Una strana estate

di Pandora86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Eccomi con la fic che tempo fa avevo annunciato.

Mi scuso per il ritardo, ma ho preferito scriverla in buona parte in modo da non farvi aspettare troppo tra un aggiornamento e un altro.

Seguendo un po’ i consigli di tutti, ho optato per una fic che non fosse slegata da “Il tuo vero volto” ma che comunque narrasse avvenimenti a parte.

Ci sarà comunque per chi me l’aveva chiesta, dopo questa, una continuazione della seconda parte de “Il tuo vero volto” incentrata su come Hanamichi e Kaede affronteranno il ritorno del numero dieci dalla riabilitazione.

La fic può anche essere letta a parte senza conoscere quelle precedenti, anche se comunque qualche avvenimento potrebbe risultare poco chiaro.

La coppia principale sarà Sendoh-Mito, anche se comunque saranno presenti anche Sakuragi e Kaede.

La fic, cronologicamente, è ambientata prima dell’ultimo capitolo della seconda parte de Il tuo vero volto, quindi un all’incirca un mese prima del fatidico incontro di Kaede e Hanamichi sulla spiaggia.

Geograficamente, visto che il canone non da informazioni a riguardo, ho scelto di ambientarla a Odawara.

Si tratta di una città che fa parte della prefettura di Kanagawa.      

 Enoura, un quartiere costiero di Odawara, noto per il suo mare pulito, abbonda di kumamomi, un tipo di pesce che preferisce acque chiare e pulite. Alle volte si trovano anche tartarughe di mare. Grazie alle sue acque cristalline e all'abbondanza di vita marina, molti sub si recano a Enoura per immergersi.
 
Detto questo, vi lascio al capitolo.

Buona lettura.                

 

                             Una strana estate
 

Capitolo 1.
 

Il treno arrivò puntuale in stazione, annunciando la sua frenata con uno sbuffo.

Yohei aprì gli occhi alzandosi e prendendo il suo bagaglio.

Era un’assolata mattina di agosto, il dieci per la precisione.

Il termometro in stazione segnava 36 gradi all’ombra e Yohei, scendendo dal treno e sentendo la temperatura sulla sua pelle, ringraziò Kami che, nel treno, l’aria condizionata fosse perfettamente funzionante.

Inutile dire che la parte di bagaglio preparata da sua madre fosse totalmente inutile.
 

“Porta un altro maglioncino estivo caro!” aveva insistito sua madre quella mattina, quando l’alba aveva appena fatto capolino.

“Non è necessario, mamma!” aveva risposto lui paziente decidendo, finalmente, di chiudere il borsone.

“Ma a Odawara potrebbe fare freschino la sera”.

“Non vado al Polo Nord, mamma!” aveva specificato ancora, per la milionesima volta, in quei giorni.

“Ma la temperatura in Giappone è così variabile nelle città. Porta almeno una camicia a maniche lunghe!”.

“Va bene!” si era stufato Yohei, prendendo la prima camicia dall’armadio e legandosela alla vita.

“Ora vado, che altrimenti non faccio in tempo” aveva concluso.

“No!” l’aveva stoppata a priori. “Non è necessario che mi accompagni!” le aveva detto, salutandola poi con un leggero bacio in fronte.

Sua madre l’aveva abbracciato stretto e Yohei l’aveva lasciata fare. A differenza di lui, era un tipo molto espansivo, che necessitava di un costante contatto fisico.

Un po’ come Hanamichi, in effetti. Solo che, sempre ringraziando Kami, Hanamichi era il suo migliore amico nonché capo della loro nota banda di teppisti; di conseguenza, per fortuna, non lo abbracciava spesso o, come sua madre, lo stritolava in prese soffocanti.

D’altro canto, Yohei voleva troppo bene a sua madre per negarle quei contatti, e sua madre lo sapeva visto che si era staccata dall’abbraccio pochi istanti dopo, regalandogli solo un’ultima e discreta carezza sul viso che, anche se meno eclatante rispetto ad altre manifestazioni d’affetto, era altrettanto importante perché trasmetteva tutto l’affetto di una madre verso un figlio.

A passo lesto s’incamminò verso l’uscita della stazione.

Enoura, il ridente quartiere costiero di Odawara gli diede il benvenuto.

Era una cittadina estiva, meta di tutti i bagnanti, famosa per la sua costa e per il suo mare pulito.

Anche se non era lì per vacanza, Yohei era contento che la clinica si trovasse da quelle parti.

Hanamichi amava il mare, molto più di lui, e curarsi in una clinica che affacciava su una splendida spiaggia avrebbe certamente giovato all’umore del suo migliore amico.

Inoltre, la pensione in cui Yohei alloggiava distava un centinaio di metri dalla clinica; di conseguenza, anche se non si aspettava di passare le vacanze estive in quel modo era comunque contento di poter essere di compagnia a Hanamichi.

Il primario della clinica, infatti, era venuto a conoscenza della situazione familiare di Hanamichi.

Non gli era stato detto che viveva da solo ma era comunque stato informato del fatto che fosse orfano e con un tutore che non si sarebbe minimamente interessato alle sue condizioni.

Sua madre si era presa tutte le responsabilità permettendo quindi a suo figlio di stare vicino a Hanamichi in qualità di parente.

Solo ai parenti erano, infatti, concesse le visite in quella clinica e Yohei avrebbe potuto, in questo modo, fare compagnia a Hanamichi tutta la giornata.

Non si pentiva di essere partito; per lui, poter stare in compagnia di Hanamichi era la migliore soluzione per l’estate.

Prima di partire, aveva anche fatto visita a Rukawa, il giorno prima per l’esattezza, informandolo della sua partenza.

Il numero undici era, infatti, rientrato a Kanagawa qualche giorno prima con la squadra perché la partita contro l’Aiwa si era rivelata un fiasco totale per lo Shohoku.

Il numero undici gli aveva anche mostrato la sua lettera di convocazione per la nazionale.

All’inizio, Yohei si era stupito.

Da quando in qua voleva i suoi complimenti?

Poi, leggendo la destinazione del ritiro, aveva capito.

La pensione in cui avrebbe alloggiato la nazionale juniores era nella stessa cittadina; per l’esattezza, si trovava a qualche chilometro dalla clinica.

Yohei aveva sorriso spiegandogli che, in ogni caso, non avrebbe potuto far visita a Hanamichi.

Rukawa aveva alzato le spalle con indifferenza e Mito aveva capito che la cosa non aveva importanza visto che, in ogni caso, sarebbero stati vicini.

Inoltre, una volta che Sakuragi si sarebbe ripreso incominciando la tanto attesa riabilitazione, allora magari avrebbe avuto più libertà e quindi si sarebbero potuti incontrare anche solo per qualche minuto.

Era questo il significato del monosillabico discorso di Rukawa e Yohei aveva annuito sorridente.

Poi, era andato via, promettendo di tenerlo costantemente informato.

Vista la loro vicinanza nei giorni a venire, Rukawa si sarebbe trovato con la nazionale il 16 agosto, Yohei avrebbe potuto aggiornarlo di persona.

Perso tra questi pensieri, non ebbe modo di visitare il bellissimo panorama che la cittadina offriva, né di dare uno sguardo dettagliato alla pensione in cui avrebbe alloggiato nelle settimane a venire.

Fu un peccato dato che, in caso contrario, si sarebbe accorto di una persona conosciuta fra i volti della pensione che stavano nell’ingresso.

Una persona che lo osservava con una certa curiosità.

Una persona che, nei giorni a venire, sarebbe entrata a far parte della sua vita molto più di quanto Yohei stesso avesse voluto.
 

***
 
Hanamichi lo accolse con un sorriso raggiante.

Costretto su una sedia a rotelle, aveva avuto molte poche occasioni di sorridere in quei giorni.

Per una persona iperattiva come lui, essere costretto all’inattività era, infatti, la peggiore delle condanne.

La vicinanza del suo fidato braccio destro, avrebbe reso meno monotoni quei giorni.
Hanamichi guardò la camicia legata alla vita dell’amico con sguardo interrogativo.

“Paura di prendere freddo?” domandò ironico.

“Mamma!” rispose semplicemente Yohei con un’alzata di spalle.

Non ci fu bisogno di specificare altro visto che Hanamichi conosceva la donna e sapesse quanto fosse apprensiva.

Infatti, si limitò a una risatina e anche Mito incurvò appena le labbra.

Hanamichi voleva molto bene a sua madre e, anche di questo, Yohei era contento.

La donna era molto affettuosa e, a differenza di lui, Hanamichi era ben contento delle sue manifestazioni d’affetto e della sua ricerca del contatto fisico.

Era stata, in quegli anni, una seconda madre per lui e Yohei pensò che il carattere di sua madre calzasse a pennello con quello di Hanamichi.

Un motivo in più per sentirlo un fratello, anche se i legami di sangue affermavano il contrario.

“Allora” esordì Yohei con un sorriso, “come te la passi, campione?” domandò sedendosi sul letto.

“Uno schifo!” fu la lapidaria risposta di Hanamichi.

“Il mangiare è insipido, e il caffè delle macchinette sembra acqua sporca!” concluse con uno sbuffo.

“Vorrà dire che farò visita a qualche bar, prima di venire qui nei prossimi giorni!” lo consolò Yohei e Hanamichi sorrise riconoscente.

Proprio come aveva previsto, con la venuta del suo amico, i giorni a venire sarebbero stati tutt’altra cosa rispetto ai precedenti.

Anche se non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per il programma estivo forzato che aveva imposto all’amico.

Yohei capì al volo i suoi pensieri visto che interruppe, a priori, qualsiasi protesta.

“Non cominciare, ne abbiamo già parlato!”

“Ma…” incominciò Hanamichi.

“Stare a casa senza di te è una grande rottura!” concluse Yohei liquidando in quel modo la faccenda.

Hanamichi annuì con un sorriso.

“Allora” riprese a parlare cambiando discorso, “che mi dici della squadra?”.

“Sono tornati pochi giorni fa a Kanagawa. La partita contro l’Aiwa è stata una strage per lo Shohoku!” .

“Capisco” rispose triste il numero dieci volgendo lo sguardo alla foto posta sul comodino.

“La tua assenza si è fatta sentire!” aggiunse Yohei con un sorriso.

“Già” affermò Sakuragi di rimando, ritrovando il suo buon umore.

“Inoltre!” continuò Yohei, “Rukawa è stato convocato per la nazionale juniores” annunciò con finto tono indifferente, studiando però attentamente le reazioni dell’amico.

Lo stupore non perse tempo a comparire sul volto di Sakuragi.

“E tu che ne sai?” domandò, infatti.

“Voci di corridoio!” rispose Mito sibillino.

“Inoltre” continuò, “sai dove si svolgerà il ritiro?” domandò con noncuranza guardandosi le unghie.

“E come potrei saperlo?” s’inalberò Sakuragi.

“Beh, sì dal caso che lo sappia io” annunciò Yohei festante.

“Sempre voci di corridoio, suppongo” lo sfotté Sakuragi.

“Già!” affermò tranquillamente l’altro. “Queste voci dicono che si svolgerà proprio qui, a Enoura “.

“Sul serio?” domandò Sakuragi scettico.

“Inoltre, la squadra alloggerà in una pensione a pochi chilometri dalla clinica!” concluse.

“Sai anche dove alloggeranno?” si stupì ancora Sakuragi.

“Sempre voci di corridoio, suppongo” aggiunse poi ironico con un ghigno.

“Sempre loro!” confermò Yohei con un sorriso sghembo.

“Ma non metterti strane idee in testa!” aggiunse poi, ritornando serio. “Non potrà venire a trovarti e tu non potrai assolutamente muoverti!” concluse fissandolo.

“Io ti controllerò” gli intimò, puntandogli un dito contro.
Sakuragi alzò le mani in segno di resa.

“Saremo vicini! È questo che conta!” concluse con un sorriso, pensando a quell’ennesimo scherzo del destino.

A quanto pareva, non si sarebbe potuto liberare di Rukawa neanche se l’avesse voluto.

E lui, infatti, non ne aveva minimamente l’intenzione.

Yohei seguì lo sguardo dell’amico, accomodandosi meglio sul letto.

Sapeva che la notizia della vicinanza di Rukawa lo avrebbe allietato e lui, personalmente, non si pentiva di essere lì.

Sarebbe stata un’estate un po’ fuori dagli schemi ma comunque piacevole.

Eh si! Pensò stendendosi sul letto, con le braccia incrociate dietro la testa.

Sarà proprio una strana estate!

E, in quel momento, Yohei non poteva sapere quanto il suo momentaneo pensiero si fosse avvicinato incredibilmente alla realtà di quei giorni a venire.
 

***
 

Sendoh s’incamminò sul lungomare respirando l’aria serale e godendosi quella frescura che caratterizzava la sera.

Agli inizi di agosto, era stato convocato per la nazionale junioers e lui, vista la meta, aveva deciso di partire un po’ prima della data prefissata.

La nazionale si sarebbe riunita il sedici di quel mese poi, con la fine dei campionati nazionali, li avrebbero raggiunti i giocatori che erano stati trattenuti dalle partite.

La nazionale al completo comunque si sarebbe riunita verso fine agosto o almeno questa era l’ipotesi, visto che sicuramente sarebbe stato convocato anche qualche giocatore che avrebbe partecipato alle finali del campionato nazionale.

Lui, invece, non avendo partecipato ai campionati, era stato convocato molto prima.

Per cui, non avendo di meglio da fare per l’estate, aveva deciso di partire pochi giorni dopo prenotando una stanza in una pensione vicina a quella in cui avrebbe dovuto risiedere per il resto del mese.

Preferiva così, anche se, a prima vista, poteva sembrare una scelta un po’ illogica.

Era un ragazzo con la testa sulle spalle e molto tranquillo in apparenza.

Solo in apparenza perché, quando giocava a basket, la sua competitività usciva fuori senza lasciargli scampo.

Eppure, nonostante fosse così competitivo, riusciva a mantenere lucidità e freddezza infondendo la calma a tutti i suoi compagni di squadra.

Questo era uno dei motivi per cui era stato nominato capitano.

Era un campione e un trascinatore.

Era calmo e assennato, e sempre pronto ad andare in aiuto ai suoi compagni di squadra.

Li incoraggiava la dove sbagliavano e li risollevava quando il loro morale si abbatteva.

Eppure, nonostante fosse felice della nomina di capitano e orgoglioso di essere stato convocato in nazionale, per il momento, voleva solo un po’ di tranquillità, prima di affrontare le settimane che sarebbero venute.

Uno dei suoi hobby, non a caso, era la pesca.

Gli permetteva di riflettere e di stare in pace con se stesso ma, soprattutto, con il mondo.

Un mondo che era sempre più curioso riguardo alla sua vita e alla sua persona.

A scuola, non a caso, era l’idolo delle ragazze.

Lui, per quanto fosse sempre gentile, sentiva, a volte, l’esigenza di stare da solo, lontano da persone che lo idealizzavano.

Per questo pescava e, sempre per questo, aveva deciso di trascorrere quei giorni lì, in una pensione diversa da quella che avrebbe ospitato la nazionale.

Avrebbe potuto fare il turista e pescare, oltre che correre sulla spiaggia in assoluta tranquillità o, come nel caso di quella sera, regalarsi delle tranquille passeggiate serali sulla riva.

Mentre era perso in questi pensieri notò, a qualche decina di metri di distanza, un asciugamano poggiato sulla sabbia, insieme con quelli che sembravano vestiti.

Evidentemente, qualcuno voleva regalarsi un piacevole bagno serale, pensò non interrompendo la sua passeggiata e quindi avvicinandosi all’asciugamano.

Volse il suo sguardo verso il mare, convinto di trovarvi una coppia impegnata in una romantica nuotata.

Rimase però sconcertato quando vide chi stava emergendo dall’acqua.

Era un ragazzo, e non un ragazzo qualunque.

Era lo stesso ragazzo che aveva visto arrivare alla pensione quella mattina.

Lo ricordava perfettamente dato che lo aveva incuriosito non appena entrato.

L’aveva incuriosito soprattutto quella camicia pensante che portava legata alla vita.

Ricordava di aver pensato che fosse un turista abbastanza strano, considerato il clima afoso e i gradi che c’erano all’ombra.

Eppure, quel pensiero era durato solo un istante.

Ricordava, infatti, che il ragazzo, avendolo osservato meglio, non aveva per niente l’aria del turista.

Era entrato alla pensione non guardandosi neanche intorno, come se non gli importasse di dove dovesse risiedere nei giorni a venire.

Cosa strana, se si trattava di qualcuno che arriva per passare le vacanze estive.

Come prima cosa, si era fatto consegnare le chiavi della camera e poi Sendoh l’aveva
visto uscire in tutta fretta pochi minuti dopo.

Il suo volto era serio e preoccupato.

Era stato allora che aveva decisamente scartato l’ipotesi che si trattasse di un vacanziero.

Quel ragazzo era lì ma, a quanto pareva, per un motivo ben diverso dalle vacanze estive.

Inoltre, non l’aveva più visto per tutto il giorno e Sendoh era certo che non si fosse recato in spiaggia.

Non si era neanche cambiato per uscire.

In effetti, non era da lui ficcare il naso negli affari degli altri però, in quella pensione, la tranquillità regnava sovrana e, a conti fatti, non faceva nulla di male.

Era normale osservare qualcuno che destasse interesse, in fondo.

Poi, era uscito dopo la cena per la sua passeggiata e, caso dei casi, eccolo lì, impegnato in un bagno serale.

Ebbe modo di osservarlo più da vicino mentre usciva dall’acqua.

Era a parecchi metri di distanza quindi, dato che camminava lentamente, sarebbe stato inevitabile passargli davanti.

E Sendoh non ebbe dubbi su quello che vide; poteva affermare, infatti, senza alcuna incertezza, che si trattava di un bel ragazzo.

L’aveva pensato anche quella mattina, anche se non aveva avuto modo di osservarlo bene.

Invece, adesso, poteva avere la conferma di quanto avesse ipotizzato.

Il suo fisico era scolpito, la sua pelle candida e illuminata dalla luna.

I suoi capelli che ora, essendo bagnati, ricadevano a incorniciargli il volto, erano nerissimi come i suoi occhi.

I lineamenti del viso marcati eppure molto piacevoli.

Eppure, quello che colpiva di più era la sua espressione seria e la decisione che trasmettevano quegli occhi.

Anche quella mattina l’espressione di quel ragazzo lo aveva incuriosito.

Ricordava, infatti, che il suo volto serio stonava con tutte le altre persone presenti nella pensione che, serene e rilassate si intrattenevano con i loro figli o con i loro amici gustandosi al meglio quell’assolato mese di agosto.

Era per questo che lo aveva colpito.

Sembrava una mosca bianca, una nota stonata messa lì per caso in mezzo a tutti gli altri che si divertivano.

Oramai, Sendoh lo vedeva bene dato che c’era meno di un metro di distanza a separarli.

Con la scusa di bagnarsi le mani nell’acqua marina, si fermò a osservarlo.

Il ragazzo aveva notato la sua presenza ma non sembrò curarsene.

Raccolse il suo asciugamano asciugandosi lentamente e poi infilandosi i pantaloni fino a che non volse lo sguardo verso di lui.

Lo guardò per un istante che a Sendoh sembrò eterno.

Sendoh rimase sconcertato dallo sguardo di quel ragazzo.

Quegli occhi, perché lo fissavano in quel modo?

Erano imperturbabili. Sendoh, a istinto, capì che fosse una di quelle persone che si distinguevano perché non si riusciva mai a capire cosa pensassero.

Il giocatore, infatti, non avrebbe saputo dire cosa potessero mai esprimere quegli occhi che lo fissavano.

Il ragazzo inclinò leggermente la testa di lato osservandolo meglio.

Se fossero stati nel quartiere dove abitava, allora Sendoh avrebbe pensato che il ragazzo l’avesse riconosciuto.

Ma erano lontani e lui non era ancora un giocatore di fama nazionale.

Andava pur sempre al liceo e le riviste su cui talvolta era uscito il suo volto erano giornali locali.

Inoltre, non tutti erano interessati al basket, quindi le possibilità che il ragazzo lo conoscesse erano utopiche.

Eppure, cos’era stato quello strano luccichio negli occhi?

Sendoh non lo sapeva.

Fatto sta che scomparve alla stessa velocità con cui era apparso.

Senza una parola, infatti, il ragazzo distolse lo sguardo raccogliendo la maglia che appoggiò con noncuranza sulle spalle e, senza più curarsi di lui, s’incamminò nella sua direzione.

Sendoh ebbe moto di notare che non era molto alto se paragonato a lui eppure, ora che lo osservava meglio, notò che il suo fisico era perfettamente scolpito quanto quello di uno sportivo, se non di più.

Rimase in attesa, aspettando che il ragazzo si avvicinasse ma questi, senza più guardarlò, lo superò.

Sendoh rimase lì, voltandosi poi a osservare quella schiena ben delineata che si allontanava.

Cos’era quello sguardo?

Perché Sendoh non riusciva a fare a meno di staccare gli occhi da quella figura che camminava con calma?

Chi era quel ragazzo così misterioso che gli faceva provare tutta quella curiosità?

Sendoh non lo sapeva.

Era però felice del fatto che si trovassero nella stessa pensione.

Forse, quell’estate, si sarebbe rivelata più interessante di quello che credeva, pensò con un sorriso alzandosi in piedi e osservando le onde.

Sì, senza dubbio, sarebbe stata un’estate interessante.
 


Continua…

Eccoci alla fine del primo capitolo dove mi sono semplicemente limitata a descrivere un po’ i caratteri dei due protagonisti.

Spero di aver fatto un buon lavoro con Sendoh dato che è la prima volta che si muove come protagonista in una mia storia.

Ovviamente, Sendoh non riconosce subito Mito come amico si Sakuragi essendo Yohei uno dei volti che tifano sugli spalti.

In seguito comunque, le cose si movimenteranno parecchio.

Le date della storia sono assolutamente casuali, usate perché mi facevano più comodo ai fini della fic.

Se lo scorrimento temporale però non fosse chiaro potrei mettere le date a inizio capitolo… fatemi sapere!!!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre attendo i vostri pareri che mi incoraggiano molto.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo aggiornamento.

Come i miei vecchi lettori sapranno, ero solita aggiornare la domenica.

Ho spostato gli aggiornamenti al martedì dato che avendo quasi concluso la storia ho preferito non aspettare oltre.

Se però qualcuno volesse di nuovo aggiornamenti domenicali, allora può farmelo sapere e li sposterò senza problemi.

Detto questo vi lascio, ringraziando tutti quelli che sono arrivati fin qui.

Pandora86

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Eccomi con il secondo capitolo.
Grazie a chi ha recensito quello precedente e chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.
Grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura!
 
 
Capitolo 2.

 

Yohei entrò nella stanza della pensione fiondandosi letteralmente sul letto.

Era distrutto, in tutti i sensi.

Quella mattina, all’alba era già in piedi per essere puntuale in stazione.

In treno poi, non aveva dormito granché; anzi, non aveva dormito per niente.

Troppi erano i pensieri che gli affollavano la mente, e comunque lui non era uno di quei tipi che trovano il continuo ondeggiare delle carrozze soporifero, tutt’altro.

Una volta arrivato, era subito corso da Hanamichi in clinica e aveva passato con lui tutta la giornata.

Alle nove era dovuto andare via, decidendo di consumare un pasto veloce in uno dei bar che avrebbe trovato lungo la strada; a quell’ora, infatti, la cucina della pensione era sicuramente chiusa e, se anche non fosse stato così, comunque non avrebbe cenato fra i tanti volti anonimi e rumorosi che occupavano la pensione.

Voleva solo un po’ di pace e di tranquillità.

Hanamichi gli era sembrato sereno e combattivo.

Sicuramente, la notizia della convocazione di Rukawa lo aveva spronato a non mollare.

Eppure, durante la giornata, Yohei aveva notato il suo sguardo incupirsi di tanto in tanto, mentre rivolgeva occhiate veloci alla fotografia che aveva sul comodino dove c’era raffigurata la squadra al completo.

Sicuramente, influiva molto anche il fatto che fosse costretto all’inattività.

Mettere un tipo come Hanamichi su una sedia a rotelle era come mettere un pesce fuori dall’acqua.

La schiena aveva avuto dei seri danni e Hanamichi avrebbe dovuto aspettare qualche tempo prima di poter cominciare la riabilitazione che, tra l’altro, sarebbe stata lunga e dolorosa.

Però Yohei era ottimista; il suo amico aveva una grinta e una forza di volontà fuori dal comune.

Più si presentava complicato il problema, più Hanamichi vi si sarebbe buttato a capofitto per risolverlo.

Lo aveva dimostrato giocando a basket e, per chi lo conosceva da tempo immemore come Yohei, lo aveva dimostrato affrontando, giorno per giorno, tutti gli ostacoli che la vita gli aveva posto dinanzi.

Nonostante la stanchezza però il fidato braccio destro del Tensai non riusciva a prendere sonno.

Quella sera, aveva fatto uno strano incontro.

Aveva deciso di fare un bagno serale, approfittando della tranquillità che avrebbe regnato a quell’ora in spiaggia.

Era sempre stato così, d’altronde.

Hanamichi amava il mare, il sole e la gente.

Lui, ovviamente, si divertiva in sua compagnia e non si sarebbe mai perso una giornata di mare con Hanamichi; il divertimento e le risate erano assicurati.

Anche lui amava il mare.

Lo preferiva però di sera, quando l’acqua, avendo fatto da specchio ai raggi solari per tutto il giorno, diveniva calda.

Allora poteva nuotare in tranquillità, senza correre il rischio di scontrarsi con qualche bagnante.

Il mare, in quel momento, gli sembrava tutto suo.

Di conseguenza, quella sera, una volta arrivato alla pensione dove risiedeva, non aveva avuto dubbi su cosa fare.

Si era cambiato per recarsi in spiaggia.

Lì aveva fatto un incontro assolutamente imprevisto.

A camminare su quella stessa spiaggia c’era nientemeno che il campione del Ryonan: Akira Sendoh.

Yohei l’aveva riconosciuto subito.

Mentre nuotava, aveva scorto in lontananza una figura che si avvicinava.

Il suo istinto l’aveva rassicurato; sentiva a pelle che si trattava di un villeggiante che passeggiava.

Quando però si era avvicinato alla riva, l’aveva riconosciuto immediatamente.

Era alquanto sorpreso di trovarlo lì, o meglio era sorpreso di trovarlo a pochi passi dalla pensione in cui risiedeva e con tanto tempo d’anticipo.

Era sicuramente stato convocato per la nazionale; ma che cosa ci faceva lì tanto tempo prima?

In ogni caso, non aveva dato peso alla cosa, non curandosi minimamente di lui, mentre si avvicinava passeggiando.

A un certo punto, però, si era sentito osservato.

Sendoh, infatti, si era chinato per bagnarsi le mani in acqua e Yohei aveva sentito gli occhi del giocatore fissi sulla sua schiena.

Mito aveva capito immediatamente che il gesto di Sendoh era una scusa per osservarlo meglio; anni di risse avevano sviluppato il suo sesto senso che era sempre all’erta.

Non aveva cattive intenzioni, questo Yohei lo sapeva; in fondo non si trattava di un teppista.

Ma, se appunto non aveva cattive intenzioni, perché si era fermato a osservarlo con tanta insistenza?

Possibile che l’avesse riconosciuto?

Questo era il pensiero che l’aveva attraversato mentre si asciugava con fin troppa calma.

Ragionandoci a mente fredda però, quell’eventualità era da escludere a priori.

Sentendo su di se quello sguardo insistente, si era voltato nella sua direzione osservandolo per un lungo istante, senza far trasparire nulla dalla sua espressione.

In quel momento, dallo sguardo del giocatore, aveva avuto la conferma che no, non l’aveva riconosciuto, proprio come Yohei si aspettava.

Era questo, infatti, il suo vantaggio.

Lui non era altro che uno dei tanti volti anonimi che occupavano gli spalti durante una partita.

Così, avendo questa certezza, si era incamminato verso la pensione.

Quando aveva superato il giocatore, non aveva avuto bisogno di voltarsi per capire che lo stava ancora osservando.

Quello che però si domandava era il perché.

In fondo, era un semplice bagnante che si concedeva un bagno serale.

Mah, forse si stava ponendo troppi problemi per un avvenimento senza importanza.

Forse il giocatore si era incuriosito per qualcosa, forse gli ricordava qualcuno e lui si stava preoccupando fino all’inverosimile per
una sciocchezza.

Certo, era strano che Sendoh fosse lì con tanti giorni d’anticipo ma la cosa, in fondo, non lo riguardava.

Puntando la sveglia alle sette, decise di non porsi più domande inutili e di mettersi a dormire.
 

***
 

Quella mattina, come tutte le altre, Sendoh si era svegliato abbastanza presto.

Forse, quella mattina in particolare un po’ prima rispetto alle altre, ma la cosa non gli pesava essendo lui un tipo piuttosto mattiniero.

Spesso si alzava presto per andare a pescare o per andare a correre, anche se in quel momento aveva in mente tutt’altro.

Aveva passato la notte a pensare a quello strano ragazzo arrivato nella pensione.

Inutile negarlo, quel tipo gli piaceva.

I suoi gusti non erano un mistero, almeno per lui.

Sapeva di essere bisessuale e la cosa non gli aveva mai creato problemi.

Lui non dava eccessivamente importanza all’aspetto, se una persona lo incuriosiva; che fosse uomo o donna per lui non faceva molta differenza.

Aveva avuto qualche storia in passato, come tutti i ragazzi della sua età. Non molte, in effetti, o almeno non tanto quanto gli altri immaginassero visto il successo che riscuoteva sia tra le ragazze e i ragazzi, ma comunque un numero discreto che gli aveva fatto capire i suoi orientamenti sessuali.

Niente di serio, almeno da parte del partner.

Da parte sua, invece, beh, all’inizio aveva ogni volta sperato che si trattasse della persona giusta.

Con il passare delle settimane aveva capito che così non era e quello che era rimasta era solo una leggera delusione.

Non si angustiava più di tanto; sapeva di essere giovane e sapeva che, prima o poi, avrebbe trovato la persona che faceva per lui.

Cosa cercasse in realtà non avrebbe saputo dirlo.

Sapeva solo che cercava un qualcosa, qualcosa che nei precedenti ragazzi e ragazze, non aveva mai trovato.

E ora, ecco spuntare quel tipo.

Tipo che lo aveva incuriosito fino all’inverosimile.

Inutile dire che era stato il suo aspetto che lo aveva attirato, o almeno questo era stato quello che aveva pensato quando l’aveva visto arrivare alla pensione.

Per quanto avesse legata alla vita quella ridicola camicia di flanella, a quadroni tra l’altro, non aveva potuto fare a meno di notare che era un bel ragazzo.

Poi però qualcos’altro lo aveva incuriosito; lo sguardo serio e preoccupato che aveva, e che era in netto contrasto con tutti gli altri vacanzieri, aveva destato il suo interesse.

Era durato solo un attimo e poi il ragazzo era andato via.

Ricordava, però, di aver atteso tutto il giorno che facesse ritorno alla pensione fino a che, dopo la cena, aveva deciso di passeggiare sulla spiaggia.

Ed ecco che, caso dei casi, se lo ritrovava lì, intento a nuotare.

Ricordava di non aver potuto fare a meno di osservarlo.

In altri tempi avrebbe provato ad attaccare bottone; era, infatti, una persona abbastanza socievole ed essendo in un quartiere di vacanza, era normale parlare con degli sconosciuti.

Eppure, ecco che lo sguardo del ragazzo frenava tutti i suoi propositi.

Era chiaramente uno sguardo di chi non vuole essere disturbato e Sendoh si era limitato a osservarlo, in silenzio, fino a che l’altro non si era allontanato.

In fondo, stavano nella stessa pensione.

Perciò, quella mattina, si era svegliato alla buon'ora, con l’idea fissa di riuscire a scambiare qualche parola con il ragazzo.

La colazione era un ottimo pretesto; la sala non era grande e poteva facilmente sedersi a un tavolo vicino o addirittura allo
stesso senza rischiare di passare per un impiccione.

Le aspettative di Sendoh erano però destinate a crollare pochi minuti dopo.

Erano le sette e trenta circa quando aveva visto il ragazzo raggiungere la sala comune a tutti gli ospiti della pensione.

Anche lui era mattiniero quindi.

Peccato però l’avesse visto, pochi istanti dopo, consegnare le sue chiavi e dirigersi verso l’uscita.

Lui, che era vicino all’ingresso, aveva assistito al tutto sorprendendosi e decidendo all’istante di provare a scambiare qualche parola prima che uscisse definitivamente.

Ancora una volta però a frenarlo era stato lo sguardo del ragazzo.

Mai Sendoh si era sentito osservare con tanta freddezza.

Era vicino alla porta d’ingresso della pensione e il ragazzo si era fermato in attesa che lui si scostasse.

Non una parola, solo quegli occhi puntati addosso che gli intimavano di muoversi alla svelta e Sendoh non era riuscito a fare altro se non lasciare l’ingresso libero e osservare il ragazzo uscire.

Nel passare, il ragazzo era stato attento a non sfiorarlo neanche per sbaglio e se Sendoh aveva sperato che quella mattina il suo umore potesse migliorare rispetto al suo arrivo si era sbagliato di grosso.


Il ragazzo sembrava oltremodo infastidito e, se possibile, sembrava avere ancora più fretta rispetto al giorno precedente.

E ora, eccolo lì davanti alla sua colazione, con in testa mille interrogativi.

I piani per la mattinata erano andati in tutt’altra direzione rispetto a quanto avesse programmato.

Oramai gli era ben chiaro che lo strano tipo non fosse lì né per vacanza né per divertimento.

Eppure, Sendoh non riusciva a fare a meno di pensare al suo sguardo che aveva potuto osservare in pieno giorno anche se per meno di un minuto.

Era giovane, il ragazzo; probabilmente un liceale.

Eppure, il suo volto recava i tratti di una maturità molto sviluppata.

Inoltre, aveva la costante sensazione di averlo già visto da qualche parte, nonostante non riuscisse a immaginare né dove né quando.

Inoltre, non era sicuro di questo dato che si sarebbe ricordato di un tipo simile se in passato avesse avuto occasione d’incontrarlo.

Eppure, nonostante questa certezza, la sensazione rimaneva.

D’altra parte però continuava a domandarsi come avrebbe potuto dimenticare un volto simile.

Sendoh non aveva mai visto quello sguardo serio nei suoi coetanei, soprattutto nei periodi di vacanza.

Il giocatore si chiese quali fossero i problemi che lo affliggevano.

Quel ragazzo oramai aveva tutta la sua attenzione.

Sendoh sentiva che quella che all’inizio era semplice curiosità, si stava lentamente trasformando in attrazione.

Ripensò al suo corpo bagnato dall’acqua marina e un brivido gli corse lungo la schiena.

Non sapeva come, ma avrebbe fatto di tutto per conoscerlo.
 

***
 

Erano le otto e dieci quando Yohei fece il suo ingresso nella clinica.

Quella mattina, non aveva sentito la sveglia alzandosi dopo le sette e trenta e rischiando quindi di fare tardi.

Si era preparato in dieci minuti ed era riuscito a uscire dalla pensione verso le sette e quaranta.

Non avrebbe fatto colazione alla pensione, questo lo aveva già deciso la sera prima.

In clinica servivano la colazione alle otto in punto e Yohei ci teneva a essere puntuale.

Tra l’altro, quella mattina, non solo aveva rivisto Sendoh, appurando quindi che risiedevano entrambi nella stessa pensione, ma il giocatore aveva anche rischiato di fargli ancora più tardi visto che si era piazzato davanti all’uscita.

Yohei non sapeva molto del giocatore né gli interessava, ma trovarselo davanti all’ingresso a bloccare il suo passaggio lo aveva irritato ancora di più.

Tra l’altro, proprio come la sera prima, lo aveva letteralmente squadrato.

Quello che gli sfuggiva era il perché.

Che lo avesse collegato a Hana era impossibile.

Tuttavia, Yohei non aveva dimenticato che presto, in quel posto, lo avrebbe raggiunto anche Kaede Rukawa, persona che Sendoh conosceva fin troppo bene.

Mito non aveva intenzione di escludere Rukawa dalla vita di Hana; anzi, aveva accolto con entusiasmo la notizia che ci fosse anche lui in quel posto.

In questo modo avrebbe risparmiato telefonate unilaterali, vista la loquacità del giocatore, portandogli notizie di persona, direttamente al ritiro.

Se Sendoh però lo notava parlare con Rukawa allora potevano esserci grossi problemi.

Hana non conosceva ancora tutti i dettagli che legavano il suo migliore amico al suo, da poco, ragazzo.

Yohei aveva agito per il suo bene e non si pentiva di quello che aveva fatto; voleva essere però lui ad aggiornare Hanamichi e non che gli arrivassero voci, sicuramente sbagliate, di terzi.

Anche se, in fondo, si stava facendo troppi problemi.

Aveva una natura sospettosa che si era poi affinata con il tempo.

E Yohei sapeva che non si sarebbe fatto tutti quei problemi su Sendoh se questi non gli avesse rivolto quelle occhiate perforanti.

Per fortuna, non apparteneva allo Shohoku.

Nell’anno successivo, Yohei avrebbe ricominciato a far parte dei volti sconosciuti fra gli spalti durante la disputa di una partita.

Di conseguenza, aveva grossi dubbi sul fatto che Sendoh potesse rivelarsi un problema.

Comunque, avrebbe tenuto gli occhi aperti.

Facendo un bel sorriso, aprì la porta della stanza del suo migliore amico.

“Guarda un po’ che ti ho portato!” esclamò allegro alzando una mano.

“No, mi hai portato il caffè!” rispose Hanamichi raggiante.

“E anche qualche rivista sul basket!” aggiunse Yohei avvicinandosi.

Hanamichi lo ringraziò con un sorriso raggiante prima di afferrare il contenitore che conteneva il caffè e svuotarlo tutto di un fiato.

Era valsa la pena fare la fila al bar, se questo poteva rasserenare un po’ il suo amico.

Hanamichi era fatto così, si accontentava di piccoli gesti e Yohei avrebbe fatto in modo che vivesse quel difficile periodo il più serenamente possibile.

Scacciando i pensieri che aveva avuto, si accomodò ai piedi del letto sbirciando nel vassoio della colazione.

Gli occhi di Sendoh però, nonostante i suoi propositi, non lo lasciarono in pace neppure per un istante.
 

***
 

Sendoh passeggiava tranquillamente per una delle stradine di Eonura.

Era un quartiere piccolo e, in giro per le strade, si vedevano sempre gli stessi volti.

Per tutto il giorno non aveva fatto altro che pensare allo strano ragazzo e alla sua espressione fredda.

Doveva averlo infastidito parecchio il fatto di trovarselo sull’ingresso, dato che sembrava avere più fretta rispetto al giorno precedente.

Quella giornata, era rimasto alla pensione, anche se non aveva più rivolto lo sguardo verso l’entrata; gli era chiaro oramai che il ragazzo non sarebbe tornato.

Utilizzava la camera della pensione solamente per dormire, non consumando nessuno dei pasti della giornata e stando fuori tutto il giorno.

Chissà cosa faceva, chissà da chi andava.

Eppure, non gli sembrava fosse alle prese con una complicata storia d’amore.

Quello sguardo era troppo serio e preoccupato per una cosa del genere.

Doveva avere dei problemi piuttosto seri e, a quel pensiero, Sendoh s’intristì.

Era un peccato che avesse trovato qualcuno che destava in lui una tale curiosità e che la persona in questione sembrasse avere la testa da tutt’altra parte.

D’altro canto, Sendoh sapeva anche che se si fosse trattato di una persona qualsiasi con atteggiamenti normali, non si sarebbe incaponito in quel modo.

E poi, il tempo a disposizione c’era.

A considerare dal bagaglio che il ragazzo aveva portato con sé, non gli sembrava dovesse trattenersi poco.

Quindi, di certo avrebbe trovato un modo per rompere il ghiaccio.

Si era recato nuovamente in spiaggia per una passeggiata sperando d’incontrarlo ancora una volta.

Probabilmente, il ragazzo avrebbe avuto meno fretta rispetto alla mattina.

Infatti, la prima volta che l’aveva visto fare il bagno di sera, gli era sembrato più rilassato, come se si stesse concedendo un attimo di riposo dopo una giornata estenuante.

Doveva avere un carattere abbastanza complicato, ipotizzò il giocatore.

Era un buon osservatore, lo era sempre stato e questa peculiarità si era affinata giocando a basket.

Riusciva a capire il suo avversario dal suo sguardo e dal suo modo di giocare.

Anche per questo, era diventato il nuovo capitano del Ryonan.

Tuttavia, aveva fatto un buco nell’acqua trovando la spiaggia deserta.

Guardò l’orologio; erano le undici passate, motivo per cui decise di ritornare alla pensione.

Sorpassò due tipi che avevano l’aria di essersi scolati tutto l’alcol del quartiere e s’incamminò a passo svelto.

Non aveva considerato però che i due tipi non avessero gradito molto il suo passo frettoloso.

“Ehi, amico! Perché non ti fermi con noi?” domandò, con voce strascicata, uno di loro.

“Non credo sia il caso!” rispose Sendoh imperturbabile con un mezzo sorriso.

Quei tipi potevano portargli noie.

“Dai, perché vai così di fretta?” domandò l’altro, poggiandogli un braccio sulle spalle.

Sendoh sentì l’odore dell’alcol attraversargli le narici.

Quei tipi non gli facevano paura, era pur sempre un ragazzo alto uno e novanta e con un fisico molto allenato.

Tuttavia, se la situazione lo consentiva, cercava di evitare di finire alle mani.

Era sempre stato una persona con un carattere socievole e tranquillo e queste sue qualità gli avevano consentito di risolvere le situazioni senza mai dover tirare un pugno.

Non credeva di non saperlo fare all’occorrenza però, se poteva, preferiva la diplomazia.

Era un campione di basket, non voleva rischiare di farsi male in cose stupide.

“Mi dispiace” rispose con un sorriso tranquillo scostando il braccio dell’altro e avviandosi.

L’uomo però non sembrò gradire il gesto dato che s’inalberò.

A Sendoh fu chiaro che a quei tipi bastava un qualunque pretesto per finire alle mani.

Erano ubriachi fino al midollo e volevano solo scaricare, con qualche cazzotto, l’eccitazione che poteva dare l’alcol.

“Che motivo c’è di essere così scostante? Io sono stato gentile!” esclamò l’uomo afferrandolo per un braccio.

Anche l’altro si avvicinò con un ghigno poco rassicurante.

“Magari puoi offrirci un bicchiere! Sai, siamo rimasti a secco!” chiarì avvicinandosi ancora di più.

Ecco! Pensò Sendoh, spiegandosi il motivo del loro avvicinamento.

Ora però, doveva trovare una soluzione.

Gli uomini non erano molto grossi, e comunque erano intontiti dall’alcol.

I loro movimenti sarebbero stati lenti.

Quello che lo preoccupava, erano le bottiglie che avevano in mano.

Lui doveva giocare per la nazionale.

Proprio mentre stava ponderando se offrire di sua spontanea volontà i soldi che aveva con sé ai tipi, oppure provare una fuga dopo qualche pugno ben assestato, qualcuno lo trasse d’impaccio, venendo in suo soccorso.

“Mi sembra che vi abbia detto di no!” una voce dura che gli diede i brividi parlò alle sue spalle.

Il tono era deciso, il timbro di voce era marcato, nonostante sembrasse appartenere a una persona molto giovane.

Sendoh si voltò, sgranando gli occhi un attimo dopo.

Solo un sussurro uscì dalle sue labbra mentre si specchiava negli occhi che aveva di fronte.

“Tu?”.
 

Continua…
 
Note:

Non ho molto da dire…


Solo una piccola precisazione su Eonura;

Si tratta di un paesino davvero molto piccolo, per cui è normale incontrare sempre le stesse persone.

L’ho scelto apposta per fare in modo che Sendoh e Mito s’incontrassero frequentemente per puro caso, senza far sembrare il tutto poco verosimile.

Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto.

Come il solito, aspetto i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio tutti quelli che sono arrivati fino a qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Eccomi con il terzo capitolo.
Grazie a chi ha recensito quello precedente e chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.
Grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Per adesso, buona lettura!
 
 
 
Capitolo 3.
 

Sendoh rimase a fissare il volto del ragazzo che gli stava di fronte.

Le mani in tasca, lo sguardo duro, rivolto ai due tipi.

Nessuna traccia di paura, nessuna traccia di preoccupazione.

Solo una luce decisa e molto, molto minacciosa.

Il ragazzo, dopo la domanda, non aveva detto null’altro, continuando a fissare i tipi.

Non dava segni di averlo riconosciuto, e non gli aveva rivolto neanche un’occhiata; la sua attenzione era rivolta solo ai due uomini.

“Allora?” parlò ancora, rivolgendo il suo sguardo alla mano dell’uomo che non mollava il braccio di Sendoh.

“Di che t’impicci tu?” si decise a parlare uno dei due, avvicinandosi.

“Ho capito!” disse l’altro che aveva ora lasciato il braccio del giocatore per avvicinarsi.
“Vuoi offrirci da bere!”

“Non credo proprio!” fu la secca risposta del ragazzo che sorrise impercettibilmente.

“Andatevene, se non volete guai” pronunciò con tono basso e minaccioso.

Quella minaccia fece accapponare la pelle di Sendoh che, da protagonista, era diventato spettatore di tutta la scena.

Lo sguardo del ragazzo si era assottigliato.

Quel tono gli aveva dato i brividi.

Sendoh non sarebbe riuscito a staccare gli occhi dalla sua figura neanche se avesse voluto.

“Ehi, ragazzino! Chi ti credi di essere?” domandò uno dei due.

“Qualcuno che può farvi molto male, se non vi togliete dalle palle alla svelta!” fu la pronta risposta del ragazzo.

L’impercettibile sorriso era sparito e il volto si era fatto ancora più duro.

Sendoh aprì impercettibilmente le labbra di fronte alla nuova versione del ragazzo che lo aveva tanto incuriosito.

La tensione era palpabile e il giocatore non aveva dubbi sul fatto che, se si fossero trovati in uno di quei manga pieni di combattimenti, il mangaka avrebbe certamente disegnato un’aura nera intorno al ragazzo.

Se prima, infatti, il ragazzo li aveva avvertiti con un tono abbastanza minaccioso, ora Sendoh vedeva chiaramente che si stava arrabbiando, e di brutto anche.

I due uomini non sembravano averlo capito però, visto che iniziarono a ridere in modo sguaiato.

“Ma sentitelo” disse uno dei due, fra una risata e l’altra.

“Vieni qui che ti concio per le feste!” sbottò un altro avvicinandosi pericolosamente e tenendo in maniera salda la bottiglia.

Sendoh si avvicinò tendendo la mano.

Quel ragazzo, per quanto arrabbiato, rischiava di farsi male.

Non ci fu però bisogno del suo intervento.

Il ragazzo, che non aveva battuto ciglio durante le risate degli altri, ora si era mosso andando incontro all’uomo.

Durò tutto meno di un istante e Sendoh vide l’uomo letteralmente volare a un metro di distanza.

Un pugno ben assestato e troppo veloce lo aveva definitivamente messo al tappeto.

L’altro uomo sgranò impercettibilmente gli occhi assistendo impotente alla scena.

Il ragazzo si avvicinò afferrandolo per la collottola.

Sul suo volto ora c’era un sorriso minaccioso.

“Apri le orecchie, amico!” parlò il ragazzo. “Stasera mi girano alquanto e se non vuoi che mi sfoghi su di te, raccogli quel rottame del tuo compare e sparisci all’istante!” gli intimò lasciandolo andare.

L’uomo non se lo fece dire due volte.

Anche se ubriaco, si era reso finalmente conto di chi gli stava di fronte.

Quello non era un ragazzino.

Quello era un teppista a tutti gli effetti.

Ma non un teppistello da quattro soldi. Non un ragazzino che gioca a fare il gradasso.

Quello era un teppista con la t maiuscola.

Uno abituato a incassare senza battere ciglio. Uno che, quando le dava, faceva molto male.

L’uomo capì all’istante che, se non voleva trovarsi pronto per un ricovero, avrebbe fatto meglio a darsela a gambe.

Se quella serata aveva pensato di poter scroccare qualche altro bicchiere infastidendo il vacanziere di turno, gli era andata molto male.

L’altro, nel frattempo, si era alzato.

Sendoh notò il sangue che gli colava dal naso e da una parte del labbro.

Con un solo pugno il ragazzo gli aveva sicuramente rotto il naso, vista la curva irregolare
che aveva assunto l’osso, e spaccato parte del labbro.

Senza farselo dire due volte, si allontanò con l’altro, cercando di coordinare meglio i movimenti per fare più in fretta.

Il ragazzo lì guardò allontanarsi con uno sguardo duro.

Fu solo quando furono parecchio distanti che distolse lo sguardo rivolgendolo ora al giocatore.

Sendoh deglutì, non trovando le parole adatte.

Nonostante sorridesse spesso, in quel momento le labbra avevano assunto una piega incerta.

Fu la voce del ragazzo a trarlo d’impaccio.

“Stai bene?” domandò con un sorriso.

Sendoh ammirò il volto dell’altro, ora completamente rilassato nel rivolgersi a lui.

Sembrava una persona diametralmente opposta rispetto a quella di pochi istanti prima eppure, se si osservavano meglio i suoi occhi, non si avevano dubbi; quella luce decisa era sempre presente, anche se adesso le labbra sorridevano.

Sendoh non potette fare a meno di ricambiare il sorriso.

“Grazie per essere intervenuto!” aggiunse.

In effetti, era stata una fortuna.

Quel ragazzo gli aveva sicuramente risparmiato qualche livido.

Considerando poi che la sua forma doveva essere ottimale visto che a breve si sarebbe riunito con la nazionale, l’intervento del ragazzo diventava provvidenziale.

Inoltre, aveva finalmente l’occasione per conoscerlo e non se la sarebbe fatta scappare.

Lo osservò alzare le spalle con indifferenza, come risposta alla sua affermazione.

“Ero di passaggio!” liquidò la faccenda Yohei, evitando così altri ringraziamenti inutili.

Anche se, in effetti, era una fortuna per il giocatore che lui si trovasse al posto giusto nel momento giusto.

Non riusciva proprio a figurarsi l’altro mentre faceva a pugni.

La situazione aveva un che di surreale; Sendoh, il grande Akira Sendoh, stella del Ryonan che vantava di più fan di Rukawa e usciva sulle copertine dei giornali locali una settimana sì e l’altra pure, era lì che lo ringraziava.

Ultimamente, da quando Hana giocava a basket, sembrava avere la calamita per i giocatori.

Prima Rukawa, ora Sendoh.

Non contando poi come aveva conosciuto Ryota Miyagi, e i pugni che aveva dato a Mitsui.

Oltre ad essere intervenuto per salvare il tiratore, poco prima di una partita, da un’ennesima rissa.

Tra un po’, stringo amicizia con Maki, pensò ironico con un sorriso.

Sendoh sorrise ancora di più a quella risposta.

Sentiva che quel ragazzo gli piaceva sul serio.

“Beh, è stata una fortuna!” esclamò allegro.

“Su questo non ho dubbi!” rispose Yohei ghignando.

Sendoh, a quelle parole, assunse un’aria fintamente offesa.

“Ehi, guarda che avrei potuto sistemarli anche da solo!” replicò.

“Sì, come no!” rispose pronto Yohei allargando il sorriso e avviandosi.

Sendoh lo seguì camminandogli di fianco.

“Siamo nella stessa pensione” si giustificò, spiegando così il suo comportamento.

“Lo so!” rispose lapidario Yohei.

Sendoh lo guardò, continuando a sorridere.

Certo che era proprio loquace il tipo.

Ma questo lo aveva intuito da sé.

“Non mi sono presentato” ricominciò a parlare, superandolo e voltandosi nella sua direzione.

“Sono Akira Sendoh, piacere” disse tendendo la mano.

Yohei la guardò per un lungo istante.

Quella situazione era proprio ciò che voleva evitare.

Lui non era lì per vacanza.

Lui era lì per Hanamichi che stava vivendo un momento difficile.

Tra un po’, sarebbe arrivato anche Rukawa.

E Yohei era intenzionato a evitare tutte le possibili voci che potessero circolare sulla neonata storia tra il numero undici e il suo migliore amico.

Dal canto suo, non si preoccupava.

Se anche gli altri componenti della nazionale l’avessero notato mentre parlava con
Rukawa, non avrebbero dato peso alla cosa.

Lui non era altro che uno dei tanti volti sconosciuti che affollava lo stadio durante qualche partita e nessuno lo avrebbe collegato a Hanamichi.

Ma, se stringeva amicizia con Akira Sendoh, il rivale numero uno di Kaede Rukawa, allora poteva nascere qualche sospetto.

Durante le partite dell’anno successivo, Hanamichi avrebbe affrontato nuovamente il Ryonan e Mito non sapeva quanto Sendoh potesse essere chiacchierone.

Di certo, se avessero stretto amicizia, si sarebbe ricordato di lui nel caso l’avesse visto parlare con Rukawa durante il ritiro della nazionale.

Il problema non era tanto il rapporto che lui e Rukawa stavano costruendo; presto, infatti, Mito, stesso avrebbe raccontato a Hanamichi quanto in passato fosse entrato in contatto con il numero undici.

Il problema vero, era la storia che il suo migliore amico stava vivendo con il giocatore.
Hanamichi, negli ultimi mesi, aveva fatto dei grossi passi avanti.

Aveva accettato le sue tendenze sessuali, aveva accettato l’amore che provava per il giocatore, scegliendo di starci insieme.

Tutto era però ancora agli albori.

Quanto ci avrebbero messo invece a circolare le voci se il migliore amico di Hanamichi parlava tranquillamente con Rukawa?

In teoria, i due giocatori dello Shohoku non avevano nessun tipo di legame.

Anzi, era ben nota la loro rivalità, o meglio l’antipatia palese di Hanamichi verso Rukawa.

Nessuno sapeva del rapporto che li legava.

Ed era un diritto soltanto loro renderlo noto.

Inoltre, Hanamichi non aveva avuto il tempo di ritornare a scuola con le sue nuove certezze.

Comunque, in qualunque modo la si mettesse, la presenza di Sendoh in quel posto era solo una grande seccatura.

Un problema che Yohei avrebbe risolto alla radice.

Fu per questo che guardò la mano che Sendoh gli porgeva con un sorriso sarcastico.

Il giocatore, nonostante fosse notevolmente più alto dell’altro, si sentì spiazzato da quello sguardo e ritrasse impercettibilmente la mano.

“Non mi interessa chi sei” replicò duro Mito.

“Stammi alla larga!” concluse, avviandosi a passo deciso.

Sendoh rimase a fissare la schiena dell’altro che si allontanava.

Che diamine era successo?

Il ragazzo aveva immediatamente cambiato espressione nel momento in cui aveva teso la mano.

L’aveva visto diventare pensieroso, quasi come se stesse cercando la soluzione più ovvia per un problema.

E, per come si erano svolti poi gli eventi, le cose dovevano essere andate in quel modo.

Quello che non capiva, era il perché.

Prima era stato gentile poi, nel momento in cui aveva provato a fare conoscenza, il ragazzo si era rabbuiato cambiando definitivamente umore e rispondendolo in malo modo.

Eppure, quando si era presentato, l’aveva visto sorridere ironico.

Possibile che lo conoscesse e che ce l’avesse con lui?

Questo poteva spiegare il suo atteggiamento.

Ma allora, chi diavolo era?
 

***
 

Mito entrò nella stanza trovando ad accoglierlo un letto che mai gli era parso più invitante considerata la sua stanchezza.

Come la sera precedente, una volta entrato, quella era stata la sua direzione.

Era distrutto.

E, oltre a essere distrutto, era anche incazzato nero.

Quel fuori programma con Sendoh gli aveva letteralmente fatto girare i cosiddetti.

Eppure, non ce l’aveva con il giocatore.

In effetti, lui aveva sempre osservato Sendoh.

Lo aveva fatto per Hana.

Sapeva, infatti, dove si dirigevano gli interessi dell’amico e aveva tenuto gli occhi aperti.

Era indubbio anche per un cieco che Sendoh fosse un bel ragazzo.

Non che a Yohei interessasse, però sapeva bene che Sendoh rientrava nei canoni di bellezza standard.

Come Kaede Rukawa del resto.

Quando aveva capito che gli interessi di Hana erano proiettati verso Rukawa, si era guardato attorno.

La rivalità tra Sendoh e il numero undici era sempre stata palpabile.

In particolare, Yohei era andato al Ryonan a vedere questo fantomatico Sendoh dopo l’amichevole che lo Shohoku aveva giocato contro il Ryonan.

Mito, con l’armata, aveva assistito alla partita senza però badarci più di tanto.

Ma quando Hanamichi, nei giorni successivi, non aveva fatto altro che inveire conto
Sendoh, allora Yohei era andato a curiosare.

Aveva scoperto che, oltre ad essere una stella nascente del basket, era anche molto
ricercato e apprezzato sia tra il gentil sesso sia tra i compagni di squadra.

Si era tranquillizzato quando aveva capito che tra Rukawa e Sendoh c’era solo una forte rivalità sportiva.

Il numero undici dello Shohoku non lo considerava se non su un campo di basket.

Il numero sette del Ryonan faceva lo stesso.

E Yohei si era tranquillizzato.

E, ad Akira Sendoh, non ci aveva più pensato.

Poi, raggiungeva Hanamichi in clinica e, sorprese delle sorprese, se lo trovava lì, nella stessa pensione.

Non vi aveva badato più di tanto; in fondo il giocatore non lo conosceva e a lui era totalmente indifferente.

Infatti, in passato, una volta che aveva appurato che non potesse rappresentare un problema per un’eventuale storia tra Hanamichi e Rukawa, l’aveva immediatamente cancellato dalla sua mente.

Poi, quella sera, mentre tornava dalla clinica, ecco che se lo trovava davanti.

Il fatto non era strano; quel quartiere era meta per i turisti ed era molto piccolo.

Le case, le pensioni e i vari locali affacciavano, infatti, tutti sulla costa.

Il lungomare era la strada principale.

Non era strano incrociare gli stessi volti se si girava per quella zona.

Quello che però era strano, era il fatto che Sendoh sembrasse impegnato in una conversazione a senso unico con due tipi.

Inutile dirlo; non ci aveva pensato due volte a intervenire.

Il giocatore era lì per la nazionale, anche se un po’ in anticipo sui tempi.

Inutile dire che se si fosse fatto male avrebbe dovuto dire addio al ritiro.

Così, era intervenuto.

Non aveva dubbi sul fatto che Sendoh, anche se avesse tirato qualche pugno, si sarebbe comunque fatto male.

Non era un teppista, a differenza di lui.

Poi però, aveva dovuto riportare le cose al giusto ordine.

Forse, era stato troppo brusco.

In fondo, il giocatore voleva solo chiacchierare.

Probabilmente, il giorno dopo, neanche si sarebbe ricordato del suo volto.

Anche se, Yohei non era tanto sicuro di questo.

Sin da quando era arrivato e aveva incontrato il giocatore la sera in spiaggia, aveva sentito il suo sguardo su di se.

Anche quando era intervenuto poco prima, il giocatore lo aveva riconosciuto; segno che il suo volto gli era rimasto bene impresso.

Ma perché?

Era questa l’ovvia domanda di Yohei.

Lui era uno dei tanti volti della pensione.

Perché Sendoh si ricordava di lui?

Possibile che mi abbia riconosciuto?

Ma Mito sapeva che le cose non stavano così.

Eppure, non riusciva a spiegarsi gli sguardi insistenti del giocatore.

Mah, forse mi sto impressionando, valutò anche se non troppo convinto.

Nonostante tutto, era però dispiaciuto di essere stato così scortese.

Sendoh era un bravo ragazzo e lui l’aveva liquidato in malo modo dopo essere intervenuto di sua iniziativa.

Non gli era sfuggito il suo sguardo dispiaciuto dopo la sua uscita, e il pensiero di quegli occhi interrogativi lo fece sentire in colpa.

Avrà pensato che io sia uno psicopatico! Valutò con un sorriso sarcastico rivolto al soffitto della sua camera.

E comunque, non aveva importanza visto che sicuramente il giocatore avrebbe dimenticato l’avvenimento poco dopo.

Avrebbe dovuto esserne felice, in fondo era proprio quello che voleva.

Eppure, cos’era allora quella velata traccia di malinconia?

Sarà meglio che mi metta a dormire, pensò girandosi su un fianco e puntando la sveglia.

L’indomani sarebbe stata una lunga giornata, considerando che avrebbe dovuto almeno chiamare sua madre e trovare un orario adatto per parlare con Rukawa.

Aveva promesso al giocatore di tenerlo aggiornato.

In fondo, erano appena passati due giorni ma, conoscendo il numero undici, era meglio non farlo aspettare visto quanto ci tenesse a Hana e quanto gli pesasse non essergli accanto.

Eh sì, una telefonata all’altro era d’obbligo, valutò sbadigliando e sentendo il sonno farsi strada in lui.

Gli occhi dispiaciuti di Sendoh però gli comparvero nella mente poco prima di addormentarsi, non abbandonandolo nemmeno durante il sonno.
 

***
 

Sendoh girovagava da un po’

Era mezzanotte passata ma non aveva la minima voglia di tornare alla pensione.

Non riusciva a togliersi dalla mente lo sguardo astioso del ragazzo.

Perché era finita in quel modo?

Lui si era soltanto presentato.

Quel ragazzo non era come gli altri, Sendoh lo sentiva altrimenti sapeva che non ci sarebbe stato a pensare più di tanto.

Il pensiero che, in qualche modo, il tipo lo conoscesse diveniva più concreto ora.

Eppure, era intervenuto di sua spontanea iniziativa.

Sendoh ripensò all’unico pugno che il ragazzo aveva tirato, sentendo i suoi battiti aumentare.

Ripensò alla sua voce dura e allo sguardo minaccio, sentendosi fremere.

Non gli era mai capitato di provare simili cose per qualcun altro.

In particolar modo per qualcuno che non conosceva.

Un sorriso gli incurvò le labbra mentre decideva di ritornare alla pensione.

Un modo avrebbe trovato per entrare in sintonia con il ragazzo.

Quello era poco ma sicuro; non era da lui arrendersi per così poco.

Perso nei suoi pensieri, non si era accorto di qualcuno che lo guardava con interesse.

Un qualcuno che aveva assistito a tutta la scena e che adesso, mentre lo guardava allontanarsi, aveva un cipiglio scuro in volto.
 

Continua…
 

Note:
 

Lo so, la scena della rissa è un cliché ma che ci volete fare… adoro troppo Mito quando fa a pugni per cui perché non farlo ammirare anche a Sendoh?

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Nel frattempo, grazie a chi è arrivato sin qui.

Pandora86

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra i preferiti e i seguiti!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.

 
 
Capitolo 4.
 

Rukawa rientrò nella sua stanza.

Era mezzanotte passata e, per i suoi standard, era sveglio già da troppo.

Non era stata una cattiva idea raggiungere Odawara prima del tempo.

Punto primo, l’amico del do’hao non si era ancora degnato di chiamarlo per informarlo sulle condizioni di Hanamichi.

Punto secondo, aveva potuto vedere la clinica dove il numero dieci era ricoverato sentendolo, in questo modo, più vicino.

Sapeva che non avrebbe potuto vederlo per molto.

Ai pazienti nelle condizioni di Hanamichi non era permesso ancora uscire e potevano ricevere visite solo dai parenti.

Tuttavia, non aveva importanza, perché lui era lì, vicino al rosso.

Non aveva faticato a trovare la pensione dove risiedeva Mito; in quel posto non c’era molta scelta e quella era l’unica pensione più vicina alla clinica.

Era a conoscenza, infatti, del fatto che Mito passasse tutta la giornata con Hanamichi.

Proprio quella sera, mentre gironzolava nei pressi della clinica, l’aveva visto uscire e consumare una cena frugale in un bar.

Aveva ritenuto opportuno non disturbarlo, dato che gli era sembrato parecchio stanco, anche se gli era costato non andare immediatamente da lui e chiedere informazioni su Hanamichi.

In fondo, però non aveva importanza.

Ora era lì e avrebbe potuto avere informazioni immediate piuttosto che passare le sue giornate a casa allenandosi e aspettando le fatidiche telefonate che lo informassero.

Poi, aveva assistito a una scena alquanto strana.

Proprio mentre affrettava il passo per raggiungere Mito e rientrare con lui alla pensione ecco che compariva Akira Sendoh.

Akira Sendoh avvicinato da due tipi abbastanza loschi.

Rukawa aveva sogghignato a quella scena.

Sendoh che faceva a pugni aveva un non so che di comico.

Era un grande giocatore e il suo rivale numero uno, però non lo vedeva molto avvezzo alle risse.

Mica come il mio do’hao!

Aveva pensato con un moto di affetto, mentre l’immagine di Sakuragi faceva capolino nella sua testa.

Sarebbe rimasto totalmente indifferente alla scena o forse sarebbe intervenuto dopo aver riso un po’ (ovviamente, solo nella sua testa); in fondo, Sendoh era lì per la nazionale e nessuno poteva ammaccare il suo rivale.

Era troppo importante confrontarsi con lui e continuare a migliorarsi.

Erano questi i pensieri mentre si avvicinava decidendo di intervenire; almeno, sarebbero stati due contro due!

Poi, ecco che interveniva nientemeno che Yohei Mito.

In fondo, anche lui si trovava lì per caso, con l’intento di ritornare alla pensione.

Rukawa aveva assistito con un ghigno alla scena.

Quei due l’avevano chiamato ragazzino, ridendo alle sue minacce; poveracci!

Mito, tra l’altro, sembrava anche molto arrabbiato.

Quello che però lo aveva incuriosito era stato il volto di Sendoh; sapeva, infatti, che Mito non avrebbe avuto difficoltà con i due tipi motivo per cui era rimasto a osservare il suo rivale.

Guardava l’amico del do’hao con una luce strana negli occhi.

Seguiva i suoi movimenti con un interesse che andava al di là della preoccupazione per l’imminente rissa che le parole di Mito avrebbero causato a momenti.

Lo guardava con un interesse che Rukawa conosceva fin troppo bene; era lo stesso sguardo con cui lui seguiva il do’hao agli inizi della loro conoscenza.

Le circostanze erano diverse ma lo sguardo era lo stesso; non poteva sbagliarsi.

Ad Akira Sendoh piaceva Yohei Mito, braccio destro del suo do’hao.

A Rukawa però, mentre Mito stendeva uno dei due tipi con un pugno, era sorto qualche dubbio.

Che quei due si conoscessero?

Il numero undici però escluse a priori la sua idea.

Sicuramente Mito aveva riconosciuto il giocatore ma Sendoh non sembrava avere nessuna relazione con Mito.

Le sue ipotesi furono, infatti, confermate dalle loro battute successive.

Era evidente che Sendoh cercasse in tutti i modi di fare conversazione.

Come era evidente che l’altro non fosse dell’umore adatto.

Non si conoscevano affatto e Sendoh doveva aver puntato gli occhi su Mito quando era arrivato alla pensione visto che, come Rukawa aveva appurato, erano tutti nello stesso posto.

Ma che bello! Pensò sarcastico dentro di sé.

Che diamine ci faceva il porcospino (come lo chiamava Hanamichi) prima del tempo?

Comunque, doveva ammettere che la reazione di Yohei non era riuscita a spiegarsela.

L’interesse di Sendoh nei confronti del ragazzo era stato palese.

Ma perché Mito covava tutto quell’astio?

Forse non voleva avere legami con altri giocatori di basket, ipotizzò Rukawa.

Oppure, più probabilmente, era preoccupato per Hanamichi.

Comunque, pensò girandosi sul fianco, il giorno dopo avrebbe avuto tutte le risposte che cercava.
 

***
 

Sendoh quella notte non aveva dormito granché.

Inutile cercare il motivo; da quando era rientrato, non aveva fatto altro che pensare alle dure parole del ragazzo.

