I am a fighter

di Frappesca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Back to school ***
Capitolo 2: *** 2. In the pouring rain ***
Capitolo 3: *** Why? ***



Capitolo 1
*** Back to school ***


I am a fighter


'Cause if it wasn't for all that you tried to do, I wouldn't know 
Just how capable I am to pull through 
So I want to say thank you 
'Cause it makes me that much stronger 
Makes me work a little bit harder 
It makes me that much wiser 
So thanks for making me a fighter 

Fighter - Christina Aguilera

 


1. Back to school

 

Sono distesa su una collinetta ricoperta da un prato verdissimo con qualche ciuffo di fiorellini qua e la.
Sono appoggiata con la schiena ad un albero che grazie alla sua folta chioma mi ripara dal sole quasi accecante.
Il cielo è azzurro come non lo era mai stato, senza la minima presenza di nuvole.
L’ipod fa scorrere le mie canzoni preferite nella mia testa attraverso le cuffiette.
Il vento mi soffia sulla pelle rinfrescandomi.
Attorno a me c’è la pace totale: nessun rumore, nessuna strada asfaltata, nemmeno una presenza inopportuna.
Solo io, il mio ipod e la vista di un bellissimo prato verde cosparso di fiori colorati.
 Tutto è così semplicemente tranquillo.
Tutto è così semplicemente perfetto.
Tutto è così semplicemente troppo perfetto.
Mi sento al settimo …
Driiiiiiiin – Driiiiiiiiiiiiiiin!!
Come non detto : era solo un sogno!
Il suono assillante della sveglia mi fece alzare di scatto la testa dal letto.
Come al solito il ritorno alla realtà dopo un sogno così bello e rilassante era traumatico.
Ma che ci vuoi fare, dopo diciotto anni di vita credo di aver capito anche io che la realtà non potrà mai essere esattamente come la vedremmo in un sogno.
Ed ho pure capito che rifugiarsi nei sogni, seppur bello, è una cosa impossibile.
Perciò non mi restò altro che alzare il culo da quel letto così dannatamente morbido, caldo ed accogliente e dirigermi verso il bagno a mò di zombie.
Mi preparai come tutte le mattine alla cavolo: una insaponata alla faccia, una veloce spazzolata ai lunghi capelli rossi, un po’ di mascara sulle ciglia ed un filo quasi invisibile di matita sotto gli occhi.
Già, non ero una di quelle tipe particolarmente ossessionate dall’aspetto esteriore, anzi sinceramente me ne fregavo altamente.
E al diavolo tutta la gente che mi diceva “Ma sii un po’ più femminile! Metti sempre quei felponi che ti coprono tutta!”.
Si. Che vadano al diavolo! Mi rifiuto di rispecchiare il prototipo di ragazza di diciotto anni, tutta perfetta, carina e sorridente.
Per la disgrazia di coloro che mi devono vedere tutti i giorni io non sono affatto perfetta, carina e sorridente!
Comunque, in dieci minuti fui pronta per uscire di casa ed andare alla fermata del pullman.
«Violeeeeet!!!» Sentii il mio nome urlato da qualcuno non appena arrivai alla fermata, così mi voltai e vidi la mia migliore amica Sophie corrermi incontro con la tracolla piena di libri che le sballottava da una parte all’altra.
«Hei! Sophie! – controllai l’orologio – No. Non posso crederci. Sei puntuale!!! C’è ma ti rendi conto della gravità della situazione? Tu, puntuale!!! Tu?!?! Questo giorno è assolutamente da ricordare!»
«Ah ah – rise sarcastica – molto simpatica! Te l’avevo detto che quest’anno non ho più intenzione di farti perdere il pullman! E cara, io sono una donna di parola.» Disse con sguardo ammiccante.
Mi misi a ridere. «Oh mio Dio! C’è, ma che facce fai? Vuoi farmi morire dal ridere già di prima mattina?!?!»
« Di la verità, ti sono mancata quest’estate, è?? Come avrai fatto a sopravvivere tutto questo tempo senza una come me che ti vitalizza un po’ la giornata?! Io al tuo posto probabilmente sarei diventata una depressa alcolizzata!»
«E’ ovvio che mi sei mancata!! Non azzardarti mai più a stare via per tre mesi come hai fatto quest’estate! A meno che tu non voglia mettermi nella tua valigia. In quel caso potrei accettarlo. »
«Prometto che non ti abbandonerò più per tutta l’estate! Anche tu mi sei mancata moltissimo! Comunque dovevi vedere quanti fighi c’erano in quel paesino! Quando mi ero trasferita non mi ricordavo la presenza di tanti bei ragazzotti, prima erano tutti dei mocciosetti con le dita nel naso! Ed ora invece, mio Dio! Ils étaient très très beaux! Ed al chiaro di luna erano ancora più belli!»
La fulminai con lo sguardo.
«Vuoi farmi deprimere ancora di più per il fatto che tu te la sia spassata in Costa Azzurra tutta l’estate ed io invece sia rimasta qui a Londra come un’emerita deficiente e con questo tempo del cavolo? »
«Senti, io sarei rimasta volentieri qui con te. Ma sai come sono i miei … Vogliono che almeno d’estate stia un po’ più di tempo con il resto della famiglia in Francia. E poi non è colpa mia se quei bambinetti che conoscevo sono diventati dei super modelli con gli ormoni che fuoriuscivano da ogni singolo poro!»
Già. Sophie, la mia migliore amica, veniva dalla Francia, precisamente da Antibes, una città vicino a Cannes in costa Azzurra, dove abitava ancora la maggior parte dei suoi parenti.
Si era trasferita qui a Londra quando aveva nove anni e siamo state nella stessa classe da quando è arrivata e da allora la nostra amicizia è aumentata sempre di più.
«E poi se permetti, io ti avevo invitata a venire con me, sono stati i tuoi a non aver voluto lasciarti venire. Perciò io mi assolvo da tutte le colpe!» Continuò lei.
«Assolviti pure, tanto prima o poi ti verranno i sensi di colpa …»
«Hei! Non vale! Mi vuoi far sentire un mostro! Io non ho fatto niente, ho solo eseguito gli ordini dei miei!»
«Ma daii! Scherzavo tesoruccio bello! E questa ci crede anche …» Sorrisi.
«Si vede che sei brava a far sentire in colpa le persone! » Mi fece la linguaccia.
«Simpatica …»
«Senti chi parla!»
«Ehi! Ehi! Sophie ma lascia un po’ stare questa povera ragazza! Sempre a importunare la gente.» Ci interruppe da dietro una voce maschile.
Entrambe ci voltammo, c’era un ragazzo che non avevo mai visto, avrà avuto qualche anno in più di noi.
 Sophie si buttò letteralmente su quel ragazzo e lo abbracciò, o più che altro lo stritolò.
«Ehi! Ok che mi vuoi bene ma lasciami almeno respirare!» Disse il ragazzo preso alla sprovvista sorridendo.
Sophie si staccò da lui e lo guardò per un attimo, poi disse con gli occhi che le sberluccicavano dalla gioia :
«Ma che ci fai tu qui?»
Io li guardai senza capirci niente ... Che fosse uno dei fighi francesi di cui mi aveva parlato prima?
«Ora dovresti essere in Francia, a più di mille chilometri da qui!»
«Sorpresa, vero? Comunque era già dall’anno scorso che avevo intenzione di venire a vivere a Londra, finalmente mi sono deciso. E guarda caso sono venuto proprio qui! »
Ok. Si, doveva essere uno di quei fighi francesi.
E Sophie mi doveva raccontare molte cose, insomma non capita tutti i giorni che un ragazzo conosciuto al mare si trasferisca nella tua città e proprio nel quartiere dove abiti tu.
Ci doveva essere per forza qualcosa tra quei due, gli occhi sberluccicanti ne erano una prova fin troppo evidente.
«Ma sei venuto da solo?»
«Proprio così! Mi sono trovato un piccolo appartamento qui vicino ed in questi giorni andrò a cercare un lavoro. Inizia una nuova avventura!»
I due iniziarono a scambiarsi dei sorrisetti e io iniziai a fissare la mia amica come per volere delle spiegazioni.
Dopo un po’ Sophie si accorse del mio sguardo inquisitorio e riprese a parlare.
«Ah, senti Philippe, lei è Violet, la mia migliore amica. E Violet, lui è Philippe, un vecchio amico che ho ritrovato quest’estate ad Antibes.»
«Ciao! Piacere.» Gli dissi porgendogli la mano.
«Piacere mio!»  Mi sorrise. «Hai dei capelli bellissimi, sai?»
Io mi portai una ciocca dietro l’orecchio imbarazzata. «Oh, grazie …»
«Ehi ragazze, sta arrivando il pullman! Vi saluto.» Disse Philippe.
«E’ vero! Ciao Phil! Chiamami non appena puoi ok? Magari mi fai sapere dove abiti, sono così felice che tu sia qui!» Disse Sophie con un sorriso a trecentosessanta gradi.
«Anche io! Ciao Sophie, buona scuola.»
Il ragazzo iniziò a incamminarsi nella direzione da cui stava arrivando l’autobus rosso.
Quando mi passò davanti mi lanciò un breve sguardo e mi sussurrò : «Ciao rossa.»
Dopo qualche secondo il pullman si fermò davanti a noi e ci salimmo lasciando le cartelle per terra.
«Com’è che non mi hai detto che hai un fidanzato?» Le chiesi io all’improvviso.
«Come? Intendi Phil? Ma io e lui non siamo fidanzati!» Affermò lei arrossendo di colpo.
«Ah no?»
«No, assolutamente no.»
«Però ti piace …»
«Ma che dici, no! E’ carino, ma no, non mi piace!»
La guardai divertita.
«E allora perché sei tutta rossa?»
«Come? Ma io non sono rossa! E’ la mia carnagione che è così!»
«Si, come no …»
«Ma è vero!!!» Il suo viso era diventato ancora più rosso.
Io non risposi, ma semplicemente le sorrisi.
«Si nota molto?» Mi chiese poi abbassando la voce.
«L’ho capito dal primo sguardo che gli hai lanciato. Quindi, si abbastanza. Però dagli tempo una o due settimane e sarà già sotto casa tua con un mazzo di rose rosse a supplicarti di essere la sua ragazza.»
Sophie sorrise guardando fuori dal finestrino dell’autobus. «E’ solo che non voglio illudermi.»
 
