alla donna accasciata accanto a lei, che adesso rideva apertamente nonostante la ferita.
«Credevo che non sarei riuscita a trovarti Niende,» disse questa rivolgendosi a Merian, «ma grazie alla Luce il capo di questa banda non è così bravo a coprire le tracce!» Rohedric ignorò il commento e sorrise, ma aprì comunque la bocca per dire qualcos'altro: Merian lo anticipò intuendo il suo pensiero.
«Quella persona non esiste più, il mio nome è Merian,» disse la ragazza sorridendo affettuosamente. «E’ così che devi chiamarmi adesso… Arlene.»



Morgan Neglentine

La vista che accolse Morgan quando giunse all’imboccatura della caverna non fu delle migliori: tre nutriti gruppi di Trolloc, comandati da alcuni Myrdraal, si stavano avvicinando lentamente ma inesorabilmente al punto dove, nel sogno, aveva avvertito lo strano odore. Il panico lo colse nel rendersi conto che i Trolloc tagliavano loro la strada per raggiungere il passo di Avende, passaggio obbligato per rientrare a Coraman.
Forse conoscono le nostre intenzioni?
Si chiese senza troppa convinzione: l’Ombra ignorava l’ubicazione delle Città della Notte, quindi non potevano immaginare che il gruppo fosse costretto ad usare il passo.
E se fosse iniziata un’invasione su larga scala? O se invece conoscessero un modo di percepire continuamente la posizione di Davrath?
Morgan scosse la testa cercando di ragionare. Rimandò l’interrogativo sul come i Trolloc fossero apparsi nel posto giusto al momento giusto e si concentrò invece sul modo in cui evitare lo scontro, in quanto le forze in campo dicevano che, questa volta, non ci sarebbe stata speranza per i suoi ribelli. I nemici sembravano non avere ancora localizzato l’ingresso della caverna, ma all’apparenza stavano cercando di formare un accerchiamento attorno al punto in cui, nel sogno, Giovane Toro lo aveva messo in guardia. Questo forse avrebbe dato a Morgan il tempo di organizzare una fuga silenziosa. Le schiere di trolloc erano disposte ad arco, di fatto impedendo ai ribelli di scappare verso nord e verso ovest; la parete rocciosa al di sopra della caverna era troppo ripida ed esposta per pensare ad una scalata; l’unica via d’uscita era costeggiare il versante della montagna verso sud.
Esattamente dalla parte opposta a dove siamo diretti, pensò cupamente Morgan, un bell’affare davvero!
Ma sapeva di non avere scelta: una volta distanziati i trolloc, avrebbero aggirato la catena montuosa dove degradava, e avrebbero infine ripreso il cammino verso nord sull'altro versante. Per cui, chiamando a sé uno degli uomini, gli impartì questi ordini:
«Sellate i cavalli e conduceteli lungo il tunnel, in fila di due. Dì a Rourke e Murriel che dovranno condurre la colonna verso sud il più silenziosamente possibile, cercando di entrare velocemente nel fitto di quegli alberi laggiù. Camminate smontati, ma tenetevi pronti a cavalcare ad un mio segnale di pericolo. Prima di fare uscire gli altri, però, mandami dieci incanalatori: staremo di retroguardia.».
Il soldato annuì deciso e partì di corsa verso l’interno della caverna. Nel frattempo Morgan si abbassò a carponi nella neve alta e avanzò per qualche metro fuori dall’ingresso; i propri sensi acutizzati percepivano le sagome scure muoversi con cautela tra la vegetazione imbiancata, e i bassi grugniti dei trolloc che fiutavano l’aria. Nonostante i myrdraal fossero riusciti in un qualche modo a fare muovere i trolloc con circospezione, gli alberi erano troppo radi in quest’area perchè un numero tale di creature potesse passare inosservato, soprattutto su uno sfondo completamente bianco. Si trattava probabilmente di tre manipoli distinti, ognuno numeroso almeno quanto i due incontrati la mattina precedente.
«Siamo pronti.», disse una voce alle sue spalle.
Voltandosi, Morgan vide dieci dei suoi che si avvicinavano scavando un solco nella coltre bianca, mentre Murriel e Rourke erano in piedi sulla soglia della galleria e lo osservavano, in attesa del suo segnale. Il capitano ribelle non perse altro tempo e fece un gesto deciso con la mano verso sud. Vide i primi guerrieri uscire allo scoperto con sguardi incerti, sussurrando piano ai propri cavalli per tranquillizzarli; entrambi gli uomini e gli animali percepivano il pericolo e si sentivano esposti. Dal canto suo, Morgan poteva solo fare affidamento sulla pessima vista dei Trolloc e sulla luce ancora tenue dell’alba. Le creature avevano ormai raggiunto il punto esatto del sogno e i myrdraal cominciavano a dare segni d’impazienza, saettando senza rumore di qua e di là. Morgan diede una rapida occhiata alle proprie spalle: gli ultimi due soldati erano ora usciti dalla grotta e si accodavano alla colonna, che per metà della sua lunghezza era già al riparo del bosco. Improvvisamente, uno degli uomini accovacciati di fianco a lui gli afferrò il braccio facendolo voltare, poi gli indicò sopra alle loro teste una macchia nera che volteggiava in circolo. Un corvo, intuì Morgan prima ancora di riconoscere l’uccello: non poteva essere altro visto che, da quando erano apparsi i Trolloc, non v’era traccia di altri animali. Cominciò una tessitura d’Aria per intrappolare il volatile, ben sapendo che l’uomo al suo fianco stava già facendo lo stesso. Un’istante prima che i due incanalatori potessero agire, però, l’odioso verso del corvo ruppe il silenzio sovrannaturale che si era creato. Con la disperazione negli occhi, Morgan si girò verso i Trolloc: ogni singolo muso animalesco era rivolto verso il punto in cui il corvo, ora ingabbiato in una bolla d’aria, agitava freneticamente le ali e cercava di lanciare altri allarmi, ovattati però dalla tessitura. Pur non avendo individuato i ribelli, i Trolloc si lanciarono all’unisono nella direzione del corvo, e presto li avrebbero scoperti. Morgan mandò un uomo a prendere gli undici cavalli rimasti, legati appena dentro la grotta, poi segnalò ai soldati che erano in coda alla colonna di montare e lanciarsi al galoppo. Infine, diede rapidi ordini agli altri incanalatori su come intralciare l’avanzata del nemico: se avessero creato le stesse tessiture contemporaneamente, sarebbero forse potuti essere abbastanza efficaci.
Al suo segnale, il terreno davanti all’ondata di Trolloc esplose in un getto di terra e neve. Questo fece impietrire di paura le prime file, che vennero travolte dai compagni che seguivano. Nel trambusto che seguì, il suolo fu percorso da qualche piccola scossa, mentre grossi abeti venivano sradicati e si abbattevano sulle creature. Mentre i Trolloc ricomponevano le righe, sospinti dalle frustate dei Fade, la neve che ricopriva il terreno antistante cominciò a ghiacciare rapidamente, ispessendosi a vista d’occhio. Quando i mostri, al suono dei loro corni, si lanciarono in una nuova carica, si ritrovarono a pattinare su un massiccio strato di ghiaccio: gli zoccoli e gli artigli delle bestie deformi scivolavano e slittavano inesorabilmente, e la loro avanzata sembrò fermarsi nuovamente. La placca di ghiaccio, però, non era larga abbastanza per intralciare tutto lo schieramento, e numerosi Trolloc riuscirono ad aggirarla sui lati. Gettando uno sguardo alle proprie spalle, Morgan vide che la colonna era sparita nel fitto della foresta;
«Montate!», ordinò ai suoi, e i ribelli, pur affaticati dallo sforzo di incanalare quantità di flussi a cui non erano abituati, ubbidirono prontamente. Salito a cavallo, Morgan intessè uno scudo d’aria a qualche metro d’altezza, che li avrebbe riparati durante la ritirata da un eventuale lancio di frecce.
Mentre spronava la propria cavalcatura verso sud, però, si rese conto che il versante destro dello schieramento nemico, aggirato il ghiaccio, si lanciava verso il punto in cui la colonna di ribelli era penetrata nel bosco.
I Trolloc avrebbero puntato diritto su di noi, ragionò Morgan, evidentemente i Fade hanno avvistato gli ultimi dei nostri prima che si mettessero al coperto, e ci vogliono tagliare l’unica via di fuga.
Non vedeva, peraltro, alcuna alternativa se non spingere i cavalli al massimo e cercare di anticipare i nemici ai primi alberi: se avessero ingaggiato battaglia sarebbero stati raggiunti dal grosso delle forze nemiche e sopraffatti. Intanto, sfruttando la loro rapidità, due myrdraal avevano spregiudicatamente superato le prime file dei Trolloc e si precipitavano avanti per tagliare la strada ai ribelli. Ad un tratto, un nugolo di proiettili guizzò di fianco a Morgan, andando a colpire i myrdraal e arrestandone l’avanzata. Con una rapida occhiata il ribelle notò i due incanalatori dei Ladrielle che continuavano a gettare una specie di dardi infuocati verso i comandanti nemici: le tessiture venivano create così velocemente che Morgan riuscì solo a distinguere che Terra e Fuoco erano in qualche modo combinati per creare questa micidiale arma.
Più veloce e più difficile da schivare che una palla di fuoco, riflettè, anche se non altrettanto potente; l’arma giusta contro i myrdraal, dovette forzatamente ammettere.
Uno dei due esseri ammantati, scaraventato a terra dai colpi, appariva in difficoltà, mentre l’altro non aveva tardato a rimettersi in piedi e riprendere l’inseguimento; gli incanalatori invece davano segni di stanchezza, vacillando pericolosamente sulla sella. Quando si trovavano a pochi istanti dal raggiungere il fitto del bosco, resosi conto di non potere anticipare il Fade, Morgan deviò improvvisamente, puntando direttamente sulla creatura. Il myrdraal sembrò per un attimo preso alla sprovvista, ma poi decise di fermarsi e affrontare l’avversario, che forse aveva compreso essere il comandante. Senza chiedersi se i compagni lo stessero seguendo o meno, Morgan cercò di focalizzare la propria mente soltanto su saidin e sui propri movimenti. Memore del proprio errore del giorno prima, sapeva che caricare a cavallo quelle creature dall’agilità sovrumana sarebbe stato fatale per la propria monta, e forse anche per se stesso. Quindi, bilanciandosi con le mani sul pomello della sella, portò i piedi sul dorso del cavallo, restando accovacciato fino all’ultimo per non svelare il proprio intento; poi, diede uno strattone di lato alla briglia, facendo deviare traiettoria all’animale e contemporaneamente spiccò un balzo in alto, che prolungò sostenendosi con flussi d’Aria.
Con la mente tornò alla propria infanzia, quando gli allievi della tecnica di combattimento dei Neglentine venivano portati in barca al largo del lago di Tsorovarin. Qui, nella stagione estiva, si conduceva una delle più importanti esercitazioni del loro addestramento: l’acrobazia. Gli allievi dovevano eseguire determinati tuffi acrobatici, che richiedevano, oltre ad un’eccellente coordinazione degli arti, anche un accurato uso del Potere, per infondere spinta e slancio adeguati ai gesti atletici. Un flusso d’Aria troppo debole o troppo energico, oppure incanalato al momento sbagliato, potevano risultare in una caduta rovinosa in acqua, talvolta molto dolorosa.
Il segreto sta nel combinare armonicamente movimento fisico e tessiture, ripetè mnemonicamente a se stesso Morgan. Dai tempi delle esercitazioni, la sua tecnica era migliorata al punto che adesso non solo riusciva a compiere ad occhi chiusi numerosi tipi d’acrobazia, ma in molti casi poteva contemporaneamente eseguire forme di combattimento con la spada, il ché era, d’altra parte, lo scopo ultimo della tecnica di Tsorovarin. E così, mentre compiva una capriola in aria, Morgan estrasse il suo spadone, dal fodero che portava legato alla schiena, con una versione leggermente modificata di Aprire il ventaglio. La capriola non era puramente scenografica, ma aggiungeva la propria forza rotatoria al movimento della spada, che Morgan teneva a due mani, dritta sopra la propria testa. Non si era aspettato che il myrdraal assistesse passivamente alla propria fine, e non si stupì nel vederlo scivolare di lato, pronto a colpire a sua volta. La creatura dell’Ombra, tuttavia, non si aspettava che Morgan, con Il cinghiale si precipita giù dalla montagna, modificasse a mezz’aria la traiettoria del colpo in una rasoiata orizzontale. Grazie al Potere, il colpo non perse niente della propria violenza nella parabola, e mandò letteralmente in frantumi la lama nera del myrdraal, per poi proseguire la devastazione nel corpo umanoide del mostro. Morgan non perse tempo a cercare di finire l’avversario: sarebbe occorso troppo tempo, e i trolloc lo avrebbero raggiunto. Raggiunse quindi il cavallo, che, ben addestrato, si era fermato appena rimasto senza cavaliere; montò in sella e spronò verso il bosco, volgendo rapidamente lo sguardo a studiare la situazione: gli inseguitori, privati delle loro guide, titubavano, forse scoraggiati dal fatto di dover inseguire nemici a cavallo. Morgan però lanciò uno sguardo più oltre, al resto dello schieramento dell’Ombra, nel quale alcuni myrdraal continuavano a spronare all’attacco i propri trolloc, forse contando sul fatto che i ribelli non avrebbero potuto cavalcare troppo velocemente nel fitto della foresta.
Perlomeno ho dato un po’ di vantaggio ai miei, si disse Morgan, curvandosi sulla sella mentre il cavallo si inoltrava tra la vegetazione.



Mabien Asuka

Hilda! Inciampando nella gonna e nel mantello che l'aveva coperta, raggiunse maldestramente la compagna. La girò verso l'alto e le prese la testa, portandosela in grembo: scottava. Stupida!
La vide aprire debolmente gli occhi
«Cosa....» deglutì sonoramente senza riuscire a completare quella che, dal cipiglio che mostrò, sarebbe stata certamente un'accusa nei suoi confronti
«Non ti ho fatto niente. Cose come questa capitano a chi fa il bagno in mezzo alla neve e poi va a cavallo con i capelli bagnati»
Hilda teneva gli occhi aperti a fatica, eppure riuscì a guardarla male.
La trascinò vicino al camino, la coprì con tutto quello che trovò e poi si mise a ravvivare il fuoco che nel frattempo si era quasi spento.
«Mabien» la chiamò con voce affannata
La ragazza si girò e si chinò obbedendo al segno che le stava facendo la donna. Appena fu abbastanza vicina, Hilda le bloccò un polso con la catena a cui già aveva chiuso il proprio all'altra estremità. Mab tirò istintivamente indietro il braccio, ma era già tropo tardi. Le uscì un grugnito a denti stretti mentre osservava sgomenta il morso d'acciaio sulla propria pelle.
L'altra si stava rilassando come se fare quello scatto le fosse costato un'enorme fatica: aveva lasciato ricadere le braccia e la testa al pavimento e ora, a occhi chiusi, prendeva lunghi respiri.
«Dovevo aspettarmelo» disse infine Mab, sedendosi a terra accanto a lei.
«Mabien» prese un lungo respiro «Lo so che potresti liberartene, ma ti prego, non fare stupidaggini! Non adesso che siamo così vicine!» parlava lentamente, con un accenno di fiatone «Se ti metti ad incanalare qui ora, tanto vale che tu accenda un falò usando tutta la foresta. Non fare stupidaggini!» sollevò un po' la testa per poterla guardare meglio
«Ora guardami dritto negli occhi e dimmi che non incanalerai»
Mab sorrise ironica e alzò il polso incatenato
«E dopo avermi messo questo grazioso bracciale, vorresti dirmi che crederesti alla mia parola?»
Hilda lasciò ricadere la testa sul pavimento e sospirò
«E poi smettila di chiamarmi Mabien. Mab! Mi chiamo Mab! Non c'è nessun onore nel portare il titolo di una famiglia di traditori!»
L'altra non rispose, rimase immobile per qualche minuto a guardare il soffitto, gli occhi semichiusi brillavano per la febbre.
«Mab, non mi deludere» poi parve addormentarsi.
Il fuoco illuminava la stanza in modo irregolare producendo l'unico rumore che Mab poteva sentire, oltre al respiro un po' pesante della compagna. Non riusciva a smettere di osservare con sospetto ogni ombra che si muoveva danzando con le fiamme e ogni spiraglio che i muri e le imposte rotte lasciavano al buio e all'assoluto silenzio della notte là fuori. Non ricordava di aver mai desiderato tanto avere un qualsiasi cosa di alcolico da trangugiare fino a perdere i sensi. Non aveva paura, era letteralmente terrorizzata.
Figli votati all'Ombra, Uomini grigi, Draghkar.... cosa stava succedendo? Malediceva lo scarso interesse che aveva sempre avuto per lo studio delle profezie, iniziava a temere che con tutto quello che stava accadendo, sarebbero potute tornarle utili. O forse era meglio non sapere proprio niente: nella sua vita aveva sempre dovuto fare i conti con la fatalità e si era piuttosto abituata a pensare che a volte non si poteva far altro che rassegnarsi al volere della Ruota. Cos'aveva fatto lei per essere trascinata da una sconosciuta nel bel mezzo del nulla, braccata dai Figli della Luce da una parte e da Servi dell'Ombra dall'altra?
Mantenere la calma non era mai stato il suo forte, le situazioni d'attesa come quella poi le davano l'angoscia. Aveva bisogno di camminare, doveva riuscire a tranquillizzarsi.
C'era un trucco per poter incanalare senza che altri lo potessero percepire, Ellis gliel'aveva insegnato, lo aveva usato altre volte, ma ora temeva potesse non essere sicuro. Odiava farsi prendere dall'emotività, ma sentiva il panico accelerarle i battiti attimo dopo attimo rubandole la razionalità. Rimase diversi minuti a fissare il metallo che la teneva imprigionata, poi si decise: prima doveva creare uno schermo a flussi invertiti di spirito e aria e fare in modo di mantenerlo mentre intesseva gli altri flussi di terra e aria con cui aprire la serratura. Impiegò un po' per raggiungere la quiete necessaria per farlo, ma appena si lasciò andare a Saidar, fu tutto più facile.
Era libera. L'euforia durò un istante: era libera di far cosa?
Scartò sul nascere l'idea di scappare, consapevole delle difficoltà che avrebbe comportato. E in tutta onestà non se la sentiva di abbandonare lì quella stupida febbricitante: gli anni di nefandezze al fianco di Krooche non le avevano davvero insegnato niente! Poi senza Hilda temeva di doversela cavare da sola contro chissà cosa, riconosceva che la presenza di quella dannata Figlia la faceva sentire più tranquilla, che la Luce folgorasse lei e la sua stramaledetta insicurezza!
Respiri profondi e regolari avrebbero dovuto calmarla, camminare avanti e indietro per la stanza anche, ma nulla sembrava efficace in quella notte che sembrava essere durata un'eternità. Il nero della notte stava schiarendo per l'alba incipiente, quando si chinò per l'ennesima volta a tastare la fronte della compagna. Solo in quel momento le tornò in mente l'anello che aveva notato ad un suo dito il pomeriggio precedente. Spostò ciò che la copriva, fino a lasciare libera la sua mano destra, l'oggetto metallico riluceva freddo al suo pollice. Controllando che la donna non si svegliasse, eseguì nuovamente la tessitura invertita per creare la barriera e poi provò ad avvicinare un flusso qualsiasi alla sua compagna: com'era accaduto la prima volta che ci aveva provato, lo vide dissolversi nell'aria. Nello stesso momento sulla superficie dell'anello parve passare una sorta di sostanza oleosa nera, che indusse Mab a posarvi un dito sopra: non sentì nulla di diverso dal contatto con comunissimo metallo. Per accertarsi di non aver visto male, riprovò, convogliò un intreccio più complesso di tessiture addosso a Hilda e il risultato fu lo stesso, ma l'effetto sulla superficie dell'anello si protrasse più a lungo. Doveva trattarsi di un angreal, non poteva essere nient'altro. Non avrebbe avuto occasioni migliori di quella per toglierglielo. Un altro sguardo al volto di Hilda confermò che dormiva ancora profondamente. Mab prese delicatamente la mano della donna e con due dita cominciò lenta a muovere l'anello, tirandolo e ruotandolo contemporaneamente in modo da evitare il più possibile che facesse attrito mentre lo sfilava.
Ora l'anello era nel palmo della sua mano, lo posò a terra e incanalò, i flussi passarono attraverso Hilda, come sarebbe accaduto con chiunque altro. Mab sentì le proprie labbra incresparsi in un sorriso compiaciuto. Ma ora che fare di quella vittoria?
Raccolse l'anello e lo strinse in mano mentre si rialzava e riprendeva a camminare ossessivamente avanti e indietro per la stanza, lo sguardo fisso su Hilda. C'erano un paio di modi per entrare nella mente di una persona usando il Potere: se voleva capire quello che tramava davvero quella donna, se voleva accertarsi di avere al fianco qualcuno di cui si poteva fidare, doveva provare una di quelle strade.
Il modo migliore per farsi dire tutta la verità da qualcuno era usare flussi che erano sempre stati banditi tra le Aes Sedai, motivo per cui non aveva mai letto altro che leggende sull'uso della compulsione, così come sulla tessitura per sondare pensieri e ricordi. Si trattava in ogni caso di tecniche simili alla guarigione, che richiedevano capacità in cui lei era sempre stata piuttosto scarsa.
Rimaneva una sola via da percorrere, quella che le dava meno certezze e che presentava un grossissimo svantaggio: legarsi a Hilda non le avrebbe permesso davvero di accedere ai suoi pensieri, le avrebbe solo fatto percepire le sue emozioni, cosa da cui poter poi dedurre altro, le avrebbe inoltre permesso in un certo senso un controllo su di lei e una sorta di garanzia, perchè la Figlia avrebbe pagato in egual misura qualsiasi cosa fosse capitata a lei. L'enorme svantaggio stava nel fatto che ogni cosa valeva per entrambe le parti del legame, era a tutti gli effetti un'arma a doppio taglio, che per quanto la potesse tutelare da certi pericoli, le avrebbe precluso definitivamente ogni via di fuga.
Si accorse improvvisamente dell'intenso scrosciare di un acquazzone che copriva ogni altro rumore, si inginocchiò al fianco di Hilda e, valutando l'occasione forse unica che aveva al pensiero che probabilmente non sarebbe mai più riuscita a toglierle l'anello, rimase a guardare quell'angelico viso di bambola per qualche minuto. Poi sospirò, chiuse gli occhi e portò alla mente ogni ricordo su quella tessitura, la eseguì, si chinò sulla donna e prendendole la testa tra le mani, la mise in azione. Hilda aprì gli occhi di scatto, Mab strinse più forte le dita tra i suoi capelli finchè ne avvertì il dolore anche su sé stessa. Percepiva lo spavento rimbalzare tra lei e l'altra donna, alimentandosi. Sentì freddo, mal di testa, disorientamento, un'immensa rabbia che si stava formando alla presa di coscienza della situazione: erano tutte sensazioni di Hilda. Erano legate.



Siadon

La primavera era già arrivata da un pezzo in quelle terre. L'erba era verde brillante, costellata di petali colorati ormai caduti e di alberi rinvigoriti da nuovi germogli. A poca distanza da dove si erano fermati, Siadon aveva trovato una radura nascosta quanto bastava per non far scorgere il carro dalla strada. Se ne stava seduto per terra, su di un sasso piatto che aveva scelto come sedia, con la schiena appoggiata al legno di una ruota e godendosi la pace di quel luogo. L'odore di muschio e terra umida, il rumore dei cavalli a riposo mischiati al cinguettio ed ai movimenti furtivi degli animali nel bosco, lo scricchiolio del carro alle sue spalle, gli ricordavano i giorni che aveva passato al servizio di Mastro Lucas. Vecchio pazzo pensò sorridendo mentre tornava con la mente al loro primo incontro.

Era un'altra giornata torrida, con il sole che batteva a picco sul mercato di periferia a Samrie. Il piccolo Siadon avrebbe voluto seguire i suoi amici al fiume ma quel giorno non poteva, aveva un lavoro speciale. Questa volta era una cosa grossa, non la solita pagnotta o qualche frutto che poi una volta mangiati si trovava affamato come prima. E nemmeno i pochi spiccioli che la gente si portava al mercato, almeno quella disarmata e senza guardie del corpo, gli altri avevano certamente parecchi soldi ma lui non voleva rimetterci le mani o finire in qualche cella. No, questa volta era un vero lavoro su commissione, avrebbe ricevuto del denaro e non era un'altra fregatura. Quella donna gli avrebbe dato una moneta d'oro, oro vero, l'aveva vista! L'anticipo in monete di rame era già nelle sue tasche ed in cambio di un'inutile statuetta, l'oro sarebbe stato tutto suo, un'intera moneta! Avrebbe potuto fare tutto quello che voleva. Quella notte avrebbe dormito in un letto vero, non nascosto in qualche buco puzzolente. Avrebbe addirittura cenato in una locanda ma prima doveva prendere quell'affare. Il mercante era un vecchio, seduto mezzo addormentato dietro al suo banco. Capelli incolti, striati di bianco come la barba lo facevano assomigliare ad un pellegrino delle rovine, protagonista delle peggiori storie per spaventare i mocciosi. Anche se qualcuna era vera ovviamente, Siadon lo sapeva, ma dalle altre non si faceva spaventare. Il vecchio vendeva cianfrusaglie di ogni tipo e di certo le scritte con cui aveva tappezzato il carretto dovevano essere invitanti, come le parole di quello del circo ogni volta che arrivava in città. Anche se Siadon non sapeva leggere. Purtroppo per entrambi però, non sembravano funzionare molto bene: pochissime persone si fermavano ed ancora meno distraevano il mercante. Siadon aveva individuato la statuetta al primo sguardo, camminando davanti al carretto fingendo indifferenza. Si era subito allontanato con la brutta sensazione di essere osservato da sotto quelle spesse sopracciglia. Passando tra le altre bancarelle era riuscito a nascondersi lì vicino e stava aspettando il momento giusto, lo stava aspettando da un bel pezzo quando finalmente qualcuno parlò al mercante, dalla voce sembrava una donna. Siadon non perse tempo, dopo un rapido sguardo uscì camminando dal suo nascondiglio, si avvicinò con noncuranza al banco ed afferrato il bottino si girò come niente fosse per tornare dietro al carro. Sbattendo contro un uomo gigantesco, con l'elsa di una spada ancora più grande che gli sbucava da dietro una spalla. Rimase pietrificato dal terrore, tanto che non udì le parole che uscirono dalla bocca di quel mostro. Solo dopo qualche momento sentì la voce di un vecchio alle sue spalle
«Va tutto bene, è il mio giovane assistente.»

Sentire il prigioniero raggiungere la Fonte riportò Siadon alla realtà. L'uomo era legato ad un tronco di fronte a lui e si fingeva privo di sensi.
«Davvero poco Potere. Quanto basta per non farti impazzire ma non abbastanza per poterti liberare.»
L'uomo aprì gli occhi, freddi e privi di emozioni. Una profonda cicatrice gli attraversava la guancia destra, salendo dal mento e perdendosi tra i capelli lunghi e neri, attraversando un gonfiore ben più recente e diversi graffi che si era fatto con le proprie mani, mentre correva urlando.
«Grazie per averlo tenuto, mi sarebbe dispiaciuto perderlo» continuò Siadon mostrando il suo pugnale.
«Un'arma davvero affascinante» la voce rauca era tranquilla mentre osservava il campo improvvisato «dove siamo?»
«Si, è esattamente la domanda che volevo farti. Il tuo amico ha condotto il carro fino quasi all'alba, poco distante da qui. Stavamo andando a trovare una signora e seguendo la strada arriveremmo in serata. Quindi, dove siamo?»
«Nord-Ovest di Jennji, ad un paio di giorni dalla città, ci stavamo dirigendo verso Est per raggiungere un piccolo villaggio, non so come si chiama, la donna che dovevamo incontrare vi si è stabilita da poco. Ero bruciato vero? Come hai fatto a guarirmi?»
«Facciamo così, io te lo dico e tu mi spieghi come abbiamo fatto ad arrivare qui.»
L'uomo sorrise «Quei dannati Manti Bianchi tengono al guinzaglio anche voi vero? Vi lasciano imparare qualche trucchetto utile ai loro scopi ma nulla di tanto pericoloso da poterli minacciare davvero. Era così anche per noi, poi sono arrivate delle persone ed è cambiato tutto, ora siamo liberi.»
Siadon lo studiò per qualche istante Mi stai interrogando, vuoi sapere di più sulla Famiglia.
«Jaro è una di queste persone?»
«Dannato bastardo, hai finto per tutto il tempo vero? Com'è possibile?»
Siadon alzò le spalle con noncuranza «Dovresti chiederlo a chi ti ha dato il veleno.»
«L'ho preparato io stesso quel maledetto veleno» qualcosa nel suo sguardo stava cambiando «sui tuoi amici ha funzionato»
«O magari è quello che volevamo farvi credere» l'uomo esitò Bene «Magari volevamo distruggervi fino alla radice. Ci stiamo riuscendo piuttosto bene non trovi?»
«E poi tornerete come dei cagnolini obbedienti dal vostro Inquisitore?» la voce era carica di disprezzo.
Siadon si alzò mostrando un sorriso rassegnato e si diresse verso il retro del carro Sono davvero poche le sette con un inquisitore al comando, sono troppo fanatici per sopportare la vicinanza agli incanalatori
Poco dopo era di ritorno con della carne secca ed una borraccia «Non serve chiederti di non fare sciocchezze vero?» disse prima di liberargli le mani lasciando il cibo poco distante.
«L'ultimo pasto del condannato?»
«Chi può dirlo? Come ti chiami?»
«Ron»
«Io sono Siadon. Ron, abbiamo bisogno di qualcuno che ci conduca da Jaro e dalla donna, che ci dica quante altre persone ci sono e cosa aspettarci una volta arrivati lì.» Sperava di riuscire a infondere qualche speranza, non avrebbe sottovalutato un'altra volta la situazione. L'uomo era legato e privo di Potere ma fino a che Thea e gli altri non si fossero svegliati, lui non avrebbe fatto nulla di pericoloso «Mi piacerebbe anche capire come abbiamo fatto a lasciare Hirlomap. Credo che dovremmo iniziare proprio da questo.»
L'uomo stava masticando rumorosamente «Con così poco Potere sarà difficile»
«Puoi iniziare a spiegarmelo, non abbiamo fretta»
«Gli altri sono ancora svenuti vero?»
Siadon sorrise, era il momento di sembrare amichevole «Si, siamo caduti in trappola come quattro idioti. Non ci siamo fatti catturare per distruggervi.»

Molto utile davvero pensò euforico intrecciando nuovamente i flussi. Una sottile linea argentata tagliò l'aria davanti a lui, allargandosi fino a mostrare le rovine ormai vinte dalla vegetazione che stavano dall'altra parte del collegamento.
«Cos'è quello?» Era Thea, non l'aveva sentita scendere dal carro.
«Sono le antiche rovine di Samrie. E questo.... è il metodo che ci ha condotti fino a qui.»
«Vuoi dire che se lo attraverso raggiungo quelle rovine?» rispose lei poco convinta
«Già, incredibile vero? Può portarti in qualsiasi posto, più o meno. Come stanno gli altri?»
«Sono svegli. Tomas sentiva qualcuno incanalare e stavamo cercando di capire chi comanda» si avvicinò a Ron, ancora legato mani e piedi al tronco, studiandone i lividi e ricevendo un sorriso dall'uomo. Lei ricambiò con un pugno dritto in volto, spaccandogli un labbro.
«Thea, lui è Ron. Ron ti presento Thea» Disse Siadon rimanendo seduto sul suo masso.
L'uomo sputò a terra qualcosa di rosso «E' un vero piacere»
«Ci ha portati a Nord-Ovest di Jennji e si è gentilmente offerto come guida per raggiungere una simpatica signora che vorrebbe tanto.... convincerci ad obbedire ai suoi ordini. Ron dovrebbe anche farci conoscere un certo Jaro, un suo superiore che sapeva in quanti saremmo stati.»
Si alzò porgendo il pugnale a Thea, lei lo prese guardandolo dubbiosa «Ron, temo che la nostra piccola tregua sia finita» disse Siadon avvicinandosi lentamente al prigioniero, mentre creava una complessa rete di spirito. L'uomo osservò per qualche istante le Tessiture che prendevano il loro posto, poi spalancò gli occhi «Come puoi conoscerlo? Chi siete?»
«I tuoi migliori amici Ron» rispose Siadon spingendo la tessitura fino a farla scomparire nella testa del prigioniero.
«Dimmi Ron, ti ricordi perché Jaro ti ha mandato a cercarci?»
«Certo!» Rispose sorridendo, contento di essere utile «Da quando i manti bianchi hanno revocato i nostri sigilli, dichiarando fuorilegge chiunque li porti, l'oro scarseggia. E' sempre più difficile trovare dei buoni assassini, c'è sempre più lavoro ed è sempre più pericoloso. All'inizio bastava spaventare qualche contadino, ora ci troviamo spesso a dover far fuori qualche guardia, a volte senza nemmeno usare il Potere. Qualche giorno fa Jaro è arrivato tutto contento dicendo che la nostra non era l'unica setta, che i manti ne comandavano diverse e che sapeva dove trovare quattro tizi come noi. La strega li obbligherà ad unirsi a noi e non vorranno neppure essere pagati, diceva. Beh non sarà felice di scoprire che per avere voi quattro ne abbiamo persi sei»
«Mi spiace, in quanti siamo rimasti?»
«Ci siamo noi cinque, Jaro ed almeno altri sette o otto al rifugio e tre o quattro in giro a cercare lavori. Poi ci sono i ragazzi nuovi, mezza dozzina ma hanno appena iniziato l'addestramento.»
Troppi... Ma di che sta parlando? Stanno creando una setta loro?
«Ron, la nostra setta era molto diversa. Per me tutto questo è nuovo e sono curioso, come vi siete organizzati e perché avete bisogno di tanti lavori?»
«E stato il Prete Nero, ci ha insegnato come Viaggiare e dopo esserci ribellati ai Manti Bianchi ci siamo spostati qui per creare un rifugio. Niente di complicato, abbiamo preso una casa molto isolata ci siamo stabiliti lì. Col tempo poi il Prete ha radunato altra gente, soprattutto Incanalatori ma a loro non dice tutto, loro se ne stanno lì a studiare ma c'è sempre qualche lavoro sporco da fare per proteggerli e quello lo fa fare a noi, la paga è buona e veniamo trattati come signori, vedrai!»
«E questo Prete Nero da dove viene?»
Ron si rattristò visibilmente «Non lo so.... mi spiace.... l'ho visto la prima volta in caserma, qualcuno deve averlo fatto entrare di nascosto, non so da dove venga. Ci ha raccontato un sacco di cose.... sulla storia, sulle stelle sulla natura degli uomini.... diceva che eravamo schiavi e mostrato cosa avremmo potuto fare da uomini liberi.... non ricordo altro....»
Siadon rimase in silenzio riflettendo su quanto appreso. Il reticolo di Spirito impediva a Ron di mentire, lo rendeva anche desideroso di compiacere i suoi nuovi amici quindi doveva essere tutto vero. Forse l'uomo conosceva qualche trucco per distorcere la verità ed aggirare la Tessitura ma Siadon dubitava fosse possibile, soprattutto senza il Potere.

Poco prima anche Tomas ed Elsa erano scesi dal carro, avevano sistemato una cassa vicino al prigioniero e vi si erano seduti. Ora stavano masticando della carne secca, l'una con aria felice e spensierata, come se stesse partecipando ad una scampagnata, l'altro con uno sguardo tra il curioso ed il preoccupato mentre studiava la testa di Ron. Thea invece sembrava parecchio arrabbiata e continuava a lanciare occhiatacce al prigioniero cercando di non farsi vedere, nello stato emotivo in cui era forzato avrebbe anche potuto mettersi a piangere come un bambino se avesse pensato di essere odiato.
Elsa si allungò fino a sfiorare con la mano una coscia di Ron "Caro... questa donna che dovremmo incontrare... chi è? La conosci?" l'uomo rimase senza fiato per qualche istante, perso nei suoi occhi fino a quando lei si ritirò accarezzandolo lentamente, sorridendo con malizia a Tomas mentre si sistemava sulla cassa.
Luce donna... Ti piace proprio torturare la gente pensò Siadon divertito.
"Io... Lei..." pareva stordito, poi prese a parlare in fretta quasi scocciato dal doversi interrompere per respirare "Non conosco il suo nome. L'ho vista solo una volta, quando è venuta al tempio diversi giorni fa. Nemmeno gli altri la conoscevano, persino il prete non si fidava di lei ma in qualche modo la temeva. Però lei conosceva noi, quello che facevamo. Ha due occhi neri che ti inchiodano, come se vedesse i tuoi pensieri e non il tuo volto, è tanto pallida e spigolosa da sembrare un cadavere. E' piuttosto bassa e tanto magra che un uomo..." si fermò guardando Elsa preoccupato "be insomma è anche molto magra. Non ne sono sicuro perché l'abito le copriva il capo ma credo abbia i capelli grigi anche se dal volto non sembrava affatto una vecchia. Quel giorno ha parlato con Jaro e con il prete, poi è andata via e non ne ho più sentito parlare fino a quando Jaro ci ha radunati per venire a prendervi. Diceva che lei ci avrebbe aspettato all'incrocio stanotte ma non c'era, quindi stiamo andando in un villaggio abbandonato ad Est di qui, non so di preciso dove ma Jaro dice che è lì che vive e che vi avrebbe..." esitò ancora "si ecco... secondo Jaro vi avrebbe convinto ad unirvi a noi.... Luce quanto sei bella!" concluse ammirando Elsa.
Siadon rimase immobile, trattenendo quasi il fiato ed anche Thea aveva smesso di giocare con il pugnale. Si scambiarono uno sguardo allarmato intuendo che entrambi avevano lo stesso sospetto. Nella sua mente stava ricomponendo gli ultimi avvenimenti, come se provasse a rimettere insieme i pezzi di un vaso rotto. L'ultima missione, l'incontro nella sala con il trolloc smembrato, la frattura della Famiglia, la sua scomparsa ed il diario... poi la fuga e la cattura da parte di gente che sapeva addirittura in quanti sarebbero stati.
Nessuno di noi l'ha mai interrogata... Nessuno di noi ha assistito alla sua morte... nessun cadavere
"Oh... sei troppo gentile" era la voce di Elsa, con un tono suadente e calmo "Questa donna... ha per caso un piccolo neo sotto l'occhio destro e una vocina graffiante?"
Tamara. Anche Elsa crede che la donna sia lei
"Si ce l'ha, me ne ero dimenticato! La sua voce invece la ricordo bene, degna dello scheletro a cui assomiglia!"
Un lungo silenzio avvolse il gruppo, rotto soltanto dagli sporadici rumori del bosco e dal debole fruscio delle vesti di Tomas che osservava preoccupato i volti dei suoi compagni.
«Va... va tutto bene?» Domandò incerto Ron, visibilmente a disagio
Elsa attese qualche istante, regalando un sorriso dolce all'uomo, poi spostò la propria attenzione su Siadon e Thea che risposero con un debole cenno del capo.
«Certo caro, va tutto bene» il prigioniero seguiva le sue labbra con occhi rapiti «Ti ricordi se....» continuò lei con voce mielosa, avvicinandosi lentamente fino ad accarezzargli il volto «Oltre al metodo per coprire lunghe distanze con pochi passi, i preti neri vi hanno insegnato qualche altra tessitura?» chiese con tono complice, quasi sussurrando mentre lui si godeva il contatto della sua mano con gli occhi chiusi
«Solo una, per sconvolgere la mente di un prigioniero...» lei si avvicinò ancora «molto utile ma la strega ne conosce una forma migliore, obbliga le persone ad eseguire certi ordini...» concluse cercando di alzare il mento verso quello della donna fermandosi a poca distanza, trattenuto dalle corde che lo legavano al tronco.
Elsa si avvicinò fino a sfiorarlo mentre si sedeva cavalcioni sulle sue gambe. L'uomo strattonò con forza i nodi, ignorando il dolore che gli provocava nella speranza di riuscire a baciarla. Lei gli sorrise indietreggiando un poco mentre si raddrizzava sulle proprie ginocchia «Allora credo che le domande siano finite amore mio...»
Forzò le corde ancora più forte di prima, lasciandosi sfuggire qualche gemito mentre l'articolazione di un polso usciva dalla sua sede. Elsa gli concesse un ultimo sguardo invitante poi lo schiaffeggiò senza alcun preavviso lasciandolo interdetto. Lo colpì ancora, graffiandolo. Lentamente il volto di Ron si trasformò in una maschera di terrore. Secondo la sua mente sconvolta la donna che più amava al mondo lo stava respingendo, doveva averla delusa in un modo terribile ma non riusciva a comprendere quale. Lei lo odiava e lui non aveva modo di riparare.
«Perché?» singhiozzò mentre le lacrime iniziavano a solcargli il volto.
«E' solo colpa tua maledetto mostro!» Rispose con rabbia mentre un nuovo schiaffo scendeva rapidamente.
«Cosa ho...» ma un pugno lo interruppe trasformando la frase in un lamento
Elsa non aggiunse altro, continuò a colpirlo ignorando le sue suppliche fino a quando fu certa che fosse svenuto. Si pulì le mani con calma usando le vesti dell'uomo, canticchiando sottovoce. Poi si alzò e sorridendo soddisfatta si rivolse a Tomas
«Bene ragazzo, spero tu abbia seguito con attenzione. Dovrai imparare più in fretta del normale e non so quante altre occasioni avremo per insegnarti l'arte dell'interrogatorio»
«E' stato... incredibile, era davvero convinto di amarti?»
L'ha pestato a sangue davanti ai suoi occhi ed è questa la sua domanda? Pensò Siadon stupito.
«Oh si, la sua mente ne era assolutamente certa. Tanto che se fosse stato più anziano avrebbe anche potuto morire di crepacuore. Avrebbe amato anche te se avessi usato il metodo giusto.»
«Anche un uomo?»
«Sì» rispose Elsa compiaciuta «purtroppo però a volte non possiamo usare il Potere, più o meno come ora. Per fortuna questi idioti hanno preso gran parte della nostre cose, ti farò vedere come si usano gli strumenti che mi sono portata, non sono molti ma è possibile ottenere degli ottimi risultati. Anzi forse sarà anche più istruttivo dato che spesso non si ha altro a disposizione. Appena si sveglia ti spiego come interrogare una persona attraverso al tortura, se poi riusciremo anche ad incanalare ci divertiremo parecchio. Ora dimmi, cosa ti ricordi delle lezioni al monastero?»
Bravo ragazzo pensò Siadon mentre Tomas ripeteva le basi senza trascurare i dettagli. Si alzò raggiungendo Thea, la donna stava ascoltando il giovane, facendo del suo meglio per apparire indifferente ma lui la conosceva abbastanza bene da leggere preoccupazione e rabbia nei suoi occhi.
«Vado a raccogliere della legna»
«Ti accompagno. Rimarremo in vista del campo, non voglio più sottovalutare questa gente»
«Che ne pensi di Tamara?» le chiese dopo alcuni passi
«Penso che siamo fortunati ad esserci liberati prima di incontrarla... ed io che ero pure infuriata per aver perso il suo dannato diario nelle stalle! Le ho creduto come una stupida ragazzina, ho studiato le sue menzogne per giorni senza mai dubitare... Luce quanto la odio!» Erano anni che Siadon non la vedeva tanto arrabbiata «Ci sta usando dall'inizio. La missione contro quelle ribelli serviva a convincerci che il Padre fosse arrivato, ci conosceva abbastanza bene da sapere che avremmo lasciato la Famiglia per trovarlo e quando ha fatto entrare i suoi preti nel monastero è scomparsa. Ha lasciato alla più stupida di noi un messaggio enigmatico e quello stupido diario sapendo che alla prima occasione saremmo scappati. Ha istruito lei i preti su quando tenere una cerimonia importante sapendo che ne avremmo approfittato. E visto che Hirlomap è l'unico paese in quella dannata valle sapeva benissimo dove saremmo andati a cercare dei cavalli ed ha mandato i suoi uomini a prenderci. Quello stupido libretto serviva solo a confonderci, magari con qualche indizio per essere sicura di tenerci al guinzaglio anche se non fosse riuscita a catturarci.... Che stupida!»
«Ci ha fregati davvero bene» acconsentì Siadon con tono calmo «Gurlav siamo sicuri che sia morto?»
«Sì, ho visto io stessa il corpo. Credi sia stata lei? E' un'anziana da sempre... dannazione non so nemmeno come combatte!»
«Non lo so. Potrebbe essere, è morto proprio quando lei è scomparsa ma la stessa cosa vale per molti altri» si fermò dopo aver raccolto un ramo secco, aspettando che lei si voltasse poi continuò guardandola negli occhi «Sfogati. Torna nel campo e massacra Ron di botte come ha fatto Elsa oppure prendi la bottiglia di liquore che trovi sul carro e scolatela... puoi anche insegnare a Tomas a lanciare i pugnali usandolo come bersaglio se preferisci, fai quello che ti serve ma non maledirti per quanto è successo. Siamo scappati dal monastero perché è diventato un luogo votato all'ombra, siamo sopravvissuti ed ora siamo liberi di cercare il Padre. Tamara ci ha usati nel suo gioco in un modo che probabilmente non conosceremo mai, forse senza di lei il monastero sarebbe ancora un posto sicuro ma non possiamo esserne certi. Siamo vivi e liberi, esattamente come volevamo essere dopo la fuga ed ora conosciamo meglio i nostri nemici. Non sarà una vittoria ma non è nemmeno una sconfitta.»
Thea lo fissò infuriata per qualche istante poi lo colpì con uno schiaffo tanto forte da farlo voltare con un fastidioso fischio nelle orecchie «Hai ragione» disse afferrandolo per le vesti e tirandolo verso di sé «devo sfogarmi».



continua....



Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 20
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte nona] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte nona]

Mabien Asuka

Lo scatto di Hilda la colse di sorpresa: ancora frastornata dall'intricata miscela di emozioni provenienti in parte da lei e in parte dal legame, Mab si trovò schiena a terra, braccia ai lati della testa schiacciate sui polsi dalle mani dell'altra donna. Hilda le era piombata addosso in modo fulmineo immobilizzandola, il suo viso era spaventoso: ad appena una spanna dal suo, parzialmente oscurato dai lunghi capelli biondi che le scendevano ai lati fino a mischiarsi a quelli di Mab, era una maschera d'ira gelida, gli occhi due pugnali di ghiaccio che la trapassavano, la bocca una smorfia di ferocia. Mab aveva il cuore in gola, non si era aspettata una simile reazione. In realtà non aveva pensato a quel tipo di conseguenze e ora, ora era troppo tardi. Non stava ferma per i polsi bloccati, era impietrita da quello sguardo e sconvolta dall'ingestibile marasma di emozioni che cavalcavano il legame, dominate dall'ira. In tutto ciò l'inopportuna punta di piacere che le dava il fatto di sentire così intenso il profumo di quella donna era la goccia che faceva traboccare il vaso della sua lucidità.
La stretta sui polsi la costrinse ad aprire la mano in cui ancora teneva stretto l'anello. La testa di Hilda seguì il tintinnio del metallo sul pavimento e i suoi capelli frustarono il volto di Mab. Solo in quel momento la donna si era accorta di non avere più l'oggetto al dito: lo afferrò frettolosamente e lo rimise usando solo la mano destra, per poi tornare a bloccare il braccio di Mab e a fissarla con uno sguardo, se possibile, ancora più terribile del precedente.
«Cosa mi hai fatto?» la pressione sui polsi era aumentata, le stava facendo male. Avrebbe dovuto sentirlo anche Hilda, ma sembrava troppo fuori di sé per rendersene conto.
La voce di Mab uscì balbettando «Siamo legate»
Invece di chiederle cosa significasse, Hilda premette ancora più forte sulle braccia inerti di Mab, per poi sollevarsi leggermente subito dopo. Doveva aver avvertito il dolore questa volta perchè staccò prima una mano poi l'altra torcendo i polsi prima di riappoggiarsi più delicatamente. Quindi trucidò Mab con lo sguardo.
«Toglimi subito questa cosa!» le ringhiò in faccia
«Non posso.... io.... io» le stava per dire che non era in grado di farlo, quando l'altra le liberò le braccia, alzandosi e rimanendo a cavalcioni sopra di lei. Un attimo dopo le afferrò i sobri ricami che decoravano il suo abito all'altezza del petto e la sollevò violentemente a sedere davanti a lei. Non c'era nulla della sua solita delicata soavità in quel momento.
«Perchè l'anello non funziona?» ringhiò «Ti ho detto di togliermi questa cosa! Il Potere è.... è» si toccò una tempia, forse perchè come lei era infastidita dal ronzio delle sensazioni che si mischiavano tra loro «Toglimelo!»
«Io.... io non so farlo»
Lo schiaffo fu secco e fulmineo, non per questo meno doloroso. Mab si consolò pensando che almeno stava facendo male anche a lei, anche se non lo diede a vedere.
«Perchè non funziona?» chiese di nuovo premendo l'anello
«Una volta usata la tessitura, non serve più il Potere per mantenere il legame. Speravo di poter capire di più su di te, volevo capire quanto posso fidarmi....» tentò di giustificarsi, sentendosi stupidamente in colpa.
«Taci» disse Hilda asciutta, poi spinse Mab facendola ricadere con la schiena al pavimento, mentre lei si rimetteva in piedi. Nel farlo ebbe un mancamento, che la costrinse ad appoggiarsi al muro. Il legame le aveva trasmesso le energie di Mab, facendola riprendere, ma solo poche ore prima era svenuta per la febbre e ora si stavano spartendo il malessere che ne conseguiva.
Senza staccare le mani dal muro, né girarsi a guardarla, Hilda le chiese spiegazioni su quello che comportava quell'unione forzata. Si era già ricomposta, la sua voce era di nuovo ferma e calma, ma il legame non celava nulla del suo turbamento interiore, della rabbia che le ribolliva dentro e soprattutto dello sdegno e del senso di disgusto che le dava la consapevolezza di essere in un certo senso toccata dal Potere. Mab, mentre cercava un modo composto per stare seduta lì a terra, disse quello che sapeva: non molto in realtà, spiegò solo che da quel momento tutto ciò che avesse provato una l'avrebbe avvertito anche l'altra, che si trattasse di una sensazione fisica o solo mentale l'avrebbero condivisa.
«La morte di una potrebbe significare la morte dell'altra» dopo quella frase, rimase in silenzio aspettando una reazione che invece Hilda, che continuava a stare di spalle, non ebbe. Quindi continuò
«Questo è quello che hanno tramandato le Aes Sedai dalle epoche passate. Fino a prima di legare te non potevo immaginare cosa significasse davvero, non mi aspettavo che fosse una cosa così....» non riuscì a trovare una parola per descrivere l'intensità di quel qualcosa che aveva letteralmente invaso una parte della sua testa «Volevo.... volevo solo poterti leggere dentro»
«E ci stai riuscendo?» la donna bionda si girò piano mentre lo diceva, appoggiò la schiena al muro e incrociò le braccia sotto il seno.
«Meno di quanto speravo» era inutile mentirle a quel punto «Ma magari imparerò»
Una punta d'irritazione attraversò il legame come una breve saetta. Era addirittura divertente sentire gli umori dell'altra donna così instabili e suscettibili, mentre esteriormente continuava a mantenere la sua bella maschera di serenità. Ma evidentemente Hilda aveva avvertito il suo divertimento, a giudicare dall'occhiataccia che un attimo dopo le regalò insieme ad una frecciatina verbale
«Magari imparerò prima io a controllare questa.... cosa»
Come aveva immaginato fin da subito, quel legame era un'arma a doppio taglio, si stava già pentendo della decisione presa solo pochi minuti prima, ma ormai era in gioco e non poteva far altro che giocare.
Il fuoco del camino stava cedendo alle infiltrazioni che i vecchi muri della casa concedevano alla pioggia battente. Quell'unica stanza si stava riempiendo di fumo, nonostante porte e finestre fossero tutt'altro che chiuse. Ma almeno non erano là fuori, esposte a quello scroscio violento.
«Ci muoveremo verso nord alle prime luci dell'alba. In qualsiasi condizione.» con quella frase Hilda le strappò quella misera consolazione, come se le avesse letto nei pensieri. Che fosse folgorata!
Cercando di mantenere la calma, replicò
«Non mi sembra il caso che tu esca con questo tempo. Se non ti avessi legata, saresti ancora qui a terra moribonda.»
«Questo posto non è sicuro. Prima raggiungiamo i ribelli, meglio è per entrambe»
«Hilda, ti reggi in piedi a stento. Lo sento, maledizione!»
«Sopporto meglio la febbre, che la compagnia di qualche creatura dell'Ombra!»
Era cocciuta come un mulo!
«Non è una questione di preferenze, in queste condizioni non puoi affrontare un viaggio di chissà quanti giorni ancora!»
«Non manca molto ad Hama»
«Quanto? Quanto esattamente?»
Al silenzio di Hilda, Mab incalzò
«Non lo sai, non puoi sapere dove si trova quella dannata città! Non sai nemmeno come ci entreremo, se mai ci entreremo! In ogni caso, non ci voglio arrivare trascinandomi dietro il tuo cadavere!»
«Ce la farò»
Non c'era bisogno di lanciarle qualcosa addosso o imprecarle contro, sapeva che a farle capire quanto la stava odiando in quel momento ci stava già pensando il legame. «Che differenza vuoi che ti faccia qualche ora! Questo posto non è meno sicuro di qualsiasi altro, lo sai bene quanto me! Ora torna qua a riposarti e a scaldarti prima che il fuoco si spenga del tutto. Mi danno molto fastidio i tuoi capogiri!»
Hilda si avvicinò al camino e allargò l'abito per potersi sedere, quindi stese le gambe lateralmente e appoggiò il peso su un solo braccio. Fissava le deboli fiamme del fuoco e con l'indice si faceva ruotare l'anello attorno al dito. Per un istante guardò Mab con la coda dell'occhio e concesse, chiaramente malvolentieri
«Aspetteremo che cali un po' la pioggia.... un po'»
Mab le sedeva accanto, non molto distante e non le toglieva gli occhi di dosso. C'era qualcosa, il legame le trasmetteva qualcosa che non riusciva a decifrare. Chiedere sarebbe stato inutile. Distolse lo sguardo da Hilda e lo portò sul fuoco, mentre si stendeva di nuovo per cercare di riposare ancora un po'.

Aveva albeggiato, si era fatto giorno e loro avevano passato le prime ore a discutere animatamente su quando fosse il momento di rimettersi in viaggio. In realtà l'unica che si agitava era Mab, che dovette usare le mani per impedire più di una volta che Hilda uscisse e montasse in sella. Ripresero poi effettivamente la strada quando probabilmente aveva smesso di piovere già da un po' di tempo, ma loro, prese dalla loro discussione, non se n'erano accorte. Le nubi gonfie che coprivano il cielo facevano capire che si trattava solo di una tregua, ma sarebbe stato impossibile dissuadere ancora Hilda.
La donna bionda chiaramente non aveva ancora recuperato pienamente le forze, il che rese un vero tormento i quattro giorni di viaggio vagando senza una meta troppo precisa tra le foreste, ma Hilda non ammise una sola volta di aver bisogno di una sosta o di qualsiasi tipo di aiuto da parte di Mab: se mai l'aveva odiata, ora il sentimento andava ben oltre.
La pioggia aveva sciolto gran parte dei residui di neve che ancora erano ammonticchiati qua e là, l'inverno stava per finire per fortuna, ma per Mab cambiava poco, abituata al clima più mite delle regioni del sud da cui proveniva. Più salivano, più il freddo pungeva e le condizioni fisiche di Hilda non aiutavano. La pioggia si trasformò in nevischio all'alba del quinto giorno da quando erano ripartite, le loro scorte di cibo erano finite e della città non c'era nessuna traccia, peggio ancora, non c'era proprio traccia di vita umana da nessuna parte! Più di una volta Mab era arrivata a pensare che quelle dei ribelli fossero solo leggende e che loro stessero viaggiando, rischiando la pelle, per niente.
Il legame si riempì di agitazione all'improvviso. Mab puntò subito gli occhi sulla sua compagna e la vide attenta ad ascoltare qualcosa.
«Luce! Cosa sono? Corri Mab!» urlando allungò una mano verso le redini di Oberon, per farlo girare insieme al proprio cavallo dalla parte opposta rispetto a quella verso cui stavano marciando. Entrambe spronarono poi i rispettivi animali alla corsa, ma dopo pochi istanti orde scomposte di Trolloc correvano tra gli alberi insieme a loro, superandole. Sembrava fossero a loro volta in fuga da qualcosa.
Fece appena in tempo ad analizzare la situazione quando si sentì mancare il respiro per un forte urto al costato. Perse la presa dalle redini di Oberon e sentì l'animale sgusciarle tra le gambe in un attimo. Le ultime cose che ricordò furono la sensazione di cadere all'indietro, il tonfo del proprio corpo attutito dallo spesso strato di fango misto a neve, freddo al collo e alla nuca e una figura scura che scendeva su di lei.



Siadon

«E' stato incredibile! Al monastero era interessante ma Luce! Usando il Potere è... quel coso pulsava ancora mentre lo tenevo davanti agli occhi di Ron!» la voce di Tomas mostrava tutto il suo entusiasmo. Aveva assistito Elsa durante la tortura del prigioniero ed ora continuava a parlarne come un bambino a cui è stato appena regalato un giocattolo nuovo.
Siadon stava raggiungendo gli altri per concludere il suo turno di guardia, passato ad osservare le stelle mentre sottili filamenti invertiti di Spirito pattugliavano la zona circostante al carro. Si avvicinò al fuoco, osservandone i riflessi sui volti dei suoi compagni. Tomas era seduto su di un vecchio tronco trascinato lì per essere usato come panca, gesticolava eccitato e cambiava spesso posizione mentre descriveva nei dettagli la sua recente esperienza. L'oscurità della notte, rotta dal bagliore tremolante delle fiamme e dalle ombre che danzavano attorno a loro, rendeva il tutto surreale. Sembravano quattro amici in campeggio, solo che quanto stava ascoltando non era una storia per spaventare le ragazze, delle persone normali non avrebbero riso e banchettato ascoltando quelle parole.
«La prima volta che l'ho fatto vedere a Siadon è stato male!» aggiunse Elsa interrompendo il monologo a ruota libera di Tomas, lasciandolo sorpreso e facendogli perdere il filo del discorso.
«Davvero?»
«Non solo la prima» rispose Siadon ridendo mentre si sedeva accanto a Thea, accettando della carne secca.
«Haha, è vero ma quella volta eri diventato più pallido tu di quel disgraziato! Ricordo che mi sono dovuta voltare per non ridere, poi ti ho spedito a prendere la prima cosa che mi passava per la testa»
«Un secchio d'acqua. E li ho controllati tutti per portarti il miglior secchio d'acqua del campo, soprattutto il più distante!»
Quando le risate si calmarono Elsa si alzò «Bene, è il mio turno di guardia». Si avvicinò a Tomas chinandosi come per sussurrargli qualcosa e lo baciò sulla bocca lasciandolo interdetto «Buona notte... Fratello» lo osservò divertita per un istante, poi si allontanò nell'oscurità della notte aggiustandosi i pugnali e le vesti.
Il ragazzo parve confuso, come risvegliato improvvisamente da uno strano sogno «Io... ho ucciso un uomo»
«A Tomas, il mio nuovo Fratello!» brindò Thea alzando una bottiglia di un liquido trasparente.
No, quella roba no! Siadon non era ancora riuscito a levarsi quel disgustoso sapore dalla bocca, ci stava provando da almeno due ore. «O forse vuoi cambiare nome?» domandò la donna contraendo la faccia in un'espressione sofferente e passando a Siadon il liquore.
«Cambiare nome? Perché?» Tomas pareva ancora incerto di quale fosse la realtà
«Non lo so. Per tagliare con il passato... per evitare che la gente che hai incontrato si ricordi di te... non c'è un motivo preciso» Thea parlava deglutendo spesso «Luce quella roba... fa davvero vomitare!»
«Voi l'avete cambiato?»
«Solo Elsa...»
«Il mio nome mi piace, non voglio cambiarlo»
«A Tomas, il mio nuovo Fratello!» Siadon bevve un lungo sorso e poi passò il liquore al ragazzo «Questa roba dev'essere un veleno» aggiunse disgustato.
Tomas osservò il fuoco per qualche momento, rigirandosi la bottiglia tra le mani, poi si alzò sorridendo e con occhi lucidi guardò i suoi compagni. «A me, il vostro nuovo Fratello!« disse orgoglioso prima di bere avidamente.
Thea e Siadon lo osservarono increduli mandar giù diversi sorsi, prima di staccarsi dalla bottiglia con un verso indistinto e barcollare incerto per qualche passo verso l'albero più vicino. Alzò la mano per appoggiarvisi ma lo mancò di parecchio e ruzzolò a terra, trovandosi sdraiato ad osservare un mare di stelle mentre tossiva, rideva e biascicava parole incomprensibili allo stesso tempo.
«Dovremo modificare i turni di guardia» disse Thea ridendo mentre tirava la veste di Siadon per farlo sedere al suo fianco.
«Già, è meglio se riposi» si sdraiò sulla coperta, coprendone il lato più lontano dal fuoco e lasciando che lei poggiasse la testa sul suo petto. L'accarezzò giocando con i suoi lunghi capelli neri. Lo divertiva poterlo fare, ora che lei aveva sciolto la complessa treccia con cui li teneva legati solitamente.
«Ti ricordi la prima volta che siamo rimasti soli?» Parlò con voce bassa, quasi un sussurro. Siadon notò qualcosa di strano nel suo tono ma non riusciva a comprendere cosa.
Dubbio? Paura? «Come se fosse ieri» rispose, facendo scendere le dita fin dietro un orecchio, sfiorandole il collo come in quella notte tanto lontana. «Vicino a Hirlomap, ci eravamo quasi congelati in una pozza del fiume. Il giorno dopo incontrammo Rosa e io ti presentai come se fossimo una coppia. Non me lo perdonasti per mesi»
«Te lo meritavi» sentenziò lei con tono allegro e privo di incertezze «non si inganna così una fanciulla indifesa» sollevò una mano fino a trovare quella di lui. La strinse dolcemente portandosela davanti alle labbra per baciarla, poi la adagiò sul proprio petto custodendola sotto la sua.
Rimasero abbracciati a lungo, ascoltando i propri respiri e guardando le stelle senza parlare. Il fuoco scoppiettava proiettando la sua luce tremolante sulle loro forme, mentre Tomas alternava momenti di silenzio a brevi discorsi ben poco comprensibili di cui si intuivano solo alcune parole.

«Che facciamo ora?» chiese Thea riprendendo il suo posto dopo aver aggiunto due grossi legni al fuoco.
Siadon non si era accorto di essersi addormentato «Non riesci a dormire?»
«Mi prendi in giro? Ho dormito per quasi un giorno intero in quel dannato carro»
«Hai ragione...» rispose rassegnato sbadigliando «Non lo so, oltre a trovare dei vestiti normali... di nuovo. Hai dei rifugi qui vicino?»
«No, sono tutti gestiti dai Manti Bianchi. Forse dovremmo andare verso la città, ci allontaneremmo da chi ci ha rapiti e potremmo studiare meglio la situazione. Mi preoccupa la storia dei sigilli»
«Anche a me. Senza i sigilli è tutto più complicato: niente accesso alle armerie ed ai tesori dei Figli, niente letti e pasti caldi nelle loro caserme, niente informazioni dalle loro spie.» concluse sbadigliando nuovamente.
Thea sospirò girando la testa in modo da poterlo guardare negli occhi prima di parlare «Da soli non lo troveremo mai, usiamo i ribelli, anche loro lo stanno cercando»
La osservò per alcuni secondi in silenzio, accarezzandole il viso con un dito mentre le implicazioni dell'ultima frase si facevano strada nella sua mente. I ribelli. Non conoscevano molto di loro, qualcosa di più rispetto ai Manti Bianchi, erano certi della loro esistenza per lo meno ma non sapevano a cosa sarebbero andati incontro. Di certo avrebbero incontrato degli incanalatori esperti e gruppi ben più organizzati di quelli che periodicamente scovavano nelle periferie. Dovevano trovare una copertura formidabile per conquistare la loro fiducia. Diverse possibilità iniziarono a farsi strada nei suoi pensieri, sarebbe stata la loro più grande impresa. L'eccitazione allontanò qualsiasi traccia della sonnolenza che fino a poco prima intorpidiva la sua mente.
«Ci uccideranno tutti» le sussurrò piano
«Sì, ma solo quando l'Ombra si troverà le fornaci stracolme per tutte le anime corrotte che le avremo rispedito. Se riusciremo ad avvicinarci al Padre per loro sarà la fine.» «Questa volta si pentirà davvero per averci maledetti»
«In città spremeremo ogni nostro contatto, dobbiamo scoprire il più possibile su di loro» rispose Thea dopo essersi sollevata un poco per avvicinarsi, lasciando che Siadon le liberasse il volto dai capelli.
«Poi dovremo inventarci una storia mentendo il meno possibile, di certo ci interrogheranno. E se usassero le nostre stesse tessiture?»
«Allora dovremo ingannare anche noi stessi» sussurrò Thea poco convinta, poi continuò decisa «ma per ora vediamo di ottenere più informazioni e troviamo un'ottima copertura»
«Hai ragione. Sapranno che siamo incanalatori e non possiamo nascondere che sappiamo combattere, potremmo essere quello che rimane di un gruppo clandestino che si occupava di cercare altri come noi, è molto vicino alla realtà. Siamo davvero quello che rimane della Famiglia e facevamo proprio quello, certo dovremo mentire sul resto e dire che combattevamo contro i Manti Bianchi per difendere o liberare chi trovavamo.»
«Il nostro gruppo doveva essere davvero incapace se nessuno tra quelli che abbiamo salvato è ancora in vita. La cosa potrebbe creare sospetti non credi?»
«Hmm sì, non va bene...»
«E se raccontassimo la verità?»
«Vorrei morire dopo averli distrutti, non prima»
«Beh sì, non tutta la verità. Solo che siamo scappati da una setta di assassini al servizio dei Manti Bianchi per trovare gli incanalatori nel loro dominio. Magari riusciamo anche ad usarli per distruggere le sette, dobbiamo considerarle tutte compromesse. Sarebbe un buon inizio per causare la morte di un sacco di incanalatori da entrambe le parti, anche se dovessero giustiziarci subito dopo.»
Siadon rimase a pensare qualche istante, osservandola e seguendo con le dita i suoi lineamenti «Mi piace» sussurrò prima di baciarla «ma siamo in quattro, non reggeremmo a diversi interrogatori. Non sapendo di mentire»
Thea si raddrizzò, seduta cavalcioni su di lui. Con sguardo deciso, quasi infuriato gli premette l'indice contro il petto «Va bene ma non lascerò che l'Ombra tocchi i nostri ricordi! Non gli permetterò di corrompere anche quello che c'è tra noi due! Quindi se pensi di dimenticarti di me tanto facilmente, scordatelo!».
«Ancora? Ma non vi stancate mai voi due?» Elsa li stava raggiungendo dopo il turno di guardia.
«A volte è più testardo di un mulo... Prova tu a farlo ragionare» le rispose Thea senza spostarsi e lanciando a Siadon un'occhiata minacciosa. L'altra donna alzò le spalle, come se le fosse stato detto che l'acqua è bagnata, poi si sedette vicino al fuoco allungando le mani per scaldarsi.
Thea lo scrutò con rabbia un'ultima volta negli occhi, senza alcun preavviso si rasserenò e si chinò fino a baciarlo per poi alzarsi, recuperare alcuni coltelli ed una spada ricurva e sparire nella notte.
Siadon rimase a fissare l'ultimo punto nel quale l'aveva vista per alcuni attimi, con un'espressione incredula.
Luce... com'è successo?.... Si è sempre mossa in quel modo o questa volta era ancora più provocante?
«Hai intenzione di darmi una mano o intendi rimanere nel mondo dei sogni ancora per molto?»
Elsa si era avvicinata a Tomas, profondamente addormentato. Con un piede gli diede un paio di colpi ben poco affettuosi tra le costole senza che il ragazzo mostrasse alcun tipo di reazione.
Sussurrò qualcosa, avvicinandosi Siadon riuscì solo a cogliere «Non c'è gusto, non sente nulla!» ma gli bastò per ricordare quanto a quella donna piacesse giocare sulla pelle di chi faceva qualche stupidata, soprattutto se si trattava di uomini. Tra gli adepti del monastero era considerata un vero incubo.
«Portiamolo vicino al fuoco prima che si congeli» gli disse con tono piatto e mentre si chinava per afferrare i piedi di Tomas, lo guardò con un'espressione divertita «poi vedremo di... ragionare»

«Sarà una strage! Certo moriremo tutti ma è un'idea fantastica!» rispose Elsa con occhi grandi e sorridendo felice. Siadon sapeva che era molto brava nel nascondere le proprie emozioni ma era certo che questa volta fosse sincera. L'aveva ascoltato con attenzione mentre le spiegava come avevano pensato di procedere, osservando il suo volto illuminarsi sempre più ad ogni passaggio. Vedere tanto entusiasmo per un chiaro suicidio lo preoccupava ancora un poco ma Elsa era sua Sorella da molti anni ed aveva imparato a conoscerla.
Tu sei più pazza di me e Thea messi assieme! Pensò Siadon divertito.
Erano seduti uno di fianco all'altra vicino al fuoco, verso Est il cielo iniziava a tingersi di blu e Tomas ancora dormiva profondamente. Il turno di guardia di Thea non era ancora a metà.
Si era appena girato per controllare il fuoco quando uno schiaffo improvviso gli fece fischiare le orecchie.
«Sei uno stupido» il tempo di voltarsi e cogliere il volto di Elsa, già tornato alla solita aria seria con un accenno di follia nascosta, ed un secondo schiaffo gli fece infiammare anche l'altra guancia.
Dannata pazza si girò sollevando un braccio, pronto a fermare un terzo colpo o a vendicarsi di quelli subiti, non ne era certo si stava muovendo seguendo l'istinto. Uno sguardo veloce alla donna lo fece tornare calmo, era ancora seduta di fianco a lui e gli stava sorridendo come se niente fosse.
«Ha ragione lei» disse Elsa con tono da paternale
Che sorpresa! pensò Siadon massaggiandosi una guancia.
«Niente compulsione su noi stessi, scordatelo! Ed ora lasciami dormire, appena Tomas si riprende abbastanza da capire dove siamo, partiamo per Jennji, conciati come siamo dovremo avvicinarci di notte alla città, quindi difficilmente riposeremo prima di domani mattina.»



Norah

Norah non riusciva a scrollarsi di dosso lo stupore di quel repentino cambiamento d’ambiente.
Luce che meraviglia! ma cos’è sucesso??? Come?
Guardandosi alle spalle, si accorse che il carro era come uscito direttamente da uno degli alti edifici in pietra della città.
Luce! È come se fossimo sempre stati qui… Anche io voglio saper fare una cosa del genere! È sempre più meraviglioso!
«Chiudi la bocca o ingoierai qualche insetto!».
Voltandosi, Norah si accorse che Julian sogghignava apertamente, ma la curiosità vinse la tentazione di rispondergli adeguatamente per le rime.
«Ma come ha fatto?», mormorò verso il ragazzino indicando Dimion, che aveva indossato nuovamente camicia e mantello e salutava allegramente la gente per strada.
«Ma con il Potere, ovviamente! E’ meraviglioso, non trovi? Non vedo l’ora di saperlo incanalare anche io!» e in effetti quel desiderio gli si leggeva perfettamente in faccia…
Il Potere…
«Julian… che cos’è il Potere?».
Il ragazzo la guardò come se avesse chiesto cosa fosse il Sole. Poi ridacchiò, chiedendole se stesse forse scherzando e quando lei rispose ingenuamente di no, tornando serio, aggrottò pesantemente le sopracciglia, pensieroso.
Infine, schiarendosi la voce e cercando di usare un tono accademico iniziò a spiegarle, o meglio cercare di spiegarle cosa fosse il Potere.
«Ah.. beh l’Unico Potere è una specie di energia magica. Alcune persone, come mio padre, sanno incanalarlo, ossia utilizzarlo per fare certe cose».
Sembrava avesse difficoltà a trovare le parole giuste
«Insomma, tu incanali l’Unico Potere, Saidin per i maschi e Saidar per le femmine, e puoi fare qualsiasi cosa!», concluse con un’alzata di spalle e un sorriso a trentadue denti.
Norah, dal canto suo, non aveva capito nulla. Ma la possibilità di fare tutto quello che si vuole era davvero attraente!
«E come, come si fa a imparare?»
«Semplice! Se hai la scintilla del Potere dentro di te vai all’accademia e impari!»
«E come si capisce se si ha la… scintilla?», chiese Norah scandendo bene la nuova parola.
«Eh beh… di solito si capisce verso i dodici, tredici anni. Accade qualcosa di inspiegabile, magari si avvera un tuo desiderio fortissimo, oppure riesci a fare qualcosa di straordinario, e dopo qualche giorno ti senti male, una.. febbre di solito, e poi stai subito bene, come se non fosse successo nulla! Ma, di solito, all’accademia se ne accorgono subito! Gli incanalatori riescono a riconoscersi tra di loro, vedono la scintilla all’interno di tutti coloro che la possiedono già o che possono imparare…»
«Si può imparare? Io… potrei imparare?»
«Ma certo che puoi! Cioè, no… non tutti possono. Vedi, ci deve essere sempre la predisposizione ad accogliere dentro di se il Potere. C’è chi nasce con la scintilla e prima o poi incanala sicuro, poi c’è chi può imparare ad aprirsi alla Vera Fonte, cioè all’Unico Potere e invece chi non può perché non può, ecco. Chiaro?».
La guardò speranzoso e sorridente e Norah non volle fargli capire che in realtà era più confusa di prima, così gli sorrise timidamente di rimando e annuì.
Nel frattempo il carro aveva raggiunto quella che era la Via Maestra, una larga strada di terra battuta fiancheggiata da negozi di tutti i tipi, le cui facciate erano diverse per colore a seconda dei prodotti che vi si vendevano: il verde dell’ortofrutta sfociava nel blu della macelleria, per poi cozzare col rosso della sartoria e subito dopo continuare col giallo di un emporio… un miscuglio eterogeneo da far male agli occhi che culminava in un enorme torre a spirale di pietra che sembrava incombere sul resto degli edifici della città. L’austerità della costruzione grigio scuro colse Norah di sorpresa e, inconsapevolmente, la bambina si rannicchiò su sé stessa, di nuovo insicura e angosciata dalla situazione strana in cui si era ritrovata quella mattina.
«Bambina che succede?»
Dimion e Julian la guardavano preoccupati. La manona del Guaritore corse verso la fronte di lei, appurandone la frescura. «Credo sia solo preoccupata padre…»
«Mmm... beh è comprensibile. Quella torre è la Colonna degli Anziani. Ci dirigeremo lì e metteremo a conoscenza gli Anziani della tua situazione.». Il tono di Dimion cercava di essere rassicurante ma, suo malgrado, lasciava trapelare una certa insicurezza, come se non fosse del tutto certo di voler informare di quella faccenda qualcun altro, anche se comprendeva la necessità di parlarne agli Anziani. Non era cosa di tutti i giorni che una bambina ti piombasse fuori casa, sola e mezza morta. «Sono gli uomini più saggi della città, loro sapranno cosa fare… troveranno sicuramente una spiegazione.».

Anche dopo che Julian aveva smesso di raccontare, Norah aveva proseguito la propria ricostruzione degli eventi di quella giornata lontana, dilungandosi ancora per qualche istante nei ricordi, riassaporando la meraviglia che aveva suscitato in lei da bambina la vista di Calavron, quella stessa città che adesso conosceva come il palmo della propria mano.
Calavron non era una grande città. Si trovava in una bellissima valle circondata da alte mura di pietra, tra due picchi altissimi: le Rosse Sentinelle, così chiamate per il caratteristico terreno bruno-rossiccio che vi risiedeva. Anche in pieno inverno la neve non toccava le due cime, mentre all’interno della valle la città ne veniva sommersa.
Fortunatamente le strade venivano sempre adeguatamente spalate dalla Sorveglianza Cittadina con dei semplici flussi d’aria. La neve, accantonata e compattata ordinatamente all’interno dei grossi recipienti posti ai margini delle mura orientali, veniva in seguito depurata e utilizzata come riserva d’acqua in estate in caso di siccità. Calavron aveva da sempre sofferto escursioni termiche del genere e gli abitanti erano corsi ai ripari dopo tanti anni d’esperienza. Adesso tutto era quasi automatico, la natura meccanica della vita era impregnata in profondità nelle ossa del popolo Na’dal; nulla poteva scalfire la loro determinazione ad andare avanti, sempre e comunque, affrontando qualsiasi difficoltà.
Norah bambina, invece, non aveva mai sentito parlare del Potere e dei suoi utilizzi prima di entrare a far parte del clan dei Nad’al; era concepibile, quindi, che la sua prima reazione fosse stata quella di incredula meraviglia. Anche in seguito, però, la ragazza aveva sempre manifestato un interesse ed un’attenzione speciale per il Potere e tutto ciò che lo riguardava: vi era attratta al di là del comprensibile fascino che esso ispirava in tutti i giovani.
«Ecco, stiamo venendo al punto importante.», la voce di Dimion riscosse Norah dai suoi pensieri. «C’è qualcosa che non ho mai rivelato a nessuno, nemmeno a te, Julian.».
Norah spalancò gli occhi per la sorpresa e notò la stessa reazione incredula da parte di Julian. Il fatto che le fosse stata nascosta la storia del suo ritrovamento, viste le circostanze, era comprensibile: Norah se lo sarebbe quasi aspettato; ma l’idea che ci potessero essere segreti tra Dimion e Julian era incredibile. Padre e figlio erano così uniti che a volte sembravano agire e pensare all’unisono, come governati da un’unica mente.
«Su, adesso non fate quella faccia! Non è certo per mancanza di fiducia nei vostri confronti che vi ho nascosto questo segreto. Siete appena ragazzi... Ah! Beh, è il tempo di passarvi queste informazioni, e spero che ne sappiate fare buon uso.», disse Dimion, poi prese con calma un sorso di liquore mentre i due giovani pendevano dalle sue labbra. «Molti anni fa, prima ancora che tu nascessi, Julian, mi recai a Maemtaar con il mio vecchio amico Raikar per intraprendere i nostri studi. Durante le nostre ricerche ci imbattemmo in numerose profezie, com’è normale. Alcune di esse sono note, magari perchè hanno a che fare con leggende popolari, ma altre rimangono racchiuse in vecchi libri ingialliti per anni, se non per secoli, prima che qualcuno le rispolveri.».
Norah ignorava che Dimion avesse studiato a Maemtaar, la citta degli Idlean, la Casata del Sapere, e a quanto pareva nemmeno Julian ne era al corrente. Gli Idlean conservavano praticamente tutti gli scritti in possesso delle Casate dei Ribelli, e ne erano estremamente gelosi: era raro che a membri di altri clan fosse concesso di compiere i proprio studi presso di loro.
«In particolare, ci sono profezie che riguardano... beh, ve lo dirò fra un attimo.», proseguì il Guaritore «Ma prima fatemi tornare al racconto di quel giorno in cui portammo Norah a vedere Calavron. Eravamo rimasti a quando, arrivati alla Colonna degli Anziani, cercavo di persuadere Norah che gli Anziani avrebbero saputo trovare una spiegazione al suo misterioso ritrovamento. In realtà, non ne ero sicuro neppure io...»

Dimion avrebbe voluto mostrarsi più convincente, per rassicurare i bambini, ma onestamente quell’avvenimento lo aveva turbato: che un ragazzino si perdesse nella vallata era già successo, ma si era trattato sempre di figli degli abitanti di Calavron, mai di stranieri. Se l’aspetto e l’accento della bambina assicuravano che fosse nata e cresciuta presso una delle Casate dei Ribelli, era impossibile stabilire quale; inoltre, se un fanciullo si fosse smarrito nelle Montagne della Nebbia, era impossibile che potesse trovare una delle Città della Notte, anche solo per caso.
E poi c’è quella profezia…
Dimion poteva sentirla nell’aria, quella sensazione di pericolo, ma il suo amico Raikar Hymtar era sempre stato più sveglio e sensibile ai cambiamenti, non per niente era divenuto un Anziano dei Nad’al! Per questo sperava di poter scambiare due parole con lui, in privato, dopo il colloquio con gli Anziani.
Il carro non aveva avuto problemi a farsi strada tra la gente assiepata nella Via e in breve tempo raggiunsero i piedi della torre di pietra scura, levigata alla perfezione, di fronte a una scalinata di pietra altrettanto scura e levigata che terminava in un portone imponente decorato con un enorme disegno al centro: la mano col globo luminoso, splendente d’oro rispetto all’austero colore nero che la circondava.
Dimion aiutò Julian e Norah a scendere dal carro, che venne preso in consegna da un giovanotto per condurlo nelle stalle che si intravedevano accanto all’edificio.
«Julian, senti, perché non porti Norah a svagarsi un po’, eh? giocate con gli altri bambini, spassatevela, va bene? Io parlo con gli Anziani e vi raggiungo da Mastro Finn più tardi, che dici?»
«Va bene… però, ecco, pensavo dovessimo venire anche noi… per spiegare meglio la situazione», disse timidamente Julian, non incrociando lo sguardo del padre.
«Non penso sia necessario. A meno che… Julian, mi hai detto tutto, vero?»
Il ragazzino alzò lo sguardo allarmato, un velo di colpevolezza nei suoi occhi: «Ma no, padre, vi ho detto tutto! Giuro!».
Ah, Julian. Non sei mai stato bravo a dire bugie…Devi imparare ancora molte cose, figlio mio.
«Allora non è necessario che voi veniate… su, va a divertirti. È pur sempre il tuo compleanno.».
Il ragazzino annuì con vigore e si allontanò. Norah aveva seguito quello scambio, poco lontano, in totale silenzio e senza espressione e, quando Julian le prese la mano, si lasciò trascinare meccanicamente lungo la Via sempre più affollata di cittadini.
Dimion li guardò allontanarsi perso nei propri pensieri, cercando di analizzare al meglio la situazione prima di incontrare il Consiglio. Doveva ponderare bene le parole da dire.
Non posso credere che quella bambina sia davvero uno dei presagi più oscuri di questo mondo… quanto spero di sbagliarmi!
Alla fine, Dimion salì la scalinata che l’avrebbe portato dentro la Colonna, non ancora certo se per affrontare un vecchio scheletro del passato o, peggio, per portare la consapevolezza al mondo della sua futura distruzione.

All’ennesima pausa nel racconto Julian roteò gli occhi esasperato: «Padre, ti prego, vieni al punto! Di quale profezia parli?».
«Pazienza, figliolo, pazienza! Dimentichi che lo scopo di questo racconto è quello di risvegliare le memorie di Norah. E’ per questo che dobbiamo cercare di ripercorrere gli eventi di quella giornata con ordine, senza tralasciare nulla. Quello che io e Raikar scoprimmo tanto tempo fa a Maemtaar potrebbe essere importante, ma per saperlo ci occorrono i ricordi di Norah!».
Il ragazzo annuì, pur rimanendo imbronciato. «A proposito», gli disse allora Dimion «Perchè non racconti quello che faceste voi due in città mentre io ero impegnato nella Colonna?».
Julian tentennò qualche istante, poi incrociò lo sguardo di Norah, che con un sorriso lo incoraggiò ad incominciare...

Julian amava la Via… quella strada larghissima e coloratissima gli metteva sempre il buon umore. Per un attimo si lasciò trasportare da quel groviglio di gente, senza un pensiero al mondo, sorridendo ai negozianti che conosceva di vista. La mano di Norah, stretta nella sua, era gelata ma la bambina non sembrava farci caso. Scrutava tutto senza espressione, come se non stesse realmente prestando attenzione a nulla. O forse era solo persa in pensieri lontani da quel luogo.
Quello sguardo assente catturava l’attenzione di Julian continuamente e più volte il bambino rischiò di ruzzolare per terra perché non prestava attenzione alla strada ghiacciata o ai passanti frettolosi. In quelle occasioni Norah concentrava i suoi verdi occhi dubbiosi su di lui, il quale le rispondeva con un sorriso di scuse e proseguiva velocemente, rosso in viso.
Proprio al centro della Via si trovava la bottega verso la quale Julian stava puntando, un enorme emporio in cui regnava madama Jyll, una bellissima donna che aveva preso a cuore il bambino come una madre, oltre, come Julian sospettava, a essere innamorata di Dimion. La facciata verde chiaro della bottega aveva sicuramente bisogno di una riverniciata e la porta d’ingresso necessitava di una buona mano d’olio per attenuare il rumore che faceva quasi da campanello a ogni singola entrata nel negozio. Tenendo sempre Norah per mano, Julian entrò, affrontando il cigolio della porta con una smorfia di fastidio, e subito si sentì a casa. L’intermo del negozio era affollato di merce: barilotti accatastati contenenti ogni tipo di bevanda facevano da pareti divisorie ai sette tavoli disposti a cerchio, quasi del tutto vuoti, in cui la gente solitamente si soffermava a chiacchierare un po’ o a degustare la mercanzia del negozio. La luce calda e accogliente proveniva da un bel camino acceso lungo il lato destro del locale e ogni sorta di delizia pendeva dal tetto o era stipata nel retro del bancone di Madama Jyll. Quest’ultima era proprio lì, al bancone, strofinando dei bicchieri che non avevano bisogno di essere puliti, lo sguardo perso in chissà quali pensieri. Il suono stridulo della porta, a quanto pare non era poi tanto forte da attirare l’attenzione della commerciante. L’unico che indirizzò un occhiata acuta verso di loro fu il vecchio Kay, seduto al tavolo in ombra che occupava l’estrema sinistra della bottega. Seguì i due bambini finchè questi non raggiunsero la donna, mormorando tra se e sembrando a Julian più pazzo che mai. Era famoso in città per le sue corse in preda ad ossesse grida che proclamavano la fine del mondo da lì a pochissimi giorni. A volte dimenticava persino di vestirsi, usciva di casa completamente nudo e iniziava a correre come inseguito da chissachì. Quando poi, gli si chiedeva perché non fosse affatto arrivata nessuna disgrazia, rispondeva che aveva sbagliato dei calcoli che solo lui sapeva e ricominciava il giorno dopo, ancora più furioso e svitato di prima.
Arrivati in prossimità del bancone, Julian scostò lo sguardo dal vecchio Kay ancora mormorante, e attirò l’attenzione della bellissima commerciante, ancora soprappensiero.
«Madama Jyll, buongiorno, sono Julian. Siamo arrivati da poco in città ed ero tanto desideroso di rivederla… madama Jyll?»
La donna focalizzò lo sguardo su di lui e, dopo un momento che parve un’eternità, si riscosse del tutto, sbattendo più volte le palpebre, come per rischiarare la propria vista e focalizzarla al presente, cambiando al contempo completamente espressione.
«Luce, Julian! Ciao, piccolo mio.. scusa era un po’ distratta. Con tutto quello che è successo negli ultimi giorni… Allora! Come stai?»
«Benissimo, direi. Lei? Sicura di stare bene? Non l’ho mai vista così..».
E in effetti non era solo uno sguardo assente, quello di Madama Jyll. Adesso Julian poteva chiaramente vedere negli occhi della commerciante anche un pizzico di paura e angoscia.
Luce ma che è successo al mondo? Apparizioni che mi terrorizzano e, adesso, anche gente solitamente allegra che sembra aver perso qualsiasi tranquillità! E come dimenticare l’apparizione di una bambina dal nulla!
«Sì, sì, sto bene… è solo un momento un po’ incerto, tutto qui. Hai detto che siete arrivati da poco, ma dov’è tuo padre?... e chi è questa bellissima bambina?», rispose la donna con il sorriso di nuovo alle labbra e squadrando criticamente la bambina di fronte a lei.
«Lei è Norah. L’ho, ehm, aiutata ieri sera… si era persa, nel bosco. Mio padre, invece, doveva parlare agli Anziani di qualcosa, non so...».
Julian non sapeva perché stesse raccontando quelle bugie a una persona di cui si era sempre fidato, ma un qualcosa gli diceva di essere prudente. Madama Jyll, d’altro canto, non sembrava troppo convinta da quelle spiegazioni. Teneva un sopracciglio sollevato e uno sguardo molto penetrante si focalizzò sul bambino che, praticamente, aveva allevato dalla scomparsa della madre. Julian non riuscì a tenere per molto quell’occhiata.
«Anche lui a colloquio con gli Anziani, eh? Neanche fosse la Giornata delle Udienze.».
Ringraziandola silenziosamente per non aver insistito, Julian sollevò nuovamente lo sguardo e si accorse che la commerciante sembrava di nuovo persa nei proprio pensieri, tamburellando con un dito sulle piccole labbra rosse.
«Madama Jyll, ha parlato di avvenimenti recenti, prima... che genere di avvenimenti di preciso?».
Non so se sperare in qualche spiegazione che riguardi il mio uomo dagli occhi gialli o se preferisco dimenticarmene. Luce, se solo ci ripenso mi viene di nascondermi, codardo che sono!
«Oh, beh... diciamo che c’è un sacco di movimento tra Calavron e i paraggi… Molta gente è tornata in città attraverso i passaggi, spaventata a morte da ombre nell’oscurità, o così dicono. Questo non sarebbe poi così strano, d’inverno ci sono sempre lupi in cerca di qualcosa da mangiare nelle fattorie, ma quello che mi preoccupa, in verità, è che la gente che è tornata è famosa per non aver mai abbandonato le proprie case, anche in situazioni disperate. Gente che non si fa certo spaventare da qualche ombra… Ne ho ospitata qualcuna in questo stesso negozio ieri, quando c’è stato maggior flusso di gente e Mastro Finn e Mastro Tarner non avevano più posto nelle locande… Parlavano tutti di ombre, ululati, ma ciò che li ha spinti qui, a chiedere consiglio agli Anziani, è stata una sensazione, dicono. Una sensazione di pericolo come non mai… Ora, io posso capire una famiglia che si fa prendere dal panico e crede di sentire nell’aria una tale sensazione.. ma dieci famiglie, tutte con la media di dieci-dodici membri.. mi sembrano un po’ tante per essere una coincidenza!»
Sembrava che stesse parlando da sola, un mormorio cadenzato che aveva portato Julian alla sera prima: lui non aveva sentito nessuna sensazione di paura, non prima di aver incrociato lo sguardo di quegli occhi gialli. Da allora era stato pressoché terrorizzato, altro che semplici sensazioni.
«Oh... scusate, bambini. Mi sono lasciata trasportare dai miei pensieri, non preoccupatevi: sto solo pensando ad alta voce. Sto diventando vecchia.
Ah...», aggiunse poi, con una faccia dispiaciuta «Sono stata io a farvi venire su quelle facce, parlo troppo… mia madre me l’ha sempre detto. Devo rimediare! Volete qualche pasticcino? Ma certo, deve ancora nascere il bambino che non desidera qualche dolcetto. Vado a prenderli…».
Lanciando ai due bambini un ultimo sorriso di scuse, si diresse verso il retro del negozio, sparendo oltre la lieve tenda rossa che separava il negozio da quella che doveva essere la cantina. Julian non pensava di aver fatto trasparire il terrore che provava ma quando guardò Norah non ebbe dubbi sul perché Madama Jyll si sentisse in colpa: gli occhioni della bambina sembrava stessero per cadere dalle orbite, il respiro le si era fatto più affannoso e la stretta sulla mano di Julian si era serrata come una morsa. Preoccupato, Julian, istintivamente, si avvicinò a quella creatura indifesa e l’abbraccio stretta.
«Tranquilla, risolveremo questa situazione... papà risolverà tutto.».
Norah aveva iniziato a piangere.

Di nuovo, l’imbarazzo colse Julian nel raccontare come, da bambino, aveva provato l’impulso di consolare la piccola Norah con un abbraccio. La ragazza invece fu grata a Dimion per aver chiesto al figlio di proseguire nella narrazione: Julian aveva uno stile molto particolareggiato, e i numerosi dettagli contribuivano a risvegliare in lei le memorie di quel giorno lontano. Inoltre, Norah non condivideva l’impazienza di Julian per conoscere quale fosse il segreto che suo padre gli nascondeva da tanto tempo. Cominciava ad avere paura che altre ombre si aggiungessero a quella, già spaventosa, che era apparsa nella notte del suo ritrovamento. E questa paura vinceva sulla curiosità di sapere qualcosa di più sulla misteriosa profezia.
«Già... Mi ricordo le voci che girarono allora, e per alcuni giorni a seguire.», intervenne ad un tratto Dimion «Pastori e contadini della vallata spaventati da ululati nella notte. Ci fu molto scalpore: qualcuno invocò persino il pattugliamento regolare delle campagne. Gli Anziani dovevano aver già ricevuto la visita di parecchi altri cittadini inquieti, quel giorno, prima di ascoltare me. Poi, in seguito, col tempo le voci cessarono; si disse che un branco particolarmente grosso di lupi fosse passato per la vallata, poi diretto altrove. I contadini dimenticarono le loro paure e soprattutto quella strana sensazione di pericolo, e fecero ritorno alle loro case.».
Visto che Julian non aveva altro da aggiungere, il padre allora sospirò e disse: «Bene. Allora riprenderò da dove ho lasciato, al mio ingresso nella Colonna degli Anziani... Eh... Norah cara, è una cosa molto difficile quella che ti sto per dire. Prima di continuare voglio che tu sappia che io e Julian ti vogliamo bene e ti sosterremo qualunque cosa il destino abbia in serbo per te...»

Dimion aspettava da un bel po’ in quel freddo atrio dal soffitto a volta, illuminato naturalmente dalla luce che filtrava dai finestroni posti in alto, quasi a contatto col soffitto. La sua pazienza lo stava abbandonando.
Quanto ci vuole per ricevere qualcuno! Sono diventati così esclusivi?Dovevo prendere un appuntamento forse! Bah!
Era seduto in una delle numerose panchine disseminate lungo le scure pareti curve dell’atrio, lateralmente rispetto all’enorme porta d’ingresso a destra e il Seggio Segretario a sinistra. Si era già avvicinato due volte a quell’enorme piedistallo di marmo scuro occupato da un ragazzino pallido impegnato a mettere ordine in un libro mastro, ed entrambe le volte la sua volontà di parlare con gli Anziani era stata liquidata con la richiesta di attendere. Nell’atrio andavano e venivano diverse persone, uomini dalle lunghe vesti verdi tipiche dei Maestri dell’Accademia, diversi giovani con libri in mano appena ritirati dalla grande biblioteca che si trovava nei sotterranei di quello stesso edificio e gente comune, che come lui aspettava… tanta gente comune. Era forse una Giornata delle Udienze, quella?
Ma no, ormai è troppo tardi per le Udienze. Ma allora tutta questa gente che ci fa qui?
«Mastro Grunch, il Consiglio è pronto a riceverla.», Dimion trasalì al suono squillante di quella voce femminile, appartenente a una delle tante dipendenti del Consiglio. La ragazza aspettò che si alzasse, poi lo guidò attraverso l’atrio verso la grande porta a doppio battente che immetteva negli infiniti corridoi della Colonna. Presero il terzo corridoio sulla sinistra e iniziarono a salire per qualche piano di scale, a spirale, finchè Dimion si ritrovò di fronte alla familiare porta rossa che immetteva nella Sala delle Udienze. Era stato lì decine di volte e, nel passato, aveva anche pensato e sperato che un giorno sarebbe stato uno degli Anziani che la gente veniva a consultare, un uomo saggio su cui contare. Le cose era andate molto diversamente, però.
La ragazza bussò due volte e, subito, un’altra donna aprì la porta dall’interno, prendendo Dimion in consegna. Una volta entrato, il Guaritore si sentì a casa. Conosceva di persona quattro degli Anziani, uno dei quali gli aveva quasi fatto da padre: l’Anziano Simion Na’dal era un uomo statuario, ormai quasi calvo e con gelidi occhi azzurri che incutevano ancora timore a chiunque, nonostante l’età avanzata. Dimion era cresciuto con i suoi insegnamenti, con i suoi consigli… era stato lui a spronarlo a lasciare Calavron vent’anni prima e a recarsi a Maemtaar dagli Idlean, per migliorare le sue conoscenze, per diventare un perfetto Consigliere. Accanto a lui sedeva Raikar Hymtar, ultimo membro del Consiglio, giovane per i canoni di “Anziano” ma aveva dimostrato di meritare appieno quel posto. E che la gente pensasse quel che volesse, dato che Raikar era stato notoriamente l’altro preferito di Simion oltre Dimion. Gli altri Anziani erano stati insegnanti all’Accademia: l’Anziana Edara Na’dal, lontana cugina dell’Anziano Simion, e l’Anziano Kurt Tremain si erano assicurati il loro seggio a seguito di numerose scoperte mediche e, complice la veneranda età, la loro nomina era stata quasi automatica.
La vera trasgressione all’interno del Consiglio era, però, personificata dalla Somma Anziana: Amy Neves. Era una donna matura e ancora bellissima, con lucenti capelli corvini che le incorniciavano un viso perfetto, austero ma sensuale. Nessuna Anziana era mai stata famosa per la sua bellezza, ma Amy Neves non era una persona qualunque. Il Consiglio degli Anziani, in generale, era formato solo da abitanti nati a Calavron, in modo da poter capire appieno le necessità, spesso insensate agli occhi stranieri, del popolo Na’dal. Per innalzare Amy Neves al seggio di Somma, però, molte regole erano state surclassate. La Somma era arrivata a Calavron circa dieci anni prima da Hama e la sua intelligenza, caparbietà e il fascino innegabile le avevano assicurato una rapida ascesa al Consiglio.
Mentre Dimion si avvicinava, preceduto dalla ragazza che lo aveva accolto alla porta rossa, al palco dei Consiglieri, lo scranno della Somma in posizione centrale e più elevato rispetto a quello degli altri Anziani, Raikar lo guardò fisso e, dopo un po’, alzò timidamente il dito indice della mano destra emulando il movimento di un artiglio che graffia una parete.
"Misurare le mie parole"? Questo segno lo facevamo quando eravamo fra nemici, Raikar… di chi non ti fidi nel Consiglio?
Grattandosi la mano destra Dimion rispose all’avviso dell’amico affermativamente e, quando la ragazza lo annunciò ed ebbe ottenuto il permesso di prendere parola dalla Somma, Dimion iniziò a spiegare quello che era successo la sera prima… ma misurando le parole.
«Anziani del Consiglio. Sono qui oggi per informarvi di un fatto strano avvenuto in prossimità di casa mia, al Crocevia meridionale, nel Bosco della Sera. Mio figlio, Julian si trovava nel portico e a un tratto ebbe sentore di una sensazione...»
«Mi faccia indovinare, di pericolo?», lo interruppe la Somma.
«Si, Somma Neves, di pericolo...», affermò Dimion chinando il capo in cenno di assenso.
Sospirando, la Somma chiuse gli occhi.
«Sei la decima persona che viene a comunicare una cosa del genere, Dimion…», aggiunse Simion in tono grave ma esasperato.
Dimion alzò gli occhi sul suo mentore e fu attratto da un altro cenno di Raikar: pollice e indice si picchiettavano continuamente.
“Fai finta di non sapere nulla”… Ma Raikar, io non so nulla davvero!
«Non ne ero al corrente, Anziani… mi scuso per la ripetitività, ma non mi era mai capitato e mi ha dato da pensare. Sapete tutti voi quali tematiche hanno affollato gli ultimi discorsi del Consiglio… o per lo meno quelli nati dalle supposizioni mie e dell’Anziano Hymtar.».
Questa volta l’occhiata truce dell’amico non ebbe bisogno di segnali segreti.
«Si, Dimion, sappiamo tutti le vostre supposizioni.» Il tono della Somma era più che esasperato. «E abbiamo già affrontato il problema.»
«Ma adesso...»
«Adesso non è cambiato nulla, non possiamo evocare uno stato di agitazione sulla città solo per delle sensazioni di pericolo!»
«Ma avete detto anche Voi che non sono solo mie sensazioni, questa volta! La situazione sta cambiando, lo sapete anche voi. Quante volte abbiamo esaminato gli antichi scritti in cerca di segni come questo! Il pericolo tempra l’aria…». Il tono accalorato aveva sempre attirato l’attenzione sulle parole di Dimion, ogni volta che lo usava. «Non lo sentite anche voi…?».
I quattro Consiglieri abbassarono lo sguardo sulle proprie mani congiunte, Raikar con un sorriso sulle labbra appena accennato. Solo la Somma manteneva quello splendido viso altero e freddo.
«Mastro Grunch, glielo ripeto per l’ultima volta: sono solo sensazioni.».
«Non mi avreste messo a vivere in una zona come quella del Crocevia, se non aveste voluto essere informati di una cosa del genere. Non sono un Difensore di Calavron? Non mi avete dato voi questo compito? Riferire qualsiasi cosa strana? Adesso vi chiedo solo un po’ di attenzione…»
«Un Difensore di Calavron dovrebbe avere più cognizione. Non fondare ipotesi su sensazioni! Non vedo la logica in queste insensatezze.»
«A volte non c’è una logica in tutto, Somma... esistono cose inspiegabili, misteriose. Non sappiamo tutto.»
«No di certo… Ma capisci bene, Dimion, che non possiamo allertare tutta la comunità solo per delle sensazioni», era Tremain, questa volta, il viso pensieroso e preoccupato solcato da più rughe di quante il Guaritore ricordasse.
«Allora teniamo fuori il popolo, ma di sicuro ci vorrà qualcuno per indagare! Molte scritture vanno ancora studiate, non riusciamo a capire ogni Profezia. Siamo una delle biblioteche più fornite sotto questo aspetto, perché non invitare la gente di Maemtaar e anche di Hama?», esclamò Dimion rivolto nuovamente alla Somma «Anche loro hanno buone conoscenze, magari diverse dalle nostre, potremmo scoprire qualcosa in più, preparar…»
«Basta!»
Lo schiocco sordo di una mano accompagnò la parola della Somma. Il viso era ancora duro come la pietra ma lo sguardo scintillava.
«Abbiamo sentito abbastanza, Mastro Grunch. Una cooperazione con le altre Città della Notte, adesso? E, perché no, una collaborazione con i Tiranni già che ci siamo... anche loro potrebbero sapere qualcosa in più di noi, no?».
«Non ho dubbi al riguardo…» Adesso anche Dimion era freddo. Sfidare così apertamente la Somma non credeva fosse mai avvenuto prima. Si aspettava di certo una sentenza molto dura da quella bocca tesa, dopo quest’episodio.
«Basta così, figliolo…», la Somma rivolse l’occhiata fulminante da Dimion a Simion, che la ignorò, concentrato sul suo allievo storico. «E’ una situazione difficile e ce ne rendiamo tutti conto… conosciamo a memoria, quasi, le scritture, ma non sempre riusciamo a capire le Profezie. Mi piacerebbe di certo una cooperazione tra le Città Ribelli, ma la segretezza è troppo radicata nella tradizione del nostro Popolo.».
«Alcune Profezie sono abbastanza chiare però...», si intromise Raikar con tono chiaro e solenne:
«La coscienza arriverà cavalcando Ombre invisibili.
Il Popolo dimenticato ne sentirà la venuta
col cuore stretto e il fiuto distorto.
La città Lucifera donerà il frutto, marcio,
della Sua liberazione.
E sarà la rovina per le genti della Notte.

Mi sembrano abbastanza chiari i riferimento al Popolo della Notte. E le ombre, chiamiamole invisibili, di questi giorni? Abbiamo più di trenta testimonianze! Ebbene sì anche di bambini!», aggiunse quando lo scetticismo attraversò il viso delle due Anziane presenti.
«Abbiamo bisogno di aiuto. Non sappiamo tutto, non tutte le Profezie sono chiare come quella che ho appena recitato...
Spargerà il sangue del Popolo latente
e rinnegherà il destino luminoso
se il sacrificio non verrà sancito
e la Torturatrice raggiungerà la sua anima.
Allora Egli si innalzerà sopra il mondo
e la guerra avrà vittoria sulla libertà.

Secondo voi questa cosa significa? Siamo noi il Popolo latente? Quale sacrificio? Chi è la Torturatrice e soprattutto come impediamo che la Profezia si avveri in quella maniera? Non capite quanto oscuro il destino potrebbe essere se non iniziamo a prendere coscienza di cosa questo periodo possa significare per noi? E se il Drago stia veramente rinascendo? Se fosse già risorto?».
Adesso Raikar guardava dritto negli occhi ogni Anziano. Il volto angosciato e determinato dell’amico diede forza a Dimion per continuare ad infierire sulla questione, ma quando stava per aprire bocca Raikar guardo lui e gli strizzò l’occhio. Dimion, allora, rimase silenzioso, mentre i Consiglieri rimuginavano sul discorso appena sentito. Simion aveva anche un leggero sorriso sulle labbra, guardando di sottecchi i suoi prediletti, mentre gli altri tre Anziani cercavano di mantenere un’espressione dignitosamente fredda, non lasciando trasparire rabbia o paura.
Alla fine la Somma dichiarò che la questione sarebbe stata discussa appropriatamente in Consiglio. Era il massimo che poteva concedere ai due giovani.
Mentre Dimion chinava il capo per congedarsi, recepì il messaggio di Raikar che lo invitava a rimanere nell’atrio, dove l’avrebbe raggiunto presto, e, preso in consegna dalla ragazza che, docile, era rimasta in disparte ed estranea alla discussione attraverso sottili pareti d’Aria, ripercorse il tragitto inverso e si ritrovò nell’atrio, rimuginando su cosa era appena successo.
Evidentemente c’è divisione all’interno del Consiglio…e sospetto. Ormai c’è sospetto ovunque.
Sospirando, si sedette nuovamente su una panchina aspettando l’amico, che si presentò poco tempo dopo portando con sé un vecchio libro rilegato in cuoio. Dimion lo riconobbe: lo avevano studiato insieme tanto di quel tempo.
«Dimion… ah, mi sei mancato nelle ultime settimane, amico mio.».
I due si scambiarono un breve ma intenso abbraccio, sigillo di un’amicizia a lungo coltivata. Poi Raikar guidò Dimion nel suo studio e, dopo avergli versato una tazza fumante di vino speziato riscaldato perfettamente da flussi di Fuoco permanenti, gli porse di fronte il libro che più li aveva ossessionati dal loro ritorno da Maemtaar.
Dimion posò la tazza fumante e prese il libro tra le mani. Sensazioni vecchie si impadronirono del suo animo sempre giovane: incertezza, angoscia, paura, ma anche determinazione, coraggio e volontà di sapere sempre di più.
«Quanto tempo abbiamo passato su queste pagine, a cercare di capire, interpretare… quante giornate spese inutilmente, Raikar.»
Alzando lo sguardo sull’amico, Dimion si accorse che questi lo soppesava con quell’incredibile sguardo, infuocato e appassionato, ancora, dopo tutti quegli anni.
«Credi davvero che sia stato tempo sprecato Dimion? Tutto quello che abbiamo scoperto allora?»
«Ma cosa abbiamo scoperto, Raikar, alla fine? Che il Drago rinascerà? Sì, bene, ma quando? Dove? Come? Ci sono troppe Profezie ancora da interpretare, per capire cosa dobbiamo fare! Io ho parlato al Consiglio oggi, ma volevo solo ricordare a me stesso per cosa ho deciso di combattere. La verità è che non ho più fiducia. E ho come l’impressione che sia già tardi.»
«No, Dimion non è ancora tardi… Tutto può ancora essere cambiato. Il Disegno tesse come vuole, ma noi sappiamo che ci sono persone che possono cambiarlo. Basta sapere cosa fare, quando e come.»
«Ah, nient’altro?»
Raikar sorrise.
«Cos’è successo ieri, Dimion? Non è solo quello che hai raccontato al Consiglio vero?»
«Mi hai fatto tenere la bocca chiusa, Raikar. Ovviamente c’è qualcosa in più. Non avrei chiesto un’ulteriore udienza, dopo l’ultima del mese scorso. Mi hanno praticamente umiliato, allora, ricordi?»
«Gli Anziani non sempre hanno la pazienza che propagandano.»
«Già… Beh comunque. Quello che è successo ieri è abbastanza inquietante. Julian ha trovato una bambina al limitare del Bosco, proprio vicino al portico della mia casa, nuda e mezza morta di freddo. L’ho guarita. Stamattina, appena sveglia, era terrorizzata e senza memoria.».
Raikar annuiva fra sé, lo sguardo posato sul libro nelle mani di Dimion.
«Ieri sera è avvenuto qualcosa, Raikar. Qualcosa di pericoloso, qualcosa di brutto. L’ho percepito. Una sensazione molto forte. Non è vero?».
L’amico sollevò su di lui gli occhi neri e annuì piano.
«Si, Dimion. Ieri sera ho sentito il Disegno piegarsi. Sai quanto forti siano le mie percezioni. Ho sentito uno strappo, la perdita di qualcosa, non so se riesci a capirmi. Dimmi, Julian ha visto qualcos’altro?»
«Credo proprio di sì ma non vuole dirmelo, era terrorizzato a morte... che sia una di quelle Ombre di cui parlavi prima?»
«Può darsi... è un momento molto oscuro, amico mio... e io ho paura per la prima volta dopo tanto tempo.».
Il viso di Raikar era angosciato, adesso. Fece cenno verso il libro di cuoio e Dimion glielo porse, aspettando, mentre il Consigliere sfogliava le pagine concentrato.
«Hai detto che la bambina non ricorda nulla?»
«Sì»
«Ed è apparsa dal nulla?»
«A quanto pare… se Julian non ha taciuto proprio su questo dettaglio...»
«Mmm, ricordavo qualcosa sulla perdita di memoria di qualcuno connesso alla nostra città...»
«Si, Raikar la ricordo anche io quella Profezia. Ecco perché oggi sono venuto da te...
Il Fratello Oscuro cammina nel mondo
la nuova Ombra di un antico sentore di Morte,
avanzando un antico compito nella nuova Era.
E, quando al mondo egli condurrà la Senza-memoria
la Caccia Nera sarà ormai prossima.
La Senza-memoria appare nella città Lucifera
e la speranza del mondo crolla sotto la sua innocenza
è l'Ombra che la guida, l'Ombra che la osserva
ed è l'Ombra che risveglierà il suo destino assopito.
La senza-memoria Vive e la Torturatrice rinasce
».
I due amici si guardarono a lungo, dopo che Dimion ebbe finito di recitare quella Profezia.
«Com’è facile interpretare le Profezie quando sai cosa cercare…», disse infine Raikar, un mormorio quasi impercettibile.
«Tu sei sicuro che la città Lucifera sia Calavron?»
«E’ il nostro simbolo da tempo immemore, Dimion… Mi sa che abbiamo trovato la nostra Torturatrice, dopo tutto.»
«Sì, ma cosa facciamo? E’ una bambina.».
Raikar sospirò.
«Ecco la parte più difficile. Decidere… come fai a decidere del destino del mondo? E se poi sbagli?»
«Raikar la nostra è un interpretazione come un’altra… Non riesco a credere che una bambina personifichi uno dei presagi più oscuri di tutto quel libro!»
«... la speranza del mondo crolla sotto la sua innocenza... », rispose l’Anziano citando.
«Raikar!»
«Dimion…Ah! Non sto dicendo di far fuori quella bambina se è di questo che hai paura…».
Dimion, involontariamente, tirò un sospiro di sollievo. Era stato sveglio un’intera notte a rimuginare su quella bambina collegata all’apparizione di una sensazione di percolo soffocante ed era entrato in una vera e propria fase d’angoscia quando, quella mattina, la bambina non ricordava nulla. Gli era subito tornata in mente quella Profezia e non poteva scrollarsi di dosso la sensazione di aver salvato la probabile fonte di distruzione del mondo. A volte, l’aver passato tanto tempo su quelle pagine, gli faceva perdere lucidità. Non avrebbe mai lasciato morire qualcuno.
«E allora cosa consigli di fare?»
«La terremo con noi… magari diremo che è una mia nipote proveniente da Maemtaar e ho chiesto a te di tenerla per un po’. La cresceremo come una di noi. Forse abbiamo ricevuto la possibilità di cambiare il Disegno, chissà.».
Quanto avrebbe voluto, Dimion, credere alle parole del suo amico Consigliere.

Non appena finto di parlare il Guaritore vuotò d’un fiato il suo bicchiere. I suoi occhi si spostavano continuamente, da Norah al focolare, poi di nuovo sulla ragazza. Voleva evidentemente tenere d’occhio il contraccolpo che le sue rivelazioni avrebbero avuto su di lei, ma allo stesso tempo non aveva il coraggio di sostenere il suo sguardo. Norah era allibita. Non si poteva dubitare delle parole di Dimion, l’uomo non le avrebbe mai raccontato delle menzogne. La sua mente stava disperatamente cercando una falla, un punto debole nella realtà che si stava formando nella propria coscienza, come un topo intrappolato che cerca una via di fuga dal gatto che incombe su di lui. Ma tutto quadrava perfettamente: il suo passato misterioso, il vuoto di meomoria, i ricordi di Julian, i recenti incubi e, per finire, la profezia scoperta da Dimion.
Si chiese se non fosse un brutto sogno, anche quello: era tornata incredibilmente stanca dall’Accademia, forse si era addormentata di schianto appena entrata in casa e adesso si trovava in un altro maledetto incubo... No, questa è la realtà, disse una voce dentro di lei, ed è giunto il momento di affrontarla. Norah ebbe un sussulto: «No! Non è vero, non può essere...», protestò, mentre le lacrime cominciavano a velarle la vista. Vide Julian e Dimion che si scambiavano un’occhiata allarmata, poi il ragazzo accorse a rinfrancarla.
«Calmati, adesso. Vedrai che troveremo una soluzione. Tutto si sistemerà...», diceva Julian mentre le prendeva gentilmente il liquore di mano e l’aiutava ad alzarsi. «Vieni, ti porto in camera: hai bisogno di riposare. Domani chiederemo un’udienza urgente al Consiglio e loro ci diranno cosa fare, non è vero, padre?».
Dimion aprì la bocca per rispondere, ma qualcosa gli impedì di continuare. Rimase così, a bocca aperta, pallido in viso e con uno sguardo impotente. Norah non l’aveva mai visto così scoraggiato, lui che era uno combattivo di natura e sempre cocciutamente ottimista. Si chiese cosa potesse averlo sconvolto così, poi realizzò che probabilmente era stato il proprio aspetto. Cercò di ricomporsi, ma le sue gambe presero a vacillare e si dovette sostenere a Julian. Il ragazzo la stava già conducendo verso le scale, ma Norah non voleva andare in camera, non voleva riposare. Provò a ribellarsi, a dire che sarebbe stato peggio, che gli incubi l’avrebbero tormentata nuovamente, ma le frasi uscivano sconnesse dalla sua bocca.
Una volta in camera, sdraiatasi accanto a Julian, sentì il proprio battito rallentare e le gambe smisero di tremare. Per qualche attimo sperò di aver ritrovato la calma, ma proprio in quel momento iniziò il sogno...

Era un salone di pietra scura, con un grosso camino spento anch’esso in pietra, verso cui tutte le pareti sembravano condurre l’occhio. Erano l’unico elemento della stanza totalmente in penombra a eccezion fatta per una finestra lungo il lato orientale, tramite la cui grata filtravano una serie di rettangoli di luce lunare. Si sentiva piccola in quella vastità e il vuoto e l’inattività di quella stanza le rinfacciavano quasi il fatto di essere viva. Angosciata da quel silenzio e chiedendosi come fosse arrivata in quel luogo desolato, decise di muoversi verso la finestra per capire dove si trovasse attraverso quelle sbarre nere.
Mentre si muoveva non sentiva l’eco dei propri passi, ma questo, inspiegabilmente, non le parve strano. Raggiunse la finestra - si era forse spostata in basso per lasciarla guardare? - e si sporse, lasciandosi abbracciare dalla luce della Luna: subito il respiro le morì nel petto, il cuore iniziò a martellare più velocemente quasi a combattere quell’improvvisa resistenza alla vita. Attonita, fece scorrere lo sguardo su un panorama senza fine e che sconvolse la sua mente irreparabilmente: ai piedi della torre da cui stava guardando si estendevano scomposti centinaia, no, migliaia di cadaveri, uomini, donne, bambini e creature alle quali non sapeva e voleva dare nome. Altrettanti corvi e carogne stavano in mezzo ai corpi e senza indugio strappavano brandelli di pelle, ingurgitandoli e lanciando grida di gioia raccapriccianti.
Lanciando un urlo disperato e terrorizzato, si scostò da quell’incubo indietreggiando sino alla parete opposta, rannicchiandosi su se stessa e iniziando a piangere convulsamente. Quell’orrore non poteva essere reale! Dove si trovava e perché i suoi genitori non erano li con lei?
«Norah, bambina. Perdona lo spettacolo a cui hai assistito, non abbiamo avuto il tempo si ripulire. C’è tanto da fare...» disse una voce, sospirando e sembrando contrita.
La bambina si immobilizzò terrorizzata più che mai. Non aveva il coraggio di alzare la testa e incrociare lo sguardo di chi aveva parlato. Non conosceva quella voce profonda e apparentemente rassicurante, ma aveva un brutto presentimento.
«Non aver paura, piccola. Non ti farò del male» adesso la voce era così suadente…
Norah si sentiva braccata e, contro la sua reale volontà, la mente ordinò al suo corpicino tremante di sciogliere l’abbraccio nel quale si era rinchiusa e alzare lo sguardo su quello sconosciuto…
Degli occhi gialli, un sorriso agghiacciante e poi il buio…



continua......



Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di Mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 21
*** Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte decima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 2: Seguendo la leggenda [parte decima]

Mabien Asuka

Un dolore lancinante alla spalla sinistra le fece riprende i sensi brutalmente. Qualcosa la stringeva alla vita e la teneva sospesa da terra, ma fu la scena che si trovò davanti agli occhi appena aperti l'unica cosa a cui andò l'attenzione di Mab: una lama nera trapassava la spalla sinistra di Hilda.
«No!»
In un frammento di tempo che parve dilatarsi, il suo grido si mischiò a quello di Hilda, mentre la bionda traeva indietro il busto, riuscendo così a liberarsi dalla spada del suo avversario e, incurante del fiotto di sangue che ne conseguì, riprese lo scontro, in un impeto di furia e determinazione. Il possessore della spada che l'aveva ferita era quello che stava tenendo Mab in ostaggio, stringendola al proprio corpo con un braccio ed usandola alla stregua di uno scudo, mentre affrontava la sua compagna in uno scontro che probabilmente non durava da poco, a giudicare dalla stanchezza che sentiva provenire dal legame.
In movimento continuo tra un fendente e l'altro, i capelli biondi di Hilda si tingevano di rosso man mano che venivano a contatto con la ferita e le sporcavano il viso contratto in una smorfia d'ira e concentrazione. Mab faticava a respirare per il tormento che si riversava nel legame, una sensazione tanto intensa e bruciante che la fece dare di stomaco: non aveva mai provato niente di lontanamente simile in vita sua ed era solo la parte che giungeva a lei. Tramite il legame Mab condivideva il dolore di Hilda e avvertiva la rabbia che l'aiutava ad ignorarlo, quello che non percepì in lei era la benchè minima traccia di paura. Si sentì quindi in colpa nel rendersi conto di ciò che invece era lei a trasmettere all'altra donna, perchè tra le sue emozioni in quel momento il terrore era certamente al primo posto.
Spazzò via dalla testa tutto questo, cacciò il dolore, la paura e l'immagine di Hilda: finalmente toccò la Fonte, attinse e una bolla d'aria esplose tra lei e il suo aggressore svincolandola violentemente dalla sua presa. Rovinò nuovamente a terra e si costrinse a rialzarsi subito nel notare un paio di zoccoli che le si facevano incontro. I Trolloc che prima ricordava in corsa oltre loro ora la stavano attaccando: attorno a lei ne aveva tre e temeva che presto altri si sarebbero aggiunti all'assalto. Li affrontò con palle di fuoco, il che attirò l'attenzione di altre bestie su di lei, come previsto. Tra un combattimento e l'altro notò la presenza di altre persone e non solo: spade, frecce e dardi infuocati si abbattevano sulle creature dell'Ombra in modo implacabile in mezzo alla vegetazione fitta, ovunque potesse vedere. Tra quella gente, quei soldati c'erano incanalatori, erano i ribelli! Provocando uno smottamento di terreno tutto attorno a lei, Mab riuscì ad arrestare il continuo assedio di quelle bestie dalle forme mostruose e con lo sguardo andò alla ricerca di Hilda: vide le gambe di un Trolloc venir tranciate quasi di netto all'altezza delle ginocchia, la bestia cadde a terra rivelando la donna dietro di lui già intenta a muovere un fendente alle spalle di un'altra di quelle immonde creature. Con la spada stretta nella mano destra e il braccio sinistro invece fermo in modo quasi innaturale lungo il fianco, Hilda si muoveva come una furia tra fango e sangue. Era impensabile che una figura tanto esile e apparentemente delicata fosse dotata di una forza così letale. Ma era così debole in realtà, l'adrenalina la teneva in piedi e la spingeva alla lotta senza sosta, ma sentiva che si era già spinta ben oltre quel che era il suo limite fisico: sarebbe crollata da un momento all'altro.
Usando flussi d'aria, si fece spazio tra i combattenti, che fossero Trolloc o umani, per raggiungerla: era a pochi metri da lei quando vide un essere rivestito da una corazza nera avvicinarsi alle spalle della sua compagna e afferrarne la lama della spada prima che lei potesse usarla per colpirlo. La mano della creatura, che corrispondeva a quello che aveva letto sui Myrdraal, cominciò a gocciolare sangue che friggeva a contatto col metallo, ma non mollò. Hilda impugnò l'arma anche con la mano sinistra per poter esercitare più controllo su di essa, ma non servì a nulla: la ferita alla spalla le impediva di usare il braccio. Sotto la presa di quell'essere, la lama si spezzò come fosse stata un giocattolo e il Myrdraal approfittò dello sgomento che questo causò sulla sua avversaria, per prenderla per la gola con la stessa mano.
Il bruciore che anche Mab provò al collo le impedì di usare subito i flussi d'aria e fuoco che stava preparando. In quel momento un rumore secco le sibilò accanto, la testa del Myrdraal si girò ad un angolo innaturale mostrando il suo orrendo volto pallido e senza occhi: dalla bocca aperta a denti appuntiti snudati in modo minaccioso uscivano filamenti neri e densi, poco sotto si vedeva la punta di una freccia che gli attraversava il collo. Mab stava per scagliargli contro i flussi quando qualcos'altro lo colpì, facendolo saltare lontano da Hilda e poi decapitandolo. L'essere si rialzò e prese a vagare privo della propria testa, finchè un bagliore si abbattè sopra di lui incenerendolo. Molti dei Trolloc ancora impegnati in battaglia ripresero la fuga, altri si accasciarono a terra improvvisamente.
Mab non fece in tempo a raggiungere la propria compagna che già altri due uomini erano su di lei. Si avvicinò intessendo aria con cui allontanarli quando si sentì schermata fuori dalla Fonte e immobilizzata da qualcosa che i suoi occhi non potevano vedere.
«Hilda!» chiamò a pieni polmoni, ma subito dopo anche aprire la bocca le fu impossibile.
Sentì qualcuno prenderla garbatamente per le spalle e sfilarle il pugnale che aveva in cintura.
«Non agitarti, nessuno di noi vi vuole fare del male» era la voce calda e sicura di un uomo che poi le passò davanti, le prese il viso e lo esaminò spostandolo da ambo i lati. Quindi ispezionò il busto, le braccia, si soffermò su qualche ferita, poi trovò l'altro pugnale tra le pieghe della gonna, quindi chinandosi ai suoi piedi, quello nello stivale destro. Poi disse
«Perdonami» e senza altro indugio infilò le mani sotto il suo abito alla ricerca di altre armi lungo le sue gambe. Mab cercò di non mostrare l'imbarazzo che le dava quella situazione pensando che, in fin dei conti, ne aveva dovute subire di ben peggiori, ma si accorse di aver già sgranato gli occhi. L'uomo si rialzò, passò ad un altro soldato i tre pugnali sequestrati e disse
«Non ha altro. Le ferite sembrano superficiali»
Mab vide un uomo sollevare il corpo esanime di Hilda e non potè far altro che puntare gli occhi sul soldato che era davanti a lei sperando che le desse qualche spiegazione.
«La tua amica è ferita gravemente, ha bisogno di un medico al più presto. Vi porteremo al villaggio più vicino, dove riceverete tutte le cure di cui avete bisogno. Dobbiamo prendere qualche precauzione, non preoccuparti»
La voce dell'uomo dai lunghi capelli scuri e l'aspetto giovanile era rasserenante, ma poco servì quando le chiuse la visuale coprendole interamente il volto con un cappuccio di tela. Ancora una volta tentò invano di dimenarsi ma i flussi invisibili che la stringevano le impedivano qualsiasi movimento. Si sentì prendere in braccio e poco dopo pareva che si trovassero in un posto completamente diverso: sentì rumore di zoccoli, delle ruote di un carro, un vociare generale che aumentava ad ogni passo dell'uomo che la stava trasportando, l'odore intenso degli abeti e del sottobosco era svanito, sostituito da quello più familiare di bestiame... sembrava fossero già in una fattoria.
All'improvviso le fu impedito di sentire le voci di chi le stava attorno, sembravano essere entrati in un edificio e solo in quel momento, al contatto con un ambiente più caldo, si rese conto di quanto fosse intirizzita nel suo abito ormai completamente fradicio. Fu posata su qualcosa di morbido e quindi le venne tolto il cappuccio.
La luce nella stanza le sembrò accecante, ma appena gli occhi si abituarono capì che non era poi tanto forte e rifletteva l'insolito color ocra dei muri. Mab si trovava su un letto in quella che doveva essere una sorta di infermeria, a giudicare dagli arnesi posati sulla semplice mobilia in legno non lavorato attorno a lei. Al suo fianco c'era ancora il soldato che l'aveva presa prima, ma rimase poco: fece un cenno col capo alla donna che gli stava di fianco e uscì dall'unica porta della piccola stanza.
Mab controllò ancora lo schermo e lo trovò ancora li, solido e invalicabile. Erano invece svaniti i flussi che le impedivano di muoversi, la qual scoperta la portò a scendere subito dal lettino dalla parte opposta rispetto a dove si trovava l'unica persona nella stanza, quella donna di mezz'età che la guardava con aria spazientita e in un certo senso materna.
«Dai, non perdiamo tempo, ho altro da fare. Rimettiti qui e permettimi di curarti»
«Dove mi trovo?» poteva di nuovo parlare!
«Non sono qui per le domande. Il mio compito è solo quello di visitarti e prendermi cura delle tue condizioni fisiche. Per le domande ci sarà spazio dopo e non sarò io ad occuparmene. Ora, cortesemente, torna qui»
«Dov'è Hilda?»
La donna dai capelli biondo cenere raccolti in una stretta crocchia dietro la testa sbuffò «Se c'è una cosa che non sopporto è dover ripetere le cose. Non costringermi ad usare la forza» e indicò il lettino.
Mab afferrò il primo oggetto metallico che ebbe sotto mano per poterlo usare come arma, ma non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa fosse che si ritrovò distesa sul lettino. La donna accanto a lei non aveva mosso un solo capello, si limitò ad osservarla con un cipiglio di disapprovazione, quindi le si avvicinò maggiormente imponendo entrambe le mani sopra di lei senza toccarla.
Non poteva averne la certezza, ma quello in cui si trovava doveva essere il villaggio di Hama, una delle città dei ribelli. Non sapeva più se esserne felice o meno: certamente doveva abituarsi all'idea che lì chiunque attorno a lei poteva incanalare!
Non avendo altra scelta, si lasciò sondare dai flussi della donna: non aveva nulla di serio, giusto qualche lesione e la crosta della ferita che le aveva fatto Krooche che era venuta via, causando un'altra lieve emorragia, in generale non aveva nulla che il Potere non potesse far scomparire definitivamente e senza troppa fatica. Era piacevole e stupefacente sentire ogni dolore e la stanchezza che svanivano al passaggio delle tessiture di quella donna.
«Ora rilascio i flussi, tu scendi e mi segui coi tuoi piedini fino alla sala delle vasche»
Come promesso, Mab tornò libera di muoversi, quindi, senza più opporre resistenza, seguì fuori la donna, attraverso un cortile interno circondato da un grezzo colonnato di legno, fino ad una porta che apriva una stanza al cui interno si trovavano due ampie tinozze.
«Da lì puoi prendere l'acqua» disse indicando una pompa «Quando avrai riempito la vasca, te la riscalderò»
La gradevole sensazione dell'acqua calda sul suo corpo la rilassò, ma cercò di non lasciarsi trasportare: aveva bisogno di risposte da quella gente, voleva sapere cos'era successo nella foresta, voleva sapere dov'era Hilda. Luce! Se si fossero in qualche modo accorti chi era davvero, l'avrebbero potuta uccidere! Le avrebbero potute uccidere!
Una volta asciugatasi, indossò un semplice abito di lana color panna e una pesante casacca marrone da chiudervi sopra e fu condotta ad un'altra stanza piuttosto ampia e dagli interni più curati rispetto a quanto visto fino a quel momento, anche se mura e mobilia avevano comunque un semplice aspetto rustico. All'interno della sala si trovavano altre persone: al suo ingresso un soldato poco lontano dalla soglia smise di parlare con un uomo molto magro e dai capelli appena screziati di grigio, accanto al camino una donna corpulenta girò la testa ad osservarla mentre continuava a colpire un ciocco di legno con l'attizzatoio.
«Accomodati ragazza» disse, indicandole la sedia al centro della sala, un uomo anziano seduto sull'unico scranno imbottito dall'alto schienale, «Sarà una lunga chiacchierata»
Sul tavolo davanti al vecchio c'erano vari oggetti, che presto riconobbe essere il loro bagaglio: tra spazzole, la sua parrucca e i borselli col denaro, la divisa bianca di Hilda sembrava quasi brillare di luce propria. Imprecando tra sé, lasciò che le gambe, rese incerte dal tremore, cedessero facendola quasi crollare sulla sedia, poi attese che il vecchio proclamasse la sua condanna.