Stammi alla larga.

Era inutile, non riusciva a cacciare quel tono astioso dalla sua testa.

Quella mattina, a colazione, non aveva cercato il ragazzo con lo sguardo; sapeva che non lo avrebbe trovato lì.

Oramai gli era chiaro che il ragazzo usasse la pensione solo per dormire.

Ai pasti non si vedeva e Sendoh sapeva che le uniche occasioni in cui avrebbe potuto incontrarlo erano la mattina presto o la sera tardi.

Tra un po’ poi avrebbe anche dovuto cambiare pensione visto che sarebbe cominciato il ritiro con la nazionale.

Peccato, quel ragazzo gli piaceva proprio.

Non voleva un’avventura estiva; se così fosse stato, non si sarebbe incaponito su un ragazzo così poco interessato a fare conoscenza.

Gli sarebbe bastato essere più gentile del solito con la cameriera che, ogni mattina, faceva di tutto per servirgli la colazione.

Eppure Sendoh non perdeva le speranze.

Quel posto era piccolissimo; non che lui fosse uno stalker ma sapeva che se avesse girovagato abbastanza, anche durante il ritiro con la nazionale, lo avrebbe certamente beccato in giro.

Era proprio con quell’intento che era uscito quel pomeriggio; non sapeva niente del ragazzo, però non poteva dimenticare che la seconda volta che l’aveva visto era proprio in spiaggia.

Evidentemente, il ragazzo amava il mare.

Sendoh dubitava che sarebbe riuscito a togliersi dalla testa il corpo del ragazzo che emergeva dal mare con il corpo percorso dalle gocce di acqua marina.

Per cui, trovava che passeggiare sul lungomare, che affacciava praticamente su tutto il quartiere, fosse un’ottima idea.

Non lo preoccupava più d tanto essersi incaponito così per un perfetto sconosciuto; le sensazioni che aveva provato guardando il ragazzo erano quelle che cercava da una vita, per cui avrebbe assecondato il suo istinto.

A dispetto dell’apparenza tranquilla Sendoh era, infatti, un tipo deciso e molto, molto determinato.

Era questo che faceva di lui un grande campione di basket; le sfide non lo spaventavano anzi quando un avversario si rivelava forte ecco che su di lui compariva il classico sorrisetto divertito; un sorriso che stava a significare quanto fosse stimolato da chi gli stava di fronte, spingendolo quindi a dare il massimo.

Con quel ragazzo era proprio così; lo aveva incuriosito e aveva intenzione di andare fino in fondo.

Più il ragazzo si allontanava, più Sendoh diveniva caparbio nel volerlo conoscere.

Presto lo avrebbe incontrato nuovamente; in fondo, solo perché si volatilizzava dalla pensione, non voleva dire che passasse tutta la giornata chiuso a qualche parte.

Con questa sicurezza, continuò a passeggiare.

Non poteva sapere che presto i suoi desideri si sarebbero avverati ma che sarebbero stati accompagnati da una sorpresa alquanto strana e bizzarra.
 

***
 

Mito camminava per i corridoi della clinica a passo lesto.

Quella mattina Hanamichi gli era sembrato di ottimo umore a parte quando era venuta l’ora del pranzo.

Mito, solidale con il suo amico, aveva scelto di mangiare le sue stesse cose e le infermiere portavano i pasti per due.

Ciò non toglieva che anche se il pranzo era consumato in allegria, quello che veniva servito loro era pur sempre brodaglia dal colore strano e dal sapore inesistente.

Motivo per cui, aveva deciso di risollevare il morale del suo amico andandogli a comprare qualche rivista.

Hanamichi, infatti, guardava spesso dalla finestra sospirando.

Erano delle belle giornate e, per lui che aveva dei danni alla schiena ancora piuttosto gravi e di conseguenza doveva ridurre al minimo i movimenti, era un vero inferno starsene chiuso fra quelle quattro mura asettiche.

Uscì dalla clinica facendo mente locale di dove fosse la prima edicola disponibile. Aveva approfittato di quel momento anche per fare una telefonata a Rukawa ma il telefono aveva squillato a vuoto.

Per lo meno, non lo si poteva accusare di non averci provato.

Non aveva riferito a Hanamichi della presenza di Sendoh né del suo incontro ravvicinato con il giocatore.

Lo riteneva inutile e inopportuno.

Inutile perché a Hanamichi non poteva interessare molto di Sendoh che veniva fermato da due teppisti.

Inopportuno perché già in passato il suo amico aveva manifestato la sua insicurezza nei confronti del giocatore.

In una delle loro tante conversazioni dell’ultimo periodo, infatti, il giocatore era stato nominato più volte e la paura che gli interessi di Rukawa potessero spostarsi sul numero sette del Ryonan era ancora troppo grande.

Del resto, loro non erano una coppia navigata con una frequentazione di anni.

La loro storia era ancora agli inizi e il fatto che ora il suo amico e la super matricola fossero costretti a una separazione forzata complicava ancora di più le cose.

Di sicuro, dare quell’informazione non sarebbe servita a dare sicurezza al suo amico.

Motivo per cui, aveva omesso il giocatore.

In fondo, che motivo avevano loro due per parlare di Sendoh?

Proprio nessuno! Si appuntò Yohei mentalmente.

Per cui, aveva fatto finta di niente, riproponendosi di non pensarci lui stesso.

Se una cosa ci è indifferente allora perché stare a pensarci?

Già, si domandò Yohei, perché?

Non aveva nessun motivo per pensare al giocatore.

Eppure, la sua espressione dispiaciuta tornava a fargli capolino nella mente, che lui lo volesse oppure no.

In fondo, Sendoh non voleva fare altro che presentarsi.

Perché diamine ci stava ancora a pensare?

Perso in queste elucubrazioni, non si accorse della persona che, fuori la clinica, gli si parò dinanzi.

“Rukawa!” esclamò non scomponendosi minimamente.

L’altro lo salutò con un cenno del capo.

Yohei ghignò.

“Chissà perché, ma me lo aspettavo! Ecco perché non rispondeva nessuno a casa tua!” continuò avviandosi.

Del resto, un comportamento del genere da parte del numero undici non lo stupiva per nulla.

Era normale per Kaede Rukawa andare direttamente alla fonte delle informazioni.

Tipico di lui e del suo carattere così diretto.

Conoscendolo, Yohei a quel punto si sorprendeva di non esserselo trovato in valigia.

Forse era troppo piccola! Pensò, non riuscendo a trattenere un risolino.

“Sai che non puoi fare visita a Hana” ci tenne, però, a precisare, continuando a camminare.

Rukawa annuì affiancandolo.

“Come sta?” domandò senza giri di parole.

In quella domanda racchiudeva tutto.

Non comprendeva solo le condizioni fisiche del numero dieci, ma anche il suo umore nell’affrontare quell’ennesimo problema.

E Yohei, questo, lo sapeva.

“Che vuoi che ti dica… sta cercando di non scoraggiarsi! Dovrà comunque aspettare un po’ prima di tornare a giocare, questo è poco ma sicuro” concluse Yohei adocchiando le riviste di interesse dell’amico.

“Cammina?” domandò ancora Rukawa.

“In teoria sì, in pratica però i medici hanno ridotto al minimo i suoi movimenti per non aggravare ulteriormente la schiena!” spiegò Mito, chiaro come sempre.

“Più sta a riposo, più il trauma si riassorbirà in fretta” aggiunse, pagando le riviste e avviandosi.
“Gli dirò che sei qui” sorrise poi incoraggiante. “Gli farà piacere!” aggiunse sapendo che, quella frase, avrebbe fatto piacere anche al numero undici.

Rukawa annuì in silenzio.

Yohei si fermò un istante, osservandolo con attenzione.

Rukawa lo guardò perplesso.

Era ovvio che l’altro volesse dirgli altro e Rukawa, a quel punto, immaginava anche cosa.

In fondo, dopo Hanamichi, che era più importante di tutto, potevano anche parlare d’altro.

Mito aprì la bocca, indeciso su come cominciare il discorso.

Andando dritti al punto! Si aiutò da solo mentalmente.

“Sendoh è qui!” pronunciò secco.

Rukawa annuì.

Fu il turno di Mito stavolta di guardarlo perplesso.

“Intendo prima del ritiro!” specificò, cercando di essere più chiaro.

“Nella stessa pensione dove sono io e, dove immagino, sei anche tu!” chiarì ulteriormente il concetto.

Rukawa annuì ancora facendosi serio.

“Lo so!” ribadì. “Ieri sera ho assistito, per caso, al vostro show!” ci tenne a precisare con un mezzo ghigno.

Anche Yohei sorrise con un’aria furba.

“E non sei intervenuto?” domandò ironico.

Rukawa scrollò le spalle come per dire che non erano affari suoi.

“Non è il tuo rivale preferito?” comandò ancora Mito, prendendolo bonariamente in giro.

“Qualche livido non avrebbe danneggiato troppo il suo gioco!” esclamò pratico Rukawa.

Yohei, a quella risposta, non potette fare a meno di ridere.

“E quindi, l’avresti prima fatto sgualcire un po’” affermò, trattenendo altre risa.

Rukawa annuì ancora.

Mito lo guardò sorridendo.

Hanamichi non aveva motivo di temere Sendoh.

Bastava pensare a come Rukawa si fosse espresso parlando di lui.

Danneggiare il suo gioco.

Certo, un’espressione molto usale, soprattutto se ci si sta riferendo a una persona, valutò ironico.

Mito ritornò serio, volendo affrontare il succo della questione nel più breve tempo possibile.

Non ne ebbe il tempo visto che Rukawa lo spiazzò con la sua domanda.

“Perché ti sei comportato così?” domandò curioso.

“Intendi perché non l’ho fatto pestare?” chiese di rimando Mito.

Rukawa lo fisso serio, facendogli capire che non era quello che intendeva e Yohei afferrò il concetto visto che parlò nuovamente.

“Pensavo fosse chiaro!” esclamò sicuro.

“Non per me!” gli rispose Rukawa.

“Non credo che a Hana faccia piacere che Sendoh sappia di voi due! E, se mi vede parlare con te e poi in futuro mi vede parlare con Hanamichi, non credi che tutto questo risulti un po’ strano?” domandò ironico.

Stava perdendo la pazienza.

Perché il numero undici non afferrava la questione?

E perché, dannazione, Sendoh stava diventando fastidioso come un maledetto problema di stato?

“Non ci sono troppi se?” domandò Rukawa con indifferenza.

“Hai dimenticato che Hanamichi non sa in che rapporto siamo?” chiese Yohei piccato.

“Non avevamo intenzione di dirglielo a breve?” gli domandò di rimando Rukawa.

“Non mi sembrava ci fossimo accordati in proposito!” chiarì Yohei pronto.

“Era ovvio!” scrollò le spalle l’altro.

Mito stava perdendo la calma facilmente e Rukawa, che oramai lo conosceva abbastanza bene, sapeva che non era da lui un comportamento del genere.

Sembrava turbato, o forse confuso.

Si preoccupava per cose inesistenti.

Aveva montato un assurdo castello di carte, tenendo assieme il suo ragionamento con una logica talmente scadente che anche Rukawa aveva faticato a capire.

Di solito era Hanamichi quello che partiva con i film mentali.

Yohei, che Rukawa ora stava conoscendo in una versione inedita, a quanto pare era andato oltre, proiettandosi nella sua testa l’intera saga di non si sapeva bene cosa, superando ampiamente il do’hao.

Andava bene essere sospettosi, ma qui si rasentava l’assurdo.

Sendoh non era un problema, né per la sua relazione con Hanamichi, né in altri sensi e questo Mito lo sapeva bene.

Una cosa potevano essere le insicurezze di Hanamichi, un’altra era trattare il giocatore alla stregua di un nemico.

Che poi non si era capito neanche bene se Mito fosse votato a difendere Hanamichi oppure a non far capire a Sendoh che loro due stessero insieme.

Come poi il giocatore avrebbe potuto capirlo, non si sapeva.

Ah, sì! Sempre secondo il ragionamento di Mito, se li avesse visti parlare insieme, la super matricola e il migliore amico del do’hao, allora poi, in un futuro molto poco probabile, se Sendoh avesse visto Mito in compagnia di Hanamichi, allora si sarebbe ricordato di quando lo aveva visto parlare con Rukawa e poi… com’era che continuava?

Ah, sì! In base a questo, possedendo il numero sette del Ryonan doti divinatorie, avrebbe collegato che la super matricola e Hanamichi stavano insieme.

Ah, no! Prima il numero sette avrebbe spifferato a Hanamichi, sempre dopo esserne venuto a conoscenza con le sue doti, che in passato Mito e Rukawa avevano avuto un rapporto molto più stretto rispetto a quanto il do’hao si aspettasse.

Oh Kami e tutte le altre divinità!

Gli era venuto il mal di testa solo a riassumere, con una coerenza che sarebbe stata spazzata via da un bambino di cinque anni, il ragionamento di Mito.

Che ci sia sotto dell’altro? Si domandò Rukawa.

Ora, la faccenda si faceva interessante.

E Yohei, in quel momento, gli ricordava molto qualcuno.

Una nota testa rossa, ad esempio, che faticava ad ammettere i suoi sentimenti.

Un certo do’hao che, nel momento in cui lo aveva conosciuto, lo aveva preso a testate visto che era stato immediatamente attratto da lui, anche se non se ne era ancora accorto.

La situazione si ripeteva, anche se Mito, più tranquillo rispetto a Sakuragi, non aveva fatto partire la testata.

A quanto pareva, gli amici del do’hao erano fatti con lo stampino visto che reagivano tutti allo stesso modo di fronte ai sentimenti.

Mito era andato in paranoia.

Lui, così calmo e assennato, che partiva in quarta per delle sciocchezze.

Tuttavia, dubitava che a mandarlo in paranoia fosse il fatto che si trattasse di un ragazzo.

Aveva mosso mari e monti per permettere a lui e Hanamichi di stare insieme e Rukawa sapeva che non era questo a preoccuparlo.

Probabilmente, essendo un amico del do’hao, aveva confuso l’attrazione che provava verso Sendoh con l’antipatia che aveva manifestato, camuffando il tutto, da abile stratega, con un fastidio che, sempre secondo Mito, doveva essere più che giustificato nei confronti del numero sette.

No, non era in questo caso la sessualità della questione a mandarlo in crisi quanto il fatto che non si rendesse minimamente conto che si trattava di attrazione.

Sbuffò, scocciato di fronte alla situazione.

Mito, essendo stato per anni l’ombra di Hanamichi, tendeva a comportarsi esattamente come lui, rifiutando a priori il problema piuttosto che affrontarlo.

Fu per questo che si decise a parlare.

Era certo di non essersi sbagliato sullo sguardo di Sendoh.

Come era certo di non sbagliarsi sull’atteggiamento di Mito.

Non gli restava altro che aprirgli gli occhi nell’unico modo che conosceva: andando dritto al punto.

“Tu gli piaci!” disse secco.

Ora non restava che aspettare la reazione dell’altro.
 

Continua…
 

Note:

E così è comparso anche Rukawa!

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Nel frattempo, grazie a chi è arrivato sin qui.

Pandora86

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra i preferiti e i seguiti!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 5.
 

Gli piaci.

Gli piaci.

Che diamine significa?

Fu con questo pensiero in testa che Yohei guardò Rukawa.

“Scusa?” chiese scettico, inarcando un sopracciglio.

“Hai capito benissimo. Tu gli piaci!” ripeté Rukawa serio con tono neutro.

Mito lo guardò per un lungo istante.

“Sei sicuro di sentirti bene?” domandò con tono sarcastico.

Rukawa lo guardò truce non rispondendo alla domanda.

Anche se Mito era perspicace, di fronte ai sentimenti, si comportava allo stesso modo del suo do’hao.

“Va bene, io adesso devo andare!” liquidò la faccenda Yohei.

“Hana mi aspetta!” concluse avviandosi e non degnando l’altro di uno sguardo.

Era arrabbiato; Rukawa poteva avvertirlo.

Tuttavia, proprio come il do’hao, aveva preferito battersi in ritirata piuttosto che chiedergli come sapesse una cosa del genere.

Le sue reazioni erano state scontate.

Prima c’era stato lo scetticismo, poi il rifiuto e infine la fuga.

Considerato il comportamento dell’altro, Rukawa capì di aver fatto centro.

Evidentemente, anche Mito provava qualcosa per Sendoh nonostante non lo avesse ancora capito.
Sospirando, si diresse alla pensione; lì non aveva più nulla da fare.
 

***
 

Sendoh non riusciva a crederci.

Aveva visto il ragazzo.

Alla fine, le sue ipotesi si erano rivelate esatte.

Lo aveva infine trovato.

Il ragazzo stava uscendo dalla famosa clinica riabilitativa di Odawara.

Ecco perché è sempre così nervoso! Si era spiegato mentalmente, sentendo l’interesse crescere per quegli occhi così indecifrabili.

Poi, aveva avuto una strana sorpresa.

Fuori dalla clinica c’era nientemeno che Kaede Rukawa.

Evidentemente, era stato convocato anche lui per la nazionale e fin lì niente di strano; la cosa strana era invece che, successivamente, Sendoh lo aveva visto avvicinarsi al ragazzo per poi avviarsi con lui.

Il numero sette del Ryonan aveva riconosciuto in loro i comportamenti di chi si conosce da tempo.

Quindi non si era sbagliato, il ragazzo era un liceale; probabilmente, frequentava la stessa scuola di Rukawa e avevano la stessa età.

Mi conosce! Ha sempre saputo chi sono!

Quel pensiero lo colpì come un fulmine a ciel sereno; ma allora perché sembrava avercela tanto con lui?

Che fosse geloso di Rukawa?

Ma no, quell’ipotesi non stava in piedi.

Quando quei due si erano visti, non gli era sembrato che tra loro ci fosse un legame particolare che andasse oltre la conoscenza.

Poi iniziò a interrogarsi sul perché Rukawa fosse lì prima del tempo, fuori da una clinica riabilitativa.

E collegò tutto.

Sakuragi, durante i campionati nazionali si era fatto male.

Lo Shohoku aveva affrontato la successiva partita con un uomo in meno.

Del resto, nel mondo del basket, liceale e non, le notizie correvano veloci.

Lui poi si era tenuto aggiornato sugli avvenimenti e sulle partite.

Quindi erano lì per Sakuragi.

Quell’ipotesi si faceva sempre più concreta.

In quel momento, scavò a fondo nella sua memoria, rivivendo le partite che aveva giocato contro lo Shohoku.

In particolare, la partita che aveva deciso l’accesso dello Shohoku ai campionati nazionali.

E poi ancora… Sakuragi che veniva buttato a terra da Uozumi con un brutto fallo.

Lui ricordava bene quei momenti dato che si era avvicinato a Hanamichi steso a terra assieme a Rukawa.

In effetti, anche il numero undici sembrava preoccupato.

Ora molte cose tornavano, valutò Sendoh con un sorriso.

Poi, ecco che i particolari di quella partita continuavano a tornargli alla memoria.

Tipo, strani tipi che si avvicinavano alla panchina dello Shohoku chiedendo di andare da Hanamichi e che poi entravano in campo senza permesso.

Ancora… Sakuragi che si alzava e inscenava un teatrino comico con quei ragazzi, inseguendoli.

Sendoh ricordava di aver seguito la scena con interesse.

Sembrava che Hanamichi volesse fare fuori Uozumi.

“Che aspetti quattr’occhi, chiedi la sostituzione!”

Quella voce.

Quel volto che apriva la porta della palestra.

Ecco chi era.

Ecco dove l’aveva visto.

Il ragazzo della pensione.

Sendoh continuò con i ricordi.

Sakuragi che rincorreva quei tipi, stendendoli con una testata ciascuno.

“Razza di idioti, avete rischiato grosso!”.

Ancora quella voce.

Ancora lo stesso ragazzo che s’inginocchiava accanto ai tipi, che sembravano molto
ammaccati dopo il trattamento di Sakuragi, e li sgridava.

Ecco chi era.

Sendoh allora non si era soffermato sul ragazzo ma era normale.

Se non fossero stati in una partita, e avesse assistito a quella scena in un altro contesto, era sicuro che avrebbe notato il ragazzo sin da quel momento.

Ma lui era un campione e quella era la finale.

Per lui, asso del Ryonan, i volti a bordo campo non contavano nulla se doveva portare la sua squadra alla vittoria.

E poi ancora…

L’amichevole che aveva giocato contro lo Shohoku a inizio anno e che la sua squadra aveva vinto.

Quegli stessi ragazzi che facevano il tifo accanto alla panchina dello Shohoku.

Lui in particolare, il ragazzo della pensione, che faceva il tifo per il suo amico.

Anche allora, Sendoh non lo aveva notato, né prima né dopo la partita.

Quando giocava, era su un altro pianeta.

Eppure, in qualche modo, quegli occhi dovevano averlo colpito visto quanto li ricercasse inconsciamente.

Sì, in qualche modo, doveva averlo notato già da allora visto quanto quell’anno le storie che aveva avuto fossero finite in un battito di ciglia.

Ecco da dove proveniva il coinvolgimento emotivo che aveva ricercato nell’ultimo anno.
Perché era solo negli ultimi mesi che Sendoh si sentiva alla ricerca di qualcosa.

Questa sua improvvisa voglia di travolgimento, nata nell’ultimo anno scolastico, proveniva dall’aver inconsciamente notato il ragazzo senza però ricordarlo razionalmente.

Era normale, considerato che non poteva ricordare tutti i volti sugli spalti, eppure, un leggero rammarico lo colse.

Se solo avesse capito prima chi era.

Oppure, se solo l’avesse notato prima durante l’anno scolastico.

Non poteva comunque essere un caso se il ragazzo si trovava lì.

Ecco perché nel momento in cui aveva visto il ragazzo comparire alla pensione, non aveva fatto altro che pensare a lui.

Ora, gli venivano in mente tutte le occasioni in cui l’aveva visto.

Anche durante la partita improvvisata, prima della partenza dello Shohoku per i nazionali.

Lui era lì, a fare il tifo per Sakuragi.

Non ci aveva mai fatto caso a livello conscio.

Del resto, con Sakuragi nei paraggi e gli altri tipi abbastanza vistosi, quella era la presenza che si notava di meno.

Quasi come se volesse stare in ombra! Considerò Sendoh.

Quel ragazzo sembrava, a tutti gli effetti, l’ombra di Hanamichi.

Questo spiegava anche la sua presenza lì e il suo modo di fare.

Usciva la mattina presto e rientrava la sera tardi per stare tutto il giorno con Sakuragi.

Quanto a Rukawa, il perché fosse lì, era abbastanza ovvio.

E così, fra lui e Sakuragi c’era qualcosa.

In fondo, la cosa non lo stupiva più di tanto, vista la tensione che quei due creavano quando giocavano insieme.

Comunque, finalmente aveva qualche informazione in più sul ragazzo.

Era dello Shohoku, una matricola.

In questo modo, sapeva come non perderlo di vista nei mesi futuri.

Anche se per tutto l’anno non l’aveva notato, ora sapeva finalmente cosa cercare.

Sendoh, in quel momento, si sentì sollevato a questa scoperta.

Quella non sarebbe stata una storia qualunque, se lo sentiva.

Quella sarebbe stata una storia con la s maiuscola, visto quanto il ragazzo lo attraesse sia mentalmente sia fisicamente.

Proprio come Sakuragi e Rukawa che, evidentemente, non avevano capito subito di che
tipo fosse il loro legame ma poi, visto come stavano le cose, non erano riusciti a sottrarsi al magnetismo che esercitavano l’uno sull’altro.

E poi, la presenza di Rukawa prima del ritiro poteva rivelarsi molto utile, pensò con un sorriso.

Quel ragazzo non gli sarebbe sfuggito.
 

***
 

Yohei si avvicinò al suo amico, che lo guardò perplesso.

“C’era fila!” si giustificò Mito, ben interpretando quello sguardo.

“E sai chi c’era fuori?” domandò Yohei, allargando il sorriso appena accennato.

Sakuragi lo guardò interrogativo.

“Niente meno che il tuo bellissimo ragazzo!”.

Sakuragi sgranò gli occhi.

“Ahh” urlò tappandosi le orecchie.

“Non chiamarlo così!” intimò all’amico, diventando più rosso dei suoi capelli.

Yohei trattenne una risata.

“Che ci fa qui?” domandò ancora Hanamichi, ritornando serio.

Mito lo guardò perplesso.

“Mi sembra evidente! Voleva notizie su di te!” rispose calmo.

Gli occhi indagatori di Hanamichi non promettevano nulla di buono.

“Come sa che sono qui?” domandò ancora.

“Lo sa tutta la squadra. Anzai ha avvisato Ayako per prima” chiarì ancora Yohei non scomponendosi.

“Mh” annuì Hanamichi non facendo altre domande e liquidando così la faccenda, per lo meno in apparenza.

E così, la sua kitsune era lì.

Non si era dimenticato di lui.

Questo era un pensiero che lo fece sorridere intenerito.

Anche se non potevano vedersi, il pensiero che Rukawa fosse poco distante da lui gli dava la forza per non mollare.

Comunque, anche se perso in questi pensieri felici, Sakuragi non potette fare a meno di notare tutte le stranezze di quelle bizzarre coincidenze.

Aveva sempre sorvolato, preso da altri problemi.

Ma il sospetto che il suo migliore amico e Rukawa fossero in contatto lo assillava da tempo.

Il sospetto era comparso un giorno che sembrava appartenere a una vita fa, quando si era visto comparire Rukawa davanti casa sua.

All’epoca, Rukawa aveva specificato che era stato Mito a mandarlo lì e lui non aveva fatto più domande.

Tuttavia, sapeva bene che Yohei, poco dopo, li aveva raggiunti, rimanendo fuori dalla porta.

Non si era interrogato più di tanto, se c’entrava Mito allora poteva stare tranquillo.

Però, non aveva potuto fare a meno di notare che, in ogni caso, Rukawa e Yohei dovevano essersi parlati, affinché il numero undici sapesse dove abitava.

Poi, Yohei che sapeva della convocazione del numero undici.

Rukawa che lo raggiungeva e magari chiacchierava tranquillamente con Mito fuori dalla clinica.

Era stato Yohei a muovere le fila di tutto.

In passato, come nel presente.

Non riusciva proprio a figurarsi Rukawa che andava da Ayako a chiedere notizie di lui.

Non era nel suo stile e sarebbe sembrato troppo strano agli occhi della loro bellicosa manager.

Nonostante fossero abbastanza amici, Hanamichi sapeva che Rukawa non avrebbe fatto nulla che potesse far circolare voci su di loro, almeno fino a quando lui non si fosse
ristabilito.

E ora, aveva la conferma dei suoi sospetti.

Era stato Mito a permettere al numero undici un avvicinamento nei suoi confronti in passato.

Tutto sembrava essere cominciato da quando Rukawa lo aveva raggiunto il cimitero.

Allora, la super matricola aveva giustificato la sua presenza lì mostrandogli la tomba della madre.

Eppure, quella era stata una coincidenza troppo strana, nonostante all’epoca non vi avesse badato.

Poi, da quel momento in poi, non era più riuscito a respingere Rukawa né ad allontanarlo da se.

L’attrazione che aveva provato sin dal primo momento aveva cominciato ad aumentare sino a diventare impossibile da contrastare.

Yohei.

Sempre e solo lui a orchestrare il tutto.

Sempre e solo lui a permettere tutto quello che era accaduto.

 A quel pensiero, il cuore di Sakuragi si riscaldò di uno strano calore, chiamato affetto.

Quanto aveva fatto il suo amico per lui e quanto ancora continuava a fare.

Rinunciando a vivere realmente, tutto per permettere a lui di essere felice.

Osservò il volto di Yohei che, guardando fuori dalla finestra, sembrava perso in chissà quali complicati pensieri.

Qualcosa lo assillava ma Hanamichi sapeva che non gliene avrebbe parlato.

Da quando era arrivato, i loro discorsi erano sempre stati leggeri e piacevoli.

Nessun argomento scomodo era stato toccato; né quanto sarebbe venuto a costare il suo soggiorno in clinica né l’assenza dell’unico parente orientale di Hanamichi.

Yohei non aveva permesso ai brutti pensieri di entrare in quella stanza.

Tutto per concedergli una riabilitazione serena.

Ma Hanamichi sapeva che qualcosa lo assillava.

Ci avrebbe giocato la testa.

“A che pensi?” domandò a un certo punto.

Yohei alzò le sopracciglia, volgendo lo sguardo verso di lui.

“A niente in particolare” rispose, avvicinandosi al tavolo e versandosi un bicchiere d’acqua.

Ecco! Si appuntò mentalmente Sakuragi.

Sapeva che l’amico avrebbe reagito così.

“Perché non mi dici qualcosa di te?” domandò Sakuragi dopo pochi istanti.

“Eh?”.

Yohei lo guardò perplesso.

Che significava quell’uscita? Che doveva raccontargli poi, visto che sapeva tutto di lui?

Non sapendo cosa rispondere, iniziò a bere.

“Non ho battuto la testa” specificò Hanamichi con un sorriso.

“Ma mi domandavo…” ricominciò poi facendo una pausa d’effetto per enfatizzare il concetto.

Yohei assottigliò gli occhi, continuandolo a bere e guardandolo attento.

Quando Hanamichi incominciava con quel tono, non sapeva mai cosa aspettarsi.

“Visto che io ho un ragazzo” continuò il numero dieci, calcando volutamente sull’ultima parola, “mi domandavo se anche tu avessi qualche persona che ha catturato il tuo interesse!” concluse, osservando con sorpresa l’inaspettata reazione dell’amico.

Yohei, infatti, per poco non rischiò di strozzarsi con l’acqua che stava bevendo.

Tossì ripetutamente, battendosi il pugno sullo sterno.

“Sei impazzito del tutto?” domandò, quando finalmente riuscì a parlare.

“Beh, tanto normale non lo sono mai stato!” esclamò Hanamichi allegro.

Lui stava scherzando.

Quella frase doveva essere il preludio a un discorso che si era già programmato mentalmente.

Era sicuro che l’amico avrebbe negato con il suo solito cipiglio e lui allora l’avrebbe invitato a stare un po’ meno in clinica da lui e a godersi un po’ di più quella zona vacanziera.

Magari, l’avrebbe anche convinto a chiamare il resto dell’armata.

Di certo non si aspettava quella reazione.

Vuoi vedere che, non volendo, ho fatto centro? Si domandò, continuando a sorridere.

“Questo l’ho sempre saputo!” rispose Yohei alla sua affermazione.

“Allora” continuò il rosso imperterrito, “Chi è la fortunata?”.

“Non c’è nessuna fortunata!” rispose Yohei piccato cercando, in quel modo, di troncare il discorso.

Le parole di Rukawa continuavano a ronzargli in testa.

Come se non bastasse, Hanamichi decideva di fare quei discorsi assurdi.

“O forse un ragazzo?” domandò ancora Hanamichi.

La reazione del suo migliore amico era stata troppo sospetta e, anche se era bloccato in quella dannata clinica, sarebbe andato a fondo della faccenda.

Non gli sfuggì, infatti, il lieve rossore che aveva imporporato le guance di Yohei dopo la sua ultima affermazione.

Questi inoltre, sempre più piccato, lo aveva poi mandato letteralmente al diavolo con epiteti piuttosto coloriti.

Mito che arrossiva era un avvenimento storico.

Mito che perdeva la calma per così poco era un avvenimento da segnare sul calendario.

Per una banalità poi, nulla di più.

E così, senza volerlo aveva scoperto una nuova cosa sull’amico.

Una cosa che, vista la reazione dell’amico, Yohei negava con insistenza e che escludeva a priori.

Certo, il fatto che stava lì a fargli compagnia tutto il giorno non facilitava la cosa.

In quel momento, Hanamichi capì quello che, in realtà, aveva sempre saputo.

Mito non era solo il suo fidato braccio destro, aiuto in numerose risse.

Non era solo il suo fratello acquisito, confidente per eccellenza.

Non era solo un’ombra silenziosa che non lo lasciava mai.

Yohei era molto di più.

Era una persona che stava rinunciando a tutto, pur di rimanergli vicino.

Certo, oramai lo faceva senza rendersene conto e il problema era proprio questo.

 Hanamichi capì che era quello il nocciolo della questione, il punto su cui sarebbe dovuto intervenire.

Era venuto il suo momento di fare qualcosa per l’altro.

Perché anche Yohei aveva diritto a farsi una vita e a vivere gli stessi sentimenti che provava lui verso Rukawa.

In quegli anni, non l’aveva mai visto interessarsi a nessuna.

Il suo unico interesse sembrava essere quello di rimanergli accanto.

A quel punto, al numero dieci venne logico domandarsi come mai l’altro non fosse entrato anche lui nel club di basket.

I suoi problemi avevano impedito anche all’amico di avere una vita normale.

Ma le cose dovevano cambiare.

E dovevano cambiare in quel preciso istante.

“Lo conosco?” domandò a quel punto, più interessato che mai.

“La pianti?” rispose l’altro sull’orlo dell’esasperazione.

Hanamichi osservò Mito distogliere lo sguardo più imbarazzato che mai.

E così, si trattava di qualcuno che conosceva.

Yohei, dal canto suo, implorò, con lo sguardo, il suo migliore amico di smetterla domandandosi come diamine fossero finiti a parlare di una cosa del genere.

Hanamichi ignorò totalmente l’occhiata implorante e, allo stesso tempo, perforante, continuando a parlare.

 “Tanto lo so che non mi dirai mai cosa ti passa per la testa!” disse, senza dare all’altro il tempo di ribattere.

“E so anche perché non lo fai, ma ciò non vuol dire che mi sta bene!” terminò con un sorriso furbo.

“Mi spieghi che stai dicendo Hana? Perché io proprio non lo capisco!” esclamò Yohei al culmine dell’esasperazione.

“Allora cerco di essere più chiaro. Voglio che tu vada fuori di qui a divertirti!” concluse sicuro.

“Eh?” fu la domanda perplessa dell’altro.

“A fare che?” domandò, certo di non aver capito bene.

“A divertirti Yo!” gli chiarì il rosso.

“Chiami l’armata e vi godete l’estate!” concluse incrociando le braccia e sistemandosi meglio nel letto.

“Oppure puoi chiamare il tuo lui” aggiunse facendogli l’occhiolino.

“Va bene! Stai scherzando!” si tranquillizzò Yohei andando a sedersi accanto a lui e aprendo una rivista.

“Ma allora non ti è chiaro?” parlò ancora Hanamichi.

“Non ti voglio vedere fino a dopodomani, e solo per qualche ora. I ragazzi dell’armata si divertiranno da matti qui!” sorrise allegro, immaginando il casino che avrebbero creato in quella tranquilla località vacanziera.

Povero albergatore! Pensò, ridacchiando fra se.

“Non esiste proprio!” fu la risposta di Yohei, deciso come non mai a far rinsavire l’amico.

“Fuori di qui o chiamo l’infermiera, Yo! Voglio riposare!” concluse, chiudendo gli occhi.

“Ma…” provò a protestare l’altro.

“Fuori di qui!” ripeté, senza aprire gli occhi, con un tono che non ammetteva repliche.

Oramai, aveva deciso.

E si sa, quando il Tensai decideva qualcosa, niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.

Yohei non potette fare altro che prendere atto della decisione dell’amico e uscire dalla stanza.

Sakuragi sentì la porta chiudersi con un sorriso sul volto.

Aveva fatto la scelta giusta.
 

Continua…
 

Note:
 
Non ho nulla da dire in particolare su questo capitolo.
Spero che vi sia piaciuto!!
Come sempre, attendo i vostri pareri.
Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.
Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.
Pandora86

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


 
Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
Capitolo 6.
 

“Ehilà, campione!” salutò Sendoh allegramente.

Aveva aspettato appositamente che Rukawa rientrasse in pensione per fare due chiacchiere e magari fare due tiri.

In fondo, non era stato stesso il numero undici a cercarlo, tempo addietro, nella palestra del Ryonan, per sfidarlo a una one the one?

Beh, stavolta sarebbe stato lui a prendere l’iniziativa. Sapeva, infatti, che il numero undici non si sarebbe tirato indietro a nessuna sfida lanciata da lui.

“Nh!” salutò Rukawa.

“Loquace come sempre!” continuò Sendoh non scoraggiandosi.

“Anche tu qui in anticipo, come vedo!”.

“Che vuoi?” andò dritto al punto Rukawa, fermando quel fiume di chiacchiere.

“Fare due tiri!” rispose pronto Sendoh, per nulla intimorito dal tono dell’altro.

“Nh! Vado a mettermi la tuta!” rispose Rukawa avviandosi nella sua camera.

Proprio come volevo! Pensò Sendoh esultando dentro di se.

Ora che il numero undici aveva accettato la sua proposta, aveva finalmente la possibilità portare la conversazione su ciò che più gli interessava.

Si avviò con Rukawa, seguendolo nella stanza.

Rukawa lo fissò un lungo istante, prima di aprire la porta.

“È Sawakita, idiota!” disse con tono neutro.

“Eh?” domandò Sendoh confuso.

“Sawakita, non Kitasawa” gli chiarì Rukawa e Sendoh sembrò capire.

Come dimenticare, infatti, il giorno in cui Rukawa si era recato alla palestra del Ryonan chiedendo di lui per sfidarlo a una one the one.

Quel giorno, Sendoh gli aveva impartito una sonora lezione, intimandogli di cambiare la sua visuale di gioco se veramente voleva sperare di batterlo e fare così strada nel basket giapponese.

Rukawa allora gli aveva chiesto se c’era qualcuno più forte di lui e Sendoh gli aveva confidato che sì, c’era un giocatore che lo aveva battuto.

L’asso del Sannoh, colui che non era mai riuscito a battere.

Questo gli aveva rivelato Sendoh, anche se aveva poi sbagliato il nome del giocatore.

“Allora è così che si chiama!” rispose Sendoh con una risata allegra.

“Nh” annuì Rukawa, entrando per cambiarsi.

Sendoh rimase nel corridoio ad aspettarlo.

Sorrideva al pensiero che presto ne avrebbe saputo di più sul misterioso ragazzo.

Certo, Rukawa non parlava granché ma non aveva dubbi sulle informazioni che avrebbe ottenuto.

In fondo, pensò, basta trovare il modo di chiedere.
 

***
 

Dire che Yohei fosse incazzato nero starebbe stato riduttivo.

Attraversava i corridoi della clinica a passo di marcia, con uno sguardo che avrebbe intimorito chiunque.

Voleva un bene dell’anima al suo amico ma certe volte (e quel momento era proprio una di quelle volte) non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa.

Chiama l’armata, vatti a divertire.

Certo, con lui in quelle condizioni si sarebbe divertito molto, questo era poco ma sicuro.

E poi, cos’era quell’assurdo discorso su una ragazza o un ragazzo?

Come se a lui potessero interessare certe cose.

Certo, molte volte insieme all’armata, si divertiva a sbirciare le ragazze della scuola.

Ma quello era solo un gioco, un divertimento come un altro.

Come se a lui potessero interessare le quattro galline che popolavano il suo istituto.

Tutte innamoratissime di Rukawa, tra l’altro.

Che diamine significava quel discorso poi su un eventuale ragazzo\a?

Era vero che lui non aveva preconcetti, non a caso aveva sudato sette camicie per far avvicinare il suo amico a Rukawa.

Non era quello, infatti, il punto.

Ma Hana sapeva bene che aveva altro per la testa.

Con lui rinchiuso in quella clinica poi… perché se ne usciva con discorsi del genere?

Lui poi, come avrebbe impiegato il cosiddetto tempo libero che Hana gli aveva ‘concesso’?

Il pensiero corse a Sendoh, e il volto del giocatore visualizzato nella sua mente lo irritò ancora di più senza una ragione apparente.

Un giorno da trascorrere nella stessa pensione dove c’era anche il giocatore.

E allora? Si domandò poi mentalmente.

Non ci devo mica mangiare allo stesso tavolo!

Gli piaci!

Di nuovo le parole di Rukawa, che sembravano intenzionate a non lasciarlo in pace neppure per un istante, tornarono a tormentarlo.

Come diamine faceva il numero undici a essere così sicuro?

Non che lui avesse indagato molto riguardo a questo.

In effetti, era scappato subito dopo quella rivelazione.

No! Si corresse poi.

Dovevo andare da Hana.

Eppure, Yohei non poteva negare a se stesso che quelle parole erano state come una doccia gelata.

L’avevano scosso.

E lo sconvolgevano tuttora, nonostante l’apparente tranquillità mostrata al numero
undici.

Una delle domande che più lo assillava era come facesse Rukawa ad averne la certezza.

Ovviamente, questa domanda scaturiva proprio dal carattere della super matricola.

Sapeva che il numero undici non parlava a caso, anzi non parlava per niente, per cui, se gli aveva detto quelle cose un motivo ci doveva essere.

Un’altra domanda, quella a cui Yohei inconsciamente rifuggiva, era:

E se Rukawa avesse ragione?

Sendoh che era interessato a lui; roba da non crederci.

Il problema era però un altro.

Se Rukawa avesse veramente avuto ragione, lui come si sarebbe comportato?

La cosa non mi riguarda! Si impuntò mentalmente.

Che Sendoh faccia quello che vuole, io sono qui per Hana!

Fu di questo che si convinse, o meglio provò a convincersi, mentre raggiungeva la pensione.

Che poi, visto la brillante idea dell’amico, ora si domandava come avrebbe impiegato quelle ore buche.

Sapendo poi che Hana non era affatto tipo da riposare.

Tutta colpa di Rukawa! Pensò, anche se in realtà non lo credeva realmente.

Tuttavia, la sua irritazione era ben lontana dall’allontanarsi di conseguenza incolpare il numero undici gli sembrava un buon compromesso.

Se non avesse nominato Rukawa, Hanamichi non avrebbe fatto quei discorsi assurdi.

Il suo umore peggiorò quando vide, all’entrata della pensione, i due protagonisti dei suoi pensieri.

Sendoh e Rukawa, quest’ultimo con una palla da basket in mano, che ovviamente andavano ad allenarsi.

Loro sì che sanno come impiegare il tempo! Pensò sarcastico, assottigliando lo sguardo.

Fu, infatti, con un’occhiata truce che fulminò i due mentre passava loro accanto senza calcolarli minimamente.

Il gelo che trasmettevano quegli occhi avrebbero potuto far impallidire i ghiacciai che popolavano l’Antartide.

Yohei passò loro accanto considerandoli l’equivalente di un pezzo del mobilio, in pratica non calcolandoli assolutamente.

In fondo, perché avrebbe dovuto salutare Rukawa in presenza di Sendoh?

Il numero undici, poco prima, gli aveva ribadito che c’erano troppi se nelle sue ipotesi.

Per l’appunto, salutare Rukawa in quel preciso istante eliminava i se alla radice.

Per cui, si incamminò nella sua stanza senza la minima indecisione.

Quei due glieli stavano facendo girare anche troppo i cosiddetti in quei giorni.
 

***
 

Sendoh dovette attendere solo pochi minuti prima che Rukawa uscisse dalla stanza con indosso una tuta.

Finalmente, poteva andare dritto al punto.

Non aspettò neanche un istante per porgere la domanda che lo avrebbe portato a sapere quello che voleva.

“Allora” incominciò osservando attentamente il volto dell’altro.

“Come sta Sakuragi?” esordì con un sorriso.

Rukawa lo fissò serio non rispondendo.

“So che si è fatto male durante i campionati. Ti ho visto fuori la clinica poco fa mentre parlavi con un ragazzo!”.

Rukawa valutò le parole dell’altro considerando che per il ritiro erano finiti in un posto che era veramente un buco.

Inoltre, non gli era sfuggito come Sendoh avesse marcato la parola ‘ragazzo’.

Motivo per cui si decise a rispondere.

“Non ti riguarda! E poi” rispose facendo una pausa molto allusiva, “non è questo, quello che ti interessa!” concluse.

Sendoh allargò leggermente gli occhi e Rukawa si affrettò a dargli altri chiarimenti.

“Anche io ti ho visto, ieri sera, mentre stavi per prenderle” una pausa d’effetto accompagnò la frase.

“Ho visto come lo guardi” concluse poco dopo, calcando le ultime parole.

Sendoh sorrise, non scomponendosi in alcun modo.

E così, Rukawa aveva assistito alla semi rissa della sera precedente.

Il fatto che avesse colto i suoi sguardi verso il ragazzo, e capito di conseguenza il reale interesse delle sue domande, non lo infastidiva in alcun modo.

Sendoh era una persona molto diretta e, anche se era molto riservato sulla sua privacy, non riteneva un problema il fatto che Rukawa avesse capito la natura dei suoi sguardi visto che non si trattava della pettegola della porta accanto.

Se così non fosse stato, non avrebbe minimamente intavolato il discorso.

Inoltre, aveva sempre sospettato che Rukawa fosse una persona perspicace.

Perspicace e discreta.

Bastava, infatti, vedere come avesse ben celato il suo rapporto con Hanamichi.

Un rapporto molto intimo a quanto pareva ma su cui smise di interrogarsi immediatamente.

Non erano fatti suoi e, come non voleva che gli altri conoscessero le sue cose private, allo stesso modo non amava impicciarsi dei fatti altrui.

“Bene!” esclamò allegro, incamminandosi.

“Allora puoi dirmi come si chiama”.

“Nh! Chiedilo a lui” rispose secco Rukawa superandolo.

“Forse ti è sfuggito che non gli sto tanto simpatico” rispose ironico Sendoh ripensando alla sera precedente.

“Che lui mi conosca oramai ne ho la certezza” continuò, riflettendo ad alta voce.

Il tono si era fatto serio e Rukawa lo ascoltava attento.

“Me lo ricordo a bordo campo a fare il tifo per Sakuragi. Quello che non capisco è perché non mi sopporta!” ammise sospirando.

“Fatti tuoi!” rispose secco Rukawa.

“Tuttavia” aggiunse guardandolo in maniera significativa, “se fossi in te, non mi farei impressionare” concluse, ripensando a un certo do’hao e alle sue testate di presentazione a inizio anno.

Se Mito era complicato la metà del suo do’hao allora Sendoh avrebbe dovuto faticare a lungo per ottenere la sua attenzione.

Lui lo sapeva in prima persona.

Comunque, tutto dipendeva da quanto fosse grande l’interesse di Sendoh.

Lui poteva dire di essere stato ampiamente ripagato per tutti quei mesi di sotterfugi e di occhiate.

Hanamichi si era rivelato quanto di più bello potesse mai aver avuto.

E ora, ecco che la storia si ripeteva, anche se i protagonisti erano diversi; invertiti in effetti.

Solo che lui e Sendoh non avevano lo stesso legame di amicizia che c’era tra Mito e il suo do’hao.

Nessuno sarebbe mai riuscito ad avere un legame così stretto in effetti.

Sendoh, nel frattempo, rifletteva sulle strane parole dell’altro.

Che sapesse qualcosa che lui ignorava?

La risposta, ovviamente, era sì.

Di certo, conosceva abbastanza bene il ragazzo.

“Che vuoi dire?” domandò quindi senza mezzi termini.

Rukawa lo guardò sbuffando.

Era vero che lui e Sendoh non erano amici.

Lui e Mito sì però.

Avevano uno strano legame.

Diverso dai canoni dell’amicizia standard eppure, forse proprio per questo, più forte.

Non avrebbe mai dimenticato ciò che il ragazzo aveva fatto per lui.

Senza Mito, probabilmente si sarebbe limitato per molto tempo a poter osservare Hanamichi solo da lontano.

Perché Rukawa sapeva che, prima di dargli le dritte giuste per avvicinare il do’hao, Mito lo aveva studiato a lungo con un esame accurato.

Se l’avesse considerato un’idiota, non ci avrebbe pensato due volte a intervenire per allontanare ulteriormente Hanamichi, scoraggiandolo nell’interesse che provava a priori.

Invece, non solo gli aveva dato le informazioni giuste per agire ma aveva anche, poco a poco, fatto capire a Hanamichi che il suo interesse era finalmente rivolto alla persona giusta.

Era stato vicino al suo do’hao in tutti quegli anni, facendogli da fratello, amico e confidente.

Diventando il suo punto fermo.

Quindi, fu per questo che decise di parlare.

Sendoh non rappresentava nulla per lui. Ma Mito sì.

“Anche se sei un’idiota, dovresti aver capito già da solo che non è un tipo facile. Dipende tutto da quanto ti interessa!” si interruppe per poi riprendere.

“E se vuoi giocare, vedi di darti una mossa” terminò definitivamente il discorso avviandosi.

La sua parte l’aveva fatta e aveva anche parlato troppo per i suoi standard.

Se Sendoh voleva solo perdere tempo, allora sarebbe bastata la freddezza di Mito ad allontanarlo.

Se invece era interessato, allora quelle parole l’avrebbero spronato ad andare fino in fondo.

Sendoh, nel frattempo, lo seguiva silenzioso riflettendo sulle sue parole.

Rukawa, con poche e semplici frasi, gli aveva rivelato più di quanto si aspettasse.

Era evidente che conosceva il ragazzo abbastanza bene e lo aveva messo a scelta.

Tutto dipendeva dal suo interesse a questo punto.

Se voleva perseverare nel cercare di conoscere il ragazzo allora, secondo Rukawa, non si sarebbe dovuto far impressionare.

Da che cosa era ovvio; e non si riferiva solo all’avvenimento della sera precedente ma anche dalla freddezza con cui era stato trattato.

No, non era per niente un tipo semplice; lo aveva capito da solo.

Ma era questo a intrigarlo di più, Sendoh lo sapeva.

Per cui, non c’era neanche bisogno di decidere cosa fare.

Quel ragazzo gli interessava, ora più che mai.

Lo avrebbe conosciuto, questo era poco ma sicuro.

Erano appena fuori dalla pensione che, come per magia, ecco che si materializzava l’oggetto dei pensieri del numero sette.

Era strano vederlo a quell’ora, valutò Sendoh osservandolo avvicinarsi.

Tuttavia, nonostante fosse felice di vedere il ragazzo, gli fu immediatamente chiaro che qualcosa non andava.

Fu truce l’espressione che rivolse a Rukawa, e successivamente anche a lui, quando passò loro dinanzi senza calcolarli.

Sembrava molto arrabbiato eppure Sendoh capì all’istante che era un’arrabbiatura diversa da quella della sera precedente, quando aveva steso uno dei due tipi e malmenato un po’ l’altro.

Se possibile, era ancora più nero.

Doveva essere successo qualcosa che lo aveva sconvolto visto che, la sera prima, nonostante i due tizi lo avessero fatto innervosire, non aveva perso la sua composta freddezza.

Ora invece il suo volto lasciava trapelare tutt’altro.

Anche osservandolo di schiena, si poteva percepire quanto fosse nero il suo umore.

E, vista l’ora, non ci voleva un genio per capire da dove venisse e chi mai fosse riuscito a sconvolgerlo tanto.

Fu chiaro anche a Rukawa considerato che Sendoh lo sentì sussurrare un flebile ‘Hanamichi’.

Rimasero entrambi all’ingresso della clinica in silenzio per diversi istanti.

Rukawa non distoglieva lo sguardo dalle scale che portavano alle stanze al piano superiore.

Di comune accordo, senza parlare, entrambi i giocatori fecero dietro front.

Sendoh osservò il volto di Rukawa che tutto era, tranne inespressivo in quel momento.

Almeno per lui che, in parte, lo conosceva.

Sapeva, infatti, come fosse in grado di infiammarsi durante una partita.

E, anche in quel momento, per lui era chiara la preoccupazione che trapelava dal suo sguardo.

Sendoh seguì Rukawa al piano superiore fino a una porta, che capì essere quella della stanza di Mito.

Vide Rukawa bussare con insistenza e appoggiò la schiena al muro.

Sapeva, infatti, che la sua strada finiva lì.

Il ragazzo, per quanto lo conoscesse, non sapeva ancora che lo stesso Akira Sendoh lo aveva a sua volta riconosciuto e, visto il suo umore, il giocatore decise saggiamente di aspettare fuori.

Non voleva di certo trovarsi steso lungo il corridoio dopo un sonoro cazzotto dell’altro che, poco ma sicuro, gli avrebbe certamente rifilato se si fosse intrufolato nella stanza con Rukawa.

Vide la porta aprirsi e Rukawa entrare senza mezzi termini.

La porta si richiuse e Sendoh sospirò; per il momento poteva solo aspettare.
 

***
 

“Non stavi andando a giocare con il tuo amico?” domandò Yohei scontroso, vedendo
Rukawa raggiungere il centro della stanza.

“Perché sei qui?” domandò a sua volta il giocatore senza preamboli.

“Perché è la mia stanza?” gli fece il verso l’altro alzando il sopracciglio.

“Perché non sei con Hanamichi?” domandò allora Rukawa, marcando il tono sul nome, per chiarirgli il concetto.

A quella domanda, Mito si calmò.

Lesse, infatti, tutta la preoccupazione nel volto del numero undici e capì il perché di quel cambio di programma da parte del giocatore.

Vedendolo ritornare alla pensione a quell’ora, si era preoccupato immediatamente.

Lui non poteva vedere Hanamichi, di conseguenza ogni piccolo cambiamento lo insospettiva.

Fu per questo che decise di tranquillizzarlo con un tono più calmo.

“Sta bene!” disse solamente con un sorriso.

Il sospiro dell’altro gli arrivò forte e chiaro.

A Rukawa era quello che interessava ma, dalla faccia interrogativa dell’altro, Yohei capì che doveva comunque dargli altre informazioni sul motivo che lo aveva spinto a rientrare prima.

“Abbiamo litigato!” ammise con rammarico, sedendosi sul letto.

“O meglio” chiarì, “in realtà ha fatto tutto da solo. Non ci ho capito molto” concluse con un’espressione dispiaciuta.

“Nh?” mugugnò Rukawa mostrando interesse.

Hanamichi e Mito che litigavano era un evento da segnare sul calendario.

Che cosa mai poteva essere successo?

Mito osservò Rukawa sedersi sul letto di fianco a lui.

Quella situazione era strana; di solito era lui, Yohei Mito, che conduceva il discorso.

Era sempre lui che consigliava l’altro dandogli le dritte giuste.

Ora invece, anche se il protagonista era lo stesso, era Mito a dovergli esternare i suoi dubbi sulle uscite dell’amico.

Tuttavia, non gli dispiaceva.

Non aveva mai avuto un confidente, eccetto Hana, e, anche in questo caso, non gli parlava quasi mai dei suoi dubbi.

Punto primo, perché non ne aveva; punto secondo perché qualora avesse avuto qualche problema non gli sarebbe sembrato giusto gravare sulle spalle dell’amico.

Aveva fatto due promesse, tempo addietro; promesse che aveva fatto di tutto per mantenere.

Aveva sempre cercato la felicità di Hana, essendo la persona che più stimava in assoluto.

Se paragonato al suo migliore amico, lui non poteva avere dei problemi che non risultassero insignificanti rispetto alla situazione dell’altro.

Motivo per cui, non aveva mai avuto bisogno di un confidente.

Eppure, ora si trovava dinanzi Kaede Rukawa, il ragazzo del suo migliore amico capì che no, non gli dispiaceva affatto parlare dello strano comportamento dell’altro.

“Mi ha praticamente cacciato via!” gli chiarì con un sorriso dubbioso.

“Nh?” mugugnò ancora Rukawa in segno di domanda.

“Ha detto che non devo stare sempre al suo capezzale. Mi ha invitato a chiamare l’armata e a godermi questo posto di vacanza” gli chiarì il concetto.

“Tipico del do’hao!” parlò allora Rukawa.

“Scusa?” domandò Mito sorpreso.

Come poteva Rukawa trovare tipico un comportamento così strano?

Rukawa dovette leggergli il dubbio nello sguardo visto che continuò a parlare.

“Pensare al bene degli altri!” concluse secco alzandosi.

Mito lo osservò interdetto.

“Secondo te, l’avrebbe fatto per il mio bene?” domandò ancora Yohei incredulo vedendo l’altro avvicinarsi alla porta.

“Nh!” annuì sicuro il numero undici.

“Quindi per te è un comportamento sensato!” affermò Mito ironico.

“Nh!” annuì ancora Rukawa serio.

“E come potrei divertirmi, sapendo che lui è in quelle condizioni?” domandò allora Yohei infervorandosi.

“Cosa dovrei fare nelle ore di libertà che mi ha concesso?” e, a quella parola, mimò le virgolette con le dita.

Rukawa, che aveva già aperto la porta pronto per andarsene, si voltò verso il ragazzo fissandolo serio.

“Forse vivere!” disse solamente, prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle.

Se Mito era intelligente la metà di quello che credeva, sapeva che non avrebbe faticato a trovare il significato delle sue parole.

Ci avrebbe riflettuto, capendo che era ora di pensare anche a se stesso.

Si avviò nel corridoio seguito da Sendoh.

Lui lì, per il momento, non aveva più nulla da fare.
 

Continua…
 

Note:
 

Ed ecco che vediamo Rukawa in versione cupido.

L’ipotetica amicizia tra Mito e Rukawa è una cosa che mi ha sempre stuzzicato, sia da leggere sia da scrivere, e spero di non aver fatto un pasticcio stravolgendo i personaggi.

Questo capitolo, infatti, aveva proprio lo scopo di far luce sui pensieri di Rukawa riguardo il suo strano legame con Mito.

Spero che vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
Capitolo 7.
 

Yohei fissava pensieroso il mare.

Dopo aver parlato con Rukawa, non era riuscito a rimanere a lungo nella sua stanza.

Aveva optato per una passeggiata sulla spiaggia e ora, seduto sulla sabbia, seguiva pensieroso i disegni irregolari delle onde sulla battigia.

Non poteva fare a meno di pensare a quello che il giocatore gli aveva detto.

Vivere.

Che diamine significava?

Ma Yohei non era un tipo che si prendeva in giro da solo.

Aveva capito perfettamente cosa Rukawa volesse dire.

Hanamichi aveva fatto quel discorso per lui, il giocatore lo aveva capito immediatamente.

Era vero, lui era vissuto, per tutti quegli anni, in simbiosi con Hanamichi.

Aveva vissuto i problemi del suo migliore amico in prima persona, maledicendo, spesso e volentieri, la vita a causa di tutte le vicende che metteva davanti a quello che era, in fin dei conti, solo un ragazzo.

D’altronde, Hanamichi aveva anche vissuto per qualche tempo a casa sua dopo la sciagura che aveva investito la sua famiglia e lì il loro legame si era rafforzato.

Quell’anno poi, la testa di Mito era stata esclusivamente concentrata su Hanamichi considerando che, con la venuta delle superiori, era anche arrivato Kaede Rukawa.

Quello che però Yohei non capiva era perché Hanamichi, e anche Rukawa ora, ne facessero un problema di stato.

A lui andava bene così! Perché, volendo fare il suo bene, non tenevano conto di quello che pensava?

Era vero che anche lui stesso, in passato, aveva fatto delle scelte tenendo all’oscuro Hanamichi, proprio per il suo bene.

Però, se trovava giustificazione in quello che aveva fatto lui, non ne trovava per il comportamento del suo amico.

“Non sono io ad avere dei problemi!” esclamò ad alta voce, a quella che oramai era una spiaggia deserta.

“Tutti ne hanno!” una voce alle sue spalle s’intromise nel discorso.

Mito alzò gli occhi al cielo.

Non aveva bisogno di voltarsi per capire a chi appartenesse quella voce.

Akira Sendoh, ecco chi aveva parlato.

Perso nei suoi pensieri, non si era accorto di non essere più solo.

Tuttavia, non si curò di rispondere.

Se fosse rimasto in silenzio, forse il giocatore avrebbe capito che doveva lasciarlo in pace.

La sera prima, era stato molto chiaro a questo riguardo.

Sendoh invece non si fece scoraggiare dal silenzio dell’altro.

Essendo fuori la porta, aveva udito gran parte della conversazione che il ragazzo aveva avuto con Rukawa.

Non che avesse origliato; era semplicemente rimasto con le spalle al muro aspettando che l’altro giocatore uscisse.

Tuttavia, a un certo punto i toni si erano alzati e Sendoh aveva temuto di vedere uscire
Rukawa con un bell’occhio nero.

Poi, erano andati ad allenarsi e, dopo aver inflitto una sonora sconfitta al numero undici dello Shohoku, si era messo a passeggiare sulla spiaggia.

La scelta della meta non era stata casuale.

Era sicuro, infatti, di trovarvi il ragazzo che tanto lo attirava.

Dubitava che dopo la discussione avuta con Rukawa fosse rimasto alla pensione e la spiaggia, per una persona che vuole stare da sola, era l’unica meta possibile.

L’aveva visto in lontananza mentre osservava il mare con sguardo cupo e, in quel momento, aveva provato una forte tenerezza verso di lui.

Aveva avuto la conferma che quella non era solo un’infatuazione passeggera.

Quello che provava in quel momento non era attrazione, quanto voglia di stringere quel corpo in un abbraccio rassicurante.

Tutto pur di cancellare quell’aria cupa e quelle spalle chine abituate a portare da troppo tempo i pesi degli altri.

Perché, anche se non sapeva nulla di Sakuragi, aveva capito che lui e il ragazzo avevano un legame particolare.

Stretto, troppo stretto per dei ragazzi di quell’età.

Evidentemente, ne avevano passate molte insieme.

Era per questo che si era avvicinato.

Poi, l’aveva sentito dire quella frase e non aveva potuto fare a meno di rispondere.

Il ragazzo non si era neanche voltato, non degnandosi di parlare.

Sendoh, per nulla turbato da quel silenzio, si avvicinò, sedendosi accanto a lui e osservando il suo volto che fissava l’orizzonte.

“Ciao!” salutò allegro.

Mito sbuffò di rimando. Aveva osservato di sottecchi il giocatore non scomporsi minimamente per la sua non risposta ma anzi, sedersi accanto a lui come se fosse stato invitato.

“Che vuoi?” domandò pungente.

“Sapere il tuo nome” rispose sicuro Sendoh.

“In fondo, tu conosci il mio!” concluse con un sorriso.

“E una volta che l’avrai saputo, mi lascerai pensare in pace?” domandò Yohei con un ghigno.

Tutto pur di toglierselo dai piedi.

Non sapeva perché, ma Sendoh lo metteva in soggezione.

Non solo per la rivelazione di Rukawa, che comunque non prendeva come verità assoluta.

Aveva, infatti, molti dubbi a riguardo.

La sera stessa del loro primo incontro, quando Yohei aveva deciso di concedersi un bagno serale, lo sguardo indagatore del giocatore puntato sulla sua schiena gli aveva fatto venire i brividi.

Non si era curato di tutto ciò, ma comunque non lo voleva tra le scatole.

Perché, tutti sembravano essersi messi d’accordo per fargli saltare i nervi?

Hana, Rukawa e poi Sendoh, non necessariamente in quest’ordine, tutti impegnati a sconvolgerli la sua tranquilla routine.

Che poi di tranquillo avesse ben poco, questo era un altro discorso.

Ma comunque, preferiva avere a che fare con i problemi di Hanamichi, piuttosto che trovarsi in mezzo a quello che sembrava un complotto alle sue spalle.

“Forse” rispose Sendoh strappandolo dai suoi pensieri. “Ti tocca rischiare” aggiunse con un sorriso.

Mito si ritrovò a sorridere di fronte all’espressione disarmante dell’altro.

Aveva sempre pensato che Sendoh fosse un bravo ragazzo, oltre che indiscussa stella nascente del basket.

“Mito” si decise finalmente a rispondere. “Yohei Mito” aggiunse stendendosi poi sulla sabbia con le braccia incrociate dietro la testa.

“Il piacere è tutto tuo” aggiunse, prima di chiudere gli occhi.

La risata spontanea dell’altro però non potette fare a meno di strappargli un altro sorriso.

“Credo che sia inutile ripeterti il mio nome visto quante volte hai tifato contro di me nelle partite” parlò ancora Sendoh, con l’intenzione di giocare a carte scoperte, assumendo un’espressione seria.

Mito si mise a sedere aprendo di scatto gli occhi e puntandoli in quelli del giocatore che però continuava a osservarlo tranquillo.

“Sei un amico di Sakuragi, no?” domandò ancora Sendoh, vedendo l’altro cambiare espressione e gli occhi diventare truci.

Tuttavia, non si sarebbe fatto scoraggiare dalla freddezza e dal sospetto che emanavano quello sguardo.

“Impossibile non notarvi, soprattutto quando fate i vostri show durante le finali!” continuò ancora tranquillo, cercando di placare il sospetto dell’altro menzionando appunto il teatrino comico che aveva fatto Sakuragi durante l’ultima partita delle finali proprio contro il Ryonan.

Yohei, nel sentire quelle parole, non potette fare ameno di trattenere un mezzo sorriso.

Dovevano essere apparsi veramente ridicoli allora.

Questo tuttavia non placò i suoi sospetti ma, se possibile, servì a incrementarli.

“Mi avevi riconosciuto” accusò il giocatore.

“Non proprio!” ci tenne a specificare Sendoh.

“Mi avevi incuriosito, ma non ti avevo riconosciuto subito. A proposito, bella camicia!” aggiunse cercando, in quel modo, di smorzare i toni.

A quelle parole, Mito si portò una mano sugli occhi, sospirando pesantemente.

“Soprassediamo” sussurrò, cercando di non pensare quanto fosse dovuto apparire ridicolo con una camicia di pesante flanella legata alla vita in un posto dove il termometro, all’ombra, segnava quaranta gradi.

“Poi ti ho visto parlare con Rukawa fuori la clinica oggi, e non ho fatto fatica a capire chi eri” concluse il giocatore.

Ci teneva sul serio a conoscere il ragazzo, per cui era meglio cominciare con l’essere chiaro.

Non sembrava d’altronde un tipo che amava essere preso in giro.

“Quindi, è vedendomi con Rukawa che hai capito chi ero” valutò Mito ma Sendoh si ritrovò a smentire la sua tesi.

“Mi ha aiutato, ma mi sarei comunque ricordato di te!” ammise sicuro.

Non aveva, infatti, fatto fatica a ricordare tutte le volte che lo aveva visto, compresa la primissima volta, quando lo Shohoku aveva perso l’amichevole a inizio anno contro il Ryonan.

Non aveva avuto modo di memorizzarlo tra tutta quella gente e con la partita in corso, ma l’aveva comunque notato insieme con altri tre tipi.

“Che buco di posto!” esclamò Yohei, riferendosi al luogo dove si sarebbe svolto il ritiro e dove appunto era ricoverato il suo amico.

“Che ci vuoi fare!” convenne con lui Sendoh.

Il volto del ragazzo sembrava essersi rilassato ma lui comunque ci teneva a chiarire un’ultima cosa.

“Perché hai fatto finta di non conoscermi?” domandò serio.

“Io non ho fatto proprio niente” rispose pronto Yohei.

Che razza di domanda era?

Lui non era mica un tifoso dei giocatori di basket.

“Volevi che ti chiedessi l’autografo?” domandò piccato.

“No, ma avrei voluto ringraziarti per bene per ieri sera” non si lasciò intimorire Sendoh.

“Ti ho già detto di lasciar stare!” ci tenne a precisare Yohei.

“A Rukawa non avrebbe fatto piacere giocare con un rivale tutto ammaccato!” aggiunse ironico.

“E comunque” continuò scrutando il mare, “ti ho anche detto di starmi alla larga!” concluse, sperando che stavolta il concetto arrivasse forte e chiaro.

Cosa mai doveva fare per avere un po’ di tranquillità? Implorare Kami in ginocchio?

“Quello che non capisco è il perché” gli domandò ancora Sendoh.

“Forse perché voglio stare in pace?” gli fece il verso l’altro.

“O forse perché temi che io ti possa in qualche modo collegare a Sakuragi e sospettare del legame che ha con Rukawa” parlò sicuro Sendoh.

Ci aveva riflettuto e quella sembrava l’unica spiegazione plausibile al suo comportamento.

Gli stralci della conversazione che aveva poi sentito gli avevano rivelato quanto fosse attaccato il ragazzo al giocatore dai capelli rossi e quindi, aveva facilmente intuito la verità.

