When you look me in the eyes di kayybritin (/viewuser.php?uid=521183)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno - prologo ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** 12 settembre ***
Capitolo 4: *** 14 settembre ***
Capitolo 1 *** Uno - prologo ***
PROLOGO COMPLESSO
Pov Kurt
Quella mattina Kurt si
svegliò prima del solito. Era molto emozionato,
poiché quel giorno avrebbe saputo il nome di chi lo avrebbe
ospitato. Non aveva mai fatto uno scambio culturale, era eccitatissimo
all’idea di poter visitare un altro paese, un'altra scuola.
La classe era
impegnata in un compito di matematica, quando si sentì
provenire uno schiarirsi la gola dall’altoparlante. A quanto
pare, il preside Figgins aveva un annuncio importante da fare.
“Attenzione,
ragazzi! Devo dirvi un paio di cose. Primo, chiunque l’altro
giorno abbia appeso dietro la mia schiena un foglietto con su scritto
‘dammi un calcio’, è pregato di non
farlo più. Grazie” In quel momento Stecchino ed un
suo amico si scambiarono il cinque, “Secondo, nel periodo
dicembre-gennaio ci sarà uno scambio fra gli studenti di
Parigi e quelli di Lima. Chiunque sia interessato, sia pregato di
raggiungermi nel mio ufficio. Arrivederci” Alcuni studenti
erano felici di aver ricevuto questa notizia, altri si lamentavano
perché in quel periodo sarebbero dovuti partire, ad altri
ancora, invece, non gli importava.
Kurt era subito
scattato sul posto, poiché aveva sempre desiderato
effettuare uno scambio con altri studenti, farsi amici stranieri e,
soprattutto, visitare paesi stranieri. Sì, ci avrebbe
decisamente provato – anzi, no. Ci sarebbe riuscito.
Mentre faceva
colazione, mentre si lavava e mentre si vestiva aveva in mente solo un
pensiero: “Chissà dove andrò”.
Quando fu
l’ora di uscire di casa, salutò suo padre, il
quale gli raccomandò di non svenire nel momento in cui
avrebbe letto il nome del ragazzo o della ragazza che lo avrebbe
ospitato.
Quando
arrivò a scuola, parcheggiò la macchina e nel
cortile incontrò Mercedes.
“
‘Cedes! Sono emozionatissimo per oggi. Chissà
quale posto splendido visiterò. Mi gira la testa per quanto
sono in ansia!” disse ridendo, mentre Mercedes camminava a
braccetto con lui fino alla propria aula.
“Preferirei
che non svenissi né altro, Kurt”
affermò. Era seria, nonostante lo stesse dicendo col sorriso
sulle labbra, “in quel momento sarò lì
con te, comunque. Tranquillo!” Kurt la guardò e
inclinò la testa sorridendo, stringendola a sé.
Arrivarono all’aula, e quando la campanella suonò
si sedettero ai propri posti.
“Queste ore
saranno molto lunghe, temo…” Pensò. Non
seguiva nemmeno la lezione, sorreggeva la propria testa con la mano,
con gli occhi rivolti verso il professore e la mente
totalmente persa fra le nuvole.
Le ore per Kurt
sembravano infinite, ma quando suonò la campanella della
quarta ora si riprese.
“Oddio.”
La gamba iniziò a tremargli, si sentiva lo stomaco
sottosopra ed era quasi certo di star per svenire. Mercedes gli
accarezzò la spalla, tentando di consolarlo con qualche
parola, ma in quel momento Kurt non riusciva nemmeno a sentire, tanto
era preso dai suoi pensieri. Quando la professoressa entrò
in aula, Kurt si alzò e sentì un groppo alla gola.
“Acqua, ho
bisogno di acqua” disse, tossendo. Mercedes rise, portando
una ciocca dei capelli di Kurt dietro l’orecchio.
“No, Kurt,
tu hai bisogno di calmarti” gli rispose, facendolo risedere.
La professoressa tirò fuori dalla borsa un piccolo
contenitore trasparente, con dei bigliettini dentro. Kurt strinse con
abbastanza forza la mano a Mercedes – la quale
arricciò il naso –, trattenendo un urlo.
“Kurt
Hummel?” Lo richiamò la professoressa, facendogli
segno di alzarsi e avvicinarsi alla cattedra.
“Sta calmo,
OK?” Kurt annuì e sospirò,
incamminandosi piano verso il tavolo. Alzò lo sguardo al
cielo per un istante, poi tornò a guardare quel contenitore.
“Prego,
peschi un bigliettino”. Il ragazzo mise la mano nel
recipiente, bagnando un angolo della bocca con la punta della
lingua. Si fece forza e, tremando, prese un biglietto. Lo
aprì molto lentamente, il cuore gli batteva forte, mentre
nell’aula era calato un silenzio inquietante.
“Sebastian
Smythe” scandì quel nome con enfasi, entusiasta
“Viene da… Parigi. Oddio” in quel
momento si sentiva svenire. Mercedes era felicissima per lui, infatti
sorrideva in continuazione. La prof era intenerita e allo stesso tempo
divertita dall’espressione dell’alunno.
“Congratulazioni,
Kurt. Passerai dei giorni fantastici a Parigi. E noi siamo pronti ad
accogliere Sebastian, vero ragazzi?” fece rivolgendosi alla
classe, la quale aveva gli occhi puntati su Kurt.
“Sicuro!”
affermarono all’unisono. Il controtenore sorrise come non
aveva mai fatto in vita sua, tantoché gli facevano male le
guance. Tornò al proprio posto più
tranquillo, rilassato. Anche il tempo aveva ripreso a scorrere
normalmente.
“Sebastian
Smythe” disse fra sé e sé,
sorridendo al solo pensiero “Sebastian Smythe.”
Dopo le lezioni e dopo
il Glee Club, Kurt tornò a casa tutto contento. Si
parò di fronte a suo padre che stava guardando una partita
di Football, e aggrottò le sopracciglia.
“Figliolo,
qualsiasi cosa sia puoi dirmela anche senza metterti davanti alla TV,
sai?” Kurt si voltò e chiese scusa, spostandosi.
Poi sorrise e incrociò le mani, portandosele sotto il mento.
“Indovina un
po’? Andrò a Parigi!” Disse saltellando,
gustandosi l’espressione che andava dal sorpreso al felice di
suo padre.
“Uno dei
tuoi più grande sogni dopo un poster autografato da Madonna!
Sono davvero felice per te, Kurt” disse Burt, alzandosi e
abbracciando il figlio. Si era totalmente dimenticato della partita.
Parigi era davvero la meta da sogno di Kurt, da piccolo non faceva
altro che tormentare i suoi genitori dicendo che voleva andare a vivere
in Francia, voleva visitare la Francia e se, prima o poi,
l’avrebbero fatto per davvero. Beh, a quanto pare il suo
sogno stava per realizzarsi.
Kurt era letteralmente
elettrizzato da un lato, poiché sarebbe andato nella
città più bella del mondo, per lui. Ma da un
altro lato era anche abbastanza malinconico, perché non
avrebbe visto né la sua famiglia né i suoi amici
per un po’ di tempo. Certo, avrebbe potuto scrivergli, ma non
sarebbe stato lo stesso senza di loro. Come avrebbe fatto senza il suo
fratellone che non sa ballare o le sue migliori amiche che sopporta
ogni santo giorno? Senza Santana, che, per quanto si punzecchiassero a
vicenda, in realtà adorava? Senza il Glee lui si sarebbe
sentito perso. Nel suo profondo aveva molta, molta paura di non
riuscire a fare amicizia con nessuno, lì.
Il nome di Sebastian,
intanto, rimbombava nella sua testa come l’urlo del coach in
palestra.
Il controtenore era
steso comodamente sul letto, parlando al telefono con Mercedes.
“Chissà
com’è questo Sebastian. Magari è
simpatico, o scorbutico, divertente, timido, insicuro,
sfacciato… L’unica cosa di cui sono certo,
è del fatto che i ragazzi lo accoglieranno con
piacere.” Dall’altro capo della cornetta, Mercedes
assecondava Kurt.
“Sicuramente
anche le ragazze. Speriamo sia carino!” Kurt
spalancò gli occhi per poi scoppiare a ridere.
“Mercedes! E
Sam?”
“Ma io
parlavo per le altre. Andiamo, Kurt! Non stiamo nemmeno
insieme” si poteva percepire un tono dispiaciuto nella voce
di Mercedes.
“Già.
Se la smettete con questo tira e molla, farete felici tante persone.
Comunque, vi supplico, trattate Sebastian come… come un
principe. OK?” Kurt era davvero preoccupato. Voleva fare una
bella – anzi, bellissima figura con Sebastian. Non ne carpiva
esattamente il motivo, ma ci teneva molto. Forse troppo.
“Oddio. E se non gli piacessi perché sono gay? E
se fosse omofobo? E’ possibile. No, no. Forse non dovrei
farlo, dovrei rimanere a Lima e–”
“Kurt! Sta
calmo. Non metterti in testa queste idee, perché potrebbe
anche succede il contrario, no? Mi mancherai tanto. Mancherai a tutti
noi. E ti prometto che tratteremo Sebastian come un principe. Anzi, un
re! Va bene?” Kurt sorrise, cacciando via la lacrima che gli
aveva rigato la guancia. Però era davvero in ansia.