 
Scuola. Liceo. Superiori. Istituto. Collegio.
Chiamatela come volete ma per me rimarrà sempre una prigione.
Certo, questa “prigione” ha anche dei lati positivi, come incontrare delle persone intelligenti e simpatiche e come imparare nuove cose.
Ma questi lati positivi vengono praticamente schiacciati dalla quantità enorme di lati negativi che sarebbero troppi per essere elencati. Almeno per quanto riguarda la mia scuola.
Ma se c’è uno di questi lati negativi della scuola che non sopporto è la presenza di individui meglio classificati come energumeni trogloditi senza cervello il cui unico scopo nella loro vita è quello di importunare gli altri facendoli sentire delle merde ambulanti.
Non si possono definire persone pericolose o di cui avere particolarmente paura, sono semplicemente dei rompiballe patentati.
E purtroppo nella mia scuola di questi individui ce ne sono fin troppi, e dopo aver passato praticamente una vita a sopportarli è quasi normale che ti venga un istinto omicida nei loro confronti.
Era intervallo ed io ero nel corridoio di fronte al mio armadietto, Sophie era andata a portare un modulo in bidelleria ed ecco che vidi arrivarmi di fronte i classici strafottenti con i pantaloni sotto il culo, la camminata molleggiata stile “Si, sono figo”, e l’immancabile cappellino firmato New York Yankees, nonostante molto probabilmente non sapessero nemmeno chi fossero i New York Yankees, ma che portavano solo per aumentare il loro livello di figaggine, che per me rimaneva comunque sotto zero.
Li trovavo molto simili ai lama poiché una loro particolare caratteristica era quella di sputare per terra ad ogni due passi che facevano.
Inoltre si muovevano quasi sempre in branco seguendo il loro leader, ovvero quello che secondo loro possedeva il livello di figaggine più elevato.
In quel caso il leader era Steve, un ragazzo che purtroppo avevo avuto il dispiacere di conoscere qualche anno prima, quando facevo parte insieme a lui della squadra di basket maschile, in quanto non ce n’era una femminile. Ad ogni allenamento non faceva altro che sfottermi, o per i miei capelli, o per le mie lentiggini, o per la mia poca femminilità, o per le mie tette troppo piccole.
Era da un po’ che non mi rompeva più le balle, ma ora eccolo lì. Speravo che non mi vedesse.
Ma come al solito la sfortuna aveva deciso di schierarsi dalla mia parte e perciò quando Steve si voltò verso di me e mi vide, si fermò e così fecero anche i suoi allegri compari.
«Ma guarda chi c’è qui. Pippi Calzelunghe! Non hai fatto le treccine oggi? Che peccato!» Disse il capetto della banda di trogloditi con aria strafottente, scatenando i loro sghignazzi per quel soprannome che da sempre mi assegnavano a causa del colore dei miei capelli e che ormai non faceva più ridere nemmeno i polli.
«Siamo in vena di simpatia oggi. Strano. L’inizio della scuola dovrebbe essere deprimente per voi. Evidentemente vi bastano queste pessime battute per tornare di buon umore.» Dissi più fredda che mai e cercando di guardare sempre negli occhi Steve.
Se gli anni precedenti mi avevano insegnato qualcosa era che fare la bambinetta intimorita che ha paura non serviva a niente e peggiorava sempre la situazione.
Perciò cercai di mostrarmi sicura e indifferente.
«Ma guardate, Violet cerca di fare la dura con me!» Tipica frase di quando la suddetta specie di individui non sapeva come replicare.
«Steve ti chiedo solo una cosa. Lasciami in pace. Anzi no, due. Vai al diavolo.»
Ed ecco che il resto del gruppetto iniziò a fare degli uohhh sorpresi da sottofondo.
Erano anche fin troppo prevedibili.
«Hai voglia di fare la bimba cattiva oggi, è? Dov’è finito quel faccino impaurito che mi faceva tanto pena?»
«Se ne è andato, e con lui anche il tuo cervello.» Dissi soddisfatta.
Essere fredda e indifferente.
Fredda e indifferente.
Questo è il metodo migliore per liberarsi di questo genere di parassiti.
Steve iniziò ad avvicinarsi a me lasciando gli altri qualche passo più indietro.
Io a mia volta indietreggiai fino ad appoggiare la schiena contro l’armadietto.
Sembravo proprio essere in trappola, ma non mi scomposi, anzi riuscii a mantenere il suo sguardo senza timore.
«Ti diverti a prendermi per il culo, vedo.» Fece un sorrisetto che non decifrai a pieno.
«E tu ti diverti a fare lo stronzo. Anche se non è una novità. Non sei cambiato affatto, sei sempre il solito rompipalle con un inspiegabile bisogno di attenzioni e popolarità. Semplicemente patetico.»
Il suo viso si avvicinò ancora di più al mio, le sue mani spinsero le mie spalle contro l’armadietto, cercai di rimanere impassibile nonostante iniziassi a sentire una morsa allo stomaco.
«Sai, non ti conviene metterti contro di me.» Mi sussurrò con le labbra che sfioravano il mio orecchio.
Aprii la bocca per poter replicare ma poi sentii la sua lingua percorrere il mio collo e mi bloccai.
Arrossii di colpo e no, non riuscii a mantenere il mio atteggiamento freddo e indifferente, questo era troppo.
Ed inoltre il mio armadietto era in fondo a un corridoio in cui non passava mai nessuno, vicino a un bagno quasi sempre vuoto.
Perciò iniziai ad avere paura che questa volta potesse davvero farmi qualcosa di male.
Il contatto della sua lingua sulla mia pelle mi fece salire i brividi e cercai di dimenarmi per poter scappare da lì.
Ma non riuscii, ogni tentativo di spostarlo anche di un solo centimetro era inutile. Il suo corpo muscoloso era spalmato sul mio e non mi lasciava alcuna via di fuga.
«Sei caduto proprio in basso.» Riuscii a dire, la voce spezzata dalle lacrime che volevano scendere.
Sul suo viso si dipinse un ghigno divertito.
«Verme.» Sussurrai piena d’indignazione.
A quel punto Steve iniziò a mordicchiarmi il lobo dell’orecchio.
Continuò quella piccola tortura succhiando una zona del mio collo. Sussultai.
Tentai nuovamente con tutte le forze di uscire da quella gabbia in cui mi aveva intrappolata.
Ma niente.
Tutti i miei sforzi erano vani.
Quand’ecco che vidi passare a pochi passi da lì quella che poteva essere la mia salvezza …





