White Hunter

di Albornoz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rugiada e sangue ***
Capitolo 2: *** Rosso e bianco ***
Capitolo 3: *** Domande e risposte ***



Capitolo 1
*** Rugiada e sangue ***


White Hunter
 
 
Prologo
Rugiada e sangue
 
Rugiada. Rugiada che brilla. Sulle foglie, sui tronchi, sulla punta della freccia. Una goccia, perfetta, che scivola sul piccolo triangolo d'acciaio, ignara di ciò che sta per accadere.
L'aria fredda e frizzante del mattino fece tremare l'arciere che, nonostante l'armatura di scaglie e pellicce, si muoveva silenzioso nel sottobosco. Un fremito, non solo di freddo, ma dovuto al brivido della caccia, adrenalina pura che distorceva e colorava il mondo circostante.
D'un tratto la figura si fermò: la preda era vicina. Pochi passi la separavano da una radura in cui un gruppo di grandi cinghiali stava brucando in cerca dei succulenti funghi blu di cui, si sapeva, erano ghiotti. Uno in particolare attirava l'attenzione. Grosso, dalle zanne imponenti e dal pelo striato di bianco, esso svettava sugli altri. Compreso il bestione erano in cinque.
"Cinque frecce" annotò mentalmente l'arciere sistemando meglio la faretra sul fianco e rinsaldando la presa sull'arco. Inspirò, espirò e, quando per la seconda volta l'aria riempì i suoi polmoni, tese la corda e scoccò. Il dardo prese il volo ma il cacciatore non era più lì. Protetto dalle selve correva lungo l'argine della radura scoccando la seconda e la terza freccia. Il primo dardo centrò il cranio del primo cinghiale mentre la figura stava incoccando la quarta freccia, spietato penetrò la pelliccia e la carne, scavò nell'osso e lacerò i tessuti cerebrali, uccidendo all'istante la bestia. Stessa cosa fu per gli altri tre, che stramazzarono a terra lasciando il capobranco da solo.
Il cacciatore si fermò e uscì allo scoperto. Continuare sarebbe stato inutile, la bestia l'aveva già visto e se l'avesse caricato tra le selve non avrebbe avuto scampo. Incoccò la quinta freccia e con le dita ne accarezzò il piumaggio, gli occhi fissi sulla preda.
Il capobranco, o meglio Bulldrome, squadrò a sua volta il cacciatore. Gli sguardi si incontrarono e il cacciatore si dovette correggere. Non una preda, ma un avversario. Lo sguardo del Bulldrome passò sui cadaveri dei compagni e tornò sull'uomo, carico di rabbia. Un forte grugnito, tanto simile ad un grido disperato, scosse la bestia che caricò. Il cacciatore, rimasto per un momento interdetto, si riscosse e caricò a sua volta. Una volta abbastanza vicino saltò, un salto fluido, portandosi alle spalle dell'avversario. Il Bulldrome frenò la corsa, le zampe che scavavano profondi solchi ancorando il terreno. Infuriato si voltò, trovandosi faccia a faccia con la freccia, e tutto divenne nero.
Il cacciatore rimase immobile, la mano pronta sulla faretra, per un momento che sembrò un secolo mentre il gigante cadeva e esalava l'ultimo respiro, la freccia che svettava in mezzo agli occhi. La figura si rilassò, piegò l'arco, lo agganciò dietro la schiena e si tolse la maschera e il cappuccio. Il sole illuminò un paio di occhi nocciola appena nascosti da una lunga chioma fulva. Nonostante la barba curata che gli ornava il viso il cacciatore non era vecchio. Muscoli tonici e scattanti guizzavano sotto l'armatura di pelle e piastre mentre la figura si chinava sulle carcasse per scoiarle e recuperare la carne. Il lavoro durò molto, le bestie avevano la pellaccia dura e, per scrupolo, il ragazzo le frugò fin dentro le interiora sperando di cavarne qualche fungo inghiottito intero.
Per ultimo venne il Bulldrome. Il cacciatore si avvicinò e lo fissò per un istante, nella sua mente scorrevano ancora le immagini del breve scontro. Chinò leggermente il capo in segno di rispetto e affondò il coltello nella morbida pelliccia. Quando finì, sia lui che il terreno circostante erano impregnati di sangue. Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo che si intravedeva tra il fitto fogliame e, sospirando, si perse nel celeste. Dalla posizione del sole constatò che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi se voleva tornare in tempo, sennò lei avrebbe fatto la pelle a lui, altro che Bulldrome. Sfilò dalla sacca appesa alla cintura un segnalatore e lo accese. Il razzo fischiò, volò ed esplose indicando la posizione.
Il ritorno fu veloce, il carro trainato dai paffuti uccelli Gagua e guidato dal felyne macinava molto terreno ed in poco fu possibile intravedere il villaggio. Addossato alla montagna e circondato da mura sorgeva un disordinato agglomerato di case in stile orientale al cui centro svettava la Gilda, appena ammantata dai vapori delle terme.
-Un bagno sarebbe l'ideale.- mormorò tra sé e sé. Ma il sole era contro di lui e, ammiccando dal centro del cielo, gli rammentava il suo ritardo. Consegnati i frutti della caccia, firmate le scartoffie e ricevuto il compenso della missione al ragazzo non rimase che correre verso casa, schivando mercanti, passanti ed altri cacciatori in un buffo tintinnio di armatura.
La casa si trovava poco lontana dal centro, l'aveva fatta costruire lì per la tranquillità. L'edificio di due piani era circondato da un piccolo giardino ben tenuto e pieno di fiori. Il cacciatore si fermò sulla soglia, sospirò rivolto al cielo ed entrò. La prima stanza era una modesta ma calda sala da pranzo, una grande pelle blu di Aoshira copriva il pavimento su cui vi era una solida tavola con sedie, in un angolo stava il camino su cui erano allineati diversi oggetti e trofei di caccia.
Un gradevole odore di carne speziata lo attirò nella stanza adiacente, la cucina, ma non fece in tempo a mettere piede nel locale che un oggetto arancione, con tutta probabilità una carota, gli schizzò contro mancandogli la testa di un soffio.
-Ti pare questa l'ora di tornare!?-
"Ahi..... come volevasi dimostrare." si disse mentalmente il ragazzo alzando gli occhi al soffitto per poi portare l'attenzione sulla figura che, tra spiedi e banchi di legno, avanzava verso di lui.
Era una ragazza dai capelli rossi, raccolti sulla testa in uno scomposto chignon che lasciava delle ciocche ribelli ad incorniciarle il viso tondo e i furibondi occhi verdi. Alta e slanciata, avvolta in un kimono verde, ella si fermò davanti a lui soppesando un mestolo ancora sporco di sugo.
-Allora? Che hai da dire a tua discolpa? Ti sei fermato a giocare a carte con quel Bulldrome?!- tornò alla carica lei.
-Per la precisione, Kira, erano quattro Bullfango e un Bulldrome.....- provò a dire lui.