E se non
piacerò a Sebastian perché sono omosessuale? E
se, quando lo scoprirà, si rifiuterà
categoricamente di scrivermi? Ho paura.
“Grazie.
Anche voi mi mancherete davvero molto, ma vi scriverò,
promesso.”
“Scendi.”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia quando Mercedes gli
chiuse il telefono in faccia, senza nemmeno dargli
possibilità di chiedere o quant’altro. Prese
rapidamente il giubbotto e uscì di casa. Si accorse che
Mercedes lo stava salutando dalla propria macchina, facendoli segno di
salire. Si incamminò verso l’auto, aprendo lo
sportello e allacciandosi la cintura.
“Dove
andiamo?” domandò curioso. Non ci stava capendo
molto di tutta quella situazione.
“Sorpresa.”
Guidò per
un quarto d’ora circa, quando poi si fermò davanti
al McKinley. Kurt era sempre più confuso.
“Mercedes?
Vuoi darmi ripetizioni di matematica, per caso?”
L’amica rise, scuotendo il capo e scendendo dalla macchina.
“No. Ma ti
servirebbero, sai?” affermò, incamminandosi verso
l’entrata della scuola.
“Non sono io
che non capisco la matematica. E’ la matematica che non
capisce me.” Mercedes lo condusse nell’auditorium,
facendolo mettere comodo su di una poltrona in prima fila.
“OK, che sta succedendo qui?”
La ragazza
salì sul palco, “Goditi lo spettacolo”.
La band cominciò a suonare, era una melodia lenta e
tranquilla.
“Oddio, non ditemi che
questa è–”
Hey
there Delilah
What’s
it like in New York city?
I’m
a thousand miles away
But
girl, tonight you look so pretty
Yes
you do
Times
Square can’t shine as bright as you
I
swear it’s true
Kurt era in lacrime,
anche se tentava di nasconderlo. Finn gli sorrise, prendendogli le mani
e facendolo salire sul palco, ballando con lui, come al matrimonio di
Burt e Carole. Finn gli lasciò un bacio sulla guancia, e
ciò non poteva far altro se non aumentare la gioia di Kurt.
Questi provava felicità e tristezza nello stesso momento,
chiedendosi come fosse possibile. Ma in quel momento non gli importava
di nulla, se non dei suoi amici.
Hey
there Delilah
Don’t
you worry about the distance
I’m
right there if you get lonely
Give
this song another listen
Close
your eyes
Listen
to my voice, it’s my disguise
I’m
by your side
Artie
abbracciò Kurt, cantando una strofa della canzone. Lo
guardò e capì, tramite la canzone gli stava
dicendo che non doveva mai sentirsi solo, perché tutti
sarebbero stati proprio lì accanto a lui. Voleva anche
dirgli che, se avesse chiuso gli occhi per un istante, probabilmente
avrebbe sentito le loro voci cantare. Kurt non voleva proprio lasciar
andare Artie, difatti era ancora stretto a lui, bagnandoli anche la
maglietta con le lacrime. Ma non importava a nessuno dei due, in quel
momento.
Oh
it’s what you do to me
Oh
it’s what you do to me
Oh
it’s what you do to me
Oh
it’s what you do to me
What
you do to me
Quello per Kurt era,
molto probabilmente, il momento più bello della sua vita.
Hey
there Delilah
I
know times are getting hard
But
just believe me, girl
Someday
I’ll pay the bills with this guitar
We’ll
have it good
We’ll
have the life we knew we should
My
word is good
Sam sorrise a Kurt
come solo lui sapeva fare, e nel mentre suonava la chitarra. Il
controtenore ricambiò il sorriso, strofinandosi gli occhi.
Hey
there Delilah
I’ve
got so much left to say
If
every simple song I wrote to you
Would
take your breath away
I’d
write it all
Even
more in love with me you’d fall
We’d
have it all
Oh
it’s what you do to me
Oh
it’s what you do to me
Oh
it’s what you do to me
Oh
it’s what you do to me
A
thousand miles seems pretty far
But
they've got planes and trains and cars
I'd
walk to you if I had no other way
Our
friends would all make fun of us
and
we'll just laugh along because we know
That
none of them have felt this way
Delilah
I can promise you
That
by the time we get through
The
world will never ever be the same
And
you're to blame
Santana, Mike,
Brittany, Rachel, Finn, Mercedes, Sam, Quinn, Tina, Puck e anche Will,
si riunirono in cerchio attorno a Kurt, continuando a cantare.
Hey
there Delilah
You
be good and don't you miss me
Two
more years and you'll be done with school
And
I'll be making history like I do
You'll
know it's all because of you
We
can do whatever we want to
Hey
there Delilah here's to you
This
ones for you
Ci fu un abbraccio di
gruppo, di quelli veri, sinceri. Il Glee sicuramente non sarebbe stato
lo stesso senza Kurt – un po’ come lo era quando
egli si trasferì alla Dalton –, né Kurt
sarebbe stato lo stesso senza il Glee. Certo, sarebbe stato momentaneo,
ma sarebbe stato comunque un po’ di tempo.
Oh
it's what you do to me
Oh
it's what you do to me
Oh
it's what you do to me
Oh
it's what you do to me
L’abbraccio
si sciolse; Finn si mise davanti a Kurt, intonando le ultime parole
della canzone, mentre lo guardava negli occhi.
What
you do to me
Lo avvolse fra le sue
braccia, dondolandosi un po’.
“Fratellino,
io sarò sempre qui per te. Per qualsiasi cosa. OK? Se
c’è bisogno scrivimi, chiama. Anche alle 3 di
notte. Ti voglio bene, e mi – ci!, mancherai tanto,
tantissimo.”
Pov
Sebastian
Sebastian
entrò in aula come
aveva fatto per i tre anni precedenti e come avrebbe fatto per i
prossimi dieci, se non avesse recuperato quell'insufficienza in chimica.
Nessuno aveva passato quel test ma, a quanto sembrava, Sebastian era
l'unico che si preoccupava e si impegnava per passarlo a tutti i costi.
Una sola insufficienza in pagella e si sarebbe giocato l'anno, il che
avrebbe praticamente mandato a monte i suoi piani di viaggi per
l'estate.
Che diavolo di materia era, poi, chimica? Nessuno in
quell'aula ne capiva l'utilità - o meglio nessuno in
quell'aula capiva
qualcosa in generale, era una scuola di architettura e di certo nessuno
voleva diventare il nuovo Einstein, lì dentro - e, nel caso
qualcuno
avesse avuto in progetto di inventare la cura contro il cancro, aveva
sbagliato sicuramente strada.
Prese posto al solito banco e
salutò gli amici con delle pacche sulle spalle, scambiando
qualche occhiata in più con David, il nuovo arrivato. Era
abbastanza carino, niente che si avvicinasse al suo genere ma era
accettabile per chi, come Sebastian, era solito avere sempre qualcuno a
fargli la corte. In quella scuola, invece, aveva rifiutato tutte.
Sì,
esclusivamente ragazze, perché erano solo le ragazze che lo
trovavano
attraente.
Nella
scuola privata è così, o sei etero oppure
dichiari la tua omosessualità
salendo su una sedia durante la pausa pranzo per urlarlo al mondo.
Decisamente una cosa poco da Sebastian.
Sebastian, comunque, aveva
sempre declinato ogni invito. Non che gli dessero fastidio tutte quelle
attenzioni, ma era già fin troppo indietro e, da quello che
gli
era stato detto, la scuola privata sarebbe
stata molto più avanti rispetto all'inutile liceo che aveva
frequentato a Sidney, città dove i suoi genitori avevano
lavorato per un po'.
Facevano i restauratori, loro, e
quindi avevano viaggiato molto prima dell'arrivo del figlio e avevano
continuato a farlo non appena il bambino acquisì la
capacità di camminare e parlare. In fin dei conti non si era
mai
definito sfigato per questo, anzi, grazie al lavoro dei suoi genitori
aveva conosciuto ed esplorato posti di cui i suoi compagni di classe neanche conoscevano
l'esistenza.
Insomma, lui era il classico tipo
che amava la traccia del tema "quali posti hai visitato". Si riempiva
la bocca di parole e storie fin troppo grandi per lui, ma se c'era una
cosa che Sebastian aveva subito capito era una: alla scuola privata, la
notorietà te la dovevi cercare.
Non era il tipo di ragazzo che
amava far parlare di sé, ma era sicuramente il ragazzo che
voleva essere ricordato ad ogni costo. Ovviamente, come ogni
adolescente, aveva optato per la strada più chiacchierata e
che
sicuramente gli altri ragazzi avrebbero apprezzato senza battere ciglio
o fare ulteriori domande: il
sesso.
"Woho, che occhiaie che hai," esordì uno dei suoi compagni
di
classe non appena lo vide. "Ti ho visto andare via insieme a Jasmine
ieri sera, allora, c'è niente che devi dire a Derek?"
