Das Parfum (Flavours)

di Hipatya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Miseria e Compagnia [Tsunade] ***
Capitolo 2: *** La Legge della Variazione [Hyuuga Hanabi, Neji e Hinata] ***
Capitolo 3: *** Crossroads Blues -It's not for nothing he has chosen to shed tears!- [Naruto] ***
Capitolo 4: *** Solipsism in Winter [NaruHina] ***
Capitolo 5: *** The Strong and The Ephemeral [NejiHina] ***
Capitolo 6: *** Touched by a thousand invasions and still forever an island. [Karin] ***
Capitolo 7: *** Oh! Oh! Malediction [SasoKure] ***
Capitolo 8: *** Scenes from the Narcissist Café [ShikaIno] ***
Capitolo 9: *** Darling, we'll be an army of two [PeinKonan] ***
Capitolo 10: *** Let x be the value of He who lies beside me [SasuSaku] ***
Capitolo 11: *** To cut a bouquet of matter and antimatter roses [ShikaIno] ***
Capitolo 12: *** New Splendour to the Dead [Deidara] ***
Capitolo 13: *** Within and without with White [NejiHina] ***
Capitolo 14: *** Stillicidio [ShikaIno] ***
Capitolo 15: *** Potentiality knocks on the door of my heart [NaruHina] ***
Capitolo 16: *** Shogatsu (can't take my eyes off of you!) [KibaHanabi] ***
Capitolo 17: *** Speechless with the memory of a drowned moon [Hayate/Yuugao] ***
Capitolo 18: *** An ancient game of virgin sacrifice [NaruHina] ***
Capitolo 19: *** Crazy Love - bitterness doesn't stand a chance with those two. [MinatoKushina] ***
Capitolo 20: *** Dancing in the moonlight [MinatoKushina] ***
Capitolo 21: *** Less remain in one place [Temari] ***



Capitolo 1
*** Miseria e Compagnia [Tsunade] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto; i versi sono parte dei "Sepolcri" di Ugo Foscolo, l'anima immortale che li scrisse molto tempo fa.







"E tu, onor di pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finchè il sole
risplenderà su le sciagure umane."

["Dei Sepolcri", Ugo Foscolo]




Miseria e Compagnia
(...Alla fine, cos'è rimasto?)







Un nome, una lastra di calcare rossastro, di quello che si estrae dalla montagna su cui vegliano i volti degli Hokage, un bastoncino d'incenso che regala al vento il suo filo di fumo alla lavanda, una lampada sempre accesa, come i suoi ricordi.
La tomba è nella sua testa, nascosta sotto scatole di libri, bottiglie di sakè che non berrà, vestiti vecchi, fotografie impolverate, centinaia di fascicoli ammuffiti che parlano degli affarucci burocratici del villaggio.
E' lì, in un angolo di vuoto celato dalla massa polverosa di cianfrusaglie dimenticate un po' dovunque nella sua anima.
Quella tomba però non è la sua.
Tsunade corruga la fronte chiara, strizza gli occhi sulla cartella vergata fitto fitto che sta squadernata poco più in là del suo viso. La penna disegna nell'aria un arzigogolo appuntito che non diverrà mai una parola, perchè, quel giorno, i ricordi hanno deciso che è arrivata l'ora di mettere un po' d'ordine in quella stiva buia e ingombra di casse che è la sua memoria.
Proprio quel giorno. Proprio quel momento.
Forse se fosse una ragazzina come Sakura piangerebbe, ma Tsunade è una solida quercia che ha passanto i cinquant'anni e si è promessa di non piangere mai più dopo la morte di Dan -perchè sia per sempre lui l'unico custode delle mie lacrime.
Lo stesso sole dorato che brilla nel suo studio illumina anche il nome inciso sulla lapide disegnando un'ombra liquida fra le lettere, come se un bambino si fosse divertito a pasticciare con le dita su un rotolo d'inchiostro fresco.


(Chi ha detto che il tempo guarisce ogni ferita?
...Un coglione di sicuro. O un ubriaco.)



Un solo battito di ciglia e sono di nuovo lì, tutti e tre nel suo studio, uno reclinato mollemente sulla poltroncina verde, un altro semisepolto nella penombra dei manuali d'anatomia, un altro ancora in piedi, ago della bilancia fra i due allievi.
Tutti e tre lì di fronte a lei. Come nei giorni migliori.

...
Che dire?

Sono morti tutti e tre, il primo tre anni fa e l'ultimo tre giorni fa.
Il secondo era morto già da tempo.

(...Cos'è rimasto?
Alla fine, cos'è rimasto?)


Uno ucciso da un ragazzino -se con "ragazzino" si può ancora definire Uchiha Sasuke.
L'altro ucciso dall'Akatsuki.
L'ultimo ucciso dal suo allievo.

(...Cos'è rimasto di noi?)

Solo una sobria tomba, del colore della polvere rossiccia, lambita da un sole primaverile. Una tomba che presto non sarà più solo un angolo remoto nell'anima di Tsunade, ma un letto di erba e di stelle vicino alla sorgente dove l'ultimo dei tre è morto tre giorni fa.

(Soltanto io...
Sono rimasta soltanto io.)



Sì, se fosse una ragazzina piangerebbe. E soffrirebbe in santa pace, arrabbiata, furiosa, devastata e stordita da una vita che persisteva a toglierle tutto ciò che amava senza mai sfiorare lei, ma non è più una ragazzina da tanto tempo, fin troppo ormai.
"Tsunade-hime?"
Il capino bruno di Shizune si sporge appena dalla porta socchiusa, le labbra strette dall'apprensione.
"Uzumaki Naruto è arrivato."
Il Quinto Hokage di Konoha alza gli occhi dai fogli senza vederli veramente:"Fallo passare. Non sarà facile dirgli quello che devo dire."
"Lei è forte, Tsunade-hime."
Shizune sorride, l'inquietudine travestita da certezza. Scompare; una manciata di istanti e Naruto varcherà quella porta -e allora Tsunade si aggrapperà con tutta se stessa a quella ridicola certezza, "tu sei forte", e vorrà credere davvero di essere così forte da non piangere mai.
Il suo studio è sempre lo stesso: assolato, disordinato, ingombro di pratiche ancora da terminare e, eccetto per lei, vuoto.

(Di noi quattro, sono rimasta soltanto io.)

La lacrima viene assorbita dalla trama porosa del foglio di pergamena che sta fingendo di esaminare.
La maniglia d'ottone gira per quelli che alla donna paiono secoli; gli occhi di Tsunade sono diventati di vetro.
Tsunade-hime guarda i volti dei suoi compagni di squadra che porta da qualche parte dentro di sé, in mezzo al mucchio di ricordi buttati alla rinfusa dove capita, e sa che, adesso che è rimasta soltanto lei, non dovrà aspettare ancora altri cinquant'anni per rivederli.

Presto, molto presto.





Fin









Nota dell'Autrice
Ovviamente non ne sono soddisfatta. Ovviamente penso d'aver scritto una ciofeca. Ovviamente mi suona di già visto, già letto, già sentito, troppo patetico.
Comunque, m'interessava scrivere qualcosa su Tsunade-Baa-Chan, questo perchè l'adoro, la stimo e penso sia una delle donne migliori di tutta la saga. Tremendamente forte, Tsunade, fà quasi spavento.
Volevo scrivere un momento in cui appare appena visibile la stanchezza e il "cedimento" di Tsunade, che si chiede in silenzio cos'è rimasto del suo Team, cos'è rimasto di quelle persone che, credo, l'hanno resa ciò che è. Non ho scritto da nessuna parte le sue vere riflessioni sull'amarezza e sull'assurdità delle loro vite (e delle loro morti), vorrei che s'intravedessero appena sotto il velo di incrollabile volontà che la anima. Non so se ci sono riuscita, honestly^^'.
La tomba cui si accenna è quella di Jiraya (You'll be forever in our heart ç_ç), come mi sembra inutile specificare. La strofa dei "Sepolcri" di Foscolo scritta lassù è tutta per lui, dalla prima all'ultima sillaba.
Il titolo, "Miseria e Compagnia", riprende e modifica il tema originale, che era misery with tenderness: "Miseria e Compagnia" è anche un capitolo di L'Ombra del vento di Ruiz Zafòn, dunque la tentazione era troppo forte^^''.

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Capitolo 2
*** La Legge della Variazione [Hyuuga Hanabi, Neji e Hinata] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto; l'uso che ne ho fatto, ahimè, appartiene assolutamente a me.






La Legge della Variazione








Gli occhi incollati al vetro della finestra, la bambina segue febbrilmente i movimenti delle due figure che combattono fuori, nel cortile spazzato dalla pioggia.
A volte scarta col capo, imita in perfetto silenzio le mosse rapidissime dei duellanti, le cui braccia scattano così veloci da far rimbalzare le gocce di pioggia verso le nuvole scure che hanno appena abbandonato.
Difesa.
Ecco, sì, evitala. Abbassati.
Prepara il corpo, forma i jutsu, arretra di un passo.
Para l'ultimo colpo, non è difficile.
Pronto.
E ora...
(E' in trappola). ...Ora colpiscila.
Colpiscila ancora. Un'altra volta, più forte. Non se lo aspetta, adesso è lei che arretra.
Colpiscila. Non si è accorta di niente, né della trappola nè del Byakugan.
E' solo debole.
Colpiscila.
Sarebbe una Chunin, quella?
Ecco, adesso è disperata. Non ragiona più, pensa solo a colpire alla cieca. Poi è fiacca, la rabbia non impedisce certo ai suoi patetici pugni di non andare a segno nemmeno una volta.
La pioggia la schiaffeggia. Sembra cedere per questo, non per i colpi dell'avversario. Per delle stupide, incolori gocce di pioggia.



...Hakkeshō Kaiten!


Fine del combattimento.
E' una tecnica di difesa, eppure l'avversaria è a terra. Stanchezza, forse. Molto più probabilmente è troppo debole per allenarsi con Neji-niisan.

Come volevasi dimostrare.



Hyuuga Hanabi è la prima a gettarsi fuori dal portico, i sandali che risuonano sull'acciottolato bagnato e un sobrio ombrello grigio che la ripara dall'acqua.
Che poi Hyuuga Hanabi non corre, non si scapicolla nell'acquitrino del cortile, non schizza rivoli fangosi ovunque. Il suo cuore corre, lei però cammina composta, un passo dopo l'altro. Sopra la testa c'è un ombrello grigio, non un libro, ma non fa differenza per il suo portamento inappuntabile.
Hanabi incede senza essere sgraziata o goffa e tutti dimenticano che lei ha dieci anni.
(...Come sempre).
"Neji-niisan, complimenti" china il capo con deferenza, la mano dritta lungo il fianco, i capelli che non sfuggono all'acconciatura. Il suo viso fiorisce nel sorriso che delizia tanto i suoi genitori, un sorriso che il Jonin di fronte a lei non guarda neppure.
"Non è niente di speciale, Hanabi-dono."
La sua voce è distante come le nuvole color carbone, ma il sorriso della bambina non smette di brillare.
"Lei è modesto" mormora piano. Perde il vezzo che avrebbe dovuto infondere alle sue parole non appena il Jonin di sedici anni le lancia un'occhiata liquida e distratta quanto la pioggia.
"Obiettivo, non modesto" replica lui.
Neji-niisan ha i capelli stillanti d'acqua appiccicati al viso, sulla sua fronte si fanno strada gocce troppo timorose per avvicinarsi ai suoi occhi -occhi troppo freddi per non spaventare.
"Hinata non ha previsto le sue mosse."
Hanabi inclina il capo, mentre il temporale si rovescia fragoroso sull'ombrello di stoffa che divide con Neji-niisan.
"Hinata sta migliorando."
Hyuuga Hanabi avverte un filo d'irritazione infantile inasprirle lo sguardo, vorrebbe potersi crogiolare nel battito impazzito del suo cuore schizzato in gola e scostare la ciocca nera che disegna un curioso ricciolo sulla tempia di suo cugino, ma sa bene di non poterlo fare. Questo perchè, ancora una volta, quegli occhi traslucidi come specchi d'acqua non l'hanno guardata neppure per un istante, fissi nel mondo dietro di lei -mondo in cui la pioggia sferza la tuta da ninja e tortura i piedi stretti nei sandali. Un mondo senza occhi così belli.
"Neji-niisan, ti ho portato gli asciugamani."
Hinata, il viso ancora sporco di fango, li ha appena raggiunti. Forza un sorriso debole quanto la luna quando scorge Hanabi, un sorriso che non muore neppure quando è evidente che sua sorella non ha intenzione di farle posto sotto l'ombrello.
E Hinata continua a sorridere nonostante le righe d'acqua così simili a lacrime sulle gote, continua a sorridere nonostante i muscoli doloranti, continua a sorridere nonostante la pioggia che le si infila nei vestiti già fradici.
Semplicemente Hinata sorride.
E Hanabi non può far altro che gettarle addosso tutto il suo rancore.
Il viso di Neji-niisan si tuffa in un panno di lino -e non è stata lei a pensarci.
Qualcuno dà del tu a Neji-niisan -e non è lei.
Qualcuno si allena tutti i giorni con Neji-niisan -e non è lei.
Qualcuno è orribilmente debole -e non è lei.
"Ciao, Hanabi."
"Ciao, Hinata."
La pioggia disegna schizzi grotteschi sul volto infreddolito di sua sorella, sua sorella serena anche dopo una sconfitta, sua sorella con una pila di asciugamani caldi e il vestito imbrattato di fango, sua sorella che sorride anche se è debole.
Io sono forte, io dovrei sorridere e allenarmi con Neji-niisan.
Io, non lei.
"Davvero banale come hai contrattaccato a quel Byakugan."
La voce sottile di Hanabi non si sforza di suonare meno astiosa, meno dura e più infantile.
Qualcosa s'incrina nel viso di Hinata.
"Tu... tu t-trovi?"
"Sì." Non ha neppure finito di rispondere che Hanabi le getta in faccia un assenso affilato come una pietra. Dei, quanto è patetica quando balbetta! Quanto è infantile, irrisolta, tormentata, debole, lamentosa! (Tutto quello che Hanabi non è).
"Io e molti miei compagni dell'Accademia avremmo reagito diversamente, con una Rotazione Suprema e un colpo diretto al nodo principale dei canali di chakra presente nella cassa toracica" rincara la dose, il nasino appena arricciato, il tono neutro e severo della Giustizia.
Hinata stringe le labbra (lei sembra la bambina, qui), la sua fronte diventa un campo di piccole rughe mortificate, le sue dita cominciano nervosamente a torturarsi l'un l'altra.
Patetica sempre di più.
"Ammirevole, Hanabi-dono."
(Non riesce a credere che lui lo abbia detto davvero...)
Il volto di Neji-niisan riemerge dall'asciugamano, che ora giace accuratamente piegato di traverso sul suo braccio. C'è ancora l'ombra della pioggia su quei lineamenti di neve, affilati come il vento (Hanabi ha sempre pensato che assomigliasse in modo incredibile al nobile e gelido Der Erlkönig delle sue fiabe, abbacinante in quell'aura indistinta che lei chiamava l'ombra d'oro).
"Ma hai dimenticato che, col Byakugan attivo, avrei individuato in un secondo il punto di dispersione del tuo chakra amplificato dalla Rotazione e, al tuo successivo movimento, la mossa sarebbe stata mia."
Hanabi rimane impassibile, piccola statua di sale. Solo, le unghie della mano sinistra affondano senza pietà nel palmo, le dita si stringono in un ridicolo pugno livido di pioggia. Ma è un riflesso condizionato, non è colpa sua.
Solo i deboli piangono. Lei è forte, più forte di sua sorella maggiore di cinque anni, più forte di ogni altro compagno d'Accademia, forte quasi come il suo Papà, dunque lei non piange.
Rimane impassibile quando Neji-niisan si allontana verso i portici sotto una coltre di spilli d'acqua che sembra non voler avere fine.
Rimane impassibile quando quell'Erlkönig forte come una lama di ghiaccio sta lasciando il cortile, inghiottito dai corridoi della villa, portandosi via la sua ombra d'oro -stupida lei, che voleva solo avvicinarsi e osservarla brillare.
I suoi passi nelle pozze d'acqua piovana suonano scroscianti, fastidiosi. C'è la sua condanna in quello sciaquio prepotente.
Rimane impassibile anche quando incrocia lo sguardo quasi doloroso negli occhi di Hinata.
Le sue guance s'infiammano e le nocche che stringono l'ombrello grigio diventano di ferro.
"Hanabi, i-io... v-vedrai che N-Neji-niisan... lui-"
Hanabi non l'ascolta. Vede solo il soffio addolorato -sinceramente addolorato, con tutta la più pura scintillante nauseante sincerità di questo mondo!- che increspa gli occhi di Hinata.
...Ti disprezzo. Ti reputo una fallita, una debole, una nullità. Ti odio come tutti gli altri. Ti detesto. Ti insulto.
E tu non sei capace di dirmi neppure una parola cattiva?
Hanabi getta il suo sobrio ombrello grigio in una pozzanghera, solleva spruzzi nerastri che ricadono pesanti sui vestiti imbrattati di sua sorella -che non riesce nemmeno a dirle che lui è innamorato della sua compagna di squadra, come se lei non lo sapesse già, patetica querula sentimentale puerile buonista sorella.
Gli occhi di Hanabi feriscono, forse una lama di kunai farebbe meno male, ma a lei non interessa:"Quell'emarginato di un Uzumaki ama un'altra, non ti guarderà mai" sibila lapidaria.
...Così semplice, ferire.
Non vedi, Hinata?

Non c'è alcun bisogno di guardarsi negli occhi, entrambe sanno qual è la verità.
Allora Hanabi, un passo dopo l'altro, volta imperturbabile le spalle a sua sorella. Correre non serve, è sufficiente mettere un piede dopo l'altro e non badare alle gocce d'acqua gelida che scivolano serpeggiando lungo la spina dorsale. Hinata, per quanto le riguarda, può anche sciogliersi di lacrime sotto la pioggia. Non le interessa affatto.
La massa nero pece della casa incombe su di lei, ma Hanabi non accenna ad affrettare il passo, nonostante i capelli zuppi stiano cominciando a pesarle sulle spalle e la tuta stia diventando un'inutile zavorra bagnata.
Non c'è alcun bisogno di correre.
Solo i ladri e i bambini corrono.
E decisamente lei non è né l'uno nè l'altro.




Fin







Glossario
Dono: signorina.
Hakkeshō Kaiten: Rotazione Suprema.
Der Erlkönig: Il misterioso Re degli Elfi delle fiabe nordiche, soggetto anche di un celebre poema di Goethe.



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Capitolo 3
*** Crossroads Blues -It's not for nothing he has chosen to shed tears!- [Naruto] ***


E, sì, la cosa che state per leggere è un omaggio, un attestato di stima per _ayachan_, alias Susanna (w le pagine personali di EFP

 

E, sì, la cosa che state per leggere è un omaggio, un attestato di stima per _ayachan_, alias Susanna (w le pagine personali di EFP!), dato che oggi compie vent'anni.
Ho voluto scriverti qualcosa perchè, ecco, le tue storie mi emozionano davvero, come poche riescono a fare. Mi hanno fatto ridere, sorridere, un paio di volte anche piangere, soprattutto divertirmi, che è quello che ogni storia che voglia definirsi tale dovrebbe fare. Mi hanno dato qualcosa a livello di sensazioni, emozioni e tutta quella parte suscettibile e "animale" di ogni individuo.
Non so, sono piuttosto impacciata  nello scrivere una dedica di questo tipo, forse perchè non c'è poi più molto da dire: spero solo di restituirti qualcosa del grande dono che, da vera scrittrice, tu hai saputo darmi coi tuoi racconti (non le chiamo fanfictions, è una definizione troppo riduttiva).



Grazie dell'attenzione,
Eleonora

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                        It's not for nothing
                                                                       he has chosen to shed tears!

 

 



Crossroads Blues

 

 

 

Come ci si sente?
No, dimmi, come ci si sente
a essere solo
senza nessuna direzione
come un perfetto sconosciuto
come una pietra che rotola?

 

 

 

Stai piangendo, ragazzino.
Ti hanno detto di non farlo, di non farlo mai se vorrai essere un ninja, eppure questo non basta per fermarti.
Piangi nascosto dietro la porta che hai appena tempestato di pugni, cieco e furioso, piangi nel silenzio di quella stanza che sei abituato a chiamare casa. Pensi che nessuno possa vederti, ragazzino, pensi che a nessuno importi dei piccoli, patetici singulti con cui tenti di liberarti del grosso boccone amaro di rabbia che proprio non ne vuole sapere di andarsene dalla tua gola, e forse hai ragione.
Oh, come detesti la cordata di silenzio che ti opprime, come impazzisci nel vuoto dell'assenza, quando non c'è nessuno a distrarti da te stesso, quando tutto, tutto quanto è una prigione e non ti offre via d'uscita e tu scuoti scuoti scuoti le sbarre e non riesci ad uscire...

 

Non hai scelto tu di vivere. Non hai scelto tu di essere odiato, preso in giro, evitato, lasciato solo. Tu non hai fatto proprio niente, gli hai solo ricordato che, beh, esistevi, ed era stupido fingere che non fosse così.
Gli hai ricordato che tu eri il salto che non osavano compiere, la parola di troppo, il vestito sbagliato: tutte cose che loro non avevano avuto il coraggio di essere, per questo avevano preso ad odiarti. Era più semplice odiare piuttosto che tremare d'invidia, era più facile dare il buon esempio una volta che tu personificavi quello negativo, che neanche nei sogni avrebbero osato emulare. Si è così sedimentato in quelle teste tutte uguali, quest'odio, che si è trasformato in niente più che una buona, sana abitudine, quasi come alzarsi presto la mattina o correre al tramonto.
Una buona, salutare abitudine che fa sentire tutti quanti più rilassati, più leggeri.

 

Tu stai lì, ragazzino, nel centro perfetto, e osservi quell'oscurità minacciosa che ti fronteggia pur senza volerti veramente attaccare.
Tu stai lì, forse sei incredulo, oppure infuriato, oppure triste, e sprechi le tue grida e i tuoi singhiozzi per una sfera di buio che non ha né orecchie nè voci, ma soltanto occhi che non ti perdono mai di vista.
Ma non demordi, non ti arrendi.
E glielo gridi ancora, a pieni polmoni, glielo sputi in faccia:"Avete fatto tutto da soli!!!"
Hanno scelto loro di odiarti, loro di etichettarti come l'irritante scemo del villaggio, loro di lasciarti solo. Loro e solo loro, ragazzino: non ti hanno mai voluto concedere il dominio sulla tua vita, non ti hanno mai permesso di diventare qualcosa di diverso da quello che avevano deciso per te.

Dunque piangi, piangi forte in questa casa che non ti piace; chiediti se qualcuno verrà a consolarti, anche se conosci già la risposta.

 

Verranno i tuoi amici?
Sono talmente sballottati dalle loro vite da non porsi neanche il problema che l'idiota allegrone potrebbe avere qualcosa che non va, che poi che nausea ascoltare la sequela di singhiozzi di un ragazzino che si impappina con le parole e non riesce a costruire una frase sensata, e poi che problemi vuoi che abbia un tipo come lui, che è sempre entusiasta di tutto quanto, una persona come quella non è certo fatta per l'infelicità, andiamo, di certo lui sta molto meglio di -

 

Verrà il tuo maestro?
Sì, verrà lui: ti abbraccerà, ti sorriderà, ti darà amichevoli pacche sulle spalle, ti rassicurerà con voce flautata e poi se ne andrà contento d'aver smaltito il suo quarto d'ora filantropico. Ti dirà che andrà tutto bene, fossero questi i problemi della vita, vedrai che si sistema tutto per il meglio, la tua età è così splendida da berne fino all'ultima goccia, ti dirà che non si può essere tristi a sedici anni, si può essere solo felici, e non ci sono motivi per -

 

Verranno i tuoi genitori?
Non sono venuti neppure quando dovevano, quando tu li aspettavi sveglio per notti intere davanti alla porta, cascando dal sonno e tremando di freddo in una vecchia coperta di lana. Non sono mai arrivati, nessuno ti ha mai svegliato con un bacio e tanti abbracci dopo un incubo, così hai smesso a poco a poco di stare sveglio ad aspettarli, accoccolato come un cane fedele davanti alla porta di casa. Piano piano ci hai creduto sempre meno, sempre meno, ma sai che la speranza morirà solo quando anche tu morirai, perchè sei un ragazzino e vorresti, oh come vorresti che si affacciassero alla porta sorridendo, anche se fossero estranei, anche con un ritardo incalcolabile di anni, tu -

 

Verrà l'Hokage allora?
L'Hokage che ti tollera appena perchè le ricordi qualcun'altro, le ricordi tutti i suoi morti, tutti i suoi errori e le occasioni sprecate, l'Hokage che ti urlerebbe di reagire, ti darebbe del vigliacco e del bamboccio, ti sbraiterebbe contro come si urla a un mulo testardo, convinta che smuovere te avrebbe significato smuovere se stessa, scambiandoti per la causa persa che ha seppellito anni fa.
Eppure ti basterebbero i rimproveri, le parole aspre, i denti stretti, a patto che qualcuno, non chiedevi tanto, solo che qualcuno, una persona qualsiasi, anche un estraneo, si rendesse conto dannazione che c'era qualcosa che non andava, non andava in lui e aveva bisogno di dirlo, di gridarlo con quanto fiato aveva in corpo e di sentirsi compreso da un viso capace di esprimere compassione, capace di aiutarlo a sostenere un peso come quello.
Voleva solo qualcuno, diavolo, qualcuno, per non stare solo, per poter giocare di nuovo al ragazzo allegro e spensierato, per convincersi che tutto stava andando benone, come no, davvero a meraviglia, benissimo, mai stato meglio nella mia vita.


Ma non c'è nessuno, Naruto.


Sei proprio solo.

Ci sei soltanto tu, i tuoi demoni, i tuoi incubi, la tua cocciutaggine e la tua solitudine.
Ti pesa, non è vero?

Non lo senti il grido del vento? Non lo senti il cuore che ti balza dal petto e vorrebbe correre via? Non senti la voglia dei muscoli di tendersi in distanze infinite ed eterne?
Non senti che la tua natura non è qui, ragazzino, non appartiene a qui, non senti che tu sei fatto della stessa sostanza indomabile e feroce del Vento e ogni cosa per te è una prigione da cui non potrai mai, mai uscire? Loro lo sanno, lo sentono: ti temono come temono ogni forza primitiva e distruttiva, come temono gli incendi, i maremoti, i tornado, le valanghe, come temono ciò che li sovrasta e che non possono sovrastare.
Loro fiutano l'eternità in te, ragazzino, e tremano di paura perchè, per quanto il tuo corpo possa deteriorarsi e tornare cenere, sanno che tu continuerai a correre col vento e trascinerai le loro anime inutili in una risata senza fine.
Lo hanno scelto loro, capisci? Loro hanno scelto di renderti il loro incubo peggiore, ragazzino, e così ti hanno condannato.

Oh, sì, l'hanno fatto, e senza rimorsi: hanno scelto la loro vita al posto della tua, non si sono voltati indietro, non hanno pensato a te, no, neanche per un istante.

 

Dunque piangi, ragazzino, perchè sai di essere solo un cumulo di contraddizioni da cui non ti potrai mai liberare, amenochè...

Eh, cosa dici?

Hai deciso di scegliere?
E per quale motivo dovresti farlo adesso?

E poi, che cosa vuoi scegliere, ragazzino, che cosa?
Vuoi scegliere tra il Vento e il Fuoco?
Avanti allora, scegli. E' solo l'ennesimo errore, tu sai che né il Fuoco nè il Vento possono esistere senza l'altro, oppure vuoi farmi credere che riprenderai davvero possesso della tua vita?
Oh... E non hai paura?
Non pensi a tutte le conseguenze del tuo gesto?
No, per te non hanno importanza.
Dici di essere sicuro. Devo crederti?
Sì, tu dici che devo crederti.
Ah no, non prendertela, ragazzino, non rido di te, rido per l'assurdità delle nostre vite.
Rido per abitudine, già, per abitudine.

Sono sempre stata allegra, non trovi?
Ma sì, ma sì, non tergiversiamo: dunque sei pronto, hai finalmente deciso. Sai bene cosa ti aspetta.
Non ti volterai indietro, ragazzino? Non avrai rimpianti o rimorsi? Non penserai di voler tornare indietro? Non cambierai idea quando sarà troppo tardi?
No, non lo farai: loro non l'hanno fatto quando hanno scelto, non si sono mai voltati indietro, non hanno avuto scrupoli né odiosi rigurgiti di coscienza. E tu vuoi essere come loro, non è vero? Vuoi essere come loro, almeno in questo caso, vuoi che loro conoscano cosa significa vivere così. Vuoi avere lo stesso brutale cinismo che in molti, moltissimi modi ti hanno dimostrato.
Ci riuscirai, certo che ci riuscirai. Se adesso farai la scelta migliore, tu ci riuscirai.
Loro ti ameranno. Sarai Fuoco e loro non potranno vivere senza di te.
E tutto questo, tutto questo svanirà e tu...
...Tu potrai sorridere davvero, non con quella vaga imitazione che sovente ti incolli sul viso.
Non sei felice al pensiero? Non sorridi già?
Ma sì, sì. Sorridi, io lo vedo.
D'accordo, d'accordo, ci stavo arrivando, ho solo divagato un po'. Non sai che è l'attesa, l'attimo in cui pregusti la gloria del trionfo, il momento migliore della vita?
No, ovviamente ancora non puoi saperlo, ci vorrà del tempo anche per questo.
E quindi cosa scegli, ragazzino?

 

 

Il Vento                                     o   il        Fuoco?

 

 

 

 

 

«...Ti sembra facile? No, dico, ti sembra facile? Credi che sia semplice vivere come me? Credi che sia semplice essere me?»

 

 

Fin

 

 

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. Sotto il titolo, la strofa citata è la mia traduzione di Like a Rolling Stone, la più bella canzone rock di tutti i tempi, che ovviamente appartiene al sommo Bob Dylan <3.

 




 

Nota finale -poi giuro che non scasso più-:
Il titolo orrendo, Crossroads Blues, vuol dire Il blues del crocicchio, questo perchè il nostro protagonista sceglie una strada anzichè un'altra. 
Per chi non l'avesse capito, stiamo parlando di Naruto e Kyuubi-chan. Naruto è il Vento, e Kyuubi è logicamente il Fuoco.
Io so cos'ha scelto Naruto tra le due cose. Secondo voi ;)?

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Capitolo 4
*** Solipsism in Winter [NaruHina] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso.

 

 

 

 

 

 

Solipsism in Winter

 

 

 

 

 

 

Mentre riprendeva fiato, si lasciò cadere piano sul prato umido di pioggia.
Dio, se aveva faticato.
Gli occhi le bruciavano, si sentiva le ossa rotte e la testa le scoppiava dal dolore, per giunta l'affanno le rompeva di continuo il respiro come chi è rimasto troppo a lungo sott'acqua.
C'era d'aspettarselo.
Del resto si era dedicata con meticolosa pazienza a distruggersi il corpo.
Gli allenamenti massacranti con Neji-niisan servivano a questo, fondamentalmente. E per fortuna non aveva iniziato a piovere.
Non che lei odiasse poi così tanto la pioggia, ecco. Preferiva senz'altro vederla cadere oltre il vetro, seduta con Hanabi davanti al caminetto nel profumo di una tazza di cioccolata bollente.
Ma stava mentendo.
A casa loro non c'era nessun caminetto, Hanabi era allergica al cioccolato ed erano settimane che non parlava davvero con sua sorella.
E poi, a essere sinceri, quando mai aveva parlato con Hanabi -senza l'astio, le frecciatine velenose, il sarcasmo e il disprezzo?
Mai.
A fatica si rimise in piedi, scrollò via le goccioline di cristallo impigliate nei capelli e nei vestiti in un vago tentativo di rassettarsi, poi i suoi occhi gelidi incontrarono un cortile deserto e un cielo grigio altrettanto gelidi.
Neji-niisan se n'era andato via già da una buona mezz'ora. A parte distruggerla, lui non faceva altro.
E comunque andava bene così. Tutto normale.
S'incamminò esitante verso l'imponente villa che costituiva il cuore dei Quartieri Hyuuga, una villa maestosa, imperiale e anche un po' patetica -ma come tutti loro, del resto.
Gettò uno sguardo incolore alle finestre dei piani più alti. Una candela brillò spavalda oltre il velo di un futon in carta di riso.
Hanabi, pensò.

Quella sera a cena ci sarebbe stato meno silenzio.
Hinata comunque non parlava mai durante i pasti con la sua famiglia, proprio mai.
Nessuno sembrava curarsene.
Lo trovavano normale.



"Parte prima di pranzo, tra un paio d'ore."
Hyuuga Hanabi svuotò lo zaino da ninja con un gesto secco e sicuro. Vestiti, guanti, il coprifronte, svariati kunai orlati di macchie rugginose e una bottiglia d'acqua si sparpagliarono con ordine sul suo letto.
Come una cascata di oggetti che cadevano dall'alto potesse tecnicamente disporsi in modo ordinato, Hinata proprio non lo sapeva. Non l'aveva mai capito. Però era sicura che, se lei ci avesse provato, metà delle sue cose sarebbero finite sul pavimento, rotte o rovinate.
Se c'era dell'ironia in tutto questo, Hinata non avrebbe saputo dirlo. le importava davvero, in fondo.
"Sarà la duecentesima missione di recupero, o comunque un numero molto vicino a quello."
I vestiti scivolavano veloci in quelle sue piccole mani da pianista per poi finire impilati nell'armadio o nel cesto dei panni da lavare (panni sporchi, panni sporchi, panni sporchi che si lavano in famiglia...)
Hinata invidiava sua sorella per quella sbalorditiva agilità nell'utilizzo degli arti superiori, capacità che, unita a un talento innato nell'uso del Byakugan e a una mente analitica, ne avevano fatto la più giovane e brillante Chunin dell'Accademia, ormai quasi Jonin, nonchè costante termine di paragone con la sorella maggiore -Hinata, appunto. Che in quello sfolgorio di ambizione restava sempre, cronicamente tagliata fuori.
Nonostante gli anni, nonostante il tempo.
"E' un inguaribile ottimista. O un colossale idiota, a seconda dei punti di vista."
Hanabi non le concedeva neppure il lusso di un sorrisino malevolo. Parlava perfettamente atona, non una ruga d'espressione sul piccolo viso a punta, non un luccichio nello sguardo. Niente.
Hinata non le rispose neppure.
Avrebbe dovuto importarle di rispondere, avrebbe dovuto scattare punta sul vivo, ma in quel momento sentiva solo il vuoto. Un vuoto così grande che nessuna parola, per quanto melodiosa, per quanto roboante, per quanto scelta con cura, avrebbe potuto colmarlo.
"Non torneranno. No, non tornerà questa volta.
Nell'aria c'è proprio questo."
"Invece tornerà" Hinata strinse i pugni in un riflesso involontario.
L'ha sempre fatto, c'è sempre stato tempo, perchè questa volta non...
"Beh, suppongo che tu sia inguaribilmente ottimista -o colossale idiota- esattamente come lui, forse è per questo che ti piace tanto."
Perchè inseguite entrambi qualcosa che non c'è, si tenne per sé Hanabi, le dita che sfioravano il coprifronte della Foglia in una carezza disinteressata.
Hinata ancora una volta non rispose. Guardò distrattamente il quadro di fiori essiccati che aveva appeso tempo prima accanto alla finestra, per coprire quella macchia di umido che nessuno aveva mai provato a mandar via, quasi non fosse importante. E non lo era, davvero.
Hanabi non le badava neanche più, presa com'era a riordinare il suo equipaggiamento da ninja. I suoi occhi, una lastra di ghiaccio compatto, sembravano fasciare le else dei kunai e degli shuriken come la stessa mano salda che l'impugnava in battaglia.
Occhi senza luce, realizzò Hinata.
Anche lei non faceva altro che distruggerla, come Neji-niisan.
Ma un po' come tutto.
Il silenzio le fece terra bruciata intorno: Hinata lo sentì gorgogliare fin nel profondo delle vene.

Due ore.

Le venne voglia di vomitare.
Lasciò la stanza senza dire una sola parola.

 

 

 

Ichiraku era chiuso. Ferie invernali, tra l'altro meritate.
Ogni negozietto di Konoha, di solito così festoso e rutilante di voci, era stretto nel silenzio di una serranda abbassata, come se l'inverno avesse colto tutti quanti impreparati.
Quasi fosse arrivato all'improvviso, assediando ogni cosa coi suoi strali di gelo, come un nemico inaspettato contro cui Hinata non aveva difese.
La piazzetta principale del villaggio era vuota e gelida, un po' come lei.
Hinata gettò le gambe oltre la panchina, si appoggiò contro la superficie fredda dello schienale di pietra e lanciò un lungo sguardo allo spicchio di cielo color luna che si allungava fino all'orizzonte.
I raggi di sole, deboli e pallidi, l'attraversavano, ma non facevano male.
Dopotutto era questo che significava il suo nome: Hinata, attraverso il sole. Così come il sole, sbadatamente, la trapassava senza neppure vederla.

Ancora un'ora e mezza.
C'era sempre tempo.

 

Hinata inspirò ed espirò, un gesto così normale e meccanico che sul momento le risultò solo la fotocopia di mille altri respiri già dissoltisi nell'aria fredda.
Niente di nuovo, respirare era normale.
Non classificò subito l'odore che violento come un pugno le colpì le narici.
Poi in lei si fece strada subdola, determinata e inequivocabile la consapevolezza.
Quello era l'odore della sconfitta.

Mancava un'ora.
C'era ancora tempo.
Ma lei voleva che ce ne fosse?


"A-avevi detto che la prossima volta saresti stata più forte."
"C'è ancora tempo."
"Ma lo avevi d-detto!"
"Lo ricordo."
"L'avevi promesso!"
"Lo ricordo."
"E allora p-perchè n-non arriva mai l-la prossima volta?!"

...Perchè ?

 

 

"Hinata."
Mancava mezz'ora, e gli occhi gelidi si erano persi in un altro cielo, questa volta azzurro.
Aveva sorriso debolmente.
"Naruto-kun."
Il Chuunin aveva ricambiato il sorriso, una sciabola di luce che aveva attraversato Hinata come uno specchio.
Poi si era avvicinato e si era seduto al capo opposto della panchina.
In un silenzio un po' pensoso un po' corrucciato, Naruto andava ricontrollando con zelo lo zaino e il tascapane dove per un istante luccicarono sinistre le punte dei kunai.
Un'espressione terribilmente seria gli dominava il viso, di solito fin troppo allegro e spensierato, viso di ragazzino impudente che rifiutava di crescere (fin quando, alla fine, la vita l'aveva fatto crescere per forza).
Un'altra Hinata sarebbe arrossita fino alla radice dei capelli, avrebbe avuto difficoltà a respirare e per concludere sarebbe caduta preda dell'ennesimo umiliante svenimento.
L'Hinata del presente si trovò a disagio, rughe candide le solcarono la fronte e le labbra si strinsero all'ingiù in una posa che si sarebbe potuta definire o stizzita o dolente. Seguì il contorno statico degli edifici del villaggio, guardò il brullo paesaggio invernale splenderle accanto nel suo gelido bagliore e poi, quando non seppe proprio più dove posare gli occhi, li fissò sulla stradicciola di terra battuta.
Le era sfuggito l'inaspettato silenzio di Naruto, solitamente così incline a soffocare in tutti i modi le oasi di stasi che si aprivano nelle conversazioni, risultando spesso irritante e impertinente -non per lei, ovvio.
"Partiamo; l'hanno avvistato al confine Nord del Paese."
Una piatta constatazione quella di Naruto, sotto cui Hinata lesse un lume inestinguibile di speranza.
"...Uchiha-kun?"
Naruto annuì con un ghigno che non mancò d'essere sicuro di sé:"Già, quel bastardo. 'Sta volta lo riportiamo indietro."
...La duecentesima missione di recupero, o un numero molto vicino.
E l'odore nell'aria la stordiva, ma Naruto, Naruto non l'avrebbe mai capito.
"Non avete chiesto il nostro aiuto." Questa, sì, fu una piatta constatazione, che Hinata forzò con un tono vago e fioco.
"Oh, Kakashi-sensei, Sai, Sakura-chan e io bastiamo e avanziamo, te l'assicuro.
Poi è una faccenda tra noi, ecco" aggiunse l'Uzumaki più brusco di quanto avesse voluto.
Hinata non si scusò, non si sentì mortificata, non reagì. Si limitò a tacere.
L'aria era irrespirabile.
Non ha importanza, c'è sempre tempo, c'è sempre stato, c'è sempre tempo, prese a cantilenare incrollabile fra sé e sé.
Non vide gli occhi e il sorriso di Naruto farsi ancora una volta risoluti:"Torneremo presto, tutti interi. Oddio, Sas'ke un po' meno, ma se l'è cercata. 'Sta volta una lezione coi fiocchi non gliela leva nessuno, garantito, dannato bastardo che non è altro. Mi sono stufato di rincorrerlo come una vecchia balia, 'sta volta le prende sul serio. Lo trascinerò qui a calci in culo, mordendo la polvere e pronto a ridargli un fracco di legnate se solo osa pronunciare la parola "vendetta"...
Questa volta andrà così, sicuro!"
Hinata non vide che quegli occhi non la guardavano neanche più, assorti a definire i contorni del sogno che Naruto custodiva gelosamente nell'azzurro delle iridi.
...Non lo senti quest'odore, Naruto-kun?

Mancava
un quarto d'ora.
La nausea cominciò minacciosa a sussultarle nello stomaco.
"Buona fortuna, Naruto-kun."
"Grazie, Hinata."
Andava incontro alla sua fine, Naruto. E sorrideva.
Il sole invece la trapassava.
Ma lei, come al solito, non faceva niente.
Normale.

"Naruto!"
Sakura alzò un braccio, richiamò in lontananza il compagno di squadra. Il suo sguardo era scuro, l'addensarsi di un temporale in cui brillava una lama di determinazione: Hinata la guardò appena, indifferente.
Sai, accanto a lei, non lo calcolò neppure.
Dietro di loro balenò l'ombra autorevole di Kakashi-sensei, come al solito seppellito in uno di quei libretti che ormai doveva aver imparato a memoria. Hinata non badò neanche a lui.
Naruto si alzò in piedi, diede un paio di colpetti alla sgargiante tuta arancione e nera come se questo potesse renderla più dignitosa, poi alzò il pollice sinistro verso l'alto, un sorriso che gli correva su tutto il viso: "Tranquilla, torneremo presto, dattebayo!"
Tutto le suonava così incredibilmente vuoto.
E quell'odore, Naruto-kun, quell'odore...
E tutti gli avvertimenti inascoltati in questi mesi, la mezza parola lasciata cadere per sbaglio da Neji-niisan, le macchinazioni degli ANBU, le indiscrezioni, le voci di guerra, la quiete prima della tempesta, i morti, Tsunade-hime che vince alle tre carte, l'inverno...
Naruto ancora non si decideva a incamminarsi verso il resto del Team Seven.

Mancavano cinque minuti.
Se c'era stato tempo per dieci anni, come poteva improvvisamente non essercene più?
Era impossibile.
C'è sempre stato tempo e sempre ci sarà. La prossima volta invece non ci sarà mai.
"Hinata," chiamò Naruto, improvvisamente di nuovo quel blu cupo e serio -così fuori luogo per lui- nei grandi occhi sgranati,"non c'è qualcosa che devi dirmi?"
"No."
Hinata non sapeva che fosse così dolce, così mormorante e quasi timido il suono di qualcosa che si frantuma: un po' come abbandonarsi lentamente all'abbraccio dell'acqua, senza rimpianti.
Naruto la osservava col sorriso più doloroso che la Hyuuga avesse mai visto.
Probabilmente era quello il sorriso di chi riconsegnava le armi e si arrendeva al boia.
"Ah, bene. Non importa. A presto!" Le voltò le spalle e prese a camminare.
In un attimo raggiunse Sai, Sakura e Kakashi-sensei.

Naruto andava incontro alla sua fine.
E, come sempre, sorrideva.

 

 

 

 

Hinata chiuse gli occhi.
Si mise in piedi e con lunghi passi misurati imboccò in perfetto silenzio la strada che l'avrebbe riportata ai Quartieri Hyuuga.
Non c'era più niente da vedere.

Il tempo era scaduto. 

 

 

 

 

Fin


 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice
Questa storia ha partecipato al Concorso NaruHina indetto da Ferula_91 e Ayumi Yoshida classificandosi sesta.

Beh, che dire, non sono molto dell'umore giusto per rispondere ai vostri splendidi commenti, dunque lo farò al prossimo aggiornamento (che sarà presto, non dubitate u.u). Comunque vi abbraccio e vi amo tutti indistintamente, non sapete quanto le vostre parole siano importanti per me e mi spronino ad andare avanti e scrivere.
Recensire è fondamentale, non mi stancherò mai di ripeterlo. Non sapete quanto mi aiutano le vostre righe di commento. Ancora, mille volte grazie: non basterebbe una pagina per quante volte vorrei ringraziarvi :).

 

Grazie dell'attenzione,
Hipatya

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Capitolo 5
*** The Strong and The Ephemeral [NejiHina] ***


E, sì, questo è un piccolo regalo per te, Chiara, Artemisia89, che oggi compi diciannove anni e, anche se non li festeggerai, meritano comunque un misero segno di

E, sì, questo è un piccolo regalo per te, Chiara, Artemisia89, che oggi compi diciannove anni e, anche se non li festeggerai, meritano comunque un misero segno di... gratitudine? stima? Boh, deciderai tu :).
Questo per dirti che, comunque sia andata, ho apprezzato il tuo lavoro come Beta, ti stimo immensamente come scrittrice, come persona, come semplice fanwriter. E, diamine, sono davvero contenta d'aver fatto la tua conoscenza, qualche mese fa. Sul serio, non sai quanto.
Spero che la cosa che ho scritto ti possa piacere anche solo un pochino, anche se riconosco di non aver fatto granchè -dannata mania perfezionista!- e tu meriteresti un regalo infinitamente più bello. Ma facciamo ciò che possiamo :) e, tanto per levarci un po' quest'aria solenne e cerimoniosa, in bocca al lupo per la matura!

Un saluto e un abbraccio,
Eleonora

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. Il brano riportato all'inizio è, come scritto, frutto del genio di Haruki Murakami e del suo "Kafka sulla spiaggia" e la strofa di canzone inserita alla fine è stata scritta da Fabrizio de André, e a Lui va ogni elogio, ovunque sia.
E poi, non so come dirlo. Proviamo.
Gli Hyuuga sono cugini. Ergo questa storia è a sfondo Hyuugacest, che lo vogliate o no. Se la cosa dovesse disturbarvi, nulla vi vieta di non leggere :).

 

 

 

 

 

The Strong and the Ephemeral

 

 

 

 

 

 

 

"Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso.
Per evitarla cambi l'andatura. E il vento cambia l'andatura, per seguirti meglio.
Tu allora cambi di nuovo, e subito il vento cambia di nuovo per adattarsi al tuo passo.
(...) Perchè quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipentente da te. E' qualcosa che hai dentro.
Quel vento sei tu."
[Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia]

 

 

 

 

 

 

 

I loro passi sono silenziosi, cauti e circospetti come quelli dei gatti; i loro sguardi, pur essendo luce, non abbagliano, non feriscono; le loro stanze sono cupe, per non svegliare le ombre che dormono addossate ai muri; le loro voci sono attutite, basse, per paura che la carta di riso si squarci - e il mondo intero crolli.
Il loro cognome è Hyuuga.

Il loro Clan ha cominciato da tempo ad avviarsi lungo la strada del declino, da quando, precisamente, anche Konoha ha smesso di essere il Paradiso Terrestre o il Giardino dell'Eden ed è stata sommersa dalle acque torbide di vecchie storie e vecchi rancori mai dimenticati. Si è cominciato a intravedere la carcassa putrescente sotto la patina brillante del trucco, e questa visione sconvolge, terrorizza, annienta.
C'è chi lotta e non si rassegna all'evidenza, c'è chi nega, c'è chi continua a sperare, c'è chi piange, c'è chi ha perso tutto, c'è chi non crede più a niente, c'è chi risponde alla violenza con la violenza, e poi c'è lei.
Lei, che osserva.

 

Hinata ha smesso di camminare in punta di piedi, ha smesso di balbettare e parlare a mezza voce, i suoi occhi adesso risplendono in un tripudio di vetro e glicine.
Fuori la pioggia sferza i tetti delle case; i tuoni la spronano con rabbia a correre più veloce, a parlare più forte, a guardare più fisso senza mai abbassare lo sguardo. Il vento soffia impazzito, sembra voler sradicare via la casa ed è come se Hinata sentisse tutta la sua furia dirompente contro il viso, come se le raffiche gelide tentassero di fermarla.
Ma Hinata non è fatta di carta di riso o di cristallo come le pareti del suo fragile mondo: l'inclemenza del temporale non basta ad annientarla.
I tuoni si susseguono senza fine, le pareti della casa tremano sotto i loro strepiti cupi, sembrano volersi sgretolare.
Hinata non ricorda un giorno in cui non ci sia stata tempesta per lei, non ricorda un cielo diverso da quello nero di pioggia e un rumore che non sia il crepitare dei lampi. E ancora si chiede come le ombre di quella villa possano continuare a dormire da anni, da secoli, cullandosi nella penombra delle stanze vuote, come possano annullarsi nella loro oscurità nonostante la casa minacci di essere divelta dalla furia del temporale.
Eppure Hinata continua imperterrita a correre lungo i corridoi bui. I suoi passi affrettati hanno la stessa violenza dei tuoni che borbottano cupi nel cielo notturno, il frusciare del suo yukata assomiglia alla frusta del vento fra i rami degli alberi.
La sua parte più infantile ha quasi paura che il rumore dei piedi che battono sulle assi di legno sia talmente forte da svegliare gli spettri addormentati: le pare quasi di udire alle spalle il loro sibilo sinistro e le loro zanne acuminate che scattano per ghermirla, ma Hinata non si fermerà, Hinata non ha tempo per pensare. Il temporale infuria, il suo cuore batte col fragore del tuono e i suoi occhi per la prima volta vedono luce in quella casa oppressa dalle tenebre.


Quando Hanabi, minuti prima, le ha comunicato con noncuranza che la Volpe a Nove Code aveva trionfato sulla Forza Portante e che Neji-niisan sarebbe stato uno dei Jonin che avrebbero tentato di fermare l'avanzata del mostro sul villaggio, Hinata non si è sentita morire, no.
Hinata si è sentita d'acciaio, di fuoco e di fulmine: per la prima volta nella sua vita si è sentita forte come il vento, capace di sfidare il destino e infrangere quella spessa corazza di gelo che li soffoca fin da prima della nascita.
Si è sentita come le tempeste, come gli uragani: pura distruzione.
Per questo Hinata corre, incurante delle buone maniere, delle convenzioni, dell'obbligo al silenzio; per questo non le importa più di parlare troppo forte e strappare via le sottili pareti di carta di riso che la circondano. Si sente talmente forte che ogni suo passo potrebbe aprire una voragine nel pavimento, si sente eterna e invincibile come le danze dei venti, lei, Hinata, la sciocca, la debole, la bimbetta malaticcia e insicura.
Ogni suo pensiero invece sembra rallentare, sfilacciarsi, perdersi a metà del corpo e svanire lì, senza poterla raggiungere davvero. Ogni suo pensiero si eclissa nel colpo assordante che le risuona nel petto, nelle orecchie e nella testa, mentre anche l'impulso di respirare diviene secondario, sovrastato da una necessità che per lei è ben più che vitale: correre.

 

 

 

L'armeria del Clan Hyuuga, nei sotterranei della villa, non le è mai sembrata tanto lontana.
Adesso che è lì sulla soglia, mentre i visi degli antenati la scrutano accigliati e Neji-niisan le volge la schiena, intento ad affilare la spada da ANBU, Hinata non ce la fa più e crolla, si lascia andare contro lo stipite: deve respirare.
Gli occhi cupi come il temporale degli antichi Hyuuga disapprovano quell'affanno, quella goffaggine, quel respiro forte da affogata che cerca la vita; quegli occhi candidi eppure pieni di ombre accusano lei, i suoi capelli in disordine, il suo yukata che nella foga le ha lasciato scoperta una spalla, i suoi piccoli piedi nudi: disapprovano lei e quel suo amore cieco e testardo, quel suo amore che dicono sbagliato, poichè loro non possono comprendere una cosa tanto bella e viva, loro, vecchi e morti, loro, austeri e inflessibili, loro che hanno allevato una generazione di soldati e mercenari.
Neji ha sentito il tocco leggero del corpo della cugina contro lo stipite della porta, ha sentito il suo respiro infrangersi ritmico come le onde della marea e ha sentito il suo silenzio prepotente, ostinato.
"Non gli faremo alcun male, se non necessario."
Neji sceglie le parole con cura, esita, parla lentamente come se si rivolgesse a un animale impaurito, parla con la calma estenuante con cui si fa una carezza. L'effetto della sua voce è proprio questo: una carezza lenta e leggera, il tocco fuggevole di un soffio di neve.
Hinata può respirare, adesso. In silenzio può riprendere fiato e colore sul viso.
"Non useremo la forza, se non saremo costretti."
Quasi dimenticandosi della katana da affilare, Neji dispone una parola dopo l'altra con la cautela di chi costruisce un castello di carte:"Lui non è un nemico. Lui è uno di noi.
E' più di tutti uno di noi."
Neji guarda dritto davanti a sé, guarda il drago che affonda le fauci spalancate nella lama istoriata di un naginata appartenuto al Fondatore del Clan, Izanagi Hyuuga. Si chiede distrattamente quante gole abbia tagliato, quel naginata, quanti corpi abbia mutilato, quante volte sia stato affilato.
"Ti la mia parola."
Hinata fissa la sua schiena, mentre a poco a poco il suo respiro torna a regolarizzarsi, torna ad essere quello di sempre. Hinata beve con avidità ogni sua parola, ogni sua sillaba, con la foga dell'assetato che si tuffa nella sorgente, e i pozzi oscuri di silenzio che si aprono fra una frase e l'altra sono più dolorosi di uno sparo.
Sente il cuore pronto a esplodere come un frutto maturo, sente tremare ogni singola fibra del suo essere, mentre col pensiero implora Neji-niisan di capire, solo questo, di capire, di voltarsi verso di lei e finalmente capire.
Hinata adesso riesce a riflettere con sorprendente lucidità, anche se deve fare uno sforzo disumano per tenere unito il suo corpo, poichè sente i muscoli tendersi e minacciare di lacerare la carne nell'irrefrenabile impulso di fuggire via, lontano, dov'è la libertà.
I vecchi Hyuuga fissano inquisitori quella ragazzina scarmigliata e quell'ANBU pronto per la missione, li scrutano severi e inorridiscono per aver dato loro i natali. I vecchi Hyuuga giudicano dall'alto delle loro cornici e li hanno già condannati, senza alcuna possibilità di redenzione.
Sotto gli occhi di quei ritratti, Hinata non è più sicura di riuscire a parlare. Ha la bocca piena di sangue caldo, la testa pesante e la lingua incollata al palato. Non è sicura di ricordare come si fa a parlare, inoltre lei non è mai stata capace di farlo bene: non esistono parole capaci di fare da specchio ai suoi pensieri, non avrebbero alcun significato per il resto del mondo. 
Ma forse per Neji lo hanno.
Neji conosce il significato delle piccole rughe che sovente si formano sulla fronte di Hinata, o delle sue labbra arricciate, o delle miriadi di sfumature dei suoi occhi.
Neji sa che gli occhi di Hinata sono vivi, liquidi, espressivi come il mare.
Neji sa che Hinata inclina il capo solo quando è molto stanca, quando proprio non ce la fa più a reggersi in piedi.
Neji sa riconoscere quando Hinata pronuncia il suo nome o quando lo sta solamente chiamando.
Ma Neji adesso ha affilato la sua katana e con un secco scatto lugubre l'ha riposta nella custodia che porta sulla schiena. Neji ha già calato sulle tempie lo stridio dell'Aquila che solo in battaglia porterà sul viso, poichè non osa indossare la maschera da ANBU davanti alla cugina, non osa mostrarle quanto sia appuntito il becco adunco del rapace, quanto possa ferire.
Neji in un passo è già davanti a lei e un passo dopo sarà fuori, nella pioggia.
Ed è in quel preciso istante che il fulmine è dentro Hinata: è proprio in quel momento che lei, semplicemente, con gli occhi impassibili di un animale, gli si getta addosso e lo stringe alla vita.
(E' già condannata, Hinata).
Neji vedeva la piccola testolina di corvo appena sotto il mento e stupito pensava ai diamanti, ai cristalli, alla lama di un'arma, a tutte le cose scintillanti e trasparenti che con un sorriso possono uccidere.
Le occhiate risentite dei suoi avi bruciano sulla nuca, si sente stupido e sciocco, quasi debole di fronte a loro, lui, Neji, che non riesce a sottrarsi a quella stretta, non riesce a spingere via la piccola Hinata, quella sbagliata, quella fragile, il fuscello in balìa del vento.
Non riesce o non vuole? 
Tutto ciò che ha sempre voluto, tutto ciò di cui ha sempre avuto bisogno, è , tra le sue braccia.


"Hinata-sama, spostati." Neji prova, perchè non sentirà il suo addio prima delle fiamme di Kyuubi, perchè sa di voler vivere per tutte le volte che ritornerà da lei e vedrà la sua figura di disegno a inchiostro sotto le raffiche di pioggia.
Prova e riprova con più convinzione, la prende per le spalle:"Spostati."
Ma la corona di capelli neri non si sposta, preme sul suo petto come una macchia di notte e non si lascia scoraggiare. La sua volontà non è mai stata così forte, addirittura più forte di quella di Neji - Neji il genio, il talento innato, l'inarrivabile vetta di bravura.
La sua volontà non lascia scampo.
Hinata mormora qualcosa d'indistinto che lui non coglie subito: ci vuole del tempo prima che il sussurro sommesso di Hinata diventi man mano più definito e come i tuoni scuota le pareti della casa, terrorizzando col suo impeto anche i volti arcigni degli Hyuuga già morti, che adesso serrano le labbra e si trincerano spaventati dietro il loro gelo.

"Voglio solo stare qui," ripete nitida Hinata, la voce a poco a poco più ferma e sicura, "Solo per un poco, solo un altro po'.
Voglio solo stare qui, solo questo, non chiedo altro."

 

"Voglio stare qui. Per favore."

 

 

 

 

 

Oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi
[
Dolcenera, Fabrizio De Andrè]

 

 

Fin

 

 

Nota dell'Autrice
Uargh. Ho faticato come non mai. Non riesco ancora a crederci di averla scritta, giuro. E' la prima e l'ultima volta che mi cimento con un incesto, lo giuro, è troppo difficile per me ç_ç!
Queste Flavours sono troppo bianche, direi: su cinque, tre sono sulla famiglia Hyuuga XD! Sembra che non sappia scrivere d'altro, ma non è così. Arriveranno presto molte altre, e le mie storie si tingeranno di nuovi colori. 
E adesso andiamo alle recensioni, che altrimenti passo per l'Autrice Snob di turno ;):

Talpina Pensierosa: Ti ringrazio^^! Spero che continuerai a leggere questa raccolta.
Ayumi Yoshida: Ma figurati, non ero di cattivo umore per il Sesto Posto, ma va^^! Sarei stupida se mi pregiudicassi l'umore per un concorso di scrittura, e poi non si può farne una colpa a nessuno se la mia storia non ha avuto successo. E' una cosa normalissima scrivere cose che possono non piacere, e ritengo fondate e sensate le critiche che mi sono state rivolte, dunque non devi assolutamente scusarti né pensare di aver torto in qualcosa. Lo ripeto, non preoccuparti :) e grazie del tempo speso per giudicare e recensire la mia storia.
Kaho_chan: Oh, my love *_*! Come vedi alla fine l'ho pubblicata, e immagino che, se ti piace come ho caratterizzato Hinata nelle altre flavours, questa ti piacerà sommamente XD ma che lo dico a fare? L'hai già letta! A parte questo, ho esasperato un po' l'aspetto angelico e 'delicato' di Hinata, per poi, come vedi, riportarla bruscamente alla realtà. La ritengo un personaggio molto particolare, molto sfaccettato, teso tra un aspetto ultraterreno e uno più umano. Non per niente ho visto in lei Remedios la bella (leggilo, Cent'anni di Solitudine, merita *_*!), che è l'espressione dell'estraneità degli angeli al mondo comune.
Insomma, Hinata è sprecata per Naruto come per Neji (non mi uccidere XD!), è sprecata per un mondo chiuso entro certi limiti, per un mondo che non la capisce. In quasi tutte le mie storie la pongo vicino ad Hanabi per far risaltare la diversità delle due, che Hanabi comprende benissimo e che detesta, come ama e odia quella sorella irraggiungibile a cui è permesso essere delicata, eterea e semplicemente fuori dal mondo, mentre lei, Hanabi, dev'essere saldamente piantata coi piedi per terra. Gh. Sto partendo per la tangente, lo so XD! Non vedo l'ora di risentirti su msn, caVa, le nostre conversazioni sono sempre così brevi ç_ç!
StAkuro: Sono molto felice che la storia ti abbia ispirato un sentimento di rabbia, perchè è in effetti proprio quello che volevo XD! La rabbia è quella che Hinata non riesce a esprimere, per come la vedo io, ed è il sentimento che la tiene inchiodata alla sua realtà, fatta di gesti, di cose, di pensieri lontani da quello che è il suo obiettivo (ovvero Naruto). Ho voluto descrivere la sconfitta di Hinata, anzichè il suo scatto d'orgoglio, e la sua mancata maturazione: fa rabbia, è ovvio, perchè Naruto si aspetta che lei gli parli dei suoi sentimenti, del suo incondizionato amore e ammirazione per lui (hai colto giustamente l'accenno, infatti =D), ma lei preferisce crogiolarsi nella certezza che comunque vada ci sarà tempo per farlo, quindi perchè sprecarsi ora, perchè parlare? ...Ovviamente io spero che nel manga le cose non vadano così XXD! 
Comunque non dire più che la tua storia è vuota, anzi: lo giudico un onore che sia arrivata a parimerito con la mia.