-E hai invitato anche loro?- fece Kira punzecchiandolo, poi lo scrutò dalla testa ai piedi, e quando il suo sguardo si posò sulle macchie di sangue rappreso sulla corazza i suoi occhi si oscurarono.
-A parte scherzi, Evan, che è successo? Sei coperto di sangue.-
Gli occhi di Evan incontrarono quelli di lei e si addolcirono. -Non preoccuparti, non è mio.-
Kira, evidentemente rilassata, si voltò e tornò allo stufato. -Levati l'armatura e vai a tavola. E' quasi pronto.-
Il pranzo passò velocemente con Evan che raccontava i dettagli della caccia e Kira che ascoltava tra un boccone e l'altro. Finito di mangiare lui passò il pomeriggio a pulire e oliare l'armatura e rifornirsi di frecce, mentre lei si occupava della cucina e usciva per fare delle commissioni.
Dopo cena Evan si immerse nella sorgente termale dietro casa. Fece un paio di bracciate e poi si lasciò coccolare dal calore con le spalle e le braccia appoggiate al bordo della vasca. Totalmente rilassato, chiuse gli occhi e sospirò di gusto, lasciandosi accarezzare dai raggi della Luna.
Dei passi, leggeri. Un paio di piccole mani delicate si posarono sulle sue spalle, si spostarono sul collo e sul mento, infine scesero sul petto. Un bacio, come una farfalla posatasi sulle labbra di lui. Poi silenzio, interrotto soltanto dal suono di vesti che cadono sul pavimento e dell'acqua che si apre al passaggio di un corpo. Solo quando l'odore di fiori sfiorò le sue narici Evan aprì gli occhi e il nocciola si perse nel verde. Baci, carezze, sussurri seguirono ma venivano tutti risucchiati della foresta che riempiva lo sguardo di Kira.
D'un tratto lui la sentì tremare. Nonostante le terme cominciava a fare freddo. La prese in braccio, delicatamente, come fosse fatta di pregiata porcellana, e, una volta coperta con il kimono, la portò fino alla camera al piano di sopra. Come il resto della casa, la stanza era semplice, una parete coperta da un arazzo raffigurante un cacciatore e una viverna, alcune pelli si alternavano al legno del pavimento, un baule, un armadio e un letto matrimoniale. Lì, tra pellicce e coperte, i due ricominciarono il gioco interrottosi nella vasca. Lei, stesa sotto di lui, copriva le proprie nudità arrossendo come una ragazzina. Lui si prese del tempo per ammirarla: lo sguardo che carezzava le labbra ben disegnate, la linea del collo e dei seni coperti dalle braccia toniche, il ventre piatto, il sesso sereno e le gambe muscolose. Poi tornò a concentrarsi sugli occhi, gli stessi intravisti dietro la celata di un elmo, che lo avevano colpito durante la prima battuta di caccia, quando la vide danzare brandendo due lame gemelle contro uno Yan Kut Ku. Bella, leggiadra e selvaggia allo stesso tempo.
Un sussurro lo riportò al presente. Kira doveva aver intuito i suoi pensieri perché sul suo viso era spuntato un candido sorriso. Evan sorrise di rimando e le sue mani si spostarono su quel corpo mozzafiato, prima delicate, poi sempre più esigenti mentre prendeva possesso delle sue labbra con le proprie. In poco tempo l'aria in torno ai due mutò, si fece più calda e umida, l'odore di fiori si mischiò a quello di muschio e sangue. Lei gemette forte quando lui la penetrò e il tempo parve dilatarsi. Ogni gesto, ogni bacio, ogni lamento venne distorto e amplificato finché entrambi non raggiunsero l'apice del piacere.
Lui si scansò, rotolando sulla schiena di fianco a lei, ubriaco di quella dolce ragazza che giaceva con la testa appoggiata sul suo petto mentre copriva entrambi con il lenzuolo. Stava per sprofondare nel sonno quando la sentì agitarsi. La strinse a se.
-Quale pensiero frulla sotto questa chioma rossa?-
Un altro sussulto, silenzio. Evan, ormai abituato a quelle pause, attese seguendo le linee sulle travi del soffitto con lo sguardo.
-Evan....- cominciò lei adagio. -sei ancora sicuro della tua decisione?-
Un sospiro, di nuovo silenzio.
-Sai benissimo che non dovresti cacciare da solo.- continuò con foga Kira alzando lo sguardo e ancorando le iridi su quelle del compagno.
-Kira, ne abbiamo già discusso e nelle tue condizioni non mi pare il caso di....-
-Sono incinta di due mesi mica paralitica!- si sollevò lei posando le mani sulle spalle di lui. -Inoltre la vecchia Necot dice che fino al terzo mese non corro particolari rischi.-
-Non mi interessa quello che dice quella vecchia rintronata.- si infiammò lui. -Qui si parla del nostro bambino e non sono disposto a correre rischi, seppur blandi.-
-Allo stesso tempo sei disposto rischiare la tua vita andando a caccia da solo.- ringhiò lei. -E' una delle regole base, ce lo dicevano anche i Maestri: "I cacciatori esperti nelle armi a distanza devono essere supportati da altri con armi bianche...."-
-Ma ciò non significa che quel cacciatore debba essere tu.- la azzittì lui.
Per un attimo si fissarono come due belve rivali, poi lui le diede un buffetto sulla fronte, smorzando la tensione, e lei si lasciò cadere nuovamente sul petto dell'amato.
Per un po' tacquero, entrambi persi nei propri pensieri, poi Kira parlò:
-Io so com'è crescere senza un genitore.... non potrei sopportare che il nostro piccolo debba provare lo stesso.-
-Avrebbe comunque una madre meravigliosa.- provò a dire Evan stringendola più forte a se. Che sciocco era stato..... La ragazza non aveva mai conosciuto la madre, anch'essa cacciatrice, morta durante una battuta di caccia quando lei aveva appena un anno.
-Non è vero, io non sarei la stessa senza di te..... Io voglio, anzi pretendo che nostro figlio possa godersi entrambi i genitori.- ribatté lei soffocando le parole nel petto di lui.
Evan chiuse gli occhi. Ciò che si apprestava a dire comportava un grande sacrificio, avrebbe cambiato il suo stile di vita e la sua libertà, ma per sua moglie e il suo bambino (o bambina, chi poteva dirlo?) era disposto a ben altro:
-Allora abbandonerò la caccia.-
La ragazza alzò nuovamente lo sguardo, stupefatta.
-Mi darò all'insegnamento.- proseguì lui. -I Maestri mi avevano già avanzato la proposta di istruire i nuovi cacciatori, data la mancanza di istruttori esperti nella caccia con l'arco, ma l'avevo declinata. Dovrei ancora uscire per delle sporadiche battute, ma raramente e in gruppo, ma per il resto starei vicino a voi e potrei comunque continuare a contribuire alle spese.-
-Parli sul serio?- la voce di lei tremò leggermente.
Lui sorrise. Sì, lo avrebbe fatto. Per loro.
Lei lo baciò con foga, una piccola lacrima le rigava il volto. Sorrise di rimando ed entrambi, abbracciati, si lasciarono sprofondare nel sonno.
 

