But recently the flames are getting out of control.

di nothing but a shadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Then there are days like today. ***
Capitolo 2: *** Take a breath and let the rest come easy. ***
Capitolo 3: *** Thanks to you. ***
Capitolo 4: *** I'm a walking travesty. ***
Capitolo 5: *** Give me therapy. ***
Capitolo 6: *** You're just a daydream away. ***
Capitolo 7: *** He has got a smile on his lips and some cuts on his hips. ***
Capitolo 8: *** Shaken and tried. ***
Capitolo 9: *** Tonight's like a knife, would you cut me with your kiss? ***
Capitolo 10: *** Per favore leggete, non è un capitolo. ***



Capitolo 1
*** Then there are days like today. ***


Then there are days like today.
 

Alex sbuffò nuovamente rotolandosi sul piccolo letto del tourbus. Non si sentiva in diritto di lamentarsi per la loro poca comodità, infondo doveva ancora dei ringraziamenti a chiunque avesse fatto sì che tutto quello fosse successo. Sin dalla tenera età aveva sognato di diventare qualcuno e ora non aveva più il bisogno di fantasticare ad occhi aperti. Si guardò intorno e vide le tende delle cuccette dei suoi compagni di band chiuse, e rise inconsciamente. Quei tre erano la sua famiglia, il suo mondo, e non avrebbe potuto chiedere di meglio. Cosa c'era di più bello di realizzare il proprio sogno con le persone migliori che esistano? Alex non riusciva a vedere qualcosa che potesse soddisfarlo di più – a parte dei letti più comodi, dato che passavano la maggior parte del loro tempo in quello stupido bus. Decise di non pensarci comunque e si mise a pancia in sotto. Quella notte non riusciva a trovare una posizione che lo soddisfacesse abbastanza da riuscire a dormire, e per quanto cercasse di sforzarsi a pensare che fosse semplicemente l'agitazione pre concerto, Alex sapeva benissimo cosa fosse, almeno in parte, a turbarlo. “E' solo una stupida proposta, non sei costretto ad accettare. Perché ti fai tutte queste seghe mentali per qualcosa di così stupido?”
Il biondo si passò una mano sul viso spostando un ciuffo che gli cadeva ribelle sugli occhi. Cercò di chiudere gli occhi ma pochi secondi dopo buttò via le coperte e si mise seduto sul bordo della sua cuccetta. Si rassegnò al fatto che di dormire non se ne parlava nemmeno quella sera e si alzò, facendo attenzione a non fare rumore così da non svegliare gli altri. In quel momento si sentiva solo e forse aveva semplicemente bisogno di qualcuno che gli stesse vicino. Non dimenticava di certo di quanto fosse bello avere i suoi migliori amici a fargli compagnia in quell'avventura, ma Alex aveva bisogno di qualcosa di più e quel vuoto che sentiva dentro durante le sue notti insonni diventava sempre più grande settimana dopo settimana. Non riusciva a dare una spiegazione a quella sua stupida sensazione, aveva una ragazza magnifica che lo amava più di tutto il resto, eppure il pensiero di Lisa non lo allertava più come pochi mesi prima. Insomma, Alex era convinto di amarla o comunque di tenere a lei come non aveva mai tenuto a nessuna ragazza prima, ma qualcosa sembrava sempre mancare nella sua vita. Il tourbus si era fermato in un piccolo spiazzo per la notte così il ragazzo decise di uscire per prendere una boccata d'aria, come se il vento potesse soffiare via anche quella sua confusione e far tornare tutto alla normalità, tutto come doveva essere. Ripeteva quell'azione ormai da troppo tempo per i suoi gusti, e anche se razionalmente sapeva che la brezza dell'aria notturna non avrebbe cambiato la situazione, dentro sentiva come il bisogno di fuggire dall'aria consumata del veicolo. Era diventata come una droga per lui, aveva bisogno di uscire per sentirsi un po' più a posto con se stesso, ma quel piccolo benessere sapeva sarebbe scomparso non appena avesse rimesso piede nel tourbus. Pensava che forse era la libertà che gli serviva, ma libero da cosa? Non aveva niente che lo opprimesse, anzi si riteneva il ragazzo più fortunato del mondo per essere arrivato a quel punto della sua carriera, per essere arrivato dove era in quel momento. Aveva orde di fantastici fan che gli riscaldavano il cuore a ogni singolo concerto come la prima volta, che cantavano con lui permettendogli appena di sentire la sua voce amplificata; aveva reso i suoi genitori orgogliosi nonché se stesso. Si disse che no, non aveva decisamente niente da cui evadere, eppure continuava a sentirsi in quel modo. Sospirò, sedendosi su una panchina poco distante; appoggiò i gomiti sulle ginocchia leggermente divaricate e si prese la testa tra le mani. Non ne poteva più di sentirsi in quel modo senza capirne il motivo, e in più ci si era messa anche quella stupida proposta a cui non sapeva dare una risposta. Doveva accettare o rifiutare? Non era assolutamente contrario a quell'esperienza, forse gli avrebbe fatto bene oltre che rendere felice qualcuno, ma dall'altra parte aveva un brutto presentimento che gli impediva di accettare senza indugi. Ne aveva parlato con gli altri e come previsto ne erano entusiasti, si chiese perché per lui le cose dovevano sempre essere così complicate e perché non potesse semplicemente essere felice senza dover subire le pene dell'inferno. Di solito tra di loro la maggioranza vinceva, era sempre stato così, nessuno si azzardava a prendere una decisione da solo e nessuno voleva farlo; per questo Alex li definiva la sua famiglia, tutti rispettavano tutti e tutti si volevano bene incondizionatamente, uniti da un legame che andava ben oltre la tradizionale amicizia. Ma quel giorno i voti erano stati diversi: nonostante la loro esuberanza nella proposta, Jack, Zack e Rian avevano notato che qualcosa turbava Alex e non avevano costretto nulla. Se la cosa avrebbe fatto star male Alex, allora avrebbero rinunciato senza pensarci due volte. Il biondo era grato del loro supporto, ma allo stesso tempo si odiava perché non voleva che il suo egoismo e le sue paranoie sicuramente infondate privassero i suoi amici di qualcosa che li avrebbe resi contenti. Fu proprio in quel momento che si rese conto che forse i suoi pensieri non avevano torto e decise mentalmente che valeva la pena rischiare. Chissà, magari affrontare la sua paura lo avrebbe liberato.
Si alzò e decise di tornare nel letto, sentendosi un po' più tranquillo ma da un lato più spaventato di prima. Decise di non rimuginarci sopra ancora, ormai aveva preso una decisione e non avrebbe lasciato la sua parte vulnerabile rovinare quella piccola forza che gli era salita.



