Occhi di ghiaccio

di Rubus idaeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Fine ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


La lezione di chimica e biologia all'università era diventata particolarmente frequentata da quando l'insegnamento della materia era stato affidato al novello professore, fresco di laurea, Raymond John Andrews, un giovane intraprendente ed estremamente brillante che aveva ottenuto la cattedra senza particolari difficoltà suscitando l'invidia dei colleghi rivali più anziani.

Amava la sua materia, si capiva dalla luce che aveva negli occhi quando entrava in classe, dagli smaglianti sorrisi che ci lanciava quando alzavamo la mano per porgli delle domande, dai movimenti rotatori e convulsi delle mani mentre spiegava passeggiando avanti e indietro davanti alla lavagna. Ma io sapevo che non era il suo modo di spiegare nè tanto meno ciò che spiegava ad attirare gli studenti come delle calamite, o meglio, le studentesse. Ebbene sì, su una media di 40 persone partecipanti ad una sua lezione, almeno 35 erano ragazze. Me compresa, ma la mia presenza dipendeva esclusivamente dalla mia innata passione per quella materia. Infatti io in lui non vedevo nient'altro che un professore, un ottimo e rispettabile professore, mentre le mie compagne se n'erano fatte un'idea del tutto diversa. Ognuna era irrimediabilmente, follemente e scioccamente innamorata di lui. In più, il fatto che fosse single entusiasmava ancora di più le sue corteggiatrici. Mi chiedevo come fosse possibile essere innamorate di un professore, dal momento che, da che mondo è mondo, i professori sono da sempre i primi sulla lista nera di ogni giovane studente. Eppure gli cadevano ai piedi come pere. Bigliettini stracolmi di cuori o scatole di cioccolatini o perfino lettere d'amore che apparivano misteriosamente sulla sua cattedra mentre era girato a scrivere alla lavagna erano all'ordine del giorno. Lui non se ne curava più di tanto, anzi, a volte mi dava l'idea di essere perfino terrorizzato dalle audaci avances delle alunne. Io guardavo quelle stupide ricoprire intere pagine dei propri diari con il suo nome e ciarlare su di lui per tutta la durata delle lezioni, e ne rimanevo disgustata. Mi sembrava di aver a che fare con delle bambine, non con delle persone adulte.

Certo non potevo negare che fosse un bell'uomo. Era alto, molto alto, a occhio avrei detto un metro e ottantacinque, con la pelle leggermente dorata, i capelli neri corvini, lucidi e aggrovigliati in ciocche ricciute e ribelli, e le spalle larghe, possenti. Indossava occhiali dalla montatura grossa che celavano sotto le spesse lenti i grandi occhi color cielo. Furono proprio quegli occhi la causa della rovina della mia vita. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO FLASH, ALTRA PICCOLA INTRODUZIONE CHE SVELA QUALCOSA DELLA PROTAGONISTA-NARRANTE. GRAZIE A TUTTI QUELLI CHE HANNO INIZIATO A SEGUIRE LA MIA STORIA, NE SONO ORGOGLIOSISSIMA. A PRESTO.


Cambridge, la più prestigiosa università d'Inghilterra dopo Oxford, era ormai diventata la mia casa. Risiedevo lì da quando mi ero iscritta.
Katy, la studentessa con la quale condividevo la stanza, era una delle più accanite adoratrici del professore belloccio, ma, malgrado la sua passione innata per il signor Andrews, non provavo nei suoi confronti l'odio, o comunque il disgusto, che riservavo alle altre. Forse perchè ritenevo il suo corteggiamento nei confronti dello scienziato più pacato e meno strampalato, o forse perchè mi ero adeguata a sentirla parlare con occhi sognanti di lui tutti i momenti. Sta di fatto che divenne la mia migliore amica.
Era una ragazza estremamente sentimentalista e in più drogata di polpettoni rosa, i quali ero costretta a sorbirmi anche io tutte le sere in tv. Leggeva riviste di gossip a tutto spiano e mi informava ritualmente di tutti i pettegolezzi che giravano a scuola su qualcuno o qualcuna.
-Devi trovarti un ragazzo.
Mi ripeteva continuamente.
-Non dovresti avere problemi, guardati, sei uno schianto!
Non le credevo, o per lo meno, non davo peso alle sue parole. Schianto o no, non volevo nessun ragazzo, dovevo concentrarmi sullo studio se volevo laurearmi. E poi ero sempre stata ferma sull'idea che l'amore fa male. E io non avevo voglia di soffrire e rimetterci quattro anni di duro lavoro a Cambridge.
-L'amore verrà, Joyce, quando meno te lo aspetti.
Mi ammoniva con voce canterina.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Non dimenticherò mai il giorno in cui per la prima volta parlai personalmente con lui.

Mi trovavo in biblioteca. Era una calda giornata di fine maggio e dai vetri delle ampie finestre filtrava una luce abbagliante e cocente. La stanza era praticamente vuota poiché tutti preferivano passare una così bella giornata all'aperto. Lieta di tale fatto e consapevole che grazie a ciò nessuno mi avrebbe disturbata nella lettura, mi accomodai ad un tavolo e cominciai a sfogliare allegramente un volume di 700 pagine sulla storia della chimica, il tutto per puro svago. Ero così concentrata nella lettura che non feci caso alla persona che mi si sedette accanto. Poi la sua melodica voce mi risvegliò dal trans e mi riportò coi piedi per terra:

-Non ricordo di aver dato da studiare questo argomento.

Aveva constatato a voce alta. Scrutò pensieroso le pagine senza rivolgermi lo sguardo, poi, inclinata leggermente la testa come un passerotto, puntò i suoi occhiali verso il mio viso e mi rivolse un sorrisino furbetto.

-Sono un'appassionata, Signor Andrews, tutto qui.

-Ah, capisco.

Si ritrasse sulla sua sedia togliendosi gli occhiali per stropicciarsi gli occhi e dopo averli agganciati al colletto della camicia, tornò a concentrarsi sul suo libro.

Riportai le pupille sulle pagine del volume, ma non riuscii più ad immedesimarmi nella lettura come prima. Una strana forza invisibile mi costringeva ogni pochi minuti a spostare gli occhi sulla sua figura. Non mi era mai capitato di averlo così vicino a me da riuscire perfino a sentire il suo profumo. Sfruttai l'occasione per analizzare quel suo bel volto, contrassegnato in quell'istante da un'espressione profondamente assorta; i miei occhi percorsero curiosi i tratti fini e mascolini dei viso, notando una piccola cicatrice sulla mascella ben delineata. Le labbra erano più carnose di quanto mi fossero mai sembrate e così semiaperte, dovetti ammettere, erano anche terribilmente accattivanti. Poi il mio sguardo scivolò sul collo e accarezzò la stoffa dei vestiti, quei vestiti che davano poco spazio all'immaginazione. Constatai che dovesse avere un fisico da atleta e colta da un'improvvisa curiosità fuori controllo, gli chiesi:

-Fa sport, Signor Andrews?

Lui non distolse gli occhi dal libro e ridacchiò.

-Cosa glielo fa pensare?

Non risposi, arrossii e mi diedi mille volte della stupida. In un vano tentativo di riscattarmi provai ad improvvisare:

-Ehm, curiosità, no beh, in realtà è che... La mia compagna di stanza se lo chiede spesso, sa, è una sua.. ammiratrice...

Usai la scusa più credibile che riuscii ad trovare.

-La dolce Katy eh?

Commentò sommessamente lui. Poi rise di gusto e alzando finalmente gli occhi su di me disse:
-Pratico canoa a tempo perso da molti anni.

Mi guardò. Quello fu il momento in cui i suoi occhi firmarono la mia condanna.

Le spesse lenti avevano sempre tenuto nascosti quegli occhi, come un pirata nasconde il proprio tesoro, e ora lui mi dava l'onore di ammirare le sue iridi di zaffiro. Naufragai nel mare di quegli occhi e mi persi per sempre.

E mentre lui tornava tranquillo alla sua lettura, io mi alzavo con una scusa patetica e fuggivo. Avevo bisogno di andare lontano e dimenticare quei brevi, fugaci momenti di smarrimento. Cosa mi aveva fatto? Era forse un mago? Perchè un semplice sguardo aveva mandato così facilmente in cortocircuito il mio cuore?