Sebastian aveva un ricordo molto confuso della nottata precedente. Era
andato in un locale per stare con i suoi amici, aveva bevuto qualche
drink leggero e si era trovato quella rossa che non solo non l'aveva
mollato un attimo, per quanto poi continuava ad offrirgli drink e ad
avvicinarsi in cerca di attenzioni - attenzioni che Sebastian non le
voleva dare di proposito. Aveva un'aria troppo da ragazza frivola,
Jasmine, e sicuramente Sebastian non avrebbe voluto vivere la sua prima
volta con una persona del genere.
Era diverso dagli altri della sua età, Sebastian. Non solo
per i
genitori che viaggiavano molto e per il suo passaporto che aveva visto
la bellezza di sette stati diversi, era diverso in tutto. Aveva avuto
un sacco di occasioni per perdere la sua verginità e fare
sesso,
ma le aveva declinate tutte perché lui voleva amare una
persona
- amarla a tal punto da desiderare di volerci fare l'amore nella
maniera più semplice, senza gioccattolini erotici e oggetti
simili.
"Cosa c'è Derek, devo raccontarti delle mie notti di fuoco
perché tu non ne hai mai?" lo apostrofò Sebastian
con
l'approvazione di tutti. Derek, a
differenza sua, era il classico
donnaiolo che passava gli intervalli sempre in compagnia, solitamente
negli spogliatoi delle ragazze.
Ovviamente il compagno gelò sul posto, abbandonando la sua
postazione e avviandosi verso una ragazza a caso che, a primo impatto
visivo, non sembrava neanche una del loro corso.
La verità era che Sebastian non aveva fatto niente con
Jasmine.
Lei continuava a strusciarsi e stringergli le mani, ma lui non aveva
mai ricambiato. Forse qualche sorriso l'aveva concesso, ma niente che
facesse intendere di voler andare oltre. Non capiva neanche il
perché le ragazze di quella scuola si vendessero per uomini
così subdoli ed insignificanti, quando avrebbero sicuramente
meritato di meglio quando sarebbero diventate più adulte.
"Ma quindi te l'ha data?" domandò poi Mark con un sorriso
sornione sul volto. Sebastian rise appena mentre gli batteva il cinque
giusto mentre il professore entrava in aula e pregava tutti di tornare
ai propri posti.
Sebastian benedì il professor Burke per aver messo fine a
quell'interrogatorio. Un'altra verità era che non solo aveva
letteralmente mollato Jasmine nel parcheggio - in una maniera che, a
pensarci, non era stata neanche troppo gentile - per quanto poi l'aveva
mollata per un'altra donna: sua
madre.
Quando sentì
il telefono
squillare, aveva creduto che sua madre lo stesse cercando
perché
era tardi o semplicemente perché non voleva stare da sola.
Le
cose erano peggiorate quando un agente di polizia di nome Richard Keith
lo pregò di presentarsi alla centrale di polizia.
Sebastian aveva
già capito
tutto e, senza troppi giri di parole, lasciò il locale senza
neanche degnarsi di avvisare gli amici con il quale era arrivato e che
avrebbe dovuto riportare a casa essendo l'autista designato.
"Sebbie, aspettami,"
urlava una voce femminile alle sue spalle. Sebbie? Sul serio?
La ignorò completamente, convinto che quello sarebbe bastato
ad
essere lasciato in pace - speranza, ovviamente, invana. Quando Jasmine
lo vide salire in auto si esaltò e cominciò a
corrergli
incontro, aprendo la portiera del passeggero e accomodandosi come se
fosse stata invitata.
"Dove mi porti?" domandò lei in preda all'eccitazione.
Sebastian
non avrebbe saputo dire se era eccitata per aver lasciato quel locale
sudicio o perché sperava in qualche proseguimento di serata
all'insegna del sesso - probabilmente sadomaso, visti gli accessori
borchiati che indossava lei.
"Jasmine, te ne devi andare," disse secco lui quando la ragazza gli
mise una mano sulla coscia. "Te ne devi andare perché io,
ehm,
ho appuntamento con un'altra persona," continuò poi,
osservando
le labbra di lei incurvarsi verso il basso.
"Quindi... Quindi volevi solo pomiciare?" domandò poi lei
con
aria mista tra l'arrabbiato e il dispiaciuto. Ciò
nonostante,
però, rimase comodamente seduta sul sedile e, anzi,
allacciò anche la cintura di sicurezza.
"A dire il vero volevo fare del buon sesso, Jasmine, ma tu non mi
ecciti neanche un po'. Ora, visto che non ho assolutamente intenzione
di passare la mia serata a consolarti, puoi accettare l'idea che non mi
ecciti e scendere dalla mia auto tipo... Adesso?" continuò
invece lui. Avrebbe tanto voluto dirle che cosa stava succedendo in
realtà, avere un amico al quale potersi appoggiare, ma la
storia
del donnaiolo era sicuramente dieci volte migliore della storia di
quello con la madre alcolista.
Jasmine fece una sceneggiata quasi credibile, mettendosi addirittura a
piangere prima di scendere dall'auto. Se fosse stata una situazione
più tranquilla, Sebastian le avrebbe addirittura fatto un
applauso per l'ottima recitazione. Ma non c'era tempo, e sua madre era
più importante di qualsiasi altra cosa.
Quando arrivò alla stazione di polizia notò
subito sua
madre seduta su una poltrona. Le andò incontro e si sedette
accanto a lei con un gran sorriso, quasi come se volesse alleggerire la
situazione.
"Scusa Bastian, lo so che ti avevo promesso di non farlo
perché
sono disoccupata e ogni drink che bevo lo pago con i tuoi soldi, ma non
ho resistito," mormorò lei in preda allo sconforto. I suoi
capelli scuri le cadevano sul viso e le sue mani non erano
più
curate e belle come un tempo, ma Sebastian le avrebbe sempre voluto
bene. Si alzò e si sedette di fronte a lei, appoggiandosi
sui
suoi stessi talloni.
"La cosa importante è che tu stia bene, okay? Non mi
interessa
nient'altro," sussurrò poi lui mantenendo il sorriso. Le
passò un pollice su una guancia per asciugare una lacrima e,
dopo averle dato un bacio sulla fronte, si alzò e
pregò
lei di aspettarlo lì. "Ora io vado a compilare i moduli per
farti uscire, però tu prima promettimi che starai bene e
smetterai di pensare a ciò che mi hai detto."
Quando la donna annuì, allora Sebastian le voltò
le spalle e seguì l'agente nel suo ufficio.
"Sono Sebastian Smythe, mia madre è Marie Lusting - Smythe."
"Allora ragazzi," cominciò il professore. "Come
saprete
lo scambio degli studenti si avvicina e, siccome non vogliamo che
prenotiate alberghi vicini a dei night club, l'Istituto ha optato per
una soluzione economica e che ci frutterà qualche buona
raccomandazione: sarete ospitati dalle famiglie del luogo - famiglie
degli studenti, per essere precisi."
In quel momento si alzò un lamento generale da parte della
classe che, probabilmente, si aspettava una specie di gita dai night
club agli strip club famosi di Lima. Il professore rise.
"Il programma resta invariato, ragazzi. Gli studenti di Lima verranno a
farvi visita per un mese nel periodo di dicembre, voi andrete a Lima
nel periodo di gennaio. Se i genitori di tutti acconsentono, si
può anche pensare di far viaggiare insieme le due classi da
qui
a Lima," continuò poi l'uomo mentre passava tra i banchi e
restituiva i compiti di letteratura alla classe. "E, per la cronaca,
lasciatemi dire che mi aspettavo di più da questo compito,"
allora Sebastian smise di prestare attenzione. Se il professore si
stava lamentando per letteratura, allora poteva permettersi una
distrazione.
Lui amava letteratura, era un ragazzo così fuori dagli
standard
che preferiva stare a casa a leggere un buon libro di fronte alla
finestra piuttosto che ubriacarsi in chissà quale parte
della
città. Oh, se adorava leggere davanti alla finestra. Quando
pioveva, poi, avrebbe passato le giornate intere a sfogliare le pagine
di quei vecchi libri ingialliti sul bordo, e quelle copertine di finta
pelle lo facevano impazzire tanto quanto l'odore della carta stampata.
Sebastian tornò a casa e, come si aspettava, la
trovò
silenziosa così come l'aveva lasciata quella mattina. Erano
rare
le volte in cui sua madre lo accoglieva come un tempo,
perché
erano rare le volte in cui sua madre era felice. Da quando suo padre li
aveva lasciati, lei era caduta in una depressione tale da essere finita
anche in un ospedale psichiatrico per settantadue ore.
Non che fosse pericolosa, avevano solo voluto tenerla per un po' sotto
controllo "per valutare l'effettivo stato della sua depressione,
così da decidere a quale figura affidarla". Avevano usato
quelle
parole anche con Sebastian, e la sua prospettiva di vita
crollò.
Si era immaginato l'infermiere dell'ospedale che pensava se affidare
sua madre ad un normale psicologo, ad uno psichiatra oppure mandarla in
manicomio.
Ovviamente solo dopo gli venne spiegato che non sarebbe stato
così, ma lo spavento iniziale di Sebastian non era mai
sparito,
neanche con il passare degli anni.
"Che guardi?" domandò lui entrando in soggiorno. Ormai
quella
era la loro vita, la stessa routine ogni giorno: tornava a casa,
preparava da mangiare per entrambi e trovava la madre seduta sul divano
a guardare l'ennesima puntata di qualche telefilm per signore.