Grazie dell'attenzione,
Hipatya

 

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Capitolo 6
*** Touched by a thousand invasions and still forever an island. [Karin] ***


SPOILER per chi segue il manga in italiano

SPOILER per chi segue il manga in italiano.

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto; la canzone citata, la splendida Guerra di Piero di Fabrizio De Andrè appartiene, ovviamente, all'anima immortale del suo autore.  

 

 

 

 

 

 

...Cadesti a terra senza un lamento

e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.
["La Guerra di Piero", F. De Andrè]

 

 

 

 

Touched by a thousand invasions
and still forever an
island.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci sono sei personaggi, sette contando il cielo innaturalmente azzurro.
Quattro sono riversi a terra, ma uno di questi sembra più vivo degli altri. Il quinto è una grossa spada che sembra fatta di pelle di mostro. Anche il sesto personaggio è una spada, o, per meglio dire, è lo scalcinato mucchietto color vetro che ne rimane.
Il personaggio più vivo di tutti si è già alzato in piedi a fatica, malfermo come un ubriaco, barcollando su un paio di gambe devastate dalle ferite. Si appoggia a un corpo che sembra aver dichiarato la resa, ormai pronto al collasso. Cadrà? Non cadrà? Impossibile dirlo adesso.
Al momento è solo intrappolato nell'eterna stasi, il piede cristallizzato nell'atto di poggiarsi a terra, il passo a mezz'aria.
Gli altri personaggi sono fermi, immobili.

Ci potrebbe essere in effetti un ottavo personaggio: il sangue.
Quel liquido che è fisiologicamente programmato per stare dentro il corpo umano e che invece in quel frangente ha deciso di farsi largo e schizzare fuori, di diventare una lunga strada rossa e avvolgere in un abbraccio umido ogni cosa. Disgustoso, sì.
Non aveva mai pensato che un liquido umano, una cosa immensamente ovvia e banale, potesse essere disgustosa. Davvero, non ci aveva mai pensato. Non aveva mai avuto importanza, come molte, troppe cose nella sua vita, cose che le erano sfrecciate accanto a una velocità talmente folle da accorgersene a stento, figuriamoci distinguerne i contorni o - utopia - fermarle. Se fosse stata una persona incline all'autoanalisi o all'introspezione, avrebbe paragonato i suoi quindici anni mai salvati alla curva liquida dell'onda che si gonfia verso l'alto e un istante dopo precipita nel baratro, per poi svettare nuovamente in un turbine di schiuma e gettarsi un'altra volta nel buio di una caduta senza fine.
Così era stata lei, in alto o nella polvere, mai una via di mezzo, nessun posto sicuro in cui fermarsi un poco e attendere la fine dell'uragano.
Prevedibile che il suo ultimo scatto verso l'alto l'avesse poi portata a finire lì, rantolando fra le sterpaglie in un giorno pieno di vento.
E' affogata nell'abisso di un'onda troppo grande per lei, che non sapeva nuotare poi così bene e si teneva a galla con l'incoscienza temeraria di una funambola.
Solo quando è troppo tardi ha realizzato che tutto, tutto quanto era un gigantesco errore in cui lei era stata scaraventata senza aver voce in capitolo, obbligata a giocare a dadi con Madama Morte in persona.
Per poi perdere, alla fine, e tenersi a denti stretti la morte che le era capitata.

 

 

 

 

Il vento soffiava implacabile tra i fili di riso. Da qualche mese aveva messo in ginocchio le risaie affogate nel gelo e tormentava la vallata con folate sempre più violente.
A memoria d'uomo, mormoravano i vecchi del villaggio alla luce d'un bicchier d'acqua stantia che chiamavano sakè, l'inverno non era mai stato così crudele con loro. Piagava le mani e i piedi, s'infilava inclemente sotto i vestiti, faceva annegare nel ghiaccio i ruscelli, ammazzava le bestie, aveva aperto la strada a una quantità esorbitante di infezioni dal nome più o meno complicato, sgranocchiava le messi estive con una voracia disumana: era il colpo mortale a un paese ancora malato dei postumi di guerra.
E quello non era un vasto e potentissimo stato ninja che potesse vantare territori sterminati e di conseguenza risorse abbondanti, né Clan tanto potenti e senza scrupoli che devastassero interi villaggi per raggranellare un pugno di granaglie ammuffite: non aveva nessun daimyo, nessuna facoltosa famiglia fornita di un'oscura kekkei genkai, non aveva leggende né macchine da guerra.
Era solo un fazzoletto di terra traforato dalle acque dei campi di riso, un posto così ridicolo, così infimo in mezzo al ribollire minaccioso dei grandi Paesi degli Elementi da far quasi ridere. Un deserto che a lei, bambina troppo ambiziosa e decisamente presuntuosa, andava stretto.
Karin avanzava strisciando nell'erba gelata, gli steli muffiti che le solleticavano il viso, gli occhiali storti sul naso e due piccoli occhi febbrili fissi sulla preda che, qualche passo avanti a lei, si puliva innocentemente il muso con una zampina.
La bimba strinse ancora più forte il coltello che teneva fra le dita, rozza imitazione di un kunai, mentre con estrema e calcolata lentezza strisciava verso la lepre.
Il suo stomaco si contrasse in un ansito doloroso quando, involontariamente, pensò a uno stufato fumante con contorno di riso e verdure. Un brontolio sordo le risalì cupo dal ventre.
La lepre, scura come un ciuffetto di caffè in quegli sterpi giallastri, alzò di scatto il muso, fendette l'aria col nasino umido e a Karin parve che le sue lunghe orecchie sfiorassero il cielo grigio.
Per un interminabile minuto la bambina divenne come terra immobile. Respirava con il vento, dormiva un sonno millenario, i suoi occhi bene aperti erano gli occhi degli abissi profondi. 
Il suo stomaco invece si stava distruggendo dai crampi, ma la ragazzina si costrinse a pensare che quella era l'ennesima occasione per ribadire la sua superiorità sugli altri bambini, sui più grandi, sui ninja del villaggio, per farla breve su tutti quanti. La linea che alla sua nascita era stata tracciata tra lei e loro andava man mano ispessendosi.
Bene. Non poteva desiderare altro.
La bambina si gettò di scatto sull'animale. Il suo coltello trafisse la terra.
Davanti a lei rimanevano solo le buffe nuvolette di polvere sollevate dai balzi della lepre.
La individuò infine, appena sotto il declivio del poggio, che innalzava di nuovo verso le nuvole le sue soffici appendici di cartilagine.
Lo stomaco di Karin, così indisciplinato rispetto al cervello, gemette un'altra volta. Cosciotto di lepre col riso, brodo di lepre caldo, lepre allo spiedo, lepre farcita di funghi, lepre cotta nel vino...
Allora vide ciò che anche la lepre stava osservando, sicuramente con piccoli occhi neri intensi quanto i suoi.
Anzi, un istante prima di vedere, già lo sapeva, già l'aveva sentito.
(Karin sentiva i temporali, le gelate, le guerre, le carestie, i fiumi che erompevano dagli argini, i cuori degli uomini e il loro soffio di vita, sentiva tutto come la cartina tornasole del mondo intero.)
L'unica abilità appena pregevole del suo Clan di pezzenti: percepire l'energia degli eventi, saper codificare i sussurri del chakra.
Le avevano detto di non allontanarsi troppo dal villaggio, di non raggiungere i confini della valle, ma poi aveva trovato una preda da inseguire e un'ottima scusa per arrivare fino alle porte che si affacciavano sul vero mondo, aldilà di quella cripta sonnolenta in cui, non per sua scelta, era nata.
Dunque vide emergere dai lembi nebulosi della gola di roccia un ragazzino che, prepotentemente vestito di bianco, sembrava voler obbligare il mondo intero a guardarlo, un ragazzo immacolato come i figli della nebbia.
Karin si sistemò, come inebetita, gli occhiali sul naso.
La lepre saltellò in avanti, si confuse tra gli arbusti rinsecchiti, nuovamente incurante del cacciatore poco sopra di lei, e riservò i suoi occhietti liquidi per la ricerca della sua preda, grillo o cavalletta che fosse.
La bambina, orgoglio consapevole di un Clan che agonizzava sul letto di morte, rimase immobile.
Nelle sue narici s'infiltrò una lievissima nota acre, pastosa, che le spiegò sommessamente che l'inverno sarebbe finito di lì a qualche settimana.

 

 

 

 

Una leggera pressione del polso sul pugnale e, tac, la lama era penetrata nella carotide sinistra e, tac, Kazuko-chan non esisteva più.
"Ma non eri di qui, tu?"
Quando tutto quanto era finito, Tayuya, comodamente seduta sul cadavere del capovillaggio, le aveva rivolto quell'interrogativo così, a bruciapelo, accompagnato da uno dei suoi soliti sguardi diffidenti.
Karin aveva sbattuto gli occhi, incredula e oltraggiata.
"Ma quando mai, Faccia di Cagna!
Ti pare possibile che io possa essere nata in un buco di culo del genere?!?" Aveva sbottato con l'arroganza gonfia di presunzione che le era connaturata.
(Perchè è la tua parte, Karin, non ci si aspetta altro da te.)
Il colpo di Kimimaro Kaguya, il "figlio della nebbia" di molti anni prima, le era arrivato giusto sotto l'occhio, proprio dove lo zigomo s'inarcava disegnando la curva morbida di una collina.
"Porta rispetto a un tuo superiore" disse soltanto, la voce gelida di una macchina, mentre l'osso della mano sinistra tornava al suo legittimo posto.
E Karin finì col viso nel fango, accanto agli occhi di cristallo di Kazuko-chan e alla grande macchia densa e appiccicosa che si allargava sotto il suo cadavere.
Tayuya inarcò le sopracciglia con sufficienza, unico segno che scalfisse la sua indifferenza. Sakon (o era Ukon?) si leccò divertito le labbra secche.
"Capisco perchè Orochimaru-sama ha proposto te per questa missione" riprese Kimimaro con la stessa voce monocorde e distante, un oceano piatto di gelo. Non guardò neppure la figura che, tremebonda, si rialzava da terra pulendosi con rabbia la gota arrossata e sporca di terriccio.
"'Fanculo", gli concesse Karin. Tanto ci finirai molto presto, aggiunse tra sé e sé.
Kaguya allora le dedicò la smorfia distorta più simile a un ghigno che uno come lui potesse forzare:"Orochimaru-sama sarà contento" e le volse le spalle.
Karin, le ginocchia affondate nel molle impasto di sangue e fango, gli riservò uno sguardo carico di rancore.
"Non è affatto vero che sono nata qui" mormorò acida, nettando gli amati occhiali che per puro miracolo non erano andati in mille pezzi.
Alzò gli occhi e vide il risolino maligno di Ukon (o forse quello era Sakon?) incombere su di lei:"Io non sono così buono, principessina. La prossima volta la lingua te la strappo."
(La tua parte, Karin, la tua parte.)
"Tsk."
Col dorso della mano pulì via il sangue di Kazuko-chan che le era colato alla base del naso.
"Forza, in piedi" sbottò brusco Sakon (oppure Ukon? Bah, del resto non aveva importanza). Le stritolò il polso in una morsa ferrea e un istante dopo Karin tornò a reggersi sulle proprie gambe.
"Rimettiamoci in marcia, abbiamo perso anche troppo tempo."
Kimimaro era già ai confini del villaggio.

 

 

 

Il resto era storia, e una Squadra di quattro persone che davano vita a una chimica sbagliata.
Per quanto ricercasse un senso, un motivo, un criterio più rassicurante del caos ad averli uniti, non lo trovava. Forse perchè, era costretta ad ammettere, una circostanza simile non esisteva.
Erano solo quattro individui che correvano in quattro direzioni antitetiche l'una all'altra. La catena che li aveva imprigionati, poi, aveva finito per spezzarsi.
Una chimica sbagliata. Una reazione instabile. Una specie di freak of nature, che in un altro mondo non avrebbe avuto ragione d'esistere. Un coagulo infetto del destino, tutto qui.
E ora?
Ora non rimaneva niente.
La sua attrazione per Sasuke? L'ennesimo obbligo previsto dalla sua parte, una serie di vuoti gesti senza senso caduti dell'oblio.
L'astio per Suigetsu? Svanito come un soffio di nebbia al sole, quando lui aveva ricevuto un colpo in mezzo al torace destinato a lei.
Il terrore istintivo che le ispirava Juugo, la fonte del Segno Maledetto? Acqua passata. S'era volatilizzato assieme al suo chakra mentre Juugo, stramazzato al suolo, era morto con la Samehada che gli trapassava il corpo.

L'ambizione? No davvero, non c'era più posto nemmeno per quella.
Una ragazza-razzo che dalle brume delle risaie era schizzata in alto, fino a giocherellare per un istante coi filamenti traslucidi del potere impigliati tra le dita, e poi era precipitata giù di botto. Moriva in un campo di sterpi in un giorno pieno di vento, poco lontano da due individui che per lei erano poco meno di estranei.
E adesso? Adesso cosa restava?
(La maschera, il copione, i vestiti di scena e la parte silenziosamente scivolavano a terra.)
Restava Karin, col nulla stretto nel pugno.
Non posso morire qui, fu quello che credette il suo ultimo, illusorio pensiero. Ma dopo ce ne furono altri: guardò Juugo, guardò Suigetsu, e allora capì che quella non era mai stata la loro battaglia. Capì che erano morti nel modo sbagliato e, per giunta, nel modo peggiore, sprecando l'unica occasione che era stata concessa loro.
Guardò un po' più a lungo il viso di Suigetsu: i suoi occhi di vetro, in vita così vividi, erano diventati un cielo perennemente giallo, immutabile. Ammise che non poteva dargli la notte, non poteva, anche se era quello che aveva sempre voluto fare.

 

(Le luci si spengono, e tu con loro, Karin.)

 

 

I passi claudicanti di Kisame Hoshigaki, curvo sotto il peso della mastodontica spada Samehada, si affievolivano piano, uno dopo l'altro, in lontananza.

 

 

 

 

 

Fin
 
 

 

 

 

 

 

Glossario:
Kekkei genkai: Abilità Innata, such as Byakugan, Sharingan e via di seguito.
Samehada: l'amatissima spada di pelle di squalo di Kisame.     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota dell'Autrice
Alla fine non è come me l'aspettavo. Sadness ._. In effetti non mi soddisfa proprio per niente. Penso sia piuttosto bruttina, in effetti, e penso di non aver sviluppato bene il tema.
Tutta colpa di Karin, sì sì. E di Kishimoto che le fa dire sì e no due scempiaggini ._. E della sua caratterizzazione che non va oltre la PervertSasukeFangirl. 
Avevo in mente di scrivere un'altra flavour sul Team Hebi, ma se il buongiorno si vede dal mattino temo proprio che dovrò abbassare le armi.
La cosa che comunque mi sembra più azzeccata è il titolo: le è cucito perfettamente addosso. Toccata da mille invasioni e ancora e per sempre un'isola: spero che la sensazione trasmessa sia proprio questa.

 

 

 

 

Talpina Pensierosa: Ancora ti ringrazio molto per il complimento^^! E' un piacere vedere che segui le mie flavours, davvero.
Helen Lance: Se ti dico che aver ricevuto una recensione da te lo considero un onore, ridi é.è? Spero di no, anche perchè ti posso assicurare che è la verità. Ti stimo moltissimo come autrice, penso anche d'averti recensito qualcosa :) e Grey Eyes Of the Storm figura a pieno titolo fra i miei preferiti. Aw <3!
Per questo sapere che ho reso IC Neji -uno dei personaggi di Naruto che mi risulta più difficile da rendere- mi ha reso immensamente felice. Non sai quanto ho faticato scrivendo di lui, e vedendo che la mia fatica alla fin fine è valsa qualcosa non ho potuto che rallegrarmi di cuore. Felice d'aver immaginato il tuo stesso Neji ANBU :).
La mia Hinata poi, è vero, è diversa da quella di Kishimoto: ho una visione tutta mia del personaggio (se può interessarti, ti consiglio la mia 'Remedios la bella' che è tutta incentrata su di lei) e questa mia concezione tende a essere onnipresente quando la inserisco nelle mie storie. L'ho voluta rendere forte come il fuoco, il fulmine e l'acciaio qui per un solo motivo: perchè si rendesse conto che l'unica volta che ha osato esporsi nella sua vita è stata quando ha creduto che Neji potesse morire (Kyuubi non è che ci vada leggera, con gli uomini).
Ho pensato che questo potesse farle aprire gli occhi e renderla, sì, un po' meno debole. Mi spiace che non sia molto credibile ç_ç.
Arwen5786: Oh, mi fai arrossire così >. Per quanto riguarda il resto... beh... Su Shikamaru ho qualcosa di già pronto, su Temari idem, ma Shikamaru e Temari insieme, ecco, come dire... Amenochè non mi decida a scrivere qualcosa sulla loro amicizia, mi spiace dirti che proprio non c'è speranza ._. Scusami, ma da questo punto di vista sono Immacolata chedipiùnonsipuò, temo di non riuscire a scrivere una ShikaTema neanche sotto tortura, ecco ç_ç.
Kaho_chan: Dulcis in fundo la mia Chaos, che non vedeva l'ora di leggere questa shot e che per fortuna è fra i miei Quattro Lettori <333!
Come farei senza di te?
Adesso devi prepararti a rendere nota al mondoH intero la tua SasoKure (because crack is life!) della nostra sfida, che secondo me farà stragi da tanto che è bella e vivida, ma ne riparleremo quando entrambe ci daremo alla pubblicazione.
Dai, non vedo l'ora di leggere la tua recensione, tu sì che mi sostieni e  mi regali un sorriso, tesoro *O*!
 
    

 

 




 


  

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Oh! Oh! Malediction [SasoKure] ***


Oh

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oh! Oh! Malediction!

 

 

 

 

 

Il cielo sopra di te è rosso.

Un minuto fa non ci badavi neppure, forse quello era un avvertimento e tu non l'hai saputo leggere.

"Cosa facciamo, danna? Uhn?" Deidara, di fianco a te, raffrena a stento la sua eccitazione. Le sue dita tremano impazienti sotto il copricapo di paglia. Deidara è stanco d'attendere, Deidara vuole attaccare.  
"Sono di Konoha, uhn, ha notato? I coprifronte, i coprifronte."
Non lo vedi neppure, Deidara. Ma sai che punta la squadra di ninja sotto di voi con la cupidigia di un falco -e con una certa delizia, anche.
Sai che il suo estroso quanto eclettico cervello non vede l'ora di escogitare la prossima esplosione. Difatti lo senti sussurrare un enfatico Katsu!, gli occhi in cui brilla già il pandemonio immaginario della detonazione.
Tu invece taci.
Guardi verso il basso, guardi i tre ninja malridotti che arrancano nella polvere.
"Devono essere quelli sopravvissuti allo scherzetto che Kyuubi-chan ha fatto qualche giorno fa, uhn, proprio loro."

E d'improvviso quasi ti sembra scontato che debbano morire per mano tua, Sasori. Quasi banale.



Ma ogni cosa è in fiamme. E tu vedi l'incendio avanzare.
Vedi i quindici anni che non hai avuto, vedi la collera, vedi i muscoli doloranti, vedi il passato che barcolla su un paio di gambette gracili, vedi l'andatura nonostante tutto spavalda, vedi un giubbetto da Chunin con le maniche troppo lunghe, vedi una vita che non è più.
Kurenai, Sasori.
Così si chiama la ragazzina.
Ma tu non lo saprai mai.

 

"Danna, cosa aspettiamo a farli fuori, uhn?"

Ti sfugge vaga la somiglianza con un altro viso, un viso seppellito nel tempo.
Capelli neri e indomabili. Gli occhi no, però, gli occhi sono diversi. Il viso non ha ancora perso i tratti di quella dolcezza un po' ruvida...
Oh! Oh! Maledizione!

Il tuo passato brucia, Sasori. Tu rabbrividisci impercettibilmente.
Non c'è ancora Hiruko a proteggerti, il tuo cuore puntualmente ti ricorda che sei vivo.
E l'incendio ulula, mugghiando ti travolge. Tu lo lasci fare.
Perchè sai che sarà lui infine a proteggere te.
Dove non cresce più niente, dove non c'è né prima nè dopo, dove niente può trattenerti: questo è quello che stai cercando. 

 

 

 

 

Nessuno ti biasima, Sasori.
Avevi lasciato Suna da troppo poco tempo, tu, carico d'affetti umani, tu, ancora incapace di strapparti il cuore.
"Attacchiamo, eh, danna, attacchiamo, uhn?"
Se le vite fossero strade, la tua sarebbe una lunga spirale di sabbia rossa collegata a un esplosivo. Una corsa folle dritta fino alla distruzione.
Perciò guardi più lontano, Sasori, guardi il nero avanzare nel cielo rosso e borbotti a Deidara che quegli scarafaggi non t'interessano. Battibeccate perchè lui sostiene che tu non gli permetta di divertirsi, ti contraddice di continuo, forse lo fa perchè ha visto di sfuggita il baratro nei tuoi occhi e finge che non esista. Sdrammatizza, insomma, com'è dannatamente abile a fare.
Tu persisti a guardare altrove, guardi ancora quella squadra malandata di ninja che risalgono il sentiero strisciando nel fango fino alle ginocchia.

 

Non sei mai stato ingenuo o infantile, Sasori, neppure quando avevi l'età giusta per esserlo, quindi non crederai neanche per un attimo di averle regalato un figlio da crescere e una strada diversa dalla tua da percorrere.
"Lei è troppo serio, danna, dovrebbe divertirsi di più, uhn!"
"E tu dovresti chiudere il becco."
"Non sia così scortese con me, uhn!"
"Idiota, ci passeranno davanti tra un momento, fa' silenzio!"


 

 

 

Nessuno dei due ammise mai d'aver guardato l'altro negli occhi, d'essersi poi voltato e d'aver infine continuato per la propria strada, che per l'una era Konoha, per l'altro la sublime arte dell'hitokugutsu.
Nessuno dei due saprà mai il nome dell'altro.
Un paio d'occhi, si sa, non ha nome.

 

 

 

 

"Deidara?"
"Sì, danna? Uhn?"
"Parla."

 

Oh! Oh! Maledizione!



 

Kurenai Yuhi, quindici anni dopo, avrebbe letto distrattamente il nome di Akasuna no Sasori, Mukenin di classe S membro dell'Akatsuki, nel rapporto che ne annunciava l'uccisione per mano della ragazzina allieva della Godaime. Si sarebbe stupita: l'aveva sottovalutata.
Sarebbe rimasta inerte un istante appena, poi neppure quello.
Non lo ricordò mai più.
Non conosceva nessuno con quel nome.

 

 

 

 

 

Fin

 

 

 

 

 

 

 

Glossario

Danna: Maestro.
Hiruko: L'orrida marionetta in cui Sasori vive nascosto.
Hitokugutsu:
Marionette umane, ovvero la specialità del nostro Sasori della Sabbia Rossa.

 

 

 

 

Nota dell'Autrice
E questo era il mio primo -e credo ultimo- esperimento serio con un crack!pairing, tutto dedicato alla mia Kaho_chan <3, visto che questa cosa è nata come una sfida tra noi due. Sfida che, per me, ha vinto lei: fiondatevi subito a leggere la sua, non ve ne pentirete assolutamente u.u! Anche perchè lei ha scritto un'allucinogena e fantastica Nonsense, mentre il mio schifo di flash, quassù, a stento si regge in piedi da solo e a stento ha una trama, ecco.
Però sono molto contenta d'averla scritta: è stato un bell'esperimento a mio parere. E, sì, ne sono soddisfatta :) anche se come minimo risulterà una cosa incomprensibile, incoerente e insensata. Bah.
Ne sono contenta anche perchè grazie a questa sfida sul crack pairing SasoKure ho conosciuto meglio la Chaòs, che è l'unica Pantera Rosa che sopporti (gyah!), nonchè allietatrice delle mie serate in msn e con cui confabulo volentieri riguardo allo ShikaIno *risata satanica*. E che puntualmente mi tira su quando mi deprimo per i nuovi capitoli di Naruto, ça va sans dire.
Perciò, signore e signori, leggetevi la sua "Carnival Ballroom" e decretate chi fra noi due ha vinto la Sfida SasoKure ;P!

 

 

 

La Chaòs: Ne, ti aspettavi il Pesciolino Suigetsu bello vivo e guizzante? Lo sai che non riesco a scrivere cose allegre XD Ma sono contenta di averti stupito, insomma, è una delle ipotesi sull'esito finale dello scontro Kisame/Suigetsu. Purtroppo, non so cosa voglia fare il Bastardo con quel Team, se tenerlo in vita ancora a lungo o no, ma ritengo che sia una prospettiva abbastanza plausibile. Insomma, Kisame è Kisame eh u.u mica il primo che passava di lì. Fermo restando che mi dispiacerebbe per Suigetsu ç___ç anche se il SuiKarin purtroppo non diventerà mai Canon, figuriamoci, con l'attenzione che ha il Bastardo per queste cose.
*Scuote i ponpon SUIKA! SUIKA! SUIKA!*
Allur, mi è piaciuta davvero la tua recensione. Non solo perchè è lunga, analitica e particolareggiata, ma perchè hai colto appieno quello che volevo dire <3, la malinconia di Karin che all'ultimo momento si ritrova senza maschera, così, morta in una battaglia che non era la sua, senza aver potuto dire né fare nulla... Ecco, io l'ho sempre trovata piuttosto forzata come caratterizzazione quella di Karin, per questo ho dovuto rimboccarmi le maniche e tirar fuori tutto un passato che giustificasse il suo essere così sfacciatamente PervertSasukeFangirl. Quel ruolo rigido e vuoto che hai citato tu è alla fin fine quello che volevo che emergesse: non è stata una ragazza felice, Karin. Per nulla. Obbligata in panni che non erano i suoi, che ha indossato per pura testardaggine.
Da brava Recensitrice, hai colto davvero quest'aspetto fondamentale <3 e sentirti dire che ho dato umanità, spessore e carattere a Karin non può che farmi arrossire in stile Hinata, aw!
E ti prometto che tenterò di scriverne una seria, di SuiKa. Seria seria. Serissima u.u E tutta su loro due. E' una promessa, eh!
Helen Lance: Vero, le storie in questo fandom affogano, ma per questo io sono una convinta sostenitrice del 'My fandom MUST DIE u_u', anche se finchè Naruto è sulla cresta dell'onda dubito che accadrà XD! Allora, sapere che segui le mie Flavours mi rende davvero felicissima, perchè ti stimo come autrice e ti ritengo una delle migliori autrici di Naruto, dunque leggere le tue recensioni mi fa immediatamente schizzare a quota Settimo Cielo.
Guarda, sapere che ti ho fatto leggere qualcosa su un personaggio che non ami non può che farmi felice. La sfida in effetti è stata proprio questa: dare spessore e rilievo a un personaggio come Karin, che Kishimoto relega bellamente allo stereotipo di fangirl-assatanata di Sasuke. Mi ha fatto pietà una ragazza circoscritta a questo ruolo infimo, ancora peggio di Sakura nella prima serie, quidni ho voluto giustificare in qualche modo le sue azioni, darle una vita che non è mai stata allegra, restituirle un briciolo di dignità. Poi se c'è una cosa che detesto è uno stereotipo, che secondo me mette anche in cattiva luce una figura femminile.
Femminista incazzosa a parte, se sono riuscita a, come dici tu, creare una storia verosimile e significativa dal nulla, allora posso davvero ritenermi soddisfatta di questa one-shot, sebbene la ritenga al di sotto di molte mie altre schifezzine.
Kokky: Oh, ma tu non sai quanto è difficile scrivere di Neji e Hinata insieme ç___ç! Ho sputato sangue io su quel raccontino, ogni frase, ogni accenno mi sembrava banale e scontato, per non dire irreale ç_ç! Ok, lo sclero da autrice affranta è passato, quindi posso rispondere tranquillamente alla tua adorabile recensione: ti ringrazio innanzitutto per i complimenti e per i Preferiti (aw *_*!) e spero che continuerai a seguire le mie Flavours. Quando mi perdo i commentatori per strada mi viene il crepacuore ç_ç, non hai pietà di me *occhioni sbrilluccicosi*?!?
Per il resto, tu hai centrato perfettamente il punto su cui mi sono concentrata. Per la prima volta, Hinata è forte, e lo è per Neji, non per Naruto. Certo, sarà preoccupata per lui, ma egoisticamente lei teme per la vita di Neji sopra ogni cosa, ed è questo a farle sfidare le regole e le convenzioni di una vita. Mi fa piacere che questo messaggio sia arrivato anche a te :) è l'Hinata che spero emerga prima o poi anche nel manga.

Grazie dell'attenzione,
Hipatya



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Capitolo 8
*** Scenes from the Narcissist Café [ShikaIno] ***


A Letizia,

A Letizia,
che non potrebbe portare un nome più adatto a lei.

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso.

 

 

 

 

Prologo

 

Un po' discosto dalle altre case, appena dietro il Grande Emporio delle spezie e di fianco ai campi incolti, dove il sentiero comincia a declinare nel dolce acquitrino delle risaie, là si trova un piccolo, raffinato e grazioso caffè all'occidentale.
Vedrete la facciata immacolata nonostante gli anni di usura, la porticina tonda a lato, le finestre come grandi vetrate e tende di velluto scuro a intrappolare i raggi crudeli di luce; annuserete nell'aria il profumo penetrante ed esotico delle spezie del Grande Emporio miscelarsi con l'aroma del cioccolato e del liquore, ed esso vi attirerà come il miele con l'ape.
Entrate, coraggio, non abbiate timore: la penombra è accogliente, familiare, i tavolini tondi color caffè sono
trés chic, le piccole lampade nere che pendono dal soffitto vi sembreranno gocce di pioggia, vorrete sedervi e ordinare una bevanda dal nome stravagante e sofisticato, chiacchierare di facezie con qualche buon amico, portando di tanto in tanto al naso il bocciolo immacolato di calla stillante d'acqua che riposa nell'elegante vaso dipinto a motivo mitologico.
Ma aspettate un momento.
Non avete letto il nome del locale.
Non potrete ricordarlo se non lo leggete!
Cercatelo, cercatelo da ogni parte: sulla facciata, sul bancone, sui fazzoletti di carta, sulle tazze d'elegante porcellana disposte accuratamente in cucina, nelle stanze vuote sul retro, nei vicoli del villaggio, nei volti della gente.
Forse allora qualcuno vi dirà, con la voce incurante di chi pensa a tutt'altro:"...Ah, lassù c'era il vecchio Narcissist Café."
Così tornerete verso le ultime case del villaggio contenti e rincuorati, tranquillizzati dalla vostra fortunosa scoperta; magari azzarderete a fischiettare un motivetto brioso durante il cammino e i vostri passi avranno l'andatura danzante dettata dalla soddisfazione.
A cuor leggero supererete l'angolo del Grande Emporio e...

...una spianata d'erba verde sorge al posto del grazioso caffè all'occidentale.

 

 

 

Scenes from the Narcissist Café

 

 

Parodo

 

Le bambine sedevano attorno al tavolino, composte ed eleganti negli orecchini e negli scialli sottratti alle madri, e nascondevano timorose i visetti paffuti nelle tazze di cioccolata fumante.
Seduta al centro, la ragazzina bionda spostava gli occhi vivaci ora sull'una ora sull'altra, le labbra atteggiate a un sorriso furbo che lasciava pochi dubbi sui suoi pensieri.
"Yukio-chan?"
La bimba interpellata arrossì e mugolò un flebile:"Sasuke-kun."
"Nana-chan?"
Ancora rossore e occhi sfuggenti, e una vocina ancora più lieve:"...ke-kun."
"Kyoko-chan?"
"Sasuke-kun" annuì sicura la bambina, gli occhi scintillanti.
"Rei-chan?"
"...Sasuke-kun, Ino-chan" sorrise civettuola quest'ultima.
"Sakura-chan?"
La ragazzina che portava quel nome arrossì vistosamente; azzardò qualche parola e il suo balbettio suscitò le risate sfrenate delle altre piccole signorine, richiamate poi all'ordine da un cenno perentorio di Ino. Sakura, rincuorata, sussurrò timida:"Io... io veramente non lo so ancora, Ino-chan."
Ino passò oltre:"Mayuko-chan?"
"Sasuke-kun" ammise riluttante quella.
Infine Ino si volse all'ultima bambina, quella che sedeva alla sua destra:"E tu, Nami-chan?"
La piccola si mordicchiò meditabonda un'unghia, e borbottò cauta:"Io ve lo dico, però... voi non ridete, vero?"
Ino la tranquillizzò con un sorriso di miele:"Non preoccuparti, Nami-chan, nessuna riderà, amenochè qualcuna di voi non voglia farsi tagliare i capelli come quella Hyuuga."
Un fremito di terrore passò tra le bambine, che tacquero di botto, spaventate.
Allora Nami si guardò alle spalle, circospetta, poi si chinò in avanti e con sguardo da cospiratrice sibilò:"...Shikamaru Nara."
Le risate delle bambine scoppiarono irrefrenabili come fuochi d'artificio.
"Ecco, lo sapevo, lo sapevo che non dovevo dirvelo!" piagnucolava affranta Nami.
"Shikamaru Nara! No, dico, Shi-ka-ma-ru Na-ra! Il secchione più antipatico e sfigato del mondo intero!"
"Non è affatto vero, Ino-chan, lui è molto intelligente, ecco!" aveva replicato Nami punta sul vivo, ignorata dalle altre bambine.
"Il Re degli Sfigati, Shikamaru NARA!!! Nami-chan, ma come diavolo fa a piacerti un tizio del genere?!?"
La bambina, già pronta a ribattere, col viso in fiamme, i pugni stretti e gli occhi lucidi, aveva preso fiato. Ma in quel momento dalle cucine era sbucata Madam Mei con un vassoio di pasticcini profumati, invitanti e splendenti nel velo cristallino di glassa, dunque proprio sul più bello rubò le parole di bocca alla piccola Nami.
La figura minuta di Madam Mei, donna eterna d'età indefinibile, si era avvicinata al tavolo col magico contrappunto dei tacchi delle scarpe rosso fuoco e, il viso dipinto dei colori del belletto e della cipria, aveva puntato gli occhi neri come spilli proprio su Ino-chan:"Per te zenzero e cannella, Principessina di Piuma," le aveva dunque sorriso, e la Madre Gea aveva brillato nell'arco di quei denti rovinati dalla nicotina.
Qualcosa aveva tremato nel sangue di Ino. Era come un dejà-vu: la sensazione che una parte di lei, chissà quale e quanto importante, conoscesse già l'arcano nascosto dietro quel nomignolo e quelle spezie era così forte da farle agrottare pensosa le sopracciglia bionde, ma tuttavia non da farla intimidire. Non si tirò indietro, Ino, e compì il suo destino con una lucidità invidiabile, forse quasi stuzzicata dall'ironia dell'eterno gioco. Profetizzò se stessa e, in parte inconsapevole, accettò quei doni e il battezzo di Madam Mei.

Sotto lo sguardo sbalordito delle bambine, Ino sgranocchiò serafica i biscotti allo zenzero e cannella.
Davvero deliziosi.


Non sapeva che, buttato su una collina poco distante, Shikamaru Nara, testè insignito del titolo di Re degli Sfigati, a testa in su si perdeva nelle giravolte delle nuvole bianche e a loro dava lo stesso nome dei pasticcini di Madam Mei: plumes.

 

 

 

 

I Stasimo

Madam Mei passava meticolosamente lo straccio umido sul bancone, gli occhi bistrati di kajal nero fissi sul proprio lavoro. Li alzò appena, indifferente, e tornò a riabbassarli:"Non è qui" pronunciò netta.
Shikamaru, sicuro che l'intrico della penombra l'avrebbe nascosto a sufficienza, spalancò la bocca per lo stupore, poi con un moto stizzito del capo tornò in sé e, ormai deciso a mantenere quel briciolo di dignità che ancora possedeva, scivolò fuori dal suo nascondiglio vicino all'ingresso e si addentrò nella selva di tavolini vuoti:"Non stavo cercando Ino" ci tenne a specificare.
Madam Mei, senza alzare gli occhi dal bancone, si concesse un intimo sorrisino:"Me l'hai detto tu stesso."
"Eh? E quando?"
"Proprio ora."
Shikamaru arrossì; questa volta ci mise un istante di più per riacquistare il suo indistruttibile autocontrollo. Ma rispose, supponente:"Lei cosa ne sa di chi sto cercando?!"
"Ino non viene più molto spesso, come faceva una volta. Non più," Madam Mei lo fissò dritto negli occhi, e Shikamaru si sentì nudo di fronte a una giuria:"da quando ha voi."
"Non sto cercando Yamanaka Ino. In che lingua glielo devo dire? In cinese?" sbuffò il ragazzino, stranamente a disagio.
"Oh" Madam Mei parve d'improvviso prenderlo sul serio, "Allora cosa sei venuto a fare qui?"
Shikamaru ebbe l'istinto di arretrare d'un passo, soverchiato da quell'assalto, ma il suo amor proprio lo spronò a reagire con orgoglio e con quel pizzico di strafottenza che ormai lo contraddistingueva, perciò, con sguardo di sufficienza, replicò:"...Non è un bar, questo? Vorrei bere qualcosa."
Un guizzo vivace brillò negli occhi della locandiera, che posò lo straccio e si volse tutt'orecchi verso l'insperato cliente:"E cosa desideri, dunque?"
Shikamaru Nara aveva dodici anni, un Quoziente Intellettivo superiore a duecento e un amore sfrenato per le sfide, soprattutto per quelle perse in partenza.
"Un... un caffè!" proclamò imperioso, ricordandosi che suo padre lo beveva spesso -ma non alle due e quindici di un afoso pomeriggio estivo e non una miscela arabica purissima, che Madam Mei gli servì senza indugi.
Portò la tazzina alle labbra con solennità, bevve tutto d'un fiato e, oltre a scottarsi la lingua e a sacramentare fra sé e sé, gli venne un'impellente voglia di vomitare.
Pagò, uscì dal locale con passo leggermente incerto e, appena svoltato l'angolo con il Grande Emporio, svuotò lo stomaco in una siepe di alloro.
Ma tre giorni dopo l'aroma poroso e forte del caffè torno a solleticargli prepotente la lingua e, dopo una lunga discussione con la sua coscienza, decise così, proprio perchè casualmente quel giorno non aveva nulla da fare, non certo perchè avesse un qualche interesse, di salire su al Narcissist Cafè.
Madam Mei questa volta gli servì una brodaglia color biscotto e, alla sua espressione orripilata, spiegò:"Questa volta ho aggiunto il latte. Provalo. Oppure hai paura di non essere abbastanza uomo per reggerlo?"
Shikamaru e il latte non andavano molto d'accordo: lo trovava insipido, privo di qualsivoglia sapore e pesante da digerire, nonostante sua madre lo obbligasse a berne almeno un bicchiere al giorno "per il calcio", diceva.
Ma con il caffè, forse...
Con uno sguardo di sfida inghiottì la bevanda, lasciando che il tepore tiepido gli sciogliesse i muscoli tesi e i pensieri
.
Dalla sala da thé udiva lo scoppiettare vivace delle risate di Ino, che sedeva a un tavolo con le solite amiche -ma senza la piccola Sakura-chan-, e a Shikamaru quasi sembrò che quelle risate fresche avessero colore e consistenza, calore e profumo come quel suo caffè.
"Questa volta ti piace?" fece Madam Mei.
Shikamaru annuì
distratto, gli occhi persi sul fondo lattiginoso della tazzina.
"Diventerai un cliente abituale?"
"Se lo sogni."
"Dimenticavo che tu vieni qua solo per lei."
"Chi, io? Figurarsi" commentò incurante Shikamaru, prima di lasciar cadere sul bancone le monete con cui pagare il caffelatte.
"Ah, Nara Shikamaru, tu hai bisogno di qualcosa di bello per poter vivere, e lei ha bisogno di essere quel bello per lo stesso motivo. Vi inseguite, e non lo sapete."
Stoccata finale.
Shikamaru udì i passi di Madam Mei scivolare verso le cucine e il fruscio del suo grembiule inamidato sparire verso l'interno del locale. Rimase immobile al suo posto accanto al bancone, l'espressione congelata sul viso: non trovava nulla con cui ribattere.
Che diavolo voleva dire quella vecchia pazza agghindata da gran dama?! Parlava come se sapesse, e l'arroganza era qualcosa che Shikamaru non riusciva a tollerare.
Immediatamente le parole della locandiera rientrarono, nella mente di Shikamaru, nella categoria "Incomprensibili", ovvero di tutte le cose che per istinto non voleva sforzarsi di comprendere e dunque potevano diventare soltanto una selva di inutili e snervanti seccature. Da cancellare, quindi.
Però, chissà perchè poi -di sicuro perchè quel giorno non aveva proprio nulla da fare ed era molto stanco a causa degli allenamenti mattutini con Asuma-sensei-, decise di tornare a casa solo dopo che anche Ino, sempre accerchiata dal crocchio vociante delle amiche, aveva lasciato il caffé.
Ovviamente, senza averlo salutato.
(Ovviamente.)

 

 

 

I Episodio

 

Era piuttosto tardi, sicuramente a casa sua in quel momento l'avrebbero dato per disperso. O forse no, visto che aveva espresso la chiara volontà di 'levarsi dai coglioni per il resto della sua vita', ovvero per il lasso di tempo più grande concepibile da una mente umana. Non aveva voglia degli strepiti isterici di sua madre e dei sermoni comprensivi di suo padre, non aveva voglia di recriminazioni o di pacche sulle spalle, non aveva voglia di guardarsi allo specchio e darsi del deficiente; non aveva voglia di niente, assolutamente niente.
Solo un caffè col latte, magari. Forse quello sì. Nero e bollente, capace di stordire lo stomaco e rendere i nervi docili come burro.
Ma al Narcissist Café non c'era nessuna Madam Mei, quel giorno, bensì Ino, che come un cane da guardia vigilava sul deserto vagamente folkloristico del locale. Forse nemmeno lei smaniava dalla voglia di tornare a casa.
"Come sta Cho?" fu la prima cosa che gli disse, senza neppure lasciargli il tempo di richiudere la porta d'ingresso.
Si sentì stanco, Shikamaru, sfinito.
"...Come vuoi che stia. Sta come stava tre ore fa, come stava 'sta mattina, come stava ieri e come stava l'altro ieri."
Un silenzio nervoso si tese fra loro, rotto poi dall'amara rettifica di Ino, la voce acuta e mortificata:"Volevo solo essere gentile."
(Il peggio era che Shikamaru lo sapeva.)
"Sì, hai ragione, ecco, guarda lascia perdere" tentennò quindi, frustrato.
Altri minuti interminabili di silenzio. Ino che giocherellava coi fregi colorati delle posate, con gli ingredienti ordinatamente disposti sulle mensole, con i buffi utensili per la lavorazione del cioccolato artigianale.
Shikamaru preferiva tenere gli occhi chiusi, poggiare la testa sul bancone e dimenticarla lì, come un oggetto senza importanza.
Ino decise di rompere il ghiaccio ad ogni costo:"Chissà dove sarà la vecchia..."
"La pazza, dici? Bah. Tanto qui non viene mai nessuno. Asuma-sensei dice che questo posto sembra una bettola per scambisti."
"Ehi. Io ci vengo. E anche tu."
E anche questo, pensò Shikamaru, era un bel rompicapo.
Ino non conosceva le parole giuste per consolare un tipo così, che sembrava riconoscere e ridicolizzare una dopo l'altra tutte le sue maschere, come lo specchio derisorio che le metteva davanti nient'altro che la patetica se stessa che era, la ragazzina che non piangeva mai, schiena dritta e capelli ben pettinati, la bambina che abbelliva la realtà per illudersi d'essere qualcosa.
Non avrebbe mai saputo consolare Shikamaru, mai. Però una cosa, quella, sì, poteva farla.
Il ragazzino udì i passi di Ino avviarsi verso il retro del locale, poi percepì il suono di numerosi cassetti che venivano aperti e svuotati e infine qualche imprecazione soffocata.
Finalmente Ino riapparve e posò a un centimetro dal suo viso una... Una scacchiera per lo Shogi.
Come diavolo facesse ad averla, la vecchia, era un mistero.
"Tu non sai giocare" le ricordò, prima di lanciarle uno sguardo vuoto.
E Ino sentì l'impulso animale di stampargli uno schiaffo in viso, così forse avrebbe mostrato una qualunque reazione umana. E Ino gridò, furente per nessun motivo, gli occhi sull'orlo del pianto:"Non ho mai saputo giocare al tuo gioco, Shikamaru, eppure non mi sono tirata indietro! Una battaglia si combatte a prescindere, altrimenti non è degna di essere chiamata tale!"
Shikamaru non rispose.
La categoria "Incomprensibili" si stava ingrandendo sempre di più, pensava.
"...Che cavolo stai dicendo?" mormorò
infine, disinteressato.
Ino si precipitò come una furia verso l'uscita, con uno strattone spalancò la porta:" Vaffanculo, Shikamaru, davvero, vaffanculo!"
E visto che neppure le offese sortivano alcun effetto, Ino disse la cosa terribile, quella che mai e poi mai si dovrebbe pronunciare, quella detta con il preciso scopo di ferire:"E' soltanto colpa tua se Choji è ridotto in quel modo! Sei un inetto, un incapace, un eterno indeciso, ti sei fatto battere da una donna, hai quasi fatto ammazzare i tuoi compagni e fai talmente schifo che non riesci neanche a reggerti sulle tue stesse gambe...!"
E Ino singhiozzava -chissà perchè poi.
"Sei talmente amorfo e inconcludente che ti sei già stufato di te stesso, a tredici anni sei già un vecchio decrepito, non riesci neppure a sopportarti da tanto sei noioso e apatico, e non hai capito niente, niente, niente!" Ino sbraitava contro le luci lontane del villaggio e continuava a singhiozzare -chissà perchè, poi.
E Shikamaru non riusciva ad arrabbiarsi -chissà perchè, poi.
"Lo pensi sul serio?" sibilò infine.
Fu Ino questa volta a non rispondere: continuava a singhiozzare, ininterrottamente.
Si volse infine verso di lui, gli occhi scintillanti e il viso paonazzo:"Non ho voglia di andare a casa, Shikamaru, né di parlare o fare qualunque altra cosa. Voglio solo incazzarmi in santa pace, è possibile secondo te?" storse il viso tentando di sorridere, senza un briciolo d'allegria.
Shikamaru sospirò, sconsolato.
Quella sarebbe stata una notte molto lunga.
"Allora, l'obbiettivo di ogni partita di Shogi è quello di catturare il re dell'avversario: ciò significa che la tua concentrazione dev'essere costantemente applicata a questo fine, mossa dopo mossa, e non devi mai perdere di vista quest'obbiettivo..."

 

 

 

II Stasimo

 

Ino aveva poche certezze nella sua vita, ma, per quanto esiguo fosse il loro numero, la fiducia che lei riponeva in esse poteva considerarsi assoluta.
Ino non concepiva il mutamento nelle cose: dopotutto il sole sorgeva ogni mattina allo stesso modo, dunque perchè la sua vita doveva essere diversa dal ciclo eterno degli astri? Lo trovava inconcepibile.
Al primo posto quindi c'era suo padre e il rapporto sereno che si sforzava di mantenere con lui: proposito molto più facile a dirsi che a farsi dato il carattere testardo e permaloso degli Yamanaka. Le litigate erano ordinaria amministrazione, sebbene spesso si protraessero per giorni e giorni. Ino, poi, non aveva conosciuto sua madre; era morta in missione, quando Ino era ancora troppo piccola per ricordare.
E la geniale idea che aveva avuto era stato rinfacciarlo a suo padre in un momento di rabbia.
(A cui era seguito il silenzio, silenzio deluso per settimane intere).
Al secondo posto c'era stato l'essere sempre circondata da amiche.
La prima ad andarsene però era stata Sakura, seguita poi a poco a poco da tutte le altre, un po' perchè molte non si erano diplomate Genin e mal sopportavano che una come la Yamanaka fosse addirittura più brava di loro, oltre che più bella; un po' per screzi, litigi e gelosie che, pur essendo infantili, avevano finito per rovinare ogni cosa. I rapporti si erano incrinati, tesi, sfilacciati, e Ino non aveva più alcuna voglia di riannodarli. Sapeva solo che, dove una volta c'era una folla vociante di visi allegri, adesso vedeva solo il vuoto.
Al terzo posto veniva la sua Squadra.
Squadra verso cui soffriva un irritante complesso d'inferiorità. Diamine, il suo piccolo mondo di cotte, pettegolezzi e bei vestiti terminava negli occhi di Shikamaru, nella pazienza di Choji, nella saggezza di Asuma-sensei. Quello lì era tutto un altro mondo, da cui Ino si sentiva cronicamente tagliata fuori, nonostante l'amicizia con Choji e Shikamaru. Nonostante una settimana prima fosse piombata in casa Nara saltellando e avesse abbracciato Shikamaru fin quasi a soffocarlo, gridandogli che gli voleva un mondo di bene (tutto perchè era appena tornato dalla sua prima missione coi Chuunin del villaggio). Nonostante avesse imparato a cucinare il maiale in agrodolce, solo ed escluisivamente quello, perchè sapeva che era il piatto preferito di Choji e così poteva invitare a cena lui e Shikamaru, quando Inoichi Yamanaka si trovava in missione.
Al quarto posto invece c'era Madam Mei. 
Ino non ricordava neppure perchè da bambina si fosse avvicinata al Narcissist Café e avesse deciso di farne la sua seconda casa, né perchè la presenza di Madam Mei le fosse così congeniale.
Era, semplicemente, il segno dell'eterno nella vita di Ino, una cosa che c'era da sempre e sempre ci sarebbe stata.
Madam Mei le aveva insegnato la dignità, l'amore per se stessa, la scaltrezza.
Una donna è tale in qualunque situazione era un suo adagio, che Ino aveva scrupolosamente adottato.
Però s'era stupita quando i tarocchi di Madam Mei le avevano rivelato qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.

L'Appeso. La Morte. Il Bagatto.

 

Gli occhi di Madam Mei erano più scuri del carbone e quasi privi di luce. La donna stava china sul tavolino, le carte che guizzavano come lingue di fiamme tra le sue mani e le labbra strette dalla concentrazione, ma la combinazione era sempre e soltanto quella.
L'Appeso. La Morte. Il Bagatto.
L'Appeso. La Morte. Il Bagatto.
Al terzo tentativo, la locandiera si arrese all'evidenza.
"Cosa significa, Madam Mei?" chiese Ino, gli occhi asciutti, sebbene sapesse già tutto.
La donna fece un breve sospiro, riordinò le carte rimaste e tornò al bancone:"Che le cose cambieranno, Ino-chan."
Ino, dura, non battè ciglio:"Le cose non cambiano mai, Madam. Sono sempre le stesse, per tutta la vita, sempre"
Non capiva come mai quest'attacco improvviso arrivasse proprio da lei, dal suo quarto e ultimo punto fermo. Non lo accettava, Ino, era come una pugnalata alle spalle, che arrivava oltretutto nel momento più inaspettato, quando si trovava indifesa.
"Mh. Puoi credere a quello che vuoi, Principessina di Piuma, a quello che ti fa più comodo" ribattè sarcastica la donna.
"Le cose non cambiano mai. Sono sempre le stesse, giorno dopo giorno" ripetè incrollabile Ino, ignorandola.

"Sempre le stesse. Non cambieranno mai."
"Le cose non possono cambiare."
Ino, sempre più convinta, guardava fisso davanti a sé, la mascelle serrate e l'alterigia di una regina, poichè la sua era un'aperta sfida: all'Appeso, alla Morte, al Bagatto.

 

 

 

 

II Episodio

I pugni al cielo e la gola spiegata, Ino era balzata in piedi:"VITTORIA! Ino Yamanaka è la numero uno anche allo Shogi! Evvai!!!"
Shikamaru aveva guardato il soffitto, poi si era massaggiato meditabondo le mascelle e in infine si era lasciato sfuggire un'esasperata esclamazione di fastidio:"Che seccatura!"
"La verità è che ti brucia, genietto dei miei stivali, non è così?!? Per la seconda volta battuto, ma che dico, stracciato da una donna! Ti brucia! Ti brucia! Ti brucia!" canterellava euforica Ino.
Shikamaru non l'ascoltava già più, lo sguardo fisso sulla scacchiera.
"Pe-ni-tenza! Pe-ni-tenza! Pe-ni-tenza! Vediamo, cosa potrei farmi offrire? La cosa più costosa di tutte, certo! Madam, Madam Mei!" chiamò.
Shikamaru osservava le pedine, assorto. Pensava.
"Madam, due tazze di cioccolata al Grand Marnier. Mi raccomando i biscotti allo zenzero e cannella e... Oh, lo so che non siamo ancora maggiorenni, ma suvvia, Madam, bisogna festeggiare! E' la prima volta che vinco allo Shogi contro Shikamaru!!!"
Shikamaru, dal canto suo, non obiettò alcunchè, ormai lontano anni luce dal Narcissist Café.
Shikamaru non trovava il mondo un luogo granchè esaltante, anzi, il più delle volte era piuttosto ordinario, governato dal desolante binomio di azione-reazione.
Però c'erano alcune cose che, doveva ammetterlo, erano particolarmente belle, perciò degne della sua attenzione.
Le nuvole, ad esempio. Andavano così veloci che spesso Shikamaru non riusciva ad afferrarle neanche col pensiero e poi erano così... buffe, belle. Cambiavano continuamente, non annoiavano mai, e la cosa migliore era sapere che, dovunque fosse andato, sarebbe bastato guardare verso l'alto e le avrebbe trovate lassù, al solito posto. Erano belle ed erano irraggiungibili, erano i sogni che il pigro Shikamaru non avrebbe mai avuto né la forza il coraggio di inseguire. Gli bastava, in un certo senso, poterle guardare.
Ma da qualche tempo, ecco, il suo cielo era cambiato.
Il vento soffiava più forte nelle orecchie di Shikamaru e ogni volta era più difficile rimanere fermo, raccontarsi le solite sciocchezze su una vita tranquilla e monotona al villaggio, invecchiare accanto a una donna né bella brutta -ancora da trovare, tra l'altro-, giocare a Shogi fino a tarda notte e giorno per giorno fare le stesse identiche cose fino alla tomba.
Non è da me impegnarmi più del dovuto. Non è da me desiderare qualcosa di diverso.
Io non sono così. Io non sono qui, Shikamaru.
Lo distrasse il tramestio di Ino che tornava a sedersi, la malizia raggiante che ancora non abbandonava il suo viso.
"Non ci credo, ho vinto contro di te! Contro di TE, capisci?!?" trillò, battendo le mani. Shikamaru lo trovò quasi intollerabile.
"La fortuna del principiante" rispose, sprezzante.
"Certo, come no. Sono solo due anni che mi hai insegnato a giocare a Shogi" replicò con una spallucciata Ino.
"I veri maestri hanno imparato a giocare nella culla" le fece notare Shikamaru.
"Oh, ma crepa, sei un dannato guastafeste!!!" Ino gli fece la linguaccia, "Questo dev'essere senz'altro un segno di buon'augurio per l'Esame di domani!"
"Esame che dovresti preparare, appunto."
"Vecchio, vecchietto barbogio. Sono o non sono semplicemente la Numero Uno?!" Ino sbattè languida le lunghe ciglia.
"Ti ricordo che il qui presente vecchio barbogio, unico del suo anno, li ha passati al primo turno, gli Esami di Selezione dei Chuunin. E adesso è un Esaminatore."
Ino sorrise angelica, dopodichè si allungò verso di lui e gli stampò un bacio che, forse per caso o forse no, si fermò sull'angolo delle labbra del ragazzo:"Appunto per questo so che lo passerò, Shika."
Poi si risedette al suo posto, il sorriso capace di entrare nel cuore tanto era luminoso.
Shikamaru brontolò qualcosa d'indistinto, poi roteò gli occhi e seppe di avere le orecchie color rosso carminio:"Che seccatura! Mi spieghi dove vuoi andare a parare?"
La risata argentina di Ino si frantumò in una vena di tenerezza:"Ma sei proprio un'idiota, io l'ho detto. E non capisci niente, niente! La fiducia, Shikamaru, la fiducia: di chi diavolo vuoi che mi fidi a questo mondo, maledizione?! Niente, non capisci niente. Non capisci che è a te che affido il mio corpo nel Shitenshin, non capisci che ogni volta guardo te prima di attaccare, non capisci che so che l'Esame andrà bene perchè non può succedermi nulla se sono con te?
E adesso non montarti la testa, stronzo" concluse, regalandogli una teatrale smorfia disgustata.
Shikamaru sbuffò ancor più sonoramente. Però era sicuro che, scarogna di tutte le scarogne, la piega delle labbra stava correndo sempre più in su, verso il sorriso, e non poteva fare nulla per evitarlo. Che seccatura!
Il vento poteva fermarsi, forse, se qualche volta Ino era con lui. Bastava poco, davvero molto poco, ed Ino era pur sempre qualcosa. 
Allora si accorse di essersi di nuovo soffermato a fissare i pezzi immobili sulla scacchiera.
D'improvviso un dettaglio che prima non aveva considerato gli balzò lampante davanti agli occhi, eloquente come un libro stampato, così macroscopico da passare paradossalmente inosservato, almeno fino a poco prima.

"Ino."
"...Mh?"

"E' un Fu*, quello."
"Eh? Ma che dici?"
"E' un Fu, una pedina, non il mio Osho*."
"COSA?!?"
"Non vedi? Guarda l'ideogramma. Ti sei confusa coi caratteri katakana."
"..."
"E' piuttosto frequente, sai, succede anche ai migliori. Una svista e puf: un errore madornale pregiudica tutta la partita."
"..."
"Non hai ancora vinto contro di me, Ino. E il Grand Marnier questa volta lo offri tu, del resto hai voluto decidere per forza la penitenza...
Allora? Riprendiamo a giocare?"

 

"Shikamaru?"
"Sì?"
"Sei uno stronzo."
"Anch'io ti voglio bene, Ino."

