When you let her go.

di Alex Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo incontro. ***
Capitolo 2: *** Litigi. ***
Capitolo 3: *** Boromir. ***
Capitolo 4: *** Malintesi. ***
Capitolo 5: *** Il consiglio. ***
Capitolo 6: *** Isil, la guerriera. ***
Capitolo 7: *** Errori. ***
Capitolo 8: *** Uncover: la prima apparizione nella Terra di Mezzo. ***
Capitolo 9: *** Sono stata chiara? ***
Capitolo 10: *** L'unica volta. ***
Capitolo 11: *** Stupido elfo. ***
Capitolo 12: *** Troppo orgoglio. ***
Capitolo 13: *** Questo non me l'aspettavo. ***
Capitolo 14: *** Dovrò aspettare. ***
Capitolo 15: *** Avevo ragione a non fidarmi. ***
Capitolo 16: *** Non l'aveva mai vista così vulnerabile. ***
Capitolo 17: *** L'avrebbe rivista ***



Capitolo 1
*** Primo incontro. ***


When you let her go.
 





Preferisco sembrare cattiva che spiegare quanto sia ferita.
 
— (via wronghysteria)

 

 
 
 
 

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« Muoviti Gring, faremo tardi a Gran Burrone. » urlai divertita mentre spingevo il mio cavallo al galoppo.
 
Il fogliame dei boschi sfrigolava al vento, il sole autunnale scaldava le strade che battevamo. I miei capelli, oro al sole e cenere al buio, frustavano l’aria liberi.
La mia risata era l’unico suono presente nelle vicinanze oltre quello degli zoccoli dei cavalli e la voce scocciata del mio maestro che urlava:
 
« Vada piano, Eleonora. »
 
« Non posso Gring, sono ansiosa di sapere perché il re li ha convocati. » a dire la verità lo sapevo già il perché, ma non avevo mai potuto vederlo di persona.
 
 
La mia storia inizia così, o meglio continua.
Non sono una ragazza diversa da te che stai leggendo, provengo dal tuo mondo ma in qualche modo sono finita in uno dei miei libri preferiti, o forse nel film? Bha.
 
Le due cose si assomigliano tremendamente una volta che ci sei dentro.
 
Fatto sta che non so da quanto tempo ci sono dentro, forse, su per giù abbastanza tempo da compiere 17anni.
 E riguardo a Gring, bhe, lui si è associato a me in quanto la prima volta che ho messo piede nella terra di mezzo gli sono caduta sopra.
Comunque riprendiamo:
 
« Come fate a sapere che Re Elrond ha indetto un consiglio?. »
 
« Ho visto il film. » borbottai.
 
« Cosa?. »
 
« Le voci corrono, Gring. E io so coglierle. » dissi a voce alta quando qualcosa attirò la mia attenzione .
 
Nel fitto del bosco qualcosa stava facendo muovere le foglie più del dovuto e quel qualcosa aveva in mano un arco e ci stava puntando delle frecce contro.
 
« Gring, giù. » urlai nel mentre una freccia colpiva il ventre del mio cavallo.
 
Questo nitrì impennandosi e cadde a terra con me sotto.
Guaii per il dolore. L’uomo dalla barba ispida e brizzolata che viaggiava con me mi raggiunse, saltò dalla sella e impugnò la spada.
 
« Si muova Lady Eleonora, non c’è molto tempo da sprecare con quei così alle calcagna. » parò una freccia con la lama.
 
Grugnendo feci sgusciare la gamba sinistra fuori dal peso della carcassa e mi rimisi in piedi. Dal fodero che portavo attorno alla vita estrassi una spada e attesi che quei cosi si facessero avanti.
 
« Sa che cosa sono gli orchi, Eleonora?. » chiese Gring infilzandone uno.
La sua lama si cosparse di sangue scuro così come la mia.
 
« Erano elfi. » parlai col fiatone mentre schivavo un’altra freccia e impiantavo nel piede del mio nemico la lama.
 
L’essere aprì la bocca rivelando una fila di denti aguzzi che trafiggevano le labbra nere.
Feci una smorfia disgustata e continuai.
 
« Che hanno scelto la parte del male e sono stati tramutati in orride creature. »
 
« Vedo che ha studiato, da dove viene. »
 
« Si, si i film aiutano. » passai la lama sulla gola di un orco che si accasciò a terra e morì tra vari rantoli.
 
« Mi piacerebbe conoscere questo Film, di cui lei parla spesso. » infilzò l’ultimo assalitore e si voltò verso di me. « Sembra che sappia tante cose. »
 
« Oh si, scommetto che ti piacerebbe. » mi inginocchiai vicino al mio animale e raccolsi la sella e le briglie.
 
Altre urla arrivarono ai nostri timpani. Altri orchi sarebbero arrivati.
 
« Bene, giacché ci siamo annunciati con tanto clamore al mondo dovremmo trovare un’altra strada per attraversare le colline… » Gring indicò le dune verdeggianti avanti a noi e poi si rivolse a me con un sorriso perfido. « Certo sarebbe tutto molto più facile se tu volassi… »
 
Sgranai gli occhi color cioccolata.
 
« VOLARE?. » cantilenai. « Non posso volare, non ne sono in grado. Questo i film non lo insegnano. »
 
« E se invece avessi un piccolo aiuto?. »
 
Feci un passo indietro preoccupata. Non mi piaceva quell’aspetto del mio compagno di viaggio, no.
L’aria mi sferzò ancora i capelli e li gettò sul mio viso.
Il terreno si mosse un poco alzando una nube di fumo.
Chiusi gli occhi e quando li riaprii davanti a me trovai un essere grande come mai avevo visto.
 
Era un drago. Aveva squame azzurre e ali piumate, occhi celesti e quattro gambe forti e robuste. Una coda uncinata e una testa arricchita da corna. Il tutto in scala… bhe era grosso, molto grosso, troppo ecco tutto.
 
Ingoiai un fiotto di saliva mentre l’animale mi guardava circospetto mostrandomi le fauci.
 
« Non credo sia una buona idea. Gring. » mi accarezzai il braccio turbata. « Sul serio, non è una buona idea. »
 
L’uomo si passò una mano fra i capelli corti e ispidi e poi sorrise.
 
« Basterà sellarlo e sarà come andare su un cavallo. »
 
« Si ma il mio cavallo non aveva le corna, gli aculei e gli artigli. » fissai la bestia che si era sdraiata e aveva alzato il collo alla mia affermazione. « Senza offesa. »
 
Il drago sbuffò e ripoggiò il capo sulle zampe.
 
« Sarà facile, e poi non abbiamo molto tempo e gli orchi ci sono alle calcagna. »
 
Mi mordicchiai il labbro inferiore e alla fine cedetti.
Sellammo l’animale con velocità – i finimenti del mio cavallo, allargati al amssimo, si dimostrarono perfetti per la lucertola cresciuta – e Gring mi aiutò a montare.
 
« Come si giuda questo affare?. » chiesi mentre il drago avanzava verso una sporgenza, troppo alta.
 
« Ah, non lo so, scopritelo. » rise Gring.
 
« Appena sarò scesa ti ucciderò. » ringhiai.
 
Ma il mio urlo si disperse in quello troneggiante che il drago lanciò prima di scendere in picchiata nel precipizio.
Non ero mai stata così vicina al corso del fiume come allora.
L’animale virava con semplicità, e io mi scoprii felice di sentire il vento forte e il rumore delle ali che schioccavano nell’aria.
Il flusso dell’acqua sotto di noi si allontanò velocemente mentre l’essere saliva, turbinava fra le nubi e tornava giù verso il bosco, dove Gring cavalcava il suo amato stallone.
 
« Reggiti bene e abbi cura di te, mia piccola forestiera. » ruggì quando gli passammo sopra. « E’ stato un piacere per me seguirti. » fermò lo stallone nero e lo voltò dalla parte opposta. « Arrivederci. »
 
« Cosaaaa? No, no Gring aspetta, aspetta non so nulla su cosa devo fare con questo animale. » ma l’uomo si stava già allontanando e i suoi vestiti di pelle nera splendevano al sole. « Gringggggg! »
 
« Terrò quegli esseri lontano da voi!. » fu l’ultima cosa che gli sentii dire prima che scomparisse nel fitto della foresta.
 
Il drago virò violentemente dirigendosi verso le montagne.
 
Passai così l’ora più solitaria della mia vita, cullata dal battere d’ali rallentato di Titano – così avevo chiamato il drago blu – con la testa sopra il suo collo fresco e le mani gelate.
I miei occhi facevano fatica ad aprirsi, le mia guance erano fredde e rosse.
 
« Devi stare attento Titano, se la memoria non mi inganna siamo vicino a Gran Burrone e ci potrebbero essere elfi armati ovunque. »
Come se mi avessero letto nel pensiero una freccia fischiò sopra la mia testa.
 
« Veloce Titano, veloce. » urlai guardando di sotto.
Eravamo pericolosamente vicini a terra e potevo scorgere un gruppo di elfi armati di archi fissarci e puntare di nuovo.
Un ragazzo biondo accarezzò e piume della sua arma e scoccò colpendo l’animale nel collo.
 
Titano ringhiò e ruggì scaraventandosi sugli attentatori con me al seguito. Tirai le redini più che potei e lo feci alzare da terra mentre soffiava fuoco dalle narici.
Non avevo mai visto spettacolo più bello e cruento di quello.
 
« Su Tatano, su. » urlai ancora incoraggiandolo ma gli elfi ci scoccavano frecce micidiali e una colpì anche me alla spalla.
 
Gradai lasciando andare le redini e crollai dalla groppa dell’animale.
 
Precipitai nel vuoto, sospesa fra terra e cielo. L’aria mi schiaffeggiava facendo scoccare i lembi della mia maglia e i miei capelli.
Quando toccai il suolo, con fragore, la freccia oltrepassò la spalla e il sangue zampillò sul bianco e sulla pelle dei miei vestiti. Respirai a fatica alzandomi barcollante e estrassi nuovamente la spada dal fodero anche se la spalla guaiva.
Da quando ero stata gettata nel mio film preferito non mi era mai capitato di dover usare una spada, e ringraziai Dio del fatto che da bambina avessi preso lezioni di scherma.
Attorno a me, dove prima crescevano alberi rigogliosi, ora c’era un buco vuoto e cenere cosparso di corpi feriti di elfi dai capelli biondi.
 
« Fatevi avanti. » sibilai impaurita.
 
Con la spada me la cavavo ma potevo parare frecce?.
 
« Io la metterei giù se fossi in voi. » mi consigliò un elfo facendosi avanti. L’arco tirato e una freccia pronta a partire.
 
Studiandone i lineamenti e cogliendo la sfumatura blu dei suoi occhi mi accorsi che quel ragazzo era estremamente uguale al principe di Bosco Atro.
 
« Voi siete Legolas Verdefoglia?. » abbassai la spada e mi lasciai cadere a terra portandomi una mano alla spalla. « Avevo sentito di meglio sul vostro conto, principe. Non credevo colpiste delle donne con le frecce. »
 Lui ripose l’arma e fece un passo avanti incuriosito.
 
« Voi come sapete il mio nome?. »
 
« Ci sono tante cose che so e che non dovrei sapere, Legolas, che ti farebbero paura. »
 
« Non mi dare del tu. » borbottò chinandosi su di me.
 
Lo trafissi con lo sguardo e sputai sui suoi stivali.
 
« Mi ferisci mentre sto andando al consiglio e pretendi che ti sia riconoscente? Non credo proprio che Re Elrond ne sarà contento.  »
 
« Conosci il re?.  » i suoi occhi si spalancarono.
 
« Fin troppo bene, e non sarà felice di vedermi così. »
 
Lui serrò le palpebre scosso e poi mi prese fra le braccia avvicinandosi al suo cavallo.
 
« Ma che cosa fai? Mettimi giù rampollo viziato!. »protestai nel mentre il mio sedere toccava il cuoio chiaro della sua sella.
 
« Quanto sei bisbetica. » borbottò salendo dietro di me e passando le sue mani attorno ai miei fianchi per prendere le redini.
 
« Togli quelle mani, guido io. » ringhiai afferrando d’impulso le redini e procurandomi una fitta alla spalla.
 
« Smettila. » mi riprese il principe scocciato levando le mie mani dalla giuda e riportandoci le sue. « E sta zitta. Hai già parlato troppo. » spronò il cavallo.
 
Risucchiai le guance e le labbra all’interno e le rilasciai andare con uno schiocco frustrato.
 
« Se dovrò viaggiare così, tanto vale che mi metta comoda. » borbottai appoggiando la mia schiena al suo torace e chiusi gli occhi. « Se ti metti a cantare qualche canzone in elfico ti strappo le labbra. » aggiunsi.

 
 
 
 




Hiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii.
First capter.
Primo capitolo. Che ne pensate? Orrido o no? Recensite e fatemi sapere cosa secondo voi potrei aggiungere o cambiare.

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Capitolo 2
*** Litigi. ***


When you let her go.
 
 
 
 




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« Sei totalmente, concretamente, impassibilmente scomodo Legolas.  » borbottai, ma non era vero.
 
Dopo averlo incontrato e essere stata ferita, da lui, mi ero sorbita circa due ore di cammino sul suo cavallo, rigorosamente bianco come si addice a un rampollo – a mio dire viziato -, appoggiata alla sua schiena con le braccia incrociate e un broncio in viso.
 
« Neanche voi siete una buona compagnia, se vi interessa. » rispose lui muovendo le braccia per fermare il cavallo.
 
Sfiorò la mia ferita e io borbottai contrariata.
 
« Scusi. »
 
« La vuoi smettere di darmi del “voi” e usare il “tu”?. Nei film sembravi più simpatico. »
 
« Nei film?. » scese dall’equino e lo condusse a mano.
La sua scorta dietro di noi restava muta e quando incuriosita mi voltai a guardarla uno di loro sbarrò gli occhi e li poggiò sulla criniera baia del suo cavallo.
Sorrisi divertita e mi distesi sul collo dell’animale abbracciandolo.
 
« State… ti senti bene? Non hai una bella cera. » osservò il principe.
 
« La fasciatura che i tuoi servitori mi hanno fatto aiuta ma non so quanto tempo ci vorrà per guarire. »
 
« Se io avessi saputo… »
 
« Già ma non lo sapevi, quindi basta parlarne. » mi girai verso di lui e osservai i suoi capelli biondi, la linea decisa ed elegante della mascella e il profilo del suo volto.
Per quanto io pensassi che fosse un egocentrico non potevo certo negare che non fosse bello, era la copia sputata di Orlando Bloom, quindi dedussi che io ero finita nel film e non nel libro ma mi andava bene così.
Avevo sempre avuto una cotta per quell’attore ma quell’elfo, aveva qualcosa di diverso.
 
« Tra poco arriveremo a Gran Burrone. » annunciò
 
« Non sali a cavallo?. » mi accigliai.
 
« I-io credevo volessi stare da sola in sella… »
 
« Perciò tu entreresti a Gran Burrone, davanti a tutti a piedi?. » rizzai la schiena. « Sei sicuro?. »
 
 
Qualche ora dopo ero bloccata su un letto mentre uno stregone, che riconobbi come Gandalf, stava sparlottando parole sottovoce.
Guardandomi intorno esaminai le pareti color rame, la luce dorata che attraversava le tende di stoffa bianca ricamata con cura e abbellita da fili argentei.
Stavo alloggiando in una delle stanze di Gran Burrone e mi piaceva la tranquillità che c’era li dentro.
Quando lo stregone ebbe finito mi aiutò ad alzarmi e solo allora mi accorsi che la spalla era guarita ma i vestiti  erano ancora logori. La giubba che indossavo era lacera sulla spalla e tagliata sulla schiena così come la camicia bianca era venata di sangue e i pantaloni di cuoio rovinati.
Gli stivali erano l’unica cosa sopravvissuta.
 
« Grazie. » sorrisi. « Ma ora non dovreste tornare da Frodo?. »
 
Lui si appoggiò al bastone e mi osservò curioso. La lunga barba grigia era folta come i suoi capelli e i suoi occhietti vispi erano ricchi di misteri.
 
« Come fate a sapere di Frodo?. »
 
« Come ho già detto all’elfo bisbeti… al principe Legolas so molte cose che non dovrei sapere. »
 
« Da dove venite?. »
 
« Dalla Terra. »
 
« Oh mia cara, tutti veniamo dalla terra, dal cielo e da tutto ciò che c’è di buono. » si avvicinò alla porta mettendosi il cappello. « Non è così?. »
Sorrisi annuendo.
 
« Re Elrond. » rise il vecchio abbracciando l’elfo dalla corona che si fece largo sulla soglia.
 
« Amico mio. » ricambiò il re.
Quando i due si furono salutati Gandalf il grigio si diresse verso gli alloggi dell’Hobbit  mentre il re mi esaminò con il suo sguardo.
 
« Dunque tu sei la ragazza del drago. » parlò con  calma Elrond.
I capelli color cioccolato del re ricadevano morbidi sulle sue spalle mentre due piccole trecce gli adornavano la testa sotto la corona di fine argento.
 
« Esatto. » mi tolsi la giubba e la controllai per poi gettarla sul letto.
 
« Non ti è stato insegnato come comportarsi di fronte ad un re, non è così?. »
 
« Con tutto il rispetto che nutro nei suoi confronti Re Elrond. » lo guardai legandomi i capelli in una coda alta con un codino che avevo tenuto al momento del salto in quel mondo. « Da dove vengo io non c’è un re, c’è un governo » che fa schifo « Perciò no, non mi è stato insegnato come parlare a un re. »
 
Elrond inarcò le sopracciglia e scese i gradini che portavano nello spiazzo della mia piccola stanza e la sua veste argentea risplendette alla luce solare.
 
« Da dove vieni?. » il suo tono millefluo raggiunse il mio orecchio quasi danzando.
 
« Dalla Terra, come già ho detto allo stregone. »
 
« E dove si trova la… Terra?. » domandò curioso accarezzando con le mani il tessuto delle tende che sventolavano nell’aria limpida.
Da fuori arrivava il suono delle cascate e dei fiumi che tagliavano Gran Burrone con i loro flussi e potevo sentire le foglie muoversi leggiadre cantando nel vento.
 
« Lontano da qui, molto lontano. » la mia voce si velò di tristezza e dovetti stringere le mie braccia nelle spalle per tentare di riacquistare sicurezza.
 
« Sembri triste ragazza del drago. »
 
« Eleonora, vi prego chiamatemi Eleonora. »
 
« Non ho mai sentito questo nome qui nella Terra di Mezzo. »
 
« Certo che no maestà, qui il mio nome è unico. »
 
« Come lo è la tua persona. » sorrise porgendomi degli abiti ripiegati con cura.
 
Da dove li aveva tirati fuori?
 
Li presi sorridente e lo ringraziai.
 
« Ti ho fatto portare vestiti da uomo solo perché Legolas ci ha detto che non vuoi indossare gonne. »
 
Legolas ha detto coooosa?
 
« Si, è vero. » ma come faceva l’elfo a saperlo?.
 
 
 
« Voi siete la ragazza del drago. » Arwen sorrise splendidamente.                 
I suoi capelli erano castani e i suoi occhi azzurri ed era stupenda. Ora capivo perché Aragron era pazzo di lei.
Era così bella e così innocente al tempo stesso.
 
« E’ un onore conoscervi mia signora. » mormorai inchinandomi davanti a lei.
 
« Oh no vi prego, non inchinatevi. Chiunque abbia affrontato con quel coraggio il principe Legolas e le sua scorta non deve inchinarsi. »
 
« Volevo solo proteggermi e proteggere il mio drago, mia signora. »
 
Gli occhi dell’elfa si illuminarono e la sua bocca sorrise divertita.
 
« Ditemi, dov’è ora la creatura?. » il suo vestito bianco frusciò contro la sedia su cui sedeva.
Dopo che mi ero cambiata, e avevo scoperto che i vestiti mi stavano davvero bene ed erano comodi, la principessa Arwen mi aveva domandato di accompagnarla a fare un giro per Gran Burrone. Avevano passeggiato per le strade della sua casa e ci eravamo fermate sotto un gazebo coperto da rampicanti che andavano a imbrunirsi col tempo.
Le sedie su cui stavamo erano comode ma scricchiolavano contro la spada che mi ero legata in vita.
Ormai era buio e il sole scompariva in lontananza regalando a Gran Burrone e alle sue acque sfumature arancio, giallo e persino un po’ di rosso.
 
« Titano? E’ scappato via spaventato, mia signora. » i suoi occhi si fecero tristi.
 
« Sono sicura che troverà la strada per tornare da voi. »  mormorò .
 
« Lo spero molto, mia signora. Titano è un regalo di un vecchio amico. »
 
« Mia signora. » Legolas spuntò dal nulla facendoci voltare allo stesso momento.
 
« Principe Legolas, è un piacere vedevi. » la principessa si alzò e lasciò che il biondo elfo le baciasse la mano poi si congedò lasciandoci soli.
 
« E tu non ti alzi per salutarmi?. » sussurrò lui sedendosi dove prima stava Arwen.
 
Lo fissai per un attimo e poi dissi:
 
« Ti ringrazio per avermi fatto portare questi vestiti, Legolas, ma no non mi alzerò per salutarti. »
 
« Perché no?. » si accigliò.
 
« Perché non voglio. » ammisi serrando le braccia al petto.
 
« Sei cocciuta. »
 
« Peggio per te. » mi alzai e la spada tintinnò contro un bracciolo della sedia.
I pantaloni di pelle nera che portavo rilucerono agli ultimi raggi di sole, mentre la casacca bianca – a me sembrava più una camicia da corsaro sinceramente – che avevo infilato maldestramente al loro interno si mosse con il vento.
 
« Comunque i tuoi vestiti sono davvero di ottima fattura. » sorrise divertito gettando un braccio oltre lo schienale.
 
Dov’era finito il principe ben educato e serio che conoscevo io – o almeno credevo di conoscere- ?
 
« Non fare lo gnorri solo perché ho accettato un tuo dono. » sbuffai.
 
« Lo gnorri?. » ripeté lui confuso.
 
« Dalle mie parti vuol dire cretino. » tradussi divertita lasciandolo di stucco.
 
« Tu sei così… » si alzò e mi raggiunse puntandomi un dito contro.
 
« Siiii?. » risi.
 
Lui ritirò la mano prendendo un bel respiro e serrando le labbra dalla frustrazione poi chiuse gli occhi e si allontanò dicendo:
 
« Insopportabile. »
 
« Mi fa piacere che tu lo dica, perché io penso la stessa cosa di te. » sorrisi voltandomi  a testa alta ed andandomene.
 
Era ora di conoscere qualcuno che non mi desse sui nervi … magari un nano.
 
 
 
 
 
 
 
Altro capitolo.
Ok questo è orrendo ma vado di fretta ma sappiate che i prossimi saranno migliori <3
Allora guardatevi un po’ questo ;) :    

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Capitolo 3
*** Boromir. ***


When you let her go.
 
 
 



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La notte aveva deposto la sua mano su Gran Burrone. Nessuna nube viaggiava nel mantello scuro rischiarato solo dalla luna e dalle stelle. Il vento soffiava leggero increspando di venature l’acqua che scorreva tranquilla nei suoi letti.
Nella fioca luce lunare la mia ombra mi seguiva fedele e muta mentre gli stivali neri scamosciati che mi arrivavano fino al ginocchio picchiettavano il loro tacco sulla struttura del ponte.
Quando mi fermai per ammirare le montagne che si estendevano  oltre le cascate delimitanti la fine di Gran Burrone scorsi con la coda dell’occhio un movimento non molto lontano.
Voltandomi riconobbi la figura di un uomo alto e dal portamento regale che pareva andare di fretta.
Si diresse verso il ponte senza sapere che io vi sostavo e borbottò qualcosa fra se e se.
Quando si accorse della mia figura fu perché lo salutai educatamente.
 
« Salve. »
 
Lui si boccò voltandosi nella mia direzione e sbatté le palpebre confuso.
 
« Buona sera. » ricambiò il saluto.
 
« Voi dovreste essere Boromir, figlio del sovrintendente di Gondor… » mi azzardai a dire staccandomi dalla ringhiera di legno del ponte e aggirandolo.
Indossava una cappa foderata di pelliccia, una camicia rosso scuro sovrastata da una veste di pelle nera e rigida e ai piedi portava degli stivali. Attaccato alla cintura di cuoio pendeva un corno d’osso con imboccatura e rifiniture d’argento.
 
« Esatto. » parlò con voce sorpresa.
 
Aveva un modo di parlare… curioso se così si poteva definire. La sua voce era calda e ruvida al tempo stesso.
 
« E voi chi sareste?. » domandò curioso quando tornai ad appoggiarmi alla ringhiera con il bacino.
 
Incrociai le braccia al petto facendo tintinnare l’elsa della spada contro la fibbia di metallo che la sosteneva alla mia cintura.
 
« Solo Eleonora. » annunciai sentendomi leggermente stupida.
 
Solo Eleonora… che cosa stupida da dire. Sarebbe stato meglio se avessi detto “ La ragazza del drago”.  Pensai.
 
« Da dove venite?. » chiese curioso senza spostarsi di un millimetro.
 
La luna illuminò i suoi occhi grigi e riuscii a scorgervi tristezza, curiosità, mi stero e molto altro. Che animo tormentato doveva essere.
 
« Da troppo lontano perché voi sappiate dove si trova la mia casa. »
 
« Allora perché siete qui?. »
 
« Per il consiglio indotto da Re Elrond, mi pare ovvio. »
 
« Per il consiglio?. » s’accigliò « Ora anche le donne posso partecipare?. » borbottò.
 
« Come siete maschilista. » mi offesi alzando in mento e rizzando le spalle in un gesto di superiorità.
 
Sebbene l’avessi fatto lui restava più alto di me. Non ero una ragazza bassa, andavo fiera del mio metro e 74 d’altezza ma li tutti sembravano troppo alti da farmi sentire una nana.
 
« Crescere con idee in cui le donne non possano combattere e partecipare non è maschilismo, mia cara, solo pura verità. Le femmine dovrebbero pensare a occuparsi dei lavori di famiglia e far felice il marito. » ammise lui convinto.
 
Boccheggiai ancora più offesa e trattenni una cascata di insulti che tenevo fermi in gola.
 
« Mi fate schifo. » dissi poi, indignata. « I vostri pensieri sono vecchi e stupidi come lo sarete voi. »
 
« E voi siete petulante e… »
 
Prima che finisse la frase lo gettai a terra poggiandogli uno stivale sul petto e la punta della spada sotto la gola.
 
« Aggressiva. » conclusi io ringhiando quasi.
 
« Aggiungerei avventata, prepotente e con malsane idee in testa. » gracchiò prendendo fra le sue mani la mia caviglia e spostandola per gettarmi a terra.
Mi ritrovai schiacciata sotto il suo peso. Trattenni un grido di rabbia e resi fiato scalciando.
 
« Sprecate energia Eleonora. » sorrise divertito dalla scena e dai miei vani tentativi di fuga.
Era più grosso di me, più forte e più stupido.
 
« E voi sprecate il vostro fiato Boromir. » sorrisi trionfante quando il mio ginocchio calciò in mezzo alle sue gambe e lui cadde al mio fianco ansante.
 
Risi leggermente alzandomi e recuperando la spada da terra per riporla nel fodero.
 
« Noi donne siamo più forti e intelligenti di quanto possiate pensare. » dichiarai scavalcandolo e dirigendomi agli alloggi.
Lo sentii inveire contro di me e poi restare a terra a contorcersi dal dolore mentre un senso di vittoria s’impossessava di me.
 
 
 
« Su una cosa ha ragione: sei avventata. » disse lo stregone comparendomi affianco.
 
Gli rivolsi una breve occhiata curiosa e poi tornai a concentrarmi sulla strada per gli alloggi.
 
« Era un maschilista e un ipocrita. » borbottai in mia difesa mentre scendevamo i gradini di pietra che portavano in una piazza con al centro un gazebo anch’esso di pietra.
 
« La maggior parte degli uomini che incontrerai nella terra di mezzo, forse tutti a dire la verità, penseranno che le donne servano solo ai lavori domestici. » ammise sedendosi su una panda di pietra sotto il gazebo.
 
« Forse… » sussurrai io appoggiandomi con una spalla alla colonna più vicina.
Incrociai le caviglie e annodai le braccia sotto il petto con aria sapiente.
 
« Ma da dove vengo io le donne sono rispettate, alcune combattono, altre sono medici… abbiamo molti diritti. » spiegai. « E sentire solo la metà delle cose che ha detto Boromir mi ha mandato in bestia. » ammisi.
Mentre parlavo pensavo alle donne dell’esercito, a tutte quelle che avevano passato una vita negli ospedali a salvare persone e a molte altre.
 
« Boromir è uno sciocco. » mi confessò Gandalf mentre si accendeva la pipa e la portava tranquillamente alle labbra. « Ma è un ottima risorsa, combatte bene… »
 
« Speriamo che sia vero quello che dici, mago. » trattenni uno sbadiglio.
 
« Anche il principe Legolas è un buon combattente, non trovi?. »
 
Mi stava punzecchiando? Sul serio?.
 
« Se la cava con l’arco e le frecce… » è logico è un elfo. « Fin troppo bene. »
 
« Ho visto la vostra piccola… discussione con il principe poco prima. » i suoi occhi mi fissarono curiosi in attesa di qualche mia strana mossa.
Forse si aspettava che io fossi imbarazzata dalla sua affermazione, ma se lo ero non lo sapevo neanche io e comunque non lo diedi a vedere.
 
« Perché non siete venuto da noi allora? Mi avrebbe fatto piacere parlare con voi. »lo colsi alla sprovvista.
Una nuvoletta di fumo gli uscì dalle labbra diventando un anello e altri lo seguirono incastrandocisi alla perfezione finché non formarono quello che sembrò un tiro a segno.
 
« Ne terrò conto per la prossima volta, mia cara. » sorrise.
 
« Ora se mi permetti, mi congedo. » mi staccai dal pilastro su cui ero appoggiata e mi stiracchiai. « Buon notte, Gandalf. »
 
« Buona notte, ragazza dei draghi. » e dopo quell’ultima affermazione mi congedai.
 
 
 
 
Hola, Hello, Ciao, Hallo, Hey, Weee.
Terzo capitolo.
Se qualcuno è interessato su youtube ci sono I video trailer della fanfiction.
Sono tre e tutti iniziano similmente ma continuano diversamente, perciò vi consiglio di guardarli fino in fondo.
Basta cercare:
When you let her go – Legolas and El fanficition (efp).
When you let her go – Legolas and El fanfictioon (efp) second video.
Legolas fanfiction & El (efp)

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Capitolo 4
*** Malintesi. ***


 ( Prima di iniziare volevo ringraziare Scarl_Bloom94, Morgiana e NewtSeven per le recensioni ^.^ Le ho davvero apprezzare molto :D )
 



When you let her go.
 
 
 
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La notte porta consiglio, si ripeteva Legolas, ma che consiglio mai potevano dargli le mute stelle? Era rimasto nello stesso posto in cui quella strana ragazza l’aveva lasciato congedandosi in malo modo e da allora non aveva fatto altro che pensare, pensare e pensare alle sue parole.
Il freddo vento continuava a scompigliarli i capelli biondi ma gli abiti di sartoria elfica che portava lo tenevano al caldo.
 
Stupida ragazzina, borbottò la sua mente, guarda te se dovevi capitarmi tra i piedi. E con un drago poi! Cosa l’avrà portato ad aiutarti, quell’essere che pensa solo ai tesori come ogni esemplare della sua razza?.
 
« Giovane principe » Re Elrond si sedette davanti all’elfo e lo scrutò con i suoi occhi.
 
« Sire » balbettò colto alla sprovvista Legolas prima di alzarsi e inchinarsi.
 
« Comodo, Legolas figlio  di Thranduil . »
 
L’elfo biondo si riappoggiò alla sedia su cui aveva sostato fino a quel momento. Il re rimase a fissarlo in silenzio, le mani poggiate in grembo e i capelli castani cadenti sulle spalle coperte da una tunica rossa.
 