Siadon

«Era parecchio che non passavi da queste parti ragazzo»
Tomas sorrise al pastore, rifiutando con gentilezza la pipa che questi gli stava offrendo. Avevano marciato tutto il giorno ma non verso la città, il giovane aveva passato diversi anni come esploratore in quelle terre e conosceva parecchie persone che potevano dare loro qualche informazione. Certo la maggior parte erano sentinelle o spie dei Manti Bianchi ma aveva imparato che spesso un semplice pastore è in grado di vedere cose che sfuggono al miglior soldato, soprattutto quando si tratta di notare i cambiamenti del luogo in cui vive. Mancavano poche ore al tramonto e si trovavano seduti al tavolo di una catapecchia, in un pascolo isolato parecchio ad Ovest rispetto a Jennji.
«Grazie Donal» rispose Tomas vedendo lo sguardo perplesso dell'uomo «ma l'odore del tabacco ti rimane addosso e... le prede poi ti sentono e... scappano»
Come spia sei un disastro pensò Siadon fingendo di osservare la stanza mentre studiava la reazione dell'uomo. Thea ed Elsa erano sedute con loro, sorseggiavano in silenzio il vino caldo speziato che Donal aveva preparato, quell'uomo era povero e la sua casa davvero semplice ma aveva mostrato una generosità enorme, offrendo loro di fermarsi a mangiare qualcosa e mettendo a disposizione il fienile per la notte.
«Oh... certo» rispose poco convinto «è per questo che siete vestiti così? Siete a caccia di quelle bestie di cui si sente parlare?»
No «Sì» rispose Tomas «ci hanno spediti a pattugliare queste terre, anche se non abbiamo trovato nemmeno una traccia»
Idiota! L'hai spaventato, ora sarà più difficile
«Dicono che hanno zampe da orso o zoccoli da toro» disse Donal con tono cospiratorio, come se parlarne a bassa voce lo aiutasse a controllare meglio le proprie paure. Quelle storie lo spaventavano, anche se cercava di nasconderlo trattandole come leggende o racconti per tenere buoni i bambini.
«Chi dice queste cose ha visto impronte di veri orsi o di veri tori, non abbiamo trovato nulla perché non c'è nulla. Se ci fosse qualcosa puoi star certo che l'avremmo trovato.» intervenne Siadon.
«Oh certo, qualche mercante avrà voluto aumentare i prezzi... e poi voci come quelle corrono come fuoco sulla paglia. Come quella volta che si diceva che i Tiranni erano sbarcati a Jennji» fortunatamente il pastore non voleva credere nell'esistenza di bestie simili.
«Ma che fine avevi fatto? Non passi a trovarmi da quasi un anno, ne ho sentite di ogni genere. Che eri morto, scappato... una volta addirittura che eri un Incanalatore» prese una pausa per sputare a terra, come per pulirsi la bocca dopo aver pronunciato quella parola «iniziavo a credere che fossi morto davvero! Sembri... diverso che ti è successo?»
Tomas era preoccupato, Siadon sapeva che era migliorato parecchio da quando era entrato al monastero ma non era ancora in grado di nascondere del tutto le proprie emozioni, mentire a persone che contavano qualcosa per lui gli riusciva ancora difficile.
«Io... quegli idioti avevano davvero il sospetto che fossi un traditore, mi hanno spedito a Ishamera per tenermi sotto controllo e solo dopo sei mesi hanno capito che non sono un infedele»
Non male pensò Siadon soddisfatto.
«Ah! Tu un traditore? E tuo padre ci ha creduto?»
«Non lo so, ma in parecchi l'hanno fatto e non poteva proteggermi. Tutto sommato è andata bene, non è stato poi così male. Comunque, dove hai sentito delle bestie che cerchiamo?»
Bravo ragazzo, non lasciare che sia lui a fare le domande
«Giù in paese, anche da qualche cacciatore che ogni tanto passa a trovarmi. Non so da dove sia arrivata la voce ma da un mesetto ci sono molte più pattuglie e tutti hanno pensato che fossero in giro per quel motivo.» Donal prese una pausa per riaccendere la pipa e Siadon ne approfittò per gesticolare velocemente a Tomas di approfondire la questione delle pattuglie e che non potevano più fermarsi per la notte. Se i Manti Bianchi controllavano la zona era probabile che stessero cercando Incanalatori più che trolloc o bestie simili.
«Comunque» riprese il pastore «c'è di buono che hanno trovato ben tre dannati Incanalatori nel giro di una settimana! Bestie o meno, ora le nostre strade sono più sicure grazie ai Figli»
«Puoi ben dirlo» intervenne Sidaon alzando il bicchiere di vino, come per festeggiare quelle catture, prima che Donal cogliesse il velo di preoccupazione che tradiva la tranquillità di Tomas.
«Ai Figli della Luce» brindò il pastore, seguito con entusiasmo da tutti i presenti.
Il ragazzo bevve con calma, sfruttando quei pochi attimi per riprendere il pieno controllo. Non se la stava cavando male, certo Donal era solo un pastore ma Siadon iniziava a credere che Tomas potesse imparare velocemente a sostenere un vero interrogatorio.
Dobbiamo solo continuare ad aiutarlo.
«Tre in una sola settimana? Chi erano, gente di qui?» Tomas stava dando alla voce un tono orgoglioso ed eccitato. Prima di essere esiliato, quando ancora era un Manto Bianco, aveva il compito di esplorare la zona per scovare gli incanalatori che si spingevano verso Nord seguendo la leggenda dei Ribelli. Il pastore capì subito cosa intendeva dire con quelle domande.
«Uno di loro sì, un tizio che viveva in paese... Ramon mi pare, ci ho pure parlato qualche volta» sputò di nuovo «anni fa mi aveva consigliato un'erba per curare Maria... mia... moglie sapete...» aggiunse rivolgendo un triste sguardo a Siadon e alle due donne «dannato bastardo. Non c'è da stupirsi se non è guarita.» si alzò avvicinandosi al fuoco. Prese il mestolo e rigirò lentamente il vino speziato, prendendo del tempo prima di riempire una brocca e posarla fumante sul tavolo. Con un sospiro si scrollò di dosso la nostalgia «Finalmente ha quello che si merita» continuò con tono rassegnato. «Gli altri due invece erano stranieri, li hanno presi al dosso della lupa, non molto più a Nord di qui. Hanno combattuto come dei dannati, sono morti sei Figli per catturarli. Poveri ragazzi, li avevano mandati qui per aiutarci. Che la Luce li accolga»
«Non erano di queste parti?» chiese Tomas perplesso
«Si vede che sei stato via parecchio» rispose Donal sorridendo fiducioso «finalmente la Confederazione ha inviato i rinforzi che prometteva da anni, compresi alcuni di quei demoni addomesticati. Questo Ramon e gli altri due sono stati scoperti usando proprio quelle bestie.»
«Grandioso! Sai se sono ancora da queste parti? Potrebbero farci comodo»
«Credo di sì, mi sembra di aver capito che pattugliano tutta la via occidentale fino a Ishamera, controllando bene ogni paese che trovano.»
Sì, davvero grandioso! Non sarà facile interrogare le spie di Jennji senza farci scoprire.
«Si sta facendo buio, presto dovremo andare» era la voce di Thea
«Non vi fermate per cena? Dove dormirete?»
«E' molto gentile» continuò lei sorridendo «ma per quanto assurdo sia il nostro compito dobbiamo eseguire gli ordini e le voci dicono che quelle bestie agiscono di notte, è sereno e c'è abbastanza luna da poter vedere qualcosa, non possiamo farci sfuggire l'occasione.»
«Oh... certo, dovete andare... a caccia. Beh potete fermarvi giusto il tempo di mangiare qualcosa, di certo non vorrete accendere un fuoco e cucinare di notte no?»
«Sì, ha ragione, ci fermeremo per mangiare qualcosa. E' stato un piacevole incontro ed il vino era molto buono, non immagina da quanto tempo non mi sentivo così tranquilla, la ringrazio davvero... beh... addio» aggiunse Thea sorridendo mentre si alzava ed usciva dalla piccola abitazione.
«Oh... addio... non capisco» sussurrò Donal disorientato guardando Tomas «Perché ha salutato se vi fermate ancora? Dove va?»
«A controllare che sia tutto a posto» rispose Siadon facendo un cenno a Tomas mentre Elsa si era avvicinata alla dispensa per iniziare a cucinare.
«Donal, non preoccuparti, va tutto bene. Sei un amico... Grazie» il pastore non poteva vederlo ma mentre pronunciava quelle parole il ragazzo intessè alcuni flussi di Spirito, un reticolo molto semplice che adagiò sulla fronte dell'uomo.
«Benissimo, l'hai calmato e spedito nel mondo dei sogni. Il reticolo andava bene, anche se dovresti rinforzare i Flussi sul contorno, se non si fosse fidato di te non sono sicuro che avrebbe funzionato. Sei pronto?» Siadon si era seduto sul tavolo, di fianco a Tomas e di fronte al pastore.
«Non volevo stordirlo troppo... va bene, sono pronto»
«Se non avesse perso conoscenza si sarebbe reso conto di cosa sei, si sarebbe spaventato e probabilmente avremmo dovuto segnarlo per sempre, se non ucciderlo, quindi non preoccuparti di stordirlo, gli stai salvando la vita. Chiaro?»
«Sì» rispose Tomas con tono serio e privo di dubbi.
«Bene» Continuò Siadon prendendo al volo una mela lanciata da Elsa «di solito lasciamo i testimoni con la convinzione di aver assistito a qualche miracolo della Luce. E' un intervento duro e irreparabile ma necessario, non c'è modo di sostituire pochi dettagli in modo pulito ed indolore se la mente è occupata da emozioni forti. La paura è una delle peggiori.» iniziò ad addentare la mela
«Un intervento del genere però lascia conseguenze poco piacevoli, se tocchi troppo i ricordi di una persona la sua mente riconosce che qualcosa non va e crea delle barriere, a volte causano dei semplici vuoti di memoria, altre volte dei cambi di comportamento... fino ad una vera e propria pazzia se non stai attento.
Non vogliamo modificare molto. Solo evitare che Donal si ricordi i nostri volti, soprattutto il tuo, non deve ricordarsi di averti incontrato. Questa sera ha chiacchierato e cenato con degli amici che poi sono andati via, si sono divertiti, ha bevuto un troppo e domani si sveglierà con un pò di mal di testa, quello che vedrà in questa stanza gli confermerà che i ricordi sono corretti. La sua mente non opporrà alcuna resistenza, ricorderà la piacevole sensazione della compagnia e la sua vita continuerà come se non ci fossimo mai incontrati.
Ora, mantieni il reticolo e creane un altro come questo» a Siadon erano sempre sembrate familiari quelle tessiture. Gli riuscivano naturali come quelle per gestire l'aria, non aliene quanto quelle necessarie a convincere la terra o l'acqua a fare quello che voleva lui, sapeva però che per la maggior parte degli altri non era così. Osservò attentamente i filamenti di Tomas mettersi in posizione, non erano ordinati tanto quanto i suoi ma poteva bastare.
«Bene, come ti sembra? Potresti crearne un'altro ancora?»
«Questo lo reggo bene, un altro non credo...»
«Va bene, per quello che vogliamo fare basta. I suoi ricordi sono molto recenti, per la sua mente sono ancora il presente non il passato... sono... liberi da vincoli, sarà più facile per lei accettare le modifiche. Dobbiamo iniziare a renderli meno dettagliati, in questo modo rimuoviamo i nostri volti e le parole esatte di quanto abbiamo detto. Allarga il reticolo e crea un cubo in questo modo... bene, ora restringilo quanto basta per farlo passare in questo quadrato» Siadon avvicinò la mano con la quale stringeva la mela al volto del pastore, indicando con l'indice una parte della tessitura che lo manteneva privo di sensi. Tomas iniziò a respirare più rapidamente. Il reticolo si ridusse lentamente deformandosi e riprendendo forma.
Non ce la farà senza vederlo.
«Lo tieni?»
«Sì» non c'era incertezza nella sua voce, solo determinazione.
Bene, in ogni caso sarà un'esperienza utile
«Calmati, non devi perdere il controllo su quell'affare per nessun motivo, se succede mentre è nella sua testa la mente si rompe»
Tomas prese alcuni lunghi respiri, la sua fronte era imperlata di sudore ma ora il reticolo appariva fermo e ben distinto, anche se un poco storto.
«Quando sei pronto spingilo all'interno, tienilo immobile poi allargalo fino a far apparire i bordi all'esterno, a quel punto sollevalo e lascialo svanire solo quando è completamente fuori.»
Tomas non rispose, respirò con calma ed avvicinò le mani al reticolo, come se le stesse usando per modellarlo. Non serviva davvero, era un esercizio che veniva insegnato per mantenere la concentrazione sui flussi.
Il reticolo sparì nella fronte del pastore senza che questi mostrasse alcuna reazione, Tomas portò le mani vicino alle tempie di Donal e chiuse gli occhi, poi iniziò ad allargare le braccia. Lentamente gli angoli del reticolo riapparverò seguiti dai filamenti di Spirito che li univano, la figura era deforme ma ancora funzionale e Tomas la sollevò di almeno due spanne più del necessario prima di lasciarla svanire e tornare a respirare.
«Molto bene, ci sei?»
Il ragazzo respirò profondamente qualche volta, era sudato ma calmo e ancora determinato
Incredibile, forse ce la puoi fare
«Sì»
«Bene, ora non si ricorda i dettagli. Non saprebbe descriverci e nemmeno raccontare quanto è stato detto. Ma non basta, la trama dell'incontro rimane, come per un libro letto da tempo. Soprattutto ricorda ancora che tu eri tra gli ospiti, non saprà dire come eri vestito ma la sua mente ricostruirà i dettagli usando altre immagini di te.»
Nella stanza iniziava a diffondersi un piacevole odore di zuppa, Elsa stava canticchiando sottovoce mentre la rigirava nel pentolone.
«Ora viene la parte più strana, devi modificare quei ricordi. La tessitura è più semplice rispetto a quella di prima ma dovrai pensare alle cose che si ricorderà. Non è difficile quanto sembra, devi solo pensare ad un suo amico e immaginarlo al tuo posto mentre gli parla, mentre bevono, ridono e mangiano assieme seduti ora a questo tavolo. Più la persona che scegli ti è simile, più sarà facile che la sua mente accetti quella verità, non intendo simile nell'aspetto ma nel ruolo che ricopre nella sua vita, devi scegliere un suo amico insomma, magari uno che vede raramente.
Ora pensa a questa persona, e a tre sconosciuti, un uomo e due donne, sostituiscili a noi quattro nei diversi momenti che abbiamo passato qui e fissati bene in testa quelle immagini, se possibile anche le voci, non serve davvero in questo caso ma più dettagli inserisci meglio è... se i dettagli sono corretti, altrimenti rischiano di peggiorare la situazione... va bene, lascia stare le voci, solo immagini.»
Dannazione a me, è più facile farlo che spiegarlo
«Quando sei pronto crea questa tessitura» era una specie di imbuto chiuso da una doppia grata, la forma più semplice per il loro scopo «la parte larga deve scomparire del tutto nella sua testa, mentre quella stretta deve rimanere fissa fuori. Non serve davvero ma aiuta ad avere un punto sul quale focalizzare i propri pensieri, c'è chi la tiene a contatto della propria fronte, altri davanti agli occhi. Fai delle prove prima di toccare Donal e vedi come ti riesce meglio, capirai da te quando la tessitura funziona, è più facile provarlo che descriverlo.»
Tomas annuì poco convinto e seguì le istruzioni, fece diversi tentativi ed un paio di volte lo strano imbuto sembrò sul punto di disfarsi ma il ragazzo riuscì a mantenerne il controllo.
«Bene, sono pronto» decise infine rilasciando la tessitura e respirando con affanno.
«Tieni la parte larga più ferma che puoi mentre si trova nella sua testa, è più semplice rispetto a prima ma dovrai mantenerla più a lungo e pensare anche ai quattro tizi. Vedrai delle macchie chiare nella sua testa, sono i ricordi più recenti. Immagina la scena, focalizzala sulla parte stretta e poi... spingila verso una di quelle macchie. Continua fino a riempirle tutte e non avrà alcun vuoto di memoria, lasciane qualcuna e la sua mente proverà a ricostruire i ricordi come meglio crede. Lasciane troppe e capirà che qualcosa non funziona e creerà delle barriere.» Siadon scrutò il ragazzo per qualche istante, stava provando a rilassarsi ma anche il solo mantenere la tessitura sulla fronte di Donal gli costava qualche sforzo. Notò che anche Elsa lo stava fissando dubbiosa.
La Compulsione non è il tuo forte
Il respiro di Tomas si fece calmo e regolare, doveva aver creato una sfera mentale per concentrarsi al massimo. Si aiutò con le mani per posizionare la tessitura nella testa del pastore e rimase immobile. Siadon poteva intuire i momenti nei quali il ragazzo era impegnato a creare le finzioni osservando i flussi oscillare pericolosamente, in quegli attimi la tessitura si distorceva tanto da rischiare di rompersi ma Tomas riusciva a riprenderne il controllo mentre impiantava i falsi ricordi nella mente di Donal.
Siadon non era in grado di vedere le macchie chiare, per farlo avrebbe dovuto usare una tessitura ma non voleva distrarre il ragazzo. Sapeva per esperienza che non poteva mancare molto, o almeno ci sperava ogni volta che vedeva quei flussi sfiorarsi, Tomas non avrebbe retto ancora a lungo. Anche Elsa osservava immobile, pur non potendo vedere i flussi.
Andiamo ragazzo, qualche buco puoi lasciarlo. Forse non sono stato molto chiaro... se parlo ora però lo distraggo, basta un soffio e crolla tutto.
I flussi oscillarono di nuovo in modo preoccupante, il lato corto dell'imbuto si spostò leggermente e la figura contorta lo seguì. Un filamento si assottigliò fino a dissolversi lasciando un buco nel centro della tessitura, gli altri si ritirarono sovrapponendosi.
«No... no no NO!» la voce di Tomas era un misto di frustrazione, rabbia ed orrore.
Preso dal panico alzò velocemente le braccia per aiutarsi a togliere l'imbuto dalla testa del pastore ma, mentre quello che rimaneva del doppio reticolo abbandonava la mente di Donal, la tessitura che doveva mantenerlo privo di sensi si dissolse.
Addio Donal.
Il pastore spalancò gli occhi terrorizzato, piegò la testa di lato e le labbra iniziarono a muoversi creando suoni che non avevano nulla a che fare con le parole. Riuscì a muovere un braccio verso Tomas ma non sembrava ricordare bene come usarlo, il resto del corpo era immobile. Iniziò a piangere e gemere cercando di coprirsi il volto con la mano ma non riusciva a piegare del tutto il gomito e nemmeno a girare completamente il polso.
«Luce... Donal! Cos'ho fatto... Donal...» Tomas era sconvolto, pallido, aveva rilasciato la Fonte e fissava il vecchio amico con sguardo incredulo mentre alcune lacrime iniziavano a rigargli le guance.
«La sua mente è rotta. Non c'è modo di guarirla, possiamo solo aiutarlo a smettere di soffrire. Mi dispiace Fratello» Siadon provò a consolare il ragazzo, appoggiandogli una mano sulla spalla. Aveva misurato le parole, cercando di evitare di addossare colpe e provando a migliorare la situazione. Un poco gli dispiaceva davvero, il pastore gli sembrava simpatico ma sapeva dall'inizio che sarebbe potuto succedere, in un certo senso doveva succedere. Un adepto diventava ufficialmente Fratello dopo il suo primo omicidio fuori dal Monstero, ma uccidere uno sconosciuto non bastava a vincolarlo alla Setta. Doveva essere un conoscente, un amico o un familiare, qualcuno la cui morte era in grado di causare una forte vergogna o un sentimento altrettanto insopportabile. Gli altri membri della Setta, i Fratelli e le Sorelle, dovevano diventare le uniche persone a cui poter confidare le proprie azioni ed i propri pensieri, le uniche in grado di capire.
«Tieni Fratello caro» Elsa si era avvicinata a Tomas, offrendogli un lungo coltello «aiutalo a smettere di soffrire, non possiamo fare altro»
«Ma... è stata colpa mia. L'ho ridotto io così!»
«Sì, è la verità. Hai fatto un errore e lui è ridotto in questo stato... poco più che un albero, imprigionato in un corpo che non è più in grado di controllare.»
Non esagerare con i rimorsi Sorella.
«E' questa la nostra maledizione» continuò Elsa accarezzando Tomas, aiutandolo a stringere il coltello tra le mani «siamo un pericolo per chi ci stà vicino. Non possiamo smettere di incanalare ed ogni volta che lo facciamo... rischiamo di far del male a qualcuno.» lentamente lasciò le mani di Tomas, stava ancora piangendo ma annuì. Nel monastero quel modo di pensare era penetrato in profondità nei suoi pensieri, ora stava provando in prima persona le conseguenze dell'unica verità che gli era stata mostrata in quei mesi.
«Molti anni fà» proseguì la donna abbracciando Tomas. Lui continuò a piangere guardando con orrore l'amico muovere gli occhi in ogni direzione ed emettere lamenti sempre più forti «provai a rinnegare la nostra natura. Cercai di controllare la maledizione, di incanalare solo quando non potevo più farne a meno, di nascosto e in luoghi sicuri, isolati. Ero convinta di poterci riuscire, anche se la sentivo corrompere i miei pensieri. Una notte credetti di fare uno strano incubo. Durante il giorno potevo impormi di non incanalare ma nel dormiveglia... no. Perdetti il controllo di una tessitura, di alcune tessiture. Assistetti come una spettatrice mentre davo fuoco alla casa e chiudevo ogni porta... Piena di vita e di gioia per l'abbraccio di Saidar capii troppo tardi di essere sveglia. Nel rogo morirono parecchie persone, alcuni miei parenti... compreso il figlio di mia sorella naturale. Aveva pochi mesi.»
Tomas avvicinò il coltello al petto del pastore, tenendo la punta tremante a poche dita dal cuore dell'amico.
«Ma io... potevo evitarlo! Poteva farlo uno di voi... Siadon non avrebbe sbagliato»
«Tutti possiamo sbagliare» rispose lui «ed ogni volta che lo facciamo c'è qualcuno che si sente come te ora, succede anche quando non sbagliamo. Pensi che Ron, il tizio che ci ha rapiti, non fosse amato da nessuno?» Siadon aspettò qualche istante per valutare la reazione del ragazzo. Donal sembrò riprendere conoscenza del tutto, l'espressione sofferente e terrorizzata dei suoi occhi non lasciavano dubbi riguardo la sua lucidità.
«L'ho vista spezzarsi. La sua mente... intere parti distrutte in un attimo. L'ho ucciso in quel momento» La voce di Tomas era ridotta a poco più che un sussurro. Cinse un braccio attorno alle spalle del vecchio amico, appoggiando la testa vicino alla sua. Il contatto sembrò tranquillizzare il pastore, i lamenti calarono di tono e chiuse gli occhi.
Tomas respirò lentamente «Donal.. ... no. Non c'è perdono.»
Affondò rapidamente la lama, stringendo nell'abbraccio l'amico e piangendo sulla sua spalla.
«Siamo marchiati dall'Ombra.» continuò Elsa dopo qualche momento, accarezzando la schiena di Tomas «Un pericolo per l'umanità, solo ricordandoci cosa si prova a perdere qualcuno possiamo considerarci diversi dalle sue bestie. Non dimenticare quello che provi ora, è la prova che non gli appartieni. Non uccidere una persona pensando di fare del bene, nemmeno un Incanalatore. Anche loro hanno delle famiglie, gente che li ama e che soffrirà per le nostre azioni. Non possiamo permetterci di dimenticare il dolore che provochiamo. Solo l'Ombra uccide in quel modo e noi non siamo suoi servi.»
Dopo alcuni lunghi momenti Tomas indietreggiò dal corpo di Donal. Lentamente estrasse il coltello e rimase qualche istante a guardare il sangue colare sul pavimento, poi puntò la lama verso il proprio petto.
«Perché non uccidersi subito allora? Le persone che amo sarebbero al sicuro e non farei soffrire più nessuno» Alcune lacrime gli rigavano ancora il volto ma la voce era più ferma ora, segnata dal dolore, rassegnata. Elsa non disse nulla, continuò ad accarezzarlo mentre fissava la punta del coltello con uno strano sguardo, apparentemente indecisa tra la curiosità e la tristezza.
«Ci pensiamo tutti più spesso di quanto sembri» Siadon ruppe il silenzio parlando con tono amaro «molti Fratelli e molte Sorelle ci hanno lasciato in quel modo, è una scelta che rispettiamo e che comprendiamo a fondo. Nessuno di noi ti impedirà di farlo, conosciamo troppo bene quello che stai provando per privarti di quella libertà» attese qualche istante. Tomas sembrava meno deciso, respirava in modo lento e regolare, osservando con sguardo distante la punta affilata appoggiata contro il proprio petto.
«Come riuscite a sopportarlo?» sussurrò con tono incerto
«Nessuno può dire se nella prossima vita saremo ancora maledetti o meno» Era la voce di Elsa, tranquilla e serena come sempre «Possiamo morire subito e sperare di ricominciare in un mondo migliore, oppure batterci fino a che riusciamo a reggere il peso della nostra maledizione. Nella prossima vita potremmo non essere in grado di affrontare l'Ombra con la forza che abbiamo in questa. Ogni volta che penso di uccidermi cerco di immaginare la vita di una bambina normale in un mondo governato da Incanalatori. Non voglio essere quella bambina. Questa vita mi è stata tolta dal marchio dell'Ombra, farò di tutto per evitare che succeda anche nella prossima.»
Tomas allontanò di mezza spanna il coltello tenendolo puntato verso il proprio petto e inspirò piano fino a riempire i polmoni.
«Sarò un bambino normale...» sussurrò con una punta di speranza nella voce, fissando il corpo di Donal accasciato di fronte a lui.



Merian Elen Syana

L'arrivo di Arlene aveva destato inizialmente scalpore nel gruppo ma col passare dei giorni ognuno di loro si era presto abituato alla presenza di un'altra donna in grado di incanalare. La cosa più sconcertante
non era stato apprendere che qualcuno li aveva seguiti per tutto quel tempo - Rohedric stesso aveva ammesso la bravura di Arlene nel seguire le tracce così accuratamente da lui nascoste. Nemmeno sapere che i Manti Bianchi a loro volta si trovavano con tutta probabilità dietro di loro, partiti alla ricerca della fuggitiva nel momento stesso in cui si erano accorti della sua assenza. No, non era stata nessuna di queste cose ad averli sorpresi, a questo ed altro erano pronti, seppur speranzosi di essersi sbagliati.
Ciò che li aveva realmente colti alla sprovvista, Merian soprattutto, era stato il racconto di Arlene che riguardava la sua vita prima di diventare una schiava della città di Ishamera.

«Avevo circa ventidue anni quando mi catturarono,» esordì la donna davanti al fuoco di Ariel, mentre questa le controllava il bendaggio fatto qualche ora prima. «Generalmente noi Ladrielle siamo molto schivi, non amiamo buttarci nella mischia della battaglia come i nostri vicini di Tsorovarin. Preferiamo combattere usando l'astuzia e ciò che la Luce ci ha donato, invece di sprecare forze inutilmente con ogni sorta di armi.»
Gli uomini storsero il naso - e anche Brienne - non trovandosi del tutto d'accordo con il commento di Arlene, ma nessuno osò aprir bocca, presi com'erano dal suo racconto.
«Ma sapete bene cosa succede quando ci si innamora…» continuò passando lo sguardo sulle donne presenti, soffermandosi poco più a lungo su Brienne - o questo era parso a Merian.
Per un momento soltanto si sentirono tutte unite, tutte consapevoli dei sentimenti altrui, e persino Brienne e Ariel sotterrarono l'ascia di guerra per qualche attimo. Jon guardava il fratello con aria interrogativa, ma l'altro non sembrava presente, lo sguardo fisso sul terreno di fronte a sé perso in ricordi lontani.
Che anche lui soffra per amore? si chiese Merian aggrottando le sopracciglia.
In ogni caso il turbamento dell'uomo venne e andò via in un battito d'ali, e nessun'altra lì attorno sembrò farvi caso oltre a lei, che era sempre stata piuttosto brava a cogliere parole e gesti che potevano nascondere altro.
La cosa la incuriosiva non poco e avrebbe voluto approfondire, non fosse altro che per aiutare Brienne.
Luce ma che dico! Incrociò le braccia stizzita e fulminò con lo sguardo la donna, per una volta senza motivo, e dovette trattenersi dal ridere nel vedere la faccia dell'altra che rispondeva con un'espressione attonita.
«Si chiamava Tom.» Arlene proseguì la sua storia e Rohedric e i suoi amori perduti scivolarono via dalla mente di Merian.
«Lui era un Neglentine e ovviamente di vedute diverse dalle mie. Era sempre ansioso quando si trattava dei Manti Bianchi, desideroso come ogni uomo o donna di quella famiglia di affrontarli faccia a faccia. Inutile dirvi quante discussioni abbiamo avuto io e lui a riguardo… Un giorno però, non so ancora il perché, decisi di assecondarlo e mi unì al suo gruppo di esploratori.»
Fece una pausa, e Merian si chiese se stesse pensando a cosa sarebbe successo se avesse detto di no.
Lei al suo posto avrebbe fatto lo stesso? Avrebbe seguito Mat anche contro le sue convinzioni?
Le ci volle un attimo per rendersi conto che lo aveva già fatto…
«Ci spingemmo ben oltre i confini della sua città, oltrepassando le Montagne della Nebbia e arrivando quasi a raggiungere la strada maestra. Era un'azione pericolosa e ne eravamo tutti consapevoli, ma nessuno volle tornare indietro. Io stessa dovetti ammettere in seguito che trovai la cosa eccitante, e cominciai a capire un po' di più l'uomo che avevo deciso di seguire quasi per scommessa. Purtroppo però, come è solito accadere, le belle cose non durano mai abbastanza e la nostra storia finì in una radura molto lontana da casa…»
Il fuoco morente lasciava intravedere ben poco delle espressioni altrui. Nessuno si alzò per alimentarlo, forse per non dare a vedere le proprie emozioni, forse per non interrompere il momento… Rohedric aveva perfino smesso di fumare.
Arlene li guardò uno ad uno e dopo un attimo scoppiò a ridere.
«Oh, Tom non è morto se è questo che vi preoccupa, o almeno che io sappia, non l'ho più visto da allora.» Rise di nuovo, e stavolta fu un riso amaro.
Per un istante l'unico rumore oltre al crepitare del fuoco fu solo quello di voci che si schiarivano, e Brienne incalzò la donna a proseguire maledicendo il dannato fumo che le andava negli occhi.
«Che successe allora?» chiese Merian in tono più dolce ma non di meno ansioso.
«Io mi persi…» rispose Arlene in tutta semplicità, scrollando le spalle. Guardava il fuoco morente senza in realtà vederlo, un'espressione arresa sul volto. Non c'era tristezza nei suoi occhi, aveva accettato l'accaduto da tempo ormai…
«Non ero abituata a varcare i confini della mia casa, e in un luogo così lontano non era poi così difficile perdersi. Colti di sorpresa dalla presenza del nemico fummo costretti a scappare, sapendo che ognuno di noi si sarebbe poi ritrovato al punto di incontro che avevamo precedentemente stabilito. Io seguii Tom, ovviamente, ma giunta a quella radura mi accorsi che lui non era più con me. Non so quando lo persi di vista, non credo nemmeno di essermene mai accorta. Io correvo, lui davanti a me, e all'improvviso non c'era più… di fronte solo uno spiazzo verde circondato da radi alberi che indicavano la fine del bosco. Non c'era traccia né di Tom, né dei Manti Bianchi.
«Provai a tornare sui miei passi, cercando di ritrovare le nostre tracce, le sue tracce, alla ricerca di un segno che mi potesse aiutare… niente da fare, non c'erano impronte di nessun altro tranne le mie. Chissà da quanto tempo avevo corso da sola senza una meta, dimenticandomi della presenza di Tom. Mi aprii alla Vera Fonte ed esplorai con tutti i sensi la radura, gli alberi, i sentieri nei pressi… Ero sola, abbattuta, sconsolata, non sapevo cosa fare, se nemmeno il Potere era in grado di aiutarmi, cos'altro poteva?
«E così, mi resi conto per la prima volta in vita mia di quanto in realtà Tom e la sua famiglia non fossero affatto inferiori a noi Ladrielle. Loro vivevano contando soprattutto su sé stessi, senza dipendere troppo dall'Unico Potere, usandolo certo, ma senza mai abusarne, mentre noi ne dipendevamo quasi esclusivamente, dimenticandoci troppo spesso che esistevano altre qualità al di fuori di esso.
Io lo capii in quella radura, lontana miglia e miglia da casa, nella mia solitudine, piena di una forza che però in quel momento non mi serviva a nulla. Mi sedetti allora su un sasso e, con mia sorpresa, cominciai a ridere. Le lacrime si mischiarono ben presto al riso, e rimasi lì seduta per un tempo che mi parve interminabile. Fu così che mi trovarono.»
Non ci fu bisogno di specificare a chi si riferisse.
Ariel le passò un bicchiere di idromele e Rohedric prese parola, abbassando la pipa da tempo ormai spenta.
«Come sei finita a Ishamera?» le chiese non appena ebbe finito di bere.
«Non fui condotta subito lì. La città più vicina era quella di Jennji, una sorta di avamposto dei Manti Bianchi a più stretto contatto con le città dei Ribelli. Si direbbe un passaggio obbligato per i soldati della Confederazione. E' qui che vengono portati tutti i prigionieri catturati da queste parti, per poi trasferirli in altre città a loro più "consone". Io sono stata mandata a Ishamera ad esempio.
Non ho mai compreso il motivo di questa scelta, forse avendomi trovata seduta a ridere e piangere senza motivo, hanno ritenuto opportuno mandarmi in una città di Devoti per farmi purificare.» Storse il naso. «Non saprei, credo che qualunque città dei Manti Bianchi tenda a rendere gli schiavi a loro devoti, non importa cosa fanno esattamente all'interno. ShaidarShain, ad esempio, era di gran lunga più vicina, ma il Disegno ha voluto che andassi a Ishamera.»
Guardò Merian intensamente quasi volesse entrare nella sua mente, e lei abbassò lo sguardo a disagio. Arlene sapeva? Nessuno le aveva parlato della ricerca del Drago Rinato… o forse si? C'erano fin troppe cose che Merian non conosceva e questo cominciava a infastidirla. Se c'era una persona che doveva essere al corrente dei fatti questa era lei, mentre sembrava l'unica a esserne all'oscuro! Prese un bicchiere e ne bevve il contenuto tutto d'un sorso, non prestando alcuna attenzione allo sguardo esterrefatto di Brienne.
Rohedric evidentemente non voleva attirare troppo l'attenzione su Merian, così spostò l'argomento sulla fuga di Arlene da Ishamera, cosa a cui nessuno fino ad ora aveva pensato. Merian alzò la testa di scatto, incuriosita, e così fecero gli altri.
Come diamine aveva fatto a scappare?
«Mi chiedevo infatti quando avreste finalmente tirato in ballo la questione,» rispose Arlene sorridendo.
«Ovviamente non era una cosa che avevo progettato, sperato sì, come tutti, ma mai presa in considerazione un'eventuale riuscita. La notte della fuga di Merian, o oserei dire il rapimento - guardò in tralice Rohedric - io mi trovavo ancora nei pressi della lavanderia. Jora mi aveva trattenuto oltre l'orario di lavoro perché avevo fatto cadere un cesto di panni appena puliti. Quell'idiota mi fece rilavare ogni cosa da sola, più e più volte, finché non ne fu soddisfatto. La sua era una palese scusa per rimanere solo con me. Dopo che tutte erano tornate nelle loro celle, infatti, e dopo aver sciacquato per l'ennesima volta un paio di brache, si è avvicinato a me, allungando le mani sulle mie cosce. Io in tutta risposta gli tirai uno schiaffo, sapendo che avrei solo peggiorato le cose, ma non potevo certo arrendermi a quel lurido bastardo.»
Merian capiva la rabbia provata dall'amica, anche lei sapeva quanto potesse essere pericoloso quell'uomo. Ricordò quel giorno ai campi, e si portò d'istinto una mano allo stomaco dove lui l'aveva colpita solo qualche settimana addietro. Luce, sembravano anni!
«A quel punto venne dato l'allarme,» riprese Arlene cambiando tono. «Decine di Manti Bianchi si riversarono sulle strade in cerca della fonte di pericolo, e l'uomo si unì a loro. Rimasi immobile per qualche istante, turbata per quanto stava per accadere con Jora, ma mi ripresi e mi diressi anche io verso il centro del tumulto. Da quanto capì, Larin, la compagna di cella di Merian, era stata imbavagliata e legata, ma in qualche modo era riuscita a liberarsi, o forse qualcuno l’aveva trovata e dato l’allarme…
In ogni caso, qualsiasi cosa fosse accaduta alla donna, pensai che quella potesse essere l'occasione tanto sperata. Andai subito alle porte della città, e con mia gioia vidi che le guardie erano state tramortite e che la via era sgombra. Sapevo che a momenti qualcuno sarebbe venuto a controllare che nessuno uscisse dalla città, e così presi al volo l'occasione e fuggii.
«Non appena misi piede fuori dalle mura avvertii di nuovo il Potere scorrere in me, e mi aprii all'istante alla Vera Fonte. Oh che meravigliosa sensazione che provai, sembrava impossibile che ne avessi fatto a meno per tutto quel tempo! Non ebbi però la possibilità di crogiolarmi nel piacere, così mi allontanai il più possibile dalla città nella direzione che speravo avessero preso i rapitori di Merian, che io mi continuavo a dire fossero i Ribelli. Non sapevo quanto vantaggio aveste potuto avere su di me - voi eravate a cavallo mentre io disponevo solo dei miei piedi – così decisi di raggiungere la fattoria più vicina per passare la notte nascosta in una stalla. Poco prima che albeggiasse rubai un cavallo e alcuni vestiti, e mi misi in cammino tentando in qualche modo di seguire le vostre tracce.
«Dapprima è stato facile seguirvi ma una volta entrata nel fitto del bosco devo dire che la cosa è risultata più complicata. Ho ritrovato le vostre tracce soltanto all'approssimarsi del villaggio ma non ebbi il coraggio di entrare, così decisi di proseguire e di attendervi oltre. Il resto lo sapete.»

Merian cavalcava con la testa piena di questi pensieri, Arlene al suo fianco che ogni tanto le scoccava uno uno sguardo furtivo credendo di non essere vista. Da quando erano partiti, molti giorni addietro, si trovava spesso a riflettere su quanto aveva raccontato loro l'amica, ancora incerta su cosa provasse nei suoi confronti. A volte era arrabbiata, offesa all'idea che l'altra le avesse taciuto una così importante parte della sua vita; altre si sentiva comprensiva: quello che aveva passato non doveva essere stato facile, meglio nasconderlo e sperare così di dimenticarlo. In ogni caso, ciò che era risultato evidente al primo istante era che Merian aveva finalmente trovato qualcuno in grado di incanalare, ma soprattutto un’ insegnante preziosa che si era subito offerta di spiegare tutto quanto ci fosse da sapere sull'Unico Potere.
«Non stai prestando attenzione,» disse Arlene riportandola alla realtà.
Stava ripetendo lo stesso esercizio da chissà quanto ormai, il sole era già alto e la compagnia sembrava stanca quasi quanto lei. Non riusciva proprio a comprendere il senso di quanto stava facendo.
Era convinta che avrebbe imparato a creare fiamme di fuoco, far cadere fulmini dal cielo, smuovere la terra - come ricordava dai suoi sogni - e invece era costretta a creare stupidi cerchi colorati che danzavano nell'aria senza apparente utilità.
Che spreco di tempo!
Lo disse all'amica, sebbene in tono più gentile, era incredibile quanto l'altra fosse così dura quando si trattava di insegnare, sembrava un'altra persona, una molto più spaventosa.
«Solo perché questi flussi non uccidono non significa che siano inutili,» sbottò Arlene al suo commento. «Devi imparare a controllare ciò che fai, e soprattutto è essenziale che tu riesca a gestire più flussi contemporaneamente, senza distrazioni. Potrà sembrarti stupido adesso, ma col tempo imparerai a capire.» Le agitava un dito davanti alla faccia mentre parlava.
Chi era questa donna, che ne aveva fatto di Arlene!
«Tempo che non abbiamo,» rispose Merian storcendo il naso. Continuò comunque il suo esercizio, non fosse altro che per evitare di sentire per l'ennesima volta la predica della donna.
Non tutto era stato inutile ovviamente. Aveva appreso che la Vera Fonte, l'immensa forza che muoveva l'universo, era divisa in una parte maschile e femminile - saidin e saidar - e che attingendo ad essa si potevano creare cose straordinarie limitate solo dalla propria creatività… o qualcosa di simile.
Arlene aveva parlato di forza nel potere cominciando un discorso così complicato che Merian a un certo punto aveva smesso di seguire. Ricordava che c'entrassero delle bruciature… forse avrebbe dovuto chiedere maggiori delucidazioni.
Arlene annuiva soddisfatta mentre Merian intesseva uno dopo l'altro tutti i flussi che aveva imparato sinora - centinaia di assurdità - e proprio mentre si apprestava a compiere l'ultimo della serie - un intricato complesso di Aria e Fuoco che lanciava miriadi di scintille rumorose in cielo - Rohedric fermò la banda.
«Poche miglia avanti a noi,» disse l’uomo senza voltarsi indietro, «oltre quelle basse colline, si trova la Cordigliera delle Nubi: una grossa strada che incrocia la Via Occidentale a sud che con tutta probabilità brulicherà di Manti Bianchi. Ci accamperemo nei dintorni fino a che non scenderà la sera, dopo di che proseguiremo nell’attraversamento di notte.» Non diede il tempo a nessuno di ribattere, fece strada verso la macchia d’alberi più vicina e smontò da cavallo non appena trovò una radura coperta quanto bastava dalla vegetazione.
Mentre legava Dovienya ad un albero Merian notò che Neal era sparito, senza dubbio partito in esplorazione alla ricerca di una via sicura. Kain stava preparando il campo mentre con un occhio osservava Brienne - come faceva troppo spesso ormai - e lei dal canto suo si limitava a ignorarlo.
Stupida donna!
Merian aveva perso il conto di quanti giorni erano passati da quando erano andati via dal villaggio e le sue comodità, Luce come sentiva la mancanza di un letto caldo!
Arlene ha ragione, si rimproverò, sembro un’altra persona. Non sempre questo le era parso come un complimento, nonostante la donna sorridesse con affetto dicendoglielo. La cosa la infastidiva comunque, non aveva mai sentito la mancanza di un letto caldo prima d’ora, e non doveva cominciare adesso.
Gettò una coperta sull’erba e si sdraiò a guardare gli ultimi raggi solari che filtravano dalla chioma sul suo capo, cercando di apparire perfettamente a suo agio sul terreno duro. Continuava distrattamente a intrecciare ogni singola tessitura che conosceva tornando sempre col pensiero a Mat.
Come stava, cosa stava facendo in quel momento? Se lo chiedeva in continuazione ormai, era da molto che non lo vedeva. Lo cercava ogni notte ma lui non c’era mai, e aveva cominciato a farsi domande inquietanti.
Quando lei non sognava lui era reale? Esisteva al di fuori dei suoi pensieri? Che cosa succedeva nel suo mondo quando lei smetteva di sognare? Andava avanti? Lui mangiava, dormiva?
Luce!
Si fermò di colpo rendendosi all’improvviso conto del senso dei suoi pensieri. Come non aveva potuto pensarci prima? Mat non aveva bisogno di tutto ciò, rimaneva ciò che era e non invecchiava perché i giorni non trascorrevano come nel mondo reale e lui non era reale. Era solo un’idea, una bellissima idea, ma pur sempre tale: intangibile e immaginaria.
«A che pensi?» Brienne si era avvicinata senza che lei se ne fosse accorta.
«Stavo solo riflettendo,» rispose l’altra riprendendo a esercitarsi.
Brienne storse il naso ma non disse nulla, guardando intensamente Merian che muoveva in modo concitato le mani. Lei ovviamente non riusciva a vedere i flussi.
«Come sta andando l’apprendimento?» C’era una punta di amarezza nella sua voce. Brienne avrebbe desiderato saper incanalare, gliel’aveva detto lei stessa, e Merian quasi si sentiva in colpa per questo.
Smise all’istante e si girò verso di lei, cambiando discorso.
«Dov’è Arlene?»
«E’ con Ariel,» disse facendo una smorfia. «Quelle due passano un po’ troppo tempo insieme a mio giudizio.»
Si sedette accanto a Merian, irrequieta. Per quanto Ariel mettesse a dura prova la sua pazienza, non poteva essere solo lei a renderla così ansiosa.
«Voglio solo attraversare quella strada il più in fretta possibile,» rispose la donna allo sguardo interrogativo di Merian.
«Non mi piace questo luogo, mi sento troppo allo scoperto…»
Merian si guardò intorno, sbigottita. Allo scoperto? Erano circondati da alberi, immersi in una radura chissà dove! Non lo disse a Brienne però, la donna poteva essere a dir poco irascibile quando era preoccupata… e anche quando non lo era.
Le due rimasero a parlottare a lungo, Brienne insistendo perché Merian le facesse vedere le cose che aveva imparato. Non sembrava dedicarle molta attenzione tuttavia, il suo sguardo era sempre diretto a Rohedric, che se ne stava in disparte immerso nei suoi pensieri. Jon come al solito intagliava - seduto dall’altra parte della radura per non essere disturbato - sereno come lui solo riusciva ad essere, mentre Kain montava la guardia in attesa che Neal tornasse.
Un rumore improvviso alle sue spalle fece voltare Merian di scatto: era incredibile quanto i suoi sensi fossero acuiti quando saidar l’avvolgeva.
Brienne lo notò solo un istante dopo. In un attimo fu in piedi, due coltelli tra le mani, pronta a scattare come un felino.
Rohedric e Kain notarono il movimento e fecero per avvicinarsi alle due donne, entrambi un’espressione preoccupata in volto, entrambi con lo sguardo rivolto a Brienne.
Merian rimandò le domande a dopo e si concentrò sulla fonte del rumore: sette uomini armati si stavano facendo largo tra gli alberi, per niente preoccupati di farsi riconoscere.
Manti Bianchi! pensò terrorizzata Merian.
Rohedric non si fece cogliere alla sprovvista, liberò la spada che portava al fianco e caricò in avanti scegliendo un avversario. La grazia nei suoi movimenti era sconvolgente, era al tempo stesso sinuoso e letale. Anche mentre combatteva riusciva ad essere affascinante.
Kain non attese ordini e si unì all’uomo, menando colpi a destra e a manca con la sua enorme spada che teneva con entrambe le mani.
«Stai indietro Merian,» le gridò Brienne spingendola verso il centro della radura. La donna si teneva a distanza dal nemico, al tempo stesso proteggendo Merian e minacciando chiunque si fosse avvicinato di trapassarlo con i suoi pugnali. Le due donne erano costrette a danzare in circolo, non trovando un modo per indietreggiare verso il resto del gruppo. Dietro di sé Merian poteva sentire Jon imprecare – per la prima volta in vita sua – perché non riusciva a trovare un varco per rilasciare le sue frecce.
Per quanto il nemico non fosse in superiorità numerica, avevano serie difficoltà a difendersi, così divisi gli uni dagli altri. Rohedric e Kain si destreggiavano tra due avversari ognuno, ma non sapeva quanto ancora avrebbero resistito, Rohedric sembrava ferito. Alle spalle dei due uomini altri tre tenevano occupate lei e Brienne, e Merian non riusciva a vedere se le altre due donne stavano bene. Per quanto ne sapeva potevano esserci altri nemici dall’altra parte della radura. Merian cominciò seriamente a preoccuparsi.
Arlene poteva essere certo d’aiuto con la sua capacità di incanalare. Se le avesse insegnato qualcosa di più avrebbe potuto fare qualcosa lei stessa, dannazione!
Un sibilo le giunse all’orecchio e qualcosa di indistinto le passò accanto: una freccia!
La speranza rinacque in lei. Jon era dannatamente bravo con quell’arco, le sorti sarebbero cambiate in un istante.
Mentre la freccia volteggiava in aria la vide prendere fuoco e cambiare traiettoria. Andò a conficcarsi nel tronco di un albero caduto che divideva Rohedric e Kain da lei e Brienne. L’albero prese fuoco in modo innaturale e presto una barriera di fiamme separò i due gruppi.
Brienne imprecò e fece per raggiungere Rohedric ma uno degli uomini che bloccavano ancora loro il cammino vide in questo un’opportunità per attaccarla e si gettò su di lei. I due impattarono il suolo con un suono tremendo e Merian credette il peggio. Attentò un rapido sguardo alle spalle e vide uno sbigottito Jon che si apprestava a incoccare altre frecce, mentre Arlene in piedi dietro di lui intesseva velocemente altri flussi.
Aveva il vestito a brandelli. Di Ariel non c’era traccia.
Davanti a lei il muro di fiamme era impenetrabile, nascondendo alla vista Rohedric e Kain, che Merian sperava se la stessero cavando meglio di loro. Brienne infatti era stata disarmata e aveva i polsi bloccati a terra dall’uomo. Scalciava violentemente per liberarsi ma non riuscì a fare nulla, l’altro era troppo forte.
Merian si ritrovò a dover fronteggiare i rimanenti due, che sembravano però essersi fermati, e la guardavano ridendo mentre lei attendeva con ansia che dalle sue spalle arrivasse una qualche sorta di aiuto.
Perché Arlene aveva smesso di incanalare? Che fine avevano fatto le frecce di Jon?
Si concesse un’altra rapida occhiata all’indietro, e con suo sommo orrore capì cosa stesse trattenendo i due: Jon era a terra privo di sensi, Ariel al suo fianco, mentre Arlene sembrava immobilizzata da fili d’Aria invisibili. Degli uomini la circondavano e alcuni avevano un tatuaggio sul viso che Merian conosceva molto bene.
I Traditori…
Qualcosa si ruppe in lei e si accasciò al suolo davanti ai suoi nemici, arrendendosi all’inevitabile.
La barriera di fiamme si dissolse come per magia, e altri Manti Bianchi giunsero portando con sé Rohedric e Kain, entrambi feriti ma in piedi sulle loro gambe, grazie alla Luce.
C’erano quattro corpi al suolo: i due uomini erano riusciti ad uccidere i loro avversari ma non era servito a nulla, altri nemici erano arrivati.
In ginocchio, sconvolta, Merian guardò Rohedric negli occhi mentre gli passava accanto, e non poté fare a meno di sentirsi in colpa. Lui le sorrise, nonostante fosse coperto di sangue e sconfitto, le sorrise…
Quella fu l’ultima immagine che vide prima di essere colpita alla nuca e cadere in avanti priva di sensi.



fine del secondo capitolo...



Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di Mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 22
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte prima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte prima]

Toras Skellig

La calca che ingombrava gli stretti passaggi tra i banchi del mercato aveva dato un vantaggio non indifferente al ragazzo, che riusciva ad infilarsi tra i capannelli di persone e sgusciarne molto più rapidamente che gli inseguitori. I paesani non si curavano più di tanto quando venivano urtati dal monello, anche se alcuni, più accorti, portavano una mano al borsello controllando che ci fosse ancora tutto. Ben diversa la reazione che, alcuni attimi dopo, suscitavano i tre Figli della Luce, le braccia protese in avanti a scantonare chi si trovava al centro dell’inseguimento: gli avventori allora si scansavano velocemente, mormorando veloci preghiere o mezze imprecazioni; i venditori, invece, più avvezzi a questo genere di avvenimenti, si limitavano a sbuffare o scuotere la testa, indispettiti da ogni piccola distrazione che distogliesse i compratori dalla loro mercanzia. Toras e il vecchio Jaem seguivano a breve, sfruttando il varco creato dai robusti Manti Bianchi. C’era poco che essi potessero fare ora, le guardie non avevano più bisogno del loro aiuto per individuare il ragazzino: bastava infatti seguire lo scompiglio che quest’ultimo causava al suo passaggio.
Toras dubitava che l’atterrito fuggitivo seguisse una direzione precisa. Il villaggio non era particolarmente grande, e terminava semplicemente all’altra estremità della piazza, ove scorreva il fiume Dodieb. Una volta uscito dal mercato, il giovane non avrebbe avuto molte alternative: svoltare e seguire il fiume verso est o verso ovest in entrambi i casi lo avrebbe condotto nuovamente in paese, dove altri Manti Bianchi gli stavano dando la caccia; proseguire diritto attraversando il lungo ponte di legno lo avrebbe svantaggiato nei confronti degli inseguitori, meno agili ma più atletici; tuffarsi, infine, non sembrava una gran idea, a meno che il giovane Incanalatore non fosse in grado di respirare sott’acqua.
Toras non aveva idea se il Potere desse questo tipo di capacità innaturali. In realtà c’era così poco che egli sapesse su quella diavoleria, quell’abominazione. Così poco sapeva, e così tanto avrebbe voluto sapere, ora che aveva scoperto che lui, Toras, era uno di loro.
Era passato ormai un mese dalla sua cattura. Quel giorno, aveva deciso di avventurarsi con gli amici in una piccola gita a Dodieb, sfruttando un passaggio sul carro di un mercante che, dopo aver battuto la zona del villagio di Toras e quelli limitrofi, rientrava in città per approvvigionarsi. Era sembrata niente più che una ragazzata; al ritorno, il padre lo avrebbe punito severamente, forse perfino preso a scudisciate, ma qualsiasi castigo gli era sembrato ben sopportabile al pensiero di una giornata spesa in libertà, con gli amici, a Dodieb. Mercati, taverne, sidro e giochi d’azzardo li attendevano, ma soprattutto ragazze: su in montagna da lui si diceva che quelle di città fossero incredibilmente affascinanti e arrendevoli. La sera, però, dopo una giornata di balordi e dopo avere scialacquato gran parte dei propri risparmi, i ragazzi avevano dovuto lasciare la città, prima che i cancelli venissero chiusi. Le misure di sicurezza erano infatti raddoppiate nella città, dopo che voci si erano diffuse di agitazioni e fermenti al nord, mettendo paura alle autorità di Dodieb.
Toras non si era mai sentito più felice e spensierato. Mentre camminava cantava canzoni da osteria con i suoi compagni, interrompendosi solo per rievocare con gli altri qualche occhiata che aveva scambiato con una cameriera particolamrente carina. Improvvisamente l’impulso di rimettere l’aveva scosso, e si era accasciato, in preda ad una nausea fortissima. Gli altri lo avevano deriso, stuzzicandolo con degli stecchi finché non si era, faticosamente, rialzato. Nonostante la subitaneità del malessere, Toras aveva già sperimentato gli effetti del troppo bere, e non si era preoccupato troppo. La sensazione, come di un flusso di sangue che improvvisamente gli giungesse al capo, se n’era andata come era venuta, ed il ragazzo si era affrettato, per quanto le sue attuali condizioni lo permettessero, a raggiungere gli altri. Era stato allora che un anziano mendicante, che avevano incrociato al bordo della strada, ancora non molto lontano dalla città, aveva preso a seguirli da vicino. Gli altri avevano cercato di allontanarlo con offese e minacce, ma Toras aveva notato che lo straccione non stava mendicando, ma cercava di avvicinarsi per scrutare i loro volti.
Ubriaco, non aveva fatto più di tanto caso ad uno strano segno che il vecchio portava su una guancia: come una bruciatura, ma con una forma che vagamente poteva suggerire un sole. Infastidito dalla presenza del vecchio accattone, aveva quindi raccolto un sasso e glielo aveva scagliato violentemente, facendolo ricusare dal tallonamento. Ma il gruppo di giovani non era andato lontano: una pattuglia di Manti Bianchi a cavallo li aveva raggiunti, sottomessi, e ricondotti a Dodieb con polsi e caviglie legate. Toras aveva passato giorni rinchiuso in una cella senza saperne il perchè, né conosceva la sorte degli amici. Era stato il mendicante a fargli visita per primo, dicendo di chiamarsi Jaem, e svelandogli di essere un Traditore, o meglio, come egli stesso definiva gli Incanalatori costretti a cacciare i propri simili per conto dei Figli: un «Segugio». Da lui, Toras aveva scoperto di poter incanalare il Potere, benché ancora non riuscisse a farlo volontariamente, e per quanto Jaem gli ripetesse che la sua capacità era veramente ridicola, la più insignificante che egli avesse mai percepito.
Splendido!, aveva pensato tra sé, non solo sono un rinnegato, disprezzato e odiato da tutti, ma la mia abilità con il Potere è completamente inutile. Mi impiccheranno senza che io nemmeno possa assaggiarlo, questo Potere! Poi, però, lo avevano inaspettatamente marchiato e arruolato come Traditore, vuoi per l’intercessione di Jaem, che lo aveva istintivamente preso in simpatia, vuoi perchè, in fondo, un Incanalatore debole ed incompleto era più facile da controllare. Dopo giorni passati nel tentativo di ritrovare l’accesso alla Fonte, con Jaem che lo spronava e lo consigliava, aveva capito che per farlo gli era indispensabile perdere parzialmente la lucidità, come quando, la sera della cattura, la sbornia lo aveva brevemente reso inconsapevole. Sfortunatamente, alla sua proposta che qualche pinta di sidro gli venisse somministrata prima di ogni missione, per metterlo in condizione di incanalare, i Figli avevano preferito un’altra, più spiccia soluzione: un colpo secco alla nuca, ben assestato con l’elsa della spada, funzionava a meraviglia.
Ed ecco che la sua vita semplice e spensierata di ragazzo di montagna, figlio di pastori, si era trasformata in quella, violenta e miserabile, di Segugio dei Manti Bianchi, costretto per lo più a stanare giovani Incanalatori che, come lui, avevano accidentalmente scoperto la propria capacità. Toras dovette riportare di scatto la propria mente all’inseguimento dopo che, improvvisamente, ebbe passato l’ultimo banco del mercato. Lui e Jaem si diedero rapide occhiate intorno, prima di individuare i tre Figli, che avevano ormai raggiunto il ragazzo in fuga lungo il ponte. Rallentando il passo, i due Traditori si diressero in quella direzione, preparandosi ad un eventuale, benché molto poco probabile, uso del Potere da parte del prigioniero. Avvicinandosi, Toras studiò il volto del ragazzo cercando di riconoscerlo: questo villagio non era lontano dal proprio, ed egli conosceva di vista quasi tutti i giovani locali.
Una morsa di angoscia e vergogna lo prese quando si rese conto che si trattava, invece, di un ragazzino appena adolescente. Lo aveva ritenuto più anziano: un suo coetaneo, a giudicare dall’altezza; ma i tratti del viso, ancora infantili, dicevano che non aveva più di dodici o tredici anni. Gli occhi sgranati per la paura, il poveretto tremava come una foglia mentre i Figli prendevano una cura eccessiva nell’immobilizzarlo ed imbavagliarlo: «non si può mai sapere» ripeteva spesso il Capitano Comandante Kines «quello che queste creature dell'Ombra sanno fare con il Potere». La mano rugosa di Jaem gli prese allora il braccio, invitandolo a distogliere lo sguardo dalla scena pietosa. Toras si appoggiò quindi al parapetto del ponte, lasciando che i soldati finissero il loro sporco lavoro. Sentì risuonare sulle larghe tavole di legno i passi dei Figli che portavano via il ragazzino, poi la rauca voce di Jaem che gli ripeteva per l’ennesima volta che tutto questo era per il bene degli Incanalatori liberi, che questi individui erano un pericolo per se stessi e per gli altri se lasciati al loro destino, e che i Figli si sarebbero presi miglior cura di loro.
Toras, tuttavia, faceva sempre più fatica a credere alle parole del suo anziano mentore. In precedenza, il suo concetto di Incanalatore era stato quello di una creatura mostruosa, crudele e spietata, che infestava i sogni dei bambini e serviva ai genitori come spauracchio per farsi obbedire. Ma quest’immagine mentale non corrispondeva per nulla alla realtà che Toras aveva di fronte. Pensò alla famiglia del ragazzo, all’incredulità che dovevano provare al pensiero che il proprio figlio fosse un’incarnazione del male, e alla disperazione che li avrebbe presi quando si fossero resi conto che non l’avrebbero più rivisto. Proprio come la mia famiglia, pensò Toras, che non potrò mai più rivedere. Sapeva infatti che, benché le sue missioni lo portassero a volte a poca distanza dalla fattoria del padre, non avrebbe mai avuto il coraggio di ripresentarvisi, lui: un Incanalatore. E l’essere diventato un Traditore non aiutava a mitigare il suo senso di colpa, per quanto Jaem gli dicesse che avrebbe dovuto «sentirsi onorato per la possibilità che gli era stata data di aiutare le forze della Luce a portare ordine in questo mondo».



Dorian

L’alba tardava ad arrivare in quella limpida giornata primaverile mentre un lieve ma gelido vento sferzava il mantello scuro dell’uomo che incedeva nel bel mezzo della strada. Nonostante l’ora, la via, in cui si teneva uno dei mercati della città, era già affollata da bancarelle in allestimento, con venditori e fornitori che, silenziosamente, contrattavano sulla merce o scambiavano qualche formalità.
Oltre ai mercanti, la strada era occasionalmente battuta da uomini ubriachi che tornavano a casa dopo una notte brava, oppure da qualche puttana intenta ad adescare gli ultimi clienti della nottata, prima che i bambini o, peggio, qualche Manto Bianco, potessero rendersi conto della sua esistenza.
L’uomo camminava con passo agile e sicuro e la testa incappucciata ne celava completamente il viso. Nessuno gli prestava attenzione, tutti intenti nelle loro faccende quotidiane, mentre lui prendeva nota di ogni singolo movimento, ogni singolo sguardo.
Ben presto abbandonò quella strada lunga e spaziosa immettendosi in un vicolo buio e stretto fra due case di pietra a due piani. Quella parte di Dodieb era abitata da molti benestanti boriosi, ma non dall’eccellenza aristocratica. L’alta società viveva, infatti, nell’anello di mura più interno, con i loro magnificenti palazzi, i templi lussuosi e le Accademie facoltose.
Era proprio in quella parte di città che l’uomo aveva trascorso gli ultimi due giorni. Non era stato poi così difficile trovare quello che cercava, e le informazioni ottenute si erano rivelate davvero preziose e confortanti. Non che ci fossero dubbi al riguardo.
Ripensando a tutto ciò che aveva scoperto, un sorriso di compiacimento affiorò alle sue labbra carnose, ultimamente un evento non molto raro. Tutto stava andando così bene. Tra le sue memorie non riusciva a trovare un momento più felice e favorevole di quello.
Mentre si dirigeva verso la porta nord, l’uomo sorpassò due pattuglie di Figli della Luce, cosa non strana dato che quella città veniva considerata uno dei centri nevralgici della Confederazione.
Stupidi idioti… Se non fossi già soddisfatto per l’andamento della situazione mi divertirei molto a giocare con voi.
In ogni caso, a volte, si rivelavano delle ottime pedine.
Mentre l’uomo si avvicinava alle mura, infatti, le due guardie di turno iniziarono subito ad allentare i ferri che tenevano ancorate le due ante di legno massiccio della porta e, subito dopo, i cardini ben oleati accompagnarono le loro spinte verso l’esterno. L’uomo non aspettò che la porta fosse completamente aperta ma continuò a camminare, maestoso e sicuro di sé, lanciando un sacchetto tintinnante alla guardia di destra, che lo salutò con rispetto e intascò la ricompensa per il silenzio. Il vantaggio migliore di quei tempi pacifici era che bastava corrompere un solo gruppetto di sentinelle di guardia sulle mura per diventare totalmente invisibile.
E pensare che potrei spazzare via l’intera città in un secondo…
La decisione di uscire dalla porta nord era dettata dalla necessità di passare il più inosservato possibile. Da quella porta, infatti, passavano i carri di metalli grezzi e lavorati provenienti dalle montagne vicine, scortati da scavatori e minatori, che ogni giorno rifornivano le forge e le botteghe della città; ma per motivi di sicurezza nessuna carovana viaggiava di notte. Sarebbero partite dalle miniere all’alba e quindi, in quel momento, per strada, non si vedeva anima viva.
L’uomo, adesso, godeva di una completa e agognata solitudine.
Da presenze umane, perlomeno.
Le sensazioni e le emozioni che gli riempivano costantemente la mente ormai da anni, infatti, al contrario, si fecero più pressanti.
Adesso non le sentiva più come prima. Prima era stata una sensazione emozionante, ricca di aspettativa, curiosità. Poi, appurata la sua natura, si era trasformata in una piacevole scoperta, qualcosa in cui rifugiarsi quando si sentiva solo, una scappatoia dalla monotonia umana e dalla realtà abitudinaria e statica della sua specie.
Adesso, però…
I miei cari e vecchi amici si stanno rivelando di grande aiuto per il piano, anche se contro la loro volontà.. chi l’avrebbe mai detto.
Quel pensiero gli lasciò stampato in faccia un sorriso ancora più profondo.

Quando ormai le mura della città divennero solo un ricordo sbiadito e il sole fece capolino tra i picchi alti all’orizzonte, l’uomo abbandonò la strada battuta e si inoltrò negli spogli boschi, incedendo con eguale facilità e la solita maestosità sulla terra brulla. Avanzava senza esitazioni in quell’intrico di rami, scrutando dappertutto in cerca di qualche segno di vita, animale o umano che fosse. Si sentì anche abbastanza tranquillo da calare il cappuccio del mantello, scoprendo il viso al gelo della prima mattina e lasciando sparire la tessitura che negli ultimi due giorni gli aveva celato il particolare sguardo.
Due respiri lunghi e profondi gli portarono alle narici l’odore che cercava, mentre alle orecchie gli giunse il vago brusio di quello che sembrava un ruscello, e così, senza esitazione, si diresse verso una ripida parete rocciosa che svettava alla sua destra.
Tutto va splendidamente secondo i piani. E pensare che non c’è neanche stato bisogno del mio diretto intervento in questa occasione. Quando si tratta di Profezie, nessuno può resistere. Quelle due donne non sanno ancora cosa stanno per scatenare..
Adesso il vago sorriso dell’uomo si era trasformato in una vera e propria risata, eco di altrettante espressioni di giubilo apparentemente sorte dentro la sua testa, segno che i suoi "amici" la pensavano come lui.
Il ghigno risuonava amplificato dal silenzio che regnava in quella landa desolata, alberi ed alberi di solitudine e pace.
In breve, si ritrovò proprio di fronte alla parete rocciosa: una lastra di piccole e numerose fenditure decisamente impossibile da scalare, umida al tatto e altrettanto friabile. Per un momento, l’uomo pensò di essersi sbagliato, ma nello stesso istante in cui quel pensiero si formava nella sua mente, una serie di ululati gli indicò la via. Si diresse, così, lentamente verso destra, trascinando per inerzia la mano sinistra poggiata sulla nuda roccia e prestando ascolto agli ululati sempre più vicini.
Una serie di immagini e sensazioni si formarono nella sua mente ed egli chiuse gli occhi, perso in quel benvenuto.
A un tratto, la mano non trovò più nulla di concreto su cui poggiare e l’uomo aprì gli occhi, fissando la sua attenzione su una nuova scena. La roccia, adesso, curvava semicircolarmente attorno a una piccola radura ben spianata. Dalla parete stessa scorreva, lenta, una cascatella d’acqua responsabile della formazione di un piccolo fiumiciattolo che da li, poi, si immetteva tranquillo nei boschi.
Vi era un odore benevolo di erba smossa e umidità, oltre a quello pungente dello zolfo. Odori che si aspettava. Ma vi era anche puzza di fumo… e d’uomo.
«Credevo non tornassi più…»



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 23
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte seconda] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

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Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte seconda]

Toras Skellig

Le instabili pareti di legno della baracca vibrarono con una raffica di vento particolarmente forte, interrompendo momentaneamente lo scrosciare assordante della pioggia. Nonostante Dodieb fosse conosciuta come la città dal clima più mite di tutto il settentrione, gli ultimi stralci d’inverno stavano mettendo questa reputazione a dura prova. La stanza in cui Toras e Jaem stavano mangiando era pervasa da un odore di muffa misto a quello, onnipresente in città, della salsedine. Ad una smorfia di disgusto da parte del giovane Traditore, il suo più esperto compagno gli aveva suggerito di mangiare in fretta: la pattuglia a cui era stato assegnato sarebbe presto arrivata a prelevarlo.
«Questo merluzzo è avariato!» sbottò un esasperato Toras, che sognava un filetto di salmone in salsa al pepe verde accompagnato da un bianco frizzante di Shaidar Shain.
«Ragazzo, da come ti atteggi sembra che tu sia cresciuto a palazzo, non in una fattoria.», replicò Jaem «Comincio a pensare che sarebbe stato meglio spedirti in uno dei campi. Ancora continui a piangerti addosso, ma non ti rendi conto di quanto sei fortunato? Ringrazia la Luce che ti sia perfino permesso vivere, su questa terra benedetta dal sole.» Le parole del vecchio Segugio suonarono in contrasto con il freddo, l’umidità ed il cibo scadente, ma Toras annuì riluttante.
La baracca che i Manti Bianchi avevano trovato come residenza per Jaem non meritava il nome di casa, ma il vecchio non si lamentava di certo, conscio del fatto che nessun Traditore in tutta la Confederazione godeva di un trattamento e di una libertà simili. Egli era libero di andare e venire, purchè rimanesse entro la seconda cerchia di mura: il Capitano Comandante Kines sapeva che, dopo i suoi trent’anni di servizio presso i Figli della Luce, il vecchio Jaem era più fidato di tante reclute tra i Figli stessi. E sapeva anche che il suo valido aiuto meritava un buon trattamento in cambio, per quanto i Figli non amavano che si sapesse. Jaem aveva ora preso su di sé la responsabilità di alloggiare Toras e tenerlo d’occhio, anche se i due non venivano più usati in missione insieme. Toras sapeva che lo stavano mettendo alla prova, ma proprio non riusciva a sposare la causa dei Figli. Forse era la sua personalità, ribelle e poco amante dell’autorità, che strideva con la ferrea disciplina dei Manti Bianchi. Inoltre, non aveva fatto nulla di male, eppure eccolo trattato come se fosse l’Ombra stessa fatta a persona. E poi con quel dannato marchio sulla guancia gli avevano compromesso il successo con le ragazze: perfino a Dodieb non ce n’era una che osasse guardarlo più in faccia! Anche se cercava di nasconderlo a Jaem, Toras sapeva che stava solo aspettando l’occasione giusta, e poi sarebbe scappato.
I due Figli della Luce che costituivano la sua pattuglia per la giornata entrarono poco dopo, calciando la porta prepotentemente, poi uno dei due gli fece cenno di lasciare il pranzo, che peraltro Toras non avrebbe toccato, e di seguirli. Ultimamente lo assegnavano alle squadre che quotidianamente pattugliavano la zona settentrionale del porto, conosciuta come la Rada: un’area periferica, su cui non ricadeva la protezione della Luce. Era un incarico pericoloso, non tanto per gli Incanalatori, che così vicino alla città erano rari, ma per via dei tanti criminali che infestavano gli stretti vicoli bui, i quali a volte si sentivano così sicuri nel proprio “regno” da attaccare perfino le guardie. Per questo motivo i soldati di turno non si mostravano mai troppo entusiasti di questa incombenza, e spesso si sfogavano su Toras, che digrignava i denti ma riusciva a tenere in un qualche modo la bocca chiusa. L’unica cosa che li metteva di buon umore era il fatto che Toras, ancora incapace di accedere volontariamente alla Fonte, era costretto a chiedere loro di colpirlo, in modo da perdere quel poco di coscienza da permettergli di imbracciare il Potere. I due di quel giorno trovarono la circostanza addirittura esilarante. Toras li lasciò ghignare, pensando che probabilmente stavano cercando di autoconvincersi che essere di pattuglia in mezzo ad un diluvio del genere poteva anche essere divertente. Così, una volta raggiunta la Rada, e risolta quell’imbarrazzante questione, Toras si alzò il cappuccio e si avviò lungo la banchina diretto verso i bassifondi.
Secondo gli ordini, il Traditore doveva precedere di qualche passo i soldati, con il cappuccio alzato a nascondere il suo marchio, per non allarmare eventuali Incanalatori. Toras aveva anche dovuto imparare una serie di segnali con le mani con cui comunicare con i Figli senza dare nell’occhio. Per il resto, era libero di andare dove credesse più opportuno. Giunto nei bassifondi, scelse a caso uno dei vicoli che dalla banchina si dirigevano verso l’interno e lo imboccò. Le strade della Rada non erano pavimentate, e quel giorno la pioggia incessante le stava riducendo a piccoli torrenti di fango che scendevano verso i moli. La visione potenziata dal Potere consentiva a Toras di scrutare nell’oscurità di quei vicoli oscuri, di studiare il volto di qualcuno anche molto distante lungo la via, oppure di udire il rumore di passi all’interno delle case, nonostante il martellare della pioggia e l’ululato del vento. Grazie a questa capacità meravigliosa, il pattugliamento sarebbe parso a Toras addirittura eccitante, se egli non fosse stato conscio del fatto di trovarsi in una zona dannatamente pericolosa. Con un tempo del genere, tuttavia, erano pochi quelli che si avventuravano per i vicoli fangosi della Rada. Quindi, dopo un lungo e lento girovagare, il Traditore decise di entrare in un edificio, basso ma troppo esteso per essere un’abitazione, un po’ perchè sembrava inutile pattugliare le strade sempre più deserte, un po’ perchè si era stancato della pioggia. Il vasto ambiente all’interno era in penombra, ma, con la vista acuita dal Potere, Toras distingueva carrelli di legno, tavole da lavoro, utensili di vario tipo e, a ridosso delle pareti, alcuni forni in pietra: da quel poco di esperienza di città marittime che aveva, e ancor più a giudicare dall’intenso odore di pesce e di fumo, si trovava dentro ad un affumicatoio. Il luogo al momento era deserto, e probabilmente l’attività era stata abbandonata da un po’. Toras aspettò di udire i Manti Bianchi entrare dietro di lui, poi si incamminò verso l’altra estremità dello stabile.
All’improvviso, una sensazione nuova si fece largo nella sua mente: era debole al confronto degli odori pungenti o del fastidioso scricchiolio delle assi di legno che coprivano il pavimento. Eppure c’era: la consapevolezza che qualcuno che poteva incanalare fosse nelle immediate vicinanze. Provò istintivamente paura; non dell’Incanalatore però, chiunque esso fosse, ma paura di rivelarne la presenza ai Manti Bianchi. Era infatti la prima volta che scovava un Incanalatore da quando non cacciava più con il vecchio Jaem, e provava la tentazione di ingannare in qualche modo i due soldati per salvare lo sconosciuto. L’anziano Traditore non l’avrebbe mai permesso, naturalmente, ma ora Toras era solo e poteva decidere secondo la propria coscienza. D’altra parte, però, sapeva cosa succedeva ai Traditori che non davano risultati per troppo tempo, quindi si mise a riflettere su come aggirare l’ostacolo. Cercò di mantenere il passo senza fare trasparire l’esitazione, e si diresse dove la nuova sensazione puntava, come l’ago di una bussola che fosse improvvisamente comparsa nella sua testa. Nella parete in fondo al salone rettangolare c’era una larga apertura, che probabilmente serviva per l’ingresso del pesce fresco, in quanto dava su un canale ove erano ormeggiate alcune chiatte mercantili cariche di casse di legno. Toras non vedeva nessuno all’esterno, ma la sua mente gli diceva che l’Incanalatore era lì fuori, appena a lato dell’apertura, e stava lentamente avvicinandosi.
Toras riusciva vagamente a valutarne la forza: superiore certamente alla propria, anche se non avrebbe dato problemi ad uno come Jaem. Lo sconosciuto stava tuttora abbracciando il Potere, adesso ne era certo. Forse era stato incauto nel sottovalutare il pericolo provenente dall’Incanalatore: in fondo, che cosa ne sapeva quell’uomo delle intenzioni di Toras? Come poteva fargli capire che voleva aiutarlo, prima che l’altro attaccasse, o che i Manti Bianchi intervenissero? Toras si fece coraggio e avanzò deciso verso l’ingresso. Non era armato, e non aveva ancora idea di come usare quel sottile rivolo di energia a cui aveva accesso, ma era agile e rapido come pochi altri tra i suoi coetanei dei villaggi. Quando, tutte le estati, per la festa di Belteine, partecipava alla tradizionale lotta a mani nude, avversari ben più forti e robusti di lui finivano inevitabilmente a bagno nel fiume. Allora pensò di sorprendere lo sconosciuto con una presa fulminea e metterlo di fronte ai Manti Bianchi, in modo che, se egli avesse avuto qualche carta da giocare con il Potere, forse l’avrebbe giocata sui due uomini armati piuttosto che su Toras stesso. Silenziosamente si avvicinò all’angolo, poi, sicuro che l’Incanalatore fosse ormai alla distanza giusta, scattò verso l’esterno, un braccio proteso a cercare il collo dello sconosciuto, l’altro pronto a parare un eventuale colpo dal basso. La presa riuscì in qualche modo, anche se non si era aspettato che l’individuo stesse camminando all’indietro, volgendogli le spalle. Fu allora che si accorse del motivo che aveva indotto l’Incanalatore ad ignorare la presenza di qualcun’altro con il Potere: lungo l’approdo, due uomini dall’aria sospetta avanzavano con cautela nella pioggia battente, valutando la situazione, mentre un terzo osservava da una chiatta ormeggiata lì vicino, ed un quarto era pronto a balzare loro addoso dall’alto di una catasta di casse di legno.
Toras aveva intanto stretto un braccio attorno al collo dell’Incanalatore, che si era immobilizzato di colpo emettendo un grugnito di rassegnazione, e l’aveva costretto a voltarsi verso i Manti Bianchi della sua pattuglia. Dall’interno dell’affumicatoio, Wyll, uno dei due Figli, imprecò e sguainò la spada, seguito subito dopo dal compagno. Nessun segno dell’uso del Potere proveniva ancora dall’Incanalatore, che, pur continuando ad attingere alla Fonte, non muoveva un muscolo. Se l’uomo non sembrava una minaccia, i quattro loschi individui che lo stavano seguendo lo erano senz’altro, a giudicare dalle lame di varia lunghezza che ognuno impugnava e dalle movenze fluide caratteristiche di chi è avvezzo ai combatimenti di strada. Toras allora iniziò ad indietreggiare, trascinando l’Incanalatore con sè, oltrepassando l’ingresso dell’affumicatoio e proseguendo lungo il canale. Sperava che i quattro presumibili delinquenti lo seguissero, passando davanti all’apertura ed esponendosi così alla carica dei Figli, che stavano ora accorrendo. In effetti, i due sgherri sul pontile scattarono avanti... solo per essere però travolti dai vigorosi soldati. Storditi, i due malcapitati non riuscirono ad evitare i successivi fendenti e furono abbattuti. Il terzo sgherro, però, aveva estratto due pugnali da lancio e si apprestava a scagliarli, mentre il quarto si lanciava dall’alto su uno dei due Figli. Istintivamente, Toras avvertì l’impulso di intervenire, ma, pur concentrandosi, non riusciva a piegare Saidin al proprio volere. I pugnali dell’uomo sulla chiatta scattarono verso i Figli, che non se ne erano avveduti; ma, proprio ad una spanna dal raggiungere i loro obiettivi, le lame sembrarono come colpire un’invisibile superfice che vi si era frapposta, e deviarono quel tanto che bastò a salvare i compagni di Toras. Wyll fu però atterrato dal quarto scagnozzo, che gli era piombato sopra con un ginocchio sollevato per colpirlo alla nuca. L’altro Figlio, una recluta di nome Kalen, ebbe un attimo d’esitazione, guardando prima il tizio sulla chiatta poi l’altro, e infine si concentrò sul pericolo più vicino: attaccò con la forma nota come martello ed incudine, una potente sciabolata dall’alto verso il basso, che però non giunse mai a segno, perchè nel frattempo un terzo pugnale era stato lanciato verso di lui, e lo aveva colto tra le scapole.
Toras si chiese perchè la seconda volta l’Incanalore non avesse ripetuto la tessitura d’aria a difesa del Figlio. Ma non importava ormai: Wyll era rimasto al suolo, probabilmente privo di sensi, mentre Kalen era in ginocchio, contorcendosi per il dolore; non c’era tempo da perdere. Il tipo con i pugnali è veloce come una vipera rossa, pensò Toras, e l’altro è agile come un leone di montagna. Non posso contare sull’aiuto del prigioniero: non so ancora da che lato stia, e forse non lo sa neanche lui... meglio svignarsela!; e senza perdere altro tempo, dopo aver liberato l’Incanalatore dalla presa, si gettò di corsa nella direzione opposta agli sgherri. Per un po’ corse alla cieca, rischiando un paio di volte di scivolare sul legno viscido del pontile, poi, ringraziando la Luce di non sentirsi ancora un pugnale conficcato nella schiena, rallentò un istante per dare un’occhiata agli inseguitori, ma non ne vide traccia. l’Incanalatore l’aveva seguito nella folle corsa, ed ora si stava anch’egli guardando alle spalle, cercando di capire dove fossero finiti i due sgherri rimasti. Per un attimo Toras temette che essi stessero percorrendo una strada parallela cercando di anticiparli, per poi tendere loro un agguato nel luogo più opportuno. Poi, però, realizzò che probabilmente avevano invece abbandonato l’inseguimento: avevano dovuto capire che il Potere era stato usato per deviare i pugnali, ed avere a che fare con un Incanalatore era giudicato sconsigliabile perfino per i delinquenti più spregudicati; inoltre abbandonare un Manto Bianco ferito ed un altro senza sensi, senza finirli, poteva significare un rastrellamento di rappresaglia nella zona da parte delle forze della Luce. Così, dopo aver mormorato una preghiera per i poveri Wyll e Kalen, Toras decise di trovare un lougo un po’ riparato e interrogare lo sconosciuto.
Quest’ultimo appariva spossato dalla corsa, e Toras gli diede qualche attimo per riprendere fiato. Dall’aspetto, non era un locale. Carnagione scura, occhi e capelli castano scuri: con tutta probabilità proveniva da qualche città del sud. Il suo vestiario di lana marrone era il più semplice possibile; probabilmente, pensò Toras, per passare inosservato. Il viso era quello di un uomo di mezza età, dalle apparenze semplici, probabilmente un contadino o un marinaio: «Non so se ringraziarti o provare ad ucciderti...», l’uomo riuscì finalmente a tirare fuori.
Toras stava quasi per protestare, ma poi riflettè sul proprio ruolo: in effetti non aveva saputo nemmeno lui che fare quando aveva scoperto la presenza dell’Incanalatore. Non avrebbe voluto, se possibile, che i Figli lo catturassero, tuttavia per proteggerlo aveva dovuto fermarlo e farlo prigioniero. Il Disegno aveva voluto che quei quattro delinquenti si mettessero in mezzo, e lo avevano a loro modo tirato d’impiccio. «Che sia un segno, questo?», pensò il ragazzo «Forse la Luce mi sta mostrando che non è sbagliato quello che provo: che anche gli Incanalatori hanno diritto alla libertà?». L’altro inarcò un sopracciglio e Toras si accorse di aver espresso ad alta voce i propri pensieri.
«Non ho intenzione di portarti dai Manti Bianchi. Ma vedi di evitare certe velate minacce altrimenti cambio idea...», disse una volta riordinati i pensieri «Questo quartiere è pericoloso, come hai notato, ma lo è anche di più per te, perchè io ed altri... hem, Segugi... pattugliamo l’area quotidianamente. Devi andartene da Dodieb, qui in città non troverai nessun aiuto.».
Ma l’altro stava già scuotendo la testa: «Non posso andarmene! L’unica mia speranza è qui. Il fatto è che... no, non posso spiegarti.».
«Sì che puoi, invece! E lo farai.» ribadì Toras indicandogli perentoriamente di sedersi su una cassa che puzzava maledettamente di pesce marcio, e sedendosi a sua volta su una cassa simile.
Sorprendentemente l’uomo non protestò: nonostante fosse più forte con il Potere, Toras sospettava che anche lui non sapesse pienamente controllarne i flussi. Si chiamava Issal e veniva dalla zona di Samrie. Fin da bambino aveva lavorato sui bastimenti mercantili che esportavano il famoso olio locale in tutte le città che si affacciavano sul mare interno, e il fatto di trascorrere poco tempo a terra lo aveva aiutato a tenere segreta la propria capacità di attingere al Potere; un giorno però era stato individuato da una squadriglia di Figli della Luce che ispezionavano i carichi mentre il suo vascello era all’ancora nel porto di Siedre. Issal all’epoca non si era reso conto che i Manti Bianchi erano accompagnati da un Traditore, ed era rimasto ignaro di essere stato scoperto fino a quando, alcune settimane dopo, aveva fatto ritorno a casa, e l’aveva trovata vuota, sua moglie ed i suoi figli spariti. In maniera rocambolesca aveva eluso la trappola che i Figli gli avevano teso, ed era riuscito a fuggire per mare. La fuga era durata mesi, perchè in tutte le città ove attraccava sembrava che i controlli si fossero moltiplicati negli ultimi tempi, ed egli era costretto ogni volta a farsi imbarcare come mozzo sulla prima nave in partenza. Stanco di scappare, aveva infine raccontato la propria storia ad un altro marinaio, un uomo di Dodieb, chiedendogli aiuto. Questi lo aveva messo al corrente di un nuovo Culto che, a suo dire, offriva aiuto a chi era perseguitato dai Figli della Luce. Una volta attraccati a Dodieb, l’altro marinaio era riuscito a trovare un contatto: qualcuno che avrebbe potuto introdurre Issal al Culto.
«Ed è con questa persona che mi sarei dovuto incontrare oggi, quando improvvisamente mi sono accorto di essere tallonato da quei rapinatori. Ma devo continuare a cercare il Culto! Non lo faccio per me stesso: che vita può condurre un uomo con il Potere braccato dai Figli della Luce? No, è per la mia famiglia: loro non devono pagare per la mia colpa, ma sospetto che siano ancora imprigionati da qualche parte. I Manti Bianchi vorranno essere sicuri che la prole di un Incanalatore non sviluppi la stessa capacità. In ogni caso voglio rivederli almeno una volta, e il Culto è la mia unica speranza per ritrovarli. Poi, se mi potessero insegnare qualcosa sul Potere, forse potrei liberare la mia famiglia e portarli in un angolo di mondo dimenticato, dove non mi vengano a cercare...», concluse Issal perdendosi con lo sguardo fisso nel vuoto.
Toras non aveva mai visto la loro situazione di Incanalatori da questo punto di vista: ci si poteva ribellare all’autorità dei Manti Bianchi, ed in fondo era ciò che stava facendo nell’aiutare questo Issal, ma non aveva mai pensato che potesse esistere un gruppo organizzato, ad esclusione dei Ribelli del nord, che però si potevano a malapena considerare esseri umani. L’idea poi di una religione diversa da quella della Luce lo incuriosiva: aveva sempre creduto che l’unica alternativa ad essa fosse l’Ombra. Eppure uomini come lui ed Issal dovevano pur appartenere ad una fazione, ad una causa, ad una religione. Gli Incanalatori non erano ammessi nella Luce, come gli era stato da sempre insegnato, ma allo stesso tempo non poteva accettare di considerare se stesso una creatura dell’Ombra. Allora da che parte stava, lui? Di che gruppo faceva parte? La mancanza di un senso di appartenenza lo aveva tormentato dal giorno in cui aveva scoperto di potere incanalare, ed ora l’idea di questo Culto misterioso alimentava il suo dissidio interiore.
Tuttavia, al pensiero che Issal rimanesse a Dodieb, dopo il rischio enorme che Toras aveva corso per evitargli la cattura, e da cui non era ancora del tutto sicuro di essere scampato, il ragazzo protestò accanitamente, spiegando ancora una volta all’altro Incanalatore i pericoli che avrebbe corso restando. Ma Issal aveva già deciso, e non si lasciò persuadere. Visto che non poteva fare altro per lui, Toras salutò Issal, augurandogli di avere fortuna nella sua ricerca. Poi, prestando sempre attenzione a non essere seguito, si diresse verso i moli, proseguendo verso sud e uscendo dalla Rasa. Il controllo di Saidin, che aveva mantenuto per avere percezioni dilatate, svanì improvvisamente appena varcato il limite invisibile della protezione della Luce. Toras si sentì allora svuotato di tutto: alla perdita dei sensi accresciuti si aggiungevano la delusione per la decisione suicida di Issal di rimanere in città e la consapevolezza che grosse grane lo attendevano al ritorno alla capanna di Jaem. Non sapendo se affrettarsi a rientrare per fare rapporto sull’accaduto oppure ritardare intenzionalmente per dare maggior credito alla storia che avrebbe dovuto raccontare, alla fine si ritrovò a varcare la soglia di una locanda. Forse una pinta o due di sidro gli avrebbero chiarito le idee. Non voleva nemmeno pensare all’eventualità che Wyll o Kalen fossero lasciati in vita e riportassero l’accaduto: Toras sarebbe stato accusato di non avere prevenuto i Figli del pericolo, di averli successivamente abbandonati senza intervenire, e, infine, di essersi lasciato scappare l’Incanalatore. Quanto bastava per portarlo alla forca, e anche molto di più. Nonostante tutto, un braccio ripiegato sul bancone e l’altro teso a richiamare l’attenzione di una giovane cameriera, Toras sapeva che, se gli fosse stata data una seconda opportunità, si sarebbe comportato allo stesso modo.



Mabien Asuka

«Innanzi tutto, ragazza» cominciò l'uomo anziano con tono pacato e senza alcun tipo di ostilità «hai idea di dove ti trovi?» continuò intingendo il pennino nella boccetta d'inchiostro davanti a sé per poi cominciare a scrivere.
Non era la domanda che Mab si sarebbe aspettata di ricevere, certamente non come prima e non sapeva cosa loro si aspettassero di capire dalla sua risposta. Che volessero sondare quanto sapeva lei di loro?
Tardò a rispondere abbastanza da permettere agli altri due uomini nella stanza di accomodarsi al tavolo alla sinistra dell'uomo anziano già seduto. La donna rimase invece accanto al camino, brandendo l'attizzatoio e indirizzandole un cipiglio incuriosito, ma calmo. L'anziano alzò gli occhi dal foglio e li puntò su Mab, come ad incitarla a rispondere.
«Suppongo di trovarmi ad Hama»
L'uomo scrisse e senza guardarla continuò l'interrogatorio
«In base a cosa fai questa supposizione?»
Gli altri nella sala avevano gli occhi incollati a lei, sei occhi totalmente inespressivi.
«Ci siamo dirette in questa zona cercando questa città, abbiamo vagato per giorni tra i boschi senza trovare niente, finchè poi...»
Il vecchio scrisse ancora e incalzò con un'altra domanda senza lasciare a Mab il tempo di finire la frase. Parlava lento però, con tono distaccato, quasi stesse facendo domande di routine
«Come eravate a conoscenza di Hama?»
Il dubbio di Mab si confermava sempre più: era evidente che per ora il loro scopo principale era quello di capire cosa lei e Hilda sapevano dei Ribelli. Quanto poteva permettersi di rivelare senza metterle nei guai più di quanto già non lo fossero? Non tanto per lei, quanto per la Figlia della Luce, che immaginava non sarebbe stata accolta a braccia aperte.
«La Confederazione ha alcune informazioni sui Ribelli» attese un momento prima di continuare, aspettandosi una reazione, ma nessuno cambiò nemmeno posizione. Solo la penna nella mano del vecchio continuava a scorrere sul foglio.
«Niente di ufficiale in realtà e nemmeno di facilmente reperibile, ma esistono documenti, mappe... Su più di una mappa era segnato un punto in questa zona come ubicazione della città di Hama»
«Conosci anche altre città?»
Mab esitò giuso un momento
«Tsorovarin, SharShain e Coraman, tutte più a nord, che io sappia.»
«Perchè cercavate proprio Hama?»
Lei cercava Hama perchè le era sembrata la più facile da raggiungere, non sapeva se Hilda ne conoscesse altre, non ne avevano mai parlato. Poco importava, avrebbe parlato solo per sé.
«Sembrava la più facile da raggiungere»
«Da dove arrivate?»
«Da sud, da Dobied»
Sperava di non dover parlare del resto, di quello che c'era stato prima, anche se dubitava che l'avrebbe potuto evitare andando avanti.
«Ma tu non sei di Dobied» disse l'uomo ossuto accanto all'anziano. Quest'ultimo alzò la testa dal foglio e posò una mano sul braccio dell'altro
«Procediamo con ordine, Scymar»
«Volevo solo chiarire alla ragazza che non siamo qui per farci raccontare storielle fantasiose. Non vorrei pensasse di trovarsi davanti gente tanto sprovveduta da non poter riconoscere la differenza tra verità e menzogna»
Mab dovette controllarsi per mantenere il proprio volto impassibile: da come l'aveva detto, sembrava che quella gente potesse leggerle nella mente. Per quel che ne sapeva i ribelli potevano avere una conoscenza tale del Potere da aver intessuto su di lei flussi che segnalassero quando mentiva. Per quanto ne sapeva quella gente poteva essere in grado di far qualsiasi cosa con il Potere, cose a cui lei nemmeno aveva mai pensato. E quella gente ora aveva in mano la sua vita... e quella di Hilda, essendo legate la differenza era poca.
«Scymar, per favore» lo riprese ancora l'anziano senza agitarsi minimamente.
La donna si girò nuovamente verso la fiamma e spostò le braci all'interno del camino con gesti troppo bruschi. L'anziano diede un'occhiata anche a lei, poi con la sua classica flemma riprese le domande come se quell'interruzione non fosse mai avvenuta.
«Hai detto che queste informazioni in tuo possesso non sono ufficiali, né facili da reperire. Come ne sei venuta in possesso tu, quindi?»
Stupidamente Mab non aveva mai davvero riflettuto su quello che avrebbe detto ai ribelli una volta che li avrebbe raggiunti, altrettanto stupidamente non aveva mai pensato che si sarebbero potuti dimostrare assai poco ospitali nei confronti degli estranei. Sapendo che aveva lavorato per i Figli della Luce, come si sarebbero potuti fidare di lei? Ma lei era dalla loro parte, avrebbero dovuto capirlo, in dieci anni non si era mai posta troppo il problema del come, dannata idiota!
D'altra parte se non si poteva fidare nemmeno dei ribelli, che per anni avevano rappresentato nelle sue speranze l'unica ancora di salvezza di tutta quanta la sua esistenza, se non addirittura di quel mondo orrendo e corrotto in cui aveva vissuto, se nemmeno tra loro si sarebbe potuta sentir libera e sicura, allora tanto valeva farla finita, che la uccidessero pure.
Decise quindi di buttarsi e dire tutto, un po' per volta
«Esistono gruppi di dissidenti all'interno della Confederazione, gruppi di vario genere e dagli scopi disparati, ognuno ha le proprie reti di informazioni clandestine, suppongo ce ne siano molti. Ho avuto esperienza diretta di due casi e molto diversi tra loro, di altri ho saputo in un modo o nell'altro, per questo penso ci possano essere tanti movimenti nascosti alle autorità»
«Potremo approfondire il discorso in un secondo momento. Ora, non hai risposto precisamente alla domanda che ti ho fatto. Come sei venuta in possesso delle informazioni sulle città che hai nominato?»
Il tono dell'anziano non era cambiato, ma era chiaro che aspettava di sentire citare ciò che lei stava tentando di evitare.
«Ho sentito parlare dei ribelli e delle cosiddette città della Notte per la prima volta parecchi anni fa a Daing, ma ciò che si sapeva non erano molto più che leggende tramandate. Le informazioni più consistenti le ho avute tramite una rete clandestina interna alle fila dei Figli della Luce»
La donna davanti al camino vibrò un colpo secco ad un ciocco di legno, il soldato seduto alla sinistra Scymar cambiò posizione sulla sedia, il vecchio tornò semplicemente a guardarla, appena ebbe finito di scrivere.
«Sai come i Figli della Luce si procurassero queste informazioni?»
«La maggior parte erano rapporti militari di soldati spediti in missione tra queste montagne, frammenti poco precisi. Alcuni documenti invece erano più dettagliati e ricchi di informazioni: spie forse o interrogatori di ribelli catturati, credo»
«Credi, supponi... cos'è che sai?» la voce che provenne da vicino al camino era tagliente, questo era l'aggettivo che meglio poteva descrivere il modo brusco e secco di parlare della robusta donna, che si guadagnò un'altra occhiata di disapprovazione da parte del vecchio. Fu solo questione di un attimo, poi riportò la sua attenzione a Mab
«Oltre a nomi e ubicazioni, cos'altro sai?»
«Conosco la storia, ciò che portò alla Guerra della Luce e la conseguente fuga degli Incanalatori verso queste montagne e l'esilio dei Tiranni. So che avete soldati che fanno uso del Potere, che avete una vasta conoscenza di quanto è andato perduto delle epoche passate. Di Hama so che è un tranquillo villaggio di pastori, uno dei centri minori tra le città della Notte. Il resto sono deduzioni, leggende, illazioni anche: tra le verità che i Manti Bianchi hanno nascosto e le falsità che hanno diffuso non è semplice districarsi.»
«Quindi cosa ti ha portata qui?»
«La speranza di trovare un mondo diverso, un mondo in cui non essere più schiava o prigioniera di qualcuno o di qualcosa. Un luogo in cui sentirmi a casa.»
Questo era sicuramente il motivo principale.
La donna accanto al camino sospirò e lo stomaco di Mab emise un imbarazzante ruggito.
«Devi essere affamata: sei stata Guarita» disse il vecchio riuscendo ad avere un tono affettuoso pur non mostrando espressioni particolari in volto.
«Non esageriamo, Niopel!» Scymar sembrò voler anticipare la probabile proposta dell'uomo di farle portare qualcosa da mettere sotto i denti «E' pur sempre una prigioniera, non avrà cibo finchè non avrà risposto a tutte le nostre domande»
Ciò che Niopel, il vecchio evidentemente si chiamava così, disse all'uomo fu celato con l'uso del Potere: Mab vide i due uomini discutere, ma non udì una sola parola. Nel silenzio lo stomaco di Mab si fece sentire ancora una volta. La donna si avvicinò al tavolo e si unì alla discussione, anche le sue parole protette dai flussi.
Dopo poco la discussione si concluse, la donna si sedette alla destra di Niopel e l'uomo riprese con le domande, con meno flemma, sembrò.
«Veniamo a te, ora» disse «Qual è il tuo nome?»
Mab tardò un attimo, non perchè lo volesse nascondere, più per il fatto che era talmente abituata a mentire sulla propria identità che le sembrava strano non farlo.
«Fornirci un nome falso non ti aiuterebbe in nessun modo, te l'assicuro» suggerì allora la donna.
«Mab Asuka»
«Incanalatrice nata a Daing, se ho intuito bene» continuò Niopel. Mab annuì
Il vecchio passò un foglio al soldato in fondo al tavolo, il quale lo portò con sé fuori dalla stanza.
«Hai detto di aver sentito parlare delle città della Notte a Daing la prima volta. Da chi?»
Ricordare quei dettagli le portò un violento moto di nostalgia verso la sua città natale, verso i volti di quelle poche persone che aveva amato in vita sua.
«A quei tempi, parlo di più di dieci anni fa, a Daing esisteva un'istituzione cittadina, gli Algai far Shain, che mentre ufficialmente si occupava di controllare il rispetto del patto sigillato tra le famiglie reali, radunava segretamente incanalatori. Io ero una ad'ien, cioè aspirante moglie di un erede al trono: uno dei miei tutori si accorse che sapevo incanalare e mi fece conoscere il gruppo. Da quella gente sentii parlare per la prima volta dei ribelli, molti tra loro sognavano di raggiungervi e qualcuno è anche partito per realizzare questo desiderio, ma non ho mai saputo di nessuno che ci sia riuscito. Ad ogni modo sono passati troppi anni da quando gli Algai far Shain sono stati eliminati e da quando ho dovuto lasciare la mia città.»
Il vecchio annui «Siamo al corrente dei tristi fatti accaduti a Daing.»
«Niopel, io non ce la faccio più, non possiamo continuare a girare attorno all'argomento in questo modo» sbottò la donna.
L'uomo scosse la testa «Se anche i Kathienne diventano tanto nervosi, Jiselle, chi si occuperà di mantenere la stabilità tra le città? Non sono mai stato d'accordo a mischiare il sangue ed infatti guarda qua che bei risultati: mi sembra di aver a che fare con due Geinzana!»
I due in questione si guardarono torvo a vicenda, uno da una parte e uno dall'altra del vecchio.
Kathienne... ne aveva sentito parlare, era una delle casate principali tra i ribelli, l'altro nome invece non lo conosceva. Mab probabilmente non aveva ricevuto proprio tutte le informazioni sui ribelli che giravano tra i Manti Bianchi, anche se Krooche era sempre stato molto disponibile e attento a fargliele avere, ad ogni modo stava costatando che sapeva davvero poco: i Figli della Luce si stavano ampiamente illudendo di aver in mano qualcosa di concreto su quella gente, la verità era che non si sapeva quasi nulla, il che in effetti spiegava il fatto che in secoli di guerra giurata, la Confedeazione non avesse mai mosso un vero e proprio esercito contro le città della Notte.
«Le altre informazioni, invece, le hai avute per mano dei Figli della Luce, hai detto» continuò Niopel «Che rapporti hai con loro?» Jiselle e Scymar si protesero con attenzione verso di lei sul tavolo.
Evitando almeno di parlare di Hilda, cosa che probabilmente avrebbe comunque dovuto fare, raccontò del periodo di schiavitù a Kerine e poi gli anni trascorsi a Kiendger.
«Non si può far molto di diverso dall'obbedire ai Figli della Luce se si vuole sopravvivere in una città della Confederazione, se si è incanalatori in modo particolare» disse in conclusione cercando di giustificare così il suo coinvolgimento in attività spregiudicate per conto di Krooche. Pensare a lui le dava sempre un brivido, si sentiva invadere da una tale quantità emozioni che cercava solo di respingerle per non venirne travolta.
«Questo Krooche non mi sembra esattamente in linea con i precetti dei Figli, quanto ci hai raccontato esce e di molto dagli schemi, non ti pare?»
«Si, ma non è il solo. Dietro la facciata immacolata sono tanti gli ufficiali che rappresentano l'esatto contrario di quanto predicano pubblicamente. Non dico che siano tutti così, la dedizione di molti verso i valori della Luce è totale, tanto cieca da non poter neppure concepire che quelli che chiamano fratelli possano tradirli. La realtà, come vi dicevo, è che esistono fazioni e movimenti clandestini interni agli stessi ranghi dei Figli della Luce.»
I tre si guardarono reciprocamente, ma Mab non riuscì a decifrare nulla dalle loro espressioni.
All'improvviso un sussulto nel legame: Hilda aveva ripreso i sensi. La percepiva non lontana, probabilmente era in una stanza dello stesso palazzo in cui si trovava lei. Tutto ciò che l'altra provò arrivò a Mab in rapida successione: subito un senso di smarrimento, seguito da stupore, poi una terribile fitta alla spalla ferita... ancora ferita. Le altre ferite erano stage guarite, ma per la spalla trafitta dalla lama del Fade non era evidentemente servito nemmeno con l'uso del Potere. Non era solo quello a farla stare ancora male: era debole, sfinita. Preoccupazione e angoscia seguirono subito dopo. Infine fame. Lo stomaco di Mab brontolò nuovamente. La necessità di mangiare stava coprendo ogni altra cosa: ora che riecheggiava nel legame era un istinto imperativo, intenso e fisico come la necessità di rivedere lei. Il legame era anche questo: sensazioni ed emozioni che soverchiavano la propria volontà.
«Tutto bene ragazza?» chiese il vecchio.
Non si era accorta che nel frattempo aveva preso a respirare con affanno e aveva afferrato saldamente i bordi della sedia ai lati delle proprie cosce, come se ci si dovesse aggrappare per non cadere. Lasciò la presa e disse solo
«Mi sento debole» di tutte le cose che alla fine avrebbe dovuto rivelare, il legame era quella che più di tutte sperava di tener nascosta, ma dubitava che Hilda avrebbe fatto altrettanto, desiderosa com'era di liberarsene.
«La ragazza ha bisogno di mangiare, potremmo fare una sosta mentre attendiamo che arrivino gli altri» disse Niopel.
Come se fosse stata un'invocazione, la porta si aprì lasciando entrare due uomini e una donna: uno era il soldato uscito poco prima, l'altro uomo aveva un aspetto giovanile, che mal si combinava con i capelli quasi bianchi e l'espressione corrucciata che non l'abbandonò nemmeno durante i saluti agli altri. La donna aleggiò accanto all'altra già nella stanza, leggera nella sua corporatura che definire esile sarebbe stato un eufemismo, quanto chiamare rughe i solchi che le segnavano il volto severo, ma in qualche modo misteriosamente affascinante.
Quella stanza ora sembrava sovraffollata: davanti a Mab si stringevano oltre il tavolo sei persone, il soldato fu costretto a restare in piedi di lato, mentre gli altri si accomodavano e parlavano tra loro quasi tutti contemporaneamente, tranne la donna appena entrata, che invece perquisì i fogli scritti da Niopel, li studiò e poi alzò gli occhi sulla ragazza. Le parole degli altri erano confuse, ma sembravano vertere sui feriti di una battaglia: Mab non aveva pensato che i trolloc e il Fade che si erano trovate a fronteggiare loro stesse avessero potuto aver fatto danni ad altri prima, ma in effetti quando le avevano raggiunte sembrava che ci fosse già stata una battaglia tra i soldati e le creature dell'Ombra. Sentì nominare qualcosa tipo Calavron. Il volto dell'uomo da poco entrato nella stanza non sembrava molto soddisfatto comunque e non cambiò quando finalmente si girò a guardarla, a lungo.
«Dov'è il rapporto?» chiese poi, rompendo un silenzio durato qualche secondo. Mentre Niopel si stupiva di non trovare più i fogli scritti davanti a sé, la donna che li aveva presi glieli porse con calma, ancora scrutando Mab in modo insistente: con gli occhi grandi e quel viso reso spigoloso dall'eccessiva magrezza, aveva l'aria di un insetto, somigliava ad una pallida mantide religiosa. Niopel passò i fogli all'altro uomo, che mentre leggeva, fece un cenno con una mano e disse
«Continuate pure»
L'opportunità di avere un pasto pareva essere sfumata, il che la faceva sentire nervosa oltre che debole. Il vecchio si schiarì la voce e parve cercare di rammentare dov'erano arrivati. La donna dalla sinistra del tavolo si alzò leggermente dalla sedia e si protese fino ad afferrare la divisa di Hilda. Mab deglutì e si umettò le labbra.
«Il comandante Asgael ci ha riferito che sei un'incanalatrice piuttosto potente ed esperta. Chi ti ha insegnato ad usare i flussi?» domandò Niopel, ignorando quanto stava facendo la donna alla sua destra.
Mab si stupì di quanto sentito, lei non si riteneva affatto potente, tantomeno esperta.
«In realtà ho imparato quasi da sola. Tra gli Algai far Shain ho avuto le mie uniche vere maestre, ma non ho potuto frequentarli più di tanto. I pochi flussi che conosco derivano da altri incanalatori incontrati negli anni e qualcosa trovato su vecchi scritti di epoche passate. Ma non credo di essere...»
«So quello che ho visto» il soldato si avvicinò al tavolo, doveva essere lui il comandante Asgael «Se posso intromettermi, non c'erano donne tra i soldati quando le abbiamo incontrate, quindi non posso dire con precisione quali flussi usasse, ma creava palle di fuoco, esplosioni... ha sollevato il terreno tutto attorno a sè per allontanare i trolloc, e i miei uomini con loro, per raggiungere la sua compagna. Molte delle ferite riportate dai miei uomini sono state causate da lei quanto dai trolloc»
Lei aveva fatto tutto ciò? Faticò per impedire alla propria mascella di abbassarsi.
«Io... non saprei, credo di aver agito d'istinto»
«Dicci, Mab, giusto?» la voce femminile piatta, non troppo alta ma sicura, spostò gli sguardi di tutti dalla parte opposta del tavolo, verso la donna esageratamente magra da poco entrata. Mab annuì. «Dicci, perchè dovremmo credere a tutto questo?»
Mab tentennò, colta impreparata da quella domanda «Non saprei dirlo» con gli occhi seguiva i movimenti delle mani della donna che nel frattempo spiegavano la divisa bianca.
«Non ho prove di nessun tipo. Non ho altro che la mia parola»
«E questa» disse la donna aprendo il mantello e mettendo ben in mostra il sole raggiato ricamato sopra.
«E' tua?» chiese con curiosità quasi morbosa la donna accanto a lei, Jiselle.
«No, non è mia. Non sono una Figlia della Luce. Vi ho spiegato quali sono stati i miei rapporti con i Manti Bianchi, vi ho anche detto fino a che nefandezze mi sono spinta per obbedire ai loro comandi, che motivo avrei avuto di farlo, se non fosse stata la verità? Cambiano molto le mie azioni se le ho fatte indossando un abito civile piuttosto che una divisa militare?»
La donna scarna sorrise, qualche piega in più ai lati di labbra secche, e posò quel che aveva in mano.
«Appartiene forse alla donna che era con te?»
«Preferisco parlare solo di quello che riguarda me» che era un po' come se avesse risposto di sì, si rese contro, ma era troppo tardi per rimangiarselo.
Un altro sorriso da lei, mentre Jiselle e Scymar sbuffarono.
«Te lo concediamo, ma almeno il suo nome qual è?» riprese Niopel
«Hilda, non so altro di lei»
«Devo ricordarti che le persone che hai davanti non sono qui per essere prese in giro?» tornò alla carica Scymar.
Mab si accorse di aver sgranato gli occhi, flussi o meno questo senz'altro rendeva chiaro che aveva cercato di mentire. Rimase in silenzio il tempo necessario per sentirsi rifare la domanda
«Il suo nome è Hilda Al'Kishira» disse «Ma non vi dirò altro di lei. Risponderò a quello che vorrete su di me, tutto quello che vorrete» Se mai avessero fatto qualcosa a Hilda, non voleva che fosse per ciò che aveva svelato lei. Qualsiasi cosa avrebbero fatto ad Hilda, lei l'avrebbe sentita tale e quale: aggiungere i sensi di colpa al dolore era ben lontano dalle sue intenzioni.
«Non sei nella posizione per fare certe richieste» precisò Scymar
«Non servono molte domande: il nome Al'Kishira parla da solo» disse l'ultimo uomo entrato nella stanza.
Lo sapeva, dannazione! Sbuffò.
«Come mai viaggiavi con lei?» continuò l'uomo.
«Penso che a questa domanda possa rispondere lei meglio di me. Io non ho avuto scelta»
La donna in fondo al tavolo emise una breve risata secca e si alzò senza fretta. Nei suoi occhi scintillava qualcosa, sembrava quasi eccitata.
«Per me è sufficiente. Se volete scusarmi, io vado a sentire cos'ha da raccontate quella graziosa biondina. Posso prendere questa?» e afferrando la divisa di Hilda si avviò verso l'uscita.
«Griseldhe, aspetta! Non saltare a conclusioni avventate»
La donna alzò la mano in cui stringeva con veemenza la divisa bianca e la usò per indicare Mab, al centro della stanza «Cos'altro ti serve?» quindi uscì senza aspettare la risposta.
L'uomo stava per seguirla, ma si bloccò sentendo la voce di Mab.
«Io posso vederla?»
Si stupì di averlo chiesto, ma il legame sembrava volerla tirare a forza verso Hilda. La sentiva debole.
«Cosa vi lega?» chiese l'uomo, ormai in piedi.
«Mi ha salvato la vita» per quanto non fosse una bugia vera e propria, non era nemmeno la verità, l'aveva maledetta chissà quante volte in tutti quegli anni di schiavitù per non averla ucciso quel giorno. Nessuno le replicò nulla al riguardo, solo l'uomo la guardò a lungo, come meditando e poi disse
«Non mi dirai altro su di lei, anche se te lo chiedessi, no?»
Mab abbassò gli occhi «Credo comunque che ci sarebbero cose a cui non saprei davvero rispondere.»
«Ne parleremo dopo, non credere che l'interrogatorio sia finito qui. Per ora comunque non la vedrai» disse l'uomo mentre raggiungeva la porta «Fate portare un pasto per la ragazza» ordinò poi a qualcuno li fuori. Poi si rivolse nuovamente all'interno, verso gli altri seduti dietro il tavolo «Lasciatela mangiare in pace e aspettatemi per le altre domande» infine uscì seguito da Asgael.
I tre confabularono tra loro proteggendo ancora le loro voci con il Potere. Mab li osservò in silenzio chiedendosi che idea si fossero fatti di lei dopo quelle domande.
All'improvviso il legame si agitò e trasmise circospezione: quella Griseldhe doveva essere entrata nella stanza in cui tenevano Hilda. Mab sperò che non avvertisse quanto lei ne fosse spaventata.



Dorian

Quell’esclamazione profonda non lo colse di sorpresa, grazie all’anticipazione olfattiva, ma lo mise in guardia.
Infatti, nonostante la vista, più acuta rispetto alla norma umana, non riusciva a scorgere nessuno. Cercando di non dare a vedere il suo nervosismo, si addentrò nella radura, dominando il bisogno di scrutare dappertutto e mantenendo lo sguardo fisso al suolo.
Sapeva bene che al suo ospite non avrebbe fatto piacere essere scorto. Era un tipo permaloso. Soprattutto con lui.
E con gli altri occupanti della radura.
L’odore dello zolfo bruciato gli riempì pienamente le narici e subito si sentì confortato. Sapeva che se avesse cercato di raggiungere i suoi fratelli con la mente sarebbe stato un disastro, ma ciò non gli vietò di inalare quanto più possibile la loro essenza, inebriando il suo spirito. Si sentiva a casa, finalmente. Ancora molto della sua nuova vita persisteva nel suo vero essere e non aveva ancora deciso se ciò fosse un bene o un male.
La sensazione di gioia, però, durò solo pochi istanti. La sua mente si focalizzò sull’altro occupante della radura. Se quell’uomo era lì significava che era successo qualcosa. Con la mente ripassò gli ultimi due giorni, cercando una falla nelle sue azioni, nelle sue precauzioni. Nulla.
A meno che…
«Sono qui da questa notte. Avevi detto due giorni… questo è il terzo. Sai che non si ammettono ritardi; questo non è un gioco.»
Ma davvero…
«Si è presentato un piccolo contrattempo..»
Tastando il piccolo pugnale nascosto nella manica destra, si chiese se il corpo fosse già stato trovato. Si rammaricava di non avere passione per la teatralità, come qualcuno dei suoi colleghi. Aveva come l’impressione che quel corpo potesse restare chiuso in quel sottoscala per anni.
«Spero nulla di preoccupante per noi»
Il tono lasciava intendere perfettamente cosa sarebbe successo in caso contrario.
«Per noi? No, no decisamente no per noi…»
Odiava utilizzare quel tono di deferenza per quell’essere, così come odiava la posizione di inferiorità in cui il suo Padrone l’aveva posto. Solo dopo profonde analisi sulla situazione, la logica di quella scelta si rivelava ai suoi occhi. Diventava sempre più dura, ma nessuno poteva contestare le Sue decisioni.
«Meglio cosi, Dorian. Molti di noi erano restii a offrirti questa missione, lo sai. Non oso immaginare quanto il nostro Padrone rimarrebbe, come dire, insoddisfatto, se qualcosa andasse storto.»
«Ne sono perfettamente a conoscenza, Aman… E non mi perdonerei mai di aver deluso il mio Signore.»
Non potè fare a meno di aggiungere della sfida e del rammarico nel suo tono, e fu molto difficile non scoccare all’altro uno sguardo omicida.
Arriverà il giorno in cui tu ed io faremo i conti…
L’interlocutore invisibile dovette rendersi conto del corso che avevano preso i suoi pensieri poichè una risata gutturale si diffuse in modo innaturale nella radura.
Avrebbe voluto raggiungere saidin in quel preciso momento e mettere fine a quella patetica vita. Forse con un semplice flusso di Spirito…
E invece sospirò, cercando di riprendere a respirare tranquillamente.
Riesce sempre a farmi perdere il controllo. Da questo dipendono troppe cose, non posso permettermi di rovinare tutto.
Un brivido gli corse lungo la schiena. E non per il freddo. Il solo pensiero di fallire, di nuovo, era inconcepibile.
Era giunto ormai in prossimità del piccolo fuoco. Quella posizione forniva un crogiolo di odori e sensazioni uniche. Il fumo acre saliva in un flusso continuo e soffocante, ora surclassando l’odore umano, ora lasciandogli qualche spiraglio. Sullo sfondo sempre il pungente ma familiare zolfo.
Tendendo le mani verso la fonte di calore e gli occhi fissi sulle scintillanti lingue di fuoco, Dorian si concentrò sul motivo di quella presenza inaspettata. Odiava non conoscere le mosse dei suoi avversari. Non che questo capitasse spesso.
«Posso sapere a cosa devo il piacere di questa visita? E come hai fatto a trovare questo posto..»
Odiava ammettere lo smacco e la sua voce adesso suonava imbarazzata.
«Oh è stato piuttosto facile, in verità. Dovresti aumentare le misure di sicurezza dei tuoi nascondigli, o potrebbe capitare qualcosa di spiacevole. Anche ai tuoi lupacchiotti qui»
Un ringhio sommesso si alzò nella radura, causando un’altra risata soffocata da parte dell’ospite. A quanto pareva la presenza di quell’uomo per tutta la notte li aveva fatti innervosire.
«Non sono poi così indifesi, Aman. Sai di cosa sono capaci.»
Cercò di racchiudere con un occhiata di avvertimento tutte le figure alla sua sinistra, senza aprirsi alla loro mente. Era difficile trasmettere preoccupazione solo con un’occhiata ad esseri che normalmente non ragionano sulle loro azioni. Non che ci fosse seriamente pericolo per il suo ospite. Purtroppo.
Il pericolo era per loro. E per il loro motivo li.
«Sono delle bestie affascinati, te lo concedo.Potrei anche essere geloso della tua condizione, per quanto assurda possa essere l’idea di me geloso di te..»
Il desiderio trapelava facilmente da quel tono e Dorian represse a stento la tentazione di guardarlo in faccia e mettersi a ridere. Sarebbe stata la fine. Per fortuna aveva un grande autocontrollo, così si limitò a chinare la testa.
Rimasero in silenzio per parecchi minuti; il clima diventava via via sempre più teso e il senso di impotenza opprimeva Dorian sino a fargli mancare l’aria. Anche questa sensazione derivava del tutto dal suo nuovo corpo. Lui non era mai stato a disagio, o impotente. Forse il Suo signore lo stava punendo troppo duramente…
Erano pensieri pericolosi, quelli, ma inevitabili.
La radura era silenziosa come non mai, senza il canto di un uccello o lo scroscio incessante dell’acqua corrente dei fiumi, o l’ululato del vento. Era una giornata perfetta per fare piani, progettare le prossime mosse… tutto il mondo era in stallo, aspettando la scossa.
E invece quell’essere spregevole lo teneva lì senza motivo apparente.
Razza di idiota! Che cosa è venuto a fare qui? Coma ha fatto a sfuggire alle mie spie? Mi sta facendo perdere del tempo prezioso!
Aspettando che l’altro gli rivolgesse la parola, cercò di calmarsi e analizzò le informazioni di cui era entrato in possesso a Dodieb, suddividendo ciò che poteva riferire ad Aman, se gli avesse chiesto qualcosa, con ciò che gli doveva rimanere celato. Doveva essere preparato a qualsiasi domanda. Quell’uomo aveva fama di saper riconoscere a vista le menzogne e lui non aveva ancora la dimestichezza che ricordava di aver posseduto un tempo. Aman non gli faceva paura, di certo, ma doversi liberare di lui avrebbe sollevato troppa polvere. Così era costretto a pesare le proprie parole e a concentrare la mente su ogni singola espressione del viso, quando parlava con lui. Cosa che avveniva troppo spesso per i suoi gusti.
Col passare del tempo, infatti, l’interesse dei suoi colleghi per la scoperta delle sue «doti» era scemato, a poco a poco. Aman, invece, non aveva mai mollato la presa.
Non può essere solamente gelosia… c’è qualcosa sotto.
Gli ultimi quindici anni avevano fatto capire a tutti che le sue doti non potevano essere semplicemente passate di mano. La natura aveva le sue leggi avevano affermato alla fine. E in quest’Epoca, per fortuna, non avevano la lungimiranza adatta per capire che qualsiasi legge fisica poteva essere piegata se si aveva la giusta determinazione. E le giuste leve…
Ricordava bene, però, quali erano, all’inizio, le proposte di Aman per «studiare» la sua particolare condizione. Doveva ringraziare la bontà di alcuni altri se era ancora vivo.
Aman però non perdeva mai occasione per rimbeccarlo. Aveva troppa considerazione per tutte le sue mosse e ciò aveva richiesto molta pazienza e cura di particolari, nel tempo. Nonché precauzioni su precauzioni per qualsiasi azione. Era una spina nel fianco. Ma troppo utile ai fini dell’obiettivo finale per essere eliminato con superficialità.
Ancora per poco…
A furia di tenere lo sguardo fisso sulle fiamme gli bruciavano gli occhi. Sentiva lo sguardo insistente dell’uomo su di sé e non voleva mostrarsi debole, così continuò imperterrito a seguire i ghirigori del fuoco.
Percepiva solidali le creature alla sua sinistra, quasi poteva sentirne i pensieri, coerenti con i suoi. Questo lo fece calmare del tutto.
Se quell’idiota voleva restare li tutto il giorno in silenzio che facesse pure. Lui non avrebbe ceduto. Era abituato a fronteggiare comportamenti infantili peggiori.
«Sono stato convocato a Shayol Ghul»
Lo disse buttandolo lì con voce tranquilla, dandogli poco peso. Come quando si annuncia di stare per interrogare un prigioniero di infima importanza. Come se non sapesse cosa avrebbe provocato nell’altro.
Dorian si girò di scatto, involontariamente, verso la fonte di quella notizia, sbattendo continuamente le palpebre dalla sorpresa. Solitamente non avrebbe mai permesso all’altro di vedergli perdere il controllo in quella maniera, ma la notizia era sconvolgente.
Nessuno veniva convocato a Shayol Ghul dopo la Conversione iniziale.
Era ammutolito.
Non riusciva a fare altro, se non a delineare i contorni indefiniti di un uomo invisibile, in piedi, poggiato alla parete rocciosa che circondava tutta la radura. Cercò di soffermarsi sul viso, di decifrare quell’indefinita espressione, ma Aman era un esperto nell’uso di quel flusso. Grazie alla vista acuta era già tanto che fosse in grado di definirne i contorni del corpo.
«Sei.. stato convocato»
Sussurrarlo gli costò una fatica immane.
Aman si scostò dalla parete e iniziò ad avvicinarsi al fuoco, mentre prendeva sembianze concrete.
In breve Dorian si trovò di fronte un uomo sui quarant’anni, imponente e dall’aria severa. Il volto spigoloso e abbronzato, mostrava un ghigno soddisfatto. Gli occhi neri scintillavano di gioia.
«Si.. tre giorni fa»
Il tono suonava persino più arrogante del solito.
I due uomini si guardarono in faccia per qualche minuto. Dorian cercò di riprendere il controllo, ricostruendo la maschera di fredda compostezza che lo caratterizzava, mentre il sorriso spavaldo di Aman si allargava.
Le creature che li circondavano erano spettatrici immobili. Dorian percepiva la loro confusione, il loro disagio. Ma non poteva ancora condividere con loro il corso dei suoi pensieri.
Quest’idiota convocato dal Sommo Signore!!! Ma che…
«Suvvia non fare quella faccia»
Dorian cercò di resistere alla tentazione di ucciderlo.
Come osa sentirsi superiore a me! Se solo sapesse chi sono Io!
«Quale faccia… sfido chiunque a non essere sorpreso da una notizia del genere. Non capita tutti i giorni»
Il suo tono era tornato privo di inflessioni. Forse solo un po’ di amarezza. Quanto aveva aspettato la Sua, di convocazione…
«Si beh.. anche gli altri sono stati un po’ presi alla sprovvista, hai ragione»
«Non hai perso tempo per ostentare la tua.. superiorità, eh? Scommetto che ti sei subito recato alla Dimora con la lieta notizia»
«Ti consiglio di non utilizzare questo tono con me, Dorian… potresti scoprirti meno indispensabile di quanto credi»
La minaccia non lo scompose minimamente. Erano all’ordine del giorno da anni ormai. Ma non poteva continuare con quel tono, aveva ragione lui. Avrebbe attratto attenzioni su di sé che non poteva permettersi.
Così abbassò lo sguardo.
«Bene… non dimenticare mai di stare al tuo posto. Certo, posso capire che la notizia ti abbia sconvolto. Sappiamo tutti cosa significa» - Si concesse una risata e poi riprese con più foga - «Immagina la mia di sorpresa, quando il Messaggero è arrivato. E l’estasi di ritrovarsi in quel posto…»
Dorian non potè fare a meno che alzare lo sguardo sul viso del Prescelto.
Aveva gli occhi chiusi, perso in chissà quale magnificente ricordo.
Lui ricordava bene quella sensazione. L’aveva provata tante di quelle volte… e adesso gli era negata.
La consapevolezza di quella realtà gli provocava una rabbia inumana. Ma il Sommo Signore gli aveva fatto una promessa. Quindi doveva solo avere pazienza e i suoi sforzi, era sicuro, sarebbero stati ripagati.
Sospirò, e le creature al suo fianco si rilassarono visibilmente.
Aman aveva un sorriso estatico sulle labbra e quando riaprì gli occhi, dopo qualche minuto, sembrava stordito.
«Ricordi come ci si sente Dorian? Tu sei l’ultimo arrivato….»
Focalizzando nuovamente il suo sguardo su Dorian, sembrò rientrare in se. Arroganza e impertinenza allo stato puro.
Perché il Sommo Signore ha scelto quest’energumeno senza cervello?
«Lo ricordo…»
Forse per rendermi tutto più facile quando prenderò il suo posto… sa quanto mi farebbe piacere ucciderlo
«E sai cosa significa la mia convocazione…»
Non era una domanda.
«Certo che lo so, Aman»
«Puoi chiamarmi Nae’blis»
Stringento denti e pugni, Dorian si costrinse a tenere i suoi occhi gialli fissi in quelli neri del Reietto suo superiore. Non poteva far altro che obbedire.
«Si, Nae’blis»
L’espressione vittoriosa di Aman era quasi intollerabile. Solo focalizzando i suoi pensieri sulla sua, di missione, gli riuscì di calmarsi. In fondo cos’era diventare Nae’blis quando un «semplice» Prescelto minore, l’ultimo arrivato, lo era stato per millenni e adesso pianificava alle spalle del nuovo?
«Ti stai impegnando sul serio, non è cosi? Speri in una promozione, lupacchiotto?»
«Sono qui per obbedire e aiutare il nostro Signore. Chi sono io per criticare le Sue decisioni?»
«Giusto.»
Così dicendo, Aman gli voltò le spalle e si diresse verso la parete a destra. Di fianco a sè, Dorian, sentì del movimento, ma resistette all’impulso di rivedere i suoi fratelli e di cercarvi conforto.
Ai piedi della parete era posata una sacca di cuoio. Aman si inginocchio e l’apri, cercando qualcosa all’interno.
«Non sono venuto a cercarti solo per darti la bella notizia…»
Alzandosi, si soffermò a guardare qualcosa sul suo palmo destro. Poi si girò e sorrise.
«Ho degli ordini per te. È il momento di riprendere possesso di qualcosa che ci appartiene e ci è particolarmente necessaria. Sai di cosa sto parlando vero?»
L’ho programmato io questo evento, idiota, certo che so di cosa parli.
«E’ già ora?»
Fingendo sorpresa, Dorian tirò un sospiro di sollievo. Forse la nomina di Aman non era, poi, così disastrosa. Un Nae’blis, in fondo, doveva controllare le azioni di tutti i «dipendenti» dell’Ombra. Quindi la sua attenzione sarebbe stata suddivisa tra molte più persone. E lui avrebbe avuto più spazio per tramare di nascosto.
Grazie Sommo Signore…
«La tua venuta qui non doveva assicurarci che il piano andasse come programmato? Le due donne saranno tra i ribelli a breve no?»
Aman cercava già di sembrare onnisciente. Sarebbe stato un bravo Nae’blis, se avesse continuato a impegnarsi per conoscere tutto e a tenersi fuori dalle trame di Dorian.
Adesso si che la giornata era tornata a sorridere.
«Si, Aman. Tutto è andato secondo i piani. Il Manto Bianco ha trovato la ragazza e si sono dirette a Nord per raggiungere i ribelli. Ho già dato disposizioni affinché siano tenute sotto stretta sorveglianza una volta giunte ad Hama.»
Avrebbe dovuto sacrificare una delle sue spie migliori, ma quelle due erano troppo importanti.
Un piccolo incidente, e quella città sarebbe entrata nel caos. Il naturale senso di protezione per se stessi e la loro «società» avrebbe prodotto tra i ribelli sospetto e indecisione su qualunque nuovo arrivato, soprattutto per una donna appartenete alle file dei Manti Bianchi. Sarebbero state tenute sotto costante sorveglianza. L’unico problema si sarebbe presentato se la donna avesse spifferato il motivo per cui aveva intrapreso quel viaggio e la natura del suo anello. Ma Dorian era speranzoso.
Quella donna non parlerebbe neanche sotto tortura
«Bene, Dorian, bene…»
Aman era perso nei propri pensieri, col palmo destro chiuso
«Ti sei dimostrato degno di fiducia molte volte negli ultimi anni. Nonostante il tuo trascorso…»
Così dicendo spostò il suo sguardo verso le creature ai margini della radura.
«Ricordo ancora cosa ha provocato la tua venuta tra di noi. Alcuni ti credevano una spia per conto dei «buoni». Devi aver odiato quei tuoi occhi gialli, non è così? Si.. io l’avrei fatto.»
Dorian si chiese se il neo Nae’blis non stesse iniziando a impazzire. Non gli aveva mai visto quello sguardo folle, anche se Aman era famoso per la sua discontinua personalità.
«E invece poi abbiamo scoperto come creare le tue Furie» – di nuovo quel tono fastidioso di desiderio – «Ho sempre pensato fosse un pretesto bello e buono per farti accettare e dimostrare a tutti noi che ci sbagliavamo su di te. Chi l’avrebbe mai detto che si sarebbero rivelate indispensabili per il futuro.»
Poi d’un tratto si mise a ridere, perso di nuovo in chissà quale pensiero divertente.
Dorian ricordava bene quei tempi. L’odio dell’Ombra verso i lupi lo avevano costretto a dimostrare la propria fedeltà al Sommo Signore molto dolorosamente. Era stato per puro caso che le Furie avevano preso vita. Ciò aveva appianato di molto la sua strada, però. Il suo corpo e il suo spirito erano ancora martoriati di tanto in tanto, quando qualche incidente di percorso provocava la distruzione di qualche creature. Ripensandoci il dolore era quasi intollerabile…
Smettendo di colpo di ridere, questa volta, Aman fissò il suo sguardo in quei tormentati occhi gialli.
«Mi sono sempre chiesto se saresti disposto a sacrificarle tutte, Dorian? Per l’obiettivo del nostro Padrone»
Era una domanda che si era posto più volte, da solo. In quei momenti, più che mai, la sua personalità sembrava scindersi: una era legata a quelle creature anima e corpo e aberrava l’idea di sacrificare i suoi fratelli; l’altra aveva donato il suo spirito, la sua essenza più profonda, al Sommo Signore delle Tenebre, da Ere ed Ere, e non avrebbe obiettato a sacrificare l’intero mondo pur di vedere accontentati i desideri del suo Padrone.
Alla fine era quest’ultima parte che vinceva il dilemma, segno che diventava sempre più forte rispetto all’altra.
«Le sacrificherei, ovviamente. Ma non se posso farne a meno. Sono troppo preziose, lo sai anche tu»
Aman lo fissò ancora per qualche secondo, poi sorrise e gli prese la mano sinistra, avvicinando il suo viso a quello di Dorian.
«Fanne buon uso»
Il sussurro suonò amplificato alle orecchie di Dorian e la sua mano si strinse su un oggetto ghiacciato, lungo e spigoloso. Abbassando lo sguardo, aprì subito la mano e si ritrovò a contemplare una statuina dalla forma singolare: raffigurava un uomo calvo, vestito di una tunica che sembrava smossa da un vento impetuoso formando tante pieghettature spigolose. Le mani dell’uomo erano aperte, come in un invocazione e gli occhi chiusi, concentrati.
Sapeva a cosa serviva quel ter’angreal.
«Devi tornare alla Dimora il prima possibile…»
Aman, nel frattempo, si era allontanato e aveva raccolto la sacca di cuoio da terra. Dorian lo guardava senza dire una parola, ammutolito per la seconda volta.
«Osyf ha chiesto di vederti. Te e le tue creature.»
Dopodichè si erse in tutta la sua statura e si diresse verso l’uscita della radura passandogli accanto senza degnarlo di uno sguardo. Dorian rimase fermo immobile, stordito.
«Ah, e Dorian…»
«Si…»
«La prossima volta che trovo dei corvi alle mie calcagna… ti farò pentire di essere nato».



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 24
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte terza] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte terza]

Mabien Asuka

Era tanto concentrata nel tentativo di capire cosa stesse accadendo nell'altra stanza, che l'improvviso cigolio della porta che si apriva la fece trasalire. Niopel, Jiselle e Scymar avevano conversato tra loro tutto il tempo protetti dai flussi, creando così un pesante silenzio nella sala, interrotto soltanto dai crepitii provenienti dai ceppi che bruciavano nel camino e dai colpi del cucchiaio contro il fondo della terrina piena della densa e fumante zuppa di cereali su cui Mab si era avventata non appena le era stata portata. Dovevano essere passate ore da quando era arrivata in città: dal sottile spiraglio lasciato aperto tra le imposte dell'unica finestra non passava più la luce del giorno. Le condizioni fisiche di Hilda erano preoccupanti, ma quelle emotive straordinariamente erano anche peggio: la donna era tesa e scossa, più calma rispetto a prima, ma di poco, tanto che Mab stentava a credere che il suo interrogatorio fosse finito, ma il fatto che nella stanza fosse appena tornato l'uomo, che era uscito subito dopo Griseldhe, glielo fece pensare.
Questi entrando la guardò finchè non raggiunse la propria sedia, quindi si unì alla conversazione silente per le orecchie della ragazza, senza più degnarla d'attenzione. Attraverso il legame Mab sentiva lo sforzo di Hilda di ritrovare il proprio sangue freddo e il fatto di non riuscirci la faceva innervosire maggiormente, nemmeno il piacere di potersi finalmente sfamare sembrava averla calmata: qualsiasi cosa fosse accaduta in quella stanza poco prima, l'aveva fatta infuriare tanto che anche il sangue di Mab era ribollito.
La ragazza portò gli occhi alla porta, aspettando di vederla riaprirsi per fare entrare anche Griseldhe, ma così non fu. Che fosse ancora con Hilda? La tensione che passava nel legame sembrava confermarlo, ma le emozioni della sua compagna di viaggio in quel momento erano così confuse e insolite che Mab rinunciò ad analizzarle. Concentrarsi sul legame inoltre le dava problemi: la debolezza di Hilda sembrava andare oltre le conseguenze della Guarigione, c'era in lei qualcosa di più profondo e doloroso che la donna stava cercando disperatamente di contrastare con la caparbietà.
Intanto i flussi che proteggevano le voci delle quattro persone nella stanza con lei erano stati rilasciati, l'uomo da poco entrato tornò a guardare Mab e dopo averle chiesto, chiaramente per pura formalità, se avesse gradito il pasto, cominciò a ritmo serrato con le domande, più specifiche questa volta: volevano da lei i minimi dettagli sulla vita nelle città in cui aveva vissuto, sulle gerarchie, gli usi e i mezzi dei Figli della Luce, volevano da lei nomi, relazioni, più di una volta ebbe il sospetto che cercassero, oltre che informazioni sulla Confederazione, conferme a quanto erano riusciti a farsi dire da Hilda. Non le chiesero mai però di parlare direttamente di lei, il suo nome non fu nemmeno mai menzionato.
Le chiesero invece ancora di Krooche, dei suoi alleati, dei suoi nemici e pian piano il discorso andò a vertere sulle sue eventuali relazioni con l'Ombra.
«Non posso certo dire di non aver mai sospettato che fosse un servo dell’Ombra, ma sono quasi certa che non lo fosse. Nei quattro anni passati al suo fianco, temendolo, l'ho spiato... non ho mai avuto la minima prova del fatto che avesse qualcosa a che fare con l'Ombra: credo che la sua ambizione e la sua ego siano troppo smisurate per fargli prendere in considerazione l'idea di avere un padrone.»
«E come pensi sia riuscito ad avere tanto potere da crearsi una sorta di esercito personale, in cui annoverava anche degli incanalatori?»
«Quando l'ho conosciuto era già molto potente e non so molto del suo passato. Solo di recente si lasciava un po' andare in discorsi personali con me, ma non abbastanza da darmi simili spiegazioni. So che ha fatto carriera molto velocemente: quando era poco più che una recluta si è contraddistinto in battaglia salvando la vita ad un Comandante e ha raggiunto la carica che ha attualmente quando scovò un folto gruppo di incanalatori che si rifugiava nelle lande attorno a Kerine.» Quella gente era di Daing: Krooche ci aveva tenuto particolarmente a farle sapere quella storia e si era divertito spesso a fargliela tornare in mente dicendole, ogni volta che la vedeva piangere, che in quello stato le ricordava una di quelle giovani donne il giorno in cui fu condannata «Sapeva bene come minacciare e spaventare i suoi subalterni in modo da non dar loro altra scelta se non quella di obbedirgli» aggiunse dopo un breve silenzio.
Si sentì avvampare per il forte desiderio di piangere, ma si trattenne dal farlo: quella vita era finita... quantomeno non poteva andare incontro a niente di peggio di quanto aveva già passato. Perchè allora non riusciva ad esserne felice?
Trasse un profondo sospiro, ma l'uomo non le lasciò troppo tempo: continuava con le domande sull'Ombra, cosa ne sapeva, cos'aveva visto, cos'aveva combattuto... Mab si sorprese nel vedere con quanta freddezza quelle persone ascoltassero quelli che per lei erano ricordi spaventosi: tra immonde creature e gente comune votata al Tenebroso, Mab aveva accumulato una notevole quanto spiacevole esperienza in materia, ma il racconto che ne fece non impressionò minimamente i suoi ascoltatori, evidentemente abituati ad incontri di quel tipo.
L'interrogatorio ebbe un punto d'arresto, i quattro oltre il tavolo si guardarono a vicenda, Niopel annuì e l'uomo che fino a quel momento aveva fatto le domande, poggiando con calma i gomiti al tavolo ed intrecciando le dita con fare pensieroso, chiese
«Cosa sai del Drago Rinato?»
Mab ne aveva parlato giusto un paio di volte con Krooche, ma non se n'era mai interessata più di tanto. Aveva sfogliato libri che parlavano di profezie, ne aveva letta qualcuna, senza sforzarsi di capirla, niente di più: le sembrava già un'impresa ardua quella di riuscire a salvare la propria pelle, l'idea di spendere le proprie energie per occuparsi addirittura delle sorti del mondo intero le pareva decisamente sopra le sue possibilità. Rispose alla domanda ammettendo candidamente tutto questo, eppure l'uomo continuò ad indagare insistendo sull'argomento: profezie, interpretazioni, segni... si, sapeva che c'era chi sosteneva che il Drago fosse già rinato, ma erano cose che a lei non importavano e non capiva perchè quell'uomo non potesse prenderlo come un semplice dato di fatto. Lei al momento non cercava altro che un luogo in cui poter vivere liberamente la propria natura di incanalatrice... riuscire a vendicare la propria città poi sarebbe stato il passaggio successivo, la coronazione di un sogno, ma ora voleva solo dannatamente riposarsi un po'! Cosa poteva importare a lei del Drago Rinato, perchè facevano a lei tutte quelle domande?
Finalmente l'uomo parve arrendersi, proteggendo ancora la sua voce con i flussi, discusse con gli altri svariati minuti senza che lei potesse udire nulla, infine Scymar andò verso la porta, l'aprì e si affacciò fuori. Rientrò poco dopo seguito da un altro uomo: i dieci anni che erano passati dall'ultima volta che l'aveva visto sembravano essergli passati addosso con violenza, ma Mab non avrebbe potuto confondere Manas con nessun altro. Si portò le mani alla bocca, aperta per lo stupore, e si alzò dalla sedia osservando ad occhi sgranati l'uomo inchinarsi elegantemente agli altri presenti nella sala e poi girarsi verso di lei, portarsi la sua inseparabile lente all'occhio destro e infine allargare lentamente verso di lei un caldo sorriso. Mab si avvicinò a passi incerti, balbettando il suo nome e quando gli fu abbastanza vicino, fu lui il primo a tirarla a sé per abbracciarla. La strinse a lungo senza dire una parola, poi la lasciò e girandosi verso il tavolo, abbassò con rispetto il capo e disse
«Conosco questa donna: il suo nome è Mabien Asuka, ero suo precettore a Daing presso il palazzo della famiglia reale dei Darak'ien fino a circa dieci anni fa. E' passato molto tempo, ma son più che certo che questa che ora è una splendida donna sia la stessa giovane ragazza che affolla i miei ricordi di quei tempi.»
Mab si rendeva conto di fissarlo inebetita, ma non riusciva a togliergli gli occhi di dosso: cosa ci faceva lì? La gioia di rivederlo la paralizzava, a stento riusciva anche solo a pensare. Luce, Manas! Quanto le era mancato! Era così invecchiato: il suo aspetto, un tempo fin troppo aggraziato, era trasandato anche se il suo portamento rimaneva impeccabile come lo era allora, il suo volto non era rasato alla perfezione, non indossava una delle sue immancabili camicie di seta e il suo fisico, più che magro, ora appariva smunto e fiacco. Ma era Manas! Dita eccessivamente ossute reggevano la lente che stava riponendo con cura nel taschino della sua casacca di lana grezza, mentre occhi stanchi rispondevano con calore all'incredulo sguardo che lei gli aveva incollato addosso fin dal suo ingresso. La frizzante vitalità di quell'uomo sembrava essersi spenta sotto il peso di chissà quale difficile storia: che anche lei apparisse così agli occhi di lui, dopo quello che aveva passato in quegli anni? Chissà, magari tutti i profughi di Daing oggi avevano quell'aspetto.
Mab stava alzando le braccia per abbracciarlo ancora una volta, quando Scymar riaprì la porta.
«Grazie Manas, è tutto per ora.» disse l'uomo che aveva condotto l'interrogatorio, facendogli segno di uscire. Dopo un altro inchino, lui obbedì, allontanandosi da lei senza concederle un solo altro sguardo.
Mentre Mab continuava ad osservare la porta che ormai aveva chiuso fuori Manas dalla sua visuale, Scymar tornò al suo posto e Niopel la invitò a rimettersi a sedere. Fece come le veniva chiesto e dopo una breve pausa e un lungo sospiro da parte del vecchio, l'altro uomo, di cui ancora non aveva saputo il nome, disse
«Ora un'ultima cosa: cosa ti lega davvero a Lady Al'Kishira?»
Quella domanda la fece riprendere alla svelta dallo stordimento che le aveva lasciato l'inatteso incontro di poco prima. Alzò gli occhi ad incrociare lo sguardo penetrante con cui quell'uomo la stava scrutando, si sforzò per metterci tutta la freddezza di cui poteva disporre in quel momento e in quello stato e rispose secca
«Non lo so»
Jiselle fece una smorfia e con uno sbuffo si appoggiò pesantemente contro lo schienale della sedia, incrociando poi le braccia sotto il petto.
«Vuoi dire che non avevi nessun motivo per viaggiare con una Figlia della Luce?» chiese con tono di scherno.
«Oh, questo lo so perfettamente» ribattè Mab, spostando sulla donna la propria attenzione.
«Sentiamo» riprese la parola l'uomo
«Il motivo per cui viaggiavo con lei è che non mi ha dato altra scelta»
L'uomo le fece segno di proseguire, spiegandosi meglio.
«L'ho incontrata a Dobied, quando stavo cercando di uscire dalla città per venire qui: lei mi ha permesso di farlo a patto che viaggiassi con lei.»
«Perchè?»
«E' questo che non so»
«Cioè tu vorresti farci credere che hai seguito da Dobied a qui una Figlia della Luce, senza un motivo valido?» la voce di Jiselle aveva un tono di nervoso divertimento.
«Il motivo valido ce l'avevo ed era il fatto che appunto non avevo altra scelta: se non l'avessi seguita sarei stata arrestata. Voi non avete idea di cosa voglia dire vivere da incanalatori all'interno dei confini della Confederazione! Non potete permettervi di biasimare chi scende a compromessi di ogni sorta pur di sopravvivere!»
Nessuno dei quattro parlò per alcuni secondi, il silenzio nella stanza parve aggiungere enfasi a quanto lei aveva appena detto, poi Scymar intervenne freddo
«Perchè non l'hai uccisa quando siete state abbastanza lontane da centri abitati? Ne avrai avuto sicuramente occasione»
O la stavano mettendo alla prova o davvero non sapevano del legame. Mab fissò a lungo l'uomo prima di rispondergli
«Il fatto che abbia ammesso di aver dovuto uccidere per obbedire agli ordini di Krooche o semplicemente per salvarmi, non fa di me un'assassina e poi, ve l'ho detto prima, quella donna mi ha salvato la vita una volta.»
«Va bene, va bene» l'altro uomo riprese in mano le redini dell'interrogatorio «Ma non ti sei nemmeno chiesta il perchè lei, una Figlia della Luce che tra l'altro porta un nome tanto ingombrante, ti abbia aiutata a raggiungere i ribelli?»
«Certo che me lo sono chiesta... e l'ho chiesto anche a lei, ma continuo a non averne la risposta e potete andare avanti in eterno a chiederlo a me, vi risponderò sempre che ci sono domande a cui solo lei credo possa dare una risposta.»
«Ti fidi di lei?»
«No, l'ho seguita solo perchè non potevo fare altrimenti, ve l'ho detto»
«Eppure nella foresta l'hai difesa contro la progenie dell'Ombra, qui hai cercato di proteggerla da noi. Davvero non c'è altro?»
Mab si accorse di stringere la mascella... l'allentò immediatamente e inspirò profondamente prima di replicare, suonando incerta anche a sé stessa
«Cos'altro dovrebbe esserci? In certe circostanze si agisce solo guidati dall'istinto, credo sia normale, in fondo viaggiamo insieme già da una decina di giorni...»
«Che tenerezza» sibilò Jiselle
L'uomo appoggiò mollemente la testa ad una mano, continuando a guardarla, studiandola pensieroso come se lei fosse una scacchiera su cui stesse disputando una partita che non voleva perdere. Lo sguardo di Niopel, accanto a lui, non era molto diverso, ma poi in un sospiro disse.
«Credo che possa bastare» Quindi si alzò velocemente, imitato dagli altri tre.
«Cosa succede ora?» chiese la ragazza spostando gli occhi dall'uno altro, sperando che qualcuno le rispondesse. Fu Niopel a farlo, con un sorriso che invano sembrava cercare di tranquillizzarla
«Attendi qui, abbi pazienza» poi uscì dalla stanza insieme agli altri senza aggiungere altre spiegazioni.
Sola nella stanza per interminabili minuti, Mab tornò a sondare il legame, trovandovi ancora sgradevoli sensazioni di dolore, oltre che continue convulsioni di stati d'animo dannatamente contrastanti ed insoliti per Hilda: stava peggio di quel che pensava.
Il cigolio dei cardini della porta catturò poi la sua attenzione: Manas entrò, solo con il suo miglior sorriso e le braccia aperte pronte a stringerla.
«Luce, Mab! Sei davvero tu? Dammi un pizzicotto e dimmi che non sto sognando» quasi gridò.
Mab gli corse incontro e rischiarono di finire stesi a terra a causa dell'irruento abbraccio in cui lei lo travolse. Con gli occhi pieni di lacrime e la voce soffocata dalla casacca dell'uomo su cui aveva affondato il volto, rispose solo
«Non è un sogno, Manas! Sono io, sono davvero io!»