Un piccolo angolino per me
Ehm ... Ciao.
Si, so che questa storia sarà la più banale di questo mondo e so di essere una pessima scrittrice ... però, oggi avevo voglia di pubblicare una delle mie ottocentomiliardi e duecentosettantamila storie che inizio a scrivere ma mai finisco, e così l'ho fatto!
Spero gradiate e recensiate in molti!
Un bacio
Francesca

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Capitolo 2
*** 2. In the pouring rain ***


I am a fighter




2. In the pouring rain  

 
 


Quand’ecco che vidi passare a pochi passi da lì quella che poteva essere la mia salvezza …
 

Era lui, semplicemente lui, con quel viso che ogni qual volta mi si presentava davanti mi faceva sentire le farfalle nello stomaco, mi scombussolava completamente.
Lui era la persona che ogni giorno speravo di incontrare sull’autobus, a scuola, al supermercato o in qualsiasi altro posto.
Lui era la persona che mi faceva sentire una bambina alla sua prima cotta.
Lui era la persona che odiavo perché mi faceva passare pomeriggi interi a piangere ascoltando le canzoni più tristi e deprimenti di questo mondo.
Lui era la persona che detestavo perché sapevo di non poter avere.
Lui era la persona che però mi faceva sempre cadere nello stesso errore. Quello di innamorarmi.
Era Robert, capelli neri, corti ai lati e con un ciuffo all’insù sulla fronte, occhi marroni con un luccichio particolare, naso un po’ patatoso, sorriso perfetto, sguardo travolgente.
E dopo anni passati a guardare film d’amore e a leggere romanzetti rosa, pensi quasi che sia normale che la donzella in difficoltà venga sempre salvata dal principe di cui era innamorata con un tempismo più che perfetto.
Ma purtroppo io non vivevo in una di quelle commedie surreali, perché Robert mi lanciò uno sguardo, quasi incuriosito, ma subito dopo si voltò di nuovo e mi passò davanti senza dire né fare niente.
Poi scomparve dietro la porta del bagno.
Quanto ero illusa, davvero credevo di essere una donzella in difficoltà? E davvero credevo che lui fosse il principe che mi avrebbe salvata?
«Oh, Steve, arriva un profe! Meglio andare!» Disse un tipo del gruppetto tutto preoccupato.
Steve lasciò finalmente in pace il mio collo e mi guardò negli occhi.
«Questo era solo un assaggio. Se provi a dire in giro anche solo una parola su ciò che è successo potrei andare ben oltre.»
Si voltò di scatto, lasciando il mio corpo finalmente libero, e si allontanò velocemente da me insieme agli altri prima che un professore passasse per il corridoio.
Fortunatamente ero riuscita a trattenermi dal piangere, ma non ce l’avrei fatta ancora per molto.
Infatti sentii poco dopo gli occhi bruciarmi e qualche lacrima scendermi sulle guance, perciò mi affrettai ad andare in bagno con lo sguardo basso per non farmi vedere.
Entrando in bagno urtai contro qualcuno.
Alzai lo sguardo.
Oh no.
Era ancora lui.
I nostri occhi si incontrarono per qualche secondo, sembrava sorpreso, si era bloccato a guardarmi e sul suo volto si dipinse un riflesso del mio dolore e della mia tristezza.
Dalle nostre bocche non uscì nemmeno una parola.
Perciò, dato che probabilmente non gli interessava un fico secco di ciò che mi era successo o semplicemente non gli interessava nulla di me visto come si era comportato poco prima, gli passai oltre e mi rinchiusi dietro la porta di un bagno.
Mi sedetti sul water e lì mi abbandonai a me stessa, lasciai che le lacrime scorressero sul mio viso accompagnate dal rumore dei singhiozzi che non riuscivo a fermare.
Non riuscivo a pensare a niente, c’erano troppe cose sbagliate ed ingiuste in ciò che era successo.
«Violet sei qui dentro? » Ad un tratto sentii la voce di Sophie da fuori che bussava contro la porticina del bagno in cui mi ero rintanata.
Mi asciugai di fretta le lacrime con il dorso della mano e cercai di trattenere i singhiozzi. Non volevo farla preoccupare troppo.
Aprii la porta e quando la vidi cercai di sorriderle.
«Ero andata un attimo in bagno.» Affermai per darle una spiegazione.
Ma notai che il suo viso si coprì da un velo di preoccupazione e dopo avermi scrutato bene mi disse con un tono dolce : «Ma che è successo? Stavi piangendo.»
«No, affatto.» Replicai passandomi una mano sugli occhi.
Volevo tentare di essere forte negando l’evidenza, ma non ci riuscii.
E’ inutile, è praticamente impossibile riuscire a nascondere qualcosa di fronte alla tua migliore amica, perché lei è l’unica che ti conosce per quella che sei veramente, senza maschere, e perciò è l’unica che può sapere alla perfezione quando stai mentendo e quando invece dici la verità.
E Sophie per me era peggio di una macchina della verità.
Perciò non ce la feci, non riuscii a nascondere a lei ciò che era successo e le raccontai tutto in modo un po’ disordinato e veloce senza pensare alle minacce che mi aveva rivolto Steve.
Lei stette ad ascoltarmi lasciando qualche commento tra una frase e l’altra e vidi l’ espressione del suo viso cambiare in continuazione  : prima stupore, rabbia, poi comprensione e infine amarezza.
 