« Curiosa, quella ragazza umana, non trovi? » domandò a un tratto il re.
 
Legolas, che fino a quel momento aveva guardato oltre le spalle del sovrano, spostò i suoi occhi azzurri su di lui e annuì.
 
« Curioso anche il fatto che viaggiasse sulla groppa di un drago » aggiunse Elrond.
 
« Oh si, sire » la vce di Legolas era stabile ma il suo cuore batteva veloce, come impaurito sebbene neanche lui sapesse da cosa. « Per questo l’abbiamo attaccato » cominciò a giustificarsi il principe. « Credevamo tentasse un attacco a Gran Burrone, anche se non ne conoscevamo i motivi. Davvero quella di trovare una donna sulla sua groppa era l’ultima delle mie aspettative. »
 
Ed era vero, Legolas tutto si aspettava da quell’essere a parte il fatto che una ragazza lo montasse. Insomma, raccapezzandosi su quella cosa, persino a lui sembrava impossibile e a quanto ricordasse l’ultimo drago che aveva visto era stato Smaug.
 
« Cosa pensi di lei, principe di Bosco Atro? » la voce del sovrano era milliflua.
 
« Di certo non è un pezzo di pane » si lasciò sfuggire dalla bocca divertito mentre un sorrisetto si dipingeva sul volto. Quando se ne rese conto tornò composto in imbarazzo « Intendevo dire, sire, che non è una ragazza che si lascia calpestare i piedi, capite?.  »
 
« Capisco. » sorrise il re sorprendendo il principe. « Mia figlia, Arwen, ha voluto passare un po’ di tempo con la ragazza e ha detto che l’ha trovata cordiale e un ottima… compagnia. »
 
« Ne sono felice. » sorrise sinceramente Legolas.
 
Un alito di vento scompigliò i capelli di entrambi gli elfi mentre una terza figura saliva le scale che portavano in quel gazebo. L’uomo che comparì al loro fianco li salutò e poi si lasciò andare a delle lamentele alquanto annoianti.
 
« Sire Elrond, non intendo mancarvi di rispetto, ma come potete pensare di far partecipare una donna al consiglio di domani riguardante l’unico anello?. » l’uomo incrociò le braccia al petto con aria offesa « Questo è un insulto! » ringhiò.
 
« E tu sei uno stolto » lo riprese la voce di Gandalf comparso dal nulla mentre col suo bastone rifilava all’uomo un colpo sul cranio che fece sorridere i due elfi.
 
« Boromir » Elrond allargò le braccia con cordialità e poi gli indicò una sedia accostata al tavolo « Siediti figlio del sovrintendente di Gondor e parlaci di quello che desideri con la calma che gli si addice.»
 
Dopo essersi seduto e aver preso un bel respiro Bromir parlò:
 
« Sire, tutto questo non ha senso! Una donna al consiglio? Non si è mai visto prima di ora, è una mancanza di rispetto! » la sua voce roca era un ringhio perenne.
 
« Parla al re con rispetto » s’intromise Legolas ricevendo in cambio un occhiata feroce dall’oratore e una gentile da parte di Gandalf che si era seduto alla sua destra.
 
« E tu non mancarne a me, elfo. »
 
« Boromir! Per tutti i santi numi porta rispetto a Re Elrond e al Principe Legolas e smettila di sbraitare, è notte e gli abitanti di Gran Burrone dormono così come i suoi ospiti! » ululò infuriato il mago battendo il bastone a terra.
 
Il figlio del governatore si acquetò e mise una specie di broncio restando in silenzio.
 
« Boromir, la ragazza parteciperà perché dice di sapere più di quanto noi sappiamo. Da quello che ho potuto leggere nei suoi pensieri è la verità, meglio averla come amico che come nemico » disse con solennità il re alzandosi « E da quello che ho sentito è un’ottima combattete, non trovi anche tu?. »
 
Gandalf trattenne a stento l’ombra di una risata ma sul suo volto apparve un sorriso divertito e birichino.
 
Cos’è successo, mago? , chiese il principe telepaticamente all’uomo.
 
La ragazza dei draghi ha messo k.o l’uomo qui presente che ora è corroso dalla rabbia, con un cenno di capo Gandalf indicò Boromir, scommetto che non perderà tempo per avere una rivincita.
 
Credo che anche allora perderebbe miseramente, se è come dici tu.
 
Perderà sicuramente, principe. E’ troppo stolto per capire cosa non vada in lui.
 
 
I raggi caldi del sole tagliarono la stoffa sottile delle tende che fluttuavano nell’aria che entrava dalle finestre. Sbadigliando mi stiracchiai e aprii gli occhi solo per trovare a qualche metro da me un elfa dai capelli scuri indaffarata con i vestiti dell’armadio.
Trattenni un urlo e con molta calma mi alzai a sedere.
 
« Desiderate? » domandai il più cordialmente possibile.
 
La donna si voltò verso di me e sorrise allegra con gli occhi azzurri.
 
« Principessa Arwen, mia signora, cosa ci fate nelle mie camere? » mi affrettai a chiedere mentre mi infilavo in tutta fretta la camicia che Legolas mi aveva fatto portare il giorno prima.
 
Non mi sembrava adeguato parlare con la principessa ridotta in quello stato ma non potevo farci nulla, mi aveva colta alla sprovvista e per di più in intimo.
La sera passata era stata troppo calda per me, anche se il vento era gelido, e mi ero ritrovata ad aprire le finestre e levarmi la camicia da notte che avevo gettato nel piccolo terrazzo che c’era oltre le tende.
 
« Calmati, Eleonora » mi tranquillizzò la dama « Ti avrei svegliato a breve, ma sono contenta che tu l’abbia fatto da sola. Il sole sta ancora finendo di sorgere e tra poco avrà inizio il consiglio per l’anello. Mio padre desiderava ci fossi anche tu. »
 
Sbattei le palpebre per qualche secondo, confusa e ancora intontita dalla visione della principessa.
 
« Ti lascio a prepararti, qualcuno verrà a prenderti quando sarà il momento. Ho pensato che un bagno caldo ti potesse fare bene così te l’ho preparato. »
 
« Vi ringrazio, mia signora. » chinai il capo a tanta gentilezza.
 
Cominciavo a sentirmi fuori luogo con lei li, ferma ad aspettare una mia mossa o qualcos’altro.
Vedendo che non mi muovevo più scattò imbarazzata:
 
« Oh, si, giusto. Ti lascio sola, giusto. Che sbadata che sono » le guance le si colorarono di un rosso acceso mentre si dirigeva alla porta e l’apriva « Fra un ora ti verranno a prendere. » mi specificò ancora prima di scomparire dietro l’uscio.
 
Lasciai uscire l’aria dai polmoni, quella che richiudeva tutto l’imbarazzo del momento passato e mi alzai accorgendomi che la camicia non mi stava molto larga e mi arrivava solo appena sotto la vita e copriva l’orlo nero delle mie mutande.
Tanto nessuno poteva vedermi nella mia camera, no? Potevo andare in giro anche nuda se l’avessi voluto, ma tanto sapevo che non l’avrei fatto per paura che qualcuno entrasse come aveva fatto Arwen. Mentre meditavo una freccia andò a infilzare il materasso del letto su cui pochi istanti prima ero e un urlo mi uscì dalla gola.
La presi fra le mani e la rigirai fra le dita cercando di capire a chi appartenesse e proprio mentre un nome mi oscurava i pensieri una figura saltò sul balcone facendosi avanti.
Legolas mi fissò e io fissai lui. Indossava i soliti abiti verdi e marroni, l’arco gli sostava dietro la schiena come il contenitore delle frecce.
Il suo volto era una maschera di scuse.
 
E chi poteva essere stato se non lui?, mi ringhiai nella testa.
 
« Ma sei pazzo? » sbottai senza lasciare che parlasse « Come ti viene in mente di giocare  con queste cose » gli misi la freccia sotto il naso « Qui a Gran Burrone?! Potresti ferire qualcuno, c’è mancato poco che ferissi me, stupido essere! » mentre urlavo pensai che se del fumo avesse preso a uscire dalle mie narici non sarebbe stato male per rafforzare la mia rabbia.
 
« Mi dispiace, non l’ho fatta apposta » tentò di giustificarsi mettendo le mani in avanti « Mi stavo esercitando quando quell’umano… Boromir mi ha spostato l’arco verso la tua finestra poco prima che lanciassi. Pensava di fare una cosa furba e far si che riuscissi a prendere una mela e infilzarla con la freccia al muro esteriore della tua stanza. »
 
« Bhe si è sbagliato! E tu non dovevi lanciare! Se mi fossi ferita questa volta l’avresti pagata a suon di ceffoni, principe dei miei stivali! » urlai arrabbiata porgendogli la freccia, con impeto e rabbia che lo fecero arretrare.
 
Ero davvero aggressiva, wow.
 
« E ora fuori, sono mezza nuda e non ho intenzione di fare un bagno con te che mi fissi! » ordinai.
 
Lui parve accorgersi del mio abbigliamento solo in quel momento perché arrossì violentemente voltandosi.
 
« Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace » cominciò a ripetere mentre lo conducevo alla porta e gliel’aprivo.
 
« Fuori! » strepitai gettandocelo.
 
Cadde addosso a Bromir che stava per bussare. Trattenni il respiro sperando di contenere i bollenti spiriti e non insultarli entrambi ancora e ancora in pubblico.
 
Gandalf che passava li vicino sorrise e continuò la sua camminata con due piccoli Hobbit che guardavano curiosi la scena.
 
« Peregrino Tuc, muovi le tue gambe e raggiungici se non vuoi finire come il principe e il guerriero. » borbottò il mago ad uno dei piccoli mezz’uomini « Conoscerai la ragazza del drago più tardi, ora è meglio lasciarla sfogare con quelle due povere anime » e se ne andarono continuando la loro camminata.
 
Li guardai voltare l’angolo e uscire dalla mia visuale per riprendere poi a guardare i due che si stavano alzando.
 
« Giuro che se… » cercai le parole giuste ma la frustrazione le fece evaporare nell’aria. « Siete… siete…  Stupidi esseri! » ruggì richiudendo con un tonfo la porta per dirigermi al bagno.
 
Questa si riaprì e la faccia di un Boromir sorridente e maliziosi si affaccio dalla fessura.
 
« Mia signora…  »
 
« Sparisci! » presi un cuscino e glielo tirai in pieno volto facendolo scomparire.
 
Solo quando mi sedetti sul letto, e poggiai il volto fra le mani sospirante, capii che la frustrazione e la mancanza di casa mia mi stavano rendendo irascibile. Di certo quell’elfo e quell’essere, perché uomo non poteva essere definito visto i suoi pensieri, non mi aiutavano di certo.
Forse solo il mago e le sue parole potevano alleviare le mie preoccupazioni, perciò pregai che fosse lui che mi avrebbe condotto al cons
iglio, lo sperai con tutta me stessa.

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Capitolo 5
*** Il consiglio. ***


When you let her go.
 
 
 



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Quando una mano bussò alla mia porta io ero ancora intenta a infilarmi quei dannatissimi pantaloni di pelle nera. Saltellavo come una lepre a destra e sinistra chiedendo del tempo ancora, quando sapevo benissimo che di tempo ne era rimasto poco. Alla fine, quando riuscii nella mia impresa, un leggero strato di sudore imperlava la mia fronte.
 
« Arrivo! Arrivo! », borbottai allungando una mano verso la spada appoggiata alla sedia vicino al letto.
 
Portarla o no? No, meglio di no. Già pensavano che il solo fatto che io, in quanto donna, partecipassi al consiglio era oltraggioso, figuriamoci se mi fossi presentata armata cosa avrebbero avuto ancora da ridire.
I colpi alla porta cessarono nell’esatto momento in cui ne schivai uno che per poco non mi colpì. L’uomo che mi aspettava non si era accorto che avevo aperto, perché era intento a scrutare il giardino alle sue spalle, e stava per ribattere un altro colpo quando gli bloccai il pugno nella mia mano.
D’istinto si voltò e sbarrò gli occhi.
Sorrisi abbassandogli la mano e dicendo:
 
« Da queste parti non sapete come trattare una donna, vero? ».
 
Lui non rispose alla mia domanda ma si limitò a sbattere le palpebre confuso. Io ne approfittai per analizzarlo. Aveva i capelli di un intenso castano scuro che ricadevano ondulati sul suo collo. Il volto, in quel momento, era una maschera di imbarazzo e curiosità sulla quale sostavano due occhi del colore dei lapislazzuli e una bocca non molto carnosa. Il tutto incorniciato da della barba in procinto di crescita.
Sforzandomi di passare oltre i suoi sguardi mi schiarii la voce e lasciai libero il suo pugno.
 
« Voi dovreste essere… », le parole mi morirono in bocca quando mi accorsi di non ricordarmi di lui.
 
La mia mente vacillò un istante poi riprese lucidità, e allora parlai nuovamente:
 
« Aragorn, giusto? ».
 
« E voi non dovreste essere vestita da donna?… » borbottò più a se stesso che a me, poi scuotendo il capo riprese. « Volevo dire, si certo. Il mio nome è Aragorn ».
 
« Piacere di conoscervi, sono la ragazza del drago ».
 
« Ho sentito parlare di voi e di come abbate tenuto testa al principe Legolas, e anche a come abbiate battuto Boromir ».
 
Sorridendo divertita, le mie piccole imprese già mi procedevano, feci un passo avanti e chiusi la porta alle mie spalle. Aragorn mi seguì, accostandosi al mio fianco, e studiò ancora il mio abbigliamento.
 
« Se continuate a guardare i miei vestiti così, Aragorn, potreste risultare alquanto… inadeguato. Non trovate? ».
 
Lui sembrò risvegliarsi da un coma e tornò a guardare la strada di fronte a se, come me del resto.
 
« Le mie scuse ».
 
 
Proseguimmo la strada intrattenendoci con conversazioni riguardanti la mia vita. Gli raccontai solo il minimo indispensabile, il più a lungo possibile. Si complimentò per il mio nome, bizzarro, e mi chiese che significato possedesse così io lo “illuminai” con una spiegazione spiccia:
 
« Eleonora, nella mia lingua, significa “colei che ha pietà”, in germanico invece, è sempre un lingua del mio mondo, significa “cresciuta nella luce” ».
 
« Speriamo che il significato sia giusto ».
 
« Lo spero vivamente anche io, Aragorn », per voi.
 
Passammo sotto una costruzione in pietra, tutta via elegante, senza mura e tenuta in piedi da pilastri sottili ma resistenti. Sotto la facciata che dava sul bosco c’era una piccola piazza, alla quel si accedeva tramite tre scalini, nella quale erano state disposte in semicerchio delle sedie suntuose. Un grosso albero cresceva davanti a esse e sotto le sue fronte risiedeva un’altra sedia, la più bella e preziose di tutte, quella di re Elrond. Gandalf era già seduto sulla sua ed era intento a parlare con un piccolo Hobbit dai capelli scuri e ricci.
 
Come si chiama lui?, pensai stupendomi dei miei vuoti mentali momentanei, Oh si Frodo.
 
Scesi con sicurezza i gradini di pietra, sui quali i miei stivali ticchettarono, e quando raggiunsi il centro della piazzola mi accorsi che, proprio da li, spuntava un rialzamento che mi arrivava al bacino. Una fontana grigia e solida al cui centro in bassorilievo stava una specie di rosa dei venti, o roba simile. Era appena visibile a causa dell’usura del tempo ma mi ci persi sorridente quando cominciai a tracciare i suoi contorni con l’indice della mano destra.
La ignorai quando smise di attirare la mia attenzione e mi diressi dal mago.
L’aria fresca e autunnale mi scompigliò i capelli legati in una coda alta e fece svolazzare le maniche della mia camicia chiusa. Avevo deciso di non indossare nulla sopra di essa per comodità.
 
« Buon giorno Gandalf », sorrisi, « Prima non ho avuto il tempo di salutarla, come sicuramente ha constatato ».
 
Il vecchio mago si lasciò sfuggire una risata seguita da un accenno del capo.
 
« Avrai avuto le tue buone ragione per gridare contro il principe e Bromir, cara. A quanto ne so si trattava di un malinteso riguardante una freccia ».
 
« Ora è tutto risolto », precisai alla fine io, poi mi sporsi verso il mezz’uomo che aveva continuato a contemplarmi con i suoi occhi azzurri per tutto il discorso. « E lei devie essere Frodo Baggins », accennai un sorriso e allungai una mano, « Eleonora, lieta di fare la vostra conoscenza ».
 
La sua piccola mano strinse saldamente la mia e gli angoli della sua bocca si alzarono verso le orecchie.
 
« Piacere mio, mia signora ».
 
Non potei fare a meno di farmi scappare una risatina sommessa sentendomi accostare quell’appellativo, alle mie orecchie strano.
 
« Chiamatemi solo Eleonora, o se preferite gli amici mi chiamano El, mastro Baggins ».
 
« E allora voi chiamatemi solo Frodo, e datemi del tu », squittì quest’ultimo.
 
« Con vero piacere, Frodo », rizzai la schiena. « Ora, se mi perdoni, vado a prendere il mio posto», e mi congedai.
 
Re Elrond mi pregò in tutti i modi di accomodarmi sulla sedia sotto l’albero, ma con garbo rifiutai l’offerta dicendogli che sarei anzi rimasta in piedi, al suo fianco, se me lo permetteva. Rassegnato dalla mia testardaggine non poté fare a meno che accettare e guardarmi mentre mi posizionavo, comodamente appoggiata con la spalla sinistra, al profilo dello schienale della sua sedia. Quando tutti furono arrivati, e ebbero chiesto spiegazione per la mia partecipazione ricevendo un lauto discorso da parte del re, Elrond si alzò in piedi e prese un bel respiro:
 
« Stranieri di remoti paesi  », mi rifilò una breve occhiata e io sorrisi,  « E amici di vecchia data. Siete stati convocati per rispondere alla minaccia di Mordor. La terra di mezzo è sull’orlo della distruzione, nessuno può sfuggire ».
 
Era strano risentire quelle stesse parole, che avevo ascoltato decine e decine di volte attraverso uno schermo televisivo, dal vivo.
 
« O vi unirete, o crollerete. Ogni razza è obbligata a questo fato, a questa sorte drammatica », mentre il re pronunciava quelle parole il suo sguardo vagava fra le persone riunite attorno a lui, la stessa cosa faceva il mio.
Poi incontrai lo sguardo di Boromir, aveva in faccia il suo solito, stupido, ghigno che mi faceva salire il nervoso, e lo incenerii col mio.
 
« Porta qui l’anello, Frodo », disse poi con tranquillità Elrond, e con un ampio gesto della mano indicò il rialzamento di pietra. Le maniche larghe della sua tunica rossa oscillarono fino a fermarsi.
Gli occhi erano tutti puntati sul piccolo Hobbit che si alzò intimidito dalla sedia e andò a poggiare l’anello al centro esatto del cono grigio, poi si ritirò.
Un mormorio si alzò tra i partecipanti. Un mormorio incredulo e forse spaventato che  mi turbò nel profondo.
Continuai a far danzare lo sguardo e notai Legolas indirizzare il suo sull’anello, così fece anche Gimli il nano e Boromir che cominciò a scuotere il capo.
 
« Questo è un dono », scattò poi quest’ultimo alzandosi dalla sedia gesticolando. « Un dono ai nemici di Mordor, perché non usare l’anello? », calò il silenzio fra i presenti.
Persino gli uccellini avevano smesso di cantare e io avevo serrato la mascella e stretto i pugni sotto le braccia incrociate.
Gandalf e Elrond si scambiarono uno sguardo eloquente.
 
« A lungo mio padre, sovrintendente di Gondor, ha tenuto le forze di Mordor a bada.  Grazie al sangue del nostro popolo tutte le vostre terre sono rimaste al sicuro. »
 
Mi mossi inqueta sulla mia postazione e Aragorn fece lo stesso trattenendo il respiro.
 
« Date a Gondor l’arma del nemico, usiamola contro di lui! ».
 
« No, no e poi no », protestai. « E’ pazzia, bella e buona ».
 
« E tu, cosa ne sai, donna? », ringhiò Boromir.
 
« Vuoi vedere cosa ne so? », ringhiai cercando l’elsa della mia spada e ricordandomi che non l’avevo.
 
 Elrond mi mise una mano sul ventre facendomi arretrare. Non mi ero neanche accorta di aver camminato verso l’uomo.
 
Sangue freddo, ragazza dei draghi, mi mormorò telepaticamente.
 
« Non potete servirvene », intervenne in mio aiuto Aragorn. Ci scambiammo uno sguardo e io riposi nel mio tutta la gratitudine che potevo. « Nessuno di noi può. L’unico anello risponde soltanto a Sauron, non ha altri padroni ».
 
« E cosa ne sa un ramingo di questa faccenda? » lo attaccò Boromir.
 
Mantenni i nervi saldi e i muscoli pronti a guizzare ma poi i miei occhi incontrarono quelli dell’elfo biondo e gli dissi:
 
Tu sai chi è il ramingo, intervieni.
 
Perché dovrei?.
 
Perché so che lo faresti comunque, e poi mi devi un favore per la freccia… o te ne sei dimenticato?.
 
E chiusi la comunicazione ergendo un muro attorno i miei pensieri.
 
 « Non è un semplice ramingo », scattò in piedi Legolas, e la sua tunica verde oscillò come i suoi capelli. « Lui è Aragorn, figlio di Arathorn, si deve a lui la vostra alleanza ».
 
Mi rilassai tirando un sospiro, mentre il re non accingeva a togliere la mano dal mio ventre per paura che scattassi ancora. Legolas era bravo con le parole.
Gli lanciai un piccolo sorriso indifferente e guardai Aragorn come tutti gli altri.
 
« Aragorn? Questo è l’erede di Isildur? »
 
« E l’erede al trono di Gondor », quasi ringhiò l’elfo.
 
« Havo dad, Legolas », mormorò Aragorn con un cenno gentile di mano.
 
Il principe sorrise ma poi tornò serio quando incontrò lo sguardo di Boromir.
 
« Gondor non ha un re », disse, quasi come se fosse una bestemmia, quest’ultimo.
 
Oltre a essere maschilista, ipocrita, cretino, stolto, e chi più ne ha più ne metta, era anche restio all’idea di avere un re? Uno come Aragorn poi? Avrei dovuto fare il lavaggio del cervello a quell’essere.
 
« A Gondor non serve un re », concluse lanciando sguardi di fuoco al quasi re mentre tornava a sedersi, imbronciato.
 
« Ha ragione Aragorn, non possiamo servircene », prese parola Gandalf .
 
« Non esiste altra scelta », dichiarò Elrond lasciando ricadere la sua mano lungo il fianco. « L’anello dev’essere distrutto ».
 
Boromir ingoiò un fiotto di saliva, gli altri presenti sussurrano lievemente e io annuii.
 
« Allora cosa aspettiamo? », chiese con voce rude Gimli alzandosi con l’ascia in mano sferrando un colpi micidiale all’anello.
 
Un esplosione fece volare il nano a terra e volare schegge di metallo ovunque. Allungai prontamente una mano rinchiudendo tra le dita un frammento a pochi millimetri dal volto del re.
Come avevo fatto non lo sapevo neppure io, a lui però sembrò non importare perché mi ringraziò e poi disse:
 
« L’anello non può essere distrutto qui Gimli, figlio di Gloin, qualunque sia l’arte che noi possediamo. L’anello fu forgiato fra le fiamme del monte Fato, e solo li può essere annientato. Dev’essere condotto nel paese di Mordor e va ributtato nel baratro infuocato da cui è venuto! Uno di voi, deve farlo», di nuovo calò il silenzio.
 
Persino io, che sapevo già come sarebbe andata, lo trattenni sedendomi sulla sedia del re, come lui stesso mia aveva proposto. Chiusi gli occhi e respirai piano, mentre l’elfo che stava seduto alla destra del re mi domandava se stessi bene e io rispondevo di si.
 
« Non si entra con facilità a Mordor  », Borormir si accarezzò la fronte, « I suoi cancelli neri sono sorvegliati da più che meri orchi. Li c’è il male, che non dorme mai. Il grande occhio è sempre all’erta. E’ una landa desolata, squassata da fiamme, cenere e polvere. L’aria stessa che si respira è un’esalazione velenosa », si passò di fretta la lingua sul labbro superiore per inumidirlo, e si poggiò meglio alla sua sedia. « Neanche con dieci mila uomini ci si riuscirebbe, è una follia ».
 
« Non avete sentito ciò che ha detto re Elrond? », sbottò Legolas alzandosi di fretta.
 
Ci siamo, fu tutto ciò che pensai.
 
« L’anello deve essere distrutto! ».
 
« E suppongo che pensi che sarai tu a farlo! », sborbottò a voce alta Gimli.
 
Poggiai il gomito destro sul bracciolo della sedia del re e nascosi il volto nella sua mano, pronta agli strepiti che ne sarebbero susseguiti.
 
« E se falliamo cosa accadrà? », anche Borormir era in piedi adesso. « Cosa accadrà quando Sauron si riprenderà ciò che è suo?  ».
 
« Sarò morto prima di vedere l’anello nelle mani di un elfo! » gridò il nano.
 
Che la festa abbia inizio!, canzonai nella mia mente.
 
Urla e strepiti affollarono la piazzola ghermita da tutta le gente che si era alzata in piedi a protestare. Erano insopportabili. Più petulanti delle donne, persino del mio tempo.
 
« Nessuno si fida di un elfo! » ululò Gimli.
 
E le urla invece di cessare continuarono, con più forza. La musica metal in confronto era una ninna nanna.
 
« Sire »,sussurrai alzandomi e guadagnandomi l’attenzione di re Elrond, « Si sieda, gliene prego ».
 
Senza ribattere, accettò con benevolenza la mia proposta e io potei tornare appoggiata al profilo della sua sedia. Con i miei occhi vagai analizzando i volti dei presenti finché non ricordai che Frodo, in pochi istanti, si sarebbe offerto di portarlo.
Il piccoletto se ne stava a muoversi sulla sedia, aprendo e chiudendo gli occhi velocemente, finché non si alzò e gridò:
 
« Lo porterò io! », ma nessuno lo aveva ascoltato. Con voce più forte per sovrastare il baccano riurlò ancora « LO PORTERO’ IO! ».
 
Tutti si zittirono e si voltarono mentre io mi dipingevo un sorrisetto sulle labbra, compiaciuta di essermi ricordato quello che sarebbe accaduto.
 
« Porterò io l’anello a Mordor, solo… non conosco la strada ».
 
« Ti aiuterò a portare questo fardello, Frodo Baggins, finché dovrai portarlo », sussurrò Gandalf mettendosi alle sue spalle.
 
Ora sarebbe cominciata la tiritera della compagnia dell’anello.
 
« Se con la mia vita, o con la mia morte, riuscirò a proteggerti io lo farò » esordi Aragorn alzandosi dal suo posto. « Hai la mia spada » s’inginocchiò di fronte all’Hobbit.
 
« E hai il mio arco », con passo deciso Legolas li raggiunse.
 
Sospirai raccapezzandomi sul da farsi, su quello che avrei dovuto fare. Entrare nella compagnia oppure no? Rivoluzionare libro e film, o no?.
 
« E la mia ascia », sospirò Gimli accostandosi all’elfo biondo, che lo guardò un’istante e poi alzò gli occhi al cielo.
 
Mi lasciai scappare un sorriso divertito.
 
« Reggi il destino di tutti noi, piccoletto. Se questa è la volontà del consiglio allora Gondor la seguirà », dichiarò Boromir.
 
« Ehy! », un gridolino di protesta distrasse tutti, portandoli a guardare una figura bassa che si face largo tra la folla finché non arrivò da Frodo.
 
SAM!
 
« Padron Frodo non si muoverà senza di me », protestò il piccolo Hobbit, incrociando le braccia al petto.
 
« No, certo, è quasi impossibile separarvi anche quando lui viene convocato ad un consiglio segreto e tu non lo sei », sul volto del re mi parve di scorgere un sorriso divertito.
 
Sul mio c’era sicuramente.
 
« Ehy! Veniamo anche noi! », esclamarono altri due Hobbit.
 
Merry e Pipino!, risi nella mia mente sperando di restare impassibile all’esterno.
 
« Dovrete mandarci a casa legati in un sacco per fermarci! » sorrise Merry.
 
« Comunque, ci vogliono persone intelligenti per questo genere di… missione… ricerca…cosa! », disse deciso con un segno del capo Pipino.
Il volto di Gandalf si contrasse in una smorfia disperata.
 
« Ma così ti autoescludi, Pipino ».
 
Mi lasciai sfuggire una leggera risata che però non passò inosservata da Legolas e Boromir. Li fissai truce e ripresi una postura fiera e decisa ignorandoli.
 
« Nove compagni… e sia. Voi sarete la compagnia dell’anello. » annunciò fieramente Elrond esaminandoli a uno a uno.
 
« Grandioso! », sorrise Merry.
 
« Dov’è che andiamo? », domandò Pipino.
 
Mi voltai di spalle e me ne andai dalla piazzuola in cerca di un posto dove poter ridere tranquillamente. Quando fui abbastanza lontana mi lasciai andare liberamente, poggiando una mano al muro per sostenermi in piedi. Che scene esilaranti!
 
Non mi sono unita alla compagnia…, sobbalzai, NON MI SONO UNITA ALLA COMPAGNIA! O signore sono una frana! Devo rimediare.
 

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Capitolo 6
*** Isil, la guerriera. ***


 
When you let her go.           
 
 
 
 
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Dopo aver ripreso fiato m’issai retta e scesi gli scalini che avevo innanzi. Un gazebo finemente lavorato si ergeva all’ombra delle costruzioni, perso nei canti degli uccelli e nello scrosciare delle acque di Gran Burrone. Passandomi una mano fra i capelli tornai indietro e mi accomodai su uno scalino, a pensare.
 
Come faccio? La mia stupidità mi ha impedito di ragionare bene quindi non mi sono unita alla compagnia… perfetto El, perfetto! Idiota totale.
 
« Tutto bene? »,  chiese qualcuno fermandosi al mio fianco.
 
Alzai il capo e osservai il ragazzo che mi aveva posto la domanda.  Indossava la solita divisa marrone e verde, si era cambiato, e i capelli biondi scendevano morbidi sulle spalle.
 
 « Cosa ti fa credere che non lo sia? », domandai acida alzandomi per arrivare a guardarlo meglio negli occhi.
 
Inutile, era sempre più alto di me di, circa, 28 cm. Ero un genio con i calcoli. Lui sorrise e guardò in alto verso il cielo coperto di alberi poi si accarezzò una guancia imbarazzato. Guardandolo bene mi accorsi che da vicino i suoi occhi avevano una sfumatura grigiastra che contrastava col blu intenso. Avrei ucciso per averli io stessa, ma purtroppo non potevo… almeno, non potevo uccidere lui.                     
 
« Scusami se ho chiesto », alzò le spalle ma non mi guardò, « E’ che ti ho vista correre via a fine consiglio… poi ti ritrovo qua seduta come un’anima in pena sulle scale e mi è sorta spontanea la domanda ».
 
Aveva praticamente detto che gli facevo pena?.
 
Irrigidii la mascella e gli puntai un dito al petto costringendolo a fare un passo indietro. I suoi occhi blu mi esaminarono leggermente ansiosi.
 
« Mi hai praticamente detto che ti facevo pena? ».
 
 «  Si… cioè no. Intendevo dire che ».
 
« Ascoltami, molto, bene principe dei miei stivali », sibilai tra i denti, « Non ho bisogno di farti pena, non voglio. Stavo solo pensando a come poter entrare nella compagnia per badare a voi deficienti in modo che possiate tornare a casa sani e salvi. E in modo che io possa ritrovare il mio dannatissimo drago che tu », sottolineai aspramente, « Hai attaccato, ferito, e fatto fuggire. Perciò vedi di non provare pena per me, ma solo paura », conclusi aggressivamente prima di voltargli le spalle e andarmene.
 