"Ho smesso di prestare attenzione quando hanno parlato per l'ennesima
volta di Lady Di," rispose lei con un sorriso, spostandosi un po' per
far sedere il figlio sul divano.
Sebastian rise, avvicinandosi e lasciandole il vassoio appoggiato sulla
sedia di fronte. Sotto il braccio teneva alcune lettere che,
probabilmente, erano state consegnate quella mattina. Bolletta,
bolletta, cartolina, pubblicità, bolletta. Sembrava che le
spese
di casa non finissero mai, Sebastian era davvero molto stanco per via
dei due lavori ma, nonostante ciò, cercava sempre di
apparire al
meglio - soprattutto in presenza della madre.
"Ossia da prima che nascessi io," commentò lui, afferrando
il telecomando e mettendo un telegiornale.
"Il decennio è quello," rispose la donna. "Ma te l'ho mai
detto che sei proprio bravo a cucinare?"
Sebastian storse il naso. Suo padre aveva una passione per la cucina,
passione che aveva tramandato al figlio giusto qualche mese prima di
decidere di andare a vivere con una ventottenne viennese con il seno
palesemente rifatto.
"Lo so, e mi piacerebbe dire che ho imparato per conto mio invece che
dover tutto il mio sapere a quello,"
commentò lui pigramente mentre esaminava una bolletta.
"Non parlare così di tuo padre," apostrofò lei
con una
risata. "Voglio fare l'egoista e pensare solo a me, a quanto
è
buono questo piatto di pasta e a quanto sia stato stupido lui ad
andarsene senza aver mai provato la tua cucina," continuò
poi la
donna con espressione fiera.
Era raro vederla così, era raro poterci parlare. Era raro
potersi sentire una famiglia, una vera
famiglia e non solo una madre e un figlio che vivono insieme.
"E' stato stupido ad andarsene senza prima morire,"
commentò poi lui senza neanche pensare. Sinceramente gli
importava poco di portare rispetto ad un uomo che non c'era mai stato,
ma era consapevole di quanto a sua madre dessero fastidio quei
discorsi. "Scusami," aggiunse poi in un sussurro mentre si abbandonava
sul divano di fianco a lei.
"Sai cosa mi fa stare bene?" domandò lei, allontanando la
sedia con il vassoio e facendo alzare le gambe a Sebastian.
"I miei maccheroni?" rispose subito lui con un sorriso.
Fissò la
madre che sembrava davvero quella di un tempo, con le labbra sporche di
sugo e lo sguardo spensierato.
"A parte quelli," continuò la donna mantenendo sempre il
sorriso. "Mi piace vedere che ti preoccupi per me, Sebastian. Credo che
nessuno si sia mai preoccupato così tanto per me, neanche
tuo
padre stesso. Mi fai stare bene tu,
Sebastian, perché tu sei sempre dalla mia parte. E poi per i
maccheroni, ma non volevo che tu ti sentissi messo in secondo piano."
Risero entrambi e si abbracciarono, proprio come una madre fa con suo
figlio. Sebastian spesso dimenticava la sensazione dell'essere
abbracciati, perché nessuno lo abbracciava mai.
"A proposito di questo, mamma, devo dirti una cosa," disse poi lui
quando l'atmosfera si calmò di nuovo. "Oggi il professore ci
ha
parlato di quello scambio con gli studenti dell'Ohio e, risparmiandoti
il discorso sul perché di questa scelta, non andremo in
hotel ma
saremo ospitati dalle famiglie degli studenti. Tu te la senti? Insomma,
di avere un estraneo per casa che starà qui un mese, non
voglio
metterti sotto pressione."
Marie si alzò dal divano e fissò suo figlio con
espressione preoccupata, chinandosi poi e mettendogli le mani sulle
spalle.
"Quando arriverà?" domandò. "Il ragazzo,
Sebastian, quando arriverà?"
Sebastian stava capendo sempre meno e, un po' preoccupato,
afferrò lo zaino e ne estrasse il programma. "Il nove
dicembre."
"Oh miseriaccia, è tardi! Bisogna mettere in ordine il
soggiorno, la cucina, dobbiamo riparare la doccia del secondo bagno
e... Oh mio Dio, la tua camera Sebastian, è un macello!"
Sebastian vide sparire la madre in cucina, per poi vederla uscire con
guanti di lattice e sturalavandino alla mano. Aveva forse intenzione di
riparare la doccia con quello?
Sorrise mentre la sentiva parlare da sola, perché il medico
aveva detto che i momenti di felicità sarebbero arrivati,
prima
o poi. Che fosse il momento giusto? Sebastian non lo sapeva, gli
importava solo poter dire di avere di nuovo una madre.
Una madre che acconsentiva l'ospitare un completo estraneo a casa per
un mese. Chissà chi avrebbe conosciuto, che viso avrebbe
avuto e
quale fosse il suo libro preferito. E chissà, magari in quel
qualcuno si nascondeva l'amico su cui appoggiarsi quando le cose
andavano male.
Note delle autrici:
Buongiorno (o buonasera, a seconda di quando leggerete questa storia) :3
Siamo Lisa
(Kurt pov) e Anto
(Sebastian pov) e, insomma, andiamo contro tutto e tutti scrivendo di
un Sebastian così tanto OOC da essere vergine e di un Kurt
insicuro sul suo essere - sì, proprio come lo era ai tempi
della prima stagione.
Speriamo tanto che questo prologo sia stato di vostro gradimento.
|
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Capitolo 2 *** Due ***
cap 1
Pov Kurt
Kurt
era in piedi davanti al proprio armadio con le ante aperte, decidendo
cosa avrebbe dovuto portarsi a Parigi.
“Posso?”
Sam era sulla porta, che guardava Kurt sorridendo.
Quest’ultimo si
voltò, e fece segno al biondo di entrare. “Che
fai?” Domandò.
“Uhm.
Non so che robe portarmi a Parigi. Insomma, è la capitale
della moda –
e, modestia a parte, ho parecchi outfit che sono all’altezza
di quella
città. Solo che sono parecchio indeciso.” Erano
quasi tre quarti d’ora
che fissava i suoi vestiti.
“Ti
aiuto io, se vuoi” disse Sam, alzando le spalle. Kurt lo
guardò e rise, scuotendo il capo.
“Senza
offesa, Sammy, so che vuoi aiutarmi – e ti ringrazio
–, ma onestamente
credo che dovrei decidere da solo.” Il ragazzo
sbuffò, incrociando le
braccia e mettendo il broncio. Aveva l’espressione simile a
quella di
un bambino quando i genitori non gli comprano il gelato.
“… Non fare
così. Sai che non ti resisto.” Sam non voleva
proprio saperne di
smettere di tenere il broncio, così Kurt roteò
gli occhi, annuendo.
“Yeppi!”
esclamò Sam tutto eccitato, iniziando subito a scartare
determinati
vestiti di Kurt. “Questo decisamente no, huh. Questo
neanche...”
“Sam!
Stai scartando i migliori!” Urlò Kurt.
L’altro, però, sembrava non
prestargli attenzione. Era immerso fra i vestiti del coabitante
– ed
erano davvero
tanti. Ad un certo punto, si voltò verso il
controtenore.
“Ci
rinuncio. Abbiamo gusti troppo diversi.” Kurt rise.
“Io
sono più raffinato, tu un po’
più… casual”
affermò, tentando di aprire la propria valigia. Non ci
riusciva – non
ci era mai riuscito. Infatti lo aiutava sempre Burt, ma in quel momento
non era in casa. Si voltò lentamente verso Sam, facendogli
un sorriso a
trentadue denti.
“Ora
lo vuoi il mio aiuto, mh?” affermò ironicamente,
aprendo la valigia con due semplici mosse. Kurt lo ringraziò.
“Per
questo ho bisogno di un ragazzo muscoloso. Non dico certamente con i
muscoli di David Beckham – anche se non mi dispiacerebbe, ma
comunque,
” aveva assunto un’espressione sognante.
“Vorrei solo avere un ragazzo
che mi coccoli sul divano, così, senza dire nulla.”
Sam
lo guardò intenerito. Lui era etero –
così diceva –, però doveva
ammettere che, la prima volta che vide Kurt, lo trovò
parecchio
attraente. “Spero che ne troverai uno così, te lo
meriti. Chissà,
magari lo conoscerai a Parigi”.
“Già.
I francesi sono i miglior baciatori, dicono”
affermò Kurt ridendo. “Lo
testerò.” Sam aggrottò le sopracciglia.
“Potrei
diventare geloso, sai?” disse, tentando di dare una nota
seria a quella
frase. Kurt gli diede una leggera spallata, sorridendogli.
“Rimarrai
sempre il mio biondo preferito, Sammy” gli rispose, dandogli
un bacio sulla guancia.
“Allora
non andare mai in Germania, o in Svizzera. Potresti cambiare idea,
sai?” Kurt lo abbracciò e si dondolò un
po’.
“Non
lo farei mai.” Rimasero così per qualche secondo,
per poi distaccarsi.
