Waiting for you

di elyxyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Waiting for you

So che probabilmente dovrei aggiornare storie e raccolte già iniziate, ma non ho saputo imbavagliare la mia ispirazione (e soprattutto la mia prolissità ^^’’), perché mi piaceva vedere i nostri eroi in un contesto diverso dal mio solito (Leggasi: lasciare un po’ in pace Merlin e tormentare un Arthur emotivamente stitico).

Questa fic AU è composta di dodici capitoli. È già tutta scritta in bozza e va solo limata.

Per dovere di cronaca: In questa storia nessun cane è stato veramente maltrattato. Non posso garantire lo stesso per Arthur…

Ah, il linguaggio è più colorito rispetto ai miei standard, ma qui non siamo nel Medioevo.

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.

 

E ai miei preziosi, pazzi lettori, che mi seguono in ogni follia (detto con tanto amoreh!)
E agli amanti del merthur, ovviamente.

 

 

<>O<>O<>

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo I      

 

 

Arthur imprecò.

Poi parcheggiò l’auto, accostandola il più vicino possibile all’inferriata che delimitava la sua proprietà, spense i fari e i tergicristalli che combattevano una guerra persa contro il diluvio universale che s’accaniva contro il parabrezza, successivamente girò la chiave nel cruscotto – il motore smise di fare le fusa – e bestemmiò mentalmente per l’ennesima volta in quella giornata.

 

Dopo varie cose che erano andate male, come ultimo imprevisto aveva dimenticato l’ombrello a casa, uscendo di fretta all’alba, e nel tragitto dall’ufficio al posteggio aveva rotto quello che Gwen gli aveva gentilmente prestato. Certo, era stata una raffica di vento bastarda a renderlo inutilizzabile, ma questo non lo faceva sentire meno in colpa.

 

Arthur sbuffò, selezionando in anticipo, dal mazzo, la chiave per aprire il cancelletto e limitare la sua permanenza alle intemperie. Quindi risollevò il bavero dell’impermeabile zuppo e si risolvette a raggiungere la sua agognata dimora.

 

“Ma che cazzo…?” si lasciò sfuggire, appena messo piede nel vialetto, stringendo le palpebre per mettere a fuoco – fra la pioggia, la nebbia e le tenebre della sera – osservando la massa informe sul suo tappeto ‘welcome’ sotto al porticato buio. Un topo! Un dannato sorcio davanti alla sua porta!

 

“Morgana stavolta me la paga!” ruggì, irrazionalmente, contraendo la mascella perfettamente rasata.

Non era passato neppure un mese da che aveva traslocato lì, per assecondare il suo consiglio – un tenero eufemismo per definire il raggiro che sua sorella aveva ordito a suo danno.

Quella località doveva essere come la versione costosa di Wisteria Lane, solo senza casalinghe disperate, intrighi, morti e Diosolosapevacosa.

 

Finora, invece, nel suo angolo di paradiso aveva trovato unicamente fastidiosi bambini urlanti – gli avevano quasi rotto un vetro, la settimana precedente, giocando a pallone in strada –, uno stuolo di vecchiacce impiccione e di cougars pronte ad affondare gli artigli su di lui e sui suoi soldi – no, grazie.

 

E ora?

Un po’ di pioggia aveva fatto risalire i ratti dalle fogne? I tombini erano già intasati?

 

Arthur maledisse il mondo e si decise a cacciare quel viscido abusivo dalla sua proprietà, poi avrebbe fatto un esposto all’amministratore del quartiere o qualcosa del genere.

 

Il fatto era che, essendo nuovo di lì, non aveva ancora ben chiaro come, dove e soprattutto con chi, potersi lamentare a dovere.

 

Brandendo l’ombrello rotto come avrebbe fatto un cavaliere medievale con la propria spada – o come un poliziotto con uno sfollagente – si avvicinò risoluto.

E fu allora che si accorse che il topo non era un topo.

Cioè… era un topo, ma un topo-cane.

 

Lo stesso topo-cane che ora guaiva e scodinzolava verso di lui, grondando pioggia e bava sul suo tappeto immacolato.

 

Arthur gemette interiormente e si chiese a chi avesse pestato i piedi nella sua vita precedente, per meritarsi tutto questo.

 

Ma, poiché ovviamente nessun Dio gli avrebbe risposto – non in tempo utile, perlomeno – egli si guardò attorno, spaesato, cercando di capire come, quando e perché.

 

Perché, cazzo, quel botolo pulcioso era finito sulla sua soglia?

Perché?!

 

Sul come e il quando poteva soprassedere.

Era ovvio che avesse cercato riparo da quel diluvio e si fosse intrufolato fra le sbarre della recinzione.

Magro com’era, quel cucciolo non aveva trovato alcun impedimento.

 

Arthur si appuntò mentalmente di fare una lunga, colorita predica al padrone sconsiderato di questa bestia. Poi, magari, gli avrebbe anche messo in conto i danni morali e si sarebbe fatto risarcire per il disturbo.

 

Incurante del suo malumore, il cagnolino abbaiò, sollevandosi dal tappeto per andargli incontro e a nulla erano valse le sue proteste e una serie di urlati “A cuccia!” che vennero puntualmente ignorati.

 

Arretrando a disagio, Arthur era tornato verso il cancelletto, scrutando inutilmente in ogni direzione con la speranza di scorgere qualcuno. Il proprietario dell’animale, magari.

 

Purtroppo per lui, a quell’ora non v’era anima viva in giro.

L’ora di cena era passata da un po’ e quel clima (lugubre) tipicamente tardo autunnale avrebbe dissuaso chiunque dal praticare jogging o anche solo dal fare una breve passeggiata serale, per favorire la digestione.

 

Arthur gemette, facendo da contraltare ai mugolii del cane. Passandosi una mano fra i capelli zuppi d’acqua, esalò un sospiro esausto.

Non poteva restarsene lì, sotto alla pioggia ghiacciata, rifletté, innervosito. Odiava essere così impotente.

A lui piaceva comandare, non subire le cose.

 

“D’accordo”, esalò infine, arrendendosi, e facendo dietro-front verso l’entrata e verso il cucciolo che, vedendolo riavvicinarsi, aveva aumentato i guaiti e lo scodinzolio.

 

“C’è poco da festeggiare, sai?” lo rimproverò, retorico, con un tono burbero che non ebbe l’effetto sperato.

 

Arthur contò fino a dieci e gettò in un angolo l’ombrello di Gwen che si era scordato di tenere ancora in mano.

Successivamente, si chinò verso il pavimento e, raccolto il botolo in una mano – davvero, davvero!, era così piccolo che stava quasi tutto in un palmo –, si decise ad aprire la porta, spense l’antifurto e accese le luci di casa.

 

Poi posò a terra lo sgradito ospite e questo, appena libero, pensò bene di scrollarsi tutto il manto zuppo, inzaccherando ovunque con acqua e fango.

 

“No, no!, NO!” protestò Arthur, impotente di fronte a quella scena. In un attimo, era già troppo tardi.

 

Pulendosi dalla guancia uno schizzo marrone – che sperava ardentemente fosse solo terra – con il dorso della mano, Arthur considerò seriamente di fare stufato di topo per cena.

 

Poi, fulminando con lo sguardo il seccante visitatore, che ancora scodinzolava osservandolo di rimando, si rassegnò a sfilarsi di dosso tutti gli abiti appiccicati e gelidi, calzini compresi. Solo dopo avrebbe pulito tutto quel casino.

 

“Resta fermo lì!” ordinò al topo-cane, mentre correva verso il bagno e quasi scivolava nella fretta.

 

Quando tornò, con un asciugamano per sé e uno per la bestiola, nel punto in cui l’aveva lasciata non c’era più niente.

 

“Oh, dannazione!” imprecò, guardandosi attorno. Ma nulla, non v’era traccia dell’intruso.

 

“Ehi!” lo richiamò, più con esasperazione che con speranza. Non ricevendo risposta, considerò che un tono arrabbiato non avrebbe giovato a nessuno.

 

Cane-topo! Tooopo-cane!” ritentò, più suadente, accucciandosi sul pavimento, malgrado fosse quasi nudo, per scrutare sotto alla mobilia.

 

La palla di pelo infangata s’era nascosta, tutta tremante, sotto al divano di pelle.

 

Arthur sospirò, in parte sollevato, mentre allungava una mano e con poca gentilezza lo trascinava fuori dal nascondiglio.

 

Quando il cane, impaurito, tentò di difendersi mordendolo, egli snocciolò una fila di parole irripetibili, poi lo afferrò per la collottola e lo spinse di malagrazia sull’asciugamano e strofinò il pelo sporco e fradicio con gesti sbrigativi, ignorando i lamenti dell’animale.

 

“Così impari!” l’aveva sgridato, con senso di rivalsa e, ben presto, la bestiola s’era rassegnata a subire.

 

Fu a quel punto che lui si pentì di come si stava comportando e, rallentando la frenesia dei gesti, ci mise un po’ più di riguardo.

 

Man mano che toglieva gli strati di sporco, sotto alla fanghiglia bruna andava riscoprendo un folto pelo bianco, immacolato.

 

Quasi con un colpo di testa, lo trasportò verso il lavello e sotto all’acqua tiepida lo lavò con cura, riportando tutta la pelliccia al suo colore originario.

 

Questa volta, il cane non oppose alcuna resistenza, come se fosse un’abitudine, per lui, lasciarsi fare quel trattamento.

 

Dopo averlo asciugato per bene col phon a bassa potenza, Arthur rimirò l’opera conclusa e non riuscì a trattenere una risata, perché le dimensioni del mantello erano raddoppiate, come i riccioli, e quello che aveva raccattato era diventato un topo-cane-pecora.

 

Ma almeno non si sarebbe ritrovato con melma sparsa in tutta la casa, considerò, anche se adesso era lui, quello bisognoso di una buona ripulita.

Si frizionò almeno i capelli, desiderando ardentemente una lunga doccia bollente, che avrebbe dovuto rimandare ancora un po’.

 

Era una fortuna che, tra impegni e pigrizia, avesse dimenticato di gettare via alcuni scatoloni vuoti del recente trasloco.

 

Afferrando il cucciolo sottobraccio, si diresse scalzo nel sottoscala e ne agguantò uno. Dopo averlo riportato in salotto, lo foderò con dei giornali – un uso proficuo del Financial Times, dopotutto – e finalmente adagiò la bestiola all’interno.

 

Suddetta bestiola non fu particolarmente felice della sistemazione, ma Arthur preferì ignorare i suoi guaiti di protesta e non si lasciò intenerire, mentre considerava se fosse meglio lasciarla lì o trascinarsela in bagno, per tenerla d’occhio.

 

Fu la doccia più veloce e insoddisfacente della sua vita, ma non sarebbe mai riuscito a rilassarsi sapendo di avere una potenziale, pelosa bomba a orologeria abbandonata a se stessa nel suo salotto.

 

Arthur si infilò in fretta un paio di boxer e una maglia a rovescio, poi ritornò a verificare lo stato del cane, ancora immerso nella sua irrequietudine e in guaiti paragonabili ad un gesso che strisciava su una lavagna d’ardesia. Aveva anche tentato una personale fuga da Alcatraz, ma la scatola aveva i lati troppo alti e il cartone era troppo spesso e pesante per essere sfondato o rovesciato. Era una prigione perfetta.

Arthur si congratulò con se stesso. Poi meditò il da farsi. E in quel mentre il suo stomaco protestò.

 

Dovette riconoscere che ragionare a pancia piena era più produttivo, perciò prese dal congelatore un pasto precotto e lo infilò nel forno, quindi rovistò nei pensili, trovando dei vecchi contenitori di cibo da asporto. Erano delle ciotole un po’ misere, ma improvvisando bisognava avere spirito di adattamento.

 

Ciò nondimeno… con cosa l’avrebbe sfamato?

 

Ne riempì una d’acqua fresca e una di latte, lanciando al botolo uno sguardo sbieco.

Era un cucciolo, perdìo!, tutti i cuccioli bevevano sempre latte, no?

 

Fu ricompensato dal leccare rumoroso del cagnolino, che spazzolò tutta la terrina fino all’ultima goccia, finendo persino per rovesciarla, nella foga dell’ingordigia.

 

Mentre sbocconcellava il proprio pasto, Arthur gliela riempì tre volte, sperando sinceramente che quello non fosse un errore.

Lui non ne sapeva niente di cani, men che meno di cuccioli.

 

Ma ormai, per quella notte, era stato costretto ad ospitare la bestiola; l’indomani, però, avrebbe dovuto darsi da fare e ritrovare chi lo aveva smarrito.

 

L’oggetto delle sue riflessioni, ignaro di tutto, si stava ora curando il pelo leccando la zampina sinistra, tutta pelosa e soffice.

 

Fu quasi per caso che Arthur si accorse che qualcosa non andava.

Afferrò l’animale e lo trasportò sotto alla luce della lampada, per controllare meglio.

L’aveva lavato e asciugato con cura, eppure non si era affatto accorto della sbucciatura vicino allo sperone.

Non stava sanguinando, ma sicuramente andava curata per scongiurare possibili infezioni e lui non aveva la più pallida idea di come fare.

Doveva mettere una delle pomate per umani? E se il cane l’avesse leccata? L’avrebbe avvelenato? Doveva bendarlo? Sì, ma con cosa? Era pronto a scommetterci che una normale fasciatura sarebbe stata rosicchiata in un batter d’occhio da quei dentini acuminati.

E l’ansia gli stava salendo.

 

Non era mai stato abituato a doversi prendere cura di qualcuno o di qualcosa. Sicuramente non così dipendente in maniera continua e vitale, come nel caso di un cucciolo. Un solo errore poteva ucciderlo e lui non voleva nessuno – nessun altro – sulla coscienza.

 

Arthur si concesse un pensiero fugace alla madre morta dandolo alla luce.

 

La scomparsa improvvisa di Ygraine Pendragon aveva irrevocabilmente segnato le loro vite.

Suo padre non aveva mai superato il lutto per la perdita dell’amata moglie e aveva scelto di non risposarsi più, né di rifarsi una nuova vita. Si era gettato anima e corpo nel lavoro – l’enorme azienda di famiglia – per soffocare la disperazione.

Non si era creato nessun altro legame, per non dover soffrire ancora. Nessun legame, di nessun tipo.

Era come una regola non scritta ma inderogabile: se non vi erano nascite, non ci sarebbero state morti. Niente arrivi, niente partenze.

Quindi, per estensione, se lui e Morgana non possedevano animali a cui affezionarsi, non avrebbero pianto alla loro scomparsa.

 

Queste erano le convinzioni di Uther.

A suo modo, però, aveva anche deciso come allevare i propri figli e li aveva condizionati con le sue idee.

 

E così Arthur e sua sorella erano cresciuti senza alcun animale da compagnia e con pochi, selezionati amici in comune – generalmente, figli di conoscenti di famiglia o soci dell’azienda.

 

Lui ricordava un’unica occasione, nella loro infanzia, quando una giovane tata – da poco assunta – li aveva accompagnati al luna park e, su insistenza del piccolo Arthur, avevano giocato e vinto due pesci rossi.

 

Erano durati esattamente tre giorni – un tempo troppo breve per creare qualsiasi legame affettivo –, prima che la loro boccia fosse sparita con una generica spiegazione sul fatto che erano morti.

 

Pur non possedendo le prove, Morgana gli aveva instillato il sospetto che la loro governante avesse ricevuto dal loro padre l’ordine di versare della candeggina nell’acqua per eliminare il problema alla radice.

 

Arthur non avrebbe più potuto chiedere nuovamente alla tata di riaccompagnarlo alla bancarella, perché anche lei era stata rimossa dal suo incarico.

 

Uther aveva combattuto ogni ribellione dei suoi figli, proseguendo nel suo convincimento che l’imperturbabilità fosse la via migliore per il quieto vivere.

 

E così Arthur, per non deluderlo, aveva finito con l’incapacità di legarsi sentimentalmente a qualcuno; non in modo serio, perlomeno.

 

Morgana, di contro, era fuggita dalle maglie del controllo paterno e aveva sposato il primo uomo che l’aveva ricambiata. Aveva scelto Leon perché lo amava, sì. E perché non era abituata all’amore. Non sapeva davvero cos’era.

 

La sua fortuna era stata quella di trovare un uomo onesto e sinceramente interessato a lei e non ai suoi soldi.

Perché, sebbene fosse Arthur l’erede designato della Dinastia Pendragon, Morgana restava ancora schifosamente ricca.

Ma il buon Leon la desiderava per ciò che era e non per i soldi che si portava appresso e che, anzi, spesso la precedevano.

 

Arthur s’era perso in quei ricordi e fu il tenero morso del cucciolo a riportarlo alla realtà.

 

D’accordo, considerò, subendo le pigre lappate e la lingua rasposa sulle sue dita. Niente panico.

Sarebbe riuscito ad occuparsene per una notte senza ucciderlo, no?

In fondo, col latte se l’era cavata beniss-

 

Arthur sgranò gli occhi, lanciando uno sguardo alla confezione ancora sul tavolo.

Gli aveva fatto bere latte di riso, perché lui era intollerante al latte vaccino!

Oh, Gesù! Tre intere tazze, tre tazze colme! Tre- inspirò, cercando di calmarsi. Il cucciolo pareva vivo e vegeto. Quindi forse non era niente di grave. E poi il latte era latte, eccheccazzo! E poi i cuccioli mangiavano sempre un sacco di schifezze e- d’improvviso rammentò uno dei discorsi inutili della sua ex, qualcosa sul fatto che, da quando una sua amica era improvvisamente diventata vegana, aveva costretto anche i suoi cani a quella dieta e le colazioni erano per tutti a base di avena e latte di riso e soia alternati.

Quindi, a rigor di logica, lui non aveva commesso niente di irreparabile.

 

Ad ogni buon conto, avrebbe interpellato immediatamente Gwen, perché ricordava che suo fratello possedeva un gatto. Avrà avuto un fottuto veterinario, no?

 

Fu dopo il nono squillo che Guinevere rispose, assonnata.

 

Lui non aveva neppure controllato l’ora, ma si avvide che erano solo le dieci di sera, ed era un venerdì sera. Chi diamine andava a letto come le galline?

 

“Arthur?” lo chiamò lei, stranita.

 

Lui inspirò e prese coraggio.

“Ho un problema. In realtà, due”, premise, decidendo di prenderla larga e di alleviarsi la coscienza. “Può essere che il tuo ombrello abbia subito un ingente danno strutturale e…

 

“Oh!” ansò Gwen, costernata. “Era il mio nuovo regalo di compleanno da parte di Elyan”.

 

“Allora tuo fratello è uno sporco spilorcio, ti ha preso una schifezza di regalo. È bastato un soffio di vento per...” Era sempre più facile attaccare che difendersi. “Con quello che lo pago, poteva acquistartene uno migliore!” l’accusò.

 

“D’accordo. Qual è il vero problema?” Tagliò corto Gwen, sbadigliando.

 

“È che, vedi… sono solo con-con” Arthur tentennò, a disagio, e spostò il cordless nell’altro orecchio “un cane e non so che fare!”

 

“Certo che sei solo come un cane, Arthur”, gli fece eco Guinevere. “Perché hai voluto tagliare i ponti con tutti, dopo la storia di Vivian

 

“No, Gwen. Ho un cane”, ripeté, preferendo ignorare l’accusa – vera? tzé, lui stava benissimo così! – “L’ho trovato davanti a casa e…”

 

“Un cane? Un cane?! Un cane… da te?”

 

Arthur roteò gli occhi.

“Sì, Gwen. Un cane. Hai presente?”

 

“Beh, sì, ma tu…”

 

Infatti sto chiedendo aiuto a te. Hai il nome di un buon veterinario?”

 

“Pensi di tenerlo?”

 

“Ovviamente no!” negò ferocemente, prima di lanciare un’occhiata colpevole al cucciolo che stava trotterellando davanti a lui, sul tappeto. “Non lo so…” ammise infine, con un sospiro. “Non è neppure una possibilità. Avrà sicuramente un padrone che ora è in pensiero e io non so niente di cani. Ma è meglio farlo vedere. Per ogni evenienza. Metti caso che anche io debba farmi vedere da un medico, se mi ha appiccato qualche malattia… chessò…”

 

“Il dottor Emrys è bravissimo! Ha fatto miracoli con la dermatite di Lance!

 

“Con chi?”

 

Lancelot, il mio pesciolino…”

 

“I pesci possono avere la dermatite?”

 

“Sì, e bisogna spalmarci una crema per farla guarire… Altrimenti le squame-

 

“Guarda, non voglio altri particolari…” esclamò, con raccapriccio. “Mi dai il numero?”

 

“Ho il suo biglietto da visita in cucina, ma ho già tolto le lenti a contatto e devo cercare gli occhiali, aspetta…

 

Arthur si distrasse e un rumore improvviso di cocci lo richiamò. Un soprammobile – il dannato, costosissimo Vaso Ming della collezione di Morgana – era in frantumi.

 

Gwen? Gwen, dettamelo!, sono certo che tu non sia così cieca da non poter distinguere le cifre!”

 

E in fretta trascrisse su un foglietto il numero dell’ambulatorio.

 

Ma quella sarebbe stata una lunga notte.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Nella storia c’è un riferimento a Wisteria Lane: l’immaginario, elegante quartiere residenziale del telefilmDesperate Housewives’, a ‘Cougar Town’, e al film omonimo ‘Fuga da Alcatraz’.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: D’accordo. Posso giurarvi che ogni cosa avrà una spiegazione. Vi prego di non picchiare preventivamente l’Asino (o l’autrice) per i suoi modi poco garbati e diamogli il beneficio del dubbio, eh?

 

Ho volutamente evitato di mettere immagini sul cane che ho scelto, per facilitarvi l’immedesimazione con la descrizione di Arthur. Al momento opportuno, vi mostrerò tutto.

 

La colazione vegana per cani è davvero come quella che ho descritto.

 

Lo sperone del cane è l’escrescenza posteriore nelle zampe, quello che – in origine – doveva essere il quinto dito dell’animale. Può essere in tutte e quattro le zampe, oppure solo in quelle anteriori o posteriori, a prescindere dalla razza.

 

I pesci possono davvero avere la dermatite. Credevo fosse una barzelletta, finché non ho visto una mia amica usare la pomata antibiotica. XD

 

 

Ecco. Adesso che ho fatto la puntigliosa con le note, posso confessare che sono tutta fremente e ansiosa!

Spero veramente che questo nuovo progetto possa incuriosirvi e piacervi, almeno quanto mi sono divertita io a scriverlo! *_*

 

 

Anticipazione del prossimo capitolo:

 

Forse Arthur s’era distratto un po’ troppo, perché finì per cozzare contro l’oggetto delle sue riflessioni.

 

“Sei sempre così mattiniero, Arthur?” si sentì apostrofare, in modo del tutto inaspettato.

Fu un sorriso gioviale ad accoglierlo, e una mano allungata, pronta per essere stretta.

 

Dio, ma quelle orecchie erano finte, o cosa? Servivano per distrarre gli animali durante le visite?!

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie): Linette 79 arriverà fra qualche giorno.

 


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Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Waiting for you

Ecco, come promesso un aggiornamento caricato in fretta! Contenti? ^^
Ho solo una cosa da dire… ogni comportamento avrà la sua spiegazione, come vi ho già anticipato nella precedente premessa.

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A misfatto, elisabethy92, hiromi_chan, chibimayu, Rosso_Pendragon, Orchidea Rosa, mindyxx, Burupya, DevinCarnes, Barby_Ettelenie_91, aeron e FlameOfLife.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo II      

 

 

Non si poteva certo dire che Arthur non avesse chiuso occhio quella notte.

L’aveva chiuso, sì.

E riaperto qualcosa come trecento volte.

Per controllare che tutto fosse a posto, che il cane stesse bene o che la casa stesse bene. O che lui stesse bene.

Ogni piccolo rumore lo destava. Lo innervosiva. E finiva per alzarsi e andare a controllare.

 

La guerra era iniziata all’ora di coricarsi.

Arthur aveva il fermo proposito che nessun animale avrebbe soggiornato in camera sua, perché non era igienico.

 

Per questo motivo, malgrado i guaiti infiniti e le lagne strappalacrime, era stato irremovibile.

Aveva posizionato lo scatolone in un angolo del salotto e aveva spento l’illuminazione, augurando la buonanotte al cagnolino.

 

Poi se n’era andato in bagno e, lavati i denti, aveva affondato il suo corpo sfatto nel letto, sotto al morbido piumone, considerando che, entro breve, avrebbe dovuto sostituire questo a mezza stagione con quello invernale, più grosso.

 

Nel silenzio che doveva regnare – normalmente, solo il ticchettio della sveglia scandiva il tempo – il cane non aveva ancora smesso di ululare.

Arthur considerò che ci sarebbe voluto un po’ perché la bestia si calmasse (o si rassegnasse, ma dipendeva dai punti di vista).

 

Dopo un’infruttuosa mezz’ora, sospirando, egli si risollevò e, non appena riaccese il lampadario del salotto, fu accolto da un festoso scodinzolio e da un richiamo ancor più forte, ma meno lamentoso.

 

“Non esiste che si dorma con le luci accese!” l’avvertì, perentorio, schiacciando i pugni sui fianchi, per sembrare più intimorente.

D’improvviso, fu travolto dal ricordo di come, quand’era ancora bambino, suo padre ci aveva messo poco a fargli passare qualsiasi paura del buio. E qualsiasi protesta stroncata sul nascere, per buona misura.

Ma ricordò anche le infinite notti – soprattutto quelle coi temporali – passate rannicchiato sotto alle coperte a piangere in silenzio, fino a quando Morgana non sgattaiolava al suo fianco, abbracciandolo, consolandolo. E poi, appena lui si addormentava, lei tornava furtivamente nella propria stanza. E nessuno avrebbe dovuto dire niente. Nessuno doveva conoscere quel loro piccolo segreto.

 

“Oh, d’accordo!” sbottò allora, cliccando sul pulsante della lampada a stilo accanto al divano – quella che usava per leggere da sdraiato.

Un lucore discreto si espanse nella stanza, sostituendo il chiarore più potente.

 

Il cucciolo si guardò attorno, fissando da oltre il bordo dello scatolone la fonte luminosa.

“Questa è la mia massima concessione!” decretò Arthur, senza attendere replica, girando sui tacchi e tornandosene a letto.

 

Fece appena a tempo ad atterrare sul materasso, sospirando, pregustando un buon sonno, quando il piagnucolio riprese identico a prima.

 

“Eh, no!” borbottò, intestardito a non dargliela vinta.

 

Ora che l’animale non era più al buio, lui aveva tacitato la propria coscienza e avrebbe atteso che la bestiola si adattasse alla solitudine per quella notte…

Ma, anziché diminuire, i latrati aumentarono d’intensità, come un costante, cocciuto richiamo.

 

Arthur imprecò, infilandosi le ciabatte e andò dritto in sala con il preciso scopo di fare una ramanzina al suo molesto ospite pulcioso.

 

Shh! Devi fare silenzio o sveglierai tutto il vicinato!” lo sgridò, allorché il cane, vedendolo ricomparire, aveva preso ad abbaiare festoso. “Fai si-len-zio!” scandì nuovamente (e inutilmente), sentendo gli ultimi rimasugli di pazienza gocciolare via. “BASTA!” urlò, quindi, zittendo incredibilmente la bestia.

 

Incredulo anch’egli per il risultato ottenuto, pensò bene di battere in ritirata strategica, prima di una nuova, possibile controffensiva.

 

La tregua sembrava tenere, con sua enorme soddisfazione personale, e Arthur scivolò nelle maglie del sonno, coprendosi le orecchie col cuscino, per precauzione.

 

Fu un rumore estraneo a destarlo. Non sapeva esattamente per quanto avesse dormito – la sveglia gli rivelò, beffarda, che non erano passati neppure venti minuti da quando era crollato.

Arthur affinò l’udito, per capire la provenienza del brusio.

C’era un rumore di cartone rosicchiato – senza dubbio – e un basso mugolio sussurrato che gli sembrava provenire da una direzione diversa dal salotto. Che la bestiaccia fosse riuscita a scappare?

 

Invocando forza, egli si risollevò, avvicinandosi cautamente e il più silenziosamente possibile per spiare il cane. Non voleva farsi sentire e, soprattutto, non voleva reinnescare l’incresciosa situazione precedente.

 

Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con l’udito sopraffino del quadrupede, che subito drizzò le orecchie, richiamando la sua attenzione abbaiando.

 

Visto che era stato scoperto, Arthur gli si avvicinò, constatando che suddetta bestiaccia si era intrattenuta strappando tutti i fogli del giornale con cui aveva tappezzato la cuccia improvvisata.

 

Egli pregò solo che non ne avesse ingoiato qualche pezzo e non morisse soffocata.

 

Inspirando dal naso, il giovane Pendragon si rassegnò ad eliminare la fonte di pericolo, sostituendo il rivestimento con una vecchia maglia rovinata.

Incredibilmente, ciò fece la felicità del topo-cane, che subito se lo tirò addosso, azzannando la manica, ringhiandole giocosamente contro, mentre la sbatacchiava qua e là, scuotendo la testa pelosa come se la stoffa fosse stato un giochino divertente o una preda da stordire e sconfiggere.

 

Arthur si rimproverò per non aver offerto prima un distraente all’animale.

 

Col cuore più leggero, lo lasciò al suo nuovo passatempo, agognando un sonno lungo e inconscio fino all’indomani.

 

Purtroppo per lui, il giochino venne a noia presto, e presto erano ripresi i piagnucolii.

 

Arthur si strofinò di malagrazia la faccia col palmo della mano, per scacciare il torpore che lo invitava, suadente, a cedere ancora alle lusinghe di Morfeo e ad ignorare tutto il resto...

 

Sollevandosi a fatica, decise per una parziale riconsiderazione – il suo intransigente orgoglio poteva capitolare un pochino, pur di ottenere qualche ora di meritato riposo dopo una settimana allucinante in ufficio.

 

Agguantando lo scatolone, lo trasportò dal salotto al corridoio, di modo che il cucciolo potesse sentirsi meno solo ascoltando il suo respiro. E forse il suo russare, si disse.

 

Per sicurezza, egli lasciò anche accesa la plafoniera più lontana, perché la luce diretta lo infastidiva, poi accostò la porta della camera da letto e s’impuntò che quella, per quanto lo riguardava, sarebbe stata l’ultima cortesia verso quel botolo rognoso.

 

Ma non lo fu.

 

I brontolii del cucciolo e i rumori che produceva lo avevano svegliato altre cento volte, quella notte.

E mentre aveva dormito – un sonno agitato e nervoso – gli incubi lo avevano perseguitato.

Aveva sognato che la bestia aveva rosicchiato le gambe di ogni mobile, della tavola, del sofà.

E l’imbottitura squarciata del divano e anche delle poltrone.

E le tende strappate.

E la pipì ovunque.

E a metà notte la bestia era diventata un topo per davvero…  seriamente, doveva smettere di guardare le repliche dei Gremlins – …un topo che abbaiava.

 

Arthur si era risvegliato di soprassalto, ansimando, tutto sudato.

E non aveva resistito a controllare che, effettivamente, quello fosse stato solo un parto malsano della sua fantasia.

C’era stata una vocina subdola, nella sua testa, che gli sussurrava che sì, se lo avesse lasciato da solo, quel mostriciattolo sarebbe stato devastante quanto Ciuffo Bianco.

 

Così, dopo nuovi guaiti infiniti, dal salotto al corridoio… la scatola era strisciata sino al fianco del letto.

Alla fine, quel dannato cane aveva vinto.

 

Ma solo per questa notte! Tzé!, bofonchiò Pendragon, con l’amor proprio ammutinato e un’emicrania lampeggiante.

 

Fulminandolo con un’occhiataccia (ma si rendeva conto da sé che, con gli occhi cascanti e le palpebre gonfie, non sarebbe sembrato molto intimorente), Arthur spense ogni luce e concentrò l’attenzione sul veloce ansare che faceva da contraltare al suo respiro.

 

Un’ultima sbirciata a mezz’asta, prima di piombare nell’oblio, sfinito per davvero.

 

 

***

 

 

Non era neppure l’alba, quando Arthur si destò.

Sentiva la sua palma destra affondata in qualcosa di caldo e soffice, qualcosa che si muoveva piano, vibrando.

 

Approfondì cautamente l’ispezione, toccando in punta di dita qualcosa di viscido e freddo. E bagnato.

 

L’istante dopo, qualcosa gli leccò generosamente la mano.

 

Arthur sgranò gli occhi e ritirò in fretta l’arto a penzoloni oltre il bordo del letto, quindi scattò a sedere, ma un capogiro lo costrinse a ridistendersi.

Dio, si era istintivamente pulito l’orrida bava sul piumone e adesso avrebbe dovuto bruciarlo!

 

Ma ormai il danno era fatto e, riprendendo coraggio e imprecando contro il mondo, egli si sporse, piano, oltre la sponda e…

 

E la bestia lo guardava.

Di già.

 

Tutta bella e arzilla, scodinzolava festosa verso di lui.

Che avesse fame?

 

Ma non bisognava dare da mangiare ai cani dopo la mezzanotte.

No, quelli erano i Gremlins.

 

Gemendo di raccapriccio, si ripulì l’ultimo residuo di saliva dalla mano – fanculo, peggio di così! – e tentò di dormire ancora un po’, il giorno sembrava ancora tanto dannatamente lontano. 

 

Riuscì persino ad appisolarsi un po’, anche se non sapeva per quanto.

Forse, invece, aveva solo immaginato di riuscirci, perché il borbottio di sottofondo era snervante, come i graffi delle unghiette sul cartone della scatola.

 

Pertanto, di colpo, con la misura colma, Arthur gettò via le coperte e afferrò il cordless lasciato sul comodino, per chiamare quel dannato veterinario – perché poteva aver accolto in casa una collezione di disgrazie, un untore, un’arma batteriologica mortale e infettiva a quattro zampe (nella sua mente passarono parole grosse come scabbia, pulci, zecche, pelo, bava, rabbia, vaiolo, toxoplasmosi) – suo padre avrebbe potuto diseredarlo per questo.

Di sicuro, quel famigerato medico gli avrebbe detto come smaltire il problema con un canale convenzionale, eccheccazzo!

 

Compose il numero in fretta, prima di cambiare idea.

 

“Pronto?” borbottò una voce, chiaramente assonnata, al settimo squillo.

 

“Salve, ho bisogno di un appuntamento!” esordì Arthur, quasi spazientito.

 

Ma lo sai che ora è?”

 

“Non importa! Il mattino ha l’oro in bocca!”

 

“A quest’ora anche il mattino è ancora a letto…” ironizzò l’accento maschile all’altro capo del telefono. “Devi chiamare in ambulatorio dalle 9.00 in poi…

 

“No, ehi! Senta, guardi-” si agitò.

 

“È un’emergenza?” il tono si fece serio d’un colpo, il sonno passato.

 

N-no…” borbottò Arthur, a malincuore. E poi l’occhio cadde sul disastro nello scatolone, e l’emicrania non gli dava tregua. “Sì, lo è”, ritrattò. “È una mezza emergenza. Voglio prenotare un appuntamento, per oggi”.

 

Incredibilmente l’uomo rise.

“D’accordo. Vieni per mezzogiorno. Ma ci sarà da aspettare…”

 

“Va bene. Grazie”, e riattaccò.

Solo dopo averlo fatto, Arthur aveva realizzato che probabilmente Gwen – mezza ciecata – gli aveva dato il numero di reperibilità a casa, non quello dello studio. E lui, non meno distrattamente, non aveva neppure dato il proprio nome per fissare l’incontro.

 

Ad ogni modo, poiché di dormire ancora non se ne parlava proprio, fece colazione con un paio di antidolorifici e decise di compiere il giro dell’isolato con la bestiaccia in braccio, nella vana speranza di ricongiungersi con il disgraziato padrone.

Poco importava che fosse sabato mattina in un quartiere residenziale e che neppure i galli avessero finora cantato (se mai lì ce ne fossero stati, metaforicamente parlando), perché erano ancora ben chiusi dentro al loro pollaio, sognando le proprie gallinelle.

 

Arthur non aveva incontrato anima viva – neppure il ragazzo che consegnava i giornali porta a porta, oppure il lattaio col suo furgoncino.

Nessuno. Nessuno, veramente. Manco l’ombra di un essere umano.

Sembrava davvero una congiura.

 

“Forse porti sfiga…” ruminò, deluso e incazzato, sollevando il cane all’altezza degli occhi, ma fu ricompensato solo da una lingua a penzoloni e da un’alitata micidiale.

 

Bleah! Vuoi una mentina?” offrì, sarcastico, posando a terra il topo-cane-pecora, che ne approfittò per sgranchirsi le zampe correndo in circolo davanti alla porta d’entrata.

Arthur non fece neppure a tempo a far scattare la serratura, che la bestiola era già corsa dentro, facendolo scoppiare in un’ironica risata. “Ma prego! Fa’ come se fossi a casa tua!”

 

 

***

 

 

Arthur era certo che avrebbe avuto anche l’esaurimento nervoso tra i sintomi da annoverare a Gaius, quando lo avrebbe visitato – cioè il più presto possibile – per un check-up generale e una profilassi d’obbligo, una volta che quella disavventura si fosse conclusa.

 

Ma per ora avrebbe cercato di mantenere la calma e di ignorare la gastrite incipiente e la vena che sentiva pulsare in fronte.

“Non ti azzardare a fiatare!” sibilò alla volta della scatola che teneva sulle ginocchia.

 

Il cane spazzolò la coda sul cartone, in risposta.

 

Sbuffando spazientito, non gli rimase che pregare ogni divinità conosciuta e non (anche se lui era ateo), affinché i tempi si velocizzassero.

 

D’accordo, era andato allo studio veterinario abbastanza presto – più di due ore prima dell’orario pattuito –, con la segreta speranza che magari – sbattendo gli occhioni, o facendo un mezzo sorriso, oppure allungando una bella banconota – lo infilassero di straforo tra un paziente e l’altro.

 

Purtroppo per lui, la signorina Freya, la segretaria frigida, non aveva ceduto né al suo indiscusso fascino (cosa che lo aveva intimamente ferito, e anche molto) né alla profferta di moine pecuniarie.

 

“Ma sono il signor Pendragon!” aveva persino sbottato; benché non amasse giocare spesso la carta dellei non sa chi sono io!’, era certo che dovesse pur valere qualcosa.

Tutti conoscevano l’influenza della sua famiglia, perdìo!

 

Pen- chi?” aveva fatto eco lei, perplessa, digitando celermente il nome sulla tastiera del pc per introdursi nell’archivio virtuale dell’ambulatorio. “Lei non risulta mai essere stato, in precedenza, un nostro paziente…”

 

Un paziente? Lui?!, se non fosse stato sull’orlo di una crisi di nervi, Arthur sarebbe scoppiato a ridere. Fino al giorno prima, un ambulatorio veterinario sarebbe stato l’ultimo posto sulla Terra dove incontrarlo.

 

“Solo le effettive emergenze sono un’eccezione agli appuntamenti prefissati, signore”, gli aveva ripetuto – ancora una volta – da quando si era presentato all’accettazione e aveva preteso un trattamento di favore, tirando in ballo persino la telefonata fatta all’alba che, per qualche ragione nota solo a lui, avrebbe dovuto garantirgli l’apertura facilitata di tutte le porte. “E non serve che lei paghi in anticipo il quintuplo della prestazione”, aveva precisato, quasi svergognandolo. “Il tariffario esposto è unico per tutta l’utenza”, aveva chiarito, con voce gentile ma inflessibile. “La prego di accomodarsi in sala d’attesa, lì, sulla destra. La chiamerò personalmente quando sarà il suo turno”.

 

Arthur non era abituato a ricevere un due di picche – di qualsiasi tipo esso fosse –, per questo aveva grugnito una risposta incomprensibile e si era rassegnato a sprecare il proprio tempo in attesa dei comodi altrui.  

 

La sala – come ebbe modo di vedere – era foderata alle pareti da enormi foto di cuccioli. Erano un’infinità.

Sembrava di stare in un reparto di pediatria o di maternità, non da un veterinario, considerò mentalmente, lasciandosi cadere sull’unica poltroncina ancora disponibile – e cioè incastrato tra una ‘vecchia con un trasportino e gatto soffiante come un mantice’ e una ‘bambina con sua madre e un coniglietto puzzolente che ruminava all’infinito’.

 

“Tu, fa’ silenzio!” intimò preventivamente al cucciolo, prima di dare una rassegnata ispezione attorno fra gli occupanti. Nella stanza c’erano altri due cani, un gatto, e un pappagallo e relativi proprietari.

 

Purtroppo per lui, la bestiola fece lo stesso e l’odore degli altri animali le provocò una strana agitazione.

Sembrava improvvisamente fuori di sé quando un altro grosso cane comparve tra loro, uscendo da quello che, presumibilmente, era lo studio effettivo, mentre il suo padrone si riappropriava del soprabito appeso all’attaccapanni accanto a loro.

