The grass will grow back

di violetsugarplum
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The grass will grow back ***
Capitolo 2: *** The dawn of all ***
Capitolo 3: *** I think Heaven will be like a first kiss ***
Capitolo 4: *** Live one day at a time... ***
Capitolo 5: *** ...make it a masterpiece ***



Capitolo 1
*** The grass will grow back ***









 

"Put the swing where the children want it.
The grass will grow back"


- Proverbio Amish







 

Capitolo I
The grass will grow back


Blaine fu felice di scendere dall'autobus dopo un viaggio che, a suo avviso, era durato troppo e non era stato per niente confortevole, con tutti quei rumori e odori forti che gli avevano fatto venire una spiacevole nausea, senza contare la pesante sensazione di essere squadrato dall'alto in basso dagli altri passeggeri.

Era la prima volta che lasciava l'Ohio. O meglio, era la prima volta che lasciava la piccola Westerville, il luogo in cui era nato e vissuto per venti anni, per andare in una città che non fosse la vicina Middlefield per sbrigare alcune commissioni.

Per quanto si sforzasse, ricordò di non aver mai espresso il desiderio di allontanarsi dai campi coltivati che circondavano la sua abitazione perché, in fondo, svegliarsi ogni mattina con il verde brillante dell'erba ancora bagnata dalla rugiada era una delle cose più belle che gli era mai potuto capitare. E il pesante libro rilegato in pelle nera, che ogni giorno, seduto sotto al pergolato, sfogliava con affezione e rispondeva sempre in maniera impeccabile ed esaustiva alle questioni che a volte annebbiavano la sua mente, gli ricordava che la felicità stava proprio nelle cose piccole e nella capacità di soddisfarle rispettando il prossimo senza perdersi nell'arroganza e nella superbia .

Ma quando il volume non riuscì a dar risposta alla questione 'perché, invece di pianificare il matrimonio con Mary, mi piacerebbe poter stringere la mano di Jeremiah, il figlio del pastore, così grande, forte e callosa nella mia?', capì che c'era un problema. Ed era lui stesso.

Rapidamente aveva iniziato a crescere una nuova sensazione dentro di lui: la curiosità di scoprire se c'era qualcosa come lui e, perché no, adatto a lui al di là dei silo pieni di granoturco, lontano dallo sguardo del nonno. Si era sempre sentito incompleto, come se fosse tagliato a metà, proprio come l'erba dopo essere stata appena lacerata dalle lame della falce. Non aveva osato parlarne con nessuno, nemmeno uno dei suoi fratelli o amici, se non con Kurt, da anni quello più caro di cui si fidava ciecamente. Ma Kurt, essendo un cavallo da traino, non aveva mai potuto replicare.

L'opportunità di cambiare si presentò un mattino di pioggia in cui l'acqua cadeva rumorosa giù dalla grondaia piena di foglie e i lavori erano stati momentaneamente sospesi. Doveva essere sincero, ci pensava da tanto, mesi ormai, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirlo alla famiglia, dato che ancora ricordava sua madre piangere -un'azione che nessuno, mai nessuno, avrebbe dovuto vedere- a causa di quella ferita ancora aperta. Nemmeno per sbaglio, il nome di suo fratello Cooper era più uscito dalle labbra dei suoi parenti dopo il suo allontanamento.

Aveva appoggiato con misurata cura la zappa contro il legno spesso del capanno degli attrezzi, si era avvicinato lentamente al nonno, intento a molare la lama di un coltello, gli aveva spiegato che non si sentiva più benvenuto nel posto che chiamava 'casa' e, se si fosse sbagliato, sarebbe tornato. L'uomo non disse niente, consapevole di non poterlo fermare; si premurò solo di prendergli la consunta valigia di cartone dalla mansarda e infilargli nel taschino della camicia un biglietto da cento dollari, probabilmente prelevato dalle casse della comunità, e un biglietto di andata e ritorno.

Blaine era un Amish ed era appena arrivato a Los Angeles.

*

Rivedere Cooper dopo così tanti anni era stato meraviglioso e, anche se non era solito mostrare le sue emozioni, una lacrima quasi era riuscita a scappare dalla trappola delle sue lunghe ciglia.

Si sorprese quando il fratello lo strinse forte a sé in un abbraccio e il gesto gli fece volare via il cappello dalla nuca. L'ultima volta che l'aveva visto era ancora un bambino troppo piccolo per sapere il significato della parola 'bandito' ma abbastanza grande da capire che non avrebbe più abitato a casa con loro.

Cooper era tanto diverso da Blaine. Innanzitutto era altissimo, pieno di muscoli -messi in risalto da strategiche maglie aderenti- e aveva due enormi occhi azzurri, proprio come i loro avi della Germania, mentre Blaine... Beh, era Blaine. Più di una volta si era chiesto se fosse stato adottato perché nessun altro in famiglia aveva una cascata scomposta di riccioli scuri sulla testa ed era alto come un soldo di cacio. E, dopotutto, forse Dio aveva una ironia tutta sua se aveva trovato divertente metterlo in una famiglia di Amish.

Suo fratello, dopo interminabili lotte contro il nonno, era stato mandato via dalla comunità per inseguire il sogno di diventare qualcuno di importante e a Blaine ci volle qualche minuto prima di comprendere che non aveva salvato vite umane né era diventato un politico, ma vendeva materassi e pentole sul trentesimo canale della tv. Ma, se era un lavoro onesto, non c'era niente di malvagio.

Viveva in un appartamento nella periferia losangelina sopra una rosticceria a forni accesi ventiquattro ore su ventiquattro. “Non fare quella faccia”, gli aveva detto notando la sua smorfia leggermente disgustata. “Prima o poi ti abituerai all'odore di pollo allo spiedo.”

Nonostante questo, Blaine non poteva dire di aver nostalgia di casa perché c'erano così tante cose che non aveva mai visto prima. E questo già solo nell'alloggio di suo fratello. Ad esempio, non solo aveva l'elettricità, ma aveva addirittura l'acqua corrente e sempre calda! Non gli mancava proprio tirare su il secchio d'acqua ghiacciata del pozzo, soprattutto di prima mattina.
 

*

Pochi giorni dopo il suo arrivo, in cui aveva avuto solo tempo di disfare la valigia contenente quei pochi abiti poiché troppo preso a smanettare con quella scatola di colore nero che suo fratello aveva detto di chiamarsi 'X-Box', Cooper lo trascinò in un centro commerciale così pieno di negozi con le loro luci e musiche a volumi folli da fargli girare la testa. Era giunto il momento di fare il primo passo per integrarsi nella nuova cultura: togliersi quegli abiti consunti e trovare qualcosa di nuovo, qualcosa di 'inglese'.

La sua prima esperienza di shopping non era stata così entusiasmante come gli era stato promesso, ma almeno aveva smesso di indossare una camicia bianca ormai sformata e pantaloni che riusciva a tener su per miracolo con le bretelle e che tutti non avevano smesso di fissare, accompagnati da risatine, da quando era entrato nell'edificio. Aveva comprato, sotto l'attenta supervisione di Cooper, qualche paio di pantaloni dai colori sgargianti e, forse, perfino eccessivi, magliette scure e alcuni cardigan. Ma l'acquisto di cui andava più orgoglioso era un papillon. Non gli era mai stato concesso di indossare accessori -se non il pesante cappello di feltro per ripararsi dal sole durante il lavoro nei campi- e avere tra le mani quel piccolo fiocco di stoffa, comprato per piacere personale, per Blaine significava tanto. Era di un materiale lucido e morbido, grigio come l'asfalto su cui ogni giorno vedeva sfrecciare da lontano automobili che avrebbe tanto desiderato guidare, e sapeva di libertà. Continuò a girarselo tra le dita per parecchi minuti, sorridendo tra sé e sé e ignorando il fratello che lo incitava a provare una giacca di pelle.

Blaine poteva dire di starsi divertendo per la prima volta nella sua vita. Los Angeles non si fermava mai, proprio come i polli che ruotavano sullo spiedo sotto casa, e non era Westerville, la cui massima attrazione erano i dolcetti bruciati da sua sorella alla fine del picnic domenicale. Era veloce, viva, e non vedeva l'ora di esplorarla e, anche se non glielo disse in maniera diretta, iniziare ad essere sciolto e disinvolto come Cooper.

Una sera, in cui suo fratello non aveva voglia di riscaldare nel piccolo forno con piatto rotante -c'erano così tante cose di cui doveva imparare ancora i nomi!- un piatto di verdure lesse, mise piede in un ristorante per la prima volta. E lì fece la conoscenza di Eve, una ragazza di una bellezza quasi eterea, che portava il greve peso del nome della prima donna e che, evidentemente non approvava la scelta di abiti con cui coprire le sue grazie. Eve era la fidanzata di Cooper, anche se il fratello aveva più volte rimarcato il fatto che erano solo 'scopamici', termine che fece arrossire Blaine fino alla punta dei riccioli e quasi soffocarsi con la sua pizza ai peperoni.

Un po' gli dispiacque scoprire che Cooper non provava per i ragazzi ciò che sentiva lui perché contava di rivelargli le sue paure e insicurezze e trovare in lui un appiglio e conforto, ma non riuscire a dormire per colpa delle urla animalesche e continui colpi contro il muro che provenivano dall'altra stanza era decisamente peggio. Blaine tenne il cuscino stretto sopra le orecchie, sperando con tutte le sue forze che a Los Angeles ci fosse qualcuno in grado di capirlo e, perché no, fargli provare... E si addormentò.