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Capitolo 2
*** Rosso e bianco ***


Capitolo 1
Rosso e bianco
 
 
Un'imponente figura avanzava quattro zampe, fiera e terribile. Il suolo crepitava sotto gli artigli d'acciaio, veniva contaminato e si trasformava in fango maleodorante. Rosso. Il sangue colorava i denti di ferro. La bestia proseguiva, il suo costante incedere enfatizzato dagli stridii provocati dallo sfregamento delle placche metalliche che, sovrapponendosi, le conferivano l'aspetto di lupo, un lupo corrotto e grottesco appena visibile nella cortina di fumo che si spandeva attorno. Rosso. Il fuoco le ardeva negli occhi. Non un normale fuoco, ma la fiamma insaziabile che divora e distrugge.
Dietro di lei solo morte. Uomini, donne, giovani e anziani giacevano a terra carbonizzati, i volti contorti e sfigurati, gli occhi privi di luce. Con loro anche figure diverse. Grandi e piccole. Coperte di squame, pelliccia e piume. O almeno quello che ne era stato risparmiato dalle fiamme.
D'un tratto ella si fermò, il muso sollevato a fiutare l'aria, e un ruggito vibrò lungo le placche della gola per poi esplodere nel mondo circostante. Un inferno di mille bocche che urlano. Persino le montagne parvero tremare di fronte a quel miscuglio di odio, rabbia, fame e pazzia che invase e si spense nelle valli attorno.
Come in risposta l'aria mutò e un vento gelido cominciò a soffiare, crebbe, e presto si trasformò in tempesta. Bianco. In poco tempo tutto si ricoprì di ghiaccio e neve. La natura intera venne scossa da un ruggito che, come araldo di tempi selvaggi, sovrastò anche l'ululare della tormenta. Il mostro si ancorò al terreno con gli artigli e scavò con il muso nella neve per trovare e mordere le radici degli alberi, ma ciò si rivelò inutile quando l'aria esplose e la catapultò a metri di distanza.
Dove poco prima si era fermata la bestia ora si ergeva un'imponente figura ammantata da un vortice di neve e ghiaccio che ne faceva intuire solo la forma felina. Lentamente questa avanzò verso il mostro nero intento a rialzarsi e liberarsi dai cristalli di ghiaccio che si erano formati intorno alle scaglie d'acciaio e gli impedivano i movimenti. La furia attizzava l'Inferno dei suoi occhi e scosse nuovamente il mondo con un secondo grido. La sagoma ammantata dai ghiacci si fermò e ruggì di rimando ma quello che vibrò nell'aria non fu un suono animale, bensì un corno da caccia. L'ombra mutò e si rimpicciolì fino a diventare una sagoma umana. Un guerriero armato di una lunga spada.
Le due figure si squadrarono a lungo mentre tempesta e fumo vorticavano e si mischiavano, e il mondo sembrò dividersi a metà. Da una parte corruzione e devastazione, dall'altra la natura selvaggia ma in costante equilibrio, persino nella distruzione. E finalmente le due si affrontarono. Il mostro caricò con zanne e artigli. Il guerriero gli andò incontro menando un fendente in salto. Sempre più vicini. Sempre più vicini, finché......
 
-PAPINOOOOOOOO!!-
Un tonfo. Due cose che si scontrano. Dolore in mezzo agli occhi. Marrone.
Evan tentò di rimettere a fuoco. Le travi del soffitto giravano per poi fermarsi e ridefinirsi di fronte al suo sguardo assonnato. Imprecò portandosi le mani alla fronte dolorante. Gli sarebbe venuto un bel livido, ne era certo. Stava giusto per chiedersi cosa diavolo gli fosse crollato in testa quando un singhiozzo gli fece portare l'attenzione di fianco al letto dove una creaturina dalle lunghe trecce rossicce se ne stava sul pavimento massaggiandosi a sua volta la fronte con le manine. Era una scena che aveva del buffo e del tenero ed Evan si sarebbe concesso una risata se, proprio in quel momento, la bimba non avesse sollevato lo sguardo rivelando un visino corrucciato e un paio di occhioni velati dalle lacrime, chiari sintomi di un pianto imminente. Lesto si alzò e sollevò la piccola da terra.
-Ellie! Ma che combini?- disse sedendosi nuovamente sul letto con la piccola sulle ginocchia per esaminarle la fronte. Nessun danno, a parte un leggero rossore.
La piccola tirò su con il naso un paio di volte:
-Mamma dice che il sole è già alto e devi fare colazione, sennò fai tardi al lavoro. Quindi sono venuta a svegliarti, ma tu continuavi a dormire....- il labbro inferiore della bambina sporgeva pericolosamente.
-E tu hai pensato bene di saltarmi addosso e urlarmi nelle orecchie. E' così?- Evan sollevò un sopracciglio con fare scherzoso.
-Sei tu che hai il sonno pesante! E la testa dura!!!- strillo la bambina puntando un ditino verso la fronte del padre.
-Ah sì? Ho la testa dura?- disse lui accigliandosi.
-Sì!!- confermò squillante lei.
-E quindi ti ho fatto tanta bua?- un lieve sorriso si dipinse sul viso di Evan.
-Sì!! Testa dura!!- la piccola si dimenò e per poco non perse l'equilibrio.
-Allora dobbiamo medicare la ferita!- il sorriso di Evan lentamente si trasformava in un ghigno.
-Ehm......- la piccola era confusa.
-E c'è un solo modo per guarire un male del genere!-
-No.....- Troppo tardi. Evan aveva già cominciato a tempestarle la fronte di piccoli baci. Ellie cominciò a ridere senza posa tentando di allontanarlo, la barba del padre le procurava un piacevole solletico.
-Papà!!!! No!! Dai! Smettila! Mi fai il solletico!!!- La bambina era senza fiato.
-La mia bambina, sangue del mio sangue, soffre il solletico?!- anche lui aveva carenza d'aria.
-Sì!!!- gli urlò lei nell'orecchio.
-E nessuno me l'ha mai detto?!- Evan sfoggiò la sua migliore espressione sadica e la piccola, conscia di ciò che stava per accadere, tentò di divincolarsi da quelle dita birichine che stavano già cominciando a muoversi lungo i suoi fianchi.
Ben presto si ritrovarono, padre e figlia, distesi sul letto, ansanti per il troppo ridere. Lui steso supino con lei sul petto. Lui che le accarezzava ritmicamente la testa e lei con le mani tra i capelli di lui, le piccole dita che giocavano con le ciocche a cui si era aggrappata durante il gioco. Lo sguardo sereno perso in quello del padre.
"Il mio piccolo tesoro." Evan sorrise contemplando gli occhi della figlia. Un perfetto connubio tra il suo nocciola e lo smeraldo di Kira.
-E' meglio che scendiamo, scimmietta.- si sollevò prendendola in braccio.
-Io non sono una scimmia!- protestò Ellie mentre scendevano le scale.
-Oh sì che lo sei!!- rise lui issandosela sulle spalle. -Sei una bellissima scimmietta rossa! Ora, piccola arrampicatrice, dove si trova mia moglie?-


