When you look me in the eyes

di kayybritin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno - prologo ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** 12 settembre ***
Capitolo 4: *** 14 settembre ***



Capitolo 1
*** Uno - prologo ***


PROLOGO COMPLESSO
Pov Kurt

Quella mattina Kurt si svegliò prima del solito. Era molto emozionato, poiché quel giorno avrebbe saputo il nome di chi lo avrebbe ospitato. Non aveva mai fatto uno scambio culturale, era eccitatissimo all’idea di poter visitare un altro paese, un'altra scuola.

La classe era impegnata in un compito di matematica, quando si sentì provenire uno schiarirsi la gola dall’altoparlante. A quanto pare, il preside Figgins aveva un annuncio importante da fare.
“Attenzione, ragazzi! Devo dirvi un paio di cose. Primo, chiunque l’altro giorno abbia appeso dietro la mia schiena un foglietto con su scritto ‘dammi un calcio’, è pregato di non farlo più. Grazie” In quel momento Stecchino ed un suo amico si scambiarono il cinque, “Secondo, nel periodo dicembre-gennaio ci sarà uno scambio fra gli studenti di Parigi e quelli di Lima. Chiunque sia interessato, sia pregato di raggiungermi nel mio ufficio. Arrivederci” Alcuni studenti erano felici di aver ricevuto questa notizia, altri si lamentavano perché in quel periodo sarebbero dovuti partire, ad altri ancora, invece, non gli importava.
Kurt era subito scattato sul posto, poiché aveva sempre desiderato effettuare uno scambio con altri studenti, farsi amici stranieri e, soprattutto, visitare paesi stranieri. Sì, ci avrebbe decisamente provato – anzi, no. Ci sarebbe riuscito.

 
Mentre faceva colazione, mentre si lavava e mentre si vestiva aveva in mente solo un pensiero: “Chissà dove andrò”.
Quando fu l’ora di uscire di casa, salutò suo padre, il quale gli raccomandò di non svenire nel momento in cui avrebbe letto il nome del ragazzo o della ragazza che lo avrebbe ospitato.
 
Quando arrivò a scuola, parcheggiò la macchina e nel cortile incontrò Mercedes.
“ ‘Cedes! Sono emozionatissimo per oggi. Chissà quale posto splendido visiterò. Mi gira la testa per quanto sono in ansia!” disse ridendo, mentre Mercedes camminava a braccetto con lui fino alla propria aula.
“Preferirei che non svenissi né altro, Kurt” affermò. Era seria, nonostante lo stesse dicendo col sorriso sulle labbra, “in quel momento sarò lì con te, comunque. Tranquillo!” Kurt la guardò e inclinò la testa sorridendo, stringendola a sé. Arrivarono all’aula, e quando la campanella suonò si sedettero ai propri posti.
“Queste ore saranno molto lunghe, temo…” Pensò. Non seguiva nemmeno la lezione, sorreggeva la propria testa con la mano, con gli occhi rivolti verso il professore e  la mente totalmente persa fra le nuvole.
 
Le ore per Kurt sembravano infinite, ma quando suonò la campanella della quarta ora si riprese.
“Oddio.” La gamba iniziò a tremargli, si sentiva lo stomaco sottosopra ed era quasi certo di star per svenire. Mercedes gli accarezzò la spalla, tentando di consolarlo con qualche parola, ma in quel momento Kurt non riusciva nemmeno a sentire, tanto era preso dai suoi pensieri. Quando la professoressa entrò in aula, Kurt si alzò e sentì un groppo alla gola.
“Acqua, ho bisogno di acqua” disse, tossendo. Mercedes rise, portando una ciocca dei capelli di Kurt dietro l’orecchio.
“No, Kurt, tu hai bisogno di calmarti” gli rispose, facendolo risedere. La professoressa tirò fuori dalla borsa un piccolo contenitore trasparente, con dei bigliettini dentro. Kurt strinse con abbastanza forza la mano a Mercedes – la quale arricciò il naso –, trattenendo un urlo.
“Kurt Hummel?” Lo richiamò la professoressa, facendogli segno di alzarsi e avvicinarsi alla cattedra.
“Sta calmo, OK?” Kurt annuì e sospirò, incamminandosi piano verso il tavolo. Alzò lo sguardo al cielo per un istante, poi tornò a guardare quel contenitore.
“Prego, peschi un bigliettino”. Il ragazzo mise la mano nel recipiente,  bagnando un angolo della bocca con la punta della lingua. Si fece forza e, tremando, prese un biglietto. Lo aprì molto lentamente, il cuore gli batteva forte, mentre nell’aula era calato un silenzio inquietante.
“Sebastian Smythe” scandì quel nome con enfasi, entusiasta “Viene da… Parigi. Oddio” in quel momento si sentiva svenire. Mercedes era felicissima per lui, infatti sorrideva in continuazione. La prof era intenerita e allo stesso tempo divertita dall’espressione dell’alunno.
“Congratulazioni, Kurt. Passerai dei giorni fantastici a Parigi. E noi siamo pronti ad accogliere Sebastian, vero ragazzi?” fece rivolgendosi alla classe, la quale aveva gli occhi puntati su Kurt.
“Sicuro!” affermarono all’unisono. Il controtenore sorrise come non aveva mai fatto in vita sua, tantoché gli facevano male le guance.  Tornò al proprio posto più tranquillo, rilassato. Anche il tempo aveva ripreso a scorrere normalmente.
“Sebastian Smythe”  disse fra sé e sé, sorridendo al solo pensiero “Sebastian Smythe.”
 
Dopo le lezioni e dopo il Glee Club, Kurt tornò a casa tutto contento. Si parò di fronte a suo padre che stava guardando una partita di Football, e aggrottò le sopracciglia.
“Figliolo, qualsiasi cosa sia puoi dirmela anche senza metterti davanti alla TV, sai?” Kurt si voltò e chiese scusa, spostandosi. Poi sorrise e incrociò le mani, portandosele sotto il mento.
“Indovina un po’? Andrò a Parigi!” Disse saltellando, gustandosi l’espressione che andava dal sorpreso al felice di suo padre.
“Uno dei tuoi più grande sogni dopo un poster autografato da Madonna! Sono davvero felice per te, Kurt” disse Burt, alzandosi e abbracciando il figlio. Si era totalmente dimenticato della partita. Parigi era davvero la meta da sogno di Kurt, da piccolo non faceva altro che tormentare i suoi genitori dicendo che voleva andare a vivere in Francia, voleva visitare la Francia e se, prima o poi, l’avrebbero fatto per davvero. Beh, a quanto pare il suo sogno stava per realizzarsi.
 
Kurt era letteralmente elettrizzato da un lato, poiché sarebbe andato nella città più bella del mondo, per lui. Ma da un altro lato era anche abbastanza malinconico, perché non avrebbe visto né la sua famiglia né i suoi amici per un po’ di tempo. Certo, avrebbe potuto scrivergli, ma non sarebbe stato lo stesso senza di loro. Come avrebbe fatto senza il suo fratellone che non sa ballare o le sue migliori amiche che sopporta ogni santo giorno? Senza Santana, che, per quanto si punzecchiassero a vicenda, in realtà adorava? Senza il Glee lui si sarebbe sentito perso. Nel suo profondo aveva molta, molta paura di non riuscire a fare amicizia con nessuno, lì.
Il nome di Sebastian, intanto, rimbombava nella sua testa come l’urlo del coach in palestra.
 
Il controtenore era steso comodamente sul letto, parlando al telefono con Mercedes.
“Chissà com’è questo Sebastian. Magari è simpatico, o scorbutico, divertente, timido, insicuro, sfacciato… L’unica cosa di cui sono certo, è del fatto che i ragazzi lo accoglieranno con piacere.” Dall’altro capo della cornetta, Mercedes assecondava Kurt.
“Sicuramente anche le ragazze. Speriamo sia carino!” Kurt spalancò gli occhi per poi scoppiare a ridere.
“Mercedes! E Sam?”
“Ma io parlavo per le altre. Andiamo, Kurt! Non stiamo nemmeno insieme” si poteva percepire un tono dispiaciuto nella voce di Mercedes.
“Già. Se la smettete con questo tira e molla, farete felici tante persone. Comunque, vi supplico, trattate Sebastian come… come un principe. OK?” Kurt era davvero preoccupato. Voleva fare una bella – anzi, bellissima figura con Sebastian. Non ne carpiva esattamente il motivo, ma ci teneva molto. Forse troppo. “Oddio. E se non gli piacessi perché sono gay? E se fosse omofobo? E’ possibile. No, no. Forse non dovrei farlo, dovrei rimanere a Lima e–”
“Kurt! Sta calmo. Non metterti in testa queste idee, perché potrebbe anche succede il contrario, no? Mi mancherai tanto. Mancherai a tutti noi. E ti prometto che tratteremo Sebastian come un principe. Anzi, un re! Va bene?” Kurt sorrise, cacciando via la lacrima che gli aveva rigato la guancia. Però era davvero in ansia.
E se non piacerò a Sebastian perché sono omosessuale? E se, quando lo scoprirà, si rifiuterà categoricamente di scrivermi? Ho paura.
 