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Dopo quel fatidico evento non mi presentai alle sue lezioni per più di due settimane. Katy tentò di farmi confessare il motivo del mio comportamento, ma io non sputai mai il rospo. Non mi aggradava l'idea che si venisse a sapere del dialogo tra me e il signor Andrews, perchè sarei potuta passare per una delle sue ammiratrici. E se l'avessi raccontato a Katy potevo star certa che ben presto ne sarebbe venuta a conoscenza tutta la scuola, il chè dovevo assolutamente evitare.

Mio malgrado, però, mi era impossibile saltare così tante lezioni di chimica di fila, perciò presi coraggio e una mattina varcai la soglia di quell'aula. Mi accomodai in fondo, nella speranza di non essere troppo notata da lui e sistemai i miei libri sul tavolo. L'ora passò in fretta, gli argomenti spiegati mi affascinavano molto. Appena la lezione giunse al termine, scaraventai libri e penne nella borsa e mi fiondai con agilità felina sulla porta. Uscii per prima, entusiasta di ciò che avevo appreso e soddisfatta di esser riuscita a superare l'imbarazzo di incontrarlo di nuovo dopo la mia epica figuraccia.

Camminavo serena nel corridoio con un sorriso spensierato sulle labbra e nel silenzio dei corridoi quasi vuoti, ascoltavo il rumore dei miei passi sul pavimento di pietra. Mi fermai davanti ad una delle finestre che davano sul cortile e feci scorrere lo sguardo tra le persone che lo attraversavano. Era una bella giornata di sole, nel cielo solo un paio di fini nuvolette bianche. Improvvisamente mi venne in mente che nella foga scappando dall'aula avevo dimenticato sul banco il mio inestimabile e insostituibile taccuino. C'erano tutti i miei personali e dettagliati appunti e quindi dovevo recuperarlo prima che qualche altro studente se ne appropriasse e lo usasse per un proprio scopo. Ritornai indietro a passo di marcia, pregando che il professore se ne fosse già andato via. Sfortunatamente non fu così.

Ero in procinto di entrare, avevo già la mano sulla maniglia della porta quando questa si spalancò da dentro ed io mi trovai spiaccicata su di lui. Il suo profumo mi fece girare la testa e per qualche millesimo di secondo persi completamente l'orientamento. Feci due passi indietro e abbassai la testa sperando che i capelli coprissero il cupo rossore che sentivo bruciarmi le guance.

-Ma guarda che coincidenza!

Esclamò sogghignando.

-Cercavo proprio lei. Questo deve essere suo.

E mi porse il mio taccuino.

-Davvero interessanti i suoi appunti, signorina... Joyce, giusto? Si, beh li ho trovati illuminanti.

-G-grazie.

Accennai un sorrisino di gratitudine per i suoi complimenti e misi il taccuino in borsa. Alzai lo sguardo e i miei occhi si scontrarono con i suoi, dietro le spesse lenti degli occhiali. Perchè mi guardava così insistentemente? Tentai di parlare, ma le parole mi morirono in gola, anzi, non sapevo proprio che dirgli, eppure avrei per esempio potuto complimentarmi per il suo modo di insegnare, o avrei potuto chiedergli scusa per essermene andata così bruscamente dalla biblioteca. Continuava a fissarmi. Forse si divertiva a vedermi agitata.

-Che cosa fa stasera, Joyce?

Le sue parole tagliarono il silenzio, come una freccia scagliata taglia l'aria, e mi colpirono come uno schiaffo.

-Stasera..?

Sollevai le spalle.

-Beh, niente.

Vidi un angolo della sua bocca sollevarsi appena dando al suo sorriso un aspetto malizioso.

-Le va di venire con me a sentire una conferenza tenuta dal biochimico Johnatan Arcorn a Londra? L'ingresso sarebbe consentito solo a docenti universitari ma so che fanno eccezione per gli studenti più brillanti di Oxford e Cambridge.

-Johnatan Arcorn, dice?

Sgranai gli occhi come un personaggio di un fumetto giapponese. Il signor Andrews mi aveva appena invitato ad andare ad ascoltare con lui il più grande biochimico inglese vivente, il mio idolo, la mia ispirazione.

-Le interessa?

Chiese serio.

-Si!

Esclamai fuori di me dalla gioia. Un sorriso smagliante si allungo sulle mie labbra e mi presi il viso tra le mani, non potendo ancora credere che il mio sogno stesse per avverarsi.

-Grazie, grazie mille.

Gli dissi prendendogli le mani in segno di infinita riconoscenza. Sorrise benevolo e dolce e appoggiandomi una mano sulla spalla mi rispose:
-Ero sicuro che le avrebbe fatto piacere, lei è assolutamente la migliore della classe e ritengo che se lo meriti.

Mi sorrise complice e mi salutò con la sua solita gentilezza prima di incamminarsi a passi rapidi verso l'uscita.

Sospirai e mi morsi il labbro, poi corsi nella mia stanza per annunciarlo a Katy. Ero felice.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


La serata fu favolosa. Il signor Andrews si dimostrò una persona squisita, di grande ingegno e cultura ed estremamente cortese. Scoprii casualmente, mentre parlava con un suo collega, che aveva appena tre anni in più di me. Certo, io avevo iniziato l'università in ritardo, ma mai mi sarei aspettata di essere quasi una coetanea di un mio professore. L'intelligenza che dimostrava era comunque esageratamente fuori dal normale, questo spiegava perchè avesse ottenuto la cattedra in un università prestigiosa come Cambridge, lasciando spiazzati gli altri aspiranti professori.

Durante la conferenza di Johnatan Arcorn fu molto disponibile a darmi chiarimenti sulle parole del biochimico e sovente mi suggeriva dei suoi pareri personali.

Si offrì di riaccompagnarmi lui stesso in macchina a Cambridge, data l'ora tarda della notte e la scarsa circolazione dei taxi. Accettai volentieri, con una certa soggezione. Durante il tragitto non proferii parola, non sapevo cosa dirgli, mi sentivo profondamente in imbarazzo. Pregavo che nessuno dalle camerate mi vedesse scendere dalla macchina del signor Andrews, in particolare le sue ammiratrici, Katy compresa; mi sarei cacciata nei guai in quel caso. Fortunatamente alle undici e mezza, l'ora in cui arrivammo, le luci erano già state spente.

-Lei è stata davvero una gradevolissima compagnia per me, signorina Joyce.

Mi salutò sorridente mentre aprivo lo sportello della sua elegante auto sportiva. Ricambiai il saluto augurando gentilmente la buonanotte. Poi improvvisamente sentii la sua mano sul mio braccio.

-Spero ci saranno altre occasioni come questa.

Rimasi sorpresa dal suo tono di voce e anche dal suo sguardo. Non osai rispondere e me ne andai, sì, fuggii codardamente, ancora una volta.

 

 

Passò circa un mese da quella sera. La mia vita universitaria era tranquilla, anzi, perfetta: i test e gli esami che preparavo fruttavano sempre ottimi voti e tutti i professori avevano da complimentarsi con me per la mia acutezza mentale. Inutile dire che ne andassi estremamente fiera.

L'anno volgeva al termine ormai e le dichiarazioni e le avances destinate al professore ruba-cuori si facevano più frequenti. Katy piangeva spesso pensando che non l'avrebbe visto per i due mesi dell'estate ed io ero costretta, mio malgrado, a tentare di consolarla, facendomi inondare dalle sue disperatissime lacrime mentre la abbracciavo.

Era ormai giugno, il caldo iniziava finalmente a farsi sentire, anche se il sole era quasi sempre nascosto da spessi strati di nuvole bianche.

La mattina di una particolarmente calda giornata, il signor Andrews mi chiese di andare con lui in biblioteca. Disse di dovermi mostrare una cosa, ma che era una sorpresa. Da persona franca e schietta quale ero e sono, odiavo quando qualcuno faceva il misterioso con me.

In ogni caso, andai all'appuntamento in biblioteca. Lui mi accolse praticamente all'ingresso e mi accompagnò immediatamente tra gli scaffali. Si mise a cercare con brio un libro tra le mensole, sbuffando e mugolando.