Lo sentii sospirare e poi tornare a scendere le scale. Imprecai mentalmente, frustrata, e cercai di rilassarmi. Mi concentrai sul rumore delle cascate e sul canto degli uccelli. Chiusi gli occhi. Chissà, magri un volatile mi sarebbe atterrato sulla spalla. Ma invece di un volatile, dolce e leggiadro, ci pensò una voce burbera a farmi aprire gli occhi.
 
  « Quella ragazza, comparsa dal nulla, dovrebbe venire con noi? », sbofonchiò qualcuno.
 
   « Gimli, lo so che il fatto che la ragazza sia qui e che abbia partecipato al consiglio non sia stato di tuo gradimento. Tutta via ho avuto modo di apprendere la storia del principe Legolas e la ragazza si è dimostrata all’altezza delle aspettative », riconobbi la voce di re Elrond, « La sua mente è ricca, il suo spirito è forte. Sarà all’altezza della missione ».
 
« E’ una donna! Le donne portano solo guai! », ribatté il nano, « E poi che strano nome ha? Non l’ho mai sentito da queste parti! ».              
 
Abbassi lo sguardo e sospirai, leggermente scossa da quelle parole. Come poteva, quel nano, riferirsi così a me? Non mi conosceva nemmeno. Presi un bel respiro e cominciai a camminare nella loro direzione, decisa.
 
« Sire mi dispiace interrompere il suo, animato, discorso con »,squadrai il nano con l’ascia in mano, « Gimli, figlio di Gloin, ma devo dirvi una cosa che prima non ho potuto », entrambi gli occhi dei due erano su di me,  « La compagnia è già stata formata, è vero, ma io vorrei partecipare comunque alla spedizione, se voi me lo permetteste ».
 
Sul volto del sovrano si aprì un enorme sorriso, mentre su quello del nano si creò una piccola smorfia. Lo fissai inarcando le sopracciglia e lui fece lo stesso appoggiandosi alla sua nuova ascia. Cominciai a domandarmi dove l’avesse presa.   
 
  « Mia cara El… »      
 
  « Isil, mio signore. Ho scoperto che qui mi chiamo Isil », mormorai interrompendo il discorso del re.
 
Avevo scoperto,  o meglio ricordato quel nome all’improvviso di notte. Avevo sognato un uomo, ma non ero riuscita a vederlo in volto perché ero stesa a terra, che urlava il mio nome, io non rispondevo, gridava nuovamente per poi venirmi accanto e sussurrarmi all’orecchio “ Resta qui Isil ”. E dopo era tutto scomparso.
Il sovrano alzò le sopracciglia incuriosito, e pensai che stesse per sgridarmi per averlo interrotto, quando sul suo sguardo passò una scintilla.
 
  « Ma certo. Isil o Ránië, perché non ho pensato prima a questo? », io e il nano ci scambiammo uno sguardo interrogativo poi tornammo al sovrano, « Le predizioni lo dicevano. I miei antenati ti avevano già vista arrivare. Tu sei la loro stella del destino, piccola ragazza dei draghi »    
 
 « Non capisco, mio signore », sussurrai.
 
  « Vieni con me, ragazza dei draghi », si affrettò a dire prendendomi la mano e camminando velocemente.
 
Arrivammo in poco tempo, dopo aver svoltato per piccoli ponti e strane strade, sotto una cascata. Il pavimento di pietra su cui sostavamo si allungava fino a sfiorare l’acqua che scendeva costantemente,  e i raggi del sole, che filtravano tra le onde della cascata, si posavano su un rialzamento di cristallo che splendeva. Sopra di esso sostava una pergamena.
Re Elrond si affrettò a raggiungerla e mi fece cenno di avvicinarmi. Quando fui accanto al sovrano notai che la pergamena, che stava accarezzando, era quasi bianca ormai e trasparente. Poche erano le parole che riuscivo a distinguere, me una figura attirò la mia attenzione.
Una giovane ragazza dai capelli castani e gli occhi diversi.  Uno era verde, un verde brillante, e aveva una sfumatura gialla, e l’altro del colore della cioccolata. Aveva uno sguardo tagliente e fiero ma quanto dolore ci riservava dentro?
 
Già, quanto dolore porto dentro?, mi ritrovai a chiedermi, Quanto dolore avevo dentro?.
Ma come potevo domandarmi una simile cosa? Eppure… eppure non avevo potuto fare a meno di chiedermelo. Quella figura mi era tanto famigliare.
 
« Lei era Isil, la guerriera », disse Elrond senza staccare gli occhi dalla figura, che accarezzava con fare paterno, « Speravo sarebbe ritornata, ma non immaginavo di vederla così diversa da allora », gli occhi di lui si posarono nei miei.
 
Lessi domande e incertezze, ma anche gioia, speranza.
 
 « Ancora non capisco, sire ».                   
 
« Te ne devi essere dimenticata, dunque…  », il sovrano sospirò, « Tu sei già stata in questo mondo, Isil. Non lo ricordi ma è così. Peristi nella battaglia contro Smaug e il tuo corpo scomparì senza lasciare traccia nelle braccia di… », non continuò la frase.
 
Feci un passo indietro, leggermente spaventata dal comportamento del sovrano. Io non ero mai stata nella terra di mezzo prima d’ora.
 
« Il tuo corpo è tornato indietro, nel tuo mondo, quando ti hanno uccisa. E’ tutto chiaro », pensò a voce alta.
 
« Sire, con tutto il totale rispetto che nutro per lei, questa storia è assurda ».
 
Gli occhi del sovrano vagarono per le acque della cascata. Li seguii e rimasi confusa non vedendoci nulla  di particolare. Molti piedi sotto di noi, il ruggito delle acque era sfolgorante sulle rocce.
 
  « Isil, aveva una cosa molto importante, per lei… », narrò l’elfo aggirando il banco di cristallo e dirigendosi verso la cascata,« Era un anello forgiato dagli elfi. Un anello che solo lei poteva portare e nessun’altro, perché della sua perfetta misura. Un anello per riconoscerla. Un anello che avrebbe dovuto donare all’uomo che amava. Prima di morire », la voce dell’uomo era rotta dal ricordo,« Lo mandò da me, con una busta in cui aveva scritto che dovevo conservarlo fino al suo ritorno… bhe, credo che sia ora di ridarglielo ».
 
Allungò una mano verso l’acqua e disse qualcosa in elfico. I raggi del sole batterono con più forza nel punto in cui aveva immerso le dita, l’acqua rallentò la sua corsa, e qualcosa luccicò tra esse. Quando le estrasse, i raggi tornarono normali e l’acqua scese imperterrita come prima, teneva un anello in mano. Era un tondino circolare, di oro bianco, e inciso sopra in rilievo c’erano due conchiglie che si scontravano fra loro alternate da delle foglie. L’uomo lo guardò e sospirando sorridente me lo porse.
 
 « Se sei realmente tu, quella che credo, allora è un segno. Tu sai quando c’è un pericolo nella Terra di Mezzo e ogni volta accorri per salvarci… » .          
 
  « Sire, io non… non ricordo davvero di essere mai stata prima d’ora in questo posto. E poi non ho gli occhi come quelli della ragazza della pergamena. Sire, con tutto il rispetto, io non ricordo nulla ».
 
« Almeno provalo », implorò allunando la mano nella mia direzione.
 
Sospirai e lo presi con cautela, come se avessi paura di romperlo. Era leggero e fresco e bellissimo. I miei occhi lo analizzarono per un secondo, poi lo misi all’indice destro e questo entrò perfettamente. Osservai la mia mano pensando che quel piccolo gioiello era entrato perfettamente.
 
E’ stupendo, pensai incantata, ma poi uno strano dolore s’impossessò di me costringendomi a cedere sulle ginocchia. Il re si precipitò al mio fianco sorreggendomi le spalle. Faceva male, da levarmi il fiato. Strinsi in una mano la stoffa della tunica del re mentre l’atra, in cui risiedeva l’anello, la portavo al cuore stringendolo leggermente la stoffa della mia camicia.
 
« Fa », presi un respiro profondo, « Male ».
 
  « E’ normale, te ne ha già fatto in passato », mi rassicurò il re,  « Col tempo, si attenuerà del tutto » .
 
Mi aiutò a rimettermi in piedi e sorrise benevolo abbracciandomi. Il dolore si era placato, era vero, ma la cosa rimaneva strana. L’anello mi aveva come prosciugato e scavato dentro un vuoto.
 
  « Nulla cambierà, Isil. La tua vita continuerà. L’anello assorbe energia quando ne ha bisogno e la rilascia per proteggere il suo padrone », spiegò Elrond, distanziandosi da me, « Quando inizierai il viaggio l’anello sarà l’arma più potente che avrai. Nessuno si aspetta che tu sia tornata, tieni il segreto, nascondi l’anello sotto dei guanti, e stai attenta », mi raccomandò.
 
   Non potei fare a meno di annuire per poi voltargli le spalle e cominciare a camminare velocemente, lontano da quel luogo. No. Io non ero mai stata prima di allora nella terra di mezzo. Io non avevo mai avuto nessun’anello di quel tipo. Io non avevo  mai salvato nessuno. Io non ero una combattente.  
 
 « Abbi cura di te, Isil. Benvenuta nella compagnia dell’anello! », gridò il re.                  
                                                          

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Capitolo 7
*** Errori. ***


 
When you let her go.  
 

 
 
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La notte di Gran Burrone era calma e ventilata. Le foglie imbrunite frusciavano fra loro, creando strane melodie. Qualche gufo si lanciò in picchiata per procurarsi la cena e poi scomparve di nuovo tra le folte fronde brune. Io rimasi in silenzio, a guardare l’acqua scorrere nei ruscelli, ad ascoltare la natura, a guardare l’anello che re Elrond mi aveva dato, rigirandolo col pollice sul mio dito.
Chiusi gli occhi e inspirai.
C’è buio attorno a me. I grandi alberi non lasciano trasparire nulla, se non pochi raggi di sole. Continuo ad avanzare, silenziosa e attenta, in cerca del nemico. L’arco che tengo in mano è leggero e forte, non avrò problemi a muovermi velocemente, nel caso dovessi farlo. Fruscio di foglie. Qualcosa attira la mia attenzione facendomi voltare in tempo per schivare l’assalitore, che getto a terra e tengo fermo con un piede piantato sulla gola. Il ragazzo non si muove più, non si dibatte, resta fermo e sorride leggermente.
« Cosa ci fa un nano in questo posto? », ringhiò, sorprendendomi della mia aggressività.
« Cosa ci fa una ragazza con gli elfi? », risponde prontamente quello, alzando una mano per afferrare la mia, che gli porgo gentilmente, forse per scusarmi del modo in cui l’ho attaccato.
  « Sopravvive », rispondo solamente, allontanandomi.
 « E perché, dovrebbe, sopravvivere? », s’incuriosisce lisciandosi la barbetta bionda scuro, ornata di trecce.
 « Perché vivere è un termine così antiquato, non è vero Fili? », domando sorprendendolo. L’ho riconosciuto, so chi è, ma lui non sa chi sono io, meglio così.
 « Come conosci il mio nome? ».
« Come conoscevi il mio luogo di caccia? », rispondo prontamente, dandogli le spalle e lasciandolo indietro.« Tu e la compagnia di Thorin dovete andarvene, è solo un consiglio », lo avverto, prima di scomparire tra le foglie.
 
Aprii le palpebre, accorgendomi di avere il fiatone. I miei occhi saltarono sul ruscello che passava sotto al ponte, su cui sostavo, e solo allora mi accorsi di essermi sporta per aggrappare le mani alla ringhiera di legno. Accanto a me qualcosa si mosse, attirando la mia attenzione.
« Sognavi, ragazza del drago? », domandò Gandalf, appoggiato pigramente al suo bastone.
Lo osservai circospetta e sorrisi, dopo poco. Non l’avevo sentito arrivare, com’era possibile? E com’era possibile che io avessi avuto quella, sotto specie, di visone.  E chi era Fili?.
 « Mi sono lasciata trasportare dalla fantasia », mormorai verso di lui.
 « Dalla… fantasia? », chiese, assumendo un portamento altezzoso.
La lunga tunica grigia si confuse con la barba, che continuava ad alzarsi e abbassarsi mentre il mago parlava.
« Re Elrond mi è venuto a dire che ti sei unita alla compagnia », borbottò distrattamente, « Sono felice che tu cercherai di riportare a casa noi, banda di deficienti … », concluse.
Arrossii violentemente, abbassando lo sguardo a terra, e presi a dondolarmi sui talloni. Le opzioni, per cui lui sapeva quello che avevo detto, erano due: oh quel rincoglionito d’elfo era andato a riferirlo a tutti, oppure il caro Gandalf aveva un orecchio finissimo.
« Oddio… mi, mi dispiace così tanto di averlo detto », avvampai.
« Giovane, Isil », mi alzò il mento col bastone e sorrise amorevolmente, «  Non  sei cambiata di una virgola ».
 « Tu sai? », domandai con impeto, stupendomi, « Ma come…? ».
« Io e re Elrond siamo, ottimi, amici ».
« O ma certo », capii, una certa apprensione si formò nel mio petto e così mi ritrovai a chiedere, in un sussurro, « Non dirà nulla agli altri, vero? ».
Il vecchio mago annuì e mi accarezzò i capelli. Trattenni un urlo, frustrato. Odiavo che qualcuno mi toccasse i capelli, era sempre stato più forte di me.
« Sciocca ragazza, certo che no », fece un passo indietro e piegò leggermente la testa d auna parte, « Ora vai a letto, domani si partirà all’alba ».
« Ma… » .
« Vai a letto! ».
Sbuffai e mi congedai dalla presenza del mago, borbottando.
 
Strinsi le braccia al petto e percorsi la piccola piazzola che portava agli alloggi. La luna splendeva solitaria nel cielo, e potevo udire il dolce canto del vento. Sbuffi freschi mi accarezzarono la pelle e mi accompagnarono alla porta della mia camera, che aprii stancamente per poi buttarmi sul letto. Chiusi gli occhi e in pochi secondi mi addormentai.

 
 
°  °



L’alba si riverso nella mia stanza, mentre io ero già sveglia. Il caldo sole si propagò sul pavimento, sulle pareti e sui mobili infondendo un sento di assoluta tranquillità. Trattenendo il fiato cominciai a infilarmi i pantaloni di pelle, con cautela.
Posso farcela, mi dissi, Tutto in un colpo ed è fatta. Trattenni il fiato e saltai portando in su la vita dell’indumento. Con mia sorpresa ci riuscii. Esultai, felice, e continuai a vestirmi tranquillamente, finché qualcuno non bussò alla mia porta.
« Arrivo, arrivo! », gridai infilandomi gli stivali, « State calmi! ».
Quello “state calmi” non fu compreso bene da chiunque mi aspettasse fuori, perché dopo pochi secondi la porta si aprì ed entrò un Boromir smanioso di partire.
« Esci subito! », gridai tirandogli un cuscino, che lui evitò per un soffio.
« Stiamo per partire », annunciò, e intanto evitò un altro cuscino.
« Stiamo, non siamo ancora partiti! », protestai io, infilando la mia spada nuova, donatami dalla principessa Arwen la mattina stessa, quando era venuta a portarmi una camicia pulita, nel fodero.
« Oooh, me ne infischio se non sei ancora pronta », sbottò avvicinandosi a me, « Voi donne non siete mai pronte! », e così dicendo mi caricò in spalla.
« Maschilista, egocentrico, stupido testardo! », esclamai dimenandomi, « Lasciami, o farai un brutta fine! ».
« Nel caso tu non l’avessi notato, mia signora, sei praticamente imprigionata nella mia stretta, non che la cosa dispiaccia a me, ovviamente, ma non vedo come tu possa lib… », prima che concludesse la frase gli tirai un calcio secco in mezzo alle gambe e lo feci cadere a terra, mentre io atterrai morbidamente su di lui, per poi rialzarmi e stirarmi i vestiti con le mani.
« Ops, ho dimenticato il mantello », dissi tranquillamente, scavalcandolo e tornando nella mia camera a prendere l’indumento che legai al collo.
Il verde smeraldo della stoffa, morbida e setosa, dell’indumento si abbinava, in modo strano, alla mia divisa fatta di pelle nera e camicia bianca. Tutta via, non mi dispiaceva molto.
Camminai tranquilla verso l’esterno, passando sopra Bormoir, ancora steso a terra, che si lamentò e mi consigliò una dieta. Io risposi sorridendo, premendogli uno stivale sulla schiena mentre l’attraversavo.
« Tu avresti bisogno di un corso di mascolinità », conclusi poi, svoltando l’angolo e scendendo le scale che portavano all’entrata di Gran Burrone.
Erano tutti radunati li davanti. Il piccolo Frodo stava accanto a Gandalf, e Aragorn era  intento a battibeccare con Merry e Pipino riguardo qualcosa di cui non capivo bene. Sam se ne stava in disparte a preparare il pony, mentre Legolas ignorava Gimli e il nano faceva lo stesso. Quando arrivai alla compagnia, tutti si voltarono nella mia direzione, sorridendo.
« Dov’è Boromir? », domandò Merry, scrutando oltre le mie gambe.
« Ancora accasciato sul pavimento, credo », ammiccai io, e il piccolo hobbit arrossì imbarazzato gettando lo sguardo verso l’alto.
« Perché dovrebbe essere accasciato sul pavimento? », s’incuriosì Gandalf, con un sorriso divertito in volto.
« Mi ha caricata di peso sulle spalle, e io non avevo ancora preso il mantello! », con una mano presi un lembo di tessuto verde e lo misi davanti al mago, per animare la conversazione, « E non potevo venire via senza. La principessa me l’ha dato di persona. Ma lui non mi mollava e così ho dovuto ricorrere alle maniere… forti ».
« Non l’avrai pugnalato? », rise il nano, poggiato all’ascia.
« Ma che, gli ho solo… ».     
« Oh, eccolo! », esclamò Pipino sorridendo.
Ci voltammo tutti nella direzione che il mezz’uomo stava indicando con il dito e i nostri occhi catturarono l’immagine di un Boromir zoppicante e addolorato. Mordendomi il labbro inferiore, sgattaiolai verso Sam e il suo pony e cominciai ad accarezzare indifferente l’animale.
 


 °  °
 



« Eleonora », ringhiò Bormir, quando ormai eravamo lontani da Gran Burrone.
« Si? », chiesi indifferente, ancora non capivo perché dovesse avercela con me. Solo perché ero una donna, che non stava a casa a cucinare e dare piacere al marito, come diceva lui, gli dovevo stare antipatica? Lui mi stava antipatico perché ragionava così. Lui mi stava antipatico a prescindere, veramente.
« Non ti sei ancora scusata con me », borbottò affiancandomi.
« Dovrei? », sorrisi divertita. Mi piaceva dagli sui nervi, era più forte di me.
« Dio, tu sei… sei una cosa », strinse i pugni lungo i fianchi e si posizionò davanti a me, bloccandomi il passaggio.                                                           Gli altri continuarono ad andare avanti. Aragorn ci passò vicino, ci lanciammo uno sguardo ma poi lui continuò a camminare.  Solo Legolas, qualche volta guardava indietro, come Gandalf.
« Senti », presi un respiro profondo, « Sei carino, ma non invisibile. Perciò sparisci dalla mia vista e farò finta che non sia successo nulla ».                                                                                                                                                                                                                           
« Chiedimi scusa », mi ordinò l’uomo.
« Sai che non lo farò », ribattei, cercando di aggirarlo ma lui non mi permise di farlo.
« Fallo », ripeté.
« Se non te ne vai, giuro sui Valar, che ti spacco la mascella ».
« Provaci », mi sfidò.
« Fossi in te non scherzerei col fuoco », l’ammonii , con un ringhio sommesso.
Lui fece un passo avanti e il mio petto scontrò contro il suo. Il suo volto si abbassò e la sua mano indicò la sua guancia.
« Avanti ragazzina, vediamo che sei fare. Sto tremando di paura », rise.
Deficiente, pensai nella mia testa.  Caricai il braccio e sferrai l’attacco. Una mano fermò prontamente il mio polso a pochi millimetri dal volto dell’uomo. Mi voltai a vedere a chi appartenesse e repressi un ringhio di frustrazione. Possibile che quell’elfo fosse sempre in mezzo?
« Boromir, vai », ordinò Legolas all’uomo, con un tono che non permetteva repliche.
Il figlio del governatore di Gondor lo guardò male e voltò i tacchi, borbottando contrariato.
« Perché l’hai fatto? », gridai dimenandomi, in modo che lui mi lasciasse.
E lo fece. Mi lasciò il braccio e mi guardò con i suoi occhi blu, come il mare in tempesta. Sul suo volto comparve una smorfia, di dispiacere forse?
« I-io credevo, pensavo che Boromir stesse per baciarti contro tua iniziativa e sono venuto per… proteggerti », ammise senza distogliere lo sguardo.
« Cooosa?! Non mi stava per baciare! Credi che quello che tu hai fermato fosse una carezza? Ma lo sai riconoscere un pugno da un effusione, Legolas? » , ululai.
« Si, però io credevo di farti un favore ».                    « Bhe, la prossima volta, quando crederai che io abbia bisogno d’aiuto, non intervenire, a meno che non te lo chieda! » sbraitai, diventando rossa in viso,  « E ora spostati, principe dei miei stivali, mi blocchi la strada! », lo spinsi da una parte e ripresi a camminare. Non avevo bisogno di essere protetta, potevo pensare benissimo da sola alla mia incolumità. Non ero una di quelle fanciulle delle fiabe, che se ne stavano in una torre a parlare con gli animali e a intrecciarsi i capelli, che aspettavano il principe in attesa di essere salvate. Io non avevo bisogno di esse salvata, proprio, da nessuno. E questo doveva entrare in meta a tutti gli uomini della compagnia.
Passai di fianco a Gandalf, che ci aveva aspettati, e lui socchiuse le labbra con l’intenzione di dire qualcosa, ma la mia espressione gliele fece richiudere.
 
 
 °   °



Legolas la guardò allontanarsi. Ripensò alle parole taglienti che gli aveva detto poco prima e si sentì pervadere dal dispiacere. Sospirando si diresse nella direzione in cui la compagnia aveva proseguito e ad aspettarlo trovò Gandalf. Si sorrisero e insieme raggiunsero gli altri. Gli occhi dell’elfo scrutarono i compagni, in cerca di lei, ma non la trovò. Solo quando il suo fine udito colse la tonalità dolce e sicura della voce di Eleonora si voltò e la trovò intenta a parlare con Frodo e Sam, Pipino e Merry. Sorrideva intenta ad ascoltare le storie degli ultimi due, dove ogni tanto s’intrometteva anche Frodo e meno di rado il piccolo giardiniere. Evidentemente, lei, si sentiva osservata, perché si voltò nella sua direzione e gli rifilò un occhiata glaciale che fece rizzare i capelli sulla nuca al principe.
« Non disperare », s’intromise nei suoi pensieri Gandalf, « Le passerà ».
Il principe non rispose e restò a guardarla scoccare un’occhiataccia anche a Boromir, che le sorrideva come un cascamorto. Lei alzò il mento e tornò a concentrarsi sui piccoli hobbit.
« Ragazzo! », lo riprese il mago, dandogli una piccola botta in testa col bastone, « Mi ascolti? ».
« Auch », Legolas si accarezzò il punto dolorante, annuendo.
 « Dicevo, non devi disperare. E’ una donna, col tempo imparerai a capirla e lei abbasserà le sue difese ».
«Ma che donna, quella è una serpe », gracchiò Boromir.
« Zitto! Non sparla male delle signore, stolto », borbottò Gandalf, rifilando anche a lui una bacchetta sul capo.
« Ma perché l’hai fatto? », protestò Boromir guardandolo con occhi stupefatti.
« Perché hai offeso una signora », ripeté il mago.
« Ho detto quello che pensavo », si difese l’uomo, « E’ una serpe, manesca e impulsiva ».
« Taci », lo riprese ancora il mago, rifilandogli un’altra botta.
Legolas non poté fare a meno di ridere divertito dalla scena e staccarsi dai due per andare a interloquire con Aragorn, che non aveva ancora aperto bocca dalla partenza.                                                                                                                                                                                                                                                                                                      
                                   

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Capitolo 8
*** Uncover: la prima apparizione nella Terra di Mezzo. ***


 
When you let her go.  
 
 




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I primi giorni passarono, tranquilli, e la compagnia avanzò a passo regolare per tutto il tragitto. Il pomeriggio non mancavo mai di battibeccare con Bormir, come per esempio: il giorno successivo la nostra partenza si era divertito a svegliarmi gettandomi contro dell’acqua ghiacciata, ma l’aveva pagata ricevendo uno schiaffo e finendo a terra, sconfitto, dopo che mi aveva sfidato, ricevendo battute dai nostri compagni. Il giorno dopo l’avevo gettato, per sbaglio (si fa per dire), a terra con uno sgambetto. Da allora, nei giorni a seguire era stato un via vai di occhiatacce, frecciatine e sconfitte, sue.  La sera non mancavano le storie riguardanti le vite che tutti avevano vissuto prima di allora, e “il branco di deficienti”, come li avevo chiamati tempo prima, si divertivano a schernirsi fra loro con battutine, a volte sconce.  L’unico che tendeva a stare in disparte, sebbene non si staccasse da noi, mi sembrava Legolas. Ogni volta che mi voltavo e lo trovavo a fissarmi gli lanciavo occhiate inferocite in modo che si concentrasse sugli altri e non su di me. Altre volte, quando ero io a scrutarlo, l’osservavo, e studiavo il suo comportamento. Guardandolo allenarsi con l’arco avevo imparato a memoria i suoi movimenti, e ormai mi sembravano scontati come quelli di Boromir con la spada. Quando arrivò il turno dell’elfo, di raccontare la sua storia, lui si dilungò sulle sue origini, su Bosco Atro, e suo padre Thranduil e gli enormi cervi che sostavano nelle vicinanze del suo reame. Che noia, borbottai trattenendo uno sbadiglio, Persino i racconti della mia prof di matematica sono più eccitanti. E la mia prof parla di calcoli.
« Sembra un bel posto, per viverci », sorrise Gandalf.
« E lo è », rispose prontamente l’elfo, il viso illuminato dal falò.  Le fiamme danzavano sulla sua pelle, bianca e perfetta , come ballerine dolci e aggraziate. Gli occhi, quella sera , erano limpidi e azzurri più del solito. Le stelle erano su di loro, un riflesso incondizionato del tempo. I lunghi capelli biondi erano stati gettati dietro la schiena e chiusi in una treccia, per stare più comodo durante il sonno.  Bla, bla, bla, ma non succede mai nulla da queste parti?, gracchiò la voce di Boromir. Alzai la testa dal palmo su cui l’avevo poggiata e lo guardai. Lui se ne accorse e ricambiò lo sguardo, sfidandomi.
« Hai detto qualcosa? », indagai, sbattendo le palpebre.
 « Ehm… no. Perché?  », domandò allungandosi nella mia direzione. I capelli gli ricaddero sul collo, e sul volto quando ci passò una mano in mezzo. Uno stupido tentativo di abbordaggio.
Feci una smorfia disgustata e lo spinsi via, facendolo cadere sulla schiena.
 « Sei ridicolo. Stammi lontano », lo schernii alzandomi e andandomi a rifugiare tra Gimli e Aragorn. I due mi sorrisero e l’uomo mi circondò le spalle con un braccio, con fare fraterno. Sorrisi e lo guardai, lui ricambiò lo sguardo, ancora divertito dalla scena di pochi minuti prima.
 « La bambina sa come farsi rispettare », rise il nano, dandomi una pacca sul ginocchio fasciato dal pantalone di pelle.
« Lo puoi dire! », esclamò Pipino, saltando in piedi dal suo giaciglio. Lo fissammo tutti, sorpresi che fosse ancora sveglio.
« Non dovresti dormire? », borbottò Gandalf al mezz’uomo. La lunga barba era stata tramutata, da Legolas, a cui quella sera era presa la “passione del parrucchiere”, in una treccia. All’inizio Gandalf l’aveva allontanato, ma gli era bastato assopirsi pochi minuti che al suo risveglio la folta chioma grigia era stata intrecciata, con esperienza. Aveva tirato il bastone in testa al biondo qualche volta, mentre lo riprendeva, ma non aveva sfatto la treccia, “per pigrizia” aveva detto lui. A mio parere era perché gli piaceva.
« E’ una regola ingiusta! », protestò lo hobbit, congiungendo le braccia al petto indignato, « Voi potete stare alzati per quasi tutta la notte, e noi, ioooo, dovrei dormire per restare in forze?  » , borbottò il piccoletto,  « Tzé, sei proprio uno stolto se credi che lo farò! », imitò la voce del mago.  Trattenni a stento una risata divertita, ma Pipino se ne accorse e continuò il suo teatrino, smanioso di altre risate. « Io non farò mai quello che dici! Io sono un hobbit libero! Non puoi rinchiudermi in una stanza come un bambolaaaa! », Gandalf sospirò e si alzò brandendo il bastone. Con poche falcate lo raggiunse, nel suo tripudio di stoffa grigia e gli puntò contro l’oggetto a cui si poggiava, « Peregrino Tuc, che i Valar mi proteggano dalla tua stupidità! », gli inveì contro.
« Mai! Viva la libertà, viva i Tuc! », alzò la mano in un gesto di superiorità. Gandalf alzò gli occhi al cielo e gli tirò una bastonata sulla testa. Mi coprii la bocca, stupita e spaventata, quando vidi Pipino crollare a terra, tipo morto. Aragorn, accanto a me, s’irrigidì aspettando una risposta alla sua domanda “Perché l’hai fattooo?!”.
« Questo hobbit ha troppa voglia di sperimentare, per la sua razza. E poi ha la testa dura, al massimo domani mattina avrà un bernoccolo e, forse, un po’ di cervello in più », spiegò Gandalf, tornando a sedersi al suo posto vicino a Legolas.
Oh mio Dio, pensai soltanto, Sarà morto? Attendendo anche io una risposta, alla mia domanda mentale, spostai il braccio del re e gattonai fino al mezz’uomo, che non era lontano da me. Poggiai una mano davanti al suo naso e aspettai di sentirlo respirare, col fiato sospeso. Quando un piccolo getto d’aria si frantumò contro le mie dita lasciai uscire dalle labbra un sospiro di sollievo.
« E’ vivo, è vivo », tranquillizzai tutti. Mi sedetti sui talloni gettando all’indietro una ciocca di capelli, che mi era ricaduta sulla fronte. Chiusi gli occhi, per un attimo, per sentire un po’ di tranquillità, per avere un po’ di privacy, forse, e solo allora mi accorsi che la stanchezza mi attanagliava le palpebre. Riaprii gli occhi e mi portai una mano alla bocca, per sbadigliare.
« Stanca? », domandò Gimli, con un sorriso a trentadue denti. Annuii e mi alzai scrocchiando le nocche.
« Eh, certo. Le donne non sono fatte per restare alzate troppo a lungo… hanno bisogno di fare la nanna », rise Bormir. Tesi la mascella quando gli passai vicino e gli sferrai un calcio nello stinco, « Disse l’uomo che la sera cerca, ancora, il suo orsacchiotto », lo schernii continuando a camminare. Lui borbottò qualcosa che passò inosservato alle mie orecchie perché sovrastato dalla risata degli altri. Sorpassai il tronco su cui era seduto l’elfo e mi andai a sdraiare accanto a tutta la mia roba. Avevamo posizionato le coperte, su cui dormivamo, leggermente lontano dal falò, in modo che se qualcuno ci avesse attaccato non ci avrebbe trovato immediatamente. Io avevo poggiato al mia sotto le fronde di un albero secolare, dal quale provenivano i canti degli uccelli e dal quale riuscivo a sentire lo sfrigolio del fuoco contro il legno. Portai un braccio sotto la testa e chiusi gli occhi, mettendomi di lato. L’anello, nascosto sotto un guanto, mi sembrò tremolare appena, il tempo che riuscissi a chiudere gli occhi e addormentarmi.
 