*

Ogni mattina Blaine usciva e distribuiva curriculum in ogni negozio in cui entrava, ma nessuno cercava personale, sebbene dotato di buona volontà, in grado di mietere il grano, riparare lavandini e spalare letame. Un giorno seguì addirittura suo fratello sul set di una nuova pubblicità, augurandosi di essere notato da un agente, ma non funzionò. Tuttavia, grazie ad alcune strane conoscenze di Eve, riuscì a farsi assumere in un piccolo bar poco lontano dall'appartamento e dovette imparare presto a preparare caffè dai nomi e dalle miscele più strane. E pensare che a casa non aveva mai toccato nemmeno una padella, dato che quello era il lavoro che spettava alle donne.

Preferiva stare dietro al bancone fino a tardi a preparare cappuccini ed essere rimproverato dal suo datore per la sua scarsa velocità piuttosto che tornare a casa e stare attento a non inciampare sugli indumenti dei due amanti e rinchiudersi in camera, fingendo di non sentire.

La situazione era diventata insostenibile.

Era quasi l'una, le gambe e la schiena gli dolevano per aver percorso il bar almeno un centinaio di volte portando gli ordini a destra e a manca e non c'era verso che quei due smettessero o, almeno, abbassassero il tono della voce. Continuava a girarsi nel letto senza alcun risultato, poiché il sonno era sparito e non aveva intenzione di tornare. Decise allora di uscire, rimettendosi gli abiti con cui era arrivato -poiché gli altri erano tutti da lavare- e infilandosi la banconota data dal nonno nel taschino della camicia, in una direzione priva di meta e godendosi l'aria tiepida di quella notte stellata. Non aveva mai visto la città di notte ed era arrivato il momento di conoscerla.

Un passo seguì l'altro e non si accorse nemmeno di essere arrivato vicino alla zona in cui, come gli aveva detto Cooper, brulicava la vita notturna. C'era un mucchio di ragazzi, più o meno della sua età, vestiti con abiti costosi che aspettavano di entrare nei locali dall'aspetto lussuoso, così lontani da lui e dalla sua idea di divertimento. Strinse nervosamente i polsini della camicia nei pugni, sperando di passare inosservato e di continuare senza problemi la sua passeggiata. Sapeva che sarebbe potuto accadergli qualcosa di brutto e, la cosa peggiore, è che nessuno si sarebbe fermato a prestargli aiuto. Non era più nella sua comunità; era fuori e, soprattutto, era completamente da solo.

La strada erano gremite di persone e, all'improvviso, si ritrovò in mezzo ad una coda interminabile, stipato tra un ragazzo vestito da marinaio e un altro che indossava un'oscena parrucca rossa e sandali con vertiginose zeppe di sughero.

Oh, Dio, dov'era finito?

L'uomo nerboruto vestito di nero all'ingresso del locale gli chiese un documento di riconoscimento, ma Blaine capì subito che era una formalità poco importante dato che, con uno spintone, gli augurò buona fortuna e lo fece barcollare fino all'interno del locale.

Blaine non aveva mai visto -e nemmeno immaginato- niente di simile, nemmeno sforzandosi con la fantasia. C'erano uomini che ballavano insieme, coi corpi pressati l'uno contro l'altro, e donne che si baciavano tranquille, tenendo in mano bicchieri contenenti liquidi dai colori quasi fosforescenti.

Rimase impalato in mezzo all'entrata ad osservare ciò che la sua famiglia avrebbe definito come il luogo in cui risiedeva il Male in persona, fino a quando un gruppo di ragazzi che ridevano allegri gli passò a fianco. Decise di seguirli ma, trovandosi subito a disagio a causa dei loro sguardi che indugiavano un po' troppo, si diresse verso il bar. Magari un tè freddo avrebbe potuto farlo sciogliere un pochettino e godersi la serata più assurda della sua vita.

Cercò di attirare l'attenzione del barman senza riuscirci ed era a tanto così dall'accasciarsi sul bancone, ormai sconfitto dalla vergogna e dalla stanchezza, quando davanti a lui il ragazzo poggiò poco delicatamente un bicchiere stracolmo di quello che era proprio tè. Accidenti, se fosse stato anche lui in grado di leggere la mente delle persone, sarebbe stato un barista perfetto!

Giocherellò con la cannuccia, facendo vorticare i cubetti di ghiaccio, e assaggiò assetato il liquido ambrato. Mancò poco che lo sputasse. Bruciava come il fuoco e si sentì subito la gola chiudersi di scatto. Era senza ombra di dubbio un alcolico e Blaine non aveva mai bevuto niente di simile, siccome agli Amish della sua età era severamente vietato.

Il barman roteò gli occhi, gli indicò un punto non precisato della pista e gli disse qualcosa che non capì; la sua voce completamente sovrastata dall'eccessivo volume della musica. Blaine fece un sorriso imbarazzato, interpretando il suo gesto come un modo per incentivarlo a lasciarsi andare. Facendo una fatica immensa, Blaine buttò giù un altro sorso della bevanda e si sorprese di sentirlo sempre più dolce e piacevole sul suo palato. Non poté fare a meno di berne ancora, e ancora, e ancora, fino a finirlo schioccando deliziato le labbra.

Gli sembrò di bere del coraggio liquido perché, con la testa improvvisamente più leggera, si alzò prontamente dallo sgabello su cui era appollaiato per dirigersi in mezzo alla pista, facendo lo slalom tra le persone. Si ritrovò a muoversi, magari perfino in maniera scomposta, al ritmo di una musica che non aveva mai sentito e si sentiva bene, finalmente libero.

Non si scostò quando sentì una mano, calda e forte, posarsi al fondo della sua schiena. Anzi, ridacchiò appagato per l'improvviso contatto e fissò dritto negli occhi il suo proprietario.

Sembrava un angelo. Splendido, incantevole e perfetto. E sulla schiena aveva anche un piccolo paio di ali piene di piume bianche come la neve che svolazzavano qua e là staccandosi dalla struttura appoggiata sulle spalle.

Probabilmente era morto e quello era il Paradiso, di cui aveva letto in tanti libri.

“Ti è piaciuto, vero?”

La sua voce era bassa, più melodiosa di uno stormo di usignoli, e si era poggiata sopra la sua pelle come le gocce di pioggia di un temporale estivo improvviso. Annuì semplicemente, perché era più facile dirgli di sì piuttosto di cercare di capire a cosa si riferisse. E poi, sì, tutto quello che stava facendo -come avvicinarlo a sé, lasciandolo inebriare con il profumo della sua colonia, e muovere i fianchi avvolti in jeans stretti contro il suo basso ventre. Oh, era così alto...- era più che piacevole. Convenne, allora, di essere ancora decisamente vivo.

“Non potevo non offrirti da bere, altrimenti avrei avuto questo rimpianto per il resto della notte”, disse il ragazzo pericolosamente vicino al suo orecchio e Blaine percepì ogni sillaba tra un soffio di fiato bollente e al sapore di alcol e l'altro. “Non potevo lasciarti finire tra le braccia di un altro.”

Arrossì violentemente e tentò di ribattere qualcosa, anche solo per non fare la figura dell'idiota, ma dalle labbra non uscì altro che un gemito. Cercò di pensare alla realtà dei fatti, e cioè che si stava strusciando contro un completo sconosciuto, probabilmente era ubriaco, era dolorosamente eccitato ed era un Amish. Tutte cose sbagliatissime e tutte nello stesso istante.

“Il tuo costume da campagnolo è così eccitante”, continuò il ragazzo, il cui principale obiettivo era, a quanto pareva, farlo implodere da un momento all'altro. “Non ti ho mai visto qui prima d'ora. Come ti chiami?”

“B-Blaine”, rispose in un respiro mozzato, ricordandosi che fornirgli il suo vero nome non era stata un'idea molto brillante ma, ormai, il danno era stato fatto. Era un problema cercare di mentire con la testa che pulsava annebbiata dalle fitte e dal desiderio. “Mi chiamo Blaine.”

“Io sono Sebastian.”


 

E Sebastian gli offrì un altro bicchiere, o forse erano due o tre, e continuò a ballare con lui stringendogli i fianchi, sussurrandogli nell'orecchio una marea di cose a cui Blaine non replicò, vuoi per imbarazzo, vuoi perché non sapeva come rispondere a commenti tanto diretti. Uscirono dal locale e Sebastian gli strinse la mano per non fargli perdere l'equilibrio e, solo una volta all'interno dell'ascensore illuminato fiocamente che conduceva all'appartamento, Blaine notò che i suoi occhi erano la cosa più particolare che avesse mai avuto occasione di vedere. Più verdi dei fili d'erba del prato, più azzurri del cielo limpido di un pomeriggio d'agosto e che, mescolati insieme, creavano il paesaggio più straordinario che avesse mai visto.

“Tu... Tu sei come me”, riuscì ad articolare con enorme sforzo, non facendo nemmeno caso all'assurdità di ciò che aveva appena detto.

Sebastian lo osservò in silenzio per un istante che a Blaine parve infinito, prima di sorridergli compiaciuto, mostrandogli denti dritti e bianchi che sicuramente avrebbero suscitato l'invidia del dentista del villaggio.

“Sì, sono come te.”

Fu l'ultima che udì prima di sentire la bocca del ragazzo sul collo, mentre tutto attorno a loro girava in un turbine senza fine.




 


Eccomi qui con una nuova mini long demenziale, ma da troppo tempo l'idea di Blaine versione Amish frullava nella mia testa e grazie a Breaking Amish (il mio nuovo guilty pleasure) è diventato necessario scriverla LOL

In tutto i capitoli sono cinque e, cosa importante, sono già terminati. Yaaay!

Spero vi possa interessare e divertire e grazie per aver letto già fino a qui! Grazie, davvero.

Alla prossima settimana! ♥

-violetsugarplum

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** The dawn of all ***




Capitolo II
The dawn of all


Il mal di testa e la nausea che gli invadevano il corpo lo svegliarono all'alba tra lenzuola fresche, ma che in realtà erano più pesanti di una coperta di lana sulla sua pelle accaldata. Aprì le palpebre con lentezza, cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava e capì immediatamente di non essere né nella stanza a Westerville, né in quella degli ospiti di Cooper. Si mise subito seduto sul letto; il brusco movimento gli fece girare la testa e il contenuto nello stomaco e, sfortunatamente, rigettò tutti quei bicchieri di cocktail.