-Mi ricordavo che fosse qui.. Ah sì! Eccolo.

Mi porse un vecchio e malconcio libro con la copertina rossa e le pagine ingiallite.

-Questo è il libro su cui ho studiato io e prima ancora mio padre.

Lo rivoltai tra le mani osservandone la fattura, poi cominciai a sfogliarlo. Era un libro sulla chimica, ovviamente, e tutti gli spazi bianchi dei bordi delle pagine erano occupati da fitti appunti, alcuni scritti con la stilografica altri con la biro.

-È un regalo per lei. Avevo donato questo libro alla biblioteca, ma essendone ancora il padrone voglio che lo abbia lei.

-Non...non posso accettarlo.

Balbettai riporgendoglielo. Egli non lo prese e il suo sguardo mi fece intendere che non ne aveva assolutamente intenzione. Sospirai e lo ringraziai del regalo.

-Perchè fa tutto questo per me?

La domanda mi venne spontanea, ma non me ne pentii, in fondo volevo conoscere il motivo di tanta generosità nei miei confronti.

-Non lo so. Lei è speciale.

Nella sua voce nemmeno un piccolo accenno ad una insicurezza. Mi si avvicinò lentamente, con classe, e mi diede un leggero bacio sulla bocca. Il mio cuore in quell'istante si fermò di colpo, poi si risvegliò agitato pulsando come un martello pneumatico nella mia cassa toracica. Egli esitò con gli occhi chiusi a fior di labbra con me e poi lo fece ancora, ma questa volta con molta più passione. Mi sentivo incapace di reagire, indifesa, inerme. Ammisi a me stessa che in fondo quel gesto inaspettato non mi dispiaceva affatto. Mi turbava, ma mi piaceva. Oh, se mi piaceva. Schiusi le labbra. Non avevo mai baciato un uomo con così tanta voga. L'idea di star baciando un professore mi faceva ridere nel cuore. Già, io, che ero l'unica della sua classe a non adorarlo come tutte le altre, ne ricevevo il bacio, e che bacio. Un bacio che in quei meravigliosi secondi avrei voluto spiattellare in faccia a quelle smorfiosette, un bacio che in realtà non avevo mai desiderato e che ora scoprivo di aver desiderato da sempre.

Durò a lungo mi pare di ricordare, so solo che la magia fu rotta dal tossire della bibliotecaria. Per un momento temetti che ci avesse scoperti, invece stava semplicemente mettendo a posto dei volumi in fondo alla stanza. Ridemmo, che altro dovevamo fare?

-Non ne parli a nessuno, la prego, Joyce. Ma, vede, io, io la amo.

In quel momento la sua voce tremava davvero, forse anche lui non aveva mai detto quelle parole a nessuno, come me d'altronde. Non potevo però assecondarlo rispondendogli che lo amavo anche io, perchè effettivamente non sentivo di amarlo. Il mio sentimento era solo stima e rispetto, non amore. Mi sentivo confusa ed emozionata allo stesso tempo, così gli sorrisi e me ne andai. Scappai da lui per la terza volta.

Joyce è una ragazza tenace e intelligente, ma ha paura di abbandonarsi ai sentimenti. E così fugge. Il signor Andrews invece è sicuro nell'affermare il suo amore. Come finirà?
Mi piacerebbe sapere che ne pensate della mia umile storia, cari lettori. Grazie ancora ha chi apprezza, ciaociao.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Per tutta la notte non feci altro che rigirarmi nel letto e pensare e ripensare a quel meraviglioso bacio che mi aveva rubato e mi arrovellavo su una sola domanda: Lo amo anche io? “No” mi ripetevo “non posso amarlo”. La vedevo come una forma di debolezza o, meglio, di viziosità. Non volevo amarlo, perchè non avevo alcuna intenzione di abbassarmi al livello delle oche che lo corteggiavano spudoratamente. Forse proprio a causa di quell'idea non accettavo il fatto che egli mi piacesse. No, forse davvero non lo amavo, eppure maledizione c'era qualcosa dentro di me, uno strano tic che sentivo scattare nel mio cervello quando lo vedevo, che mi faceva perdere il senso della realtà. Giunsi alla conclusione che sarebbe stata una sbandatina passeggera, lui era troppo bello e impossibile per me, ed io dovevo rimanere concentrata sullo studio, avrei finito l'anno con la testa alta, senza dar peso alla faccenda. La laurea era vicina, solo un altro anno in quella scuola e ne sarei uscita dottoressa in scienze biogeologiche. Non potevo lasciar sfumare tutto adesso. E poi, pensai, con l'estate avrei facilmente dimenticato.

 

Inimmaginabile, però, fu l'imbarazzo che mi invase quando il giorno dopo il fatidico evento mi presentai in classe e lo vidi lì, appoggiato di schiena al bordo della cattedra, che aspettava con le braccia conserte che l'aula si riempisse. Durante la lezione cercai in tutti i modi di evitare il suo sguardo per non arrossire. Sentivo costantemente su di me i suoi occhi di ghiaccio, quegli occhi meravigliosi, ed era come avere un enorme e pesante macigno sulle spalle, una sensazione di ristrettezza e oppressione. L'ora di chimica non mi era mai sembrata più interminabile. Solo quando egli si girava per scrivere alla lavagna sollevavo lo sguardo dai fogli e lo fissavo mentre mi dava le spalle.

-Non è adorabile?

Udii sussurrare una studentessa di cui non conoscevo il nome rivolta verso Katy, seduta dietro di lei, la quale annuì con un sospiro da sognatrice mentre sbatteva mielosamente le ciglia. Le fissai qualche istante increspando le sopracciglia, si comportavano davvero come ragazzine alle prese con la prima cotta. Entrambe con gli occhi che luccicavano erano in osservazione attenta del professore e puntualmente quando lui faceva delle domande erano le prime ad alzare la mano. Ovviamente non sapevano realmente la risposta e sparavano le prime stupidaggini che passavano loro in mente, così mi ritrovavo costretta diverse volte a suggerire loro la soluzione corretta. Ridevo dentro di me vedendole lanciargli occhiatine, sorrisini; a lui che non le considerava minimamente. Sospirai e sorrisi rivoltandomi la biro tra le dita. Ero seriamente tentata di dire loro “Siete delle povere illuse”.

Girai le pagine del mio taccuino con indifferenza. Che situazione bizzarra la mia. Pensai che in ogni caso, che io lo ricambiassi o meno, una eventuale storia non sarebbe potuta durare: una studentessa innamorata di un professore è comprensibile, ma un professore innamorato di un'alunna è inaccettabile. E lui stesso lo sapeva, per questo mi aveva pregato, in biblioteca, di non dirlo a nessuno, era consapevole meglio di me che la nobile istituzione di Cambridge non avrebbe mai tollerato una cosa simile ed egli sarebbe stato licenziato seduta stante se fosse venuta a galla la verità. Malgrado fossi perfettamente cosciente dell'impossibilità di una relazione sentimentale tra noi, provavo un certo piacere nel pensare che di tutte le sue corteggiatrici avesse “scelto” me e mi stuzzicava l'idea di sapere come avrebbero reagito quelle frivolette se fossero venute a conoscenza di quello che era successo tra me e lui. Tra me, la bionda secchiona asociale, e lui, il professore più bello e giovane nella storia di Cambridge. Probabilmente mi avrebbero prima squartata viva e poi messa al rogo.

-Joyce, ci vuole esporre la sua opinione a riguardo?

La sua voce chiara e limpida che richiamava la mia attenzione aveva fatto sfumare i miei ragionamenti lasciandomi alquanto disorientata. Avevo perso il filo della lezione già da diverso tempo oramai ed ora mi trovavo nella scomoda condizione di dover discutere su una cosa che non avevo seguito.

-Mi scusi, io non... ecco, ero distratta.

Balbettai impacciata tenendo gli occhi bassi, poco prima di udire dalle sue labbra il nome di un'altra alunna, a cui fece la medesima domanda. La lezione terminò a breve, grazie al Cielo direi, e mi sentii finalmente liberata. Ormai mancava davvero poco alla fine della scuola e nei giorni successivi ci sarebbero stati gli esami, quindi niente più lezioni, per mia fortuna.