“Grazie. Anche voi mi mancherete davvero molto, ma vi scriverò, promesso.”
“Scendi.” Il ragazzo aggrottò le sopracciglia quando Mercedes gli chiuse il telefono in faccia, senza nemmeno dargli possibilità di chiedere o quant’altro. Prese rapidamente il giubbotto e uscì di casa. Si accorse che Mercedes lo stava salutando dalla propria macchina, facendoli segno di salire. Si incamminò verso l’auto, aprendo lo sportello e allacciandosi la cintura.
“Dove andiamo?” domandò curioso. Non ci stava capendo molto di tutta quella situazione.
“Sorpresa.”
Guidò per un quarto d’ora circa, quando poi si fermò davanti al McKinley. Kurt era sempre più confuso.
“Mercedes? Vuoi darmi ripetizioni di matematica, per caso?” L’amica rise, scuotendo il capo e scendendo dalla macchina.
“No. Ma ti servirebbero, sai?” affermò, incamminandosi verso l’entrata della scuola.
“Non sono io che non capisco la matematica. E’ la matematica che non capisce me.” Mercedes lo condusse nell’auditorium, facendolo mettere comodo su di una poltrona in prima fila. “OK, che sta succedendo qui?”
La ragazza salì sul palco, “Goditi lo spettacolo”. La band cominciò a suonare, era una melodia lenta e tranquilla.
“Oddio, non ditemi che questa è–”
 
Hey there Delilah
What’s it like in New York city?
I’m a thousand miles away
But girl, tonight you look so pretty
Yes you do
Times Square can’t shine as bright as you
I swear it’s true
 
Kurt era in lacrime, anche se tentava di nasconderlo. Finn gli sorrise, prendendogli le mani e facendolo salire sul palco, ballando con lui, come al matrimonio di Burt e Carole. Finn gli lasciò un bacio sulla guancia, e ciò non poteva far altro se non aumentare la gioia di Kurt. Questi provava felicità e tristezza nello stesso momento, chiedendosi come fosse possibile. Ma in quel momento non gli importava di nulla, se non dei suoi amici.
 
Hey there Delilah
Don’t you worry about the distance
I’m right there if you get lonely
Give this song another listen
Close your eyes
Listen to my voice, it’s my disguise
I’m by your side
 
Artie abbracciò Kurt, cantando una strofa della canzone. Lo guardò e capì, tramite la canzone gli stava dicendo che non doveva mai sentirsi solo, perché tutti sarebbero stati proprio lì accanto a lui. Voleva anche dirgli che, se avesse chiuso gli occhi per un istante, probabilmente avrebbe sentito le loro voci cantare. Kurt non voleva proprio lasciar andare Artie, difatti era ancora stretto a lui, bagnandoli anche la maglietta con le lacrime. Ma non importava a nessuno dei due, in quel momento.
 
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
What you do to me
 
Quello per Kurt era, molto probabilmente, il momento più bello della sua vita.
 
Hey there Delilah
I know times are getting hard
But just believe me, girl
Someday I’ll pay the bills with this guitar
We’ll have it good
We’ll have the life we knew we should
My word is good
 
Sam sorrise a Kurt come solo lui sapeva fare, e nel mentre suonava la chitarra. Il controtenore ricambiò il sorriso, strofinandosi gli occhi.
 
Hey there Delilah
I’ve got so much left to say
If every simple song I wrote to you
Would take your breath away
I’d write it all
Even more in love with me you’d fall
We’d have it all
 
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
Oh it’s what you do to me
 
A thousand miles seems pretty far
But they've got planes and trains and cars
I'd walk to you if I had no other way
Our friends would all make fun of us
and we'll just laugh along because we know
That none of them have felt this way
Delilah I can promise you
That by the time we get through
The world will never ever be the same
And you're to blame
 
Santana, Mike, Brittany, Rachel, Finn, Mercedes, Sam, Quinn, Tina, Puck e anche Will, si riunirono in cerchio attorno a Kurt, continuando a cantare.
 
Hey there Delilah
You be good and don't you miss me
Two more years and you'll be done with school
And I'll be making history like I do
You'll know it's all because of you
We can do whatever we want to
Hey there Delilah here's to you
This ones for you
 
Ci fu un abbraccio di gruppo, di quelli veri, sinceri. Il Glee sicuramente non sarebbe stato lo stesso senza Kurt – un po’ come lo era quando egli si trasferì alla Dalton –, né Kurt sarebbe stato lo stesso senza il Glee. Certo, sarebbe stato momentaneo, ma sarebbe stato comunque un po’ di tempo.
 
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
 
L’abbraccio si sciolse; Finn si mise davanti a Kurt, intonando le ultime parole della canzone, mentre lo guardava negli occhi.

What you do to me

Lo avvolse fra le sue braccia, dondolandosi un po’.
“Fratellino, io sarò sempre qui per te. Per qualsiasi cosa. OK? Se c’è bisogno scrivimi, chiama. Anche alle 3 di notte. Ti voglio bene, e mi – ci!, mancherai tanto, tantissimo.”










Pov Sebastian

Sebastian entrò in aula come aveva fatto per i tre anni precedenti e come avrebbe fatto per i prossimi dieci, se non avesse recuperato quell'insufficienza in chimica. Nessuno aveva passato quel test ma, a quanto sembrava, Sebastian era l'unico che si preoccupava e si impegnava per passarlo a tutti i costi. Una sola insufficienza in pagella e si sarebbe giocato l'anno, il che avrebbe praticamente mandato a monte i suoi piani di viaggi per l'estate.
Che diavolo di materia era, poi, chimica? Nessuno in quell'aula ne capiva l'utilità - o meglio nessuno in quell'aula capiva qualcosa in generale, era una scuola di architettura e di certo nessuno voleva diventare il nuovo Einstein, lì dentro - e, nel caso qualcuno avesse avuto in progetto di inventare la cura contro il cancro, aveva sbagliato sicuramente strada.

Prese posto al solito banco e salutò gli amici con delle pacche sulle spalle, scambiando qualche occhiata in più con David, il nuovo arrivato. Era abbastanza carino, niente che si avvicinasse al suo genere ma era accettabile per chi, come Sebastian, era solito avere sempre qualcuno a fargli la corte. In quella scuola, invece, aveva rifiutato tutte. Sì, esclusivamente ragazze, perché erano solo le ragazze che lo trovavano attraente.
Nella scuola privata è così, o sei etero oppure dichiari la tua omosessualità salendo su una sedia durante la pausa pranzo per urlarlo al mondo. Decisamente una cosa poco da Sebastian.

Sebastian, comunque, aveva sempre declinato ogni invito. Non che gli dessero fastidio tutte quelle attenzioni, ma era già fin troppo indietro e, da quello che gli era stato detto, la scuola privata sarebbe stata molto più avanti rispetto all'inutile liceo che aveva frequentato a Sidney, città dove i suoi genitori avevano lavorato per un po'.

Facevano i restauratori, loro, e quindi avevano viaggiato molto prima dell'arrivo del figlio e avevano continuato a farlo non appena il bambino acquisì la capacità di camminare e parlare. In fin dei conti non si era mai definito sfigato per questo, anzi, grazie al lavoro dei suoi genitori aveva conosciuto ed esplorato posti di cui i suoi compagni di classe neanche conoscevano l'esistenza.

Insomma, lui era il classico tipo che amava la traccia del tema "quali posti hai visitato". Si riempiva la bocca di parole e storie fin troppo grandi per lui, ma se c'era una cosa che Sebastian aveva subito capito era una: alla scuola privata, la notorietà te la dovevi cercare.