 

Sta’ alla larga da noi!” sibilò alla volta del cagnone bavoso che gli si era avvicinato inavvertitamente, mentre stringeva a sé la scatola con più convinzione.

 

Arthur fu bellamente ignorato, ma un’altra certezza si stava spandendo in lui.

Quell’attesa sarebbe stata infinita.

 

 

***

 

 

Si rendeva conto da sé che il cane avrebbe colto il proprio nervosismo e questo avrebbe peggiorato il tutto, ma era più forte di lui.

Spostando la scatola sul ginocchio destro, si mise a dondolare l’altro come un tic, sbuffando insofferente. Un’ora e mezza di vita sprecata!, inveì mentalmente, osservando, distratto, l’avvicendamento dell’ennesimo paziente – arrivato dopo di lui, ma entrato prima di lui.

 

“Il dottor Emrys merita tutta questa pazienza!” gli confidò una signora di mezza età, al suo fianco, facendogli l’occhiolino. “Non c’è nessuno più bravo di lui, parola mia!” rincarò, dando un’occhiata affettuosa al criceto che teneva in gabbia.

 

Arthur si limitò ad annuire col mento, per farle capire che aveva inteso, ma non aveva nessuna intenzione di intavolare qualsivoglia discussione lì dentro.

 

“Senta, gli sta facendo venire il mal di mare!” gli appuntò un vecchiaccio ficcanaso, puntando il suo bastone da passeggio contro di lui.

 

Pendragon smise all’istante di scuotere lo scatolone, ma pensò di non dargli la soddisfazione di una risposta. Di colpo, invece, ci ripensò.

“Lo stavo cullando!” sbottò, saccente. “Si dà il caso che gli piaccia!”

 

“Oh, sì. Come no?” replicò l’uomo, polemico. “È per questo motivo che quel povero cane si lamenta da un quarto d’ora!”

 

Oh, cazzo.

Forse quell’impiccione non aveva tutti i torti… ormai, lui si era persuaso che il mugolio fosse una specie di costante, un mantra che quel cucciolo guaiva all’infinito, ma se non fosse stato così? E-e se avesse vomitato?

 

Rallentò subito il movimento traballante e, in pochi secondi, cessò del tutto.

Il cucciolo lo guardò, sembrando sorpreso – forse sconvolto? –, sbattendo la coda per comunicargli qualcosa.

 

Nah!, il topo-cane-pecora stava benissimo e Arthur si intestardì nella convinzione che fosse lui ad avere ragione e non quel vecchiaccio: tutto quel ballonzolare era un divertimento, altroché! Ma, per buona misura, preferì smettere e, per distrarre la bestiola nell’attesa, si rassegnò ad accarezzarla, lasciandosi mordicchiare le dita.

 

 

***

 

 

“Signor Pendragon! È il suo turno! Finalmente! Ora può entrare!” lo avvisò Freya, l’assistente, con un’enfasi nella voce che lo irritò, perché grondava sottintesi.

 

Era l’ultimo degli ultimi (cosa inaudita!), e le avrebbe quasi risposto a tono, ma la saletta era deserta, fatta eccezione per lui, il cagnaccio e la frigida.

 

Con un sospiro esausto, quindi, accantonò la piazzata e si fece introdurre nell’ambulatorio.

 

Per fortuna, l’interno dello studio era molto più sobrio, registrò automaticamente, perché un ambiente rispecchiava di solito la qualità di chi vi lavorava. Niente quadri traboccanti cuccioli, per carità!

C’erano giochini sparsi ovunque, ma non in disordine, e un sacco di diplomi e attestati appesi alle pareti. D’accordo, sulla carta, poteva anche sembrare un veterinario preparato, ma era tutto da vedere!

 

Forse Arthur s’era distratto un po’ troppo, perché finì per cozzare contro l’oggetto delle sue riflessioni.

 

“Sei sempre così mattiniero, Arthur?” si sentì apostrofare, in modo del tutto inaspettato.

Fu un sorriso gioviale ad accoglierlo, e una mano allungata, pronta per essere stretta.

 

Dio, ma quelle orecchie erano finte, o cosa? Servivano per distrarre gli animali durante le visite?!

 

Arthur si prese il tempo di sondare il tizio davanti a lui.

Quella voce calda e roca, per colpa del sonno, gli aveva dato l’idea fuorviante che appartenesse ad un uomo di mezza età.

 

E che diamine ci faceva, invece, quel ragazzino? Era un tirocinante?

 

“Il dottor Emrys?” domandò, certo di ottenere una risposta negativa.

 

“Sì, ma preferisco Merlin”, lo corresse, con un altro sorriso dannatamente accattivante. “Per favore, niente formalismi. Come regola generale, ci diamo del ‘tu’ coi miei utenti. Un ambiente amichevole e un clima confidenziale aiutano a mantenere gli animali più sereni e rilassati…” motivò.

 

“Oh, beh, sì… mh…” farfugliò Arthur, alquanto sconvolto, di rimando. E se lui non voleva?

E il Codice di Condotta Deontologica dove finiva? Sotto alle scarpe? E il distacco professionale?

 

Che assurdità! A volte, Arthur dava dellei’ anche a suo padre, durante le riunioni del Consiglio d’Amministrazione!

 

“Ciao, dolcezza”, riesordì il veterinario, ignorando i suoi turbamenti e prendendo in consegna il cucciolo festoso dalla scatola.

 

Dolcezza? Oh, ma andiamo!, Arthur lo trovava zuccheroso e fuori luogo.

Poi, però, rifletté che, beh… il cane non aveva un nome.

E in qualche modo, quell’idiota doveva pur rivolgersi a lui.

 

Sentendosi in dovere di fare un ragguaglio, premise: “Ho trovato questo cucciolo sulla porta di casa mia, ieri sera, e-

 

Ma non è un cucciolo!” lo corresse Merlin, osservando la bestiola adagiata sul tavolo medico, tutta fremente.

 

“Come no? È grande come… come un topo!” sbottò, quasi che evidenziasse l’ovvio ad un demente.

 

Sì, doveva essere davvero demente, perché quell’imbecille scoppiò a ridere.

“Vedi, Arthur, esistono cani di piccola taglia…” fu la replica divertita del medico. “Small, come le magliette… Hai presente?”

 

Pendragon trattenne a stento il fumo dalle orecchie.

Chissà quali altre magiche rivelazioni aveva in serbo per lui questo ciarlatano da strapazzo!

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Nella storia c’è un riferimento al filmGremlins’, adorabili creature pelose che diventano piccoli mostriciattoli, e Ciuffo Bianco è il loro leader.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Come già detto, ho volutamente evitato di mettere immagini sul cane che ho scelto, per facilitarvi l’immedesimazione con la descrizione di Arthur. Al momento opportuno, vi mostrerò tutto.

 

Arthur è un asino, sì. Ma presto capirete perché.

 

 

Due anticipazioni del prossimo capitolo:

 

Qualche istante dopo, la bestiola era zitta e seduta composta, completamente a suo agio.

 

Co-come ci sei riuscito?!” sbottò allora il giovane Pendragon, stupefatto. “No, aspetta, non dirmelo. Sei una specie di Patch Adams?” lo accusò quasi.

 

“Semmai, dovresti citare il dottor Dolittle,” lo contraddisse Merlin, sorridendo a tuttotondo. “Comunque, no. Niente abracadabra!” dichiarò, alzando le mani a mezz’aria per sfarfallare le dita. “La mia magia si chiama ‘feromoni’”.

 

Arthur sgranò gli occhi: “Vuoi dire che puzzi da cane?!

 

(...)

 

Ma se questo cane ha scelto te, un motivo ci sarà”, disse fatalista.

 

“Sì,” concordò Arthur. “È perché ha un senso di sopravvivenza molto basso”, ironizzò con una smorfia. Ma il veterinario sorrise, mostrando una chiostra di denti perfetti e bianchissimi, e Arthur si ritrovò ad arrossire, come non succedeva da… da secoli.

 

“Secondo me, stai solo sottovalutando il tuo potenziale…” lo lusingò Merlin, ammiccando. “Magari, quando ha cercato rifugio alla tua porta… aspettava proprio te”.

 

“Allora ha sbagliato indirizzo!” lo freddò, dopo un attimo di distrazione.

 

 

 

Mi ha piacevolmente stupita la risposta all’inizio di questa fic. Ringrazio i 10 utenti che l’hanno messa fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e i 40 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

  • Linette 79 è stata aggiornata qualche giorno fa.
  • Nei prossimi giorni caricherò anche storie nuove.

 

 


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Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Waiting for you

Eccoci giunti a scoprire il nostro protagonista pulcioso!

La descrizione dell’animale è parte integrante del capitolo. Le foto, invece, sono inserite a fine storia, per non rovinarvi la lettura.

 

Ho solo un’ultima cosa da ribadire: l’idiozia di Arthur avrà la sua spiegazione, come vi ho già anticipato nella precedente premessa.

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A Burupya, misfatto, FlameOfLife, chibimayu, hiromi_chan, Barby_Ettelenie_91, Eresseie93, elisabethy92, Orchidea Rosa, katia emrys, DevinCarnes, Encha, Raven Cullen, aeron, Yuki Eiri Sensei, mindyxx, aria, crazyclever_aveatquevale e Rosso_Pendragon.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo III      

 

 

Anche se la visita doveva ancora effettivamente cominciare, assistervi innervosiva Arthur come se fosse stato lui stesso l’esaminato, perciò distolse lo sguardo, a disagio, e si ritrovò a riempire la bocca con la prima cosa che gli passava per la testa.

“È stata Guinevere Smith a darmi il suo numero- il tuo numero- il numero… – oh, accidenti! – il numero dell’ambulatorio!s’accalorò, vergognandosi per quella figuraccia assolutamente non nel suo stile.

 

“Ah, Gwen!” ripeté Merlin, mentre prendeva qualche goccia di gel da un dosatore, si massaggiava le mani e si accingeva a indossare dei guanti in lattice nuovi. “E come sta Lance? Ormai dev’essere guarito del tutto!”

 

Arthur s’era arenato di fronte alla familiarità con cui l’altro aveva nominato l’amica, quindi il fatto che quell’idiota conoscesse diminutivi e nomi di ogni padrone e animale era qualcosa di assurdo.

Ne ebbe la conferma un momento dopo.

 

Misha si è poi ripreso da quel brutto raffreddore, sì?”

 

“Chi è Misha?” si ritrovò a chiedere, perplesso.

 

Il veterinario gli lanciò solamente un’occhiata distratta.

“Il gatto di Elyan, no?”

 

Ok, d’accordo. Lui a malapena sapeva che Elyan aveva un gatto; che dovesse conoscere anche come si chiamava era un tantino troppo, per la miseria!

 

“Morto non è morto, altrimenti me l’avrebbe detto, quando… beh, ci vediamo spesso… visto che lavora per me”, bofonchiò, come scusante. Ma anche no.

 

Quindi… tu saresti Arthur, il Grande Capo, eh?” domandò retorico, con un mezzo sorriso sulle labbra.

 

“E da quando Elyan sparla su di me con te, durante le visite al suo gatto?” s’inalberò, incrociando le braccia, infuriandosi.

 

“Veramente è Gwen che ti nomina…” lo corresse, con un ghigno. “E generalmente tutto si risolve con lei che deve fissare un appuntamento per Lancelot con la clausola ‘se quello schiavista di Arthur mi lascia uscire dall’ufficio una mezz’ora prima’…

 

“Io non sono uno schiavista!” ruggì, arroventandosi.

 

“Stavo scherzando, rilassati…”

 

“Non mi rilasso, quando un idiota mi prende per i fondelli!”

 

Merlin arcuò le sopracciglia, decidendo di soprassedere sull’offesa.

Ma il cane sul lettino, di tutt’altro parere, cominciò a dimenarsi, abbaiando concitato come replica al tono agitato del suo tutore.

 

Shh… Su, dolcezza, calmati… Shh… È tutto ok…” Fu la persuasiva rassicurazione del veterinario, accompagnata con tocchi gentili e confortanti. “Il tuo padrone è solo un asino…”

 

“Ehi! Io non sono il suo padrone!” replicò suddetto asino, d’istinto, mettendolo in chiaro come prima cosa. “E non mi offendere, idiota!” calcò poi, incrociando le braccia. “E fare le moine a quel botolo non servirà a niente! Dio-solo-sa quanto ci ho provato finora! Si calmerà quando vorrà! Non funzionano né le buone né le cattive maniere e-” Arthur si zittì, di colpo, osservando esterrefatto l’uomo di fronte a lui chinarsi sul cane, per sussurrargli qualcosa nelle orecchie pelose, venendo ricompensato da un’annusata sulla manica del camice e da una generosa leccata.

 

Qualche istante dopo, la bestiola era zitta e seduta composta, completamente a suo agio.

 

Co-come ci sei riuscito?!” sbottò allora il giovane Pendragon, stupefatto. “No, aspetta, non dirmelo. Sei una specie di Patch Adams?” lo accusò quasi.

 

“Semmai, dovresti citare il dottor Dolittle,” lo contraddisse il medico, sorridendo a tuttotondo. “Comunque, no. Niente abracadabra!” dichiarò, alzando le mani a mezz’aria per sfarfallare le dita. “La mia magia si chiama ‘feromoni’”.

 

Arthur sgranò gli occhi: “Vuoi dire che puzzi da cane?!

 

Merlin si morse il labbro inferiore per non ridere e così innescare un’altra serie di colorite proteste o imprecazioni.

“No, altrimenti stamattina avrei puzzato anche da gatto, da criceto, da pappagallo, da drago barbuto e-

 

“Che diamine è un drago barbuto?!” sbottò l’altro, sconcertato.

 

“È un rettile sauro che-”

 

“Che schifo!” tagliò corto Arthur, interrompendolo ancora una volta.

 

“Dipende dai gusti…” tentò il medico, conciliante. “Ad ogni modo, io non puzzo”, precisò, per amor proprio. “E i feromoni, per chiudere la questione, generano appagamento e calmano l’animale”.

 

“Quindi… prima non gli stavi davvero parlando! Facevi finta!” gli appuntò l’altro, con soddisfazione.

 

“No, in realtà abbiamo anche parlato…”

 

“Beata ignoranza. Preferisco non sapere cosa vi siete detti…” Arthur impostò un tono di arrogante superiorità.

 

“Il tuo padrone è proprio un asino, eh?” bofonchiò Merlin, per ripicca, rivolto al cane con un atteggiamento di cameratismo, ricevendo in cambio un allegro scodinzolio.

 

“Cosa?!” saltò su il giovane Pendragon, nuovamente.

 

Il veterinario finse l’espressione più innocente del suo repertorio.
“Prego?”

 

“Ti ho sentito, sai?”

 

“Io e questa dolcezza stavamo chiacchierando e non è educato ascoltare le conversazioni altrui!” lo rimproverò, con finto sussiego. “E non avevi forse detto che preferivi crogiolarti nella beata ignoranza?”

 

“Non plagiare il mio cane!”

 

Ma hai appena detto che non è tuo!”

 

“Non lo è, ma…” Arthur arrossì di botto, infastidito dall’inconfutabilità dell’appunto.

 

“D’accordo, d’accordo…” cedette l’altro, magnanimo. “Se non altro, adesso sei meno preoccupato! Ma la visita vera sta per iniziare e, se rimanere ti crea problemi, puoi aspettare fuori, con Freya. Ti chiamo quando avrò finito…”

 

Arthur spalancò un’espressione sorpresa.

Quindi quell’idiota si era accorto… del suo disagio? E aveva tirato su tutta quella baracca assurda solo per distrarlo?

Deglutendo, fu seriamente tentato di accettare l’offerta. In fondo, non c’era niente di umiliante nel farlo. Ma il pensiero di restarsene fuori, in compagnia con la frigida, lo fece desistere di colpo.

 

“No, resto”, si risolvette, ricevendo in cambio un sorriso incoraggiante.

 

“Bene, allora… accomodati lì sulla sedia…” lo indirizzò il veterinario, accendendo un faretto posto sopra al lettino, accingendosi a compiere un’ispezione sul pelo.

 

“Ha una sbucciatura sulla zampa”, Arthur si sentì in dovere di avvisarlo.

 

“Me ne sono accorto, sì”.

 

“Ho cercato di pulirla, ma… beh, non sapevo di preciso cosa fare”.

 

“Hai agito bene, guarirà in fretta”, lo rassicurò Merlin, senza interrompere il suo esame.

 

Arthur rilasciò comunque un sospiro per la sua coscienza alleviata.

Poi arrischiò una sbirciatina, giusto in tempo per vedere che il veterinario stava provando alla bestiola la temperatura per via rettale.

 

Facendo una faccia disgustata, allontanò gli occhi da quello spettacolo sgradevole e, deciso più che mai a non ripetere l’esperienza, si ostinò a fissare ovunque, tranne che sul lettino medico, per tutto il resto della visita.

 

 

***

 

 

Si era convinto che avrebbe consumato il pavimento (e la soletta della sua costosa scarpa italiana) a furia di tamburellare con la punta per ingannare l’attesa. Aveva catalogato ogni cosa nella stanza – che fosse lecitamente lontana dal campo visivo incriminato – e coraggiosamente non voltò mai l’occhio, neppure quando sentì il pulcioso guaire un paio di volte. Fu tentato, sì. Ma resistette.

 

La liberazione avvenne all’improvviso, quando il dottor Emrys esordì con un: “Ecco!, abbiamo quasi finito!” che lo fece saltare in piedi, per raggiungerlo.

 

“È sano?” si ritrovò a chiedere, stranamente esitante.

 

“Come un pesce!” fu la risposta felice, che gli tolse dieci chili dallo stomaco. Arthur si ritrovò, contro ogni logica, a sorridere con altrettanto entusiasmo.

 

“Oh, bene! Perché questo bastard- dino” si corresse alla fine, per non sembrare uno zoticone, “mi ha-

 

Tutt’al più, si dice ‘meticcio’”, lo corresse il veterinario, interrompendolo, con un’occhiataccia di biasimo. “È un termine più gentile; e comunque questo non è un incrocio, è un esemplare Bichon di razza purissima”.

 

“No, no!” rise Arthur, incurante del rimprovero. È proprio un bastardo! Sapessi che notte mi ha fatto passare quel figlio di una cagna!” e lo additò, come per calcare sulla faccenda.

 

Nah!” Merlin scosse il capo, scettico. “Non ci credo!” lo contestò, e accarezzò il pelo della bestiola, tessendone le lodi. “Questa signorina è un vero bijou!

 

A quelle parole, il suo cliente spalancò la bocca, quasi comicamente.

 

Ma è… è una femmina?

“Beh, sì. Non te n’eri accorto?” gli domandò, forse un po’ stupidamente.

 

“In realtà… non avevo controllato”, ammise Pendragon, con riluttanza. “Ho dato per scontato che fosse un maschio e ho pensato che i testicoli non gli fossero ancora scesi perché era troppo piccolo!” si difese, a mo’ di scusa.

 

Il veterinario si era morso le labbra, cercando di restare serio.

“Sì, ma questa non è sicuramente un pene”, gli appuntò, sollevando il cane a mezz’aria. “I testicoli non gli scenderanno neppure tra cent’anni… perché è una signorina

 

“D’accordo. D’accordo”, Arthur, incredibilmente, ebbe la decenza di riconoscere la propria gaffe. “L’importante è che sia tutto a posto… Cosa hai capito dalla visita?”

 

Merlin si prese il tempo di osservare la bestia. “Come ti ho già spiegato, non è più un cucciolo. Ma dalla dentatura posso desumere che sia ancora molto giovane, avrà all’incirca un anno. La masticazione è perfetta, il peso regolare, è stata alimentata in modo sano e bilanciato, la pelliccia è curata a regola d’arte. Potrei scommettere che fa una toeletta completa in un centro estetico ogni settimana, e guarda come sono limate le unghiette” prese una zampina, accennando ad Arthur di controllare. “Un tocco da professionisti”.

 

“Una principessina, insomma. E perché mai Blair Waldorf è finita a casa mia?

 

Il dottor Emrys sollevò un sopracciglio, ironico, allargando impotente le braccia.

“Questo non sta a me dirlo!”

 

“Ma non ha un chip… o uno di quei tatuaggi per il riconoscimento?” ritentò Arthur, speranzoso, ma venne presto deluso.

 

“Purtroppo no”, ammise il medico, controvoglia. “Ho ritrovato i segni delle vaccinazioni; tuttavia… niente identificazione”.

 

Ma non è obbligatorio per legge?”

 

“Dovrebbe”, confermò il veterinario.

 

“E non ha neppure una fottuta targhetta! Un collare! Niente!

 

“A volte, i padroni non li mettono, per non rovinare il pelo attorno al collo: potrebbe essere un cane da competizione”.

 

“Per cosa? Per ilsalto in braccio’?” ironizzò Arthur, spazientito.

 

“Per i concorsi di bellezza...” corresse Merlin, solo per completezza.

 

Ma l’altro sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, con frustrazione.

“Un cane così non te lo dimentichi per strada!”

 

“Effettivamente…”

 

“E nessuno nel mio quartiere ha visto niente! Cosa dovrei fare, adesso, secondo te?!”

 

“Vuoi il mio consiglio?”

 

Arthur lo guardò come se fosse scemo.

“È esattamente quello che ho appena fatto, sì”.

 

“Dunque… Quantomeno, se fossi in te, lo terrei fino a lunedì. Magari, nel frattempo, uscirà qualche avviso di smarrimento, e tenterei di chiedere nuovamente nella zona dove l’hai trovata…”

 

“È il cortile di casa mia!”

 

“Beh, prova nei dintorni!” rifece. “Prepara un manifesto con la sua foto, un recapito e distribuiscilo. Forse qualcuno ti darà risposta o potrà aiutarti… Una buona ricompensa funziona come incentivo, in questi casi, ma stai attento a chi risponderà… Qualcuno potrebbe approfittarsene. È un magnifico cane, dopotutto”.

 

“Uhm… d’accordo”, concesse, infine. “E… e se nessuno lo reclamasse?”

 

“La domanda giusta è: se fosse impossibile reperire il suo padrone, cosa farai?” puntò il veterinario. “Hai intenzione di tenerla?”

 

Tenerla, io?! Oh, non scherzare!” si schermì Pendragon, sollevando le palme delle mani. “Non è nemmeno una possibilità!”

 

“Perché?”

 

“Perché francamente non so neppure da dove incominciare per occuparmene! Non ho mai avuto animali e non sono la persona più indicata per lei!

 

Ma se questo cane ha scelto te, un motivo ci sarà”, disse fatalista.

 

“Sì,” concordò Arthur. “È perché ha un senso di sopravvivenza molto basso”, ironizzò con una smorfia. Ma il veterinario sorrise, mostrando una chiostra di denti perfetti e bianchissimi, e Arthur si ritrovò ad arrossire, come non succedeva da… da secoli.

 

“Secondo me, stai solo sottovalutando il tuo potenziale…” lo lusingò Merlin, ammiccando. “Magari, quando ha cercato rifugio alla tua porta… aspettava proprio te”.

 

“Allora ha sbagliato indirizzo!” lo freddò, dopo un attimo di distrazione.

 

“E se qualcuno te l’avesse affidato di proposito?”

 

“Ma mi hai visto?!

 

“Sei arrogante, bello e ricco sfondato? Sì, difficile non notarlo…”

 

Arthur sentì le guance andare a fuoco e si schiarì la gola, giusto per sicurezza.

Mh… no, intendevo dire… che sono completamente impedito con gli animali… penso che si veda lontano un miglio! Non ho mai posseduto un cane o un gatto, né un criceto oppure un pesce rosso, giusto per chiarire. E non credo che le zanzare contino come esemplare domestico, giusto?

 

“Magari lei è il tuo regalo di Natale in anticipo!

 

“Sinceramente, la considero più come unDolcetto o scherzetto?’ per Halloween di cattivo gusto…”

 

“Dovresti dare più credito al suo istinto animale”, ripeté il dottor Emrys, stavolta facendosi serio, puntando lo sguardo sulla bestia che giocava tranquillamente. “La mia esperienza mi dice che, se lei ti ha scelto, c’è un perché…

 

Il giovane Pendragon parve riflettere su quest’affermazione così sofista, ma poi prevalse il suo spirito pratico. Quello che – nella vita privata e negli affari – lo aveva abituato a stringere in mano le redini di tutte le possibili varianti, anche le più improbabili, per avere sempre tutto sotto controllo.

 

Dunque… Poniamo per un istante l’assurda ipotesi in cui io sia propenso ad accollarmi questa rogna… cosa dovrei aspettarmi, esattamente?”

 

“Lei è un Bichon Frisé, che è un cane di razza proveniente dalla Francia e-

 

Quindi è francese!” lo interruppe Arthur, sconcertato. “Gesù, dovrò rimpinzarla di paté de foie gras e brioches?”

 

Merlin rise, sbuffando dal naso.

“Dio, no! Parleremo in un secondo momento della sua dieta, ok?

 

“D’accordo…” convenne Pendragon, riluttante.

 

Quindi l’altro riprese da dove era stato fermato: “È un cane da compagnia, ama i bambini, ed ha un carattere gioioso e affettuoso. Socializza velocemente e non abbaia troppo”.

 

Arthur sollevò un sopracciglio per tacita protesta.

 

“Un po’ sì, non puoi pretendere un cane perfetto!” lo difese Merlin.

 

“Continua… anche se sembri un’enciclopedia…

 

Il dottor Emrys fece finta di non capire, perciò riprese: “Non è un cane da guardia, ma è scaltro e può percepire eventuali pericoli e avvisarti.

Tendenzialmente è un po’ testardo, ma si adatta ai vari ambienti. Può vivere perfettamente in un appartamento, anche se ama stare all’aria aperta.

Gli piace fare un po’ la primadonna – forse litigherete un po’, per questo”, ironizzò il veterinario, dopo aver preso le misure caratteriali del tipo davanti a lui. “Ma è intelligentissimo e furbo, è un cane da compagnia perfetto e amorevole. Senza contare che, cosa da non trascurare, è sempre docile ai comandi…

 

Ma se non mi ascolta per niente!” sfogò allora Arthur, alzando la voce. “Se dico:seduto!’ oppure ‘zitto!’ non mi dà retta!”

 

“Credo che non vi siate capiti”, disse il veterinario, con faccia seria.

 

“Certo! Parliamo due lingue diverse!” controbatté Pendragon, prendendolo per i fondelli. Ma il suo interlocutore indirizzò l’attenzione verso la bestiola e pronunciò un paio di parole secche, dall’accento duro, che Arthur non riconobbe, e subito il cane abbandonò il gioco e si mise sull’attenti.

Dopo un secondo comando, la bestia si risdraiò a terra, con docilità.

 

“Visto?” chiese Merlin, retorico.

 

Arthur spalancò la bocca, come se fosse davanti ad un miracolo in diretta.

M-ma come…?”

 

“È stata perfettamente addestrata”, gli spiegò il veterinario. “Ma parla solo tedesco…”

 

“Oh, fantastico! Siamo in patria inglese e ho una sottospecie di barboncino francese che parla tedesco!” ironizzò. “Dio salvi la Regina!”

 

“Come te la cavi col popolo dei würstel?”

 

“Per tua informazione,” premise lui, piccato. “Parlo correttamente francese, giapponese, spagnolo e ovviamente inglese. Ah!, e un po’ del dialetto cantonese di Hong Kong”.

 

“E il tedesco no?”

 

Arthur fece una smorfia: “Non c’è mercato, per la mia azienda, in quelle zone. Non siamo interessati”.

 

“Posso comunque darti un biglietto con i comandi già scritti nella loro pronuncia; ti assicuro che non è difficile impararli: con meno di venti parole, andrete d’amore e d’accordo!”

 

“Ti ricordo che non ho ancora deciso se tenerla o no…

 

Merlin si strinse nelle spalle. “Beh, è già qualcosa! Osserva questo:Hier!’ vuol dire Vieni”.

 

Un momento dopo, infatti, il cane trotterellò accanto a loro.

 

Sitz!” ordinò il veterinario, e subito la bestiola lo accontentò, accomodandosi sul talloni. “Significa Seduto”, spiegò, a beneficio di Arthur, che lo osservava interessato. “Platz!” comandò poi Merlin, facendo stendere a terra l’animale. “Vuoi provare tu?” E prima di aspettare una vera e propria risposta, scarabocchiò su un foglietto un elenco di parole e glielo porse.

 

“Tenta con questo…” gli suggerì il dottor Emrys, invadendo il suo spazio personale e accostandosi a lui in modo fin troppo familiare, tanto che Arthur poteva sentire il profumo del suo dopobarba, mentre l’uomo indicava un punto preciso tra le prime righe dell’elenco.

 

Arthur lo valutò, stranito, come se fosse stato l’incomprensibile formula di un incantesimo arcaico, poi cercò di ricomporsi. Ma il foglio restava comunque illeggibile.


Sitz = Seduto > pronuncia > SIZ

“Hai una grafia allucinante!”

 

“Come tutti i medici! Non lo sapevi?” lo punzecchiò il veterinario, dopo una breve risatina. “D’accordo, poi te lo riscrivo a computer…

 

“Direi che è meglio!” bofonchiò l’altro, adocchiando ora il foglio ora il cane, titubando.

 

Dai, prova!”

 

S-ssiz…” farfugliò, sbracciandosi con la mano dall’alto in basso.

 

Ma l’esperimento risultò un fiasco.

 

“Non agitarti e non gesticolare. Basta la voce a comandare”, lo corresse il dottor Emrys. “Ritenta”.

 

E quando Arthur riprovò, con successo, un enorme sorriso gli fiorì sulle labbra, mentre Merlin gli offriva un’incoraggiante pacca sulla spalla. “Visto?” domandò retorico, mentre il giovane Pendragon prendeva gusto nel dirigere i movimenti del cane, che lo ascoltava obbediente.

 

“A saperlo prima!…” si lasciò sfuggire, rispondendo all’entusiasmo del medico. “Almeno adesso sopravvivrò fino a lunedì!”

 

“È pur sempre un buon inizio!”

 

“A proposito di inizio…” rifece Arthur, pensieroso. “Di solito… cosa si dovrebbe fare in questi casi? Devi rivaccinarla per precauzione? Oppure… è già stata sterilizzata?”

 

“Beh… Per quello, temo che sia già troppo tardi…” temporeggiò Merlin, chinandosi per prendere in braccio la bestiola. “Eh, principessa?” domandò poi, retorico, venendo ricompensato da una festosa leccata sulla guancia.

 

“È… è incinta?!” La voce di Arthur uscì sottile come un sussurro, ma il suo corpo vibrò, per il contraccolpo, come se avesse preso un pugno vero nello stomaco.

 

“Sì, ho il forte sospetto che sia…”

 

 Una troia. Come Vivian.

 

“…gravida. Direi che è quasi una certezza, dai sintomi. Dovrei farle un’ecografia per esserne certo, stavo giusto per accennartene e-” il veterinario s’interruppe, osservando l’uomo davanti a lui sbiancare. “Arthur? Ti senti bene?”

 

“No, no, no”, farfugliò Pendragon, con ansia, asciugandosi il sudore freddo dalla fronte con una mano che tremava leggermente, scattando in piedi con l’intento di raggiungere l’uscita – una via di fuga.

 

Se l’era spassata con qualcuno e sperava di affibbiare a lui il pacchetto regalo.

Quella zoccola! Come Vivian!

 

Ma lui non voleva avere niente a che fare con nascite indesiderate e cuccioli e…

Madri.

 

M-mi dispiace. Devo andare”, tartagliò, incoerente, respirando affannato. “O-occupatene tu fino a lunedì. Fai quel che devi. Non mi importa il prezzo, ma lasciami in pace!” urlò, sentendo la nausea strisciare fino in gola e la vista annebbiarsi, mentre il battito cardiaco gli martellava le orecchie.

 

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

Perché la storia si stava ripetendo?

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Nella storia c’è un riferimento all’omonimo filmPatch Adams’ e ‘Dr. Dolittle’ e al telefilm ‘Gossip Girl’, col personaggio di Blair Waldorf, ricca, viziata, egocentrica, subdola e orgogliosa snob dell’alta società di Manhattan.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: I sintomi descritti nel finale sono la spia di un attacco di panico. Ce ne sono altri, ma non sempre sono tutti presenti contemporaneamente.

 

Ovviamente ci voleva un po’ di dramma, a complicarci la vita, altrimenti questa fic sarebbe stata di una noia mortale! XD

 

Le descrizioni del Bichon Frisé sono prese dal web. Per questa fic, ho volutamente cercato un cane che avesse il pelo simile alla pecora, con il mantello arricciato ‘a cavatappi’.

 

Le parole usate come comandi sono quelle comuni per l’addestramento in tedesco. Per comodità, qui e in futuro, ho preferito riportarle come si scrivono e non come si pronunciano, tranne l’esempio che fa Merlin.

 

Vi consiglio di tenere a mente, per i tempi futuri, la riflessione di Arthur sulla misurazione rettale della febbre. XD

 

Ed ecco alcune foto (che non mi appartengono) di un Bichon Frisé adulto e cucciolo:

 

 

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Due anticipazioni del prossimo capitolo:

 

“Hai spesso di queste crisi?” s’interessò Merlin, inaspettatamente.

 

Arthur scosse il capo, a disagio. “Questa è… la terza volta”.

 

E con la mente rivisse il primo esordio.

La paura annichilente nel perdere il controllo del proprio corpo.

Il terrore che lo sopraffaceva, la certezza di essere sul punto di morire mentre il cuore gli esplodeva nel petto e l’aria – dannazione – l’aria non arrivava nei polmoni. Non abbastanza per respirare. Non per sopravvivere.

E tutto questo si fondeva con l’umiliazione.

L’umiliazione, sì. Le urla di suo padre. Vivian. Le sue lacrime false.

 

(...)

 

“Devi trovarle un nome. Anche se non è tua. Anche se lunedì, o forse prima, potresti doverle dire addio. Devo preparare il suo fascicolo e mi serve un modo per chiamarla. I nomi in rosa sono per le femmine”, gli spiegò in aggiunta, malgrado fosse un’ovvietà. Poi si accinse a predisporre l’occorrente per l’ecografia.

 

Arthur azzardò un’occhiata alla cagnetta, nuovamente stesa sopra al tavolo medico. Quel topo-cane-pecora gli stava decisamente complicando la vita. E lui non aveva mai scelto un nome prima d’ora. Perché cominciare oggi, se tanto avrebbe dovuto dirle addio? Tzé, stupida pecora pelosa!

 

Per un lungo, infinito istante, il nome si formò nella sua mente, nitido e raccapricciante: Pecorella Pendragon.

No, cazzo. Non sia mai.

 

 

 

Mi ha piacevolmente stupita la risposta all’inizio di questa fic. Ringrazio i 13 utenti che l’hanno messa fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e i 63 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

  • Linette 80 arriverà fra pochi giorni, compatibilmente con i miei impegni di lavoro.
  • Ho aggiornato la raccolta comica post!5x13: The Once and Future… Prat. col cap. 8.

 

 


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Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Waiting for you

Eccoci giunti a scoprire un po’ meglio il perché dell’idiozia di Arthur.

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A FlameOfLife, elisabethy92, chibimayu, Rosso_Pendragon, misfatto, Burupya, katia emrys, DevinCarnes, Orchidea Rosa, crazyclever_aveatquevale, Eresseie93, Raven Cullen, mindyxx, Barby_Ettelenie_91, Yuki Eiri Sensei e aria.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo IV      

 

 

Arthur mancò la maniglia della porta di una buona spanna e, se non fosse stato per i riflessi pronti di Merlin – che aveva riposto in fretta il cane nello scatolone, prima di correre a sorreggerlo –, sarebbe finito a terra, quando le vertigini lo fecero barcollare a tal punto da rischiare di cadere.

 

Si lasciò quindi trascinare, impotente, verso la poltrona del medico, al di là della scrivania, dove si accasciò, tremando, stringendo le palpebre per fermare il mondo che ruotava davanti a lui e cercando di dominare il senso di svenimento, anche se si sentiva soffocare. Ad ogni respiro, gli mancava l’aria sempre più.

 

“Arthur? Arthur… guardami…”

Dopo essere rimasto francamente stupito per quella reazione eccessiva, il dottor Emrys riconobbe i classici sintomi di un attacco di panico, e tentò di calmarlo e di renderlo ragionevole, anche se l’altro continuava a iperventilare, e non sembrava collaborare, e lui non poteva sapere quanto grave fosse il suo disturbo.

 

Probabilmente era stato il cane – no, la notizia della gravidanza, si corresse – ad innescare il crollo, ma ora doveva provare a distrarlo con altro, prima che collassasse.

 

D’istinto, il veterinario cercò un contatto fra loro, anche se sapeva che non era sempre una buona idea toccare una persona in piena crisi.

“Arthur… sono qui, ok? Cerca di focalizzarti su qualcosa di piacevole… combatterà l’ansia”, gli suggerì, con voce calma, ma ferma, per non agitarlo ulteriormente, intanto che con le dita gli accarezzava il braccio, in un gesto di rassicurazione. Un istante dopo, la sua mano venne catturata e stretta dall’uomo in una morsa disperata.

“Sono qui… non me ne vado…” ripeté, usando l’altro braccio per lambire le spalle tese. “Va bene… respira… più piano, respira… pensa a qualcosa che ti piace…

 

Arthur parve migliorare per un momento, ma l’attimo successivo ansimava nuovamente, stremato e ancora sconvolto.

 

“Stai reagendo così a causa di ciò che è appena successo o che è successo in passato?” gli chiese allora, perché aveva imparato che porre domande e verbalizzare le cose poteva aiutare a farlo reagire a ciò che stava provando.

 

Purtroppo per lui, ne uscì solo un rantolare farfugliato, da cui il veterinario comprese solamente due nomi: “Mio padre” e “Vivian”.

 

Per farlo tornare padrone di sé, Merlin avrebbe dovuto convincerlo a riportare il respiro alla normalità, ma era consapevole che, combattere il senso di soffocamento, era tutt’altro che semplice, soprattutto quando si era in preda al terrore e con il cervello scollegato. Ogni istante sembrava un’eternità.

 

“Respira con me, Arthur… respira col mio ritmo…” tentò, eseguendo per primo come esempio, ma l’uomo accanto a lui, completamente inerme, pareva non voler collaborare e, aggrappato a lui com’era, non gli offriva molte possibilità.

 

D’improvviso, però, la mano del giovane Pendragon si staccò da lui, per andare a stringersi sul proprio petto, come se Arthur fosse stato vittima di un forte dolore toracico.

 

Cogliendo l’occasione – benché sapesse che non avrebbe dovuto allontanarsi, per non aggravare la situazione d’ansia – Merlin afferrò il sacchetto di carta del suo pranzo da asporto e rovesciò di malagrazia il sandwich sul ripiano, poi corse a bagnare un fazzoletto nel lavabo dello studio, e lo pose sulla fronte reclinata di Arthur – ancora inerme – e poi sulla nuca madida di sudore, mentre con l’altra mano gli slacciava il colletto della camicia.

 

“Respira qui dentro!” gli ingiunse poi, posizionandogli il sacchetto sopra la bocca e il naso.

 

 

***

 

 

Freya? Per cortesia, potresti portarmi una tazza di tè?” chiese Merlin, comunicando con la sua assistente tramite l’interfono. “Sì, con la solita infusione, grazie”, precisò poi, chiudendo la comunicazione, rivolgendo lo sguardo ad Arthur, ancora stravaccato sulla poltrona ad occhi chiusi, ma decisamente in uno stato migliore rispetto a pochi minuti prima.

 

Il veterinario lasciò che si riprendesse, andando a consegnare qualche crocchetta e un giochino alla cagnolina che se n’era rimasta in attesa nel suo box di cartone.

 

Quando la sua segretaria bussò, fu lesto a dirigersi alla porta, ma non abbastanza da impedirle una sbirciata dentro.

“Ecco. Cinque minuti come sem- Ma sta male?domandò la ragazza, annuendo alla volta del loro ospite.

 

“Solo un calo di zuccheri”, mentì il medico, con un sorriso rassicurante. “È tutto ok, grazie”, le disse, congedandola tacitamente.

 

“Va bene, Doc! Se serve altro, fai un fischio…” rispose lei, lasciandoli nuovamente soli.

 

“Come va la testa?”

 

“Sta per scoppiare…” mugolò Arthur, con una smorfia dolente, senza sollevare le palpebre.

 

Merlin trafficò nel cassetto della sua scrivania, sfilando un blister di antidolorifici.

 

“Latte o limone?” domandò poi, costringendo Arthur a prestargli attenzione.

 

Con uno sforzo immane, l’uomo diresse lo sguardo sul vassoio davanti a sé. “Latte”.

 

“Strano! Acido come sei, avrei scommesso che sguazzavi nel limone…” lo prese in giro, per dare una parvenza di normalità e testare le altrui reazioni.