Si pulì la bocca con il dorso della mano, scusandosi mentalmente con il proprietario del tappeto, per poi trovarlo stravaccato su una poltrona ai piedi del letto. Stava talmente male che non pensò nemmeno al fatto, un po' inquietante, che il ragazzo lo stesse fissando immerso nell'oscurità, immobile.

“Oh mio Dio, mi dispiace così tanto!”, quasi gridò e Sebastian si alzò prontamente in piedi e gli lanciò un asciugamano pulito.

“Me lo immaginavo, ma non c'è problema. Non sei uno che regge bene l'alcool, eh?”, disse scrutandolo per un secondo, per poi passarsi una mano sul volto stanco. Blaine diventò rosso fuoco quando notò che indossava solo un paio di slip -pure un po' troppo stretti- ma rimase ugualmente incantato a guardare quelle braccia muscolose e quell'addome scolpito. Poi, tornando in sé; alzò il lenzuolo e emise un lamento nel vedere che anche lui non portava altro che l'intimo.

“I tuoi vestiti sono qui”, disse Sebastian come se gli avesse letto nella mente. “Ho dovuto toglierteli perché-”

Si fece prendere dal panico. Guardò Sebastian tremando da capo a piedi e deglutì con fatica. Cosa aveva fatto? Come aveva potuto fare una cosa del genere? Aveva peccato, si era lasciato sedurre dalla tentazione travestita da angelo e si era guadagnato un posto dritto dritto agli inferi. Non era sposato, si era concesso carnalmente ad un'altra persona, per giunta un uomo, e da quando era arrivato a Los Angeles aveva commesso un errore dietro l'altro. E se la sua famiglia l'avesse scoperto? Non gli avrebbero mai più permesso di tornare; l'avrebbero bandito per il resto della sua vita.

Il senso di colpa e di disgusto lo colpì in pieno e diede di stomaco ancora una volta.

Sebastian, che nel frattempo aveva fatto il giro del letto, lo sollevò con inaspettata delicatezza e lo accompagnò in bagno, dove Blaine sperò di rimettere giù per lo scarico del water anche tutta la sua pateticità.

“Io... I-io...”

“Ehi, va tutto bene”, lo zittì Sebastian, spostandogli gentilmente i ricci incollati alla fronte dal sudore. “Credimi, ho visto di peggio.”

Tornarono in camera e Blaine cadde a peso morto sul letto, chiudendo gli occhi e pregando di risvegliarsi senza alcun dolore e lontano da tutto e tutti. “Vado a prenderti un'aspirina, rimani pure qui”, disse Sebastian, dirigendosi in bagno per buttare il tappeto sporco nella vasca.

Ma Blaine non gli diede ascolto. Si alzò in piedi, continuando a martoriarsi la faccia per la disperazione e si rivestì in fretta con gli abiti che aveva ritrovato spiegazzati nell'angolo della stanza. Spalancò la porta, permettendo alla luce del sole che era appena sorto di investirlo coi suoi raggi già fin troppo luminosi per la sua emicrania, e camminò spedito verso l'ingresso, desideroso di lasciarsi alle spalle il caos che regnava nella sua testa.

“No, aspetta!”

La mano dalla stretta salda che lo aveva sfiorato in continuazione fino a poche ore prima non era più così resistente attorno al suo polso. Blaine capì di averlo guardato con occhi spalancati e intrisi di terrore perché il ragazzo si staccò come se si fosse bruciato.

“Solo... Non correre via così.”

“Non-”, prese un lungo respiro. “Non faccio queste cose, io... Io non faccio queste cose.”

Sebastian si morse il labbro. “Guarda che stanotte non è successo niente, purtroppo, se è questo ciò che ti sta facendo dare di matto. Non hai tradito il tuo ragazzo, sai? Mi sei svenuto tra le braccia in ascensore, ti ho spogliato solo per farti sdraiare più comodo. Non ho nemmeno dormito accanto a te, nel mio stesso letto, tra l'altro.”

Incerto se dargli spiegazioni oppure no, Blaine scosse la testa, aggiustandosi la cerniera dei pantaloni chiusa male. “Scusami per il tappeto”, disse a voce bassa, prendendo la banconota ancora infilata nel taschino. “Spero sia sufficiente a risarcire.”

Sebastian non accettò. “È un tappeto dell'IKEA, mica uno intarsiato da bambini persiani, lascia stare.”

“Ma ti ho rovinato-”

“La serata? Forse”, ridacchiò Sebastian. “Se proprio insisti a ripagarmi, potresti darmi il tuo numero.”

Oh, beh, questa era bella: Blaine non possedeva il cellulare. Suo fratello continuava a ripetergli che prima o poi gli sarebbe potuto essere utile, soprattutto per il lavoro, ma Blaine si ostinava a non volerlo. Aveva vissuto vent'anni senza, perché era indispensabile averlo ora? Non voleva diventare come quella gente che era costretto a servire, la quale non si rivolgeva la parola poiché non smetteva di fissare quegli aggeggi infernali. Ma sapeva che dirgli di non averlo sarebbe risultata una cosa irrealistica perché, dai, chi non possiede un telefonino? Gli Amish, appunto.

Finse così di cercarlo nella tasca dei pantaloni e aprì comicamente la bocca, spaventato. “Oddio, me l'hanno rubato!”

Sebastian piegò la testa di lato. “Te l'hanno rubato? Davvero? Ma dove? Al Weenie? Ad Hunter hanno fregato una volta il portafogli, quindi non è poi così strano... Dovresti sporgere denuncia, B.”

Tralasciando il nomignolo di cui Sebastian si era presa la libertà di affibbiargli, Blaine non sapeva nemmeno a chi rivolgersi per sporgere una denuncia. “N-no, tanto era vecchio-”

“Ma tutti i tuoi contatti?”

Blaine sorrise cercando di sembrare meno nervoso di quanto in realtà fosse. “Beh, forse è il momento di iniziare una nuova vita. No?”

 

Non accettò la proposta di far colazione e ancor meno quella di fare la doccia insieme. Si scusò ancora profusamente per il tappetto e per avergli recato tutto quel disturbo, ma Sebastian riuscì lo stesso a fargli avere su un misero pezzo di carta il suo numero di telefono.

“Chiamami”, gli disse aprendogli la porta. “Se sei in vena di un'altra serata con le drag queen, ma anche qualcosa di meno avventuroso, conta su di me. In fondo, non è mica stato male.”

Si ritrovò ad annuire. “Io allora vado...”

“Ok, B”, Sebastian si sporse in avanti alla ricerca di un bacio, ma Blaine si tirò indietro con le guance scarlatte e lo stomaco contratto. “Chiamami, eh. Ma tanto sono sicuro che lo farai.”

L'idea gli passò per la mente seduto sul taxi -era la prima volta che lo prendeva e sperava con tutto il cuore di essersi ricordato l'indirizzo di casa giusto- ma l'accantonò presto. Fortunatamente Sebastian era stato molto carino con lui, ma faceva parte di un'esperienza da dimenticare, di cui nessuno, nemmeno Cooper, avrebbe mai dovuto sapere niente.

Il primo locale, la prima sbronza, il primo contatto diretto con un altro ragazzo, il quasi primo bacio, la prima volta in cui aveva sentito, desiderato, essere normale.

Los Angeles era grande e di altri -come loro- ne avrebbe trovati ancora.

*

Nei due mesi successivi, Blaine fu assorbito completamente dal lavoro. Come l'aveva informato il suo datore, il bar era spesso meta di studenti universitari e, adesso che l'anno era ricominciato, il locale era sempre pieno zeppo.

Quando tornò a casa dopo la sera-che-non-era-mai-esistita, sospirò di sollievo nel constatare che Cooper e Eve dormivano ancora. Andò dritto sotto il getto gelato della doccia, con la speranza di pulirsi dalla puzza degli errori e lasciar scivolare giù per lo scarico anche il ricordo di capelli castani arruffati, labbra morbide e occhi limpidi che si erano ricoperti di un leggero velo prima di vederli sparire dietro la porta.

L'unica cosa che era cambiata era che, finalmente, Blaine aveva dato ascolto a suo fratello. Acquistò un cellulare e passò tre giorni buoni ad imparare ad usarlo e diventare amico del touchscreen attraverso i giochi. E si spaventava sempre quando iniziava a squillare all'improvviso; doveva farci ancora l'abitudine. Nella rubrica non aveva inserito nient'altro che il numero delle persone che gli stavano intorno, nonostante nel primo cassetto del comodino, sotto al papillon grigio, tenesse ancora il foglietto di carta su cui Sebastian aveva scritto il suo. Non era riuscito a gettarlo via.

Controllò l'orologio -un regalo di Eve per scusarsi del perizoma lasciato sul tavolo della cucina- e vide che mancavano ancora un'ora alla fine del suo turno. Continuò a preparare il caffè doppio macchiato in tazza grande con un goccio di latte tiepido per l'antipatica signora anziana che si recava lì ogni mattina e glielo servì con il sorriso più sincero che potesse fare.

“A lei, signora. Le bustine di zucchero sono-”

“Ehi, ciao, mi fai un espresso?”

Era sicuro che il cuore avesse smesso di battere proprio in quell'istante. Riconobbe la voce, nonostante non fosse roca, suadente e ad un millimetro dal suo orecchio, e gli mancò il respiro quando finalmente poté guardarlo in faccia. Era ancora più bello di quanto ricordava.

B.

Si sforzò si sorridere, di rimanere affabile, di non riconoscerlo. “Glielo preparo subito.”