Davrath Tesael

Un passo dopo l’altro, gli stivali che scavavano un solco nella neve, la colonna avanzava lentamente. I cavalli si lasciavano condurre, indolenti. La neve era fresca, alta e soffice: Davrath non avrebbe potuto immaginare un terreno peggiore lungo cui tracciare una rotta. E c’era di peggio: lastre di roccia affioranti che impacciavano i cavalli e crepacci nascosti da individuare e oltrepassare. Il vento intenso ed incessante rendeva l’equilibrio precario ed impediva a gli uomini di comunicare tra loro. Davrath aveva cominciato a pensare che avrebbe preferito viaggiare a fondo valle nonostante il pericolo di imboscate; la relativa sicurezza che le alte quote fornivano al gruppo non era, al momento, un pensiero confortante per il Figlio della Luce. Anzi, egli si chiedeva se i Trolloc non li stessero piuttosto aspettando al villaggio dov’erano diretti, dal momento che la progenie dell’Ombra sembrava in qualche modo poter indovinare i piani del gruppo. Proprio com’era successo due giorni prima, quando i Trolloc erano apparsi nelle vicinanze della grotta seminascosta dove gli uomini si erano rifugiati, apparentemente con l’intenzione di intrappolarceli. In realtà è difficile credere che quelle bestie possano formulare un piano qualsiasi, pensò Davrath, e nemmeno i loro padroni, quei Fade senza volto, per quanto agili e duri a morire. No, devono esserci menti abili dietro a tutto. Strateghi che sono riusciti a tenere le proprie forze nascoste alla Confederazione. Mi chiedo cosa faremo quando si sentiranno pronti a svelarsi apertamente ai Figli della Luce? No, non cosa faremo: cosa faranno. Io non faccio più parte di quel mondo.
La sua preoccupazione ora doveva essere di capire qualcosa di più sul gruppo di uomini che l’aveva salvato. Quando aveva visto cosa potevano fare con il Potere, non aveva davvero saputo cosa pensare. Il loro comandante, Morgan, costituiva un mistero già di per sé: Davrath non aveva mai visto occhi con un’iride gialla. Gli altri, pur normali nell’aspetto, indossavano abiti di una foggia strana e parlavano con un forte accento che Davrath non aveva mai udito. Dapprima aveva sospettato che potessero essere una di quelle sette di cui aveva sentito parlare da alcuni dei suoi commilitoni più anziani, ad Adendath. Suo padre non ammetteva che se ne parlasse, ma in sua assenza storie erano circolate su questi incanalatori che, disprezzando la propria esistenza compromessa dal Potere, cercavano la morte nel combattere le Tenebre. Secondo le dicerie, però, i Maledetti, così venivano chiamati, erano spietati contro gli altri incanalatori liberi, che identificavano con la pura incarnazione del male. Questo non tornava con il fatto che Morgan e i suoi guerrieri avessero ingaggiato battaglia contro un nemico superiore per salvare la vita proprio ad un incanalatore. Che intenzioni hanno su di me? Sono ospite o prigioniero? Davrath non poteva sfuggire a questi pensieri che lo tormentavano: la marcia regolare e costante gli impediva di occupare la mente in altro modo.
Se parlare con gli altri era impossibile durante il cammino, nessuno sembrava avere voglia di chiacchierare durante le pause. In fondo, era comprensibile: come lui, i ragazzi avevano affrontato per la prima volta un combattimento serio, provando in prima persona cosa significa essere costretti ad uccidere per non essere uccisi; in aggiunta, questi valorosi giovani avevano dovuto anche seppellire alcuni dei loro compagni. L’unica distrazione per Davrath era osservare il modo in cui questa gente usava il Potere. Nel corso del viaggio, egli aveva avuto numerose occasioni di vedere gli incanalatori all’opera, come ad esempio durante le brevi soste, in cui essi avevano fornito riparo dalle intemperie grazie a schermi d’Aria, avevano sciolto neve per abbeverare le bestie con flusssi di Fuoco, e sempre con Fuoco avevano riscaldato i viveri. Ma, ancora più incredibile di queste apparentemente semplici tessiture, era la maniera in cui uno dei luogotenenti di Morgan, un tale chiamato Rourke, impiegava saidin per esaminare la coltre nevosa in cerca di crepacci e fenditure. Davrath aveva osservato attentamente mentre l’incanalatore indirizzava sotto la superficie singoli flussi d’Acqua, che si spandevano poi come tentacoli alla ricerca di un eventuale discontinuità nello spesso strato di neve.
I numerosi utilizzi del Potere a cui assistiva, ne suggerivano a Davrath innumerevoli altri, e lo facevano riflettere seriamente sulla correttezza dell’assunto per cui poter accedere alla Fonte era considerato un marchio dell’Ombra, ed incanalare un peccato tra i più gravi. Certo, il Figlio della Luce aveva visto gli incanalatori della compagnia all’opera contro i Trolloc, e aveva potuto valutare da vicino la potenza distruttiva del Potere usato come arma. Ma del resto ogni cosa può essere resa distruttiva, si rese conto Davrath. Un blocco di metallo può essere forgiato in un vomere o in una spada: possiamo dedicarlo all’aratura, oppure alla guerra. La materia non è buona o malvagia di per sé: è l’uso che ne facciamo che ne determina la natura. Perchè cacciamo ed imprigioniamo uomini che hanno il Potere, quando creature mostruose e sanguinarie minacciano di infestare la nostra terra?
Una recondita consapevolezza cominciò ad affiorare nella sua coscienza: lui era nato per cambiare lo stato delle cose. Suo padre non aveva mai voluto altro per lui che un’onesta carriera da ufficiale nell’esercito; avrebbe voluto che Davrath seguisse le sue tracce e ripercorresse le tappe della sua stessa esistenza. Il Disegno, però, aveva in serbo qualcosa di diverso: altrimenti perchè segnarlo irrevocabilmente con il Potere? Per condannarlo ad una misera esistenza da schiavo degli Illuminati, in mezzo ad altri incanalatori insignificanti? No, Davrath era certo che il suo destino non potesse essere così anonimo e vergognoso. E l’incontro con questi individui non faceva che rafforzare questa sua convinzione: quale modo migliore per acquisire le conoscenze di cui aveva bisogno per padroneggiare la sua abilità? Era ormai consapevole che la capacità di incanalare non era la stessa per tutti gli incanalatori, ma che il livello di Potere che ciascuno poteva attingere variava notevolmente; sapeva anche di essere più forte nel Potere di tutti gli incanalatori del gruppo, compreso Morgan, che pure sovrastava i suoi compagni. Davrath non era esattamente sicuro di come funzionasse questa percezione delle abilità altrui, ma aveva notato lo stupore di Morgan e degli altri nel constatare tacitamente la sua supremazia. Sapendo di avere un potenziale superiore e vedendo che gli altri condividevano la sua consapevolezza, il ragazzo aveva progressivamente preso fiducia dal momento del suo salvataggio; pur continuando a farsi domande sul conto degli sconosciuti che lo avevano accolto tra loro, non ne era più intimorito.
Questo lo aveva aiutato ad affrontare più serenamente la seconda ipotesi riguardo alla vera identità dei suoi nuovi compagni di viaggio, ovvero che si trattasse di un drappello di Ribelli. Nessuno parlava dei Ribelli ad Adendath: i suoi precedenti compagni d’armi non pronunciavano nemmeno la parola, tale era la frustrazione che l’avere un nemico invisibile ed inafferrabile provocava in loro. Non avendo mai visto un Ribelle, né vivo né morto, preferivano fare finta che quel nemico non esistesse. Non era raro che esploratori o sentinelle scomparissero senza lasciare tracce, e la truppa sapeva fin troppo bene che dietro le sparizioni c’erano probabilmente i Ribelli, ma nessuno dava voce al sospetto: maledicevano, anzi, il Disegno, oppure le montagne e le loro insidie, come se si fosse trattato di una disgrazia. Per cui, tutto quel che Davrath conosceva di quei misteriosi combattenti era che si nascondevano tra le Montagne della Nebbia, e che usavano il Potere.
In realtà, lo scontro in campo aperto che Morgan e i suoi avevano ingaggiato per salvarlo, e tantomeno la loro scenografica esibizione con il Potere, non corrispondevano alla natura scaltra e prudente che veniva comunemente attribuita ai Ribelli. Ma, d’altro canto, lo stesso Morgan non era sembrato entusiasta di dovere manifestare così apertamente la propria presenza. Improvvisamente stanco dei propri dubbi e del proprio rimuginare, Davrath deviò dal percorso che la colonna di uomini e cavalli stava battendo per raggiungere un poggio di roccia scoperta che guardava sulla vallata sottostante. Sapeva che gli uomini che lo seguivano avrebbero fatto fermare la colonna e che avrebbe dovuto inventarsi una scusa per l’interruzione: per essere un piccolo gruppo di paesani, la loro disciplina era severa quanto quella dell’Esercito della Luce. Però si era d’improvviso scocciato della rigidità della marcia: Morgan comanda questi uomini, ma non ha autorità su di me, e non può obbligarmi a prendere la strada più difficile solo perchè “ha sentore” che a fondo valle ci siano Trolloc in agguato. Così, avvicinatosi alla sporgenza, Davrath guardò in basso, cercando di trovare una via che lo riportasse a bassa quota, dove la foresta di conifere proteggeva dalle interperie, e dove le fitte fronde avevano impedito alla neve di depositarsi al suolo. Inaspettatamente, però, una raffica di vento lo fece vacillare, e Davrath dovette puntellarsi contro un masso per non perdere l’equilibrio. Tirato un sospiro di sollievo, stava per allontanarsi dal baratro quando il blocco di roccia, con un raschiare di pietra contro pietra, abbandonò l’incavo in cui per chissà quanto tempo era rimasto adagiato e rotolò giù dal ciglio del poggio. Davrath rischiò uno sguardo al dirupo sottostante e intravide il masso, che era alto una gamba e spesso quasi altrettanto, cozzare contro la parete nel punto in cui questa cambiava inclinazione, poi rimbalzare e rotolare lungo il pendio nevoso fino ad arrestarsi in una pietraia.
«Siamo fortunati: si è fermato presto.», disse una voce vicina a lui. «Se avesse proseguito rotolando nella neve, avrebbe probabilmente creato una slavina... e addio segretezza!».
Davrath ebbe un sussulto, non essendosi accorto che l’uomo si era avvicinato fino ad affiancarlo, «Mi dispiace...», iniziò imbarazzato, «Io volevo... Hei! Cos’era quello?», ed indicò il punto in cui aveva visto una sagoma scura muoversi nella neve, sul pendio percorso dal masso.
«Mmm... l’ho visto anch’io.», rispose l’altro, «Difficile valutarne le dimensioni da qua, ma dalla goffaggine con cui si è spostato direi che non era un uomo. Pare che il tuo sassolino abbia disturbato un esploratore dei Trolloc!» e con un cenno del capo invitò Davrath a tornare verso la colonna.
Informato dell’accaduto, Morgan fece fermare la compagnia poco oltre, sotto una cengia spiovente che offriva un minimo riparo. Quattro uomini furono inviati all’avanscoperta, con l’ordine di perlustrare il territorio. Nel frattempo, addossandosi alla parete di roccia per proteggersi dal vento, gli altri approfittarono della sosta per rifocillarsi e abbeverare i cavalli. Gli esploratori, però, non tardarono a tornare, e con notizie allarmanti: i tre manipoli nemici che li inseguivano si trovavano ora di fronte a loro, a circa mezz’ora di cammino, e stazionavano alla loro stessa quota. Ancora una volta, Davrath si chiese come facesseroi Trolloc ad anticipare le loro mosse.
Morgan intanto stava ragionando ad alta voce, con gli altri che annuivano alle sue parole: «Probabilmente l’esploratore stanato da Davrath non è ancora rientrato, altrimenti saprebbero di essere stati scoperti e avrebbero mosso contro di noi. Potremmo sfruttare il vantaggio e scendere a valle, per poi oltrepassarli mentre sono ancora in quota; cavalcando, guadagneremmo abbastanza terreno da metterci al sicuro.».
Davrath osservò sbalordito mentre gli altri mormoravano il loro assenso, «Che cosa?», esclamò «Per due giorni abbiamo camminato in quota, coprendo probabilmente un decimo della distanza che avremmo potuto percorrere cavalcando a fondo valle, e tutto perchè tu volevi evitare il rischio di imboscate. Adesso che sappiamo con sicurezza che il nemico è in agguato, vuoi che torniamo a valle? E’ assurdo!».
Morgan non sembrò infastidito dal suo intervento «Trolloc e Myrdraal non amano le alture. Se sono saliti così in alto significa che sono sicuri di coglierci di sorpresa. Tutti e tre i manipoli si trovano di fronte a noi, e non credo che ce ne siano altri in questa zona: inviare ulteriori Trolloc comporterebbe il rischio di attirare l’attenzione dei Figli della Luce.».
«Va bene, va bene!», interruppe nervosamente Davrath, «Ma la discesa non sarà un passeggiata: i cavalli in particolare ci daranno parecchi problemi. E se i Trolloc si accorgessero del nostro cambio di direzione e ci attaccassero proprio mentre stiamo scendendo? Saremmo in una posizione sfavorevole: se hanno arcieri ci flagellerebbero dall’alto. E senza possibilità di fuga!».
Morgan ancora una volta non mostrò alcun segno d’insofferenza, anzi accennò ad un sorriso mentre diceva: «Combatti come un veterano e ragioni come un generale... Mi chiedo chi ti abbia insegnato così bene.».
Davrath abbassò lo sguardo, imbarazzato: chiunque l’avrebbe riconosciuto come un Figlio della Luce, nonostante indossasse abiti comuni; ormai non aveva senso nascondere la propria storia, ma non era questo il momento opportuno per rivelarla. Dopo un attimo, Morgan riprese: «Hai ragione: la discesa sarà un passaggio delicato. Ma d’altra parte non abbiamo scelta: sono troppo numerosi per noi, non possiamo affrontarli. Ripiegando, faremmo il loro gioco: prima o poi ci prenderebbero per stanchezza o ci metterebbero con le spalle al muro. Quindi l’unica soluzione è andare a valle. Se il piano riesce, ci potremmo definitivamente sbarazzare di loro, distanziandoli a cavallo...», ma lasciò l’altra eventualità inespressa.
«In ogni caso,», proseguì il comandante rivolgendosi agli altri, «Abbiamo qualche trucco che potrebbe aiutarci a passare inosservati. Murriel, spiega agli altri come creare illusioni ottiche che confondano la visuale di un osservatore: sono sicuro che con saidin si procede in modo simile. Gli incanalatori dovranno mantenere le illusioni durante la marcia in modo che la colonna sia difficilmente individuabile dall’alto. Inoltre, prima di partire, voglio che un paio di incanalatori si facciano condurre dagli esploratori abbastanza vicino al nemico per creare un altro tipo di illusioni: i Trolloc dovranno vedere dei movimenti indistinti, o delle sagome in lontananza, che li convincano che stiamo marciando verso la trappola come si aspettano. Intesi?».
Mentre gli altri annuivano e rapidamente andavano a prepararsi, Morgan si avvicinò a Davrath «Lo so, ci sarebbe stata anche un’altra soluzione.», gli disse sottovoce, «Attaccare i Trolloc a distanza, unicamente con il Potere. Praticamente lo stesso tipo di tessiture che abbiamo usato per eluderli la prima volta: piccoli smottamenti, lastre di ghiaccio... Con la differenza che qui, in alta montagna, avrebbero un effetto determinante. Un intero manipolo potrebbe essere bloccato da un crepaccio apertosi improvvisamente, una piccola valanga potrebbe barrare loro la strada. Impedendo loro di arrivare a contatto e decimandoli con il fuoco dei Ladr... ehm, dei miei compagni, forse potremmo arrivare a pareggiare le forze in campo. Ma poi? Un combattimento ad alta quota è sempre più sanguinoso, essendo più difficile la ritirata. Non voglio rischiare altri uomini, Davrath, a meno di non esservi costretto.».
Davrath incontrò lo sguardo di Morgan: c’era timore, ma non della morte, bensì del fallimento. Il comandante sapeva che, optando per la fuga a valle, correva comunque il rischio di dover combattere, ma cercava per quanto possibile di ridurlo. E io dovrei credere che queste persone stanno semplicemente difendendo dai mostri assalitori il loro piccolo villaggio di incanalatori raminghi? Riflettè Davrath. Se fosse così, perchè si sottraggono allo scontro? No, sono figlio di un ufficiale e so riconoscere quando un uomo sta eseguendo degli ordini. Morgan è sotto il comando di qualcun’altro, che l’ha inviato qua con dei compiti ben precisi, qualcosa di più complesso che non semplicemente ingaggiare battaglia all’occasione. Mentre meditava, cercò riscontro delle sue conclusioni in quegli strani occhi gialli, ma Morgan dovette probabilmente accorgersi che il Figlio della Luce lo stava studiando perchè distolse lo sguardo e si incamminò verso il proprio cavallo.
Davrath lo fermò: «Io non vi ho raccontato ancora nulla di me, e non mi aspetto che voi mi sveliate qualcosa sul vostro gruppo. Però ho bisogno di sapere che intenzioni avete, per decidere se proseguire con voi oppure no. Da solo, passerei inosservato; senza contare che io non sono obbligato a tornare verso nord come voi. Potrei sfuggire ai Trolloc senza problemi.».
Sapeva di avere un po’ esagerato, in fondo i Trolloc lo avevano già accerchiato una volta mentre viaggiava da solo, ma voleva mettere alla prova Morgan. Il ragazzo si fermò; poi, dopo qualche attimo in cui sembrò prendere una decisione difficile, si decse a parlare: «Quando hai urtato quel masso, mettendo in fuga l’esploratore dei Trolloc, non è stato un semplice incidente.».
Davrath si accigliò: che cosa intende dire? Che l’ho fatto apposta?
Ma Morgan, pur con riluttanza, finì di spiegare: «Sei uno di quei rari individui attorno a cui la Ruota tesse i fili più importanti del Disegno. La tua presenza provoca talvolta eventi improbabili, ma mai casuali, anche se a volte è impossibile intravedere qual’è il loro scopo utlimo. Attiri verso di te altri individui, in modo che tu possa indirizzare le loro esistenze nella direzione voluta dal Disegno. Sei Ta’veren.».
Davrath rimase un po’ confuso da questa spiegazione; in particolare non ricordava di avere mai sentito pronunciare il termine Ta’veren.
Di fronte alla sua incertezza, Morgan tornò verso di lui e gli posò una mano sulla spalla «E’ difficile da credere, lo so, ma ne sono pressoché certo: ho già avuto altri... segni. Naturalmente questo significa che la presenza stessa della progenie dell’Ombra in questa regione è dovuta a te. D’ora in poi, non pensare mai di essere al sicuro, ovunque tu vada. Quanto più sei importante per la Luce, tanto più lo sei per le Tenebre. Ed è per questo che devi venire con noi. Non posso rivelarti di più per ora, ma ti basti sapere che camminiamo nella Luce, e faremo di tutto perchè il Tenebroso non arrivi a te.». E, detto questo, lo esortò con un cenno a raggiungere gli altri che si stavano preparando all’ardua discesa.
Dapprima, Davrath esitò, in preda alla paura che in lui si era destata imparando di essere un bersaglio delle Tenebre. Poi, però, realizzò che questo era proprio il segno che aveva aspettato: era la conferma che il Disegno aveva in serbo un grande destino per lui. Così, mentre seguiva Morgan verso i cavalli, rise di se stesso e della sua paura: niente nemici, niente gloria ripeteva spesso suo padre. E quale gloria maggiore di avere le Tenebre per nemico?



Morgan Neglentine

Morgan si svegliò contrariato. Aveva sperato di accedere al Mondo dei Sogni, di incontrare finalmente Nebbia d’Argento per porgli le domande che lo assillavano, ma invano. Invece, un’altra notte senza sogni era passata, lasciandolo con tutti i suoi dubbi irrisolti. Forse sono troppo stanco, e di conseguenza il mio sonno è troppo profondo, si disse alzandosi a sedere nell’ampia tenda circolare che condivideva con altri sette compagni. Rimase seduto qualche istante per adattare gli occhi alla semioscurità: doveva essere quasi l’alba. Essere incapace di sfruttare volontariamente la propria capacità lo faceva infuriare. Quante cose ancora ignorava del Mondo dei Sogni! Era convinto che fosse importante imparare a Camminare i Sogni, ma senza guide non avrebbe saputo dove cominciare; ormai era parecchio tempo che Nebbia d’Argento non lo richiamava in quel mondo etereo, e Morgan non aveva idea di come accedervi spontaneamente. E per finire, il lupo che aveva incontrato l’ultima volta, Giovane Toro, non aveva avuto tempo per le spiegazioni né tantomeno gli aveva potuto insegnare qualcosa. Silenziosamente Morgan si alzò e uscì dalla tenda. La luce nel profondo della foresta di abeti era ancora scarsa, ma era probabilmente più tardi di quanto immaginasse. Per un attimo fu indeciso se svegliare il campo oppure dare qualche momento in più di riposo ai suoi soldati; alla fine decise di aspettare un altro po’: ormai erano a una giornata di cavallo da Coraman, non c’era bisogno di spremere uomini e bestie ulteriormente. Anche se i Trolloc avessero camminato continuamente giorno e notte, durante quegli ultimi due giorni d’inseguimento nella foresta, non avrebbero potuto recuperare lo svantaggio prima che il gruppo arrivasse a destinazione. Siamo stati fortunati, pensò sorridendo tra sé, la mossa con cui abbiamo aggirato i Trolloc è stata a dir poco ardita. E dobbiamo ringraziare la goffaggine di Davrath, altrimenti non avremmo mai scoperto che il nemico ci aspettava in agguato.
Morgan raccolse il proprio sacco e ne estrasse un po’ di tabacco. Mentre caricava e accendeva la pipa, cercò di distendere i nervi e allentare la tensione, che dall’inizio della missione non l’aveva mai lasciato. La temperatura era decisamente salita rispetto al giorno precedente e gocce d’acqua cadevano dall’alto delle fronde, man mano che la neve che vi si era accumulata si scioglieva. In cuor suo Morgan sperava che quegli ultimi giorni di freddo fossero stati il colpo di coda di un inverno ormai concluso, sebbene egli sapesse che neve, ghiaccio e condizioni meteorologiche estreme erano in realtà amici dei Ribelli. Durante l’inverno era infatti decisamente raro avere intrusi nelle vicinanze delle Città della Notte, e i Neglentine potevano allentare un po’ la guardia. Quest’anno però non possiamo dire di avere avuto una stagione tranquilla, con i Trolloc che si sono fatti vivi nel settore orientale, pensò accigliandosi mentre assaporava l’acre aroma del tabacco. Morgan aveva la netta impressione di avere in Davrath la chiave per capire la causa del risveglio delle Tenebre. Tuttavia non si faceva illusioni che la minaccia del nemico potesse cessare una volta condotto il ragazzo a Coraman; al contrario, anzi, si aspettava un aumento della belligeranza. Comunque, prima riesco a coinvolgere gli Anziani meglio è, si disse svuotando la pipa e incamminandosi verso la ronda di guardia. Alle sentinelle diede l’ordine di svegliare il campo e di prepararsi per la partenza, poi si diresse ai cavalli e iniziò a sellare il proprio. Poco dopo, le tende erano state smontate e gli uomini avevano consumato la succinta razione di carne secca che costituiva la loro colazione.
I feriti, intanto, erano sottoposti all’ispezione quotidiana da parte del Guaritore; Morgan osservò il Nad’al cambiare bendaggi e somministrare unguenti, poi gli chiese, privatamente, un aggiornamento sulla situazione. Su alcune ferite il Potere non aveva avuto effetto, o a causa di veleno presente sulle lame dei Trolloc, o per il contatto con il sangue contaminato dei mostri; i tagli rifiutavano di richiudersi e il Guaritore faceva il possibile per arginare la perdita di sangue applicando impacchi di erbe dal potere cicatrizzante, o più semplicemente della neve ghiacciata. Si erano invece stabilizzate le condizioni dei due mutilati: la Guarigione aveva chiuso le piaghe e prevenuto qualsiasi infezione; purtroppo il Potere non avrebbe potuto restituire ai due ragazzi gli arti perduti. Sospirando, Morgan ringraziò il Guaritore per il suo impegno e chiamò a sé i suoi luogotenenti. «A giudicare dalla mappa, il bosco dovrebbe finire al termine della vallata, dove incontreremo l’altopiano. Procedendo sempre verso nord, incroceremo il corso del fiume Coradel: a quel punto ho in mente un piccolo diversivo per confondere le nostre tracce. Vi spiegherò al momento opportuno.». Morgan sapeva che il Coradel tracciava il suo alto corso attraverso l’altopiano roccioso nel mezzo del quale si trovava Coraman. Il corso d’acqua, nel corso dei secoli, aveva scavato un profondo ed ampio burrone, che offriva un impensabile nascondiglio per la città dei Faine. Nei suoi piani, avrebbero raggiunto il burrone molto a valle rispetto a Coraman, e lì avrebbero deviato verso la città, però non prima di aver creato una falsa pista per sviare i Trolloc. E così la truppa si rimise in marcia, conducendo i cavalli ad un trotto contenuto.
La giornata era decisamente primaverile, e lo spirito dei soldati era nuovamente alto; perfino Davrath, che era stato scontroso e irritabile sin dal loro diverbio sul crinale, adesso aveva un’espressione rilassata e compiaciuta. Mi chiedo quanto durerà, pensò Morgan con un sospiro. Fin dal primo momento, Davrath gli era sembrato una testa calda: per quanto intelligente ed istruito, il ragazzo era decisamente troppo combattivo e irascibile. Il giovane incanalatore era molto più pericoloso di quanto lo ritenessero gli altri Ribelli del gruppo. Un Manto Bianco fuggito da uno degli avamposti della Confederazione perchè scoperto in grado accedere al Potere: questo era il modo in cui essi lo vedevano. E Morgan aveva ritenuto opportuno, per il momento, non svelare niente di ciò che aveva appreso attraverso i sogni, per non creare agitazione tra i suoi uomini. Il viaggio quindi trascorse tranquillamente e senza intoppi, con l’unica variante del paesaggio, che mutò dalla foresta di sempreverdi ad una landa pianeggiante con scarsa vegetazione. Quando infine giunsero alla gola scavata dal fiume Coradel, Morgan fece fermare la colonna; quindi ordinò agli uomini di proseguire smontati verso nord-ovest, seguendo la sponda del baratro. Poi, aiutato da altri due incanalatori, usò flussi di Terra per creare una falsa pista che si interrompesse improvvisamente con il ciglio del burrone; infine si mise pazientemente a lavorare in coda al gruppo per eliminare con il Potere le tracce fresche degli uomini che procedevano davanti a lui. Da quel poco che si conosceva ancora delle forze delle Tenebre, sembrava che Trolloc e Fade avessero in genere una nozione molto vaga del Potere e dei suoi possibili usi; Morgan quindi sperava, con la propria dissimulazione di orme, di far credere agli inseguitori che i suoi Ribelli avessero usato il Potere in qualche modo per attraversare il baratro invece che deviare e seguirne il corso. Magari cavalcando sospesi nel vuoto, pensò divertito. Aspetta, però... Teoricamente si potrebbe anche fare! Poi, scuotendo la testa: che la Luce mi perdoni per avere certe idee! Quando giudicò che l’occultamento delle tracce potesse bastare, fece montare in sella i Ribelli e li guidò al trotto per l’ultimo breve tratto del loro viaggio.
Era quasi l’imbrunire quando Murriel gli si avvicinò per comunicargli che erano ormai nei pressi di Coraman. Morgan avrebbe voluto lasciare che i soldati si recassero in città per rifocillarsi e riposarsi appropriatamente, ma la presenza di Davrath avrebbe causato non poche difficoltà. Era vietato, infatti, condurre uno straniero in una qualsiasi Città della Notte, con l’unica eccezione di Arcavende, dove il clan Geinzana provvedeva agli interrogatori degli sconosciuti. Non importa quanto Morgan fosse convinto dell’importanza di Davrath, non avrebbe infranto questa regola per lui. Quindi diede l’alt e ordinò di montare il campo per la notte. Gli uomini erano già stati informati di questo contrattempo e, pur non essendone probabilmente contenti, non lo davano a vedere per via di non svelarne il vero motivo a Davrath. Al ragazzo invece Morgan aveva spiegato: «Il nostro villaggio non è molto lontano, ma non voglio condurvi tutto il gruppo stasera, rischiando di svelare la presenza del nostro quartier generale ad eventuali inseguitori. Domattina, quando sarete sicuri di non essere seguiti, potrete procedere. Stasera, invece, andremo solo io e Murriel con i feriti gravi. Spero che questo piccolo ritardo non ti sia di troppo disturbo.». Nonostante fosse evidente dalla sua espressione che il ragazzo odiava essere lasciato indietro, Davrath alzò le spalle e rispose che il suo stesso luogo d’origine assomigliava più ad un accampamento che ad un villaggio, quindi una notte di più in tenda non poteva fargli molta differenza. Poco dopo, mentre aiutava il Guaritore a mettere in sella i feriti, Morgan riflettè sulla risposta di Davrath: più un accampamento che un villaggio... corrisponde alla descrizione che il Faine superstite mi ha dato dell’avamposto di Adendath. Se è da lì che viene Davrath, occorrerà prendere qualche misura per assicurarci che, cercando il loro disertore, i Manti Bianchi non finiscano per trovare noi. Cioè... sempre che non abbiano prima trovato i Trolloc! Quando i feriti furono sistemati in modo da poter affrontare la breve cavalcata che li aspettava, il piccolo gruppo si mise in moto dietro a Murriel.
Nella penombra, la ragazza dei Faine li condusse per un tratto seguendo il corso del burrone, poi successivamente si allontanò da esso. Morgan si era recato a Coraman solo una volta prima di allora, all’inizio della sua missione; in quell’occasione aveva potuto ammirare le curiose scalinate che, dal fondo della gola dove si ergeva la città, perforavano diagonalmente il costone roccioso e sbucavano ad una notevole distanza dal margine del baratro. In quel modo, gli era stato spiegato, se anche uno straniero avesse individuato Coraman dall’alto del dirupo, non avrebbe saputo come arrivarci, dato che l’accesso alle scalinate era dislocato altrove, oltre che abilmente camuffato. Giunti all’imbocco delle scale, vennero fermati da sentinelle Faine, che, sbucate da chissà dove, chiesero ai viandanti di identificarsi. Una volta riconosciuta Murriel, le guardie si affrettarono ad aiutare con i cavalli. Infatti, benché la discesa fosse abbastanza dolce ed ampia da essere percorribile a cavallo, le povere bestie erano comprensibilmente restie ad incamminarsi lungo quegli oscuri cunicoli, e dovevano essere condotte. Lentamente, la compagnia scese le scale, che erano fievolmente illuminate da rare torce appese alle pareti. Una delle sentinelle camminava in testa alla fila, per disinnescare le tessiture d’allarme. Più volte Morgan pensò d’intravedere finalmente l’ultimo gradino, per poi rendersi conto che si trattava solo di un pianerottolo, dopo il quale la scalinata procedeva per un’altra interminabile rampa nella direzione opposta. Le scale erano infatti talmente lunghe da non potersi estendere in un’unica direzione, per cui si sviluppavano a zig-zag nella parete rocciosa.
Quando giunsero in fondo, Morgan era sfinito dallo sforzo di guidare i cavalli ricalcitranti e di scrutare nella fioca luce delle torce.
Altre guardie che sorvegliavano il termine delle scale presero in consegna i feriti e li condussero alla dimora dei Guaritori. Sgravato da quella prima incombenza, Morgan potè quindi concentrarsi sulla seconda: fare rapporto agli Anziani. Chiese quindi a Murriel di portarlo al Palazzo del Consiglio: il luogo dove si teneva la più importante assemblea di rappresentanti di tutti i clan Ribelli. Il Palazzo naturalmente includeva anche alloggi riservati agli Anziani che soggiornavano temporaneamente a Coraman durante i Consigli, anche se, in questo momento, essi erano occupati solo dai due Anziani locali. Ed erano proprio costoro che Morgan stava cercando, per quanto, in realtà, avrebbe preferito riferire ai Consiglieri dei Neglentine: in parte perchè con essi aveva più familiarità, in parte perchè erano stati loro ad affidargli la missione. Comunque confidava che, dopo aver fatto rapporto qui a Coraman, gli Anziani dei Faine gli avrebbero permesso di inviare un messaggero al suo clan, o semplicemente di tornare a Tsorovarin per riferire di persona. Questi erano i pensieri di Morgan mentre camminava al fianco di Murriel lungo gli stretti vicoli della città, che era ormai silenziosa. Le stelle, infatti, apparivano già in quella fascia di cielo che era visibile dal fondo della gola, e gli abitanti di Coraman erano già rientrati alle loro abitazioni; solo i gatti randagi si aggiravano a caccia di roditori e animaletti notturni. L’abitato si estendeva principalmente su quella sponda del fiume, in un punto in cui la gola era più ampia. Gli edifici erano addossati l’uno all’altro, lasciando tra loro stretti varchi che non si potevano propriamente chiamare strade. Le case avevano un aspetto molto diverso da quelle di Tsorovarin: al posto delle ampie e basse abitazioni dei Neglentine, costruite con blocchi di roccia scura del vulcano, qui tutte le costruzioni erano almeno su due piani e i muri erano fatti con i ciottoli e la malta portati dal fiume.
Ma la struttura più imponente della città era il lunghissimo ponte che copriva la distanza tra una sponda e l’altra senza essere sorretto da nessun pilone. Il ponte non aveva la forma ad arco a cui Morgan era abituato, ma era fatto a cuneo, e la novità lo fece vacillare un attimo prima di intraprendere la ripida salita. «E’ la più antica costruzione di Coraman: resiste all’impeto del fiume da centinaia di anni... Ti puoi fidare, Morgan!», lo incitò Murriel roteando gli occhi.
Mentre valicavano la metà del ponte e ridiscendevano verso la sponda opposta, la giovane Faine gli spiegò che il fiume Coradel era la vera ricchezza della città: esso forniva non solo un ottimo terreno di pesca, che veniva effettuata con lunghe reti tese di traverso alla corrente da una sponda all’altra, ma anche la principale via attraverso cui trasportare il legname e tutte le altre risorse che la città non possedeva. A Morgan bastò un’occhiata ai rapidi flutti del Coradel per decidere che le placide acque del lago di Tsorovarin erano decisamente più adatte ad una gita in barca. Sollevando lo sguardo, Morgan si ritrovò finalmente di fronte al Palazzo del Consiglio. Questa sponda, molto meno estesa dell’altra, era occupata per più della metà dal Palazzo e da edifici connessi ed esso. La costruzione era grandiosa ed appariva evidente che il Potere era stato ampiamente usato durante la sua edificazione. Un cortile recintato si trovava sul davanti, di fronte all’ingresso principale, e due guardie nella livrea giallo oro dei Faine erano di piantone al cancello. Quando Murriel ebbe esposto loro la propria situazione, una delle guardie si avviò senza troppo entusiasmo all’interno del Palazzo; Morgan aspettò il suo ritorno con impazienza, cercando di nascondere il nervosismo: disturbare gli Anziani a questa tarda ora era un’occorrenza insolita a dir poco e il ragazzo sperava davvero di convincerli che le notizie che portava erano d’importanza tale da giustificare il disturbo. La guardia tornò poco dopo al cancello e fece cenno al compagno di aprire; il soldato però impedì, con gentilezza ma fermamente, a Murriel di entrare, assicurandole che da lì in poi avrebbe pensato lui a fare strada a Morgan. Il giovane Neglentine sorrise alla ragazza rassicurandola, poi seguì la guardia all’interno del Palazzo.
Il salone d’ingresso sminuiva per confronto la sala del consiglio nel Forte di Tsorovarin: eleganti lampade ad olio illuminavano l’ambiente circolare, al cui interno una serie di colonne disposte anch’esse a cerchio reggeva una sontuosa cupola. Il pavimento, le colonne e le pareti erano in semplice pietra, ma ovunque drappi, tappeti e arazzi coprivano la rozza superficie dando un senso di sfarzo e splendore. Il colore prevalente era il giallo oro del clan locale, fatta eccezione per i paramenti delle casate che pendevano al centro del salone, tra una colonna e l’altra: ognuno di essi aveva i colori di uno dei clan Ribelli e ne mostrava lo stemma. Passando a lato del colonnato, Morgan vide la testa d’orso su campo blu scuro dei Neglentine, la foglia dorata a tre punte dei Geinzana, la sfera luminosa dei Nad'al... e poi uno stemma sconosciuto, con una mano stretta a pugno su campo argento; anche il numero di drappi, nove, non tornava... Intanto, però, la guardia aveva proseguito attraverso il salone e Morgan si affrettò a raggiungerla. Proseguirono quindi attraverso un passaggio che sia apriva a lato di un grande portone di legno, il quale probabilmente era l’accesso alle aule del Consiglio, e percorsero un corridoio interminabile che evidentemente percorreva il perimetro del Palazzo, visto che piccole finestre continuavano ad alternarsi regolarmente sulla parete di destra. I loro passi risuonavano sinistramente nell’edificio apparentemente deserto e il giovane Neglentine si sorprese più volte a guardarsi alle spalle convinto che qualcuno li stesse spiando. E’ buffo come un giorno puoi affrontare serenamente uno spietato Myrdraal senza volto, ma un altro ti fai prendere dalla paura mentre cammini di notte in un edificio sconosciuto, si disse. Infine giunsero ad un’altra ala del Palazzo, che Morgan giudicò trovarsi nella parte posteriore: qui, gli ambienti erano meno ampi, ma non meno sfarzosi del salone d’ingresso; diverse porte tutte uguali si trovavano su entrambi i lati dei corridoi e Morgan ipotizzò che fossero gli alloggi degli Anziani.
Il soldato davanti a lui si fermò davanti ad un ingresso e, bussando, gli fece cenno di aspettare. Quando fu invitata, la guardia entrò e annunciò l’ospite, poi finalmente tornò da Morgan per dirgli che era stato ammesso all’attenzione dell’Anziano Dazar. Beh, non mi aspettavo che mi ricevessero nella sala del Consiglio, però... chessò, una saletta delle udienze, almeno! Si ritrovò invece in un’anticamera arredata a studio, così piena di tappeti ed arazzi che non si riusciva a vedere un quadrato di parete o di pavimento. Un’udienza privata poteva essere segno che non gli stavano dando l’importanza sperata, oppure... al contrario, poteva significare che lo giudicavano d’importanza tale che l’incontro doveva svolgersi in tutta segretezza. Un uomo anziano lo aspettava, con una vestaglia addosso, seduto dietro ad uno scrittoio; Morgan si guardò attorno, ma non vide nessun altro: anche la guardia era sparita. «Vi attendevamo prima: avevamo cominciato a temere che vi avessero sopraffatto.», lo accolse il vecchio senza preamboli. «Chiedo scusa, Signore. Dopo un primo scontro con i Trolloc, stavamo rientrando quando un secondo gruppo, più numeroso, ci ha tagliato la strada per il passo di Avende. Abbiamo dovuto allungare la strada per il ritorno, cercando più volte di evitare il contatto con il nemico, che era in netta superiorità.», disse Morgan tutto d’un fiato. L’Anziano Dazar annuì pazientemente e lo invitò a continuare. Il ragazzo fu per un attimo attratto dall’idea di accomodarsi su una delle sedie davanti allo scrittoio: le gambe lo imploravano di sedersi, ma la mente sapeva che in quel momento stava fornendo il rapporto ufficiale di una missione e non semplicemente facendo conversazione. Quindi si concentrò e iniziò il racconto degli eventi dal momento della partenza, senza omettere alcun particolare.
L’altro ascoltava in silenzio, annuendo di tanto in tanto, ma a Morgan sembrò che il suo interesse fosse solo simulato; il giovane soldato sapeva d’altra parte che il suo successo contro i Trolloc, per quanto fosse da considerare un’impresa, non sarebbe bastato a destare l’attenzione di un Anziano: il suo vero asso nella manica erano i Sogni. Per questo, quando Dazar alla fine del rapporto si congratulò con Morgan per la sua brillante sortita contro i Trolloc, ringraziandolo a nome del clan Faine per il servizio reso, il ragazzo si decise ad aggiungere: «Veramente, Signore, c’è un altro fatto molto importante di cui vorrei riferire... Ma mi rendo conto dell’orario, e non vorrei approfittare oltre della vostra disponibilità. Preferite forse che rimandi la questione a quando farò il rapporto ufficiale?». Morgan era convinto di poter suscitare l’interesse delle autorità locali se avesse potuto esporre di fronte a loro i propri sospetti riguardo Davrath e gli indizi che aveva messo insieme. «Ma quale rapporto ufficiale?», disse Dazar con un impeto che sembrò eccessivo; poi il vecchio cercò di ricomporsi: «Voglio dire... l’hai già fatto davanti a me. Indire un’udienza con tutti gli Anziani Faine per ascoltare un rapporto militare mi sembra fuori questione. Io e l’Anziano Cundelan siamo di rappresentanza nel Consiglio dei clan: gli affari importanti passano comunque da noi due. Sfortunatamente in questo momento Cundelan è indisposto, quindi... tutto quello che hai da dire dovrai dirlo a me.». Dazar cercò quindi di addolcire l’esternazione con un sorriso, ma Morgan poteva avvertire l’irritazione dell’Anziano, e pensò fosse meglio non contraddirlo. Cominciò quindi a rivelargli una ad una le circostanze insolite in cui si era ritrovato recentemente; circostanze che, se ne rendeva conto solo ora, avevano raggiunto un numero allarmante. Iniziò naturalmente dalla sua Fratellanza con i lupi, poi proseguì con i sogni in cui Nebbia d’Argento gli aveva parlato, per finire con l’incontro che aveva avuto in sogno con la giovane Camminatrice dei Sogni.
Questa volta, Dazar non solo si mostrò molto interessato, ma colse immediatamente il collegamento con il Manto Bianco prigioniero che Morgan aveva menzionato nel proprio resoconto. Notando finalmente il partecipe coinvolgimento nell'espressione del vecchio, Morgan si decise a dare voce anche al più discutibile dei suoi pensieri. «Sono quindi giunto alla conclusione che questo individuo fosse la causa stessa della presenza delle forze dell’Ombra nella regione. E ho ritenuto doveroso riferire gli indizi che puntano a costui come il... il Drago Rinato.», concluse, con solo una leggera esitazione nel pronunciare quel titolo che per molti non era altro che una leggenda. «Precipitoso.», sentenziò secco Dazar. L’Anziano, che prima aveva ascoltato intento e meravigliato, alla fine fece una lieve smorfia e si alzò in piedi pensieroso; poi, avvicinandosi a Morgan, gli mise una mano sulla spalla e disse: «Hai fatto bene a confidarti con me riguardo a questi sogni, figliolo. Non ne hai fatto parola a nessun altro, vero? No? Bene, bene! Vedrai che presto le tue straordinarie capacità saranno nuovamente chiamate in causa. Non correre troppo, però, affrettando conclusioni strampalate; lascia a noi Anziani il compito di giudicare e interpretare questi segni. Ora è meglio se vai a riposarti. Fatti condurre alla caserma: è proprio qui a fianco.».
Morgan rimase interdetto: non si era aspettato di essere liquidato così sbrigativamente; si sentì improvvisamente tagliato fuori dalla faccenda, impotente davanti alla gravità e all’urgenza del problema. «Ma... ma quindi, Signore, che cosa avete intenzione di fare riguardo al... al prigioniero?», balbettò in un tentativo disperato di non venire completamente escluso. Dazar però stava già scuotendo la testa: «Non ti preoccupare, di questo me ne occuperò io. Tu hai già fatto fin troppo.», e, detto questo, chiamò la guardia per fare accompagnare Morgan ai dormitori della caserma. Il ragazzo si lasciò condurre indolente, svuotato di qualsiasi motivazione. Accidenti... dopo tutto quello che io e i miei uomini abbiamo passato! Chissà se il vecchio ha creduto ad una sola parola... Una volta entrato nel dormitorio, cercò il primo letto libero e vi ci si buttò sopra senza neanche togliersi gli stivali. Era stata una giornata lunga e faticosa, e Morgan non aveva dormito su un letto da quasi una settimana: il sonno lo colse immediatamente.



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
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Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 25
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte quarta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte quarta]

Mabien Asuka

A fatica sciolsero l'abbraccio che li aveva riuniti dopo tanto tempo, Manas aveva gli occhi pieni di lacrime quanto quelli di Mab. Sorridendogli, la ragazza gli prese il volto tra le mani.
«Luce! Sembrava che stesse andando tutto a rotoli, quando sei arrivato tu: per un attimo ho avuto l'impressione di esser tornata bambina quando, non so come, riuscivi sempre a tirarmi fuori dai guai in cui mi cacciavo. Ricordi quella volta che sono caduta rovinando l'abito da cerimonia? Sei sbucato fuori dal nulla, mi hai curato le ferite e sei riuscito a trovarmi un altro abito prima che arrivasse la tutrice, quella donna terribile... Luce, non ne ricordo il nome!»
«Deirdre! Che sia folgorata! Era un tormento quella dannata vecchiaccia!» rispose lui ridendo di gusto.
«Eri un tale disastro, Mab! Se non fosse stato che già allora si capiva quanto saresti diventata bella, non avrei scommesso una fascio di erba secca su di te.» le prese una mano, la sollevò sopra la sua testa e fece un passo di reel per farla piroettare su sè stessa «E invece guardati qua: una vera principessa, anche avvolta in questa orrenda palandrana!» e così dicendo fece una smorfia e allargò la propria che non differiva di molto da quella che avevano fatto indossare anche a lei.
«Ricordo perfettamente quel giorno, ricordo con quale ostinazione ti rifiutavi di piangere nonostante avessi un ginocchio che grondava sangue. Ti dissi che dovevi resistere perchè dovevo rammendarti alla svelta o quella Deirdre ti avrebbe fatto di peggio e tu te ne stavi rigida come uno lucertola grigia a morderti il labbro inferiore per sopportare il dolore.»
«Mi fidavo di te, sapevo che lo facevi per il mio bene»
Lui rise ancora, quella sua risata calma e bonaria che riusciva sempre a metterla di buon umore.
«Avresti fatto qualsiasi cosa ti avessi chiesto allora» rise di nuovo «Avevi una cotta!»
Anche Mab rise e senti il volto accalorarsi. Era vero e lo sapevano entrambi, solo che lei ci aveva messo qualche anno per capire che lui non l'avrebbe mai ricambiata e non solo per la grossa differenza d'età, l'imbarazzo maggiore derivava proprio da questa sua ingenuità.
«Ero solo una bambina» si giustificò.
«E io ero terribilmente desolato di doverti deludere» e dicendolo le stropicciò i capelli come faceva allora, poi piegò la testa e fece una delle sue facce buffe
«Perchè poi questo taglio tremendo? Paura di essere troppo attraente?» e intanto lo toccava i capelli.
«Paura del carcere più che altro»
«Mh... non aggiungere altro» si rabbuiò «In questi anni ho sentito troppe storie orribili dagli incanalatori che sono riusciti ad arrivare qui, i racconti delle donne poi sono i peggiori. Non voglio nemmeno pensare che tu...» rabbrividì visibilmente e si sfregò da solo le braccia, come a riscaldarsi.
«Perdonami, ma non ho il cuore di chiederti come hai passato questi anni, non ci voglio davvero pensare» continuò poi, guardandola negli occhi.
«Pensavamo che ti avessero uccisa quel giorno. Luce! Ancora non credo che tu sia qui» e l'abbracciò di nuovo. Nell'abbraccio l'uomo si accostò al suo orecchio e sussurrò con un filo di voce.
«Ci ascoltano» poi si staccò e fece finta di niente.
Mab era rimasta impietrita, avrebbe dovuto pensarci da sola, viste le innumerevoli volte che aveva usato il flusso per ascoltare nella sua attività di spia. Doveva stare attenta a quello che gli diceva, non poteva contraddirsi. Lui la stava guardando cercando in lei un segno che avesse capito, così lei annuì. Quindi lui riprese il dialogo.
«Quando mi sono venuti a cercare dicendomi che c'era una forestiera che diceva di essere di Daing non potevo credere alle mie orecchie: nei quattro anni che sono stato qui non era mai capitato. Non sai quanto speravo fosse un volto conosciuto, ma accidenti trovarmi davanti te è stato davvero un colpo al cuore!»
«Quattro anni? E gli altri?» gli chiese lei.
«Siamo arrivati qui circa quattro anni fa in cinque, ma ci hanno separati: per sicurezza preferiscono non tenere nella stessa città i forestieri, almeno finchè non si fidano.»
«E dopo quattro anni sei ancora qui? Non ti lasciano ancora uscire dalla città?»
«No, ormai non c'è problema... è che non mi importa» Alzò le spalle con fare rassegnato. Un atteggiamento che poco gli si addiceva.
A quel punto Mab non poteva non fargli quella domanda, anche se ne temeva terribilmente la risposta.
«Roi?»
Gli occhi di Manas divennero istantaneamente lucidi, prese un lungo respiro e si costrinse a parlare.
«Roi è morto.»
Nonostante fosse ciò che si aspettava, Mab ebbe la netta sensazione che il cuore le si fermasse.
«A Daing» proseguì lui «Pochi giorni dopo la tua scomparsa. Col polverone che Shelheev sollevò denunciando cinque incanalatori membri degli Algai far Shain ai Figli della Luce, in città il clima cambiò radicalmente: gli Incanalatori, che non si erano mai dovuti nascondere più di tanto prima, cominciarono a temere. Il fatto che tu e altri quattro doveste essere portati via e processati dai Manti Bianchi insinuò dei dubbi nella popolazione e anche all'interno degli Algai far Shain stessi, tra chi temeva di essere accusato solo perchè parte del gruppo, anche se non era un incanalatore, e gli incanalatori che si allontanavano per non essere scoperti. E così il gruppo si sgretolava al suo interno proprio mentre Roi cercava il supporto di tutti per una contromossa: in fondo gli Algai far Shain avrebbero dovuto fare proprio quello!»
Si fermò un attimo e prese ancora fiato, gli occhi sempre più lucidi.
«Vidi Roi cominciare a perdere la testa quando Cuddler ci raccontò di aver seguito il primo dei prigionieri condotto fuori città e di aver assistito alla sua esecuzione. Cuddler ci convinse ad attendere ancora qualche giorno prima di muoverci, in modo da raccogliere più informazioni e di convincere altri cittadini ad unirsi alla nostra causa e così scoprimmo che Shelheev stava in pratica vendendo la città ai Figli della Luce per avere il loro appoggio nell'ascesa al trono di suo figlio, ma quello che il generale Imogean stava facendo per arrivare all'obiettivo non doveva arrivare ai suoi superiori. Non ci sarebbe stato nessun processo per gli Incanalatori catturati: il piano era ben congegnato ed era solo alla sua attuazione iniziale. Con quelle informazioni avremmo forse potuto formare un significativo fronte di ribellione se solo non fosse giunta così presto la notizia che eri già stata portata fuori città: Roi, che era così razionale, così pragmatico e stabile, si lasciò prendere dalla furia e dalla voglia di vendetta e ci condusse alla disfatta»
La voce di Manas cominciava a rompersi per il pianto a cui pian piano cedeva.
«Ricordo Roi combattere fino all'ultimo, ridotto ad una maschera di sangue... quando venni catturato vidi il suo corpo a terra mentre mi portavano alle prigioni. Da allora niente ha avuto più senso e appena ho potuto, me ne sono andato.»
Mab lo strinse e piansero insieme. Roi! Lui e Manas erano stati per lei una famiglia, due padri a modo loro. Roi! Lui le aveva insegnato ad usare la spada, mentre Manas protestava che Mab era già abbastanza sgraziata di natura da non aver bisogno che le venissero insegnate anche certe brutte mosse da maschiaccio. Roi l'aveva portata agli Algai far Shain, di cui faceva parte in quanto Incanalatore. Sempre lui, che nel suo ruolo di guardia reale, aveva sempre vegliato su di lei e l'aveva protetta fin troppe volte dai pericoli in cui la metteva la missione di spionaggio che svolgeva per il gruppo all'interno del palazzo reale.
E lui era la razionalità a cui si aggrappava quel mezzo pazzo di Manas, così come Manas era la leggerezza di cui Roi aveva bisogno per sorridere, almeno ogni tanto.
«Quella donna mi pagherà anche questo! Quella donna ha un elenco di debiti nei miei confronti che renderà la mia vendetta implacabile! Shelheev pagherà per ogni vita che ha strappato, ma per quella di Roi le prometto una dose di dolore che lei nemmeno può immaginare! Me la pagherà!»
Mab si asciugò le lacrime con rabbia, tirando su col naso, ma dovette ripetere l'operazione più volte prima di ritrovare un minimo di contegno: per quanto aspettata, quella notizia l'aveva scossa nel profondo, incidendole l'ennesima ferita che sperava prima o poi di riuscire a sanare. Fece per parlare, ma non le uscì alcun suono, quindi si schiarì la voce e finalmente parlò risoluta.
«Credi che riusciremo a convincere questa gente ad aiutare gli abitanti di Daing a riprendersi la propria terra?»
Manas scosse la testa.
«Non so Mab, le città qui sono tutte divise tra loro, non trovano un accordo su niente tra chi spinge per aprire definitivamente le ostilità contro la Confederazione e chi ha in testa solo il Drago Rinato e l'Ultima Battaglia. Di questo passo non saranno mai pronti né per l'uno, né per l'altro.»
«Ma hanno un esercito di potenti Incanalatori. Li ho visti!»
«Si Mab, esistono degli eserciti, ma non credere che siano ben visti in ogni città: ci sono fazioni più guerrafondaie e altre a cui sta ben bene starsene dispersi quassù, isolati dal resto del mondo. Hama è una di queste città per esempio: qui non troveresti che qualche giovane annoiato pronto a seguirti in nome di chissà quale ideale. I Ribelli che sognavamo noi, giù a Daing, erano una leggenda lontana da quello che sono in realtà.» disse delsolato.
La delusione di Mab fu quasi soffocante.
«Ma... ma com'è possibile? Loro sanno...» nel dirlo si rese conto che tutto quello che sapeva era frutto di fonti non necessariamente veritiere. Se davvero fossero stati potenti come Mab credeva, avrebbero già attaccato i Manti Bianchi a viso aperto.
Ma ce la doveva fare: non avrebbe mai avuto una vita serena, sapendo che Shelheev stava distruggendo la sua città! E poi, si Hilda le aveva detto che sarebbero riuscite entrambe a portare a termine i loro obiettivi, se fossero state insieme. Odiava dover ammettere che si stava aggrappando a quella promessa come fosse l'ultima speranza che aveva per ottenere la vendetta che agognava sopra ogni altra cosa, ma era così.
«Ce la farò, Manas!»
Sedendosi, lui le sorrise, ma non aggiunse altro.
Anche Mab prese una sedia e si mise di fronte a lui.
«Ora? Cosa accadrà?»
Manas sospirò.
«Non lo so. Fino a qualche mese fa per te non ci sarebbe stato problema: ti avrebbero accettata in città, magari tenendoti un po' d'occhio, ma niente di più. La Figlia della Luce che era con te invece sarebbe stata messa nelle mani dei Geinzana e ci avrebbero pensato loro. Ora non so»
«Perchè? Cos'è cambiato?»
Manas si avvicinò a lei col busto e abbassò la voce, come se potesse servire a celare quanto le stava per raccontare.
«Qualche mese fa alcuni esploratori trovarono un uomo in fin di vita non molto distante da qui: fu portato qui, curato, nutrito, interrogato e poi lasciato libero per la città. Sembrava un perfetto nessuno, diceva di essere in fuga dalla confederazione perchè ricercato dai Figli della Luce per aver commesso qualcosa di stupido tipo aver offeso un ufficiale. Davvero un uomo comune. Poi un giorno, quando era in città già da qualche settimana, ha chiesto udienza al Consiglio. Cinque sui sei Anziani si sono radunati nella Grande Sala per riceverlo e lui ha attinto improvvisamente alla Fonte ed una quantità così vasta in una minima frazione di tempo da far esplodere sé stesso, la sala, e gli Anziani. Quell'uomo non era un'incanalatore: Pedraic, l'unico temporaneo sopravvissuto all'incidente, ha detto che sembrava come se il Potere scorresse attraverso di lui, tramite qualcuno o qualcos'altro»
Manas puntò gli occhi in quelli di Mab.
«Io non so molto di queste cose, ma ormai in città non si parla d'altro. Non era mai successo nulla del genere prima: un attacco diretto al Consiglio degli Anziani, così potente che i tre più forti Incanalatori della città non sono riusciti a fermarlo in alcun modo.
Ora sono tutti spaventati. Il Consiglio non è ancora stato riformato, c'è l'anarchia più totale in città e ognuno agisce di testa propria.
Per questo non so davvero dirti cosa decideranno di fare con te: io farò di tutto per convincerli a lasciarti qui, ma temo che non mi daranno ascolto.»
Poi sbuffò e si lasciò cadere all'indietro contro lo schienale.
«Come se non bastasse ora ci si è messa pure Griseldhe con le sue folli teorie: legge segni delle profezie anche nella muffa del formaggio!»
«Ho capito chi è: era presente al mio interrogatorio questa mattina»
Manas annuì e proseguì.
«L'ho incrociata prima nel corridoio, mentre venivo qui: era eccitata ed infuriata allo stesso tempo! Mi ha detto che durante l'interrogatorio la Figlia della Luce con la quale viaggiavi le ha dato uno schiaffo»
Mab si portò le mani alla testa.
«Non allarmarti per questo, non è la cosa peggiore... vedi, Griseldhe ha una mente straordinaria, molti la ritengono pazza, ma in realtà i suoi studi sulle profezie sono qualcosa di davvero sovrumano! Mi ha preso stranamente in simpatia e spesso mi coinvolge nei suoi ragionamenti, anche se non vuole svelare nemmeno a me tutto: sta cercando di interpretare gli scritti in modo matematico, così da poter riconoscere i segni delle profezie in modo logicamente certo. E' vero che questa sua teoria ha già portato a grossi errori e fatto anche alcuni danni, ma continua nella sua ricerca e pare che tu e la donna con cui viaggiavi ci siate coinvolte»
Tornò ritto e si avvicinò a Mab.
«Ora certamente le parlerò e vedrò di intercedere, ma so che quando qualcosa ha a che fare con le sue teorie, non c'è niente che tenga: con la poca autorità che ha questa sottospecie di Consiglio che abbiamo ora, non so nemmeno se possa impedirle di fare di voi quello che vuole»
«E cosa vuole fare di noi?»
«Tesoro mio, la parte peggiore è che temo non lo sappia nemmeno lei. Non è una donna malvagia, sta tranquilla... è solo, diciamo, strana. Ad ogni modo farò tutto quanto in mio potere per proteggerti, abbi fiducia!» e nel dirglielo le prese una mano e la strinse tra le sue.
«Ora sarai esausta, sei rinchiusa qua dentro da questa mattina: per il momento posso garantirti che ti daranno un letto in cui riposare»
Detto questo fece per alzarsi, ma Mab non gli lasciò le mani, costringendolo a fermarsi.
«Aspetta! Io ho bisogno di stare con Hilda, la Figlia della Luce»
Manas la guardò con una strana espressione. Lentamente aprì la bocca per chiedere spiegazioni probabilmente, ma Mab non voleva parlare di Hilda con lui, temendo di rivelargli più di quanto avesse concesso all'interrogatorio, quindi lo anticipò.
«Non farmi domande a cui non potrei risponderti»
«Stare con lei? Significherà certamente il carcere, questo te lo posso garantire» le disse allarmato.
«Non posso separarmi da lei, non posso dirti altro, anche volendo»
«Voglio solo essere certo di quello che stai facendo: non è il posto migliore questo per stare dalla parte dei Figli della Luce»
«Lo so benissimo e non è mia intenzione fare qualcosa di simile, ma non posso perdere quella donna o permettere che le venga fatto del male» nel dirlo ad alta voce, Mab capì per la prima volta quanto fosse stata sbagliata l'idea di legarla a sé.
«Vedrò cosa posso fare, ma...»
Mab l'abbracciò.
«Sei davvero convinta di quello che stai facendo?»
«Per niente, ma non ho altra scelta. Spero solo di potermi fidare di lei, è la sola speranza che mi resta.»
«Ho sempre pensato che fossi matta»
Mab sorrise e stringendolo ancora una volta, ribattè.
«Ho avuto un buon maestro!»



Siadon

Si ucciderà? chiese gesticolando Thea mentre cavalcava al fianco di Siadon. Tomas li precedeva di alcuni metri, il suo corpo assecondava i movimenti dell'animale che lo trasportava ma non vi erano dubbi su chi fosse a decidere quale percorso percorrere tra gli alberi che li circondavano. Tomas teneva lo sguardo fisso tra le orecchie pelose che gli stavano davanti, non aveva detto una parola dalla notte precedente. Una volta recuperato quanto poteva tornare loro comodo, avevano dato fuoco alla catapecchia lasciando il corpo del pastore all'interno, era una zona isolata ma preferivano evitare di lasciare tracce evidenti di un omicidio. Tomas era stato a guardarli senza mostrare alcuna reazione, continuando a stringere tra le mani il coltello da cucina ancora insanguinato. Ora lo teneva nascosto tra le vesti ma alcune volte, durante la giornata, a Siadon era parso di vederlo ancora tra le mani del ragazzo.
Non lo so pensò Siadon aspettando qualche momento prima di muovere le mani: Ha bisogno di tempo
Era proprio per prendersi del tempo e riflettere sulle prossime mosse che avevano deciso di allontanarsi ancora di più dalla città, di raggiungere una delle residenze di campagna appartenenti alla famiglia di Elsa. Jennji doveva essere piena di Traditori pronti a rivelare la loro vera natura e Tomas, in quello stato, attirava troppo l'attenzione.
Un movimento rapido di Thea attirò la sua attenzione, due pugnali da lancio le erano apparsi tra le mani e stava osservando con determinazione il bosco davanti a loro. Dopo aver appreso che i Manti Bianchi pattugliavano la Via Occidentale con dei Traditori al seguito, i quattro avevano deciso di abbandonare la strada e proseguire nei boschi per non farsi vedere.
Pochi istanti più tardi Siadon iniziò ad intravedere un cavaliere tra gli alberi più distanti. Elsa si era allontanata per controllare che la direzione fosse quella corretta ed ora stava tornando da loro. Li raggiunse senza fretta, sorridendo e lanciando uno sguardo carico di curiosità a Tomas mentre gli passava di fianco. Il ragazzo parve non vederla nemmeno, il suo cavallo la seguì per qualche istante, con due grandi occhi neri, ma continuò per la sua strada senza prestarle troppa attenzione, sballottando Tomas ogni volta che scavalcava una radice più grossa della media o risaliva un'improvvisa pendenza.
«Temo che non stia molto bene» disse Elsa con tono allegro mentre si affiancava a Thea.
Oh nemmeno tu Sorella cara... «Stiamo andando verso casa tua?» rispose Siadon che si stava godendo la tranquilla giornata, assaporando i profumi del sottobosco.
Elsa tolse gli occhi dalla schiena di Tomas e si sporse in avanti per guardare lui, mostrando il suo solito volto sereno e spensierato. L'assassino aveva rinunciato da tempo a cercare di capire se la donna usasse quella maschera per nascondere le sue vere emozioni o se davvero quella era l'espressione del suo stato d'animo.
«Oh ma certo, dovremmo arrivare domani prima del tramonto... Chissà se la servitù mi riconoscerà ancora, non mi vedono da anni. La cuoca sa preparare delle torte fantastiche... ricordo anche un bel parco con un laghetto e degli splendidi cigni bianchi»
Thea le voltò le spalle per rivolgere a Siadon uno sguardo perplesso, Elsa aveva smesso di parlare e stava canticchiando sottovoce guardando verso Tomas.
«Siamo vicini al crocevia tra la Via Occidentale e la Cordigliera delle Nubi. La Cordigliera è poco più avanti. A Sud» continuò Elsa sorridendo ai due mentre indicava la direzione con una mano «una pattuglia di Figli della Luce sta montando un bel campo. E' bello grosso per essere il campo di una sola pattuglia, credo che dovremmo dare un'occhiata.»
Thea si affrettò per raggiungere Tomas, senza nemmeno chiamarlo prese le redini del suo cavallo e lo fermò per aspettare che anche Elsa e Siadon li raggiungessero. L'animale provò a morderla, infastidito dal non essere più libero di proseguire come gli pareva, il ragazzo si guardò attorno stupito, come se si fosse appena svegliato da un sogno, ma non disse nulla.
Beh, almeno ora sembra un poco più lucido pensò Siadon incrociando lo sguardo del fratello.
«Ci fermiamo per un po', io ed Elsa torniamo subito» fece un cenno a Thea e si allontanò con l'altra sorella verso Sud.

Siadon si era arrampicato per qualche metro su di un grosso albero. Nascosto dal tronco ricoperto da un sottile strato di muschio, osservava quattro Figli della Luce scavare buche, spostare sassi e montare tende. Almeno altri due soldati stavano tagliando della legna nel bosco, sentiva chiaramente il rumore delle loro asce preparare la legna che avrebbero bruciato quella notte. Li aveva studiati per una buona mezz'ora e stava per decidere di lasciarli perdere quando percepì qualcuno verso Ovest incanalare Saidin. Tomas era nella direzione opposta quindi doveva trattarsi di qualcun altro. Guardò Elsa, seduta su di un masso dietro ad un cespuglio. Sembrava stupita e scrutava con attenzione verso il misterioso Incanalatore.
Quindi c'è anche un'incanalatrice... almeno una.
Non durò molto ed i soldati nel campo non parvero nemmeno accorgersene, pochi minuti e la quantità di Potere in gioco diminuì parecchio, ma non sparì del tutto.
Almeno un uomo, incanala ancora gesticolò non appena Elsa si voltò verso di lui
Almeno una donna, non la sento più
Hanno catturato una strega? Si domandò Siadon poco convinto. Provava una strana sensazione, simile a quella che lo riempiva di aspettativa appena prima di entrare in azione, solo che questa volta non c'era alcun bersaglio da eliminare davanti a lui. Perché tutte quelle tende? Quante pattuglie sono? Almeno due di certo... ma perché unire due pattuglie per una sola strega? E perché mi sento come se studiassi un modo per entrare là dentro?
Qualcosa non va avvertì Elsa
Aspetta rispose lei sorridendo
Non molto tempo dopo, il sole aveva appena iniziato a tramontare, una strana processione raggiunse il campo. Una ventina di persone in tutto, alcune prive di sensi, legate e accasciate su dei cavalli seguiti da vicino da due uomini ed una donna. Era troppo distante per riconoscere con precisione le tessiture che i due Traditori stavano usando ma poteva immaginare di cosa si trattasse: schermi per impedire agli incanalatori di raggiungere la Fonte. La cosa che stupì di più Siadon però era il numero di prigionieri, sette in tutto.
Elsa non sente nessuna donna incanalare e io vedo solo due schermi. Possibile che cinque persone seguano due incanalatori? Che non sapessero di loro? Ma allora perché non consegnarli ai Figli? Se sono stati fatti prigionieri significa che si sono battuti per difenderli.
Con la coda dell'occhio intravide Elsa cercare di attirare la sua attenzione, non appena si voltò verso di lei notò il simbolo che stava facendo con le mani
Ribelli

«Non ci ricapiterà più un'occasione come questa!» Thea parlava velocemente, tenendo bassa la voce per non fare troppo rumore. Siadon ed Elsa l'avevano appena informata su quanto avevano visto. Erano distanti dai Figli della Luce ma non era un buon motivo per fare chiasso, probabilmente qualche sentinella stava controllando i boschi attorno al campo.
«Hai ragione cara ma non siamo ancora pronti.» rispose Elsa indicando Tomas. Il ragazzo era sdraiato pancia all'aria di fianco a loro, fissava i rami e le foglie che gli impedivano di vedere i colori del tramonto. «e non sappiamo nulla dei ribelli. Il piano era raccogliere più informazioni possibili, prima di presentarsi da loro come assassini dei Manti Bianchi in fuga dal proprio passato... non abbiamo idea di come reagirebbero, potrebbero giustiziarci senza nemmeno farci finire di parlare! Se crepiamo subito non otterremo nulla... beh quasi nulla.»
Thea alzò gli occhi sospirando «Andiamo! Sappiamo meglio di chiunque che degli assassini fanno comodo a tutti! Mal che vada ci rinchiuderanno in qualche prigione per farci dire tutto quello che sappiamo, sempre ammesso che abbiano delle prigioni e che siano in grado di interrogare qualcuno.»
Elsa non sembrava molto convinta, rimase a guardare la sorella senza dire una parola. Dopo qualche momento Thea continuò «se ci interrogheranno diremo tutto quello che sappiamo sulle sette spingendoli a distruggerle. Se ci... assumono, avremo qualche risorsa in più per continuare a combattere. Se ci va bene, alla lunga riusciremo a distruggere sia loro che le sette che questi dannati Preti Neri, Tamara compresa»
«E se ci va ancora meglio, ci ammazzano tutti subito e la facciamo finita con questa storia»
Siadon, Elsa e Thea si girarono contemporaneamente verso Tomas, stupiti di risentire la sua voce proprio in quel momento. Stava ancora guardando distrattamente verso l'alto, muovendo nell'aria un bastone mezzo marcio ricoperto dal muschio.
A Tomas, il mio nuovo Fratello! Pensò Siadon ricordandolo ubriaco qualche notte prima davanti al fuoco. Ora era davvero uno di loro.
Elsa rise divertita, Thea guardò perplessa il ragazzo per qualche momento poi si rivolse a Siadon
«Tu che ne pensi?»
Guardandola negli occhi capì subito che la domanda si riferiva allo stato di Tomas più che alle sue idee su come affrontare la questione dei prigionieri.
Penso che è spezzato e che è troppo presto per farlo combattere
Vedendo che Tomas non prestava loro attenzione, comunicò gesticolando i suoi pensieri mentre con la voce spiegava un'idea che gli girava in testa da quando aveva visto i Traditori.
«Se vogliamo fare questa cosa con i Ribelli dobbiamo sfruttare l'occasione. Dubito che anche riuscendo ad interrogare tutte le spie di Jennji riusciremmo a scoprire molto su di loro. Tra i prigionieri ci sono solo in due Incanalatori, vediamo come reagiscono e studiamoli per capire come la pensa la loro gente. Se scopriamo che il nostro piano non ha senso scompariamo prima di raggiungere il loro nascondiglio» le sorelle annuirono «c'è anche un'altra cosa che potremmo fare. Se i Figli della Luce riuscissero a scoprire dove si rintanano i Ribelli assalterebbero quel posto per ridurlo in cenere, per farlo manderebbero anche i loro Incanalatori migliori e di certo morirebbero un sacco di persone marchiate dall'Ombra. Penso che non dovremmo uccidere tutti i Figli nel campo, se ne lasciamo in vita abbastanza seguiranno le nostre tracce, magari proveremo a lasciarne di evidenti senza farci scoprire e forse riusciremo a condurli dai Ribelli.»
Tomas si sollevò su di un gomito e li guardò dubbioso puntando verso di loro il bastone ricoperto di muschio, che si spezzò a metà per essere stato mosso troppo velocemente. Tomas rivolse al legno un'occhiata carica di disapprovazione, prima di tornare a concentrarsi su Siadon. Sembrava un poco più lucido rispetto a qualche ora prima ma la sua espressione aveva ancora qualcosa che lo faceva apparire assente. Per qualche momento sembrò impegnato a trovare le parole giuste, poi iniziò a parlare con voce calma e distaccata.
«Eravamo con i Figli della Luce contro i Ribelli ed i Tiranni, che vogliamo distruggere. Poi siamo scappati dalla Setta, che ora vogliamo distruggere. Siamo ricercati dai Manti Bianchi, che dobbiamo uccidere per liberare dei Ribelli che probabilmente ci uccideranno. Se non ci ammazzano subito però, cercheremo di usare i Ribelli per distruggere quelli che ci hanno rapiti per schiavizzarci e magari anche la nostra vecchia Setta, che ora vuole di certo le nostre teste. In ogni caso cercheremo di portare i Manti Bianchi, amici di quelli che stiamo per uccidere, dai Ribelli, amici di quelli che stiamo per salvare, per fare in modo che l'esercito della Luce scovi il loro nascondiglio e li distrugga.»
Non sembrava una domanda. Siadon attese alcuni lunghi momenti guardando Tomas, che fissava lui Thea ed Elsa aspettando una risposta.
«Sì» suggerì Thea con voce incerta.
Tomas la guardò pensieroso, come se si aspettasse altro, poi continuò:
«Ma c'è qualcuno che non vuole ucciderci? Non posso nemmeno escludere noi stessi!»
Siadon rimase sorpreso, era talmente abituato a vivere in quel modo che non si poneva la domanda da anni. Gli tornarono in mente alcuni momenti della sua infanzia, al servizio di Mastro Lucas nei dintorni di Samrie.
«Io non voglio ucciderti!» Elsa interruppe il silenzio con tono allegro «E nemmeno loro due... credo... non ora. C'è un sacco di gente che non vuole ucciderci! Certo, probabilmente cambierebbero idea se ci conoscessero davvero ma è normale, anche io mi ammazzerei per quello che sono»
Sempre più sana di mente, vero? pensò Siadon mentre guardava incuriosito la sorella. Si voltò verso Thea, pensando ad un modo per ridare un senso alla discussione, quando Tomas si mise in ginocchio tra il fogliame umido accumulato a terra durante l'inverno.
«Non dirlo a me. Ma quindi, da che parte stiamo?» disse mantenendo lo stesso tono tranquillo e distaccato di prima. Siadon non aveva ancora deciso come interpretarlo, era la prima volta che vedeva un cambiamento simile in un adepto che diventava Fratello. Certo Tomas era molto diverso dagli altri, non era mai stato un violento e aveva dovuto bruciare le tappe, non era pronto a sopportare quanto aveva visto e fatto. Osservando bene le espressioni del volto, il tono della voce e i suoi movimenti involontari, Siadon iniziava a pensare che desse l'impressione di essere uno spettatore, coinvolto solo indirettamente dalla realtà.
«Dalla nostra, Fratello caro» Thea si inginocchiò di fronte al ragazzo, seguita da Elsa che dopo averlo osservato a lungo si avvicinò con circospezione fino ad abbracciarlo.
«E' facile.» gli sussurrò ad un orecchio con voce tanto bassa che Siadon riuscì a capire quanto stava dicendo solo leggendole le labbra «Siamo dalla parte opposta all'Ombra...» perse alcune parole quando la bocca di lei sfiorò il collo di Tomas «...non possono capire, il loro mondo è diverso dal nostro»
Pazza, perfida e geniale, sei incredibile! Pensò Siadon vedendo il ragazzo arrossire e reagire alle carezze della donna. Sorrise intuendo quanto aveva apena fatto Elsa, recitando la parte della folle in modo tanto naturale da escludere qualsiasi dubbio, si era avvicinata prima ai pensieri di Tomas e poi al suo corpo, risvegliandolo e costringendo la sua mente a concentrarsi sulla realtà.
Thea si alzò ridendo per raggiungere Siadon
«Quindi che facciamo?» gli chiese
«Andiamo a liberare quei Ribelli. Per ora proteggiamoci nascondendo la nostra capacità di incanalare, quando i più dormiranno ci confonderemo con la notte ed attaccheremo. Non potremo usare molto Potere, di sicuro i Traditori faranno i turni di guardia per mantenere gli schermi e se uccidiamo anche quelli che dormono non credo che i superstiti ci seguiranno verso i Ribelli.»
Thea parve stupita «Avevi già pensato a tutto? Ma non eri tu quello che voleva aspettare di avere più informazioni sui Ribelli?»
«Sì... ma da quando ho visto quel campo continuo a pensare a come attaccarlo.»
Lei sorrise abbracciandolo «Hai bisogno di una vacanza amo...» si interruppe di colpo, incredula per le sue stesse parole, l'attimo dopo si affrettò a baciarlo.
Amore! Stavi davvero per chiamarmi amore? Luce! La strinse forte a sè, cercando di capire se nella tempesta di emozioni che stava provando prevalesse la felicità o il terrore.
«Veniamo anche noi» li interruppe Elsa poco dopo, aiutando Tomas ad alzarsi ed allontanandosi da lui sorridendo. Il ragazzo sembrava più lucido, con un rassicurante velo di insicurezza dipinto sul volto. Il Tomas di sempre, anche se piuttosto scosso. Li stava per raggiungere quando si bloccò spalancando gli occhi ed estraendo lentamente un coltello da cucina dalle vesti, impallidendo alla vista del sangue di Donal rappreso sulla lama. Lo lasciò cadere e corse verso l'albero più vicino, trattenendo a fatica i primi conati di vomito.
«E' stato così brutto baciarmi?! Come ti permetti, non sono così vecchia!» lo apostrofò Elsa ridendo di gusto.

La notte era scesa sul campo dei Manti Bianchi ormai da alcune ore. Siadon e Tomas erano appostati ad Ovest dell'avamposto, mentre le loro sorelle sarebbero entrate in azione dal lato opposto. Avrebbero preferito dividersi in gruppi misti, in modo da individuare più facilmente i traditori ma Tomas non conosceva ancora le tessiture che avrebbero dovuto usare, così Siadon aveva passato tutto il tempo ad istruire il ragazzo su come prepararsi al meglio, lasciandolo da solo a provare quei metodi mentre lui studiava il campo, nascosto dietro ad una roccia poco distante. Era pericoloso, Tomas faceva rumore e se avesse incanalato troppo i traditori l'avrebbero scoperto. La tessitura che gli aveva insegnato poteva nascondere solo l'uso di piccole quantità di Potere. Avevano anche valutato la possibilità di farsi scoprire di proposito ma non erano sicuri di riuscire a salvare i prigionieri e, con ogni probabilità, non ci sarebbero stati superstiti in grado di inseguirli verso i Ribelli. Sempre ammesso di riuscire a sconfiggere l'intero campo dei Figli della Luce. Potevano esserci quattro Traditori tra quelle tende, non sarebbe stata un'impresa facile.
Fortunatamente i Manti Bianchi si sentivano al sicuro e non avevano organizzato delle ronde nei boschi attorno al campo. Ne avevano tutte le ragioni, in fondo in quella zona il controllo della Confederazione era forte e stabile, gli unici scontri consistevano nella cattura di qualche Incanalatore in fuga o nell'arresto di un gruppo di briganti. Di certo nessuno di loro avrebbe attaccato un campo di due pattuglie di Manti Bianchi.
Controllò un'ultima volta il loro obiettivo attraverso una tessitura in grado di migliorare la vista. Non serviva a molto, c'erano diversi fuochi che illuminavano abbastanza bene quello che Siadon stava cercando. Le Ribelli erano due donne, i Figli della Luce le avevano legate a due grossi pali ben distanti tra loro, separati da una tenda nella quale stavano dormendo gli altri prigionieri, sorvegliata a vista da due guardie. Ogni donna era schermata da un Traditore che non la perdeva d'occhio un istante, affiancato da un Manto Bianco. Agli estremi del campo quattro soldati si spostavano periodicamente da un fuoco all'altro, muovendosi a gruppi di due.
Avevano concordato il piano prima di separarsi dalle loro Sorelle: Siadon e Thea si sarebbero introdotti nel campo, raggiungendo le Ribelli, mentre Elsa e Tomas si sarebbero occupati delle sentinelle esterne. In questo modo speravano di riuscire ad eliminare tutte le guardie sveglie prima che una di loro si accorgesse di qualcosa e desse l'allarme.
Siadon guardò l'ombra di un bastone che aveva conficcato a terra qualche ora prima, la luce della luna la rendeva appena visibile ma con i sensi accentuati dal Potere non ebbe problemi ad intuire che il momento era arrivato. Scese dal masso per raggiungere Tomas, che si stava ancora esercitando con alcune tessiture di protezione. Lo vide immobile ai piedi di una grossa betulla. Completamente vestito di nero, risaltava contro la corteccia chiara quasi quanto una bruciatura su di una pergamena, un attimo dopo i suoi contorni si fecero meno distinti, sfumati e distorti tanto che non era affatto semplice individuarne la forma, nemmeno sapendo dove guardare. Siadon non aveva visto i flussi e non aveva percepito l'uso di Saidin.
Perfetto pensò soddisfatto. Per un attimo si sentì osservato, anche se non poteva averne la certezza visto che le tessiture di allarme di quel tipo avrebbero richiesto troppo Potere. Iniziò a scrutare attentamente il bosco che li circondava ma dopo pochi momenti Tomas lo raggiunse
«E' ora?» sussurrò stringendo le fasce che gli coprivano il volto, lasciando in vista quasi solo gli occhi.
«Sì... andiamo» rispose Siadon dando un'ultima occhiata ad alcuni cespugli, mentre tesseva dei flussi invertiti legandoli a sè stesso per scomparire nell'oscurità.

Scivolò nel campo senza alcuna difficoltà. Innaturalmente silenzioso, gli bastava stare lontano dai fuochi per non destare più sospetti delle ombre proiettate dalle fiamme. Notò con sollievo che le guardie erano annoiate, sicure di trovarsi al sicuro. O erano degli attori nati oppure non c'era alcuna trappola pronta a scattare sopra la sua testa. Pochi minuti e raggiunse il retro di una tenda ad un paio di metri alle spalle del Traditore più vicino. Era un uomo esile ma in grado di incanalare una grande quantità di Potere, al suo fianco c'era un soldato enorme. Entrambi svegli e vigili, probabilmente preoccupati che la Ribelle riuscisse a liberarsi in qualche misterioso modo e si vendicasse del trattamento. Siadon osservò la prigioniera e trattenne il respiro, era la ragazza più bella che avesse mai visto, con un fisico perfetto e una lunga treccia che le sfiorava la vita. Forse i soldati non erano attenti solo per il pericolo che la Ribelle rappresentava, di certo c'era più di una persona nel campo ad aver fatto dei pensieri ben poco onorevoli su quella ragazza.
La montagna umana dev'essere tra gli uomini più fedeli a chi comanda qui.
Si concentrò su quanto doveva fare, non molto distante c'era una guardia impegnata a sorvegliare due lati della tenda dei prigionieri. Pur senza vederla sapeva che all'angolo opposto ce ne sarebbe stata un'altra e poco distante un Traditore ed un Manto Bianco a guardia dell'altro Incanalatore schermato. Thea era sicuramente alle loro spalle, pronta a colpirli. Thea... Si trovò a domandarsi se potesse essere gelosa vedendo lui salvare quella splendida ragazza.
Che idea stupida... Bene, prima di tutto il Traditore, subito dopo il mostro qui a fianco e poi la guardia. Peccato non avere i miei veleni a disposizione, è sempre tutto più semplice con del veleno ed una cerbottana. Dovrei iniziare a raccogliere delle erbe.
Abbandonò lentamente il suo nascondiglio soppesando un'ultima volta i pugnali che stringeva tra le mani, più per abitudine che per saggiarne veramente il peso. Raggiunse le spalle del Traditore, divertito dall'idea che potesse stare almeno tre volte nella figura del soldato che gli stava vicino, misurò con precisione la distanza tra i due e memorizzò la posizione dell'altra guardia, immaginando nei dettagli ogni movimento che stava per compiere.
Rimanete immobili, fate i bravi soldatini.
Un leggero tonfo oltre la tenda lo avvertì che era il momento giusto. Poteva benissimo trattarsi di una guardia che si sedeva ma Siadon sapeva che quella guardia non si sarebbe mai più rialzata, Thea aveva iniziato. Istintivamente il suo corpo entrò in azione, eseguendo meccanicamente le mosse che aveva più volte immaginato. Prima di rendersene davvero conto, affondò con la sinistra un pugnale nel collo del traditore, spezzandogli di netto la spina dorsale. Spostò rapidamente il peso verso destra, distendendo il braccio e conficcando l'altra lama nella gola dell'enorme soldato. L'estrasse subito, strappando con forza e compiendo un mezzo giro su sè stesso per ottenere abbastanza velocità da lanciare il pugnale verso l'ultima guardia. Cercò di rallentare la caduta del Traditore puntellandolo con un piede, mentre accompagnava il peso del grosso soldato che si stava inginocchiando caproni, tenendosi la gola con le enormi mani. Diede una rapida occhiata alla guardia della tenda, aveva visto bene la direzione del pugnale ed era certo di averla colpita ma non poteva permettersi sorprese.
No! L'aveva colpito in pieno, tranciando di netto la carotide ma l'uomo stava barcollando verso una tenda di soldati. Siadon lasciò cadere i corpi che stava tenendo, scattò verso la guardia e si tuffò travolgendola all'altezza della vita, facendo rovinare entrambi su un mucchio di sassi. L'assassino non ci aveva sperato molto, ma la tessitura di protezione che bloccava i rumori riuscì a trattenere il fracasso dell'armatura che sbatteva contro le pietre. Purtroppo non impedì al suo corpo di percepire l'impatto.
Maledetto bastardo, volevi fregarmi da morto? Pensò sollevato, guardandosi attorno mentre cercava di capire se qualcuno li aveva scoperti.
Luce! Tomas era immobile, in piedi tra due tende esterne vicino ad un fuoco. Fissava stralunato il pugnale che stringeva in una mano. Siadon vedeva chiaramente il sangue colare dalla lama al corpo del soldato accasciato ai piedi del ragazzo. Cosa ben peggiore, vedeva chiaramente Tomas.
Perché hai rilasciato le tessiture supido idiota!
Era in piena vista, completamente avvolto da vesti nere ma troppo vicino alle fiamme per poterlo confondere con un'ombra. Per non parlare del corpo ai suoi piedi, la candida armatura della guardia morta rifletteva il bagliore di ogni fiamma quasi quanto uno specchio. Il secondo soldato era ancora vivo, stava guardando qualcosa nella notte, oltre il campo visivo di Siadon e per ora dava le spalle a Tomas ma gli sarebbe bastato voltarsi per scoprirli ed un solo respiro per dare l'allarme.
Siadon stava per correre verso Tomas, per occuparsi della sentinella ancora in vita, quando udì un rumore secco e la vide accasciarsi a terra. Un uomo robusto dai capelli corti apparì al suo posto. Tomas sembrava di nuovo cosciente e si era girato verso il nuovo arrivato, pronto ad ogni evenienza anche se non era di certo un Manto Bianco, visto che ne aveva appena sistemato uno ed ora aveva allargato le braccia in segno di pace.
Un altro Ribelle? Dovrai sbrigartela da solo Fratello. Non posso perdere tempo, la prigioniera potrebbe liberarsi e metterci nei guai tutti quanti. pensò Siadon lasciando perdere i due e tornando verso la ragazza. Era sveglia ma ancora legata e guardava verso di lui con insistenza, probabilmente cercando di mettere a fuoco i contorni della macchia nera che si stava avvicinando a lei. Dopo un'ultima occhiata al campo Siadon dissolse la tessitura che lo confondeva con le ombre, si sfilò il guanto destro e portò la mano alla bocca mimando il gesto di chiudere le labbra tra il pollice e l'indice, per chiedere alla Ribelle di rimanere in silenzio. La ragazza lo guardò esterrefatta, senza preoccuparsi di mascherare le propria sorpresa. Non sembri molto abituata a vedere usare il Potere. O sei solo stupita nel vederlo così a Sud? Di certo mascherare le emozioni non ti viene naturale, non sei una spia. Oppure sei tra le migliori che io abbia mai visto. Siadon pulì velocemente le sue armi con le vesti del Traditore, mentre controllava di nuovo il campo. Dissolse tutte le tessiture tranne quella per nascondere la capacità di incanalare, poi creò una piccola bolla per fermare i rumori, grande abbastanza per racchiudere sè stesso ed altre due persone. Si avvicinò alla ragazza e dopo aver tagliato le corde che la tenevano legata l'aiutò a sorreggersi, abbracciandola per tenerla al suo fianco.
«Stammi vicino e nessuno ci sentirà» sussurrò
La ragazza annuì incredula. No, non sei una spia pensò Siadon incrociando il suo sguardo, quegli occhi verdi erano troppo cristallini ed innocenti per nascondere menzogne di ogni tipo. Poi si ricordò che era un'Incanalatrice, quella ragazza apparteneva dall'Ombra proprio come lui.
«Ora liberiamo i tuoi amici e ce ne andiamo da qui» le disse calmo, mentre percorrevano un lato della tenda dei prigionieri per raggiungerne l'entrata.
Le due Sorelle li stavano aspettando al fianco di una donna dai capelli scuri, talmente vicine da rendere evidente che anche loro stavano usando il Potere per non farsi scoprire. Una delle due era ancora avvolta dalle tessiture di protezione, Siadon sapeva che quell'ammasso di nebbia scura che i suoi occhi si rifiutavano di mettere a fuoco era Elsa. La figura di Thea invece non era distorta, i contorni si confondevano con lo sfondo ma solo per il colore delle vesti che l'avvolgevano completamente. Assecondando ogni curva del suo corpo, notò Siadon. Rallentò l'andatura concedendosi alcuni attimi per ammirarla, dopo pochi passi raggiunsero l'entrata della tenda. Thea stava studiando la Ribelle al fianco di Siadon, non poteva vedere altro che i suoi occhi ma all'assassino bastarono quelli per sentirsi minacciato.
Tomas ha trovato un amico gesticolò velocemente Siadon per avvertire Elsa. Secondo i loro piani, a quel punto lui e Thea avrebbero portato fuori dal campo i prigionieri mentre gli altri due dovevano occuparsi di rubare dei cavalli, lasciandone ai Figli della Luce abbastanza da poterli seguire. Ora però ci sarebbe stato un testimone con loro, avrebbero dovuto improvvisare.
Elsa è di certo la migliore nell'inventarsi le cose. pensò mentre la macchia di notte che avvolgeva la Sorella si allontanava velocemente, senza produrre alcun rumore.

 



Altri fili del Disegno

Questo va bene pensò Danvor battendo il palmo della grossa mano contro il tronco di un rovere secco. La luna non era nella fase migliore per tagliare la legna, se fosse stato a casa avrebbe aspettato almeno ancora una settimana ma ora doveva accontentarsi. L'albero era malato, o forse le sue radici erano state masticate troppo dai roditori, in ogni caso avrebbe mantenuto il fuoco vivo e brillante a lungo. Danvor era felice di poter tornare a fare il boscaiolo, da quando tre anni prima si era arruolato nell'Esercito della Luce sfruttava ogni occasione per occuparsi della legna necessaria agli accampamenti. Trovare gli alberi giusti, tagliarli, trascinarli e spaccare i ceppi era un lavoro faticoso ma che lo faceva sentire bene.
Si guardò attorno alzando le maniche della camicia, respirò a pieni polmoni l'odore delle foglie umide e del muschio e si trovò a sorridere mentre calava la scure verso la base del tronco. L'estrasse dal legno con decisione e ripeté quel movimento tanto familiare, trovando il ritmo giusto, come quando faceva il boscaiolo con suo padre, suo zio ed altri parenti nei boschi a Nord di Jennji. Fu proprio in quel periodo che decise di arruolarsi, suo padre e lo zio parlavano spesso delle loro avventure al servizio dell'Esercito della Luce ed ogni volta lo facevano con tanto orgoglio e complicità da coinvolgere tutti i presenti, ogni soldato o ex-soldato era visto quasi come un fratello e tenuto in grande considerazione. A volte capitava che degli esploratori dell'esercito incrociassero negli stessi boschi, quei giorni i pranzi si trasformavano in feste allegre, si beveva un bicchiere di vino in più e si ascoltavano storie e notizie. In uno di questi giorni Danvor incontrò addirittura il figlio di un generale, un ragazzo poco più giovane di lui ma già arruolato da qualche anno. Rimase talmente impressionato dalla sua semplicità e dall'orgoglio con il quale prendeva parte ai racconti dei soldati che la stessa sera dichiarò alla sua famiglia di volersi recare in città per arruolarsi. Ricordava ancora bene l'espressione compiaciuta che ricevette in cambio dal padre, sua madre era un pò preoccupata ma erano tutti molto fieri di lui.
Il rovere si abbattè al suolo in una cacofonia di schianti e rami spezzati. Danvor si concesse qualche attimo di riposo, bevve qualche sorso d'acqua dalla borraccia poi posò la scure e recuperò la sua accetta. Si fece strada lungo il tronco tagliando i rami, la legna più fine sarebbe stata perfetta per accendere i fuochi. L'ammucchiò di lato e si allontanò nel bosco alla ricerca di una pianta di vimini abbastanza elastica da poter essere usata per legare le fascine. Se fosse stato a casa sua quel compito sarebbe spettato alle donne o ai bambini, si era arruolato soprattutto per senso del dovere, per difendere la sua gente, ma non nascondeva la volontà di ritirarsi di lì a qualche anno per comprare con i soldi della paga un terreno vicino a casa, sposarsi ed avere dei bambini. Non vedeva l'ora di insegnare a suo figlio tutto quello che sapeva sui boschi, osservarlo combattere con una scure più grande di lui contro un ceppo troppo ostinato per rompersi, raccontargli le sue avventure al servizio dell'Esercito della Luce sarebbe stato fantastico.
Legò il tronco e le due fascine alla slitta ed asciugandosi il sudore andò a recuperare il mulo che avrebbe trascinato il carico al campo. L'animale capì subito che non avrebbe più potuto continuare a farsi gli affari suoi e provò ad opporsi impuntando le zampe ma Danvor lo tirò con tale forza da trascinarlo per una buona spanna, convincendolo a seguire l'uomo verso il suo lavoro. Il campo non era molto distante, i quattro soldati che si erano occupati di montarlo avevano fatto un buon lavoro. I teli delle tende erano ben tirati, i sassi più grossi erano sati spostati e tutto era ordinato, avevano anche già preparato i fuochi mancava solo la legna che stava portando lui. Il Capitano Criphos era un ottimo ufficiale e teneva molto all'efficienza dei suoi uomini, inoltre quel giorno si erano accampati con un'altra pattuglia e volevano tutti fare una buona impressione ai nuovi arrivati. Danvor non li aveva ancora visti, sapeva solo che quella mattina il Capitano gli aveva ordinato di occuparsi del campo e di prepararsi all'eventualità di avere dei prigionieri molto pericolosi, poi si era allontanato verso Ovest assieme a tutti gli uomini disponibili portandosi dietro anche il Traditore.
Giunto all'accampamento slegò la legna vicino a quella che aveva già portato in precedenza, sistemò il mulo legandolo alla staccionata che i suoi commilitoni avevano preparato ed iniziò a tagliare i tronchi in ceppi. Gli altri soldati erano impegnati a montare una grande tenda nel centro dell'accampamento, di certo destinata ad accogliere i prigionieri. Carico di aspettativa si domandò un'altra volta chi fossero questi pericolosi nemici che avrebbero catturato, negli ultmi tre anni aveva partecipato a diversi scontri, quasi sempre contro bande di malviventi ma in rare occasioni si erano trovati a fronteggiare anche degli Incanalatori. In una di quelle occasioni sarebbe morto se il Capitano Criphos non l'avesse spinto di lato, scansando per un pelo una palla di fuoco. Ogni volta che ci pensava sentiva ancora l'enorme calore di quella cosa sfiorargli la testa e sapere che era stata creata attraverso il Potere, che il Potere lo stava per incenerire, gli faceva venire la pelle d'oca. Era orgoglioso di portare il Manto Bianco e aveva accettato la possibilità di morire in combattimento ma venire ucciso dal Potere gli sembrava orribile, una spada era di certo una morte molto più umana.
Aveva appena finito di spaccare i ceppi e si stava lavando ad una tinozza, quando il Capitano Criphos e gli altri fecero ritorno. Ebbe giusto il tempo di notare i feriti, soprattutto prigionieri ma anche qualche Manto Bianco, prima che il Capitano lo chiamasse a rapporto nella sua tenda.
Si asciugò velocemente ma con cura prima di indossare una divisa pulita, era importante apparire in ordine, l'ordine era disciplina e la disciplina evitava di morire durante combattimenti. Il Capitano Criphos non perdeva l'occasione di ridere e scherzare assieme ai suoi uomini ma non ammetteva il disordine. Manteneva alto il morale, li lasciava divertire ed era amico di tutti ma sapeva anche essere duro quando necessario, era davvero un bravo ufficiale.
Nella tenda c'era anche il Traditore assegnato pochi mesi prima alla loro pattuglia, un uomo piccolo e magrissimo con un'orrenda cicatrice sulla guancia destra. Non conosceva il suo nome, lo chiamavano semplicemente Traditore, forse ora che ce ne erano altri nell'accampamento avrebbero dovuto cambiare l'abitudine. A Danvor ovviamente non piaceva quell'essere, nessuna persona sana di mente poteva fidarsi di qualcuno in grado di incenerirla da un momento all'altro, ancora prima di rendersene conto. In diverse occasioni però si era rivelato molto utile, nel tempo aveva permesso al Capitano Criphos di scovare alcuni Incanalatori e li aveva resi inoffensivi prima che questi potessero creare grossi danni. Pensando al Traditore Danvor si rese conto che con il passare dei mesi, lui ed i suoi commilitoni avevano imparato a considerarlo più o meno come un'accetta molto affilata, uno strumento utile ma anche parecchio pericoloso per chi lo usa e per chi gli sta vicino.
«Questa notte voi due monterete il primo turno di guardia ad una prigioniera»Il Capitano Criphos era in piedi di fronte a loro, nella sua solita posizione con le braccia dietro la schiena che usava quando doveva impartire degli ordini importanti.
«Nessuno dovrà avvicinarsi a lei, nessuno. Se qualcuno, anche uno dei nostri ci prova, non esistate a dare l'allarme e a svegliarci tutti quanti. E' un'Incanalatrice dalle sembianze di una donna molto bella e non dubito che qualsiasi uomo potrebbe pensare di fare qualche pazzia per lei.
Se dipendesse da me l'avrei già giustiziata, è troppo pericolosa ma il Capitano Stephen stà seguendo lei ed il suo gruppo da giorni e li vuole vivi, quindi faremo il nostro dovere e correremo il rischio almeno fino a quando non avrà ottenuto le risposte che cerca.»
Il Capitano Criphos fissò il Traditore
«Fario, durante il tuo turno sarai l'unico Traditore autorizzato ad occuparsi di lei, anche se sembra indifesa non abbassare la guardia per un solo istante, solo la Luce sa cosa potrebbe succedere altrimenti.»Fario? Quindi ce l'ha un nome
«Danvor»«Comandi!»«Assicurati che la prigioniera non provi a distrarlo o a dissuaderlo. Tramortiscila se necessario, l'importante è che rimanga in vita. Se qualcosa non va dai l'allarme. Verrò personalmente alla fine del vostro turno con qualcuno per sostituirvi, non lasciate la posizione fino a che non ve lo ordinerò io stesso, per nessun motivo.»Il capitano li osservò per alcuni attimi «Tutto chiaro?»«Sì, Signore»risposero in coro Danvor e Fario
«Molto bene. Ora andate a riposare, sarà una lunga notte e vi voglio lucidi.»

Il bagliore della sera aveva da poco lasciato il posto alla notte quando Danvor venne svegliato. Aveva dormito praticamente vestito e pronto all'azione, doveva solo indossare il mantello e prendere le armi. Negli ultimi tre anni aveva imparato molti trucchi utili, come tenere gli scarponi sotto le coperte per non indossarli freddi o conservare la propria spada vicina durante la notte per evitare che il gelo la incollasse al fodero. Il Capitano Criphos teneva parecchio all'efficienza dei suoi uomini, pretendeva molto ma dava l'esempio in prima persona condividendo gli stessi sforzi. Danvor lo ammirava, pensava che un uomo in una posizione importante dovesse sempre ricordarsi dei sacrifici che richiedeva ai suoi sottoposti per ricoprire il proprio ruolo nel modo corretto. In fondo i Tiranni erano tanto malvagi proprio per questo, durante l'addestramento gli avevano insegnato come combattere ma anche un poco di storia, inoltre al Capitano Criphos piaceva parlare di quelle questioni davani ad un bel fuoco caldo. Gente abituata ad ottenere tutto senza sforzi, tramite il Potere, non poteva sapere quanta fatica costasse dover coltivare la terra o tagliare gli alberi per sfamare la propria famiglia, come potevano esseri simili governare gli uomini e le donne di tutto il mondo? Come potevano chiedere ad un boscaiolo di rompersi la schiena dalla mattina alla sera quando a loro abbattere una foresta non costava alcuna fatica? Era ovvio che un governo in mano ad esseri del genere non poteva trasformarsi in qualcosa di diverso da una dittatura ingiusta.
Danvor svegliò il Traditore, anche lui si stava adeguando agli usi della pattuglia e dopo pochi minuti i due erano già di fronte alla loro prigioniera. Era davvero bella, per quanto Danvor detestasse gli Incanalatori non avrebbe mai potuto dire il contrario. La testa le ciondolava su una spalla, priva di sensi non era accasciata a terra solo per le corde che la tenevano legata ad un robusto palo. La Traditrice che l'aveva custodita fino a quel momento lasciò il posto a Fario ed un attimo dopo lei e due soldati si allontanarono lasciandoli soli.
Era circondato da due pattuglie di Figli della Luce, eppure non si sentiva al sicuro.
Non essere stupido, non è la prima volta che vedi un Incanalatore e questa è pure schermata e legata. Pensò Danvor guardando la guardia che sorvegliava la tenda dei prigionieri a pochi metri da lui.
La vista di quell'uomo e le risate di altri soldati ancora riuniti attorno ad un fuoco non molto distante ebbero il potere di calmarlo.
«Va tutto bene?»Chiese al Traditore non appena si sentì più tranquillo, pentendosi subito dopo nel cogliere quanto incerta fosse la propria voce. Tossì per cercare di mascherare l'emozione.
«Tutto tranquillo. Sta dormendo e per ora non prova nemmeno a saggiare lo schermo»Fario stava fissando la fronte della prigioniera «è davvero bella vero?»Danvor prese due grossi ceppi dalla pila di legna, ne posizionò uno tra le fiamme e si sedette sull'altro.
«Lo è. Chissà quanti uomini sono caduti ai sui piedi, senza nemmeno essere costretti dal Potere. L'ombra ha davvero mille modi per mettere nei guai la brava gente.»«Non dirlo a me...»rispose il Traditore accennando un sorriso amaro.
«Beh, questa strega ha finito di ingannare la gente»continuò Danvor ignorandolo, era un Incanalatore non un uomo fidato con cui poter conversare di certe cose. Quell'essere avrebbe sfruttato ogni sua debolezza per il proprio vantaggio. Se non fosse stato costretto ad eseguire gli ordini probabilmente sarebbe già scappato, magari dopo aver ucciso qualcuno di loro «dobbiamo solo assicurarci che non abbia alcuna possibilità di liberarsi. Facciamo il nostro dovere e non farà più del male a nessuno.»
«Agli ordini»rispose Fario sospirando rassegnato, mentre si sitemava meglio sulla pietra che aveva scelto come sedia.

Con il passare delle ore l'accampamento divenne più silenzioso. Lo scoppiettare vivace di fuochi e il costante russare degli uomini addormentati, creavano un concerto di suoni che normalmente metteva a dura prova l'impegno di Danvor nel rimanere sveglio. Quella notte però non aveva bisogno di bagnarsi spesso la faccia o di masticare foglie di tè, gli bastava un'occhiata alla prigioniera ed al Traditore per tornare lucido quando la mente iniziava ad annebbiarsi. Non era la prima volta che sorvegliava dei prigionieri ed aveva anche già tenuto d'occhio per un'intera notte un giovane Incanalatore, stordendolo ogni volta che sembrava muoversi per essere sicuro che non incanalasse, in quell'occasione non c'era un Tradiotre a portata di mano.
L'esperienza però non lo aiutava a calmarsi, il Potere era quasi riuscito ad ucciderlo diverse volte ed ora non avrebbe mai abbassato la guardia in presenza di Incanalatori. Dopo tre anni al servizio dell'Esercito della Luce capiva bene le storie di suo padre e di suo zio riguardo i turni di guardia interminabili. Ricordò di aver riso delle paure dei propri parenti, quando gli raccontarono di aver dato l'allarme e svegliato l'intero campo per poi scoprire che uno scoiattolo troppo curioso aveva fatto cadere una pentola e vi era rimasto imprigionato all'interno. Ora poteva capire bene, sapeva che anche lui avrebbe fatto la stessa cosa e non vedeva l'ora di tornare dalla sua gente per condividere quelle emozioni. Era davvero orribile sorvegliare due esseri che avrebbero potuto incenerire lui e l'intero accampamento senza battere ciglio, cercava di non pensarci ma ogni ombra più grande del solito proiettata dal fuoco lo metteva in guardia. Teneva d'occhio tanto la prigioniera quanto il Traditore, sia per assicurarsi che non si addormentasse sia perché tutto sommato non si fidava di lui molto più che della ragazza legata. Come se non bastasse la prigioniera aveva anche iniziato a parlare nel sonno, ogni tanto diceva parole incomprensibili ma sembrava spaventata e si agitava. Un paio di volte fu sul punto di andare a darle una bella botta in testa, giusto per non correre rischi, ma nel giro di un paio di minuti tornava sempre tranquilla quindi evitò di rischiare di ucciderla.
Io che faccio da guardia ad una strega con un Traditore! Pensò Danvor orgoglioso per farsi coraggio. Sarebbe stata davvero una bella storia da raccontare ai suoi figli quando non avrebbero voluto andare a dormire. Prima di arruolarsi c'era una ragazza, Laura, che si divertiva a ballare con lui. Pensava spesso ai suoi sorrisi, era una brava donna e anche carina, sarebbe stata perfetta come moglie. Non vedeva l'ora di tornare a casa, ancora un anno e la paga da soldato sarebbe bastata a comprare un piccolo terreno su cui costruire, non spendeva praticamente nulla per risparmiare.
Con la coda dell'occhio vide un movimento strano, la testa del Traditore scattò all'indietro in una posizione innaturale. Qualcosa di indistinto, un frammento di notte, lasciò Fario per gettarsi su di lui e prima di rendersene conto uno sgradevole sapore metallico gli riempì la bocca. Con orrore sentì una lama gelida venirgli strappata dalla gola, quando era stato colpito? Faceva male e non riusciva a respirare, provò disperatamente a fare rumore, per chiedere aiuto e dare l'allarme ma non riusciva a muoversi bene, era troppo pesante. Si portò le mani al collo realizzando con terribile lucidità che per lui era finita. Percepì le ginocchia toccare il suolo, la testa gli ronzava sempre più forte e tante piccole luci iniziarono a danzargli davanti agli occhi.
Luce... accogli la mia anima e proteggi i miei cari...

 



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 26
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte quinta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte quinta]

Merian Elen Syana

Cosa diamine sta succedendo, per la Luce? pensò Neal acquattato tra i lunghi steli d’erba al sicuro dal pericolo.
Una pattuglia di Manti Bianchi era comparsa all’improvviso davanti a sé, accampata non molto lontana dalla strada. Quando Rohedric lo aveva mandato in avanscoperta molte ora prima sapeva che avrebbe potuto incontrare degli ostacoli, si era infatti aspettato di trovare quei dannati Manti Bianchi.
Ma dannazione non si era aspettato di averli anche alle spalle!
Il campo ospitava soltanto un pugno di soldati, con il ritorno degli ultimi due il conto ammontava a sei: sei soldati accampati proprio dritti sulla loro strada. Come avrebbero fatto ad aggirarli?
Temo abbia poca importanza ormai, rifletté dopo solo un istante.
Non appena aveva scorto il campo, Neal si era diretto a passo svelto verso il resto del suo gruppo per avvertire Rohedric del pericolo. Arrivato ai margini della radura nella quale i suoi erano accampati, non sapeva se la frustrazione, la rabbia o la sorpresa si erano impadroniti di lui.
Era giunto troppo tardi: altri di quei dannati cosiddetti Figli della Luce erano arrivati per primi e avevano attaccato i suoi compagni.
Aveva maledetto se stesso per quello che aveva fatto, ma non c’era soluzione migliore: non gli restava altro da fare che rimanere vivo e al sicuro per poter cercare di liberare i suoi amici in un secondo momento. Sapeva che la sua era stata la scelta giusta ma continuava a pensare che avrebbe comunque dovuto irrompere in quella radura manovrando la sua imponente spada e uccidere quanti più nemici poteva. Un uomo deve combattere anche quando non ha più speranze. Perché altrimenti la Luce gli avrebbe donato una tale forza?
Neal scacciò quei pensieri e ritornò al presente, inutile piangere sul vino versato.
Doveva preoccuparsi di quanto stava accadendo ora attorno a lui. Non erano solo i Manti Bianchi a turbarlo, purtroppo.
Era da poco scesa l’oscurità quando aveva notato dei movimenti strani sulla sua destra, oltre il campo.
Si era avvicinato cauto, rimanendo basso e cercando di fare meno rumore possibile.
L’ombra di un ragazzo risaltava ai piedi di una betulla, immobile sembrava concentrato su qualcosa. Neal non fece nemmeno in tempo a speculare sulla sua presenza che il giovane all’improvviso sparì, al suo posto un’ombra indistinta e informe.
«Che accidenti…» imprecò l’uomo sottovoce colto alla sprovvista.
Rimase senza parole nel tentativo di dare un senso a quanto stava guardando, o meglio cercava di vedere. Il ragazzo sembrava essersi trasformato in pura ombra.
Era possibile?
Tutto sembrava possibile con il Potere. Soppresse un brivido e cercò di riscuotersi. Era vero che i Manti Bianchi usavano degli Incanalatori talvolta, ma non sembrava questo il caso.
Perché mai volersi nascondere? Se fosse stato uno dei Figli avrebbe camminato allo scoperto.
A meno che non pensasse di cercare altri Incanalatori oltre a quelli appena catturati…
All’improvviso si sentì minacciato. Si guardò intorno ansioso cercando segni di quell’ombra misteriosa, temendo che potesse saltargli addosso da un momento all’altro. Fece per tirare fuori la spada, ma sospirando pesantemente la lasciò nel fodero. A nulla poteva la sua arma contro il Potere.
Viaggiava con delle Incanalatrici, stava per recarsi nel luogo in cui vivevano i Ribelli, sapeva che non aveva nulla da temere da loro, ma nonostante tutto non riusciva a sopprimere quel brivido freddo che sentiva ogni volta si parlasse anche soltanto del Potere.
Accantonando pensieri spiacevoli sulle possibili cose che quel ragazzo avrebbe potuto fargli, si impose di andare avanti qualunque cosa accadesse.
Trasse un ampio respiro, mormorò una preghiera alla Luce per la sua anima, e sguainando la spada si fece strada con passo deciso verso il campo dei Manti Bianchi.
Era tempo di salvare i suoi amici.

«No, no, c’è troppo calore, troppo calore… brucerò, moriremo…» Merian continuava a mormorare frasi all’apparenza senza senso mentre veniva sballottata di qua e di là in groppa a un cavallo.
Non vedeva altro che la strada sotto di sé, un ammasso informe di ciottoli e fili d’erba che si confondevano tra loro all’avanzare dell’animale. I suoi sensi erano ancora offuscati dal colpo ricevuto in testa solo qualche attimo prima, la mente annebbiata che non riusciva a formulare pensieri coerenti. Ogni cosa era vaga e indistinta. Tutto sembrava lontano da lei, eppure qualcosa faceva capolino all’angolo della sua mente, qualcosa di infinitamente grande ma irraggiungibile.
Che cos’era?
Il ricordo lontano di uomini che la circondavano affiorò pian piano e, mentre si sforzava di tenere gli occhi aperti per mettere a fuoco il mondo attorno a sé, capì.
La Vera Fonte se ne era andata di nuovo.
La consapevolezza della perdita fu così improvvisa che la fece sentire male, si girò da un lato – per quanto potesse muoversi legata com’era a quel cavallo – e vomitò.
La testa le doleva come non mai e oltre a questo c’era anche quella sensazione di morte che non voleva abbandonarla da quando aveva ripreso i sensi.
O forse era cominciato prima.
Strinse forte gli occhi per non guardare la strada - il movimento confuso le dava la nausea - e si sforzò di pensare a quella sensazione.
C’era del fuoco, tanto fuoco, ma stranamente non sembrava scottarla. Era forse stato il trucco usato da Arlene a scombussolarla così? No, non poteva essere, era qualcosa di più, qualcosa di più irreale ma al tempo stesso tangibile.
Un sogno?
No… era stato un incubo, ora ricordava.

Avanzava in un mare di nebbia, con solo un vestito leggero a coprirla. Il mondo attorno a lei sembrava immobile, silenzioso, quasi fosse addormentato.
Faceva freddo. La veste sottile non le dava calore, semmai sembrava allontanarlo, quasi a farla sentire nuda in quell’immensità taciturna.
A tentoni si faceva strada in quel luogo, procedendo con passo insicuro e mosso solo dall’istinto.
I suoi sensi le dicevano di proseguire, doveva trovare un riparo se non voleva morire congelata.
D’un tratto scorse in lontananza i contorni frastagliati di una montagna, sulla sua cima un alto edificio che sembrava affacciarsi sul nulla. La nebbia lo avvolgeva con le sue spire come un sudario, e una perenne oscurità sembrava aleggiare sopra di esso.
Quel luogo sapeva di morte.
Ma Merian non si fermò, qualcosa la spingeva a proseguire, una forza invisibile che l’avrebbe condotta verso il suo destino qualsiasi cosa avesse scelto di fare.
L’interno era caldo e stranamente accogliente, seppure pieno di ombre a ogni angolo.
Sembrava offrire speranza e allo stesso tempo toglierla, offriva un riparo sicuro ma ti allontanava dal mondo.
Continuò a camminare e i suoi passi la diressero verso una piccola stanza.
I contorni indefiniti non le lasciavano intravedere nulla di più che un basso tavolo davanti a sé, cui sopra poggiava un oggetto dalle forme regolari: un libro.
Incuriosita Merian avanzò verso il tavolo e fece per prendere il piccolo volume.
Fermò le dita a pochi pollici dall’oggetto e si tirò indietro, spaventata: dal libro proveniva del fumo, quasi stesse per bruciare.
Si guardò intorno alla ricerca della fonte del fuoco ma non c’era nulla attorno a lei, solo quel tavolo e il misterioso libro.
Un fragore improvviso la fece voltare di scatto.
Il libro si era aperto come per magia e le sue pagine svolazzavano nell’aria immobile, come mosse da una brezza invisibile.
Ombre si addensarono al centro del volume sollevandosi verso l’alto per prendere forma: una creatura pallida e ossuta ne emerse. I suoi occhi erano freddi e scuri come la notte più buia, e sembrarono volerle trapassare la mente.
Terrorizzata Merian cercò di scappare ma di nuovo quella sensazione di impotenza, la sensazione di agire secondo il volere di qualcosa di più grande, si impadronì della sua mente.
La creatura alzò un dito ossuto nella sua direzione come a indicarla, o indicare qualcosa dietro di lei…
Si voltò e altre ombre presero vita all’interno della stanza. Sembravano muoversi all’erta, prima in una direzione poi in un’altra, quasi stessero cercando qualcosa… o forse fuggivano da qualcosa?
Le figure le si avvicinarono, sempre più vicine, e sentì che anche la creatura dai freddi occhi parve incombere su di lei.
Come presa in una morsa, Merian si sentì soffocare ma non tentò di fuggire.
Chiuse gli occhi, pronta ad accettare quella che sembrava essere la sua fine, ma una luce improvvisa glieli fece riaprire all’istante. La stanza, il libro, la creatura, le ombre di quegli esseri… ogni cosa era circondata da quella luce, e lei stessa ne sentì la forza su di sé.
Ma non era una luce.
Fiamme prive di calore avvolgevano la stanza, un fuoco che non scaldava ma che toglieva il respiro, minacciando di uccidere se solo avesse voluto.
Il terrore più puro le strinse il cuore, non poteva sfuggire alla luce, a quel fuoco, a quel… potere!
Per un solo fugace istante sembrò che le fiamme incorniciassero il volto di un uomo, un giovane dai lineamenti conosciuti, ma svanì nell’attimo stesso in cui avvilupparono ogni cosa, consumandola.

Un rumore improvviso la riscosse dal suo torpore.
Dove mi trovo? pensò Merian sforzandosi di ricordare.
I Manti Bianchi li avevano catturati, lei era svenuta, e presto si era ritrovata legata mani e piedi al dorso di un cavallo. Lontano dalla Vera Fonte.
Da quel che poteva vedere ora la situazione non era migliorata di molto: era legata a un palo come un sacco, costretta a stare in piedi senza possibilità di movimento che non quello della testa che ciondolava da una parte all’altra nel dormiveglia.
Davanti a lei dei contorni incerti le dicevano che c’era qualcuno a farle da guardia, senza dubbio un Traditore. Non riusciva a vedere Arlene ma probabilmente aveva subito la stessa sorte.
D’un tratto si ricordò del rumore che aveva appena sentito e, guardando meglio in direzione del suo probabile guardiano, si accorse che in realtà ciò che stava osservando non era la figura di un uomo, ma bensì una macchia confusa che si muoveva aggraziata.
Concentrò tutta la sua attenzione su quell’oscurità più cupa della notte, tentando di ricostruirne i contorni.
Inutile.
Che stia ancora sognando? si chiese Merian tornando con la mente all’incubo appena vissuto.
Il panico si impadronì di lei, non poteva fuggire stavolta, l’ombra l’avrebbe raggiunta.
Pronta a subirne le conseguenze guardò la macchia nera spostarsi verso di lei, e il panico cedette Il posto allo sgomento: la chiazza scura era diventata un uomo. Un uomo che le indicava di non fare rumore.
Quasi le venne da ridere, a malapena riusciva a stare in piedi, l’unica cosa che era in grado di fare era guardare l’estraneo con occhi grandi come due pozze d’acqua!
Chi diamine era costui?
Sgomenta, si appoggiò a lui mentre la portava verso un lato della tenda alle sue spalle. L’uomo le aveva appena detto che avrebbe liberato i suoi amici e la cosa non fece che sbigottirla ancora di più.
Arlene era lì, in piedi vicino all’entrata e, a parte l’aria abbattuta, non sembrava stesse male. Il cuore le si colmò di gioia al vederla salva.
La stessa ombra informe che si era rivelata essere un uomo era accanto a lei, insieme ad un’altra macchia scura che però rivelava i contorni di una donna, seppure a fatica.
L’uomo gesticolò in modo strano e l’ombra si allontanò nella notte in silenzio.
Per quanto ancora confusa, Merian aprì bocca per parlare, e la donna ammantata di nero la guardò dritta negli occhi con fare minaccioso. Per nulla scoraggiata si rivolse ad Arlene per chiedere se stesse bene ma la sua voce sembrava non giungere a destinazione. Probabilmente il colpo in testa ancora produceva i suoi effetti. Aggrottò le sopracciglia e si rivolse allora all’uomo che ancora la sorreggeva:
«Quelle ombre... erano reali?» Era ancora scombussolata dal sogno, non era sicura di potersi fidare dei propri occhi.
La risposta dell’uomo fu preceduta dalla donna, che si avvicinò fino a un palmo dal suo naso. Se prima lo sguardo era stato ostile, il tono della sua voce rendeva chiaro che non ammetteva repliche. Merian deglutì a forza e ubbidì immediatamente al divieto di parlare: aveva la netta sensazione che quella donna avrebbe potuto strapparle la lingua se solo avesse voluto.
L’uomo le rivolse un’occhiataccia e mosse di nuovo le mani in quel modo strano: che fosse un modo di comunicare? Forse la donna non ammetteva repliche nemmeno con lui!
«Mi chiamo Siadon,» disse l’uomo all’improvviso rivolgendosi di nuovo a lei. «Non devi temerci, siamo qui per aiutarvi.»
«Vi mandano i Ribelli?» Fu la cosa più sensata che le venne in mente.
L’uomo la guardò soppesandola per un momento ma rispose cambiando argomento.
«Siamo protetti da una sorta di bolla che ci permette di non farci sentire da nessuno all’esterno,» e poi accennando verso l’altra donna, «compresa lei e la tua amica. Loro sono circondate a sua volta da una bolla simile, se non ti avvicini abbastanza non possono sentirti.»
Questo spiegava molte cose.
Merian annuì e l’uomo continuò a parlare.
«I tuoi amici si trovano all’interno della tenda, i Manti Bianchi che la proteggevano non sono più un problema, e dubito che ne troveremo altri una volta entrati. Ma voglio comunque sapere una cosa: sono dei soldati? Hanno dimestichezza con le armi o sono solo la tua scorta?»
La mia scorta? Di che diamine sta parlando?
Rimandando le domande a dopo, Merian descrisse brevemente il gruppo che viaggiava con lei, non sapendo chi e quanti di loro si trovassero all’interno. La cosa sembrò comunque soddisfare Siadon, che annuì deciso e si rivolse all’altra donna, di nuovo gesticolando.
Si, era certamente un modo di comunicare. Le sarebbe stato utile ai tempi della sua cattività.
Mentre i due discutevano silenziosamente, Merian notò un movimento alle spalle dell’uomo. Gli strinse d’istinto il braccio al quale era appoggiata, e l’uomo eccezionalmente capì all’istante: si voltò verso le ombre dietro di lui e fece dei gesti con le mani - come quelli che aveva imparato a fare anche lei per creare delle Tessiture, anche se non così complicati. Prima però di rilasciare qualsiasi cosa stesse formando, le ombre davanti a lui si fecero più nitide, e Merian vide che erano semplicemente quelle di un ragazzo e… Neal?
Cosa accidenti ci faceva con quella gente?
L’omone non era a suo agio come al solito, infatti guardava Siadon e il ragazzo con occhi che saettavano dall’uno all’altro con fare sospetto. Ma non appena vide Merian le sorrise e le fece cenno con la testa per rassicurarla. Gli rispose a sua volta sorridendo.
Nel frattempo la misteriosa donna dall’aria intimidatoria si era avvicinata di nuovo, trascinando con sé una frastornata Arlene.
«E’ meglio se ci muoviamo subito se vogliamo salvare questa gente, non abbiamo tutta la notte. Puoi esserci di qualche aiuto ragazza?»
I suoi modi le ricordavano Brienne, e questo non favoriva certamente il suo stato d’animo…
«Aiuto?» chiese Merian senza capire.
La donna sospirò e si rivolse a Siadon, il quale gesticolò anche con il giovane – un bel ragazzo dai capelli biondi - che a sua volta comunicò a Neal quanto aveva appena appreso, dopo di che si rivolse a Merian pregandola di stare all’esterno della tenda insieme ad Arlene e al giovane affascinante, mentre lui, Neal e la donna portavano in salvo i suoi amici.
Merian annuì e si staccò dall’uomo, facendosi sorreggere ben volentieri dal ragazzo dai grandi occhi azzurri. Non ne aveva davvero bisogno – di sicuro Arlene ne favoriva maggiormente così accasciata alla sua spalla - ma come poteva rifiutare il gesto di un così bel ragazzo?
Sembrò passare un’eternità prima che dalla tenda facessero capolino i suoi amici, insieme a Siadon e la donna senza nome.
Rohedric era ferito alla spalla e zoppicava, e anche Kain non se la passava meglio, ma gli altri stavano tutti bene grazie alla Luce!
Nessuno fece in tempo a rallegrarsi della presenza altrui, perché Siadon li spinse velocemente fuori dal campo, probabilmente avvolgendo anche loro in una di quelle bolle silenziose di cui aveva parlato poco prima. Arrivati in un luogo sicuro oltre il margine del campo, Siadon si voltò verso il gruppo e all’improvviso ogni minimo rumore della notte la travolse tanto da farla barcollare. Il giovane, che non aveva lasciato la presa durante il tragitto, la strinse ancor più a sé e le sorrise.
Merian si guardò attorno: Rohedric era sorretto da Neal, sfinito per la lunga camminata, Kain e Jon guardavano i loro salvatori sospettosi, il primo con aria minacciosa, il secondo spaventata. Ariel si era avvicinata ad Arlene e sembrava ne stesse controllando le condizioni, sforzandosi di apparire serena. Brienne osservava ansiosa Rohedric e al contempo teneva d’occhio la donna senza nome.
Chiunque fosse passato da quelle parti in quel momento sarebbe rimasto sbigottito nel vedere un gruppo così male assortito, eppure erano lì, tutti insieme, a condividere qualcosa che Merian sentiva li avrebbe tenuti legati per molto tempo. La sensazione divenne una certezza quando Siadon parlò:
«Abbiamo intenzione di andare dai Ribelli, e voi ci aiuterete a trovarli…»



Siadon

Dannata donna! Imprecò Siadon mantenendo un'espressione calma, mentre valutava la reazione della giovane ragazza a quanto aveva appena detto. Si era rivolto a tutti ma al comando di quello strano gruppo doveva esserci lei o l'altra Incanalatrice. L'altra donna però sembrava abituata a nascondere informazioni. Inoltre era ferita, una serva si stava occupando di lei e le sarebbe stato facile sfruttare la situazione per sfuggire alle sue domande. Tutti i Ribelli lo stavano osservando con sguardi confusi e carichi di domande.
Idiota! VOI CI AIUTERETE A TROVARLI? Li ho insospettiti inutilmente, come se non fossero già abbastanza spaventati. Dannazione! Questa cosa con Thea deve finire, ci farà ammazzare tutti quanti... lei compresa... No! Ancora!? Dovrei odiare quella donna, non amarla!
Sapeva di avere un volto sereno, probabilmente anche troppo ma non voleva correre il rischio di far trasparire i suoi timori. La reazione di Thea alla vista di quella splendida ragazza che lo abbracciava l'aveva fatto impallidire. Per qualche istante aveva avuto l'assoluta certezza che la stesse per uccidere e il fatto che fosse ancora viva non significava che vi avesse rinunciato davvero. Era rimasto talmente colpito che per poco non aveva incenerito Tomas quando si era avvicinato alla tenda. Dannata donna! imprecò di nuovo.
Troppe emozioni, troppi errori pensò, immaginando una sfera espandersi dalla sua mente, allontanando ogni distrazione. C'erano solo lui, il suo respiro ed il suo cuore che batteva tranquillo. Si concentrò sulla ragazza, come durante i suoi primi interrogatori, quando ancora non aveva imparato le arti più raffinate nell'usare i propri sentimenti per ingannare l'interlocutore.
La ragazza lo stava fissando. Agli occhi di Siadon quel volto rivelava molte emozioni, soprattutto sofferenza, speranza e dubbio ma c'era anche una punta di certezza. Era visibilmente combattuta nel cercare la frase giusta da dire, un paio di volte si era addirittura voltata verso i suoi compagni, sperando in un suggerimento ma ricevendo in cambio solo alzate di spalle o sguardi ancora più confusi del suo.
«Mi chiamo Siadon» disse tranquillo accennando un sorriso, prima che qualcun altro prendesse la parola. Simulare espressioni e stati d'animo mentre si trovava nella sfera non era facile. I modi di fare di tutti i giorni diventavano alieni, a volte troppo complicati da riprodurre. Senza un lungo e adeguato allenamento il risultato sarebbe stato pessimo, come un menestrello in una recita troppo ispirata. Chiunque sarebbe stato in grado di intuire la finzione.
«Lui è Tomas» continuò accentuando il sorriso e alzando leggermente le sopracciglia, mentre lo indicava con un cenno. Voleva far trasparire un leggero accenno di malizioso divertimeno, il ragazzo stava ancora abbracciando la Ribelle e lei non ne sembrava affatto infastidita.
«Mentre lei è Thea» una tormenta di emozioni si abbatté contro la sfera quando si voltò, incrociando lo sguardo della Sorella. Le ignorò tutte, senza preoccuparsi di catalogarle. Fissò Thea negli occhi rilassando ogni muscolo del suo volto, mostrandole una maschera priva di espressione. Doveva farle capire che in quel momento non potevano giocare a fare gli innamorati. Avevano bisogno di informazioni, altrimenti sarebbero morti entro pochi giorni.
«Vado ad aiutare Elsa» rispose lei dopo alcuni lunghi momenti, senza risparmiargli un'occhiata ben poco rassicurante prima di sparire nella notte.
Siadon continuò ad ignorare l'uragano che si stava abbattendo contro la barriera eretta a difesa della propria lucidità. Si prese alcuni istanti per ricostruire un'espressione umana sul proprio volto. Quando si voltò verso la Ribelle aveva la faccia preoccupata di un uomo che si era appena messo in un grosso guaio ma che tentava di nasconderlo.
«Siamo in quattro, Elsa ci sta raggiungendo con dei cavalli. Quando sarà qui dovremo essere pronti a partire, non abbiamo tempo. Qui in giro ci sono parecchie pattuglie di Manti Bianchi come quelle che vi hanno catturato.» Giusto per ricordarvi che avete bisogno di noi «Qual'è il tuo nome?»
«Merian...» rispose la ragazza dopo solo un istante di esitazione.
«Bene Merian, credo che ora sia il caso di parlare da soli»
«E di cosa, per l'esattezza, dovremmo parlare?» Siadon si girò verso la voce dell'uomo, dal tono era ovvio che non aveva ancora la sua fiducia e non lo biasimava di certo. Era ferito alla spalla e sfinito per aver sopportato il dolore durante la fuga, eppure riusciva a mantenere una parvenza di portamento autoritario. L'assassino era sicuro che quegli occhi scuri e profondi, accompagnati dalla vecchia cicatrice sulla guancia, sarebbero stati in grado di convincere parecchie persone a seguirlo. Ma chi comanda tra voi?
«Rohedric» la ragazza richiamò l'uomo con un cenno della mano, invitando Siadon a continuare.
Volete confondermi, lui è una pedina per distogliere l'attenzione da te... Bene, allora giochiamo.
«Come prima cosa andremo verso Nord-Est,» rispose l'assassino tornando a concentrarsi sulla ragazza «evitando le strade e fermandoci nei villaggi solo per fare provviste. Una volta lontani dalla Confederazione spetterà a voi indicare la strada.»
Luce, sei davvero brava a mentire! Pensò ammirato Siadon mentre studiava Merian con attenzione. I movimenti del corpo, l'espressione del volto, la respirazione... ogni dettaglio della sua reazione sembrava indicare che la ragazza non avesse idea di cosa lui volesse dire. Aveva bisogno di prepararsi meglio per poterla affrontare.
«Credi che i tuoi possano cavalcare?» le chiese facendo un cenno col capo verso Rohedric e i suoi compagni.
Merian non rispose subito, osservò per qualche istante il suo gruppo e poi guardò l'uomo come per chiedere conferma a lui prima di rispondere.
«Sì, ma credo non per molto...»
Siadon annuì fingendosi preoccupato, in realtà era pervaso da un senso di euforia.
Non mi stupisce che i Manti Bianchi non vi abbiano ancora scovato, usate metodi davvero interessanti per nascondere le informazioni. Non vedo l'ora di scoprirli tutti e di infrangerli uno ad uno.