 

Quando l’altro ignorò la provocazione, il veterinario chiese: “Quanto zucchero? E da quant’è che non mangi?”

 

Fu a quel punto che Pendragon si risollevò dalla sedia, cercando di raddrizzarsi.

“Non lo so. Credo… ieri sera”, ammise, riluttante. “Stamattina ho fatto colazione con un paio di aspirine”.

 

Merlin versò un goccio di latte e un cucchiaino colmo di dolcificante, lo mescolò metodicamente e poi gli porse la tazza, con una compressa nel palmo dell’altra mano.

“Con cinque minuti di infusione, si ottiene un effetto calmante”, motivò di fronte al suo scetticismo, incitandolo a servirsene. “Bevi, e poi mangia questo, ti calmerà la nausea”, offrì, quindi, afferrando il suo panino. “Ho il sospetto che tu abbia davvero una crisi ipoglicemica o ci manca poco…

 

Incredibilmente, Arthur fece esattamente quanto suggerito, in religioso – imbarazzato – silenzio.

 

 

***

 

 

“Come ti senti?”

 

Arthur fece una smorfia in risposta. Voleva solo pace e quiete. E possibilmente scomparire nel nulla.

“Fare il veterinario non rende abbastanza e offri sedute psicologiche per arrotondare?” sbottò, caustico.

 

Merlin sorrise dolcemente.

“Sei uno strano animale, sai, Arthur Pendragon?”

 

“Hai usato feromoni anche su di me?”

 

Il dottor Emrys si lasciò sfuggire una breve, divertita risata.

“Avrei dovuto?”

 

“Non credo sarebbero bastati…” ammise, sentendosi meglio, ora che l’emicrania e le palpitazioni gli davano tregua.

 

“Hai spesso di queste crisi?” s’interessò Merlin, inaspettatamente.

 

Arthur scosse il capo, a disagio. “Questa è… la terza volta”.

 

E con la mente rivisse il primo esordio.

La paura annichilente nel perdere il controllo del proprio corpo.

Il terrore che lo sopraffaceva, la certezza di essere sul punto di morire mentre il cuore gli esplodeva nel petto e l’aria – dannazione – l’aria non arrivava nei polmoni. Non abbastanza per respirare. Non per sopravvivere.

E tutto questo si fondeva con l’umiliazione.

L’umiliazione, sì. Le urla di suo padre. Vivian. Le sue lacrime false.

 

Lei, Vivian Olaf. La figlia di uno degli investitori, amico di Uther.

Si vedevano da qualche settimana, niente di serio. Era la prima cosa che lui diceva sempre alle sue partner, lo metteva bene in chiaro. Il sesso era divertente, ma niente legami. E tantomeno figli.

E poi lei se n’era uscita con questa bomba dell’‘incidente di percorso’ e una serie di pretese.

 

Suo padre aveva fatto tremare i vetri di Pendragon Hall con la sua ira, lo aveva svergognato con le peggiori offese, chiedendogli – con quell’espressione così delusa... Delusa, dannazione, delusa – se non avesse mai imparato niente di buono da tutto quello che gli aveva insegnato.

E rimproverandolo dicendogli che, se non aveva capito la lezione, avrebbe dovuto tenere i pantaloni chiusi.

E lo aveva mortificato, ancora e ancora… perché, se non sapeva gestire la sua vita privata, come avrebbe mai potuto, lui, ereditare e dirigere l’azienda di famiglia? Avrebbe mandato a puttane anche la Pendragon Company?

 

Boccheggiando come un pesce asfittico, Arthur aveva davvero pregato di morire lì, e risparmiarsi tutto il resto. 

E invece era sopravvissuto, aveva subìto l’ingerenza di suo padre – che gli aveva dato dell’incapace, ma che aveva anche risolto la questione, pretendendo da Vivian un test di paternità (a cui, francamente, Arthur non aveva ancora pensato, perché era troppo sconvolto).

Così la verità era uscita a galla ed era spuntato un amante squattrinato. Forse il grande amore di Viv, ma che suo padre non avrebbe mai accettato.

 

Il vecchio Olaf e Uther si erano chiariti fra loro, in qualche modo – perché gli affari erano affari, e che Vivian fosse una troia manipolatrice e Arthur uno che dava di matto alle notizie, si poteva anche dimenticare – e i loro sodalizi economici sarebbero continuati.

 

Ad ogni buon conto, suo padre l’aveva caricato sul primo volo per l’America la mattina dopo (in economy class, per punizione), spedendolo ufficialmente a monitorare l’andamento delle filiali oltreoceano… e ufficiosamente per lasciare tempo al tempo di calmare le acque e soffocare eventuali pettegolezzi, che l’una e l’altra famiglia si erano ben guardati dal divulgare, per reciproco interesse.

  

La seconda crisi era avvenuta sei mesi dopo.

Con una chiamata in conferenza intercontinentale alle tre del mattino tra Londra, Boston e Hong Kong, Morgana aveva detto loro che era rimasta incinta.

Lei e Leon ne erano felici, ma – ancora una volta – Arthur aveva sentito la scenata di suo padre, tuttora così viva e sanguinante, nei suoi ricordi, e le infinite preoccupazioni del loro genitore, e tutta un’escalation di cose che aveva portato Uther Pendragon ad avere un collasso in diretta, e ad Arthur una crisi di panico coi controcazzi, subito dopo.

 

Morgana aveva inviato i soccorsi e Gaius, il medico di famiglia, si era preso cura del Vecchio Dragone (come lo chiamava lui), fino al loro ritorno.

 

Due giorni dopo, Arthur (imbottito di ansiolitici) rimetteva piede sul suolo natio, e – volente o nolente – prendeva in mano le redini di tutta la baracca, perché quel collasso si era rivelato in realtà un infarto in piena regola e Gaius era stato perentorio al riguardo: Uther aveva un cuore malandato (da lungo tempo, ma l’aveva sempre tenuto nascosto), e non avrebbe retto ad ulteriori, forti solleciti.

 

Segregato in una specie di prepensionamento obbligatorio, egli aveva dettato nuovamente le regole del suo gioco.

Per compiacerlo, Morgana si era rassegnata a trasferirsi con lui nella casa di campagna, e ad Avalon House avrebbero proseguito insieme rispettivamente la convalescenza e la gravidanza, dove lui poteva tenerla sott’occhio ogni dì.

 

Arthur, che si era convinto di dover rimanere negli States vita natural durante per punizione, aveva già venduto il proprio appartamento e aveva quindi accettato di vivere nella casa che era stata di sua sorella e che lei gli aveva offerto.

 

Anche se da un lato compativa Morgana – a cui era toccato il male peggiore –, d’altra parte poteva anche capire il vecchio padre.

Benché entrambi sapessero che un nipote sarebbe arrivato inevitabilmente, prima o poi, la loro speranza era decisamente propensa per il ‘dopo’, per il ‘più tardi possibile’.

 

Arthur e Morgana non avevano mai avuto un rapporto semplice, come buoni fratelli. Ma si volevano bene nel profondo e lui – quanto Uther – non era pronto alla possibilità di perderla, come era successo con la loro madre, morta dandolo alla luce, quantunque fosse stata una donna sana e forte.

La morte di Ygraine era stata una tragedia inspiegabile, che aveva lasciato nei Pendragon una ferita che non si era mai chiusa.

 

Arthur si fece sfuggire un ansito, al ricordo. Altra umiliazione. Altra vergogna. Altro spavento.

La faccia di suo padre distorta nel portatile e la telefonata in ospedale.

Si sentiva persino in colpa per aver terrorizzato Morgana. Di nuovo.

Poi il medico di Boston lo aveva rimpinzato di Xanax, e lo aveva dimesso.

 

E ora quest’altra ricaduta… del tutto inattesa.

Un nuovo ansito, un rantolo, mentre sentiva il calore diffondersi sul viso.

 

“Vuoi un calmante?” Merlin ruppe quel circolo vizioso, intromettendosi fra i suoi pensieri. Bastò questo a rendere Arthur nuovamente padrone di sé. Per snebbiarsi la mente, egli scosse il capo.

 

“Se senti che la crisi sta per tornare… posso farti un’iniezione”, gli offrì.

 

“Hai dosi da elefanti?” domandò, con macabra ironia.

 

“No, ma dicono che le botte in testa funzionino!” scherzò il medico, per sdrammatizzare.

 

Arthur, suo malgrado, gli fece un sorriso tremulo.

“No, è passata”, confermò, muovendo stancamente una mano tra i capelli. “Io penso di doverti delle…”

 

“Non sei obbligato a parlarne, se non ti va”, premise il dottor Emrys, con delicatezza.

 

“Credo tu abbia visto il peggio di me”, ammise Arthur, indifeso, distogliendo lo sguardo.

Poteva anche essere sincero, sapendo che non sarebbe mai più tornato qui. Il ricordo di questo primo incontro sarebbe stato sempre un fantasma presente a celebrare il suo orgoglio in frantumi, le sue debolezze. No, grazie.

 

“Il peggio di te l’ho visto quando sei entrato: tutto arrogante, pronto a giudicarmi, come se possedessi la Verità Assoluta in tasca; non adesso. Capita a tutti di stare male e di essere vulnerabili”, lo consolò.

 

Il giovane Pendragon si strofinò la fronte, non del tutto persuaso. Come un animale ferito, riluttante a fidarsi.

 

“Anche mia madre soffriva di attacchi di panico, dopo la morte di mio padre”, gli confidò Merlin, per metterlo a suo agio e fargli capire che aveva la giusta considerazione della cosa.

 

Arthur non conosceva nessuno col suo stesso problema.

“E…?” si ritrovò a chiedere. Per curiosità. Per necessità.

 

“È guarita. Con la giusta terapia. Superando le sue paure”, gli spiegò. “Le ho regalato un cane. Ha fatto miracoli contro la sua ansia…”

 

“Mi stai forse suggerendo che la chiave della mia salute sta in quello scatolone?” chiese, indicando vagamente oltre la scrivania, dove si presumeva stesse il cane.

 

Se non è lei la fonte del tuo problema, direi che sì… Sì, potrebbe aiutarti moltissimo. Potresti persino smetterla con gli ansiolitici…

 

Arthur sgranò gli occhi, stupito che l’altro avesse capito troppe cose su di lui.

“Dov’eravamo rimasti con questo dannato controllo?” domandò, per cambiare argomento.

 

Il veterinario gli venne incontro, intuendo il suo disagio.

“Se sei d’accordo, vorrei farle un’ecografia. Ci dirà se è incinta, oppure no. In alternativa, si potrebbe fare una radiografia, ma non amo sottoporre gli animali a radiazioni inutili…

 

“Fa’ tutto quello che devi”, lo autorizzò, mettendosi comodo, felice di non essere più al centro dell’attenzione.

 

Tuttavia, prima di rivolgersi al cane, il dottor Emrys gli lasciò cadere in grembo un grosso libro.

Arthur osservò con curiosità la copertina, dove fiorivano un mare di cuccioli.

 

“Il libro dei nomi per il vostro cane: dalla A alla Z” lesse ad alta voce, guardando l’altro, con una domanda sulla punta delle labbra.

 

“Devi trovarle un nome. Anche se non è tua. Anche se lunedì, o forse prima, potresti doverle dire addio. Devo preparare il suo fascicolo e mi serve un modo per chiamarla. I nomi in rosa sono per le femmine”, gli spiegò in aggiunta, malgrado fosse un’ovvietà. Poi si accinse a predisporre l’occorrente per l’ecografia.

 

Arthur azzardò un’occhiata alla cagnetta, nuovamente stesa sopra al tavolo medico. Quel topo-cane-pecora gli stava decisamente complicando la vita. E lui non aveva mai scelto un nome prima d’ora. Perché cominciare oggi, se tanto avrebbe dovuto dirle addio? Tzé, stupida pecora pelosa!

 

Per un lungo, infinito istante, il nome si formò nella sua mente, nitido e raccapricciante: Pecorella Pendragon.

No, cazzo. Non sia mai.

 

“Arthur?” lo riscosse la voce del medico. Si accorse quasi con vergogna di essere rimasto fermo solo a metà della A.

 

Aithusa”, lesse, puntando a caso un dito sulla pagina.

 

“Oh, è decisamente appropriato, con tutto questo pelo bianco!” concordò Merlin, accarezzando la bestiola. “Il suo nome significa ‘Luce del Sole’ nell’antica lingua dei…

 

Arthur smise semplicemente di ascoltarlo.

Si chiese, piuttosto, se quel veterinario da strapazzo sapesse il significato di ogni dannato nome scritto lì dentro.

 

“Quale vorresti prima?” si sentì domandare, senza preavviso. Forse si era estraniato un po’ troppo.

 

Schiarendosi la voce con un colpetto di tosse, chiese: “Potresti ripetere?”

 

“Dicevo: vuoi prima la notizia buona o quella cattiva?”

 

“La seconda”.

 

Il medico non attese oltre e, facendogli un cenno perché si avvicinasse al lettino, aumentò il volume dell’ecografo. Ne uscì prima un suono rauco e graffiante, seguito da dei velocissimi battiti cardiaci sovrapposti.

 

“Li senti?”

 

Arthur deglutì un groppo strano in gola. Poi annuì.

 

“Credo che abbia appena superato il ventiduesimo giorno di gestazione…

 

“Quanti sono?”

 

“Due”, Merlin gli lanciò un’occhiata di sottecchi. “La cosa positiva è che sembra tutto a posto”, lo rincuorò, spegnendo il macchinario e coccolando la cagna.

 

Quindiè incinta”.

 

“Beh, direi proprio di sì”, ne convenne, cercando di non canzonarlo per quest’ottusa cecità autoimposta. Uccise, però, le sue ultime speranze, ricevendo come risposta uno“Sgualdrina”, sibilato tra i denti.

 

“Non possiamo sapere per certo come siano andate le cose”, gli appuntò, quasi con severità.

 

“Oh, sicuro! Magari è stata sedotta e abbandonata!” ironizzò Pendragon.

 

“E se lo fosse? Lei sicuramente vuole mettere al mondo i suoi cuccioli!

 

“Ti sembro uno con la faccia da Centro di Aiuto alla Vita?

 

“Oh! Sovvenzionare ragazze madri non era il tuo mestiere?” scherzò Merlin, ma quando vide l’altro uomo irrigidirsi e sbiancare, se ne pentì e deviò la discussione. “Guarda. Potrei persino dirti che è stata abusata, per muoverti a pietà, ma…

 

È stata abusata?!” saltò su Arthur, sconcertato. “Oh, per l’amor di-

 

“Alt! Alt!” lo frenò il dottor Emrys, intuendo i voli mentali che l’altro stava per fare, ma in un certo modo piacevolmente colpito dalla sua indignazione. “No. Stavo solo ipotizzando. Il punto è che le cagne di razza sono destinate all’accoppiamento programmato fin dalla nascita. Ogni cucciolo con pedigree costa parecchio...

 

Quindi è stata costretta!” ribatté Arthur, segnando il suo punto.

 

“Beh, in un certo senso, sì”.

 

“Oh, poverina!” la compianse, accarezzandole la testolina per consolarla (Morgana doveva averlo plagiato, a furia di patrocinare eventi benefici contro le violenze). “Dio, ma è così piccola!”

 

Il veterinario soppresse un sorriso indulgente.

“Il peso di una femmina Bichon varia dai tre ai sei chilogrammi. Lei è perfettamente nella norma”.

 

“E…” tentennò. “Fra quanto dovrebbe partorire?”

 

“Premesso che non sappiamo la data esatta del concepimento, direi fra… un mese o poco più”.

 

“Così poco?!” si scandalizzò Pendragon. “È troppo presto! No! Non posso tenerla!”

 

“Vivi in un condominio dove vietano animali?”

 

“Beh, no…”

 

“Hai un cortile recintato?”

 

Mmm… sì”, ammise, reticente.

 

“E allora?”

 

“E chi ti dice che io non sia un pazzo? Che non la maltratterò o peggio?”

 

Merlin sollevò le sopracciglia scettico, e Arthur ripensò irrazionalmente a Gaius, il medico di famiglia. Forse era qualcosa che ti insegnavano a fare col Giuramento di Ippocrate?

 

“Sotto i quintali di arroganza e asineria, riesco a vedere che hai un buon cuore, Arthur Pendragon”.

 

P-perché?” s’intestardì.

 

“Perché ti sei preso cura di lei, anche se non eri tenuto a farlo. Ti sei preoccupato della sua salute. Perché lei si fida di te, e queste cose un cane le capisce… E perché mi hai detto di non aver mai potuto avere animali, non che non ti piacciono.

E se anche qualcuno ha rovinato la tua infanzia, non è giusto che tu ti privi della gioia di avere il loro affetto. Un cane ti offre amore incondizionato e sincero e non pretende nulla da te…

 

Arthur rimase colpito – da quelle parole, da tutto ciò che quell’estraneo aveva capito di lui in così poco tempo –, ma cercò di non darlo a vedere.

“Non so neppure da dove incominciare!”

 

Merlin si risollevò e a colpo sicuro sfilò un grosso tomo da una delle librerie dello studio.

 

“Ecco:Come allevare un cane: guida completa’! Prendilo in prestito. Qui dentro troverai la risposta ad ogni dubbio che potrà venirti fino a lunedì. Oppure chiamami a qualsiasi ora e ti aiuterò…” offrì.

 

“Merlin?”

 

Mh?”

 

“Perché sei così convinto che non ritroverò il suo padrone?”

Il veterinario fece un sospiro di rammarico.
“Perché un cane così non si perde. Semmai si abbandona”, motivò.

 

“Perché ha i cuccioli?”

 

“Perché la purezza del pedigree potrebbe essere stata compromessa…

 

Ma che razza di persona farebbe una cosa così?”

 

“Un vero bastardo?” insinuò il medico. “Ma non sarà né il primo né l’ultimo”.

 

Quindi… tu me la affideresti, anche se fossi completamente incompetente?”

 

“Punto tutto sull’iniziativa personale e la voglia di mettersi in gioco…

 

“E se davvero io non potessi tenerla?” domandò, stavolta seriamente. ‘Pianificazione’ era il suo motto, quindi era lecito chiedere quale fosse la rosa delle varianti.

 

“Allora… cercherei una sistemazione, ma con buona probabilità finirebbe nel canile di Black Hill. Lei è comunque un cane di razza, potrebbe forse venire adottata. Se non ci riuscirà, entro sei mesi verrà soppressa”, Merlin vide che Arthur aveva sussultato, ma continuò. “Il vero problema sono i cuccioli. Se nascono di razza, sono ugualmente senza un pedigree certificato, e non saranno vendibili. Se nascono meticci, avranno lo stesso rovinato lei, perché certe convinzioni – per quanto assurde – sono dure a morire. Non sarà più una fattrice. Forse regaleranno i piccoli – di solito commuovono la gente – ma forse no”.

 

“Detta così, sembrano destinati a morte certa”.

 

È quello che sono”, confermò il veterinario, con cruda verità. “Anche il destino di Aithusa…” disse Merlin, guardandolo seriamente e Arthur considerò fosse un colpo basso nominarla con l’appellativo che le aveva appena scelto, “…è nelle tue mani. Spetta a te scegliere”.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: I sintomi descritti all’inizio sono quelli tipici di un attacco di panico. Ce ne sono altri, ma non sempre sono tutti presenti contemporaneamente.

Merlin attua i consigli medici per fare superare una crisi di panico, come da manuale d’intervento.

 

Vorrei chiarire che le crisi di panico sono una cosa seria e non mi sognerei mai di offendere la sensibilità di qualche lettore che magari è in contatto con questo problema. In caso contrario, mi scuso.

 

Lo Xanax è il nome commerciale dell’Alprazolam, un medicinale ansiolitico presente anche in Italia (oltre che negli USA). Posso assicurare (per esperienza diretta) che fa schifo, ma è un ottimo calmante.

 

Da qui in avanti, le varie informazioni sulle fasi della gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

Per quanto scrupolose siano le mie ricerche, non ho esperienza pratica di questo, quindi non fidatevi di applicare consigli e avvertenze.

Tuttavia, ho letto che, nel 20° giorno di gravidanza, l’ecografia ci potrà dire solo SE la cagna è incinta; a partire dal 22° giorno è rilevabile il battito cardiaco dei feti (da qui l’affermazione di Merlin).

 

Doveroso chiarimento: non è affatto vero che una cagna di razza, che si accoppia con un meticcio, rimane ‘segnata’ a vita. Alla successiva cucciolata, la purezza del pedigree non è sminuita. Tuttavia, questa falsa convinzione della ‘contaminazione della razza’ è un’idea ancora molto presente nell’immaginario collettivo e provoca diffidenza negli acquirenti. Si deve la colpa a degli esperimenti pseudoscientifici, eseguiti più di due secoli fa, che tuttavia si sono radicati nel pensiero comune, tanto che, ancora oggi, molti cuccioli vengono abbandonati per questo motivo.

 

Questa convinzione si chiama ‘telegonia’ e vi riporto la definizione della Treccani.

 

Telegonia – Teoria infondata, basata unicamente sulla credenza popolare e diffusa fra gli allevatori, secondo la quale la femmina di un Mammifero, che sia stata una volta coperta da un maschio di altra razza o specie e abbia partorito gli ibridi, quando sia fecondata nuovamente da maschi della propria specie o razza, anche se a distanza di molto tempo, può partorire figli con qualche carattere d’ibrido”.

 

Ora, se questo problema lo segnala pure la Treccani, non è cosa da poco.

 

Il nome del canile è inventato. Inizialmente pensavo di usarne uno vero, poi non volevo creare possibili problemi.

 

Per chi non lo sapesse: è possibile regolare il doppio effetto benefico del tè. Con un tempo di infusione di circa 5 minuti, il tè ha un effetto calmante anziché stimolante, perché la teina viene inibita (come se fosse tè deteinato).

 

 

Ecco ben TRE anticipazioni del prossimo capitolo:

 

Arthur si prese il tempo di sondare tutto il posto. Poi osservò la targhetta del luogo, sbiadita e col colore scrostato.

Un improvviso disagio lo colse. Come qualcosa di sopito, di fastidioso. Un vago senso di malessere nascosto dietro una porta socchiusa della mente.

Ricordò improvvisamente una cosa che aveva dimenticato.

Quand’era solo un marmocchio, una sera suo padre lo aveva minacciato di mandarlo a dormire fra le cucce di Black Hill, se non avesse smesso di frignare all’istante.

L’Arthur di allora non sapeva cos’era Black Hill, ma il nome Collina Nera non gli piaceva neanche un po’. L’Arthur di adesso era dello stesso parere.

 

Riaccese la macchina e – per una qualche forma di perverso autolesionismo – fece il giro completo della decadente proprietà. Arrivato al punto di partenza, lanciò uno sguardo alla cagnolina nella scatola. Lei scodinzolò, di rimando.

Arthur diede gas, sospirò e andò via.

 

(...)

 

Il telefono squillò un’infinità di volte, prima che qualcuno si decidesse a rispondere.

Hello!”

 

Gwaine?”

 

“Oh, Principessa!”

 

Gwaine!

 

“Sì, capo?” ritentò l’uomo, fingendosi deferente.

 

“Ho un lavoro per te…”

 

Ma che cavolo! È sabato pomeriggio!”

 

“E tu sei ancora in ufficio perché cazzeggi tutta la settimana e i tuoi arretrati sono più alti del Big Ben!”

 

“Non infierire, ti prego…”

 

(...)

 

Ma nel dormiveglia i pensieri si affollavano, e i padroni di Aithusa apparivano nella sua mente come pazzi sanguinari o delinquenti incalliti.

 

Magari era stata rapita. Magari la Regina allevava questa razza in segreto e i Corgi erano solo una copertura.

Magari il rapimento era andato male, il negoziato era saltato e lui sarebbe stato incolpato?

Sarebbe finito a Pentonville, oppure – Dio non voglia! – nella Torre di Londra, come i vecchi traditori della Corona, anche se era innocente?!

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 15 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e i 75 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

  • Ho aggiornato, un paio di giorni fa, con una piccola fic fluffosa, spoiler post!5x13: “The Royal Baby” e mi piacerebbe avere un vostro parere, se vorrete darci un’occhiata.

 

 


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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Waiting for you

Perdonate il ritardo. ç_ç

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A chibimayu, katia emrys, Eresseie93, misfatto, Barby_Ettelenie_91, elisabethy92, DevinCarnes, FlameOfLife, Raven Cullen, Burupya, Orchidea Rosa, crazyclever_aveatquevale, mindyxx e _Serendipity_.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo V      

 

 

Non era giusto. Ecco.

Quella era una responsabilità troppo grande e lui non si sentiva pronto ad assumersela.

Come cazzo pretendeva di stravolgergli la vita, quel dannato sacco di pulci?

E quel Dumbo da strapazzo?!

 

Arthur ingoiò un ansiolitico senz’acqua (giusto per scrupolo) e poi mise in moto l’auto.

 

Il dottor Emrys lo aveva infinocchiato per bene, altroché!

Gli aveva fatto promettere di posticipare ogni scelta a lunedì, e di godersi il weekend. Sì, certo. Come no?

 

Si era anche offerto, ad onor del vero, di prestargli tutto il materiale occorrente per il soggiorno temporaneo della cagnetta, ma Arthur aveva rifiutato, perché non voleva passare per uno sporco spilorcio né vivere di carità della gente.

 

“Allora posso consigliarti il Pet Shop all’angolo, si trova in fondo al viale! Di’ che ti mando io, ti faranno lo sconto!” gli aveva suggerito, stilando un breve elenco del necessario, prima di congedarlo.

 

Evidentemente, però, si era scordato di riferirgli che il negozio non faceva orario continuato di sabato e che non avrebbe riaperto prima di un paio d’ore abbondanti.

 

Arthur fulminò con lo sguardo il cartellino ‘CHIUSO’ appeso sul vetro, imprecò tra sé e sbatté la portiera.

La cagnetta guaì in risposta, pertanto le lanciò un’occhiata di scusa.

 

Oh, al diavolo! Sarebbero tornati a casa e lui avrebbe trovato un’altra bottega altrove!

 

 

***

 

 

Arthur non sapeva perché era finito lì.

Non l’aveva fatto di proposito, beninteso. Aveva semplicemente guidato in maniera distratta, lasciando i pensieri vagare per conto loro, innestando quasi il pilota automatico.

Quella zona periferica di Londra non gli era affatto familiare, tutto prati e colline. E insetti fastidiosi. No, decisamente non era il suo ambiente.

 

I cancelli di Black Hill si stagliavano a pochi passi, oltre il marciapiede dove aveva accostato.

La vecchia recinzione era malandata, rattoppata in più punti alla bell’e meglio.

C’era un costante abbaiare di sottofondo, e le voci di alcuni volontari che dedicavano un po’ del loro tempo per rendere meno straziante il soggiorno degli animali lì dentro.

 

Arthur si prese un momento per sondare tutto il posto. Poi osservò la targhetta del luogo, sbiadita e col colore scrostato.

Un improvviso disagio lo colse. Come qualcosa di sopito, di fastidioso. Un vago senso di malessere nascosto dietro una porta socchiusa della mente.

Ricordò improvvisamente una cosa che aveva dimenticato.

Quand’era solo un marmocchio, una sera suo padre lo aveva minacciato di mandarlo a dormire fra le cucce di Black Hill, se non avesse smesso di frignare all’istante.

L’Arthur di allora non sapeva cos’era Black Hill, ma il nome Collina Nera non gli piaceva neanche un po’. L’Arthur di adesso era dello stesso parere.

 

Riaccese la macchina e – per una qualche forma di perverso autolesionismo – fece il giro completo della decadente proprietà. Arrivato al punto di partenza, lanciò uno sguardo alla cagnolina nella scatola. Lei scodinzolò, di rimando.

Arthur diede gas, sospirò e andò via.

 

 

***

 

 

Il telefono squillò un’infinità di volte, prima che qualcuno si decidesse a rispondere.

Hello!”

 

Gwaine?”

 

“Oh, Principessa!”

 

Gwaine!

 

“Sì, capo?” ritentò l’uomo, fingendosi deferente.

 

“Ho un lavoro per te…”

 

Ma che cavolo! È sabato pomeriggio!”

 

“E tu sei ancora in ufficio perché cazzeggi tutta la settimana e i tuoi arretrati sono più alti del Big Ben!”

 

“Non infierire, ti prego…”

 

“Infierisco eccome! Sono il tuo fottuto capo!”

 

“Tiranno…” smozzicò l’uomo, a mezza bocca.

 

“Ci sento, sai?” sibilò Pendragon, in risposta.

 

“Dimmi cosa ti serve, e facciamola finita”, s’arrese.

 

Arthur sorrise interiormente. Gwaine O’Green era uno dei suoi più cari amici e un fancazzista ad oltranza; era contemporaneamente una spina nel fianco e una persona su cui poter contare ciecamente (quando non era ubriaco fradicio – il che, purtroppo, capitava abbastanza spesso).
“Ti sto per inviare una foto-”

 

“Dimmi, ti prego, che sarà di una bella gnocca tutta curve e chioma fluente!” lo interruppe Gwaine, supplicandolo con un tono querulo da bambino viziato.

 

“Sulla chioma fluente ci siamo!” confermò Arthur, ghignando fra sé.

 

“Oh! Grazie al cazzo! Finalmente hai superato la cosa di Viv e ti sei rimesso in caccia! Com’è la volpetta? Eh? Eh?!

 

“È una cagna pelosa”, sibilò Pendragon, ancora suscettibile nel sentire il nome della sua ex.

 

“Eh?” la voce tentennò. “Suvvia, Principessa! Non è da te essere così scurrile su una donna! Ma… aspetta… hai detto ‘pelosa’?! Arthur! Che cazzo di gusti che ti ritrovi!” lo biasimò.

 

Arthur fu colto da uno strano déjà vu. Da quando Gwaine saltava alle conclusioni come Gwen?

“No, idiota! È proprio un cane. Femmina”, specificò. “Sto per mandarti una sua foto col cellulare. Voglio che prepari un volantino di ritrovamento, con tutti i dati che ti invierò nel messaggio”.

 

“Quante copie?”

 

“Direi… cento? Uhmm… no, meglio cinquecento. E pretendo che tu muova il tuo culo pigro e che vada ad attaccarli nella mia zona residenziale e nei dintorni”.

 

“Schiavista!” ruggì Gwaine, per protesta, anche se sapeva che sarebbe stato inutile. “Perché non lo fai da solo?”

 

“Perché non verrò in ufficio e non voglio che associno questo volantino al mio nome, anche se c’è lì sopra il mio recapito. Sono nuovo della zona e non conosco ancora nessuno…

 

“Detto tra noi, hai fatto di tutto per non fare conoscenze!” gli appuntò l’amico.

 

“Sì, beh… non voglio trovarmi davanti a casa una coda di madri single, vecchie disperate o gay disponibili…”

 

“Hai proprio una bella cagna da pelare!” ironizzò Gwaine.

 

“Il tuo umorismo è davvero di bassa lega…” lo compatì Pendragon. “Mandami un prototipo via fax e poi datti da fare”.

 

“Agli ordini, Vostra Maestà!” Scattò sull’attenti, anche se Arthur sapeva che quell’idiota si stava divertendo a sue spese. “Ma… Principessa? Cos’è questa cosa del cane?”

 

“Muoviti e mantieni il segreto! In cambio, ti perdonerò quando lunedì arriverai tardi in ufficio”.

 

“Come fai a sapere che ritarderò?!” chiese, piccato, accantonando la curiosità.

 

Gwaine, non ti ho mai visto un solo giorno puntuale, da che ti conosco…

 

“Sì, beh…” mugugnò O’Green, senza una solida protesta. “Vado a rendermi utile…” e chiuse la telefonata.

 

Arthur inoltrò i dati e si stravaccò sul divano, esausto dalla notte insonne e in parte provato dalla crisi di poco prima, mentre la cagnolina mordicchiava il giochino che il dottor Emrys aveva dimenticato nello scatolone (anche se lui sospettava che non fosse stata una vera e propria dimenticanza…).

Bene, si disse. Aveva seguito il primo consiglio di Merlin per trovare quel padrone disgraziato. Ora non restava che rifare un giro dell’isolato e vedere se – con più fortuna di quella mattina – avrebbe forse incrociato qualcuno. Magari fra cinque minuti, giusto un attimo per riposare le palpebre pesanti… sì, un attimo, si convinse, stiracchiandosi, rilassando la muscolatura. E mentre cedeva al sonno, un pensiero confortante prese corpo… avrebbe sempre potuto infilare la cagnetta in un cesto di vimini e consegnarla alla riva del Nilo, come Mosé alla porta del suo vicino. Come un ladro, di notte.

Con un bel fiocco e un grazioso bigliettino “Adottami” di accompagnamento.

 

 

***

 

 

Arthur si destò assaporando uno stato di beatitudine tra sonno e veglia che francamente gli sembrava di non aver provato da secoli.

Si crogiolò languidamente col silenzio assoluto della casa, con la quiete immobile e il piccolo peso che gli schiacciava il fianco. Allungò una mano ed era morbido e caldo, palpitante contro le sue dita.

Sollevò lentamente la testa e trovò Aithusa che dormiva col musetto sul suo stomaco, il corpicino pigiato contro di lui.

“Ehi…” sussurrò, d’istinto.

 

Subito il cane sollevò il tartufo e, con una mossa imprevedibile, si arrampicò su di lui, leccandogli la faccia a tradimento.

 

“Ehi!” sbottò allora Arthur, di colpo del tutto sveglio, afferrandola per i fianchi per allontanarla da sé.

La cagnetta, per nulla indispettita, si mise a scodinzolare, mugolando.

 

Lui la depose a terra, con un’espressione da ramanzina pronta.

“Chi ti ha dato il permesso di salire sul divano, eh?” l’interrogò, retorico, ma Aithusa abbaiò di rimando, con tutta l’intenzione di rispondergli a tono.

 

Arthur sorrise suo malgrado.

“Seriamente, signorina, dovrò insegnarti come ci si lava i denti, sai?” la canzonò, strofinandosi distrattamente la guancia piena di bava. “Sempre che io non muoia per qualche infezione fulminante prima… ma Merlin ha detto che sei sana, quindi…

 

Aithusa abbaiò una seconda volta, correndo poi verso la porta d’entrata.

 

“Pipì?” suppose l’uomo, afferrando il soprabito e le chiavi. “D’accordo, tanto il giro era già programmato…

 

Controllando il cellulare, si accorse delle cinque chiamate perse da parte di Gwaine. Velocemente afferrò il fax arrivato e, dopo averlo letto, gli rispose digitando un messaggio di approvazione.

 

 

***

 

 

Il tentativo si era rivelato un buco nell’acqua ma, dopo i discorsi che gli aveva fatto il veterinario, non si era fatto troppe illusioni a riguardo.

La cosa che invece lo aveva piacevolmente stupito era stato il comportamento di Aithusa.

Per portarla a spasso non era servito un guinzaglio (che, per inciso, ancora non aveva, poiché quel venditore idiota non faceva orario continuato): lei se ne stava rigorosamente affiancata alla sua gamba, come un perfetto soldatino addestrato.

 

Nella zona del parco in cui anche i cani avevano accesso, l’aveva lasciata libera di scorrazzare (perché Merlin gli aveva detto che bisognava farla passeggiare spesso, per allenare i muscoli da usare al momento del parto); e successivamente, con un altro paio di comandi ben scanditi, lei aveva obbedito docilmente ritornandogli accanto.

 

Nel negozio di animali (quello dell’idiota, perché in fondo lui era pigro e non voleva cercarne altri, e se Merlin gliel’aveva consigliato… un motivo c’era, no?), Arthur si era visto spalancare un intero mondo di novità.

 

William, il proprietario, aveva una faccia da schiaffi e un atteggiamento che lo indispettiva a pelle (e la cosa sembrava essere reciproca, per amor di pignoleria), ma quando aveva visto la cagnetta si era illuminato come il sole di mezzogiorno e le aveva fatto un sacco di feste, offrendole un bocconcino di benvenuto. Quando, poi, Arthur gli aveva detto – controvoglia – che non se ne intendeva per nulla e che era stato il dottor Emrys a mandarlo da lui, il padrone del negozio era divenuto raggiante come il sole di mezzogiorno a ferragosto.

 

“I pazienti di Merls mi chiamano Will!” aveva esordito, accantonando l’iniziale diffidenza.

 

Arthur, suo malgrado, avrebbe voluto dirgli che lui, invece, restava Mr. Pendragon, ma si limitò a presentarsi col suo nome di battesimo, stringendogli la mano, e dopo gli aveva consegnato l’elenco stilato dal veterinario.

 

“La signorina è incinta, eh?” constatò, quindi, dopo un rapida occhiata alla lista.

 

Ma come hai…?”

 

“È per via del cibo! Molto spesso, si utilizza per le cagne gravide lo stesso mangime dei cuccioli, perché ha un alto valore nutrizionale e contiene delle sostanze necessarie che le femmine accumulano, per usarle poi durante l’allattamento. E siccome lei non è certamente un cucciolo”, gli appuntò Will, pungendo un po’ l’orgoglio del giovane Pendragon, per la sua iniziale ingenuità sull’argomento, “è ovvio che sia incinta!”

 

“Sì, Sherlock. Vai avanti…” brontolò Arthur. “Cosa mi consigli di prendere?”

 

“Ho un sacco da due chili di quel mangime, se vuoi, è ottimo e-

 

“Facciamo tre sacchi”, tagliò corto.

 

“Un paio di ciotole per cibo e acqua?”

 

“Dammene quattro”.

 

“Un ossicino per le gengive?”

 

“Almeno cinque”.

 

“Dei giochini?”

 

Arthur ne afferrò una cinquantina a caso, infilandoli nel carrello. “Basteranno?”

 

“Per almeno un paio di vite, credo”, ridacchiò Will.

 

“E questo a che serve?” Arthur indicò una specie di torretta con dei pedali.

 

“Ci metti dentro le crocchette e, se lei preme i posti giusti, riceverà una ricompensa… anche quest’altro ha una funzione simile: ci sono degli scomparti nascosti, il cane deve scoprirli e allora mangerà il biscottino”, con praticità gli indicò il funzionamento dei due modelli. “Potenzia le abilità cognitive”.

 

“Li prendo!”

 

“Entrambi?” domandò il negoziante, sollevando un sopracciglio perplesso.

 

“Sì”.

 

“Ci sarebbe poi il cubo con sorpresa incorpora-

 

“Lo voglio”.

 

“E la palla morbida che-”

 

“Anche quella!” Arthur gli rubò di mano il giochino e lo infilò nel carrello straripante.

 

“D’accordo… d’accordo”, bofonchiò il proprietario. “Passiamo ai generi di conforto… una cuccia?”

 

“Voglio una cesta, la migliore che hai”.

 

“Coperta? Cuscini?”

 

“Sì, tutto!”

 

“Una spazzola? Per mantenere questo aspetto soffice e immacolato, il mantello va pettinato e tagliato regolarmente. Anche le unghie vanno accorciate di frequente, perché crescono molto in fretta…

 

“Alt!” lo frenò Arthur. “Spazzole sì, tagliaunghie no. Mi affiderò a qualche centro di toelettatura professionale”.

 

Quindi… niente shampoo?”

 

“Certo che sì, mi serve!”

 

Scelsero anche il collare, il guinzaglio, altre vitamine e feromoni rilassanti (perché non si sapeva mai) con diffusore nell’ambiente temporizzato.

 

“Vuoi qualche fiocco? Degli elastici carini per farle le codine? Potresti decorarle il pelo con…”

 

“Ti sembra forse una bambola?!” saltò su Arthur, infastidito. “Non camufferò il mio cane come una stupida Barbie!”

 

Will rise di gusto, sollevando i palmi delle mani a mezz’aria. “D’accordo. In fondo, il cane è tuo!”

 

C’era una piccola, sottile vocina che ricordava ad Arthur che no, non lo era.

Che era una pazzia spendere un capitale per qualcosa che sarebbe andato presto nella spazzatura, probabilmente ancor prima di essere usato.

 

Arthur cacciò quel sussurro malevolo e porse la sua carta di credito platino.

D’accordo. Aveva fatto man bassa del negozio. Ma si sentiva euforico e soddisfatto come non succedeva da tempo e poi, se le cose fossero andate male, avrebbe anche potuto regalare tutto al canile. Magari con una donazione.

 

“Mi sento in dovere di dirti che qui c’è il centuplo di quello che Merlin ti aveva consigliato…” gli fece notare William, con una schiettezza che andava contro i propri interessi.

 

Pendragon sorrise, apprezzando il gesto.

“Non importa, va bene così”.

 

 

***

 

 

Ci aveva messo un secolo a svuotare tutte le sporte della spesa fatta, e altrettanto tempo per riporre tutto in modo congeniale, ma fu ricompensato pienamente, quando Aithusa – durante un giro di ispezione sulle novità – si accoccolò felice nella sua novella cesta imbottita (era risultata palesemente di suo gusto, ma Arthur era certo che ogni propria scelta era la migliore, signorsì), e poi aveva reso onore ai giochini, dimostrandosi fin da subito sveglia e scaltra.