 

 

 

 

III Stasimo

L'insegna era stata staccata quasi del tutto: soltanto un alone appena più scuro s'intravedeva là dove una volta si strotolavano i corsivi eleganti e un po' pretenziosi della parola "Narcissist".
Sakura spinse la porta d'ingresso ed entrò; non udì il familiare tintinnio del sonaglio appeso allo stipite, segno che anche questo doveva essere stato tolto e gettato chissà dove.
La confortante penombra del locale era stata sostituita dalla luce elettrica delle lampade al neon, e una delle due sale era già stata svuotata, ripulita e riverniciata, cosicchè non recasse traccia del passaggio del Narcissist Café.
Sakura raggiunse il bancone in silenzio, gli occhi che vagavano alla ricerca delle ombre di vecchi ricordi, ed era quasi sicura di scorgere a ogni passo il baluginio della coda bionda di Ino, le risate delle ragazzine, il profumo di cioccolata appena preparata e quello dei fiori freschi nei vasi, ma non sentiva alcun odore, se non quello soffocante della polvere accompagnato dalla nota plastificata della vernice appena stesa.
(Se ne sta andando via tutto quanto, Sakura).
Bussò appena con due nocche sul bancone, per richiamare l'attenzione della proprietaria. Madam Mei si fece attendere e, quando fece capolino dalle cucine, le puntò in viso due neri occhi diffidenti:"Buonasera", salutò.
Sakura chinò appena il capo, le mani strette al bancone, e ricambiò cortese il saluto.
"Sono venuta a dirle che è tutta colpa sua" aggiunse poi, qualche istante dopo. Madam Mei si avvicinò al bancone, i passi felpati e il viso imperturbabile di una statua. Non disse una parola e Sakura interpretò il suo silenzio come un invito a proseguire:"Per Ino, dico. E' tutta colpa sua."
Madam Mei replicò con un buffo suono derisorio della gola, come se si sforzasse di trattenere le risate. Sakura si spazientì e la linea della sua mascella si fece dura d'acciaio:"Non rida di me. Sa benissimo che è soltanto colpa sua se le cose sono andate in questo modo. E' lei, lei sola la causa di tutto.
E adesso, adesso che il danno è stato fatto, lei scappa con le sue cioccolate e i suoi tarocchi. Si vergogni" la voce di Sakura era andata man mano incrinandosi fino a divenire acuta.
Madam Mei rise, con quella risata bassa e roca, una risata scura come la sua pelle bruciata dal sole.
"Non rida di me!!!" sibilò Sakura fra i denti, la mano stretta a pugno sul bancone, "Non capisce? E' stata lei a creare Ino, lei. Di lei si fidava ciecamente, da lei ha imparato a truccarsi, a indossare vestiti eleganti, a comportarsi come una divetta da due soldi. E' stata lei a fare di Ino ciò che è adesso, è stata lei a... a rovinare ogni cosa!!!"
Allora Madam Mei decise di risponderle, e quando parlò lo fece con un filo di voce morbido come zucchero fuso. Con una mano carezzò l'unica lacrima che correva lungo la guancia di Sakura, poi le rispose:"Tu cerchi un responsabile, Campo di Fiori, e non ti chiedi se non stia in voi stesse."
Sakura tacque, il respiro quasi impercettibile e gli occhi cristallizzati nell'amarezza della sorpresa.
Madam Mei proseguì:"Non esiste colpa, Campo di Fiori, esistono scelte, quelle che tu non accetterai mai, perchè vorrebbe dire che loro non hanno più bisogno di te. Ma tu vuoi che abbiano bisogno di te, quanto tu hai bisogno di loro: è la maledizione di Solveig, che per anni e anni ha aspettato Peer Gynt, che tornò da lei solo in punto di morte. Ma quegli anni, quegli anni splendidi che lei ha consumato nell'attesa, non le sono parsi una gran cosa, sai? Sono sbiaditi in un colpo non appena lei l'ha rivisto... e lì ha saputo, Campo di Fiori, ha saputo che anche una vita come la sua, sì, ache una vita del genere valeva qualcosa, che aveva vissuto solo per rivedere il viso di Peer Gynt dopo un'intera esistenza trascorsa senza di lui, e le è bastato, capisci? Quell'istante di pura gioia celestiale l'ha salvata, le ha consegnato la redenzione.
Ma tu cosa farai, Campo di Fiori, continuerai a cercare?"
"Sì" rispose Sakura, la voce fredda e incolore:"Finchè avrò vita. Non mi arrenderò mai. Continuerò a cercare ciò che ho perso."
"E se tu non dovessi trovarlo?"
"La bellezza di una ricerca sta appunto in questo."
"Sei libera di vivere come preferisci, Campo di Fiori."
Il viso di Sakura fu d'improvviso animato da un impeto di sdegno:"La finisca di chiamarmi così, ho un nome, io. La finisca di appestare le nostre vite. Se ne vada, sparisca e non torni mai più, lei ha rovinato Ino e ogni cosa" la sua voce tuonava di nuovo, adesso.
Madam Mei non le prestò attenzione e dalla tasca del grembiule frusciarono come foglie nel vento tre Arcani Maggiori. Sakura se li ritrovò davanti agli occhi.
"L'Appeso. La Morte. Il Bagatto.
Non vedi? Non vedi niente? Guarda l'Appeso e vedrai un maestro ucciso da un criminale, vedrai la straziante agonia che l'ha sbalzato fra cielo e terra, vedrai il grido del corpo offeso e straziato, vedrai l'istante eterno del lamento.
Poi viene la Morte con una falce orlata di sangue, i capelli bianchi e gli occhi di luna gelida, e calerà la sua arma infinite e infinite volte, cercherà la fine negli occhi di chi può averla, mentre lei, immortale, avrà tutta un'eternità per invidiare il termine della vita e il silenzio quieto dell'anima.
Ma il Bagatto, il Bagatto? L'alchimista svogliato, il genio che cerca la pietra filosofale o la quadratura del cerchio, il piccolo mago ragazzino, il segno del mutamento nella vita umana.
Ancora non capisci? Ancora non hai capito cosa significano? Sono lo Stallo, la Fine e il Nuovo Inizio."
"Silenzio" il tono di Sakura era arido, così come i suoi occhi:"L'ho capito. Crede che sia così stupida da non arrivarci?!"
"Credo che ti serva trovare un colpevole, Campo di Fiori, anche quando non c'è."
Sakura una volta aveva visto di sfuggita Hidan, il criminale che aveva ucciso Asuma Sarutobi, ma in quel momento lo rivide sogghignare macabro nell'illustrazione della carta, gli occhi freddi e immortali, l'ascia tra le dita e il sorriso asimmetrico di spregio che prefigura la Fine.
Hida
n, ironia della sorte, combatteva davvero con un'ascia.
Madam Mei, tutto d'un tratto, divenne seria e incolore:"Ino-chan lo sapeva. Sapeva che sarebbe stata questione di tempo, niente più, e l'Appeso si sarebbe mutato in Morte, per poi essere vendicato dal Bagatto.
La frana era sospesa sul suo capo, ma non ha voluto spostarsi di un solo millimetro per evitarla."
Sakura, frustrata, diede un sonoro pugno sul bancone:"Per questo, dannazione, la colpa è solo sua! Lei gliel'ha rivelato! Lei gli ha detto che Asuma sarebbe stato ucciso e che si sarebbe innamorata di Shikamaru, lei gliel'ha detto e l'ha condannata a vivere questa storia riga per riga, fino alla fine!"
Lo sguardo di Madam Mei divenne ancora più opaco:"E' stata Ino a voler sfidare la sorte. E' stata lei a scegliere l'ostinazione, Campo di Fiori. Non voleva che le cose cambiassero e invece grazie ai suoi sforzi è cambiato tutto, irrimediabilmente."
Sakura ammutolì, il viso congelato dallo stupore e un grumo di pianto che le premeva la gola; con un sussurro fioco protestò:"Non è vero, non è così, lei è-"
"Ino-chan ha fatto esattamente ciò che non voleva fare.
Ricomincerete a vivere, certo, ma non adesso: resta ancora l'Ultimo Atto, Campo di Fiori..."
Il sorriso dolcissimo di Madam Mei si allargava pian piano e aveva qualcosa di enigmatico e profondamente agghiacciante insieme, come probabilmente doveva essere il sorriso disumano di Atropo, colei che con un colpo di forbice recide il filo della vita...




 

III Episodio

 

La prima volta che aveva messo piede lì dentro era stato colpito dalla penombra, dal profumo dolce di cioccolata, dai piccoli tavolini rotondi e dalla grazia leziosa dello stile occidentale che traspariva a ogni angolo.
Quei tavolini non c'erano più, ne rimanevano giusto un paio così usurati che non era valsa la pena portarli via, e si poteva disegnare con le dita sulla loro superficie grigia di polvere. Qualche vecchia sedia, l'antico bancone scheggiato e rovinato: era tutto ciò che rimaneva.
"...Quando pensavi di dirmelo?" gli abbaiò contro Ino, squadrandolo con astio, prima di lasciarsi cadere su una vecchia seggiola impolverata, il mento proteso a mo' di sfida e le sopracciglia che disegnavano un arco.
"Allora?! Sto aspettando una risposta, genio. Quando pensavi di dirmelo? Domani, forse? Capisco. Anzi no, avresti aspettato il giorno del matrimonio, certo, così da lasciarmi la bella sorpresa per ultima. Fottuto bastardo," digrignò i denti, carica di disprezzo.
"Non me l'avresti neanche detto, non è vero? In fondo che importa dirlo a me, cosa devi a me, solo anni di amicizia e infinite parate di culo in missione, non merito certo di sapere che Shikamaru Nara si sposa con Temari del Deserto, con cui evidentemente scopa da mesi, dopotutto è una notizia così normale.
E levati di bocca quello schifo quando parli con me, per favore."
Meccanicamente Shikamaru obbedì e spense la sigaretta su quel pavimento di pietra levigata che mai più nessuno avrebbe calpestato.
Sostenne lo sguardo incendiario di Ino per un tempo che gli parve incommensurabilmente lungo, ma non volle sforzarsi di rispondere.
Ino si morse le labbra con foga e parlò di nuovo, la voce troppo pacata per non essere artefatta:"Era... era solo una seccatura in più, lo credo bene. Io sono solo una seccatura per te, lo sono sempre stata, per questo è più facile scappar via con Temari, via da tutto quello che è più complesso di una partita a Shogi.
Temi ogni cosa che esula dalla tua comprensione, dunque perchè dire a Ino che ti sposi? Perchè? Non hai voglia di lei, delle sue domande, delle sue scenate... Tra qualche giorno e te ne andrai, penserà il tempo a sistemare il resto. Tu non concedi neanche il lusso di un'ultima parola."
"No, non è
questo" si oppose Shikamaru, un barlume di fermezza negli occhi scuri come l'ebano.
"E allora cos'è? Avanti, parla, sono qui" lo esortò Ino sarcastica.

"E' che," ammise cautamente Shikamaru, "che se te l'avessi detto, non sarei più riuscito a sposarla."

 

Una scarica elettrica attraversò il corpo di Ino, che per un istante credette di essere morta.
Ma le sue ciglia batterono una, due, tre volte; la sua cassa toracica si rilassò e contrasse una, due, tre volte al ritmo sempre uguale del respiro; dunque era viva, tutto andava bene.
Ebbe voglia di scagliargli contro il tavolino impolverato, perciò rimanere ferma le costò uno sforzo tremendo, quasi inumano.
"...Cosa stai dicendo?" chiese, la voce pericolosamente fievole.
Shikamaru forzò un ghigno che sapeva di caffè amaro:"Quello che da sempre rifiuti di vedere, da codarda quale sei."
"Sei TU in codardo, io-"
"Tu esci con Sai da quasi un anno. E c'è stato bisogno di Choji perchè io lo sapessi, dato che tu, oh tu non hai mai pensato di dirmelo."
Ino fu costretta, suo malgrado, al silenzio, le gote in fiamme e gli occhi in cui brillava una collera lucida.
"Tu dici che io scappo, Ino, e forse hai ragione: ma tu, tu ti ostini a restare sempre uguale e sempre la stessa, tu non accetti di cambiare e ti opponi con tutte le tue forze quando accade, tu non vuoi crescere né mutare e pretendi che tutto ciò che è intorno a te resti immobile!"
Ino lo guardò con occhi come lampi:"Tu non c'eri, Shikamaru."
Il ragazzo allora rise, quasi latrò selvaggiamente a quell'affermazione:"Certo, come no. Tu invece dov'eri quando Sakura si batteva per proteggere Sasuke e Naruto? Dov'eri quando Choji si è quasi fatto ammazzare per riportare indietro quel fottuto Sasuke Uchiha, dov'eri quando i migliori Genin di Konoha si sono ridotti in fin di vita per recuperare il bel faccino che voi ragazze amavate tanto, dov'eri quando Asuma ha gridato in un modo da far gelare il sangue nelle vene, dov'eri quando l'ho vendicato e ho deciso che questa vita faceva davvero schifo?!?
Dov'eri, eh Ino, dove cazzo eri??!"
Adesso era a un passo da lei, le aveva gridato tutte quelle accuse sul viso. La Yamanaka, vinta, aveva abbassato il capo seppellendolo nel petto e, le mani pallide strette sulle ginocchia, fissava in silenzio la piega stazzonata dei pantaloni di Shikamaru.
Sempre il solito svogliato.
Non cambierà mai.
Ma appunto per questo io...

 

Ino alzò il capo, giusto per vedere la porta sbattere e l'impressione fugace di Shikamaru che andava via, via.
(...Via?)

 

 

 

 

 

 

Esodo

 

(Shikamaru si era allontanato di qualche metro quando il Narcissist Café, semplicemente, era esploso in una colonna vibrante di fuoco rosso)

 

 

Ma Ino, non appena si accorse che lui se n'era andato, non riuscì più a trattenere le lacrime che tutte insieme premevano contro i suoi occhi.
Crollò la testa sul tavolino e nascose il capo fra le braccia, scossa dai singulti affannosi che le rompevano il respiro.
"Non puoi andare, tu... tu non puoi andartene, non hai ancora capito che io..." Scosse la testa sul legno freddo e sentì le lacrime impastarsi con la polvere:"Non ero innamorata di Sai, ma lui poteva andar bene se così non avrei avuto..." cantilenò querula con un filo roco di voce. Come doveva sembrare brutta in quel momento, una brutta, patetica donna che piange. Si sarebbe detestata se avesse potuto vedersi, ma le sue lacrime continuavano a cadere una dopo l'altra, non le concedevano tregua.
Gridò al niente, le unghie conficcate nel palmo e una smorfia animale di dolore sul viso:"Io non dovevo volere TE, era assurdo, privo di senso, folle! Non si è mai sentita un'eresia del genere, non c'è cosa più sbagliata che noi due!
E invece volevo proprio te, solo te, ogni minuto, ogni secondo, ti correvo incontro credendo di scappare..." lo ripeteva ancora, con la stessa voce acuta di bambina allucinata, mentre sentiva il cuore implodere nel petto e il sangue impazzire nelle vene, letteralmente impazzire.
"Non te l'ho mai detto, è vero" sussurrò piano, quasi temesse di svegliare qualcuno, "Ma adesso l'ho fatto, adesso sono qui, perciò non puoi andartene, ti prego, te lo ripeterò ogni giorno della mia vita fino alla nausea, 'Ti amo, Shikamaru', e ti ci abituerai talmente tanto che non potrai pensare a un risveglio senza queste parole..."

Silenzio. C'era solo il rumore del suo respiro a risponderle, con una puntuale precisione monotona.
E' troppo tardi, troppo tardi. Non è più qui.

 

Il tocco leggero sulla spalla la fece sussultare.
E in un attimo, un solo battito di ciglia, Ino fu tra le braccia di Shikamaru mentre sconnessamente chiedeva perdono.

Ma, suo malgrado, percepì qualcosa di insolito in lui. Sentiva freddo, Ino, e la consistenza impalpabile dell'aria: soprattutto, le narici cercavano l'odore acre del fumo e non lo trovavano. Si irrigidì.
Lui se ne accorse, perchè lasciò che la ragazza arretrasse molto lentamente, prima di parlare piano, la voce tranquilla e pacata di chi spiega un teorema difficile a un bambino:"Ino, non sono Shikamaru."
(...E il mondo crolla)
"Tu vuoi vedermi così, dunque ho assunto questo aspetto. Ma il mio nome è Thanatos, eh" Shikamaru abbozzò il sorrisino incolore che di solito Sai si stampava sul viso; Ino rimase inerte come un pezzo di ghiaccio, gli occhi sbarrati, eppure Thanatos proseguì senza scomporsi:"Questo locale è appena saltato in aria. Non chiedermi il perchè, guarda, non me lo dicono mai.
Solo che tu non sei morta, non tecnicamente almeno: pare che tu abbia più fortuna di quanto credi."
Ino a poco a poco riuscì a percepire una luce sinistra in quel sorriso, un baratro infinito negli occhi neri, la sensazione sfumata della pelle. Era come trovarsi di fronte a un ricordo triste di Shikamaru, una fotografia scolorita dalla pioggia.
Perciò, disorientata, schiuse appena le labbra:"...Eh?"
"Vuoi andartene o preferisci restare? Non hai molto tempo per decidere, sai, lassù potrebbero anche spazientirsi."
Ino non rispose.
"Non mi sembravi molto felice poco fa, sicchè, se decidessi di venire con me, smetteresti di piangere per questo tizio come facevi prima. Basta che tu mi segua e ce ne andremo" con uno sbadiglio, Shikamaru -che non era quello vero- indicò la porta del locale.
"...Morirò?" fece Ino, la voce infantile e titubante.
Shikamaru -che non era Shikamaru- sospirò:"Beh, il termine tecnico è quello. Ma non sentirai alcun dolore, si tratta soltanto di passare attraverso una porta."
Ino tacque; riflettè in silenzio per un interminabile minuto, i grandi occhi spalancati e nessun respiro a danzarle nel petto. Poi parlò piano, la voce ridotta a un sussurro:"Se," chiese:"Se torno indietro, allora Shikamaru sarà di nuovo con me?" Non riuscì a nascondere la lieve nota di supplica che si struggeva in quelle parole.
Il finto Shikamaru scrollò le spalle, ovviamente incurante, e si schiarì la gola:"Sarà come prima.
Ino, questo posto è esploso, sarai ferita gravemente, soffrirai. E' vero che lassù si sono sbagliati, ma comunque di poco.
Se questo tizio starà con te o no dovrà deciderlo, non ti pare? Non dipende affatto da me o da chiunque altro non sia voi due."
Ino annuì molto lentamente. "Ho capito," disse.
E tese la mano verso Shikamaru -sempre più leggero ed evanescente di quello reale- e seguì docilmente i suoi passi.
La porta, quella l'attraversò da sola, in silenzio.

 

 





Ma, inaspettatamente, aprì gli occhi e vide luce, luce
e il viso di Shikamaru, quello vero però.

 

 

 

Non ti lascio andare via. Non ti lascio andare via. Non ti lascio andare via mai più.

 

 

 

 

 

Fin    

 




 

 

Glossario
Shitenshin:
la Tecnica del Capovolgimento Spirituale della nostra Ino-chan.
Fu:
pedina.
Osho:
Re Bianco. Shikamaru ovviamente gioca coi Bianchi, e Ino coi Neri :).
Thanatos: La Morte, signori miei.

 

 

 

Arwen5786: La tua recensione mi ha fatto davvero molto, molto piacere *O*! Credimi, vedere che mi segui e recensisci le mie storie mi fa andare in brodo di giuggiole, io ricordo la tua "Liebe...?" che mi ha tolto il fiato, e non vedo l'ora che tu ti lanci nell'impresa di un'altra SasuSaku u.u (messaggio subliminale XD!).
A parte questo, hai scritto un'analisi attenta e corretta di Sasori, Kurenai e Deidara, hai colto perfettamente qual era il senso della faccenda. Temevo che il parallelismo con la madre di Sasori non si capisse ç_ç in fondo non sappiamo nemmeno come si chiami e l'abbiamo vista viva solo in una puntata, per il resto è una marionetta.
Ma... Un'intera raccolta NejiHina O_O?! Argh! Ma io muoio ç_ç! Mi son fatta venire un esaurimento per quella sola one-shot, davvero, avevo paurissima che venisse male ._. e poi tutta la faccenda dell'incesto... eh... me un po' moralista in questo caso. Ma soprattutto, ho una piccola vena NaruHina che in fin dei conti mi dispiace soffocare. Una raccolta no quindi, però non è escluso che, ispirazione permettendo, rifaccia qualche incursione nel NejiHina (è tutto merito -o colpa XD?- della Kaho u.u).
Tra l'altro, immagino tu non abbia letto questa storia XDDD quindi perdonami, ma purtroppo da questo lato siamo inconciliabili ç_ç!
SPOILER E vedo che tra l'altro il 402 ha commosso anche te... Io sono stata male tutta la sera, guarda. Non so davvero più che pensare né di Itachi di Sasuke, e soprattutto quest'ultimo ormai non ha più vie d'uscita. Io speravo che facesse la scelta giusta, che capisse che così facendo sta buttando al vento tutto ciò per cui Itachi ha vissuto e invece... invece. Che amarezza, cara Arw -o cara Cami?-, che amarezza ç_ç! Piangiamo insieme! FINE SPOILER
Helen Lance: Anch'io vedo bene le crack ItaKure (misà che tutte e due abbiamo letto la stessa storia di Chiara/Artemisia XD!), però questa volta ho voluto lanciare a Kaho_chan una sfida che fosse crack al 100%, pescando a caso due personaggi che non si sono mai neanche parlati. E così, Sasori e Kurenai XD!
Sono contenta che ti sia piaciuta; la scelta della seconda persona mi è abbastanza congeniale, ti dirò, molto più della prima e della terza, però tante volte non sono sicura di gestirla bene e sapere che ci sono riuscita mi rende davvero felice *.* e grazie per gli apprezzamenti ai personaggi (sono IC, menomale! Avevo il dubbio fino alla fine!), il rapporto fra Sasori e Deidara è penso uno dei più divertenti e piacevoli da leggere di tutto il manga, sinceramente mi è quasi venuto naturale scriverlo. E mi fa piacere che quel "Parla." finale ti piaccia, in fondo si è come scritto da solo :) l'unico cedimento di Sasori non poteva che essere misurato, quasi impercettibile.
Tra l'altro, grazie per aver recensito "Remedios la bella". E, sì, quel libro è un'allucinazione, hai proprio ragione :).
E per quanto riguarda i ritardi, tranquilla^^! L'importante è sapere che mi leggi, cosa che mi fa alquanto piacere, credimi!
Kokky: Io non ti ho ancora ringraziato a dovere, Koks, per la recensione lunghissima e analitica che tu hai scritto a "Remedios la bella". Cioè, non era proprio analitica, era emozionata, era scritta "di pancia" come direbbe il mio insegnante di teatro, e per questo io ti ringrazio moltissimo, leggerla e rileggerla fa un piacere immenso, dà davvero la forza di scrivere qualcosa e di tentare di migliorarsi sempre di più ogni volta, perchè a ogni riga della mia storia tu hai trovato un emozione e questo mi fa brillare gli occhi dalla gioia *O*!
Poi poi, vediamo. Allur, la questione NejiHina. Beh, per esser carini son carini, è vero, però l'incesto in effetti mi crea qualche problema. Sono cugini legalmente, ma sono figli di padri gemelli omozigoti, dunque biologicamente sono quasi fratellastri -e non è perchè sia reato, è proprio che non riesco a concepire una passione all'interno di una famiglia. Però, nel senso, se un pairing piace c'è poco da fare :) io non cambierò mai idea sul SasuSaku, neanche se Sasuke -come sta facendo ora >.<- si dimostrasse un emerito cretino o neanche se il SasuSaku diventasse semplicemente irrealizzabile^^!
Ma sono contenta che alla fine da qualche parte un senso nella SasoKure ci sia XD putroppo era una coppia davvero difficile, mi sono proprio andata a complicare la vita :)!
Muppello: Ti ringrazio del commento^^! PutroppoSasori il pairing erano semplici da trattare, quindi mi fa piacere che i miei sforzi siano andati a buon fine *O*!
StAkuro: Eh sì, "my fandom must die", lo ripeterò fino allo sfinimento é.è! So che verrò seppellita dalla mole di storie anche questa volta, sigh sigh, non c'è verso di resistere all'Ondata. Peggio degli Spartani di 300! Ma comunque... Qua la mano compagna SasuSaku *O*! Finalmente qualcuno con cui sproloquiare per ore sulla bellezza estrema di questo pairing *_*! Anche se Kishimoto ci distrugge lentamente speranza dopo speranza, noi non molleremo u.u perchè il SasuSaku conquisterà il mondo, prima o poi, dovessimo anche aspettare mille anni *O* (ma se si smuove prima, magari...)!
Comunque, veniamo alla fanfiction. Guarda, condivido il tuo stesso pensiero su Karin, perchè sinceramente Kishimoto l'ha dipinta come uno stereotipo che non fa per niente onore alle donne, dunque mi sono imposta di scrivere qualcosa che la riabiliti, diciamo. E hai ragione: il pensiero:"Ma che diavolo ci fa Karin in mezzo al Team Hebi?!?" viene spontaneo e naturale, in fin dei conti è venuto anche a me tentando di dipingerla come un essere umano e non come una Fangirl Pervertita di Sasuke. Sono felice che ti sia piaciuta :) Io sostengo le Karin Clever, non le Karin Bitch u.u basta ragazze che sembrano mostri affamati di sesso è! E' stata una caduta di stile pazzesca creare un personaggio così, senza un briciolo di spessore. Kishi-san mi ha deluso u.u e speriamo di leggere presto qualche bella storia su Karin, che le restituisca un briciolo di umanità!
Per la faccenda SuiKa... Beh, questo è un mero gusto personale, visto che li trovo assolutamente esilaranti insieme XXD e so che non saranno mai Canon, appunto perchè Suigetsu...ehm, hai detto tu. Solitamente le relazioni amore/odio non mi piacciono, ma con loro faccio un'eccezione. Sono così isterici, folli e sadici che li trovo fantastici. Scrivere una SuiKa seria sarà durissima, tra l'altro ç_ç!
Karin con Orochi-sama...?! Mah, guarda che anche Orociok gioca nell'altra squadra, per così dire XD! Poi, vabè, a me sembra totalmente incapace di provare alcunchè per un altro individuo, amenochè ovviamente non sia di sesso maschile (vedasi Sasuke e soprattutto Kimimaro), poi io sono affezionata alle OroAnko, ecco.
...Ma quando la scrivi una bella storia su Karin ;)?!?

 

...E, dulcis in fundo...

La Chaòs: ...Pesce d'Aprile! Anzi, Pesce di Giugno XXD!!!
Tesoro, lo so che da oggi in poi mi odierai d'un odio feroce, dato che ti ho detto apposta che non sarei riuscita a scriverti niente quando avevo tutto già bello pronto in attesa del 1 Giugno XXDDD Ma spero d'averti fatto una sorpresa che sia quantomeno piacevole e insperata.
La tentazione di farla finire male era fortissima, ma alla fine ha vinto la parte buona e cucciolosa di me stessa: mi son detta che ogni tanto ci vuole un cielo azzurro anche per Ino e Shikamaru, e per una volta poteva essere Temari quella che viene lasciata all'altare, non ti pare ;p?! Poi in qualche modo dovevo ricordarti che White is Beautiful, quindi non lasciare che questo mio appello cada nel vuoto ç_ç!
A parte gli scherzi, spero che quella cosa lassù ti sia piaciuta, come vedi è un po' Nonsense un po' Sovrannaturale, c'è del filosofico qua e là e dell'onirico un po' dovunque. C'è la divisione della tragedia greca (che personalmente amo) dato che il titolo "Scenes" ispirava una serie di atti teatrali.
Ci sono Shikamaru e Ino, perciò spero di averteli avvicinati un po' :) e spero che questo sia un bel regalo per i tuoi diciotto anni.
Anche perchè, alla fin fine, è solo un invito ad accogliere tutti i cambiamenti che verranno, uno dopo l'altro, trattenendo per te la parte migliore di ognuno di essi. E' così, dicono, che si cresce.
Dunque vivi splendidamente questi diciotto, che in fin dei conti sono solo un numero, troppo piccolo per descrivere una persona :).

Con tutta la stima e l'affetto,
Ele
 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Darling, we'll be an army of two [PeinKonan] ***


Personaggi SPOILER per chi segue il manga in italiano

 

Personaggi SPOILER per chi segue il manga in italiano.

 

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La canzone riportata alla fine dei paragrafi è The World of Midnight, ending del 15esimo episodio dell'anime Black Lagoon, che amo incondizionatamente e alla follia. La lettura di questa storia è consigliata con la sopracitata canzone in sottofondo.

 

 

 

 

 

 

 

Darling, we'll be an army of two

 

 

 

La piana correva fino alla fine del mondo, brulla e spoglia come il volto spigoloso della luna.
Pioveva, come in ogni giorno importante della sua vita: pioveva senza sosta, come se l'acqua cadendo dal cielo sfogasse sulla terra tutta la sua collera, ma Konan non se ne accorgeva neppure. Avrebbero potuto piovere le stelle e avrebbe continuato a non accorgersene. 
"Yahiko," singhiozzò, "Yahiko, Yahiko."
Yahiko, Yahiko, Yahiko.
Yahiko non poteva risponderle.
La pioggia cadeva fitta; le gocce impietose si accanivano sui tre ragazzini come una cascata di sassi, scivolavano sui loro visi con la rapidità di mille dita liquide e correvano giù, nelle spaccature aride del terreno, che le beveva d'un fiato. Correvano, le gocce correvano, disegnavano una simmetria trasparente sul volto di Yahiko, si mescolavano alla macchia bruna del suo sangue.
Le lacrime non esistevano quando pioveva: questo, pensava Konan, era il solo lato positivo.
Oltre al fatto che Nagato, ovviamente, non piangeva mai.
Konan cadde in ginocchio.
Le sue gambe danzavano al ritmo della pioggia, tremavano così forte da non riuscire più a sostenerla. Ma non era niente in confronto al rombo di tuono che le vorticava impazzito nelle orecchie, che non le permetteva di pensare e le sussurrava malevolo il nome di Yahiko.

Lontano, oltre la bufera, dove il vento gridava tutta la sua ira mulinando la pioggia in un turbine senza fine, Nagato lanciò un urlo che corse da uno spillo d'acqua all'altro, percorse per intero la pianura e si smarrì tra terra e cielo.
Perdonaci, perdonaci.
Gli occhi di Yahiko, vuoti, piangevano con loro e non dicevano nulla.
Smettila, smettila, smettila, Yahiko ti prego!
Smettila anche tu, Konan, smetti di piangere, non cambierà più niente, non te ne sei accorta in tempo e lui... lui è stato colpito, tu hai sbagliato tutto, tu... smettila!
La ragazzina nascose il viso tra le mani. Anche se chiudeva gli occhi, il cadavere di Yahiko, la pioggia e Nagato non sparivano.
Rimanevano lì. Disegni neri su un vetro trasparente.
Le lacrime implacabili ripresero a scorrerle sulle gote, e Konan buttò il viso verso le nuvole nere cercando forse un verdetto.
"E-erano troppi, ce n'era uno nascosto d-dietro, noi n-non l'avevamo visto, io non... non..." Konan boccheggiava, gli occhi sbarrati, le gocce gelide cristallizzate sulle ciglia:"Era velocissimo, era così veloce, n-non... lui..."
Non sentiva niente.
Yahiko piangeva, Konan piangeva, eppure lui, Nagato, non sentiva niente, proprio niente. Nemmeno la pioggia.
Perdonala, Nagato: perdona Konan, perchè tra voi due ne ha sempre preferito uno e non l'ha mai confessato neppure a se stessa.
Perdona Yahiko, perchè si è permesso di morire.
E infine perdona te stesso, Nagato, perchè non gliel'hai impedito.
   

 

Someday I want to run away
To the world of midnight
Where the darkness fill the air
Where it's icy cold

 

[Ogni tanto vorrei scappare via
nel mondo della mezzanotte
dove l'oscurità riempie l'aria
dove il freddo è gelido]

 

 

(E d'improvviso Nagato capì che Yahiko aveva sempre avuto ragione, sempre, fin dall'inizio.)

 

"Cosa facciamo, Nagato? Cosa facciamo?"
Suonava così vuota, quella domanda, così patetica: scivolava via come la pioggia.
Konan gli puntò in viso due grandi occhi vitrei, resi ancora più evanescenti dai rivoli d'acqua che le correvano sulle palpebre.
Cosa facciamo? Cosa facciamo?
Quella domanda si ripeteva a ogni goccia di pioggia, a ogni singola contrazione e rilassamento del cuore.
E gli occhi di Konan, così grandi, una tempesta d'azzurro, non smettevano di guardarlo, come se lui fosse tutto quanto il suo mondo -ed era proprio così, in effetti.
Cosa facciamo quando Yahiko è morto? Cosa facciamo se non c'è via d'uscita? Cosa facciamo quando non abbiamo potuto proteggere una persona importante? Cosa facciamo quando, a parte Konan, di fianco a te non c'è più nessuno? Cosa facciamo se chi era stato per anni tutto ciò che avevi non esiste più?
Cosa facciamo, Nagato?
Cosa facciamo, Yahiko, cosa facciamo?

Le dita di Nagato, appena intorpidite, formavano un sigillo dopo l'altro.
Aveva gettato il viso verso il cielo cupo e la pioggia, di certo non le lacrime, cadeva fino nell'iride in cui splendeva terribile il Rin'negan.

La pioggia cadeva sempre nei momenti importanti della loro vita.
Cadeva anche adesso, e lei credeva d'essere già morta.
Ma si sbagliava, perchè quello era il momento più importante, il momento dove tutti, tutti i sentieri si dipartivano in un gigantesco reticolato d'argento che inglobava l'intero universo.
Nient'altro che uno splendido, terrificante inizio.

 

 

Where nobody has a name
Where living is not a game
There, I can hide my broken heart
Dying to survive

 

[Dove nessuno ha un nome
dove vivere non è un gioco
Là, nasconderò il mio cuore in pezzi
e morirò per sopravvivere]

 

Gli occhi di Yahiko, spalancati in una smorfia eternamente sorpresa e stupefatta, quasi divertita, non la guardavano, non guardavano più niente.
E come avrebbero potuto? Il Rin'negan sfrontato squadrava il mondo al loro posto col distacco di una divinità.
(Una divinità?) Un tuono esplose nel cuore di Konan.
Fuori, nel cielo disfatto, due fulmini s'inseguirono lontani.
Una divinità, Konan? 
"E... e adesso? Adesso, Nagato?"
Konan lo guardava ancora con quel medesimo sguardo vivido e palpitante di schegge marine, uno sguardo che, come la pioggia, lavava via ogni sozzura.
"Dove andiamo, Na-"
Nagato?
Quale Nagato?

Lui sorrise; fu un sorriso stillante d'acqua, il più genuino che avesse mai fatto in tutta la sua vita:"Pein, noi siamo Pein."
E allora la pioggia sul viso di Konan smise di scorrere, perchè la ragazza vide Yahiko, vide Nagato, vide due visi e due voci sovrapporsi, vide il suo paradiso ricostruito, vide ciò che di più bello esisteva al mondo, vide l'essere che per lei avrebbe significato la redenzione, vide il sentiero splendere dorato e invitante attraverso lui.
Pein?
"Vieni con me?", le chiese Lui.
Quella domanda aveva tutta la forza di un ordine: il punto interrogativo non era che un filo d'inchiostro cancellato dalla pioggia.
Nagato... Yahiko... Pein... Che importanza aveva?
Che importanza aveva?

A patto di non essere più la stramba bimbetta solitaria che gioca con la carta di riso, a patto di non soffrire più, a patto che tutti quanti smettessero di morire, a patto che fossero di nuovo e per sempre tutti e tre insieme...
"Quanto dura la parola sempre, Pein?"
Il fiore di carta che portava tra i capelli scivolò giù, rotolo piano sul terreno e divenne rosso del sangue di Yahiko. La pioggia lo distrusse rapidamente, goccia dopo goccia.
E sì, .
Due persone le tendevano la mano, due persone volevano proprio lei. L'aveva sempre saputo, in fondo, che quello non era nient'altro che un inizio.
Konan prese la mano che Pein le offriva e sentì che la sua anima si sgretolava sotto mille piccoli aghi d'acqua, per poi volatilizzarsi nel cielo gelido.
Non era male, a dire il vero, era una bella sensazione, liquida, quasi gorgogliante.
Uno splendido, terrificante inizio.

                                          "Sempre, Konan."
 

 

 

 

There, no one can see me cry
The tears of my lonely soul
I'll find peace of mind
In the dark and cold world of midnight

 

[Là, nessuno potrà vedermi mentre piango
le lacrime della mia anima solitaria
Troverò la pace dello spirito
nell'oscuro e freddo mondo della mezzanotte]

 

Fin

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice
Scritta tanto, tantissimo tempo fa, penso a marzo se non a febbraio. In fondo mi piace, direi che ha un'atmosfera "spezzata", come se i tuoni e i lampi la intervallassero di continuo. Non so, penso d'aver subito l'ispirazione involontaria dei sanguinari gemellini Hansel e Gretel di Black Lagoon (solo Anle, se sta leggendo qui, sa di cosa sto parlando *_*!) e del loro rapporto morboso, contorto e malato.
Che ci posso fare, Pein e Konan sanno davvero di morboso. E di contorto. E di malato u_u.
Naturalmente tutta 'sta roba che avete letto è una mia personale ipotesi, tra l'altro troppo semplicistica per Kishimoto: Yahiko morto per un banale attacco a sorpresa, Nagato che si prende il suo corpo e diventa Pein. Nah, sicuramente il Bastardo chiamerà in causa anche i bacilli del tetano, gli spazzolini da denti, i posacenere e Madara -ovviamente perchè Madara è Dio, non lo sapevate?! Quindi leggetevi le mie innocenti supposizioni prive di fondamento e spero vi piacciano almeno un pochino, anche se, lo ammetto, sono un po' un clichè.
Il tema scelto comunque m'ispirava troppo qualcosa su Pein e Konan: darling, we'll be an army of two. Ditemi anche voi se non è pennellato su di loro *_*!
Nella parte finale c'è un "attraverso lui" che potrebbe suonare male o parere uno svarione grammaticale, ma ho controllato sul De Mauro Paravia ed è giusto così, per quanto sia abbastanza cacofonico. Che volete, non trovavo un'altra allocuzione per descrivere il concetto, me ignorante.

Comunque, adesso andiamo alle cose veramente importanti: dedicata ad Helen Lance, ovvero Elena (io adoro le pagine personali di EFP), perchè so che ama moltissimo questa coppia e piace da morire anche a me, perchè soprattutto scrive in un modo sensazionale, da libro stampato, perchè infine non potrò scriverle nulla per il suo compleanno, dato che sarò in Irlanda.
Dunque le faccio in anticipo moltissimi auguri di tutto cuore <3, di passare una splendida estate e di godere appieno questo splendido inizio, per fortuna baciato dal sole e non dalla pioggia di Pein e Konan :).

 

Detto questo, arrivederci al 5 luglio, Dublino -e l'Ulisse di Joyce- mi attendono: ovviamente vado due settimane in un posto in cui il clima sarà pressochè identico a quello descritto in questa storia XXDD evviva le coincidenze!

 

Arwen5786: Non sai quanto ho gioito leggendo che TU, fiera Mosca Nera fin nel midollo, hai letto la mia Scenes, che è un concentrato esplosivo di puro Bianco made in ShikaIno! Roba da vantarsene ancora di più leggendo il tuo commento: t'è piaciuta, t'è piaciuta *_*! Lo canticchio fieramente da un quarto d'ora circa, na na na na na na. E' davvero una conquista, credimi, anche se so che non ti porterò mai ad abbracciare la Candida Strada delle Aleurodidi. In fondo sono contenta per ben altro: significa che, aldilà dei pairings, una storia bella vale comunque. E, non lo dico per vantarmi, ma Scenes mi piace davvero :) e la giudico la migliore delle mie Flavours fin'ora. Ma la SasuSaku Nonsense che sto preparando da mesi e mesi la supererà, vedrai *_*!
Detto questo, ci salutiamo su msn u.u e fai la brava durante queste due settimane, e sii devota e fedele al SasuSaku, che quando ritorno voglio vedere taaante belle storielline sulla Crocerossina e l'Emosuke!
Kikichan: Ti ringrazio moltissimo dei complimenti, davvero grazie per aver letto e aver commentato^^! E ovviamente ShikaIno IS LOVE sempre e comunque!
Kokky: La mia Kooooks *_*!
Mi spiace che ti saluto qui, via recensione, e non "dal vivo". Eh, pazienza ._. un pochiiino ti mancherò, vero?! Dimmi di sì, non farmi soffrire! A me mancheranno le tue recensioni così adorabili, piene d'emozioni e tenerezza: si vede proprio che ciò che recensisci ti è piaciuto, infatti non vedo l'ora di rimettere le mani su un computer (a Dublino esisteranno gli Internet Point, mi auguro) per leggere la tua nuova lunga e lovvosissima recensione. Se però non devi sapere spoiler di qualunque tipo, mi auguro che tu abbia saltato la storia di cui sopra e sia corsa qui ai ringraziamenti XXD se non l'hai fatto GUAI a te, che poi mi sento in colpa per averti spoilerato qualcosa.
Comunque, grazie mille davvero per tutti i complimenti, per tutte le splendide parole che hai sempre riversato sulle mie storie, per le risate sulla tag di Anobii, per l'ora che hai perso per recensire la mia Scenes From the Narcissist Café. Shikamaru e Ino ti ringraziano u_u e tranquilla, è esploso il locale, ma alla fine è finito tutto bene :) sono insieme, vivi, insieme. E' così che li vedrò, sempre.
Perdonami se non riuscirò a recensire "An operatic tragedy" per un po' ._. in Irlanda sarò senza pc. Ma quando torno ti recensisco a dovere u.u, non temere é.è! Mi rimetterò in pari e mi farò perdonare, promesso! 
Princess of Bang: Gh, anch'io odio da morire le ShikaTema XXDD Ma non perchè Shikamaru deve stare solo con Ino, proprio perchè li vedo assai squilibrati insieme XD e assolutamente assurdi, anche se Kishimoto pare avere chiare intenzioni in quella direzione. Quel Bastardo.
Comunque, Shikamaru non è delicato a prescindere, figurati in una situazione del genere: gli ha rinfacciato quelle cose perchè Ino gli ha fatto perdere davvero la pazienza con quel "Tu non c'eri", che proprio è una cosa sbagliata da dire a uno come lui, che l'ha sopportata anche nei momenti peggiori.
Nel caso del tradimento di Sasuke poi è in senso metaforico, nel senso che Ino non s'era accorta che c'era qualcosa che non andava, lei, quella innamorata persa del bellissimo Sasuke Uchiha. Non ha saputo vedere, quindi non c'era, né per Sasuke nè per Sakura né per nessun altro, il che se permetti è vero.
Tutto qui :) ci tenevo a spiegare il punto di vista del povero Shika, visto che di certo non si capiva bene >. StAkuro: Son contenta che Madam Mei ti sia piaciuta *_* Avevo un'idea ancora più diversa e astratta per lei, ma in fin dei conti sono contenta di com'è uscita: un po' Pizia, un po' Oracolo, un po' maitresse e donna di mondo, un po' Parca un po' Coscienza collettiva dei personaggi.
Chi è veramente Madam Mei?!
Bella domanda.
Ti potrei dire che è l'autrice della storia di Ino e Shikamaru :) ma non io, ovviamente: la sottigliezza è un'altra, poichè Madam Mei ha come tirato i fili del rapporto di Ino e Shikamaru durante gli anni, ma io, beh, io ho scritto e basta XXD e qua la cosa m'è sfuggita di mano, ti posso assicurare, tant'è che sbalordisce anche me. Fortuna che me l'hai fatto notare, poichè la cosa stupisce piacevolmente anche me che ho scritto il racconto, il che è tutto dire :). A parte questo, ti ringrazio per la bellissima recensione, per le parole splendide sul Canon di Ino -io la adoro per i tuoi stessi motivi-, su Thanatos, su Shikamaru, sullo schema teatrale che ho voluto utilizzare (anch'io faccio teatro *_* e lo amo alla follia), per i complimenti sullo stile e l'intreccio. E' importante ciò che dici, sul serio, non sai quanto mi faccia bene e mi sproni a migliorare sempre di più.
Sorellah di Pairing, ci sentiamo tra quindici giorni :) e per allora voglio qualche altra ShikaIno, SasuSaku, NaruHina u.u c'è penuria di speranza ultimamente, e davvero, finchè Sakura non dichiarerà il suo amore incommensurabile, ineffabile e incondizionato a Naruto, io non mollerò u.u e continuerò a portare alta la bandiera del SasuSaku come ho sempre fatto!
Hasta la victoria siempre (XDDDD, che insulto alla memoria del Che questo!), e a presto, spero.
Memi: Aw *O* Ma grazie, quell'unica parola mi basta eccome, è una parola piuttosto eloquente!
Tra l'altro, grazie mille, mille mille e ancora di più per l'analisi scrupolosa che hai fatto di Ino, di Shikamaru e della storia in sé. Felice che ti sia piaciuto lo schema teatrale^^ e anche l'impostazione onirico/filosofica della vicenda. Purtroppo ho questo vizio, ghghg, riguardo al filosoficheggiante e a cose che a una lettura superficiale possono sembrare prive di senso -ma in realtà lo sono davvero XD!
Il rischio a volte è di cadere nell'ermetico, ma invece a quanto mi dici questa volta m'è andata bene :) e tutti i personaggi hanno la loro coerenza, anche la cara Madam Mei <3 e Sakura, che è un po' la Razionalità in mezzo a questo turbine di carte, presagi, premonizioni e destini già scritti, a questo mondo così fatalista e drammatico, proprio come Ino.
Le tue valutazioni sull'IC poi sono apprezzatissime: è il mio costante perno, guai se snaturo i personaggi, ci tengo molto a renderli credibili e in linea coi loro caratteri^^ ma se ci sono riuscita anche 'sta volta, con un lavoro così lungo, allora posso davvero stare tranquilla!
Darkrin: Vero, la fissazione sui soggetti originali è abbastanza recente.
Che vuoi, c'è già il Bastardo che parla solo di Naruto, Sasuke, Naruto, Sasuke, Naruto, Sasuke e ancora Naruto, Sasuke, quindi io preferirei cambiare un po' XD e non è detto che i personaggi secondari siano più interessanti di quelli primari, basta vederlo con Ino e Shikamaru. Quando la smetterò di dire che li adoro?!? Mai, penso.
In effetti Scenes è un po' una favola onirica e teatrale, a metà tra tragedia e vaudeville: non so neanch'io bene cosa sia, fatto sta che mi piace. Mi piace il caffè, vero, per quanto sia forte e amaro come dici tu, in fondo resta sempre quella puntina di zucchero che si scioglie sulla lingua. E' per questo alla fine che ho voluto scrivere un finale non totalmente negativo, col primo cambiamento serio della vita di Ino e il passo indietro di Shikamaru. Dai, dopo tutta questa tribolazione si meritavano una fine serena (che poi, serena... Ino ha avuto un téte-a-tète con la Morte in persona XXDDD!), sarei stata davvero una stronza bastarda se non gliel'avessi regalata. Poveri piccoli <3 già me li maltratta il Bastardo di Kishimoto, io non posso infierire!
Hai notato una cosa che mi sta molto a cuore: l'evoluzione del rapporto. Mi fa felice sapere che sono riuscita a dimostrarlo credibile, una lenta salita verso l'amore, e non una cosa forzata e grottesca, tirata via. E' proprio questa lungo e faticoso sforzo verso un'evoluzione che alla fine ho voluto rappresentare, tra le altre cose^^.
La Chaos: Ed eccola, la recensione più lunga e articolata della mia vita, più densa di contenuti, valutazioni e riflessioni, che quasi potrebbe essere una storia a sé!
Allora. Tu hai capito TUTTO di Scenes From the Narcissist Café.
Eccerto, dirai, l'avevo scritta per te!
Scherzi a parte, è vero: sarà che l'hai riletta, che l'hai assaporata e te la sei gustata come tuo regalo di compleanno, ma tu hai letto queste righe con gli occhi e coi pensieri che volevo che avessi. Di fatti hai colto ogni significato, davvero, tutto quanto, ogni minimo accenno, e per questo ti ringrazio.
A parte il dialogo fra Sakura e Madam Mei: più che il SasuSaku, lì c'era la determinazione di Sakura nel voler portare avanti la sua rivalità con Ino, malgrado tutto, la sua ostinazione. Rileggendolo mi sono accorta che con la storia del Peer Gynt m'è scivolato in mezzo un po' di SasuSaku XXDDD e dire che non volevo affatto scriverti una cosa che lo fosse anche solo minimamente. Damn. E' proprio più forte di me, sul serio.
Comunque, Chaos, se volessi una vera presentazione per Scenes, come si fa per le prefazioni dei libri, beh, io vorrei la tua recensione, e nient'altro.
Ah, Thanatos era la Morte, nulla più: il vero deus ex machina che trama nell'ombra è la diabolica Madam Mei ;).

Helen Lance: ...Lo so che porta male fare gli auguri prima della data ç_ç Ma io per il 30 giugno non ce la farò in nessun modo a connettermi a Internet, dunque mi dispiaceva lasciarti senza un piccolo segno della mia stima!
Stima che nei tuoi confronti è davvero tanta, credimi: scrivi come se suonassi una chitarra, a volte con splendidi riff elettrici e allucinati, altre volte come la morbida carezza delle corde della classica. Credimi, tu scrivi bene sul serio :) mai banale, mai scontata, mai poco curata.
Per questo ricevere una recensione così bella e profonda da te, e sapere che continui a seguire le mie Flavours, mi rende davvero felicissima. Issima issima issima. Lo giuro!
Poi, beh, io son fissata coi Tarocchi: non per nulla ho l'idea di scrivere, una volta finite le Flavours, una raccolta di racconti monografici sui personaggi di Naruto con tema le Figure dei Tarocchi, un po' come il Castello dei Destini Incrociati, anche se Calvino si rivolterebbe nella tomba per questo dissacrante paragone.
Ma comunque, dicevamo.
Le tue riflessioni su Scenes From the Narcissist Cafè erano perfette, calzanti: e se con quel flebile (...Via?) ti ho fatto percepire l'immensa desolazione penosa di Ino, la mia contentezza supera ogni confine. Gh. Davvero. Mi sembrava banale quella parte, e invece :) fortuna che ci sei tu a dirmi che non è così, no?
Spero che quest'attestato di stima piovoso e parecchio angst ti lasci qualcosa, come ha fatto Scenes: questa volta è tutto per te, fino all'ultima sillaba della parola 'Fin'.

 

 

Vi abbraccio tutti,
Hipatya






 

 





 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Let x be the value of He who lies beside me [SasuSaku] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La canzone su cui è strutturata l'intera Songfic è Knockin' on Heaven's Door, una delle più belle di tutti i tempi, i cui diritti (cash!) vanno al genio di colui che l'ha scritta, ovvero Bob Dylan.

 

 

 

 

Avvertenza:
La storia che stai per leggere ha un altissimo contenuto di SPOILER, se stai seguendo il manga o l'anime in italiano. Non lo dico tanto per dire, dato che odio quando un dannatissimo spoiler mi rovina il piacere della lettura: so cosa si prova. Credetemi. Se non volete maledire voi stessi e la vostra curiosità perchè avete letto questo abortino creativo, cliccate la x bianca in sfondo rosso lassù e ripensateci quando il capitolo 394 sarà in formato tankobon e in edizione italiana.
That's all.
Lo dico un'altra volta: SPOILERSPOILERSPOILERSPOILERSPOILER.
SPOILER.
Poi non venite a lamentarvi con me.

 

 

 

 

 

 

 

 

Let x be the value of He
who lies beside me.

(...Bussando alla porta del Paradiso.)

 

 

 

 

 

La ricordava come un capitolo chiuso, forse neanche mai iniziato.

Mama, take this badge off of me

Se n'era tenuto consapevolmente lontano, certo che, se avesse letto anche una sola di quelle pagine, la sua vita avrebbe preso una piega diversa, forse migliore o forse no, ma di sicuro non quella giusta.
Non quella che l'avrebbe portato lì. Non quella a cui, in fondo, era destinato.
Era patetico immaginarsi un sogno mediocre come quello di una famiglia, dei figli, un posto prestigioso tra i ninja più forti del villaggio e un avvenire assicurato che culminava in una tomba, anch'essa già assicurata.
Era patetico, stupido, banale e del tutto impensabile per uno come lui, nato per fare grandi cose, nato per essere speciale e non certo per trascinarsi lungo la china dell'insipida vita dell' uomo comune.
Lei poi era una persona tremendamente normale, con tutta la disarmante tenerezza e l'innocenza un po' incosciente che poteva convivere in quel termine. Tutto in lei, dal suo nome ai suoi sogni, era banalmente e splendidamente normale.
Dunque in una vita come la sua, in una vita cristallizzata accanto al cadavere di suo fratello maggiore, non c'era posto per una persona normale.

 I can't use it anymore.

Ricordava Sasuke d'avere sorriso, un secondo prima di svenire. La consapevolezza era riuscita a strappargli un fantasma di ghigno amaro quanto la sua vittoria, un sorriso beffardo da perdente in trionfo, puntualmente svanito nella polvere.
Come dire, non hai vinto tu. Questo sorriso sgraziato, questo lampo di follia, questa è la mia vittoria. 
E poi giù, Sasuke. Annullati.
Aspetta le fiamme nere.
Perchè la tua vita, Sasuke, la tua vita piena di un'infernale eccellenza, la tua vita che fa vomitare, si è appena conclusa.

It's gettin' dark, too dark for me to see

"Funziona, cazzo di tecnica, funziona!"

 

Una fine migliore non poteva desiderarla.
Anche se tecnicamente non è stato lui a ucciderlo, ma un collasso del suo stesso corpo che si è ribellato al suo padrone. L'ha ucciso la sua stessa forza, la stessa eccezionalità geniale che Sasuke si sforzava invano di raggiungere, bruciandosi il viso con i troppi Katon no Justu che, dannazione, non riuscivano mai nel modo giusto. Suo fratello sembrava superiore agli eventi, sembrava in grado di scendere a patti con la vita e riuscire perfino a dominarla, sembrava poter decidere come, quando, dove vivere o morire, infischiandosene del caos di particelle coincidenze e scelte sbagliate che opprimevano gli individui comuni. Sasuke in fondo cercava quella vita, quell'eccellente vita che lo divideva fra ammirazione e disgusto, quella vita di turbine, di vulcano in eruzione, di fuoco che divampava all'improvviso.
Una vita eccezionale, di cui si sarebbe parlato fino alla fine dei secoli. Una vita capace di inglobare nella sua grandezza tutte le altre vite possibili.
Per lei, per lei e per i suoi adorabili normali sorrisi, non c'era davvero posto in una vita del genere.

I feel like I'm knockin' on heaven's door.

"Andiamo, andiamo stronza, funziona, funziona, funziona!!!"

 

Si era aspettato che le fiamme nere bruciassero, ma non provava niente, proprio niente. Forse perchè il fuoco nero bruciava in un modo così disumano da non poter essere neppure percepito dagli uomini. Bruciava come una molle patina vischiosa che riempiva i polmoni e li faceva scoppiare, bruciava come una coltre densa di muco verdastro che irritava la pelle. Bruciava come il liquido incolore che riempiva gli alveoli di un feto.
Si chiedeva perchè in effetti non bruciasse affatto.

Knock, knock, knockin' on heaven's door

"Forza, tecnica del cazzo, forza forza forza funziona, devi funzionare, maledizione, FUNZIONA!!!"

 

Aveva ancora degli occhi, Sasuke, e stupidamente se ne meravigliò. Aveva ancora dei polpastrelli che mordevano la roccia, aveva ancora una fronte schiacciata sul terreno, aveva ancora il cadavere di Itachi sdraiato lì accanto, appena a un passo da lui; il ventaglio degli Uchiha lo cullava ancora nella sua ombra scura e protettiva, bagnandosi a poco a poco di pioggia.
Inaspettatamente Sasuke non vedeva niente. Era come se le sue pupille fossero lampade spente, finestre che guardavano un mattino di nebbia.
...Cos'era quello? Era vivere o morire?
Dormire, forse sognare?
Di una sola cosa supplicava che lo risparmiassero: che non gli facessero rivedere istante per istante la sua vita.
Che non gli facessero scoprire come sarebbe andata, se.

Knock, knock, knockin' on heaven's door

"...E sì, SI', 'fanculo, sì, funziona!"

 

E il primo impulso fu quello di ridere, ridere a squarciagola come mai aveva riso nella sua vita, ridere fino a spezzarsi le mascelle.
Non si può non ridere quando sei sommerso da un'iridescente colata di bava traslucida che deforma i contorni e rende il tuo mondo una palude in cui regna una tronfia regina delle lumache.
Anzi, gli sembra quasi che il mastodontico mollusco terrestre gli lanci uno sguardo vagamente perplesso, i piccoli occhi vibratili un poco inebetiti dallo stupore. Come se gli stesse domandando cosa diavolo avesse in mente di fare lì, sotto la pioggia, sdraiato accanto a un cadavere.
Se è un sogno vorrei svegliarmi, per favore.
E, se sono morto, allora Dio non è grasso, la terra non è azzurra e tutto quello che mi hanno raccontato è una bugia.

Knock, knock, knockin' on heaven's door

"Voltati."

 

Non s'era voltato. Allora un paio di mani sbrigative e brutali l'avevano costretto a esporre il viso al tormento della pioggia.
Una voce carica di rabbia lo sferzava con la stessa foga che impiegava per rigenerare le sue ferite.

Knock, knock, knockin' on heaven's door

"Contento, ora, razza di stupido?!"

 

I morti erano crudeli con lui.
E il chakra che tornava a gonfiarsi nelle vene lo faceva impazzire dal dolore, come un animale ferito che si dibatteva.
Il Paradiso non era come se l'era immaginato.

Mama, put my guns in the ground

"Stai calmo e lasciami finire."

 

In quella voce c'erano tracce di amarezza, di una preoccupazione un po' rude, di una collera cieca.
Furiosa perchè l'hai lasciato andare, furiosa per tutto questo tempo perso, furiosa perchè si è quasi ammazzato, furiosa per non esserti arresa...
Sasuke si chiedeva come due lune color latte potessero spuntare in pieno giorno, con la pioggia per di più.
Ma le stranezze non erano finite, a giudicare dalla gelatinosa presenza della Gigantessa Katsuyu, regina delle lumache. L'Aldilà doveva essere un posto ben strano, una palude melmosa infestata da lumache fameliche la cui bava poteva spegnere le fiamme nere di Itachi, solo per proporre allo sventurato trapassato agonie ben peggiori... Un posto orribile.
L'unica occasione di un uomo sprecata per un posto orribile, davvero orribile.

 

"Stai - fermo. Capisci quello che dico, Sasuke? Mi senti?
Mi vedi?"

I can't shoot them anymore.

I suoi inutili occhi spenti si rifiutavano di guardare il volto distorto dal dolore che incombeva su di lui. Un volto teso in una smorfia ferina, rabbia primordiale che non accennava a quietarsi, i lineamenti sconvolti da una pioggia ben peggiore di quella che impietosa li frustava.
Riacquistare le energie prendendole in prestito da quel viso era più umiliante che perderle combattendo.
Balsamo della guarigione? Luci in fondo al tunnel? Ritorno alla vita?
Chi era il pazzo che aveva raccontato fandonie del genere?
E quello, quello doveva essere il Limbo della Signora Lumaca, dove altri mille altri come lui languivano in un eterno pantano verde, e tutto il mondo era un lago infinito che soffocava in un'infinita palude, tutto il mondo era orribile, orribile, orribile...

"Mi vedi, Sasuke-kun, mi vedi?!?"

That long black cloud is comin' down

Gli fecero voltare il collo a viva forza.
Quelle mani non erano più di ragazzina, erano dure e d'acciaio, mani di medico maldestro o impaziente.

I feel like I'm knockin' on heaven's door.

"Mi vedi, dannazione?!?"

Cambia forse qualcosa?

"Guardati, guardami... Apri quei dannati occhi, fallo, Sasuke, non ti darò tregua finchè non guarderai!"

Era furiosa, frustrata e fuori di sé; lo scuoteva come se lui fosse stato un giocattolo rotto, lo colpiva inclemente come una lama di vento, lo teneva aggrappato alla vita con un'ostinazione animalesca.

Knock, knock, knockin' on heaven's door

 

"Era questo quello che volevi?!
Era questo, eh? Era questo, avanti, dillo, dillo che era tutto quello che avevi sempre desiderato, dài, ammettilo, voglio sentirtelo dire chiaro e tondo: il tuo obiettivo era questo, vero?, sempre e soltanto questo!?"

Knock, knock, knockin' on heaven's door

E Sasuke aprì gli occhi, smarrito.
E il cadavere che vide giacere scomposto accanto a sé, talmente vicino da poterlo sfiorare senza stendere il braccio, non era quello di Itachi.
Sasuke vide i suoi stessi occhi, sbarrati e gelidi. Vide un sentiero di sangue imprigionargli la bocca e colare giù, fino al collo. Vide un corpo identico al suo, un corpo che era il suo, disfatto, piagato, aperto alla curiosità della pioggia e del vento. Il suo stesso viso così, inebetito, stupito dell'oblio della morte, la pelle gialla tesa sulle ossa, un silenzio compatto che aveva sostituito la confortante pulsazione ritmica del cuore.
Eri tu! Eri tu!
Tutti questi anni ed eri sempre e solo tu, Sasuke, sempre e solo tu! L'uomo che inseguivi, il sogno che vendicavi, l'eccellenza e l'eternità...

Ero io?

(Knock, knock, knockin' on heaven's door)

Sakura, come in fiamme per l'ira e stremata dallo sforzo, respirava con foga; Sakura che non mostrava né soddisfazione pietà, ma solo la stessa enorme ferita di tre anni prima che continuava a sanguinarle invisibile lassù, negli occhi spalancati, nella voce carica di rabbia incendiaria, nei gesti.
"Lo vedi, Sasuke-kun, che eri sempre, solo tu" mormorò fioca.
Lo vedi? Lo vedi?
Lo vedo
.

Knock, knock, knockin' on heaven's door.

E Sasuke questa volta aprì gli occhi per davvero.
 

Fin

 

 

 

Nota dell'Autrice
Un minuto di silenzio.
Uno degli aborti creativi a cui sono affezionata di più. Non solo perchè è SasuSaku, non solo perchè sono riuscita a scrivere una songfic con Knockin' on Heaven's door, non solo perchè è leggermente Nonsense -e io adoro il Nonsense-, non solo perchè ci ho penato, terrorizzata com'ero da tirar fuori un clichè e da non giustificare per bene tutta la faccenda, non solo perchè è la mia decima Flavour e ho deciso che sarebbe stata tassativamente SasuSaku, ma anche perchè la ritengo molto mia.
E'... boh, non so neppure descriverla. Mi piace, ecco, questo sì.
...Il primo che dice "KYAH *ç*, è la canzone di Avriiiiiiil!" lo sottopongo a una seduta di Mangekyou in compagnia di Itachi redivivo. E' Bob Dylan, Bob Dylan, poeta del rock o come diavolo volete chiamarlo, ma Bob Dylan. NEIN Avril. Se scriverò mai una Songfic con qualcosa di Avril Lavagna sparatemi a bruciapelo, grazie.
C'è una citazione illustre in mezzo al marasma. To die, to sleep... perchance to dream. Sta a voi dirmi chi è ;).
Sakura OOC? Non credo. E' solo arrabbiata, molto, molto arrabbiata, e delusa, furiosa, frustrata e piena di un ansito di vita di cui non riesce a liberarsi. E innamorata, dimenticavo.
Null'altro da dire. Spero di avervi restituito qualcosa, che giustifichi almeno il tempo speso per la lettura.