“B, sono Sebastian, ti ricordi di me?”, continuò e Blaine lo odiò per questo. “Non mi hai più chiamato.”

Non era una domanda, era la pura verità. Come dirgli che non voleva aver niente a che fare con quella notte? Tremò quando tentò di azionare la macchinetta e, inavvertitamente fece cadere la tazza al suolo. Rivolse scuse a nessuno in particolare e raccolse il contenitore, stando ben attento a non incrociare lo sguardo del suo principale e nemmeno quello di Sebastian, che era rimasto lì a fissarlo impalato come una statua.

Gli servì il caffè con macchie sul bordo di una tazza pulita, tenendo gli occhi abbassati e gli augurò di trascorrere una buona giornata, sperando che fosse sufficiente a farlo allontanare. Ma così non fu.

“Possiamo parlare?”

“N-no”, replicò. “Adesso sto lavorando.”

“E quando stacchi?”

Gli rispose che avrebbe terminato il turno all'una anche se, ovviamente, non era vero. Sebastian annuì, prese la sua tazza e andò a sedersi ad uno dei pochi tavolini ancora liberi.

Senza volerlo, Blaine si ritrovò ad osservarlo per il resto dell'ora invece di pulire i filtri e riempire gli altri bicchieri.

Sebastian aveva tratti e movenze molto eleganti e armoniosi ed era un piacere per gli occhi vederlo leggere concentrato, mangiucchiando il tappo della penna. Non capì perché fosse rimasto lì. Blaine ipotizzò che fosse uno studente in attesa di iniziare una lezione, dato l'enorme volume che stava sottolineando con attenzione, ed effettivamente era normale che un ragazzo della loro età fosse ancora impegnato con lo studio piuttosto che ammazzarsi di fatica. Un po' lo invidiava, doveva ammetterlo.

Presto l'idea di uscire dal retro una volta terminato il turno svanì dalla sua mente e si avvicinò al tavolo, attratto come da una strana forza magnetica, dove Sebastian era ancora intento a sfogliare le pagine del suo libro. Gli portò un biscotto al cioccolato, perché il cioccolato piace a tutti, per farsi perdonare la mancata telefonata... e il tappeto.

Il ragazzo ridacchiò e accettò di buon grado il dolcetto dandogli subito un gran morso. “Offre la casa?”

“Offre la casa”, rispose Blaine, sorprendendosi di sorridergli di rimando. Era strano parlargli in quel modo, soprattutto dopo quanto successo poco prima, e perfino a ribattere facilmente alle sue parole dal suono stuzzicante. “Ti ho interrotto?”

Sebastian chiuse il libro e alzò le spalle. “Può darsi, ma forse anche no. È già l'una? ”

“N-no.... Veramente... Ho finito prima.”

“Ti avrei aspettato comunque”, disse con un sorriso furbo. “Ora ti va di parlare? Magari davanti ad un'altra tazza di caffè e un altro biscotto? E, almeno stavolta, mi dai il tuo numero?”

*

Parlarono, parlarono, parlarono fino a quando il sole lasciò spazio al primo buio.

Sebastian era vivace, acuto e con una particolare predisposizione ad autoincensarsi. Studiava in un'accademia di ballo da due anni e, nel tempo libero, andava coi suoi compagni di corso a cantare nei karaoke o alle serate con microfono aperto. Blaine era rapito dalle sue parole. Sebastian non faceva niente di che, era un ragazzo come gli altri -forse più ironico, spigliato e ammaliante-, ma tutto quello che gli raccontava, diventava oro ai suoi occhi. Ad esempio, anche a Blaine era sempre piaciuto cantare e lo faceva durante le celebrazioni religiose, perfino durante il lavoro nel campo. Sarebbe stato bello andare insieme, no? E se l'avesse invitato a vedere un suo spettacolo...?

Lo riempì di complimenti, più o meno innocenti, ed era la prima volta che Blaine si sentiva corteggiato. Molto spesso le ragazze Amish andavano in solluchero e si scambiavano risolini l'una con l'altra quando lo vedevano passare -e una volta era perfino uscito con una di loro dopo settimane di suppliche da parte di lei-, ma non era stato nemmeno lontanamente appagante come in quel momento. Era una sensazione davvero lusinghiera e sentiva crescere la sua autostima a livelli esponenziali. Sebastian non smetteva di rimarcargli il fatto che lo trovasse davvero un bel ragazzo ed era deciso ad approfondire la sua conoscenza.

“Quindi, B, quando arriva la parte in cui mi dici che hai un ragazzo di cui, però, non me ne frega niente?”

“Io...”, Blaine si ritrovò improvvisamente a corto di parole. “Io non ho un ragazzo.”

“Ah, bene bene”, Sebastian sorrise deliziato. “Anche tu del mio partito, a quanto vedo. Ma, dimmi, quali locali frequenti di solito?”

Il granaio, la stalla e il fienile”, pensò. Nei due mesi appena trascorsi non era uscito di casa -nonostante Cooper lo spronasse ogni giorno a inserirsi nei ritmi della vita di città- se non per recarsi al lavoro o rifugiarsi in una chiesa poco distante da casa quando tutto sembrava non andare per il verso giusto; la preghiera era l'unico modo che conosceva per non sentirsi smarrito in un posto troppo grande e complicato per lui.

“Non esco molto. Sono più... Uhm, un lavoratore...”, rispose invece.

“Oh, uno stacanovista”, rise. “Beh, questa è una cosa che potremmo cambiare, che dici? Tipo, domani sei libero?”

“S-sì, perché?”

“La mia ultima lezione finisce a mezzogiorno. Pranziamo insieme?”

Mille motivi per non accettare e nemmeno uno che gli passò per la testa. Ma, tuttavia, quella piccola, enorme cosa che lo bloccava non aveva più voglia di rimanere intrappolata al fondo della sua gola. Se Blaine era, stando alle sue parole, tanto 'bello, affascinante, un tipo davvero interessante', perché non fargli conoscere un altro lato di sé?

“Ehm... Senti, Sebastian, c'è una cosa che vorrei dirti.”

“Prego”, lo incalzò il ragazzo appoggiando i gomiti al tavolo e fornendogli un'occhiata interessata, accompagnata da un ampio sorriso. “Se vuoi invitarmi adesso nel tuo appartamento, sappi che la risposta è sì.”

Arrossì, ma non si fermò. “Io... Ecco, io non sono come gli altri... Sono diverso.”

Ecco arrivato il momento. Era meglio dirsi le cose subito, per poi evitare di soffrire dopo. Anche se in realtà era già troppo tardi. Sebastian era stato sincero con lui; gli aveva raccontato la sua infanzia in Francia, del suo sogno di potersi unire ad una compagnia teatrale una volta finiti gli studi mentre Blaine era rimasto zitto ad ascoltarlo, non potendogli dire che aveva trascorso tutta la sua vita in una comunità Amish. Ma magari Sebastian avrebbe capito e non l'avrebbe giudicato. Magari sarebbe stato addirittura incuriosito...

“Lo so che sei diverso. Sei molto più sexy della maggior parte dei nostri coetanei...” Ma una riga sottile si formò sulla fronte di Sebastian. “Aspetta. Sei... Un trans?”

“N-no!”, disse allarmato e, prima che potesse fermarsi, se lo fece scappare dalle labbra. “Sono un Amish!”

Sebastian spalancò gli occhi per l'incredulità e per l'orrore, esattamente come fece Blaine per colpa della sua boccaccia, e capì subito che l'altro stesse ripensando agli abiti, al cellulare, alle sue continue scuse ai suoi continui rifiuti che solo un 'campagnolo' come lui poteva rifilargli.

Proprio come aveva immaginato più e più volte nella sua mente quando ripensava di poterlo rivedere ancora, Sebastian si alzò e lo lasciò al tavolino senza dire una parola -nemmeno una finta scusa- e Blaine dovette convivere con un malessere ancora peggiore di quella notte.

Umiliato, deriso, rifiutato da ciò che avrebbe potuto farlo sentire bene.

*

Non cenò, sebbene Cooper gli avesse comprato la sua pizza preferita, e si sdraiò sul letto a guardare il soffitto, sperando per la prima volta da quando era arrivato a Los Angeles che fosse il cielo terso pieno di stelle di Westerville. Era più facile perdersi a guardare quei puntini luminosi piuttosto che ripensare agli occhi esterrefatti e pieni di sdegno di Sebastian e ascoltare il canto dei grilli invece di sentire una musichetta metallica e gracchiante riempire il silenzio della camera.

Oh, era il suo cellulare.

Con ancora qualche difficoltà, aprì il messaggio e lo rilesse almeno una decina di volte prima di capire.

Domani, ore 11, davanti al bar. 'Notte, B.

Cooper alzò gli occhi al cielo, sbuffando pesantemente, quando il suo fratellino, improvvisamente affamato, volle che gli riscaldasse la fetta di pizza sul 'forno col piatto girevole'.

 

 

 

 


Buongiorno!

Da adesso le cose inizieranno ad andare un pelo più velocemente perché, hey, è una mini-long :P E non prendetevela con il mio bambino Sebastian, così per mettere le cose in chiaro LOL

L'appuntamento con questa storia è previsto per la settimana prossima, ma ci si rilegge domenica per il grandissimo ritorno della Seblaine Sunday? Are you exciteeed? Yeeeah! <3

-violesugarplum

 

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Capitolo 3
*** I think Heaven will be like a first kiss ***




Capitolo III
I think Heaven will be like a first kiss


 

Lo aspettò davanti al bar.

Blaine si era preparato a non vederlo arrivare, però si era presentato lo stesso all'appuntamento, vestendosi con cura e osando un po' indossando il cravattino grigio. Sperava segretamente di veder Sebastian sfrecciare tra le persone che affollavano il marciapiede e raggiungerlo con quell'enorme sorriso malizioso che spesso si delineava sulle sue labbra.