 
«Giuro che appena vedo quello stronzo bastardo gli tiro una di quelle scazzottate che non si dimenticherà tanto facilmente!»
«Ti prego calmati. Così mi metteresti ancora di più nei casini. Tu non dovresti sapere niente di tutto ciò!»
«Ma che cazzo stai dicendo? Quel bastardo potrebbe essere anche denunciato per molestia!»
«Lo so, ma ti prego … non fare cose azzardate, sono solo dei coglioni.»
«Appunto per questo bisognerebbe pigliarli a calci nel culo da mattina a sera! Mi dispiace ma non posso permettere a quei deficienti che hanno molestato la mia migliore amica di farla franca! Se non mi permetti di agire a suon di pedate nel sedere, allora dobbiamo dirlo al preside! Non è possibile che dei delinquenti del genere girino così per la scuola senza che nessuno gli dica niente!»
Sophie era completamente esplosa dalla rabbia.
Eravamo appena uscite da scuola e ora eravamo sull’autobus in piedi di fronte a una coppia di anziani che ogni tanto alzava lo sguardo verso di noi e ci guardava male.
Non avevo avuto modo di fermarlo, l’uragano Sophie era scoppiato dopo essersi trattenuto nelle ore di scuola ed ora era più violento che mai.
Speravo solo che le conseguenze non sarebbero state molto disastrose.
«Hai ragione Sophie. Ma alla fine non è che mi abbia proprio fatto chissà cosa, era solo un modo per stuzzicarmi. E un po’ me la sono pure andata a cercare, sono stata io a farlo arrabbiare …» Le dissi per cercare di calmarla.
«Senti, adesso non difenderlo perché altrimenti giuro che mi incazzo anche con te! Se non ti ha fatto niente di ché allora perché fino a qualche ora fa piangevi a dirotto completamente disperata?»
«Credo sia stata solo la paura e la tensione del momento … e poi anche per quell’altra cosa …»
«Ah già, il secondo bastardo della giornata! Anche quello lì dovrà vedersela con me! C’è ma dico, ti pare normale che quel Robert se ne vada tranquillo in bagno mentre tu sei lì che vieni molestata a pochi passi da lui? E ti rendi conto che tu sei innamorata di quella sottospecie di individuo?»
«Abbassa un po’ la voce, ti prego! Non ci tengo a farlo sapere a tutti! E poi … magari non ha visto bene.» Ero nella fase “cerchiamo di sdrammatizzare” e perciò tentavo di trovare anche una sola valida ragione che potesse giustificare il comportamento di Robert.
«Ma se mi hai detto che vi siete guardati negli occhi?!?! La conclusione è che lui è un vigliacco, e tu non sei innamorata di lui ma sei malata di lui! »
Malata? Non avevo mai pensato di poter essere malata di una persona …
«In che senso malata?»
«Come in che senso? Insomma, è da quando eravamo alle medie che ne sei innamorata. Ma i tempi delle medie sono passati … e da un bel po’, saranno si o no due o tre anni che non ci parli più, se non quel misero ciao quando vi incontrate per i corridoi. Perciò sei malata, perché una persona normale avrebbe lasciato perdere.»
«Ma io avevo lasciato perdere … mi ero messa anche con David per cercare di dimenticarlo … E’ solo che è più forte di me, ogni volta che lo rivedo il mio cuore inizia a fare le capriole. Ho provato a lasciare perdere, ma non riesco … »
«E io che pensavo che fosse solo una cotta da ragazzina … »
«Anche io lo pensavo. Anzi, ho fatto di tutto per convincermene …. Ma ti giuro, è peggio di una calamita …»
«La soluzione a tutto ciò è solo una : conoscere nuovi ragazzi. Se venissi con me in discoteca al sabato sera il tuo caro Robert te lo scorderesti in un istante.»
Sbuffai. «Sai benissimo che odio andare in discoteca. Non fa assolutamente per me.»
«Beh … ho cercato di darti un consiglio. Lì di certo potresti conoscere nuovi ragazzi. Magari anche uno bello muscoloso che possa spaccare il naso prima a Steve e poi a Robert!»
La guardai stupita e allo stesso tempo divertita.
«Ma come si fa a non amare una persona adorabile e pacifica come te?»
«Me lo chiedo anche io, sai?»
Ed entrambe scoppiammo a ridere sempre sotto le occhiate malefiche lanciate dai due anziani seduti di fronte a noi.
 
 