Kira era intenta a curare i gigli quando li vide arrivare. Padre e figlia. Lui alto, a petto nudo, con lo sguardo vispo e la chioma fulva scompigliata. Lei sulle spalle di lui, piccola, con le lunghe trecce rosse e le manine che contribuivano al disordine dei capelli di Evan. In pochi avrebbero detto che quei due fossero imparentati e ancora di meno che fossero padre e figlia. Ma lei aveva potuto studiarne a lungo anche i più piccoli dettagli. La forma degli occhi e della bocca, lo stesso modo di arricciare il naso. Un sorriso divertito le animò le labbra.
-Ecco il nostro dormiglione.- si alzò per dare un bacio al marito. -Sei riuscito a sollevarti dal letto.-
-Già! Non crederai a quel che mi è successo!- rispose Evan ammiccando allegro -Dormivo beatamente quando questa scimmietta rossa mi è piombata addosso! Come avrà fatto ad entrare in casa e, addirittura, a rubare uno dei vestitini che hai fatto per la nostra bellissima figlia?!-
-Non sono una scimmia!!- Ellie strattonò giocosamente i capelli del padre.
-Che cosa bizzarra!- rise Kira guardando la piccola. -Però capita a proposito. Tra poco arriverà l'inverno e nostra figlia avrà bisogno di qualcosa di caldo da mettere. Farò un bel cappottino con questa scimmietta.-
-Mi sa che potrai ricavarne poco. E' tutta pelle e ossa, non possiamo nemmeno farci lo stufato!-
-Papà! Mamma! Sono io!!- la bambina si calò lungo la schiena dell'uomo.
-Ellie! Che ci facevi sulle mie spalle?- Evan accarezzò la testa della figlia.
-Non è che hai visto una scimmietta mentre eri lassù?- Kira si era piegata per sistemarle il vestitino. Ellie rise in risposta, abbracciò la madre e la famiglia rientrò in casa.
La colazione volò. Evan doveva prepararsi e uscire, dalla sua nomina a Maestro i suoi orari si erano stabilizzati formando una routine che, anche dopo cinque anni, gli creava ancora delle noie. Prima di andare schioccò un bacio sulle labbra di Kira e riuscì a darne uno sulla fronte di un'iperattiva Ellie.
 
Le strade del villaggio brulicavano di persone. Il mercato, che si teneva due volte la settimana, incitava la gente ad uscire, non solo per dedicarsi alle compere o andare a caccia delle offerte, ma anche per il semplice piacere di incontrarsi. I bambini correvano tra le bancarelle, le donne conversavano amabilmente, gli anziani si fermavano all'ombra dei viottoli e fuori dalle locande per giocare a carte e farsi viziare dagli osti. Di tanto in tanto Evan scambiava cenni con altri cacciatori, conoscenti o forestieri che fossero. Salutarsi tra cacciatori era più che una mera cortesia, era un augurio di buona fortuna e un segno di rispetto.
Man mano che si avvicinava alla Gilda le chiacchiere e le risate venivano sostituite dal tintinnio delle maglie d'acciaio, il martellare dei magli sulle leghe incandescenti, dal fischio e dal brontolio degli alambicchi. L'odore di erbe, cuoio e acciaio schiarivano la mente, la rendevano più lucida e calma. Evan non poteva fare a meno di fermarsi e ammirare il lavoro dei fabbri e alchimisti. Lo sguardo dell'uomo vagava accarezzando il filo delle eleganti spade lunghe, delle affilate lame gemelle, degli enormi spadoni, il profilo degli imponenti martelli e corni, la punta delle lance. Sembrava pizzicare con gli occhi le corde degli archi, come a saggiarne la tensione. Era una sorta di rituale ormai, un omaggio a coloro che contribuivano al lavoro dei cacciatori.
Una lunga scalinata conduceva all'edificio centrale della Gilda. Una costruzione che, nonostante le forme orientali, trasmetteva un senso di severità e imponenza con tutti quegli stendardi di viverne e cacciatori. Ma era solo una facciata. La vera caratteristica di quel luogo era una quiete quasi religiosa, una belva che sonnecchiava.
Una stradina laterale portava ad un complesso di gallerie scavate nella montagna, l'Accademia dei Cacciatori. Essa si diramava nelle profondità della terra. In un primo livello vi erano le classi dove i neo-apprendisti imparavano la teoria e la storia della caccia. Man mano che si scendeva vi erano le sale di meditazione, le palestre per lo sviluppo delle capacità atletiche e l'addestramento alle tecniche di combattimento in singolo, i poligoni di tiro e i laboratori. Risalendo, invece, si arrivava all'Arena dove gli studenti più esperti affrontavano le prime belve sotto la sorveglianza dei Maestri e veterani. Infine vi era la "Selva". Un ecosistema creato dentro il cratere della montagna, o meglio, del vulcano ormai spento. Lì avveniva la parte concreta dell'addestramento. Gli studenti dovevano imparare le tecniche di caccia e sopravvivenza in mezzo agli elementi.
L'idea di tale sistemazione era dovuta essenzialmente a due fattori: praticità e sicurezza. Le lezioni e gli addestramenti dovevano potersi svolgere indipendentemente dalle condizioni esterne, che fossero climatiche o d'altra natura. I metodi d'addestramento, le ricerche su armi, armature ed oggetti alchemici dovevano rimanere segrete al resto del mondo. Ed essenzialmente nessuno ci teneva a vedere gli effetti che un proiettile perforante sparato con una balestra potesse avere su ignari passanti che avessero avuto la sfortuna di trovarsi tra esso e il bersaglio.
Evan si riscosse e, superate le guardie armate di poderose lance, s'inoltrò nel tunnel.
 

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Capitolo 3
*** Domande e risposte ***