Non era il tipo di ragazzo che amava far parlare di sé, ma era sicuramente il ragazzo che voleva essere ricordato ad ogni costo. Ovviamente, come ogni adolescente, aveva optato per la strada più chiacchierata e che sicuramente gli altri ragazzi avrebbero apprezzato senza battere ciglio o fare ulteriori domande: il sesso.
"Woho, che occhiaie che hai," esordì uno dei suoi compagni di classe non appena lo vide. "Ti ho visto andare via insieme a Jasmine ieri sera, allora, c'è niente che devi dire a Derek?"
Sebastian aveva un ricordo molto confuso della nottata precedente. Era andato in un locale per stare con i suoi amici, aveva bevuto qualche drink leggero e si era trovato quella rossa che non solo non l'aveva mollato un attimo, per quanto poi continuava ad offrirgli drink e ad avvicinarsi in cerca di attenzioni - attenzioni che Sebastian non le voleva dare di proposito. Aveva un'aria troppo da ragazza frivola, Jasmine, e sicuramente Sebastian non avrebbe voluto vivere la sua prima volta con una persona del genere.
Era diverso dagli altri della sua età, Sebastian. Non solo per i genitori che viaggiavano molto e per il suo passaporto che aveva visto la bellezza di sette stati diversi, era diverso in tutto. Aveva avuto un sacco di occasioni per perdere la sua verginità e fare sesso, ma le aveva declinate tutte perché lui voleva amare una persona - amarla a tal punto da desiderare di volerci fare l'amore nella maniera più semplice, senza gioccattolini erotici e oggetti simili.
"Cosa c'è Derek, devo raccontarti delle mie notti di fuoco perché tu non ne hai mai?" lo apostrofò Sebastian con l'approvazione di tutti. Derek, a
differenza sua, era il classico donnaiolo che passava gli intervalli sempre in compagnia, solitamente negli spogliatoi delle ragazze.
Ovviamente il compagno gelò sul posto, abbandonando la sua postazione e avviandosi verso una ragazza a caso che, a primo impatto visivo, non sembrava neanche una del loro corso.
La verità era che Sebastian non aveva fatto niente con Jasmine. Lei continuava a strusciarsi e stringergli le mani, ma lui non aveva mai ricambiato. Forse qualche sorriso l'aveva concesso, ma niente che facesse intendere di voler andare oltre. Non capiva neanche il perché le ragazze di quella scuola si vendessero per uomini così subdoli ed insignificanti, quando avrebbero sicuramente meritato di meglio quando sarebbero diventate più adulte.
"Ma quindi te l'ha data?" domandò poi Mark con un sorriso sornione sul volto. Sebastian rise appena mentre gli batteva il cinque giusto mentre il professore entrava in aula e pregava tutti di tornare ai propri posti.
Sebastian benedì il professor Burke per aver messo fine a quell'interrogatorio. Un'altra verità era che non solo aveva letteralmente mollato Jasmine nel parcheggio - in una maniera che, a pensarci, non era stata neanche troppo gentile - per quanto poi l'aveva mollata per un'altra donna: sua madre.

Quando sentì il telefono squillare, aveva creduto che sua madre lo stesse cercando perché era tardi o semplicemente perché non voleva stare da sola. Le cose erano peggiorate quando un agente di polizia di nome Richard Keith lo pregò di presentarsi alla centrale di polizia.
Sebastian aveva già capito tutto e, senza troppi giri di parole, lasciò il locale senza neanche degnarsi di avvisare gli amici con il quale era arrivato e che avrebbe dovuto riportare a casa essendo l'autista designato.
"Sebbie, aspettami," urlava una voce femminile alle sue spalle. Sebbie? Sul serio?
La ignorò completamente, convinto che quello sarebbe bastato ad essere lasciato in pace - speranza, ovviamente, invana. Quando Jasmine lo vide salire in auto si esaltò e cominciò a corrergli incontro, aprendo la portiera del passeggero e accomodandosi come se fosse stata invitata.
"Dove mi porti?" domandò lei in preda all'eccitazione. Sebastian non avrebbe saputo dire se era eccitata per aver lasciato quel locale sudicio o perché sperava in qualche proseguimento di serata all'insegna del sesso - probabilmente sadomaso, visti gli accessori borchiati che indossava lei.
"Jasmine, te ne devi andare," disse secco lui quando la ragazza gli mise una mano sulla coscia. "Te ne devi andare perché io, ehm, ho appuntamento con un'altra persona," continuò poi, osservando le labbra di lei incurvarsi verso il basso.
"Quindi... Quindi volevi solo pomiciare?" domandò poi lei con aria mista tra l'arrabbiato e il dispiaciuto. Ciò nonostante, però, rimase comodamente seduta sul sedile e, anzi, allacciò anche la cintura di sicurezza.
"A dire il vero volevo fare del buon sesso, Jasmine, ma tu non mi ecciti neanche un po'. Ora, visto che non ho assolutamente intenzione di passare la mia serata a consolarti, puoi accettare l'idea che non mi ecciti e scendere dalla mia auto tipo... Adesso?" continuò invece lui. Avrebbe tanto voluto dirle che cosa stava succedendo in realtà, avere un amico al quale potersi appoggiare, ma la storia del donnaiolo era sicuramente dieci volte migliore della storia di quello con la madre alcolista.
Jasmine fece una sceneggiata quasi credibile, mettendosi addirittura a piangere prima di scendere dall'auto. Se fosse stata una situazione più tranquilla, Sebastian le avrebbe addirittura fatto un applauso per l'ottima recitazione. Ma non c'era tempo, e sua madre era più importante di qualsiasi altra cosa.
Quando arrivò alla stazione di polizia notò subito sua madre seduta su una poltrona. Le andò incontro e si sedette accanto a lei con un gran sorriso, quasi come se volesse alleggerire la situazione.
"Scusa Bastian, lo so che ti avevo promesso di non farlo perché sono disoccupata e ogni drink che bevo lo pago con i tuoi soldi, ma non ho resistito," mormorò lei in preda allo sconforto. I suoi capelli scuri le cadevano sul viso e le sue mani non erano più curate e belle come un tempo, ma Sebastian le avrebbe sempre voluto bene. Si alzò e si sedette di fronte a lei, appoggiandosi sui suoi stessi talloni.
"La cosa importante è che tu stia bene, okay? Non mi interessa nient'altro," sussurrò poi lui mantenendo il sorriso. Le passò un pollice su una guancia per asciugare una lacrima e, dopo averle dato un bacio sulla fronte, si alzò e pregò lei di aspettarlo lì. "Ora io vado a compilare i moduli per farti uscire, però tu prima promettimi che starai bene e smetterai di pensare a ciò che mi hai detto."
Quando la donna annuì, allora Sebastian le voltò le spalle e seguì l'agente nel suo ufficio.
"Sono Sebastian Smythe, mia madre è Marie Lusting - Smythe."

"Allora ragazzi," cominciò il professore. "Come saprete lo scambio degli studenti si avvicina e, siccome non vogliamo che prenotiate alberghi vicini a dei night club, l'Istituto ha optato per una soluzione economica e che ci frutterà qualche buona raccomandazione: sarete ospitati dalle famiglie del luogo - famiglie degli studenti, per essere precisi."
In quel momento si alzò un lamento generale da parte della classe che, probabilmente, si aspettava una specie di gita dai night club agli strip club famosi di Lima. Il professore rise.
"Il programma resta invariato, ragazzi. Gli studenti di Lima verranno a farvi visita per un mese nel periodo di dicembre, voi andrete a Lima nel periodo di gennaio. Se i genitori di tutti acconsentono, si può anche pensare di far viaggiare insieme le due classi da qui a Lima," continuò poi l'uomo mentre passava tra i banchi e restituiva i compiti di letteratura alla classe. "E, per la cronaca, lasciatemi dire che mi aspettavo di più da questo compito," allora Sebastian smise di prestare attenzione. Se il professore si stava lamentando per letteratura, allora poteva permettersi una distrazione.
Lui amava letteratura, era un ragazzo così fuori dagli standard che preferiva stare a casa a leggere un buon libro di fronte alla finestra piuttosto che ubriacarsi in chissà quale parte della città. Oh, se adorava leggere davanti alla finestra. Quando pioveva, poi, avrebbe passato le giornate intere a sfogliare le pagine di quei vecchi libri ingialliti sul bordo, e quelle copertine di finta pelle lo facevano impazzire tanto quanto l'odore della carta stampata.