E così fu.

“Perdona il ritardo, la metro era piena”, disse tutto d'un fiato il ragazzo, bello come non mai, dopo aver sorpassato un gruppo di turisti rumorosi. “Mi piace il tuo papillon, ti sta bene.”

“G-grazie”, avvampò incespicando con le fauci completamente secche.

“Grazie a te per essere venuto.”

Con quella frase Sebastian riuscì a riassumere tutto e a Blaine andava bene così. Avrebbero avuto un intero pomeriggio a disposizione per spiegarsi e, francamente, entrambi non vedevano l'ora di trascorrere altro tempo assieme.

 

*

 

Non fu propriamente un appuntamento galante, ma Blaine ne rimase comunque estasiato.

Sebastian gli offrì un sandwich che sapeva di poco, divisero una bottiglietta di Coca-Cola ormai calda e si sedettero all'ombra di una quercia nel grande parco di fronte al teatro in cui il ragazzo faceva le prove per un imminente spettacolo.

“Ho pensato che ti sarebbe piaciuto qui”, spiegò Sebastian sorridendo. “È anche uno dei miei posti preferiti. A volte mi piace rimanere qui a guardare la gente che entra ed esce dal teatro.”

“È un bel parco”, Blaine annuì, dopo aver inghiottito con fatica il boccone asciutto del suo panino. “E credo sia anche l'unico pezzo verde di Los Angeles, vero?”

Entrambi risero e Blaine si sentì leggermente in imbarazzo quando Sebastian si passò la lingua sul labbro fissandolo dritto nelle pupille.

“Mi dispiace per ieri, B”, si scusò e a Blaine parve sinceramente pentito. “Non so cosa mi sia preso. Ovviamente non c'è nulla di male se-”

“Lascia stare”, cercò di tagliare corto, volendo mettere da parte il discorso il più rapidamente possibile.

“No, non lascio stare”, Sebastian continuò. “Se il fatto di essere Amish non crea problemi a te, non ne crea nemmeno a me. In realtà, solo adesso capisco perché tu non sei come gli altri. Sei più genuino, guardi tutto con i tuoi enormi occhi spalancati e arrossisci spesso, proprio come stai facendo ora.”

Blaine accettò i complimenti in silenzio, sbuffando un poco quando il ragazzo notò il colorito roseo sulle sue guance.

“Per me è ancora tutto nuovo. Sono qui da poco-”

“Sei stato allontanato? Perché sei gay?”, Sebastian chiese comprensivo.

“No, no”, si affrettò a negare. “Non penso nemmeno che lo sappiano, in effetti. E, se lo sapessero, quello sarebbe certamente un motivo per farlo.”

“È una loro perdita...”, scrollò le spalle e aprì la bottiglietta, che emise un debole sibilo. “...e, ovviamente, un mio guadagno. Ma, fammi capire, come sei riuscito a, insomma, scappare? Perché io non ne so molto, ma si dice che siate una sorta di... Ecco.”

Rise, capendo benissimo che per il mondo esterno gli Amish dovevano essere visti come una setta di fanatici religiosi, fermi all'età della pietra, imparentati tutti tra di loro e terrorizzati dalle insidie del mondo esterno.

“Rumspringa” e, vedendo nettamente la confusione sul volto di Sebastian, continuò. “È un periodo di tempo in cui ai ragazzi della nostra età è concesso andare fuori dalla comunità, senza aver paura di essere banditi. E, nel caso il vostro mondo non ci piacesse, potremmo sempre tornare nel nostro.”

“Capisco”, Sebastian fece di sì con la testa. “E tu? Vorresti tornare nella tua comunità?”

“Sono qui da troppo poco tempo, non ho ancora capito se voglio continuare a fare cappuccini o tornare a raccogliere grano per i miei fratelli.”

“Hai dei fratelli?”

“Sì”, annuì. “Sei.”

Sebastian sputò il sorso di Coca-Cola che stava bevendo.
 

 

Per Blaine fu divertente raccontargli della nuova vita con Cooper e di spiegargli le regole basilari di quella vecchia nella sua comunità. Sebastian lo ascoltava a metà tra l'incredulità e il divertimento e non mancava mai di commentare a suo modo.

“Cioè, mi stai dicendo che, se fossi un Amish, avrei un cavallo tutto mio?”

“Sì, ma saresti anche sposato con una donna da almeno tre anni. E probabilmente lei aspetterebbe un bambino... dopo i due che scorrazzano già per l'aia con le galline.

”Sebastian si sdraiò sull'erba e scosse la testa, mettendosi una mano sulla faccia. “Eh no! Questo è un po' troppo.”

“A me lo dici?”, ridacchiò Blaine e, seguendo il suo esempio, appoggiò anch'egli la schiena sul morbido prato. “Infatti credo che Jeremiah-”

E si interruppe. Sebastian, incuriosito, girò la testa in modo da poterlo guardare dritto in volto e socchiuse appena le palpebre, scrutandolo con attenzione.

“E chi sarebbe questo Jeremiah? Devo essere geloso?”

“È il figlio del pastore, non-”

“È stato il tuo primo ragazzo?”

Blaine rise un poco imbarazzato. “Oh, non ho mai avuto un ragazzo.”

Vide Sebastian fare uno sforzo enorme pur di cercare di non sorridere trionfante. “E quindi...”, iniziò con tono mellifluo. “Fammi un po' capire... Non hai mai baciato nessuno, B?”

Fortunatamente per Blaine, che non sapeva come rispondere alla domanda senza sentirsi un patetico sfigato, il discorso fu interrotto da un pallone da basket che schizzò nella loro direzione a velocità folle, fin quasi a colpire la faccia di Sebastian.

“Scusate, è colpa di Jeff!”, urlò un ragazzo dai capelli neri che corse trafelato nella loro direzione con un sorriso fin troppo innocente sul volto. “Oh, ciao Seb. Che ci fai qui?”

“Non potevi essere che tu, Nick”, mugugnò Sebastian scaraventandogli la palla ad altezza del pube ma, per fortuna, il ragazzo aveva i riflessi pronti. “Sto pranzando con Blaine. Blaine, questo deficiente è Nick. Nick, questo è-”

“Aaah, ma allora sei tu il famoso Blaine! Sebastian non fa altro che parlare di te! Son due mesi che-”

“È tardi, vero Nick?”, lo interruppe Sebastian scocciato e, come Blaine notò divertito e soddisfatto, anche leggermente rosso in volto. “Gli altri si chiederanno se sei caduto nella fontana. Torna dal tuo Jeffrey, grazie, a mai più rivederci.”

“È stato un piacere, Blaine!”, Nick lo salutò con un gesto della mano e un rapido occhiolino. “Continua così! Ci vediamo in giro!”

Blaine gli fece un cenno del capo continuando a ridacchiare, mentre Sebastian grugniva infastidito, e aspettò che il ragazzo si allontanasse per riprendere a parlare. “E così parli di me, uh?”

“Non fare il furbetto tu”, rispose Sebastian mettendosi su un fianco. “E rispondimi piuttosto alla domanda che ti avevo fatto prima che Kobe Bryant qui presente per poco non mi sfigurasse il mio volto perfetto.”

“Chi è Kobe Bryant?”, chiese tentando disperatamente di appigliarsi ad un minimo di diversivo. Non voleva rispondergli, assolutamente no.

“Un giocatore di pallacanestro. Anzi, oserei dire, il giocatore di pallacanestro. Cinque titoli NBA coi Lakers, presente in Nazionale... Oh, smettila di farmi perdere il filo.”

Prese un lungo respiro. Perché continuare a scappare dalla verità? Del resto, ad essere sinceri con Sebastian ci aveva solo guadagnato.

“No”, disse con semplicità e si arrabbiò con se stesso per essere arrossito ancora una volta.

Il viso di Sebastian rimase impassibile, come se non avesse sentito, ma lentamente la sua mano cercò quella di Blaine, il quale gli permise di stringerla nella propria. Anche quella era una prima volta perché non si trattava più di un modo per non perdere l'equilibrio fuori da un locale completamente ubriaco, ma era l'appoggio che aveva sempre desiderato per placare i suoi timori.

Lentamente le dita di Sebastian mollarono la presa salda e iniziarono a percorrergli il braccio come una lunga, inesorabile, gradevole e lenta carezza, fino a raggiungere prima il collo, poi il mento e infine il labbro inferiore. Blaine poteva percepire il pollice caldo contro la sua bocca e non poté non tremare lievemente a causa di qualcosa che, anche se non lo capì subito, non era paura.

“E vorresti...?”

.”

Sì. Non c'era nient'altro che volesse di più in quel momento. Poggiare le proprie labbra su quelle di Sebastian, che non l'aveva respinto, parlava di lui coi suoi amici dal loro primo incontro ed era ciò che sperava di incrociare sul suo cammino quando era ancora nella sua stanza poveramente arredata a Westerville.

Anch'io.”

E fu Blaine ad avvicinare il proprio volto a quello di Sebastian e baciarlo con tutta la passione che aveva, anche se goffo e probabilmente non doveva subito cercare l'accesso alla sua bocca con la lingua, ma non si era mai sentito così prima d'ora. Il ragazzo gemette in approvazione e prese il suo viso tra le mani, continuando il primo bacio di una lunga serie.

“Sei...”, Sebastian sussurrò contro la sua bocca in uno dei pochi momenti in cui si interruppero per riprendere fiato. “Sei proprio sicuro che fosse il primo?”

“Più che sicuro”, rispose Blaine velocemente, pensando che i secondi in cui le sue labbra erano lontane da quelle del ragazzo erano secondi sprecati.

“Ok, B, perché penso tu sia nato per baciare. Me, s'intende.”

“Sinceramente non voglio fare altro che questo, Sebastian.”