Uncover di Zara Larsson mi rimbomba negli auricolari. La mia voce l’intona, come sempre. Sono intenta a cercare, su un sito di nomi elfici il mio e quando lo trovo sorrido divertita. “ Isil, non è male. Ricorda tanto Isildur”, penso contenta. Con la coda dell’occhio vedo cadere dal cielo una stella e esprimo immediatamente un desiderio. “ Voglio essere felice ”, grido nella mia mente, “ Voglio trovare il mio posto e voglio essere ricordata! ”, continuo. Poi la stella sparisce nel cielo, oltre la luna e al suo posto nascono dei fuochi d’artificio di tutti i tipi e colori. Pochi secondi dopo la pancia comincia a farmi male e la testa a girarmi. Mi aggrappo alla ringhiera di ferro del viale che da sulla spiaggia dove si sta svolgendo la festa di compleanno della mia sorellina, che stasera compie otto anni,  e chiudo gli occhi. Non ho bevuto. Cosa mi accade? Rafforzo la stretta sul ferro finché il dolore non finisce, e solo allora mi rilasso e riprendo a cantare. Quando mi accorgo che la ringhiera non è più sotto le mie mani apro gli occhi e mi ritrovo in un enorme salone. Molti occhi mi guardano, stupiti, incuriositi, ma solo un paio mi rapisce. Sono azzurri, come il mare, ma freddi, come il ghiaccio. Non riesco a capire di chi siano, chi sia quell’uomo, con una strana corona che mi ricorda le corna di un cervo ricoperte di foglie, che viene verso di me e fa un cenno a degli uomini  che si affrettano a puntarmi delle frecce contro. Una mi sfiora il braccio sinistro facendomi sobbalzare e borbottare contrariata. Un piccolo rivolo di sangue inzuppa la t-shirt grigia che porto. “Perfetto, grazie tante. Mi rimarrà la cicatrice”, ringhiò mentalmente, staccandomi le cuffie dalle orecchie e riponendo l’mp3 nella tasca posteriore dei jeans.
 
Mi svegliai di scatto e portai, d’istinto, una mano sulla spalla sinistra. Con impeto abbassai la spallina dell’indumento e controllai la pelle. Una piccola cicatrice la percorreva, risaltando  più bianca rispetto al resto della carnagione. Mi risistemai  e poi poggiai la schiena contro il tronco dell’albero che avevo dietro, aspettando che il respiro si regolarizzasse. Quando mi sentii meglio mi alzai, facendo attenzione a non svegliar gli altri, che si erano assopiti, poi mi diressi verso il falò e mi lasciai cadere su un tronco, portando le mani sulle guance, per sorreggere la faccia. Chissà cosa significava quel sogno. Non ero arrivata nella Terra di Mezzo in quel modo, ma secondo Elrond non era la prima volta che mettevo piede in quel regno… magari era un flash di un arrivo passato. Mi ritrovai a sorridere ripensando agli sguardi delle persone nel mio sogno. Certo, dovevo ammetterlo, avevo proprio un bel modo di entrare in scena.
« Cosa ci fai ancora alzata? », mi sorprese una voce nell’oscurità. Balzai subito in piedi e mi guardai intorno, colta alla sprovvista. Dalle fronde dell’albero più vicino comparve una figura alta e slanciata, con un arco in mano. Lasciai uscire dalle labbra un sospiro di sollievo e poi gettai gli occhi nei suoi.
« Ti sembra il modo di chiedermi qualcosa? », borbottai, attaccandolo. Legolas mi fissò, incuriosito e dispiaciuto, poi si accarezzò i capelli con fare distratto. Detesto quella treccia, mi dissi.
« Ti ho sentita », mi avvertì lui, divertito. Trassi un respiro profondo e poi incrociai le braccia sotto il petto, « Non. Non, curiosare nella mia testa  », sbottai silenziosamente, per non svegliare nessuno.
« Ehy, sei tu che pensi a voce alta », ribatté il ragazzo. Sbattei le palpebre, sorpresa dalla sua risposta pronta e non potei fare a meno di alzare furtivamente un angolo delle mie labbra. Legolas aveva appena ribattuto a una mia frase… stava acquistando coraggio, ma questo non gli permetteva di farmi venire gli infarti.
« Bhe, tu non ascoltare allora », lo zittii convinta, « E non farmi venire più gli infarti, principino! Come si fa a chiedere a una ragazza perché è ancora sveglia nascosto su un albero? Prima di ricevere una risposta, probabilmente, lei urlerà e ti inveirà contro! »
« Tu però non hai urlato », osservò lui giocando con la corda dell’arco.
« Già, ma solo perché già pensavo come fare a farti ingoiare quello stupido arco che ami tanto », spiegai tirandogli un pizzicotto sul braccio. Lui protestò, facendo un salto indietro e mi guardò.
« Comunque, tu, che ci fai sveglio? », la domanda mi sorse spontanea.  Il giovane elfo alzò le spalle e piegò la testa da un lato socchiudendo le palpebre, visibilmente provato. « E’ il mio turno di guardia, e poi noi elfi non dormiamo. Cadiamo in uno stato di dormi veglia ma non riusciamo a dormire », puntualizzò.
Respirai rumorosamente, tirando l’aria fra i denti e gli poggiai una mano sulla spalla, « Mi dispiace per te, non sai che cosa ti perdi! » esclamai con una smorfia in viso. Poi, con accurata velocità, gli rubai l’arco dalle mani piroettando su me stessa e lo affiancai, mentre i suoi occhi mi esaminavano stupiti.
« Va a dorm… vai nel tuo mondo immaginario di dormi veglia e salutami i folletti quando li vedi », dissi prendendogli anche il fodero con le frecce.
« Ma che diavolo fai? », protestò tentando di riprendere le sue cose. Io mi allontanai da lui con uno scatto. Ero sempre stata veloce grazie al mio peso e al mio corpo in generale. « Ti ho ordinato di dileguarti! Salirò io su un albero e domani mattina ti farò prendere un colpo come tu hai fatto con me, solo che io sarò più crudele », specificai.
Lui rimase imbambolato al suo posto, poi sorrise e si ritirò sulla sua coperta chiudendo gli occhi e mormorando un “grazie”. Lo guardai “addormentarsi” e sorrisi, per la prima volta sorrisi per lui, mentre borbottava qualcosa nella sua, sotto specie, di trans.
In fondo, non è così antipatico… Però resterà sempre il principino dei miei stivali.
Ti sento…
Arrossii di rabbia e gridai nella mia mente: Stai zitto e dormivegliati! Sennò ti faccio provare io cosa vuol dire DORMIRE, PRINCIPE DEI MIEI STIVALI! 

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Capitolo 9
*** Sono stata chiara? ***


 
Prima di iniziare a leggere volevo ringraziare tutte/tutti voi che recensite i miei capitoli. Allora inizio con la lista: LilyOok_ , lady anya blu Cullen, NewtSeven, idrilcelebrindal, Mary ZiamShipper, Lol_lola, Scarl_Bloom 94, Anna Love, veraveggie, Morgiana, Elenoriel (se vi ho dimenticato non odiatemi XD). Vi ringrazio per le recensioni ( di nuovo) e per i consigli che mi date. Li apprezzo tantissimo :D. Ma ora potete pure tornare a leggere ;) P.s: L'occhio quì sotto è uno di quelli di Isil, la guerriere.
 
 
 
When you let her go.    
 
 
 





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Il giorno seguente, quando tutti furono svegli, e ci fummo accertati delle condizioni della testa di Pipino, mangiammo e riprendemmo il cammino. Ridiedi l’arco e le frecce all’elfo, e gli ordinai di starmi alla larga, in tutti i sensi, fisici e mentali. Specialmente mentali, ci tenevo alla mia privacy.  
I giorni passarono, frettolosi come l’acqua che scende dai ruscelli, e, ormai troppo stanchi per continuare, decidemmo di prenderci qualche ora di riposo. Ci fermammo ai piedi di un enorme accumulo di rocce e ci mettemmo comodi. Mangiammo e bevemmo per riprendere le forze. Guardando i miei compagni parlare fra loro non potei fare a meno di pensare a quello che sarebbe successo fra poco, o almeno ci provai. Nella mia mente prese forma l’immagine di uno stormo nero, come l’animo di Sauron, che ci sorvolava, ma non riuscii a ricordare di più. Forse l’anello m’indeboliva, o forse, probabilmente, per la stanchezza non riuscivo a pensare lucidamente. Optai per la seconda. Respirai a pieni polmoni, e incuriosita dal silenzio che si era creato tra noi mi avvicinai a Aragorn. Ci guardammo per un attimo, sorridendoci, e poi Boromir ci rapì dalla quiete.
« Allora, accetti una sfida? », mi chiese piegandosi in avanti, verso il mio viso. Gettai all’indietro la schiena e lo allontanai malamente, spingendo una delle mie mani sul suo volto per farlo arretrare.
« Solo se poi ti stacchi da me, uomo », dichiarai. Lui tolse la mia mano afferrandomi per un braccio e sorrise, beffardo. Nei suoi occhi chiari lessi il divertimento. Povera sciocca, questa volta vincerò io, gracchiò. Corrugai le sopracciglia, indignata, e sguainai la spada dal fodero, con velocità. « Cos’hai detto? », sibilai, mentre la mia lama sfregava contro la sua, come una carezza.
« Nulla, senti le voci donna? », rise di me, abbassando la guardia. Alzai gli occhi al cielo, attaccando. Colto alla sprovvista, Boromir, fece un passo indietro rischiando di cadere inciampando su un masso, poi tornò stabile. Come avevo previsto, tentò un colpo a destra, e un’latro a sinistra, che parai e infine un affondo, che evitai con un salto di lato a piedi uniti. La sua figura, colta alla sprovvista, nuovamente, cedette in avanti, dandomi modo di rifilargli un ceffone sulla nuca.
« Ehy questo non è valido! », protestò, voltandosi nella mia direzione. Risi divertita e parai un altro attacco.  « Tutto è lecito, in guerra e in amore », recitai, piroettando su me stessa e tirandogli un altro piccolo schiaffo sul collo. Aragorn, che stava fumando la pipa su un masso li accanto, sorrise e sbuffò una piccola nube di fumo.
I quattro piccoli hobbit si erano accomodati su una roccia, grande e piatta, e ci osservavano con i piedi a penzoloni. « Fagli vedere chi sei, Boromir! », strillò divertito Pipino.
« Traditore », risi io quando gli fui sotto, schivando un attacco dell’uomo per, poi, infliggergliene uno io stessa. Con maestria, “occhi azzurri”, come avevo soprannominato Boromir, lo schivò e si ritrovò alle mie spalle. Circondò il mio bacino con un braccio, tirandomi a se, e con quello con cui impugnava la spada portò la lama alla mia gola.  Restai immobile, come gli spettatori, guardandomi intorno. Solo allora scorsi l’elfo, appoggiato al suo adorato arco. Se ne stava li, vicino ad Aragorn, e ci fissava incuriosito.
« Ti arrendi? », soffiò al mio orecchio l’uomo, con quella che, secondo lui, poteva essere definita “voce sensuale”. Alzai gli occhi al cielo e presi un bel respiro « Sai cosa mi consigliava sempre il mio maestro? », domandai, retoricamente, « Di guardare sempre in basso », e detto ciò gli tirai un calcio negli stinchi che lo fece gridare e allontanare.
« Vai così Ele! », gridò Marry. Lo guardai e gli sorrisi, facendo poi la linguaccia a Pipino. Il piccolo hobbit allora sorrise e alzò il pollice verso l’alto. Prima che potessi chiedere il perché di quel gesto un bufalo mi travolse, o almeno credevo che lo fosse. Mi ritrovai stesa a terra, con la guancia schiacciata contro il terreno. Trattenni un grido di frustrazione e mi voltai, con non poco sforzo. Mi ritrovai il volto di Boromir troppo vicino. Ebbi l’impulso di tirare indietro la testa, ma quando lo feci mi ricordai di essere stesa a terra. Il suo corpo era sdraiato sopra il mio e i suoi capelli mi solleticavano leggermente la guancia. Feci leva sulle braccia e tentai di spingerlo via, ma lui oppose resistenza.
« Spostati, dannazione! », sbraitai.
« Mia signora, non accetta le mie attenzioni?  », rise di gusto lui spingendosi ancora di più su di me, per quanto fosse possibile. Quella situazione stava mettendo a dura prova i miei nervi, poco saldi in quel momento. Mi morsi un labbro  e tentai di colpirlo con un pugno, ma le sue mani erano ben serrate sui miei polsi. « Ma come? Non eravate voi che avete detto “tutto è lecito in guerra e in amore” ? », mi schernì.
« Smettila », protesta, sfinita.  Per dispetto, credo, poggiò le sue labbra sulle mie, forse per farmi capire che lui aveva in mano le redini della situazione. Fu un contatto leggero, ma per me troppo invasivo. Mi sentii violata. Voltai di scattò la testa di lato, staccando le mie labbra dalle sue e solo allora mi accorsi di due paia di stivali al nostro fianco. Percorsi i loro contorni, i pantaloni e la casacca di chi li portava, fino ad arrivare al volto. I capelli chiari gli ricadevano sulle spalle. I suoi occhi incontrarono i miei, nei quali avevo represso tutto il mio dispiacere e la mia rabbia. Legolas, invece, aveva oscurato tutti i suoi pensieri e non lasciava trapelare nulla. Si piegò e prese Boromir per le spalle, spingendolo lontano da me. Aragorn, al suo fianco mi tese la mano ma io la rifiutai e m’issai da sole sulle gambe, dandogli le spalle ed andandomene.
« E dai, Eleonroa, scherzavo! », gridò Boromir in lontananza. Digrignai i denti e urlai: « Va al diavolo! ».
« Bene, direi che tocca a noi allenarci Pipino »,distrasse tutti Merry, saltando giù dal masso e impugnando la sua piccola spada.
Con ancora la rabbia che mi ribolliva dentro mi sedetti accanto a Gandalf, intento a fumare la sua pipa, e domandai: « Perché voi uomini siete così deficienti? Mh? », gli rivolsi un’occhiata veloce, «  No, sul serio, ti scongiuro, spiegamelo, perché io proprio non riesco a capacitarmi della vostra stupidità! », senza volerlo alzai la voce alle ultime parole. Il mago fece uscire dalle labbra una nuvoletta grigia e poi mi fissò , con gli occhi piccoli e divertiti.  « Vedi?! », domandai io, « Anche ora tu, che sei un uomo, mi guardi come se fossi una svalvolata », incrociai le braccia al petto. Lui sospirò e mi rivelò che sorrideva perché avevo la faccia piena di sabbia. Imbarazzata mi scusai e cominciai a pulirmi.
« Allora, qual è la nostra prossima mossa? », chiesi per rompere il ghiaccio. Gandalf mi guardò accarezzandosi la barba « Seguiremo questa direzione ad Ovest delle Montagne Nebbiose per quaranta giorni. Se la fortuna ci assiste, la Breccia di Rohan sarà ancora aperta, e da lì volteremo verso Est, per Mordor ».
Mi sfeci la coda e racchiusi i capelli in un chignon alto e stretto sulla nuca, « Bhe, come piano non sembra male », ammisi, per sovrastare la voce di Boromir e quella dei due hobbit che stavano imparando le mosse fondamentali della lotta.
«  Se qualcuno chiedesse la mia opinione, e noto che nessuno la chiede, direi che abbiamo preso la strada più lunga », intervenne Gimli spuntando da dietro un masso,  « Gandalf, potremmo attraversare le Miniere di Moria. Mio cugino Balin ci darebbe un benvenuto regale ».
 « No, Gimli. Non prenderei la strada attraverso Moria a meno che non avessi altra scelta ». 
« Concordo col vec… col nostro caro mago », ammisi, ricordandomi che nelle miniere era rinchiuso un demone di fuoco antico. In quell’istante, Legolas, corse al nostro fianco, fermandosi su una roccia e scrutando il cielo. Op, mi dissi alzandomi e scendo dal masso, ci siamo.
Da lontano arrivavano le grida di Merry e Pipino che stavano assalendo Boromir, e le risate di quest’ultimo e di Aragorn.
« Che cos’è? », domandò Sam guardando nella stessa direzione dell’elfo.
« Niente. Solo una nuvoletta », lo tranquillò Gimli.
« E che brutta nuvoletta », mi lasciai scappare dalle labbra, mentre cercavo con gli occhi un nascondiglio. Individuai un gruppo di arbusti, abbastanza folti, sotto i quali gettarmi.
« Si sposta velocemente. E controvento », osservò Boromir alzandosi.
« I Crebain da Duneland!», gridò Legolas.
« Via! » ordinò Aragorn, e poi iniziarono a volare nomi e ordini. Mi gettai sotto gli arbusti, avvicinandomi il più possibile alla roccia, dove la vegetazione era più folta. Un corpo si avvicinò al mio, e quando incontrai gli occhi di Legolas non potei fare a meno che lasciarmi uscire una smorfia. Non potevo ricordarmi che lui avrebbe scelto quel nascondiglio, vero? No. Dovevo finirci vicino!
« Shhh », mi disse indicando in alto. « Ma dai?! Sei davvero un gran genio, principino! », mimai, ironica, con le labbra mentre lo stormo ci passava sulla testa. Lui roteò gli occhi e guardò il cielo. I Crebain volarono in circolo sopra di noi e poi se ne andarono, permettendoci di uscire dal nostro nascondiglio. Quando fui uscita presi una bella boccata d’aria e mi stiracchiai. Boromir mi si accostò ma io lo respinsi e mi rifugiai accanto a Legolas, perché era il più vicino della compagnia. L’elfo mi guardò, poi guardò Boromir e solo allora capì perché gli stavo tanto vicino.
« Spie di Saruman! Il passaggio a sud è sorvegliato », esordì Gandalf. 
« Grande! », ironizzai io ricevendo un occhiata divertita dall’elfo, « Non poteva andare meglio di così!... Che si fa ora? ».
« Dobbiamo prendere il Passo di Caradhras », dichiarò il mago, impugnando il bastone.
Ci rimettemmo tutti in marcia, silenziosi, tranne Merry e Pipino che non perdevano occasione per battibeccare o ridere.
Stai… come ti senti?, mi sussurrò Legolas nella mente. Tesi la mascella, ma non mi voltai a guardarlo.
Non ti avevo detti di stare lontano dai miei pensieri, principino?
Mi spiace, ma prima sembravi scossa per l’accaduto con Boromir e così, ho pensato, di domandare.
Sospirai portandomi la mano, con l’anello, guantata sull’altro braccio per accarezzare leggermente la spalla della cicatrice. Ero stata davvero turbata, ma non pensavo che l’avessi dato a vedere.
Sai, riprese l’elfo notando il mio silenzio, so riconoscere l’emozioni di una donna, come te.
Ah si? E sentiamo, come sarebbe una donna come me? E quando mai l’avresti incontrata una donna come me?!
Parecchi anni fa. Era un ottima combattente e aveva il tuo stesso caratteraccio… solo che non mi parlava come fai tu, di solito.
Bhe, allora non era una donna come me. E ora, che sai che sto bene, sparisci dalla mia testa! Borbottai, più che parlare normalmente. Lo sentii sospirare e poi chiuse il legame con me. Il mio cuore perse un battito.
Forse ero stata troppo acida con lui, ma continuava a insinuarsi nella mia testa contro il mio volere. Anche se era stato un bel gesto quello di preoccuparsi per me. Nessun’altro l’aveva fatto, o forse erano titubanti riguardo al fatto che, se magari me l’avessero chiesto, io gli sarei saltata addosso gridando. Visto il carattere che mi ritrovavo ci poteva stare.
« Mi perdoni? », sussurrò Boromir, cogliendomi di sorpresa alle spalle. Trasalii e mi voltai, dandogli un pungo in pieno viso. Lui arretrò, inciampò e cadde su Gimli, che cominciò a protestare pesantemente, gridando persino nella sua lingua.
« Perché diavolo l’hai fatto? », urlò l’uomo, scansandosi dal nano. Tutta la compagnia si era fermata a guardarci, e Gandalf mi scrutava con gli occhi, appoggiato al suo bastone. « Perché sei un totale idiota! », ringhiai, « La prossima volta che osi avvicinarti a me ti strappo i gioielli di famiglia con la lama dell’ascia di Gimli e ti lascio agonizzante sul terreno, è chiaro? », lo minacciai, « Spero di essere stata chiara, uomo dell’orsacchiotto! ». Boromir sgranò gli occhi, sorpreso e solo allora voltai le spalle e ripresi a camminare. Passai sotto gli occhi di tutti i presenti, con portamento fiero, e li superai continuando il cammino che dovevamo intraprendere. 

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Capitolo 10
*** L'unica volta. ***


When you let her go.             
 
 
 
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Guardai in alto, coprendomi gli occhi con una mano, e sbuffai. La neve candida attorno a noi rendeva difficili i movimenti, e cominciavo ad avere freddo alle gambe. La pelle dei miei pantaloni, certo non faceva entrare nulla, ma assorbiva il freddo e lo riportava alle gambe. Il mio mantello svolazzava a causa del vento e poi tornava a strusciare sull’acqua solida.
« Pazzesco. Tutto questo è pazzesco! », borbottai fra me e me, sollevando la stoffa verde sotto un braccio, « Stupido Saruman, stupide spie, stupido Sauron con la smania di potere!! Ma perché i maschi devono sempre avere la smania di potere?! ».
Gimli rise, divertito dal mio battibecco con me stessa e mi passò accanto, raggiungendo Gandalf che stava in testa alla coda. « Mia cara, è tutta questione di natura », disse poi. « Che natura del… » mi morsi la lingua per non dire parolacce. Camminavamo in mezzo a quelle montagne innevate da qualche giorno e io, che avevo sempre amato la montagna, l’inverno e la neve, cominciavo a detestare tutto. In più l’anello, di tanto in tanto, formicolava e mi rubava energie, preziose. Qualche volta avevo pensato di toglierlo, ma poi mi convincevo che non dovevo farlo, anche perché non si levava. Avevo provato di tutto, una notte, ma nulla. Sembrava essere diventato parte integrante del mio dito medio. “ Almeno quando manderò a fanculo qualcuno lo farò con un tocco d’eleganza ”, mi ritrovai a pensare, sorridendo.
« Dai Ele, non te la prendere », sorrise Pipino affiancandomisi,  « Almeno non con me. Io sono un mezz’uomo » alzò le mani al cielo per poi indicarsi con gli indici « Nel senso, sono un mezz’uomo di statura, capiamoci. Per il resto potrei essere anche meglio di un uomo normale! ». Lo fissai, con la testa leggermente piegata di lato, poi proruppi in una gustosa risata e mi abbassai per abbracciarlo. Il piccoletto sorrise ancora, questa volta maliziosamente, e mi gettò le braccia al collo, senza voler dar segno di lasciarlo.
« Oh, per bacco », borbottò Gimli a un tratto. Ci voltammo a fissarlo, incuriositi da quell’affermazione, ma il nano si limitò ad alzare le spalle e indicare dietro la mia schiena. Mi alzai, con tranquillità, ma vedendo lo sguardo preoccupato di Gandalf mi voltai più in fretta possibile. Fermo, di spalle rispetto a noi, Boromir reggeva la catenina con l’anello, e la guardava, piegando la testa di lato. Più in fondo Aragorn teneva le mani sulle spalle di Frodo, il volto cupo e preoccupato.
  « Boromir », disse soltanto il re. Ma l’uomo non l’ascoltò e rimase fermo, gli occhi fissi sull’anello, tanto che pensai che da li a poco potesse disintegrarlo con lo sguardo. « Che strano destino. Dobbiamo provare tanti timori e dubbi per una cosa così piccola. Un oggettino… »   mormorò infine quest’ultimo. Seguendo l’istinto, portai una mano sull’elsa della mia spada e la sollevai leggermente dal fodero. La lama brillò contro i raggi solare, riflettendoli sulla neve bianca come una perla.
« Bormir! », lo richiamò Aragorn. L’uomo alzò lo sguardo e prese un bel respiro, « Da l’anello a Frodo ».
Boromir tentennò. Io persi la pazienza e cominciai a camminare nella loro direzione, con la spada sguainata stretta in mano.  « Per la miseria, uomo, restituisci quel dannato anello e diamoci una mossa! », ordinai, attirando l’attenzione di tutti su di me, « Ho freddo, e fame! Se non ti sbrighi te lo toglierò io stessa di mano, tagliandoti un polso! », conclusi, spostando la lama sotto i raggi del sole per fargliela notare. Boromir parve scosso, quindi, dopo altri attimi d’esitazione, che mi parvero eterni, sia avvicinò al piccolo hobbit rendendogli l’anello. « Come desideri », disse, « Non mi interessa », scambiò un occhiata col re, spettinò Frodo, e tornò sui suoi passi.
Rilasciai un sospiro, ero stata tesa quando si era presentato il momento di entrare “ in scena ”, ma tutto si era risolto bene. Rinfoderai la mia lama e alzai di nuovo lo sguardo, trovandomi la figura troneggiante di Aragorn davanti. « Mi dispiace di essere intervenuta, così. Lo so, sono stata avventata ma… ma… » dissi tutto d’un colpo, e alla fine le parole mi morirono in gola dalla vergogna. Solo allora capii che il mio gesto avrebbe potuto scatenare una lite furibonda fra me e Boromir, e questa volta senza esclusione di colpi. Perché quando qualcuno vuole così tanto qualcosa, ma non lo sa, è la cosa peggiore di tutte, perché non se ne rende conto e arriva a fare le cose più brutte e meschine pur di ottenerla. E se Boromir non avesse voluto ridare l’anello al piccoletto?, pensai, cominciando a guardare ovunque per non trovarmi a dover fissare gli occhi blu di Aragorn, Mi avrebbe uccisa, o io avrei ucciso lui. Dio, sono un ipocrita avventata!
« Grazie », sorrise il re, poggiandomi le mani sulle spalle. « Lo so scus… grazie? » sgranai gli occhi.  Tutto mi aspettavo meno che un grazie. « Si, grazie », riprendemmo il cammino assieme.
Dopo poco tempo che eravamo in marcia, ci ritrovammo in fila indiana ad attraversare un stretta via, che correva su un lato della montagna. Un impetuosa bufera di neve ci aveva sorpresi all’improvviso ed eravamo stati costretti a coprirci come meglio potevamo. Aragorn teneva in braccio due hobbit, Sam procedeva col suo pony e Frodo se ne stava in fila con tutti gli altri. Io ero rimasta in fondo alla fila, dietro l’elfo biondo e continuavo a rimuginare sul “grazie” di Aragorn, senza pensare a dove mettevo i piedi. Ragion per cui mi ritrovai addosso a Legolas, che si voltò preoccupato da qual contatto.  « Non posso andare più veloce, se è quello che volevi chiedermi », m’informò subito lui, acidamente. Battei le palpebre, e la neve depositatasi sulle mie ciglia mi cadde sulle guance sciolta, scivolandoci come lacrime. Evidentemente l’elfo, credendo che fossero lacrime vere, si sentì in colpa e mi posò una mano sulla gota, togliendo il piccolo flusso d’acqua con il pollice. La sua mano era calda, e a contatto con la mia pelle fredda fu un sollievo.
Non volevo essere sgarbato.
Non sto piangendo, principino, rovinai subito il momento , stai asciugando della neve. Pura e semplice neve, sciolta.              
Lo so, si limitò a dire senza staccare il contatto fisico che c’era tra noi. I miei occhi balzarono dai suoi, ora più scuri, quasi neri, a causa della neve che ci turbinava davanti, alla sua mano sopra la mia guancia. Sentii il sangue affluirmi in viso, perciò poggiai la mia mano sulla sua e la scostai, dolcemente. Era strano, toccarlo così. Sentire il suo calore. Era così strano perché era troppo familiare. Aprii la bocca per rispondergli a parole concrete ma una voce catturò la mia attenzione. Voltai il capo e esaminai le montagne estese davanti a noi. La voce era forte, e oscura allo stesso tempo. Sembrava provenire da lontano e si disperdeva nel vento gelido.
« La senti? », domandai senza guardare Legolas. « Non ne sono sicuro », ammise e prese a camminare in avanti, in testa alla fila. Quando si fermò una folata d’aria gli sferzò i capelli facendoli danzare, e riempiendoli di neve candida, per poi ripoggiarli sulle spalle.
 « C’è un empia voce nell’aria », disse a voce alta. Saruman, gridai nella mia testa, spingendo in avanti il sedere della pony di Sam, quindi, di conseguenza anche l’hobbit.  « Muoviti! », gridai al giardiniere.
« E’ Saruman! », urlò Gandalf, e in quel momento un pezzo di montagna sopra di noi crollò, seppellendo il percorso dove poco prima stavo io. Altri massi ci caddero addosso, ma noi ci riparammo in tempo. « Vuole buttare giù la montagna! », riferì Aragorn.
« Oddio, da quando sei diventato un genio?! », ululai ironicamente, spingendo sempre più avanti la pony. Lui mi schioccò un occhiataccia e poi alzò gli occhi al cielo. « Gandalf, dobbiamo tornar indietro! », ordinò il re.
« Il percorso è fuori uso! », dissi e al contempo Gandalf urlò:  « No! », e poi si mise a gridare strane parole, in una lingua sconosciuta, che a mio dire pareva arabo rivisitato.
« Valangaaaa! », gridai gettandomi contro la roccia del fianco della montagna. Un onda bianca, densa, e compatta di neve gelida e lucente ci travolse, impetuosa come il mare e la morte. Mi sentii morire quando la presa della mia mano sulla roccia venne meno e la neve divenne troppa per essere sopportata. Una prigione fredda, ora, mi circondava e sovrastava. Ci misi qualche minuto a riemergere, ma quando lo feci sentii grida. Gente che chiamava nomi, e persone che rispondevano all’appello.  Non riuscivo a capire nulla di quello che dissero poi Boromir, Aragorn e Gimli, perché ero troppo impegnata a cercare di riemergere e non finire congelata. Le uniche cose che il mio orecchio percepì fu: « Troppo rischioso… Isengard… », poi,  « Montagne… passiamoci sotto… miniere…  ». Con quel poco di forze che mi restava strisciai fuori dal buco in cui mi trovavo e mi avvicinai alla compagnia. E mie gambe affondarono nella neve alta. I miei vestiti erano zuppi, il mio mantello era bagnato, i miei capelli erano fradici e io stavo per morire per il troppo freddo. Riuscivo a sentire i miei denti battere, talmente forte, che le montagne mi rimandarono indietro il rumore con l’eco.
« Niente, Moria », riuscii solo a dire, ma nessuno mi prese in considerazione. Mi passai una mano sul volto, sentendolo caldo vicino al labbro. Quando guardai la mia mano scorsi, sul palmo, una striscia di liquido rosso brillante. Perfetto, gracchiai a me stessa, ci mancava il labbro sanguinante, ma mi accorsi che anche i miei pensieri, ridotta nello stato che ero, risuonavano stanchi e mosci.
 « Colui che porta l’anello decida », ordinò Gandalf, con tono rassegnato e occhi tristi. « Frodo? »,lo esortò ancora. Il piccolo hobbit, che si guardava in giro disse convinto: « Attraverseremo le miniere ».
« Così sia fatto », si arrese lo stregone.                                 
In quel momento l’angoscia prese il sopravvento su di me, facendomi sentire debole, stanca e stremata. Priva di forze, chiusi gli occhi e mi sentii male. Non ora, implorai mentalmente mentre sentivo un dolore stringermi il petto, in una morsa infernale. Un forte senso di nausea mi risalì la gola. Però era diverso dalle volte in cui mi assentavo quando avevo le visioni, questo era peggio, molto peggio. Sentii cedere le gambe e poco dopo mi parve che la terra sotto i miei piedi scomparisse. Stavo andando in ipotermia.
 