Sam guardò Kurt negli occhi. Amava quegli occhi, gli
ricordavano tanto
il mare limpido. Poi si concentrò sulle labbra: rosse,
risaltavano
sulla sua carnagione molto chiara, con dei lineamenti delicati, quasi
perfetti.
“Sam?
Ho qualcosa sulle labbra?” Domandò Kurt
all’improvviso, interrompendo i pensieri dell’altro.
Il
biondo, senza nemmeno pensarci, baciò dolcemente il
controtenore, il quale spalancò gli occhi, incredulo.
“Ehm.
Credo che sulle tue labbra ci fossero… le mie”
affermò Sam sorridendo. Kurt non sapeva come prendere quel
gesto. “Scusa.”
“No,
no” Doveva ammettere che non gli era dispiaciuto. Le labbra
di Sam, per
quanto potessero essere buffe, erano morbide. E poi lui baciava benissimo.
“Non devi scusarti, Sammy.”
“Oh.
Quindi non ti ho messo a disagio, vero?”
“No”.
“Quindi
se lo rifacessi…” Kurt fece un mezzo sorriso, per
poi inclinare
leggermente il capo. Sam prese il volto dell’altro fra le
mani, posando
nuovamente le proprie labbra su quelle di Kurt. Quel bacio era
più
‘sicuro’ del primo. Kurt poteva sentire il calore
di Sam avvolgerlo.
“Ah,
Kurt” si interruppe il biondo ad un certo punto
“è solo che sai, uhm,
ecco – è che non voglio che tu parta senza un bel
ricordo di me.”
“Ho
capito. E’ un bel gesto. E’… amichevole.
No?”
Sam
gli sorrise “Sì”. In quel momento Kurt
avrebbe solo voluto stare fra le braccia di Sam.
“E’
scomodo qui. Ci spostiamo sul letto?” domandò Sam.
“Mh,
sì. E’ meglio” senza preavviso, Sam
spinse Kurt sul letto, ridendo.
“Hey!” urlò questi, abbastanza divertito
– ma anche un po’ irritato,
insomma, non voleva sgualcire la maglia nuova. Il biondo lo interrupe
baciandolo, il ché non dispiacque al controtenore.
A
Sam piaceva la situazione. Era qualcosa di nuovo, per lui. Non erano
gli uomini che lo attraevano, era Kurt.
Sarebbe
rimasto a guardare i suoi occhi per l’eternità: li
adorava. Eccome se
li adorava. Erano molto meglio dell’oceano, diceva lui.
“Kurt,
io ecco – nel caso non trovassi nessuno a Parigi, non voglio
mandarti senza prima aver–”
“Oh.”
“Se
non vuoi, non fa nulla, davvero” disse Sam, tenendosi
abbracciato a Kurt.
“No.
Mi fido di te, Sammy”
≈
“Wow”.
“Cosa?”
Sam passò una mano fra i capelli di Kurt e, per la prima
volta, quest’ultimo non si lamentò.
“Sembri
quasi un angelo” Kurt arrossì e scosse il capo,
negando. “Sono serio!”
aggiunse Sam. Gli diede un fugace bacio sulle labbra. “Ne sei
convinto,
ora?”
“Mh.
Direi di sì” Sam gli sorrise, contento. Kurt era
adorabile, perché
quando gli si faceva un complimento arrossiva sempre. Anche se non gli
piaceva il fatto che, dentro di sé, era molto insicuro.
All’apparenza
poteva sembrare Mr. modestia in persona, ma non lo era, non del tutto.
E
avrebbe voluto dirgli “ti amo”, ma non poteva. No.
Se l’avesse fatto,
la loro amicizia sarebbe finita lì, e probabilmente non si
sarebbero
più parlati.
Doveva
tenersi quelle due parole per sé, e gli faceva male. Molto
male.
“Cosa?”
Oh oh. Forse non
l'aveva esattamente pensato quel ti amo.
“Mi
è uscito spontaneo, io non volevo, giuro,
io–”
“Anche
io.” Sam perse qualche battito dopo quelle due parole
pronunciate da
Kurt. “La prima volta che ti vidi, giuro, mi sembrava di aver
appena
visto l’essere più bello di tutto
l’universo”
“…
Ma?”
“Ma
non potrei mai fare questo a Mercedes.” Sam si
sentì il mondo crollare addosso. Già,
Mercedes. Pensò.
“Capisco.
Scusa” Il biondo si alzò dal letto, senza dare
spiegazioni. Si mise un paio di pantaloni, per poi uscire dalla stanza.
Kurt
rimase a bocca aperta, indeciso se seguirlo o meno.
Sam,
intanto, era andato a sedersi sul divano in soggiorno. Si massaggiava
le tempie, mentre tentava di capire il perché di tutto
quello.Non è giusto.
Ad
un certo punto sentì un calore avvolgergli le spalle. Si
voltò, notando
che era Kurt. Gli stava bagnando il collo con le lacrime.
“Kurt…”
Sam cacciò via una lacrima lasciandogli un bacio sulla
guancia. “Ti prego, Kurt. Non piangere. Ti prego.”
“Da
quanto, Sam? Da quanto ti piaccio?” Quella domanda
lasciò Sam un po’ intontito.
“Uhm.
Credo sempre. Sai, Kurt, io non ho mai provato
attrazione per gli uomini, ma tu sei… la mia
eccezione.” Kurt era
felice di sapere di essere l’eccezione di Sam. In quel
momento era un
misto di emozioni indescrivibile. Si sedette accanto
all’amico – se
così si poteva definire, in quel momento.
“Baciami,
Sam”
“No”
“Baciami.”
Ci fu un attimo di tensione fra i due. Kurt abbassò il capo,
sospirando. Sam gli alzò il mento con una mano, avvicinando
pericolosamente il volto a quello di Kurt.
E
lo baciò.
Non
era un bacio qualsiasi, era uno di quei baci che si danno prima di un
“addio”. Come per dire “è
stato bello, finché è durato”.
Kurt
non aveva smesso di lacrimare. Non voleva che tutto quello finisse,
perché entrambi si volevano, ma non potevano aversi.
“Mi
mancherai”.
“Non-
non parlare.” Kurt non voleva che niente e nessuno rovinasse
quel
momento. Era importante, per lui, e i “mi
mancherai” e robe del genere
lo avrebbero solo fatto stare più male.
“Ti
prego, ti
prego, non ti dimenticare di me, a Parigi. Non ti dimenticare
di noi.”
Sussurrò Sam nell’orecchio di Kurt.
“Non
lo farò, te lo prometto, Sam… Non potrei mai
dimenticare il mio biondo
preferito” affermò, calcando la parola
“mio”. Sam sorrise, poggiando la propria fronte
contro quella di Kurt.
“Quando
arriverò a casa di Sebastian ti manderò un
messaggio, va bene?” Sam si
allontanò di poco dal volto di Kurt. Non ci aveva pensato
nemmeno un
po’ al fatto che avrebbe dormito da Sebastian, con Sebastian.
La gelosia stava prendendo il sopravvento su di lui.
“Va
bene”. Kurt sentiva che qualcosa non andava nella voce di
Sam. Era diventata più cupa, più
‘triste’.
“Sarà
meglio che vada a farmi la doccia” affermò,
alzandosi. Sam lo tenne per
il polso e Kurt aggrottò le sopracciglia. “Sam,
devo andare–”
“Un
ultimo bacio” Sam tirò Kurt a sé,
facendo congiungere le proprie labbra
un’ultima volta, stringendo le braccia attorno alle spalle
dell’altro.
“Grazie. Di tutto.”
Pov
Sebastian
Marie bussò
alla porta della
camera del figlio, facendo attenzione a non far cadere il vassoio con
la colazione in terra. Bussò piano, senza troppa insistenza,
consapevole del fatto che il figlio fosse un dormiglione tanto quanto
lo era lei. In più Sebastian aveva non un solo impiego, ma
ben
due pur di dare una mano in casa, ecco perché sua madre non
si
era mai arrabbiata con lui quando aveva saltato un giorno di scuola
perché non aveva sentito la sveglia.
Un figlio come lui era un sogno per le altre mamme. Era intelligente,
aveva un aspetto angelico e non faceva mai le cose senza aver prima
pensato alle ripercussioni che avrebbero avuto i suoi gesti sulla sua
famiglia. Sebastian era diventato grande presto quando,
all'età
di sedici anni, suo padre lasciò lui e sua madre senza
neanche
premurarsi di salutarli. Da allora era stato sempre lui l'uomo di casa,
e sicuramente non avrebbe passato le estati a grattarsi la testa o a
guardare chissà quali video su internet.
Aveva trovato prima un lavoro come barista e poi, dal momento che le
visite mediche della madre ammontavano ad una cifra con tre zeri, aveva
cercato un ulteriore impiego per far sì che la donna non
dovesse
preoccuparsi di niente se non della propria salute. Andava a scuola,
tornava a casa per pranzo e subito usciva per andare a lavorare nella
vecchia libreria del quartiere; verso le sei del pomeriggio, poi,
abbassava la serranda e andava a lavorare come barista fino alla
mezzanotte.
Neanche gli pesavano più quei ritmi, anzi, piano piano aveva
trovato varie scorciatoie per arrivare prima da un posto all'altro,
cambiandosi e indossando il grembiule del bar ancora prima di uscire
dalla libreria.