 

Nelle giornate consecutive mi concentrai sullo studio e su nient'altro. C'eravamo solo io e i miei libri di testo. Perfino Katy mise da parte le sue smancerie sentimentali e ci diede dentro con il ripetere e ripetere i diversi capitoli. Stavamo sveglie tutta la notte, tutte le notti, ingurgitando litri di caffè nero e senza zucchero pur di arrivare ben preparate ai vari test. L'esame scritto di chimica comunque fu uno scherzetto per me, lo finii prima di tutti ma non ebbi il coraggio di consegnarlo subito, aspettai che qualcun altro mi precedesse. Dovetti attendere quasi fino al termine del tempo affinchè uno studente si alzasse dal suo posto e portasse lo scritto alla cattedra. Notai che il signor Andrews non si curò particolarmente del foglio che veniva poggiato sulla sua scrivania, né di quale studente si trattasse, il chè mi diede l'ardire necessario a consegnare.

Quando finalmente fui fuori da quell'aula riempii i polmoni di aria che profumava d'estate e mi sentii leggera e spensierata. Sarei a breve tornata a vivere a Londra, avrei rivisto i miei genitori e mia nonna, e forse, sarei perfino riuscita a trovarmi un lavoretto nella libreria di un cugino di mio padre. Il pensiero di Raymond John Andrews non avrebbe potuto rovinare in alcun modo quest'estate.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Luglio.

Era una calda, anzi, cocente giornata di inizio luglio. Svolgevo tranquillamente il mio turno di lavoro nella libreria di mio zio in Piccadilly Road. Erano le quattro e stavo in quel momento sistemando alcuni volumi nello scaffale della narrativa e sbuffavo maledicendo la maleducazione della gente che prendeva i libri e li lasciava sul tavolo o peggio li rimetteva negli scaffali nel posto sbagliato. Improvvisamente scorsi nella fila di librerie dopo la mia, attraverso gli spazi tra i libri, una capigliatura scura, avrei potuto riconoscere quei capelli tra mille. Non potevo crederci. Era proprio lì, che mi dava le spalle, intento a sfogliare un libro di Dickens. Analizzai la sua figura mascolina e slanciata, accarezzai con lo sguardo la schiena coperta dalla sua camicia azzurra, ammirai le larghe spalle che si sollevavano e si abbassavano quasi impercettibilmente a seconda del respiro. Mi permisi di osservare anche le gambe, avvolte in uno stretto paio di jeans blu scuro, erano davvero belle gambe da atleta. Si passò una mano tra i capelli: probabilmente recentemente li aveva tagliati perchè me li ricordavo più folti e fluenti. Notai che aveva le dita lunghe e affusolate, dita da pianista quasi, e portava un sottile anello recante una pietra bianca nel dito medio della mano sinistra.

-Joyce!

Tuonò d'un tratto una voce rauca alle mie spalle. Per lo spavento lasciai cadere a terra tutti i libri che portavo impilati in mano.

-Che cosa stavi facendo?

Mi rimproverò mio zio, il proprietario, con le mani sui fianchi e guardandomi con occhi minacciosi.

-Stavo mettendo in ordine i libri.

Risposi sforzandomi di tenere un tono di ovvietà. Ingoiai tutta la saliva che avevo in bocca e sperai che non avesse capito cosa stessi facendo in verità. Lui aggrottò semplicemente le sopracciglia e se ne andò, lasciandomi da sola a raccogliere i libri da terra. Che figura.

-Joyce, che sorpresa..

Sollevai lo sguardo a rallentatore e me lo trovai davanti, con stampato in faccia un sorrisino divertito, che faceva capolino da dietro lo scaffale. Doveva proprio trovarci gusto nel vedermi in difficoltà. Accennai un sorriso di saluto e mi rimisi immediatamente all'opera. Poi ecco che inaspettatamente lui si piegò sulle ginocchia e si mise gentilmente ad aiutarmi.

-Lasci, non è necessario.

-Si figuri.

Eravamo così vicini, avvertivo il calore del suo respiro, sentivo il suo profumo, occhi negli occhi, mi persi ancora una volta del blu delle sue iridi. Pensai e penso ancora adesso che quell'uomo doveva aver venduto la sua anima al diavolo per avere degli occhi così belli e ammaliatori. Avrei potuto restare ad ammirarli per il resto della vita.

Mi porse i libri ed io mi limitai a ringraziarlo con lo sguardo, dato che le mie corde vocali sembravano momentaneamente fuori uso. Ci alzammo.

-L'ho pensata molto.

Mi confessò arrossendo e sorridendomi con una dolcezza disarmante. Feci appello a tutto il mio autocontrollo per non arrossire di rimando e non lasciarmi affascinare dall'espressione suadente e melodrammatica che il suo viso aveva assunto.

-Joyce, mi piacerebbe davvero molto che lei, beh, insomma, sarei lieto se accettasse di uscire con me.

Prima ancora che io potessi rispondere o reagire in qualche modo continuò ridendo:

-So che le sembra strano uscire insieme ad un suo professore, la capisco, però, vede...

Abbassò la testa.

-Ci tengo davvero.

Lo guardavo e in lui non vedevo niente di un professore, vedevo davanti ai miei occhi un uomo innamorato di me, di me! Sapevo perfettamente che se non avessi accettato il suo invito lui ne avrebbe sofferto e io mi sarei portata dietro il rimpianto fin nella tomba quindi cercando di non cedere all'imbarazzo risposi con un filo di voce:

-Farebbe molto piacere anche a me.

Il suo volto si illuminò come una lampadina e le sue labbra si stirarono in un sorriso entusiasta.

-Stasera?

-Va bene.

-Alle otto?

-D'accordo.

-La passo a prendere io, mi dia il suo indirizzo.

Dopo averlo informato riguardo a dove abitavo, mi diede un leggero bacio sulla guancia e se se andò senza smettere di sorridermi, non distolse lo sguardo da me finchè non fu fuori dalla libreria.

-Chi era quello?

Chiese curioso mio zio.

-Il mio professore di chimica e biologia.

Risposi chiudendo gli occhi e sorridendo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Mi metteva ansia l'idea che egli mi amasse, non so per quale motivo e mi pentii quasi subito di aver accettato il suo invito, dandomi mille volte dell'idiota per averlo fatto. Mi ero ripromessa che non gli avrei permesso di influire nella mia vita privata, volevo metterci una pietra sopra e invece... Comunque, ormai il dado era stato tratto.

Alle sette e quarantasei mi considerai ufficialmente pronta e mi sedetti sul divano in attesa che lui arrivasse a prendermi. Avevo passato le ultime due ore a decidermi su cosa indossare, ma alla fine ero riuscita a combinare un outfit adeguato: un sobrio, ma elegante vestito nero e corto che scendeva morbido sui fianchi sfilando moltissimo la mia figura, di stoffa leggera, perfetta per le serate estive, con scollo all'americana, e ai piedi un paio di decoltée di vernice rosse. Niente rossetto, ovviamente, eye-liner stile Marylin Monroe e capelli raccolti dietro la nuca, niente gioielli, a parte il mio fedelissimo orologio. Dovevo ammettere che il risultato finale mi piaceva non poco, anzi, ne ero decisamente soddisfatta.

Il campanello suonò precisamente alle otto, non un minuto di più, non un minuto di meno. L'ansia che fino a quel momento non si era fatta sentire, cominciò a fare capolino e il cuore prese a battere insolitamente forte. Tentai invano di rilassarmi con un gran respiro, quindi aprii la porta. Immaginate che batosta per il mio cuore già abbastanza agitato, trovar di fronte a me quest'uomo stupendo, con le mani nelle tasche dei jeans, che passeggiava nervoso davanti alla porta scompigliandosi i capelli. Appena mi vide si bloccò immobile e spalancò gli occhi come folgorato, levandosi gli occhiali con incredulità per osservarmi meglio. Non disse nulla, mi sorrise soltanto e mi porse la mano.