«L'acqua non è abbastanza calda» Quella donna l'aveva seguito da prima dell'alba, si era allontanato dal campo per raccogliere alcune radici di Bacio della Sera. La notte prima l'aveva scambiata per una serva, subito dopo la fuga si era impegnata a curare le ferite dei suoi compagni. Ora iniziava a credere che non ci fossero servi in quel gruppo, era una delle poche cose che aveva capito riguardo a quelle persone.
Sembrava soddisfatta, felice di poter rimproverare qualcuno per aver sbagliato in qualcosa che lei avrebbe fatto ad occhi chiusi. Doveva essere un'erborista, una di quelle donne che nei villaggi si occupavano di curare le persone.
Siadon le sorrise senza prestarle troppa attenzione, poi tornò a concentrarsi sul complesso intreccio di foglie a cui stava lavorando da almeno un'ora. Soddisfatto versò le radici su di un masso ed iniziò a tritarle con una grossa pietra, stando attento a non toccarle.
«Se fossero radici viola o bacche stellate ti lascerei fare, nella speranza di vederne gli effetti su di te e non su qualche povero ingenuo che si fida di un tale sprovveduto.»
La donna si era avvicinata e lo fissava minacciosa da un paio di metri. Le braccia incrociate incorniciavano un petto più che abbondante, evidenziato anche dalla scelta degli abiti. Gli occhi scuri e le sopracciglia inarcate però non promettevano nulla di buono.
«L'acqua deve bollire, e per parecchio anche, altrimenti l'impasto non allevia affatto i dolori. Se spalmi quella roba sul corpo di qualcuno rischi di ammazzarlo. Per fortuna ti ho tenuto d'occhio.»
Siadon rimase immobile, con la grossa pietra ancora salda tra le mani. Spalmarla?
Rimasero in silenzio per qualche istante. Si era allontanato dagli altri per non attirare l'attenzione sul suo lavoro ma non abbastanza da poter eliminare l'erborista, l'avrebbero scoperto subito. Non voleva nemmeno usare il Potere su di lei, se non come ultima possibilità. Avrebbe potuto fingersi un completo incapace, inventarsi qualche storia, come l'averlo visto fare a qualcuno e di volersi rendere utile. Quella donna ci avrebbe creduto di sicuro, sembrava già convinta che fosse la realtà. Probabilmente se la sarebbe cavata con una ramanzina, tutto sommato sopportabile, ma non poteva permettersi di averla tra i piedi ogni volta che avrebbe creato qualche veleno. Prima o poi dovrete saperlo, vediamo come reagirete.
«Se venisse a contatto con una ferita aperta sarebbe davvero spiacevole per l'ingenuo» disse con tono piatto, studiando l'espressione della donna. Lei non si scompose, mantenendo lo sguardo minaccioso.
«Spiacevole? Ogni muscolo diverrebbe come pietra, non riuscirebbe più a respirare ed infine anche il cuore si fermerebbe! Spiacevole? Lo uccideresti!»
Non aveva ancora concluso la frase quando un velo di stupore iniziò a farsi strada nei suoi occhi.
Siadon mantenne la stessa espressione calma, aspettò qualche istante per lasciare al dubbio il tempo di insinuarsi più profondamente.
«Usandone piccolissime dosi invece non morirebbe. Rimarrebbe paralizzato per circa mezza giornata, perdendo i sensi per mancanza d'aria ma continuando a respirare quanto basta per sopravvivere. Anche il cuore continuerebbe a battere.»
L'erborista era stupita, confusa ed anche impaurita. Era brava a nasconderlo ma Siadon aveva colto alcuni leggeri movimenti del suo corpo, l'istinto aveva provato ad allontanarla ma lei glielo aveva impedito irrigidendosi.
Non hanno confidenza con veleni ed assassini, devo tranquillizzarla.
«Se avessi avuto a disposizione questo impasto quando vi abbiamo liberati, sarebbero morte meno persone. Avrei potuto eliminare le guardie senza ucciderle.»
Probabilmente a quel punto lei dava per scontato che anche Thea e gli altri fossero degli assassini ma preferiva evitare di ricordarglielo parlando al plurale. La donna era riuscita a riprendere il controllo, sovrapponendo la rabbia alla paura. Ora lo fissava con occhi carichi di disprezzo.
«Come se per un assassino facesse differenza!»
«Per lui non cambia nulla, è per la vittima che cambia tutto»
«Molto altruista da parte tua» lo schernì la donna «ci farai lo stesso favore una volta che avrai finito il tuo lavoro? O sei pagato per ucciderci tutti quanti?»
Uccidervi dopo avervi liberati? Non hai ancora ripreso il controllo. pensò Siadon cercando un modo per sfruttare la situazione.
«Non siete liberi per denaro.» le rispose con tono secco, quasi oltraggiato. Non lo era davvero, aveva fatto cose ben peggiori di quella. Ora però doveva sembrare un combattente della Luce e anche se dubitava che in quel momento lo stesse ascoltando davvero, doveva dare l'impressione di un uomo che detestava il proprio passato. «E di certo non ho rischiato la vita per uccidervi al posto dei Manti Bianchi.»
Sostenne quello sguardo pieno di disprezzo per alcuni lunghi istanti carichi di tensione
«Credi quello che ti pare» continuò rincarando la dose di rabbia nella propria voce, fissando gli occhi della donna senza alcuna esitazione «ma ogni persona che ucciderò, morirà perché devota all'Ombra o per essersi frapposta tra me e Lei.»
Doveva aver dato il giusto tocco di determinazione alle sue parole, l'erborista rimase immobile e mantenne l'aria altezzosa ma alcuni dettagli nella sua espressione tradivano qualche dubbio. Siadon continuò a fissarla, gelido e calmo come ci si aspetterebbe da un perfetto assassino. O per lo meno come la gente che di assassini non sapeva molto si sarebbe aspettata. Siadon sapeva bene che la realtà era diversa. Un volto freddo e inespressivo, una maschera che incute timore, non permetteva di ottenere la fiducia necessaria ad avvicinarsi alla vittima senza essere notati, attirava troppo l'attenzione. I perfetti assassini assomigliavano al perfetto uomo comune, attirato dalla buona tavola o dalle belle donne e pronto ad allontanarsi impaurito non appena qualche cadavere cadeva a terra. In quel momento però doveva recitare la parte che quella donna si aspettava da lui. Sullo stereotipo avrebbe costruito il suo personaggio e in un angolo della sua mente stava ridendo di gusto al pensiero di doversi travestire da assassino pentito votato alla caccia all'Ombra. In fondo non era poi così diverso dalla realtà, voleva davvero distruggerla. Le promesse cariche di sentimento su chi avrebbe ucciso in futuro invece erano solo parte della recita, per Siadon quelle frasi non avevano senso.
«Cosa volete da noi?» chiese la donna. Si era sforzata parecchio per mantenere un tono fermo e ci era riuscita molto bene. Siadon colse solo una leggera sfumatura di timore e non l'avrebbe mai notata se non avesse assistito a innumerevoli interrogatori.
Dei passi tra i rami e le foglie umide fecero voltare entrambi, inchiodando la fonte del rumore con sguardi ben poco amichevoli. Merian si immobilizzò nel momento stesso in cui li vide.
L'erborista lanciò all'assassino un'ultima occhiataccia
«Pretendo una risposta» intimò fredda prima di allontanarsi con passi decisi.
Siadon fece finta di ignorarla e tornò a tritare le radici muovendo la grossa pietra. Registrò meccanicamente i passi di Merian avvicinarsi, erano lenti e le falcate irregolari, doveva essere turbata da qualcosa. Siadon fissò il centro della pietra senza guardarlo davvero e raggiunse la metà maschile della Fonte. Attinse pochissimo Potere, non voleva attirare l'attenzione di Tomas ma aveva bisogno di un minimo di protezione. Non poveva permettersi di sottovalutare la Ribelle. Senza muovere le mani dalla pietra intessè velocemente una protezione alla Compulsione, un allarme ed una specie di trappola. Niente di complesso ma l'avrebbero aiutato a difendersi se le cose si fossero messe male.
«Sei impegnato? Possiamo parlare?»
Siadon si voltò verso la splendida ragazza sorridendo sereno. L'erborista se ne era andata, di certo sarebbe presto tornata alla carica ma l'aver lasciato l'Incanalatrice sola con lui era un buon segno, significava che almeno in parte gli aveva creduto.
Merian non pareva affatto stupita dall'aver visto la donna arrabbiata, doveva esserci abituata e Siadon era ben felice di non dover dare spiegazioni.
«Certo, vieni» rispose indicando il grosso masso su cui era seduto.
La ragazza osservò incuriosita il composto scuro e pastoso che veniva tritato dalle pietre.
«Tu hai viaggiato molto vero?»
Brava ragazza, niente domande su quanto sto facendo pensò Siadon sollevato
«Sono stato in parecchi posti, ma ce ne sono moltissimi altri che non conosco o di cui ho solo sentito parlare» Dove vuoi arrivare?
«Conosci bene le montagne?»
«Alcune, quali ti interessano?»
«Ecco, c'è questo posto... di cui ho sentito parlare... che vorrei proprio capire dove si trova. E' un edificio alto, costruito sulla cima di una montagna frastagliata. Le sue mura sono aggrappate a dirupi spaventosi, conosci un posto simile?»
Sì, molto bene. Ma tu non dovresti. Perché me lo chiedi? Era sicuro che non stesse incanalando, le tessiture lo avrebbero avvertito.
«Potrebbe essere qualche avamposto della Confederazione a difesa della vallata di Heicor o delle miniere di Losm'Taal»
Con i sensi accentuati dal Potere ascoltò con molta attenzione i rumori vicini, trovando subito quello che cercava. Il cuore della ragazza batteva rapidamente, quella conversazione doveva essere importante per lei.
«Non era una caserma, sembrava un rifugio. Era strano, accogliente ma anche spaventoso»
Siadon continuò a tritare le radici, evitando di guardare la ragazza per non tradire il proprio stupore. Controllò più volte le tessiture, erano ancora intatte e funzionanti. Non ha senso, se sai chi sono perché me ne parli? E perché quel battito, per spingermi a sottovalutarti?
«I Figli della Luce hanno qualche monastero nascosto tra le montagne. Sono dei luoghi di ritiro... Cosa te lo faceva sembrare spaventoso?»
Aveva pesato le parole, voleva capire se l'aveva visitato di persona. Prima di finire la frase Siadon si voltò per osservarla attentamente, mantenne un volto sereno ma evitò di respirare per non perdersi alcun dettaglio.
«Sapeva di morte» rispose lei distratta.
Era sincera e spaventata dal ricordo. Ogni dettaglio del suo viso, del respiro e del battito, tutto confermava che lo pensava davvero.
«Quando ci sei stata?»
«Non ci sono mai stata...» si lasciò sfuggire di un soffio. Siadon capì che si era pentita di averlo detto nel momento stesso in cui aveva pronunciato quelle parole.
Ci sei stata davvero! «Come...»
«Hai detto che volevi parlarmi in privato» lo interruppe lei cambiando discorso «cosa vuoi dirmi che i miei amici non possono sentire?»
Amici? Luce sei davvero brava, prima stupisci e poi cambi discorso. Vuoi nascondere quello che sai sul monastero o serviva a distrarmi da quello che diremo tra poco?
Siadon non rispose subito, si prese del tempo per finire di tritare le radici mentre la sua mente catalogava ogni dettaglio della conversazione avvenuta fino a quel momento. Prese il bastone che aveva scorticato poco prima ed iniziò a travasare l'impasto nell'intreccio di foglie.
«Stanno accadendo cose molto importanti, cose che ci hanno spinto a rompere con il passato»
Non devo sbilanciarmi, se conosce il monastero potrebbe stare con Tamara e i Preti Neri «I Ribelli sono gli unici ad accogliere Incanalatori e di certo hanno bisogno di persone come noi. Quando abbiamo visto il tuo gruppo, due sole Incanalatrici seguite da numerose persone disposte a morire per loro, abbiamo capito chi siete e che potevate aiutarci.»
Aveva calcolato i tempi in modo da potersi concentrare sulla ragazza nella seconda metà della frase, una volta chiuso il contenitore del veleno con una serie di nodi.
«Oh per la Luce! Smettiamola con questa farsa!» sbottò lei alzando le mani al cielo «Non ho idea di chi voi siate ma da come ve la cavate di certo non avete bisogno del nostro aiuto per arrivare ai Ribelli, o da chissà quale altra parte. Perciò basta con questi giri di parole e arriva al dunque!»
La fissò stupito, cercando di capire quale strategia volesse usare quella strega per ingannarlo. Riusciva ad apparire come l'innocenza in persona, sinceramente confusa da frasi ambivalenti eppure non aveva ancora preso una posizione chiara. Decise di assecondarla e calcare la mano.
Siadon costruì un largo sorriso sul proprio volto, finse di trattenersi un istante poi rise di gusto mostrandosi sollevato.
Merian era confusa. Gli lanciò diverse occhiate stizzite, offesa dalla sua reazione.
Bene pensò Siadon lasciando passare ancora qualche momento mentre si ricomponeva.
«Perdonami, conosco solo poche leggende e non mi aspettavo che una giovane Ribelle potesse...»
«Io non sono una Ribelle!» lo interruppe senza lasciargli finire la frase
Finalmente una dichiarazione. Per quanto insensata. Eppure nulla in quella ragazza gli faceva sospettare che stesse mentendo. Non dovette sforzarsi per apparire stupito ma non era quanto aveva ascoltato a confonderlo. Le credeva. In un modo che non riusciva a capire quella ragazza era riuscita a convincerlo. Ricontrollò nuovamente le tessiture per assicurarsi che non ci fosse di mezzo il Potere. Le trovò ancora perfettamente funzionanti.
«Ma allora, perché i Manti Bianchi vi hanno catturati? No beh... questo è ovvio ma perché tante persone che non possono incanalare ti seguono e si battono per te?»
«Non si battono per me ma per...» lo fissò negli occhi con aria più indecisa che mai, Siadon poteva quasi vedere in quegli occhi la volontà di dire qualcosa che non avrebbe dovuto.
Un segreto c'è allora... pensò soddisfatto, invitando la ragazza a proseguire con un cenno del capo.
«Il Drago Rinato.»
Il Drago Rinato. Tra tutte le risposte era quella che si aspettava di meno. Sentì tutte le sue congetture crollare, improvvisamente prive di fondamenta. La parte più paranoica di lui, quella che prendeva il sopravvento durante gli interrogatori, ne stava già costruendo di nuove. Poteva essere un trucco per ingannarlo ma in tal caso sarebbe stato troppo complesso da sostenere, Merian si sarebbe tradita da sola nel giro di poche ore. Accantonò lo stupore e ignorò la sottile delusione che iniziava a pervaderlo. Non sei la più grande spia della storia.
«Cosa sai del monastero?» Cambiare improvvisamente discorso, proprio in quel momento, era un buon modo per coglierla di sorpresa e spingerla a contraddirsi. Inoltre in qualche modo Merian era davvero stata nel monastero, doveva scoprire come e soprattutto perché.
«Solo quanto ti ho già detto, non so cosa sia in realtà ma sono sicura che sia collegato a voi...» poi aggiunse sospirando «L'ho visto»
Chiaro, altrimenti non me lo avresti descritto «Che vuoi dire?»
«L'ho sognato. Camminavo al freddo in una spessa nebbia, cercavo un rifugio senza vedere nulla. Poi davanti a me c'era questo edificio costruito in cima ad una montagna, le mura si confondevano con la roccia ed entrambe sparivano nella nebbia. Era un rifugio ma non mi faceva sentire al sicuro, anche una volta entrata dava l'impressione di strapparti dal mondo sempre di più ad ogni passo. Era accogliente e caldo ma... spaventoso.»
Luce... una Sognatrice! Quella possibilità non l'aveva presa in considerazione ed ora si sentiva disorientato. Un semplice sogno aveva mostrato a Merian uno dei meccanismi chiave della Famiglia. Era davvero spaventoso, quella ragazza conosceva la setta meglio di Tomas «Continua...» le disse con un filo di voce.
«Sono arrivata in una stanza, i contorni erano indefiniti ma doveva essere piccola. Davanti a me c'era un libro su un tavolo. Mi sono avvicinata ma prima che riuscissi a toccarlo sembrò bruciare. Non c'erano fiamme, solo parecchio fumo. Poi... si è aperto. Le pagine hanno cominciato a sfogliarsi da sole e dal libro è uscita una... creatura minuta e pallidissima. Mi fissava con due occhi neri come la pece, sembrava volermi trafiggere con lo sguardo. Ero spaventata ma non potevo scappare. Poi quella cosa ha alzato un dito che sembrava fatto di sole ossa e le ombre della stanza hanno iniziato ad animarsi…» Merian lo guardò preoccupata. «Pensavo che mi avrebbero uccisa ma all'improvviso una luce… un fuoco, non so cosa fosse… Era ancora più spaventoso delle ombre, avrebbe potuto distruggerci tutti senza fatica, e forse è quello che ha fatto, o quello che farà… non lo so mi sono svegliata subito dopo…»
Tornò a guardarlo negli occhi. Sembrava sollevata ma era ancora spaventata da qualcosa.
«E mi sono trovata davanti una di quelle ombre, aveva appena ucciso i Manti Bianchi e mi stava liberando. Eri tu.»
Siadon non era un Sognatore ma aveva letto alcuni vecchi volumi sul passato della sua Setta. Sapeva che fino ad alcuni secoli prima, le vittime venivano scelte in base a visioni simili a quella. Non poteva evitare di pensare a Tamara ed al suo diario, anche lei era una Sognatrice e aveva fatto di tutto per manovrarli.
Possibile che stia usando anche Merian? Non riusciva a capire se la ragazza fosse poco esperta o se era solo spaventata dal sogno. Devo parlarne con Thea.
«Perché mi stai dicendo tutto questo?» Chiese sospettoso, l'ombra di Tamara sembrava non volerli lasciare andare «Non sai chi siamo e di certo quel poco che hai visto non aiuta a farci sembrare persone affidabili.»
Merian lo guardò con uno strano sguardo, desiderava qualcosa ma non era convinta di poterlo chiedere o forse di volerlo davvero fare.
«Vuoi qualcosa da noi.» Non era una domanda. Cercò di usare un tono di voce privo di ogni accusa. Aveva ancora bisogno di Merian e non poteva permettersi di allontanarla.
«Sono stanca di essere un fardello per gli altri, e sono stanca di avere paura di ciò che sono» rispose lei abbassando lo sguardo a terra, quasi si vergognasse delle proprie parole.
Siadon la lasciò proseguire, temeva di interrompere un momento cruciale per quella ragazza. E qualcosa lo spingeva a credere che fosse molto importante anche per lui.
Merian alzò lo sguardo su di lui dopo un istante, negli occhi un’espressione decisa.
«Quello che ho visto, che vedo, non promette niente di buono, e voglio essere pronta quando il mondo cadrà. Tu puoi insegnarmi a usare il Potere in modi che nessun altro conosce, lo so, lo avverto. E’ così che dev’essere. Lo farai?» Disse infine tornando ad assumere il solito sguardo innocente.
Siadon rimase senza parole. Permise al suo stato d'animo di manifestarsi, un profondo stupore era proprio l'espressione che voleva mostrare.



Mabien Asuka

La stanza aveva un buon odore di legno misto ad essenze balsamiche, era piccola ma accogliente, con un piccolo camino sulla sinistra a riscaldarla, uno scrittoio sul fondo sotto la finestra che ora era chiusa e un letto lungo la parete destra che aveva l'aria di essere morbido e comodo, o forse era solo la spossatezza e la conseguente voglia di abbandonarglisi sopra a renderlo tanto invitante agli occhi di Mab.
La donna che l'aveva accompagnata portò sullo scrittoio un vassoio su cui erano posate una piccola brocca fumante e una tazza. Circondata dal bagliore di Saidar a cui attingeva per mantenere lo schermo su di lei, versò parte del contenuto della brocca nella tazza, fino quasi a riempirla, e la porse a Mab, quindi usò un flusso d'aria per chiudere la porta. La ragazza soffiò un po' sull'infuso e ne inspirò l'intenso e sconosciuto odore.
«Cos'è?» chiese.
«Bevilo tutto» rispose però l'altra in tono asciutto. Il modo troppo attento con cui fissava la tazza che Mab teneva con entrambe le mani non era particolarmente rassicurante. Le venne istintivo abbassarla allontanandola dalle labbra, al contrario di quanto le era appena stato detto di fare.
La donna però allungò una mano, la mise alla base della tazza e con garbo fece leva per fargliela rialzare.
«No cara, non è un invito: devi bere. Non aver timore: è solo una precauzione, ti sentirai un po' intorpidita, ma l'effetto non dura che qualche ora. Coraggio.» le sue parole erano gentili, ma il tono continuava ad essere fin troppo asciutto.
Che altro avrebbe potuto fare? Subito avvertì un sapore di menta, meno intenso di quanto l'odore lasciasse intendere, seguiva subito dopo un retrogusto amaro e persistente, che di nuovo la portò ad allontanare la tazza. La mano della donna fu subito pronta a fargliela riavvicinare.
«Ho detto tutto. Su, non fare i capricci»
Mab si accigliò, sostenne per un po' lo sguardo impaziente dell'altra, quindi trangugiò l'infuso senza notare nell'immediato alcun effetto. Restituì la tazza alla donna, che controllò che fosse vuota prima di rimetterla sul tavolo, poi si avviò verso la porta.
«Se hai bisogno di qualcosa, ci sarà una guardia qui fuori tutta la notte.»
«Hilda? Dov'è?»
«Se Hilda è il nome della donna che è arrivata con te, non ne so niente e non sono autorizzata a dirti nulla in ogni caso» rispose l'altra senza voltarsi.
«Voglio solo sapere come sta.»
La donna, già sulla soglia, si girò a guardarla inespressiva, ma non disse una parola. Un attimo dopo le voltò ancora le spalle e chiuse la porta dietro di sé, a chiave.
Mab si lasciò cadere sul letto, trovandolo soffice come aveva immaginato, così confortevole da farle passare di mente la scortesia di quella donna, di un po' tutta quella gente che si era aspettata tanto diversa da come invece si era rivelata. Così confortevole che persino l'angolo della sua mente di cui Hilda aveva preso possesso da quando l'aveva legata sembrò sbiadire, insieme al suo carico di dolore e malessere che si trascinava ancora dallo scontro con il Myrdraal. La drammaticità della situazione che stava vivendo e che fino ad un attimo prima le era sembrata incunearsi in un vicolo cieco, ora aveva perso importanza. Le preoccupazioni, anzi ogni singolo pensiero di Mab scivolava via dalla sua concentrazione come se poi non fosse nulla di rilevante, nemmeno sapere cosa sarebbe stato di loro l'indomani, nemmeno...

Quando aprì gli occhi, nella stanza c'erano due persone oltre che la luce del giorno: uno era Manas, che si stava avvicinando al suo letto con un sorriso, l'altra era una donna che sorreggeva una sospetta tazza tra le mani.
Togliendosi la lente dall'occhio e infilandola in un taschino, Manas proruppe con un «Buongiorno!» troppo chiassoso per le orecchie di qualcuno che si era appena svegliato.
Mab non fece in tempo a sollevarsi un minimo che già si trovò la tazza fumante davanti al naso.
«Luce, Arur! Dalle un attimo!» protestò l'uomo contro l'altra donna nella stanza.
«Manas, sai quali sono gli ordini»
«Ho capito, ma siete diventati tutti così rigidi! Tesoro» disse tornando a dedicare la sua attenzione a Mab «Bevilo, prima che qualcuno diventi isterico.»
La ragazza afferrò la tazza maldestramente, facendone tracimare una parte che finì sulla coperta. L'odore era leggermente diverso rispetto a quello della sera prima. Prima di berlo guardò Manas.
«E' un intruglio che ti impedirà di usare il Potere per qualche ora» disse alzando le spalle, come se non fosse nulla di cui preoccuparsi. Quell'informazione la portò a pensare di incanalare, scoprendo così di non essere schermata, ma comunque incapace di mantenere a dovere il contatto con la Fonte. Il tentativo fu immediatamente percepito da Arur, così Manas aveva chiamato la giovane e grassoccia donna di fianco al suo letto, la quale in un attimo fu circondata dal bagliore di Saidar e la schermò. Mab la guardò con la coda dell'occhio, quindi bevve senza aggiungere altro.
Accertatasi che la tazza fosse vuota, la donna lasciò la stanza su richiesta di Manas, che si sedette accanto a Mab sul letto.
«Ma hai dormito con i vestiti addosso? C'era una camicia lì sulla sedia per te.» disse l'uomo indicando il bianco indumento appoggiato sullo schienale della sedia dello scrittorio.
«Mi sono addormentata appena ho toccato le coperte»
Manas sbuffò.
«Credo che quello che hai bevuto ieri sera avrebbe potuto stendere un cavallo: sono diventati tutti quanti paranoici! Stai bene comunque?» le chiese dandole qualche colpetto sulle guance.
Mab si tirò indietro e bloccò quella mano fastidiosa.
«Si, ma stavo meglio prima che tu mi prendessi a schiaffi. Mi sento solo... è come se fosse tutto ovattato»
«Normale, passerà tra un po'. Tranquilla.» disse in tono rassicurante, quindi si erse sul busto e unì le mani producendo uno ciocco che le fece battere le palpebre. «Allora! Sono riuscito ad ottenere qualcosa da quel branco di pecore: prima di tutto ti informo che Hilda – si chiama così quella ragazza, no? - sta meglio del previsto, le cure che riusciamo a dare qui per il tipo di ferita che ha subito non funziona così bene di solito, ma su di lei la Guarigione ha ottenuto più risultati di quanto ci si aspettava.» Probabilmente era merito del legame, ma non era il caso di farne parola. «E' stata fortunata che la lama non abbia toccato organi vitali, altrimenti qui non avrebbero potuto salvarla probabilmente, ma per come sono andate le cose, è possibile che addirittura possa recuperare l'uso del braccio. Per questo la porteranno a Calavron: è stata una richiesta esplicita di Griseldhe, quindi non ringraziare me per questo. Ringrazia me invece per il fatto che tra poco la potrai incontrare.»
Mab si allungò sul letto per abbracciarlo, cosa che lui aspettava come avrebbe fatto un padre con la figlioletta.
«Ma poi quando la porteranno a... Calavron hai detto?» chiese temendo che Manas non fosse riuscito ad ottenere che le lasciassero insieme.
«Si, Calavron , è lì che ci sono i massimi esperti nella Guarigione.» si rabbuiò poi «Anche tu andrai con lei e la seguirai anche dopo, ad Acarvende.»
«Perchè quella brutta faccia?»
«Perchè ad Acarvende sarete rinchiuse ed interrogate dai Geinzana, che con queste cose non vanno tanto per il sottile, soprattutto con i Manti Bianchi.»
Evidentemente Manas notò l'espressione preoccupata sul suo volto perchè si affrettò ad aggiungere.
«Griseldhe sarà con voi anche là e mi ha assicurato che non permetterà che vi sia torto un solo capello. Per quanto quella donna possa sembrare fuori di testa, quando dice una cosa, ci si può fidare. Se lei vi protegge, io sono più tranquillo che se fossi io stesso a farlo: se c'è qualcuno che possa mettere i piedi in testa ai Geinzana, quella è Griseldhe der Kethienne!»
«Perchè tutto questo interesse? Cosa sa di noi?» Mab voleva dannatamente sapere, voleva conferme di quelle poche cose che era riuscita ad ottenere da Hilda.
«Non mi ha detto molto, da quando siete arrivate è più criptica che mai! Dice che la sua teoria ha delle contraddizioni, che vi deve studiare, che deve capire. Dice che è troppo presto, qualcosa del genere. L'importante è che sia interessata a voi: questo mi rende sicuro del fatto che non permetterà vi sia fatto alcun male.»
Mab sospirò, più che altro per rassegnazione: da quando era nata, la sua vita sembrava essersi presa gioco di lei, mettendola in situazioni di cui lei non poteva avere il minimo controllo. Questa non faceva eccezione... ma in un modo o nell'altro ne sarebbe uscita anche questa volta.
«Per quanto staremo là?»
Manas alzò le spalle.
«Difficile a dirsi, ma non crucciarti troppo, è solo una forma cautelativa: tutti i Figli della Luce o quasi passano di là. Poi a seconda dei sospetti anche altri, soprattutto incanalatori. Dipende dalle circostanze, ma non ne so molto, qui non è mai stato così, sono sempre stati piuttosto permissivi, più che in altre città. Vedrai che appena accerteranno che non siete spie della Confederazione vi lasceranno libere.»
Manas la fissò un po' in silenzio, poi continuò.
«Te lo chiedo ancora una volta: sei sicura di quello che stai facendo? Potrei ancora provare di convincerli a tenerti qui, si fidano di me!»
Mab abbassò la testa: se avesse ricambiato lo sguardo, lui avrebbe subito compreso quanta incertezza ci fosse in lei, quanto profonda fosse la sua paura.
«Qui sarei comunque in trappola, l'hai detto tu. In questi anni, in ogni momento di sconforto, ogni volta che mi sono sentita con le spalle al muro, una sola cosa mi ha permesso di trovare la forza per risollevarmi e spingermi ad andare avanti: il desiderio di vendetta. Non posso spiegarti né come né perchè, ma Hilda ora rappresenta l'unica speranza che ho per appagare quel desiderio. Per quanto possa sembrare azzardato, voglio fidarmi di lei e andare avanti.»
Manas annuì comprensivo.
«Poi ci rivedremo, vero?» gli chiese dopo una sosta di silenzio.
«Ora che ti ho ritrovata, non potrei più farne a meno!» nel dirlo Manas le prese una mano, stringendola forte tra le sue. La fissava dritto negli occhi e sorrideva, un sorriso teso e tirato, perchè era spaventato almeno quanto lei, eppure era capace di infonderle coraggio.

Hilda era oltre quella porta, il legame le faceva capire in quale preciso punto della stanza l'avrebbe trovata. Appena varcata la soglia, incrociò il suo sguardo, freddo e penetrante. Esteriormente la donna non mostrò alcuna emozione, ma dentro era tutta un'altra storia: per un attimo il legame fu come sferzato da un lampo, un qualcosa di fulmineo quanto potente provenne da Hilda per poi spegnersi l'istante successivo. Seguì un complesso intrecciarsi di sensazioni particolari, con ognuna delle quali Hilda lottava per poi domarla e scacciarla. Alcune cose erano chiare per quanto repentine: era apparso un inequivocabile moto di gioia nel rivedere la compagna di viaggio, cosa che strappò un sorriso di soddisfazione a Mab nonostante l'immediato disappunto che ne fece seguito, poi c'erano frustrazione e tristezza, infine dolore ed un senso di debolezza derivanti dalla ferita. Altre emozioni non erano affatto comprensibili, Hilda diventava sempre più brava a controllarle. Mischiate a tutto il resto non creavano altro che un confuso groviglio inutile oltre che fastidioso.
Fuori era impassibile come suo solito, le labbra erano appena increspate in una smorfia d'insofferenza, mentre se ne stava semiseduta sul letto con la schiena poggiata a cuscini contro il muro. Indossava un'ampia camicia da notte di cotone grezzo pesante, probabilmente uguale a quella che lei non aveva fatto in tempo ad indossare la notte prima. Si notava lo spessore della fasciatura attorno alla spalla ferita.
Mab rimase in piedi senza dire nulla finchè Arur non uscì dalla stanza lasciandole sole, quindi decise di avvisarla della tessitura che le avrebbe spiate, come aveva fatto Manas con lei. Si avvicinò al letto chinandosi sulla donna: imbarazzo, disagio e addirittura una punta di paura inondarono il legame, Hilda si mosse indietro di scatto senza ottenere grande risultato, impossibilitata com'era a divincolarsi per la ferita e il muro alle sue spalle, quindi rimase rigida mentre Mab si avvicinava imperterrita al suo orecchio per bisbigliarle quel semplice «Ci ascoltano». L'imbarazzo di Hilda crebbe tanto da impedirle di sostenere il suo sguardo subito dopo.
«Luce! Un contatto umano!» la prese in giro Mab, mentre prendeva eccessive distanze, andandosi a sedere all'altro capo del letto.
«Piantala» tagliò corto la Figlia della Luce, con tono secco «Sai che intenzioni hanno? A me non dicono niente»
«Si, Hilda, sto bene. Tu?»
«Mab, per favore. Come stai tu e come sto io lo sappiamo entrambe fin troppo bene»
Quel legame proprio non le andava giù... come biasimarla? Infastidiva anche lei, che aveva avuto la bella idea di crearlo. Sospirò e quindi si decise a rispondere sul serio.
«In questa città ho ritrovato il mio vecchio precettore di Daing: ha cercato di intercedere per me con il Consiglio, ma la tua divisa dei Figli della Luce non ci aiuta affatto»
«Si, questo l'avevo già notato all'interrogatorio.»
«Che accidenti è successo? Non ti avevo mai sent... ho saputo che hai preso a schiaffi la donna che ti faceva le domande»
Per un attimo il legame avvampò d'ira, Hilda si scompose persino in un'espressione accigliata.
«Quella donna era convinta che io sapessi chi è il Drago Rinato! E ha fatto di tutto per costringermi a dirlo. Sono venuta qui convinta che sarebbero stati loro a dirlo a me!»
«Cosa c'entri tu con il Drago Rinato?» di che stava parlando?
Hilda le puntò gli occhi addosso di scatto: non ne aveva mai parlato prima e forse non avrebbe voluto farlo nemmeno allora, vista quella reazione.
«Hilda?» la incalzò
«Ci sono cose che non sono tenuta a dirti»
Mab sentì il proprio volto accalorarsi.
«Grazie a Manas io posso restare qui in città, mentre tu e tu soltanto saresti rinchiusa. Gli ho detto che volevo seguirti, ovunque ti avrebbero portata, perchè voglio fidarmi di te! Smettila con tutti questi mist...»
«Rinchiusa?» la interruppe Hilda allarmata.
«Si, hai sentito bene. E io ho deciso di seguirti, quindi se io mi fido a tal punto di te, è ora che anche tu faccia altrettanto. Voglio la verità!»
«Non mi sembra il caso» disse indicando la porta con un cenno della testa, a ricordarle che lì fuori c'era chi le stava ascoltando.
Mab inspirò col naso stizzita, fissando con rabbia l'altra donna. Come si poteva fidare di lei? Stava facendo una pazzia, stava commettendo il più folle dei suoi errori.
«Chiederò a Manas di convincerli a farmi rimanere qui. Sono stanca dei tuoi segreti.»
«Mab, ti prego, sei un libro aperto per me!» disse Hilda sorridendo beffarda «Tu sei dannatamente curiosa, oltre che incapace di pensarti qui a consumare la tua vita a far nulla. O forse gli anni di ozi alla corte di Krooche hanno cancellato quella fame di vendetta che avevi negli occhi quei giorni, mentre ti portavo a Kerine?»
Mab era allibita. Non trovava le parole per ribattere. Quella maledetta la teneva in pugno ed era riuscita a far volgere il legame a suo totale vantaggio.
«Ozi alla corte di Krooche?» disse infine quando focalizzò il significato di ogni parola di quelle accuse «Tu non hai davvero idea! Tu, tu che hai dato il via a tutto questo, non hai davvero idea di cosa voglia dire dover strisciare ai piedi di ogni verme di bianco vestito pur di salvarsi la pelle! Tu non...»
Hilda sorrise... sorrise!
«Smettila. Poco prima che io partissi per Kiendger le voci che arrivavano dalla città dicevano che negli ultimi tempi Krooche sembrava essere la tua puttana, più che il contrario. Sembravi piuttosto a tuo agio in quell'ambiente, forse la vita con i Figli della Luce non ti dispiaceva poi così tanto...»
«Spero che tu ci marcisca in quel posto!» Mab si alzò e si diresse verso la porta, mentre alle sue spalle sentiva Hilda pregarla di aspettare. Un attimo prima che potesse abbattere i propri pugni contro la porta per farsi aprite, il legame le trasferì un'acuta fitta di dolore che la costrinse istintivamente a girarsi verso l'altra donna, trovandola a terra nel tentativo di raggiungerla.
«Stupida!» sibilò Mab mentre accorreva a soccorrerla. In quel dolore c'era qualcosa di strano, di innaturale... qualcosa di sbagliato. Forse per il fatto che la ferita fosse stata inferta dalla lama di una creatura dell'Ombra. Rabbrividì al pensiero, mentre aiutava Hilda a tornare a letto.
«Non puoi lasciarmi andare sola» ansimò Hilda con un filo di voce, tra le smorfie di dolore «E' fondamentale che tu sia con me, è troppo importante!» con l'unica mano che poteva usare, le afferrò una manica in modo da impedirle di allontanarsi.
«Vorrei solo che mi dicessi il perchè. Come puoi pretendere che io ti segua ovunque senza sapere nulla? E' vero che non sarei capace di starmene qui a lasciar trascorrere la mia vita inutilmente, ma non posso nemmeno buttarmi così nel buio.»
«La Ruota ci ha intessute nel Disegno, Mab, lo hai visto come ci ha costrette a ritrovarci dopo tanti anni. Se ho creduto io che fosse un segno, se io ho deciso di abbandonare la divisa su cui avevo giurato per questo, come puoi non farlo tu?»
«Perchè io non so qual è il ruolo che la Ruota ha previsto per me, qual è lo scopo di tutto questo.»
Nonostante le desse dolore, Hilda si costringeva a mantenere la schiena dritta, tenendo Mab ancora per l'abito. Impossibile capire cosa provasse, il legame trasmetteva emozioni forti, ma tutte estremamente confuse. Guardò la porta per qualche momento pensando probabilmente a quanto fosse il caso di dire, poi riportò gli occhi ai suoi.
«La vita del Drago Rinato è nelle nostre mani, Mab! Se abbandoni me, abbandoni tutto il mondo e la sua sola possibilità di salvezza.»
Per un po' ogni ragionamento parve troppo difficile da fare. Anche respirare sembrava troppo difficile. La lucidità tornò poi con calma a terrorizzarla: tutte quelle domande sul Drago Rinato, anche loro sapevano. Non poteva essere...
«Non credere che io non sia spaventata, vorrei che non fosse così, vorrei che certe cose... ma è quello che dobbiamo fare. Dimmi che sarai con me!» la incitò Hilda.
«Ma... Io... cosa significa?» non sapeva che dire, che pensare.
«Precisamente quanto ti ho detto: non posso dirti esattamente ciò che accadrà, non sono io ad avere il dono della preveggenza, ma è quanto è stato detto a me. Non ho voluto crederci finchè non ho visto i segni con i miei occhi. Lo stai vedendo anche tu ora. Durante l'interrogatorio avrai capito anche tu che ci stavano aspettando: non credo che quella Griseldhe abbia riversato le sue manie solo su di me. Non so tutto nemmeno io e mi aspettavo di trovare qui qualche risposta in più. Forse non è ancora giunto il momento, non lo so, ma arriverà e io e te dovremmo essere lì insieme, posso dirti solo questo. Mab, lo so cos'è che ti ha spinta a stringere i denti fino ad ora, lo so che quello spirito di vendetta ti ribolle ancora nel sangue e voglio che lo usi per questa causa. Non voglio che mi segui, tu non sei un placido gattino che ozia, volevo solo provocarti per rivedere quella lince che lottava con denti e unghie a Daing, perchè quella è la Mab che voglio al mio fianco ad affrontare tutto questo insieme a me. Se sarà possibile, laggiù ti ci riporterò io quando sarà finito tutto questo, comanderò il tuo esercito in marcia su quella stramaledetta città se è quello che vuoi, ma non ci sarà più nessuna Daing da liberare se l'Ombra avrà la meglio sulla Luce. Ora dimmi: sarai con me?»
Perchè Hilda era così triste? Determinata, ma profondamente triste. Per quanto cercasse di reprimerlo, traspariva dal legame un grande dolore, Hilda soffriva terribilmente, forse era spaventata, forse si sentiva in colpa per aver tradito i suoi giuramenti, ma la sua ostinazione e uno spiccato senso del dovere la spingevano a domare quel dolore. Aveva parlato tutto il tempo guardandola dritto negli occhi, non aveva abbassato lo sguardo una sola volta, come avrebbe potuto mentire tanto spudoratamente? Sembrava dannatamente sincera, non sapeva se era a causa del legame, ma Mab si rendeva conto di non essere capace di dirle di no. Prese la mano con cui l'altra donna ancora stringeva il suo abito e la staccò.
«Se vuoi che io combatta con te, trattami da tua pari. Se sarai sincera e onesta con me, troverai l'alleata che ti aspetti, altrimenti non pensare che non sarei capace di abbandonarti. E sappi che quanto mi hai detto sul ritorno a Daing, lo prendo come una promessa e, non mi importa di quello che potrebbe succedere a me, se non la mantieni ti farò pentire di avermela proposta!»
«Farò il mio dovere!» rispose Hilda portando la mano destra in un pugno all'altezza del cuore e piegando la testa in un inchino. Nonostante fosse seduta a letto in un ampio camicione sgualcito, riuscì ad apparire solenne ed elegante come un generale che giurava fedeltà alla propria regina. Un'immagine di sicurezza che contrastava col suo turbamento interiore.
«Voglio sentirtelo dire: sarai con me?» insistette rialzando la testa.
«Sarò con te»
Hilda sorrise, il primo sorriso caldo sul suo volto da che la conosceva, anche se durò appena, spegnendosi insieme ad un altro lampo di emozioni che balenò nel legame. Stava chiaramente imparando ad eludere la loro connessione, che fosse folgorata!
«Quindi, dicevi? Che accadrà ora?» le chiese, subito prima che bussassero alla porta.

Erano stati dati loro indumenti pesanti da indossare: abiti e mantelli semplici, di lana grossa, adatti al viaggio che stavano per fare. Manas le aveva detto che Calavron era ancora più a nord di Hama: anche se la primavera era alle porte, il freddo sarebbe stato tagliente.
La partenza era stata posticipata a causa di un incidente, che, a quanto aveva saputo, aveva causato la morte di una persona e destato parecchie preoccupazioni in città. Si erano quindi messi in marcia solo nel pomeriggio: lei e Hilda erano sedute nel retro di un piccolo carro insieme a Griseldhe, il cui sguardo quasi ossessivo contribuiva a rendere il momento più angosciante di quanto già non lo fosse. Una corda teneva uniti i loro polsi, ma non c'era più alcuno schermo ad impedire a Mab di incanalare: aveva bevuto un altro di quegli infusi poco prima di partire, quindi non ne sarebbe comunque stata capace. Attorno al carro procedeva una piccola scorta di soldati: a capo del corteo, su un possente cavallo nero, c'era il comandante Asgael, altri cinque uomini e due donne lo seguivano a piedi.
Senza un motivo apparente il gruppo si fermò, Asgael scese da cavallo e venne dietro al carro per comunicare a Griseldhe che era giunto il momento, quindi ad aiutarla a scendere. Mab e Hilda si scambiarono un'occhiata sperando inutilmente di trovare l'una nell'altra una spiegazione. Vide Griseldhe parlare con il comandante, ma non udì niente della loro conversazione.
«Non va bene» borbottò Hilda a voce bassa. La donna stava fissando i due che parlavano.
«Cosa non va bene?» le chiese.
«Loro sanno di noi più di quello che noi sappiamo di loro. Non avevo ipotizzato di trovarmi tanto in svantaggio a questo punto e con così poche risposte. Questa situazione ci sta rendendo vulnerabili e non so da quali nemici devo guardami. Dopo quello che ho visto tra le file dei Figli della Luce nella Confederazione, non ho più piena fiducia in nessuno.» si girò a guardarla «Dobbiamo misurare le parole Mab, non parlare mai di quello che ti ho detto e continua a negare di sapere finchè non sarai più che certa che chi ti ascolta vuole le stesse cose che vuoi tu. L'Ombra ha cercato più di una volta di impedirmi di arrivare qui, c'eri anche tu, credevo che una volta giunta qui sarei stata al sicuro, ma mi illudevo. Se hanno ascoltato quanto ti ho detto prima, accidenti... non avrei dovuto dirti nulla!»
«Se tu non l'avessi fatto, io non sarei qui ora»
«E' stato comunque un errore e ne sto facendo troppi da quando... da quando hai fatto quella cosa. Non va per niente bene: mi rende instabile, irrazionale. Non avrei una spalla ridotta in questo stato se l'ostaggio di quell'essere non fossi stata tu. Mi distrai!»
«Non hai detto niente a loro, vero?»
«No... e tutto sommato non credo che lo farò» le labbra di Hilda si arricciarono lievemente «Ha i suoi lati positivi. Devo solo riuscire a controllare anche quello che viene da te»
Mab stava per maledirla quando un bagliore argenteo tagliò di netto la vista della foresta davanti a loro. La luce si espanse disegnando un rettangolo alto un paio di metri e largo altrettanto, parve roteare su se stesso e poi mostrare al suo interno un'altra foresta, con un suolo più roccioso e sporadicamente ricoperto da un lieve strato di neve. Asgael e Griseldhe vi entrarono per primi, seguiti poi da tutto il resto del corteo, il carro che le trasportava compreso.
Quel varco si richiuse splendendo di nuovo in una linea argentea sospesa in aria, davanti agli occhi sbalorditi di Mab, la cui vista fu per qualche tempo infastidita dall'alone di quel bagliore. Erano ancora in una foresta, ma il clima era più rigido, nell'aria c'era odore di fumo. Hilda la fissava con gli occhi più spaventati che le avesse mai visto.
«Non so come lo facciano, credo riescano a creare dei portali per viaggiare da un posto all'altro» bisbigliò mentre il carro riprendeva a muoversi. Hilda non disse nulla, ma non riuscì a mascherare il profondo turbamento interiore.
Percorsero un brevissimo tragitto prima di fermarsi di nuovo nei pressi di un vecchio casolare dall'intonaco grezzo e le travi a vista, qui l'odore del fumo di un camino era più intenso. Dalla porta uscirono due ragazzi, richiamati certamente dal rumore degli zoccoli, che sembrava assordante paragonato al silenzio in cui era immerso quel luogo. I due giovani salutarono formalmente il convoglio che si avvicinava. Non avevano nemmeno vent'anni a giudicare dall'aspetto: il ragazzo aveva capelli rossi, occhi chiari e lineamenti ben definiti, pareva sicuro, o almeno era l'idea che voleva dare di sé; la ragazza aveva un volto particolare, leggermente appuntito e dai lineamenti un po' spigolosi, coronato da una folta chioma di capelli neri ondulati. Mab si stupì nell'accorgersi che i suoi piccoli e inespressivi occhi chiari erano fissi su di lei: i loro sguardi si incrociarono per qualche lungo istante senza che la ragazza cambiasse minimamente espressione, finchè non fu costretta a portare la sua attenzione al ragazzo dai capelli rossi che la chiamava. Mab non sapeva dirne la ragione, ma quel piccolo scambio l'aveva messa tremendamente a disagio.
Presi gli ordini da lui, la ragazza si girò di nuovo verso il carro circondata dal bagliore di saidar, intessè pochi semplici flussi con i quali impedì alle prigioniere di vedere quanto sarebbe successo poi. Sentì Hilda sussultare un attimo quando si sentì privare della vista. Uno strattone improvviso le fece capire che il carro aveva ripreso a muoversi e, dopo quelli che non potevano che essere stati pochi metri, attorno a Mab l'ambiente cambiò di nuovo: il freddo si era fatto un po' meno pungente, il silenzio della foresta era stato sostituito bruscamente da un intenso vociare, zoccoli che percuotevano strade battute e lo scricchiolare di numerosi carri. Erano in una città. Mab prese un lungo respiro per calmarsi, ma il suo cuore sembrava non volerne sapere di smettere di palpitare in preda ad una sincera paura di quello che poteva ancora succederle.



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 27
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte sesta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte sesta]

Toras Skellig

Era passato un mese intero da quel pomeriggio tempestoso di fine inverno in cui Toras aveva incontrato il marinaio di nome Issal; da allora il ragazzo aveva scovato altri cinque Incanalatori liberi, tutti poveri derelitti inseguiti da lungo tempo che avevano cercato un improbabile nascondiglio nei vicoli maleodoranti della Rasa a Dodieb. Il giovane aveva infatti miracolosamente evitato ogni conseguenza del proprio doppio gioco, riuscendo a farsi credere sulla parola un resoconto completamente inventato, che per sua fortuna nessuno aveva potuto confutare. Il Capitano Comandante Kines, che ci teneva ad occuparsi personalmente di qualsiasi faccenda spinosa che riguardasse i Traditori, aveva così sentenziato: «Ritieniti fortunato, piccola canaglia, che non mi va di chiamare gli Inquisitori. Mi fanno venire i brividi quelle vecchie cornacchie imbiancate. Loro saprebbero come tirarti fuori la verità, fosse anche l’ultima parola che ti lasciano spiccicare. Ma io ti voglio dare una seconda possibilità. Un consiglio: la prossima volta, se cadono i tuoi compagni, trova il modo di farti ammazzare anche tu... mi spiego?».
Toras non aveva avuto bisogno di ulteriori spiegazioni: era stato sempre un ragazzo sveglio, fin dai tempi della scuola. Si era messo a cacciare seriamente, applicando alla lettera gli insegnamenti del vecchio Jaem. Aveva fatto progressi con il Potere: adesso poteva muovere qualche flusso di Terra e di Fuoco, i più semplici per gli Incanalatori uomini. Anche la sua capacità di rilevare Incanalatori era stata affinata, con l’esperienza, e Toras era riuscito così a stanare altre prede. Solo che... solo che poi, una volta trovato l’Incanalatore di turno, ogni volta si era fatto venire in mente strane e malaugurate idee su come metterlo in salvo, e, in ben tre casi sui cinque che gli erano capitati, ci era anche riuscito.
Come nella circostanza in cui aveva trovato un grasso Incanalatore, vestito come un mercante o ricco artigiano, che, rannicchiato dentro ad un carro, si nascondeva sotto alcuni strati di pesce fresco. I due Manti Bianchi di pattuglia quel giorno stavano a loro volta per ispezionare quel carico, quando improvvisamente lo scafo di una barca in costruzione in un cantiere lì vicino aveva preso fuoco, richiamando l’attenzione dei Figli della Luce che, perfino nell’ambiente tacitamente ostile della Rada, erano pur sempre i rappresentanti dell’ordine e della sicurezza. Toras aveva sperato che lo straordinario evento sembrasse un incidente, spiegabile, agli occhi dei Figli, con il fatto che il fuoco veniva in effetti usato per la lavorazione degli scafi... o almeno così gli sembrava che Jaem gli avesse detto un giorno.
Se manipolare qualche flusso di Fuoco non gli era sembrato poi così difficile, più complicato era stato fare scendere, o, per meglio dire, rotolare l’Incanalatore giù dal carro, ma alla fine Toras l’aveva visto allontanarsi indisturbato in mezzo al trambusto che si era creato attorno alla barca in fiamme. In altre due occasioni gli Incanalatori, più giovani, si erano dati alla fuga non appena si erano accorti del marchio del Traditore sul volto di Toras. Egli però era più veloce e li aveva raggiunti in entrambi i casi; poi, prima che arrivassero i Manti Bianchi, era riuscito a persuaderli delle proprie buone intenzioni e a trovare loro un nascondiglio, grazie alla conoscenza della Rada che stava poco a poco maturando.
Agli accorrenti Figli della Luce aveva semplicemente giustificato la loro fuga in quanto ne aveva perso la traccia. Un giorno, infine, ne aveva scoperto addirittura due: una giovane coppia, anche se naturalmente non aveva potuto percepire la capacità della donna finchè gli effetti delle tessiture di Saidar non erano stati evidenti a tutti. Quei due avevano opposto una notevole resistenza, forti di una certa esperienza con il Potere, ma avevano commesso l’errore di concentrarsi troppo su Toras: l’uomo che cercava di schermarlo, la donna che lavorava con Aria per legarlo, lasciando ai Manti Bianchi il tempo di raggiungerli e attaccarli a colpi di spada. A nulla era valso l’appello di Toras affinchè fosse loro risparmiata la vita: i due Figli che componevano la pattuglia, allarmati e preoccupati dalla loro esibizione di forza con il Potere, non avevano dato scampo agli sventurati.
Nonostante quell’ultimo fallimento, Toras aveva raggiunto una sorta di pace interiore, grazie al segreto compromesso che gli permetteva da un lato di assecondare il proprio istinto a salvare degli innocenti, e dall’altro di dare prova ai Figli della Luce che si stava effettivamente impegnando nella caccia. Ingenuamente, non aveva mai immaginato che i numerosi falsi allarmi cui poi non faceva seguire delle catture potessero fare dubitare delle sue intenzioni. E così, il giorno che lo avevano inviato di pattuglia sulle sue montagne, nella vicina vallata del fiume Dodieb, egli era partito felice e spensierato, convinto che quello fosse un modo per ripagarlo del suo impegno. Quattro soldati ed un ufficiale componevano la squadriglia, insieme a Toras e, inaspettatamente, al vecchio Jaem.
Il ragazzo aveva iniziato a nutrire qualche dubbio solo quando, dopo avere pernottato in un piccolo paese proprio all’inizio della vallata, il gruppo si era incamminato per un sentiero che conduceva agli alpeggi, e Toras era sicuro che non vi fossero altri villaggi lungo quella via. L’ufficiale aveva anche requisito un piccolo tavolo di legno che apparteneva al calzolaio locale, e aveva ordinato a Toras di portarlo, senza dare spiegazioni. Erano giunti nel tardo pomeriggio ad un poggio solitario che si affacciava su un alto dirupo. Toras, che durante l’ascesa, a causa dello sforzo per sorreggere il tavolino, non aveva avuto la lucidità per riflettere sulla situazione, aveva allora realizzato che qualcosa non andava. Ma, stremato dalla fatica e ancora incapace di accedere volontariamente alla Fonte, non si era potuto opporre ai quattro soldati quando l’avevano afferrato, legato ai polsi e costretto a inginocchiarsi davanti al tavolo del calzolaio, che ora fungeva da scrittoio per l’ufficiale dei Manti Bianchi. Non uno scrittoio, aveva poi intuito Toras quando il processo era iniziato, ma un banco per il giudice.
Il procedimento era stato più che altro una formalità, in quanto all’imputato non era stato concesso di difendersi, e, dopo avere brevemente enunciato la condanna, l’ufficiale aveva ordinato a Jaem di preparare per l’esecuzione. In poco tempo, troppo poco perchè il giovane Traditore potesse elaborare una delle sue diversioni, un cappio era stato fissato al ramo di una quercia solitaria, sotto la quale era stato posizionato il solito tavolino. Davvero un oggetto multivalente, si sorprese a pensare Toras.
Toras si trovava ora in piedi sul tavolo del calzolaio, con il cappio attorno al collo. La luce arancione del tramonto inondava i campi giù nella pianura, che in quella giornata limpida e serena di inizio primavera era interamente visibile, dalle prime pendici fino alla costa. Toras si sentì un nodo in gola, e non a causa dell’anello di canapa che gli avevano stretto attorno al collo. Nonostante la condizione di quasi prigionia in cui viveva come Traditore, il ragazzo aveva covato segretamente la speranza di riuscire, un giorno, a scappare: sarebbe tornato a casa per dare un ultimo saluto alla famiglia, per poi partire verso luoghi lontani in cerca di avventure... Il ritornello di una vecchia canzone da taverna, che spesso aveva cantato con gli amici, gli sembrò allora più attuale che mai:
All’alba ci faranno ballare
la giga del capestro,
allora solleva il tuo boccale
e prendi un altro sorso.
La maledizione del traditore
ci ha condotti a questo fato,
ma indietro non guardare:
ci aspetta un’altra vita.

I versi probabilmente non si riferivano ai Traditori nel senso in cui era usato ora il termine, per indicare spregevolmente i suoi simili, ma nondimeno quelle parole e quella melodia gli mandarono un brivido giù per la schiena. In particolare fu quel verso “ci aspetta un’altra vita” a farlo riflettere. La religione della Luce contemplava in effetti una reincarnazione, ma il giovane Toras, pensando di avere ancora tutta la vita davanti, non aveva mai preso quel dogma sul serio. Ora, tuttavia, la mente di Toras si aggrappò disperatamente all’idea che quella a cui stava andando incontro non era veramente la fine, ma che sarebbe seguito un nuovo inizio, in un nuovo corpo e con un nuovo nome.
Trattenendo una lacrima, cercò con gli occhi il vecchio Jaem, che stava osservando a pochi passi di distanza. L’attempato Segugio era corrucciato: lo guardava con lo stesso sguardo con cui un artigiano osserva un pezzo che gli è riuscito male. Nonostante l’amicizia che avevano condiviso, il vecchio e il ragazzo avevano ben poco in comune, sia in termini di personalità che come senso del dovere. Quello sguardo severo fece sentire improvvisamente in colpa Toras, che si ritrovò a chiedersi come lo avrebbe guardato ora il padre, anch’egli onesto e irreprensibile come Jaem, se fosse stato lì.
Mentre una serie di pensieri caotici e bizzarri gli affollavano la mente – il padre, la madre, i suoi fratelli e sorelle, la figlia del locandiere del villaggio, la vita dopo la morte, quelle cinque monete di bronzo che doveva a Ben ormai da un’eternità, la Luce e l’Ombra, la pecora che aveva smarrito pochi giorni prima della sua cattura – Toras sentì che alle sue spalle uno dei Figli si avvicinava finalmente al banchetto per calciarlo a terra e lasciare così pendere il giustiziato.
In quel breve attimo in cui sentiva l’appoggio dei piedi venire meno, Toras credette anche di udire degli altri suoni, più lievi e distanti, oltre a quello del tavolo che rovinava a terra. Poi improvvisamente un dolore straziante gli troncò il respiro, e la luce venne meno. Si trovava ora immerso in un oceano buio come la notte; non aveva quasi più ossigeno nei polmoni e doveva tornare in superficie, ma per quanto si dimenasse sembrava che i suoi movimenti non avessero alcun effetto. Inaspettatamente, scorse un bagliore in lontananza e provò a raggiungerlo. I suoi arti si dibattevano ancora inutilmente, ma, con sua sorpresa, Toras constatò che la luce si avvicinava a lui. In effetti si trattava di una piccola e tenua fiamma, che inconcepibilmente ardeva anche lì, sott’acqua. Incuriosito, allungò allora una mano per toccarla, e... all’improvviso sentì il flusso di Saidin scorrere in lui, assieme ad un incalzante bisogno di incanalare. Era ora vagamente consapevole di un’urgente questione che avrebbe dovuto risolvere: aveva a che fare con una corda... una corda che lui avrebbe dovuto recidere... ma perchè? E dove accidenti la trovo una corda qua sotto?
Poi, però, la realtà lo colpì a tradimento, dura e sgradevole come una secchiata d’acqua fredda appena alzati, e Toras seppe cosa fare. Non riusciva ancora a vedere nulla, ma provò comunque a dirigere dei sottili flussi di Fuoco al di sopra della propria testa. Nel frattempo, portando le mani al collo, il ragazzo cercava disperatamente di infilare le dita dentro al cappio, mentre si sentiva la gola ormai completamente chiusa. Tutti i suoi sensi, compresa l’abilità con il Potere, e tutti i suoi muscoli erano impegnati nella lotta per rimanere in vita. Alla fine la fune cedette e Toras si ritrovò al suolo, tossendo e contorcendosi per il dolore persistente. Mentre riacquistava la vista, il giovane Traditore poteva udire i rumori di un combattimento vicino. Alzandosi a fatica, Toras intravide cinque figure che duellavano accanitamente sul ciglio del burrone.
Quelli che davano le spalle allo strapiombo erano Figli della Luce, due dei ciqnue che erano con lui al momento della sua esecuzione. Gli altri tre erano vestiti di scuro e con i volti coperti, e in quel momento gli davano le spalle. I due soldati erano in grossa difficoltà per il sovrannumero di nemici, dei quali uno in particolare pareva essere un notevole combattente, vista la rapidità con cui roteava la sua lunga staffa di legno: ora a parare gli affondi delle spade dei Manti Bianchi, ora a infliggere spaventosi colpi contundenti agli avversari. Toras, incredulo, cercò traccia degli altri componenti della squadriglia: li individuò, ognuno di essi praticamente nello stesso posto in cui si ricordava di averlo visto prima di perdere conoscenza, ma riversi a terra e immobili. Tra loro c’era anche il vecchio Jaem, riverso su un fianco e con delle macchie rosse sul farsetto; cercando con fatica di mettere a fuoco, Toras riuscì infine ad individuare le estremità appuntite di alcuni dardi che sporgevano dai cadaveri: probabilmente, per quel poco che sapeva di armi, proiettili per balestre.
Riportò l’attenzione allo scontro in atto quando uno dei Manti Bianchi urlò in preda al panico, mentre perdeva l’equilibrio e disperatamente cercava un’appiglio che non c’era. Il suo compagno non si voltò mentre lo sventurato precipitava dal dirupo, ma digrignò i denti e, anzichè arrendersi, attaccò uno dei misteriosi assalitori con L'airone guada il canneto: una forma offensiva elegante ma spregiudicata, in cui ci si eleva in equilibrio su di una sola gamba per effettuare un affondo alto. Il colpo andò a segno e il suo avversario venne trafitto al cuore, ma un altro dei guerrieri misteriosi, quello armato di staffa, approfittò del varco nella difesa del Manto Bianco e diresse la propria arma verso il volto di quest’ultimo. L’estremità del bastone, rivestita in metallo, spaccò in pieno la mandibola del Figlio, il quale vacillò di conseguenza, ma non desistette e affrontò il nuovo avversario.
Nel frattempo, però, il terzo aggressore aveva caricato il movimento per colpire con la sua pesante ascia da taglialegna, e l’abbattè quindi sul soldato, all’altezza della spalla. Questa volta il Figlio della Luce, unico superstite della spedizione, cadde in ginocchio, il braccio della spada ormai inutilizzabile e la sua vena recisa. A quel punto il guerriero con la staffa si schermò gli occhi e si voltò con un gesto di disgusto, mentre il suo compagno finiva il Manto Bianco con un secondo colpo. Fu allora che Toras si rese conto di avere assistito immobile al duello, senza precauzionarsi contro l’eventuale minaccia costituita dagli assalitori in nero. Che stupido, si disse, me ne sono stato qui a guardare come un ebete mentre avevo la possibilità di svicolare, e cominciò a guardarsi intorno in cerca del cadavere più vicino, dal quale recuperare un’arma.
Intanto il guerriero con la staffa, esile e minuto al confronto dei compagni, si era accorto di Toras, e stava avanzando verso di lui. Affrettandosi verso il corpo del Manto Bianco più vicino, il ragazzo si rese conto di essere quasi ipnotizzato dallo sguardo magnetico del misterioso combattente, dal volto completamente velato salvo gli occhi. Mentre afferrava l’elsa della spada di un caduto e strattonava per liberarla dal fermo che la teneva nel fodero, Toras non poteva staccare gli occhi da quell’individuo e dal suo incedere lento e seducente. Ma è una donna! realizzò allora sconcertato, e poi, più concretamente: …e mi romperà il cranio con quel legno se non la smetto di guardarle le gambe e tiro fuori questa dannata spada. Alla fine il fermo cedette e Toras si alzò in piedi impugnando una splendente spada a doppia affilatura: un’arma di ottima fattura, anche se decisamente troppo grande e pesante per lui.
Tutti i ragazzi della vallata del Dodieb conoscevano, anche se spesso solo di nome, le forme di combattimento con la spada. Ogni anno, infatti, i Figli della Luce venivano a reclutare dalle sue parti, ed era il sogno di tutti essere arruolati nell’Esercito della Luce, anche se i requisiti per essere scelti erano notevoli, e comunque gli abitanti della valle spesso non potevano privarsi dell’aiuto dei figli nei campi o nei pascoli. Toras sapeva che la forma basilare per la difesa era Foglia nella brezza: muovendo lentamente la lama in verticale, la si manteneva in direzione dell’avversario mentre ci si spostava di lato in cerca della posizione migliore. Era stato uno dei fratelli maggiori a mostrargliela, usando uno stecco appuntito; la pesante spada d’acciaio, però, metteva a dura prova i muscoli del ragazzo, e il leggero tremolio della lama ne tradiva lo sforzo. D’un tratto, la donna velata si fermò, e Toras notò un fulmineo movimento dei suoi occhi, nonostante lei avesse cercato di mascherarlo, Maledizione: alle mie spalle! Ma era ormai troppo tardi: una mano gli afferrò il braccio della spada, torcendoglielo, mentre un’altra gli premeva contro il viso uno straccio dall’odore intenso. Ricordava quello di un liquore alle erbe che disitllavano dalle sue parti… E per la seconda volta quel giorno l’oblio calò sulla mente dello sventurato Traditore.



Dorian

Ascoltando i passi di Aman svanire man mano che si allontanava dalla radura, Dorian non potè fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.
Quell’incontro inaspettato aveva portato troppe informazioni su cui riflettere.
Primo, la nomina di Nae’blis. I maggiori esponenti dell’Ombra di tutte le Ere, i Prescelti, erano pronti a uccidersi a vicenda pur di raggiungere quella carica. Ricordava il senso di onnipotenza che dava.
Ma accanto ai non trascurabili pregi, essere il Capo dei Prescelti aveva molti svantaggi. Soprattutto se si era sciocchi come Aman. I Prescelti adesso potevano avere molto più spazio di manovra, anche allearsi tra loro se si fosse presentata l’occasione. Questi Prescelti non avevano neanche lontanamente la lungimiranza dei colleghi dell’altra Era… Peccato, ci sarebbe stato da divertirsi. Però forse la situazione poteva essere girata a suo favore.
Troppi pensieri, Fratello.
Quelle parole erano nella sua testa, ma il pensiero non era il suo. In queste situazioni era davvero difficile conciliare le due nature che si era ritrovato ad affrontare. L’istinto della Battaglia, la ragionevolezza della pianificazione.
Non posso semplicemente agire, Zanna Spezzata. Da me dipende troppo. Il nostro Padrone ha voluto farmi un regalo oggi. Aman per un po’ ci lascerà stare.
Sembrò che nella radura calasse improvvisamente un clima più sereno. Adesso che Dorian poteva benissimo togliere le barriere al mondo esterno la sua testa, tutto appariva più chiaro. Alcuni dei maggiori vantaggi del suo nuovo corpo erano i sensi amplificati. E i pensieri di quelle magnifiche creature dentro la sua testa. Provava sempre un certo piacere nel constatare quanto perfette fossero le Furie. La loro creazione era stata molto dolorosa, ma alla fine ne era valsa la pena. Zanna Spezzata era il maschio alfa di quel branco. Una volta e mezzo la stazza di un normale lupo di montagna, il pelo grigio quasi immateriale, immobile e opaco, e quegli occhi. Neri, privi di pupille, facevano venire i brividi persino al Prescelto.
Devo pensare… per la nostra sopravvivenza.
Nonostante le parole che aveva scambiato con il Nae’blis, Dorian non era sicuro di essere disposto a sacrificare quelle creature per futili motivi. Ogni perdita era uno scacco alla sua missione. E le aggiunte risultavano sempre più difficili. Anche i Fratelli «buoni» stavano iniziando ad organizzarsi. Lo sapeva.
Noi pensiamo a loro. Siamo più forti.
Zanna Spezzata aveva ragione, ovviamente. Ma i numeri non erano ancora a favore, nonostante gli ultimi tempi fossero stati decisivi. Nell’ultimo anno i ranghi dell’ombra si erano ampliati di molto, segno che la Battaglia, l’ennesima, si avvicinava bruscamente. Per l’organizzazione c’era voluto più tempo, certo, ma adesso era una macchina perfetta. Pronta all’azione.
Quanto è ingenuo questo mondo. È totalmente impreparato, peggiore dell’era precedente. La gente non ha consapevolezza, non sa cosa si sta per scatenare su di loro. E l’effetto sorpresa sarà la carta vincente, questa volta.
Perchè tanti pensieri allora? La rabbia velata della Furia Nera dimostrava quanto ingenue fossero quelle creature. Se non fossero state tenute a bada molto probabilmente il piano sarebbe andato in fumo molto tempo prima. Ecco perché erano sorvegliati speciali. Ed ecco perché saltuariamente Dorian veniva convocato alla Dimora per essere esaminato da Osyf, il Prescelto che si era preso il merito di aver creato quei segugi.
Dobbiamo fare tante cose e abbiamo troppo poco tempo.
Spegnendo il fuoco con la pressione di un flusso d’aria concentrato , intessé dei flussi per polverizzare i tizzoni e disperdere l’odore acre di bruciato. Le Furie non lasciavano impronte, non su quel terreno, quindi non se ne curò, ma cancellò con cura le sue e quelle del suo superiore.
Ancora gli bruciava pensarlo a quel modo.
Uscendo dalla radura seguito dal branco, Dorian, con un flusso di Spirito, cancellò apparentemente quel luogo alla vista di gente indiscreta. Era uno dei suoi nascondigli preferiti. La sua tranquillità gli aveva ispirato i piani migliori. Anche quello delle due sere precedenti, anche se alla fine non l’aveva neanche utilizzato. La fortuna del Sommo Signore delle Tenebre era tornata in tutto il suo splendore.
Raggiungere la Dimora richiedeva tutta la sua concentrazione. C’era un solo modo di entrare e uno solo di uscire.
Ricordava ancora quando era in fase di costruzione. Erano stati tempi difficili, di grandi sacrifici e molti sbagli. Le notizie della rinascita dell’Ombra erano sorte proprio dalla poca attenzione che molti avevano prestato alle proprie parole… uno sbaglio che avevano pagato caro.
Ricordava ancora quando quella terra era popolata da gente comune. Ricordava il loro sterminio, e la ricerca di una bambina tra quelle genti; una bambina molto speciale… L’unica sopravvissuta del popolo Jamede, una delle molte casate di ribelli. La Ruota tesse inesorabile e il Fato aveva voluto che i luoghi dei Jemede dovessero risultare propizi per i piani del Sommo Signore delle Tenebre. Un territorio scomodo, circondato da cime frastagliate e baratri improvvisi, ripidi e profondi. Un posto maligno di per se, perfettamente isolato. I Jemede erano un popolo duro. Dorian rimpiangeva quel sacrificio; quella gente poteva essere utilizzata in altri modi. Ma la sete di sangue delle creature, allora, appena create, nonchè la voglia, da parte dei neo Prescelti, di dimostrare il proprio potere avevano surclassato la ragione. Quando la Dimora era stata creata Dorian non era ancora nella posizione di far valere la propria opinione.. aveva odiato più che mai il Sommo Signore, in quel periodo.
Alla fine, però avevano fatto un buon lavoro.
Il silenzio che circondava il clan scomparso aveva facilitato la loro rapida dipartita. E il catastrofico terremoto che aveva spostato parte del territorio era stata un'ottima copertura. Tutti i clan ribelli, nonostante la scarsa fiducia reciproca, si erano mobilitati per appurare i danni che quella scossa aveva apportato. Era bastato un enorme baratro aperto lungo tutti i sentieri e i confini più vicini per scoraggiare qualsiasi escursione. Quando poi non arrivarono richieste di aiuto, nè notizie di alcun genere, era ormai chiaro che i Jemede non erano sovravvissuti al disastro.
Era stato fin troppo facile farli dimenticare.
Che grande coincidenza, poi, che proprio di quel popolo si sarebbe servita Lei per rinascere. Questo giro della Ruota sarebbe stato propizio. Adesso lui Sapeva come le cose sarebbero andate, sapeva che i fili del Disegno avrebbero seguito un corso prestabilito, favorevole alla parte a cui aveva donato mente e spirito da tanto tempo. Non avrebbe mai smesso di ringraziare il Sommo Signore per avere avuto l’opportunità di rinascere in quell’Era. La vittoria era così vicina…
La strada proseguiva dritta in mezzo al bosco, il freddo sole invernale che faceva capolino ogni tanto tra i rami fitti e spogli. Il branco delle Furie proseguiva tranquillo dietro di lui. Erano uno spettacolo terrificante, visti da occhi esterni: l’uomo in nero con lo sguardo selvaggio del lupo che vi era in lui e i suoi segugi, dal manto opaco ma quasi evanescente, alti e fieri, con gli occhi privi di vita, neri come il Pozzo del Destino.
Il passo veloce e implacabile li portò ben presto al margine ovest del bosco, dove questo veniva bloccato da una serie di basse montagne. Giunti in prossimità della parete rocciosa, il gruppo deviò ancora verso ovest finchè Dorian non imboccò un’insenatura nella montagna, una vecchia strada che portava a una miniera ormai abbandonata. Dopo pochi metri la stretta strada buia si ampliava formando una sorta di imbuto scosceso che li portò sempre più in profondità. Il silenzio regnava sovrano in quei luoghi. Nessuno avrebbe mai indovinato cosa si nascondeva sotto quelle montagne isolate dal mondo. Anche se negli ultimi tempi se ne aveva avuto sentore, nonostante la discrezione che permeava la dottrina dell'Ombra. Dodieb era stata una prova sufficiente. La paura, anche se soffocata, regnava sovrana in quella città adesso. Gli ultimi tempi erano stati «strani» secondo la gente in città. Gente scomparsa senza motivo apparente, rumori inaspettati all’esterno delle mura, sentinelle impazzite.
Si mormorava di una grande ombra, un oscuro presagio proveniente dalle montagne a nord e ad ovest, e di strani avvenimenti nel golfo. Beh, più strani del solito, provenendo dal dominio dei Tiranni. Dodieb si era trovata in una morsa ancora più stretta e terrificante del solito.
Oh, la gente non sapeva quanto fossero vicine alla realtà quelle voci…
Tutto sembrava andare per il meglio: le voci che si rincorrevano incutevano timori nella popolazione e gettavano discredito nella sicurezza offerta dai Manti Bianchi. Questi ultimi avevano in Dodieb una delle loro maggiori roccaforti: il vasto porto ospitava quasi un terzo di tutta la flotta della Confederazione; le numerose compagnie d'istanza qui formavano, nel complesso, il contingente più numeroso dell'Esercito della Luce. Ciò nonostante, i vertici dell'ordine stavano evidentemente perdendo il controllo della situazione: in parte a causa della criminalità locale, che ormai agiva indisturbata nel quartiere esterno della Rada, ma anche per via dei comportamenti dissoluti che si ritrovavano a osservare essi stessi. La gente aveva perso fiducia nei Lord Comandanti e perfino nelle alte schiere del clero locale. A rovinare i piani di Dorian era intervenuto un Prelato della Luce di nome Varden, che aveva predicato la fedeltà alla Luce anche nei momenti più bui, e aveva in un qualche modo rincuorato la gente. Che il popolo perdesse fiducia nei Manti Bianchi non era sufficiente: Dorian voleva che la fede nella Luce crollasse completamente. Ecco perché la scelta di quel bersaglio, in un certo senso di secondo piano: adesso a Dodieb il caos avrebbe regnato nuovamente.
Che peccato aver nascosto il corpo così bene… Poco male, l’importante è che la popolazione sia nuovamente senza guide.
La strada che stava percorrendo diventò sempre più ripida e il buio iniziò ad essere rischiarato da una luce rossastra, fumosa e calda. Nell’aria vi era un rumore soffocato, del clangore metallico misto a urla. Le Furie,forme concrete di puro istinto, iniziarono a correre. Volevano raggiungere i loro simili, inebriarsi della loro forza, della vittoria appena conseguita. Dorian proseguiva con calma, anche se con la mente si unì a loro con piacere. Persino un sorriso sfiorò le sue labbra.
Dopodichè si ritrovò accecato.
Ogni posto che doveva rimanere nascosto a occhi indiscreti aveva dei confini nuovi ogni giorno. Non che quel posto fosse facilmente raggiungibile. Ma questa volta lui si era trovato impreparato.
Ad occhi chiusi il rumore che, prima, era sembrato soffocato, adesso lo stordì. Fermo sul posto, cercò di schiarirsi le idee agitando la testa e sbattendo le palpebre doloranti, cerando di mettere a fuoco la scena ai suoi piedi. Si trovava sull’orlo un dirupo, uno stretto corridoio di terra rossiccia, illuminato a giorno. Finalmente riuscì ad alzare gli occhi da terra, cosicché potè apprezzare appieno lo spettacolo di quella vecchia miniera, adesso denominata la Fornace. E proprio questo era: un’immensa distesa di forgiatori, dalle forme più strane, che battevano i loro strumenti di lavoro sul metallo incandescente, forgiando armi molto particolari, destinate a creature altrettanto fuori dal comune. Osyf non aveva solo dato l’imput alla creazione delle Furie. Quel pazzo era un maledetto genio. Creature pensate per il solo scopo di passare inosservate, altre solo per uccidere, altre ancora per illudere. Osyf era molto simile a Dorian per certi aspetti: aveva donato tutto se stesso al Sommo Signore ed era in continua ricerca di modi per facilitare la Sua missione. E, come Dorian, ci riusciva perfettamente.
Col sorriso sulla faccia, il Prescelto scese una serie di scale in prossimità del dirupo. La sua venuta era stata annunciata dalle Furie, e, quando arrivò alla fine della scalinata trovò un Mozzo ad aspettarlo. Il nome non rendeva giustizia a quella piccola creatura curva. La pelle rugosa, simile a corteccia, li rendeva resistenti a quelle alte temperature, gli occhi, piccoli come fessure, possedevano una vista molto acuta, sensibilissima ai dettagli; completamente senza naso, possedevano, invece, una bocca larga priva di denti, che utilizzavano esclusivamente in due occasioni: con la saliva, velenosa, rendevano molte armi fatali e con la lingua, forcuta, erano i maggiori propagatori di informazioni mai visti. Osyf li aveva creati per il primo scopo. L’altro lo avevano sviluppato col tempo ed era molto utile.
«Bareth..»
«Benvenuto Padrone, vi aspettavamo questa mattina presto»
«Si, ho avuto altro da fare.»
«Forse Padron Aman ha fatto visita anche a voi?»
Naturale che Aman sia venuto a portare la lieta notizia a tutti
«Mi ha dato la lieta novella. Come procede qui?»
«Oh si davvero lieta! Davvero, parola nostra non c’è persona più adatta di Padron Aman per comandarci tutti e tenere le redini del grandioso progetto del Sommo Signore delle Tenebre»
Con il loro modo di fare ossequioso e la voce smielata, i Mozzi erano dei perfetti cagnolini infedeli.
«Ti ho chiesto come procede qui…»
Mantenere una voce incolore risultò più difficile del solito.
«Oh tutto secondo i piani Padron Dorian! Forgiamo armi, mettiamo paura alla gente.. Sono pronte delle incursioni anche nelle città dell’Ovest. Padron Aman dice che è tempo che la gente capisca chi comanda il Disegno.
«Non si comanda il Disegno Bareth. Noi non siamo né il Sommo Signore né il Creatore. Siamo solo le pedine… Continuate le azioni, devono essere atterriti dalla paura. Il Caos deve governare. Sì… non ci saranno sbagli questa volta»
Con lo sguardo perso nei propri pensieri, scavalcò il Mozzo senza degnarlo di ulteriore attenzione e si incamminò lungo le file di forgiatori. Centinaia di uomini e Mozzi lavoravano insieme a quelle creazioni. L’uomo lavorava il metallo e la creatura lo impregnava di morte. Quella Fornace era una delle più grandi, trovandosi al centro del mondo di allora. Si forgiavano armi per la maggior parte dei manipoli che venivano inviati dalla Dimora. Li ce n’era un’altra, molto più piccola. Le fornaci avevano bisogno di calore e la Dimora non era proprio un luogo al caldo, anche se l’innaturale clima era propizio per la nascita e la creazione di altro. La distesa di forgiatori proseguiva per tutta la lunghezza della montagna, ma Dorian svoltò in un’altra piccola fenditura sulla sinistra e si lasciò alle spalle il calore opprimente. Anche il clangore venne in breve soffocato, man mano che scendeva per lo stretto corridoio ancora più in profondità nella montagna, e l’umidità si faceva sempre più forte. La sentiva persino lui, che era avvezzo a non lasciarsi toccare dal clima.
La luce soffusa di quel luogo era una benedizione per i suoi occhi e così la pensavano anche le sue Furie, che lì venivano tenute sotto stretta sorveglianza da parte di due Mozzi. Aman era ancora convinto che potessero ribellarsi da un momento all’altro.
Non è poi stupido del tutto…
Salutò con un cenno le due creature che si trovavano all’imbocco del portale di pietra e si ritrovò in una sorta di conca, alta e larga poco più di quaranta piedi, impregnata del particolare odore delle creature che la occupavano. Le Furie che lo avevano accompagnato nei due giorni precedenti si erano riunite agli altri due manipoli che venivano tenuti in quel covo. Venivano utilizzati come esploratori, nonostante la loro naturale inclinazione all’uccisione. E questo portava a dei conflitti, naturalmente. Erano scontente, e si aspettava il benvenuto freddo e scontroso che ricevette. Le Furie lo guardavano immobili, gli occhi neri che lo scrutavano impassibili. Dorian si avviò verso la poltrona che aveva fatto sistemare li per le volte che si recava in quel luogo, mantenendo anch’egli la stessa impassibilità. Una volta seduto, però, avrebbe dovuto affrontarle. Avevano bisogno di essere rinvigorite nell’animo, lo sapeva, per cui anche se aveva molta fretta, si accomodò nella scura poltrona di pelle e aspettò. Continuavano a guardarlo, muovendosi di tanto in tanto per sgranchire i possenti muscoli. Le tre creature su cui Dorian soffermò il proprio sguardo erano però quelle al centro della conca. Erano i capibranco dei manipoli li: Zanna Spezzata, il grigio rissoso, Tempesta, la marrone impaziente e Zampa lesta, un tempo uno dei lupi più veloci mai esistiti. I loro pensieri, come quelli di ciascuna Furia, erano di rancore, rabbia e noia.
So che cosa provate. E voi sapete cosa è necessario fare. Inutile fare sempre i soliti discorsi. Quando le cose cambieranno…
Quando le cose cambieranno? Tempesta si alzò dalla posizione rigida che aveva sfoggiato e adesso avanzava verso di lui
Siamo stanchi, Fratello. TU dici di aspettare ma sai come veniamo trattati. Tu parli di Segugi imbattibili di altre Epoche... dici che ci fai diventare così. Quando?
Da quando questo tono imperativo? Credi che io mi diverta a essere sempre controllato?
Non voleva essere duro, ma quei discorsi lo mettevano sempre di malumore
Credi che io non voglia farla finita con tutti questi esseri… idioti che credono di essere migliori di me? Dobbiamo avere pazienza. E questo è quanto.
Dopodichè si alzò e li lasciò a rimuginare. No poteva più stare li, anche lui a rimuginare. Era il tempo di agire.
Risalì il corridoio umido, raggiungendo la Fornace nuovamente. Si incamminò verso destra, questa volta, procedendo a zigzag tra le fila di uomini che, ossequiosi, si inchinavano al suo passaggio. Non li degnò della minima attenzione. Era una freccia, un tutt’uno col suo obiettivo. Arrivando lungo il lato destro della Fornace, aprì una porta di legno e si incamminò per un altro corridoio. Da li raggiunse una stanza spoglia e si aprì alla fonte. Il torrente di potere che lo inondò gli fece chiudere gli occhi, per perdersi nel senso di onnipotenza che gli dava incanalare Saidin. Ricordava di aver incanalato anche un’altra forma di Potere.. ma erano pensieri pericolosi. Il posto in cui si stava per recare, la Dimora, richiedeva la massima concentrazione. Conosceva alla perfezione la stanza in cui si trovava e ciò avrebbe reso più facile raggiungere la sua meta con precisione millimetrica. Era di vitale importanza: alla Dimora non era concesso utilizzare il Potere e i Passaggi erano consentiti solo per raggiungerne i confini. Si poteva trattenere il potere solo per pochissimi secondi e solo per pochissimi passi dal confine.
Intessè i flussi necessari e il familiare squarcio argentino si materializzò di fronte a se. Varcò il passaggio e si affrettò ad allontanare la Fonte.
Subito ebbe la sensazione di perdere l’equilibrio e gettò il proprio peso in avanti, proseguendo di qualche passo. Sapeva cosa avrebbe visto se si fosse voltato di spalle: un dirupo scosceso e dal quale non si poteva vedere il fondo. Molti avevano perso la vita, sbagliando la misura del passaggio.
Dorian se lo lasciò alle spalle e si avviò per il terreno roccioso verso la Dimora.
Il clima era soffocante, ma non caldo, piuttosto secco, senza un filo di vento a giustificare la polvere che svolazzava qua e là. Il territorio sul quale sorgeva la Dimora era un decimo di quello che era stato il territorio dei Jemede. Il resto era disabitato, irrecuperabile. Adatto a scoraggiare qualsiasi visitatore occasionale, anche se le sentinelle erano disseminate ovunque ed era pressoché impossibile superare gli ardui confini naturali. La Dimora era l'unica parte che si era potuto isolare nel modo più assoluto. Il territorio era distaccato per parecchie miglia dal continente.
Consisteva semplicemente di una Torre Nera piuttosto alta, il cui unico scopo era quello di mettere soggezione. La prima volta che l’aveva vista era stato assalito dai ricordi di un’Era precedente, quando una costruzione simile aveva significato la rovina. Non c’era anima viva in giro, non che si aspettasse qualcuno.
Quello era il luogo di incontro dei Prescelti di quell’Epoca, in cui tramavano e pianificavano, molte volte e stranamente, insieme. Ognuno aveva i propri progetti ovviamente, ma, anche se ognuno aveva i propri segreti, si nascondevano li agli occhi del mondo. Erano più uomini e donne statici, che preferivano delegare ulteriori pedine per fare il lavoro sporco. La Dimora era saltuariamente occupata anche da questi: uomini, donne e creature il cui unico scopo era di entrare nelle grazie dei Prescelti e del Sommo Signore, magari per ottenere una promozione anch’essi. Ed era proprio uno di questi uomini che Dorian era venuto a cercare, un uomo che lo aveva già servito per una missione di importanza vitale, e lo aveva servito bene. Non si fidava, ovviamente. Ma quell’uomo non sapeva mai il fine delle sue azioni e non faceva domande.
Prima mi sbrigo questa seccatura con Osyf, prima posso andare avanti col mio piano…
Andrò dritto al cancello nero che sbarrava l’entrata alla Torre e, intessendo il flusso di riconoscimento, vi passò attraverso.

continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di Semirhage
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 28
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte settima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte settima]

Mabien Asuka

Ora che procedeva su una strada battuta il carro non ondeggiava più molto, ma sufficientemente per infastidire lo stomaco di Mab, messo già a dura prova dagli intrugli che le avevano inibito la capacità di incanalare, dalla paura per quello a cui stava andando incontro e soprattutto dal malessere che proveniva da Hilda. Cercò di respirare più profondamente, ottenendo in più un lieve capogiro.
Non poteva vederlo, ma immaginava perfettamente il pallore del volto di Hilda: le sue condizioni sembravano essere precipitate nel giro di poco tempo.
«Accidenti ragazza, resisti ancora qualche minuto: presto sarai Guarita! Saremmo dovuti partire prima!» curiosamente le parole di Griseldhe suonarono più come un ordine, che una rassicurazione.
«Manca ancora molto? Se potessimo vedere, ci risparmieremmo almeno la nausea» azzardò Mab.
«Non mi pare che tu abbia motivo di lamentarti» ribattè la donna.
Mab si morse la lingua, doveva stare attenta a quello che diceva se non voleva che qualcuno prima o poi sospettasse del legame che la univa a Hilda!
«Manas mi ha detto che mi potevo fidare di te, che ci avresti protette» cercò quindi di deviare il discorso.
«Non è certo per proteggerti da un conato di vomito che sprecherò le mie energie, è da ben altro che vi guarderò le spalle, di questo puoi star certa.»
«A cosa stiamo andando incontro?» la voce di Hilda era tutt'altro che stabile, lo sforzo per renderla udibile aveva attraversato chiaramente il legame.
«Stiamo andando tutti incontro al destino del mondo, questo è chiaro, e la cosa fondamentale è che ognuno ricopra il proprio ruolo nel modo corretto»
«E tu sai qual è il nostro ruolo?» chiese Mab.
«E' per scoprirlo che sono qui a farmi sballottare su questo carro. E tu bambina, che hai da guardare?»
Mab non poteva dire chi Griseldhe stesse rimbrottando a quel modo, ma sospettava che fosse quella ragazzina che avevano trovato all'avamposto nella foresta subito prima di entrare in città: non aveva un motivo preciso per avanzare quel sospetto, ma provava ancora i brividi ripensando allo sguardo che si erano scambiate in quel breve incontro, gli occhi di quella giovane avevano un qualcosa di inquietante.
«Comandante Asgael, acceleriamo il passo, la ragazza ha bisogno di cure!»

Le voci si erano assiepate attorno a loro quando il carro aveva rallentato fino a fermarsi, così tante e confuse che pur sforzandosi Mab non riuscì a cogliere nemmeno una frase di senso compiuto. Si appoggiò a qualcuno che la stava aiutando a scendere, i suoi piedi toccarono il selciato e camminarono fino a farla entrare in un edificio che la isolò da quel chiasso indistinto, presto sostituito solo dal rumore dei passi delle persone che erano giunte con lei, almeno così immaginava. Certamente Hilda era tra queste, sempre più debole, probabilmente portata in braccio da qualcuno.
Salì non senza difficoltà una lunga scalinata circolare: nonostante la cecità le rallentasse i movimenti, nessuno propose di toglierle il flusso che le impediva di vedere. Sentì il cigolio di una porta, venne fatta sedere e finalmente la vista tornò. Battè più volte le palpebre per la sorpresa e si mascherò gli occhi con una mano nonostante nella stanza la luce fosse molto scarsa: quel flusso le aveva lasciato davanti alla visuale una sorta di residuo fastidioso, che solo lo scorrere di qualche minuto le avrebbe levato. Lentamente mise a fuoco le persone nella stanza con lei: c'erano due dei soldati che erano partiti con loro da Hama, altri due uomini sconosciuti in divisa e ancora quella strana ragazza. Evitò di guardarla, appena si accorse che questa la stava invece deliberatamente fissando.
Hilda non c'era, ma la avvertiva non molto lontana, le sue condizioni sempre peggiori.
«Norah!» la testa rossa del ragazzo che era con quella strana ragazza all'avamposto si affacciò sulla soglia e fece un cenno al quale la giovane obbedì immediatamente uscendo al suo seguito. Mab sospirò, di sollievo si stupì: cos'avesse quella ragazza da metterla tanto a disagio non lo capiva, ma accolse come una benedizione il fatto che se ne fosse andata.
Nessuno dei presenti aveva l'aria di potere o volere parlare, quindi Mab risparmiò il fiato per inutili domande, usando invece quei momenti per guardarsi attorno: la stanza in cui si trovava era semplice e piuttosto spoglia. Lei era seduta su una delle due panche in legno di mogano che fiancheggiavano altrettante pareti, appeso al muro davanti c'era un arazzo che riproduceva l'immagine di un imponente edificio alto e circolare che dominava su una città, nella parete alla sua destra si trovava l'unica finestra della stanza, chiusa, alcune candele, poste su un tavolo che riempiva l'angolo dei muri a lei opposti, fornivano l'unica debole fonte di luce. Le fu impossibile stabilire se fosse giorno o notte, ma erano partite di pomeriggio e il viaggio non era durato molto.
Calavron, così Manas aveva chiamato la città in cui avrebbero Guarito Hilda, quindi era lì che dovevano trovarsi in quel momento. Un'informazione di cui si faceva ben poco. Era così snervante.
La porta si aprì per fare entrare una giovane donna con indosso una semplice livrea scura e un vassoio in mano. Posò il suo carico sul tavolo, fece un breve inchino e si dileguò, svelta come era entrata: sul tavolo aveva lasciato un fumante piatto di stufato che uno dei soldati la invitava a mangiare. Mab non se lo lasciò ripetere due volte e con sommo piacere affondò il cucchiaio di legno nel sugo.
Il malessere che infestava il legame dal giorno prima si stava dissipando, lasciando spazio allo stupore di Hilda nel sentirsi rinvigorita. Anche il dolore alla spalla non era più tanto forte, qualcosa c'era ancora, ma forse con il tempo l'arto si sarebbe completamente risanato. La sensazione era impareggiabile, eppure nel legame serpeggiava un profondo turbamento, che si era insinuato fin dal momento in cui dovevano aver iniziato il processo di Guarigione su di lei e poi si era amplificato successivamente: un'agitazione che Mab non poteva capire aveva scosso Hilda addirittura violentemente, lasciandola sconvolta anche quando si era ripresa del tutto dai postumi dell'intervento del Potere. La Figlia della Luce sembrava sulle spine, oltre che incredibilmente imbarazzata, il che stupiva Mab sopra ogni altra cosa.
L'altezza delle candele si era notevolmente ridotta quando la porta cigolò di nuovo, Mab ipotizzò fosse la cameriera che veniva a ritirare il vassoio, invece entrarono due soldati seguiti da una donna dall'aspetto regale. I lunghi capelli neri incorniciavano un viso non giovane, ma dai lineamenti perfetti e si posavano su spalle ammantate da un morbido tessuto lucente nero con decori floreali bianchi e rossi, che le circondava il collo incrociandosi in una scollatura discreta e le scendeva fino ai piedi, stretto in vita da una cinta dello stesso materiale. Occhi luminosi, pur nel loro scuro colore, si posarono freddi e indagatori su Mab e si sgranarono leggermente, dando a quel viso altero ed elegante una fulminea espressione di stupore, subito defluita nella più rigida compostezza.
Griseldhe entrò nella stanza dietro di lei, nel suo atteggiamento risaltava un'insospettata deferenza.
«Non vedo perchè la mia opinione sarebbe dovuta mutare vedendo la ragazza» disse l'affascinante sconosciuta «Le procedure dei Geinzana per quanto rigide vanno rispettate e io non ho intenzione di rendermi complice delle negligenze dei Kethienne, acconsentendo che le prigioniere abbiano una scorta tanto particolare»
«Ma Somma Neves la decisione spetta ad Hama perchè è da lì che le prigioniere vengono inviate. Se la Figlia della Luce non fosse stata così gravemente ferita non ci sarebbe nemmeno stato il tuo coinvolgimento in questa questione. Le decisioni sulle prigioniere spettano ai Kethienne e i Kethienne se ne assumeranno la totale responsabilità di fronte ai Geinzana!»
«La delegazione a questo punto parte da Calavron, ormai facciamo parte anche noi della [i]questione[/i]: le prigioniere saranno trattate secondo le procedure»
«Non sono comuni prigioniere»
La Somma, che fino a quel momento aveva discusso con Griseldhe dandole le spalle, si girò lentamente a guardarla.
«Non ne vedo la ragione»
«Ho scelto di parlare direttamente a te, pensando di poter contare su un'interlocutrice al mio stesso livello. Sono piuttosto delusa» la deferenza era svanita improvvisamente e in modo totale.
Lo sguardo della Somma dardeggiò verso la donna anziana.
«Uscite» disse ai soldati di Calavron presenti, accompagnando l'ordine con un gesto autoritario.
I due di Hama si guardarono interrogativi a vicenda.
«Si, vale anche per voi» disse Griseldhe dando una risposta ai loro dubbi.
La porta si richiuse alle loro spalle, nella stanza le due donne si fronteggiavano studiandosi come avrebbero fatto un predatore e la sua preda, ma Mab non era così certa dei ruoli che ricoprissero in quella faida di sguardi. Sembravano non far caso al fatto che non fossero sole, cosa su cui Mab onestamente sperava augurandosi così che si sarebbero fatte sfuggire qualcosa sul suo conto. C'era qualcosa che sapevano tutti, ma che nessuno voleva dire: di cosa accidenti si trattava?
«Forse avrei dovuto parlare a tutto il Consiglio, ma non volevo che certe voci potessero divulgarsi prima del tempo» ruppe il silenzio l'anziana di Hama.
«Il Consiglio non ragiona diversamente da me: non c'è bisogno che tu coinvolga tutti gli Anziani per sentirti dire che Calavron non vuole creare dissidi con i Geinzana» la voce della Somma era calma e ferma, ma i suoi occhi mentivano una certa tensione.
«Non si tratta solo di questo: stiamo parlando di un'ipotesi fondamentale, il segno più grande che abbiamo avuto finora... delle banali regole di buon vicinato non possono essere la ragione per ignorarlo!»
Mab drizzò la schiena di scatto, spostando la sedia, che strisciò rumorosamente sul pavimento. Le donne si volsero a guardarla contemporaneamente. La Somma fece un veloce movimento con una mano e l'attimo successivo le sue labbra si muovevano senza produrre il minimo suono, così come quelle di Griseldhe poco dopo. Che fossero folgorate!
Mab fu sul punto di alzarsi e... e fare cosa? Prenderle a schiaffi non le avrebbe certo fatte parlare. Quella gente sapeva, forse solo congetture, ma certamente sapeva qualcosa su di lei, quel qualcosa che anche Hilda cercava, forse quella connessione con il Drago Rinato di cui le aveva accennato. Ma se così era, perchè tenerglielo nascosto? Forse pensavano che lei fosse una Serva dell'Ombre che avrebbe poi cercato di convertirlo o peggio ucciderlo, ma se anche così fosse stato, aveva senso la detenzione, ma a che scopo tenerla all'oscuro di tutto con tanta determinazione? Cos'avrebbe cambiato? Quanto odiava arrovellarsi su questioni che non poteva comprendere.
Le due donne la stavano guardando di nuovo, chiaramente allibite, nella stanza aleggiava l'eco di un urlo, il suo? Imprecò: la sua esasperazione era giunta ad un limite tale che non sapeva più controllare i propri nervi.
La Somma parve approfittare della brusca interruzione per porre fine al diverbio con Griseldhe, si girò verso la porta e l'aprì rilasciando il flusso che proteggeva le loro voci.
«Accompagnate comare Griseldhe all'ingresso: la sua scorta la sta attendendo per riportarla a Hama»
Griseldhe per tutta risposta si avvicinò a Mab e la prese per un polso.
«Non mi allontanerò dalla ragazza a costo di finire nelle celle di isolamento di Acarvende insieme a lei»
«Non mi provocare Griseldhe» disse la Somma fermandosi sulla soglia. Si voltò a guardarla, i suoi occhi si posarono su Mab però, freddi e indecifrabili.
Poi parlò, incredibilmente calma.
«D'accordo, per questa notte sarai ospite della Colonna, insieme alle [i]tue [/i]prigioniere, nella speranza che il sonno ti porti consiglio e soprattutto maggior ragionevolezza» si girò velocemente e uscendo concluse «Ne riparleremo domani»

Un soldato entrò nella stanza svegliandola di soprassalto, aprì appena la finestra facendo entrare la debole luce di una mattina appena agli albori probabilmente, quindi la guardò attentamente. Tornò alla porta e la aprì per fare entrare una cameriera che le porse l'ennesima tazza colma di quell'infuso che da un paio di giorni aveva imparato a conoscere fin troppo bene: la sensazione di torpore che le lasciava era divenuta una costante, vista la frequenza con cui le veniva somministrato, il che era un bene visto il modo in cui pareva alleviarle il senso di panico da cui si faceva prendere non appena riusciva ad essere abbastanza lucida da ragionare sulla situazione in cui era finita.
Fuori dalla porta altri due soldati montavano di guardia e la seguirono giù per le scale, fino all'androne che dava sull'ampio portone di ingresso di quella che, ora che la vedeva, pareva una sorta di grande torre circolare. Qui un frenetico viavai di servitori si mischiava ai soldati ed ad alcune persone troppo ben vestite per non essere gente che contava, ma le intuizioni di Mab si fermavano qui. Tra loro era presente anche il comandante Asgael con i suoi uomini, meno uno, notò. Giunse anche Hilda poco dopo, con la sua scorta di guardie. Si scambiarono uno sguardo, ma nessuna espressione, il legame però si agitava, come sempre in maniera indistinta. Stava bene, questo era chiaro, il resto era il solito inutile e fastidioso marasma incomprensibile.
Entrò poi la Somma Neves, seguita, quasi sostenuta, da un uomo che sembrava stesse cercando di calmarla o di rincuorarla: il volto della donna era crucciato quando si girò a guardarle. Il legame si agitò per un istante, Mab guardò Hilda, ma ovviamente non trovò nulla di quel turbamento nel suo atteggiamento esteriore.
«Per fortuna a loro non è accaduto nulla» sentì dire dalla Somma con una voce accorata del tutto diversa dai toni freddi che aveva usato il giorno prima durante l'aspro diverbio con Griseldhe. Poggiò una mano sul robusto braccio di Asgael, il comandante la guardò e annuì, poi la seguì con lo sguardo mentre la donna saliva l'ampia scalinata, seguita da un corteo piuttosto numeroso, composto di servitori, soldati e la maggior parte di quegli uomini dai colletti di pizzo.
Asgael fece un cenno ad una donna giunta da poco: Mab ebbe giusto il tempo di vedere il bagliore che la circondava e poi non vide più nulla.
«Cosa sta accendo?» sentì chiedere da Hilda, più seccata che preoccupata.
«State per essere trasferite ad Acarvende»
«Dov'è Griseldhe?» chiese Mab.
Dal comandante non giunse alcuna risposta.
Mab si toccò di scatto gli occhi, pensando istintivamente di potersi togliere così ciò che le impediva di vedere. Le riabbassò dopo un momento frustrata.
«Ho chiesto dov'è Griseldhe, maledizione!»
Sentì l'uomo sbuffare e un attimo dopo qualcuno spingeva Mab per farla camminare. Oppose resistenza.
«Rispondi Asgael!»
Fu strattonata con maggior forza e alla sua ostinata resistenza, si sentì sollevare di peso.
«Asg...» tentò di urlare prima che un bavaglio, quasi certamente fatto con un flusso d'Aria, glielo impedisse.
La rabbia che provò per tutto il viaggio fu così forte da coprire ogni altra cosa: legata, bendata e imbavagliata non poteva far altro che digrignare i denti, nient'altro che maledirsi. A farle riprendere la lucidità fu il freddo pungente che la colpì improvvisamente. Il flusso che le impediva di vedere le fu tolto poco dopo: due imponenti pareti rocciose salivano ai loro lati mostrando a centinaia di metri sopra di loro una lingua di cielo, debole fonte di luce troppo lontana perchè potesse illuminare la gola che stavano percorrendo; non era possibile vedere altro attorno, se non la processione di soldati, una decina, disposti attorno al carro con le torce in mano e guidati in cima alla fila dal comandante Asgal.
«Comandante Asgael» la voce forte e sicura di Hilda riverberò in quello stretto passaggio. L'uomo al comando della spedizione si girò velocemente in sella al suo pezzato, non era possibile distinguere la sua espressione in quelle condizioni di luce scarsa, fermò il suo cavallo e si mise da parte per far passare il carro, al quale si affiancò in modo da avvicinarsi a Hilda.
«Forse è stato prematuro togliervi il bavaglio, ma non mi sarei mai aspettato di sentire la tua voce»
«Allo stesso modo in cui io non mi sarei mai aspettata un comportamento così poco onorevole da parte di un comandante. Non conosco i vostri ranghi, ma per un soldato, di qualsiasi schieramento esso sia, non c'è nessun onore nel trattare in questo modo dei prigionieri»
L'uomo palesò un discreto stupore al sentire quelle parole, guardò Hilda più attentamente e dopo poco replicò.
«Piuttosto ridicolo detto da un Figlio della Luce»
Hilda sorrise senza divertimento.
«Non sarei qui se i Figli della Luce si fossero guadagnati il mio rispetto»
«I motivi per cui sei qui non mi riguardano»
«Va bene, ma resta il fatto che io sono un soldato d'onore, anche se lo può dimostrare solo la mia parola. Il fatto che tu non lo sia invece lo dimostra il modo in cui stai permettendo che veniamo trattate»
«Non mi sembra di avervi appese per le caviglie e avervi trascinate»
Hilda rise.
«Ci mancherebbe! Mab ti ha semplicemente chiesto cosa ne fosse dell'unica nostra persona di riferimento e tu non solo non le hai risposto, ma le hai impedito di continuare a chiederlo. Credo che sia un nostro diritto sapere quanto è successo a Calavron e il motivo per cui stiamo andando ad Acarvende senza la donna che aveva detto di seguirci e proteggerci.»
Gli occhi di Asgael si spostarono su Mab, per poi tornare su Hilda.
«Ti sembra che ci sia un qualche onore in questo?» incalzò la donna.
Il comandante sorrise.
«Mi sarebbe piaciuto scontrarmi con te sul campo di battaglia: studi bene il nemico e lo attacchi solo quando hai scoperto il suo punto debole, sicura che colpirlo lì ti darà, se non la vittoria, almeno un bel vantaggio»
Anche Hilda sorrise, in un modo che non le aveva mai visto. Mab fu sconcertata nel riscontrare somiglianze tra l'espressione che aveva in quel momento con gli sguardi che facevano le sue colleghe a Kiendger per accaparrarsi i clienti migliori.
«Non è detto che non possa capitare in un modo o nell'altro» rispose, continuando quella che era divenuta una maliziosa provocazione.
Mab la guardava allibita stentando a credere che quella donna fosse in grado di comportarsi in quel modo. Il legame trasmetteva solo una profonda concentrazione.
Un soldato alle spalle di Asgael rise sommessamente, il comandante sospirò e dopo poco rispose.
«D'accordo, non credo che darvi queste informazioni possa compromettere in qualche modo il mio compito» si girò in avanti e spiegò.
«Durante la notte, poco prima dell'alba qualcuno ha attentato alla vita della Somma Neves. Il fatto, come potrai ben immaginare, è di una gravità incalcolabile perchè l'assalitore è riuscito ad eludere i sistemi di sicurezza e a scappare senza che nessuno potesse identificarlo. Non possiamo che pensare che si sia trattato di qualcuno vicino alla Somma, che avesse libero accesso alle sue stanze. I soldati sono stati subito diramati per tutta la Colonna per accertarsi della salute di tutti gli ospiti presenti. Griseldhe non è stata trovata»
Cosa significava? Dal tono di Asgael pareva che Griseldhe stessa fosse la colpevole dell'aggressione alla Somma e che la sua sparizione ne fosse la prova. Ma che senso poteva avere? C'era stato un diverbio tra le due, di cui Mab era stata involontaria spettatrice, ma non poteva essere la causa scatenante di un tentato omicidio. Manas aveva detto che Griseldhe era un tipo strano e indipendentemente da quelle sue parole, anche Mab si era fatta la stessa idea, ma che fosse un'assassina non ci credeva. E poi che razza di assassina attirerebbe tanto l'attenzione su di sè, scomparendo subito dopo il fallimento della propria missione? C'era qualcosa in quel racconto che non quadrava affatto.
La vista del luccichio di altre lanterne davanti a loro bloccò le sue elucubrazioni. Il convoglio si fermò poco dopo al cospetto di un paio di guardie che parlarono con Asgael. Alle spalle si questi due, nella penombra, si intravedevano altre guardie, distinguibili per le torce che sorreggevano, e tre aperture nella parete di roccia che terminava la gola che avevano appena attraversato, tre neri ovali irregolari grandi a sufficienza per far passare poco più di due persone affiancate.

 



Dorian

Quella donna non conosceva il significato della parola umiltà. Anche ora, prostrata ai suoi piedi mentre gli dava il benvenuto nella solita servile forma, tradiva uno sguardo si timoroso, ma non sottomesso. Lei davvero non sapeva cosa fosse l'umiltà e lui era stato davvero troppo indulgente. Temeva che lo sarebbe stato anche questa volta, nonostante l'animo con cui era giunto a Calavron avrebbe fatto presagire esiti funesti per quell'incontro.
Dorian non era certo il tipo d'uomo che si faceva abbindolare da un paio d'occhi dolci o da una scollatura generosa, ma il fascino di quella donna, doveva ammetterlo, le aveva risparmiato ciò che altri suoi servitori avevano subito per errori anche meno gravi di quelli che aveva commesso lei.
«Salta i convenevoli, Neves, hai delle spiegazioni da darmi e mi auguro per te che possano giustificare la necessità di tre cadaveri attorno a qualcosa che doveva essere trattato con la massima discrezione»
Era forse sfida quella che comparve come un lampo negli occhi della Somma?
«Mio padrone, non è stato possibile fare altrimenti. Non avrei rischiato di compromettere i vostri piani se non fosse stato strettamente indispensabile, mi dovete credere»
«Non supplicarmi. Spiega»
«Si, mio Signore» disse lei alzandosi.
«Perchè l'omicidio ad Hama? Quella città stava ribollendo al punto giusto e preferivo che lo facesse senza ipotizzare connessioni con quelle donne, o con te!»
«Non sono direttamente responsabile per l'omicidio di Hama»
«Era o non era un tuo uomo quello Zakri?»
«Per questo l'ho punito»
«Per questo l'hai ucciso a tua volta e ora spiegami perchè non dovrei fare altrettanto io con te»
Le tremò il fiato nel rispondere «Io servo e obbedisco, mio padrone, solo questo. Zakri aveva scoperto che una sentinella di Hama stava per riportare al Consiglio, o a ciò che ne rimane dopo... dopo... lo sapete meglio di me, stava per riportare loro una conversazione che aveva udito tra le due ragazze in cui si riferivano al Drago Rinato. Zakri mi ha detto di essere stato colto dal panico e di essere riuscito a fermare quell'informazione solo uccidendo la sentinella»
Dorian scosse la testa.
«Mi sono permessa di uccidere Zakri perchè non era evidentemente in grado di assolvere ai compiti cui veniva affidato. Non potevo più fidarmi di lui, non ho potuto fare altrimenti.»
«Di nuovo, Neves, spiegami perchè non dovrei adottare lo stesso criterio ora con te»
La Somma si prostrò nuovamente, nei suoi occhi impauriti però non comparve mai traccia di deferenza: lo temeva da un lato, era evidente, ma dall'altro era certa di quel suo potere che le aveva concesso tante vittorie, troppe probabilmente.
«E poi quella Griseldhe...»
«Quella donna sapeva troppo, mio Signore»
Dorian sospirò profondamente.
«Cosa sapeva?»
«Aveva collegato le ragazze alla profezia e non voleva separarsi da loro per questo»
«Potevi limitarti a riferirmelo, avrei pensato io a risolvere il problema, lontano da te, lontano da loro e soprattutto dagli altri due cadaveri»
«Quella donna dubitava di me. Abbiamo avuto due discussioni quando sono arrivate in città. Ho interrotto la prima finchè pensava solo che i miei rifiuti alle sue richieste fossero dovuti alla mia incompetenza. Ma quando ci siamo incontrate nuovamente la sera, ha messo in dubbio la mia buona fede, il mio operato e il modo in cui ero giunta sullo scranno di questa città»
«L'orgoglio ti pare una ragione sufficiente per rischiare di compromettere tutto il piano?»
«Mio Signore, non è stato per l'orgoglio! Quella donna sapeva troppe cose su di me, ha collegato troppi avvenimenti del mio passato ad Hama... ho ritenuto che fosse troppo rischioso lasciarla in vita dopo quella discussione. Poi sono riuscita a fare in modo che la pensassero solo scomparsa...»
In momenti come quello faticava a reprimere l'animale che si dimenava in lui, a domare l'istinto che lo portava verso la collera. Doveva mantenere il sangue freddo. L'errore non era nemmeno tutto imputabile a Neves: l'errore era piuttosto stato il suo a metterla dov'era ora, a condividere con lei parte dei suoi piani, senza prestare eccessiva attenzione a dettagli a volte grossolani. Poi in seguito aveva peccato di eccessiva magnanimità con lei, ma cedere alla collera ora non avrebbe fatto altro che allargare la macchia di sangue su un abito bianco.
Sospirò profondamente.
«...nessuno ha nemmeno lontanamente pensato di incolpare me dell'accaduto, non dovete preoccuparvi di questo. Non ho dovuto dire nulla perchè tutti credessero che io fossi stata la vittima.»
Si era perso un pezzo delle spiegazioni. Poco importava. L'unico sistema per evitare eventuali ritorsioni future da quanto era accaduto a Hama e Calavron in quei due giorni, sarebbe stato falciarne il ricordo a tutta la popolazione delle due città. Ovviamente un'idea ridicola, quindi tanto valeva soprassedere sperando che gli stratagemmi di Neves per occultare gli omicidi fossero sufficienti, e se c'era una cosa di cui si potesse fidare in lei era la sua spiccata abilità in macchinazioni di quel tipo.
«Ora piuttosto, dimmi delle due ragazze. Almeno la loro reclusione è andata secondo i piani, giusto?»
«Si, mio padrone. Asgael le ha scortate ad Acarvende, non hanno via di fuga.»
«Molto bene. Le hai viste?»
«Entrambe, si. Non c'è dubbio sulla loro identità. Per questo mi permetto di far presente che come l'aveva capito Griseldhe, anche altri potrebbero...»
«Lo capiranno, sono pronto a questo. Quando il Drago si proclamerà, presto o tardi tutti capiranno chi sono quelle donne e qual è il loro ruolo. Va bene così, non possiamo impedire il compimento della profezia... non del tutto» disse Dorian sentendo il sorriso aprirsi sul suo viso, mentre pregustava i punti finali del suo piano.
«C'era un dettaglio che non mi avevate mai detto» lo interruppe lei con insolita voce incerta.
Al suo sguardo interrogativo, continuò.
«La Figlia della Luce, Hilda Al'Kishira, ha un punto debole su cui è facile fare forza»
Dopo un attimo di smarrimento, Dorian intese l'allusione
«Facile, dici?»
«Ho avuto poco tempo a mia disposizione per poter stare sola con lei, ma è stato sufficiente a capirlo e a farvi pressione»
«Quanta pressione?» domandò già sul punto di riaccendere l'ira appena domata.
«Nulla di cui dovete preoccuparvi, ho soltanto sondato il terreno»
Le gettò un'occhiata torva e le fece qualche passo attorno per poi guardarla in tralice.
«E credi che in tanti anni non abbia mai cercato di forzare su quel punto?»
«Non volevo mettere in dubbio questo, mio Signore»
«Se hai davvero provato a sondare il terreno, avrai anche compreso quanto sia coriacea e attaccata alle sue convinzioni subito sotto quel punto scoperto. Quella ragazza ha la Luce che le scorre al posto del sangue!»
«Potreste aver forzato con l'arma sbagliata» suggerì lei impudentemente maliziosa.
Dorian rise.
«Per quanto tu ti ritenga, forse meritevolmente, superiore a tante altre persone, credimi Neves, so bene quali armi usare e se ti dico che non hanno funzionato è perchè quella donna non è corruttibile, in nessun modo» e nemmeno il Tenebroso sapeva in quanti e quali modi aveva provato a farlo.
Essere l'unico tra i Prescelti ad averla già trovata era stata una fortuna sfacciata o forse un segno che il Disegno gli stava dando l'opportunità che da tempo attendeva. Doveva solo capire come cogliere quella splendida occasione e dopo una lunga ed esasperante serie di tentativi che quasi l'avevano fatto impazzire per la frustrazione, non era riuscito a farne una sua servitrice, ma l'aveva comunque resa malleabile per i suoi scopi. Da una parte la profezia stessa la tirava per i capelli perchè si compisse il suo destino, ciò che doveva fare lui era solo seguirla costantemente e darle qualche spintarella affinchè arrivasse a quel giorno senza attirare troppa attenzione su di sé.
In quegli anni aveva acceso la sua curiosità, aveva istigato in lei dubbi sempre più profondi, aveva giocato coi suoi sogni, al resto aveva pensato il caso, quasi fosse un suo alleato, finchè le sue incrollabili certezze avevano preso a cadere una dopo l'altra. Dorian aveva temuto di aver esagerato quando l'aveva vista in profonda crisi tra le domande che si poneva e il suo attaccamento alla divisa bianca: una vita passata a dare la caccia a chiunque incanalasse il “male” e adesso non sapeva che fare, che senso aveva rinchiudere e uccidere un incanalatore se, alla fine, ci si sarebbe dovuti affidare a uno di loro per il bene e il trionfo della Luce?
Poi aveva cominciato a dare i primi visibili segni di cedimento nel suo comportamento, nella sua fino ad allora impeccabile condotta. L'aver risparmiato la vita ad un'incanalatrice nella prima delle sanguinarie spedizioni a Daiing fu il momento cruciale e Dorian ancora si rammaricava di non aver compreso subito quanto fosse stato importante quell'evento. Hilda aveva ceduto proprio davanti alla ragazza a cui il suo Disegno era inscindibilmente legato. Mabien.
Dorian l'aveva scoperto solo anni dopo, un errore che poteva essergli stato fatale, ma il Disegno stava agendo su di loro, la connessione tra le due si era creata ed era incredibilmente ironico il meraviglioso modo in cui funzionava e le aveva riavvicinate. Ci era voluto tanto di quel tempo, ma ormai era fatta, bastava solo non perderle più di vista.
Ora non importava che Hilda fosse o meno una sua servitrice, il suo compito era quello di portare Mabien al Drago Rinato convinta di farlo per il bene della Luce, così da non intralciare o attirare l'attenzione degli altri Prescelti, al gran finale avrebbe poi pensato lui. Doveva solo aspettare e intanto tenerle lì, al riparo da occhi che non le dovevano vedere. Questa volta avrebbe vinto, lo sapeva.
«Ho reso Hilda una pedina del mio piano nell'unico modo possibile, sfruttando il suo eccessivo senso del dovere. Andrà tutto come deve andare finchè avrò modo di tenerle d'occhio. Ora la faccenda non ti compete più.»
La donna chinò appena il capo in segno di obbedienza.
Dorian le girò ancora attorno, tornando a starle davanti. La osservava pensieroso sul da farsi, con le braccia incrociate sul petto.
«Nei prossimi mesi non voglio sentire pronunciare il tuo nome. Ti renderai invisibile: voglio che partecipi alla vita politica della città senza che ci si accorga della tua presenza. Siamo intesi? Voglio che le Città della Notte scordino il tuo nome per un po' in modo che a nessuno salti in mente di associarlo agli incidenti di questi giorni.»
La Somma alzò uno sguardo compiaciuto.
«Tieni bene a mente una cosa Neves, e prendilo come un consiglio: più si è in alto, più fa male la caduta» Dorian le prese il volto con una mano, non troppo delicatamente «Mi sentirei più sicuro facendoti sparire con le mie mani, ma è già stato versato fin troppo sangue. Questo ti concede un'opportunità che raramente è capitata ai miei negligenti servitori: hai tempo per mostrarmi la tua obbedienza, hai tempo per placare la mia ira, hai tempo per farmi capire il valore della tua sopravvivenza. Giocati bene l'occasione.» spinse leggermente via il suo viso, facendola barcollare «Non te ne concederò un'altra».
Si lasciò scomparire subito dopo.

Neves deglutì e respirò come se non lo facesse da troppo tempo. Cadde sulle ginocchia, presa dall'angoscia per il pericolo che aveva appena evitato per un soffio.
Era stata troppo leggera nella valutazione delle proprie azioni e ancor più nel prevederne le conseguenze. Avrebbe obbedito, ciecamente. Nessuna iniziativa privata fino al prossimo ordine da parte del suo padrone. Nessuna. E che il Tenebroso volesse che questo bastasse.
Rabbrividì pensando a Muhk. Come lei anche quell'uomo serviva Dorian da lunghi anni e come lei era stato messo al corrente del piano su Hilda Al'Kishira. Probabilmente quella che sapevano loro era solo una parte del piano, non s'illudeva certo che un Prescelto si fidasse tanto dei suoi sottoposti, ma coinvolgendoli in quel suo complotto li aveva via via elevati a posizioni notevoli all'interno delle rigide gerarchie dei seguaci dell'Ombra.
Neves aveva invidiato e temuto Muhk così tante volte, era persino arrivata a tramare contro di lui per riuscire a scalzarlo, ma non era mai riuscita a concretizzare nulla e col senno di poi era stato un bene: se Dorian se ne fosse accorto... rabbrividì di nuovo pensando alla fine del povero Muhk e alla fredda precisione con cui il loro padrone l'aveva perpetrata. Esploso conducendo una simile carica di Potere da devastare un palazzo. Aveva dato di stomaco quando l'aveva saputo e ora rischiò di ripetere l'esperienza al solo ricordo.
Doveva prestare più attenzione a Dorian, non doveva più commettere errori.

continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di mercutia - su EFP
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 29
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte ottava] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte ottava]

Toras Skellig

Toras aprì gli occhi di colpo, non appena la sua mente si risvegliò dal profondo sonno senza sogni, che era stato più simile ad un coma che ad un vero riposo. Nessun residuo di stanchezza, tuttavia, permaneva nel corpo e nella mente del ragazzo, che anzi si sentiva in pieno vigore e bramoso di mettersi in moto, come un cavallo che scalpita dopo essere stato rinchiuso troppo a lungo nella stalla. Spinto da una fame vorace tentò di girarsi su un lato per capire dove si trovava e dove avrebbe potuto trovare del cibo. Il pagliericcio su cui era disteso si trovava lungo la parete di una piccola stanza senza finestre, completamente spoglia eccetto il suo rudimentale giaciglio e una lumiera con una candela accesa a rischiarare un po’ l’ambiente. Non fece in tempo ad alzarsi che la porta sulla parete opposta si aprì stridendo su cardini malmessi. Una donna vestita con un saio grezzo, di colore scuro, entrò reggendo un’enorme ciotola di terracotta, da cui proveniva un forte odore di spezie. Con gli occhi fissi sulla pietanza che veniva attentamente appoggiata al suolo di fianco al pagliericcio, Toras non si rese subito conto che una seconda persona era entrata nella stanzetta ed ora attendeva in silenzio mentre la donna, che a giudicare dal portamento dimesso e furtivo probabilmente era una servitrice, cambiasse la candela ormai consumata con una nuova e uscisse chiudendo la porta dietro di sè. Il ragazzo ebbe quindi un soprassalto quando lo sconosciuto, con voce pacata ma decisa, proclamò: «Benvenuto Toras Skellig. Attendevo con ansia di poterti parlare.». L’uomo era in piedi con le braccia incrociate, gli avambracci infilati nelle opposte maniche della tonaca nera. La postura rigida e austera conferiva allo straniero l’autorità che la sua corporatura esile e minuta non avrebbe potuto altrimenti dargli; i tratti del viso erano solo vagamente definiti, in quella semioscurità, ma Toras distingueva bene i piccoli occhi scuri, che in quel momento lo stavano studiando con severità.
«Ho dovuto Guarirti questa mattina quando ti hanno portato qui: era difficile dire se avessi subito dei danni o meno, nello stato di incoscienza in cui ti trovavi.», disse l’uomo, come se ciò dovesse spiegare tante cose. Toras invece era più spaesato che mai: non aveva idea di dove si trovasse, né di chi l’avesse salvato, o rapito, e per quale motivo. Poteva essere qualcuno in lega con i Ribelli, che gli voleva strappare informazioni sui Figli della Luce a Dodieb. Se è così, pensò Toras, farò meglio ad inventarmi qualcosa, perchè se scoprono che non so niente mi fanno fuori. Il modo in cui lo sconosciuto lo aveva informato di avergli somministrato delle cure, senza sapere a priori se vi fosse del danno o meno, confondeva ulteriormente la mente di Toras. Forse parla di un rituale religioso, o roba simile.
L’uomo con la tunica nera rimase in silenzio per un po’, studiando l’incerta reazione di Toras, poi aggiunse: «E’ per questo che ti sei risvegliato così affamato. Puoi mangiare: è zuppa di jegal», e indicò la larga ciotola. «Come dicevo, è da lungo tempo che aspettavo di potere scambiare qualche parola con te. Ed esattamente da quando ho avuto il piacere di accogliere tra noi un uomo chiamato Issal, che mi ha detto di doverti la vita.». A quel punto Toras, che, alzatosi a sedere aveva afferrato la scodella e preso una cucchiaiata di zuppa, si bloccò con la bocca aperta e il cucchiaio di legno impugnato a mezz’aria. Questo tizio sa decisamente troppo di me, pensò con fastidio, passi il nome, ma come diamine ha fatto a scoprire di quell’incontro?
«Innanzi tutto ti farà piacere sapere che Issal è al sicuro ora, e presto ci occuperemo anche della sua famiglia. E tutto grazie a te! Quel giorno, non solo hai risparmiato la vita ad un uomo, ma hai reso possibile la riunificazione di una famiglia, ingiustamente perseguitata dall’egemonia della Luce. Per questo motivo, e per le altre tue azioni coraggiose, ho voluto portarti qui da noi: perchè le tue capacità non vengano gettate al vento, e perchè tu non venga più costretto ad essere un misero cane da caccia.», disse l’uomo solennemente, lasciando infine a Toras il tempo di assimilare queste rivelazioni.
Il ragazzo, ormai dimentico del cibo, era combattuto se tenere la bocca chiusa e fingere di sapere esattamente chi fosse il suo interlocutore e come facesse a conoscere così tanto di lui, oppure se cedere alla curiosità e domandarglielo, rischiando però di perdere in parte la sua apparente stima. Alla fine però l’indole curiosa di Toras prevalse: «Chi siete? Come fate a sapere di quell’incontro?».
Lo sconosciuto apparve sorpreso dalla lacuna di Toras, ma non contrariato. Riflettè qualche attimo prima di rispondere, poi annunciò in tono maestoso: «Io, ragazzo, sono un Divulgatore della Conoscenza. Mi occupo di portare la conoscenza e la verità in un mondo accecato dalla Luce. E questo è il Tempio di Siennar, uno dei tanti che stiamo edificando per diffondere la nostra fede in tutto il Continente. Pensavo che Issal ti avesse detto di noi durante il vostro incontro, ma probabilmente non ne ha avuto il tempo... Non ti preoccupare: presto tutto ti sarà chiaro. Appena hai finito di mangiare manderò qualcuno che ti mostri il luogo e le persone che devi conoscere. Poi, fatti portare di nuovo da me: dovremo riprendere la nostra chiacchierata. Hai altre domande per il momento?».
Toras avrebbe avuto parecchie altre domande, ma sul momento non gli venne di meglio che chiedere che cos’era lo jegal. L’altro, infastidito o imbarazzato dalla stupida domanda, fece quasi per andarsene, poi sospirò e disse: «E’ un’anguilla d’acqua dolce... ci si fa una discreta zuppa. Ah... Probabilmente l’hai lasciata raffreddare, aspetta.» e improvvisamente Toras sentì la ciotola riscaldarsi rapidamente, come se fosse stata su un braciere.
Ravvisando flussi di fuoco, il ragazzo si stupì di non avere percepito la capacità d’incanalare dell’uomo e cominciò a fare delle supposizioni in merito. Ma quando rialzò la testa, il misterioso Incanalatore era già uscito. Rimandò allora tutte le domande a dopo e si concentrò sulla zuppa.
Quando finalmente bussarono alla vecchia porta sgangherata, Toras aveva finito di mangiare da tempo ed era anche riuscito a riposare un altro po’. Ad entrare fu un ragazzo, all’incirca della sua stessa età, anche se più alto di quasi una spanna e dai tratti più delicati. Indossava una lunga veste scura, simile a quella dell’uomo precedente, ma sgualcita e rappezzata in più punti, ed evidentemente pensata per qualcuno più minuto. «Scusa se entrando ti ho svegliato, ma non mi avevano detto che stavi ancora riposando.», disse con voce squillante e cordiale. L’aspetto fisico e l’accento familiare dicevano che si trattava di qualcuno delle regioni orientali, ma la carnagione appena più scura di quella di Toras suggeriva che forse veniva dalla costa. Pur mostrandosi di buon umore, il ragazzo in volto tradiva una certa stanchezza, o forse disagio. Per non mostrare debolezza, Toras si alzò subito in piedi: «Nessun disturbo, non stavo dormendo.».
«Ah, scommetto che non vedi l’ora di uscire all’aperto. Questi sotterranei mettono l’angoscia.», disse l’altro, che doveva tenere la testa piegata in avanti per via del soffitto di poco più basso di lui, «Io sono Hysaac. Vieni, ti mostro il resto del Tempio. Decisamente più accogliente, se posso dare il mio parere...»
E così i due uscirono, trovandosi in un corridoio buio non pavimentato, le pareti di terra nuda puntellate da grandi travi di legno che proseguivano oltre il soffitto; poi, dirigendosi nella direzione da cui veniva una fievole luce, arrivarono ad una scala che portava in superficie. «Questo è il chiostro. Da qui accedi a tutti gli ambienti comuni: la mensa, la sala dei rituali, l’aula delle udienze...»; mentre Hysaac indicava gli accessi alle diverse sale, Toras cercava di abituare gli occhi alla chiara luce del mattino. Le scale sbucavano su un ampio cortile interno circondato da un porticato; lungo tutto il perimetro si aprivano gli ingressi agli ambienti interni, senza porte ma con dei drappi di tessuto a coprirli. Diversi individui vestiti di tonache nere vi si aggiravano, camminando da soli o in piccoli gruppi; molti sembravano diretti a qualche misteriosa incombenza, ma alcuni altri parlavano semplicemente tra loro, in toni troppo sommessi perchè Toras potesse udire.
Nonostante la quiete del luogo, Toras avvertiva una tensione nell’aria. C’era nervosismo, notò, negli sguardi degli uomini e delle donne che abitavano quello strano Tempio; difficile però dire se si trattasse di eccitazione o preoccupazione. Tutti vestivano abiti simili: vesti lunghe e semplici, di tessuto scuro, che avevano l’apparenza di tonache monacali, ma con la praticità di una tunica da lavoro. Anche senza un’apparente gerarchia, era evidente che non tutti i membri della comunità avevano la stessa importanza: alcuni avevano un portamento distinto, altri più casuale, altri ancora mostravano atteggiamenti dimessi, quasi reverenziali.
«E, per finire, quello è l’ingresso principale.», indicò Hysaac, «E dalla parte opposta trovi il corridoio che porta agli alloggi dei Preti.».
Il ragazzo sorrise soddisfatto della propria spiegazione, poi all’improvviso un’espressione allarmata passò sul suo viso: «Beh, almeno è cosi che li chiamano, i “Preti Neri”... e qualche volta anche noi... ma conviene chiamarli “Divulgatori”. Sono un po’ suscettibili a volte! Come Ramkin, quello che hai incontrato: è meglio che ti rivolgi a lui come “sapiente Ramkin”.»; dopo un attimo di riflessione aggiunse: «Però sono persone straordinarie: detengono una conoscenza enorme, che nessuno nelle città può vantare, nemmeno gli Illuminati o i Sapienti dell’Università. E possono accedere al Potere: penso che potrai imparare molto da loro.».
Il rispetto misto a timore con cui Hysaac aveva parlato di questi Preti Neri lasciava ad intendere che essi avessero in qualche modo il controllo della comunità locale. Strano come parli del Potere senza mostrare nessuna emozione: niente sdegno, imbarazzo, nè paura. Nemmeno il maledetto marchio del Traditore sembra destare una reazione, pensò Toras. Sì, direi che potrei imparare molto qui; soprattutto come fanno a nascondere la propria abilità di incanalare. Questo ovviamente se decidessi di rimanere, cosa che tutti sembrano dare troppo per scontato... «Sicuramente interessante!», disse quindi, «Ma... c’è qualche altro motivo per cui dovrei restare in questo... Tempio?».
Hysaac lo guardò sbalordito, come se non si aspettasse una domanda simile: «Un motivo? Beh, la ragione per cui sei qui non mi è nota, ma di solito è un motivo sufficiente. Ovviamente sta a ognuno di noi decidere la propria via. Ma per molti, qui, tornare indietro significherebbe affrontare da soli i Manti Bianchi, e quella è una strada che non vogliono percorrere. Io sono qui da poco, ma ho già deciso: non tornerò indietro, a quella vita mediocre e senza scopo che facevo prima. Che motivazioni può darmi ormai lo studio? Mentre io marcivo in una biblioteca sepolto da vecchi tomi ingialliti, il mondo stava cambiando. Il mondo sta cambiando, Toras; anche adesso mentre parliamo, là fuori sta accadendo qualcosa di importante.». Toras guardò nella direzione in cui Hysaac aveva fissato lo sguardo mentre proferiva quell’ultima enigmatica asserzione, ma non vide altro che uno spoglio muro di cinta.
Riscuotendosi, Hysaac proseguì con un tono decisamente meno tetro: «Ma soprattutto, siamo qui per acquisire Conoscenza! Ci sono tante cose che potrai imparare qui: personalmente penso che combattere sia la più importante. È uno dei motivi per cui mi trovo al Tempio in primo luogo. Beh, forse tu sarai più interessato ad imparare l’uso del Potere, immagino, comunque voglio cogliere l’occasione per presentarti il nostro maestro di combattimento. È una persona... ehm, speciale!», e sorridendo Hysaac accennò alla donna che, al centro del cortile, stava mostrando ad una cerchia di allievi alcune forme di combattimento. La fluidità di quei movimenti e la precisione con cui la sua spada da esercitazione fendeva l’aria non lasciarono a Toras alcun dubbio: si trattava senz’altro della combattente dal volto coperto che aveva visto in azione dopo essere scampato all’impiccagione. Quando ebbe finito la propria dimostrazione, la donna si avvicinò ai due ragazzi e Hysaac fece le presentazioni.
Niamh, questo era il suo nome, aggiungeva alla naturale bellezza che il Creatore le aveva donato una grazia sensuale e uno sguardo malizioso; Toras, per il quale normalmente queste qualità erano un invito a nozze, si limitò invece a fissare con diffidenza la spada di legno con cui l’avvenente maestra di combattimento stava pigramente disegnando nella terra battuta, mentre scambiava alcune parole con Hysaac. Niamh d’altra parte lo degnò appena di uno sguardo, senza accennare al salvataggio nè dar segno di conoscerlo. Incurante dell’evidente differenza di età, era invece prodiga di sorrisi e sguardi languidi per Hysaac, il quale peraltro sembrava ingenuamente inconsapevole dell’attenzione ricevuta. Poi il giovane si congedò da Niamh, spiegando che avrebbero dovuto riprendere la visita del Tempio. Toras intanto aveva provato un brivido per la schiena nel notare che il disegno che la donna aveva tracciato nel terreno non era altro che un cappio.
«Allora, che te ne pare?», chiese Hysaac una volta lontani, e Toras, sorridendo a denti stretti, non trovò di meglio che citare un detto un po’ volgare delle sue parti che decantava le doti delle donne, per così dire, più esperte. A quel punto però l’altro, fino ad un attimo prima felice e spensierato, si rabbuiò in volto. Visto che non c’era molto altro da vedere nel Tempio, i due proseguirono all’esterno, dove una tenue nebbia mattutina limitava il raggio visivo alle immediate vicinanze dell’edificio. Un abbozzo di villaggio si raccoglieva nei pressi dell’ingresso al Tempio. Hysaac si prese cura di illustrare tutte le attività che vi si svolgevano, alternando queste descrizioni ad altre spiegazioni, molto più interessanti per Toras, riguardo la comunità che popolava il Tempio. E così, mentre seguiva la sua guida lungo quella rozza via impolverata, soffermandosi di tanto in tanto per essere presentato a qualcuno dei lavoratori, Toras cominciava a mettere insieme i pezzi di quel rompicapo.
Gli tornarono in mente le parole di Issal, riguardo un misterioso Culto che apparentemente offriva aiuto a chi era perseguitato dalla giustizia della Confederazione. Non vi aveva prestato molta attenzione in precedenza, ma ora giudicava di vitale importanza sapere di cosa esattamente si trattasse. L’uomo che lo aveva accolto quella mattina, il tale che Hysaac aveva chiamato Ramkin, si era mostrato benevolo nei suoi confronti, perfino onorato di riceverlo. Quell’aspetto della vicenda ancora non aveva molto senso, e rendeva Toras guardingo come una lepre fuori dalla tana. Una volta giunto al termine di quello strano villaggio senza trovarvi nemmeno una taverna, Toras sospirò rassegnato e si decise finalmente a chiedere a Hysaac dove diamine si trovassero. Il paesaggio circostante, fin dove la foschia permetteva di spingere lo sguardo, consisteva in una brughiera di cespugli bassi, canneti, e qualche rado salice piangente. Un largo canale tagliava la brughiera, incrociando perpendicolarmente la strada nel punto in cui era stato edificato un rozzo attracco.
Con noncuranza, Hysaac alzò le spalle e fece un gesto vago a mostrare i dintorni: «Siamo in una palude, questo è evidente, ma temo di non saperti dire molto di più. La nebbia è praticamente perpetua qui, e non è permesso allontanarsi. I nuovi vengono condotti qui bendati, e chi parte in missione viene trasportato da uno dei Pre... hem, Divulgatori.». Mentre riprendeva la via verso l’ingresso principale, il giovane, d’un tratto diventato serio e risoluto, proseguì: «Inutile negare che al momento la segretezza ci è indispensabile. Questo, come anche gli altri Templi del Culto, è situato in una posizione impossibile da rintracciare per i Manti Bianchi: è più facile che trovino tutte le Città della Notte in un giorno solo che scoprano questo posto. Ma verrà il giorno in cui non ci dovremo più nascondere, e allora ne costruiremo uno grande quanto il Monastero di Mealne! Per il momento ci dobbiamo accontentare di questo... obbrobrio.».
«Ecco, probabilmente ti stai chiedendo che origine possa avere un tale fabbricato. Beh, l’ordine architettonico è sicuramente precedente a queste altre costruzioni antistanti, probabilmente...», ma qui s’interruppe, rendendosi conto della perplessità di Toras, «Ah... scusa! È che a volte mi faccio trasportare dalla mia passione per l’architettura. Sai, potrebbero addirittura darmi l’incarico di progettare il nuovo Tempio, quando verrà il momento opportuno!», concluse Hysaac in un sussurro concitato.
Toras, dal canto suo, stentava a credere alle proprie orecchie: un’opposizione così manifesta all’ordine e alla legge della Confederazione era assolutamente impensabile. I templi erano templi della Luce, chi mai avrebbe pensato di costruirne per uno scopo diverso? Questo Culto, con i propri templi, il proprio clero, i propri seguaci, era un’entità inconcepibile nel mondo che Toras conosceva, e il ragazzo cominciò a convincersi di non avere viaggiato abbastanza. Pensò che, per ostentare questa sicurezza, il luogo avrebbe dovuto trovarsi molto lontano dalle città. Ma quanto lontano possiamo mai essere? Toras faceva fatica a credere di essere rimasto in stato di incoscienza per più di una notte, e in quel lasso di tempo non era possibile uscire dal raggio d’influenza della Confederazione. Inoltre, per quanto ne sapeva, l’unico territorio libero dal controllo dei Figli della Luce era il selvaggio Nord: una terra montagnosa ed impervia, che difficilmente avrebbe potuto ospitare un simile acquitrino. Era una cosa che Toras trovava insopportabile: non avere punti di riferimento geografici scombinava la sua capacità di analizzare razionalmente la situazione e gli impediva di pianificare rapidamente. Tuttavia, mentre rientrava nel Tempio in compagnia di Hysaac, non poteva evitare di sentirsi anche, in qualche modo, contagiato dal fervore e dall’impeto dell’altro.
L’idea che questo Culto potesse arrivare ad ottenere un tale potere da rivelarsi apertamente ai Figli della Luce, e che in seguito potesse sostenere un conflitto con essi, era decisamente inverosimile. Però è anche stuzzicante, pensò Toras, che cominciava a sentirsi di nuovo come quando, da ragazzino, sfidava quotidianamente l’ira dei coltivatori della valle rubacchiando frutta e combinando un’infinita serie di guai. L’imparità del confronto a suo sfavore non lo aveva mai fermato, e nemmeno la consapevolezza che al rientro alla fattoria del padre avrebbe pagato le sue bravate, e con gli interessi. Quando infine Hysaac, dichiarando conclusa la visita, si accomiatò per andare a vedere se era avanzato qualcosa per il pranzo, Toras lo osservò dirigersi verso la mensa, pensando: un bravo ragazzo, non c’è dubbio, ma di umore altalenante come una donna al sesto mese di gravidanza! Toras stesso, però, doveva ammettere di avere scarso controllo sulle proprie emozioni ultimamente. Beh è comprensibile: in fondo sono appena sfuggito ad una condanna a morte, riflettè. Ora, istigato dall’intrigante idea di sfidare le autorità, Toras non era più così sicuro di volersene andare dal Tempio. Non era esattamente odio quello che provava per i Figli della Luce. Era un legittimo risentimento nei confronti di coloro che prima lo avevano privato di ogni dignità, poi avevano provato ad ucciderlo. Aveva patito la cattura e l’imprigionamento con lo smarrimento di chi pensa di vivere un brutto sogno; aveva sopportato l’umiliazione di essere fatto Traditore illudendosi che avrebbe potuto condurre un’esistenza con un minimo di dignità come il vecchio Jaem; ma non aveva potuto sopportare di essere costretto a eseguire ordini che non capiva né accettava. Adesso, il fatto di avere subito un’ingiusta condanna a morte in un qualche modo lo liberava, nel proprio inconscio, da qualsiasi obbligo di rispettare i Figli e da qualsiasi vincolo di seguire la via della Luce. Per cui, quietando l’appetito che, non più appagato dalla zuppa di quel mattino, era tornato a tormentarlo, rinunciò a seguire Hysaac verso la mensa, e si diresse invece verso i quartieri dei cosiddetti Preti Neri. Ora è importante capire cosa vogliono questi individui da me, si disse mentre imboccava il corridoio lungo e buio che gli era stato indicato.

 



Merian Elen Syana

Merian si alzò furtiva nel cuore della notte, attenta a non svegliare Brienne. La donna riposava tranquilla nel giaciglio accanto al suo, ai piedi di un grosso ippocastano. Nonostante la primavera fosse ormai alle porte, l'aria notturna era ancora gelida da quelle parti. Si avvolse dunque nel mantello e a passi svelti ma silenziosi si avviò al punto di incontro.
«Vai da qualche parte?»
Colta di sorpresa si bloccò sul posto, il respiro ridotto a un debole soffio. Si girò accorta, ben sapendo a chi appartenesse quella voce, e si preparò ad affrontare Rohedric che, ai piedi di un albero sul limitare del campo, fumava indisturbato la sua pipa con lo sguardo perso nella fitta oscurità del bosco.
Aveva la spalla sinistra fasciata laddove era stato ferito. Elsa diceva che se la stava cavando egregiamente, ma Ariel non era del tutto convinta. Probabilmente era solo cocciutaggine, quella donna non sopportava l'idea che qualcun altro si intromettesse nelle sue faccende da erborista.
Rohedric si alzò su gambe malferme, ma represse un gemito di dolore e fissò lo sguardo penetrante su Merian.
Dannati siano gli uomini e il loro orgoglio! pensò la ragazza incrociando le braccia sul petto. Non avrebbero ammesso di stare male nemmeno se fossero crollati sfiniti faccia a terra!
«So cosa stai facendo,» proseguì l'uomo una volta che lei si fu avvicinata.
«Dovrei forse chiedere il tuo permesso?» Non aveva intenzione di rispondere così duramente, in fondo l'uomo si preoccupava per lei.
Ma non ha il diritto di dirmi cosa fare e non fare!
«Sai bene che non è così,» rispose Rohedric per niente turbato dalle sue parole. «Ma devi stare attenta a quell'uomo, non mi convince. Lui e il suo gruppo di strampalati. Non c'è da fidarsi di gente come loro.»
«Come loro?» fece l'altra alzando pericolosamente le sopracciglia. «Vuoi dire di chi usa il Potere…»
«Non intendevo questo…»
«Saranno strani ma sono convinta che conoscano tante di quelle cose che potrebbero esserci più che utili. Cose che molti non si sognano neppure. Scommetto che nemmeno Arlene conosce tutte le tessiture.»
«Forse è perché alcune cose non devono essere imparate Merian. C'è un motivo se i Manti Bianchi sono così terrorizzati dagli Incanalatori, non sempre sono dalla parte del torto.»
«Credevo volessi combattere i Manti Bianchi e ti fossi votato alla causa dei Ribelli. Non erano forse tue le parole "dobbiamo trovare il Drago Rinato" o te ne sei scordato?» Ancora una volta usò un tono duro con l'intenzione di sbeffeggiarlo, ma ancora una volta Rohedric la sorprese.
«Quello che voglio,» rispose l'uomo mite, «è combattere l'ingiustizia e le crudeltà di chi ci governa. Non deporre un tiranno per impiantarne un altro. »
Merian lo guardò negli occhi: la sincerità, la determinazione che vi vide, il profondo senso di giustizia che quell'uomo perseguiva erano ammirevoli. Non potevi essere a lungo adirata con Rohedric. Gli sorrise e l'uomo si rasserenò.
«Cerca almeno di scoprire qualcosa di utile da quel tizio,» disse cambiando argomento.
«Sai che non lo farò.»
L'uomo sospirò rassegnato e fissò i suoi profondi occhi scuri nei suoi, era serio ma una luce maliziosa brillava in fondo a quei pozzi bui.
«Stai attenta. Brienne non me lo perdonerebbe mai se ti accadesse qualcosa.»
Merian non fece in tempo ad esprimere il suo stupore.
«Mi trovi qui se hai bisogno,» proseguì Rohedric sedendosi nuovamente a fumare.
Lei gli fece un cenno d'assenso, sebbene l'altro fosse già immerso nei suoi pensieri, e se ne andò senza aggiungere altro.
Il suo aiuto sarebbe servito a ben poco contro un Incanalatore, ma Merian non vedeva perché ricordargli di tale debolezza. Rohedric se ne rendeva perfettamente conto da solo, ma era fatto così: aveva il disperato bisogno di sentirsi utile. Era sempre pronto a mettersi in gioco per aiutare gli altri, dando il massimo che poteva anche quando non bastava. Era un brav'uomo, il migliore che Merian avesse conosciuto nella sua breve vita, forse migliore dello stesso Mat. Non si stupiva che Brienne ne fosse così innamorata.
Lasciatasi Rohedric alle spalle proseguì in direzione del grosso masso su cui aveva visto Siadon un paio di giorni addietro lavorare su qualche strano intruglio, quando per la prima volta avevano parlato. Quando Merian gli aveva svelato dei suoi sogni e gli aveva chiesto di insegnarle a usare il Potere come un'arma. Gli aveva chiesto anche un'altra cosa, non appena Siadon si era ripreso dallo stupore di tale richiesta, ma la risposta desiderata ancora tardava a venire.
Pazienta, si diceva, hai atteso così tanto, qualche giorno in più non farà differenza.
Ma la faceva eccome. Il tempo si assottigliava, e velocemente anche.
Dovevano prendere ben presto una decisione, non potevano indugiare troppo a lungo nello stesso luogo, non con i Manti Bianchi alle calcagna.
Siadon la accolse con un mezzo sorriso quando si avvicinò.
«Rohedric ti ha fatto la predica?»
«Come…?» cominciò lei stupita.
A quanto pare è la notte delle sorprese, pensò la ragazza, speriamo solo non ne arrivino di cattive.
«Quell'uomo ti sta addosso come un segugio fa con la preda. Ti segue da quando abbiamo cominciato i nostri piccoli incontri segreti!» Disse l'ultima frase con fare canzonatorio, alzando le mani e spalancando gli occhi. Merian sorrise divertita.
Siadon era un uomo strano, spaventoso per ciò che sapeva e altrettanto per ciò che nascondeva.
Ma con lei era diverso. Nonostante lo conoscesse da poco, aveva cominciato a provare un profondo affetto per lui: era la cosa più simile a un fratello che avesse mai avuto. Ed era sicura che in qualche modo era lo stesso per lui, sebbene non lo desse a vedere.
«Se lo sapevi,» chiese curiosa pensando di conoscerne già la risposta, «perché hai lasciato che mi seguisse?»
Rimase invece sorpresa - ancora una volta - da ciò che le disse.
«Perché si preoccupa per te, e non fa nulla di male.»
Siadon lasciò cadere l'argomento - era imbarazzato forse? - e si avviò a grandi passi verso il piccolo torrente che serpeggiava lì accanto, voltandole le spalle.
Merian non poté fare altro che seguirlo.
«Hai pensato alla mia richiesta?» gli chiese dopo solo un momento. Voleva parlarne prima che cominciassero gli esercizi.
Siadon si voltò di scatto e per poco lei non gli sbatté contro.
«Conosci già la mia risposta Merian,» rispose lui freddo, «e non cambierà per il semplice fatto che continuerai a chiedere.»
Perché era così ostile? Cosa cambiava per lui andare a Jenjii o no? Diceva di voler sconfiggere l'Ombra e di ribellarsi ai Manti Bianchi, ma quando gli si offriva l'occasione su un piatto d'argento, ecco che si ostinava a quel modo che riesce così bene agli uomini!
Aveva quasi insultato Rohedric perché non si fidava di Siadon, ma come poteva dargli torto? Lei confidava in quello strano uomo dallo sguardo pericoloso, ma sapeva anche che nascondeva qualcosa: il monastero del sogno l'aveva turbato, ne era certa. Ma cosa mai poteva celare di così terribile da allarmarlo tanto? Sperava che prima o poi l'uomo si fidasse di lei e le raccontasse la sua storia, così come Merian aveva fatto con lui. Anche per questo Rohedric non vedeva bene il rapporto che si era instaurato fra loro due: non accettava il fatto che lei si fosse aperta totalmente con un estraneo, che a quanto ne sapevano - e a detta di Rohedric - poteva essere uno spietato assassino!
Ridicolo…
In ogni caso, qualunque cosa fosse a Merian non importava. Il suo istinto le diceva di fidarsi di quell'uomo, e aveva cominciato a prendere seriamente ciò che l'istinto le diceva, considerato dove l'aveva portata.