Lo sguardo del ragazzo, improvvisamente minaccioso, gli rivelò di avere fatto centro.

“E se anche fosse?” domandò Mito a bassa voce, assottigliando gli occhi.

Sendoh avrebbe potuto giurare di vedere l’aura crescere intorno al ragazzo, considerando il suo repentino cambio d’umore.

Ma, visto che se lo aspettava, non si lasciò intimidire.

Non abbassò lo sguardo, né lasciò che l’insicurezza trapelasse nella sua voce.

Erano arrivati al punto cruciale della questione e il ragazzo che si trovava di fronte aveva bisogno di essere rassicurato sulla sua assoluta sincerità riguardo la questione.

Sospettoso com’era, avrebbe capito subito, infatti, se avesse provato a mentire o a prenderlo in giro.

Motivo per cui, se voleva conoscerlo meglio, prima doveva convincerlo con chiarezza sulla sincerità delle sue parole.

“Se così fosse, ti direi che non sono fatti miei” rispose sicuro sorridendo.

“Quello che c’è tra Sakuragi e Rukawa non mi riguarda. Se anche stessero insieme, cosa che suppongo sia così, allora posso solamente dire, che in fondo, qualcosa l’ho sempre sospettato ma che appunto, non mi riguarda” calcò l’ultima parola.

“E di certo, non sono tipo da andare a fare pettegolezzi in giro” aggiunse, tenendoci a precisare quel punto.

Yohei lo osservò a lungo.

Conosceva Sendoh e sapeva che era un tipo molto riservato.

Non aveva mai fatto chiacchiere e, nonostante tutte le ammiratrici che si ritrovava, non era di certo un farfallone da quattro soldi.

Non era stato incerto nel parlare, ma neanche troppo frettoloso.

Le parole erano uscite fluide e sicure, accompagnate da un tono di voce pacato ma anche deciso.

L’ultima frase era poi stata una precisazione fatta per se stesso più che per l’interlocutore.

Aveva semplicemente espresso un concetto, nulla di più, e l’aveva fatto con molta chiarezza, su questo Mito non aveva dubbi.

Per quanto cercasse nel suo volto tracce di bugie, non potette fare altro che leggere l’assoluta sincerità in quei lineamenti sorridenti.

“Bene!” disse solamente, tornando a stendersi.

“Meglio così” aggiunse in un sussurro.

Sendoh pensò che fosse più rivolto a se stesso che a lui e non potette fare a meno di osservargli il volto.

Le sue labbra… chissà se erano veramente morbide come sembravano.

Quanto avrebbe voluto stringerlo e dirgli di lasciare da parte Sakuragi e Rukawa almeno per un po’.

Sapeva bene, però, di non poterlo fare, motivo per cui si accontentava di ammirarlo solamente.

Del resto, sembrava avergli creduto quindi, perché non provare a instaurare una conversazione decente?

“Per preoccuparti di una cosa del genere, devi tenerci molto a Sakuragi” disse con una leggera punta d’invidia verso il giocatore dai capelli rossi che aveva tutte le attenzioni del ragazzo che gli piaceva tanto.

Aveva già Rukawa, la bellissima super matricola.

Anche se non dotato di parola! Aggiunse poi mentalmente.

Perché doveva avere anche tutte le attenzioni di quel ragazzo?

Ma poi si pentì subito di un pensiero del genere.

Sakuragi doveva essere una persona splendida, per essere riuscito a sciogliere il gelo di Rukawa e per avere l’affetto incondizionato del ragazzo che gli stava davanti.

Ora stava a lui dimostrare di essere all’altezza.

Non dubitava di riuscirci; era o non era un vincente?

Vide che il ragazzo non rispondeva per cui continuò a parlare.

“Voglio dire, preoccuparti anche sui pettegolezzi che potrebbero circolare sul tuo amico mi sembra una cosa molto bella” aggiunse, quasi parlando con se stesso.

Yohei si mise nuovamente a sedere accompagnando il gesto con un sospiro stanco.

“Magari fosse solo questo, Sendoh” disse a bassa voce chiamando, per la prima volta, il giocatore per nome.

Sendoh se ne accorse e gioì internamente per quella familiarità a cui il ragazzo sembrava non aver fatto caso.

Tuttavia, non mostrò nulla esteriormente continuando a mantenere un’espressione tranquilla.

Sarebbe stato stupido esaltarsi per così poco quando Mito sembrava intenzionato, per la prima volta, a parlargli in maniera tranquilla.

“Visto che hai già capito il legame che Hana ha con Rukawa, sarò molto franco” disse guardandolo negli occhi.

Non sapeva perché, ma il volto sereno del giocatore gli trasmetteva molta tranquillità.

Forse era un effetto collaterale dovuta all’assidua frequentazione di Hana e dell’armata.

Erano i suoi migliori amici, peccato però non potessero essere etichettati come i classici tipi tranquilli.

No, di sicuro la calma non rientrava nelle loro doti primarie.

Negli ultimi mesi poi, aveva avuto a che fare con Rukawa che, anche se più tranquillo di carattere e molto (ma molto) più silenzioso, comunque non trasmetteva le stesse cose.

Di sicuro non infondeva calma, vista tutta la concentrazione che ci voleva per interpretare le sue espressioni e i monosillabi (o grugniti a seconda della domanda).

Del resto, avere a che fare con il numero undici era come scalare una montagna ghiacciata.

Silenzioso ma non tranquillo.

Anzi, ogni loro incontro, soprattutto il primo, era stato più simile a una guerra di sguardi, dove ogni contendente cercava di sopraffare l’altro.

Entrambi si erano studiati a vicenda, non tralasciando nulla nel loro esame.

Che poi avessero costruito quello strano legame, questo era un altro discorso.

Fatto stava che, in ogni caso la si mettesse, Mito aveva frequentato persone che tutto erano tranne che facili da gestire e capire.

Forse era per questo che con Sendoh notava la differenza.

Si perse per un istante ad ammirare i lineamenti regolari dell’altro e il suo sorriso sereno.

Era quel sorriso che più di tutto gli infondeva tranquillità.

Sorriso che Yohei non avrebbe saputo classificare.

Non era il classico sorriso a trentadue denti di un deficiente, né quello di una persona insicura.

Non era un sorriso affettuoso tipico di una madre né quello stucchevole di una persona innamorata.

Forse, quel sorriso apparteneva al giocatore proprio come a Rukawa apparteneva la sua classica espressione seria.

Non avrebbe saputo classificarlo eppure, quel sorriso gli piaceva e gli infondeva serenità.

Motivo per cui, continuò a parlare con un tono più amichevole.

In fondo, cos’aveva da perdere?

“Non ti starò a raccontare i dettagli, non sono importanti.

Ma lascia che ti dica una cosa. Non so cosa tu pensi di Hana; sicuramente, viste le sue buffonate, lo consideri un’idiota” e, a quelle parole, non potette fare a meno di indurire lo sguardo.

Sendoh lo notò, ma continuò ad ascoltare.

“Io invece ti posso assicurare che c’è molto di più” calcò volutamente sulle parole.

“E, nonostante la faccia tosta che mostra dietro gli sfottò del pubblico quando gioca o quando mette in atto le sue pagliacciate, ti assicuro che per lui sarebbe catastrofico se gli arrivasse una minima voce dei pettegolezzi che potrebbero girare sul suo conto riguardo al legame che ha con Rukawa.

Certo, negherebbe tutto con una risata idiota, ed io e l’armata avvalleremmo le sue buffonate.

Ovviamente, poi mi occuperei personalmente dei tipi che ipoteticamente, avrebbero parlato” e lo guardò con un sorriso furbo.

“Sai, non ho una bella reputazione, né allo Shohoku né fra i teppisti del quartiere” aggiunse con un ghigno.

“Ciò nonostante” ricominciò tornando serio, “tutto andrebbe perso. Hana né uscirebbe distrutto, almeno per come stanno le cose al momento. Certo, la situazione è cambiata in questi ultimi mesi, ma è meglio non rischiare. Io non posso permetterlo” concluse serio guardando il mare.

“Non dopo tutto quello che ho fatto per vederlo felice” sussurrò, più a se stesso che all’altro.

Sendoh ascoltò quel discorso incupendosi leggermente.

Erano bastate poche frasi per far trapelare tutto l’affetto che quel ragazzo aveva verso Sakuragi.

Troppo, per un semplice legame di amicizia.

Forse né è innamorato, ma è felice di saperlo accanto a Rukawa, pensò intristendosi.

“Oh cielo! Ti prego, non dirmi la stessa cosa anche tu” sentì dire al ragazzo.

Sendoh lo guardò perplesso.

“Non ho detto nulla!” esclamò sorpreso.

“Ma lo stavi pensando” gli chiarì Yohei allegro, lasciandosi scappare una mezza risata.

“Forse è una caratteristica dei giocatori di basket pensare sempre la stessa cosa” ragionò allegramente.

“Forse devo iniziare a preoccuparmi anche per Hana!” continuò ridendo.

Sendoh lo guardò ridere, rimanendo per un istante inebetito.

Era la prima volta che sentiva la sua risata.

Prima aveva pensato che la sua voce, profonda e decisa, fosse la cosa più bella da sentire.

Ora lo pensava della sua risata.

Quanto avrebbe voluto sentirla più spesso.

Quanto avrebbe voluto essere sempre lui a provocarla.

Aveva capito quanto fosse chiuso il ragazzo e vederlo ridere in maniera così aperta e
amichevole gli scaldava il cuore.

Ciò nonostante, non aveva seguito il suo discorso e non poté mancare di farlo notare.

“Tempo addietro, Rukawa mi ha fatto la stessa domanda” gli chiarì Yohei, non perdendo comunque il sorriso.

“Cioè?” domandò Sendoh.

“Se sono innamorato di Hana” gli specificò, godendosi la sua espressione esterrefatta.

“Non mi dire che non lo stavi pensando!” gli puntò l’indice contro, con un’espressione divertita.

“Lo ammetto” si rassegnò Sendoh con un sorriso.

E così, era anche perspicace.

Aveva letto il suo sguardo, intuendo facilmente il filo dei suoi pensieri.

Più conosceva il ragazzo e più desiderava che potesse diventare suo.

Era certo che non si sarebbe mai stancato di lui, nemmeno in dieci vite.

“E allora, io ti darò la stessa risposta che ho dato a Rukawa tempo fa” gli rispose Yohei con un sorriso saggio.

“Lo amo, ma esistono molte forme di amore. L’amore di una madre, l’amore verso uno sport” e qui si interruppe fissandolo intensamente. “L’amore tra due fratelli o due ragazzi cresciuti insieme, che si sono forgiati sulla strada combattendo contro la vita” terminò sereno e Sendoh capì, rivolgendogli un sorriso sincero.

Non ne era innamorato ma erano cresciuti insieme, affrontando chissà quanti problemi.

Ora Sakuragi aveva Rukawa.

Per Yohei ci sarebbe stato lui, pensò, rivolgendosi all’altro con il nome proprio anche se solo nei suoi pensieri.

Fu per questo che cambiò discorso.

“Dopodomani devo cambiare pensione” esordì sapendo che l’altro avrebbe seguito il suo discorso.

“Tuttavia, prima di cominciare il ritiro, mi piacerebbe svagarmi fino all’ultimo” gli rivelò, vedendo che l’altro lo guardava interrogativo.

“Domani c’è una festa di quartiere. Ci saranno bancarelle per tutto il pomeriggio e fino a sera tardi” disse, osservando il volto dell’altro che lo ascoltava senza parlare.

“Perché non mi accompagni?” domandò allora, allargando il sorriso e cercando di essere convincente anche solo con lo sguardo.

Era venuto il momento di prendere l’iniziativa.
 
Continua…
 

Note:

Non ho molto da dire su questo capitolo!

Spero che vi sia piaciuto.

Come al solito, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è arrivato fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo!

Pandora86

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 8.
 

“Allora?” ripeté Sendoh.

“Mi fai compagnia?”domandò con il suo sorriso allegro.

Mito lo stava, infatti, fissando perplesso, quasi come se non avesse capito bene la domanda.

Yohei non l’avrebbe mai ammesso, ma era letteralmente stato preso in contropiede.

Il motivo era anche abbastanza semplice, in effetti: era la prima volta che qualcuno lo invitava a uscire, se si escludevano Hanamichi e l’armata.

Se questo qualcuno poi era Akira Sendoh, allora il suo sgomento era più che giustificato.

“Forse hai da fare! Magari preferisci passare il tempo con Sakuragi” continuò il giocatore non facendosi scoraggiare dal silenzio dell’altro.

O forse, era meglio dire vista la momentanea pietrificazione facciale dell’altro, dato che continuava a osservarlo senza muovere un muscolo.

O forse, stava solo valutando la sua proposta.

Nonostante la non espressione, Sendoh non avrebbe saputo dire se Mito si fosse ripreso dalla sorpresa e stesse ponderando cosa rispondere oppure altro.

Quel ragazzo era veramente imperscrutabile.

Tuttavia, a Sendoh questo non dispiaceva per cui continuo a fissare l’altro con la sua espressione allegra sperando che quello bastasse a fargli accettare la sua proposta e sperando vivamente che non avesse sul serio altro da fare, tipo andare da Sakuragi.

Aveva vagamente capito che avevano avuto un piccolo disguido, ma questo non gli assicurava che comunque il ragazzo non decidesse di fare di testa sua e raggiungere in ogni caso il giocatore in clinica.

Non sembrava un tipo molto avvezzo agli ordini e probabilmente Sakuragi era l’unico che riuscisse a farsi ascoltare.

Non è detto che però le cose rimangano così, rimuginò fra se Sendoh.

Vedendo poi che Mito rimaneva ancora in silenzio, continuò.

“Non ti ho ancora chiesto come sta Sakuragi!”.

“Carino a ricordartene proprio ora” lo riprese Yohei sarcastico recuperando, al nome del suo amico, immediatamente la parola.

Sendoh lo notò, continuando però a parlare come se nulla fosse.

“Beh, sai com’è prima volevo sistemare alcune cose” disse lasciando, volutamente, libera interpretazione alla sua frase.

In fondo, quello che aveva detto poteva essere interpretato in molti modi.

Era logico che non gli avesse chiesto nulla visto il modo poco carino con cui l’aveva intimato di stargli alla larga.

Ovviamente, non era questo il motivo ma non era il caso che l’altro lo sapesse, non subito almeno.

Sendoh, prima di tutto, ci teneva a parlare con l’altro civilmente e conoscerlo un po’ di più.

Tuttavia, lasciò che Mito interpretasse come volesse le sue parole.

Questi, da parte sua, lo guardò dubbioso ma non indagò oltre.

“Se la cava!” rispose solamente.

Però, visto che erano in argomento, Sendoh ci teneva a specificare alcune cose.

“Non l’ho mai considerato un idiota, perché non lo conosco” disse serio, ricollegandosi al loro discorso di poco prima.

“Per quello che ho visto, posso solo dire che è un giocatore dal talento immenso e, proprio per questo, spero che si rimetta presto” concluse.

Lo sguardo era risoluto, il tono fermo ma soprattutto deciso.

Yohei annuì di rimando. Sapeva che era vero.

Lo sguardo del giocatore, in quel momento, spazzava via ogni dubbio sull’autenticità delle sue parole.

Ancora una volta, il numero sette non aveva mostrato dubbi o incertezze nel chiarire un concetto importante.

Fu per questo che Yohei si ritrovò ad annuire una seconda volta, liquidando così l’argomento.


“Non mi hai ancora risposto” parlò ancora Sendoh, gioendo dentro di sé per aver convinto il ragazzo sull’assoluta veridicità delle sue parole.

“Domani, mi fai compagnia?” chiese nuovamente.

Mito non potette fare altro che sciogliersi in un sorriso sincero.

“Perché no!” disse solo, rivolgendo nuovamente il suo sguardo all’orizzonte.

Sendoh, osservando il suo volto alla luce del tramonto, pensò che non potesse esserci niente di più bello.

“Ritorniamo alla pensione?” chiese, notando quanto velocemente il tempo fosse passato.

“Va tu!” rispose Yohei, stendendosi nuovamente e chiudendo gli occhi.

Sendoh sapeva che avrebbe risposto così.

Aveva capito quanto gli piacesse il mare di notte, motivo per cui decise di non imporre ancora la sua presenza.

“Allora a domani!” lo salutò alzandosi e avviandosi.

Ringraziò che l’altro fosse a occhi chiusi in modo da non vedere il sorriso, probabilmente idiota, che si era stampato in viso dopo la sua risposta.

In fondo, in amore si è sempre un po’ stupidi! Si giustificò mentalmente non riuscendo a cambiare espressione.
 

***
 

Era mezzanotte passata quando Yohei decise di ritornare nella sua stanza.

Più ci pensava, più gli sembrava assurdo.

Sendoh, il grande Sendoh, lo aveva invitato a uscire.

Certo, non proprio in questi termini, ovviamente.

L’uscita, come l’aveva proposta il giocatore, poteva essere scambiata per un banalissimo invito fatto per cortesia o, in quel caso, per fasi compagnia a vicenda.

Ma lui, che non aveva dimenticato le parole di Rukawa (non avrebbe potuto neanche se avesse voluto), sapeva che le cose stavano in modo diverso.

È stato bravo con le parole, i miei complimenti!

Fu questo il pensiero che rivolse al soffitto della sua camera.

Sendoh, non era uno stupido, su questo non aveva più dubbi.

Non che ne avesse mai avuti in realtà, bastava osservare il suo gioco.

Era proprio vero che il carattere influenzava il modo di giocare.

Hanamichi, con la sua impulsività, dava vita a un gioco istintivo, fatto di potenza e di caparbietà.

Rukawa, così freddo in apparenza ma profondo osservatore, creava un gioco elegante e studiato.

E anche Sendoh, a quanto pareva, affrontava una partita proprio come sembrava affrontare la vita.

Con il sorriso, talvolta di scherno, sulle labbra eppure con un’intelligenza fuori dal comune.

Abile stratega, ma anche indiscusso campione.

Anche se Mito non se ne intendeva, era chiaro anche ai suoi occhi inesperti che Sendoh fosse il giocatore più completo dei tre.

Aveva più esperienza e una buona dose di freddezza che gli garantiva una lucidità fuori dal comune quando si trattava di affrontare una partita.

Inoltre, sembrava essere così anche nella vita quotidiana.

Uno strano miscuglio tra Rukawa e Hanamichi, con qualcosa in più però che lo rendeva unico.

Yohei sapeva che non stava avendo a che fare con un idiota.

Bastava vedere come aveva espresso i concetti o il modo stesso in cui aveva proposto quell’uscita.

Eppure, la cosa non lo infastidiva.

Stranamente, nonostante la logica gli suggerisse di stare in guardia, non provava
realmente tutta quell’avversione che aveva manifestato invece al giocatore.

Iniziava a provare un certo tipo di stima inconscia verso il ragazzo.

Male, Yohei, molto male! Si disse da solo mentalmente.

Ci mancava solo che diventasse amico di Sendoh; già bastava Rukawa che necessitava di un traduttore per i monosillabi.

Eppure, doveva ammetterlo; Sendoh era stato gentile.

Quello che colpiva poi era il suo sorriso sereno.

Riusciva a trasmettere tranquillità e Yohei, per questo, lo invidiava un po’.

Non che volesse essere come lui, questo era poco ma sicuro, tuttavia, il suo carattere, che era un misto di tante cose opposte, sembrava garantirgli non solo le simpatie di tutti, ma anche la fiducia degli altri senza nessuno sforzo.

Carisma, ecco la parola adatta a lui.

Era la tipica persona che, a primo impatto, ti piaceva e ti risultava simpatica.

La tipica persona che, anche quando sbaglia, lo fa con un sorriso sulle labbra che tende a far dimenticare l’errore.

Bastava pensare ai ritardi a cui Yohei aveva assistito per le partite.

L’allenatore, anche se nero di rabbia all'inizio, in seguito sembrava non farci più caso.

Ma da qui a uscirci insieme ne passava.

Non è un’uscita a due! S’impuntò mentalmente.

Eppure, perché non vedeva l’ora?

Non è da me! Insistette cocciuto nella sua mente.

Ma, in fondo, come faceva a sapere cos’era da lui se non si era mai trovato in una situazione del genere?

Doveva essere sincero con se stesso; gli erano piaciute la compagnia di Sendoh e la sua sincerità.

Gli era piaciuto ascoltare la sua voce che parlava tranquilla ma sicura; a questo, lui non era proprio abituato.

Non credeva di avere un aspetto losco, ma la reputazione che aveva scuola di certo non aiutava.

Per lui d’altronde non era mai stato un problema; aveva Hanamichi e l’armata, e andava bene così.

Se invece avessi anche Sendoh? Si domandò a un certo punto, aprendo di scatto gli occhi e mettendosi a sedere sul letto.

Quel pensiero lo aveva colpito come una doccia gelata.

Se anche io avessi qualcuno?

Si domandò ancora, portandosi le mani sugli occhi.

Il cuore aveva preso a battere improvvisamente all’impazzata.

No! Si disse, provando a tranquillizzarsi.

Lui non mi conosce per niente! Si disse ancora tornando a stendersi e provando a dormire.

Non riuscì tuttavia ad allontanare dai suoi pensieri il volto del giocatore che lo tormentò per tutta la notte.
 

***
 

“Tzè” fu il commento di Rukawa, mentre osservava il volto di Akira Sendoh quel giorno.

“Sembri un idiota” concluse, sedendosi al suo tavolo.

Era ora di pranzo e Sendoh attendeva con impazienza l’arrivo di quel momento.

“Suppongo sia andata bene!” continuò Rukawa con il suo solito cipiglio.

Il giorno prima, dopo l’allenamento, il numero sette si era defilato.

Rukawa non ci aveva messo molto a capire che sarebbe andato a cercare Mito.

Indifferente alla cosa, era tornato alla pensione per dormire.

La sera però aveva intuito che il numero sette del Ryonan aveva fatto centro, vista l’espressione più ridente del solito.

Quel giorno poi, era ancora più ridente, assomigliando, di conseguenza, a un completo imbecille.

“Supponi bene!” gli confermò la voce allegra del giocatore.

“Visto che trascorreremo i festeggiamenti dell’O-bon” concluse, inaugurando il suo pranzo e non potendo fare a meno di gettare continue occhiate alla scala che dava alle stanze della pensione.

Rukawa annuì con un cenno del capo.

E così, Mito aveva accettato di passare la giornata con il porcospino (come lo chiamava Hanamichi) per festeggiare l’O-bon, la classica festa buddista di metà agosto.

Era una festa molto importante per il Giappone visto che, per l’Oriente, era una ricorrenza dove si onoravano gli spiriti degli antenati e dei defunti in generale.

Di solito, si tornava in visita nelle case dei genitori o comunque erano giorni da trascorrere in famiglia.

Si trattava di una riunione tra vivi e morti che di solito si concludeva con grandi festeggiamenti volti a far tornare nell’aldilà le anime dei defunti.

Per i Giapponesi, infatti, non stava bene far rimanere gli spiriti dei morti sulla Terra e li si accompagnava con balli di festa e processioni di lanterne lungo i fiumi o, visto il posto con cui si trovavano, lungo il mare dato che il regno dei Morti era considerato oltre il mare e le lanterne servivano appunto, con la loro luce, a far trovare la strada.

Il tutto poi si concludeva sempre con grandiosi fuochi artificiali.

Durante i festeggiamenti, lungo la strada, le bancarelle di cibi e dolciumi erano ovviamente immancabili.

In quei giorni Rukawa, benché non si vedesse con il padre, non sempre almeno e di certo, non quell’anno considerata la convocazione, si soffermava a pensare a sua madre e poi, alla fine dei giorni di raccoglimento, osservava sempre i fuochi artificiali alla finestra.

Quando era più piccolo, il padre accendeva una lanterna in giardino.

Rukawa però l’aveva sempre trovata inutile.

Osservando la luce dei fuochi artificiali, era convinto che la sua mamma avrebbe trovato la strada seguendo la loro luce e, mettendosi alla finestra, li osservava sentendo, in questo modo, sua madre più vicino.

Questa era un’abitudine che non aveva perso neanche in età più avanzata.

Non accendeva lanterne, né partecipava ai festeggiamenti, ma osservava i fuochi artificiali ripensando a sua madre e concentrandosi sui pochi ricordi che aveva con lei.

In quel momento, si chiese Hanamichi come avrebbe trascorso la giornata.

A pensarci bene, non sapeva niente su cosa ne pensasse l’altro delle tradizioni Giapponesi.

Tra l’altro, anche negli aspetti culinari, sembrava aver preso molto dalla madre.

In passato gli aveva accennato come sua madre, benché trasferitasi in Giappone, non avesse mai accantonato la sua terra d’origine.

Chissà lui come si regolava nelle festività completamente orientali.

Rukawa fu preso da un’improvvisa voglia di sapere.

Hanamichi sarebbe sempre stato una fonte di sorprese per lui.

Gli sarebbe piaciuto ascoltare la sua voce calda che gli raccontava come le cose andavano in Occidente.

Purtroppo però quell’anno non sarebbe stato possibile.

Tuttavia, anche se separati da cause di forza maggiore, avrebbe comunque chiesto a Mito, nella serata, come di solito trascorreva quelle giornate Hanamichi e cosa
significassero realmente per lui.

Anche se separati, l’avrebbe, in questo modo, sentito più vicino.
 

***
 

Yohei aprì gli occhi assonnato mettendo, poco a poco, a fuoco le pareti della stanza.

Qualcuno bussava insistentemente alla sua porta.

Chi diamine scocciava a quell’ora?

Poi, pensando che potesse essere uno del personale della pensione, scalciò via le coperte e si alzò all’istante.

Alla clinica, lui aveva dato il recapito telefonico della pensione.

Se venivano a bussarlo a quell’ora, forse era successo qualcosa a Hanamichi.

Si diresse verso la porta come un forsennato, inciampando nel lenzuolo e fu palese lo stupore quando fu invece Sendoh che si trovò davanti.

Rimase qualche minuto a bocca aperta, ancora troppo stupito e troppo assonnato per parlare.

Il giocatore, dal canto suo invece, lo osservò perplesso.

Era palese che Mito stesse dormendo.

Quello che però non capiva era l’espressione preoccupata e ansiosa con la quale aveva aperto la porta.

Incerto su cosa fare, visto che l’altro non spiccicava parola, decise di rompere il ghiaccio.

“Posso?” domandò titubante.

Mito, con l’espressione ancora sorpresa, si fece da parte, continuando a non parlare.

Sendoh, entrando, notò il lenzuolo sul pavimento della stanza, segno che doveva essersi alzato di scatto.

Quello che non capiva però era il perché.

Mito invece continuava a osservare il giocatore, sentendo il suo battito cardiaco tornare, pian piano, regolare.

Doveva ammetterlo, il pensiero che la clinica avesse potuto chiamare l’aveva fatto preoccupare non poco.

Metti poi che stava anche dormendo pesante.

Quello che però non capiva era cosa diamine ci facesse Sendoh lì a quell’ora.

Inutile chiedersi su come sapesse quale fosse la sua stanza; di certo c’entrava Rukawa.

Ma non erano d’accordo per passare insieme il pomeriggio?

Proprio quando lui stava dormendo così bene, per giunta!

Motivo per cui, non si curò di nascondere il suo disappunto, chiudendo la porta di scatto e avvicinandosi al giocatore con aria infastidita.

“Che vuoi a quest’ora?” domandò senza cerimonie.

Sendoh lo fissò perplesso e Mito, di rimando, lo guardò incuriosito.

Sembrava non avere capito la domanda, eppure lui era stato chiaro.

“Ehm… che intendi per ora?” domandò Sendoh titubante.

Yohei lo guardò ancora più perplesso.

Per un attimo un silenzio imbarazzante aleggiò nella stanza, fino a che Sendoh non si decise a parlare.

“Non so se te ne sei accorto, ma sono le tre del pomeriggio passate!”.

Fu la volta di Yohei ora guardarlo con gli occhi sgranati.

“Che cosa?” domandò allibito, guardando la sveglia sul comodino.

“Cazzo!” imprecò sottovoce, sedendosi sul letto.

“Non ti ho visto per tutto la mattina e ho pensato di venire a bussarti” parlò ancora Sendoh.

Yohei annuì in silenzio e Sendoh si perse un istante a osservarlo.

Era a torso nudo e indossava quelli che dovevano essere i pantaloni di una vecchia tuta, usata come pigiama.

Ammirò, ancora una volta, i suoi addominali scolpiti e la sua muscolatura sviluppata, chiedendosi come sarebbe stato baciare e toccare quella pelle.

Non aveva però dimenticato la faccia preoccupata con cui il ragazzo aveva aperto la porta, e quindi si decise a chiederne il motivo.

“Sembravi preoccupato quando mi hai aperto” disse solamente.

“Credevo fosse primo mattino” spiegò Yohei. “Pensavo avessero chiamato alla pensione dalla clinica” disse solamente, sicuro che l’altro avrebbe capito.

Sendoh annuì in silenzio, non sapendo ora cosa fare.

Evidentemente, Mito doveva essere molto stanco per aver dormito tanto; non erano giorni facili per lui, questo Sendoh lo aveva capito.

Non aveva né fatto colazione, né pranzato e al numero sette ora sembrava inopportuno uscire.

La voce di Yohei però lo trasse d’impaccio.

“Dai, visto che è pomeriggio, mi vado a preparare. Aspettami qui” disse alzandosi e prendendo dei vestiti dal suo borsone da viaggio.

“Non vuoi pranzare?” domandò il giocatore.

“Naaa… sai quante cose ci saranno in giro” rispose Mito, dirigendosi in bagno.

Sendoh annuì e, sorridendo, si sedette sul letto, in attesa che il ragazzo fosse pronto.

Si annunciava un pomeriggio grandioso e una serata fantastica.

Sì, lui avrebbe fatto in modo che le cose andassero in quel modo.

E non perché per fine serata prevedeva di entrare in rapporti molto intimi con il ragazzo; sapeva che sarebbe stata una cosa molto utopica per essere realizzata in quelle ore.

Lui voleva semplicemente conoscerlo meglio e stare in sua compagnia. Ma soprattutto, farlo rilassare.

Voleva farlo ridere, perché quel ragazzo sembrava aver riso molto poco nella sua giovane vita.

Gli interessava sul serio, e non come passatempo estivo; la prova stava nel fatto che quell’uscita avesse come unico scopo quello di far passare a Mito un pomeriggio spensierato e una serata piacevole, nulla di più.

Più che essere il suo ragazzo, Sendoh avrebbe voluto principalmente essere un suo amico.

Amico come lo era Sakuragi, ad esempio. Oppure, come sembrava esserlo diventato Rukawa.


Tuttavia, vista la sua età di Sempai, voleva anche essere una spalla per quel ragazzo e sapeva che, per quanto poco sembrasse verosimile, era molto più facile entrare nel suo letto (impresa titanica) che ottenere la sua fiducia.

Era a questo che puntava e non avrebbe mollato fino al raggiungimento del suo scopo.

Mito sembrava una montagna rocciosa impossibile, alla vista, da scalare.

Sembrava impenetrabile con il suo sguardo sempre serio e attento.
Stava anche sempre all’erta.

Gli aveva accennato di non avere una buona reputazione ma Sendoh sapeva che non era solo per questo.

Vigilava su Hanamichi e sui suoi interessi, questo lo aveva capito, ed era sempre attento.

La prova stava nella faccia preoccupata con cui aveva aperto la porta.

Doveva essersi svegliato di soprassalto e, credendo che fosse mattina, subito aveva pensato a una chiamata dalla clinica.

Subito aveva pensato a Hanamichi.

Che persona straordinaria sei, Yohei? Pensò Sendoh guardando la porta e permettendosi, nei suoi pensieri, di chiamarlo con il nome proprio.

Era la maturità del ragazzo a colpirlo sempre più.

Sapeva che Yohei si sarebbe potuto rivelare una roccia e sapeva anche che questa peculiarità era una cosa difficile da trovare nei suoi coetanei.

Non impossibile, ma sicuramente molto difficile.

E, di sicuro, lui non era avvantaggiato in questo.

Dubitava, infatti, che le componenti del suo fan club, proprio come quelle del fan club di
Rukawa, andassero oltre la sua estetica e la sua fama di campione.

Ma soprattutto, Sendoh era sicuro che si fermassero alla sua estetica.

Il basket e la sua bravura erano scuse come altre.

Gli sarebbe piaciuto chiedere, a ognuna di loro, le regole fondamentali del basket.

Quante avrebbero risposto correttamente?

Molto poche, se non lo zero assoluto.

Lo idolatravano proprio come un divo solo che, avendolo a pochi passi, a differenza di una star del cinema, s’illudevano che lui potesse notarle.

Yohei invece non era così ed era per questo che Sendoh era tanto deciso ad andare fino in fondo.

Yohei rappresentava tutto quello che aveva sempre cercato.

Un carattere maturo e assennato, cosa rara in quei tempi.

Una persona che non lo osannava e non si fermava al suo bell’aspetto.

Una persona che, senza timore, gli avrebbe detto tutto quello che pensava senza farsi scrupoli.

Tutto questo era, e molto di più.

La porta del bagno che si aprì, lo distolse dai suoi pensieri.


Pensieri che presero una piega molto poco casta quando vide il jeans scuro a vita bassa che fasciava perfettamente le gambe del ragazzo.

Se si considerava poi che sopra non indossasse nulla, allora la situazione dei pensieri di
Sendoh peggiorava ulteriormente.

Se a quello, si aggiungevano le gocce d’acqua che percorrevano il suo corpo, dovute ai capelli ancora bagnati, allora Sendoh non poteva fare a meno di fissare il percorso di quelle gocce desiderando che fossero le sue labbra ad asciugarle.

Notò che Mito lo guardava perplesso e distolse lo sguardo.

Non voleva rovinare tutto, ma non era riuscito a controllarsi nel fissarlo e sperò che il suo sguardo non fosse stato eloquente.

Mito, dal canto suo, continuò a tamponarsi i capelli con l’asciugamano recuperando una maglia dal suo borsone.

Doveva ammetterlo, stava giocando sporco.

Però, non era riuscito a trattenersi dall’uscire dal bagno in quel modo.

Ora, infatti, sapeva che le parole di Rukawa avevano una base concreta.

Osservò nuovamente Sendoh, che aveva distolto lo sguardo, e si prese qualche minuto per osservarlo meglio senza essere visto.

E così, Rukawa aveva avuto ragione.

Sendoh era interessato veramente a lui.

In che forma e con quanta profondità era ancora tutto da stabilire, ciò non toglieva che il suo aspetto aveva comunque colpito il giocatore.

Si inginocchiò accanto al borsone rimanendo pensieroso.

Akira Sendoh interessato a lui.

Roba da non crederci.

Lo sguardo però era stato eloquente.

Si capiva che invece di passeggiare, Sendoh non avrebbe scartato l’ipotesi di passare il pomeriggio in altro modo.

Magari nel mio letto! Pensò Yohei con disappunto.

Quel pensiero però, oltre al disappunto gli provocò un brivido lungo la schiena.

Le manifestazioni d’affetto lo infastidivano, ma come sarebbe stato stare con qualcuno?

Cos’avrebbe provato nel farsi baciare e toccare da qualcuno?

E se questo qualcuno era Akira Sendoh, come la si metteva allora?

Immaginò le mani del giocatore su di lui, e il suo cuore aumentò i battiti.

Perché mi trovo in una situazione del genere? Si domandò.

Lui era uscito dal bagno in quel modo solo per smontare l’ipotesi di Rukawa.

Non si intendeva minimamente di corteggiamento o atteggiamenti sensuali tuttavia, aveva ipotizzato che uscire in quel modo avrebbe potuto togliergli ogni dubbio sul non interesse di Sendoh e quindi fornirgli una prova schiacciante sul fatto che Rukawa avesse torto.

E invece, si era ritrovato addosso uno sguardo ammirato che sembrava voler percorrere ogni centimetro del suo corpo.

E adesso che sapeva ciò, cosa doveva fare?

Perché poi, non scartava a priori l’ipotesi?

Doveva ammetterlo: Sendoh non gli dispiaceva.

Questo, d’altro canto, lo aveva appurato anche la sera precedente.

Tuttavia, adesso aveva nuove variabili, cioè lo sguardo ammirato che Sendoh gli aveva rivolto.

Il giocatore poi non aveva fatto nulla per provarci, si era semplicemente comportato da amico.

Inoltre, interessare a qualcuno lo lusingava.

Lui non era appariscente come Hana, che aveva catalizzato su di se l’attenzione della super matricola.

Il pensiero andò immediatamente all’amico.

Come avrebbe reagito se lui gli avesse detto di essere stato con Sendoh?

Mi sa che mi stende! Pensò con un sorriso ironico.

Ma sapeva che non era vero.

Hanamichi si sarebbe sorpreso e l’avrebbe di certo preso in giro, ma principalmente gli avrebbe chiesto se era felice.

Chissà cos’aveva provato Hana nello stare con Rukawa, si domandò.

Che razza di domande sono? Si corresse poi mentalmente.

Che diamine mi succede? Pensò disperato, chiudendo gli occhi e poggiando la testa sulle ginocchia.

Che cosa sta succedendo? Si domandò ancora, sospirando pesantemente.

“Stai bene?” la voce del giocatore, a poca distanza da lui, lo distolse dai suoi pensieri.

Notò che Sendoh si era alzato e, inginocchiato di fronte a lui, lo guardava preoccupato.

“Eri immobile da qualche minuto” parlò ancora Sendoh, non curandosi minimamente di nascondere la preoccupazione nella voce.

Era una persona cristallina e diretta, e se provava un’emozione, non aveva problemi a manifestarla.

Non con tutti ovviamente, anche lui era molto riservato riguardo la sua vita ma se si trattava di qualcuno che rientrava nei suoi interessi allora il discorso cambiava.

“Stai bene?” domandò ancora.

“Si!” si decise a rispondere Yohei.

Non gli era sfuggita la faccia preoccupata del giocatore.

“Scusami!” continuò, decidendosi finalmente a prendere una dannata maglia dalla sua borsa.

“Ero sovrappensiero” si giustificò, infilandosela e decidendo di piantarla con quei giochetti.

Oramai, quello che voleva sapere l’aveva saputo.

“Sei teso” parlò ancora Sendoh continuando a fissarlo con occhi indagatori.

Non gli sembrava avesse una bella cera.

“Sono preoccupato, è diverso” lo corresse Yohei.

“Si riprenderà, vedrai” rispose l’altro, male interpretando la reale preoccupazione di Mito.

“E molto presto ritornerà su un campo di basket a sorprenderci tutti, in ogni senso!” continuò il giocatore con un sorriso.

Mito non si preoccupò di correggerlo sulla reale natura dei suoi pensieri, rispondendo con sicurezza alle affermazioni del giocatore.

“Lui deve ritornare a giocare” disse imperativo.

“Il basket è più importante di quanto pensi” aggiunse in un sussurro, afferrando un elastico e raccogliendo i capelli in un piccolo codino.

Di solito li portava alzati con il gel ma, non avendo la voglia di asciugarli, aveva optato per quella soluzione.

Essendo irregolari, alcune ciocche sfuggirono all’elastico andando a incorniciargli il viso.

Sendoh lo guardò con un sorriso pensando che stesse bene con qualsiasi tipo di pettinatura.

Mito distolse lo sguardo, nascondendo l’imbarazzo con un ghigno.

“Andiamo?” domandò rivolto al giocatore.

“Andiamo” acconsentì Sendoh.

Entrambi uscirono dalla stanza con un pensiero comune.

Sarebbe stato un pomeriggio dai risvolti interessanti.
 

Continua…
 
Note:

In questo capitolo inizio a delineare un po’ il personaggio di Sendoh o comunque come Mito lo vede.
Dato che è la prima volta che tratto questo personaggio, spero di non aver combinato un pasticcio.

Per quanto riguarda la festività dell'O-Bon, coincide con il nostro ferragosto.
anche se il significato è totalmente diverso. Più precisamente, viene festeggiata nella settimana compresa tra il 10 e il 16, a seconda della località. Io, ai fini della storia, l'ho fatta coincidere esattamente con il 15.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

Come il solito, attendo i vostri pareri.
Nel frattempo, ringrazio chi è arrivato fin qui.
Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo!
Pandora86

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
Capitolo 9.
 
“Allora, da cosa cominciamo?” domandò Sendoh allegro, guardando l’innumerevole quantità di bancarelle di dolciumi e divertimenti di vario tipo.

“Mh…” mugugnò Yohei.

Non era una gran risposta ma non sarebbe riuscito a dire altro neanche se avesse voluto.

Non si aspettava quella marea umana in un paesino che si era rivelato un buco.

Lui poi tutto era tranne pratico dei classici festeggiamenti giapponesi.

Da quello che ricordava, era sempre cresciuto con Hanamichi.

La madre del suo migliore amico, benché non avesse mai deriso le tradizioni orientali e, in particolare, quella dell’O-bon, si era sempre rifiutata di festeggiarla, ritenendola troppo triste.

Per l’Occidente, diceva, il 15 di agosto era un giorno di festa e divertimento.

Il giorno di Ferragosto, così lo chiamava.

Giorno molto atteso da tutti, dove il divertimento era assicurato.

Ogni persona, raccontava, se ne aveva la possibilità, cercava di passare quella giornata a mare o in gita.

Molti poi approfittavano di quella data per concedersi un viaggio di qualche giorno a meno che non si trovassero già in una località vacanziera.

Un giorno dove si salutava la fine dell’estate, oramai imminente, in compagnia e in allegria.

I gavettoni, a mare e non, erano una delle cose più gettonate.

Di conseguenza, Hanamichi aveva sempre trascorso quel giorno in allegria festeggiandolo alla maniera occidentale che per lui significava allagare la casa quando non riusciva ad andare al mare con i genitori.

Per Yohei, era sempre stato lo stesso.

Sua madre, provando un affetto incondizionato verso la madre di Hanamichi, aveva sempre acconsentito al fatto che Yohei si divertisse con loro.

In fondo, anche per i Giapponesi erano giorni di divertimento, anche se la festa nasceva da un significato molto più serio.

Con il passare degli anni, anche dopo la scomparsa dei genitori di Hanamichi, lui e il suo migliore amico avevano continuato a festeggiare in quel modo quella particolare data.

Anche la madre di Yohei vi partecipava, capendo che per Hanamichi era quello il modo per stare vicino ai suoi cari.

Negli ultimi tempi poi, si era unita anche l’armata.

Fatto stava che, da qualunque angolazione si considerasse la faccenda, Yohei si ritrovava a non sapere nulla su cosa facessero i suoi connazionali in quei giorni.

Ovviamente, sapeva che tipo di festa era, da cosa derivasse e come veniva festeggiata.

Come sapeva anche il significato delle lanterne e dei fuochi d’artificio, anche questo era ovvio.

Solo che le sue nozioni si fermavano alla teoria dato che, se la memoria non lo ingannava, non aveva mai preso parte ai festeggiamenti dei suoi connazionali.

Certo, sfogliando qualche vecchio album, si era ritrovato in braccio a sua madre proprio durante quella festa.

Il problema era che però Yohei in quelle foto aveva al massimo tre anni.

Dai cinque anni in poi, sempre se la memoria funzionava ancora, le foto che lo ritraevano erano appunto insieme a Hanamichi.

In quelle foto, Yohei era sempre in braccio al padre del suo migliore amico.

Questo perché l’uomo insisteva affinché fossero in parità, considerate le capigliature sgargianti della moglie e del figlio.

Certo, dai dieci anni in su non sedeva più in braccio al padre di Hanamichi, però comunque gli rimaneva accanto pronto a far parte del suo “schieramento”.

L’uomo, infatti, affermava ridendo che era una cosa necessaria, altrimenti sarebbe completamente passato inosservato.

Era un rito fare quella foto ogni anno, oramai.

Ogni anno se ne scattavano decine, nelle pose più disparate, ma quella di fine giornata che li ritraeva tutti e quattro era considerata sacra.

Ed era sempre la madre di Yohei a scattarla.

Il tutto poi finiva con una gran risata da parte di tutti.

Non avrebbe scambiato quel tipo di festeggiamento con niente al mondo, però si trovava costretto ad ammettere che la sua inesistente praticità sulle usanze giapponesi in quel particolare giorno poteva rappresentare un problema considerata la situazione.

O forse no, si corresse poi mentalmente.

In fondo, bastava simulare indifferenza.

“Ci sei?”.

La voce di Sendoh lo riscosse dai suoi pensieri.

“Mh…” si ritrovò a mugugnare ancora Yohei sentendosi molto vicino a Rukawa in quel momento.

“Non pensavo ci fosse così tanta gente!” parlò con tono neutro, mascherando le sue riflessioni con un finto disappunto verso quella che sembrava un’invasione di bambini urlanti e ragazzi ridenti.

“Beh, è normale vista la ricorrenza” rispose Sendoh con un cipiglio strano in volto.

Ok, prima risposta sbagliata, appurò Yohei mentalmente osservando il volto del giocatore.

“Intendevo dire che non sembrava che in questo posto ci fosse così tanta gente” si corresse Yohei, arrampicandosi sugli specchi.

Sendoh lo scrutò strano senza però aggiungere nulla.

Si era accorto del fatto che Mito si fosse estraniato per qualche minuto perso in chissà quali ricordi, ma aveva preferito fare finta di nulla.

E poi, era normale che ci fosse così tanta gente, così come era normale che molti si fossero recati lì appositamente spostandosi da altri quartieri.

Quella sera ci sarebbero stati i fuochi d’artificio e quindi molti avevano raggiunto quella meta di mare per godersi quello spettacolo sulla spiaggia.

Tuttavia, quello che per lui era normale non sembrava esserlo per Mito che si scrutava attorno come se non avesse mai partecipato a quel tipo di festeggiamenti.

Forse è proprio così, valutò Sendoh convinto che il ragazzo nascondesse molto più di quanto desse a vedere.

Tuttavia, non si perse d’animo decidendo di prendere l’iniziativa.

“Guarda, c’è il tiro a bersaglio. Ti va una sfida?” lo punzecchiò, certo che non si sarebbe tirato indietro.

Non sapeva molto di lui, però doveva essere competitivo almeno quanto lo era Sakuragi.

Capì di non essersi sbagliato quando vide un sorrisetto ironico comparire sul volto dell’altro.

“E credi di potermi battere?” domandò, infatti, Yohei con un ghigno.

“Facciamo che chi perde offre da mangiare?” continuò Sendoh sicuro di se.

Aveva un’ottima mira e, anche se non esperto, sapeva di riuscire a fare centro se si fosse impegnato.

“Preparati a pagare allora” rispose Yohei avviandosi.

Sendoh lo osservò un attimo notando quanto si stesse sciogliendo a poco a poco.

Con un sorriso, lo affiancò sicuro di poterlo stupire.

E, infatti, fu proprio quello che accadde.

Peccato non nel modo in cui il giocatore avesse programmato.

Erano stati concessi loro cinque tiri a testa.

Sendoh aveva adocchiato, fra le varie cianfrusaglie esposte, un peluche a forma di cane.

Era nero e i suoi occhi sembravano tristi.

Non sapeva perché, ma si era incaponito su quell’oggetto che gli ricordava così tanto gli occhi di Mito.

Solo che, essendo più lontano rispetto agli altri non era riuscito a colpirlo. Non aveva colpito nulla in realtà rimediando di conseguenza una sonora figuraccia.

Mito lo aveva osservato con una faccia strana afferrando dalle sue mani la pistola a piombini e prendendo poi la mira.

Tuttavia, sembrava che anche a lui le cose non andassero meglio visto che i primi tre colpi fecero cilecca.

Mito spostava impercettibilmente il braccio a ogni colpo e il suo volto era attento, anche se non colpiva nulla.

Quando anche il quarto non andò a segno, Sendoh si risollevò pensando che alla fine sarebbe finita in parità.

Certo di questo risultato, rimase a bocca aperta quando, al quinto colpo, vide un oggetto cadere.

Il suo stupore raggiunse il massimo quando notò che si trattava proprio del cane che aveva ostinatamente cercato di colpire.

Osservò in silenzio il ritiro del premio ma rimase ancora più sconcertato quando si vide l’oggetto tra le mani.

“Era questo che avevi cercato di prendere, no?” gli domandò Yohei con un sorriso.

“Quindi… quei quattro colpi non erano casuali?” domandò Sendoh titubante, ricordando i vari movimenti del braccio del ragazzo.

Non solo aveva capito a cosa mirava, ma aveva fatto in modo di centrare esattamente quell’oggetto.

“Se devi vincere una sfida, la cosa migliore è puntare all’oggetto più vicino” gli suggerì Mito con un sorriso bonario.

“Ma se miri a qualcosa in particolare, devi prima capire come colpirla” spiegò ancora con voce tranquilla.

“Queste pistole sono ad aria compressa, fatte appositamente in modo che il colpo faccia cilecca se si punta esattamente l’oggetto. Basta calcolare la traiettoria considerando che, dopo circa quaranta centimetri, il pallino inizia a scendere” concluse con un’alzata di spalle.

“Ah…” si ritrovò solo a dire Sendoh rimanendo senza parole.

Era la prima volta che Mito gli parlava in maniera così tranquilla e Sendoh pensò che non ci fosse niente di più bello della sua voce.

Se fossero stati semplici amici di vecchia data, Sendoh era sicuro che si sarebbe innamorato di Mito in quell’istante.

Innamorato, pensò fra se.

Era la prima volta che la metteva in questi termini eppure, aveva già capito da tempo il tipo di sentimento che provava.

Era la prima volta che lo pensava, però la sostanza non cambiava.

Poteva dire di essere attratto, di essere colpito o di essere innamorato.

La sostanza della questione rimaneva semplicemente la stessa.

Poco importasse che lo conosceva appena; queste cose non si provavano solo dopo una lunga conoscenza.

Era una questione di alchimia e di sensazioni; e Sendoh, sulle sensazioni che aveva provato sin dal primo istante, non aveva mai avuto dubbi.

“Una buona mira non serve più di tanto in questi giochi!” lo punzecchiò volutamente Yohei riscuotendolo dai suoi pensieri.

Sendoh rispose con una risatina.

“È vero, avevo puntato su quello” ammise sincero.

“Tipico di un campione di basket che è anche un ottimo tiratore. Se ci rifletti, i pallini di queste pistole non fanno altro che fare la stessa traiettoria di un tiro da tre. Capisci il trucco e il gioco è fatto” parlò ancora Mito.

Sendoh lo guardò, rimanendone affascinato.

Tutto aveva quel ragazzo tranne che comportamenti usuali dei suoi coetanei.

Mai avrebbe pensato, infatti, di scoprire che tipo di pistole ci fossero al tiro a bersaglio o come fare per colpire un oggetto.

Di solito, i ragazzi si divertivano a casaccio senza fare caso alle peculiarità di un oggetto.

Gli era piaciuto il suono della sua voce mentre spiegava quale strategia fosse opportuna e gli sarebbe piaciuto continuare ad ascoltarlo certo che Mito avrebbe avuto molto da raccontare se solo lo avesse voluto.

“Sembri molto esperto” disse solamente sperando che l’altro continuasse a parlare.

“Troppo tempo a bighellonare in giro” scrollò le spalle Yohei con indifferenza.

“A differenza di te che sembri un secchione” lo pungolò poi con un sorriso divertito.

“Do questa impressione?” chiese Sendoh alzando un sopracciglio.

“Forse proprio quella del secchione no” rispose Yohei.

“Però la faccia da bravo ragazzo è evidente” concluse con tono neutro, spostando i suoi occhi a fissare la folla davanti a sé.

Sendoh osservò il suo sguardo vagare tra la folla perso in chissà quali pensieri.

Gli aveva detto, il giorno prima, di non avere una buona reputazione.

Eppure, non si poteva dire che Mito avesse una faccia losca.

Al contrario, i suoi lineamenti erano decisi e regolari.

Ed erano anche molto belli.

Questo non perché fosse lui a valutarlo; poteva dire che oggettivamente Mito fosse un bel ragazzo.

Quindi, si domandò se non lo facesse apposta ad apparire in quel modo.

Si domandò se non lo facesse apposta a incrementare la sua già dubbia reputazione.

Perché Sendoh, in quel momento, fu certo che Mito avrebbe avuto molto successo se avesse voluto.

Fu sempre per questo che decise di esprimere quel pensiero ad alta voce.

“Potresti averla anche tu se solo lo volessi” disse serio.

Yohei si voltò verso di lui, osservandolo negli occhi.

“Credimi, sarebbe un bel problema per i posti che frequento!” disse solamente con un mezzo sorriso.

Sendoh ebbe l’impressione che il ragazzo gli stesse volutamente rivelando tutti i suoi lati peggiori avendo l’accortezza di omettere i migliori.

Ne era la prova l’espressione che aveva assunto.

Non si poteva dire che fosse compiaciuta, questo no, solo che sembrava valutare le sue reazioni.

O forse, era meglio dire che si aspettava un determinato tipo di reazione.

Pensava che l’avrebbe allontanato rivelandogli certe cose.

Non sapeva che avrebbe solo ottenuto l’effetto contrario.

Sendoh era più che mai intenzionato ad andare oltre quella maschera di freddezza e indifferenza.

Perché, nonostante tutto, era innegabile che il ragazzo fosse di animo buono.

I suoi modi erano gentili e pacati.

“Che tipo di ambiente?” domandò allora, sfoderando il suo migliore sorriso.

Yohei inarcò le sopracciglia con aria scettica.

“Pensavo fosse evidente!” disse solo, riservando una lunga occhiata al giocatore che, dal canto suo, non si era minimamente scomposto.

Sendoh, di rimando, gli regalo un sorriso raggiante.

Sembrava felice del fatto di essere in sua compagnia e per Yohei questa era una strana e sconosciuta sensazione.

Se si escludevano Hanamichi e l’armata, non aveva nessun altro tipo di frequentazione.

Figuriamoci poi qualcuno del tutto su di giri, come sembrava Sendoh in quel momento, all’idea di passare del tempo con lui.

Sendoh intanto continuava a osservare il volto di Mito che sembrava perso in chissà che monologo interiore.

Era evidente che non si aspettasse le sue risposte e Sendoh non si sarebbe sorpreso se tra un po’ gli fosse spuntato un enorme punto interrogativo in testa.

Se Mito pensava di allontanarlo con così poco allora aveva ben poche speranze di riuscire nel suo intento.

Perso nelle sue riflessioni, non si accorse di tre tipi che si avvicinarono.

“Ehi, Yo!”.

A quella voce, Sendoh si voltò per vedere chi avesse tanta familiarità con il ragazzo da chiamarlo addirittura non con il nome proprio ma con un diminutivo molto più confidenziale.

“Sapevamo che prima o poi ti avremmo trovato fra tutta questa gente!” si aggiunse un’altra voce.

Sendoh vide tre tipi salutare allegramente Mito riconoscendoli all’istante.

Erano i tre che erano sempre sugli spalti, in compagnia di Yohei, a tifare per lo Shohoku.

In tutto ciò, Mito non aveva ancora detto nulla, squadrandoli per un lungo istante.

“Ehi, ma tu sei Akira Sendoh” esclamò a un certo punto Okusu puntando il dito contro il giocatore manco fosse uno spirito maligno.

Sendoh vide Yohei sospirare pesantemente dopo essersi portato una mano agli occhi.

“Ehi, Yo hai visto chi c’è?” domandò ancora Okuso, prendendo un lembo della maglia di Yohei e tirandola verso di sé.

“Un po’ difficile che non lo veda, considerando che è a meno di un metro da me” ribatté laconico Mito.

Sendoh, a quella scena, non poté trattenere un risolino.

“Yo, che ci fai con Sendoh?” domandò Noma con aria interrogativa.

“Voi piuttosto, che ci fate qui?” domandò a sua volta Yohei sviando del tutto il discorso.

“Ci ha chiamati Hana!” rispose pronto Okuso.

“E ci ha detto anche di farti compagnia in questi giorni di festa visto che non sei pratico di queste cose”aggiunse Noma, non accorgendosi, o facendo finta di non accorgersene, dell’occhiata gelida di Yohei.

Sendoh, dal canto suo, ascoltò in silenzio trovando, in quelle parole, la conferma alle sue ipotesi.

“Già, ha detto proprio così!” confermò Okuso incurante delle occhiatacce di Yohei.

“Ci ha espressamente chiesto di farti da guida in questa festività, proprio come un giapponese modello!” s’intromise Takamiya aggiustandosi gli occhiali.

“Strano comunque trovarti qui” continuò Noma con l’aria pensosa.

“Siamo rimasti di stucco quando l’albergatore ci ha detto che non c’eri!” concluse incrociando le braccia.

“Se non la piantate immediatamente” sbottò a quel punto Yohei, “ vi faccio vedere io come festeggio e non credo vi piacerà molto!” concluse assottigliando pericolosamente lo sbaglio.

Fu allora che Noma, facendo vagare lo sguardo da Sendoh a Mito e poi ancora da Mito a
Sendoh, capì effettivamente di aver parlato troppo.

O forse no! Pensò con un sorriso.

Hanamichi, la sera prima, era stato vago al telefono.

Tuttavia, aveva accennato di un certo interesse che Yohei sembrava provare per qualcuno.

Gli aveva anche intimato di non farne parola con gli altri, altrimenti non sarebbe rimasto nulla di lui una volta che fosse uscito dalla clinica.

Hanamichi non sapeva di chi si trattasse ma, a questo punto, Noma non faticò a capire che probabilmente si trattava di Sendoh che, dall’espressione che aveva, probabilmente ricambiava l’interesse.

Anzi, conoscendo Yohei, si trattava sicuramente di un interesse monodirezionale.

In fondo, le loro battutine erano calzate a pennello visto che Mito non avrebbe scucito la bocca sulle cose che riguardavano lui, ma soprattutto Hanamichi, per il prossimo secolo.

Chissà che faccia farà il mitico Tensai quando lo verrà a sapere! Pensò Noma con un sorriso.

Non che lui avesse intenzione di dirglielo, tuttavia, se Hanamichi li aveva chiamati, era perché aveva capito, non si sapeva come, che Yohei aveva bisogno di loro.

Quei due erano sempre stati imperscrutabili, ognuno a modo loro.

Avevano sempre avuto un legame speciale, così speciale da essere difficile da capire.

Tuttavia, stavolta la situazione era lampante.

Yohei aveva bisogno di una certa scrollata.

La stessa scrollata che aveva dato lui stesso a Hanamichi affinché coronasse la sua bella favola con l’affascinante matricola.

Solo che, essendo il Tensai bloccato in clinica, affidava loro quell’ingrato compito.

Avrebbe potuto essere più dettagliato, però! Si appuntò Noma mentalmente allargando il sorriso.

“Va bene ragazzi, perché non andiamo a farci un giro, visto che qui siamo di troppo?” disse con un sorriso furbo.

“Cosa?!” esclamarono in coro Mito e Okuso.

Il primo decisamente arrabbiato, il secondo alquanto interdetto.

“Su, coraggio, non fatemelo ripetere!” intimò agli altri due, sperando che lo capissero con gli occhi.

“Buon divertimento, Yo! Ciao Sendoh” ghignò ironico calcando bene le parole e strattonando gli altri due con la forza, visto che sembravano non aver capito granché.

“Ciao ragazzi!” li salutò allegramente Sendoh agitando una mano, non potendo fare a meno di sorridere nel vedere il volto crucciato di Yohei che li guardava allontanarsi con sguardo omicida.

Un lieve rossore era andato a colorirgli le guance e il giocatore pensò che non ci fosse niente di più bello del viso imbarazzato dell’altro.

Doveva anche essere molto timido!

“Simpatici i tuoi amici” disse, per alleggerire l’atmosfera visto che l’altro, dopo l’uscita del suo amico, sembrava intenzionato a non spiccicare più parola.

“Rumorosi” disse Yohei con sguardo duro.

“E, entro stasera, anche ricoverati nel primo ospedale vicino!” concluse con un sorriso ironico.

“Non mi dire che sei in imbarazzo?” lo provocò Sendoh.

“E per cosa esattamente?” domandò l’altro inarcando un sopracciglio.

Sendoh rise allegramente di fronte alla faccia di Mito preferendo però non rispondere.

Aveva capito perfettamente la natura della battuta di uno dei ragazzi, motivo per cui decise di non mettere ancora di più in imbarazzo Mito rovinando così il suo umore.

Yohei non poté fare a meno di ridacchiare anche lui, contagiato dall’allegria dell’altro.

“Allora, cosa facciamo ora?” domandò ancora Sendoh.

Avrebbe voluto fare altro tipo di domande ma aspettava che si trovassero in un posto più tranquillo.

“Mh… non so!” rispose Yohei con un’alzata di spalle.

Sapeva che non era il massimo rispondere in quel modo, ma non poteva farci nulla.

Non aveva la più pallida idea di cosa fare, per cui preferiva lasciare che fosse l’altro a dirigere l’uscita anche se consapevole di poter risultare noioso.

Quel pensiero lo colpì.

Stranamente, gli sarebbe dispiaciuto se il giocatore si fosse stancato della sua compagnia.

No! Un momento!

Non era proprio questo, quello che voleva?

In ogni caso, non era stato lui a porgere l’invito quindi, era giusto che fosse il giocatore a decidere dove andare.

Sì, infatti, le cose stanno esattamente in questo modo!

“Che ne dici di mangiare qualcosa, visto che non hai pranzato né fatto colazione?”.

La voce di Sendoh lo riscosse dai suoi pensieri.

Come il solito, sembrava che il giocatore non si fosse perso d’animo di fronte alle sue uscite evasive e poco collaborative.

“Non ho fame” rispose Yohei, ed era vero.

In quel momento, nonostante non avesse mangiato, non credeva sarebbe riuscito a mettere qualcosa nel suo stomaco.

Forse lo stress, forse la situazione anomala, forse, e più probabilmente, la presenza del giocatore, fatto stava che si sentiva lo stomaco totalmente chiuso.

No! Si corresse mentalmente.

Non è per la presenza di Sendoh!

Tuttavia, non potette fare a meno di notare che il giocatore si era dimostrato gentile nel pensare a lui, considerando che Sendoh aveva finito di pranzare da qualche ora.

Andava bene dimostrarsi scostante, ma forse stava esagerando.

Sendoh non meritava di essere trattato così.

“Grazie comunque!” lo ringraziò sincero.

Seppe di aver fatto bene quando il sorriso dell’altro gli riscaldò il cuore di uno strano calore, facendogli provare una sensazione nuova eppure molto piacevole.

Sendoh non aveva potuto fare a meno di sorridere sincero di fronte al ringraziamento dell’altro.

A occhi esterni poteva non significare nulla, ma per lui, che aveva perfettamente colto la natura di quelle parole, significava tutto.

Mito lo aveva ringraziato dopo qualche istante, segno che si fosse pentito della sua continua freddezza.

E Sendoh non poteva che essere felice di quello; poco a poco stava riuscendo a diminuire le distanze tra loro.

“Che ne dici di andare in spiaggia?” propose.

C’erano delle cose che voleva sapere e la spiaggia era il luogo ideale per parlare tranquilli.

“Tra un po’ iniziano i cortei di lanterne e i fuochi artificiali, e la spiaggia è il posto per godersi al meglio questi spettacoli” chiarì immediatamente dopo.

Era vero quello che diceva e lui, oltre a poter parlare tranquillamente, voleva anche far godere quello spettacolo a Mito.

Quando era uscito dalla pensione, si era riproposto di fargli passare una piacevole serata ed era proprio quello che aveva intenzione di fare.

Mito sembrava non conoscere granché della festa a cui stavano partecipando e Sendoh era intenzionato a lasciargli un bel ricordo di loro due e della giornata.

Non poté quindi fare a meno di sorridere ancora di più quando l’altro acconsentì con il capo.

Forse, pensò avviandosi, quella sera stava riuscendo a gettare le basi per qualcosa d’importante fra loro due.

Anche se, tutto dipendeva dalle prossime ore.
 

Continua…
 
Note:
 
In questo capitolo analizzo più che altro i sentimenti di Sendoh che, finalmente, dà un nome all’attrazione che prova.

Tuttavia, non se ne stupisce più di tanto visto che, in fondo l’ha sempre saputo.
Compare anche l’armata, visto che mi dispiaceva lasciare i tre in disparte.

Tuttavia, ho fatto in modo che ancora una volta risultasse lampante la diversità del rapporto tra Hanamichi e Mito rispetto agli altri componenti.

In ogni caso, dato che comunque mi piace molto come quintetto di amici, l'armata comparirà anche nei capitoli successivi con un ruolo abbastanza rilevante.

Inoltre, ho usato anche il capitolo per creare dei ricordi del passato di Hanamichi, cosa che farò anche nei capitoli più avanti, dato che questa fic nasce come continuazione de
“Il tuo vero volto”.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come il solito, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, grazie a chi è arrivato fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 10
*** capitolo 10. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
Capitolo 10.
 

“Forse è un po’ presto per i fuochi d’artificio” esclamò Sendoh dopo pochi minuti che avevano ripreso a camminare, o meglio a sgomitare fra la gente.

“Anzi, lo è sicuramente!” continuò, guardando l’ora e non perdendosi le espressioni interessate di Yohei.

“Inizieranno sicuramente dopo le nove, se non più tardi. Stessa cosa per i cortei di lanterne” riprese a spiegare.

In effetti, volendo recarsi in un posto più tranquillo, aveva immediatamente pensato alla spiaggia.

Riflettendoci però, a quell’ora non avrebbero ammirato nessuno spettacolo pirotecnico.

Non che gli dispiacesse stare in compagnia di Yohei a guardare per ore il mare.

Tuttavia, dubitava che il ragazzo fosse dello stesso avviso.

Motivo per cui, dato che ci teneva comunque a parlare in tranquillità optò per una soluzione meno intima rispetto a come potesse sembrare la spiaggia.

“Ti va se prendiamo qualcosa da bere?” domandò ancora con il suo solito sorriso allegro.

“Mh... perché no!” rispose Yohei sorridendo a sua volta.

Sendoh aveva un modo di fare molto pratico e gli veniva naturale lasciarsi andare.

Inoltre, si era accorto di come il giocatore fosse stato accorto nello spiegargli lo svolgimento della festa; segno che aveva perfettamente colto il significato delle parole di Noma.

Tuttavia, nonostante avesse capito che il giocatore cercasse un posto più tranquillo per parlare la cosa non lo infastidì più di tanto; in fondo, poteva anche non rispondere alle eventuali domande dirette.

Erano questi i pensieri che lo accompagnavano mentre si sedeva al tavolino del bar.

In effetti, essendo tutta la gente in strada, il locale era piuttosto tranquillo.

“Cosa prendi?” domandò Sendoh non rinunciando al suo sorriso allegro.

“Un the verde, grazie!” rispose Yohei senza pensarci.

Sendoh inarcò un sopracciglio, ordinando a sua volta quello che, dal nome, sembrava un aperitivo analcolico.

“Molto rinfrescante” aggiunse, aspettando però che prima la cameriera si fosse allontanata.

Mito lo guardò perplesso, capendo solo in un secondo momento l’allusione alla sua bevanda.

“Hai ragione, ma in mancanza della birra mi accontento del the!” rispose poi con un sorriso sghembo, sviando l’argomento.

“Anche se potevi ordinarla tu per me!” continuò credendo, in questo modo, di cambiare definitivamente discorso.

Quella del the, in effetti, era una sua strana abitudine che non era però preparato psicologicamente a raccontare.

Anche perché avrebbe implicato parlare anche di Hanamichi e questo non poteva proprio farlo.

Sendoh si accorse della fretta che Mito adoperò nel rispondere, decidendo però di soprassedere.

Quel ragazzo continuava a stuzzicarlo e incuriosirlo fino all’inverosimile.

Se continuava di questo passo, dubitava di riuscire a concentrarsi su altro quando sarebbe iniziato il ritiro.

Tuttavia, l’affermazione dell’altro lo aveva lasciato dubbioso.

“Guarda che sono minorenne anch’io!” rispose poi, mostrandosi perplesso. Dubitava, infatti, che Mito non conoscesse la sua età.