° ° 
 
 


Legolas apprese con un certo dispiacere che sarebbero dovuti passare per le miniere di Moria, e questo significava vedere altri nani, subire le loro stupide chiacchiere, e ritrovarsi in mezzo a banchetti stracolmi di alcool. « Ah! », l’esclamazione di gioia di Gimli lo fece voltare verso il nano,  « Le miniere sono il luogo ideale per riposarsi qualche tempo. Carni affumicate con osso, birra! Nane… » a quell’ultima parola si sfregò le mani assieme, con un sorrisetto compiaciuto e malizioso stampato in volto. L’elfo non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo, domandandosi cosa rendesse quei piccoli uomini tanto stupidi. Lui, che si avvicinava ai tremila anni d’età, non era mai riuscito a spiegarselo. 
« In 2931 anni d’età, non ho mai capito che cosa ci possiate trovare nella birra », si lasciò sfuggire dalle labbra. Restò in silenzio aspettando che il nano rispondesse, quando questo lo fece fu per dirgli che alla sua gente piaceva vivere e divertirsi, non come gli elfi che pensavano solo a cacciare e indossare calzamaglie. Il principe fu sul punto di replicare, ma poi ci ripensò e attese he fosse qualcun altro a farlo al suo posto. Magari una ragazza, dagli occhi scuri e un temperamento tutt’altro che docile. Quando, però, la risposta non arrivò ai suoi timpani, il giovane Legolas si incuriosì e si guardò attorno. I membri della compagnia dovevano essere dieci, ma solo nove stavano in piedi, difronte o accanto a lui.
Lei mancava.
« Dov’è Eleonora? », si ritrovò a domandare, continuando a guardarsi attorno, sperando che i suoi occhi l’avessero saltata per sbaglio. Magari era rimasta seduta in mezzo alla neve. Nah, poco probabile, e lui lo sapeva. Magari era andata a gironzolare, ma era improbabile anche quello. A un tratto un dubbio l’assalì: e se la valanga l’avesse trascinata via e loro non avessero sentito i suoi urli? Lui l’aveva vista perdere la presa sulla roccia a cui era aggrappata, stava per allungare una mano nella sua direzione quando era finito intrappolato sotto la coltre bianca. E se fosse davvero… caduta? « L’ho trovata! », ululò a un tratto Frodo. Tutti si voltarono a guardarlo, e lo videro fermo, immobile, davanti a un cumolo di neve. Il mantello blu scuro che volteggiava nel vento, gli occhi azzurri fissi in quel punto.
« Secondo me è morta », disse Pipino raggiungendolo e fermandosi al suo fianco. Legolas perse un battito di cuore. « Ma cosa dici? Morta? Per favore Pipino! », esclamò Merry raggiungendoli.  Che cosa devo fare?, si domandò a denti stretti il principe. Nessuno degli altri aveva osato muoversi, a parte i tre hobbit, e nessuno aveva osato parlare, neppure Boromir.  
« Gli hobbit pesano poco ma se io mi muovo, per salvarla, la strada crollerà? », si ritrovò a domandare Legolas a Gandalf. Lo stregone analizzò il percorso e poi socchiuse gli occhi azzurri, pensando.  « Guarda com’è bianca! », Pipino intanto si era messo a battibeccare con Merry. « Ma che bianca! Ha sempre avuto la pelle di marmo. Solo che tu sei tanto scemo che non te ne sei mai accorto ». Le orecchie dell’elfo si fecero rosse di rabbia. Quei due piccoletti non la smettevano di ciarlare, e ciarlare e ciarlare. Mai. Erano simpatici, certo, ma non sapevano mai quando chiudere la bocca.
 « Gandalf, allora? », sibilò tra i denti il biondo, rivolgendo al mago un occhiata torva. L’uomo sospirò e si appoggiò al bastone « Devi fare veloce, giovane principe. La strada non reggerà ancora a lungo con tutta questa neve che cade e i massi che crollano ».
« Andrò veloce, lo giuro. Intanto richiama gli hobbit e andate avanti, io vi raggiungerò in un baleno », suggerì. Allora il vecchio dalla tunica grigia rizzò le spalle e si voltò ordinando alla compagnia di proseguire e poi aggiunse: « Peregrino Tuc! Tu, purtroppo, sei parte della compagnia, quindi, muovi quelle piccole gambe che ti ritrovi sennò ti trasformo in un corvo! E per l’amor del cielo lascia stare il mio bastone! » e rifilò in testa al piccolo hobbit una botta. 
Legolas, non perse tempo, e si affiancò alla parete di roccia, intenzionato a salvare la ragazza. Sebbene sapesse che quando lei si sarebbe risvegliata l’avrebbe tartassato con una sfilza di frasi, “ Non avevo bisogno di essere salvata”, “ Non sono una damigella in difficoltà!”, “Non ti avevo detto di starmi lontano?” o ancora “Ti avevo detto di aiutarmi solo quando te l’avrei chiesto io!”, dettate dal sue ego. Quando, finalmente, la raggiunse non poté fare a meno di guardarla e credere che quello che aveva detto Pipino fosse reale. Era più bianca che mai, ed era tutta zuppa. I capelli biondi erano usciti dall’acconciatura e si andavano a intrecciare maldestramente con ciocche castane, che il principe non aveva mai visto prima di allora. Smettendo di pensare a cosa di lei fosse cambiato, cominciò a camminare nella neve alta e a prepararsi mentalmente alla raffica di velenose accuse che gli avrebbe inferto, lei, più tardi. La caricò fra le braccia, e raggelò. Era fredda come il ghiaccio che li circondava e bianca come la neve della valanga, e stava respirando leggermente e faticosamente. Era viva! Legolas non poté trattenere un sorriso  prima di riprendere a camminare. La roccia scricchiolò sotto il loro peso e, da quel piccolo rumore, il giovane capì che il sentiero non avrebbe retto ancora molto. Si affrettò, e si trovò su una pianura appena in tempo, prima di vedere il loro percorso crollare nel vuoto delle montagne. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e riprese a camminare, scoprendo che la compagnia l’aveva aspettato, seduta in giro, a casaccio. Non appena si accorse di lui, Aragorn, balzò in piedi e chiese, tutto trafelato:  « Come sta’? ».
« Non è al massimo delle forze, ma respira », li tranquillò tutti poggiando la ragazza  terra dopo che i piccoli hobbit e Gimli ebbero spazzato via la neve. « Dobbiamo coprirla con qualcosa di caldo. Sam, nelle cose che porti col tuo pony c’è qualche coperta? ». Il mezz’uomo corse dalla piccola cavalcatura e tornò indietro, barcollando, con una grossa coperta bianca. « E’ quella più calda che abbiamo », rivelò porgendola all’elfo. Lui gli sorrise, ringraziò e la poggiò sulla ragazza per poi riprenderla fra le braccia. « Dici che si riprenderà presto? », Boromir si affiancò al biondo e guardò attentamente la giovane. « Non è affare tuo », ringhiò, sorpreso da se stesso, Legolas, prima di cominciare a camminare seguendo il mago. Intanto le sue mani si erano fatte più salde sul corpo esile, coperto dalla coperta che stringeva, della ragazza che aveva salvato. « Non è affare tuo? », rise leggermente, stanca e debole, lei, prendendolo alla sprovvista. « Non sei stato molto originale… principino », strinse fra le mani la stoffa della giacca di lui e sistemò meglio il volto nell’incavo del suo collo. « Goditi questa scena, perché è l’unica volta che ti permetterò », rantolò, in cerca di fiato, poi continuò, « Di farlo », e chiuse gli occhi, stremata.                                                                     

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Capitolo 11
*** Stupido elfo. ***


When you let her go.     
 
 
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Il cielo sopra di noi si era rannuvolato. Grandi nubi grigie annunciavano pioggia e un freddo vento soffiava da nord. Erano passati due giorni dall’incidente sulla neve, e io avevo avuto modo di riprendermi del tutto. Per qualche ora ero rimasta assopita contro il petto di Legolas, stretta nella coperta di Sam, ed era stato il lasso di tempo più rilassante che avessi trascorso da quando eravamo partiti. Il corpo dell’elfo era caldo, e profumava di buono. La pelle era liscia e morbida, e lui era stato incredibilmente comodo. Mi ero risvegliata, sempre nelle sua braccia, dopo quelle, che a detta di Gandalf, erano state poche ore. Forse tre o quattro. Il gelo era sparito, come il senso di malessere, e ero tornata in forze, forse anche grazie a un piccolo aiuto dell’anello. Quando avevo messo ben a fuoco il posto in cui eravamo, avevo capito che la compagnia si era fermata per riposare e rifocillarsi, per cui non mi ero allarmata molto. In quanto a Legolas, l’avevo ringraziato e poi mi ero allontanata da lui, per andare verso il fuoco, dove Boromir mi si era accostato domandando della mia salute e blablabla.
Ora, mentre camminavamo, quella sotto specie di amico, ancora blaterava e blaterava. Per non ascoltarlo allungai il passo e arrivai accanto a Gandalf, in testa al gruppo.
« Li farai impazzire, tutti », scherzò il mago guardandomi. « Loro faranno impazzire me », sospirai io, « Eppure, quando dormivi tra le braccia del nostro principe di Bosco Atro non sembravi molto scontenta… anzi », mi tirò una frecciatina. Mi trattenni dal ribattere, dopo tutto era vero. Mi ero trovata bene tra le braccia del biondo, non solo perché ero praticamente svenuta, ma perché, quando mi ero svegliata, mi ero ritrovata ancora stretta a lui, intento ad accarezzarmi una spalla con il tocco morbido delle sue dita. Era stato… dolce. « Ah, stai arrossendo », sorrise il mago, divertito.
« Non sto arrossendo! », replicai imbarazzata, « E’ questo vento che mi fa freddo ».
« Non c’è vento! », m’informò soddisfatto. Socchiusi le labbra per replicare, ma quello che s’impose davanti ai miei occhi mi lasciò di stucco. Non poco lontano da noi si ergeva un ponte, immenso e altissimo. Una parte di esso era crollata. Provai un brivido, al solo pensiero di avvicinarmici. Moria, le sue mura si ergevano davanti a noi, disperdendosi nella nebbia fitta che si era alzata.
 « Le mura di Moria », mormorò Gimli, con tono sognante. « Non mi piace », sussurrai a Gandalf quando riprendemmo il cammino. Il grigio mi scoccò un occhiata e non parlò, quindi decisi di riprendere la parola: « Tu sai cosa si cela dentro Moria. Un male più potente di noi, persino di te, forse. Un demone del fuoco antico, risvegliato dai nani. Non possiamo proseguire », implorai. L’uomo, allora, si avvicinò a me e curvò la schiena per arrivare alla mia altezza « Non possiamo altrimenti, giovane ragazza ». I miei occhi vagarono sulla solida roccia delle mura. Quanto dolore portava quel posto, quanto tempo passato nascosto sotto l’avidità dei nani. Quanto sangue aveva visto scorrere.
Moriremo tutti , mi dissi rassegnata.

 


 °  °




Quando arrivammo in prossimità di un lago, Gandalf ci fermò tutti. Il luogo era tetro, e buio. La poca vegetazione che c’era era composta da alberi secchi con liane nere, marce, attorcigliateci contro, e alghe viscide sulla superfice. L’aria era ricca di strani odori e l’acqua era nera, come il petrolio, visto che il sole era calato e l’ombra delle due montagne sotto cui sostavamo si era riversata a terra. Il mago si avvicinò alla roccia della parete e cominciò a toccarla.
« Dunque vediamo », disse, più a se stesso che a noi. « Ithildin. Riflette solo i raggi del Sole e della Luna. C'è scritto: "Le porte di Durin, Signore di Moria. Dite amici ed entrate”  ». Capendo che ci sarebbe voluto più del dovuto mi accomodai a terra, incrociai le gambe, e rimasi comoda, comoda, a guardare l’uomo.
« Questo posto mi mette i brividi », mormorai involontariamente. Un alito di vento mi sferzò i capelli e una ciocca mi ricadde sulla fronte. La studiai con gli occhi e mi accorsi che era scura, castana. O ma andiamo!, pensai mentre la riportavo indietro, la parrucchiera mi aveva detto che la tinta sarebbe durata a lungo!
Mentre ero intenta a battibeccare con i miei dilemmi l’anello formicolò al mio dito e io chiusi gli occhi, involontariamente, estraniandomi dal mondo.
 
La battaglia infuria attorno a me. Non capisco più da che parte andare. E’ tutto così confuso. Da lontano vedo una faccia che mi scalda il cuore. Corro, verso di lui, e lo aiuto a uccidere degli assalitori. Ormai è tutto finito, i nemici sono distrutti. Lo guardo, ancora, e sorrido felice con il cuore a mille. C’è l’abbiamo fatta, abbiamo vinto. Ma nei suoi occhi passa una scintilla di tristezza, e prima che io possa domandare cosa non va lui afferra una freccia e l’incocca nell’arco, sussurrano un « Mi dispiace » ,che fa fermare il mio cuore, letteralmente. Scocca e l’arma s’impianta nel mio petto, perforandomi da parte a parte. Cado in ginocchio.
 
Aprii gli occhi e trovai tutti seduti su qualche roccia, Gandalf ancora intento a tentare di aprire la porta. « Tanto non c’è la fai », gli disse a un tratto Boromir, « Nessuno c’è la farà ». « Oh sta zitto! » sborbottò Gimli. Mi scappò un sorriso e poi i miei occhi cominciarono a vagare per la compagnia, fino a posarsi sull’acqua. Qualcosa si muoveva li sotto, ne ero certa, ma nessuno pareva farci caso. Magari ero io che mi immaginavo le cose. Il rumore dell’acqua smossa mi fece voltare verso le sponde, dove notai gli hobbit intenti a lanciare sassi. Tentai di non far più caso al rumore ma quello era insistente e fastidioso come mai.
« Pipino, per l’amor del cielo smetti di lanciare quei dannatissimi sassi! », sbottai. Il piccolo hobbit mi fissò, sconcertato, e poi mi fece la linguaccia riprendendo il suo gioco. Respirai rumorosamente e mi morsi le labbra. Aragorn, in piedi davanti a me, mi fissò e io gli rivolsi un occhiata implorante che diceva: falli smettere, falli smettere!
« Non disturbare l’acqua », disse il re, voltandosi e afferrando il polso del mezz’uomo. « E non disturbare le donne! », aggiunsi io. « Bormir », dissi a un tratto, richiamando l’uomo che mi stava passando davanti, « Mi aiuteresti ad alzarmi? », gli porsi le mani. Lui le afferrò e mi sollevò, con troppa enfasi, perché mi ritrovai incollata al suo corpo, con le sue mani sui miei fianchi. Lo incenerii con uno sguardo e gli dissi: « La cosa che ti ho detto qualche giorno fa, di starmi lontana e non toccarmi sennò ti avrei staccato i gioielli con l’ascia di Gimli, è ancora valida. Perciò mollami o lo faccio, davvero ». Lui mi lasciò e si allontanò, avvicinandosi al re.
« E’ un enigma, dite amici ed entrate… qual è la parola elfica per “amici”? », domandò Frodo. Ci pensai su e dopo averla trovata dissi, assieme al mago: « Mellon! ».
La porta di pietra, illuminata dalla luna, scricchiolò e si aprì. Non mi ero accorta di quanto fosse grande e spessa finché non misi a confronto la mia mano con essa. Un mio palmo ci stava dentro quattro volte. « Frodo, sei un genio! » esclamai, e il piccolo hobbit mi sorrise imbarazzato. Ci avviammo tutti dentro le oscurità di Moria, mentre Gandalf tentava di fare luce con il suo bastone. Rimasi indietro, per accertarmi che i membri della compagnia fossero entrati, poi proseguii accanto a Legolas, che mi aveva aspettata.
« Ti ho già detto “grazie, Legolas, non te lo dirò un’altra volta se è quello che vuoi », chiarii alludendo al mio risveglio. Lui sorrise e scosse le spalle, « Ma non è ciò che voglio. Insomma, è mai possibile che nessuno possa starti accanto senza che abbia una ragione? », domandò curioso. « Caro mastro elfo », cominciai poggiando una mano sull’elsa della mia spada, per ticchettarci le dita sopra,  « Ho scoperto, da dove vengo, che nessuno fa una cosa se poi non riceve niente in cambio. Questo mi ha portato a essere diffidente , verso tutto e tutti, comprendi? », conclusi. Lui aprì la bocca per rispondere ma Gimli lo precedette e ci si affiancò dicendo: « Presto, mastro elfo, gusterai la leggendaria ospitalità dei nani. Grandi falò, birra di malto, carne stagionata con l'osso! », sorrise compiaciuto sotto il suo elmo,  « Questa, amico mio, è la casa di mio cugino Balin. E la chiamano una miniera. Una miniera! », poi mi fissò e aggiunse, « Ci saranno diamanti, per compiacervi mia signora. Sebbene i nani tengano ai loro tesori, non sono mai stati sgarbati con una dama ». Gli sorrisi, grata del pensiero che aveva avuto ma successivamente ammisi che l’oro e i gioielli, così come gli abiti, non m’interessavano granché.  Mentre camminavamo, e io mi guardavo attorno, grazie alla poca luce lunare che entrava dall'entrata, qualcosa si fracassò sotto i miei stivali. Sobbalzai spaventata e mi gettai addosso al elfo, involontariamente, per poi staccarmi e borbottare. Stavo facendo cadere la mia maschera di pietra in troppo poco tempo, e la cosa non mi piaceva. Dovevo rimediare. Gandalf, intanto aveva illuminato l’ambiente circostante.
« Non è una miniera », esordì Boromir, « E’ una tomba ». Guardai in basso e mi ritrovai sopra un teschio, fracassato dai miei stivali. Trattenni un urlo di raccapriccio mentre Legolas si chinava a prendere una freccia impiantata in un'altra testa. « I goblin! », parlò l’elfo guardando tutti, guardando me. Intanto le urla disperate di Gimli rimbalzavano da una parte all’altra della stanza di pietra, struggenti e cariche di rabbia.
Sguainammo le spade, pronti a tutto. « Dirigiamoci alla Breccia di Rohan. Non saremmo mai dovuti venire qui. E ora andiamocene. Fuori! », ordinò Boromir.  « Grazie tante per l’informazione! », ringhiai carica di frustrazione. Feci un passo indietro e schiacciai altre ossa. Con raccapriccio, poi, sentii qualcosa strisciarmi sulla gamba e afferrarla.  « Gente », dissi chiudendo gli occhi, « Avrei bisogno di una mano », la cosa mi trascinò verso l’acqua. Con me anche Frodo fu portato fuori dalla bestia, solo che a contrario mio lui gridò mentre io tentai di liberarmi. I tre hobbit rimasti nella miniera corsero dall'amico, inveirono contro l’essere e tagliarono il tentacolo che reggeva il portatore dell'anello.

 


°  ° 
 



Legolas si voltò in tempo per vedere la creatura sparire tra le acque torbide, con Eleonora ancora stretta nella sua presa, e poi risalire. La ragazza era grondante d’acqua , ma continuava a dibattersi e agitare la spada, fendendo e mozzando i tentacoli di quel mostro. L’essere sibilava, ruggiva, e non stava mai fermo. L’elfo incoccò una freccia e lanciò, sperando di colpire nel punto giusto il mostro, in modo da lasciare andare la giovane. Lei gridò, frustrata, e inveì barbaramente per poi gridare: « Non pensare a me, stupido elfo! L’hobbit! Libera l’hobbit! » e tornò a mozzare arti. L’elfo si morse il labbro ma ubbidì. Anche Boromir e Aragorn, aiutati dai piccoli hobbit, erano intenti a raggiungere Frodo, su ordine di lei, ma lui non poteva lasciarla così. L’essere sibilò, rumorosamente e aggressivamente, quando l’umana gli tranciò via un dente aguzzo. L’aveva avvicinata alla bocca, pensò con raccapriccio il giovane principe, voleva ingoiarla. « Cristo Legolas! », lo richiamò la ragazza, accortasi che l’elfo la guardava immobile, « Pensa a Frodooo! », tranciò un altro dente, rompendo così la lama della spada. La creatura gridò, inabissò la testa insanguinata e gettò Eleonora lontano. Il corpo della ragazza finì contro la roccia dura e lei si accasciò a terrà. Per un attimo il giovane pensò che fosse morta ma lei lo smentì subito. Si alzò barcollante e lo raggiunse, prendendogli l’arco e una freccia. « Facciamo i conti dopo », gli intimò mentre prendeva la mira e rilasciava la corda. La freccia volò attraverso la rete di tentacoli e finì dritta in uno degli occhi della creatura. Boromir, allora, si avvicinò pericolosamente e tranciò via il tentacolo che sorreggeva frodo. Il piccolo hobbit gli cadde tra le braccia.
« Legolas! », gridò l’uomo. Il giovane elfo si ritrovò l’arco tra le mani e con precisione scoccò una freccia dritta nell’altro occhio della creatura. « Presto nelle miniere! », ordinò il mago e tutti lo seguirono, persino i tentacoli dell’essere.
Un battito di ciglia e la parete dell’entrata della miniera era crollata, lasciandoli tutti al buio.
« Razza di elfo deficiente! », sbottò all’improvviso la voce di lei, nell'ombra. Aragorn, che si era trovato davanti a Legolas sobbalzò. « Perché diavolo sei rimasto imbambolato accanto all’entrata, mh?! Io non ho bisogno di essere protetta, se ancora non l’hai capito! » e poi si udirono i passi di lei allontanarsi, sempre di più. Dopo qualche attimo di il bastone di Gandalf ruppe il silenzio che si era creato, e lo stregone disse: « Non abbiamo altra scelta, dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. State in guardia. Ci sono cose più antiche e pericolose degli orchi nelle profondità della terra ».
« Tenebre, tenebre, tenebre! », udirono in lontananza la voce di lei, che li aspettava in piedi sulla cima delle scale di roccia. Aveva conserto le braccia al petto e batteva il piede a terra. I capelli bagnati le ricadevano sulle spalle, ma lei si affrettò a racchiuderli in una coda alta. Legolas incrociò il suo sguardo, e vi lesse un po’ di tutto: dalla paura, al nervoso, allo stremato.  « Ma perché non poteva esse: “ Io sono Sauron l’oscuro signore e voglio amore e gioia! Farfalle di qua, uccellini di là!”? » , domandò lei retoricamente quando l’ebbero raggiunta. Gandalf alzò gli occhi al cielo e le rifilò una botta col bastone sul braccio. Lei lo ritirò e se l’accarezzò borbottando. « Ora silenzio, è un viaggio di quattro giorni fino all’altra parte. Speriamo che la nostra presenza passi inosservata ».

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Capitolo 12
*** Troppo orgoglio. ***


When you let her go.     
 
 


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Tre giorni dopo, quando le tenebre ci avevano circondato e non sapevamo più se era notte o giorno, cominciai a sentirmi rinchiusa, in trappola. Tutto, attorno a noi, illuminato dalla luce, che proveniva dal bastone di Gandalf, proiettava ombre lunghe e storte, deformate dalla rovina.  Stavamo risalendo delle scale rovinose quando mi voltai e in lontananza, nelle profondità della roccia, scorsi un movimento. Che sia un goblin?, pensai. Mi fermai, tenendo lo sguardo fisso sulla figura, e poi allungai una mano per afferrare la manica della camicia del re, davanti a me. Aragorn si voltò a guardarmi, sorpreso e incuriosito. « Guarda », gli dissi solamente, e con un cenno del capo gli indicai la figura. Lui la scrutò con i suoi occhi azzurri e corrugò le sopracciglia « E’ Gollum », mi riferì poggiando una mano sulla mia schiena, « Non fermiamoci, è meglio », e mi diede una leggera spinta verso l’alto. Voltai il capo riprendendo a camminare. Più andavo avanti, più mi sentivo osservata da quell’essere. Io sapevo chi era stato e com’era fatto, ma non riuscivo a ricordare che cosa avesse in comune con la compagnia, cosa c’entrasse in questa storia. Mi resi conto che, piano piano, i miei ricordi stavano svanendo e che presto avrei dimenticato tutto. Dovevo chiedere spiegazioni a Gandalf il prima possibile. Con quel pensiero in mente continuai sulla mia strada, arrampicandomi sui ripidi scalini, evitando di toccare le ossa e i crani dei poveri nani defunti. Era tutto così raccapricciante. Finalmente arrivammo alla fine del percorso e ci ritrovammo con i piedi saldi a terra, su una piccola piazzuola. Altri pochi scalini portavano a un piano rialzato sul quale si aprivano tre porte scavate nella pietra. Gandalf si bloccò all’inizio della prima e illuminò tutto meglio.
« Non ho memoria di questo posto », ammise dopo un paio di minuti. La mia mascella, credo, toccò terra dopo quell’affermazione. Come poteva lui, guida della compagnia, non ricordarsi la strada da percorrere? Era il colmo. « Quindi… è ora della pausa? », domandò Marry entusiasta. « Cibo! », sorrise successivamente. Dopo aver acceso un, miracoloso, fuoco ci sparpagliammo. Lo stregone grigio si sedette su una grossa pietra, posta proprio davanti alle tre porte, dandoci le spalle per pensare. Boromir e Aragorn si appoggiarono a una parete, e il re prese a fumare la sua pipa. Solo a guardarlo mi veniva male, odiavo il fumo, portava alla distruzione della persona stessa. Gimli era seduto, gambe a penzoloni, su un’altra roccia, anch’esso a fumare. Legolas se ne stava con una spalla appoggiata a una parete grigia e fredda, le braccia conserte al petto e gli occhi azzurri rivolti alle fiamme, che danzavano nelle sue iridi come ballerine. I quattro hobbit si erano riuniti, nel masso sul masso più alto. Io girovagavo curiosa, e anche perché non riuscivo a stare ferma. Tutta quella situazione, per i miei standard, era pazzesca.
« Ci siamo persi? », sentii mormorare Pipino. Io, che in quel momento, ero intenta a dilettarmi a distruggere una piccola pietra, o a tentare di farlo, alzai gli occhi verso di lui. « No », sentii rispondere Marry, sicuro. « Io credo di si », continuò imperterrito il piccoletto. Corrugai le sopracciglia e poi le inarcai. « Shhh, piantala. Sta’ pensando », gli disse Marry scocciato. « Marry », mormorò poi Pipino. « Ch vuoi?! », domandò esasperato l’amico. « Ho fame », piagnucolò l’esserino. Stufa di quella conversazione, e annoiata, tornai al mio sasso. Lo tenni stretto in mano finché le nocche non diventarono bianche, poi quando vidi che non succedeva nulla, che la pietra non dava segni di voler, neanche, minimamente venarsi, sbuffai esasperata e lo gettai a terra con un ringhio frustrato. I miei compagni mi fissarono e poi tornarono al fuoco, o al fumo.
Ma che problemi ha?, borbottò Aragorn masticando l’imboccatura della sua pipa, ma poi chi le capisce le donne?, aggiunse sbuffando una nuvoletta di fumo. Lo guardai piegando la testa e mi preparai a ribattere, e l’avrei fatto se un’altra voce non si fosse mezza in mezzo. Come farò ad andare avanti, con questa ragazza, nella compagnia se sbotta per qualunque cosa?, riconobbi il tono di Gimli, l’ho sempre detto che le nane sono le migliori. M’indignai e poggiai le mani sui fianchi. E’ pazza, ma potrebbe funzionare come moglie, si disse Boromir, magari cucina bene ed è brava anche in qualcos’altro. Spalancai le palpebre e poi le socchiusi, acidamente. Come potevano solo pensare quelle cose di me? Incrociai le braccia al petto e mi sedetti dando loro la schiena. Ma un dubbio mi crebbe nel cervello. Come potevo io ascoltare i loro pensieri? Come ci riuscivo? Mi appuntai mentalmente di chiedere anche questo a Gandalf. Sicuramente ci riuscivo grazie alla mia passata avventura nella Terra di Mezzo, ma volevo comunque risposte. Nel mentre io pensavo a queste cose, Gandalf stava spiegando a Frodo cosa fosse Gollum e cosa pensasse, cosa bramasse. Io mi voltai verso i due, che ora stavano discutendo sulla morte e la vita, e poi tornai a guardare l’ombra. Solo allora mi accorsi che la creatura Gollum era affacciata da un sporgenza, non lontano da me. Rimasi immobile, pietrificata e impaurita. Un pensiero mi balenò in mente allora: io avevo sempre avuto paura di lui, e ora non era diverso. I suoi enormi occhi azzurri ci scrutavano, penetranti e paurosi. La pelle bianca, ma non di un bianco candido come quello di Legolas, bensì un bianco giallastro, malaticcio, si poteva intravedere dalle mani attaccate a qualcosa. Mossi una gamba, col pensiero di allontarlo, un po’ come si fa con i piccioni, ma lui si avvicinò e tentò di mordermi. Allora mi alzai e gli sputai contro avvicinandomi al fuoco. Gollum gracchiò e tornò nell’ombra, dove scomparve.
« Ti sei fatta un nemico », mi disse Gimli mordicchiando la sua pipa, « Io starei attenta la notte, d’ora in poi. Non si sa mai cosa passi per la testa di quella cosa ». Gli rifilai un’occhiata di sottecchi e il nano mi sorrise, scacciando una nuvoletta di fumo dalle labbra. « Io non credo », cercai di convincermi. La verità era che quell’affermazione mi aveva scalfito la corazza “senza macchia e senza paura”.
Pensaci, Eleonora. E se si muovesse nella notte per ucciderti, o mangiari? Dopo tutto è un essere orrido e crudele, pensai rabbrividendo.  « Ah! Quella è la via! », parlò Gandalf. Ci voltammo tutti nella sua direzione e ci alzammo.  « Ah! Se l’è ricordata », gioì Merry cavandosi la pipa di bocca. « No… ma laggiù l’aria non ha un odore così fetido », lo smentì subito il mago, avvicinandosi ad una delle porte col capello in mano, poi poggiò una mano sulla spalla del mezz’uomo e disse: « Quando sei in dubbio, Meriadoc, segui sempre il tuo naso », e prese a scendere. Lo seguimmo tutti, in fila indiana, e quando ci ritrovammo a percorrere le scale a chiocciola sulle quale ci conduceva, non  potei trattenermi e domandai, sottovoce al nano: « Secondo te mi mangerà davvero? ».
 
Vari scalini dopo ci ritrovammo in uno spiazzo con Gandalf che borbottava qualcosa e il suo bastone che emanava altra luce. Davanti a noi si estendeva un immenso salone, con giganteschi pilastri di pietra che sorreggevano il soffitto. Solo tentando di guardare in alto, versa la fine di questi, mi venne il torcicollo. A terra, grosse pietre crollate dall’alto, erano sopite un po’ ovunque. Legolas saltò giù da una di esse, seguito da Boromir, mentre Aragorn e gli altri preferirono la strada composta dagli scalini. Io esitai, indecisa, ma a un tratto sentii due mani forti stringermi i fianchi e poi mi ritrovai sollevata e di nuovo a terra. Boromir sorrise sodisfatto. Sibilai un “Tzé” fra i denti e lo scansai raggiungendo gli altri. « Un grazie sarebbe gradito », mi rimbeccò lui da lontano. Feci un mezzo giro su me stessa e alzai le spalle, non curante.
« Ammirate, il grande reame della città dei nani. Nanoster », disse Gandalf girando su se stesso. « Ti fa spalancare gli occhi, certo », mormorò Sam, sorpreso. Procedemmo silenziosi, nei meandri della capitale, mentre attorno a noi i grandi pilastri restavano muti. « Secondo voi verrà a prendermi? », domandai impaurita, accostandomi a Gandalf. « Chi? », domandò lo stregone. « Gollum! Gli ho sputato contro!... E se volesse uccidermi?? », strinsi forte il braccio dell’uomo. « Farebbe così! », qualcuno poggiò le sua mani sulle mie spalle all’improvviso, e qualcun altro sui miei fianchi. Io ingoiai un urlo acuto, presi il bastone dalle mani di Gandalf e lo rifilai nel fianco di chi mi aveva spaventata, terrorizzata a mia volta. Legolas saltò evitandolo, per un pelo, mentre Boromir lo prese in pieno, gemendo e inveendo. Sbattei le palpebre e ridiedi il bastone al vecchio, riappoggiandomi al suo braccio.  « Sei pericolosa, ragazza », rise Gimli, facendo roteare la sua ascia.
 