 

Cami, questa è tutta tua :) dovevo pubblicarla il 5 luglio, ma purtroppo l'Irlanda ha avuto il sopravvento e non sono riuscita a farti gli auguri in modo decente.
Dunque, tanti auguri, tesoro :* grazie per le deliranti conversazioni in msn, per i tuoi tentativi di traviarmi allo Hyuugacest, per la compagnia e per la speranza che ci infondiamo vicendevolmente ogni volta che esce un nuovo capitolo.
Come si suol dire, brindiamo al decollo di un'amicizia^^ e ovviamente soprattutto alla tua estate e ai tuoi anni.

Un abbraccio!

Grazie dell'attenzione,
Hipatya

 

 

 

PS: Scusate, sono di frettissima e non ho un secondo per rispondere decentemente alle vostre splendide recensioni. Vi amo, però <3 tutte quante: Helen, Kaho, Koks, Sa, Cami e Helen un'altra volta, perchè lei ha lasciato doppia recensione *_*!
Sapere che seguite le Flavour e che i miei umili scritti vi lasciano così tanto non può che farmi gioire ogni volta, credetemi. Non sapete quanto vale questo per me :) è incalcolabile e preziosissimo, sul serio.

 

 

 

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Capitolo 11
*** To cut a bouquet of matter and antimatter roses [ShikaIno] ***


13 luglio 2008: ShikaIno Day -'cause ShikaIno IS LOVE

 

 

13 luglio 2008: ShikaIno Day -'cause ShikaIno IS LOVE
(e anche il mio compleanno, diciamolo)

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto; la strofa di Maybe citata in finale appartiene ovviamente alla splendida Janis Joplin, ovunque lei sia.

 

 

 

 

 

To cut a bouquet of matter
and antimatter roses

 

 

 

 

 

 

"Shika?"
Gli occhi di Ino riflettevano un cielo azzurro punteggiato di nuvole.
Anzi no, gli occhi di Ino erano quel cielo azzurro: avrebbero fatto impallidire i quadri di Hokusai-sama, non si sa se per la loro schiettezza o se per il loro stupefacente colore.
"Mh?"
"...Secondo te cos'ha pensato? Voglio dire, quand'era lì? Perchè io non ci credo che non ha pensato niente... Insomma, lo conosci, lui è... non era il tipo."
La voce di Ino era stranamente titubante, forse troppo. Ed era tanto piccola, questa voce, che una folata di vento l'avrebbe spenta come la fiammella di una candela. Fortuna che quel giorno il vento soffiava troppo in alto per confondersi con loro.
Prima che Shikamaru si schiarisse la gola per risponderle, le nuvole indisturbate ebbero tutto il tempo di mutare la loro forma per tre volte.
"Io credo," parlava piano, Shikamaru "credo che fosse arrabbiato. Sai, non vedrà crescere suo figlio, non ha detto addio a Kurenai-san... Sì, era davvero molto, molto arrabbiato."
Ino attese in silenzio la placida caduta di un'altra massa di nubi candide.
"Addio non è una parola adatta, Shikamaru."
"E perchè?!"
"Lei non ci avrebbe mica creduto."
Quando sei cambiata così tanto, Ino? E perchè io non ero lì?
Le nuvole, giganteschi pachidermi soffici come il cotone, rotolavano tra le ombre di un cielo limpido e in loro Shikamaru trovò qualcosa, forse un po' di coraggio, che lo convinse a deglutire e continuare con una domanda che lentamente era andata maturando in lui.
"E tu ci avresti creduto?"
"No."
Il silenzio si distese su di loro come una coperta. Nessuno dei due desiderò disfarsene.
Rimasero immobili a testa in su, persi nella vela erbosa di una collina verde, loro personale finestra spalancata sul cielo.
Shikamaru e Ino guardavano pensosi le nuvole; le nuvole, sicuramente con minor convinzione, guardavano di rimando Shikamaru e Ino.
Shikamaru pensò a quanto si sarebbe arrabbiato se fosse morto prima di poter dire addio alle persone care, poi si ricordò che la morte non dava tempo neppure per respirare, figuriamoci per dire addio, e il gusto della sigaretta che in quel momento portò alle labbra gli parve illogicamente amaro.
Poco distante da loro, un mazzo di rose chiare come l'alba frusciava appena, sfiorato dalle dita del vento. I petali accarezzavano distrattamente una lapide.
"Shika?"
"Mh?"
"Ho capito una cosa."
Ma
, invece di dirglielo, Ino si alzò in piedi e senza nemmeno salutare si avviò verso il villaggio.
Shikamaru ovviamente non provò a fermarla: non staccò lo sguardo dal cielo e in silenzio finì la sua sigaretta. Il fumo salì in lente spirali azzurrine verso le nuvole e fuggì via con loro, verso un altro posto dove probabilmente esistevano un'altra Ino e un altro Shikamaru a testa in su in una giornata di sole.
E dove, sempre probabilmente, la scena si era conclusa allo stesso modo.


 

*

 

 

 

"...Siamo davvero in guerra con Oto." Il borbottio di Shikamaru non era incredulo né disilluso, era piuttosto quello del generale assorto nei suoi piani di battaglia, che ripeteva sovrapensiero lo schema d'attacco. L'ennesimo segno che già da tempo non si stupiva neanche più della piega che le loro vite avevano preso. 
Il cielo negli occhi di Ino era tormentato da nuvole di ferro e da venti irrequieti che preannunciavano il temporale. Lei era la sola, forse, a stupirsi ancora.
"Già."
Controvoglia Ino pensò a un volto rovinato dal tempo.
"Haruno come sta?"
Ino sospirò, e fu un sospiro decisamente sommesso:"Haruno lo ama, come vuoi che stia."
Shikamaru preferì non avventurarsi oltre in un territorio sconosciuto, perciò tacque. Il suo silenzio discreto, per la Chunin sdraiata di fianco a lui, fu come un invito a proseguire.
"In sua presenza non possiamo pronunciarne il nome, tantomeno parlarne o accennarne soltanto, e lei non lo ammette neppure a se stessa. Ormai anche Naruto ne è persuaso. Spero solo che la Godaime non abbia la grande idea di mandarla al fronte o una cosa del genere..." La sua voce spossata si spense e il suo discorso continuò senza l'ausilio delle parole, divenne un bagliore scuro -preoccupazione- negli occhi celesti. 
Lui lasciò che l'azzurro cupo stingesse piano in un color polvere, oppure semplicemente il pensiero di Shikamaru correva lungo un binario parallelo destinato a non incrociare mai quello di Ino.
"Siamo davvero in guerra" ribadì lui infine, un filo di perplessità disperso sulla fronte corrugata. 
"Già. Contro Sasuke-kun." Il tono di Ino mantenne volutamente una vena sarcastica. Shikamaru non commentò, attese che la faccia dell'Uchiha sparisse assieme al disegno grigio del fumo della sigaretta.
"Non era affatto il migliore, Shika. Aveva soltanto più paura di tutti noi messi insieme. Una paura mortale, tutto qui."
"Ti fa pena?" L'altro parve stupirsi.
"Solo tristezza."
"..."
"Shika?"
"Mh?"
"Sette anni fa, durante la prima missione di recupero, hai riportato indietro qualcosa di più importante di Sasuke-kun."
"Ovvero?"
"Io."
Questa volta fu Shikamaru che, dopo un altro giro di nuvole nere, si alzò in piedi e in silenzio s'incamminò verso Konoha senza neppure salutare.
Un mazzo di rose color pesca oscillò appena, lieve, quando lo sfiorò con un piede passandogli accanto, ben attento a non calpestare la lapide di pietra.



 

*

 

 

"Shika?"
"Mh?"
"Secondo me hai fatto una grossa cazzata."
"Trovi?"
Mugolio indistinto che significava sì.
"Gaara vorrà la tua testa. E Kankuro i tuoi... beh, lasciamo perdere."
"Non sono cose che li riguardino."
"Temari era importante per te."
"Forse meno di quanto tu credi."
"Davvero?"
Shikamaru deglutì. "No."
"Ecco."
Una pausa, il tempo necessario agli anelli di fumo per svanire nell'arco arancio dell'aria, poi un'altra domanda, quasi a bruciapelo:"A te importava di Sai?"
"No."
"Vedi, siamo pari."
"Ma Shika, tu..." Ino decise di non intestardirsi in una battaglia già persa, quindi scosse appena il capo, "Oh, non importa, davvero."
Shikamaru non replicò.
L'edera aveva cominciato a crescere sulla tomba di Asuma-sensei, ogni anno si faceva più resistente. Che fossero loro o Kurenai-san o la piccola Yukio a strapparla non faceva differenza, quell'erbaccia non doveva stare lì. Quello era il posto delle rose che, puntualmente, cantavano il loro profumo alla brezza vivace.
"Perchè l'hai fatto?"
"Cosa?"
"Temari, tonto."
Shikamaru sbuffò:"Stai parlando d'amore con me, Yamanaka Ino?"
"Sto parlando di grosse cazzate" corresse diplomatica lei, ignorando del tutto l'ironia nella sua voce.
"Andiamo, Ino. Non era quello che... insomma..."
"Quello che volevi?"
"Quello di cui ho bisogno."
"Non te ne accorgi dopo due anni che ci stai insieme."
"Sempre meglio che dopo ventidue."
D'improvviso non era più tanto facile stare sdraiati con la testa persa nelle nuvole, non era più tanto semplice e immediato.
Il cielo adesso girava intorno a lui, lo accerchiava, gli si era rovesciato addosso come un secchio d'acqua e scintillava come mille specchi opalescenti.
"Shikamaru?"
"Ino?"
"Sai qual è quella cosa che avevo capito tempo fa?"
Shikamaru finse di ricordare con un vago cenno affermativo e fissò i due cieli, la ragazza e lo spazio siderale, sovrapporsi pericolosamente, azzurro contro azzurro in un enorme, esplosivo maremoto cosmico.
"Ho capito che non ti avrei mai detto addio. Mai."
"Mai è una parola un po' grossa. Non ti spaventa?"
"Se mi spaventasse non l'avrei detta."
"Già."
"..."
"Adesso tu puoi fare due cose.
Uno. Alzarti in piedi, tornare a Suna, chiarirti con Temari e sposarla entro il prossimo mese."
"..."
"Sto aspettando che tu mi dica la seconda."
Ino rise, amara come la malinconia:"Due. Scoppia a ridere e chiedimi se sto scherzando, sicurissimo che non potrebbe essere altrimenti, talmente sicuro da convincere anche me."
"E se io non volessi fare nessuna delle due?"
Ancora Ino rise senza grazia, sguaiata, poi a denti stretti decise di divenire seria:"Guardati, Shikamaru, guardaci: non ti sembra davvero troppo tardi?"
Annuire era semplicissimo, non gli chiedeva altro: paziente lei aspettò che lo facesse.
Il silenzio attorno a loro le parve più assordante dello scoppio di un cannone.
Le rispose uno Shikamaru accigliato e perplesso quanto lei, che fissava ostinato le nuvole:"E' tardi, a dire il vero."
"Ecco, vedi. Ho ragione io!" La risata di Ino tremò di nuovo.
Shikamaru la imitò con la sua risata roca, che, proprio come quella di Ino, non aveva nulla d'allegro.
"Questo mai, Yamanaka."
"Tsk. Ma finiscila."
"Appunto, fammi finire."
"Tsk."
Sospirò annoiato, Shikamaru. Poi parlò come assorto dal gioco dei fili di fumo.
"Dicevo che per essere tardi in effetti lo è. Ma non quando è dal primo giorno di Accademia che sai che andrà a finire così."
"...Cosa?"
"Devo farti lo spelling, Ino?"
"Per tutti questi anni... tu..."
"Potrei dire lo stesso di te."
"Oh. Già."
"La terza cosa, allora?"
"Tre. Puoi dirmi addio adesso e tornare sempre, sempre, sempre, dopo ogni notte, dopo ogni missione, anche quando non vorrai vedermi più, sempre."
"Sempre?"
"Sempre."
"..."
"..."
"Addio, Ino."
Ino sorrideva vaga come sorridono i cieli, le cose belle e le donne innamorate:"Già, già, addio..."
E questa volta nessuno dei due diede il minimo segno di volersi alzare e incamminare verso Konoha.

 

 

 

 

Maybe, maybe, maybe, maybe, maybe dear
I guess I might have done something wrong,
Honey I'd be glad to admit it.
Oh, come on home to me!

[Maybe, Janis Joplin]

 

 

 

 

Fin

 

 

 

 

 

 

 

 

Hokusai-sama: Hokusai Katsushika (OH! Shika + Katsu *_*! Destino) è stato un pittore giapponese, forse il più famoso in Occidente. Molti impressionisti, Monet su tutti, si ispirarono a lui e ai suoi paesaggi. Le più celebri sicuramente sono le vedute del Monte Fuji e la Grande Onda presso la costa Kanagawa, che poi è quella a cui ho pensato per la storia che avete letto or ora.

 

 

 

 

 

Nota dell'Autrice
Vi prego, qualcuno mi dica che non sto scrivendo solo una branca di schifezzate pseudoromantiche. E che soprattutto Ino e Shika sono IC. E che tutto quello di cui sopra ha un evidente senso ._. e che si vede la differenza tra i tre diversi salti temporali. Perchè sì, il primo dialogo avviene quando i nostri beniamini hanno sedici anni, poi diciannove e infine ventidue. Si salta di tre anni in tre anni, ecco spiegato l'arcano se non si fosse capito (cosa assai probabile, conoscendo la mia tendenza a scrivere cose chiare solo a me).
Spero che non sia la solita ShikaIno, mi sono tenuta stretta col mieloso e con l'angst. Insomma, ho sempre professato di odiare l'angst e poi non posso scrivere solo cose angst e piagnucolose! E poi ho tutta una mia visione personale del rapporto InoShika, spero d'averlo trattato bene. E' facilissimo banalizzare con quei due.
Le rose "materiali" a cui accenna il titolo sono quelle poggiate con discrezione sulla tomba di Asuma. Il loro colore, pesca, significa "amore segreto". Abbastanza chiara l'allusione, no? Le rose di antimateria, invece, sono i fiori delle conversazioni di Ino e Shikamaru. E quell'addio finale, soprattutto.
La canzone citata alla fine è, come scritto, Maybe della grande Janis Joplin. Questo perchè Ino è tremendamente Janis Joplin secondo me: l'intera storia è stata scritta ascoltando ripetutamente un suo Greatest Hits. Ascoltatevi Me & BobbyMcGee... quelli lì sono Ino e Shikamaru!
Tra l'altro, Shikamaru non ha mai detto "mendokuse" in tutta la storia: perchè? Beh, si suppone che sia cresciuto un po', ecco. Basta misoginia da quattro soldi. Si pensa (leggasi: io penso) che sia maturato da quel punto di vista. Ma che continui, sempre e per sempre, a guardare il cielo assieme a Ino.

 

Comunque.
Tanti auguri a me!
Da oggi, come saggiamente ricordatomi dalla Marta altresì detta Anle altresì detta Pèriko, non posso più spedire pacchi bomba a Kishimoto. Mi arrestano.
Da oggi mi tocca far la persona seria, ho capito ._. quindi comincio già da ora con dei ringraziamenti in grande stile.

Grazie a...

 

 Letizia, Camilla, Susanna, Marta, Chiara, Elena, Sara, Gaia (la Koks!), Val, Aurora.
Grazie a tutte voi <3, vi adoro davvero.

 

Grazie a chi recensisce, a chi legge, a chi mette le mie schifezze tra i preferiti, a chi mi stima, a chi conoscerò tra qualche tempo, a chi non conoscerò mai, a chi stimo, a chi mi regala l'ispirazione ogni volta che leggo i suoi racconti, a chi dirà che scrivo cretinate, a chi mi criticherà, a chi mi farà stare bene.

 

 

Semplicemente


ARIGATOU.

 

 

 

Grazie dell'attenzione,
Hipatya -maggiorenne-

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Capitolo 12
*** New Splendour to the Dead [Deidara] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che quindi si prende tutti i diritti del loro uso

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che quindi si prende tutti i diritti del loro uso. Qua e là ho sparso diverse citazioni: Arancia Meccanica, Bob Dylan, Modena City Ramblers. E' tutto merito dei rispettivi autori, ovviamente.
La frase iniziale appartiene, come scritto, a Shakespeare e al suo Macbeth.

La strofa riportata in finale è stata scritta da Fabrizio De André, dunque a Lui va ogni elogio.

 

 

 

 

 

New Splendour to the Dead

Un monologo per esplosivo e nuvole rosse

 

 

 

 

Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è altro che un'ombra che cammina; un mediocre attore che si pavoneggia e si dimena sul palcoscenico per il tempo della sua parte e poi non si ode più oltre. È una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno.
-“Macbeth”, Shakespeare

 

 

 

(Il sipario è aperto sulla scena, con le luci tutte accese, come durante una prova.
Non c'è scenografia, il palcoscenico si perde in un buio fondale nero e la scena è spalancata sul pubblico.
Le scalette che conducono sul proscenio non sono ancora state tolte: una dimenticanza, forse.
Non c'è alcun accompagnamento musicale, a parte il leggero ronzio elettrico delle luci della ribalta.
Il pubblico attende, in silenzio.

 

 

D'improvviso, come obbedendo a un impulso del tutto naturale, una figura si alza dalla prima poltroncina della prima fila e abbandona la platea.
E' un giovane biondo e magro, coi capelli acconciati in uno strambo ciuffo alto. Si muove come se fosse stanco eppure teso nello sforzo di non darlo a vedere, dunque si trascina sul proscenio con un'aria spossata ma dignitosa, il cipiglio orgoglioso, quasi da snob.
Ha fra le mani una maschera bianca di gesso e, senza neppure volgere uno sguardo al pubblico, la cala sul viso. Due occhi azzurri, accesi da una vivacità sinistra, brillano nelle mezzelune vuote della maschera.
Dopodichè il giovane muove qualche passo casuale, come se fosse indeciso o incerto, poi decide di piantarsi nel centro luminoso della scena.)

 

 

DEIDARA: (stende lentamente la mano destra verso il pubblico, mima con due dita la forma di una pistola) ...Bang.
(Nessuno ride. S'ode il tonfo di qualcuno che è stato colpito ed è caduto a terra. DEIDARA ridacchia piano, lentamente, col tono irriverente di un ragazzino. Un battito di ciglia ed è serio).
Funziona così. Il rumore se li porta via, già (occhi azzurri impudenti, spalancati), non dicono più una parola. "Bang", fumo e silenzio.
Non esistono più.
Bang (ripete più volte il gesto, pensoso). Basta talmente poco, solo la combinazione di un paio di cosette piuttosto infiammabili, salnitro tritolo nitroglicerina, e "bang", fine. Uno sbuffo di niente (ride ancora, quasi incredulo).
Beh, penso che l'idea mi sia venuta proprio da questo. Se con un detonatore e un esplosivo si può cancellare una parte di mondo, perchè non rendere l'istante che precede l'apoteosi degno di essere ricordato? L'istante in cui un corpo si sublima. Una sensazione... (cerca la parola giusta, interdetto) ...estatica, sì.
Ridicoli attimi di vite sublimati in quel momento di pura estasi dei sensi, la conflagrazione, la rottura di ogni simmetria.
E allora... allora un momento del genere dev'essere splendido. Di più, indimenticabile. Di più ancora, dev'essere una catarsi.
In una parola, dev'essere arte.
(Tace, cercando applausi che non arrivano).
E dire che molti non lo comprendono.
Milioni di "artisti" o sedicenti tali che assurgono l'arte a monito perenne, altri che ripetono vuoti elogi di circostanza senza capire, altri ancora convinti che la forma delle cose sia quella che si vede, oppure alcuni che ritengono il Caso miglior artista.
(Ride, scuote la testa) ...Il Caso, certo, come no, milioni di istanti bruciati sull'altare del caso, milioni di paccottiglie ammuffite che invecchiano nei recessi dell'Eterno.
Le vostre vite sono deboli, sono fugaci, sono ordinarie e prive di bellezza.
(Sorride, sfrontato) Ma io, oh io, io posso farne qualcosa che è degno di essere chiamato arte, in saecula saeculorum se preferite o anche solo per un respiro.
Bang (scandisce), un istante e più nulla. 
Ma quell'istante, quel solo istante... vale diecimila eternità consumate nei crepuscoli interminabili e nella sonnolenza dei secoli.
Quell'istante, dannazione (sorride).
Quell'istante.
Io ho vissuto per quell'istante.
...Ehi lei, laggiù, in sesta fila, proprio lei, mi dica: non sarebbe contento di venir trasformato in uno splendido fiore rosso e giallo?!
Dinamite, scoppio e... Bang. Un uomo che diventa un fiore perso nei cieli chiari.
...Ha mai visto niente di più poetico, lei?!
Cosa importa se quella è l'ultima cosa che vedrà!
E' poesia, è filosofia, è arte.
A-r-t-e.
Ovviamente dovevo farne il centro della mia esistenza.

(Senza preavviso DEIDARA scarica una sequela di "Bang!" sul pubblico.
Si odono tonfi in sala, prima che si spenga anche l'eco dell'ultimo "Bang!".
DEIDARA allora si lascia cadere seduto sul proscenio, le gambe che penzolano nel vuoto.)

Mi hanno detto "cresci!" e l'ho fatto. Mi hanno detto "combatti! uccidi! muori! difendi!".
Mi hanno insegnato come diventare un'arma, mi hanno parlato dei Quattro Cavalieri, morte guerra pestilenza e carestia, mi hanno reso banale, ottuso, patetico ninja uguale a mille altri.
Ci ho pensato io, però, a rendermi Arte, proprio ciò che loro non mi avevano detto di fare.
...Della mia vita non si sa nulla. Ehi, io non ho vita, non è vita quella dell'attore, non è così?!
La mia vita è "Bang!" (ridacchia) ...Ah, mi perdoni, lei, laggiù, volevo colpire quello alla sua sinistra, sa, mi duole ammetterlo ma neanch'io sono perfetto.
Vedete, c'è una cosa di cui non vi ho parlato.
Ditemi, voi sapete qual è l'odore dell'aria, un attimo prima dell'esplosione?
No, eh?
Lo supponevo.
Perchè, sapete, è qualcosa di disumano. E' quello il profumo del Paradiso; cento volte meglio dell'olezzo polveroso della pioggia, dell'aria gravida di elettricità, degli umori sanguigni e acquosi.
E' Il Profumo, direi. L'Archetipo. Ti entra nelle ossa.
Sapete, un giorno ai Ninja della Roccia era balzata in mente un'idea che definirei quasi geniale: far saltare in aria il vecchio Deposito di Esplosivi di Iwa.
E ci sono riusciti, sapete?!
Con me dentro, però.
(Tace, attende invano applausi).
Quest'ultimo dettaglio non l'avevano calcolato. Contavano di liberarsi anche di me, forse, non so, così mi hanno regalato un buon 70% di corpo meccanico.
Ma (si fa furtivo, sussurra) quello che è divertente è che stato peggio per loro. Molto peggio per loro.
Pensavano di disfarsi di un peso troppo scomodo, invece mi hanno insegnato l'arte, signori.
Credevano di polverizzarmi grazie a una carica di tritolo, e invece... invece... invece la bomba scorre nelle mie vene, è parte stessa del mio corpo. (Grida, la voce tonante) Oh, sì, tripudio: io sono distruzione, io sono ciò che mi ha quasi ucciso!
Oh, delirio. Delirio, delizia e dannazione, piacere impacentito divenuto carne.
...Tra l'altro, un candelotto in più sarebbe bastato a spedirmi dalle parti di Plutone. Ciò dimostra la loro incompetenza.
Spero si divertano lassù, dicono che faccia piuttosto freddo. Ma in fondo non m'interessa, e credo non interessi neppure a loro: dubito possano accorgersi di qualcosa, disintegrati in pezzetti più piccoli di un'unghia come sono.
...Ma
ehi, guardate là, quello dorme! (scatta in piedi, punta la mano e spara) Bang! Adesso dormirai un po' più a lungo, cocco, detesto essere ignorato.
(Si schiarisce la voce, torna a sedersi sul proscenio) Stavo dicendo, signori, che l'arte non ha confini. Non conosce ideali, villaggi, traditori, vinti, complotti.
I fiori nella sporcizia non sbocciano forse improvvisi, da un momento all'altro?!
Così è la mia arte. 
Bang, esplosione, apoteosi, sublime, tripudio, elevazione, un secondo che non si ripete, tanto più splendido perchè fugace.
(Si sdraia sul palcoscenico, le braccia incrociate dietro la testa) Le vite delle persone mi hanno sempre annoiato. Farle esplodere mai, invece.
Conoscenze, dissapori, paranoie, grettezza... Monotono, sì. Un fuoco d'artificio invece è leggero, svanisce nell'ombra e BOOM, la cosa più bella del mondo.
(Si tira su, inquieto fissa il pubblico) ...Ascoltatemi voi, ascoltatemi bene, voi che vi riempite la bocca di parole come "eternità", "ricordo", "monito", "imperituro", puah, parole nauseanti.
(Ride istericamente, quasi singhiozza) Chi predicava l'Eterno è morto ucciso da una sua creatura, lo sapete?! Brutto vizio quello di voler sopravvivere alle proprie opere d'arte. Non perdona.
Ma io, oh io... (sorride, estasiato) ...io sono diventato l'esplosione.
Io, io ho smesso di essere Deidara, Mukenin della Roccia, per diventare Arte.
Potete volare così in alto, voi?!
Potete unirvi per un battito di ciglia con l'Indissolubile?!
Oh ma voi, voi m'invidiate, voi grigi e tutti uguali, voi sonnolenti, voi già morti, voi che non sentite il sibilo della dinamite frusciare nelle vene!
Voi siete per tutta la vita sacchetti vuoti, che io solo posso far scoppiare (sorride di nuovo, sardonico).
B-a-n-g, capito?

(Con un balzo è in piedi, in equilibrio sull'orlo del vuoto, la maschera bianca contorta in un ghigno, la voce stentorea).
E dunque splendore per il morto, onori e gloria a ME, tripudio e gioia! Che sia allora fama, e vittoria, e Follia, che io sia un santo o un assassino, che bruci all'Inferno o languisca nell'apatia dei cumulonembi del Paradiso, che sia la pietra che rotola, lo specchio storto, il chiodo che picchia nel muro, l'artiglio che stride sulla lavagna!
Che sia il Saggio, il Folle, il Principio e la Fine!
Splendore, splendore per il morto, per l'ekpyrosis, per il fuoco che divampa e dà vita a un nuovo ciclo! Onori e trionfi per l'attimo d'arte assoluta, l'istante in cui non esistono più né tempo spazio!!!
Splendore, signori, splendore per il morto, splendore per me!!!

(Dopo l'esclamazione, il volto è rivolto verso il basso, il capo incassato tra le spalle e gli occhi fissi sulle assi del palcoscenico.
Le braccia di DEIDARA invece sono distese nell'impeto dell'esplosione, eppure come congelate: tutto il suo corpo è immobile e statico come quello di un giocattolo rotto, non più una scossa di vita in lui.
Sfila delicatamente la maschera bianca di gesso, adesso la tiene nel pugno.
Infine alza sul pubblico un viso serio, distaccato e impassibile, gli occhi azzurri freddi come ghiaccio e la voce monocorde.)
Ehi, amico.
'Sta volta non ritroveranno di te neanche l'ombra.
E' dinamite questa, non vedi?
'Sta volta finisce qui, amico. 'Sta volta è davvero finita qui.
(Punta le due dita, l'immaginaria pistola, alla tempia. Sillaba un "Bang" senza suono.)

 

 

 

(Tutto il teatro sussulta sull'onda di un boato devastante.)




(DEIDARA scende dal palcoscenico attraverso la scaletta, consegna la maschera a chi è seduto sulla seconda poltroncina della prima fila e prosegue in silenzio verso l'uscita dalla platea.
La sua figura si perde nel buio mormorante di voci del pubblico, svanisce nelle viscere oscure del teatro.

 

SASORI, nel frattempo, sale uno ad uno i gradini della scaletta che lo porteranno sul palcoscenico, la maschera bianca fra le dita, le mani che si alzano per calarla lentamente sul viso...)

 

 

 

 

 

Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d'un altro avviso,
son bombarolo!
[Il Bombarolo, Fabrizio De André]

 

 

 

 

Fin

 

 

 

Glossario
Catarsi:
filosoficamente, purificazione dalle passioni da parte di chi assiste a un dramma.
Iwagakure:
Il Villaggio della Roccia.
Ekpyrosis: Termine greco che significa
"conflagrazione". Per gli Stoici era l'enorme incendio che segnava la fine di un'era e l'inizio di un'altra.

 

 

 

 

Nota dell'Autrice
*Si schiarisce la voce*
PRIMA CLASSIFICATA al Contest "Shakespeare meets Naruto" indetto da LalyBlackangel e Mala Mela!
...E sì, ne vado alquanto fiera, dato che ciò che avete letto è il mio primo esperimento teatrale, e sapere che ha avuto cotanto successo mi rende tremendamente, estremamente, totalmente, *qualcos'altro in -mente* felice!





 

Detto questo, però, ringrazio i due giudici, Mala Mela e LalyBlackAngel, che sono state velocissime -e i bannerini sono fantastici *_*!-, la Chaos, di cui non vedo l'ora di leggere la sua storia, Jess_Elric, che ha scritto una cosa stupenda e ha tutta la mia ammirazione, Ayumi e Memi, che commenterò quanto prima. Wow. Brave ragazze!
E' stato un concorso fantastico, spero che il Bardo, o Cigno dell'Avon o comunque lo vogliate chiamare, non si sia scandalizzato troppo nel vedere frammenti dei suoi drammi cuciti addosso ai personaggi di un manga. Tra l'altro ancora complimenti a Mela e a Laly per aver avuto un'idea così bella, e per aver scelto citazioni ad alto contenuto di ispirazione.
...Ma, miraccomando, non dite MAI "Macbeth" in un teatro *_*! Almeno di non voler essere inseguiti da un branco omicida di attori inferociti.

 

Comunque, non ho il tempo materiale per rispondere alle 14 recensioni dello ShikaIno Day, ergo mi accingo a ringraziare, in ordine sparso: la Chaos -che, come il prezzemolo, c'entra sempre u.u-, la Koks, la Périko, poi _Saretta, MillyMalfoy, Piichan, Mimi18 (sono contenta che Narcissist Café ti sia piaciuta così tanto <3 grazie di cuore!), Neji's Fan ovverosia Francy, Sakurina (addirittura una poeta simbolista *_*! Ma grazie! Tu mi vuoi blu di complimenti!), Memi (ti devo mille recensioni >.< dannata memoria che mi tradisce sempre!), Elwerien (approfitto ora: io ADORO le tue storie!), Celiane4ever, Ely 91, Rinoa 81 e, last but not the least, Eleanor89 (guarda che le aspetto, le tue recensioni, eh ;) e anch'io devo darmi una mossa, nonostante tu abbia dato alle stampe una SasuHina!). 

 

Ancora grazie, grazie, grazie. Ho idea che dovrei riscrivere un altro Arigatou gigantesco, ma non basterebbe per esprimere tutta la gratitudine che provo per coloro che hanno sprecato cinque secondi del loro tempo per leggere le mie storie e scrivere due righe di commento. Grazie, infinitamente. 

 

A presto!
Hipatya

  

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Capitolo 13
*** Within and without with White [NejiHina] ***


A Gaia, piccola dolce neosedicenne che si merita tutti gli auguri e i regali di questo mondo

A Gaia, piccola dolce neosedicenne che si merita tutti gli auguri e i regali di questo mondo.

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La strofa della canzone riportata come intermezzo tra i paragrafi è Amsterdam dei miei splendidi e amatissimi Coldplay. Inutile dire che i diritti per cotanto capolavoro sono tutti loro.

 

 

 

 

 

Within and without with White

 

 

 

Come here my star is fading
And I swerve out of control
And I swear I waited and waited
I’ve got to get out of this hole


 

 

Neji-niisan sorrideva.

 

Vagamente, in quel modo speciale che soltanto lei conosceva, incurvando appena all'insù gli angoli della bocca, in una smorfia a metà tra il sorpreso e il seccato.


Sorpreso di se stesso e di lei, e di ciò che erano diventati.


Seccato, perchè per lui era impossibile essere allegro, c'era sempre qualcosa che oscurava i suoi occhi, anche nei momenti in cui la felicità sembrava a portata di mano, dimenticata dietro di loro come la terza silenziosa controparte dei loro incontri.


Ma comunque sorrideva: una statua di marmo immacolato che veleggiava lungo il fiume, verso altri luoghi, verso un'impossibile pace dello spirito.


Neji-niisan era, semplicemente.


Ma, comunque, sorrideva.

 

 

 

 

 

Il funerale era stato rapido e rispettoso, senza lacrime -non sta bene che le signorine di buona famiglia piangano- né celebrazioni altisonanti: non avevano permesso ai suoi compagni di Squadra e al suo sensei di partecipare e non avevano diramato inviti per nessuno.
La Disperazione era rimasta fuori dai Quartieri Hyuuga, a graffiare le porte come un cane affamato per chiedere di entrare.
Nessuna pietà per Neji-niisan, che si era macchiato della colpa peggiore; nessuna orazione né compianto per lui, i suoi passi su questa terra dovevano essere dimenticati in fretta, come si fa coi cattivi ricordi, seppellendoli nel silenzio pesante come una montagna delle loro case.
Lei, comunque, non li avrebbe dimenticati.

 

Neji-niisan era circondato da fiori bianchi, splendidi: un letto sontuoso, un letto di calle d'avorio per lui, l'eterno sconfitto dal Destino, poichè almeno nella morte gli fosse tributato l'onore che in vita gli era sempre mancato.
Hanabi non aveva pianto; aveva pianto nel suo modo, che Hinata conosceva bene, aveva pianto nel dojo di famiglia, spezzandosi le ossa in allenamenti massacranti e interminabili come le veglie funebri.
Hinata invece non aveva pianto..
Hinata aveva preso tra le braccia quei fiori bianchi, splendenti e altezzosi come Neji-niisan, e uno ad uno li gettava nelle acque cristalline del fiume.
Affondavano tutti, come se fossero stati fatti di piombo. Pesavano quanto i suoi rimorsi, probabilmente: erano insostenibili.


Una fascia di seta bianca copriva la fronte di Neji-niisan.

(Bianco, il colore dei traditori, il colore dei morti.)

 

Perchè nessuno vedesse che era carbonizzata, quella fronte, come il tronco secolare e rugoso di una quercia. 

 

 

Come on, oh my star is fading
And I see no chance of release
And I know I’m dead on the surface
But I am screaming underneath

 

 

 

Naruto-kun era come le stelle, che brillavano lontane e prive di calore, senza riscaldare né rischiarare il giorno.
Neji-niisan era come il fiume che scorreva e impetuoso esondava, riempiva ogni cosa e rifiutava d'andarsene via.
Era prevedibile che sarebbe stato seppellito in quelle acque limacciose e irrequiete, dormendo su un letto di fiori e alla luce di piccole candele bianche.
Ogni cosa aveva la sua brutale, elementare logica sanguinaria.

 

 

Quando anche l'ultima calla era scivolata in acqua, Hinata aveva guardato il suo riflesso sfocato e danzante sulla superficie del fiume.
Una macchia bianca -il viso-, una colata d'inchiostro -i capelli-, un velo d'azzurro screziato -il kimono-. Fiori di cenere che si sfogliavano -i suoi occhi-.
Era un mostro, un'accozzaglia di colori senza forma, un pasticcio incoerente a cui mancava tutto.

Neji.

Sì, lui. Anche.

 

 

 

Quando Hinata si lasciò cadere nell'acqua non fece alcun rumore, né sollevò spruzzi od onde concentriche.


Il gelo del fiume le gonfiava l'abito e le intrecciava i capelli, la spingeva sempre più lontano, lontano, e già scorgeva le candele accese che accompagnavano la sua bara, e i fiori bianchi, e la familiare onda dei capelli castani sparsi sull'acqua come su un cuscino.

 

 

 

Sorridere allora fu un gesto necessario, e naturale.

 

 

 

 

Fin

 

 

 

Nota dell'Autrice
Lo so Koks, è triste. Tristissima. Pura angstaggine come di mio solito. Però è così che ti auguro un buon compleanno -in ritardo d'un giorno, doh!-, è così che ti auguro di voltarti, come Neji e Hinata non hanno fatto, e afferrarla stretta stretta 'sta felicità, che sta sempre nascosta anche quando è vicinissima e non si fa mai vedere da noi poveri mortali.
Quello che conta in fondo è il carpe diem. Sempre, sempre, sempre. Per non doverlo rimpiangere, come poi ha fatto Hinata.
Su... ti ho sollevato il morale almeno un pochino? Un pochinoinoino?
No, eh?
Pazienza. In fondo ho riscritto una Hyuucagest, cosa che credevo impossibile anche nei miei peggiori incubi.
Tanti auguri, tesoro :*!


Mala Mela: Una Mela senza parola è una Mela contenta u.u dunque posso essere fiera di aver impressionato una cotanta scrittrice e -da poco- compagna di cazzeggiamento su msn. Grazie mille del tuo giudizio :) mi ha reso fiera dei miei pasticci letterari essere riuscita a colpire te, è una piccola vittoria personale.
Quasi tutto il merito però va a Deidara :) è un personaggio fantastico per il teatro, ce l'ha scritto addosso. Si meriterebbe un dramma tutto per lui, !
Talpina Pensierosa: Ma grazie mille :D! Felice che ti sia piaciuta. 
Kokky: Eeeeeeh, mi son scordata di metterlo nelle note dell'autrice, ma Novecento c'era, ovvio che c'era *_* brava tu che l'hai colto subito. La fine, soprattutto, l'ho ripresa da Novecento: non so perchè ma vedevo combaciare perfettamente la storia di Deidara e quella di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento in quel punto, perciò ho deciso di rendergli omaggio in questo modo. Povero, povero Baricco ._.
Spero che questo tuo piccolo regalo di compleanno che hai testè letto possa stupirti quanto il monologo di Deidara
. Sì, è un po' macabro, ne convengo, ma l'ho scritto col cuore <3 tutto per te. E poi so che ti piacciono i Coldplay e fidati, leggi la storia con Amsterdam in sottofondo. Merita davvero.
E' una canzone bellissima, straziante, lieve, proprio come Hinata.
Kaho_chan: Contenta?! Ho riscritto una NejiHina! Mamma mia, mi sto spaventando, diventerò mica capace di scrivere di loro due?!??? Devo scrivere una NaruHina per controbilanciare, presto, presto!
Scherzi a parte, dev'essere anche colpa della tua influenza. E del famoso triangolo HanabiKibaHina. Che strazio quella storia, li hai maltrattati senza riserve!
Le tue riflessioni sul monologo comunque sono come sempre precise, incisive e perfette. Mi ha fatto piacere notare che hai percepito la 'legnosità' del testo, dato che i veri copioni teatrali sono quasi privi di indicazioni (io ho dovuto inserirle per esigenze di trama), e che tu sia riuscita a capire dove effettivamente ho voluto puntare il dito: Deidara non ama l'esplosione in se e per se, ama l'attimo prima, quello in cui il corpo si prepara alla conflagrazione. Oh, wow. Non so da quanto avevo in testa quest'idea.
Io ce lo vedo Deidara un po' filosofo un po' assassino un po' folle. Un po' attore anche, che come Macbeth strepita una favola senza senso su un palco e poi muore, sommerso da milioni di facce tutte uguali.
Appena torni giù dall'eremo comunque riparliamo come al solito <3 e ti farò ascoltare tutta la discografia dei Portishead *_* sono fantastici. Un bacio, tesoro, mi manchi!
Jess_elric: Sublime. Che bella parola *_*!
Quando hai detto che il monologo è una delle cose migliori che hai mai letto, se non la migliore, giuro che ho vacillato. Non ci credevo mica, eh, non ci credo neanche ora che rileggo la tua recensione. Grazie davvero per le belle parole, sublime, magnifica, deliziosa, originale, parole splendide che non merito, ma che mi fanno tanto tanto tanto tanto (e ancora di più!) felice.
E la tua m'è piaciuta sul serio! Abbiamo idee diverse sul Team 7 (tu sei NaruSaku, io smaccatamente SasuSaku) ma so riconoscere la bravura tralasciando le schermaglie di pairing. Continuerò a seguirti, stanne certa, soprattutto se scriverai qualcos'altro su Ino e Shika o Sai. E poi tu hai un dono che io invidio moltissimo: la concisione. La capacità di dire tutto in poche parole, senza lasciare l'impressione che manchi qualcosa.
Miraccomando, non perderla mai :).
Mimi18: Oh wow, sono contenta di averti avvicinato Deidara!
Sai, anch'io preferisco Sasori tra i due, ma decisamente Deidara è molto, molto più teatrale dell'Akasuna. Insomma, Deidara è un personaggio perfetto per il teatro, dovevo togliermi lo sfizio di immaginarlo in quelle vesti, parlando in quel modo e con quella maschera tra le dita.
Grazie per aver letto e recensito. Le tue impressioni sono giuste, giustissime: è proprio ciò che volevo scrivere^^! Che bello!
Memi: Ma grazie per i complimenti e per tutte le belle parole, e ovviamente per seguirmi passo passo in questa raccolta
. Grazie davvero, Memi!
L'aggettivo sperimentale accostato alle mie storie poi mi fa luccicare gli occhi di gioia. Io amo sperimentare *_* e sono un'accanita fan degli scrittori che sperimentano, e in effetti col monologo mi sono proposta di fare proprio questo. Sapere che ci sono riuscita mi riempie di gioia, magari ritenterò qualcosa sulla scia di questo Deidara teatrale. Chissà, si vedrà.
_Eleuthera_: Ma saaaalve!
Posso chiamarti 'collega', anche se non sarebbe proprio esatto?! Perchè sì, io sono una teatrante (seguo un corso organizzato dalla scuola... e stiamo preparando i nuovi spettacoli proprio in questi giorni!), mentre tu, mi par di capire, studi seriamente per diventare attrice.

Mamma mia. Allora il prima possibile dobbiamo parlarne!
Comunque, hai ragione, teatro E' vita. Me ne accorgo io stessa ogni volta che proviamo, me ne accorgo sempre di più: è una delle cose più belle che esistano al mondo, è esistere e non esistere, è difficilissimo, perchè bisogna diventare personaggi pur essendo persone ma, per quanto difficile sia, è capace di vivificare, di far sognare e di arrivare dritto alle emozioni.
Il teatro, il teatro *_*!
Che bello sentirsi dire da qualcuno "dell'ambiente" che la cosa è fattibile anche a livello scenico! Quello che temevo è che fosse poco credibile come copione, un copione troppo letterario per poter salire su un palcoscenico, ma se tu mi dici così allora mi rallegro tutta contenta, è la prima sceneggiatura teatrale che ho scritto e ne vado un pochino fiera, anche perchè Deidara secondo me è fatto per il palcoscenico, tagliato su misura. Funzionerebbe in scena, !
Comunque, grazie mille per avermi inserita fra gli autori preferiti, sei stata dolcissima. E io devo ancora commentarti per bene la storia su Notre Dame! Diavolo, sono imperdonabile. Ma la recensione arriverà, eh, non disperare :) a presto. Alla tua prossima SasuSaku (gh!) o splendida storia che sia.
Grazie ancora!
Darkrin: Eccome se puoi chiamarmi Tya
. Ma volentieri!
Tra l'altro tu hai colto uno spunto fondamentale: l'esibizionista. Deidara è un dannato esibizionista, come ogni attore che si rispetti, e ama mettere in mostra la propria lucida follia. Brava *_* l'hai capito! E anche come hai descritto il teatro mi è piaciuto: esplosione o eternità. Diamine, non ci avevo ancora pensato, ma può essere entrambe le cose, proprio come Deidara. Grazie!
E grazie anche per aver commentato le altre Flavours
. Sei un tesoro, veramente :* mi hai commentato anche la SasuSaku, che è ufficialmente la più sfigata tra tutte, ma anche la PeinKonan e la ShikaIno. Aw. Le tue recensioni sono breve eppure analitiche, mi piacciono, dicono tutto quello che c'è da dire senza strafare. Sei stata veramente gentile, ti ringrazio ancora.
A presto!



Grazie dell'attenzione,
Hipatya

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Capitolo 14
*** Stillicidio [ShikaIno] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso.

 

 

 

 

Come due nuotatori che amano l'acqua, le loro anime
                                    si uniscono senza essere cucite,
                                                                                    nessun legame.

 

 

 

Stillicidio.

                                                                                    :estens., fig., il ripetersi continuo di un evento.

 

 

 

 

 

Ci sono i fiori, c'è il vento e c'è l'estate.
C'è un cielo limpido come acqua di mare, ci sono i gridi delle cicale soffusi nella calura, c'è un giardino di petali che si estende a perdita d'occhio.
C'è un annaffiatoio ancora pieno d'acqua, c'è una piccola vanga intonsa, ci sono un paio di forbici da giardiniere e un paio di guanti sporchi di terriccio.
C'è, nell'onda del vento, il beffardo profumo delle cose che non cambiano mai, il consueto odore di petali, di polvere, di cibo scottato sul fuoco.
C'è un sole giallo come una grossa moneta d'oro, un sole che picchia sulla nuca e brucia la pelle, un sole che si perde nelle falde del suo grande cappello di paglia.
C'è una cappa di silenzio che tiene il villaggio, laggiù, stretto nel suo palmo.

Ci sono tutte queste cose.

Potrebbero liquefarsi tutte insieme nello stesso istante e non le importerebbe affatto.

Non le importerebbe misurare la sua inquietudine sui gambi dei fiori recisi con malagrazia, cosa che puntualmente accade, se non per il suo sopito senso degli affari che sussulta improvviso, inorridito da cotanto spreco di danaro.
La migliore allieva di Ibiki Morino lo mette a tacere in quattro e quattr'otto. Non le importa.
La migliore allieva di Ibiki Morino non ha orecchie per i suoi fiori, quel giorno.
I fiori lo sanno, lo sentono. E ne sono offesi, perchè ricordano quando Ino diceva di preferire loro a qualsiasi persona, di ricercare la loro gaiezza, la loro vitalità spumeggiante e il loro silenzio discreto nella pesantezza degli individui comuni.
Ma Ino era cambiata. Ino s'era messa a preferire una persona anzichè un fiore.
E questa era una grave, gravissima offesa per loro.
Solo che la migliore allieva di Ibiki Morino neppure ci pensava, al malcontento dei suoi fiori. Come non pensava all'idilliaco pomeriggio estivo in cui era immersa, vestita di un grande cappello di paglia, dall'aria un po' retrò a dire il vero, che proteggeva quella pelle delicatissima, che il sole avrebbe divorato in un solo boccone.
La migliore allieva di Ibiki Morino, gli occhi a filo delle corolle di petali e le labbra appena schiuse, segno di chissà quale profonda concentrazione, camminava sui carboni ardenti, perciò il suo sguardo era febbrile, la sua mascella contratta, i suoi movimenti sgraziati e i muscoli dell'addome tesi come un muro compatto.
La migliore allieva di Ibiki Morino, che di nome faceva Yamanaka Ino, si struggeva sfrigolando come la fiamma di una candela.

Guardava solo e soltanto la cima dorata della collina, che si perdeva nella risata allegra del cielo azzurro. Se per un istante appena alzava lo sguardo dai fiori, come per riposare gli occhi dal brulichio dei petali variopinti, come per un'innocente distrazione passeggera, guardava solo la collina che si sollevava davanti al suo viso.
Doveva fare uno sforzo terribile: digrignava i denti, si mordeva l'interno delle gote, agrottava le sopracciglia e diveniva una brutta ragazzina che fa una smorfia di dolore, ma ci riusciva: non si voltava indietro. Dunque si congratulava con se stessa e col suo autocontrollo d'acciaio, perchè ancora una volta aveva vinto.
Poi s'accorgeva delle spalle e del collo contratti dal nervosismo, e tornava a lottare con tutte le sue forze per non girare il capo.
Ma non s'era voltata, comunque.
Non aveva guardato verso il villaggio.
Lo sentiva, il villaggio, come una presenza inquietante dietro la schiena, un nemico armato pronto a colpirla alle spalle. Un incendio che doveva costringersi a non guardare, per nessun motivo al mondo, ma che pure continuava a chiamarla coi fantasmi delle sue scintille.
Non si volterà, Ino: si volterà indietro solo al tramonto, quando scenderà verso casa coi fiori recisi fra le braccia. Non prima, in nessun caso, anche se al tramonto mancano ancora ore e ore e resistere è più difficile ogni attimo che passa.
Ma non si volterà, no, non lo farà.

 

Lo scatto misurato delle forbici è l'unico contrappunto che desidera per i suoi pensieri, per i suoi sguardi accigliati di azzurro nell'azzurro: tic-toc, tic-toc.
Le ricorda il ticchettio metodico di un orologio.
Tic-toc.
E Ino lottava, lottava. Aveva la sensazione che, dietro alle palpebre serrate, gli occhi si muovessero come impazziti cercando di guardare laggiù, laggiù, verso un posto che non esisteva, verso una delle ultime case del villaggio, una casa da cui la mattina presto si vede l'alba che scivola pigra sulle colline infreddolite, una casa senza orologi e piena zeppa di libri, con posaceneri vuoti disseminati ovunque, col letto ancora sfatto e una tazzina sporca di caffè che vegeta nell'acquaio della cucina, ammorbata da un silenzio insostenibile...
Yamanaka Ino, la migliore allieva di Ibiki Morino, preferisce senz'altro stare lì, in mezzo ai suoi fiori, dove si rifiuta anche solo di pensare a certe cose come gli orologi, il silenzio e lo smalto che quella mattina non è riuscita a darsi - le tremavano le dita - .
Muore di caldo, Ino, scotta, si chiede se ha la febbre. Le sembra che perfino le ginocchia affondate nel terriccio vadano a fuoco, che la terra, i fiori, il vento fumino e strillino infuocati, e forse anche il villaggio, laggiù, è in fiamme. Ma comunque non si volta per controllare.
Sente gli occhi farsi liquidi, Ino, come pioggia. 
E' la febbre, è la febbre, sicuro.
Il suo cappello di paglia non basta per proteggersi da un sole crudele come quello.
I suoi muscoli si sciolgono come burro: perfino sollevare le forbici, avvicinarle al fiore e farle scattare in avanti così da recidere il gambo - pur lasciando intatte le radici - è diventato una fatica disumana, insopportabile. Ogni cosa tende al centro della terra e forse anche lei sta precipitando, sta finendo laggiù, non resiste, non resiste, crolla.

La migliore allieva di Ibiki Morino che arranca nell'afa estiva, che si dibatte come se tutti i suoi arti fossero diventati una pesantissima catena d'acciaio: chiunque ne riderebbe, se lo sapesse.

Chiunque direbbe che i fiori sono soltanto fiori, cioè molto belli e assolutamente innocui, nessuno penserebbe che le stanno rubando aria, la stanno accerchiando, la vogliono soffocare.
La migliore allieva di Ibiki Morino è sconcertata. 
Nel cielo, oltre la collina, non trova le domande che sta cercando.
L'azzurro cristallino le restituisce una sensazione di luce incandescente, come se fosse uno specchio che qualcuno le punta addosso perchè i raggi solari la colpiscano, come fanno i bambini per bruciare le farfalle. Lo ha visto fare, una volta, quand'era piccola: le loro ali battono ancora, spasmodiche, prima di sublimarsi in una misera nuvola di cenere.
Fortuna che quel pomeriggio le nuvole sono altrove.
La migliore allieva di Ibiki Morino sgranchisce le dita indolenzite. Dispiega ogni muscolo del corpo, come le ali di un uccello, ruota il capo a destra e a sinistra - evitando comunque di voltarsi indietro -, scioglie le spalle contratte.
L'orologio che le rintocca nelle orecchie non ha smesso di battere. Risuona incontrollabile, spesso in accordo col netto incrociarsi delle forbici da giardinaggio, furioso, irraggiungibile, un treno che fragoroso irrompe in pieno contro di lei.
Tic.
E subito dopo, puntualissimo, il tuono, il boato...
Toc.

 

 


"Ino!"

 

 

 

 

Il suo corpo era piuma d'uccello, era vento.
Il suo grande cappello di paglia dall'aspetto retrò, decorato con raffinati fiori di raso dai colori pastello, volava dimenticato tra i fiori, quelli veri.
Ino ha smesso di essere Ino, Ino Yamanaka, la migliore allieva di Ibiki Morino, l'astro nascente della Squadra di Tortura e Interrogazione degli ANBU di Konoha o qualunque persona fosse un istante prima, adesso è solo la cosa spaurita che si è tuffata tra le braccia di Shikamaru Nara, gettando via l'inutile e sospettoso muso di Cervo che lui portava calato sul viso. 
Gli sussurra qualcosa di sconnesso, lo stringe, forse ha paura che non sia reale, teme l'illusione, teme che ci sia un altro dannato pomeriggio di sole vuoto e soffocante, se potesse diventerebbe acqua e scorrerebbe in lui fin quando la vita glielo concedesse. Non lo lascia andare, non lo lascia andare, gli concede appena il respiro e qualche parola che neppure riconosce.
Non ride, non piange, non lo riempie di baci o di schiaffi, non saluta il suo ritorno con una fiumana di parole, non pensa neppure, trema e basta, il suo volto non ha espressione: lei è una cosa di Shikamaru, morirebbe se lui si spostasse di un solo passo.
Si sente affondare, piano, con dolcezza. Vede l'istante preciso in cui l'universo negli occhi di Shikamaru le si riversa addosso e lei visita un paradiso stralunato, profondamente terreno, da cui riemergeva a malincuore solo dopo ore ore ore giorni o forse mai.

 

 

 

 

 

 

 

Fin



 

 

 

 

Nota dell'Autrice
Non è particolarmente geniale né originale, lo so, perdonatemi. Solo, avevo voglia di qualcosa di dolce e struggente. E di Shikamaru e Ino, anche.
La frase in corsivo che vedete lassù, ecco, è la traduzione del tema n.37 delle Flavours: Like two swimmers who love the water, their souls knit together without being sewn, no seam.
E non è neanche uno dei più lunghi, eh ._.

Comunque sia, TANTI AUGURI A INO E A SHIKAMARU!!!
Happy White Midnight to everyone!


Ringraziando:
tutte le ragazze dello ShikaIno Official Fan Forum
le admins: Ren#93, Coco Lee, Mimi-chan, _Neji's fan_ e tutte le Moderatrici. You rule, girls!
Wishful perchè mi ha scritto via mail per ricordarmi dello ShikaIno Day
tutte le splendide utenti del sopracitato forum
chi ha inventato lo ShikaIno Day *_*
Elwerien che ha inventato la qualifica di Mosche Bianche
chi ama Shikamaru e Ino
tutte le autrici che scriveranno altre meravigliose storie per festeggiare la Mezzanotte Bianca
...e anche Kishimoto (tsk) per aver creato Shika ed Ino!

 

 

Sweetprincess: Aw <3 addirittura una mia grandissima fan! Oh Gosh! Così mi fai veramente arrossire e, quel che è peggio, mi vizi :p e ciò è decisamente male, perchè finisco per montarmi la testa. Ah, ma che piacere leggere cose così >/// Mimi18: Oh, The Sweet Mimi! Perdonami, ma quando leggo i tuoi commenti vado in brodo di giuggiole, sei veramente troppo buona con me, non me lo merito <333 e non voglio responsabilità riguardo un ritorno di fiamma Hyuugacest XD Per il SasuSaku sono ben disponibile a traviarti, ma ecco *cough* il NejiHina non piace u_u Hinata la preferisco di gran lunga con Naruto. Però il NaruHina non riesco a scriverlo ç___ç quindi in qualche modo devo arrangiarmi. Dev'essere l'angst dell'Hyuugacest che inconsciamente mi attira.
E trovo il bianco un colore splendido nelle fanfiction. Sta a pennello con lo ShikaIno per ovvi motivi, ma si adatta molto anche agli Hyuuga, a Sakura, alle atmosfere un po' particolari. Sono felice comunque d'aver reso leggibile una situazione terribilmente angst come la morte di Neji, odio le depressaggini fini a loro stesse :)!
La Chaòs: Eccola qui *.*!
Che bello scrivere qualcosa e sapere che tu la commenterai. Chebello chebello chebello! Mi fa davvero venir voglia di scrivere, pubblicare, macinare trame sempre nuove e non arrendermi. Sì. Uno dei motivi sei senz'altro tu <3 sicuro.
Le tue analisi alle mie storie sono sempre precise, approfondite, quasi critiche: ti soffermi a pensare, non scrivi le prime boiate che ti passano nella testa, ma rifletti e riesci a scorgere sempre quello che io dissemino nei miei deliri creativi, che sia lo sfogo disumano di Hanabi (<3 che tesoro quella bimba!) o Hinata che non piange, ma affronta la morte con una certa serenità. E lo sapevo che a te sarebbe piaciuta la lontananza di Naruto XDD ma in fondo che significa?!? Può essere a qualche metro da lei che urla strepita e corre e l'afferra all'ultimo secondo prima che cada in acqua... Tutto è possibile nella mia testolina bacata *_*! E sai che il NaruHina proprio non riesco ad odiarlo, per quanto scriverlo mi sia ostico. Ma sì, concorso su tutto ciò che hai detto sul personaggio di Hinata. E' davvero strana :) e, per quanto io la maltratti sempre, spero che Kishimoto le riservi in futuro un po' di felicità. Ci sentiamo appena entri su msn, Chaos <3!
Koks: Ed ecco anche la diretta interessata :D!
La tua recensione mi ha fatto davvero felice, perchè sapevo che veniva drittadrittadritta da quel posto a sinistra del petto chiamato cuore u_u e tra le righe vedevo che questa amarissima flashfic t'è piaciuta sul serio. Menomale! Avevo paura di crollare miseramente, purtroppo sai che ho dei problemucci con l'Hyuugacest. Ma non divaghiamo, e comunque sì, sei la donna che mi fa fare cose impossibili, tipo leggere una NaruSaku (IO! Una NaruSaku! Io!) e scrivere una NejiHina XD perciò vanne fiera, my darling, è un pregio che concedo a pochi eletti!
Allur, io ho pensato sinceramente all'incesto, parlando di 'colpa peggiore'. Perchè il Clan Hyuuga non è che mi sembri granchè aperto di vedute, ecco, sicchè Hiashi-sama sarebbe lesto ad attivare il Sigillo del nipotino se lui mettesse gli occhi sull'adorata (?) primogenita. La benda sulla fronte è dovuta appunto a quello: il Sigillo attivato è quasi un'ustione, e non credo che gli Hyuuga avrebbero seppellito un membro del Clan con un bello squarcio in testa u_u sono ipocriti. E' sorprendente, li odio ma riesco a scriverne abbastanza bene XDDD! Qualcuno mi spieghi ciò!
Il funerale in acqua invece è un'idea che mi ronza in testa da tempo, devo averla vista nel Signore degli Anelli *mumble*, cioè, anzichè buttare il pover'uomo nella terra o bruciarlo, perchè non piazzarlo su una barchetta con tutti i lumicini e mandarlo alla deriva nel fiumiciattolo? Poi non so, Neji mi suggeriva quest'idea. Sarà stato il bianco, l'immagine di lui composto nella bara d'acqua che scivola via... insomma tutto un trip pazzesco.
Ma ti voglio bene, eh. E sono contenta che il mio regalo ti sia piaciuto.
LaClà: ...Una Mela contenta è una Mela pacifica, che non vuole momentaneamente scuoiare nessuno, quindi ciò è bene *_*!
Scherzi a parte, almeno leggi 'ste note, brutta Moscaccia Nera che ha un travaso di bile se solo sente nominare la parola ShikaIno! Eretica che non sei altro!
Comunque, sai che c'è di bello nei tuoi commenti? Che non sei una parolaia come me, che dico ottocentoventi cose al secondo, ma che sei concisa, sintetica ed essenziale, senza però far sentire la mancanza di altre parole. Non mi so spiegare, questo è assodato, però leggendo quello che hai detto della mia NejiHina ho pensato cazzarola, ma è vero, guarda com'è stata precisa senza sprecare fiumi di inchiostro! per questo ti invidio (altro motivo che si aggiunge alla lista).
E, ovviamente, le tue parole colgono quello che devono cogliere :) quello che c'è. Precise, nette, essenziali, minimal come piace a me. <3 Aw.
Prima o poi riuscirò a farti accettare lo ShikaIno!
_Eleuthera_: Ma saaaalve *_*!
Mi fa piacere che tu abbia letto questo mio esperimento sugli Hyuuga, questo pairing è inusuale e piuttosto 'difficile' anche per me, per natura mi tengo lontana dall'incesto, soprattutto in questo caso dove Hinata e Neji possono considerarsi biologicamente quasi fratellastri, essendo figli di due gemelli omozigoti.
Però, però, il NejiHina ha un suo perchè. Oh, diamine, anche se preferisco il NaruHina e lo trovo decisamente più Canon e realizzabile.
Comunque, mi hai fatto notare una cosa che a me era sfuggita: è vero, mi sono tenuta su una situazione tristissima però delicata, quasi sfumata, così com'è priva di un vero "corpus" la relazione Neji/Hinata. Mi sono tenuta sul vago, per non rovistare troppo nel profondo, e per lasciare un margine di discrezione al lettore. Per me può anche esserci Naruto poco lontano che la salva in extremis praticandole una respirazione bocca-bocca XDDD!
Ma teatro, teatro, teatro. Che bello lavorare in una compagnia <3, mamma mia, è un sogno, un vero e proprio sogno, hai tutta la mia stima *_* e la mia ammirazione, io non penso avrò mai il coraggio di fare IL salto definitivo per quanto riguarda il teatro. La mia dannata razionalità, sai. Però l'idea del monologo su Deidara mi ronza ancora in testa, la proporrò al mio regista non appena si calmano le acque, purtroppo andiamo in scena fra meno di due settimane e siamo tutti in subbuglio. Non ho potuto tirar fuori Deidara dal cilindro: gli è stata rubata la scena da Garcìa Lorca ('Donna Rosita Nubile') e da Aristofane ('Le Donne al Parlamento') e, dietro cotanti nomi, non me la sentivo di farmi avanti io col povero Deidara e il suo teatro esplosivo -nel vero senso della parola-.
Comunque, ci stiamo attrezzando per il secondo monologo ;) e sta volta tocca a Sasori-danna...
Darkrin: Oh, la Livia!
Guarda, leggere la tua recensione mi riempie di gioia, perchè mi hai rassicurata: non ho forzato nulla, era, come hai detto tu, la naturale conclusione di un rapporto che comunque non poteva durare. E sì, è vero, è più leggero di dieci righe di disperazione, più leggero di tante angstaggini tirate per i capelli, è sopportabile: mai parola fu più azzeccata.
E, come da copione, hai colto anche l'accenno a qual era in fin dei conti la vera tristezza. Non la morte, no. Ma il non averla mai sfiorata, quella stupida felicità, che era lì a un passo, potevano vederla entrambi ma nessuno ha potuto (o voluto?) afferrarla. Ah, la felicità. Strana bestia.
Lale16: Ah, guarda, c'è sempre tempo per scoprire le cose *_* e per aggiungersi come lettori alla mia raccolta di Flavours *_*!
E poi io lo so che il tredici porta fortuna u_u sono nata di tredici XD!
Perciò non farti problemi, davvero :) quel che conta è aver lasciato le tue impressioni, percui ti ringrazio sentitamente e profondamente e ti invito a seguirmi ancora attraverso queste cinquantadue fatiche (ma ce la farò a scriverle tutte o_o? Chissà!), spero di non deluderti!