 

Mi portò in un piccolo e grazioso ristorantino italiano in una strada vicino alla chiesa di S. Paul e devo dire che mangiai molto bene. Naturalmente lui mi offrì la cena. In seguito pensammo di fare una passeggiata fino ad Hyde Park.

-Resta a Londra tutta l'estate?

Mi domandò ad un tratto mentre camminavamo fianco a fianco.

-Credo di si, forse ad agosto andrò a trovare una vecchia amica che abita a Dover. E lei? Va in vacanza?

-Parto per gli Stati Uniti tra quattro giorni. Ma non per diletto.

Sorrise con un tocco d'amarezza.

-Mi hanno offerto un posto in un prestigioso laboratorio di ricerca a New York.

-Complimenti, deve andarne davvero fiero, immagino.

-Si, anche se mi dispiace molto non poter più insegnare a Cambridge.

Mi mancò per un istante il respiro. Improvvisamente il pensiero che non l'avrei più rivisto mi pugnalò atrocemente il cuore.

-Perciò, visto che non sono più il suo professore, beh, potremmo darci del tu.

Continuò cercando di smorzare l'atmosfera tesa che si era creata in pochi attimi.

-Certo.

Risposi io con un filo di voce. La notizia della sua imminente partenza mi aveva infuso nell'anima una strana e profonda malinconia. Non avrei più assistito alle sue brillanti lezioni, non avrei più affondato lo sguardo nei suoi occhi di ghiaccio. Ero così vicina a lui che potevo sentire il calore del suo corpo sulla pelle delle braccia e venivo pervasa da brividi di freddo se pensavo che prima o poi non avrei sentito più quel calore su di me. Sospirai. Che mi stava succedendo? Tutto ad un tratto mi sentivo terribilmente tentata di abbracciarlo, di baciarlo. Oh, quanto avrei voluto baciarlo in quel momento! Desiderai con tutta me stessa di poter riassaporare il sapore delle sue labbra.

-Joyce.

Mormorò interrompendo il mio flusso di pensieri.

-Mi mancherai.

Quella scena mi ricordava vagamente un tratto di un qualche vecchio film in bianco e nero.

-Lo so che ti chiedi come sia possibile che io provi certi sentimenti per te, voglio dire, ci siamo parlati pochissime volte. Eppure ti giuro che fin dal primo istante io non ho pensato ad altre che a te.

Mentre diceva queste parole si era fermato e mi aveva appoggiato le mani sulle spalle fissandomi con intensità negli occhi.

-Io ti amo. Non chiedermi come sia potuto succedere, è così, basta. Non pretendo che tu ricambi, capisco perfettamente che sia categoricamente fuori questione, e non sentirti obbligata a contraccambiare. È giusto però che tu lo sappia, che tu sappia che ti amo alla follia. Sai,

Abbassò gli occhi e sorrise.

-È da più di una settimana che vengo in quella libreria sapendo che tu lavori lì, non è stata proprio una casualità l'esserci incontrati oggi. Non riuscivo a dormire pensando che sarei partito senza più rivederti. Dovevo salutarti.

Mi morsi le labbra, avrei voluto incollarmi a lui e sussurrargli all'orecchio con sensualità che lo amavo anche io. Si, io lo amavo. O per lo meno lo desideravo con ogni fibra del mio corpo. Questa volta non sarei fuggita, ma rimasi in silenzio.

-Mi permetti di baciarti, un'ultima volta prima che io parta?

Mi domandò in tono struggente. Io non reagii, non dissi una sola parola, ma acconsentii con lo sguardo e Raymond mi baciò come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Gli gettai le braccia al collo e feci scorrere le dita tra le sue ciocche color cioccolato. Gustai il sapore di quella bocca, deliziosa e accattivante come un frutto esotico, conscia che probabilmente non ne avrei più avuto possibilità. Ad un certo punto avvertii le sue mani che si appoggiavano timidamente sulla mia schiena e fui attraversata da testa a piedi da una scossa di piacere. Non immaginavo che le sue mani potessero provocarmi una simile reazione.

Non ci sono parole per descrivere lo sconvolgente turbine di emozioni che quel contatto scatenava in me. La mia mente si era svuotata da qualsiasi pensiero, ora nel mio cervello c'era spazio solo per lui e per la magia di quell'istante. Lo baciai con un ardore che non avevo mai sperimentato prima in vita mia con nessun altro, con un impeto che avevo visto solo sullo schermo del cinema. Avrei voluto che non finisse più, che durasse in eterno. Fu perfino più bello della prima volta.

Ma ben presto baciarlo non mi bastò più, volevo appartenergli almeno un po', volevo che portasse con sé qualcosa di me in America. Staccai le mie labbra dalle sue e le avvicinai al suo orecchio mormorandogli:

-Conosci un bell'albergo da queste parti?

Si irrigidì all'istante, immaginavo che non se lo sarebbe aspettato da me. Appoggiai la mia fronte alla sua guardandolo dritto negli occhi, pregandolo silenziosamente di accettare il mio invito sottinteso. Lui esitò, poi sorrise insicuro ed emozionato e annuì lievemente.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Fu la notte in assoluto più bella della mia vita.

Entrammo nell'albergo mano nella mano. Non ero affatto terrorizzata all'idea di ciò che mi aspettava, come invece mi capitò le prime volte, al contrario, non mi ero mai sentita così trepidante ed impaziente. Salimmo al primo piano, io mi lasciavo condurre inerme da lui, osservandomi intorno e constatando che l'albergo in cui mi aveva portata era il uno dei più belli ed eleganti che avessi mai visto.

Stanza 102” annunciava una scritta tutta ghirigori su una targhetta dorata nella parte alta della porta. Varcammo la soglia. La nostra suite era immersa nella penombra, ma non accendemmo la luce, le colorate illuminazioni della città al di là delle ampie vetrate delle finestre ci fornivano luce sufficiente per ciò che volevamo fare. Una volta chiusa la porta alle nostre spalle, mi ci appoggiai di schiena, tirandolo per il colletto della camicia verso di me. Sentivo il suo respiro bollente e leggermente affannato confondersi con il mio, assaporai con tutta l'anima il suo intenso profumo. Gli tolsi gli occhiali, lanciandoli con noncuranza su un mobiletto lì accanto, e mi lasciai ammaliare per l'ennesima volta dal blu seduttore delle sue iridi belle e dannate, mentre egli appoggiate le sue mani sulla porta, ai lati del mio viso, cominciò a baciarmi il collo con una passione così travolgente da farmi girare la testa.

Sorrisi e chiusi gli occhi eccitata quando udii il suono della cerniera del mio abito che scorreva e mi sembrò di essere stata liberata da un peso indicibile sentendo la morbida stoffa scivolare a terra accarezzandomi la pelle e lasciandomi in lingerie. A quel punto mi sollevò da terra prendendomi in braccio, io gli cinsi i fianchi con le gambe. Fece qualche passo e poi mi adagiò con grazia sul morbido letto mettendosi a gattoni sopra di me. Ricordo che mi sorrise con dolcezza e con quel gesto infuse in me un senso di pace e protezione che non avevo mai provato tra le braccia di altri.

E furono baci e carezze, appassionati e proibiti, tra gemiti e sospiri intrisi d'amore e piacere. Quante emozioni e sensazioni diverse e splendidamente contrastanti mi devastarono, mi sconvolsero. Andai e tornai dal paradiso quella notte.

Mi risvegliai alle prime luci dell'alba, infastidita da un raggio di sole birichino che puntava dritto e abbagliante sui miei occhi, e mi ritrovai stretta tra due forti e virili braccia. Sorrisi lasciandomi cullare dal dolce tepore che il suo petto a contatto con la mia schiena mi donava. Poi mi voltai verso di lui e feci scorrere con delicatezza il dorso della mano sulla sua guancia. Dormiva ancora profondamente, come un bambino. Pensai che sarebbe stato più saggio e meno doloroso per entrambi se me ne fossi andata in quell'istante, prima che si destasse, dopotutto io odiavo gli addii. Così sgattaiolai fuori in silenzio dalle lenzuola e rivestitami, andai verso la porta. Prima di uscire gli lanciai un ultimo sguardo, augurandogli col pensiero di essere felice, e scomparii col la triste sensazione che più mi allontanavo da lui, da quella stanza, da quell'albergo, più io uscivo dalla sua vita e lui dalla mia. Era stato bello, maledettamente bello, quanto breve, maledettamente breve. Però in fondo mi andava bene così, le cose più meravigliose sono quelle che durano poco. Ma mi sarebbero bastati i ricordi? Avrei potuto curare la nostalgia che già sentivo di lui semplicemente riportando la mente a quei baci o a quella notte?