Sebastian tornò a casa e, come si aspettava, la trovò silenziosa così come l'aveva lasciata quella mattina. Erano rare le volte in cui sua madre lo accoglieva come un tempo, perché erano rare le volte in cui sua madre era felice. Da quando suo padre li aveva lasciati, lei era caduta in una depressione tale da essere finita anche in un ospedale psichiatrico per settantadue ore.
Non che fosse pericolosa, avevano solo voluto tenerla per un po' sotto controllo "per valutare l'effettivo stato della sua depressione, così da decidere a quale figura affidarla". Avevano usato quelle parole anche con Sebastian, e la sua prospettiva di vita crollò. Si era immaginato l'infermiere dell'ospedale che pensava se affidare sua madre ad un normale psicologo, ad uno psichiatra oppure mandarla in manicomio.
Ovviamente solo dopo gli venne spiegato che non sarebbe stato così, ma lo spavento iniziale di Sebastian non era mai sparito, neanche con il passare degli anni.
"Che guardi?" domandò lui entrando in soggiorno. Ormai quella era la loro vita, la stessa routine ogni giorno: tornava a casa, preparava da mangiare per entrambi e trovava la madre seduta sul divano a guardare l'ennesima puntata di qualche telefilm per signore.
"Ho smesso di prestare attenzione quando hanno parlato per l'ennesima volta di Lady Di," rispose lei con un sorriso, spostandosi un po' per far sedere il figlio sul divano.
Sebastian rise, avvicinandosi e lasciandole il vassoio appoggiato sulla sedia di fronte. Sotto il braccio teneva alcune lettere che, probabilmente, erano state consegnate quella mattina. Bolletta, bolletta, cartolina, pubblicità, bolletta. Sembrava che le spese di casa non finissero mai, Sebastian era davvero molto stanco per via dei due lavori ma, nonostante ciò, cercava sempre di apparire al meglio - soprattutto in presenza della madre.
"Ossia da prima che nascessi io," commentò lui, afferrando il telecomando e mettendo un telegiornale.
"Il decennio è quello," rispose la donna. "Ma te l'ho mai detto che sei proprio bravo a cucinare?"
Sebastian storse il naso. Suo padre aveva una passione per la cucina, passione che aveva tramandato al figlio giusto qualche mese prima di decidere di andare a vivere con una ventottenne viennese con il seno palesemente rifatto.
"Lo so, e mi piacerebbe dire che ho imparato per conto mio invece che dover tutto il mio sapere a quello," commentò lui pigramente mentre esaminava una bolletta.
"Non parlare così di tuo padre," apostrofò lei con una risata. "Voglio fare l'egoista e pensare solo a me, a quanto è buono questo piatto di pasta e a quanto sia stato stupido lui ad andarsene senza aver mai provato la tua cucina," continuò poi la donna con espressione fiera.
Era raro vederla così, era raro poterci parlare. Era raro potersi sentire una famiglia, una vera famiglia e non solo una madre e un figlio che vivono insieme.
"E' stato stupido ad andarsene senza prima morire," commentò poi lui senza neanche pensare. Sinceramente gli importava poco di portare rispetto ad un uomo che non c'era mai stato, ma era consapevole di quanto a sua madre dessero fastidio quei discorsi. "Scusami," aggiunse poi in un sussurro mentre si abbandonava sul divano di fianco a lei.
"Sai cosa mi fa stare bene?" domandò lei, allontanando la sedia con il vassoio e facendo alzare le gambe a Sebastian.
"I miei maccheroni?" rispose subito lui con un sorriso. Fissò la madre che sembrava davvero quella di un tempo, con le labbra sporche di sugo e lo sguardo spensierato.
"A parte quelli," continuò la donna mantenendo sempre il sorriso. "Mi piace vedere che ti preoccupi per me, Sebastian. Credo che nessuno si sia mai preoccupato così tanto per me, neanche tuo padre stesso. Mi fai stare bene tu, Sebastian, perché tu sei sempre dalla mia parte. E poi per i maccheroni, ma non volevo che tu ti sentissi messo in secondo piano."
Risero entrambi e si abbracciarono, proprio come una madre fa con suo figlio. Sebastian spesso dimenticava la sensazione dell'essere abbracciati, perché nessuno lo abbracciava mai.
"A proposito di questo, mamma, devo dirti una cosa," disse poi lui quando l'atmosfera si calmò di nuovo. "Oggi il professore ci ha parlato di quello scambio con gli studenti dell'Ohio e, risparmiandoti il discorso sul perché di questa scelta, non andremo in hotel ma saremo ospitati dalle famiglie degli studenti. Tu te la senti? Insomma, di avere un estraneo per casa che starà qui un mese, non voglio metterti sotto pressione."
Marie si alzò dal divano e fissò suo figlio con espressione preoccupata, chinandosi poi e mettendogli le mani sulle spalle.
"Quando arriverà?" domandò. "Il ragazzo, Sebastian, quando arriverà?"
Sebastian stava capendo sempre meno e, un po' preoccupato, afferrò lo zaino e ne estrasse il programma. "Il nove dicembre."
"Oh miseriaccia, è tardi! Bisogna mettere in ordine il soggiorno, la cucina, dobbiamo riparare la doccia del secondo bagno e... Oh mio Dio, la tua camera Sebastian, è un macello!"
Sebastian vide sparire la madre in cucina, per poi vederla uscire con guanti di lattice e sturalavandino alla mano. Aveva forse intenzione di riparare la doccia con quello?
Sorrise mentre la sentiva parlare da sola, perché il medico aveva detto che i momenti di felicità sarebbero arrivati, prima o poi. Che fosse il momento giusto? Sebastian non lo sapeva, gli importava solo poter dire di avere di nuovo una madre.
Una madre che acconsentiva l'ospitare un completo estraneo a casa per un mese. Chissà chi avrebbe conosciuto, che viso avrebbe avuto e quale fosse il suo libro preferito. E chissà, magari in quel qualcuno si nascondeva l'amico su cui appoggiarsi quando le cose andavano male.





Note delle autrici:

Buongiorno (o buonasera, a seconda di quando leggerete questa storia) :3
Siamo Lisa (Kurt pov) e Anto (Sebastian pov) e, insomma, andiamo contro tutto e tutti scrivendo di un Sebastian così tanto OOC da essere vergine e di un Kurt insicuro sul suo essere - sì, proprio come lo era ai tempi della prima stagione.
Speriamo tanto che questo prologo sia stato di vostro gradimento.

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Capitolo 2
*** Due ***


cap 1

Pov Kurt

Kurt era in piedi davanti al proprio armadio con le ante aperte, decidendo cosa avrebbe dovuto portarsi a Parigi.

“Posso?” Sam era sulla porta, che guardava Kurt sorridendo. Quest’ultimo si voltò, e fece segno al biondo di entrare. “Che fai?” Domandò.

“Uhm. Non so che robe portarmi a Parigi. Insomma, è la capitale della moda – e, modestia a parte, ho parecchi outfit che sono all’altezza di quella città. Solo che sono parecchio indeciso.” Erano quasi tre quarti d’ora che fissava i suoi vestiti.

“Ti aiuto io, se vuoi” disse Sam, alzando le spalle. Kurt lo guardò e rise, scuotendo il capo.

“Senza offesa, Sammy, so che vuoi aiutarmi – e ti ringrazio –, ma onestamente credo che dovrei decidere da solo.” Il ragazzo sbuffò, incrociando le braccia e mettendo il broncio. Aveva l’espressione simile a quella di un bambino quando i genitori non gli comprano il gelato. “… Non fare così. Sai che non ti resisto.” Sam non voleva proprio saperne di smettere di tenere il broncio, così Kurt roteò gli occhi, annuendo.

“Yeppi!” esclamò Sam tutto eccitato, iniziando subito a scartare determinati vestiti di Kurt. “Questo decisamente no, huh. Questo neanche...”

“Sam! Stai scartando i migliori!” Urlò Kurt. L’altro, però, sembrava non prestargli attenzione. Era immerso fra i vestiti del coabitante – ed erano davvero tanti. Ad un certo punto, si voltò verso il controtenore.

“Ci rinuncio. Abbiamo gusti troppo diversi.” Kurt rise.

“Io sono più raffinato, tu un po’ più… casual” affermò, tentando di aprire la propria valigia. Non ci riusciva – non ci era mai riuscito. Infatti lo aiutava sempre Burt, ma in quel momento non era in casa. Si voltò lentamente verso Sam, facendogli un sorriso a trentadue denti.

“Ora lo vuoi il mio aiuto, mh?” affermò ironicamente, aprendo la valigia con due semplici mosse. Kurt lo ringraziò.

“Per questo ho bisogno di un ragazzo muscoloso. Non dico certamente con i muscoli di David Beckham – anche se non mi dispiacerebbe, ma comunque, ” aveva assunto un’espressione sognante. “Vorrei solo avere un ragazzo che mi coccoli sul divano, così, senza dire nulla.”

Sam lo guardò intenerito. Lui era etero – così diceva –, però doveva ammettere che, la prima volta che vide Kurt, lo trovò parecchio attraente. “Spero che ne troverai uno così, te lo meriti. Chissà, magari lo conoscerai a Parigi”.

“Già. I francesi sono i miglior baciatori, dicono” affermò Kurt ridendo. “Lo testerò.” Sam aggrottò le sopracciglia.

“Potrei diventare geloso, sai?” disse, tentando di dare una nota seria a quella frase. Kurt gli diede una leggera spallata, sorridendogli.

“Rimarrai sempre il mio biondo preferito, Sammy” gli rispose, dandogli un bacio sulla guancia.

“Allora non andare mai in Germania, o in Svizzera. Potresti cambiare idea, sai?” Kurt lo abbracciò e si dondolò un po’.

“Non lo farei mai.” Rimasero così per qualche secondo, per poi distaccarsi. Sam guardò Kurt negli occhi. Amava quegli occhi, gli ricordavano tanto il mare limpido. Poi si concentrò sulle labbra: rosse, risaltavano sulla sua carnagione molto chiara, con dei lineamenti delicati, quasi perfetti.