 
°  °
 
 

Il vecchio mago prese dalle mani di uno scheletro un grosso tomo. Solo un raggio di sole penetrava nella stanza in cui ci trovavamo e i pianti di Gimli la riempivano di rumore. Stava piegato sulla tomba di suo cugino Balin, mentre io arrancavo in giro alla ricerca di qualche arma di cui appropriarmi. La mia era andata distrutta dopo l’incontro con l’enorme polpo. « Dobbiamo proseguire. Non possiamo indugiare », disse calmo Legolas, ma la sua voce, alle mie orecchie, tradì la tensione  che in realtà provava. « E dove andremo? Come minimo, con tutto il rumore che Gimli sta facendo, o a causa di Gollum, i goblin sapranno già che siamo qui… siamo sfacciati », mormorai. Ma la stanza era talmente silenziosa, ora, che il mio pensiero rimbalzò sulle pareti e fu udibile da tutti. Gli altri mi lanciarono uno sguardo critico, io non potevo vederli perché ero intenta a strappare dalle mani di uno scheletro una grossa ascia, ma sentì il peso dei loro occhi sul mio capo. « Hanno preso il ponte, e il secondo salone. Abbiamo sbarrato i cancelli, ma non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi. Tamburi negli abissi », lesse lo stregone, riuscendo a catturare la mia attenzione. Finalmente strinsi l’ascia fra le mani e mi ricongiunsi al gruppo, affiancando i piccoli hobbit e la spalla di Legolas. Il calore che il suo corpo irradiava, anche attraverso i vestiti, scaldò i miei e mi donò un senso di quiete, anche se durò solo un attimo. « Non possiamo più uscire », continuò. I miei occhi corsero nella stanza in cui eravamo, sulle pareti, sui miei compagni. « Un’ ombra si muove nel buio. Non possiamo più uscire. Arrivano », concluse il mago. Calò silenzio, interrotto da un rumore sordo che mi fece sobbalzare. Gollum! E’ venuto a mangiarmi!, gridai a me stessa, colta alla sprovvista, e mi ritrovai contro Legolas. Intrecciai le mie dita alle sue e strinsi la presa, talmente tanto che le mie nocche divennero bianche subito. Gli occhi azzurri dell’elfo mi scrutarono sorpresi, e sul suo volto si dipinse un sorrisetto, divertito. Lo ignorai e continuai a guardarmi attorno, in cerca di quel mostruoso essere. I rumori cessarono e tutti rimasero a guardare Pipino, che ora avevo lo sguardo a terra. Feci due calcoli e capii che era stato l’esserino a creare tanto rumore. Imbarazzata mi staccai da Legolas e portai le mani sulle spalle. L’ascia mi era caduta poco prima.  « Idiota di un Tuc », sbottò Gandalf, « Gettati tu, la prossima volta, e liberaci dalla tua stupidità ». Nessuno osò parlare, ribattere il mago per difendere l’ometto. In fondo Gandalf aveva ragione. « Andiamocene », mormorai chinandomi a prendere l’arma nanica. Proprio in quell’istante il fragore dei tamburi risuonò per tutta la capitale. Assieme agli strumenti arrivarono anche le grida degli orchi. Mi ritrovai a stringere più forte l’impugnatura dell’ascia e a muovere le spalle, più carica che mai. Evidentemente il potere dell’anello, di dare forza nei momenti più opportuni, come mi aveva detto Elrond, era entrato in azione. Feci roteare l’arma sul palmo e aspettai.
« Gli orchi », mormorò l’elfo biondo. « Che grande, grandissimo genio che sei elfo silvano », sborbottai correndo ad aiutare Boromir  a chiudere il grande portone d’entrata. Aragorn ordinò agli hobbit di nascondersi dietro lo stregone mentre ci raggiungeva. Un ruggito più forte degli altri mi fece tremare le ossa. « E’ un troll di caverna », ci disse Boromi, intento a serrare la porta con delle asce. Ci allontanammo dalla porta e aspettammo. L’uscio era scosso violentemente e dietro di esso le grida e ringhi degli esseri risuonavano spaventosi. « Speriamo in bene », mi dissi.
« Arrg! Che vengano pure, troveranno che qui a Moria c’è ancora un nano che respira », ringhiò, letteralmente, Gimli. Mi voltai e vidi Aragorn con un arco in pungo. Alzai gli occhi al cielo e scossi il capo. Ma fai sul serio?, avrei voluto chiedergli, usa quella dannata spada che hai!
La porta cedette e l’orda di orchi entrò. Le frecce dei due compagni della compagnia uccisero con precisione quanti più esseri potevano, ma il corpo a corpo era inevitabile. Finalmente urlai, sfogandomi, e mi scaraventai contro uno dei mostri che avevo vicino, troppo. Tu non mi mangerai!, pensai mentre gli tagliavo via la testa dal collo. Il suo sangue schizzò sui miei vestiti, ma non ci feci caso e continuai a fendere corpi. Uno dopo l’altro, i miei nemici, caddero a terra stremati e con i corpi senza più vita. I loro versi erano grida e ruggiti odiosi per le mie orecchie quindi, alla maggior parte, tranciai di netto il capo, oppure lo spaccai in due. L’anello mi stava rendendo un assassina provetta. Sebbene, in nel mio cervello pensavo di non aver mai ucciso nessuno, in cuor mio sentivo che, quelli a cui stavo togliendo la vita, non erano altro che mostri che si aggiungevano alla mia, già vasta,  lista. Dopo tutto io ero Isil, la guerriera. Reincarnata, nel mio stesso corpo, certo, ma ero comunque una guerriera che aveva partecipato alla battaglia dei  cinque eserciti, a detta di Elrond e Gandalf. Un enorme figura entrò in scena, spaccando la porta di pietra con le spalle. Mi ritrovai sotto di lui e Legolas, per darmi il tempo di allontanarmi, gli socco’ una freccia nella spalla. Il troll di montagna ruggì e fece un passo indietro, io ne approfittai per correre lontano. Le scene a seguire furono cruente e ricche di morti. Il troll toglieva, sotto inganno, la vita ai suoi stessi compagni.
« Legolas! », urlai, vedendo il gigante avvicinarglisi. Il principe evitò la catena del troll e gli saltò sulle spalle, lanciandogli una freccia dritta in testa. Tirai un sospiro di sollievo vedendolo allontanarsi dall’essere e tornai a concentrarmi sul mio assalitore, per restare in vita. Non sapevo cosa mi era preso in quegli attimi in cui avevo visto la vita di Legolas appesa a un filo. Il mio cuore si era fermato e i miei occhi non avevano potuto fare a meno di guardarlo, come la mia bocca non aveva resistito ad avvertirlo. Mi ero anche ferita, a causa sua. Sam intanto prendeva a padellate tutti quelli che lo attaccavano, e io ridevo sonoramente, divertita dalla scena.
« Eleonora, dietro di te! », gridò Bormoir. Mi chinai, veloce come il vento, e, scoprendo io stessa delle novità su di me, mi voltai tranciando le gambe all’orco. Quello cadde di schiena e cominciò ad agitare le braccia come un gratto, supplicando di risparmiargli la vita. Mi morsi il labbro e affondai l’ascia nel suo petto. Dovevo ammettere che ero davvero cruenta, per non dire temibile, come il mare.
 
 


°  °
 



Legolas osservò la ragazza correre in soccorso del re, che venne brutalmente scaraventato contro un masso. Mentre il piccolo hobbit, Frodo, lo raggiungeva, lei si mosse veloce e temibile affondando la sua ascia nelle gambe del gigante. Questo ringhiò e la scalciò via. La giovane volò e finì contro l’elfo, che si ritrovò a terra, sotto di lei. In quel momento l’essere trafisse il petto del portatore dell’anello con la sua lancia. Eleonora gridò, rialzandosi velocemente, e quando Legolas fece lo stesso notò che sulla sua divisa, dove prima era stata poggiata la ragazza, c’era del sangue fresco e lucente. La guardò, sorpreso del fatto che lei non se ne fosse curata, e fosse tornata all’attacco contro il mostro, per aiutare i Merry e Pipino.  Gimli e Gandalf si unirono ai tre compagni e Legolas li raggiunse dopo che il grido di lei si fece acuto dal dolore. Quell’abominio le aveva quasi rotto il braccio. Preso da un impulso vendicativo l’essere immortale incoccò una frecci e la rilasciò, con cattiveria e precisione degna di un cecchino. La punta dell’arma si conficcò nel collo del mostro, che ciondolò e poi cadde a terra, stremato e senza vita. Tutto era calato nel silenzio, ora. La ragazza si alzò da terra, a fatica. La sua camicia strappata lasciava vedere la pelle nuda e candida, costellata di cicatrici. Sulla guancia destra aveva un graffio rosso e sanguinante, che con non curanza coprì con una mano, prima di avvicinarsi a Frodo. Lui la guardò, e vide che sorrise dopo che Gandalf ebbe spiegato il motivo della sua sopravvivenza. La guardò e pensò che non aveva mai più visto un sorriso tanto bello da quando la battaglia dei cinque eserciti era conclusa. Perché dopo di essa lui era stato solo, sebbene circondato ogni giorno da persone, lui era rimasto solo senza lei. Le mancava ogni giorno, la sua guerriera, ma sapeva che non sarebbe mai più tornata da lui. Ormai non poteva più farlo.
Altre grida arrivarono a un tratto  e tutti sguardarono la porta con paura, stremati. « Al ponte di Khazad-dûm! », ordinò Gandalf, cominciando a correre trafelato.  Lo seguirono tutti, ritrovandosi in un enorme spiazzo circondato da pilastri. Gli orchi li stavano circondando, constatò con orrore Legolas, erano troppi per essere fermati.  Spuntavano da ogni parte, come il prezzemolo, e li circondavano. Furono costretti a fermarsi. Legolas, che scrutò tutti i suoi nemici con aria truce, puntando l’arco contro di loro, sentì accanto a se un corpo caldo e tremante. Voltò il capo e la vide intenta a strapparsi le maniche della camicia, per crearne delle bende, che cominciò a legarsi al braccio ferito.  Andava veloce, come una scheggia, ma tremava per l’ansia di quella situazione. Lui sapeva che non l’avrebbe mai ammesso, era troppo testarda e orgogliosa per farlo, ma aveva bisogno d’aiuto. Perché era impaurita. Perché era stata ferità. Perché era sola. Perché aveva eretto attorno a se una barriera della più solida roccia, imponendosi di non lasciarci entrare nessuno per paura di essere ferita. E questo Legolas lo sapeva, lo sapeva perché, sebbene lei gli avesse vietato di insinuarsi nella sua mente, qualche sera l’aveva fatto, durante il suo turno di guardia, e vi aveva letto dentro tante cose, troppe. Dopo poco, gli orchi scapparono via impauriti e la compagnia rimase sconcertata a guardarsi intorno.  « Oh dannazzione! Non ora, no! », la sentì implorare mentre guardava lontano, nel buio da dove provenivano grida più alte e una luce che prima non c’era.
 « Cos’è questa nuova diavoleria? », sussurrò Bormir all’orecchio di Gandalf. Eleonora tese una mano verso il braccio di lui e la strinse. « Rimanda a dopo le domande. Ora dobbiamo andarcene. Gandalf! », lo richiamò, « Gandalf dobbiamo andare via! ». Il mago sospirò e poi disse: « E’ nn Balrog. Un demone del mondo antico. E’ un nemico al di là delle vostre forze ». « Gandalf! », gridò lei, una vena gli pulsò sul collo. « Fuggiamo! », si decise a ordinare l’uomo e prese a correre.
 

 
°  °
 

Fuggivamo e il calore del luogo in cui ci eravamo ritrovati mi faceva sudare, freddo. Ci ritrovammo in un vicolo ceco quando trovammo un pezzo delle scale mancante. Legolas saltò dall’altra parte e si voltò a guardarci. « Gandalf », disse e il mago saltò. Una freccia cadde a pochi centimetri dai miei piedi facendomi storcere il naso e convincermi a saltare. Presi la rincorsa e mi ritrovai dall’altra parte, per poco non caddi dagli scali per colpa della mia poca stabilità. Gli orchi continuarono a scoccare i dardi mentre anche gli altri saltavano. Legolas rispose al fuoco prontamente quando a un tratto udii uno strano rumore. Mi voltai e vidi che la parte di tragitto su cui stavano il re e il portatore dell’anello stava crollando. O mio Dio!, gridai dentro di me. Eravamo tutti in salvo, tranne loro. La parte prese a barcollare e Aragorn si ritrovò a dover tenere Frodo per il colletto del mantello. « Aragorn! », gridai avanzando verso di loro, ma una mano mi prese la camicia da dietro e la tenne stretta. « Aspetta! », mi disse il re. Il masso oscillava sempre di più, e sempre più pesantemente. Una parte di esso, andatasi a scontrare con un'altra roccia cedette e cadde nel vuoto. « Chinati », ordinò al piccolo hobbit. Inaspettatamente il masso si piegò in avanti e i due saltarono dalla nostra parte. Legolas afferrò il re, mentre Gimli prese Frodo. Corremmo per le scale, tra i sussulti della terra che accoglieva le nuove macerie, e il fiato corto dovuto alla fatica. Finalmente il ponte era davanti a noi.  « Al ponte! Avanti! », gridò Gandalf, illuminando la via con il bastone.
Arrivammo all’inizio della struttura e Aragorn mi scagliò in avanti, mettendosi al mio seguito. « Corri, e non ti voltare! », mi spinse ancora.  Ci mettemmo in salvo e ci avviammo verso l’uscita di Moria, finalmente.  « Se riesco a uscire di qui viva, vi bacerò a uno a uno », proclamai correndo talmente veloce da non distinguere le pareti che si stagliavano al mio fianco. « Tu non puoi passare!  », sentii e mi bloccai. Con il cuore che batteva a mille mi voltai e i miei occhi catturarono  l’immagine di un Gandalf che fronteggiava un mostro di fuoco. « Sono un servitore del Fuoco Segreto, e reggo la fiamma di Anor! Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla, fiamma di Udun! », sbraitò agitando il bastone in aria. Quello prese a brillare intensamente, ma il demone non parve accorgersene e gli mostrò una spada, grande il doppio di esso, infuocata. Sferrò un attacco che però lo stregone parò. « Ritorna nell’ombra! Tu non puoi passare! » Rimasi ferma al mio posto mentre Aragorn fece un lungo passo avanti e Frodo trattenne il fiato. « C’è la farà? », domandò Merry stringendosi a una mia gamba. Continuai a fissare la scena. « C’è la deve fare », mormorai. Il ponte sotto il peso dell’essere cedette, e questo crollò nelle viscere della terra con tutto il suo fuoco. Un ruggito si levò, ormai lontano. Gandalf si voltò pronto a raggiungerci, ma la frusta rossa, come il sangue, dell’essere risalì e gli circondò la caviglia, facendolo cadere. M’irrigidii. « No,no!  Gandalf! », stillò il piccolo hobbit. Corse verso l’amico ma Bormir lo trattenne, per il suo bene. Chiusi gli occhi e strizzai forte le palpebre.
« Fuggite, sciocchi », mormorò il grigio e poi scomparve con il mostro nelle tenebre. 

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Capitolo 13
*** Questo non me l'aspettavo. ***


When you let her go.     
 
 
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Quando uscimmo dalle miniere il mio cuore era fermo, immobile, come la pietra che ci circondava. L’aria soffiava leggera e il sole era già alto nel cielo. I piccoli hobbit si accasciarono a terra, pinagenti. Boromir, visibilmente distrutto, tratteneva Gimli che gridava contro l’entrata di Moria. Aragorn si allontanò dal gruppo e guardò lontano, mentre Legolas prese ad esaminare l’ambiente dalla parte opposta. I suoi occhi azzurri erano come buchi neri. Incanalavano di tutto ma non lasciavano uscire nulla. Erano fissi sull’orizzonte e sembravano aver risucchiato il colore di questo. Aveva il volto sporco, come gli abiti, a causa della battaglia, ma non sembrava ferito. Io rimasi in disparte, muta, mentre l’asciavo che l’anello riprendesse le forze che mi aveva prestato. Strinsi la mano a pugno e il guanto di pelle chiara che portavo gracchiò. La mia camicia logora, ora senza maniche, sventolò come una bandiera non più bianca, ma nera.
« Andiamocene di qui », suggerii al re avvicinandomisi. Lui mi guardò e nei suoi occhi azzurri potei scorgere lacrime. « E’ troppo pericoloso restare, Aragorn. Lo sai meglio di me », aggiunsi poggiando la mia mano sul suo braccio. Lui chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, poi si voltò e disse: « Legolas, falli alzare ». L’elfo lo guardò, ma sembrava perso nei suoi pensieri, assente dalla vita. « Concedi loro un momento, te ne prego », lo implorò Boromir. Guardai il re, che mi rivolse uno sguardo in attesa di risposta, scuotendo la testa. Aragorn fece un piccolo segno di capo e continuò imperterrito: « Stanotte queste colline brulicheranno di orchi! Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlorien ». Dopo un altro sguardo il re corse dalla compagnia mentre io rimasi a guardarmi attorno. Una distesa di roccia ci circondava, ma lontano riuscivo a vedere foreste e fiumi. La vita ci aspettava. I miei compagni mi affiancarono mentre Frodo e Aragorn si apprestavano a raggiungerci. Boromir mi rivolse un occhiata di fuoco e mi sorpassò con una spallata, lasciandomi di stucco. Sam, si mise davanti a me, carico di bagagli che rallentavano il suo passo. « Sam », lo richiamai mentre procedevamo. Il giardiniere si voltò, gli occhi rossi di pianto ma un sorriso leggero sulle labbra. « Si? », chiese debolmente. M’inginocchiai davanti a lui e senza dire nulla gli presi lo zaino dalle spalle, per dopo abbracciarlo. Il piccolo uomo pianse fragilmente sulla mia spalla e alla fine, quando si staccò, mi ringraziò in un sussurro. Riprendemmo il nostro cammino. Passammo ore in viaggio. Attraversammo distese di roccia, e poi distese verdi con piccoli fiumiciattoli. Attraversammo un torrente e corremmo giù da una collina. Davanti a noi si innalzò il limite di un enorme foresta, dalla quale provenivano quiete e fresco. Ci inoltrammo.
I grandi alberi secolari di quel luogo lasciavano entrare pochi raggi del sole. Tutta via non eravamo al buio. Alcune foglie secche cadevano dall’alto posandosi sul terreno, e finendo poi sotto i nostri piedi. Strinsi lo zaino in spalla e procedetti silenziosa dietro Aragorn. « Lo sai che il silenzio non è un buon segno? », sussurrò Legolas, accostandomisi. Lo guardai per qualche secondo e poi tornai a fissare la strada davanti a me. Lui non si diede per vinto e continuò: « Puoi dirmi cosa ti ho fatto, mia signora? Mi tratti sempre male e non ne capisco il motivo ».  « Mio signore, ti sei  dimenticato di aver attaccato me e il mio drago mentre ero diretta al concilio? », domandai e mi fermai ad accarezzare una corteccia che aveva attirato la mia attenzione. Bhe, a dire la verità, ora tutto attirava la mia attenzione visto che non volevo parlare con l’elfo. « Mi dispiace, Eleonora. Quante volte dovrò ripetertelo? », indagò. « Tante quanti sono gli alberi che popolano questa foresta, Legolas », risposi prontamente guardandolo negli occhi. Erano bellissimi. Ripresi a camminare dandogli le spalle. « Ascolta », sospirò prendendomi il polso fra le dita. Aveva un stretta leggera e morbida, mi era tanto familiare. « Possiamo ricominciare daccapo? ». Indagai sul suo volto, aspettandomi di trovare una smorfia che tradisse la sua richiesta, invece era serio.  « Va bene », acconsentii rilassandomi. Lui sorrise e mi lasciò andare. « Ma resta fuori dalla mia testa! Ok? », ordinai puntandogli un dito contro. Lui ridacchiò e alzò le braccia in aria in segno di resa. Riprendemmo a camminare silenziosi.
« Shhh. State vicini giovani hobbit », mormorò Gimli a un tratto, « Dicono che un grande fattucchiera vive in questi boschi. Una strega elfo con poteri straordinari, tutti quelli che la guardano cadono sotto il suo incantesimo e non li si vede più ». Scossi il capo e non potei trattenermi: « E i folletti dove li hai lasciati, Gimli? Ricordati che i folletti vanno sempre ovunque ». Lui mi ignorò di proposito e continuò: « Bhe, ecco un nano che non intrappolerà facilmente. Ho gli occhi di un falco e le orecchie di una volpe, io ». Una freccia venne puntata al mio petto. Sobbalzai e feci un passo indietro, mentre fulminavo con gli occhi un elfa che mi stava davanti. « Questo è il colmo », dissi incrociando le braccia al petto. « Il nano respira così forte che potevamo colpirlo nel buio », commentò un altro elfo, sorpassando la linea di arcieri e facendosi avanti. Era alto e muscoloso. Aveva le spalle larghe, capelli biondi, quasi bianchi, e occhi azzurri. Era stupendo. Arrossii, imbarazzata, senza saperne il motivo e abbassai il capo. Legolas vicino a me mi gettò un occhiata e abbassò l’arco. Aragorn cominciò a parlare in elfico, ma Gimli borbottò: « Aragorn questi boschi sono pericolosi! Torniamo indietro! », per una volta ero in disaccordo con il nano. Insomma, io, ero curiosa di sapere chi fosse quell’elfo che mi aveva affascinata fin da subito, mentre tutti gli altri sembravano ansiosi di andare via. Legolas più di tutti. « Siete entrati nel reame della Dama dei Boschi, non potete tornare indietro », affermò l’elfo biondo. O ma che peccato, pensai rialzando il volto, vorrà dire che avrò più tempo per conoscerti.
Non fare la bambina!, mi riprese una voce sicura e irritata. Sganciai a Legolas un occhiataccia e poi gli rifilai un calcio nel polpaccio. Lui tirò su l’aria dai denti e poi ridusse le labbra a una sottile linea. I nostri battibecchi avevano portato l’attenzione su di noi. Incrociai lo sguardo fiero del biondo e lui sbatté le palpebre sorpreso. Si fece avanti fino ad arrivare a noi.  « Voi, non credevo ci fosse una dama nella compagnia », mi baciò leggermente la mano. Sorrisi e diventai rossa quando udii la voce di pipino: “ Secondo me l’ha appena messa incinta”. Avrei voluto rifilargli un ceffone ma ormai ero talmente in imbarazzo che non riuscivo più a parlare o muovermi. « Qual è il vostro nome, mia signora? », domandò poi l’elfo ignorando i risolini del piccolo hobbit. Socchiusi le labbra per rispondere ma una mano si poggiò sulla mia spalla e io mi ammutolii. « Eleonora, Haldir », rispose per me Legolas, tirandomi indietro. « Ora se non ti dispiace potremmo proseguire? », si lanciarono uno sguardo che non seppi riconoscere. Haldir, così si chiamava allora lui, rizzò la schiena e mi sorrise poi tornò a guardare Aragorn e gli altri: « Venite, lei vi aspetta ».
 


°  °
 


Ai miei occhi le scale che stavamo percorrendo erano infinite. Giravamo attorno a un grosso albero sulle quale sostavano, come i criceti girono in continuo su una ruota, e ormai il sole era tramontato. Il reame della dama dei boschi era stupendo. Ovunque, i grandi alberi, risplendevano di una luce argentea innaturale e molti elfi si fermavano a guardarci. Haldir era in testa al gruppo, mentre io ero infilata tra Boromir, che aveva deciso di non parlarmi più, senza dirmi il motivo, e Legolas, che era sempre in mezzo.
Mi hai fatto fare la figura della bambina!, protestai nella mia mente, diretta verso di lui. Non rispose ma sapevo che era in ascolto. Tu sei l’essere più antipatico, imbranato e impiccione che io abbia mai conosciuto, Legolas Verdefoglia!
Stavate flirtando davanti a tutti, spudoratamente. Cosa avrei dovuto fare?, ringhiò lui scocciato. Mi trattenni dal tirargli un pugno e risposi: Potevamo anche fare sesso, ma tu non dovevi intrometterti!
Non dire una cosa del genere nemmeno per scherzo, ragazza drago!, abbaiò. Legolas ma che ti prende, eh? Io non sono di tua proprietà. Ho il diritto di avere delle cotte!
Ma non lui!, protestò agitato. Oh mio Dio!, gridai, Legolas tu sei… ma non finii la frase perché ci ritrovammo su una piazzetta posta davanti a delle scale. Dopo di esse si ergeva una meravigliosa abitazione, una reggia, fatta di sottili e resistenti rami d’albero intrecciati. E risplendeva come una luna in terra. Mi ammutolii e rimasi ammaliata. Era stupenda. Non mi accorsi neanche che Haldir si era messo accanto alle scale e ci fissava. Due figure vestite di bianco scesero gli scalini e si pararono di fronte a noi. Portavano due corone in testa, segno che erano i regnanti. Lui e lei avevano gli stessi capelli biondi come l’oro e chiari come il sale. Gli stessi penetranti occhi azzurro cielo e la stessa grazia innata. Mi voltai per guardare i miei compagni e trovai Marri con la bocca spalancata. Alzai per la centesima volta gli occhi al cielo e gliela richiusi.
« Otto sono qui eppure nove si sono allontanati da Gran Burrone. Ditemi dov’è Gandalf, perché molto desidero parlare con lui », chiese il re.
Un piccolo filamento, di un ricordo, si accese nel mio cervello. Loro erano Dama Galdriel e Sire Celeborn. La Dama stava parlando con Boromir e Aragorn, e infine Frodo tramite pensiero. Ma possibile che non si fosse accorta di me?  « Egli è caduto nell’ombra », disse lei. Sembrava sorpresa e smarrita al tempo stesso. « La vostra missione è appesa sulla lama di un coltello. Una piccola deviazione ed essa fallirà, per la rovina di tutti ». L’elfa spostò il suo sguardo da Boromir a Sam: « Ma la speranza permane, fin quando la compagnia sarà fedele », continuò a guardare i compagni e infine giunse a me.
Lo stupore aleggiò sul suo viso candido per qualche secondo, poi scomparve e tornò agli altri. « Ora andate a riposare, perché siete logori dal dolore e dalla molta fatica. Stanotte dormirete in pace ». Haldir si apprestò a  raggiungerci, s’inchinò, e poi si mise in testa al gruppo per guidarci.
« Aspetta, giovane ragazza », mi richiamò la voce vellutata della Dama. Mi voltai e m’inchinai leggermente. « Vieni qui, Isil. Il tuo corpo è più debole degli altri perché l’anello consuma il tuo animo già distrutto », la regina mi pose la sua mano e io la presi, seguendola sulle scale. Il sovrano era di fianco a me e lo guardai, imbarazzata e curiosa al tempo stesso. « Molte lune sono passate, Isil, e noi non credevamo più nel tuo ritorno », mi rivelò Celeborn avanzando nella sala principale della sua dimora. Era grande, e raffinata. I muri rilucevano come se le pareti fossero fatte di luna e un odore di fiori aleggiava nell’aria. « Ricordi tutto, mia cara? », sussurrò Dama Galadriel mentre mi portava in un'altra ala del castello, su per una rampa di scale e poi in un nuovo corridoio. « A volte ho dei ricordi della mia vita passata, mia signora, ma nulla di più », ammisi. « E’ meglio che il passato resti dov’è, Isil », sussurrò lei aprendo una porta, « Non è mai un bene quando questo torna a farsi presente nelle nostre vite. Porta distruzione e rimpianti, odio e tristezza » mi spinse con gentilezza oltre la porta e davanti a me si aprì una stanza. C’era un balcone nascosto dietro una tenda, che ondeggiava lievemente al fievole vento, e un letto grande. Lo guardai e sospirai. Non dormivo in un letto da quasi due mesi, pensai, ma il mio pensiero fu spazzato via dalla vista di un abito. Era poggiato con cura sulle coperte, dal posto in cui ero riuscivo a scorgerne il colore, di un bianco accecante, dai ricami d’argento. Rimasi a fissarlo ammaliata.
 «Ora, mia cara, riposati e riprendi le forze per domani. Sarete nostri ospiti per tre giorni, in modo che possiate riprendervi e continuare », la voce dell’elfo si fece fievole, segno che stava per congedarsi. Mi voltai verso la dama di fretta. « Mia signora », sussurrai, « Non posso accettare tanto », ammisi indicando l’abito. Il re, che fino ad allora era stato in silenzio al fianco della sposa disse: « I tuoi vestiti sono logori, il tuo corpo necessita di cure. Quando avrai finito il bagno indosserai quel vestito, perché non combatterai per tre giorni. Al momento di ripartire ti verranno dato nuovi abiti, Isil ».
M’inchinai, capendo che non avrebbero accettato di essere ribattuti, e ringraziai. « Dimmi ancora un’ultima cosa, giovane ragazza », mormorò il re, « Leggi ancora i pensieri della gente? ». La domanda mi colse alla sprovvista. « Ogni tanto, sire. Ma non riesco a decidere io come e quando ».
« Capisco », annuì l’elfo. Dopo di che, quando se ne furono andati,  richiusi la porta alle mie spalle e mi diressi verso la vasca da bagno pronta a rilassarmi.
 

 
°  °
 


Il canto per Gandalf era cessato da parecchi minuti e Legolas era seduto sulla grossa radice di un albero. Aveva poggiato i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle dita chiuse a pungo. Un pensiero si faceva largo nella sua mente: perché lei non è qui. L’aveva scorta risalire le scale della reggia con la Dama e Sire Celeborn e poi l’aveva vista scomparirne all’interno. Non se n’era curato molto all’inizio, pensando che magari volevano interrogarla sulla sua vita, visto che prima non l’avevano notata nella compagnia, ma mano a mano che il tempo passava capì che non sarebbe scesa per venire da loro. Il suo pensiero lo stava corrodendo dentro come mai nessun’altra , dopo che Isil se n’era andata, era stato in grado di fare.  Chissà cosa sta facendo ora?, si domandò, magari è con Haldir!, il pensiero lo fece innervosire. Si  decise ad alzarsi e procedere verso la reggia. Eleonora, dove sei?, chiese ma non ottenne risposta. Irritato dal suo comportamento accelerò il passo e si ritrovò a salire i gradini che portavano alla residenza reale a due a due. La corta tunica bianca che gli avevano dato gli elfi silvani frusciava con insistenza contro i pantaloni di pelle nera che portava. Eleonora!, chiamò ancora, ho bisogno di parlarti!, ma lei lo ignorò. La sentì ergere attorno alla sua mente delle mura solide e invalicabili, e lo tagliò fuori. Lui sorrise davanti a quel comportamento, ormai ci era abituato, e salì più velocemente le scale. Quando arrivò davanti alla reggia la trovò deserta. Deciso a scovarla cominciò a girare attorno a quella finché non entrò nei giardini reali. Attorno a lui era tutto verde, ben curato, e c’era profumo di fiori. La luna illuminava il suo percorso, rendendo il tutto talmente innaturale che gli faceva quasi paura. Il vento soffiò e trascinò alle sue orecchie un risata cristallina che gli fece fremere il cuore. La riconobbe e si voltò. Con grazia corse nella direzione di questa e fece per uscire allo scoperto, raggiungerla, ma un’altra figura gli si parò davanti. Haldir porse una rosa rossa a Eleonora, che l’accettò sorridente. Legolas provò un tuffo al cuore e si nascose dietro un tronco, osservandoli. Lei era bellissima: aveva un lungo abito bianco dalle ricamature argentee che le lasciava scoperta molta schiena. Davanti aveva uno scollo rotondo impreziosito da fili argentei incrociati fra loro, che parevano rami sinuosi. Le lunghe maniche, larghe in fondo, frusciarono quando portò il fiore al naso e l’annusò. Era davvero bellissima, come non l’aveva mai vista.
« Voglio mostrarti una cosa », le disse l’arciere mentre una folata di vento gli faceva svolazzare i capelli biondi a casaccio. Quelli di lei, invece, volarono alle sue spalle come serpenti, flessuosi e leggiadri, o così parve al principe. Risvegliato dal suono di un fischio, il giovane elfo batté le palpebre e stette a guardare. Dal folto del bosco si udì un nitrito e poco dopo apparve una sagoma nell’oscurità. Andava veloce e i suoi passi smuovevano il terreno. Quando fu meglio visibile, Legolas, si accorse che era un cavallo. L’animale era grande e robusto, con forti zampe e un portamento possente. Il suo manto sembrava sabbia, la sua criniera sciroppo e gli occhi ghiaccio. Sentii sospirare e rivolse lo sguardo alla giovane che si era alzata, non lasciando la rosa. « E’ bellissimo », mormorò sognante. Si avvicinò alla cavalcatura e questa poggiò il muso contro il suo petto. Lei rise, dolce come mai lui l’aveva vista o sentita e prese ad accarezzare l’animale. Haldir, intanto, era intento a dare piccole pacche sul collo delle bestia ma i suoi occhi erano solo per lei, notò con rammarico Legolas. La guardava con ammirazione e desiderio, come anche il principe stesso faceva. Una fitta profonda si insinuò nel suo petto e strinse, strinse la presa più che mai lasciandolo senza fiato. Stava provando gelosia, e non era la prima volta. La provava ogni qual volta Bormir o Aragorn le stavano vicino. La provava quando la sera la sentiva mormorare e poi vedeva uno degli hobbit andare da lei e abbracciarla per qualche minuto, di nascosto, in modo da farla calmare. La provava quando leggeva i pensieri del figlio del governatore di Gondor. « Lui è un Mearas, la razza equina più forte e bella di tutte », le spiegò il capo delle guardie, « E’ il mio cavallo, ma se lo desideri potrai farci un giro », le rivolse uno dei sorrisi da “repertorio” che Legolas gli aveva visto sfoggiare poche volte. Eleonora era ancora intenta a coccolare l’animale quando domandò:  « Come si chiama? ». Il capo delle guardie smise di accarezzare il destriero e fece il giro del suo collo, arrivando a fianco di lei. « Lui è Barahir », si scambiarono uno sguardo, « Significa: “il signore delle terre” », spiegò lui. « E’ davvero un gran bel nome, per un gran bel cavallo, Haldir », mormorò rossa in viso lei.
 