Siadon

«Riprova» disse Siadon senza nemmeno guardare Merian.
Quella notte stava chiedendo il massimo alla ragazza, usando alcune tessiture per essere sicuro che non si bruciasse incanalando troppo Saidar. Aveva iniziato per gioco, per cercare l'appoggio della Sognatrice assecondando la sua assurda richiesta di insegnarle ad usare il Potere come un'arma. Si era trovato suo malgrado a spiegarle davvero qualcosa. Come infiltrato gli capitavano spesso situazioni simili, insegnare ad incanalare era un ottimo modo per guadagnare fiducia, ma con Merian sentiva che c'era qualcosa di diverso. Non provava quel senso di disgusto, di sbagliato che sentiva quando aiutava qualcuno che non fosse un Fratello o una Sorella.
Le aveva indicato alcuni modi per riuscire a deviare il corso del ruscello e nell'ultima ora non aveva fatto altro che ripetere quella parola, riprova, ogni volta che l'acqua sembrava intenzionata ad infrangere le leggi naturali. Iniziava a domandarsi fino a che punto Merian sarebbe stata disposta ad obbedire senza ribellarsi alle sue richieste. Quella ragazza era davvero determinata. Certo anche frustrata nel non capire il senso dei suoi sforzi, poteva quasi ascoltare i suoi pensieri semplicemente osservandone le espressioni del volto. Eppure non si era lamentata nemmeno una volta.
«Riprova» ripeté quando il rumore del ruscello cambiò. La ragazza aveva creato un ponte invisibile sul quale l'acqua scorreva sollevata da terra. Era sudata e la fatica iniziava a farsi sentire anche nel respiro. Gli rivolse un'occhiata carica di sconforto, stava quasi per parlare ma vedendo il volto impassibile di Siadon inspirò lentamente e tornò a concentrarsi sul ruscello. Alcune gocce iniziarono a sollevarsi per poi ricadere come pioggia lì vicino.
L'assassino sollevò le mani e modificò il corso dell'acqua vincolandola in un canale chiuso creato attraverso il Potere. Merian rimase calma, per nulla spaventata nel vedere gli effetti di tessiture che non poteva nemmeno percepire.
Come puoi fidarti di me in questo modo?
«La velocità e la forza aumentano quando è costretta a passare in un percorso più stretto» le disse indicando la bizzarra fontana, l'acqua scendeva e risaliva sospesa nel vuoto prima di tuffarsi verso il terreno in un getto vigoroso. «Le vene sono qualcosa di molto simile. Quando vengono tagliate parte del sangue trova una strada tutta sua e quello rimanente perde forza, così» un fiotto trasparente si fece strada dal centro del canale. Parte dell'acqua continuò a scorrere sospesa ma la cascatella che prima si gettava rumorosa tra i sassi ora era ridotta a un filo gocciolante.
Merian lo stava fissando a bocca aperta con un'espressione incredula e inorridita.
«Ora ripara il taglio. Costringi il sangue a scorrere come dovrebbe.»
Lo osservò perplessa ancora qualche istante poi si concentrò sull'acqua. Trattenne il respiro e la perdita si infranse contro qualcosa, dividendosi in mille spruzzi man mano la barriera invisibile si avvicinava alla falla.
«Non ce la faccio, sono troppo stanca» disse infine sconfortata, massaggiandosi le tempie.
«E ti lasceresti morire?» rispose Siadon freddo.
Merian lo guardò supita. «Che vuoi dire?»
«Se fosse una ferita vera.» non aggiunse altro. Rimase in attesa di una reazione.
«Ma non lo è, sono distrutta. Riesco a malapena ad Incanalare.»
«Se tu fossi...» Si ammutolì per un istante. Stava per dire adepta. Se Merian fosse stata un'adepta l'avrebbe pugnalata all'istante per costringerla a chiudere la ferita. «...alla fine di un combattimento saresti altrettanto stanca.» La fissò cercando di capire se la ragazza avesse intuito qualcosa.
Sei un paranoico, non può leggerti i pensieri. Osservandola Incanalare aveva fantasticato su come spingerla a diventare una Sorella. Una Sognatrice sarebbe stata estremamente utile, inoltre sembrava in grado di attingere parecchio Potere. Doveva convincere gli altri, soprattutto Thea. Quella dannata donna era diventata intrattabile, ogni volta che si parlava di Merian sembrava voler uccidere qualcuno. Sono innamorato di una pazza possessiva, mi ucciderebbe pur di non lasciarmi andare con un'altra donna. Una punta di terrore affiorò nella sua mente rendendosi conto che la cosa gli piaceva, non si era mai sentito tanto desiderato.
I flussi di controllo su Merian attirarono improvvisamente la sua attenzione. La ragazza si era messa in ginocchio ed era riuscita a creare una barriera attorno alla falla, c'erano ancora delle perdite ma gran parte dell'acqua scorreva attraverso lo stretto canale. Era stremata, respirava a fatica e sbatteva spesso le palpebre per cercare di mantenere il controllo sui flussi che stava governando, eppure sorrideva soddisfatta. Aveva superato il suo limite. Ancora qualche istante e qualcosa in lei si sarebbe spezzata privandola della capacità di Incanalare, forse per sempre. Siadon la schermò immediatamente, isolandola da Saidar prima che potesse accadere. Per Merian non fu affatto piacevole, si piegò in avanti vomitando nel ruscello appena liberato dalle costrizioni dei due Incanalatori.
«Va tutto bene, per oggi abbiamo finito» le disse per tranquillizzarla.
Merian si accasciò all'indietro, si sdraiò tra le foglie e i rami secchi tenendosi la testa tra le mani.
La determinazione non ti manca di certo.
Passarono parecchi minuti prima che Merian riuscisse a mettere insieme delle parole, era preoccupata.
«Credevo di esplodere... non riesco più... a sentire Saidin»
Siadon le concesse qualche istante per riprendere fiato
«Ricordati quanto hai provato questa notte. Se non fossi intervenuto adesso saresti morta o incapace di Incanalare per il resto della vita. Ora sei solo schermata ma per oggi basta Saidar.»
«Non credo di riuscire... nemmeno a camminare»
«Molto bene» rispose Siadon alzandosi dal grosso masso su cui era seduto. Si incamminò verso l'accampamento ma venne fermato quasi subito.
«Dove vai?» la voce di Merian era ancora distorta dalle mani che teneva premute contro la faccia.
Siadon la guardò perplesso
«A riposare»
«Hmpf... e mi lasci qui?»
Non penserai che io... Luce! Smettila di vederla come un'adepta!
«Rohedric non sarà geloso?» la schernì avvicinandosi, prima di sollevarla da terra per portarla tra le braccia.
Se ci vede Thea siamo morti. Pensò Siadon concentrandosi sul terreno da percorrere, voleva essere il più rapido e silenzioso possibile.
Raggiunsero il giaciglio di Merian in pochi minuti, la ragazza si era addormentata subito dopo aver appoggiato la testa contro la sua spalla. La posò lentamente per non svegliare l'amica che dormiva lì vicino, allontanandosi immediatamente di qualche passo.
«Sta bene, è solo molto stanca» disse a bassa voce ancora prima di voltarsi verso Rohedric.
«Non ne capisco il motivo ma si fida di te. Non tradirla.»
Siadon si aspettava una frase simile, da quel poco che aveva visto lo considerava un uomo schietto e sincero. Pochi erano in grado di minacciare un Incanalatore senza tradire nervosismo, Rohedric l'aveva appena fatto fissandolo negli occhi. L'assassino ne rimase impressionato, doveva conoscere meglio quell'uomo.
«Come va la ferita?» gli chiese tranquillo, quasi onorato, come se non avesse colto del tutto il senso delle parole.
Rohedric lo guardò sospettoso mentre tirava una boccata dalla pipa.
«Sto bene, è poco più di un graffio»
Siadon aveva parlato con Elsa e conosceva la realtà, nulla di grave ma il braccio sarebbe riasto fuori uso ancora per qualche giorno.
«Bene, siamo rimasti fermi per troppo tempo»
«Un altro paio di giorni ci farebbero comodo»
«Non li abbiamo. I Figli che abbiamo lasciato in vita ci hanno seguiti. Secondo Tomas domani ci saranno addosso. Potete combattere?»
Rohedric controllò che tutti dormissero prima di rispondere
«Non perdono tempo... Brienne, Jon e Neal possono sicuramente dare una mano. Io e Kain un poco meno temo. Per quanto riguarda Ariel e Arlene è meglio se chiedi a loro.»
Troppo lucido, non ha nemmeno preso in considerazione l'idea di fuggire subito. Chi ha istruito questa gente alla battaglia?
«Thea ed Elsa stanno cercando un buon posto per preparare un'imboscata.»
I due rimasero a fissare i contorni del bosco per diversi minuti, fino a quando le ombre della notte non iniziarono a muoversi verso di loro. Rohedric si irrigidì e prese istintivamente la spada che aveva appoggiato al suo fianco.
«E' Tomas» lo tranquillizzò Siadon
«Come lo riconosci?»
«Thea ed Elsa sono da quella parte» rispose indicando il lato opposto dell'accampamento
«E se fosse un nemico?»
Come glielo spiego che ben pochi Incanalatori conoscono quella tessitura?
Raggiunse Saidin e disperse l'illusione che avvolgeva Tomas
«In quel caso non l'avremmo visto arrivare» rispose sorridendo
Il ragazzo li raggiunse quando Siadon stava ancora parlando, aspettò in silenzio e quando ebbe l'attenzione del Fratello compose un unico segno con la mano destra: tarda mattina
«L'ho informato dei nostri inseguitori e di come pensiamo di accoglierli»
Tomas sorrise «Se rimaniamo qui ci saranno addosso sul finire della mattinata. Dovremmo partire all'alba. Facciamogli credere che siamo fuggiti in fretta e furia e cadranno in trappola senza nemmeno accorgersene.»

«Quanto ci mettono dannazione!?»
Siadon e Thea si girarono contemporaneamente, lanciando un'occhiataccia a Brienne. L'assassino si portò una mano davanti alla bocca per intimarle di rimanere in silenzio. La donna non poteva ancora percepirne il rumore ma i due Incanalatori sentivano i cavalli avvicinarsi.
Aveva fatto in modo di rimanere con Thea e soprattutto distante da Merian, appostata sul lato opposto dell'avvallamento assieme agli altri. Rohedric, Kain e Ariel invece erano nascosti parecchio più avanti con le montature di tutto il gruppo, ovviamente gli uomini avevano protestato ma l'erborista era stata estremamente convincente riguardo la capacità di combattere dei feriti.
Era un posto troppo scontato per un'imboscata ma non avevano trovato di meglio. In quel punto il sentiero percorreva il letto di un vecchio fiume, prosciugato da anni.
Non funzionerà mai pensò Siadon osservando le cime degli alberi che sovrastavano il loro nascondiglio. Quel campo non era comandato da un imbecille, non ci cascheranno.
Si avvicinavano. Strinse meccanicamente le dita attorno ai pugnali, cercando di immaginare quanto stava accadendo oltre il ciglio dell'antica sponda. Secondo i suoi calcoli c'era una sola Incanalatrice tra quei Manti Bianchi ma per sicurezza avevano deciso di usare solo le tessiture necessarie a non farsi scoprire. Era più che altro una scusa, in realtà volevano evitare di svelare le loro capacità. Arlene e Merian avrebbero potuto replicare i flussi di Thea ed Elsa, imparando tecniche che dovevano rimanere segrete. Inoltre erano curiosi di vedere combattere i loro compagni di viaggio e scoprire quanto più possibile su quello strano gruppo.
Osservò Thea, sdraiata al suo fianco fissava le loro prede attraverso un cespuglio. Era tanto concentrata da non accorgersi del sorriso malizioso che le illuminava il volto. La treccia le cinceva il capo come una corona e gli occhi grandi e pieni di aspettativa la facevano sembrare una principessa, nascosta in un giardino per sorprendere il proprio amato. Come riuscisse a tenere i capelli tanto in ordine era un mistero per Siadon. L'altra donna invece non badava molto al proprio aspetto, sembrava più interessata ai pugnali che ad apparire qualcosa di diverso da un soldato.
I cavalli si fermarono ben prima di raggiungerli. Brienne trattenne il respiro mentre Thea sembrò divertita dall'imprevisto. Siadon poteva immaginare quanto stava accadendo, i Manti Bianchi non erano stupidi e quello era l'unico passaggio obbligato che avevano incontrato in tutta la giornata. L'ufficiale in carica doveva aver fermato la pattuglia per studiare la situazione. In quel momento probabilmente stava valutando l'idea di dividere il gruppo, per mandare qualcuno in esplorazione.
Come in risposta ai suoi pensieri, sentì alcuni soldati smontare e camminare nel fogliame. Thea si voltò per guardarlo negli occhi, sembrava felice ma c'era qualcosa di spaventoso in quello sguardo. Lo baciò con passione mentre anche il resto della pattuglia iniziò ad avanzare lentamente. Brienne borbottò un'imprecazione sottovoce ma Siadon non ebbe il tempo di capire se era rivolta ai Figli della Luce o a loro due. Un dolore acuto gli attraversò il labbro, riempiendogli la bocca di un sapore ferroso che conosceva bene. Thea l'aveva morso tanto forte da farlo sanguinare ed ora lo stava fissando minacciosa, il labbro rosso acceso non faceva altro che renderla ancora più terribile. Si pulì col dorso della mano e tracciò un singolo segno sulla fronte di Siadon senza staccare gli occhi dai suoi: MIO.
«IMBOSCATA!» un uomo dall'altro lato del passaggio riuscì a dare l'allarme. Thea sorrise e tornò concentrarsi sulla pattuglia mentre la tranquillità del bosco veniva invasa da voci cariche di urgenza, passi affrettati e rumori di spade sguainate. Una palla infuocata esplose proprio di fronte a loro, investendoli con un calore irresistibile. Thea si mise subito in ginocchio facendo scattare le mani in avanti e come in risposta una donna urlò per il dolore.
La pattuglia era salita compatta sulla sponda opposta, correndo a spade sguainate verso Elsa e gli altri per cercare di limitare l'uso del Potere nello scontro. L'ufficiale in carica doveva avere una buona esperienza, sapeva che in un combattimento corpo a corpo avrebbe avuto molte più speranze.
Brienne imprecò e scattò in avanti brandendo la sua spada corta, la battaglia era iniziata. Siadon controllò che non ci fossero Manti Bianchi dal loro lato del sentiero, poi si incamminò con passo spedito nella direzione da cui era arrivata la pattuglia, con l'intento di attaccarla dalle spalle.
Raggiunse due cavalli legati frettolosamente ad un albero e sfruttò la loro copertura per osservare la situazione. Thea era con lui, si stava muovendo lentamente da un faggio all'altro con movimenti tanto fluidi e naturali da sembrare un fantasma. Una decina di metri più avanti il combattimento era in stallo. Un muro di fuoco divideva i due schieramenti lasciando pochi passaggi. I Manti Bianchi si riparavano dietro a tronchi e massi, ricaricando le balestre e cambiando spesso nascondiglio per evitare le palle di fuoco che esplodevano ogni volta che qualcuno si sporgeva per scoccare. L'Incanalatrice colpita da Thea era ancora viva. Seduta con le spalle appoggiate ad un grosso sasso stava usando un brandello di veste per fasciarsi un braccio insanguinato.
Oltre alla Traditrice e a due soldati che giacevano immobili trafitti da altrettante frecce, c'erano diversi Figli della Luce, almeno una dozzina.
Hanno trovato dei rinforzi, ecco perché ci seguivano con tanta fretta.
Trovò subito quello che stava cercando. Siadon si era sempre domandato come fosse possibile che gli eserciti venissero comandati da persone tanto orgogliose da non accorgersi di indossare dei veri e propri bersagli. Provò una certa delusione, aveva sperato che questa volta il suo avversario fosse più intelligente ma la divisa non lasciava dubbi. Quell'uomo era un Capitano della Luce ed era il più alto in grado. Al riparo di alcune betulle stava ordinando qualcosa a due soldati, questi abbozzarono un saluto militare rimanendo accovacciati e si diressero verso Siadon, scattando da un albero all'altro. Il Capitano chiamò la Traditrice mentre un altro Manto Bianco lo raggiungeva per ricevere ordini. Pochi metri più a destra una palla di fuoco centrò in pieno un uomo che si era messo in ginocchio per scoccare. Il corpo dilaniato e annerito venne scaraventato all'indietro con una violenza impressionante, andando a finire addosso ad uno dei due soldati che si stavano avvicinando a Thea. L'altro si voltò per aiutate il compagno a rialzarsi ma un'ombra gli apparve alle spalle, avvinghiandoglisi famelica attorno al collo e costringendo la sua testa ad una torsione innaturale. Crollò come un burattino senza fili mentre il soldato a terra gridava terrorizzato. Thea era scomparsa.
Il Capitano della Luce ordinò qualcosa alla Traditrice. Dovette ripeterglielo due volte per attirare l'attenzione della donna, sconvolta da quanto aveva appena visto. Poco dopo le foglie davanti a Siadon presero fuoco e un muro di fiamme gli impedì di continuare a seguire la battaglia.
Bene. Volevamo divertirci no?! Pensò l'assassino colpito dalla teatralità dell'intervento di Thea e stupito dal fatto che la Sorella non avesse schermato la Traditrice.
Attinse con vigore a Saidin per circondarsi di acqua e di aria. Nemmeno così riuscì a evitare del tutto il calore di quella barriera. Una volta raggiunto il grosso faggio che aveva scelto come nascondiglio gli ci vollero alcuni istanti per riprendere fiato, il fuoco sembrava averglielo strappato dai polmoni. Il soldato a terra era ancora incastrato sotto al corpo dei commilitone, i suoi lamenti erano pieni di dolore oltre che di paura, probabilmente l'impatto gli aveva rotto qualche osso.
Più avanti il Capitano stava organizzando i suoi uomini. Sembrava intenzionato ad ordinare alla Traditrice di abbattere il muro di fiamme che li separava da Elsa e dagli altri per poterli attaccare frontalmente. Tre uomini stavano raccogliendo le balestre dei compagni, pronti a scoccare rapidamente dardi micidiali per poi proseguire più spediti con i propri archi. Gli altri strisciavano tra le foglie per avvicinarsi il più possibile alle fiamme.
Siadon era indeciso, se avesse lasciato tempo al Capitano lo scontro sarebbe stato duro abbastanza da costringere Merian e gli altri ad impegnarsi davvero. Voleva vederli usare le armi che si portavano appresso.
E se fosse troppo duro? Forse sono semplicemente quello che sembrano. Dannata paranoia!
Non vedeva i flussi che controllavano le fiamme. Quella tessitura era sicuramente merito di Arlene, Elsa avrebbe scelto qualcosa di più teatrale. Al Monastero si insegnava a combattere sfruttando le paure dei nemici e come aveva appena dimostrato Thea, una semplice ombra poteva impensierire l'avversario più di una pioggia di fiamme.
Attinse a Saidin e creò dei turbini di vento lungo il muro di fuoco, privandolo dell'aria di cui si nutriva. Un Figlio della Luce si trovò allo scoperto e venne immediatamente trafitto da due frecce.
Il Capitano imprecò e ordinò alla Traditrice di lanciare il maggior numero possibile di tessiture per coprire l'avanzata, poi scattò in avanti incoraggiando i suoi.
Siadon concesse loro il tempo necessario per raggiungere Elsa e gli altri prima di occuparsi della donna. Voleva lo scontro ma un'Incanalatrice tra i nemici era un rischio troppo alto. Creò una piccola sfera di ghiaccio e la stava per scagliare dritta nella fronte della Traditrice quando questa iniziò ad urlare e a dimenarsi coprendosi gli occhi con le mani.
Guardò perplesso la sfera trasparente sospesa sopra il palmo della sua mano, Thea lo aveva anticipato. Si voltò verso il soldato ferito, respirava a fatica e del sangue gli colava dalla bocca. Siadon gli si avvicinò mentre il rumore delle lame che si incrociavano sovrastava definitivamente la pace del bosco.
L'odore di carne bruciata era nauseante. Il soldato si voltò minacciandolo con una spada corta, aveva una gamba spezzata e la forma del petto non era simmetrica quanto avrebbe dovuto, almeno due costole non erano al loro posto. Non poteva alzarsi ma gli puntava contro l'arma fissandolo con occhi disperati, pieni di odio. Sembrava un animale in trappola pronto a qualsiasi follia pur di liberarsi.
Siadon si limitò a mostrargli la sfera di ghiaccio e ad imprimerle una velocità tale da spaccare la testa del poveretto.
La Traditrice si stava ancora dimenando con il volto coperto dalle mani. L'assassino aveva appena iniziato ad avvicinarsi quando Thea la raggiunse e le piantò un pugnale in una gamba. La donna urlò.
Poco dopo Siadon le raggiunse «... con una bambina capisci?» la Sorella le stava parlando a bassa voce, con tono complice come se si stesse confidando con un'amica mentre rigirava con forza la lama ancora conficcata nella carne.
«Non uccidermi, non uccidermi ti prego non uccidermi» pianucolò lei disperata.
Avvicinandosi Siadon si accorse degli occhi della donna. Thea li aveva bruciati per impedirle di governare altri flussi.
«Eravamo felici insieme!» continuò la Sorella estraendo il pugnale per conficcarlo subito nell'altra gamba. La Traditrice era al limite dell'incoscenza «poi li abbiamo salvati e per ringraziarmi quella sgualdrina me lo porta via!»
«Ti prego...»
«Ogni volta!» Thea lasciò il pugnale per prenderle il volto tra le mani, facendole sbattere la testa contro la betulla a cui era appoggiata «Ogni dannata volta» sembrò spiegarle scandendo ogni parola con un colpo. La Traditrice aveva perso i sensi «che in questo schifo di vita sembra capitare qualcosa di buono» pareva non rendersi conto di stringere un cadavere tra le mani «devo subito ripagarla cento volte!»
Siadon era lì accanto, sbigottito. Thea stava piangendo. Stava davvero piangendo mentre cercava di pulirsi le mani con il vestito dell'Incanalatrice.
«Thea...» provò a chiamarla senza sapere davvero cosa dire.
L'assassina si alzò con uno scatto fluido e solo l'istinto permise a Siadon di parare la pugnalata. Lo fissò con lo sguardo più glaciale che avesse mai visto e riprovò a colpirlo dritto al cuore. Siadon cercò disperatamente di evitare la lama. La sentì tagliare le vesti senza fatica e lacerargli la pelle diffondendo nel petto un bruciore intenso. Era vivo per miracolo.
Sfruttò lo slancio per colpirla al mento con l'elsa del suo pugnale, mancandola ma riuscendo ad allontanarla di un passo.
«Non ti ho tradita!» provò a spiegarle indietreggiando, per mantenere una certa distanza.
«La desideri, non mentirmi!» rispose con odio recuperando l'altra lama dalla gamba della Traditrice per poi tornare a rivolgere le armi verso di lui.
«Come Sorella, sì. Ma amo solo te»
Thea lo fissò con occhi ancora gelidi, anche se fortunatamente l'ombra di un dubbio riusciva a trasparire da quello sguardo.
«Eri con lei anche la notte scorsa» sentenziò l'assassina, menando fendenti in una successione tanto rapida che Siadon riuscì a malapena a difendersi. Era ferito, soprattutto le braccia ma in qualche modo l'aveva colpito anche al collo. I movimenti erano stati tanto rapidi che se ne era accorto solo ora che erano tornati a studiarsi.
Dannata donna! Lo sapevo che mi avrebbe ucciso prima o poi. Sono un idiota!
Sapeva di amarla ma solo in quel momento di rese davvero conto di cosa significasse quel sentimento, di quanto a fondo era disposto a spingersi per lei. Si rilassò. Le sorrise aprendo le mani, lasciando cadere a terra i pugnali.
«Ti amo» disse guardandola negli occhi «Ti amo Thea e voglio amarti per sempre. Per quel poco che rimane di questa vita e per tutte le vite future.» L'assassina lo stava guardando immobile, tratteneva il fiato e gli occhi tradivano una tormenta di emozioni.
«Uccidimi se non mi vuoi, perché non posso combattere contro l'unica cosa a cui tengo.»
Thea fece per dire qualcosa, poi allungò le mani per afferrargli le vesti e tirarlo a sè, baciandolo come se in quel bosco non ci fosse nulla oltre a loro due.
«Ti amo Siadon. Per sempre.» non l'aveva mai vista piangere per la felicità. Era bellissima. «Se ti uccidessi morirei subito dopo, per mano mia.»
Rimasero abbracciati per un lungo momento ignorando i colpi di spada che ancora echeggivano tra gli alberi.
«Finiamoli e troviamo Elsa. Deve sposarci.» disse improvvisamente Thea, come se si fosse ricordata solo in quel momento di cosa stava succedendo attorno a loro.

 

continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di mercutia - su EFP
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 30
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte nona] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte nona]

Merian Elen Syana

Nascosta in mezzo ai cespugli sulla sponda di quello che un tempo era un fiume, Merian attendeva con ansia che qualcosa accadesse. Sapeva che Siadon si trovava da qualche parte di fronte a lei insieme a Thea e Brienne ma non riusciva a scorgere nessuno dei tre, e questo avrebbe dovuto essere in qualche modo rassicurante.
Invece si sentiva allo scoperto. Nuda di fronte all’imminente battaglia.
Neal dovette accorgersi della sua preoccupazione perché allungò una mano e la posò sulla sua, accompagnando il gesto a un sorriso. “Andrà tutto bene”, era questo che voleva dire?
Merian si sforzò di concentrarsi su ciò che l’aspettava, allontanando i pensieri da Siadon, ma più ci provava e più tornavano a lui.
«Non avrei dovuto ascoltarlo,» mormorò tra sé riportando lo sguardo sul sentiero di fronte a lei, come aspettandosi di vedere comparire l’uomo.
«Credi che sarebbe cambiato qualcosa?» la schernì Tomas sdraiato anch’egli al suo fianco. Il ragazzo era a conoscenza delle sue lezioni notturne con Siadon, e sapeva quanto Merian avesse desiderato affrontare la sua prima battaglia accanto all’uomo. Purtroppo Siadon, oltre che essere un perfetto insegnante, era anche testardo e cocciuto, e a nulla era servito insistere.
Sospirò rassegnata e sorrise a Tomas, lasciandosi trasportare per un momento da quei meravigliosi occhi azzurri. Era davvero un bellissimo ragazzo, e ogni volta che gli stava accanto un indicibile turbine di emozioni si abbatteva su di lei.
Ma non era Mat.
I due continuarono a parlottare a bassa voce, ridendo e scherzando per alleggerire la tensione ma Arlene, accovacciata alle loro spalle, li zittì all’istante.
Jon si era arrampicato su un albero dalla fitta chioma, un luogo a suo dire perfetto per scagliare frecce senza essere visti, mentre Elsa, a qualche passo di distanza, osservava la strada completamente immersa nei suoi oscuri pensieri. Quella donna le faceva accapponare la pelle, con la sola presenza era in grado di fare sembrare Neal un ragazzino indifeso. Mai come Thea però, lei sarebbe stata in grado di fare scappare il Tenebroso in persona!
All'improvviso il sentiero di fronte a loro brulicò di uomini vestiti di bianco, molti più di quanti Merian ricordasse, ma si fermarono ben prima di quanto si aspettassero, quasi fiutassero che qualcosa non andava. Merian avvertì anche una strana sensazione, come un’eco delle sue stesse percezioni, un lieve, distante ricordo della meravigliosa fonte di Potere a cui poteva accedere.
Arlene le aveva spiegato che chi aveva il dono riusciva a sentire la presenza di altri Incanalatori dello stesso sesso se erano abbastanza vicini, e che quando questi accedevano alla Vera Fonte la sensazione diventava più forte, a meno di non riuscire a mascherare la propria abilità agli altri. Questo Arlene non glielo aveva insegnato, se per volontà o incapacità nel farlo lo ignorava, la donna sembrava sempre restia a voler divulgare con facilità ciò che sapeva. Da quanto la donna stessa le aveva spiegato, i Ladrielle erano una famiglia orgogliosa e Arlene, per quanto fosse lontana da casa da anni, era rimasta pur sempre una di loro. Grazie alla Luce Merian aveva incontrato Siadon, una fonte inesauribile di conoscenza che le avrebbe aperto innumerevoli porte su luoghi mai inesplorati!
Non fece in tempo a realizzare che il nemico si era accorto dell'imboscata che fuoco e fiamme cominciarono a comparire da una parte all’altra del fiume. Urla di agonia e terrore le giunsero alle orecchie ma non permise al panico di sopraffarla. Mise in pratica quel poco che Arlene le aveva insegnato, aggiungendo qualche trucco di Siadon, e creò una sorta di conduttura che convogliava al suo interno tanti piccoli mulinelli d'aria e acqua a velocità sempre maggiore. Quando arrivò all'apice della forza che riusciva a governare, indirizzò il fiotto verso il gruppo di uomini che erano riusciti a oltrepassare la barriera di fuoco creata da Arlene.
La sensazione che provò nel vederli cadere a terra come burattini senza fili fu stupefacente e, nonostante la notte prima le avesse prosciugato quasi tutte le forze, si rifiutò di cedere alla stanchezza.
Cominciò a preparare la tessitura successiva cercando di attingere alla propria fantasia, disfacendola più di una volta perché non pienamente soddisfatta. Un sorriso eccitato le si dipinse in volto e credette di cogliere un breve sguardo di approvazione da Elsa, prima che questa sparisse nel fitto della mischia. Le imprecazioni di Brienne le giunsero alle orecchie da qualche parte alla sua sinistra, ma nulla di tutto ciò aveva importanza: aveva del lavoro da fare.
Arlene le afferrò un braccio nel momento stesso in cui stava per rilasciare la sua tessitura.
«Che diamine stai combinando bambina?»
Merian la guardò sorpresa - e anche seccata - ma si bloccò, senza abbandonare però Saidar.
«Non chiamarmi così,» le rispose liberando il braccio con uno scatto, «non sono una bambina, e so benissimo cosa sto facendo!» Distolse lo sguardo e si concentrò di nuovo su quanto stava realizzando un attimo prima venisse così bruscamente interrotta.
«Davvero? A me sembra solo tu stia cercando un modo per bruciarti… sì, sai cosa significa.»
«E' questo che ti insegna quell'uomo?» proseguì Arlene muovendo le mani in direzione del muro di fuoco.
«Quell'uomo,» rispose Merian stizzita, «fa solo ciò che gli ho chiesto di fare, a differenza di qualcuno di mia conoscenza.»
«Stupida ragazzina…» Arlene sembrava sul punto di piangere. «Tu non hai idea… non si può giocare con il Potere.»
«E' questo il punto! Tu credi che per me sia solo un gioco, ma ti sbagli. Io voglio combattere Arlene, farla pagare a chi se lo merita, e farò qualsiasi cosa sarà necessaria per ottenere giustizia.»
«Parli di giustizia, o di vendetta? Non era il Drago Rinato che cercavi, andare dai Ribelli e combattere contro l'Ombra, o la tua sete di conoscenza ha ottenebrato il tuo cervello?»
«Era quello, sì,» rispose arrossendo, e sembrò tornare se stessa per un momento. «Ma voglio anche che i Manti Bianchi abbiano ciò che gli spetta, e mi assicurerò che vedano ben presto la Luce che tanto elogiano.»
La donna la colpì al viso.
Merian la guardò solo un istante, furiosa per quel gesto e tuttavia imbarazzata, e tornò a concentrarsi sulla battaglia.
Come osava? Non era sua madre!
No, pensò, mia madre mi ha abbandonato nelle mani di quei mostri senza preoccuparsi di cosa ciò avrebbe comportato.
Probabilmente Arlene era solo invidiosa, probabilmente intuiva che la forza di Merian ben presto sarebbe aumentata eguagliando, e forse superando, la sua.
Allora perché si sentiva così in colpa?
Uscì allo scoperto lasciandosi Arlene alle spalle, sentendo gli occhi della donna puntati su di lei come fossero state spade, ma non si voltò a guardare.
Il nemico era ormai sconfitto, qui e là i pochi Figli rimasti combattevano senza speranze, il solo orgoglio a tenerli in piedi. Le ultime fiamme si stavano spegnendo e anelli di fumo danzavano nell'aria, rendendo pressoché impossibile scorgere i dettagli della battaglia che stava velocemente volgendo al termine. Delusa per non avervi partecipato, Merian si avviò in direzione di Neal occupato in un duello con l'ultimo uomo rimasto in piedi.
Le si gelò il sangue nelle vene.
Mosse d'istinto le mani e la spada del nemico volò dalla presa. L'uomo sgranò gli occhi sorpreso, ma Neal non si preoccupò di farsi domande e fece per sferrare il colpo di grazia. Anche la sua spada volò via.
Merian si avvicinò ancor più e, prima che i due uomini venissero alle mani, bloccò il Manto Bianco facendolo cadere a terra, irrigidito. Soltanto gli occhi si muovevano, saettando terrorizzati da lei a Neal che incombeva su di lui come una minaccia di morte.
«No!» ordinò Merian impercettibilmente. A Neal bastò per fermarsi.
Sentì Elsa avvicinarsi.
«Un prigioniero? E' questo che vuoi ragazza?» La donna sembrava eccitata all'idea.
Merian non le prestò ascolto, era troppo presa dall'uomo che aveva di fronte.
Gli occhi slavati privi di espressione, la pelle così chiara da sembrare trasparente, erano dettagli che ricordava fin troppo bene.
«Non sorridi più adesso, eh Jora?» Merian liberò la bocca dell'uomo dai flussi di Aria per farlo parlare.
«Tu! Stupida puttana, sapevo che ti saresti immischiata con la tua stessa feccia prima o poi. Avrei dovuto fotterti quando potevo!» L'uomo sogghignò, e Neal si avvicinò per colpirlo.
Merian lo precedette.
L'aria attorno a Jora risuonò del rumore secco di un ramo spezzato dal vento e il viso dell'uomo scattò violentemente di lato per quanto forte Merian lo colpì. Fili di Aria invisibili si muovevano a suo comando, e il potere di infliggere punizione e dolore a chi l'aveva fatto prima a lei la faceva sentire come il Creatore stesso.
Siadon e Thea comparvero ai margini del suo campo visivo e, senza voltarsi, si rivolse all'Incanalatore.
«Quest'uomo,» disse indicando un piagnucolante Jora, «potrà dirci come entrare a Jenjii, come superare le guardie dei Manti Bianchi e come salvare la mia amica.» Si voltò verso Siadon. «Dicevi che era una follia anche solo pensare un'incursione in una città dei Manti Bianchi. Ebbene, adesso abbiamo la possibilità di farlo. Sei ancora di quell'idea?» Incrociò le braccia determinata, guardando Siadon che scioccato la osservava senza parole.
Una risata gracchiante li fece voltare tutti verso l'uomo a terra.
«Dovete essere davvero pazzi se pensate di poter entrare a Jenjii, e ancor più se credete di poter salvare qualcuno. Non c'è più nessuno da essere salvato.» La voce sprezzante e carica d'odio fece innervosire Merian, e si preparò a scagliare un'altra tessitura.
«Adesso basta,» dissero in coro Siadon e Arlene, avvicinatisi poco prima senza che Merian se ne fosse accorta.
I due si scambiarono una fugace occhiata, ma Siadon andò verso Jora e si inginocchiò di fronte all'uomo, non prima di aver rivolto uno sguardo ammonitore a Merian.
«Sei nostro prigioniero, e ai prigionieri è concesso parlare solo quando è richiesto loro. Se non vuoi sperimentare davvero cosa sia il dolore, ti consiglio di chiudere quella fogna e cominciare a fare quanto ti viene detto. Sono stato chiaro?»
L'uomo, terrorizzato, fece di sì con la testa senza distogliere lo sguardo da quello di Siadon, quasi ne fosse stato catturato. Siadon si alzò e si rivolse a Merian in tono autoritario.
«Rilascialo quanto basta perché cammini, ce ne torniamo al campo.» E poi, cambiando completamente tono e accennando a Thea sorridendo, aggiunse: «Stasera abbiamo da festeggiare.»



Siadon

La sala era gelida, ogni volta che espirava poteva intravedere un sottile velo di condensa salirle davanti agli occhi e scomparire nell'oscurità che li circondava. Le avevano insegnato ad ignorare il freddo, così come le avevano insegnato ad ignorare molte cose, prima tra tutte l'empatia. Quella maledetta notte di tre nni prima, al suo villaggio natale, vedere la sofferenza sui volti dei suoi rapitori l'aveva distrutta. Quegli occhi sgranati che si spegnevano lentamente l'avevano perseguitata per un tempo che le era parso durare l'eternità. Persino dopo mesi di vita nel monastero le capitava di svegliarsi sopraffatta dal panico. Pensandoci ora provava uno strano senso di affetto, di intima complicità con quella ragazzina piena di paure. Ricordava bene il terrore provato, mentre nell'oscurità della sua stanza cercava di pulirsi le mani da sangue che non poteva esistere ma che sentiva comunque colare tra le sue dita, caldo e viscido come quella notte.
«L'hai amata?» Sorella Arilde ruppe il silenzio, obbligando Thea a concentrarsi. Era il primo interrogatorio a cui partecipava come Sorella. Ne aveva subiti diversi, ogni volta che era tornata al monastero, e da adepta ne aveva osservati alcuni ma questa volta avrebbe dovuto giudicare un Fratello. O meglio, un ragazzo che doveva dimostrare di essere ancora un Fratello, di non aver tradito la Setta durante la sua ultima missione.
Era seduto proprio davanti a lei, circondato da candele che permettevano di osservare ogni sua espressione e ogni suo movimento. Anche lui sapeva come ignorare il freddo ma non era tanto stupido da impedire ai propri muscoli di contrarsi periodicamente per scaldarsi un minimo. Era legato a dorso nudo, alcune ferite sul petto testimoniavano quanto fosse stato duro l'interrogatorio. Non capitava spesso di ricorrere alla violenza per riconoscere l'onestà di un Fratello ma quel ragazzo era l'unico assassino tornato vivo dall'ultima missione, dovevano assicurarsi della sua lealtà.
Thea, Arilde e due Fratelli erano in piedi, liberi di camminare per scaldarsi e per cercare di innervosire l'interrogato. Delle candele sparse svelavano alcuni dettagli nella sala, pietre del pavimento, catene arrugginite appese ad una trave, un vecchio tavolo dal piano infossato, una frusta e alcune cinghie appoggiate ad una sedia. L'oscurità avvolgeva tutto il resto, l'oscurità e il freddo.
«No» rispose il ragazzo senza tradire alcuna incertezza. A dire il vero senza tradire proprio nulla, Thea non avrebbe saputo descrivere quel tono.
«E cosa hai provato uccidendola?» continuò Arilde sinceramente curiosa.
«Dolore. Senso di colpa e tanto dolore» la sua voce era bassa, triste. Thea si rese conto di aver trattenuto il respiro nell'attesa di quella risposta. Non conosceva bene quel ragazzo, Siadon. Sapeva che era stato un assassino per anni prima di entrare nel monastero ed era curiosa di sapere cosa provava, se dopo tutto quel tempo fosse ancora in grado di provare emozioni.
«Più dolore rispetto a tutti gli altri del suo gruppo?» Questa volta era stato un Fratello a porre la domanda. Giocava con una cinghia di cuoio, arrotolandosela stretta attorno alla mano. Il tono era incalzante e carico di minacce, come se avesse trovato una crepa nel racconto di Siadon e volesse sfruttarla per farlo crollare. Thea si concentrò sui lineamenti del ragazzo, doveva capire se stava mentendo o meno.
«Sì» rispose Siadon senza un attimo di esitazione, come se fosse naturale.
«Ma prima hai detto di non averla amata.» Sentenziò il Fratello, calando con un movimento elegante la striscia di cuoio. Il rumore secco risuonò tra le mura, coprendo il gemito di dolore di Siadon.
«Hai provato a nasconderci qualcosa?» Arilde aveva un tono deciso, freddo come la conseguenza di una menzogna durante un interrogatorio. Nessuna menzogna, pena la morte.
«No. Se l'avessi amata non sarei stato in grado di ucciderla.»

Thea si sorprese a canticchiare mentre ricordava quel giorno. Poco dopo l'imboscata si era allontanata per lavarsi e aveva trovato un ruscello che creava diverse pozze limpide e poco profonde. Si era tolta i vestiti osservando con rabbia alcuni strappi e le numerose macchie per poi tuffarsi, prima che il pensiero di doverli pulire e indossare per il suo matrimonio la deprimesse. L'istante successivo stava galleggiando nel centro del laghetto, osservando distrattamente le fronde degli alberi che le permettevano di vedere solo piccole porzioni del cielo, rosso per il tramonto. Continuava a ripensare a quei momenti, alla sua disperazione mentre cercava di uccidere l'uomo che amava ma che credeva perduto. All'implacabile desiderio di farla finita. E poi l'impossibile speranza nel vederlo tanto disorientato da non riuscire a difendersi. E infine alla gioia più pura nel sentire quelle parole. Nessuno le aveva mai detto una cosa tanto dolce, ancora tremava. Luce, forse non era molto dolce parlare di morte e accoltellamenti durante una dichiarazione d'amore ma sentirla l'aveva fatta sciogliere. Era suo. Suo e di nessun altra. La amava e così sarebbe stato anche nelle prossime vite. Quelle vere, quelle pure, non corrotte come questa. Siadon era molto bravo a mentire ma nemmeno lui poteva comandare il suo istinto durante un combattimento. Aveva provato a colpirla con l'elsa del pugnale, con la lama sarebbe stato più semplice, forse ci sarebbe persino riuscito ma aveva usato l'elsa. Nemmeno agendo d'istinto riusciva a farle del male. La amava davvero, non era una menzogna. Come aveva dichiarato durante quell'interrogatorio anni prima, Siadon non era in grado di uccidere la donna che amava.
Thea sorrise, godendosi il calore di quell'emozione tanto intensa da stordirla. Non ricordava di essersi mai sentita così in tutta la sua vita. Rise e pianse di gioia rischiando più volte di inspirare l'acqua che le entrava in bocca ogni volta che la apriva. Voleva che quel momento non finisse mai, voleva che Siadon fosse lì con lei, voleva sentire la sua voce e le sue labbra. Desiderò che tutto il mondo andasse in frantumi, che la Luce e l'Ombra si distruggessero a vicenda. Avrebbe danzato sulle loro ceneri se fosse stato quello il prezzo da pagare per stare sola con lui. Ora poteva capire il senso del rituale e sperava con tutto il cuore che non fosse solo una leggenda. Non poteva essere solo una leggenda. La Luce e l'Ombra, entrambe se ne sarebbero pentite amaramente se una volta morto il suo corpo, la sua anima fosse stata allontanata da quella di Siadon. Quell'uomo era suo, nemmeno la morte glielo avrebbe portato via. Lei era la morte.
Tossì per sputare l'acqua che le stava scendendo nei polmoni, dimenandosi per riprendere l'equilibrio e riuscendo infine a toccare il fondo sassoso con i piedi. Continuò a ridere tra un colpo di tosse e il successivo, divertita dalla propria stupidità. Riprendendo fiato si avvicinò alla riva per sedersi su un masso immerso, l'acqua le arrivava poco sotto ai seni e i capelli sciolti le parvero un ammasso di alghe nere alla deriva. Sospirando iniziò a raccoglierli e a preparare la tessitura che usava ogni giorno per sistemarli, doveva sbrigarsi.
Devono essere perfetti, mi sto per sposare! Pensò sorridendo.

Tutto il resto può bruciare. Pensò Siadon mentre osservava Thea avvicinarsi. Era splendida. Nell'oscurità della sera il chiarore del fuoco le illuminava il volto, le ombre proiettate dalle fiamme sembravano giocare coi suoi lineamenti, evidenziando ogni espressione prima di confondersi col nero dell'abito. Lo raggiunse con movimenti tanto fluidi da sembrare una danza, si fermò a meno di una spanna dai suoi piedi e lo fissò con lo sguardo più intenso e luminoso che avesse mai visto. Era parecchio più bassa di lui, gli arrivava al petto, eppure era come se si stessero guardando dalla stessa altezza. Avrebbe voluto abbracciarla, stringerla e per qualche motivo piangere, anche se non provava alcun dolore.
«Da dove iniziamo?» la voce di Elsa, in piedi a due passi da loro, li riportò alla realtà. Tomas era al fianco della Soralla e li guardava divertito mentre gli altri erano sparsi lì attorno. La maggior parte era radunata alle loro spalle, Siadon non li vedeva ma ascoltando i movimenti poteva intuire il loro disagio e la loro curiosità.
Come reagiranno? Sarà molto diverso dalle tradizioni che conoscono... Ma che importa, reagiscano pure come credono.
Elsa stava guardando uno ad uno tutti i presenti con occhi assenti, per quanto ne sapevano quella era la prima volta che degli estranei assistevano ad un matrimonio di quel tipo. Siadon immaginò che la Sorella stesse riflettendo sulle parole giuste da usare.
«Sì, credo che viste le circostanze potremmo saltare l'introduzione. In fondo non siamo... in un luogo sacro. Dunque, vediamo se mi ricordo...» Elsa li guardava con occhi spalancati, sembrava davvero emozionata.
«Conosciamo cosa ci aspetta» le suggerì Thea sottovoce
«Giusto! Thea, Siadon, mi avete chiesto di celebrare la vostra unione secondo l'antico rito della... nostra gente, davanti... ai testimoni qui presenti. Conoscete le conseguenze di tale vincolo? Siete disposti a sopportarle nelle vite e nelle morti fino alla fine dei tempi?»
«Sì» risposero in coro
«Bene... allora iniziamo» Elsa porse a Thea un lungo pugnale e a Siadon una benda. L'assassina lo impugnò con naturalezza, appoggiando la lama sull'altro palmo. Senza staccare gli occhi da quelli di Thea, Siadon coprì l'arma con la mano destra, incastrando le dita con quelle di Thea mentre con la sinistra avvolgeva la benda attorno ai polsi stringendo forte. Fortunatamente la lama non era troppo affilata, non si erano ancora tagliati. Siadon sorrise al pensiero che poco prima Elsa gli aveva proposto di usare alcuni strumenti ben più dolorosi al posto del pugnale, a suo dire era una specie di consuetudine nella Famiglia ma l'assassino era più propenso a credere che fosse un'invenzione della mente sadica della Sorella. Alla fine Thea era riuscita a convincerla che un semplice pugnale poteva bastare. Sentendo la fredda lama sotto al palmo ebbe il sospetto che potesse esserci del veleno ma confidò nella scarsa pratica di Elsa nel fabbricarselo da sola.
Un reticolo luminoso apparve attorno alla fasciatura che nascondeva le mani. Elsa l'aveva creato per permettere ai due sposi di incrociare le loro tessiture. Siadon attinse alla Fonte al limite delle sue capacità, dirigendo i flussi in un intreccio piuttosto semplice ma al tempo stesso alieno e all'apparenza privo di utilità. Nella Setta avveniva raramente che due assassini si innamorassero, secoli prima le relazioni sentimentali erano addirittura vietate. Ogni tanto però capitava e tutte le volte parecchi Fratelli e Sorelle venivano uccisi, durante la fuga degli amanti oppure dando loro la caccia. Alla fine la Famiglia trovò un compromesso, un rituale in grado di unire le anime così che nelle vite successive i due innamorati potessero godersi quello che l'esistenza da assassini Maledetti gli aveva negato. Purtroppo nessuno era in grado di assicurare che funzionasse davvero ma ogni Fratello e ogni Sorella che si era sposata era pronta a giurare che fosse così. Ora Siadon poteva intuirne il motivo, DOVEVA essere così, altrimenti qualcuno l'avrebbe pagata cara.
La tessitura aveva preso la forma tramandata per generazioni, ne sentiva la forza nelle ossa e percepiva la presenza di qualcos'altro premere e fondersi con i suoi flussi, Saidar. Quasi non si accorse del bruciore alla mano, Thea aveva estratto il pugnale e le bende si stavano rapidamente tingendo di rosso. Secondo le leggende il loro sangue si stava mischiando alla tessitura. Siadon non era sicuro di quanto stesse accadendo, si rese conto di non sentire più alcun rumore. Non era un silenzio normale, era l'assenza assoluta dei suoni. Anche gli altri sensi persero di efficacia, non sapeva dov'era e nemmeno quando. Non ricordava nemmeno dove fosse stato poco prima, il concetto stesso di "prima" sembrava sbagliato. L'unica certezza era una presenza, la riconobbe subito. Qualcosa in lui provò a darle un volto ma si rese conto di quanto il tentativo non avesse senso, le forme non servivano, sapeva chi era. Ne sentiva i pensieri, le emozioni e percepiva i confini di quell'essenza fondersi con la propria. Era doloroso, intimo, intenso e magnifico.
Dopo, quanto dopo non avrebbe saputo dirlo, pochi minuti o un'eternità ma ad un certo punto una realtà diversa iniziò a sovrapporsi a quella fatta di vuoto e presenze. Tornarono i rumori del bosco, la debole luce del fuoco, gli odori, le voci e il volto di Thea davanti al suo. E il dolore. Sentiva una miriade di spilli ardenti conficcati nelle ossa e nei tendini, non urlò solo perché non c'era aria nei suoi polmoni.
«Congratulazioni?» la voce di Elsa era distante, Siadon non riusciva a mettere bene a fuoco il volto della Sorella ma sembrava parecchio perplessa. Cercò di respirare lentamente mentre Thea lo abbracciò per sorreggersi. Finirono a terra entrambi.

continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di mercutia - su EFP
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 31
*** Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte decima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 3: L'Ombra della Profezia [parte decima]

Merian Elen Syana

Le piccole luci scintillavano senza sosta in quell’oceano nero senza confini, qualcuna più luminosa, altre fioche e distanti.
Tutte significavano però la stessa cosa: sogni.
Ogni uomo, donna o bambino in qualunque parte del mondo che in quel preciso momento era intento a dormire, era a lui rivelato nel Mondo dei Sogni da ogni singolo globo luminoso.
Non fu difficile trovare ciò che cercava.
Si mosse con la sicurezza di chi ha la conoscenza in tasca, librandosi nell’aria immota come fosse senza peso, e si diresse verso la fonte di luce che aveva imparato a conoscere negli ultimi mesi.
Imprecò prima ancora di avvicinarsi, ben sapendo cosa vi avrebbe trovato, e maledicendo se stesso per non avervi posto rimedio prima.
Quella ragazza mi farà ammattire, pensò calcandosi ancor più il cappello sugli occhi. L’abitudine a nascondersi non era diminuita negli anni. A che scopo, poi? In quel maledetto Mondo dei Sogni non c’era mai nessuno se non per pochi attimi, non una persona con cui giocare a dadi, bere del buon vino, e perché no, una bella ragazza con cui ballare fino a farsi girare la testa.
Ah, bei tempi andati! Quanto gli mancava il baccano del mondo, persino le dannate Aes Sedai gli mancavano! Come si chiamavano adesso? Poco importava, le cose in fondo non erano poi tanto cambiate dall’ultima volta che era stato lì fuori: Incanalatori braccati, bestie dalle sembianze umane che uccidevano indistintamente, il Tenebroso che voleva uscire dalla sua prigione, e il Drago Rinato che con l’aiuto dei suoi sfortunati amici doveva cercare di salvare la situazione, sempre che prima non avesse distrutto metà delle nazioni da solo.
A pensarci bene non stava poi tanto male dove si trovava ora. Difficilmente qualcuno voleva ucciderti nel Mondo dei Sogni, e in ogni caso, nessuno poteva farlo se eri già morto. O forse sì? Ricordava qualcosa in proposito, una donna tempo addietro gliene aveva parlato, ma i ricordi di altre vite erano così confusi nella sua memoria, che non sapeva più cosa fosse realtà e cosa frutto della sua immaginazione.
Non aveva tempo di occuparsene ora, doveva parlare con Merian e farla cominciare a ragionare, anche a costo di prenderla a sculacciate!
Le piaceva quella ragazza, e molto anche - e forse non avrebbe dovuto pensare a ballare con altre donne anche se non ci vedeva nulla di male - ma il loro era un rapporto complicato, e non solo perché lui era rinchiuso in quel maledetto posto dimenticato dal Creatore! Con tutte le donne che avrebbe potuto conoscere – bè, forse non troppe considerato dove si trovava – gli era capitato un’Incanalatrice!
Un’Incanalatrice!
Il Disegno sapeva essere davvero ironico alle volte!
Imprecò di nuovo e tirò fuori i suoi preziosi dadi - almeno quelli non se ne erano andati – li lanciò in aria mormorando parole ormai note solo a lui, e si lasciò attrarre da quel puntino luminoso che era Merian.
Non era semplice entrare nel sogno di qualcun altro, lo aveva imparato a sue spese. Se non facevi attenzione potevi ritrovarti nel peggiore degli incubi che una donna potesse inventare.
E le donne sapevano concepire ogni genere di stranezza quando avevano a che fare con gli uomini.
Rabbrividì al ricordo di una delle sue avventure passate, sorridendo però malizioso ripensando alla bella rossa che aveva incontrato: nonostante tutto ne era valsa la pena! Si schiarì la gola riportando l’attenzione alla realtà … o al sogno che in quel momento rappresentava la realtà, o forse era tutto un sogno e di reale non c’era nulla…
«Ah lascia perdere Matrim Cauthon!» Disperse l’argomento con un cenno della mano e si avvicinò alla donna addormentata dolcemente su un ampio letto a baldacchino, circondato da soffici veli color lavanda. Ai suoi piedi si trovava un piccolo cane dal pelo scuro che alzò lo sguardo su Mat leccandosi una zampa con aria noncurante. Non sapeva perché ma quel semplice gesto gli fece venire la pelle d’oca. Per tutta risposta nelle mani gli comparve la sua preziosa amica di battaglia: la lancia dal manico scuro che aveva avuto in dono molto tempo addietro. Non che avesse potuto aiutarlo molto in uno scontro con veri propri incubi, ma averla vicino lo rassicurava. Merian si svegliò non appena l’uomo mosse un piede verso il letto e tutto scomparve, tutto tranne il cane. A un secondo sguardo vide che in realtà si trattava di una volpe, e aveva l’aspetto acciaccato di chi ne aveva viste tante ma che nonostante tutto stava ancora in piedi a combattere. Un sorriso compiaciuto gli sfiorò le labbra e l’arma gli scomparve dalle mani.
«Sto ancora sognando?» chiese Merian non appena vide l’uomo.
Mat cercò di non apparire troppo soddisfatto e si concentrò su quanto era venuto a fare, assumendo l’espressione più seria che riuscisse a fare.
«Sì e no,» rispose titubante. Era la prima volta che entrava nei sogni di quella donna e non sapeva proprio cosa poteva aspettarsi, doveva essere cauto altrimenti chissà quale genere di pensieri avrebbe potuto realizzare in quella sorta di realtà sognante!
«Che diamine ti è saltato in testa?» sbraitò allargando le braccia in un gesto eclatante.
Lei lo guardò con quella sua aria innocente, quasi non sapesse di aver commesso delle assurdità.
Le donne!
«Sai bene a cosa mi riferisco,» riprese Mat senza attendere risposta. «I vostri quattro nuovi compagni di imboscate! Sono pericolosi Merian, soprattutto quell’uomo… come si chiama…»
«Siadon!» lo interruppe la donna incrociando pericolosamente le braccia sul petto.
«Ecco, vedi? Se non passassi troppo tempo con lui non sapresti a chi mi riferisco!»
L’altra ignorò il commento.
«Che cos’hai contro Siadon? Lo ammetto è un po’ strano - lo sono tutti loro in effetti - ma mi sta insegnando molto sul Potere, cose che da sola non riuscirei mai a imparare.»
«E’ proprio questo il punto. Non è necessario che tu lo faccia, non con quest’uomo poi! Il Potere è pericoloso.»
«Io sono un’Incanalatrice Lord Mat,» disse sprezzante, «farai bene ad abituarti!»
Mat deglutì sonoramente e cercò di non pensare alle implicazioni di quella frase.
«Ci sono molti tipi di Incanalatori, non puoi fidarti del primo che incontri sul tuo cammino. Credimi, non è quello che sembra.»
«E tu come fai a saperlo? E soprattutto, come fai a conoscerlo?»
Secondo Rohedric quell’uomo rappresentava un pericolo, e lo stesso valeva per i suoi strani amici, ammesso che fossero davvero amici. Il suo istinto non si era mai sbagliato finora e Mat non vedeva perché dubitarne ora, quando in effetti anche lui nutriva forti sospetti su quel gruppo male assortito.
Come dirlo a Merian però?
Entrava nei sogni dell’uomo da quando aveva lasciato Hamadrelle e, per ragioni estranee a Mat, Rohedric aveva preferito mantenere la cosa segreta. Non poteva di certo tradirlo proprio ora.
Dannate donne, pensò imprecando tra sé, perché devono essere tutte così dannatamente testarde?
«Lo so e basta,» rispose cercando di mantenere un certo contegno. Sangue e ceneri, sembrava una dannata Aes Sedai!
«E questo dovrebbe bastarmi?»
Quanto era cocciuta!
«Conosci quell’uomo da quanto… tre giorni? E gli hai praticamente affidato la tua vita, mentre invece dubiti della mia parola!» La sua faccia sconvolta colpì nel segno: la ragazza ora sembrava seriamente dispiaciuta.
Mat represse un sorriso soddisfatto.
«Mi dispiace Mat, non intendevo offenderti ma…»
Non gli piacevano i “ma”, non portavano mai a niente di buono.
«Ma,» proseguì la ragazza, «penso che tu sia solo preoccupato per me, come Rohedric e probabilmente qualunque persona al mondo! Apprezzo ciò che volete fare, sul serio, ma accidenti non sono una stupida! So bene che c’è qualcosa di strano in Siadon e i suoi amici ma credo, lo sento, che in qualche modo posso fidarmi di loro. Ti prometto che starò attenta ma ti chiedo di fidarti di me e del mio giudizio.»
Quello sguardo! La ragazza aveva imparato fin troppo presto a usare le arti che il Creatore le aveva donato. Come poteva rimanere impassibile davanti a quel viso angelico dalla forma perfetta, e quegli occhi così puri e limpidi?
«Ah…» sospirò sapendo di avere perso la battaglia. «D’accordo ragazza, ma cerca di tenere gli occhi aperti non solo per guardare quel bel giovane!»
Merian arrossì più per la rabbia che per l’imbarazzo, e cominciò a borbottare stizzita cercando di giustificarsi.
Sangue e ceneri, pensò Mat, ma perché diamine le conversazioni con le donne devono sempre finire in discussioni?

«Che cosa hai fatto ragazza? Che cosa hai fatto?»
La domanda aveva continuato a martellargli nella testa anche dopo essersi svegliata, e i ricordi erano annebbiati come quelli di chi ha dormito troppo e male. Il sogno di quella notte le aveva lasciato un forte amaro in bocca e le parole di Mat, insieme alla delusione che vi aveva letto negli occhi, l’avevano scombussolata più di quanto fosse disposta ad ammettere. Ricordava di avere discusso di Siadon e il suo gruppo, ma poi l’attenzione si era spostata su Tomas e la gelosia lampante di Mat. Come erano potuti arrivare a litigare?
E di che cosa avrebbe mai potuto incolparla?
«Tutto bene?» La voce rassicurante di Tomas prese posto di quella accusatoria di Mat e il sollievo che ebbe nel sentirla la fece sentire in colpa.
«Credo solo di aver fatto un brutto sogno, nulla di più.» Non voleva esporsi troppo raccontando cose di cui avrebbe potuto pentirsi, ma il ragazzo la scrutava in modo fin troppo sospettoso. O più probabilmente era solo la sua impressione. Da quando era diventata così paranoica?
«Bevi questo,» le disse porgendole il solito intruglio contro il mal di testa di Ariel, «la vostra erborista dice che ti farà bene.»
Come faceva la donna a sapere che aveva la mente in fiamme? Aveva la sensazione di essersi persa qualcosa.
La sera dell’imboscata Siadon aveva annunciato nello stupore generale che avrebbe sposato Thea, diventando suo Fratello-Marito, qualunque cosa volesse significare. Merian era rimasta piacevolmente colpita, in fondo se lo aspettava da quei due, ma Brienne quasi sembrava indispettita. Aveva passato la notte a brontolare e a imprecare contro gli uomini, spostando ripetutamente lo sguardo su Rohedric che parlava in lontananza con Ariel. Merian aveva smesso di chiederle perché mai non si facesse avanti: era una causa persa, il Tenebroso in persona avrebbe fatto prima a convertirsi alla Luce!
Quando Elsa le aveva proposto di usare uno dei suoi pugnali per la cerimonia, Brienne aveva risposto una cosa così oscena che persino Kain ne era rimasto scioccato, e per tutta la durata del matrimonio era rimasta in disparte a fissare i due innamorati come fossero stati due Trolloc.
Ricordava di aver pensato molto all’amore, a quanto potesse fare avvicinare anche i più spietati assassini e di aver pensato ai suoi genitori.
I miei genitori, mormorò a bassa voce sforzandosi di riportare alla mente gli ultimi avvenimenti della sua vita.
Presa dall’improvvisa malinconia che quel pensiero sempre le faceva affiorare, ricordava di essersi allontanata durante i festeggiamenti muovendosi distrattamente senza una meta. Senza accorgersene era arrivata all’albero a cui era stato legato il loro prigioniero. L’uomo era bloccato da flussi d’ Aria, ma per maggiore sicurezza Rohedric aveva voluto anche aggiungere un paio di corde per mani e piedi, oltre a un bavaglio per la bocca. Non vedere i legacci lo turbava, e come poteva dargli torto? Lei stessa non era in grado di vedere i flussi creati da Siadon, e sapere che esistevano al di là delle sue percezioni non la rassicuravano maggiormente.
Gli occhi hanno bisogno di vedere per dare alla propria mente l’illusione di comprendere.
Oltre a questo l’uomo era circondato da flussi che avrebbero avvertito Siadon se avesse tentato di scappare.
Jora aveva mugugnato qualcosa e Merian, riscossa dai suoi pensieri, aveva avuto la brillante idea di avvicinarsi, mossa dall’istinto di toglierli il bavaglio.
«Ancora convinta della tua folle missione ragazza?» L’uomo non sembrava più così volenteroso di insultarla dopo aver parlato con Siadon e Rohedric, ma non aveva comunque perso il sarcasmo nella sua voce.
«Troverò Eleanor e tutti quelli che avete catturato e li libererò, fosse l’ultima cosa che faccio!»
Jora aveva sorriso sarcastico, per niente colpito. Persino Merian aveva dubitato delle sue stesse parole.
«Era vero quello che dicevi? Che fingete di offrire protezione alle famiglie degli Incanalatori per ottenere i loro figli?»
Il Manto Bianco moriva dalla voglia di insultarla, glielo aveva letto negli occhi, ma la solitaria chiacchierata con Rohedric doveva essere stata vivida nella testa, perché si era limitato a rispondere senza la ben che minima traccia di volgarità nelle sue parole.
«Facciamo solo quello che riteniamo più giusto per il vostro bene e quello della popolazione.»
«Il nostro bene? Come potete ritenere che allontanarci dalle nostre famiglie sia un bene?» Merian si era sentita oltraggiata, aveva passato dieci anni della sua vita con persone riteneva fossero stati i suoi salvatori, gli unici in grado di riuscire a vedere la Luce e potergliela offrire. E invece…
«E cosa credi che dovremmo fare,» aveva proseguito il Manto Bianco, «lasciarvi liberi di ammorbare il mondo con le vostre stregonerie? Come potete voi ritenere di poter vivere in mezzo ai vostri cari sapendo quanto pericolosi siate? Hai visto quello che si può creare con il Potere, pensi davvero che sia così innocuo?»
«Non siamo tutti assassini, non ci divertiamo a usare il Potere per uccidere…»
«Ah no?» Il tono di Jora era stato sarcastico, era davvero convinto delle sue idee, Merian aveva dovuto concederglielo.
«Se non sbaglio anche solo una settimana fa eri certa della stessa cosa Niende.> Merian non aveva risposto, ultimamente si era sentita confusa, turbata. Troppe informazioni, troppe facce nuove… a volte non sapeva più da che parte stare, si sentiva come una molla tirata da una parte all’altra che non riusciva mai a rimanere per più di un istante nello stesso punto.
«Ma che bisogno c’è di minacciarli?» chiese riportando il discorso sulle famiglie di chi, come lei, era stato portato via con offerte di false speranze di salvezza.
«Se vuoi ottenere qualcosa,» disse Jora in un tono da predicatore, «qualcosa che vale la tua vita, allora devi imparare a sporcarti le mani. Il Creatore ci chiede molti sacrifici, Niende, e noi non possiamo voltargli le spalle nel momento del bisogno, tienilo sempre a mente. Se vuoi essere salvata devi seguire la via della Luce, e solo noi possiamo indicarti la strada. Quelli che tu adesso chiami amici, i tuoi nuovi salvatori, è di loro che devi diffidare. Non importa quanto ci vorrà e cosa ci verrà richiesto, ma per il bene della Luce estirperemo ogni foglia avvizzita che troveremo sul nostro cammino, con qualunque mezzo necessario.»
Le parole di Jora l’avevano turbata non poco, e quella notte stessa era andata a cercare Rohedric per potergli parlare. Non avrebbe voluto disturbare Siadon - l’uomo era ancora preso dai festeggiamenti del matrimonio e per una volta lui e Thea sembravano divertirsi - ma quando li aveva visti in un angolo insieme a parlare si era allontanato furtivamente e unito ai loro discorsi. Quello che era venuto fuori non era piaciuto a Rohedric ma aveva arrovellato il cervello di Merian per tutto il giorno seguente.
«Per la Luce!» mormorò la ragazza non appena tutto le fu chiaro. Gli occhi azzurri di Tomas la scrutarono interrogativamente e con preoccupazione, e per un fugace istante le venne voglia di abbracciarlo per rassicurarlo. A Mat non avrebbe certo dato fastidio…
Con enorme sforzo ignorò quello sguardo e diede di nuovo la tazza, ormai vuota, a Tomas. Mancava ancora qualche ora allo spuntare del sole, per cui si sdraiò nuovamente sul giaciglio per riflettere. Tomas continuava a chiederle se stesse bene, e Merian continuava a rispondergli di sì, la stanchezza ormai passata.
La giornata precedente era stata faticosa infatti: gli allenamenti con Siadon erano stati più duri del solito - senza contare quelli precedenti la battaglia - e ogni parola con Rohedric era finita in discussione. Era arrivata alla sera più spossata che mai, tanto che il suo corpo aveva perso d’improvviso le forze e si era ritrovata persa nel Mondo dei Sogni senza nemmeno accorgersene. Mat era venuto a trovarla e aveva minacciato di sculacciarla per il suo comportamento, ma questo non aveva niente a che fare con quanto era accaduto in seguito. L’uomo se ne era andato e il sogno era sfumato in una delle sue visioni, ora l’aveva compreso. Mat era presente anche lì, ma ora l’uomo aveva in mano una strana arma - il manico scuro aveva delle incisioni in una lingua a lei sconosciuta - e parlava arrabbiato, accusandola di avere ucciso un uomo, di essere un’assassina. Continuava a ripeterle la stessa domanda: che cosa hai fatto?
E lei continuava a rispondere: la cosa giusta.



Siadon

«Mi gira la testa...» disse Thea ridendo, mentre prendeva posto sopra una coperta. Siadon la aiutò a sistemarsi, per tutta la notte non avevano fatto altro che cantare e ballare. E bere anche. Fortunatamente i Manti Bianchi che avevano aggredito erano pronti a seguirli per giorni, altrimenti il loro banchetto nuziale sarebbe stato alquanto leggero.
Prese posto accanto alla donna, ammirandone i lineamenti al chiarore del fuoco. Lei lo accarezzò con una mano.
«Ti sento...» sussurrò Thea ad occhi chiusi, col volto illuminato dal più bel sorriso che Siadon avesse mai visto «Ora so cosa mancava prima, lo senti anche tu vero?»
Era una sensazione nuova, indescrivibile. Era come se nel suo corpo non ci fosse più soltanto lui. C'era qualcos'altro e in qualche modo poteva identificare Thea in quella sensazione.
«Sì» la baciò «dove sei stata fino ad oggi?»
«Mio» lo trascinò verso il basso, obbligandolo a sdraiarsi al suo fianco «Mio per sempre.»
Si addormentò subito dopo, accoccolata nel suo abbraccio. Siadon rimase a fissare le fiamme per molto tempo, godendosi ogni momento senza pensare a nulla in particolare.

Si svegliò ben dopo l'alba, impiegando diverso tempo prima di capire che Thea stava solo fingendo di dormire. La assecondò volentieri, inebriandosi del suo profumo mentre la accarezzava lentamente.
Forse in fin dei conti questa maledizione serve a qualcosa. Pensò divertito. Gli ultimi giorni erano stati piuttosto duri, i loro vestiti lo testimoniavano abbastanza chiaramente, eppure Thea era in ordine e profumata come una giovane nobile in un giorno di festa.
«Che teneri!» Elsa era in piedi di fronte a loro, con un sorriso tanto radioso da preoccupare Siadon. Quella donna era folle ma a volte accentuava di proposito la sua pazzia, per fini che solo lei poteva capire. «Come state? Vi sentite... bene?» Si inginocchiò sedendosi sui talloni al loro fianco.
Thea si stirò, mugugnando un «ti odio»
«Stiamo molto bene Sorella Elsa, grazie per aver celebrato il matrimonio. Le nostre anime ora sono legate... lo possiamo sentire»
Per un istante gli occhi di Elsa tradirono una lucida felicità «Vi ho portato dei regali. Ecco»
Siadon rimase a fissare i due sassi che la Sorella teneva sul palmo, senza riuscire a formulare una risposta. Erano due piccole pietre bianche levigate, osservandole meglio si potevano scorgere delle venature rosa e celesti.
«Grazie... sono bellissime» fu tutto quello che Siadon riuscì a dire mentre Thea apriva finalmente gli occhi, cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Vero? Le ho trovate stamane nel fiume. Vi assomigliano!» Elsa continuava a spostare lo sguardo dalla sua mano a loro due, come per confrontarli con le pietre.
«Io quale sono?» chiese Thea sorridendo incuriosita
«Hmm...» Elsa prese una pietra per studiarla da vicino «Sì, questa!» rispose infine porgendola a Thea.
«Ah... grazie!» fece lei rigirandola tra le dita, cercando di capire se ci fosse qualcosa di sensato che le stava sfuggendo.
«Quindi io sono quest'altra?» Siadon era perplesso quanto Thea ma non voleva deludere Elsa. Inoltre era pur sempre il loro regalo di nozze, per quanto assurdo potesse apparire.
«Sì» rispose Elsa allungando la mano «Mentre la corrente li faceva rimbalzare da tutte le parti, questa continuava a rincorrere Thea. Una volta sono finiti in mezzo ad altri sassolini simili, quando poi il torrente ha spazzato la pietra hanno ricominciato a correre da soli per la loro strada.»
Colto alla sprovvista Siadon non riuscì a dire nulla. Provò per alcuni momenti a formulare un pensiero sensato ma ben presto vi rinunciò, abbracciò Elsa e la baciò su una guancia. Thea lo imitò subito dopo, con le lacrime agli occhi. Il regalo della Sorella andava ben oltre i sassi, aveva usato la pazzia per mascherare quello che non avrebbe mai potuto dire apertamente. Aveva suggerito loro di scappare, di rinunciare alla folle impresa e godersi del tempo assieme, da soli. Lei non li avrebbe seguiti, non avrebbe dato loro la caccia e probabilmente avrebbe persino cercato di proteggerli. Era un regalo proibito, inestimabile e per certi versi incomprensibile. Se un patto del genere fosse stato scoperto, avrebbe portato tutti ad una morte estremamente lenta e dolorosa. Nessuno nella Famiglia sarebbe stato disposto a rischiare tanto per un Fratello o per una Sorella. Nessuno a parte Elsa.



Altri fili nel Disegno

Quando il Principe del Mattino canterà il suo primo giorno alla Terra, prima che il caos laceri i simboli della Speranza riconosciuti dagli uomini, di scarlatto e d'umiliazione s'imbratterà il candore di colui che potrà decretare tra Luce o Tenebre il suo destino. Al fianco del Drago Rinato quando i Campioni dell'Ombra lottaranno per averlo, costui sceglierà a chi cedere Vittoria.
Tratto dal Ciclo Iss'kalo

fine del terzo capitolo...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di mercutia - su EFP
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 32
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte prima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte prima]

Altri fili nel Disegno

Zhol passò di nuovo la sua mano pelosa sulla parete. Soffice e umida: era ormai giunto oltre la dura roccia.
Bene, ci siamo quasi. Pensò.
Aveva fiutato la terra già da tempo, ma quella maledetta pietra era sembrata proseguire all’infinito. Lentamente, riprese a camminare, cercando di usare cautela. Il terreno qui era più instabile, come dimostravano alcuni cedimenti qua e là.
Pericolo, morte quei due pensieri istintivi cominciarono a girargli per la testa, facendolo quasi desistere, finché l’immagine del Senza Occhi non gli apparve nella mente. Si costrinse ad avanzare, pensando che la morte non sarebbe stata nulla a confronto del trattamento che gli avrebbe riservato se non avesse fatto un buon lavoro. Zhol temeva gli umani con il Potere, e anche i lupi, quando erano in branco, ma li odiava e li disprezzava al tempo stesso. I Senza Occhi erano diversi: loro erano carne della loro carne, le loro menti erano collegate, e talvolta le loro stesse vite. Zhol non avrebbe potuto provare odio, né disprezzo. Solo terrore. Ma come faceva il Senza Occhi ad apparire nella sua testa quando Zhol osava anche solo pensare di trascurare il suo lavoro? Stregoneria si disse, reprimendo l’istinto di nascondere la coda tra le gambe. Questi pensieri vergognosi gli provocarono un accesso d’ira.
«Io sono un Bhan’sheen, noi non abbiamo paura!» Grugnì rivolto all’oscurità.
Il buio era completo nella galleria, ma di quello Zhol non aveva timore. Le tenebre erano sue amiche: lo aiutavano ad essere furtivo nella caccia, proteggevano i suoi occhi dalla fastidiosa luce del sole. Nei cunicoli, Zhol era incapace di vedere, ma erano gli odori a guidarlo, il suo muso allungato gli conferiva l’olfatto migliore di tutta la sua squadra. Zhol non rimpiangeva di certo la luce del giorno, un ricordo ormai sbiadito di quando era un cucciolo. Quello che non poteva sopportare, però, anche dopo aver trascorso sotto terra gran parte della sua vita, era il calore opprimente. Ricordava con rammarico il vento freddo delle montagne dov’era vissuto brevemente, le distese di ghiaccio e neve: Zhol non era nato per vivere sotto la dannata terra, dove il caldo soffocante dei cunicoli a volte gli faceva venire voglia di strapparsi il pelo di dosso. Ma il tempo era vicino ormai, quando lui e i suoi fratelli sarebbero sorti dalla terra per sorprendere e uccidere gli umani, distruggere le loro stupide case, banchettare con le loro carni. L’immagine dell’imminente vittoria lo travolse, così potente da farlo vacillare per un attimo, lasciandolo con una brama irrefrenabile di carne umana. La caccia, giù nei cunicoli, non era certo soddisfacente: ratti, talpe e talvolta ci si doveva accontentare dei vermi. La galleria continuava a salire abbastanza regolarmente e, per ora, lo scavo aveva retto ovunque. Zhol si segnò mentalmente alcuni punti in cui con le mani aveva trovato dei cedimenti, più tardi avrebbe dovuto condurvici la squadra, con assi e travi per puntellare i tratti deboli. Dall’eco dei propri passi capì infine di essere arrivato alla fine dello scavo: il suo lavoro era terminato. Una volta puntellata questa galleria, avrebbero dovuto condurci di nuovo il Wurm per proseguire la loro lenta risalita. Mentre verificava al tatto la tenuta della parete di fondo, Zhol pensava con sconforto al duro e pericoloso compito di condurre i Wurm e sperava di non esservi assegnato di nuovo. Improvvisamente avvertì qualcosa di nuovo: una protuberanza dura e ruvida che sporgeva dalla parete. In un punto in particolare sembrava che i denti acuminati del Wurm l’avessero troncata, lasciandone un moncone penzolante. Zhol vi avvicinò il muso: umida, fresca, dolce... Una radice!
Un’incontenibile euforia lo scosse, facendolo grugnire d’esultanza: il cunicolo era completato, si trovavano ormai appena sotto al covo degli umani. Proprio in quel momento, un senso di stordimento lo colse: era il Senza Occhi. Zhol non sapeva quale stregoneria permettesse al Senza Occhi di comandarlo a distanza, ma odiava quella sensazione: era come se la propria mente venisse per un attimo controllata da qualcun altro, lasciandolo impotente perfino di pensare. I comandi trasmessi a quel modo erano molto semplici, anche se a volte un po’ vaghi e confusi. Questa volta il Senza Occhi lo stava richiamando verso il basso, con urgenza, e Zhol si incamminò spedito a ritroso lungo la galleria. C’era un senso di allarme in quel comando, ma la stregoneria usata dai Senza Occhi non permetteva di comunicare con più dettagli. Ad un tratto Zhol fiutò un suo fratello. Un pennuto. Quando fu più vicino riconobbe l’odore inconfondibile di Kral: uovo marcio misto a carne putrefatta. Sprovvisto di un olfatto fino come quello di Zhol, Kral non si accorse della sua presenza finchè i due non furono quasi a contatto.
«Dove diamine corri?», grugnì Zhol bloccando l’altro con una manata in pieno petto, «Maledetto idiota, non lo sai che questo tunnel non è ancora sicuro?».
Il gracchiare di Kral suonò ancora più stridulo del normale. «Il Wurm! E’ scappato! Dobbiamo fare crollare i cunicoli prima che il Wurm sbuchi fuori.»
Un Wurm incontrollato era un pericolo mortale per chiunque si trovasse sulla sua strada, ma ancora più grave era la possibilità che esso imboccasse le gallerie che salivano verso l’alto: continuando a scavare avrebbe potuto sbucare in superficie, rivelando agli umani la propria esistenza e quella dei cunicoli sotterranei. Senza un’altra parola, i due si misero a correre verso il basso, incuranti ormai del pericolo di crolli. Zhol sapeva che avrebbero dovuto fare collassare il tunnel, il più possibile lontano dalla superficie, in modo da disorientare il Wurm e fargli cambiare direzione. Per darsi coraggio Zhol cercò di convincersi di essere in caccia, anche se il Wurm non era certo una creatura da essere cacciata, anzi era più facile che accadesse il contrario. L’illusione svanì quando cominciò ad udirsi uno strusciare ritmico proveniente dal basso.
Maledetto bastardo... Viene proprio per questo cunicolo, pensò Zhol cupamente.



Dorian

Un terribile dolore alla testa lo paralizzò. Incapace di vedere e di reggersi in piedi, comprese a fatica di aver barcollato fino a trovarsi aggrappato alla parete di una delle case che si affacciavano su una delle vie principali di Calavron.
«Vi sentite bene? Signore? Signore?»
Una voce cercava un contatto con lui, mentre una stretta sicura gli aveva afferrato un braccio e cercava di scuoterlo. Dorian cercò maldestramente di divincolarsi, allungando più volte una mano nel vuoto nel tentativo di allontanare lo sconosciuto.
«Signore, vi serve aiuto?»
No. Voleva dirlo, ma non riusciva. Sentì piuttosto uscirgli un ringhio basso e profondo, che represse dopo poco non senza sforzo. Allungò ancora la mano in quella che poteva vagamente ipotizzare fosse la fonte della voce e finalmente vi trovò qualcosa da spingere via.
«Signore, voglio solo aiutarvi, non abbiate paura. Siamo a Calavron, qui non c...»
Dorian si accorse in ritardo di aver snudato i denti e aver ripreso un ringhio forte e minaccioso. Si affrettò a controllare di avere il cappuccio ben calato, lo strattonò più in basso che poteva e con la vista che tornava a brevi lampi, cercò di camminare lontano dal quel maledetto ficcanaso strisciando lungo la parete per potersi reggere in piedi.
La testa pulsava così forte che sembrava potesse esplodergli da un momento all'altro, i suoni si mischiavano indistinti, vicini o lontani che fossero lo ferivano per brevi istanti poi sparivano, nei pochi momenti in cui riusciva a mettere a fuoco la vista, vedeva gli sguardi incuriositi dei passanti che non avrebbero nemmeno dovuto notarlo in mezzo alla folla.
Dannato Osyf! Gli effetti che lasciavano su di lui le verifiche del suo legame con le Furie peggioravano di volta in volta. Stava ringhiando di nuovo, accidenti! Dorian era più che convinto che il Reietto provasse un insano gusto sadico nel dare dolore con i suoi esperimenti, ma ora che sapeva che di mezzo c'era Aman, aveva la certezza che dietro quei malesseri ci fosse anche il personale divertimento del novello Nae'blis. Avrebbe sopportato, silenziosamente e caparbiamente avrebbe continuato ad accettare orrende sensazioni come quella. Un giorno la situazione si sarebbe ribaltata e tutto questo avrebbe giocato a suo favore. Un giorno. Si. Un giorno sempre più vicino sarebbe stato lui a divertirsi.
Perse l'equilibrio. Doveva aver camminato per tutta la facciata dell'edificio e ora, che al posto del muro c'era solo un vicolo stretto e adombrato, aveva perso il punto d'appoggio. Cadde nel viottolo dopo pochi passi malfermi, atterrando con le mani in una poltiglia maleodorante. Quasi vomitò sopra quelli che dovevano essere i rifiuti delle case che chiudevano quello spazio angusto.
Maledetto Osyf! Erano già passati giorni da quando era andato alla Dimora per incontrarlo e permettergli di verificare la sua connessione alle Furie. Possibile che ancora dovesse pagarne le conseguenze? Non voleva arrivare ad avere paura di quei momenti, la paura era uno strumento facile con cui controllare la mente di una persona e lui non voleva avere padroni. Nessuno oltre il Sommo Signore. Tuttavia quei controlli somigliavano sempre più a torture, fisiche e mentali e per quanto Dorian si sforzasse di non pensarci, sentiva ancora la stretta dei legacci di cuoio su caviglie, polsi e fronte. Da quando aveva lasciato la Dimora ogni notte sognava gli occhi ilari di Osyf che scrutava nella sua testa e gli sottraeva per qualche minuto il controllo delle sue facoltà mentali.
Non sapeva di preciso cosa accadeva in quei momenti, al suo risveglio era sempre furioso, si sentiva esausto, ma allo stesso tempo carico di una smania folle. Una volta aveva spezzato il legaccio di cuoio che gli bloccava un polso nel tentativo di liberarsi. Un gesto che scaturiva dal puro istinto che gli trasmettevano le Furie, nulla di logico, nulla di umano. Poi lentamente quella sete di soddisfare ogni istinto più animale si placava, Dorian riusciva a riprendere le proprie facoltà razionali e poteva finalmente tornare libero. Almeno fino alla verifica successiva.
I disturbi si verificavano sempre qualche giorno dopo. All'inizio si era trattato di lievi emicranie, ma ultimamente il problema si era acutizzato fino a ridurlo come un verme che strisciava sui rifiuti di un vicolo buio di Calavron. Non doveva farsi sopraffare dalla rabbia per quell'ennesima umiliazione. Il suo successo era così vicino.
Cercò il muro e vi si arrampicò per rimettersi in piedi. Avanzò di qualche passo più in profondità in quel vicolo, tra ratti e odore di urina. Sarebbe stato lì nascosto finchè il malessere non fosse scomparso del tutto. Solo allora sarebbe uscito e sarebbe andato a cercare il motivo principale per cui si era diretto a Calavron. Da troppi anni attendeva quel momento e ora stava per alzarsi il sipario sullo spettacolo: la Torturatrice stava per tornare e lui era lì per godersi il suo meraviglioso risveglio.
In quel momento la ragazza era sicuramente in preda a mille paure, angosce da cui ora scappava e che tra breve avrebbe bramato con tutta sè stessa. Dorian sarebbe stato lì in prima fila ad assistere al momento in cui quella mente incerta e confusa avrebbe preso coscienza di sé stessa. Quanto tempo ad attendere quel momento: i frutti del suo lavoro stavano maturando uno dopo l'altro.
Nella sua testa sembrava echeggiare il riflusso pulsante di troppo sangue, gli occhi trasmettevano veloci immagini di casse rotte e immondizia che sembravano vorticargli attorno, il fetore gli pungolava fastidioso le narici dall'olfatto sovrumano, lo squittire dei topi rimbombava quanto il vociare che proveniva dalla strada principale. Nulla era anche solo vagamente tollerabile in quel momento. Nonostante questo sorrideva compiaciuto, ripetendo mentalmente il superbo suono di quel nome. Norah.



Mabien Asuka

Una pungente sensazione di freddo la percorse palmo a palmo, lenta e tangibile come se un oggetto gelato la stesse toccando. Qualcosa di simile a quel che si sentiva quando si veniva Guariti, ma questo era in un certo senso più palpabile e apparentemente non faceva nulla. Apparentemente. Mab non osava nemmeno immaginare quali flussi potevano aver inventato i ribelli per tenere imprigionate delle persone, ma era inutile arrovellarsi dato che non poteva vederli da quando le avevano messo quella specie di bracciale al polso destro: quell'oggetto, una sorta di cerchio metallico che si era arrotolato a spirale e irrigidito attorno al suo braccio senza aderirle alla pelle, non le impediva propriamente di incanalare, le lasciava percepire la Fonte, ma le era del tutto inutile perchè non le dava la possibilità di vedere, men che meno di usare i flussi, rendendo l'operazione simile al manipolare una nuvola di fumo. Forse era persino più frustrante di una schermatura totale, ma almeno si poteva toccare la Fonte.
L'effetto di quell'oggetto le fece venire in mente l'anello di Hilda, realizzando solo in quel momento che i ribelli dovevano averglielo sottratto, forse già a Hama: si girò così a guardare le mani della donna, dove, com'era prevedibile, l'anello non c'era più. Il disagio che filtrava dal legame in effetti la diceva lunga sul fatto che anche lei si sentisse toccata dal Potere, anche se almeno esteriormente riusciva a nascondere bene il fastidio che le dava. Non c'era traccia di paura in lei, solo una profonda indignazione e l'irritazione di chi evidentemente non era abituato a non aver la situazione sotto controllo.
Mentre ascoltava il legame, Mab non poteva fare a meno di chiedersi per quanto ancora avrebbero potuto tenerlo nascosto, se qualcuno di quei flussi che continuava a sondarle mentre camminavano lo avrebbe rivelato: se l'avevano scoperto, nessuno l'aveva dato a vedere, né si era preoccupato di reciderlo. Si dannava sempre più per ciò che non sapeva sul flusso che aveva usato per legare Hilda, per l'ignoranza che stava scoprendo di avere sull'uso del Potere in generale e soprattutto su quella gente. La delusione che provava nei confronti dei ribelli, nei confronti di quella che per anni aveva rappresentato la sua speranza di avere una rivincita a tutte le angherie subite, aveva preso il sopravvento e ora la portava a lasciarsi condurre con rassegnazione ovunque il Disegno avesse deciso di tenerla legata. Nemmeno la rabbia riusciva più a farsi spazio in mezzo alla demoralizzazione di sentirsi in trappola per l'ennesima volta.
Ritornò a guardarsi attorno: quella galleria, quella più a destra tra le tre che si erano trovate davanti in fondo alla gola che avevano percorso sul carro, aveva contorni troppo definiti per essersi formata in modo naturale e persino per esser stata scavata da mano umana. L'ambiente non era adornato in nessun modo: ovunque Mab guardasse, erano pareti di roccia perfettamente levigata illuminate in modo artificialmente regolare da nessuna fonte visibile.
La corda annodata al suo bracciale la strattonò leggermente quando la guardia, che ne teneva l'estremità opposta, svoltò in un corridoio seguendo il suo compagno alla guida del gruppo, che comprendeva le due prigioniere, Asgael e due dei suoi uomini. Qui le pareti non erano tanto innaturalmente lisce, ma piuttosto davano l'impressione di essersi formate principalmente per l'effetto di un'erosione che aveva lasciato strati di roccia differenti. Man mano che procedevano, i corridoi si popolavano di persone, vestite per la stragrande maggioranza con quella specie di divisa dai pantaloni stretti neri infilati dentro robusti stivali dello stesso colore e giubba verde lunga a metà coscia con intarsi neri e oro, la stessa sia per uomini che per donne. Tutti salutavano Asgael con un breve ma rispettoso inchino, scrutavano velocemente le nuove arrivate e proseguivano per la loro strada.
La rotta del gruppo virò ancora bruscamente all'interno di un altro corridoio, l'ennesimo di un labirinto di gallerie troppo simili le une alle altre per poter essere memorizzate. Se quello era l'unico collegamento verso il mondo esterno, il messaggio sotteso era drammaticamente chiaro, come se le continue sensazioni di essere sondati e controllati da flussi invisibili e dagli effetti inimmaginabili non fosse sufficiente a far desistere chiunque a quel punto ancora stesse cullando il sogno di evadere.
Poi le pareti cominciarono ad allargarsi e il soffitto ad alzarsi finchè giunsero ad una sala spaziosa davanti ad un imponente portone di legno e ferro battuto. Due guardie donne salutarono portandosi alla fronte un pugno rivolto verso l'esterno, dopo di che una delle due annuì all'uomo alla guida del loro gruppo e percosse tre volte la porta con il pesante batacchio di ferro che vi pendeva.
Passò qualche interminabile minuto, poi la grande foglia a tre punte in oro che campeggiava al centro del portone si divise in due mentre le ante si aprivano quel tanto che bastò a far uscire altre due donne.
«Chi si presenta al legittimo giudizio di Acarvende?» recitò a voce alta una delle due.
Asgael posò una mano dietro la schiena di Mab, invitandola ad avanzare tra lui e le donne in divisa, quindi replicò altrettanto cerimonioso.
«La città di Hama chiede il giudizio di Acarvende su Mabien Asuka, incanalatrice»
«Acarvende l'avrà in custodia, i Giudici esprimeranno la loro sentenza su di lei» disse una, mentre l'altra prendeva la corda legata al bracciale di Mab.
Un lampo d'inquietudine fece eco tra lei e Hilda, costringendo la ragazza a girarsi e guardare la compagna: il tempo di un veloce scambio di sguardi, poi un lieve strattone al braccio la portò a seguire le due donne oltre il grande portone che si richiuse dietro di lei.

Davanti a lei ora si stendeva un ampio corridoio ben illuminato, che terminava con un portone identico a quello alle sue spalle e fiancheggiato su ambo i lati da una serie di celle, una decina per lato, con sbarre incastrate in modo irregolare nella roccia piuttosto grezza. Da dentro le celle occhi incuriositi di donne la seguivano e un lieve chiacchiericcio molto velato accompagnava i suoi passi, mentre le guardie le fecero percorrere il corridoio senza fretta. Sembrava quasi di trovarsi all'interno di una spelonca quasi naturale, semplicemente riadattata per ospitare dei prigionieri, l'aria era intrisa d'umidità e del tipico olezzo di un luogo chiuso.
Mentre camminava percepì Hilda allontanarsi, oltre il portone alle sue spalle.
Una volta raggiunto il fondo del corridoio, una guardia azionò una leva che aprì il grande portone su un ampio spazio ovale, nel quale Mab si trovò un attimo dopo: davanti a lei un altro portone ancora con la grande foglia a tre punte, alle estremità laterali si trovavano gli ingressi di due gallerie non illuminate, al centro un ampio foro nel pavimento mostrava l'inizio di una scala a chiocciola scavata nella pietra.
Dopo i saluti col pugno sulla fronte delle quattro guardie presenti, due uomini e due donne schierati ai lati dei portoni, fu condotta al piano di sotto. Scendendo fu tagliata fuori dalla Fonte, una sensazione così netta e brusca da farle quasi perdere l'equilibrio. Nello stesso momento il bracciale al suo polso si riaprì e venne recuperato con calma dalla guardia che teneva la corda ad esso annodata.
Ancora stordita, Mab osservò l'ambiente in cui si trovò una volta scesi i gradini, scoprendolo identico a quello lasciato al piano superiore: la stanza ovale aveva sui lati più larghi ancora quegli identici portoni in legno e su quelli più stretti le aperture di gallerie buie. Anche qui erano presenti quattro guardie, le due donne aprirono il portone dietro di loro e Mab fu condotta all'interno di un altro corridoio fiancheggiato da celle, soltanto più freddo e meno illuminato rispetto a quello sopra. Qui la luce non era distribuita usando il Potere, ma data in modo irregolare da fiaccole appese alle pareti, che contribuivano a rendere l'ambiente maleodorante e tetro per i giochi di ombre che venivano a crearsi tra le sporgenze della roccia.
Fu fatta camminare fino a giungere al portone opposto, poi venne ricondotta indietro e fatta entrare nella quarta cella alla sua destra.
Le due donne già presenti la osservavano apertamente, una delle due in particolare, età presumibilmente vicina alla sua e un viso perfettamente ovale, bello per quanto inespressivo, la studiò attentamente, facendole anche un paio di giri attorno, mentre Mab se ne stava in piedi inebetita ad ascoltare il rumore metallico della serratura alle sue spalle.

continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di mercutia - su EFP
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 33
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte seconda] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte seconda]

Siadon

Thea ed Elsa stavano parlando di posti lontani. Di luoghi che avevano visitato e che avevano trovato interessanti per un motivo o per l'altro. Gli unici argomenti che evitavano con cura erano le faccende che vi avevano svolto. Siadon rimase sorpreso da quanto vasta fosse la conoscenza di Elsa sul mondo, aveva sempre creduto che la Sorella vivesse in una realtà tutta sua, isolata al monastero. Il regalo che aveva fatto poco prima era una follia tutto sommato in linea con quell'idea. Negli ultimi giorni però si era convinto che Elsa fosse molto più del costume che indossava. L'aveva sottovalutata, quella donna era riuscita ad ingannarlo per anni. Ne era affascinato. Doveva scoprire come c'era riuscita, fingersi un pazzo non lo attirava molto ma studiandola avrebbe di sicuro imparato qualcosa di utile.
Tomas li raggiunse camminando lentamente, lanciando occhiate curiose verso Siadon e Thea
«Buongiorno... Tutto bene?»
«Molto bene, grazie» rispose Siadon «la cerimonia ha degli effetti piuttosto pesanti, penso sia normale perdere i sensi ad un certo punto. Ma stiamo bene.»
Tomas annuì con un sorriso «Ora che si fà? Proseguiamo?»
Siadon alzò le spalle «Credo che rimarremo qui per un giorno o due, abbiamo tutti bisogno di riposo e solo la Luce sa cosa ci aspetta più avanti»
Elsa fissò Siadon piegando la testa di lato, battendosi due dita sul collo con fare pensieroso «Non è difficile» borbottò a bassa voce «Boschi, montagne, sangue, sassi, neve, sangue... le solite cose.» concluse con un sorriso trionfante.
Tomas aprì la bocca per dire qualcosa ma subito la richiuse, limitandosi ad annuire lentamente.
Mangiarono con calma del pane secco, intingendolo in un barattolo di miele trovato nelle bisacce dei Manti Bianchi. Solo quando il sole era già piuttosto alto Thea e Tomas si allontanarono per l'addestramento del Fratello, con la solita scusa del giro in esplorazione.
«Bene» sussurrò Elsa in modo che solo Siadon potesse sentirla «è ora di scoprire chi sia davvero Arlene non trovi?»
«Già, ho provato ad accennare qualcosa a Merian ma non vorrei insospettirla.»
«No, meglio di no. Si fida di te ma immagino anche di lei. Ci penserò io.»

Dopo poche ore passate a completare alcune misture, Siadon trovò Merian mentre stava passeggiando nel bosco, a poca distanza dall'accampamento. Rohedric la sorvegliava fingendosi affaccendato. Ci volle un solo istante per capire che qualcosa turbava profondamente la ragazza.
«Cosa succede?» chiese quando le fu accanto. Si era avvicinato sforzandosi di fare tanto rumore quanto un uomo che cammina in un bosco, eppure Merian parve colta alla sprovvista.
«Eleanor...» iniziò a parlare ma si interruppe subito facendo una smorfia, come se quello non fosse il modo giusto di avviare il discorso. Rimase pensierosa alcuni momenti poi continuò con tono deciso «A cosa ti riferivi la notte scorsa?»
Siadon percepì Rohedric avvicinarsi, senza darlo a vedere aspettò che arrivasse a portata d'orecchio prima di rispondere.
«Te l'ho detto, non devi fidarti del prigioniero. Quelle cose su Jennji potrebbe averle dette solo per indurti a fuggire. Oppure per spingerti in città, magari dritta in una trappola.»
Merian sbuffò «Non intendevo questo. Sai a cosa mi riferisco, non mi avete detto tutto.»
Siadon la guardò pensieroso, poi annuì «Immagino sia ora di parlare chiaro. Non trovi anche tu, Rohedric?»
Chiamato in causa, colto alla sprovvista, l'uomo non poté fare altro che unirsi ai due «E di cosa dovremmo parlare? Dei tuoi metodi per interrogare le persone forse?»
Siadon rimase calmo, fingendosi un tantino amareggiato. In realtà era contento, la discussione era iniziata esattamente nel modo in cui aveva sperato: con Rohedric arrabbiato.
«Jora non si sbottonerà certo per farci un favore e nemmeno tramite vane minacce o stupide allusioni» Il giorno prima avevano interrogato il prigioniero e Siadon avrebbe voluto usare un minimo di violenza. Nulla in confronto a quanto avrebbe fatto in altre situazioni ma Rohedric si era opposto, sostenendo che frasi intelligenti e sottili minacce avrebbero ottenuto risultati migliori.
Siadon l'aveva lasciato fare godendosi lo spettacolo. Quella pagliacciata l'aveva aiutato a preparare un interessante piano. Questa discussione era solo il primo passo.
«E allora sentiamo. Visto che vuoi parlare chiaro, cosa proponi di fare? Noi non siamo come loro, non torturiamo la gente»
Merian scrutò Siadon perplessa, forse un tantino impaurita ma dal suo sguardo l'assassino poteva intuire che la ragazza aveva già pensato a quella possibilità.
«Il problema è proprio questo. Jora ha visto troppe torture per poter credere ai tuoi giochetti, probabilmente lui stesso ha inflitto parecchio dolore per ottenere delle risposte.»
«Sono gli Inquisitori ad occuparsi di queste cose, non i soldati. Ci serve più tempo, ancora qualche giorno e riusciremo a farci dire la verità sulla sorte di Eleanor e su cosa succede in quella città.» rispose l'uomo con tono sicuro. Un paio di movimenti involontari però tradirono i suoi dubbi all'occhio esperto dell'assassino.
«Solitamente sì, ma chi può dirlo con certezza? Abbiamo visto entrambi le reazioni di Jora al tuo interrogatorio» aveva una gran voglia di usare un altro termine ma riuscì a trattenersi «con lui le minacce non funzionano»
Rohedric fece per ribattere ma Merian lo anticipò decisa
«Quindi cosa proponi di fare?»
«Ha a che fare col Potere vero?» rimarcò Rohedric tra lo schifato e lo spaventato.
Siadon inscenò una delle sue migliori esibizioni. Sospirò e alzò gli occhi, fingendosi frustrato.
«Sì, ha a che fare con il Potere» rispose deciso, sostenendo lo sguardo accusatore dell'uomo per un istante. Poi indicò sé stesso e Merian «io sono un Incanalatore, Merian è un'Incanalatrice. Non abbiamo scelto di avere a che fare con il Potere e non possiamo evitare di usarlo. Ma non preoccuparti, non è contagioso. Tu non rischi di venir ucciso, compatito o trattato come un ammorbato da chiunque altro. Jora e i suoi amici non vogliono te.»
La faccia di Rohedric era un vero spettacolo agli occhi dell'assassino, un mosaico di stupore, vergogna, orgoglio, rabbia e incomprensione. Dovette ricorrere ad alcuni vecchi trucchi per non tradirsi. Continuò a recitare la parte dell'Incanalatore frustrato da una vita infelice e braccato dall'Inquisizione della Luce. Questo siparietto l'avrebbe aiutato ad allontanare Merian da Rohedric. Non sarebbe bastato, ovviamente, ma era certo di aver già fatto più di qualche passo. Il fatto che fosse stato proprio l'uomo ad offrirgli una tale occasione rendeva Siadon euforico.
Scosse la testa frustrato, dando il giusto tocco di teatralità, e si allontanò dai due prima che Rohedric trovasse il tempo di replicare. Poco dopo stava camminando da solo nel bosco, vestendo i panni di uno che aveva bisogno di sfogarsi. Purtroppo dovette farne le spese anche Merian, il suo addestramento quel giorno fu più duro del solito. Siadon non le lasciò il tempo di accennare alla discussione per evitare complicazioni, inoltre aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa di pratico per non tradirsi e rovinare tutto. Rohedric stava ancora sorvegliando la ragazza, di solito durante le lezioni li lasciava soli ma non quel giorno. Senza volerlo stava confermando le accuse di Siadon.

«Buongiorno!»
Siadon aprì gli occhi all'istante. Le prime luci dell'alba rischiaravano il cielo ma non erano ancora abbastanza intense da illuminare il sottobosco. Tomas era di fronte a lui, continuava a ripetere un gesto sperando di attirare la sua attenzione: «Visione»
Stava parlando di Merian, ovviamente. Siadon gli aveva chiesto di starle vicino, di farla innamorare di lui. Avevano più o meno la stessa età e Tomas era un bel ragazzo, Siadon era sicuro che avesse ben più di qualche possibilità. Se ci fosse riuscito sarebbe stato un altro vincolo tra la Sognatrice e il loro gruppo. In ogni caso era un buon modo per tenerla sotto osservazione, stava funzionando.
Siadon si stirò il collo e le braccia, sfruttando quei movimenti per controllare che non ci fosse qualcun altro nelle immediate vicinanze. Thea dormiva ancora al suo fianco mentre Elsa si stava scaldando al fuoco lì vicino, l'ultimo turno di guardia era toccato a lei quella notte.
«Buongiorno a te Fratello» segnalò di continuare.
«Sonno agitato. Visione, non so altro. Le piace quando la abbraccio.»
«Bene» rispose Siadon con un cenno distratto. Non era molto ma sicuramente meglio di nulla.
Elsa guardò Tomas come se si fosse appena materializzato davanti ai suoi occhi, poi gli sorrise «Oggi ti aiuterò io negli allenamenti, credo sia ora che anche Thea si occupi di Merian»
Thea si sollevò con uno scatto, fulminando la Sorella con lo sguardo.
«Secondo giorno di matrimonio e già devo fare i conti con l'amante di mio marito?»
Tomas sgranò gli occhi, convinto di aver appena ascoltato una sentenza di morte, mentre Elsa iniziò a ridere di gusto. Siadon rimase indeciso su chi dei due imitare per alcuni istanti, poi decise di prenderla come una battuta e si unì alle risate.
Poco dopo stava godendo alcuni momenti di solitudine, pensando ad un modo per scoprire qualcosa sulla visione di Merian, quando la ragazza venne a cercarlo proprio per parlargliene.
Non è possibile pensò Siadon dopo aver ascoltato attentamente. Perché dovrebbe ucciderlo? Non è tipa da uccidere per alcuni insulti.
«Immagino si tratti di Jora» disse quando si accorse che Merian stava aspettando che lui parlasse.
«Tutto qui?» rispose lei stupita «Voglio dire, lo odio ma perché dovrei ucciderlo? Non ha senso!» era sconvolta.
Sottovaluti l'odio «Da quanto hai detto, sembra che la riterrai la cosa giusta» provò a calmarla
«Non voglio ucciderlo, non sono un'assassina. Non mi avvicinerò più a lui, se sto lontana non posso ucciderlo no?»
Non ci credi nemmeno tu pensò Siadon mentre cercava le parole giuste. Ricordò quanto Tamara gli aveva detto sulle visioni, spesso non erano facili da interpretare ma si avveravano sempre. Mentire non aveva senso. Nascondere qualcosa per difenderla poteva essere controproducente, Rohedric ne era la dimostrazione. Siadon era incredulo, negli ultimi giorni aveva sperato di riuscire a trasformare Merian in una Sorella senza ritenerlo davvero possibile. D'un tratto invece quella speranza era diventata molto vicina alla realtà, sarebbe stato lui a spingere Merian ad uccidere Jora? La vittima sarebbe stata davvero il Manto Bianco? Tutto lo lasciava pensare ma non ne avevano la certezza e non vedeva come fosse possibile convincere Merian ad uccidere un uomo indifeso. Ai limiti dell'incredulità, si rese conto che la cosa migliore da dire sarebbe stato il discorso che aveva immaginato di farle in occasione del suo primo omicidio. Non riusciva a credere che stesse succedendo tutto così velocemente.
«Io ho ucciso» disse infine con un sussurro «molte volte» continuò con voce più chiara ma stando attento a fare in modo che solo lei potesse sentire. Merian lo stava fissando sbalordita.
«Ho ucciso persino il giorno del mio matrimonio» non voleva mentirle, avrebbe pagato cara ogni menzogna se Merian fosse divenuta una Sorella. Ma non poteva nemmeno confessare apertamente la sua vera identità, sarebbe stato troppo presto.
«Ho ucciso anche la prima volta che ci siamo visti» la ragazza stava annuendo, come se prima di allora non avesse mai considerato la morte in battaglia come un omicidio.
«Non ne vado fiero. Da qualche parte qualcuno piangerà la morte di un marito, di un padre o di un figlio per causa mia.» parlò lentamente, dando a Merian il tempo di riflettere «Se non l'avessi fatto, ora non saresti libera. Forse saremmo già tutti morti o magari sulla strada per il primo campo di prigionia.» fece una pausa, aspettando che lo guardasse negli occhi «Ma queste sono solo scuse.»
Anche gli amici di Merian avevano ucciso in battaglia. Siadon credeva davvero in quanto stava dicendo, ma sperava anche che le sue parole contribuissero ad allontanarla da Rohedric. Aveva sempre trovato intrigante l'ipocrisia con la quale sedicenti paladini del bene mascheravano veri e propri massacri. Dopo anni passati a togliere la vita alle persone, Siadon era certo che non vi fosse differenza tra uccidere in battaglia o nel sonno, c'era sempre qualcuno che moriva e molti altri che soffrivano per la sua scomparsa.
«L'ho fatto perché lo ritenevo necessario» continuò prima che Merian dicesse qualcosa «Non ho paura di ricorrere alla violenza quando serve, come non ho paura di usare il Potere.» aspettò qualche istante per assicurarsi di avere l'attenzione di Merian «Non so perché lo farai. Ma per quanto ad alcuni potrà apparire sbagliato, sono sicuro che avrai i tuoi motivi e non dovrai vergognartene.»

Come faccio a creare un buon motivo?
Siadon aveva passato ogni momento libero dei due giorni successivi pensando a Jora e a come farlo uccidere da Merian. Era innocuo, ovviamente, legato sia con delle corde che tramite il Potere. Veniva liberato solo per i pasti e quando il suo fisico lo richiedeva, ma anche in quei momenti non avrebbe potuto fare molto più che lanciare qualche insulto per provocare chi gli stava attorno. Cosa che faceva immancabilmente. Quell'uomo sembrava avere un talento naturale nell'innervosire la gente, anche quando cercava di trattenersi.
Aveva pensato di proporre un nuovo interrogatorio, avrebbe avuto più possibilità di far succedere qualcosa. Magari l'avrebbe potuto trasformare in un suo burattino usando il Potere. In quel caso però non avrebbe potuto evitare di attirare qualche sospetto, non era una buona idea. Sfruttare i pochi momenti di semi-libertà sembrava la scelta migliore, ma cosa poteva far accadere? Merian non si sarebbe mai avvicinata a Jora e non l'avrebbe di certo ucciso per un tentativo di fuga.
Vendetta... qualcuno però dovrebbe morire. Pensò intrigato dall'idea mentre raggiungeva l'albero al quale Jora era legato. Era l'ora del primo pasto mattutino, prima dell'alba per limitare le ore di sonno al prigioniero, nella vana speranza di indebolirlo. Arlene era già lì con una ciotola di zuppa. Quella donna era un ostacolo ai piani di Siadon. Era un'Incanalatrice, rappresentava un'alternativa alla quale Merian poteva rivolgersi. Inoltre era molto sicura di sé, era fin troppo ovvio che non fosse solo chi diceva di essere. Elsa sospettava che sapesse di loro, ma non era riuscita a scoprire molto a riguardo. L'erborista aveva visto Siadon trafficare con dei veleni e la discussione che ne era sorta poteva considerarsi una sorta di confessione, era certo che le due donne ne avessero parlato. La diffidenza di Arlene però sembrava più profonda, forse aveva già incontrato dei Maledetti in passato, o più probabilmente ne aveva solo sentito parlare visto che era ancora in vita.
Andrebbe eliminata. Ma farlo ora sarebbe troppo sospetto.
«Sai dovresti togliere quei legacci» esordì la donna non appena Siadon si fu avvicinato.
Siadon studiò il prigioniero per assicurarsi che le sue tessiture fossero ancora intatte. Ovviamente lo erano. Indugiò inutilmente ancora alcuni momenti, per il semplice gusto di innervosire Arlene e vedere come avrebbe reagito.
«Non preoccuparti, nessuno le ha toccate» proseguì lei con sarcasmo.
Siadon le sorrise indietreggiando di qualche passo «Curioso, come puoi esserne certa?»
Era piuttosto sicuro che non lo fosse affatto, avrebbe dovuto incanalare per poter vedere quei lacci e in tal caso la sua tessitura l'avrebbe avvertito. A meno che fosse ben più abile di quanto volesse fargli credere. Quel dubbio si dissolse l'attimo seguente, quando lei lo fulminò con lo sguardo senza riuscire a controbattere, se non con un secco «Dunque?»
Siadon la guardò perplesso, quella donna era ancora vicina a Jora. Stava dando per scontato che il prigioniero non fosse in grado di ferirla. Luce, in quello stato non rappresentava certo un pericolo ma una volta libero...
E se accadesse proprio così? Pensò stupito.
Lanciò un'occhiata curiosa ad Arlene, poi alzò le spalle e liberò Jora dai lacci invisibili.
Non accadde nulla. Il Manto Bianco si stirò le gambe, accettò la zuppa avidamente. Man mano lo stomaco gli si riempiva, gli sguardi carichi di odio aumentavano ma questa volta riuscì a trattenere gli insulti, per lo meno la maggior parte.
Così non va pensò Siadon deluso Muore dalla voglia di ribellarsi ma non ha idea di come fare!
Ovviamente il prigioniero non aveva armi, Siadon stesso aveva provveduto a rimuovere ogni sasso e ogni bastone dalle vicinanze. Aveva solo gli abiti e la corda con cui era legato ma strangolare qualcuno avrebbe richiesto troppo tempo. E la ciotola. Luce!
Osservò la ceramica sgranando gli occhi, Arlene era molto vicina al prigioniero. Lo stava osservando ma non sembrava pronta a difendersi. A dire il vero sembrava intenta a dare del cibo ad uno scoiattolo, non ad una persona che non vedeva l'ora di uccidere i suoi carcerieri.
Jora stava ripulendo avidamente il fondo della ciotola quando improvvisamente, gli si spezzò tra le mani. Per un istante fissò incredulo il bordo irregolare ed affilato della spaccatura, poi si tuffò con uno scatto puntando alla gola di Arlene. Non le lasciò il tempo di difendersi.
Siadon assistette allo spettacolo come un poeta alla prima interpretazione di un suo dramma. L'aveva già visto accadere diverse volte, nella sua mente, ma la realtà fu estremamente più gratificante. Aveva alzato il sipario con una semplice tessitura, la porcellana era andata in frantumi e Jora, inconsapevolmente, recitava la sua parte anche meglio di quanto l'assassino avesse sperato. Gli bastò un solo colpo per conficcare in profondità il frammento di ceramica. Siadon lo bloccò subito dopo, appena si rese conto di quanto stava accadendo ma tragicamente in ritardo per salvare Arlene. Una vera disgrazia. O per lo meno questo prevedeva il copione. Contava sul fatto che Merian e gli altri fossero meno paranoici di lui. Arlene lo era di certo, l'ultimo sguardo che gli lanciò, mentre cercava di chiudere la ferita con le proprie mani, era tanto carico di incredulità da stupirlo. Quella donna aveva davvero creduto che lui l'avrebbe protetta da Jora se qualcosa fosse andato storto. Non si era allontanata dal prigioniero perché in qualche modo si sentiva protetta. Era sorpreso e incuriosito ma si riscosse subito, doveva ancora portare a termine la commedia. Scaraventò Jora contro l'albero a cui veniva solitamente legato e cercò di soccorrere Arlene, aveva già perso molto sangue. Chiamò aiuto, cercò in ogni modo di fermare l'emorragia ma non poté fare molto, Jora era stato davvero bravo.



Toras Skellig

I giorni trascorrevano veloci al Tempio di Shiennar. Toras era così impegnato che si rendeva a malapena conto del passare del tempo. Aveva avuto modo di imparare che le promesse del Culto non erano solo chiacchiere: i Preti Neri facevano in modo che gli adepti si applicassero anima e corpo all’apprendimento della Conoscenza, in tutte le sue forme. E aveva anche imparato che i loro metodi d’insegnamento non erano sempre gentili. La condotta era rigida, e prevedeva punizioni spietate per chi non si impegnava a dovere. Pur non essendo un amante della disciplina, Toras non si sognava neanche di cercare la fuga dal Tempio; se ne era ben guardato, da quel primo giorno in cui aveva avuto un incontro privato con il sapiente Ramkin. Il Prete era un personaggio che aveva molto poco di umano, l’aspetto meno di tutto. Era gracile e pallido di carnagione, con arti ossuti e un cranio smile ad un teschio. I suoi occhi in particolare avevano qualcosa di bizzarro: l’iride innaturalmente scura li faceva infatti sembrare due pozzi senza fondo. Toras l’aveva già incontrato brevemente, quel mattino, ma senza riuscire a distinguerne bene le fattezze. Quando invece, più tardi, Ramkin l’aveva accolto nel proprio alloggio, Toras era rimasto intimorito. Questo, prima di percepirne il potenziale nel Potere: dopo ne era diventato addirittura terrorizzato. Se un tempo aveva reputato grande la capacità con il Potere del vecchio Jaem, questo potenziale, al confronto, era enorme. Pare che dovrò ridefinire la mia scala di giudizio, si era detto Toras.
A dispetto delle apparenze, Ramkin si era inizialmente dimostrato benevolo; aveva chiesto a Toras di parlargli della sua vita prima della cattura da parte dei Manti Bianchi, nonché dei suoi progetti futuri e delle sue aspirazioni. Il ragazzo, che ancora non era convinto di desiderare un’esistenza d’isolamento nel Tempio e di dedizione ai precetti del Culto, aveva risposto con ingenua sincerità che avrebbe voluto viaggiare e vedere il mondo. A quella risposta, il Prete aveva emesso un suono rauco, come se avevsse difficoltà a respirare; poi però Toras aveva intuito che doveva trattarsi di una risata. In ogni caso, il divertimento del sacerdote non era durato a lungo: ritornando serio, infatti, Ramkin gli aveva puntato un dito contro, e aveva detto: «Ascoltami, ragazzo: ho investito uomini e tempo per salvarti la vita e farti portare qui, e questo perchè ho immaginato che tu fossi uno molto in gamba, per osare delle azioni come quelle che hai compiuto a Dodieb. Pensi che sia stato uno scherzo portarti via dai Manti Bianchi? Lascia che ti racconti com’è andata...». Così, Toras aveva scoperto che, dal giorno in cui il marinaio fuggiasco di nome Issal aveva finalmente incontrato l’emissario del Culto, Ramkin era da lui venuto a sapere di quel giovane Traditore che aveva avuto il coraggio di ribellarsi segretamente ai propri ordini. Adepti del Culto l’avevano quindi tenuto sotto osservazione e avevano riportato lo sviluppo degli eventi al Prete Nero. Apparentemente, un informatore vicino al Capitano Comandante Kines aveva rivelato la sua decisione di giustiziare un Traditore che non collaborava. Ramkin, intuendo che il doppio gioco di Toras era stato scoperto, aveva quindi seminato indizi e voci che i Ribelli avessero intenzione di intervenire per mettere in libertà dei Traditori.
«Ovviamente quelle sui Ribelli sono solo leggende popolari!», spiegò Ramkin emettendo di nuovo quel suono che probabilmente significava divertimento, «ma quello stupido d’un Manto Bianco si è bevuto la storia e, pensando di ingannare eventuali guastafeste, ha pensato bene di dissimulare la tua esecuzione dietro ad un finto turno di pattuglia.». In questo modo Kines aveva finito per fare il gioco del Culto, che aveva approfittato del fatto di poter colpire la pattuglia di Toras mentre si trovavano lontano dalla città, allo scoperto ed isolati. A sentire Ramkin, Kines non aveva nemmeno indagato sulla scomparsa della pattuglia, occupato com’era dai problemi d’ordine pubblico a Dodieb, dove ai problemi legati alla nota criminalità locale si erano aggiunti recentemente misteriosi fatti di sangue.
Il Prete si era mostrato così autocompiaciuto nel raccontare del salvataggio, che Toras non aveva osato fargli notare che, in realtà, i suoi uomini erano intervenuti tardi, e che solo grazie alla Luce il cappio non gli aveva spezzato il collo. O forse è stato più che un semplice caso, aveva riflettuto improvvisamente Toras: era stato Jaem, infatti, a salire sull’albero e a legarvici la corda per l’impiccagione, e Toras si chiese se il vecchio segugio non avesse, in preda ad un improvviso rimorso, scelto un ramo troppo basso o usato una corda troppo corta. Ramkin, comunque, evidentemente non conosceva questi dettagli, né gli sarebbe importato un gran ché. Quello che gli importava era che Toras fosse stato liberato dal Culto, cosa che lo rendeva, agli occhi del Prete, in dovere di ripagare il debito. Che cosa volesse esattamente da lui non era ancora chiaro, ma il ragazzo non dubitava che avesse a che fare con i Manti Bianchi. Ramkin teneva gli incanalatori in massima considerazione, e sembrava non curarsi del fatto che il potenziale di Toras fosse infimo. Anche il marchio del Traditore ch’egli portava sulla guancia pareva essere degno di nota: osservandolo, Ramkin aveva commentato con rammarico che riprodurre fedelmente quei segni era quasi impossibile, perfino usando il Potere.
«Ma, prima di essere di qualsiasi utilità,», aveva concluso quel giorno il Prete Nero «Dovrai sottoporti all’addestramento.». E così erano iniziate interminabili giornate di fatiche e di dolori. Gli adepti venivano svegliati all’alba per poter sfruttare pienamente la giornata. Al mattino venivano insegnati lettere, numeri e storia; l’insegnante era un Prete Nero, vecchio e curvo e con un pessimo temperamento. Toras, per fortuna, non aveva grandi difficoltà con lettere e numeri perchè gli erano già stati insegnati alla scuola del suo villaggio.
La storia, invece, era tutt’altra questione: la ricostruzione degli eventi passati che dava il Prete, infatti, faceva a pugni con quel poco che Toras aveva imparato da bambino. L’insegnante, però, non ammetteva che i suoi precetti venissero messi in discussione e Toras aveva imparato a tenere a freno la lingua per evitare dure punizioni. A bocca aperta, il ragazzo aveva così appreso, ad esempio, che la Confederazione era segretamente governata dai Tiranni. Essi, lungi dall’odiare l’ordine dei Figli della Luce, ne erano stati i fondatori: una ristretta cerchia di Tiranni, egocentrici e avidi di potere, aveva progettato di eliminare tutti gli altri Incanalatori del mondo, per rimanere i soli ad avere il Dono. Gli alti gerarchi dei Manti Bianchi erano tutti vittima di un sistema di controllo mentale, attuato per mezzo del Potere, che li costringeva ad agire secondo gli ordini che provenivano dall’Isola del Drago; l’interminabile guerra tra le due fazioni era solo una sanguinosa messa in scena dove a morire erano per lo più soldati semplici e gente comune... Ma, se la storia recente era diventata un rompicapo per Toras, il ragazzo trovava invece interessante quello che l’insegnante aveva da dire sull’Era precedente: un ciclo che il mondo aveva già vissuto e completato, migliaia di anni prima. Toras apprese dell’esistenza, in quell’Era, di un incanalatore potente ed arrogante chiamato il Drago che, autoproclamatosi campione della Luce, aveva portato il mondo sull’orlo della distruzione. Era allora vissuto un altro uomo, che, insegnando e predicando i concetti che sono tuttora il fondamento del Culto, era riuscito a far aprire gli occhi agli uomini, i quali finalmente avevano rigettato i semplicistici ed ingannevoli dogmi della Luce e delle Tenebre, abbracciando la Conoscienza che allarga la mente. Questi era Dehmantred, Primo Divulgatore nonché fondatore del Culto della Conoscenza. Quando, infine, il folle Drago era stato placato ed esiliato su un’isola deserta, per consacrare l’importanza di tale evento Dehmantred aveva proclamato l’inizio di una nuova Era. E così era iniziato per l’umanità un lungo periodo di pace e prosperità sotto la guida del Culto, interrotto purtroppo dalla Tirannia, durante la quale il Culto stesso era quasi scomparso.
«Ma ora è giunto il momento di rialzare la testa...», esclamava il vecchio Prete con la sua voce stridula, «E di portare di nuovo la Conoscenza alle genti!». Alcuni adepti, soprattutto quelli di lungo corso, si infervoravano all’udire queste parole e si scambiavano cenni d’assenso o addirittura battevano le mani; molti invece rimanevano incerti e silenziosi. C’era stato un solo caso di dissenso, subito punito con l’assegnazione del colpevole ai lavori di bonifica.
Gli adepti che per punizione venivano mandati alla bonifica, com’era ormai in uso di dire, avrebbero dovuto, in teoria, lavorare nei terreni attigui al Tempio, per trasformare quell’acquitrino in terra coltivabile. In realtà, dopo il primo giorno nessuno li rivedeva più, e Toras si era fatto una certa idea riguardo la loro sorte. A metà mattinata gli adepti si riunivano nell’ampia aula delle udienze per la riunione generale: tutti coloro che non stessero adempiendo ad un compito inderogabile erano tenuti a parteciparvi, compresi i Preti Neri. La prima parte della riunione era sempre maledettamente noiosa, con i Preti più anziani che recitavano lagnose litanie alla sacra Conoscenza, oppure tediosi sermoni sul ruolo del Culto nel mondo. Gli adepti si riscuotevano quando a prendere la parola erano i Preti più giovani, come il sapiente Ramkin. Questa era, infatti, l’occasione in cui venivano convocati gli adepti per le missioni, e nella sala si stendeva un silenzio carico di anticipazione. I nomi venivano chiamati uno ad uno, seguiti dal nome del Prete Nero che aveva il comando della missione. Toras non sapeva proprio cosa aspettarsi nel caso in cui avesse sentito chiamare il proprio nome: alcuni adepti sembravano rallegrarsi, o addirittura esultare, altri parevano avvilirsi e deprimersi, altri ancora, soprattutto quelli con maggiore anzianità nel Culto, prendevano atto della convocazione senza lasciare trasparire alcuna emozione. Il nome di Toras, tuttavia, non era ancora stato chiamato, come neppure quello di Hysaac, il quale alla fine di ogni riunione non mancava di lagnarsi per il fatto di non essere mai considerato pronto all’azione. Usciti dall’aula delle udienze, i due ragazzi si recavano insieme al cortile interno del Tempio, dove alcuni gruppi di adepti venivano addestrati al combattimento.
Toras aveva ormai accettato il fatto che il Culto, pur essendo un’istituzione religiosa, per la sua natura clandestina e sovversiva dovesse preparare i propri seguaci allo scontro fisico. Eppure c’era qualcosa di più, percepibile dalla durezza dell’addestramento e dalla passione degli istruttori, che interveniva ad animare quelle sessioni d’esercitazione. Toras aveva la sensazione che non lo stessero semplicemente preparando alla remota possibilità di ritrovarsi un giorno in un tafferuglio con i Manti Bianchi venuti a demolire il Tempio e disperdere gli adepti; no, il Culto evidentemente addestrava i propri seguaci all’azione, sia di sotterfugio che di battaglia vera e propria. Quest’impressione era ancor più evidente quando i ragazzi erano chiamati a partecipare all’addestramento di Niamh, l’attraente istruttrice di combattimento corpo a corpo. La giovane donna, di alcuni anni più vecchia di Toras, ostentava un comportamento marziale e imponeva agli allievi una disciplina ben più dura rispetto agli altri istruttori, concedendo qualche rara eccezione alla sua severità solo quando aveva a che fare con Hysaac, il suo prediletto. Toras, al contrario, era da lei trattato con un misto di ostilità e disprezzo; questo accanimento nei suoi confronti, per giunta, non si limitava all’atteggiamento, ma si manifestava anche nella spietatezza dei suoi colpi quando duellava con lui di persona. Alla fine di ogni sessione, infatti, tutti gli allievi, a turno, dovevano affrontare Niamh a duello. L’istruttrice usava la propria staffa e lasciava liberi gli allievi di scegliere una delle armi a cui venivano addestrati: spada, ascia e bastone ferrato. Le lame usate in allenamento naturalmente non avevano il filo, ma questo accorgimento sembrava superfluo, dal momento che Toras non aveva mai visto Niamh subire un singolo colpo. Lo stesso non si poteva dire dei suoi studenti, che rimediavano inevitabilmente numerose bastonate; Toras in particolare sembrava fare una collezione di lividi. Bontà sua, almeno distribuisce i colpi uniformemente e non picchia sempre nello stesso posto, doveva ammettere il ragazzo. Più tardi, dopo il pranzo e una brevissima pausa, la giornata prevedeva ancora numerose fatiche, con i diversi incarichi che incombevano a rotazione sugli adepti, ma per Toras il momento peggiore era proprio quello dell’addestramento, e non solo per via dei lividi.



Norah

Con un grido muto che le riecheggiava nelle orecchie, aprì di scatto gli occhi nell'oscurità. Strinse i pugni sulle coperte tirandole a sé più di quanto già non lo fossero. Il freddo che provava non era fisico però. Il gelo le ghiacciava le vene in un modo che nessuna coperta avrebbe potuto evitare.
Si accovacciò accanto al corpo di Julian, cercando di non svegliarlo di nuovo come quando si era intrufolata nella sua camera dopo il primo incubo di quella notte. Capitava sempre più spesso di recente: all'inizio Julian sembrava aver pensato che fosse una scusa per poter passare la notte con lui, ma ultimamente era fin troppo chiaro quanto fosse preoccupato per lei, anche se in quel momento dormiva e non si era accorto che lei gli si stringeva accanto tremando.
Le prime volte la sua presenza era stata sufficiente a farla sentire bene, meglio almeno. Ma quei sogni si facevano sempre più vividi, sempre più inquietanti e mostruosamente intimi. Ne era terrorizzata al punto da vivere con ansia i momenti di sonno, ai quali, per quanto si sforzasse, doveva soccombere anche perchè stava attraversando il più intenso periodo all'Accademia, che si sarebbe concluso finalmente con l'esame d'ammissione.
Quei sogni tuttavia le rubavano la gioia per quel traguardo da tempo desiderato, oltre che sottrarle energie per gli studi e le prove. Era esausta, oltre che terrorizzata. Non sapeva quale tra le due orribili sensazioni fosse quella che la faceva ammattire di più.
Spinse il viso tra la spalla e la testa di Julian, fino a sentire i capelli del ragazzo sul viso. Non erano semplici incubi. Erano ricordi che le appartenevano. Erano vite che aveva già vissuto. Non sapeva come, nemmeno lo voleva, ma lo sapeva. Più se lo negava, più ne sentiva il richiamo familiare. Una sensazione agghiacciante.
C'era una presenza ricorrente, una vera e propria ossessione tornava in ogni sogno. Sangue.
Morte, gloria, paura, dominio e sangue. Sangue ovunque. Sempre.
Sussultò al movimento di Julian che le cingeva la testa.
«E' successo di nuovo?»
Norah si limitò ad annuire senza spostare la testa dall'incavo del collo del ragazzo.
Lo sentì sospirare profondamente e stringerla più forte.
«Ascoltami»
Norah scostò il viso per interromperlo
«So cosa vuoi dirmi e sai già la risposta»
«Norah per favore»
«Aspetterò di aver passato l'esame d'ammissione»
«Ma tu stai male, non puoi andare avanti così»
«Sono appena due settimane»
«Due settimane in cui non chiuderai occhio. Pensi che mi faccia piacere sentirti tremare al mio fianco tutte le notti?»
Norah si attaccò al suo braccio, appoggiando il mento alla spalla, e sospirò.
«Parlane al Consiglio subito. Vedrai che saranno comprensivi.»
«Julian ti ho detto quello che sogno, io non credo che loro...»
Lui si mise su un fianco per poterle stare faccia a faccia, sebbene nel buio potessero a malapena distinguere i contorni l'uno dell'altra.
«Sono solo sogni, saranno comprensivi, vedrai...»
«Julian. Non cercare di convincermi di qualcosa di cui non sei convinto neppure tu» lo disse con un filo di voce. Da quando lui e Dimion le avevano svelato del suo ritrovamento, quegli incubi avevano assunto un peso del tutto diverso. Entrambi temevano che ne sarebbe scaturita una verità inaccettabile, ma nessuno dei due aveva il cuore di dirlo apertamente.
Rimandare la scoperta sembrava essere l'unica soluzione. Avrebbe voluto scapparne, ma di giorno in giorno ogni immagine, ogni ricordo si faceva più vero, più tangibile. Attendere l'esame era solo una misera scusa, ma ne avrebbe inventate altre pur di non affrontare quella paura.
«Dopo l'esame parlerò al Consiglio, te lo prometto»
Julian le baciò la fronte e poi se la strinse al petto.

Era così caldo il suo corpo. Stargli accanto la faceva star bene. Non c'era niente che potesse rovinare quel loro rapporto speciale, nemmeno questi brutti pensieri avevano il diritto di rubar loro la felicità di stare insieme.
Doveva riuscire a cacciarli via dalla sua testa, voleva concentrarsi solo su di lui. Sarebbe stata meglio così. Così si lasciò coccolare a lungo, desiderando un sonno sereno finalmente.
Si sforzò di cercare pensieri positivi. Si concentrò sull'esame e su quello che sarebbe successo dopo: diventare una Guaritrice le avrebbe permesso di salvare vite, di rendersi utile alla città, anzi a tutte le Città della Notte. Non vedeva l'ora. Era la migliore dell'anno accademico, non temeva affatto un fallimento, ma questo non significava che non mettesse il giusto impegno nella preparazione dell'esame, anzi. Non le bastava passarlo, voleva farlo in modo perfetto, memorabile. Ci sarebbe riuscita, ne era certa: Julian e Dimion sarebbero stati così fieri di lei.
Sorrise accoccolandosi a Julian, aveva così disperatamente bisogno di riposare: se da un lato l'avvicinarsi dell'esame la rendeva euforica, dall'altro la devastava. Le prove per l'esame erano massacranti. Ogni giorno si allenavano a tessere flussi complessi, a gestirli contemporaneamente, senza mai perdere il contatto con il fulcro della Guarigione: il cuore.
Il cuore umano. Durante ogni Guarigione era indispensabile sondare i battiti del cuore. Era un organo affascinante. Custodito come un tesoro al centro del corpo, nascosto e protetto come il più prezioso dei gioielli. Quel suo movimento ritmico che aumentava o calava in base alle condizioni fisiche, alle emozioni della persona. Era estremamente affasciante. Sentiva quello di Julian ora, mentre lo abbracciava. Il suono pulsante che emetteva era così rilassante. Involontariamente lo sondò, era così abituata ad eseguire quel flusso che quasi non si rese conto di averlo fatto. Il cuore di Julian batteva rintocchi regolari, mentre il ragazzo era ricaduto nel sonno. Il suo flusso lo lambì fino ad interferire col suo ritmico movimento. Il flusso si strinse. Il battito calò fino a zittirsi. Il flusso sondò il sangue rallentare la corsa lungo le vene, lo sondò pazientemente fino a constatare che tutto si fosse fermato. Che tutto fosse morto.
Perchè sentiva così freddo ora?
Il corpo di Julian non sembrava più così caldo.