Quel pomeriggio decisi di andare a fare un giro per qualche piccolo parco che c’era vicino a casa mia.
Il tempo non era dei migliori, il cielo era coperto da qualche nuvola anche se non sembrava minacciare pioggia.
Comunque avevo voluto approfittare del pomeriggio libero per godermi un po’ di aria fresca.
Dopo aver fatto la mia tranquilla passeggiata entrai in un parco in cui ero andata a giocare qualche volta quando ero piccola.
All’interno c’era solo una coppietta di ragazzi seduti su una panchina e che non la smettevano di sbaciucchiarsi, e due fratellini accompagnati dalla propria mamma che correvano e saltavano da una parte all’altra come piccole cavallette.
Era abbastanza tranquillo come posto.
Perciò mi sedetti su una panchina e mi immersi nella lettura di un libro che avevo acquistato poco prima in una libreria lì vicino.
La copertina mi aveva molto attirata: c’erano due ragazzi che si baciavano sotto un ombrello a pois, era sicuramente un romanzetto rosa.
E nonostante il detto “non giudicare mai dalla copertina” mi ero lasciata prendere dalla curiosità e l’avevo comprato come regalino personale per consolarmi un po’.
Forse questo mi avrebbe aiutata a togliermi dalla mente l’episodio non molto piacevole di quella mattina.
Senza accorgermene si erano già fatte le cinque del pomeriggio e mi ero letta già una centinaia di pagine.
Quando mi decisi finalmente a chiuderlo e a riporlo nella borsa ecco che sentii una goccia cadermi sulla punta del naso.
Ora erano due gocce.
Mi alzai e mi diressi verso l’uscita del parco.
Tre gocce.
Mi incamminai verso la fermata del pullman più vicina per arrivare a casa prima.
Quattro gocce.
Cercai se per caso nella borsa avevo un ombrellino, ma la ricerca non andò a buon fine.
Ed ecco che accadde l’inevitabile : una bella pioggia scrosciante!
Ed ecco che nel giro di un minuto mi ritrovai fradicia da capo a piedi.
Purtroppo ero ancora abbastanza lontana dalla fermata dell’autobus ed era quasi impossibile camminare sotto la pioggia che stava diventando sempre più fitta.
Così mi riparai all’interno di uno Starbucks, che per fortuna si trovava a pochi passi da lì sul lato opposto della strada.  
Dovetti scusarmi con il cameriere per i miei vestiti fradici che stavano bagnando ogni punto del locale in cui passavo.
Poi mi sedetti davanti a un tavolino per quattro persone attaccato alle vetrate del bar in modo che potessi tener d’occhio il tempo e mi ritrovai a sorseggiare un cappuccino fumante ricoperto da uno strato di cacao mentre tornavo a leggere il libro di prima.
Ogni tanto mi deconcentravo guardando fuori dalle vetrate la gente che passava distratta con l’unico scopo di ripararsi dalla pioggia.
Staccai per l’ennesima volta gli occhi da libro per guardare fuori quand’ecco che fui catturata da un ragazzo che stava aspettando di attraversare la strada al semaforo sulla strada opposta.
E non un semplice ragazzo! Era Robert!
Quando dal marciapiede opposto si avvicinò al bar, si accorse che lo stavo guardando e mi guardò a sua volta negli occhi.
Allora io nascosi il volto dietro al libro per non farmi riconoscere, non dopo quello che era successo quella mattina.
Speravo con tutta me stessa che non entrasse nel locale, non avevo voglia di vederlo a pochi passi da me sapendo di non interessargli nulla.
Ma purtroppo il destino quel giorno era in vena di farmi dei brutti scherzi, e perciò lo vidi entrare nel bar e guardarsi intorno.
Tutti i tavoli erano occupati e l’unico posto libero era quello di fronte a me.
Oh no.
Questa proprio non ci voleva.
Robert si avvicinò al mio tavolo ed io mi nascosi nuovamente dietro al libro facendo finta di leggerlo, quando in realtà il mio cuore era sul punto di scoppiare mentre il mio cervello era occupato a maledire mentalmente quella stupida giornata e Robert, soprattutto Robert.
«Posso sedermi qui?» La sua voce mi fece sobbalzare involontariamente un po’ dallo spavento e un po’ dell’agitazione.
«Certamente.» Dissi dopo essermi schiarita la voce per cercare di camuffarla al meglio e senza distogliere lo sguardo dal libro.
«Grazie.» Disse lui pacato e indifferente.
Ma in che casino mi ero andata a cacciare?
Non potevo semplicemente dirgli qualcosa del tipo “Ehi, sono io Violet, quella ragazza di cui non te ne frega niente e che oggi hai lasciato nelle grinfie di quel bulletto senza intervenire. Si, quella tua vecchia amica che ora non consideri minimamente … Esatto, si, sono proprio io!”
No. Dovevo sempre nascondermi, cazzo!
Il cameriere gli portò un frappuccino coperto di panna e lui iniziò a mescolarlo con la cannuccia completamente assorto nei suoi pensieri.
E chissà a cosa stava pensando. Non a me di sicuro …
Quello forse era il momento giusto per svignarsela senza che lui potesse accorgersi del fatto che ero io, perciò mi alzai lentamente.
Ma una signora mi si avvicinò e mi chiese : «Scusa se ti disturbo. Ma non è che per caso avresti una caramella per la gola o qualcosa del genere? La signora che c’è là in fondo ha avuto un forte attacco di tosse …»
Allora mi risedetti cercando di mantenere la calma dato che non avevo più il libro a coprirmi il viso e mi voltai completamente verso la borsa per cercare se avevo ciò che mi aveva chiesto, dando le spalle a Robert.
Trovai una caramella alla liquirizia.
«Se vuole ho questa.» Le dissi porgendogliela.
«Grazie mille! E’ proprio gentile!» La signora se ne andò.
Oh cazzo.
Mi ero dimenticata di camuffare nuovamente la voce.
Mi ritrovai gli occhi di Robert a fissarmi incuriosito e sorpreso. Si, stavolta mi sa che mi aveva riconosciuta.
Io mi voltai lentamente verso di lui e sul mio viso si dipinse un sorrisetto imbarazzato.
«Ehm … Ciao. » Dissi completamente in imbarazzo.
«Ciao.» Rispose lui riportando nuovamente lo sguardo sul suo frappuccino.
«Giornata storta?» Mi chiese poi, stupendomi completamente. Di solito la conversazione finiva dopo il mio ciao ed il suo ciao.
Ma che cazzo di domande sono? Dopo quello che è successo stamattina come dovrebbe essere la mia giornata secondo te? Brutto bastardo! Perché il destino ha deciso di farmi innamorare di te?
«Abbastanza.» Risposi molto semplicemente.
«E’ per questo che ti nascondi?»
E da quando ti interessa di quello che faccio?!?! Ora non sono nemmeno libera di nascondermi da chi mi pare?!?!
Non sapevo come comportarmi con lui, ero completamente confusa.
Da un lato il mio orgoglio mi diceva di fare la stronza per fargliela pagare, ma dall’altro il mio cuore zuccheroso mi implorava di saltargli addosso, abbracciarlo e piangere sulla sua spalla per farmi consolare per ciò che era successo.
«Beh … Si.»
Il risultato fu un misto di indifferenza e menefreghismo nei suoi confronti con delle risposte a monosillabi.
«Ah … Capisco.»
WOW! Che conversazione, ragazzi! Davvero emozionante!
«Senti, ma che è successo oggi all’intervallo?» Mi chiese poi guardandomi negli occhi.
«Beh … C’eri anche tu, no?»
«Si, ho visto qualcosa … Ma come mai piangevi?»
Ma che domande erano?
Se aveva visto doveva di certo sapere perché piangevo, non ci voleva un genio per arrivarci!
Mi alzai e gli dissi incerta : «Senti, scusa ma  … ora devo andare.»
Non avevo voglia di parlare con lui di quelle cose.
Lui era il mio principe!
Doveva semplicemente stringermi tra le sue braccia e sussurrarmi parole rassicuranti!
Doveva capire solo guardandomi che ero triste e depressa.
Peccato che lui non sia il tuo principe!
Ah già … la cruda e amara verità … Grazie testolina per avermela ricordata, con te non si può nemmeno sognare ad occhi aperti in santa pace.
«Vai adesso? Ma sta piovendo a dirotto …»
«Si, vado adesso.»
«Ma non hai risposto alla mia domanda …»
«Beh ... Forse è perché non ho voglia di risponderti. Forse non ho semplicemente voglia di parlare con te.» Gli dissi secca,  un po’ spazientita, e stanca, e stressata.
Lui mi guardò sorpreso, di solito ero una tipa abbastanza tranquilla e pacata, evitavo sempre di sembrare maleducata e scortese.
Poi riportò lo sguardo sulla sua bevanda senza dire più nulla.
E poi io mi chiedevo pure come mai lui non si innamorasse di me … Quanto odiavo quel mio caratteraccio …
«Senti, scusa, ok? E’ solo che sono un po’ stressata, tutto qui. Dopo quello che è successo con Steve …»
Cercai di rimediare alle risposte non proprio simpatiche di prima.
Di sicuro mi considerava una squilibrata mentale, e non aveva nemmeno tutti i torti.
«A proposito, da quando tu e Steve state insieme? Non ne sapevo nulla …»
La mia bocca si spalancò per lo stupore.
«Che cosa!?!? Da mai!!! Io e lui ci odiamo, ma non è quell’odio-amore che si potrebbe pensare … E’ proprio odio … Mi tratta sempre da schifo. »
«Beh, ma allora perché oggi vi stavate baciando?»
Ok, qui qualcosa non tornava.
Lui credeva che io e Steve ci stavamo baciando perché stavamo insieme come una coppietta felice?
No, allora non mi conosceva affatto.
Oppure era semplicemente un idiota.
«Come? Non mi stava baciando … Io l’avevo provocato un po’ e perciò lui … ehm … insomma … sai com’è … Non è che io volessi che lui … ehm … Però alla fine … ecco … voleva farmela pagare in qualche modo …» Cercai di spiegare cercando di essere comprensibile nel totale imbarazzo in cui mi ero seppellita.
«Cioè … In pratica ti stava molestando!» Affermò lui completamente indignato.
«No! No! Non è che mi stesse molestando … Mi ha solo un po’ provocata, niente di grave, insomma …» Gli dissi tentando di sminuire la cosa, non so nemmeno io per quale motivo.
«Senti, vi ho visti e lui era completamente appiccicato a te! Cavoli, perché sono così idiota! E’ che conosco Steve, e non pensavo fosse in grado di una cosa del genere, perciò ho pensato che vi foste messi insieme.» Mi disse tentando di scusarsi per non avermi aiutata durante l’intervallo, visibilmente dispiaciuto.
«Non importa, è acqua passata ... Quel tipo non mi fa paura, so come difendermi. Solo che mi aveva presa alla sprovvista …» Affermai cercando di convincere me stessa più che lui.
«Mi avrai odiato completamente in quel momento! Ora capisco perché non volevi parlarmi … Mi dispiace tanto, davvero.»
«Non preoccuparti … Sono cose che capitano.» Gli dissi accennando un sorriso per smorzare quell’aria da funerale che si era creata.
«Ti sarei grata se non ne parlassi con nessuno, soprattutto con Steve … Non dovresti saperlo …» Aggiunsi poi per evitare di complicare ancora di più le cose con quel bulletto da quattro soldi.
Lui annuì lievemente e poi ci guardammo per qualche istante negli occhi senza dirci niente facendo pulsare il mio cuore più velocemente del normale.
Sembrava volesse dirmi qualcosa, ma appena apriva la bocca la richiudeva dando l’impressione che non avesse il coraggio di dirmi ciò che voleva.
A quei gesti la mia mente non poté fare altro che iniziare a viaggiare come un treno sulle rotaie del romanticismo.
“Magari è innamorato di me ma non sa come dirmelo! Forse anche lui è un timidone proprio come me!”
Finalmente si decise a parlare fermando la corsa spericolata che stava percorrendo il treno dei miei pensieri.
 