 

 

Nei giorni seguenti egli non si fece vivo. Non sapevo se fosse un bene. Una parte di me ci stava male, l'altra invece ne era felice. Comunque decisi di non parlare mai a nessuno, né ai miei familiari, né tanto meno a Katy, di quella storia. Era stato un bel sogno, ma ora bisognava che tornassi alla realtà.

L'estate ormai giungeva al termine, settembre era alle porte ed io mi preparai per lasciare Londra e fare ritorno a Cambridge.

Fu un anno lungo e impegnativo. Il nuovo professore di chimica era un vecchio antipatico e austero, estremamente pretenzioso e bacchettone, che non ammetteva errori di qualsiasi genere da nessuno. Fin dal primo giorno di lezione infuse in noi universitari un senso di soggezione e timore piuttosto fastidioso. Per di più spiegava in maniera pessima, tanto che più della metà degli studenti abbandonò il corso proprio per causa sua. Io invece riuscii a salvarmi dalla strage grazie a libro di chimica regalatomi da Raymond, nel quale era illustrato tutto splendidamente ed attraverso gli appunti dettagliati, lasciati dei precedenti possessori del libro, che ricoprivano in maniera fitta tutti gli spazi bianchi, fui in grado di comprendere ancora meglio. L'aula di chimica si spopolò rapidamente, non era mai stata più vuota, c'erano così pochi studenti a riempire l'area che la voce del professore rimbombava nel vuoto frastornando i pochi presenti, tra cui la sottoscritta, con la sua fastidiosa eco. Mi mancava il signor Andrews, anche e soprattutto da professore. E non mancava solo a me naturalmente, ma a tutti gli altri aspiranti scienziati. L'unico lato positivo della faccenda è che in tal modo non ero più costretta a subire le smancerie amorose di Katy su di lui, anzi, lei trovò persino un ragazzo e presto si dimenticò dell'ex professore.

Io non riuscii a dimenticarlo.

Eppure feci di tutto per raggiungere tale scopo. Uscii con molti altri ragazzi, alcuni di loro mi piacevano sul serio, tanto che mi feci persino portare a letto, ma con nessuno mi sentii mai così bene. Decisi pertanto di tornare a credere che l'amore è inutile ed esiste soltanto per dannare i cuori e rovinare le vite. Mi ritrovai al punto di partenza: fieramente single. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


La mia preziosa e sudata laurea non mi servì a molto, non trovavo lavoro da nessuna parte, ovunque richiedevano persone con maggiore esperienza, malgrado io fossi uscita da Cambridge con il massimo dei voti. Quindi continuai a lavorare a tempo pieno nella libreria di mio zio, il quale era entusiasta di avere un aiutante.

Un giorno mentre io lavavo a terra e lui sfogliava il giornale, mi chiamò e mi fece cenno di avvicinarmi. Lasciai il moschettone a terra e facendo attenzione a non scivolare sul pavimento bagnato lo raggiunsi.

-Joyce, questo non è il tuo professore di scienze? Quello che è venuto qui quel giorno...

Il respiro mi si smorzò bruscamente e la vista mi si annebbiò per un attimo quando il mio sguardo si posò sulla carta: una delle pagine interne del giornale era quasi interamente dedicata a lui. A quanto lessi aveva scoperto un rimedio per una malattia degli alberi da frutto ritenuta fino ad allora incurabile e ne aveva ricevuto i meritati riconoscimenti da parte delle autorità statunitensi e mondiali. Alla fine del lunghissimo articolo c'era una foto che lo ritraeva in camice bianco mentre stringeva la mano ad un tizio paffuto in giacca e cravatta. Osservai quell'immagine a lungo, fissando la sua figura, analizzando i suoi cambiamenti. Era diverso da come me lo ricordavo, ma in fondo non lo vedevo da due anni e mezzo ormai. Se possibile era ancora più bello di prima. Aveva i capelli decisamente più corti, un taglio che gli donava davvero, e occhiali ancora più spessi e ingombranti a nascondere la bellezza dei suoi occhi. Un'inspiegabile e assurda nostalgia di lui si impossessò di me. Rivederlo, lì, in quell'immagine, aveva risvegliato il mio cuore assopito che prese a battere come non mai. Sentivo che avrei dovuto vederlo, un'altra volta, solo una, mi sarebbe bastato, volevo stringerlo tra le braccia e dirglielo: dirgli che io lo amavo. Se non l'avessi amato sarei riuscita a dimenticarmi di lui e a distanza di così tanto tempo non avrei più dovuto provare niente al cospetto di una sua foto.

Agguantai il cappotto e me ne andai di corsa senza neppure salutare. Presi al volo un taxi e mi precipitai all'aeroporto. Non avevo nulla con me, a parte la mia borsetta, niente valige, ma non mi importava. Salii sul primo aereo per New York che trovai, ero totalmente in preda alla follia, non pensavo alle conseguenze, non pensavo a cosa avrei fatto una volta scesa sul territorio americano, l'unica cosa che volevo era rivederlo, rivederlo al più presto. Quel viaggio mi sembrò interminabile, l'oceano scorreva all'infinito sotto di me, poi finalmente avvistai la costa.

-Raymond sto arrivando.

Mormorai tra i denti sorridendo.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Una volta uscita dall'aeroporto mi sentii immediatamente spaesata. La folata d'aria gelida che mi colpì mi congelò fin dentro le ossa e mi fece tornare alla realtà. Ma che razza di pazzia stavo facendo? Presi a tremare. Il freddo sembrava aver risvegliato il mio buon senso ed mi diedi della stupida per aver compiuto una mossa così avventata. Cosa non si fa per amore... Il dado è tratto, pensai sospirando e stringendomi nel cappotto.

Salii su un taxi, ma al momento di dire al conducente dove portarmi mi bloccai. Maledizione, come speravo di ritrovarlo in una città grande come New York senza sapere nemmeno dove abitava?

-Mi dica dove la devo portare.

-Ehm, mi porti in un hotel, per favore, uno qualsiasi.

Per un momento avevo perfino pensato di scendere dalla macchina e tornare indietro in aeroporto, ma ormai ero lì, non potevo permettermi di aver fatto tanta strada per niente.

Rimanemmo imbottigliati nel classico traffico del tardo pomeriggio per quasi un'ora, poi d'improvviso mi ricordai della pagina di giornale. La pescai dalla borsa e incrociando le dita cominciai a leggere con attenzione l'articolo alla ricerca di qualche, qualsiasi, informazione su dove avrei potuto rintracciarlo. Credo che il mio improvviso grido di trionfo abbia fatto sobbalzare l'autista, perchè ricordo che si girò lanciandomi uno sguardo perplesso. Non badai troppo a lui, ero fuori di me dalla contentezza, ora sapevo dove cercarlo.

-Ho cambiato idea, niente albergo, mi porti immediatamente al Carnegie Hall!

 

 

L'auditorium Carnegie Hall, 7th Avenue, è famoso per i numerosi concerti dei più grandi artisti musicali newyorkesi e non solo che ha ospitato. Le tre meravigliose sale offrono l'ambientazione più suggestiva e adeguata ad una rappresentazione musicale di alto livello. Quella stessa sera era in programma un concerto per ricordare l'esecuzione della Sinfonia Domestica di Strauss, che diresse egli stesso, nel 1904 e che riscosse enorme successo alzando bruscamente il prestigio della Hall. Diceva l'articolo, che dopo il concerto, il team di ricerca del quale faceva parte anche il dottor Andrews, avrebbe tenuto una specie di breve conferenza nello stesso auditorium. L'unico problema era che si poteva partecipare solo su invito. Pazienza, avrei trovato il modo di entrare, mal che mi sarebbe andato, avrei aspettato Raymond fuori.