«Julian!»
Norah strattonò il ragazzo, prendendogli il volto.
Lo sentì muoversi di scatto, spaventato e assonnato.
«Cos...»
Norah gli gettò le braccia al collo e si sfogò in un pianto angosciato. Era stato un sogno, solo un altro terribile incubo. Non poteva far del male a Julian, non a Julian.

continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
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Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 34
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte terza] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte terza]

Mabien Asuka

Ricalcò il segno appena fatto sul muro imprimendo maggior forza al piccolo frammento di pietra che stava usando. Era il ventisettesimo segno che faceva in quell'angolo della cella che senza troppe cerimonie sembrava esserle stato attribuito dalle sue compagne. Ventisette giorni di reclusione, ventisette giorni in cui non aveva potuto far altro che osservare e studiare quel posto, chi lo popolava, chi lo vigilava.
La noia e l'inquietudine regnavano sovrane: Mab, seduta come ogni giorno sul pagliericcio che le faceva anche da letto, si sentiva come un ragno che avesse costruito una magnifica tela in un luogo in cui non sarebbe mai passato alcun insetto. Quell'inattività, quello scorrere inutile del tempo mentre lei non poteva fare assolutamente nulla era una sensazione snervante. Le sue attività quotidiane consistevano in due pasti e qualche limitato esercizio fisico per non lasciare i muscoli ad intorpidirsi. A volte veniva prelevata: ogni cinque o sei giorni veniva condotta ai bagni per potersi lavare, mentre altre volte veniva sottoposta ad interrogatori a cui erano presenti donne e uomini con gradi molto differenti di gentilezza. Si sentiva amaramente ridicola nell'attendere quei momenti come un evento di rara eccitazione. Ma era la verità.
L'incertezza sul suo destino le pesava terribilmente: nessuno le diceva niente, nessuno dava spiegazioni, non le impedivano di far domande, ma ben presto aveva smesso di farne dal momento che non portavano ad alcuna risposta. Erano passati così ventisette giorni e chissà quanti ne sarebbero passati ancora prima di poterne uscire. Se mai sarebbe uscita.
Le sue compagne l'aiutavano assai poco a sentirsi meglio, anzi erano spesso loro stesse causa di disagio e insofferenza. Una delle due, Shawna, non aveva detto una sola parola da quando lei era arrivata, ma si limitava a fissarla troppo spesso per i suoi gusti, con la stessa indelicatezza di quel primo giorno in cui le aveva girato attorno indagatrice quanto un avvoltoio. Draginelle invece le si stava avvicinando proprio in quel momento, come aveva preso a fare ogni volta che Shawna veniva portata via.
«Forse è la volta buona che ci liberiamo di lei»
Mab sorrise sarcastica nel sentire la frase che ormai era divenuta di rito da quando una decina di giorni prima Shawna era rientrata in cella da un interrogatorio zoppicando e con alcuni lividi piuttosto evidenti. Draginelle la odiava, non c'era un motivo particolare per quel risentimento, se non lo strano ed effettivamente irritante comportamento della donna, che certo non ispirava simpatia, ma più che altro Draginelle era un tipo dalle poche sfumature, una persona alla quale bastava poco per sentenziare una verità magari tutta sua. Quando si era trovata a dover condividere la cella con Shawna, aveva provato a parlarle una volta sola, così le aveva raccontato, e in quell'occasione era riuscita a stento a farle dire il proprio nome. Nient'altro. Quella mancata conversazione le era bastata per decidere di eliminare per sempre Shawna dalle sue possibili amicizie.
«Mi mette i brividi! A te no?»
Mab sospirò.
«Ho visto di peggio. Non mi sembra così terribile, dai. Preferisco vederla tornare in cella... e senza ossa rotte. Piuttosto dovremmo riuscire a farci dire cos'è successo.»
«Lascio a te il piacere»
«Ma capita spesso che qualcuna venga trattata così?»
«Beh... capita... ogni tanto, quando capiscono che qualcuno nasconde informazioni o ne dice di false per avere un'ora d'aria in più. Se tenta di scappare o di far qualcosa alle guardie anche, capita...» spiegò facendo spallucce.
«E tu non sei curiosa di sapere cos'ha fatto lei?»
«Gliel'abbiamo chiesto e non ci ha risposto. Per me il problema termina qui. Non ho intenzione di far nulla che possa mettermi in situazioni del genere. Lei se la sarà cercata!»
Draginelle era una comare di paese e da tale ragionava. Più che curiosa, era un'impicciona e una pettegola: aveva raccolto molte informazioni durante i mesi di reclusione e le dispensava per far conversazione senza rendersi conto di quanto fossero preziose. Aveva una visione semplificata della vita e questo pareva aiutarla a prendere anche quella reclusione come un dato di fatto bene o male accettabile. Ogni tanto le facevano incontrare il marito, con il quale era fuggita dalla Confederazione quando i Manti Bianchi avevano scoperto la sua capacità di incanalare. Quegli incontri le bastavano per star bene mentre attendeva con serena fiducia il giorno in cui avrebbero fatto uscire anche lei. Da un certo punto di vista Mab la invidiava.
«Sei preoccupata per lei?» chiese la donna dopo qualche momento di silenzio.
«No... no, non è che mi stia così a cuore. Sto solo cercando di capire come...»
«Non parlavo di Shawna! Dicevo della tua compagna, la Figlia della Luce»
Mab alzò le spalle.
Aveva visto Hilda per l'ultima volta il giorno in cui erano state portate là dentro: accompagnata da due guardie era entrata dal portone in fondo al reparto in cui si trovava la sua cella, aveva camminato lungo tutto il corridoio seguita da un vasto mormorio delle detenute, le aveva gettato una rapida occhiata quando le era stata di fronte, solo un movimento degli occhi, mentre procedeva fino a scomparire oltre il portone al lato opposto di quello da cui era entrata. Non l'aveva più vista da allora, ma la percepiva non troppo distante, al piano di sopra, con un umore anche peggiore del suo: Hilda stava cercando di controllare i nervi, ma era spaventata e avvilita più di quanto Mab avrebbe mai immaginato.
«Con quelli non vanno tanto per il sottile...» puntualizzò la donna.
Già, Mab se n'era accorta: gli interrogatori che facevano a Hilda dovevano essere molto diversi da quelli che facevano a lei. L'avevano interrogata quasi tutti i giorni, non l'avevano maltrattata troppo, ma in un paio di occasioni era successo qualcosa di strano: la prima volta Mab aveva temuto che avessero scoperto il loro legame e l'avessero reciso perchè, per la prima volta da che aveva avuto la malaugurata idea di intesserlo, l'aveva perso completamente. Era poi tornata a percepirla di nuovo, improvvisamente come l'aveva persa minuti prima. Era successo un paio di volte e Hilda ne era sempre uscita profondamente turbata.
«Poi te l'ho detto, su di lei hanno sicuramente raccolto un bel po' di informazioni, a giudicare dal vespaio che si è sentito quando è passata di qui il primo giorno»
«Si, me l'hai detto, lo so, ma non c'è molto che io possa fare» tagliò corto Mab.
Chissà se Hilda sapeva come funzionavano i premi per chi parlava, se qualcuno gliel'aveva spiegato come Draginelle l'aveva fatto con lei. L'idea di dare ore d'aria in cambio di informazioni sui prigionieri appena rinchiusi era un'astuzia non da poco e a quanto pareva l'ingresso di una celebrità come la figlioletta di Al'Kishira aveva portato all'elargizione di varie ore d'aria.
Mab iniziava ad agognare il momento in cui sarebbe capitato anche a lei: fino a quel momento aveva parlato agli interrogatori rispondendo ad ogni domanda sul suo passato, ma d'ore d'aria ancora non ne aveva avute. Gliene aveva parlato Draginelle e da allora ci pensava spesso: da uno dei cunicoli bui della sala ovale oltre il portone si accedeva alla cosiddetta buca, il fondo di un burrone stretto e ben poco paesaggistico visto che mostrava appena un cerchietto di cielo a un centinaio di metri d'altezza, ma lì si respirava aria fresca e soprattutto lì era concesso abbracciare la Fonte. Se l'idea di essere condotta ai bagni l'eccitava, quella di poter essere portata finalmente alla buca pareva un lago in mezzo al deserto. Dopo ventisette giorni attendeva impaziente quel momento e col passare del tempo non sapeva cosa sarebbe arrivata a dire agli interrogatori pur di ottenere quel privilegio.
Il pesante scardinare del portone che rimbombava per tutto il corridoio fece allontanare Draginelle in tutta fretta: Mab non sapeva perchè la donna non volesse nemmeno farsi vedere da Shawna mentre parlava con lei, fatto sta che le si allontanava alla sola scarsa ipotesi che l'altra compagna potesse tornare in cella e quando era presente piombava nel mutismo più assoluto. Di tutta la gente con cui poteva capitare in cella, non le erano toccate certo due persone facili da gestire, ma tutto sommato era tollerabile.
Ovviamente i passi che si stavano avvicinando non erano di Shawna, che era da poco uscita, ma a fermarsi davanti alla loro cella fu una guardia.
«In piedi Mabien, oggi han voglia di sentire la tua voce»

Non la portarono alla solita stanza per gli interrogatori: una volta varcato il portone, fecero salire a Mab le scale e le misero al polso lo strano bracciale del primo giorno. La dislocazione dei corridoi sembrava speculare a quella del piano di sotto e anche la stanza in cui fu portata per l'interrogatorio era identica a quella che l'aveva ospitata le volte precedenti: piccola e priva di mobilia e decorazioni fatta eccezione per la panca in legno che percorreva tre pareti, una sedia posta al centro e un piccolo scrittoio in un angolo. La sedia spettava a lei, sulla panca sedevano già tre persone, due donne e un uomo che non aveva mai visto prima. Allo scrittoio sedeva un giovane incaricato, come accadeva sempre, di redarre il verbale dell'incontro. Era tutto praticamente uguale alle altre volte che era stata interrogata, tranne per il fatto che qui i suoi inquisitori potevano incanalare.
Era già stata sottoposta ad interrogatori, aveva già detto molto: aveva raccontato loro come aveva scoperto di poter incanalare, quali flussi conosceva, aveva parlato dei suoi anni di vita a Daing, dei suoi legami con i Figli della Luce, dei metodi con cui i Manti Bianchi riconoscevano e poi trattavano gli incanalatori. Erano davvero poche le cose che Mab, per ovvie ragioni, non era disposta a rivelare, ma del resto avrebbe collaborato, come aveva fatto fino ad allora. Perchè portarla lì oggi?
Si osservarono a vicenda in totale silenzio per un tempo che sembrò mortalmente lungo, poi una delle donne improvvisamente cominciò con le domande.
«L'ultima volta ci hai detto che hai passato un anno a Kerine come schiava, giusto?»
«Si, un anno circa»
«Da quando sei stata portata via da Daing, fino a quando sei fuggita»
«Esatto»
«Come sei giunta a Kerine? Chi ti ha resa schiava?»
Lo sapevano. Sapevano che era stata Hilda, lo aveva già detto, ma capitava che chiedessero più volte le stesse cose, probabilmente nel tentativo di smascherare risposte contraddittorie. Quasi certamente stavano anche confrontando le sue risposte con quelle della Figlia della Luce. Certamente il loro scopo era quello di metterla a disagio, ma non aveva nulla da temere. Non ancora.
«Hilda al'Kishira. Lei mi portò a Kerine e mi cedette ad un mercante di schiavi»
«Perchè?»
Mab prese un attimo di tempo per riflettere su quanto stava per dire, poi parlò.
«Perchè non aveva avuto il coraggio di uccidermi, come le era stato ordinato di fare»
«Sei certa che quello fosse il solo motivo?»
«Quale altro motivo avrebbe dovuto avere?»
«E' scortese rispondere ad una domanda con un'altra domanda» s'intromise l'uomo.
Mab volse lenta il suo sguardo su di lui, quindi precisò
«Hilda mi confessò apertamente di non avere il coraggio di uccidermi, quindi fece l'unica cosa che la sua educazione le suggeriva di fare in alternativa: farmi servire la Confederazione come schiava»
«Gli schiavi che servono la Confederazione non vengono venduti, appartengono solo alla Confederazione»
Mab sospirò per l'inutilità di quelle domande. A che gioco stavano giocando?
«Ovviamente non poteva consegnare ai verbali della Confederazione l'incanalatrice che avrebbe dovuto uccidere, sarebbe stato come ammettere la sua negligenza. Un mercante di schiavi avrebbe fatto meno domande e in cambio della giusta somma non avrebbe mai ricordato come mi aveva trovata»
La donna annuì leggermente, poi riprese con le domande
«Da quel giorno quanto tempo è passato prima che incontrassi nuovamente Hilda al'Kishira?»
«Una decina d'anni»
«In quei dieci anni non l'hai mai più vista?»
«Mai»
«Mai avuto a che fare con lei in qualche modo?»
La serenità con cui Mab stava cercando di affrontare quell'interrogatorio venne meno. Quelle domande sembravano puntare ad uno scopo ben preciso, anzi a più bersagli ben precisi, esattamente quelli che lei voleva evitare di dire.
«Mai»
L'uomo schioccò le dita. Un tuffo al cuore di Mab.
«Quando e dove l'hai rivista poi?»
«A Dobied. Due mesi fa circa»
«Prima di allora mai?»
«Mai»
«Prima di allora ne hai sentito parlare?»
Mab gettò un'occhiata fugace all'uomo, prima di rispondere.
«Si, questo sì. Hilda è la figlia minore del Capitano Comandante al'Kishira, è quasi impossibile non sentire parlare di lei tra i Figli della Luce»
«Cos'hai saputo di lei in quegli anni»
«Non molto, non osavo fare il suo nome, non osavo avvicinarmi a nulla che la riguardasse»
«Perchè?»
«Ho sempre temuto che sarebbe tornata ad adempiere al suo compito»
«Avresti avuto modo di scoprire qualcosa su di lei, se avessi voluto?»
«Si, credo di sì»
«Cosa per esempio?»
Mab osservò gli occhi che la scrutavano. Cosa sapevano? Quanto sapevano?
«Non... non saprei...»
L'uomo schioccò le dita. Quel suono scandì per la seconda volta la sua menzogna e aprì una lunga pausa di silenzio.
«Hilda al'Kishira ti cedette ad un mercante di schiavi, hai detto. Poi che accadde?»
«Fui venduta il giorno stesso»
Non era un racconto che meritasse particolari attenzioni quello: l'aspetto di Mab era piuttosto esotico anche per una città del sud come Kerine, il che le valse presto una certa fama e soprattutto un discreto valore sul mercato. Nulla di cui potesse ricavare alcun guadagno personale in realtà, perchè anche se passava per le lussuose dimore dei più ricchi mercanti della città, alle cui mogli piaceva far sfoggio dei loro graziosi schiavi, Mab restava sempre e comunque un'immonda incanalatrice, alla quale a malapena era concesso il diritto di parlare.
E pensare che solo pochi mesi prima era stata la pretendente di un principe, seppur anche quella sorte non le fosse mai parsa allettante. Certamente lo era più di quella che le toccò con Voshua, il penultimo dei suoi padroni a Kerine, un vecchio banchiere troppe volte vedovo perchè chiunque potesse pensare fosse una coincidenza. I malcostumi dell'uomo erano fin troppo noti in città, ma quando non si preoccupò di celare al pubblico decoro di condividere il suo letto con un'incanalatrice, sollevò uno sdegno tale da potersi tramutare presto in uno scandalo in grado di trascinarlo in un baratro economico e politico. Mab aveva compreso quelle cose col senno di poi, quando le aveva analizzate a mente fredda e maturata da esperienze che allora, nemmeno ventenne, poteva solo vagamente intuire.
Mab aveva sempre pensato che fosse stata la minaccia di quello scandalo a spingerlo a venderla ad una coppia di contadini che avevano bisogno di energie giovani per gestire la fattoria che possedevano alla periferia nord di Kerine: i due non avrebbero certo potuto permettersi il prezzo di una schiava come lei altrimenti. In quei due contadini Mab trovò di nuovo una gentilezza che pareva esserle stata preclusa da quando era stata costretta ad abbandonare Daing: per quanto la facessero lavorare sodo, Garin e Tyga non le fecero mancare nulla nei due mesi che passò con loro, nemmeno l'affetto e addirittura una sicura via di fuga dalla città. «Secondo te perchè l'avrebbero fatto?»
«Avevano perso due figlie a causa dei Manti Bianchi, una perchè incanalava, l'altra perchè aveva tentato di far fuggire la sorella dalla schiavitù»
«Questo è tutto? Avrebbero rischiato tanto solo per questo?»
«Non vedo per quale altro motivo»
«Secondo te, in nome di due figlie che non avrebbero comunque potuto riavere, ti hanno lasciata scappare rischiando la forca a loro volta?»
Mab tacque incapace di comprendere quale fosse lo scopo di quelle domande.
«E non ti sei nemmeno chiesta come siano riusciti a comprarti?»
«Voshua fu costretto a...»
«Hilda al'Kishira fece in modo che si levasse la pietra dello scandalo. Hilda al'Kishira pagò il prezzo della tua ultima cessione. Hilda al'Kishira fornì a Garin e Tyga le prove della morte della loro schiava, perchè ti aiutassero a fuggire senza rischiare una condanna»
Mab fissava sgomenta le labbra della donna che dava voce a quelle assurdità.
«Vuoi davvero farci credere che non ne sapevi nulla?»
Mab aprì la bocca, ma non fu in grado di emettere alcun suono.
«Non sapevi che sei stata schiavizzata e liberata sempre per volere di Hilda al'Kishira?»
«N... no»
Entrambe le donne fissarono la mano dell'uomo. Nessuno schiocco di dita accompagnò la disarmata verità di Mab. Non sapeva. Non l'avrebbe nemmeno mai immaginato. Hilda. Cosa significava tutto questo?



Toras Skellig

Anche quel giorno, Toras aveva ricevuto la sua batosta quotidiana e si era seduto insieme agli altri per osservare l’ultimo duello. Hysaac veniva sempre tenuto per ultimo, forse perchè Niamh voleva dargli il vantaggio, per così dire, di affrontarla ormai stanca.
Non se la cava male, constatò Toras osservando il ragazzo, con il quale cominciava a stringere amicizia, è ancora lento come un bue muschiato, ma può incassare dieci volte i colpi che stenderebbero me. Quando Niamh decise che poteva bastare, diede a Hysaac una pacca sul didietro e lasciò liberi gli allievi di andare alla mensa per il pranzo.
«Non so proprio spiegarmi il perchè, ma quella donna ti ha messo gli occhi addosso.», disse in tono canzonatorio Toras all’amico che si era venuto a sedere lì vicino.
Poi, di fronte all’espressione stupita dell’altro, non potè che roteare gli occhi costernato: «Ah, andiamo! Non puoi non esserti accorto delle sue attenzioni! Che cosa pensi di fare al riguardo?».
Hysaac cercò di minimizzare, imbarazato: «Ma nulla... Cioè, voglio dire: le sue intenzioni non sono quelle che pensi tu. Lo so per certo, questo, perchè abbiamo parlato, io e lei, ci siamo confidati alcune cose...». Istigato da Toras, il ragazzo raccontò quello che Niamh gli aveva svelato del proprio passato: una storia d’amore spezzacuore tra una giovane proveniente da un’agiata famiglia di Karine che, dopo avere scoperto che il suo amato era un incanalatore, aveva abbandonato tutto ed era fuggita con lui. Purtroppo i due non avevano fatto molta strada prima di incappare in un agguato dei Manti Bianchi, nel corso del quale l’uomo era stato tragicamente ucciso.
«Ed è per questo, vedi, che Niamh ha deciso che non prenderà mai marito.», concluse malinconico Hysaac. «Beh, a dire il vero non è il matrimonio che ti stavo per suggerire...», intervenne Toras, «Ma... cosa successe esattamente al mancato sposo?», chiese, improvvisamente curioso.
«Fu un Traditore ad ucciderlo. Per errore, nel tentativo di bloccarlo, o per pura crudeltà, chi può dirlo? Ma penso che Niamh si sia fatta un’idea. Beh... il mio stomaco dice che è ora di andare a mangiare un boccone, tu non vieni? Ah, dimenticavo! Tu non hai ancora finito...», disse Hysaac con un mezzo sorriso, mentre si alzava per andare alla mensa.
Maledizione, me n’ero quasi dimenticato, realizzò Toras con un’imprecazione a denti stretti. Si voltò verso il centro del cortile, ormai deserto fatta eccezione per Niamh, che lo attendeva a braccia incrociate e con uno scuro cipiglio. Il suo addestramento speciale era stato un’idea di Ramkin: un metodo infallibile, a detta del Prete Nero, per sbloccare il suo accesso alla Fonte. Toras infatti non era ancora capace di incanalare il Potere volontariamente e questo fatto dava immensamente fastidio al suo salvatore. «Il problema,» come aveva sentenziato un paio di giorni prima il lugubre Prete, «E’ che tu hai un blocco, qui nella tua testa.» e gli aveva picchiettato uno scheletrico dito sulla fronte.
«Un blocco che ti impedisce di accedere alla Fonte. Ma non temere, la cura per sbarazzarsene è semplice: basterà metterti in una condizione di pericolo estremo, e il blocco cederà di fronte all’impellenza dell’istinto di incanalare.».
Il compito di mettere in pratica questa cura, per motivi non svelati ma facilmente immaginabili, era ricaduto su Niamh. Il primo giorno, dopo l’allenamento collettivo, l’istruttrice aveva legato le mani a Toras, poi aveva minacciato, in maniera alquanto credibile, di rompergli il cranio con la staffa. Un’altro bastone giaceva ai piedi del ragazzo, il quale quindi avrebbe potuto difendersi se fosse ruscito ad abbracciare la Fonte e bruciare con il Potere la corda che gli legava i polsi. Purtroppo non aveva funzionato, nonostante Niamh, ligia al dovere, avesse continuato a percuotere e minacciare per un tempo che a Toras sembrò infinito.
Il secondo giorno Niamh aveva chiamato in causa i mastini di Talos, un ex bracconiere di Heicor ricercato dai Manti bianchi e in un qualche modo aggregatosi al Culto. I cani erano stati sguinzagliati ad un’estremità del cortile interno, mentre Toras era stato lasciato, di nuovo legato, in una stanza all’estremità opposta. Talos era stato felice di poter aizzare i suoi mastini contro il ragazzo, affermando che ormai da troppo tempo non cacciavano più. Toras aveva una sola speranza di salvarsi: abbracciando la Fonte, avrebbe potuto chiudere la porta della stanza con flussi d’Aria che gli erano stati doverosamente insegnati, e impedire così l’ingresso ai cani. Non aveva funzionato. E Talos aveva dovuto, seppur controvoglia, richiamare i suoi cuccioli prima che essi completassero su Toras la loro vendetta per i lunghi mesi di cattività subiti. Toras, che non aveva mai avuto creduto nel piano di Ramkin, ormai disperava di poterne uscire vivo.
Quel giorno notò che Niamh aveva piantato un palo nel terreno e si chiese rabbrividendo che cosa avesse concepito questa volta la sua mente perversa. La donna, prevedibilmente, lo condusse verso il palo e ce lo legò mani e piedi; poi estrasse da una tasca nascosta un pugnale da lancio e glielo mise sotto il naso: «Mirerò al cuore. Se non vuoi una morte dolorosa vedi di non muoverti. Se invece vuoi vivere, dovrai...», «... abbracciare la maledetta Fonte! Lo so, lo so.», interruppe Toras, «Ma non funzionerà, lo sai bene quanto me. Per cui... non sarebbe meglio usare un coltello finto? Voglio dire... Questo potrebbe essere un po’ pericoloso, no? Potrei... farmi male...?».
La donna si limitò a fissarlo con sdegno per qualche attimo, poi si girò e si allontanò di una decina di passi.
Altro che finto, quel pugnale sembra dannatamente vero... e affilato! No, non può fare sul serio: che cosa racconterebbe poi a Ramkin dopo che mi ha ammazzato? Dopo tutto quello che hanno fatto per liberarmi, sarebbe uno spreco! Già, uno spreco... giusto? Oh Luce! E se invece facesse sul serio?
«Hei! Aspetta!», la chiamò disperato, «Lo so cosa pensi di quelli come me, dei Traditori. Hysaac mi ha detto cos’è successo al tuo uomo...». Niamh si bloccò di scatto: aveva colpito nel segno. Girandosi nuovamente verso di lui, la ragazza lo fissò con gli occhi che lanciavano saette: «Il mio uomo? Il mio promesso sposo.».
«... promesso sposo! Sì sì, è quello che volevo dire! Credimi, mi dispiace tantissimo, e ti capisco perfettamente. Ma, vedi, non si diventa Traditori per scelta. Sono stato obbligato a diventarlo, o mi avrebbero spedito a Cab’inde... o forse peggio!». Niamh tentennò, soppesando il pugnale.
E’ fatta, si disse allora Toras, avrei dovuto saperlo, le ragazze sono sempre manovrabili: basta scegliere le parole giuste!
«Io non ho mai ucciso nessuno. Non è nella mia natura, capisci? Non potrei fare del male nemmeno ad una bestiola. Quei poveri mastini, ieri... non avrei potuto alzare un dito contro di loro! Cioè... voglio dire: anche se non fossi stato legato. Non tutti i Traditori sono come tu ti immagini... Pensa che io non ho nemmeno mai catturato un incanalatore. Anzi, ne ho aiutato parecchi a scappare!».
Niamh, che aveva ascoltato la supplica con uno sguardo diffidente ma incerto, a quell’ultima affermazione sbottò: «Impostore! L’hai detta troppo grossa, questa. Ma è l’ultima menzogna che dirai!» e si allontanò di qualche altro passo prima di fare volteggiare il pugnale, afferrarlo per la punta, e caricare il lancio.
Qualcosa nel suo sguardo diceva che avrebbe lanciato per uccidere, e Toras non avrebbe affidato la propria vita alla lontanissima speranza che Niamh mancasse il bersaglio grosso. Il panico lo immobilizzò completamente, corpo, lingua e cervello. Nell’istante in cui vide il pugnale da lancio lasciare la mano della donna ebbe come una visione: gli riapparve davanti agli occhi la scena a cui aveva assistito alla Rada di Dodieb, quando aveva cercato di deviare per mezzo del Potere un coltello lanciato contro uno dei Figli della Luce che erano di pattuglia con lui. All’epoca stava abbracciando la Fonte, ma, a causa della sua mancanza d’esperienza e di addestramento, non era riuscito a controllare i flussi d’Aria che gli avrebbero permesso di salvare l’ex compagno di pattuglia. Ora, invece, sapeva come piegare al proprio volere quella materia sfuggente ed elusiva, e avrebbe potuto cambiare il corso del pugnale con la velocità di un pensiero. Solo che non poteva: era come essere riusciti a rubare un’appetitosa mela ma scoprire inspiegabilmente di non avere più una bocca per addentarla. La situazione lo colmò d’ira: quell’estrema irritazione, che aveva provato spesso in precedenza, di sapere che avrebbe avuto il potenziale per fare qualcosa di importante ma per qualche motivo non riusciva a metterlo in pratica.
La sua collera fu la chiave. Aveva immaginato di dover eludere il suo blocco mentale come una volpe che scava sotto alla recinzione per intrufolarsi nel pollaio. Fu piuttosto come abbattere un muro di prepotenza. E non appena la mente di Toras potè percepire l’agognata Fonte, essa non si fece pregare per agguantare l’unico strumento di salvezza e rivogerlo contro il pericolo imminente. Nel frattempo gli occhi gli si erano chiusi d’istinto, ma Toras seppe di essersi salvato quando udì il rumore metallico della lama che colpiva il colonnato del portico alle sue spalle. Riaprì gli occhi e vide Niamh irrigidirsi in una posa che tradiva tutto il suo disappunto e la sua indignazione. La donna emise un suono basso e gutturale, simile al ringhio di una belva pronta a scattare verso la preda; poi però si allontanò verso il corridoio che portava agli alloggi dei Preti Neri.
Sta andando a dire a Ramkin che ci sono riuscito... Sono salvo! E sto incanalando di mia volontà!
Era probabilmente la giornata migliore che gli fosse capitata da lungo tempo, almeno da quel giorno lontano a Dodieb, quando aveva bevuto e festeggiato con gli amici, beatamente ignaro della propria maledizione.



Merian Elen Syana

L’odore del sangue arrivava forte e pungente alle sue narici, quasi fosse il suo; il colore così vivido e scuro risaltava in contrasto con l’abito di un bianco candido dell’amica, ormai impregnato del suo stesso liquido vitale. Una forza che non credeva di possedere si era impadronita di lei e minacciava di sopraffarla, ma non voleva abbandonare quella sensazione, no, voleva lasciarla sfogare, andare in ogni direzione, abbattendo ogni cosa.
Merian… sembrava sussurare il vento attorno a lei, Merian… ma lei non gli prestava attenzione, solo l’uomo implorante ai suoi piedi destava tutto il suo interesse. Si preparò a colpire di nuovo.
«Merian!»
La ferocia dell’urlo la riscosse e si guardò intorno: Siadon la fissava a occhi sgranati, la maschera che ricopriva le sue emozioni per una volta dissolta dal suo viso. Sembrava faticasse a respirare.
«Così lo ucciderai!» continuò l’uomo facendo un passo verso di lei. Qualcosa nel modo in cui lo disse le suggerì tutt’altro che preoccupazione.
«Non voglio ucciderlo,» rispose la ragazza allontanandosi a malincuore dalla Vera Fonte. «Non ancora. Prendilo!»
Siadon la guardò con attenzione, in un lampo ogni minima traccia del più piccolo turbamento era svanita, quasi non ci fosse mai stata.
Forse l’ho solo immaginata.
L’uomo alzò Jora da terra con flussi invisibili di Aria e seguì Merian all’interno del bosco. Attorno a loro regnava il silenzio più assoluto, reso ancora più assordante dal caos di poco prima.
Quella sera era andata a letto presto, stanca per gli allenamenti, ma non era riuscita a prendere sonno, qualcosa l’aveva tormentata impedendole di chiudere gli occhi e lasciarsi andare a un meritato riposo dopo giorni di fatica mentale e fisica. Si era alzata molto presto, voleva schiarirsi i pensieri e parlare con Siadon. Il campo era ancora profondamente addormentato, ma mancava all’appello Arlene, oltre ai soliti Kain e Neal di guardia da qualche parte nei dintorni. La cosa l’aveva stranamente turbata. Aveva accelerato il passo e, mossa da un istinto primordiale, si era diretta all’altra metà dell’accampamento, quella condivisa dai compagni di Siadon e il prigioniero. Rohedric aveva espressamente raccomandato di tenersi a debita distanza ma entro i limiti che garantissero la loro sicurezza. Ma se da Siadon o dal Manto Bianco, Merian non lo sapeva.
La vista a cui aveva assistito le aveva bloccato il respiro: Arlene sanguinava senza sosta, colpita alla gola dal prigioniero con ciò che rimaneva di una scodella. Siadon aveva scaraventato l’uomo contro l’albero a cui era legato - a cui doveva essere legato - e cercava di salvare l’amica inutilmente, tentando di chiamare un aiuto che a nulla sarebbe valso. Ancor prima di rendersi conto di quanto stava accadendo, la rabbia era esplosa in lei e saidar era fluito come un fiume in piena nel letto del suo stesso sangue.
Una furia cieca si era abbattuta sul prigioniero facendolo stramazzare a terra. Ogni cosa intorno a lui aveva cominciato a muoversi freneticamente: foglie, rami, l’aria stessa… Ricordava di aver visto Siadon accasciarsi al suolo, mentre intorno a loro una tempesta rabbiosa si scatenava silenziosa. Il tutto era durato una manciata di secondi.
«Dove stiamo andando?» Di nuovo la voce di Siadon la riportò al presente.
«Non voglio che gli altri ci vedano,» rispose Merian accelerando il passo.
Era sicura che nessun altro avesse sentito, per quanto fosse stato strano il suo piccolo concerto aveva avuto solo loro tre come spettatori, ma non voleva correre rischi. In ogni caso il campo si sarebbe levato presto e quando gli altri avessero scoperto il cadavere e l’assenza di Jora sarebbero cominciate le loro ricerche.
Aveva poco tempo.
«Cos’hai intenzione di fare?» incalzò l’uomo.
«Lo sai…»
Oltrepassarono una piccola radura e la ragazza si fermò subito oltre gli alberi facendo cenno a Siadon di far sedere Jora. «Puoi cominciare,» aggiunse l’istante successivo.
Siadon la guardò con aria interrogativa ma depositò Jora a terra come un sacco senza fare domande.
«Me lo stai suggerendo da giorni…» continuò lei.
Solo allora l’uomo sembrò comprendere e il suo sguardo si colmò di stupore, o almeno questo era quello che voleva farle credere. In cuor suo Merian sentiva che Siadon era ben più di quello che lasciava trasparire. Rohedric non aveva tutti i torti quando diceva di stare in guardia da lui, ma a Merian poco importava. Qualunque fosse il suo segreto oscuro a lei interessava soltanto che l’aiutasse a padroneggiare il suo dono. E poi c’era sempre la componente affettiva che lo legava a lui in qualche modo, non doveva dimenticarlo.
«Ne sei sicura?»
«Più che mai. Voglio sapere ogni cosa: la verità su Jennji, su Eleanor e… sulla mia famiglia.» L’ultima parola le era costata cara ma aveva bisogno di sapere, e adesso che aveva l’unica possibilità davanti a sé, non intendeva sprecarla.
Siadon si mise subito all’opera, quasi ansioso di cominciare. L’uomo si sedette di fronte all’altro e gli prese la testa fra le mani, fissandolo dritto negli occhi. Merian osservava attenta, desiderosa di riuscire a vedere i flussi che sapeva in quel momento stavano aleggiando dall’uno all’altro uomo. Si sedette accanto a Siadon senza fare il minimo rumore, non staccandogli di dosso gli occhi nemmeno per un momento. L’uomo aveva parlato spesso di quella tessitura senza mai però scendere nei dettagli. Rohedric sosteneva che era pericolosa, e Siadon non aveva mai negato sebbene spingesse per usarla.
Ogni tessitura può essere pericolosa se usata in maniera incauta, esattamente come una qualsiasi arma, aveva spiegato più volte l’uomo, ma Rohedric non aveva voluto saperne. Anche Mat ne aveva parlato in sogno, quando era venuto da lei per ammonirla: aveva paragonato la cosa a ciò che facevano i Reietti nella sua epoca, e che forse facevano tutt’ora.
Non aveva però voluto spiegarle chi o cosa fossero i Reietti.
Merian era stanca di non avere risposte, si era detta allora che avrebbe ottenuto ciò che cercava da sola, se nessuno era in grado di aiutarla o non voleva farlo.
«Cosa sai di Jennji?» Siadon interruppe i suoi pensieri.
Jora si inumidì le labbra prima di parlare, lo sguardo perso in quello dell’altro come incantato.
«"Terreno di sangue e di vita", mai espressione fu più azzeccata.»
Merian guardò Siadon in cerca di una spiegazione ma quelle parole sembravano non avergli sortito alcun effetto. L’uomo lo esortò comunque a continuare.
«Molti battaglioni di soldati erano soliti passare da lì, scaricando nelle prigioni ogni fetido maiale collegato ai presunti Ribelli che trovavano sul loro cammino. Ma le celle sono vuote da settimane ormai: ogni dannato servitore dell’Ombra adesso trascorre le sue notti tre metri sotto terra.» Nonostante la tessitura l’uomo non riuscì a trattenere una risata di scherno.
Merian avrebbe voluto colpirlo, ma la paura che l’uomo potesse tornare in sé la dissuase dal suo intento.
«Cosa è successo a quelle persone?» chiese Siadon freddo come l’inverno.
«Sono… morte,» rispose semplicemente Jora. La risata che ne seguì fu bruscamente interrotta da una smorfia di dolore.
«Te lo chiedo un’altra volta: cosa è successo ai prigionieri di Jennji?»
«La prigione non esiste più,» rispose Jora all’improvviso mite. «Da fuori forse può assomigliarle, ma all’interno…» L’uomo deglutì forte, ma dopo un’altra scossa invisibile di Siadon proseguì senza interruzioni.
«I servitori dell’Ombra si ostinavano a non collaborare, nemmeno il pensiero delle loro famiglie riusciva a farli ragionare. A nessuno di loro importava se genitori o fratelli venissero puniti al loro posto, a quelle bestie non interessava altro che loro stessi. Così sono stati accontentati: la punizione è ricaduta direttamente su di loro.»
«Li avete torturati?» Merian non riuscì più a resistere. Siadon gli scoccò uno sguardo fulminante con la coda dell’occhio ma ripeté la domanda al Manto Bianco.
«Torturare? No, sarebbe stata tortura se fossero stati innocenti. Ma quelle erano più che bestie, il Male che si erge su due zampe su questa terra. No, quella non era tortura, ma la mano protesa del Creatore verso coloro che si vogliono pentire.»
«E… quanti si sono pentiti?» chiese Siadon lentamente.
«Nessuno.»
Un misto di emozioni colpì Merian fino a farla barcollare ma le lacrime questa volta non vennero, e nemmeno il Potere. In lei vi era una strana calma, la sua mente come un sottile strato ghiaccio pronto a rompersi in qualsiasi momento ma non ancora abbastanza oppresso dal peso della neve che precipitava senza sosta da un cielo senza nubi.
«Voglio sapere del mio villaggio: cosa sai di Shaire?»
Siadon questa volta si concesse un attimo di distrazione per guardarla negli occhi. Quello che vi vide dovette essere sufficiente perché non disse nulla e rivolse la sua domanda a Jora.
«I Syana… mi ricordo di loro. Ero ancora una recluta quando entrai in quel villaggio per portare via la ragazzina. I genitori erano terrorizzati da lei e il padre sembrava felice di sbarazzarsene. La famiglia è stata ricompensata lautamente, vivendo sin da allora sotto la protezione dei Figli della Luce.»
A quel punto Siadon si fermò.
«Non è necessario continuare,» disse l’uomo voltandosi verso Merian.
«Decido io quando è ora di fermarsi.»
«Ormai sappiamo quanto basta per andare avanti…»
«Andare avanti?» lo interruppe Merian furiosa. «Andare dove, dai Ribelli? Dal Drago Rinato?
O preferisci tornare al tuo monastero? Dov’è che vuoi davvero andare Siadon?»
L’uomo non rispose. Era questo che apprezzava in Siadon, riusciva a farla sfogare, anche se a volte avrebbe desiderato schiaffeggiarlo per quel suo distacco freddo e senza parole.
«Tu non hai alcuna intenzione di unirti a noi,» disse infine Merian riprendendo la sua calma di poco prima. «Non volevi andare a Jennji e adesso hai la perfetta scusa per allontanarti. Non ho forse ragione? Anche tu mi abbandonerai come i miei genitori.»
Siadon sospirò, e poi fece una cosa che Merian non si sarebbe mai aspettata: l’abbracciò.
«Credimi,» fece l’uomo. «Non ho alcuna intenzione di abbandonarti.»
Qualcosa nel tono della sua voce la convinse che era la verità quella che gli stava dicendo, forse per la prima volta da che si erano conosciuti. Una lacrima si sciolse dall’abbraccio delle sue ciglia, ma prima che scendesse sulla guancia arrossata dal freddo Siadon la raccolse nella sua mano.
«Basta lacrime,» le disse in tono gentile. «Ora è tempo di agire.»
La guardò intensamente per un lungo momento e Merian cercò di capire cosa volesse da lei. La risposta le giunse chiara come l’alba del primo giorno d’estate.
«Non possiamo lasciarlo in queste condizioni,» annunciò Merian sciogliendosi dall’abbraccio.
«Cosa pensi di fare?» Ogni cosa in Siadon suggeriva che sapeva esattamente cosa fare, ma per qualche strana ragione voleva che fosse Merian a prendere una decisione.
«Si merita certamente di soffrire, ma questa è forse una punizione troppo grande anche per lui.»
Sapeva cosa doveva fare ma ancora esitava, non aveva mai ucciso nessuno a sangue freddo, nemmeno un animale.
«Allevierò le sue pene, sta tranquilla non sentirà alcun dolore.»
«No,» fece Merian allungando una mano nell’atto di fermare l’uomo. «Devo farlo io. Promettimi solo che non parlerai con nessuno di quanto è accaduto questa notte.»
«Non una parola.»
Siadon la guardò serio in volto, gli occhi scuri conficcati nei suoi quasi a volere essere certo che non cambiasse idea, e poi estrasse un coltello dallo stivale.
«Voglio usare il Potere,» lo contraddisse lei. «Qualcosa che lo faccia morire in fretta.»
Siadon ripose la lama al sicuro e si avvicinò di nuovo a lei. Merian ansimò all’improvviso: una morsa gelida sembrava essersi stretta attorno al suo cuore minacciando di strapparlo, e un istante dopo si ritirò.
L’attimo successivo preparò i flussi con una rapidità spaventosa e indirizzò la tessitura verso il torace del Manto Bianco. Ancora seduto sul masso guardava il vuoto davanti a sé, ignaro di quanto stava per accadergli.
Merian sentì pulsare la vita tra le dita invisibili dei sui flussi di Aria e Spirito, e si concesse un istante per assaporarne la forza.
E’ questo il vero Potere? si chiese ascoltando il ritmico battere del cuore dell’uomo.
Dare la vita o dare la morte: era tutto qui.
Strinse la morsa con forza e l’uomo stramazzò a terra davanti ai suoi piedi.
Sapeva che Siadon la stava osservando ma non alzò lo sguardo. Lui attese in silenzio, e lei gli fu grata per questo.
Un rumore alle loro spalle li riscosse entrambi da quel torpore.
«Dunque è questo che ti ha insegnato?» La voce di Brienne sferzò l’aria come una lama e a Merian si bloccò il respiro. Siadon non si fece cogliere altrettanto di sorpresa, rispose a Brienne con il suo immancabile sangue freddo.
«Il prigioniero si era liberato e ha aggredito Arlene. Ho tentato di fermarlo ma era troppo tardi per la donna. L’uomo è rimasto preso tra due vortici di flussi, i miei e quelli di Merian che è sopraggiunta proprio al momento dell’attacco, ed è rimasto come folgorato. Lo abbiamo portato qui per allontanarlo dal trambusto che si era creato ma non ha resistito: è morto mentre Merian tentava di farlo rinvenire.»
La facilità con cui aveva detto quelle menzogne… Merian era sbalordita.
«E ti aspetti che io ti creda?» Brienne rimase dove si trovava, pronta a tornare al campo in qualsiasi momento.
«Perché non dovresti?» rispose Siadon in tono di sfida.
L’aria intorno a loro si era caricata di una tensione quasi palpabile, e Merian sentì che il peggio doveva ancora arrivare: se Brienne tirava fuori uno dei suoi coltelli sarebbe stata la sua fine.
Grazie alla Luce non lo fece.
«Brienne, ascolta» fece Merian nel tentativo di placare gli animi.
«Ho già ascoltato abbastanza,» disse la donna senza distogliere lo sguardo da Siadon.
«E qual è la sentenza?» chiese lui sarcastico. Merian gli pose una mano sul braccio, e non poté fare a meno di notare lo sguardo che le scoccò la donna a quel gesto.
«Andiamo,» disse Brienne voltandosi. «Torniamo al campo. Se Rohedric vi trova non oso pensare a quello che potrebbe fare…» Si girò di nuovo verso Siadon: «E so bene che non avrebbe scampo.»
No, non ne avrebbe… Il pensiero fu così immediato che la spaventò. Ma era la verità: Siadon lo avrebbe ucciso se si fosse messo contro di lui o il suo gruppo: erano Incanalatori, lei era un’Incanaltrice, e nessuno poteva avere scampo contro di loro, nessuno. Brienne era avventata ma non era una stupida, avrebbe assecondato la storia inventata da Siadon pur di salvare Rohedric e gli altri. E come biasimarla? Lei avrebbe fatto lo stesso.
Merian guardò Siadon con aria contrita e lui le fece un cenno di assenso.
E così la visione si è compiuta, fu l’unico pensiero di Merian mentre si incamminava dietro la donna insieme a Siadon, entrambi dimentichi dell’uomo lasciato a marcire nel bosco alle loro spalle.

continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
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Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
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Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 35
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte quarta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte quarta]

Mabien Asuka

«Non ce la faccio più, andiamo avanti con il resto, per favore» intervenne la giovane donna che fino a quel momento non aveva ancora parlato «Occupatene direttamente tu, Ched, non ha senso sprecare tempo con le domande»
«Non è necessario, Teesael, lascia che Shaia continui» rispose tranquillamente l'uomo.
Teesael, che pareva la più giovane dei tre e probabilmente la meno autorevole, incrociò le braccia stizzita e non aggiunse altro.
La bionda Shaia quindi riprese
«Dunque non sai quanto lady Al'Kishira abbia manovrato la tua vita»
Mab scosse la testa. Quella prospettiva la metteva in agitazione: avrebbe voluto fidarsi di Hilda, ma ogni cosa la spingeva a non farlo. Quanto l'aveva manovrata? In che misura lo stava ancora facendo?
Un'altra domanda la distolse dai suoi turbamenti.
«E cosa sai del giorno in cui vi siete ritrovate? Credi che anche quello sia stato un caso?»
Hilda le aveva detto chiaramente che non si era trattato di una coincidenza, le aveva detto che sapeva che si sarebbero incontrate di nuovo, ma tutto questo faceva parte di quanto la stessa Figlia della Luce le aveva chiesto di non svelare a nessuno, per il bene di entrambe. Per il bene del mondo intero, a quanto pareva. Quella faccenda le pareva una cosa spaventosa e ridicola al tempo stesso, motivo per il quale evitava il più delle volte di pensarci. Quello che le premeva ora era essenzialmente non correre rischi per sè stessa, ma non capiva bene come. Sapeva così poco di ciò che legava il suo destino a quello di Hilda, fosse folgorata lei e i suoi maledetti misteri! Oltretutto quel poco che sapeva poteva essere tutta una storia inventata da quella donna per i suoi scopi. O magari era tutto vero ed effettivamente da mantenere segreto, ma Hilda era già stata costretta a rivelarlo. Poteva mettersi a congetturare quanto voleva, non ne sarebbe mai venuta a capo: Mab odiava sentirsi completamente spiazzata, eppure era una situazione in cui continuava a trovarsi.
«Ci siamo incontrate a Dobied...» cominciò a tergiversare.
«Questo lo sappiamo»
«Due mesi fa circa...»
«Sappiamo anche questo. Avanti dicci qualcosa di nuovo, non costringerci ad essere sgarbati con te» s'intromise l'uomo subito prima che un violento pizzicore la percorresse per intero in un attimo, lasciandole una sgradevole sensazione di torpore ai muscoli.
«Non credo tu sia curiosa di scoprire quanto sappiamo essere persuasivi»
«Non so molto altro: l'ho vista la prima volta in una locanda, ma non l'ho riconosciuta, ho capito chi fosse la mattina dopo, quando ci siamo incontrate di nuovo mentre tentavo di lasciare la città, infine ai cancelli mi ha fermata e obbligata ad andare con lei.»
«E tutti questi incontri in una grande città come Dobied ti sembrano un caso?»
«Lei mi stava cercando, questo è certo...»
«Sai il perchè?»
Mab puntò gli occhi sulle mani dell'uomo e misurò le parole.
«Bè, aveva qualcosa in sospeso con me»
Ched rise
«Non fare la furba»
Mab sospirò «Avanti, ditelo chiaramente: cos'è che volete sapere?»
«Va bene» intervenne concitata Teesael «E' giusto! Se ci giriamo intorno noi, non possiamo certo pretendere che lei vada dritta al punto. Tu e lady Al'Kishira non vi siete incontrate a Dobied per caso! Entrambe sapevate l'una dell'altra, per anni avete continuato...»
«Teesael!» bastò che Ched la chiamasse senza nemmeno alzare troppo la voce, perchè la donna si mettesse subito a tacere, non senza disappunto.
L'uomo non aveva distolto un attimo gli occhi da Mab, attendendo che parlasse.
«Ve l'ho già detto: io non ho più avuto a che fare con Hilda da quando lei mi ha ceduta a quel mercante di schiavi! Se lei ha continuato a manovrare la mia vita, a questo punto non me ne stupisco, ma io non lo so, non ho mai saputo nulla.»
Shaia guardò Ched, il quale scosse la testa e poi si alzò in piedi avvicinandosi a Mab
«D'accordo, non l'hai più vista, ma hai avuto sue notizie, giusto?»
«Chiunque parlava di lei, ve l'ho detto!»
L'uomo si chinò davanti a lei
«Cosa dicevano?»
«Non lo so, tutto e niente, pettegolezzi per lo più, qualcuno parlava dei suoi successi, qualcuno si lamentava della velocità con cui faceva carriera... niente di particolare, a me bastava saperla di stanza al nord»
«Davvero mai niente che potesse interessarti?»
«Mi importava che fosse lontana da me!»
«Ripeto la domanda: non hai mai saputo niente di interessante su di lei?»
Se l'avessero torturata ancora con quel flusso che la pizzicava, sarebbe stato meno tremendo. Cercavano di cogliere il nesso tra di loro, un nesso lontano, una loro complicità in qualcosa che non sembrava aver nulla a che fare con il legame che lei aveva intessuto e forse nemmeno con il Drago Rinato. Mab stava cercando di mantenere i nervi saldi, ma quelle domande sembravano volerla portare a qualcosa che per nulla al mondo avrebbe voluto rivangare. Quello era l'unico altro nesso a quel punto, ma come potevano sapere? Il panico cominciava a mordere, rubandole ogni capacità di ragionare e dire qualcosa di meno stupido di «Niente»
«Mabien, Mabien, perchè mi dici le bugie?» la canzonò Ched prendendole gentilmente le mani e incrociando le loro dita. Una sensazione di calore le avvolse poco dopo come se al posto delle dita dell'uomo ci fossero state delle fiamme. La ragazza cercò inutilmente di divincolarsi, ma lui sorridendo strinse maggiormente.
«Conosci Valel Paquis, vero?»
Com'era possibile? Come potevano sapere?
Chiedetemi qualsiasi altra cosa, non di lui, pensò contorcendosi disperata.
Non voleva sentire quel nome, non voleva ricordarlo. Aveva fatto così tanto per dimenticarlo!
«Conosci Valel Paquis?»
Il calore alle mani avvampò contro il suo silenzio.
«Conosci Valel Paquis?»
«Si! Ti prego basta! Basta!»
«L'hai ucciso tu?»
Mab puntò gli occhi in quelli dell'uomo, tanto colpita da quella domanda da non sentire più le mani che bruciavano.
Poco dopo Teesael si alzò di scatto alle sue spalle.
«Non voglio avere risposte frammentarie tirate fuori a forza in questo modo, voglio i dettagli. Per favore Ched, voglio sapere tutto! Per favore! Ne ho il diritto!»
L'uomo sospirò.
Dopo qualche secondo si alzò e liberò le mani per posarne una sopra la testa di Mab. La ragazza lo seguì con gli occhi e un attimo dopo si sorprese dell'irruenza con cui le tornarono in mente ricordi che tanto caparbiamente aveva tentato di seppellire. Erano passati più di due anni: sembrava così lontano, ma non aveva scordato, per quanto avesse voluto farlo, non c'era nulla che avesse dimenticato.

Krooche era rientrato collerico, lo avevo sentito sbraitare sin dal suo ingresso giù nell'androne e ora che percorreva i corridoi delle stanze a lui assegnate la sua voce rimbombava minacciosamente furiosa.
Entrò in camera sbattendo la porta in faccia a Graham, sciolse le cinghie del mantello e lo gettò sulla sedia accanto all'armadio, senza centrarla. Afferrò con una mano il palo del letto, mentre si portava l'altra alla fronte, dove prese a torturarsi le pieghe che facevano le rughe d'espressione che aveva in quel momento. Respirava profondamente, cercando di calmarsi, poi puntò gli occhi al muro davanti a sè, segno che stava cercando di architettare qualcosa di nuovo.
«Ancora Paquis?»
Si girò appena di scatto a guardarmi, lievemente stupito, poi riprese a concentrarsi sulla parete davanti a lui.
«Sempre Paquis»
Il Comandante Paquis era diventato il tormento di Krooche: gliel'avevo sentito nominare spesso in quegli anni, ma da quando all'inizio della primavera l'uomo si era trasferito a Kiendger per seguire alcuni processi di sua competenza, era diventato per lui un'ossessione.
«Non dovresti essere qui» disse senza guardarmi.
«Volevo parlarti»
Mugugnò un assenso, che mi spinse a continuare.
«Non riuscirai mai a fare di Paquis un tuo alleato»
Krooche si volse lento a guardarmi, soppesandomi in quel modo che riusciva ogni volta a farmi tremare, ma volevo arrivare a Paquis, quindi non mi lasciai intimidire dal suo sguardo e andai avanti.
«Non è il genere di persona con cui sei abituato a fare affari. Non ti considera e forse è un bene che sia così»
«Cosa ne sai, tu?»
«In queste settimane ho osservato. Ho ascoltato. Non puoi comprare quell'uomo, renditene conto. Stai solo rischiando di attirare su di te un tipo di attenzione che da parte sua è estremamente pericolosa»
«Da quando ti ho dato il permesso di pensare senza il mio consenso?»
«Aspetta! Ascoltami! C'è qualcosa di importante che puoi ottenere da lui senza bisogno di fartelo amico»
La sua espressione non mutò, continuava a fissarmi, a gelarmi.
«Da lui sono partite negli ultimi anni tutte le più importanti indagini che hanno portato a smascherare spie e traditori, ogni notizia riguardante i Ribelli passa al suo vaglio e so quanto smani per conoscere i nomi dei Figli della Luce su cui sta indagando»
Non mi aspettavo che mi avrebbe colpita: il dorso della sua mano sulla mia guancia mi spaventò per la sorpresa più di quanto mi fece male.
«Non ti ho chiesto di immischiarti!»
«Perchè gli hai presentato Ellis?»
Quel secondo colpo l'avevo previsto. Riuscii ad evitarlo e ad afferrargli il polso, giusto per dimostrare che volevo tenergli testa, non di certo perchè m'illudessi di avere la meglio in uno scontro fisico con lui.
«Credevi davvero di conquistarlo offrendogli qualche notte con lei? Non è affatto quel genere d'uomo lui! Ascoltami: stai rischiando di farti incriminare per corruzione o peggio! Ci stai mettendo tutti in pericolo e non posso stare a guardare mentre commetti errori come questo! Possiamo arrivare a quelle informazioni, ma in altro modo!»
Si liberò della presa con cui gli avevo fermato il polso, mi afferrò a sua volta e mi torse il braccio dietro la schiena, mentre mi girava.
«Mi sembrava di averti fatto già capire chi comanda» mi sibilò all'orecchio «E m'illudevo anche di averti spiegando piuttosto bene che non sopporto chi s'intromette nei miei affari. La tua vita, Lamya, la tua infima esistenza è appesa ad un mio capriccio, devo forse ricordartelo?»
Il braccio dietro la schiena mi faceva male, ma temevo molto di più le sue parole. Da quella posizione non potevo vedere il suo volto, ma lo immaginavo perfettamente. Mi terrorizzava, ma conoscevo abbastanza la sua ambizione da poter azzardare.
«Non ce n'è bisogno, Krooche, lo so, lo so benissimo, ma ascoltami ti prego! Tu vuoi quelle informazioni e io credo di sapere come ottenerle. Ascoltami: Paquis non è un uomo disposto a vendersi, ma è comunque un uomo e come tutti ha le sue debolezze. Non sarà facile e nemmeno veloce, ma posso farti avere quelle informazioni. Dammi una possibilità»
Rimase in silenzio qualche lungo istante e poi lentamente allentò la presa su me.
«Parla» disse senza permettermi di girarmi a guardarlo.
Gli spiegai come volevo avvicinare Paquis e far leva sul suo animo caritatevole: il comandante non era del tutto indifferente al fascino femminile, ma non nel senso che Krooche aveva tentato di solleticare. Avevo notato piuttosto una sorta di tenera premura nei confronti di giovani ragazze disagiate o in situazioni difficili. Sembrava aver provato pena persino per Ellis. Non mi sarebbe stato troppo difficile trovare la giusta chiave per attirare la sua attenzione, ero piuttosto brava in quel genere di cose. Una volta che ci fossi riuscita, avevo intenzione di spingerlo a proteggermi in modo da potergli stare vicino e trovare le informazioni che cercavo, al limite ricorrendo a qualcuno dei flussi che Ellis mi aveva insegnato. Era rischioso, era dannatamente rischioso, ma io volevo sapere dei Ribelli e nessuno in tutta la Confederazione sembrava saperne quanto lui.
«Voglio che tu stia fuori da questa storia» concluse lui, lasciandomi.
«Perchè?» chiesi sfidandolo apertamente.
«Non ti devo spiegazioni» Mi lanciò il suo fazzoletto «Stai sanguinando»
Solo in quel momento avvertii le labbra bagnate e sentii il sapore del sangue passandovi sopra la lingua.
Mentre mi pulivo il viso, lui si accasciò a sedere sul letto. Lo raggiunsi poco dopo, gli presi la testa costringendolo a vedere sul mio volto quanto fossi determinata e quanto quello che gli stavo per dire fosse reale.
«Non hai alternative. Lo sai meglio di me!»
Sapeva bene perchè io ci tenevo tanto, ma non era per questo che mi ostacolava: come mi aveva già ripetuto in varie occasioni, potevo documentarmi quanto volevo sui Ribelli, lui non mi avrebbe mai lasciata libera di andarmene. Non mi importava, la mia lotta personale era l'unica cosa che mi restava per sentirmi viva, quindi continuavo a sperare, nonostante tutto.
Discutemmo a lungo, ma infine si convince che il mio era l'unico piano che potesse portare a qualcosa. Avrei messo le cose in modo da sollevarlo da ogni pericolo e il rischio sarebbe stato mio soltanto: se mai fossi stata scoperta, nessuno avrebbe mai messo in dubbio la parola di un Figlio della Luce per quella di un'incanalatrice.
«Ormai mi conosci a sufficienza da sapere cosa ti aspetterebbe se approfittassi della situazione per scappare. Sai che ti troverei, vero?» disse infine prendendomi per i capelli.
«Lo so»
«Bene» mormorò compiaciuto, trasformando la morsa ai miei capelli in una carezza «Un'ultima cosa: tu hai voluto questa missione, non accetterò un tuo fallimento»
«Non te l'avrei proposto se non fossi stata certa di poterlo fare»
Sentii il rumore della stoffa che si lacerava, mentre mi strappava di dosso il bell'abito che mi aveva appena fatto fare.

«Hai bisogno di aiuto?» Paquis mi porse gentilmente la mano per aiutarmi a rimettermi in piedi.
Alzai la testa, volutamente mal celata dal cappuccio, che altrettanto male mi proteggeva dalla pioggia di quella notte. Lo guardai caricando lo sguardo di tutta l'angoscia di cui ero capace. Ero certa che la luce della taverna da cui era appena uscito mi illuminasse sufficientemente perchè mi riconoscesse e vedesse la spaccatura sul labbro che mi ero da poco guadagnata.
«Perdonatemi, non volevo esservi d'intralcio»
«Non dire sciocchezze. Sei ferita? Questo cos'è?» disse avvicinando con garbo le dita alle mie labbra e sincerandosi che stessi bene.
Scoppiai a piangere non appena fui in piedi, lasciandolo basito.
«Scusatemi» singhiozzai, dissi facendo per andarmene con difficoltà.
Come mi aspettavo, lui mi si riavvicinò e si offrì di accompagnarmi a casa, il che mi fece piangere nuovamente.
«Io... io non posso... lui...»
Paquis mi guardò per un po'.
«Credo di conoscerti. Ti ho già vista, in compagnia di Krooche Mazeero se non erro. Sei una di quelle sue...» lasciò morire la domanda che stava pronunciando con sdegno e mi lasciò ad annuire tra i singhiozzi.
«Cos'è successo? E' stato lui a...»
Lo bloccai, guardandomi allarmata attorno.
«Vi supplico! Non dite nulla!»
Lui sospirò, poi mi prese sotto braccio
«Dico solo che hai bisogno di aiuto. Hai un posto in cui andare questa notte?»
Potevo essere benissimo sua figlia ed era con gli occhi di un padre premuroso che mi guardava in quel momento.
«No mio signore»
Fu così che quell'uomo dai modi gentili e paterni si trovò sempre più spesso a consolare le mie lacrime forzate quanto sincere. Fu così che cominciò ad interessarsi e poi ad affezionarsi a me. E fu così che finì per impietosirsi e fidarsi di me al punto che dopo qualche settimana decise di aiutarmi a scappare dalla città.
L'autunno era alle porte, il mandato di Paquis in città stava per finire e lui sarebbe tornato a Losm'taal, quando decise di farmi partire. Una notte una carrozza mi caricò e mi condusse fuori città, scortata da due suoi uomini: la destinazione era uno dei casolari che possedeva nelle campagne attorno a Losm'taal. Lui mi avrebbe raggiunta giorni dopo e mi avrebbe tenuta lì nascosta agli occhi di chiunque finchè non fosse stato certo che nessuno mi cercasse. Gli avevo chiesto di non prendere provvedimenti contro Krooche, cosa che lui non comprese, ma rispettò. Era andata persino meglio di quanto i miei piani avevano osato sperare: nessuno tranne i presenti sapeva che ero lì, avrei davvero potuto approfittarne per scappare. Avrei dovuto farlo. Sarebbe stato meglio per tutti.
I due giovani Figli della Luce che mi facevano da guardia erano suoi fedelissimi soldati, mi controllavano senza mai essere invadenti, anzi nei primi giorni a malapena ci rivolgemmo la parola, loro forse perchè in imbarazzo, io perchè comunque li temevo. Ma loro non sapevano cos'ero e mi servirono come avrebbero fatto con il loro Comandante e dopo qualche giorno cominciammo anche a sciogliere il ghiaccio, formando presto uno strano quadretto familiare in cui mai al mondo avrei pensato di potermi trovare.
Il casolare era fin troppo grande: passai intere giornate a perlustrarlo sperando di poter cominciare a raccogliere informazioni, la grandezza della biblioteca mi lasciò a bocca aperta quanto il fatto che non contenesse, come tutto il resto della casa, alcuna anche solo piccola nota relativa ai Ribelli. Cominciavo a demoralizzarmi quando un ufficiale portò un involto cilindrico, che una delle guardie lasciò sullo scrittoio nello studio di Paquis, il quale sarebbe giunto pochi giorni dopo. La fattezza e le dimensioni dell'involto davano l'idea di contenere delle mappe, ma il cordoncino che lo sigillava con la cera mi impediva di aprirlo. L'arrivo di Paquis impedì che la curiosità mi portasse a commettere qualche sciocchezza. Il Comandante portò con sè, oltre che un altro Figlio della Luce, una serie di documenti, libri e registri che furono ammonticchiati su quello scrittoio a cui poi passò gran parte delle giornate successive.
Il tempo scorreva con Paquis che andava e veniva e io che giocavo a fare la brava donna di casa, crogiolandomi all'idea di continuare a vivere in quel modo, in quella dimensione tranquilla, serena e lontana da ogni tipo di realtà che avessi mai vissuto. Poi i ricordi di Daing, la mia terra natale e quello che da quando me n'ero andata Sheelive doveva averne fatto, riaccese in me il fuoco della vendetta e, nonostante mi dispiacesse fare il doppio gioco con quell'uomo tanto gentile, tornai a concentrarmi sullo scopo della mia missione. Ma ottenere le informazioni che cercavo continuava ad essere impossibile: a dispetto del magnifico rapporto che era venuto a crearsi con Paquis e della totale fiducia che lui sembrava riporre in me, non riuscii a strappargli nulla. Il timore di fallire mi portò a spingermi tra le sue braccia in un modo che lui rifiutò, dimostrandosi ancora una volta il grand'uomo che era.
Infine scrupoli e paure cedettero di fronte alla necessità di usare il Potere su di lui: presi ad entrare nel suo studio mentre lavorava a quei documenti con la scusa di portargli qualcosa da bere o da mangiare, lo addormentavo con un flusso che l'avrebbe tenuto in quello stato fino a che non fosse stato disciolto, e così quasi ogni giorno mi ritagliavo qualche occasione per leggere, studiare, copiare. Potevo fare poco alla volta, per evitare che si rendesse conto dello scorrere del tempo mentre non era cosciente, ma pian piano appresi moltissimo: dati e mappe erano estremamente dettagliati, anche se non sempre coincidevano, in quelle carte c'era davvero tutto quello che volevo sapere sui Ribelli, oltre che come e dove avrei potuto trovare altri documenti. E poi c'era quel registro: vi erano riportati, senza alcuna spiegazione e in modo apparentemente caotico, nomi, città, date e relazioni. Studiandolo, pur non capendo la maggior parte degli appunti che vi erano riportati, mi resi conto che si trattava di appunti segreti e paralleli a quelli ufficiali, una scoperta che mi lasciò a bocca aperta.
Passavano i giorni, io studiavo, copiavo, raccoglievo una miriade di informazioni fondamentali sia per me che per Krooche, procedeva tutto per il meglio, quando un nome ripetuto più e più volte su quel registro mi sconvolse al punto da farmi sbagliare mentre scioglievo il flusso su Paquis. Il Comandante non si risvegliava, provai ripetutamente a rianimarlo senza sapere esattamente cosa stessi facendo. Mi misi a gridare infine, quando compresi di averlo condannato a morte. Corle, uno dei ragazzi di guardia, entrò poco dopo nello studio: non so se gli diedi il tempo di capire cosa fosse successo, lo incenerii. La stessa sorte toccò a Sithmin, che incontrai mentre cercavo l'uscita. Jiskim riuscì a ferirmi, ma non a salvarsi.
Salii in groppa ad uno dei cavalli e mi misi a correre, presumibilmente verso sud, verso Kiendger. La mia stessa ombra mi spaventava, sconvolta com'ero da quanto avevo fatto e dal timore che qualcuno potesse trovarmi. In quello stato confusionale feci correre quella povera bestia finchè, sfiancata, si azzoppò cadendo a terra. Rialzandomi a fatica, raggiunsi il cavallo che tentava affannosamente di far leva sulla zampa ferita, lo calmai prendendogli il muso e piansi abbracciandolo finchè non lo sentii più respirare. Quel lungo pianto mi permise di sfogarmi, ma non di alleviare il senso di colpa che mi divorava.
Non ricordo né i volti, né tanto meno i nomi dei pastori, dei contadini e dei viandanti che mi aiutarono nei giorni, nelle settimane a seguire, mentre vagavo per boschi e per campi senza rendermi conto del passare del tempo, senza sapere esattamente se stessi procedendo nella giusta direzione. Volevo solo tornare a casa, volevo tornare da Krooche. Persa in uno stato mentale schiacciato tra panico e angoscia, la protezione di quell'uomo mi appariva come l'unica cosa su cui potessi contare. Se avessi avuto la mente lucida non l'avrei mai pensato, anzi l'avrei temuto a maggior ragione dal momento che avevo fallito la mia missione e nel modo peggiore. Ma in quei giorni desideravo solo tornare da lui.
Graham mi trovò chissà quanto tempo dopo, nelle pianure a nord di Dobied e mi riportò a Kiendger, dove crollai tra le braccia di Krooche.
«Non avrei dovuto permettertelo» disse secco «Hai rischiato troppo, troppo! Ho veramente creduto di...»
«Mi dispiace» dissi affondando il volto nel suo petto.
Inaspettatamente mi strinse come non aveva mai fatto e non disse più nulla.
Scoprii in seguito a cosa si era spinto per evitare che qualcuno risalisse a me dopo il ritrovamento del cadavere di Paquis e della sua scorta. Essendo all'oscuro della segretezza con la quale il Comandante aveva trattato la mia presenza al suo fianco, aveva quasi rischiato di espormi lui stesso al pericolo di essere indagata nella caccia all'uomo che era partita da Losm'taal. Mentre Graham e i pochi altri di cui potesse fidarsi davvero perlustravano palmo a palmo tutte le campagne, lui aveva sparso il sangue di chiunque avrebbe in qualche modo potuto collegare la mia prolungata assenza dalla città ai fatti che avevano profondamente scosso i piani alti della Confederazione e per il mio ritorno qualcuno aveva già pagato per quegli omicidi: un altro incanalatore, un innocente, era stato accusato e condannato al posto mio. Credevo di non poter sopportare altri pesi sulla coscienza, eppure quello non sarebbe nemmeno stato l'ultimo. Avrei voluto piangere, ma non ne fui capace, non ne fui mai più capace.
Mi ci volle tempo per riprendermi, Krooche pazientò, poi ascoltò quel che ricordavo di quanto avevo visto e studiato: nella fuga non avevo portato via nulla, nemmeno le mie cose, nulla di tutto quello che avevo raccolto a così caro prezzo. Ricordai molto, mappe, date, relazioni, città, e gli riportai tutto, tranne un nome, quel nome: Hilda Al'Kishira.


«E' più che sufficiente!» Teesael passò di fianco a Mab per uscire, fermandosi un attimo a guardarla con occhi colmi d'odio e di lacrime. Sembrò volerle dire qualcosa o forse farle qualcosa, ma poi si affrettò fuori dalla porta.
«Seguila» disse Ched a Shaia «Non vorrei che facesse qualche stupidaggine»
Poi l'uomo guardò Mab, le prese il mento e le alzò il volto guardandola dritto negli occhi
«Ti senti bene?» chiese girandole la testa da una parte, poi dall'altra.
«Si» rispose, nonostante si sentisse stordita come se fosse appena stata svegliata di soprassalto.
«Alzati»
Mab obbedì, riscontrando qualche difficoltà a stare in piedi. Si sentiva disorientata e non solo fisicamente.
«Ci fermeremo qui per oggi» Ched la scortò alla porta, dove la consegnò alle due guardie che l'avrebbero riportata in cella.
Dopo pochi passi incerti, Mab si girò a guardare l'uomo. Era così confusa: qualcosa non le tornava e non capiva cosa fosse. Volti, nomi ed emozioni del suo passato le vorticavano in testa in maniera incontrollata. C'era qualcosa di importante che le sfuggiva.
«Cosa...?» gli chiese.
Ched le girò le spalle e rientrò nella stanza da cui erano appena usciti.



Norah

«Sto bene, ti dico! Possiamo cambiare argomento, per favore?»
Julian sbuffò, ma a quel punto non avrebbe insistito: sapeva che lei non avrebbe aggiunto altro.
Le strade di Calavron erano piuttosto affollate quel giorno. Nei periodi degli esami d'ammissione era piuttosto comune: i preparativi, gli allestimenti e i banchetti portavano sempre l'afflusso di funzionari, artigiani, commercianti, oltre che un continuo brulicare di matricole curiose di assistere a qualcosa, qualunque cosa. Anche Norah e Julian avevano tentato di intrufolarsi nei primi anni, passando anche qualche guaio.
«Non so se questa sera dovrei allenarmi o riposare»
«Allenarti non ti serve a nulla, sai fare cose che alcuni maestri non hanno nemmeno mai immaginato fossero possibili. Ti direi di riposare, ma tanto non ce la farai»
«Non sei affatto spiritoso»
«Non volevo esserlo. Te l'ho detto, Norah, sono preoccupato per questi sogni ricorrenti e ancora di più perchè è chiaro come il sole che ultimamente non mi racconti tutto»
«Per la Luce, Julian, basta!»
«Sei sempre stata sincera con me, il fatto che tu mi nasconda qualcosa mi spaventa terribilmente»
Julian aveva ragione, sapeva di non potergli mentire senza che lui se ne accorgesse, ma se taceva era solo per il suo bene: i suoi sogni, i suoi pensieri, i suoi ricordi peggioravano di giorno in giorno. Parlarne non avrebbe risolto nulla.
«Vuoi abbassare la voce, per favore? Ci stanno guardando tutti»
«Come no? Sono tutti così presi dai preparativi all'accademia che potremmo anche metterci a danzare qui in mezzo alla strada, che non lo noterebbe nessuno» disse cominciando a fare qualche passo di danza.
«Ma sei impazzito? Cammina!» disse lei, prendendolo a forza per un braccio e trascinandoselo dietro.
Stavano andando alla Colonna, Norah doveva consegnare i documenti per poter avere il sigillo. Il suo sigillo. Non l'aveva ancora scelto, ma c'era ancora un po' di tempo per questo. Ora non riusciva proprio a concentrarsi: ogni volta che pensava ad un simbolo, le venivano in mente dei serpenti. Le avevano sempre fatto orrore i serpenti, il fatto che da un po' la ossessionassero era una delle tante stranezze che non aveva rivelato a Julian. Era giusto così. Vero?
Andò a sbattere contro un uomo che sembrava essere fermo davanti a lei, fermo in mezzo alla strada e tutto il suo viavai. Alzò la testa per chiedergli scusa e riconobbe, adombrato sotto il cappuccio, il volto dell'uomo che aveva incontrato spesso negli ultimi giorni. Come le altre volte lui le fece un sorriso e la oltrepassò, lasciandole di nuovo un'incomprensibile e potente ondata di nostalgia. Si voltò a guardalo, ma già sembrava sparito tra il turbine di mantelli dei passanti.
«Conosci quell'uomo?»
Un'altra delle cose che non gli aveva detto.
«No»
«Ma...»
«Ti ho detto che non lo conosco. Cammina» disse risoluta, trascinando Julian dietro di sè.
Quante cose non gli aveva detto. Quante.

«Hai visto che avevo ragione?»
La voce di Julian quasi la spaventò, così all'improvviso. Non pensava che fosse sveglio, ancor meno credeva che avrebbe potuto accorgersi che anche lei lo era.
«Ragione su cosa?»
«Che non saresti riuscita a riposare» rispose Julian girandosi su un fianco, in modo da stare di fronte a lei.
«Sei sicura di non volermi dire nulla? Non credi che ti farebbe sentire un pochino meglio?»
Perchè aveva la capacità di tranquillizzarla così? Lo avrebbe maledetto per la voglia che le faceva venire di sfogarsi, ma in cuor suo Norah era certa che continuare a raccontargli quello che le stava accadendo oltre a non essere d'aiuto per nessuno, sarebbe servito a spaventare e preoccupare lui sempre di più, magari ad allontanarlo anche prima o poi. Per questo aveva smesso di confidarsi.
In realtà quello era solo un motivo. Un altro era quella sensazione di qualcosa di diverso che stava crescendo in lei, una strana consapevolezza si stava facendo velocemente strada nei meandri più intimi dei suoi sentimenti. Più la rifiutava e più doveva cedere all'evidenza della sua presenza. Forse era colpa della ricorrenza di tanta violenza nei suoi sogni, ma sembrava qualcosa di troppo profondo per essere dovuto solo a questo. Stava cambiando, e molto velocemente, c'era qualcosa che si frapponeva tra la persona che aveva sempre pensato di essere e quella che era ora. Sempre più spesso doveva imporsi un severo controllo, perchè l'istinto la portava verso comportamenti e riflessioni che da un lato sembravano non appartenerle, e dall'altro sembravano sue più che mai. All'improvviso le era difficile distinguere tra bene e male, a volte doveva ricorrere alla sua educazione per giudicare alcuni suoi stessi pensieri.
Come avrebbe potuto confidare a Julian tutto questo? Come poteva dirgli che aveva sognato di uccidere e che al risveglio era stata scossa da un brivido d'eccitazione? Aveva visto sé stessa compiere azioni efferate, aveva visto sé stessa usare il Potere per uccidere. Perchè nulla sembrava poi così negativo? Le sue certezze sembravano venir meno una dopo l'altra, ed era lei stessa ad annientarle.
Come poteva, infine, dirgli che aveva avuto la prova che c'era un fondo di verità in quelle visioni? Le ci era voluto tempo per capirlo, ma poi aveva ricordato: aveva ucciso quella ragazza più e più volte in sogno. Le situazioni si erano proposte leggermente diverse, ma alcuni dettagli erano ricorrenti. La pelle scura, i capelli neri, quegli occhi affusolati, persino il neo accanto alle labbra aveva sognato: era certamente la prigioniera che lei stessa aveva condotto in città qualche settimana prima. Mabien Asuka. Doveva ricordare quel nome. L'avrebbe incontrata di nuovo. L'avrebbe uccisa. Uccisa. Sapeva che doveva accadere e Norah era turbata da ciò che provava: la vergogna d'ammettere che la cosa l'incuriosiva terribilmente.
«Perdonami Julian. Preferisco così» e gli si accoccolò accanto senza dire una parola.



continua...



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Capitolo 36
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte quinta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte quinta]

Morgan Neglentine

Solo una fetta di luna brillava in un cielo nero come il carbone; eppure gli alberi, le rocce e la natura tutto intorno erano illuminati da un chiarore di cui non si riusciva ad individuare la sorgente. Il luogo era sconosciuto a Morgan, ma poco importava, dal momento che egli sapeva di non trovarsi nel mondo reale. In effetti, questa radura esisteva realmente da qualche parte nelle Montagne della Nebbia, ma ora il giovane Ribelle ne stava osservando solo un riflesso, una replica instabile ed effimera che la maggiorparte degli uomini non avrebbero potuto visitare se non in sogno. Morgan però non stava sognando: conosceva quella sensazione d’inquietudine che lo faceva sentire costantemente osservato e, anche se erano ormai alcuni giorni dall’ultima volta che ci era stato, sapeva che era tipica del Mondo dei Sogni.
In quel momento, a dire il vero, c’era effettivamente qualcuno nei dintorni che lo stava spiando, nascosto nel fitto sottobosco, ma non si trattava di uomini. Morgan poteva percepire la presenza di alcuni lupi vicini, pur senza vederli, e si chiedeva per quale motivo fossero ora così circospetti verso di lui, che dagli amici a quattro zampe veniva normalmente considerato un fratello. Passò ancora qualche minuto prima che due sagome scure uscissero all’aperto della radura e si avvicinassero abbastanza per essere riconoscibili. I due lupi avanzavano cautamente, il muso sollevato pronto a captare il più sottile odore e il suono più lieve che potessero significare pericolo. Uno era snello e più misurato nei movimenti, e il suo lungo pelo argenteo incorniciava due occhi di ghiaccio: Nebbia d’Argento. L’altro lupo, di taglia maggiore, aveva un’aspetto più sicuro di sè, pur mostrando la stessa prudenza dell’altro; il manto bruno striato di nero lo contraddistingueva come Giovane Toro.
Il ragazzo avrebbe voluto tempestarli di domande: perchè non gli avevano più parlato? Perchè non gli spiegavano una volta per tutte cosa stava accadendo? Invece, obbedendo a regole di buon comportamento che in un branco valevano ancor più che tra gli uomini, lasciò che i lupi si assicurassero che non ci fossero intrusi e che gli si rivolgessero quando avessero ritenuto che era sicuro farlo.
«Non mi piace il villaggio degli uomini dove riposi, Piccolo Orso.», fu il cupo benvenuto di Nebbia d’Argento. «Un’ombra permane su quel luogo, più scura della notte.», aggiunse Giovane Toro. I lupi gli avevano comunicato questi pensieri tramite immagini di Coraman sovrastata da una spessa nube nera che la schermava dalla luce del sole.
«Dovevo venire a Coraman, non avevo scelta. Questi erano i miei ordini, inoltre dovevo portare Davrath dagli Anziani.», si giustificò Morgan.
I lupi però proseguirono ignorando il suo intervento: «Devi andartene appena possibile, il pericolo è troppo grande.», e gli trasmisero, quasi all’unisono, l’immagine di una tagliola innescata. Una trappola? Il mio arrivo a Coraman è stato forse architettato per tendermi un’imboscata? Si chiese Morgan. Ma chi potrebbe volermi mettere in trappola? E perchè? Rivolse allora queste domande ai lupi, ma essi per tutta risposta gli trasmisero nuovamente l’immagine dell’enorme ombra proiettata da una nube nera come la pece.
«E Davrath? Che fare di lui?», chiese Morgan, «Ho provato a convincere l’Anziano Dazar che potrebbe trattarsi del Drago Rinato, ma un Anziano deve pensare alla sicurezza del proprio clan prima di tutto, e un prigioniero troppo vicino alla città rappresenta un pericolo, soprattutto se si tratta di un Figlio della Luce. Chiaramente, dal suo punto di vista, possono pensarci i Geinzana ad accertare qualsiasi dubbio sull’identità del prigioniero. Poi, se si ritenesse necessario, un Consiglio degli Anziani potrebbe essere convocato per valutare la fondatezza dei miei sospetti. Tutto questo però richiede tempo, tempo nel quale le Tenebre possono procedere indisturbate nei loro piani!». Il giovane Neglentine non si era reso conto di aver alzato la voce e si scusò con i lupi che gli avevano lanciato sguardi allarmati.
«Attento, Piccolo Orso: il pericolo è anche qui.», lo ammonì Nebbia d’Argento, «E’ un nemico troppo potente per te o per noi: non possiamo combatterlo. Devi allontanarti da questo villaggio degli uomini. Porta il giovane uomo con te, mettilo in salvo dall’ombra.».
«Ma dove posso portarlo? A casa, a Tsorovarin? Ma anche il nostro Consiglio lo manderebbe ad Arcavende!».
Morgan si sentiva esasperato da questa situazione in cui gli veniva detto di fuggire ma tutte le vie di fuga sembravano essere sbarrate. L’unica soluzione che vedeva era di convincere gli Anziani che un’antica profezia, considerata dai più una leggenda, stava ora per avverarsi, e che i suoi fratelli lupi gli avevano indicato il possibile salvatore del mondo. Un compito impossibile. Sarebbe più facile pescare bendati e a mani nude! , si disse desolato, A meno che... Se riuscissi a rintracciare quella ragazza che ho incontrato nel Mondo dei Sogni, forse lei potrebbe aiutarmi. Sembrava conoscere la profezia ed era chiaramente alla ricerca del Drago. Mia madre conosce questo mondo meglio di me: forse lei potrebbe aiutarmi a ritrovarla...
Improvvisamente, proprio mentre pensava a Merian, avvertì la sua presenza, come se lei si fosse trovata lì vicino. Si guardò attorno, confuso, ma nella radura era solo con i due lupi. Con urgenza, si rivolse a Giovane Toro, che lo fissava incuriosito: «Merian è qui vicino, lo posso sentire. Devo trovarla: lei è la mia unica speranza di convincere gli Anziani!».
Il robusto lupo però non sembrava condividere la sua impazienza: «Troppo pericoloso. Questo non è il momento per incontrarla. Quel momento verrà, ma adesso devi metterti al sicuro dal pericolo.»
Il giovane stava per protestare quando, inaspettatamente, la presenza della ragazza scomparve; fu come perdere di vista qualcuno nella folla. Morgan fece disperatamente il giro della radura, ma inutilmente. «Non è come vedere, udire o fiutare.», provò allora a spiegargli Nebbia d’Argento. «E’ un senso nuovo per te, e non sai ancora come usarlo. In questo mondo tu sei ancora un cucciolo, Piccolo Orso.», disse l’anziano lupo con affetto.
Ma Morgan non si rassegnava: ostinatamente continuava a scrutare tra gli alberi, come se Merian avesse potuto nascondersi dietro alle fronde. Forse significa che si è risvegliata dal Mondo dei Sogni, pensò, in tal caso devo restare ed aspettare che si riaddormenti. I lupi nel frattempo si stavano facendo irrequieti. La loro disapprovazione era evidente: volevano che Morgan si risvegliasse subito e lasciasse Coraman. Ma anche se mi svegliassi ora non potrei andare da nessuna parte, si disse il ragazzo, probabilmente è ancora notte fonda e sarebbe sospetto se lasciassi la città così, d’improvviso.
«Il tempo qui trascorre diversamente. Nel mondo reale è l’alba: tempo di andare.», gli trasmise Nebbia d’Argento leggendogli nel pensiero. Poi lo sguardo del lupo divenne ancora più allarmato: entrambi gli animali ora sembravano fiutare l’aria in ogni direzione, come se faticassero a percepire un nemico invisibile.
«Proprio ora qualcosa sta succedendo al villaggio degli uomini...», trasmise preoccupato Giovane Toro, «L’ombra si sta muovendo, devi risvegliarti subito!».

La caserma era già popolata da soldati che si apprestavano a svolgere i propri incarichi e le proprie esercitazioni quotidiani. Nessuno, tuttavia, sprecò più di una fugace occhiata per il giovane Neglentine mentre questi preparava in fretta le sue cose ed usciva dall’edificio. Anche in seguito, svoltando davanti al Palazzo del Consiglio e oltrepassando il grande ponte di pietra, Morgan non incontrò nessuno. Nonostante la luce dell’alba stesse già illuminando il vasto altopiano lassù, in fondo alla gola c’era ancora bisogno delle lampade accese lungo le strade per orientarsi nella città buia. Giunto all’imbocco della grande scalinata, Morgan domandò ad una delle guardie di condurlo al proprio cavallo, che era impastoiato in una stalla vicina, poi legò alla sella il proprio sacco e condusse l’animale lungo la salita.
L’altopiano era un enorme manto d’erba ondulato. I punti di riferimento erano scarsi, ma Morgan riuscì, osservando la posizione di alcuni picchi in lontananza, a ritrovare il luogo in cui il suo gruppo aveva montato il campo. Il lavoro d’occultamento delle tracce operato dalle sentinelle Faine era incredibilmente accurato: il suolo, l’erba, le piante e i sassi sembravano essere tornati tali e quali Morgan le aveva viste allorchè aveva deciso di fermarsi lì la sera precedente, come se un contingente di quasi trenta uomini a cavallo non vi si fosse mai accampato. E il contingente era sparito, anche quello, così come le sue tracce. Morgan rimase deluso, ma non più di tanto sorpreso. In fondo, fin da prima di arrivare a Coraman era stato consapevole della possibilità che il suo ruolo di comandante della missione venisse scavalcato una volta rivelata la presenza del prigioniero.
Non poteva comunque biasimare i propri uomini se Davrath era stato prelevato ed ora veniva probabilmente scortato verso Arcavende. Si rese conto di non poter biasimare nemmeno Dazar per non avere creduto ai suoi vaneggiamenti riguardo al Drago Rinato. E’ solo colpa mia, si disse, sono stato precipitoso e maldestro nell’annunciare ad un Anziano quelle vaghe ed imprecise informazioni ottenute durante i sogni come se fossero rapporti ufficiali. Morgan era un soldato: quello che ci si aspettava da lui era che obbedisse agli ordini e che facesse rapporto, non che si lanciasse in ardite congetture. Una parte di lui ora avrebbe voluto semplicemente dimenticarsi del Drago Rinato, delle profezie ad esso legate, e delle macchinazioni delle Tenebre, per tornare ad essere il Morgan Neglentine soldato modello.
Tuttavia, sapeva di non poter scaricare così facilmente il peso della responsabilità che gli era stata conferita dal Disegno. Nel momento in cui la Ruota aveva tessuto per lui quel legame rarissimo e straordinario con i lupi, Morgan aveva ricevuto un compito molto più importante e pericoloso di qualsiasi missione gli potesse assegnare il clan. Che gli piacesse o no, gli era stato riservato il destino di conoscere, unico tra tutti i Ribelli, l’identità del futuro salvatore del mondo. Solo lui, tra i Ribelli, sapeva chi Davrath fosse in realtà. Nemmeno Davrath stesso era consapevole della propria importanza, né peraltro gli sarebbe valso saperlo, dato che tra poco si sarebbe trovato ad Arcavende, prigioniero di un popolo ostile.
Mentre lasciava che il cavallo pascolasse libero nella radura, Morgan si mordeva le labbra al pensiero della facilità con cui un emissario delle Tenebre avrebbe potuto lasciarsi catturare dai Genzana, poi, una volta all’interno delle carceri di Arcavende, trovare Davrath ed eliminarlo. E, se anche le Tenebre non fossero venute a scoprire dove si trovava il Drago, quest’ultimo sarebbe probabilmente rimasto imprigionato per mesi, forse anni. La durata del periodo di reclusione variava molto a seconda del comportamento dei prigionieri, è vero, ma Davrath era pur sempre un Figlio della Luce incanalatore: un caso raro e degno della massima attenzione. Inoltre, con quel caratteraccio che si ritrova, dubito che si guadagnerà una liberazione anticipata, pensò Morgan.
Con riluttanza, richiamò il cavallo e si accinse a ripartire. Peccato non poter salutare Rourke, Murriel e tutti gli altri... Spero almeno che la minaccia di cui parlavano i lupi non riguardi anche loro, sarebbe terribile se dovessero passare dei guai per colpa mia! Arrendendosi, infine, al fatto che indugiare oltre non avrebbe aiutato nessuno, Morgan spronò il cavallo verso ovest. Aveva deciso di tornare a casa; a Tsorovarin avrebbe chiesto aiuto ai genitori e al Consiglio del Clan: ormai non poteva più pensare di affrontare questa faccenda da solo. E poi, forse, sarebbe riuscito a godersi un po’ di meritato tempo libero nella sua città...
Il viaggio, però, sarebbe durato ancora alcuni giorni. Morgan non sapeva con esattezza quanto avrebbe impiegato a raggiungere Tsorovarin, non avendo mai percorso prima quel tragitto; aveva comunque un’idea della rotta da seguire, avendo studiato, anni prima, delle mappe del settore orientale. Portava con sé il sacco che aveva usato durante la missione, con l’aggiunta di qualche razione fresca ottenuta in caserma a Coraman; avrebbe dormito sotto le stelle, costruendosi dei ripari solo in caso in cui il tempo fosse peggiorato.
Già, facile dormire... ma come fare a tornare nel Mondo dei Sogni? Il pensiero lo tomentava da quando si era svegliato. Il suo ripiegamento verso Tsorovarin era tutt’altro che una ritirata, e Morgan contava ancora sulla possibilità di mettersi in contatto con Merian. Se gli Anziani del mio popolo non vogliono dare ascolto ad un semplice soldato, pensava, forse ascolteranno una Camminatrice dei Sogni. Ma come condurla da noi?. Col tempo avrebbe trovato una risposta. Per il momento, Morgan desiderava solo riassaporare le sensazioni provate quando, più giovane, era stato addestrato al pattugliamento e alla ricognizione nelle montagne, come tutti gli altri ragazzi del clan Neglentine. L’avventura, la scoperta, il pericolo e il senso di responsabilità contribuivano nell’insieme a destare l’eccitazione dei ragazzi, imprimendo nelle loro menti ricordi indelebili di quei momenti passati lontano dalla città. E così, il giovane Ribelle, ritrovato il buon umore, decise di raggiungere entro sera il picco che vedeva di fronte a se, in modo da avere, da là, un panorama più ampio e controllare la propria rotta verso casa.



Siadon

Dannata donna! Pensò Siadon mentre cercava di trafiggere Brienne con lo sguardo. Va bene... devo solo evitare una strage, Merian è nostra ormai.
Il campo era molto vicino. Le prime luci dell'alba rischiaravano la radura, rendendo evidenti le tracce del trambusto che si era scatenato poco prima. Dovevano essersi spaventati parecchio, l'erba era calpestata in ogni direzione e le coperte sparse a casaccio, abbandonate senza tante cerimonie. Brienne li stava conducendo da Rohedric. Aveva allungato di proposito il percorso per evitare la parte del campo occupata da Thea e gli altri. Siadon non ne era affatto sorpreso, sapeva bene che Brienne non gli aveva creduto nemmeno per un istante.
Assolutamente lucido, continuava a ripercorrere le alternative che aveva davanti. Brienne era la donna più trasparente che avesse mai incontrato, se anche avesse raccontato di aver visto Merian cercare di salvare il prigioniero, nessuno le avrebbe creduto. Sempre ammesso che non volesse dichiarare apertamente di aver assistito ad un'esecuzione. No, vuole difendere i suoi... ed anche Merian. Ad ogni modo non avrebbe ingannato Rohedric. Anche nel migliore dei casi, l'uomo avrebbe intuito la rabbia che Brienne provava verso Siadon. Aveva già pensato alle possibili reazioni dell'uomo ad un evento simile. Sarà furioso, incolperà me e gli altri per scusare Merian ma si arrabbierà un sacco pure con lei. Merian lo ammira e si sentirà in colpa per averlo deluso. Non va bene, devo limitare questa cosa, la ragazza è nostra.
Si guardò rapidamente attorno, Merian camminava a testa bassa persa in cupi pensieri ma non sembrava affatto pentita. Brienne, avvicinandosi sempre più al campo, stava allungando i passi. Era evidente che non vedeva l'ora di unirsi a Rohedric. Siadon si lasciò sfuggire un sorriso, collocando finalmente alcuni dettagli sulla donna che aveva ignorato fino ad allora.
«Tu lo ami, vero?» disse a bassa voce fissandole la schiena.
Merian non parve nemmeno udirlo ma Brienne si voltò all'istante, materializzando due pugnali da lancio tra le mani. Siadon vedeva chiaramente le dita della donna sbiancare per la forza con cui li stringeva, tratteneva a stento la voglia di conficcarglieli nel petto.
L'assassino la fissò negli occhi per alcuni istanti, poi alzò le spalle
«Andiamo a fargli visita o vuoi che ti veda mentre ci minacci con le tue lame?»
Se Brienne avesse avuto anche solo la minima traccia di Potere nelle sue vene, lo sguardo che lanciò all'assassino sarebbe bastato ad incenerirlo. Lo ricoprì invece con una serie irripetibile di improperi che si smorzò lentamente, molto lentamente, in un borbottio confuso mentre riprendevano il cammino. Merian era tanto distratta dai suoi pensieri da essersi resa conto dell'interruzione solo quando ormai si erano già rimessi in marcia. Guardò Siadon perplessa ma dopo aver ricevuto un'alzata di spalle come risposta, tornò ai suoi pensieri.
E' davvero veloce con quei pugnali, se solo sapesse controllarsi sarebbe un'ottimo elemento...
Scuotendo la testa allontanò le impossibili ipotesi che gli vorticavano in testa e tornò a concentrarsi sull'immediato. Sentì delle voci proprio davanti a loro e ne fu sollevato. Con Rohedric c'erano diverse persone e tra le possibilità che Siadon aveva valutato, questa era quella che portava con meno probabilità ad una strage. Sempre ammesso che l'uomo continuasse a comportarsi come un buon capo, altrimenti il tutto si sarebbe concluso molto rapidamente. Siadon aveva riflettuto parecchio anche sulla possibilità di spingerlo di proposito verso quella fine ma temeva la reazione di Merian. Poco prima l'aveva stupito uccidendo Jora con tanta freddezza, l'aveva sottovalutata, ma veder morire i propri amici sarebbe stato davvero troppo per lei, almeno per ora. Inoltre Rohedric gli piaceva, non era marchiato dall'Ombra ed era un uomo coraggioso e giusto. Certo un tantino ottuso ma non voleva ucciderlo.
«... non capisci ... andarcene subito!»
Siadon si concentrò sui pezzi di conversazione che riusciva a cogliere. Era la voce di Thea, su questo non v'erano dubbi. Ma Thea doveva essere di guardia, lontana da lì.
«Non prima di averli trovati, potrebbero aver bisogno di noi!»
E questo è il buon Rohedric pensò Siadon mentre seguiva Brienne all'interno del campo. La situazione era diversa da quanto si aspettasse, Thea stava cercando di convincere Rohedric, Ariel e Kain ad andarsene.
«Siamo noi quelli in pericolo ora!»
Siadon la guardò perplesso Sta arrivando qualcuno?
«Visto!? Stanno bene, ora possiamo andarcene?» Continuò Thea indicando il trio che ormai li aveva raggiunti.
Rohedric squadrò Siadon minaccioso, concedendo solo un rapido sguardo a Merian.
«Cos'è successo?» gli chiese senza esitazioni.
Siadon lo fissò un istante, accantonando tutte le opzioni su cui aveva riflettuto fino a poco prima. Si rivolse a Thea senza rispondere all'uomo.
«Come siamo messi?»
«E' per Merian, ha usato tanto Potere da far voltare verso di noi ogni Incanalatrice da qui fino alla Luce sa dove. Manti Bianchi, Ribelli... e chissà cos'altro. Dobbiamo andarcene subito.»
Non un solo gesto, nemmeno involontario. Thea stava cercando di essere il più credibile possibile agli occhi di Rohedric e gli altri, stava deliberatamente evitando di usare il linguaggio dei segni.
Siadon annuì lentamente, stava per voltarsi verso Merian per tranquillizzarla quando Rohedric riprese la parola.
«Cos'è successo ad Arlene?»
Siadon sospirò, Thea aveva ragione, non avevano tempo da perdere. Dovevano trovare i Ribelli prima che qualcun altro trovasse loro, sperando che questi fantomatici Ribelli fossero abbastanza organizzati da poter offrire un qualche tipo di rifugio.
«E' stata incauta e Jora ne ha approfittato. Ha spezzato la ciotola e le è saltato alla gola senza lasciarle il tempo di difendersi. Io e Merian lo abbiamo assalito con il Potere nello stesso momento... non gli ha fatto bene. E' morto mentre Merian cercava di curarlo.» Rohedric lo fissò severo. «Se non mi credi chiedi a Merian. Se non credi nemmeno a lei prova con Brienne, che ci ha trovato proprio mentre Jora è morto. Fai come preferisci ma ora dovremmo davvero andarcene da qui.»
Aveva recitato la solita parte dell'Incanalatore frustrato, facendo trasparire la rassegnazione nel venir sempre considerato colpevole a prescindere dalla realtà. All'inizio sembrò anche funzionare ma poi Rohedric scambiò un'occhiata con Brienne e il suo volto si irrigidì notevolmente.
Dannata donna, non potevi essere più... donna?
Rohedric si guardò attorno, come per contare i presenti. Kain, per quanto cercasse di non darlo a vedere, era carico come una molla, pronto a scattare brandendo l'enorme spada. Anche Brienne era tesa, Siadon era certo che avesse già almeno un pugnale tra le mani. Ariel invece era visibilmente preoccupata, si rigirava tra le dita la pietra che portava al collo, fissando Rohedric contrariata.
Non fare l'idiota proprio ora
«E se preferissimo proseguire da soli?» Rohedric scandì lentamente ogni parola.
Siadon lo guardò negli occhi. C'era paura, ovviamente, quell'uomo sapeva bene che in uno scontro non avrebbe avuto alcuna possibilità, ma la dominava in modo ammirevole. L'aveva accettata e la sfruttava per alimentare il senso del dovere, l'orgoglio che gli permetteva di affrontare a testa alta il suo destino e quello della sua gente.
Che spreco pensò rassegnato Siadon mentre lasciava che il Potere scorresse dentro di lui.
«Proseguiremo uniti» Merian si intromise tra i due appoggiando una mano sul braccio di Siadon «Io vi servo per trovare il Drago Rinato, loro mi servono per imparare ad Incanalare e se avessi davvero attirato qualcuno, senza di loro non avremmo modo di difenderci»
Non fa una piega... Thea non ucciderla per avermi toccato, per favore
Siadon studiò rapidamente la moglie con la coda dell'occhio, era infuriata e stava cercando di incenerire la mano di Merian con lo sguardo, ma sembrava avere il controllo di sé stessa. Siadon annuì lentamente a Rohedric ma l'uomo non era affatto convinto.
«E loro invece cosa vogliono?» Questa volta fu Ariel a parlare «Te lo sei mai chiesta? Prima ci liberano, poi massacrano i Manti Bianchi che ci seguono. Dicono di voler trovare i Ribelli ma Arlene era tutt'altro che contenta dalla loro compagnia. Poi dicono di volerti aiutare ad Incanalare ma secondo Arlene non è quello che stanno facendo ed ora lei è morta. Così come l'unico Manto Bianco sopravvissuto.» Squadrò i due assassini «Cosa volete da noi?»
Thea sbuffò «Stiamo perdendo tempo. Lasciamoli qui...»
A marcire concluse Siadon nella sua testa. Merian era troppo pericolosa per essere lasciata indietro viva, quello che stava proponendo Thea era ben diverso da quanto potessero immaginare Rohedric e gli altri.
«Cerchiamo il Drago Rinato» Ormai immerso nel Potere, Siadon dovette concentrarsi per non apparire come una maschera completamente inespressiva. Era pronto a schermare Merian in qualsiasi istante. Era compito suo, Thea non poteva Incanalare senza insospettire la ragazza. Sua moglie si sarebbe occupata di proteggerlo da Brienne e Rohedric, le due minacce più immediate. «Proprio come voi» spostò l'attenzione da Ariel a Merian, ordinando al proprio volto di assumere un'espressione calma, priva di dettagli minacciosi. Voleva ancora la ragazza, ormai la considerava quasi una Sorella. Avrebbe giocato un'altra carta per legarla a loro, ma era anche pronto ad ucciderla in quello stesso momento.
«E' sata una Sognatrice a farci incontrare. Senza il suo intervento noi saremmo dall'altra parte del mare e voi... morti. Anche tu sei una Sognatrice Merian e non è un caso. Ora, vuoi aiutarci a trovare il Drago Rinato?»
Merian lo guardò preoccupata. In quegli occhi verdi c'erano molte più domande di quante Siadon si sarebbe aspettato. C'era paura, senso di perdita, confusione, stanchezza, rassegnazione e rabbia ma anche speranza, gioia ed affetto.
«Certo. Proseguiremo uniti.» rispose con una voce che rispecchiava perfettamente il suo stato d'animo. Siadon annuì sorridendo. O per lo meno imponendo al suo volto di sorridere.
«Possiamo muoverci ora?» Non era una domanda. Quando Thea usava quel tono bisognava obbedire, le alternative apparivano come ipotesi sfuocate appena al di là dell'unica opzione disponibile.

Due giorni dopo raggiunsero un fiume troppo impetuoso per essere attraversato, così lo iniziarono a risalire costeggiandone la riva sabbiosa. Dalla morte di Arlene era come se tra i due gruppi fosse calato un muro di ghiaccio, Rohedric faceva di tutto per non perdere di vista gli assassini. Atteggiamento che ben presto iniziarono ad imitare anche tutti gli altri, soprattutto Jon. Siadon aveva provato a parlargliene, la situazione iniziava ad essere fastidiosa, ma dopo alcune risposte sarcastiche si era convinto che ormai fosse del tutto inutile. Merian era l'unico contatto. Ancora disturbata dai suoi pensieri, cercava di mantenere buoni rapporti con tutti ma Siadon non dubitava che fosse ben più preoccupata di quanto mostrasse. Quella notte, l'aver ucciso Jora a sangue freddo aveva sbloccato qualcosa nella ragazza, aveva iniziato a costruirsi una maschera per nascondere le emozioni, sembrava aver superato la paura di mentire ai suoi amici. Imparava molto alla svelta, Siadon ne era orgoglioso.
Tomas, rientrando nel gruppo dopo aver cavalcato in solitaria per qualche ora, si avvicinò al cavallo del Fratello «Sono qui, proprio come ieri»
Anche tu sei cresciuto velocemente pensò Siadon valutando la voce e l'espressione del ragazzo.
Tomas era stato un ottimo esploratore dei Manti Bianchi, sicuramente quell'esperienza gli stava tornando utile. Era ancora molto giovane, eppure ora sapeva essere freddo e calcolatore anche in momenti difficili. Da quando erano fuggiti, si era aggrappato all'addestramento del Monastero con tutte le sue forze e quel condizionamento stava dando i suoi frutti.
«Hanno aspettato che ci allontanassimo per studiare il nostro ultimo campo. Si sono presi il tempo necessario a valutare ogni dettaglio.» rispose Siadon con calma. Stavano evitando il linguaggio dei segni, in parte per far capire la situazione a tutti ma soprattutto per non dare troppe informazioni a chi li stava seguendo. Se fossero stati dei Maledetti, quei segni sarebbero stati una sorta di autocondanna.
«Non sono Manti Bianchi. Vedi Jon, difficilmente si spingono così a Nord. E se fossero dei Manti Bianchi non avrebbero perso tempo, avrebbero subito cercato di catturarci.» Elsa si rivolse al ragazzo come se fosse la sua balia. Jon si avvicinava spesso a loro, probabilmente per dimostrare al fratello maggiore di non aver paura, o di essere valoroso o qualche altra assurdità simile. La donna si divertiva a prenderlo alla sprovvista con battute del genere.
Siadon ignorò entrambi, concesse solo un'occhiata a Rohedric per valutarne le reazioni ma non vi trovò nulla di nuovo. Non era tanto ottuso da non capire la situazione, probabilmente stava ancora decidendo se gli inseguitori fossero più o meno pericolosi di loro quattro.
«Li avete sentiti Incanalare?» chiese l'assassino
Tomas inclinò il capo, era un modo di fare che aveva accentuato da quando aveva ucciso il pastore. Per un attimo Siadon si domandò quanto fosse una cosa studiata e quanto gli venisse spontaneo.
«No, nemmeno una goccia di Potere. E nemmeno Thea li ha sentiti. Però non mi convincono, i due che ho visto si muovevano come se avessero un sesto senso, più o meno come quando di notte vedi attraverso le Tessiture.»
Jon impazziva dalla voglia di dire qualcosa ma un'occhiata di Rohedric e un sorriso incalzante di Elsa lo dissuasero all'istante.
Se fossero dei Fratelli Tomas me l'avrebbe fatto capire. Anche Thea si sarebbe precipitata qui se ne avesse riconosciuto qualcuno. Possibile che ci siano altre Sette sulle nostre tracce? Per i Manti Bianchi sarebbe impossibile, probabilmente ancora non sanno della morte di quella truppa. Che siano stati inviati dai Preti Neri? Quei tizi ci stavano portanto a Nord di Jennji, di certo hanno sentito Merian l'altra notte. Bestiacce strane ancora non ne sono spuntate, quindi o sono loro o sono i Ribelli... O un gruppo di Tiranni... no, non da queste parti.
«Che ne dici Rohedric?» chiese come se fossero due amici di vecchia data «Un altro gruppo di pazzi sanguinari o finalmente abbiamo trovato i Ribelli?» fece una breve pausa ma riprese subito, senza lasciare il tempo di rispondere «Io punto sui primi, anche se forse i Ribelli potrebbero essere ben più pericolosi di quanto immaginiamo.»
Rohedric gli scoccò un'occhiata gelida. «Neal, Kain. Andate a controllare, ma tenetevi lontani da loro, molto lontani.» ordinò «Abbiamo già abbastanza assassini al seguito»
Incredibile come riesca ad inimicarsi Merian anche quando cerca di difenderla pensò Siadon con un'alzata di spalle «E' probabile che li vediate solo se loro vogliono farsi notare... State attenti» concluse guardando Neal negli occhi.
Quella di Siadon non era affatto preoccupazione, tutt'altro. Assassini o Ribelli, chiunque fosse sulle loro tracce per lui era un nemico. Siadon pensava che Neal e Kain fossero buoni combattenti, poco inclini all'imprudenza, ma non era un buon motivo per rinunciare ad incoraggiarli a commetterne qualcuna. Se gli inseguitori li avessero catturati, o meglio ancora uccisi, Merian sarebbe stata pronta per capire il modo di vedere di Siadon. Ogni Incanalatore era un pericolo, anche i Ribelli. Merian non doveva vederli in modo positivo. Non doveva vedere del bene nel Potere e negli abomini in grado di usarlo, nemmeno in sé stessa.
Dannato pazzo pensò rivolto a sé stesso mentre osservava i due scomparire tra gli alberi. Pensare di spingerli ad un'imprudenza solo per mostrare coraggio o bravura... Maledetta radice! Più ne prendo e più divento contorto e paranoico quando ne rimango senza per giorni. Ne sono sempre più dipendente. Almeno è anche utile... e non dovrebbe mancare molto ormai.
Scacciò i sogni di una vita normale ancora prima che prendessero davvero forma. Sapeva di essere stanco ma non poteva concedersi il lusso di ammetterlo a sé stesso, il passo successivo sarebbe stato troppo breve ed era ancora troppo presto per farlo. Almeno non di sua spontanea volontà. Prima di morire doveva almeno provare a raggiungere il Padre, e magari a distruggere i Ribelli.
Concentrati dannazione!
Osservò Merian senza farsi notare. La ragazza cavalcava distrattamente, ancora indecisa sul come interpretare la propria premonizione sulla morte di Jora. La sera prima avevano parlato a lungo sui poteri di una Sognatrice. A dire il vero nessuno di loro ne sapeva molto, tuttavia era stato divertente osservare le espressioni di Rohedric mentre parlavano di visioni sul futuro e realtà all'interno dei sogni.
Anche Tomas indugiò su Merian per alcuni momenti, prima di affiancarsi a lei.
«Tutto bene?»
Non sta fingendo, è autentica premura! Realizzò Siadon perplesso. Aveva spinto Tomas ad avvicinarsi a Merian, lo riteneva un modo come un altro per legare a loro la ragazza. Di certo il giovane vedeva molte analogie tra le sue ultime esperienze e quanto stava accadendo a Merian.
«Sì» rispose lei perdendosi per alcuni istanti nello sguardo di Tomas «E' solo... sono solo molto stanca»
«Jora doveva morire» disse Tomas come se non l'avesse sentita. Non v'era traccia di vendetta o fervore nella sua voce, era una semplice constatazione della realtà. Almeno per come la vedeva il ragazzo. «Era un peso, scomodo e pericoloso.»
Merian lo fissò incredula e Tomas le sorrise, spostando subito il discorso sul fiume e sul tempo prima che lei potesse rispondere.
Elsa canticchiò un motivetto infantile che Siadon riconobbe per quel che era: un segnale. La Sorella voleva parlargli in privato. Lasciò passare qualche minuto, assicurandosi che Rohedric e gli altri fossero pù interessati a Tomas e Merian che a lui.
E' cresciuto gesticolò Elsa quando finalmente Siadon le si avvicinò, stando ben attenta a fare in modo che Tomas non potesse vedere i loro segni nemmeno se si fosse voltato.
E' pronto? Si riferiva a quanto Tomas fosse in grado di resistere ad un vero interrogatorio. Elsa lo stava addestrando da quando avevano deciso di cercare il Padre tra i Ribelli.
No rispose lei canticchiando distratta. Era un'attrice formidabile. Erano seguiti da alcuni Incanalatori e aveva appena condannato un suo Fratello, eppure trasmetteva spensieratezza in ogni dettaglio. L'immagine perfetta di una nobile che cavalca al sicuro nella sua tenuta estiva. Tanto spensierata che Siadon si domandò se non si fosse sbagliato ad interpretare il simbolo.
Stasera? Chiese Siadon per avere una conferma. Ricevendo uno sguardo incuriosito in risposta.
Sì fallo. Non è pronto. Gesticolò Elsa lentamente, assicurandosi di non essere vista da altri.
Siadon le sorrise, come se i loro sguardi si fossero incrociati per caso.
«Credi che ci attaccheranno stasera?» chiese Elsa tranquilla, attirando l'attenzone di Jon che cavalcava poco distante.
«Abbiamo disposto gli ultimi due campi in modo molto diverso l'uno dall'altro. Se siamo fortunati aspetteranno ancora, per studiarci meglio. Vorranno essere sicuri di poter gestire la causa di quanto hanno percepito due giorni fa.» rispose Siadon guardando alle spalle della comitiva. Non che pensasse davvero di vedere qualcosa, voleva solo essere prudente.
Elsa annuì «Stasera starò io con Merian» disse «Tu, Thea e Tomas farete la guardia. Uno riposa, due controllano. Usate il Potere senza timori, ormai sanno che siamo Incanalatori e sarebbe davvero stupido farsi prendere di sorpresa dopo due giorni che ci seguono.»
Era il modo più semplice per lasciare Tomas solo con Siadon, lontano dalla vista degli altri e con Thea a vegliare su tutti. Se Merian avesse percepito qualcuno incanalare, si sarebbe trattato di qualche Tessitura difensiva per controllare i dintorni del campo.
«Molto bene, vado a dirlo a Thea.»

Perché aspettano? Domandò Tomas, gesticolando nella penombra di una notte serena. Siadon lo vedeva come se fosse giorno, forse anche meglio, non solo i suoi sensi erano resi più sensibili dal Potere, stava anche mantenendo alcune semplici Tessiture che gli permettevano di percepire i movimenti attorno a lui.
Siadon era immobile da quasi tre ore. Per quanto fosse addestrato e conoscesse diversi esercizi utili a mantenere caldi i muscoli, aveva bisogno di muoversi. Rilasciò le Tessiture più sensibili, non gli sarebbero più servite e presto avrebbe avuto bisogno di ogni goccia di Potere. Iniziò con la respirazione, assaporando la sensazione di risveglio che si diffondeva in tutto il suo corpo, mentre l'aria fresca percorreva le sue vene ad ogni nuova boccata.
Dopo alcuni minuti era in piedi al fianco di Tomas Vogliono capire chi siamo rispose. Aveva meditato a lungo sulla situazione. Molte speculazioni erano oggettivamente troppo contorte per essere credibili, l'astinenza dalla radice lo obbligava a prestare più attenzione al senso dei propri pensieri. Nessuna setta di Assassini avrebbe aspettato tanto, almeno non quelle conosciute da Siadon. Che cercassero proprio loro o solo la fonte del trambusto di qualche notte prima, chiunque avrebbe provato a catturarli il prima possibile per non allontanarsi troppo dalla Confederazione. Chiunque tranne i Ribelli. Certo, era anche possibile che i loro inseguitori fossero convinti di essere sulle tracce di un gruppo di Ribelli, magari li stavano seguendo per scoprire un nascondiglio. Però sapevano di essere stati scoperti, glielo aveva detto Thea il giorno prima, quindi non potevano pensare che un gruppo di Ribelli li avrebbe portati in un luogo importante sapendo di essere seguiti. Anzi sarebbe stato più probabile aspettarsi una trappola, soprattutto lasciando passare il tempo.
Sono Ribelli. segnalò a Tomas.
Finalmente. Annuì lui in riposta. Tomas aveva passato praticamente tutta la sua giovane vita cercando di trovarli. Gli piaceva ancora raccontare di come a volte ci fosse andato vicino. Anche se ora vedeva tutto sotto un'altra lente, i Ribelli rimanevano suoi nemici. Non poche volte aveva confidato a Siadon di come gli sarebbero state comode, a quei tempi, le Tessiture che ora conosceva.
Strano come bastino pochi mesi per stravolgere una vita. Rifletté Siadon senza condividere i propri pensieri. Ma che dico? Tra poco sì che sarà stravolta! Concluse voltandosi per svegliare Thea.
Le si avvicinò e incanalò un sottile filamento di Spirito, dirigendolo verso di lei. Era il modo che usavano per svegliarsi quando si alternavano alla guardia, significava che non c'era pericolo. Buona parte degli altri modi, come una Tessitura diversa o una mano sulla spalla, l'avrebbe messa in allerta e probabilmente lui sarebbe morto. Certo avrebbe potuto parlare ma non aveva senso indicare agli inseguitori dove si trovavano.
Thea aprì gli occhi senza sbattere le palpebre, come se fosse già sveglia da tempo. Rimase immobile qualche istante, fissando le stelle tra le fronde senza respirare. Lo faceva spesso, all'inizio Siadon pensava che fosse un qualche modo per controllare il proprio corpo prima di alzarsi, con il passare del tempo invece aveva concluso che era più un'abitudine che una necessità. Si guardarono negli occhi a lungo, senza scambiarsi alcun segnale. Non ne avevano bisogno. Sapevano entrambi cosa stava per succedere, ne avevano parlato nel pomeriggio. Non piaceva a nessuno dei due ma non potevano permettersi rischiare oltre, le probabilità di riuscire ad ottenere qualcosa erano già fin troppo scarse. Tomas non era pronto. Se qualcuno l'avesse interrogato col Potere, lui avrebbe rivelato troppe informazioni e la gente che li stava seguendo sembrava ben addestrata ad usare quella maledetta cosa. L'ultima cosa di cui avevano bisogno era qualcuno che dicesse ai Ribelli qualcosa del tipo «Perché siamo qui? Che domande, per uccidervi tutti!»
Thea inspirò fino a riempire i polmoni, prima di alzarsi con dei movimenti tanto fluidi da ricordare una danza.
Dormi segnalò a Tomas mentre lo raggingeva sopra un masso ricoperto da muschio.
Ricordi il primo giorno al Monastero? Chiese Siadon al ragazzo quando stava per sdraiarsi.
Tomas sorrise . Fermò le mani a metà di alcuni segni, indeciso sul come tradurre i propri pensieri
La prima cosa che hai notato? Lo interruppe Siadon ridendo, mentre avvolgeva alcuni filamenti di Spirito in un intricato groviglio.
Tomas inclinò il capo pensieroso, il Monastero lo spaventava ancora, Siadon glielo leggeva negli occhi. Eppure meno di quando ci viveva, una parte di lui aveva iniziato a considerarlo casa sua.
Il silenzio... Tomas rimase pietrificato, con tre dita piegate verso il palmo dell'altra mano, mentre Siadon stringeva la gabbia di Spirito che aveva appena conficcato nella testa del Fratello.

«Credo che abbia sognato qualcosa» sussurrò Elsa mentre cavalcava lentamente al fianco di Siadon. Precedevano il gruppo con una certa distanza, quanto bastava per evitare di cadere tutti in un'imboscata ma non tanto da perdere di vista gli altri. La notte prima, mentre Siadon e Thea si occupavano di Tomas, Elsa aveva tenuto d'occhio il campo, soprattutto Merian.
«Mi sommergerà di domande su Tomas. Cercherò di scoprire qualcosa il prima possibile.» Siadon parlò talmente a bassa voce che Elsa l'avrebbe potuto sentire solo Incanalando. Ovviamente era proprio quello che stava facendo, erano lì per scoprire eventuali trappole prima di finirci dentro, l'assassina doveva essere circondata da Tessiture di allarme tanto quanto lui.
Suoni o meno, potrebbero sempre leggerci le labbra. Pensò Siadon mentre scrutava con attenzione il sottobosco. Meglio recitare, il linguaggio dei segni è più utile se rimane segreto.
«Tutto sommato poteva andare peggio, poteva morire»
Elsa gli lanciò una rapida occhiata perplessa. Uccidere Tomas era proprio quello che avrebbero fatto normalmente.
L'assassina sospirò, fissando per alcuni istanti un tronco ricoperto di muschio poco più avanti «Spero che Merian e Thea riescano a calmarlo. Ridotto com'è potrebbe fare qulcosa di davvero stupido. Dubito che Rohedric e gli altri lo perdonerebbero. E non perdonerebbero neppure noi.»
Siadon annuì lentamente. Quella pietra... concentrò l'attenzione su un blocco di granito stritolato da grosse radici. E' solo una pietra concluse poco dopo, tornando a pensare alle parole della Sorella.
Continua a riterenere un errore l'averlo lasciato in vita. Forse ha ragione. Però anche lei ha concluso che se l'avessimo ucciso, Rohedric avrebbe incolpato noi. E' già morta un sacco di gente da quando siamo assieme, dal loro punto di vista di certo troppa. Pensano davvero che potremmo uccidere Tomas? Per loro dovrebbe essere inconcepibile... Avrebbero davvero sospettato di noi, senza nemmeno un motivo apparente? Certo la storia della trappola mentale regge ben poco ma perché non dovrebbero crederci? Tomas è uno di noi, per loro sarebbe come se Rohedric uccidesse Kain... Dannata radice! Sono un dannato paranoico! E non posso nemmeno prenderne senza svelarlo agli altri e a chi ci segue. Potrei prepararne una tazza con la scusa di spiegare a Merian come riconoscere il pericolo... berla di nascosto non dovrebbe essere un grosso problema. Chi ci segue però troverebbe qualche traccia. Ne rimarrebbero stupiti. Un gruppo di Incanalatori in grado di maneggiare tanto Potere che utilizza quella radice... non avrebbe senso, se non per impedire a qualcuno di Incanalare. Potrebbero pensare che quella notte sia stato un incidente, che qualcuno di noi non riesce a controllare la propria capacità...
«Concentrati» era la voce di Elsa, forte e chiara. Non stava più sussurrando «Che ti prende?» continuò studiando il sottobosco con aria preoccupata.
Dannatissima radice! «Pensavo a Tomas» mentì Siadon. In quel momento non poteva parlare della sua dipendenza ad Elsa «Non ricorda più nulla degli ultimi mesi, è come se ieri sera avesse varcato la soglia del Monastero e stamane si fosse risvegliato qui.»
«Almeno sa di essere un Incanalatore» rispose lei, tornando ad usare solo un filo di voce «se non ricordo male suo padre l'ha ripudiato pochi giorni prima che venisse preso. Dovrebbe essere entusiasta dei Ribelli.»
«Anche troppo... è l'immagine perfetta dell'Incanalatore in fuga dalla Confederazione. Non sarà sospetto?»
Elsa lo guardò incuriosita per alcuni momenti, aprì la bocca ma prima di dire qualcosa si girò di scatto, fermando il cavallo.
«Gran bel momento per le paranoie» rispose, studiando incuriosita la donna che li fissava proprio davanti a loro, non molto distante.
Non appena la vide Siadon catalogò meccanicamente ogni dettaglio. Era una donna alta, piuttosto muscolosa. Dagli abiti sembrava un'allevatrice di bestiame, o qualcosa del genere. I lunghi capelli castani erano pettinati senza molte cerimonie, come se non vedessero uno specchio da giorni. Siadon era sicuro che anche il suo odore avrebbe ricordato del bestiame, probabilmente pecore. Ma per quanto ben fatto, era un travestimento. Non c'erano bestie lì attorno e indossava quegli stracci in modo tale da non impedirle di usare un'arma corta senza alcun impedimento. Erano anche abbastanza lunghi da nascondere un paio di lame. Se non avesse assunto quel portamento fiero e deciso però, sarebbe stato molto più difficile intuire la realtà. Era in piedi a gambe divaricate, mento alto e mani giunte in vita, lo sguardo poi non lasciava dubbi. Da solo, bastava per capire che era un'aquila e non una pecora.
Tutti questi dettagli composero un mosaico nella mente di Siadon nell'attimo stesso in cui vide la donna. L'istante successivo diversi Incanalatori entrarono in azione, le tessiture di allarme esplosero nei pensieri dell'assassino tutte assieme. Si tuffò dalla sella, sperando di evitare qualsiasi cosa gli avessero scagliato contro. Rotolò su un letto di sassi ed un attimo dopo era accucciato al fianco del proprio cavallo, armato di due lunghi coltelli. Tre guerrieri erano comparsi sulla sinistra a pochi metri da loro, indossavano stracci e pelli ma non si muovevano certo come pastori. Siadon rilasciò alcune Tessiture, mantenendo solo quelle protettive mentre si scagliava sull'uomo più vicino, sperando che Elsa si stesse occupando dell'altro lato e non fosse già morta. Non aveva tempo per studiare gli avversari, erano troppi, doveva abbatterli il prima possibile. Schivò la grossa spada del primo, rimanendo stupito quando lo vide parare il suo primo attacco con la stessa lama. Non poteva averla spostata tanto velocemente se non utilizzando il Potere. Qualsiasi emozione, dubbio o paranoia avesse provato fino ad un attimo prima si dissolse. Quelle persone erano troppo pericolose, non c'era più spazio per i pensieri. Il mondo di Siadon divenne una sequenza di finte, attacchi, parate e movimenti sempre più rapidi. Prima che i nemici a portata diventassero due, il pugnale destro era viscido e caldo in modo familiare. Ma per Siadon era solo un dettaglio registrato meccanicamente, come l'improvvisa debolezza sul fianco sinistro del primo avversario o la distanza del terzo che si stava rapidamente riducendo. C'erano anche delle voci ma attraversavano la sua mente senza venir prese in considerazione. L'uomo al centro scattò in avanti con un fendente. Al posto di parare con le lame, Siadon concentrò alcune Tessiture creando una sorta di scudo e colpì l'interno coscia e il braccio destro dell'uomo quasi contemporaneamente. Un'attimo dopo lo spadone si abbattè sulla barriera con molta più forza di quanto Siadon si fosse aspettato. Arretrò con un balzo, era ferito ad un braccio ma poteva ancora muoverlo e la presa sull'elsa era salda. Studiò alcuni istanti i tre uomini, limitandosi a parare o schivare colpi innaturalmente rapidi e potenti. L'ultimo arrivato era la minaccia più reale. Incalzava Siadon come una furia, cercando di allontanarlo dal compagno appena colpito che barcollava incerto. Schivò un altro attacco, sfruttando lo slancio per assestare un calcio nel fianco ferito del primo nemico. Stava calando una lama sulla nuca dell'uomo quando il mondo divenne nero. Percepì qualcosa di duro sbattergli in faccia e un forte odore di terra gli riempì le narici. Poi il nulla.



continua...



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Capitolo 37
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte sesta] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte sesta]

Siadon

Un altro passo nell'oscurità più completa. L'ennesimo di una serie che, per quanto Siadon ne sapesse, durava dall'eternità. Era stanco, non fisicamente ma il peso che sentiva gravare dentro di sé lo opprimeva sempre di più, togliendogli il respiro ad ogni movimento.
Portò nuovamente un piede in avanti, barcollando in cerca di un sostegno inesistente. Stava per cadere quando una forza invisibile lo sorresse, trascinandolo nel buio di quel luogo privo di riferimenti. Di nuovo il nulla, per un tempo indefinibile, poi un rumore. Lo conosceva, era qualcosa che temeva e desiderava allo stesso tempo, una bassa cacofonia di uomini, donne e bestie nella confusione di un mercato. Era impossibile separare il significato delle singole parti ma l'insieme era inconfondibile, stampato per sempre nella mente di Siadon. Ora poteva riconoscere anche l'odore pungente, vecchio e malsano dei bassifondi di Samrie.
«Mi hai abbandonato» una condanna. Dall'unica voce in grado di superare qualsiasi sua difesa e infrangere ogni menzogna.
«Ti ho anche ucciso» rispose rassegnato Siadon, distinguendo finalmente il vecchio amico. Questa volta non si sforzò di trovare una logica in quel luogo, era troppo stanco per provarci. Mentre i suoi sensi, o qualsiasi cosa li sostituisse, tornavano a funzionare, si accorse di essere appoggiato ad un'antica colonna in marmo. Anche il pavimento era sfarzoso, decorato da un mosaico di vetro dal quale filtrava una luce soffusa, o forse era una finestra? Poco oltre, Foy era seduto su di una semplice sedia impagliata, concentrato sulle pedine schierate nella metà visibile della scacchiera che aveva di fronte. Tutto il resto non esisteva, quello spazio era riempito dal rumore della folla e dal suo fetore ma quelle persone non erano lì, il buio non era semplice mancanza di luce, era assenza di qualsiasi cosa.
Foy si girò a osservarlo, era esattamente come l'ultima volta che Siadon l'aveva visto. I capelli lunghi, corvini, gli ricoprivano le spalle senza riuscire a nascondere due orecchie enormi. Indossava gli stessi stracci di un tempo e portava ancora quello stupido astuccio bucato a tracolla. Siadon si sentì trapassare dagli occhi spenti, opachi, morti dell'amico.
«E' passato tanto tempo dall'ultima volta che sei venuto a trovarmi» disse Foy tornando a studiare le pedine. Siadon non potè evitare di osservare con orrore il profondo taglio che squarciava il collo del giovane. In realtà erano una serie di orribili tagli, inferti con rabbia da una mano inesperta. La sua, molti anni prima.
«Sono morto?» chiese Siadon avvicinandosi al mosaico luminoso. Una serie di ombre indistinte si muovevano dall'altra parte dei verti colorati, sotto di lui.
Foy non distolse l'attenzione dalla partita «Chi può dirlo?» spostò una pedina cilindrica, sorridendo soddisfatto all'oscurità di fronte a lui. «Ti piacerebbe, vero? Così, senza nemmeno accorgertene. Per svegliarti moccioso e felice, senza ricordare nulla di questa vita. Pronto per crescere e incontrare di nuovo la tua amata.»
Dal nulla, sopra la scacchiera, emerse una mano pallida e sottile. Indugiò alcuni istanti sopra il cilindro che Foy aveva appena spostato e lo sostituì con un piccolo cubo nero.
Siadon si irrigidì, col tempo aveva imparato a conoscere quel luogo come una sorta di suo personale limbo interiore, o per lo meno gli sembrava la spiegazione più probabile. A volte gli capitava di ritrovarcisi in sogno o quando stava davvero male, riusciva anche a raggiungerlo di sua spontanea volontà, con la giusta concentrazione. Ogni volta la stanza era diversa, le uniche costanti erano i rumori, gli odori e Foy, una sorta di fantasma. Siadon immaginava fosse una rappresentazione delle sue colpe o magari la sua stessa coscienza. Tutto il resto cambiava, le pareti e gli ornamenti variavano sempre in modo imprevedibile ma questa era la prima volta che c'era anche qualcun altro.
«Con chi stai giocando?» le poche certezze che Siadon aveva su quel luogo stavano vacillando, pensava che lì esistessero solo le cose che poteva vedere, aveva fatto degli esperimenti su questo. Ora invece c'era qualcuno che riusciva ad interagire dal nulla, ne era spaventato. Quello era il suo rifugio più intimo, solo lui e i fantasmi del suo passato potevano accedervi. Si concentrò su questa idea, aggrappandosi ad essa come se fosse l'unica verità dell'universo. La colonna alle sue spalle esplose in mille pezzi che, subito dopo, si immobilizzarono in volo attorno ad una nube di polvere.
«E' un'amica!» Foy sembrava terrorizzato, frugava nell'astuccio in cerca di qualcosa che lo potesse aiutare, come sua abitudine quando gli capitava di trovarsi in brutte situazioni.
Siadon non sapeva se l'esplosione fosse opera sua, non aveva idea di come controllare quel luogo. Il peggio era che non poteva nemmeno andarsene, non percepiva sé stesso in meditazione, doveva essere lì in sogno o per una ferita grave.
«Chi sei?» chiese all'oscurità cercando di allontanare il senso di insicurezza che lo pervadeva.
«Un'amica, fammi entrare» era una voce buona, sincera, Siadon si sentì subito più tranquillo. Gli ricordava qualcuno, una ragazza con cui aveva passato molto tempo di recente.
«Merian?» Chiamò incredulo. Immaginò istintivamente di vedere il resto della scacchiera, i bordi opposti del tavolo, la sedia che doveva essere lì da qualche parte e la ragazza che vi era seduta.
L'istante successivo si trovò a fissare i gelidi occhi di una donna bassa, magrissima, con i capelli raccolti in una lunga treccia grigia, seduta a gambe incrociate di fronte a Foy.
«Tamara!» gridò Siadon, cercando di raggiungere la Fonte per incenerirla il prima possibile, pur sapendo di non aver alcuna speranza di sconfiggere in quel luogo la Sognatrice più potente del Monastero. L'istante successivo era avvolto da spesse catene, incapace persino di ricordare come usare il Potere.
«Calmati, non sono qui per farti del male.» erano parole stridule, graffianti ma contenevano un ordine e Siadon non potè evitare di sentirsi più tranquillo.
«Amica?! Ci hai venduti!»
«Tu hai ucciso Foy, eppure ti reputi ancora suo amico.» rispose lei indicando il ragazzo con un dito scheletrico «Comunque non vi ho venduti, ho fatto in modo che vi poteste liberare. Era l'unica possibilità che avevamo per salvare la ragazza. Senza il rapimento non sareste mai arrivati in tempo, avreste preso strade diverse e credimi, le cose sarebbero andate molto peggio di come sono ora.» Tamara si guardò attorno incuriosita alcuni istanti «Interessante come tu sia riuscito a proteggerti, questo posto è... notevole, almeno per uno che non conosce questo mondo. Ora capisco perché non sono riuscita a trovarti prima, i Sogni suggerivano il contrario ma iniziavo a temere che tu fossi morto. Ad ogni modo, trova il Padre e proteggilo. L'Ombra è già molto vicina a Lui. Tra tutte le strade che ha davanti, sono sempre meno quelle che lo porteranno a sconfiggere le tenebre. Ho visto alcuni vostri possibili incontri... ricordati che è anche un ragazzino...» Tamara corrugò la fronte fissandolo, poi sbuffò contrariata «Non c'è più tempo. Sappi che non siete gli unici fuggiti dal Monastero. Sopravvivi, trova il Padre, proteggilo e poi cerca gli altri. Se tutto va bene, ne avrai bisogno per ucciderlo, quando e perché sarà piuttosto ovvio... a suo tempo. Trova i Tiranni che...»

Siadon sbattè le palpebre, sforzandosi di inspirare lentamente. Davanti ai suoi occhi scorrevano dei lastroni di pietra, illuminati da alcune torce appese chissà dove. Continuava a muoversi ma non sulle sue gambe, lo stavano trascinando. Era rimasto incoscente fino a poco prima e se ne guardò bene dal far sospettare il contrario. Sfruttò quel piccolo vantaggio per raccogliere le idee. L'avevano colpito duramente, le tempie sembravano volergli esplodere ma non sentiva nulla di rotto. Non seriamente almeno. Dopo alcuni momenti decise di non essere nemmeno avvelenato ma soltanto gonfio di botte. Rallegrato dalla consapevolezza che il dolore se ne sarebbe andato presto, cercò di capire quanto brutta fosse la situazione. I pantaloni dei due uomini che lo reggevano facevano parte di una divisa. Non la riconosceva ma il solo fatto che quella gente ne facesse uso lo preoccupava, si aspettava alcuni gruppi di fuggiaschi poco organizzati, sempre pronti a scappare da un posto all'altro, non un esercito regolare con tanto di carceri zeppe di prigionieri. Inoltre la Fonte era irraggiungibile, come se si trovasse in una Città della Luce. Ripensò un'altra volta a quanto era riuscito a vedere poco prima, accentuando un movimento della testa che ciondolava libera. Le pareti di quel lungo corridoio erano antiche, altro che nomadi, i Ribelli avevano una vera e propria città! Sembravano esserci parecchie celle ma i prigionieri erano solo uomini, quella doveva essere solo la metà maschile del carcere.
«Fermi, dovrebbe essere sveglio ora» l'ordine proveniva da un uomo alle sue spalle. I carcerieri si fermarono e gli sollevarono la testa senza tante cerimonie. Siadon smise di fingere e iniziò a respirare normalmente, trattenendo a fatica dei conati di vomito che l'avrebbero fatto stare ancora più male. L'aria era fredda e molto più pulita di quanto si sarebbe aspettato. Quando l'uomo che aveva parlato gli comparve davanti, Siadon lo studiò con attenzione, senza fingere di essere impaurito o di provare chissà cosa. Secondo il piano si sarebbero dichiarati assassini, così non mostrò alcuna emozione.
«Siadon» disse l'uomo a voce alta, guardandolo negli occhi «Sei in nostra custodia fino a quando i Giudici non esprimeranno la loro sentenza.»
Siadon continuò a fissarlo, gelido, mentre preparava la sua mente ad ignorare il pestaggio che immaginava stesse per ricevere. Perché dire quelle fesserie davanti ad altri prigionieri se non per rimarcare il potere che le guardie avevano sulle loro vite?
Per un attimo il volto dell'uomo assunse un'aria perplessa. Fece un cenno agli altri due e questi sollevarono Siadon in modo che potesse stare in piedi sulle proprie gambe. Registrò delle fitte di dolore provenire dalla gamba destra ma le ignorò, riuscendo a reggersi in equilibrio. L'uomo al comando annuì soddisfatto e indietreggiò di alcuni passi. Uno degli altri carcerieri si avvicinò alla cella più vicina, lanciò un solo sguardo ai prigionieri che la occupavano e l'aprì, invitando Siadon ad entrare.
Niente botte? Si domandò l'assassino Niente minacce a me o agli altri prigionieri?
Le sbarre metalliche si richiusero alle sue spalle, mentre squadrava i suoi tre compagni di cella. Era un assortimento piuttosto vario, sia per età che per corporatura. Li studiò apertamente uno dopo l'altro, convinto di essere stato rinchiuso con i peggiori criminali. Era certo di aver ucciso almeno un Ribelle nello scontro, forse due, se le guardie non l'avevano pestato poteva solo significare che gli altri prigionieri l'avrebbero fatto al posto loro.
Un uomo enorme, biondo dalla carnagione pallida, sputò per terra senza distogliere lo sguardo. A giudicare dalle cicatrici che gli solcavano il volto, doveva avere una certa esperienza nel combattimento con armi improvvisate. Siadon valutò meccanicamente le possibilità che aveva di sconfiggerlo, avrebbe potuto attaccarlo subito, sperando di abbatterlo prima che gli altri due gli fossero addosso.
«Fantastico, in tre stavamo troppo comodi!» si lamentò l'energumeno guardandolo con disprezzo «Ragazzo» ringhiò, assestando un calcio al prigioniero più giovane «Da stanotte dividerai il letto col nuovo. Non vorrai lasciarlo per terra, vero? E vedi di trattarlo meglio di quella sgualdrina che ti sei lavorato, non voglio sangue nella mia cella.»
Il giovane lo fissò con odio, massaggiandosi un polpaccio. «E' stato un incidente» mugugnò poco convinto, distogliendo subito lo sguardo.
«Un incidente?» tuonò il primo sferrandogli un altro calcio, questa volta ben assestato. «Raccoltalo a loro, non a me! Te l'ho già detto troppe volte.»
Siadon osservò la scena con distacco, lieto di non essere il bersaglio della frustrazione dell'uomo. Con la coda dell'occhio stava studiando il terzo prigioniero, una figura magra e pallida che se ne stava in disparte, raccolta sul proprio pagliericcio.
«Fossi in te imparerei a dormire con un occhio aperto, questo piccolo bastardo potrebbe scambiarti per una ragazza... non sei uno di quelli a cui piace... vero?»
Siadon si voltò verso il gigante senza voler trasmettere una particolare emozione. Se appaio offeso sarò il suo prossimo bersaglio, se ci scherzo sopra penserà che voglio solo assecondarlo.
«No» rispose tranquillo, avvicinandosi al mucchio di paglia libero sul fondo della cella. Con gli occhi dell'uomo che ancora lo studiavano, appoggiò la schiena al muro e si lasciò scivolare a terra, senza trattenere una smorfia di dolore quando finalmente riuscì a distendere le gambe.
«Ti hanno pestato proprio per bene» lo incalzò l'uomo incuriosito.
Siadon si limitò ad annuire tenendo gli occhi chiusi, mentre cercava di capire quali muscoli sarebbe stato in grado di usare per difendersi. Contro quella montagna? Nessuno. Per alcuni momenti non successe nulla, poi ci fù un tonfo sordo.
«Mbhe?! Che guardi? Stai decidendo se è il tuo tipo?» altro tonfo seguito da alcuni lamenti. Siadon continuò a tenere gli occhi chiusi, tutto sommato la situazione non era pessima. L'ammasso di muscoli sembrava divertirsi a tormentare il giovane, mentre il terzo prigioniero se ne stava per i fatti suoi in modo ammirevole. Certo, magari sarebbe stato il primo ad aggredirlo non appena si fosse addormentato, Siadon dava per scontato che prima o poi avrebbe ricevuto la sua dose di percosse, sperava nel "poi". Si rilassò, isolando la mente da quanto percepivano i sensi, la testa continuava a pulsargli dolorosamente ed anche la gamba pretendeva la sua parte di attenzione.
«Anche lei piangeva, vero?» la voce dell'uomo si stava facendo sempre più indistinta, man mano che Siadon sprofondava in sé stesso.
«BastAARGH» qualcuno gridò in lontananza
«Basta!? Non ho ancora...»

«Non ti aspettavo tanto presto» La stanza di Foy era luminosa, piccola ma priva degli angoli bui che solitamente circondavano quel luogo. Questa volta le pareti erano in paglia cosparsa di fango, l'odore di terra riempiva l'aria in modo tanto pungente da coprire quello della città, quasi. La luce del sole entrava da un'infinità di fessure, interrotta soltanto dalla moltitudine di ombre che si muovevano all'esterno.
«Ciao Foy» Siadon si soffermò un istante, come sempre, sulla ferita al collo del fantasma. «Siamo soli?»
L'amico gli lanciò un'occhiata perplessa, fissandolo a lungo dalla profondità dei suoi occhi spenti.
«Tamara non c'è» rispose infine. Si guardò attorno, soffermandosi sulla roccia nuda e cristallina che ricopriva il soffitto. «Ora le sarà molto difficile raggiungerci. Peccato, mi piace.»
Siadon era tentato di chiedere all'amico se ci fosse qualcun altro, ma non era sicuro di voler conoscere la risposta. Inoltre non capiva il senso delle perole di Foy. Pensava che quel luogo fosse una sorta di proiezione della sua mente, il suo amico doveva essere una parte di sé stesso. Qualcosa però non tornava, a lui Tamara non piaceva affatto.
«Voleva venderci come schiavi alla Luce sa chi!»
Foy tornò a guardarlo, lentamente «Lei dice che vi ha solo spinti verso Merian.»
«E tu le credi?!» fece per protestare Siadon Luce, io le credo!
L'amico annuì stancamente, sedendosi su di una semplice panca apparsa dal nulla.
Potrebbe aver lasciato qualche Tessitura nella mia mente l'altra volta. Non ne trovo traccia ma quelle che conosco non funzionano... così! Non so nemmeno come abbia fatto a raggiungermi... magari me la sono solo sognata ed ho sempre dubitato che ci avesse traditi. O magari la Tessitura è nella mia testa già da prima di lasciare il Monastero... quella strega vede nel futuro! Potrebbe fregarmi in mille modi, magari ha solo fatto in modo che la sognassi per indurmi a crederle di nuovo. Devo fissare dei paletti, altrimenti non ne esco più... sono pure in astinenza da radice, come se non fosse già abbastanza complicato!
«A presto» lo congedò Foy.