 
°  °
 


Le foglie fremettero sotto i miei piedi quando mi avvicinai alla groppa dell’animale. Haldir poggiò la sue mani sui miei fianchi e mi sollevò, mettendomi a sedere sulla schiena di Barahir. Il cavallo rimase fermo ma voltò il collo in modo da poter vedere chi vi fosse salito sopra. Intimorita presi tra le mani un ciuffetto di criniera e mi posizionai meglio. Le mie gambe cadevano ai lati della pancia del cavallo e io le dondolavo con non curanza. « Perfetto, e ora? », domandai incerta rivolgendo uno sguardo a Haldir. Lui sorrise e accarezzò il muso del cavallo mormorandogli qualcosa nelle orecchie. Quando si allontanò di qualche passo questo prese a camminare tranquillamente. Sentivo i suoi muscoli muoversi leggeri, con poco sforzo, segno che pesavo poco. « Dove mi porta? », chiesi vedendo che il cavallo si dirigeva verso il palazzo. « Gli ho chiesto di farti fare un giro del palazzo, tornerai tutta intera tranquilla », ridacchiò il biondo sedendosi sulla panchina dove prima stavo io. Alzai le spalle, sorridente, e lasciai che l’animale facesse quello che gli era stato ordinato. Girammo attorno alla dimora dei sovrani e, quando tornammo verso il luogo di partenza, mi accorsi che c’era un’altra figura accanto alla guardia. « Ferma », sussurrai a Barahir e lui ubbidì. Scesi con un po’ di fatica dalla sua groppa e mi misi a origliare, curiosa.
La nuova figura era più piccola di Haldir rispetto a massa muscolare, ma era della stessa altezza e aveva le spalle larghe anch’essa. I capelli biondi gli ricadevano sulle spalle, lisci e perfetti, e la postura era fiera. Non mi ci volle molto a capire che era Legolas.  « Non puoi farlo », la voce me ne diede conferma. E ti pareva, pensai scocciata. Quando c’era qualcosa che poteva andare bene, a me, lui doveva intervenire e farla andare male. Tentai di origliare qualcosa di più ma i due si erano messi a parlare in elfico e io non ci capivo nulla. Quando alla fine conclusero di parlare il principe aveva i pugni stretti sui fianchi e se ne andava borbottando fra se e se. Tentando di sembrare il più innocente possibile tornai da Haldir, dicendogli che ero scesa perché avevo rischiato di cadere e mi ero spaventata. « Mi dispiace molto, mia signora », mi disse lui, « Ma credo che la nostra serata si debba concludere qui », si inchinò a baciarmi la mano, mormorò qualcosa al cavallo e si voltò di spalle lasciandomi sola. Sentii il sangue affluirmi alle guance, per la rabbia, e dopo essermi tirata su il vestito con le mani corsi nella direzione di Legolas. Lo raggiunsi mentre era ancora sulle scale, illuminate dalle luci lunari, così avevo soprannominato i lampioni che splendevano su di esse. « Ehy! Principino dei mei stivali, vieni un po’ qui! Io e te dobbiamo parlare! », gli gridai dietro. Lui si voltò e io rimasi sconcertata dal suo volto. Era una maschera fredda di ghiaccio e rabbia: le labbra erano racchiuse in una sottile linea rosata, gli occhi sembravano neri e la mascella era tesa. « Ma qual è il tuo problema? », sbottò prendendomi alla sprovvista. Sobbalzai spaventata e tentai di riprendere il controllo, ma lui urlò di nuovo facendomi sobbalzare ancora. « Me lo spieghi, eh?  Te ne vai in giro a elargire sentenze velenose sugli altri, gli affibi nomignoli idioti e offensivi, credendo di sembrare una dura mentre sembri solo una ragazzina e nulla di più! », una vena gli pulsò sul collo. Spaventata feci un passo indietro e lasciai andare il vestito, che ricadde ai miei piedi come una cascata di stoffa bianco latte. « Ti cacci nei guai, picchi la gente e flirti con uomini che non conosci nemmeno da qualche ora! Credi che tutti siano ai tuoi comodi, Eleonora? Bhe allora cambia opinione perché non è così, nessuno ti sopporta più nella compagnia, nemmeno Pipino, e la cosa è grave! Il tuo comportamento da sui nervi a tutti! Nessuno ti sopporta più! IO non ti sopporto più! », restò in silenzio per qualche minuto, il tempo per riprendersi. « Oh », mormorai assalita da una tristezza nuova, ma conosciuta. Sentii il mio cuore cominciare a battere più piano e le lacrime affluirmi agli occhi. Mi imposi di non piangere davanti a lui e mi sforzai di assumere un espressione decisa. « Grazie della… », la mia voce tremò tradendomi, « confessione. La terrò a mente ». Strizzai le palpebre e mi voltai, risalendo i gradini verso la reggia. Non scappai via, non sarebbe servito a nulla se non a fare una scena drammatica, ma non era quello che volevo in quel momento.  Lui sbatté le palpebre e allungò una mano in avanti, afferrandomi la gonna e bloccandomi. « Aspetta », mi disse soltanto e sentii i suoi passi farsi vicini. Rimasi ferma e mi voltai soltanto quando percepii la sua presenza al mio fianco. Nelle sue iridi aleggiava il mio riflesso. Il volto di una ragazza diciasettenne, distrutta. Sentivo l’anello formicolarmi sulla mano, nascosta dalla grande manica bianca, ma lo ignorai trattenendo lo sguardo di Legolas. « Scusami, ero arrabbiato », si giustificò allungando una mano verso il mio volto. Mi scostai prima che la poggiasse sulla mia guancia. « Coloro che sono arrabbiati dicono sempre la verità, non lo sapeva mio signore? », risposi fredda e distaccata. Una scintilla di tristezza balenò nel suo sguardo. « Non parlarmi così, ti prego Eleonora », mormorò riavvicinando la mano, e questa volta riuscì a poggiarla sulla mia gota. « La prego di non toccarmi, mio signore », sussurrai poco convinta. I miei occhi vagarono nuovamente sui suoi, percorsero poi i suoi lineamenti fino a bloccarsi sulle labbra rosee per un po’ troppo tempo. Il mio cuore riprese a battere più forte di prima, e io mi sentii riempire di una gioia che non sapevo di poter provare. Ritornai ai suoi occhi. « Non volevo dire quelle cose, ero solo… geloso. Mi dispiace averti offesa, nulla di quello che ho detto era vero », confessò. Mosse il pollice sulla mia pelle e sentii qualcosa di umido venir spazzato via. Lacrime, pensai maledicendomi, dannazione non dovevo piangere! Non davanti a lui!
« Geloso? », domandai stupita, « Perché dovresti essere geloso, Legolas? », sussurrai. Lui alzò leggermente le spalle e arricciò le labbra in una breve smorfia . « Perché Haldir stava per fare quello che avrei voluto fare io », poggiò anche l’altra mano sul mio volto e asciugò le ultime lacrime. Rimasi a guardarlo mentre le sue pupille si spostavano sulle piccole gocce salate. Con un gesto improvviso poggiai le mie mani sulle sue, sorprendendolo. Credo che sorrise imbarazzato così perché non ero mai stata gentile nei suoi confronti, nei mesi passati, mentre ora eravamo soli e io gli permettevo di asciugarmi le lacrime. « E cosa stava per fare Haldir? », dissi flebilmente, la mia voce fu portata via da un leggero venticello. « Baciarti », mormorò bloccando gli occhi azzurri sulle mie labbra. « Tu vorresti baciarmi? », domandai a bassa voce. Lui non rispose ma tornò a guardarmi e allora capii che la risposta era “si”. Mi avvicinai a lui, che non levò le mani dalla mia pelle, e piegai leggermente la testa di lato. Lui socchiuse gli occhi e poggiò le labbra sulle mie con dolcezza. Sentii il cuore esplodere del tutto, sfondarmi la cassa toracica e iniziare a gridare “era oraaaa”, senza che ne capissi il motivo. Erano tutti sentimenti nuovi quelli che stavo provando, davvero nuovi ma vecchi al tempo stesso. Si erano risvegliati in me dopo un lungo letargo grazie all’anello, che ora brillava al mio dito come una diamante di luna. Non me ne curai e portai le mani al collo di Legolas, spingendolo verso di me.  Il giovane elfo sorrise nel bacio e spostò le mani: una dietro il mio collo, insinuata fra i miei capelli, l’altra sulla mia vita. Quando ci staccammo socchiusi gli occhi, notando che la luce dell’anello era scomparsa, per qualche minuto. « Questo non me l’aspettavo », mormorò e io risi sorpresa dopo che mi ebbe  abbracciato. Mi ritrovai stretta fra le sue braccia con  il calore del suo corpo premuto contro il mio. Abbandonai tutte le mie difese, fisiche e mentali, e poggiai le testa sotto il suo collo. Lui ci poggiò sopra una guancia e continuò ad accarezzarmi i capelli e la schiena. « Neanche io, principino », mormorai chiudendo gli occhi.

 
 
 
 
 



Allurssssssssssssssss. Domani:  11 settembre 2013 inizio la scuola, perciò ho deciso di dare un tempo di aggiornamento alla storia. Aggiornerò ogni sabato, modo da rimanere costante con i capitoli e continuare tranquillamente.
Vabbè, bando alle ciance: che ne dite di questo capitolo dolce? E’ diverso dagli altri, lo so, ma oggi mi è venuta voglia di dolciosità.
P.s: Vi presento Barahir.
 

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Capitolo 14
*** Dovrò aspettare. ***


When you let her go.    
 

 
 
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Il giorno seguente il bacio con Legolas, mi svegliai nelle mie stanze. La fioca luce del primo mattino sferzava il buio creato dalle tende di soffice velluto bianco. Il fascio luminoso, brillante come mai prima di allora mi parve, portò con se anche un fresco venticello che scosse le tende e mi solleticò la pelle nuda scoperta. Rabbrividii e mi strinsi nelle coperte nel mentre entrava una dama nella mia stanza. La guardai e impallidii di fronte alla sua bellezza. Era poco più bassa di me e si muoveva sinuosa e leggiadra, come una ninfa. I lunghi capelli d’ambra chiara le cadevano sulle spalle e lungo la schiena, accarezzandole la vita come una coperta. Quando mi guardò, dopo che ebbe chiuso la porta alle sue spalle, venni folgorata dal suo sguardo di ghiaccio. Aveva gli occhi di un intenso grigio, cerchiati di nero. Le sue labbra rosse s’incurvarono verso l’alto prima che si inchinasse e mi venisse vicina. Strinsi ancora di più l coperte a me, pensando che in confronto a lei io dovevo sembrare una barbona. « Mia signora », disse e sembrò che cantasse delicatamente, « Questi abiti sono per lei. Glieli manda Dama Galadriel e mi ha chiesto di dirle che tutti l’aspettano in sala grande per la colazione », concluse. Si allungò verso di me e poggiò ai piedi del letto un abito ripiegato. « Oh, no, prego non è necessario. Indosserò l’abito di ieri », mormorai . Lei mi rifilò uno sguardo minaccioso e si poggiò i pugni sui fianchi, come facevano le casalinghe nei telefilm degli anni 80. « Mia signora, noi elfi silvani non doniamo spesso nostre cose a dei viaggiatori, sa? », mi istruì, « Ma quando lo facciamo è desiderabile che questi doni vengano accettati ». La guardai, sorpresa del tono che aveva usato e sbattei le palpebre, come un gatto cecato dai fanali dell’auto. Quella ragazzina era pepata. « Quanti anni hai? », domandai senza pensare. Lei sembrò colta alla sprovvista dalla mia curiosità ma rispose tranquillamente: « Ne ho 2929, mia signora ». Scarta l’idea della ragazzina, Ele, mi dissi, questa potrebbe essere un ex di Legolas. A quel solo pensiero la mia giornata già prendeva una brutta piega.  Aspettai che l’elfa bionda uscisse e poi mi alzai, tenendo le coperte strette al corpo. Mi avvicinai alle tende e le scostai appena, permettendo al sole di entrare con più facilità, e ai miei occhi di scrutare gli splendidi boschi che si estendevano al di la di esse. Sorrisi voltandomi. Dopo essermi lavata, mi vestii col nuovo abito. Era di velluto e aveva un colore verde pallido, le maniche erano lunghe e larghe in fondo, e lo scollo era rotondeggiante, ricamato da fili d’argento bianco.  Questo abito mi lasciava una profonda scollatura a V sulla schiena ed aveva uno strascico leggermente più accentuato rispetto a quello del giorno prima. Mi fermai davanti allo specchio e spazzolai con foga i capelli. Con un certo ribrezzo notai che il castano, sotto la tinta bionda, si stava facendo spazio prepotente fra di essi. Ormai ero tornata completamente scura. Presi l’elastico, che avevo nascosto agli elfi la sera prima, e feci per tirarli su in un acconciatura normalissima ma ci ripensai e li tenni sulle spalle. Non erano lunghi come quelli del elfa bionda, erano molto più corti, arrivavano a alle spalle, ma mi piacevano. Presi forza e mi incamminai in corridoio.
Quando finalmente trovai la sala da pranzo vidi tutti i miei compagni seduti ad un tavolo, lungo e rettangolare, intenti a ingozzarsi come maiali. Alzai gli occhi al cielo e sorrisi divertita entrando nella sala. « Per tutti i Valar », sentii esclamare da qualcuno  e di seguito qualche cucchiaio picchiò contro i piatti e qualche colpo di tosse animò la stanza.  Mi guardai in giro spaesata da quel comportamento, era strano: dopo tutto ero sempre io, con indosso un abito, ma sempre io. Avanzai a passo sicuro verso la tavola e mi sedetti sulla prima seggiola libera che trovai, alla destra di Dama Galadriel e a fianco di Boromir. Davanti avevo Gimli. Entrambi, come il resto dei ragazzi, avevano ripreso a mangiare in silenzio e guardarmi. « Quuualcosa non va? », chiesi e dopo mangiai una fetta di dolce che la dama mi offrì. La sostanza mi si sciolse in bocca inebriandomi le papille gustative. « No… si… insomma sei diversa », mormorò Frodo. Alzai gli occhi dal piatto e lo guardai sorridente. « Solo perché ho un abito, invece che dei pantaloni, Frodo Bagghins, non significa che non sia io ». « Lo sappiamo, Eleonora, ma sei così diversa », disse Boromir voltando la testa verso di me. I suoi occhi grigi mi osservarono per secondi, che mi parvero ore e lui sembrò sorridere. « Te l’ha mai detto nessuno che sembri un pesce lesso? », chiesi tornando al cibo. L’uomo aprì la bocca per ribattere ma poi la richiuse non trovando risposta.
« Sei bellissima », parlò una voce calda. Tutti si voltarono verso l’entrata principale della sala e fissarono Legolas. Quel giorno indossava una tunica corta, che gli arrivava ai fianchi, di un azzurro pallido, abbinata a un paio di pantaloni di velluto bianco e degli stivali neri. I nostri occhi s’incontrarono e in quell’istante mi  mandai al diavolo, perché il mio cuore prese a correre come un cavallo imbizzarrito e sapevo che lui poteva leggere nella mia mente.  Ingoiai un fiotto di saliva e tornai a guardare il mio piatto, sentendo le guance infuocarsi. « G-grazie », balbettai, nel mentre pensavo a un modo per svignarmela e evitare i commenti sarcastici. La Dama accanto a me poggiò una mano sulla mia e mi sorrise, rincuorante. « Abbiamo fatto preparare per te un Maeras, mia cara.», m’informò con la sua voce seducente e nobile al tempo stesso, « Ho saputo che ti piace cavalcare ». Annuii e dissi: « Gliene sono grata mia signora. Se mi permette, potrei andare subito a dare un occhiata? ». « Vai, mia cara, e sii prudente », si raccomandò lasciandomi la mano. Mi alzai con delicatezza ma uscii con velocità. Innalza attorno  ai tuoi pensieri un muro Isil, sennò chiunque potrà leggerli, mi suggerì Dama Galadriel quando fui uscita. Il vento mi accarezzò, lento e suadente, facendo muovere il mio vestito come l’erba ai miei piedi. Scesi di corsa le scale e mi avvicinai alle stalle. Da fuori la grande costruzione dove risiedevano i cavalli era bianca e lucente, delle finestre si affacciavano ai lati dell’immobile e qualche muso equino nitriva o sbuffava fuori di essi. Cominciai a fischiettare contenta ed entrai al suo interno, le mani unite dietro la schiena.  Le stalle odoravano di fiori e autunno, stranamente non c’era traccia di odore di cavallo, come se quegli animali profumassero e basta. Mi avvicinai a un box ma lo trovai vuoto, passai a quello successivo e vi scorsi un grande esemplare dalle spalle larghe, le zampe possenti e il manto grigio. « Mia signora! », esclamò la voce dell’ elfa di quella mattina, che mi spuntò davanti. Sobbalzai appena e le rivolsi uno sguardo indagatorio. « Sono felice di vedere che è già qui, almeno può scegliere il cavallo che più l’aggrada », congiunse le mani al grembo. I suoi occhi si socchiusero e le labbra rosse e perfette si aprirono in un sorriso. Feci una smorfia quando ancora i suoi occhi non potevano vedermi e pensai che quel suo comportamento, per quanto gentile, mi dava sui nervi. Dopo aver passato dieci minuti ad elencarmi più volte i nomi degli animali, che non imparai, scelsi uno stallone nero dagli occhi d’ombra e montai in sella. « Stia attenta, mia signora », si raccomandò Mandë .

 

 
°  °
 


La tavola imbandita della reggia dei sovrani dei boschi di Lothlorien era tornata a essere ghermita di chiacchiere. I giovani hobbit parlavano animatamente con Sire Cleborn, che sembrava divertito dalle storie. Aragorn era intento a scambiare chiacchiere con Dama Galdriel e persino Gimli a volte interveniva. Solo Legolas e Boromir non osavano rivolgere la parola a nessuno. Il primo perché continuava a pensare al bacio che aveva dato la sera prima alla sua compagna d’avventure, il secondo perché aveva ancora l’immagine di lei in testa. Era bellissima, pensò Boromir, e il principe di Bosco Atro lo guardò di sbieco. La gelosia che provò fu accecante, tanto che strinse con forza la forchetta d’argento tra le mani, piegandola. « Potresti tenere a freno i tuoi pensieri? », domandò il biondo all’uomo. Bormir lo fissò truce e alzò il mento, rizzando anche le spalle. « Problemi elfo? », chiese curioso. « Il mio problema sei tu », grugnì quello senza distogliere lo sguardo. Finirà in litigio, pensò Legolas, ma nessuno deve pensare alla mia compagna. « Legolas », lo riprese Aragorn, accortosi della piccola disputa. « Sire », sospirò allora, rassegnato, l’elfo, « Dama Galadriel, mi scuso con voi per il mio increscioso comportamento, ma se ora mi permettete gradirei andare a farmi un giro ». I due sovrani si scambiarono uno sguardo e poi annuirono dandogli il permesso.
Il sole sfiorò i capelli biondi di Legolas, rendendoli quasi bianchi e donò alla sua pelle un colorito più chiaro. Il giovane scese con velocità le scale, che conducevano al giardino reale, e si avvicinò alle stalle. L’imponente edificio bianco risplendeva ai raggi solari, abbagliando la vista di chiunque non ne fosse abituato. All’interno, al suo arrivo, tutti i Maeras si affacciarono ai box, nitrendo e allungando il muso per essere accarezzati. « Eleonora », chiamò, soffermandosi ad accarezzare una giumenta bianca, « Mia signora, sei qui? ».  « Non è più qui, mio signore », l’informò una voce vellutata. Il principe si girò e vide un’elfa faticare con una sella in mano. Era giovane e bellissima, ma troppo bella e perfetta. Era comune a tutte le creature eteree che aveva visto fin dalla sua nascita. Alta il giusto, lunghi capelli biondo/argentei e occhi chiari, da far tremare le ossa per la bellezza a qualsiasi mortale. « E’ già partita? », chiese il principe, avvicinandosi alla donna e prendendole il peso dalle braccia. Lei lo ringraziò e annuì leggermente. « E’ partita un quarto d’ora fa, mio signore. Se desiderate raggiungerla vi sellerò un cavallo », propose lei, e con un ampio gesto del braccio indicò tutti gli animali. Il giovane principe non indugiò sulla scelta, e indicò la bianca giumenta. « La sellerò io… perdonatemi non conosco il vostro nome », mormorò imbarazzato. La bionda creatura sorrise, le sue guance si colorarono di rosso, e disse: « Io sono Mandë, mio signore », fece un leggero inchino. Legolas le sorrise, spostando la sella su un braccio soltanto e si chinò a baciarle il dorso della mano. Quella trattenne il fiato, ancora più imbarazzata e riprese a respirare solo quando il principe si fu staccato e fu entrato nel box della giumenta.
Attorno a lui c’erano alberi enormi, grandi più del palazzo dei regnanti e con più anni in corpo del principe stesso. Le foglie cadevano, imbrunite dal tempo a terra e finivano sotto gli zoccoli del bianco destriero. Il vento gli portò i canti di alcuni uccellini alle orecchie e un nitrito possente. Fermò la cavalla e la voltò dalla parte opposta, seguendo il rumore. Arrivò sulle rive di un grande fiume azzurro, che rifletteva l’immagine del cielo. Lo costeggiò per un po’ finché non trovò un elegante e possente Mearas nero legato a un albero. E’ proprio il cavallo che avrebbe scelto lei, sorrise smontando e legando anche la sua cavalcatura. Si inoltrò nel bosco, e continuò a contemplare le rive in cerca di lei, della sua forte e elegante figura. « Non è ciò che voglio », sentì mormorare, « Mi dispiace che tu pensassi che fra noi potesse esserci qualcosa, Boromir. Non è così », si nascose dietro un albero. Si domandò se dalla sera prima, gli alberi fossero diventati i suoi nascondigli preferiti. « Ma io credevo… insomma tu mi trattavi male e io pensavo », sentì ribattere. « Ma non è così, Boromir. Tu per me sei solo un compagno d’armi e basta », seguì una lunga pausa, durante la quale gli occhi azzurri di Legolas scovarono le due figure da dietro l’albero. Lei era fiera nel suo portamento e nello sguardo, le mani giunte ai fianchi. Lui, Boromir, invece se ne stava curvo sulle spalle per arrivare meglio all’altezza di lei, i capelli corti e scuri gli ricadevano sulle guance e le labbra erano socchiuse.  « Non volevo farti star male, amico mio », sottolineò lei. Lui sospirò rizzando le spalle, girò sui tacchi e scomparve nella boscaglia. Rimase nascosto ancora qualche minuto a osservarla. La vide sospirare e stringersi le braccia al petto. Vide i suoi capelli volare nel vento e scoprì che erano molto più scuri rispetto a quando l’aveva conosciuta. Se prima erano di un biondo pallido, ora erano di un castano chiaro. Socchiuse le palpebre e la guardò dargli la schiena e dirigersi verso le rive del fiume, sulle quali si sedette con le gambe abbracciate al petto. Una folata di vento gli fece scuotere i capelli con violenza e lo costrinse a nascondersi dietro la robusta corteccia dell’albero.

 



°  °
 
 
Nascosi il volto nelle gambe e attesi che il vento si calmasse. Quando tutto fu più tranquillo alzai leggermente il capo e un sbuffo di aria calda mi solleticò il volto. Mi voltai, il sorriso sulle labbra, e rimasi a fissare l’enorme lucertolone davanti a me. Le sue scaglie azzurre rilucevano di mille altri colori a causa della luce e i suoi occhi freddi mai mi parvero più caldi. Mi alzai velocemente e gli abbracciai il muso, tenendolo stretto, mentre lui mi si strusciava contro. Emise un piccolo ruggito gioioso e alzò la testa, sollevandomi. Risi. « Sei tornato », mormorai. Sei tornato da me, gli dissi col pensiero. Un buon drago non abbandona mai la propria padrona, nemmeno quando essa scompare per sessanta lune, mi rispose lui rimettendomi a terra. « Sessanta lune? », chiesi. Sessanta sono le lune passate da quando Isil, la guerriera, è stata uccisa in battaglia e sessanta sono gli anni che io aspettavo di rivedere la mia padrona. Feci un passo indietro e l’anello fremette al mio dito. « Sessant’anni, Titano? », la mia voce assunse una scintilla di stupore, « Aspetti il ritorno da sessant’anni? ». Esatto, Isil. « Mi dispiace, amico mio », sussurrai tornando a toccargli l’imponente mascella, « Io non ricordo nulla ». Lui si sdraiò e appoggiò il volto a terra, io mi sedetti accanto a lui. Davanti a noi il fiume scorreva tranquillo nel suo letto e gli unici rumori che sentivamo erano quelli dei nostri respiri e dei cuori. Non è difficile ricordare, padrona, mi convinse lui, l’anello aiuterà quando l’ora è buona. « Non c’è un modo più veloce per ricordare quello che si è dimenticato, Titano? ». Il grande drago blu voltò l’occhio dalla pupilla stretta e appuntita verso di me e si beò delle mie carezze. Mia padrona, non ne conosco altri di modi.  « Non fa nulla », lo rasserenai io, « Evidentemente, per ritornare Isil, dovrò aspettare che il tempo faccia il suo corso », e mentre lo dissi non pensai neanche minimamente che qualcuno poteva restare in ascolto.

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Capitolo 15
*** Avevo ragione a non fidarmi. ***


When you let her go.    
 
 
 



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Rimasi tutta la mattina a parlare con Titano. Scoprii che il mio drago, non solo mi aveva aspettato per sessant’anni, ma che aveva visto solo 60 lune perché lui si svegliava dal letargo. Mi aveva detto che quando ero conosciuta come Isil lui era stato il mio regalo, da parte di re Thranduil, prima della venuta della guerra. Mi aveva anche detto che Legolas si era rifiutato di farmelo accettare, perché a quel tempo suo padre provava qualcosa per me, e io ricambiavo sebbene in piccola parte. La mia infatuazione era sempre stata per Legolas, e nessun’altro. Non aveva mai usato la parola “amore” perché, diceva: “ La mia signora mai si è innamorata, solo infatuata. Quando il tempo di innamorarsi giungerà a lei, l’anello saprà a chi condurla”.  Ci eravamo separati all’ora di pranzo, e lui mi aveva fatto promettere di non dire nulla della sua venuta. Avevo promesso, l’avevo abbracciato e poi mi ero diretta verso il Mearas mentre lui si issava in volo.
Ora, me ne stavo comoda sulla sella dello stallone mentre tornavo verso la reggia. La luce entrava dalle fronde degli alberi, fendendo il buio come saette lanciate dall’olimpo dei potenti Dei, e c’era un leggera brezza. Gli uccellini cantavano, divertiti e rilassati, sebbene di quei tempi non si poteva dire che la tranquillità fosse di casa. Quando iniziai a fischiare, persa nel mio mondo, mi accorsi che poco avanti a me stava un altro cavallo. Era elegante e fiero al tempo stesso e il suo manto era d’argento puro. Sopra di esso montava un giovane dai lunghi capelli biondi, gli abiti di quella mattina che gli avevo visto a colazione e le orecchie a punta. Sorrisi, inconsciamente, e spronai lo stallone che fu ben felice di correre un po’. Quando raggiunsi l’elfo lui fece finta d’ignorarmi e non mi fissò. Rimasi sorpresa (e delusa) da quella sua reazione ma rizzai le spalle e il mento, assumendo un comportamento fiero ed elegante come quello delle nostre cavalcature, che come noi erano l’uno l’opposto dell’altra. « Vedo che non ti smentisci mai, principino », gli dissi noncurante. « Che intendi? », fu l’unica frase che mi rivolse. Ma lo fece con tono freddo e distaccato, con la voce leggermente incrinata. Non riuscivo a capirlo, davvero. « Cavalla bianca, per un principe. E’ un classico », alzai le spalle e le maniche larghe dell’abito frusciarono sul collo dell’animale. « Bhe, neanch etu sei molto originale, mia signora. Cavallo nero per una dama diversa dalle altre », sbuffò. Lo guardai ancora, stavolta fermando il cavallo all’improvviso. Presi anche le sue redini e le tirai bloccando il suo passo. Lui sobbalzò, impreparato e si voltò verso di me. Solo allora notai gli occhi leggermente arrossati, ma comunque freddi. Tentai di ignorarli e dissi: « Ok, dimmi: qual è il problema ora, Legolas? ». « Io non ho nessun problema », rispose lui, e fece per riprendere la sua cavalcata se io non lo avessi nuovamente fermato. « Mi stai evitando, quando questa mattina mi hai detto che sono bellissima e ieri sera mi hai baciata », le mie labbra tremolarono un poco, leggermente. « Non è successo nulla, e il mio era solo un complimento, nulla di più », alzò le spalle. Mi sentii mancare, come se un onda anomala mi avesse investito e tutto fosse mutato. Erano sentimenti che conoscevo già, probabilmente li avevo provati nella vita passata, allo stesso modo e a causa della stessa persona. « Tu menti », constatai solamente, « Dimmi qual è il problema e io ti aiuterò a risolverlo. Sai che lo farò, Legolas ». « Non puoi farlo!», gridò a un tratto e io mi spaventai talmente tanto che lasciai la presa sulle sue redini e scostai il mio cavallo dal suo. I miei occhi dovevano sembrare quelli di una civetta impaurita. « Perché sei tu il mio problema, Eleonora! E’ da quando ti sei rivolta a me, con quel tuo tono acido  la prima volta che ci siamo visti, che mi sei sembrata subito lei! Tu, il tuo modo di fare, di porti alla gente! Il modo in cui combatti », mi guardò diritta negli occhi e io rabbrividii. Non erano mai stati così, così grigi da sembrare quasi bianchi, così severi e arrabbiati, così carichi d’odio, verso di me.  « Il modo in cui baci », sbraitò, « E il modo in cui menti », aggiunse abbassando di poco la voce, « Mi ha sempre ricordato lei, e oggi ne ho avuto la conferma. Tu sei Isil, e io non sono stato capace di accorgermene fin dall’inizio. Non mi sono accorto che mentivi! ». « Te l’avrei detto », sussurrai. « E quando?! » mi rinfacciò lui. « Quando sarei stata pronta! », strillai io, e il mio Mearas si spostò agitato. « E quando lo saresti stata? Sentiamo! ». « Quando finalmente avrei imparato a fidarmi di te, Legolas Verdefoglia, principe di Bosco Atro e dei miei stivali nuovi! », lo attaccai, « Di certo non volevo che tu mi spiassi! ». Seguì un lungo silenzio distrutto solo dai respiri pesanti degli animali, e i nostri affannati. « Pensavo di potermi fidare di te. Pensavo che, finalmente potevo aver trovato la persona giusta, che mi aiutasse a ricordare chi ero prima di ora, perché io sinceramente non lo so chi sono, Legolas! Non ricordo nulla, niente di niente, nisba! E non mi importa se non conosci questa parola, attaccati! », singhiozzai, e  una sola lacrima mi solcò la guancia. « Se tu me l’avessi detto io ti avrei aiutata prima! ». « Ma non potevo! », gridai sfinita alzando lo sguardo al cielo, perché gli occhi mi pungevano più forte di prima e io non lo sopportavo. Non volevo piangere. Non così, non per quello, non davanti a lui soprattutto. Non volvevo che mi vedesse distrutta per causa sua. « Ho promesso che non l’avrei fatto! Capisci ora?! », presi un bel respiro e tornai a guardarlo più tristemente e crudelmente di prima, « Ma certo che non puoi capire », risi, ma non c’era nulla di divertente nella mia risata, « Tu sei Legolas Verdefoglia, non hai mia avuto bisogno di capire gli altri perché non ti sei mai realmente interessato a chi ti stava attorno ». Lui non disse nulla, socchiuse le labbra ma non parlò. Io risi ancora, leggermente, brevemente e amaramente poi scossi il capo. « Vedi che avevo ragione quando ti dicevo che facevo bene a non fidarmi di nessuno? », gli rinfacciai spronando il cavallo lontano da lui. E così era chiuso il nostro capitolo. “Noi due” non era mai esistito, c’era stato un: Io e Legolas, durato solo una notte, neanche, ma nulla di più. Forse è vero che le persone le conosci realmente quando si arrabbiano, perché tirano fuori il peggio di se: mostrandoti il loro animo per quello che è. E quello di Legolas era diventato nero, avvelenato dal ricordo e dalle delusioni.
 