 

Arthur sentì un piccolo gorgoglio di soddisfazione alla base dello stomaco. Era la sua cagna, dopotutto! Aveva scelto lui perché era speciale, no?

 

Anche se, a dire il vero, nei suoi sogni privati, si era immaginato che, quando fosse toccato a lui essere raffigurato in uno di quei giganteschi quadri appesi nella galleria di Pendragon Hall – quella con tutti i suoi predecessori, i patriarchi Pendragon –, al massimo ci sarebbe stato un grosso cane con lui. Solennemente in posa al suo fianco, aveva fantasticato su un Labrador (come nonno Constantine), un alano (come lo zio Aurelius), o piuttosto un imponente Terranova o un Rottweiler (come quel matto del prozio Constans, pace all’anima sua) o forse… forse un Doberman.

Non certo con in braccio quel… quel topo!

Perché sì, la prima impressione era dura a morire. E Arthur, probabilmente, se la sarebbe portata fin nella tomba.

Sentiva la coscienza rimordere, svalutandola così… e Aithusa poteva essere anche uno splendido cane, ma assomigliava ancora ad un sorcio.

 

Quando la cagnetta gli riportò, servizievole, la pallina che aveva lanciato, si sentì ancora più in colpa a disprezzare la sua natura. Tanto più che, dopo suo padre, nessun Pendragon avrebbe più avuto animali raffigurati accanto e il problema, in realtà, non si poneva neppure.

 

Per questo motivo, Arthur accantonò ogni cruccio, preparò una buona cena per sé e per la sua ospite (una grossa ciotola di cibo, nelle dosi e nelle modalità spiegate dal promemoria di Merlin), poi attese invano qualche novità su presunti padroni affranti.

Ma nessuno si fece vivo e le tre telefonate che ricevette non erano servite a niente.

 

Pazienza, si era detto, preparandosi per la notte. C’era ancora un’intera domenica che doveva trascorrere.

Forse quell’imbecille del suo padrone si sarebbe fatto vivo, no?

Ma… se davvero il proprietario di Aithusa si fosse rivelato un idiota, con che coraggio gliel’avrebbe restituita?

 

Affondando nel piumino leggero, Arthur non riusciva a cacciare quel velo d’inquietudine.

Controllò che la bestiola fosse comoda nella cesta accanto al letto – perché non valeva la pena di ingaggiare un’altra battaglia, come le notte precedente, gli aveva sbattuto in faccia il suo senso pratico – e poi aveva spento la luce.

 

Ma nel dormiveglia i pensieri si affollavano, e i padroni di Aithusa apparivano nella sua mente come pazzi sanguinari o delinquenti incalliti.

 

Magari era stata rapita. Magari la Regina allevava questa razza in segreto e i Corgi erano solo una copertura.

Magari il rapimento era andato male, il negoziato era saltato e lui sarebbe stato incolpato?

Sarebbe finito a Pentonville, oppure – Dio non voglia! – nella Torre di Londra, come i vecchi traditori della Corona, anche se era innocente?!

 

Che cazzo. Doveva smetterla di guardare film di bassa lega, che poi gli fottevano l’inconscio.

Razionalmente, Arthur sapeva di essere emotivamente stentato, e di compensare con una fantasia troppo fervida.

Ma quando dormiva, era il suo istinto a prendere il sopravvento – non le rigide regole con cui Uther l’aveva plagiato a sua immagine e somiglianza – e, nel sonno, che fosse fervente o meno, la sua mente trotterellava per i campi che sceglieva da sé, senza consigli né direttive.

 

Arthur si rigirò nel letto, ad un passo dal risveglio.

Doveva contare le pecore. Fanculo! No, le pecore no.

Doveva concentrarsi su pensieri positivi, su idee rilassanti e piacevoli…

 

Ma poi la sua psiche lo ricondusse al pensiero che Aithusa non aveva il chip – obbligatorio per legge – né piastrina o tatuaggio.

Forse faceva parte dei Narcos. Poteva essere un trafficante sotto copertura! Così, se fosse stata arrestata, sarebbe stata irriconoscibile. Irrintracciabile. Forse l’avevano già usata per il loro contrabbando e adesso non serviva più e se ne erano disfatti...

 

Arthur si risollevò a sedere sul materasso, di colpo incredibilmente sveglio.

Poi si voltò a guardare il topo-cane-pecora, con la poca luce che filtrava dalle tende.

Aithusa dormiva serena, il corpicino che si muoveva al ritmo del suo respiro.

Arthur scosse la testa. Nah.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Le varie nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

 

La carta di credito platino: nell’immaginario collettivo di qualche anno fa, rappresentava il massimo dello status di ricchezza. Diciamo che è il predecessore della famosa battuta “Mastercard”.

 

Pentonville e la torre di Londra sono due prigioni, la prima ancora attiva, la seconda è ora monumento storico.

 

I nomi dei parenti Pendragon sono effettivamente quelli del mito arturiano, anche se li ho mescolati un po’.

 

Come ho già detto, Black Hill non esiste. Ho preferito non citare un vero canile.

 

Ho scelto O’Green come cognome di Gwaine, perché lui è comunemente definito ‘Il Cavaliere Verde’ e O’ è in onore alle redici irlandesi di Eoin.

Credo che sia la prima fic in cui tratto bene Gwaine. XD
Lo sanno anche i sassi che io lo odio (neanche tanto cordialmente), ma qui avrà un bel ruolo! *_*

 

Secondo la tradizione ebraico-cristiana, Mosè fu abbandonato in un cesto di vimini lungo le sponde del Nilo, per salvarlo da morte certa, e poi salvato e adottato dalla figlia del Faraone.

 

 

Ecco ben TRE anticipazioni del prossimo capitolo:

 

Quando la sveglia suonò, Arthur si era già alzato da un po’.

Sentendosi come un padre single il primo giorno di scuola della sua pupilla, aveva preparato tutto il necessario per rendere confortevole la permanenza di Aithusa: copertina, cuscini, giochini, cibo, ciotole...

 

(...)

 

Con passo furtivo (quanto lo consentivano tutti i borsoni addosso e il cane sottobraccio), era salito in ascensore, schivando occhi indiscreti.

 

Non si aspettava, però, di trovare nel suo ufficio una cesta già predisposta, persino delle ciotole in attesa di essere riempite e un bel cartello che diceva: “Sono la pupa del boss”.

 

Arthur scoppiò a ridere, intuendo che ci fosse stata la mano di Gwaine dietro a tutto quello.

Prima o dopo, avrebbe dovuto dargli un aumento… oppure l’avrebbe licenziato per la sua impudenza.

 

Poi, senza sapere esattamente perché, sfilò il cellulare dalla tasca della giacca e scattò una foto del quadretto d’accoglienza e la inoltrò al numero del dottor Emrys, che aveva memorizzato per scrupolo.

 

Non capiva perché l’aveva fatto.

Ma non se ne pentì.

Forse poteva dimostrare di non essere così totalmente incapace, no?

 

(...)

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

18:55

Un giorno ancora.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
18:57

Ottima idea! ;)

 

 

Arthur si sentì sorridere. Forse stava impazzendo. Non era da lui messaggiare ad un uomo sconosciuto – d’accordo, semisconosciuto calzava meglio? – e perdersi in quelle frivolezze.

Forse lo stava infastidendo. Forse… beh, in tal caso, sarebbe stato il veterinario a farglielo capire. E, comunque, quel gioco sarebbe finito con l’addio alla cagnetta.

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 17 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 5 ‘da ricordare’ e i 85 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

  • Ho aggiornato, qualche giorno fa, Linette 81.
  • Fra qualche giorno, arriverà una nuova shot pre-serie.

Restate sintonizzati!

 

 


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elyxyz

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Primo aggiornamento del 2014

Primo aggiornamento del 2014!!!

Perdonate il ritardo, sto ancora concludendo il trasloco. ç_ç

 

Devo solo precisare che gli orari e i tempi di risposta degli sms che leggerete, da questo capitolo in poi, sono una scelta ragionata e prima della fine vi spiegherò il perché; anche se, comunque, non vi cambierà la vita se preferite non farci caso…

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A mindyxx, FlameOfLife, Barby_Ettelenie_91, hiromi_chan, chibimayu, Burupya, Orchidea Rosa, misfatto, crazyclever_aveatquevale, katia emrys, Eresseie93, aria, DevinCarnes, Raven Cullen, Yuki Eiri Sensei e areon.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo VI      

 

 

La domenica mattina era trascorsa pigramente, Arthur si era svegliato con calma, Aithusa aveva aspettato pazientemente che facesse colazione, e poi l’aveva portata fuori per una passeggiata e un’altra (infruttuosa) ricognizione nel vicinato.

L’unica cosa rimarchevole era stata, in realtà, un incidente: quando un grosso cagnaccio aveva cercato di molestarla, Arthur aveva difeso il suo onore come il più valoroso dei cavalieri, e aveva fatto tutta la strada di ritorno con la cagnetta in braccio.

 

Nel pomeriggio l’aveva spazzolata per bene, col risultato che il pelo si era gonfiato ancor di più, ma era diventato morbido e setoso all’inverosimile: chiunque avrebbe potuto passarci le mani per ore intere. Era come una droga. Uhm… il che non escludeva l’idea del narcotraffico… ma, francamente, Arthur scartava l’ipotesi di qualcuno che fosse così disperato da leccare il mantello di un cane per farsi un trip improvvisato.

 

All’imbrunire, il campanello dell’appartamento trillò e il giovane Pendragon, mezzo appisolato sul divano con la cagnetta sullo stomaco e un film ignorato, saltò per la sorpresa.

Aithusa abbaiò in risposta ad una seconda scampanellata, mentre il suo ignaro padrone si faceva prendere da un’improvvisa ansia.

Non aspettava nessuno. Quindi… che fosse il proprietario della bestiola, venuto a riprendersela?

No, cazzo. Non era pronto a dirle addio. Non così.

 

Fu con un gesto nervoso che Arthur scavò nella tasca dei pantaloni da casa, ma non trovò il consueto flaconcino degli ansiolitici.

Con stupore, realizzò che si era scordato di prenderli, dal giorno prima, perché era stato troppo impegnato a gestire il sacco di pulci.

Eppure non ne aveva mai sentito il bisogno da che si era alzato; non aveva provato neppure un filo d’ansia, mentre era con lei. Forse – beh, dannazione, ma sarebbe morto prima di ammetterlo! – il dottor Dumbo aveva ragione nel dire che un animale da affezione avrebbe potuto giovare sulla sua apprensione.

 

Qualcuno bussò direttamente contro lo stipite della porta – qualcuno che aveva scavalcato la recinzione, per arrivarci. Arthur sussultò e, con un lungo respiro, si preparò a dar battaglia allo sconosciuto visitatore.

 

“Oh, Principessa! Finalmente! Pensavamo che fossi caduto nella tazza del cesso!” lo salutò Gwaine, facendosi largo sulla soglia, appena socchiusa, senza permesso.

 

Arthur sbatté le palpebre. “Ma che diavolo…?”

 

Il suo dipendente preferito cliccò sul display del citofono e un rumore metallico avvertì che il cancelletto esterno era stato aperto.

Qualche istante dopo, anche Gwen fece la sua – imbarazzata – comparsa.

“Pizza?” suggerì, muovendo la testa riccia, come offerta o scusante, sollevando verso di lui tre cartoni da asporto.

 

Ma che…?” ritentò Pendragon.

 

“Morivamo dalla voglia di vederti, non ci basta subire le tue angherie ogni giorno in ufficio, quindi… ci siamo detti che autoinvitarci da te, per cena, era una buona idea!” spiegò O’Green, con la consueta spavalderia. “Devi metterci la birra, però!” precisò poi, puntando un indice a mezz’aria, come ammonimento.

 

“La verità è che eravamo curiosi di vedere la tua preziosa ospite”, aggiustò Gwen, con un sorriso di giustificazione.

  

E così Arthur fece le presentazioni, e il suo cane (che non era suo, ma un po’ lo era) s’era fatta spupazzare da tutti, mentre lui raccontava la sua odissea – preventivamente corretta – dal veterinario (Quello è tutto matto, Gwen!), per concludere con Will, del Pet Shop.

 

Quindi… te la tieni?” Come d’abitudine, le domande di Gwaine arrivavano sempre al sodo. Pungevano esattamente il fantomatico nervo scoperto, non importava di chi o dove fosse.

 

“Fino a domani, sì”, ripose Arthur, distogliendo poi lo sguardo colpevole dalla cesta di Aithusa, ingoiando un trancio di pizza con doppio formaggio filante.

 

“E perché non la tieni per sempre?” propose Guinevere, che si era innamorata a prima vista della cagnetta.

 

“È tutto più complicato di così…” soffiò, con un senso di ineluttabilità. “Ho promesso di occuparmene per un paio di giorni… ma, per esempio, domattina non so neppure a chi lasciarla!”

 

“Ti aiuteremo noi!” replicò la sua segretaria, prontamente.

 

“Oh, sì, Principessa!” confermò Gwaine, con un sorriso malandrino. “Sono pronto a sacrificarmi e resterò qui a farle da dog sitter mentre tu vai al lavoro!”

 

Gwaine!” sbottarono all’unisono gli altri due.

 

“Che c’è?!” si difese, stringendosi nelle spalle.

 

“Lavativo!” “La riunione!” si sovrapposero nuovamente le altre voci.

 

“Beh… ma non era una brutta idea!” protestò.

 

“Arthur…” ritentò Guinevere, più pacatamente. “Puoi portarla in ufficio con te… le troveremo uno spazio adeguato… ci organizzeremo per le passeggiate e i bisognini…

 

“Sì, capo! In fondo la Pendragon Company è tua, adesso!

 

“Se mio padre lo venisse a sapere, morirebbe all’istante e me lo ritroverei sulla coscienza…” obiettò, con poco impegno, in verità.

 

“Ok, allora è deciso!” deliberò Gwaine, ignorando la protesta.

 

Gwen sorrise concorde. “Lascia fare a noi!” lo rincuorò, battendogli una mano sulla spalla.

 

“È proprio per questo che non mi fido!” rise Arthur, sentendosi però assurdamente più leggero.

 

 

***

 

 

Quando la sveglia suonò, Arthur si era già alzato da un po’.

Sentendosi come un padre single il primo giorno di scuola della sua pupilla, aveva preparato tutto il necessario per rendere confortevole la permanenza di Aithusa: copertina, cuscini, giochini, cibo, ciotole...

Ci aveva pensato su parecchio, una volta che i suoi amici ficcanaso se n’erano andati.

C’era l’anticamera del suo bagno privato, dove la cagnetta avrebbe potuto dormire e giocare in pace, senza essere vista da chi entrava nel suo ufficio.

Certo, non era una soluzione ottimale, ma era un buon compromesso.

 

E così l’aveva fatta entrare nel trasportino – per prudenza e perché non poteva continuare a farla viaggiare in uno scatolone, miseria ladra! – e si era diretto alla sede molto prima dell’orario consueto.

 

Con passo furtivo (quanto lo consentivano tutti i borsoni addosso e il cane sottobraccio), era salito in ascensore, schivando occhi indiscreti.

 

Non si aspettava, però, di trovare nel suo ufficio una cesta già predisposta, persino delle ciotole in attesa di essere riempite e un bel cartello che diceva: “Sono la pupa del boss”.

 

Arthur scoppiò a ridere, intuendo che ci fosse stata la mano di Gwaine dietro a tutto quello.

Prima o dopo, avrebbe dovuto dargli un aumento… oppure l’avrebbe licenziato per la sua impudenza.

 

Poi, senza sapere esattamente perché, sfilò il cellulare dalla tasca della giacca e scattò una foto del quadretto d’accoglienza e la inoltrò al numero del dottor Emrys, che aveva memorizzato per scrupolo.

 

Non capiva perché l’aveva fatto.

Ma non se ne pentì.

Forse poteva dimostrare di non essere così totalmente incapace, no?

 

Gwen era arrivata poco dopo, con il familiare ticchettio delle scarpe e il suo caffè doppio latte con caramello.

E la loro frenetica giornata lavorativa era incominciata.

 

 

***

 

 

Era chiaro che il suo sporco segreto peloso non sarebbe rimasto tale per molto – c’erano decisamente troppe donne che lavoravano in quel piano dello stabile –, ma Arthur non si era aspettato di vederle litigare per decidere chi dovesse portare Aithusa a passeggio e quando.

 

Mithian e Sophia si erano quasi accapigliate davanti alla macchinetta del caffè alle dieci, e il suo ufficio non era mai stato così trafficato neppure nel periodo dei Revisori dei Conti. Tutti erano curiosi di vedere La Novità (che era riuscita a fregare quel babbeo di Pendragon, era il sottinteso) e facevano a gara per inventare una scusa qualsiasi, che motivasse un accesso alla stanza e la sua attenzione, mentre loro sbirciavano alle sue spalle, in cerca del succulento gossip.

 

A mezzogiorno, Arthur aveva preferito saltare il pranzo che di solito consumava nel ristorante dirimpetto al loro stabile, in favore di un’insalata che Gwen si era procurata per lui, con un sorriso di scuse e un’occhiata di solidarietà.

 

Alle due, finita la pausa, il fermento era cresciuto a dismisura, tanto che egli si sentì in dovere di prendere in mano la situazione. Letteralmente.

Quindi afferrò Aithusa e spalancò la porta facendo sussultare tre dipendenti che non si aspettavano la sua improvvisa comparsa.

 

Fanculo la riservatezza.

Schiarendosi la voce, Arthur richiamò l’attenzione di tutti i presenti che, dalle loro postazioni, allungarono il collo con curiosità.

“Gradirei due minuti del vostro tempo!” premise, impostando poi il tono ‘da comando’ che suo padre gli aveva insegnato sin da ragazzo. Poi spiegò brevemente perché il cane fosse lì.

 

Alla fine, però, erano state le moine della cagnetta a conquistare tutti, e ognuno dei sottoposti le regalò una carezza o uno sguardo d’affetto, anche per rispetto della sua triste condizione.

E tutti avevano giurato e spergiurato che il segreto sarebbe rimasto tra quelle mura: era superfluo menzionare che il vecchio Pendragon non avrebbe mai approvato una simile ingerenza.

 

 

***

 

 

La scelta si era rivelata una mossa vincente, perché finalmente poté concentrarsi sul suo lavoro per il resto del pomeriggio, senza venire interrotto ogni due minuti da un fastidioso bussare alla porta, o dall’interfono con cui Gwen lo avvisava che qualcuno – ancora – aveva bisogno di lui.

 

Arthur aveva stabilito dei rigidi turni, per cui le sue impiegate non avrebbe più dovuto litigare e Aithusa si sarebbe sgranchita le zampette con regolarità.

 

Fu solo alle sei e mezzo, quando Gwen fece capolino dalla soglia, che lui s’accorse realmente di che ora era. Il piano doveva essersi già svuotato da un po’, ma lui era sempre l’ultimo a rincasare.

 

“Posso andare?” domandò lei. “Ho quasi finito il mangime di Lancelot e vorrei…

 

Sentendo nominare l’animale, Arthur rammentò di colpo che era stato così assorbito dai suoi dipendenti impiccioni e dalla novità da non aver più controllato il suo cellulare.

 

“Sì, ci vediamo domani”, la salutò, distrattamente, armeggiando nella tasca della giacca, drappeggiata sulla spalliera della sua poltrona girevole.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
7:50 

Ha allungato le sue zampe nel tuo mondo, eh?

 

Arthur sorrise.

Risposta: Ha allungato zampe, pelo e bava. Tutto il pacchetto, insomma.

 

D’istinto, però, anziché digitare l’invio, premette per il tasto di chiamata.

 

“Ehi!” l’accolse la voce calda del veterinario.

 

Arthur si morse il labbro inferiore, incerto. Forse non era stata poi un’idea così buona…

“Ciao…”

 

“Come va?”

 

“È lunedì”, rispose lapidario. Tutti i lunedì erano duri, no?

Ma di colpo s’accorse che l’altro aveva frainteso le sue parole.

“Il lunedì è sempre il giorno peggiore, in ufficio”, raddrizzò, sentendo un sospiro sollevato all’altro capo della linea.

 

“E la nostra signorina? Si è comportata bene?” s’interessò Merlin, restando sul vago.

 

“Ha fatto breccia nel cuore di tutti, senza neppure sculettare!” rise.

 

“Beh, il cartello di stamattina metteva le cose in chiaro!” replicò il medico, in maniera scherzosa.

 

“Ho dei dipendenti idioti…” si giustificò Pendragon, stiracchiando le labbra con divertimento.

 

“Chissà cosa si inventeranno domattina!” considerò Merlin, per gioco.

 

“Oh, in caso, te lo saprò dire…” confermò Arthur, di rimando, col medesimo tono allegro. Poi, però, un silenzio cupo cadde tra loro.

 

Ehmm… senti… odio doverlo chiedere… ma c’è stata qualche novità?” domandò il veterinario, con apprensione.

 

“No. Nessuno si è fatto vivo. Eppure mezza città è tappezzata col suo muso…

 

“È lunedì. Cosa… cosa intendi fare?”

 

Arthur inspirò a fondo, perché dirlo era diverso dal pensarlo.

“Due giorni sono pochi. La tengo in consegna fino a domani…”

 

“Domani?”

 

“Sì, forse le cose cambieranno…” ipotizzò, anche se era il primo a non crederci.

 

“Ok, è un buon compromesso”, concordò il dottor Emrys. “Per favore, chiamami se ci sono novità”.

 

Arthur promise che l’avrebbe fatto, poi gli augurò una buona serata e si apprestò a rincasare.

Non ricordava neppure quand’era stata l’ultima volta che era uscito dall’ufficio prima delle venti, ma oggi avrebbe fatto uno strappo alla regola.

 

Aithusa, scodinzolando, sembrava essere d’accordo con lui.

 

 

***

 

 

La mattina successiva, il cartello diceva: “Sono una vera cagna e me ne vanto!

 

Arthur arcuò un sopracciglio per il dubbio gusto di Gwaine in fatto di pessime battutacce, ma – per dimostrare il suo punto – scattò nuovamente una foto e la inviò a Merlin.

 

Il veterinario aveva risposto poco dopo, con uno smile che ammiccava.

Quella sera, alla fine del lavoro, l’aveva chiamato di nuovo e la prima cosa che si era sentito uscire dalle labbra era stata: “Un giorno ancora”.

 

 

***

 

 

Mercoledì l’annuncio affermava: “Il capo mi adora. (E) Posso avere ciò che voglio. Tu, no.

 

Arthur rise di cuore e inoltrò un mms al dottor Emrys.

Al momento di andarsene, ben dopo il tramonto, digitò un messaggio.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

18:55

Un giorno ancora.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
18:57

Ottima idea! ;)

 

 

Arthur si sentì sorridere. Forse stava impazzendo. Non era da lui messaggiare ad un uomo sconosciuto – d’accordo, semisconosciuto calzava meglio? – e perdersi in quelle frivolezze.

Forse lo stava infastidendo. Forse… beh, in tal caso, sarebbe stato il veterinario a farglielo capire. E, comunque, quel gioco sarebbe finito con l’addio alla cagnetta.

 

 

***

 

 

Giovedì, il marchio di Gwaine divenne palese: “Sono la principessa della Principessa”.

E probabilmente il dottor Emrys non avrebbe mai capito il sottinteso di quella frase, ma gliela inoltrò comunque, per dovere di cronaca.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
8:02

Non sapevo che anche tu avessi sangue reale! Dov’è il tuo pedigree?

 

 

Arthur scosse la testa, divertito.

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

8:03

Il mio pedigree è così puro che farebbe impallidire anche i Windsor!

PS. Dio salvi comunque la Regina.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
8:05

Non l’avrei mai detto, sai? La tua umiltà era così abbagliante!

PS. Lunga vita alla Regina. (Ma io sono Repubblicano! LOL)

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

8:05

Merlin! O_O

 

 

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Da: Merlin
8:06

Eh, lo so! Le apparenze ingannano… ;D

 

 

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A: Merlin

8:08

Che idiota! XD

 

 

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Da: Merlin
8:09

Zitto, Principessa! LOL

 

 

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A: Merlin

8:10

Merlin!!! è_é
Non osare, sai?!

 

 

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Da: Merlin
8:12

LOL.

Scappo in ambulatorio. Buona giornata.

PS. Una grattatina per Aithusa da parte mia?

 

 

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A: Merlin

8:14

Anche a te.

PS. Provvedo immediatamente.

 

 

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A: Merlin

19:03

Un giorno ancora.

 

 

***

 

 

Venerdì mattina non c’era alcun cartello al solito posto. Arthur controllò due volte, per scrupolo. Sollevò persino il cuscino nella cuccia. Poi ispezionò anche i dintorni, e la propria scrivania… ma niente.

 

Una piccola, squilibrata parte di lui ne fu quasi delusa.

Delusa perché – si sarebbe portato il segreto nella tomba, beninteso – quella era diventata una specie di piacevole routine. Si divertiva a verificare quali fossero i livelli di idiozia che Gwaine avrebbe potuto raggiungere.

Forse, invece, la sua vena creativa si era già esaurita. Ma avrebbe dovuto aspettare l’arrivo (come sempre in ritardo) di quel mentecatto per chiedergli spiegazioni.

 

“Beh, pazienza…” bofonchiò, amareggiato anche dal fatto che – suo malgrado – oggi non aveva nessun pretesto per inviare un messaggio al dottor Emrys.

 

Cioè… non che lui fosse tenuto a farlo, eh! Ma si era preso la briga di aggiornarlo ogni mattina e ora anche Merlin sarebbe rimasto scontento come lui...

 

Guinevere bussò discretamente alla porta, entrando con il suo solito caffè.

Gwaine stavolta si è superato, eh?” constatò, mezza ammirata e mezza divertita.

 

Arthur si accigliò.

“E perché, di grazia?”

 

“Come? Non l’hai vista?!” domandò lei, indicando l’uscio.

 

Visto cosa?”

 

Gwen girò sui tacchi, uscendo, e lui le andò dietro.

 

Appeso in bella vista sul pannello di noce, giusto sotto al suo nome:

 

Mr. A. Pendragon - CEO

 

vi era un’altra targhetta dorata e finemente cesellata:

 

Lady A. Pendragon - PA

 

 

Arthur scoppiò in una risata.

Gwen! Aithusa ti ha soffiato il posto!” le annunciò, riferendosi alla sigla di Assistente Personale.

 

“Con tutte le ore che passa con te, dovevo aspettarmelo!” esclamò, teatrale, fingendosi tradita. “Ma insegnale a portarti il caffè, poi ne riparliamo!” lo avvertì, prima di scivolare alla sua scrivania per accendere il computer.

 

Arthur ammiccò di rimando, e subito estrasse il cellulare allegando un sms alla foto.

 

 

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A: Merlin

8:20

Spiacente per il ritardo.

 

 

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Da: Merlin
8:25

Stasera festeggerete la promozione?

 

 

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A: Merlin

8:26

Ovviamente sì!

Ma è incinta e non può bere alcolici. Brinderemo con acqua naturale.

 

 

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Da: Merlin
8:30

Uomo saggio.

 

 

***

 

 

Il venerdì era sacro ad Arthur per vari motivi: perché era l’anticamera del weekend, perché aveva litigato a sangue con suo padre affinché anche la Pendragon Company si adeguasse al Casual Friday (e per una volta, aveva vinto la battaglia) e perché, generalmente, tutte le rogne trovavano un aggiustamento in tempo utile per la chiusura della settimana lavorativa.

Arthur amava fare i bilanci del venerdì e sentire che era sopravvissuto e che poteva portare – per un’altra settimana ancora – il peso della responsabilità che il vecchio Uther gli aveva affidato, senza restarne schiacciato.

Per una qualche forma di autoconservazione, non osava programmare niente di più lungo. Guardava il calendario da tavolo suddiviso di sette in sette e, inspirando aria e coraggio, si diceva che andava bene così.

 

Quella settimana, poi, sarebbe finita negli annali delle straordinarietà e nei memoriali dell’azienda.

L’arrivo di Aithusa aveva rivoluzionato il suo mondo – personale e lavorativo –, ma non poteva che ritenersi felice della sua scelta. E niente avrebbe guastato il suo buonumore.

 

Ogni volta che aveva avuto tempo, Arthur se l’era coccolata. Oppure aveva avuto uno stuolo di collaboratori pronti a farlo.

Aithusa era servita e riverita come una regina.

 

Persino l’austera e inflessibile Annis, stretta nel suo rigido chignon, aveva ceduto ai suoi mugolii, il terzo giorno.

Quella cagna si rigirava tutta la Pendragon Company attorno ad un dit- unghietta.

 

Ma, ovviamente, come in tutte le cose che filavano lisce, doveva esserci un’anomalia.

 

 

***

 

 

Verso le cinque del pomeriggio, l’interfono ronzò e Gwen gli annunciò l’arrivo di uno degli esperti del Settore Marketing, ma non aveva fatto a tempo a dirgli il nome, che la porta del suo ufficio si era spalancata di malagrazia, interrompendo un colloquio che stava avendo con Gwaine, a proposito della nuova offerta di un investitore.

 

Pendragon! Ho sentito la novità!” lo apostrofò l’uomo, sondando la stanza con malevola curiosità. “Adesso ti presenti al lavoro con una cagnetta spocchiosetta?”

 

Spocchiosetta sarà tua sorella, Val!” gli sibilò contro Gwaine, prima ancora che Arthur potesse aprir bocca.

 

Valiant Snakeshield fece un sorriso untuoso e se ne andò senza replicare.

 

Quel viscido – grazie a Dio! – se ne sarebbe tornato, entro la fine della settimana successiva, nella filiale di Honk Hong, quindi non avrebbero più dovuto sopportare il suo brutto muso per almeno sei mesi.

Val non poteva essere licenziato, perché era figlio di uno dei soci; ma, in ogni succursale in cui finiva a lavorare, lo chiamavano tutti ‘Il Serpente’ e un motivo c’era di sicuro (e no, non riguardava il suo cognome).

 

“Non ti offendere, principessa…” esclamò nuovamente Gwaine, con tono consolatorio. “Quello lì non capisce un cazzo…”

 

Arthur era pronto a rimbrottarlo per l’ennesima volta su quel nomignolo inappropriato, quando s’accorse che, per una volta, non era rivolto a lui, ma alla cagnetta che si stava godendo un giochino, nascosta sotto alla scrivania.

 

Pendragon sbuffò, scuotendo la testa con divertita rassegnazione. Gwaine aveva un debole per le femmine. Di qualsiasi tipo. Era il loro cavalier servente per eccellenza.

 

Quasi tutti i suoi amici, sin dall’infanzia, erano figli dei colleghi di suo padre, amicizie costruite sulla convenienza più che per autentico affiatamento.

Ma Guinevere, Elyan e Gwaine costituivano l’eccezione a questa regola.

Malgrado lui e Morgana non avessero avuto un carattere facile (e lo sapevano entrambi) questi tre ragazzi si erano affezionati a loro e, col tempo, ne era nata una solida, sincera amicizia, anche se Arthur era – a tutti gli effetti – anche il loro datore di lavoro.

 

“Ehi, Principessa!” la voce di O’Green lo distrasse dai suoi pensieri. “Stavolta dico a te!”

 

Gwaine!” lo sgridò, esasperato.

 

“Spero che Il Serpente finisca mangiato in qualche bettola di Honk Hong. Ai cinesi piace cucinare i vermi che hanno fatto carriera!

 

Arthur contrasse le labbra in un ghigno.

“Dubito che sarebbe commestibile anche da cotto. È troppo velenoso!”

 

“Sì, beh… non doveva permettersi di offendere la nostra mascotte”, puntualizzò, con uno sguardo d’affetto verso la cagnetta.

 

“Vattene a casa, Gwaine! E porta con te la tua armatura glitter!” lo cacciò Pendragon, predisponendo le ultime cose prima di lasciare a sua volta.

 

Quella sera, anziché inviare il solito messaggio, Arthur prese il coraggio a due mani e telefonò.

“Che ne dici se domani te la porto per un controllo?” propose.

 

“È un’ottima idea”, concordò Merlin. “Vieni per mezzogiorno, così facciamo le cose con calma…

 

“Affare fatto!”

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Le varie nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

 

CEO è una sigla straniera per chief executive officer (visto che la fic è ambientata a Londra, ho preferito mantenere quella originale), è equiparato al nostro Amministratore Delegato ed è comunemente usato in ambito internazionale.

 

PA è, allo stesso modo di sopra, un Personal Assistent, quindi un segretario privato.

 

Casual Friday è l’usanza di vestire con più libertà in ufficio il venerdì, che è l’ultimo giorno di lavoro della settimana. Niente giacca e cravatta, per capirci, ma magari un maglioncino.

Alle donne è consentito qualsiasi abito (purché appropriato). All’estero è diffusissimo, in Italia ancora poco, ma so per esperienza diretta che le imprese giovani e all’avanguardia lo applicano.

 

Il cognome di Valiant l’ho creato ovviamente prendendo spunto dall’omonima puntata 1x02 e dallo scudo di serpenti. Non da ultimo, perché lui è viscido come loro.

 

Com’è noto, i cinesi (per amor di precisione, solo nel Sud della Cina) cucinano e mangiano serpenti.

 

La frase “Ai cinesi piace cucinare i vermi che hanno fatto carriera!”

Fa il verso ad una battuta di umorismo di qualche anno fa:

-        Sai che cos’è un serpente?

-        Cos’è?

-        È un verme che ha fatto carriera!

 

Un’ultima cosa. Ancora una volta, Arthur accenna ad Aithusa come ignaro corriere della droga.

Molti di voi mi hanno detto nei commenti che davvero Arthur ha volato troppo con la fantasia, ma – come ho già spiegato a qualcuno – in realtà la sua ipotesi non è così folle, perché di recente si è scoperto che molti trafficanti nascondono la droga fra i capelli, nelle treccine vicino al cuoio capelluto, quindi la sua idea del pelo sporcato di droga non è poi così folle! XD

E poi c’era gente che leccava i rospi sulla schiena, per assorbire una sostanza allucinogena e farsi un trip gratis, quindi la follia umana non ha confine!

Comunque garantisco: la povera Aithusa non è mai stata uno spacciatore! XD

 

 

Ecco ben QUATTRO anticipazioni del prossimo capitolo:

 

Messaggio inviato 

A: Strega

12:19

Ehi, Balena! Come va?

 

 

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Da: Strega
12:20

Fratello disgraziato. Potrei essere già morta, per quello che te ne importa!

 

 

Messaggio inviato 

A: Strega

12:21

Ti penso ogni giorno, Morgana cara. Vivo in quella cazzo di casa delle bambole che mi hai lasciato!

 

(...)

 

Arthur avrebbe detto di essersi sbagliato. Ma – siccome lui non sbagliava mai – era piuttosto una questione di congiunzioni astrali sfavorevoli e di calendari. Cause di Forza Maggiore, o forse era Destino, che dir si voglia.

Com’era noto, però, il lunedì era il giorno peggiore della settimana e le decisioni prese in quel giorno – secondo la sua esperienza personale – erano sempre le più infauste.

Era ovvio, quindi, che non potesse scegliere sventatamente sulla sorte di Aithusa e dei suoi cuccioli di lunedì. Non era senza cuore, lui.

 

E nei giorni immediatamente precedenti, come aveva anticipato al suo veterinario, aveva avuto una sessione intensissima di impegni che avevano scandito ogni istante del suo tempo sia il sabato sia la domenica: fancazzismo ad oltranza imparato da Gwaine, pomeriggi stravaccati sul divano a sonnecchiare, una passeggiatina di rito con Aithusa, e coccole, coccole, coccole.

 

Perciò… non sarebbe stato tanto male… procrastinare un altro po’ non avrebbe ucciso nessuno. Letteralmente.

 

(...)

 

Tre giorni. Tre giorni era durato il silenzio di Arthur.

Probabilmente, se non fosse stato concentrato su un brutto caso di maltrattamento che aveva dovuto denunciare, Merlin avrebbe dovuto chiedersi perché ci fosse improvvisamente calma piatta, quando – sul più bello – la suoneria che aveva associato ad Arthur Pendragon era risuscitata.

 

“Mi chiedevo”, aveva esordito l’uomo, senza preamboli. “Stiamo andando incontro all’inverno: dici che dovrei comprarle un cappottino da indossare?”

 

“Buongiorno anche a te!” aveva ironizzato il dottor Emrys. “Io sto bene, grazie. E tu?”

 

Whatever”, fu la risposta annoiata di Arthur. “I preamboli sono noiosi…”

 

“I preamboli sono indispensabili nelle comunicazioni… So che sei abituato a comandare, ma sarebbe carino – o perlomeno cortese – fingere di interessarti al tuo interlocutore, prima di subissarlo di domande!”

 

“Giornata pesante?” lo pungolò Pendragon. “Pensavo vivessi per il tuo lavoro!”

 

“Testa di cavolo!” sibilò Merlin.

 

“Ehi!” si risentì Arthur. “Io ho intavolato una discussione, ma tu non collabori!”

 

“Senti, devo andare. Ci risentiamo…”

 

“Merlin? Merlin?! Ehi, MERLIN!”

Ma dall’altro capo il segnale suonava vuoto.

 

(...)

 

“Penso che Paris Hilton potrebbe darti l’indirizzo del negozio che usa per il suo Tinkerbell… Non frequentate forse gli stessi ambienti spocchiosi?”

 

“Ma il suo è un odioso chihuahua! Non ha niente a che spartire con Aithusa!” esclamò, scandalizzato.

 

“Ora che ci penso… Ho letto da qualche parte che lei lo veste solo Chanel! Vedi, già vi trovate con le idee!” lo canzonò il veterinario.

 

Bleah!” rumoreggiò Pendragon, esprimendo il proprio disgusto. “Potrei offendermi, sai? Di sicuro Aithusa è offesa con te, per averla associata a quel topo viziato!

 

“Per te, sono tutti topi, Arthur…” gli fece notare Merlin, quasi con dolcezza.

 

“Beh, ora so la differenza: Aithusa è un topo finto, quello è un topo vero!” precisò, per amor proprio.

 

Il dottor Emrys rise a tal punto che la penna con cui stava scrivendo bucò il foglio.

“Com’è che siamo partiti dalcappottino sì, cappottino no’, per arrivare allo ‘Chanel a tutti i costi’? Devo essermi perso un passaggio…”

 

“Non importa. Davvero, non importa. Credo che farò un salto da Will”.

 

“Will non vende Chanel. Lo sai, vero?” puntualizzò.

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 20 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 6 ‘da ricordare’ e i 91 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

Restate sintonizzati!

 

 


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Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Waiting for you

Non mi ero accorta che fosse passato tanto tempo dall’ultimo aggiornamento, chiedo scusa!

 

Devo solo precisare che gli orari e i tempi di risposta degli sms che leggerete, in questo capitolo e nei successivi, sono una scelta ragionata e prima della fine vi spiegherò il perché; anche se, comunque, non vi cambierà la vita se preferite non farci caso…

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa.

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A DevinCarnes, chibimayu, Burupya, Barby_Ettelenie_91, misfatto, Eresseie93, aria, mindyxx, areon, FlameOfLife, hiromi_chan, Orchidea Rosa, Raven Cullen, Sheeireen_Black 22, Yuki Eiri Sensei, crazyclever_aveatquevale e katia emrys.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo VII      

 

 

Erano passati appena otto giorni, eppure ad Arthur sembrava un’eternità.

Questa volta l’ambulatorio era quasi vuoto, c’era solo una vecchietta con due gatti malmessi nella saletta d’attesa e persino Freya, la frigida, l’aveva salutato con più decenza e con un sorriso rivolto alla cagnetta.

Arthur, suo malgrado – e perché era un gentiluomo – aveva ricambiato con meno supponenza.

 

Merlin, invece, l’aveva accolto raggiante – ricordandogli vagamente l’inquietante sorriso ferragostano di Will –, pronto a dedicarsi anima e corpo alla sua pelosa paziente.

 

Il dottor Gaius non si era mai dimostrato così entusiasta di visitarlo. Forse avrebbe dovuto essere geloso di Aithusa?

 

“Ha seguito la dieta che ti ho dato?” chiese il veterinario, mentre la esaminava.

 

Arthur gli spiegò per filo e per segno tutti i pasti consumati quotidianamente.

 

“Da questa settimana, dovrai modificare leggermente nelle dosi”, anticipò Merlin. “Come sai, un cane incinta ha bisogni particolari. E la sua alimentazione varia col procedere della gravidanza. Poi ti spiego meglio”, lo rassicurò, preferendo concentrarsi completamente sulla bestiola, facendo pertanto accomodare il suo padrone.

 

Come la volta precedente, Arthur decise di non osservare la visita, quindi scelse di occupare il tempo mandando un paio di messaggi arretrati – uno a Morgana, per esempio, per chiederle come stava.