«Siadon» era una voce ferma, autoritaria, non apparteneva né all'uomo muscoloso né al ragazzo. Stava meglio, la testa gli ronzava appena e il resto del corpo non gli dava troppe noie. Doveva aver dormito per almeno un giorno intero. Aprì gli occhi.
Il giovane prigioniero era raggomitolato in un angolo della cella, mentre il suo aguzzino era sdraiato tranquillo al suo posto. Il terzo, ora che c'erano delle guardie appena fuori dalla cella, sembrava ancora meno incline ad attirare l'attenzione.
«Siadon» ripeté la voce «avvicinati all'entrata»
L'assassino girò la testa. Gli bastò un'occhiata per capire che erano tre guardie che sapevano fare il loro lavoro, ferme e pazienti, non si sarebbero lasciate cogliere di sorpresa facilmente. Si alzò lentamente, facendo attenzione a come rispondeva il suo corpo. Non stava ancora bene ma almeno le fitte di dolore erano scomparse.
Lo scortarono per una serie infinita di corridoi. Siadon era certo di aver girato in tondo numerose volte, si era rassegnato ad avere solo una vaga idea della direzione in cui lo stavano portando. Giunti ad una scala gli legarono i polsi con uno strano bracciale e si rituffarono in un altro livello del labirinto, fino a raggiungere una piccola sala spoglia, ben illuminata, con al centro una sedia. Durante tutto il percorso Siadon aveva ripetuto una serie di esercizi mentali per prepararsi ad un interrogatorio. Ne aveva subiti e condotti centinaia ed ora viveva l'esperienza con un distaccato interesse, era curioso di sperimentare i metodi dei Ribelli. La sedia al centro era ovviamente destinata all'interrogato, mentre le panche attorno a chi avrebbe fatto le domande. Non vedeva strumenti di tortura, e come posto non sarebbe stato facile da pulire. Certo potevano farlo soffrire in molti altri modi ma era comunuque un sollievo non trovarsi di fronte ad un bracere zeppo di carboni ardenti.
Come previsto lo fecero sedere sulla sedia al centro, legando il bracciale ad un grosso anello di metallo fissato nel pavimento. Subito dopo entrarono diverse persone, il tutto con un'aria di normale prassi che quasi lo infastidì. Considerava uno spreco il non sfruttare quel momento per incutere un poco di soggezione nel prigioniero.
C'erano tre uomini e due donne, una delle quali impegnata a disporre delle carte su di un semplice scrittoio. Era sicuro che alle sue spalle ci fossero almeno altre due persone.
«I tuoi amici hanno già dato parecchie risposte, vediamo di fare alla svelta»
Siadon guardò la donna che aveva parlato, era bassa e piuttosto in carne. Portava i capelli legati dietro la nuca e non l'aveva quasi degnato di uno sguardo, si era limitata a leggere qualcosa da una pergamena.
«Il tuo nome è Siadon?» chiese un uomo alle sue spalle
Siadon è uno dei tanti me «Sì»
«Mettiamo subito in chiaro la tua situazione. Hai ucciso due soldati e sei coinvolto nella morte di almeno altre due persone.» ci fu una lunga pausa, volevano spaventarlo «Ci sono prigionieri che vengono giustiziati o che passano la vita tra queste mura per molto meno di un omicidio.»
Prima la minaccia, poi una via d'uscita
«Se rispondi senza mentire» continuò un uomo anziano dopo alcuni momenti. Aveva i capelli ormai completamente bianchi e una barba lunga dello stesso colore «e se ci aiuti a scoprire qualcosa sugli altri prigionieri, qualsiasi altro prigioniero, se anche venissi ritenuto colpevole i giudici potrebbero mostrarsi più clementi»
Siadon fissò i presenti uno dopo l'altro, aspettando che finalmente si decidessero a fare sul serio. Nel frattempo catalogò ogni espressione ed ogni parola che avesse visto o sentito. Se non gli stavano mentendo, cosa che dubitava, entrambi gli uomini che aveva ferito erano morti. Il ché significava che nel gruppo dell'imboscata non c'era un medico o un esperto di veleni. Era un buon segno, avevano delle debolezze. Ingnorò l'allusione al tradimento dei suoi amici, se anche avessero detto qualcosa, sapeva bene di cosa si sarebbe trattato. Più interessante era il discorso delle altre due morti in cui lo ritenevano coinvolto. Di certo si trattava di Arlene e Jora, per Siadon era curioso come considerassero la morte di un Manto Bianco come un crimine, di certo dovevano aver riconosciuto la divisa addosso al cadavere.
«Iniziamo dalla fine» era ancora la donna a parlare «dove hai imparato a combattere tanto bene da sconfiggere due combattenti esperti?»
Finalmente «Al monastero di De'Domorashi» rispose osservandola con attenzione.
Lei guardò per un istante qualcosa alle spalle di Siadon, probabilmente senza ricevere la risposta che cercava, visto che si lasciò sfuggire un'espressione stupita. Il tutto durò un solo istante, subito dopo riprese il controllo della situazione «Quindi sei un Figlio della Luce.»
Siadon non lo è «No»
Chi c'è alle mie spalle di tanto importante? Pensò notanto un'altra fugace occhiata della donna.
«Sii più chiaro. L'accusa di essere un Figlio della Luce non è cosa su cui scherzare, ragazzo»
Era stato il vecchio a parlare, ora lo stava scrutando da sotto le folte sopracciglia con due occhi che sembravano dei pozzi senza fondo, aperti su un passato che doveva durare parecchi secoli.
Siadon annuì «De'Domorashi non è un luogo di preghiera. Alcuni pellegrini lo raggiungono per pregare e trovano quello che cercano: dei sacerdoti in ritiro spirituale. Dei finti sacerdoti. Conoscono la Religione della Luce, recitano le preghiere giuste e tutto il resto ma è una copertura. Solo pochi tra i Manti Bianchi conoscono la verità, non è una cosa che ammettono volentieri. Ce ne sono diversi di questi posti, ne conosco almeno tre ma sicuramente non sono gli unici. Servono per addestrare gruppi di combattenti in grado di Incanalare. Quindi, ho imparato a combattere in un monastero in mano ai Figli della Luce ma non ho prestato alcun giuramento verso la Confederazione.»
Beh, di certo non se l'aspettavano. Chiunque ci sia dietro di me, non se la passerà molto bene. A giudicare dalle loro facce lo reputano un incapace, quindi dev'essere qualcuno che controlla se dico la verità, una donna, così che io non ne percepisca le Tessiture? Quindi qui è possibile incanalare e questo bracciale serve a schermarmi. Questo posto è diverso dalle Città della Luce.
Un uomo sulla destra mosse velocemente le mani, manovrando diversi flussi di Potere. Poco dopo Siadon non era più in grado né di vedere né di sentire.
Quantomeno ora sanno delle Sette. Pensò calmo. Si aspettava qualcosa del genere, avevano appena appreso una notizia che non si aspettavano, dovevano decidere come approfondirla.
Speriamo basti per smuoverli, sembrano abbastanza organizzati da riuscire a distruggerle. Peccato per il Monastero, era un gran bel posto ma ormai è votato all'Ombra. Questo dettaglio è meglio sfruttarlo dopo, quando riusciranno ad incastrarmi in un angolo. Il vecchio deve conoscere parecchi trucchi del mestiere... Ci sarà da divertirsi! Ora mi chiederanno cosa ci faccio qui, se sono ancora legato a quel luogo o meno. Sempre ammesso che non cambino discorso per tornare sull'argomento in futuro, per vedere se mi contraddico. La morte di Jora dovrebbe aiutarmi a sostenere di non essere un Manto Bianco, spero non tornino su questo punto... alcuni me non sono Manti Bianchi, altri non credono nemmeno che il Potere sia legato all'Ombra, sono tutte maschere che ho indossato per infiltrarmi ma se mi domandassero cosa ne pensa Siadon sarei fregato. Se gli dicessi cosa ne penso del Potere mi giustizierebbero seduta stante... il ché sarebbe solo un bene, sono davvero stanco di tutta questa storia. Voglio solo morire e vivermi una vita normale, un lavoro onesto, incontrare di nuovo Thea... e tutto il resto. Anche questo però devo tenerlo per mé, meglio se continuano a credere che io voglia sopravvivere. L'hanno già dimostrato due volte, prima con la possibilità di uno sconto di pena, e poi con la minaccia del vecchio sull'accusa di essere un Figlio della Luce... Certo che se conoscono un modo per leggermi nei pensieri mi sto fregando da solo... No, non avrebbe senso l'interrogatorio se potessero farlo... o magari lo fanno di proposito, così poi uno pensa senza farsi problemi? Magari ora sono lì ad ascoltarmi... beh, poco male, almeno sapete che è la verità, vedete di distruggere quelle dannate sette e già che ci siete vedete anche di uccidervi a vicenda, quando rinasco non ne voglio più sapere di Potere e Incanalatori. Basta con persone che vivono per secoli e possono incenerire interi paesi mentre altre devono spaccarsi la schiena per coltivare quattro patate. Mi sentite?! Dovete morire! Tutti quanti!!
... ... ... dannata radice ... che razza di idea pensare che possano leggermi la mente ...

«Siadon» era la donna grassa, la barriera contro i suoni non c'era più ma non poteva ancora vedere. Volevano studiare le sue espressioni. Freddo ma non troppo. Voglio sopravvivere e ho paura di loro, anche se da bravo assassino riesco a nasconderlo. «Questi combattenti in grado di Incanalare, i Figli della Luce come intendono usarli?»
Siadon aspettò un istante prima di rispondere, per un attimo serrò la mascella, simulando indecisione «Solitamente, per omicidi mirati o per dare la caccia a gruppi di Incanalatori»
Ci fù un lungo silenzio, un'assenza di rumori troppo marcata per poter essere naturale, avevano ripristinato la barriera per i suoni.
Sarebbe divertente ascoltarli. Dunque, non hanno ancora interrogato gli altri... oppure... NO! Dannato paranoico, fissa qualche paletto. Non sapevano delle sette, quindi non hanno ancora ascoltato Thea o Elsa. Tomas non può ricordare ma la sua strana amnesia è eviente, se l'hanno incontrato mi faranno qualche domanda che lo coinvolge. Chissà se siamo sopravvissuti tutti... Thea sì... so che è ancora viva... da qualche parte. Sicuramente non siamo gli unici.
«Come hai incontrato Merian? Anche lei è un'assassina?»
Era sempre la voce della donna, non doveva starle molto simpatico, sembrava desiderosa di condannarlo. Questa volta rimase inespressivo, non voleva che capissero il suo gioco.
«Era prigioniera dei Manti Bianchi, pensavo fosse una Ribelle e stavo cercando un modo per raggiungervi, così l'ho liberata. No, Merian non ha nemmeno idea che queste sette esistano.»
«Però tu lo sei, un assassino.»
«Sì» rispose Siadon con calma. Così come voi siete Ribelli
La pausa che ne seguì fu più lunga delle precedenti.
«Non prendiamoci in giro, ragazzo.» questa volta fu il vecchio a parlare «Sai mentire molto bene. Più tardi mi racconterai di De'Domorashi. Ora però spiegaci perché, pur avendo qualche possibilità di dimostrarti innocente, hai confessato colpe ben più gravi delle accuse che ti erano state imputate.»
Siadon annuì, ripassando mentalmente lo schema che aveva studiato per questa domanda.
«Quando abbiamo trovato le prove dell'esistenza di mostri leggendari dell'Ombra, la setta si è spaccata. Una parte voleva ignorare la cosa e continuare come sempre, mentre un'altra avrebbe preferito ribellarsi ai Manti Bianchi. Io e pochi altri eravamo convinti di dover mollare tutti i nostri legami per combattere l'Ombra. Purtroppo ha prevalso un altro gruppo. In meno di un mese, nel monastero c'erano persone che non avevo mai visto prima, persone che adorano le Tenebre. Lo dico perché ho visto con i miei occhi uno dei loro riti, hanno sgozzato una donna mentre pregavano. Ho provato a distruggerli, ne ho uccisi alcuni ma la setta ormai era nelle loro mani, così sono scappato. I Manti Bianchi non possono fermarli. Se l'Ombra è riuscita a corrompere De'Domorashi, significa che altre sette sono nelle sue mani da molto tempo, se qualche ufficiale provasse a distruggerle verrebbe ucciso e fatto sparire. Non ho alcun contatto, nell'Esercito della Luce, abbastanza in alto da essere intoccabile. Quindi rimanete voi. Se fossi rimasto nella Confederazione non avrei potuto fare molto e prima o poi mi avrebbero trovato. Vi sto raccontando tutto perché è proprio questo il motivo per cui vi ho cercato.»
Bene, ora vediamo se adorano l'Ombra di loro iniziativa o se sono solo corrotti dalla sua maledizione.
«E' una storia molto interessante, la approfondiremo con metodi più efficaci.» la voce del vecchio non dava modo di intuire qualcosa dei suoi pensieri. «Però avevamo detto niente inganni.»
Dannato bastardo! Pensò Siadon soddisfatto, divertito e contrariato allo stesso tempo. Rimase inespressivo a lungo, aspettando che fossero loro a muoversi.
«Perché parli al singolare? Non c'erano forse anche altri con te? Non siete scappati assieme dal monastero? Niente trucchi, sai bene che dovrai raccontarci anche di loro.»
Bene, per ora funziona. Non mi ha chiesto cosa ne pensa Siadon dell'Ombra. Non sarebbe bello ammettere di volerli uccidere tutti. E questi metodi efficaci? Di certo non è una semplice minaccia ma se conoscono le Tessiture giuste perché non le hanno usate subito? Magari intende qualcosa di più fisico... sarebbe divertente vederli torturare Elsa, chissà se le piacerebbe.
«Tutti e quattro, sì. Thea ed Elsa sono assassine tanto quanto me. Tomas invece era nel monastero da pochi mesi quando siamo scappati, gli mancavano almeno due anni per concludere l'addestramento.»
«Mentre Merian quando l'avete conosciuta?»
Così mi deludi, credi che mi potrei già contraddire? Forse è una trappola... Dov'è la fregatura?
«Pochi giorni dopo la nostra fuga» rispose Siadon Dannata radice! Spero di non aver aspettato troppo prima di rispondere
«Perché Tomas non ricorda nulla del monastero?»
«A volte viene usata una Trappola Mentale, per evitare la fuga di informazioni in caso di cattura.» Era vero. Non era una risposta a quella domanda ma non stava mentendo.
«Come siete arrivati a Nord di Jennji in pochi giorni?»
Siadon si concentrò unicamente sulla storia che aveva studiato.
«Attraverso un Portale»
«Dove avete imparato il rito con cui vi siete sposati tu e Thea?»
Maledisse il vecchio per l'ennesima volta. Stava cercando di confonderlo, cambiare spesso argomento era un ottimo modo per verificare una storia, Siadon lo sapeva bene, l'aveva sfruttato parecchie volte. Funzionava ancora meglio se si riusciva a sfruttare qualche legame affettivo senza preavviso.
«E' una tradizione di De'Domorashi»
La mente di Siadon ripassò freneticamente diversi aspetti delle ultime settimane, in attesa della domanda successiva. Passò parecchio tempo prima che riuscisse a sentire di nuovo una voce. Questa volta di un uomo che non aveva ancora parlato.
«Dove sono le altre tre sette di cui parlavi prima?»
Il matrimonio li ha sorpresi più della Trappola Mentale... perché?
«A Nord di Jendal c'è la più piccola, massimo sei o sette elementi. E' anche la più recente, nata per ridimensionare quella che ha sede ad Est di Kerien. Questa dovrebbe avere una ventina di assassini attivi e almeno quaranta Adepti, probabilmente molti di più ora. La terza è molto particolare, sono solo donne, credo una decina e accettano solo ragazze molto attraenti. Non hanno un unico rifugio fisso, non che io sappia, sono molto attive nei giochi politici di tutta la Confederazione...»
«Per oggi può bastare» lo interruppe la voce del vecchio «Riportatelo in cella.»



Merian Elen Syana

«Jon, allontanati da lui!» Il ragazzo ubbidì docile avvicinandosi al fratello maggiore, non senza però scoccare uno sguardo rammaricato verso Siadon. Uno sguardo che ultimamente sembrava comparire troppo spesso.
«Ricordati quali sono i patti,» proseguì sussurrando Rohedric non appena l’altro si fu avvicinato abbastanza.
«Non li ho scordati fratello.» Jon lo fulminò con quei suoi penetranti occhi azzurri, identici a quelli della loro madre. Occhi gentili capaci di sciogliere il cuore delle persone, ma che sapevano trasformarsi in due pezzi di ghiaccio tali da perforartelo, il cuore, se solo glielo lasciavi fare. Rohedric non era il tipo da farsi influenzare da quel comportamento ottuso, né di sua madre, né tanto meno di suo fratello.
Erano entrambi così dannatamente cocciuti e orgogliosi!
«E se ti sbagliassi?» chiese Jon per la centesima volta.
«Non mi sbaglio,» ribadì lui in tono piatto per la centesima volta.
«Sì, ma…»
«Ne abbiamo già discusso Jon, è così che deve essere, fidati di me.» Si voltò fissando i suoi occhi in quelli dell’altro, cercando di infondere quanta più sicurezza poteva e… ci riuscì.
Jon gli sorrise e tirò fuori il suo solito pezzo di legno da intagliare. Stavolta sembrava una donna… era stranamente familiare.
Rohedric distolse l’attenzione dal fratello e si focalizzò sul centro dei suoi problemi: poco più avanti Siadon cavalcava quieto e sereno con quella donna pazza che gli faceva accapponare la pelle. Accanto a loro ogni tanto compariva il giovane Tomas per poi tornare ad accostarsi a Merian.
Suo malgrado dovette ammettere che il ragazzo non gli dispiaceva, e sembrava dare a Merian l’appoggio che Rohedric in questo momento non riusciva a dargli. Non credeva potesse essere pericoloso: aveva infatti l’aria di uno capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato… e con le persone sbagliate. Probabilmente aveva avuto la sfortuna di incontrare Siadon sul suo cammino - esattamente come loro - e non aveva più avuto modo di liberarsene.
Cosa che per lui adesso si prospettava vicina.
Vedrai se non mi libererò di te e dei tuoi pazzi seguaci!
Siadon cercava di mantenere il controllo della situazione, dimenticandosi ogni tanto che non era lui il solo ad essere al comando. Si divertiva a sfidarlo ora più che mai, mostrandosi davvero per quel che era: subdolo e meschino. Fingeva addirittura di passare per un capo preoccupato per i suoi uomini!
Ma la verità era che non gli importava di nulla tranne che di sé stesso. Diceva di avere una battaglia da compiere, ma a Rohedric non serviva il Potere per capire che mentiva.
Era triste dirlo, ma probabilmente senza la morte di Arlene e Jora l’uomo non sarebbe mai uscito allo scoperto. Brienne era sempre stata dalla parte di Rohedric, nonostante a volte si faticasse a capirlo, ma Jon aveva cominciato a prendere in simpatia quel gruppo così male assortito, e Ariel sembrava in qualche modo attratta dalla pazza Elsa. La notte dell’uccisione - sì perché di uccisione si trattava, di questo ne era profondamente convinto - aveva sconvolto le menti di tutti, e grazie alla Luce gli altri avevano cominciato a pensarla come Rohedric, sebbene Jon continuasse a non volerci troppo credere.
Ah, i ragazzi!
E poi ovviamente c’era Merian.
Solo la Luce sapeva per quali scopi Siadon volesse usarla, non voleva nemmeno pensarci. Ma a lei non importava. A nulla era valso metterla in guardia da quell’uomo.
La sua sete di conoscenza era grande quanto la sua voglia di trovare il Drago Rinato, come poteva biasimarla?
Tuttavia doveva proteggerla, faceva parte dei suoi compiti; e poi aveva cominciato a volerle bene quasi fosse della famiglia: anche lei testarda e cocciuta come Jon!
E non bisognava dimenticarsi della componente femminile: questa da sola bastava a farti perdere in partenza qualsiasi tipo di discussione!
Ma anche un uomo ha le sue arti…

Il giorno seguente si levò su di loro grigio e cupo, presagio funesto per chi come Ariel credeva in quei segni. Rohedric non vi prestava attenzione - preferiva seguire ciò che la logica gli imponeva di vedere -tuttavia quella mattina ebbe la sensazione che qualcosa non andava.
Merian aveva passato la notte in compagnia della donna pazza, con profondo disgusto di Rohedric, ma aveva dovuto lasciarglielo fare o la ragazza non si sarebbe fidata.
Doveva riconquistare il terreno che aveva perso in favore di Siadon, lo spazio insormontabile che li divideva. Ma non doveva avere fretta. Mancava così poco.
La ragazza sembrava turbata, probabilmente aveva sognato qualcosa, ma quando le si avvicinò si sforzò di non farle domande.
«Temo che pioverà,» esordì con aria assente.
Lei non rispose.
«I tuoi capelli sono tornati del tuo colore.» Avrebbe preferito che avesse continuato a usare la tintura di Ariel, certo, ma non voleva farle una critica.
Merian la pensò diversamente…
«Non vedo perché continuare a nascondersi, non mi sembra che finora sia servito a qualcosa.»
Lo guardò con tutto l’odio che poteva permettersi, come se la colpa di tutto ciò che le era successo fosse sua.
Una pugnalata in petto avrebbe fatto meno male.
«Dov’è Brienne?» chiese distogliendo velocemente lo sguardo.
«E’ voluta andare a tutti i costi con Kain a controllare la zona. Sai com’è,» aggiunse rivolgendole un sorriso, «se non è lei stessa a controllare non può dire che sia stato fatto un buon lavoro.»
Merian non disse nulla: forse non trovava nulla di pungente da dire a riguardo…
Non essere idiota!
«Sei pronta a combattere Merian?»
La ragazza si volse di scatto verso di lui, sorpresa, e l’ombra di un sorriso le apparve in volto per meno di un istante.
Colpito e affondato!
«Sì, hai capito bene. Non voglio lasciarti indietro stavolta, non sappiamo con chi abbiamo a che fare e voglio avere con me tutte le mie risorse.»
Lei annuì con vigore, l’attenzione completamente su di lui.
«Devo però essere sicuro che tu stia bene Merian, la posta in gioco è troppo alta e non voglio rischiare di perderla solo perché qualcuno non riesce a dominare le proprie emozioni.»
La guardò fisso in volto, cercando di mantenere un’espressione solenne, carica di un significato che solo loro potevano conoscere.
«Non devi preoccuparti di questo,» rispose lei quasi all’unisono. «La mia mente sarà sgombra da qualsiasi pensiero…» Abbassò lo sguardo per un momento prima di aggiungere: «…Siadon me lo ha insegnato.»
Riportò gli occhi su di lui per valutarne la reazione ma Rohedric non le diede soddisfazione: annuì con forza e riportò l’attenzione sull’argomento. Ora veniva la parte difficile.
«Dovrai rimanere con noi, e lasciare Siadon e i suoi combattere per conto loro.»
La ragazza fece per protestare, come si aspettava, ma l’uomo continuò:
«Ci servi Merian,» disse imprimendo una certa enfasi sul bisogno che avevano di lei. «Tu sei l’unica di noi che sa Incanalare, devi proteggerci le spalle mentre noi facciamo del nostro meglio con quello che la natura ci ha donato. Siadon sarà già impegnato ad affrontare la sua buona dose di nemici, non possiamo sperare che accorra sempre in nostro aiuto.»
Merian, a metà tra l’essere sorpresa e arrabbiata, non riuscì a proferire parola – cosa di cui Rohedric fu molto grato.
«Vediamo se ti ha insegnato bene,» aggiunse infine l’uomo completando la farsa.
Odiava questa situazione ma non poteva fare altrimenti: la salvezza di tutti loro era più importante di qualsiasi altra cosa, orgoglio compreso.
«D’accordo Rohedric, cosa vuoi che faccia?»
L’uomo sospirò e pronunciò una preghiera silenziosa di ringraziamento al Creatore.
«Per cominciare…» iniziò avvicinandosi ancor più a Merian.

«Maledizione! Non doveva esserci questo spargimento di sangue!»
«Non puoi imputare la colpa di tutto questo a noi, vi avevo detto che erano pericolosi.»
«Non sei stato abbastanza preciso, allora.»
La donna, gli occhi iniettati di sangue, continuava ad agitargli un pugnale davanti agli occhi quasi a volerli cavare.
Rohedric non dubitava potesse farlo.
Grazie alla Luce l’uomo con lei sembrava più ben disposto. Doveva essere lo stesso con cui aveva parlato Brienne la sera prima. Strano che non l’avesse fatto arrabbiare: a quanto pareva gli uomini, di qualsiasi cultura si trattasse, erano abituati a sopportare le ire di tutte le donne!
«Cerchiamo di non peggiorare la situazione,» fece l’uomo alzando le mani. Si rivolse poi a Rohedric:
«Voglio che sia ben chiara una cosa: abbiamo deciso di ascoltare la vostra storia e vi abbiamo dato una mano solo perché non siete Incanalatori, e perché non sareste in grado di sopraffarci nemmeno con un esercito di gente come lui – indicò Neal, legato come un pacco a un albero – ma non crediate che sia nata per questo un’amicizia. Non ci fidiamo e continueremo a non farlo finché non ci dimostrerete il contrario. E’ abbastanza chiaro uomo del sud?»
«Chiarissimo,» rispose Rohedric socchiudendo gli occhi minaccioso.
«Ora che siamo tutti d’accordo, spiegateci cosa dovremmo farne di voi?»
Il tono canzonatorio fece infuriare Rohedric. Avrebbe voluto colpire quella faccia insolente macchiata di terra e fango, ma anche lui era legato mani e piedi come tutti gli altri, senza contare poi che l’uomo era grosso almeno il doppio di lui!
Girò la testa di lato per quanto riuscì, indicando Merian ancora svenuta ai piedi di un’altra donna dall’aria torva. Rohedric non poteva vedere nulla, ma aveva passato abbastanza tempo con degli Incanalatori – che la Luce li fulminasse! - per capire che la stava schermando dalla Fonte.
«Come sta?»
«Non devi preoccuparti di questo… per ora.»
L’uomo continuava a guardarlo negli occhi, non sembrava più tanto ben disposto adesso.
Seppe che non avrebbe ottenuto nulla e gli diede quello che voleva sentire.
«Te l’ho già detto, la ragazza non ha nulla a che fare con quella gente. Lei viaggiava con noi, l’abbiamo salvata dai Manti Bianchi e stavamo andando a nord alla ricerca dei Ribelli.» Non aveva senso nominare il Drago Rinato per ora. «Sulla strada ci siamo imbattuti in quei quattro pazzi e non siamo più riusciti a liberarcene… fino a quando non abbiamo incontrato voi. Il resto lo sapete.»
«E allora perché la ragazza continuava a gridare “Siadon”, “Siadon”, quando lo hanno portato via?»
Rohedric sospirò. Sapeva che sarebbe stato difficile ma non si aspettava di dover ripetere le cose un migliaio di volte!
Dannazione!
«Dannazione!» sbottò perdendo la pazienza. «E’ una ragazzina per amore della Luce! Non aveva mai visto un Incanalatore in vita sua finché non ha incontrato quell’uomo e i suoi amici. Probabilmente se ne è innamorata!»
Scusa Merian…
Questo lo fece ridere. Ridere! Strano umorismo che avevano da quelle parti.
«Slegatelo,» ordinò l’uomo continuando a sorridere. «Solo tu,» aggiunse puntandogli un dito in faccia.
«Seguimi.» Gli voltò le spalle e si diresse al limitare degli alberi che circondavano la radura nella quale si erano, per così dire, accampati. Nessuno li seguì.
Non si volse indietro nemmeno per un istante, era chiaro che voleva intimidire Rohedric.
Spiacente amico, ho avuto ospiti peggiori in questi giorni...
L’uomo entrò nel fitto del bosco fintanto che bastò a non fargli scorgere i suoi amici prigionieri, poi si fermò a fronteggiare Rohedric.
«Sai perché sei ancora vivo?»
Perché ho un bel sorriso?
«Abbiamo sentito Incanalare una quantità tale di Potere da abbattere una foresta qualche giorno addietro. E non credo venisse da quei… pazzi, come li chiami tu. Mi sembrano troppo astuti e ben organizzati per potersi lasciare fregare così. Inoltre sappiamo essere venuto da una donna.
Quindi fai due più due, uomo del sud.»
«Se hai già la tua risposta perché ti sei preso la briga di trascinarmi fin qui?»
L’uomo si avvicinò di un passo, la sua grande mole che incombeva imponente su di lui.
«Non fare il furbo con me. Il Potere lascia tracce, e queste ci hanno portato a due cadaveri nel bosco…»
Rohedric si fece improvvisamente serio e alzò le mani al cielo in un gesto di pace.
«Non voglio fare il furbo. Ti ho detto la verità, tutta quanta. Noi vi stavamo cercando, abbiamo bisogno di voi. Quelle persone che avete trovato… l’uomo era un Manto Bianco, ha ucciso la donna che era con noi e Siadon lo ha ucciso di conseguenza. Non so perché Merian abbia Incanalato tanto Potere, probabilmente perché la donna era sua amica. Io non so cosa possa fare un Incalanatore infuriato e frustrato, ma io avrei spaccato qualsiasi cosa avrei trovato sotto mano per sfogare la mia rabbia.»
Una fugace ombra di comprensione passò negli occhi del Ribelle, ma non fermò l’interrogatorio.
«E quella donna, era anche lei un’Incalanatrice?»
«Sì, era prigioniera dei Manti Bianchi con Merian, ma non è partita con noi. E’ riuscita a scappare in qualche modo e ci ha seguiti.» Non aveva senso non dire la verità, non erano colpevoli di nulla e voleva che i Ribelli se lo imprimessero bene nella mente! Questo però non lo fermò dall’essere sarcastico.
«Quando ci ha trovati l’abbiamo accolta,» proseguì guardandolo dritto negli occhi. «Perché è questo che si fa con chi combatte il tuo stesso nemico.»
Un silenzio lungo un’eternità passò tra i due uomini prima che il Ribelle aprisse bocca.
In qualche modo Rohedric seppe di aver guadagnato un punto a suo favore: l’uomo annuì e si diresse quindi a grandi passi verso la radura.
«Liberateli!» ordinò a gran voce. Rohedric non nascose un sospiro di sollievo.
«Ma continuate a schermare la ragazza, non voglio scherzi… di qualsiasi tipo si tratti.»
Uno ad uno i suoi compagni vennero slegati, ma rimasero comunque sotto la stretta sorveglianza dei Ribelli. Neal guardò sconsolato il suo enorme spadone per un’ultima volta, prima che questo, così come ogni altra arma in loro possesso, fosse preclusa persino alla vista.
Rohedric si avvicinò a Brienne, la donna aveva uno sguardo spaventato che non aveva notato prima durante l’attacco. Con sua somma sorpresa lo abbracciò, mormorando parole incomprensibili corrotte dal pianto. Rohedric ne fu scioccato.
Che diamine…
Un momento dopo gli tirò uno schiaffo.
«Non farlo mai più!» disse in un tono che non ammetteva repliche. L’uomo la guardò ancora più sorpreso di prima, ma poco importava.
Ce l’avevano fatta, avevano trovato i Ribelli. Il suo piano aveva funzionato, erano tutti sani e salvi.
Ma la cosa migliore era che finalmente si era riuscito a sbarazzare di Siadon!



Toras Skellig

Il crollo del blocco mentale di Toras non tardò a dare i suoi frutti. L’indomani di quel terribile pomeriggio in cui Niamh aveva giocato al tiro al bersaglio con lui, era arrivata la convocazione per una misteriosa missione. Anche il nome di Hysaac era stato chiamato, e l’esuberante ragazzo aveva tormentato Toras per il resto della giornata chiedendogli informazioni al riguardo. Informazioni che naturalmente nessuno ancora poteva conosccere, dato che il sapiente Ramkin, che era il committente della missione, non aveva svelato nulla pubblicamente. Toras però non condivideva l’entusiasmo dell’amico. La convocazione ad una missione, infatti, non modificava minimamente il programma della giornata degli adepti, il quale proseguiva, dopo gli studi e gli allenamenti della mattinata, con i lavori pratici.
Inoltre, mentre faticava nel caldo umido della palude, il ragazzo non poteva fare a meno di ripensare ai nomi che erano stati chiamati insieme al suo per la missione. Oltre a sé stesso e Hysaac, Niamh e Talos erano gli altri adepti che avrebbero fatto parte dell’incarico segreto. Perchè così tanti? E perchè inviare un istruttore? Rallenterebbe molto l’addestramento qui al Tempio. In realtà, Toras era preoccupato più che altro per la propria incolumità, dal momento che alcuni di quei soggetti avevano messo la sua vita in pericolo più volte nell’arco del suo breve soggiorno al Tempio. All’imbrunire le sfacchinate quotidiane terminarono, ma Toras e Hysaac non ebbero tempo di riposare le gambe che già qualcuno era venuto a riferire che il sapiente Ramkin li attendeva nel suo alloggio.
Il Prete Nero era solo, il ché voleva dire che probabilmente aveva già conferito con i due adepti più anziani. Questo fatto infastidì notevolmente Toras, che cominciava ad odiare tutto questo ordire alle sue spalle. «Ah, eccovi. Vi prego: sedetevi.», li accolse a mani incrociate sul petto il Prete. L’invito era probabilmente un puro pro forma, dal momento che non c’erano altre sedie nella stanza oltre a quella occupata da Ramkin stesso, ma Hysaac non sembrò preoccuparsene e con baldanza si accomodò sul pavimento.
«Abbiamo ricevuto una richiesta d’aiuto da parte del Tempio di Meradin.», incominciò il Prete sfoggiando un’espressione gioviale, che, nel suo caso, si traduceva in un ghigno sinistro. «In breve: hanno bisogno di quattro dei nostri per una missione importantissima: dobbiamo reclamare un prezioso reperto antico che è purtroppo finito nelle incompetenti mani dei Manti Bianchi.».
Toras aveva un’espressione perplessa. Non aveva mai sentito nominare il Tempio di Meradin e non sapeva dove diamine si trovasse. A dire il vero, non aveva mai sentito parlare di nessuno degli altri Templi che, a detta dei Preti Neri, il Culto stava erigendo un po’ ovunque. Ma, fintantoché quelli badavano ai loro affari e non venivano ad infastidire Toras, per quanto gli importava il Tempio di Meradin sarebbe anche potuto sorgere sull’Isola del dannato Drago: «Perchè ci chiedono aiuto? Non hanno abbastanza uomini?».
Il Prete gli rivolse uno sguardo seccato. Stava probabilmente arrivando lui stesso al punto e odiava essere anticipato: «Naturale che hanno abbastanza uomini! Ma non hanno qualcuno che possa passare per un Traditore anche sotto un esame accorto. Inoltre la missione avverrà a SorSorei, la città più vicina a quel Tempio, dove la maggior parte dei nostri confratelli di Meradin potrebbero essere riconosciuti. E infine c’è una ragione, diciamo così... estetica: i partecipanti dovranno passare per uomini del sud. Contento?».
Toras, che era biondiccio e pallido come il latte, scosse la testa: «Io? Passare per uomo del sud? Forse Hysaac, sì. Ma io...».
«Ma tu sei il Traditore, idiota!», sbottò Ramkin adirato, «Ragazzo, hai intenzione di farmi venire un mal di testa con tutte queste domande? Vi sto dicendo anche più di quello che vi serve sapere, dovreste essermene grati! Basta: il resto ve lo spiegherà Niamh a tempo debito.».
«Niamh. Ecco, questo è un punto che volevo chiarire...», iniziò Toras, indomito, ma poi lasciò cadere il discorso dopo che Hysaac gli ebbe rifilato un calcio nello stinco.
«In teoria non sareste ancora pronti.», disse il Prete facendo finta di non aver sentito l’ennesima interruzione, «Però la richiesta viene dall’Alto Sacerdote del Tempio di Meradin in persona: non posso rifiutare. Perlomeno agirete in squadra, per cui mi auguro che seguirete alla lettera gli ordini di Niamh e Talos. Ah, e ci sarà anche un adepto del Tempio di Meradin, a farvi da guida. Prenderete ordini anche da lui, chiaro?». Hysaac annuì con decisione mentre Toras reprimeva un gemito di disperazione: non bastavano due superiori dei nostri, e due della peggior specie, per giunta: ora ce ne appioppa anche un altro, pensò demoralizzato.
«Un’ultima cosa.», disse Ramkin nel congedarli «Partecipare ad una missione richiede la vostra fedeltà totale al Culto della Conoscenza. Tutti gli adepti, a tempo debito, devono giurare fedeltà durante il rito di Iniziazione: ora è il vostro momento.». Toras non ne aveva mai sentito parlare e rivolse uno sguardo interrogativo a Hysaac, ma l’amico non sembrava meglio informato. Il Prete Nero, tuttavia, non rivelò nient’altro: «Stanotte vi verranno a chiamare: fatevi trovare pronti. Partirete appena terminato il rituale.» e con questo indicò loro la porta.
Giunti alla loro camerata, i due ragazzi rimasero un po’ incerti sul da farsi. «”Fatevi trovare pronti”, dice lui... come se fosse facile! Dopo una giornata del genere, se mi sdraio vado in catalessi.», si lamentò Toras.
«Smettila di lagnarti!», lo rimproverò Hysaac, «Non hai sentito cos’ha detto? Dobbiamo partecipare al rito di Iniziazione... Non ne ho mai sentito parlare da nessuno qui. Dev’essere qualcosa di davvero importante!».
Nell’attesa di essere chiamati decisero di preparare le proprie cose, anche se in realtà i loro averi consistevano semplicemente in una seconda tunica e un paio di sandali a testa. Quando due confratelli entrarono silenziosamente nella camerata, i ragazzi capirono, senza scambiare parole, di doverli seguire.
Attraversando il cortile interno ormai deserto, furono condotti alla sala dei rituali, l’interno della quale era flebilmente illuminato da una serie di candele, disposte tutt’intorno all’ambiente circolare. Alcuni adepti, con il volto seminascosto dal cappuccio alzato, si fecero da parte per farli passare. Al centro della stanza c’era un tavolino basso che reggeva delle ciotole fumanti; al di là di questo, tre Preti Neri, anch’essi con il cappuccio alzato ma distinguibili per le tonache in perfetto stato, attendevano a braccia incrociate. Uno di essi, riconoscibile come Ramkin per via delle mani pallide ed emaciate che sbucavano dalle maniche della veste, fece loro cenno di avvicinarsi. Il silenzio era assoluto, ad eccezione del rumore dei sandali dei due adepti che raggiungevano il tavolino e vi si paravano innanzi.
«Venite a noi con le menti offuscate dall’ignoranza ed ottenebrate dagli inganni della Luce.», enunciò il Prete in tono solenne «Il Culto della Conoscenza vi accoglie, offrendovi la verità del sapere, il sostegno degli insegnamenti e il potere della consapevolezza. Giurate fedeltà eterna e costante al Culto?».
«Sì, lo giuriamo.», dissero all’unisono Toras e Hysaac, sorprendendosi della propria stessa fermezza. Ad un cenno di Ramkin, un adepto raccolse due ciotole dal tavolo e le porse ai ragazzi. «Questo è il Nettare della Conoscenza.», spiegò il Prete Nero. Toras ispezionò il contenuto della scodella, senza però riuscire a distinguerlo bene a causa della luce troppo fievole. Era comunque un liquido scuro e consistente, che emanava un odore dolciastro; assomiglia alla melassa che facevano al mio villaggio con i tuberi, giudicò Toras. Berlo tutto non fu facile, perchè era così denso che richiedeva uno sforzo per ingerirlo, e il sapore, sebbene non proprio sgradevole, era talmente forte che Toras si sentiva la lingua intorpidita. Ogni persona nella stanza ricevette la propria razione del Nettare, anche i Preti Neri. Toras notò che nessuno storceva il naso, anzi la maggiorparte dei presenti aveva già avidamente vuotato la propria scodella. Chissà che gusto ci trovano, si chiese, fosse per me, concluderei i riti di iniziazione con un giro di birra, piuttosto.
E con quello il rito ebbe termine, cosa che suscitò l’approvazione di Toras, il quale odiava le lunghe cerimonie. I due iniziati vennero condotti all’esterno, poi Ramkin fece loro segno di seguirlo giù per le scale che conducevano ai sotterranei. «Ma dove stiamo andando?», sussurrò Toras a Hysaac, ma l’altro era troppo serio e concentrato per dargli retta. Confuso, Toras scese per la stretta scalinata dietro al Prete Nero che reggeva una lampada. In un recesso del cunicolo stavano accovacciate in attesa due figure avvolte nelle loro tonache. All’avvicinarsi di Ramkin, Niamh e Talos si alzarono e chinarono rispettosamente il capo. Il lugubre Prete li ignorò mentre appendeva il lume ad un chiodo piantato in una trave; poi chiuse gli occhi e sembrò concentrarsi per qualche istante. Toras avvertiva ora il Potere scorrere in grande misura nel corpo del Prete Nero e per un attimo valutò le sue possibilità di fuga, mentre osservava timoroso complicati flussi di vari elementi intrecciarsi di fronte a lui. Ma all’improvviso, accompagnando la parola con un vago gesto della mano, Ramkin disse semplicemente: «Ecco.».
Toras aprì la bocca per chiedere una spiegazione, ma un bagliore lo accecò per un attimo, poi scomparve, lasciando al suo posto una finestra scura, a mezza altezza da terra, dalla quale entrava una corrente d’aria fresca. Ancora a bocca aperta, il ragazzo si protese in avanti per sbirciare attraverso quell’apertura innaturale e vide i contorni indistinti di una radura al crepuscolo. I due adepti più anziani non mostrarono alcun timore o apprensione nel varcare la soglia aleggiante, ma i ragazzi si guardarono per un attimo, l’uno sperando che l’altro facesse il primo passo. Infine Toras si fece cavallerescamente da parte dicendo: «Prima le signore...».
L’indignazione per la canzonatura vinse sulla paura, e Hysaac attraversò il misterioso passaggio. Rimasto solo con Ramkin, Toras deglutì forte. Gli tornarono in mente delle favole che gli erano state raccontate da piccolo: gli incanalatori e il loro Potere malvagio popolavano spesso le storie di paura che i vecchi del villaggio si divertivano a raccontare ai ragazzi, e spesso vi si narrava delle misteriose porte verso altri mondi, che gli incanalatori aprivano per condurre in luoghi strani e terribili i bambini che erano stati cattivi. In quel momento, però, la presenza del Prete Nero dietro di sé incuteva più paura che qualsiasi storia o leggenda, e allontanarsi dal Potere che si nascondeva dentro a quelle membra gracili e scheletriche fu una motivazione più che sufficiente a sospingere Toras attraverso la soglia.
Un piccolo passo e... un breve lampo di luce alle sue spalle fece voltare Toras di scatto. Ramkin e il sotterraneo erano spariti, volatilizzati. Toras si trovava ora all’aperto, il cielo stellato sopra di sé; ma questa sicuramente non era la palude in cui sorgeva il Tempio: l’aria era fresca, frizzante, e soffiava una leggera brezza che sapeva di mare. Il ragazzo si guardò attorno: a parte le sagome scure dei compagni di missione, era difficile scorgere alcunchè nel cuore della notte e con solo una sottile fetta di luna nel cielo. Si udiva distintamente, tuttavia, il rumore della risacca. Ad un tratto Hysaac lo strattonò per la manica: gli altri stavano già incamminandosi.
Il territorio era ondulato e una fitta macchia di arbusti impediva di vedere a grande distanza innanzi a sè, per cui Toras immaginò che Niamh stesse semplicemente seguendo la direzione da cui proveniva lo sciabordio delle onde. Difatti, dopo poco, i quattro giunsero ad una lunga spiaggia sabbiosa. Qui Niamh si arrestò, mettendosi a scrutare nel buio finchè non individuò quel che cercava, poi fece cenno di seguirla. Si trattava di un tenue bagliore che proveniva da un punto imprecisato, a qualche passo dalla battigia. Avvicinandosi, Toras riuscì infine a delineare i contorni di una barca.
Arrancando nell’acqua bassa, il gruppo si accostò alla barca, dove un uomo avvolto in una cerata teneva in mano un lume. Senza scambiare parole, lo sconosciuto li aiutò a montare, poi si mise ad armeggiare con funi e buffi arnesi a cui Toras non avrebbe saputo dare un nome, né riusciva ad indovinarne lo scopo, dal momento che in vita sua non era mai salito prima su un’imbarcazione di alcun tipo. Vide comunque la piccola vela triangolare gonfiarsi, e poco dopo si stavano allontanando dalla costa tagliando le onde in diagonale.
«Tu devi essere... ?», chiese Niamh, invitando lo sconosciuto, che ancora non aveva aperto bocca, a rompere quel misterioso silenzio. L’uomo, che doveva avere sì e no trent’anni, scosse la testa, evidentemente riluttante a far sapere il proprio nome. Brutta mossa, amico, si disse Toras, percependo l’irritazione crescente nello sguardo della donna. Niamh fece altri tentativi di conversazione, probabilmente più per provocare il marinaio che per reale necessità di informazioni; l'uomo, tuttavia, si limitò a rispondere a monosillabi. Poi, ad un certo punto, si spostò nella parte posteriore della barca. Toras si ricordava vagamente un buffo termine... Poppa, mi pare. O prua? Un istante dopo, avevano deviato nuovamente verso la riva, dirigendosi verso alcune luci che erano apparse in lontananza.
Solo allora il tale, che doveva essere l’adepto del Tempio di Meradin incaricato di fare loro da guida, si degnò di spiegare qualcosa: «Stiamo per entrare nel porto di SorSorei. All’imbocco c’è un posto di guardia. Voi tre: fingete di riparare quelle reti, se non diamo nell’occhio non ci fermeranno.». Detto ciò, l’uomo ammainò la vela e, con un gesto, fece segno a Toras di aiutarlo con i remi. Passati alcuni minuti, ancora impegnato com’era a capire il funzionamento di quei buffi bastoni, Toras non si era nemmeno reso conto che la barca aveva passato il posto di guardia e si trovava ora all’interno del porto. SorSorei... il glorioso Tempio della Luce di SorSorei..., ragionava Toras cercando di richiamare le sue scarse nozioni geografiche, dovrebbe trovarsi da qualche parte sulla costa occidentale. Un viaggio di settimane condensato in un singolo passo! Chissà se abbiamo viaggiato anche nel tempo..?
La loro piccola imbarcazione si era intanto affiancata ad una molto più grande, sulla cui paratia si intravedeva la scritta Freccia del Sud. Poi, ad un richiamo della guida, una scaletta di corda venne gettata dalla nave per farli salire. Montando a bordo, Toras provò un brivido d’eccitazione: aveva naturalmente visto numerose barche e navi di ogni stazza, ormeggiate ai moli della Rada di Dodieb, ma ora si trovava addirittura a bordo di una nave. Come minimo dev’essere un veliero, si disse, ripensando ancora una volta a buffi termini sentiti nominare in passato, O una fregata.... A dire il vero, la sensazione di esaltazione ed euforia che provava da quando erano partiti dal Tempio era esagerata: avrebbe piuttosto dovuto riflettere lucidamente sui pericoli a cui stava probabilmente andando incontro... ma in quel momento proprio non ci riusciva. Lanciò un’occhiata ad Hysaac, che si era appena issato anche lui sul ponte, e notò che il ragazzo, già esuberante di natura, sembrava ora in preda ad una frenesia febbricitante.
«Questa è la nostra ciurma», disse allora la guida. Toras, non volendo perdersi le spiegazioni, si affrettò verso il centro del ponte, dove l’uomo stava mostrando a Niamh e Talos i marinai che si trovavano a bordo: «Sono mercenari. Con loro ho catturato la Freccia del Sud, quando si trovava a due giorni da qui. Sono fidati, e buoni marinai, ci condurranno fuori dal porto a missione finita.». Mercenari...: il termine non era nuovo a Toras, che l’aveva già sentito usare parecchie volte da adepti anziani al Tempio; da quello che gli era parso di capire, si trattava di individui che collaboravano con il Culto pur non facendone parte. Probabilmente, pensava lui, personaggi troppo pericolosi per essere invitati nella setta... oppure non abbastanza stupidi da accettare l’invito. Un’occhiata ai loschi figuri che componevano la “ciurma” sembrò confermargli la prima ipotesi.
Il modo conciso e spassionato in cui l’adepto di Meradin dispensava le scarse informazioni gli dava decisamente sui nervi e si chiese perchè Niamh non si decidesse a dargli una lezione, ma la donna rimaneva silenziosa. Fu invece Talos a chiedere: «Avete eliminato la vera ciurma, spero? Sì? E dei Manti Bianchi cosa ne avete fatto?». Per tutta risposta, la guida fece cenno di seguirlo e si diresse alla botola che conduceva sottocoperta. Giunti nella stiva, l’uomo prese una lampada ad olio e l’accese; poi diresse il chiarore ad illuminare, tra barili, anfore e ceste di ogni tipo, un gruppo di gabbie di metallo che probabilmente, a giudicare dalle dimensioni, erano originalmente destinate al trasporto di bestiame di media taglia, come pecore o capre. Ora, però, esse erano occupate da quattro esseri umani seminudi, rannicchiati all’interno di quelle celle anguste.
«Ingabbiati come bestie: proprio quello che si meritano!», annuì soddisfatto Talos, «E il Traditore?».
«L’ho ucciso prima che potesse distruggere la teca che scortavano.», fu la fredda risposta della guida.
Mentre seguiva i compagni fuori dalla stiva, Toras cercava di concentrarsi per ricostruire la faccenda. Dunque... una squadra di Figli della Luce, probabilmente proveniente dal sud, stava scortando qualcosa di importante verso SorSorei. E il nostro amabile confratello qui presente, con l’aiuto di alcuni “mercenari”, si è impadronito della nave, ha catturato i soldati e sequestrato ciò che essi stavano proteggendo. Fantastico, ma... allora la missione è compiuta! Cosa aspettiamo a darcela a gambe prima che qualcuno ci scopra?. Era sicuro che gli sfuggisse qualcosa, ma non era facile ragionare lucidamente nello stato di frenesia in cui, suo malgrado, ancora si trovava. Gli altri, intanto, erano entrati in un piccolo vano, opposto alla stiva, che presumibilmente fungeva da dormitorio per l’equipaggio. Toras si affrettò a seguirli: stava perdendosi pezzi importanti della conversazione.
«... e le divise sono là, in quell’angolo.», stava dicendo la loro guida, indicando un cumulo indistinto che giaceva sul pavimento. Gli adepti osservarono con odio la pila di indumenti candidi, di schinieri e di bracciali. Le uniformi dei Manti Bianchi? Con una smorfia di disgusto, Talos si protese ad afferrare un pettorale: uno squarcio irregolare si apriva appena al di sotto del sole raggiante.
«Abbiamo cercato di preservare le uniformi... ma due dei soldati erano svegli quando li abbiamo attaccati e hanno provato a difendersi...» spiegò la guida, mostrando il primo piccolo segno di insicurezza da quando lo avevano incontrato, «Ma non c’è da preoccuparsi: qui al nord si dice che le guarnigioni di Samrie siano vergognosamente trasandate, per cui non ci faranno molto caso.»
Niamh intanto stava esaminando un’altra catasta, formata da foderi e cinture. «L’importante è che queste funzionino bene.», osservò, estraendo per metà una delle pesanti spade a doppio taglio, «Potremmo averne bisogno.».
«No, non sarà necessario.», la contraddisse deciso l’adepto di Meradin, «Se recitiamo bene la parte andrà tutto liscio.».
La donna si avvicinò a fronteggiarlo, la spada ancora saldamente impugnata: «E se facessero delle domande? Se conoscessero i nomi dei soldati della vera scorta? O se richiedessero una parola d’ordine?». I due adepti stavano mantenendo un tono di voce moderato, ma gli sguardi che si scambiavano erano affilati come rasoi.
«E’ una delle ragioni per cui i nostri prigionieri sono ancora vivi. Chi meglio di loro può istruirci su come avverà lo scambio? Ma il compito di... domandarglielo... è tutto vostro. I miei mercenari hanno già fatto la loro parte.».
«Ah davvero? Peccato che noi siamo solo in quattro. Se contiamo il Traditore, la vera scorta era composta da cinque persone.».
«Lo so. Per questo ho detto “se recitiamo bene la parte andrà tutto liscio”.». E, detto ciò, l’uomo prese un uniforme completa dal mucchio e si accinse ad indossarla.
Niamh sembrò sul punto di replicare, ma poi rinfoderò la lama con violenza e la gettò nuovamente nella catasta di armi; poi si avvicinò a Talos e ordinò: «Voi preparatevi, io intanto vado ad interrogare i prigionieri.».
L’ex bracconiere provò a protestare che quelle cose “spettavano a lui”, e, quando la sua superiore scosse decisamente la testa, mise su il broncio come un bambino messo in castigo. Niamh chiese alla guida dove avrebbe potuto trovare degli “strumenti”, e si informò su quale dei prigionieri fosse il capo squadra, poi si diresse verso la stiva. Nel frattempo, Toras stava cercando ancora una volta di mettere assieme i pezzi della vicenda, visto che nessuno si degnava di dargli un quadro preciso. Dunque dovremo fingere di essere la scorta, ma perché? Inaspettatamente, fu Hysaac a mettere voce al suo dubbio: «Qual’è il senso di questa farsa?», chiese, «Se ho capito bene, abbiamo già quello che volevamo: perchè non usciamo dalla città come siamo entrati, via mare?».
«E’ quello che faremo. Ma prima dobbiamo convincere i Manti Bianchi locali che tutto sta procedendo secondo i loro piani.», il tono della guida, ora che Niamh aveva lasciato la cabina, aveva perso un po’ di asprezza, ma rimaneva tutt’altro che amichevole. «Secondo i nostri informatori, una squadra locale dovrebbe venire al molo domani all’alba per prendere in consegna i documenti. Se riusciamo a non insospettirli, la teca proseguirà il suo lungo viaggio verso la grande Biblioteca dell’Ordine, a Dindieb, e nessuno sospetterà del furto finchè gli studiosi non la apriranno... e troveranno i nostri falsi al posto dei documenti originali.».
Mentre l’adepto di Meradin finiva di prepararsi indossando dei bracciali di cuoio, Hysaac continuava a camminare su e giù per la stretta cabina grattandosi la nuca. Esasperato, Talos intevenne a completare la spiegazione: «E’ una copertura, capisci? E ci darà tempo sufficiente a tornare al Tempio e coprire le nostre tracce!».
«Già.», intervenne la guida, «Non possiamo permetterci di dare ai Manti Bianchi il minimo indizio sul Culto, non devono sapere chi li ha derubati e come. E’ per questo motivo che abbiamo condotto la Freccia del Sud in porto, dove era attesa, e da dove ripartirà domani come previsto. Tutto deve sembrare perfettamente normale... E adesso, se non vi dispiace, indossate le vostre uniformi. Appena la nostra consorella avrà finito con i prigionieri dovremo fare le prove per lo scambio.».
La delucidazione riguardo il seguito della missione aveva rincuorato non poco Toras, al quale non sembrò vero che il suo ruolo si limitasse a dover fingere di essere un Traditore... ovvero fingere di essere ciò che era tuttora. Infatti, per quanto Ramkin coltivasse probabilmente grandi speranze di farne un adepto modello del Culto, il maledetto marchio con il sole oscurato avrebbe contraddistinto Toras come Traditore, per sempre. Non doveva nemmeno indossare un uniforme, lui: i Traditori erano già abbastanza riconoscibili grazie al segno sulla guancia; la guida tuttavia gli fece togliere la tunica scura, per evitare qualsiasi associazione con il Culto.
Una volta cambiati, per sfuggire alla noia dell’attesa, Toras si azzardò a chiedere di vedere i preziosi documenti che l’adepto di Meradin aveva catturato. Quest’ultimo si mostrò sorprendentemente bendisposto e andò a sollevare un telo steso a coprire alcuni oggetti. Uno di essi si rivelò essere un contenitore di legno, alto la metà di un uomo e largo altrettanto, ma piuttosto sottile e lavorato in uno stile che lo faceva sembrare leggero. Probabilmente però non lo era affatto, visto lo sforzo evidente con cui la guida lo rovesciò piatto al suolo per aprirne il coperchio.
«Questa è la teca: all’interno abbiamo messo i documenti falsi.», disse, indicando alcune enormi pagine scritte ed illustrate. Toras e Hysaac si avvicinarono per vedere meglio. La teca doveva essere antichissima, a giudicare dallo stato del legno, consumato e bucherellato dai tarli, ma la fattura era ottima, ed il legno sembrava di pregevole qualità. Toras cercò di immaginarsi come sarebbe apparso quell’oggetto ai tempi in cui antichi sapienti lo avevano commissionato, per affidargli carte così importanti che, a distanza di secoli, uomini avrebbero ancora ucciso per impadronirsene.
«Da quel che sappiamo, è stata dissotterrata da un contadino nei pressi della Città Antica a Samrie.», spiegò l’adepto richiudendo delicatamente la teca; poi prese un rozzo sacco di iuta e lo aprì, rivelando un plico di pagine, anch’esse di grandi dimensioni, ma dall’apparenza completamente diversa. Con estrema cura, l’uomo estrasse un foglio a caso, mostrandolo alla luce della lanterna. Il materiale non assomigliava per niente alla pergamena dei falsi: questo sembrava piuttosto cuoio, o qualcosa di simile. «E questi, invece, sono i documenti originali.».
La reazione di Toras fu di meraviglia. Quegli antichi scritti radiavano importanza semplicemente grazie al loro aspetto: lo stile sobrio e distinto della calligrafia, l’accuratezza dei disegni e perfino i segni del tempo, gli strappi negli angoli e le chiazze sbiadite, ne proclamavano l’autenticità e il prestigio. La reazione di Hysaac fu addirittura di sbalordimento: il ragazzo fissava boccheggiante i disegni tracciati sulle pergamene come se stessero prendendo vita di fronte ai suoi occhi: «Ma... ma è incredibile!», fu il primo commento che riuscì a pronunciare, «Questa è un’assonometria centrale, con di fianco un piccolo prospetto in scala!».
Toras, che non aveva capito una parola, pensò che l’amico avesse completamente perso il senno. Poi però gli tornò in mente che Hysaac parlava a volte degli studi di architettura che avrebbe voluto portare a termine a Dodieb, ma che poi aveva abbandonato per unirsi al Culto. Beh, in effetti uno che fa una scelta del genere non deve essere del tutto sano di mente, si disse, mentre l’altro continuava ad indicare questo o quel dettaglio del documento esprimendo entusiastici apprezzamenti.
«Non è un edificio, no di certo. Sembra piuttosto... Posso vedere gli altri? Grazie.» e, visto che la guida non sembrava curarsene, Hysaac si mise ad analizzare uno per uno tutti i documenti. «E’ un peccato non conoscere quest’antica lingua, altrimenti riuscirei a capire esattamente di che cosa si tratta. Comunque direi che è il progetto per costruire un’arma... I disegni tecnici sono eccezionali, l’autore doveva essere un vero genio! E parliamo di qualcuno vissuto secoli fa, ci pensate?».
Il vecchio Talos, i cui commenti fino a quel momento si erano limitati ad un rutto e una grattata di barba, si fece improvvisamente più attento: «Un’arma, dici? Che tipo di arma? Ci si può cacciare i cervi?»
«Beh no, in effetti sembra un’arma d’assedio. A lunga gittata, direi. Ecco qui l’intestazione... alcuni caratteri sono simili ai nostri... E questo è sicuramente il titolo: qualcosa tipo dra... drag... qualcosa tipo dragoni . Chissà cosa significa?».
«Mi ricorda qualcosa.», fece Toras, rivangando tra quelle memorie che nella sua mente erano catalogate come “nozioni scolastiche o comunque troppo serie per essere importanti”: «Esisteva qualcuno chiamato Drago, in un’Era passata. Ne parlavano in una lezione al Tempio appena qualche giorno fa. Si trattava di un personaggio importante, un incanalatore...».
«Probabilmente allora ha qualcosa a che fare con il Potere.», intervenne allora l’adepto di Meradin, «Ma sicuramente non ci riguarda. Lasciamo che siano i nostri Pret... i nostri Divulgatori ad occuparsene.» e con un gesto secco chiese a Hysaac i documenti, poi li reintrodusse con cura nel sacco.
In mancanza di altri diversivi, il resto della notte fu una vera agonia. La smania di agire si stava impadronendo sempre più di Toras, mentre l’immobilità della cabina rischiava di farlo impazzire. Per un po’ era risucito a placare l’agitazione lanciando un pugnale contro la parete opposta e cercando di conficcarlo nel punto in cui aveva proiettato mentalmente l’immagine di Ramkin; dopo qualche tempo, però, il bersaglio fittizio lo aveva stancato e aveva cominciato a provare il bisogno di mirare ad un essere umano. Hysaac, dal canto suo, sembrava essere stato morso da una vipera rossa: continuava a marciare da un capo all’altro della stanzetta, gli occhi febbricitanti che scrutavano a destra e a manca, come se si aspettasse che un nemico potesse sbucare improvvisamente da dietro un’amaca. Faceva quasi paura vederlo così: con indosso la divisa bianca e scintillante dei Figli sembrava la mano vendicatrice della Luce in cerca delle vili creature delle Tenebre. Toras non aveva idea di che cosa stesse succedendo loro, ma sicuramente la cosa divertiva molto Talos. L’adepto anziano, infatti, non si curava di nascondere il suo sorriso beffardo mentre li osservava agitarsi e soffrire nell’impazienza.
Quanto manca all’alba? La domanda continuava a martellare nel cranio di Toras, adesso che non aveva nemmeno più l’incognita dei dettagli della missione a distrarlo. L’unico pensiero in cui trovava conforto era che, durante il passaggio di consegne della teca, qualcosa sarebbe potuto andare storto, e che avrebbe così avuto l’occasione di uccidere qualcuno.
Quante ore all’alba?



continua...



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Capitolo 38
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte settima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte settima]

Mabien Asuka

All'improvviso erano riemersi così tanti ricordi. Anche se non c'erano più stati interrogatori come quello, non era più riuscita a smettere di pensarci: aveva le idee molto confuse su quanto era accaduto, ricordava poco oltre il bruciore alle mani, le domande su Hilda, i suoi tre questori, davvero poco, nulla di preciso che avesse una qualche relazione con ciò che provava da allora, frustrazione, orribili sensi di colpa e un'irrazionale nostalgia. Era frustrata da tutto ciò che sembrava legarla a Hilda ben più di quanto già non lo fosse e in un modo che non le era assolutamente comprensibile. Si torturava ponendosi interrogativi di cui non poteva avere la risposta, cercando le connessioni, tracciando ogni possibile legame l'avesse portata a lei in quegli anni. Hilda le aveva parlato di un destino comune che le aveva unite e che ora le spingeva inesorabilmente al Drago Rinato. Luce! Il Drago Rinato! Come si poteva credere ad una cosa del genere? Come poteva credere a quella donna con tutti i segreti che le teneva? La confusione che aveva in testa da quel giorno offuscava cose che sapeva le avevano svelato su di lei e più Mab ci rifletteva più il ricordo sembrava fuggire.
Incapace di venire a capo di questa situazione che la faceva sentire nuda e indifesa di fronte ad un nemico che nemmeno aveva ancora individuato, i suoi pensieri vorticavano verso terreni anche peggiori: la morte di Valel Paquis la tormentava con strazianti sensi di colpa, sentimenti sotterrati in passato con tanta fatica ora riemersi con tutta la loro violenza. Non ne capiva la ragione, non ricordava gliene avessero parlato, ma quel nome era riapparso improvvisamente nella sua mente, doloroso e insistente come una freccia conficcata nella carne, pericolosamente vicino ad un organo vitale. Era riemerso tutto quanto e faceva dannatamente male, ma una nota positiva c'era perchè alcuni di quei ricordi erano davvero preziosi. L'impegno che aveva messo nel dimenticare pareva aver cancellato anche informazioni che le sarebbero potute essere utili, come quella foglia a tre punte per esempio, quella raffigurata un po' ovunque in quelle prigioni, ora ricordava dove l'aveva già vista: era un simbolo riportato accanto ad alcuni nomi del registro di Paquis, i nomi di coloro che evidentemente venivano da Acarvende. Ora capiva e ora le tornavano in mente anche gli altri simboli, gli altri sette simboli. Ma faceva così male e il lento e monotono trascorrere dei giorni non era di alcun aiuto al suo stato morale e forse anche a quello fisico: mangiare era diventato uno sforzo che si risparmiava il più delle volte, dormire era quasi impossibile e parlare era un fastidio che cercava di evitare. Si sentiva così scossa da aver voglia solo di piangere. Cosa le avevano fatto durante quell'interrogatorio?
Come se questo non fosse sufficiente, era attanagliata dalla nostalgia, da un sentimento stupidamente malinconico verso quell'assurdo senso di protezione che le aveva dato Krooche, verso quel rapporto che invece di maledire, era inutile continuare a negare, le mancava. A che punto una persona poteva capire di essere impazzita? Se il limite era l'incapacità di controllare i propri pensieri mentre correvano verso cose che si reputavano assolutamente illogiche, bè allora quel limite lo aveva decisamente valicato. Razionalmente si malediva per questo, ma ciò non le impediva affatto di reprimere quel desiderio. Quell'uomo l'aveva deliberatamente fatta soffrire per il solo gusto di mostrare il suo potere su di lei, l'aveva umiliata, l'aveva sfruttata, l'aveva... protetta. Per quanto si sforzasse di ricordare le crudeltà che le aveva inferto, alla fine Mab sentiva solo la nostalgia per il calore delle sue braccia.
Sospirò profondamente, alzò lo sguardo e solo in quel momento si accorse che Draginelle non era in cella. Shawna, seduta con la schiena appoggiata al muro di fronte a lei, la stava guardando:
«Cosa ti hanno fatto?»
Mab guardò meglio la sua compagna di cella per accertarsi che fosse stata davvero lei a parlare. Era la prima volta che sentiva la sua voce e la cosa la lasciava tanto stupita da dubitare di esserselo immaginato.
«Scusa?»
«Dall'ultimo interrogatorio... ti hanno fatto qualcosa. E' chiaro»
Mab boccheggiò, colta così impreparata da quell'inattesa conversazione da non saper cosa dire.
«E' qualcosa di spaventoso. So come ti senti. Se non smetti di pensarci, finirà per consumarti» disse l'altra donna mentre le si avvicinava e le si sedeva accanto. «Non ricordi cos'è successo?»
Mab la osservò, ancora indecisa se essere più stupita o perplessa da quell'improvvisa dimostrazione d'interesse nei suoi confronti.
«Non ti mangio mica» si difese Shawna dallo sguardo che doveva averle rivolto. «Se non ti va di parlarne, pace. Nessuno ti capisce meglio di me, credimi, ma ci sono già passata: ti farà bene parlarne un po'. Sfogati, che hai da perdere?»
Niente, in effetti. Studiò la compagna di cella ancora qualche istante: il viso sereno, un'espressione rassicurante, di chi la sapeva lunga e in qualche modo avrebbe potuto darti un consiglio. Un atteggiamento nuovo, assolutamente inatteso. Ma davvero, che aveva da perdere a parlare?
«Credo... credo di aver parlato di cose che... cose che non volevo dire nemmeno a me stessa. E' possibile che loro possano fare questo?»
Shawna alzò le spalle.
«Forse è solo quello che vogliono farti pensare, così che al prossimo interrogatorio glielo dirai pensando di averglielo già detto»
Mab tacque qualche attimo riflettendo su quell'idea «Mi sembra contorto» disse infine.
«Cosa non lo è qua dentro?» ribattè l'altra.
Mab non replicò. Sapeva così poco del Potere. Tutto poteva aver senso e forse niente.
«So come ti senti. Non lasciarti sopraffare» disse Shawna dandole un'amichevole colpetto su un ginocchio.
«L'hanno fatto anche a te?»
«A me hanno fatto un po’ di tutto. L'hai visto, no?»
«Io ho sempre risposto alle loro domande. Ho detto loro tutto o quasi quello che mi hanno chiesto. La maggior parte delle volte ho l'impressione che loro sappiano più cose di me, di quante ne sappia io stessa»
Shawna rise. «Loro cercano informazioni ed ogni metodo è buono per ottenerlo. Non abbatterti: quando ti avranno spremuta come un limone, ti lasceranno»
«Come lo sai?»
«Non lo so affatto, ma volevo consolarti. Non sono tagliata per queste cose» le diede un altro colpetto su un ginocchio e ritornò a sedersi dall'altra parte della cella.
Mab la osservò a lungo: dopo quelle poche parole aveva ripreso a comportarsi come suo solito, estraniandosi come se non esistesse nessuno lì dentro oltre lei. Eppure Mab continuava a guardarla cercando di capire cosa fosse cambiato in lei, cosa all'improvviso sembrasse tanto diverso da... da suscitarle simpatia e curiosità.
«Perchè?» chiese infine.
Shawna la guardò sorpresa, come stupita di vederla lì. Dopo qualche attimo chiese
«Perchè cosa?»
«Perchè all'improvviso mi parli?»
«Te l'ho detto: so cosa provi. Se la cosa ti irrita, non lo farò più.»
«No, non è questo. E' solo che non mi hai rivolto la parola in più di un mese che siamo rinchiuse qui insieme. Non parli mai a nessuno... e ora questo. Capirai che io possa essere stupita»
Shawna alzò le spalle e, dopo una breve risata secca, rispose
«Effettivamente si, ma c'è un motivo preciso per cui non parlo mai e dovresti ringraziarmi per questo: quella» e con la testa indicò l'angolo della cella solitamente occupato da Draginelle «mi ha raccontato tutta la sua vita senza che io le chiedessi nulla. La cosa è andata avanti per giorni. Giorni! Meno male che poi si è offesa e ha deciso di chiudersi nel mutismo totale o avremmo dato di matto come la donna che è stata in cella con lei prima di me»
Mab boccheggiò qualche istante cercando una risposta
«Dai, non è poi così male. Draginelle è solo...»
«Logorroica. Mostruosamente, maledettamente logorroica. Davvero, ringraziami! E' decisamente meglio il silenzio alla sua voce costante»
Mab rise piano, incapace di contraddirla in effetti. Shawna sembrava simpatica dopo tutto. Chi l'avrebbe detto?
«Io già di mio non amo molto la chiacchiera, il mutismo nei suoi confronti è stata l'unica ancora di salvezza. Da quando ti ho vista così però... bè, sarebbe un peccato se riuscissero a spezzarti» disse Shawna.
«In che senso?»
«Te l'ho detto: sono disposti a tutto pur di ottenere quello che cercano da te. Cerca di tenere duro»
Questa volta fu Mab ad alzarsi e andare a sedere accanto alla sua compagna.
«Pensavo che non ti importasse di me. Pensavo che non ti importasse di niente in realtà»
Alzò ancora le spalle.
«Forse. Ma c'è qualcosa in te che... non so, mi somigli forse e a maggior ragione credo di sapere come ti senti. Mi dispiaceva vederti così»
Mab la guardò storto
«Che ne sai tu di me?»
«Bè, niente in effetti. E' una sensazione così, a pelle. Capita a volte, no? Non so davvero nulla di te, non so nemmeno da dove vieni: sei così... particolare» disse lisciandole una guancia con un dito e guardandola in quel suo modo che metteva a disagio.
Che donna strana, pensò Mab, ma in fondo chi non lo era, almeno un po'?
«Sono nata a Daing, giù al sud nella Confederazione» confessò infine.
La donna emise un fischio.
«Un bel viaggetto fin quassù. Ha una sua ironia che tu sia finita qui dopo aver fatto tanta strada!»
«Chiamala ironia...»
«Non ho mai viaggiato nelle regioni del sud, per questo non avevo mai visto una persona come te, con la pelle scura. Siete tutti così laggiù?»
Mab cominciò a parlare e senza nemmeno rendersene conto si ritrovò ancora a raccontare la storia del suo viaggio da Daing fino ad Acarvende, solo omettendo qualche dettaglio scomodo. Aveva giudicato male Shawna: per quanto fosse strana, era riuscita in soli pochi minuti ad alleviarle il peso che quell'interrogatorio le aveva lasciato. Lo capì quando si allontanò da lei nell'udire Draginelle che veniva ricondotta in cella e la situazione ritornò com'era stata fino a poco prima: un silenzioso stagnare di cupi pensieri.

Che fame aveva! A giudicare da quel che trasmetteva il legame, da giorni ormai quella stupida di Hilda doveva essersi data a qualche assurda dimostrazione di forza di volontà rinunciando al cibo, cosa che aveva fatto tornare l'appetito a Mab, ma un appetito che di giorno in giorno si faceva troppo ingordo per le misere razioni che venivano distribuite nelle celle. Perchè quella donna doveva essere tanto ostinata?
A parte questo stava meglio: nonostante altri due pesanti interrogatori, stava riprendendo il controllo sulle proprie emozioni, la memoria a fatica aveva colmato i buchi e il fatto di essere stata condotta alla Buca almeno un giorno, di aver potuto incanalare almeno per pochi minuti, le aveva dato una sferzata di ottimismo. Una sensazione frivola, ma che le bastava a sentirsi meglio almeno in certi momenti. Il passato era il passato, nulla avrebbe potuto cambiarlo, il futuro non le era dato conoscerlo, quindi non valeva la pena arrovellarsi il cervello nel vano tentativo di interpretarlo. Il presente erano quelle squallide mura di roccia, era quell'aria chiusa e pesante, era quella luce fioca e quel silenzio irreale. Voleva venirne fuori, ora desiderava soltanto uscire di lì.
Era difficile conteggiare il passare del tempo in cella, ma Draginelle sembrava essere uscita da ore, avevano anche portato un pasto nel frattempo. Non ricordava che nessuna di loro fosse stata fuori tanto a lungo. Shawna non parlava: dalla loro prima inattesa chiacchierata ne erano seguite un paio altrettanto sorprendenti quanto piacevoli, poi era tornata ad essere la solita presenza evanescente, ultimamente poi appariva ancora più sulle sue del solito, persa nelle sue riflessioni.
Distolse lo sguardo dalla compagna quando sentì il rumore dell'apertura del portone in fondo al corridoio, seguito da passi. Doveva trattarsi di Draginelle, ma con grande stupore invece le guardie che si fermarono davanti alla cella scortavano un'altra donna: saltava all'occhio la sua bassa statura e il fatto che fosse evidentemente reduce da un combattimento, con i suoi abiti logori e i capelli scappati malamente da un'acconciatura che doveva averli tenuti bene in ordine, un tempo. Sangue secco le segnava un lato del viso dai lineamenti regolari ed estremamente rilassato a dispetto della situazione in cui si era appena ritrovata.
Si lasciò leggermente spintonare dalle guardie per entrare, senza scomporsi minimamente. Guardò Mab, poi Shawna, ancora assorta nel suo mondo, quindi si mise a sedere incrociando le gambe osservando attentamente la cella.
Improvvisamente le puntò gli occhi addosso e sorrise
«Bene, com'è che si esce di qua?»
A quelle parole Shawna finalmente si girò a guardarla. Le comparve un sorriso strano sulle labbra.
«Viva?»
La nuova arrivata rise più di quanto la battuta meritasse, poi fece spallucce.
«Bè, in un modo o nell'altro»
«Allora qualche possibilità dovresti averla. Accomodati, credo si sia liberato quell'angolo» disse Shawna, loquace come non mai, indicando il pagliericcio solitamente occupato da Draginelle.
«Ma?» cercò di fermarla Mab.
«A quest'ora o l'hanno liberata o l'hanno ammazzata» tagliò corto l'altra «Ad ogni modo il suo giaciglio è libero e la nostra nuova compagna di stanza si chiama?»
«Thea» la donna si lasciò andare sul pagliericcio e, con aria incredibilmente stanca quanto serena, sorrise ad entrambe.



Norah

Non sapeva di preciso cosa stesse aspettando. Mancava un piccolo tassello alla sua coscienza, ancora uno. Fondamentale. Quello forse era l'unico motivo che la tratteneva ancora li. Si chiedeva cos'avrebbe dovuto fare, cosa le convenisse: doveva fingere di essere impazzita? Forse una sana commiserazione, l'implorazione di una punizione esemplare su sé stessa avrebbe convinto tutti della sua redenzione e avrebbe dato anche un certo spettacolo. Alla fine sarebbe sembrata comunque pazza agli occhi di tutti. Le fu difficile trattenere la risata al pensiero. Le guardie avrebbero sentito però e ora non aveva ancora deciso che strada intraprendere. Stava aspettando, anche se non sapeva ancora esattamente cosa.
Non aveva calcolato di finire nelle prigioni di Calavron. Non c'era stato un piano di nessun tipo dietro quello che aveva fatto, ma il sangue dei suoi esaminatori il giorno della prova d'ammissione era sembrata la cosa più interessante da vedere. La cosa aveva stupito lei stessa quanto i servitori che erano entrati poco dopo nella sala. Trovarsi di fronte cinque cadaveri diversamente smembrati li aveva spaventati a morte. Quella era stata la loro prima reazione. Poi avevano guardato lei e chissà cos'avevano visto sul suo volto: a quel punto la loro reazione era stata di sbalordimento. Poi erano scappati. Tutti e tre di corsa.
La Somma Neves in persona era venuta poi a vedere cosa fosse successo e anche sul suo bel viso erano mutate espressioni diverse: prima stupore, poi raccapriccio e infine un misto tra reverenza e timore. Norah le aveva sorriso per questo e si era lasciata condurre da lei alle prigioni.
“Una misura cautelativa” continuavano a ripetere tutti con un certo imbarazzo. Erano tutti sbalorditi dall'accaduto: le porte della sala della prova d'ammissione si erano chiuse alle spalle di Norah, lasciandola sola con i suoi cinque esaminatori, si erano riaperte poi mostrando Norah in piedi, tranquilla e serena, intenta ad allontanare i piedi dalla pozza di sangue che si allargava sul pavimento in marmo bianco venato di grigio. Nessuno voleva anche solo formulare il pensiero dell'accusa, men che meno darle voce. Quindi “in misura cautelativa” Norah era in cella. E nessuno sapeva esattamente cosa farne.
La Somma Neves si stava occupando personalmente di lei, la visitava quasi quotidianamente, le faceva domande e le diceva spesso frasi di cui Norah non capiva esattamente il significato, tipo «Io servo e obbedisco» oppure «Ricordate sempre la fedeltà che vi sto dimostrando».
La ragazza non chiedeva spiegazioni, si limitava solo a rispondere sinceramente alle domande che la Somma le faceva su quanto era accaduto, sui sogni che faceva, su certi ricordi che aveva menzionato. Ignorava del tutto cosa poi la donna facesse di tali informazioni, certamente non le divulgava fuori da quelle mura o a quel punto Norah sarebbe già stata giustiziata. La Somma dava chiaramente l'idea di lavorare per qualcuno sopra di lei, qualcuno che temeva, qualcuno che la giovane fremeva all'idea di conoscere.
La sua coscienza era stabile adesso. Quasi del tutto. Mancava ancora quel tassello, come una chiave di lettura che avrebbe finalmente chiarito tutto. Per quanto le fosse oscuro comprendere quel punto, si sentiva in possesso di una pazienza infinita nell'aspettare che ogni parte del rompicapo andasse a posto da sola. Perchè ci sarebbe andata, lo sapeva.
Un solo pensiero turbava la sua serenità. Non aveva più incontrato Julian da quel giorno. Aveva incrociato per un attimo i suoi occhi mentre la guardia personale della Somma la scortava alle prigioni. Occhi preoccupati, colmi di paure e sensi di colpa. Julian era tipo da addossarsi la colpa per un problema come quello e la stessa cosa avrebbe fatto Dimion. Ma sospettava che in quel preciso momento fossero entrambi combattuti tra il dare adito ai dubbi che avevano sempre avuto su di lei e cercare per contro un sistema per dimostrare l'innocenza della ragazza. Quasi provò tenerezza nel pensare alla fatica che dovevano fare per dimostrare prima di tutto a sé stessi quell'innocenza. Lei ormai aveva capito di non essere esattamente Norah, ma loro? Norah era il suo nome, Norah era il nome che aveva la sua persona in quest'epoca, ma non era il nome delle persone a cui appartenevano i suoi ricordi. Dubitava che Julian fosse disposto ad ammettere che non esisteva nessuna Norah. Sarebbe stato bello, sarebbe stato meraviglioso averlo ancora al suo fianco, ma Julian non avrebbe capito. Questo turbava la sua serenità. Questo pensiero alle volte ancora si insinuava in profondità, provocandole dolore. Era capitato che gli occhi di Julian fossero la causa per cui si svegliava all'improvviso nel cuore della notte e si trovasse incapace di smettere di piangere. Julian era una debolezza di cui faticava a liberarsi. Faticava perchè in realtà non voleva affatto liberarsene. Gli occhi di Julian non turbavano la sua serenità, la tormentavano.
Una linea argentea baluginò a mezz'aria all'improvviso, poi si espanse roteando in un rettangolo grande abbastanza da sembrare una porta. Ne uscì un uomo, un uomo che aveva più volte incontrato in giro per la città. Stranamente non ne fu stupita. Avvertì piuttosto un senso di familiarità nei suoi occhi del colore dell'oro.
L'uomo rise brevemente e disse
«A questo punto sono abituato ad un inchino, ma suppongo di non dovermelo aspettare da te»
Allo sguardo interrogativo che Norah doveva avergli rivolto, l'uomo rispose
«Hai ragione, direi che è giunto il momento delle presentazioni» e allungò la mano senza però dire il proprio nome.
Non servì, non servì affatto. Al tocco della sua mano Norah comprese il suo nome e quello di tutti coloro che si portava dalle epoche precedenti, di tutti coloro che lo univano a lei, quasi fossero fratelli in un certo qual modo. Dorian sorrise evidentemente conscio del mutamento che stava avvenendo in lei, di quell'ultimo tassello che reclamava il suo posto nella coscienza di Norah.
«Bentornata» le disse infine, ancora tenendole la mano.
Norah allargò un sorriso fiero e soddisfatto, si sentiva vibrare di un'energia pulsante, colma di una nuova vitale consapevolezza
«La Torturatrice è rinata» disse quasi in un sospiro di piacere, citando la profezia che annunciava il suo ritorno.

«Temo che tu, Dorian, abbia dato per scontate troppe cose»
Il Prescelto perdeva le staffe troppo facilmente quando discutevano, o almeno il suo prendere a camminare avanti e indietro lo dava a pensare.
«Non avresti dovuto farti trarre in inganno dalla mia giovane età. Non sono gli anni che ho trascorso con questo corpo, ma le memorie che mi appartengono a rendermi quella che sono» continuò.
Lui represse un verso che pareva un ringhio prima di parlare
«Non ti sto chiedendo di obbedirmi, ma solo di collaborare con me»
«Un modo edulcorato per portarmi ad assecondare il tuo piano, Dorian»
Dopo averlo seguito oltre il passaggio che aveva aperto nella sua cella, avevano Viaggiato fino alla radura desolata dove Dorian era solito rifugiarsi quando aveva bisogno di starsene da solo, lontano dagli affari degli uomini e soprattutto dagli occhi curiosi dei loro colleghi. Erano rifugiati lì già da qualche giorno, tempo prezioso in cui il Prescelto stava portando la sua nuova allieva alla piena maturità. Dorian le aveva fornito fondamentali informazioni, le aveva rammentato nozioni che ancora non erano affiorate alla sua memoria latente, l'aveva anche messa a conoscenza dei suoi piani, o parte di essi. Il ritorno di Norah al momento era un segreto che il Prescelto voleva tenere per sé, usandolo come asso nella manica al momento opportuno. Questo a Norah non piaceva per nulla: i Servi si usavano, non lei, non una Prescelta. Aveva intenzione di fargli comprendere questa differenza fin da subito. Era vero che lei aveva bisogno di lui per sviluppare appieno le sue abilità sopite, ma questo non implicava una sua sottomissione, in nessuna misura. Glielo avrebbe chiarito, in un modo o nell'altro.
Il Prescelto finalmente smise di camminare avanti e indietro, gli occhi di Norah non lo avevano abbandonato un solo secondo, il che evidentemente lo infastidiva, lo faceva sentire sfidato. Ricambiò lo sguardo di scatto.
«Tu cosa proponi? Sentiamo»
Norah sorrise soddisfatta, deliberatamente tardò la risposta, in modo che quel silenzio rimarcasse quella cessione.
«Non ho alcuna intenzione di nascondermi. Non è nelle mie corde. Non amo nemmeno mettermi in mostra, ma voglio che si sappia che ci sono, voglio che si tema la mia presenza. Il tuo piano in realtà non mi dispiace, anzi credo sia piuttosto valido. Collaborerò con te e terrò segreto questo nostro sodalizio, ma non la mia venuta. Il Signore Supremo e il mondo devono sapere che la Torturatrice cammina di nuovo sulla terra»
«Che intenzioni hai?»
«Devo tagliare col mio passato: lascerò a Calavron il segno indelebile della mia venuta e reciderò ogni legame con la bambina che ha vissuto lì in questi anni»
Dorian sospirò, palesemente poco entusiasta di quella mossa, ma allo stesso tempo rassegnato all'idea di lasciarle campo libero, tanto che disse
«Uccidi anche la Somma Neves, è l'unica che può risalire al nostro legame»
«Sarà fatto» rispose e dopo una breve pausa aggiunse «Mi recherò alla Dimora subito dopo, non voglio cacciarmi nei guai per questo nostro segreto»
«Confido nella tua arguzia su quanto svelerai»
Norah annuì: la sua fedeltà al Sommo Signore era assoluta, ma non era così cieca da lasciarsi sfuggire ogni vantaggio che poteva avere.

Era una bella giornata di sole a Calavron, le strade erano percorse dal solito traffico di mercanti e massaie indaffarate. Faceva uno strano effetto camminare in mezzo a loro sapendo di non essere riconosciuta, ma indossare lo Specchio degli Inganni era stato necessario se voleva agire indisturbata. Anche l'intricato fermacapelli che le cingeva la testa era stata una richiesta necessaria, che per fortuna Dorian le aveva concesso: non si sentiva ancora così sicura di gestire il proprio reale potenziale e aveva bisogno di attingere al massimo dalla Fonte per mettere in atto lo spettacolo che aveva in mente.
Percorse a lungo le vie della città, rimirando ogni angolo le ricordasse stralci della sua vita appena trascorsa. Norah non voleva scappare da quei ricordi, li voleva invece affrontare ed eliminare serenamente, come si faceva con gli avanzi della cena. Peccato che non fosse così semplice, c'era ancora qualcosa che la turbava, ma quel giorno avrebbe debellato tutto.
Era già pieno pomeriggio quando entrò all'Accademia. I flussi invertiti impedivano a chiunque di avvertire la quantità di Potere che già stava attingendo e rendevano invisibili le tessiture che compiva sulle guardie e i passanti man mano che avanzava. Giunta alle aule aprì le danze: schermati dalla Fonte, maestri e apprendisti si guardarono attorno chiedendosi cosa stesse capitando, poi presero ad uccidersi l'un l'altro. Norah osservava, aspettando altri che sarebbero entrati attirati dall'insolito fracasso e sarebbero stati catturati nella stessa trappola mentale. Caddero a decine, in un tempo anche minore di quello che aveva ipotizzato. Perlustrò ogni stanza dell'Accademia, dagli alloggi alle cucine. Ovunque seminò morte, silenziosamente. E troppo velocemente per i suoi gusti, ma il suo piano necessitava di tempi brevi, non dei lenti e agonizzanti giochi che avrebbe voluto fare. Nessun Guaritore rimase in vita, nemmeno un solo giovane studente. L'Accademia taceva quando ne uscì, consapevole che presto lo scempio al suo interno avrebbe gettato la città intera nel panico.
Per questo si affrettò alla Colonna. Aveva un Consiglio da sterminare lì e sicuramente altri Guaritori. Quando mostrò il suo vero aspetto alla Somma Neves, vide il suo bel viso sbiancare: una traccia di speranza aleggiava ancora nel suo sguardo, ma il terrore l'aveva avvinta quando si era ritrovata ad essere l'unica superstite dell'edificio. Norah bloccò su di lei flussi che la imbavagliavano e la tenevano sospesa al centro della scalinata circolare della Colonna. Quello che non sapeva era che nessuno sarebbe potuto entrare a salvarla.
«Tornerò dopo da te»
Salì in cima e osservò la città dall'alto. Gente che correva freneticamente, urla strazianti. Era il caos. Calavron non sarebbe stata più la stessa, mai più.
Ora c'era un'ultima cosa da fare. La cosa più importante. Una parte di lei fremeva per questo, l'altra si dimenava per fermarla. Rimase lì qualche istante, poi aprì il portale.
Julian stava riparando l'anta di una finestra, le dava le spalle e non si accorse di lei. Norah rimase un po' a guardarlo. Il suo Julian. Le era sempre piaciuto osservarlo quando lui non se ne accorgeva. Faceva male ora. Non doveva essere così, non poteva avere una simile debolezza. Lei!
«Ciao Julian» disse mantenendo il tono più piatto che poteva. Sentì però la sua voce tremare appena. Quel tanto che la infastidì.
Lui si girò di scatto, evidentemente colto alla sprovvista. Ripresosi dalla sorpresa, il suo volto s'incupì.
«Cosa ci fai qui?»
«Credevi davvero che non ci saremmo mai più rivisti?»
«Da un lato lo speravo...» disse Julian senza finire la frase.
«Dimion? Non c'è?» chiese lei guardandosi attorno.
Se possibile lui s'incupì maggiormente
«Mio padre è morto»
Norah fissò il ragazzo, incredula e sopraffatta da un insensato dolore.
«Quando?»
«Il giorno del tuo esame. Non ha sopportato quello che è successo»
Il viso di Julian era triste, ma il suo sguardo era fermo su quello di Norah.
«Mi chiedo ancora come abbia potuto sopportarlo io» continuò dopo una pausa di silenzio.
Norah si sentiva male, dannatamente troppo male. Nonostante il motivo per il quale si trovava lì, nella casa in cui era cresciuta, questa notizia l'aveva presa così di sorpresa da non essere in grado di reagire.
«Quindi? Perchè sei qui?» chiese Julian, il suo volto duro come non l'aveva mai visto.
«Sono venuta a seppellire Norah»
«Chi sei in realtà?»
Norah sorrise sarcastica
«In fondo l'hai sempre saputo, no?»
La sicurezza nello sguardo di Julian svanì tutta all'improvviso quando lacrime gli inondarono quegli occhi chiari che lei aveva sempre amato.
«Tu non puoi... non puoi essere... tu sei Norah, la mia Norah» balbettò confuso.
«La Senza-memoria appare nella città Lucifera
e la speranza del mondo crolla sotto la sua innocenza
è l'Ombra che la guida, l'Ombra che la osserva
ed è l'Ombra che risveglierà il suo destino assopito.
La senza-memoria Vive e la Torturatrice rinasce
» citò lei
«Dimion conosceva la profezia. Dimion l'aveva colta fin dall'inizio, voi stessi me l'avete detto. Casa ti stupisce ora?» concluse.
Julian scoppiò in un singhiozzo invece di rispondere. Lei gli si avvicinò e gli accarezzò una guancia bagnata. Avrebbe voluto non provare dolore per quello, invece le si stringeva il cuore.
«Tu sei la mia piccola Norah, tu sei...»
«Una Prescelta» finì la frase lei, sforzandosi di guardarlo dritto negli occhi, attingendo all'orgoglio che le dava quella parola per trovare il coraggio necessario.
Lui ritrasse il volto, ma lei lo prese con entrambe le mani, portandolo davanti al suo.
«Una Prescelta, Julian! Sento l'Unico Potere scorrermi nelle vene con un impeto spaventoso. Ho le memorie dei miei predecessori che confluiscono nelle mie dandomi una sapienza inimmaginabile. Avverto il richiamo del mio Signore, forte e imperioso, e l'avvicinarsi della gloria che mi darà»
«No...» sussurrò lui
«Si Julian! Sono una delle creature più potenti al mondo. Mi sento in grado di fare ogni cosa, Julian, qualsiasi cosa! Vorrei che tu potessi provare quanto è inebriante!»
Lo baciò appassionatamente in preda ad un'ondata di piacere.
Lo spinse via di scatto quando si accorse di essere stata pugnalata.
«TU!» ringhiò, iraconda ed incredula, mentre l'aveva già bloccato con flussi d'aria. Si strinse l'addome, spingendo l'abito contro la ferita che grondava sangue caldo.
«Norah fermati» sussurrò lui tra le lacrime.
«Tu! Tu sei la mia sola debolezza!»
«Norah ti prego» la implorava «Norah non farlo»
La vista le si stava offuscando. Non poteva averla ferita mortalmente, non poteva essere già così debole. Le ci volle qualche momento di smarrimento prima di capire che erano lacrime quelle che le impedivano di vedere chiaramente.
«Avrei voluto che tu potessi comprendere. Sarebbe stato così bello averti al mio fianco»
I singhiozzi erano ormai l'unica risposta che lui riuscisse a dare.
«Ci siamo sempre voluti illudere, vero Julian? Tu, Dimion, io...»
«Non uccidermi» riuscì a stento a dire.
«No» disse lei «Voglio solo prendere da te ciò che mi appartiene»
Il tessuto della camicia di Julian cominciò a lacerarsi all'altezza del torace, poi la pelle fece lo stesso. Lo squarcio continuò a dilaniare il petto del ragazzo, mettendogli in mostra le ossa e poi spaccandole in un suono secco. Norah si avvicinò a Julian, prese in mano il suo cuore ormai visibile, fissò i suoi occhi vitrei e sussurrò «Questo appartiene a me»



Siadon

«No, non così! Non puoi saltare la mia pedina!»
Siadon fermò la mano prima di completare il movimento, fissando perplesso la pagliuzza malridotta che teneva tra le dita. Il suo compagno di cella più giovane gli stava spiegando le regole di un gioco da tavolo che andava di moda da quelle parti, o per lo meno nelle locande all'esterno della prigione, dove si potevano trovare delle vere pedine e delle vere scacchiere.
«L'ho fatto anche prima» protestò l'assassino poco convinto.
«Sì, ma prima la posizione non era difesa» Tairl, così si chiamava il ragazzo, batté l'indice su una delle sue pagliuzze «vedi?»
«Hmm» annuì Siadon studiando una mossa alternativa. Era in prigione da alcuni giorni, probabilmente sei, non era sicuro di quanto tempo fosse passato dalla cattura al suo risveglio. Sempre ammesso che le abitudini a cui erano costretti rispecchiassero in qualche modo le giornate reali, questo non aveva modo di saperlo. «Qui posso muovermi?»
«Sì, lì va bene. Però lasceresti scoperto questo lato. Ma davvero non hai mai visto questo gioco?»
Siadon alzò le spalle continuando a studiare la scacchiera improvvisata sul pavimento della cella.
«Questo no. Forse uno simile, a Kerien, ma non conosco nemmeno quello»
Tairl si inumidì le labbra, convinto di non essere visto. In quella prigione le informazioni potevano valere molto, il ragazzo sperava di scoprire qualcosa e Siadon non vedeva l'ora di accontentarlo. Aveva già suggerito qualcosa nei giorni prima ma non poteva sbottonarsi velocemente, in fin dei conti era un assassino, doveva mantenere una certa riservatezza. Dettaglio dopo dettaglio stava costruendo il nuovo Siadon ma era un lavoro che necessitava di estrema lentezza.
«Kerien? E' sul mare interno, giusto? E' davvero così brutto vivere nella Confederazione?»
Siadon alzò lo sguardo verso Tairl, rimanendo inespressivo.
«Quelli come me e te vengono cacciati, sempre, senza alcuna tregua. Vivono nascosti, lontano dai centri abitati, con la paura di svegliarsi nel mezzo della notte circondati da Manti Bianchi. O anche solo dai propri vicini, non cambierebbe molto. Spesso i genitori consegnano i propri figli agli Inquisitori subito dopo averli scoperti ad Incanalare. Non lo fanno per paura, sono davvero convinti che sia la cosa giusta da fare!»
Taril lo fissò sbalordito «Mi prendi in giro? Pensavo fossero più che altro storie gonfiate»
«No, è la realtà. Di che storie parli?» Siadon aveva scoperto solo il giorno prima, con enorme stupore, che i Ribelli vivevano in diverse città. Ora era deciso più che mai a non sottovalutare alcun dettaglio.
«Ogni locanda ha qualche vecchio ubriacone pronto a giurare di aver visto con i propri occhi qualcosa del genere. Ragazzini ripudiati e bruciati vivi, Incanalatori marchiati a fuoco e costretti ad aiutare i Manti Bianchi a scovare altri come noi... cose così.»
«Nella Confederazione li chiamano Traditori.» annuì Siadon «Quelli marchiati a fuoco e tutto il resto intendo» continuò, vedendo la faccia sempre più perplessa del ragazzo. «Tu non hai mai lasciato questa città, vero?»
«Oh no, io non sono di qui. Vengo da Shar Shain.»
«E perché non ti hanno rinchiuso lì?»
«Non siamo bravi quanto i Geinzana a tenere sotto chiave gli Incanalatori...»
Siadon sorrise complice, era più che convinto di trovarsi davanti ad un completo idiota ma la conversazione iniziava a farsi interessante.
«In cosa siete specializzati a Shar Shain?» Ricorda i bei tempi a casa tua e svuota il sacco
Taril esitò alcuni istanti «Tanto da qui non usciremo molto presto. Di certo non farai la spia ai Manti Bianchi!» dopo alcune risate, spente rapiamente dal volto impassibile di Siadon, continuò con tono fiero «Siamo l'elité nelle tessiture da combattimento. I Neglentine formano l'esercito, ma siamo noi, i Ladrielle, ad essere la vera forza portante. Loro duellano con le spade, noi vinciamo le battaglie!»
E tu sei stato scartato alle selezioni, o qualcosa del genere da come ne parli.
«Non c'è molta simpatia, vero? Con i Neglentine intendo...»
«Simpatia? Vuoi scherzare? Adorano lottare e sporcarsi di sangue più delle bestie, sono tanto indisciplinati che a volte non possiamo attaccare per non colpire anche loro!»
E questa dove l'ha sentita? Altre storie da locanda? Di che battaglie sta parlando, non ci sono vere battaglie tra Ribelli e Manti Bianchi dalla Luce sa quando! Parla di esercitazioni o di scontri con i trolloc? Così su due piedi direi che se ne vedesse uno scapparebbe... se gli dicessi di averne uccisi due parlerebbe di più ma prima devo scoprire chi sono gli altri prigionieri.
Siadon inclinò il capo «Non dirmi che Varald è un Neglentine!?»
Taril lo fissò con un sorriso ebete stampato in volto «Assomiglia alla descrizione vero? Una bestia sanguinaria senza cervello, proprio lui!» strinse i pugni fissando il giaciglio vuoto dell'enorme compagno di cella, ora sotto interrogatorio da qualche parte nelle prigioni così come Madanor, l'altro carcerato. «No, è un Faine. Loro vivono a Coraman, dove c'è il Consiglio degli Anziani, una specie di capitale...»
Un rumore di catene trascinate interruppe il ragazzo. I carcerieri, del clan Geinzana secondo quanto aveva appreso Siadon, stavano riportando qualcuno nelle celle e Taril aveva il terrore di veder tornare Varald. Cosa che puntualmente accadde poco dopo.



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di mercutia - su EFP
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 39
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte ottava] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte ottava]



Dorian

Calavron era un alveare in cui era appena stata uccisa l'ape regina: una folla impazzita gremiva le strade attorno all'Accademia, le urla assordavano, l'odore di sangue impregnava l'aria, nessuno aveva la minima idea di cosa fare. Dorian osservava la scena dal vicolo adombrato in cui aveva aperto il portale per seguire Norah. Troppo tardi. Tardi per fermare quello scempio fuori da ogni controllo e da ogni piano. Una mossa avventata lasciarle tanta libertà. Seguirla non era servito a nulla: la ragazza aveva devastato la città in un attimo. Ma a che prezzo, si chiedeva Dorian. Come avrebbe reagito il Sommo Signore a quell'iniziativa? E che ne era di lei ora? Le aveva applicato un ter'angreal in modo da sentire quando incanalava. Quando e quanto. Aveva attinto così tanto Potere che quell'improvviso silenzio non poteva significare altro se non che quella stupida si era bruciata. No, la stupida non era lei. Era lui che le aveva permesso di farlo.
La raggiunse nell'ultimo punto in cui l'aveva percepita: la casa di Dimion e Julian. Aprì un varco nel bosco di fronte, esattamente dove anni prima l'aveva adagiata sulla neve perchè quella famiglia la raccogliesse e l'accudisse. L'odore di sangue lo colse mentre varcava la soglia. La scena all'interno lo lasciò senza fiato: Julian era sospeso da terra, il petto squarciato grondava sangue lungo il suo corpo fino a gocciolare sul pavimento, Norah gli stava di fronte vicinissima, nella mano destra stringeva quello che doveva essere il cuore del ragazzo.
Gli occhi vacui della Prescelta si girarono lentamente verso Dorian, la ragazza aprì la bocca, alzò lentamente una mano insanguinata e perse i sensi un attimo dopo. Nel soccorrerla notò l'abito imbrattato di sangue all'altezza dello stomaco. Un pugnale sul pavimento poco distante da loro gli diede la spiegazione di quella ferita.
Risvegliare Norah richiese ogni reminiscenza che Dorian avesse sulla Guarigione. La ragazza non era morta, non si era nemmeno bruciata, ma era andata molto vicino ad entrambe le cose. Curarla richiese giorni. Troppi giorni. Il Prescelto quasi impazzì nell'attesa di sapere quanto alto fosse stato il prezzo della follia di averle permesso quel gesto. Giorni a nascondersi, aiutato soltanto dai suoi fedeli Segugi Neri che avvertivano ogni presenza potesse impensierirlo. Giorni a far sparire tracce di sé da quel che era accaduto a Calavron. Giorni a mentire, ma era palese che Aman sospettasse di lui. Dannata ragazzina! Con questo si era giocata tutta la sua fiducia. Tutta! Non importavano le memorie che portava dentro di sé, poteva essere anche la più potente tra i Prescelti, ma ora era e si comportava come una dannata ragazzina! E lui l'avrebbe trattata come tale. Aveva voglia di mordere qualcosa.

«Io ti porterò dal Sommo Signore e sarò io a spiegargli quanto è successo a Calavron» non tardò molto a chiarire la situazione, quando Norah riaprì gli occhi «Tu non hai più voce in capitolo, chiaro?»
La ragazza annuì, docile come forse non lo era mai stata. Era spaventata, questo era evidente. E lo era perchè il suo Potere pareva essere diminuito dopo quello che aveva fatto a Calavron. Poteva essere una questione temporanea, ma al momento lei stessa aveva fatto la scoperta e ne era rimasta allibita. Dorian non poteva constatarlo, ma dall'espressione della ragazza era apparso chiaro che non mentiva. Da un certo punto di vista era certamente un bene perchè quella condizione la rendeva insicura e succube nei suoi confronti, dall'altra parte Dorian aveva contato sulla sua alleanza e il suo Potere era parte integrante di quel sodalizio. Forse era meglio che fosse più malleabile. Guardò di nuovo gli occhi della ragazza, quello sguardo da cui era scomparsa l'impudente traccia di arroganza che l'aveva contraddistinto. Si, era meglio averla docile.
«E ora veniamo alle spiegazioni»
Sembrava essere diventata lenta a reagire, o forse le ci era voluto un po' per ricordare di aver dimenticato qualcosa a Calavron.
«Che intenzioni avevi con Neves?»
Era cambiata, era vero, ma non tanto da diventare una stupida codarda.
«Non c'è bisogno che te lo spieghi» disse guardandolo negli occhi senza paura.
«Non ti fidavi di me, è così?»
«Avresti fatto lo stesso al posto mio»
«Vero, forse. Infatti non è tanto il fatto che la volessi interrogare che mi ha infastidito»
«Cosa allora?»
«Il fatto che tu mi credessi tanto stupido da confidare parte dei miei piani ad un'insignificante pedina come lei»
Dopo una pausa di silenzio continuò
«E il fatto che sono quasi morto per superare le trappole che avevi intessuto nella Colonna»
«Il fatto che tu ne sia sopravvissuto è segno che si, ti avevo sottovalutato»
Abbassò lo sguardo e continuò
«Credo di dover apprendere da te»
Dorian sorrise incredulo, colpito dall'odore di vergogna che emanava la ragazza. Si, era un bene che si fosse indebolita.



Altri fili nel Disegno

A Kabanil piaceva domandarsi come dovesse sentirsi un prigioniero mentre percorreva quei corridoi labirintici: il senso di smarrimento doveva essere portato all'esasperazione dopo pochi passi, a volte lo si vedeva chiaramente dipinto negli occhi di chi era appena arrivato. A volte sembrava rimanervi impresso per tutta la durata della reclusione.
Kabanil andava fiero dei metodi di detenzione dei Geinzana ed era oltremodo orgoglioso di portare quel nome. Molti abitanti delle altre Città della Notte li criticavano, anche aspramente, alcuni abitanti di Acarvende stessa non erano pienamente d'accordo sull'operato dei Guardiani, eppure erano loro e la loro severità a vegliare sulla sicurezza di tutti. Il tempo avrebbe dato loro ragione.
Alcune Famiglie erano avventate nei giudizi e sottovalutavano i pericoli, altre si erano rammollite nel corso dei secoli: se non fosse stato per la tenacia dei Geinzana ormai i Figli della Luce sarebbero tra le Montagne della Nebbia a far pascolare le loro greggi in piena libertà e i cosiddetti Ribelli sarebbero diventati i loro schiavi. Era incredibile che fosse impossibile trovare coesione contro il nemico comune, eppure i confini della Confederazione non erano poi così distanti dai loro territori: come potevano le altre città non avvertirne il pericolo? Quante volte i Geinzana avevano scoperto casi di sconosciuti lasciati liberamente entrare nelle città! Due domande e i Kathienne giù a Hama ti ritenevano loro fratello: avevano dovuto perdere tutto il Consiglio degli Anziani in un attacco nemico per imparare quella semplice lezione. Dannati stolti!
Ma ora le prigioni erano più piene del solito, finalmente la situazione stava cambiando e Kabanil sorrideva soddisfatto passando in rassegna le celle tutte occupate del primo piano maschile. Occhi spenti ricambiavano il suo sguardo finchè non uscì dal portone in fondo al corridoio.
Il Nucleo era l'unico punto interno alle prigioni che metteva in collegamento diretto i due piani, era stato ricavato levigando le pareti di una gola naturale e ora aveva l'aspetto di un ovale avvolgente. Era stato separato artificialmente dai cunicoli laterali e poi era stato diviso a metà orizzontalmente per dividere i due piani: la creazione della scala a chiocciola che scendeva al suo centro era stata costruita per comodità, ma ancora dopo centinaia d'anni c'era chi pensava fosse una falla enorme per la sicurezza. C'erano sempre sei Guardiani per piano a sorvegliarla: per quanto effettivamente fosse un varco facile per salire dove non c'era schermatura dall'Unico Potere, per un prigioniero accedervi era impensabile. Kabanil dubitava che i reclusi fossero tanto pazzi da arrovellarsi il cervello cercando una via di fuga: quel posto, ogni suo dettaglio, era fatto per impedire contatti con l'esterno. Tutta Acarvende era un po' così, ma nelle prigioni si era calcata la mano per accentuare certi aspetti, un po' per motivi di sicurezza, un po' per smorzare vane velleità nei prigionieri.
Nonostante quel senso di chiusura, secondo Kabanil Acarvende era la più affascinante tra le Città della Notte: il centro abitato era stato costruito all'interno di un cratere lasciato da un lago, la città era quindi circondata da alte mura naturali di roccia frastagliata, che lasciavano aperta una sola breccia profonda che dava sul lato della montagna in cui era praticamente incastonata. Nonostante quell'enorme crepa, alla cui base sfociava in una ripida cascata il fiume che ora scorreva sotto la città, Acarvende era invisibile a chiunque avesse guardato la montagna. Tanto meno era accessibile, se non attraverso i tunnel artificiali che avevano creato i suoi antenati in fondo ad una gola ai piedi del monte. Poi la bellezza di tutti quei tunnel, quelle gallerie intricate e scavate dentro la roccia inizialmente opera dell'erosione di acqua e vento ai tempi in cui quell'immenso lago, che ora era il bacino della città, doveva essere collassato forse a causa di un qualche cataclisma. Quei cunicoli contorti erano stati i primi rifugi dei suoi antenati, poi i picconi e il Potere li avevano trasformati in centinaia d'anni in ciò che Acarvende era oggi, la città fortezza che Kabanil era felice di proteggere.
Ssus e Tinas varcarono il portone del reparto femminile accompagnando una prigioniera. C'era qualcosa in quella donna che agitava Kabanil e non era solo il fatto che Shawna fosse bella o perchè avesse tentato più di una volta di ribellarsi o addirittura di aggredire i Guardiani, c'era qualcosa in lei di particolare che non era capace di mettere a fuoco. Dopo mesi e mesi di reclusione e i numerosi interrogatori che aveva subito, non si era ancora riusciti ad avere un quadro preciso della sua identità: sembrava esserci qualcosa in lei che fuggiva persino al Dominio della Mente, esame a cui era stata sottoposta forse più di ogni altro prigioniero da che lui avesse memoria. Kabanil aveva anche partecipato a qualcuno dei suoi interrogatori, ma né la violenza, né l'uso del Potere le avevano fatto svelare cose chiare sulla sua identità o sulla sua provenienza. Persino sotto tortura o coercizione era stata capace di dare versioni differenti alle stesse identiche domande, un comportamento più unico che raro. Per questo la sua reclusione durava da così tanto tempo e nessuno aveva intenzione di lasciarla uscire. Col tempo Shawna era diventata sempre più violenta e irascibile, poi ultimamente sembrava si stesse calmando o forse si stava semplicemente arrendendo, ad ogni modo la sua recente buona condotta era il motivo per cui oggi veniva portata alla Buca, per la prima volta dopo mesi, le si leggeva chiaramente il desiderio morboso nello sguardo.
La presenza di Kabanil era stata richiesta comunque per garantire l'incolumità di Ssus, che l'avrebbe dovuta accompagnare: visti i precedenti di Shawna, i suoi spostamenti venivano sempre scortati da un Guardiano uomo, il più grosso possibile. Kabanil rientrava bene in quella descrizione, motivo per cui si era trovato spesso ad accompagnarla, a volte anche da solo, nonostante la cosa lo inquietasse, come non gli era mai capitato. Non aveva fatto parola con nessuno di questa sensazione ovviamente, ne sarebbe valsa della sua reputazione: era un Guardiano e per giunta Geinzana di nascita!
Le due colleghe lo salutarono, purtroppo Tinas rientrò nel reparto femminile, mentre fu Ssus a guidare Shawna sulla destra, verso l'ingresso della galleria che portava alla Buca. Kabanil le seguì silenzioso, sarebbe stato un tormento fare la guardia in compagnia di Ssus.
La luce in quelle gallerie era volutamente bassa in modo che i prigionieri faticassero il più possibile a memorizzare il percorso. Quel piano era interamente schermato, quindi non era possibile usare altri mezzi per garantire la sicurezza, ma la tortuosità di quei corridoi era certamente sufficiente ad impedire che qualcuno potesse districarsene: i Guardiani impiegavano mesi per imparare, studiando le mappe quotidianamente.
Gli occhi di Shawna lo distrassero dai suoi pensieri: la donna aveva leggermente girato la testa e gli aveva gettato uno sguardo da sopra la spalla. Deglutì cercando di capirne il significato. Lo aveva solo guardato o aveva voluto comunicargli qualcosa? La donna tornò a guardare avanti, lasciandolo a chiedersi perchè gli importasse tanto sapere il significato di quell'occhiata.
Kabanil non pensò ad altro finchè giunsero alla Buca. Il corridoio finiva all'improvviso con un'apertura ad arco alta un paio di metri da cui proveniva la debole luce che dal mondo esterno si spingeva fino a quella profondità. Era una luce fioca, ma totalmente diversa da quella a cui ci si doveva abituare là sotto: Shawna varcò l'arco schermandosi gli occhi e sorridendo deliziata al contatto con la Fonte.
Ssus la osservava, ma poteva vedere solo il bagliore che circondava chi incanalava, la schermatura le impediva di vedere eventuali flussi che avrebbe usato. Poco importava: la possibilità di incanalare nella Buca era data da una sorta di bolla d'aria creata all'interno della schermatura, uno spazio isolato in cui era possibile accedere alla Fonte che però si restringeva in base alla quantità di Potere incanalato. Alcuni prigionieri erano morti soffocati cercando di attingere troppo Potere. Anche Shawna ci aveva provato mesi prima, come poi quasi tutti i prigionieri, ma la Buca si difendeva da sola.
Ssus distolse lo sguardo dalla donna e lo rivolse a lui.
«Allora Kabanil, ci sono novità?»
Ssus aveva una decina d'anni più di lui, era una donna piacente, con un modo di fare piuttosto schietto e autoritario. Era una persona piacevole e disponibile, ma era la zia di Raina e da quando si era messa in testa che fosse giunto il tempo per Kabanil di decidersi a sposare sua nipote o lasciarla in pace, gli dava il tormento
«Sai che saresti la prima a saperlo»
«Probabilmente anche prima di Raina, questo lo so. Ma dimmi, quanto ancora hai in mente di farmi attendere?»
«Non sono cose che si possono decidere dall'oggi al domani...»
«Kabanil, tesoro, mia nipote è tua promessa sposa da che aveva quindici anni. So che hai avuto altre proposte e potevi anche rifiutarla se non ti piaceva... in quante scarpe vuoi ballare?»
«Ssus non pensare male di me»
«Non penso male Kabanil, penso malissimo! Sei un uomo fatto! Guarda che spalle hai messo su: ogni ragazza in età da marito ti ha messo gli occhi addosso e a te piace lasciare a tutte qualche speranza!»
«Bè... no... non è così»
«Ah no? Credo sia ormai giunto il tempo che dia a mia nipote qualche lezioncina sugli uomini. Da quando in qua sono le donne a correre dietro ai pantaloni? Mio marito ha fatto a coltellate per avermi ed è così che deve andare il mondo!»
Kabanil conosceva quella storia e sapeva che non era andata esattamente così, ma non replicò.
«Le ho sentito parlare di un certo Yarel. L'ha accompagnata a casa qualche volta dopo le lezioni. Sai chi è?»
Anche Ssus sapeva bene chi fosse Yarel dannatissimo Ardolrian no'Geinzana, un damerino mezzo sangue che stava per prestare il giuramento da Guardiano dopo aver superato gli esami a pieni voti. Non c'era nessuno in città che non sapesse chi era Yarel.
«L'ho sentito nominare» rispose tuttavia. Se pensava di farlo ingelosire così, si sbagliava di grosso. Kabanil aveva già deciso da tempo di sposare Raina. Non lo faceva mica per portarla via a lui.
«Ho sentito dire che sia un ottimo partito, oltre che un bel giovane»
«E' piuttosto basso e non è nemmeno un Geinzana»
«Lo è suo zio, se non ho sentito male»
«Con cui non ha legami di sangue»
Ssus alzò le spalle «Meglio sposata ad un mezzo sangue, che nubile»
Kabanil alzò gli occhi e replicò «Questo lo dovrebbe dire lei»
Ssus non rispose, quando Kabanil la guardò vide i suoi occhi sbarrati, la sua posizione ferma in modo innaturale e i suoi piedi sollevati da terra. Si girò verso sinistra, verso la Buca: Shawna lo fissava sorridendo, calma, dolce, bellissima.
«Colpiscila, ma non ucciderla»
Che strano, pensò, la Buca avrebbe dovuto isolare i suoni, avrebbe dovuto impedirgli di sentire la voce di Shawna.
«Avanti tesoro, colpiscila» lo invitò avvicinandosi.
Cosa stava indugiando? Perchè non l'aveva ancora fatto?
«Si, mia padrona» si affrettò a dire.
Ssus volò a terra priva di sensi. Shawna la fissava sorridendo compiaciuta. Kabanil attendeva impaziente un ringraziamento per quello, un premio. Era stato bravo.
Finalmente lei lo guardò, lentamente allungò le mani verso la sua testa facendolo abbassare
«E' giunto il momento, sei pronto a morire per me?»
«Si, mia padrona»
Shawna gli sorrise di nuovo, prima di baciarlo appassionatamente.



Merian Elen Syana

I suoi occhi scuri la guardarono come a volerle strappare i vestiti di dosso, mentre si avvicinava lentamente con passo felino fino a sfiorarle una guancia con la mano.
Luce era così sensuale! Avrebbe potuto baciarlo fino a non sentire più le labbra, accarezzargli i capelli fino a non sentire più le dita, e poi…
«Ti amo Brienne,» disse l’uomo distraendola dai suoi loschi pensieri. «Ti ho sempre amata, solo che… sono stato troppo cieco da non riuscire a capirlo.»
Brienne avrebbe voluto schiaffeggiarlo, come poteva essere stato così stupido? Ma non poteva, non doveva, non ora. Attendeva quel momento da anni, e ora che la moglie non era più nei suoi pensieri, non poteva di certo sprecare l’unica occasione che aveva per colpa delle sue brusche maniere!
«Anch’io ti amo Rohedric.»
L’uomo le sorrise dolcemente, la strinse a sé con delicatezza e poi la baciò: un bacio lungo e appassionato, come mai ve ne erano stati nella sua memoria.
«Perdonami se ti ho fatto soffrire,» disse poi.
«Non hai nulla da perdonare,» rispose lei comprensiva.
«Voglio che tu sappia che tra me ed Ariel non c’è stato nulla. E’ stato solo un modo per farti ingelosire, per arrivare a te.»
Brienne rispose prendendolo tra le braccia, stringendolo come se avesse avuto paura di perderlo.
«Oh Rohedric…»

«Brienne, Brienne svegliati! Sono tornati.» La voce di Ariel arrivò puntuale e stridula come una suocera indesiderata.
Dannazione! Stava facendo un così bel sogno!
«Dì la verità, Ariel,» chiese aprendo un occhio, «tu mi odi non è così?»
La donna la guardò per un istante senza capire e un attimo dopo allontanò il pensiero scacciandolo con una mano.
«Alza il tuo prezioso fondoschiena da quella sedia, non è il momento di riposare!»
Con un grugnito Brienne fece come diceva l’altra donna, odiava ammetterlo ma aveva ragione.
Si alzò dalla sedia e seguì Ariel verso i nuovi arrivati: Rohedric sembrava stanco - ma non per questo meno attraente – e Merian aveva l’aria di una che aveva preso un forte colpo in testa.
Un’altra donna le stava alle calcagna, una scorta fornita gentilmente dai Ribelli per evitare che Merian potesse Incanalare anche una sola goccia di Potere. Era una ragazza giovane, all’incirca dell’età di Merian, eppure i suoi occhi, il suo viso, il suo stesso portamento sicuro, rivelavano molti più anni di quanti Brienne potesse immaginare. Era così che ti riduceva una vita da reietta?
La Ribelle li fece entrare nella piccola stanza nella quale erano stati confinati e si accomodò fuori della porta come una sentinella silenziosa.
«Tutto si può dire di questi Ribelli, tranne che non sanno come trattare gli ospiti!» fece Rohedric ironico accomodandosi su una delle sedie. Merian si sedette a terra, sconsolata, lo sguardo perso nel vuoto. Non proferì parola.
L’uomo la guardò per un momento corrugando la fronte quasi fosse lui il colpevole di quella situazione e Brienne, suo malgrado, provò una fitta di rimorso per quanto anche lei aveva fatto.
Ma doveva andare così. Allontanarsi da Siadon era necessario, a qualunque costo. Merian però non l’avrebbe mai accettato. Era stato giusto mentirle.
E allora perché mi sento così in colpa?
«Cosa vi hanno fatto?» chiese Ariel puntando lo sguardo sulla ragazza.
«Mi hanno tempestato di domande,» rispose Rohedric, «ma nulla di più. Per loro non rappresentiamo che una vacua minaccia, il problema maggiore credo sia Merian.»
La ragazza non alzò lo sguardo, ma quello di tutti gli altri era fisso su di lei.
Brienne aveva detto a quell’uomo che non erano nemici, che cercavano i Ribelli e che volevano allearsi con loro, facendoli allontanare dal gruppo di Incanalatori che per caso era comparso sul loro cammino.
Avevano fatto la loro parte: Siadon e gli altri erano stati catturati, o uccisi, e loro erano stati salvati.
Ma avevano sottovalutato un aspetto di questi Ribelli.
Rohedric e il suo bisogno di salvare il mondo avevano prevalso sul buon senso, non si era preparato ad affrontare un’ostilità che per lui non aveva alcun motivo di esistere, non se entrambe le parti affrontavano lo stesso nemico.
Nella radura erano stati liberati solo per poi essere lasciati privi di sensi fino a quella mattina, quando si erano risvegliati tutti insieme in quella stanza in chissà quale luogo dimenticato dal Creatore!
La porta era però chiusa a chiave e al di fuori un uomo armato montava la guardia, ma per strano che fosse a nessuno era stato torto un capello. Avevano persino avuto da mangiare e da bere ma ovviamente erano stati spogliati di tutte le loro armi – Brienne sentiva la mancanza dei suoi coltelli sulla pelle, si sentiva nuda e indifesa senza i suoi piccoli amici. Anche Neal mostrava una certa apprensione sapendosi rinchiuso senza una via di fuga. I suoi occhi saettavano da una parte all’altra della stanza quasi si aspettasse l’assalto di un nemico da un momento all’altro; ma il suo corpo non dava altri segni di quella inquietudine: immobile come una statua era rimasto nel suo angolo di mondo per tutta la mattina da che si erano svegliati.
Kain invece era di altro stampo. Scoperto che i Ribelli gli avevano lasciato i suoi preziosi dadi, aveva sfidato il povero Jon per delle ore, mascherando la sua inquietudine con il suo solito sorriso irriverente.
Ogni tanto lanciava un’occhiata a Brienne e lei, suo malgrado, rispondeva a quegli sguardi carichi di desiderio con altrettanta passione.
Il momento successivo si malediceva e tornava a guardare fuori della finestra.
Il risveglio quel giorno era stato tra i più interessanti e inaspettati della sua vita.
La sera prima si era trovata in un bosco dimenticato dalla Luce, e la mattina dopo ecco che si svegliava in quella che sembrava in tutto e per tutto una città brulicante di vita.
Non sapeva con esattezza dove si trovassero – e come ci fossero arrivati in così breve tempo! – ma erano senza dubbio in una delle tanto ricercate Città della Notte!
La stanza nella quale si trovavano era abbastanza ampia e confortevole ma vi era una sola piccola finestra che si affacciava su una strada stretta e delimitata da uno spesso muro. La finestra stessa era inchiodata in modo da non poteva essere aperta, ma non c’erano sbarre. Brienne era in qualche modo convinta che nessuno sforzo sarebbe stato in grado di spaccare quel vetro.
Oltre a ciò la visuale era oltremodo ostacolata da quella che sembrava essere una parete rocciosa: la sua conformazione ricordava la parete di una montagna ma allo stesso tempo era troppo squadrata e minuziosamente intagliata, qua e là lasciando ampi spazi lisci e privi di qualsivoglia appiglio.
Ai due lati del vetro non riusciva a scorgere molto altro, l’edificio sembrava infatti ripiegarsi su sé stesso dando a tutto l’insieme un senso di soffocamento difficile da sostenere con lo sguardo.
Eppure Brienne non riusciva a smettere di guardare.
Con un tempismo che sfiorava la perfezione, uomini in strane uniformi si avviavano lungo la strada con passo deciso e cadenzato, salutando di tanto in tanto un uomo o una donna da vesti altrettanto strane ma decisamente di una foggia migliore. Per quanto non riuscisse a distinguerne bene i dettagli non era difficile intuire la differenza tra un soldato e un capo.
Si trovavano dunque all’interno di una fortezza? Di un palazzo di una qualche regalità dei Ribelli? Qualunque cosa fosse era ben protetta e nascosta alla vista di occhi estranei.
Seppur mattina inoltrata, Brienne non era riuscita a scorgere un filo di luce oltrepassare quelle spesse pareti di dura pietra.
Dannata Confederazione! pensò per la centesima volta. Non fosse stato per loro nessun uomo, donna o bambino sarebbe stato costretto a nascondersi in città che, a giudicare adesso dall’aspetto cupo e buio, valevano bene il loro soprannome!
La stanza poteva anche essere calda e accogliente, loro trattati con cordialità, ma bastava uno sguardo all’esterno per ricordargli che erano reclusi.
« ...non credo che le faranno del male,» continuò Rohedric riportandola al presente. «Ma la terranno comunque schermata finché non saranno certi di potersi fidare. In quanto a noi, scopriremo la nostra sorte a breve, temo. Non appena decideranno se quanto ho detto loro li soddisfa o meno.»
L’uomo era stranamente calmo, sembrava convinto che nulla gli sarebbe potuto accadere, non ora che avevano raggiunto la loro meta. A volte Brienne invidiava il suo temperamento, così distante dal suo tanto da completarlo. Come concordato in precedenza avevano deciso di rivelare la loro missione senza omettere nulla tranne il loro mandante. Nominare Lord Mat in qualche modo turbava Rohedric e Brienne aveva deciso di assecondare l’uomo. Non lo faceva notare quasi mai ma si affidava a lui anima e corpo senza mai dubitare delle sue decisioni. Sarebbe andata in battaglia a mani nude e bendata se solo lui glielo avesse chiesto, perché sapeva sempre quello che faceva e riusciva a infondere quella fiducia nelle persone che lo circondavano. Ora che il pericolo li seguiva dappresso come un cane col padrone, aveva bisogno di dirgli quanto importante fosse per lei, doveva dirglielo… prima della fine.
Un cupo presagio le attanagliò il cuore, un’ombra incombeva sull’uomo, ma Rohedric incrociò il suo sguardo e le sorrise incoraggiante come a scacciarne i cupi pensieri: riuscì nell’impresa, l’ombra si dissolse e Brienne si rilassò.
In quel momento la porta si aprì di nuovo e una bellissima donna dai lunghi capelli neri entrò nella stanza con passo solenne, seguita da un uomo alto e slanciato che somigliava in tutto e per tutto a un soldato.
A quella vista Merian si alzò di scatto, guardando l’uomo sgomenta. Brienne non capì quella reazione, ma dopo un’occhiata veloce intorno si rese conto di non essere l’unica.
Oltre a quella strana coppia, altre due persone entrarono nella stanza già affollata: uno era l’uomo della radura, solo adesso non era coperto di fango, l’altra la ragazza che schermava Merian.
«State comodi, signori,» disse l’uomo del bosco con ironia. Aveva un accento strano, biascicava le parole come se masticasse costantemente qualcosa, e aveva un senso dell’umorismo tutto suo. Da quel poco che aveva parlato con lui la notte prima, Brienne pensò che fosse un po’ matto. I capelli grigi lasciati crescere più in altezza che in lunghezza, insieme alla corta barba dello stesso colore, gli davano un’aria accuratamente trasandata. Non era bello, e nemmeno tanto giovane, ma era a suo modo attraente; trasmetteva quella forza passionale che solo alcuni uomini posseggono senza però la consapevolezza di averla, e che riescono a infrangere i cuori di qualsiasi donna pur non volendolo: erano uomini da cui bisognava tenersi alla larga!
«Siete venuti a informarci della nostra sorte?» chiese Rohedric andando incontro all’uomo come fosse il padrone di casa.
«Non spetta a noi decidere della sorte degli uomini, signor al’ Caer, ma se non fa subito un passo indietro prometto che le anticiperò la dipartita.» L’uomo sorrise beffardo mentre si portava una mano all’elsa della spada al suo fianco. I due si guardarono per un lungo momento in una muta sfida, e nonostante la situazione fosse tutt’altro che favorevole, Brienne non poté fare a meno di sentire un brivido di piacere lungo la schiena.
«Signori, vi prego!» Era stata la donna dai capelli neri a parlare. Il tono imperioso con il quale l’aveva fatto non lasciava dubbi riguardo la sua autorità e, sebbene si fosse rivolta ai due uomini, era Merian che stava guardando. La ragazza era come pietrificata, continuava a fissare l’uomo che accompagnava la donna e Brienne all’improvviso si rese conto del perché: assomigliava in tutto e per tutto a quel Morgan Neglentine che Merian aveva così spesso sognato e di cui le aveva raccontato durante le sue notti insonni. Possibile che fosse…
«Forse ti starai domandando perché mai quest’uomo ti è così familiare, ragazza,» continuò la donna interrompendo i pensieri di Brienne, un sorriso leggero a sfiorarle il volto pallido.
Merian annuì con la testa.
La donna si guardò per la prima volta intorno prima di risponderle.
«Le persone con cui viaggi forse non sono a conoscenza di quanto potente sia il tuo dono, Merian. Nemmeno io me ne ero resa conto dal principio…» La donna abbassò la testa, sembrava turbata.
Che diamine stava succedendo? Brienne azzardò un rapido sguardo alle sue spalle, dove sapeva essere Kain. Trovò nei suoi occhi il suo stesso smarrimento e per una volta fu contenta di sentirsi in comunione con l’uomo. Anche il resto del gruppo sembrava altrettanto confuso ma non tutti volevano darlo a vedere: Ariel giocherellava con la sua collana accompagnando ogni suo movimento a provocanti occhiate all’uomo dallo strano accento. Quella donna non aveva proprio ritegno, pensare al sesso in momenti come questo! Eppure Brienne sapeva che anche lei era preoccupata, quel gioco era il suo modo bizzarro di tranquillizzarsi.
Solo la Luce sapeva se anche Merian aveva bisogno di calmarsi! Se ne stava lì in piedi come un paletto come in attesa di una sentenza di morte. Non aveva aperto bocca da quando era rientrata. Che stava aspettando?
L’uomo che sembrava un soldato si schiarì la gola e la donna riprese a parlare, non prima di aver emesso un lungo sospiro.
«Mi chiamo Eloise Ladrielle,» disse orgogliosamente, «e questo è mio marito, Roran Neglentine. Siamo i genitori di Morgan, il ragazzo che hai incontrato nei tuoi sogni.»
Se possibile la stanza si fece ancor più silenziosa. Con una punta di soddisfazione, Brienne notò che Ariel aveva smesso di muoversi, e che nessun altro all’infuori di lei - e senza dubbio della stessa Merian – aveva anche solo pensato a una simile ipotesi. Persino Rohedric sembrava sorpreso, ma era impossibile a dirsi. Da quando Siadon era entrato nelle loro vite l’uomo era diventato più schivo, e sembrava persino capace di nascondere i suoi sentimenti più di quanto non facesse già.
«Dov’è Morgan?» Per la prima volta Merian aprì bocca, la voce sicura non combaciava per niente con le emozioni che le si dipingevano in volto.
Anche lei era cambiata.
«Speravamo ce lo dicessi tu, ragazza.» Il padre di Morgan si fece avanti con passo deciso. Il tono calmo e suadente, in netto contrasto con l’aspetto di rude soldato, sorpresero ancora una volta Brienne: forse non era poi così brava a giudicare le persone!
«L’ultima volta che ho avvertito mio figlio si stava dirigendo verso Coraman in compagnia di un ragazzo.»
Avvertito?
«Era ancora con lui quando è arrivato nei pressi della città, ne sono certa, ma dopo… il nulla.»
La donna abbassò di nuovo lo sguardo a terra, e il marito si avvicinò per sorreggerla con il suo abbraccio.
«Che vuole dire? Che lei è…»
«Attenzione a quel che dici, ragazza,» interruppe di nuovo l’uomo dallo strano accento. «Stai parlando con una delle persone più rilevanti della città, nonché con una Camminatrice dei Sogni, e la più potente.»
«Forse un tempo, Gedwin. Una nuova Epoca sta nascendo, e a che serve essere saggi se non riusciamo a capire quando è ora di farsi da parte per coloro che hanno il dono di mutare le cose?» La donna guardò Merian con uno strano sguardo e le sorrise rassicurante.
La ragazza però sembrava tutt’altro che rinfrancata.
«Spaventarti è l’ultima cosa che voglio, Merian,» proseguì Eloise, «ma la verità è necessaria se vogliamo aiutarci gli uni con gli altri.»
«Vi ho già detto tutto quello che so…»
«Ed è proprio questo il punto. Ero presente durante l’interrogatorio, sebbene tu non potessi vedermi, e so che hai detto la verità. Tu sai cosa significhi Camminare nei Sogni, avere delle Visioni, percepire le cose in modo diverso dagli altri… era destino che tu incontrassi Morgan, così come era destino che io incontrassi te. E ora tu sei qui e mio figlio è sparito, e temo che sia in pericolo e che tu sia la sola che possa aiutarmi a trovarlo e salvarlo.»
«Io…? Perché io dovrei riuscire a trovarlo se lei, sua madre, non può?»
La donna sospirò di nuovo.
«Hai mai sentito parlare della parola Ta’vereen?»
A quel suono Rohedric fece una smorfia, riportando l’attenzione di Brienne su di lui. Questa volta tutta la sua abilità non riuscì a mascherare a fondo i suoi sentimenti: la fronte aggrottata, la mascella contratta… tutto indicava una forte rabbia da tempo repressa, e una grande frustrazione.
Frustrazione per cosa? Possibile che anche lui avesse dei segreti? Lo conosceva da tutta la vita, erano amici sin da bambini, e si dicevano tutto, tutto! Certo il loro rapporto era cambiato quando lui si era innamorato di quella dannata donna – gli uomini tendono a distaccarsi sempre dagli amici quando trovano una compagna – ma lei gli era rimasta accanto comunque. Persino il giorno delle sue nozze, consumandosi di gelosia per colpa dell’altra, le era rimasta accanto.
E lui osava avere dei segreti?
«Forse non è il caso, Eloise…» Rohedric fece sentire la sua voce, guadagnandosi un’occhiata in tralice di Merian. Questo gli bastò per non aggiungere altro.
«Ta’vereen è una persona attorno a cui il Disegno si piega secondo la sua volontà. Non è una cosa che viene fatta con coscienza, ma in qualche modo accade che le cose cambino, nel bene o nel male, in presenza di un Ta’vereen. Lui, o lei, è destinato a fare qualcosa di importante in grado di tessere il Disegno in modi che nessuno è in grado di fare, se non il Drago Rinato in persona.
Non so in che modo tu possa riuscirci, ma so che troverai mio figlio, e quando accadrà dovrai avvertirlo del pericolo che si trova sul suo cammino… ma sono certa che anche tu lo senta.»
Le due donne si scambiarono uno sguardo carico di significato, un significato noto solo a loro, e Merian annuì decisa, pronta ad assolvere a un compito che, ancora una volta, qualcuno aveva creato per lei.

L'aria all'interno della locanda era fredda, il camino nella grande sala comune spento da tempo immemore. Non c'erano avventori, al solito, e la familiare figura ammantata seduta all'angolo più remoto e buio a fumare la sua pipa era svanita anch’essa.
Dove sei? gridò silenziosamente nella sua testa. L’ultima volta che lo aveva visto era finita in una litigata, con lui che l’accusava di cose che non voleva nemmeno sentire. Ma aveva avuto ragione e ogni notte si era presentata alla loro locanda, quella in cui l’aveva conosciuto, nella speranza di poterlo trovare e chiedergli scusa. Era passata una settimana ormai e ancora di lui nessuna traccia.
Che sia sparito per sempre?
«Ho preferito tenermi in disparte fintanto che eravate in cattive compagnie. Ma ora che siete di nuovo liberi…» Alle sue spalle l’uomo giocava con i suoi preziosi dadi, lanciandoli in aria con indifferenza, privo di divertimento.
«Mat! Sei proprio tu?» Merian si lanciò verso di lui per abbracciarlo ma dopo due passi si fermò.
«Aspetta un attimo, come fai a saperlo?»
L’uomo si bloccò nel mezzo di un lancio e Merian ebbe la netta sensazione di averlo colto alla sprovvista, ma l’altro si riprese subito.
«Io so molte cose, ragazza» disse con un tono fin troppo solenne.
Merian sospettava che gli nascondesse qualcosa ma era talmente felice di vederlo che decise di soprassedere… almeno per il momento.
Fece gli ultimi due passi che lo allontanavano da lui e gli si avvinghiò al petto.
«Arlene è morta, Siadon se ne andato e tra me e Rohedric sembra si sia spezzato qualcosa. Non mi sono mai sentita così sola in vita mia.» Le lacrime avevano cominciato a scorrere: lacrime che si era imposta di non versare ma che ora non riusciva a fermare, ora che aveva ritrovato la sola persona che riuscisse a capirla davvero, la sola persona che sapeva come si sentisse, la sola persona che gli desse conforto con la sua sola presenza. Non si era accorta di quanto l’amasse finché non aveva rischiato di perderlo per sempre. Lo guardò dritto in quegli occhi scuri sempre così attenti e vivaci, ora pieni della più totale e cieca comprensione.
«Mi sei mancato.»
«Mi sei mancata anche tu,» rispose Mat con un sorriso, «e stavolta sono tornato per non andarmene.» L’uomo le prese la testa tra le mani e il sorriso svanì, e posò su di lei uno sguardo così intenso che ne ebbe paura.
«Merian, si avvicina l’ora dei lupi. La guerra incombe e presto ogni cosa sarà travolta dall’imminente marea. Il mondo sta per cambiare di nuovo. Dovete essere pronti.»
«Che vuoi dire?» La ragazza non sapeva se essere più perplessa o spaventata.
«Quando il Drago si sveglierà, che la Luce ci protegga, perché il suo passaggio sarà causa di devastazione di questa terra.»
«Ma lui dovrebbe esserne il Salvatore… non capisco…»
«Questo è ciò che è scritto, e così dovrà essere, ma la pace esiste solo se esiste la guerra, così come il bene esiste con il male. Non possiamo salvare il mondo se prima esso non viene distrutto… ma possiamo fare in modo di limitare i danni,» disse infine con uno scaltro sorriso.
«E come credi che ciò sia possibile?»
«Non lo so ancora, ma so che tu sei la chiave. Innanzitutto, dobbiamo trovare il Drago Rinato…»
«Ecco, a questo proposito… » lo interruppe Merian, «E’ proprio lui che devo trovare . Sua madre mi ha chiesto di…»
«Ferma, ferma, ferma. Sua madre?» Mat si tirò su il cappello, segno che c’era qualcosa che non riusciva a capire.
«Sì, la madre di Morgan…»
Una risata da parte dell’altro la fece sentire, se possibile, ancora più perplessa.
«Tu pensi che Morgan Neglentine sia il Drago Rinato?»
Ancora una volta, come diamine faceva a conoscere Morgan? Non ricordava di avergli mai detto il cognome… In ogni caso non fece in tempo a fargli alcuna domanda.
«Non è certo lui il Prescelto, ma hai ragione su una cosa, dobbiamo assolutamente trovarlo.»
«Da dove cominciamo?»
«Dove l’hai visto l’ultima volta?»
Merian ci pensò su solo un istante.
«Non ho un’immagine chiara, sono comparsa nel suo sogno dal nulla e scomparsa l’attimo successivo senza nemmeno avere avuto il tempo di dire “ciao”. Ricordo una radura e dei lupi, nient’altro, mi dispiace…»
«Uhm… non ci aiuta molto…»
«Bè, scusa tanto se qualcuno mi ha svegliata prima di potere chiedere a Morgan dove si trovasse perché sua madre mi avrebbe interrogato!»
«D’accordo,» fece Mat stizzito, calcandosi il cappello in testa. «Cerchiamo di usare la logica. Quando lo hai incontrato la prima volta era diretto verso Coraman giusto? Ebbene, ammesso che ci sia mai arrivato, prima o poi sarebbe dovuto tornare indietro.» Sospirò disperato e si afflosciò al suolo.
«Sangue e maledettissime ceneri, dovremo metterci a cercare lungo tutta la strada tra Coraman e Tsorovarin, e questo solo se abbiamo avuto la giusta intuizione! Senza contare poi che si sarà accampato lontano dalla strada, il che aumenta notevolmente il campo di ricerca!»
«Ti stai dimenticando di una cosa importante,» disse Merian con una strana luce negli occhi. Mat la guardò incuriosito e senza dubbio leggermente preoccupato: sopracciglia aggrottate, occhi socchiusi e sguardo in tralice, assumeva sempre quella espressione a metà tra il pensieroso e l’arrabbiato quando qualcosa gli sfuggiva, come se avesse sempre paura che qualcuno si stesse preparando a fargli una beffa al quale lui non si era preparato.
Merian non gli diede comunque il tempo di fare alcuna domanda.
«Io sono Ta’vereen, posso contare sul Disegno ad aiutarmi a trovare il Drago…»
«Ah, Merian non funziona così…»
«…e tu puoi contare sulla tua dannata fortuna!»
Questo sembrò più di suo gradimento, tanto che si alzò di scatto e un sorriso da mascalzone – quel sorriso per cui Merian si sarebbe dimenticata persino del Tenebroso in persona – comparve sul suo viso illuminato come fosse pieno giorno.
«Dovienya,» disse poi tirando fuori i suoi preziosi dadi, «non mi abbandonare proprio ora. » Fattosi improvvisamente serio, Mat li lanciò in aria e, scordandosi di tutto e tutti, diede le spalle a Merian e si in incamminò verso una direzione apparentemente a caso. Lei non poté fare altro che seguirlo, domandandosi se non fosse impazzito.