“Lo so, ma puoi benissimo passare per un maggiorenne. Bastava poi un sorriso smagliante alla cameriera e il gioco era fatto” ghignò Yohei.

Sendoh non potette fare a meno di ridere.

“Ma dai, dici che ci sarebbero cascati?” domandò il numero sette con finta innocenza.

Non poteva fare a meno di sorridere dato che, indirettamente, Yohei gli aveva fatto un complimento.

Certo, sicuramente si riferiva al successo che aveva a scuola, però comunque aveva ammesso che era un bel ragazzo.

“Il proprietario non so, la cameriera sicuramente! Basta pensare alla tua tifoseria durante le partite” parlò ancora Mito sogghignando.

“Però poi avrebbero notato che non sarei stato io a berla, se avessero guardato bene” rispose Sendoh ridacchiando.

In fondo, non gli dispiaceva neanche quella familiarità che sembrava essersi venuta a creare.

Quanto a tutti i misteri che il ragazzo nascondeva, beh… il tempo non mancava.

“Ne dubito, visto che l’avrei bevuta tutta d’un sorso” ghignò Yohei di rimando.

“Devi essere ferrato in materia!” lo prese in giro Sendoh, aspettando che la cameriera, che aveva portato loro le orinazioni, si allontanasse.

“Non sai quanto” rispose pronto Mito.

“Hanamichi, d’altronde, passa facilmente per maggiorenne” aggiunse. “Una volta comprata, possiamo dare il via ai nostri festini casalinghi!” terminò, sorridendo al pensiero di tutte le volte che si erano ostinati a bere fino a notte inoltrata non avendo neanche la forza di camminare la mattina dopo.

“Posso immaginare” rispose Sendoh ridendo allegramente.

In effetti, Sakuragi e gli altri tipi che aveva intravisto gli sembravano persone capacissime di fare ciò.

“Troppo noioso passare le serate a studiare. Come suppongo faccia qualcuno, invece!” lo punzecchiò ancora Yohei bonariamente, contagiato dalla risata dell’altro.

Il muro che aveva tirato su, sembrava cadere ogni volta che i suoi occhi incontravano il sorriso sincero dell’altro.

La serata stava diventando piacevole, più di quanto Yohei volesse ammettere, eppure, la cosa non gli dispiaceva.

“Guarda che non sono un secchione!” si difese Sendoh con tono scherzoso.

“Ma un buono studente sicuramente!” lo canzonò ancora Yohei, puntandogli il dito contro.

“Va bene! Questo lo devo ammettere” rispose Sendoh, alzando le mani in segno di resa.

Passarono alcuni minuti in silenzio, dove Sendoh non poté fare a meno di osservare l’altro.

Gli piaceva il modo in cui avvicinava la tazza alle labbra, lo trovava sensuale.

Aveva gli occhi rivolti alla finestra e osservava l’esterno con interesse.

Sendoh lo aveva visto cambiare varie volte espressione a seconda dei passanti.

Intenerita, quando era passata una madre con una bimba che sembrava insistere per stare in braccio.

La madre, alla fine, aveva ceduto.

Con un sopracciglio alzato e volto decisamente interdetto, quando a passare era stato un gruppo di studenti con l’aria da duri.

In effetti, a Mito dovevano essere sembrati abbastanza ridicoli, così come lo erano sembrati anche al giocatore.

Non era un teppista come l’altro, ma si vedeva lontano un miglio che quei tipi erano solo apparenza.

Probabilmente, riuscivano a fare i gradassi solo con chi era troppo stupido per cascarci; quasi sicuramente con le matricole della loro scuola.

L’espressione era stata dubbiosa quando invece era passata una donna, non più giovanissima, agghindata con quello che in origine doveva essere stato uno yukata ma, visto il modo scomposto in cui era stato allacciato, dava l’idea che la signora fosse vestita con una tenda.

Se si aggiungeva l’improbabile colore con l’ancora più improbabile fantasia, allora diventava impossibile per la donna passare inosservata.

Al giocatore stava bene anche stare in silenzio, dato che gli piaceva da matti osservare Mito mentre sorseggiava il suo the con gli occhi rivolti verso l’esterno.

Inoltre, aveva potuto costatare come fosse per lui normale sorseggiare una bevanda calda quando all’ombra c’erano più di trenta gradi.

Si vedeva dai suoi piccoli gesti abituali, quali quanto zucchero mettere per renderla della dolcezza desiderata oppure quando sorseggiarla per assaporarla alla giusta temperatura.

“È davvero così insolito per te il fatto che io abbia ordinato un the?” domandò Yohei a un certo punto distogliendolo dai suoi pensieri.

Colto in flagrante! Pensò Sendoh divertito.

A quanto pareva, le sue occhiate erano state eloquenti visto che Mito aveva facilmente indovinato i suoi pensieri.

Tuttavia, Sendoh fu felice del fatto che ne avesse intuito solo una parte; era troppo presto per scoprirsi.

Per quanto gli sarebbe piaciuto dirgli chiaro e tondo che il suo interesse andava al di là della semplice amicizia, il giocatore sapeva che sarebbe potuto essere controproducente.

Ci teneva troppo per rischiare.

Quindi, decise di rispondere con una mezza verità.

“Beh, strano no! Insolito direi” rispose allegro.

“È più un’abitudine da…” e qui si interruppe cercando le parole adatte.

“Da vecchi!” venne in suo soccorso Mito, non scomponendosi minimamente.

“Beh…” continuò indeciso il giocatore.

In effetti, era proprio quello che pensava.

Di solito, i ragazzi della sua età preferivano, soprattutto in estate, delle bevande fresche.

Nonostante il the fosse piuttosto comune, anzi, fosse la bevanda per eccellenza più consumata, era comunque un’abitudine dei più anziani consumarlo in piena estate e di pomeriggio.

La cosa era ancora più insolita se si trattava di un teppista o comunque uno abituato a consumare birra.

Tutto si aspettava Sendoh, tranne che Yohei potesse essere così tradizionale.

Tuttavia, per quel poco che lo conosceva, dubitava che il suo consumare the fosse dovuto alla tradizione.

“E che mi sto sciogliendo solo a guardarti” aggiunse il giocatore allegro, riportando la conversazione su toni più leggeri.

Yohei gli sorrise di rimando, continuando a sorseggiare.

“E che…” incominciò Mito incerto, interrompendosi immediatamente dopo.

Akira notò facilmente il cambio di tono mettendosi in ascolto.

Anche la sua espressione si era fatta pensierosa, come se stesse cercando le parole più adatte.

E forse, era proprio così, valutò Sendoh ritornando serio.

“In effetti…” riprese ancora Yohei parlando lentamente, “è proprio una strana abitudine”concluse, con gli occhi persi in chissà quale pensiero.

La voce era stata poco più che un sussurro.

Sendoh capì che stava più parlando con se stesso che con lui.

Mito, nel frattempo, era corso con la mente lontano.

Quella del the era proprio una strana abitudine da attribuire tutta al suo migliore amico.

Hanamichi andava matto per il caffè.

Da che Yohei ricordava, aveva iniziato a berlo verso i dieci - undici anni diventando in pochi anni un caffè - dipendente.

Non che fosse una malattia, solo che lo prendeva a tutte le ore del giorno.

La madre, in fondo, era come lui.

In Giappone, le moche nelle abitazioni erano quasi utopiche, ma nella casa del suo migliore amico era, ovviamente, immancabile.

Mito ricordava di aver ammirato più volte la madre di Hanamichi mentre preparava il caffè.

In casa lo consumavano addirittura freddo, conservando in una bottiglia di vetro quello che avanzava.

Bottiglia quasi sempre vuota visto l’alto consumo di due familiari su tre.

Poi, si veniva a lui.

Mito, la prima volta che aveva assaggiato il caffè fatto dalla madre di Hanamichi, lo aveva trovato disgustoso.

Allora, forse l’età, forse per essere vicino al suo migliore amico, aveva incominciato a consumare the proprio come Hanamichi beveva il caffè.

Ricordava le loro improbabili notti di studio, quando i genitori di Hanamichi erano ancora vivi, ognuno con accanto la propria bevanda.

La storia non cambiava a casa di Mito.

Ricordava, infatti, che Hanamichi, quando si preparava per dormire da lui, la prima cosa che afferrava, prima del pigiama e dei libri, era proprio la sua inseparabile macchinetta del caffè urlando a gran voce che altrimenti sarebbe stato impossibile studiare.

Non si studiava comunque ma questa era un’altra storia dopotutto.

L’abitudine si era protratta anche con la venuta dell’armata.

Ricordava, infatti, le continue proteste di Noma, Okuso e Takamiya sul dover dividere equamente il conto di qualche locale.

Hanamichi ordinava sempre il caffè e Mito sempre il the, che stessero pranzando, cenando o semplicemente facendo uno spuntino.

Solo che il caffè era molto costoso e l’armata protestava continuamente.

Hanamichi poi li stendeva con tre testate, ponendo fine alle discussioni.

Quel teatrino era diventato così usuale che nessuno di loro ci faceva più caso oramai.

L’abitudine si era protratta anche dopo la scomparsa dei genitori di Hanamichi.

Nella sua casa d’origine del suo migliore amico non era stato toccato nulla.

Solo una cosa era stata mossa.

Hanamichi, nei primi tempi che aveva abitato da lui, aveva portato la macchinetta del caffè, ricordo di sua madre.

Ed era sempre e solo Mito, neanche Hanamichi la toccava più del necessario, che lo preparava avendo imparato dalla madre del suo migliore amico il procedimento.

Quando si era trasferito, Hanamichi l’aveva lasciata a lui.

Come segno che, anche se più lontani, le cose non sarebbero mai cambiate tra di loro.
Per questo gli era venuto in automatico ordinare il the.

“Che mi racconterai?”.

La voce di Sendoh lo distolse dai suoi pensieri.

“Scusa?” domandò, non avendo seguito il discorso dell’altro.

Sendoh sorrise, essendosi accorto che la mente di Yohei aveva vagato lontano per lunghi istanti.

“È una strana abitudine, che mi racconterai?” ripeté ancora incoraggiante.

Mito lo fissò perplesso.

In effetti, la cosa non gli dispiaceva, dovette ammettere con se stesso.

Sendoh, con il suo modo di fare tranquillo faceva venire voglia di rilassarsi e chiacchierare piacevolmente.

Inoltre, Yohei incominciò a ponderare il fatto che quello del giocatore non fosse solo un mero interesse fisico.

La domanda, infatti, non era stata posta tanto per, quanto piuttosto per reale interesse nei suoi confronti.

Un po’ strana come cosa, se le sue intenzioni fossero state solo quelle di portarselo a letto.

In effetti, se avesse voluto solo questo, non gli avrebbe proposto quell’uscita.

O forse, l’avrebbe proposta comunque, ma di certo poi ci avrebbe provato oppure avrebbe cercato un luogo appartato.

Se poi Yohei avesse rifiutato, allora il giocatore sarebbe passato a un altro obiettivo.

Sì, sarebbe stato indubbiamente questo il comportamento logico di una persona che avesse avuto solo l’intenzione di portarti a letto.

Invece, Sendoh sembrava solo voler passare delle ore piacevoli con lui.

Non aveva, infatti, deviato la direzione che avevano preso decidendo di recarsi in un bar piuttosto che in spiaggia visto che, a quell’ora, l’avrebbero trovato deserta?

Cercava un luogo tranquillo, ma non per provarci; semplicemente per parlare.

Sembrava intenzionato a conoscerlo meglio.

Questo pensiero lo colpì.

Pochi ore prima, aveva preso in considerazione l’idea che, in fondo, il giocatore non era male.

Aveva appurato l’interesse fisico nell’altro nei suoi confronti, decidendo di passare qualche ora insieme con lui.

Tuttavia, i ragionamenti di Yohei si fermavano a una notte e via.

Credeva, infatti, che l’interesse del giocatore fosse semplicemente quello di poter passare piacevolmente il tempo in una ginnastica molto intima.

Yohei ci era uscito, liquidando così la faccenda.

Sendoh non gli dispiaceva come tipo ma da qui a volerci andare a letto ne passava.

Di conseguenza, in quell’uscita gli avrebbe fatto capire di cambiare aria, così il giocatore lo avrebbe lasciato in pace.

Ora invece, una nuova realtà gli si parava davanti.

Sendoh era interessato a lui come persona.

Voleva conoscerlo meglio, forse per costruire qualcosa insieme.

In quel caso, Yohei come doveva porsi?

Una notte era una cosa, una relazione un’altra.

Però, cos’era questa voglia di lasciarsi conoscere, almeno un pochino?

Perché non rifiutava a priori l’idea?

Comunque, la questione non riguardava solo lui.

Tuttavia, forse proprio per questi pensieri, decise di essere gentile piuttosto che propinare un no secco all’altro.

“Non posso” disse piano. “Non riguarda solo me!” aggiunse, sperando che l’altro desistesse.

“E se potessi?” domandò Sendoh, non perdendosi d’animo.

Yohei lo guardò interrogativo.

“Se potessi, me lo diresti?”gli chiarì il giocatore con voce seria guardandolo dritto negli occhi.

Yohei lo fissò per un lungo istante.

Era evidente che non si aspettasse una domanda del genere.

Gli occhi seri dell’altro gli fecero capire che la sua non era semplice curiosità, ma vero e proprio interesse.

“Forse!” rispose vago.

Quegli occhi cominciavano a metterlo in soggezione.

Sendoh sorrise a quella risposta, decidendo di rischiare.

“Allora devo aspettare che tu chieda il permesso a Sakuragi!” disse osservando la reazione dell’altro.

Non si pentì minimamente di poter sembrare sfacciato.

Quel ragazzo gli piaceva e voleva che si aprisse.

Tuttavia, aveva anche capito che non l’avrebbe fatto mai di sua iniziativa.

Perché allora non forzare un po’ la mano?

Del resto, era bastato il forse di Mito a spingerlo a quella domanda.

Tuttavia, sapeva anche di dover stare attento.

E non si riferiva ai pugni che Mito poteva rifilargli.

Si riferiva piuttosto alla guerra di parole che sembrava aver innescato dopo la sua frase, visto lo sguardo dell’altro.

Akira sapeva di non essere uno stupido; ora non restava altro che dimostrarlo anche a Mito.

D’altro canto, se c’era riuscito Rukawa allora aveva ottime possibilità anche lui.

Perché questo gli era oramai chiaro; il numero undici per avere tanta familiarità con Mito sicuramente era stato sotto esame per parecchio tempo.

Se considerava poi il legame che sembrava aver instaurato con Sakuragi, allora diveniva ovvio che aveva dovuto passare attraverso il benestare del ragazzo che gli sedeva di fronte.

Se Rukawa si era permesso tutta quella confidenza, entrando nella camera del ragazzo e parlandogli tranquillamente nonostante il suo umore, allora doveva aver guadagnato anche la sua stima.

Stima che sembrava avere solo per Sakuragi.

Stima che poi si era dovuto guadagnare Rukawa.

Stima che avrebbe conquistato anche lui.

D’altro canto, anche Rukawa sembrava ammirare Mito visto i consigli che gli aveva dato e quanto si fosse sbilanciato.

Evidentemente, lo stimava non solo come amico di Sakuragi, ma anche come persona, vista l’indifferenza con cui trattava tutti gli altri.

Perché Sendoh era sicuro del fatto che Rukawa gli aveva detto quelle cose non per fare un piacere a lui, ma per Mito.

Durante lo scambio di battute che Sendoh aveva ascoltato, non gli aveva forse consigliato di vivere?

Ora però toccava a lui.

Lo scopo della sua provocazione non era tanto quello di sapere i fatti dell’altro, quanto piuttosto fargli capire la natura del suo interesse.

Interesse che sembrava crescere a ogni minuto.

Del resto, se Mito era riuscito a guadagnarsi la stima di Rukawa, doveva essere per forza una persona fuori dal comune.

Vide che l’altro non rispondeva preferendo invece fissarlo.

Il suo volto era attento.

La sua espressione seria.

La partita era cominciata.

E Sendoh avrebbe dimostrato di essere all’altezza del gioco, come sempre.

“Allora?” continuò, senza nessuna traccia del sorriso che tanto lo distingueva.

Yohei si decise finalmente a rispondere.

“E perché dovrei domandare proprio a Hanamichi?” chiese scettico, inarcando un sopracciglio.

“Intuito!” rispose serio Sendoh senza scomporsi.

Yohei lo fissò ancora.

Sul fatto che Sendoh non fosse uno stupido, oramai ne aveva la piena conferma.

Eppure, non avvertiva provocazione nella sua voce.

Il tono era serio, così come la sua espressione.

E di certo, non aveva l’aria di chi deve impicciarsi dei fatti altrui.

In effetti, aveva lo stesso sguardo che assumeva ogni qual volta giocava una partita seria.

Lo stesso sguardo di quando si trovava dinanzi un rivale da battere, che lo stimolava a dare il meglio di sé.

Fu in quel momento che Yohei capì quanto fosse grande l’interesse del giocatore.

Affrontava quella conversazione come una partita, intenzionato a non perdere.

Intenzionato a sapere qualcosa di lui.

Intenzionato ad andare fino in fondo.

Solo in quel momento capì in che guaio si fosse cacciato.

Ora però, cosa doveva fare?

“Dai, lascia perdere!” la voce di Sendoh lo riscosse dai suoi pensieri.

Yohei gli rivolse uno sguardo interrogativo a quel repentino cambio d’umore.

Sendoh ora sorrideva tranquillo facendo scorrere lo sguardo sul menù.

“Questo mi ispira” parlò ancora, mostrandogli la figura di una portata del bar.

“Che ne dici se li ordino per entrambi?” domandò, spostando lo sguardo dal menù a lui.

Mito non riuscì a fare altro che annuire mentre osservava l’altro chiamare velocemente la cameriera.

“Ci porti due porzioni di questi involtini!” disse sorridendo alla ragazza che, in men che non si dica sparì per tornare, pochi minuti dopo con le ordinazioni richieste.

Sendoh, in tutto quel tempo non aveva più parlato.

In fondo, andava bene forzare la mano ma non voleva comunque guadagnarsi l’astio di Mito.

Sicuramente Mito avrebbe riflettuto sulle sue affermazioni capendo così di non trovarsi di fronte solo un idolo delle ragazzine.

Forse non avrebbe capito il reale motivo del suo interesse, ma comunque non lo avrebbe considerato un idiota qualunque.

E questo a Sendoh bastava; per il momento.

D’altronde, il tempo per le confidenze sarebbe venuto.

Quello che voleva ora era solo trascorrere delle ore piacevoli, che si parlasse di cose serie o di banalità.

Fu per questo che riportò la conversazione si argomenti più leggeri.

“Meglio impiegare il tempo mangiando, visto che ci vuole ancora un po’ per i fuochi d’artificio” continuò allegro, decidendo di inaugurare gli invitanti involtini che aveva davanti.

Ne prese uno soffiandoci sopra, ma la vece di Yohei lo interruppe proprio mentre stava per dare il primo morso.

“Perché?”.

“Mh?” mugugnò interrogativo Sendoh con il boccone tra le labbra.

“Intendo, perché hai pensato subito che la mia abitudine riguardasse Hanamichi?” chiarì Mito.

Sendoh ingoiò lentamente prima di rispondere.

Nel frattempo però osservava Mito.

Strano ma vero, non c’era astio nella sua domanda.

Cosa strana, considerando che appena il giorno prima era bastato nominare Sakuragi affinché assumesse la sua aria da bullo.

Ora invece leggeva in quelle iridi solo interesse e curiosità.

Evidentemente, Sendoh aveva fatto centro e Mito voleva semplicemente sapere come fosse arrivato a una simile conclusione.

Questo lo fece gioire interiormente.

Se Mito non era astioso parlando di Sakuragi significava che non lo vedeva più come un nemico.

Fu per questo che si lasciò andare, ridendo apertamente.

“Ma dai” riuscì a dire tra le risa osservando il volto dell’altro diventare perplesso.

“Mi sembra ovvio! Il legame che avete sarebbe evidente anche a un cieco. Senza contare quello che ci siamo detti ieri” concluse Sendoh con il sorriso sulle labbra una volta che le risate furono scemate.

Mito non potette fare altro che ridacchiare, visibilmente rilassato.

“Hai ragione!” ammise, prendendo a sua volta un involtino e staccandone un pezzo.

“Visto che sei così perspicace” continuò, dopo aver ingoiato, “perché non mi dici quanto hai capito?” domandò seriamente, ma con una traccia di leggerezza nella voce.

Era curioso a questo punto di conoscere le conclusioni del giocatore.

“Eh?” domandò perplesso Sendoh, alzando un sopracciglio.

“Non fare finta di niente” lo rimproverò bonariamente Mito.

“Non dirmi che non hai colto le parole digli altri” continuò con tono allegro puntandogli il dito contro.

“Coraggio, dimmi che cosa ne hai dedotto” lo incoraggiò.”Sono curioso” terminò sempre con il sorriso sulle labbra, appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia.

Sendoh ricambiò il sorriso a sua volta.

Aveva la conferma, ancora una volta, di quanto il ragazzo fosse perspicace.

Era un po’ una partita a scacchi quella.

E stavolta, era Mito a invitarlo a giocare.

E Sendoh, vista la sua grande competitività, non aveva nessuna intenzione di tirarsi indietro.

Stavolta era Mito a invitarlo al gioco; questo non poteva che fargli piacere.

Significava che aveva capito pienamente di non trovarsi di fronte ad un deficiente e quindi lo invitava a giocare a carte scoperte.

E questa era un’ottima occasione per Sendoh per guadagnare punti.

Perché Mito non era una di quelle persone che si conquistano con l’adulazione. Mito andava battuto per essere conquistato.

Andava battuto su un piano mentale più che fisico.

Se Sendoh voleva conquistare la sua fiducia, era necessario che si dimostrasse all’altezza della situazione.

Solo così avrebbe potuto sperare di costruire qualcosa con Yohei.

Evidentemente, anche con Rukawa in passato doveva essersi comportato allo stesso modo.

Sorrise interiormente; si era incaponito sul ragazzo più complicato e diffidente di tutta la popolazione mondiale.

Ma la cosa non gli dispiaceva affatto; lui non era certo un tipo da interessarsi alle cose e alle persone qualunque.

Questo suo aspetto veniva fuori quando giocava; dava meno di quanto si aspettassero gli altri, quando aveva davanti un avversario di poco conto.

Giocava più per inerzia in quelle partite che per altro.

Poco prevedibile e spietato quando l’avversario si dimostrava all’altezza.

Era un fantasista… nel gioco come nella vita.

“Vediamo” incominciò, imitando il tono scherzoso dell'altro.

“Non sei pratico di questa festività tradizionale” affermò sicuro, incrociando le mani sotto il mento.

Mito allargò il sorriso di rimando, incitandolo a continuare.

“Eppure” riprese il giocatore, “sei così tradizionale da prendere il the caldo con trenta gradi all’ombra”.

“Un po’ contraddittorio, in effetti!” rispose Mito ridacchiando.

“Già!” affermò Sendoh. “Se non fosse che questa tua tradizione è legata a Hanamichi e non al Paese in cui vivi!” concluse Sendoh.

“Già!” gli confermò Mito, affermando un altro involtino.

Sendoh allargò il sorriso gioendo di quella nuova familiarità tra loro.

“E quindi? Scommetto che tu non sia venuto a capo di molto!” aggiunse Yohei divertito, dopo aver ingoiato un altro boccone.

Quella situazione lo stuzzicava.

Sendoh, con il suo modo di fare, lo attirava.

Inoltre era proprio curioso di sapere che conclusioni il numero sette potesse trarre da quei pochi dati a disposizione.

“Beh, io non direi!” lo corresse il giocatore.

“Ah si?” domandò Mito curioso.

“Se aggiungi il legame che hai con Sakuragi, allora qualche ipotesi la si può fare!” continuò Sendoh tranquillo.

Un’idea gli balenava in testa.

Non sapeva se stava per prendere la cantonata più grossa di tutta la sua vita, oppure avesse afferrato la verità, o comunque buona parte della verità.

In ogni caso, non aveva nulla da perdere.

In caso di figuraccia clamorosa, Yohei avrebbe risolto tutto ridendogli in faccia.

Nel caso contrario invece avrebbe apprezzato la sua perspicacia.

“Tipo?” lo incitò Mito più curioso che mai.

“Tipo…” incominciò Sendoh con una pausa a effetto.

“Il fatto che Sakuragi tanto giapponese non lo sia?” domandò, diventando serio.

Ora non restava che aspettare la reazione dell’altro.
 

Continua…


Note:

La storia del the è un richiamo all’abitudine di Hanamichi narrata né “Il tuo vero volto”.

Dato che questa storia è una sorta di continuo, ho pensato di sfruttarla anche per far conoscere qualche stralcio di passato di Hanamichi e qualche abitudine dell’infanzia su lui e Yohei.
Inoltre, ho pensato potesse essere carino ricamarci un’abitudine un po’ strana anche per Yohei.

Aggiungo che quanto ho detto sul the è realmente esistente; il the, in piena estate e in pieno pomeriggio, è un’abitudine delle persone più adulte.
Di solito i giovani la preferiscono come bevanda invernale dato che il the verde è preparato con l’acqua a ebollizione a 70 gradi.
Per quello nero invece si arriva sui cento.

Per capirci, è un po’ come quando in Italia si riceve una famiglia in visita:
Agli adulti si offre un caffè mentre agli adolescenti si offre qualche altro tipo di bibita.

E considerato che Mito ha sedici anni, a Sendoh risulta parecchio strano che l’altro sia così tradizionale.

Quanto all’affermazione finale di Sendoh e su come sia arrivato a tale conclusione, invece, approfondirò nel prossimo capitolo, anche se dovrebbe risultare abbastanza chiaro il ragionamento del giocatore a livello intuitivo.
 
Che altro dire… spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Come il solito, attendo i vostri pareri.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 

Capitolo 11.
 

Rukawa dribblò un paio di passanti entrando, a passo lesto, nella pensione.

In quella giornata era stato impossibile fare un allenamento decente.

Troppa confusione, troppo rumore, troppe persone, troppo caos.

Troppo di tutto, insomma.

Tanto valeva, a quel punto, impiegare quel tempo a dormire.

Il suo sistema nervoso, messo a dura prova da tutti quei festeggiamenti, ne avrebbe
certamente tratto sollievo.

Fu con questo pensiero che si accinse a salire le scale che lo avrebbero condotto alla sua camera.

Dubitava che Mito tornasse presto.

Per quale motivo poi era ancora tutto da scoprire; non credeva, infatti, che le cose potessero filare lisce, solo perché il braccio destro del suo do’hao aveva accettato di uscire con Sendoh.

Il numero undici non dava per scontato come positivo l’esito della serata fra quei due.

Rukawa non era certo, infatti, di vedere il giocatore tutto intero il giorno dopo.

Anche se, Sendoh non era un’idiota.

Lui lo aveva sempre saputo e anche Mito doveva averlo capito.

In effetti, era un po’ curioso di sapere come si stavano svolgendo le cose.

Delle voci familiari lo distolsero dai suoi pensieri.

Aveva già salito il primo gradino, quando il dubbio di conoscere quelle voci divenne una certezza.

Provenivano dal corridoio di fianco alle scale, dove c’era uno dei telefoni messi a disposizione dal personale della pensione per gli ospiti.

Si affacciò lungo il corridoio avendo la certezza delle sue ipotesi: l’armata Sakuragi al completo sembrava impegnata in una conversazione telefonica con il proprio capo.

Quello con i baffetti teneva in mano la cornetta del telefono mentre gli altri due erano con le orecchie il più vicino possibile per non perdersi nulla di quella che doveva essere una conversazione a quattro.

Rukawa li guardò dubbioso, incerto sul da farsi.

Non li aveva notati nei giorni precedenti, segno che erano arrivati da poco.

Rimase immobile, indeciso se avvicinarsi o no; gli bastò tuttavia poco meno di un secondo per decidere.

Si avvicinò al gruppo con la sua solita andatura, certo che gli altri lo avrebbero riconosciuto.

 Era sicuro anche del fatto che sapessero il legame che lui aveva con Hanamichi.

La conferma di ciò la ebbe pochi istanti dopo quando, vedendolo arrivare e poggiarsi al muro, non batterono ciglio.

Evidentemente, sapevano anche della sua presenza lì.

Però, cosa ci facessero anche loro in quel posto, rimaneva un mistero.

Mistero che fu svelato pochi istanti dopo, da quello con i baffetti che teneva il telefono in mano e sembrava il portavoce dei tre.

“Sì capo, lo abbiamo trovato” confermò Noma ghignando e facendo l’occhiolino agli altri due.

Rukawa sorrise impercettibilmente.

E così il do’hao, essendo bloccato in clinica, aveva chiamato i rinforzi.

Inutile anche dire chi fosse il soggetto da soccorrere.

“Beh, ecco, diciamo che era impegnato” rispose Noma a un’ennesima domanda,
spostando, con uno spintone quello biondo che sembrava volersi fondere all’apparecchio telefonico e, di conseguenza, a chi parlava, tanto sì era avvicinato.

Evidentemente, Hanamichi aveva domandato perché Mito non fosse con loro.

O comunque, perché loro non fossero con lui.

“Beh, diciamo che era in compagnia” rispose vago Noma.

“E DI CHI?!”.

Stavolta, l’urlo di Hanamichi arrivò chiaro e forte anche alle orecchie di Rukawa.

Quello con i baffetti, invece, aveva dovuto allontanare la cornetta del telefono da sé visto l’urlo disumano del proprio capo.

“Dai, capo” cercò di uscirne in maniera diplomatica Noma, “ te lo dirà lui quando ti viene a trovare!” provò a convincerlo.

Tra i due mali, era meglio scegliere quello minore.

E, considerato che Hanamichi era bloccato in clinica e Yohei a pochi passi da loro, era meglio che fosse lo stesso Mito a parlare di sé.

Noma, come anche gli altri, non aveva intenzione di fare le valige a breve per cambiare continente.

Cosa che sarebbe diventata necessaria se Yohei veniva a sapere che loro avevano immediatamente spifferato tutto a Hanamichi.

Quindi, era meglio che fosse Mito a parlarne.

“Non credi che preferirebbe dirti tutto lui?” parlò ancora Noma, interrompendo gli sproloqui del suo capo.

A quella domanda, Hanamichi parve riflettere un istante.

“Hai ragione!” disse solamente attaccando il telefono.

“Sì, sì, lo so!” convenne Noma con un ghigno. “Che ti dicevo? Ehi… Pronto... pronto… ma che razza di modi!” esclamò, quando si accorse di star parlando da solo.

“Ma tu guarda che tipo!” disse rivolto agli altri.

“Mi ha praticamente sbattuto il telefono in faccia” sbraitò.

“Mi sa che siamo nei guai, ragazzi!” esclamò invece Okuso portandosi le mani agli occhi.

“Cioè?” domandò Noma.

“Quando Hanamichi verrà a sapere con chi è uscito Mito, intendo. Ci darà, come minimo, una testata per non averglielo detto” spiegò il suo ragionamento.

“Non credo!” intervenne Takamiya masticando non si sapeva cosa.

“Infatti! Una volta tanto, sono d’accordo con te!” rispose Noma.

“Se invece lo diciamo al capo, allora dovremo fare i conti con Mito!” continuò Okuso nel suo monologo, incurante dei commenti degli altri due.

“Non è che ci puoi salvare tu?” domandò ancora il biondo, rivolgendosi a Rukawa con mani incrociate in segno di preghiera e voce piagnucolante.

Il numero undici, nel frattempo, aveva assistito alla conversazione in silenzio con le spalle al muro.

Ora gli era chiaro anche il perché Hanamichi avesse chiamato il resto dell’armata in soccorso.

Pensare che avrebbe potuto afferrare il telefono e sentire la sua voce lo aveva fatto emozionare, anche se dalla sua espressione non era trapelato nulla.

Tuttavia, fare un gesto del genere sarebbe stato anche controproducente.

Hanamichi sapeva della sua presenza lì ma al momento sembrava avere altro per la testa.

Era preoccupato per Mito e, non sapendo cosa fare, aveva chiamato la sua armata a raccolta.

Tipico del do’hao cercare di aiutare gli altri sempre e comunque.

Per cui, aveva resistito all’impulso di afferrare il telefono e palesargli così la sua presenza.

Hanamichi non sapeva il legame che aveva instaurato con Mito durante l’anno scolastico e, essendo proprio Mito la fonte delle sue preoccupazioni, Rukawa non aveva nessuna intenzione di spiegargli in maniera spicciola tutto quello che era avvenuto fra lui e il suo fidato braccio destro.

Con una linea telefonica a separarli per giunta.

L’armata non si era stupita più di tanto della sua presenza in mezzo a loro.

Hanamichi invece si sarebbe stupito eccome.

Motivo per cui era meglio non dargli altri grattacapi.

Inoltre, come Rukawa aveva intuito, anche l’armata sapeva del rapporto che intercorreva fra lui e il loro capo.

Dovevano anche sapere della sua confidenza con Mito.

Certo, non nei dettagli, ma comunque qualcosa sapevano.

D’altro canto, conoscevano il braccio destro del loro capo da prima di lui, e quindi dovevano essere arrivati al concetto che era riuscito ad avvicinarsi al do’hao solo ed esclusivamente grazie a Mito.

La voce, o meglio l’urlo, di quello con i baffetti lo riscosse dai suoi pensieri.

“Ma la pianti di dire idiozie?” sbottò, interrompendo i piagnucolii di quello biondo.

“Il capo e Yohei se la vedranno tra di loro. Anche Hanamichi ha capito che deve essere
Yo a confidarsi. Noi siamo qui solo per divertirci” concluse, lisciandosi i baffi.

E anche per dare una scrollata a Yohei, che sicuramente è imbranato come il capo, aggiunse poi nella sua testa senza però dirlo ad alta voce.

“Anche se tu una cosa puoi farla!” continuò rivolgendosi, stavolta, a Rukawa che, mostrando interesse, alzò un sopracciglio.

“Beh, sei tu che devi stare a contatto con il grande Sendoh” aggiunse, con un sorriso beffardo.

“Sai, credo che Hanamichi non troverà niente del porcospino se si prende gioco di Yohei.
Saremo prima noi a spezzargli le ossa a una a una”concluse con un ghigno.

“Nh!” annuì Rukawa volgendo loro le spalle e andandosene.

In teoria, gli veniva chiesto di tenere d’occhio Sendoh, o qualcosa del genere.

In pratica, l’armata non sapeva che lui era già entrato in contatto con il giocatore a proposito di questa faccenda.

Tuttavia, avrebbe fatto bene a vedere in che modo le cose sarebbero evolute.

Hanamichi teneva troppo a Mito e anche lui aveva imparato a stimarlo.

Sarà un ritiro interessante, pensò mentre entrava nella sua stanza, fiondandosi poi sul letto.

Doveva fare scorta di sonno visto che il ritiro si sarebbe rivelato molto impegnativo sotto più punti di vista.
 

***
 

Hanamichi riagganciò con aria pensierosa.

Non si era sbagliato su Yohei.

Andò a passo lento nella stanza cercando di non farsi beccare; se gli infermieri avessero visto che si era alzato dalla sedia a rotelle, sarebbero stati guai.

Quella maledetta sedia; la detestava.

Come detestava essere rinchiuso in quella clinica quando Yohei sembrava aver bisogno di lui.

E così, il suo fidato braccio destro aveva seguito il suo consiglio andandosi a divertire.

Con la persona che gli interessava per giunta.

Dubitava però che il tutto fosse partito da Mito.

Se lo conosceva bene, questa persona aveva dovuto faticare parecchio per tirarlo fuori dalla pensione in cui alloggiava.

Inoltre, dubitava anche che fosse stato Mito a chiamare cosiddetta persona.

Quindi, se le sue ipotesi non erano sbagliate, le soluzioni al problema erano due: o questa persona si trovava già lì, oppure aveva seguito Mito provando per lui un grande interesse.

Si appoggiò al letto mentre con la mente cercava di capire quale fosse l’ipotesi più probabile.

Perché adesso doveva usare la testa per cercare di capirci qualcosa.

Un certo do’hao proveniente da una voce fin troppo nota fece capolino nella sua mente, strappandogli un sorriso affettuoso.

Lui che usava la testa... era un’idea che avrebbe divertito molto la sua kitsune che non avrebbe mancato di apostrofarlo con il suo epiteto preferito.

Per un momento, lasciò che la sua mente vagasse nei ricordi richiamando a se un volto fin troppo noto.

Anche Rukawa era lì, e quel pensiero gli faceva coraggio.

Si erano lasciati con una promessa e con poche certezze, dato che non avevano avuto il tempo di chiarirsi, tuttavia Hanamichi sapeva già cosa scegliere al suo ritorno.

Il pensiero che Rukawa stesse facendo di tutto per mantenere la sua parte di promessa lo rincuorava.

La kitsune lo stava aspettando e faceva bene, visto che lui sarebbe tornato più in forma e agguerrito che mai.

Inoltre, al momento aveva altro a cui pensare: il suo migliore amico, per l’appunto!

Perché se la sua relazione con Rukawa era arrivata a quel punto lo doveva solo a Yohei.

 E lui, anche se bloccato in clinica, non sarebbe rimasto a guardare il suo migliore amico che rinunciava alla sua vita per fargli da balia.

Era giunto il momento di ricambiare una vita di favori e presenza costante da parte di Yohei.

Con la mente, cercò di ritornare al problema iniziale.

Dunque, dov’era rimasto?

Ah, si! Alle due ipotesi a cui era arrivato: o la persona in questione si trovava già lì, oppure aveva seguito Yohei.

Vagliò con attenzione la seconda; per seguire Yohei in quel posto doveva significare solo che sapesse già la sua meta.

Per sapere la meta però avrebbe dovuto conoscerlo e non solo superficialmente visto che, e di questo Hanamichi era più che sicuro, Yohei non avrebbe scucito la bocca tanto facilmente considerata la situazione.

Hanamichi era, infatti, sicuro del fatto che Yohei non avesse avvertito neanche il suo unico parente occidentale su dove si svolgesse la riabilitazione.

Certo, aveva avvertito il signor Anzai, ma questo aveva a che fare con la squadra visto che Yohei non gli avrebbe permesso di dimenticarsi tanto facilmente del basket.

Hanamichi teneva troppo a quello sport e Mito lo sapeva fin troppo bene; motivo per cui aveva avvertito il signor Anzai e sicuramente anche alcuni componenti della squadra in modo che potessero interessarsi sulle sue condizioni.

Quindi, quell’ipotesi, alla luce di quelle conclusioni, si escludeva a priori.

Yohei non aveva nessuno di così intimo che non fossero lui stesso e l’armata, se si escludevano i familiari.

Quindi, quella persona si trovava già lì.

Questo tuttavia non chiariva un bel niente, anzi.

Com’era possibile una cosa del genere?

Che fosse lì per caso e avesse incontrato Yohei per una pura combinazione?

Ma non era troppo strano incontrare la persona che ci interessa proprio nel posto in cui ci si deve recare?

Oppure… magari era una persona conosciuta in zona.

Sì, doveva essere sicuramente così!

Magari qualcuno aveva adocchiato Yohei e ne aveva approfittato per fare conoscenza.

Eppure, perché qualcosa continuava a non tornargli?

Una sensazione vaga, eppure esistente che continuava a dargli il tormento.

Possibile che Yo arrossisse per una persona conosciuta giorni prima?

Chissà… era poco probabile ma comunque non impossibile.

Eppure, Sakuragi si ritrovò a scartare, pochi istanti dopo anche quell’ipotesi.

Yohei era, infatti, arrossito leggermente quando, il giorno prima aveva domandato se lo conoscesse. Deduceva quindi, dall’espressione dell’altro, che sì, lo conosceva!

In pratica, si trattava di una persona che aveva raggiunto Yohei in quel posto e che lui conosceva. Ma allora, chi diamine era?

E poi, quell’ipotesi, non era stata scartata a priori?

Sakuragi sbuffò insoddisfatto.

Comunque, il problema principale non era conoscere la persona in questione.

Noma aveva ragione; l’identità dello sconosciuto spettava soltanto a Yohei rivelarla.

Quello che preoccupava Hanamichi era il fatto che, essendo bloccato in clinica, non avrebbe potuto fare granché per il suo migliore amico.

Però, non disperava.

In fondo, Yohei sarebbe presto tornato a fargli visita.

Non mi scappi, amico!

Fu questo il pensiero che lo accompagnò nel sonno, insieme con un volto fin troppo noto; un volto che non lo abbandonava mai.

Ritornerò presto, Kitsune!

E, con questo pensiero, si addormentò.

 
***

Sendoh fissava serio il volto di Yohei.

Non aveva ripetuto la sua domanda, certo che Mito l’avesse capita benissimo.

Non potette fare a meno di sorridere di fronte alla reazione dell’altro.

Si vedeva che la sua affermazione lo aveva spiazzato, eppure, Yohei non aveva mostrato né sorpresa né stupore.

Solo i suoi occhi, che ora lo fissavano con altrettanta serietà e che avevano abbandonato la bonaria ilarità di pochi istanti prima, dimostravano che avesse compreso appieno le sue parole.

Quel ragazzo aveva un autocontrollo a dir poco eccezionale e Sendoh si chiese in quel momento come sarebbe stato conoscerlo meglio.

Un brivido gli attraversò la schiena al pensiero che forse Yohei sarebbe potuto essere suo.

Sarebbe stata sempre una fonte di piacere osservare come Mito, a dispetto del suo carattere così chiuso, si aprisse solo con lui.

Sì, Sendoh era sicuro che quello era un particolare che mai lo avrebbe stancato.

Tuttavia, quel momento ancora doveva arrivare, per cui non gli restava che aspettare e, nel frattempo, costruire un legame passo dopo passo.

Mito non aveva ancora parlato e Sendoh non ritenne opportuno spezzare quel silenzio.

Sicuramente, l’altro lo stava studiando.

Inoltre, il giocatore non si pentiva di quello che aveva affermato. Era vero, a occhi estranei sarebbe potuta sembrare un'ipotesi campata in aria. Magari, c’erano altri motivi che spiegavano le bizzarre particolarità di Mito.

Eppure, il tipo con i baffetti non sembrava aver parlato a caso.

Come un giapponese modello.

Queste erano state le sue parole.

Se a questo ci aggiungeva lo stupore di Mito nell’osservare i festeggiamenti, allora l’ipotesi diveniva un po’ più concreta.

Se poi s’ipotizzava anche che la capigliatura di Sakuragi fosse naturale, allora questo fatto diveniva certezza.

D’altro canto, era impossibile anche che Mito avesse delle abitudini così radicate con qualcun altro che non fosse Sakuragi stesso.

Quindi, l’affermazione era partita spontanea per lui che aveva colto tutti quei particolari.

Ora non restava solamente che aspettare la reazione di Mito.

Osservò l’altro incurvare le labbra in un sorriso sghembo.

Lo vide portare i gomiti al tavolo e incrociare le mani sotto il mento, con uno sguardo divertito.

“Come mai un’ipotesi così fantasiosa?” lo sentì dire con voce tagliente.

Mito, come Sendoh aveva previsto, stava cacciando fuori le unghie.

Il tono di voce strideva, infatti, con quella che era la sua espressione.

Più il sorriso si allargava, più Mito diventava pungente e molto, ma molto pericoloso, se considerava il suo atteggiamento da bullo che prendeva sempre più forma, sia nella postura, sia nell’attenzione con cui lo seguivano i suoi occhi.

Peccato che lui non ne fosse minimamente intimorito ma che anzi, questo fosse uno dei lati che più lo attirava.

Mito era un po’ come il fuoco: caldo e rassicurante a distanza di sicurezza, rovente se ci si avvicinava troppo senza che l’altro lo volesse.

Ma Sendoh si chiedeva come sarebbe stato farsi bruciare con il consenso del proprietario.

Non si sarebbe di certo fatto intimorire per così poco!

“Beh” rispose, guardandolo fisso a sua volta, con tono tranquillo, “ci sono vari punti che me lo confermano!” concluse, accennando un sorriso.

Il cuore gli batteva a mille, anche se la sua espressione non lo dava a intendere.

Stare con Mito gli provocava la stessa scarica di adrenalina che sentiva quando giocava una partita con un avversario parecchio difficile.

“Tipo?” gli domandò l'altro, calmo a sua volta ma sicuramente pronto per alzarsi e andare via, nella migliore delle ipotesi.

Nella peggiore, pronto a rifilargli un cazzotto.

“Vediamo…” cominciò Sendoh con calma, prendendo un altro involtino.

“Le parole dei tuoi amici, ad esempio?” gli domandò, come se stesse spiegando un’ovvietà.

Come aveva previsto Mito fu lesto nella risposta.

“Mh, parole dette a caso da tre idioti che magari hanno prima bevuto?” gli rigirò la domanda Yohei aumentando il sorriso.

Sorriso che però non si estendeva agli occhi, notò Sendoh.

Occhi che continuavano a scrutarlo attento.

“Mi sembra difficile, vista l’età!” parlò ancora il giocatore.

“Dovresti aver capito che non è un problema, per noi” lo smontò nuovamente Mito calcando pericolosamente il noi.

“E poi?” domandò ancora, appoggiandosi allo schienale a braccia incrociate e accavallando le gambe.

Sensuale.

Fu questo, quello che pensò Sendoh osservando i suoi movimenti.

Yohei gli ricordava una pantera, in quel momento.

Elegante e silenziosa nei movimenti.

Veloce e soprattutto micidiale quando decideva di agire, come aveva potuto costatare nell’unico pugno che gli aveva visto dare.

Non chiassoso come Sakuragi, né troppo silenzioso come Rukawa.

Una miscela perfetta, insomma.

Si riscosse dai suoi pensieri, decidendo di portare avanti quello strano gioco di affermazioni in cui Yohei l’aveva coinvolto.

“Poi” continuò, “non mi sembra che tu conosca granché questa festa!” disse ancora Sendoh, sicuro che Mito avrebbe smontato anche quest’affermazione.

“Forse non mi piace molto stare tra la gente” rispose, infatti, Yohei immediatamente ma Sendoh non si perse d’animo.

“Neanche a Rukawa piace la gente, eppure sono certo che non avrebbe avuto il tuo stesso sguardo” affermò sicuro.

“Mh…” mugugnò Yohei, prendendosi qualche istante per riflettere.

Il suo sguardo, notò Sendoh, rimaneva tuttavia incuriosito nonostante la serietà in cui si stava svolgendo quello strano botta e risposta.

“E che sguardo avrebbe Rukawa?” domandò ancora Yohei. “Anzi, forse dovrei chiederti che sguardo avevo io” concluse con un interesse sempre crescente.

Il suo sguardo rimaneva imperturbabile, eppure Sendoh poteva affermare con sicurezza che i suoi occhi avevano una scintilla che tutto recava tranne indifferenza.

Curiosità mista a divertimento forse, Sendoh non era ancora pronto a stabilirlo con certezza.

Eppure, di una cosa era certo: Yohei stava iniziando ad apprezzare la sua compagnia.
Le sue domande erano mirate a smontare le ipotesi di Sendoh punto per punto, però sembrava divertirsi nel fare ciò, come se fosse stuzzicato da chi aveva di fronte.

In caso contrario, non ci avrebbe pensato due volte ad andarsene; in fondo, non era stato proprio Mito a cominciare quello strano dialogo?

Segno che voleva stare ancora in sua compagnia e conoscerlo meglio, anche se in un modo tutto suo.

Motivo per cui, decise di continuare a parlare.

“Beh, le differenze sono palesi!” disse sicuro il giocatore incrociando le braccia.

“A Rukawa non piace la folla; di conseguenza non avrebbe fatto altro che mostrarsi indifferente e infastidito da tutto il baccano in giro. Tu invece” e qui fece una pausa per dare modo all’altro di afferrare il concetto, “ti guardavi intorno con curiosità mista a smarrimento in alcuni casi. Avevi lo stesso interesse di un turista!” concluse, dando modo all’altro di comprendere il pieno significato delle sue parole.

Perché, con quelle parole si era scoperto anche troppo e dubitava che Mito, a questo punto, non ci arrivasse.

“Carino il tuo ragionamento” lo schernì Mito. “Sembra che tu non abbia fatto altro che stare a fissarmi” lo provocò con ironia.

“Appunto!” gli confermò Sendoh con un sorriso pacato.

Vide lo sguardo di Yohei tingersi di stupore.

Per quanto potesse sembrare strano, lo aveva sorpreso più con quella conferma che con la sua affermazione su Hanamichi.

Eppure, non si pentiva di quello che aveva detto; era una persona molto diretta che non nascondeva le sue emozioni.

Mito, da parte sua, continuava a osservare il giocatore.

Si rendeva conto di quello che aveva ammesso?

Dal sorriso rassicurante dell’altro, la risposta doveva essere sì!

E lui, era preparato per una cosa del genere?

La risposta era, ovviamente, no!

Inoltre, aveva ancora un discorso da finire.

Motivo per cui, riportò la conversazione sulla giusta carreggiata.

“Non provare a cambiare argomento!” lo riprese con un sorriso pungente.

“Non pensavo minimamente di farlo” si difese Sendoh, allargando il sorriso.

“Dunque, dov’eravamo rimasti?” continuò a parlare provando, in questo modo, le sue parole.

“Dimmelo tu!” rispose lesto Yohei. “Dov’eravamo rimasti?”.

“Al tuo sguardo da turista” disse ancora Sendoh. “Ma direi che quel punto è stato ampiamente discusso!”.

“Passiamo oltre” continuò sicuro.

“Veniamo al punto in cui ti sei tradito” lo provocò con un sorriso.

Yohei sgranò gli occhi con crescente curiosità.

“Io? Mi sarei tradito? E quando?” domandò, con un’espressione scettica.

“Con i fuochi artificiali” rispose Sendoh con tono neutro.

L’affermazione però non chiarì le idee a Yohei che continuò a guardarlo con aria interrogativa.

“E non te ne sei neanche accorto, a quanto pare!” aggiunse il giocatore, con un sospiro bonario.

“Sai, Rukawa mi avrebbe dato dell’idiota se gli avessi proposto di andare a vedere i fuochi artificiali a quell’ora” terminò con un sorriso rassicurante, certo che stavolta il concetto sarebbe stato più chiaro.

Yohei lo guardò portandosi poi una mano sugli occhi con fare riflessivo.

Il giocatore aveva dannatamente ragione; aveva smontato, con una sola frase, due delle sue risposte.

Yohei gli aveva, infatti, detto di non amare la gente e i luoghi affollati.

Sendoh, ovviamente, aveva preso d’esempio Rukawa che si prestava bene per quel tipo di ruolo dato che, al di fuori di un campo da basket, poteva assomigliare molto a un orso, possibilmente in letargo.

Poi, continuando a sfruttare questo esempio gli aveva fatto capire di aver commesso una gaffe sui fuochi artificiali.

Perché Rukawa, anche se non amava la folla, si sarebbe accorto dell’orario insolito dandogli così dell’idiota.

Yohei, ora che ci rifletteva, lo trovava logico.

Qualunque persona, infatti, avrebbe guardato Sendoh in modo strano facendogli notare la sua piccola svista sull’ora.

Lui, invece, no! Ma la cosa che lo aveva tradito non era stata tanto il non averlo contestato sull’ora, quanto piuttosto il fatto che lo avesse seguito credendo realmente di andare ad assistere allo spettacolo pirotecnico.

E Sendoh, da ottimo osservatore, se ne era accorto.

Ecco perché si era premurato di spiegargli il perché poi avesse deciso di cambiare meta.

Mito aveva creduto che, quelle spiegazioni nascessero a causa dalle parole di Noma e non aveva dato peso più di tanto a quelle parole.

Invece, era stata tutta una macchinazione del giocatore.

“Lo hai fatto apposta!” lo accusò con tono duro.

Che idiota!

Lui credeva che sarebbe stata una serata diversa, ma non fino a questo punto!

Si era fatto giocare come un pivello, e questo proprio non lo sopportava.

Ora, era decisamente nero!

Una cosa era uscire e iniziare a dialogare del più e del meno.

Aveva, infatti, ben tollerato l’uscita del giocatore su Hanamichi.

Sendoh lo incuriosiva, e si era divertito in quel botta e risposta.

Ma capire di essere stato oggetto di trappole per tutta la serata, questo lo faceva infuriare.

Si trovò a domandarsi ancora una volta, cosa diamine volesse il giocatore da lui!

Forse, non provava interesse nei suoi confronti.

Forse voleva avvicinarsi a lui per qualche scopo.

Hanamichi!

Quel suo continuo nominare il suo migliore amico… poteva significare qualcosa?

A quel punto, decretò Yohei, non aveva senso continuare in quella farsa.

Si alzò deciso, avvicinando il suo volto al giocatore.

“Trovati qualcun altro con cui giocare!” disse duro, prima di dargli le spalle.

Quella serata era durata anche troppo per i suoi gusti.

Mentre si allontanava però, non poté impedire alla tristezza di prendere il sopravvento.
 
 

Continua…

Note:

In questo capitolo, vediamo Rukawa che entra in contatto con l’armata.

Inoltre, abbiamo Yohei in versione film mentali.

Conosciamo anche il ragionamento che ha fatto Sendoh per pronunciare l’affermazione con cui concludo il capitolo precedente.

Non è stata comunque l’unica ipotesi del numero sette, ma questo lo chiarirò nei capitoli più avanti.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come il solito, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 

Capitolo 12.
 

Yohei camminava a passo lesto tra la folla sgomitando tra i passanti.

Che coglione!

Era questo il suo costante pensiero.

Non si riferiva a Sendoh però; l’insulto era rivolto a se stesso.

Era stato un idiota e si era fatto bleffare come un principiante!

Ma non era questo a dargli fastidio quanto il pensiero che tutto quello che era riuscito a fare fosse stato scappare.

Non era un comportamento che si addiceva con il suo modo di fare, considerato che aveva iniziato lui stesso quello scambio di battute.

Si fermò osservando la spiaggia e ammettendo con se stesso che, con la sua fuga, si era comportato da stupido.

Era scappato nel momento in cui i suoi pensieri si erano fermati a Hanamichi.

Il pensiero che Sendoh stesse usandolo per avvicinarsi al suo migliore amico l’aveva appena sfiorato e lui era scattato come una molla.

Diveniva impossibile, a quel punto, non darsi del coglione da solo.

Quell’ipotesi non stava in piedi, non solo per le parole di Rukawa ma anche per come si erano svolti i fatti.

E poi, perché Sendoh avrebbe dovuto usarlo per avvicinarsi a Hanamichi quando gli bastava aspettare l’inizio della scuola per vederlo?

Gelosia!

Forse era questo, quello che aveva provato.

No! Si corresse poi mentalmente.

Non era gelosia quella che aveva provato e che provava tuttora.

Tristezza.

Sì, inutile negarlo, si era sentito terribilmente triste in quel preciso istante.

Il pensiero che Sendoh fosse interessato a lui, gli era piaciuto sin dall’inizio, questo doveva ammetterlo.

Eppure, la cosa era abbastanza strana.

L’asso del Ryonan interessato a lui; che situazione pazzesca.

Però, il pensiero che si trattasse proprio del grande Akira Sendoh lo aveva fatto sentire lusingato.

In cuor suo però continuava a domandarsene il perché.

Quando Rukawa gli aveva detto dell’interesse di Sendoh, era scappato con due scuse: la prima, verso se stesso giustificandosi in cuor suo che doveva analizzare meglio la situazione; la seconda verso il numero undici, affermando che doveva andare in clinica da Hanamichi.

Ora invece era scappato perché, il solo pensiero che Sendoh non fosse interessato a lui gli aveva provocato dolore facendolo agire in maniera del tutto incoerente.

Avrebbe tanto voluto continuare ad ascoltare l’altro mentre parlava delle sue ipotesi.
Ipotesi che, tra l’altro, aveva difeso con le unghie e i denti smontando tutte le sue risposte.

Invece, si trovava lì, fra un mare di gente sconosciuta, a osservare il mare.

Solo.

Ancora una volta, con la solitudine a fargli compagnia.

Scavalcò la ringhiera, andando a sedersi sulla sabbia.

Non era da lui comportarsi così.

Ma, in fondo, cos’era da lui?

Non si era mai trovato in una situazione del genere.

Ripensò alla sua strana amicizia con Rukawa e al modo in cui era nata.

In particolare, quando aveva beccato il numero undici a casa di Hanamichi.

Sembrava passato un secolo invece, il tutto era successo soltanto pochi mesi prima.

Yohei teneva d’occhio Rukawa già da un po’ ma quella era stata la prima volta in assoluto che aveva potuto parlare con lui a quattr’occhi.

Quella sera, non avevano fatto altro che studiarsi a vicenda, ognuno pronto ad avere la meglio sull’altro e attenti tutti e due a cogliere il più piccolo particolare che potesse far vacillare le ipotesi di entrambi.

Yohei, per la prima volta si mise nei panni di Rukawa durante quella bizzarra conversazione.

Il numero undici aveva mantenuto un controllo invidiabile e Mito capì quanto dovesse essere stato difficile.

In quel momento, capì quanto fosse stato grande, già da allora, l’interesse che aveva Rukawa verso Hanamichi.

Lui aveva mantenuto un sangue freddo invidiabile certo, ma Kaede Rukawa lo aveva battuto.

Perché era lui a dover mettere in discussione i suoi sentimenti.

Mito non faceva altro che difendere gli interessi di Hanamichi; Rukawa invece con Hanamichi non aveva nessun legame all’epoca.

Yohei aveva già Hanamichi, Rukawa no; ed era questa la differenza sostanziale.

Se nei loro scambi di battute lui non era il soggetto principale, Kaede Rukawa invece sì.
Rappresentava la controparte.

Mito, nel loro scambio di battute passato, non aveva messo in gioco i suoi sentimenti, Rukawa invece sì.

Perché, il bene che provava Yohei verso Hanamichi era diverso dal sentimento che invece provava Rukawa.

Un sentimento tanto grande quanto devastante, che lui forse non avrebbe mai potuto capire perché non lo aveva mai provato.

Devastante!

Sì, era la parola adatta per definire quel sentimento.

Lo stesso sentimento che, in quel momento, provava anche lui per la prima volta.

Inutile continuare a mentire, già aveva fatto fin troppo la parte dell’idiota: Sendoh gli piaceva.

Però, aveva rovinato tutto.

Lui si vantava di avere un controllo invidiabile eppure, di fronte a una piccola incertezza, tra l’altro del tutto inesistente, era scappato come un ragazzino.

Rukawa invece aveva giocato con lui alla pari pur di conquistare Hanamichi.

E, in quel momento, Mito capì che il numero undici lo aveva definitivamente battuto.

Non era mai scappato, non aveva mai rinunciato, non si era mai tirato indietro.

E, dopo mesi di osservazioni silenziose e sotterfugi, era stato finalmente ricompensato.

Il vuoto che doveva aver provato il numero undici a quei tempi stato riempito da Hanamichi.

Il vuoto che invece provava in quel momento Yohei era destinato a rimanere tale.

Perché di certo, a quel punto, Sendoh avrebbe definitivamente rinunciato.

In fondo, si consolò Yohei, era meglio così.

Che diamine poteva mai trovarci Akira Sendoh in uno come lui?

Eppure, perché provava quell’insensata voglia di piangere?

Lui che non aveva pianto quasi mai.

Lui che si era sempre vantato di poter avere tutto sotto controllo.

Osservò la sabbia, prendendone una manciata tra le dita.

Osservò i granelli scivolare tra le dita considerando che lui era proprio come quei granelli.

La sua freddezza, il suo controllo erano scivolati via allo stesso modo della sabbia.

E, quello che, infine, rimaneva tra le mani era il vero Yohei.

Nulla, pensò osservando la mano vuota.

Sentì una lacrima rigargli la guancia.

In fondo, si consolò, non avrebbe saputo nessuno di quel momento di debolezza.

In fondo, pensò, non sarebbe importato a nessuno.

Perché, il giorno dopo, anzi no, fra qualche ora, la sabbia avrebbe finalmente ripreso il suo posto.

Fra qualche ora, sarebbe tornato quello di sempre.


Poco importava se la tristezza sarebbe svanita oppure no.

Poco importava il fatto che si stesse comportando da vigliacco.

Perché sapeva che senza quella sabbia sarebbe rimasta solo una mano vuota.

Senza quella sabbia, tanto faticosamente tenuta su, Yohei non era sicuro di poter continuare la sua vita di sempre.

“Sapevo che ti avrei trovato qui!”

La voce alle sue spalle lo fece sussultare.

Possibile che…

Si asciugò in fretta gli occhi costatando che non ce ne fosse bisogno.

L’unica lacrima versata si era già asciugata da sola.

Mito si voltò verso il numero sette che, come il giorno precedente, andò a sedersi accanto a lui sulla sabbia.

Osservò il suo volto.

Era terribilmente serio.

Yohei si ritrovò a rifuggire quello sguardo.

Mai aveva visto il giocatore con un’espressione così dura.

Evidentemente, anche la calma storica di Sendoh era destinata, prima o poi, a crollare.

Devo averglieli fatti girare alquanto, si ritrovò a pensare Yohei preparandosi a quello che il giocatore gli avrebbe detto.

Non poteva essere nulla di buono, valutò ancora, visto che l’aveva rincorso tra la folla.

Mi sa che stavolta mi becco un pugno, considerò fra sé pensando che, in fondo, se l’era cercata.

Fu con questo pensiero che si voltò verso il giocatore, decidendo di fronteggiarlo.

Con suo stupore però, la voce calma di Sendoh, che non aveva nulla della burrasca, lo prese nuovamente in contropiede.

“Hai frainteso tutto!” parlò ancora Akira girandosi a osservarlo.

Era serio, valutò Yohei, ma di certo non si trovava lì per insultarlo o per tirargli un pugno.

Voleva spiegarsi e continuare a parlare.

“Senti” incominciò Yohei, “riguardo a prima” provò a spiegarsi ma la voce di Akira troncò il discorso sul nascere.

“No, ascoltami tu!” lo interruppe il giocatore. “Hai frainteso tutto e voglio che questo ti entri in testa!” continuò, accompagnando però la durezza della frase con un sorriso rassicurante.

“Volevo realmente andare in spiaggia, non l’ho detto per tenderti un tranello dopo le parole del tuo amico” disse velocemente.

“Mi sono reso conto dopo che l’orario non era giusto per i fuochi artificiali” concluse con un sorriso.

“Mi è sembrato di farti capire” aggiunse dopo alcuni istanti di pausa, “che se voglio sapere qualcosa vado direttamente alla fonte delle informazioni, senza usare mezzucci, e voglio che questo sia chiaro” terminò definitivamente osservando il volto di Yohei.

“Mi dispiace” disse solamente Mito sentendosi terribilmente stupido.

Il fatto che avesse frainteso tutto lo aveva già capito da solo; era bastato pensare alla situazione con un minimo di riacquistata lucidità.

Sentire il giocatore che però gli dava un’ulteriore conferma del suo sbaglio, lo faceva sentire doppiamente un idiota.

Tutto quello che poteva fare, a quel punto, era solo scusarsi.

“Mi dispiace” disse ancora, senza tentennamenti nella voce.

Aveva sbagliato ed era giusto così.

“Figurati” lo sorprese ancora una volta Sendoh. “In fondo ero io che dovevo pagare il conto” gli disse, indicandogli il peluche che aveva portato con sé.

Solo allora Mito sembrò notare il pupazzo.

Sendoh si era premurato di corrergli dietro ma non aveva lasciato il pupazzo nel locale.

E poi, non sembrava arrabbiato per la sua fuga. L’aveva seguito semplicemente per spiegargli com’erano andate le cose.

Era questo che gli interessava, valutò Yohei; metterlo a conoscenza dei fatti e fare in modo che lui li capisse bene.

“Hai finito?”.

La voce del giocatore lo riscosse nuovamente dai suoi pensieri.

“Di fare cosa?” domandò Yohei meccanicamente.

“Posso vedere le rotelle che si muovono all’interno della tua testa!” esclamò il giocatore con allegria.

“Dovresti pensare di meno, lo sai?” domandò bonario, guardandolo con affetto.

Yohei si accorse di quello sguardo carico di tenerezza.

Era la prima volta che il giocatore lo guardava così da quando erano usciti.

Certo, gli aveva sorriso più volte ma non aveva mai fatto trasparire null’altro dal suo sguardo.

Che avesse deciso di giocare a carte scoperte, non nascondendo l’interesse che sembrava avere per lui?

Mito non avrebbe saputo dirlo, fatto stava che si ritrovò a rifuggire quello sguardo sentendo le sue guance colorirsi appena.

Ripensò alle parole appena pronunciate del giocatore e un sorriso, mentre osservava il mare, comparve sul suo volto.

“È lo stesso consiglio che ho dato a Hanamichi un po’ di tempo fa” disse, pensando al lato ironico della situazione.

“Ottimo consiglio, da parte di un ottimo amico!” approvò Sendoh con voce allegra, guardandolo con un sorriso accattivante.

“Già, suppongo di sì!” confermò Yohei sorridendo di rimando.

“Vediamo se riesco a essere all’altezza di quell’amico, dandoti un consiglio a mia volta” continuò Sendoh con il suo modo di fare pratico e con tono allegro.

“Vediamo” lo provocò Yohei fingendo di metterlo alla prova, con espressione bonaria.

Era questa la caratteristica di Sendoh, pensò.

Riuscire a trasformare in poco tempo un’atmosfera tesa in un clima rilassato e giocoso.

“Che ne diresti di pensare finalmente a te stesso?” disse e stavolta, il tono, era carico di dolcezza.

La domanda era stata appena sussurrata non perdendo però così la sua importanza.

Mito si ritrovò a fissare quel volto pensando che era la seconda volta che gli dicevano la stessa cosa.

 Anzi, la terza se si contava anche Hanamichi.

Certo, le parole erano state di volta in volta differenti ma il concetto rimaneva lo stesso.

Eppure, benché il significato fosse lo stesso ogni volta, quel consiglio gli aveva provocato reazioni diverse.

Con Hanamichi aveva provato un certo stupore iniziale e poi una crescente preoccupazione.

Preoccupazione perché non pensava minimamente di prendere in considerazione le parole dell’amico, quindi si domandava come avrebbe fatto senza la sua compagnia in quei giorni difficili.

Poi, nel giro della stessa ora, ecco che Kaede Rukawa gli diceva la stessa cosa.

Il tono era stato spiccio e pratico, così tipico del carattere della super matricola.

Eppure, il concetto non era apparso meno significativo rispetto a quello espresso dal suo amico.

Hanamichi aveva usato dei preamboli e un tono scherzoso, Rukawa l’aveva invece liquidato con una sola parola in croce.

E Yohei ricordava di aver provato fastidio, ma non per il consiglio in sé.

Il fastidio era comparso per il fatto che Rukawa sembrava aver compreso Hanamichi meglio di lui in quella determinata occasione.

Poi, ecco che il giorno successivo, Akira Sendoh gli ribadiva lo stesso concetto.

Il tono era, ancora una volta, diverso.

Dolce.

Sì, anche lo sguardo del numero sette era carico di tenerezza.

La voce era stata appena un sussurro.

Lo sguardo era invece carico di aspettativa.

E Mito capì il perché di quell’espressione.

Sendoh gli stava consigliando di pensare più a se stesso, volendo entrare a far parte della sua vita.

Anche le sensazioni erano, ancora una volta diverse.

Perché stavolta Yohei non provava nessuno stupore e nessun fastidio ma solo un’insensata voglia di ascoltare finalmente quelle parole così uguali, provenienti da tre persone così diverse.

Voglia di lasciarsi andare accompagnata a un’insensata voglia di piangere.

Perché Mito aveva solo sedici anni.

Perché Mito aveva vissuto per troppo tempo i problemi di Hanamichi sorvolando sui propri; facendo addirittura finta che non esistessero.

E dire che neanche la sua situazione era granché facile.

Eppure, quando in passato Hanamichi aveva provato a farlo aprire un po’, lui aveva sempre scrollato le spalle con indifferenza dicendo che non erano cose importanti.