 

Messaggio inviato 

A: Strega

12:19

Ehi, Balena! Come va?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Strega
12:20

Fratello disgraziato. Potrei essere già morta, per quello che te ne importa!

 

 

Messaggio inviato 

A: Strega

12:21

Ti penso ogni giorno, Morgana cara. Vivo in quella cazzo di casa delle bambole che mi hai lasciato!

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Strega
12:23

È per quello che mi fischiano sempre le orecchie?! E io che credevo fosse colpa della pressione bassa!

 

 

Messaggio inviato 

A: Strega

12:23

Papà non ti tiene le coronarie in movimento?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Strega
12:24

Lo yoga tantrico mi aiuta a raggiungere la pace interiore. (E migliora le prestazioni a letto).

 

 

Messaggio inviato 

A: Strega

12:25

Risparmiami i particolari, ti prego, è l’ora di pranzo.

Quindi… Non hai ancora staccato a morsi la testa di Leon?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Strega
12:26

Anche se continui a pensare il contrario, NON sono una Mantide Religiosa. Fratellino idiota!

 

 

Messaggio inviato 

A: Strega

12:26

Ma chissà che mostriciattolo partorirai! Magari tutto verde e bitorzoluto!

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Strega
12:27

Fanculo, Arty. Uh! Mi hai fatto venire voglia di cetrioli inzuppati nel miele. Scappo. Ciao.

 

 

Arthur fece una faccia schifata al solo pensiero. Ma si limitò a digitare indietro un saluto, giusto quando la voce sorpresa di Merlin lo distrasse dal suo cellulare.

 

“Ah!”

 

“C’è qualcosa che non va?” domandò, in ansia, sollevandosi dalla poltroncina.

 

“No, no. Vieni!” lo invitò il veterinario, facendogli posto accanto a sé, davanti alla cagnetta sdraiata.

“Qui”, indicò, afferrandogli la mano destra e guidandola verso il pancino di Aithusa. “Lo senti questo grumo?” Merlin accompagnò le sue dita nella palpazione, fino a che Arthur non realizzò cosa stava cercando.

 

“Oh!” esalò, sorpreso anch’egli, ripetendo il movimento. Sì, lo sentiva.

 

“Siamo nella quarta settimana!” gli spiegò il dottor Emrys, con entusiasmo, dimenticando di lasciargli la mano.

 

“E…?” l’incalzò Pendragon, con curiosità.

 

“Dal trentesimo giorno in poi, si possono proprio vedere i cuccioli, con testoline e tronchi ben distinti!”

 

Gli sfuggì un ansito e il suo corpo tremò. Merlin strinse un po’ più forte nel punto in cui la loro pelle si toccava e gli offrì uno sguardo di conforto.

 

“Dai, respira…” gli suggerì, piano, quasi con delicatezza.

 

Arthur lo ascoltò, inalando una lunga boccata d’aria. Poi si scrollò di dosso quel legame scomodo e fece un passo di distanza, pur cercando di rimanere composto.

 

“Se ci fosse solo lei, sarebbe tutto più semplice…” si ritrovò a dire, con un’intonazione spenta.

 

“Vorresti che non ci fossero?”

 

“Ti sembrerei così meschino, se lo desiderassi?” domandò, lanciando però uno sguardo di scuse ad Aithusa.

 

La cagnetta si sentì osservata e scodinzolò di rimando, anche dalla posizione sdraiata.

 

“È un bene che tu riesca ad esternare ciò che senti…”

 

“Senza dare di matto?” concluse per lui Arthur.

 

“No, non intendevo dire questo!” lo smentì Merlin. “Ma la negazione non ti porterà da nessuna parte!” motivò. “Prima verrai a patti con tutto questo, e prima potrai decidere cosa fare!” lo pungolò, mettendoci fin troppa enfasi.

 

“Merlin?”

 

“Dimmi…” soffiò il veterinario, sgonfiandosi come un palloncino bucato.

 

“Vai avanti con la visita, per favore?”E la smetti di farmi prediche?’ Era sottinteso.

 

“Sì”.

 

“Grazie”.

 

Il dottor Emrys accese l’ecografo senza replicare e stavolta non cercò di coinvolgerlo, mentre passava la sonda sul ventre della cagnetta, e ingrandiva le sezioni sullo schermo, digitando cifre sulla tastiera accanto, e faceva implicite misurazioni, controllando che tutto fosse a posto.

 

Arthur sbirciò solo di striscio, ma – anche se avesse voluto capire davvero –, quella sul monitor era solamente una macchia sfocata in bianco e nero, in continuo mutamento e incomprensibile.

Anche la faccia di Merlin sembrava indecifrabile. Era seria e concentrata. Così diversa dal costante sorriso di buonumore con cui l’aveva abituato, tanto che Arthur temette che ci fosse qualche anomalia latente che stava emergendo dall’esame.

 

Si morse il labbro inferiore, sul punto di chiederglielo, quando il dottor Emrys cliccò sul volume e  il suono di un ritmico palpitare cardiaco si sparse nell’ambulatorio.

 

Arthur sentì qualcosa di strano rimestare nello stomaco.

E si ritrovò di nuovo accanto a Merlin, prima ancora di saperlo.

 

“Una testolina… e l’altra testolina”, indicò il medico, orientando la sonda correttamente. “E i due tronchi. Li vedi?” domandò, retorico.

 

Deglutendo, Arthur annuì.

C’era ancora quel pulsare energico e rapidissimo che rimbombava nelle sue orecchie.

Il cuore dei grumi che aveva accarezzato prima.

 

“D’accordo. È tutto in ordine”, decretò il veterinario, rompendo il momento e spegnendo il macchinario. La stanza ripiombò nel silenzio più completo.

 

Arthur si chinò a lasciare una carezza per Aithusa, intanto che il medico stampava alcuni fogli con dei numeri.

 

“Lo vuoi?” chiese poi, porgendogli un foglietto con le stampe di un’ecografia.

 

Arthur grugnì qualcosa, e se lo infilò in tasca.

Merlin fu lesto a nascondere un sorriso, mentre riprendeva posto dietro la sua scrivania e invitava il suo paziente a fare altrettanto.

 

“Allora?”

Sapevano entrambi che quella domanda – all’apparenza così innocua – sottintendeva invece una scelta radicale.

 

Arthur fece un respiro profondo, accomodandosi meglio Aithusa sulle ginocchia. Ma, quando fece per parlare, un colpo alla porta lo interruppe.

 

Doc…” incominciò la segretaria, una volta ottenuto il permesso di entrare. Gli si appressò, parlando sottovoce. “La signora Wilson dice che si scusa, ma al momento non può pagare...

 

Merlin scosse le spalle. “Ok, non è un problema”.

 

“Gliel’ho detto, lo sai. Ma lei insiste perché venga a riferirtelo. Altrimenti non avrà pace!”

 

Arthur rammentò di aver visto distrattamente una vecchina con due sportine e due gatti malandati dentro.

 

Freya, per cortesia, dille che la prossima volta dovrà portarmi una delle sue meravigliose torte allo zenzero e saremo pari!”

 

“D’accordo!” approvò la donna, congedandosi.

 

Quando rimasero soli, Merlin si sentì quasi in dovere di giustificarla.

“La signora Wilson sfama con la sua pensione tutti i gatti randagi del suo quartiere”, gli raccontò. “Andrebbe premiata per il suo volontariato! Io cerco di non farla pagare, ma lei è orgogliosa e ci tiene…

 

“Sì, capisco”, replicò Arthur. Anche se in fondo no, non era così semplice per lui capire una vita spesa a raccattare gatti pulciosi nei vicoli o nei bidoni della spazzatura.

 

Merlin focalizzò il suo sguardo a disagio. “Dov’eravamo…?”

 

Fino a lunedì”, lo interruppe Pendragon, risollevandosi dalla sedia. “Mi prendo tempo fino a lunedì. Questo weekend sono molto impegnato e non è il momento migliore per una scelta”.

 

V-va bene…” concordò, stupito.

 

“Allora… buon fine settimana, dottor Emrys”, lo salutò, dirigendosi all’uscita con il cane e la nuova dieta.

 

“Arthur?” fu un richiamo esitante.

 

Mh?”

 

“Ci sentiamo lunedì?”

 

 

***

 

 

Arthur avrebbe detto di essersi sbagliato. Ma – siccome lui non sbagliava mai – era piuttosto una questione di congiunzioni astrali sfavorevoli e di calendari. Cause di Forza Maggiore, o forse era Destino, che dir si voglia.

Com’era noto, però, il lunedì era il giorno peggiore della settimana e le decisioni prese in quel giorno – secondo la sua esperienza personale – erano sempre le più infauste.

Era ovvio, quindi, che non potesse scegliere sventatamente sulla sorte di Aithusa e dei suoi cuccioli di lunedì. Non era senza cuore, lui.

 

E nei giorni immediatamente precedenti, come aveva anticipato al suo veterinario, aveva avuto una sessione intensissima di impegni che avevano scandito ogni istante del suo tempo sia il sabato sia la domenica: fancazzismo ad oltranza imparato da Gwaine, pomeriggi stravaccati sul divano a sonnecchiare, una passeggiatina di rito con Aithusa, e coccole, coccole, coccole.

 

Perciò… non sarebbe stato tanto male… procrastinare un altro po’ non avrebbe ucciso nessuno. Letteralmente.

 

 

***

 

 

In fondo… non era necessario condannarla al canile, considerò, uscendo dall’ascensore con il cane e tutto l’armamentario appresso.

Lì, dentro la sua azienda, qualcuno si sarebbe offerto di adottarla. Forse, addirittura, avrebbero litigato per lei.

Qualcun’altro si era già prenotato i cuccioli non ancora nati...

 

Ma fu solo quando vide che tutti i suoi collaboratori, nel piano, si aspettavano l’arrivo di lui e Aithusa insieme, che comprese che no, non l’avrebbe data via.

 

Che se tutti i suoi dipendenti pendevano dalle sue labbra – beh, dal suo muso – lui era il primo della lista a farlo.

 

E che quel cane l’aveva reso migliore in soli dieci giorni.

E lui non se n’era manco accorto, perché era stato naturale cambiare. Migliorare.

 

Beninteso, questa non sarebbe mai stata una decisione presa di lunedì.

(Anche perché, fin da quando se l’era trovata sotto al portico, la scelta era già stata fatta, che lui volesse ammetterlo o no).

 

 

***

 

 

Arthur ricambiò il saluto di Guinevere e di tutti gli impiegati presenti, poi prese posto nel suo ufficio, con uno strano senso di leggerezza, malgrado i tanti bagagli.

Aithusa scivolò nella sua cuccia e si predispose per un riposino e, siccome Gwaine aveva chiesto un paio di giorni di ferie, lui era certo che non avrebbe più trovato strani messaggi in giro.

 

Eppure, non avrebbe dovuto esserne così sicuro.

 

Alle dieci, aveva appuntato alla bacheca accanto alla macchinetta del caffè una delle foto dell’ecografia dei cuccioli. (L’altra, invece, l’aveva appesa sul frigorifero in cucina, con una di quelle strane calamite kitsch che Morgana aveva collezionato dai suoi viaggi).

Gli era sembrato quasi un gesto doveroso condividerla, dopo tutto l’affetto che la sua squadra aveva dimostrato per la bestiola.

 

All’ora di pranzo, Arthur aveva messo il guinzaglio ad Aithusa, pronto a scortarla in quel ristorantino in fondo all’isolato, dove era concessa l’entrata anche agli animali.

Certo, non aveva più la comodità del locale di fronte, ma ora aveva la scusa buona per fare due passi salutari e, se anche avesse ritardato un po’ nel rientrare in ufficio, difficilmente il suo capo l’avrebbe sgridato, considerò, con un ghigno ironico.

 

Passando davanti alla bacheca, si accorse – con un certo stupore – che la foto era tappezzata tutt’attorno di Post-it colorati.

Gli eredi al trono!”, “Brava la nostra mascotte!”, “Awwwhhh!!!” Arthur ridacchiò, quando ne lesse uno un po’ sessista: “Speriamo siano maschi!” e la risposta immancabile di qualche donna, forse era la calligrafia di Sophia: “No, meglio le femmine!

 

Afferrando il cellulare, scattò e spedì il messaggio a due destinatari:

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

12:05

L’idiozia dilaga.

 

 

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A: Il_Fannullone

12:05

È colpa tua. Hai contagiato tutti!

 

 

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Da: Il_Fannullone
12:07

Sono così orgoglioso di me! ;D

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
12:10

Decisamente contagiosa, sì. Come pensi di curarla?

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

12:11

Mi limiterò a contenere i danni.

PS. Aithusa dice che è ora di mangiare la pappa.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
12:12

Come darle torto? Buon pranzo!

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

12:12

Anche a te. ;)

 

 

***

 

 

Arthur – quella sera – aveva atteso con una certa trepidazione l’orario per rincasare.

Per essere stato un lunedì, doveva ammetterlo, era risultato abbastanza indolore e gli sguardi di solidarietà di Aithusa lo avevano aiutato a superare ogni telefonata snervante che aveva ricevuto, compresa quella quindicinale di suo padre, che ovviamente voleva essere ragguagliato sull’andamento dell’intera baracca.

 

“Io e Aithusa abbiamo raggiunto un compromesso”, aveva esordito, appena Merlin aveva risposto alla sua chiamata.

 

“E quali sarebbero i termini dell’accordo?” s’interessò il veterinario.

 

“Io tengo il possesso del telecomando e lei quello del divano”, spiegò Arthur, serio, facendo scoppiare a ridere l’altro uomo.

 

“Interessante! E…?”

 

“Lei decide quando dobbiamo uscire, e io quando è ora di dormire”, continuò Pendragon. “Sulle vacanze… ci accorderemo”.

 

“Avete già firmato il contratto?”

 

“Sì, l’orma della sua zampa sporca di fango è rimasta sul mio tappeto”.

 

“Ottimo!” gioì Merlin. “Congratulazioni!”

 

“Grazie”.

 

“Seriamente, Arthur. È una bellissima notizia…”

 

“Lo sai, vero, che qualcuno mi deve spiegare come si allevano dei cuccioli… e avrò bisogno di un buon veterinario. Conosci nessuno?”

 

“Mi hanno detto che un certo dottor Emrys è bravino… ma non so se può andarti a genio… è un tipo strano…

 

“Oh, sì. L’ho sentito dire!” ironizzò Arthur. “Ma proverò il brivido del rischio!”

 

“Beh, poi dimmi come va… ma ricorda che ti avevo avvertito!” lo mise in guardia, col medesimo tono leggero.

 

“D’accordo. Buona serata”.

 

“Anche a te! E non ubriacare Aithusa, se festeggiate!”

 

 

***

 

 

Il giorno dopo, la bacheca aveva avuto un paio di messaggi nuovi e Arthur ritenne doveroso aggiornare il veterinario sulla situazione. Poi, osservando Aithusa che si mordicchiava le zampette, si fece cogliere da un assillante dubbio.

 

E, poiché Merlin gli aveva espressamente detto più volte: “Se hai dubbi, chiamami. Non farti scrupoli!”, (anche se Arthur sospettava fosse stata più una frase di circostanza), lui intendeva prenderlo in parola. Se fosse servito.

Solo che non immaginava quanto gli sarebbe servito.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

09:45

Domanda: le cagne incinte possono andare dall’estetista?

 

 

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Da: Merlin
09:47

Dipende: meglio evitare le lampade abbronzanti…

 

 

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A: Merlin

09:48

Oh, spiritosone!

Credo che le unghiette la infastidiscano.

Hai il nome di un buon posto?

 

 

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Da: Merlin
09:50

Forse sì, forse no: devono offrirti anche un cocktail mentre aspetti?

Altrimenti prova qui: “Animal House”, è due strade prima della mia, sulla destra.

 

 

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A: Merlin

09:51

Grazie.

 

 

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Da: Merlin
09:53

Prego. ;)

 

 

***

 

 

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A: Merlin

18:45

Merlin!!!

Non mi avevi avvertito che me lo avrebbero tosato come un leone spelacchiato!

 

 

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Da: Merlin
18:50

OMG! È un Bichon Frisé! Perché l’hai fatta massacrare?!

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

18:51

Non l’ho ‘fatta massacrare’, che ti agiti? Mi sono opposto, OVVIAMENTE, e le hanno dato solo una spuntatina dove serviva…

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
18:55

Fiù!

 

 

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A: Merlin

18:56

Uomo di poca fede! Vedessi che unghiette! Ci manca solo lo smalto…

 

 

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Da: Merlin
18:57

Abbi pietà di quel cane, Arthur.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

18:58

La verità è che ha goduto. Credimi.

 

 

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Da: Merlin
18:59

Voglio una foto alla fine della tortura. Mi sento responsabile ad avertela affidata.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:00

Prova inviata. ;D

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
19:01

Oh. Mio. Dio.

 

 

Arthur rise e si apprestò a pagare il conto della toelettatura. Lasciò, per buona misura, una discreta mancia alla commessa, perché era stata davvero gentile e premurosa con Aithusa.

 

 

***

 

 

Tre giorni. Tre giorni era durato il silenzio di Arthur.

Probabilmente, se non fosse stato concentrato su un brutto caso di maltrattamento che aveva dovuto denunciare, Merlin avrebbe dovuto chiedersi perché ci fosse improvvisamente calma piatta, quando – sul più bello – la suoneria che aveva associato ad Arthur Pendragon era risuscitata.

 

“Mi chiedevo”, aveva esordito l’uomo, senza preamboli. “Stiamo andando incontro all’inverno: dici che dovrei comprarle un cappottino da indossare?”

 

“Buongiorno anche a te!” aveva ironizzato il dottor Emrys. “Io sto bene, grazie. E tu?”

 

Whatever”, fu la risposta annoiata di Arthur. “I preamboli sono noiosi…”

 

“I preamboli sono indispensabili nelle comunicazioni… So che sei abituato a comandare, ma sarebbe carino – o perlomeno cortese – fingere di interessarti al tuo interlocutore, prima di subissarlo di domande!”

 

“Giornata pesante?” lo pungolò Pendragon. “Pensavo vivessi per il tuo lavoro!”

 

“Testa di cavolo!” sibilò Merlin.

 

“Ehi!” si risentì Arthur. “Io ho intavolato una discussione, ma tu non collabori!”

 

“Senti, devo andare. Ci risentiamo…”

 

“Merlin? Merlin?! Ehi, MERLIN!”

Ma dall’altro capo il segnale suonava vuoto.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

18:27

Mi dispiace.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
19:40

Non importa.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:42

È tutto ok?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
19:45

Sì.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
19:45

… Grazie.

 

 

***

 

 

Quindi”, riprese Arthur, dopo un’introduzione di convenevoli lunga come il Tamigi. “Pensi che dovrei comprarle un cappottino di Chanel?”

 

Merlin sorrise contro la plastica del cellulare, mentre stava ultimando la compilazione di alcune cartelle.

Arthur era davvero emotivamente stentato, ma almeno sapeva imparare in fretta dai propri errori e aveva esordito la sua telefonata con una cortesia degna del Cerimoniale di Corte Spagnolo, per farsi perdonare lo scivolone del giorno prima.

 

Nah! Non mi sembra un tipino pretenzioso… se è di cachemire puro, non credo si lamenterà. Qualunque marca andrà bene…”

 

Cachemire?! 

Arthur lampeggiò un’immagine mentale di una capra hircus.

Una pecora vestita con pelo di capra. Sembrava una barzelletta malriuscita!

“No, non se ne parla proprio!”

 

“Penso che Paris Hilton potrebbe darti l’indirizzo del negozio che usa per il suo Tinkerbell… Non frequentate forse gli stessi ambienti spocchiosi?”

 

“Ma il suo è un odioso chihuahua! Non ha niente a che spartire con Aithusa!” esclamò, scandalizzato.

 

“Ora che ci penso… Ho letto da qualche parte che lei lo veste solo Chanel! Vedi, già vi trovate con le idee!” lo canzonò il veterinario.

 

Bleah!” rumoreggiò Pendragon, esprimendo il proprio disgusto. “Potrei offendermi, sai? Di sicuro Aithusa è offesa con te, per averla associata a quel topo viziato!

 

“Per te, sono tutti topi, Arthur…” gli fece notare Merlin, quasi con dolcezza.

 

“Beh, ora so la differenza: Aithusa è un topo finto, quello è un topo vero!” precisò, per amor proprio.

 

Il dottor Emrys rise a tal punto che la penna con cui stava scrivendo bucò il foglio.

“Com’è che siamo partiti dalcappottino sì, cappottino no’, per arrivare allo ‘Chanel a tutti i costi’? Devo essermi perso un passaggio…”

 

“Non importa. Davvero, non importa. Credo che farò un salto da Will”.

 

“Will non vende Chanel. Lo sai, vero?” puntualizzò.

 

“Sì, idiota, lo so”.

 

“È che sei un asino, e volevo evitarti figuracce!”

 

Merlin!”

 

“D’accordo, d’accordo. Però voglio vedere il risultato e mi raccomando: Aithusa è una cagna rispettabile. Non scegliere colori cretini… non mi fido molto del tuo senso estetico…

 

“Che ne sai, tu, del mio senso estetico?!” s’inalberò. “Ho dei gusti meravigliosi, io!”

 

“Oh, sì. Certo. Ma voglio le prove. Ricordalo.

 

 

***

 

 

Due giorni dopo, il dottor Emrys ricevette un MMS.

 

Aithusa indossava un cappottino rosso fuoco con lo stemma dorato della Pendragon Company ricamato con eleganza lungo tutto il bordo. Nel bel mezzo della schiena, campeggiava la scritta “Babies on Board” e Merlin sorrise, intenerito.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:42

Non è meravigliosa?

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Le varie nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

 

Dalla capra hircus si ricava la pregiata lana “Cachemire”, che prende il nome dalla zona in cui originariamente si allevavano questi animali.

 

Le info su Paris Hilton sono vere. È noto che lei vesta il suo cane esclusivamente griffato Chanel.

 

Il Cerimoniale di Corte Spagnolo è noto per la sua rigidità e complessità. È estremamente formale e quasi paranoico. Qui, ovviamente, è citato con accezione ironica.

 

Poiché mi è stato chiesto, vorrei chiarire che gli orari degli sms non nascondono alcun particolare segreto. Non è niente di fondamentale… semplicemente, controllando i tempi di risposta fra loro, si può capire l’evoluzione del merthur.

 

 

Ecco ben QUATTRO anticipazioni del prossimo capitolo:

 

“Arthur!”

 

Arthur sobbalzò, ritrovandosi il padre, infuriato, davanti alla porta dell’ufficio. A tradimento.

 

Pa-!”

 

“Credo di avere avuto un’allucinazione, Arthur. Altrimenti non mi spiego perché io abbia appena visto un cane camminare, nel corridoio, davanti al distributore delle bevande!

 

“Ehm… non era un’allucinazione…” bofonchiò, a mezza voce, sentendo il sudore gelare sulla nuca.

 

“Allora devi licenziare in tronco il responsabile! Non è ammissibile che-”

 

“Allora la Pendragon Company rimarrà senza Vicepresidente e Amministratore Delegato, perché quel cane è mio, papà”.

 

(...)

 

Ma…” farfugliò, incerta. “Non avevamo chiarito la questione di Viv?”

 

A quel nome Arthur si irrigidì, rannuvolandosi.

“Non intendo più sentirla nominare!” ordinò, caustico. Tuttavia, quando si volse a guardare dove Aithusa riposava, un sorriso gli stiracchiò le labbra.

“Io mi riferivo ai suoi gemelli…”

 

“I suoi gemelli?!” gli fece eco la sorella, incapace di raccapezzarsi. “Non i miei?”

 

“I tuoi?!” ripeté Arthur con espressione sconvolta.

 

“Sì, idiota. I miei gemelli!” scandì la donna, spazientita. “Ge-mel-li!”

 

Gemelli?” s’intromise Uther, comparendo dal nulla, accasciandosi al suo posto. “Gemelli di chi?

 

“Di Aithusa!” “Di Morgana!” risposero sorella e fratello in contemporanea, addossando l’un l’altra il peso della notizia.

 

Oh, Ygraine, dammi tu la forza!” pregò l’uomo rivolto al cielo, mettendosi teatralmente una mano sul cuore infartuato. “Morgana aspetta dei gemelli e la cagna di Arthur pure!”

 

(...)

 

“Oh, cazzo!” imprecò, agitandosi, infilando la mano in tasca con così tanta foga che strappò lievemente la cucitura laterale.

“Merlin?!” urlò nel telefono, appena all’altro capo sentì rispondere. “Merlin, è un’emergenza!”

 

“Arthur? Calmati, cos’è successo? Aithusa sta…?”

 

“C’è un brutto mostro nero attaccato alla sua pancia!” sbraitò Arthur, contenendo a stento l’ansia, mentre si dirigeva alla porta.

 

“È una zecca?” chiese il veterinario, con spirito pratico.

 

“Sì, ha una zecca! Una dannata zecca!… Almeno credo che sia una zecca… Merlin, devi visitarla subito!” esclamò. “Sto giusto salendo in macchina!”

 

“Portala allo studio, ma sta’ calmo. Non è niente di grave”, lo rassicurò.

 

Arthur si rese conto solo in quel momento che era domenica pomeriggio, e che l’ambulatorio non era aperto, ma francamente non gli interessava. La salute della sua cagnetta veniva prima di tutto.

 

(...)

 

“Credo che dovremmo parlare seriamente di ‘gestione dell’ansia’della tua ansia –, prima che la gravidanza finisca… perché, se per una zecca fai così… non oso pensare cosa accadrà al momento del parto!”

 

Arthur sgranò gli occhi come un cerbiatto davanti ai fari di un’auto.

Ma ci sarai tu, no?” farfugliò, con apprensione. “Cioè… io davo per scontato che sarai con me e…

 

“Ci sarò, se vuoi. Ma è bene essere pronti all’evento, per tempo”.

 

“Vuoi direi che devo seguire una specie di corso pre-parto?” domandò, incerto. “Perché, se devo… insomma, io lo faccio”.

 

Merlin scoppiò a ridere a tal punto che gli occhi gli si riempirono di lacrime. “Sei il padrone migliore del mondo, Arthur, ma davvero, non serve. Ti chiarirò le idee in uno dei prossimi controlli, mh?

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 25 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 7 ‘da ricordare’ e i 106 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^_=

 

 

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Restate sintonizzati!

 

 


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elyxyz

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Waiting for you

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa.

 

Confesso che mi dispiace un po’ per il calo di commenti, perciò ringrazio di cuore chi continua a lasciarmi il suo parere dopo la lettura. Lo apprezzo molto, davvero!

 

Un pensiero speciale a FlameOfLife, Barby_Ettelenie_91, chibimayu, aria, Burupya, misfatto, mindyxx, areon, Raven Cullen, DevinCarnes, Orchidea Rosa, Sheeireen_Black 22 e Yuki Eiri Sensei.

 

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo VIII       

 

 

Il cappottino aveva fatto furore in ufficio, ricevendo una montagna di applausi e complimenti d’apprezzamento (l’ego di Arthur s’era gonfiato come un tacchino, ed era stato sul punto di fare la ruota come un pavone, ma lo sguardo divertito di Gwaine lo aveva dissuaso dal provare) e Sophia aveva persino proposto di stampare delle magliette – molto attillate – da indossare, con lo stesso logo, ma Gwen (saggia donna) aveva stroncato questo delirio sul nascere.

 

Quando poi, due giorni dopo, in qualità di Grande Capo, aveva vidimato il distacco definitivo di Valiant dall’altra parte del mondo, Arthur era stato seriamente in preda ad un delirio d’onnipotenza.

Aithusa, ovviamente, lo compiaceva in tutto, seguendo alla lettera ogni comando in tedesco che lui le ripeteva e questo contribuiva alla sua beatitudine personale.

 

Ogni tanto (ogni tanto spesso, a dire il vero), il giovane Pendragon mandava un messaggio al dottor Emrys per risolvere qualche dubbio o curiosità, ma doveva riconoscere che poteva cavarsela più che bene anche da solo (beh, grazie al libro che Merlin gli aveva prestato, ma era giusto una sottigliezza).

A saperlo prima – doveva ammetterlo – avrebbe avuto meno paturnie in testa. E il fatto che tutto filasse liscio gli confermava che era stato solo un idiota apprensivo.

 

Tutto questo, fino a venerdì.

 

 

***

 

 

“Arthur!”

 

Arthur sobbalzò, ritrovandosi il padre, infuriato, davanti alla porta dell’ufficio. A tradimento.

 

Pa-!”

 

“Credo di avere avuto un’allucinazione, Arthur. Altrimenti non mi spiego perché io abbia appena visto un cane camminare, nel corridoio, davanti al distributore delle bevande!

 

“Ehm… non era un’allucinazione…” bofonchiò, a mezza voce, sentendo il sudore gelare sulla nuca.

 

“Allora devi licenziare in tronco il responsabile! Non è ammissibile che-”

 

“Allora la Pendragon Company rimarrà senza Vicepresidente e Amministratore Delegato, perché quel cane è mio, papà”.

 

“Tu…? Un cane?” Uther sgranò gli occhi, esterrefatto. “Come hai potuto disobbedirmi?! Io ti ho sempre detto che-”

 

“Lo so. Ma ora sono grande abbastanza per scegliere di vivere a modo mio. Volevo un cane e l’ho preso!” motivò Arthur, inflessibile, raddrizzando la schiena. Ma il suo sguardo si addolcì, quando cadde sulla cesta di Aithusa. “E se un giorno dovrò soffrire, lo farò. Ma ricorderò anche tutti i momenti di gioia che mi ha dato. Ogni giorno di affetto e compagnia che ho ricevuto da lei”.

 

“Perché non me l’hai detto?”

 

“Perché…” Non volevo vedere una scenata come questa? Non volevo una crisi di nervi? “Non volevo che ti allarmassi, nel tuo stato di salute”.

 

Uther sbuffò, ma era tutt’altro che rassegnato.

“Non c’è alcun modo per farti rinsavire?”

 

“Papà…”

 

“Questo giochino ti verrà presto a noia, parola mia!”

 

“Non ti azzardare ad interferire!” lo minacciò, sbattendo una mano sul legno lucido della scrivania. “Non osare!” reiterò. “Non starò a guardare mentre distruggi la mia felicità!”

 

Uther parve francamente sorpreso di quello sfogo.

Era forse la prima volta, in vita sua, che suo figlio gli si opponeva così apertamente.

La prima volta che dimostrava un po’ di spina dorsale, l’ardimento dei Pendragon.

 

Pur con rinnovata considerazione per il suo erede, egli chiese, controvoglia: “E quindi… fai scorrazzare questa bestiaccia liberamente per tutto il mio palazzo?”

 

“No, Gwen l’avrà portata fuori per la passeggiata mattutina”, Arthur sorrise involontariamente, ma la cosa non era sfuggita al vecchio Pendragon.

 

“C’è il Consiglio di Amministrazione, lunedì. La riunione per i Bilanci. È tutto pronto?” domandò a bruciapelo, tornando in un terreno a lui più congeniale.

 

“Sì, padre”.

 

“Bene”, si risolvette allora, avviandosi verso l’uscita, ma all’ultimo ci ripensò: “Se ti spezzasse il cuore, non venire a-

 

“Lo so. Ma non succederà”.

 

“Tua sorella ne era a conoscenza?”

 

“Non ancora…” ammise, riluttante. Probabilmente Morgana non avrebbe fatto storie e, anzi, in una certa perversa maniera, forse, avrebbe anche potuto gioire per lui. Ma Arthur aveva ritenuto la cosa migliore tenere lontana Aithusa dalla sua famiglia. A suo modo, voleva proteggerla e, finché i Pendragon non sapevano di lei, sarebbe stata al sicuro.

Ora, però, era tempo di giocare a carte scoperte.

 

“È da molto che non vi vedete”, buttò là suo padre. “Potresti venire a pranzo domenica…”

 

“Con Aithusa?”

 

“Devi proprio?”

 

“Dove vado io, viene anche lei”.

 

“Arthur, non sfidare la tua buona stella…” lo redarguì Uther, spazientito.

 

“Prendere o lasciare”, rilanciò comunque, pur sapendo che stava decisamente tirando un po’ troppo la corda.

 

“Potrebbe trasmettere malattie o parassiti a Morgana!” obiettò suo padre. “Non è igienico!”

 

Aithusa è perfettamente sana e pulita. E in ogni caso non dovrà mangiare nello stesso piatto di Morgana!” ironizzò. “Allora?”

 

“Ma perché diamine hai scelto quel topo?!” scoppiò Uther, indispettito.

 

“Perché è il cane migliore del mondo”, rispose Arthur, a colpo sicuro. “E – come si dice?nella botte piccola, sta il vino buono’?… Lo sai meglio di me: noi Pendragon prendiamo sempre il meglio, no?”

 

“Lo spero per te, figliolo”, gli augurò suo padre, stavolta senza doppi fini né avvertimenti.

 

A quel punto, Arthur ritenne lo scontro chiuso e lo accompagnò fino alla soglia.

“Ciao, papà”.

 

“Ci vediamo domenica, sii puntuale”, gli raccomandò il genitore, come unico saluto.

 

Con l’incedere lento e solenne di un vecchio re, Uther Pendragon attraversò il lungo corridoio, intimorendo ogni collaboratore e impiegato che avesse avuto l’ardire di incrociare il suo sguardo.

 

In lontananza, Arthur intravide Valiant.

Se ne accorse proprio perché era una presenza fuori posto. Non doveva essere lì. Con quale scusa si era presentato? Cosa stava tramando?

Ma la faccia seccata dell’uomo gli fece intuire che non stava ricavando alcuna soddisfazione e, anzi, sembrava alquanto indispettito da qualcosa.

 

Uther, nel momento in cui gli passò accanto, lo riconobbe a malapena, ordinandogli di portare i suoi saluti al padre, Snakeshield Senior.

E Val aveva chinato il capo, deferente.

 

Quando, subito dopo, i loro sguardi si incontrarono, Arthur sorrise vittorioso, facendolo adirare ancor di più.

 

Forse la visita di Uther Pendragon non era stata casuale, ma lui era certo di aver vinto la battaglia.

 

 

***

 

 

Il pranzo della domenica in famiglia non era mai stato entusiasmante per Arthur.

Da che ne aveva memoria, era sempre stata una sequela infinita di portate elaborate, gomiti stretti e silenzi imbarazzanti, occhiate severe e malessere soffuso.

 

Ma era una tradizione a cui Uther era legato – una domenica al mese era d’obbligo sacrificarsi – e l’unico aspetto positivo del suo esilio americano era stato il pretesto buono per saltare questo supplizio.

 

Questa volta, invece, era stato diverso.

 

Non appena era sceso dalla macchina, aveva liberato Aithusa dal trasportino e le aveva ingiunto di restargli vicino.

Scodinzolando e annusando l’aria, la cagnetta si era appostata accanto al suo piede.

 

Lui aveva scaricato dal bagagliaio l’occorrente per renderle il soggiorno più piacevole, poi si era avvicinato all’entrata posteriore della tenuta.

 

“Arthur!” lo accolse Morgana, comparendo sulla soglia.

 

Gana, cara! Ti direi che stai d’incanto, ma la verità è che sembri già una balena spiaggiata e manca ancora un sacco di tempo!

 

“Il solito galantuomo. Tu, piccola merdina!” sibilò lei, abbracciandolo con un sorriso falso come una banconota da cento sterline.

 

L’accoglienza che riservò invece ad Aithusa fu genuina e affettuosa.

Si chinò ad accarezzarla e a farle festa e la cagnetta le rispose con entusiasmo, facendola innamorare all’istante.

 

“È lei che ci ha quasi tolto dai piedi papà?” domandò al fratello, sottovoce, casomai il vecchio padre fosse nei paraggi.

 

Arthur rise divertito. “Quasi”, ammise. “In realtà l’ha presa molto meglio di quel che credevo. A meno che oggi non tenti di ucciderla…” considerò, ironico. Poi, però, i due fratelli si lanciarono uno strano sguardo d’intesa, memori dei vecchi pesci rossi. “Ripensandoci, è meglio se gliela teniamo lontana…

 

“Per una volta, Arty, sono d’accordo con te!” ne convenne Morgana, annuendo grave, prima di accompagnarlo a salutare Leon e l’oggetto delle loro preoccupazioni.

 

 

***

 

 

Godendo di uno degli ultimi giorni miti dell’autunno, avevano scelto di pranzare nel patio e, mentre uno stuolo di cameriere alternava le varie portate (un pranzo a Buckingham Palace sarebbe stato, di certo, meno elaborato), Aithusa aveva potuto scorrazzare nel giardino, liberamente, a distanza di sicurezza.

 

Quando, però, la cagnetta si avvicinò, ansimando vistosamente, in cerca di qualcosa per dissetarsi, Uther fece un cenno al maggiordomo, che era rimasto, discretamente, in un angolo nascosto a disposizione.

 

Malcom”, ordinò, come sempre perentorio. “Procura a quel cane una ciotola per bere!”

 

“No!” saltarono su Arthur e Morgana nello stesso momento, guadagnandosi un’occhiataccia dal loro genitore.

 

“E perché mai?” pretese di sapere il vecchio Pendragon.

 

“Non serve che ti disturbi, papà…” s’arrabattò Arthur, rovesciando il calice di vino sulla tovaglia, nella foga di alzarsi. “Ho portato tutto con me…” E, senza attendere oltre, corse verso uno dei borsoni, che aveva messo accanto alla coperta stesa al sole per il cane.

 

Sotto l’esame severo del padre, egli sfilò la scodella e una bottiglia d’acqua naturale.

 

“Non vorrai servirle quell’acqua calda!” s’indignò Uther, con disapprovazione. “Questo mi dimostra che non sai occupartene!” gli rinfacciò, con biasimo. “Malcom!” rifece. “Procedi!”

 

“No! Davvero, papà, non serve!” ripeté Arthur, con ansia visibile. “Non voglio la tua acqua!” si lasciò sfuggire, con un’intonazione quasi isterica.

 

“Figliolo... Non penserai, per caso, che voglia avvelenarla?!” l’accusò, dimostrandosi risentito.

 

Arthur e Morgana sollevarono contemporaneamente le sopracciglia, pur non parlando. Leon non osò neppure fiatare.

 

“Arthur!” lo rimbrottò ancora il padre. “Spero vivamente che tu stia scherzando!”

 

“D’accordo…” cedette egli, infine, pregando ogni divinità canina affinché non fosse un errore fidarsi. “Malcom, provvedi a riempirle la ciotola, per cortesia”, concesse, seppur riluttante.

 

Aithusa si dissetò con piacere e, poiché non era morta all’istante, il pranzo continuò senza intoppi, almeno fino al momento del dolce.

 

 

***

 

 

“Avanti, aggiornami su qualcosa! Su qualche pettegolezzo! Mi accontento di sapere dove porti a fare pipì il tuo cane! Lo sai che faccio una vita da reclusa, qui!” piagnucolò Morgana rivolta al fratello, mentre Uther si era assentato un attimo per rispondere ad una telefonata urgente e Leon ne aveva approfittato per fare un salto in bagno.

 

Arthur si lasciò pregare un po’, ma alla fine le raccontò con orgoglio di come tutti, alla Pendragon Company, si fossero affezionati alla cagnetta, persino litigando per portarla a spasso. Le raccontò delle idiozie di Gwaine e dei cartelli che aveva disseminato con i vari messaggi e, arrivando infine alla bacheca con i Post-it degli altri dipendenti, si accorse che non le aveva detto la cosa più importante.

 

“Ahimè! È un compito ingrato, ma qualcuno dovrà pur confessare a nostro padre che le cicogne in viaggio sono due!

 

Morgana sputò l’acqua che stava sorseggiando distrattamente.

“E tu come diavolo l’hai saputo?!” domandò, sorpresa.

 

“Io so sempre tutto, Gana cara…” si vantò.

 

“Idiota! E io che pensavo avresti dato di matto come l’altra volta!”

 

“Beh, ammetto che ci ho messo un minuto per farmene una ragione, ma tu dovresti sapere già come ci si sente, no? Ma ora puoi dimostrarmi apertamente la tua gioia! Non capita tutti i giorni di sentirsi dire che stai per diventare zia!” le annunciò con solennità, e Morgana sbatté le palpebre, stupita.

 

Ma…” farfugliò, incerta. “Non avevamo chiarito la questione di Viv?”

 

A quel nome Arthur si irrigidì, rannuvolandosi.

“Non intendo più sentirla nominare!” ordinò, caustico. Tuttavia, quando si volse a guardare dove Aithusa riposava, un sorriso gli stiracchiò le labbra.

“Io mi riferivo ai suoi gemelli…”

 

“I suoi gemelli?!” gli fece eco la sorella, incapace di raccapezzarsi. “Non i miei?”

 

“I tuoi?!” ripeté Arthur con espressione sconvolta.

 

“Sì, idiota. I miei gemelli!” scandì la donna, spazientita. “Ge-mel-li!”