La Carnegie Hall non era un palazzo maestoso e imponente, anzi la facciata era decisamente modesta e deludente, ma pur sempre elegante. L'interno era invece uno sfavillio unico di lampadari di cristallo, estremamente luminoso. Arrivai, purtroppo, che il concerto era già iniziato da quasi un'ora e le due macilente maschere non mi lasciarono entrare nella sala. Tentai di tutto nel tentativo di convincerle, ma furono irremovibili, così mi sedetti sconfitta su una delle poltroncine poste nell'ingresso e aspettai che lo spettacolo finisse. Sentivo in lontananza la bellissima musica, così dolce, così romantica e già pregustavo il momento in cui lo avrei rivisto.

Il tempo passò, a tratti lentamente a tratti rapidamente, la musica terminò e si levò un fragoroso applauso: era giunto il momento della conferenza. Il mio cuore cominciò a battere emozionato, mancava poco ormai. Le voci oltre la porta che separava l'ingresso dalla sala mi giungevano all'orecchio ovattate e tenui, non capivo con chiarezza le parole. Ecco, ci fu un nuovo applauso, più lungo, più forte. Mi alzai, era evidente che avessero terminato, e attesi impaziente che la folla sgorgasse come un fiume da quelle porte, così avrei potuto affacciarmi nella sala e andargli incontro.

E così accadde, più o meno. Tutti uscirono disordinatamente in massa, c'erano moltissime persone, tutte elegantissime e tirate a lucido da testa a piedi. Presi un gran respiro e mi avvicinai alla porta e lo vidi. Era là, giusto sotto il palco, in piedi che chiacchierava sorridente con un gruppo di uomini in smoking come lui. Presi un altro enorme respiro e raccolsi ogni frammento di coraggio che trovai in corpo, quindi feci per compiere un passo verso di lui quando avvistai una donna in abito rosso che si infilava nel gruppo andando ad abbracciare proprio Raymond. Chi accidenti era quella?

Poi, d'un tratto, inaspettatamente lo baciò, lo baciò sulle labbra e lui le sorrise dolce. Io mi sentii come se qualcuno mi avesse infilato una spada nel petto e avesse girato la lama dentro la carne per farmi soffrire di più. Sanguinava il mio cuore e la profonda delusione si trasformò ben presto in rabbia bruciante. Capivo molte cose solo in quel momento, cose che avrei dovuto immaginare in tutto quel tempo. Il motivo per cui non si era fatto più sentire era proprio accanto a lui, scintillante come un'attrice alla premiere degli Oscar, fasciata in quel bellissimo vestito da migliaia di dollari. Sospirai e strinsi i pugni finchè le nocche non mi si sbiancarono e le unghie non si furono infilate nel palmo delle mani.

Uscii dall'auditorium col morale a terra e la prima cosa che mi venne in mente fu di chiamare Katy e di raccontarle tutto. Avevo bisogno di confidarmi con qualcuno.

-Jo! Ma dove sei finita?
-Sono a New York, Katy.

Sentii la sua grassa risata nell'altoparlante del cellulare, comprensibilmente l'aveva preso come uno scherzo.

-Dico davvero, Katy, ho fatto una sciocchezza...

Le raccontai quindi tutto, ogni dettaglio e lei ascoltò in silenzio.

-Oh, Joyce, che gesto romanticamente coraggioso il tuo.

-È fidanzato, Katy, capisci? Ed io sono stata una sciocca e un'ingenua a credere che amasse ancora me dopo tutto questo tempo, anzi, è ancor più probabile che non mi abbia mai amato veramente, suppongo che per lui quella notte non è stato altro che una semplice scopata.

-No, Jo, io non ci credo. Aspetta però, non andartene, parlaci prima. Prova almeno a fargli capire che si è comportato male nei tuoi confronti. Insinua in lui il rimorso di averti abbandonata. Non può averti dimenticata così.

Chiusi la chiamata stringendo i denti come un guerriero che si appresta alla battaglia girai i tacchi e tornai suoi miei passi. Katy aveva ragione, dovevo parlargli.




GRAZIE MILLE DELLE RECENSIONI MI FA MOLTO PIACERE LEGGERE I VOSTRI PARERI E RINGRAZIO ANCHE CHI HA INSERITO LA MIA STORIA TRA LE STORIE SEGUITE O ADDIRITTURA TRA LE PREFERITE. VI AUGURO BUONE VACANZE, CREDO CHE NON AGGIORNERO' PER UN PO'... A PRESTO.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 

-Joyce, che... che ci fai qui?

Esclamò sorpreso spalancando gli occhi quando mi vide di fronte a lui.

-Sono venuta a salutarti.

Dissi io con così tanta freddezza che feci svanire il suo allegro sorriso. Mi fissò stupito e senza parole.

-E questa chi è?

Gracchiò la tipa in abito rosso che lo teneva per un braccio, squadrandomi con altezzosità da testa a piedi.

-Oh, io non sono nessuno, sono solo un'ex-alunna del signor Andrews.

Canterellai sarcasticamente sorridendo con falsa ingenuità.

-Hai finito gli studi ormai, giusto?

Chiese lui con aria agitata, o meglio, tesa. Annuii. Calò un silenzio imbarazzante, per lui, più che altro, io non smettevo di fissarlo con rabbia. Eppure, dopo tutto, ero ancora dannatamente attratta da lui, maledizione, gli avrei perdonato qualunque cosa in quel momento, ma mi sforzai di non dimostrarlo.

-Jenny, cara, ti dispiace se ti raggiungo al ristorante più tardi?

La donna lo fulminò con lo sguardo e sbuffando annuì seccata per poi incamminarsi verso un'elegante Mercedez nera che la attendeva.

Lo sguardo di lui seguì la macchina finchè non girò l'angolo, poi si sbilanciò su di me e mi abbracciò con voga.

-Dio, se mi sei mancata.

Mi mormorò nell'orecchio, mentre mi stringeva a sé così forte da togliermi quasi il respiro.

Non ricambiai, anche se avrei voluto.

-Perchè non ti sei fatto più sentire?

Dissi monocorde.

Si allontanò da me e mi guardò per qualche istante in silenzio. Poi con la tipica espressione del bambino colto con le mani nella marmellata, abbassò la testa e rispose:

-Non lo so nemmeno io in realtà, cioè, vedi, ho creduto che io non ti interessassi, insomma, te ne sei andata da quell'albergo così, senza lasciarmi il tuo numero di telefono, senza salutarmi... Ho cercato sulla guida telefonica, ma non ti ho trovata... Lo so, lo so, non è una vera e propria scusa la mia, e capisco perfettamente se sei irritata, mi dispiace, sono stato uno stupido. Non ho mai smesso di pensarti, comunque. Mai. Anche se ora, beh...

Fece una pausa e continuò come se le parole che stava per pronunciare fossero troppo pesanti persino per lui:

-Ora sono fidanzato. Ma...

Si affrettò ad aggiungere.

-Non è stato affatto per mia decisione.

Io mi sentivo una guerra interna devastante. Una parte del mio cervello mi urlava di sbattergli una cinquina in faccia e andarmene, l'altra di comprendere le sue ragioni e perdonarlo. Presi un enorme respiro e chiusi gli occhi per un momento. Ora avevo solo voglia di piangere, perchè sia andare che restare erano entrambe scelte difficili. Mi battei un pugno sulla coscia con rabbia e mi massaggiai la tempia con l'altra mano.

-L'amore è una fregatura.

Sussurrai guardandolo disperata.

-Lo sai che c'è?

Esclamai con un vigore nella voce che quasi non riconobbi mio.

-Non mi importa se sei innamorato di quella Jenny o meno, sono qui solo per dirti che nemmeno io ho mai smesso di pensarti.

Risi amara.

-Già, io ti amo.

Non era così facile dirglielo, ma doveva saperlo. Il suoi occhi di ghiaccio si spalancarono e lui sembrò sconvolto a tale notizia, sicuramente lo avevo colto di sorpresa. Schiuse le labbra ma non proferì parola, dalla sua bocca non uscì alcun suono. E mentre aspettavo in silenzio una qualsiasi sua reazione, cercai di trattenere le lacrime che sentivo inumidirmi gli occhi e offuscarmi la vista. Raymond si passò una mano tra i capelli nervoso, poi mi guardò e sorrise.