Chiuse gli occhi, non riuscendo a reggere lo sguardo del giocatore.

Chiuse gli occhi, non sapendo come comportarsi di fronte a tutte quelle sensazioni nuove.

Portò una mano alla fronte, con fare stanco.

Chi avrebbe mai detto che l’estate sarebbe andata in quel modo?

Vide che il giocatore rimaneva zitto rispettando il suo silenzio.

Silenzio che Mito decise di spezzare.

“Credo che sia un ottimo consiglio” disse con un sorriso, “Visto che è stato lo stesso di Hanamichi” concluse, sapendo che il giocatore avrebbe capito.

Sendoh, infatti, afferrò pienamente il significato di quelle poche parole appena sussurrate.

Non capiva perché, in effetti, stessero parlando così a bassa voce, ma non gli dispiaceva.

Perché quelle frasi sussurrate, in questo modo, sembravano appartenere solo a loro.

Sorrise apertamente di fronte alle parole dell’altro.

Hanamichi doveva essere la persona che Yohei stimava di più in assoluto e, essere paragonato a lui, era quanto più il giocatore potesse aspettarsi.

Finalmente, lo spesso muro che Yohei sembrava aver innalzato fra lui e il mondo stava cedendo.

Fu per questo che continuò a parlare.

“Dimentica l’argomento di prima” disse sicuro.

Yohei lo guardò di rimando, incuriosito.

“Voglio conoscerti meglio” continuò il giocatore, “ ma voglio anche che tu ti senta pronto a raccontare” concluse dando modo all’altro di afferrare il concetto.

“Non c’è problema!” lo sorprese Yohei.

“In fondo, sono stato io a cominciare” disse in maniera scherzosa.

"È vero” gli confermò Sendoh con tono allegro. “Ma sai” continuò con lo stesso tono, “non vorrei rincorrerti per tutto il paese” concluse, prendendolo bonariamente in giro per l’insensata fuga di poco prima.

“Ma come” rispose allora Yohei sulla stessa lunghezza d’onda, “non sei uno sportivo?” domandò innocentemente.

“Sì, ma il ritiro comincia domani” rispose sicuro il giocatore.

“Va bene! Allora non mi resta altro da fare se non darti la prova che non intendo muovermi da qui!” rispose Mito stendendosi sulla sabbia a braccia incrociate dietro la testa e assumendo una posizione di assoluto relax, confermando così le sue parole.

“Voglio fidarmi” scherzò ancora Sendoh stendendosi a sua volta su un fianco e poggiando la testa sulla mano in modo da poter osservare il volto di Mito.

“Solo una cosa” domandò Yohei incuriosito.

“Quando prima hai affermato che ritieni che Hanamichi non sia giapponese” cominciò facendo capire all’altro cosa intendesse.

“Si?” domandò l’altro incitandolo a continuare.

“Perché, come prima cosa a favore della tua tesi, non hai nominato il suo colore di capelli?” domandò con vero interesse nella voce.

“Beh” rispose Sendoh inarcando un sopracciglio, “Perché mi avresti immediatamente smontato dicendo che tutti i teppisti si tingono i capelli” concluse con ovvietà riferendosi, in maniera sottintesa, all’altro componente del gruppo tinto di biondo.

Sentì Yohei ridacchiare piano.

“È vero” confermò. “Ti avrei risposto proprio questo” disse colpito, ancora una volta, dalla perspicacia del giocatore.

“È stata la tua prima ipotesi?” domandò ancora Mito con tono rilassato.

“In realtà, no!” rispose Sendoh guadagnandosi l’occhiata interessata di Yohei.

“Ho pensato a tante cose!”.

“Tipo?” lo incitò a parlare Mito.

“Tipo che tu fossi stato molto tempo all’estero” gli rivelò Sendoh.

“E perché non lo hai detto come prima ipotesi?” domandò Yohei sempre più incuriosito, poggiandosi a sua volta su un gomito.

“Perché eri troppo schivo!” gli rispose ancora il giocatore con ovvietà.

“Mh?” mugugnò l’altro in segno di domanda.

“Eri troppo riservato per essere una cosa che riguardava soltanto te” si spiegò meglio il giocatore.

“Non avevi l’aria di chi non vuole far sapere qualcosa di se, quanto più l’atteggiamento di chi difende gli interessi di qualcuno. Lo stesso atteggiamento che hai assunto durante i nostri primi incontri” continuò a spiegare.

“Se fosse riguardato solo te, mi avresti mandato al diavolo” riprese dopo un istante di pausa.

“Invece, mi hai invitato a dire ciò che pensavo. Suppongo fosse per vedere quanto io avessi capito e quindi smontarmi ad ogni passo. E, visto il legame che hai con Hanamichi, è stato immediato capire quale fosse il soggetto” terminò con un sorriso.

“Capisco!” disse solamente Yohei ritornando a stendersi.

Oramai, era inutile continuare a sorprendersi sull’intuito dell’altro.

Aveva capito il suo modo di fare in poche ore e questo non lo infastidiva più.

“E non ti interessa sapere se hai fatto centro?” domandò a quel punto.

“Mi interessa di più continuare a frequentarti” rispose sicuro il giocatore.

Yohei lo guardò inarcando un sopracciglio con fare scettico.

“Non l’hai ancora capito?” domandò nuovamente il giocatore.

“Capito cosa?” chiese Mito di rimando.

Sendoh gli indicò, con un cenno del capo, il peluche posato accanto a loro.

Mito seguì il suo sguardo non riuscendo però a indovinarne i pensieri.

“Mi ricordava la tua espressione. I suoi occhi, mi richiamavano alla mente i tuoi” cominciò il giocatore fissando il pupazzo.

“Per questo ho fatto una clamorosa figuraccia” aggiunse ridendo.

“Per questo mi ero così incaponito su quest’oggetto” continuò, ritornando serio.

Mito lo ascoltava attento, non interrompendo quel discorso che, lo sentiva, era il preambolo per qualcosa di più importante.

“Lo volevo a tutti i costi” rivelò Sendoh.

“Volevo quel pupazzo a tutti i costi” gli confermò ancora, rimarcando le sue parole.

“Questo perché voglio, a tutti i costi, te” disse piano Sendoh marcando l’ultima parola e voltandosi a osservare Yohei.

Mito si ritrovò a deglutire senza riuscire a parlare.

“Perché?” disse solamente.

Lui non poteva saperlo ma anche qualcun altro, mesi addietro, aveva rivolto la stessa domanda.

Una domanda composta da una semplice parola, che però racchiudeva un significato ben più grande.

Perché Mito, proprio come quella persona, era fondamentalmente insicuro ma nascondeva con efficacia questo suo lato mascherandolo con la freddezza.

Proprio come quella persona, che nascondeva questa caratteristica con le sue pagliacciate.

Peccato che però non tutti si lasciassero ingannare da questa maschera.

Era stato così per Hanamichi mesi addietro.

Era così per Yohei, in quel preciso istante.

“Perché, mi dici?” domandò Sendoh, con sguardo terribilmente serio.

“Perché non c’è cosa che non mi piaccia di te!” disse solamente.

Non sentiva il bisogno di aggiungere altro.

Sapeva che l’altro avrebbe perfettamente capito il significato delle sue parole.
 

Continua…

Note:

In questo capitolo, richiamo alcune scene de “Il tuo vero volto”.

Le situazioni sono analoghe e la cosa è voluta dato che mi ripropongo, in questa fic, di raccontare il passato di Mito dando così spessore al personaggio.

Le situazioni, più avanti, ricorderanno molto quelle che ci sono state nella mia prima fic solo che si avranno i protagonisti invertiti.

La storia sarà, infatti, costruita in questo modo dato che cercherò di spiegare la vera e propria nascita del rapporto fra Mito e Sakuragi, non basandomi solo sulle vicende del numero dieci.

In questo modo cercherò di riempire i “vuoti” del passato di Mito, così come ho fatto per Sakuragi, dando al personaggio una consistenza più concreta.

Spero di aver fatto un buon lavoro.

Come il solito, aspetto i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio tutti quelli che sono giunti fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 13.
 
 

Yohei ascoltò le parole del giocatore in silenzio.

Finalmente, Sendoh gli confermò quello che Rukawa gli aveva già detto.

E, a quanto pareva, non sembrava più intenzionato a nasconderlo.

“Perché?” si ritrovò a ripetere.
Sendoh sospirò.

Era preparato, infatti, all’incredulità dell’altro. Fu per questo che non si perse d’animo.

“Perché mi piaci?” gli domandò con un sorriso.

Yohei annuì con la testa.

Sendoh iniziò a ridere allegramente.

“Hai sbagliato domanda” rispose sorridente.

Yohei inarcò un sopracciglio di rimando.

“Cioè?” chiese scettico.

“La domanda giusta è: perché non dovresti piacermi?” gli spiegò sereno.

“Non mi conosci” rispose pratico Yohei, incurvando le labbra in una linea dubbiosa.

“Neanche Rukawa conosceva Sakuragi” tornò alla carica Sendoh.

“Eppure, io credo che gli sia piaciuto fin dal primo momento. E anche per Sakuragi deve essere stato così, no?” domandò all’altro conoscendo tuttavia la risposta.

Infatti, Mito annuì piano.

“Credi davvero che serva una conoscenza decennale per queste cose?” riprese il giocatore.

“Certe cose si sentono. E il mio istinto non sbaglia mai!” continuò in quello che, a occhi esterni, poteva sembrare un monologo.

Solo a occhi esterni però, perché Yohei partecipava con il suo silenzio non perdendosi una sillaba di quanto dicesse il giocatore.

E lo stesso era per Sendoh, attentissimo agli occhi dell’altro.

Era più un dialogo silenzioso quello, che un dibattito rumoroso.

Uno parlava seguendo gli sguardi dell’altro, l’altro ascoltava prestando attenzione alle inflessioni della voce di chi aveva accanto.

Ha una voce molto bella, si ritrovò a pensare incoerentemente Yohei.

“E credo di piacerti anch’io!” disse il giocatore dopo un po’, non rinunciando alla sua allegria.

Vide Mito inarcare un sopracciglio e guardarlo con disappunto.

“Ah, si?” domandò Yohei scettico non riuscendo a trattenersi.

“Sì” confermò l’altro con tranquillità.

“E come fai a esserne così sicuro?” indagò Mito.

“Perché altrimenti mi avresti già mandato al diavolo” fu pronto nella risposta, come sempre, Sendoh.

“Veramente” si sentì in dovere di correggerlo Yohei, “L’ho già fatto!” ghignò, riferendosi alla loro prima conversazione.

“Giusto” approvò il giocatore. “Ma non sei stato molto incisivo” gli appuntò con un sorriso furbo calcando bene le parole e riferendosi anche lui alla prima volta che si erano parlati.

“Di certo, ti incuriosisco” continuò poi con più serietà. “Di sicuro non hai lo stesso interesse che ho io per te, ma poco importa!” alzò le spalle con semplicità.

“E perché?” non potette fare a meno di domandargli Mito.

Sendoh lo stava travolgendo con molte parole eppure, il tono calmo che aveva nel conversare non metteva ansia nell’animo di chi ascoltava.

Era di certo un ottimo conversatore quando lo voleva, pensò distrattamente Yohei.

Fu a causa di questi pensieri che, quando voltò il viso in cerca dell’altro, se lo ritrovò a una distanza ravvicinata.

“Perché ti farò innamorare di me!” sussurrò Sendoh a pochi centimetri dal suo volto.

“Così come lo sono io di te!” concluse, rimanendo a poca distanza dall’altro, con voce flebile eppure perfettamente chiara.

Quando si è avvicinato?

Fu tutto quello che riuscì a pensare Yohei in quel momento.

Innamorato!

Sendoh non era solo interessato, era innamorato!

“Io…” incominciò Yohei interrompendosi subito dopo ma non abbassando lo sguardo.

Che avrebbe dovuto dire in una situazione come quella?

Con il giocatore a quella distanza effimera poi.

Sendoh, da parte sua, continuava a non scostarsi guardandolo fisso negli occhi.

Yohei ebbe il sospetto di essere arrossito parecchio.

Inutile, ovviamente, sperare che l’altro non lo notasse.

“Mi darai la possibilità di frequentarti?” domandò Sendoh con voce bassa e sensuale eppure, al contempo, carica di aspettativa.

Yohei deglutì di rimando cercando di riacquistare, almeno in parte, un po’ del suo sangue freddo.

“Suppongo che non riuscirei a impedirtelo” disse costatando che, nonostante tutto, la voce era ferma e complimentandosi quindi con se stesso per non aver dato vita a parole balbettate e suoni sconnessi.

“Supponi bene!” gli sorrise Sendoh tornando al suo posto.

Il sospiro dell’altro per quella nuova distanza gli arrivò forte e chiaro alle orecchie ma decise di soprassedere.

Mito non doveva amare molto i contatti fisici e lui, per questo, lo rispettava.

Perché era vero quello che aveva detto; voleva farlo innamorare di sé non portarselo semplicemente a letto.

Di conseguenza, voleva creargli meno disagio possibile.

Il contatto sarebbe venuto poi e a Sendoh non importava sapere quando.

A lui bastava semplicemente poter godere ancora della compagnia di Yohei e avere l’esclusiva su di lui; sulle sue espressioni, sulle sue risate, sulla sua voce allegra.

Sì, pensò guardando l’altro che fissava ostinatamente davanti a se.

Un contatto più approfondito era l’ultima cosa che desiderava in quel momento.

Distratti dall’atmosfera non si accorsero del tempo che era passato.

Il primo fuoco pirotecnico li fece sobbalzare entrambi, che si guardarono in volto sgranando gli occhi.

“A quanto pare, il tempo è volato” disse Sendoh, sentendo il suo cuore tornare a battere a una velocità più moderata.

“Che spavento” aggiunse ridendo e osservando un secondo fuoco far compagnia a quello precedente.

“Mh…” mugugnò Yohei che aveva ancora una mano al petto.

“È la prima volta, vero, che assisti a questa festa?” domandò Sendoh, stendendosi sulla sabbia, con voce tranquilla.

Il tono però non era indagatore; si trattava, infatti, di un semplice inizio di conversazione.

Yohei, che con il giocatore a quella distanza si sentiva decisamente più lucido, tornò a distendersi decidendo di abbandonare, almeno per il momento, tutte le ostilità.

“Già!” gli confermò con altrettanta tranquillità, portando un braccio dietro la testa.
Intanto, i fuochi scorrevano su di loro, dando vita a disegni bellissimi.

Per parecchi minuti i loro occhi furono troppo impegnati ad ammirare le complicate forme colorate che si estendevano su di loro.

Il cielo, visto da quella prospettiva, si mostrava in tutta la sua immensità e bellezza.

Sendoh si voltò a osservare il viso tranquillo di Yohei che osservava lo spettacolo con la bocca increspata da un sorriso e con gli occhi illuminati da mille bagliori diversi.

Fu travolto da quello sguardo così sereno e sinceramente ammirato, tanto da spezzare il silenzio che li accompagnava da parecchi minuti.

“Vorrei che ne conservassi un buon ricordo!” esclamò il giocatore con semplicità.

Vorrei che lo conservassi anche tu, pensò Mito capendo immediatamente il senso della frase nonostante fossero passati buoni venti minuti da quando il giocatore aveva parlato.
La risposta partì automatica nella sua mente ma non trovò però il coraggio di esprimersi ad alta voce.

“Credo che si possa fare!” disse invece con il tono scanzonato che lo distingueva e cercando, in questo modo, di prendere tempo da tutte quelle nuove sensazioni che lo avevano investito.

Sendoh sorrise a quelle parole non potendo fare a meno di allungare la sua mano verso sinistra, alla ricerca di quella dell’altro.

La trovò con facilità, allungando le dita sul palmo dell’altro.

Il suo sguardo era sempre rivolto verso il cielo ma dentro di sé sperava che l’altro non si scostasse. Perché, in quell’istante, sentiva di non desiderare null’altro che non fosse la mano di Yohei stretta nella sua, mentre entrambi si godevano quel cielo così colorato e suggestivo.

Sentì Yohei irrigidirsi ma non ritirare la mano e questo lo spinse a non scostare la sua.
Attese qualche istante prima di intrecciare le lunghe dita in quelle dell’altro scoprendo che, proprio come aveva ipotizzato, la sua pelle era morbida al contatto.

Che strano teppista, pensò con un sorriso.

La mano di Mito sembrava, al tatto, molto curata.

E anche molto fredda, valutò fra sé pensando quanto gli sarebbe piaciuto poterle riscaldare entrambe con le sue.

Yohei lo lasciò fare, rilassandosi poco a poco.

E rimasero così a lungo.

Le loro mani erano intrecciate, i loro volti atti a guardare lo spettacolo pirotecnico, i loro cuori riscaldati dalla vicinanza dell’altro.

Passarono ore che sembrarono istanti.

Continuarono a tenersi per mano, senza parlare, per tutta la durata dello spettacolo.

Quando anche l’ultimo fuoco fece capolino nel cielo nessuno dei due si scostò.

Rimasero ancora mano nella mano osservando il manto stellato che prendeva il posto dei colori allegri e vivaci dei fuochi d’artificio.

Eppure, Sendoh si rese conto che quel contatto non poteva durare in eterno.

A malincuore, staccò la mano da quella di Yohei sciogliendo le dita e interrompendo lentamente il contatto.

Si girò a guardare il volto di Mito che, osservando le stelle, appariva come al solito imperscrutabile.

Di sicuro non gli aveva dato fastidio l’iniziativa che Sendoh aveva preso.

Il giocatore però non sapeva neanche se l’avesse gradita.

Motivo per cui, aveva deciso di non rischiare oltre per quella sera.

In fondo, Yohei gli aveva garantito che avrebbero continuato a frequentarsi.

Per questo sorrideva sereno.

Era certo di aver ottenuto un grosso risultato.

Non poteva sapere che, da lì a pochi minuti, le sue speranze sarebbero crollate miseramente.

Non poteva sapere che, di lì a pochi minuti, avrebbe cominciato la partita più difficile della sua vita: quella contro i fantasmi del passato di Yohei.

Nel frattempo, Mito rimuginava fra sé.

La mano del giocatore si era staccata e lui si sentiva strano ora che le dita di Sendoh non erano più intrecciate alle sue.

Non che avesse fatto nulla per incoraggiarlo, era, infatti, rimasto fermo ad aspettare la mossa successiva del giocatore.

Mossa che però non c’era stata.

E, a quel punto, Mito si era lasciato andare trovando le mani del giocatore piacevolmente calde.

O forse, era lui che le aveva sempre troppo fredde, considerò ripensando a quante volte Hanamichi l’avesse preso in giro per il fatto che cercasse di riscaldarsi sempre e ovunque le mani in qualunque posto fosse.


“Se cercate Yo” era solito sfotterlo Hanamichi nei mesi invernali, “guardate vicino al primo termosifone: ci troverete le sue mani sopra e quindi anche il proprietario”.

“In fondo” aggiungeva poi a bassa voce, in modo che nessuno potesse sentirlo, “le devi preservare” e gli faceva l’occhiolino.


Il contatto con la mano di Sendoh sembrava essere divenuto normale tanto che Mito aveva avvertito uno strano gelo quando il giocatore lo aveva interrotto.

Vide Sendoh tornare a sedersi sulla sabbia.

Yohei lo imitò senza dire nulla; sapeva che quella serata stava per volgere al termine.

Strano ma vero, a quel pensiero Mito provò dispiacere e anche il giocatore doveva provare qualcosa di simile vista l’espressione rammaricata che gli rivolse.

Se si fosse interrotto lì, se non avesse pronunciato più nessuna parola, allora Sendoh avrebbe potuto catalogare quella festa come una delle più belle vissute fino a quel momento.

Peccato che non potesse saperlo né prevederlo in alcun modo.

Peccato che la serata non fosse finita lì.

Avrebbe ricordato a lungo quella serata negli anni a venire.

Ma la mano di Yohei non sarebbe stata la prima cosa che avrebbe richiamato alla mente.

Negli anni a venire, la prima cosa che avrebbe ricordato, sarebbe stata la sensazione di gelo provocata dalle parole di Yohei.

Avrebbe ricordato la sensazione prima di disagio, sostituita successivamente da un profondo rammarico.

Avrebbe ricordato per sempre le sensazioni che gli avrebbero gettato addosso le parole di Yohei.

Peccato che non potesse saperlo.

Peccato che avesse continuato a parlare, sicuro di aver oramai superato l’ostacolo più grosso nella frequentazione con Mito.
 

“Domani devo cambiare pensione” disse Sendoh con voce atona, guardando il mare.

Il basket era una parte importante della sua vita e non lo avrebbe mai considerato un ostacolo.

Eppure, perché non aveva voglia di cambiare pensione?

La risposta era semplice: stava tutta nel ragazzo che sedeva alla sua sinistra.

Quelle ore con Yohei erano volate e, seppur molto piacevoli, non erano comunque una base concreta per un qualcosa di più grande.

Nonostante Mito non si fosse tirato indietro alla sua stretta di mano e nonostante Sendoh gli avesse detto chiaro e tondo ciò che provava, il giocatore sapeva bene quanto Mito potesse scivolargli via da un momento all’altro.

Sospettava che questa sarebbe stata una caratteristica che lo avrebbe sempre contraddistinto, anche quando il loro rapporto sarebbe diventato più stretto.

Con Mito non bisognava, infatti, dare nulla per scontato.

Eppure, nonostante questo al giocatore non dispiacesse, non avrebbe mai trovato stimolante un rapporto piatto, ora non lo faceva sentire tranquillo.

Non voleva perdere quello che aveva conquistato ma soprattutto, non voleva lasciare Yohei in una situazione così complicata.

Non voleva che l’altro fosse solo e che continuasse a cavarsela senza contare su nessuno.

Lui, per Yohei, voleva esserci.

Nonostante quelle ore di svago, infatti, Sendoh non aveva dimenticato il motivo per cui
Mito si trovasse in quel posto.

Fu per questo che espresse ad alta voce i suoi dubbi.

“Sai” incominciò, “non mi va di cambiare pensione!” disse in quello che era poco più di un sussurro.

“E perché mai?” chiese perplesso Yohei guardandolo attento.

Anche il suo tono era stato un po’ troppo indagatore ma il giocatore decise di non farci caso.

“Non ci arrivi?” chiese Sendoh con un sorriso.

Mito lo osservò per alcuni istanti.

Sì, alla luce di quanto si erano detti, Yohei ci arrivava, almeno a livello intuitivo.

Quello che però non continuava a capire era il perché.

“Credevo che il basket fosse importante!” disse solamente, senza alcuna particolare inflessione nella voce.

Lo sguardo però si era notevolmente indurito nel pronunciare quella frase.

Ancora una volta Sendoh lo notò.

E, ancora una volta, decise di lasciar perdere.

“Lo è” si limitò a confermargli pacatamente. “Ma non è la sola cosa importante nella mia vita!” concluse determinato.

“Sembri molto sicuro di quello che dici” esclamò a quel punto Yohei, inclinando la testa di lato e osservandolo perplesso.

E stavolta, neanche Sendoh poté ignorare il chiaro tono di sfida dell’altro.

“Sono sicuro di quello che sento!” non si tirò indietro Akira.

Yohei gli sorrise sarcasticamente prima di parlare.

“Lasciarsi trasportare dalle sensazioni è stupido, perché, in molti casi, è ingannevole” disse con tono duro.

Yohei si era fatto inflessibile, sia nello sguardo che nella voce e a Sendoh non sfuggì quell’ulteriore cambio d’umore.

Cambio d’umore che, stavolta non era stato repentino.

Mito aveva indurito il tono e lo sguardo a ogni frase, segno del suo fastidio crescente.

E, se in precedenza i toni erano stati velati e quindi Sendoh aveva potuto continuare come se nulla fosse, ora non poteva fare finta di nulla all’evidente malumore dell’altro.

Inoltre, sembrava che Yohei parlasse a se stesso, riferendosi a qualcosa che lo toccava molto da vicino.

Non indagò oltre, decidendo di soprassedere.

Non rinunciò però a contestare quanto Mito aveva appena detto.

“Meglio essere stupidi che soli!” disse sicuro.

Yohei si voltò di scatto, guardandolo con un sorriso cattivo.

“Allora continua” disse scandendo lentamente le parole. “Vediamo se ti piacerà ancora quest’idea quando sarai rifiutato!” concluse con sarcasmo.

In quella risposta, Sendoh ebbe la conferma del fatto che Mito stava parlando di sé.

Le parole che aveva detto erano solo cariche di veleno.

“Non è detto che debba essere per forza così!” disse piano, Sendoh sentendo il suo cuore divenire pesante.

Abbandono… era questo che leggeva in Mito.

Eppure, Mito non era il classico cucciolo smarrito.

Accanto all’abbandono, lo sguardo di Mito recava anche le tracce di una fierezza fuori dal comune.

Ripensò fugacemente a un disegno che, in passato, lo aveva colpito.

Era stato all’incirca due anni prima.

Non si ricordava come, ma si era ritrovato a sfogliare una rivista di fotografia e disegni dei più svariati autori.

A un certo punto, uno strano disegno lo aveva incuriosito.

Un disegno che era anche facile notare dato che si trovava sulla copertina.

Una torre in pieno deserto.

Le sensazioni che aveva provato dinanzi a quell’immagine erano state le stesse.

Abbandono, era questo che trasmetteva il deserto intorno alla torre.

Fierezza, che si trovava nella torre stessa perché, anche se sola a causa del deserto che la circondava, si ergeva comunque fiera apparendo indistruttibile.

Il disegnatore, che poi Sendoh aveva scoperto essere il vincitore del concorso tenuto da quella rivista, era anonimo.

Scacciò questo pensiero ritornando a concentrarsi su Mito.

In quel momento, Sendoh ebbe la certezza che le parole di Yohei non si riferivano a Sakuragi, ma a se stesso.

Mito si alzò, scrollandosi di dosso la sabbia con gesti meccanici.

“Forse hai ragione” disse con un sorriso, guardandolo attento.

“In fondo, credo che per te le cose siano diverse” disse pacato.

Sendoh osservò il suo volto, leggendovi tanta rassegnazione.

Rassegnazione verso quello che sembrava un destino avverso.

“Perché solo per me?” domandò Sendoh intenzionato, ora come non mai, a saperne di più.

“Ascoltami” rispose allora Yohei abbassandosi e guardandolo fisso.

Teneva i gomiti poggiati sulle gambe con le mani intrecciate tra loro e lo guardava serio.

Sendoh si fece attento considerando che, in quel momento, Mito non sembrava un sedicenne qualunque.

Quante emozioni gli davano quegli occhi, che ora lo scrutavano con una luce molto matura.

Troppo matura per un ragazzo di quell’età. Troppo stanca per un adolescente nel pieno della vita. Troppo rassegnata per un sedicenne che non ha ancora iniziato a vivere.

Tutto questo, e molto di più, Sendoh leggeva in quegli occhi.

Saggezza forgiata dall’esperienza.

Eppure, era strano se si considerava il fatto che Mito avesse, in realtà, solo sedici anni.

Le parole di Yohei lo distolsero dai suoi pensieri.

“Sono stato bene stasera!” gli disse, accompagnando la frase con un sorriso.

“Ma?” lo invitò a continuare Sendoh, fissandolo serio a sua volta.

“E, proprio perché mi sono divertito, voglio darti un consiglio spassionato”continuò.

“Un consiglio da amico” aggiunse parlando con lentezza.

Sendoh si perse in quel volto, pensando che avrebbe dato qualunque cosa, in quel momento, per baciare quelle labbra.

Notò di nuovo quella luce negli occhi: la luce di chi la sa lunga.

La luce di chi ha vissuto troppe cose spiacevoli e ci ha fatto l’abitudine.

Mito riprese a parlare e Sendoh continuava a fissarlo, non sapendo cosa aspettarsi da quello sguardo così carico di emozioni eppure al contempo così indifferente.

“Tu domani vai al ritiro, senza pensare ad altro che non sia allenarti. Perché è stupido farsi distrarre da qualcosa, quando si ha una carriera promettente come la tua. Molto stupido” calcò le parole Yohei.

“E, anche se adesso, sull’onda delle sensazioni, ti sembra che ci sia qualcosa di più importante, sbagli perché, prima o poi, te ne pentirai” concluse.
Sendoh lo ascoltò rapito, avendo la certezza che si stesse riferendo a se stesso.

“Te lo ripeto” ribatté, “ non esiste solo il basket” terminò sicuro.

“Dimenticati di me, Sendoh!” non lo ascoltò Yohei. “O, se preferisci, ricordami. Ma non cercarmi più” disse alzandosi e terminando definitivamente il discorso.
 
Anche Sendoh si alzò, mostrandosi in tutto il suo metro e novanta e fronteggiando l’altro, intenzionato a non mollare.

Stava comprendendo qualcosa di più del ragazzo.

Rifiuto, pentimento… non potevano essere parole dette a caso.

Yohei gli stava mostrando il suo lato oscuro, segregato in chissà quale parte del suo cuore, destinato a rimanere chiuso sotto spessi ragionamenti e comportamenti razionali.

Ma soprattutto, nascosto molto bene da una studiata indifferenza e un’incrollabile freddezza.

Lato destinato al dimenticatoio in apparenza, che però non lo abbandonava mai.

Era questo il vero Yohei Mito.

Sendoh lo capì subito.

Pur non conoscendo le sue vicende personali, gli era finalmente chiaro perché il ragazzo fosse così scostante.

Vide che l’altro non aveva intenzione di continuare a parlare ma che anzi, stava voltando le spalle per andarsene.

Fu lesto ad afferrarlo per un braccio facendolo voltare, e poco importava se l’altro gli avesse rifilato un pugno facendolo finire disteso.

Lui non era intenzionato a lasciarlo andare, non ora che stava incominciando a comprendere qualcosa.

Cosa poi era ancora tutto da vedere, ma Sendoh sentiva che c’era di più in quella conversazione.

Perché veramente Yohei gli stava parlando in maniera spassionata.

Ora che ci pensava, non c’era stato un dialogo, in quelle ore, uguale all’altro e Sendoh non si riferiva ai contenuti, quanto ai toni.

Quel loro ultimo scambio di battute sembrava terribilmente vero, a differenza degli altri.

E Sendoh capì anche il perché: Yohei gli stava dando un consiglio da amico, cercando di fare il suo bene riferendosi a qualcosa che aveva vissuto in passato.

E il giocatore non era intenzionato a mollare proprio adesso.

“Mi dispiace” disse serio, “ma non ho intenzione di seguire il tuo consiglio”.

“Faresti bene invece” rispose l’altro con indifferenza.

Non si era scomposto minimamente quando lo aveva afferrato, ma Sendoh sapeva che avrebbe potuto interrompere quel contatto nel momento che preferiva.

“E perché?” s’inalberò Sendoh, andando a stringere la presa sul braccio dell’altro.

Yohei gli sorrise triste, prima di parlargli.

Gli sorrise consapevole, prima di rivelargli quello che portava nel cuore.

Gli sorrise ragionevole, prima di dire la frase che Sendoh avrebbe ricordato per tutta la vita.

“Perché io non esisto” disse soltanto, osservando poi il volto interdetto dell’altro.

Il giocatore, ora, lo fissava con espressione grave.

Sendoh era rimasto scioccato da quelle parole, ma soprattutto dal tono ovvio con cui erano state pronunciate.

Quella non era una frase detta a caso.

Quella sembrava una convinzione radicata troppo a lungo nella mente dell’altro, vista la semplicità con cui era stata pronunciata.

Senza volerlo, allentò le dita attorno al braccio dell’altro, troppo concentrato a capire cosa diamine significasse quello che Mito gli stava dicendo.

Mito se ne accorse, interrompendo, definitivamente, quel contatto.

Fu con quel gesto che Sendoh ritornò in sé capendo che se non avesse detto nulla, il ragazzo sarebbe definitivamente andato via.

“Che significa?” domandò piano, sentendo la tristezza diventare prepotente nel suo animo.

“Rifiuto!” gli sorrise Yohei.

“È questo, quello che sono; anche se io preferisco definirmi in altro modo” rispose tranquillo.

Tutta quella conversazione era pazzesca, valutò Sendoh.

Yohei definiva se stesso in quel modo con lo stesso tono di chi parla del tempo.

Tuttavia, anche se quella conversazione stava toccando vette surreali, Sendoh non si perse d’animo cercando di capire in quel mare di mezze frasi e verità nascoste.

“Cioè?” domandò con la voce che si era fatta un sussurro.

“Ombra!” affermò calmo Yohei guardando il mare.

“Io sono solo un’ombra” ripeté, questa volta più rivolto a se stesso che all’altro.

Sendoh capì che Mito, con la mente, era andato a ricordi lontani.

Troppo lontani, eppure troppo vicini.

Così vicini da impedirgli di vivere normalmente.

“Dimenticami” disse ancora Yohei, guardando il giocatore.

“È la cosa migliore per te” concluse voltandosi definitivamente e andandosene.

Sendoh lo guardò allontanarsi.

Gli occhi erano pieni di stupore, la mente ragionava frenetica alla ricerca di una soluzione immediata.

Lo guardò allontanarsi con una mano tesa, come a volerlo fermare.

Sapeva che non era possibile.

Lo guardò allontanarsi, sentendo la tristezza crescere.

Yohei aveva definitivamente messo la parola fine alla loro serata.

Lo aveva fatto anche precedentemente, eppure stavolta Sendoh sapeva che sarebbe stato inutile provare a fermarlo.

Si sedette sulla battigia pensieroso.

Ombra.

Questo gli aveva detto Mito e Sendoh, anche se non aveva compreso il significato delle sue parole, sapeva che si trattava della verità.

O almeno, della verità dal punto di vista di Mito.

In effetti, anche lui aveva pensato, nei giorni addietro quando si era finalmente ricordato di lui, che rispetto a Sakuragi e al resto del gruppo Yohei era quello che più passasse inosservato.

Come se fosse l’ombra di Sakuragi, questo era stato il suo pensiero.

Tuttavia, il giocatore sapeva che le parole di Mito nascevano da qualcosa di più profondo.

Qualcosa che lo inseguiva costantemente, condizionando quindi tutta la sua vita e il suo modo di essere.

Inoltre, Sendoh aveva notato anche il repentino cambio di decisione da parte del ragazzo.

Prima che si nominasse il basket, Yohei sembrava, infatti, disposto a dargli una possibilità.

Ma allora, che cosa l’aveva fatto cambiare così drasticamente decisione?

Ripensò alle sue parole…

Yohei gli era sembrato molto accorato nel dargli quello che lui riteneva un consiglio.

Rifiuto.

Oramai il giocatore era certo che Mito si riferisse a se stesso.

Rifiutato… ma da chi?

Perché quello non era l’atteggiamento di chi riceve un due di picche da una ragazza.

Sendoh si alzò in piedi.

Nei suoi occhi comparve una nuova luce, carica di determinazione, mentre fissava il mare dinanzi a lui.

Le mani, che erano pigramente tenute in tasca, si strinsero a pugni.

Se Yohei pensava di scappargli allora non aveva capito proprio nulla.

Se Yohei pensava che lui lasciasse perdere la cosa, dopo le ultime cose che gli aveva detto, allora doveva aver fatto male i suoi calcoli.

Non sapeva a cosa stesse andando incontro, ma oramai aveva deciso.

Nella mente aveva solo l’immensa tristezza di Mito mentre parlava.

Anche quando lo aveva osservato andare via, aveva avuto l’impressione che le sue
spalle reggessero un peso troppo grande per un ragazzo della sua età.

Solitudine, abbandono, tristezza… Sendoh avrebbe spazzato via tutto.

Il ritiro era importante ma Yohei lo era di più.

Non avrebbe cercato un altro confronto con Mito per adesso.

Sarebbe stato inutile e controproducente visto che Yohei non si era semplicemente impuntato per testardaggine.

Credeva veramente in quello che aveva detto.

Sendoh, in quel momento, aveva bisogno di dati prima di avvicinarsi nuovamente a Mito.

Il giocatore sorrise.

Doveva arrivare a Sakuragi… problema impossibile a prima vista eppure, qualcuno che poteva aiutarlo c’era.

Si incamminò continuando a sorridere.

Niente l’avrebbe fermato fino al raggiungimento del suo obiettivo, e questa persona l’avrebbe aiutato.

Il giocatore, in fondo, sapeva essere molto convincente quando voleva.
 

Continua…
 
Note:
 
Più che altro, una piccola precisazione: No! State tranquille, Mito non è impazzito.

Più avanti, infatti, sarà tutto spiegato e anche le frasi di Yohei troveranno un loro perché.

Più che altro in questo capitolo conosciamo i fantasmi di Yohei… ho inoltre seminato qualche indizio qua e là sulla sua persona.
Sappiate solo che, in questo capitolo, nulla è scritto per caso.
Si tratta infatti del capitolo cardine dell'intera fic dove, per la prima volta ci addentriamo nel passato di Mito scoprendo che porta con sè dei fantasmi; negli altri invece abbiamo conosciuto il suo passato tramite i ricordi che ha in compagnia di Hanamichi.

Spero che la lettura vi sia piaciuta.

Come al solito, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.
Pandora86

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 14.
 

Rukawa aprì svogliatamente gli occhi.

Qualcuno stava bussando insistentemente alla porta della sua camera.

Guardò l’orologio: erano le dieci di sera passate.

Si alzò, facendo mente locale su chi potesse venire da lui a quell’ora.

Possibile che Mito fosse già rientrato?

Quando si era recato in sala per la cena, non aveva visto né lui né Sendoh.

Forse è appena rientrato, pensò andando ad aprire.

E magari vuole dirmi qualcosa su Hanamichi.

Quel pensiero lo fece precipitare alla porta.

In fondo, Mito era l’unico che la clinica potesse recapitare se fosse successo qualcosa al numero dieci.

Aprì velocemente la porta senza nascondere la preoccupazione.

Il suo volto però cambiò repentinamente espressione quando vide chi era venuto a bussare.

“Tu?” domandò senza preoccuparsi di nascondere il suo stupore.
 

***
 

Yohei sedeva a terra, a gambe incrociate, con le spalle pigramente poggiate al letto.

Guardò l’orologio che segnava le 22:30.

Era passata più di un’ora da quando era rientrato alla pensione.

Immediatamente l’armata gli era andata incontro, ma doveva aver capito subito, dalla sua espressione, che non era il momento adatto per nessuna cosa avessero in mente.

Non avevano domandato nulla, consci che il braccio destro del loro capo non avrebbe risposto e Mito si era avviato nella sua camera senza calcolarli.

Una volta entrato, era andato a sedersi lì e non si era più mosso.

L’indomani, sarebbe ritornato da Hanamichi e non poteva permettere che l’amico si accorgesse di qualcosa.

Perché i suoi problemi erano insignificanti rispetto a quelli di Hanamichi; era questo, quello che aveva sempre pensato. Così era stato in passato così come doveva continuare a essere nel futuro.

Sospirò.

Chi l’avrebbe mai detto che la serata sarebbe finita in quel modo.
Sendoh gli piaceva, ora non aveva più problemi ad ammetterlo.

Era per questo che si era poi regolato di conseguenza; perché aveva capito di interessare al giocatore. Sendoh stesso glielo aveva poi confermato, dichiarando che sarebbe riuscito a farlo innamorare di lui.

Forse ci sei riuscito, Akira! Pensò con un sorriso, chiamando, per la prima volta, il giocatore con il nome proprio.

E questo poteva anche andare bene; ma che si annoiasse di andare al ritiro, questo non poteva proprio accettarlo.

Sendoh aveva una carriera folgorante da percorrere e Yohei non poteva e non voleva diventare colui che avrebbe ostacolato il brillante avvenire del numero sette del Ryonan.

Perché, se in quelle ore il giocatore si annoiava semplicemente di cambiare pensione a causa sua, poi nei giorni a venire si sarebbe distratto pensando a lui.

E la cosa sarebbe cresciuta sempre di più.

E Yohei non voleva diventare un ostacolo.

Su questo punto era fermo e anche Sendoh doveva aver capito che non si era semplicemente impuntato.

Quello di Yohei non era stato un semplice capriccio; questo doveva averlo percepito anche Sendoh dato che non gli era corso dietro come in precedenza.

E questo è un bene! Pensò Yohei con un sorriso.

Lui non sarebbe diventato un intralcio.

Quello che era avvenuto in passato, non si sarebbe ripetuto mai più.

Era stata questa la posizione che aveva assunto parecchi anni prima con se stesso.

Posizione che non avrebbe cambiato in nessun caso; costasse quello che costasse.

I ricordi cominciarono a fare capolino nella sua testa.

Ricordi che Yohei non aveva mai cancellato, anche se dolorosi.

Ricordi che Yohei si era sempre imposto di non cancellare.

Il perché era chiaro; Mito, a differenza di Hanamichi che cercava di andare avanti come se nulla fosse, non voleva dimenticare.

Ricordare senza provare più dolore: era questo il suo obiettivo.

Obiettivo che, dopo anni, era riuscito a raggiungere.

Una voce, che non aveva mai dimenticato, fece comparsa nella sua mente.

Mi rifiuto di prendermene cura!

Questo urlava la voce.

Mi rifiuto!

MI RIFIUTO!

Yohei sorrise.

E chi ti vuole!

Fu questa la risposta che diede mentalmente alla voce mentre un ghigno cattivo prendeva forma sul suo viso.

Io non provo nulla! Si rispose allargando il sorriso.

Sorriso che però si increspò quando il volto di Sendoh fece la sua comparsa in quell’oceano di ricordi.

Yohei allungò pigramente la mano sullo zaino che aveva alla sua sinistra.

Aveva un modo tutto suo per andare avanti quando la tristezza cercava di prendere il sopravvento.

Ne estrasse un block notes dalle pagine immacolate.

Prese la matita e chiuse gli occhi, con l’intenzione di fare una cosa che non faceva da tempo.
 

***

“Posso?” chiese con noncuranza Sendoh, ignorando lo sbigottimento dell’altro.

Rukawa si fece da parte lasciandolo entrare.

“Non aspettavi me, dalla faccia che hai fatto!”.

“Mito” rispose semplicemente Rukawa, andando a stendersi sul letto.

“Eh?” chiese Sendoh con l’aria interrogativa.

“Pensavo lo avesse contattato la clinica” si degnò di dargli una risposta completa Rukawa.

Sendoh si stizzì di fronte a quell’affermazione.

Sakuragi sembrava essere in cima ai pensieri di tutti.

Però non ce l’aveva con il numero dieci. Si era irritato momentaneamente solo perché anche Yohei, poche ore prima, l’aveva accolto con una frase simile.

“Che vuoi?”

La voce di Rukawa, che si era girato e poggiato su un gomito mentre lo osservava attento, lo distolse dai suoi pensieri.

“Quanto sai di Yohei?” chiese diretto Sendoh, senza mezzi termini.

Rukawa avvertì una nota grave nella voce dell’altro giocatore.

“Non sapevo foste così in confidenza” esclamò, con lo sguardo attento.

Il sospiro rassegnato di Sendoh gli arrivò fin troppo chiaro alle orecchie.

“Se lo fossimo non sarei qui” disse l’altro tristemente.

Rukawa lo vide sedersi sul letto e prendersi la testa tra le mani.

Lo sguardo di Sendoh era inconfondibile; anche lui, mesi addietro, si era trovato in una situazione analoga.

Solo che lui, diverso caratterialmente, non aveva mai manifestato uno sconforto così palese.

Inoltre, aveva Mito dalla sua parte.

“Ti ha rifiutato!” esclamò secco, arrivando alla radice del problema.

Sendoh però lo sorprese, negando con la testa.

“E allora che vuoi?” chiese Rukawa che, a quel punto, non capiva dove fosse il problema.

“Che diamine è successo?” chiese con una nota d’impazienza nella voce.

Prima il giocatore lo veniva a bussare chiedendogli cosa sapeva di Mito e poi gli diceva che non era stato rifiutato.

Sinceramente, trovava difficile raccapezzarsi.

E se Sendoh non si sarebbe deciso a spiegare allora gli avrebbe tirato un pugno come incoraggiamento.

“Non lo so!” rispose sinceramente Sendoh facendo un sorriso triste.

“All’inizio” incominciò titubante, ” sembrava intenzionato a conoscermi, poi… qualcosa lo
ha fatto cambiare idea” cercò di spiegarsi.

“Ti avevo già detto che non era un tipo facile” dichiarò spiccio Rukawa.

Se, infatti, Sendoh voleva semplicemente la strada spianata allora aveva sbagliato soggetto.

Lui stesso, mesi addietro, aveva faticato per arrivare al cuore del do’hao.

Mito lo aveva aiutato, certo; ma il suo aiuto si era limitato alle sole e indispensabili informazioni.

Informazioni essenziali per avvicinare Hanamichi; il resto lo aveva fatto tutto da solo.

Stava per mandare al diavolo Sendoh, quando il giocatore lo precedette.

“Questo l’ho sempre saputo” sbottò il numero sette alzandosi in piedi e fissandolo duro.
Rukawa assottigliò gli occhi a quel brusco cambiamento d’umore.

“Se fosse stato uno qualunque, non me ne sarei innamorato” continuò Sendoh, guardandolo storto.

“E di certo, non sono qui perché voglio che tu metta una parola buona per me” si sentì in dovere di specificare mentre si risedeva sul letto e continuando a guardare l’altro con aria torva.

Rukawa assistette a quel repentino cambio d’umore con interesse, cercando di valutare la situazione.

Sendoh aveva facilmente compreso la direzione dei suoi pensieri e, infatti, aveva risposto ancor prima che lui parlasse.

D’altro canto Sendoh non era certo il tipo che sarebbe venuto da lui per un banale consiglio su Mito.

Qualcosa doveva essere successo.

Qualcosa di grave, a giudicare dall’atteggiamento brusco del numero sette.

Il problema era, per l’appunto, cosa!

“Se non mi spighi non pretendere che io capisca!” disse atono.

“Detto da te! “ non poté fare a meno di provocarlo bonariamente l’altro.

“Nh” mugugnò Rukawa in risposta.

“È difficile” parlò ancora Sendoh.

Rukawa rimase in silenzio aspettando che l’altro continuasse.

“Yohei” aggiunse lentamente, “Mi ha detto una cosa strana”.

Il numero undici, a quell’affermazione, si fece più attento.

“Una cosa che credo riguardi il suo passato e che gli impedisce di vivere normalmente” concluse l’asso del Ryonan.

Rukawa analizzò velocemente la situazione.

Anche Hanamichi si portava dietro costantemente i fantasmi del suo passato.

Rukawa, quando ne era venuto a conoscenza, aveva cercato di regolarsi di conseguenza, agendo nel modo giusto.

Qui però, qualcosa non quadrava.

Da quello che gli aveva detto Sendoh, allora Mito gli aveva facilitato il compito dicendogli cosa lo tormentasse.

Eppure, sempre da quello che Sendoh aveva detto, la situazione più che essere chiara, si era invece ingarbugliata ancora di più.

“Se ti ha detto cosa lo tormenta, dovresti regolarti di conseguenza!” disse a quel punto il numero undici, con il suo modo di fare pratico.

Se Sendoh conosceva il problema, cosa diamine voleva da lui?

“È questo il punto, Rukawa” specificò Sendoh accompagnando la frase con un sospiro.

“Lui non mi ha detto nulla” concluse massaggiandosi gli occhi.

Rukawa lo guardò, indeciso sul da farsi.

Quello che Sendoh diceva non aveva alcun senso.

Valutò l’idea che l’altro avesse preso una botta in testa.

Magari, si era spinto troppo oltre con Mito che aveva poi risposto con una testata.

Certo, quello era lo stile di Hanamichi ma a quel punto, o prendeva in considerazione l’idea che Sendoh non avesse tutte le rotelle a posto, oppure c’era dell’altro e il giocatore non si decideva a parlare chiaro.

Optò per la seconda ipotesi.

“Sinceramente, non ti seguo”disse annoiato, cercando di capirci qualcosa.

Sendoh si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra.

“Lui…” e qui fece una pausa, “si è definito in maniera strana. Troppo strana per un ragazzo della sua età!” disse Sendoh, volgendo lo sguardo verso l’altro.

Rukawa assottigliò gli occhi mostrando interesse.

“Non esisto” disse solo il numero sette con tono triste.

“Nh?” mugugnò l’altro interrogativo.

“È stato questo, quello che mi ha detto, Rukawa” si alterò il giocatore stringendo i pugni.

Rukawa si alzò in piedi con sguardo crucciato.

Che diamine significava tutto quello?

“Ombra!” parlò ancora Sendoh, con rammarico evidente nella voce.

“Lui si è definito un’ombra” concluse, chiudendo gli occhi.

“Ma non sono state tanto le sue parole a sconvolgermi, Rukawa” parlò ancora, forse più a se stesso che all’altro, “quanto il suo tono. Mi ha fatto accapponare la pelle la freddezza e la decisione con le quali ha pronunciato quelle frasi” terminò definitivamente Sendoh.

Rukawa si sedette nuovamente sul letto con un sospiro.

Adesso, gli era tutto chiaro.

Era per questo che Sendoh era venuto da lui.

Quelle affermazioni non erano strane, erano agghiaccianti.

Avevano sconvolto anche lui, anche se esteriormente non c’era nessuna traccia evidente del suo turbamento; figuriamoci Sendoh che era stato il diretto interessato in quel dialogo.

Tornò indietro con la mente a parecchi mesi prima.

Ricordò quando, dietro indicazione di Mito, lui aveva seguito il do’hao.

Ricordò le sensazioni di gelo che aveva provato quando aveva visto Hanamichi parlare a due lapidi facendo finta che fossero vive.

Solo che, in quel caso, la faccenda gli era apparsa chiara e, dopo lo shock iniziale, aveva capito come agire afferrando la radice del problema.

Sendoh invece, a quanto pareva, si era ritrovato a fronteggiare chissà quali fantasmi senza conoscere però i dati essenziali.

Sospirò ancora.

Ecco perché Hanamichi aveva chiamato l’armata a raccolta.

Non solo perché il suo braccio destro aveva bisogno di una bella scrollata.

Ma perché anche Mito nascondeva un oscuro passato; passato che gli impediva di vivere normalmente.

Rukawa ipotizzò che se Hanamichi non fosse stato bloccato in quella dannata clinica allora avrebbe assistito alle stesse scene che lui aveva vissuto mesi addietro, anche se con i protagonisti invertiti in effetti.

Rukawa, questa volta, sarebbe stato solo uno spettatore e Hanamichi avrebbe saputo risolvere la situazione proprio come aveva fatto Mito tempo prima.

Purtroppo però Hanamichi non poteva intervenire con la stessa prontezza con la quale era intervenuto Mito mesi addietro e quindi la situazione era arrivata a quel punto.

Situazione che rischiava anche di degenerare, considerato che lui, Kaede Rukawa, non poteva assolutamente aiutare il giocatore.

E non perché non lo volesse ma, semplicemente, perché non poteva.

Si intristì.

Quanto gli sarebbe piaciuto, in quel momento, riuscire a risolvere gli enigmi che Sendoh aveva portato con lui quella sera.

Il do’hao ne sarebbe stato felice… eppure, non poteva farlo.

Perché c’erano cose di Mito che solo Hanamichi conosceva. Cose da cui lui era escluso, purtroppo.

Tuttavia, questa non era una colpa imputabile a nessuno.

Lui e Hanamichi avevano avuto fin troppo poco tempo per parlare di loro, figurarsi di Mito.

Ecco perché il do’hao era così preoccupato.

Mito, da quanto gli aveva accennato, stava facendo di tutto per consentirgli una riabilitazione serena.

Eppure, senza che Mito lo sapesse, era proprio lui a impensierire Hanamichi.

Lui, d’altro canto, aveva promesso al do’hao, e allo stesso Mito, di esserci, sempre e comunque.

Ma cosa diamine poteva fare per risolvere quella situazione, se gli mancavano i dati essenziali del problema?

Nulla!

Ancora una volta, non poteva fare nulla.

“Non posso aiutarti” si ritrovò a dire. “Io non so nulla di Mito” ammise, con tono sconfitto.

“Lo so!” lo sorprese Sendoh.

Rukawa alzò lo sguardo, guardandolo interrogativo.

“Puoi aiutarmi in un altro modo” continuò il numero sette, con un sorriso.

Rukawa alzò un sopracciglio, osservando l’altro con interesse.

“Puoi farmi parlare con Sakuragi” concluse Sendoh, allargando il sorriso.

Rukawa lo squadrò per un lungo istante, ponderando o meno se il giocatore si fosse rimbecillito all’improvviso.

La situazione non era facile, Mito gli aveva detto delle frasi shock e lui voleva risolvere tutto con una chiacchierata a telefono?

Sendoh dovette intuire i suoi pensieri, visto che si affrettò a chiarirgli cosa intendesse realmente.

“Non voglio il numero della clinica per telefonargli!” spiegò con un sorriso furbo.

“E allora che vuoi?” domandò Rukawa, indurendo pericolosamente il tono.

Sendoh gli si avvicinò con un ghigno.

“Voglio parlare con Sakuragi” disse ancora. “Di persona” chiarì il concetto.

“E voglio farlo stanotte!” concluse con semplicità, come se stesse parlando della cosa più fattibile del mondo.

Alcuni istanti di silenzio regnarono nella camera.

“Tu cosa?” domandò Rukawa dopo un po’, perplesso.

“Non farmelo ripetere! Hai capito benissimo” rispose Sendoh con decisione marcando le parole.

Rukawa si perse alcuni istanti a osservare gli occhi del numero sette.

Mai aveva visto una luce così decisa nei suoi occhi.

Sendoh non stava scherzando, questo era fin troppo evidente.

Un bussare insistente e rumoroso interruppe le sue riflessioni.

Rivolse un’occhiata a Sendoh che, di rimando, lo guardava perplesso.

“Che sia Mito?” domandò il numero sette con un sussurro.

Rukawa scosse la testa; non aveva idea di chi potesse venire a bussare alla sua porta a quell’ora.

Tuttavia, vista la situazione, non escludeva a priori che fosse proprio il fidato braccio destro del suo do’hao a fargli visita.

Si avvicinò alla porta con decisione.

“Scansati!” ordinò all’altro giocatore che, in tutta risposta, lo afferrò per un braccio.

“Se è Yohei…” incominciò Sendoh.

“Mh” rispose Rukawa, allontanando il braccio con decisione.

“Tu pensa a scansarti!” ripeté al giocatore che stavolta si allontanò, togliendosi quindi dalla visuale.

Rukawa aprì la porta rimanendo, per la seconda volta in poche ore, stupito da chi gli si parava davanti.

L’armata al completo era venuta a fargli visita.

Anche Sendoh, con le spalle al muro, lontano dalla porta, rimase sorpreso nel sentire la voce che parlò negli istanti successivi.

“Non abbiamo intenzione di disturbarti” parlò Noma rivolto a Rukawa.

Sendoh riconobbe la voce di chi aveva parlato.

“Dicci solo in che stanza alloggia il porcospino” sentì ancora Sendoh capendo a chi si riferisse.

Rukawa, in tutta risposta, si scansò facendo loro capire che dovevano entrare.

Noma e gli altri due si rivolsero uno sguardo perplesso, prima di fare qualche passo avanti.

Rukawa chiuse la porta andando a sedersi sul letto.

“Senti” disse Okuso, “forse non hai capito, ma dobbiamo sapere in che stanza si trova Sendoh”.

“E se non ce lo dici” parlò ancora Noma, “ ti assicuro che andiamo a bussare a tutte le porte della pensione”.

“Non credo sia necessario” palesò la sua presenza il numero sette, decidendo di uscire allo scoperto.

Gli altri si ripresero velocemente dalla sorpresa facendo comparire un ghigno identico sui loro volti.

Rukawa seguì quello scambio di battute sospirando pesantemente.

Sicuramente l’armata aveva notato qualcosa di strano ed ecco che interveniva a modo suo.

Perché, le facce dei compari di Hanamichi erano eloquenti.

Ci manca solo la rissa! Pensò Rukawa sconsolato.

I tre componenti dell’armata potevano essere utili in quella situazione; sicuramente loro sapevano cosa affliggeva il braccio destro del do’hao e quindi, potevano fornire a Sendoh quelle informazioni che lui non conosceva.

Tuttavia, avrebbe prima dovuto dissuaderli dall’attaccare briga con il numero sette, visto che sembravano intenzionati a conciarlo per le feste.

Fu con queste motivazioni che decise di intervenire.

Ma non fu necessario visto che Sendoh, mostrando ancora una volta una prontezza di spirito fuori dal comune, parlò al posto suo.

“Suppongo che non sia per darmi la buonanotte che mi cercate!” disse con un sorriso conciliante, rivolto ai tre.

Rukawa lo guardò scettico; se aveva capito perché lo cercavano, allora perché li provocava?

O forse contava sul fatto che lui, Kaede Rukawa, li avrebbe tenuti buoni?

No, Sendoh non ragionava in questo modo.

Inoltre, il numero undici dubitava che fosse così ansioso di farsi ricoverare.

Sicuramente aveva qualcosa in testa, considerò osservando ora il giocatore, ora i tre componenti dell’armata e decidendo di tenersi pronto in ogni caso.

“Supponi bene, porcospino!” parlò quello biondo stringendo i pugni con un’aria molto poco rassicurante.

“Allora credo dobbiate rimandare i vostri propositi” continuò Sendoh fronteggiandoli in tutto il suo metro e novanta e non lasciandosi intimorire.

Rukawa capì, dallo sguardo dell’altro, che anche lui doveva aver avuto pensieri simili ai suoi; visto che l’armata era lì, poteva aiutarlo nel suo intento.

Sorrise impercettibilmente assistendo a quella scena; Mito aveva trovato una persona degna di stargli accanto; una persona che non si lasciava intimorire da nulla quando aveva un obiettivo prefissato.

Un po’ come lui, quando era intenzionato a tutti i costi a far capitolare Hanamichi.

“E perché mai?” intervenne quello con i baffetti, mettendo una mano sulla spalla a quello biondo.

Rukawa lesse interesse in quella domanda.

“Perché devo risolvere una faccenda e voi potete aiutarmi!” affermò sicuro Sendoh.

Quello biondo fece un passo avanti, guardando male il giocatore.

“Tu vuoi proprio soffrire, amico!” disse minaccioso.

“Ma sentitelo” continuò, rivolgendosi agli altri.

“Yohei torna in quello stato e noi dobbiamo dare una mano al porcospino a fare chissà cosa” concluse con scherno.

A quelle parole, sia Sendoh che Rukawa li fissarono attenti.

“Ci avete parlato?” sussurrò il numero sette con sguardo preoccupato.
In quello stato!

Allora non si era sbagliato quando aveva intuito che Yohei potesse essere sconvolto per qualcosa.

“Sei matto?” lo rispose ancora Okuso, non degnandosi di dire altro.

Sendoh lo guardò interrogativo e Noma dovette intercettare il suo sguardo visto che si affrettò a spiegare.

“Da quando conosciamo Hanamichi e Yohei” incominciò con sguardo serio.

“Abbiamo visto solo due volte Yohei con quella faccia” continuò.

“E, in quelle occasioni, è sempre e solo Hanamichi che si è potuto avvicinare” terminò, certo che il giocatore avrebbe afferrato al volo il significato delle sue parole.

Si sedette sul letto prevedendo che quella sarebbe stata una lunga serata.

“Tu permetti vero?” chiese scherzoso, rivolto a Rukawa.

“Allora” cominciò rivolto a Sendoh “raccontami come sono andate le cose”.

“Sei impazzito?” sbottò quello biondo.

“E tu ti sei rincretinito?” intervenne, per la prima volta, Takamiya.

“Non sappiamo come sono andati i fatti” continuò, accomodandosi sul pavimento.

“Sendoh ci può illuminare ed io stasera non ho voglia di menare le mani. Fa troppo caldo!” concluse, tirando fuori un pacco di biscotti, nascosto chissà dove, e incominciando a mangiarne uno.

Okuso rimase un istante perplesso, prima di sedersi anche lui a terra, non rinunciando però a lanciare continue occhiate omicide verso il numero sette.

Anche Sendoh lì imitò, accomodandosi sul pavimento a gambe incrociate.

Rukawa li osservò, considerando che mai avrebbe pensato di ritrovarsi coinvolto in una situazione del genere.

Tutti lì, riuniti per un unico scopo.

Persone così diverse, unite da una preoccupazione comune.

Era questa la magia di Hanamichi; aveva formato un gruppo inossidabile e indistruttibile, unendo in un legame profondo persone che si prestavano bene a essere delle teste calde.

Mito gli era stato affianco, assecondandolo in quello scopo.

E gli altri li avevano seguiti con cieca fiducia, sicuramente colpiti dal legame fra il loro capo e il suo braccio destro.

Tutti lì per Hanamichi; lui per ovvie ragioni e l’armata perché, non appena il do’hao aveva fatto un fischio, subito era corsa.

Sendoh invece perché doveva aver capito che Hanamichi era indispensabile per arrivare a Mito.

Tutti lì per le stesse persone.

Tutti lì per Hanamichi come per Mito.

Lui perché provava stima nei confronti di chi l’aveva fatto avvicinare al do’hao, l’armata perché teneva a lui allo stesso modo di come tenesse a Hanamichi; non per nulla era il loro capo in seconda.

Sendoh perché innamorato di quest’ultimo e non intenzionato a farsi lasciare da parte.

Tutti lì, tutti momentaneamente amici, uniti da un unico scopo.

Rukawa sorrise impercettibilmente.

Sarebbe stata una lunga serata ma non gli importava granché rinunciare alle sue preziose ore di sonno.

Hanamichi, e prima di lui Mito, gli aveva regalato non solo la sua fiducia; lo aveva fatto essere parte di un gruppo.

Lo aveva fatto entrare nel suo mondo.

E la cosa non gli dispiaceva per nulla.
 

Continua…
 
Note:
 

Come avrete notato, ci sono molti riferimenti a “Il tuo vero volto”.

Le situazioni, in effetti, sono abbastanza speculari anche se sarà più evidente nei capitoli più avanti.

Spero che questa struttura vi piaccia!

Spero ovviamente che anche il capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
Capitolo 15.
 

“Ti ho detto dall’inizio, porcospino!” lo riprese Noma.

“Se vuoi che ci capiamo qualcosa, devi incominciare dall’inizio della vostra uscita” disse, facendo spallucce e invitando l’altro a continuare.

Sendoh sorrise decidendo di partire non dall’inizio della serata ma dai loro primi incontri in quei giorni.

“Tipico di Yo” disse Takamiya dopo un po’, sentendo le risposte che aveva rifilato Yohei a Sendoh.

“Quindi” intervenne Noma, “hai capito poco dopo chi fosse” valutò lisciandosi i baffi.

Sendoh ridacchiò a quell’affermazione.

“Un po’ difficile non notarvi” rispose calmo.

“Hai ragione” confermò Okuso, “sono bellissimo!” disse con convinzione, scatenando l’ilarità generale.

Sendoh, dopo che le risate scemarono, continuò il suo racconto fino ad arrivare allo strano dialogo che aveva avuto con Yohei all’interno del bar.

Vide gli occhi di Rukawa assottigliarsi quando raccontò la sua ipotesi.

Anche l’armata, in effetti, gli era sembrata più attenta del solito.

Allora ho fatto centro! Pensò senza però rallegrarsi di quella scoperta.

Al momento, che Sakuragi fosse cinese, giapponese o chissà cosa, non era in cima ai suoi pensieri.

D’altro canto, capì anche perché Mito era scattato sull’attenti riguardo quell’argomento.

Gli stranieri, nonostante la gran parte del Giappone fosse abbastanza moderno, non erano ben visti.

Certo, questo accadeva soprattutto negli anni addietro.

Comunque, la vita di uno straniero in Giappone aveva i suoi lati positivi quanto i suoi lati negativi.

E, considerato che Sakuragi era ancora un ragazzo che frequentava il liceo, Sendoh capiva perché Mito volesse mantenere il più assoluto riserbo.

I liceali potevano essere dei grandi seccatori con le loro continue prese in giro. D’altro canto Sakuragi, a parte i suoi capelli così vistosi, non aveva nessun tratto non orientale.

Certo, magari a un esame non superficiale si poteva scorgere qualche lineamento particolare tuttavia, questo bastava per permettergli di vivere i suoi anni da liceale in tranquillità, scegliendo le persone a cui confidare una cosa così particolare e personale.

“Quindi le mie parole ti hanno fatto fare quell’ipotesi” valutò Noma interrompendo il giocatore.

“Ipotesi che però non ci sarebbe stata se tu non fossi stato a fissare Yohei per tutto il tempo” lo prese in giro bonariamente.

In fondo, le sue parole potevano essere anche interpretate in altro modo; ad esempio, Yohei poteva passare per una persona poco avvezza a quei festeggiamenti perché magari troppo asociale per andare in giro.

In sostanza, considerò Noma, le sue parole avevano fatto poco o niente.

Il giocatore aveva fatto tutto da solo!

“Già” acconsentì Sendoh, continuando a raccontare fino ad arrivare alle frasi che Mito gli aveva detto in spiaggia.

“Capisco!” disse soltanto Noma facendo spallucce.

Sendoh notò che anche quello biondo e l’altro, che aveva da poco finito di mangiare i suoi biscotti, non si erano sorpresi ma che, in tutta risposta, avevano sospirato sconsolati.

Guardò anche Rukawa che aveva lo sguardo attento come non mai e capì che, come lui, era all’oscuro dei fatti che avevano scatenato quella reazione in Yohei.

Fatti che invece l’armata Sakuragi sembrava conoscere.

Forse tutti i dettagli li conosceva solo il loro capo ma comunque erano a conoscenza dei dati essenziali.

Ipotesi confermata dalle successive parole di quello con i baffetti.

“Sai” disse Noma con un tono stranamente serio, “se forse non avessi nominato il ritiro, le cose sarebbero potute andare diversamente” concluse sorridendo appena.

“Ma che c’entra il ritiro?” domandò Sendoh sorpreso.

Anche lui aveva notato un cambio d’umore quando la conversazione era finta sul ritiro.

Ma cosa mai poteva centrare il basket?

“Tutto e niente, porcospino!” rispose Noma con lo sguardo pensieroso.

“Ma noi abbiamo le mani legate!” concluse con un sospiro.

“Non possiamo dire niente” intervenne quello biondo.

“Ma non ti preoccupare” ghignò Noma.

“Qualcuno che può risolvere la situazione c’è” disse allargando il sorriso, sapendo che tutti nella stanza avrebbero facilmente compreso il soggetto della frase.

“Già!” parlò ancora Okuso, “peccato che non ci può raggiungere” disse con ovvietà.

“Infatti” gli diede ragione Noma alzandosi in piedi. “Saremo noi ad andare da lui” concluse guadagnandosi il sorriso di Sendoh, la risatina di Takamiya, lo sguardo perplesso e l’occhiata dubbiosa di Rukawa.

“Sì dal caso, che io sappia la stanza dove alloggia!” parlò ancora Noma portandosi le mani ai fianchi.

“Ti sei bevuto il cervello?” domandò Okuso.

“Da quando ti preoccupa infrangere le regole?” gli domandò di rimando Noma.

Sendoh e Rukawa assistevano a quello scambio di battute in silenzio.

Ora, era tutto nelle mani dell’armata.

“Non è delle regole che mi preoccupo” si difese Okuso.

“Non sappiamo neanche Hanamichi come sta realmente!” diede voce ai suoi reali pensieri.

“E allora che vuoi fare? Parlare tu al posto suo?” chiese Takamiya aggiustandosi gli occhiali.

“Come se lo potessi fare” sospirò sconsolato Okuso sedendosi sul letto.

“Non credi che Hanamichi ci abbia chiamato proprio per questo?” domandò Noma con ovvietà.

“Per farsi andare a trovare in piena notte?” gli fece il verso l’altro.

Noma, in risposta assottigliò lo sguardo.

“Il capo è l’unico che può risolvere la situazione” disse Takamiya con semplicità.

“Io sono con te!” concluse poi rivolto a Noma.

Per lui, non c’era più nulla da aggiungere.