 

Gemelli?” s’intromise Uther, comparendo dal nulla, accasciandosi al suo posto. “Gemelli di chi?

 

“Di Aithusa!” “Di Morgana!” risposero sorella e fratello in contemporanea, addossando l’un l’altra il peso della notizia.

 

Oh, Ygraine, dammi tu la forza!” pregò l’uomo rivolto al cielo, mettendosi teatralmente una mano sul cuore infartuato. “Morgana aspetta dei gemelli e la cagna di Arthur pure!”

 

“Papà, sta’ calmo!” lo supplicò Morgana, temendo un collasso.

 

“Ecco! Vuoi portarlo nella fossa?” l’incolpò Arthur, con un’occhiataccia. “Ti sembra il modo di rivelargli le cose?!

 

“Chi, io? Sei tu quello che si è preso un cane incinta!” lo accusò lei, a sua volta.

 

“Brutta strega!”

 

“Idiota mentecatto!”

 

“Ragazzi!”

 

Befana!

 

Cretino!

 

“RAGAZZI!” urlò Uther, la seconda volta, mettendoli a tacere.

 

I due chinarono il capo, mortificati, ma non prima di essersi lanciati reciprocamente uno sguardo accusatorio.

 

Fu a quel punto che Aithusa si intromise, abbaiando vivacemente, richiamata dal trambusto, ma Arthur fu lesto a calmarla, impressionando persino suo padre per l’obbedienza che il cane gli dimostrava.

 

“Morgana, nel tuo stato non ti fa bene agitarti!” la rimproverò, per buona misura. “E tu, figliolo, vai a prendermi un calmante, sento che ne avrò bisogno…

 

In quel mentre, un gioviale e ignaro Leon fece la sua ricomparsa, osservando i loro visi stravolti.

“Ehi! Cosa mi sono perso?”

 

 

***

 

 

Il giorno in cui un intero pranzo Pendragon si fosse svolto serenamente, con tutta probabilità, sarebbe stato l’inizio della fine. Le trombe dell’Apocalisse avrebbero suonato e tanti saluti al mondo.

 

Tuttavia, rifletté Arthur, stravaccandosi finalmente sul suo divano, gemelli a parte, non era stato un disastro totale.

Anzitutto, aveva riportato a casa il suo cane sano e salvo, e questa era la cosa fondamentale; secondariamente, anche suo padre era ancora vivo, quando lo aveva lasciato e – cosa inaudita! – Uther aveva perfino speso un mezzo complimento sul fatto che la sua cagnetta era stata addestrata a dovere e che, anche in futuro, sarebbe potuta tornare ad Avalon House (sempre se fosse rimasta ben lontana da Morgana e dai gemelli).

 

Beh, non poteva pretendere di più. Un passo alla volta, si disse. E questo era già molto.

 

Con sua sorella, poi, si erano chiariti al momento del commiato e, com’era loro abitudine, con un paio di offese scambiate avevano fatto la pace.

 

Anche lei, come il loro genitore, si era raccomandata di riportare presto la bestiola, cuccioli in arrivo permettendo.

 

 

***

 

 

Arthur si prese Aithusa sulle ginocchia e, per rilassarsi dopo quella lunga giornata, cominciò il rituale della spazzolatura, che la cagnetta sembrava gradire parecchio.

Arrivato sul pancino, però, egli notò una strana macchiolina nera, che emergeva in contrasto col pelo candido e il ventre rosato.

Chinandosi per controllare meglio – poteva essere un grumo di fango o di sporco indefinito –, si rese drammaticamente conto che l’oggetto aveva le zampe. E si muovevano.

 

“Oh, cazzo!” imprecò, agitandosi, infilando la mano in tasca con così tanta foga che strappò lievemente la cucitura laterale.

“Merlin?!” urlò nel telefono, appena all’altro capo sentì rispondere. “Merlin, è un’emergenza!”

 

“Arthur? Calmati, cos’è successo? Aithusa sta…?”

 

“C’è un brutto mostro nero attaccato alla sua pancia!” sbraitò Arthur, contenendo a stento l’ansia, mentre si dirigeva alla porta.

 

“È una zecca?” chiese il veterinario, con spirito pratico.

 

“Sì, ha una zecca! Una dannata zecca!… Almeno credo che sia una zecca… Merlin, devi visitarla subito!” esclamò. “Sto giusto salendo in macchina!”

 

“Portala allo studio, ma sta’ calmo. Non è niente di grave”, lo rassicurò.

 

Arthur si rese conto solo in quel momento che era domenica pomeriggio, e che l’ambulatorio non era aperto, ma francamente non gli interessava. La salute della sua cagnetta veniva prima di tutto.

 

“Merlin? Sei… a casa?”

 

“Vieni, ti aspetto”, aveva riposto l’uomo, riagganciando.

 

 

***

 

 

“Sì, è una zecca”, aveva diagnosticato il dottor Emrys, osservando il parassita attraverso una lente ingrandita.

 

“Ecco, lo sapevo! Non dovevo portarla a casa di Morgana! E pensare che mio padre aveva insinuato che potesse essere lei un’untrice! Lei, piccola vittima innocente! È tutta colpa mia… Oh, Gesù!”

 

Arthur”, l’aveva chiamato Merlin, interrompendo il suo sproloquio e puntandogli addosso un paio di pinze mediche. “Se adesso ti fai venire una crisi di panico, stavolta ti prendo a ceffoni!” lo minacciò, anche se non sembrava affatto intimorente senza camice, con indosso i pantaloni di una tuta, una vecchia maglia sbiadita e l’aria di chi era stato buttato già dal letto. Aveva i capelli tutti arruffati, quindi, probabilmente, lo aveva svegliato davvero nel bel mezzo del pisolino pomeridiano.

 

“Beh, io…” aveva borbottato Pendragon, di rimando, lievemente mortificato.

 

“Non puoi incolparti di niente, perché non è colpa tua!” lo sgridò il veterinario.

 

“Ma se io non l’avessi portata nella casa di campagna, in quel dannato prato, lei…

 

“È un cane, Arthur. Ha bisogno di prati e di corse all’aria aperta. Non puoi tenerla sotto ad una campana di vetro per proteggerla. La faresti soffrire molto più che per un morso di zecca!

 

Ma io…”

 

“Le zecche sono ovunque, come le pulci o i pidocchi. Un buon repellente le allontana, ma ogni tanto succede che qualcuna s’attacchi. Ora ti spiego come fare e la prossima volta potrai arrangiarti da solo, senza però farti venire un accidente nel frattempo, ok?”

 

Mh, mmmhhh…” mugghiò, annuendo. “Mi dispiace di averti disturbato nel tuo giorno libero”, si scusò. “Ti ho svegliato?”

 

“Oggi era il mio turno di volontariato a Black Hill. Visitare tutti quei cani è una faticaccia, ma lo faccio volentieri!” Merlin sorrise. “E comunque non importa, hai fatto bene a chiamarmi. Solo… manteniamo la calma, va bene? Agitarsi così non aiuta neppure lei…” disse, indicando la bestiola.

 

“Hai ragione”, ammise, contrito.

 

“Ora guarda come faccio: basta usare una pinzetta e afferrare la zecca il più vicino possibile alla pelle – ma stai attento al pelo! –, devi compiere una lenta torsione in senso antiorario, senza strappi né movimenti bruschi. Ecco, vedi? Si sfila abbastanza facilmente”, spiegò, mostrando l’insetto che si muoveva ancora. “Se invece, per caso, rimanesse sottopelle qualche pezzetto, devi chiamarmi assolutamente”.

 

“D’accordo”.

 

“Adesso basta disinfettare la zona e abbiamo finito”.

 

“Perché non l’hai fatto anche prima di rimuovere quella dannata sanguisuga?”

 

“No, non va bene, perché qualsiasi sostanza le indurrebbe il vomito e, di riflesso, inoculerebbe tossine nel cane”.

 

“Oh, porca puttana!”

 

“Basta che tu segua la procedura che ti ho appena spiegato, ok?” lo tranquillizzò. “I parassiti possono essere pericolosi, ma se tieni controllata Aithusa dopo ogni passeggiata nei parchi o nei boschi, il rischio è bassissimo”.

 

Arthur non sembrava completamente persuaso, ma annuì.

 

“Allora è tutto!” sorrise il medico, accarezzando la bestiola, prima di porgerla indietro al suo padrone.

 

“Merlin? Grazie”, farfugliò, a disagio. “Mi scuso per essere piombato qui, trascinandoti via da-

 

“Vivo al piano di sopra, non ho fatto tanta strada!” rise l’uomo, indicando con gli occhi il soffitto.

 

“Sì, beh, scusa lo stesso…” ripeté, mettendo mano al portafogli. “Ci metterò un extra per il disturbo…”

 

“Stai scherzando? Lascia perdere…” lo dissuase il veterinario. “Le prestazioni festive sono in omaggio!” ridacchiò, accompagnandolo all’uscita. “Solo… Arthur?”

 

Mh?”

 

“Credo che dovremmo parlare seriamente di ‘gestione dell’ansia’della tua ansia –, prima che la gravidanza finisca… perché, se per una zecca fai così… non oso pensare cosa accadrà al momento del parto!”

 

Arthur sgranò gli occhi come un cerbiatto davanti ai fari di un’auto.

Ma ci sarai tu, no?” farfugliò, con apprensione. “Cioè… io davo per scontato che sarai con me e…

 

“Ci sarò, se vuoi. Ma è bene essere pronti all’evento, per tempo”.

 

“Vuoi direi che devo seguire una specie di corso pre-parto?” domandò, incerto. “Perché, se devo… insomma, io lo faccio”.

 

Merlin scoppiò a ridere a tal punto che gli occhi gli si riempirono di lacrime. “Sei il padrone migliore del mondo, Arthur, ma davvero, non serve. Ti chiarirò le idee in uno dei prossimi controlli, mh?

 

Coi capelli spettinati, la maglia sgualcita e l’espressione da ragazzino, sembrava irresistibile. Ma

Pendragon assottigliò lo sguardo.

Merlin! Mi stavi prendendo per il culo?!”

 

“Oh, no. Credimi! Anche volendo, fai tutto da solo!”

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Le varie nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

In particolare, la procedura utilizzata e le spiegazioni di Merlin sull’estrazione di una zecca sono il metodo standard usato anche in ospedale, quindi sì, potete usarlo. ^^

 

Il riferimento ai pesci rossi morti misteriosamente si ricollega al cap. 1 di questa fic.

 

Penso che il fraintendimento sulle due cicogne sia abbastanza chiaro… ma, a scanso di equivoci, Arthur nomina due cicogne intendendo la gravidanza di Morgana e la gravidanza di Aithusa; Morgana, invece, quando lo sente parlare di due cicogne crede che suo fratello sappia già della sua gravidanza gemellare e ignora che anche Aithusa sia incinta.

 

Non so voi, ma io adoro far bisticciare Arty e Gana. XD

 

 

Ecco ben QUATTRO anticipazioni del prossimo capitolo (e un po’ di fraintendimenti):

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:16

Ho sentito i cuccioli muoversi! Li ho sentiti!

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
19:20

Bello, eh?

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:21

È meraviglioso.

 

(...)

 

Merlin raccolse il borsone che aveva preparato in fretta all’alba e si apprestò a scendere dalla carrozza.

QuindiGwen dormiva da Arthur, considerò, mentre il suo cervello ronzava al pari dell’altoparlante in stazione. Con Arthur, si corresse, fastidiosamente.

Beh, erano amici e colleghi… Guinevere gli aveva sempre parlato con affetto di Arthur, magari stavano insieme da secoli, e lui era l’unico a non saperlo… ma, poi, perché mai Pendragon avrebbe dovuto dirglielo?

 

La sua parte più razionale gli suggeriva che no, non poteva essere questo. Se fossero vissuti insieme, la gestione di Aithusa e le incertezze di quell’asino sarebbero state diverse… fin da subito.

 

Forse erano amici… uhm… amici con benefici. Sì, questo poteva anche essere. Collimava più con l’idea che si era fatto di Arthur. In fondo, un tipo come lui poteva avere tutte le donne che voleva, ma aveva anche una vita stressante e impegnata e… Gwen era la sua segretaria, la persona che ogni giorno gli era più vicina. L’essere amici con benefici offriva sesso e gratificazioni senza complicazioni. Questa era la risposta.

 

(...)

 

E invece no, realizzò. Non sapeva niente di lui. Merlin Emrys era un perfetto estraneo, in fin dei conti.

Quando entrò nel negozio e lo vide dietro al bancone, lo stomaco gli si attorcigliò in un modo strano. Era diverso dal nodo che aveva sentito negli attacchi di panico, ma anche questo era sgradevole e doloroso.

 

Merlin indossava il grembiule da commesso e Will gli teneva un braccio attorno alle spalle, testa contro testa, mentre gli bisbigliava qualcosa che aveva fatto sorridere il suo veterinario in modo fin troppo affettuoso.

 

Forse erano una coppia? Sì, forse stavano insieme.

Perché – dannazione – sembravano così uniti…

 

Arthur percepì lo strano nodo allo stomaco stringersi un po’ di più.

Non l’avrebbe chiamata gelosia. Quella era solo delusione.

Delusione nel capire che non conosceva affatto l’uomo davanti a sé e la vita che conduceva fuori dall’ambulatorio.

 

(...)

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:39

Devo uscire con una ragazza.  

 

 

Arthur sbatté le palpebre, stranito. Cazzo.

Francamente non sapeva perché l’aveva scritto, ma l’aveva inviato prima di cancellarlo. Quindi era troppo tardi.

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 28 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 7 ‘da ricordare’ e i 112 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

 

Restate sintonizzati!

 

 


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Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche costruttive.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa.

 

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A kibakun, Barby_Ettelenie_91, chibimayu, hiromi_chan, Burupya, misfatto, DevinCarnes, Orchidea Rosa, Eresseie93, aria, mindyxx, Yuki Eiri Sensei, katia emrys e Clary Rose94.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo IX    

 

 

Gwaine si presentò nell’ufficio di Arthur con un sorriso a trentadue denti.

“Ehi, Principessa!” esordì, stravaccandosi sulla sedia imbottita dell’ospite, senza permesso. “Vuoi sapere l’ultima?”

 

“Anche se ti dicessi di no, dubito che mi daresti retta…” brontolò Arthur, sollevando lo sguardo da un report che stava leggendo.

 

Oh, ma questo pettegolezzo piacerà anche a te!” lo lusingò, ammiccando.

 

Il Grande Capo sospirò, rinunciando a concentrarsi sul blocco di fogli, per prestargli attenzione.

“Sentiamo…”

 

“Si dà il caso…” premise O’Green, con la faccia di un gatto che si è appena pappato un canarino. “Si dà il caso che io abbia avuto una telefonata con Li Meng, della sezione Marketing di Honk Hong…”

 

Arthur inarcò un sopracciglio, invitandolo implicitamente a venire al punto.

 

“E lei mi ha raccontato che, due giorni fa, hanno organizzato una ‘festa di bentornato’ per Val… l’hanno portato fuori a mangiare in un bel ristorantino nuovo… E poi, la mattina dopo, gli hanno spiegato che il piatto principale era stato serpente. Ti immagini la sua faccia? Meng ha detto che è diventato di color verde ed è corso a vomitare!” Gwaine rise sguaiatamente. “Che meschino! È diventato persino cannibale! Non ha rispetto neppure per i suoi simili!

 

Arthur rise con lui. “Poveri serpenti… che triste fine…” concordò, perché, di certo, non avrebbe avuto pietà per quel viscido di Valiant.

 

 

***

 

 

Anche se Gwaine cercava di distrarlo, da buon amico qual era, con l’andar dei giorni, Arthur cominciava a sentire l’avvicinamento del fantomatico ‘Momento X’.

Egli aveva persino segnato sul calendario l’ipotetica scadenza, dedotta dai controlli di Merlin e, nel frattempo, curava che Aithusa si alimentasse al meglio e facesse tutto il movimento che il dottor Emrys si era raccomandato, per allenare i muscoli da usare durante il parto.

 

Una volta, durante una delle loro passeggiate, erano persino finiti nelle vicinanze della sua vecchia casa, che aveva venduto in fretta quando era partito per l’America.

Per un lungo istante, Arthur sentì il sapore amaro della nostalgia e gli venne quasi voglia di camminare fin lì davanti, anche se ritornare a viverci era impossibile e, anche potendo, non avrebbe retto agli sguardi pietosi dei vicini che sapevano delle corna di Viv.

 

No, si disse, quell’abitazione faceva parte del suo passato, e tale doveva restare.

Ora aveva Aithusa, una nuova vita che lo soddisfaceva. E, con la cucciolata in arrivo, sarebbe stato tutto ancor più bello.

 

Poi, quando sentiva i dubbi crescere e pensava di non potercela fare, il suo veterinario trovava sempre, magicamente, le parole giuste per confortarlo (anche se lui si sarebbe fatto tagliare la lingua, piuttosto che ammetterlo).

 

Del resto, il dottor Emrys gli aveva detto di chiamarlo per ogni incertezza, senza farsi scrupolo.

E lui lo avrebbe fatto.

 

Per ogni nuovo giorno, un nuovo messaggio.

 

 

***

 

 

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A: Merlin

20:27

Aithusa ha fame. Ma ha già mangiato la sua razione giornaliera.

Cosa faccio?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
20:31

Falla giocare. Distraila.

 

 

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A: Merlin

21:20

L’ho fatta distrarre. E sono distrutto.

Ma ha ancora fame.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:22

Ha consumato calorie. Ora può mangiare.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:23

Potevi dirmelo prima! L’avrei messa sul tapis roulant!

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:25

Pigrone!

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:26

Sappi che non ti ringrazierò per questo consulto!

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:27

Prego.

 

 

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A: Merlin

21:28

You, little shit!

Buonanotte.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:28

‘notte ;D

 

 

***

 

 

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A: Merlin

19:16

Ho sentito i cuccioli muoversi! Li ho sentiti!

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
19:20

Bello, eh?

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

19:21

È meraviglioso.

 

 

***

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

15:04

Aithusa è agitata, cosa faccio?

 

 

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Da: Merlin
15:06

Accarezzala, parlale.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

15:16

Funziona! Grazie.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
15:16

Prego.

 

 

***

 

 

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A: Merlin

08:17

Croccantini o biscotti?

 

 

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Da: Merlin
08:18

Biscotti.

 

 

***

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

08:02

Cappottino o no?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
08:03

Senza.

 

 

***

 

 

Quel sabato mattina, Merlin controllò nuovamente l’ora sul quadrante al polso. Le sette e mezza.

Da quando Aithusa viveva con lui, Arthur si svegliava sempre praticamente all’alba, come aveva scoperto fin dal loro primo incontro. Perché allora non rispondeva?

 

“Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Si prega di riprovare più-”

 

Con un verso di frustrazione, chiuse la comunicazione, cercando nella rubrica del cellulare il recapito alternativo di casa, perché di sabato Arthur non andava mai in ufficio.

 

“Sì, pronto?” rispose, dopo un’infinità di squilli, una voce molto assonnata. Una voce di donna.

 

“Casa Pendragon?” domandò Merlin, dopo un momento di completo stupore. Forse aveva selezionato il nome sbagliato, forse lo aveva memorizzato male…

 

“Sì, mi dica…” confermò la signora, all’altro capo della linea, reprimendo malamente uno sbadiglio.

 

“Cerco Arthur”, si sentì dire, mentre il suo cervello si era fermato allo step precedente. E questa chi era? La… compagna di Arthur?

 

“Arthur non c’è, mi dispiace. Se vuole, può dire a me e poi riferirò!”

 

“Sono il dottor Emrys, il suo veterinario…

 

“Oh, Merlin!” lo riconobbe la voce femminile, rianimandosi. “Sono Gwen! Scusami, ero così addormentata che non ti avevo riconosciuto!” ridacchiò.

 

“Ciao, Gwen”, la risalutò, per buona misura. “Avevamo programmato un controllo per Aithusa, stamattina...

 

“Sì, me l’ha detto!” confermò Guinevere.

 

“Senti, Arthur voleva essere il primo appuntamento della giornata, ma ho avuto un contrattempo... ed è tutto rimandato”.

 

“Spero non sia niente di grave!”

 

“Piccola emergenza di famiglia. Mia madre è scivolata dalle scale. Forse è solo una distorsione, ma voglio accompagnarla a fare accertamenti”.

 

“Perciò sei…?”

 

“A Ealdor, sì. Il treno è quasi arrivato…” le confermò. “Senti, Gwen, dillo ad Arthur, ok? Mi dispiace, devo lasciarti”.

 

“Oh, ma certo… E tanti auguri per tua madre!” si raccomandò Guinevere, chiudendo la conversazione.

 

Merlin raccolse il borsone che aveva preparato in fretta all’alba e si apprestò a scendere dalla carrozza.

QuindiGwen dormiva da Arthur, considerò, mentre il suo cervello ronzava al pari dell’altoparlante in stazione. Con Arthur, si corresse, fastidiosamente.

Beh, erano amici e colleghi… Guinevere gli aveva sempre parlato con affetto di Arthur, magari stavano insieme da secoli, e lui era l’unico a non saperlo… ma, poi, perché mai Pendragon avrebbe dovuto dirglielo?

 

La sua parte più razionale gli suggeriva che no, non poteva essere questo. Se fossero vissuti insieme, la gestione di Aithusa e le incertezze di quell’asino sarebbero state diverse… fin da subito.

 

Forse erano amici… uhm… amici con benefici. Sì, questo poteva anche essere. Collimava più con l’idea che si era fatto di Arthur. In fondo, un tipo come lui poteva avere tutte le donne che voleva, ma aveva anche una vita stressante e impegnata e… Gwen era la sua segretaria, la persona che ogni giorno gli era più vicina. L’essere amici con benefici offriva sesso e gratificazioni senza complicazioni. Questa era la risposta.

 

Merlin cercò di cacciare il senso di stordimento vuoto che sentiva e il suo cellulare vibrò in tasca.

Irrazionalmente, sperò che fosse Arthur, con un messaggio o una chiamata. Uno di quei contatti che avevano quasi quotidianamente.

 

“Pronto?” esclamò, di slancio, con un’assurda speranza. “Ah, Freya…” disse poi, mascherando la delusione, riconoscendo la propria assistente. “Sì, sono arrivato. Scusa, sono riuscito ad avvisare solo il signor Pendragon. Potresti annullare tu gli altri appuntamenti? Almeno fino a martedì. Sì, grazie. Ciao”. 

 

Uscendo, il dottor Emrys inspirò l’aria fresca della campagna, quella familiare, della sua infanzia.

Eppure, il disagio che sentiva non passò. Merlin si disse che era l’ansia per le condizioni di sua madre. Appena avesse appurato che Hunith stava bene, tutto sarebbe andato al suo posto, sì.

Ma allora, dov’era Arthur?

 

 

***

 

 

Arthur – Mister Sparisco-e-torno-quando-voglio – si era fatto vivo con un messaggio solo il martedì successivo, dopo quattro giorni di silenzio assoluto, giusto mentre anche Merlin stava rincasando dal suo paese natale. E così era venuto a sapere che il Boss della Pendragon Company era dovuto salire di corsa su un volo per la Cina, venerdì notte, a causa di un problema con un contratto multimilionario che richiedeva la sua presenza immediata ad Hong Kong (c’entrava qualcosa con un serpente, ma Merlin non aveva osato chiedere chiarimenti).

 

E, se da un lato questo aveva rabbonito le inquietudini del dottor Emrys circa l’improvvisa sparizione del suo paziente più impegnativo, d’altra parte non risolveva la spinosa questione di Gwen e la presunta (non)relazione che la legava al suo capo. E questo tarlo rosicchiava i pensieri di Merlin in modo scomodo, rendendolo eccezionalmente nervoso, cosa inusuale per la sua natura costantemente solare.

Per ritrovare il suo quieto vivere, avrebbe dovuto arginare tutta la faccenda e, se necessario, fare un passo indietro in quello strano rapporto che si era creato con Arthur Pendragon. Mettere paletti, ecco cosa serviva. Dei maledetti paletti.

 

A complicare le cose – a fargli prendere questa sofferta decisione – fu un messaggio che il dottor Emrys ricevette, come dal nulla, il mercoledì sera.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:12

Il controllo di Aithusa saltato è fissato per sabato?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:13

Sì.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:14

Solita ora?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:14

Sì.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:16

Ti piacerebbe mangiare cinese?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:21

…Non esco con i miei pazienti.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:22

E ci mancherebbe altro! Neanch’io ti concederei di uscire con Aithusa, sei troppo vecchio per lei!

E comunque non ti stavo invitando. Era solo per fare conversazione.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:23

D’accordo. Comunque non esco con i pazienti.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:23

Io non sono un tuo paziente.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:24

Beh, non esco neppure con i clienti.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:25

Detta così, è abbastanza ambigua! ;D

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:26

Arthur…

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:27

Merlin, relax, non ti stavo invitando.

Mi sembri un tipo da cinese. Ero curioso.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:29

Mmm… preferisco dell’altro.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:30

Aithusa può mangiare cinese?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:31

Arthur!

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:32

Ok. Scherzavo.

Buonanotte.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:32

…sono annoiato.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:34

L’ho notato.

 

 

***

 

 

Forse con una punta di ingenuità, ma Arthur credeva ormai di conoscere Merlin almeno un po’.

E invece l’ultimo scambio di messaggi, che aveva avuto con lui il giorno prima, lo aveva lasciato parecchio stupito… forse anche un tantino amareggiato…

 

D’accordo, la sua domanda poteva anche esser stata fraintendibile, ma – ammesso e non concesso che lo avesse invitato davvero a cenare insieme – due persone normali non potevano farlo? Da quando era diventato illegale? Sicuramente non gli aveva chiesto apertamente un appuntamento e non ci sarebbero stati doppi fini né implicazioni sentimentali a cui far fronte.

Eppure il dottor Emrys aveva risposto in modo conciso e irremovibile. Come se fosse stato prevenuto a riguardo. Forse addirittura infastidito. E lui aveva dovuto correre ai ripari con la scusa della noia per alleggerire la gaffe.

 

Ma siccome non c’erano stati dei precedenti sgradevoli fra loro, Arthur s’era quasi convinto di aver preso un enorme granchio. Forse la freddezza di Merlin aveva avuto una ragione diversa, non imputabile a lui. Chissà, magari lo aveva beccato in un momento sbagliato, in una giornata storta…

Arrivò a questa conclusione passando davanti all’ambulatorio, quel pomeriggio, lanciando uno sguardo affezionato per abitudine, mentre si dirigeva al Pet Shop di William per rifornirsi di viveri per Aithusa.

 

E invece no, realizzò. Non sapeva niente di lui. Merlin Emrys era un perfetto estraneo, in fin dei conti.

Quando entrò nel negozio e lo vide dietro al bancone, lo stomaco gli si attorcigliò in un modo strano. Era diverso dal nodo che aveva sentito negli attacchi di panico, ma anche questo era sgradevole e doloroso.

 

Merlin indossava il grembiule da commesso e Will gli teneva un braccio attorno alle spalle, testa contro testa, mentre gli bisbigliava qualcosa che aveva fatto sorridere il suo veterinario in modo fin troppo affettuoso.

 

Forse erano una coppia? Sì, forse stavano insieme.

Perché – dannazione – sembravano così uniti…

 

Arthur percepì lo strano nodo allo stomaco stringersi un po’ di più.

Non l’avrebbe chiamata gelosia. Quella era solo delusione.

Delusione nel capire che non conosceva affatto l’uomo davanti a sé e la vita che conduceva fuori dall’ambulatorio.

 

Lui si era messo a nudo più volte, gli aveva offerto i suoi sentimenti più intimi e le sue paure su un piatto d’argento, ma Merlin?

Merlin era solo il medico della sua cagna.

Perché avrebbe dovuto dare confidenza ad un cliente qualunque?

 

“Lo studio non rende abbastanza?” l’apostrofò, con tono sgarbato che fece sussultare i due uomini, dato che non si erano accorti della sua presenza.

 

“Arthur!” lo salutò il dottor Emrys, con uno dei suoi soliti (falsi?) sorrisi.

 

“Non è poco ortodosso lavorare nel negozio che di solito consigli ai tuoi assistiti?” domandò, retorico e sprezzante.

 

Il veterinario lo fissò, stranito.

“C’è qualche problema? Will aveva biso-

 

“Francamente, non mi interessa”, tagliò corto Pendragon. “Mi serve solo un sacco di crocchette per Aithusa”.

 

In quel momento entrarono altri quattro clienti e, quando Merlin tentò di riprendere il discorso, Arthur si limitò a lasciargli una banconota sul bancone, senza neppure aspettare il resto.

 

 

***

 

 

Vedere Merlin e Will aveva smosso qualcosa dentro di lui.

Un qualcosa che, dopo la storia con Vivian, aveva murato vivo.

 

Arthur aveva seriamente bisogno di una buona scopata.

Erano mesi che non si divertiva un po’ e ne aveva le palle piene di quella vita monastica. Letteralmente.

 

Così non fece lo schizzinoso davanti alla rossa procace che gli ammiccava da almeno mezz’ora. O aveva un tic nervoso, oppure qualcosa nell’occhio, altrimenti cercava anche lei, disperatamente, di rimorchiare.

 

Generalmente quelle non erano il suo tipo, ma dopo la cosa con Viv s’era dato nuove regole e una botta e via non avrebbe ucciso nessuno.

 

Arthur mandò un veloce messaggio a Gwen, chiedendole il favore di passare a casa sua per controllare Aithusa, senza motivarle la sua assenza prolungata.

La discrezione della sua segretaria era rinomata, e difatti Guinevere non gli chiese chiarimenti, mentre accettava il compito.

 

Sentendosi un po’ più tranquillo, almeno su quel fronte, sfoderò uno di quei sorrisi che metteva su quand’era in caccia e si avvicinò alla sua conquista.

Vedendolo arrivare, la rossa finta non si era fatta pregare e, alla prima occasione, aveva fatto le fusa come una gattina in calore, chinandosi a parlargli, per mettere in mostra il generoso décolleté.

 

Dopo averle offerto da bere un aperitivo e aver chiacchierato un po’, erano passati all’ipotesi di una cena in un delizioso localino non troppo lontano.

Lei aveva accettato subito con evidente entusiasmo ma, prima di andarsene, con la scusa di incipriarsi il naso, era andata alla toilette, e Arthur aveva sfilato il cellulare dalla tasca dei pantaloni, per controllare eventuali messaggi o chiamate perse.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

21:39

Devo uscire con una ragazza.  

 

 

Arthur sbatté le palpebre, stranito. Cazzo.

Onestamente non sapeva perché l’aveva scritto, ma l’aveva inviato prima di cancellarlo. Quindi era troppo tardi.

 

Passò un secolo prima di ricevere risposta (e non succedeva mai, perché Merlin sembrava vivere col cellulare incollato al culo, come Arthur, del resto); nel frattempo, lui pregò seriamente che il messaggio fosse andato perso – anche se era una possibilità remota – o che il suo veterinario avesse cambiato numero senza avvertirlo – possibilità ancor più rara.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
21:59

…buon per te.

 

 

Si lasciò sfuggire un ansito, ma la tizia davanti a lui probabilmente aveva pensato fosse un apprezzamento al bottone della camicetta che aveva slacciato in bagno e che ora lasciava ben poco all’immaginazione.

 

Ad Arthur, però, importava solo di correggere il tiro – e non certo con lei.

Si scusò con la sua accompagnatrice con un’occhiata neanche tanto pentita, mentre digitava una scappatoia decente.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

22:01

Come faccio a lasciare Aithusa da sola?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
22:03

Per una sera, non morirà.

 

 

D’accordo. D’accordo. Basta. Se avesse scritto oltre, sarebbe solo parso patetico. Perciò optò per un silenzio dignitoso e, mettendo via il telefono, cercò di dedicarsi alla sua compagna improvvisata.

 

 

***

 

 

Benché gli argomenti di discussione non avessero brillato per l’interesse o la sagacia, Arthur doveva riconoscere che la tipa – Nimueh, si chiamava – era passabile. Un po’ oca, forse, ma aveva sicuramente visto di peggio.

 

Dopo aver cenato, si era sentito in dovere di suggerirle di passare la serata altrove, ma lei gli aveva chiaramente fatto capire che potevano anche saltare i convenevoli. E arrivare direttamente al letto.

 

Quindi, se l’era caricata in macchina per un po’ di sano divertimento senza complicazioni.

E, quando lei aveva squittito, entusiasta nel vedere il suo quartiere residenziale – e la sua casa, in particolare –, Arthur sentì vezzeggiato il proprio ego.

 

Le aprì la portiera, galantemente, e la accompagnò con cavalleria fin sull’uscio.

 

Fu all’entrata che Aithusa abbaiò, salutandolo festosa.

 

“Ciao, tesoro!” ricambiò, chinandosi per accarezzarla, ma la sua accompagnatrice arretrò di scatto.

 

“Hai un cane!” l’accusò, come se fosse il peggiore dei crimini.

 

“Di sicuro non è un gatto…” ridacchiò Arthur, decidendo di ignorare il primo impatto non proprio idilliaco.

 

“A me non piacciono i cani! Hanno le pulci, e forse sono allergica!”

 

Sei allergica all’intelligenza, mia cara, ma questo è un altro discorso, considerò tra sé.

 

“Mandala fuori!” stridé Nimueh, inviperita.

 

Aithusa non esce di notte”, le rese noto, incrociando le braccia, perentorio.

 

“Beh, io qui con un cane non ci resto!” diede l’ultimatum.

 

Arthur le aprì educatamente la porta di casa.

“Allora a maipiùarrivederci!” la congedò.

 

La ragazza sbuffò, indignata, partendo a passo di carica verso l’uscita, con in mano già il cellulare per chiamare un taxi.

 

Arthur sbatté la porta di malagrazia dietro di lei, poi prese in braccio il cane e lo coccolò e si lasciò leccare il naso.

 

“D’accordo, hai ragione. La cagna era lei, non tu. Ma adesso ho davvero bisogno di una doccia fredda…” ammise, sentendo ancora la patta dei pantaloni tirare scomodamente.

 

Aithusa fu rimessa a terra e lo seguì, accucciandosi davanti alla porta del bagno, senza entrare, decidendo di aspettare lì.

 

Mezz’ora dopo, Arthur scrisse un messaggio, e lo inviò, prima di avere ripensamenti.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

23:45

Appuntamento saltato. Ha offeso Aithusa.

 

 

Ma non si aspettava una vera risposta. Non così in fretta.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
23:46

Se non ama Aithusa, non ti merita.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Le varie nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

 

Ricordate che Valiant era soprannominato ilSerpente’, mh?

 

UnReport’ è una relazione amministrativa.

 

Probabilmente è superfluo dirlo, ma forse avrete notato che in tutta la fic, finora, Merlin ha sempre risposto agli sms di Arthur molto in fretta. Da un lato, è vero che gli orari che ho scelto sono fuori dall’orario standard dell’ambulatorio, ma (in generale) Merlin è stato, fin da subito, molto disponibile con il suo cliente. Invece, in questo capitolo abbiamo dei ritardi voluti, tutti in momenti cruciali: quando c’è Nimueh fra loro, quando vuole mettere dei ‘paletti’ nel loro rapporto, e quando è preoccupato per sua madre. In generale, la frequenza del loro scambio di sms dimostra il polso’ dell’evoluzione del merthur.

 

 

Ecco due anticipazioni del prossimo capitolo:

 

Un bussare alla porta s’intromise fra loro, azzittendoli.

Freya entrò un momento dopo, appena ottenuto il permesso da Merlin.

 

“Ehm…” incominciò l’assistente, osservando ora l’uno, ora l’altro e l’aria tesa fra loro. Poi avanzò cautamente nella fossa dei leoni e depose sulla scrivania un vassoio con due tazze di tè fumante, lo zucchero e i bricchetti del latte e limone.

 

“Ma non avevo chiesto del tè…” le rese noto il medico, stupito.

 

“Sì, uhmm… ho pensato che avreste gradito. Cinque minuti di infusione, come sempre”, calcò, esprimendo un implicito messaggio, prima di arretrare svelta verso l’uscita. “E il signor Steel ha telefonato perché vorrebbe sapere quante gocce deve mettere nell’acqua di Penny…” domandò, aspettando una risposta dal veterinario.

 

“Dodici, non di più”, prescrisse il dottor Emrys, dopo averci pensato un attimo e, considerando la faccenda chiusa, aspettò che Freya uscisse dall’ambulatorio, ma la sua segretaria rimaneva ancora lì, in bilico sulla soglia.

 

“Ehm…” rifece lei, scambiando nuovamente un’occhiata fra loro. “Doc, i coniugi Taylor danno ragione a te, ma la signora Freeman e Grace affermano che Arthur non ha tutti i torti…” rese noto, facendoli avvampare, prima di colpirli con la stoccata finale: “E il vecchio James ha detto di riferirvi testuali parole: ‘Per l’amor di Dio, che si prendano una camera in un motel!’ Beh, ecco. Io l’ho riferito”, si discolpò. “Forse è il caso che abbassiate un po’ i toni…” suggerì la donna, prima di scomparire da lì.

 

(...)

 

“Il tuo stomaco dice il contrario!” gli appuntò, sfidandolo a negare. “Dai, su! Se scroccarmi una cena ti mette a disagio, puoi sempre fare un controllo ad Aithusa e andiamo in pari!” gli propose, speranzoso.

 

“Oh, al diavolo! Accompagnami nel tuo castello!” esclamò Merlin, infilando la borsa medica in macchina e affiancandolo sul marciapiedi.

 

Arthur sorrise gioioso. “Vedrai, non te ne pentirai!”

 

“Beninteso… questo non è un appuntamento… vengo solo perché quelle lasagne cantano suadenti come le Sirene di Ulisse…

 

“Oh, sì. Credimi. Lo fanno…”

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 35 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e i 124 ‘seguiti’.

Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

(Se vi va di darmi un parere, lo apprezzerei molto!)

 

Restate sintonizzati!

 

 


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Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Waiting for you

Edit: c’era un errore nel codice del file, ho dovuto togliere e rimettere il capitolo. Questa è la versione definitiva.

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa.

 

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A chibimayu, hiromi_chan, misfatto, DevinCarnes, Orchidea Rosa, Clary Rose94, mindyxx, Burupya, _Serendipity_, Raven Cullen, Yuki Eiri Sensei e FlameOfLife.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo X    

 

 

Anche se si erano scambiati alcuni messaggi dai toni civili (fingendo che niente fosse accaduto), dall’incontro nel negozio di Will non avevano più avuto occasione di vedersi di persona né di sentirsi al telefono. E sapevano entrambi che questa cosa ingombrante e imbarazzante era come un enorme elefante parcheggiato tra di loro con cui, prima o poi, avrebbero dovuto fare i conti, anche se Arthur voleva evitare il confronto come la peste.

 

Non appena si erano ritrovati faccia a faccia, infatti, la tensione era montata a livelli di guardia e Pendragon – con quel bagaglio di ricordi scomodi nuovamente così vividi (sembravano passati minuti, non giorni) – aveva arruffato il pelo come un grosso gatto arrabbiato.

 

Alla fine della visita di controllo, poiché la cosa non sembrava smuoversi da sé, fu Merlin a recuperare l’argomento, poco prima di congedarlo.

 

“L’altro giorno, sai… mi è parso che tu fossi...contrariato “sorpreso di trovarmi da Will”, incominciò, cercando di usare un tenero eufemismo e prenderla larga per non renderlo suscettibile.

 

“Quello che fai, non mi riguarda!” rispose Arthur, indispettito. “Puoi muoverti? Ho una certa fretta”.

 

“Com’è che, quando una cosa non gira come vuoi tu, hai sempre una gran premura di scappare?!” sbottò il veterinario, pentendosene un attimo dopo, quando l’altro uomo si era congelato sul posto, sussultando.

“Senti…” ritentò. “Will è mio amico! La sua commessa era malata e, siccome non avevo appuntamenti fissati per quel pomeriggio, sono andato ad aiutarlo un paio d’ore”.

 

“Complimenti per l’animo da samaritano, ma – come ti ho detto – non mi devi alcuna spiegazione!”

 

Infatti mi chiedo come mai sto sprecando tempo a parlare con un asino come te!” sfogò allora, perdendo forse le staffe per la prima volta da quando Arthur lo conosceva.

 

“Non ti ho chiesto niente…” sibilò quindi Pendragon, infastidito ancor di più.

 

“Sei stato uno stupido a fraintendere!”

 

“Io non ho frainteso un bel niente! Quello che fai nel tuo tempo libero non è affar mio!

 

“E invece ho come l’impressione che tu mi abbia già processato, ritenuto colpevole e condannato per qualcosa che non so di aver fatto!” eruppe. “Pensavo che tu avessi più stima nei miei confronti!” gli rinfacciò. “Io ti rispetto, anche se non approvo la tua condotta morale!”