 

Grazie dell'attenzione,
Hipatya



                       

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Capitolo 15
*** Potentiality knocks on the door of my heart [NaruHina] ***


Per Laly, ovvero Laura

Per Laly, ovvero Laura.
Perchè sì!

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La canzone citata, From Me to You, e il sottotitolo della fanfiction, Love Love Me Do, appartengono agli strepitosi Fab Four.

 

 

 

 

 

 

Potentiality knocks
on the door of my heart

( love love me do !)

 

 

If there's anything that you want,
If there's anything I can do,
Just call on me and I'll send it along
With love from me to you.
From me, to you.
 [From me to you - The Beatles]

 

 

Svegliarsi, un giorno.
Svegliarsi e guardare a lungo l'aria azzurra del mattino che invade la stanza.
Che ore sono?, ti chiedi poi, cercando a tentoni una sveglia che, come da copione, rotola sul pavimento scatenando una fanfara di tonfi metallici. Immancabile arriva subito, richiamato dalla carambola di chip elettronici che si schiantano sotto il tuo letto, il dolore alla testa tipico di ogni domenica mattina, immediato come una sassata alla nuca.
Lasciarsi sprofondare nelle coperte e seppellire la testa sotto il cuscino è questione di un attimo. Il sollievo del letto tiepido è paradisiaco, ti avvolge il corpo come un guanto caldo. 
La testa pulsante e dolorante però riemerge, un pugno di secondi dopo, mentre il naso si arriccia alla ricerca dell'aroma del cibo. Il sasso piantato nella nuca, a poco a poco, diventa abitudine.
Dio, che dolore, ti penti adesso, oh come ti penti!, che cavolo di dolore maledetto, mai più la vodka, lo giuro, mai più!
Dimenticando che è quello che ti sei promesso già domenica scorsa. E la domenica prima. E la domenica precedente ancora.
No, no, proprio non ne vuoi sapere di cacciarti fuori dal letto: ti sei di nuovo raggomitolato sotto il piumone, spalle curve da ragazzino e il cuscino appallottolato sotto la testa, mentre il sasso si fa sempre più appuntito e gira e scava dalle parti del tuo cervelletto, affondando sempre di più.
Potresti quasi riaddormentarti, angelico e beato come un lattante, se non fosse per la tua nuca che pulsa in modo fastidiosissimo. E la sensazione che la tua testa sia una tazza sul ripiano di un bar, un ripiano tempestato di pugni che cadono giù a ritmo regolare. Thum, uno, thum, due, thum, tre. Quasi puoi vedere la tazza che si solleva, che lotta con la forza di gravità, che perde, che ripiomba sulla superficie di zinco con un cupo rumore di ceramica.
Tazza, caffè, colazione. Il tuo stomaco brontola eloquente.
Si chiamano associazioni logiche.
Alzarsi in piedi di scatto però è troppo anche per le tue possibilità: la stanza ti crolla addosso e sei di nuovo affondato nel letto, il materasso ti sostiene amorevolmente con un cigolio di acciaio arrugginito. I tuoi occhi comunque restano serrati, sai bene che la luce del sole è l'aggravante peggiore per il mal di testa da sbronza. Ti rimetti in piedi, cieco avanzi verso la cucina, lo stomaco in subbuglio che tuona e romba come i nembi infuriati di un temporale. Hai una fame terribile, una fame animalesca e prepotente, che ti costringe a rialzarti anche dopo che sei inciampato nei vestiti che ti sei strappato di dosso ieri notte, prima di buttarti a dormire, e che non hai visto a causa degli occhi chiusi. Ecco, adesso puoi fregiarti anche di uno splendido ematoma violaceo all'altezza della tempia sinistra che, come volevasi dimostrare, un male tremendo e sta raggiungendo le dimensioni di una mongolfiera di sangue rappreso.
Ma la fame, la fame viene prima di tutto. Anche prima della dignità. Per fortuna le tue confezioni di ramen istantaneo si trovano sempre a portata di mano, nella fattispecie sulla mensola in legno del cucinino. Potresti quasi azzardarti ad aprire uno spiraglio fra le palpebre cispose, giusto per individuare dove si trova il cartone del latte. Ovviamente la coordinazione dei tuoi movimenti non è quel che si dice perfetta, perciò sul pavimento della cucina bella mostra di sé una gigantesca chiazza di latte gelido, che pulirai più tardi (molto più tardi) perchè adesso non hai la minima voglia di farlo.
Mastichi il ramen con una certa indolenza frammista a pura goduria, perfino il mal di testa sembra gioire insieme alle tue papille gustative.
Ah, la tranquillità delle tue mattinate domenicali.
Cielo azzurro, luce piacevole, un sasso che ti tritura i neuroni e un livido grosso come una seconda testa alla base della fronte.
Bah, comunque inghiottisci il tuo ramen con la flemma dei pensatori ed è proprio in quest'innocente momento che arrivano, striscianti e silenziosi, i pensieri, un'orda di carrozze trainate da cavalli invisibili.
...Ieri sera.
Ieri sera, già.

 

Kiba si ubriacava molto facilmente, bastavano un paio di sorsi di questo e di quello e finiva in mutande sul bancone del bar di turno, gorgheggiando un'ebbra versione della ballata popolare più in voga, esibizione di air guitar compresa. Per questo era divertente uscire con lui, omettendo il fatto che di solito, su quel bancone con le scarpe in mano, schioccando le dita a mo' di nacchere, ci finivi anche tu.
Non ti ricordi come ma, mentre scorrevano fiumi di saké, a qualcuno della brigata era scappato il nome di Hinata. Shino, forse. Sarebbe stato il suo compleanno lì a breve, e forse l'avrebbe dovuto passare in missione, per colmo della sfortuna più sfortunaccia nera.
Tu avevi aggiunto qualcosa di stupido e banale, del tipo che non le sarebbe dispiaciuto, Hinata era così, felice di compiere il suo dovere.
Sapevi bene che non erano quelli i discorsi da fare con mezzo litro di vino in corpo, ma sul momento te n'eri dimenticato.
Kiba ti aveva fulminato, proprio fulminato. Kiba non era bravo a tenersi le cose per sé, soprattutto con mezzo litro di vino in corpo, soprattutto davanti a un'occasione così succulenta.
"Tu non la conosci per niente, Hinata" aveva riso latrando, asciugandosi la bocca sporca di sakè, "Non sai nemmeno che è innamorata di te da dodici anni."
La tua attenzione era amplificata dall'alcool, ti eri concentrato su quelle parole ma ne avevi afferrato soltanto il suono: per decodificarle ci avevi impiegato cinque minuti pieni, mentre Shino alle tue spalle dava del coglione al compagno di Squadra, ripromettendosi di gonfiarlo di botte una volta riacquistata la lucidità.
Non ci credevi mica. Hinata innamorata di te. La voce ruvida di Kiba risuonava nella tua testa in un'eco infinito, ma il significato di quella frase continuava a sfuggirti.
Hinata innamorata di te. Hinata INNAMORATA di te. HINATA - di te. Hinata - TE!
Non ci credevi, Kiba straparlava, era ubriaco. Te n'eri dimenticato. Ma la faccia di Shino, quella non riuscivi a scordarla.
Ancora non riuscivi a crederci.
Anzi, era peggio. Non ci avevi mai pensato.
L'egoismo è una brutta cosa, no, Naruto?

Il ramen ormai ha perso ogni sapore, lo mastichi senza gustarlo appieno, lo trangugi senza centellinarlo nel palato, venendo meno a ogni tuo principio morale. Hai lo sguardo fisso e, perdio, dannatamente serio.
Il dolore alla testa è tornato alla carica, adesso sembra più una scavatrice meccanica che ti svuota il cervello tra un gran stridore di acciaio, ma quasi non lo senti neppure.
Pensi ad Hinata.

...E non ti viene in mente che è la prima volta, in ventiquattro anni di vita, che ti svegli senza pensare ai tuoi genitori, a Sasuke, a Sakura-chan o all'Ero-sennin.

 

Perchè alcune persone sono così, incontrano l'amore della loro vita a dodici anni.
Chi l'ha detto in fondo che esiste un'età per amare, chi ha stabilito gli orari, i limiti, i termini, le coincidenze?
Il mondo crolla e Hinata continua ad amare, in silenzio certo, perchè urlare ancora non le si addice. Ora che ci pensi, quel paio di guanti blu di lana, così utili in inverno nelle missioni, te li aveva regalati lei per un compleanno di un paio d'anni fa. Forse più di un paio. Forse anche quattro.
Ma non ti ricordi d'averla ringraziata per quel regalo.
Come quella volta, quando aveva lasciato a Sakura una bottiglia d'acqua per te, dopo gli allenamenti. O come quelle volte (troppe) in cui ti è passata vicino sfiorandoti e tu, che guardavi altrove, non ti sei accorto di niente.
Nella folla Hinata ti camminava di fianco, ma tu cercavi la testa arruffata di Sasuke o qualunque altro sogno all'orizzonte e neppure l'avevi notata.

 

Eppure quello sprazzo di lucidità, che ha squarciato il velo della tua ubriachezza come una saetta, era stato sufficiente a mandarti in crisi. A farti finire con la faccia nella scodella sporca di ramen, perchè così, ti dici, si pensa meglio.

 

Ma adesso hai bisogno di acqua, acqua fresca: te ne getti sul viso un catino intero, allagando il pavimento del bagno e aumentando il caos in quella stalla che casa tua sta diventando. Comunque non te ne importa niente, sono solo due gocce, dopo asciugherai.
La tua immagine allo specchio è devastante: occhi gialli appiccicati, occhiaie tipo baratro nero, brufoletti rossi a ventiquattro (?!) anni, barba di tre giorni fa, alito classificabile come arma batteriologica. Il ritratto della salute.
Un disastro, esatto.
Per non parlare dei residui fossilizzati di ramen impigliati nelle ciocche bionde, ormai inestricabili. E puzzi ancora di vino, volendo coronare il quadretto.
Acqua, acqua, tu devi pensare, devi capire: ma tutto quello che pensi ritorna ciclico al viso ovale di Hinata, Hinata pelle d'avorio da ricchi, un'ala di corvo sui capelli e occhi vibranti come le corde di un violino.
Potresti in effetti andare da Kiba, tirarlo giù dal letto e fargli vuotare il sacco una volta per tutte. Potresti andare da Shino e vincere i suoi silenzi, o da Shikamaru e sorbirti le urla da gatta furiosa della Yamanaka, o da Choji per fare altre tre abbondanti colazioni, o da Sakura per farti sfottere da Sasuke fino al prossimo millennio.
O potresti ritornare a letto.

Svegliarsi per te non è mai stato così difficile.

Accucciato contro la parete del tuo minuscolo bagno, ti frizioni con le dita le palpebre chiuse e ti senti male, malissimo. Ti senti come se Shino ti stesse guardando come ha guardato Kiba ieri sera, cioè con lo sguardo di chi contempla uno sterco di cavallo assediato dalle larve di mosca.
Il letto non ti è mai sembrato così accogliente. Letto letto letto. Vuoi tornare a dormire e svegliarti dopodomani.
Ma no, cazzo, dopodomani no, dopodomani dovete andare a sfondare il culo a quelli della Roccia! 
Niente, 'sta mattina tutto è contro di te, sarà meglio tirarsi su a fatica, barcollare vistosamente e buttarsi sotto la doccia per prepararsi a una nuova, smagliante giornata. Acqua, acqua fredda: hai bisogno di pensare. Okay, ti sembra di intravedere una certa lucidità sotto quella zazzera bionda da teppistello, forse adesso sei in grado di formulare un pensiero coerente.
Il pensiero coerente dice che sei un fallito, caro Naruto Uzumaki, che muoiono sempre i migliori e i peggiori invece (Sasuke) tornano a casa per sbattersi Sakura-chan. Il pensiero coerente dice che è inutile faticare se poi il meglio se lo beccano costantemente, cronicamente gli altri. Il pensiero coerente dice che sei un vigliacco, perchè anzichè combattere ti sei trincerato dietro la solita sempiterna amicizia, dunque se tutto il villaggio ti ride dietro un motivo c'è.
O forse non ne valeva la pena?
Ti butti in faccia il getto corroborante della doccia. Adesso ricordi bene perchè bevi per dimenticare. Merda.
Meglio regolare un poco la temperatura, hai gli arti completamente intorpiditi dal freddo, sei pronto per l'ipotermia. Ecco, adesso ti sembra di sentire un leggero sollievo, l'acqua tiepida ti scioglie i muscoli come fossero burro e senti la tensione scivolare via, rotolare giù nel gorgo della cabina doccia assieme al sapone.
Giornata schifosa. Te lo senti nelle ossa, nella testa martoriata dall'emicrania, nella bocca: giornata orrenda.
Appoggi la fronte al vetro, lasciandovi impressa la sagoma tra le goccioline di vapore d'acqua, e ti sforzi di pensare a cosa farebbe Sasuke in un momento del genere. Sasuke oppure Jiraya-sama, le persone che stimi davvero, quelle che secondo te non hanno mai sbagliato, sebbene nella loro vita abbiano fatto stronzate grosse come case.
Sasuke forse se ne fregherebbe di Hinata, come si è sempre fregato di tutto, finchè tu e Sakura non l'avete messo con le spalle al muro. Jiraya invece prenderebbe il toro per le corna, sveglierebbe Kiba con una testata e si farebbe spiegare per filo e per segno cosa intendeva con "Hinata è innamorata di te da dodici anni."
Ma tu, che non sei né l'uno l'altro, non fai nessuna delle due cose: scivoli sul pavimento bagnato e per poco non ti spacchi la testa. Riprendi fiato lentamente e ti abbandoni sulle piastrelle fredde e sull'impalpabile specchio d'acqua, guardi il soffitto, quasi assorto, col cuore che rimbomba come la cassa cava di un enorme tamburo.
Non sai neppure chi è, Hinata, su questo Kiba aveva ragione.
Tu, tu che hai amato Sakura giorno per giorno, tu che l'hai amata coi capelli sporchi, il viso sudato o cotto dal sole, tu che l'hai amata con la voce, con l'allegria e con l'amicizia, tu non comprendi come una persona possa amare tacendo.
Un amore è vivo, è luce e suono, si nutre di sguardi, di mani, di occhi, di attenzioni, è una presenza tangibile e fatta di carne. Ma forse no, forse no: forse anche il silenzio può essere addomesticato, forse si può amare anche da lontano, preferendo i sogni piuttosto che la realtà.
Ecco, adesso ti senti molto peggio di prima.
Devi asciugarti, infilarti dei vestiti puliti e decidere che cavolo fare di questa strana, pensosa mattinata. E' così poco da te, così poco Narutesca questa mattinata all'insegna della lucidità forzata, dopo che l'alcool ti ha rimesso al mondo.
Scavi nei ricordi e cerchi un segno, una prova che possa giustificare l'affetto di Hinata. L'amore è una cosa grossa, eh, non può vivere soltanto di sogni e fantasie, l'amore ha bisogno di spazio e respiro.
Dov'è Hinata nella tua vita? Non riesci a trovarla da nessuna parte. La tua vita corre da Sakura a Sasuke, non c'è altro viso nella cerchia di persone che danzano con te. Un Team è una cosa seria, significa proteggere la vita di due persone in ogni circostanza, spesso a scapito della propria.
Hinata, però, non ti ha mai chiesto niente: non ti ha chiesto né ordinato niente. In effetti era lontana da te, e lei per prima doveva essersene accorta, è sempre stata al limite della tua galassia, quasi non la vedevi.
Dimentichi sempre che le stelle più lontane sono quelle più luminose.

Ti passi una mano fra i capelli, con un sospiro frustrato e gli occhi resi scuri dalla preoccupazione.
Tu 'sta cazzo di vita non l'hai mai capita, te ne rendi conto sempre di più, e ogni volta è sempre peggio. La sensazione di disagio è come una nota stonata nel tripudio di una sinfonia, si percepisce appena nell'onda elegante delle note, ma un orecchio ben allenato riesce a captarla benissimo, l'anomalia, al di sotto dei fronzoli squillanti dell'accompagnamento musicale.
Scuoti la testa, scacci via i pensieri e, riflettendo, forse una tripla colazione abbondante, sottolinei abbondante, a casa di Choji potrebbe risollevarti il morale e farti apparire il mondo meno crudele. Le tue scaramucce con la vita non possono essere risolte tutte questa domenica mattina, e adesso sorridi, perchè sta svanendo il dolore alla testa e forse sta tornando il buon'umore.

 

Forse.
Se tu, uscendo, non ti fossi infilato quel paio di guanti di lana blu
. Blu acceso, con un ghirigoro arancione, la sagoma di un gorgo acquatico sul dorso.
Naruto, in fondo, significa vortice.

 

 

 

 

 

 

"HINATAAAAAAAA!"
"HINA - TAAAAAAA!"

"HINATA, MI SENTIIIIII?!?"

 

Non te la ricordavi così vuota e silenziosa Konoha al mattino. Il villaggio è sempre ricco di colori, suoni, schiamazzi da mercato e grida allegre, è una padella di castagne che scoppietta sul fuoco, così ti piace immaginarlo e così l'hai sempre amato.
Questa mattina però Konoha tarda a svegliarsi, sebbene un sole brillante come il cristallo splenda nel cielo cobalto, fotografia di un inverno in cui il vento tiene lontane le nuvole. Non vedi nemmeno le trame nere che i rami secchi degli alberi disegnano nell'azzurro, per i tuoi occhi, azzurri quasi quanto quel cielo, non esiste altro se non l'appartamento striminzito in cui la primogenita Hyuuga si è rifugiata, dopo il suo distacco dalla famiglia.

 

"HINATAAAAAAA!"

Non ti passa neanche per la testa che possa essere sconveniente, o quantomeno maleducato, presentarsi così di punto in bianco a un'ora imprecisata di domenica mattina, dato che tu, grandioso ninja della Foglia, hai rotto la tua sveglia e non sei provvisto di altri orologi in casa tua.
Le tue indiscusse capacità logiche ti suggeriscono che forse potresti aver sbagliato strada, o casa, o zona della città, dopotutto sarai passato di qui una mezza volta appena - ma no, no, passavi di qui di ritorno dagli allenamenti e Kakashi-sensei ti ha parlato dello scisma degli Hyuuga e, sì, sì, di Hinata che volava con le sue ali. Aveva usato proprio quelle parole: volava con le sue ali.

 

"HINATAAA!"

 

Uh, se ti diverte gridare a pieni polmoni nell'aria frizzante del mattino, la voce stentorea e le mani al caldo, protette dai guanti. Se ti diverte scaldarti salterellando qua e là in mezzo alla strada deserta, incurante delle finestre ancora chiuse, del silenzio e del rispetto che si dovrebbe portare a chi sta ancora riposando.

 

"...Na-Naruto?"
Si è perfino scordata il suffisso -kun che di solito usa, la piccola Hinata, che ha la faccia stravolta e i capelli scarmigliati di chi si è svegliato da poco. Torna da un allenamento mattutino, è sudata fradicia, ha il viso rosso per lo sforzo e un aspetto che, per colmo della sua vergogna, realizza essere tremendo, e Naruto è davanti alla sua porta che chiama lei, proprio lei, con un sorriso che è come una sciabola di luce.
Hinata lo osserva voltarsi lentamente, stupito che la ragazza arrivasse da dietro le sue spalle e non dalla casa a cui stava urlando poco prima, e adesso è sicura che le cederanno le gambe, è questione di un attimo e sprofonderà nell'imbarazzo più infantile.
Perchè puoi vivere ventiquattro anni dimenticandoti di esistere, poi arriva una domenica mattina, quella domenica mattina, e tutto acquista un senso profondamente nuovo, degno d'essere vissuto e sentito fino in fondo.

 

"Beh, ecco..." sdrammatizzi con una risata, grattandoti la nuca, "Mi chiedevo se potevo offrirti il pranzo.
Mi sono accorto che ti dovevo qualcosa" sorridi.
Qualcosa come dodici anni di attesa, in effetti, và ripagato con più di un pranzo. 

 

 

"M-ma Naruto-kun... sono le nove del mattino!"

 

 

 

Fin

 

 

 

 

Note dell'Autrice
BUON NARUHINA DAY A TUTTI QUANTI *_* !

 

Un bacio e un abbraccio enorme a Wishful, che mi ha contattata per mettermi al corrente dell’iniziativa, e alla mia Cla che ha Betato tutto ciò.

Vi amo,
Hipatya







 





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Capitolo 16
*** Shogatsu (can't take my eyes off of you!) [KibaHanabi] ***


Scritta, con tutto il cuore, per Kaho_chan

Scritta, con tutto il cuore, per Kaho_chan.
Tesoro, alla fine non ce l'ho fatta a uscire dai miei pairings canonici XD scusami. Mi perdoni, sì <3? Questo è il tuo Secondo Regalo di Natale, perciò ci sarà anche un Primo XD
E grazie mille per essermi stata accanto quest'anno. Ti auguro di divertirti a Capodanno come Hanabi e Kiba -e poi vedi che insieme possono essere anche carini XXD?!?
Un bacio enorme e un abbraccio altrettanto enorme. Ti voglio tanto bene!
Buon Natale!
Ele

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La canzone riportata, base e ispirazione di questa storia, è Can't take my eyes off of you, nell'epica versione degli amatissimi e veneratissimi Muse.

 

 

 

 

 

 

 

 

Shogatsu

(can't  take my eyes off of you!)

 

 

Pardon the way that I stare
There's nothing else to compare
The sight of you makes me weak
There are no words left to speak...

 

 

Haru

 

La prima volta che l'aveva visto aveva dodici anni, lo ricordava bene perchè pochi giorni prima era stato il suo compleanno e, come regalo, suo padre le aveva permesso di allenarsi alla Pioggia Che Danza.
La Pioggia Che Danza significava usare la Tecnica del Juken all'aperto, sotto una colata di pioggia battente, controllando e bloccando ogni singola goccia d'acqua con la forza del chakra. Bisognava resistere per un tempo indefinito colpo dopo colpo e, se una sola goccia sfiorava i vestiti, l'allenamento poteva considerarsi terminato. Era semplicemente una questione di tempo: chi cedeva dopo qualche secondo, era segnato per il resto della sua vita, significava che non avrebbe mai potuto rivolgere per primo la parola agli Anziani del Clan né aspettarsi d'essere trattato come uno fra i pari.
Sua sorella probabilmente non sarebbe mai stata ammessa alla Pioggia Che Danza.

Lei invece aveva resistito diciassette minuti - ben d i c i a s s e t t e minuti - a dodici anni. Neji-kun a dieci resistette diciotto, ebbe premura di ricordarle suo padre; dunque per un solo minuto, per sessanta contrazioni del muscolo cardiaco, le veniva offerto ancora una volta il suo splendido trono di vetro, il ruolo di eterna seconda, la prima degli ultimi.
( Nella sua camera, davanti allo specchio, aveva provato e riprovato senza voce come sarebbe stato gridare il suo odio sul viso del Signor Padre )


Dunque lo ricordava perchè, in quel momento, stava allenandosi al taijutsu nel cortile interno della casa e Quello (Quell'odioso pezzente pulcioso ottuso sudicio bastardo ributtante fetido), aveva osato spingersi fin sulla soglia, con la scusa di aspettare sua sorella che aveva dimenticato in camera la tal cosa per Kurenai-sensei, schernendo i domestici e travolgendoli con quella sua grossa risata volgare, così simile al latrato di un lupo. Se suo padre fosse stato in casa, non gli avrebbe permesso neppure di avvicinarsi ai Quartieri: Quello apparteneva a una stirpe ridicola, inferiore alla loro sotto tutti i punti di vista, e gli Antichi Padri sarebbero morti di vergogna alla vista di un tanghero del genere affacciato sul cortile interno.
Ma suo padre era assente, convocato dall'Hokage. Proprio questo doveva aver dato al pezzente il coraggio di entrare in casa.
L'altro doveva essere rimasto fuori dai Cancelli, a contare le sue mosche ripugnanti.
Ovviamente lei l'aveva ignorato, continuando in perfetto silenzio i suoi esercizi di arti marziali.
Non l'aveva percepita subito, immersa com'era nel rigore schematico dei movimenti: la sensazione di fastidio era arrivata lentamente, prima con un leggerissimo tremito del muscolo della coscia destra, che sulle prime imputò nell'ordine a immaginazione, scarsa concentrazione e a stupidità, poi i palmi delle mani avevano cominciato a inumidirsi sempre più, infine il ginocchio sinistro aveva ceduto, facendole perdere l'equilibrio. Per non cadere aveva sferrato un colpo in avanti, mirando alla testa del fantoccio di stoffa con cui si allenava.
Per contrastare la spinta inesorabile della gravità che l'attirava verso sinistra, aveva catalizzato tutta la sua energia nel balzare in avanti. Quarta regola fondamentale del corpo a corpo: mai cadere, se non si è feriti in modo grave.
Aveva affondato i piedi nel terriccio polveroso ed era scattata verso il bersaglio quasi volando, senza emettere il minimo rumore.  
Le gambe di nuovo ben piantate, le braccia distese, il corpo in tensione: poteva respirare in libertà, non era caduta. L'ombra cupa del castagno torreggiava su di lei, imponente come un monito.
Ci mise qualche secondo a realizzare che il palmo della sua mano si trovava a mezzo centimetro di distanza dal capo del bersaglio.
Il suo Juken aveva colpito il tronco del grande castagno del cortile.
(Gli alberi non hanno chakra.)
L'aveva mancato.
Le parve di udire una risatina sarcastica alle spalle e dovette serrare le mascelle fin quasi a spezzarsele, per resistere alla tentazione di voltarsi e fulminarlo con lo sguardo.
Bastardo!
Si accorse anche di un'altra cosa, fissando la corteccia incartapecorita quasi volesse bruciarla: faceva caldo, aveva le mani punteggiate dai fiori rossi dei capillari e il viso in fiamme. La tuta da ninja le si appiccicava addosso come una seconda pelle, ebbe l'impressione di muoversi sotto una gigantesca lente di cristallo che le scagliava addosso tutta la potenza dei raggi del sole.
Risalendo a poco a poco dallo stato di alienazione in cui si immergeva ogni volta che si allenava, ricevette in ritardo i segnali che il suo corpo le stava inviando, perse tempo a decodificarli perchè, sul momento, non ne afferrava il vero significato, erano come gli impulsi di una radio disturbata: coglieva frammenti di parole e morsi di frasi che singolarmente erano privi di logica e di costrutto.
Respirava a fatica. Affanno. Caldocaldocaldocaldocaldocaldo. Capelli sugli occhi. Bruciano, gli occhi.
Uno sconosciuto la osservava allenarsi, osservava il suo viso distrutto e paonazzo per la fatica, i suoi capelli aggrovigliati in una coda mezza sfatta, la sua tuta dimessa e di certo non elegante, i suoi piedi nudi impolverati.
(Figlio di una...!)
Il caldo aumentava ancora, ogni secondo che passava era sempre meno tollerabile.
Non collegò subito le due cose: gli occhi ancora sbarrati e fissi sul castagno, ebbe bisogno di qualche istante di riflessione per capire, mentre l'ombra scura delle fronde le calava addosso con la pacatezza di una carezza protettiva.
Come mai il caldo non diminuisce, eh? Tu che sai sempre tutto, come mai? 
Le sue dita si strinsero come lo scatto di una tagliola, mentre le unghie affondavano nei palmi. Le servirono pochi istanti, pochi istanti e la coda di quel cagnaccio rognoso che scandiva ogni secondo, colpendo ripetutamente la parete di carta di riso.
Si rimise nella posizione iniziale, rilassando le piccole mani contratte, stirando i muscoli e decisa a ignorare il fuoco che le bruciava sotto la pelle.
Lo sta facendo apposta. Lo sta davvero facendo di proposito.
Percepiva il suo nervosismo, non aveva bisogno di voltarsi per vedere il suo naso appena fremente che afferrava nell'aria l'odore del suo sdegno.
Ecco, la concentrazione se n'era andata chissà dove, volatilizzata come il sollievo dell'ombra all'arrivo di quel tiepido sole di marzo. Sbagliava, sbagliava di continuo, le sembrava di scivolare su una lastra di ghiaccio, una parte di lei era insensibile al suo controllo, quasi non le appartenesse; lui lo sapeva, lo sapeva benissimo, lo sentiva come sentiva ogni minima vibrazione del suo chakra, contrappuntata dal puntuale colpo di coda di quella bestia pulciosa, regolare come le lancette di un orologio.
Lei sapeva che lo sentiva, lui sapeva che lei sapeva. E ne era divertito, anzi di più, deliziato.
Lui rimaneva immobile, senza parlare né quasi respirare, con gli occhi lucidi e scintillanti del predatore tanto che lei, sprezzante, pensò l'uomo e il cane come identici e indistinguibili l'uno dall'altro.

Scelse una rotazione che le permise di voltarsi e, a quel punto, il suo primo impulso fu quello di scagliarglisi contro e finalmente vedere l'effetto del suo collo che s'inclinava all'indietro di trenta gradi, dopo il tocco gentile del Juken.
Lui la guardava, appoggiato allo stipite della porta, il cane ai piedi che agitava lentamente la coda come pronto ad azzannarla alla gola, un angolo delle labbra inarcato verso l'alto e uno sguardo che stomacava, uno sguardo di fumo liquido, con un brillio malizioso e insinuante nel mare scuro che smosse qualcosa dentro di lei.
( Lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa l'ha già sentito l'ha sentito ancora prima che io )
Sfondò il fantoccio di stoffa con un calcio, il piede conficcato nell'imbottitura di lana, all'esatta metà del torace del grosso pupazzo.

 

 

 

 

 

 

"...M-ma è mia sorella!"
"Oh ma che vuoi, le ho tirato su il morale!
Vedessi come mi guardava, sembrava una madonnina infilzata,
anzi peggio, sembrava un pu-"
"N-non dirlo, per f-favore!"
"Sempre il solito gentleman."
"Sempre il solito rompicoglioni, Shino.
Dovevi entrare anche tu, anzichè star fuori a schiacciarti i pidocchi.
Ma dimmi, quanti anni ha quel miracolo della natura, quella signorina Norimberga,
Hanako-dono
*, quattordici, quindici?"
"Si c-chiama
Hanabi. E comunque d-dodici."
"...Cosa?!"
"Li ha c-compiuti tre giorni fa."
"...COSA??!"
"Non le scegli soltanto più giovani, Kiba, le cerchi direttamente in provetta!"
"Brutto pezzo di mer-"
"Kiba-kun! Shino-kun!"

 

 

"Hanabi?"
Tra le cose che odiava di sua sorella, ed erano molte, c'era anche quella.
La voce flautata di velluto, di zucchero, di una delicatezza di piuma. Come se avesse paura di spostare troppa aria, parlando appena più forte.
"Mh?" Fu quel solo eloquente monosillabo che le dedicò come risposta, e non aprì neppure gli occhi per guardarla.
Sdraiata sul letto nella penombra della sua stanza, le mani bianche strette sull'addome e una pezzuola bagnata sulla fronte, Hanabi respirava pianissimo, ogni suo sforzo era teso a calmare il dolore insopportabile che le straziava il ventre, intenso come se le stessero stritolando gli intestini. Parlava al suo corpo, gli sussurrava di stare calmo, sssh, non è niente, passa subito, non vedi?, non è niente.
Ma non passava: al posto delle viscere aveva vetro tritato, che graffiava, mordeva e corrodeva.
Nessun lamento però, nemmeno uno. Un ninja non fiatava mai, neanche se gli spezzavano una gamba.
Hinata fece qualche passo avanti, si addentrò nella camera e si bloccò appena oltre la soglia, senza provare neppure ad avvicinarsi al letto. Hanabi, gli occhi ostinatamente chiusi, vide con la mente i suoi denti che torturavano il labbro inferiore, l'incertezza nelle sue dita intrecciate l'una con l'altra, quegli occhi agitarsi impazziti nella tormenta del dubbio, chiedendosi cosa fare? cosa fare? cosa fare?
"...Hai ...hai una brutta cera. E' successo-"
"No." Replicò, secca. Non le diede neppure il tempo di terminare la frase.
Hinata strinse le labbra, il viso come uno specchio rotto.
"Ah."
Se adesso piange l'ammazzo, pensò distintamente Hanabi.
La sentì girare le spalle, azzardare quei due passi impediti dal lungo yukata decorato, voltarsi di nuovo verso di lei, tamburellare i polpastrelli sullo stipite della porta, corrugare la fronte, esitare, chinare appena il capo, lanciare una rapida occhiata alla stanza spoglia e asettica, indugiando un istante di più sulla fila dei kunai regolamentari disposti sulla scrivania. Le parve che quelle lame, dritte e affilate come tante accuse, avessero qualcosa di sinistro.
Hanabi non aggiunse una sola parola, non azzardò un solo movimento, il respiro quasi impercettibile. Faceva male, male, male, dannazione! Ma nessun ninja si lagna come una mocciosa, per nessun motivo, mai, nessun ninja.
Spesso dimentica di esserlo ancora, una mocciosa.
"N-non...non glielo dirai, vero?"
Le parole di Hinata sembravano gocce di pioggia. Cadevano con la stessa regolarità, con lo stesso stillicidio, e producevano lo stesso rumore sommesso, talmente lieve da non darsi neppure la pena di notarlo. 
Idea che Hanabi seguì alla lettera senza batter ciglio.
Il respiro frustrato di sua sorella suonò come lo strappo di un foglio di carta, Hanabi avrebbe riso se ne avesse avuto la forza: possibile che fosse così patetica, così fragile, così lamentosa e irrisolta, così sbagliata per la vita, inadeguata per ogni cosa, così poco portata per vivere!
Poco portata per vivere, ecco. Un neonato nel corpo di una Chuunin.
"...Ho ...ho parlato con Mariko-san e... e con Kawashima-san, loro non diranno nulla... loro... Kiba-kun non... loro m-mi hanno detto che... che va bene così.
N-non gli dirai... niente, vero?"
Sua sorella aveva deglutito, piuttosto sonoramente a dire il vero: peccato, il giochino di ignorarla l'aveva divertita e distratta da quel dannatissimo dolore, almeno per un poco.
Ma Hinata le aveva risolto il problema di sua spontanea volontà, in un soffio era uscita dalla stanza facendosi scorrere la porta alle spalle, trattenendo a fatica qualcosa di molto simile a un singhiozzo strozzato, mentre i suoi piccoli passi veloci si allontavano lungo il corridoio.
Hanabi respirò con lentezza, contando nella mente un secondo fra l'espirazione e l'inspirazione. Niente, era come essere il fantoccio con cui si allenava, una grossa bambola di pezza che qualcuno, ripetutamente, prendeva a calci.

'Non glielo dirai, vero?'
E invece sì, sì, sarebbe stata la prima cosa che gli avrebbe detto, gliel'avrebbe detto sulla soglia di casa, con il visino sfregiato dalla vergogna.
Sarebbe stato il suo personale bentornato: Tou-sama, Quello è entrato in casa. L'ha fatto entrare lei. E' stata lei, Tou-sama, nessuno voleva farlo entrare, i servi si erano opposti, lei sola è colpevole, Tou-sama, un disgustoso Inuzuka è entrato in casa nostra, ed è stata lei a portarlo dentro! 
Gliel'avrebbe detto subito, immediatamente, senza esitazioni né scrupoli di sorta. Per un ninja non esistono scrupoli, in nessuna occasione.
 

'Non glielo dirai, vero?'

Il pugno che soffocò nel materasso mandò in frantumi una doga di legno.

...But if you feel like I feel
then let me know that it's real

 

Aki

La seconda volta che l'aveva visto era il giorno degli Esami di Selezione dei Chuunin.
Lei, assieme ai suoi compagni di Squadra, era fra i candidati che avevano superato lo sbarramento della Prima Prova. Lui era uno degli Esaminatori, in quanto Jonin Speciale del villaggio, e aveva mantenuto un eloquente silenzio infrangibile durante tutto il tempo che Nara, un altro dei Jonin Speciali in odore di promozione alla Squadra ANBU, aveva spiegato ai giovani Genin le regole della Seconda Prova.
La Foresta della Morte li attendeva a pochi passi di distanza, intricata di presagi, mostro dai mille occhi pronto a divorarli al minimo errore: la cosa che più aveva colpito Hanabi, gettando un'occhiata obliqua alla massa oscura degli alberi secolari che svettavano verso il cielo grigio, era la totale assenza di rumori. Non si sentiva nessun fischio, né richiamo o canto solitario. La stessa Natura fuggiva quella foresta, ed era la conferma che nessuna imitazione è perfetta, le creazioni degli uomini sono sempre ridicoli abbozzi sformati in confronto all'armonia del mondo.
La tensione generale comunque si era allentata parecchio, data la flemma con cui Nara ripeteva per filo e per segno ciò che tutti loro sapevano già alla perfezione; lui stesso sembrava annoiato a morte da quella trafila infinita di istruzioni che doveva aver recitato infinite volte in quei cinque anni. Ma per lei era stato diverso: non c'era stato un solo istante in cui Quello avesse smesso di osservarla. E il suo cane gigantesco, sepolto nell'erba alta accanto a lui con la compostezza di un monolite, immediatamente aveva cominciato a frustare il terreno con la sua coda, istante per istante.
Hanabi fieramente non aveva reagito, il suo viso era rimasto di pietra, ma lo stomaco le era scoppiato come una bolla d'aria, l'adrenalina le era schizzata fin nel cervello.
I fiumi erodono le rocce, Hanabi-chan.
I suoi compagni le avevano lanciato uno sguardo vago, ben più preoccupati per la Prova che per lei. "Sei strana" l'aveva apostrofata laconico Kobayashi Shinji, senza aspettarsi una risposta che del resto non arrivò.
Quindici, pensava nel frattempo la Genin, non ho ancora recuperato quel minuto di ritardo.
Kanagawa Akito, l'altro membro del Team Nine, col viso scuro e l'aria da cospiratore si mise a confabulare a mezza voce di piani e strategie, sicurissimo d'aver già inviduato i punti deboli di tre o quattro Squadre, in particolare quelle provenienti da Sunagakure, considerate da Akito alla stregua di un gregge di imbranati. Shinji gli dava corda, annuendo, il pallore del volto ancora più accentuato del solito.
"Hanabi, tu starai in testa, puoi individuare subito eventuali avversari."
La ragazzina assentì con un cenno del capo, senza neppure voltarsi. Grande stratega, Akito, ma poi lasciava fare tutto a lei. A lei, che sapeva combattere.
Un'ora prima dell'inizio della Prova, Konohamaru venne a cercarla e, quando la trovò, l'attirò a sé in un bacio che sapeva di abitudine, sotto lo sguardo ferito e velenoso di Moegi pietrificata qualche passo più in là. Hanabi ricambiò senza entusiasmo, la testa decisamente altrove.
"Nessuna pietà, intesi?" Le sussurrò il nipote del defunto Sandaime Hokage, "Tra un'ora scarsa saremo nemici."
Ma Konohamaru sorrideva: neppure lui credeva alle sue stesse parole, confidava più in ciò che provava per lei che in lei.
Ed è proprio qui che sbagli.
"Buona fortuna!" La abbracciò di nuovo, le stampò un bacio frettoloso sullo zigomo sinistro e tornò trotterellando dai compagni di Squadra: Udon, che gli lanciò uno sguardo colpevole e insieme apprensivo, e Moegi, ormai sull'orlo del pianto.
Konohamaru la baciava sempre con una sorta di esitazione, come se avesse paura di romperla, o meglio, di rompersi: diceva di volerle bene senza guardarla in viso, la abbracciava come si abbracciano le bambine o i cuccioli, la accarezzava con la tenerezza che si deve agli oggetti preziosi. Moegi forse, o qualunque altra bambolina leziosa a immagine e somiglianza di sua sorella, avrebbe gradito simili attenzioni, ma talvolta Hanabi doveva trattenersi a forza per non scoppiare a ridergli in faccia. Il mondo non era un posto amabile, non era un posto piacevole, era un posto che condannava la debolezza a un'eliminazione sommaria, che estirpava i sogni come fossero erbe malvagie, che annichiliva le illusioni, che lasciava sulla testa un cielo carico di pioggia e responsabilità insostenibili che -
Hanabi sbattè le palpebre e respirò profondamente, lasciò che l'aria umida ed elettrica scivolasse in ogni parte di lei, addolcendole i muscoli contratti dalla tensione.
(Il mondo è così, Konohamaru. Per niente amabile.)
All'inizio della Seconda Prova mancava appena mezz'ora, minuto più minuto meno.
Un cenno distratto, un gesto della mano, qualche passo svogliato e il suo cognome nella sua bocca: Inuzuka Kiba si fermò davanti a lei, un sorriso asimmetrico sul viso e l'antico acume negli occhi scuri che tradiva l'austerità della divisa da Jonin.
"Tua sorella mi ha detto di tenerti d'occhio, perciò non farti troppo male, ok?"
Aveva una voce calda e ruvida, che non si sforzava di essere affabile, sebbene alcune sfumature rivelassero un fondo d'ironia neanche troppo sottile.
Hanabi sfoderò il tono più cristallino che possedeva:"Mia sorella può anche andare a farsi fottere."
Kiba rise nel suo abituale modo sguaiato, quasi latrando:"Glielo riferirò; magari a te dà retta."
Allora Hanabi si strinse nelle spalle, incarnazione vivente della divina Inguenità:"Mia sorella è innamorata soltanto di Uzumaki Naruto, mi dispiace per te."
A Kiba la risata si congelò sulle labbra. Assottigliò le palpebre e protese il mento in avanti, segno di prepotenza, mentre il gigantesco cane di fianco a lui, sensibile all'empatia del suo padrone, accennò un lievissimo ringhio sommesso.
"Vaffanculo" sillabò il Jonin in un sibilo, prima di piantarla lì da sola, senza degnarla più della minima attenzione, diretto da Testa d'Ananas per comunicargli chissà quale minuzia.
Hanabi raggiunse la sua Squadra, le labbra incurvate in un leggerissimo, glaciale sorrisino soddisfatto.
"Hai sempre più la faccia strana, tu."
"E' una tua impressione" ribattè indifferente.
Avrebbe potuto anche perdere adesso, non le sarebbe davvero interessato.
Kiba, richiamando l'attenzione dei ragazzini con un secco battito di mani, invitò i candidati a raggiungere le rispettive Porte e vinse le incertezze dei più insicuri con due urli che terrorizzarono definitivamente gli aspiranti Chuunin della Foglia. Hanabi, disponendosi diligente accanto ad Akito e a Shinji, per una frazione di secondo incrociò il suo sguardo, ancor più impenetrabile dei tentacoli lugubri della foresta.
E brillava di sfida. 
 

...You're just too good to be true,
can't take my eyes off of you!

 

Fuyu

Hinata Hyuuga sedeva sulle ginocchia, come il cerimoniale imponeva, paludata in un pregiato kimono color pesca dai ricami dorati, i lunghi capelli neri accuratamente pettinati, le cosce strette sotto il velo del tessuto. Teneva gli occhi puntati sull'abisso nero fra le assi di legno del pavimento, sforzandosi di dominare l'insicurezza, il tremito delle dita, l'inclinazione delle spalle, l'espressione del viso, la voce debole come il cigolio di una porta, priva di quella spietata sicurezza che tanto le avrebbe giovato, i piedi sofferenti costretti negli alti okobo* fin troppo pretenziosi e tutte le mille altre cose in lei che non erano adeguate, e mai lo sarebbero state in questa vita.
Sapeva che prima di portare alle labbra la tazza di thè doveva attendere che lo facesse il suo interlocutore, e le era concesso prendere parola soltanto dopo cinque minuti abbondanti di perfetto silenzio, e solo nel caso in cui fosse stata interpellata: non era buona educazione parlare per prima al momento della degustazione del thè, soprattutto non dopo averlo servito correttamente, posizionando l'elegante tazza in porcellana decorata a un braccio e mezzo esatto dal corpo, misurato col solo ausilio dell'intuito.
Ma aveva talmente fretta, per l'amor del cielo, una fretta tale...! No, no, non doveva mordersi le labbra coperte da un lieve strato di trucco, non doveva, doveva calmarsi, mantenere la piena padronanza di sé come le gran dame imperiali.
Se solo non avesse sentito il mare nel petto, che sciabordava e rombava, mentre irrefrenabile s'impadroniva di lei il desiderio di fuggire, fuggire, che la lasciasse andare una buona volta, che la lasciasse andare da sola verso la sua Fine, senza trattenerla tirandola per il vestito come aveva fatto da sempre, dall'età di tre mesi, dal giorno in cui era nata!
Lasciami! Lasciami andare!
Tuttavia Hinata non aveva mai abbastanza forza per gridare. Da bambina si era convinta che uno spirito maligno abitasse dentro di lei e le rubasse la voce, in modo che, tutte le volte che il fiato giungeva a riscaldarle la gola, il suono emesso rassomigliasse sempre più a un pigolio piuttosto che a una voce umana, una voce dotata di colore, spirito, presenza, una voce saporita come un buon vino.
Hinata perdeva troppo tempo a cercare le parole e a comporle in una frase sensata, quasi fossero frammenti di un mosaico che non combaciavano mai, perciò quando l'aria le arrivava sulla punta della lingua non c'era più tempo per trovare una voce robusta, melodiosa e piena di luce, che tanto avrebbe affascinato chi si fosse fermato ad ascoltarla.
E il fatto che suo padre fosse seduto davanti a lei, il volto serio, la fronte nobile e severa, non accennando neppure a contemplare la tazza di scuro thè fumante, complicava ulteriormente le cose.
Mi lasci andare, per favore?
Attese rispettosamente senza muovere un solo muscolo, il corpo imprigionato nella crisalide della volontà. Non un respiro troppo forte, non un movimento involontario, non un capello che scivolava lungo la gota o una falange delle dita che si sgranchiva, mal sopportando l'immobilità forzata.
Hinata attese, attese, attese. Attese ancora.
E laggiù, oltre i cancelli dei Quartieri, sentiva crepitare e scoppiare i petardi nelle strade del villaggio, preludio degli enormi fuochi artificiali che a mezzanotte sarebbero esplosi dalla Collina, illuminando a giorno Konoha in un turbinio di stelle tremolanti. 
Ma Hinata continuava ad attendere, stretta in una cappa di silenzio.
Fino a quando non crollò.

"Padre."
Fu lo stupore, così genuino, che costrinse Hiashi Hyuuga ad abbassare lo sguardo sulla superficie vellutata del thé caldo: aveva sempre evitato per quanto possibile gli occhi della sua primogenita, occhi così espressivi, due laghi sempre in tempesta, occhi che accusavano molto più delle parole.
"Ha...hanno organizzato... le ragazze, voglio dire, Haruno-sama, Yamanaka-sama, loro, hanno pensato che... per questa sera... è l'ultimo giorno dell'anno, porta bene che... f-forse... hanno pensato di fare una cena, sì, una cena con tutti i Team della Foglia... non esistono più, certo, ma... non è una buona ragione per... per dimenticare, siamo andati avanti t-tutti, ma... ma... è giusto che sia così, lo so bene, ne sono... sicura anch'io, ma per... iniziare bene il nuovo anno, ecco, mi chiedevo se... Ci sarà anche Kurenai-sensei con la bambina, anche Neji-niisan con la sua Squadra, ci saranno tutti gli altri Maestri, nessuno ha r-rifiutato... nessuno... è importante, è importante per Yamanaka e Haruno, ma... non solo p-per loro... è importante per... Hanno organizzato un bonenkai*, non m-mancherà nessuno, sarà giù al ristorante in fondo al villaggio, ricorda?, non è... lontano, tornerò p-prima dei centootto rintocchi. 
Dunqueiomichiedevoseposso."
Pausa, pausa quasi interminabile.
"Mi chiedevo se potessi unirmi a loro, Padre."
Gli occhi di Hinata erano tornati a scavare docilmente nello spiraglio oscuro fra le assi di legno, come se cercassero di nascondercisi dentro.
Hiashi Hyuuga si era preso tutto il tempo necessario per riflettere, ed era un tempo lungo quasi quanto quello che a sua figlia era servito per mettere insieme quell'accozzaglia di monologo sbilenco. La verità era che Hiashi era stanco, molto stanco. Sobbalzava impaurito agli scoppi furtivi dei petardi, che avvertiva ovattati grazie alle spesse mura dei Quartieri Hyuuga, detestava quel trentuno dicembre fatto di convenzioni, formalismi, secolari tradizioni prive di senso e, quando aveva ordinato ai servi di iniziare le pulizie dell'ultimo giorno, si era accorto che tutta la polvere spazzata via dalle stanze vuote si ammassava in un solo posto, insospettabile quando logico: la sua mente.
Un nuovo anno, per il patriarca degli Hyuuga, era soltanto un passo in più verso l'oblio.
"Va' " ordinò con un cenno secco del capo, il tono monocorde e irremovibile, che qualcun'altro avrebbe definito patetico, da re del niente.
Il cuore di Hinata esplose, come un fuoco d'artificio.
Senza alzare la fronte indietreggiò fino alla porta scorrevole della stanza, strisciando le ginocchia sul pavimento. Si sarebbe procurata qualche abrasione, ma non le importava, non le importava sul serio, la sua fronte scottava come se avesse la febbre e, se non avesse già compiuto venticinque anni, avrebbe permesso alla commozione di farsi strada sulle sue ciglia, perchè non l'aveva tirata per il vestito, non l'aveva trattenuta, non l'aveva sgridata, l'aveva lasciata andare, lasciami andare, lasciami andare, lasciami andare!
"Hinata."
La ragazza si immobilizzò, riportata di botto al suolo da una mano prepotente che la strappava al cielo.
"Porta Hanabi con te."
Nessuna condizione, nessun ripensamento, nessun dubbio, nessuna via d'uscita
. Un imperativo categorico.
La porta scorrevole si richiuse alle sue spalle con un mormorio soave che le parve una presa in giro.
Tutto sommato, avrebbe preferito che suo padre le proibisse di andare.

 

Il vento gelido correva svelto lungo le fessure lasciate scoperte dagli abiti, s'infilava nello spacco appena accennato e nella scollatura morbida del kimono, mordeva la loro pelle intirizzita mentre quasi correndo caracollavano lungo le stradine silenziose del villaggio, i passi resi incerti dagli okobo e dalla fretta, mentre il cielo notturno si offriva a loro come un'ostrica nel velluto. Dalle case, adorne di festoni e lampioncini di carta sgargiante, arrivava l'onda leggera di qualche canzone popolare, i battiti d'ali delle risate e il brusio vivace delle chiacchiere: a pochi passi da loro c'era ancora vita, e pulsava, palpitava col fragore di una supernova, stavano quasi correndo per raggiungerla e berne un sorso. 
Hinata si sentì in dovere di iniziare una conversazione, perciò incespicando si strinse ancor di più la mantella sulle spalle, poi, insicura, tese una mano verso la sorella:"... freddo, mh? Sei coperta?"
Mano che Hanabi rifiutò con decisione:"Non sei mia mia madre."
Hinata, sbigottita, dovette forzare la propria volontà, che le gridava a gran voce di fermarsi di scatto e, per la prima volta nella sua vita, allungare un sonoro ceffone a quel verme impertinente che le camminava a pochi passi di distanza. Stava andando a una festa, stava andando verso Naruto-kun, mancavano due ore alla fine dell'anno, suo padre l'aveva lasciata andare, era vestita come una geisha d'alto bordo, come un fossile del passato incastrato a forza nel presente: poteva fare qualunque cosa, qualunque, perfino mandar via dal viso di Hanabi quel ghigno sarcastico da ragazzina moralista.
Ma le luci del locale si avvicinavano sempre di più, azzurrine e invitanti nel buio compatto, mentre l'eco delle canzonette del karaoke che proveniva dall'interno del ristorante si faceva man mano più nitido, passo dopo passo. Sopra il pesante portone d'ingresso, l'insegna era coperta dalla tradizionale decorazione in rametti di pino e bambù, la cui ombra proiettata sul muro dalle lanterne sembrava quella di una chimera mitologica con mille code.
Furono sulla soglia del Takara-bune* prima di quanto si aspettassero, e per un attimo Hinata vacillò. Vide se stessa e sua sorella ancor più brutte sotto quella luce così rozza ma, invece di voltarsi indietro e scappare singhiozzando verso i Quartieri Hyuuga, afferrò la maniglia e sgranò gli occhi color della pioggia, prima di puntarli su Hanabi senza timore riverenza, senza abbassare lo sguardo; si sentiva sull'orlo di un baratro, ma non si lasciò cadere: guardò sua sorella, la guardò veramente, guardò i suoi vent'anni costellati da delusioni e miserie e, anzichè schiaffeggiarla, le parlò.
"...Mi dispiace, sai, mi dispiace davvero."
"A-avrei voluto capirti."
E il sorriso pieno di disprezzo di Hanabi si infranse in mille schegge.
"Almeno così, forse, io ti... ti avrei difeso da te stessa."
Hanabi, le labbra che tremavano dalla collera, non ebbe il tempo di replicare, sua sorella era già scivolata nel tepore del locale affollato, richiudendo la porta dietro di , come se l'avesse varcata uno spiffero di vento. La Chuunin riuscì a calmarsi solo dopo aver affondato i pugni stretti contro le gambe imprigionate dal kimono, solo dopo che il dolore le schiarì la mente in un lampo di lucidità dissipando i fumi della rabbia.
La sua eccezionale espressione vuota, riflessa nel vetro della porta, era un insulto, quasi come lo sguardo sofferente e comprensivo di Hinata.
Entrò nel Takara-bune a testa alta, un passo davanti all'altro, il viso di una madonna di gelo: ma la Yamanaka, con cui aveva avuto a che fare sì e no una mezza volta in tutta la sua vita, appena la vide la stritolò in un abbraccio fraterno che puzzava di vino, prima di ringraziarla per essere venuta e offrirle un assaggio di qualcosa del colore dell'acqua ma che, decisamente, non era acqua.
Ma questo Hanabi lo scoprì solo al terzo bicchiere.
La Yamanaka vestiva un kimono azzurro polvere, e perfino l'ebbrezza sembrava donare qualcosa in più al suo aspetto: le ammorbidiva i lineamenti scolpiti nell'acqua, le colorava le gote, le inumidiva le labbra e lo sguardo, seminava tocchi di studiata negligenza nella sua acconciatura, un capello fuori posto, una ciocca appiccicata alla fronte, un fermaglio prossimo alla caduta. La ragazza in una piroetta scostò la sua cascata di luce azzurro polvere e rivelò un mosaico di facce che, nella cornice del ristorante, le parve un quadro di qualche secolo fa, stillante joie de vivre, rutilante di voci che, lungi dall'essere vacue, suonavano squillanti come l'amicizia, l'affetto, la voglia di stare insieme.
Vide Nara afferrare la Yamanaka per la vita e rovesciarla con sé danzando goffamente al ritmo di una snervante canzoncina, vide l'Akimichi e l'Aburame accerchiati da torri di riso fritto e frutta candita, vide l'Uzumaki gorgheggiare querulo WATASHI NARINI "AI SERETAI" AFURERU NO NI KIMI GA MIENAI con un microfono in mano, mentre sua sorella lo fissava inebetita come di fronte a un'icona, vide la Haruno vestita di rosa chiaro tenere la mano a un Uchiha dagli occhi bendati, vide quello strambo ninja dal viso di china requisire tutto l'alcool che per sbaglio capitava dalle parti del tavolo dove sedeva il Team Gai, vide la giovane Yukio Sarutobi ballare in piedi su un tavolino sotto gli occhi premurosi della madre, infischiandosene delle potenti stecche che l'Uzumaki lanciava cantando.
Era così difficile resistere quando la vita bussava così insistentemente, così difficile, fin troppo troppo difficile e... e, infine, lo vide.
A pochi metri da lei, attorniato dai tavoli pieni di vino, vestito di rosso scuro, l'immancabile molosso color panna ai piedi, chiacchierava ridendo con altri Jonin, i canini appuntiti che biancheggiavano in quelle sue frequenti risate selvagge.
Hanabi svuotò d'un fiato il quarto bicchiere, e sentì una buona metà del suo corpo liquefarsi e svanire.
Moegi la trascinò al tavolo con Udon, Konohamaru, Akito e Shinji, dove bevvero tre volte per Ebisu-sensei, poi la Haruno venne a salutarla con l'Uchiha e di nuovo bevvero senza dire per chi, perchè dieci anni lasciavano tracce ben più profonde di quanto loro riuscissero a immaginare, vide la Yamanaka sparire oltre la porta del locale, e un secondo dopo Nara l'aveva già bloccata contro la porta in un bacio fuori dal tempo, che strappò un paio d'applausi e fischi ignorati dai diretti interessati.
Allora Hanabi guardò altrove, la testa appesantita da tutto quel rumore (e da tutto quel saké) e vide per la terza o quarta volta il sorriso trionfante di Kiba Inuzuka, ovviamente un sorriso al gusto di liquore, ma pur sempre un chiarissimo invito che il suo corpo registrò immediatamente: la ragazza si accomodò meglio sulla sedia, si inumidì appena le labbra, si torturò una ciocca di lunghi capelli d'ebano e, subito dopo, inghiottì un altro sorso di saké, che le diede le vertigini.
Kiba di riflesso la imitò, passandosi la lingua sul labbro inferiore per centellinare le ultime gocce di liquore.
Le venne da ridere: oh, come lo odiava, come lo odiava, quell'odioso pezzente pulcioso ottuso sudicio bastardo ributtante fetido, quanto lo odiava e quanto avrebbe voluto inchiodarlo alla porta del Takara-bune come aveva fatto la Yamanaka con Nara!
Vuotò un altro bicchiere, mentre le parole di Moegi l'attraversavano come un filo d'aria e la sua razionalità, semplicemente, si annullava per qualche ora.

 

"Centoquattro!"
"Centocinque!"
"Centosei!"
"Centosette!"
"...E CENTOOTTO!"