“Bene, porcospino!” disse Noma ghignando.

“Tieniti pronto a una gita notturna!” e allargò il sorriso.

“E come pensi di farlo passare inosservato?” domandò Okuso con le braccia incrociate.

“Gli togli venti centimetri?” chiese con sarcasmo.

“E poi, chi ci assicura che non ci beccheranno?” continuò nel suo monologo, alzandosi e gesticolando vistosamente.

“Ti sembra uno di quelli che entra di soppiatto in una clinica senza farsi scoprire?” domandò ancora, indicando il numero sette con la mano.

“Un modo si trova!” non si perse d’animo Noma.

“Inoltre, non dobbiamo neanche preoccuparci di Yohei in questo momento!” allargò il sorriso.

“E perché mai?” non potette fare a meno di domandare Sendoh.

“Se lo conosco” gli rispose Noma, “e ti assicuro che lo conosco abbastanza bene, allora Yohei sarà impegnato nel fare una cosa!” disse, volutamente misterioso, con un sorriso ironico.

“Cioè?” chiese Sendoh assottigliando gli occhi e sentendo la preoccupazione aumentare.

Guardò Rukawa che scosse la testa di rimando.

Anche lui ci stava capendo poco o niente, in effetti.

Sentirono Noma scoppiare in una risata allegra.

“Non ti preoccupare” rispose ben interpretando lo sguardo del giocatore.

“Non è niente di illegale o pericoloso” lo rassicurò.

“Solo una cosa molto privata!” concluse, facendo capire che non avrebbe aggiunto altro.

“E ora a lavoro!” continuò allegro.

“Abbiamo un piano da preparare” disse lisciandosi i baffi.

“La Russia aspetta di essere invasa” aggiunse con tono serio, scatenando, a quelle parole, l’ilarità generale.

Sendoh si ritrovò a ridere allegramente; anche se preoccupato dalle circostanze, era rassicurato dalla presenza di quei ragazzi che, a conti fatti, sembravano sapere il fatto loro.

In quel clima disteso, anche Rukawa non poté fare a meno di piegare impercettibilmente le labbra in un sorriso.

Inoltre, presto avrebbe rivisto il suo do’hao.

E quel pensiero, unito al clima amichevole che si era venuto a creare, ebbe il potere di rasserenare il suo animo.
 

***
 

Mito aprì gli occhi, decidendo di accendere la luce.

Volse lo sguardo al block notes, incurvando le labbra in un sorriso tenero.

Il volto del numero sette del Ryonan faceva capolino sulla pagina.

Era sempre così: quando i ricordi si facevano troppo pesanti o qualche scelta era particolarmente dolorosa, prendere una matita e portare sul foglio quello che aveva in testa era sempre liberatorio.

Osservò con occhio critico il ritratto del giocatore, perché era questo il volto di Sendoh che voleva portare dentro di sé.

Voleva ricordarsi di Sendoh dagli occhi attenti ma anche ironici e dal sorriso pacato che, talvolta, assumeva una piega molto compiaciuta.

Voleva dimenticare gli occhi del giocatore quando lui gli aveva detto quelle cose: occhi increduli e dubbiosi.

Adesso, ho la certezza che mi considera un pazzo!

Fu questa la considerazione che fece Yohei osservando il volto sulla pagina e rammaricandosi per come le cose erano andate a finire.

Tuttavia, non aveva importanza.

Lui aveva agito per il meglio, anche se il giocatore non l’avrebbe mai saputo.

Chiuse il block notes rimettendolo nello zaino, desideroso di andare a dormire.

L’indomani sarebbe dovuto andare anche da Hana, considerò stendendosi sul letto.

Finalmente, avrebbe ripreso la sua solita routine.

Non aveva la certezza però che con essa sarebbe scomparsa l’angoscia che provava nel non poter più godere della compagnia di Sendoh.
 

***

“Hai capito, porcospino?” domandò Noma a bassa voce.
Sendoh annuì di rimando.

“Fortunatamente, la camera di Hanamichi è a piano terra. Dovrete solo entrare velocemente, mentre noi distraiamo gli infermieri di turno” ripeté ancora Noma.

“Perché non possiamo entrare dalla finestra?” domandò Sendoh con ovvietà.

“Perché ti dovrebbe aprire il capo e noi non sappiamo se cammina senza sforzo oppure no. Yo ci ha detto che si muove su una sedia a rotelle, quindi meglio non rischiare” rispose Okuso.

“Una volta entrati, se non fate baldoria, avrete a disposizione tutta la notte, credo!” intervenne Takamiya aggiustandosi gli occhiali.

“Da quello che so, Hanamichi non è un paziente che vanno a controllare di notte, a meno che lui non chiami!” concluse.

“Bene!” esclamò Noma.

“Noi, quello che potevamo fare, l’abbiamo fatto! Ora tocca a voi due!” disse con tono serio.

“Mi raccomando, cerca di sprecare qualche parola in più, tu” disse poi rivolto a Rukawa che annuì silenzioso.

Noma alzò gli occhi al cielo, decidendo di soprassedere.

“Bene ragazzi, andiamo” disse, facendo un cenno agli altri e avvicinandosi alla reception della clinica.

“Scusi, vorrei delle informazioni” disse Okuso, distraendo l’infermiera di guardia.

Sendoh e Rukawa li videro coprire la visuale.

Quando poi Noma, da dietro la schiena, gli fece segno di andare, furono veloci ad abbassarsi e gattonare per tutto il corridoio.

“Una volta superata la reception” aveva detto loro Noma, “dovrete solo stare attenti a non incontrare qualche malato per i corridoi o qualche medico”.

Sendoh e Rukawa si addossarono alla parete.

Rukawa poteva scorgere, in lontananza, la stanza del do’hao.

Facendo cenno all’altro, si mossero velocemente fino ad arrivare alla fatidica stanza.

Rukawa abbassò le mani sulla maniglia guardando il giocatore.

Gli dava, infatti, la possibilità di tirarsi indietro e di mettere fine a quella pagliacciata.

Anche lui voleva vedere Hanamichi, ma non in quel modo.

Perché al do’hao sarebbe venuto un colpo nel trovarseli lì in piena notte.

Quando poi si sarebbe calmato, allora si sarebbe preoccupato per quello che stava succedendo al suo migliore amico.

Rukawa inoltre non era tanto sicuro che gli avrebbe fatto piacere trovarsi Sendoh lì che sapeva di loro due e tutto il resto.

Insomma, in qualunque verso la si mettesse, quella loro incursione notturna era sconveniente e dannosa sotto tutti i punti di vista.

Mito stava facendo di tutto per garantirgli una riabilitazione serena; loro avrebbero rovinato tutto in un solo colpo.

Sospirò pesantemente quando vide Sendoh annuire deciso.

Chiuse gli occhi implorando Kami di dargli la forza.

Non approvava ma non poteva tirarsi indietro né poteva permettere che Sendoh incontrasse da solo il do’hao.

Aprì lentamente la porta.

Ora, dipendeva tutto da Hanamichi.

Rukawa entrò piano nella stanza facendo segno a Sendoh di togliersi dalla visuale di Hanamichi.

Non poteva permettere che appena il do’hao si fosse svegliato, la prima cosa che avrebbe visto sarebbe stata la faccia del numero sette del Ryonan.

Si avvicinò titubante al letto, dove Hanamichi dormiva tranquillo.

Notò distrattamente la lampada accesa; quindi Hanamichi non aveva perso la sua abitudine di dormire con la luce accesa.

A quel pensiero, sentì il cuore stringersi in una morsa; quanto erano realmente difficili quei giorni per lui?

Scosse la testa contrariato: non era il momento di pensare a questo.

L’occhio cadde alla destra del letto, dove c’era una sedia a rotelle.

Osservò il volto del numero dieci costatando che sembrava un poco dimagrito.

Notò, sul comodino, la foto della squadra.

Avvicinò titubante la mano al volto di Hanamichi sentendo il suo cuore battere all’impazzata.

Anche la mano tremava incerta.

Che diritto aveva lui di imporre la sua presenza in un momento così difficile per Hanamichi?

Per fare un favore a Sendoh, poi!

No! Si corresse mentalmente.

Lui lo faceva per Mito, la persona più importante per Hanamichi.

Il numero dieci non aveva forse rinunciato alla compagnia dell’amico per fare il suo bene?

Fu quel pensiero che gli fece riacquistare la determinazione che tanto lo contraddistingueva.

Allungò deciso la mano verso la guancia di Hanamichi, intenzionato a risvegliarlo lentamente.

Ordinò invano al suo cuore di calmarsi nel momento in cui i polpastrelli sfiorarono la guancia del numero dieci.

Prese coraggio e incominciò ad accarezzargli la fronte.

Cos’avrebbe detto quando gli occhi nocciola del numero dieci si sarebbero aperti?

Non lo sapeva!

Sapeva soltanto che, in quel momento, mentre sentiva nuovamente la pelle di Hanamichi sotto le sue dita, tutto aveva perso d’importanza.

Mito, Sendoh, il ritiro… niente contava quanto quel tocco.

Niente contava quanto Hanamichi.
 

***
 

“Non c’è nessuno con quel nome” si alterò l’infermiera rivolta a Noma.

“E, anche se ci fosse, non è questo l’orario per le visite” concluse duramente.

“Ha ragione, ci siamo sbagliati” sorrise Noma.

“Togliamo il disturbo” disse allontanandosi, seguito poi dagli altri due.

“Bah, speriamo che vada tutto bene” esclamò Okuso, portandosi le mani dietro la testa.

“Rukawa è in gamba” rispose semplicemente Takamiya.

“Infatti, è il porcospino che mi preoccupa. Sinceramente, lo vedete adatto a Yo?” espresse le sue perplessità Okuso.

“Ci tiene a Yohei, tanto da entrare di soppiatto in una clinica il giorno prima del ritiro, con il rischio di venire scoperto e quindi dire ciao, ciao alla nazionale” rispose con ovvietà Noma.

“Cavoli, in effetti, se li scoprono, possono dire addio al ritiro” rifletté Okuso che non aveva considerato il problema da quell’angolazione.

“Appunto!” ci tenne a sottolineare Noma.

“Ci tiene a Yohei e questo ci deve bastare. Anche su Rukawa avevi dei dubbi, se non sbaglio” non mancò di fargli notare Takamiya.

“Beh, che sia un damerino di buona famiglia, Yohei ce lo ha confermato!” s’impuntò Okuso, tirando in ballo la stessa obiezione che aveva fatto mesi addietro sul numero undici non ritenendolo adatto a Hanamichi.

“Yohei non l’ha chiamato damerino. Ci ha soltanto detto dove abita!” lo pungolò Noma.

“E, infatti, abita in una delle zone alte di Kanagawa” non si arrese il biondo.

“Meglio così, allora” rispose pratico Noma. “Il capo si è sistemato in tutti i sensi” aggiunse con un sorriso ironico.

Okuso sbuffò, non sapendo cosa ribattere ma non rinunciando ad avere l’ultima parola.

“Non mi piace Sendoh!” esclamò imbronciandosi.

“Sì, sì, è come dici tu!” lo lasciò parlare Noma.

“Ci vediamo” lì salutò poi una volta che furono arrivati all’ingresso della pensione.

“Io vado da Yohei” disse incamminandosi.

“Io aspetto quei due!” disse Okuso intenzionato ad aspettare Rukawa fuori dalla porta della sua stanza.

“Bah, contento tu!” disse Takamiya decidendo di concedersi un ennesimo spuntino serale.

Ora non potevano fare più nulla.

Era tutto nelle mani di Hanamichi.
 

***
 

Hanamichi aprì lentamente gli occhi.

Una mano che gli accarezzava la guancia l’aveva svegliato.

Sentendo quel tocco, Hanamichi aveva capito di stare sognando.

La sua kitsune… quel tocco era inconfondibile!

Aveva continuato a tenere ostinatamente gli occhi chiusi, sperando di continuare a sentire quella mano su di sé.

Eppure, il sonno scivolava via sempre più veloce.

Tuttavia, quella mano non lo abbandonava.

Che stesse ancora sognando, credendo di essersi svegliato?

Non lo sapeva, anche se sicuramente doveva essere così.

Eppure, si sentiva sveglio come non mai.

Forse era Yohei, valutò.

Ma l’amico non aveva quel tocco così tipico della kitsune.

Un tocco che avrebbe riconosciuto fra mille, un tocco che sembrava impresso nella sua pelle come un marchio infuocato.

Decise di aprire gli occhi.

Li sentiva ancora intorpiditi dal sonno.

La sera prima aveva dovuto chiedere un tranquillante per il dolore; essersi alzato a fare quella telefonata gli aveva impedito di riposare tranquillo.

Aveva resistito finché aveva potuto, poi si era arreso a chiamare un infermiere che, per fortuna, non aveva sospettato nulla.

Sbatté le palpebre più volte, cercando di mettere a fuoco la persona che era con lui.

Allora non si era sbagliato: c’era qualcuno nella stanza.

Ma chi poteva essere?

Chi poteva avere un tocco tanto simile a quello di Rukawa?

Continuò ad aprire e chiudere gli occhi fino a che l’immagine non divenne più nitida.

Le carezze, notò distrattamente, si erano interrotte.

Si ritrovò a deglutire quando vide delinearsi una capigliatura nera come la notte.

Sbarrò gli occhi quando riconobbe quelli blu oceano della sua kitsune.

Provò a parlare quando vide, alla luce della lampada, il volto pallido che gli stava davanti.

“Ru-Rukawa?” disse titubante con la gola strozzata.

“Sto sognando?” domandò in un sussurro incerto, con la consapevolezza di essere ancora addormentato.

Perché Rukawa non poteva essere lì.

Perché Rukawa non doveva essere lì.

Eppure, quello sembrava un sogno così vero!

Allungò titubante una mano verso il volto dell’altro che, in tutta risposta, la afferrò prontamente quando rimase a mezz’aria incerto sul da farsi.

Hanamichi sentì il calore di quella pelle che aveva avuto modo di conoscere e che non aveva mai più dimenticato.

Quello non poteva essere un sogno!

Ma allora, che diamine ci faceva Rukawa lì?

“Hanamichi!” disse in un sussurro Rukawa, osservando attentamente ogni reazione del numero dieci.

Sapeva che sarebbe stato difficile, ma non fino a quel punto.

Come avrebbe giustificato la sua presenza lì?

Come avrebbe incominciato il discorso?

Come avrebbe reagito Hanamichi alla presenza di Sendoh?

Tutte queste domande, e molte di più, gli affollavano la mente.

Strinse con più forza la mano di Sakuragi, decidendo di seguire il suo istinto e regolarsi man mano in base alle reazioni dell’altro.

Sakuragi però, lo sorprese ancora una volta.

Staccò lentamente la mano da Rukawa facendosi forza sui gomiti e provando a mettersi seduto.

Il numero undici gli fu prontamente accanto, aiutandolo come meglio poteva e sistemandogli meglio i cuscini dietro la schiena.

Fu allora che Hanamichi notò Sendoh, che era rimasto fermo alla sua sinistra.

Lo guardò per un lungo istante con una faccia perplessa.

Guardò Rukawa e poi di nuovo Sendoh, massaggiandosi gli occhi con il pollice e l’indice.

“Do’hao…” incominciò Rukawa ma Sakuragi gli fece cenno, con la mano, di tacere.

“Sono sveglio, kitsune” disse con decisione, senza logica apparente.

“Allora” disse poi mettendosi comodo.

Rivolse a entrambi uno sguardo deciso, uno sguardo maturo.

Uno sguardo da adulto.

Fu questo che pensò Rukawa mentre osservava il volto dell’altro.

Il suo vero volto.

“Allora” ripeté Sakuragi guardando prima l’uno poi l’altro.

“Ditemi cosa diamine è successo a Yo” disse con un tono serissimo, un tono che non ammetteva repliche.

Sendoh e Rukawa si guardarono con sguardo perplesso.

Come faceva Hanamichi a sapere il motivo per il quale erano andati a fargli visita nel cuore della notte?
 

Continua…
 

Note:
 

Non ho molto da dire se non una precisazione: Sendoh e Rukawa possono realmente dire addio al ritiro se sono scoperti.

In Giappone, infatti, quando un ragazzo fa parte di un qualunque club viene immediatamente espulso se trovato a commettere azioni illegali o coinvolto in risse.

Entrare di notte in una clinica rientra, per l’appunto, in un’azione illegale.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Come sempre, attento i vostri pareri.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Pandora86
 
 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 16.
 

Hanamichi osservò lo stupore sul volto di Sendoh e Rukawa capendo di averli presi in contropiede.

Tuttavia, non gioì di quello: non gli interessava sorprenderli sulla sua perspicacia in quel momento ma solo sapere cosa fosse successo.

Un’idea lui l’aveva; sperò, con tutto se stesso, che non fosse come aveva ipotizzato.

Vide però che nessuno dei due si decideva a parlare.

I casi erano due: o non sapevano come dirgli una cosa brutta, o erano talmente sorpresi dalla sua frase da non riuscire ad articolare il discorso.

Discorso, che Hanamichi capì quasi immediatamente, avrebbe dovuto introdurre Sendoh.

Aveva, infatti, il sospetto che Rukawa avesse solo accompagnato il numero sette in quella che considerava una follia.

Che la considerasse una follia poteva facilmente dedurlo dalle occhiate truci di Rukawa verso il numero sette.

Decise di spezzare quel silenzio; non avevano molto tempo a disposizione.

Se avesse aspettato che Sendoh cominciasse a parlare con i suoi tempi, allora si sarebbe fatta mattina senza concludere nulla.

“Vi vedo alquanto perplessi”.

“Beh…” disse Sendoh titubante decidendosi a parlare. “Non pensavamo tu sapessi” concluse con un sorriso.

“E, infatti, non so” lo contraddisse Hanamichi calcando le parole.

“Ma pensi che io sia davvero così idiota, porcospino?” domandò con sarcasmo.

“E così, sei tu!” disse ancora, osservando il numero sette con occhi scrutatori.

“Ma allora, come?” domandò nuovamente Sendoh.

Hanamichi sospirò pesantemente.

Rukawa notò che era alquanto infastidito.

“Va bene, perdiamo tempo a parlare di idiozie!” continuò Hanamichi con tono spiccio, più serio che mai.

“Siediti, porcospino” disse poi con tono scherzoso, alleggerendo la tensione.

Non era il caso di inalberarsi per delle sciocchezze quando avevano cose ben più importanti di cui parlare.

“Sei troppo alto da questa prospettiva” lo sfotté allegramente.

Sendoh sorrise, andando ad accomodarsi sulla sedia accanto al letto.

Rukawa lo imitò, andando a sedersi sul letto di fianco al suo do’hao.

Hanamichi gli sorrise teneramente prima di ritornare a guardare il numero sette.

“Dunque!” incominciò con il tono di chi spiega delle ovvietà.

“Due giorni fa, io e Yohei abbiamo una piccola questione, dove finisce che io lo caccio intimandogli di andare a divertirsi. Fino qui mi seguite?” domandò, non aspettando però la risposta degli altri due.

“Il discorso, quella giornata, tocca strani punti. Non vi starò a riassumere tutto” disse in maniera pratica.

“Sappiate solo che ci sono io che lo assillo chiedendogli della sua vita sentimentale, e poco dopo che lo prendo in giro domandandogli chi è la fortunata!” e qui, Hanamichi fece un sorriso affettuoso ripensando al rossore sul volto dell’amico.

“Lo provoco, chiedendogli se si tratta invece di un fortunato” continuò il numero dieci guardando Sendoh intensamente.

“E, avvenimento degli avvenimenti, Yo arrossisce” spiegò con tono ovvio, calcando le parole.

“Poi, chiamo l’armata che, in seguito, mi conferma di aver visto Yohei in compagnia di qualcuno, non specificandomi chi” calcò ancora le parole.

“Allora comincio a fare ipotesi su ipotesi. Ripenso alle reazioni di Yohei alla mia domanda: Lo conosco?

Tuttavia, non ci cavo un ragno dal buco! Poi, vi presentate qui, in piena notte. Cosa ne dovrei dedurre secondo voi?” domandò allora con ovvietà.

Rukawa, che non si era perso una parola del do’hao, sorrise compiaciuto.

E lui che, ancora una volta, aveva sottovalutato il suo do’hao.

Mio… pensò con orgoglio, rimarcando quella parola.

Sendoh, invece, si ritrovò a ridacchiare sorpreso, ma neanche più di tanto.

Aveva sempre sospettato che il numero dieci fosse molto più di quello che apparisse.

“Ora” continuò Hanamichi, “vi decidete a dirmi cosa succede?” domandò, guardando soprattutto il numero sette.

Ora era, infatti, lui a dover parlare.

E Sendoh parlò.

Raccontò, per la seconda volta, la stessa storia nel giro di poche ore certo che, finalmente, avrebbe avuto le risposte alle sue domande.

Vide Sakuragi ascoltarlo con sguardo attento senza tuttavia interromperlo mai.

Cosa strana, se si considerava che fosse lui stesso il protagonista assoluto dei dialoghi fra lui e Yohei.

In effetti, era strano parlare a Sakuragi di Sakuragi stesso, e di tutte le ipotesi che aveva fatto il numero sette sul numero dieci.

Non aveva battuto ciglio quando Sendoh si era pronunciato in proposito.

Segno che non gli interessava cosa dicessero di lui, ma esclusivamente del suo amico.

Anche Rukawa osservava attento il do’hao.

Lui, che sapeva la verità sulle sue origini, aveva aggrottato lo sguardo quando Sendoh, qualche ora prima, aveva raccontato delle sue supposizioni.

Hanamichi invece non aveva fatto una piega; anche Rukawa capì che il suo interesse principale era Mito e in cuor suo si rasserenò; per quanto bizzarra fosse apparsa l’idea del numero sette, aveva fatto bene ad assecondarlo.

Solo così Hanamichi sarebbe stato sereno.

Sendoh, nel frattempo, raccontò tutto, non escludendo dai sentimenti che provava per Mito; sapeva bene, infatti, di non dover assolutamente nascondere quella parte.

Sakuragi non ci avrebbe pensato due volte a mandarlo al diavolo se avesse avuto il sospetto che voleva prendere in giro Mito.

In quel momento, capì che non era solo Yohei a provare stima assoluta verso Sakuragi.

Era anche il contrario e il numero dieci rappresentava il suo lasciapassare per potersi avvicinare a Mito.

Parlò per una ventina di minuti; minuti che sembrarono ore, fino a fermarsi alle frasi con cui Yohei lo aveva liquidato.

Vide Sakuragi sospirare pesantemente ma non sorprendersi.

Stessa reazione del resto del gruppo solo che Sakuragi sembrava avere qualcosa in più: gli occhi, infatti, recavano la consapevolezza di chi può risolvere la situazione.

“Yohei non è pazzo, porcospino!” ci tenne a precisare Hanamichi una volta che il numero sette ebbe finito di parlare.

“Lo so” rispose sicuro Akira, “altrimenti non sarei qui” concluse guardandolo fisso.

“E perché sei qui, allora?” gli domandò Hanamichi, con tono indagatore.

Rukawa seguì quel discorso non perdendosi nessuna delle espressioni del suo do’hao.

Con la mente, gli sembrava di essere andato a mesi addietro.

A una serata in particolare; serata dove Mito, trovandolo a casa di Hanamichi, lo aveva messo alla prova.

Solo che adesso lui era uno spettatore esterno.

Era Hanamichi, infatti, che stava valutando le reazioni del porcospino aspettandosi delle risposte.

Risposte decisive su quello che sarebbe venuto dopo.

Anche Sendoh dovette capirlo, dato che il suo volto cambiò espressione.

Il sorriso che lo contraddistingueva scomparve lasciando il posto a un’espressione decisa.

“Non posso aiutarlo se non so cosa lo tormenta!” disse semplicemente.

Ora, tutto dipendeva da Sakuragi.
 

***
 

Yohei andò ad aprire non sorprendendosi quando vide Noma.

Lo invitò a entrare lasciando la porta aperta e stendendosi sul letto.

Noma si accomodò senza tanti complimenti accanto all’altro guardandolo in silenzio.

Dopo alcuni minuti di silenzio, in cui Noma non aveva fatto altro che scrutarlo attentamente lisciandosi i baffi, Yohei decise di porre fine a quella situazione.

“Mi dici che vuoi?” domandò piccato.

Noma non se la prese per la freddezza dell’altro rispondendolo a tono.

“Vedere come stai?” gli domandò con ovvietà.

“O forse, sapere cos’è successo, visto che hai avuto qualche ora per sbollire?” domandò ancora.

Yohei sbuffò di rimando.

“Mi sembrava che il porcospino ti piacesse” continuò Noma nel suo monologo.

“Ti sembrava male!” ribatté pronto Mito.

“Mi sembrava che lo tollerassi” insistette Noma calcando l’ultima parola, con lo stesso tono paziente di chi spiega che due più due fa quattro a un bambino particolarmente irritabile.

Yohei gli rispose con un mugugno infastidito.

Detestava il tono dell’altro, soprattutto quando la persona cui era rivolto era lui.

Però, se era lì, sicuramente aveva visto anche Sendoh rientrare.

“L’hai visto?” domandò inaspettatamente Mito, non riuscendo a trattenersi.

“Sì, ma non mi sembrava in vena di chiacchiere” rispose Noma, capendo immediatamente il soggetto.

Mito valutò le parole dell’amico massaggiandosi gli occhi con il pollice e l’indice.

“Gli passerà!” rispose infine Yohei con una scrollata di spalle.

“Mi dici che è successo?” indagò Noma.

“È successo che si annoiava nell’andare al ritiro” rispose Yohei con tono neutro.

“E allora?” domandò Noma con ovvietà.

“E allora, ha una carriera folgorante da percorrere ed io non voglio essere una distrazione” lo illuminò Yohei iniziando ad alterarsi.

“Stiamo parlando di un ragazzo di diciannove anni che è alle prese con una cotta” provò a farlo ragionare l’altro.

“È normale che non voglia cambiare pensione” parlò ancora lisciandosi i baffi e dimostrando molto buonsenso.

“Mica ha detto che vuole rinunciare al basket” continuò poi pratico.

“Preferisco non rischiare” rispose Yohei sicuro di sé.

Noma sospirò alzando gli occhi al cielo.

Quando Mito decideva una cosa, non lo batteva nessuno a testardaggine.

Noma sapeva, infatti, che avrebbe continuato a mantenere quella posizione anche a costo di apparire ridicolo.

Quello che gli rivolse fu uno sguardo tra il perplesso e il rassegnato.

Sembrava voler dire: come devo fare con te?

Mito non faticò a interpretare quello sguardo compassionevole, inalberandosi ancora di più.

“Non voglio essere un intralcio. L’ho fatto per il suo bene” insistette Yohei piccato.

“Sì, sì, hai salvato il mondo. Bravo!” lo prese in giro l’altro.

Mito lo guardò truce decidendo però di non rispondere.

Quando Noma incominciava così, era meglio lasciar correre o avrebbe perso del tutto la poca pazienza che sentiva di avere.

Dopo alcuni istanti di silenzio, Yohei si levò a sedere mettendosi a gambe incrociate.

“Non voglio che la storia si ripeta” disse in un sussurro, parlando più a se stesso che all’altro.

Noma avvertì immediatamente il cambio di tono, facendo comparire sul suo volto un sorriso affettuoso senza però dire nulla.

Era raro che Yohei parlasse di quello che realmente sentiva e dire qualcosa, in quel momento, non avrebbe portato a nulla con il rischio di far chiudere a riccio l’altro.

Gli batté una mano sulla spalla con fare comprensivo.

E, infatti, non si ripeterà! Pensò, non esprimendosi però ad alta voce.

Se sapessi! Pensò ancora, ghignando dentro di sé.

In effetti, quella sera erano successe delle cose che Yohei non avrebbe mai immaginato.

Era convinto che Sendoh non ci avrebbe pensato più e che la faccenda si fosse conclusa in quel modo.

Noma avrebbe voluto ridere ma si trattenne.

Considerala una piccola vendetta, per aver voluto gestire da solo la faccenda di Rukawa! Pensò con un ghigno rivolgendo però all’altro un sorriso affettuoso.

Mesi prima, aveva voluto fare tutto da solo con Rukawa, ottenendo, tra l’altro, ottimi risultati.

L’armata non si fa mettere da parte da nessuno! Pensò ancora Noma, non pentendosi minimamente di quello che aveva fatto insieme con gli altri, quella sera.

Hanamichi lo aveva chiamato, insieme al resto del gruppo, per dare una mano a Yohei.

E lui, aveva assolto pienamente il compito.
 

***
 

Hanamichi sorrise alle parole di Sendoh.

Finalmente, anche per Yohei era arrivato il momento di essere felice.

Ora, toccava a lui dare una spintarella agli avvenimenti.

Ridacchiò notando poi che gli altri due lo guardavano perplessi.

“Non fateci caso!” disse poi con un sorriso.

“Stavo pensando che è proprio il nostro destino, mio e di Yohei intendo, salvarci le spalle a vicenda” affermò, guardando Rukawa.

“Soprattutto tenendo l’altro all’oscuro” concluse poi, guardando attentamente il numero undici.

Rukawa aggrottò la fronte ponderando le parole di Hanamichi.

“Guarda che so tutto, kitsune!” disse questi allegramente.

Rukawa strinse gli occhi, indurendo lo sguardo.

Prima Mito faceva una storia assurda e poi, di punto in bianco, decideva di dire tutto a Hanamichi?

Beh, avrebbe almeno potuto avvertirlo, che cacchio!

Forse era stato troppo preso da altro, ma comunque lui aveva il diritto si sapere.

Perso in queste disquisizioni mentali, dove da un lato assolveva Mito per non avergli detto niente e dall’altro lo colpevolizzava perché lui aveva ottime ragioni per essere informato, non si accorse di
Hanamichi che lo guardava sorridendo.

Il numero dieci, infatti, si stava divertendo un mondo a indovinare il filo dei pensieri di Rukawa.

Tuttavia, il tempo stringeva per cui si decise a parlare.

“Guarda che non mi ha detto niente!” disse vedendo l’altro, a quell’affermazione, rivolgergli uno sguardo interrogativo.

“Vado da anni in quel cimitero, Rukawa!” disse Hanamichi con tono serio.

“E non ti ho mai visto. Mai!” concluse, calcando l’ultima parola.

“Credi inoltre che basti andare a casa di Mito e domandargli semplicemente dove abito, per avere il mio indirizzo?” domandò con ovvietà, addolcendo però il tono.

Rukawa annuì in silenzio.

“Solo perché preso da altro” e a quelle parole arrossì un pochino, “non vuol dire che non noti le cose che mi circondano” concluse, deciso a chiudere l’argomento.

Sendoh, nel frattempo, aveva seguito quel discorso con un sorriso evidente.

Non si era sbagliato quando aveva ipotizzato che Rukawa e Mito fossero entrati in contatto in più occasioni riguardo Hanamichi.

Non si era sbagliato quando aveva supposto che Rukawa avesse prima dovuto convincere Mito, sull’autenticità dei suoi sentimenti, per arrivare al vero volto di Sakuragi.

Quel pensiero lo colpì.

Il vero volto di Sakuragi.

Rukawa l’aveva scoperto grazie a Mito.

E il vero volto di Mito, invece?

Sakuragi gli avrebbe permesso di scorgerlo?

Sono qui per questo! Si diede coraggio mentalmente stringendo i pugni.

Sono qui per questo! Ripeté nella sua mente come un mantra.

Costasse quello che costasse, io lo convincerò! Pensò ancora, lasciando intravedere sul suo volto la stessa determinazione dei suoi pensieri.

“E ora veniamo a noi, porcospino!” disse Hanamichi allegramente distogliendolo dai suoi pensieri.

“Io posso aiutarti!” affermò attirandosi la completa attenzione del numero sette.

“Ma…” e fece una pausa.

Sendoh assottigliò lo sguardo.

“Il mio aiuto sarà inutile, se non riuscirai ad andare avanti da solo!” disse solamente, certo che Sendoh avrebbe capito facilmente cosa intendeva.

“Tutto dipende da te!” gli chiarì ulteriormente il concetto. “Lo vuoi ancora il mio aiuto, sapendo questo?” domandò, squadrandolo attento.

“Sono qui per questo!” disse solamente Akira sorridendo.

Finalmente, avrebbe avuto le informazioni che cercava.

“Dimmi quello che devi, che poi Yohei non mi scappa più” aggiunse, allargando il sorriso.

Vide Hanamichi guardarlo titubante a quell’affermazione e capì di aver commesso una gaffe.

“Ops” aggiunse ridacchiando. “Vedi, nei miei pensieri lo chiamo così!” si giustificò con tono allegro.

Hanamichi sospirò decidendo si soprassedere.

Avrebbe dovuto abituarsi al modo di fare spigliato di Sendoh.

Ricordò che anche fra loro, Rukawa era stato il primo a chiamarlo per nome.

Segno che, proprio come Sendoh, lo aveva fatto praticamente sempre nei suoi pensieri.

Lì guardò entrambi valutando quanto potessero assomigliarsi quei due.

Così diverso dalla sua kitsune eppure così uguale al contempo.

Erano pragmatici allo stesso modo quando avevano un obiettivo eppure agivano in maniera totalmente opposta.

Rukawa andava dritto al sodo mandando a farsi benedire sia l’educazione che la diplomazia.

Sendoh, invece, accompagnava le sue tesi con il sorriso sempre pronto e con parole allegre.

Così diversi eppure così uguali.

Si chiese, per la prima volta, come era avvenuto, mesi addietro il primo dialogo fra Yohei e Rukawa.

Rukawa che si esprimeva a gesti e Yohei che lo squadrava attento.

Sì, sicuramente era andata così.

In fondo, anche Yohei in freddezza sapeva far impallidire il polo nord quando lo voleva.

Anche Yohei sapeva essere poco loquace quando era perso nelle sue analisi e riflessioni.
In un certo senso, quei due si erano scontrati con un carattere simile.

Lui invece era più chiacchierone a differenza del suo migliore amico e anche Sendoh lo era rispetto a Rukawa.

Avrebbero parlato la stessa lingua, in quel caso.

Si accorse di essere rimasto parecchi minuti in silenzio perso nelle sue riflessioni.

Gli altri due non l’avevano interrotto.

Decise quindi di porvi rimedio.

“Apri l’armadio che vedi alle tue spalle, porcospino” disse rivolto a Sendoh.

“Ci troverai uno zaino e dentro una cartellina nera. Portamela” continuò pratico lasciando trasparire una certa fretta nel tono di voce.

Ora doveva agire.

Ora doveva aiutare Yohei.

Pensa di meno e lasciati andare.

Erano state queste le parole del suo migliore amico tempo addietro.

E lui, meno riflessivo rispetto a Mito, avrebbe agito seguendo l’istinto.

Sendoh si alzò facendo quanto richiesto. Doveva aver capito che Hanamichi aveva incominciato a fare sul serio.

Qualunque cosa avesse in mente, era rilevante ai fini della loro visita; motivo per cui fece quello che il numero dieci gli aveva detto, senza fiatare.

Trovò senza problemi la cartellina all’interno dello zaino e, senza esitazioni, la porse al numero dieci.

Questi la prese accarezzando la copertina con riverenza, quasi come se all’interno vi fosse contenuto un prezioso tesoro.

Rukawa osservò il volto di Hanamichi che sembrava essere andato con la mente a ricordi lontani.

Aveva incurvato le labbra in un sorriso affettuoso mentre osservava la cartellina.

Il numero undici si ritrovò a deglutire senza volerlo; volse uno sguardo a Sendoh vedendo che anche lui osservava attento i movimenti del numero dieci.

Anche Sendoh doveva aver capito che lì dentro c’era qualcosa riguardante Mito.

Hanamichi aprì lentamente la cartellina.

Volse uno sguardo titubante agli altri due giocatori prima di aprire, con decisione, la copertina.

Sendoh sporse la testa cercando di osservarne l’interno e anche Rukawa, seduto sul letto, osservava, ansioso di sapere cosa voleva mostrare loro Hanamichi.

Il numero dieci estrasse un foglio ricoperto da una plastica trasparente porgendolo a Sendoh.

Rukawa riuscì a intravedere un paesaggio disegnato mentre Hanamichi allungava il braccio verso il numero sette.

Sendoh prese il foglio che l’altro gli porgeva osservandolo prima incuriosito, poi sbigottito.

Che diamine significava tutto quello?

Cosa voleva mostrargli, in realtà, Sakuragi?

Alzò lo sguardo interrogativo mentre il numero dieci, nel frattempo, lo osservava divertito.

“Volevi sapere cosa affligge Yohei, porcospino” parlò, ritornando serio.

“Ebbene… questo è il passato di Yo”.
 

Continua…
 
Note:
 

Ecco la prima parte del confronto fra Sendoh e Sakuragi.

Spero che vi sia piaciuto come ho gestito l’introspezione e che i personaggi non siano risultati OOC.

Sakuragi tra l’altro è un po’ più serio del normale ma la situazione lo richiede!

Spero, come sempre, che anche questo capitolo vi sia piaciuto.

Attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 17.
 


Sendoh fissò per lunghi istanti il disegno che aveva in mano.

La Torre Nera.

“Io ho già visto questo disegno!” sussurrò dopo un po’ stringendo il foglio.

“Era pubblicato sulla copertina di una rivista che si occupava di queste cose” aggiunse, cercando di richiamare alla mente i dettagli.

“Non mi sorprende. La rivista su cui è stato pubblicato non aveva una tiratura bassa!” disse Hanamichi.

Sendoh si perse un istante nei dettagli del disegno. Ora che sapeva chi era l’autore, tutto cambiava e nello stesso tempo, tutto appariva uguale.

Ricordava la malinconia provata allora nell’osservare quel disegno.

Ora che vedeva l’originale, questa malinconia era evidente.

 “Questo è l’originale!” gli confermò il numero dieci dopo un po’.

Sendoh annuì con il capo notando i kanji sul bordo destro del foglio.

Yohei Mito.

Pur non essendo un esperto, non poté fare a meno di notare la precisione con cui erano disegnate le sfumature.

Sarebbe riuscito a distinguere ogni granello di sabbia.

Avrebbe potuto dire con certezza in che direzione soffiava il vento, un vento freddo, nonostante la torre si trovasse in pieno deserto.

Non sapeva perché quel vento dovesse essere freddo, eppure sentiva che era così; era il modo in cui era disegnato che suggeriva quell’idea.

Gli occhi di Mito, la sua aria malinconica mentre gli diceva quella frase, erano presenti in quel disegno.

Sendoh dovette ammettere che poter osservare l’originale era tutt’altra storia.

Notò che sotto i kanji c’erano dei caratteri occidentali.

Sendoh suppose che fosse il nome di Mito scritto con quei caratteri.

“Quello è merito mio, porcospino” disse Hanamichi seguendo il suo sguardo.

“In fondo, hai intuito che me la cavo con l’occidente, no?” gli fece l’occhiolino.

Akira sorrise di rimando.

“L’autore però era sconosciuto sulla rivista!” disse dopo un po’.

Rukawa intanto osservava il disegno, attentissimo alla conversazione.

Che Mito avesse quel talento era una scoperta anche per lui.

“Per il pubblico, l’autore preferisce rimanere sconosciuto, anche se, nel giro, Yohei è molto ammirato, oltre ad essere molto richiesto” sorrise ancora Hanamichi.

“Anche se rifiuta gran parte dei lavori che gli vengono proposti”.

A quelle parole sia Rukawa che Sendoh capirono, dallo sbuffo contrariato del numero dieci, che non doveva essere d’accordo con quella scelta.

“Sappi solo che viene definito un prodigio, per il tocco pulitissimo che riesce a dare nella prima mano di qualunque disegno” iniziò a spiegare Hanamichi.

“Quello che hai in mano” e lo indicò con l’indice, “non ha mai subito nessuna cancellatura ed è stato realizzato in meno di un’ora” rivelò loro e sia Sendoh che Rukawa capirono perché dava quell’informazione.

Per loro che non se ne intendevano, bastava quella spiegazione, infatti, a far capire l’immenso talento dell’autore.

“Mi diverto da matti quando lo chiamano Sensei” ridacchiò Hanamichi riprendendo a parlare.

“Peccato che lo senta sempre troppe poche volte” e qui la voce assunse una sfumatura malinconica.

“Quello che però ha sempre sorpreso tutti, è che Yohei riesce a disegnare a occhi chiusi. Per lui non è un problema trasportare sul foglio quello che ha nella testa. Non ha mai studiato nessuna tecnica, né lavorato sui colori e le sfumature” continuò Hanamichi con orgoglio.

Gli altri due giocatori lo ascoltavano attenti.

“È semplicemente un genio! Un genio che, secondo tutti, ha una carriera sfolgorante da percorrere nell’ambito dell’illustrazione o qualunque cosa comporti tenere una matita in mano” concluse.

“Quello non è stato il primo concorso che ha vinto, né la prima illustrazione che ha pubblicato” continuò indicando il disegno.

Sendoh annuì con il capo con aria triste.

Quelle sembravano belle notizie a un ascoltatore distratto.

Chi invece avesse prestato più attenzione alle parole del numero dieci, avrebbe notato tracce di malinconia, miste a rammarico e dispiacere.

Mito aveva una carriera sfolgorante davanti a se ed era un prodigio… peccato che questa carriera non avesse intenzione di percorrerla e che avesse deciso di rimanere nell’anonimato.

All’ombra… Mito aveva scelto di rimanere all’ombra.

Ma perché?

“Noto, dal tuo sguardo, che stai iniziando a capire il problema, porcospino!”.

La voce di Hanamichi lo distolse dalle sue riflessioni.

“Lui non ha intenzione di coltivare questo suo talento!” disse Sendoh guardando l’altro negli occhi.
Hanamichi annuì soddisfatto.

“Ti dirò di più, porcospino” rispose Sakuragi scrutandolo attento.

“Lui lo rinnega!” gli rivelò con tono triste.

“Le volte che ha lavorato in questo campo, è successo perché non ha avuto scelta, a causa della situazione economica di sua madre!” aggiunse.

“Yo preferisce fare il cameriere, il giardiniere, lo spazzino o qualsiasi altra cosa, piuttosto che accettare uno dei tanti lavori che gli propongono. Quando ha ricavato soldi dal suo talento, è stato perché non aveva nessun altro lavoretto sotto mano” e qui fece una pausa.

“Come credo che succederà anche adesso” sussurrò, e stavolta rivolto più a se stesso che agli altri due.

Rukawa, a quelle parole, alzò lo sguardo capendo immediatamente a cosa si riferisse Hanamichi.

Il disagio sul volto del numero dieci era la prova evidente dei suoi pensieri; tuttavia, Sendoh non capì il perché di quell’affermazione, domandandone quindi il motivo.

“Credi che il soggiorno in questa clinica sia gratis?” rispose seccato Sakuragi.

“Sinceramente, non so stavolta come né usciremo” chiuse gli occhi massaggiandoseli con il pollice e l’indice.

Rukawa fu lesto a stringergli la mano intrecciando le dita alle sue.

Aveva, infatti, notato che Hanamichi stesse artigliando il lenzuolo, in preda alla rabbia repressa.

“Io ci sono!” disse solamente, strappando un lieve sorriso a quel volto che tanto amava, in ogni sua sfaccettatura.

Tuttavia, sapeva anche quanto le sue parole fossero state inutili; Hanamichi non avrebbe mai accettato aiuti economici da parte sua.

Inoltre, non avrebbe potuto lavorare per un po’ e di sicuro Rukawa sapeva che, a breve, avrebbe dovuto faticare per convincerlo ad andare a stare da lui.

Hanamichi probabilmente, a causa del suo dannatissimo orgoglio, avrebbe preferito mendicare in mezzo a una strada piuttosto che lasciare che qualcuno si prendesse cura di lui, anche se si trattava del suo compagno.

Di questo però si preoccupava poco dato che sapeva avrebbe avuto il sostegno di Mito.

Ma per tutte le altre questioni, come avrebbe fatto?

In quel momento, Rukawa capì quanto gli fosse costato allontanare Mito dal suo capezzale e perché Mito stesso fosse così preoccupato.

Hanamichi, rimanendo solo e impossibilitato a muoversi, di certo avrebbe fatto vagare la mente.

Il percorso dei suoi pensieri sarebbe stato ovvio: in pratica, si sarebbe lambiccato su come uscire da quella situazione da solo, ancora una volta.

Per dimostrare cosa, e a chi, non si sapeva.

Fatto stava, che Hanamichi, persino in quelle condizioni, rimaneva una persona cui era impossibile imporre qualcosa contro la sua volontà.

Persino in quelle condizioni, lasciava trapelare tutta la sua forza.

Persino in quelle condizioni, sapeva gestire le situazioni improvvisate che gli capitavano, tipo la visita inaspettata di loro due.

Del resto, anche per questo Rukawa lo amava.

Tuttavia, non poté impedire al suo sguardo di posarsi truce sul numero sette del Ryonan.

Mito di qua, Mito di là… e a Hanamichi, che invece era in quelle condizioni, non ci pensava?

Ovvio che no!

Sendoh dovette intuire i suoi pensieri visto che chinò il capo.

Quando lo rialzò, però il suo sguardo era determinato come non mai.

La frase di Sakuragi lo aveva lasciato perplesso… aveva intuito, dal modo di fare di Mito, così protettivo, che non dovesse aver avuto una vita facile.

Inoltre, oltre la riabilitazione, già di per sé debilitante oltre che fisicamente, soprattutto mentalmente per uno sportivo, sembrava dover gestire anche problemi più grossi di lui.

“Non ti ho ancora chiesto come stai!” disse, deciso a rimediare alla sua mancanza.

“E hai fatto bene!” lo riprese Sakuragi sorprendendolo.

“Non mi sembra che ci sia questo tipo di rapporto, fra noi” specificò.

“Inoltre, è stata una delle cose che mi ha spinto a parlarti di Yo” gli chiarì Hanamichi tenendo tuttavia le sue dita ancora incrociate a quelle di Rukawa.

Sendoh lo guardò interrogativo.

“Se il tuo interesse è reale, come hai dimostrato venendo qua in piena notte, allora trovo inutile perdersi nei convenevoli” lo riprese bonariamente.

“Dritto al punto, come direbbe qualcuno!” e, a quelle parole, sorrise, rivolto a Rukawa.

“Non perdiamo tempo” aggiunse e Sendoh annuì.

“Se ti ho parlato del talento di Yohei, non è tanto per fartelo apprezzare di più” continuò Hanamichi.

“Il suo, è un talento di famiglia cui è legata tutta la sua storia” disse lasciando a malincuore la mano di
Rukawa e sospirando pesantemente.

Aveva bisogno di riordinare le idee e soprattutto doveva farlo immediatamente; il calore delle dita di
Rukawa era intossicante, oltre a essere una fonte di distrazione.

Rukawa capì il perché di quel gesto e non obiettò, ma non mosse la mano.

Perché, se il racconto si fosse fatto troppo pesante, lui sarebbe stato pronto a sorreggere Hanamichi.

“La madre di Yo era una delle mankaga più famose prima della sua nascita” incominciò Hanamichi lentamente.

“Non era una semplice autrice, era l’autrice fra le autrici. Le sue storie spopolavano fra le persone di tutte le età e sicuramente voi, anche se non appassionati del genere, ne conoscerete qualcuna tramite gli anime.

Il suo talento nel disegno, aggiunto alla sua fantasia e agli intrecci spettacolari, dava vita a storie che hanno fatto sognare milioni di persone. In questo caso, Yo ha ereditato il talento nel disegno amplificato all’ennesima potenza, come succede spesso nei tratti ereditari, fisici e non” e li fece un sorriso passandosi una mano tra i capelli.

Rossi come la madre, ma di un colore molto più intenso e sicuramente più marcato.

Stessa carnagione di suo padre ma più olivastra.

Sendoh seguì i gesti del numero dieci preferendo tuttavia non interromperlo.

Era evidente che Sakuragi si stesse riferendo anche a se stesso ma preferì soprassedere, decidendo di continuare ad ascoltare.

“La storia d’amore della madre di Yo è abbastanza comune. Viene seguita da uno dei migliori editori sul campo e se ne innamora. Lui sembra ricambiarla e vanno a vivere insieme, fino a che non sorge un problema!” e qui si interruppe, rivolgendo a Sendoh uno sguardo attento.

Il numero sette si ritrovò a deglutire, incominciando a capire dove il numero dieci volesse andare a parare con quel discorso.

“Il problema, per l’appunto, è Yohei!” continuò Sakuragi chiudendo gli occhi.

“Nonostante sua madre fosse giovane e non sposata, decise di tenere il bambino accogliendo la gravidanza con gioia” continuò, trovando difficile parlare.

Per lui, quelli erano argomenti spinosi, difficili da esporre senza spaccare nulla.

Anche questa volta, Rukawa intuì il corso dei pensieri del numero dieci andando ad afferrargli prontamente la mano e deciso, stavolta, a non lasciare la presa.

“Suo padre non la pensava così, come poi è stato appurato dopo. Non credeva possibile che una mangaka di tale successo accettasse di fare pause nel lavoro. Lui non lo accettava.

Da quello che so, credo che gli piacesse seguire autori famosi, collezionandoli come oggetti.
Fatto sta, che quando Yohei nacque continuò come se nulla fosse il suo lavoro.

La madre di Yo continuò per un po’ a lavorare ma poi decise di smettere, desiderosa di occuparsi del suo bambino.

Iniziò a lavorare sempre meno, fino a quando non accettò di fare l’aiutante di una mangaka e lasciare definitivamente il mondo stressante degli autori.

Quello che ne seguì, fu una furiosa litigata. Io e Yo avevamo otto anni!” e qui si interruppe non sapendo come continuare.

“Devi sapere che, quando Yo fu concepito, sua madre e suo padre abitavano insieme già da un po’.

Con il tempo, la madre aveva sperato che veder crescere il figlio avrebbe ammorbidito quello che lei considerava un marito, moderandone l’ambizione.

Andarono avanti così per otto, fino a che il padre non fece definitivamente le valigie” sospirò ancora.

“E questa, a grandi linee, è la storia della famiglia di Yohei” disse volgendo il suo sguardo verso il numero sette del Ryonan.

“Il problema è che la vera storia comincia da qui!” disse ancora, facendo fatica a organizzare le idee.

Eppure, in qualche modo doveva esprimersi per far capire il vero problema al numero sette.

“Una volta, mentre io e Yo eravamo al parco giochi, Yohei si definì, per la prima volta, nel modo che ti ha tanto sbalordito. Mi disse di essere un’ombra!” s’interruppe ancora.

“Solo successivamente io ne capii il perché. Tempo dopo, infatti, andai a casa sua e vidi realmente come stavano le cose.

Credo qualche mese, o forse un anno, prima che suo padre decidesse di fare definitivamente le valigie”.

Sendoh lo guardò sentendo il cuore battergli all’impazzata nel petto.

“Ombra!” ripeté Sakuragi.

“Suo padre viveva in quella casa facendo finta che suo figlio non esistesse” rivelò finalmente il numero dieci.

“C-Cosa?” si ritrovò a domandare Sendoh.

“Non lo considerava, né gli rivolgeva la parola. Se poi ci aggiungi che Yo era un bambino schivo e riservato, allora riesci a capire il muro che si era creato tra padre e figlio”.

“Yohei una volta mi ha confidato che lui, da piccolo, credeva di non esistere!” sospirò ancora Hanamichi.

“E sua madre?” domandò ancora Sendoh sentendo il suo cuore battere all’impazzata.

Come poteva un bambino aver sopportato questo?

Come poteva un bambino formulare simili pensieri?

E la madre, in tutto ciò, che ruolo aveva?

“Che vuoi che ti dica” rispose alla sua domanda Sakuragi.

“Affrontava il compagno molte volte, soprattutto quando Yo non c’era.
Spesso li sentivamo urlare. Interveniva sempre mia madre che ci portava in giro, rimpinzandoci di dolci e, qualche volta, anche comprandoci un nuovo gioco!” rispose Hanamichi sorridendo affettuoso al ricordo della madre.

“Sua madre cercava come poteva di non far mancare nulla al figlio. Uno dei motivi per cui io e Yo siamo cresciuti praticamente insieme è proprio questo! C’è solo un’altra cosa che credo tu debba sapere” disse guardando attentamente l’altro.

“Il padre non l’ha mai riconosciuto!” e qui si interruppe, non sapendo più cosa aggiungere e posando la schiena al guanciale del letto.

Sendoh annuì in silenzio, accarezzando con il pollice il nome sopra al disegno.

Ora capiva.

Ora comprendeva tutto e, dentro di lui, una nuova verità prendeva forma.

“Si sente in colpa per la carriera della madre!” affermò sicuro il numero sette non staccando gli occhi dal disegno.

“Per questo…” continuò a bassa voce, “quando io ho parlato del ritiro, ha reagito in quel modo!” realizzò con una nuova consapevolezza negli occhi.

Hanamichi annuì stancamente.

“Voglio solo aggiungere una cosa, Sendoh” continuò lasciando da parte, per una volta, il nomignolo che spesso utilizzava per l’altro.

Sendoh se ne accorse e si accinse ad ascoltarlo attento.

“Se Yohei ti ha allontanato, è perché ci tiene a te” disse accorato, sperando che afferrasse il concetto.

“Pensa di aver fatto il mio bene” rispose sicuro il giocatore dimostrando di aver compreso il senso della sua frase.

“Esattamente, porcospino” sorrise Hanamichi.

“Se non gli interessassi, non avrebbe detto quelle cose né saresti arrivato a tenergli la mano” rimarcò il concetto il numero dieci.

Sendoh annuì ancora.

In pratica, Hanamichi lo stava rassicurando sul fatto che i suoi sentimenti non fossero monodirezionali.

Di conseguenza, ora toccava a lui agire per far capitolare Mito.

“Oh Kami!” esclamò a un certo punto Hanamichi con tono da idiota.

“Il porcospino come cognato” e si portò teatralmente le mani sui capelli.

“Ah, ma io lo so che siete invidiosi dell’immenso talento del Tensai e volete sfruttare i miei amici per carpire i miei segreti, ah, ah, ah” e incominciò a ridere rumorosamente.

“Do’hao!” lo riprese Rukawa, felice dentro di sé che Hanamichi avesse superato anche la parte più complicata del discorso.

“Che vuoi, baka?” gli inveì contro il numero dieci.

“Vuoi svegliare tutta la clinica?” sibilò Rukawa come risposta.

“Vuoi una testata, Kitsune?” gli sussurrò Hanamichi imbronciandosi e assomigliando, in quel momento, a
un bambino di dieci anni.

“Do’hao!” liquidò la faccenda Rukawa.

Sendoh ridacchiò a quel teatrino.

“Sapete, siete proprio una bella coppia!” ammise sincero.

“Ovvio!” rispose sicuro Rukawa con il suo solito cipiglio.

Hanamichi, invece, arrossì fino alla punta dei capelli diventando di un’accesa tonalità viola.

“Co-coppia?” balbettò con le guancie in fiamme.

Rukawa lo guardò storto.

“Do’hao!” disse nuovamente.

Sendoh ridacchiò ancora.

“Ora credo proprio che dovremmo andare” disse guardando l’orologio.

Erano le quattro del mattino passate.

Hanamichi ritornò serio.

“Vai a prenderti Yo, porcospino” disse con un sorriso.

“E se lo fai soffrire” aggiunse, “tieniti pronto per un ricovero!” gli intimò puntandogli contro l’indice.

Sendoh annuì sicuro decidendo di uscire e lasciando ai due qualche istante di intimità.

“Sono un campione” disse prima di uscire, rivolgendosi a Hanamichi con un sorriso sghembo.

“E sono abituato a vincere!” e stavolta, il sorriso divenne sicuro.

“Vedi di rimetterti in fretta se un giorno vuoi sperare di battermi” gli augurò.

“Contaci!” gli rispose Hanamichi e Sendoh uscì definitivamente.

Ora sapeva cosa doveva fare.
 

Continua…
 
Note:

Ecco svelato il passato di Yohei.

Spero che la mia versione dei fatti vi sia piaciuta.

Comunque, altri particolari saranno aggiunti in seguito dallo stesso protagonista.

Solo una piccola curiosità: a livello genetico è vero che, in molti casi, quando i genitori trasmettono un carattere al figlio, questo viene amplificato.

Vale di più per i caratteri non fisici, se i genitori sono della stessa nazionalità.

Invece, in caso di nazionalità diverse, il discorso allora comprende alla stessa percentuale sia i caratteri fisici sia per quelli riguardanti eventuali dote o talenti.

Specifico che questa, però è solo una piccola curiosità sulla genetica trattata in maniera molto superficiale e non una definizione esatta, dato che sulla trasmissione dei geni sono scritti interi libri!

Come sempre, attendo i vostri pareri.

Nel frattempo, grazie a chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 18.
 

Rukawa entrò nella stanza con un unico obiettivo: raggiungere al più presto il letto.

Erano le cinque del mattino passate e considerati i suoi standard sulle ore di sonno che era solito fare, capì di averli superati ampiamente.

Distrattamente, si tolse la maglia e poggiò la testa sul cuscino chiudendo gli occhi. La fuga dalla clinica era stata rocambolesca.

Sendoh, dopo essere uscito, era rientrato velocemente pochi minuti dopo.
 
 
“Mi dispiace interrompervi, ma è suonata una chiamata dalla stanza accanto alla tua Sakuragi” aveva detto per risposta alle loro facce interrogative.

“Nascondetevi dietro il separé” li aveva esortati allora Hanamichi.

“C’è la probabilità che il medico si possa affacciare anche nella mia, dato che ieri ho chiesto un antidolorifico”.

Rukawa lo aveva guardato preoccupato. Hanamichi non aveva detto che gli avevano dato un antidolorifico; aveva detto che lo aveva chiesto.

Una persona orgogliosa come lui che chiedeva. Poteva significare solo una cosa: che quel ricovero, indispensabile per arrivare alla riabilitazione vera e propria, era più difficile di quanto avesse lasciato loro intendere quella sera.

Erano questi i suoi pensieri quando Sendoh, notando che non si muoveva, lo aveva afferrato per la maglia e trascinato con lui dietro il separé.

“La sedia!” aveva fatto loro notare Sakuragi e il numero sette, con uno scatto da vero sportivo, l’aveva immediatamente rimessa a posto.

Rukawa, recuperando il suo sangue freddo, aveva afferrato lo zaino e il disegno portandoli con sé.

Erano passati alcuni minuti dove l’unica speranza, nel caso il medico passasse a visitare il paziente, era quella che non notasse le scarpe dato che il separé non copriva la visuale fino a terra.

Hanamichi aveva saggiamente spento la luce; il problema era che se l’avesse accesa il medico avrebbe notato le loro ombre.

Maledetti divisori bianchi! Aveva imprecato mentalmente Rukawa.

Tuttavia, per loro fortuna, erano passati dieci minuti e il medico non si era fatto vedere.

“Credo che possiate uscire” aveva detto Sakuragi.

“Di solito, si trattiene poco nella stanza accanto” aveva spiegato loro, accendendo la luce.

“Credo comunque che vi convenga uscire dalla finestra!” li aveva guardati serio, facendo forza sui gomiti per alzarsi.

“Do’hao, che cazzo dici?” era allora sbottato Rukawa.

“Che il medico potrebbe essere andato via, come potrebbe ancora essere nella stanza accanto e voi dovete approfittarne!” aveva sostenuto il suo sguardo Hanamichi.

Il tono era stato duro e l’espressione era quella di chi non voleva essere contraddetto.

Sakuragi, infatti, sapeva bene quanto loro rischiassero a causa di quella piccola visita notturna.

“Ha ragione lui” era intervenuto Sendoh.

“Oh, che onore! Il porcospino che mi da ragione. E adesso muovetevi” si era poi alzato, avvicinandosi alla finestra a passo malfermo.

Il dolore che provava era stato evidente sulle smorfie che il numero dieci cercava di trattenere.

Rukawa aveva fulminato Sendoh con lo sguardo.

Maledetto lui e le sue idee del cazzo!

Maledetto lui e le sue pensate idiote!

Persino un ceco avrebbe notato che Hanamichi era stato chiaramente barcollante quando aveva raggiunto la finestra.

Anche Sendoh doveva averlo notato ma conoscendo l’orgoglio smisurato del numero dieci aveva fatto finta di nulla e si era trattenuto dal dargli una mano.

Almeno questo! Aveva pensato Rukawa agendo nello stesso modo.

D’altro canto non aveva il tempo per mettersi a discutere con il do’hao (e, in quel caso, mai soprannome era più appropriato).

Che non volesse una mano era stato chiaro dall’espressione; nonostante non fosse riuscito a reprimere le smorfie di dolore, dalla sua bocca non era uscito neppure un lamento.

E, considerata la situazione che stava vivendo, Rukawa si era sentito in dovere di rispettare la sua volontà.

Perché per lui poteva essere una bazzecola dare o no una mano al numero dieci per camminare.

Per Hanamichi, che doveva sentirsi peggio di una tigre in gabbia, era invece fondamentale visto e considerato lo stato di immobilità in cui si trovava.

Sicuramente, si sentiva inutile bloccato com’era in quella clinica.

Motivo per cui, Rukawa non lo aveva aiutato ne aveva fiatato.

Avevano poi agilmente scavalcato la finestra, Sendoh per primo, Rukawa per secondo.

Solo uno sguardo, solo un leggero sfiorarsi di mani prima di andare via.

“Adesso dovete correre!” aveva detto loro Hanamichi, titubando un istante prima di chiudere la finestra.

Un ultimo sguardo rivolto al numero undici, prima che la finestra fosse definitivamente chiusa.

Un’ultima occhiata dove Rukawa aveva letto tanti sentimenti messi assieme, amore, tristezza, rammarico, malinconia e talmente tanti altri tanto da non riuscire a catalogarli, prima di volgere definitivamente gli occhi altrove.

Poi, avevano corso.

Senza un ultimo sguardo.

Senza un saluto.

Avevano solo corso, sperando di essere talmente veloci da non farsi notare visto che neanche l’oscurità era dalla loro parte.

Maledetta estate dove albeggiava prestissimo!

Questo aveva pensato Rukawa mentre correva.

Erano poi arrivati alla pensione e neanche lì avevano avuto problemi.

Rukawa aveva voltato le spalle al numero sette, incazzato come non mai, quando si era sentito chiamare.

“Grazie! So quanto ti è costato” aveva detto il numero sette con sguardo fiero, porgendo la mano.

“Fa in modo che ne sia valsa la pena!” aveva liquidato la faccenda Rukawa stringendo la mano per poi dirigersi verso la sua stanza.

E ora era lì, a pensare a Hanamichi e alla quantità di informazioni inaspettate che aveva ricevuto su Mito.

D'altro canto, quei due erano troppo legati, per essere solo degli adolescenti.

Ecco spiegato lo sguardo maturo di entrambi.

Ecco spiegato il comportamento protettivo che avevano uno nei confronti dell’altro.

Ripensò ai brevi istanti che era potuto stare da solo con Hanamichi.
 
 
“Nh” aveva mugugnato Rukawa leggendo, nello sguardo di Hanamichi solo tanta preoccupazione.

“Li tengo d’occhio io” lo aveva rassicurato.

In realtà, non lo faceva per altruismo, doveva ammetterlo.

Lo faceva perché voleva essere parte di Hanamichi, parte della sua vita come lo era, se non di più, l’armata.

Voleva esserci dove lui non c’era, rappresentando così la sua parte mancante.

Sì!quello era egoismo allo stato puro, in effetti. Ma non voleva assolutamente essere lasciato fuori dagli affari del do’hao, qualunque essi fossero.

Non ora che il loro legame stava diventando così speciale.

Voleva che Hanamichi si fidasse di lui, che lo considerasse una spalla dove piangere ma anche dove appoggiarsi quando non ne poteva più.

“Grazie!” gli aveva detto il numero dieci con sguardo pieno di gratitudine.

E Rukawa aveva visto il suo sorriso; quello vero.

“Grazie a te” non era riuscito a trattenersi il numero undici.

Hanamichi aveva alzato un sopracciglio guardandolo scettico.

“Di cosa?!” aveva domandato e Rukawa avrebbe risposto se non fosse entrato Sendoh.

Grazie per esserci, grazie per aver portato nella mia vita una luce nuova, grazie per avermi accolto nel tuo mondo… grazie per tutto questo e per molto altro.

Questo avrebbe voluto dirgli ma non aveva fatto in tempo.

Era dovuto andare via senza poter indagare su quello che più gli interessava.

Era dovuto andare via senza poter chiedere delucidazioni sulle condizioni di Hanamichi.

Sapeva che il numero dieci avrebbe minimizzato; in fondo, non aveva detto loro dell’antidolorifico proprio quando stavano andando via e per una ragione totalmente diversa dall’informare i visitatori sul suo stato di salute?

Lo aveva detto perché non aveva scelta; il sospetto che il medico potesse entrare nella sua stanza era divenuto quasi certezza dopo quell’informazione, e loro si erano ritrovati a dover andare via velocemente senza avere null’altro di quello che avevano ottenuto quella sera: il passato di Mito.

Solo ed esclusivamente il passato di Mito; era questo, quello che avevano ottenuto. Era questo, quello con cui Rukawa se ne era andato; né più né meno.

In pratica, lui e Sendoh avevano avuto solo quello che Hanamichi era stato intenzionato a dare loro.

Erano lì per Mito e con sole ed esclusive informazioni su Mito erano andati via.

Nessuna notizia su di lui, né su come se la passasse, né come stava.

Neanche una banalità, tipo quanto faceva schifo il mangiare della clinica.

Hanamichi poteva essere ingenuo quanto voleva ma quando si trattava di lui e del suo maledettissimo orgoglio, diveniva il manipolatore tra i manipolatori.

Aveva anche sorvolato la domanda di Sendoh su come stesse in realtà, rigirandola abilmente pur di non dover dire quanto fosse duro stare lì dentro.

Tutto per dimostrare a se stesso di essere forte; tutto per dimostrare a se stesso di essere indipendente.

Ma Rukawa non l’avrebbe più permesso.

Questo era uno dei lati che più amava di Hanamichi ma quando era troppo era troppo.

Quando il soggiorno nella clinica fosse finito, allora Rukawa lo avrebbe costretto, se necessario, ad accettare il suo aiuto che Hanamichi lo volesse oppure no.

Di certo, non lo avrebbe fatto lavorare; in questo, sapeva che avrebbe avuto l’appoggio
di Mito.

D’altro canto, una piccola informazione al do’hao l’aveva strappata, anche se questa era uscita fuori legata sempre al discorso su Mito.

Non so stavolta come ne usciremo.

Questo aveva sussurrato Hanamichi, più a se stesso che a loro.

Di sicuro, dentro la sua testa stavano prendendo vita le idee più strampalate.

Se si aggiungeva che in quella clinica non c’era molto da fare, allora era sicuro che le idee di Hanamichi avrebbero raggiunto livelli stratosferici di idiozia.

A Rukawa venne in mente quando il do’hao, nella settimana di assenza dello Shohoku, aveva accettato di uscire con la babbuina, alias sorella del capitano.

Il motivo, ovviamente, lo aveva capito solo lui!

Strinse i pugni con rabbia a quel ricordo.

Lui si allontanava una settimana e il Re degli imbecilli usciva con la sorella del capitano perché- aspetta, com’era?- ah, sì! Voleva dimostrare a se stesso i suoi sentimenti verso la super matricola.

O perlomeno, questo gli era sembrato di capire!

All’epoca, neanche Mito era riuscito a dissuaderlo.

Certo, gli era andato dietro rovinando, a detta del do’hao dei do’hao, il suo appuntamento!

Solo che, sempre all’epoca, aveva la mente impegnata dai ventimila tiri.

Adesso invece, cosa mai sarebbe riuscito a cacciare fuori per uscire, da solo, da quell’ennesimo problema?

Non ha importanza! Si rispose poi Rukawa mentalmente.

Perché lui ci sarebbe stato!

E poi, adesso aveva anche un altro problema da risolvere o, quantomeno, prendere in considerazione.

Poteva davvero fidarsi di Sendoh?