E baciarsi tra una risata e l'altra era ancora meglio.

 

*

 

Gli dolevano i muscoli della faccia, ma non voleva interrompersi. Il sapore era inebriante, così come i piccoli gemiti che udiva uscire dalla sua bocca. E i muscoli definiti sotto i suoi polpastrelli davano troppa dipendenza per smettere.

L'adolescenza di Blaine era trascorsa tra occhiate di sfuggita ai colletti aperti delle camicie madide di sudore dei ragazzi durante i lavori collettivi e corse a gambe levate dalle ragazze che gli promettevano di sollevarsi la gonna solo se lui non l'avesse detto alle loro famiglie.

Questa era di sicuro la cosa più bella che gli fosse mai capitata.

Prendendo coraggio, cercò di abbassare la mano in modo da accarezzare i pochi peli radi sotto l'ombelico di Sebastian, ma il ragazzo lo fermò.

Ti prego, B, no.”

“N-non vuoi?”, chiese improvvisamente conscio di aver superato il limite. Fino al giorno prima non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia e ora, addirittura, non vedeva l'ora di infilargli la mano nelle mutande. Un bel cambiamento per Blaine.

“Ovvio che voglio, non pensare nemmeno il contrario, ma non qui. Non sembrerebbe, ma siamo sempre in un luogo pubblico e potremmo essere visti-”

Blaine annuì senza prestargli veramente attenzione, continuando a baciargli il collo e, già che c'era, lasciandogli un piccolo segno violaceo su di esso. Oltre ai baci, aveva scoperto che gli piacevano quei marchi leggeri -Sebastian gliene aveva fatto uno proprio poco prima-. “Possiamo andare da te?”

“Ehi, ehi, ehi”, Sebastian ridacchiò, spettinandogli i capelli, con nel tono di voce quello che Blaine interpretò come una punta di nervosismo. “Cos'è successo al timido B? Comunque non possiamo. Il mio coinquilino è a casa perché ha il giorno di riposo. E poi dobbiamo parlare.”

Blaine, decisamente contrariato, si rimise a sedere con la schiena contro la quercia, ma Sebastian lo attirò a sé in un abbraccio stretto, continuando a giocare con l'orlo della sua camicia.

“Beh, di cosa vuoi parlare?”, domandò chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal profumo di colonia di cui aveva già fatto conoscenza la notte in discoteca. “Adesso sei tu a dirmi che hai un fidanzato?”, disse pungente. Discutere con Sebastian era bello, ma al momento era solo un'inutile perdita di tempo e Blaine aveva ben altro da fare.

“Io non ho il fidanzato. Ed è proprio di questo che voglio parlare.”

“Ti ascolto”, rispose anche se, in realtà, avrebbe preferito non farlo e continuare a baciarlo.

“Capisco, B, che questa è la tua prima volta. E, secondo me, dobbiamo prendere le cose con calma. Che so, usciamo un pomeriggio, cinema, o magari bowling, andiamo a mangiare qualcosa fuori... Tu non hai voglia di scoprire il mondo? Di sapere cose nuove?”

Blaine non replicò subito, ma ascoltò con attenzione il discorso di Sebastian. Si era già perso un mucchio di cose -e ne aveva guadagnate altrettante in pochi mesi-, ma la sua sete di conoscenza e di esperienze nuove era implacabile. Voleva tutto, e lo voleva subito.

“Sì, ma-”

“Anch'io ho ancora parecchie cose da imparare, sai? E, secondo me, potremmo farlo insieme.”

Come dargli torto se continuava a far scorrere piano le dita sopra il dorso della sua mano? Aveva ragione, l'aveva eccome, soprattutto quando la barba corta gli solleticava il retro del collo.

Diventando rosso per l'ennesima volta, annuì con un piccolo sorriso, anche se avrebbe voluto mettersi a gridare per la gioia e, ovviamente, baciarlo ancora fino a quando non gli si sarebbero staccate le labbra -era possibile?-.

Non ci poteva credere. Lui, Blaine l'Amish, era riuscito a catturare l'attenzione di un ragazzo, tanto bello fuori quanto dentro. E quell'angelo -prima o poi gli avrebbe chiesto che fine aveva fatto quel paio d'ali bianche come la neve che gli aveva visto addosso tempo prima- era davvero, davvero interessato a lui.

“Con calma?”

“Con calma. Insieme.”

“Insieme.

 

 

 

 


Terzo capitolo con Blaine che si risveglia dal letargo. Poraccio, bisogna capire la sua esuberanza :P

Vi ringrazio per continuare a seguire la storia e, yep, siamo già oltre la metà. Grazie per le recensioni e per averla aggiunta tra le seguite e preferite. Sono molto contenta che vi piaccia, nonostante le cose siano concentrate e molto veloci.

Alla prossima settimana,

-violesugarplum

 

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Capitolo 4
*** Live one day at a time... ***




Capitolo IV
Live one day at a time...


 

E insieme fecero un mucchio di cose.

Blaine conobbe i compagni di corso di Sebastian già la settimana successiva all'appuntamento al parco. Incontrò Nick, Jeff e Santana, l'unica ragazza del gruppo, ma più maschiaccio di loro, che li teneva tutti nel suo forte pugno di latina. Erano tutti esilaranti e socievoli e lo misero subito completamente a suo agio. Si stupirono quando Blaine rivelò loro di essere un Amish ed egli stesso rimase sorpreso dal fatto che Sebastian non glielo avesse accennato. Ma sapeva che non era per vergogna, ma perché era una sua cosa che, se se la fosse sentita, avrebbe detto di sua spontanea volontà.

“Dai, che figata, ci devi troppo invitare una volta da te!”, esclamò Jeff entusiasta.

“Oh, mi piacerebbe tanto, ma non si può entrare e uscire come-”

“Come fossero in un albergo, razza di cretino?”, Santana diede uno schiaffetto nemmeno troppo leggero sul collo del ragazzo. “Scusalo, Blaine, è che non sa come comportarsi.”

“Non c'è problema” e Blaine sorrise, incrociando lo sguardo di Sebastian, il quale non aveva smesso di osservarlo per un momento.

Durante i sette giorni trascorsi, i due non avevano potuto vedersi per via dei corsi e del lavoro, ma Blaine si sentiva comunque al settimo cielo. Sebastian lo riempiva di messaggi sul cellulare, scrivendogli anche le cose più stupide che gli venivano in mente. Ricordava ancora l'sms di qualche giorno prima, ricevuto poco prima di andare al lavoro, in cui gli augurava di passare una buona giornata -e Blaine si era quasi messo a saltellare per la camera dalla contentezza- e gli raccontava la barzelletta più brutta che avesse mai avuto il dispiacere di sentire. E, da quando aveva imparato a rispondergli -correttore automatico permettendo- era ancora diventato più divertente. Botta e risposta infiniti ad ogni ora del giorno, al punto che perfino Cooper si lamentò di sentire sempre squillare il telefono mentre Eve gli diceva di lasciarlo stare.

Ci furono diversi appuntamenti sotto la quercia oltre al primo, ma la prima volta in cui andarono al cinema fu un vero e proprio disastro. Blaine scoppiò in lacrime: non per il thriller disgustosamente violento che Sebastian aveva scelto, ma perché era spaventato dalle immagini che continuavano a susseguirsi sullo schermo e quegli occhialini colorati non facevano nulla per fermarle. Con la guancia pressata contro il petto di Sebastian, che gli accarezzava i capelli cercando di calmarlo, si ritrovò a singhiozzare di nuovo quando cambiarono sala e c'era quel cucciolone di Hachiko che non poté rivedere il suo padrone per il resto della sua vita.

Tornarono anche al Weenie, il locale dove nacque tutto, ma nessuno dei due toccò un goccio di alcool e ballarono attaccati tutta la sera, baciandosi con trasporto e attirando le invidie di tutti i ragazzi. Blaine sospettò che Sebastian fosse uscito con più di uno di loro, ma decise che non gli importava, non quando gli sibilava all'orecchio parole dolci e gentili.

Blaine conobbe l'ormai celeberrimo coinquilino di Sebastian, tale Hunter Clarington, protagonista di tante storie al limite dell'assurdo. Scoprì che era un fissato con la guerra ed era un tipo leggermente inquietante e fuori di testa. Passarono tutta la sera a lanciarsi occhiate accompagnate da risatine quando, per l'ennesima volta, il ragazzo continuò a parlare di quanto avrebbe voluto combattere a fianco di Alessandro Magno.

Fu trascinato ad una partita di basket di cui Sebastian aveva acquistato i biglietti in prima fila già mesi e mesi prima. Blaine non capiva nulla di sport; era solo terrorizzato dall'idea di essere travolto da uno di quei giocatori giganti o, al massimo, di essere colpito con una pallonata sulla testa. La parte migliore fu quando la telecamera che riprendeva il match si fermò su di loro e Sebastian gli prese il viso tra le mani e lo baciò sorridendo. In fondo, il basket non era poi così male.

Una cosa a cui non si abituò mai furono le sorprese. Che fosse un mazzo di fiori, un libro o anche solo una nuova maglietta, Blaine ringraziava Sebastian sempre con un enorme sorriso sulle labbra. In vent'anni nessuno mai gli aveva fatto regali, nemmeno per qualche ricorrenza importante, poiché considerati simbolo di vanità dalla sua comunità. Sebastian non accettava, però, che contraccambiasse. “Non mi serve niente,” diceva, “Lo faccio perché voglio farlo, non per avere qualcosa indietro”. E Blaine poteva solo ricambiare la sua gratitudine ricoprendolo di baci.