 
Capitolo 2
Domande e risposte
 
Se, all'inizio della sua carriera da Cacciatore, qualcuno avesse detto ad Evan che di lì a pochi anni sarebbe diventato un Maestro, il giovane probabilmente gli avrebbe riso in faccia. Nato e cresciuto a Den, un villaggio isolato e tradizionalista dove i figli ereditavano i compiti dei padri e da quest'ultimi venivano istruiti, egli non aveva mai ricevuto quella che si può dire una formazione classica. Il massimo di filosofia dispensata da suo padre era stata: "Se non cacci non mangi e se muori durante la caccia non mangi ne tu ne molti altri." Non faceva una piega. Molto pratico, come lo era il resto dell'addestramento. Lui e i suoi due fratelli infatti passavano molto tempo nella foresta che circondava il villaggio con l'esperienza come unica maestra. Spesso vagavano per giorni, annusando, ascoltando, osservando e persino assaggiando la natura che li circondava, tentando di carpirne i segreti. Era un metodo pernicioso ed approssimativo. Del resto dare un morso ad un fungo dalle dubbie proprietà non è il massimo dell'intelligenza, ma presto i ragazzi avevano imparato che seguire i movimenti e le abitudini delle belve che abitavano tra gli alberi poteva essere illuminante. Qualche centinaia tra lividi e tagli, un paio di scottature e un mezzo avvelenamento fecero sì che i fratelli divennero presto una risorsa importante per la comunità. Mentre i due gemelli erano entusiasti all'idea della responsabilità che tale compito portava stessa cosa non si poteva dire di Evan che sfruttava qualsiasi pretesto pur di allontanarsi dal villaggio.
Le sue peregrinazioni lo portarono fino a Fukku, una cittadella vicina situata sul mare e dedita agli scambi commerciali. Il primo impatto fu sconvolgente, l'assenza di alberi a coprire la visuale dava un senso di vertigine, il ragazzo si era sentito scoperto e vulnerabile. Ma il disagio dovette lasciare spazio allo stupore di fronte all'immensità del mare. Dopo tanti anni Evan ancora faticava a trovare le parole per descrivere le emozioni provate a quella vista. Sempre a Fukku il ragazzo ebbe il primo contatto con una gilda di cacciatori che lo avrebbe messo dinnanzi ad una sconcertante realtà. Difatti tra lui e il meno promettente degli adepti vi era un abisso in ogni campo. Mentre i Cacciatori avevano una cultura che spaziava dalla biologia, all'anatomia, all'arte della forgiatura e delle tecniche di combattimento, lui sapeva a stento leggere. Le armi e le armature a disposizione della gilda erano all'avanguardia, lui invece in vita sua non aveva conosciuto altro che la lancia, il pugnale e la pelle con cui si copriva nelle notti fredde.
Ciò sarebbe stato abbastanza per minare l'autostima e l'ambizione di qualsiasi quindicenne, ma per Evan si era presto rivelata come un'occasione, una sfida, un modo per migliorarsi. L'uomo sorrise ripensando alle espressioni stupefatte dei presenti quando entrò la prima volta nella gilda per arruolarsi. Ma, purtroppo, tale punto di vista non sarebbe stato condiviso da suo padre e dai fratelli. L'acquisizione di Evan da parte della Gilda corrispondeva alla perdita di manodopera per Den. Poco importava se il nuovo incarico del ragazzo, unito alle taglie delle missioni, avrebbe potuto giovare al villaggio e proiettarlo nel futuro con nuove possibilità di comunicazione con il mondo al di fuori della foresta. Dopo mesi di litigi il ragazzo si era trovato di fronte ad una scelta: servire la gilda o rimanere al villaggio. Inutile dire quale fu la sua decisione. Seppur a malincuore il ragazzo abbandonò il villaggio e si trasferì a Fukku per intraprendere una via che l'avrebbe portato lontano.
Certo, si era rivelato una promessa. La sua precisione con l'arco era sorprendente (anni passati a tirare la lancia dovevano pur aver fruttato qualcosa) e imparò anche il resto velocemente seguendo molti veterani sul campo. Ma chi l'avrebbe mai detto che proprio a lui, con il suo temperamento poco curante della gerarchia, sarebbe capitato di dover ricoprire uno dei ruoli cardine dell'organizzazione?
Oltretutto insegnare si era rivelato un compito piacevole e non privo di sfide. Le battute di caccia erano ridotte all'osso e difficilmente capitavano prede rilevanti, ma dopo i primi tempi Evan si era abituato alla tranquillità del nuovo impiego. Certe volte era tanto tranquillo da perdersi nei suoi pensieri anche per ore.
 
-Maestro....?-
 
Appunto...
 