“Sam? Ho qualcosa sulle labbra?” Domandò Kurt all’improvviso, interrompendo i pensieri dell’altro.

Il biondo, senza nemmeno pensarci, baciò dolcemente il controtenore, il quale spalancò gli occhi, incredulo.

“Ehm. Credo che sulle tue labbra ci fossero… le mie” affermò Sam sorridendo. Kurt non sapeva come prendere quel gesto. “Scusa.”

“No, no” Doveva ammettere che non gli era dispiaciuto. Le labbra di Sam, per quanto potessero essere buffe, erano morbide. E poi lui baciava benissimo. “Non devi scusarti, Sammy.”

“Oh. Quindi non ti ho messo a disagio, vero?”

“No”.

“Quindi se lo rifacessi…” Kurt fece un mezzo sorriso, per poi inclinare leggermente il capo. Sam prese il volto dell’altro fra le mani, posando nuovamente le proprie labbra su quelle di Kurt. Quel bacio era più ‘sicuro’ del primo. Kurt poteva sentire il calore di Sam avvolgerlo.

“Ah, Kurt” si interruppe il biondo ad un certo punto “è solo che sai, uhm, ecco – è che non voglio che tu parta senza un bel ricordo di me.”

“Ho capito. E’ un bel gesto. E’… amichevole. No?”

Sam gli sorrise “Sì”. In quel momento Kurt avrebbe solo voluto stare fra le braccia di Sam.

“E’ scomodo qui. Ci spostiamo sul letto?” domandò Sam.

“Mh, sì. E’ meglio” senza preavviso, Sam spinse Kurt sul letto, ridendo. “Hey!” urlò questi, abbastanza divertito – ma anche un po’ irritato, insomma, non voleva sgualcire la maglia nuova. Il biondo lo interrupe baciandolo, il ché non dispiacque al controtenore.

A Sam piaceva la situazione. Era qualcosa di nuovo, per lui. Non erano gli uomini che lo attraevano, era Kurt.

Sarebbe rimasto a guardare i suoi occhi per l’eternità: li adorava. Eccome se li adorava. Erano molto meglio dell’oceano, diceva lui.

“Kurt, io ecco – nel caso non trovassi nessuno a Parigi, non voglio mandarti senza prima aver–”

“Oh.”

“Se non vuoi, non fa nulla, davvero” disse Sam, tenendosi abbracciato a Kurt.

“No. Mi fido di te, Sammy”

“Wow”.

“Cosa?” Sam passò una mano fra i capelli di Kurt e, per la prima volta, quest’ultimo non si lamentò.

“Sembri quasi un angelo” Kurt arrossì e scosse il capo, negando. “Sono serio!” aggiunse Sam. Gli diede un fugace bacio sulle labbra. “Ne sei convinto, ora?”

“Mh. Direi di sì” Sam gli sorrise, contento. Kurt era adorabile, perché quando gli si faceva un complimento arrossiva sempre. Anche se non gli piaceva il fatto che, dentro di sé, era molto insicuro. All’apparenza poteva sembrare Mr. modestia in persona, ma non lo era, non del tutto.

E avrebbe voluto dirgli “ti amo”, ma non poteva. No. Se l’avesse fatto, la loro amicizia sarebbe finita lì, e probabilmente non si sarebbero più parlati.

Doveva tenersi quelle due parole per sé, e gli faceva male. Molto male.

“Cosa?”

Oh oh. Forse non l'aveva esattamente pensato quel ti amo.

“Mi è uscito spontaneo, io non volevo, giuro, io–”

“Anche io.” Sam perse qualche battito dopo quelle due parole pronunciate da Kurt. “La prima volta che ti vidi, giuro, mi sembrava di aver appena visto l’essere più bello di tutto l’universo”

“… Ma?”

“Ma non potrei mai fare questo a Mercedes.” Sam si sentì il mondo crollare addosso. Già, Mercedes. Pensò.

“Capisco. Scusa” Il biondo si alzò dal letto, senza dare spiegazioni. Si mise un paio di pantaloni, per poi uscire dalla stanza.

Kurt rimase a bocca aperta, indeciso se seguirlo o meno.

Sam, intanto, era andato a sedersi sul divano in soggiorno. Si massaggiava le tempie, mentre tentava di capire il perché di tutto quello.Non è giusto.

Ad un certo punto sentì un calore avvolgergli le spalle. Si voltò, notando che era Kurt. Gli stava bagnando il collo con le lacrime.

“Kurt…” Sam cacciò via una lacrima lasciandogli un bacio sulla guancia. “Ti prego, Kurt. Non piangere. Ti prego.”

“Da quanto, Sam? Da quanto ti piaccio?” Quella domanda lasciò Sam un po’ intontito.

“Uhm. Credo sempre. Sai, Kurt, io non ho mai provato attrazione per gli uomini, ma tu sei… la mia eccezione.” Kurt era felice di sapere di essere l’eccezione di Sam. In quel momento era un misto di emozioni indescrivibile. Si sedette accanto all’amico – se così si poteva definire, in quel momento.

“Baciami, Sam”

“No”

“Baciami.” Ci fu un attimo di tensione fra i due. Kurt abbassò il capo, sospirando. Sam gli alzò il mento con una mano, avvicinando pericolosamente il volto a quello di Kurt.

E lo baciò.

Non era un bacio qualsiasi, era uno di quei baci che si danno prima di un “addio”. Come per dire “è stato bello, finché è durato”.

Kurt non aveva smesso di lacrimare. Non voleva che tutto quello finisse, perché entrambi si volevano, ma non potevano aversi.

“Mi mancherai”.

“Non- non parlare.” Kurt non voleva che niente e nessuno rovinasse quel momento. Era importante, per lui, e i “mi mancherai” e robe del genere lo avrebbero solo fatto stare più male.

“Ti prego, ti prego, non ti dimenticare di me, a Parigi. Non ti dimenticare di noi.” Sussurrò Sam nell’orecchio di Kurt.

“Non lo farò, te lo prometto, Sam… Non potrei mai dimenticare il mio biondo preferito” affermò, calcando la parola “mio”. Sam sorrise, poggiando la propria fronte contro quella di Kurt.

“Quando arriverò a casa di Sebastian ti manderò un messaggio, va bene?” Sam si allontanò di poco dal volto di Kurt. Non ci aveva pensato nemmeno un po’ al fatto che avrebbe dormito da Sebastian, con Sebastian. La gelosia stava prendendo il sopravvento su di lui.

“Va bene”. Kurt sentiva che qualcosa non andava nella voce di Sam. Era diventata più cupa, più ‘triste’.

“Sarà meglio che vada a farmi la doccia” affermò, alzandosi. Sam lo tenne per il polso e Kurt aggrottò le sopracciglia. “Sam, devo andare–”

“Un ultimo bacio” Sam tirò Kurt a sé, facendo congiungere le proprie labbra un’ultima volta, stringendo le braccia attorno alle spalle dell’altro. “Grazie. Di tutto.”