"Sebastian," mormorò sua madre entrando nella mansarda.
Sebastian stesso l'aveva decorata e arredata qualche anno prima,
rendendo molto intimo e personale uno spazio di dimensioni anguste.
Amava la luce soffusa della vecchia lampada che aveva sul comodino,
forse tanto quanto amava stare a leggere avvolto nel piumone mentre la
pioggia batteva sulla finestra sopra di lui.
Il ragazzo mugugnò qualcosa mentre si copriva fino alla
testa
con il piumone celeste, cosa che fece ridere la madre. Lei si
avvicinò e posà il vassoio sulla scrivania,
avvicinandosi
al letto e scostando il piumone dalla testa del figlio.
"A che ora sei tornato?" domandò lei con tono pimpante, del
tutto convinta a voler fare alzare quel figlio pigro. Sarebbe rimasto a
casa anche quel giorno, visto l'orologio che segnava le undici meno
cinque del mattino, ormai neanche i suoi professori ci facevano tanto
caso da quando furono informati del grande carico di
responsabilità che aveva il ragazzo. Marie non voleva
ammetterlo
a sé stessa, ma Sebastian era praticamente l'unico che
portava
soldi a casa - quei soldi che lei spendeva quasi sempre per qualche
bevanda alcolica.
"Quando ho guardato l'orologio l'ultima volta era l'una e venti e stavo
ancora lavorando, sinceramente ho preferito non guardare l'ora quando
sono tornato," mormorò lui da sotto il piumone. "Mi sarei
depresso a puntare la sveglia per scuola," aggiunse poi quando Marie
gli sfilò nuovamente il piumone dal viso.
"E' arrivata una lettera per te, amore," disse poi lei sedendosi sul
letto e scompigliando i capelli al figlio. "Arriva da Lima e, oh,
sembra proprio che sia appena uscita da una boccetta di profumo da
donna," continuò poi, portandosi la lettera al naso per
allontanarla dopo pochi istanti.
"Sarà di quel Kurt, quello che dobbiamo ospitare, sai?"
mormorò poi lui mentre si liberava del piumone e si sedeva
al
centro del letto.
Sua madre lo guardò e rise un po', perché era
ottobre
inoltrato e Sebastian dormiva ancora solo con l'intimo ma coperto dalla
testa ai piedi con il piumone.
Afferrò il vassoio dalla scrivania e lo appoggiò
sul
letto, del tutto decisa a coccolare il suo piccolo uomo di casa.
Sebastian si alzò e le diede un grande abbraccio, osservando
poi
tutto ciò che la madre aveva preparato: succo di frutta, una
mela, delle uova e delle omelette.
"Hai cucinato tu?" domandò poi lui mentre alzava una delle
omelette dal piatto con una forchetta, senza farsi troppi problemi a
nascondere la sua perplessità. Marie annuì fiera
del suo
lavoro, spronando il figlio ad assaggiare.
"Spero che tu abbia già chiamato l'ambulanza
perché, non
prenderla sul personale, ma queste omelette hanno un colore... Strano,"
bofonchiò lui mentre ne assaggiava un pezzo. Effettivamente
non
solo avevano un colore strano, per quanto il gusto era molto
più
deciso rispetto a ciò che era abituato a mangiare lui per
colazione.
"Se non ti piacciono puoi scendere in cucina e fartele tu," disse lei
con finto tono offeso, alzandosi e facendo per allontanarsi dal letto.
Sebastian rise e, facendo attenzione a non far rovesciare il vassoio,
le afferrò un braccio e si scusò più
volte.
Sebastian finì quasi tutto, abituandosi dopo poco a quel
sapore
forte di erba cipollina e funghi all'interno delle omelette. Diciamo
che lui era più per le classiche omelette con cioccolata o
marmellata, ma visto l'orario non propriamente consono per la
colazione...
"Era tutto buonissimo, mamma," disse lui, alzandosi un poco e dandole
un bacio sulla guancia. Diede uno sguardo all'orologio e
andò a
prepararsi, se avesse fatto tardi all'incontro avrebbe passato mezz'ora
a sentirsi dire di essere irresponsabile.
"Cosa ti sei fatto lì? Sebastian, cos'hai dietro la
schiena?"
domandò sua madre quando il ragazzo si alzò per
andare al
bagno.
Sebastian le mentì per la prima volta nella sua vita, ma non
gli
importava. Era una bugia a fin di bene - una bugia che, almeno quella
sera, non si sarebbe conclusa con delle bottiglie di vodka vuote sul
pavimento di fronte a Marie.
Andare dallo psicologo non
era
assolutamente come si vedeva nei film. Non c'era nessun divanetto dove
stendersi, nessun dottore che prendeva appunti e nessuna scatola di
fazzoletti pronta ad essere passata al paziente se le lacrime avessero
avuto la meglio.
Quella stanza era poco più grande di camera sua, con una
grande
libreria al lato e giusto una scrivania con due sedie al centro. Niente
arredo, niente finestre, niente che fosse in grado di rassicurarlo.
L'unica fonte di luce era il lampadario con luce gialla posto sopra le
loro teste.
"Sei silenzioso oggi," disse Georg, lo psicologo, dopo un ragionevole
lasso di tempo. Lui non usava l'approccio del fare domande al paziente,
preferiva che fosse il paziente ad aprirsi e parlare di ciò
che
preferiva. Purtroppo, però, con Sebastian era sempre stato
difficile sapere cosa gli passasse per la testa.
Aveva passato gli ultimi anni a tenere nascosto il vizio dell'alcolismo
di sua madre, l'assenza di suo padre e altri dettagli sulla sua
famiglia che seguivano la falsa riga di quelli, quindi Sebastian era un
ragazzo che teneva fin troppo le cose per sé.
Georg non avrebbe mai dimenticato il primo giorno di seduta con
Sebastian, ossia l'unica volta in cui il ragazzo aprì bocca
di
sua spontanea volontà per dare al medico tutte le
informazioni
generali delle quali aveva bisogno per fare un quadro generale della
situazione.
Quello che Georg aveva capito era che Sebastian era una persona
estremamente sola per via del carico che portava sulle spalle da due
anni a quella parte, che probabilmente si precludeva da solo in fatto
di amicizie per via della sua vita piena di cose da fare e persone a
cui badare.
"Ieri è stata una giornata piuttosto lunga, mi scusi,"
mormorò il ragazzo mentre si torturava il bordo della
maglietta
dal nervosismo, cosa che faceva sempre anche sua madre.
"Non preoccuparti," rispose il dottore con un sorriso. "Ho saputo dello
scambio culturale," aggiunse poi, alzandosi e andando a prendere un
caffè dalla macchinetta presente nella stanza. Prese anche
una
cioccolata calda a Sebastian e gliela porse, andandosi a sedere di
nuovo al suo posto.
"Ti senti pronto?", domandò poi Georg.
Sebastian annuì mentre beveva un sorso di cioccolata calda
dal
bicchiere di plastica. A dire il vero non si sentiva pronto per niente,
ma era stato Georg stesso a dirgli di doversi fare degli amici... E
quale occasione migliore di quella? Avrebbe avuto un amico, per giunta
proveniente da un paese diverso.
"Sì, proprio oggi ho ricevuto una lettera da parte di...
Kurt,
il ragazzo che dovrò ospitare, ma non sono riuscito a
leggerla
perché ero in ritardo," rispose Sebastian con un sorriso.
"Siamo
entrambi pronti per ospitarlo - io e mia madre, intendo," forse
ripetendolo se ne sarebbe convinto. La verità era che lui
era
prontissimo ad ospitarlo, anzi, era eccitatissimo all'idea di conoscere
una persona proveniente da un paese diverso ma, allo stesso tempo, era
preoccupato per sua madre.
"Siete pronti? Sebastian, lo sai che puoi contare su di me per
qualsiasi cosa," disse poi Georg. Sebastian abbassò lo
sguardo,
con una sola immagine che continuava a ripetersi nella sua mente.
"Vada via, fuori da casa
mia! Sebastian, aiuto!"
Sebastian
entrò in casa e
trovò la madre nel panico intenta a gridare e lanciare
oggetti a
quella signora che aveva creduto potesse essere una buona compagnia per
la madre. Marie dimenticava le cose da qualche settimana, ormai, e per
quanto Sebastian volesse stare con lei non avrebbe potuto di certo
saltare scuola e lavoro.
Quindi chiamò
l'ospedale dove
Marie era stata ricoverata per un po', chiedendo qualche nome con
qualche buona referenza per avere qualcuno che stesse con lei qualche
ora al giorno. Sarebbero bastate due o tre ore, lui avrebbe parlato con
entrambi i suoi datori di lavoro e avrebbe richiesto una diminuzione
delle ore per motivi personali. Certo, avrebbe voluto dire che avrebbe
guadagnato di meno, ma avrebbe trovato il modo di gestire tutto -
doveva trovarlo, non c'erano alternative.
Natalie, la signora che
l'ospedale
aveva raccomandato, stava accucciata in terra in preda al panico.
Sebastian non ne era sicuro al cento percento, ma se la sua vista era
ancora buona allora Natalie si era anche ferita ad una mano.