Evan ritornò in sé trovandosi a tu per tu con dodici paia di occhi che lo fissavano in attesa. Tossicchiò tentando di darsi un contegno e ignorare le risatine sommesse di alcuni studenti.
-Dove eravamo rimasti?-
-Stavamo ripassando i Dogmi.-
-Giusto.- Evan si alzò dallo zabuton e scrutò la classe. La prima cosa che colpiva l'occhio era l'eterogenia degli studenti. Disposti in tre file da quattro elementi, sia maschi che femmine. Provenienti non solo da Yokumo ma anche dal resto della regione. Dalle grandi montagne del nord al sabbioso deserto a sud, dalla Costa ad ovest alla capitale ad est. Non c'era da stupirsi, d'altronde l'Accademia di Yokumo era l'unica del suo genere, quindi chiunque volesse ambire alla carica di Cacciatore riceveva la sua istruzione lì, con qualche eccezione. -Come già sapete noi Cacciatori siamo soggetti a poche regole. Tali dettami sono detti Dogmi perché il loro messaggio è dogmatico, ovvero indiscutibile. Chi vuole citarmi la prima? Anabel?-
-Sii scudo per i tuoi compagni affinché né zanna né artiglio possa toccarli.-
-Molto bene. Difendersi tra compagni è essenziale per la riuscita di una missione. Se uno cade l'intera squadra è esposta. Agire sempre come un unico corpo, è questo il segreto per affrontare anche le belve più letali.- il Maestro spostò lo sguardo dalla ragazza bionda ad un piccoletto dai tratti affilati. -Aki?-
-Sii la spada e la freccia della Gilda. Temprato ed affilato, così da non tradirla nel momento del bisogno.-
-Eccellente. Mi sai dire anche il significato?-
-Ehm....- Evan vide chiaramente la fronte dello studente corrugarsi mentre quest'ultimo rifletteva sulle parole impresse nella mente ma evidentemente non nel cuore. Decise di dargli tempo. La comprensione non è cosa che si ottiene in un battito di ciglia. -Il Cacciatore deve mantenere se stesso e il proprio equipaggiamento in ottime condizioni per essere sempre pronto a partire..?-
-Una risposta logica. Sì, è ovvio che la tempestività di reazione di una Gilda a fronte delle richieste che le pervengono è importante, così come la prestanza e le condizioni dell'equipaggiamento di ogni singolo Cacciatore. Ma temo che tu non abbia centrato il punto.- Evan si rese conto di aver involontariamente mortificato il ragazzo che, alle sue parole, aveva abbassato il capo. Gli si avvicinò e si inginocchiò al suo fianco in modo da incrociare il suo sguardo.
-Qui non ci si riferisce al corpo ma bensì alla mente e allo spirito.- continuò sorridendo rassicurante. -Come la spada al padrone, il Cacciatore deve essere fedele alla Gilda. La sua volontà deve essere forte così da non spezzarsi di fronte alla paura e alle difficoltà.-
Aki sorrise ed annuì in risposta.
-Bene.- Evan si rialzò. -Il prossimo?-
-Ricorda: un fendente può mantenere l'equilibrio, ma anche alterarlo.- rispose prontamente Eya, una ragazza dalla pelle ambrata. -E' un avvertimento per chi caccia di frodo, giusto?-
-Precisamente Eya.- l'uomo era evidentemente orgoglioso della sua migliore allieva. -Cacciare di frodo o semplicemente per il gusto di uccidere è sbagliato, non solo eticamente ma anche per il fatto che si finisce con l'alterare l'ecosistema con una conseguente...-
-Ma uno o due mostri in meno non sono poi tanti. Più materiale e meno grattacapi futuri.- lo interruppe un'altro. -Perché tutta questa severità?-
-Guardiamola da questa angolazione, John... Ecco: Immagina di essere già Cacciatore. Tu e il tuo gruppo venite spediti a caccia di un Rathalos. Lo uccidete, e quindi completate la missione assegnatavi, ma poi a uno di voi viene la "brillante" idea di uccidere anche la Rathian, che sapete bene essere in zona anche se costretta a supervisionare la covata, per arrotondare la cifra con qualche mercante di dubbia onestà. Ammazzate anche lei. Ora, lasciando le uova senza protezione, sempre che non vi mettiate a vendere anche quelle, le probabilità di sopravvivenza dei cuccioli sono vicine allo zero. La catena alimentare si spezza, nella zona viene a mancare il predatore per eccellenza e le prede si moltiplicano prosperando indisturbate. Man mano la domanda di cibo di quest'ultime aumenta finché nella zona comincia a mancarne costringendo così il branco a migrare e facendolo finire inevitabilmente nel territorio di un altra belva. Qui la situazione si ripete con il predatore che, approfittando dell'abbondanza di prede, si moltiplica. Nuova nidiata, maggiori bisogni e carenza di spazio porteranno un ulteriore migrazione e così via. Tutto ciò perché qualcuno non ha saputo tenere la spada nel fodero. Immaginate quindi se a questi se ne aggiungessero altri...- Ok... forse aveva esagerato con i toni, ma meglio mettere in chiaro fin da subito i limiti. Se in futuro i ragazzi avessero sgarrato Evan l'avrebbe preso come un fallimento personale.
John assunse una tonalità purpurea, evidentemente aveva compreso la gravità delle sue parole.
-Mi dispiace Maestro.... ho fatto una domanda stupida.-
L'uomo scosse la testa con aria grave.
-Non esistono domande stupide ragazzo mio... Esistono domande che vanno ponderate, soprattutto perché la risposta può già essere di fronte ai nostri occhi. Vedete ragazzi, qui non imparate le abitudini degli esseri che vivono in queste terre solo per cacciarli in modo efficace. Il dispensarvi tale conoscenza ha un ulteriore scopo: quello di rendervi consci della vita che vi circonda. Ognuna di quelle creature è una personificazione della grandiosità della Natura. Ognuna di esse è capace di provare dolore e piacere, amore e odio esattamente come un essere umano. E ciò ci porta all'ultimo Dogma.-
-Ricorda: sii predatore tra gli alberi, le dune, le montagne e le onde. Ma lungi da te affondare le zanne nelle carni tue simili e macchiare i tuoi artigli con sangue fraterno.-
Il silenzio calò sulla classe facendo echeggiare le parole di Servan, un ragazzo dalla pelle d'ebano. Gli allievi si erano improvvisamente bloccati, gli sguardi fermi, pronti a scattare come se quelle parole rappresentassero una minaccia incombente anche solo pronunciandole.
-Già...- Evan si riaccomodò sullo zabuton. -La più grave delle infamie che può colpire un Cacciatore, quella di uccidere un altro essere umano. Capite allievi miei? Noi siamo Cacciatori, non soldati. Il nostro addestramento e le nostre capacità ci rendono dei combattenti formidabili, sicuramente capaci di fare stragi anche tra gli eserciti più preparati, ma non è questo il nostro scopo, non è questa la nostra Missione. "Ricorda: un fendente può mantenere l'equilibrio, ma anche alterarlo." Non è solo un riferimento alla nostra influenza nel mondo selvaggio ma anche in quello civilizzato. Tantissimi signorotti vorrebbero avere a disposizione una forza bellica come la nostra in modo da vedere soddisfatte le loro ambizioni. Finiremmo con il diventare i fautori della distruzione. Ecco perché ci teniamo in disparte. Ecco il motivo di tutti i nostri segreti.-
Eya timidamente, come se non fosse sicura di voler interrompere quell'attimo di comunione, alzò la mano attirando l'attenzione dell'uomo.
-Parla pure Eya.-
-Maestro... voi avete parlato della nostra forza...- la giovane si interruppe. Che stesse cercando le parole giuste per esprimere ciò che aveva in mente o avesse deciso che era meglio stare in silenzio Evan non sapeva dirlo. Si limitò ad incoraggiarla con un sorriso. -E'... è vero che deriva dal fatto che noi Cacciatori siamo in parte belve?-
Silenzio. Boato di ilarità generale. Gli allievi cominciarono a punzecchiarsi a vicenda.
-Ma come Eya?- la stuzzicò John tenendosi l'addome per il troppo ridere. -Proprio tu ne dubiti? Tu che sei la prova vivente di una ragazza con il carattere di un Nargacuga?!-
La mora lo afferrò per il bavero. -Parli bene tu che hai il cervello di un Gagua!-
Evan, esasperato, si batté una mano sul viso. Dei bambini... Aveva a che fare con dei bambini di cinque anni, altro che futuri Cacciatori! Persino la sua Ellie poteva mostrare più serietà di loro!
Soppesò l'idea di piantare la classe in asso e tornarsene a casa...
-Ragazzi...- disse con un colpo di tosse.
Nessun risultato.
-Ragazzi ritorniamo al punto...-
Servan si era messo tra Eya e John e dava tutta l'impressione di voler picchiare quest'ultimo.
-Ragazzi. Vi prego...-
Tra gli altri allievi erano partite le scommesse su chi l'avrebbe spuntata tra i due contendenti.
Evan si allungò verso la lavagna, afferrò tre gessetti e se li allineo sul palmo della mano sinistra in modo da prendere bene la mira. Se solo il piccolo Aki si fosse sbrigato a togliersi di mezzo...
Intanto la discussione tra John, Eya e Servan continuava a farsi più accesa. Aki tentava di smorzare la tensione ma non era minimamente considerato dai tre. Disperato si voltò per chiedere aiuto al Maestro trovandolo pronto a scoccare i tre gessetti. Gli sguardi dell'uomo e del ragazzo si incrociarono e l'intesa fu istantanea.
Tre proiettili bianchi schizzarono mancando di un soffio Aki e andarono a disintegrarsi in una nube candida sulle fronti dei tre litiganti che cominciarono a tossire e lacrimare.
Tre centri perfetti! Evan si sarebbe lasciato andare in un urlo di esultanza, ma si trattenne. Qualcuno doveva pur comportarsi da adulto... Anche se un adulto probabilmente avrebbe gestito la cosa in maniera più... ehm... matura.
L'uomo scacciò via quel pensiero e fece l'occhiolino ad un complice Aki, riportando poi l'attenzione sugli altri allievi. John, Eya e Servan erano tornati ai propri posti, anche se continuavano a scambiarsi occhiate assassine.
-Ritornando a prima che la mia classe si trasformasse in una taverna, hai fatto una domanda interessante Eya.- il Maestro fece mente locale prima di proseguire. L'argomento che si apprestavano a trattare, oltre a giungere prematuro, era un po' ostico. -In parte potresti avere ragione. A quanti di voi è capitato di assistere ai combattimenti nell'Arena?-
Molte mani si sollevarono. Tra gli apprendisti era un'abitudine osservare i compagni più grandi, mentre questi se la vedevano con varie creature in scontri uno contro uno, fantasticando su quando sarebbe arrivato il loro turno.
-Quindi è chiaro a tutti il fatto che le prestazioni fisiche anche di un Cacciatore alle prime armi siano nettamente superiori a quelle di un normale essere umano. In parte, come ho già detto, ciò è attribuibile ai nostri speciali addestramenti, ma non solo. E' un dono di natura. La capacità di incanalare il Kiga.-
-Il... Kiga?- Questa volta fu Anabel a interrompere l'uomo ma il suono della campana del pranzo privò la domanda di una risposta.
-Mi dispiace ragazzi ma dovremmo continuare il discorso in un altro momento. Andate a mangiare. Buona giornata a tutti.- Evan si alzò mentre gli apprendisti eseguivano l'inchino rituale e uscì dalla classe.
 