Sebastian insistette che Blaine prendesse la patente ma, forse, solo per deriderlo quando sbagliava i parcheggi in retromarcia e andava a sbattere contro il bordo del marciapiede. Però percorrere la Route 101 in direzione di San Francisco coi finestrini completamente abbassati cantando a squarciagola un brano smielato dell'ennesimo gruppo di ragazzini che spopolava nelle radio era stato liberatorio. Blaine si era divertito un mondo a correre sulla sabbia bollente della baia vicino a quel lunghissimo ponte rosso e si era preso anche una scottatura tremenda, cosa mai successa in anni e anni di lavoro in mezzo ai campi.

Riuscirono, tra una risata e palmi di mano sulla bocca per zittirsi l'uno con l'altro, a sgattaiolare nel teatro di notte e Blaine poté finalmente coronare il suo sogno, ossia cantare su un palcoscenico. Sebastian si complimentò con lui, applaudendolo fino a spellarsi le mani, e lo spronò a prendere lezioni di canto perché una voce 'meravigliosa' come la sua non poteva altro che migliorare. 
Il giorno successivo Blaine si iscrisse, nemmeno poi tanto per scherzo, ad un concorso canoro.

Sempre sotto consiglio di Sebastian, iniziò a leggere qualche opuscolo di licei nei dintorni. Purtroppo la sua istruzione equivaleva alle scuole medie inferiori, ma Blaine aveva sempre amato studiare e ampliare i propri orizzonti leggendo più libri possibili. Conciliare le lezioni serali e lo studio con il lavoro sarebbe stato difficile, ma Sebastian gli promise di seguirlo passo passo e aiutarlo, in particolare con la grammatica francese.

Avevano sempre tante cose di cui parlare e a Blaine piaceva star seduto in braccio a Sebastian, accoccolati sull'unica sedia in vimini sullo stretto balcone di Cooper. L'argomento preferito era, la maggior parte delle volte, la vita di Sebastian prima di incontrarsi. Gli amici gli confidarono che Sebastian era cambiato molto da quando lui aveva iniziato a gravitargli attorno e Blaine non riuscì a credere alle proprie orecchie quando il ragazzo gli confidò di essere stato addirittura espulso da due licei. Fumo, alcol, rapporti occasionali con sconosciuti; proprio quello di cui gli amici nella comunità parlavano con pietà, salvo poi invidiarli. Ma a Blaine non importava. Con lui, Sebastian era un'altra persona.

Una sera, finalmente liberi da ogni impegno, uscirono a cena in un ristorante italiano con Cooper ed Eve, in quello che Blaine definì 'doppio appuntamento', anche se Sebastian storse il naso solo a sentire il nome. “Non è che stiamo proprio insieme, B”, disse piccato. Gli rispose che 'una volta che ti ho visto come Dio ti ha creato e dopo mi fai i grattini, stiamo più che insieme'. Sebastian non ebbe nulla da obiettare.

Blaine si avvicinò al sesso in maniera graduale. Oh, no, questo non era per niente vero.

Era impulsivo, proprio come se avesse una fiamma bruciargli dentro e sapeva che, anche se non lo ammetteva a voce alta -ma i gemiti lo tradivano sempre-, Sebastian adorava quella parte di lui. Il loro era un flirt continuo e, se avevano l'occasione di avere uno dei due appartamenti liberi, esploravano i loro corpi con tutta la dovuta calma e attenzione. Col tempo i baci e i tocchi si facevano sempre più roventi e, anche se Blaine apprezzava il fatto che Sebastian volesse aspettarlo e non spaventarlo, abituandolo ad avere confidenza col corpo l'uno dell'altro, non ne poteva più. 
Soprattutto dopo aver provato alcune cose di cui, però, si vergognava a parlare -e Sebastian non smetteva di ridacchiare malizioso ricordandogli che non era poi tanto timido in quel momento-.

Blaine era finalmente felice, sereno, si sentiva voluto bene e voleva disperatamente farlo capire a Sebastian.

La prima volta di Blaine fu romantica, premurosa, non affrettata. Fu il seguito di una squisita cena a lume di candela, cucinata addirittura da Sebastian, e il perfetto coronamento dei suoi sentimenti nei confronti del suo ragazzo. Perché ora poteva definirlo tale anche se la cosa continuava a suscitare le risatine dei loro amici, messi però subito a tacere da Santana, che li guardava come una madre orgogliosa osserva i propri figli ad una gara di spelling.
Era sempre stato terrorizzato dall'idea del dolore, ma Sebastian lo mise a suo agio con più baci del dovuto e aiutandolo, con occhi rassicuranti e continui apprezzamenti, nella preparazione. Finalmente erano completi, l'uno nell'altro, ma mai vuoti, nemmeno quando Blaine uscì dal corpo del suo amante.

Sdraiati nudi sul letto, lasciarono che la sensazione dell'orgasmo, che tremava ancora nelle membra, parlasse per loro.

“È stato... È stato...”

“Perfetto.”

Si baciarono pigramente, accarezzandosi la pelle già sensibile e si strinsero in un abbraccio in cui Blaine teneva la schiena di Sebastian stretta stretta al suo petto. Capì che era il momento giusto. Come lo era stato nel bar, come lo era stato nel parco. Era qualcosa che lo divorava dentro, lo faceva ardere di intensa passione e doveva esplodere, più forte di un fiume in piena.

“Col cavolo che torno dagli altri! Brucerò il biglietto di ritorno! Sono così felice di averti incontrato, Sebastian... Ti amo.”

Sperò che il suo ragazzo si fosse addormentato e non gli avesse risposto per quello, ma non sapeva che Sebastian, in realtà, era ancora sveglio, con gli occhi fissi verso il muro della camera.
 

*

 

“Hai preso tutto?”, gli chiese Cooper allungandogli la vecchia camicia bianca e le bretelle.

“Sono venuto qui con niente, tornerò a casa con ancora meno”, fu la sua risposta lapidaria.

“Puoi rimanere qui-”

“No.”

Aveva deciso: sarebbe tornato tra gli Amish, alla normalità che gli spettava. Non vedeva né sentiva Sebastian da quelle che ormai erano diventate settimane. Semplicemente, il ragazzo non si era fatto più trovare, nemmeno quella mattina nella sua stessa casa. Blaine, col cuore già spezzato in centinaia e centinaia di frammenti, aveva poi chiesto spiegazioni agli amici, ma solo Santana ebbe la decenza di spiegargli come andavano le cose e cioè che per Sebastian era finita. Tutto per due brevi, stupide parole.

Aprì il cassetto del comodino, ci buttò dentro il papillon grigio, qualche libro, il cellulare ormai spento da giorni, una cornice che conteneva una foto di lui e Sebastian che si baciavano felici e un po' brilli alla festa del suo ventunesimo compleanno, e lo richiuse con inaudita violenza.

Non era deluso, né arrabbiato: era distrutto. Pensava di aver trovato la sua strada e, invece, era solo un vicolo cieco. Pensava di aver trovato uno come lui e, invece, aveva trovato uno come gli altri.

“Il nonno e i fratelli saranno contenti di vedermi e finalmente potranno darmi in moglie Mary. Chissà se è riuscita a guarire l'acne con tutti quei decotti”, disse chiudendo la valigia con un tonfo sordo.

Cooper emise un flebile sospiro. “So che non era quello che ti aspettavi, ma non puoi buttare all'aria tutto. Il diploma, il lavoro per cui hai fatto domanda-”

“Tu sei stato fortunato, Coop”, rispose senza guardarlo in faccia, evidentemente troppo preso a guardarsi in giro per la stanza fingendo di aver paura di star dimenticando qualcosa. “Tu hai trovato la tua via e qualcuno che ti ama. Sposatela, lei merita.”

“E tu?”

“Io starò bene.”

Non aveva mai smesso di pregare e, ultimamente, le sue richieste si erano intensificate. Ma si sentiva maledettamente in colpa, perché non si poteva chiedere a Dio un aiuto per questioni così futili quando al mondo c'era gente che moriva perché non aveva un tozzo di pane con cui sfamare la famiglia.

Cooper lo prese piano per i polsi e lo fece sedere sul letto. Sapeva che stava facendo di tutto per farlo rimanere, per fargli cambiare idea, ma ormai era tardi. E, forse, l'aveva capito anche lui.

“Non vuoi dirgli nemmeno addio?”

“Lui non l'ha fatto.”

“E tu sii migliore di lui. Vai al suo appartamento, bussagli alla porta, guardalo in faccia e digli che te ne vai, che vai via per te stesso e non per lui. Perché è così, vero?”

Blaine non lo sapeva.

 


 

Si ritrovò a fare gli stessi gesti descritti dal fratello, anche se avrebbe dovuto essere già seduto sullo scomodo sedile dell'autobus che l'avrebbe riportato in Ohio. Dire che si sentiva morire dentro sarebbe stato un eufemismo. Sarebbe stato più facile salire direttamente sull'autobus, senza questa tappa intermedia assolutamente non necessaria, e scappare. Ma Blaine aveva ormai smesso di correre via.

La persona che gli aprì la porta non era la stessa di cui si era innamorato. Era sempre Sebastian, ancora più bello di un angelo, ma dopo un anno in cui aveva potuto imparare anche la più tenue sfumatura delle sue iridi, Blaine era in grado di capire che c'era qualcosa in lui che non andava. Solo uno stolto non avrebbe notato il suo aspetto stanco, l'espressione accigliata e il modo in cui teneva le braccia incrociate sul petto, come in segno di difesa.

“Torno a casa”, disse di getto e sollevò stupidamente la valigia che, ancora più stupidamente, si era portato dietro.

Sebastian non si scompose nemmeno per una frazione di secondo. “Lo so.”

“Non...”, Blaine non poteva piangere, non adesso sul pianerottolo dell'appartamento del suo ex ragazzo. “Non-”

“Tu sapevi che saresti dovuto tornare”, tagliò corto Sebastian. “L'hai sempre saputo, hai solo finto di non doverlo fare. Ti sei fatto il tuo giro nella civiltà, te la sei spassata e adesso torni da dove sei venuto. Bravo, Blaine, hai fatto bene. Avrai un sacco di cose di raccontare durante le vostre sagre.”