L'ultimo rintocco della campana del tempio strappò una bordata di applausi fragorosi al gruppetto in attesa fuori dal Takara-bune, i visi rossi e gli occhi scintillanti per l'euforia. Il cane di Inuzuka abbaiò a ogni rintocco, salutando il nuovo anno con centootto latrati, mentre il suo padrone gridava sghignazzando, gettava petardi contro i muri delle case vicine e fumava serafico il 'pezzetto di cioccolato' che Nara si era procurato, senza neanche darsi troppo la pena di essere discreto. La Yamanaka aveva convinto Tenten a improvvisare una danza al suono dello scoppio dei botti di Capodanno, e dopo pochi secondi a loro si era unito un entusiasta Rock Lee, sotto lo sguardo indulgente della Haruno che, assieme all'Uchiha, sosteneva un alquanto sbronzo e sconvolto Uzumaki, che biascicava frasi incomprensibili e destava la preoccupazione di sua sorella.
"S-Sakura-san, n-non sarà... g-grave?"
Sakura-san rideva come un cielo senza nubi:"Un barile di caffè senza zucchero e una dormita e sarà come nuovo."
"M-ma io... Naruto-kun... ecco..."
L'Akimichi teneva compagnia a Yuhi-sama, con la bambina che saltellava intorno a loro agitando nell'aria una bacchetta di scintille luminescenti, più in là Moegi e Konohamaru si tenevano per mano sognanti e nessuno mancava, c'erano tutti, i vivi e i morti, tutti lì riuniti in quella buia strada gelata fuori dal Takara-bune, sotto il baluginare delle lanterne, col boato dei petardi che risuonava in ogni angolo del villaggio, nei respiri bianchi che si condensavano per il freddo e nel vento che danzava, scompigliava capelli, arrossava le mani, i nasi e le guance.
"Andiamo al tempio, sì?"
"Certo, perchè credi che mi sia messa 'sto coso addosso?!"
"A me prude da morire la gamba, le cuciture mi danno un fastidio tremendo...!"
"Per una volta all'anno sembrate quasi donne."
"Grazie Sai-kun, sei sempre molto gentile."
"Purtroppo tu non sembri MAI un uomo!"
"Oddio, ma hai ragione..."
"E 'sta zitta, che tu gli andavi dietro!"
La sgangherata compagnia si mise in marcia verso il tempio di Konoha, sbandando e disperdendosi ogni qual volta un membro si fermava per fare gli auguri ad amici, parenti o conoscenti incontrati per caso, e le voci cariche d'aspettativa si levavano altissime sopra gli stretti vicoli affollati.
Hanabi arrancava a fatica, gli okobo in mano e la testa come un macigno, il viso lavato via da ogni emozione, pagina bianca che attendeva d'essere scritta. Canticchiava tra sé e sé il ritornello della canzone che l'Uzumaki aveva devastato al karaoke, scambiando di tanto in tanto qualche parola con un sempre meno loquace Udon.
Vide il volto di Kiba innalzarsi sopra gli altri mille della folla che inondava le strade, lo vide farsi man mano più distinto, vide il suo cane venirle incontro e tuffarle l'enorme testone peloso sulle ginocchia.
L'empatia tra l'animale e il padrone è fondamentale per i membri del Clan Inuzuka.
Alzò gli occhi e Kiba la osservava (di nuovo!), le braccia strette sul kimono disordinato e il ciuffo sfrigolante della sigaretta accesa all'angolo delle labbra. Fece per parlare, ma Hanabi lo anticipò, il tono velenoso:"La smetti di fissarmi come se fossi un piatto di... di mochi?!"
Il Jonin rise a gola spiegata, soffiando via il fumo azzurrino, poi replicò con un sopracciglio inarcato:"Ti dà fastidio?"
"Sì, moltissimo."
Inuzuka, roteando gli occhi, finse di considerare seriamente quella proposta:"Uhm, allora forse potrei smettere, se le cose stanno così.
Ma, ripensandoci, non credo proprio che lo farò: è divertente guardare qualcuno che nega l'evidenza con tutte le sue forze."
Gli occhi di Hanabi fiammeggiarono, la ragazza percepì ancora fortissimo l'impulso di stampargli il palmo alla confluenza fra i due polmoni, cosicchè sentisse il taglio netto del Juken che recideva i fili di chakra, e a quell'espressione furente Kiba rise di nuovo.
"Hinata mi ha detto che dovevate essere a casa prima dei centootto rintocchi. Siete un po' in ritardo, ma lei non sembra preoccuparsene; ti accompagno?" le propose sornione e allusivo, l'aria da piccolo sbandato soddisfatto di sé stesso.
Lei spalancò la bocca, basita, prima di urlare un oltraggiato:"NO!" che fece ridere Kiba ancora più forte.
 

 

"Avrei voluto capirti."
"Almeno così, forse, io ti avrei difeso da te stessa."
"Non farti troppo male, ok?"
"E' divertente guardare qualcuno che nega l'evidenza con tutte le sue forze."
"NO! NO! NO! NO! NO! NO! NO! NO!"

 

Una volta al sicuro nel buio della sua stanza, Hanabi fissò a lungo i fuochi artificiali che, oltre i vetri, disegnavano nel cielo nero figure innocue e banali, fiori, stelle, animali, fontane di luce.
Respirò piano, contò e ricontò tutti gli oggetti disposti ordinatamente sulla scrivania, sulle mensole e sugli scaffali, si sedette sul letto rifatto sforzandosi di dominare il sakè che, in circolo nelle sue vene, scoppiettava allegro e rovente, sicura che il cuore le battesse troppo lentamente per i canoni di un essere umano.
Sbarrò gli occhi e si lasciò andare a un grido animalesco che, sapeva bene, nel silenzio sepolcrale della casa solo Hinata avrebbe udito:"...TI ODIO!"

 

Quella fu la quarta volta in cui vide Kiba Inuzuka.
Ripensandoci, Hanabi non riesce proprio a capire come due persone come loro, che danno vita a una chimica sbagliata, possano essere finite insieme: sa perfettamente che è un errore, ma compie questo errore con estrema lucidità e consapevolezza. E' un errore piacevole a cui si abbandona molto spesso e, per dovere di cronaca, volentieri.
"Ti avrei difeso da te stessa."
E invece no, è proprio quello che non riuscirai mai a fare.

Quella era stata la quarta volta in cui aveva visto Kiba Inuzuka. Poi vennero la quinta, la sesta, la settima, l'ottava, la nona, la decima, la centesima...
Ne vennero così tante che Hanabi, sinceramente, smise di tenerne il conto.  

 

...You're just too good to be true
Can't take my eyes off you!

 

Fin

 

 

 

Glossario
Hanako-dono:
Signorina Hanako. Date le sinapsi devastate, Kiba ha confuso 'Hanabi' in 'Hanako'.
Tou-sama: Padre.
Okobo: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/thumb/4/4b/Okobo.JPG/200px-Okobo.JPG  --> Questi, esatto. Sandali alti da maiko, ovvero apprendista geisha. Non chiedetemi come si faccia a camminarci sopra. Ringraziamo la Cla Mela per questo dettaglio *_*!
Bonenkai: Feste di fine anno che si organizzano tra amici, parenti o colleghi.
Takara-bune: E' il nome di una nave mitologica che, nel folklore giapponese, la notte di Capodanno approda sulle coste dei villaggi con tutti i suoi passeggeri, ovvero varie divinità di buon'augurio.
Mochi:
Dolcetto a base di riso fritto.

 

 

Note dell'Autrice
La colonna sonora che consiglio per questa storia, oltre a "Can't take my eyes off of you", è Delicate di Damien Rice (ecco sul Tubo: http://it.youtube.com/watch?v=huDIF--HmPU ). Diciamo che ascoltarla con queste canzoni di sottofondo è quasi un obbligo XD diciamo.
Ma, signori e signore, poichè so che l'unica domanda che vi state facendo è: quale cacchio di canzone cantava Naruto al karaoke? Vi accontenterò volentieri con somma gioia, eccola qui: http://it.youtube.com/watch?v=6-5bjTvM_GQ  l'ho quasi imparata a memoria, ebbene sì <3 per intenderci è la canzone del settimo ending dell'anime, ecco. Immaginatevi Naruto con quella vocina che la canta. Allucinante *_*, sì!
Con questo ho esaurito il theme n.16 delle Flavours: Do not raise your voice against me, I am not afraid of your anthem although the lyrics are still bleeding from the bark of my sapless heart. Esatto, questo era il kilometrico theme XD ma sono certa che non sarà l'unica KibaHanabi che scriverò. Adoro questo pairing e voglio dargli tutta la visibilità che merita, ecco.
E infine...

 

BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO A TUTTI!!!
Grazie a chi mi recensisce, a chi mi stima, a chi legge e basta, a chi mi sostiene, a chi mi ispira, a chi piace ciò che scrivo,
alle mie amiche, a chi pensa che scriva alla cazzo di cane, a chi è stato gentile con me, a chi mi vuole bene a chi voglio bene, a chi ha scritto 'ste dannate 52 flavours che prima o poi finirò (anche se questi sono ancora i temi del 2007!).

 

Grazie dell'attenzione,
Hipatya





 


 

 
 

 

 

 






 

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Capitolo 17
*** Speechless with the memory of a drowned moon [Hayate/Yuugao] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. L'aforisma citato, come scritto, appariene soltanto a Pablo Neruda e i versi della canzone riportati in finale appartengono a Francesco De Gregori, che con quelle note sottili e quella voce sognante mi ha stritolato il cuore.

 

 

 

 

 

 

Speechless with the memory
of a drowned moon.

 

 

Amare è così breve, e dimenticare così lungo!
P. Neruda

 

C'era la luna quando si erano conosciuti. Una luna color latte, rotonda e luminescente, un grande occhio benevolo che dall'alto si era fissato proprio su loro due.
Beh, 'conosciuti' non era proprio il termine esatto: si conoscevano già da tempo, si erano diplomati Chuunin insieme, poi dopo un paio d'anni lei era entrata nella Squadra ANBU e aveva cominciato a guardare lui, semplice Jonin, dall'alto in basso.
I muri consumati dell'Accademia ricordavano le loro discussioni interminabili, esplose ogni volta che lei doveva tenere una lezione teorica sul ruolo degli ANBU ai mocciosi studentelli, come il programma prevedeva.
"...In una missione di livello A o S sono previsti tre parametri da rispettare: segretezza, efficienza, rapidità. E' sufficiente lasciare scoperto uno solo di questi tre fronti e potete considerare la missione compromessa. Compromessa significa che la vostra vita vale quanto quella di un'infestazione di funghi."
L'Anbu n.67 aveva una voce affilata come il ghiaccio, un filo roca a causa del vizio del fumo, e parlava come se le sue parole fossero state altrettanti blocchi marmorei da cesellare. La stessa pacatezza, la stessa precisione.
I ragazzini intimiditi si domandavano di chi potesse essere il viso che si celava dietro le zanne agguerrite di un Gatto, a chi potesse appartenere quella chioma di un nero vellutato e vicino al color viola, quella figurina minuta e fasciata dai muscoli, le cui spalle dritte, di cui una tatuata col simbolo degli ANBU della Foglia, proclamavano a gran voce tenacia e spirito combattivo.
"Il vostro ruolo è fare ciò che vi si dice. Niente domande, niente scrupoli, niente ripensamenti. Fare. Eseguire un ordine. Niente rimorsi, non saranno quelli ad aiutarvi a raggiungere il vostro obiettivo. Ogni considerazione che esuli dal contesto è da ritenersi superflua, e perciò del tutto ininfluente sull'andamento del vostro lavoro."
"Anbu n.67, sta dimenticando di rammentare a questi ragazzi che è necessaria anche una certa dose di flessibilità, per adattarsi alle circostanze mutevoli e precarie di una qualunque missione."
Hayate Gekko, da poco sensei dell'Accademia di Konoha, aveva vent'anni, la sfida dipinta sul volto e uno strano barlume divertito sempre presente negli occhi neri.
L'Anbu n.67 non aveva niente di divertito negli occhi nascosti dalla maschera, aveva oltrepassato la maggiore età fin da bambina e detestava essere contraddetta.
Nel silenzio che era calato nell'aula, il Gatto affilò i suoi artigli:"Prego, Gekko-sensei?
Ritiene di dover aggiungere qualcosa?"
L'epilogo di quell'innocente scambio di idee era entrato negli annali e nei ricordi degli studenti di quell'anno.
"Incapace!"
"Alienata!"
"Buffone!"
"Guerrafondaia!"
Per mettere fine all'illuminante dibattito era intervenuto Sarutobi-san, tra i risolini mal trattenuti degli studenti, e all'Anbu n.67 e a Gekko-sensei erano toccate una sonora lavata di capo, la promessa di un giro panoramico nell'antro di Morino se l'episodio si fosse ripetuto e una punizione: doppi turni in missione per l'Anbu n.67 e due settimane di straordinari per Gekko.
Immusoniti e scuri in viso, cordialmente si erano augurati, se non di finire a letto per tre mesi con una malattia rognosa, ad esempio la pleurite, quantomeno di spezzarsi una gamba. Dolorosamente.
In un batter d'occhio divennero lo zimbello degli altri Jonin della Foglia. La Mitarashi, dall'alto del suo grossolano sarcasmo, quasi si strozzò dalle risate quando le raccontarono del loro diverbio davanti a ventidue lattanti scioccati, e Umino, che di solito dispensava a piene mani cordialità e gentilezza, senza parafrasare diede ad Hayate del gran coglione.
Dunque la sera d'inverno che s'incontrarono alla taverna in fondo al villaggio, il primo impulso dell'Anbu n.67, al momento privo della familiare smorfia feroce del Gatto, fu quello di lanciare addosso a Gekko Hayate un tavolino apparecchiato, seggiole comprese.
Genma Shiranui, che aveva organizzato la serata di delirio alcolico approfittando della pausa dalle missioni, trattenne il respiro, e con lui serrarono le mascelle anche tutti gli altri Jonin invitati per l'occasione.
Ma Hayate, inaspettatamente, le sorrise. O sorrisero per lui i dodici bicchierini di sakè che si era scolato perdendo al Giro della Morte contro Izumo e Kotetsu, come la ragazza era più propensa a credere.
Il Jonin si aggiustò il coprifronte sbilenco sull'occhio sinistro, che lo rendeva una brutta imitazione di Kakashi Sharingan, ingoiò un rutto al sapore di liquore e sorrise.
"Yuugao" con due dita Hayate mimò il gesto di alzare un invisibile cappello, la pupilla dilatata e fissa, il controllo decisamente allentato sugli arti inferiori. Difatti barcollò e rovesciò il contenuto del suo tredicesimo bicchiere sulla testa di Iruka Umino.
"Buonasera" Yuugao lo squadrò freddamente, poco meno che disgustata.
Aveva poca stima per gli uomini che si riducevano in quello stato, stordendosi fino all'incoscienza e concludendo la loro mirabolante parabola imbrattando di vomito un qualunque gabinetto, ma, come ebbe l'onore di scoprire proprio quella sera, l'alcool aveva il prodigio di allentare la catena di disciplina che opprimeva il suo corpo, sparpagliando sul pavimento della taverna tutti i ricordi scomodi e i rimorsi che, nascosti sotto pelle, si infettevano suppuranti come una cancrena che nulla poteva contrastare.
La vita degli Anbu era la morte, lo sapeva bene.
Eppure, dietro al muso dalle rozze fattezze di Gatto, una parte di lei -una parte scomoda, fastidiosa, che premeva e scalciava per uscire allo scoperto- ancora se ne meravigliava.

Si ritrovò accanto Gekko quasi due ore dopo, quand'era uscita dal locale per prendere una boccata d'aria e fumarsi in pace una sigaretta: vistosamente alticcio, con la bocca impastata le disse qualcosa che le razionali orecchie di Yuugao si rifiutarono d'ascoltare.
Allora Gekko rimase in silenzio, accerchiato dalle volute di fumo azzurrognolo. Gekko e quel sorriso da istrione, da ragazzino un po' stupito un po' malinconico, Gekko e quei vestiti troppo grandi che gli ballavano addosso tanto era magro. Ma aveva davvero vent'anni quello stecchino addobbato a festa? D'un tratto non era più così sicura che quella fosse la faccia di un ventenne.
Ciuffi di capelli tagliati quasi a caso, viso ossuto, zigomi appuntiti, naso importante, mento sfuggente e occhiaie profonde di chi è abituato a dormire quattro ore per notte.
Gli anni si sfogliavano rapidi fino ai sedici, se non ai quindici.
Yuugao, animata dalla curiosità di una scienziata, si chinò su di lui e arrivò quasi a sfiorargli la punta del naso col proprio.
"Oh. Ma tu sei proprio sicuro di non essere un Genin?"
La risata di Hayate aveva il profumo speziato del vino e di qualcosa che Yuugao-Muso-di-Gatto non conosceva.
"A me puoi dirlo. Sarò... mmmh... muta come un pesce" sussurrò pianissimo.
"I pesci parlano" rispose il giovane col medesimo tono impercettibile.
"Tanto lo so che... uh..." Yuugao vacillò, ma riuscì a tenersi in piedi; realizzò soltanto cinque minuti dopo che le sue gambe non avevano ceduto solo perchè Hayate, cavallerescamente, le aveva circondato la vita con un braccio e non sembrava avere l'intenzione di spostarsi da lì.
"Cos'è che sai?" riprese Gekko incuriosito.
"Che pensi che io sia una colossale idiota... tsk. Non mi piacciono quelli come te."
"Quelli che ti aiutano a non sfracellarti su un marciapiede di pietra?"
"Quelli che blaterano sempre di sentimenti e altre sbrodolate patetiche simili. Aaah, insopportabili, insopportabili!!!"
Hayate rise di nuovo, e Yuugao percepì una pressione appena più marcata al fianco destro:"Ti hanno costruita senza lo stomaco, a te, mh?"
La kunoichi si scostò di scatto, mosse uno svogliato passo verso la strada e si lasciò cadere seduta sul marciapiede, schiacciando sotto lo stivale destro il mozzicone. Aveva male alla testa, l'addome contratto in modo molto sospetto e un vago senso di nausea che le ribolliva sussultando giù per la gola. No, per favore, per favore niente tazza del cesso, invocò ebbramente col pensiero, tutto, davvero, perfino sopportare Gekko, ma non la tazza del cesso. Niente vergogna in pubblico, per favore. Per favore.
Gekko, appunto, le crollò di fianco e si sdraiò sul selciato di roccia, le mani strette sulla nuca e il respiro regolare di chi si prepara ad abbandonarsi al sonno.
"E' in momenti come questi che mi ricordo cosa siamo" sibilò Yuugao con un filo di voce, quando il silenzio le divenne insostenibile.
"Dovresti ricordarti invece di cosa vorresti essere" Nonostante la sbronza, Hayate aveva una voce pacata, non priva di una qualche strana tenerezza.
"Cosa vorrei essere?" Era incredula, Yuugao, anzi di più, era stupita da tanta rara imbecillità.
Hayate sbuffò, appena irritato:"Siamo quello che proteggiamo. Siamo le nostre missioni. Siamo Konoha, siamo i bambinetti col moccio al naso che non sanno tirare dritto un kunai e anche quelli che tagliano le gole alle spie nemiche. Siamo un po' tutto, non c'è un nome giusto per definirci, c'è sempre qualcosa di noi che sfugge all'etichetta. Ninja, assassini, mercenari, shinobi, guerrieri, belve, esercito, mostri, alieni...
Siamo quello che proteggiamo. Per questo non devi dire a quei ragazzini di levarsi quel po' d'umanità che ancora conservano. Altrimenti saranno molto peggio di mostri, mercenari, assassini o quel che sia, saranno soltanto armi. E non più il villaggio."
Ebbe la sgradevole impressione che lui stesse sorridendo di nuovo, perciò Yuugao preferì trincerarsi dietro un silenzio inerte e accendersi un'altra sigaretta.
Mezz'ora dopo, nella stessa frase e senza imbrogliarsi con le parole, Hayate le chiese scusa per averla insultata, di poterla riaccompagnare a casa e se conosceva un solo buon motivo per rifiutare.
"Ti detesto" mormorò piatta la ragazza.
Per tutta risposta l'altro roteò gli occhi e le gettò sulle spalle la sua giubba:"...E questo ti sembra un buon motivo?"
C'era la luna a guidare i loro passi.
Il locale era svanito in un velo di nebbia color argento, Anko e gli altri si erano volatilizzati chissà dove e il Gatto si era rannicchiato contro il torace spigoloso di Hayate che, per quanto esile fosse, sosteneva il peso di entrambi senza cedere nè arretrare di un solo millimetro.
Si erano fermati -o meglio, lui si era fermato e di conseguenza anche lei, venendo a mancare quel contatto, era rimasta nell'incertezza del passo a mezz'aria- in una fredda piazzetta dalle parti del Palazzo degli Hokage, nel quartiere antico del villaggio, poco prima della fontana il cui quieto brusio cullava i pensieri sfilacciati di Yuugao. 
C'erano poche lanterne in quelle strade, gettavano sulla pavimentazione di roccia schegge di luce lattiginosa, che si smarriva nel buio compatto delle case silenziose e nel respiro monocorde del villaggio addormentato. I tetti incombevano sul cielo scuro appoggiandosi l'uno all'altro, dovunque guardasse c'era un vicolo ritorto su se stesso, una terrazza, lo spruzzo di piccoli fiori sopra un balcone, l'insegna malandata di un vecchio negozio: trovò rifugio nello squarcio blu scuro della piccola piazza, con la sua fontana di pietra e il giro complicato dei rivoli d'acqua che si attorcigliavano uno dopo l'altro.
La ragazza giocherellò un poco coi suoi stessi piedi, prese a calci un sasso che a causa di un colpo più deciso degli altri rotolò lontano, oltre i piedi di Hayate davanti a lei; per riprenderlo avrebbe dovuto oltrepassarlo e quindi.
Quindi.
Quindi era fregata.
Alzò su di lui uno sguardo confuso, da bambina spaventata, uno sguardo di cui non doveva aver abusato nella sua vita:"Questa" fece titubante, "Questa non mi sembra casa mia."
Hayate aveva un modo semplice per rendere noto ciò che voleva. Era un tipo franco, diplomatico talvolta, ma amava la schiettezza e gli si leggeva sul volto ciò che pensava, e forse era proprio per questo che era una proverbiale schiappa al gioco delle tre carte.
"Quanti anni hai?" le domandò inclinando il capo, meditabondo. 
Yuugao ebbe tutto il tempo di ripescare una sigaretta dalle tasche dei pantaloni, trovare un accendino, provare a far scattare lo scintillio della fiamma per tre o quattro volte e riuscirci al quinto tentativo, prima di dargli la sua risposta.
"Venti, se è mezzanotte."
"E' mezzanotte fra cinque minuti."
Yuugao accolse la notizia senza scomporsi. "Tu?"
"Ventuno dalla mezzanotte di ieri."
Hayate sapeva abbracciare senza bisogno del corpo, i suoi occhi la avvolgevano come una mano può posarsi sopra un'altra. Li sentì sopra di sè: privi del luccichio euforico dell'ebbrezza, già mostravano quell'impressione di calore che era l'onore di essere in vita.
La sigaretta nel frattempo s'inceneriva pian piano: il Gatto aveva una dannata voglia di piangere ed era molto strano, perchè i Gatti non possono piangere.
"Siamo nati a un giorno di distanza l'uno dall'altra," spiegò Gekko:"Lo sapevi? Tra un minuto sarà come aver compiuto gli anni insieme."
Yuugao lo fissava in silenzio, senza rivelare la minima emozione.
"E non c'era nessun altro con cui mi andava di festeggiare."
Andava dritto al cuore del problema, Hayate, non gli piaceva perdersi nei labirinto delle possibilità.
Per Yuugao, abituata al rigore schematico del suo lavoro, era come immergere il viso in una pozza d'acqua fresca e rimanere lì, almeno per un po', almeno per qualche ora, almeno per quel minuto che mancava a mezzanotte, finchè la carezza vibrante del liquido sulla pelle non sarebbe diventata abitudine.
Poteva anche smettere di respirare, per quello che le interessava.
Sedettero sul bordo umido della fontana, attesero che passasse quel minuto e, semplicemente, che lente le stelle impallidissero fino a cadere.

 

 

"L'hai vista anche tu?"
"Sì, è ancora lì?"
"Sì sì, guarda, non s'è spostata di un passo, ieri pomeriggio era nello stesso posto, e anche il giorno prima!"
"E' spaventosa, sembra una statua..."
"Ma non ha una vita?"
I bisbigli furtivi delle infermiere Nakamura Miho e Obata Yumiko, appostate in fondo al corridoio della Corsia C dell'Ospedale del villaggio, amplificati dalla stanza vuota e dall'assenza di rumori di quel tiepido pomeriggio primaverile, dovevano aver già raggiunto i sensi dell'Anbu n.67, seduto di fianco al letto occupato dal Jonin Speciale Gekko Hayate, ma se fu così non diede a vederlo.
Immobile, composto e austero, il ninja accomodato sulla sedia sembrava privo perfino del respiro.
La voce secondo cui l'Anbu n.67 era quasi onnipresente al capezzale del Jonin Gekko, tornato da una missione più morto che vivo, era rimbalzata di bocca in bocca dall'Ospedale fino alla Divisione ANBU passando per le Squadre di soccorso: monolitico, imperscrutabile nella sua uniforme, muto, il Gatto sedeva inappuntabile vicino al letto dove Hayate, cosparso di tubicini azzurri, dormiva un artificiale sonno senza sogni.
L'Anbu n.67 conosceva a menadito la gravità, il decorso e la causa delle sue molteplici ferite, sapeva alla perfezione quale liquido incolore scivolava goccia a goccia nelle sue vene, ricordava a memoria quante volte il paziente si era strappato di dosso gli aghi per la smania, teneva fedelmente il conto delle sue ore di sonno giornaliere.
Di fronte al Gatto, le cartelle cliniche si squadernavano con l'audacia dei fiori di campo e il dottore che si occupava di Gekko era diventato stranamente loquace e ciarliero.
I medici e le infermiere, ammutoliti, osservavano un tale esempio di dedizione con rispetto e anche con una punta di nervosismo: quell'Anbu e la sua rigida immobilità avevano qualcosa di inquietante. Perciò, pettegolezzi a parte, preferivano di gran lunga non sostare troppo nei pressi di quella camera.
Così, quando quel pomeriggio Gekko Hayate riaprì sul mondo un paio d'occhi instupiditi dagli anestetici, la prima cosa che vide fu il muso arcigno di un Gatto che, inquisitore, lo fissava, l'espressione perennemente vuota e disumana.
Un raggio di sole tagliava in due il profilo felino quando il Gatto cominciò a parlare, con una voce che era come uno spillo che infilzava innumerevoli farfalle.
"Punto primo: le missioni in solitaria si chiamano così perchè prevedono lo svolgimento di esse da parte di una sola persona, coadiuvata talvolta da un Medic-ninja. Tu hai espressamente rifiutato questa opzione.
Punto secondo: la volpe che hai evocato per chiedere soccorso era poco meno che denutrita, e ciò significa che doveva essere la tua ultima goccia di chakra. E' riuscita ad arrivare fin qui per puro miracolo, se fossi stato meno fortunato si sarebbe dissolta a metà strada.
Punto terzo: hai preferito mettere seriamente a rischio la tua vita piuttosto che affidarti alla ritirata e decretare il fallimento della missione, questo è lodevole da parte tua, ti proporrò per l'onoreficenza, ma hai agito da sconsiderato e sarebbe bastato un solo contrattempo, uno solo, e ti avrebbero squartato come un vitello.
Punto quarto: hai contato più sulla tua astuzia che sulle tue reali capacità, il che significa che non siamo certi che non siano riusciti a estorcerti con la tortura i segreti del villaggio. Il corretto metodo per utilizzare una barriera psichica che argini almeno per qualche ora gli effetti di justu illusori di livello elevato viene insegnata ai Jonin nel primo anno di apprendistato: se ancora non l'hai imparato, hai una ragione in più per non richiedere a gran voce missioni di livello S."
Ogni respiro di Hayate veniva registrato dal monocorde 'bip' dei macchinari a cui il suo corpo era collegato, ed era il solo rumore che scandisse il tempo delle frasi del Gatto.
Gli occhi del Jonin erano annebbiati, sembravano non vedere realmente il Gatto e l'asettica stanza d'ospedale, giacevano abbandonati nel pallore malsano di quel volto scavato: gli avevano incrinato la mascella, spaccato le sopracciglia e il naso, sfregiato una gota che, assicurava il medico, sarebbe tornata come prima, riempito le braccia e le gambe di bruciature, rotto un ginocchio e spezzato tre costole, per non parlare degli innumerevoli segni di corde o catene che gli martoriavano il corpo.
Sembrava evanescente in quel letto immacolato, era più bianco delle coperte stesse; era come se qualcuno si fosse divertito a vedere fino a che punto la faccia di Hayate avrebbe resistito alle botte, e questo il Gatto non glielo perdonava, no, non poteva farlo.
Quando l'Anbu n.67 finì di parlare, Hayate tossì un rivolo di saliva striata di rosa e si lasciò sprofondare ancor di più nel molle cuscino di piume.
Brandelli di coscienza risalivano dalle caverne della sua memoria, si riallacciavano a fatica filo dopo filo: fu sul punto di addormentarsi un'altra volta ma si tenne sveglio come potè, improvvisamente si era ricordato di cosa gli aveva tenuto la bocca chiusa mentre gli spingevano la testa sott'acqua, e i suoi polmoni scoppiavano. Cosa, chi. Quale pensiero.
"Potresti" azzardò allora, biascicando a causa dei punti che tenevano insieme metà del suo viso:"...toglierti quella roba dalla faccia? Voglio parlare con una persona vera."
Yuugao s'infuriò e pensò che, se già non ci avesse pensato qualcun'altro a ridurlo in quelle condizioni, senza indugio ne sarebbe occupata lei, ma non replicò e tremando di collera si sfilò con lentezza la maschera del Gatto, tirandosela sulla testa e infine slacciandola. Ricadde con un rumore secco accanto ai suoi piedi, stretti sotto la sedia.
Il viso di Yuugao Uzuki bruciava. Letteralmente bruciava. Hayate non aveva mai visto su un essere umano una simile esplosione.
"...Ti sei quasi fatto ammazzare e ti davano tutti per spacciato" riprese la giovane Anbu con un'impersonale voce controllata:"Non potrai andare in missione per i prossimi sei mesi, avrai gli incubi per i prossimi otto, quella gamba non tornerà mai più come prima e ti hanno ridotto le braccia in un modo così infame che non so come potrai maneggiare di nuovo una spada. E hai fatto tutto questo per dimostrare che sei un ottimo Jonin Speciale.
Questo significa che sei - il - più - grande - e - colossale - idiota - che - il - mondo - conosca."
Le mani di Yuugao, poggiate sulle ginocchia, si erano strette fino a chiudersi in pugni d'acciaio.
Hayate però, con la follia dei vivi strappati al sonno eterno, si lasciò andare a un sommesso brontolio, che era quanto di più simile a una risata riuscisse a emettere:"Yuugao" le disse in un sospiro compassato, e lei, al suono del suo nome pronunciato da quella voce, dalla voce di Hayate, si sentì di nuovo sveglia dopo una notte interminabile.
"Sei davvero una stupida. Ora... ti possono riconoscere" e con un moto stanco delle dita rovinate alluse al suo volto privo di maschera. Gli ANBU dovevano indossarla sempre quand'erano in servizio, per nascondere la loro identità, e dovevano farlo anche se si trovavano nel villaggio: era la prima regola che apprendevano, quella a cui erano concatenati tutti i successivi obblighi imposti dalla loro condizione. Si imparava quella, assieme al proprio numero distintivo, prima di ogni altra cosa, perfino prima di ricevere la qualificazione di Anbu.
Fu in quell'istante che Uzuki Yuugao capì di essere totalmente innamorata di Gekko Hayate, e di esserlo senza scampo e senza condizioni. Aveva appena cancellato con un gesto il Gatto e perchè? perchè lui, semplicemente, le aveva chiesto di farlo.
C'era una certa logica in tutto questo, a voler essere sinceri.
Come lei stessa faticò ad ammettere, era una constatazione che meritava una riflessione seria e profonda, molto profonda.
Chiunque conoscesse bene Yuugao -ed erano in pochissimi a fregiarsi di questo titolo- sapeva che solo un ottimo motivo poteva spingerla a compiere azioni impulsive e del tutto irrazionali.

Ma la smorfia di scherno di Hayate, appena stralunata a causa dei farmaci, e la sua mano fasciata che si era avvicinata alla guancia di Yuugao, erano spudoratamente felici di ritenersi un ottimo motivo.

 

 

Vivevano insieme da poco più di dieci mesi quando, una notte, le aveva confidato che l'Hokage voleva affidargli l'organizzazione degli Esami di Selezione dei Chuunin.
Era quell'ora imprecisata tra le due e le quattro del mattino, la loro camera era immersa nell'irreale luce lunare e in quel momento lui s'era alzato dal letto, era andato vicino alla finestra spalancata e aveva posato lo sguardo sull'oceano di tetti, comignoli, terrazze e balconi che punteggiavano la notte.
"Li vedi?" le aveva chiesto sottovoce.
Yuugao l'aveva raggiunto e, abbracciandolo, si era sporta oltre la sua spalla:"Chi? Laggiù ci sono solo case."
A bruciapelo Hayate le aveva risposto con un'altra domanda -oh, lo odiava quando faceva così!- :"Ti capita mai di crollare?"
Yuugao innervosita tacque, ma lui proseguì ostinato, ignorando il suo silenzio:"Crollare, sì, schiantarti dal dolore anche per un nonnulla, perchè in missione Genma ti ha salvato il culo o perchè ti senti nessuno in mezzo a mille nessuno, perchè il meccanismo s'inceppa e non sai più qual è il passo successivo, insomma, una cosa del genere. Ti è capitato, lo so che ti è capitato. Hai desiderato anche tu di essere una persona normale...  di non avere maschere, segreti... succede a tutti almeno una volta. E' umano, è quasi obbligato."
La spaventava un po' quando parlava così, non era sicura che lo scintillio nei suoi occhi fosse lo stesso di sempre, vi leggeva un'intensità che la scuoteva dal profondo.
Aveva letto da qualche parte che era normale che il corpo umano facesse resistenza all'acqua, il corpo non voleva morire, rifiutava di lasciarsi affondare in un universo in cui ogni legge fisica veniva sovvertita. Allo stesso modo la rigida coscienza di Yuugao resisteva ad Hayate, perciò la ragazza lo interruppe con un vago:"Dovresti smetterla di tormentarti con simili sciocchezze."
"Aaah, e lasciami finire, piccola sciocca senza stomaco. Ascolta.
Tutte le volte che mi sono chiesto quale diavolo era il mio posto in questa vita, mi sedevo sul tetto e guardavo giù." La mano di Hayate era una carezza che nel vuoto sfiorava l'intero villaggio: "Guardavo giù".
"Cosa vedevi?"
"Qualcosa per cui essere qualcuno. Per essere una persona, prima che un uomo o un ninja. Per esistere, a dispetto di tutto e tutti."
Le faceva paura perchè l'anima di Hayate era come l'infinito del cielo, e scorgerne un frammento la stordiva tanta era la sua luminosità. E la stordiva ancor di più il pensiero di amarla interamente.
Yuugao significava 'volto della luna'. E la luna, si sa, insegue per sempre la luce del sole.
"Poi cos'è successo?" riprese allora la ragazza, le labbra secche.
Abbozzo di sorriso da parte di Hayate:"...Poi siamo usciti tutti insieme... ho alzato un pochino il gomito... ti ho cercata... e tu hai risposto."
Erano quelle notti il suo perdono, la sua breve parentesi d'ossigeno prima di immergersi nelle acque gelide della realtà. Era stare con Hayate quando non c'erano colleghi, regole, maschere o estranei, e per qualche ora erano solo loro due, erano affetto, erano calore, erano nel senso più vero del termine.
Si vedevano poco, lei e Hayate, le missioni di un ANBU duravano anche per mesi interi e lui aveva i Genin da addestrare, le sue missioni, i suoi doveri di Jonin Speciale: si vedevano poco, nonostante vivessero nella stessa casa. I loro orari sembravano regolati su due lancette che si sfioravano quasi per sbaglio, ma non le importava, sapeva farsi bastare anche quella manciata di ore rubate al sonno.
Sapeva che loro due erano creature notturne, richiamate alla vita soltanto dal respiro del buio.
Tuttavia, da quando Anko le aveva raccontato a monosillabi che tra lei e Kakashi Sharingan era successo un po' più di qualcosa, un curioso pensiero aveva fatto capolino nella mente di Yuugao: cinque anni di carriera negli ANBU non erano una bazzeccola, di solito dopo un paio d'anni si passava ad altri reparti, se si era rimasti in vita, ma lei mirava al ruolo di Capitano, e forse ancora per qualche tempo, due anni o tre... ecco, tre anni e poi...
Si rifiutava persino di ammetterlo a se stessa e non aveva la minima intenzione di accennare la questione ad Hayate, ma il modulo di esenzione dalle missioni che aveva visto scivolare fra le mani del Numero Tredici continuava a ronzarle in testa. Ne rivedeva di continuo il biancore, ne risentiva il fruscio invitante, fssssh...
Non c'era fretta, no, certo, non c'era neanche da pensarci sul serio, amava il suo lavoro e voleva dedicarvisi il più a lungo possibile. Yuugao o l'Ambizione, ecco qual era il suo secondo nome.
A lungo, sì, ma non per sempre...
"Ne ho discusso anche con Genma, Anko, Morino, Iruka e gli altri. Lo faremo, organizzeremo questa cosa. In memoria dei tempi andati, in un certo senso" la voce quieta di Hayate non poteva cancellare l'amarezza disegnata sul suo viso.
Vecchia storia quella fra i Jonin della Foglia e il villaggio. Vecchia storia di cui anche lei faceva parte.
Erano tutti orfani di guerra, le loro famiglie erano state decimate da un nemico senza volto ed erano cresciuti nel Fuoco, perciò era al Fuoco che dovevano qualcosa.
"Sandaime Sarutobi è convinto che se insegnamo a questi ragazzini che, fuori da un'arena, un avversario ha i loro stessi occhi, forse riusciranno a evitare una Quarta Guerra" Hayate pensoso contava le stelle e i propri rimorsi.
"Tu gli credi?" Il sopracciglio inarcato della ragazza mostrava che no, lei proprio non gli credeva.
Hayate sorrise di nuovo, e un barlume d'allegria attraversò il suo viso:"Non lo so ancora, Yuugao. So che è un uomo saggio, onesto. E buono, anche. Gli crederei."
"La storia non si scrive con i condizionali, Gekko" ruvida e goffa, Yuugao tentava di raffazzonare una pallida imitazione di conforto.
Hayate, con uno sbuffo teatrale, parve apprezzare lo sforzo:"Gli crederò.
Va meglio ora, maestrina Uzuki?"
"Va meglio" concesse pacata Yuugao.
"Vorrei che Konoha non avesse pareti nè mura... che si estendesse fino all'orizzonte senza serrature e senza cancelli... che tutti vedessero lo splendore, la gente e le strade... invece ogni giorno aggiungo un mattone alle barricate."
"Hayate, proteggere il villaggio è la nostra vita" gli fece notare pragmatica.
Ma Hayate non amava i giochi di parole, amava la schiettezza e ogni parte di lui non faceva che manifestarlo:"Lo so, lo so bene. E' giusto così in fondo. Contribuisco ogni giorno a distruggere i miei sogni: è buffo, non trovi?"
Yuugao gli lanciò un'occhiata piena di rimprovero:"Ma... Hayate!"
"Non lo trovi buffo?"
"Lo trovo..." Yuugao riflettè qualche secondo, prima di assaporare la sua risposta:"... nobile.
Ideali traditi e scemenze del genere, per farti capire" subito si corresse, a disagio, il piglio nervoso.
Ma, pronunciando quelle parole, Yuugao decise che era quello il momento di trascinarlo sotto le lenzuola, luna o non luna, e di tenere per sè le piccole scintille tiepide che le esplodevano nello stomaco. Perchè sì, uno stomaco lei l'aveva, aveva emozioni ed Hayate era il solo a rivelarle.
"Dormiamo un po', mh?"
Perciò, con l'adrenalina che scoppiettava lungo le braccia, lo strinse al collo e lo spinse incespicando verso la direzione che sul pavimento indicavano i pallidi raggi lunari. 

 

 

C'era la luna anche quando lo uccisero.
Una luna alta nel cielo di velluto, una perla poggiata nel cuore di un'ostrica.
Hayate non aveva mai creduto che sarebbe morto in una notte così bella, dove l'aria era trasparente e la luna aveva il colore della pelle di Yuugao. Quella fu la ragione dello stupore che trovarono dipinto sul suo volto il giorno dopo, quando scoprirono il suo cadavere.
Lei comunque non lo seppe mai: quella notte dormiva nella loro stanza, con la finestra aperta poichè l'estate ancora non aveva ceduto il passo all'autunno. Era scivolata nel sonno aspettando Hayate, che le aveva detto che sarebbe tornato a casa molto tardi, perchè aveva delle faccende da sbrigare.
Dormiva tranquilla, Yuugao, il corpo abbandonato nella sua metà di letto e un raggio di luna, la stessa luna sotto cui Hayate moriva, che l'accarezzava come una madre può fare con la figlia.
La maschera del Gatto, abbandonata vicino alla porta, gettava un'ombra informe sulla parete bianca, e qualcuno dal gusto per le suggestioni romantiche avrebbe potuto leggervi un cattivo presagio.
Ma non Yuugao: Yuugao dormiva, dormiva senza pensieri, il respiro regolare, la posa composta anche nel sonno, la coperta tirata sul petto e un'espressione serena sul volto addormentato. Anzi, c'era un lieve accenno di sorriso all'angolo delle sue labbra: i suoi sogni non erano inquieti.
Alle prime luci dell'alba si sarebbe svegliata a causa dello schiaffo del sole mattutino e, vedendo l'altro lato del letto intonso, qualcosa in lei sarebbe gelato.
Il suo autocontrollo le avrebbe permesso di vestirsi, bere un caffè che le avrebbe distrutto lo stomaco, correre da Genma ma no, Hayate non era passato di lì, dove poteva essere? E, sul punto di dirigersi al Comando dei Jonin della Foglia, l'avrebbero fermata Diciotto, Quarantuno e Settantadue e, di corsa più veloce del respiro, si sarebbe trovata di fronte, sopra una terrazza assolata del quartiere antico, Hayate che guardava il cielo, un velo di sangue scuro intorno al capo.
L'autocontrollo di Yuugao non avrebbe ceduto: il cuore le sarebbe scoppiato, ma si sarebbe chinata, dietro la maschera del Gatto, dietro lacrime secche che non volevano saperne di scendere, e avrebbe preso fra le mani la katana abbandonata di fianco al suo braccio -ed era così traslucido, quel braccio, dava l'impressione dell'acqua-, infine avrebbe chiuso quegli occhi eternamente stupiti, da ragazzino che non si capacita di essere morto sul serio.
Gli occhi di Hayate. Hayate. Hayate.
Loro due erano creature notturne. Quel sole rovente aveva ucciso entrambi.
Non sarebbe riuscita a rivolgere la parola a nessuno se non tre settimane dopo, avrebbe perso il sonno, la voglia di mangiare, di fumare e perfino quella di respirare.
Avrebbe ascoltato a malapena gli encomi pronunciati dall'Hokage durante il funerale, i vacui tentativi di comprendere il suo dolore da parte di colleghi e amici; avrebbe accettato senza condividere l'abbraccio un po' meccanico di Anko, che in queste cose proprio non era brava, le condoglianze di Kurenai Yuhi, le occhiate colme di cordoglio di tutta la Squadra Jonin e della Divisione ANBU, il discreto discorso del suo Superiore con cui l'avrebbe esonerata dal servizio per una settimana; avrebbe notato appena il nome di Hayate inciso sulla Lapide degli Eroi, perchè per lei lo era da tempo, un eroe, e non aveva bisogno di stupide pietre gelide per ricordarselo.
Si sarebbe detta che era già successo a mille altre, che lei era solo l'ultima della lista, ma nel suo animo si sarebbe rifiutata di capire, perchè Hayate rappresentava tutto ciò che di piacevole c'era al mondo e saperlo morto le sembrava incredibile, quasi paradossale; si sarebbe detta che il suo era un dolore privato, che doveva stare nello spazio di un cuore, un dolore che doveva seppellirsi nel profondo, in luoghi irraggiungibili, e nascondersi alla vista degli altri perchè la sua vita, la sua fottuta vita era proteggere quel villaggio e nient'altro, nient'altro, nient'altro.
Ma c'era dell'altro. C'era, era innegabile. C'era un futuro, ed era morto tre giorni prima.
L'assassinio di Hayate Gekko fu l'avvisaglia che qualcosa, nel sogno di Sandaime Sarutobi, era andato storto: di seguito vennero l'attacco del Sannin Orochimaru al villaggio, la morte dello stesso Sarutobi, la rottura della tregua con Suna, il tradimento di Sasuke Uchiha e il fallimento di ogni tentativo di riportarlo a Konoha.
I sogni del Terzo Hokage, come quelli di Hayate, si erano inceneriti prima ancora di venire alla luce.
In tutto quel tempo, sotto la corazza del silenzio Yuugao avrebbe perfezionato un elementare quanto ferreo ragionamento: da ottima Anbu qual era, voleva chi era stato. Il Gatto dentro di lei soffiava e snudava gli artigli perchè facesse ciò per cui era nata, ciò che meglio sapeva fare, l'unica risposta plausibile all'omicidio di Hayate: cercare il colpevole. Yuugao voleva chi era stato a fare quello ad Hayate, voleva il dannato nome di chi aveva osato distruggere ciò che aveva di più caro.
La vendetta, sì, la vendetta.
Quella parola le sarebbe scivolata nel sangue con uno strisciare serpentino. La vendetta, certo. Piangere fino a esaurire le lacrime, impazzire o uccidersi a sua volta non sarebbe stato affatto da lei, lei aveva qualcosa da fare, qualcosa di tangibile e vivo come un corpo che cade, qualcosa di così istintivo e compenetrato nel suo spirito che era come battere le palpebre, come respirare.
La vendetta.
Quasi naturale, in fondo.
Non ci avrebbe messo molto a capire che l'assassino di Hayate si nascondeva tra gli alleati di Orochimaru, tra coloro che avevano tramato la rovina della Foglia, e dopo mesi interi di spasmodica ricerca condotta scrupolosamente da sola, tenendo all'oscuro perfino i suoi Superiori, sarebbe riuscita a individuare negli shinobi della Sabbia il volto che stava cercando con tanta cura.
Non ci avrebbe messo molto a rendersi conto che la Godaime Hokage l'avrebbe ostacolata pur di preservare la nuova alleanza tra Konoha e Suna, avrebbe compreso in fretta che la memoria scomoda di Hayate sarebbe rapidamente scivolata nell'oblio di quanti erano disposti a calpestare più d'un cadavere, perchè la pace regnasse nel villaggio.
Hayate forse avrebbe capito, e avrebbe perdonato.
Ma lei no, no.
Lei non capiva.
Ancora si chiedeva perchè proprio Hayate, e ancora non capiva.
E un giorno Anko avrebbe bussato alla sua porta, si sarebbe seduta di fronte a lei al tavolo di cucina e in un sussurro le avrebbe rivelato il nome. Baki, si chiama così, è stato il sensei del Kazekage di Suna e dei suoi fratelli.
Lo stupore avrebbe tolto la parola a Yuugao.
Anko allora avrebbe accampato sbrigativa scuse brutali, Kakashi le aveva fatto giurare di non dirglielo, ma quando era arrivata la notizia della morte di Asuma Sarutobi non se l'era più sentita di tenere segreti inutili. Glielo doveva, per un motivo che a voce la Mitarashi non sarebbe mai riuscita a spiegarle.
Però avrebbe ripetuto incrollabile quelle due parole: glielo doveva, glielo doveva.
E a quel punto il Gatto pigramente si sarebbe stiracchiato, avrebbe fatto le fusa e cominciato a muovere al ritmo del tempo la lunga coda, picchiettando con gli artigli il suo stomaco.
D'un tratto si sarebbe sentita sollevata: aveva il nome, perciò, beh, questo significava che aveva una vita intera per cogliere quel momento, il momento che avrebbe sublimato in sè tutti gli altri, il momento in cui sarebbero stati liberati una volta per tutte, per sempre, lei e Hayate.
Avrebbe atteso con la pazienza dei ragni il passo falso, l'attimo di smarrimento, l'impercettibile battito di ciglia che le avrebbe consegnato quell'uomo su un piatto d'argento.
Solo questione d'aspettare. Era programmata per farlo, decenni di addestramento ninja insegnavano questo.
Sapeva che, puntuale, il momento sarebbe arrivato. 
La katana di Hayate, lei sa, verrà usata per l'ultima volta.
Poi ci sarà pace. Poi lei correrà da lui.

...Ma adesso, adesso lasciatela dormire, dorme così bene!
Spogliata dell'aura cruenta del Gatto, sembra soltanto una ragazza felice.

Tre anni, pensava prima che il sonno la sorprendesse, tre anni e poi chiederò il ritiro. Jonin Speciale Uzuki Yuugao. Hayate ne sarà contento, potremo vederci più spesso, potremo stare insieme, in fondo poi è quello che vogliamo entrambi, e potrei quasi pensare che -stupida, te lo chiederà lui se vuole, tu stai zitta e lascialo fare, lascialo fare come quando mezzo ubriaco ti ha chiesto di riaccompagnarti a casa, e sì sì gli dirai sì sì lo farò sì. Qualunque sarà la sua domanda. 

Lasciatela dormire, per favore, lasciate che si ritempri fino in fondo nelle spesse ore di buio che precedono l'alba. Sapete che quell'alba se la ricorderà per il resto della sua vita, perciò fate che possa godere fino in fondo del beneficio dell'incoscienza, che scappi via dai suoi fantasmi e che si rifugi nel tranquillo mare del sonno.
I suoi sogni, poi, non sono affar vostro.

Lasciate che dorma ancora un po', soltanto un altro po', soltanto per poco. Ci saranno notti intere da consumare insonne, alla luce di qualche candela o del semplice rancore, cercando febbrile qualche indizio che potesse collegare Hayate al suo assassino.
Lasciate che assapori cosa vuol dire dormire tranquillamente, con ancora in testa l'eco della canzone che cantava preparandosi la cena prima di coricarsi, con i vestiti e i libri di Hayate abbandonati un po' dovunque nella stanza, con la confortante vicinanza degli oggetti a lei cari a ricordarle che al mondo, in fondo, c'era qualcosa di buono. Lasciate che per l'ultima volta trascorra una notte serena, senza il tarlo del rimorso a scavarle il cuore e a tenerla sveglia.
Lasciate che rimanga lì, lasciatela in pace ancora per qualche ora. Solo qualche ora e poi tutti i suoi sogni, quelli che Yuugao non rivelò mai a nessuno, neppure a se stessa, saranno soltanto carta straccia. Non affrettatele la conoscenza con la realtà, non vedete com'è placida, com'è priva di qualunque preoccupazione?

Al dolore, alle lacrime, Yuugao penserà domani.

Per un po', solo per un po', la realtà può aspettare.

 


E ancora mille volte, mille anni, ci scommetto, mi ringrazierai
per quel sorriso ladro e per i giochi, i mille giochi che sapevi già
e ancora mi dirai che non vuoi essere cambiata, che ti piaci come sei


Però non mi confondere con niente e con nessuno, e vedrai...
niente e nessuno ti confonderà
soltanto l'innocenza nei miei occhi, c'è nè già meno di ieri, ma che male c'è...

[Bene - Francesco de Gregori]

 

Fin

 

 

 

Note dell'Autrice

Prima Classificata e Premio Originalità al Simply Canon Contest indetto da Kurenai88.
Non so se rendo *O*!


 

Sono orgogliosissima di questa storia. Davvero davvero davvero. Perchè tirare fuori una bella caratterizzazione di Hayate e Yuugao, visto che compaiono sì e no in due episodi e sono praticamente sconosciuti ai più, è un'impresa. Si dice così poco di loro, sono già finiti nel dimenticatoio, ed è un peccato, dato che la vendetta di Yuugao non ha ancora ricevuto soddisfazione. Mh, plothole, Mr.Kishimoto?
Io spero sempre che da un giorno all'altro salti fuori la notizia dell'uccisione di Baki di Suna da parte di un ANBU di Konoha. Una parte di me comprende il dolore di Yuugao, e scrivendo di lei mi ci sono affezionata. Che lo uccida, allora, e che il suo odio possa svanire.
*Parlo come un'eroina ottocentesca, lo so, scusatemi, ora torno in me*

Riprendo con le risposte ai commenti, che ultimamente avevo trascurato^^.
Mala Mela: Ti ho praticamente obbligato a recensirmi XD ma su, sono tanto felice di leggere i tuoi commenti *__* e poi lo so che sono partita da premesse più 'angst', per concludere con un adagio, diciamo. Ma ero posseduta dallo spirito della Diabolica Canzone, "Long Kiss Goodbye", e poi volevo per una volta mettere in risalto le rispettive differenze e conciliarle, anzichè scrivere una frattura tra i due. Ne avevo abbastanza allora di storie tristi :) ovviamente ora non è così XD ma che ci posso fare, Hanabi mi fa pena, riesco a comprenderla senza fatica e vorrei che, sebbene abbia lo sculo di essere un personaggio quasi invisibile, avesse una fine dignitosa *_* e con Quel Gran Fugo di Kiba perdipiù. Che con Hinata mi stucca come il miele con il latte XDDD ça va sans dire.
La Chaos: Mi dispiace che il tuo primo regalino di Natale non abbia avuto tutta la fortuna di Ain't no mountain >.<, però Kiba e Hanabi sono dannatamente particolari e poco famosi insieme, ecco. La gente è più propensa per il canonico Kiba/Hinata, che come noi sappiamo è semplicemente odioso u_u forza Hanabi!
Riguardo al fantomatico dolore all'addome, pensa male *_* hai tutta la licenza. Dolore al pancino + dodici anni + instabilità emotiva... Cosa ti ricorda *se la ride sotto i baffi*? Ammetto che è un dettaglio molto poco signorile, ma diamine, secondo me è nell'olfatto ipersviluppato di Kiba riuscire a percepire certe cose! E a divertirsene soprattutto, vista la reazione scandalizzata della nostra Hanabi. Sì, sono proprio perfetti: the beggar and the queen, come dice una canzone che sto ascoltando ora *_*! Per il resto, hai colto ogni singola cosa che ho fatto intravedere, le tue riflessioni sono precise e giuste sia quando parli del ruolo di Hanabi nel suo Team (non la vedo come leader, non ce la vedo sotto le luci della ribalta, per me è più quella che trama nell'ombra, quella che manovra come un burattino il leader), sia sulle valutazioni sul ruolo dell' -inutile- Konohamaru. Anzi, immagino proprio che Hiashi Hyuuga incoraggerebbe un'eventuale loro relazione, proprio in virtù della parentela del moccioso col Terzo Hokage. Si sà che avere parentele in alto è utile per un Clan che mira ad avere grandi privilegi all'interno del Villaggio :D ed è qui che il Pulcioso ci mette una bella zampa pulciosa.
La festa. Eeeeh, la festa *_* non volevo dilungarmici così tanto, ma mi sono venute in mente tante immagini e non potevano non essere scritte XD poi Naruto al karaoke che canta Long Kiss Goodbye si meritava tutta l'attenzione di questo mondo, sicchè mi sono lasciata andare. E' stato un periodo di storie 'corali' quello di Natale, con atmosfere rumorose e rutilanti, ma sentivo di aver bisogno di questo^^ di quell'augurio per il futuro di cui tu hai parlato nella recensione. Ne hanno così bisogno i nostri ninja, un bisogno mortale direi.
E poi volevo dimostrare che è possibile scrivere belle scene piene di personaggi senza cadere nella sciatteria u.u ecco. Ci sono riuscita, sì?
Ah, a proposito! Mi ero scordata di dirtelo e non l'ho manco scritto nelle note XD me sbadata: "shogatsu" in giapponese è il nome della Festa del Primo dell'Anno, aw ^^!
Muppello: Tu - adori - le KibaHanabi *_______________* ma questa sì che è una notiziona! Pensavo che io e Chaos fossimo le uniche promotrici di questo splendido Pairing nel fandom italiano, ma invece non è così *_* devi aiutarci a diffondere il KibaHanabi nel mondo. E soprattutto in questa landa desolata, così povera di Fireworks and Fangs -che ho scoperto è il nome della coppia XD.
Comunque ti ringrazio per le bellissime parole che hai detto sul mio stile e sulla storia <3, e sull'IC soprattutto. Kishimoto ha parlato davvero poco di Hanabi, potrebbe essere come io la descrivo oppure tutto l'opposto, perciò mi ha fatto davvero piacere leggere che questa mia fanfiction ti ha sorpreso, ti ha emozionato e ti ha fatto restare di stucco. Grazie, grazie, grazie :) mi riempie di soddisfazione sapere che riesco a trasmettere qualcosa a chi legge ciò che scrivo.

Grazie dell'attenzione,
Hipatya




 


 

 

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Capitolo 18
*** An ancient game of virgin sacrifice [NaruHina] ***


Lo dico e lo ripeto

Lo dico e lo ripeto.

SPOILER.

S-P-O-I-L-E-R gigantesco per chi non segue le scans e segue soltanto il manga italiano.
Probabilmente ne avete già saputo qualcosa, ma non voglio sentirmi in colpa, perciò se non avete letto il capitolo 437 NON LEGGETE. Imperativo categorico kantiano, esatto.

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La canzone a cui è ispirato questo tributo è Oceano, di Fabrizio De André.

 

 

 

 

An ancient game
of virgin sacrifice

 

 

 

Ed arrivò un bambino con le mani in tasca
ed un oceano verde dietro le spalle
disse "Vorrei sapere, quanto è grande il verde
come è bello il mare, quanto dura una stanza
è troppo tempo che guardo il sole, mi ha fatto male "



 

 

 

Aveva immaginato che il suo primo appuntamento con Naruto sarebbe stato diverso.
Il primo di una lunga serie, certo, perchè se avesse trovato il coraggio di compiere quell'unico passo, come la cascata di una melodia si sarebbero spiegati davanti ai suoi occhi tutti gli altri, con infinita e dolcissima naturalezza, e sarebbe stato un po' come quando non ricordava una lezione all'Accademia poi d'improvviso una parola, un concetto e, bam!, incatenato ad esso ritornava anche la memoria.


Naturalissimamente, sì.


Esisteva qualcosa di più naturale del ricordare, in fondo?


No, proprio no.

 

 

 

Aveva immaginato un cielo cobalto, tuttavia meno luminoso dei suoi occhi, e una passeggiata lungo le strade del villaggio: magari l'avrebbe portata sulla Montagna degli Hokage -le piaceva tanto, la Montagna- e avrebbero osservato Konoha dall'alto.
Lei avrebbe parlato poco, dato che si smarriva facilmente nel labirinto delle parole, ma in compenso avrebbe ascoltato ogni suo generoso sproloquio, perchè ascoltare per lei era come respirare, ascoltare andava bene: e lui avrebbe sorriso a ogni sua sporadica parola, conteggiata sulle dita abbronzate di una mano, e ogni tanto sarebbe rimasto in silenzio assieme a lei, perchè, si sa, il silenzio è piacevole se lo si divide a metà.

 

Sarebbero stati bene.
Oh, di questo ne era profondamente certa: sarebbero stati bene, e bene sul serio.

 

 

Sarebbero scesi da Ichiraku per mangiare qualcosa, ramen probabilmente, e lei avrebbe assaggiato il ramen naruto, quello col ricciolo d'alga che portava il suo nome, e avrebbe riso constatando che mentre lei era ancora a metà del suo primo piatto lui stava già vuotando il terzo, forse l'avrebbe anche preso in giro perchè di leggendario per adesso aveva solo l'appetito, e tutti li avrebbero guardati sorpresi, così di sicuro le sarebbero tremate le dita impugnando le bacchette, ma nessun sorriso avrebbe brillato più del suo quel giorno.
E lui l'avrebbe capito, lui si sarebbe bevuto quella delizia di perle con la stessa golosità con cui si tuffava nelle ciotole di ramen. Del resto aveva un solo modo vigoroso e un po' irruento per affrontare la vita, tutto il contrario del suo, manifesto della calma: il suo modo rassomigliava all'esplosione infuocata di una stella ed era così che lei lo vedeva.
Un punto di riferimento e una guida, oltrechè la persona che aveva scelto d'amare.

 

Lui avrebbe insistito per pagare anche la sua cena e lei, torturata dall'imbarazzo ma arrossendo di piacere, gliel'avrebbe permesso non perchè non sapeva dire di no, come sua sorella le rinfacciava, ma perchè voleva dire di SI', sì certo sì, mille volte sì per favore, sono qui non sarò mai più invisibile, mai più.

 

 

L'avrebbe riaccompagnata a casa fingendo di essere ubriaco, avrebbe fatto lo stupido gridando sciocchezze alle finestre chiuse o forse avrebbe provato a toccarla, distraendola con qualche complimento, e a quel contatto il fuoco sotto la sua pelle l'avrebbe divorata, poi lui l'avrebbe baciata come solo nei sogni si osa pensare, e dopo lei gli avrebbe raccontato per filo e per segno la sua storia, perchè così tanti anni di silenzio meritavano almeno d'essere spiegati a lui, a lui che ne era la ragione.
Si era già preparata il discorso, e la preparazione aveva richiesto mesi a causa del suo bizzarro rapporto con le parole, ma sapeva che lui non l'avrebbe mai interrotta, neppure una volta, neppure per sbaglio, e lei avrebbe visto in quel viso di ragazzino spavaldo sfiorire l'euforia per lasciare il posto allo stupore.