 

Arthur sbatté le palpebre, stranito.

“A cosa ti riferisci?!

 

“Al fatto che ti scopi la tua segretaria per passatempo! E contemporaneamente vai anche con altre donne!

 

Mancò poco che Arthur ci restasse secco sul colpo.

Co-cosa?!” balbettò, dopo aver boccheggiato come un pesce asfittico. “Io e Gwen?! Io non mi porto a letto Gwen! Ci mancherebbe altro!” partì a raffica, accalorandosi. “Siamo amici!”

 

“Appunto. Amici con benefici. E non serve che lo neghi!”

 

“Merlin! Ma che cazzo stai dicendo?! Sei impazzito?!

 

“Non sono pazzo! Ho le prove!” s’intestardì, puntando i pugni sul camice medico.

 

“Quali… prove?” domandò Pendragon, sollevando le sopracciglia ad arco.

 

“Sabato scorso! Quando ti ho cercato a casa! Ha risposto lei e so che ha dormito lì, perché l’ho svegliata telefonando!

 

Ci volle un lungo attimo ad Arthur per fare mente locale, poi – incredibilmente – scoppiò a ridere.

“Sì, Guinevere ha dormito a casa mia, ma solo perché doveva badare ad Aithusa mentre ero in viaggio in Cina!” spiegò, con un sorriso vittorioso che si allargava sulla bocca impudente. “Mi ha accompagnato all’aeroporto e poi si è presa cura del mio cane. Non ci sembrava il caso di traumatizzare Aithusa portandola in una casa nuova, che non ha mai visto prima d’ora, e così Gwen si è trasferita provvisoriamente da me…

 

Merlin deglutì a vuoto. Oh, cazzo.

 

“E tu sei geloso!” gli appuntò Arthur picchiettandolo sul torace per consolidare la sua affermazione.

 

“No, ti sbagli… Io non-”

 

“Sì, che lo sei!” rincarò, trionfante.

 

“Smettila!” s’inalberò il veterinario. “Mi infastidiva la tua condotta, tutto qui. Gwen è una brava ragazza e non meritava di soffrire…

 

“Ecco il salvatore del mondo…” lo canzonò Arthur, ma con una punta di tenerezza.

 

“Io ci tengo alle persone a cui sono affezionato”, si difese Merlin, arrossendo fin nelle orecchie vistose.

 

“Me ne sono reso conto…” concordò Pendragon. Ma rientrava anche lui nel numero dei fortunati?

 

“Tu, piuttosto!” riprese il veterinario, animandosi, perché quello sembrava il momento di tirar fuori la verità e quantomeno andare in pareggio. “Che diamine ti è passato per la testa nel negozio di Will?”

 

“Voi due state insieme?” chiese Arthur, a bruciapelo.

 

“Chi?” domandò di riflesso Merlin, senza capire.

 

“Tu e William, idiota. E chi, sennò?” sbottò Pendragon, roteando gli occhi.

 

Io e Will?” gli fece eco il dottor Emrys, come se l’altro parlasse un’altra lingua. “Io e Will?! Ma se siamo come fratelli!” esclamò, sconcertato. “Che schifo! Come puoi anche solo pensare che-” non terminò la frase, perché la sua faccia disgustata parlava per lui. “E poi Will è il più etero degli etero! E, per inciso, convive da almeno tre anni con la sua fidanzata!

 

“Beh, eravate fraintendibili e…” si difese Arthur, senza troppa energia.

“Mi hai visto mentre gli infilavo la lingua in bocca?” lo provocò, facendosi violenza. “Oppure ci allungavamo le mani addosso?”


“Beh, no…”

 

“E allora?!

 

“Neanche tu avevi le prove!”

 

“Sì, io sapevo che Guinevere aveva dormito da te!”

 

“Nella stanza degli ospiti…”

 

“Questo è un particolare secondario”.

 

“Mica tanto…” obiettò.

 

Un bussare alla porta s’intromise fra loro, azzittendoli.

Freya entrò un momento dopo, appena ottenuto il permesso da Merlin.

 

“Ehm…” incominciò l’assistente, osservando ora l’uno, ora l’altro e l’aria tesa fra loro. Poi avanzò cautamente nella fossa dei leoni e depose sulla scrivania un vassoio con due tazze di tè fumante, lo zucchero e i bricchetti del latte e limone.

 

“Ma non avevo chiesto del tè…” le rese noto il medico, stupito.

 

“Sì, uhmm… ho pensato che avreste gradito. Cinque minuti di infusione, come sempre”, calcò, esprimendo un implicito messaggio, prima di arretrare svelta verso l’uscita. “E il signor Steel ha telefonato perché vorrebbe sapere quante gocce deve mettere nell’acqua di Penny…” domandò, aspettando una risposta dal veterinario.

 

“Dodici, non di più”, prescrisse il dottor Emrys, dopo averci pensato un attimo e, considerando la faccenda chiusa, aspettò che Freya uscisse dall’ambulatorio, ma la sua segretaria rimaneva ancora lì, in bilico sulla soglia.

 

“Ehm…” rifece lei, scambiando nuovamente un’occhiata fra loro. “Doc, i coniugi Taylor danno ragione a te, ma la signora Freeman e Grace affermano che Arthur non ha tutti i torti…” rese noto, facendoli avvampare, prima di colpirli con la stoccata finale: “E il vecchio James ha detto di riferirvi testuali parole: ‘Per l’amor di Dio, che si prendano una camera in un motel!’ Beh, ecco. Io l’ho riferito”, si discolpò. “Forse è il caso che abbassiate un po’ i toni…” suggerì la donna, prima di scomparire da lì.

 

I due condivisero un lungo – imbarazzato, mortalmente vergognoso – sguardo a vicenda. Poi si resero conto che era tempo di sotterrare l’ascia di guerra.

 

“D’accordo. Hai ancora la mia fiducia come veterinario di Aithusa”, gli riconobbe Arthur, sorridendo malandrino per nascondere la vergogna.

 

“E tu resti un Dongiovanni libertino, ma rimani un buon padrone”, approvò il veterinario, restituendogli il sorriso, anche se sentiva ancora le orecchie bruciare.

 

“Hai per caso un’uscita secondaria? Ho una certa dignità in frantumi…” scherzò Pendragon, raccogliendo Aithusa.

 

“Mi dispiace, dovrai attraversare la saletta d’attesa per la sfilata ‘Pride & Shame’”, si rammaricò, con una punta di divertimento.

 

Arthur fece buon viso a cattivo gioco. “Ok, tanto… ci siamo già sputtanati tutto!”

 

 

***

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

16:08

Problema: Aithusa fa scenate. È tutto il pomeriggio che abbaia con chiunque entri nel mio ufficio.

Non aveva mai fatto così…

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
16:10

Com’è stata la tua giornata oggi?

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

16:11

Ci stai provando con me? XD

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin
16:11

No, asino! Devo capire…

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

16:12

Sfinente. Una riunione allucinante è durata quasi cinque ore.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin

16:13

Quindi è rimasta a lungo da sola…

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

16:14

Ma c’era Gwen lì fuori e ha fatto le sue passeggiate regolarmente.

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin

16:15

Ma è abituata a te. E si è sentita persa.

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

16:16

E cosa dovrei fare?

 

 

Merlin fu tentato di digitare le prime lettere. Poi, semplicemente, premette il tasto di chiamata.

“Era un discorso troppo lungo da scrivere…” si giustificò, come premessa, appena Arthur rispose all’altro capo della linea.

 

“Ok, sono tutto orecchi”.

 

“Vedi… Abbaiare è il suo modo di reagire allo stress dell’abbandono. Quindi, se lo fa, non devi rimproverarla. Anzi, accarezzala finché non smetterà da sé”, gli consigliò.

 

“D’accordo. Ma alla prossima riunione che si protrae, mi andrà in paranoia di nuovo?

 

“L’ideale sarebbe non lasciarla mai sola troppo a lungo; è difficile da sopportare, per lei. Tuttavia, se è inevitabile, puoi chiedere ad uno dei tuoi collaboratori di giocare un po’ insieme; bastano pochi minuti ogni tanto, per distrarla.

E, per farla sentire meno sola, lascia accese le casse del computer, metti della musica qualsiasi. La aiuterà a restare più serena”.

 

“D’accordo…”

 

“Arthur?”

 

Mh?”

 

“A volte, può anche abbaiare se sente dei rumori sconosciuti fuori dalla tua porta, mentre è da sola.

È l’istinto naturale di difesa del suo spazio vitale. Non devi razionalizzare ogni cosa, solo quelle che si ripetono nel tempo e quindi vanno aggiustate…

 

“Va bene. Messaggio ricevuto. Alla prossima!”

 

E, chissà perché, sapevano entrambi che non sarebbe stato dopo molto.

Ma talvolta anche il Destino ci metteva la mano…

 

 

***

 

 

Tutto sommato, era una bella serata per fare quattro passi.

Ma la zazzera scura del tizio che stava salendo su una piccola utilitaria gli sembrava…

“Merlin!” chiamò, alzando la voce e l’uomo, sbattendo la testa contro il tettuccio della sua auto, riemerse dall’abitacolo.

 

“Arthur!” lo salutò, con il consueto sorriso. “Aithusa!” disse poi, e la cagnetta, solitamente così ligia agli ordini, prese inaspettatamente a corrergli incontro festosa.

 

Arthur li raggiunse pochi istanti dopo.

“Che ci fai qui?” domandò, curioso.

 

“Visita a domicilio per un’emergenza. Sto facendo un favore ad un amico…” spiegò, sollevando il borsone in pelle tipico dei medici che ancora teneva in mano. “E tu?” fece di rimando. “Non… non mi dire che vivi qui!” esclamò, stupefatto.

 

Ehmm…” mugugnò Pendragon, per la prima volta imbarazzato della sua ricchezza.

 

“Questo posto fa sentire squallido persino Notting Hill!” rincarò il veterinario. “Cioè, immaginavo fossi facoltoso, ma…”

 

“È la casa di mia sorella!” si difese Arthur. “Non mia!”

 

“Ora capisco perché Aithusa ti ha scelto…” insinuò il dottor Emrys, con un sorriso civettuolo. “Sa fiutare gli scapoli d’oro!”

 

Arthur sentì le guance pizzicare per l’imbarazzo, ma poi lo lavò via con una risata divertita.

“Ha buon fiuto, sì!” concordò, lanciandole un sorriso affettuoso.

 

Ma che ci fai in giro a quest’ora?” domandò Merlin, incuriosito. “Di solito non sei ancora in ufficio?”

 

“Siamo appena rientrati. E sto seguendo scrupolosamente il programma d’allenamento che mi ha prescritto il mio veterinario!” gli rese noto, ammiccando. “Mentre le lasagne al forno si cucinano al punto giusto…

 

“Passeggiata prima di cena?! Non corri il rischio di bruciare tutto?” rise il medico.

 

“Il forno di Morgana ha più comandi di uno Shuttle della NASA…” gli raccontò, sorvolando sul fatto che aveva letto tre volte il libretto d’istruzioni per capirne il funzionamento. “Se digiti due tasti contemporaneamente, sa fare anche in caffè!” scherzò. “Ma se sbagli combinazione, si autodistruggerà entro cinque secondi…

 

“Wow! Sembra interessante… e sicuramente non rischi di annoiarti!” esclamò Merlin, col medesimo tono divertito.

 

“E vedessi la cucina! Sembra il ponte di comando dell’Enterprise!” rincarò Arthur, gesticolando.

 

“Tua sorella è una fan di Star Trek?” sogghignò il veterinario.

 

“No, solo delle cose complicate…” ammise l’altro, con una smorfia. “Ma il forno, lo riconosco, è stato un buon investimento…

 

“Fa davvero tutto da solo?!” Fu la domanda curiosa.

 

“Sì, mentre noi due andiamo a spasso, lui cucina. Altrimenti poi si fa tardi e non mi piace che Aithusa esca col buio... Potrebbe fare qualche brutto incontro. Qualche cagnaccio malintenzionato del quartiere… non si sa mai!

 

“Eh, certo! Questo posto è come il Bronx!” lo prese in giro Merlin, divertito, lanciando un’occhiata veloce alla schiera di villette superlusso che costeggiavano il viale.

 

“Anche tu devi ancora cenare? Ti va di unirti a noi?” propose Arthur. “Oh, sia chiaro: non ti sto invitando fuori a mangiare. E soprattutto non è cibo cinese! Quindi non contravvengo a nessuna regola sul conflitto d’interesse e cose così…” precisò, mettendo le mani avanti.

 

Merlin si raffigurò mentalmente un’invitante porzione di croccanti lasagne italiane filanti e sentì l’acquolina in bocca. Poi ricordò gli avanzi freddi di pollo tandoori masala e l’insalata che lo attendevano dal giorno prima.

“Ti ringrazio davvero, però non-” rifiutò, garbatamente, ma il brontolare della sua pancia espresse vivamente un parere opposto e Arthur scoppiò a ridere.

 

“Il tuo stomaco dice il contrario!” gli appuntò, sfidandolo a negare. “Dai, su! Se scroccarmi una cena ti mette a disagio, puoi sempre fare un controllo ad Aithusa e andiamo in pari!” gli propose, speranzoso.

 

“Oh, al diavolo! Accompagnami nel tuo castello!” esclamò Merlin, infilando la borsa medica in macchina e affiancandolo sul marciapiedi.

 

Arthur sorrise gioioso. “Vedrai, non te ne pentirai!”

 

“Beninteso… questo non è un appuntamento… vengo solo perché quelle lasagne cantano suadenti come le Sirene di Ulisse…

 

“Oh, sì. Credimi. Lo fanno…”

 

 

***

 

 

Messaggio inviato 

A: Merlin

07:15

Aithusa ha preso possesso della mia camicia preferita.

Ora è diventata la fodera della sua cuccia.

Perché?

 

 

Nuovo messaggio 
Da: Merlin

07:21

Scusa, stavo facendo colazione…

Le cause sono tre: o sente la tua mancanza. E vuole il tuo odore.

Oppure ama le camicie costose.

Altrimenti… sta preparando il nido.

 

 

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A: Merlin

07:22

Ma che cazzo, Merlin!

Non è mica un uccello!

 

 

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Da: Merlin

07:23

Puoi chiamarla anche tana, ma il concetto non cambia.

Lei sente che il parto si sta avvicinando e si prepara il posto giusto.

 

 

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A: Merlin

07:24

Oddio! Oddio!!

 

 

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Da: Merlin

07:25

Arthur, smettila!

Questa cosa va avanti per dei giorni…

Sta’ sereno. Ne riparliamo sabato, dopo l’ecografia.

 

 

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A: Merlin

07:26

…se lo dici tu…

 

 

Merlin stiracchiò le labbra, sospirando. Prevedeva che sarebbe stato un parto podalico. Ma non per Aithusa.

 

Quello che non si aspettava, era che Arthur sarebbe tornato alla carica un paio d’ore dopo.

 

 

***

 

 

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A: Merlin

08:53

Merlin, è grave! Aithusa fa ancora i dispetti!

Ha preso anche la camicia di scorta, che tengo nel bagno dell’ufficio.

 

 

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A: Merlin

09:20

E ha rubato la sciarpa di Gwen.

 

 

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A: Merlin

09:44

E il maglioncino di Vivian.

 

 

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A: Merlin

10:52

E i guanti di Sophia.

 

 

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A: Merlin

11:11

E Gwaine si è offeso perché a lui non ha preso niente…

 

 

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A: Merlin

11:36

Merlin! Ma ci sei, o cosa?!

 

 

Il dottor Emrys riaccese il cellulare, uscendo dall’ospedale dove aveva accompagnato sua madre per un controllo, trovandosi una marea di testi in arrivo.

… E probabilmente Arthur sul punto di una crisi di nervi.

 

 

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Da: Merlin

12:00

Scusa, telefono spento per necessità.

Comunque: Aithusa è una cagna intelligente.

Siccome non sa dove sarà al momento del parto, si è preparata un nido in ufficio e uno a casa… anche se il tuo ufficio è ormai una casa, per lei.

Relax, Arthur. È presto.

 

 

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A: Merlin

12:01

Guarda. Sono calmo. Calmissimo. L’imperturbabilità fatta a Pendragon.

PS: perché non possiamo fare un controllo quotidiano, da qui al parto?

 

 

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Da: Merlin

12:02

Perché sarebbe inutile.

E ho anche altri pazienti.

(E la mia giornata ha solo 24 ore, non so la tua).

 

 

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A: Merlin

12:02

E se ti rapissi fino al giorno del parto?

 

 

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Da: Merlin

12:03

Arthur!

 

 

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A: Merlin

12:03

È una bella idea. Perché non ti va?

 

 

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Da: Merlin

12:05

Sembra come il remake infelice di ‘Misery non deve morire’!

 

 

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A: Merlin

12:06

Oh! Io adoro quel film!

 

 

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Da: Merlin

12:07

Vorrei consigliarti il nome di un nuovo veterinario. Sto partendo per l’Alaska.

 

 

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A: Merlin

12:08

Merlin, idiota. Stavo scherzando.

 

 

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Da: Merlin

12:08

Sì, d’accordo. Ma niente controlli quotidiani né film inquietanti, grazie.

 

 

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A: Merlin

12:09

Peccato. Avresti un’intera videoteca e buon cibo a tua disposizione…

 

 

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Da: Merlin

12:10

Aspetta. Intendi dire come…

…come lasagne ogni giorno?

 

 

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A: Merlin

12:11

Certo. Lasagne ogni volta che vorrai.

 

 

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Da: Merlin

12:11

Affare fatto. Rapiscimi pure.

 

 

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A: Merlin

12:12

LOL.

 

 

***

 

 

“Allora… come andiamo?” domandò Merlin, posando la cagnetta sul lettuccio medico mentre accendeva l’ecografo. “Si dorme la notte? Mh?”

 

“Poco e male, in realtà”, rispose Arthur, stropicciandosi la faccia stanca.

 

“Oh, hai notato se la pancia la infastidisce? Se è già nervosa?”

 

“Uh… ti stavi riferendo a lei?” chiese Pendragon, stupito. “Oh, allora sì, dorme benissimo. Tutta la notte, senza svegliarsi mai…”

 

“Qualcosa mi dice che qualcuno si fa le ronde notturne per controllare…” insinuò il veterinario, con un tono di dolce canzonatura.

 

“Giusto un paio, tra un incubo e l’altro…” ammise Arthur, sopprimendo uno sbadiglio.

 

Fu allora che Merlin si girò verso di lui, accantonando la visita.

“Ti va di parlarmene?”

 

“Non c’è niente da dire”, premise, smentendosi poi col resto della frase. “Quella storia del nido mi ha un po’ sconcertato, ecco”, ammise.

 

“E…?” lo invitò a continuare.

 

“E mi sono sognato che Aithusa si è costruita un nido sulla cima di una quercia gigante… e mi sono dovuto arrampicare fin lassù per recuperarla!” gli raccontò, scuotendo la testa come a dire che era un’assurdità. “Devo aver mangiato pesante!” si schernì.

 

“E poi…?”

 

“Oh, niente di che… ho sognato che mi parlava in tedesco – e io non parlo tedesco, dannazione, tu lo sai! –, ma in qualche modo capivo tutto e lei aveva delle strane voglie… come di crocchette al gusto di gelato e biscottini di pollo e panna… e qualcosa sui cetrioli… una vera schifezza…

 

“Uh! Le voglie! Sì, certo…”

 

“Quindi è normale?!” saltò su Arthur, grondando sollievo nella voce.

 

Il dottor Emrys non ebbe cuore di dirgli che sì, di solito capitava, ma con i padri eccezionalmente ansiosi. Non con i padroni.

“Oh, sì. Sì, succede… solo che la gente non lo dice in giro molto spesso… anche se non c’è niente di male, beninteso!” si affrettò a rassicurarlo. “Forse è una distorta idea di pudore…”

 

“Ammetto che è un sollievo sentirtelo dire… cominciavo a temere di essere impazzito…

 

“Macché… passerà presto…” lo confortò, ricevendo in cambio un sorriso liberatorio. “Anche perché manca poco al parto… fra meno di dieci giorni sarà tutto finito!” e, a quelle parole, l’espressione di Arthur si ghiacciò.

Merlin si morse le labbra, pentito dello scivolone. “Dai, vieni a vedere come si muovono i cuccioli!” lo lusingò, per distrarlo e, dopo averlo avuto accanto, continuò: “Adesso possiamo controllare meglio ogni cosa… questi sono i reni e l’intestino del primo e questi sono quelli del secondo… e sembra tutto in ordine”.

 

“Puoi vedere anche il sesso?”

 

Il veterinario si girò a fissarlo e Arthur si chiese se non avesse sbagliato a fare la domanda.

 

“Teoricamente potrei…” premise Merlin, dopo un lunga pausa silenziosa. “Ma, per te, farebbe qualche differenza? Hai delle aspettative?”

 

“No, certo che no!” dichiarò Arthur, di slancio. “Andrà bene qualunque cosa!”

 

“E allora… non è meglio la sorpresa?” sorrise il dottor Emrys, facendo fare allo stomaco di Arthur una strana capriola.

 

“Una… sorpresa?” ripeté quindi, stordito. “Ma io odio le sorprese! Che diamine, Merlin, ormai dovresti saperlo!” sbottò, allargando le braccia. “Il mio motto è ‘PianificarePianificarePianificare’!”

 

Però questa è una bella sorpresa…” lo corresse l’uomo, ammiccando. “Sono certo che varrà l’attesa”.

 

“Oh, d’accordo”, s’arrese Pendragon, lasciando cadere le mani a penzoloni lungo i fianchi e poi in tasca.

Fu allora che ricordò una cosa di fondamentale importanza, ma attese che il medico si fosse accomodato alla sua scrivania, prima di porgergli un biglietto.

“Questo è l’indirizzo dello stabile. Il numero diretto del mio ufficio e tre recapiti alternativi. Il primo è quello di Gwen…”

 

“Giusto per precauzione, avevamo detto?”

 

“Sì, solo per scrupolo… dobbiamo essere preparati, Merlin”, calcò. “Se Aithusa va in travaglio mentre sono al lavoro, devi raggiungerci lì, no?” rispiegò, ripassando tutti i suoi piani. “Ah!, per tua informazione, ho consegnato al portiere e alla sorveglianza all’ingresso le tue generalità e una tua foto di riconoscimento…”

 

“Cioè… praticamente mi hai schedato!”

 

“Se la mettiamo in questo modo, sì”, ammise Pendragon. “Devono poterti identificare”.

 

“Perché… così mi arresteranno quando mi vedono?!” scherzò Merlin, fingendosi scandalizzato.

 

“Al contrario! Finiresti arrestato se varcassi la soglia del mio palazzo senza un permesso! Hai una vaga idea dei livelli esistenti di spionaggio industriale? Ecco. Meglio non sfidare Percy. Ha degli avambracci grossi come tronchi…” lo spaventò, mimando con le sopracciglia un’espressione suggestiva.

 

“Ho curato degli orsi arrabbiati, una volta, quindi sono vaccinato contro tutto”, ci tenne a precisare il veterinario. “Il tuo gorilla non mi spaventa!”

 

“Oh, certo! Puoi sempre combatterlo a colpi di feromoni, no?” lo stuzzicò, ricevendo in cambio una linguaccia indispettita.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Le varie nozioni veterinarie e le informazioni sulla gravidanza canina riportate sono prese da siti web specializzati.

 

Ecografia canina: dal 40° giorno in poi si vedranno lo scheletro, il cuore e il tessuto polmonare, mentre negli ultimi 15 giorni si identificheranno anche i reni e l’intestino.

 

Ho preferito usare la forma inglese ‘amici con benefici’, invece che la nostrana ‘amici di letto’ per evitare alcune ripetizioni.

 

Le lasagne sono la forma evoluta del “Vieni a casa mia che ti mostro la mia collezione di farfalle?” XD

 

USS Enterprise è il nome dell’astronave (o nave stellare, un immaginario tipo di veicolo spaziale) delle prime tre serie di Star Trek.

 

Ok. Lo so che non avrei dovuto prendere in giro Arthur, scrivendo questo capitolo, perché questa cosa mi si è ritorta contro. Ç.ç

Man mano che i giorni del parto di mia sorella si avvicinavano, ho cominciato a dormire poco e male, temendo che il cell cominciasse a suonare ogni notte, per avvisarci che stava andando in ospedale. In aggiunta a questo, ho fatto un mare di incubi: parti trigemellari, parti in luoghi dimenticati da Dio, salvataggi strani… ecco. Mi sono sentita molto Arthur. Davvero.

 

Quando Arthur dice a Merlin che non è affar suo ciò che l’altro fa nel tempo libero è un chiaro riferimento alla puntata 2x09 “La signora del lago”.

 

In questo capitolo, ci sono vari riferimenti ai precedenti (tipo la cosa dei feromoni; al tè che, in infusione 5 minuti, ha un effetto calmante; all’invito alla cena cinese…) spero che possiate ricondurli, in caso chiedete.

 

 

Ecco tre anticipazioni del prossimo capitolo (che è anche il penultimo):

 

Arthur sospirò, in parte rasserenato e in parte frustrato. C’era un pezzetto di lui che non voleva mutare questa situazione, tutto sommato ormai familiare e gestibile… e c’era l’altro tassello che invece desiderava la fine di quest’ansia, di quest’attesa gocciolata giorno per giorno.

Voleva il parto. E vedere i cuccioli. E soprattutto avere finalmente la certezza che Aithusa sarebbe sopravissuta con i suoi piccoli, e che tutto era andato bene.

 

(...)

 

Arthur si sentì stringere le viscere, eppure doveva lasciarla da sola almeno il tempo per recuperare il telefono e l’occorrente di emergenza che il veterinario gli aveva insegnato a predisporre.

 

Merlin. Doveva chiamare Merlin. Ora, adesso. Subito.

Doveva essere lì, lo voleva con lui. Cazzo. Cazzo. Cazzo.

 

Con le mani che tremavano, cercò il cellulare e attese una risposta all’altro capo della linea, che suonava libera. Eppure Emrys non rispondeva.

 

(...)

 

“Pronto?” gracchiò, con un fastidioso brusio di sottofondo.

 

“Dove sei?!” lo aggredì verbalmente.

 

“A Canterbury. Al convegno di veterinaria! Non ricordi? Te l’ho detto ieri…” – Arthur si sbatté una manata in fronte, dandosi dello sciocco. Cazzo, era vero. – “C’è qualche problema?”

 

Aithusa sta partorendo! Ha le contrazioni!” lo informò, ansioso. “Ci siamo! Ci siamo!”

 

“Aspetta un secondo”, l’avvertì e per un lungo istante ci fu solo rumore caotico, poi la voce di Merlin, seria, ritornò circondata dal silenzio. “Ok, non allarmarti, o la spaventerai! Devi stare calmo, così la tranquillizzi”, ripeté. “Te l’ho già detto, se la innervosisci, complichi le cose. Potrebbe anche non volersi occupare dei cuccioli…

 

“Merlin! Ti voglio qui! Ho bisogno di te!” lo scongiurò.

 

“Arthur…” lo chiamò il veterinario, costernato. “Ci vogliono quasi due ore per raggiungerti, non so se farò in tempo a…

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 38 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e i 138 ‘seguiti’.

Noto con piacere che molte persone si sono aggiunte! Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

  • Aggiornata Linette cap. 87
  • Aggiornata The Once and Future… Prat.  cap. 10

           Restate sintonizzati!

 

 


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elyxyz

 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Waiting for you

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa.

 

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A FlameOfLife, DevinCarnes, chibimayu, _Serendipity_, hiromi_chan, katia emrys, lululove2, mindyxx, Burupya, misfatto, Yuki Eiri Sensei, Morbid Fleur, Sheireen_Black 22, Eresseie93 e Clary Rose94.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

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Capitolo XI     

 

 

“Arthur... Sono consapevole che non dovrei dirtelo, ma... Non puoi farti venire una crisi di panico, lo sai, vero?”

Merlin gliel’aveva raccomandato come se stessero camminando sulle uova.

 

Certo. Lo sapeva anche lui.

Ed era per questo che aveva preferito conoscere ogni particolare, ogni fase del parto in anticipo, per essere pronto e preparato a qualsiasi evenienza.

Eppure le parole del veterinario non gli davano pace. Perché capivano entrambi che c’era un rischio reale che lui andasse fuori di testa, e questa era l’ultima cosa di cui avevano bisogno in quel frangente delicato.

 

A costo di spaventarlo, il dottor Emrys era stato estremamente chiaro: “Bisogna lasciare la cagna tranquilla ed evitarle qualunque fastidio o stress. Niente visitatori in giro o estranei. Se si innervosisse, potrebbe persino decidere di non occuparsi dei cuccioli”, aveva avvisato, come monito. “E tu, ovviamente, non devi essere una fonte di ansia per lei…

 

Più facile a dirsi che a farsi, considerò Arthur, facendo mente locale.

 

Dall’ultima visita, ogni giorno aveva riavviato nella memoria la loro conversazione, aveva rivisto passo per passo ogni indicazione, ogni consiglio e avvertimento.

Si era fatto più accorto, per cogliere i segnali del cambiamento.

Aveva preparato per Aithusa una tana vera, dove avrebbe partorito e allattato i suoi cuccioli nelle settimane a venire.

Il veterinario l’aveva messo in guardia: gli abiti rubati erano stati il primo segnale della scadenza; se lui non avesse fornito un buon nido per tempo, la cagnetta avrebbe provveduto da sé, perché questo le diceva il suo istinto.

Invece, lasciandole il tempo di familiarizzare col nuovo posto, aveva evitato una fuga dell’ultimo minuto.

 

Arthur spazzolò il fondo dello scatolone e riaccomodò l’imbottitura. Una parte di lui storse il naso per la misera scelta. Un altro pezzo di sé considerò che fosse ironico come tutto questo assomigliasse all’inizio della loro avventura, ora che ci si apprestava ad un nuovo avvio.

 

Tra tutte le possibili (costose e confortevoli) scelte, Merlin gli aveva consigliato la semplicità come opzione migliore: un grosso scatolone di cartone, ricoperto di asciugamani, tappetini e teli assorbenti. Niente giornali, aveva detto il veterinario, perché erano troppo sottili e scivolosi per le zampette tenere dei cuccioli, soprattutto nella delicata fase in cui avrebbero imparato a camminare.

Ritagliando da un lato un’apertura, Aithusa avrebbe potuto entrare ed uscire a suo piacimento, ma il bordo alto avrebbe ugualmente impedito la fuga dei piccoli per le prime settimane.

Arthur aveva posizionato il contenitore in un luogo più riparato e quieto della casa rispetto alla vecchia cuccia, lontano da rumori e luci fastidiose.

A volte, la sera, quando Aithusa vi si sdraiava, anche lui le sedeva accanto, sul pavimento, accarezzandola, immaginandola allattare i cuccioli che percepiva muoversi sotto alle sue dita.

 

 

***

 

 

Francamente, chiunque avesse detto – neanche due mesi prima – che il grande Arthur Pendragon si sarebbe ridotto a misurare le temperatura rettale di un cane due volte al giorno, sarebbe stato chiamato pazzo. Come minimo.

E invece eccolo lì, il grande uomo, ad aspettare il suono rivelatore, pronto a registrare il nuovo dato sulla tabella che il dottor Emrys gli aveva fornito, spiegandogli che il primo sintomo evidente del travaglio era una chiara diminuzione della temperatura della cagna.

 

Al bip di avviso, esaminò il display, ancora immobile sui 38,5° costanti, come quella mattina, quando era stato il veterinario a misurarla, durante il controllo abituale del sabato.

 

Arthur sospirò, in parte rasserenato e in parte frustrato. C’era un pezzetto di lui che non voleva mutare questa situazione, tutto sommato ormai familiare e gestibile… e c’era l’altro tassello che invece desiderava la fine di quest’ansia, di quest’attesa gocciolata giorno per giorno.

Voleva il parto. E vedere i cuccioli. E soprattutto avere finalmente la certezza che Aithusa sarebbe sopravissuta con i suoi piccoli, e che tutto era andato bene.

 

Ma, ovviamente, non aveva il potere di far accadere tutto questo programmandolo. Merlin gli aveva detto che i parti cesarei costituivano un’eccezione, in casi gravi e inevitabili, e a loro volta non erano esenti da rischi e complicazioni.

Restava solo una cosa: lasciare alla natura il tempo di fare il suo corso.

Dannata natura!, borbottò Arthur, fra sé, impaziente. E poi cercò di dominarsi, preparando il necessario per la cena. Chiudendo le imposte, s’accorse che il cielo nero prometteva un acquazzone imminente. Questo lo incupì ancor di più. Dannata natura!, bofonchiò di nuovo, stavolta per una ragione diversa, ricevendo in cambio il rombo di un tuono e le prime gocce che rimbalzavano contro le persiane.

Aithusa abbaiò, impaurita dal suono improvviso, e lui corse a rassicurarla, prima di tornare al loro cibo.

 

 

***

 

 

Quella domenica era iniziata sotto ad un cielo plumbeo, un diluvio costante fin dalla sera prima e vento con raffiche impressionanti.

Visto che la passeggiata mattutina era fuor di questione, Arthur si godette il caldo del suo letto come non succedeva da secoli. Dopo una veloce capatina in bagno e aver riempito le ciotole della cagnetta, se n’era tornato a dormire un po’, perché davvero lo stress di quell’ultimo periodo lo aveva logorato.

 

Erano quasi le undici, quando il mugolio di Aithusa lo risvegliò.

Forse si era sentita sola, senza coccole né compagnia.

Ma, quando la raggiunse accanto al nido, si accorse subito che qualcosa non andava.

 

Il cibo che le aveva versato era ancora intatto, c’erano due chiazze di vomito sul pavimento, e la cagna, irrequieta, continuava a raspare nello scatolone con frenesia, come se stesse cercando di accomodare l’imbottitura.

 

Accucciandosi, Arthur si avvicinò, notando solo in quel momento che lei stava tremando, mentre i muscoli addominali si contraevano.

 

“Oh! Oh, cazzo!” esalò, mettendosi una mano sulla bocca, scioccato. “Merlin!” esclamò, spaventando la cagna con l’urlo e subito le lanciò uno sguardo di scuse, avvicinandosi cauto con la mano, per offrirle una carezza.

 

Aithusa uggiolò in risposta, andando incontro alle dita del suo padrone col muso, leccandogliele prima di lasciarsi toccare.

 

Arthur si sentì stringere le viscere, eppure doveva lasciarla da sola almeno il tempo per recuperare il telefono e l’occorrente di emergenza che il veterinario gli aveva insegnato a predisporre.

 

Merlin. Doveva chiamare Merlin. Ora, adesso. Subito.

Doveva essere lì, lo voleva con lui. Cazzo. Cazzo. Cazzo.

 

Con le mani che tremavano, cercò il cellulare e attese una risposta all’altro capo della linea, che suonava libera. Eppure Emrys non rispondeva.

 

Dov’era finito, quell’idiota?, imprecò mentalmente Pendragon, posando il telefono sul ripiano, mentre raccoglieva il kit necessario. Asciugamani, sì. Disinfettante, sì. Forbicine, sì. Guanti, sì. Spago, sì. Bilancina, sì. Carta e penna per annotare il peso, sì.

 

Arthur interruppe il controllo dell’elenco mentale per ritentare un contatto col veterinario, mentre sbirciava di lontano la cagna sofferente.

Gesù, Merlin! Rispondi!, lo supplicò, sentendo la voce familiare solo dopo un’infinità di squilli.

 

“Pronto?” gracchiò, con un fastidioso brusio di sottofondo.

 

“Dove sei?!” lo aggredì verbalmente.

 

“A Canterbury. Al convegno di veterinaria! Non ricordi? Te l’ho detto ieri…” – Arthur si sbatté una manata in fronte, dandosi dello sciocco. Cazzo, era vero. – “C’è qualche problema?”

 

Aithusa sta partorendo! Ha le contrazioni!” lo informò, ansioso. “Ci siamo! Ci siamo!”

 

“Aspetta un secondo”, l’avvertì e per un lungo istante ci fu solo rumore caotico, poi la voce di Merlin, seria, ritornò circondata dal silenzio. “Ok, non allarmarti, o la spaventerai! Devi stare calmo, così la tranquillizzi”, ripeté. “Te l’ho già detto, se la innervosisci, complichi le cose. Potrebbe anche non volersi occupare dei cuccioli…

 

“Merlin! Ti voglio qui! Ho bisogno di te!” lo scongiurò.

 

“Arthur…” lo chiamò il veterinario, costernato. “Ci vogliono quasi due ore per raggiungerti, non so se farò in tempo a…

 

“L’Università di Canterbury, hai detto?” L’interruppe, strofinandosi i capelli biondi in un gesto nervoso. “C’è un aeroporto, lì vicino. Ti mando l’elicottero della Pendragon Company, e ti preleverà in un battito di ciglia!” lo informò, valutando la via più breve. “Resta in linea, finché chiamo il pilota…

 

Purtroppo per loro, le forti raffiche di vento e l’acquazzone inclemente – che stava inzuppando mezza Inghilterra – impedivano qualunque decollo in tempi ragionevoli.

 

Fu col cuore pieno d’angoscia che Arthur diede la brutta notizia al medico.

“Permesso negato!” sbottò, allarmandosi. “E come faccio?!”

 

“Farà tutto lei!” lo rassicurò Merlin. “Senti… Devi solo capire se ti vuole vicino oppure no”.

 

“Sì, mi chiama e mugola”, gli riferì, accostandosi a lei.

 

“Ok, è una bella cosa. Restale accanto, parlale piano, accarezzala se lo vuole…” lo istruì. “Io adesso parto, ma piove a dirotto…” lo avvertì, come preavvisandolo che la situazione meteo avrebbe rallentato il rientro. “Resterò al telefono con te e ti darò istruzioni, d’accordo?”

 

“D’accordo”, si rassegnò Arthur, sentendosi impotente.

 

“Descrivimi la situazione”, gli chiese il veterinario, per avere un quadro completo e, contemporaneamente, tenere la mente occupata dell’uomo al telefono.

 

Dopo essersi fatto raccontare tutto, Merlin gli ricordò due cose fondamentali: “Tra un cucciolo e l’altro, passeranno almeno venti minuti, potrebbe volerci anche un’ora… ma sono solo due, sarà una cosa veloce… E potrebbe spuntare prima la coda. Ecco, non ti allarmare, è una cosa abbastanza comune…”

 

“E se uno si incastra?” domandò, preoccupato.

 

“Arthur, che cazzo, smettila di gufare!” lo sgridò, stringendo i denti e accelerando per eseguire un sorpasso un po’ azzardato. Non avrebbe mai potuto spiegargli i movimenti da compiere al telefono, non senza averli visti prima di persona. “Andrà tutto bene, lo sappiamo entra-” un bip-bip s’intromise nella loro comunicazione. “Merda!” sibilò Merlin, dopo un momento di silenzio.

 

“Che c’è? Che c’è?!” insistette Arthur, all’altro capo. “Sei a corto di gas?”

 

Peggio…” gemette il veterinario. “La batteria del cellulare è quasi esaurita e ho dimenticato a casa il cavo di ricarica…

 

Oh, dannazione!” ruggì Pendragon.

 

“Arthur, ascoltami bene. Non so quanta autonomia mi sia rimasta, quindi presta la massima attenzione: ripasserò i passaggi fondamentali, ok?” Merlin attese appena un sospiro, prima di incominciare. “Lasciala fare: Aithusa saprà per istinto come comportarsi. Quando il cucciolo uscirà, gli romperà il sacco, lo leccherà per aiutarlo a respirare e lo laverà. Morderà il cordone – so che fa schifo, ma probabilmente mangerà anche la placenta perché favorirà la produzione di latte. Farà la stessa cosa con l’altro e ripulirà quasi tutto da sola; ripeto: lasciala fare. Poi tu devi cambiare la pavimentazione della tana, asciuga bene tutta l’umidità senza disturbarla troppo e lasciala in pace coi cuccioli, che probabilmente si attaccheranno a lei per nutrirsi. Ti è chiaro fin qui?”

 

“Sì…”

 

“Se per qualche remota ragione lei non facesse quello che ti ho spiegato, ricordi i passaggi che abbiamo tentato in ambulatorio?”

 

Ssss-no”, farfugliò Arthur, in quell’istante col vuoto più assoluto. Rammentava tutto fino a pochi minuti prima, però ora… ora il suo cervello era una tabula rasa.

 

“Devi indossare i guanti puliti e fare con le mani le stesse cose che lei farebbe col muso”, e poi aveva riassunto in preciso ordine come rompere il sacco, disinfettare, legare i cordoni e tagliarli e frizionare delicatamente ogni cucciolo, aiutandolo al primo respiro. “I piccoli, appena nati, vanno pesati e contrassegnati in qualche modo e il loro peso va annotato”, si raccomandò. “E…”

 

“Merlin? Ma a che punto sei?”

 

“Ho appena superato la periferia di Cuxton, mi ci vorrà circa un’altra ora di viaggio”, lo ragguagliò.