Hanamichi sembrava convinto di sì.

D'altro canto, lui considerava le cose con un unico metro di giudizio, in pratica quanto
Sendoh sembrasse tenerci a Mito.

E la risposta, visto quanto Sendoh avesse fatto quella notte, veniva da sé.

Lo stesso aveva fatto anche Mito con lui stesso.

Il problema vero era che però Mito lo aveva fatto avvicinare al do’hao, suggerendogli di seguirlo, senza dargli neanche un’informazione sulla meta.

Ricordava bene quel discorso; Mito non gli aveva detto quasi nulla ma solo indicato come agire.

Dovrai essere forte!

Queste erano state le parole del ragazzo allora.

Mito non si era preoccupato di sconvolgerlo ma anzi lo aveva ritenuto necessario, mandandolo in quel cimitero senza prepararlo minimamente.

Lo riteneva uno scotto necessario per potersi anche solo avvicinare al do’hao.

Dubito che tu ne abbia, in effetti!

Gli ritornò in mente la voce di Mito mentre diceva questa frase.

Ovviamente, si riferiva ai suoi nervi.

Il perché aveva agito così ora Rukawa lo capiva.

Mito avrebbe semplicemente potuto parlare come aveva appena fatto Hanamichi quella sera eppure, non lo aveva fatto.

Lo aveva messo alla prova, ma la vera prova non era stata reggere la conversazione con lui, quanto non crollare di fronte a un Hanamichi completamente perso nel suo mondo mentre parlava a due lapidi.

Era stata quella la vera prova.

Ora Rukawa lo capiva e si spiegava anche il perché.

Mito conosceva Hanamichi come le sue tasche.

La forza che lui aveva sempre solo intravisto nel numero dieci, Mito invece la conosceva bene.

Di conseguenza, per stare accanto a lui doveva dimostrare una forza d’animo eguale.

Invece, Hanamichi, quella sera, aveva agito in modo totalmente diverso.

Perché?

Era questa la domanda di Rukawa, a quel punto.

D’altro canto, sapeva anche di non poter lasciar perdere; aveva fatto una promessa al suo (suo, che bella parola) do’hao e l’avrebbe mantenuta.

Ma come avrebbe reagito Mito quando avrebbe saputo della loro escursione notturna?

E Sendoh, invece, come aveva intenzione di gestire tutte quelle informazioni?

Quel pensiero lo fece aprire gli occhi di scatto; non aveva pensato a una cosa fondamentale nel suo ragionamento.

Hanamichi aveva raccontato la storia di Mito, vero, ma non aveva dato nessuna informazione su come gestire quelle notizie.

Nessuna informazione.

Il mio do’hao manipolatore! Pensò Rukawa con un sorriso affettuoso.

Mito in passato gli aveva detto cosa fare non dando nessuna informazione su quello che avrebbe visto.

Hanamichi, invece, aveva fatto il contrario.

Non contava l’escursione notturna di Sendoh; la vera prova del numero sette sarebbe cominciata solo dopo, in pratica, quando si sarebbe ritrovato faccia a faccia con Mito.

Perché Hanamichi essendo bloccato in quella clinica, non aveva altro modo per proteggere il suo amico, se non in quel modo.

Chissà se Sendoh se ne è reso conto! Pensò ancora Rukawa.

La situazione, in effetti, appariva ancora più complicata rispetto a quando non sapevano nulla!

A quel punto non restava che vedere come sarebbero andate le cose.

Di certo, ipotizzò Rukawa, Sendoh non sarebbe andato da Yohei a quell’ora.

A meno che non volesse andare a fare compagnia a Hanamichi.

Sì, di sicuro gli parlerà nella serata, magari dopo essersi sistemato nella nuova pensione!

Questa era l’ipotesi di Rukawa, che chiuse gli occhi lasciando che il sonno si facesse strada in lui.

Il numero undici però non poteva neanche lontanamente immaginare quanto si stesse sbagliando.
 

***
 

Sendoh fissava pensieroso il soffitto.

Dopo la corsa rocambolesca dalla clinica, aveva ritenuto doveroso ringraziare Rukawa per la sua disponibilità poi si era diretto nella sua stanza con tutta l’intenzione di pensare a quanto aveva saputo e decidere quindi la sua prossima mossa.

Hanamichi gli aveva dato più di quanto sperasse; un giorno o l’altro lo avrebbe ringraziato come si doveva.

Ripensò ai capelli del numero dieci dello Shohoku alla luce delle nuove informazioni ottenute; chissà di che nazionalità era realmente.

Comunque, non era questo il suo problema.

Mito.

Guardò sul comodino alla sua destra, dove era poggiato il peluche e ripensò alle sue mani fredde; mani che potevano creare dei capolavori. Mani che avrebbe voluto riscaldare con le sue.


Ombra.


Rifiuto.


Ora tutto quadrava.

O forse, non proprio tutto ma la gran parte del puzzle.

Yo ha avuto quella faccia solo due volte da quando lo conosciamo!

Queste erano state le parole di uno dei componenti dell’armata.

Quali erano le altre due volte?

Possibile che c’entrasse il padre?

Il numero sette non lo escludeva a quel punto.

Mito così freddo e distaccato; Mito così calmo e riflessivo.

Ora Sendoh sapeva che quella era tutta una maschera che il ragazzo aveva creato attorno a se, ma non per difendersi quanto per dimostrare a se stesso di essere forte.

Non si era sbagliato quando aveva ipotizzato che Mito fosse testardo e orgoglioso allo stesso modo di Sakuragi.

Perché Mito sembrava voler fare di tutto per non dimenticare.

Lo dimostravano le frasi con cui lo aveva liquidato; Mito continuava a considerarsi un’ombra ed era questo il problema, ora Sendoh lo capiva.

Mito non solo si continuava a considerare un’ombra ma addirittura voleva continuare a esserlo.

Per questo non voleva dimenticare.

Voleva essere forte, voleva dimostrare a se stesso e agli altri di non essere minimamente turbato dalle sue vicende.

Non sono io ad avere dei problemi!

Era stata questa la frase che aveva sentito la prima volta che erano riusciti a parlare civilmente.

Mito non si era accorto della sua presenza e aveva espresso quel pensiero ad alta voce.

Ora Sendoh capiva la vera gravità della questione.

Mito rifiutava a priori di ammettere di avere dei problemi eppure non sembrava intenzionato a dimenticare.

Un’ombra non ha problemi.

E Mito era intenzionato a continuare così.

Per non creare problemi ma neanche per averne.

Per non dover dare nulla ma neanche ricevere nulla.

Voleva fermare la sua vita a quello che aveva, senza aggiungere niente e nessuno; e se avevi la fortuna di essere come Sakuragi, con il quale era cresciuto e che considerava parte integrante di sé, allora andava bene.

Se, al contrario, eri qualcuno che veniva dall’esterno, allora ti potevi scordare di entrare nella mente e nella vita di Yohei.

Così stavano le cose ed era a questo che Sendoh avrebbe dovuto porre rimedio.

Come fare, però?

Andare da Yohei tenendo presente quanto aveva detto Sakuragi, ma facendo lo gnorri di
fronte all’altro oppure andare da lui e spiattellargli tutto e insistere fino a quando Yohei non avesse ceduto?

Il numero sette non lo sapeva, però di certo gli appariva chiaro che, in entrambi i casi, sarebbe stata una lotta di resistenza.

Inoltre, Sakuragi non aveva detto nulla a riguardo, lo aveva solo rassicurato sui suoi sentimenti e Sendoh valutò, a quel punto, che l’altro l’avesse fatto di proposito.

Lo lasciava libero di agire.

Questa libertà però era un’arma a doppio taglio.

Sakuragi in realtà lo stava mettendo alla prova; in fondo, era stato chiaro a proposito.

Lo aveva specificato che lui avrebbe solo dato le informazioni; il resto Sendoh se lo sarebbe dovuto sudare.

Ma Sendoh non era intenzionato a tirarsi indietro, ora più che mai.

Il giocatore guardò l’ora: erano le sei e un quarto del mattino.

Troppo presto per andare da Mito eppure non aveva altra scelta; non poteva accantonare tutto a dopo il ritiro o agire quando era con la nazionale.

Di certo, durante il ritiro si sarebbe potuto allontanare ma, per un discorso di quell’importanza, non poteva rimandare ancora.

Fu con uno scatto da vero sportivo che si diresse alla porta; non aveva alternative.

Anche se non sapeva cosa fare, doveva vedere Yohei e poi avrebbe pianificato man mano.

In fondo, era o non era un campione?
 

***
 

Mito sbatté ripetutamente le palpebre mettendo a fuoco la stanza.

Sentì ripetutamente bussare alla porta e guardò l’orologio: le sei e venti.

Chi diamine era a quell’ora?

Si domandò alzandosi.

Non credeva fosse qualcuno che recapitava una telefonata dalla clinica; proprio la sera precedente aveva chiamato e gli era stato confermato che tutto procedeva bene.

Inoltre, la bussata non era tanto di quelle urgenti ma più di quelle insistenti.

Se è Noma, lo ammazzo! Pensò, aprendo distrattamente la porta e sbadigliando vistosamente.

Di certo, tutto si aspettava tranne la figura che gli si parò davanti, una volta aperto.

“Tu?!”
 

Continua…
 
Note:
 
Questo capitolo è tutto introspezione.

Ho ritenuto necessario fare un salto nei pensieri di Rukawa e Sendoh dopo la visita a Sakuragi, per far vedere come entrambi hanno assimilato le informazioni ottenute.

Inoltre, ho volutamente lasciato da parte i pensieri di Hanamichi che saranno ripresi nel capitolo successivo.

Spero di non avervi annoiato troppo.

Mi raccomando, attendo ansiosa i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui!

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo!

Pandora86
 
 

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Capitolo 19
*** capitolo 19. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 

Capitolo 19.
 

Hanamichi richiuse la finestra, avviandosi lentamente al letto.

Dannazione, le fitte alla schiena erano insopportabili.

Tenne l’orecchio teso per un po’ cercando di captare ogni minimo rumore, conferma del fatto che Rukawa e Sendoh fossero stati beccati.

Non successe nulla per dieci minuti buoni e il numero dieci tirò un sospiro di sollievo.

Dopò un po’, sentì la sua porta aprirsi; il medico aveva fatto capolino nella sua stanza per controllare che dormisse senza problemi.

Hanamichi rimase a occhi chiusi tirando, dentro di sé, un secondo sospiro di sollievo.

Aveva fatto bene a farli andare via dalla finestra o sarebbe stato impossibile nasconderli.

Rabbrividì al solo pensiero di quello che sarebbe successo poi.

Per fortuna, però, era andato tutto bene.

Dopo pochi istanti, sentì la porta richiudersi e aprì nuovamente gli occhi.

Cercando di ignorare il dolore, richiamò alla mente i particolari di quell’assurda nottata.

Sendoh.

Chi avrebbe mai potuto immaginare che il porcospino arrivasse a tanto.

Ripensò al suo racconto e alla freddezza di Yo nei confronti del numero sette.

Non aveva dubbi, aveva fatto bene a raccontare il passato del suo braccio destro.

Si domandò se Mito avesse, in passato, guardato Sendoh come lui aveva guardato Rukawa.

Forse sì, forse no.

Di certo però Sendoh aveva notato Mito.

Galeotta fu la camicia! Pensò Sakuragi, sghignazzando al pensiero dell’assurda camicia di flanella del suo amico.

Dovette ammettere con se stesso che il porcospino lo aveva piacevolmente stupito.

Non lo aveva mai considerato granché da quel punto di vista, per lui era solo un avversario da battere.

Eppure, non si poteva negare che fosse un bel ragazzo.

Lui, che in fondo aveva sempre saputo da che lato andassero i suoi gusti, lo riteneva tale.

Era alto e prestante e, ovviamente, l’idolo di tutte le ragazze del Ryonan e non solo, a giudicare dagli articoli che uscivano su di lui.

Eppure, proprio come lui, Sendoh era molto meno superficiale di quello che dava a vedere.

Non era un rubacuori incallito o un ritardatario cronico che si trasformava solo su un campo da basket.

Era una persona orgogliosa e ambiziosa che quando voleva qualcosa faceva di tutto per ottenerla imponendo agli altri il suo volere.

Aveva fatto lo stesso anche con Yo, si ritrovò a riflettere Sakuragi.

Lo aveva notato e aveva provato a rivolgergli la parola. Lo aveva invitato a uscire insistendo fino all’esasperazione, imponendo all’altro la sua presenza e facendo in modo che Yohei accettasse la sua compagnia per sfinimento più che altro.

E poi, cosa più importante, aveva perfettamente compreso il carattere di Yohei.

Un carattere freddo e calcolatore accompagnato da un sorriso sghembo; questo era Sendoh, anche se il numero dieci avrebbe potuto dare la stessa definizione per il suo migliore amico.

Hanamichi si era sorpreso molto quando aveva sentito i particolari sull’uscita e le conversazioni che avevano avuto.

Sendoh, nonostante fosse attratto fisicamente da Yo, non si era accontentato di uscirci insieme.

Lui voleva essere notato. Voleva essere considerato da quel ragazzo così scostante e più Yohei lo allontanava più l’altro si incaponiva.

Sendoh, quella notte, non aveva nascosto i suoi gusti sessuali, altro particolare fondamentale.

Non aveva fatto mistero di preferire un ragazzo piuttosto che una ragazza, a patto che questa persona avesse quello che cercava.

Il problema, a questo punto, era Yohei.

Yohei non si era mai interessato a nessuno, ragazzo o ragazza e Hanamichi aveva sempre considerato i suoi gusti un mistero irrisolto.

Ora invece, si sentiva attratto da Sendoh.

Dalla sua prestanza fisica ma anche dal suo carattere.

Come avrebbe reagito di fronte al nuovo agguato del numero sette?

E, se le cose si fossero risolte, come avrebbero impostato la relazione?

Yohei, per quello che ne sapeva Hanamichi, detestava essere toccato.

Sopportava i continui abbracci della madre proprio perché le voleva un bene immenso.

Questa era una cosa che anche Sendoh sembrava aver notato, per fortuna.

Quindi, di certo avrebbe capito che provarci subito in quel senso gli sarebbe solo costato un ricovero nell’ospedale più vicino.

In quel momento, Hanamichi si pentì un poco di essere stato così vago su come gestire le informazioni che aveva dato al numero sette.

Certo, lo aveva rassicurato sui sentimenti di Yo ma non gli aveva detto assolutamente come fare per utilizzare al meglio quelle notizie.

Eppure, sentiva di aver fatto bene.

A Sendoh, Mito piaceva; di conseguenza non avrebbe avuto problemi.

Aveva accettato di buon grado il suo aiuto in questo senso, dichiarandosi pronto a fare tutto da solo una volta che avesse capito cosa tormentava Yo.

Quindi, su questo forse poteva stare tranquillo.

A quel punto, non poté impedire alla sua mente di andare a focalizzarsi sulla seconda persona che era venuta a fargli visita.

Kaede Rukawa.

Che diamine era venuto a fare anche lui?

Lui non era un idiota.

Era per questo che li aveva presi in contropiede dicendo, lui a loro, il motivo della visita.

Perché Rukawa aveva accompagnato Sendoh, rischiando di dire addio al ritiro.

Inoltre, era evidente, dallo sguardo del numero undici, che non fosse assolutamente d’accordo con quella visita notturna.

Perché?

Questo si era domandato Sakuragi.

Perché?

Si domandava tuttora.

Non aveva fatto in tempo a chiederglielo, ma quella domanda lo tormentava.

Si preoccupava del ritiro?

No! Se fosse stato così, non sarebbe venuto!

Non voleva vederlo?

Hanamichi non voleva credere che fosse questo il motivo delle sue occhiate truci verso il numero sette.

E allora, perché sembrava così contrariato?

Possibile che si preoccupasse a tal punto per lui da rinunciare a vederlo pur di non creargli fastidi?

A quell’ipotesi, Hanamichi sentì il cuore iniziare a battere più veloce.

Tra l’altro, Rukawa non aveva fatto altro che scrutarlo tutto il tempo, pronto a carpire chissà quali informazioni.

Informazioni sulla mia salute! Comprese Hanamichi a quel punto.

Informazioni su come sto!

Informazioni che lui non aveva dato appositamente.

Ma allora, se era questo il motivo, perché aveva accettato comunque?

Perché sa quanto tengo a Yo! Si rispose poi il numero dieci.

Aveva accettato, pur essendo contrario a quella visita, solo per Mito.

Anche lui doveva stimare Yohei, in fondo.

A quei pensieri, un sorriso si dipinse sul suo volto e si pentì un poco di aver omesso appositamente le notizie che riguardavano lui.

Per la prima volta, si pentì di aver assecondato il suo orgoglio.

Orgoglio che gli diceva di apparire forte, sempre e comunque.

Orgoglio che doveva aver ferito Rukawa in passato.

Orgoglio che aveva ferito Rukawa quella notte.

E il numero undici non se lo meritava.

Non dopo tutto quello che aveva fatto in quei mesi di sotterfugi.

Non dopo tutte le volte che si era dovuto sorbire i suoi sbalzi d’umore e le sue paturnie mentali.

Le cose cambieranno!

Fu con quel pensiero che si rasserenò.

Quando sarebbe uscito da lì, avrebbe trasformato la mezza promessa che si era scambiato con Rukawa in qualcosa di più concreto.

Lo avrebbe messo al primo posto, come meritava di essere.

Anche lui avrebbe fatto la sua parte in quella storia appena nata eppure solida come quelle di anni.

Fu con questo pensiero che si addormentò.

Con questo pensiero e il volto di Rukawa a fargli compagnia nei sogni.
 

***
 

“Tu?!” ripeté Mito perplesso, assottigliando lo sguardo e indurendo il tono.

“Che cosa vuoi?” scandì lentamente le parole, sentendo il sonno svanire completamente.

“Parlare!” rispose Sendoh guardandolo fisso, con tono altrettanto duro.

“Io, invece, no!” rispose Yohei chiudendo la porta.

Sendoh però fu lesto a frapporre il suo piede fra la porta e lo stipite, aprendola poi con le mani ed entrando nella stanza di prepotenza.

Yohei lo guardò perplesso, non sapendo cosa fare di fronte a quel comportamento così insolito dell’altro.

“Hai preso una botta in testa?” lo schernì, usando un tono volutamente cattivo.

“Risparmiati il sarcasmo” sorrise Sendoh.

“Non attacca, con me” disse duro, facendo scomparire il sorriso.

“Hai visto che ore sono?” gli inveì contro Yohei, chiudendo la porta e avvicinandosi all’altro.

“Credevo ci fossimo detti tutto” continuò, appoggiandosi al muro con le braccia incrociate.

“Veramente” lo corresse il giocatore, “hai fatto tutto da solo”.

“Capisco!” lo schernì ancora Yohei.

“A te non piace che gli altri decidano per te. Il grande Sendoh non sopporta che qualcuno gli dica di no!” rise Yohei con sarcasmo.

“Beh, io non so che farci” scrollò le spalle, guardandolo indisponente.

“Giusto per curiosità” riprese Yohei, “ci hai impiegato una notte a pensare a cosa dire? Se avevi qualcosa da obiettare, potevi dirmelo ieri sera” lo guardò con un sorriso supponente.

“Diciamo che è stata una nottata movimentata” rispose Sendoh volutamente misterioso.

Yohei lo guardò interrogativo e Sendoh continuò.

“Raccontami cosa ha dovuto fare Rukawa per avvicinarsi a Sakuragi!”disse, più serio che mai.

Yohei lo guardò scettico.

“Scusa?!” gli domandò inarcando un sopracciglio.

“Hai capito benissimo” lo riprese Sendoh. “Rispondimi!” aggiunse imperativo.

Yohei, di fronte a quel modo di fare, si indispose.

“Tu, questo tono con me, non lo usi” gli si avvicinò, puntandogli l’indice contro.

“Rispondimi!” disse ancora Sendoh.

“Se non vuoi che lo chieda a Sakuragi stesso!” aggiunse con un sorriso misterioso.

L’altro rise.

“E come faresti?” gli domandò curioso.

“Posso fargli una telefonata” incominciò Sendoh.

“Sai che sorpresa, per il tuo caro amico, ricevere una telefonata dall’asso del Ryonan?” domandò.

“Oppure” continuò, anticipando le ripsoste dell’altro, “posso andare a fargli visita quando incomincerà la riabilitazione. Oppure ancora, posso domandarglielo alla prima partita che disputeremo. Magari, davanti a tutta la squadra” aggiunse lentamente, in modo che l’altro afferrasse il concetto.

Yohei lo fissò duro.

“Io, invece, posso impedirti di giocare al ritiro mandandoti all’ospedale” lo minacciò.

“E così beccarti una denuncia per aggressione” non si perse d’animo Sendoh.

“Dimentichi che i miei amici possono testimoniare il falso!” sogghignò sarcastico Yohei.

“E tu dimentichi che siete solo quattro teppisti” fu la pronta risposta di Sendoh.

“Quando le scuole saranno informate, quale reputazione credi che sarà presa in considerazione? La mia, o la vostra?” domandò ancora, sapendo di stare mettendo l’altro alle strette.

“Inoltre, se passi dei guai, non potrai più fare compagnia a Sakuragi e sostenerlo in questo periodo duro.
Come farà senza di te?”continuò in quelle domande retoriche.

“Tu però rinunceresti al basket!” gli disse Yohei non cedendo.

“Se ti spezzo un braccio, dovrai dire addio alla tua carriera!” gli fece notare con cattiveria.

“Ma se non gioco, mi annoierò molto” non si arrese Sendoh con la prontezza di chi sa esattamente cosa dire avendo la sicurezza che può dare un discorso preparato con molto tempo d’anticipo.

“E, una persona annoiata diventa chiacchierona” aggiunse lentamente il numero sette, dando modo all’altro di assimilare le sue ultime parole.

“Molto chiacchierona, soprattutto se deve diffondere dei pettegolezzi” aggiunse ancora, avvicinandosi e facendo scomparire il sorriso dal suo volto.

Yohei a quelle parole, deglutì.

Aveva ragione.

Sendoh aveva dannatamente ragione!

Una volta tornato a scuola, avrebbe potuto facilmente diffondere i pettegolezzi sulla relazione tra Sakuragi e Rukawa.

“Mi stai ricattando!” sbottò Mito afferrando a pieno la situazione.

Strinse i pugni, sentendo l’improvvisa voglia di menare le mani.

“Se vuoi vederla così, fa pure” rispose Sendoh con tranquillità sedendosi sul letto.

“Tutto dipende da quanto ci tieni al tuo amico, e cosa sei disposto a fare per lui” aggiunse guardandolo fisso.

Yohei chinò il capo, sconfitto.

Cosa era disposto a fare, per proteggere Hanamichi?

Tutto!

Era solo colpa sua quella situazione.

Se non si fosse fatto riconoscere da Sendoh.

Se non ci fosse uscito insieme.

Era in trappola e l’altro se ne stava approfittando.

E lui doveva solo chinare il capo e fare quello che l’altro voleva.

“Va bene” disse Yohei lentamente.

“Va bene!”ripeté con un sussurro.

Sendoh sorrise, non gioendo però per quelle parole.

Ora, l’altro lo odiava.

Eppure, era disposto a scendere a compromessi con lui per salvare Sakuragi.

Provò un’immensa tristezza nell’osservare quella versione inedita di Yohei.

Una versione sconfitta.

Eppure, anche se avrebbe voluto abbracciarlo rassicurandolo che non avrebbe mai fatto nulla di quello che aveva detto, sapeva di doversi trattenere.

Doveva farlo per il suo bene.

Perché Sendoh aveva un piano ma, se Yohei non lo avesse assecondato, non avrebbe potuto fare niente.

E, se l’unico modo era fargli credere a un ricatto, allora andava bene così.
“Facciamola finita subito” disse Yohei.

Sendoh lo guardò interrogativo.

“Io lo so che cosa vuoi!” parlò ancora Mito.
Sendoh inarcò un sopracciglio, non riuscendo a comprendere il senso di quelle frasi.

“Vuoi venire a letto con me e non sopporti che io ti abbia detto di no!” esclamò Yohei, marcando l’ultima parola, mentre alzava lo sguardo fronteggiando l’altro.

Sendoh, a quelle parole, lo guardò sbigottito.

“Se otterrai quello che vuoi, ti riterrai soddisfatto e mi lascerai in pace, giusto?” gli domandò ancora Mito con un sospiro.

Sendoh sgranò gli occhi, a quelle parole.

Osservò Mito che lo guardava fiero, disposto anche a quello, pur di proteggere Hanamichi.

Vide la sua espressione, evidentemente disgustata al pensiero di essere toccato da lui, e ne rimase ferito.

“Hai equivocato!” disse con tono triste.

Non l’avrebbe mai costretto a fare quello, eppure Yohei aveva tirato le somme spiegandosi in quel modo il motivo del ricatto.

Di certo, i pochi punti che aveva guadagnato ai suoi occhi si erano dissolti dopo quella conversazione.

“Hai equivocato” rimarcò il concetto alzando la voce.

“Come puoi pensare che io possa arrivare a questo?” gli domandò, sentendo la tristezza aumentare.

“Ricatto!” gli disse Yohei, freddo come il ghiaccio, mimando le virgolette con le dita.

“Non farei mai una cosa del genere” e stavolta fu Sendoh a indisporsi.

“E allora che cosa vuoi?” urlò Yohei perdendo la calma.

“Che cosa vuoi da me?” gli domandò con un sussurro, chinando il capo.

“Sapere come ha fatto Rukawa a guadagnarsi la tua fiducia” disse Sendoh.

“Solo questo” rimarcò il concetto.

“Perché?” gli domandò Mito.

“Lo capirai!” rispose sicuro Sendoh.

“Tu, intanto, comincia a raccontare” concluse sorridendo.

L’altro lo guardò dubbioso ma non obiettò.

Si sedette sul pavimento, provando a riordinare le idee e accorgendosi, in quel momento, di non sapere da dove cominciare.

“Che cosa vuoi sapere esattamente?” domandò massaggiandosi gli occhi con il pollice e l’indice.

“Quello che è avvenuto fra te e Rukawa” rispose sicuro l’altro.

“È complicato” disse Yohei lentamente.

“Non saprei neanche da dove cominciare” ammise, cercando di essere più chiaro.

Francamente, non capiva il motivo di quelle domande eppure, a quel punto, avrebbe risposto volentieri pur di togliersi il numero sette dai piedi.

Però era vero quello che aveva detto: non sapeva in che modo raccontare tutto quello che era avvenuto.

Sendoh sembrò capire la difficoltà dell’altro visto che gli sorrise rassicurante.

Si alzò dal letto e si avvicinò all’altro, sedendosi a terra di fronte a lui.

Mito gli lanciò un’occhiata truce per quella vicinanza non gradita e Sendoh se ne accorse ma fece finta di nulla.

D’altro canto, quello era il minimo; il giocatore sapeva che se Yohei avesse potuto, gli avrebbe ridisegnato la faccia a suon di pugni.

“Sei stato tu a farli mettere insieme, vero?” domandò Sendoh, partendo da lontano.

Yohei annuì, evitando il suo sguardo.

“Come hai fatto?” domandò ancora il numero dieci.

“Guarda che non è che abbia fatto chissà cosa!” ci tenne a specificare Yohei.

Sendoh inarcò un sopracciglio, guardandolo con scetticismo, ma non disse nulla.

“Rukawa osservava Hanamichi già da un po’, anche se era convinto di non avere nessuna speranza” incominciò Mito.

“Io gli ho solo assicurato che i sentimenti erano ricambiati, poi ha fatto tutto da solo” cercò di liquidare, in questo modo, la faccenda.

“Quindi avresti fatto lo stesso, anche se si fosse trattato di un’idiota” lo provocò Sendoh, che non si era accontentato di quella versione così semplificata dei fatti.

“Ovviamente, no!” sbottò Yohei capendo, l’istante successivo, di aver fatto il gioco dell’altro.

“Perché Rukawa andava bene per Sakuragi?” domandò ancora Sendoh.

Yohei si prese un istante prima di rispondere.

“Rukawa è una persona con una forza d’animo fuori dal comune e con un sangue freddo eccezionale” rispose con semplicità.

Sendoh non commentò ma non poté fare a meno di notare quanto fossero sincere le parole di Yohei su Rukawa.

Il numero undici si era guadagnato ampiamente tutta la sua stima.

“Coraggio, continua!” lo incitò, non facendo però trapelare nulla dalla sua voce.

Yohei sospirò, incominciando così a raccontare.

Non sapeva dove quello lo avrebbe portato.

Non aveva la più pallida idea di quello che Sendoh avrebbe fatto con quelle notizie.

Tuttavia, raccontò.

Dentro di lui, giustificò il racconto dicendosi che non aveva scelta, perché l’altro lo stava ricattando.

Però, non poté negare il sollievo che prendeva il sopravvento, man mano che raccontava quei mesi così bui e difficili.

Mesi che aveva vissuto da solo.

Mesi che ora stava dividendo con Sendoh.
 

Continua…
 

Note:
 

Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che spero vi sia piaciuto.

Come il solito, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Inoltre, AUGURI DI BUON ANNO A TUTTI VOI!

Pandora86

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 20.
 

Yohei si interruppe, osservando Sendoh.

Lui aveva detto il minimo indispensabile e al numero sette molte cose dovevano essere risultate poco chiare.

Aveva raccontato del suo primo incontro con Rukawa a casa di Hanamichi non specificando che il numero dieci non abitasse più in quel posto.

E Sendoh non aveva chiesto chiarimenti in proposito.

Aveva raccontato di aver mandato Rukawa in un determinato posto, omettendo però quale.

E Sendoh non chiesto di che posto si trattasse.

Aveva raccontato di come avesse dato l’indirizzo di Hanamichi a Rukawa, e qui Yohei aveva chiaramente visto la perplessità sul volto dell’altro.

Eppure, ancora una volta non aveva domandato nulla.

Quasi come se non gli interessasse e, a quel pensiero, Yohei si indispose.

Perché diamine si faceva raccontare determinate cose, se poi ci capiva poco o nulla?

Fu truce l’occhiata che rivolse al giocatore.

“Ti spiacerebbe chiarirmi il senso di tutto questo?” domandò velenoso.

“O solo perché mi stai ricattando” e calcò bene sulla parola, “non hai intenzione di spiegarmi nulla?”.

“Non ti seguo!” ammise Sendoh, soprassedendo sul tono dell’altro.

Gli era sembrato che Mito, durante il racconto, si fosse fatto un po’ più amichevole, quasi come se fosse un sollievo dividere con lui quei mesi così angosciosi.

Perché, anche se molte parti erano ancora oscure, una cosa era stata evidente: l’angoscia che Yohei aveva provato nel cercare di far ragionare il suo migliore amico.

Chissà quante volte aveva avuto dei dubbi e non li aveva condivisi con nessuno.

Chissà quante volte si era domandato se quello che faceva fosse giusto, non potendosi confidare con nessuno.

Questo aveva percepito Sendoh sa quel racconto, provando per colui che aveva di fronte una tenerezza crescente.

Eppure, ora che il racconto era finito, ecco che Yohei indossava nuovamente la sua maschera da duro.

Però, nonostante questo, Sendoh non se la prese più di tanto.

Stava andando tutto come aveva previsto.

Tra l’altro, dovette ammettere che Yohei era stato, ancora una volta, molto abile nel raccontare quello che lui gli aveva chiesto, omettendo però le informazioni fondamentali della storia: quelle che appunto riguardavano le vicende personali di Sakuragi.

Ancora una volta, Sendoh percepì il forte attaccamento che Mito aveva verso Sakuragi.

Attaccamento ricambiato allo stesso modo, come aveva potuto costatare quella notte.

Forse, era per questo che ora lo guardava truce.

Gli aveva rifilato una storia omettendo i dati fondamentali ed evidentemente non riusciva a spiegarsi perché lui non avesse fatto domande.

Tuttavia, questo a Sendoh non interessava dato che aveva ottenuto quello che voleva e presto, molto presto, l’avrebbe capito anche l’altro.

Perché erano altre le informazioni che al giocatore interessavano; informazioni che, appunto, aveva ottenuto.

“Non capisco che cosa vuoi dire!” parlò ancora Sendoh, allargando il sorriso.

“Tu mi garantisci che non hai preso nessuna botta in testa, vero?” domandò nuovamente Yohei con scherno.

Sendoh rise allegramente, negando con il capo.

“Allora, riassumiamo” disse Yohei alzandosi e camminando per la stanza.

“Vieni qui, mi svegli, mi ricatti…”

“Ti piace molto quella parola” interruppe il suo monologo Sendoh ma l’altro proseguì incurante.

“Ti dici interessato a una storia e te la fai raccontare, dietro ricatto ovviamente” lo provocò volutamente Yohei guardandolo, questa volta, con un sorriso quasi divertito.

“E…” lo incitò a continuare Sendoh.

“E non mi fai nessuna domanda” si spiegò Yohei.

“Quindi, visto che non devi aver capito quasi nulla di quello che ti ho detto, mi spieghi il
perché di tutto questo?” domandò, sinceramente interdetto.

“Ma io ho ottenuto quello che volevo” lo rassicurò Sendoh.

Yohei lo guardò dubbioso.

“Mi sembrava di averti già detto che non sono minimamente interessato alle vicende personali di Sakuragi” parlò ancora Akira.

“Quello che mi interessa, sei tu” lo sguardo si fece serio.

“Io non capisco” ammise Yohei sedendosi nuovamente di fronte al giocatore.

“Capirai presto!” lo rassicurò Sendoh.

“Lo hai già detto” sbottò Mito.

“Quello che m’interessava era esattamente quello che ho voluto sapere” si decise finalmente a spiegargli il numero sette.

“Tra l’altro, quello che tu vedi come un ricatto, in realtà, è semplicemente una richiesta” gli rivelò finalmente Akira.

Qui Yohei sbuffò con disappunto.

“Non ti avrei mai ricattato. Non avrei mai fatto niente di ciò che ti ho lasciato credere” gli disse il giocatore con un sorriso.

Yohei lo fissò interdetto.

“Ma… allora… perché?” la voce era un sussurro.

Sul suo volto si poteva leggere tutta la perplessità che provava.

“Per te!” gli chiarì Sendoh.

“Per farti raccontare cose che altrimenti non mi avresti mai narrato volontariamente!”.

“Perché?” domandò nuovamente Mito.

Sendoh si decise a essere più chiaro, ripercorrendo i fatti salienti del racconto.

“Mi hai raccontato di come tu e Rukawa non avete fatto altro che agire alle spalle di
Sakuragi che, suppongo, non sa ancora nulla”.

Mito lo confermò con il capo.

“Ovviamente, tu hai agito per il suo bene e non ti preoccupi di quando lo verrà a sapere”.
Mito annuì ancora.

“Lo avete fatto per la sua felicità!” aggiunse Sendoh vedendo che l’altro si era fatto attento.

“Inoltre, ho avuto modo di appurare quello che già pensavo, cioè di come Rukawa sia dovuto scendere a patti con te per arrivare a Sakuragi, dimostrandoti di essere una persona degna di stare accanto a colui che stimi di più in assoluto!” riassunse il tutto Sendoh.

Mito annuì nuovamente.

“Io ho fatto lo stesso” disse sicuro il giocatore.

Vide Yohei sgranare gli occhi.

“Sono stato da Sakuragi” gli rivelò finalmente Sendoh.

Il silenzio aleggiò per qualche minuto buono nella stanza.

Lo sguardo di Yohei era impassibile.

Solo un leggero luccichio era comparso negli occhi dell’altro nel momento in cui Sendoh aveva detto quella frase, ma poi il suo sguardo era ritornato una maschera d’impassibilità impenetrabile per chiunque.

Dopo un po’, Sendoh sentì Mito sospirare pesantemente.

Erano ancora seduti sul pavimento, uno di fronte all’altro, immobili.

“Va bene!” disse Yohei dopo un po’.

“Bello scherzo!” esclamò, con un velato disappunto.

Ora, che pensasse che lui fosse fuori di testa, a Sendoh era evidente.

“Nessuno scherzo!” si affrettò a contraddirlo il giocatore.

“Sono stato da Sakuragi, questa notte! E Rukawa mi ha accompagnato” ripeté Sendoh e, stavolta, fu evidente che non stava scherzando.

Accadde tutto in un secondo.

Sendoh non avrebbe saputo dire cosa avvenne, ma solo che si ritrovò steso a terra, con
Yohei cavalcioni su di lui che lo afferrava per la collottola.

E Sendoh, per un istante, ne ebbe paura.

Paura del vero volto dell’altro.

Paura della furia nei suoi occhi.

Tuttavia, durò meno di un istante.

Perché Sendoh non potette fare a meno di notare la posizione in cui erano finiti.

E, da bravo masochista, sperò che durasse il più a lungo possibile.

“Tu cosa?” domandò Yohei lentamente, troneggiando sopra di lui.

Sendoh sentì le gambe dell’altro premere contro i suoi fianchi, costatando che non avrebbe potuto muoversi neanche se avesse voluto.

Yohei si stava mostrando in tutta la sua forza, non nascondendo la rabbia che provava.

Rabbia diversa però rispetto a quella di quando Sendoh lo aveva visto fare a pugni.

Quella che vedeva ora, era la rabbia di chi difende qualcosa che ama.

“Hai capito benissimo” rispose Sendoh fronteggiando l’altro con lo sguardo, nonostante la sua posizione di inferiorità.

Sentì le mani di Yohei stringersi sulla sua maglia e il giocatore capì che l’altro avrebbe desiderato stringerle sul suo collo.

Era un momento fondamentale, dove se avesse dimostrato di temere colui che amava, avrebbe rischiato di perderlo per sempre.

E Sendoh era intenzionato ad andare fino in fondo.

“Questo non avresti dovuto farlo” sussurrò Yohei cattivo, avvicinando il suo volto.

Nonostante l’espressione che aveva, Sendoh non potette fare a meno di pensare al profumo dell’altro che gli solleticava le narici.

Non potette fare a meno di pensare a quanto gli sarebbe piaciuto annullare la distanza effimera tra le loro labbra.

Yohei, invece, studiava interessato le reazioni dell’altro.

Aveva visto negli occhi di Sendoh un luccichio che sarebbe potuto essere catalogato come paura, ma era durato troppo poco per definirlo tale.

Forse, era stata più la sorpresa per la velocità dei suoi movimenti che altro.

Ora invece, il giocatore non sembrava minimamente intimorito da lui.

Al contrario, sembrava che volesse rimanere a lungo in quella posizione e questo da un lato, indispose Yohei.

Era un teppista, ecchecazzo!

Dall’altro lato, però, fece aumentare i battiti del suo cuore e Yohei sapeva che non era per l’adrenalina del momento ma per la vicinanza dell’altro.

Si rese conto, in quel preciso istante, della vicinanza della pelle dell’altro e della posizione in cui erano finiti.

Tuttavia non lasciò che trapelasse nulla dalla sua faccia, né si scostò.

Non avrebbe fatto capire l’imbarazzo che provava, o non si sarebbe chiamato Yohei Mito.

Anche Sendoh osservava il volto di Yohei, anche se i motivi erano totalmente diversi.

Il giocatore aveva fatto ricomparire sul suo volto l’espressione tranquilla che tanto lo distingueva e Mito sembrava esserne rimasto sorpreso.

L’aveva nascosto bene, da abile stratega qual era, lui però era riuscito a scorgere la sorpresa nei suoi occhi, anche se era durata meno di un istante.

Sendoh non poteva fare a meno di pensare al volto dell’altro a pochi centimetri dal suo.

Non poteva fare a meno di pensare agli addominali scolpiti dell’altro sul suo addome.

Perché Yohei era a torso nudo.

Spostò lo sguardo sulle sue braccia scolpite e sui muscoli del collo sviluppati, sentendo il cuore accelerare i battiti.

Gli sarebbe bastato un istante per allungare una mano e toccare quella pelle.

Gli sarebbe bastato un istante per portare l’altra mano dietro la nuca dell’altro e avvicinare le loro labbra.

La voce di Mito lo riscosse dai suoi pensieri.

“Perché hai fatto una cosa del genere?” domandò Yohei, non allentando la presa sulla maglia dell’altro, del tutto ignaro dei pensieri del giocatore.

Perché appariva così dannatamente tranquillo, il numero sette?

Perché continuava a sorridergli in quel modo?

Che cosa stava succedendo?

Yohei non si era mai trovato in una situazione del genere.

Di solito, quando minacciava le persone, non aveva mai occasione di testare un contatto così diretto con loro.

O scappavano a gambe levate, o i loro occhi si tingevano di paura.

Si sorprese ancora di più, perciò, quando udì la risposta dell’altro.

“Se vuoi che ti risponda, devi toglierti di lì!” disse Sendoh allargando il sorriso.

“Non sei nella condizione per dettare ordini!” rispose Yohei duro, fraintendendo il motivo di quella richiesta.

“Ma, infatti, io non voglio che tu ti tolga!” gli chiarì Sendoh tranquillo.

“Diciamo che sarebbe preferibile per te” cercò di essere più chiaro.

Capì di non essersi spiegato quando vide l’altro guardarlo con perplessità.

Con un sospiro, sorrise dentro di sé.

Mito non sembrava essersi minimamente accorto di nulla e Sendoh, al pensiero dell’ingenuità dell’altro contrapposta a quell’aria così minacciosa, sentì chiaramente la sua eccitazione risvegliarsi completamente.

Tuttavia, non voleva neanche mettere a disagio Mito.

Però, a quel punto, visto che l’altro non ci arrivava, non aveva scelta.

Con quel poco che gli era consentito muoversi, alzò le ginocchia piantando i piedi a terra.

L’altro era molto forte e il corpo di Sendoh, dalla pancia in su, era completamente impossibilitato a muoversi.

Dalla pancia in giù, però, aveva una discreta libertà di movimento così, senza esitazioni, avvicinò il bacino al fondoschiena dell’altro, facendogli capire, con il corpo, quello che le sue parole non avevano saputo spiegare.

Vide Mito impallidire e sgranare gli occhi, senza tuttavia muoversi di lì.

“Ma... che…” balbettò Yohei incoerentemente.

“Ho provato a spiegartelo” ridacchiò Sendoh, portando le mani sui polsi dell’altro.

Non era un gesto per allontanarlo da sé, quanto un gesto per trattenerlo.

Le dita erano chiuse in una carezza e i polpastrelli sfioravano la pelle con una tenerezza tipica degli amanti.

Passò qualche istante e Yohei si alzò immediatamente, squadrando l’altro con perplessità.

Sendoh notò la distanza che Yohei aveva provveduto a mettere tra loro.

Sul suo volto, il giocatore poteva leggere tutta la titubanza che provava Mito.

“Tu non sei normale” disse, infatti, esprimendo ad alta voce i suoi pensieri.

Sendoh ridacchiò, sedendosi nuovamente a terra a gambe incrociate e non curandosi minimamente di nascondere quello che il suo corpo provava.

Anche Mito, in effetti, non sembrava molto imbarazzato.

Su questo punto di vista, Sendoh credeva che fosse Sakuragi quello che si imbarazzava di più per queste cose.

Bastava pensare come era arrossito il numero dieci, quella notte, alla parola "coppia".

Mito, invece, sembrava solo molto sorpreso e forse un tantino contrariato.

Contrariato perché la sua aria da duro aveva provocato reazioni del tutto diverse da quelle che aveva previsto.

Infatti, le parole successive dell’altro confermarono queste ipotesi.

“Cioè, fammi capire” parlò ancora Mito, con evidente incredulità nella voce.

“Io mi avvicino per pestarti -”

“Ed io mi eccito” completò la frase il giocatore, grattandosi la nuca con la mano.

“E non lo nascondi neanche” continuò Yohei indignato, osservando la postura tranquilla del numero sette.

“E perché dovrei?” gli domandò Sendoh, con finta innocenza.

Mito lo guardò truce.

“Dovresti aver capito che il tuo corpo mi fa questo effetto” ridacchiò ancora Sendoh, senza imbarazzo.

“Stavamo parlando d’altro” lo riprese Mito.

“E non mi interessa sapere cosa succede alle tue parti basse” continuò sempre più indignato, indicando con l’indice la parte incriminata.

“Vuoi sapere perché stanotte sono andato da Sakuragi” continuò Sendoh tranquillo, stendendosi a terra su un gomito e mettendo, in questo modo, ancora più in evidenza la cosiddetta parte incriminata.

Yohei si accorse che l’altro lo aveva fatto apposta e si inginocchiò accanto a lui con un ghigno indisponente.

“Se speri di mettermi in imbarazzo per così poco, ti sbagli di grosso” e un sorriso indisponente comparve sul suo volto.

“Guarda che lo so benissimo!” rispose Sendoh conciliante.

Il giocatore considerò che se non fosse già stato semi-eccitato, si sarebbe eccitato in quel momento solo per la vicinanza e il tono dell’altro.

Questo gli diede un’ennesima conferma che la sua non era una cotta; lui lo voleva.

Voleva tutto di Yohei; il suo corpo, la sua mente, la sua anima, il suo cuore.

Cuore abilmente nascosto agli occhi degli altri; cuore che sarebbe riuscito a raggiungere.

“E allora, rispondimi!” continuò Mito, distogliendolo dai suoi pensieri.

“Ti sei risposto da solo” sussurrò Sendoh. “Con la storia che mi hai appena raccontato!” concluse sapendo che l’altro avrebbe capito.

Passarono parecchi minuti in silenzio, entrambi immobili nelle stesse posizioni.

Mito rifletteva sulle parole del giocatore.

Sendoh che andava da Hana in piena notte.

Sendoh che agiva di nascosto alle sue spalle.

Sendoh che piombava da lui, a quell’ora assurda, e si faceva raccontare come avesse fatto Rukawa ad avvicinare Hanamichi.

Ripercorse al contrario la storia, vivendola da spettatore.

Rukawa che parlava con lui di nascosto a Hanamichi.

Lui e Rukawa che si consultavano su Hanamichi, sempre tenendo all’oscuro quest’ultimo.

E, in quel momento, capì.

Sendoh era andato da Hanamichi per sapere come avvicinarlo.

Sendoh si era rivolto a Hanamichi per capire cosa significassero le sue frasi.

Come hai fatto a capire che Rukawa andava bene per Sakuragi?

La domanda del numero sette, ora, acquistava senso.

Quello che aveva fatto Rukawa per il suo do’hao era stata la risposta.

E Sendoh voleva fargli capire che lui, quella notte, aveva fatto lo stesso.

Le frasi che avrebbero dovuto allontanarlo, lo avevano spinto invece a cercare una soluzione immediata.

Le frasi che avrebbero dovuto farlo scappare a gambe levate, considerando colui che le aveva dette uno psicopatico, gli avevano fatto capire che da solo non poteva farcela.

Proprio come Rukawa tempo addietro.

Anche mesi prima, il numero undici, sentendo a pelle che Hanamichi era molto più di quello che dava a vedere, era stato disposto a scendere a compromessi con il suo braccio destro per cercare di capirci qualcosa.

E Yohei lo aveva ritenuto abbastanza forte da spingerlo a non mollare.

Sendoh, quella notte, gli aveva dimostrato di aver fatto la stessa cosa.

Chiuse gli occhi, massaggiandoseli con il pollice e l’indice.

“Ed io che pensavo che mi avresti considerato matto da legare” disse con un sussurro.

Non c’era bisogno di aggiungere altro; Sendoh capì immediatamente che si riferiva alle frasi con cui l’aveva liquidato.

“Hai fatto solo uno sbaglio” rispose il giocatore conciliante.

“Sottovalutarti?” gli domandò Yohei, sempre a occhi chiusi.

“No!” lo corresse Sendoh. “Sottovalutare i miei sentimenti” gli chiarì.

Mito lo guardò, non sapendo cosa dire.

Si sedette a terra a gambe incrociate, non sapendo come gestire quella nuova situazione.

Fu il numero sette a trarlo d’impaccio.

“Io vado a dormire qualche ora!” disse Sendoh avvicinandosi.

“Tanto, oramai hai capito che non ti lascio più scappare!” aggiunse con un sorriso vicino all’orecchio dell’altro.

Mito sentì il respiro dell’altro solleticargli la guancia e deglutì di rimando.

Sendoh se ne accorse e si allontanò.

Non poté fare a meno però di sfiorare le labbra dell’altro in un veloce bacio.

Era venuto il momento di andare, perché Sendoh sapeva che ora Yohei aveva solo
bisogno di tempo.

Lui glielo avrebbe concesso volentieri.

Il peggio, ora, era passato.
 
 
Continua…
 
Note:
 
Ecco spiegato il comportamento di Sendoh.
Spero di non aver stravolto troppo i personaggi.
Come il solito, attendo i vostri commenti.
Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui, sperando che il capitolo vi sia piaciuto.
Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.
Pandora86

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.

Buona lettura.
 
 

Capitolo 21.
 

Sendoh si stese sul letto, sfiorandosi le labbra con l’indice.

Chiuse gli occhi, richiamando alla mente gli avvenimenti di quella notte ma, soprattutto, ricordando le sensazioni provate nel sentire la pelle di Yohei.

Era andato tutto come aveva previsto, anche se non poté nascondere a se stesso il sollievo che aveva provato quando la conversazione si era fatta più leggera, e non perché avesse paura dell’altro ma perché non credeva di riuscire a sopportare a lungo lo sguardo carico d’odio di Mito.

Alla fine però, Yohei aveva capito.

Si era finalmente reso conto del significato del suo gesto e Sendoh aveva sentito chiaramente il bisogno
dell’altro di stare da solo.

Doveva prima analizzare tutto e probabilmente parlarne con Sakuragi.

Poi, sicuramente sarebbe stato pronto a parlarne con lui.

Pensò all’eccitazione che aveva provato nel sentire il corpo dell’altro su di sé.

La faccia di Yohei era stata impagabile.

Non si era imbarazzato ma si era indignato molto e non aveva neanche provato a nasconderlo.

Poi, prima di andare via, Sendoh aveva osato di più, dandogli un casto bacio sulle labbra.

Tanto veloce da fare in modo che l’altro non potesse replicare ma abbastanza a lungo da poter sentire il sapore dell’altro.

Si sfiorò le labbra con la punta della lingua; aveva ancora l’odore di Mito addosso.

Le sue parti basse, come le aveva chiamate Yohei, non erano migliorate quando era rientrato nella sua camera.

Kami! Solo Mito aveva un tale potere su di lui.

Senza indugi, fu veloce a portare la sua mano sulle cosiddette parti incriminate.

D’altro canto, era un ragazzo nel pieno della vita e sarebbe stato impossibile ignorare i suoi ormoni ancora a lungo.

Chiuse gli occhi, richiamando alla mente le labbra carnose dell’altro.
Immaginò di ripercorrere il suo collo con le labbra.

Le immagini erano diverse dalle altre volte in cui si dava piacere da solo.

La sua mente era solo proiettata su Yohei e sul suo corpo.

L’eccitazione che aumentava era dovuta al pensiero del piacere che Sendoh avrebbe voluto dare a Mito e non viceversa.

Non immaginò che fossero le labbra di Yohei quelle che lo accarezzavano.

Al contrario, preferì immaginare che fossero le sue labbra a dare piacere a Mito.

A quest’immagine, venne copiosamente sospirando.

Un sorriso comparve sul volto, al pensiero di tutto l’amore che avrebbe voluto dare all’altro.

Troppo pigro per alzarsi dal letto e reduce da una nottata carica di adrenalina, si addormentò soddisfatto al pensiero che presto l’altro sarebbe potuto essere suo.
 

***
 

Mito rimase a lungo a sfiorarsi le labbra, pensando al veloce bacio che l’altro gli aveva strappato.

Guardò la sveglia che segnava quasi le otto.

Fu lesto a vestirsi dopo essersi dato una rinfrescata veloce.

Al momento, non voleva pensare a nulla.

Troppe erano le cose da analizzare, troppe le novità scioccanti.

In quel momento, mentre usciva dalla camera, solo un pensiero aveva in testa: raggiungere Hanamichi al più presto.
 

***
 

Hanamichi aprì lentamente gli occhi, sbadigliando vistosamente.

Non si stupì di trovare, seduto al suo fianco, il suo braccio destro.

Adocchiò l’immancabile caffè del bar sul suo comodino e sorrise.

“Da quanto tempo mi vegli?” domandò, sbadigliando ancora.

“Un’ora, più o meno. Sono le nove passate!” rispose Mito calmo.

“Potevi svegliarmi” costatò Hanamichi provando a mettersi seduto.

Immediatamente, Mito lo raggiunse aiutandolo e sistemandogli meglio i cuscini.

“Meglio di no, visto la nottata movimentata che hai avuto!” parlò ancora Mito.

Hanamichi sorrise di rimando.

E così, Sendoh aveva agito subito.

E doveva anche aver agito nel modo giusto, visto che Yohei non sembrava arrabbiato ma solo molto, molto confuso.

“Il porcospino è un tipo in gamba!” disse Hanamichi afferrando il caffè.

“Nh” mugugnò Mito.

“Di certo, meno superficiale di quello che appare” continuò Hanamichi.

“Nh” fu la risposta di Yohei.

“E se non ti decidi a parlare, giuro che ti do una testata!” lo minacciò il numero dieci puntandogli l’indice contro.

“Cosa vuoi che ti dica?” sospirò stanco Mito.

“Io invece so benissimo cosa dirti: grazie” disse l’altro con un sorriso affettuoso e parlando a raffica, ansioso di potersi finalmente confrontare con Mito riguardo tutto ciò che aveva fatto in passato per lui.

“So tutto quello che hai fatto per me” continuò il numero dieci.

“L’ho sempre saputo, anche se non conosco i dettagli”.

Mito sorrise, intuendo al volo i pensieri dell’altro.

“Ed io che pensavo che Rukawa ti avesse distratto completamente” lo sfotté bonario.

“Mh… sono pieno di risorse” si pavoneggiò Hanamichi, con la faccia da idiota migliore del suo repertorio.

“Ho solo voluto ricambiare, questa notte” aggiunse, ritornando serio.

“Lo so” disse Mito sicuro.

“E allora qual è il problema?” indagò il numero dieci.

“Magari ne fosse solo uno” sospirò Mito.

“Scommettiamo che te lo risolvo con una domanda?” lo provocò Hanamichi.

“Va bene, Tensai” annuì l’altro.

“Ti piace?” andò dritto al punto Hanamichi.

“Sì” ammise finalmente Mito distogliendo lo sguardo.

“E allora, pensa di meno e lasciati andare” sorrise il numero dieci sapendo che Yohei avrebbe colto il riferimento.

E, infatti, Mito lo colse.

“Che lui ti ama già lo sai” lo rassicurò ancora il numero dieci.

“Buttati” concluse con un ghigno.

“E vedi che ne esce fuori” scrollò le spalle.

Mito annuì silenzioso.

Tutto sommato, Hanamichi aveva ragione.

Era questo il problema: buttarsi.

D’altro canto, era stato lo stesso consiglio che aveva dato lui al numero dieci tempo addietro.

Gli aveva consigliato di lasciarsi andare e quindi di mettersi in gioco.

Forse avrebbe sofferto, forse sarebbe andata male, ma non era questo il punto.

Perché in una coppia le liti e i fraintendimenti erano all’ordine del giorno.

In una coppia formata da Hanamichi e Rukawa, allora con gli equivoci si andava a nozze.

Però questo era il significato della parola vivere.

Yohei, tempo addietro, aveva detto a Hanamichi di buttarsi, promettendogli che lui sarebbe rimasto al suo fianco sempre e comunque ma non assicurandogli che non avrebbe sofferto o garantendogli che sarebbe stato facile.

Era qui che stava la differenza.

E ora, Hanamichi consigliava di fare lo stesso con lui.

Mettersi in gioco.

Yohei, a quel punto, era disposto a farlo?

Considerata l’insistenza di Sendoh, gli conveniva quantomeno provarci prima di cedere per sfinimento.

“Cosa gli hai detto, questa notte?” domandò, deviando l’argomento per un momento.

“È importante?” puntualizzò Hanamichi.

“Te lo dico io: no!” continuò, rispondendosi da solo.

“È con lui che devi parlare, non con me. È lui che vuole sentire la tua voce, non io” esclamò accorato non dando modo all’altro di rispondere.

“Mi ascolterà?” domandò Yohei a voce bassissima guardandolo negli occhi.

“Lo farà!” gli assicurò Hanamichi.

“E tu ti butterai?” domandò nuovamente, ritornando all’argomento principale.

“Vedremo!” rispose Yohei considerando che Hanamichi avrebbe continuato a domandarglielo, fino a che non avesse avuto una risposta soddisfacente.

“Ti va se per oggi parliamo d’altro?” domandò Mito sentendo il bisogno di distrarsi.

“Solo se mi prometti che andrai via prima!” ghignò Hanamichi facendogli l’occhiolino.

Mito sbuffò acconsentendo.

Il cuore non era mai stato così leggero prima di allora.

Fu in quel momento che, guardandosi negli occhi, scoppiarono a ridere.

“Avresti dovuto vedere la faccia del porcospino quando gli ho detto perché era qui” disse Hanamichi tra le risate.

“Quindi avevi capito che era lui” indagò Mito divertito.

“No, ma scusa… Sendoh e Rukawa che si presentano qui di notte… mica sono scemo, io” si giustificò il numero dieci alzando le mani e mostrando i palmi.

Yohei ridacchiò pensando a cosa si fosse perso quella notte.

“Avrei voluto vederli mentre si intrufolavano di soppiatto” disse, pensando a due tipi alti uno e novanta all’incirca che facevano di tutto per passare inosservati.

“Beh, l’armata ha dovuto faticare parecchio, penso” disse Hanamichi tra le risate.

E il pomeriggio passò così, con il suono delle risate di sue adolescenti che riempiva la stanza e che alleggeriva i cuori.
 

***
 

Sendoh aprì gli occhi, sentendo un rumore fastidioso in sottofondo.

Stava sognando Yohei, se non andava errato, mente era comparso quel rumore martellante.

Sbadigliò costatando che sì, aveva ragione, quel rumore non apparteneva al sogno che stava facendo.

Ora che prestava attenzione, sembrava quasi che qualcuno stesse prendendo a calci la porta.

Sbadigliò alzandosi e immaginando chi potesse esserci fuori dalla sua stanza.

Solo una persona aveva un modo così spiccio da decidere di bussare in quel modo.

“Ma guarda, il mio avversario preferito” disse una volta aperto.

Rukawa lo guardò truce.

“Sono le undici e mezza, imbecille!” disse atono, squadrando attentamente l’altro.

“Sì, io ho dormito bene, buongiorno anche a te!” rispose Sendoh facendosi da parte e lasciandolo entrare.

“Come mai qui?” domandò ancora il numero sette.

“Non credo solo per svegliarmi in tempo” sbadigliò ancora Sendoh.

Rukawa lo guardò truce.

Sendoh seguì il suo sguardo e si guardò la pancia con una risatina.

Rukawa non commentò, poggiandosi al muro e infilando le mani in tasca.

“Cosa intendi fare?” domandò diretto.

“A parte masturbarti, intendo!” concluse, senza mezzi termini.

Sendoh ridacchiò ancora.

“Volevi dire cosa ho già fatto, forse!” lo corresse allegramente.

Rukawa assottigliò lo sguardo.

“Sono stato da Yohei poco dopo essere rientrato dalla clinica!” gli spiegò Sendoh con semplicità.

“E?” lo incitò Rukawa.

“Beh, innanzi tutto, sono ancora vivo” sorrise l’altro.

“Anche se ho sfiorato il pestaggio per poco” ammise, grattandosi la nuca.

Rukawa lo guardò storto.

“Comunque credo sia andata bene!” dichiarò Sendoh.

“Quanto a questo” continuò indicandosi la pancia, “beh, diciamo che le minacce di Yohei mi fanno questo effetto” spiegò a grandi linee.

“Bada bene a quello che fai” lo riprese Rukawa non del tutto convinto.

“Sì, lo so!” lo precedette il numero sette.

“Altrimenti Sakuragi mi fa nero” sbuffò divertito.

“Il do’hao non troverà nulla di te” lo corresse Rukawa, “perché ci penserò io” lo guardò attento.

“Ho fatto una promessa a Hanamichi. E ho un debito anche con Mito” concluse, ritenendo di essersi spiegato abbastanza.

Sendoh annuì alzandosi e dirigendosi verso il bagno.

“Non ce ne sarà bisogno” gli disse, guardandolo attento, prima di chiudersi la porta alle sue spalle.

Un sorriso deciso accompagnò quella frase.

Ma tu guarda! Pensò Sendoh mentre entrava nella doccia.

Kaede Rukawa che si preoccupa di qualcuno!

Eppure, non gli dava fastidio quel pensiero.

Yohei era una persona che valeva e, di conseguenza, Akira era contento che fosse così stimato.

Che lo facciano tutti a debita distanza, però! Pensò con disappunto.

Non nascondeva a se stesso di essersi scoperto abbastanza possessivo da quando aveva messo gli occhi su Yohei.

Nelle sue storie precedenti invece, che il lui o la lei, a seconda dei casi, frequentassero altre persone, non lo aveva mai toccato.

Con Yohei faceva sul serio invece, e aveva scoperto di avere una buona dose di possessività.

Proprio come quando in campo aveva avversari stimolanti: la palla e la scena dovevano essere sue, a tutti i costi.

Allo stesso modo, Yohei doveva appartenere a lui, punto e basta.

Uscì dal bagno recuperando la tuta e guardando l’ora: le undici e quarantacinque.

Una volta tanto, sarebbe stato puntuale visto che dovevano presentarsi alla pensione che avrebbe poi ospitato la nazionale a mezzogiorno in punto.

Non aveva disdetto la sua prenotazione nell’attuale pensione e sapeva che neanche Rukawa lo aveva fatto.

La nazionale al completo si sarebbe riunita solo dopo il venti e, probabilmente, quel giorno avrebbero solo dovuto presentarsi e fare le visite mediche, poi chi aveva un altro alloggio sarebbe stato libero di andare, forse.

Per lui che si avvicinava alla maggiore età, era più probabile rispetto a Rukawa, però.

In ogni caso, non restava che andare lì e vedere come si sarebbero messe le cose.

Tanto, quella più importante, era sistemata.
 

***
 

“Non è giusto!” sbottò Sendoh.

Rukawa lo guardò truce.

Erano le undici passate e il numero sette aveva deciso di piantonarsi nella sua stanza.

A quanto pareva, le cose erano andate in maniera del tutto diversa da come aveva previsto.

Rukawa, previdente come al solito, aveva fatto i bagagli la sera prima non disdicendo la stanza però.

Tuttavia, una volta arrivati al ritiro, gli allenatori erano stati chiari: essendo minorenni, una volta arrivati, avrebbero dovuto anche rimanere in quella pensione.

Rukawa aveva dovuto solo fare una telefonata per liberare la stanza e poi saldare.

Sendoh, invece, era dovuto ritornare a prendere le sue cose.

Li avevano anche messi in stanze separate visto che erano pochi.

Ognuno avrebbe avuto un compagno di stanza dopo il venti.

Inoltre, di Mito quel pomeriggio neanche l’ombra.

Di conseguenza Sendoh, non sapendo con chi sbottare, aveva deciso di venire a rompere le palle proprio a lui.

“Che cosa gli costava lasciarmi dormire in un altro posto?” parlò ancora il numero sette, seduto a terra a gambe incrociate.

Rukawa, steso sul letto a occhi chiusi, non si degnò neanche di rispondere.

“La cosa non ti tocca neanche un po’?” lo punzecchiò ancora Sendoh.

“Neanche tu potrai vedere Yohei visto, che non possiamo allontanarci da qui senza permesso. Come farai a sapere come sta il tuo Hanamichi?”.

“Sakuragi, per te” non potette fare a meno di correggerlo Rukawa.

Per il resto non si curò di parlare.

Lui era bloccato lì ma Mito lo aveva sempre saputo.

Avrebbe di certo trovato il modo di contattarlo.

“Come sei geloso!” lo punzecchiò ancora Sendoh.

“Nh!” mugugnò Rukawa.

“Sul serio!” parlò ancora il numero sette.

“Come faremo?” chiese ancora, manifestando le sue perplessità.

“Nh!” fu l’ennesima risposta di Rukawa.

“Fossi in te, non mi preoccuperei” disse solamente facendo capire che, per lui, il discorso era chiuso.

Sendoh non potette fare a meno di sbuffare.

“Vado in camera!” disse alzandosi.

“Nh!” lo salutò Rukawa già mezzo addormentato.

Non fece neanche in tempo ad avvicinarsi alla porta che un rumore strano attirò la sua attenzione.

Si voltò verso Rukawa indeciso sull’averlo realmente sentito o meno.

Anche il numero undici si era alzato su un gomito.

Si misero in ascolto e poco dopo un secondo rumore, identico al primo, spezzò il silenzio.

“Sembra provenire dalla finestra” sussurrò Sendoh.

Rukawa si alzò.

Viene dalla finestra!” lo corresse avvicinandosi al rumore.

Senza indugi, spalancò la finestra.

Sendoh lo raggiunse, rimanendo di spalle.

“Nh!” mugugnò Rukawa sorridendo impercettibilmente.

Proprio come pensava.

Sendoh seguì la direzione dello sguardo dell’altro sgranando gli occhi.

Mito.

Mito di fronte a loro sul ramo di un albero, ad almeno un metro e mezzo di distanza da loro.

“Siamo al terzo piano!” non riuscì a trattenersi e Rukawa gli rifilò una gomitata nelle costole.

“Vuoi farlo beccare?” sussurrò con disappunto.

Sendoh vide Yohei guardarli con un ghigno furbo e non potette fare a meno di sorridere.

Rukawa spalancò la finestra e indietreggiò, tirando il numero sette che sembrava essersi incantato.

“Se cade, rischia di rompersi l’osso del collo!” disse a bassa voce non nascondendo la preoccupazione.

“Tzè! Idiota!” fu l’elegante commento di Rukawa.

Possibile che non avesse ancora capito con chi aveva a che fare?

Osservò Mito che gli faceva cenno con la mano di allontanarsi ancora e immediatamente si spostò.

Sendoh lo imitò, non riuscendo a togliere gli occhi dalla figura sull’albero.

Vide Mito prepararsi per il salto e deglutì istintivamente.

Non potette fare a meno di ammirare la sua agilità quando, usando la finestra come trampolino dopo aver saltato, atterrò ben piantato sui piedi proprio al centro della stanza, a pochissima distanza tra loro.

Lo osservò mentre si scrollava il capo, avendo alcune foglie impigliate tra i capelli e sorrise.

Quel ragazzo era proprio una forza della natura.

Vide Rukawa chiudere la finestra e guardare Mito in attesa di notizie.

“Meno male che eri sveglio” esclamò Mito allegro, appoggiandosi alla parete a braccia incrociate.

“Altrimenti non so se mi sarebbero bastati i sassi che avevo portato” ghignò e Rukawa sorrise di rimando.

Sendoh non potette fare a meno di invidiare la familiarità che c’era tra loro e si sedette sul letto, deciso a non farsi escludere anche a costo di sembrare un impiccione.

Osservò i jeans scuri, a vita bassa, che Mito indossava non potendo fare a meno di trovarlo sensuale.

Era basso rispetto a lui, ma perfettamente nella norma con tutti i giapponesi.

Era muscoloso e ben definito ma molto armonioso.

Più lo guardava, più lo conosceva, più ne voleva.

Mito era come una calamita per lui; impossibile resistere al suo richiamo.

Sorrise a questi pensieri; quando mai lui, l’idolo delle ragazzine, e talvolta anche dei ragazzi, aveva dovuto faticare per conquistare qualcuno?

Quando, le persone non erano cadute ai suoi piedi, ingannate dal suo aspetto o dalla sua bravura?

Ma Mito non era come gli altri.

Più lo conosceva, più ne aveva la prova.

Più lo conosceva, più desiderava farlo suo per impedire agli altri anche solo di posare gli occhi su di lui.

Guardò Rukawa che non si era minimamente sorpreso dell’entrata scenica di Mito.