 

 

Il silenzio innamorato di Naruto Uzumaki.

 

 

Questo, sì, sarebbe stato il suo primo appuntamento.

 

 

Hinata! Hinata! Hinata! Hinata! Hinata! Hinata! la chiamavano Hanabi, suo padre, Neji-niisan, Kurenai-sensei, Kiba, Shino.
Lei opponeva al richiamo di tutte quelle voci ansiose un solo nome: Naruto, che pronunciato da lei era lieve e sognante come una parola detta in una lingua sconosciuta.

 

 

Ma non era andata così.

 

Non era stata colpa sua, ma quel passo aveva deciso di compiersi proprio quando non ci sarebbe stato ritorno.
In quel frangente non c'era stato tempo per pensare, c'era Naruto, c'era Pain e c'erano quegli occhi terribili, gli occhi dell'incubo, gli scheletri del villaggio distrutto e un sole che mangiava la pelle.

 

Aveva sentito il suo corpo morire, Hinata, ma non era morta, non ancora: aveva compiuto quel passo con lucidità e coscienza e, proprio come aveva immaginato innumerevoli volte, a quel passo erano seguiti naturalmente tutti gli altri.
Sorrideva scagliandosi contro Pain, perchè anche se non era andata come sperava, anche se non c'erano stati baci o languore o passeggiate insieme, e non c'era stato niente se non la sua dichiarazione, tutta sbagliata da come l'aveva pensata!, la sua prima frase senza balbettare e senza interrompersi a metà come faceva di solito, beh, non poteva sentirsi triste.
La tristezza è per gli stupidi, è per chi perde, diceva Kiba.
Non c'era nulla da rimpiangere, nulla, pensava mentre veniva scaraventata dieci metri più avanti e una lama le si conficcava nell'arteria femorale, rilasciando chakra che interferiva col suo e le impediva di azzardare qualunque tentativo di contrattacco.

Il dolore non è quantificabile con espressioni umane: lei si sentì un pezzo di carta sbriciolato da mille mani nervose, dure di muscoli e creudeli, stritolata e agonizzante in un cumulo di macerie.

 

Ma nulla. Nulla.


Qualunque cosa se lui vivrà.
Qualunque cosa, davvero.

 

Il rimpianto del suo "Ti amo" detto all'ombra della luna, come aveva sognato, era poca cosa in fondo.
E' persuasa che soltanto pochi istanti di un'esistenza siano vissuti veramente nel profondo, nel senso più pieno del termine che il suo spirito di ragazzina quindicenne possa concepire, perciò è sicura che i brevi, brevissimi secondi in cui ha protetto Naruto siano i soli attimi di un'intera vita che valgano la pena di essere ricordati, i soli attimi da tenere ben stretti nel mare buio dell'eternità.

 

Avrebbe voluto vederlo un'ultima volta. Lo avrebbe voluto con tutta se stessa, per scorgere almeno un barlume di quel primitivo stupore genuino vagheggiato dalle sue fantasie.
Ma forse è meglio che sia caduta subito e che la polvere le sia calata sugli occhi, non permettendole di vedere la Sesta Coda spuntare dal corpo incandescente di Kyuubi e le fiamme della Volpe nascondere il viso di Naruto, il viso che ha portato con nel suo brevissimo, effimero volo.
L'odore di bruciato, sì, quello l'ha percepito, ma non è riuscita a collegarlo a lui. E' meglio per lei che non debba sopportare anche questo dolore, adesso che sta morendo, adesso che gli ha detto di amarlo e che Pain l'ha schiacciata come l'insetto più ingnobile.
Evaporata in uno sbuffo di fumo.

 

 

Naruto.

 

Un sorriso ancora, sporcato dal sangue e dal nero della polvere.
Ma ormai non le importa più, perchè Hinata sorriderà per il resto del tempo che le resta.

 

Fin

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice
Leggete la strofa della canzone riportata e ditemi chi vi ricorda. Ditemi chi vi ricorda, avanti.
Io ho la mia teoria a riguardo, e ve la rivelerò.

 

 

Ringrazio chi ha recensito la HayateYuugao ovvero Cla, Chaos, Urdi e Topy, scusate se non rispondo a ciascuna delle vostre splendide recensioni ma sono di fretta, chiedo perdono! Devo smetterla di aggiornarla all'ultimo minuto e rispondere una volta sì e trecento no.
Comunque grazie, grazie davvero. Per le vostre parole, per la vostra lettura, per il vostro tempo.

 

 

Infine, io credo che Hinata sia ancora viva. Lo credo, lo spero, e anche se può sembrare che quest'infimo tributo finisca male, vedo sempre un barlume di speranza in quel sorriso finale. Me la sentivo di scrivere qualcosa per quanto successo nel capitolo 437, è la prima volta che vedo un gesto così grande e disinteressato nei confronti di Naruto e, sì, odio Kishimoto per aver usato in quel modo l'amore di Hinata, ma pazienza, tutto ciò che spero è che sia ancora viva. Si merita di vivere più di chiunque altro, adesso.
Null'altro da dire, vorrei aver reso giustizia, date le mie capacità, a quel personaggio. Grande, grande splendida piccola Hinata.

 

 

Grazie dell'attenzione,
Hipatya

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Capitolo 19
*** Crazy Love - bitterness doesn't stand a chance with those two. [MinatoKushina] ***


A Susanna,

A Susanna,
per gli inviti,
per Miho,
per il cappello al Lucca Comics,
per gli sfoghi e l'ascolto,
perchè quando ho finito di scrivere questa storia era il giorno del tuo compleanno,
perchè una volta mangeremo Hakata ramen tutte insieme, costi quel che costi.

Un mare di auguri!
Eleonora

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. Il secondo titolo e i versi disseminati qua e là nella storia sono di Crazy Love di Van Morrison, dunque il copyright va leggittimamente a lui :).

 

 

 

 

 

 

Bitterness doesn't stand a chance
with those two.

 

- CRAZY LOVE -

 

I can hear her heart beat for a thousand miles

And the heavens open every time she smiles...

 

 

C'era un sacco di vento ai Cancelli del villaggio, soffiava prepotente con una crudeltà inusuale per un giorno d'estate, faceva stringere gli occhi ai tre ragazzini che, in piedi davanti alle porte istoriate, sforzavano lo sguardo per vedere più lontano, distinguere qualcosa che s'avanzasse sul sentiero.
I granelli di polvere grigiastra si accanivano beffardi contro di loro, impedendo alla loro curiosità di trovare soddisfazione lontano, laggiù dove terminava la piccola salita che segnava l'inizio del tratto di foresta appartente a Konoha.
Il loro sensei, immobile di fianco a loro, non sembrava curarsi né del vento nè della polvere e taceva, le braccia conserte e lo sguardo fisso sulla linea dell'orizzonte, il volto stranamente severo, composto, che la polvere pareva non voler tormentare.
Namikaze Minato, dodici anni e mezzo, occhi azzurri da ladruncolo e una zazzera biondo stellare, Genin della Foglia da qualche mese e orgoglioso fino all'inverosimile di esserlo, incuriosito da una tale immobilità si chiese se per caso Jiraya-sama non si fosse addormentato. Con la coda dell'occhio sbirciò l'uomo, in piedi a pochi passi da lui, marmoreo e austero (?) come un monolite di roccia levigata, e impercettibilmente diede di gomito al compagno di squadra, Sato Ashitaka, che si trovava alla sua sinistra.
"Ehi" gli sibilò piano, "...Ma secondo te il vecchio, qui, dorme?"
"Namizake ti sento" interloquì il vecchio, senza alterare d'una virgola la sua imperscrutabile espressione controllata. Quasi quasi Jiraya-sama era preferibile quando sghignazzava, masticava con la bocca aperta, ruttava o faceva battute sulle ragazze, almeno non era terrorizzante come in quel momento, commentò fra sè e sè Minato.
Tuttavia i due ragazzini si zittirono immediatamente: Jiraya-sama lo chiamava per cognome solo quando era molto, molto nervoso e prossimo a una sfuriata epocale, perciò Minato deglutì facendo il minor rumore possibile e tornò a concentrarsi sul paesaggio, mordendosi la lingua pur di non lamentarsi per la polvere negli occhi.
Cinque minuti di piatta attesa trascorsero senza che un solo filo d'erba, di fronte a loro, si fosse spostato.
Snervato, Ashitaka sussurrò flebile:"Vedo... vedo... una carrozza tempestata di diamanti trainata da un elefante gigantesco!"
Hanajima Naoko, terzo membro del Team Jiraya, celebre per le sue risposte pungenti, ribattè:"E io di gigantesco vedo solo un idiota, qui alla mia destra!"
"Finitela, non cominciate a litigare come lattanti" rincarò la dose Jiraya alzando la voce di un tono, dato che l'accenno velenoso della sua allieva non gli era sfuggito.
I tre Genin serrarono le labbra e si fissarono i piedi, vagamente intimoriti, stretti nelle loro uniformi di gala, che prudevano ed erano eccezionalmente scomode. Minato si sentiva un bonzo fuori posto, dato che la palandrana arancione che Jiraya-sama gli aveva fatto indossare con la forza gli ballava addosso, tanto era magro. Si era chiesto più volte se quell'orribile kimono non fosse uno scarto antidiluviano del guardaroba stesso del loro sensei, anche perchè, frugando nelle ampie tasche, aveva ripescato la pagina strappata e accartocciata di un libretto che parlava delle cose interessanti che si possono fare con le ragazze, con tanto di vignette esplicative. Inutile dire che in due giorni il reperto aveva fatto il giro di tutti i Genin del villaggio.
C'era sempre qualche ragazzino che ghignava quando gli capitava di incrociare Jiraya, e l'uomo se ne chiedeva spesso il motivo, inutilmente.
Tuttavia, se i fratelli Uchiha l'avessero visto conciato in quel modo, riflettè Minato, avrebbero riso alle sue spalle per l'eternità e la sua reputazione sarebbe stata segnata, tutto il villaggio l'avrebbe chiamato "Piccolo Buddha" fino alla fine dei secoli.
E tutto per colpa dell'arrivo imminente della stupida delegazione di Uzu no Kuni e dell'ordine dell'Hokage di accogliere gli ambasciatori "in pompa magna".
Che buffa espressione, "in pompa magna". Lo faceva ridere.
Comunque non capiva dove stesse la connessione fra dare il benvenuto a qualcuno in grande stile e vestirsi come il bisnonno del daimyo, ma quando l'aveva fatto notare a Jiraya-sama era stato zittito con un colpo allo stomaco a sorpresa -sleale!- che l'aveva fatto tossire per mezz'ora.
Quelli di Uzu però erano in ritardo. E ritardo significava perdere altro tempo in luogo pubblico, esposto agli sguardi dei passanti, e conseguentemente aumentare di minuto in minuto il rischio di essere visto vestito in quel modo ridicolo da uno qualunque dei Genin di Konoha. Fugaku Uchiha nel peggiore dei casi.
Minato trattenne uno sbuffo esasperato e spostò il peso del corpo sul piede sinistro, dato che la gamba destra aveva cominciato a dar segni di voler cedere con un tremolio molto sospetto.
Avrebbe preferito uno scontro all'ultimo sangue con dodici ANBU nemici armati di tutto punto, in territorio sconosciuto e senza poter chiamare nessuno in aiuto, e quando Jiraya-sama aveva prospettato loro una collaborazione con Uzu no Kuni si era aspettato uno scenario non dissimile, invece si ritrovava intrappolato nella missione che più di ogni altra detestava: aspettare.
Così, d'istinto, decise che tutti quelli di Uzu gli stavano antipatici, dal primo all'ultimo, e dovevano anche essere dei gran cafoni maleducati se si facevano aspettare per delle ore, ehm, per delle mezz'ore intere.
"Maestro, vedo qualcosa!"
L'esclamazione sollevata di Naoko lo strappò ai suoi malumori. Jiraya agrottò le sopracciglia:"Che cosa? Una carrozza tempestata di diamanti trainata da un gigantesco elefante bianco?"
Naoko soffocò una risatina:"Sembra più una colonna di circa dieci ninja in marcia."
Ashitaka le mostrò la lingua di nascosto dal sensei, ma la ragazzina lo ignorò ostentando superiorità:"Mi sembra... quelle sono le insegne di Uzu, Maestro?"
"Sì, sono quelle" s'intromise Minato con aria di sufficienza. Si era ricordato di aver visto il disegno di quel vortice stilizzato sul libro di Storia dell'Accademia.
"Come il nostro saccente amico ti ha confermato, quella è proprio la delegazione del Villaggio del Turbine" Jiraya distese il volto in un sorriso quieto, "In perfetto orario!"
"Sono in ritardo di venti minuti abbondanti" lo corresse il ragazzino.
"Ho detto che sono in perfetto orario. Non trovi anche tu, Namikaze?" lo fulminò il maestro.
Oh, cavolo, di nuovo il cognome. Dev'essere più di una settimana che Jiraya-sama non tocca il sakè, altrimenti tutto questo nervosismo non si spiega.
L'uomo ricevette in risposta un grugnito afflitto, che preferì non commentare.
Riconobbe alla testa del gruppetto che si avanzava per il sentiero il volto rugoso e gioviale di Akinari, suo amico di vecchissima data e ambasciatore ufficiale di Uzu, il Jonin Speciale con cui aveva preso accordi per gestire la delicata, complessa missione che li aspettava. Gli si fece incontro e, una volta raggiuntisi, i due uomini si salutarono con uno scoppio di escalamazioni allegre e una serie di pesanti pacche sulle spalle, inframmezzate dalle usuali risate profonde di Jiraya-sama.
In un batter d'occhio si presentò agli altri quattro Jonin che componevano la delegazione, con particolare riguardo per le due kunoichi, e distribuì larghi sorrisi cordiali e destra e a manca, domandando le solite banalità sul viaggio e sulla situazione di Uzu, a cui fu data risposta altrettanto banalmente.
Minato alzò gli occhi al cielo: ecco come in poche mosse uno shinobi di tutto rispetto si trasformava in piazzista a domicilio.
Ashitaka e Naoko bisbigliavano commenti sull'aspetto dei ninja di Uzu e sulle loro facce mortalmente serie, ma d'improvviso tacquero, come fulminati.
"...E questa è la mia squadra di Genin, ci affiancheranno in missione sotto espresso ordine dell'Hokage" Jiraya-sama ancora seguitava a sorridere come sotto l'effetto di una paralisi facciale," Sono i migliori del loro anno, la loro collaborazione ci sarà utilissima, vedrete.
Su ragazzi, andiamo, presentatevi ai nostri compagni di Uzu!" concluse infine, con una vaga sfumatura minacciosa che i suoi allievi colsero immediatamente.
"Ragazzi" anzichè "mocciosi": un netto miglioramento. Jiraya-sama doveva tenerci molto a far bella figura.
Prima Naoko e poi Ashitaka, un poco vergognosi, si fecero avanti e spronati dalle occhiate eloquenti del loro sensei misero insieme una presentazione decente, che parve soddisfare Jiraya.
Arrivato il suo turno, stancamente Minato si mosse verso i suoi compagni e scrutò le otto paia di occhi incuriositi che di rimando lo fissavano, e che appartenevano a persone che dieci minuti prima aveva deciso di non sopportare. Sembravano simpatici, ammise, sperava lo fossero davvero.
"Ehm, mi chiamo Namikaze Minato, ho dodici anni e mezzo, mi sono diplomato Genin col massimo dei voti, vorrei entrare presto nella Squadra ANBU, mi piace il ramen e... e..." tentennò il ragazzino, senza sapere cos'altro aggiungere.
Fu in quel momento che lo sentì, e in un istante la sua espressione si fece gelida.
Un risolino soffocato.
Subito scovò gli occhi verdi e sfacciati a cui quella risata di scherno apparteneva.
"...E sono nato qui a Konoha, fin'ora ho svolto missioni con i miei compagni arrivando al livello B e il mio posto preferito al villaggio è la terrazza sopra casa mia."
Non si era sbagliato: era stata proprio lei.
Occhi Verdi, occhi posati su un viso rotondo, sopra un naso piccolo e dritto e la smorfia impudente di chi non riesce a trattenere le risa, lo fissava dritto in viso senza provare neppure a nascondere il divertimento.
Offeso, Minato tacque e si dispose vicino ai compagni di Squadra, riservando alla ragazzina di Uzu un'occhiata torva.
Che c'era di così divertente in lui? Se Jiraya-sama non fosse stato nelle immediate vicinanze, avrebbe cercato l'appoggio di Ashitaka e Naoko per rendere il favore ai Genin stranieri. Cercava guai, Occhi Verdi? Minato Namikaze era il miglior Genin della Foglia e nessuno si era mai permesso di sfotterlo così impunemente. Di sicuro quella lì non valeva una cicca, lui sarebbe diventato Chuunin prima che lei avesse avuto il tempo di sbattere le ciglia su quei suoi occhioni verde foglia.
Ma l'attenzione di Minato fu di nuovo catturata da una terribile, terribile frase di Jiraya-sama, pronunciata con così tanta naturalezza da sbalordire:"Ragazzi, spero che vogliate essere gentili coi nostri ospiti di Uzu e far loro compagnia, insomma, siate amichevoli, mostrate loro il villaggio e fateli sentire come a casa, d'accordo?"
Il tono da padre amorevole non li ingannò: lo sguardo di Jiraya era una condanna, non lasciava scelta.
I tre furono costretti ad annuire, chi con energia chi con enorme sconforto.
"Bene, bravi marmoc- ehm, bravi ragazzi. Adesso accompagneremo i nostri amici di Uzu al Palazzo dell'Hokage e poi alla foresteria, dove alloggeranno per queste tre settimane.
Sapete, Konoha in questo periodo dell'anno è davvero graziosa..." e Minato smise di ascoltarlo, l'elenco delle delizie primaverili del villaggio lo lasciava indifferente.
Aveva appena realizzato che sarebbe stato mille volte più difficile non farsi notare vestito così, attraversavando Konoha con una delegazione di otto ninja armati al seguito e alle dieci del mattino. Sgomento, sospirò.
Fugaku Uchiha l'avrebbe preso in giro fino alla fine dei secoli.
"Pssst, ehi tu... bel completino!"
La risata sghignazzante che seguì gli fece rizzare i peli sulle braccia.
Occhi Verdi, poco dietro di lui, nascondeva il viso paffuto nel dorso della mano e fingeva disinvoltura in un modo così evidente da far saltare i nervi.

 

Sì, Minato Namikaze odiava ferocemente la gente di Uzu.
 

 

And when I come to her that's where I belong

Yet I'm running to her like a rivers song

 

 

"Siate gentili con i nostri ospiti, fateli sentire a casa!"

 

Sì, gentili un benemerito piffero.

 

Dopo una settimana di convivenza forzata coi ninja di Uzu, Minato era giunto alla conclusione che il Paese del Turbine era un posto orribile, da cui avrebbe dovuto tenersi alla larga per il resto della sua lunga vita.
Oddio, a ben vedere il suo problema riguardava una parte piuttosto ristretta di Uzu no Kuni, una parte infinitesimale che non aveva nulla a che fare col villaggio in sè o coi suoi shinobi, ed era rappresentata per la precisione da una sola persona: Kushina Uzumaki.
O per meglio dire Occhi Verdi.
Era insopportabile, semplicemente insopportabile, era molto peggio di qualunque femmina petulante avesse mai incrociato la sua strada.
Erano stati in missione per tre giorni (purtroppo non c'erano stati nè ANBU nemici né scontri mortali all'ultimo sangue ma la solita, banale banda terroristica pluri-ramificata da sgominare) e lei si era sempre impegnata per correre più veloce di tutti e davanti a tutti, non aveva mai fiatato per una scheggia di legno in una mano, per la polvere negli occhi o per altri incidenti del genere, aveva sopportato a denti stretti il fango nei capelli, gli insetti che le strisciavano a qualche centimetro dal viso, i vestiti zuppi di pioggia e le marce forzate interminabili, anche quando Naoko, pallida in viso, incespicava e con le labbra bluastre chiedeva l'acqua.
Inoltre trattava i suoi compagni di Squadra come i suoi personali schiavetti, e anche Ashitaka era sulla via di diventarlo.
Minato era stato sul punto di provare stima e ammirazione nei suoi confronti, ma la ragazzina si era rivelata odiosa e impertinente a ogni suo tentativo di essere amichevole con lei.
Lo chiamava Abate Shintoku, tanto per cominciare, alludendo a quel dannato kimono arancione che lui aveva indossato il giorno del loro arrivo.
Secondariamente, la sua lingua biforcuta era assai peggiore di quella di Naoko, riusciva a spiazzarlo e al contempo a umiliarlo ogni volta che lui le rivolgeva la parola, anche solo per chiederle se aveva ancora kunai di riserva o se gliene serviva qualcuno.
Terzo punto, Ashitaka e Naoko l'adoravano.
Jiraya-sama l'adorava. Akinari-san l'adorava. Praticamente tutto il villaggio stravedeva per quella simpatica ragazzina dai capelli rossi e gli occhi scaltri di volpe, tranne lui.
Il terzo giorno in missione, strano ma vero, correndo a perdifiato Occhi Verdi era inciampata, era rovinata a terra e si era storta la caviglia, sospettava Minato. Quella radice nodosa era nascosta da un ciuffo d'erba alta e nessuno avrebbe potuto scorgerla ed evitarla in tempo, perciò, poichè correva poco dietro di lei, era stato il primo a fermarsi per aiutarla a rialzarsi.
"Faccio da sola" aveva sbottato invece la Uzumaki con lo sguardo che lampeggiava di sdegno, e un secondo dopo si era tirata in piedi, rassettandosi la tuta da ninja macchiata d'erba, agile e scattante come prima. Anche se un angolo delle labbra le si era piegato all'ingiù, forse come incontrollata manifestazione del dolore.
"Hai bisogno di una fasciatura? Chiedo una pausa di dieci minuti?" aveva insistito Minato, memore della ferrea Regola Caviglie-Polsi-Spalle-Dita, che prescriveva di non ignorare mai contusioni alle articolazioni in missione.
"Ho bisogno che tu ti faccia gli affari tuoi subito, io sto benissimo!" gli aveva quasi abbaiato contro lei.
Seccato, Minato aveva ripreso a marciare senza più degnarla di una sola parola.
Jiraya-sama doveva aver intuito qualcosa dato che, quando Kushina veniva nominata per caso chiacchierando con Ashitaka o con Naoko, lo guardava sempre in modo strano.
L'importante comunque era che il suo rimanesse un innocente sospetto e non si tramutasse mai in certezza, altrimenti la sua vita avrebbe avuto una dolorosa e agonizzante fine.
Quel pomeriggio però Minato si era accordato con Naoko e Ashitaka per fermarsi a pranzare insieme al chiosco di Ichiraku, visto che l'indomani sarebbero stati impegnati nella seconda parte della missione e si sarebbero rimessi in viaggio verso i confini delle Terre del Fuoco. L'idea di una scodella di ramen fragrante e gustosa davanti ai suoi occhi lo faceva camminare più rapidamente del solito, con lo stomaco che di tanto in tanto gorgogliava impaziente e l'acquolina in bocca.
La vista dell'Ichiraku Ramen in fondo alla piazzetta gli provocò un genuino sussulto di gioia; aveva passato la mattinata ad allenarsi ad una nuova tecnica strabiliante con Jiraya-sama, che l'aveva materialmente fatto a pezzi, e non vedeva l'ora di rinfrancare lo spirito (e il corpo) con la prelibatezza sopraffina del ramen.
Non aveva più visto i tizi di Uzu dalla settimana precedente, quando avevano completato la prima parte della missione, e non poteva esserne più contento, né desiderava affrettare l'arrivo del giorno successivo, quando sarebbe stato di nuovo costretto a "godere" della squisita compagnia di Kushina Uzumaki, altresì detta Occhi Verdi.
Il cielo era terso, il venticello piacevole, il sole rotondo e splendente sopra la sua testa, il ramen fumante a pochi metri da lui. Niente avrebbe potuto rovinare quel pranzo coi suoi compagni di Squadra.
Tranne una cosa.

"Ehilà, ciao ragaz..." Minato aveva esordito con un sorrisone smagliante di quelli che facevano svenire la metà delle ragazzine dell'Accademia, ma non appena si accorse di chi sedeva accanto a Naoko la voce gli si fermò in gola.

 

Lei.
Kushina Uzumaki.

 

"Ciao Minato!"
"Buondì!"
"Ehi, come va?"
"Ti stavamo aspettando, Namikaze!"
"Mancavi solo tu, ritardatario!"
"Ho fame, per fortuna che sei arrivato!"
"Ehilà!"
"...Salve."

 

La felicità di Occhi Verdi era palpabile. Permeava l'aria come le esalazioni di un veleno.

 

L'invito, notò Minato, era stato esteso a un altra Squadra di Genin che conoscevano: Shikaku Nara, Choza Akimichi e Inoichi Yamanaka, a cui si erano unite due ragazzine dell'Accademia, amiche fidatissime di Naoko: Yoshino Amane e Tsume Inuzuka.
Minato era sicuro di piacere almeno un pochino a Yoshino, ogni volta che le parlava lei lo fissava sempre dritto negli occhi, e poi non lo insultava mai, a differenza di come faceva con Shikaku, che veniva quotidianamente flagellato a suon di improperi.
Ashitaka si spostò per fargli posto sulla panca e, approfittando di una distrazione , gli sussurrò:"E' stata un'idea di Naoko."
"Grandioso" commentò atono Minato.
"Ci siamo allenati con lei sta mattina e quindi..." cincischiò l'altro guardando altrove.
"VisieteallenaticonLEI?" sibilò Namikaze sgranando gli occhi. Ebbe l'impressione che il suono della sua voce si facesse in qualche modo stridulo, né potè fare a meno di reprimere la smorfia nervosa che gli si dipinse sul viso.
Ashitaka, per stemperare la tensione, si volse verso Naoko con un sorriso smagliante:"Allora, ordiniamo?"
Shikaku Nara, Choza Akimichi e Inoichi Yamanaka avrebbero ricordato per tutta la vita il gelo polare che si distese in mezzo a loro nell'istante in cui, all'unisono, Minato Namikaze e Kushina Uzumaki proclamarono raggianti:
"Per me Hakata ramen!"
Prima di voltarsi di scatto l'uno verso l'altra, gli occhi ridotti a fessure e lo sguardo improvvisamente combattivo.
Tsume Inuzuka, insensibile o indifferente all'atmosfera tesa, rise con una scrollata di spalle:"Avete qualcosa in comune!"
"Pare proprio di sì" si lasciò sfuggire Kushina gelida, incrociando le braccia sul ripiano del tavolino.
"Stà attenta quando ti guardi allo specchio, eh" le suggerì il ragazzino biondo altrettanto freddamente, "Potresti pietrificarti."
Nonostante i ghignetti sardonici di Shikaku e Inoichi avessero rinvigorito un poco il suo orgoglio bistrattato, Minato non riuscì a essere tronfio come la situazione richiedeva: sia che una persona lo meritasse o meno - e nel caso di Kushina Uzumaki i motivi per agire così erano innumerevoli -, Namikaze Minato odiava dover trattar male qualcuno, difatti quasi subito subentrò l'immancabile senso di colpa.
Kushina, dopo aver incassato la frecciata, lo fissava sdegnata, l'esile schiena dritta e fiera e la posa da ragazzina seccata, ma non per questo meno testarda.
"Ehm, Minato, vai tu a dare le ordinazioni? Dopotutto conosci molto bene Teuchi-sama" propose in tutta fretta Yoshino, come a voler salvare capra e cavoli.
Minato annuì, stranito. Metà del suo cervello registrava e memorizzava le scelte dei suoi amici, mentre l'altra metà analizzava la breve frase di Amane Yoshino: c'era qualcosa, anche se non riusciva a mettere bene a fuoco cosa, che stonava nell'insieme, quasi fosse la nota stridente nel sottofondo di una melodia di per sè gradevole.
Poi, d'un tratto, capì.
E perse il filo delle ordinazioni, perchè il problema che gli si era svelato davanti agli occhi richiese categorico tutta la sua attenzione.
Per qualunque ragazzina del villaggio, anche per Naoko, lui era sempre stato Minato-kun.
Ma adesso quel suffisso era misteriosamente sparito.
Ossignore, realizzò guardando Kushina, la santa alleanza fra Uzu e Konoha è appena cominciata.
Si avviò al banco da Teuchi-sama col passo incerto di un morto vivente, tanto che dovette ripetere due volte l'elenco delle ordinazioni: la prima volta se ne dimenticò una metà e ne confuse un'altra. Teuchi, un ragazzotto di poco meno di trent'anni, si grattò la nuca perplesso vedendolo in quelle condizioni e gli chiese dubbioso se andava tutto bene.
"Benissimo" ringhiò Minato, "Meglio di così..."
Dopo un quarto d'ora il loro tavolo fu invaso da una flotta di scodelle, ciotole, zuppiere e piatti ricolmi di leccornie fumanti. Choza Akimichi, il cui appetito era già leggendario per tutti i ristoratori del villaggio, quel giorno aveva deciso di fare onore alla cucina dell'Ichiraku.
Davanti alle facce sconvolte dei ragazzini, Choza dichiarò con candore:"Non vi preoccupate. Mio papà mi ha dato la paghetta proprio oggi."
Uno scoppio di risate infantili accompagnò la sua affermazione.
Tutti quanti comunque si gustarono il pasto con particolare appetito; Minato si sentì rinascere disciogliendo in bocca i morbidi spaghetti conditi con verdure, funghi, salsa beni shoga e carne freschissima, e riuscì perfino a dimenticarsi che stava pranzando a pochi passi dal Nemico e che tutti i suoi amici sembravano aver dimenticato la Sua pericolosità, facendolo sentire ancora più stupido -e patetico.
"Quanto ti fermerai qui, Kushina-san?" le chiese in quel momento Inoichi.
"Altre due settimane" gli rispose lei, ripulendosi gli angoli della bocca dai semi di sesamo, ingrediente fondamentale dell'Hakata ramen.
"E... ti piace il posto?" Insinuante, Inoichi Yamanaka le aveva appena fatto l'occhiolino. Minato si sentì cadere le braccia.
"Io, ecco..." Kushina si sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, e per la prima volta parve incerta su quale risposta dare:"...Uhm, credo di sì" ammise infine riluttante, lanciando un rapido sguardo all'altro lato del tavolo.
Minato alzò gli occhi dal piatto, il viso rischiarato da un'ingenua sorpresa:"Davvero ti piace Konoha?"
Kushina, inespressiva, ricambiò il suo sguardo:"Konoha sì" precisò, e meravigliando persino se stesso Minato pensò che, quando non si comportava da spaccona, Occhi Verdi poteva quasi sembrare carina.
"Le persone un po' meno."
No, toppato in pieno: era sempre la solita, non c'era nulla di cui stupirsi.
"Alcune persone" le sorrise incoraggiante Naoko.
"Alcune" ripetè Kushina roteando gli occhi.
"Nessuno che si trovi a questo tavolo, voglio sperare" tentò conciliante Ashitaka, ormai calato nel ruolo di paciere.
La ragazzina sbuffò, infastidita, e la sua voce divenne scoppiettante come un filo elettrico:"No, nessuno di questo tavolo, e non ho nessun problema con chi è di Konoha, lo dicevo... lo dicevo per dire."
"Non devi dirlo comunque, anche se non dicevi sul serio. Potresti far restare male qualcuno." Minato sapeva che, quando assumeva l'aspetto del piccolo saggio dai giganteschi occhi innocenti era molto, molto difficile resistergli. La sua arma migliore funzionò anche questa volta, perchè Kushina aveva distolto lo sguardo da lui facendolo vagare altrove, irritata ma consapevole di avere torto e, se lui non si stava sbagliando, c'era un leggero velo di imbarazzo sulle sue gote. Ecco, se stava zitta e manteneva quel broncio stizzito poteva diventare almeno un po' carina, avvicinandosi ai canoni delle ragazzine normali.
Kushina Uzumaki non sopportava di essere in torto, e sopportava ancora meno di essersi ficcata nel torto con le sue stesse mani, perciò rimase in silenzio senza aggiungere una parola, il piede sinistro che ritmicamente batteva il tempo sul selciato della piazza e una mano chiusa a pugno sotto il mento, come se stesse riflettendo.
Non voleva dire a quei bimbetti che in fondo, molto molto molto in fondo, era la prima volta che stava così a lungo lontano da casa e ne sentiva un pochino la mancanza, perchè desiderava mostrarsi più forte e più matura di quei due pappamolla di Yukiko e Satoshi che piagnucolavano sempre parlando di Uzu, e sapeva che, se ci avessero creduto gli altri, ci avrebbe creduto anche lei stessa. Soprattutto non voleva dirlo al Ragazzino: qualcosa in lui, un presentimento, una sensazione, la spingeva a tenerlo ben lontano, e non c'era modo migliore di farlo che prendendolo in giro a ogni occasione.
Oltretutto era divertente!
Un rutto clamoroso di Choza fece precipitare il tavolo in un nuovo turbine di risate irrefrenabili, e per dieci minuti i Genin non furono in grado di articolare una sola frase di senso compiuto, avvinti com'erano dal demone della ridarella.
"Era fortissimo! Secondo me il vento è cambiato" Tsume Inuzuka si inumidì la punta del dito e lo innalzò verso l'alto, scatenando un'altra ondata di risa. Un attimo dopo tutti la imitarono e sette indici di ragazzini frugarono curiosi in mezzo al cielo azzurro.
"Secondo me tutti i vetri del villaggio hanno tremato" sostenne Naoko, asciugandosi con un fazzoletto gli occhi che lacrimavano per il troppo ridere.
"Tremato?! Mia madre si starà disperando per il servizio buono polverizzato!" ribattè Inoichi, mollando una sonora pacca sulla schiena del corpulento compagno di Squadra.
"Su, non la fate così tragica, ho soltanto..." iniziò Choza.
"Soltanto?" chiesero i sette in trepida attesa.
"...Soltanto rinnovato un po' l'aria."
E furono di nuovo sopraffatti dalle risate. Si ripresero solo parecchi minuti dopo, quando l'addome cominciò a far male dal tanto sghignazzare.
Sbadigliando, Kushina si passò una mano sullo stomaco pieno, che premeva sull'orlo della tuta da ninja:"Questo ramen mi ha davvero saziata. Aaah, che buono. Cucinate davvero bene, voi di Konoha."
Minato, sovrapensiero, mormorò:"Io invece ne mangerei altri due piatti."
La Uzumaki drizzò le orecchie:"Due piatti, eh? Io tre."
Anche Minato si riscosse e gridò al proprietario del chiosco:"Teuchi-sama, altri sei Hakata ramen al nostro tavolo, grazie, tre per me e tre per lei!" dopodichè ricambiò con ironia lo sguardo di sfida di Kushina.
"A Uzu mangio quanto un uomo" fece lei con orgoglio.
"Combatti anche come un uomo. Sei sicura di essere davvero una femmina?" replicò pronto Minato.
Kushina fece cadere un pugno terribile sul tavolo e scattò in piedi, latrando:"Altre quattro porzioni, Teuchi-sama! E vedremo allora se tu non sei una femminuccia e riuscirai a battermi!" Sul suo viso balenò un sorriso sinistro, quasi famelico.
Gli altri, ammutoliti, si guardarono orripilati, mentre in tutti loro prese forma l'identica, drammatica consapevolezza: era la fine.
Inoichi, dopo un rapido calcolo, si alzò in piedi sulla panca e declamò a gran voce:"Io scommetto 10 a 1 su Kushina-san! Chi è con me? Fatevi sotto, signori e signore!"
Due posti più in là, anche Shikaku si alzò sulla panca e pose un piede sul tavolo ingombro di ciotole vuote:"Io punto cento yen su Minato Namikaze! Volete scommettere che vince lui? Sosteniamo Konoha!"
Naoko e Ashitaka disorientati si fissarono, consci della rispettiva impotenza: se Minato si metteva in testa qualcosa, era quasi impossibile farlo desistere dal suo proposito, e Kushina sembrava altrettanto cocciuta, se non di più. A loro sarebbe toccato raccogliere il cadavere, e soprattutto pregare fervidamente che Jiraya-sama non venisse mai a conoscenza della sfida, altrimenti potevano già considerarsi Genin morti.
Nel frattempo Choza Akimichi, che in competizioni culinarie aveva una certa esperienza, si pose in mezzo ai due avversari e stese di taglio il braccio destro:"Le regole sono semplici ed elementari," cominciò:"Prima regola: vietato lasciare qualcosa nel piatto. Seconda regola: vietato imbrogliare o buttare qualcosa sotto il tavolo o far mangiare qualcun'altro al posto vostro approfittando di un'eventuale distrazione dei giudici. Terza regola: vietato ingoiare, dovrete masticare tutto quello che mangerete. Quarta regola: il primo che non riesce a finire la sua porzione ha perso."
Minato e Kushina, nel medesimo istante, annuirono, mentre la ragazzina si fece prestare un cordino da Tsume per legarsi i capelli sulla nuca.
Teuchi, preoccupato, arrivò al tavolo traballando con le prime quattro scodelle e, incredulo, chiese se ne volevano sul serio altre quattro. All'irruenza dei due Genin, che per poco non gli saltarono alla gola, dovette battere in ritirata verso la cucina e cominciare di buona lena a impastare, mentre il pensiero del conto salato che avrebbe fatto pagare a quei viziatelli si fece pian piano strada in lui.
A quel punto Choza, la mano ancora stesa di fronte a Kushina e Minato, contò:"Tre... due... uno... VIA!" dopodichè la sollevò di scatto, segnando l'inizio ufficiale della gara.
Simultaneamente i due ragazzini si gettarono sulla scodella di ramen che avevano sotto il naso e presero a divorare con furia boccone su boccone, incitati dal tifo sfegatato degli amici e dall'incasso del banco scommesse che cresceva di attimo in attimo.
Inoichi tentò di favorire Kushina levandole un po' di ramen da una ciotola e ne rovesciò metà contenuto per terra, ma Choza se ne accorse subito, lo allontanò con uno spintone e ordinò un altro piatto di Hakata ramen il più presto possibile, dato che a suon di bacchette i due concorrenti ne avevano già vuotato una scodella.
Erano velocissimi: avevano il diavolo dentro, sembravano accaniti come se da quell'impasto di spaghetti fosse dipesa la loro sopravvivenza. Si battevano con la stessa energia che avrebbero adoperato in uno scontro corpo a corpo, se non di più, ed erano agguerriti quasi si lanciassero shuriken e pugnali invece di sguardi omicidi.
A vederli così, erano spaventosi. E anche piuttosto rivoltanti, ricordava lo stomaco di Naoko.
Minato sentiva le mascelle irrigidirsi mentre un forte sapore acido gli ristagnava sul fondo della gola, ma piuttosto che arrendersi avrebbe svuotato l'intera dispensa di Teuchi-sama. Si costrinse a trovare altro spazio vuoto nel suo stomaco e sferrò l'attacco alla successiva ciotola di ramen, con notevole sprezzo del pericolo e ignorando i numerosi segnali d'allarme che la parte inferiore del suo corpo gli inviava.
Anche Kushina dal canto suo aveva cominciato ad avvertire un lieve malessere alla bocca dello stomaco, aveva perso la sensibilità delle dita della mano destra a forza di impugnare le bacchette e non percepiva neanche più il gusto di ciò che mangiava, indaffarata com'era a ripulire il suo piatto più rapidamente possibile. Una cosa però continuava a esserle ribadita con insistenza dalla sua coscienza: lei non mangiava come un uomo adulto, mangiava come una normale Genin di dodici anni dall'appetito robusto e dallo stomaco di dimensioni abbastanza capienti, ma non illimitate. E questo limite si stava avvicinando boccone dopo boccone.
L'ondata di odio che la investì e che riversò su Namikaze fu però così intensa che le diede la forza di far sparire anche gli ultimi bocconi dal suo secondo piatto e avventarsi ferocemente sul terzo.
A metà della terza porzione consecutiva di ramen, esclusa quella che aveva mangiato per pranzo, Minato aveva perso la quasi totalità delle sue percezioni sensoriali, mentre la sola azione di arrotolare gli spaghetti intorno alle bacchette e portarseli alla bocca gli costava una fatica terribile, come se stesse sollevando una montagna. Nel profondo della densa salsa torbida cosparsa di semi di sesamo, il bambino scorse un intero brulichio di spaghetti untuosi che avrebbe dovuto ancora mangiare, nonostante stesse diventando sempre più difficile aprire e richiudere la bocca.
Aveva il mento imbrattato di sugo, una sete terribile e neppure il tempo di mandar giù un sorso d'acqua o pulirsi ma, cosa ancora peggiore, si sentiva strano.
All'altezza dello stomaco aveva come una catena di chodi arroventati tutta ritorta su se stessa, che pungeva graffiava e si allungava a ogni morso di ramen. A ogni movimento del suo corpo, per quanto fosse leggero e impercettibile, la catena si spostava con lui emettendo un brontolio sordo, minaccioso, simile a un tuono soffocato.
Quando Minato con un respiro profondo tentò di obbligare il suo corpo a ingerire un'altra esorbitante quantità di cibo, la catena di chiodi appuntiti gli stritolò lo stomaco in una morsa ferrea: la fronte gli si imperlò di gocce di sudore, mentre soffocava un mugolio strozzato, le bacchette gli caddero di mano e lo sguardo, vacuo, lottava per risalire dalle profondità oleose del ramen.
Si rese conto di colpo che stava per vomitare anche l'anima e che niente, niente al mondo sarebbe stato capace di trattenere la schiuma acidula che impazzita gli sciabordava nello stomaco.
Doveva alzarsi da lì e farlo di corsa, se non voleva rifare la faccia a Occhi Verdi e a chi le sedeva vicino.

"Scusate, io..." farfugliò, la voce flebile, mentre senza sapere come riuscì a liberarsi della panca e a mettersi in piedi:"...Non mi sento molto bene."
Che era un eufemismo, dato che si sentiva come dopo aver sbattuto la nuca contro un blocco di cemento.

Barcollando zigzagò lungo la piazza, tenendosi lo stomaco, gli occhi accecati dal riverbero del sole e la mente dai rari sprazzi di lucidità che l'attraversavano. Aveva le gambe di gelatina e l'addome straziato da violenti sussulti che riusciva a dominare con estrema fatica, sentì che avrebbe vomitato là in mezzo entro un secondo se non... Ehi, quelli, cespugli, aiuole, laggiù!

Si diresse più svelto che potè verso il piccolo quadrato d'erba e siepi di rododendro che separava la piazza da una delle stradine d'accesso laterali, allungò il passo e col piede sfiorò il bordo curato dell'aiuola, ormai certo di essere salvo, ma una disperata spinta inaspettata lo colse impreparato e lo fece cadere di schiena sul selciato roccioso.
Un miraggio rosso fuoco: Kushina, il viso quasi del colore dei suoi occhi, l'aveva superato e si era buttata a capofitto nel cespuglio che lui aveva scelto per svuotare lo stomaco.
Il pensiero inizialmente lo divertì, poi la catena arroventata nella sua pancia diede lo strattone definitivo e, in ginocchio, a Minato toccò espellere quattro porzioni e mezzo di Hakata ramen di fianco a Kushina Uzumaki.

 

She's got a fine sense of humor when I'm feeling low down

And when I come to her when the sun goes down

 

 

Minato Namikaze e Kushina Uzumaki erano rimasti fino a tarda notte all'Ichiraku, asserragliati nella minuscola cucina del locale e circondati da torri di piatti sporchi che Teuchi-sama aveva ordinato loro di far risplendere come cristalli purissimi, se volevano saldare il loro conto astronomico senza che lui si presentasse dai loro Maestri.
Sulle prime i due eterni avversari si erano urlati contro le peggiori cattiverie, lo stomaco distrutto dalla loro bravata e la bocca devastata da un gusto amarognolo che non se ne andava neanche dopo un litro d'acqua, ma quando Teuchi, richiamato dalla confusione, li aveva rimessi al lavoro con due urli e uno scapaccione -a Minato-, si erano rassegnati a collaborare, per arrivare almeno a una cooperazione pacifica, visto che si erano messi nei guai da soli.
Decisero di comune accordo che, nelle ultime due settimane in cui Kushina sarebbe rimasta a Konoha, non avrebbero mai più battibeccato in modo così stupido e si sarebbero sfidati solo al ninjutsu come allenamento, perchè i loro Maestri non sospettassero alcunchè.
Kushina, riluttante, si era scusata, e così aveva fatto Minato che, guardandola di sottecchi con le braccia esili immerse fino al gomito nell'acqua insaponata mentre canticchiava una vecchissima ballata popolare, aveva pensato che forse, a piccolissime dosi, Occhi Verdi non era male, anzi, poteva quasi essere simpatica e divertente.
Avevano passato tutto il pomeriggio avvolti dalle vampate soffocanti che salivano dalle pentole di ramen bollente, dall'aroma penetrante delle numerosissime spezie che erano il segreto dei piatti di Teuchi-sama e dallo sciabordio dell'acqua del lavello, le loro tute erano ridotte a uno schifo e quasi quasi Minato avrebbe preferito indossare la palandrana arancione di Jiraya-sama, sarebbe stato ben più presentabile che con lo straccio umido e puzzolente di ramen che indossava, ma vedere com'era ridotta la Uzumaki lo consolava.
I capelli appiccicati, i pantaloncini della tuta macchiati di qualcosa che sospettava fosse da ricondurre all'esito della loro simpatica sfida, la maglietta fradicia perchè, nel tentativo di schizzarlo, si era rovesciata addosso una ciotola mezza piena di salsa di soia.
Conciata così non era più Occhi Verdi, era la Piccola Fiammiferaia, e gliel'aveva ripetuto per circa mezz'ora, prima che lei lo minacciasse brandendo una lungo arnese ricurvo per modellare la pasta.
Ripensandoci, Minato camuffò una risatina con un colpo di tosse, poi sospirò. Era il trecentesimo piatto che asciugava, ma ormai non sentiva più la fatica.
Si stiracchiò, approfittando di una pausa tra un piatto e l'altro:"Mmmh, menomale che oggi a Jiraya-sensei non è venuta voglia di ramen!" affermò con un leggero sorriso.
Kushina non replicò, gli passò un altro piatto bagnato e il giovane Namikaze si industriò per asciugarlo in un batter d'occhio:"E tu?" proseguì vivace, "Non dovevi allenarti con la tua Squadra?"
"No, oggi avevamo la giornata libera" rispose la ragazzina porgendogli l'ennesimo piatto.
"Sì ma... non avete un orario in cui dovete essere alla foresteria? Una specie di coprifuoco?"
"Certo, e l'ho superato da un bel pezzo" proclamò soddisfatta Kushina, ripulendosi col dorso della mano da uno sbaffo di detersivo sulla guancia.
Minato parve confuso:"E non ti faranno una paternale per questo?"
Gli occhi di Kushina brillarono, lasciò andare la scodella che stava scrostando e guardò a lungo il compagno di sventura:"No, perchè io gli dirò che..." fece una pausa a effetto che fece sbuffare il suo pignolo interlocutore, ma poi esclamò giubilante:"...Avevo un appuntamento con TE!"
A Minato sfuggì il piatto che aveva fra le mani e fu solamente merito dei suoi riflessi se non si infranse a terra, mentre le sue gote in pochi secondi divennero incandescenti:"CHE COSA?! Non pensarci neanche!" ululò.
"...Preferisci forse che gli dica la verità, così che la riferisca subito a Jiraya-sama?" propose allora un'innocente Kushina sbattendo le lunghe ciglia.
Namikaze si morse la lingua e tacque. Quella piccola sfacciata l'aveva in pugno, era caduto nella trappola con tutte le scarpe.
Mai più abbassare la guardia, mai più sottovalutarla, mai più fidarsi di Kushina Uzumaki. M-A-I.
"Vedo che ci intendiamo alla perfezione" ridacchiò sotto ai baffi lei, riprendendo a sciacquare la scodella.
"Strega" ribattè lui in tutta risposta.
"Pollo. Non ti devi fidare delle persone" imperturbabile, Kushina gli passò la scodella lavata.
"Non mi devo fidare delle persone meschine, approfittatrici, casiniste, che vengono da Uzu e che rispondono al nome di Uzumaki Kushina" Minato impilò la scodella insieme alle altre con più energia del dovuto, rischiando di sbeccarla.
La ragazzina roteò gli occhi:"Dei santissimi, che pesantezza! Sembra di parlare con un fossile! Intendevo dire che... oh, insomma" borbottò scuotendo il capo:"Comincio a incartarmi con le parole ed è solo colpa tua, Namikaze. Volevo dire che non è una cosa negativa fidarsi delle persone; però lo è fidarsi troppo. Dovresti farti valere ogni tanto.
Con questo non ho alcuna intenzione di cambiare idea, eh, dirò ad Akinari-sensei che sono uscita con te, è un'idea semplicemente perfetta" specificò infine con tono ovvio.
Minato asciugava un piatto dopo l'altro, meditabondo e assorto: era la prima volta che sentiva Occhi Verdi Uzumaki parlargli senza sarcasmo né ironia gratuita, ed era anche la prima volta che qualcuno indirettamente gli dava dell'arrendevole. Cavolo, lui non era mai stato arrendevole con nessuno, era rispettato da tutti i ragazzini del villaggio e godeva della massima stima presso tutti i Maestri e i Jonin e sapeva per certo che il responsabile della divisione ANBU si augurava di averlo presto tra i suoi. Diamine, l'Hokage ogni tanto si fermava a chiacchierare con lui! E a settembre avrebbe partecipato agli Esami di Selezione per i Chuunin, ne aveva parlato con Jiraya-sama e anche lui l'aveva giudicato pronto per sostenerli e passarli.
Troppo fiducioso lui? Ma quando mai! Come poteva averle dato quest'impressione?
...Amenochè, gli suggerì infido il suo subconscio, non lo fosse solo con lei.
"Quando torniamo dalla missione ci alleniamo tutti insieme?"
"Eh?" si riscosse lui.
"Terra chiama Namikaze, pronto, mi senti? Sveglia, non è il momento di dormire! Ti sfido a un combattimento ad armi pari nei campi dietro la casa di Naoko, ci stai?" lo scosse violentemente per le spalle un'esaltatissima Kushina:"Tutti dicono che sei un genio e voglio proprio vedere se è la verità. Scommetto che ti batto!"
Minato arricciò il naso con una smorfia:"Non mi piace picchiare le femmine."
"SCEMO!"
Un attimo dopo gli arrivò dritta in faccia la spugnetta imbevuta di detersivo con cui La Maledetta Occhi Verdi stava lavando i piatti.
"La prossima volta te la faccio mangiare quella spugna, tò, e vedremo chi è la schiappa, Namikaze!" strillava Kushina invasata; cinque secondi e mezzo dopo si stavano già schizzando a vicenda con l'acqua insaponata del lavello, ridendo come matti.

 

Take away my trouble, take away my grief

Take away my heartache, in the night like a thief

 

 

Non lo sapeva ancora, Minato Namikaze, che quella ragazzetta iperattiva e testarda sarebbe diventata la madre di suo figlio e la donna che avrebbe amato più della sua stessa vita.
Nè Kushina Uzumaki sapeva che, col passare del tempo, Konoha le sarebbe piaciuta sempre di più.

 

 

 

 

Fin

 

 

 

 

Nota dell'Autrice
Prima classificata al Contest "MinatoKushina Genin" indetto da Mala Mela e Rory_chan.
Questo il bannerino lovvosissimo, aw *_*!





 

 

 

Un abbraccio a Lee, a Izayoi007, a Winry90 e a oKelio, ovvero le altre partecipanti. Brave a tutte quante, ragazze <3!

 

 

Infine qualche nota sulla fanfiction in sè.
La salsa beni shoga è uno degli ingredienti fondamentali dell'Hakata ramen (variazione locale del ramen "classico"), ed è costituita da zenzero rosso sott'aceto tagliato a striscine. Viene usato in moltissimi piatti giapponesi, ad esempio anche nelle okonomiyaki -evviva Wikipedia-. L'Hakata ramen per la cronaca è costituito da una zuppa corposa fatta con le ossa di maiale, condito con funghi, cipolline verdi, il sopracitato zenzero rosso, semi di sesamo e una particolare mostarda verde altrettanto piccante.
Questo per quanto riguarda la parte culinaria di questa fanfiction :).

 

Per il resto, non ho idea di come sia stata Kushina a dodici anni, dato che s'è vista per una vignetta scarsa col pancione a venti, quindi mi sono basata sulle mie sensazioni. Secondo me lei tra i due è quella casinista, cocciuta, vivace, con la tendenza a parlare senza riflettere, schietta, spavalda, che è abituata a trovarsi bene con tutti, insomma secondo la legge per cui di solito i figli maschi prendono dalle mamme e le femmine dai papà è evidente a chi assomigli Naruto XDDD.
Minato l'ho visto più maturo, più riflessivo (anche se non sembra) per la sua età, già proiettato verso il futuro e molto meno 'bambino' dei suoi coetanei. Anche se si lascia prendere un po' troppo la mano quando non si sente dovutamente apprezzato XD è ovviamente cavallerescamente gentile, e questo una ragazzina agguerrita con la tendenza a comandare non può certo perdonarglielo.
Che dire, spero che siano IC!

 

 

Risposte alle recensioni:

Niggle: Già, infatti non ti ho mai vista da queste parti^^ quindi il tuo commento è doppiamente prezioso. Se mai dovessi ripassare di qui, spero che leggerai queste righe!
Ti ringrazio per la recensione, sono contenta d'averti fatto 'sentire' il sogno di Hinata e il contrasto stridente con la realtà. E' quello a cui miravo scrivendo :) e comunque, anche se il finale può lasciare in dubbio (i finali allegri non mi vengono mai, mai, mai!), Hinata è viva u_u e sorriderà per il resto del tempo che le avanza, accanto a Naruto.
Lalani: Io ti devo ringraziare mille volte, ragazza, perchè ho notato che commenti sempre quasi tutte le mie storie, e ciò mi rende immensamente orgogliosa e immensamente felice. Non ho il piacere di conoscerti e spero di averlo prima o poi, sei una delle mie "lettrici" più affezionate e ti sono veramente grata per l'attenzione che dedichi ai miei esperimenti scrittori. Grazie, non sai quanto dal profondo ti sono grata. Grazie ancora! Prima o poi -più prima spero!- ricambierò con qualche recensione ;).
Detto questo, visto che abbiamo fatto bene a tenere le dita incrociate *_*?!?!
Cla: Visto che t'ho praticamente obbligato a scriverla, la tua recensione è venuta anche troppo bene XD Che ci vuoi fare, mi piace tanto questa NaruHina ma non ha avuto molto successo. Damn it, tutte le storie che mi piacciono di più passano sempre in secondo piano, che ingiustizia!
Il trucchetto dei condizionali funziona sempre XD anche se temevo prima o poi di ingarbugliarmi a forza di metterne uno ogni tre parole, e forse hai ragione... la fantasticheria dell'appuntamento perfetto era un po' troppo melensa. E stereotipata. Però volevo rendere ad Hinata un attimo di paradiso, visto il dolore che ha dovuto sopportare, e poi allora non sapevo ancora che la piccola sarebbe sopravvissuta *_* Aw!
Mi piace muovere Hinata. E Naruto. Mi piace. Devo scrivere su di loro più spesso.

 

Grazie dell'attenzione,
Hipatya



 

 

 

 

 

 

 



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Capitolo 20
*** Dancing in the moonlight [MinatoKushina] ***


Buon compleanno Leti *_*

Buon compleanno Leti *_*!
Siamo a ridosso degli esami, quindi è d'obbligo aggiungere agli auguri un ABBRACCIO strepitoso e un in bocca ad Akamaru che ti valga circa per tutto questo mese, compagna di Legame Covalente.
Kick them in the ass. Miraccomando :).

E TANTI TANTI TANTI TANTI TANTI TANTI AUGURI!

 

Ele

 

 

 

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del loro uso. La canzone su cui si basa la songfic è "Dancing in the moonlight", la cui versione originale è dei King Harvest, e vi consiglio -anzi obbligo- ad ascoltarla come sottofondo per questa fanfiction.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dancing in the moonlight

We get it on 'most every night

When that moon is big and bright

It's a supernatural delight

Everybody's dancing in the moonlight!



 

Ta-na-ba-ta.
La lingua batte contro l'arcata superiore, poi sfiora quella inferiore, lascia il posto alle labbra e ritorna a toccare rapida quella piccola area compresa fra i due incisivi.
Tanabata. Una cantilena allegra, che si beve tutta d'un fiato.

 

Sguardo critico fisso allo specchio, Kushina Uzumaki, diciassette anni, Jonin del Turbine, ripetè tra e quella tintinnante parola ancora una volta, come se fosse una formula magica capace di modificare quel che scrutava nella lucida lastra di vetro.
Accigliata, trattenne l'interno delle guance e strinse le labbra fino allo spasimo, finchè il viso non le divenne scavato e smunto: poi in uno sbuffo rilassò le mascelle contratte e si lasciò andare a un'esclamazione di disappunto.
No, proprio non ci siamo.
Tutte le più improbabili diete di Naoko erano inutili con quelle dannate, dannatissime guanciotte paffute, inalterate sul suo volto da quando aveva sette anni, odiosamente rotonde come se stesse perennemente masticando un blocchetto di marzapane.
Erano inutili anche con i fianchi, ovvio. Pienotti, già. Il suo secondo, dannatissimo punto debole.
Inoltre la geniale Hanajima Naoko pretendeva anche di truccarla, cosicchè, evidenziate dallo spesso strato di impiastri terrosi che le avrebbe spalmato sulle gote, le sue guance sarebbero sembrate ancora più piene, e di conseguenza la sua faccia avrebbe assunto i connotati di un pallone variopinto gonfio fino allo stremo.
La cosa peggiore comunque erano quegli zoccoli atroci che era stata costretta ad indossare: ci era già caduta cinque volte, peraltro storgendosi quasi la caviglia. Di nuovo.
Okobo, si chiamavano. Ma come diavolo faceva la gente a indossare diabolici cosi del genere?
Eppure vedeva Naoko, Yoshino, Tsume, e perfino quella regina di ghiaccio che era Mikoto Uchiha incedere celestiali ed eteree con quelle infernali zeppe ai piedi, e chissà quale segreto nascondevano per non soffrire terribilmente o per non finire a gambe all'aria ogni tre passi, come faceva lei.
Fissandosi pensosa nello specchio, Kushina finì per innervosirsi e quindi per maledire Konoha, gli okobo, il Tanabata, Naoko, Satoshi e Yukiko che appena l'avevano sentita nominare 'Konoha' e 'Tanabata' erano impazziti di gioia, l'estate e qualunque altra persona/cosa/stagione le passò per la testa in quel momento, infine finì per rimpiangere amaramente la missione di livello S che aveva concluso qualche ora prima.
La morbidezza, la comodità, la freschezza della sua uniforme sformata erano un paradiso rispetto a quel rigido kimono di seta azzurro cielo; i suoi pratici sandali da ninja, rigorosamente raso terra, erano incomparabili rispetto alla lenta tortura degli okobo.
Una piccola ruga le si disegnò al centro della fronte: già si era pentita di aver accettato l'invito di Naoko di passare a Konoha un paio di giorni, in concomitanza con la fine delle festività del Tanabata. Ripensandoci, il suo sospetto era nato dal biglietto che Naoko le aveva mandato in risposta, e che puzzava di fregatura a un miglio di distanza: 'La tua missione finisce giusto quel giorno, no? Ancora meglio, puoi venire subito al villaggio, chiederò in foresteria le stanze per te e per la Squadra, e non preoccuparti del resto, Kushina-chan, penso a tutto io!"
Troppo entusiasmo, decisamente troppo. Quel 'Kushina-chan' era un campanello d'allarme, Naoko non era mai così gentile e premurosa senza avere un secondo fine.
E poi, a quale 'resto' si riferiva?
Purtroppo l'aveva scoperto troppo tardi.
"Kushina-chaaaaaan...." eccolo, il richiamo mellifluo e svenevole della traditrice.
"Mpf. Sono qui" sbottò brusca la Uzumaki all'indirizzo della porta chiusa.
Naoko spalancò l'uscio in tutto lo splendore smagliante del suo kimono viola chiaro, punteggiato di bianco e argento come da gocce di cristallo, i capelli intrecciati sulla nuca e un sorriso angelico che le distendeva i lineamenti infantili.
Kushina non si voltò neppure, scura in viso, occupata com'era a contare le numerossisime cose che non andavano nella sua mise.
Ha addosso i dannati aggeggi, realizzò inviperita, sento il rumore delle zeppe!
Naoko comparve a lato nello specchio e le passò un braccio intorno alle spalle, farfalla di glicine e gocce di pioggia, mentre le chiese dolcemente:"Andiamo Kushina-chan, cosa c'è che non va?"
L'altra, già rabbuiata, parve oscurarsi del tutto:"Non c'è niente che va. Sono agghiacciante."
"In effetti sei un po' palliduccia per i miei gusti, ma per il resto non c'è male" Naoko le diede un buffetto affettuoso ma molto irritante sulla guancia.
Le rughe sulla fronte di Kushina s'infittirono:"Sono ridicola. Spaventerò i bambini, non ce ne sono alla festa, vero?"
"Naaa, non è vero, stupida. Questo colore ti dona" la blandì Naoko, sistemandole con un colpetto lieve la piega dell'obi, che Kushina aveva annodato storto:"Sapevo che questo kimono sarebbe stato perfetto per te."
La ragazza, dallo specchio, la fulminò con lo sgurdo:"Odio vestirmi così. E tu non mi avevi detto che per l'idiotissima festa dovevo conciarmi come la prima concubina dell'imperatore, a Uzu per il Tanabata non ci vestiamo come la Corte Imperiale nel giorno di nozze dell'erede al trono.
Io - ti - uccido" sibilò minacciosa.
Naoko scoppiò in una risata divertita.
"Stai benissimo, Scemamaki, è come se questo vestito fosse stato cucito apposta per te! Basta solo che tu ti faccia aggiustare un paio di cosette dalla tua cara Naoko-chan e poi potrai sollazzare tutti gli imperatori del mondo!"
Il tono innocente dell'amica non convinse Kushina, anzi ebbe il potere di irritarla ancora di più, dato che non le era sfuggita l'occhiata rapace che Naoko aveva lanciato ai suoi capelli.
"Stà lontano da me, Cretinajima!" si ritrasse dunque gettandosi verso il letto - o almeno ci provò, dato che, doppiamente intralciata dagli okobo e dal kimono, capitombolò con un tonfo catastrofico a un passo dal comodino.
Naoko, quasi soffocando dalle risa, con un balzo impensabile per una persona che indossava quei maledetti okobo si parò contro la porta della stanza e la chiuse con un giro di chiave. Lo scatto della serratura risuonò lugubre e presago di sventura per Kushina Uzumaki, che ricapitolava febbrile quali oggetti a portata di mano avrebbero potuto servirle come armi improprie contro la minaccia in gonnella.
"Non uscirai da qui prima che io non ti abbia sistemato quei capelli e truccato decentemente!" proclamò Naoko e, orrore degli orrori, dalle ampie maniche del kimono svelò ghignando l'intera artiglieria che brillò sinistra alla luce della lampada da tavolo: pettine, spazzola e fermagli in una mano, matita per gli occhi, rossetto e cipria nell'altra.
"Stronza" ringhiò a denti stretti Kushina.
"Non ringraziarmi, lo faccio per il tuo bene" cinguettò briosa Naoko.
Kushina desiderò con tutte le sue forze di essere caduta in missione o dispersa da una settimana, oppure che una voragine si aprisse in quell'istante nel pavimento e inghiottisse Naoko, i suoi trucchi e il suo pettine. Nel frattempo calcolò rapida le sue possibilità di fuga: la porta era bloccata e la finestrella era troppo piccola -dannati fianchi larghi!- perchè potesse lanciarsi fuori da lì, dunque erano pari a zero. Non poteva scappare. 
Era sicura che quella pazza si fosse portata anche un nastro o una corda per legarla, in queste cose era maledettamente efficiente. Dannatissima!
"Venderò cara la pelle, pulciosa Chuunin!" rilanciò agguerrita Kushina, brandendo un okobo a mo' di mannaia.
"Ribadisco, Jonin dei miei zoccoli: non uscirai di qui prima di essere stata resa presentabile a un pubblico maschile, truccata come si deve e soprattutto pettinata!"
"La vedremo!"
"Proprio" e un ghigno scintillante e sardonico balenò sul viso di Naoko.