-Non mi è mai piaciuta New York, troppa gente.

Increspai le sopracciglia senza capire cosa intendesse. Poi lo vidi avvicinare il viso a me e sentii le sue labbra che catturavano passionali le mie.

-Lascio tutto, torno in Inghilterra con te, se mi vuoi.

Mi sussurrò languido a fior di labbra. Come potevo rifiutare la sua offerta? Mi morsi le labbra per trattenere la gioia irrefrenabile che sentivo invadere ogni mio muscolo e insinuarsi fin dentro le ossa. Lo baciai di rimando, accettando la sua proposta e immensamente felice della sua scellerata decisione.

Mi disse con un sorriso smagliante di aspettarlo all'aeroporto, mentre lui tornava a casa a fare rapidamente le valige. Lo salutai con un altro bacio e con la promessa di incontrarci al Check-in del volo per Londra. Per un po' nessuno di sarebbe potuto accorgere della sua assenza, e quando fosse successo, sarebbe stato troppo tardi.

Pregustavo già una vita piena di gioia e di spensieratezza accanto a lui e guardando fuori dal finestrino del taxi che sfrecciava verso l'aeroporto mi sentivo dannatamente felice.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Prendemmo un volo per Londra last-minute, ed entrambi non volevamo saperne di smettere di sorridere.

Vivemmo una bellissima storia a Londra. Lui tornò ad insegnare a Cambridge, mentre io continuai a lavorare nella piccola libreria di mio zio. Ogni momento che avevamo libero lo trascorrevamo insieme. E che bei momenti.

Lo presentai alla mia famiglia e lui mi presentò a suo padre (sua madre era morta quand'era bambino), un uomo di grande acutezza mentale, proprio come il figlio, ed estremamente gentile. Decidemmo di vivere insieme, a casa mia. Malgrado fosse un minuscolo appartamentino in confronto alle magnifiche ville in cui fino ad ora aveva vissuto, disse sempre di abitarci benissimo.

Passarono diversi mesi, poi un giorno, un giorno qualsiasi, Ray ricevette una telefonata da New York. Mentre parlava al telefono vedevo la sua espressione perplessa e scioccata, restava in silenzio per diversi minuti ad ascoltare l'interlocutore e quando parlava mormorava solo dei miseri “si” o “no” oppure “capisco”. Quando dopo un composto “arrivederci” chiuse la chiamata mi guardò con un'espressione così assente e sconvolta che pensai avesse ricevuto la notizia della morte di qualcuno, non disse una sola parola. Poi molto lentamente andò verso la poltrona e vi ci si buttò sopra a peso morto emettendo un profondo sospiro. Si portò le mani sulla testa e, com'era solito fare quand'era nervoso, si scompigliò energicamente i capelli.

-Cos'è successo?

Chiesi timidamente ed anche un tantino preoccupata.

-Jenny...

Sussurrò abbassando lo sguardo.

-Ha avuto un figlio.

Non capivo a pieno il motivo della sua reazione quasi disperata a tale comunicazione. Per tanto decisi di domandargli chiarimenti:

-Quindi cosa ti preoccupa?
-Proprio non capisci, vero?

Chiese alzando improvvisamente gli occhi. Erano lucidi, bagnati di lacrime. Non l'avevo mai visto di quell'umore, tanto meno l'avevo mai visto piangere.

-È mio figlio.

Esclamò dopo una lunga pausa. Sbuffò ringhiando seccato e si asciugò gli occhi con la manica della felpa. Io appoggiai la tazza di tè sul tavolo e sospirai angosciata, mentre lui si scompigliava ancora una volta i capelli. Stinse tra le dita un paio di ciocche, con tale impeto che credetti volesse strapparle. Potevo comprendere che fosse sconvolto, ma certo non potevo immaginare che...

-Devo sposare Jenny.

Incrociai le braccia sul petto e gli rivolsi uno sguardo severo.

-Nessuno può obbligarti a sposarla, Ray.

Non levò gli occhi su di me e continuò a giocare con la sua chioma castana in modo agitato. Ero nervosa anche io. Non gli avrei mai permesso di sposarsi con quella donna, mai. Lui era mio, maledizione, io lo amavo, lui mi amava. Strinsi le mascelle e storsi la bocca. Ma il suo comportamento mi infastidiva, cosa aspettava a dichiarare di non voler sposare quella Jenny. Avrebbe potuto benissimo far da padre a quel bambino anche senza sposare la madre. Così pensai di istigarlo un po':

-Molto bene, allora che aspetti? Lasciami avanti, vattene, torna da lei e sposala. Chi sono io per impedirti di farlo? Ora hai un figlio, è più che giusto che tu gli faccia da padre.

-Dai, non fare così.

Mi pregò con un filo di voce.

-Così come?

-Non voglio lasciarti, lo sai.

-E allora chiamala e dille che ami me. Dille che sei disposto a prenderti tutte le tue responsabilità di padre, ma che non vuoi sposare lei.

-Non è così facile...

Non è così facile”? Era tutto quello che aveva da dire? Che cosa gli impediva di imporre la sua volontà di non sposarsi. Era grande e vaccinato, di che aveva paura? Che lo denunciassero?

Lo lasciai da solo in sala e mi ritirai nel mio studio. Afferrai un libro e tentai di distrarmi leggendo un po', ma non riuscii a concentrarmi per niente. Il solo pensiero che lui potesse andarsene per sposare quella donna, mi faceva stare molto male.

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Capitolo 14
*** Fine ***


Raymond entrò nella stanza in cui mi ero rifugiata a leggere fermandosi sulla porta a guardarmi tristemente. Sollevai lentamente gli occhi su di lui. Provò a sorridermi, poi abbassò la testa e sospirò.

-Jo, sai, i genitori di Jenny mi avevano fatto giurare di non toccarla prima del matrimonio, però sai... tra fidanzati...

-Certo.

Lo interruppi io con durezza.

-Beh, io sinceramente non credo che sia mio il bambino, ma voglio andare ad accertarmene, capisci?

Mugolai un si e ritornai alla lettura, o meglio, feci finta di tornare alla lettura.
-Jo, voglio che tu venga con me.

Alzai nuovamente lo sguardo incontrando il blu dei suoi occhi e capii che aveva paura, in qualche modo. Così mi alzai e andai ad abbracciarlo. Lo strinsi forte e lui strinse me, appoggiai la mia testa sul suo petto e gli mormorai che sarebbe andato tutto bene e che qualsiasi cosa sarebbe successa io non avrei mai smesso di amarlo. Mi sentivo così dannatamente sdolcinata, eppure sapevo che erano le parole di cui aveva bisogno.

 

Fu così che tornammo insieme a New York. Dormimmo in un albergo e il giorno seguente lui mi lasciò nella camera ad aspettarlo mentre andava all'ospedale da Jenny. Passai la giornata a leggere e a guardare fuori dalla finestra, ero confusa, un po' spaventata, scossa, non avevo idea di cosa sarebbe successo, ma in qualche modo ero perfino curiosa di scoprirlo.

Raymond tornò all'albergo alle sei e mezza del pomeriggio, spalancando la porta sorridente ed euforico. Mi venne in contro correndo, mi abbracciò sollevandomi da terra e facendo una piroetta su sé stesso, poi mi mise giù e appoggiandomi le mani sulle spalle mi disse:

-È tutto risolto, Jo.

Sorrisi.

-Il figlio di Jenny non è mio figlio, non devo sposarla. Voglio sposare te. Sposami, Joyce.

Lo guardai dritto negli occhi e vidi come al solito un mondo infinito nelle sue iridi. Mi aveva chiesto di sposarlo, non potevo crederci, non risposi subito, non riuscivo ad assimilare il concetto. Poi gli posai un tenero bacio sulle labbra e mormorai con un sorriso commosso:
-Certo, professore.

 

 

Fine.




Non è esattamente il finale che mi ero immaginata inizialmente, ma in fondo credo sia il più opportuno. Grazie a tutti coloro che hanno letto la mia storia e che l'hanno recensita, ne sono molto felice. :)
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