Lui stesso si
abbassò giusto
in tempo per evitare di essere colpito sul viso da un bicchiere di
vetro, avvicinandosi a Natalie e lasciandole i 190 dollati pattuiti
prima di mandarla via. In quelle situazioni neanche lui era in grado di
gestire sua madre, figurarsi con un estraneo in casa.
"Mamma, stai calma,"
urlò
Sebastian cercando di avvicinarsi a lei. "Siamo soli adesso, calmati,
è andata via," continuò poi prima di abbassarsi
di nuovo
evitando un posacenere.
"Ma tu chi sei? E cosa
ci fai in casa
mia? Hai fatto del male al mio bambino, bastardo!" urlò
Marie in
risposta, tremando e piangendo. Era evidentemente sotto shock e anche
se Sebastian era preparato, non avrebbe mai pensato che la situazione
sarebbe potuta peggiorare così velocemente.
"Mamma, sono io,
Sebastian," rispose
lui cercando di trattenere le lacrime. Giusto il giorno prima pensava
che le cose potessero solo migliorare, e invece...
Marie continuava a
gridare, piangere
e lanciare oggetti, e Sebastian cercò di non farsi prendere
dal
panico. Si avvicinò a lei e fece per abbracciarla, ma questa
lo
allontanò in maniera brusca e lo fece cadere di schiena su
un
piatto già rotto sul pavimento.
Sebastian non sapeva
cosa faceva
più male, se il dolore fisico dovuto alla caduta e
all'essersi
tagliato con i cocci o se il dolore morale dell'essere stato
dimenticato da sua madre. Certo, lei si sarebbe ricordata di lui dopo
cinque minuti, ma faceva comunque male.
"Lasciami stare,
lasciami stare,"
mormorava lei piangendo, appoggiandosi al muro e scivolando piano fino
a sedersi per terra. "Lasciami stare, voglio mio figlio," mormorava.
"Stiamo bene, sul serio", rispose Sebastian. C'era una sola cosa che
avrebbe fatto più male dell'essere stato dimenticato da sua
madre: dire a Georg quello che era successo e non avere più
la
possibilità di rivederla.
Note autrici:
Ciao, sono Antonia e vi autorizzo a picchiare Lisa per Kurt e Sam.
Per il resto niente, speriamo che anche questo capitolo vi piaccia.
Ringraziamo le oh mamma
mia sedici persone che hanno inserito la storia tra le
seguite e le cinque che l'hanno inserita tra i preferiti. In
più, un grazie enorme a chi ha recensito e a chi su ask ci
sta riempiendo di complimenti e domande sulla storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo :3
Uh e, in caso vogliate domandarci qualcosa:
ask | twitter di Lisa
ask | twitter
di
Anto
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Capitolo 3 *** 12 settembre ***
Caro Sebastian,
come stai? Spero bene. Sai, non vedo l’ora di arrivare a Parigi – è la città dei miei sogni.
Un po’ per tutto. I negozi, i luoghi da visitare, i monumenti.
Certo, Lima messa a confronto non è granché – anzi, è come un piccolo moscerino in confronto a Parigi – ma spero che gradirai comunque.
Ricordo che, quando mia madre tornò da Parigi (avevo all’incirca tre, massimo quattro anni), mi raccontò tutto per filo e per segno, ed io ero lì, ad ascoltarla sognante. Ero stregato dalle sue parole, la descriveva come una città affascinante, ricca di storia e di tante cose da scoprire. Diceva che i francesi sono persone che ti accolgono bene, se hai bisogno di aiuto loro ci sono, e, se non capisci qualcosa, ti danno una mano senza pensarci due volte. Affermò anche che i musei d’arte erano uno spettacolo unico. I dipinti, le statue, le sculture, erano cose che si dovevano vedere almeno una volta nella vita. Quel giorno mi misi in testa che, prima o poi, sarei dovuto andare a Parigi. E, finalmente, il mio sogno sta per realizzarsi.
Ancora non ci credo.
Comunque, ci tengo davvero a ringraziarti per ciò che farai per me – ospitarmi, farmi visitare Parigi, darmi un letto in cui dormire, ecc. Spero di non creare disturbi di alcun tipo e, nel caso facessi qualcosa di sbagliato, tu devi dirmelo immediatamente. Ok?
Ora ti racconto un po’ di me:
Sono un ragazzo socievole, mi piace conoscere nuove persone, farci amicizia. Sono molto curioso, infatti da piccolo non facevo altro che domande su ogni genere di argomento. Parlo molto, forse troppo, ed è uno dei miei difetti più grandi. Sono esuberante, mi emoziono per un semplice gesto, un paio di parole carine, insomma, per delle piccolezze. So che può sembrare sciocco, ma sono fatto così. Mi piace ascoltare la gente, aiutarli con i loro problemi, è una cosa che mi fa sentire davvero bene.
Non ho pregiudizi, prima di dire qualcosa su di una persona preferisco conoscerla appieno. “Non giudico un libro dalla copertina”, in sintesi.
Non apprezzo chi utilizza una maschera per nascondere il vero sé stesso, prendendosi gioco delle paure degli altri, quando lui (o lei) è il/la primo/a che ha paura di rivelare il proprio io.
Sono un tipo determinato, non mi arrendo davanti alle difficoltà della vita, non lo farò mai, perché sono del parere che se si vuole davvero una cosa, la si ottiene, in un modo o in un altro.
Impazzisco per la moda, mentre lo sport non mi piace granché – sono anche abbastanza negato.
Amo cantare, infatti sono un membro del Glee Club della mia scuola.
E da te? C’è un Glee Club?
Convivo con mio padre, il mio fratellastro Finn, sua madre (che ora è diventata anche mia madre) e un nostro amico, Sam. E’ una storia parecchio lunga, magari un giorno te la racconterò.
E’ anche una situazione abbastanza strana, ma funziona, quindi per ora sto bene così.
Ah, vado matto per i musical sin da quando ero bambino! Io e la mia migliore amica abbiamo già trovato una scuola a cui iscriverci dopo il liceo: NYADA, New York Academy of the Dramatic Arts. La conosci? Si trova a New York, dicono sia una delle migliori, ma anche una delle più toste scuole di arti sceniche. Pensa, accettano all’incirca 20 persone per anno.
Ma, costi quel che costi, io diventerò uno studente di quella scuola.
Poi… Uhm. Non so parlare molto bene il francese, anzi, so dire solamente “Bonjour”, “Bonsoir” e… basta. Credo che dovrai insegnarmi tu qualcosina – anche perché non credo di poter girare per Parigi senza sapere cosa mi dicono, dove mi trovo, ecc –, sempre se ti va, ovviamente. Imparo in fretta, quindi non sarà un problema, spero.
Magari mentre siamo in giro mi insegni anche delle semplici frasi, mh? Sarà divertente. Beh, forse lo sarà un po’ meno quando farò figuracce davanti ai francesi
Magari loro mi chiederanno “Come ti chiami?” ed io risponderò “Vengo da Lima”, causando risate generali – compresa la tua. Nonostante io speri che non accada una cosa simile, sono sicuro al 101% che succederà. Perché è così, se non faccio almeno una figuraccia al giorno ogni giorno, non sono contento.
E nulla, questo è tutto.
Mi racconti un po’ di te? Sono parecchio curioso di sapere come sei fatto caratterialmente.
E, di nuovo, sono emozionatissimo all'idea di venire a Parigi. Quando mi troverò lì, credo che dovrai reggermi, dato che probabilmente sarò sul punto di svenire davanti a cotanta bellezza.
Scrivimi presto, baci
Kurt
Note delle autrici:
Okay, stavolta è solo Lisa che scrive. Sì, lo so, è cortissima, ma è solo la prima lettera, so don't kill me, please. Spero vi sia piaciuta e, anche da parte di Anto, grazie mille a chiunque abbia messo fra preferiti/seguite/ricordate. Davvero, grazie.
Ad Anto: ciao, so che mi odi, ciao. ♥ |
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Capitolo 4 *** 14 settembre ***
lettera 1
Oh,
ciao Kurt.
Beh,
io non sono molto il tipo di ragazzo da lettera, quindi
romperò
subito il ghiaccio con un "ciao", sperando che la cosa non ti crei
problemi.
Ad ogni modo io sto
bene, un leggero
mal di testa perché... E' possibile che la tua carta da
lettera
profumi di colonia per uomo? Io non ne porto, e anche mia madre ha
notato questo particolare.
Non che per
me sia un problema
l'avere la camera completamente impregnata di questo odore, eh, non
fraintendere. Probabilmente ti sei accorto che ti sto scrivendo in
inglese e non in francese*,
ma ho pensato di rimandare le lezioni a quando sarai qui, quindi
scriverò in una lingua comprensibile per entrambi. Come hai
detto tu, i francesi sono molto aperti e disponibili verso i turisti,
quindi nessuno riderò di te quando darai una risposta per
un'altra.
Ciò non vuol dire che non ti insegnerò le cose,
anzi.
Sarà un piacere sentire un americano cercare di parlare il
francese - divertente se non impossibile, visti gli accenti duri che
avete voi, completamente diversi da quelli morbidi che abbiamo noi.