Sendoh non poteva dire se il numero undici si aspettasse esattamente quello, tuttavia, di certo Rukawa si aspettava qualcosa.

Per questo gli aveva detto di non preoccuparsi.

Mito lo aveva sorpreso ancora una volta.

E lui non si sarebbe schiodato di lì.

Non si sarebbe più fatto mettere da parte.

Lo aveva fatto capire quella notte, andando da Sakuragi.

Si mise pazientemente in attesa delle notizie che Mito portava con sé, poi sarebbe stato il suo turno.

Ho fatto bene a riposare! Pensò Akira con un sorriso sghembo.

Si prevedeva una serata ancora più interessante di quella precedente.
 
Continua…

Note:
 
Anche in questo capitolo spero di non aver stravolto troppo i personaggi, dato che ho iniziato a costruire l’amicizia tra Sendoh e Rukawa al di fuori di un campo da basket!

Come al solito, attendo i vostri commenti.

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui, sperando che il capitolo vi sia piaciuto.
Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
 
Capitolo 22.
 

“Un po’ d’acqua sarebbe gradita” esclamò Mito spezzando il silenzio che si era venuto a creare dopo la sua entrata teatrale.

Rukawa gli lanciò una bottiglia che l’altro afferrò al volo.

Sendoh sorrise, non aspettandosi riflessi meno pronti.

Dopo essere entrato dalla finestra, Mito si era avvicinato alla porta tendendo l’orecchio.

Rukawa e Sendoh erano rimasti in silenzio, aspettando di poter parlare liberamente.

“Tutto ok” aveva affermato Mito allontanandosi dalla porta.

“Gli allenatori dormono al secondo piano, una stanza è proprio sotto la tua” si era spiegato poi.

“Aveva appena spento la luce quando mi sono arrampicato, ma sempre meglio controllare”aveva aggiunto con un sorriso furbo.

“Ci conviene comunque non fare troppa baldoria” si era, infine, raccomandato con altri due che avevano annuito con il capo.
 

Sendoh lo osservò bere direttamente dalla bottiglia, rimanendo affascinato dal suo pomo d’Adamo.

Mito era quanto di più virile avesse mai visto.

Scosse il capo, provando ad allontanare quei pensieri poco adatti al momento.

“Fortuna che Rukawa ha una stanza con un albero di fronte!” esclamò, più per distrarsi che per altro.

Mito lo guardò scettico, allontanando le labbra dalla bottiglia.

“Guarda che l’albero è stato l’ultima ipotesi!” lo corresse bonario.

“Eh?!” lo guardò perplesso l’altro.

“Idiota!” diede il suo contributo Rukawa.

Sendoh lo guardò storto.

Mito ridacchiò.

“Ci sono sempre le grondaie” si spiegò e Rukawa annuì con il capo.

“Suppongo sia inutile dirti di lasciare la finestra aperta, in futuro. Posso sempre aprirla dall’esterno” gli fece l’occhiolino e il numero undici incurvò le labbra in un sogghigno.

“Teppista!” esclamò poi rivolto a Sendoh, mimando le virgolette con le dita.

Il numero sette scosse la testa divertito.

“Allora” continuò Mito sedendosi a terra a gambe incrociate.

“Immagino tu voglia sapere come sta Hana dopo la vostra visita notturna” domandò rivolto a Rukawa che annuì con il capo.

“Visto lo scherzetto che mi avete combinato, dovrei lasciarti cuocere nel tuo brodo.
Tuttavia, sono di buon umore stasera” e ghignò.

“Non ti nasconderò nulla, però” aggiunse ritornando serio e Rukawa annuì nuovamente con il capo.

“L’incidente in partita non è stato uno scherzo e se i medici hanno ordinato riposo totale” e marcò la parola, “un motivo ci sarà”.

“Comunque” continuò alleggerendo il tono, “Hanamichi si era già alzato dal letto senza permesso e la visita di questa notte è solo costata qualche antidolorifico in più” spiegò
Mito, chiaro come sempre.

Rukawa non provò neanche a nascondere il sospiro di sollievo che uscì dalle sue labbra, non rinunciando a un’ennesima occhiataccia rivolta a Sendoh.

“Se sono qui” continuò Mito deciso, “è più che altro per assicurarmi” e calcò bene sulla parola scandendola lentamente, “che non ci saranno più sorprese” concluse rivolto ai due.

“Più si fanno eccezioni, più la riabilitazione si allontana” continuò a spiegare.

“Ed io potrei decidere di arrabbiarmi sul serio” terminò definitivamente.

“Nh!” annuì Rukawa.

“Non preoccuparti!” parlò Sendoh.

“Quello che volevamo sapere-”

Uno sbuffo contrariato del numero undici lo interruppe.

“Quello che volevo sapere” si corresse, “l’ho saputo!”.

“Bene!” rispose Yohei indisponente.

“Allora io vado!” disse alzandosi.

“Per Hanamichi, ti tengo informato” concluse rivolto a Rukawa che annuì con il capo.

“Aspetta!” si alzò a sua volta il numero sette.

“Adesso è venuto il mio turno!”.

Yohei sbuffò.

“Sei peggio di una zecca!” lo riprese, a metà tra lo scocciato e il divertito.

“È uno dei miei pregi” rispose Sendoh allegro.

“Io voglio dormire!” intervenne Rukawa, guardando storto il numero sette.

Sendoh lo fulminò con lo sguardo.

“E allora dormi” rispose con tono ironico.

Era evidente che stesse cercando di mandarlo via.

Ma Sendoh non si sarebbe fatto mettere da parte.

“Se non te ne vai, impossibile!” arrivò dritto al punto il numero undici.

“Non ho intenzione di andarmene!” si avvicinò il numero sette.

“Posso sempre prenderti a calci!” lo fronteggiò Rukawa.

“Va bene!” intervenne Mito frapponendosi tra i due.

“Per quanto sarebbe divertente vedere che vi azzuffate, rischiate di farmi scoprire!” esclamò con tono divertito.

“Aspettami nella tua stanza” disse poi serio, rivolto a Sendoh.

“Sì, lo so in che stanza sei” continuò, anticipando la domanda.

“Come sapevo in che stanza si trovava Rukawa!” gli appuntò con un sorriso sghembo.

“Come faccio a fidarmi?” lo guardò attentamente il numero sette.

Yohei sbuffò.

“Va bene! Per stavolta ti credo!” disse ancora il giocatore.

“Se lo fai andare via”continuò rivolto a Rukawa, “mi trasferisco in pianta stabile nella tua stanza” lo minacciò, avvicinandosi alla porta.

“Tzè! Imbecille” lo salutò calorosamente Rukawa.

Un ultimo sguardo rivolto a Yohei e Sendoh uscì.

Mito aspettò che fosse andato via prima di parlare.

“Suppongo tu debba dirmi qualcosa, visto la fretta che avevi nel cacciare Sendoh”.

Rukawa annuì con la testa.

“Che intenzioni hai?” domandò, chiaro come sempre.

“Eh?!”.

Yohei lo guardò interrogativo.

Rukawa lo fulminò con lo sguardo.

“Da quando sei diventato il mio confidente?” lo sfotté ironico.

“Anch’io ho fatto una promessa” disse lentamente, sapendo che l’altro avrebbe capito.

“E intendo mantenerla!” concluse, rimarcando il concetto.

Yohei sbuffò, sentendosi a disagio.

“Hana è troppo protettivo!” disse invece, sperando di sviare l’argomento.

“È preoccupato, perché rinchiuso lì dentro” lo corresse Rukawa.

“Credi che me la sia cercata una situazione del genere?” gli domandò allora Mito.

“Speravo solo che mi lasciasse in pace, quando gli ho detto quelle cose!” sussurrò, più rivolto a se stesso che all’altro.

“Ma hai ottenuto l’effetto contrario!” gli fece notare il numero undici.

“Non l’avevo previsto”gli rispose a tono Yohei con sguardo indisponente.

“Ovvio!” rispose Rukawa con tono saccente.

“Ma adesso” riportò la questione all’argomento principale, “che intenzioni hai?”.

“Che cosa vi ha detto esattamente Hanamichi?” domandò invece Mito sviando, ancora una volta, la domanda.

Ma Rukawa non ci cascò.

“Se non te lo ha detto il do’hao, non vedo perché dovrei dirtelo io” lo guardò storto, infastidito da come l’altro cercasse continuamente di cambiare argomento.

Mito lo guardò, sinceramente sorpreso.

“Come fai a sapere che Hana non mi ha detto niente?” domandò curioso.

“Tzè! Altrimenti non lo avresti domandato a me!” gli fece notare l’altro con tono ovvio.

“Sto perdendo colpi” valutò Mito massaggiandosi gli occhi e sedendosi nuovamente a terra.

“O forse continui a pensare a tutti come una massa di idioti” lo riprese Rukawa con tono duro.

Aveva fatto una promessa e, visto che erano in argomento, tanto valeva dire quello che pensava.

Senza mezzi termini, come sempre.

Yohei notò il tono e s’indispose.

“Se ti avessi considerato un idiota” e marcò sulla parola, “non ci staresti insieme” scandì lentamente.

“Quello non riguardava te” lo fronteggiò Rukawa.

“I fatti non erano tuoi” aggiunse, indurendo ancora di più il tono.

“E invece sì” lo corresse Yohei.

“Hanamichi è più di un fratello, per me!” sibilò velenoso.

“Non erano in gioco i tuoi sentimenti” parlò allora chiaro Rukawa, visto come l’altro cercasse di sviare.

“Cosa intendi fare adesso?” domandò, per la terza volta in pochi minuti.

“Come se lo sapessi!” sospirò stanco Yohei.

“E allora?” chiese spiccio Rukawa.

Yohei lo guardò, sentendo il suo fastidio crescere.

“Non si può programmare tutto!” continuò il numero undici con un tono così ovvio che fece indisporre Yohei ancora di più.

“Sì, infatti” gli diede ironicamente ragione.

“Adesso vado da Sendoh e vedo cosa ne viene fuori!” continuò sarcastico.

“Esattamente!” rispose Rukawa, avvicinandosi al letto.

“Si chiama vivere” gli spiegò pratico, prima di chiudere gli occhi.

Per i suoi standard, infatti, aveva parlato anche troppo.

Anche se sapeva che per Mito, e quindi per il do’hao, ne era valsa la pena.
 
***
 
Sendoh sentì bussare piano la porta e fu veloce ad aprirla.

Mito aveva mantenuto la parola.

Lo vide entrare alla svelta e fu veloce a richiudere la porta alle sue spalle.

“Allora?” gli domandò Yohei con tono neutro.

“Allora niente!” rispose Sendoh con tranquillità andandosi a sedere sul letto.

Yohei lo squadrò perplesso.

“Non sei tu che volevi vedermi?” gli fece notare con ovvietà.

“Sì” acconsentì il giocatore.

“Ma io ho parlato anche troppo. Pensavo che anche tu avessi qualcosa da dirmi” gli fece notare tranquillo.

“Non mi hai chiesto niente della visita a Sakuragi” aggiunse poi, ritornando serio.

“Non pensi che Hana mi abbia raccontato tutto quello che volevo sapere?” bleffò l’altro.

Ancora un po’, e quei tre lo avrebbero spedito dritto filato al primo manicomio.

Di certo, una crisi di nervi era assicurata.

Il fatto che poi nessuno, prima Hanamichi e poi Rukawa, gli dicesse nulla di quello che era avvenuto la notte precedente lo stava facendo letteralmente impazzire.

L’unica possibilità, a quel punto, era Sendoh.

Ma Yohei non si sarebbe di certo abbassato a chiedere, palesando così di essere all’oscuro di tutto.

“E tu non vuoi sapere cosa penso io a riguardo?”.

La voce del giocatore lo riscosse dai suoi pensieri.

Riguardo a cosa? Si ritrovò a domandarsi Yohei.

Lui, una mezza idea di quello che si erano detti, l’aveva.

Il problema era, per l’appunto, che si trattava di un’idea.

Non aveva dati certi e continuare a trattare il numero sette come un nemico non lo avrebbe di certo aiutato.

Lo aveva allontanato in modo sgarbato, e Sendoh lo invitava a uscire.

Lo aveva liquidato con delle frasi da psicopatico, e Sendoh correva da Hanamichi.

A quel punto, anche lo stratega più scadente avrebbe capito che continuando in quel
modo avrebbe ottenuto l’esatto contrario di quello che si voleva.

Cosa poi volesse in realtà, Yohei, ancora non lo sapeva.

Troppi erano i cambiamenti, e troppo poco il tempo per rifletterci su.

Si chiama vivere!

Le parole di Rukawa gli tornarono alla mente.

Secondo l’opinione di tutti, infatti, Yohei avrebbe dovuto buttarsi e vedere cosa sarebbe successo.

Beh, forse lanciarsi a occhi chiusi in quella storia non l’avrebbe mai fatto.

Però, essere un po’ più amichevole, e soprattutto sincero, con il giocatore, gli sembrava un buon compromesso.

“Hana non mi ha detto nulla, in realtà” ammise con tono scocciato, sedendosi a terra.
I suoi occhi guardavano tutto fuorché il giocatore.

“E neanche Rukawa” aggiunse Mito dopo qualche istante e Sendoh poté chiaramente scorgere il tono contrariato dell’altro.

Il numero sette lo guardò con tenerezza.

“Avresti potuto chiedere direttamente a me!” gli suggerì gentile e Yohei sospirò.

“Cosa ti ha detto Hana?” domandò con un tono di voce bassissimo.

Tuttavia Sendoh lo udì perfettamente.

“Meno di quello che credi!” lo rassicurò.

“Mi ha, infatti, solo dato delle informazioni, ma mai una volta mi ha raccontato dei tuoi stati d’animo!” aggiunse.

Yohei annuì, comprendendo ciò che l’altro volesse dirgli.

“Ti ha raccontato di mio padre!” disse sicuro e Sendoh annuì.

“Non guardarmi con compassione” lo riprese Yohei duro. “Lo detesto!”.

“Non ti sto guardando con compassione!” si affrettò a chiarire il giocatore.

“Dovresti aver capito che i miei sguardi significano tutt’altro!” aggiunse con un sorriso tenero.

“Bene!” volse lo sguardo Yohei cercando di nascondere il disagio provato a quelle parole.

“Perché io non ho bisogno di lui!” si affrettò a spiegargli.

“Tu non hai bisogno di nessuno!” continuò per lui Sendoh.

“Esattamente!” rispose Yohei con scherno.

“Uno dei tuoi amici mi ha detto una cosa strana!” continuò Sendoh.

“E Hanamichi non ti ha illuminato in proposito?” gli domandò ironicamente Yohei.

“No!” rispose Sendoh, ignorando volutamente il sarcasmo.

“Questa è una cosa che voglio sapere da te!” gli spiegò e Yohei lo invitò, con il capo, a continuare.

“Hanno detto di averti visto con uno strano sguardo, quando sei rientrato dall’appuntamento con me!” incominciò il giocatore.

“Non era un appuntamento!” lo corresse Yohei e Sendoh ridacchiò.

“Hanno anche aggiunto che solo altre due volte ti hanno visto con quell’espressione!” disse ancora Sendoh.

Yohei lo guardò sinceramente perplesso.

“Tipo?” domandò e Sendoh lesse la sincerità in quella domanda.

Provò quindi a spiegarsi meglio.

“Hanno detto che, entrambe le volte, solo Sakuragi è potuto starti accanto!” concluse non avendo più elementi per spiegargli ciò che intendeva.

Yohei si prese un istante per riflettere.

“Credo…” incominciò lentamente.

“Forse ho capito a cosa si riferivano” sussurrò, rivolto più a se stesso che all’altro.

Sendoh capì che era andato, con la mente, a ricordi lontani.

Ricordi dolorosi.

E, ancora una volta, rimase ammirato dallo sguardo di Mito.

Il dolore, adesso che Yohei aveva deciso di abbassare la maschera, era evidente.

Tuttavia, Sendoh non avrebbe catalogato quel dolore come disperazione.

Yohei, nonostante soffrisse a chissà quali ricordi, sembrava essersene fatto una ragione.

Sembrava un dolore di chi si aspetta esattamente che le cose vadano in quel determinato modo.

Era composto lo sguardo di Mito.

Solo una velata traccia di malinconia.

Nient’altro, infatti, trapelava.

E Sendoh ne fu ammirato perché stavolta Yohei non si era circondato da una maschera di freddezza ma, al contrario, lasciava intendere quello che provava.

Il giocatore considerò che per Mito le lacrime dovessero essere utopia.

Era abituato a gestire il dolore, non perdendo il suo sangue freddo.

Era abituato a darsi un contegno, sempre e comunque.

Fu per questo che si alzò, andando a sedersi vicino all’altro.

Yohei lo guardò, ma non disse nulla a riguardo.

“Suppongo tu voglia sapere quali sono i due avvenimenti” disse, massaggiandosi gli occhi con il pollice e l’indice.

“Solo se ti va” lo rassicurò Sendoh.

Yohei lo guardò ridacchiando.

“Certo, così andrai di nuovo da Hana” ridacchiò ancora.

“No!” si unì alla risata Sendoh.

“Ora che sono al ritiro sarebbe un po’ più difficile!” disse allegro, come se quello fosse l’unico motivo che potesse impedire un’eventuale visita al numero dieci.

“Ah, ecco!” scherzò di rimando Yohei.

“Sakuragi ha fatto abbastanza. Ed io avevo bisogno di sapere contro cosa combattevo!” aggiunse Sendoh, ritornando serio.

Mito annuì di rimando, comprendendo perfettamente il significato delle parole dell’altro.

“Sono state…” incominciò lentamente.
Sendoh si fece attento.

“Sono state le volte in cui ho visto mio padre” spiegò Mito con un sussurro.

Il numero sette, nonostante avesse la conferma delle sue ipotesi, non lasciò trapelare nulla dalla sua espressione.

Sendoh sapeva, infatti, che se Yohei avesse scorto anche un minimo accenno di tristezza nei suoi occhi, avrebbe interrotto immediatamente quella confidenza, catalogando il tutto come compassione.

E Mito detestava essere compatito.

Perché doveva dimostrare a se stesso di non aver bisogno di nessuno, come gli aveva confermato pochi minuti prima.

Continuò ad ascoltare ciò che l’altro aveva da dirgli, invitandolo a continuare con un cenno del capo.

“Una volta, la prima, è stata per caso” continuò a parlare Mito, massaggiandosi gli occhi.

“La seconda, invece, mi accompagnò Hanamichi”.

A quelle parole, il giocatore agì d’istinto.

Sendoh gli afferrò la mano, intrecciando le dita alle sue.

Mito lo guardò ma qualcosa nello sguardo dell’altro fermò la protesta sul nascere.

Negli occhi di Sendoh non vedeva la pietà che tanto detestava.

Solo uno sguardo serio e attento. Solo uno sguardo pronto ad ascoltarlo e riconoscente per quelle confidenze condivise.

Fu questo che lo spinse a parlare ancora.

“Mia madre non né sa nulla!” spiegò Yohei, perdendosi a osservare le lunghe dita del giocatore intrecciate alle sue.

“In entrambi i casi, ha fatto finta di non conoscermi” concluse chiudendo la mano a pugno e poggiandovi sopra la guancia.

“Perché la seconda volta sei andato da lui volontariamente?” domandò Sendoh a voce bassa.

“Per dimostrare a me stesso che la sua indifferenza non mi toccava!” rispose immediatamente Yohei.

“E ha funzionato?” chiese ancora il giocatore.

Yohei lo guardò supponente.

“Ovviamente…” e si bloccò.

Gli occhi attenti dell’altro gli fecero morire le parole in gola.

Ovviamente sì, avrebbe voluto rispondere.

Ma, di fronte a quello sguardo, non riuscì a mentire.

“Più o meno” scelse una mezza verità.

“Perché ti ostini così tanto con me?” domandò allora Yohei.

Sendoh, che si aspettava quella domanda, fu veloce nella risposta.

“Perché sei tutto quello che cerco!”.

“E poi, stavolta, tocca a me dirti qualcosa!” aggiunse con un sorriso rassicurante.

Yohei alzò un sopracciglio con aria incuriosita.

“La Torre Nera!” disse Sendoh.

Lo sguardo di Mito si fece attento.

“L’autore di quel disegno mi aveva incuriosito ancora prima di conoscerti” gli rivelò.
Mito lo guardò perplesso.

“E quando sei andato via, l’altra sera, mi hai ricordato le sensazioni che provai nel vedere quel disegno anni fa, sulla copertina della rivista” gli sorrise gentile.

“E questo, cosa dovrebbe significare?” domandò Mito che non riusciva a cogliere il collegamento.

“Non lo so!” ammise Sendoh ridacchiando.

“Ma sei tutto quello che cerco!” ripeté, ritornando serio.

Afferrò l’altra mano di Yohei portandosela alle labbra e sfiorandola con rispetto.

“Fredde!” disse in un sussurro non interrompendo neanche per un istante il contatto visivo con gli occhi di Yohei.

Occhi che lo guardavano sorpresi.

Occhi che gli diedero la conferma di quello che pensava.

Yohei non si imbarazzava al pensiero di andare a letto con qualcuno o a parlare di sesso.

Ma le manifestazioni di affetto, quelle sì che lo mettevano a disagio.

Andare a letto con qualcuno poteva essere catalogato un fatto meccanico, nella mente di Mito.

Sendoh era, infatti, sicuro che l’altro gli avrebbe risposto qualcosa del genere se glielo avesse domandato.

La tenerezza, invece, gli era sconosciuta.

E Sendoh era pronto a rimediare a questa mancanza.

Detestava essere toccato, eppure non rifiutava quei contatti, così come non aveva rifiutato la sua mano nella loro uscita.

Segno che quello che Mito provava non era tanto fastidio, quanto sbigottimento.

Il giocatore poteva leggere chiaramente la confusione sul suo sguardo.

“Sono sempre fredde” disse ancora Sendoh sul dorso della sua mano, e vide Mito deglutire.

“Mani che possono creare capolavori!” continuò ancora.

“Non faccio niente di speciale!” si difese Mito con voce incerta.

“Resta con me, stanotte” gli chiese allora Sendoh, vedendo gli occhi dell’altro tingersi di stupore a quella richiesta.

Resta con me!”.

Continua…

Note:

Dato che la storia si avvia alla fine, in questo capitolo abbiamo l’ultimo dialogo tra Mito e
Rukawa, e vediamo come si rapportano nel loro particolare legame di amicizia.

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.

Come sempre, attendo i vostri commenti.

Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo.

Pandora86

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
Capitolo 23.
 

Resta con me, stanotte!

Yohei continuava a fissare il volto di Sendoh, che lo guardava carico d’aspettativa.

Deglutì ancora, prima di parlare.

“Per fare cosa?” domandò, complimentandosi con se stesso per non aver balbettato.

Forse, solo un poco d’incertezza era trapelata dalla sua domanda ma poteva andare
peggio, visto che continuava a sentire le labbra di Sendoh che gli sfioravano il dorso della mano.

Poteva andare peggio, dato che il respiro del giocatore continuava a solleticare la sua pelle.

“Nulla che non voglia anche tu!” rispose Sendoh con un sussurro, allontanando la mano dalle sue labbra ma continuando ad accarezzarne il dorso con il pollice.

Buttati!

Le parole del suo migliore amico continuavano a ronzargli in testa.

Annuì lentamente con il capo, e sentì la presa dell’altro sulla sua mano farsi più stretta.

“Solo una cosa!” disse Sendoh spezzando quel silenzio così imbarazzante per Mito, ma anche carico d’aspettativa da parte di entrambi.

“Cosa?” domandò Yohei incuriosito.

“Perché tua madre non lavora più?” chiese, ponendo una domanda che gli era venuta in mente da quando Sakuragi gli aveva raccontato la storia di Mito.

Oramai, Yohei era cresciuto e Sendoh trovava strano che la donna non avesse ripreso la sua carriera così brillante.

“In realtà disegna ancora” gli spiegò Yohei.

“Ma tu intendi perché non si occupa più di fumetti a serie, giusto?” domandò con un sorriso sghembo.

Sendoh annuì.

“Beh” sospirò Yohei.

“Lei aspetta me!” rispose lentamente.

Sendoh aggrottò lo sguardo.

“Una volta” cominciò a spiegare Yohei, “mi disse che le idee per le sue storie non erano frutto di lunghe meditazioni; le venivano e basta. Poi, a un certo punto, quando sono nato io per l’esattezza, tutte le idee prendevano un’unica direzione”.

“Te!” venne in suo soccorso Sendoh e Yohei annuì con il capo.

“Ora, invece, dice che aspetta me, per ritornare sul campo!” aggiunse con un sospiro.

“Vuole che tu disegni le tue storie” capì Sendoh e Yohei annuì nuovamente, chinando il capo.

“Una carriera così brillante…” disse Yohei malinconicamente.

“Non hai nessuna colpa!” lo interruppe Sendoh deciso.

“Ah, no?” domandò Mito sarcastico, provando a interrompere il contatto fra le loro mani.

Sendoh non glielo permise e continuò a parlare.

“No, perché se non avesse voluto tenerti, non l’avrebbe fatto” affermò con semplicità, stringendogli più forte la mano.

“Ma, nella vita, a volte, ci sono priorità diverse da una carriera folgorante” continuò in un sussurro.

“E tu questo lo sai per certo, vero?” rispose Yohei ironicamente.

“Non hai mai accettato di disegnare le sue storie perché ti sembrerebbe di svilire quella che un tempo è stata una grande autrice, vero?” domandò ancora Sendoh con occhi penetranti.

“Ma forse è tempo che tu capisca che lei potrebbe tornare alla ribalta alla grande se tu accettassi la sua proposta, non credi?” continuò, non dando modo all’altro di rispondere.

Yohei chiuse gli occhi, massaggiandoseli stancamente.

“Come fai a essere così sicuro di quello che dici?” domandò perplesso. “Non mi sembrava che i manga fossero il tuo campo!” chiese, con una punta d’ironia.

“Infatti!” confermò sicuro Sendoh.

“Il mio campo è la strategia migliore per battere l’avversario” gli confermò.

“E questo, comporta, da parte mia, un’analisi oggettiva della situazione” concluse con un sorriso.

“Analisi che tu sei troppo coinvolto per pronunciare” aggiunse in un sussurro andando ad accarezzare la guancia dell’altro.

“Come so che adesso devi metabolizzare le mie parole, per capire che corrispondono al vero!” continuando a sfiorare la guancia di Mito.

“Quante cose che sai!” ribatté l’altro con un sorriso.

“Rimarresti sorpreso!” gli confermò Sendoh, ricambiando il sorriso e portando la sua mano dietro la nuca dell’altro.

“Come so che adesso non devi pensare!” disse ancora a voce bassissima mentre avvicinando le sue labbra a quelle dell’altro.

“Ah, no?” gli domandò Yohei con le labbra piegate in un sorriso sghembo.

Sendoh non si fece ingannare da quella voce ferma e quel tono così ironico.

Yohei era maledettamente a disagio, per quanto lo nascondesse bene.

“No!” gli confermò il numero sette portando le sue labbra sulla guancia dell’altro.

“E cosa dovrei fare?” domandò Mito in un sussurro.

Sendoh poté chiaramente vedere il pomo d’Adamo dell’altro abbassarsi mentre deglutiva.

“Rilassarti!” gli rispose baciando lievemente la guancia dell’altro, mentre con il pollice accarezzava il dorso della mano; le stesse mani che erano state intrecciate per tutto quel tempo e che Sendoh non aveva nessuna intenzione di lasciare andare.

Sfiorò la guancia di Mito con piccoli baci, fino ad arrivare agli angoli della bocca.

Niente di troppo affrettato, niente di troppo impetuoso.

E non lo faceva solo per l’altro; Sendoh, infatti, non voleva rovinare quel momento che aveva a lungo bramato.

Arrivò alle labbra di Mito sfiorandole in un casto bacio prima di dedicarsi al labbro inferiore.

Quella bocca così perfetta e sensuale, che era capace di lanciare frasi al vetriolo ma anche di aprirsi in sorrisi sinceri.

Sendoh mordicchiò il labbro inferiore dell’altro, continuando ad accarezzare la mano che aveva intrecciato alla sua.

Con l’altra invece, fu lieto di dedicarsi alla nuca, giocherellando con i capelli e accarezzando quel collo scultoreo.

Osservò che Yohei aveva socchiuso gli occhi, tutt’altro che rilassato.

Era evidente quanto si stesse controllando.

Ma Sendoh aveva un modo tutto suo di farlo rilassare.

Con la bocca ritornò alla guancia, fino ad arrivare all’orecchio dell’altro.

“Posso fermarmi quando vuoi!” gli sussurrò prima di mordicchiare il lobo.

“Ed io posso suonartele di santa ragione quando più mi aggrada!” gli rispose a tono Mito lasciando trapelare solo un pizzico di incertezza.

Sendoh ridacchiò, notando il controllo eccezionale che aveva Mito sulla sua voce nonostante quelle particolari attenzioni gli stessero piacendo parecchio.

Perché Sendoh di questo era sicuro.

Sicuramente, Yohei stava cercando di analizzare alla velocità della luce tutte le sensazioni che stava provando.

Sensazioni che però doveva gradire, altrimenti non gli avrebbe mai permesso di continuare.

Ridacchiò ancora, promettendo a se stesso che, a breve, da quelle labbra sarebbero usciti solo gemiti.

Promise a se stesso che presto, volente o nolente, Mito avrebbe dovuto dire addio al suo famigerato sangue freddo, per lasciarsi andare solo al piacere.

Si dedicò con cura al lobo dell’altro, prima di sfiorare con la lingua la porzione di pelle sotto l’orecchio.

E stavolta fu impossibile per Mito trattenere un gemito e Sendoh se ne accorse.
Impercettibile e molto silenzioso.

Fu per questo che Sendoh sorrise, portando la sua mano dalla nuca al collo dell’altro e andando ad accarezzare con il pollice il pomo d’Adamo.

Poteva sentire, con le dita, quanto i muscoli dell’altro fossero tesi nel gesto di trattenersi.

Continuò con la lingua a torturare, in carezze sempre più audaci, quella stessa porzione di pelle.

Sentì Yohei deglutire sempre più spesso e questo lo incitò a continuare.

Si mosse più giù, nell’incavo del suo collo, oramai certo della sensibilità dell’altro in quei punti.

Lo baciò e lo mordicchiò senza sosta, beandosi del sapore di quella pelle.

Non aveva intenzione di affrettare le cose.

Fosse stato per lui, si sarebbe dedicato per ore al collo di Mito.

Poco a poco, lo spinse delicatamente sul pavimento, continuando a baciargli il collo ma non sovrastandolo con il suo corpo.

Si dedicò con dovizia alla zona sotto il mento, fino a raggiungere nuovamente le labbra dell’altro.

Poteva sentire chiaramente il cuore dell’altro battere all’impazzata, nonostante il suo corpo non lasciasse trapelare nulla.

Trovò quelle labbra socchiuse e decide di approfondire il contatto in un bacio che di casto non aveva nulla.

Sentì Yohei rispondere al bacio e capì chiaramente che non sarebbe riuscito a staccarsi da quel corpo neanche se avesse voluto.

La sua eccitazione si era, oramai, risvegliata da tempo.

Interruppe il bacio, per mancanza d’ossigeno e fu lesto a tornare sul collo di Mito.

Stavolta, i gemiti non furono così silenziosi.

Anche se era ancora evidente quanto l’altro cercasse di controllarsi.

Con la mano libera, l’altra continuava a essere intrecciata a quella di Mito, si addentrò sulla pancia dell’altro.

Gli addominali di Yohei erano contratti e Sendoh, al pensiero che solo un piccolo strato di stoffa separava la sua mano da quella pelle, non riuscì a trattenersi.

Infilò la mano sotto la maglia dell’altro, sentendo i muscoli di Yohei contrarsi ancora di più ma non per trattenersi stavolta.

Quel contatto gli stava piacendo; il gemito uscito dalle sue labbra lo confermava.

Con la bocca continuò a torturare il suo collo mentre, con la mano, accarezzava gli addominali scolpiti.

Troppa stoffa tra loro, considerò Sendoh con disappunto.

“Sai, vorrei che la togliessi. La maglia, intendo!” disse il giocatore all’orecchio dell’altro.

“Dovrai convincermi che ci sia un buon motivo” gli sussurrò Yohei.

Sendoh ridacchiò ancora.

Mito non finiva mai di sorprenderlo.

Fu per questo che si avventò con le labbra sulla pancia dell’altro, baciando ogni porzione di pelle che man mano veniva scoperta.

Arrivò ai suoi capezzoli, decidendo di torturarli con dovizia e, stavolta, per Yohei fu impossibile trattenere ancora i gemiti.

Gemiti che rischiarono di far perdere a Sendoh la poca lucidità che gli era rimasta.

Voleva sentirlo, sempre più.

Fu per questo che si mise a sedere allontanandosi dall’altro e sfilando con decisione la maglia che indossava.

Vide che Yohei osservarlo attento, con le labbra socchiuse e il respiro accelerato.

Rimase sorpreso quando l’altro si mise a sedere, scrutandolo con sguardo indecifrabile.

Credé, per un momento, che volesse alzarsi per andare via.

D’altro canto, lo sguardo di Yohei rimaneva serio e impenetrabile; era perciò difficile capire che intenzioni avesse.

Soprattutto, visto lo stato mentale e fisico in cui si trovava il giocatore.

Rimase perciò sorpreso quando vide Yohei togliersi lentamente la maglia e guardarlo con un sogghigno.

“Beh” disse Mito di fronte alla faccia perplessa del giocatore.

“Non dovevi convincermi che c’erano dei buoni motivi?” domandò sghembo e Sendoh sorrise di rimando.

Mito sarebbe stato sempre una sorpresa, per lui.

Fu perciò con decisione che si avventò su quella pelle, coinvolgendo l’altro in un bacio nient’altro che innocente.

Le mani vagavano ovunque; sulla sua schiena, sulla sua pancia e su tutta la pelle disponibile.

Sentì l’altro gemere e Sendoh pensò che ne voleva di più.

Solo quel pensiero e null’altro.

Senza alcuna lucidità, andò a slacciare i bottoni del jeans di Mito.

Le mani di Mito sulla sua schiena lo stavano letteralmente mandando a fuoco.

Il contatto fra la loro pelle lo faceva ansimare sempre più e lo stesso effetto stava facendo all’altro.

Portò la sua mano sulla virilità dell’altro e la sorpresa di Mito fu evidente.

Il gemito che uscì non era controllato.

“Kami!” lo sentì sussurrare Sendoh mentre continuava a tormentargli il collo con le labbra.

Fu quello che lo spinse a continuare.

Sentì la mano di Mito accarezzargli il fianco sotto la tuta e, ancora una volta, perse la testa.

Si abbassò i pantaloni e, dopo aver fatto lo stesso con Yohei, con un gesto deciso ribaltò le posizioni portando l’altro cavalcioni su di sé.

Con una mano stringeva spasmodicamente il fondoschiena marmoreo dell’altro.

Con l’altra gli circondava la nuca impedendo alle loro bocche di separarsi.

In quel momento, pensava solo al corpo di Mito che si muoveva su di lui e che gemeva nella sua bocca.

Pensava solo al corpo di Mito che aderiva al suo, facendo incontrare le loro virilità.

Pensava solo alla sua mano glutei dell’altro, che invitava Mito a muoversi sempre più velocemente e che lo teneva stretto a sé impedendo ai loro bacini di separarsi.

Le loro erezioni continuavano a toccarsi sempre più freneticamente.

E arrivarono entrambi, in quel modo, gemendo uno nella bocca dell’altro.

Passarono alcuni secondi interminabili, dove Sendoh sentì lentamente il cuore provare a tornare a un battito più normale.

Rimasero abbracciati per diversi minuti, dove Sendoh continuava ad accarezzare la schiena dell’altro con la mano mentre con il braccio gli cingeva la vita, per tenerlo legato a se.

Il primo a riprendersi, ovviamente, fu Mito.

“Temo di dover usare il tuo bagno” disse alzandosi e recuperando la sua maglia.

Sendoh annuì in silenzio, ancora troppo sconvolto dalle sensazioni provate per riuscire a dire qualcosa di coerente.

Guardò l’altro dirigersi in bagno e si sedette stancamente sul letto.

Tutta la passione provata pochi istanti prima era scomparsa frantumandosi in mille pezzi.

Il dubbio aveva cominciato a fare capolino nella sua testa.

Tutto era andato come non aveva previsto.

Non che non desiderasse l’altro, solo non voleva che le cose andassero in quel modo.

Sentì il rumore dell’acqua, chiedendosi come sarebbero andate le cose ora.

Dannazione! Imprecò fra sé.

E dire che avrebbe voluto continuare a vezzeggiare l’altro a lungo, torturandolo con baci e carezze.

Invece, a un certo punto, non aveva capito più nulla perdendo il controllo.

Forse, era stato quando Yohei si era tolto la maglia, con uno sguardo e con delle movenze che niente avevano di casto.

Forse, era stato quando le loro pelli si erano scontrate.

Comunque, almeno un minimo di lucidità era riuscito a mantenerla.

Era stato quando, sentendo di essere arrivato al limite, aveva portato l’altro sopra di sé.

In quel momento, fra i tanti pensieri sconnessi, aveva pensato che era la cosa migliore.

In quel momento, aveva desiderato fare l’altro suo e, prima di fare qualcosa di
veramente sciocco, aveva invertito le posizioni, decidendo di far culminare i piaceri di entrambi in quel modo.

Eppure, aveva sentito chiaramente Yohei sussultare quando aveva toccato il suo membro.

Però, troppo preso dal piacere e accecato dai gemiti mal trattenuti dell’altro, non si era curato di nulla se non di andare avanti.

E dire che sapeva quanto l’altro detestasse essere toccato.

Lui avrebbe voluto coccolarlo a lungo e magari farlo arrivare dopo ore e di certo non in quel modo frettoloso, sul pavimento e ancora entrambi mezzi vestiti.

Lui avrebbe voluto bearsi del suo corpo, osservandolo nella sua intera nudità e vezzeggiarlo a lungo.

Invece, la passione era esplosa.

Si chiese cosa ne pensasse Yohei a riguardo.

Di certo non lo aveva costretto a fare nulla, questo era poco ma sicuro.

Ma avrebbe voluto dare più tempo all’altro per abituarsi al suo tocco, non che le cose si concludessero in quel modo.

Avrebbe voluto sentire i gemiti di Yohei più a lungo e non che l’altro si lasciasse andare sull’ondata dell’eccitazione momentanea.

Che poi, a conti fatti, non si era lasciato andare neanche più di tanto.

Era stato, infatti, lui a gemere in maniera rumorosa soprattutto nella parte finale.

Si chiese come sarebbe finita se non avesse invertito le posizioni e avesse assecondato il desiderio provato in quel momento; in pratica, prepararlo per essere dentro di lui.

Sarei finito all’ospedale! Valutò Sendoh poggiando la fronte sui gomiti.

In realtà non che lui volesse necessariamente possedere l’altro.

Lui voleva fare l’amore con Yohei.

Con i suoi precedenti partner era sempre stato la parte attiva, per questo aveva agito in quel modo.

Invece, con Yohei avrebbe voluto che le cose andassero lentamente, che l’altro gli facesse capire le sue intenzioni in merito.

Non avrebbe avuto problemi, con Yohei, a invertire le parti, Sendoh lo sapeva.

Solo, avrebbe voluto che le cose fossero andate più lentamente.

E di certo, qualsiasi fossero i ruoli, non voleva che la loro prima volta si consumasse su un pavimento, segno della passione momentanea e mal trattenuta.

Per fortuna, aveva rimediato in tempo.

A quel punto, non restava che aspettare che l’altro uscisse dal bagno e capire, o comunque provarci, quello che invece pensasse lui a riguardo.

Sempre se è disposto a parlarne! Pensò ancora Sendoh sconfortato.

Maledetti ormoni!

E lui che aveva immaginato di stare a letto, abbracciato a lungo a Mito e baciarlo di tanto in tanto, godendosi l’eventuale rossore sulle sue guancie.

Beh, oramai non aveva importanza.

Di una cosa era certo, però: avrebbe rimediato, qualunque cosa gli avesse riservato Yohei.

Perché non era più disposto a perderlo; non dopo aver provato tutte quelle sensazioni.

Una cosa gli venne in mente, lasciandolo basito.

Perché, in quei frangenti, nemmeno una volta, gli aveva detto che lo amava?

Eppure, dei suoi sentimenti Sendoh era certo.

E allora perché si erano limitati a frasi provocatorie e allusive?

Da un punto di vista esterno, sarebbe potuto sembrare solo che entrambi avessero messo a tacere gli ormoni in maniera piuttosto piacevole e proficua per entrambi.

Ma non è così! Si disse Sendoh stringendo il pugno.

Eppure, sull’onda delle sensazioni, non aveva detto all’altro neanche una volta quanto lo amasse.

“Hai finito il tuo monologo mentale?”.

La voce di Yohei lo riscosse dai suoi pensieri.

Non si era accorto che l’altro fosse uscito dal bagno e che ora lo osservava a braccia incrociate, appoggiato allo stipite della porta, con un’espressione alquanto perplessa in volto.

Ovviamente, era impossibile dire cosa pensasse.

Sicuramente, visto il sorriso sarcastico, lo stava osservando da un po’.

Sendoh lo guardò, fronteggiandolo.

Non si sarebbe tirato indietro a quel nuovo confronto.

E ne sarebbe uscito vincitore, dimostrando all’altro che quella era stata solo una parentesi, piacevole certo, ma comunque una parentesi.

Perché Sendoh non se ne faceva nulla del corpo di Mito se non poteva avere il suo cuore.

E l’avrebbe fatto capire anche all’altro; fosse stata l’ultima cosa che faceva.

O non si sarebbe chiamato Akira Sendoh.
 

Continua…
 
Note:
 

In questo capitolo abbiamo il primo momento di passione fra Sendoh e Mito.

Specifico però che l’introspezione successiva è solo quella di Sendoh che, non conoscendo ancora bene Mito, si fa prendere dai dubbi.

Perché comunque, anche se è una persona con un carattere deciso, rimane sempre un diciannovenne che si innamora per la prima volta, quindi ho provato a rendere al meglio i suoi pensieri.

Nel prossimo capitolo ci saranno i pensieri di Yohei.

Spero di aver fatto un buon lavoro.

Attendo, come sempre, i vostri commenti!

Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.

A martedì prossimo.

Pandora86.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24. ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
Capitolo 24.
 

“Mi dispiace!” esordì Sendoh con voce decisa.

La passione di pochi attimi prima era definitivamente scomparsa e negli occhi del giocatore si poteva leggere solo tanta fermezza mentre guardava l’altro deciso a non abbassare lo sguardo di fronte a colui che amava.

“Eh?” gli chiese Yohei chiaramente perplesso.

“Non volevo che le cose andassero in questo modo!” aggiunse il giocatore spiegandosi meglio.

“Così come?” domandò Yohei, se possibile, ancora più confuso.

“Ti amo!” disse infine Sendoh alzandosi e fronteggiando l’altro in tutto il suo metro e novanta.

“E non è solo il tuo corpo quello che voglio!” gli chiarì ulteriormente.

Mito alzò gli occhi al cielo, sospirando.

“Parla quello che si eccita quando lo minaccio!” disse ironico.

“Appunto!” s’infervorò Sendoh.

“Mi spieghi qual è il problema?” chiese Yohei che faticava a raccapezzarsi.

Quando era uscito dal bagno e aveva guardato l’altro, gli era sembrato che il giocatore fosse preso da pensieri contrastanti, visto il continuo cambio di espressioni che faceva credendo di non essere osservato.

Sembrava un po’ Hanamichi che si perdeva nei suoi filmini mentali, in effetti.

Per questo non era riuscito a trattenersi e aveva palesato la sua presenza con quella frase.

Ma ora, sinceramente, non capiva dove fosse il problema.

“Se non ti spieghi, non pretendere che io capisca!” disse duro.

“Non volevo che accadesse tutto così in fretta. Volevo fosse tutto perfetto!” gli chiarì allora Sendoh e Yohei sembrò capire.

Passò un minuto di silenzio che sembrò eterno dove Sendoh attendeva la risposta dell’altro e Yohei, invece, traeva le sue conclusioni.

“Oh, Kami!” sospirò teatralmente Mito sedendosi sul letto.

“Non mi dire che sei uno di quei tipi!” lo provocò scherzosamente cercando di alleggerire l’atmosfera e facendo in questo modo capire all’altro che si stava facendo troppi problemi.

In fondo, non era bravo con le parole, ma poteva benissimo farsi capire con i fatti.

D’altronde, il giocatore era fin troppo perspicace per non raccogliere i suoi segnali e trarne le conclusioni giuste.

“Cioè?” gli chiese Sendoh, rilassandosi nel vedere l’atteggiamento amichevole dell’altro.

“Uno di quelli che adora le cene a lume di candela mentre sussurra all’altro frasi vomitevoli che fanno salire la glicemia a livelli inauditi” scherzò Yohei con una mezza risata.

Sendoh, a quelle parole, si lasciò andare a una risata allegra.

“Eh, sì!” gli confermò sedendosi sul letto accanto a lui.

“Tendo a essere incredibilmente romantico con la persona che amo” gli sussurrò accarezzandogli brevemente la guancia.

“Disgustoso!” ribadì Yohei a mezza foce con sguardo fintamente sprezzante.

“Non sei arrabbiato?” gli domandò Sendoh con una luce attenta negli occhi.

“Perché dovrei?” gli chiese Yohei scrutandolo con la stessa attenzione.

“Detesti essere toccato!” gli ricordò Sendoh.

“Ma non sono una verginella impaurita” gli appuntò Mito con lo stesso tono.

“Oh, no!” gli confermò Sendoh.

“Sei un diavolo tentatore, incredibilmente sexy” disse con voce sensuale.

“E tu sei in calore” non si scompose Yohei, notando il tono dell’altro.

“Sei tu che mi fai quest’effetto” si difese il giocatore con voce allegra.

“Io sono solo un ragazzo nel pieno della vita”.

Yohei ridacchiò.

“Non ho fatto nulla che non volessi!” sussurrò poi e Sendoh si fece attento.

“E…” incominciò, interrompendosi poco dopo, non sapendo come esporre i pensieri.

Sendoh se ne accorse e non lo forzò, rimanendo in paziente attesa.

“Non mi ha dato fastidio” disse Yohei lentamente, guardando un punto imprecisato della parete.

“Tu…” un’altra pausa.

“Mi fai perdere il controllo” ammise ritornando a guardarlo.

“Anche tu” gli confermò Sendoh sorridendo.

Quella era la prima vera dichiarazione dell’altro.

Anche Yohei, come Sakuragi gli aveva assicurato, era interessato a lui.

E Sendoh, finalmente, si sentì in pace con il mondo.

“Dovrai abituarti presto al mio lato romantico, orsacchiotto mio” lo provocò, decidendo di spezzare quegli istanti così tesi e permettere a Mito di rilassarsi dopo un’ammissione così importante.

Vide il volto dell’altro guardarlo sgomento, indeciso o no sull’aver sentito bene il modo in cui era stato chiamato.

“Come hai detto, scusa?” lo invitò a ripetersi, guardandolo con un sorriso a mezze labbra e un sopracciglio alzato.

“Che ti amo, pasticcino” rispose Sendoh, faticando a trattenere le risa.

A Yohei invece il sorriso si congelò sul volto, pietrificando momentaneamente i muscoli facciali.

“Io – ti – ammazzo!” sibilò lentamente, agghiacciato.

Sendoh fece una finta aria triste.

“Ma come, cuore del mio cuore?” disse teatralmente, congiungendo le mani in segno di preghiera.

Yohei, a quella vista, non seppe trattenere una risata che mascherò con uno sbuffo.

“Va bene! Credo sia giunto il momento di andare, cuoricino!” gli disse, avvicinando il suo volto all’altro, con un sorriso perfido stampato in volto.

“Di già, stellina?” continuò Sendoh con lo stesso tono.

Yohei, a quella vista, non resistette.

Una risata allegra riempì la stanza e Sendoh sorrise teneramente osservando il volto dell’altro così rilassato.

“Hai un quaderno e una matita?” disse Yohei dopo un po’, con ancora in viso le tracce delle risate.

“Come?” gli chiese Sendoh.

“Ti segno il mio numero di telefono e il mio indirizzo!” rispose Yohei portandosi le mani ai fianchi.

“Ma solo se mi prometti che, da domani in poi, pensi esclusivamente al ritiro!” contrattò.

Sendoh capì le sue intenzioni e annuì serio.

“Sono un campione!” gli assicurò con una luce decisa negli occhi.

“Bene!” approvò Yohei.

“E da settembre” continuò Sendoh alzandosi e recuperando quanto l’altro gli aveva chiesto, “giuro che non mi scappi più!” promise.

“Prima dovrai distinguerti al ritiro” gli intimò Yohei afferrando il quaderno e segnando quanto aveva detto.

“Contaci!” gli assicurò il giocatore.

“Non hai bisogno di una doccia?” domandò Yohei, cambiando improvvisamente argomento.

“Eh?” lo guardò allibito Sendoh.

“Una lunga e rilassante doccia!” continuò Yohei guardandolo fisso.

“Con te che mi fai compagnia?” gli chiese allusivo Sendoh.

“Ho detto rilassante!” gli appuntò Yohei.

“Oh, beh! Io ci ho provato” ammise Sendoh ridacchiando.

Guardò il volto dell’altro sicuro che avesse qualcosa in mente.

Comunque, lo accontentò.

“Lunga e rilassante doccia!” confermò guardandolo perplesso ed entrando infine in bagno.

Chissà cos’aveva Mito in mente.
 

***
 

Mito aprì la porta della sua camera.

Come aveva previsto, non aveva avuto problemi nell’andare via dalla pensione.

Aveva preferito uscire dalla porta, sapendo che la reception sarebbe stata molto poco sveglia a quell’ora.

E, infatti, così era stato.

Si era diretto alla sua pensione imponendo a se stesso di non pensare prima di essere giunto a destinazione.

E, anche sotto quel punto di vista, le cose erano andate come aveva previsto.

Si stese sul letto, non curandosi neanche di togliersi le scarpe e incrociando le braccia dietro la testa.

Solo allora permise alla sua testa di analizzare quello che era successo.

Solo allora permise a se stesso di ricordare ciò che aveva provato.

So che detesti essere toccato.

Le parole di Sendoh gli ritornarono alla mente.

Era vero!

Lui detestava profondamente il contatto con altri, trovando ridicole le manifestazioni d’affetto.

Eppure, le mani di Sendoh gli avevano solo saputo dare piacere.

Un piacere diverso rispetto alle volte – molto rare – in cui si masturbava da solo.

In effetti, anche in quei frangenti, considerava il tutto come un atto meccanico, utile a svuotare il suo corpo.

Mai aveva provato una simile eccitazione.

Mai un orgasmo era stato così sconvolgente.

Ripensò ai baci infuocati che c’erano stati e a come avesse pensato di volerne ancora.

Ripensò alle labbra di Sendoh sul suo corpo e all’eccitazione che aveva sentito crescere.

Era stato per questo che si era tolto la maglia in un chiaro invito per l’altro a continuare.

Infine, erano arrivati quasi in contemporanea e Yohei aveva immediatamente ripreso il controllo del suo corpo.

Tuttavia, non avrebbe mai immaginato che il suo atteggiamento avrebbe ferito l’altro.

Perché questo gli era parso chiaro sin da subito, nel momento in cui era uscito dal bagno.

Yohei, ovviamente, non ne aveva capito il motivo.

Insomma, avevano appena fatto quello, e lui trovava Sendoh che si arrovellava su chissà cosa.

Eppure, si era allontanato solo un attimo per darsi una sistemata.

Il tocco dell’altro lo aveva sconvolto ma non era nel suo essere abbandonarsi a scenette isteriche.

Cercava di essere razionale, sempre e comunque.

Oggettivo, in ogni caso.

Era questo che aveva considerato mentre, nel bagno dell’altro, si puliva dalle tracce del piacere appena consumato.

Aveva ceduto agli ormoni, provando sensazioni sconosciute ma molto piacevoli.

Era così che aveva accantonato la faccenda in un angolino della sua mente, riproponendosi di tornare ad analizzarla in un secondo momento.

E, con questa convinzione, era uscito dal bagno.

E cos’aveva trovato?

Sendoh che si arrovellava, perso in chissà cosa.

E poi aveva capito.

Sendoh lo amava.

E aveva frainteso.

Sicuramente, dopo l’atto in sé, una coppia normale sarebbe rimasta teneramente abbracciata.

Lui invece aveva liquidato il tutto con “vado in bagno”.

Analizzando dall’esterno la cosa, sembrava che avesse aggiunto, in maniera sottintesa: grazie per la scopata.

Che poi, una vera e propria scopata non era stata, ma non era questo il punto.

Il punto rimaneva il suo atteggiamento freddo e scostante.

Troppo frettoloso nel cercare di riprendere il controllo.

Per questo il giocatore aveva frainteso.

Lui avrebbe voluto fare le cose con calma.

Avrebbe voluto rendere quegli istanti perfetti.

Per questo forse, a un certo punto, aveva ribaltato le posizioni.

C’era stato un cambio drastico nel loro atto, in effetti.

Dapprima, c’era Sendoh che lo stuzzicava lentamente.

Poi, nell’istante in cui si era tolto la maglia, c’era stato solo un impetuoso toccarsi e baciarsi senza alcuno schema.

Sendoh aveva perso il controllo, proprio come lui.

Eppure, aveva mantenuto una lucidità tale da ribaltare le posizioni.

Forse per non spaventarlo, forse per non fargli credere che il suo corpo lo stesse sovrastando.

Comunque, lo aveva fatto per riguardo nei suoi confronti.

Perché Sendoh lo amava!

Ci aveva tenuto, infatti, a precisarlo senza mezzi termini.

Yohei si era intenerito nel vedere l’altro così dispiaciuto.

Un calore, diverso da quello precedente, eppure non meno importante, gli aveva riscaldato l’animo.

Per questo aveva provato a rassicurarlo.

Forse non erano state le parole ideali ma era certo che il giocatore avesse compreso.

Sendoh lo amava.

Sorrise a quel pensiero.

E lui, invece?

Cos’era l’amore?

Facile!

La parola “amore” poteva essere tradotta come affetto intenso e totalizzante verso qualcosa o qualcuno.

Giusto!

E lui provava questo verso Hanamichi.

Provava questo verso sua madre.

Ma verso Sendoh?

In quel caso, la definizione di amore era un’altra.

Amore, in pratica intensa passione verso qualcosa o qualcuno.

Sì! Anche questa era una buona definizione del termine.

Capì, in quel momento, perché non fosse riuscito a resistere alle mani dell’altro sul suo corpo.

Intensa passione.

Quello che Sendoh provava verso di lui.

Quello che Yohei aveva provato quella sera.

Per questo il giocatore si era poi rammaricato.

Non era stato un atto meccanico, dettato da un’esigenza ormonale.

Era stato amore!

E Sendoh ci teneva a farglielo capire.

E lui, anche se non si era espresso chiaramente a parole, in fondo, aveva fatto lo stesso.

Chiuse gli occhi, ripensando alla faccia di Sendoh nel momento in cui fosse uscito dal bagno.

Sì!

Aveva fatto bene!

E, con questi pensieri, e con il cuore leggero come mai era stato prima d’ora, si addormentò.

Il suo sonno fu solo popolato dal sorriso del giocatore.

I suoi sogni furono popolati dalla sua voce allegra e profonda.

Un sorriso, nel sonno, comparve sul volto di Yohei.

Un sorriso proveniente dal cuore, un cuore che aveva cercato in tutti i modi di sopprimere a favore della razionalità.

Un cuore che però non aveva accettato di essere messo da parte così facilmente.

Un cuore che, dopo tanti anni, aveva ripreso a battere per la felicità.
 

***
 

Sendoh si insaponò i capelli con cura, sorridendo allo scambio di battute che aveva avuto con Mito.

Sapeva che non avrebbe trovato l’altro ad aspettarlo, ma andava bene così.

Tu mi fai perdere il controllo!

Questo gli aveva detto Mito.

E Sendoh sapeva che era una chiara ammissione di quello che provava.

Finalmente, poteva pensare a un noi.

Questo stava a significare l’indirizzo che Mito gli aveva scritto.

Che l’altro non fosse bravo a parole, Sendoh lo aveva già capito da un po’.

Poco importava, pensò uscendo dalla doccia.

I suoi gesti erano stati più che eloquenti.

Ripensò a quando l’altro si era tolto la maglia con decisione e con un luccichio negli occhi che non aveva nulla da invidiare alla malizia più pura.

D’altro canto, sapeva che il carattere forte di Mito non avrebbe permesso all’altro di comportarsi diversamente.

Ripensò alla sua voce, quando gli aveva detto di non essere una verginella impaurita.

Sendoh ridacchiò, asciugandosi con cura.

No, di certo non lo era.

E Sendoh non si aspettava nulla di meno infuocato, visto il carattere così deciso del ragazzo.

Quella sera, non solo Mito aveva perso il controllo.

Anche lui aveva mandato a farsi benedire buona parte della sua lucidità.

Eppure, se qualche istante prima era rammaricato che le cose fossero andate così velocemente, ora non poteva che ritenersi soddisfatto.

In fondo, aveva fatto bene ad assecondare quello che sentiva.

E non solo quello che sentiva il suo corpo, ma soprattutto quello che sentiva dal suo cuore.

Uscì dal bagno non sorprendendosi di non trovare Mito ad attenderlo.

L’occhio gli cadde sul comodino.

C’era il quaderno che aveva prestato a Mito per permettergli di scrivere il suo indirizzo.

Rimase sorpreso quando vide che c’era dell’altro.

Un foglio fuoriusciva dal quaderno.

Sendoh non ricordava che l’altro avesse strappato della carta per segnare i suoi dati.

Sentendo, a pelle, che potesse esserci anche qualcos’altro, prese il foglio.

Sgranò gli occhi quando vide quello che c’era sopra.

Un sorriso tenero, e forse anche commosso, comparve sul suo volto.

Mito non aveva alcun bisogno di essere chiaro a parole se i suoi gesti erano così eloquenti.

Questo era il suo pensiero, mentre si sedeva sul letto continuando a stringere il foglio e sorridere come un imbecille.

Anche Mito lo amava; quello che aveva in mano lo confermava.

Percorse con il dito quello che era raffigurato su quel foglio, avendo quasi paura di sfiorare i tratti riportati.

Mito lo aveva ritratto.

Ma gli aveva anche lasciato un messaggio.

Su quel foglio c’era lui che, con indosso la maglia della squadra, correva verso un’azione.

La palla era poco distante dalla mano.

Si capiva chiaramente che stava correndo in attacco per segnare.

Il suo volto aveva una luce decisa, tipica dei campioni.

Finalmente, ebbe la conferma di quello che gli aveva detto Sakuragi.

Mito era un vero e proprio genio del tratto.

Sorrise, decidendo di riporre il disegno in una plastica trasparente, al sicuro dalla polvere e da qualsiasi altra cosa.

Lo ripose come se fosse un tesoro.

Perché quello era un tesoro.

Proprio come aveva fatto Sakuragi, pensò distrattamente.

Mito lo amava e aveva voluto rassicurarlo sui dubbi che erano sorti quella sera.

In un certo qual modo, si era scusato della sua freddezza, forse!

Ma, con quel particolare disegno, lo ammoniva anche.

Lo invitava, infatti, a ricordarsi di essere un campione.

Solo se avesse ricordato questo, allora Mito lo avrebbe accettato.

Questa era la condizione e Sendoh non aveva dubbi su cosa fare.

Si mise a letto decidendo di essere ben riposato per il giorno successivo.

Aveva fatto una promessa, neanche un’ora prima.

E lui le promesse le manteneva, sempre e comunque.

Chiuse gli occhi, addormentandosi quasi subito.

Il ritiro con la nazionale lo aspettava.

E assieme al ritiro anche… Mito.
 

Continua…
 
Note:

Ecco il penultimo capitolo della fic.
Spero che vi sia piaciuto.
Come sempre, attendo i vostri commenti.
Nel frattempo, ringrazio chi è giunto fin qui.
Ci vediamo martedì prossimo con l’epilogo.
Pandora86

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. Epilogo ***


Eccomi con il nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha recensito quello precedente e chi continua a inserire la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ci vediamo a fine capitolo per le note.
Buona lettura.
 
 
Capitolo 25. Epilogo
 
 
“Queste scarpe piaceranno molto al tuo ragazzo” esclamò Hanamichi sfogliando una rivista e guardando il suo migliore amico di sottecchi.

Non ricevette altro se non l’ennesimo sbuffo irritato.

“Sul serio” continuò il numero dieci imperterrito.

“Al tuo ragazzo starebbero bene. Mi hai sentito, Yo? Ho detto che al tuo ragazzo -”.

“La vuoi piantare?”.

“Di fare cosa?” chiese Hanamichi con aria innocente.

“Il tuo ragazzo -”.

“È la centesima volta che pronunci quella parola!” dichiarò Yohei al limite della sopportazione.

“Quale parola?” continuò Hanamichi con la sua migliore faccia da idiota.

“Ragazzo? No, perché è questo che siete ora. O forse hai problemi ad ammetterlo? Che è il tuo ragazzo, intendo!” finse di riflettere il numero dieci portandosi le mani al mento con aria fintamente perplessa.

“Io non ho nessun problema ad ammettere niente” dichiarò l’altro guardando l’orologio.

Era in clinica da appena un’ora e Hanamichi aveva già pronunciato la parola “ragazzo” almeno trenta volte.

Di questo passo, sarebbe arrivato all’esasperazione molto prima dell’orario di uscita.

“Hai intenzione di finirla?” domandò con un sorriso irritato.

“Di dire ragazzo? Perché guarda che è questo, quello che siete!” non si scompose il numero dieci.

“Intendevo finirla di darmi il tormento” esalò Yohei con lo stesso tono di chi si trova in punto di morte.

“No!” affermò secco l’altro.

“È troppo divertente” aggiunse con un ghigno cattivo.

“Chissà perché, ma lo sospettavo!” sospirò Mito.

“E poi, sono felice!”aggiunse Hanamichi, stavolta con un sorriso affettuoso.

“E devi raccontarmi tutti i particolari” lo minacciò, puntandogli contro l’indice.

“Sei peggio di una pettegola!” lo accusò bonario Yohei.

“E tu sei avaro di commenti” ritornò alla carica il numero dieci.

“Cos’è? Rukawa ti ha contagiato?” chiese, non perdendosi d’animo.

“Tra un po’ comincerai a esprimerti a monosillabi?” domandò ancora.

“Chi lo sa!” affermò Mito noncurante.

“Kaede può essere una presenza molto persuasiva!” buttò lì la frase con noncuranza.

“Da quando lo chiami per nome?” si stupì Hanamichi.

“Posso anche chiamarlo Kaeduccio!” continuò Mito, ben sapendo quanti problemi avesse ancora il suo migliore amico a pronunciare il nome del suo compagno.

“O se preferisci, Kaedino caro”.

A quelle parole, Hanamichi rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva.

“In fondo” continuò l’altro imperterrito, “è pur sempre mio cognato, visto che è il tuo fidanzato!” e calcò sulla parola.

Come previsto, a quelle parole, il volto del numero dieci assunse la stessa tonalità di un invidiabile rosso tramonto.

“Oppure, posso chiamarlo cognatuccio. Oppure ancora -”.

“Stop! Ho capito” lo frenò Hanamichi ben sapendo che l’amico sarebbe stato in grado di andare avanti per delle ore.

“Va bene!” si arrese il numero dieci.

“Ma tu devi raccontarmi tutto!” insistette nuovamente.

“Ti ho già detto tutto” si difese Yohei accigliandosi.

“E no, mio caro” s’infervorò il numero dieci.

“Non mi hai detto i particolari” s’imbronciò assomigliando molto a un bambino di dieci anni.

“Giusto” convenne Mito con un sorrisetto tutt’altro che rassicurante.

“Mi sono dimenticato di dirti quando me lo ha toccato” buttò lì, incrociando le braccia.

“Toccato cosa?” domandò incerto Hanamichi.

“Il mio pene, Hana!”.

E stavolta, Mito dovette alzarsi e versare un bicchiere d’acqua all’amico che aveva iniziato a tossire vistosamente.

Ovviamente, le guancie non ne volevano sapere di abbandonare il rosso.

Yohei pensò di aver esagerato quando, se possibile, si accesero ancora di più.

Considerando che si era vendicato a sufficienza, decise di lasciare da parte tutta l’ironia.

“Sono felice!” ammise con tono serio.

“Ed io lo sono perché lo sei tu!” dichiarò Hanamichi tendendo la mano.

L’altro capì le intenzioni del suo migliore amico e il significato di quel gesto.

Senza esitare afferrò la mano che Hanamichi gli porgeva e la strinse ritornando, con la mente, a molti anni prima.

La scena era la stessa, anche se il luogo era diverso.

Due bambini che si stringevano la mano al parco, sigillando una grande promessa: quella di essere amici per sempre.

A molti anni di distanza, i loro volti erano cresciuti, ma le espressioni erano finalmente le stesse: quelle spensierate di due adolescenti che, anche se fanno a pugni con il mondo, non hanno smesso di credere al lieto fine.
 
 
 
4 settembre
 

“Oggi la fisioterapia sarà dura, Hana-kun. Pensi di farcela?” domandò l’infermiera camminando sulla spiaggia accanto al paziente.

“Sono un Tensai io” dichiarò il numero dieci.

Mito, a pochi passi da loro, si avvicinò facendo cenno all’infermiera che avrebbe accompagnato lui il suo amico in clinica.

In lontananza, vide Rukawa allontanarsi dopo aver raccolto una lettera che Hanamichi aveva lasciato andare al vento.

Si voltò nuovamente verso il suo amico con un sorriso affettuoso.

“Oggi parto!” disse solamente, sapendo che non c’era bisogno di aggiungere altro.

Hanamichi annuì, volgendo il suo sguardo verso il mare.

Mito seguì la direzione dei suoi occhi e, in lontananza, vide comparire un’altra figura.

La figura lo scorse e si fermò a guardarlo, interrompendo la sua corsa.

Come aveva fatto Rukawa pochi istanti prima, anche il nuovo venuto mostrò con orgoglio la maglia della nazionale.

Poi, riprese la sua corsa.

Mito lo seguì con lo sguardo fino a che la voce di Hanamichi non lo riscosse dai suoi pensieri.

“Andiamo?” domandò tendendo la mano.

“Andiamo!” rispose Yohei afferrandola e dirigendosi verso la clinica.

Il suo soggiorno in quel posto era finito.

L’estate era finita.

Un’estate che aveva riservato delle sorprese inaspettate.

Però, proprio come tutte le grandi storie, quella fine significava solo l’inizio di qualcosa di più grande.

Eh sì! Valutò Yohei con un sorriso raggiante.

È stata proprio una strana estate!
 

 Fine 
 
Note:

L’epilogo è stato un po’ corto, ma spero vi sia piaciuto ugualmente.

In realtà, inizialmente avevo deciso di inserirlo nel capitolo precedente.

Poi, una seconda lettura mi ha fatto optare per questa scelta decidendo così di isolare il capitolo in cui Yohei e Akira finalmente decidono di stare insieme e quindi dare più stacco temporale.

L’ultima scena, quella della spiaggia, riprende l’ultimo capitolo della seconda stagione de “Il tuo vero volto” ed è presa dal canone.

Io l’ho modificata aggiungendoci la presenza di Mito e Sendoh.

Anche questa storia è finita e ringrazio tutti quelli che l’anno seguita e mi hanno incoraggiato.

GRAZIE! Senza di voi questa storia non sarebbe mai nata!

Tra qualche settimana ritornerò con la quarta e ultima storia che chiuderà definitivamente questa serie iniziata con “Il tuo vero volto”.

Spero di ritrovarvi tutti.

Nel frattempo, attendo come sempre i vostri commenti e, eventualmente, i vostri suggerimenti per la storia che farà da epilogo alla serie.

Grazie a chi è giunto fin qui.

Pandora86

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