Le ricerche furono estenuanti, il tempo sembrava trascorrere senza logica: saltavano da un posto all’altro impiegando meno di un battito di cuore, raggiungendo luoghi a prima vista così lontani! Merian avrebbe voluto fargli mille domande ma Mat sembrava concentrato solo sulla strada davanti a sé, tirando di quando in quando i dadi e decidendo la direzione da prendere. L’unica cosa di cui era certa, era che stavano seguendo la pista di cui avevano congetturato, scegliendo solo di andare a destra o sinistra, indietro o avanti, prendere un sentiero piuttosto che una strada, con l’aiuto della fortuna… o del Disegno, questo a Merian non era ancora ben chiaro.
Inutile comunque pensarci, probabilmente non ne sarebbe mai venuta a capo. Incredibile la quantità di cose che imparava ogni giorno, e che ogni giorno le facevano realizzare che in fondo non ne sapeva nulla!
Aveva cominciato in parte a farsene una ragione: certe cose forse non avrebbero dovuto avere spiegazione, forse la mente delle persone era troppo semplice per capirle… o di sicuro lo era la sua.
“C’è un tempo per ogni cosa,” usava dirle Arlene, “c’è un tempo per capire e un tempo per ignorare.” Merian non aveva mai compreso il senso di quella frase per lei così assurda, ma ora ne deduceva la grande verità: ci sono cose al mondo che devono essere lasciate al loro posto, inutile chiedersi il perché o il come, saperlo non cambierà la loro natura, semmai aiuterà a sconvolgere di più la tua!
Perciò, se pur presa da curiosità e voglia di sapere, Merian lasciò Mat fare il proprio lavoro cercando di contribuire quanto più possibile con ciò che poteva intuire, aprendo la bocca solo per indicare qualcosa che poteva essere utile, e rispondendo alle scarse domande di Mat su questa o quella cosa riguardante Morgan, il Drago o i sogni di entrambi.
Dopo quella che sembrò un’eternità Mat si fermò all’improvviso e si voltò verso Merian.
«Vedi anche tu quello che vedo io?» chiese con un sorriso scaltro in volto.
Merian guardò nella direzione da lui indicata, e quasi le si mozzò il respiro nel vedere di fronte a sé, poco oltre la strada sulla sua destra, una figura che guardava dritto verso di loro. La luce era fioca, l’uomo aveva il cappuccio tirato sulla testa, ma non c’erano dubbi sulla sua identità: due inquietanti, eppur familiari occhi gialli, spuntavano da sotto la cappa e guardavano Merian con l’aria di non credere a ciò che vedevano. Eccitata, coprì la distanza tra lei e Morgan con un solo passo, dando a quello sguardo già di per sé sorpreso, un motivo in più per essere scosso.
L’uomo sembrava abbattuto e al tempo stesso felice di vederla, tanto che inizialmente non fece caso all’altra presenza in sua compagnia. Merian si affrettò a presentarli, ma prima che potesse tirare in ballo il Drago, Mat la interruppe chiedendogli delle sue condizioni.
«Sto bene,» disse impacciato, «sono solo sorpreso di vedere Merian, e proprio nel momento in cui avrei voluto parlare con lei.» Si girò verso di lei e Merian poté scorgere un lampo di gelosia negli occhi di Mat. Cercò di non compiacersene troppo.
«Che vuoi dire?» le chiese lei forse un po’ troppo seriamente.
Lui non rispose subito, si guardava intorno pensieroso e osservava Mat con sospetto: aveva l’aria di uno appena scampato a una rissa!
«Non saprei, mi è parso di vederti in sogno appena due notti fa ma sei sfuggita prima che potessi dirti “ciao”, e ho sperato di riuscire a rincontrarti ma… ho… qualche difficoltà… a entrare nel Mondo dei Sogni,» disse infine quasi imbarazzato.
«Perché la cercavi?» si intromise Mat.
Morgan dimenticò per un attimo i suoi turbamenti e guardò l’altro con sguardo omicida.
«Non credo di aver ben capito chi tu sia…»
«Non ti basterebbe un’Era per capire davvero chi io sia,» rispose Mat con ostentata boria, «ma sono dalla tua parte ed è l’unica cosa che devi sapere in questo momento.»
«Ma davvero? E sentiamo, da quale parte starei io
Ecco, ci mancava solo questo, pensò Merian. Possibile che gli uomini siano tutti uguali!
Era ora di finirla, ne aveva già avuto abbastanza, che Mat si tenesse i suoi segreti! Lei era venuta a cercare Morgan per un motivo e glielo avrebbe detto seduta stante senza troppi giri di parole, dannazione!
«In questo momento mi trovo a Tsorovarin, chiusa in una stanza insieme ai miei amici. Non ho ancora ben capito se siamo prigionieri o no ma siamo stati interrogati e non possiamo uscire, quindi deduco che sia così sebbene ci trattino molto bene e nessuno ci punti delle armi o… comunque… stamattina ho avuto l’onore di incontrare un’altra Camminatrice dei Sogni, e indovina un po’ chi era? Tua madre, Morgan, la signora Eloise Ladrielle in persona, accompagnata dal suo prestante marito Roran Neglentine.
E sai cosa mi ha chiesto tua madre, che in qualche strano modo sapeva chi o cosa fossi?
Mi ha detto, “devi trovare mio figlio Merian, è in pericolo, riportalo a casa”… più o meno… e questo senza nemmeno darmi una pacca di incoraggiamento sulla spalla! E sai cos’altro?
Lord Mat, qui presente, sostiene che non sia tu il Drago Rinato ma che in qualche modo questa figura leggendaria c’entri con te e tu sappia qualcosa. Ora, mi chiedo, è così? Sai dove diamine si trovi il Drago Rinato? E, cosa forse ancora più importante, hai intenzione o no di tornare a casa?»
I due uomini la guardarono impietriti, per la prima volta Mat senza parole!
Le espressioni che passarono sul volto di Morgan in quei lunghi istanti successivi al suo sproloquio erano indefinibili, e probabilmente il povero ragazzo stava tentando indubbiamente di fare ordine nella sua mente alle mille domande che aveva da porle.
Mat provò ad andargli in soccorso.
«Morgan, quello che Merian, qui presente, vuole sapere…»
«Ho compreso perfettamente la questione, grazie,» sbottò infine il Ribelle alzando una mano per zittire l’uomo.
«Tutta questa storia è a dir poco assurda. Se penso a nemmeno una luna fa mi sembra di essere entrato in un nuovo mondo. Sono un Ribelle, conosco abbastanza le leggende sul Drago Rinato e sono stato preparato per affrontare i nemici della Confederazione e dell’Ombra; ma nessuna storia o addestramento può competere con questo.» Fece un ampio gesto con entrambe le mani, fermandosi un solo istante. «Ho sempre desiderato far parte della leggenda che accompagna la rinascita del Drago, e non nascondo che sin da bambino speravo accadesse in quest’era, e ora… voi qui non fate altro che confermare i miei sospetti a riguardo e mi chiedo, è così allora, è davvero questa l’era del Drago?»
Non c’era bisogno di alcuna risposta ma sia Merian che Mat annuirono entrambi silenziosamente. Merian poteva sentire l’infinita serie di sentimenti che scorrevano in Morgan in quel momento: felicità, rabbia, frustrazione… erano gli stessi che aveva sentito, e continuava a sentire, anche lei. Provò un moto di compassione per quell’uomo così forte, e al contempo così fragile, di fronte ad avvenimenti più grandi di lui. Attese che Morgan continuasse a parlare, in qualche modo sapeva che si sarebbe fidato di lei rivelandole ciò che poteva: erano spiriti affini lei e lui, anche Morgan poteva sentirlo, su questo non aveva dubbi.
«Ero diretto a Coraman con il ragazzo, Davrath, per consegnarlo nelle mani degli Anziani e lasciare sbrigare le solite faccende burocratiche a loro. Ho fatto quello che era mio dovere, ma…» Di nuovo un’ombra di sospetto gli comparve sul viso quando incrociò lo sguardo di Mat. Lui cercò di metterlo a proprio agio mostrandogli un sorriso che avrebbe funzionato senz’altro meglio se Morgan fosse stata una donna. In ogni caso, Morgan continuò. Opera della dannata fortuna?
«Avevo la netta sensazione che il ragazzo mi stesse nascondendo qualcosa, e quando l’ho consegnato all’Anziano Dazar, confessandogli i miei dubbi, i miei sospetti sono di gran lunga aumentati. Qualcosa non mi quadrava… Volevo rimanere in città ma cosa avrei potuto fare? Sono un soldato e avevo degli ordini da eseguire, ho pensato che avrei potuto essere maggiormente d’aiuto tornando a casa e parlandone con mia madre e con te. Tu sei stata la prima a parlare del Drago Rinato e sapevo che mi avresti creduto e che avresti potuto sostenere quanto dicevo io, sì, perché prima di oggi avevo solo il forte dubbio che Davrath potesse essere il Drago Rinato ma ora… la vostra presenza mi dice che questa è la verità nuda e semplice.»
Merian si sentì una stupida. Aveva creduto e sostenuto che fosse Morgan il Drago Rinato, non importava cosa dicesse Mat, era stata così sicura! Che idiota, probabilmente anche la madre di Morgan, e suo padre, e persino tutti i dannati Neglentine sapevano che non poteva essere lui, ci erano arrivati tutti prima di lei, che stupida, stupida idiota!
«E il Ribelle dagli occhi gialli si è appena guadagnato una mano vincente!» esplose Mat dando una manata sulla spalla a Morgan, distogliendo Merian dai suoi pensieri.
Morgan guardò Mat senza capire ma innervosito dall’improvviso slancio emotivo dell’altro.
«Lascia perdere,» disse Mat con una smorfia di delusione, «l’importante è sapere che ora tutti sappiamo. Ma… dove sono i tuoi compagni, non viaggiavi da solo vero?»
Già, si chiese Merian, dov’erano spariti?
«Gli ho lasciati poco fuori le porte della città prima di scortarvi Davrath, ma quando sono ritornato al luogo dell’accampamento non c’era più nessuno. Suppongo abbiano deciso di tornare a casa…»
«Ed è una cosa normale per voi Ribelli che una squadra di esploratori o combattenti abbandoni il proprio superiore per tornare alle loro case?» chiese Mat sospettoso.
Morgan aggrottò la fronte. «Pensavano rimanessi a Coraman con il ragazzo, anche loro avevano i loro ordini a cui assolvere.»
«Ah, questo spiega tutto!» fece l’altro sarcastico.
«Non ha importanza ora,» si intromise Merian di nuovo sicura di sé. «Morgan, hai sentito quel che ha detto tua madre: sei in pericolo, devi tornare immediatamente a casa.»
«E’ quello che sto facendo ma… perché tutti continuate a dirmi che la mia vita è in pericolo?» chiese quasi stizzito.
Merian corrugo la fronte a quelle parole. Tutti? Ma Mat sembrò non preoccuparsene.
«Hai dato voce ai tuoi dubbi un po’ troppo apertamente, e forse la tua precipitosa affermazione ha colpito più di quanto tu possa immaginare,» rispose l’uomo solenne. «Dove ti trovi esattamente in questo momento?»
Morgan non esitò un solo istante per rispondere: era a solo un giorno di viaggio da Coraman, una trentina di miglia oltre il luogo dell’accampamento dei suoi compagni, nascosto in un avvallamento del terreno.
«Bene, trovati un nascondiglio decente e rimanici finché uno di noi due tornerà a parlarti,» poi di colpo si rivolse a Merian: «Tu, devi assolutamente svegliarti e riferire ogni singola parola ad Eloise, dille di mandare qualcuno ad aprire un Portale dove ti ha appena detto Morgan, non c’è tempo da perdere.»



continua...



Aaron Gaeleaf Selohim di -ws
Dorian di mercutia - su EFP
Mabien Asuka di mercutia - su EFP
Merian Elen Syana di SilmaCauthon
Morgan Neglentine di Neslepaks
Norah di Semirhage
Siadon di -ws
Toras Skellig di Neslepaks

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Capitolo 40
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte nona] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte nona]



Altri fili nel Disegno

Rilasciò il flusso e la bolla che le permetteva di incanalare fluì dietro di lei raggiungendo di nuovo la base della Buca alle sue spalle. Non aveva più bisogno del Potere per portare a termine il suo piano: il più era già stato fatto, suggellato dal contatto con le labbra di Kabanil.
Quanto amava quei minuscoli dettagli! Capricci che altri avrebbero definito insignificanti, superflui o addirittura inutilmente pericolosi. Forse non avrebbero avuto tutti i torti, lo ammetteva, ma quel genere di cose rendevano Shawna mostruosamente fiera di ciò che era, non soltanto uno degli esemplari migliori dell'Ordine Sacro. A Kiserai aveva guadagnato enorme fama per non aver mai fallito una missione e questo poteva già essere sufficiente. Ma non per lei, amava concedersi un finale in grande stile, tutto esclusivamente per lei, un appagamento tutto personale: chiunque altro avesse avuto l'onore di assistere alla messa in scena di quei suoi squisiti dettagli, non lo aveva mai potuto raccontare. Un vero peccato.
Era stremata dallo sforzo di quei pochi momenti, ma così orgogliosa di sé ed elettrizzata da non farci caso più di tanto. Andava tutto alla perfezione. Baciare Kabanil stava attivando il definitivo meccanismo mentale che per mesi gli aveva intessuto nella mente, poco per volta, così come aveva fatto in parte minore ad altri addetti alle carceri. Un lavoro meticoloso, complesso all'inverosimile e tuttora comunque fragile, ma l'ordigno che ne era risultato finalmente sarebbe entrato in azione, lo stava facendo proprio in quel momento. La mente di Kabanil era sua, d'ora in poi avrebbe obbedito a comandi che lei gli aveva assegnato già da tempo, lui sarebbe stato la chiave di volta. Tra poco. Ora andava in scena il suo personale spettacolo, ora il ragazzo era solo un piacevole gingillo. Le dispiaceva sempre prendersi quei lussuriosi piaceri forzando la mente altrui, rinunciando così a parte del gusto della caccia. E onestamente le dispiaceva anche che quel poveretto non potesse godere a pieno di quello che con tanto vigore le stava facendo. Era un bel ragazzo, alto, con un torace robusto e muscoli ben torniti, il fatto che fosse tanto focoso poteva anche essere frutto dell'effetto della compulsione. Ma non era affatto un male. Affatto.
Lo sguardo di Kabanil era pieno di reverenziale adorazione quando, esausto e ancora ansimante, si scostò e la lasciò libera di posare i piedi a terra. Lei gli sorrise e gli accarezzò il volto, osservandolo crogiolarsi in quel gesto.
«Ora vai» gli disse.
Il ragazzo si ricompose e si avviò meccanicamente, scavalcando il corpo di Suus come se fosse la cosa più normale del mondo. Soddisfatta, Shawna guardò le spalle larghe di Kabanil allontanarsi, poi trascinò la donna priva di sensi verso la Buca, dove imbrigliò anche il suo cervello al proprio volere con una tessitura e con un'altra la Guarì in modo che potesse scortarla nuovamente alla sua cella senza destare sospetti. Procedeva tutto alla perfezione. Era solo più stanca del previsto. Molto più stanca, ora che ci faceva caso.
Mentre camminava ripercorreva con la mente tutto il suo piano: tutte le pedine sarebbero cadute, una dopo l'altra, con un ordine preciso. Aveva impiegato mesi a capire come aggirare gli schermi durante i momenti fuori dalla cella, non le era riuscito sempre e questo l'aveva portata a cercare di farsi sottoporre a continui ed estenuanti interrogatori. Era stato un lavoro così snervante, ma ce l'aveva fatta e ora era giunto il momento di mettere tutto in opera.
A quel punto si trattava solo di aspettare, e purtroppo non poteva sapere quanto: ci aveva provato in tutti i modi, ma non era riuscita a scoprire sufficienti dettagli per poter calcolare quanto tempo Kabanil avrebbe impiegato ad attivare tutte gli altri inneschi mentali. In quel momento lui stava girando per i corridoi seguendo uno schema di incontri che doveva fare e non si sarebbe fermato finchè non l'avesse completato. Jeshic poi avrebbe trovato Restell, una dei Terah, i tredici Incanalatori che tenevano schermato il piano inferiore delle prigioni. Lei era stata l'unica dei Terah la cui mente avesse ceduto ai tentativi di Shawna di intaccarla e lei aveva il compito più determinante, quello di interrompere il circolo, mentre le sue preziose pedine, radunate fuori dal Terahtan in seguito ad un comando di Kabanil, sarebbero entrate e avrebbero ucciso, o almeno avrebbero provato a farlo. Distruggere tutto il Terah era impensabile, Shawna non si era mai illusa di questo anche se aveva istruito i suoi Guardiani a farlo. Ma il solo tentativo avrebbe creato una situazione tanto inattesa da far saltare la schermatura quel tanto che le sarebbe stato sufficiente a fuggire. La fragilità del piano era evidente, ma la meticolosità con cui l'aveva intessuto era per lei garanzia che nemmeno questa volta avrebbe fallito. Per il resto i Guardiani di Acarvende, e questo era fin troppo palese, erano tanto tranquilli della sicurezza di quel luogo e dei loro stupidi sistemi di sorveglianza che sarebbe bastato un niente per mettere tutto a soqquadro.
Si, era indubbiamente un ingranaggio complesso, un piano al limite dell'impossibile, ma Shawna l'avrebbe portato a termine e presto sarebbe tornata a Kiserai. Era pronta a morire se questo non fosse accaduto e anche per questo c'erano già menti corrotte al fine di adempiere a tale compito da lì a poche ore. Se il piano fosse fallito il rischio di essere scoperta sarebbe stato troppo elevato: aveva già rischiato enormemente tra un interrogatorio e l'altro e se tutto questo lavoro logorante non avesse funzionato, nient'altro avrebbe potuto farlo. La morte sarebbe stata l'unica via in quel caso.
Non aveva immaginato che si sarebbe stancata in quel modo: camminava a fatica verso la cella, tanto che Suus si girò un paio di volte chiaramente stupita di doverla quasi trascinare per farsi seguire. Quando entrò in cella, si lasciò cadere sul pagliericcio in cui era solita dormire. Non una parola, le poche energie concentrate ad attendere il momento in cui la schermatura sarebbe venuta meno. Stanca com'era si augurò di tutto cuore che accadesse il più tardi possibile: temeva infatti di non essere in grado di aprire un portale in quel momento, in quelle condizioni. Sarebbe stata una situazione davvero ironica.
Una risata involontaria le gorgogliò in gola, abbastanza forte da catturare l'attenzione perplessa delle sue compagne. Le guardò e sorrise loro, subito prima di chiudere gli occhi. Chissà che fine avrebbero fatto loro?
Mab era davvero una persona strana: dopo anni di soprusi e crudeltà, continuava a fidarsi del prossimo. Era davvero un'assurdità. Una parte di lei, quella più ferita e lacerata dalle esperienze che aveva vissuto, tentava chiaramente di frenarla, ma la sua vera indole la portava in definitiva a lasciarsi andare. Tradita fin dalla nascita dal mondo intero, costretta a lottare quasi ogni giorno per la sopravvivenza, invece dell'aggressività, aveva sviluppato un disperato bisogno di protezione, che continuava a cercare in chiunque. Era disposta a consegnare il proprio cuore al primo che le avrebbe dimostrato un briciolo di compassione, e a quanto le aveva strappato di bocca, doveva essere proprio ciò che era accaduto con quel capitano dei Figli della Luce che blaterava d'odiare. Suscitava una certa tenerezza, quasi le dispiaceva lasciarla lì, ma c'era da dire che le era già andata bene fin troppe volte: se non fosse sopravvissuta a quello che stava per accadere, era il giusto scorrere degli eventi a volerlo. Per quanto fosse scaltra e abile nell'adattarsi alle situazioni scomode in cui si veniva a trovare, prima o poi quella sua spiccata ingenuità le sarebbe stata fatale. Era inevitabile.
Thea a modo suo era una persona ben più normale, con i suoi misteri e le sue falsità pur nel voler essere esplicita. Era un soggetto interessante, un peccato non aver avuto modo di approfondirne meglio la conoscenza: dietro i tanti dettagli che spontaneamente aveva raccontato sulla propria identità, era chiaro ci fosse un mondo sommerso che sarebbe valsa la pena scoprire. Shawna si era fatta l'idea che Thea appartenesse ad un ordine alla fin fine non troppo diverso da quello cui apparteneva lei stessa. Un ordine ristretto, i cui membri venivano selezionati naturalmente con una disciplina troppo dura per essere sopportata da tutti. Lo si vedeva in tanti piccoli gesti che sarebbero sfuggiti a chiunque non osservasse con attenzione: Thea non era un semplice soldato, il suo fisico e le sue movenze rivelavano un addestramento mirato alla lotta corpo a corpo, alla rapidità e alla discrezione. Un soldato, sì, ma forgiato per uccidere senza lasciar traccia. La sua identità era impressa nella sua gestualità come un marchio a fuoco sul bestiame per gli occhi di Shawna. Con la stessa limpida chiarezza era certa che Thea avesse capito presto che lei era una spia, come volgarmente sarebbero stati definiti i membri dell'Ordine Sacro fuori da Kiserai.
Non le importava che fine avrebbero fatto. Su entrambe ci sarebbe stato altro da scoprire, abbastanza da meritare altre missioni dedicate. Ma Shawna si era spinta tanto a nord per cercare i Ribelli e indagare i loro sistemi di sicurezza e queste erano le informazioni che avrebbe riportato da lì a poco a Kiserai: le animosità tra le città e le loro famiglie fondatrici, il conservatorismo di alcuni contro il desiderio di cambiamento di altri, la generale disorganizzazione come entità unica e fondamentalmente il fatto che le loro conoscenze sul Potere fossero ampiamente sopravvalutate. Shawna aveva riso dei sistemi di sicurezza e di reclusione, vanto della città di Acarvende, in cui era stata prigioniera abbastanza a lungo da scoprirne quasi ogni segreto: i flussi più potenti erano in possesso di pochi e poco si faceva per diffonderli, principalmente per timore di consegnarli così alle altre città. L'incapacità di unire tutti i nuclei faceva dei Ribelli un nemico da non temere, ma semmai una risorsa da conquistare e sfruttare per muovere finalmente i fili della riconquista delle terre da cui il suo popolo era stato costretto a fuggire. Il Drago Rinato stava per palesarsi e presto li avrebbe condotti alla gloria.
La possibilità di Incanalare la rapì brutalmente da quei pensieri. Aprì gli occhi e inspirò profondamente prima di aprire il passaggio. Non si stupì nel rendersi conto che non riusciva a farlo come voleva: andare direttamente a Kiserai era impensabile per le energie che aveva. Non sprecò tempo nel cercare una soluzione, ma si concentrò in modo da lasciare almeno la prigione. Varcò la soglia luminosa che aveva creato, lasciando le sue compagne a fissarla ad occhi sgranati, incredule e incapaci di comprendere in quei pochi istanti cosa stesse accadendo.
Shawna uscì dal passaggio sulle mura naturali della città, il posto più lontano a cui aveva potuto mirare. Questo significava che si sarebbe dovuta poi allontanare senza usare il potere, scalando la roccia della montagna in cui era incastonata Acarvende. Avrebbe raggiunto un punto sicuro in cui riposarsi fino a riprendere le energie sufficienti per incanalare un portale in grado di farla giungere a casa.
Nel colore crepuscolare della sera che avanzava osservò ai suoi piedi la conca profonda in cui era sorta quella città fortezza. Era una città affascinante, doveva ammetterlo: nelle mani giuste sarebbe stata inespugnabile. Stava sorridendo al pensiero, quando la parete nord della città esplose in una nuvola di polvere e detriti. Quando la foschia si dissipò, il calare della sera lasciò intravedere alcune persone che si affacciavano ad uno squarcio prodotto nella parete rocciosa che separava le carceri dalla città. Evidentemente l'assenza dello schermo era stata sufficientemente duratura da far reagire i prigionieri. Questo avrebbe potuto sconvolgere la città e creare più danni di quanto Shawna avesse ipotizzato, ma non poteva curarsene. Raccolse le ultime forze e cominciò a scendere oltre la parete che delimitava la città, pregando la Luce di trovare quanto prima un pertugio sufficientemente grande da poterle offrire riparo per la notte.



Siadon

«Che ti piaccia o meno, ragazzo, è la pura e semplice verità»
Siadon fissò il vecchio a lungo, senza nascondere perplessità e stupore. Quanto aveva appena ascoltato avrebbe scosso anche il freddo assassino che stava interpretando. Era una delle maschere più semplici che avesse mai indossato, bastava mostrare di odiare tutto e tutti e di non provare alcuna emozione positiva. In pratica, far vedere quello che solitamente nascondeva e tenere per sé le uniche cose che lo facevano assomigliare ad un uomo: la speranza in una vita migliore e quello che provava per Thea.
«Dei Ribelli. I fondatori della setta di De'Domorashi... erano dei Ribelli? Vecchio, è assurdo. Capisco raccontare storie stravolgenti per creare dubbi ma ora esageri. Hai bisogno di riposare un poco? Possiamo vederci anche domani, dovrei essere libero.»
Negli ultimi interrogatori aveva iniziato a reagire con l'arroganza alle sorprese, gli era sembrato un metodo efficace per provare ad indirizzare le domande dove preferiva. Funzionava, a volte. Mai con quel dannato vecchio ma ormai doveva continuare a mantenere anche quell'aspetto del personaggio.
L'anziano non si scompose. «Non so se siano stati loro i veri fondatori. Stando a quanto ci è dato sapere, le persone che lasciarono questa città erano interventiste, spesso violente, ma votate alla nostra causa non dei mercenari. Fondatori o gregari non cambia molto. Tu stesso hai ammesso che la setta ha variato forma e metodi molte volte, potrebbero averne preso il controllo in un secondo momento. Il punto è che le similitudini nelle nostre tradizioni sono numerose, non può essere un caso.»
Siadon alzò le spalle, o almeno ci provò prima di venir bloccato dal laccio con cui era legato e che gli impediva di usare il Potere. Erano in una stanza molto piccola e per la prima volta da quando si trovava in quelle carceri, c'era un solo Ribelle con lui. Lo stesso vecchio che aveva assistito ad ogni suo interrogatorio, tanto da far temere a Siadon di essere diventato il suo oggetto di studio. Era intrigante, addirittura esaltante per certi versi. L'anziano conosceva molto bene il suo mestiere, tenergli testa era sempre più difficile per l'assassino. Intrigante ed esaltante, sì, ma molto pericoloso. Come se non bastasse, sembrava rispettato in modo che andava oltre l'ammirazione o l'invidia per le sue capacità. Quell'uomo doveva ricoprire un ruolo importante per le carceri, probabilmente per l'intera città. Forse faceva parte di quel Consiglio degli Anziani a cui aveva accennato Taril.
Certo c'era anche la possibilità che fosse tutto un trucco. Magari per spingelo a credere che la parte di storia dei Ribelli, che l'anziano gli aveva appena raccontato, non andasse rivelata agli altri. Siadon non riusciva a decidere se fosse un'idea valida o il frutto delle paranoie scatenate dall'astinenza alla radice.
«O più semplicemente, i modi più efficaci di usare il Potere per ottenere informazioni sono quelli. Secoli di pratica hanno portato due gruppi distinti alle medesime conclusioni. In effetti funzionano piuttosto bene, cosa aspettate ad usarli su di me?»
«Similitudini di intenti, forse. Non di modi.» il volto rugoso rimase inespressivo. I pozzi neri che aveva al posto degli occhi continuavano a scrutarlo come sempre ma la pausa durò un istante di troppo. Siadon annotò mentalmente di tornare sul punto mentre cercava di non far trasparire la sensazione di aver raggiunto una piccola vittoria dopo numerosi incontri «Ma il rituale del tuo matrimonio come lo spieghi?»
Oh no vecchio, non era questo che volevi dirmi!
«Andiamo non sono così stupido! Avete capito subito che si trattava di una cosa molto particolare, mi avete chiesto i dettagli ed ora volete farmi credere che fa parte delle vostre tradizioni? Non ne avevate mai sentito parlare, è solo un modo per creare dei punti in comune.»
Anche se non ne capisco il motivo... sarebbe più facile sfruttare le cose conosciute.
«E perché dovrei volerti spingere a credere questo, se non fosse la verità?» Chiese il Ribelle aggrottando la fronte, moltiplicando le già numerose rughe che gli solcavano il volto.
Brucia! «E che ne so? Magari è solo un modo per confondermi, oppure è l'età che avanza.» non ebbe bisogno di fingere per caricare d'odio il suo sguardo.
In risposta ebbe solo due grandi occhi neri che lo trapassavano, calmi e pazienti come il tempo stesso. Da qualche parte, nel corridoio oltre la porta chiusa, una goccia d'acqua cadeva ritmicamente sulla pietra, tagliando il silenzio opprimente in intervalli regolari.
«Sei stato addestrato bene, mi piacerebbe molto conoscere di più su quel monastero.» disse infine il vecchio, stirandosi la schiena mentre cercava una posizione più comoda sulla sedia imbottita. «Ma c'è qualcosa che ti complica la situazione. Tutta questa paranoia non può convivere con le altre abilità e non può nemmeno essere finta come l'arroganza. Da dove viene? Non puoi essere tanto preparato ed avere allo stesso tempo tutti questi dubbi. Di certo te ne sei reso conto anche tu, quindi non è un comportamenteo che adotti di proposito.»
Dannato bastardo! E dannatissima radice!
Siadon sorrise sinceramente, era arrabbiato con sé stesso per la debolezza che gli impediva di pensare lucidamente ma si sentiva anche euforico per il confronto con un esperto negli interrogatori. Stimava l'anziano e una parte di lui lo avrebbe voluto come maestro. Certo molte altre parti non vedevano l'ora di farlo a pezzi, in diversi modi tutti molto dolorosi, ma lo rispettava. E temeva. Quanto poteva andare avanti a mentire? I Ribelli non usavano la radice per tenere a bada i prigionieri. Gli effetti dell'astinenza non sarebbero dovuti durare per più di un mese o due ma lui non aveva tutto quel tempo, non con quel vecchio tanto bravo a leggere i suoi pensieri.
«Bene, un problema in meno, in realtà detesto l'arroganza. Di che modi parlavi prima?» sapeva di non dover aggiungere altro, entrambi stavano misurando ogni parola.
L'anziano non mostrò alcuna sorpresa, con ogni probabilità si aspettava la domanda.
«Durante gli interrogatori, cerchiamo di usare il Potere solo se siamo sicuri di non danneggiare troppo i prigionieri.» cambiò posizione, lasciandosi sfuggire qualche gemito «mentre, da quanto ho intuito, voi usate tali tecniche senza preoccuparvi delle conseguenze.»
Siadon annuì. «E usandolo su di me temete di attivare una Trappola Mentale, perdendo le informazioni che cercate. Il tempo per ottenerle normalmente invece non vi manca.»
Il vecchio sorrise «Vero, tuttavia non ti ho mentito. Conosciamo le Tessiture, ci addestriamo nel loro uso e cerchiamo sempre di perfezionarle. Ma evitiamo di usarle quando in realtà sarebbero davvero utili, quando potremmo ridurre i giorni di prigionia dei nostri ospiti innocenti.»
Confusione. Cambiando discorso ho ammesso di essere paranoico e ora batte questa strada. Memorizza e ignora, se rifletti ora sei fregato.
«Ma per quanto perfezionata sia la tecnica, i rischi rimangono. Tutto sommato è meglio qualche giorno in più in prigione rispetto al trovarsi la mente trasformata in poltiglia.» concluse Siadon.
Qualcuno si avvicinò alla porta, si fermò a controllare la stanza con discrezione, come le volte precedenti, per poi allontanarsi subito dopo. Le guardie seguivano uno schema semplice ma preciso, dovevano essere due gruppi su altrettanti percorsi distinti. Il primo passava all'incirca ogni centocinquanta gocce d'acqua, mentre il secondo compiva un giro più breve, impiegadoci poco meno della metà del tempo, una settantina di ticchettii.
«Dunque, da dove viene?»
La verità è la miglior menzogna era un frammento di una specie di mantra della Setta, scolpito nella sua mente. Era anche un ottimo suggerimento.
«Le mie armi erano ricoperte di veleno e nelle tasche avevo altri impasti. La paranoia è l'effetto di una di quelle droghe.» Che non mi avete lasciato il tempo di assumere.
Il vecchio annuì «Finalmente un mistero risolto. Cosa hai capito dei tuoi compagni di cella?»
Ancora confusione indotta, o forse vuole capire quanto le paranoie distorcono la mia percezione per sfruttarle meglio. Non conosce i veleni e tornerà sulla questione dopo essersi informato, ora ha cambiato discorso per farmi credere di aver chiuso la questione... Ah dannazione, rispondi e basta!
«Taril è un giovane viziato, pieno di ideologia da caserma sul come combattere in modo onorevole, qualcosa di simile ad un gioco tra nobili. Dubito abbia mai faticato veramente per ottenere qualcosa, ha provato diverse volte ad entrare nel reparto che tanto ammira ma l'hanno scartato. Credo che una ragazza abbia subito lo sfogo delle sue frustrazioni, probabilmente ne faceva parte. Dopo l'ennesimo rifiuto lui ha perso la testa. Ma non è stato un incidente, ha iniziato senza volerlo ma c'è stato un preciso momento in cui lui ha deciso di ucciderla. Di certo non è pentito per quello che ha fatto a lei, è per sé stesso che sta soffrendo: per la sua prigionia e per come viene trattato. Varald invece è quasi l'opposto, niente ideali nobili, gli piace sporcarsi le mani e risolvere da sé i problemi. E' un gran bastardo che non vede l'ora di sfogarsi in una rissa ma almeno si assume le sue colpe. Non s'è mai lamentato di essere qui, sa di meritarselo e pesta Taril con metodo come se fosse suo preciso compito. Credo lo veda quasi come un dovere, lo ritiene colpevole e si è eletto boia.
Poi c'è Manador. Passa il tempo ad evitare di far capire qualcosa di sé a Varald, per paura di far compagnia a Taril. Se la sta passando molto male, non reggerà a lungo. Sembra calmo e controllato ma è distrutto, una notte uscirà di testa e attaccherà quella che ritiene la minaccia più grande: il colosso biondo. Con ogni probabilità ci rimarrà secco, Varald è sempre all'erta perché sa che Taril non vede l'ora di ucciderlo nel sonno, quindi lo sentirà arrivare. Se per qualche miracolo Manador riuscirà nel suo intento, magari aiutato da Taril che sfrutterebbe subito la possibilità di liberarsi del suo aguzzino, vedrebbe in me la nuova minaccia. Ucciso me penserà al giovane ed infine si spaccherà la testa contro le pareti, cercando di sfondarle. Non credo manchi molto, un paio di settimane al massimo.»
L'anziano fissò Siadon perplesso, per la prima volta l'assassino riuscì a leggerne le emozioni. Stupore e sospetto. Forse aveva parlato troppo, in tal caso però si sarebbe aspettato anche... cosa? Timore? Perché un personaggio tanto importante avrebbe dovuto temere un inoffensivo prigioniero paranoico?
In fondo non sono uscito dal personaggio, ho parlato molto, facendo meno caso del solito alle parole ma non sono andato tanto male... Forse... Dovevo sottolineare che mi difenderei? Ha capito che non mi importa di morire? Ad un assassino freddo e spietato importa di morire? Dì qualcosa maledetto bastardo!
Gli occhi scuri tornarono ad essere due pozzi insondabili e continuarono a fissarlo a lungo, senza lasciar trasparire alcuna emozione. Siadon avrebbe tanto voluto schiantare la propria testa dritta su quel naso grinzoso ma si concentrò al massimo per rimanere impassibile, lasciando che il ticchettio della goccia d'acqua sostituisse i suoi pensieri. Era tentato di creare il vuoto nella sua mente ma sarebbe stato impossibile riprodurre con precisione i modi di fare dell'assassino che stava impersonificando, almeno agli occhi dell'anziano.
«Piuttosto preciso» ammise infine il Ribelle «saresti disposto a descrivermi l'addestramento e i metodi usati dalla tua setta per forgiare i propri membri?»
Siadon non si scompose, sapeva che il vecchio lo stava studiando per ottenere quelle informazioni e sperava in una domanda esplicita da giorni.
«Avremo bisogno di molto tempo»
«Potrebbe aiutarti a tenere la testa attaccata al collo per tutto quel tempo»
«Userete quelle informazioni per distruggerli?»
L'anziano sospirò, tradendo un velo di frustrazione che Siadon annotò mentalmente.
«Temo di no.» i pozzi scuri fissarono la porta chiusa a lungo, solo quando furono certi dell'assenza di guardie continuò a parlare «Alcuni di noi vorrebbero intervenire, far qualcosa per contrastare la Confederazione, liberare tutti quei poveretti braccati peggio di bestie. Ma la maggior parte preferisce mantenere l'isolamento, persino ora che l'Ombra si è manifestata. Forse addirittura ora più di prima.»
Siadon ripercorse mentalmente ogni passaggio di quel discorso. Era assurdo, perché gli stava rivelando quelle informazioni? Se era un modo per confonderlo, stavolta c'era riuscito. Di nuovo, fece l'unica cosa che poteva fare per non cadere troppo malamente nella trappola: memorizzò le parole e le ignorò. Una volta tornato in cella avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per riflettere.
«Dimostrami che userai la tua influenza per dare la caccia alle sette e farò qualsiasi cosa per aiutarti.»
Il vecchio sorrise «Credo che tu sopravvaluti la mia... influenza. Ad ogni modo, come potrei dimostrarti qualcosa?»
«Ti dirò l'esatta ubicazione della setta più debole che conosco. Quella a Nord di Jendal. Le loro difese, punti di forza e debolezze. Almeno per come erano fino a circa tre mesi fa. Come Thea, Elsa ed anche Tomas avranno di certo ammesso, sono un Manto Bianco. Conosco come si identificano alle sette e posso dirvi come fingervi Figli della Luce abbastanza bene da ingannarli. Portami le prove della loro sconfitta e ti dirò tutto ciò che so riguardo alle altre.»
L'anziano si portò una mano al mento, lisciandosi la lunga barba. «Hai detto che le sette sono isolate tra loro, che non si conoscono. Come puoi avere queste informazioni?»
«Quando una setta rischia di diventare troppo pericolosa per i Manti Bianchi, è compito di De'Domorashi occuparsene. Sei mesi fa sono stato incaricato di preparare un piano per annientare quei luoghi. Che io sappia esistono ancora. In caso contrario sarà più facile dimostrarmi che ci siete andati.»

Sdraiato sul pagliericcio nella sua cella, Siadon stava fissando la muffa attaccata al soffitto, battendosi ritmicamente le dita di una mano sul petto. L'anziano Ribelle aveva annotato ogni dettaglio su numerose pergamene che si era fatto portare, obbligandolo a ripetere tutto numerose volte. Era stanco, ma felice. Molto felice, con ogni probabilità quel pomeriggio aveva dato il via alla fine di una setta, un bel passo in avanti. Certo quel vecchio bastardo poteva anche averlo preso in giro ma in ogni caso ora sapeva di avere del tempo per progettare le prossime mosse. Avrebbe detto tutto ciò che sapeva, quasi tutto, dosando le informazioni e usandole per cercare di manovrare i suoi carcerieri. Non si aspettava molti risultati ma anche solo una setta in meno sarebbe stato un traguardo impossibile da raggiungere se non si fosse fatto catturare.
Peccato solo che il suo obiettivo più importante, in quel momento, fosse trovare il Padre, non distruggere le sette. Come poteva riuscirci? Di certo non lo avrebbero mai fatto uscire, avrebbe dovuto cercare di farselo presentare in prigione? Il vecchio aveva un ruolo importante nella politica ma Siadon non aveva idea di quanta influenza fosse necessaria per incontrare il Padre, sapeva solo che anche i Ribelli lo stavano cercando ma poteva benissimo trovarsi nella Confederazione.
Come spostare l'attenzione dalle sette al Padre? Dovrei propormi di addestrarlo per difendersi da loro? Non accetteranno mai. Però già sanno che lo sto cercando, tantovale provarci. Tamara mi ha avvertito di ricordarmi che è anche un ragazzino... quindi inesperto? Che diamine significa? Devo sfruttare questa cosa per incontrarlo o voleva solo dire di portare pazienza quando ci avrò a che fare? ... Luce ora vi ammazzo tutti e due, piantatela di fare casino!
Taril piangeva come un bambino, implorando pietà con una patetica voce stridula ad ogni pugno di Varald. Siadon li fissò con odio ma solo il giovane si accorse di lui, per un attimo i suoi occhi si allargarono dal terrore poi un pugno più forte degli altri attirò tutta la sua attenzione. In qualche modo le grida sembrarono ancora più acute di prima.
L'assassino sbuffò frustrato. Se li avesse uccisi, i Ribelli non l'avrebbero presa bene. Manovrarli sarebbe stato ancora più difficile. Creò una sfera mentale per creare un vuoto in cui isolare i suoi ragionamenti. I lamenti e i tonfi scivolarono ai confini delle sue percezioni, così come tutti gli altri rumori, luci, odori e sensazioni.
Si godette quella pace per parecchio tempo, ammirando bramoso quello che era la Fonte, allontanata e resa irraggiungibile dalla barriera di quelle carceri. Da quanto non incanalava? Gli pareva una vita. In fondo era abituato all'assenza del contatto col Potere, al Monastero rimaneva in quella situazione per settimane. Esserne abituato però non voleva dire che gli piacesse, per quanto odiasse quella cosa sapeva di aveverne bisogno, come una droga. Più di una droga.
Poi accadde l'impossibile. Qualcuno stava incanalando Saidin, qualcuno di molto vicino. Non perse tempo a domandarsi come o perché, era circondato da Incanalatori in astinenza imprigionati per anni, forse alcuni addirittura da secoli, all'interno di mura che ora potevano abbattere. Doveva andarsene al più presto.
Aprì gli occhi e una piccola sfera di fuoco sprofondò nella testa di Madanor, riempiendo la piccola cella di un odore nauseabondo.
«Dobbiamo andarcene, subito» disse calmo agli altri, che lo fissavano come due ebeti.
Varald fu il primo a riprendersi, nel modo sbagliato. Era troppo abituato a combattere con le mani per rendersi subito conto del pericolo. «Sei impazzito? Perché l'hai ammazzato?»
L'attimo dopo si piegò in due, colpito da Flussi di ogni tipo comandati senza una logica ben precisa da Taril, che gridava come un folle. Con un tremito che sembrava il lamento di una montagna, il pavimento si sollevò e parte del soffitto crollò sul corpo di Madanor, seppellendolo e avvolgendo tutto con una nube di polvere.
«IDIOTI!» Siadon schermò i due compagni di cella, bloccandoli poi con dei Flussi di aria. «Ora non posso più aprire un portale da qui! Non vi ammazzo come due cani solo perché mi servono dei bersagli.»
Impallidirono entrambi, nessuno dei due osò respirare per alcuni istanti, trattenendo persino i colpi di tosse. Il giovane sembrava sul punto di svenire e la polvere sollevata dalla frana non bastava a nascondere l'odore di urina che iniziava a diffondere. La grata che bloccava l'ingresso era già scardinata per metà, non servì molto Potere per abbatterla del tutto. Era successo così in fretta che la maggior parte dei prigionieri erano ancora nelle proprie celle, speranzosi ma anche spaventati. Altri invece stavano già combattendo con le guardie, le Tessiture erano sempre più numerose, i bagliori, le grida e i boati da sporadici si facevano sempre più frequenti, così come il tremore del pavimento diveniva sempre più intenso.
Prima di uscire dalla cella Siadon manovrò i propri Flussi, spingendo Taril oltre la grata abbattuta e tenendolo bloccato lì, in piena vista quasi al centro del corridoio. Poi si avvicinò a Varald.
«Obbedisci senza esitare e ce ne andremo da qui.»
Il colosso si era già ripreso. Annuì deciso, dimostrando di aver capito che la situazione imponeva decisioni rapide. Siadon lo liberò ma non rimosse lo schermo che gli impediva di incanalare. Lo fissò negli occhi per un istante, soddisfatto dall'assenza di proteste dell'uomo, poi si girò verso Taril. La testa del giovane scattava continuamente, gli occhi terrorizzati cercavano di seguire ogni Flusso che si manifestava nel suo campo visivo, nell'inutile speranza di poter schivare quelli che lo potevano colpire. Un tremito più intenso degli altri costrinse Siadon ad appoggiarsi alla parete, mentre un'intera porzione della volta si piegava su sé stessa come argilla bagnata. Vomitando una cascata di rocce, acqua e calcinacci non molto distante da Taril. Investendo il ragazzo con un violento spostamento d'aria.
«Libera quei disgraziati.» ordinò Siadon mentre rilasciava lo schermo di Varald, prima di dirigersi verso un altro gruppo di celle ancora chiuse.
«Chi? Non vedo un cazzo di nessuno!»
L'assassino fissò perplesso il gigante, poi si rese conto che c'era ben poca luce nella galleria. La maggior parte delle torce si era spenta, alcune spazzate dalle onde d'urto, altre sepolte dai detriti. L'unica fonte luminosa decente era una grata tanto incandescente da deformarsi per il suo stesso peso. Siadon aveva meccanicamente usato il Potere per muoversi nell'oscurità ma Varald, evidentemente, non era in grado di farlo.
«Sai creare una sfera luminosa?»
La cella, o meglio la polvere sospesa dentro e fuori di essa, si colorò di azzurro. «Da che parte?» Chiese il Ribelle tenendo la Tessitura lontano dagli occhi e fasciandosi la bocca con un brandello di stoffa.
Siadon indicò la parete opposta. «Sono rimaste tre celle» aggiunse, mentre l'altro stava già correndo.
Dopo pochi passi Varald si gettò dietro alcuni detriti, evitando per un soffio due palle di fuoco che qualcuno gli aveva scagliato contro.
Ma siete davvero così stupidi?
Avvolse Taril con alcune strisce luminose. Poco dopo un gruppo di guardie sbucò da un angolo, bersagliando il ragazzo con tre proiettili infuocati. Il giovane avvampò come un albero secco, ancora schermato e immobilizzato non potè fare altro che gridare. Era uno spettacolo raccapricciante, tanto che una guardia vomitò. Piegata dai conati, fu l'unica a salvarsi. Le teste dei suoi compagni esplosero, colpite da piccole sfere di ghiaccio create con Tessiture invertite, invisibili in quell'oscurità. Appena si rese conto dell'accaduto, scappò urlando terrorizzata.
«Vai!»
Varald lanciò la sfera luminosa in avanti, lasciando il nascondiglio solo dopo aver verificato l'assenza di altri proiettili. I prigionieri ancora intrappolati gridavano per incitarlo, superando i boati che provenivano da oltre il cumulo di macerie che ostruiva la galleria. Proprio nella direzione che conduceva all'unica uscita, o per lo meno in quella che conducevano Siadon per gli interrogatori. Per quanto ne sapeva di quel labirinto di cunicoli, la scala poteva benissimo essere nella direzione opposta, poco oltre le guardie che aveva appena ucciso. Sempre ammesso che ce ne fosse solo una.
Scardinò le grate di due celle, liberando cinque prigionieri malconci, troppo stanchi o incapaci per farlo con le proprie forze. Non era compassione, aveva bisogno di bersagli e confusione per distrarre le guardie che avrebbe incontrato.
«Non ce ne sono altri» Varald dovette gridare per sovrastare il frastuono di un crollo poco distante, tanto forte da convincere Siadon che sarebbero morti sepolti di lì a poco.
Studiò per alcuni istanti la galleria libera, cosparsa di sangue e resti ben più disgustosi. Inutile. Un budello sconosciuto, forse chiuso, sicuramente cosparso di guardie e prigionieri resi folli dal ritrovato contatto col Potere. Come se i continui crolli non gli creassero già abbastanza problemi. Per aprire un portale doveva conoscere il luogo di partenza. La sua cella era perfetta, prima che Taril la distruggesse. Ora doveva trovare un altro posto visto che anche il corridoio era irriconoscibile. L'alternativa era creare un passaggio instabile e ben poco preciso, col rischio di trovarsi dentro un lago o in una dannatissima nuvola in mezzo al cielo.
Le stanze degli interrogatori. Alcune le conosco abbastanza bene.
Peccato che fossero tutte al piano superiore. Osservò con attenzione la frana che bloccava la galleria. Si avvicinò, studiando il buco che aveva lasciato nel soffitto. Lo esplorò attraverso il Potere e ringraziò la Luce quando trovò un soffitto levigato sopra la voragine. La frana aveva creato un passaggio verso il livello superiore, trascinando e schiacciando numerosi prigionieri i cui corpi ora spuntavano dalle macerie come strani arbusti ricoperti di polvere e sporcizia.
«Di qua» disse senza badare alle proteste degli altri uomini.
Da quanto aveva intuito, sopra di loro non c'erano prigionieri in grado di incanalare, altrimenti non si sarebbe spiegato il senso di quei bracciali solo una volta raggiunta la scala. Sperava che le guardie si stessero concentrando sul pericolo maggiore. Certo non aveva modo di sapere se i Ribelli la pensassero allo stesso modo su quale fosse la minaccia più concreta, o magari l'attacco vero e proprio si stava svolgendo all'esterno... ma sperò che queste fossero solo delle dannate paranoie senza fondamento.
I blocchi di pietra erano grandi e instabili. Bastava sfiorarli per farli precipitare sulle teste dei fuggiaschi che lo seguivano, spaccandole come meloni maturi, ma il Potere facilitò la scalata. Ben presto Siadon, Varald e un'altra decina di prigionieri raggiunsero il tunnel del livello superiore. La fortuna li abbandonò quasi subito, quando i prigionieri comuni, attratti dal bagliore delle sfere luminose, si accorsero della loro presenza. Richieste di aiuto, grida spaventate, insulti e promesse di ricompense. La cacofonia di voci avrebbe presto attirato l'attenzione delle guardie.
Dannazione! «Liberateli! Tutti quanti, voglio questo buco pieno di persone che corrono da ogni parte»
«Forza! Avete sentito!» Varald incitò gli altri Incanalatori.
Quelli si limitarono a scambiarsi occhiate perplesse, tentati dall'idea di scappare prima dell'arrivo delle guardie. Quando il primo pugno del colosso frantumò il naso dell'idiota più vicino, gli altri iniziarono ad annuire. Ma furono i lamenti del secondo malcapitato a far scattare tutti verso le grate chiuse.
Siadon osservò la scena divertito. Lasciò che i primi prigionieri sparissero nei cunicoli, aspettando di capire dove fossero le guardie più vicine.
«Andiamo!» ordinò quando avvertì un uomo incanalare poco distante.
Questa volta non servirono incentivi, Varald rise di gusto vedendo gli altri scattare. Non ci volle molto prima di raggiungere due guardie impegnate a scortare un gruppo di prigionieri lungo il cunicolo.
Perfetto. Le schermò entrambe, usando dei Flussi d'aria per impedire loro la fuga. Stava per parlare quando la parete accanto alle guardie esplose, dilaniando la più vicina e alcuni prigionieri.
Siadon si girò di scatto verso l'incanalatore che aveva sferrato l'attacco, tranciando brutalmente il suo legame con la Fonte. Un uomo magro e basso, dalla pelle bruciata dal sole come quella dei marinai, lo fissava con occhi colmi di terrore, urlando distrutto da quanto Siadon gli aveva appena fatto.
«Io comando, voi obbedite. Mi servivano vivi.» Si assicurò che tutti avessero sentito, riconobbe sei dei prigionieri del livello inferiore, oltre a Varald. C'era anche un gruppo di disgraziati appena liberati, una ventina in tutto. Ricevette subito dei cenni di assenso, incoraggiati dai lamenti disperati del poveretto. «Bene» annuì convinto, prima di spezzare il collo all'uomo.
Alcuni, tra i più distanti, se ne andarono di corsa ma meno di quanti Siadon sperasse. Aveva bisogno di bersagli da sacrificare ma tutta quella gente rischiava di attirare troppe attenzioni.
La seconda guardia era ferita ma ancora in vita, era una ragazza robusta dai capelli castani e il naso largo. In altre occasioni avrebbe cercato di limitare i danni alla sua mente ma l'ennesima scossa gli mise fretta.
«Accompagnaci alle stanze degli interrogatori, quelle piccole. Dove un Geinzana molto anziano è solito tenere gli incontri privati con i prigionieri che ritiene interessanti. Sai dove sono?»
La ragazza annuì sorridendo «Certo»
«Molto bene» rispose Siadon aiutandola gentilmente ad alzarsi. «Riesci a camminare?» le chiese tra gli sguardi increduli degli altri prigionieri. Alcuni lo fissavano terrorizzati ma nessuno di loro lasciò il gruppo.
Lei annuì di nuovo ma non appena caricò la gamba destra dovette aggrapparsi a Siadon per non cadere.
«Se mi volevi abbracciare bastava chiedere!» disse lui sorridendole affettuoso, cingendole il fianco per aiutarla a stare in piedi. Lei arrossì. «Da che parte sono le stanze? Dobbiamo anche cercare di evitare le altre guardie.»
«Di qua allora. Allungheremo un poco ma procedendo dritti passeremmo in mezzo alle barricate.»
«Benissimo! Te l'ho mai detto che sei adorabile?»
«No...» rispose lei imbarazzata, guardandolo negli occhi, un istante, prima di abbassare lo sguardo «Ma è bello...» sussurrò incamminandosi, trattenendo il dolore alla gamba.
Siadon guardò Varald, gelido.
«Vi seguiamo in silenzio e controlliamo che nessuno ci scopra?» chiese l'omone con un sussurro, senza degnare di un'occhiata la ragazza.
Bravo il mio capitano! Pensò Siadon euforico, quel gigante iniziava a piacergli. Annuì.
Devo trovare il Padre... ma non posso lasciarmi sfuggire un'occasione del genere... Se i Manti Bianchi sapessero come arrivare qui sarebbe uno spasso. Il vecchio sa come distruggere una setta, tutto questo casino gli impedirà di agire ora ma prima o poi qualcuno dei suoi userà quegli appunti, spero. Se riuscissi a dire ai Figli come arrivare qui anche loro potrebbero attaccare i Ribelli. Di certo manderebbero le sette ancora sotto il loro controllo e tutti quei dannati bastardi si ammazzeranno a vicenda! Nel frattempo cercherò il Padre, tra il casino che sta succedendo qui e i Manti Bianchi che dimostrano di sapere come trovare i Ribelli, dovrà pur presentarsi qualche buona occasione per infiltrarsi. Varald è della capitale, o qualcosa del genere... potrei obbligarlo a collaborare. Anche se ora sembra divertirsi dubito che mi aiuterebbe... un tentativo non nuoce.
«Questa... va bene?» Chiese la ragazza guardandolo negli occhi, per poi chinare il capo e arrossire subito dopo averli incrociati.
Siadon studiò la stanza con attenzione, contrariato dall'essersi distratto tanto durante quel breve viaggio. Aveva prestato attenzione ai corridoi e si era accorto di aver raggiunto dei passaggi forse familiari ma si era affidato troppo al caso. Se qualcuno avesse preparato una trappola, probabilmente ci si sarebbe cascato senza accorgersene. Era molto più stanco di quando pensasse, tutte le possibilità che gli si erano aperte davanti in un solo giorno lo rendevano attivo ed euforico ma doveva sbrigarsi. Presto l'effetto sarebbe svanito e lui si sarebbe trovato sfinito, senza possibilità di fuga.
«Perfetta, è proprio quella a cui pensavo!» rispose con un sorriso, prima di baciarla sulla guancia. Lei lo strinse tanto forte che temette di trovarsi con qualche costola rotta.
Luce! E se ti baciavo le labbra cosa mi facevi?!
La allontanò dolcemente, chiedendo a Varald di aiutarla. All'inizio pensava di ucciderla appena trovata la stanza ma ora si era reso conto di aver guadagnato una buona fonte di informazioni. Sì, doveva essere davvero stanco per non averci pensato prima.
Si concentrò più del necessario, assicurandosi di attingere sufficiente Potere per riuscire nel suo intento. Non poteva permettersi un errore proprio ora.
Un avamposto dei Figli a Nord, sul confine. Abbastanza preparati da fronteggiare sette incanalatori e gestire diversi prigionieri comuni. Ufficiali che sono disposti ad ascoltare un incanalatore se capiscono che possono scovare i Ribelli. Sorrise Sì, tra Shaidarshain e Elligai dovrebbe andare, di certo stanno ancora cercando i Ribelli che hanno massacrato tutti quei Manti Bianchi... non abbiamo lasciato testimoni, gli unici sopravvissuti possono aver visto solo delle ombre.
La sottile linea argentea si allargò lentamente, fino a formare un passaggio abbastanza largo per due persone. Adatto anche a Varald.
Dall'altra parte le luci della sera illuminavano un bosco fitto, selvaggio, pieno di rocce bianche e piante alte, ricoperte da spessi strati di muschio.
«Lei viene con noi» disse al gigante, mentre il boato di un altro scossone rimbombava tra le pareti.
Siadon non attese di scoprire se sarebbe stato quello decisivo o meno, si gettò letteralmente attraverso il portale, seguito dalla ragazza, lanciata senza tante cerimonie, Varald e chiunque fosse riuscito a guadagnare le prime posizioni dell'ammasso di corpi urlanti, che si spintonavano per fuggire.



Mabien Asuka

All’apparenza non pareva aver subito danni fisici, ma era evidente che le condizioni di Shawna fossero tutt'altro che buone. Mab l’aveva vista tornare in cella tumefatta con una frequenza così elevata che ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma questa volta esteriormente non riportava alcun tipo di lesione. Dovevano averle fatto qualcosa di diverso e di devastante: oltre il fatto che si fosse praticamente dovuta far trascinare lungo il corridoio fino alla cella e il suono sinistro dell’amara risata che le era sfociata appena era crollata sul pagliericcio, era stato il suo sguardo ad aver lasciato Mab a bocca aperta. Un profondo abisso torbido che le aveva gelato le ossa.
Anche Thea aveva mostrato un insolito stupore osservandola, ma aveva risposto all’occhiata interrogativa che Mab le aveva gettato con una semplice scrollata di spalle. Più passavano i giorni, più l’atteggiamento della nuova arrivata si faceva disinteressato, come se non le importasse nulla di quello che le accadeva attorno. Era placidamente pronta ad accettare tutto e a non nascondere nulla, neppure tutto ciò che la faceva apparire come un potenziale pericolo per i suoi carcerieri, verso i quali si prodigava pronta a collaborare in ogni modo. Un comportamento così apertamente disarmante da renderne difficile un’interpretazione logica. Mab la lasciò perdere poco dopo.
Per quanto il ritorno della loro compagna in cella le avesse stupite, il tedio tornò ben presto, pesante ed impossibile da sopportare. Mab si sforzava di tenere la mente attiva, congetturando, ma dopo ormai circa tre mesi trascorsi là dentro, senza contatti di alcun tipo con il mondo esterno, senza alcuna notizia o un solo argomento che non fossero futili confidenze con le sue compagne, faticava a stare concentrata sui proprio pensieri. Aveva la netta impressione che ogni singolo giorno là sotto le sottraesse pian piano le facoltà mentali, avendole impigrito il cervello con il riposo forzato dovuto al trascorrere del tempo nel totale nichilismo.
Come se quella sensazione non fosse già sufficientemente sgradevole, l’inesorabile perdita di ogni speranza di uscire di lì si faceva sempre più pressante: i carcerieri non lasciavano mai trasparire nulla in proposito, continuavano a non rispondere alle domande e neppure l’aver incontrato alcuni Terah, la cerchia dei più autorevoli Incanalatori della città, aveva portato informazioni che le potessero servire. Lo sconforto era un pessimo compagno, quasi peggiore degli sbalzi d’umore di Hilda, che la tormentava attraverso il legame con i suoi scatti d’ira e la frustrazione che malamente tentava di gestire.
Sbuffò appoggiandosi alla parete irregolare che le offriva uno scomodo schienale. Si risollevò dopo poco, quando Shawna si scosse bruscamente dal sonno in cui pensava fosse piombata e, senza alzarsi completamente, creò un varco argenteo davanti a sè. Mab aveva già visto cose del genere da quando era giunta tra i ribelli e sapeva che si trattava di un passaggio per Viaggiare, ma come poteva averlo incanalato? Il tempo di riaversi dallo stupore e sondò la Fonte per accorgersi di poterla toccare e potervi attingere. Lo fece subito, avidamente. Shawna oltrepassò il passaggio con gambe malferme, il varco si richiuse alle sue spalle in uno scintillio luminoso. Thea, di fianco a lei, pareva altrettanto sbalordita oltre che già circondata dal bagliore di Saidar. Si guardarono perplesse per un lungo istante in cui evidentemente nessuna delle due riusciva a dar voce ai propri pensieri.
Il clangore del pesante portone del corridoio si sovrappose alla percezione delle tante persone che cominciavano ad incanalare lì attorno. Di Shawna non c’era già più alcuna traccia, ma Thea continuava a fissare il punto in cui era sparita.
«Posso farlo» bisbigliò all’improvviso.
«Cosa?» chiese Mab mentre correva alle sbarre per osservare cosa stesse accadendo nel corridoio.
«Siadon me l’ha spiegato. Ora ho visto come… posso farlo» la voce era bassa, erano pensieri a voce alta quelli che stavano uscendo dalla bocca della sua compagna.
Mab si girò a guardarla, incerta se essere speranzosa o spaventata. Rumori metallici, lo sgretolarsi della roccia, un vociare sempre più chiassoso riempivano l'aria in un crescente frastuono. Gli occhi di Thea si spostarono per un attimo oltre Mab, a guardare il corridoio che si stava affollando di detenute e Guardiani, poi una linea argentata tagliò l’aria davanti a lei.
«Portami con te»
Thea guardò Mab ponderando la possibilità, che chiaramente non aveva dato per scontata.
«Per favore»
«La mia destinazione è la Confederazione» confessò.
Mab deglutì. Una prigione certa per una probabile. Ad ogni modo non poteva certo rimanere lì ora. Annuì mentre all'improvviso colse lo spavento di Hilda.
«Aspetta!»
«Cosa c’è?»
Si maledisse nel momento stesso in cui si rese conto che le parole che stava per dire erano l’inesorabile verità.
«Non posso andarmene senza di lei»
«Chi?»
«Hilda. E’ imprigionata al piano di sopra»
«Non è un’incanalatrice quindi...»
«E’ una Figlia della Luce»
Thea alzò le sopracciglia e piegò leggermente la testa.
«E tu che c’entri?»
«E’ una lunga storia, ma non posso proprio permettere che le capiti qualcosa» Mab prestò più attenzione alla tessitura che la donna stava ancora tessendo, comprendendone in parte la composizione. Incanalò e intessè flussi che si unirono a quelli di Thea. Comprese meglio, ma da sola non avrebbe saputo farlo «Posso raggiungerla facilmente. Poi ce ne andremo dove vuoi tu. Per favore»
L'altra non rispose, ma lasciò che Mab prendesse il controllo dei flussi.
Raggiungere Hilda fu semplice, bastò lasciarsi guidare dal legame e oltrepassare il passaggio. Mab fu pervasa da un gradevole senso di conforto nel rivedere la sua compagna, subito annientato dall’orrore per quello che il passaggio aveva causato: una pozza di sangue si stava allargando sotto i suoi piedi, là dove giaceva una Guardiana, la cui gamba sinistra era stata tagliata con innaturale precisione per quasi tutta la sua lunghezza. Lo stomaco di Mab sobbalzò, pronto ad espellere ogni cosa contenesse. Per poco non lo fece. Le grida della donna coprivano ogni altra cosa. Istintivamente Mab si abbassò per soccorrerla, ma una mano le strinse un braccio impedendoglielo: era Thea che contemporaneamente teneva lontane altre guardie con flussi d’aria.
«Lascia perdere. Dov’è lei?» chiese brusca alzando la voce per superare le grida della donna ferita.
«E’ lei» rispose Mab avvicinandosi alla cella da cui Hilda la fissava sgomenta «Spostati» le disse, poco prima di incanalare terra per piegare le sbarre quel tanto che bastava a far uscire le donne imprigionate.
«Lady Al’Kishira»
Thea, ancora impegnata a fermare le guardie che si avvicinavano, non toglieva gli occhi sgranati da Hilda, la quale rispose con un tacito saluto militare, mentre un turbine di paura e vergogna inondava il legame. Mab spostò lo sguardo dall'una all'altra. In fondo erano entrambe Manti Bianchi e Hilda era un capitano, il giovanissimo capitano donna Al'Kishira: era più che normale che Thea, che aveva tranquillamente ammesso di essere una Figlia, la conoscesse. Quello che stupiva Mab erano il timore e la vergogna che strattonavano il tentativo della sua compagna di stare calma.
Non era il momento per farsi certe domande. Smise di guardare le due donne e si concentrò sulla situazione che le circondava: un'altra prigioniera era uscita dalla cella, impaurita fino alle lacrime; lungo il corridoio, da ogni lato, giungevano Guardiani che tentavano invano di varcare i flussi di Thea; a terra un lago di sangue assorbito dalla pietra circondava il corpo ormai esanime della donna ferita, che aveva perso i sensi. Le sue urla strazianti erano finalmente cessate, per lasciar posto alle donne che imploravano dalle altre celle di essere liberate e le Guardiane che imprecavano per ristabilire l'ordine. Mab cominciò ad incanalare in aiuto a Thea,
Tremò tutto per qualche secondo, tanto forte che le gambe dolevano e la testa le prese a girare, dandole qualche problema a stare in equilibro. Il boato si propagò quasi contemporaneamente. Infine le urla, provenienti dal fondo del corridoio, oltre il portone che era stato richiuso.
Mab gridò soltanto
«Riapri il passaggio!»
Prima di farlo Thea intrappolò in flussi d'aria un paio di Guardiani, forzò le sbarre di varie celle e solo quando ci fu sufficiente confusione nel corridoio da tenere impegnati i rinforzi che arrivavano, cominciò la tessitura per Viaggiare. Mab l'aiutò, si scambiò uno sguardo con Hilda, in cui si dimenava un groviglio di emozioni capace di far star male entrambe, poi si mosse per varcare il passaggio. Hilda la bloccò prendendole un braccio
«Aspetta! Non possiamo!» disse guardando dietro le altre donne uscite dalle celle.
«Lady Al’Kishira, io non so se...» l'atteggiamento reverenziale di Thea era impressionante. Hilda la guardò soltanto per farla tacere.
«Da questa parte» disse, aiutando una mezza dozzina di donne a varcare la soglia davanti a loro. Poi anche Mab passò, seguita da Thea e il portale si chiuse alle sue spalle, mozzando una spada in uno stridente suono di metallo.



continua...



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Capitolo 41
*** Capitolo 4: Certezze infrante [parte decima] ***


I Camminatori dei Sogni :: Chain Novel :: La Ruota del Tempo

Una via di mezzo tra FanFiction e Gioco di ruolo, questa è una storia scritta da molte mani: il progetto WoT Chain Novel del forum i Camminatori dei Sogni.
L'ispirazione proviene dalla saga di Robert Jordan, the Wheel Of Time: immaginando un suo probabile seguito, siamo partiti dalla quarta era, la successiva alla saga, inventando un mondo profondamente diverso nel quale vivono i personaggi creati dai giocatori.
La storia è in continua evoluzione, nuovi giocatori (partecipa anche tu) portano nuovi fili ad intrecciarsi nel Disegno. Un nuovo Drago Rinato dovrà affrontare un nemico antico ma che questa volta ha saputo preparare al meglio il suo ritorno.

Capitolo 4: Certezze infrante [parte decima]



Mabien Asuka

Il sole era tramontato e il cielo, già plumbeo, stava scurendo maggiormente per l'avanzare della sera, mentre le donne fuggite con lei da Acarvende se ne stavano ancora ferme, a poche centinaia di passi dal luogo in cui erano letteralmente precipitate. Il passaggio si era aperto a più di un metro da terra, facendo cadere violentemente le fuggiasche che l'avevano oltrepassato, inconsapevoli che dall'altra parte i loro piedi avrebbero vagato nel vuoto. Fortunatamente il terreno gonfio di pioggia aveva attutito l'atterraggio, che si era risolto con lesioni di poco conto, fatta eccezione per una ragazza: Pafes, che per ironia della sorte si rivelò essere la terza Figlia della Luce del gruppo, si doveva essere rotta una gamba.
Il lento spostamento da lì era dovuto principalmente a quell'incidente, aggravato dal fatto che Hilda e la ferita stessa avevano vietato categoricamente l'uso del Potere per guarirla, poi la resistenza di una delle donne ad essere consegnata ai Manti Bianchi non aveva certo aiutato, costringendo le altre a legarla con mezzi di fortuna. Infine c'era il continuo discutere tra Hilda e Thea, che si appartavano, il più delle volte portandosi dietro anche Mab, come in quel momento.
La reclusione aveva segnato la sua compagna di viaggio più pesantemente di quanto Mab avesse sospettato: i lineamenti del viso si erano fatti spigolosi per l'eccessiva magrezza e quello che mesi prima era stato un colorito candido, ora appariva piuttosto un malsano pallore. Le avevano anche parzialmente tagliato i capelli, per motivi igienici probabilmente: ora non erano molto più lunghi di quelli di Mab, oltre che rovinati e arruffati nello stesso modo. Il suo aspetto insomma era cambiato, facendola apparire più fragile ad una prima occhiata, ma ciò non intaccava minimamente quell'aria autoritaria e sicura che portava tutti a seguirla. Nonostante gli abiti logori e inzuppati di fango, nonostante la posizione scomoda in cui la metteva il fatto di essere una Figlia della Luce salvata da un'incanalatrice, era riuscita ad ottenere l'obbedienza delle altre fuggiasche. La spaventosa intensità del suo sguardo non era per nulla sminuita dall'aspetto smunto del viso in cui era incastonato: Mab era quasi sconvolta nel notare addirittura con che sfrontatezza lo posasse su Thea mentre chiarivano il da farsi, con quel tipico distaccato disgusto da Manto Bianco che faceva rabbrividire.
Ciò che Hilda provava davvero era tutta un'altra storia, che solo Mab poteva sapere: se non fosse stata lei stessa ad aver creato quel maledetto legame, avrebbe giurato fossero le emozioni di qualcun'altra, non di quell'arrogante statua di ghiaccio li davanti a lei.
«Sarò onesta con te» disse dopo una lunga pausa di silenzio «Sto svolgendo una missione di fondamentale importanza, lei è con me per questo. Non ho la minima intenzione di farmi intralciare da te»
Thea non battè ciglio.
«So perfettamente che a questo punto non ti fidi della mia parola, motivo per cui non starò a sprecare altro tempo con inutili spiegazioni» la posizione di Hilda era pericolosa da qualsiasi angolazione la si volesse osservare, eppure continuava sprezzante a guardare Thea dall'alto in basso «Se hai qualcosa da ridire, lo fai ora, oppure fai quello che dico io»
L'altra donna continuava a guardarla inespressiva.
«Non fare giochetti con me, drin'tsang.»
Drin'tsang. Qualsiasi cosa significasse, fu d'impatto su Thea, perchè finalmente alzò le sopracciglia chiaramente stupita.
«Non ne ho il tempo. Ora ascoltami»
Thea annuì lentamente.
Mab fissò prima l'una poi l'altra interdetta: le due non avevano abbassato per un attimo lo sguardo che si puntavano reciprocamente addosso, era più che evidente che non avrebbero voluto collaborare, ma a quanto pareva lo avrebbero fatto. Hilda era spaventata come mai l'aveva sentita. Mai.
«Prima di tutto, e parlo ad entrambe» comprese anche Mab nel gesto che fece con la mano, ma non la guardò «Evitate di incanalare a meno che non ve lo dica io. Le motivazioni sono due. Se hai detto il vero e ci troviamo a sud di Elligai, anche se siamo entro i confini della Confederazione, non siamo così lontane dalle Città della Notte da poterci ritenere al sicuro, dal momento che, come voi mi insegnate, un incanalatore può sentire altri che incanalano. Il secondo motivo è che ho subito abbastanza l'uso del Potere da farmelo bastare e avanzare per tutta la vita. Quindi non fatelo»
Thea annuì. Un attimo dopo Mab si trovò trafitta dagli occhi glaciali di Hilda che attendevano che anche lei facesse altrettanto. Lo fece.
«Ora cerchiamo un riparo prima che ricominci a piovere, attendiamo la notte e domani mattina faremo una parte del viaggio insieme per poi dividerci come ho spiegato. Tu e Pafes porterete le donne alla guarnigione più vicina. Io e Mab andremo per la nostra strada»
Era su quel punto che Thea aveva palesato per la prima volta la sua disapprovazione, costringendo Hilda a spiegazioni che non avrebbe svelato nemmeno a Mab, se avesse potuto, ma questa volta non fu su questo che obiettò.
«Pafes ha una gamba rotta e io da sola potrei avere difficoltà a gestire le altre»
«A parte la prigioniera, nessuna oppone resistenza, anzi mi pare che due non vedano l'ora di tornare a casa. Non ci vedo nulla di così complicato»
«E' curioso che prima abbiate voluto tirar fuori quelle donne e ora non mi possiate aiutare a portarle alla prima guarnigione...»
Hilda sorrise «Anche questo fa di me una Serva dell'Ombra?»
«Non farei dell'ironia sull'argomento»
Hilda sorrise di nuovo
«Temo che tu non abbia ben chiaro a chi stai parlando» Attese un lungo istante prima di riprendere «Hai usato le donne rinchiuse là dentro come scudi mentre aprivi quella cosa per fuggire, donne che potevano essere innocenti come me, come Jajaline, come Pafes. Io non ho avuto il coraggio di lasciarle lì a farsi flagellare dalle Guardiane non appena ce ne saremmo andate. Mi sento anche in colpa per quelle che non ho potuto salvare. Ma che ne può sapere di umanità una come te?»
«Non è delle mie colpe che stiamo parlando» battè le ciglia una volta «E' agli Inquisitori che spetta giudicare la nostra colpa o la nostra innocenza»
«Magari verrà il tempo, ma non è ora. Tu vuoi tornare a fare rapporto, hai testimoni e una prigioniera da spremere. Non è stupendo? Fai ciò che vuoi, ma non intralciare me.»
«Avete anche voi informazioni utilissime da riferire alla Confederazione, inoltre immagino siate stremata da settimane di reclusione, perchè non concedersi un paio di giorni alla guarnigione? Vien quasi da pensare che voi il giudizio degli Inquisitori lo vogliate proprio evitare» gli occhi di Thea, se possibile, si fecero ancora più acuti nel dire quelle ultime parole.
Come potesse Hilda mantenere quell'aria di algida arroganza, mentre dentro ribolliva di paura e di rabbia, Mab non riusciva a spiegarselo.
Per tutta risposta, la Figlia della Luce sorrise ancora una volta.
«E' un'accusa?»
«Come ho già detto, spetta agli Inquisitori questa parte»
«Pensa quello che vuoi, riferisci quello che vuoi, basta che ora non mi intralci. Intesi?» Hilda interruppe solo in quel momento il contatto visivo con l'altra donna, spostandolo verso le altre, sedute a qualche metro da loro «Sperando che tu abbia finito, possiamo metterci in marcia: non voglio dover camminare troppo a lungo al buio in questo terreno fangoso. Coordinati con Pafes e fatevi aiutare dalle altre con la prigioniera.»
Incredibilmente Thea le obbedì, allontanandosi.
«Come l'hai chiamata?» chiese Mab, appena Thea fu abbastanza lontana.
«Non sono cose che ti riguardano» rispose secca l'altra, lo sguardo pensieroso fisso sulla schiena della donna con cui aveva parlato fino ad un attimo prima.
Mab alzò gli occhi al cielo e sospirò.
«Mi dirai almeno dove stiamo andando?»
Le emozioni di Hilda tamburellavano ancora in preda ad un panico insolito. Attese un'infinità prima di rispondere.
«Ne parleremo meglio domani. Tu tienila sempre d'occhio. Hai modo di capire quando usa il Potere?»
«A meno che non usi protezioni, si.»
«E' pericolosa, Mab. E' follemente pericolosa. Mi serve il tuo aiuto» solo in quel momento si girò a fissarla, dritto negli occhi. Il legame sembrava crepitare, mentre Hilda finalmente cercava di ammansire il proprio irrequieto turbamento. «Dovrai aiutarmi se vogliamo salvarci. Devi fidarti di me, qualsiasi cosa ti chieda»
«Che intenzioni hai?» chiese Mab allarmata.
«Fidati di me»
«Lo rendi sempre più difficile»
Hilda abbassò la testa e sospirò
«Hai ragione. Ti chiedo sempre di darmi fiducia, ma io non faccio altrettanto con te. Dovrei dopo... dopo oggi. Forse ti dovrei anche delle scuse. E' difficile... per me è difficile avere a che fare con te. Ad ogni modo siamo sulla stessa barca ora e non possiamo far altro che spalleggiarci, quindi dobbiamo fidarci l'una dell'altra»
Mab si rese conto di aver la bocca aperta: Hilda praticamente le aveva chiesto scusa, si poteva dire che l'avesse ringraziata. Richiuse la bocca di scatto e sentì con stupore la propria risata. Non trovando parole per replicare, raggiunse le altre.
Il gruppo era pronto a rimettersi in marcia: Thea faceva strada procedendo tra l'erba alta e le scivolose pozze d'acqua che vi si celavano; Pafes, con la sua gamba malamente steccata, la seguiva aiutata da Jajaline, una donna sulla quarantina capitata in una sorta di retata dei Ribelli in un paese al confine nord della Confederazione; destino che la accomunava a grandi linee alle due donne che, dietro di lei, scortavano Azlae Ben'cron, una Ribelle interventista che aveva organizzato operazioni clandestine in cui erano stati uccisi o catturati tanti suoi compagni, e Fenra Kelislys, una spia ribelle scoperta a vendere informazioni ai Manti Bianchi. Hilda e Mab chiudevano la fila.
«Potresti almeno permetterci di Guarirla»
Hilda la trapassò con lo sguardo.
«Che senso ha ormai che tu continui a disprezzare l'uso del Potere?»
«Mab, renditi conto... sono nata pensando che il Potere fosse un'arma del Male, credendo in questo sono stata cresciuta e poi sono stata educata per combatterlo. Per quanto poi io sia dovuta scendere a patti con me stessa su tante di quelle cose da non aver più ben chiaro lo stesso concetto di Bene e Male, la sola idea del Potere è associata in me ad un impulso negativo. Non so se riuscirò mai a superarlo.»
Mab scosse la testa.
«Non ha alcun senso»
«Non dico che abbia senso, ma io fino a poco tempo fa non ero troppo diversa da Thea, da un certo punto di vista. Sono una Figlia della Luce, devota all'Ordine e alla Luce sopra ogni altra cosa. Così sono cresciuta. La Confederazione insegna a vedere le cose bianche o nere, io però vedevo sfumature a cui ho sentito il bisogno di dare una spiegazione. Una parte di me, quella più razionale, ti ha visto innocente dieci anni fa, ma un'altra, quella frutto dalla mia educazione e dalla mia cultura, ti vede solo come un'incanalatrice, un pericolo, un errore, qualcosa di innaturale che non dovrebbe esistere. Lotto da anni per mantenere un equilibrio tra queste parti, incapace di liberarmi di una delle due, e la Luce solo sa quanto sia stato difficile, quanto lo è tuttora. Non chiedermi troppo»
Mab osservò Hilda con la coda dell'occhio: camminava fiera come un soldato, elegante come una regina, sporca come il più lurido dei mendicanti. Quante contraddizioni! I contrasti avvolgevano quella donna fin nel profondo del suo essere, fin dalla prima immagine che Mab aveva di lei: la presa forte sulla spada sguainata contro di lei e il volto rigato dalle lacrime. Solo ora, grazie a quelle parole, realizzava quanto la decisione di risparmiarle la vita quel giorno a Daing dovesse aver pesato sulla coscienza della Figlia della Luce, un tormento forse pari a quello che poi aveva inferto a lei vendendola come schiava. Per poi salvarla di nuovo, Mab ricordava ciò che aveva appreso durante gli interrogatori ad Acarvende. Un giorno le avrebbe strappato tutta la verità. E forse quel giorno non era così lontano: Hilda ancora non lo aveva ammesso a sé stessa, ma il suo disprezzo nei suoi confronti stava venendo meno e quella fiducia, che Mab per chissà quale stupida ragione si sentiva di concederle, veniva pian piano ricambiata.

Quando Mab aprì gli occhi, il chiarore del giorno inondava i ruderi tra cui avevano trovato un minimo di riparo per la notte. Mentre si alzava striracchiando i muscoli indolenziti dalla scomodità del giaciglio e dal movimento insolito del giorno precedente, sentì la voce di Hilda bassa, poco distante. Si girò seguendola, vedendo le tre Figlie della Luce già sveglie, che discutevano tra loro.
«Prima partiamo, meglio è» concluse Hilda, facendo annuire le altre due.
«Sveglio le altre» disse Thea, alzandosi.
Dopo un attimo Hilda chiese a Pafes
«Sei sicura di potercela fare?»
«Preferisco essere abbandonata qui, piuttosto che essere Guarita da loro» rispose l'altra, caricando di disprezzo la parte finale della frase.
Hilda annuì.
«Farei lo stesso» aggiunse dandole un lieve colpetto di incoraggiamento su una spalla.
«Lady Al'Kishira» la voce incerta di Pafes fermò Hilda mentre si alzava «Allora perchè...?»
Non c'era bisogno che terminasse la frase: se per Thea la presenza di Mab al suo fianco era una prova del fatto che Hilda fosse una traditrice, per Pafes era ancora solo una cosa incomprensibile, ma certamente tutt'altro che positiva. Era evidente il rispetto che la Figlia provava verso il suo superiore ed era allo stesso modo palese quanto questo stridesse con il sospetto che provava nei suoi confronti, probabilmente fomentato anche dalla stessa Thea.
Hilda si riabbassò per guardare meglio Pafes negli occhi, con quel suo fare sicuro e disinvolto.
«Se ti fidi di lei, potresti anche fidarti di me»
«In realtà... in realtà non mi fido di nessuna di voi due: lei è un Manto Bianco che può incanalare, Luce! E voi... voi sembra stiate partecipando ad una battuta di caccia, usando quella donna come fosse il vostro cane. Non c'è molta differenza per me. Vi ho sempre stimata, pensavo voi foste...»
Hilda sospirò e la interruppe.
«Temo non ci siano spiegazioni che possano giustificare quello che sto facendo ai tuoi occhi. Me ne dispiace. Per me stessa, per il nome della mia famiglia e per quello stesso dei Figli della Luce, che rappresento. Al posto tuo avrei le stesse perplessità. Ad ogni modo non vi chiedo molto, solo di rientrare senza di me»
Pafes abbassò lo sguardo
«Obbedirò, in nome della stima che ho provato per voi obbedirò. Per questo e soltanto a patto che non ci chiediate altro»
«Saremo ad una vallata di distanza entro sera»
Quando Pafes alzò gli occhi, seguendo il movimento di Hilda che si rimetteva in piedi, Mab vide che luccicavano di lacrime.
«Vorrei poterti promettere che un giorno comprenderai tutto questo» furono le ultime parole che le disse Hilda prima di allontanarsi, immersa come non mai in ondate di tristezza e vergogna che debellò a fatica.
In poco tempo erano tutte pronte a partire.
Il terreno non si presentava meno insidioso rispetto al giorno prima, ma la luce del sole rendeva un po' più semplice attraversare le praterie in pendenza che si trovavano davanti a perdita d'occhio.
L'aria era frizzante a quell'ora del mattino, ma l'estate era imminente, era palese per i colori sgargianti della natura, perciò appena il sole si fosse alzato avrebbe fatto un po' più caldo. Gli abiti strisciavano fastidiosamente sulla pelle, rigidi per il fango del giorno prima che si era seccato. Thea guidava ancora il gruppo e aveva pronosticato una mezza giornata prima di giungere all'avamposto che conosceva in quella zona. Non era molto distante in realtà, ma Pafes e la prigioniera erano una zavorra che rendeva il cammino più lento e difficoltoso. Hilda aveva concordato che avrebbero fatto metà strada insieme, poi si sarebbero divise: quale sarebbe stata la loro destinazione, Mab ancora non lo sapeva, ma probabilmente la Figlia della Luce attendeva che fossero sole per dirglielo. Almeno questo era ciò che si augurava.
Si erano messe da poco in viaggio, quando Hilda cominciò a rallentare per rimanere indietro quel tanto che le serviva per mettere Mab al corrente del proprio piano di fuga senza essere udita dalle altre. Parlava a voce bassa, mantenendo una calma concentrazione che rendeva ancora più agghiacciante quanto stava proponendo.
«No» rispose secca Mab, cercando a sua volta di non lasciarsi trasportare dallo sconvolgimento che provava.
«Ho cercato tutta notte un'altra soluzione, ma non ho scelta Mab. Non abbiamo scelta. Devi aiutarmi»
Era terribilmente difficile mantenere la calma, fingere di avere una conversazione normale, quando avrebbe voluto urlarle che era una pazza. Respirò a fondo, rilassando nervi tesi allo spasimo.
«Non puoi chiedermi questo»
«Non pensare che per me sia facile. Devo Mab, dobbiamo!»
«Dev'esserci un altro modo. Io non posso...»
«Ascoltami» la voce si era leggermente alzata, svelando ciò che Mab percepiva tramite il legame. Si calmò, si accertò che le altre non si fossero accorte di nulla e riprese «Quella donna non dubita che siamo Serve dell'Ombra. Quella donna ha la totale certezza che io e te siamo Serve dell'Ombra. E il suo compito è annientare Servi dell'Ombra. So fin troppo bene cos'è lei, uno degli strumenti più potenti ed oscuri dell'Inquisizione, addestrata per non fallire. Le ho fatto credere che anche tu sia una cosa del genere, una Maledetta, una drin'tsang, ma non so quanto la cosa possa mitigare il suo assoluto senso della giustizia. Non ci permetterà di allontanarci. Lo so»
Mab quasi si spaventò quando Hilda le prese una mano, stringendola con forza.
«Non ci darà scelta. Mab per favore, ho bisogno del tuo aiuto. Non te lo chiederei se potessi farne a meno»
Come si poteva affrontare una cosa del genere? Mab si sforzava di continuare a camminare, guardando fisso davanti a sé, ma le gambe erano incerte, la vista vacua, la mente vacillava al pensiero di quanto le era stato chiesto.
«Ti giuro Mab, vorrei evitarlo... Luce, è terribile! Lo so! Ho provato ad analizzare ogni alternativa, ma non abbiamo altra scelta»
Le strinse ancora la mano, avvicinandosi.
«Devi aiutarmi. Dimmi che lo farai»
«Non hai voluto usare il Potere nemmeno per Guarire Pafes e ora mi chiedi questo? Che razza di mostro sei?»
«Mab ti prego, ti scongiuro, credimi. E' la disperazione che mi costringe. Non possiamo semplicemente scappare, non ce la faremmo. Credimi»
«No» Mab aveva voglia di mettersi a piangere.
Hilda strinse la sua mano ancora più forte e caricò di disperazione il modo in cui semplicemente disse il suo nome.
«Mab» suonò come una supplica.
«Io... lasciami almeno il tempo per...»
«Non abbiamo tempo, Mab. Credo di aver capito dove siamo, grazie alla Luce conosco piuttosto bene queste zone. Voglio fare in modo di avvicinarmi all'avamposto quel tanto che basti a quelle donne per poterci arrivare anche senza una guida, non manca molto. Se ci avviciniamo troppo, rischiamo di essere viste mentre andiamo nella direzione opposta ed essere prese per fuggitive. Non ti chiedo molto, solo di bloccare Thea e Pafes quando le prenderò da parte per dar loro gli ultimi ordini. Sto cercando il punto giusto. Poi farò io il resto, non tu»
«Credi basti così poco per quietare la mia coscienza?»
«Non credere che sia diverso per me, per la Luce!» Anche questa volta la voce era leggermente salita. Attese un lungo respiro prima di riprendere a parlare «Non rendere le cose più difficili di quanto già non lo siano. La Luce solo sa quanto mi pesi, ma se vogliamo salvarci, questo è l'unico modo»
«Perchè anche Pafes?»
«Luce Mab, siamo nella Confederazione! Ogni parola contro di me a questo punto, mi condurrà dritta al patibolo. E tu con me! Anzi tu mi aprirai la strada! Dovrei eliminare tutte queste donne per poter stare davvero tranquilla che non facciano il mio nome. Luce! Non voglio nemmeno pensare alle conseguenze... Aiutami Mab, ti prego»
Lo sforzo di star calma era vanificato dal suo tremore, reso ancora più evidente dal contatto tra le loro mani. Era sincera. Se c'era una cosa utile nell'aver intessuto il flusso che le aveva legate, era il fatto che Mab poteva capire quando Hilda le mentiva. Non era questo il caso. Era davvero terrorizzata da Thea, lo aveva sentito sin dal primo momento.
Non servì una risposta vera e propria a quella folle richiesta d'aiuto: ad un certo punto Hilda doveva aver compreso che Mab si era arresa all'idea. La cosa non la tranquillizzò, la rese solo mortalmente triste, ma risoluta. Strinse un'ultima volta la sua mano, prima di lasciarla.
«Credimi Mab, tutto questo per me è molto più difficile di quanto tu possa immaginare. E non parlo solo di quanto sto per fare. Che mi piaccia o no, ho solo te, posso contare solo su di te e fidarmi soltanto di te. E siamo sole contro tutti per ora. Ogni cosa è più difficile di quanto io stessa potessi immaginare quando ho deciso di affrontare tutto questo» Stordita dall'orrore per ciò che doveva fare, Mab venne colta di sorpresa dall'allarme che Thea lanciò all'improvviso.
«Pericolo!»
Tutte le donne si fermarono di scatto. Hilda soltanto corse avanti per raggiungere la capogruppo. Poi anche Mab colse l'entità di quel pericolo: c'erano Incanalatori a breve distanza da loro.
La decisione di Hilda fu rapida e l'ordine quello di muoversi in fretta nella direzione opposta. Cominciarono a scendere la collina sul lato più scosceso, issando Pafes e la prigioniera in spalla con non poche difficoltà. Dietro di loro un numero imprecisato di donne stava incanalando Saidar in modo massiccio, forse per cercare lei e Thea, sebbene evitassero apposta l'uso del Potere.
Una sgradevole vista le sorprese oltre il ciglio dell'altura: un accampamento militare semideserto poteva solo significare pattuglie in circolazione in quell'area. Furono avvistate poco dopo. Il rumore degli zoccoli in avvicinamento scatenò presto il panico, dividendo le fuggiasche. Thea e Mab rimasero accanto e incanalarono per potersi difendere, ma attirando così il gruppo di incanalatori.
«Ora Mab!»
Il comando di Hilda la colse impreparata per un attimo, ma poi capì. Imbrigliò Thea con flussi d'aria e la schermò appena in tempo perchè la donna, troppo impegnata a lanciare strane tessiture che scomparivano appena venivano scagliate, potesse controbattere. Anche se troppo tardi, ci provò comunque, così rapida e furente che a stento Mab riuscì nell'impresa. Poi vide il suo sorriso gelido e sprezzante accogliere l'avvicinarsi di Hilda, prima di distogliere lo sguardo, incapace di assistere a ciò a cui stava collaborando.
«Lo sapevo» rise Thea «E' il mio collo che ti interessa, vero, puttana dell'ombra?»
L'orrendo suono di ossa fratturate giunse un attimo dopo, gonfiando di lacrime gli occhi di Mab. Rilasciò immediatamente il flusso ormai inutile, abbandonò la Fonte stessa e un attimo dopo si sentì strattonare con violenza per un braccio. Seguì Hilda in una corsa alla ricerca di un rifugio, trovandosi poi ad assistere, da una posizione relativamente riparata tra un gruppetto di fitte betulle, alla carica di una pattuglia di Figli a cavallo su alcune di quelle che erano fino a poco prima le loro compagne di viaggio. Pafes gridava il proprio nome, nel tentativo di farsi riconoscere ed evitare l'irruenza con cui quei soldati si stavano scagliando verso di loro. L'avanzata fu però bloccata da una pioggia di fuoco: ne seguì la vista di uomini e donne con le divise dei Guardiani di Acarvende che scendevano la collina intessendo colpi devastanti.
Altri Manti Bianchi giunsero dalla vallata e forse anche da qualche altra direzione, perchè in men che non si dica quell'incontro si trasformò in un vero e proprio scontro tra Ribelli e Figli della Luce. Cavalli, lance, spade e frecce potevano poco contro i flussi del Potere, ma il numero giocava a favore dei Manti Bianchi, bilanciando quella che altrimenti sarebbe stata una battaglia dall'esito scontato.
Mab si vedeva bene dall'attingere alla Fonte, ora accucciata insieme a Hilda tra una parete rocciosa, un fitto groviglio di alti tronchi d'albero e il corpo di un cavallo in agonia. La visibilità sugli eventi attorno a loro era definitivamente compromessa, in cambio però di un riparo quasi sicuro. Al di fuori di quel fortuito rifugio, la battaglia rombava tra boati e grida feroci. Mab si strinse la testa tra le mani e pregò solo che finisse presto.



Siadon

Attese che anche l'ultimo uomo attraversasse il portale. Paziente, autoritario, senza lasciar trasparire la stanchezza e lo sforzo che gli costava mantenere quella Tessitura. Sei incanalatori. Più Varald, la Guardiana e altri tredici uomini. Un bel casino.
Avrebbe voluto lasciarne nelle prigioni buona parte ma non aveva idea di come avrebbero reagito i prigionieri che già erano lì con lui. Probabilmente lo stesso Varald, che si era dimostrato tanto obbediente, avrebbe avuto qualcosa da ridire sulla catena di comando. Non poteva permettersi di creare malumori. Contava su un bel crollo per ridimensionare il gruppo, ma non avvenne nulla del genere ed anche il ventiduesimo uomo attraversò il portale indenne.
Bravi, incanalate quanto volete, i Traditori dei Manti Bianchi staranno già indicando dove ci troviamo su una mappa. Pensò Siadon, rallegrato dall'idea di poter consegnare tutta quella gente ai Figli della Luce.
«Ripariamoci sotto quelle rocce. Questa notte riposeremo e domani decideremo cosa fare da uomini liberi.»
Diversi prigionieri urlarono di gioia, lasciandosi andare in pacche sulle spalle, canti e risate. Si sistemarono sotto una grande parete strapiombante. Qualcuno si lamentò per la somiglianza con i cunicoli delle prigioni, ma le grosse nubi che coprivano il tramonto non promettevano nulla di buono per la notte. Ben presto venne acceso un grande fuoco e non passò molto tempo prima che un paio di incanalatori riuscissero ad abbattere un cervo. Siadon stava ancora cercando di rimuovere i sassi dal buco che aveva scelto per sé, continuamente interrotto da qualcuno che voleva ringraziarlo, sdebitarsi o raccontare la propria storia, forse nella speranza di scoprire qualcosa in più su di lui.
Peccato non avere del buon vino. Pensò allegro quando un piacevole odore di selvaggina alla brace iniziò a diffondersi in quello che iniziava a sembrare un accampamento.
«Ma dove siamo?» Chiese Varald quando finalmente rimasero soli. Fatta eccezione per la ragazza, che ormai era diventata l'ombra dell'assassino.
Siadon sistemò un altro sasso, saggiando la resistenza del muretto che stava costruendo. Osservò gli uomini che cantavano e ballavano attorno al fuoco prima di rispondere.
«Tu ne conosci qualcuno?» chiese infine, ignorando la domanda del gigante.
Varald grugnì, guardando sospettoso la piccola trincea eretta da Siadon.
«Di alcuni ho sentito delle storie. Uno però lo conosco, tra tutti i bastardi che potevamo liberare è l'unico che avrei volentieri lasciato a marcire in quel buco.»
«Ha tutta l'aria di essere una questione personale.» rispose Siadon incuriosito.
«Lo è» annuì l'altro, fissando con odio un biondino alto e snello che cantava e batteva le mani, seguito e incitato da chi gli stava attorno.
Siadon attese incuriosito alcuni momenti, cercando di tenere a bada il suo lato paranoico che stava già producendo una serie di ipotesi più o meno plausibili. La prima cosa che avrebbe fatto l'indomani, sarebbe stata cercare quella dannatissima radice.
«Si chiama Tevor, vero?» chiese la ragazza, che continuò a parlare senza attendere una conferma «è di Tsorovarin, condannato per cospirazione e incitamento alla guerra. La sua collaborazione ci ha permesso di azzerare l'intero gruppo. Volevano costringere le Città della Notte in una spirale di attacchi che avrebbe portato alla guerra aperta contro la Confederazione... Non è un bene che sia in libertà, andrebbe rinchiuso. O eliminato...» la Ribelle si concentrò poi su Varald, sgranando gli occhi preoccupata «e lui è uno di loro!»
Siadon si affrettò ad intervenire, prima che le emozioni della ragazza potessero scontrarsi troppo duramente con la sua tessitura, distruggendole la mente e i suoi preziosi ricordi con essa «Calmati... va tutto bene, Varald è nostro amico ora». La abbracciò come se fosse una bambina impaurita. Di fatto lo era, la Compulsione l'aveva ridotta a qualcosa di molto simile. Lei chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare, persa in un mondo tutto suo, nel quale la fiducia e la fedeltà verso Siadon erano le uniche certezze.
L'assassino continuò a stringerla, sedendosi su di un masso e guardando Varald da sopra la testa della ragazza.
«Ah brucia!» imprecò Varald dopo alcuni istanti «eravamo solo un gruppo di stupidi mocciosi, ecco cosa eravamo! Convinti che bastasse entrare in qualche villaggio e scacciare quattro Manti Bianchi per liberare degli Incanalatori oppressi... Beh, non è andata così. I quattro Manti Bianchi erano parecchi di più e gli Incanalatori oppressi non provarono nemmeno a ribellarsi. Per non parlare poi della gente comune, pronta a mettere al rogo sia noi che quei disgraziati in catene che aiutavano i Figli a darci la caccia. Alcuni di noi rimasero ammazzati, gli altri tornarono a Calavron per scoprire di essere ricercati. Tevor venne preso subito, noi riuscimmo a scappare ma sapevamo che avrebbe ammesso tutto e collaborato volentieri, pur di alleggerire la propria pena. Nel giro di un paio di mesi, anche io ero ad Acarvende.»
Siadon annuì pensieroso. Dunque l'anziano non ha mentito, ci sono davvero dei Ribelli interventisti. Tra tutti, loro dovrebbero avere meno problemi ad accettare uno come me.
«Non devono essere molti quelli che la pensano come voi.»
Varald sbuffò infastidito, aprì la bocca ma la richiuse subito dopo squotendo la testa e cercando un sasso abbastanza comodo su cui sedersi. Siadon non gli mise fretta. Osservò distrattamente gli uomini che festeggiavano chiassosi, analizzando al contempo il comportamento del gigante fino a quando non lo vide sistemarsi su di un masso piatto.
«Sono una massa di donnicciole.» sentenziò Varald con tono rassegnato «Persino i Neglentine e i Ladrielle. Donnicciole! Giocano a fare i grandi condottieri ma cosa fanno davvero? Si nascondono. Come tutti gli altri.» Siadon ascoltò Varald senza dire una parola, ignorando il silenzio della pausa fino a renderlo pesante, spingendo l'altro a colmarlo col resto del discorso «E come se non bastasse, oltre a nasconderci non riusciamo nemmeno a collaborare decentemente tra noi. Ti rendi conto? Avremmo la forza per porre fine all'Inquisizione, per salvare un'infinità di innocenti e vivere liberi all'aperto e invece no. Ce ne stiamo rintanati nei nostri buchi a litigare come bambini, a nascondere segreti gli uni agli altri. Che senso ha? Siamo più liberi degli Incanalatori che vivono nella Confederazione, certo, ma davvero tanto quanto crediamo? Io dico di no.»
Siadon annuì lentamente «E sei disposto a sacrificare delle vite, molte vite, per cambiare le cose?»
«Sì» rispose Varald senza esitare.
Ovviamente ti aspettavi la domanda, volevi che te la facessi.
«Il Vecchio nelle prigioni, un Guardiano di alto rango molto anziano, è lui che mi ha messo nella tua cella, vero?»
Varald sbatté le palpebre stupito. «E io che ne sò? Chiedi a lei!» indicò con un cenno di capo la ragazza addormentata.
Lo prendo come un sì «Sono convinto che quel vecchio la pensi più o meno come te. Mi ha accennato a qualcosa del genere, sarebbe interessante andarci a parlare.»
«Stai scherzando! Vorresti tornare ad Acarvende? Dopo aver ucciso e... dopo qualunque cosa tu abbia fatto a lei?»
Siadon alzò le spalle «Altre idee su chi potrebbe vederla allo stesso modo?»
«Forse. Ma perché dovrei dirlo a te?» chiese Varald sospettoso.
Come spia fai davvero pietà pensò l'assassino notando diversi dettagli che indicavano quanto l'uomo sperasse di trovare in lui un alleato.
«Siamo nella Confederazione.»
Varald lo fissò più impaurito di quanto volesse mostrare «Stai scherzando?»
«No.» sorrise Siadon «Sono un Manto Bianco, o meglio, lo ero. Ora tanto la Confederazione quanto i Ribelli vogliono la mia testa. Per non parlare dei Tiranni. L'unica cosa che mi è rimasta è la lotta contro l'Ombra» e Thea. Adorava avere quella consapevolezza incrollabile della presenza di sua... moglie, là fuori, da qualche parte. Gli dava un senso di appartenenza che non aveva mai provato in vita sua. Era bellissimo, anche ora che lei non era lì vicino poteva sentirne la presenza. A volte credeva di udirne la voce o di percepirne il profumo.
«Ma perché la Confederazione?!» chiese Varald con un sussurro, osservando sospettoso il bosco avvolto dalle tenebre, appena oltre il chiarore dei fuochi.
Siadon si prese qualche momento prima di rispondere «Davvero non noti alcuna similitudine?» Varald corrugò la fronte sospettoso, tentato dall'idea di dare l'allarme.
Non dirai nulla. Non sai dove sei e l'unica volta che hai visitato la Confederazione chiunque voleva ucciderti. Hai bisogno di me per sopravvivere qui. Pensò Siadon divertito.
«Vuoi sapere cosa sarebbe successo se foste riusciti a liberare quel villaggio? Se gli Incanalatori vi avessero seguito, non denunciato, e se la gente comune vi avesse visto come salvatori, non come nemici mortali? Nulla, non sarebbe successo nulla. Nemmeno liberando diversi villaggi, nulla. I Manti Bianchi avrebbero insabbiato la cosa, probabilmente avrebbero bruciato quei luoghi per poi diffondere un sacco di nuove storie, alimentando la paura verso gli Incanalatori.»
Varald sbuffò «Magari! Ci hanno solo preso a calci. Ma non mi hai risposto, perché qui?»
Ti facevo più sveglio. Non sarà un'idea troppo contorta? Sembra tutto così semplice ma forse dal suo punto di vista non ha proprio senso. Eppure dice di non aver problemi a sacrificare delle vite e non può pensare che io abbia una gran morale, mi ha visto sacrificare e uccidere prigionieri senza battere ciglio. Quello che ho fatto a questa qui poi va ben al di là della violenza fisica. Eppure ho almeno un briciolo della sua fiducia. Certo, adesso sa anche che gli servo per sopravvivere ma era qui anche prima di sapere che siamo nella Confederazione.
«Allora? Niente balle, non è un caso se hai scelto questo posto.»
Siadon sbatté le palpebre, mettendo a fuoco il volto di Varald. Era troppo stanco, iniziava ad avere difficoltà a gestire la paranoia provocata dall'astinenza. La mattina seguente avrebbe trovato quella maledetta radice, avrebbe obbligato tutti a scavare, se necessario. Certo poi avrebbe anche dovuto ucciderli, non gli piaceva che qualcuno conoscesse certi suoi segreti. Sospirò lentamente, concentrandosi sul dialogo con Varald.
«Se vuoi costringere qualcuno a combattere, non puoi lasciargli alternative. Attaccare i villaggi di confine è inutile, perché in poco tempo tutto tornerebbe come prima. I Ribelli dovrebbero scegliere tra la guerra aperta e il rinchiudere gli interventisti per continuare a vivere in pace. Preferiscono la seconda.» indicò Varald per sottolineare il concetto «Se invece i Manti Bianchi sapessero come trovare i Ribelli, se conoscessero anche solo la posizione delle loro città. Non ci sarebbero alternative, la guerra aperta sarebbe inevitabile. Ecco perché siamo qui.»
«Pazzo bastardo...» sussurrò Varald fissandolo inebetito «Niente balle, vuoi solo venderci in cambio della grazia!»
Siadon sorrise amaro «Per quelli come me non esiste alcuna grazia, solo la tortura. Infinite torture per estorcere anche il dettaglio più insignificante, poi altre torture per ottenere tutte le confessioni che vogliono e solo allora, se sei fortunato, la morte.» lo fissò negli occhi lasciando trasparire tutta la sua determinazione «Non sono così pazzo. Noi tre torneremo ad Acarvende appena sarò sicuro di aver consegnato gli altri.»
«Acarvende! Ti rendi conto? E non dovrei crederti pazzo?»
«Dubito che raccontando il resto ti convincerei del contrario. Comunque, sei tu che non vuoi dirmi da chi altri potremmo andare.» rispose Siadon alzandosi, dopo aver fatto sdraiare la ragazza. «Credo che la cena sia pronta.»
Varald lo scrutò preoccupato. Era evidente che detestava essere costretto a seguire le sue decisioni.
«Nemmeno loro ti perdoneranno»
«Il perdono è l'ultima cosa che cerco» rispose Siadon con una scrollata di spalle, prima di dirigersi verso il fuoco.

Siadon tornò all'accampamento quando le prime luci dell'alba iniziavano a disperdere le nuvole che ancora incombevano su di loro.
«Dannazione! Dove sei stato?» gli chiese Varald senza preoccuparsi di tenere la voce bassa, svegliando così diversi uomini.
«Avevo bisogno di schiarirmi le idee» rispose allegro. Cercare quelle maledette radici di notte non era stato semplice, ma non poteva rivelare agli altri quella sua debolezza. Era stato fortunato, ne aveva trovate abbastanza da farsene anche una buona scorta, ora aveva davvero le idee chiare.
«Signori, sveglia!» gridò Siadon prima che Varald potesse replicare «E' tempo di trovare un tetto, vesti asciutte, vino, donne e qualsiasi altra comodità che un villaggio possa offrire a uomini liberi come noi!»
Forse non tutti, ma di certo la maggior parte dei suoi compagni erano dei criminali. Il fatto di non avere del denaro con loro non sarebbe stato un grosso ostacolo.
La conferma furono le urla entusiaste, accompagnate da vigorose pacche sulle spalle, che ricevette in risposta a quell'annuncio.
Varald scosse la testa contrariato, aiutando la ragazza ad alzarsi e preoccupandosi addirittura di chiederle come stava. Non era un buon segno, si sentiva un suo burattino e in lei vedeva qualcuno nella sua stessa situazione. Dovevano tornare al più presto dai Ribelli, lì si sarebbe sentito più libero e Siadon non avrebbe corso il rischio di trovarsi accoltellato nel sonno. Almeno non da lui.
La promessa di un posto caldo e accogliente diede a tutti la spinta necessaria a partire velocemente, il sole non era ancora sorto quando il gruppo lasciò la caverna per dirigersi verso quello che Siadon sapeva essere il Sud. Non aveva mentito, stavano davvero andando verso un villaggio.
Un villaggio trasformato in accampamento di Figli della Luce, ma pur sempre un villaggio. Pensò allegro, valutando che di quel passo sarebbero bastate poche ore di cammino.
La sua felicità però non durò a lungo. Erano più o meno a metà del viaggio, la forseta stava lasciando spazio a radure sempre più ampie ed a praterie. Erano sul fondo di un'ampio avvallamento, al riparo di alcune vecchie querce, quando percepì incanalare una gran quantità di Potere, oltre la bassa collina che bloccava la loro visuale.
«Fermi. Non incanalate e state al riparo.»
Poco dopo un corno lanciò un segnale che conosceva bene: cavalleria dei Figli della Luce all'attacco. I Manti Bianchi stavano caricando un gruppo di Incanalatori, non c'erano dubbi.
Dannazione, mai una volta che fili tutto liscio!
Erano al riparo, la battaglia si stava svolgendo oltre la collina, se avessero continuato per la loro strada nessuno li avrebbe notati. Però c'era molto Potere in gioco e lui poteva percepirne solo la parte maschile. Chi erano quegli Incanalatori? Possibile che i Ribelli li avessero trovati tanto facilmente? E se avessero sconfitto i Figli, avrebbero potuto seguirli fino al villaggio e a quel punto il suo piano sarebbe andato in fumo. Doveva farsi un'idea più precisa.
Si voltò verso Varald, voleva ordinare a tutti gli altri di rimanere nascosti mentre loro avrebbero risalito la collina per studiare la situazione. Aprì la bocca ma improvvisamente gli mancò il fiato. Si strinse l'addome, convinto di non trovare altro che poltiglia da quanto doleva. L'attimo dopo si stava contorcendo a terra, incapace di sputare il fango e le foglie che gli entravano in bocca. Avrebbe voluto urlare come mai in vita sua ma non riusciva nemmeno a respirare. I polmoni si erano trasformati in due fornaci e gli occhi sembravano volergli schizzare fuori dalle orbite, tanto era contratto ogni suo nervo. Lontano, da qualche parte, delle voci lo stavano chiamando ma l'unica cosa reale, in quel momento, era il dolore.
Thea... Thea! THEAAAA!!



Davrath

C’era qualcosa di stranamente appagante nello svegliarsi con il sole già alto. Mentre si alzava pigramente dal letto, Davrath assaporava il piacere, nuovo per lui, che derivava dalla consapevolezza di non essere atteso, né in ritardo per i compiti quotidiani, e di godere della massima libertà nell’organizzare la propria giornata. La camera profumava di essenze primaverili: qualcuno aveva portato una catino d’acqua tiepida in cui erano immersi fiori ed erbe aromatiche. Davrath provò d’istinto un senso di vergogna per non essersi svegliato al rumore di un estraneo che entrava nella stanza: ad Adendath non sarebbe mai successo. Se uno degli allievi veniva sorpreso a dormire oltre la veglia, i suoi compagni venivano lasciati liberi di svegliarlo in qualsiasi maniera volessero, e i ragazzi avevano una fantasia infinita. Ora però era diverso: nessuno lo avrebbe criticato per avere oziato, anzi nessuno sarebbe venuto a disturbarlo per tutta la giornata, a meno che non fosse lui a desiderare qualcosa. Represse quindi la vergogna e si impose invece di godere delle piccole piacevolezze che non aveva mai conosciuto durante la sua vita da recluta dei Figli della Luce.
Indossò quindi le sue soffici pantofole e andò a sedersi allo scrittoio, posto di fronte all’ampia finestra ad arcate, dove i suoi servitori invisibili avevano lasciato un portavivande di terracotta. I domestici del Palazzo dovevano essere i più discreti del mondo: Davrath non era mai riuscito a fermare uno per parlarci. Unica eccezione era la ragazza muta che appariva quasi magicamente ogni volta che Davrath desiderava qualcosa; come facesse ad essere sempre presente senza farsi vedere rimaneva un mistero. Era stato Dazar a spiegargli che la fanciulla non era dotata della parola, dopo che Davrath in più di un’occasione le aveva rivolto delle domande sul Palazzo, sulla città e sui Ribelli; domande che, per una ragione o per un’altra, non avrebbe invece rivolto all’uomo del quale in principio aveva diffidato. 
E’ naturale che non mi fidassi di lui, si disse il ragazzo giustificandosi mentre sollevava il coperchio del contenitore e assaporava la fragranza del pane fresco. Per lui i Ribelli erano sempre stati i suoi nemici e Dazar avrebbe capito se non mostrava completo affidamento sulla sua parola. 
Inoltre, se il trattamento che gli era stato riservato in seguito aveva sicuramente rassicurato Davrath, le circostanze in cui era stato condotto al Palazzo gli avevano fatto inizialmente presagire una brutta sorte.
Il giorno in cui era stato prelevato le guardie erano giunte all’accampamento un paio d’ore prima dell’alba. Davrath si ricordava di avere assistito al confronto tra i guerrieri del gruppo che lo scortava, tutti ragazzi poco più anziani di lui, e i soldati della guardia cittadina, che al confronto sembravano veterani. Alla fine
nessuno aveva messo mano alle armi, anche se la discussione che si era accesa aveva fatto pensare al peggio. Davrath aveva intuito subito di essere al centro della disputa e che si stava decidendo della sua sorte. L’assenza di Morgan, l’unico del gruppo che pareva avere un grado rilevante nella gerarchia di questo popolo, aveva senza dubbio pesato sul successo delle guardie, che avevano infine preso Davrath in consegna. Durante il tragitto fino al Palazzo, Davrath era stato bendato per cui non conosceva nulla dell’ubicazione della città in cui si trovava. Aveva poi trascorso i cinque giorni seguenti negli sfarzosi alloggi che Dazar gli aveva generosamente offerto. Il senso di pericolo si era progressivamente ridimensionato man mano che il vecchio gli aveva illustrato la situazione, anche se Davrath non dubitava, nonostante gli agi e le comodità che gli venivano concessi, di essere pur sempre un prigioniero.
La colazione consisteva in alcune croccanti fette di pane tostato e imburrato accompagnate da una confettura di frutta che Davrath non riuscì a riconoscere. Il ragazzo ignorò il coltello da burro preparato accanto al paniere e chiuse gli occhi, concentrandosi. Gli bastò un attimo per trovare la Fonte, anch’essa silenziosa ma onnipresente come la servitrice muta. Riaprendo gli occhi, si concentrò sulla marmellata, poi sul pane: una fetta dopo l’altra furono ricoperte da uno strato rosso e gelatinoso.Davrath osservò la copertura di marmellata: non proprio uniforme... posso fare meglio.
La libertà di incanalare a piacere era la cosa più sorprendente di questa sua prigionia: non solo non gli venivano imposti limiti, ma Dazar lo aveva addirittura incoraggiato ad usare il Potere! Era bastato poco per convincere il ragazzo a cedere al richiamo della Fonte. Da quando aveva accidentalmente incanalato, quel disgraziato giorno in cui era stato scoperto, Davrath era stato costantemente tormentato dal desiderio di abbracciare di nuovo quel meraviglioso flusso d’energia che lo faceva sentire onnipotente. Mentre consumava tranquillamente la sua colazione, il ricordo di quei brevi attimi in cui la sua esistenza era cambiata per sempre riapparve alle soglie della sua mente; non si oppose, naturalmente: era solo un triste evento del passato, che ora non poteva più nuocergli.
Quel giorno – quant’era passato? Una settimana? Due? Aveva ormai perso il conto del tempo trascorso... 

...era un giorno come un altro, in cui al duro allenamento mattutino era seguita una battuta di caccia con suo padre, niente di meno che il Comandante dell’esercito dei Figli della Luce di Adendath.
Era un uomo duro e con un elevato senso del dovere, e aveva allevato Davrath alla stessa rigida maniera con cui si istruisce un soldato. Andare a caccia per lui non era una distrazione dalla vita militare, un modo per trascorrere più tempo col figlio, no per lui era un altro allenamento, un altro modo per permettere a Davrath di mostrare le sue qualità. Quel giorno, iniziato come tanti altri, sarebbe finito nel peggiore dei modi, e il ragazzo avrebbe mostrato a suo padre non già le qualità tanto cercate, ma forse il lato più oscuro che un soldato della Confederazione non vorrebbe mai vedere, soprattutto in un figlio.
Era un pensiero che Davrath aveva condiviso per tutta la sua giovane vita, era stato addestrato per combattere l’Ombra, il tetro dono del Potere che poteva insinuarsi in qualunque momento e in chiunque, e non biasimava suo padre per la sua indissolubile tenacia a voler fare di lui un soldato perfetto: era anche il desiderio di Davrath… fino a quel giorno.
Erano arrivati al limitare di un radura nel bel mezzo del piccolo boschetto che si estendeva oltre l’accampamento. Suo padre era profondamente concentrato e Davrath ricordò di sentirsi stranamente inquieto, spaventato ma anche eccitato. Non sapeva ancora cosa stesse accadendo in lui, ovviamente, ma forse in qualche modo il suo corpo lo aveva già avvertito e stava cercando di dargli dei segnali? Difficile dirlo, senz’altro in quel momento tutta la sua concentrazione era volta all’unico scopo di braccare e uccidere un cervo prima che lo facesse suo padre.
L’animale si trovava di fronte a loro, all’estremità opposta della radura, ignaro del pericolo così come lo era Davrath, mentre si preparava a scoccare la freccia che avrebbe cambiato per sempre la sua vita.
Un fruscio alla sua destra lo costrinse a spostare lo sguardo verso la fonte del rumore: qualcosa si muoveva oltre gli alberi, e quando Davrath si voltò di nuovo verso la sua preda si accorse che questa era già scappata, probabilmente allertata dallo stesso suono. 
Suo padre, ovviamente, non si era lasciato cogliere di sorpresa: aveva capito prima di Davrath che cosa era accaduto, ed era pronto a prepararsi ad affrontare qualunque cosa fosse uscita da quegli alberi.
Fece un cenno al figlio, indicandogli di spostarsi lungo il bordo della radura per aggirare il pericolo imminente, mentre lui sarebbe rimasto ad attendere che l’animale gli si parasse di fronte.
Davrath ebbe appena il tempo di posizionarsi quando un grosso lupo uscì dal suo nascondiglio per avventarsi dritto su suo padre. L’uomo non esitò, scoccò la freccia nell’attimo stesso in cui vide il muso dell’animale emergere dagli alberi, ma nonostante il colpo fosse andato a segno non riuscì a fermare la corsa frenetica del lupo. Davrath vide suo padre estrarre allora la spada e prepararsi a un corpo a corpo ma il ragazzo non gliene diede il tempo: agendo d’istinto aveva scagliato la sua di freccia, che si conficcò nel cranio dell’animale facendolo stramazzare al suolo a pochi passi da suo padre. Davrath trasse un sospiro di sollievo, ma quando si avvicinò all’uomo per sincerarsi delle sue condizioni lo trovò che guardava impallidito la minaccia appena abbattuta, senza avvedersi immediatamente della presenza del figlio. Allora guardò nella sua stessa direzione e un senso di panico ma misto a una forte eccitazione lo colse: una punta di freccia emergeva dalla fronte, perfettamente a metà strada tra quelli che un tempo erano stati gli occhi, lasciando il resto a sciogliersi insieme a quello che doveva essere il cervello. Del vapore esalava da quella massa informe e un lieve sfrigolio di carne bruciata dava l’impressione che la testa dell’animale avesse preso fuoco. 
Ma non c’erano fiamme. 
La punta della freccia cadde al suolo, liberata da tendini e muscoli ormai sciolti, e Davrath allungò una mano per toccarla. 
Fu allora che suo padre si riprese.
«Che cosa hai fatto?» gli chiese in un flebile sussurro.
Davrath non disse nulla, sapeva con certezza di essere stato lui la causa e discolparsi non sarebbe servito a nulla.
Ma non aveva idea di come aveva fatto e anche sapendolo non sarebbe comunque servito a nulla…
In quel preciso istante seppe che la sua vita di soldato della Confederazione era finita. Le sue vesti bianche di Figlio della Luce sarebbero state tolte per sempre, e al loro posto sarebbero venute quelle di un fuggitivo, un fuggitivo servo dell’Ombra.
«Che cosa hai fatto?» incalzò suo padre alzando la voce. 
Davrath si scosse dal torpore per vedere suo padre minacciarlo con la spada sguainata, il pallore di poco prima sostituito con il rosso di una rabbia furente.
Lo guardò negli occhi per un istante, ben consapevole che quello sarebbe stato il loro ultimo sguardo.
«Perdonami,» mormorò tra le lacrime, e poi corse come non aveva mai fatto prima, lasciandosi indietro le urla di suo padre che già chiamavano aiuto per cominciare una caccia all’uomo che sarebbe finita solo con la sua morte.

Davrath tornò con la mente al presente, a quella nuova vita a cui si era sorprendentemente adattato in modo così naturale. Il repentino cambiamento in lui talvolta lo sconcertava, quasi intimorendolo, ma era quello il segreto della sopravvivenza: i più forti andavano avanti, e i più forti erano coloro che si sapevano adattare.
Non era ancora del tutto a suo agio in quelle sue nuove vesti, ancora il pensiero di suo padre faceva capolino nella sua mente, ma era poco più di un prurito, e il mondo della Confederazione e i Figli della Luce stava via via sbiadendo dai suoi ricordi per fare spazio a quello che era ormai il suo futuro.
Si lavò e indossò abiti puliti, poi scese nel cortile. Il giardino era piuttosto ampio e la vegetazione era folta, benché disposta in modo ordinato, per cui Davrath poteva facilmente fingere a se stesso di trovarsi all’esterno, piuttosto che confinato in un quartiere privato di un palazzo. In quella primavera benedetta dalla Luce Davrath non avrebbe potuto trascorrere un minuto più del necessario al chiuso, per cui aveva richiesto che alcuni mobili e comodità fossero spostati nel cortile, in modo da passarvi il maggior tempo possibile. 
Quel giorno si sentiva pienamente vigoroso e in forma, per cui sganciò il fodero che era appeso ad una delle pareti e ne estrasse una spada da esercitazione. Mentre ripassava alcune forme, gli tornarono in mente i movimenti innaturalmente fluidi e rapidi con cui Morgan si era destreggiato sul campo di battaglia contro i Trolloc. 
Darei il mio braccio destro per sapere come faceva!
Quel giorno, mentre il guerriero Ribelle volteggiava nella sua danza mortale, Davrath aveva visto i flussi di Potere creare delle scie intorno a lui, come i nastri colorati usati dalle danzatrici. Le tessiture, però, venivano create e scomparivano così velocemente che non era riuscito a capirne il funzionamento. Ora il ragazzo avrebbe potuto chiedere informazioni a riguardo a Dazar, ma temeva di innervosire il vecchio pressandolo con troppe domande. Ad un tratto, mentre affinava la coordinazione degli arti nell’esecuzione di La quercia scuote i suoi rami, decise di fare un tentativo improvvisato; attinse quindi un minimo frammento di Potere dalla Fonte, che non aveva mai rilasciato, e intessé come meglio poteva dei flussi d’Aria in modo che sospingessero il proprio braccio destro in un affondo eccezionalmente veloce.
La tessitura funzionò, anzi, la sua spinta si rivelò talmente potente che Davrath temette per un istante che gli venisse staccato il braccio dal tronco. Travolto da quell’artificiosa corrente d’aria, il ragazzo perse l’equilibrio e finì lungo disteso nell’erba. Mentre si risollevava rabbiosamente da terra, si sentì improvvisamente osservato. Pregando che si trattasse solo della ragazza muta, si voltò di scatto verso il porticato alle sue spalle, la lama nuovamente in resta. Invece, con suo grande sconcerto, Davrath mise a fuoco i lineamenti del vecchio Dazar. 
Perfetto, si disse sarcastico, gran bella figura! La sua considerazione nei miei confronti sarà senz’altro aumentata vedendomi capitombolare come un idiota nel goffo tentativo di imitare una tecnica di combattimento che sicuramente è antica quanto esclusiva.
L’attempato gerarca Ribelle uscì dal cono d’ombra della colonna dove si era piazzato per seguire le esercitazioni del suo ospite e avanzò verso quest’ultimo con la sua andatura calma e dignitosa. Il sorriso sul suo volto rugoso non pareva ironico o derisorio, anzi tradiva un certo compiacimento.
«Vedo che hai colto l’essenza della tecnica dei Neglentine. Molti si immaginano chissà quali segreti o tessiture complicate nascosti dietro a questo pretenzioso stile di combattimento... Niente affatto. Occorre molto banalmente manovrare gli elementi in armonia con le proprie membra, in modo da infondere forza e rapidità ai movimenti.».
«Chiedo scusa, non vi avevo visto arrivare.», disse Davrath esitante: non era ancora del tutto sicuro se il vecchio dicesse sul serio o se lo stesse prendendo in giro. «Voi praticate questa tecnica?».
Dazar rise sonoramente: «No, non la pratico. Le mie stanche membra non me lo permettono.».
Nonostante il suo aspetto fosse reso fragile dall’età, e sebbene la sua posizione di comando nel clan locale gli imponesse di mantenere un certo contegno, il Ribelle dava segno di avere una personalità forte e decisa. Il suo tono era sempre risoluto e quello che diceva non assumeva la forma di opinioni, ma di sentenze inconfutabili. 
La personalità giusta per un uomo di potere, riflettè Davrath. Anche suo padre aveva un carattere simile: Davrath non dubitava che egli avrebbe potuto ambire al grado di Capitano ed ottenere il comando dell’avamposto di Adendath. 
«E, se anche potessi, non mi cimenterei. E’ una perdita di tempo: una tecnica spettacolare quanto inutile!» aggiunse Dazar.
Davrath rimase interdetto: «Ma... l’ho vista mettere in pratica da Morgan mentre combattevamo i Trolloc... sembrava alquanto efficace.».
«Chi? Quel giovane soldato che ti ha trovato?», e fece un gesto seccato. «Lascialo perdere! Un rampollo della famiglia Neglentine a cui hanno affidato una missione solo perché ha qualche aggancio nel Consiglio del loro clan. E adesso, solo perché ha avuto la meglio su un branco di stupide bestie pelose, pensa di aver compiuto un’impresa e si dà un sacco d’arie. Ma ha fatto solo il suo dovere! Bah... Qualche altra pattuglia e imparerà a tenere i piedi per terra, credimi.».
L’Anziano prese Davrath per un braccio e lo accompagnò al centro del cortile: «Vedi quell’albero? Il salice? E’ morto lo scorso inverno, per il gelo.».
Mentre il ragazzo cercava di capire il nesso con la tecnica Neglentine, flussi di Potere comparvero brevemente attorno al tronco della pianta. Poi, con uno schianto secco, l’albero esplose scagliando tutto intorno frammenti di legno, corteccia e fronde.
«Avevo detto al giardiniere di abbatterlo... bah!», mormorò tra sé Dazar. «Beh, comunque... hai capito cosa intendo? Posso eliminare nemici con la stessa, ridicola semplicità, senza muovere un dito. E non uno solo, ma decine per volta.».
Davrath provò l’istinto di scostarsi dal vecchio, dal cui corpo percepiva irradiarsi una straordinaria misura di Potere, ma si costrinse a rimanere al suo fianco, dandosi del codardo. 
E’ vero: possediamo un’arma micidiale, imbattibile, pensò. Ma può essere considerata onorevole?
Il vecchio ora lo stava fissando, studiando la sua reazione; Davrath non ebbe il coraggio di confessargli il suo dubbio, ma l’altro sembrò comunque leggergli nel pensiero: «Troppo facile per te, Davrath? Preferisci sporcarti le mani? Guardami: sono gobbo e claudicante. Eppure, da solo, potrei tenere a bada un assalto nemico alla città: potrei dare il tempo ai nostri soldati di organizzare le difese, o di mettere in salvo la gente... In guerra non esiste il rispetto per il nemico: se sai di essere più forte, schiaccialo!» e accompagnò l’espressione battendo le mani tra loro.
«Non ascoltare quelli come il giovane Neglentine, Davrath.», aggiunse dirigendosi di nuovo verso il porticato. «Onore, nobiltà, dignità: sono belle parole, ma non hanno sostanza. Quel genere di individui cercherà sempre di confonderti con questi concetti fumosi. E sai perchè? Perchè ti temono, hanno paura di te. Quel Neglentine, ti ha forse detto di essere un Ribelle? Ha forse ammesso di fronte a te di essere il tuo nemico?».
No, mi ha mentito. Mi ha fatto credere che il suo contingente fosse un piccolo gruppo di incanalatori in fuga. Mi ha condotto qui dicendo che questo era il loro villaggio. 
«Per non parlare delle sue stranezze... Hai notato il colore dei suoi occhi?», soggiunse Dazar con un bisbiglio all’orecchio di Davrath.
Mentre, invitato dal vecchio, si accomodava al tavolinetto di marmo sotto al porticato, Davrath ripensò a qualcosa che Morgan gli aveva detto durante il viaggio. «Morgan mi voleva fare credere che io avessi una capacità particolare per fare avvenire cose inconsapevolmente. O qualcosa del genere... non fu molto preciso. Usò un termine strano: Ta'veren.»
«Una parola dall’origine antica, il significato dimenticato dai più», mormorò pensieroso l’Anziano. «Una parola che i giovani ignoranti come quel Neglentine non dovrebbero usare a vanvera, senza nemmeno conoscerne l’importanza... Ma, per fortuna, noi Ribelli non siamo tutti così.» Dazar sorrise allargando le braccia in un gesto di discolpa. «Anzi, per scusarmi del cattivo trattamento iniziale, ho una proposta per te.» Il vecchio chiamò la servitrice muta con uno schiocco delle dita e richiese che venisse portato loro qualcosa di fresco da bere.
Una volta che fu loro servita una bevanda rinfrescata in ghiaccio, Dazar cominciò a spiegargli quale fossero le circostanze presenti in cui si trovava il popolo dei Ribelli, un insieme frammentario e disorganizzato di comunità più o meno numerose, disseminate nel lungo arco formato dalla catena delle Montagne della Nebbia. Più di ogni altra cosa quel giorno, Davrath fu colpito da questa candida e fiduciosa apertura da parte del vecchio Ribelle, che sembrava improvvisamente dimentico di parlare ad un Figlio della Luce, nemico atavico della sua gente. Il ragazzo venne quindi a sapere i nomi delle varie Città della Notte, nonché dei clan che le abitavano, le loro principali occupazioni e le loro caratteristice peculiari.
Quando Dazar s’interruppe, invitandolo con un gesto ad esprimersi, Davrath dovette ammettere in tutta onestà: «Queste sono informazioni preziose. Qualunque dei miei ex superiori all’avamposto pagherebbe il proprio peso in oro per venirne in possesso!».
Ridacchiando, il vecchio rispose: «Beh allora spero che gli ufficiali di Adendath siano ben pasciuti!» Poi ritornando serio: «No, francamente a questo punto non temo un tuo voltafaccia, Davrath. I Figli della Luce non comprerebbero mai informazioni da un Incanalatore, nemmeno se queste notizie potessero portarli dritti dritti su di noi – cosa di cui peraltro dubito molto. Inoltre credo che tu sia un ragazzo intelligente e non penso che baratteresti un trattamento come quello che ti riserviamo qui per una cella di Cab’inde, senza contare tutto quello che potresti imparare da noi...»
Lo sguardo che gli rivolse il vecchio era così innocente e onesto che Davrath si sentì in colpa.
Non era quello che intendevo, pensò, cercando di pensare a qualcos’altro su cui indirizzare il discorso. «Chiedo scusa, ma mi sembra che abbiate menzionato una proposta che dovevate farmi?»
«Mmm... sì, ci stavo arrivando infatti.», disse Dazar sorseggiando la bibita ghiacciata. «Ecco, la ragione stessa per cui ti ho parlato dei clan, è che mi piacerebbe accoglierti tra noi, non più come prigioniero, ma come Ribelle, con tutti i diritti di ogni altro membro dei clan.»
Davrath rimase a bocca aperta, senza sapere cosa ribattere. Il vecchio quindi proseguì, con un tono pacato e ordinario che suonò in contrasto con le sue parole impreviste quanto sorprendenti: «Non mi fraintendere, non ho il potere di prendere da solo una decisione senza precedenti come questa. Tutto quanto ti sto dicendo dovrebbe passare poi al vaglio del Consiglio degli Anziani. Tuttavia, penso che ci siano buone possibilità di convincere gli Anziani degli altri clan, posto che riusciamo a mostrare loro il vantaggio di avere qualità indubbie come le tue dalla nostra parte.»
Finalmente, riprendendosi dalla sorpresa iniziale, Davrath risucì a formulare una domanda: «Fare di me un Ribelle? Ma... cosa esattamente trovate in me che possa valere una scelta simile?»
«Oh, più di quanto immagini, ragazzo,» rispose l’attempato Ribelle con un sorriso misterioso. «La tua abilità con il Potere, per cominciare. Tu probabilmente pensi che un novellino come quel rampollo dei Neglentine sia più forte di te. Niente affatto. Il tuo potenziale è enormemente maggiore del suo, per non dire di gran parte della popolazione Ribelle che detiene il Dono. Devi solo apprendere come sfruttarlo, poi sarai stimato e rispettato tra noi come solo pochi lo sono. E, credimi, sotto la mia guida imparerai in fretta.»
Davrath si distese contro lo schienale del canapè e prese un sorso dal proprio calice. Era una bevanda chiara, leggermente alcoolica, il cui aroma ricordava la lavanda. Non eccezionale, ma forse lo avrebbe aiutato a rinfrescargli le idee. Se da un lato, la magnaminità dell’offerta lo aveva positivamente stupito, dall’altro non era sicuro di essere davvero riuscito a cancellare del tutto il suo passato all’avamposto senza provare un minimo di vergogna al ricordo dei compagni caduti proprio per mano ribelle, e senza provare un minimo di rimorso per la causa che tradiva.
«Non so se...» iniziò in tono di scusa.
«Aspetta, non essere precipitoso.», lo invitò Dazar con un gesto della mano, «So bene a cosa stai pensando. Ma non temere, non ti sto chiedendo di diventare un traditore. Lascia però che ti racconti un paio di cose riguardo alla benemerita Confederazione...»
E così il vecchio iniziò una lunga tirata il cui scopo non troppo velato era quello di screditare il governo di Daishar Deyenieye, riportando a titolo di esempi alcuni fatti di ingiustizia e corruzione da parte dei Figli della Luce, dei quali i Ribelli erano chissà come venuti a conoscenza. Nessuna di quelle notizie riuscì a catturare davvero l’attenzione di Davrath: anche ad Adendath erano girate, a volte, voci che volevano alti ufficiali, giù nelle città, invischiati in faccende immorali o addirittura criminali, ma per lo più erano storie troppo grosse per essere vere; Davrath non era più un bambino: sapeva riconoscere le notizie gonfiate da quelle verosimili. Certo, non poteva nascondere che anche lui, come tutti i suoi ex-compagni degli avamposti di montagna, nutriva un’innata diffidenza per i colleghi delle grandi città, un sentimento che di tanto in tanto sfociava in vero e proprio disprezzo per quei Figli che non avevano mai provato cosa voleva dire vivere in un piccolo distaccamento isolato nelle Montagne della Nebbia, lontano dalle seducenti comodità e ricchezze della pianura. Ma, in fondo, se anche i fatti di malgoverno si fossero rivelati veri, la causa della Confederazione non ne sarebbe uscita minimamente sminuita.
Il ragazzo ascoltò pazientemente per un tratto, poi approfittò di una pausa del vecchio per interrompere il suo monologo: «Mi dispiace togliervi la parola, Anziano Dazar, ma devo avvertirvi: queste notizie non mi colpiscono più di quanto il fuoco bruci l’acqua.».
Davrath non sapeva come gli fosse venuto il paragone, ma vide che il suo intervento deciso aveva impressionato il suo interlocutore, che accettò l’interruzione con un gesto pacificatore ed un sorriso. Pensò quindi che fosse una buona idea proseguire in chiave metaforica: «Vedete... in ogni cesto di mele ce n’è qualcuna marcia, l’importante è assicurarsi di togliere i frutti cattivi dal cesto, in modo che non facciano marcire il resto. Alle mele marce ci pensano gli Inquisitori: tutti hanno la massima fiducia nella loro giustizia. Gli errori di pochi individui non possono compromettere l’immagine della Confederazione! Come potete ignorare la pace e la prosperità che essa ha portato in gran parte del continente?».
Forse si era fatto prendere un po’ dall’entusiasmo, ma vide che comunque Dazar non sembrava contrariato, anzi il suo sorriso si stava allargando.
«Ah! Bene, bene. Vedo che nonostante la giovane età hai già le idee chiare. Credimi, però, se ti dico che ci sono tante cose che non conosci... Esperienze del vasto mondo che, a causa del tuo confinamento in un avamposto isolato, non hai potuto fare. Ti assicuro che so di cosa parlo quando ti dico che la corruzione si diffonde tra i potenti molto più velocemente che il marciume tra le mele!»
E, a quel punto, il buonumore del vecchio sfociò in una risata, che per qualche motivo mandò un brivido su per la schiena di Davrath.
«Quanto agli Inquisitori, sinceramente...» proseguì Dazar tornando serio «...non credo proprio che tu li abbia mai visti in azione, eh figliolo? No, altrimenti sapresti come viene applicata la “giustizia della Luce”. Ma, dimmi: esattamente in che modo, secondo te, la Confederazione garantisce la pace alla propria gente?»
«Ecco, beh... è il compito dei Figli difendere la gente dalle minacce esterne, come i Tiranni, i Ribelli, ma anche mantenere l’ordine nelle città, catturare i comuni malviventi, e anche... anche le persone...».
«... macchiate dal Potere? E’ questa la definizione che stavi cercando?» intervenne Dazar con veemente sarcasmo. Seguì un lungo silenzio durante il quale il ragazzo abbassò lo sguardo, improvvisamente conscio di essere stato attirato in una trappola verbale; era consapevole del sorriso soddisfatto che l’Anziano del clan Faine gli stava rivolgendo, ma non aveva il coraggio di affrontare la propria sconfitta guardando l’altro negli occhi.
«Ragazzo, non è colpa tua se ti senti confuso.», il tono del vecchio era ora gentile e confortante. «Hai avuto solo pochi giorni per adattarti a questa nuova realtà. Hai già accettato il fatto che il Potere è tutt’altro che una contaminazione deprecabile e sono sicuro che col tempo arriverai anche ad accettare che la Confederazione non è una terra di pace e prosperità, ma piuttosto un fragile compromesso stipulato tra una minoranza benestante e un’oligarchia militare.»
Forse non ha tutti i torti... pensò dubbioso Davrath.
«Ti renderai conto che la tanto vantata potenza dei Figli è puramente aleatoria,» proseguì l'uomo senza notare l'espressione pensosa del ragazzo.
«Pensi veramente, dopo aver visto in azione le creature dell’Ombra, che i Figli potrebbero difendere le loro città da un attacco in forze di Trolloc e Myrdraal? Quando parlo di “attacco in forze” non penso al centinaio di bestie che ti hanno sorpreso durante la fuga, ma parlo di decine di migliaia. Centinaia di migliaia! Sì, figliolo, è questa la minaccia che dovremo probabilmente affrontare. Peccato che i valorosi Capitani Comandanti laggiù nella gloriosa Daishar Deyenieye non ne sospettino nemmeno l’esistenza, e che l’invincibile esercito dei Figli della Luce non sia minimamente preparato ad un simile confronto.»
Centinaia di migliaia? Il ragazzo alzò lo sguardo sconcertato a quella rivelazione. Forse Dazar stava solo tentando di impressionarlo - e se così era ci era pienamente riuscito - ma che bisogno aveva di farlo? Che diventasse un Ribelli a tutti gli effetti o rimanesse soltanto un loro "ospite", non cambiava il fatto che comunque quell'orda di creature dell'Ombra, piccola o grande che fosse, andava combattuta, e per farlo non avrebbe potuto schierarsi dalla parte dei Figli della Luce, non più oramai. Per cui che senso aveva ingigantire gli eventi?
No, Dazar gli stava solo narrando dei fatti, che gli piacessero o meno, e non importava che lui fosse una semplice recluta o un comandante: a differenza della Confederazione, qui la verità veniva condivisa con tutti i soldati.
Forse non se ne era ancora reso conto, ma quell'offerta così precipitosamente giudicata errata si fece strada nella sua mente con crescente forza, e alla fine della giornata era già entrata prepotentemente nei suoi pensieri come se fosse sempre stata sua.



continua...



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