Broccoli... Perché sempre i broccoli?
Inconfutabile che fossero molto nutrienti e, per carità, il loro sapore non era nemmeno male. Ma ritrovarseli tutti i giorni era da non credersi. Broccoli grigliati, impanati e fritti, broccoli al vapore, purea di broccoli, zuppa di broccoli... e quando non li vedevi potevi star certo che fossero stati camuffati nelle maniere più fantasiose. Va bene che il terreno vulcanico, particolarmente fertile, favorisse l'abbondanza di quei piccoli bastardelli verdi, ma lo stesso si poteva dire del resto degli ortaggi. Quindi, perché?
Evan storse la bocca e inarcò un sopracciglio, scoccando un occhiata velenosa al suo vassoio, mentre si dirigeva al tavolo dei Maestri. La mensa era chiassosa come sempre. Gli studenti, divisi in quattro tavolate, facevano del loro meglio per far sì che l'atmosfera durante i pasti fosse sempre festosa. Era un buon modo per dissipare la noia delle lezioni mattutine prima di dedicarsi agli allenamenti del pomeriggio.
Il tavolo dei mentori, anche se un po' appartato rispetto agli altri, non faceva eccezione. I Maestri, pur dovendo mantenere un po' di contegno, amavano quella pausa perché l'unica in cui potevano conversare in santa pace. Al momento ve n'erano tre, tutte donne, immerse in una conversazione sulle puntine da disegno.
-Uffa! Ti dico che quelle carogne mi hanno messo le puntine da disegno sullo zabuton!- si lamentava Cassandra Lone, Maestra di Spada e Scudo, con la sua collega e amica Runa Kelhal, Maestra di Lancia.
-E io ti dico che, se tu stessi più attenta, certi scherzi li potresti evitare. Oltretutto dai troppa confidenza agli apprendisti, è ovvio che questi se ne approfittino.- rispose Runa infilzando impassibile un broccolo con una delle bacchette.
-Sei ingiusta...- ribatté depressa Cassandra mettendo il broncio.
Evan dovette trattenere una risata. Quelle due costituivano una coppia molto particolare. Fisicamente non si poteva trovare persone più diverse. I tratti delicati e minuti, i boccoli biondi e la pelle candida di Cassandra erano in totale contrasto con il metro e novanta brunito e tonico di Runa. Anche sul piano psicologico erano agli antipodi. Dove Runa era posata e matura, Cassandra avrebbe potuto mettersi a litigare con la piccola Ellie. Eppure erano inseparabili.
-Runa è ben lontana dall'essere ingiusta. In tanti anni d'insegnamento non mi è mai capitato di essere vittima di uno scherzo, tantomeno progettato dagli alunni.- intervenne la terza commensale, Ida Ravenscar, lanciando un'occhiata penetrante alla bionda da dietro gli occhialetti rotondi elegantemente appoggiati sulla punta del naso. -E a proposito di Maestri che danno troppa confidenza agli alunni: guardate chi si unisce a noi. Hai fatto parecchio baccano stamani Hawkeyes.-
Evan le si sedette vicino scrollando le spalle e abbozzando un sorriso. Sapeva bene che sotto l'aspetto severo e i modi spicci Ida fosse una persona squisita quanto intelligente. Certo di primo impatto anche lui aveva pensato che quella donna longilinea dai capelli striati di grigio, perennemente costretti in uno chignon, fosse la personificazione della perfetta istitutrice a cui piaceva dare le bacchettate sulle dita dei bambini disobbedienti. Ma con il tempo aveva imparato ad andare oltre la superficie notando quei piccoli sorrisi che le sfuggivano quando si credeva inosservata e apprezzando la saggezza che dispensava mascherandola con commenti taglienti.
-Chiedo scusa. I ragazzi si sono un po' esaltati per l'argomento trattato.- si limitò a rispondere l'uomo.
-Dubito che Storia della Caccia possa esaltare uno studente, specialmente se trattata da te Hawkeyes.- s'intromise con voce sprezzante Victor Leon sedendosi dal altro capo del tavolo e facendo gemere il legno della panca sotto il peso della sua corazza di Monoblos albino. -Mi domando quale argomento tu abbia trattato per suscitare tale interesse.-
"Spocchioso bastardo. Viscido, arrogante, spocchioso bastardo." Evan dovette trattenersi dal testare l'aerodinamicità delle bacchette tirandole in un occhio del collega. Moro, dalla costituzione taurina e con uno sfregio che gli solcava uno zigomo il Maestro di Spadone era capace di fargli prudere le mani a vista. Non che Victor suscitasse tanta simpatia anche agli altri insegnanti, con la sua ostentata superiorità come se fosse l'unico degno di sedere a quel tavolo, ma per lui aveva sempre le battute più infami.
-Allora Hawkeyes? Ti sei strozzato con un broccolo? Dicci cosa ha suscitato tanto interesse nei ragazzi.- continuò il moro con un sorriso sgradevole. Era chiaro che sapesse già la risposta ma come ne fosse venuto a conoscenza Evan lo ignorava. Fatto sta che lo aveva messo in una situazione spinosa e senza vie di fuga, quindi il Maestro si limitò a rispondere in una scrollata di spalle.
-Il Kiga.-
In pochi secondi Cassandra si strozzò con il sidro, Runa spezzò le bacchette, Ida sgranò gli occhi e il sorriso di Victor si estese in un ghigno.
-Diamine Evan! E poi sarei io quella che da troppa confidenza?!- tossì Cassandra mentre Runa le dava dei colpetti sulla schiena.
-Che dovevo dire? Mi hanno fatto una domanda e mi è parso giusto rispondere.- cercò di difendersi Evan.
-Ti è sembrato giusto svelare uno dei più grandi segreti di noi cacciatori ad un gruppo di ragazzini del primo anno? La tua logica mi sfugge.- lo canzonò Victor.
-Primo: la mia classe è del secondo anno. - lo corresse velenoso Evan. -Secondo: prima o poi i ragazzi lo avrebbero scoperto in ogni caso. E terzo: la prossima volta che ficchi il naso nelle mie lezioni io ti... -
-Cerchiamo di darci una calmata.- intervenne Ida posando una mano sulla sua spalla e fulminando Victor con un'occhiata. -Non formuliamo giudizi affrettati senza avere un quadro completo. Evan, ti sarei grata se ci raccontassi tutto dall'inizio.-
Evan sostenne per un attimo lo sguardo di ghiaccio della donna poi, dopo un sospiro, si mise a raccontare. Raccontò tutto, dal ripasso dei Dogmi alla domanda di Eya, e i Maestri ascoltarono in silenzio, silenzio che si prolungò anche dopo che l'uomo ebbe concluso.
-Mmm... Eya è una ragazza sorprendentemente brillante. Non mi sembra strano che sia arrivata così vicina alla verità.- affermò Ida pulendo gli occhiali con un lembo della veste da Maestro. -E, in fin dei conti, la classe tra pochi mesi affronterà la Prova dell'Arena dopodiché gli studenti verranno sottoposti ai giuramenti e messi al corrente di alcuni argomenti tra cui il Kiga. Oltretutto mi pare di aver capito che il tuo è stato solo un accenno che, al massimo, può aver scatenato un po' di curiosità negli allievi e di certo ciò non nuoce.-