Dovrai fare parecchia pratica, ma ciò non vuol dire che non
ci
riuscirai. Se sei determinato come dici, tempo una settimana e parlerai
un francese perfetto - non quanto il mio, ovvio, ma saprai rispondere
in maniera corretta se qualcuno ti dovesse mai chiedere il tuo nome.
Sembri molto
entusiasmato all'idea di
stare qui da me a Parigi, Kurt, e la cosa mi riempie di gioia. Ho avuto
paura di aver beccato l'unico della classe con l'odio verso Parigi per
motivi sconosciuti, e saperti così felice per il tuo
soggiorno
qui mi rende tutto più facile.
Ovviamente
per me Parigi non
è entusiasmante, ci vivo da così tanto tempo da
essermene
quasi stancato. Sì, lo so che forse per te è una
frase
senza senso, perché tu non ti stancheresti mai di vivere
qui...
Ma quando ci hai vissuto per diciassette anni, di entusiasmante Parigi
ha ben poco.
In più,
sebbene questo non
credo sia un discorso da fare in una lettera di presentazione, io a
Parigi ho solo brutti ricordi. Ovviamente non te ne parlerò
ora
perché sono argomenti delicati, e perché non
voglio
spezzare subito il tuo entusiasmo verso il tuo soggiorno qui.
Concordo sui musei
d'arte e tutto il
patrimonio artistico che Parigi ha da offrire. Probabilmente sono
ancora qui anche per questo motivo, perché sono troppo
abituato
ad essere circondato da tutta quest'arte per pensare anche solo di
andare a vivere in altri paesi.
Non so
quanto tu sappia di me
(o meglio, cosa i tuoi insegnanti ti abbiano detto di me), ma io sono
uno studente di architettura alla Ecole Nationale Supérieure
d'Architecture**
di Belleville, poco lontano dal centro storico di Parigi. Quindi, per
quanto mi riguarda, spero tu abbia voglia di camminare e di girare per
musei, perché probabilmente ti porterò da mostra
a mostra
- e mi scuso in anticipo se, di fronte a qualche opera,
resterò
per qualche istante fermo a non fare altro che fissare la tela.
Per me l'arte è qualcosa di fondamentale nella vita, e spero
di
poterti trasmettere un po' di questa passione durante il tuo soggiorno.
Avere una passione come quella dell'arte - in qualsiasi forma -
è qualcosa di... Emozionante. Quando sei un artista riesci a
scappare dal mondo reale con il solo ausilio del tuo strumento - un
pennello con una tela bianca, uno strumento musicale e qualsiasi altra
cosa ti permetta di crearti il tuo piccolo spazio per quando vuoi stare
da solo a pensare.
Ospitarti qui sarà un onore per me, Kurt, quindi non
ringraziarmi.
Avere ospiti di altri stati qui è sempre un piacere,
soprattutto
quando si tratta di persone socievoli come te. L'anno scorso ci sono
capitati gli studenti di una scuola privata italiana, non ti dico!
Dodici altezzosi con la puzza sotto al naso che non mangiavano nulla
che non avesse all'interno almeno tre tipi di olio o condimenti
diversi, assolutamente disgustoso. O forse sono io che trovo il tutto
davvero disgustoso, abituato a mangiare i sapori poco speziati di
Parigi da circa tutta la vita?
Suppongo che adesso sia il mio turno di raccontare qualcosa di me,
giusto?
Io, a contrario tuo, non sono molto portato a fare amicizia con gli
altri. Non so da cosa dipenda questo mio essere chiuso
caratterialmente, ma non sono esattamente il tipo di persona che viene
etichettata come "amichevole" o "socievole".
Diciamo che spesso resto sulle mie per le mie passioni fuori dal comune
- o, almeno, fuori dal comune per i ragazzi della mia scuola.
Già, ragazzi, perché nella mia classe abbiamo
solo tre
ragazze su venti. L'architettura a Parigi è una cosa
prettamente
maschile, una ragazza è esclusa a priori proprio per questo.
A dire il vero non so neanche il perché di questa "legge".
So
soltanto che in poche si presentano alle selezioni per i primi anni e,
se si presentano, sono dei geni pieni di ego (perché se sei
una
ragazza ed entri in accademia di architettura a Parigi è per
quello, perché sei un piccolo genio altezzoso).
Se tu ti emozioni con i piccoli gesti, allora prevedo di
vederti
emozionato spesso. Io sono una persona molto chiusa, questo
è
vero, ma non con persone come te - anzi, persone come te mi piace
stupirle proprio con le piccole cose che Parigi ha da offrire. Un
cioccolatino, un fiore o semplicemente una passeggiata serale ai piedi
della Tour Eiffel. Insomma, per quanto riguarda le emozioni... Non
tornerai a casa a mani vuote.
Abbiamo due caratteri completamente diversi, Kurt. Ammetto di aver riso
un po' quando ho letto la tua lettera, perché davvero non
potevano mettere insieme due persone più diverse.
Io, a contrario tuo, sono un tipo molto sportivo - e impegnato,
soprattutto. Vado a scuola, lavoro in libreria e la sera lavoro come
barista. Quel poco che mi rimane lo passo a dormire oppure ad
allenarmi. "Quel poco che mi rimane", poi, come se la libreria sia un
posto di lavoro degno di essere considerato tale, visto che passo il
tempo a leggere.
Io amo leggere, e ti dico sin da ora che quando trovo un bel libro
riesco ad isolarmi per ore pur di continuarlo. Non mi piace lasciare le
cose a metà, né nella vita né quando
si tratta di
leggere un buon libro.
Da me non c'è nessun Glee Club e, a dirla tutta, non sono
neanche sicuro di sapere che cosa sia. Immagino me lo spiegherai nella
prossima lettera o, in alternativa, me ne darai dimostrazione quando ci
vedremo. Non so voi, ma noi abbiamo già i calendari con le
date
del vostro arrivo e della vostra partenza (parlo al prurale
perché so che sono tre studenti della tua scuola a venire a
Parigi, ma non sono tutti e tre del tuo stesso anno).
Però so cantare. E suonare.
Sì, insomma, non a chissà quali livelli, ma me la
cavo
abbastanza bene da far passare una serata diversa a mia madre in
compagnia della mia chitarra.
Oh, mia madre. Si chiama Marie, ha quarantasei anni e viviamo da soli
in una piccola casa vecchio stile, purtroppo molto distante dal centro
di Parigi - non che questo sia un problema per quando sarai qui, ho
già previsto tutto. Ci sposteremo in auto o, se non ti fidi
di
stare in auto con un perfetto sconosciuto, possiamo usufruire dei mezzi
di trasporto.
Un po' lenti, certo, ma sono mezzi turistici che ti danno il tempo
necessario di assaporare ogni cosa di Parigi. Oh, sentimi, parlo quasi
come se d'un tratto amassi la mia città natale.
La NYADA mi sembra tosta, da come ne parli. Per quanto possa contare il
parere di un parigino appena conosciuto, sono sicuro che riuscirai ad
entrarci. Sembri un ragazzo determinato, anzi, tu stessi hai detto di
esserlo, quindi sono sicuro che ci riuscirai.
Non credo ci sia altro da dire e, nel caso mi sia dimenticato qualcosa,
sarò ben lieto di risponderti nella prossima lettera.
Se vuoi posso anche mandarti qualche fotografia di Parigi, la prossima
volta. Ne ho davvero tante, alcune addirittura in triplice copia,
quindi per me non è assolutamente un problema inviarti
qualcosa.
Così ti fai già un'idea di dove ti
porterò e
toglierti qualche curiosità.
Per il momento allego a questa lettera un abbraccio, sperando di
sentirti presto.
Un bacio.
Sebastian
Note delle autrici:
Ciao, sono Antonia e ci ho messo meno di una giornata a scrivere questa
lettera (questo per giustificare l'aggiornamento iper-veloce). Sono
troppo contenta che questi due finalmente abbiano
scambiato due chiacchiere, o che almeno sappiano l'uno della presenza
dell'altro!
Niente, allora, giusto due piccoli appunti miei per quanto riguarda gli
asterischi che ho inserito all'interno della storia.
* Kurt,
nella lettera
precedente, ha scritto di non saper parlare il francese. Di certo non
potevo far rispondere Sebastian in francese, sarebbe stato davvero poco
realistico! Ho optato per un Sebastian poliglotta, che è
sicuramente più possibile (si dice?) di un Kurt che legge
una
lettera totalmente in francese con il dizionario aperto.
** il
nome dell'accademia
l'ho lasciato in francese, sarebbe stato uno stupro al nome originale
dell'accademia se l'avessi tradotto in italiano!
Credo di aver detto tutto e, in caso mi fossi scordata qualcosa,
chiedete e vi sarà... Detto!
Piccolo appunto da parte sia mia che di Lisa: le lettere tra Seb e Kurt
sono un po' anche lettere che ci scambiamo io e lei, dal momento che
non leggiamo le rispettive lettere finché non sono online.
Grazie a tutti quelli che hanno inserito la storia tra
preferiti/seguite e l'hanno recensita. Grazie anche a chi ci scrive
spessissimo su ask per farci domande/complimenti sulla storia. Fateci
sapere come procede ♥♥♥
A Lisa: ciao ♥
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