 




Piccolo angolino per me
Ehi! Ciao.
Ed eccoci al secondo capitolo! Che dire? Spero di mantenere un ritmo costante nelle pubblicazioni, aggiungendo almeno un capitolo a settimana.
Ringrazio chi segue questa storia e ringrazio Ilovemyconverse per la recensione!
E se volete rendermi una ragazza felice, lasciate una recensione anche voi e fatemi sapere che ne pensate!
Un bacio
Francesca

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Capitolo 3
*** Why? ***


I am a fighter



3. Why?
 
 
Finalmente si decise a parlare fermando la corsa spericolata che stava percorrendo il treno dei miei pensieri.
 
 
«Sei in gamba, Violet. Lo eri già ai tempi delle medie, ma ora lo sei ancora di più.» Mi disse incurvando leggermente le labbra.
Dio, quando lo faceva mi scioglievo letteralmente di fronte a lui.
E poi il modo in cui pronunciava il mio nome …
Cavoli, il mio cuore non avrebbe retto ancora per molto, soprattutto se le sue intenzioni erano quelle di farmi altri complimenti.
«Grazie …» Sussurrai guardandomi le ginocchia, con le guancie leggermente imporporate e un sorriso spontaneo sul mio volto.
Rimanemmo ancora in silenzio ed io mi imbambolai osservando i suoi bellissimi occhi, con i miei che probabilmente erano diventati a forma di cuoricino.
Ma questa volta il nostro silenzio venne ben presto interrotto da una ragazza dalla lunga e liscissima chioma bionda che si posizionò di fronte al tavolo guardando prima Robert e poi me.
«Ciao Robert!» Disse mostrando il suo sorriso perfetto e sporgendosi verso di lui per dargli un bacio sulla guancia.
A quel gesto ritornai sul pianeta terra, togliendomi quell’aria incantata e trasognata che avevo guardando Robert.
«Hey Brittany! Che sorpresa, sei già qui!» Disse lui guardandola completamente catturato dai suoi occhioni azzurri.
«Eh già, ma a quanto pare ho interrotto qualcosa …» Rispose guardandomi e rivolgendomi un sorriso falsissimo, che assomigliava più a una smorfia.
Io guardai confusa Robert, il quale invece sembrava essersi improvvisamente dimenticato di me.
«Oh no! Lei è una mia vecchia compagna di scuola, si chiama Violet! L’ho incontrata qui per caso perché non c’era nessun altro posto libero!»
Vecchia compagna di scuola? Vecchia compagna di scuola?!?!?! E’ così che mi definisce?!?!
E’ la verità, idiota! Voi due non vi parlate da quando è finita la terza media, svegliati! La vostra è stata un’amicizia superficiale ai massimi livelli!
Ti prego, non dirmi questo testolina mia! Sei proprio acida, vuoi smetterla di essere così razionale?
Dico solo la verità.
E lasciami un po’ sognare! Sai benissimo che sono una sognatrice con la testa tra le nuvole ventitre ore su ventiquattro a farmi i film mentali!
Lasciando perdere questi piccoli discorsetti tra me ed il mio cervello, la biondina prese posto di fianco a Robert ed i due iniziarono a parlarsi guardandosi intensamente negli occhi e senza degnarmi della minima attenzione, come se non esistessi affatto.
Osservai Brittany, portava dei mini pantaloncini e una canotta super scollata con sopra una felpa aperta.
Premetto che non ero mai stata una persona con molti pregiudizi, però andare in giro in quello stato mettendo tutto in mostra, tra l’altro con quel freddo autunnale … insomma, mi dava l’impressione di una di facili costumi, per non essere volgare.
E non lo dico solo perché era a cinque millimetri di distanza dal volto di Robert, che sia chiaro!
Mi sentii a dir poco imbarazzata e inappropriata, insomma il terzo incomodo che non sa mai come comportarsi.
Era ovvio che quella Brittany fosse la sua fidanzatina, quei due non facevano altro che scambiarsi sguardi amorevoli e sussurrarsi parole dolci.
Anche se una parte di me, o meglio, una grande parte di me sperava il contrario, nonostante l’atmosfera zuccherosa che avvolgeva quei due. 
Avrei voluto sprofondare!
Nei miei film mentali Robert era sempre single e non avevo nemmeno considerato la possibilità che potesse avere una ragazza!
Che poi non capivo cosa potesse trovare in una tipa del genere.
Insomma, si capiva lontano un chilometro che era una troietta e che Robert sarebbe stato il suo giocattolino di turno per qualche settimana.
Poi quando si sarebbe stufata di lui, lo avrebbe abbandonato al palo, doveva essere senz’altro così!
O magari sono semplicemente due ragazzi innamorati che se ne fregano dei film mentali di una fuori di balcone come te!
Ehi! Ma come ti permetti! Stai al tuo posto e non ribellarti cervello mio!
«Ehm … Io ora vado …» Affermai non potendo più sopportare quella situazione. 
Loro non mi degnarono nemmeno di uno sguardo o di una parola.
Non feci in tempo a prendere la borsa e alzarmi che quando mi voltai vidi Brittany che prese il volto di Robert tra le sue mani e poi lo baciò con passione senza dargli il tempo per respirare.
Lui ricambiò senza protestare e fece scorrere le sue mani lungo la schiena di lei.
Abbassai lo sguardo e mi allontanai da quel tavolino il più velocemente possibile.
Se prima era solo stato ferito ora il mio cuore era completamente spezzato.
Anche quella minima speranza di poter avere una sola possibilità con Robert era svanita lasciando in me il vuoto più totale.
Mi fiondai fuori dal locale nonostante stesse ancora piovendo a dirotto.
Ciò che mi importava in quel momento era solamente allontanarmi il più possibile da quel luogo.
Inizialmente non provai dolore, perché era stato sovrastato dall’immensa quantità di rabbia che stava iniziando a ribollirmi dentro.
Rabbia verso me stessa perché ero così scema da continuare ad andare dietro ad uno che non mi aveva mai notata e mai l’avrebbe fatto.
Uno che stava insieme a quel genere di ragazza che io mi ero ripromessa di non diventare mai.
Uno che semplicemente mi stava rovinando la vita senza nemmeno accorgersene.
 
 
 