Pov Sebastian

Marie bussò alla porta della camera del figlio, facendo attenzione a non far cadere il vassoio con la colazione in terra. Bussò piano, senza troppa insistenza, consapevole del fatto che il figlio fosse un dormiglione tanto quanto lo era lei. In più Sebastian aveva non un solo impiego, ma ben due pur di dare una mano in casa, ecco perché sua madre non si era mai arrabbiata con lui quando aveva saltato un giorno di scuola perché non aveva sentito la sveglia.
Un figlio come lui era un sogno per le altre mamme. Era intelligente, aveva un aspetto angelico e non faceva mai le cose senza aver prima pensato alle ripercussioni che avrebbero avuto i suoi gesti sulla sua famiglia. Sebastian era diventato grande presto quando, all'età di sedici anni, suo padre lasciò lui e sua madre senza neanche premurarsi di salutarli. Da allora era stato sempre lui l'uomo di casa, e sicuramente non avrebbe passato le estati a grattarsi la testa o a guardare chissà quali video su internet.
Aveva trovato prima un lavoro come barista e poi, dal momento che le visite mediche della madre ammontavano ad una cifra con tre zeri, aveva cercato un ulteriore impiego per far sì che la donna non dovesse preoccuparsi di niente se non della propria salute. Andava a scuola, tornava a casa per pranzo e subito usciva per andare a lavorare nella vecchia libreria del quartiere; verso le sei del pomeriggio, poi, abbassava la serranda e andava a lavorare come barista fino alla mezzanotte.
Neanche gli pesavano più quei ritmi, anzi, piano piano aveva trovato varie scorciatoie per arrivare prima da un posto all'altro, cambiandosi e indossando il grembiule del bar ancora prima di uscire dalla libreria.
"Sebastian," mormorò sua madre entrando nella mansarda. Sebastian stesso l'aveva decorata e arredata qualche anno prima, rendendo molto intimo e personale uno spazio di dimensioni anguste. Amava la luce soffusa della vecchia lampada che aveva sul comodino, forse tanto quanto amava stare a leggere avvolto nel piumone mentre la pioggia batteva sulla finestra sopra di lui.
Il ragazzo mugugnò qualcosa mentre si copriva fino alla testa con il piumone celeste, cosa che fece ridere la madre. Lei si avvicinò e posà il vassoio sulla scrivania, avvicinandosi al letto e scostando il piumone dalla testa del figlio.
"A che ora sei tornato?" domandò lei con tono pimpante, del tutto convinta a voler fare alzare quel figlio pigro. Sarebbe rimasto a casa anche quel giorno, visto l'orologio che segnava le undici meno cinque del mattino, ormai neanche i suoi professori ci facevano tanto caso da quando furono informati del grande carico di responsabilità che aveva il ragazzo. Marie non voleva ammetterlo a sé stessa, ma Sebastian era praticamente l'unico che portava soldi a casa - quei soldi che lei spendeva quasi sempre per qualche bevanda alcolica.
"Quando ho guardato l'orologio l'ultima volta era l'una e venti e stavo ancora lavorando, sinceramente ho preferito non guardare l'ora quando sono tornato," mormorò lui da sotto il piumone. "Mi sarei depresso a puntare la sveglia per scuola," aggiunse poi quando Marie gli sfilò nuovamente il piumone dal viso.
"E' arrivata una lettera per te, amore," disse poi lei sedendosi sul letto e scompigliando i capelli al figlio. "Arriva da Lima e, oh, sembra proprio che sia appena uscita da una boccetta di profumo da donna," continuò poi, portandosi la lettera al naso per allontanarla dopo pochi istanti.
"Sarà di quel Kurt, quello che dobbiamo ospitare, sai?" mormorò poi lui mentre si liberava del piumone e si sedeva al centro del letto.
Sua madre lo guardò e rise un po', perché era ottobre inoltrato e Sebastian dormiva ancora solo con l'intimo ma coperto dalla testa ai piedi con il piumone. 
Afferrò il vassoio dalla scrivania e lo appoggiò sul letto, del tutto decisa a coccolare il suo piccolo uomo di casa. Sebastian si alzò e le diede un grande abbraccio, osservando poi tutto ciò che la madre aveva preparato: succo di frutta, una mela, delle uova e delle omelette.
"Hai cucinato tu?" domandò poi lui mentre alzava una delle omelette dal piatto con una forchetta, senza farsi troppi problemi a nascondere la sua perplessità. Marie annuì fiera del suo lavoro, spronando il figlio ad assaggiare.
"Spero che tu abbia già chiamato l'ambulanza perché, non prenderla sul personale, ma queste omelette hanno un colore... Strano," bofonchiò lui mentre ne assaggiava un pezzo. Effettivamente non solo avevano un colore strano, per quanto il gusto era molto più deciso rispetto a ciò che era abituato a mangiare lui per colazione.
"Se non ti piacciono puoi scendere in cucina e fartele tu," disse lei con finto tono offeso, alzandosi e facendo per allontanarsi dal letto. Sebastian rise e, facendo attenzione a non far rovesciare il vassoio, le afferrò un braccio e si scusò più volte.
Sebastian finì quasi tutto, abituandosi dopo poco a quel sapore forte di erba cipollina e funghi all'interno delle omelette. Diciamo che lui era più per le classiche omelette con cioccolata o marmellata, ma visto l'orario non propriamente consono per la colazione...
"Era tutto buonissimo, mamma," disse lui, alzandosi un poco e dandole un bacio sulla guancia. Diede uno sguardo all'orologio e andò a prepararsi, se avesse fatto tardi all'incontro avrebbe passato mezz'ora a sentirsi dire di essere irresponsabile.
"Cosa ti sei fatto lì? Sebastian, cos'hai dietro la schiena?" domandò sua madre quando il ragazzo si alzò per andare al bagno.
Sebastian le mentì per la prima volta nella sua vita, ma non gli importava. Era una bugia a fin di bene - una bugia che, almeno quella sera, non si sarebbe conclusa con delle bottiglie di vodka vuote sul pavimento di fronte a Marie.

Andare dallo psicologo non era assolutamente come si vedeva nei film. Non c'era nessun divanetto dove stendersi, nessun dottore che prendeva appunti e nessuna scatola di fazzoletti pronta ad essere passata al paziente se le lacrime avessero avuto la meglio.
Quella stanza era poco più grande di camera sua, con una grande libreria al lato e giusto una scrivania con due sedie al centro. Niente arredo, niente finestre, niente che fosse in grado di rassicurarlo. L'unica fonte di luce era il lampadario con luce gialla posto sopra le loro teste.
"Sei silenzioso oggi," disse Georg, lo psicologo, dopo un ragionevole lasso di tempo. Lui non usava l'approccio del fare domande al paziente, preferiva che fosse il paziente ad aprirsi e parlare di ciò che preferiva. Purtroppo, però, con Sebastian era sempre stato difficile sapere cosa gli passasse per la testa.
Aveva passato gli ultimi anni a tenere nascosto il vizio dell'alcolismo di sua madre, l'assenza di suo padre e altri dettagli sulla sua famiglia che seguivano la falsa riga di quelli, quindi Sebastian era un ragazzo che teneva fin troppo le cose per sé.
Georg non avrebbe mai dimenticato il primo giorno di seduta con Sebastian, ossia l'unica volta in cui il ragazzo aprì bocca di sua spontanea volontà per dare al medico tutte le informazioni generali delle quali aveva bisogno per fare un quadro generale della situazione.
Quello che Georg aveva capito era che Sebastian era una persona estremamente sola per via del carico che portava sulle spalle da due anni a quella parte, che probabilmente si precludeva da solo in fatto di amicizie per via della sua vita piena di cose da fare e persone a cui badare.
"Ieri è stata una giornata piuttosto lunga, mi scusi," mormorò il ragazzo mentre si torturava il bordo della maglietta dal nervosismo, cosa che faceva sempre anche sua madre.
"Non preoccuparti," rispose il dottore con un sorriso. "Ho saputo dello scambio culturale," aggiunse poi, alzandosi e andando a prendere un caffè dalla macchinetta presente nella stanza. Prese anche una cioccolata calda a Sebastian e gliela porse, andandosi a sedere di nuovo al suo posto.
"Ti senti pronto?", domandò poi Georg.
Sebastian annuì mentre beveva un sorso di cioccolata calda dal bicchiere di plastica. A dire il vero non si sentiva pronto per niente, ma era stato Georg stesso a dirgli di doversi fare degli amici... E quale occasione migliore di quella? Avrebbe avuto un amico, per giunta proveniente da un paese diverso.
"Sì, proprio oggi ho ricevuto una lettera da parte di... Kurt, il ragazzo che dovrò ospitare, ma non sono riuscito a leggerla perché ero in ritardo," rispose Sebastian con un sorriso. "Siamo entrambi pronti per ospitarlo - io e mia madre, intendo," forse ripetendolo se ne sarebbe convinto. La verità era che lui era prontissimo ad ospitarlo, anzi, era eccitatissimo all'idea di conoscere una persona proveniente da un paese diverso ma, allo stesso tempo, era preoccupato per sua madre.
"Siete pronti? Sebastian, lo sai che puoi contare su di me per qualsiasi cosa," disse poi Georg. Sebastian abbassò lo sguardo, con una sola immagine che continuava a ripetersi nella sua mente.