-Quindi se la cava così?! Uno di quegli studenti potrebbe spifferare ai quattro venti l'esistenza del Kiga e voi trattate la cosa con tanta leggerezza?!- s'infiammò Victor, visibilmente irritato, battendo un pugno sul tavolo e guadagnandosi un'altra occhiata gelida della donna.
- Come ho già detto: le informazioni che ha dato Hawkeyes sono irrilevanti e molto vaghe. E' ovvio a tutti che noi Cacciatori abbiamo dei poteri particolari. Il fatto che qualcuno possa venire a conoscenza del nome di questo potere non ci provoca nessun danno e, in ogni caso, dubito che gli studenti siano così poco avveduti dal lasciarselo sfuggire. Comunque no. Evan non se la cava per niente, Leon. E' chiaro che in futuro dovrà essere più cauto con quello che insegna ma credo che questo, il nostro collega, lo abbia già capito dato che non è duro di comprendonio come voi che vi ostinate a credere di essere nella posizione di giudicare.-
Lo sfregiato si dimenò, borbottò e poi si arrese concentrandosi sul piatto che aveva di fronte. Evan invece si alzò, la fame gli era passata, e salutate le colleghe lasciò la mensa.
Aveva bisogno di sfogarsi e niente poteva aiutarlo meglio che bersagliare uno dei grandi cerchi segnati che posti nel fondo della lunga stanza che fungeva da poligono per gli arcieri e i balestrieri. Sempre meglio di rischiare di essere sospeso per aver preso a calci quel presuntuoso di Victor davanti a Maestri e allievi.
Sorrise all'idea mentre staccava uno degli archi piegati appesi alla parete e si metteva in posizione allacciando una faretra alla cintura. Con un leggero movimento del polso fece scattare l'arco mentre l'altra mano afferrava una freccia e la portava alla corda. Tese e scoccò.
La freccia percorse in un attimo i centottanta metri che lo separavano dal bersaglio colpendolo nel centro. Così la seconda e la terza. In ogni dardo metteva la sua frustrazione e i suoi dubbi. Era stato davvero troppo avventato? Un sibilo, un centro. Possibile che dovesse diffidare dei suoi stessi studenti? Un sibilo, un centro. Presto si ritrovò a ricalcare i contorni dei vari cerchi del bersaglio il cui centro ormai somigliava ad un puntaspilli.
Si fermò solo quando nella faretra rimase un unica freccia e si allontanò ancor più dal bersaglio raggiungendo la parete opposta. Duecento metri, ancora pochi rispetto alla reale gittata dell'arco che, pur tirando frecce lunghe più del suo braccio, poteva comodamente arrivare ai cinquecento, ma Evan se li doveva far bastare. D'altronde nessun arciere si allontanava più di cento metri dal mostro durante uno scontro. I colpi ne avrebbero risentito, non riuscendo a penetrare a fondo nella preda e quest'ultima di certo non aspettava che uno prendesse la mira. Gli unici colpi che avevano quasi sempre un effetto assicurato erano quelli tirati con il Kiga.
Già... il Kiga. Come spiegare un concetto simile ai ragazzi una volta che fosse arrivato il momento? Negli anni passati aveva lasciato che fossero altri a smaltire quella pratica ma gli eventi della mattinata gli avevano confermato che il suo turno sarebbe presto arrivato.
Tendendo l'arco Evan dovette ammettere che si era trovato in difficoltà di fronte alla domanda di Eya. Per lui usare il Kiga era facile come respirare, lo aveva adoperato in un paio di occasioni anche prima di diventare Cacciatore. Ma lui era un'eccezione, tutti gli altri dovevano essere sottoposti a delle prove e a dei beveroni dal contenuto segreto per scatenare tale potere, sempre se ne fossero dotati.
L'uomo scacciò quelle preoccupazioni e si concentrò sul bersaglio. Nella sua mente cominciarono a susseguirsi molte immagini dei vari scontri a cui aveva partecipato finché davanti a lui non vi fu più il cerchio di paglia puntellato di frecce ma una sagoma indistinta che si ergeva imponente.
L'immagine del sogno di quella mattina mise a fuoco la figura ed Evan si trovò di fronte il lupo corrotto. Ma quell'apparizione terribile non lo spaventò, anzi, lo fece fremere d'eccitazione famelica mentre un calore dal petto si propagava lungo tutto il corpo lambendo la sua pelle come una vampa rossa. Per un secondo il Maestro fu consapevole di tutto ciò che lo circondava. Gli odori e i suoni gli arrivavano amplificati mentre con lo sguardo poteva contare le scaglie brunite della bestia immaginaria. I suoi muscoli tesero l'arco allo stremo facendo gemere il legno abituato alle mani deboli ed inesperte degli apprendisti. Uno schiocco e la freccia fu in volo, invisibile e letale andò a perforare il petto della bestia in un tripudio di legna spezzata.
Evan espirò, la bestia era sparita come l'intenso calore che l'aveva avvolto, ora davanti a lui c'era nuovamente il bersaglio. Gli si avvicinò costatando che la freccia non si era limitata a spezzare tutte le precedenti che aveva piazzato nel centro, ma era riuscita a perforare lo strato di imbottitura penetrando di un dito nel pannello di legno posto dietro.
Il Maestro rimise velocemente a posto l'arma, i suoi sensi potenziati dal Kiga lo avevano avvertito dell'imminente arrivo di una persona, e uscito dalla stanza si ritrovò a tu per tu con Ida.
-Hawkeyes, cercavo proprio te.-
-Senti Ida ho già riflettuto su quello che hai detto. Sono stato uno sciocco e non ripeterò l'errore...- cominciò lui.
-Ti fermo subito. Non sono qui per farti la ramanzina ma per dirti che è arrivata una richiesta e gli Anziani hanno chiesto specificatamente di te.- lo interruppe lei sventolandogli una pergamena sotto il naso.
Evan divenne improvvisamente serio. " Sii la spada e la freccia della Gilda."
-Dove devo andare?-
La donna sorrise compiaciuta.
-Metti dei vestiti caldi, Maestro Evan Hawkeyes, la Catena nevosa del Lao-Shan ti aspetta.-

Beh... direi che il terzo capitolo, sfornato oltretutto con un certo (megagalattico) ritardo, è l'ideale per dire due cosette a proposito di questa fanfiction.
Inizio col dedicarla a tutti voi che leggete. Un ringraziamento particolare va a Tigre Rossa, anch'essa scrittrice, madre di molte fiction che mi hanno spinto a scrivere e pubblicare questo racconto.
Mi scuso per la lunga attesa tra il capitolo e il precedente ma ho avuto un periodo bello pieno.
Passando ai tecnicismi, ho cercato di attenermi il più possibile al gioco da cui è ispirata la fiction, aggiungendo solo ciò che manca al titolo originale: una componentistica "umana" ed una trama.
I mostri, le creature, alcuni luoghi, armi ed armature sono tutte tratte dal videogame. Per chi non fosse ferrato sul genere potrei aggiungere delle note a fine pagina. Fatemi sapere con le recensioni.

Il Kiga è, invece, un concetto che mi sono inventato per facilitare l'integrazione di alcune capacità dei Cacciatori realmente esistenti nel gioco in un contesto letterario.
Che altro aggiungere? Leggete e recensite.
Con simpatia.
Albornoz

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