Dopo aver camminato per qualche minuto sotto la pioggia come un’idiota, i miei piedi mi portarono direttamente sotto casa di Sophie.
Citofonai e fortunatamente era in casa.
«Che diamine ci fai qui completamente bagnata?» Mi chiese non appena mi vide.
«Se mi fai entrare te lo spiego. E se magari avessi un ricambio da prestarmi …»
«Certo. Entra prima di beccarti una polmonite!»
Non appena fui del tutto asciutta entrambe salimmo in camera di Sophie, dove lei si lasciò cadere sulla poltrona girevole della sua scrivania, mentre io mi sedetti sul letto poggiando la schiena contro il muro che c’era dietro.
«Odio Robert.» Dissi di getto come prima cosa con voce atona e lei mi guardò con un sopracciglio alzato.
«Che novità. Lo odio anche io, sai? Da tanto tempo. Ogni volta che lo vedo, mi verrebbe voglia di buttarlo giù da un palazzo. E sai perché? Perché tu sei un’idiota!»
La guardai leggermente confusa.
«Certo … La tua affermazione ha un ottimo filo logico …» Dissi sarcastica mentre mi grattavo la testa con una mano.
«Quello che voglio dire è che lui ti sta facendo soffrire sempre di più, e per questo lo odio, ma la colpa è solo tua! Non ti sei mai fatta avanti e non hai nemmeno cercato di dimenticarlo come si deve. E non tirar fuori la solita storia che ti sei messa con David per dimenticarlo perché, dai … Quanto ci sarai stata con David? Due mesetti al massimo e oltre al bacio a fior di labbra non ci sei mai andata!»
«Senti, David era carino e tutto, ma non mi andava di entrare troppo in intimità con lui! Non ero pronta.» Dissi subito sulla difensiva.
«Appunto! Perché non hai mai voluto dimenticare Robert!»Rispose alzando leggermente la voce.
Io mi zittii un attimo, capendo finalmente quanto vere fossero le sue parole.
«Hai ragione … - Le dissi con un sorriso amaro sul volto - Ma ora basta. Non voglio più star male per lui! Se una stupida biondina con le tette all’aria è quello che cerca … beh, allora che si tenga la sua stupida biondina con le tette all’aria! Io sono molto di più di quello!» Affermai con quella rabbia di prima che era tornata a fare capolino grazie anche alla ramanzina motivante di Sophie.
«Che c’entra ora “la stupida biondina con le tette all’aria”?» Mi chiese un po’ confusa, ma con un sorriso sulle labbra per via di quel mio improvviso spirito combattivo.
«Oggi pomeriggio l’ho incontrato da Starbucks, era al mio stesso tavolino perché non c’erano più posti. E poi è arrivata questa biondina, peggio di una barbie, e vestita in modo indecente. Pantaloncini inguinali e canotta super scollata, manco fossimo alle Hawaii … E niente, alla fine si sono baciati, lì davanti a me, senza nemmeno considerarmi per un secondo. E’ per questo che odio Robert.» Le dissi cercando di non sbraitare o di lanciare cose in giro come una pazza al solo pensiero di quei due insieme.
Sophie sgranò gli occhi e aprì la bocca in modo stupito.
«Wow … Cioè, wow! – disse poi mentre scuoteva leggermente la testa – Certo che oggi il tuo caro Robert si è superato in stupidaggine, idiozia e stronzaggine! Ma … Aspetta, quindi tu sei arrivata a casa mia correndo completamente bagnata sotto la pioggia per scappare da quello Starbucks e non farti vedere in lacrime dallo stronzo, immagino.»
«Ottima deduzione! Ma devo correggere un piccolo errore. Non ho pianto. E non lo farò. Mi avrà pure detto che sono una ragazza in gamba, ma ho promesso a me stessa che non soffrirò mai più per quel bel faccino.» Dissi più risoluta che mai.
«E quand’è che ti avrebbe detto che sei una ragazza in gamba?» Mi chiese con un sorrisetto strano sul volto continuando a girarsi sulla sua sedia girevole.
«Sempre oggi, sempre in quel maledetto Starbucks. In pratica gli ho raccontato quello che era successo oggi all’intervallo. E sai cosa pensava lui? Che io stessi con Steve! A quel punto ho capito che è un completo idiota. E poi mi ha detto che secondo lui sono una ragazza in gamba. Tutto qui.»
«Dio mio … Ok, senti, io credo sia arrivato il momento di iniziare la terapia “dimentica Robert in pochi semplici passi”. Posso garantire che la tua vita sarà mille volte migliore!»
«Forse è la volta buona che mi convinci … E in cosa consisterebbe questa famosa terapia?» Le chiesi mentre la guardavo alzarsi dalla sedia ed iniziare a camminare avanti e indietro per la stanza.
«Per prima cosa questo sabato sera dovrai uscire con me. Credo ci sia una festa a casa di un tipo con una villa enorme e ci sarà molta gente. Devi assolutamente venirci. Incontrare nuova gente ti farebbe benissimo e almeno ti divertiresti un po’!»
«Ok.» Le dissi di getto stupendo sia lei che me.
Non è che amassi le feste in discoteca o quelle super affollate in cui non riesci a muoverti di un millimetro senza urtare contro qualcuno o qualcosa … Ma se questo mi avesse aiutata a dimenticare Robert, allora sarei andata a quella festa.
«Che decisione! Mi piace! Vedrai, da sabato non saprai già più chi sia il tuo caro Robert!» Mi disse sorridendomi.
«Speriamo … Comunque, che mi dici invece di Philippe, il bel francesino?» Le chiesi sorridendo maliziosa.
«Non si è ancora fatto sentire …» Rispose arrossendo leggermente.
Io la guardai divertita ma allo stesso tempo comprensiva.
Shopie era una ragazza che non arrossiva mai.
Ma proprio mai.
E questo grazie all’immenso carisma che possedeva.
La sua sicurezza in qualsiasi cosa facesse infatti le aveva dato la fama di una ragazza con carattere, grinta e passione.
Non per niente era una delle rappresentanti d’istituto e la sua rubrica era lunga chilometri.
Sin da quando ero una bambina, io che ero tutto il suo opposto, l’avevo considerata come un modello da seguire, come ciò che anche io avrei voluto essere un giorno.
Non nascondo che c’erano stati giorni in cui l’invidia avanzava sempre più fino a farmi dimenticare l’ammirazione che provavo per lei, ma alla fine lei trovava sempre il modo per farmi sentire speciale facendo sembrare anche i difetti dei bellissimi pregi.
Comunque il fatto che quel Philippe la facesse arrossire ogni qual volta si parlasse di lui, mi fece capire che per lei era diverso da tutti gli altri, era qualcosa di più, forse l’amore vero.
«Però … avevo intenzione di chiedere anche a lui di venire sabato.» Mi disse ridestandomi dai miei pensieri.
«E’ un’ottima idea. Vedrai che farete faville insieme!» Le dissi avvicinandomi a lei e poggiandole una mano sulla spalla.
La abbracciai forte sorridendo all’idea che per almeno una delle due Cupido stesse facendo un ottimo lavoro.
 
 