"Vada via, fuori da casa mia! Sebastian, aiuto!"
Sebastian entrò in casa e trovò la madre nel panico intenta a gridare e lanciare oggetti a quella signora che aveva creduto potesse essere una buona compagnia per la madre. Marie dimenticava le cose da qualche settimana, ormai, e per quanto Sebastian volesse stare con lei non avrebbe potuto di certo saltare scuola e lavoro.
Quindi chiamò l'ospedale dove Marie era stata ricoverata per un po', chiedendo qualche nome con qualche buona referenza per avere qualcuno che stesse con lei qualche ora al giorno. Sarebbero bastate due o tre ore, lui avrebbe parlato con entrambi i suoi datori di lavoro e avrebbe richiesto una diminuzione delle ore per motivi personali. Certo, avrebbe voluto dire che avrebbe guadagnato di meno, ma avrebbe trovato il modo di gestire tutto - doveva trovarlo, non c'erano alternative.
Natalie, la signora che l'ospedale aveva raccomandato, stava accucciata in terra in preda al panico. Sebastian non ne era sicuro al cento percento, ma se la sua vista era ancora buona allora Natalie si era anche ferita ad una mano.
Lui stesso si abbassò giusto in tempo per evitare di essere colpito sul viso da un bicchiere di vetro, avvicinandosi a Natalie e lasciandole i 190 dollati pattuiti prima di mandarla via. In quelle situazioni neanche lui era in grado di gestire sua madre, figurarsi con un estraneo in casa.
"Mamma, stai calma," urlò Sebastian cercando di avvicinarsi a lei. "Siamo soli adesso, calmati, è andata via," continuò poi prima di abbassarsi di nuovo evitando un posacenere.
"Ma tu chi sei? E cosa ci fai in casa mia? Hai fatto del male al mio bambino, bastardo!" urlò Marie in risposta, tremando e piangendo. Era evidentemente sotto shock e anche se Sebastian era preparato, non avrebbe mai pensato che la situazione sarebbe potuta peggiorare così velocemente.
"Mamma, sono io, Sebastian," rispose lui cercando di trattenere le lacrime. Giusto il giorno prima pensava che le cose potessero solo migliorare, e invece...
Marie continuava a gridare, piangere e lanciare oggetti, e Sebastian cercò di non farsi prendere dal panico. Si avvicinò a lei e fece per abbracciarla, ma questa lo allontanò in maniera brusca e lo fece cadere di schiena su un piatto già rotto sul pavimento.
Sebastian non sapeva cosa faceva più male, se il dolore fisico dovuto alla caduta e all'essersi tagliato con i cocci o se il dolore morale dell'essere stato dimenticato da sua madre. Certo, lei si sarebbe ricordata di lui dopo cinque minuti, ma faceva comunque male.
"Lasciami stare, lasciami stare," mormorava lei piangendo, appoggiandosi al muro e scivolando piano fino a sedersi per terra. "Lasciami stare, voglio mio figlio," mormorava.

"Stiamo bene, sul serio", rispose Sebastian. C'era una sola cosa che avrebbe fatto più male dell'essere stato dimenticato da sua madre: dire a Georg quello che era successo e non avere più la possibilità di rivederla.









Note autrici:

Ciao, sono Antonia e vi autorizzo a picchiare Lisa per Kurt e Sam.
Per il resto niente, speriamo che anche questo capitolo vi piaccia. Ringraziamo le oh mamma mia sedici persone che hanno inserito la storia tra le seguite e le cinque che l'hanno inserita tra i preferiti. In più, un grazie enorme a chi ha recensito e a chi su ask ci sta riempiendo di complimenti e domande sulla storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo :3

Uh e, in caso vogliate domandarci qualcosa:
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Capitolo 3
*** 12 settembre ***


Caro Sebastian,
come stai? Spero bene. Sai, non vedo l’ora di arrivare a Parigi – è la città dei miei sogni.
Un po’ per tutto. I negozi, i luoghi da visitare, i monumenti.
Certo, Lima messa a confronto non è granché – anzi, è come un piccolo moscerino in confronto a Parigi – ma spero che gradirai comunque.

Ricordo che, quando mia madre tornò da Parigi (avevo all’incirca tre, massimo quattro anni), mi raccontò tutto per filo e per segno, ed io ero lì, ad ascoltarla sognante. Ero stregato dalle sue parole, la descriveva come una città affascinante, ricca di storia e di tante cose da scoprire.
Diceva che i francesi sono persone che ti accolgono bene, se hai bisogno di aiuto loro ci sono, e, se non capisci qualcosa, ti danno una mano senza pensarci due volte. Affermò anche che i musei d’arte erano uno spettacolo unico. I dipinti, le statue, le sculture, erano cose che si dovevano vedere almeno una volta nella vita.
Quel giorno mi misi in testa che, prima o poi, sarei dovuto andare a Parigi. E, finalmente, il mio sogno sta per realizzarsi.
Ancora non ci credo.
Comunque, ci tengo davvero a ringraziarti per ciò che farai per me – ospitarmi, farmi visitare Parigi, darmi un letto in cui dormire, ecc. Spero di non creare disturbi di alcun tipo e, nel caso facessi qualcosa di sbagliato, tu devi dirmelo immediatamente. Ok?

Ora ti racconto un po’ di me:
Sono un ragazzo socievole, mi piace conoscere nuove persone, farci amicizia.
Sono molto curioso, infatti da piccolo non facevo altro che domande su ogni genere di argomento. Parlo molto, forse troppo, ed è uno dei miei difetti più grandi.
Sono esuberante, mi emoziono per un semplice gesto, un paio di parole carine, insomma, per delle piccolezze. So che può sembrare sciocco, ma sono fatto così.
Mi piace ascoltare la gente, aiutarli con i loro problemi, è una cosa che mi fa sentire davvero bene.
Non ho pregiudizi, prima di dire qualcosa su di una persona preferisco conoscerla appieno. “Non giudico un libro dalla copertina”, in sintesi.
Non apprezzo chi utilizza una maschera per nascondere il vero sé stesso, prendendosi gioco delle paure degli altri, quando lui (o lei) è il/la primo/a che ha paura di rivelare il proprio io.
Sono un tipo determinato, non mi arrendo davanti alle difficoltà della vita, non lo farò mai, perché sono del parere che se si vuole davvero una cosa, la si ottiene, in un modo o in un altro.
Impazzisco per la moda, mentre lo sport non mi piace granché – sono anche abbastanza negato.
Amo cantare, infatti sono un membro del Glee Club della mia scuola.
E da te? C’è un Glee Club?
Convivo con mio padre, il mio fratellastro Finn, sua madre (che ora è diventata anche mia madre) e un nostro amico, Sam. E’ una storia parecchio lunga, magari un giorno te la racconterò.
E’ anche una situazione abbastanza strana, ma funziona, quindi per ora sto bene così.
Ah, vado matto per i musical sin da quando ero bambino! Io e la mia migliore amica abbiamo già trovato una scuola a cui iscriverci dopo il liceo: NYADA, New York Academy of the Dramatic Arts. La conosci? Si trova a New York, dicono sia una delle migliori, ma anche una delle più toste scuole di arti sceniche. Pensa, accettano all’incirca 20 persone per anno.
Ma, costi quel che costi, io diventerò uno studente di quella scuola.

Poi… Uhm. Non so parlare molto bene il francese, anzi, so dire solamente “Bonjour”, “Bonsoir” e… basta.
Credo che dovrai insegnarmi tu qualcosina – anche perché non credo di poter girare per Parigi senza sapere cosa mi dicono, dove mi trovo, ecc –, sempre se ti va, ovviamente. Imparo in fretta, quindi non sarà un problema, spero.
Magari mentre siamo in giro mi insegni anche delle semplici frasi, mh? Sarà divertente. Beh, forse lo sarà un po’ meno quando farò figuracce davanti ai francesi
Magari loro mi chiederanno “Come ti chiami?” ed io risponderò “Vengo da Lima”, causando risate generali – compresa la tua. Nonostante io speri che non accada una cosa simile, sono sicuro al 101% che succederà. Perché è così, se non faccio almeno una figuraccia al giorno ogni giorno, non sono contento.

E nulla, questo è tutto.
Mi racconti un po’ di te? Sono parecchio curioso di sapere come sei fatto caratterialmente.
E, di nuovo, sono emozionatissimo all'idea di venire a Parigi. Quando mi troverò lì, credo che dovrai reggermi, dato che probabilmente sarò sul punto di svenire davanti a cotanta bellezza.

Scrivimi presto, baci
Kurt




Note delle autrici:

Okay, stavolta è solo Lisa che scrive. Sì, lo so, è cortissima, ma è solo la prima lettera, so don't kill me, please.
Spero vi sia piaciuta e, anche da parte di Anto, grazie mille a chiunque abbia messo fra preferiti/seguite/ricordate. Davvero, grazie.
Ad Anto: ciao, so che mi odi, ciao. ♥

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Capitolo 4
*** 14 settembre ***


lettera 1 Oh, ciao Kurt.

Beh, io non sono molto il tipo di ragazzo da lettera, quindi romperò subito il ghiaccio con un "ciao", sperando che la cosa non ti crei problemi.
Ad ogni modo io sto bene, un leggero mal di testa perché... E' possibile che la tua carta da lettera profumi di colonia per uomo? Io non ne porto, e anche mia madre ha notato questo particolare.

Non che per me sia un problema l'avere la camera completamente impregnata di questo odore, eh, non fraintendere. Probabilmente ti sei accorto che ti sto scrivendo in inglese e non in francese*, ma ho pensato di rimandare le lezioni a quando sarai qui, quindi scriverò in una lingua comprensibile per entrambi. Come hai detto tu, i francesi sono molto aperti e disponibili verso i turisti, quindi nessuno riderò di te quando darai una risposta per un'altra.

Ciò non vuol dire che non ti insegnerò le cose, anzi. Sarà un piacere sentire un americano cercare di parlare il francese - divertente se non impossibile, visti gli accenti duri che avete voi, completamente diversi da quelli morbidi che abbiamo noi. Dovrai fare parecchia pratica, ma ciò non vuol dire che non ci riuscirai. Se sei determinato come dici, tempo una settimana e parlerai un francese perfetto - non quanto il mio, ovvio, ma saprai rispondere in maniera corretta se qualcuno ti dovesse mai chiedere il tuo nome.