 

“Fai in fretta, per favore!”

 

 “Credimi, sto già infrangendo tutti i limiti di velocità!”

 

“Metti tutte le multe sul mio conto!”

 

“Oh, sii certo che lo farò!” gli appuntò, divertito, prima di tornare serio. “Ascolta: dimenticavo un’altra cosa! Le perdite ematiche sono normali, non ti spaventa-!

 

“Merlin? Merlin?! MERLIN!” urlò contro il telefono. Ma la linea si era interrotta. Arthur digitò freneticamente fra le chiamate recenti, tuttavia una voce preregistrata lo avvisava che il cliente selezionato non era al momento raggiungibile. Così imprecò a denti stretti, per non allarmare la cagna.

 

Eppure, all’improvviso sentì la nausea avvolgerlo e il battito cardiaco aumentare, e riconobbe i sintomi per istinto. Le mani gli tremavano, ma s’impose di fare respiri profondi e di non perdere la calma. Non poteva avere un altro attacco di panico. No, non ora.

 

Aithusa si fidava di lui. E non l’avrebbe delusa.

D’accordo, sapeva di potercela fare.

Calma. Calma. Calma.

Non avrebbe mandato tutto a puttane, vero?

 

 

***

 

 

Merlin parcheggiò di sbieco davanti a Casa Pendragon con una grande frenata e per poco non finì addosso all’auto parcheggiata del suo cliente. Agguantando la sua borsa medica, rinunciò all’ombrello e corse verso l’entrata, senza stupirsi di trovare il cancelletto e la porta semiaperta.

 

“Arthur?” chiamò piano, entrando.

Poiché nessuno gli rispose, gocciolando, avanzò a tentoni verso l’unica zona tenuamente illuminata dell’appartamento e fu lì che lo trovò.

 

Circondato da asciugamani sporchi, guanti usati, stracci, spaghi e confusione generale, se ne stava seduto a terra a gambe piegate, accanto allo scatolone, con la testa reclinata in avanti, nascosta fra le braccia puntellate sulle ginocchia.

 

“Ehi…” lo chiamò piano, accarezzandogli una spalla.

 

Arthur sollevò di scatto il viso, sussultando. Aveva un’espressione sfatta, gli occhi arrossati e un’aria fragile che strinse il cuore di Merlin.

 

“Stanno…” farfugliò sfinito, annuendo alla cagna e ai cuccioli seminascosti da lei. “Bene?”

 

E mentre lui riabbassava le palpebre e lasciava cadere la testa all’indietro, contro il muro, il dottor Emrys non perse tempo e visitò la madre e i neonati, leggendo anche gli appunti scarabocchiati in fretta su un foglio, dimenticato in mezzo al caos del pavimento.

 

“È tutto a posto!” riesordì, poco dopo, nuovamente chino davanti a lui, esprimendo un verdetto positivo.

 

“Invece è stato un casino! Io mi sono agitato, lei si è agitata e-” farfugliò Pendragon, attingendo alle ultime scorte di energia o di adrenalina rimasta in circolo gesticolando freneticamente.

 

“Arthur…” lo blandì Merlin, sfiorandogli gli avambracci, come a confortarlo. “Sei stato bravissimo. Davvero. Non poteva concludersi meglio di così. E non addossarti colpe che non hai, stupido asino!” lo sgridò, cercando di alleggerire l’atmosfera con quel nomignolo. “Se hai fatto qualche errore, hai rimediato alla grande ed è comunque il risultato che conta: sono tutti vivi, sani e salvi…” Il dottor Emrys sorrise, cercando di tranquillizzarlo, anche se sembrava che l’altro uomo non fosse completamente in sé.   

 

Tutti vivi, sani e salvi, aveva detto Merlin.

Tutto era andato bene, Aithusa stava bene, i due cuccioli stavano bene… Dio, grazie.

 

D’improvviso sentì la tensione abbandonarlo, come le parole andavano a scavarsi una nicchia dentro di lui, accendendo un tremito.

Arthur sentì le palpebre pungere, un singhiozzo spingere contro la gola, ansioso di uscire.

 

Deglutì un groppo di pianto, ma lo liberò un momento dopo, quando le braccia di Merlin lo circondarono in una stretta calda e rassicurante, e lui si lasciò cullare e confortare – nascondendo il volto nell’incavo del suo collo –, lavando via il terrore annichilente e l’apprensione che lo avevano tenuto ostaggio finora.

 

ShhShh… Va bene così…” lo sentì bisbigliare, caldo e rassicurante. “Butta fuori tutto… È finita… È davvero finita…

 

Quando lo sfogo cessò e si divisero, il veterinario si appoggiò sui talloni, ma rimase ancora lì, accucciato fra le gambe di Arthur. Non c’era alcun imbarazzo, mentre i loro sguardi si incrociavano, e comunicavano quello che le parole non avevano ancora detto.

 

Merlin allungò una mano e, con un gesto d’affetto, tentò di arruffare la testaccia bionda che tanto lo aveva fatto penare. Ma non arrivò mai alla fine delle sue intenzioni, perché Arthur, catturandolo con una mossa fulminea, afferrò il suo viso, accarezzando con le palme gli zigomi spigolosi. E l’istante successivo le loro bocche erano unite.

 

Era un bacio al sapor di lacrime salate. Ed euforia. E liberazione.

 

Nel momento in cui si separarono, però, Arthur abbassò lo sguardo, quasi intimidito, forse pentito di essersi approfittato di lui. “Scu-

 

“Non ci provare nemmeno!” lo mise in guardia Merlin, afferrando la stoffa della sua maglia all’altezza del cuore. “Quasi non ci speravo più!” ruggì, prima di strattonarselo contro e di ricambiare il favore, assaggiando le sue labbra una seconda volta, per esserne certo. Ma sì, Arthur Pendragon sembrava essere il baciatore migliore del mondo.

 

 

***

 

 

“Hai già scelto i nomi?” domandò Merlin, accomodandosi accanto a lui sul divano, dove finalmente potevano riposare in pace dopo una doccia calda – avevano anche scherzato sull’idea di farla insieme, per risparmiare acqua (sì, come no?) –, ma era effettivamente un po’ troppo presto per quel genere d’intimità (non che volessero aspettare molto di più per raggiungere quel traguardo, a giudicare dagli sguardi che si lanciavano), e il tutto si era risolto ottenendo un cambio d’abiti per entrambi e una cioccolata calda come genere di conforto.

 

“Beh… In realtà, non ho ancora controllato il sesso…” ammise Arthur, grattandosi la nuca. “Avevo altro per la testa”.

 

“O forse temevi di prendere la stessa cantonata della prima volta, eh?” lo pungolò il dottor Emrys, ammiccando. Ma prima che l’altro protestasse, continuò: “Sono un maschietto e una femminuccia!” gli rivelò, con un sorriso. “Il maschietto è quello color crema, la femminuccia ha la macchiolina nera sul musetto”, precisò.

 

Quindi, alla fine…”

 

“Sì, sono dei meticci. Mi dispiace dirlo, ma solamente un mantello completamente candido è sinonimo di purezza in un Bichon, il resto è considerato un difetto”.

 

Arthur scosse il capo, stringendo le loro dita intrecciate. “Sai che non me ne importa nulla… Uno stupido pezzo di carta non fa la differenza!”

 

Il veterinario lo ricompensò con un enorme sorriso. “Questo sì che è parlare!” approvò, con orgoglio. “Ma, tornando a noi: voglio i nomi!”

 

“Beh… M’ero fatto un paio di idee…”

 

“Vuoi farti pregare?!” lo pungolò. “Dai, sentiamo!”

 

“Il maschietto si chiamerà Kilgharrah”.

 

Il dottor Emrys sbatté la palpebre, sorpreso. “Questo sicuramente non viene suggerito dal mio libro!” considerò. “Sembra il nome di un drago e non di un cane, neppure se fosse grosso come una montagna!” obiettò, ridacchiando.

 

“Beh, ma è un nome imponente e per gli amici sarà Killy…” Arthur difese riottoso la propria idea.

 

Killy è perfetto”, approvò Merlin. “E lei?”

 

“La femmina sarà Albion”.

 

“Nientemeno! L’antico nome dell’Inghilterra e quello che sembra un drago!” fischiò, ammirato. “Fai progetti in grande stile, tu!”

 

Arthur rise. “Oh, sì! Mi è andata di lusso! Perché, vedi… sarà Morgana, fra noi due, a fare la figlia devota... E se i gemelli avranno dei problemi mentali per questo, sarà solo colpa sua! Leon si è già rassegnato alle sue stranezze…

 

“E quale sarebbe la rosa delle possibilità?” s’incuriosì.

 

“Anche se manca poco, il ginecologo non ha ancora visto con certezza cosa saranno; ma lei propende per Ygraine, come nostra madre. E poi Mordred, perché ha sempre sognato di chiamare suo figlio così, se fossero una coppia mista. Se invece nascessero due femmine, punterebbe su Elizabeth, come la mamma di Leon. E, Dio non voglia!, Uther jr, per rendere felice mio padre…”

 

“Beh, sarebbe stato peggio se lo avessi nominato tu così, no?” ipotizzò, ridacchiando. “Pensa a quando rimprovererai il cucciolo:No, Uther, non rovistare nel secchio della spazzatura!’ oppure: ‘Uther! Non fare pipì nell’angolo!’”

 

“A mio padre verrebbe un altro infarto!” sogghignò, immaginandosi la scena. “Aithusa per poco non lo ha portato nella tomba, ma questo sarebbe il colpo di grazia!”

 

Merlin sorrise, felice di quel momento sereno dopo tutta la tempesta che si era abbattuta su di loro.

“A proposito… Visto che sei sopravvissuto a questo, potresti anche offrirti di accompagnare tua sorella in sala parto!” gli suggerì, fingendosi serio.

 

COSA?!” esclamò Arthur, tutto sdegnato. “Non ci penso neppure a sopportare quella strega! È già abbastanza isterica di suo, figurarsi in travaglio!” ipotizzò, rabbrividendo. “No, grazie”, rifiutò, con ampi cenni del capo. “Probabilmente, a quest’ora mio padre ha già affittato mezzo del St Mary’s Hospital e un’intera equipe di specialisti pronti a sorbirsi le sue paturnie. Che s’arrangino!” decretò.

 

“Comunque sarebbe carino mandarle un messaggio per avvisarla che è appena diventata zia… o prozia. Non so… Esattamente, come ti vedi in tutta la faccenda?” gli domandò, incuriosito.

 

“Il padrone. Sono solo Il Padrone”, scandì, con enfasi. Anche se era lui il primo a non crederci.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

La foto non mi appartiene, ma essendo il parto di un Bichon con due cuccioli, non ho resistito. Con un po’ di fantasia, mi piace pensare che siano Killy e Albion con Aithusa.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Ed eccoci al tanto sospirato momento del parto e del chiarimento!

Spero che vi siano piaciuti, e che la parte medica non sia stata troppo pallosa. Mi sembrava necessaria per rendere realistico il compito di Arthur. Non poteva improvvisarsi esperto e sicuro da solo, non con le premesse di questa storia.

 

Le varie nozioni veterinarie e le indicazioni riguardanti il parto e l’accudimento sono prese da guide mediche veterinarie, da siti web specializzati e dalla visione di alcuni filmati. Tuttavia, non sono un’esperta del settore né ho avuto esperienze dirette, quindi – malgrado la mia pignoleria – potrebbe esserci qualche imprecisione.

 

Il St Mary’s Hospital è rinomato per il suo reparto di maternità ed è dove, per inciso, ha partorito anche Kate Middleton, futura regina d’Inghilterra.

 

Per pignoleria, Arthur chiede a Merlin se ha finito il gas e non benzina, perché le auto con impianto a gas hanno un allarme sonoro ‘bip-bip’ che indica quando il serbatoio è quasi vuoto.

 

 

Ecco tre anticipazioni del prossimo capitolo (che è anche l’ultimo!):

 

Arthur sorrise, intenerito. C’era poco da fare. Era più forte di lui.

Quei sacchi di pulci simil topi lo avevano ridotto alla stregua di un budino floscio. Si era bruciato dignità e orgoglio. Ma andava bene così.

Oh, certo. Anche risvegliarsi con Merlin abbarbicato contro, come se fosse stato il suo orsacchiotto personale, e la colazione che avevano condiviso assieme avevano contribuito a portarlo verso questo stato di atarassia perfetta…

 

Ma quando, verso le undici, un corriere espresso gli consegnò un enorme pacco dono, con dentro un cesto di prodotti per cuccioli e un biglietto firmato da ciascuno dei suoi collaboratori, Arthur fu seriamente sul punto di fare un’idiozia, come dare una promozione a tutti con aumento di stipendio, e fanculo se avesse portato le finanze della ditta al tracollo.

 

(...)

 

“Ciao! Io sono Elena…” si presentò lei, allungando una mano da cui pendevano un sacco di bracciali etnici.

 

“Arthur Pendragon…” ricambiò, ancora incerto, il saluto e la stretta. “Guarda… Se fai parte di qualche astrusa setta o stai cercando di vendermi qualcosa, devo avvertirti che io non sono interessato”, premise, con gentile fermezza.

 

Uhmm… no. Veramente… è stato Merlin a dirmi che dovevo presentarmi a questo indirizzo…” motivò, con un sorriso incoraggiante. “Sono la nuova dog sitter!”

 

Col cazzo che avrebbe affidato la sua preziosa prole ad una Figlia dei Fiori malcresciuta!

Quella lì sembrava così svampita da essere uscita direttamente da Woodstock!

 

(...)

 

Giunto a ritroso, Arthur affondò il naso contro la conca del bacino, dove depositò un bacio a schiocco, che fece tremare Merlin, mentre accarezzava nuovamente le sue natiche sode.

E infine, si tuffò fra loro.

 

Oh, sììì

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 40 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e i 150 ‘seguiti’.

Noto con piacere che molte persone si sono aggiunte! Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate visto che siamo alla fine! ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

  • Aggiornata Linette cap. 88.
  • Postata la shot modern!AU merthurEstetico trascendentale (con)gelato”.

           Restate sintonizzati!

 

 


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elyxyz

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Waiting for you

E siamo alla fine di un viaggio durato 12 capitoli e 14 mesi.

Avrei dovuto postare questo capitolo qualche tempo fa; ma, come ho già spiegato nell’ultimo aggiornamento di Linette, ho necessariamente dato la precedenza ad altre cose, in attesa di capire se voglio restare su EFP o no. (Non mi dilungo oltre su questo, nell’intro del cap. 89 c’è tutto).

Tuttavia, oggi è anche il compleanno del nostro amato re, quindi è un momento propizio, da festeggiare con una storia. Tanti auguri a Bradley!

 

 

Doverosamente dedicata al cucciolo d’uomo che mi ha resa una zia orgogliosa.

 

Un pensiero speciale a chi ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).

A FlameOfLife, hiromi_chan, Orchidea Rosa, lululove2, DevinCarnes, katia emrys, Barby_Ettelenie_91, Clary Rose94, _Serendipity_, Semiramide_, Sheireen_Black 22, mindyxx, Burupya, Sofia mencucci, chibimayu, EvocatoreETeurgaForever ed aria.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

Grazie.

 

 

 

Waiting for you

 

 

 

Capitolo XII    

 

 

Il cellulare vibrò, segnalando l’arrivo dell’ennesimo messaggio di congratulazioni e ovviamente poteva scommetterci che, dietro a tutto questo, c’era lo zampino di Gwaine.

Arthur, infatti, s’era limitato a mandare una foto della cucciolata a lui e a Gwen, annunciando il lieto evento, ma ben presto tutti i suoi collaboratori avevano fatto un giro d’informazione sulla notizia, inviando le loro – a volte fin troppo zelanti – felicitazioni.

 

Mithian e Sophia stanno litigando di nuovo. Stavolta per i cuccioli”, sbuffò, mettendo via il telefono. “Entrambe li vogliono tutti e due, e accampano pretese prenotando l’adozione”.

 

Merlin tastò il terreno. “È una cosa buona, no? Conosci già chi si occuperà di loro…”

 

“No, perché non voglio darli via”, confessò, combattuto fra due sentimenti contrastanti. “La verità è che sono un pessimo padrone, io… Pessimo, lo so”, ripeté. “Con che coraggio li costringerei a stare rinchiusi in ufficio tutto il giorno?”

 

“Arthur, smettila”, lo rassicurò. “Stai andando alla grande!” lo lodò, accarezzando col pollice il palmo della sua mano. “Comunque non è una scelta che devi fare adesso… Per almeno due mesi verranno allattati, e poi prenderai la tua decisione…”

 

“Quale decisione?” replicò, enfatico, intristendosi. “Insomma… Come si può togliere un figlio a sua madre?” domandò, retorico.

 

Ma Merlin comprese che c’era molto di più nascosto lì sotto. Uno strato sottile e fragile su cui camminare. Qualcosa che prima o poi avrebbero affrontato insieme, a tempo debito.

 

“Le tue assistenti fanno così perché cercano una promozione?” domandò allora, per distrarlo dai pensieri malinconici.

 

Nah! Sono sempre in competizione fra loro… Vorrebbero essere le principesse del regno…

 

“Ma l’unica Principessa sei tu, giusto?” Tirò a indovinare.

 

Arthur, suo malgrado, rise.

“Oh, credimi, Merls! Tu faresti la felicità di Gwaine!”

 

 

***

 

 

“Ho intenzione di assumere una tata…” lasciò cadere Arthur, offrendo una seconda porzione di lasagne a Merlin, che sembrava nutrire un feticismo kinky per quel cibo.

 

“Una tata?!” rifece Emrys, sollevando le sopracciglia mentre addentava una forchettata con gratitudine.

 

“Sì, beh… Sono cresciuto anche io con una di loro…”

 

“E guarda che risultato!” scherzò il veterinario, masticando.

 

“Stai forse insinuando qualcosa?” domandò, permaloso, fingendo di rubargli il piatto e l’altro uomo si prodigò per difendere la propria cena.

 

“Oh, no! Arthur, no!” piagnucolò, trattenendo i bordi di porcellana.

 

Pendragon rise, cedendogli il pasto.

“E comunque sei stato tu a dirmi che i cuccioli non si possono lasciare da soli almeno per i primi quattro mesi! E se non posso portarli in ufficio appena nati… Devo trovare qualcuno di affidabile che se ne occupi!

 

Il veterinario parve pensarci su (o forse si prese solamente il tempo di masticare e gustare un boccone), ma poco dopo esordì, propositivo: “Conosco la persona giusta che fa per te!”

 

“Ha esperienza? E delle referenze?”

 

“Fidati di me!” lo rassicurò Merlin, prima di rubargli un bacio e proporre un brindisi a tutte le cose positive della giornata.

 

 

***

 

 

Il lunedì Arthur non andò in ufficio, perché aveva chiesto – cioè, si era concesso – tre giorni di permesso dal lavoro dopo il parto.

Quando lo aveva sentito, Gwaine l’aveva canzonato, dicendo che era un congedo di paternità.

 

E, per buona misura, il suo dipendente più creativo gli aveva anche mandato un MMS con l’immagine della porta del suo ufficio e due fiocchi – rosa e azzurro – penzolanti ai lati delle targhette, seguito da un’altra foto della bacheca nell’area caffè.

 

La Pendragon Company è lieta di annunciare la nascita di Kilgharrah e Albion’ recava la scritta, accanto alla fotografia che lui aveva inviato il giorno prima, con Aithusa e i cuccioli.

 

Arthur sorrise, intenerito. C’era poco da fare. Era più forte di lui.

Quei sacchi di pulci simil topi lo avevano ridotto alla stregua di un budino floscio. Si era bruciato dignità e orgoglio. Ma andava bene così.

Oh, certo. Anche risvegliarsi con Merlin abbarbicato contro, come se fosse stato il suo orsacchiotto personale, e la colazione che avevano condiviso assieme avevano contribuito a portarlo verso questo stato di atarassia perfetta…

 

Ma quando, verso le undici, un corriere espresso gli consegnò un enorme pacco dono, con dentro un cesto di prodotti per cuccioli e un biglietto firmato da ciascuno dei suoi collaboratori, Arthur fu seriamente sul punto di fare un’idiozia, come dare una promozione a tutti con aumento di stipendio, e fanculo se avesse portato le finanze della ditta al tracollo.

 

Ci pensò un altro scampanellio a riportarlo in sé, distraendolo dalla sua generosa follia momentanea.

Facendosi un promemoria mentale di chiamare un catering, che avrebbe fornito un adeguato buffet di festeggiamento in ufficio, Pendragon aprì la porta e si ritrovò davanti la tizia più strana che avesse mai visto in vita sua.

 

Doveva essere daltonica, pensò, scioccato. Oppure aveva semplicemente un gusto per l’abbinamento dei colori pari allo zero assoluto.

 

“Ciao! Io sono Elena…” si presentò lei, allungando una mano da cui pendevano un sacco di bracciali etnici.

 

“Arthur Pendragon…” ricambiò, ancora incerto, il saluto e la stretta. “Guarda… Se fai parte di qualche astrusa setta o stai cercando di vendermi qualcosa, devo avvertirti che io non sono interessato”, premise, con gentile fermezza.

 

Uhmm… no. Veramente… è stato Merlin a dirmi che dovevo presentarmi a questo indirizzo…” motivò, con un sorriso incoraggiante. “Sono la nuova dog sitter!”

 

Col cazzo che avrebbe affidato la sua preziosa prole ad una Figlia dei Fiori malcresciuta!

Quella lì sembrava così svampita da essere uscita direttamente da Woodstock!

 

“Ehm…” temporeggiò, ricordando almeno i rudimenti della buona educazione. “Vieni, entra”, le offrì, facendosi da parte e, quando la ragazza inciampò goffamente sul tappeto della soglia, la sua prima impressione peggiorò ancor di più.

 

No, no, no. Non se ne parlava neppure. Ma che cazzo di idee aveva Merlin?

 

Eppure, quando Elena aveva insistito per vedere la cucciolata, rifiutando un caffè di cortesia, fu amore a prima vista.

Di colpo si era trasformata, dimostrandosi preparata e disponibile, spiegandogli una serie di cose che probabilmente avrebbe saputo solo dal dottor Emrys. Tra dosi di cibo, iniezioni di ossitocina e colostro, Arthur si era fatto una nuova cultura alternativa.

 

E nel momento in cui Aithusa, dopo averle annusato la mano, si era lasciata accarezzare, anche il suo padrone si rilassò.

Incurante di sporcarsi la gonna a fiorelloni, Elena si era accovacciata sul pavimento, prendendo confidenza con le bestiole, fino a che – incredibilmente – la cagna non le aveva concesso di stringere in braccio i suoi cuccioli. E allora Arthur capitolò.

 

Se ad Aithusa andava a genio quella hippie mancata, chi era lui per opporsi?

 

 

***

 

 

Qualche mese dopo...

 

 

Arthur chiuse l’ennesimo scatolone con lo scotch e scrisse a lato il contenuto sommario. Poi sospirò soddisfatto, lasciandosi cadere a terra.

 

Era certo che Morgana – prima o poi – avrebbe voluto indietro il suo appartamento.

Probabilmente solo quando Uther avrebbe tirato le cuoia, lasciandola libera di vivere la sua vita, o quando i gemelli sarebbero andati all’università, più verosimilmente, considerò, con un ghigno. Se l’erba cattiva non moriva mai, pensò Arthur, con affetto caino, Uther era immortale.

 

Quindi – a conti fatti – poteva godersi quella casa ancora a lungo.

Eppure, quando aveva proposto a Merlin di vivere insieme e lui aveva accettato, la scelta era caduta sul suo piccolo appartamento sopra l’ambulatorio – perché era intimo e accogliente, molto più che un’abitazione ipermoderna e fredda.

C’era un bel giardino sul retro dello stabile, i cuccioli e Aithusa avrebbero potuto giocare in pace – dopo un’accurata disinfestazione, ovviamente.

 

Ma se Merlin ci metteva l’alloggio, lui avrebbe provveduto al forno. Oh, sì.

L’unica cosa su cui non si poteva transigere era un regalo – per l’inizio della loro convivenza – che Arthur aveva intenzione di far recapitare al suo fidanzato, perché il forno di Morgana meritava un gemello a casa loro, signorsì.

 

E così loro avrebbero cominciato una nuova vita insieme. Fatta di filanti lasagne croccanti e di veterinari pronti a ricompensarlo coi migliori pompini…

 

 

***

 

 

“No, Killy! Lascia! Aus! AUS!” comandò Arthur, venendo bellamente ignorato dal cucciolo, che continuava a strattonare la felpa che fuoriusciva da una delle scatole, i dentini ben piantati nella manica. Ci pensò Aithusa a soccorrere il suo padrone, afferrando il figlio per la collottola, trascinandolo via, verso la cuccia.

Arthur sbuffò, grato per la sua intromissione. “Oh, guai se non ci fossi tu…” la ringraziò, lanciandole uno sguardo carico di riconoscenza, ma giusto in quel mentre un altro rumore improvviso lo fece sussultare.

Corse in cucina, solo per vedere che uno dei vasi di sua sorella era finito in mille pezzi.

“Oh, cazzo… no!” esclamò, “Via, Alby! Via dai cocci!” le ordinò, e nuovamente fu ignorato. “Getz, Albion!” urlò, senza effetto alcuno.

 

Fu la risata divertita di Merlin, dietro di lui, a impedirgli una sequela di bestemmie.

 

“I piccoli hanno fatto altri disastri, oggi?”

 

Cinque, per l’esattezza”, gli rese noto, strofinandosi una tempia per combattere un’emicrania incipiente.

 

“Guarda il lato positivo: ti hanno alleggerito il bagaglio! Così avrai meno cose da dover traslocare!

 

Morgana avrà meno cose al suo ritorno…” lo corresse, con un piccolo ghigno.

 

“Puoi sempre dirle che l’hai fatto per il suo bene! Adesso ha una casa a prova di bimbo e i gemellini saranno al sicuro!” gli propose, addolcendo la sua rabbia con un abbraccio da dietro, tirandosi contro il torace la schiena di Arthur, mentre gli mordicchiava quel lembo di pelle dietro l’orecchio, che sapeva mandarlo su di giri.

 

Merlin…” ansò infatti, sovrapponendo le mani a quelle dell’altro, che gli stavano accarezzando gli addominali infilandosi sotto alla camicia. “Se continui così, non finirò mai di impacchettare la mia roba…” lo avvertì.

 

“L’intento era proprio quello…” bisbigliò il compagno, leccando il suo padiglione auricolare, strofinando il naso contro l’attaccatura dei capelli biondi e sulla nuca, dove la pelle si era già accapponata con un brivido di piacere.

 

“Oh, l’hai voluto tu!” ruggì Pendragon, girandolo con una mossa fulminea e caricandoselo in spalla, senza tante cerimonie.

 

“Ehi! Animale!” rise Merlin, colpendolo con piccoli pugnetti sulla schiena.

 

“Non hai sempre detto che ero una strana bestia? E adesso ho bisogno del mio veterinario preferito. Il migliore del mondo!” decantò, sbattendolo sul letto matrimoniale, prima di divorargli le labbra con un bacio.

 

 

***

 

 

Artie?”

 

Mh?”

 

Merlin smise di tracciare oziosi cerchi con le dita sulla schiena del suo amante.

“Ti è passato l’incazzo?”

 

Arthur si stiracchiò pigramente, girandosi supino per esigere l’ennesimo bacio.

“Sì, Merls… direi che il sesso è un buon distraente…” ammise, con un ghigno soddisfatto.

 

“Oh, bene…” sorrise l’altro, riprendendo le carezze, stavolta sul torace. “Perché… vedi… ieri mi sono scordato di dirti che, mentre non c’eri, Albion e Kilgharrah hanno distrutto quel puzzle in 3D a cui tenevi tanto…”

 

“Cosa?!” saltò su Pendragon, perdendo l’aria gioviale. “E com’è possibile?!

 

“Beh, ehm… potrei accidentalmente aver lanciato loro una pallina che-

 

Merlin!” ululò tonante. “La mia Torre Eiffel!”

 

“Amore, mi dispiace…” si scusò, contrito.

 

“Credo che dovremmo replicare. Adesso. E tu dovrai impegnarti molto, ed essere convincente come distraente, finché non ti perdonerò…

 

“Agli ordini, Vostra Maestà!” esclamò Merlin, solennemente, prima di scivolare sotto alle lenzuola, ammiccando vizioso.  

 

 

***

 

 

“Ah, Merls?” lo chiamò Arthur, quando le lucine dell’orgasmo si spensero dietro il tendone delle sue palpebre chiuse.

 

“Sì?”

 

Visto che siamo in vena di confidenze…” incominciò, diventando improvvisamente malleabile e disponibile ad offrirgli coccole. “Stamattina, Killy si è mangiato metà della relazione che dovevi esporre al prossimo Convegno di martedì. Spero vivamente che tu abbia ancora una copia del file nel pc...

 

“Oh, no!”

 

Oh, sì. L’ha fatto…” ridacchiò. “E gli è anche piaciuta parecchio!”

 

“Ci ho lavorato tre notti! Cazzo!” imprecò. “Sono fottuto!”

 

“Di questo, non ti sei mai lamentato…” lo stuzzicò, giocando sul doppiosenso e, prima che il veterinario potesse perdere le staffe per davvero, Arthur decise che fosse più saggio ricambiargli il favore.

“È il mio turno, allora…” si offrì, scostando le lenzuola denudandolo, e lasciando una lenta scia umida lungo tutta la schiena, soffermandosi su ogni picco e ogni avvallo, baciando ogni singola vertebra, mentre le sue mani accarezzavano i fianchi sottili dell’altro in cerchi rilassanti.

 

Mmh… sì, oh, sì…” piagnucolò Merlin, in tono ben diverso da poco prima.

 

Pendragon nascose un sorriso compiaciuto contro un gluteo, mentre con le dita impastava l’altro. Dando ragione a una punta di sadismo, deviò volutamente la traiettoria verso l’interno coscia, mordicchiando con ingordigia la tenera carne – le gambe del suo partner si allargarono di riflesso, permettendogli maggior accesso –, ma lui decise di scendere verso il retro sensibile delle ginocchia, vezzeggiandone uno con la bocca e l’altro con la mano ancora libera. Si prese il tempo di arrivare fino alla caviglia, succhiando la sporgenza del perone come anticipazione di ciò che sarebbe arrivato fra poco.

Quindi risalì, strisciando al contrario, occupandosi leziosamente dell’altra gamba, in parte finora trascurata.

Giunto a ritroso, Arthur affondò il naso contro la conca del bacino, dove depositò un bacio a schiocco, che fece tremare Merlin, mentre accarezzava nuovamente le sue natiche sode.

E infine, si tuffò fra loro.

 

Oh, sììì

 

 

***

 

 

“Pensi che io abbia fatto una buona impressione su Uther?” domandò Merlin, posando in entrata tutto l’occorrente usato per Aithusa e i suoi figli dopo la loro scampagnata domenicale.

 

Arthur lo raggiunse un momento dopo, trascinandosi appresso il trasportino carico.

“Certo!” ansò, cercando di rassicurarlo e di riprendere fiato contemporaneamente. “Sto con un medico, adesso! E, da che mondo è mondo, accasarsi con un dottore è considerato un successo assicurato! Persino mio padre non può avere nulla da obiettare a riguardo!”

 

“Sono solo un povero veterinario squattrinato che fa troppa beneficenza, Arthur”, lo corresse, con un sorriso indulgente.

 

Ma è per questo che ti amo…”

 

Quindi, ti sei innamorato del mio grande cuore?”

 

“Oh, certo! Ma anche un bel culo aiuta!” completò, per amor di precisione.

 

“Stupido asino”, bofonchiò Merlin, prevedendo ciò che sarebbe seguito.

 

“Ovviamente, se tu possedessi la mia bellezza, saresti perfetto, ma…” lasciò cadere lì, facendosi azzittire nel modo più facile.

Ma la verità era una sola. Amava tutto di Merlin, anche le piccole imperfezioni che lo rendevano speciale.

E adorava perdersi nei suoi occhi – quell’azzurro così particolare, così unico –, accarezzare i suoi zigomi cesellati e venerare ogni frammento di quel corpo che ora gli apparteneva.

 

 

***

 

 

“Non pensi che siano davvero adorabili?” domandò Arthur, retorico, gonfiando il petto con orgoglio.

 

Merlin afferrò la cornice che Morgana aveva fatto recapitare loro, e sorrise, osservando la foto in cui i cuccioli e i gemelli giocavano assieme su una coperta stesa sul prato dietro Avalon House.

 

“Sì, sono davvero graziosi…” concordò. “Ma è meglio che tuo padre non la veda. Potrebbe decidere di lavare i gemelli con la candeggina…

 

Ma sono passati cinque giorni!”

 

“Effetto retroattivo!” scherzò Emrys, fingendosi preoccupato, per diventarlo poi seriamente. “Scherzi a parte… Uther non dovrà mai sapere che Mordred ha mangiato alcune crocchette dalla ciotola di Albion

 

“Hai detto che non sono pericolose!”

 

“Non lo sono, ma ti immagini la sua scenata?!”

 

“Più di quella che ha fatto quando Killy ha avuto la geniale idea di emozionarsi, facendo pipì sopra i suoi costosi mocassini?”

 

“Oh, mio Dio! Me la sono persa!” si lagnò. “Ma è stato prima o dopo che Lizzie gli ha rovesciato l’omogeneizzato sui pantaloni?” chiarì.

 

Arthur rise fino alle lacrime. “Avessi visto la sua faccia! Credevo che esplodesse!”

 

“Vergogna…” lo sgridò Merlin, blandamente. “Il suo cuore malandato non dovrebbe subire questi strapazzi…

 

“Io, invece, credo che gli facciano bene. Quello che non uccide, fortifica!” filosofò, ammiccando.

 

“In tal caso, me ne ricorderò una di queste sere…” lo avvertì, allusivo.

 

 

***

 

 

“Come mai sei così di buonumore?” domandò Arthur, quando Merlin rientrò dal suo abituale sabato di volontariato al canile.

 

Lasciandosi cadere sul divano, il veterinario – anziché pretendere il consueto bacio di bentornato e le coccole, perché rientrava sempre sfinito – si chinò per primo verso il partner.

 

“È successa una cosa bellissima!” annunciò, separandosi dalle sue labbra, trattenendo a stento l’euforia.

 

“Ti sei innamorato?” buttò là Pendragon, piegando malamente il giornale per dargli completa attenzione.

 

“Idiota che non sei altro…” borbottò il compagno, afferrandogli però una mano, per trattenerla tra le sue in un gesto d’affetto.

 

“E allora?” l’incitò, annuendo. “Questa novità?”

 

“Stamattina è arrivata una donazione! Una donazione generosissima!” squittì quasi. “Potremo rimettere a nuovo Black Hill e aiutare anche altri canili!” spiegò Merlin, entusiasta.

 

Arthur sorrise nel vederlo così felice.

 

“Tu non ne sai niente? Mh?” si insospettì però.

 

“Io? E perché dovrei?” Finse stupore.

Non era importante che il suo compagno sapesse dei salti mortali che aveva fatto con i Revisori dei Conti. Quelli erano soldi suoi, e la Pendragon Company poteva permettersi un po’ di beneficenza.

 

Merlin gli lanciò una lunga occhiata, strofinando poi il naso contro il suo. Cazzo, questo era giocare sporco! E lui stava per cedere!

 

“Non… non era forse un’offerta anonima?” ritentò all’ultimo, per sviarlo e sottrarsi al suo esame.

 

“Oh, sì, certo…” confermò il veterinario, sollevandosi per unire le braccia attorno al suo collo, mettendosi poi a cavalcioni su di lui col preciso intento di creare attrito fra i loro inguini. “Ma il tizio camuffato – un travestimento ridicolo, peraltro! – che è venuto a consegnarci la busta…” sussurrò, appoggiando le labbra contro il suo orecchio e Arthur si sentì ansimare, di riflesso, mentre i pantaloni diventavano improvvisamente stretti. “Il tizio, dicevo”, riprese Merlin, mordicchiandogli il lobo con sensualità, dondolando i fianchi. “Lui voleva fare colpo su Eira, una delle nostre volontarie… E le ha lasciato il numero di telefono…” spiegò, mordicchiandogli il profilo della mandibola mentre con le dita si aggrappava alle spalle larghe per aumentare lo sfregamento.

 

Cazzo. Cazzo. Cazzo. Idiota col cervello nelle mutande!, imprecò Arthur, sull’orlo del baratro.

 

“E chissà come… ma assomigliava stranamente a Gwaine…” terminò Merlin, con un’ultima spinta che li condusse insieme all’orgasmo.

 

 

***

 

 

“Tu…” sbottò Pendragon, una volta che aveva ripreso fiato, piantando un indice teso fra le costole ossute del suo amante.

 

“Ahi!” guaì Merlin, ancora stravaccato in rilassamento sopra di lui.

 

“Tu non puoi fami venire nelle mutande come un pivello!” lo ammonì, ricevendo in cambio un grugnito distratto. “E – soprattutto – non ti voglio mai più sentir nominare Gwaine, mentre scopiamo. Intesi? Intesi?!” ripeté, facendogli il solletico per punizione.

 

Merlin rise, divincolandosi, ma sapeva benissimo che Arthur era più forte di lui e perciò si arrese trasformando la piccola lotta in un groviglio di braccia e gambe stese.

 

“Pace?” propose, come armistizio.

 

“Pace”, concordò l’altro, stringendoselo contro un po’ di più.

 

Fu a quel punto che Aithusa e i cuccioli, svegliatisi dal sonnellino pomeridiano, zampettarono incontro a loro, saltando sul sofà nella nicchia che i due padroni si affrettarono a creare.

 

Merlin allungò una mano per accarezzarli e Arthur guardò la sua famiglia nuovamente al completo e sorrise, lasciandosi cullare da un senso di pace e perfezione, mentre le parole del loro primo incontro gli tornavano alla mente.

 

Stava aspettando te… aveva detto quel pazzo veterinario, quasi come un atto di fede.

 

E forse era stato davvero tutto un piano del Destino.

Forse Aithusa aveva aspettato lui e anche Merlin aveva atteso che le loro strade si incrociassero. E i cuccioli avevano pazientato per conoscerlo.

O, forse, era semplicemente Arthur, quello che era rimasto in attesa di tutti loro.

 

 

- Fine -

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

E a Laura, che si sciroppa le anteprime con un entusiasmo che mi commuove.

Note: Ed eccoci alla fine.

Confesso che, rileggendo per le ultime sistemazioni, mi sono commossa un pochino, perché mi dispiace chiudere questa storia, che mi sono divertita a scrivere, ma mi ha anche fatta arrabbiare.

Il fatto è che pure con Linette siamo agli sgoccioli e questo non aiuta il mio lato sentimentale…

 

Per l’ultima volta… beccatevi le mie noiose note.

Le varie nozioni veterinarie e le indicazioni riguardanti il parto e l’accudimento sono prese da guide mediche veterinarie, da siti web specializzati e dalla visione di alcuni filmati. Tuttavia, non sono un’esperta del settore né ho avuto esperienze dirette, quindi – malgrado la mia pignoleria – potrebbe esserci qualche imprecisione.

 

Può essere utile a fine parto che il veterinario somministri una singola iniezione di ossitocina in quanto si è visto che facilita l’involuzione uterina, l’eliminazione degli eventuali invogli ritenuti e stimola la produzione di latte.

 

Il Colostro è il primo latte, quello che i cuccioli dovrebbero assumere entro le 12-18 ore dal parto, così da ottenere gli anticorpi della madre, che li proteggeranno fino alla vaccinazione.

 

Aus!” e “Getz!” sono due comandi traducibili con “Lascia!” e “Vai!” (nel senso di allontanare). Le parole usate come comandi sono quelle comuni per l’addestramento in tedesco. Per comodità, ho preferito riportarle come si scrivono e non come si pronunciano.

 

Eira, personaggio della quinta serie del telefilm, ha un breve flirt con Gwaine. Non dico altro perché sarebbe spoiler! XD

 

“Se non uccide, fortifica”, è un vecchio adagio. E una frase usata da Tiziano Ferro nella canzone “Sere nere”.

 

L’accenno ai croccantini mangiati da bambini (senza conseguenze) è preso da un fatto di vita vera… all’epoca, mio cugino assaggiò il pasto del mio defunto Toby.

 

 

~ ~ ~ ~ ~

 

 

Ringrazio i 50 utenti che hanno messo la fic fra i ‘preferiti’, i 10 ‘da ricordare’ e i 155 ‘seguiti’.

Visto che siamo alla fine, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, soprattutto da parte di chi ha sempre seguito silenziosamente la storia.  ^_=

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

 

  • Aggiornata Linette cap. 89.
  • Postata la parte 1 di 2 della nuova ficMerlin’s Magic Loves Arthur”.
  • Postata la shot “The morning after”, spoiler!5x13.

 

 


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