Il resto della settimana passò abbastanza tranquillamente a parte le occhiataccie che mi rivolgeva Steve ogni qualvolta lo incontrassi per i corridoi.
Se avessi potuto tornare indietro all’intervallo del primo giorno di scuola, al posto di subire spaventata e con le lacrime che volevano scendere, gli avrei tirato una bella ginocchiata nei gioielli di famiglia e gli avrei dimostrato la ragazza forte che in realtà sono.
Peccato che mi fossi fatta prendere dal panico che mi aveva svuotato completamente la testa.
Comunque tra una cosa e l’altra era già venerdì ed io stavo aspettando poco fuori dalla mensa della scuola che Sophie arrivasse dal suo corso di chimica per andare a pranzare insieme.
La mensa era già gremita di studenti affamati, chi di cibo e chi invece di gossip.
Già, nella nostra scuola la mensa non era solo il luogo in cui pranzare, ma anche in cui le ragazze, e a volte anche i ragazzi, più curiosi si radunavano per spettegolare sulle nuove coppiette, sugli oscuri passati degli insegnanti e tante altre cose di cui sinceramente a me non importava proprio nulla.
Di solito erano due o tre i “tavoli dei pettegoli”, che non passavano inosservati, anzi si riconoscevano subito, e se, come me, eri un tranquillo studentello senza la minima voglia di essere il protagonista del nuovo scoop scolastico, ti conveniva stare alla larga da quei tavoli, in modo da non catturare la loro attenzione e da non essere la nuova mira dei loro discorsi.
Poi c’erano i tavoli degli sportivi, anche quelli da evitare a meno che non ti interessasse la telecronaca dell’ultima partita di calcio o i consigli da parte delle cheerleader su come perdere più chili in meno tempo.
Quando facevo parte della squadra di basket qualche anno prima avevo provato a sedermi al loro tavolo per qualche tempo, ma le ragazze non mi consideravano perché ero l’unico essere femminile della scuola a voler fare uno sport che tutti consideravano maschile, e i ragazzi invece si dividevano tra quelli che mi pigliavano per il culo, tra cui Steve, e quelli a cui invece facevo pena, si dispiacevano per me, ma non facevano nulla per difendermi.
E quindi dopo un po’ decisi di stare alla larga anche da quei tavoli.
Ma non è finita qui.
C’erano anche i tavoli degli “ansiosi”, ovvero quelli che per la troppa ansia dovuta da un compito scritto o orale si mettevano a studiare e ripassare anche mentre pranzavano inondando i propri tavoli di fogli, libri e appunti vari.
Anche quelli cercavo di evitarli, più che altro perché il solo vederli mi metteva addosso un’ansia tremenda.
E infine c’erano i tavoli di quelli a cui, come me, non piaceva essere classificati, ma che volevano semplicemente mangiare in pace con i propri amici.
«Ehi tu! Vieni un attimo, dobbiamo sistemare una piccola cosa!» Sentii qualcuno urlare dalla parte opposta del corridoio.
Io mi voltai di scatto, conoscendo fin toppo bene quella voce, e vidi la figura di Steve avanzare velocemente verso di me.
Indietreggiai di qualche passo in modo da essere più vicina al portone della mensa, sperando che rinunciasse a qualsiasi cosa avesse in mente considerando che praticamente tutta la scuola era radunata lì.   
«Credevo di essere stato chiaro l’ultima volta!» Disse ad alta voce mentre a grandi passi era già arrivato a meno di un metro da me.
Questa volta era solo ed io ero pronta a reagire.
Non si meritava le mie lacrime ancora una volta.
«Vieni con me! Devo chiarirti meglio alcuni concetti dato che non credo siano arrivati come volevo!»
Steve allungò la mano e mi prese un polso trascinandomi con forza verso la parte opposta del corridoio, da dove era arrivato.
Io mi opposi e con forza riuscii a liberare il mio polso dalla sua presa per poi tornare indietro.
«Che cazzo vuoi ancora da me! Lasciami in pace o giuro che inizio a urlare e faccio sapere a tutta la scuola il gran bastardo che sei!» Affermai ad alta voce, allontanandomi di qualche passo da lui e massaggiandomi il polso.
Non l’avrebbe avuta vinta un’altra volta, avrei fatto di tutto pur di togliergli quell’espressione strafottente che aveva in volto.
«Ti prego. Non renderti ancora più ridicola di quanto tu non sia già.» Disse Steve, riaccorciando le nostre distanze.
Di nuovo afferrò il mio polso, questa volta in modo più stretto, e nonostante io continuassi a tirare verso la parte opposta, Steve riuscì a trascinarmi fino a metà corridoio.
«E quindi .. Non sai tenere la bocca chiusa, eh?» Sussurrò all’improvviso dopo essersi girato verso me ed aver bloccato entrambe le mie mani con la sua presa.
Aveva scoperto che avevo detto a qualcuno ciò che era successo l’ultima volta.
Ma le uniche due persone a cui l’avevo detto erano Sophie, che sapevo non avrebbe mai fatto una cosa del genere, e Robert, a cui avevo pregato di non dire niente, ma di cui non potevo fidarmi completamente.
«Vuoi ancora minacciarmi? Vaffanculo, Steve. Non ho intenzione di giocare ai tuoi stupidi giochetti!» Dissi io, più convinta che mai, con la pazza voglia di tirargli uno schiaffo su quell’odiosa faccia.
«Non ne sarei così sicuro …» Disse in un sussurro mentre la sua mano libera andava a posarsi su un mio fianco, salendo lentamente fino a sotto il mio seno.
«Forse non mi conosci abbastanza …» Risposi mantenendo sempre il suo sguardo.
«Invece si.» Replicò nuovamente lui.
Non appena sentii le sue dita spostarsi sul mio reggiseno e vidi un ghigno divertito sul suo viso, alzai di scatto le braccia, tenute unite all’altezza dei polsi dall’altra sua mano, fino a colpire il suo mento.
Il colpo non fu violento, ma riuscì comunque a destabilizzarlo per qualche secondo, di cui io approfittai per liberarmi definitivamente dalla sua presa e allontanarmi.
Tornai con una corsetta di fronte al portone della mensa dove Sophie mi stava aspettando.
«Ehi ciao! Come mai così in ritardo?» Mi chiese non appena le passai di fronte, ma io non le risposi e mantenendo un passo veloce entrai in mensa continuando a guardarmi dietro di me.
Steve mi stava nuovamente per raggiungere, ma questa volta sembrava molto più incazzato, probabilmente a causa del suo orgoglio maschile ferito.
«Dove stai ...? Ehi! Mi vuoi aspettare? Che cavolo ti prende?» Chiese Sophie quando ormai mi ero già addentrata tra i tavoli cercando un posto per sedermi in cui potermi mimetizzarmi tra gli altri studenti e non farmi così trovare da Steve.
In quel momento lo vidi attraversare il portone della mensa e guardarsi intorno.
Anche io iniziai a guardarmi intorno cercando di trovare un nascondiglio più sicuro.
Quando mi alzai cautamente per allontanarmi ancora un po’ dall’entrata, Sophie si avvicinò a me con un volto non molto contento.
«La mia presenza ti da così tanto fastidio?» Mi chiese non capendo il perché di quel mio continuo scappare di qua e di là.
«Scusa, non posso parlare ora. Più tardi ti spiego tutto.» Risposi in fretta per poi sgusciare via un’altra volta ed andare qualche fila di tavoli più dietro.
Mi sedetti ad uno a cui era seduta una decina di studenti e mi imposi di calmarmi e di non lasciarmi prendere dal panico.
Anche se mi avesse trovata, cosa avrebbe potuto farmi? L’avrebbero visto tutti, perciò di sicuro ci sarebbe stato qualcuno che l’avrebbe fermato.
E poi, anche io ero in grado di difendermi e l’avevo dimostrato a me stessa poco prima.
«Violet!» Mi voltai non appena sentii qualcuno chiamare il mio nome.
A quella stessa tavolata rettangolare c’era Robert, che si era sporto per poter catturare la mia attenzione.
Sulla panca di legno su cui eravamo seduti, tra di noi c’erano due ragazze, perciò per poterlo vedere meglio dovetti sporgermi anche io, abbassando la schiena e allungando il collo.
Cavoli, ci mancava solo lui.
«Che ci fai qui?» Mi chiese alzando la voce per sovrastare quelle degli altri ragazzi.
«Non lo so.» Risposi nel modo più idiota possibile.
Lui si alzò, scavalcò la panca di legno e girò attorno al tavolo per sedersi accanto a me, dove c’era ancora un piccolo posticino.
«L’ultima volta te ne sei andata senza nemmeno salutarmi.» Affermò riferendosi al pomeriggio in cui per caso ci eravamo incontrati da Starsbuck.
«Beh … Ma in realtà io ti ho salutato. Forse … forse eri tu ad essere troppo impegnato per sentirmi.» Risposi continuando a guardarmi attorno con l’ansia di essere trovata da Steve.
«Mmhh … Ops, forse hai ragione tu. Allora credo di dovermi scusare. Il fatto era che avevo un appuntamento con Brittany. Stiamo insieme da qualche settimana.»
Ok. Che stava succedendo?
Perché Robert stava parlando con me per la seconda volta in una settimana?
E da dove veniva tutta quell’amichevolezza nei miei confronti?
«Credo fosse piuttosto chiaro.»
E perché io riuscivo a rispondere senza sparare cretinate?
Ma soprattutto perché c’era una mano sulla mia spalla?
Mi voltai di scatto non appena sentii quel contatto, sperando con tutto il mio cuore che fosse Sophie.
Ma le mie speranze furono vane, perché quella grossa e tozza mano era di Steve, i cui occhi bruciavano di rabbia.
  
   



Un piccolo angolino per me 
Ciaoo!
Come va la vostra vita?
La mia da schifo … Ho appena finito gli esami di riparazione (per fortuna sono stata promossa), tra poco inizia la scuola, ho tutti i compiti delle vacanze da finire e ho scritto un capitolo di cacca.
Non mi piace particolarmente e vi giuro che diminuirò drasticamente i dialoghi tra Violet e Sophie!
So che sono noiosi e fanno schifo, ma prometto che servono solo all’inizio della storia e che poi ce ne saranno di meno!
Se volete lasciarmi un vostro parere, non esitate!
Un bacione
Francesca

 

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