Sembri molto entusiasmato all'idea di stare qui da me a Parigi, Kurt, e la cosa mi riempie di gioia. Ho avuto paura di aver beccato l'unico della classe con l'odio verso Parigi per motivi sconosciuti, e saperti così felice per il tuo soggiorno qui mi rende tutto più facile.

Ovviamente per me Parigi non è entusiasmante, ci vivo da così tanto tempo da essermene quasi stancato. Sì, lo so che forse per te è una frase senza senso, perché tu non ti stancheresti mai di vivere qui... Ma quando ci hai vissuto per diciassette anni, di entusiasmante Parigi ha ben poco.
In più, sebbene questo non credo sia un discorso da fare in una lettera di presentazione, io a Parigi ho solo brutti ricordi. Ovviamente non te ne parlerò ora perché sono argomenti delicati, e perché non voglio spezzare subito il tuo entusiasmo verso il tuo soggiorno qui.

Concordo sui musei d'arte e tutto il patrimonio artistico che Parigi ha da offrire. Probabilmente sono ancora qui anche per questo motivo, perché sono troppo abituato ad essere circondato da tutta quest'arte per pensare anche solo di andare a vivere in altri paesi.

Non so quanto tu sappia di me (o meglio, cosa i tuoi insegnanti ti abbiano detto di me), ma io sono uno studente di architettura alla Ecole Nationale Supérieure d'Architecture** di Belleville, poco lontano dal centro storico di Parigi. Quindi, per quanto mi riguarda, spero tu abbia voglia di camminare e di girare per musei, perché probabilmente ti porterò da mostra a mostra - e mi scuso in anticipo se, di fronte a qualche opera, resterò per qualche istante fermo a non fare altro che fissare la tela.

Per me l'arte è qualcosa di fondamentale nella vita, e spero di poterti trasmettere un po' di questa passione durante il tuo soggiorno. Avere una passione come quella dell'arte - in qualsiasi forma - è qualcosa di... Emozionante. Quando sei un artista riesci a scappare dal mondo reale con il solo ausilio del tuo strumento - un pennello con una tela bianca, uno strumento musicale e qualsiasi altra cosa ti permetta di crearti il tuo piccolo spazio per quando vuoi stare da solo a pensare.

Ospitarti qui sarà un onore per me, Kurt, quindi non ringraziarmi.

Avere ospiti di altri stati qui è sempre un piacere, soprattutto quando si tratta di persone socievoli come te. L'anno scorso ci sono capitati gli studenti di una scuola privata italiana, non ti dico! Dodici altezzosi con la puzza sotto al naso che non mangiavano nulla che non avesse all'interno almeno tre tipi di olio o condimenti diversi, assolutamente disgustoso. O forse sono io che trovo il tutto davvero disgustoso, abituato a mangiare i sapori poco speziati di Parigi da circa tutta la vita?

Suppongo che adesso sia il mio turno di raccontare qualcosa di me, giusto?

Io, a contrario tuo, non sono molto portato a fare amicizia con gli altri. Non so da cosa dipenda questo mio essere chiuso caratterialmente, ma non sono esattamente il tipo di persona che viene etichettata come "amichevole" o "socievole".

Diciamo che spesso resto sulle mie per le mie passioni fuori dal comune - o, almeno, fuori dal comune per i ragazzi della mia scuola. Già, ragazzi, perché nella mia classe abbiamo solo tre ragazze su venti. L'architettura a Parigi è una cosa prettamente maschile, una ragazza è esclusa a priori proprio per questo.

A dire il vero non so neanche il perché di questa "legge". So soltanto che in poche si presentano alle selezioni per i primi anni e, se si presentano, sono dei geni pieni di ego (perché se sei una ragazza ed entri in accademia di architettura a Parigi è per quello, perché sei un piccolo genio altezzoso).

 Se tu ti emozioni con i piccoli gesti, allora prevedo di vederti emozionato spesso. Io sono una persona molto chiusa, questo è vero, ma non con persone come te - anzi, persone come te mi piace stupirle proprio con le piccole cose che Parigi ha da offrire. Un cioccolatino, un fiore o semplicemente una passeggiata serale ai piedi della Tour Eiffel. Insomma, per quanto riguarda le emozioni... Non tornerai a casa a mani vuote.

Abbiamo due caratteri completamente diversi, Kurt. Ammetto di aver riso un po' quando ho letto la tua lettera, perché davvero non potevano mettere insieme due persone più diverse.

Io, a contrario tuo, sono un tipo molto sportivo - e impegnato, soprattutto. Vado a scuola, lavoro in libreria e la sera lavoro come barista. Quel poco che mi rimane lo passo a dormire oppure ad allenarmi. "Quel poco che mi rimane", poi, come se la libreria sia un posto di lavoro degno di essere considerato tale, visto che passo il tempo a leggere.

Io amo leggere, e ti dico sin da ora che quando trovo un bel libro riesco ad isolarmi per ore pur di continuarlo. Non mi piace lasciare le cose a metà, né nella vita né quando si tratta di leggere un buon libro.

Da me non c'è nessun Glee Club e, a dirla tutta, non sono neanche sicuro di sapere che cosa sia. Immagino me lo spiegherai nella prossima lettera o, in alternativa, me ne darai dimostrazione quando ci vedremo. Non so voi, ma noi abbiamo già i calendari con le date del vostro arrivo e della vostra partenza (parlo al prurale perché so che sono tre studenti della tua scuola a venire a Parigi, ma non sono tutti e tre del tuo stesso anno).

Però so cantare. E suonare.
Sì, insomma, non a chissà quali livelli, ma me la cavo abbastanza bene da far passare una serata diversa a mia madre in compagnia della mia chitarra.

Oh, mia madre. Si chiama Marie, ha quarantasei anni e viviamo da soli in una piccola casa vecchio stile, purtroppo molto distante dal centro di Parigi - non che questo sia un problema per quando sarai qui, ho già previsto tutto. Ci sposteremo in auto o, se non ti fidi di stare in auto con un perfetto sconosciuto, possiamo usufruire dei mezzi di trasporto.
Un po' lenti, certo, ma sono mezzi turistici che ti danno il tempo necessario di assaporare ogni cosa di Parigi. Oh, sentimi, parlo quasi come se d'un tratto amassi la mia città natale.

La NYADA mi sembra tosta, da come ne parli. Per quanto possa contare il parere di un parigino appena conosciuto, sono sicuro che riuscirai ad entrarci. Sembri un ragazzo determinato, anzi, tu stessi hai detto di esserlo, quindi sono sicuro che ci riuscirai.

Non credo ci sia altro da dire e, nel caso mi sia dimenticato qualcosa, sarò ben lieto di risponderti nella prossima lettera.

Se vuoi posso anche mandarti qualche fotografia di Parigi, la prossima volta. Ne ho davvero tante, alcune addirittura in triplice copia, quindi per me non è assolutamente un problema inviarti qualcosa. Così ti fai già un'idea di dove ti porterò e toglierti qualche curiosità.

Per il momento allego a questa lettera un abbraccio, sperando di sentirti presto.
Un bacio.

Sebastian









Note delle autrici:

Ciao, sono Antonia e ci ho messo meno di una giornata a scrivere questa lettera (questo per giustificare l'aggiornamento iper-veloce). Sono troppo contenta che questi due finalmente abbiano scambiato due chiacchiere, o che almeno sappiano l'uno della presenza dell'altro!
Niente, allora, giusto due piccoli appunti miei per quanto riguarda gli asterischi che ho inserito all'interno della storia.
* Kurt, nella lettera precedente, ha scritto di non saper parlare il francese. Di certo non potevo far rispondere Sebastian in francese, sarebbe stato davvero poco realistico! Ho optato per un Sebastian poliglotta, che è sicuramente più possibile (si dice?) di un Kurt che legge una lettera totalmente in francese con il dizionario aperto.
** il nome dell'accademia l'ho lasciato in francese, sarebbe stato uno stupro al nome originale dell'accademia se l'avessi tradotto in italiano!
Credo di aver detto tutto e, in caso mi fossi scordata qualcosa, chiedete e vi sarà... Detto!

Piccolo appunto da parte sia mia che di Lisa: le lettere tra Seb e Kurt sono un po' anche lettere che ci scambiamo io e lei, dal momento che non leggiamo le rispettive lettere finché non sono online.

Grazie a tutti quelli che hanno inserito la storia tra preferiti/seguite e l'hanno recensita. Grazie anche a chi ci scrive spessissimo su ask per farci domande/complimenti sulla storia. Fateci sapere come procede


A Lisa: ciao 



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