Il tono accusatorio e sprezzante gli fece socchiudere gli occhi, come se ogni parola fosse più tagliente di mille lame di coltelli. E, purtroppo, era vero... Ma solo in parte. Perché non era questione di dover ritornare, ma di poter rimanere nel caso avesse trovato il suo posto in un mondo che non gli apparteneva dall'inizio. E aveva creduto di aver trovato tutto ciò che cercava, Sebastian compreso.

“Se non mi ami, non ho motivo per rimanere.”

 


 

Si ritrovò a pregare, ancora una volta, guardando fuori dal finestrino mentre Cooper, abbracciato a Eve, lo salutava con le lacrime agli occhi sventolando una mano.

Cosa avrebbe dato per vivere in una di quelle tante commedie viste raggomitolati sul divano il venerdì sera. Vedere Sebastian rincorrere il pullman urlando all'autista di fermarsi e, senza fiato, sbattere i pugni sulla portiera. Sarebbe salito, l'avrebbe baciato davanti a tutti e sarebbero tornati a casa a fare l'amore e a dirsi tutte le parole dolci che erano soliti scambiarsi quando erano da soli. “Tu sei come me”, gli avrebbe detto baciandogli i calli sulle dita che non accennavano ancora a sparire del tutto.

Così uguali, così diversi.

E Dio aveva proprio un'ironia tutta sua.

 

 

 

 


Siamo arrivati al penultimo capitolo, in cui gli avvenimenti sono rapidi ma non indolori per l'Amish del nostro cuore. Io non voglio essere cattiva -non mi disegnano nemmeno così- ma oh! :D

Appena ho un minuto di tempo, rispondo ai vostri adorabili commenti! E per il quinto e ultimo capitolo, ci si legge la prossima settimana! ♥

Abbracci e cupcake a tutti :3

-violesugarplum

 

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Capitolo 5
*** ...make it a masterpiece ***




Capitolo V
...make it a masterpiece


 

Blaine si tolse il cappello e si asciugò col dorso della mano la fronte che grondava di sudore.

Il sole sembrava quasi deriderlo quando faceva capolino dalle nuvole bianche e soffici come zucchero filato, ma era necessario che terminasse il lavoro. Si pulì le mani sporche di terra sui pantaloni, prese la zappa e continuò a creare il solco.

“Hai bisogno di una mano?”

“No”, disse roteando gli occhi e continuando a dissodare il terreno. “A meno che tu non voglia sporcare il tuo tutù.”

Sebastian ridacchiò, si alzò dalla sua comoda posizione sotto l'enorme quercia e abbracciò Blaine che non esitò a dimenarsi. “Solo una volta ho indossato il tutù di Santana per una scommessa. Indovina a chi stava meglio.”

“A Nick”, rispose Blaine, che aveva finito di agitarsi e, sospirando, permise al suo ragazzo di baciarlo nonostante fosse sudato marcio. “Oppure Hunter?”
 

*


Cinque minuti. A Sebastian erano bastati cinque minuti di corsa a perdifiato prima di riuscire a raggiungere l'autobus, proprio come aveva fantasticato Blaine. Ma la realtà superò ogni più rosea previsione perché, dopo il bacio mozzafiato applaudito dai passeggeri, il ragazzo gli disse che lo amava, che lo amava dal primo bicchiere di Long Island che gli aveva offerto, ma non voleva fermarlo se il suo destino era ritornare nella comunità Amish. Perché, se sentiva che quello era il suo posto, non poteva impedirglielo... I passeggeri batterono le mani anche quando Blaine gli rifilò un sonoro ceffone.

Strappatogli la promessa di aspettarlo, tornò al villaggio per rivedere la sua famiglia e recuperare i pochi oggetti personali. Non ebbe bisogno di convincere nessuno che il mondo degli Inglesi l'aveva accolto a braccia aperte perché nei suoi occhi videro che era felice, che si era inserito bene, che non si era perso tra tutte quelle tentazioni fatte di alcol e droga, che aveva fatto la scelta giusta e, se Dio aveva deciso così, bisognava portare rispetto. Si trovò anche costretto a dire ai suoi cinque fratelli che sì, per loro ci sarebbe sempre stato un letto o un divano su cui dormire, nel caso fosse loro venuta voglia di scoprire se Los Angeles era proprio come se la immaginavano.

Il nonno, invece, si rifiutò di esplorare qualsiasi posto che non fosse Westerville. Disse di essere contento per Blaine, per aver ottenuto tanti successi dopo tanti sacrifici, ma soprattutto per non averli dimenticati. Si salutarono sotto al pergolato e, per la prima volta, Blaine lo abbracciò e asciugò le sue lacrime con la manica della camicia bianca.

Andò nella stalla e passò una notte intera a spazzolare il morbido e lucente manto di Kurt e a raccontargli di quant'era brutta la città senza prati in cui brucare l'erba. Forse era la cosa che gli era mancata di più: il contatto con l'unico essere vivente che non l'aveva mai giudicato. Avrebbe voluto portarlo con sé in California, ma sapeva che non poteva strapparlo dal luogo in cui era nato e cresciuto. Non era come lui; le sue radici appartenevano alla terra dell'Ohio.

Rivide anche Mary, col marito e con un figlio in grembo, e Jeremiah. Pensava che incrociare il suo sguardo gli avrebbe causato di nuovo le farfalle nello stomaco e la voglia di parlargli della semina o di qualcosa di futile, pur di rivolgergli la parola, ma non fu così. Perché accontentarsi di Jeremiah, il figlio del pastore, quando a casa lo aspettava Sebastian con una confezione di biscotti al cioccolato?

Assicurò a tutto il villaggio che sarebbe tornato appena terminato l'anno scolastico e appena Sebastian, il suo migliore amico, avesse finito lo spettacolo teatrale con cui era impegnato. Non ebbe il coraggio di dir loro la verità, ma probabilmente intuirono qualcosa quando il ragazzo si presentò, facendogli una sorpresa, nel cortile con la sua Corvette fiammante e lo spinse con forza, continuandolo a baciare famelico, contro il muro del granaio.

 

*

 

Blaine, dopo l'iscrizione al college, aveva lasciato il vecchio lavoro al bar per diventare il custode e giardiniere del parco accanto al teatro, dove lui e Sebastian si erano scambiati il primo bacio e una promessa che, nonostante tutto, non si era ancora infranta.

Se subito era potuta sembrare una decisione stupida e avventata, Blaine ne era davvero orgoglioso. Poteva non essere il lavoro della sua vita, magari l'avrebbe mollato per tornare al bar, ma al momento andava bene così. E Sebastian non era il tipo di persona determinato a ostacolarlo e a scegliere per lui, anzi, era il primo a incoraggiarlo a inseguire con tutte le sue forze ciò che lo rendeva contento.

Davanti a loro c'era un futuro incerto, fatto sicuramente di impieghi malpagati con orari assurdi, appartamenti con affitti costosi e litigi che li avrebbero fatti camminare per strada con il broncio per ore o, se sfortunati, per giorni.

Ma anche questo faceva parte della vita che Blaine si era scelto e che Sebastian gli aveva mostrato.

Blaine non sapeva cosa sarebbe successo da lì a domani. Aveva imparato a vivere giorno per giorno, assicurandosi di tornare -sempre distrutto, sudato e inzaccherato, ma col sorriso sulle labbra- a casa, dove lo aspettava Sebastian, il quale lo mandava dritto sotto al getto della doccia schiaffeggiandolo scherzosamente sul sedere... Per poi raggiungerlo pochi istanti dopo.

Aveva preso quel piccolo appartamento poco lontano da quello di Cooper poiché ormai stanco di sentirsi il terzo incomodo e Sebastian andava a trovarlo talmente spesso e lasciava in giro così tante cose che appartenevano a lui che, alla fine, si era trasferito. Era un semplice bilocale, nulla di pretenzioso, ma per Blaine era perfetto. Sapeva di casa, di leggera colonia di Sebastian, ma anche di fritto per colpa di quella malefica rosticceria.

Si sarebbero sposati un giorno? Forse no. Avrebbero avuto un bambino? Due? Tre? Li avrebbero adottati? Chissà. Avevano tutta una vita davanti.

Ma era così facile per loro stare insieme.

 


 

Blaine accarezzò il tronco della vecchia quercia e si perse per un istante negli occhi chiari del suo ragazzo. Quel giorno erano ancora più particolari ma, del resto, diventavano sempre così luminosi solo quando Sebastian gli diceva di amarlo.

Aveva trovato tutto, forse anche di più di quello che si aspettava quando era arrivato l'anno precedente, impaurito, timido e curioso, un ragazzo che nella sua vita non aveva visto altro che la terra brulla e aspra della campagna.

Aveva trovato la sua strada, la sua via.

Era partito da un errore e aveva trovato la direzione giusta.

L'erba, prima mutilata da continui tagli di falci che non ammettevano perdono, era ricresciuta folta e rigogliosa. Non sarebbe appassita, non sarebbe soffocata dai piedi sempre pronti a calpestarla.

E, uno come lui, aveva finalmente trovato il suo angelo.

 

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 


Fine.

Fine di una storia che mi ha appassionato molto solo scrivendola. Spero sia piaciuta anche a voi e vi ringrazio per aver aspettato con tanta pazienza ogni capitolo. Sono contentissima! Devo ammettere che non mi aspettavo così tanto seguito, quindi yeee, mi ha fatto piacere :3 Grazie per le cosine belle che mi scrivete sempre. Mi viziate, lo sapete questo?

Per sdebitarmi: QUESTO è il pdf. Copertina, così come il banner, sono stati creati da me. Purtroppo LOL

Grazie ancora e a presto! ♥

-violesugarplum

 

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