 
 
 



*  *

Lo so che è corto e mi dispiace davvero tanto, ma la scuola mi ha preso così tanto tempo. Però ha già dato i suoi frutto con due splendidi voti :3. Ora vi posto le foto dei due Mearas e poi vi lascio :3 Cosa ne pensate di questo capitolo, diverso?


Mearas nero ( della nostra Ele/Isil): Image and video hosting by TinyPic
 
Meara bianco ( del nostro principino): Image and video hosting by TinyPic

 

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Capitolo 16
*** Non l'aveva mai vista così vulnerabile. ***


When you let her go.   
 
 


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Avete presente quando vi sentite svuoltati, soli e senza la speranza di sapere che qualcuno possa vedere il vostro stato d’animo? Quando vi sentite male, male sentimentalmente e vedete tutti felici, tranne voi? Io mi sentivo peggio, molto peggio. Mentre spazzolavo con forza il mio cavallo mi sembrava che tutto il mio mondo stesse finendo. Anzi, era già finito. Sentivo il cuore battere talmente tanto da sfondare la cassa toracica, e il respiro accelerare sempre di più. Era così snervante, per me. Mi aveva praticamente chiamata “ traditrice ”, nei suoi confronti. Mi sentivo delusa da me stessa. Diedi un’ultima strigliata all’animale e lo portai in box, dove lo rinchiusi. Appoggiai la schiena alla grande porta e respirai a fondo. Non era  normale che il mio cuore andasse così veloce e il respiro mi si bloccasse in gola. Stavo avendo un attacco d’asma, e lo sapevo bene. Mi capitava spesso anche sulla terra, ma dopo poco tempo cessavano, invece questo sembrava peggiorare. Mi portai una mano alla gola e strinsi con una mano il confine del box. Dovevo stare in piedi, dovevo avere la forza di respirare ancora. Rantolai rumorosamente, e prima di toccare terra mi ritrovai tra le braccia di qualcuno. Mi issò con impulso e spinse il mio corpo contro il muro, sorreggendomi per le spalle. Gli occhi azzurri di Aragorn mi esaminarono, impauriti e curiosi. « Eleonora » disse dandomi una leggera scossa. Lo guardai boccheggiando e indicai la gola con una mano. « Non respiri? » s’impaurì. « Mi manca l’aria » riuscii a dire portando le mani al suo collo. Sapevo di avere una stupida idea in testa, ma nei film funzionava sempre. Lo tirai a me e lo baciai. Lui s’impietrì, ma dopo qualche secondo sembrò capire tutto. Si rilassò e poggiò il suo corpo sul mio. Il mio cuore prese a battere normalmente e tutta l’ansia che avevo defluì via, diventando aria. Quando ci staccammo le uniche cose che riuscii a dire furono: « Grazie, Aragorn. »
Quando uscimmo dalle stalle parlammo dell’accaduto. Gli rivelai che soffrivo d’asma da quando ero bambina, e man mano che crescevo quella specie di malattia era cessata, ce così si poteva dire. Non mi erano mai venuti attacchi così forti, all’improvviso. Gli rivelai che sulla Terra avevo un congegno fatto apposta che mi aiutava a respirare, mentre li non potevo contare su nulla se non su degli stupidi baci. Nessn bacio poteva eguagliare quello di Legolas, ma ora lui mi odiava e io mi sentivo ferita dal suo comportamento. Sulla litigata con l’elfo non avevo fatto parola. Arrivammo alla reggia quando ormai il sole stava tramontando. Avevamo parlato così tanto, di così tante cose che non avevamo neanche fatto caso al tempo. Il sole in lontananza colorava il cielo di un dolce arancio, tagliato dal rosso porpora dove il sole gli era più vicino. Le ombre degli alberi si allungavano su di noi, e sui boschi facendoli diventare bui e brulicanti di canti. Sorrisi ad Aragorn e strinsi il mio braccio attorno al suo. Camminavamo sulle scale rilucenti, e dissi: « Ti sono grata per aver parlato con me, Aragorn. E del tuo intervento nelle stalle. So quanto ti è costato. » « Non fa nulla, Eleonora. E… riguardo quella cosa, ho solo salvato la vita di uno dei miei. » Sorrise, mentre i suoi occhi azzurri deviavano dal mio viso e si fermavano sull’entrata della reggia. Lo seguii con i miei occhi e scorsi Sire Celeborn parlare con Legolas, e entrambi ci fissavano. Il primo sorridente, il secondo… bhe, aveva gli occhi di ghiaccio. Alzai il mento e sorrisi educatamente quando li avvicinammo. Un leggero inchino garbato al re e un saluto freddo all’elfo che mi aveva ferita. « Sai, mia cara. Il principe Legolas ha avuto una splendida idea » mi disse Celeborn, poggiandomi una mano sulla spalla, amichevolmente. « Ha proposto un piccolo ballo prima della vostra partenza, che avverrà domani. » « Che ottima idea » concordò Aragorn. « Un’idea davvero… simpatica, si » mi sforzai di commentare io.
 
Qualche ora dopo ero sdraiata sul letto di camera mia, mentre l’elfa bionda di quella mattina era intenta a sfrecciare da una parte all’altra, con un vestito diverso tra le mani ogni volta. Ora davanti a me ne erano appesi cinque: uno rosso corallo dai ricami d’oro, uno azzurro cielo impreziosito da fili d’argento, uno giallo con un profondo velo sulla parte posteriore, uno bianco come il latte e l’ultimo nero. « Non lo so Mandë » dissi. « Io neanche ci voglio andare a questo ballo » mi accarezzai i capelli e constati che ormai erano del tutto diventati scuri. « Ma, mia signora » mormorò lei fermandosi davanti ai piedi del letto, di fronte alla mia faccia. « Sire Celeborn ha detto. »   « Non importa, io non voglio andare! » sbraitai rizzandomi di colpo. La “giovane” sobbalzò un poco e si portò una mano al cuore. I miei scatti improvvisi erano famosi per il fatto che spaventavano le persone. Quello era riuscito bene. La mia testa continuava a dirmi di calmarmi, e così il mio cuore, ma i miei pensieri tornavano continuamente alla litigata avvenuta quella mattina. La rabbia che non avevo sfogato del tutto nelle stalle stava ribollendo dentro di me. Era vivo, vigoroso e bramoso di distruggere e trasformare in cenere tutto ciò che stava sul suo cammino. E in quell’istante c’era l’elfa sul mio cammino. « Ma mia signora » provò a persuadermi. « Ne ho abbastanza per oggi, Mandë. Esci di qui e vai a festeggiare, io non ne ho le forze. »  « Voi non volete averne » ribatté lei. « Avete paura che il principe Legolas esca con un’altra? Mia signo… » « Lasciami sola, elfa! E’ possibile che tu non riesca a recepire un solo ordine? Sparisci! Non ti voglio, non ho bisogno di te! » non riuscii a trattenermi e le indicai la porta. Quella gonfiò il petto, rossa in viso e si diresse verso l’uscita senza neanche salutare. « Stupido elfo! » sibilai tra i denti, quando nel corridoio vidi passare lui, prima che la porta si chiudesse davvero.
 
 
 *        *


Il giovane principe continuò il suo cammino lungo i corridoi. Il sole era tramontato ormai da un’ora, e il bosco era illuminato da lanterne di bianca luce. A un tratto un rumore catturò la sua attenzione. Fece volare lo sguardo ovunque e notò una giovane elfa dai capelli biondi in piedi davanti a una finestra. Si teneva le braccia strette al petto e singhiozzava tristemente, cercando di restare nell’ombra. Il cuore del giovane, che in quel giorno pareva essersi fermato riprese a battere velocemente. Vedere una ragazza in quello stato lo faceva sentire a pezzi. Le si avvicinò, e facendo attenzione poggiò una mano sulla sua spalla nuda e tremante. La giovane si voltò leggermente, i lunghi capelli d’argento le frusciarono sulle spalle bianco/marmoree. Gli occhi grigi della ragazza gli erano famigliari. Ma certo, si disse, è la ragazza della scuderia. L’ancella della mia comp… di Isil.  « Mandë, giusto?. »   La ragazza annuì e si asciugò in fretta gli occhi. « Cosa comandate, mio signore? » Il giovane rimase sorpreso dal tono malfermo della voce di lei. « Cosa ti è accaduto, mia signora? Perché piangi? » « Non… nulla principe Legolas » mormorò. « Una bella donna come voi, mia signora, non piange per nulla. » « Ecco, io e la mia signora abbiamo avuto delle incomprensioni, mio signore. Nulla di grave. »  « Cosa vi ha fatto? Se fosse stato un “nulla” non piangereste così. » « Mio signore. » Prima che l’elfa terminasse la risposta una voce alle loro spalle li fece voltare. Era un sussurro, flebile ma potente in tutto quel vuoto silenzio. Dama Galadriel si stava avvicinando con un altro gruppo di ancelle al seguito. Indossava un elegante vestito bianco che risplendeva come la luna, e i capelli d’argento colato erano mossi sulle sue spalle. Il volto severo ma sorridente rivolto a una seguace. « Mio signore, vogliate scusami ma debbo andare. » si congedò l’ancella, le lacrime sparite dal viso etero. Legolas la guardò andare via, seguire le dame e scomparire oltre le scale che portavano nella sala grande. Solo allora si rese conto di quanto vederla ferita l’avesse turbato. L’uragano, creatosi nella sua anima quella mattina riprese a ingrossarsi. Gli sembrava che dentro il suo corpo fosse davvero in fermento una tormenta d’acqua e pioggia scrosciante. Senza accorgersene, voltò i tacchi e si diresse in gran carriera verso le stanze di lei. Percorse i corridoi bui, dove i suoi passi rimbombavano tetri e pesanti mentre sotto le pavimentazioni cominciava a sentire le voci festose degli invitati e i primi accordi della musica. Bussò violentemente alla porta di una stanza e attese. I minuti passarono e la sua rabbia cresceva. Ormai persino il suo cuore aveva preso a battere troppo veloce per riuscire a calmarsi. Fece per battere nuovamente, ma la porta si aprì da sola cigolando. Se prima il suo cuore correva troppo veloce, ora d’un tratto si era impietrito. Eleonora era davanti ai suoi occhi, il corpo fasciato da un delicato vestito rosso scuro dai preziosi ricami. I capelli, che ormai erano cresciuti fin dopo le spalle, lasciati liberi su una di esse. La pelle chiara lo era ancora di più e l’anello al suo dito medio riluceva leggermente. Ma i suoi occhi erano la cosa più triste che avesse mai visto. Non erano come quelli appannati dell’elfa, oppure come quelli di tutte le persone che aveva visto piangere. I suoi occhi erano davvero lucidi e quello sinistro era leggermente più chiaro dell’altro. Copiose lacrime le rigavano le guance. Alcune scendevano sul collo, altre percorrevano la mascella fino al mento e le gocciolavano a terra, macchiando il pavimento. « Che vuoi? » disse, il corpo scosso da tremiti. « Mio signore » aggiunse, per dimostrare a Legolas  che c’è l’aveva ancora con lui. Il principe aprì le labbra e mormorò: « Ho incontrato la tua ancella. » « Ah, quella! » esclamò lei infastidita. « Ficcanaso che non è altra! Scommetto che l’hai trovata a piangere e l’hai baciata, non è così? » gli voltò le spalle, ma non chiuse la porta, permettendogli d’entrare. Lui fece un timido passo avanti, poi un altro finché non fu nelle stanze della guerriera, poi richiuse l’uscio. « Si è vero piangeva » ammise lui. « Ma non l’ho baciata. » « Almeno sei stato corretto » borbottò lei chiudendo la porta finestra che conduceva al piccolo terrazzo. Le spalle ancora tremanti per i singhiozzi repressi. « Cosa ti è successo? Perché… piangi? Qual è il problema? » Isil. Gli suonava così strano provare a pronunciare quel nome dopo sessant’anni. Lei era la sua compagna, lo era stata tanto tempo fa, ma adesso era tutto diverso. Lui era diverso e lei pure. Eppure era così simile a quella ragazza fiera e decisa che conosceva. « Sono io, il problema! » singhiozzò lei, aggredendosi d’un tratto. Le labbra tremolarono un poco. « E’ da quando mi sono unita a questa compagnia che non riesco più a capire chi sono! Ho scoperto di poter leggere nella mente delle persone! » si indicò il capo in l’indice destro. « Ho scoperto di essere praticamente la reincarnazione di una guerriera vissuta sessant’anni fa. » « Non sei proprio la reincarnazione… » sussurrò lui. « E’ uguale » ribatté la giovane, senza fermare i singhiozzi che la tormentavano. Legolas non l’aveva mai vista così. Lei non era mai stata così, vulnerabile. Aveva costruito una barriera attorno a se, e ora quel grosso muro di protezione le era crollato contro all’improvviso lasciandola sola e scoperta. Doveva davvero sentirsi uno schifo. « Perché non potevo semplicemente essere una giovane ragazza, con una vita tormentata e un amore impossibile per un qualche giocatore di rugby o un cantante? No, certo! Io dovevo precipitare nella terra di mezzo e incontrare uno stupido elfo biondo spara frecce! » si bloccò capendo che stava esagerando e puntò lo sguardo a terra. « Perdonami, mio signore » pigolò. Poi prese un bel respiro e rialzò il mento. Gli occhi arrossati facevano a gara con il colore del vestito. « Volevi andare alla festa? » domandò lui per variare discorso. Pensò che almeno, forse, avrebbe smesso di piangere. « No » rispose secca lei. « Volevo solo provare il vestito. » « Bhe… ti sta davvero bene » la lodò lui. Ed era vero. Il velluto dell’abito aderiva perfettamente alle forme, poco prosperose di lei. Lo scollo squadrato della parte davanti le lasciava le spalle nude. Dietro un piccolo strascico le sembrava volteggiare intorno. « Sembri… una dea dei Valar » mormorò. « Chissà a quante elfe l’hai già detto » borbottò lei poggiandogli le mani sulle spalle, per farlo voltare verso la porta. Con una spinta leggera lo condusse all’uscio, che aveva aperto e lo spinse fuori. « Sei stato carino a passare, mio signore. » « El, io » provò a dirle lui. Ma lei era testarda e non lo fece continuare. « Non so se sei passato pr caso, o per il fatto dell’ancella, Mio Signore. Fatto sta’ che io non ho dimenticato quello che mi hai detto oggi. » Il cuore di Legolas, pietrificato si ghiacciò e sgretolò finendo sul fondo della cassa toracica. Gli stava praticamente dicendo che non lo voleva tra i piedi, sebbene i suoi occhi gli parevano gridare il contrario. 

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Capitolo 17
*** L'avrebbe rivista ***


When you let her go.   
 




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La mattina successiva svegliarsi fu un inferno. Il sole ancora non era sorto, gli uccelli ancora non cantavano i loro canti e la luna brillava nel cielo. L’alba però non era lontana. Quando scansai le coperte del morbido letto una vampata d’aria gelida mi penetrò nelle ossa facendomi rabbrividire. Mi stropicciai gli occhi con le mani, e sbadigliai assonnata. Mi lavai e vestii: i pantaloni di pelle nera strusciarono contro le mie gambe, coprendole e ricordandomi che da quel momento riprendeva la missione. Morte, dolori, perdite a causa di un unico anello. Passai una cintola, abbastanza robusta, nera e vi legai il fodero della mia spada nuova. La sera precedente Haldir, il capo delle guardie di Dama Galadriel, venne da me e me la consegnò a nome dei due regnanti. Ne approfittai per salutarlo come si deve e poi mi congedai.
 
Mentre attorno a noi la foresta aveva preso vita, il sole era sorto portando con se il risveglio della natura, Dama Galadriel ci salutava mentre salivamo sulle barche. Aveva donato a ognuno di noi qualcosa: a Legolas un arco, a Frodo la luce della loro stella, a me poche parole in privato: « Veglierò su di te, Isil. Sto perdendo i poteri ma questo non vuol dire che non possa aiutarti. Quando scoprirò pericoli sulla vostra strada, ti apparirò in sogno. » « Mia signora, il vostro gesto mi infonde felicità » avevo risposto. « Che il mio gesto non sia vano, guerriera. Che la missione venga a termine. »  Io l’avevo salutata con un inchino, ma lei aveva poggiato le sue mani sulle mie spalle e mi aveva sterro a se, accarezzando la mia treccia. Poi mi aveva lasciata andare.
Il corso del fiume scorreva tranquillo, l’acqua era limpida e tutto aveva un non so che di rilassante. Persino il rumore delle sponde contro le nostre imbarcazione era rilassante. Mi ero imbarcata da sola, visto che le altre canoe erano tutte piene, ma questo mi dava velocità. Sfrecciavo in mezzo a tutti, con il sorriso sulle labbra e il divertimento negli occhi. Mi ero abituata velocemente a quell’ambiente. « Vai piano, ragazzina! » mi gridò dietro Gimli. « Ti perderemo di vista, o ti farai del male! » Feci le corna rovesciate e bloccai l’imbarcazione. Aspettai che mi raggiungessero per riprendere a remare. « Che ti ha detto la dama? » s’incuriosì il nano. Lo guardai e mi accarezzai il mento. « Nulla che ti riguardi. E poi perché dovrei dirlo a te? Poco fa mi hai mandato il malocchio addosso! » « Certo che siete strane voi donne » borbottò quello incrociando le braccia al petto. La lunga barba si muoveva a tempo con le labbra ed era buffa. Non potei fare a meno di sorridere. « Cosa? Cosa c’è adesso? » si preoccupò lui. Scossi il capo e feci un cenno d’ammonimento con la mano. « Ora me lo dici! » sborbottò spazientito, e curioso allungandosi verso la  mia canoa. Legolas lo fissò con le sopracciglia alzate. « No! Fermooo! Così mi fai perdere l’equilibrio! » lo avvertì, anche se il mio tono dovette suonargli divertito visto che ridevo ancora. Il nano allungò allora il braccio e arrivò a prendere il bordo della mia barca. L’avvicinò alla sua in malo modo e questa prese a dondolare. Mi alzai in piedi, tentando di trovare l’equilibrio per saltare sulla sua, ma sembravo un pesce fuor d’acqua e ormai il bagno era alle porte. Contro ogni logica, però, la barca si ribaltò e io finii nella acque gelide del letto fiume. Una valanga bagnata mi sormontò e mi spinse in basso, sul fondo. Trattenni il respiro più che potei, sebbene non fossi mai stata un asso nel nuoto, anzi, e mi spinsi verso la superfice. La corrente rendeva la mia traversata difficile, quasi impossibile per un altro essere umano, ma io avevo il mio anello. E in quel momento brillava sotto il guanto di pelle e mi dava forza. Quando riemersi le barche mi circondavano. Gli occhi di tutti erano su di me, curiosi e ansiosi di sentire come stavo. Qualcosa mdi squamoso mi sfiorò la gamba, facendomi rabbrividire. « Bhe? Allora? NESSUNO di voi “valorosi” e “galanti” signori mi da una mano? » chiesi ironicamente. Gli altri si scambiarono un’occhiata e parvero rinsavire. Una mano si portò davanti al mio viso, e io la presi senza guardare di chi fosse. Bormir mi issò sulla sua barca e mi coprì con il suo mantello di pelliccia. Lo strinsi a me subito dopo una folata d’aria fredda e mi rannicchiai fra i due piccoli hobbit, che mi abbracciarono e posarono le loro teste sulle mie spalle. « Tanto, dovevo fare un bagno comunque » sussurrai alzando le spalle, scatenando le piccole risate di Merry e Pipino. Il resto del viaggio fu tranquillo: percorremmo il fiume in silenzio. A un tratto, dopo che il fiume ebbe svoltato un’ultima volta ci apparvero davanti agli occhi due enormi figure di pietra: erano alte quanto un palazzo e indossavano entrambe delle tuniche. Le braccia stese avanti al volto che intimavano di non entrare (ma noi c’è ne fregavamo delle regole, perché eravamo trasgressivi. O più probabilmente perché erano gli antenati di Aragorn, ma è uguale). Mi voltai verso i miei compagni per curiosità e trovai Gimli con la bocca aperta. « Ehy Gimli! Non è che sono tuoi parenti? L’altezza è quella! » indicai le statue. Il nano serrò le labbra e mi scoccò un’occhiataccia, mentre qualcuno degli altri sogghignava. Dopo averle passate un altro tratto di fiume, stavolta più largo, ci accompagnò in prossimità di una attracco, poco lontano da una cascata. L’acqua che precipitava in fondo a essa faceva un suono tale che si sentiva anche a molti metri di distanza. Il fragore delle maree leggere e bianche di schiuma mi calmavano. Scesi immediatamente dall’imbarcazione, con un salto fui sulla riva, e mi sedetti sopra il mantello di Bormir. Lui mi sorrise, sebbene sapessi che odiasse quella visione ma non disse nulla. « A-iuta… ci » si sforzò di dire Gimli mentre arrancava con la sua imbarcazione ( e quella dell’elfo) verso riva. Scossi il capo e dissi: « Io. Non. Tornerò. Mai. Più. In. Quell’acqua. » « Sei proprio una » il nano si morse la lingua. « Porta rispetto alle donne » lo fermò Legolas. Per la prima volta da quella mattina aveva parlato. Lo esaminai con lo sguardo, curiosa e sospetta ma quando lui s’accorse di me io mi voltai. L’orgoglio che avevo dentro era troppo per ammettere, che in fondo, aveva ragione. Gli avevo mentito e mi sentivo in colpa. «  Attraversiamo il lago al calar del sole. Nascondiamo le barche e andiamo avanti a piedi. Raggiungiamo Mordor da Nord » svelò il proprio piano Aragorn. « Ah si? Un modo semplicissimo di farci strada tra gli Emyn Muil! » rispose Gimli. « Un labirinto impossibile di rocce affilate come lame. Dopo di che, va ancora meglio! Un suppurato, puzzolente terreno paludoso fin dove occhio può vedere! » borbottò il nano, contrastando il volere del re. Sebbene a causa sua io ero caduta in acqua, ero stata costretta ad accettare aiuto da Boromir, e ora me ne stavo praticamente sdraiata sul piccolo fuoco da campeggio che avevamo, dovevo dargli ragione. « Gimli non ha tutti i torti, Aragorn » intervenni. « Se finissimo in un’imboscata, o ci perdemmo nella palude sarebbe la fine » dissi, esponendo le mie idee. Il re ci pensò un poco poi, con convinzione ripete’: « Questa è la nostra strada. » Prima che potessi ribattere, mi ritrovai a spalancare gli occhi e essere pervasa dal freddo. Una sensazione stranissima mi abbracciò, tenendomi stretta e una voce cominciò a mormorarmi, con eco: « Arrivano. Attenta guerriera. Arrivano. Proteggi il portatore dell’anello. Proteggi il male stesso » ogni parola amplificata e ripetuta più e più volte.  Poi tutto tacque e io ripresi a vedere normalmente. Legolas e Aragorn fissavano un punto alle mie spalle, ma non era quello che mi preoccupava. Erano le parole pronunciate da Dama Galadriel a scuotermi e impormi di alzare le gambe per cominciare a correre, più veloce che potevo. « Frodo! Frodo è in pericolo! » urlai a un tratto, scattando sull’attenti. Recuperai la spada, che era a terra e presi a correre nella foresta. Dietro di me le urla degli altri, davanti la strada da percorrere. Le foglie sotto i miei piedi scricchiolavano, ma io non ci facevo più caso. Ero troppo impegnata a schivare rami e evitare cadute per pensare ad altro. Sentivo le urla di Boromir. Chiamava il nome di Frodo. O mio Dio! Strillai dentro di me, ho fallito! Fallito! L’ha ucciso! Devo trovare Frodo! Io devo… prima che riuscissi a finire il pensiero una figura arrivò ai miei occhi. Mi ci gettai contro e lo tenni a terra, la lama puntata alla gola. « Dov’è? » urlai. « Dov’è Frodo? Che gli hai fatto? » dovevo sembrare una madre isterica. « E’ fuggito » mi rivelò l’uomo alzando le mani sopra la testa, per mostrarmi che era disarmato. Lasciai che un sospiro di sollievo, smorzato dal rumore metallico dell’acciaio. Alzai in fretta il capo e mi scostai dal corpo di Bormir, che ci mise meno di due secondi al alzarsi. Feci lo stesso e ci guardammo attorno, disorientati.  Urla e strepiti arrivavano da lontano. « Merry e Pipino! » ululò l’uomo indicandomi un piccolo ponte non molto lontano. I due erano bloccati, un gruppo di orchi li circondava. Senza pensarci due volte, sebbene la paura fosse molte, presi a correre assieme al guerriero e in poco tempo ci ritrovammo in battaglia. Ne abbattevamo uno, ne spuntavano altri due. Ormai  non avevo più forze. Il sangue che colava sulla lama m’imbrattava le maniche della camicia, fino al gomito. I capelli sfuggivano dalla treccia e ormai le braccia cedevano. Mi avvicinai agli hobbit, e Boromir che aveva iniziato a suonare il suo corno. Uccisi un altro nemico ma ormai eravamo circondati.  « Fuggite! Fuggite! » ordinò lui, e i due piccoli hobbit corsero via, mentre io rimasi. « Cosa fai? Vattene! » mi gridò. Parai un affondo e dissi, col fiatone: « Non ti lascio. Di certo non voglio che tu ti prenda tutta la gloria per quest’impresa! » Lui sorrise, mentre uccideva un altro orco. Poi l’apocalisse, per me. Sentii il sibilo della freccia nelle mie orecchie, e prima che capissi dove fosse diretta questa si conficcò nel petto del guerriero. Tutto mi parve fermarsi e persino io, che credevo non mi sarei più stupita di quello che faceva Boromir, mi sentii cedere. Eravamo rimasti tutti fermi, sotto shock. « Boromir » sussurrai quando si rialzò e continuò a lottare. Mi sentivo d’un tratto impotente. Inutile. Tutta la mia sicurezza, l’ironia, la voglia di vincere se n’era andata. Mi voltai e vidi l’orco più grosso di tutti sferrare un'altra freccia. Gridai e mi scaraventai sul mio compagno, spostandolo in tempo. La freccia si conficcò nel mio ventre, passando da parte a parte, ma io rimasi in piedi e parai anche una seconda, che colpì il cuore. Lo sentii bloccarsi all’improvviso e sentii il respiro fermarsi in gola. « Perché l’hai fatto? » urlò lui. « Non ti… lascerò il merito di… tutta questa impresa, Bor…omir » dissi fra un respiro affannoso e l’altro. E prima che lui mi rispondesse chiusi gli occhi, cadendo a terra. Il buio mi circondò e il nulla mi strinse, ormai come una vecchia amica, fra le sue braccia. Non pensavo di andarmene così. Non credevo che me ne sarei andata per salvare un amico, un amico come Boromir. Non credevo me ne sarei andata senza risolvere la storia con l’elfo. Non credevo me ne sarei andata, a dire il vero. Non ancora, almeno. Ma le cose non vanno sempre come si spera, e io avrei dovuto saperlo. Io che ero la persona più avventata, irascibile e irritabile. Io avrei dovuto saperlo. Tutta via non mi vergognavo di essermene andata così. Io non me ne vergognavo affatto, ne andavo fiera.
 
 
 
Quando Legolas arrivò nel punto in cui aveva sentito il corno suonare, assieme a Gimli e Aragorn, non trovò solo i corpi dei nemici a terra. Trovò quello di Boromir, ma non trovò lei. Il cuore batté furioso nel petto, e per la prima volta dopo sessant’anni gli occhi si offuscarono e piansero in silenzio. Sentì un’unica lacrima scendergli sulla guancia, seguita da un’altra e un’altra ancora. Si odiava per quello, lui era un principe non avrebbe dovuto piangere per una ragazza come lei, che l’aveva imbrogliato e tradito. Ma l’amava, lui lo sapeva che sebbene le cose non andassero bene fra loro lui l’amava e l’avrebbe fatto sempre. E ora lei non c’era più, era scomparsa, come durante la battaglia dei cinque eserciti ero sparita. Strinse i pugni e guardò in alto. La luce del sole tagliava le fronde degli alberi, potente e calda sul suo viso marmoreo. Sospirò e riabbassò il mento. In lontananza un ruggito li fece voltare tutti, distraendoli. Un piccolo puntino nero, nel cielo azzurro e bianco sbatteva furiosamente le ali. E si allontanava a gran velocità. Il drago ringhiò nuovamente, e per la prima volta dopo molto, un ruggito come quello gli riportò in vita l’animo. Se il drago era li, lei era con lui. Probabilmente ferita, ma questo non voleva dire che non fosse viva. La speranza si riaccese in lui, sebbene la tristezza per la scomparsa dell’amico lo abbracciasse. Ma lei era viva, e lui l’avrebbe ritrovata, a tutti i costi. L’avrebbe ritrovata e gli avrebbe detto che gli dispiaceva per le loro litigate. Per averle gridato quelle cose contro. Per averle mentito sul fatto che non l’amava più. Lui l’amava e lei doveva saperlo. L’avrebbe ritrovata per quello. L’avrebbe ritrovata sempre, per sempre. Oppure lei avrebbe ritrovato lui. Erano troppo uniti per stare lontano. Erano troppo diversi per stare vicini. Ma si completavano, e non c’era nulla di più bello.

 
 
 
 *       *


Ehy bella genteeee! Siamo arrivati alla fine… ç.ç Tante lacrime. Ma ( c’è sempre un ma ) ho già pronto il seguito, che si chiamerò “Just can’t let her go”. Perciò non disperate. Sabato/ Domenica lo pubblicherò. Grazie per aver seguito questa FF, siete splendidi. Grazie per le recensioni, per i consigli e i complimenti.

XOXO
Likeapanda ( Isil )

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