Ta-na-ba-ta.
Un po' come dire 'condanna a morte'.

 

 

Everybody here is outta sight

They don't bark, and they don't bite

They keep things loose, they keep things light

Everybody's dancin' in the moonlight!

 

 

La colpa, rimuginava seccata Kushina, era soltanto di quei due integrali cretini che erano in Squadra con lei, ergo di quelle grandiose menti eccelse di Satoshi e Yukiko, che appena  avevano colto il suo bisbiglio incerto su 'la remota possibilità che forse probabilmente, se non era un problema per loro, Naoko proponeva di fermarsi a Konoha per qualche giorno ma senza impegno, così, se per caso ne avevano voglia, eventualmente, se non erano troppo stanchi per la missione' si erano quasi lanciati a rotta di collo verso il villaggio, e Kushina aveva dovuto urlare per riportarli alla ragione e all'urgenza di questioni pratiche come avvisare Uzu, le loro famiglie e Akinari-sensei.
E il problema non finiva certo lì, perchè quando la Vile Traditrice Addobbata da Geisha si era resa conto che da sola non sarebbe mai riuscita a sopraffare Kushina Uzumaki in preda alla furia cieca, con uno scatto felino era corsa alla porta, l'aveva riaperta con un colpo di chiave e un secondo dopo i Due Solenni Bastardi si erano precipitati dentro per darle man forte.
Aggressione di gruppo a un'indifesa, innocua e disarmata ninja del Turbine. Così Kushina definiva quell'azione di forza.
Erano riusciti, pur sorbendosi una consistente dose di calci, pugni e graffi, a immobilizzarla su una sedia e, mentre Satoshi le legava le mani, Yukiko le si era seduto sulle ginocchia -tra una grandine di insulti selvaggi e piuttosto fantasiosi, ovvio.
Ridotta al silenzio e all'immobilità forzata, aveva sentito il pettine di Naoko affondarle nella folta chioma tiziana con un dissimulato piacere sadico: aveva dovuto serrare le mascelle e mordersi a sangue l'interno delle gote per non mugolare di dolore.
Adesso, dopo essere stata truccata, pettinata e acconciata contro la sua volontà, poteva dire d'aver completato la sua metamorfosi da Jonin a concubina imperiale. Le era bastato scorgere il riflesso azzurro e arancio che era balenato nello specchio al suo passaggio per decidere di non voler più guardarsi in viso, se non a fine serata, quando sarebbe stata libera di lavarsi via quei tre centimetri di polveri appiccicose che Naoko le aveva sparso sugli zigomi.
Arrancando sugli okobo, mentre si avviavano verso la piazza centrale del villaggio, lo sguardo le cadde di sfuggita proprio verso Satoshi e Yukiko, che dietro di loro chiacchieravano spensierati della missione conclusa, paludati in elegantissimi kimono che la Vile Traditrice doveva aver rubato, a giudicare dalla loro raffinatezza; Kushina si chiese con un mezzo sorriso a quale dei due Naoko piacesse di più. Forse a Satoshi, pensò. Con una punta di rammarico però, perchè non molto tempo prima era lei a comandare a bacchetta i suoi due compagni di Squadra, che non si sarebbero mai e poi mai permessi di osare tanto e mettersi contro di lei.
Fu avvolta da un filo di malinconia, mentre come un turbine allegro vide sprazzi di ricordi di una vita condivisa attraversarle i pensieri.
Si lasciò andare a un sospiro mal trattenuto: non essere più la ragazzina che spadroneggiava incontrastata su tutti i mocciosetti di Uzu talvolta le mancava.
Per distrarsi lanciò uno sguardo omicida a Yukiko e mimò con enfasi cruenta il gesto di tagliargli la gola.
"Me la pagherete, traditori" sillabò acida senza voce.
Naoko se ne accorse e roteò gli occhi, dopodichè la prese sottobraccio e la trascinò con più slancio per i vicoli silenziosi:"Siamo in ritardo, Scemamaki. Minato e Ashitaka sono là già da un'ora."
D'istinto il braccio di Kushina si irrigidì.
"Quando avete deciso di farmi diventare una novella Sayuri Nitta*" si riprese immediatamente, "Non ho detto che vi avrei reso il compito facile."
"Dì un po', c'era un aspide nascosto nel kimono? Ti ha punta per caso?" l'apostrofò Satoshi, metà strafottente e metà esasperato.
Kushina lo squadrò con astio, pronta a una risposta ancor più velenosa, ma Naoko l'anticipò:"Satoshi-kun, non vedi che la nostra Kushina è nervosa? Lasciala in pace, io so bene il motivo!" concluse con un risolino civettuolo.
L'interrogativo che andava formandosi in una sempre più indispettita Kushina, ovvero 'Da quando in qua Naoko chiama quel demente Satoshi-kun?', si sostituì immediatamente con un altro, ben più pressante:'Di COSA diamine va cianciando la Scervellata di Lilla Vestita?'
Il forte sospetto che una parte di lei lo sapesse molto bene la ridusse a un silenzio offeso e seccato.
Barcollò sui suoi okobo senza lasciarsi scappare una sola imprecazione, monumento vivente allo sdegno.
Guardandola, Naoko roteò gli occhi con un sospiro.
"Kushina-chan?" pigolò allora sfarfallando le lunghe ciglia.
"Ammazzati" sbottò gelida l'amica.
"Com'è tenera la mia cara, dolce Kushina-chan quando è innamorata!" esclamò svenevole Naoko.
"Quale parte di 'ammazzati' non ti è chiara, cervello di gallina?"
"Sei adorabile quando sei nervosa!"
Un simile scambio di opinioni andò avanti lungo tutto il tragitto attraverso il villaggio, mentre gli scoppi improvvisi e acuti delle loro voci salivano nel silenzio compatto delle case buie, verso il sereno velluto del cielo notturno.
"Avete quelle cose? Siete isteriche" le interruppe Satoshi con un ghigno malizioso.
"Ma Satoshi-kun! E' scortese fare questa domanda a due ragazze!" si scandalizzò Naoko con affettato imbarazzo, gli occhi castani che ridevano.
"No Toshi, Ku-chan almeno non le ha, ti avrebbe già spezzato una gamba altrimenti, lo sai com'è in quel periodo, no? Che sia davvero preoccupata?" replicò Yukiko con un subitaneo lampo d'interesse.
Naoko gli lanciò un'occhiata incoraggiante:"Soffre le pene d'amore!"

"TACI."
Un secondo dopo stavano già intonando a suon di fischi e sghignazzi la celebre arietta "La Uzumaki c'è cascata, vaga triste e rintronata, la Uzumaki è innamorata!", per cui Naoko improvvisò perfino una sbilenca coreografia.
Oh, perfetto. Adesso tutto il villaggio ne era al corrente.
Venire a Konoha era stata l'idea peggiore della sua vita.
Kushina si sentiva troppo abbattuta per prenderli tutti e tre a ceffoni, perciò si concentrò sull'ignorarli meglio che potè: se non ricordava male mancavano un paio di isolati alla piazza principale del villaggio, sarebbe riuscita a resistere e non li avrebbe appesi per le braccia al lampione più vicino. Il sottofondo musicale e il cicaleccio di mille voci festose che s'irradiava dalla piazza già cominciava a coprire il ritornello stonato dei tre cerebrolesi che la accompagnavano.
Dall'angolo del vicolo sbucarono per primi i bagliori lattiginosi delle lanterne accese, di cui tutta la piazza era cosparsa, e che, mosse appena dalla brezza notturna, dondolavano con un sottile cigolio ritmato. Fiori di carta gialla e bianca erano sbocciati su ogni finestra o terrazza, correvano da una casa all'altra come mani tese, sfavillavano assieme alle cascate di ghirlande, nastri multicolore e rametti di bambù appesi in ogni angolo.
Il corteo del Terzo Hokage sarebbe passato di lì a poco, diretto verso il ponte sul fiume, e la folla avrebbe atteso il loro passaggio per poi seguirlo, i biglietti di carta di riso stretti nel pugno, e gettare nell'acqua scura del fiume le frasette di buon augurio che vi aveva scritto sopra.
Una compagnia di saltimbanchi in sgargiante rosso e oro danzava sulle note dei flauti, inscenando la tenera favola della Principessa Orihime e del suo amato Hikoboshi; i quattro ninja di Uzu e Konoha videro serpeggiare a un passo da loro il respiro infuocato di un mangiafuoco e le sue fiamme ebbero il colore dei capelli di Kushina, si persero tra le gambe filiformi e infinite dei giganti che camminavano sui trampoli, osservarono rapiti una funambola dalla vita di libellula che si librava sul filo nell'aria bruna della notte, le clavette dei giocolieri vorticarono impazzite sulle loro teste meravigliate e gli acrobati sotto i loro occhi modellarono e distrussero plastiche sculture di carne, fra gli applausi e le esclamazioni euforiche degli spettatori.
Kushina si sentì travolgere dall'impeto della festa, disorientata non seppe ritrovare nei suoi ricordi un Tanabata ad Uzu altrettanto opulento e caotico.
Naoko le calcò attorno al ciuffo che aveva sulla nuca una collana di fiori di carta rossi e blu, le afferrò la mano e la trascinò con Satoshi e Yukiko nell'agitarsi brulicante della folla. Bestemmiando a denti stretti per il dolore ai piedi straziati dagli okobo, Kushina dovette chiedere scusa una dozzina di volte per tutte le gomitate, ginocchiate, spallate o colpi d'anca che dava e riceveva, nel marasma variopinto del villaggio in festa, e colse frammenti di voci, frasi, conversazioni che sempre svelavano quel genuino sapore di pura, semplice allegria disinteressata.
Riconobbe nell'ondeggiare dell'oceano di teste un gruppo di ninja di Konoha, assiepati in prima fila: la sagoma imponente di Jiraya-sama, sensei della Squadra di Naoko, svettava ben riconoscibile in mezzo a un fruscio di abiti colorati -vecchio sporcaccione, sempre dietro alle ragazze!
E scorse anche un lampo biondo, oro luminoso che fiammeggiò poco lontano da Jiraya.
Merda. Merdissima merda delle merde.

"Minato! Ashitaka! Siamo qui" gridò Naoko sventolando il braccio sopra la testa.
Incespicando per gli okobo e per le gomitate che qualche viso sconosciuto e incolpevole le assestava, Kushina vide il color oro dei capelli di Minato Namikaze avvicinarsi sempre di più, finchè ad esso non si aggiunse l'azzurro dei suoi occhi perennemente stupiti, il suo sorriso da ragazzino e il suo volto come di cera, tale era la linea nobile dei suoi lineamenti, e Kushina si maledì una, due, tre volte, perchè i suoi pensieri avevano imboccato una direzione pericolosa.
L'abbracciarono prima Ashitaka e un attimo dopo anche Minato, mentre lei rimase gelida come un fantoccio privo di vita; riconobbe tuttavia il tessuto ruvido del suo kimono e ne distinse il colore alla luce chiara delle lanterne: arancione.
Il viso improvvisamente rosso quanto i capelli, le venne da ridere.

L'arancione era il suo colore preferito.
"Beh" le chiese Minato incredulo, "Faccio così ridere con questo coso addosso?"
Kushina si strinse nelle spalle:"Non più di quanto lo faccia io, Namikaze!"
Minato perse giusto una frazione di secondo a considerare quanto le guance piene di Kushina ispirassero un morso, come le mele rosse, e quanto era carina quando era imbarazzata e non sapeva cosa dire, poi si affrettò a deglutire e a ribattere pronto:"Io sono bellissimo, non sembro certo una mezzana di paese come qualcuno di mia conoscenza!"
La Uzumaki lo squadrò con freddezza:"Infatti, al massimo puoi passare per uno sguattero che si è cucito addosso una vecchia stuoia!"
"Non cominciate a litigare adesso, noiosi che siete!" li rimbrottò Naoko fingendosi burbera, assestando uno scappellotto leggero sulla fronte di ciascuno dei due:"Andiamo più avanti, si vede il corteo laggiù, all'inizio della piazza!"
Stretti gomito contro gomito, poichè casualmente la folla pressante non lasciava spazio a sufficienza per mantenere le consuete distanze fra due persone, Minato e Kushina osservarono sfilare davanti a loro lo stato maggiore del villaggio senza prestarvi la minima attenzione.
A bassa voce, senza guardarla, Minato si lasciò sfuggire un:"Bentornata, Uzumaki."
Kushina involontariamente sorrise:"...Grazie, Namikaze."


Dancing in the moonlight

Everybody's feeling warm and bright

It's such a fine and natural sight

Everybody's dancing in the moonlight!

 

 

 

I foglietti di carta erano appena scivolati sulle acque del fiume, con la leggerezza di una flottiglia di inchiostro, quando Minato, lo sguardo acceso ed euforico di chi stava macchinando qualcosa, le aveva stretto un polso e aveva preso a trascinarla fuori dalla rumorosa folla vociante.
Kushina aveva cercato aiuto sbracciandosi verso Naoko, ma la sua carissima migliore amica, momentaneamente mezza stordita dal sakè e in veste di Battoncella Allegra, era troppo occupata a ballare con Satoshi, e aveva lasciato che Minato, colto da un attacco di follia, decidesse di portarla all'altro capo del villaggio per farle vedere chissà quale spettacolosa stupidaggine.
I saltimbanchi avevano ripreso a danzare e a volteggiare sulla schiena curva e morbida del ponte, c'era una melodia impalpabile che curiosa ticchettava nell'aria fresca le note di una vecchia ballata, coperte a tratti dal brusio vivace della gente; era un vecchio ritornello orecchiabile che metteva addosso la voglia di ballare, ballare in ogni angolo scomposta e frenetica, se non fosse stato per quegli infernali zoccoli che le stavano aprendo il piede a metà, e soprattutto se non fosse stato per quell'emerito deficiente di Namikaze che la stava portando chissà dove, e magari se non fosse stato per quel bicchierino di troppo che Naoko, infida come una serpe, le aveva fatto bere.
Ma forse non era solo uno, il bicchiere di troppo. Forse erano due. O tre.
"Tu! Odioso! Incapace! Ebete! Inutile uomo! Spreco di spazio! Testa vuota! Bamboccio! Pagliaccio! Abate Shintoku!
...Dove andiamo?"
Minato lasciò nella brezza un volo di risate sguaiate, nel sentire quella grandinata di insulti piovergli tra capo e collo. Non si voltò, allungò il passo e le sue dita scivolarono fino a intrecciarsi con quelle inerti di Kushina.
Che arrossì di botto. Furiosamente, come un pomodoro in kimono azzurro e arancio, arrossì.
"Ho detto DOVE - STIAMO - ANDANDO!?" urlò più forte che potè la ragazza.
Si erano lasciati alle spalle il ponte ed erano rientrati nel villaggio. Se la lucidità non le veniva meno, si trovavano da qualche parte nei pressi del Palazzo degli Hokage, nella parte più vecchia della città, e soltanto la polvere danzava quieta al ritmo della musica, il cui eco affievolito arrivava fino alle loro orecchie sull'onda del venticello estivo. Incrociarono un crocchio di bambinetti col moccio al naso, impegnati a lanciarsi proiettili di quello che a prima vista le parve carbone: lanciavano strida divertite da ragazzini, come una volta anche loro avevano gridato più e più volte giocando alla guerra dei ninja per le strade del villaggio, e Minato dovette sospingerla un po' più forte per distoglierla dalla battaglia e guidarla verso un vicoletto laterale. S'inerpicarono su una tortuosa scala malandata, che sinuosa abbracciava un alto palazzo all'apparenza molto antico, tetro agli occhi di Kushina, e salirono fino alla terrazza dell'ultimo piano, fra gli improperi sempre più creativi della Uzumaki e qualche sporadico rimbrotto del suo compagno, fin troppo euforico per potersene curare davvero.
Kushina venne issata contro la sua volontà oltre l'ultimo gradino della scala, e fu a quel punto che Minato d'improvviso le lasciò la mano.
Sebbene non stesse sorridendo con il viso, sorrideva con gli occhi scaltri, con le dita nervose e vibranti che non smettevano di agitarsi, con l'inclinazione appena accennata del capo, con la figura scattante e agile del corpo teso nel vento frizzante, con il colorito vivace delle gote, con la smorfia spavalda e divertita all'angolo delle labbra incurvate che significava questa è l'ennesima sfida, Occhi Verdi, vediamo cos'hai intenzione di fare adesso.
E Kushina, sbrigativa, fece la cosa più inaspettata che potesse pensare: con un calcio fece volar via i pesanti okobo e, pur conscia di aver appena perso quindici centimetri e di essere appena ridiventata il barilotto nano di sempre, in calzini rilassò i piedi indolenziti sulla pietra dura della terrazza.
"Aah!" si stiracchiò con lentezza:"Che liberazione!"
Minato scosse la testa con un mezzo sorriso, poi le lanciò una breve occhiata e incrociò le braccia dietro la testa:"Che gesto signorile, soprattutto elegante!"
"Chiudi il becco. E' già tanto che abbia resistito tre ore."
"Un'ora" la corresse lui con una punta indulgente di saccenza.
"Due ore con questi cosi! Tu piangeresti dal dolore dopo cinque minuti scarsi!" Kushina gli puntò contro il petto un indice accusatore.
"Pfff, piuttosto che piangere mi taglierei i piedi. Ma" aggiunse subito vedendo la minaccia incombente negli occhi dell'amica, "Non ho la minima intenzione di provarli neanche se ne andasse della mia vita."
"Hai paura" il ghigno di Kushina serpeggiò maligno sul suo viso.
"No, a differenza tua sono sano di mente, che è diverso" ribattè Minato con una spallucciata, "Voi donne siete completamente pazze a voler mettere quegli zatteroni lì. Pazze, masochiste e sadiche. Ma del resto già si sapeva."
"Parla per Naoko, Tsume, Yoshino e per quella sbatticiglia della signorina Uchiha Mikoto."
"Almeno loro non sembrano anatre obese quando se li mettono."
"CHE COSA?! Namikaze Minato! Hai appena firmato la tua condanna a morte immediata, da eseguirsi senza sentenza, senza processo e senza appello!" gli occhi di Kushina fiammeggiarono e, rapida, si chinò, raccolse un okobo e lo brandì come un martello, le labbra strette e la postura minacciosa di chi non avrebbe esitato un attimo a usarlo. Quella sera aveva già dato filo da torcere a Naoko con quel coso, di sicuro con Namikaze sarebbe stato più difficile, ma quantomeno gli avrebbe cancellato quel ghignetto supponente dal viso. 
Minato per tutta risposta scoppiò a ridere di gusto.
"Frena, frena, Uzumaki. Chiedo l'armistizio, in virtù del posto in cui ti trovi."
"E sarebbe?"
"Hai dato un'occhiata in giro?"
Il tono di Minato, così naturale e quasi ovvio, l'avrebbe fatta innervosire ancora di più in altre circostanze, ma in quel momento fu come un getto d'acqua fresca sul viso. No, non aveva guardato niente, da quando avevano messo piede su quella terrazza.
Non aveva guardato nient'altro che lui, per essere precisi.
"Eh? Che diav-"
La interruppe:"E' il luogo più alto di Konoha, dopo la Montagna e il Palazzo degli Hokage. Ma non potevo portarti lì, perchè è controllato da un plotone di Jonin molto aggressivi giorno e notte, e non potevo portarti neanche lassù perchè ci avresti messo delle ore con quegli okosi addosso, invece questo posto era abbastanza vicino al ponte e in qualche minuto potremo tornare dagli altri, così nessuno si accorgerà della nostra assen...
Kushina, mi stai ascoltando?"
No, evidentemente non lo ascoltava.
Un vulcano di scintille si agitava là dove il nastro di seta dell'acqua segnava il corso del fiume, se tendeva le orecchie poteva sentire un velo finissimo di musica provenire da laggiù, poteva riconoscere le luci gialle e rosse e rosa e verdi delle lanterne, le torce inghirlandate che spuntavano qua e là tra la folla, gli sbuffi di fuoco degli artisti di strada e il vociare sereno della gente che, laggiù in basso, molto in basso, salutava festante Orihime e Hikoboshi nel loro passaggio in cielo.
Chissà se Naoko in quel momento stava ancora ballando, imbranata com'era, nello sguardo luminoso e interessato di Satoshi.
Chissà se tutte quelle figurine sbalzate in colori sgargianti, laggiù, si stavano divertendo. Dall'alto le sembrava di sì.
"Si vede tutto il villaggio" mormorò qualche secondo dopo, quando si ricordò di essere a Konoha su una terrazza, abbastanza lontana dalle occhiate impiccione di chicchessia, senza scarpe, scarmigliata, col trucco sfatto, il sakè che le rotolava gioioso nello stomaco e Minato Namikaze -Minato Namikaze- a qualche passo di distanza.
Improvvisamente desiderò che i bicchierini di troppo fossero quattro, dieci, e forse avrebbe avuto abbastanza coraggio per non sembrare la solita ragazzetta petulante e aggressiva, rompiscatole, saputella, impulsiva e sguaiata com'era e sarebbe sempre stata.
"Perspicace" la stuzzicò Minato, pur con un sorriso indulgente che Kushina non vide, "E' tutto qui quello che sai dirmi?"
L'altra non rispose. Si strinse le braccia attorno al busto, sospirò, raggiunse il ciglio della terrazza e si sedette sul bordo, lasciando che le gambe inguainate nello stretto kimono penzolassero nel vuoto.
Minato, con un'incertezza durata un sessantesimo di secondo, le si sedette accanto.
"Ma guarda un po', ho fatto il miracolo? Ho zittito Kushina Uzumaki?" la provocò di nuovo, assestandole anche un leggero colpetto sulla spalla sinistra.
Kushina dapprima tacque, poi si lasciò andare a un basso ringhio:"Dillo in giro e sei morto e sepolto."
Il ragazzo rise di nuovo a squarciagola, e la sua risata scoppiettò come la scia di un fuoco d'artificio.
La kunoichi lo guardò di sbieco, con tutta la pietà, la compassione e qualcos'altro che non sapeva di provare nello sguardo, e si chiese per la trecentesima volta dove di preciso Namikaze Minato potesse essere considerato il genio, il ninja più sorprendente, abile e brillante della sua generazione, il bambino prodigio di cui tutti i maestri andavano favoleggiando da quando aveva messo i denti da latte. In un sogno, forse.
"Dimmi" proseguì Minato interrompendo il flusso disordinato dei suoi pensieri, "Che avevi scritto nel tuo tanzaku*?"
Kushina ricordò allora che l'aveva ancora nella manica destra del kimono, appallottolato in una tasca segreta, e che s'era dimenticata di buttarlo nel fiume insieme con gli altri:"Cose che non ti riguardano. E poi non credo a queste sciocchezze, io."
"Sarà" borbottò l'altro, lo sguardo al cielo.
"Colgo un lieve segno d'incredulità da parte tua" gli fece notare Kushina con particolare ironia.
"L'ho già detto che sei perspicace?"
"Sì. Ti ripeti, sei noioso."
"Allora dirò che hai un intuito formidabile" annuì convinto Minato.
"Nonchè un'intelligenza fuori dal comune, un'avvenenza senza pari, spiccate abilità in tutte le tecniche ninja, invidiabili capacità logistico-strategiche e un senso dell'umorismo che lascia spiazzati" recitò Kushina compiaciuta, prima di voltarsi di scatto verso Minato:"E tu cos'hai scritto nel tanzaku?"
Il ninja della Foglia si permise uno sbuffo tra l'esasperato e l'allegro:"Che volevo stare un po' quassù."
Di sicuro Kushina avrebbe commentato con qualcosa di acido e sferzante, con una delle sue solite battute sarcastiche che erano considerate un suo segno distintivo quanto lo erano i capelli rossi, le guance paffute e il naso a patata, ma Minato, tremendamente serio, la precedette:"E' il mio posto preferito qua al villaggio. Di solito quando ho una mezz'ora libera, e cioè praticamente mai ma comunque, quando non ho niente da fare e voglio starmene da solo a pensare ai fatti miei salgo quassù. Non c'è mai nessuno, questo quartiere non è granchè frequentato, Palazzo degli Hokage a parte. In compenso c'è sempre tanto silenzio.
Sto bene qui" il sorriso di Minato sapeva entrare nel cuore, ed era pieno di un sentimento che tutte le Orihime e tutti gli Hikeboshi di tutti i secoli e di tutte le epoche non avrebbero mai saputo cogliere.
Kushina riflettè, silenziosa, le mani in grembo, con estrema lentezza.
Quando pose la domanda che pazientemente era andata elaborando, Minato aveva perso le speranze di cavarle una sola parola di bocca, perciò quando la sentì parlare stupito si riscosse dal torpore in cui l'aveva immerso l'immagine della festa del Tanabata in lontananza.
"Stai bene anche adesso, qui?" gli chiese cauta Kushina. Il suo viso esprimeva un'incertezza mai sperimentata, era tutto teso nel dominarsi e al contempo nel mostrare quale dilemma lacerante stava torturando i pensieri impazienti di quella stramba ragazza di Uzu.
Namikaze annuì:"Certo. Certo che sto bene."
"Ma adesso" calcò il tono Kushina, "Anche adesso, in questo istante, quassù su questa terrazza, stai bene?"
E il ragazzo decise che poteva anche smettere di tormentarla per quella sera.
Le dedicò un sorriso bonario e affettuoso:"...Con te sto sempre bene, Kushina. Sempre. E non è importante stare quassù, o a Uzu, o al villaggio, o in missione, o all'Ichiraku. Non è importante niente.
Beh, tranne che ci sia tu, certo."
La sentì irrigidirsi come se fosse stata fatta di legno quando le passò un braccio intorno alle spalle e quando, mimando una naturalezza che in realtà non sentiva affatto, la attirò verso di .
"Se osi farlo lo rimpiangerai per il resto dell'eternità, Namikaze!" si apprestò a balbettare Kushina timorosa, imbarazzata e terrorizzata tutto insieme.

 

Ma riuscì a pronunciare soltanto un bellicoso e pieno di panico "Se osi-", perchè il Dannatissimo fu più veloce di lei.
Non le diede il tempo di continuare: alla terza parola, Minato la stava già baciando.

 

 

We like our fun and we never fight

You can't dance and stay uptight

It's a supernatural delight

Everybody was dancin' in the moonlight!

 

 

...Gli ultimi sprazzi di lucidità stavano già svanendo dalla sua coscienza, e Kushina, prima di arrendersi, si disse che forse, dato che Satoshi e Yukiko le erano parsi molto provati dopo la missione, e visto che non c'era alcuna fretta di rimettersi in viaggio per Uzu, magari ecco, se non avevano niente da obiettare, potevano fermarsi a Konoha per qualche giorno in più...  

 

 

 

 

Fin

 

 

 

 

 

Glossario
Sayuri Nitta: Sayuri Nitta è la protagonista del celebre romanzo "Memorie di una Geisha" di Arthur Golden. Da come si può arguire, è una geisha, idealmente considerata una delle più famose dell'Oriente.
Tanzaku: Usanza tipica delle festività del Tanabata: si scrive un desiderio, una poesia o un auspicio di buon'augurio su questi foglietti verticali di carta di riso, poi si arrotolano intorno a un ramoscello di bambù, dopodichè vengono o lasciati galleggiare sul fiume -come ho immaginato per la storia- oppure bruciati dopo la fine della festa. C'è anche una poesia bellissima tipica del Tanabata, vi rimando a Wikipedia per saperne di più :).

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice
E se n'è andata anche un altra flavour col tema n.51: "Why are men such fools they will not realize The wisdom that is hidden behind those strange eyes?And these wonderful people are you and I." MinatoKushinoso, non trovate?
Secondo me è perfetto per quei due.
Tra parentesi, c'è qualche leggero accenno alla scorsa MinatoKushina, Crazy Love, purtroppo non sono riuscita a impedirmi di metterli XD ma son comunque cose di poco conto. Se non avete letto l'altra non ci farete neanche caso.
Comunque sìsì, ora mi scollo dal MinaKushi XD è solo che mi diverte moltissimo scriverli e non mi sarei mai aspettata che mi sarebbero piaciuti così tanto. Cla sarà contenta, è stata lei a farmi partecipare al contest di forza e a farmeli scoprire :).
Per il resto... ancora auguri, Chaos *________*! La storia è tutta per te <3!

 

Risposte alle recensioni:
Mala Mela: Eh, tu lo dicevi, ma vedi che così tanto successo non ha avuto XD! Mi aspettavo un po' più di recensioni anch'io francamente, quella storia mi piace da matti e il giudizio tuo e di Rory rispecchia appieno quello che ne penso. Sigh. Storia sfortunata.
Comunque spero che anche questa abbia la tua approvazione <3 sai che doveva essere fin dall'inizio dedicata a te! Ma te ne scriverò un'altra, , te lo prometto. Comincia già a scegliere la canzone <3  a proposito, quand'è che tu riscrivi una bella MinaKushi, Clà? Comunque sì, veniamo al dunque. La Legge di Charlie. Te la commenterò il prima possibile *____________* la adoro! Voglio essere Charlie!
Bambi88:
Grazie Robi <3 ultimamente non ci siamo più sentite ma ora appena rigravito su msn chiacchieriamo un po'. Non so com'è finita la tua fissa per Wolverine! Se hai scritto qualcosa SAI che dovrai pubblicarlo e conseguentemente farmelo leggere, carissima :D Tortura per l'odioso Ciclope inclusa.
Ti ringrazio per le belle parole che hai detto sulla MinaKushi, compresi i minuti di contemplazione XDD sai è una delle storie di cui sono davvero ma davvero soddisfatta, sarà per l'umorismo, per l'atmosfera, perchè comunque leggerla diverte anche me, che l'ho scritta.
E' il lato positivo del MinaKushi, che tra l'altro crea anche assuefazione: sono divertenti insieme *_* fanno ridere! 
Lalani:
Ed ecco di nuovo colei che legge tutte le mie storie *_* sei la mia consolazione. So che quando pubblico qualcosa, amenochè non faccia veramente pena, tu me lo commenti! E' una soddisfazione grandissima avere anche solo un lettore abituale. Me si sente onorata di ciò.
Comunque spero che anche questa ti sia piaciuta :) è un po' più leggera dell'altra MinaKushi, del resto con l'avvicinarsi dell'esame il tempo da dedicare allo scrivere si riduce drasticamente. Non so infatti a quando andrà il prossimo aggiornamento delle flavour ._. sicuramente al mese prossimo. Spero tuttavia che anche questa ti abbia divertito^^ l'intento e lo spirito con cui l'ho scritta è questo: ci sono pochi pairing che mi fanno tirar fuori cose così dichiaratamente comiche, e il MinaKushi è uno di questi.
Chaos: TANTI AUGURI A TEEEEEEEEEEEEEE! TANTI AUGURI A TEEEEEEEEEEEEEEEEE! TANTI AUGURIIII ALLA CHAOOOS, TANTI AUGURI A TEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!
Perdonami, questa cosa che hai appena letto non potrà mai essere all'altezza di Scenes from the Narcissist Cafè, quello è un mio capolavoro e purtroppo non ce la farò mai più a raggiungere una vetta così, dovrai accontentarti di una MinaKushi un po' leggerina e romanticosa al 100%, scritta però con taaaaaaanta buona volontà. Sì . Un regalo bello come Narcissist però te lo rifarò prima o poi *_* sicuro, adesso sai che il tempo e le energie sono quelle che sono. Non sai quanto 'sto merdoso esame stia influendo sul mio tempo da dedicare alla scrittura, e ovviamente io sono il triplo più nervosa.
Comunque anche tu mi hai insegnato un 'paio' di cosette, cara :) ti ho sempre detto che, scrittorialmente parlando, siamo cresciute insieme in questo anno. Perchè sì *_* è il mio primo anno di permanenza qui, tu sei stata la prima che ho conosciuto e quella che mi ha guidato passo passo in questo Fandom *_* Oh !
Hai ovviamente azzeccato tutte le riflessioni su Minato nella scorsa oneshot. Beh, c'è un motivo per cui l'ho reso più simile a Naruto, ed è che allora era ancora tredicenne :) era soltanto un Genin e non ancora temprato da altri 5 o 6 anni di allenamento ninja. Qui è un po' diverso, credo^^ la parte 'narutiana' adesso è in Kushina. Credo XD dimmi tu, che leggi senza i paraocchi di chi scrive.
Sicchè la ventesima flavour è per te <3 tutta tua! Dividine soltanto un pezzetto con Cla XD visto che colei che mi ha introdotto al MinaKushi è stata lei.
Spero che ti piaccia come l'altra e come Narcissist, anche se indegna di essere paragonata agli Shikamaru e Ino di quella storia!


Grazie dell'attenzione,
Hipatya


 

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Capitolo 21
*** Less remain in one place [Temari] ***


Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che quindi si prende tutti i diritti del loro uso

 

Disclaimer: I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che quindi si prende tutti i diritti del loro uso. Le strofe della canzone riportate all'inizio e alla fine della storia sono di Time, meravigliosa ballata di Tori Amos che anche qui giustamente si prende tutti i diritti del caso.

 

 

 

 

 

Less remain in one place

 

 

...And the things you can't remember
Tell the things you can't forget that
History puts a saint in every dream
Well she said she'd stick around
Until the bandages came off...

 

 

Il vestito sarebbe dovuto essere color pulce, come quello delle grandi occasioni, elegantissimo e appena scollato, non troppo se si volevano evitare le scenate di Kankuro e di Gaara.
Prevedibile come ogni singola circostanza si fosse verificata con precisione millimetrica, compresa la discussione con i suoi irascibili fratelli che alla fine, stremati da una lunga battaglia dialettica, avevano ceduto, seppure di malavoglia.
Dunque lo splendido vestito da cerimonia guardava Temari dall'alto dell'anta dell'armadio a cui era stato appeso.
Temari, un po' vuotamente per la verità, guardava il vestito, elaborando una scusa dopo l'altra per non indossarlo. Scuse molto credibili, ovvio.
Si sarebbe indossato da solo era una di queste, ad esempio.
A quel punto, seguita da una mezza dozzina di strambi personaggi vocianti, senza neppure bussare era entrata Matsuri.
La sua stanza divenne un risuonare di voci confuse e petulanti che chiedevano lumi sulle portate, sulle lampade a olio che avrebbero illuminato la terrazza, sul colore dei festoni, sui cinque musicisti di Suna che avrebbero allietato le orecchie degli ospiti: Matsuri, con la sua vocina pacata e pragmatica, rispondeva a tutti dipanando dubbi che avrebbero rischiato di pregiudicare lo svolgimento della festa e, mentre lo faceva, riusciva anche a spazzolare con cura il vestito elegante e a drappeggiarlo sul corpo di Temari, che con scarsi risultati fingeva di dormire il migliore dei sonni.
"E, sì, Ozu-san, faccia preparare un dolce sobrio, anzi, una serie di dolci, non siamo a un funerale né a un matrimonio e le cerimonie pacchiane sono troppo volgari. Le farò avere una lista delle preferenze degli invitati fra un'ora. Già che ci siamo, Miyazaki-san, si dimentichi le luci colorate e gli addobbi vistosi, la signorina ha gusti semplici. A proposito, Kurosawa-san, niente posate d'argento od ostentazioni gratuite.
Temari-san, il vestito non s'indosserà mai da solo di questo passo."
Temari era stata molto chiara in merito: non voglio nessuna stupida festa. Matsuri aveva replicato cristallina indicendo il ricevimento per i venti anni di Temari-hime per il mese successivo.
L'opposizione di Gaara e di Kankuro aveva finito per crollare, ma solo dopo un'agguerrita e ostinata resistenza.
Quale fosse il motivo che la spingeva a infilarsi in quel vestito, a indorarsi le gote di cipria e ad abbandonare per una sera pugnali e shuriken, Temari non lo capiva fino in fondo.
Matsuri l'aveva avuta vinta così facilmente che c'era da chiedersi quanto alla fine la prospettiva della festa la nauseasse davvero. Sempre meglio comunque di un viaggetto in missione diplomatica a Konoha o a Mizu.
Matsuri in fondo aveva letto in lei come in uno specchio, si era fatta carico dei desideri che Temari mai e poi mai avrebbe confessato a chicchessia, neanche sotto tortura, e infine si era accollata l'onere di mettere in piedi un ricevimento degno di questo nome.
L'aveva detto a Gaara, Temari: Matsuri era il vento fresco che spazzava via la polvere da quelle stanze, che dissipava i veli di buio. Ma Gaara da quell'orecchio proprio non ci sentiva...
Su una cosa però Temari era stata irremovibile: i capelli. Niente crocchie, trecce, boccoli o fronzoli vari, i suoi quattro codini erano sufficienti. Tanto più che aveva un viso troppo pieno per acconciature simili.
Dunque Temari stava lì, l'espressione appena un po' ebete e pensosa, gli occhi verdi e distanti che fissavano l'ingresso del palazzo senza vederlo neppure.
Pensò a Kankuro, a Gaara. A Matsuri immobile vicino a loro.
Le venne quasi da ridere.
Forse da lontano sembravano una famiglia, non tre individui inciampati nella stessa trappola.
Erano eleganti, benvestiti, alteri. Eppure, ammise con cautela, sembravano umani. Almeno da lontano.
Poi Temari non ebbe più fiato né pensieri, perchè un turbine rutilante di voci, visi e sorrisi la avvolse come uno scialle. Lo stato maggiore di Suna e quello di Konoha si erano incontrati alla sua porta e come il delta di due fiumi la travolgevano in un coro di auguri e risate.
Temari rise in faccia a Nara Cry-baby quando scartò il suo regalo, per poi scoprire con orrore che l'aveva scelto la Yamanaka a nome di tutto il Team. Gaara dovette salvare la situazione invitandoli non troppo gentilmente a raggiungere il tavolo per la cena e scoraggiando perfino l'allegria insistente dell'Uzumaki.
Il ventaglio nuovo che le avevano regalato i suoi fratelli giaceva al piano superiore, appoggiato a una parete della sua camera, ed era stato il solo regalo che Temari giudicasse tale. Il solo di cui le importasse qualcosa. Nonostante tutto non riusciva davvero, pensava, a essere diversa da se stessa, fosse anche per una sera.

Per due volte le bottiglie di sakè ripresero la strada delle cucine, perchè pareva che sarebbe successa una catastrofe se lo strambo tizio dalla tutina verde, Rock Lee, ne avesse bevuto un solo goccio. Per la stessa ragione l'ottimo vino di Suna sparì quasi esclusivamente dalle parti del gruppo Nara, Uzumaki, Inuzuka, Sai e Akimichi, autoproclamatisi all'unanimità tutori dell'ordine e di Rock Lee. I tentativi di Kankuro e di Baki-sensei per strappar loro la bottiglia andarono tutti tragicamente a vuoto.
Le risate scoppiettavano sui loro visi, guizzavano da un volto all'altro rapide e meravigliose come fiori, percorrevano l'intera tavolata in un unico impeto esplosivo.
E il vino danzava, danzava: cantava la sua roca canzone accompagnandosi ai sapori forti della cucina di Suna, al saettare pacato degli occhi di Matsuri che, impagabile, controllava che ogni cosa fosse al suo posto.
Temari guardò Kankuro, guardò Gaara.
Kankuro, di punto vestito dell'uniforme di gala, combatteva con foga contro un bianco-mangiare allo zenzero e cannella, il suo dolce preferito. Seguiva il dondolio molle del budino con un'attenzione quasi maniacale.
Gaara, seduto alla sua destra, sorseggiava composto un calice di vino fortunosamente sottratto alle mire dei ninja di Konoha. La sua espressione severa stava come cedendo, come chi si sforza di rimanere impassibile pur volendo scoppiare in una risata fragorosa.
Temari sentì qualcosa di molto simile alla tenerezza. Sorrise, mesta.

"Signori ma soprattutto signore, 'sta sera il miglior ballerino di Konoha è qui per voi!"
E con una piroetta sbilenca l'Uzumaki s'era lanciato in mezzo alla sala, giusto un minuto prima che la Haruno lo riagguantasse per un orecchio facendolo ululare di dolore. L'Uchiha, di fianco a lei, aveva borbottato un bisillabo molto simile a "Dobe".
Ovviamente spettava a Temari aprire le danze, per quanto l'idea di ballare la facesse singhiozzare dal ridere come un'isterica.
Danzò con Gaara. Danzò con Kankuro. Danzò con Baki-sensei. Danzò con, udite udite, Shikamaru Nara -ricevendo per questo un'occhiata di puro veleno da parte della Yamanaka. Danzò con l'Akimichi. Danzò con l'Aburame. Danzò con l'Inuzuka. Danzò con Sai. Danzò con la migliore gioventù di Konoha, con il fior fiore degli Anziani di Suna e infine con un paio di Jonin davvero niente male.
Fece persino l'esperienza allucinante di danzare con l'Uzumaki e anche quella, non meno allucinante, di danzare con Rock Lee.
L'Uchiha e l'Hyuuga invece, irremovibili, opposero il proprio veto all'idea di danzare con qualcuno e a nulla valsero le proteste della Haruno e di Tenten.
Temari sentì il capo girarle vorticoso, non per il vino o per il cibo, ma per le risate convulse che le dilaniavano lo stomaco.
Era lei, quella? Dio, era proprio lei quella?
Guardò Gaara, guardò Kankuro. Loro, dall'altro lato della sala, risposero in silenzio al suo sguardo.
Erano loro, erano davvero loro?
Temari non capiva perchè le venisse così tanta voglia di piangere.

Le scarpe col tacco erano volate senza tante cerimonie sotto al tavolo, e scalza Temari aveva accompagnato al gabinetto un Inuzuka Kiba in stato di deliquio etilico. Era tornata pensosa verso il salone, le mani strette dietro la schiena e l'eco dei conati di Kiba nelle orecchie. Disgustoso, davvero disgustoso.
"Cry-baby, ti togli di qua?"
"Sicuro, Temari." E Shikamaru, leggermente brillo, non accennava a spostarsi.
Temari sospirò.
"Sono la festeggiata nonchè neo-ventenne, ho diritto a un po' di pace. Fammi indovinare, perchè non sei con la Yamanaka?"
"Appunto."
Shikamaru sbattè le palpebre. Temari lo imitò.
"Và da lei." La tentazione di chiamarlo cagasotto era talmente forte che Temari non seppe davvero come riuscì a resistere: tacque, si morse l'interno delle gote fino allo spasmo e con sollievo vide che Shikamaru annuiva serio, per poi raffazzonarle un sorriso ebbro.
"Sì. Grazie. Anche per la festa." E in un istante sparì verso il salone.
Temari scosse il capo, chiedendosi quale intelligenza superiore avesse definito gli uomini "sesso forte".
Si avvicinò a una finestra e osservò il villaggio silenzioso splendere come un diamante, mentre nell'aria si inseguiva l'eco del ballabile che l'orchestrina stava eseguendo per la sesta volta sotto le proteste dell'Uzumaki, scatenato come non mai.
I granelli di sabbia onnipresenti in quel palazzo le solleticarono fastidiosi le piante dei piedi, ma non ci fece neppure caso, vi aveva fatto l'abitudine da molto tempo.
Temari in silenzio spense con un soffio una lampada ormai sul punto di affogare nel suo stesso olio e raddrizzò una lanterna di carta quasi del tutto rovinata a terra.
Gaara si era eclissato da ore e Kankuro aveva trovato un nuovo passatempo: ridere delle sbronze altrui e possibilmente contribuire a peggiorarle, come stava testè facendo con l'Uzumaki coadiuvato da Hyuuga Neji. L'Uzumaki tra l'altro, dopo aver ballato con tutte le ragazze di Suna e anche con qualche donna d'età non più verde, aveva concluso la sua carambola di danzatore sulle ginocchia di Hyuuga Hinata, chiamandola celestiale Yuki Onna. La Hyuuga non era stata in grado di costruire una frase intelligibile per il successivo quarto d'ora.
"Temari-san, la festa è la tua, ed è di là."
Matsuri, gli occhi scuri e limpidi fissi su di lei, la osservava dall'angolo d'ingresso alla sala.
"Andiamo, Tsuri-chan, non farmi la predica" sbottò Temari improvvisamente insofferente.
Matsuri, contro ogni aspettativa, sorrise.
"Ho parlato con Takeru-sama. La Roccia ha accettato le nostre condizioni."
"Firmeranno?"
"Firmeranno."
Le due kunoichi si sorrisero. Temari allora rilassò impercettibilmente la schiena.
"Questo sì che è un regalo di compleanno," mormorò.
"Mi dispiace molto, Temari-san."
"Eh? Per cosa?"
"Hai appena acceso un bastoncino d'incenso per quell'altare, vero?"
"Ma piuttosto parliamo di te, Tsuri-chan. Và da Gaara prima che diventi nervosa."
"Uh?"
"Non fare finta di niente. Sarà sul tetto, come sempre. Và da Gaara e giuro che se domattina non ti trovo in camera sua ti spedisco in missione a Kumokagure per sei mesi."
Matsuri avvampò, scandalizzata:"M-ma... ma... Temari-san!"
Temari sibilò un lapidario "Vai" e la ragazzina si dileguò in tutta fretta verso le scale. Una scocciatura in meno. 
La Jonin si congratulò con se stessa: il suo sguardo omicida evidentemente aveva ancora un certo effetto, poteva consolarsi, non s'era ancora rammollita del tutto. Si tranquillizzò.
Ma non completaamente: la parte più segreta e intima di lei, quella che desiderava un simbolico riconoscimento per i suoi primi venti anni su questa terra, quella che aveva urlato di terrore agli attacchi d'ira di Gaara, quella che, non vista, piangeva con la rarità eccezionale dei temporali nel deserto, strizzò un occhio d'intesa a Matsuri, e fu come sussurrare "Va bene, ti restituisco il favore, perchè, malgrado tutto, tu sai che io so, e io so che tu sai."

Se in passato c'erano state delle ostilità fra Suna e Konoha, dopo quella sera potevano dirsi definitivamente appianate.
Baki-sensei, sottobraccio all'Uzumaki da una parte e dall'altra all'Akimichi, intonava l'Inno di Suna con fervore patriottico e veniva imitato con pari ardore dai compagni di bevute. Gli Anziani se n'erano andati già da troppo tempo per poter inneggiare al decoro oltraggiato, mentre i Chunin e i Jonin di Suna avevano preso allegramente parte al simposio e insegnavano il testo dell'Inno ai colleghi di Konoha.
Temari assistette interdetta alla scena.
"Stanno andando avanti così da ore" le sorrise Tenten, "Penso che tireranno mattina."
"Ah, per me..." Temari roteò gli occhi e si lasciò cadere scomposta su una sedia, poco lontano da Hinata Hyuuga.
"Sono esilaranti" continuò Tenten.
"Io piuttosto direi ubriachi."
"Sono... buffi" mormorò incerta Yuki Onna -pardon, Hinata.
"Un po' meno quando svomitazzano dappertutto come quel tuo compagno di squadra, come si chiama, ah sì, Inuzuka."
Tenten venne scossa da una marea di risate convulse. Hinata invece parve ancor più mortificata e nascose la testa tra le spalle.
"M scusi, Temari-san."
"Ma figurati. Mica sei stata tu a rovinarmi la tappezzeria."
Tenten rise di nuovo, mentre la Hyuuga non sembrò molto tranquillizzata.
Se c'era qualcosa che Temari non sopportava era l'arrendevolezza, soprattutto durante la *splendida* festa per il suo ventesimo compleanno, organizzata contro la sua volontà e perdipiù trasformata nel trionfo dell'alcol e del cameratismo. 
Alzò gli occhi al soffitto. Calma, Temari, calma.
Caracollando per non incespicare nel vestito arrivò fino alla tavola, si servì un generoso bicchiere di liquore e tornò alla sedia. Porse la bevanda alla Hyuuga con un insolito sorriso cordiale.
"Avanti, bevi."
La Hyuuga oppose una resistenza fin troppo friabile, soprattutto dopo che Temari la rassicurò con calore:"E' solo acqua, non vedi?"
Hinata, un po' riluttante, bevve.
S'infiammò non appena il liquore le raggiunse la gola, poi cominciò immediatamente a tossire. Tossì finchè non le spuntarono le lacrime e le gote non le divennero di fuoco.
Tenten quasi cadde dalla sedia per il gran ridere.
"Ops, devo essermi confusa" fischiettò innocente Temari.
Hinata la fissò a lungo.
Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, rise. La risata più sincera, più argentina che Temari avesse mai sentito.
Il suo riso e quello di Tenten si mescolarono un po' esitanti a quello genuino di Hinata.
Non c'era ragione, in fondo, per rovinare la serata anche a qualcun'altro.

Il suo viso stravolto, con tanto di occhiaie e pelle livida, le fece capolino dal riflesso di una finestra. Adesso cominciava a essere decisamente molto, molto stanca e irritabile. Aveva sfidato Tenten a una partita di Mah-Jong, sicura della vittoria, ma la Chunin di Konoha l'aveva stracciata come un foglio di carta, per dirla in parole spicce. Era stato soprattutto il suo umore, poi, a esserne uscito sconfitto.
Neppure assistere all'ondata di furore popolare che si era scatenato quando Sai aveva offerto a ogni ragazza di posare nuda per un ritratto l'aveva fatta sorridere. Neppure vedere la Yamanaka che trascinava Cry-baby dalle parti della foresteria. Neppure vedere l'Uzumaki che si era definitivamente buttato addosso alla Hyuuga e le russava angelico in grembo, mentre lei tentava in tutti i modi di non svenire.
Temari in fin dei conti era sempre e solo Temari, c'era ben poco da fare.
Era una specie di condanna, ecco. 
Quando il frastuono delle voci aveva finito per innervosirla, aveva requisito una bottiglia di sakè e si era avviata verso la terrazza. Aveva spento un paio di torce ancora accese, così, tanto per sottolineare che la festa poteva anche dirsi conclusa, ed era stato allora che li aveva notati.
Seduti sul pavimento, sotto l'oblò di una finestra, Sakura Haruno e Sasuke Uchiha osservavano in silenzio una gigantesca luna rossa che sembrava voler cadere loro addosso da un momento all'altro.
Anzi, a dire il vero la Haruno guardava solo l'Uchiha. Come se lui fosse addirittura meglio della luna.
Parlavano piano; qualunque cosa si stessero dicendo, Temari passò oltre con discrezione.
Raggiunse il parapetto e per un istante il suo sguardo volò lontano, incontrò Suna che sonnecchiava nel buio e il deserto che in lontananza riposava come un'enorme bestia addormentata. Si sedette e tuffò le gambe nel vuoto, le lasciò penzolare nell'aria bruna senza curarsi dello spacco del vestito, dell'aria frizzante sulla pelle nuda, dei capelli in disordine e del trucco che aveva cominciato a dare i primi segni di resa.
Quella era una notte fortunata: il clima desertico prevedeva un caldo asfissiante durante la giornata e un gelo polare non appena il sole calava dietro le dune, ma questa volta aveva risparmiato un po' del suo freddo notturno. Il regalo di compleanno, pensò Temari, che il deserto le aveva fatto.
Posò la bottiglia di sakè un po' più in basso, sul pavimento.
Non sentì né freddo sonno: si sforzò di escludere ogni rumore attorno a lei, di cancellare meticolosamente ogni traccia umana che si fosse frapposta tra lei e il silenzio. Via le risate, via lo sfrigolio dei flauti, via le chiacchiere inconcludenti. Voleva solo il silenzio, Temari, voleva solo quello.
Stare immobile al centro del mondo per un istante lungo tutta un'eternità.
Oh, sì.  

"Temari-chan?"
"Mh? E chi diavolo è adesso? Nessuno può chiamarmi Tem-"
Temari si voltò e rimase lì, cristallizzata in quell'atto e in quella frase che non riuscì a terminare, come la lancetta di un orologio che aveva esaurito la carica.
Sbigottita fece cadere lo sguardo sulla bottiglia di sakè poggiata a terra e la trovò intonsa, l'orlo verdognolo del liquido che occhieggiava dall'imboccatura stappata.
Non era ubriaca.
(Sapeva che il giorno seguente avrebbe preso l'altare, la fotografia e i bastoncini d'incenso e avrebbe buttato via tutto, tutto quanto.)
Diede subitaneamente la colpa a un sogno: doveva essersi addormentata a forza di pensare. Un sogno, solo un maledetto sogno. Un sogno, sì. 
Sua madre la guardava con occhi identici ai suoi, occhi che sorridevano perlacei nel buio.
Non ci sarebbe stato nulla di sbagliato, se non per il fatto che Karura, sua madre, era morta diciotto anni prima dando alla luce Gaara.
Niente di tutto questo è vero, realizzò Temari. Eppure il viso di sua madre sembrava così dannatamente reale, così vivido, proprio come nelle fotografie, proprio come nei ricordi...
Sorrise, Karura.
"Sono venuta a vedere come stavi, Temari-chan."
"Io sto... sto bene, tutti noi stiamo bene" e voleva dirle quanto era stato difficile senza di lei, quanto era stato duro imparare tutto quanto da capo e da soli, quanto era stato doloroso capire, e poi raccontarle di tutti gli errori, di tutti i denti stretti, di tutte le notti gelide e interminabili, di tutti gli incensi accesi davanti alla sua fotografia, di tutto quello che era andato irrimediabilmente in pezzi e-
"Ci sei riuscita, Temari-chan?"
"...A fare che cosa?"
"Ad amarli."
"Io credo, penso che... Sì."
"Mi perdonerai mai, Temari-chan?"
"No."
E Temari si voltò di scatto verso Suna, che per sua fortuna era reale. Il villaggio, desolato, non seppe come consolarla.
Nascose il viso tra le braccia e serrò ostinata le palpebre sugli occhi aridi. Non pensò a Kankuro, non pensò a Gaara, non pensò proprio a niente: era troppo occupata a ignorare il lago di ricordi che d'improvviso le si era aperto davanti al volto.
Sillabava atona un'unica piccola parola, senza sprecare neppure un filo di voce, nel silenzio perfetto del suo buio: mamma, mamma, mamma.

 

Quando rialzò il capo c'era solo il sussurro bizzarro del vento a farle compagnia: nessuno attorno a lei. Stranamente se lo aspettava.
Ebbe voglia di gridare così forte da svegliare il deserto e spaccare il mondo intero.
Si accorse che la luna era definitivamente caduta: era l'alba.
Temari si stropicciò gli occhi appiccicati dal sonno, si sporse all'indietro, afferrò il collo della bottiglia di sakè e la poggiò accanto a sé sul parapetto.
La sua prima, fottutissima e stramaledetta notte da ventenne si era appena conclusa. E lei era sopravvissuta, più che altro.
Ma allora 'fanculo a tutto il resto.
Temari innalzò in silenzio la bottiglia al cielo di rubino e un istante dopo il sakè scrosciando allegro le bruciava già le pareti della gola.

 

Alla salute.

 

 

...And it's Time Time Time
And it's Time Time Time
And it's Time Time Time
That you love
And it's Time Time Time...

 

 

Fin


    
 

 

Kumokagure: Il Villaggio della Nuvola.
Yuki Onna:
Creatura mitologica del folklore giapponese (con cui peraltro sono fissata) e personificazione dell'inverno. Ha i capelli lunghi e nerissimi, la pelle nivea e i suoi occhi terrorizzano i mortali. Si capisce adesso perchè un ebbro Naruto l'ha paragonata a Hinata ;)?

 

 

Nota dell'Autrice
Misà che Temari tanto IC non è. Damn. Io che con il Canon sono praticamente fissata!
Il problema è non renderla la maniaca omicida della prima serie né la brava ragazza dello Shippuden, ma amalgamare entrambe le Temari e aggiungere una bella fetta di maturità. Voglio dire, sono passati due anni dalla fine dello Shippuden, la nostra Temari sarà maturata.
Questo è un tributo, comunque, a una delle kunoichi più sole, forti e determinate di tutta la saga.
Infine, piccola nota esplicativa sul titolo: non è che gli scelgo a random perchè così prima o poi ne esaurirò 52 (OPS XD! Misà che ho svelato il trucco...), no no. "Less remain in one place" significa "Rimane meno in un posto" e io l'ho inteso come la totale non-appartenenza di Temari a qualunque ambiente, compagnia, luogo lei frequenti. Guardatela: passa da una scena della festa all'altra, raddrizza le cose che non vanno, aggiusta questo e quello (Shikamaru e Ino, Gaara e Matsuri), irrompe nella sala come un'anima in pena e, uscita lei, non rimane niente. Vede o non vede sua madre? Non importa, perchè comunque non la perdonerà mai per essere morta, per averli lasciati da soli e averli oltretutto maledetti.
La casa di Temari è in se stessa, tutto qui.
Se non si è capito, le storie alla "Tutto in una notte" mi piacciono moltissimo.

 

 

Questo scrivevo in calce a questa storia oltre un anno fa, dato che il tributo che avete testè letto risale a marzo 2008 :D quando ero in piena crisi di mezz'età per l'avvento del mio 18esimo compleanno.
Mwahahahahaha.
Comunque, questo aggiornamento è per dire che THE BITCH IS BACK, non sono morta né mi hanno rapito gli alieni, sono tornata in tutta la mia esecrabile persona :D e domani inizio l'Università. Allegria!
Ringrazio i magnifici sei che hanno commentato la precedente flavour, nell'ordine: Cla Mela -da cui mi devo assolutamente far perdonare T.T-, Topy, Koks, Lalani, Chaos -a cui sono sicura che l'Hinata di questa storia starà sulle balle XDD- e infine Amaranth93.
La prossima volta giuro che ricomincio con le risposte alle recensioni! Prometto solennemente!

 

Ultima cosa: mi è stato notificato ieri via mail che le Flavours sono state inserite tra le Storie Scelte del sito *_____*! Sono tanto felice per le mie piccole!

 

 

Vostra non-morta e sempre viva,
Hipatya

 

 

 

  
    
 
       

 



 

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