La mattina seguente Alex si sentiva più rilassato del solito, forse perché era riuscito a dormire per ben tre ore, cosa che solitamente durante quelle notti angosciose non riusciva a fare. Si sedette al suo posto intorno al piccolo tavolo di legno dopo essersi versato del caffè in una tazza, e prese a sorseggiarlo lentamente. Attraverso il finestrino riuscì a scorgere gli alberi che si muovevano, segno che erano di nuovo in viaggio. Gli altri tre erano ancora dormienti nelle loro cuccette essendo appena le otto del mattino, quindi Alex si godette le luce del sole e quella tranquillità che non era solita regnare nel mezzo. Chiuse gli occhi mandando giù un sorso del suo caffè e benedì chiunque lo avesse inventato e diffuso. Appoggiò la schiena al cuscinetto della sedia stravaccandosi in una posizione ben poco elegante, con il torso nudo e un morbido sotto tuta grigio risvoltato un paio di volte alla vita, lasciando così intravedere i boxer di un arancio spento. Non aveva nessuna fretta di vestirsi per affrontare la giornata, in quel momento voleva solo godersi quella pace zen senza essere disturbato. Ma purtroppo il suo piccolo momento di meditazione terminò pochi minuti dopo, quando un irritante essere di nome Jack Barakat entrò nella stanza ruttando come se non ci fosse un domani. Alex pensò che solo il suo amico poteva essere in grado di emanare un rutto di quelle dimensioni con lo stomaco vuoto delle otto e cinque di mattina. Cercò di ignorare la sua presenza cercando di ritrovare la sua pace interiore ma con scarsi risultati. Il moro si sedette sulla sedia di fronte la sua iniziando a consumare rumorosamente la sua colazione.
«Buonfiorno Alefx.» lo salutò, con la bocca piena di cereali multicolore.
Il biondo lo guardò alzando un sopracciglio con la tazza nera ancora davanti le labbra. La appoggiò delicatamente sul tavolo farfugliando un 'buongiorno rompipalle' e facendo per alzarsi dalla sedia in cerca di un posto dove nessuno lo avrebbe disturbato.
«Hai pensato alla proposta dell'etichetta?» gli chiese il moro, ingoiando.
Alex si girò rassegnandosi al fatto che doveva per forza intrattenere una conversazione con il suo migliore amico, e si sedette nuovamente.
«In realtà sì, ci ho pensato. Credo che sia una buona idea, dovremmo accettare. Non sono sicuro al 100%, ma non importa, buttiamoci.» sputò fuori, cercando subito dopo di trovare una scusa abbastanza credibile per potersi rimangiare tutto. Sì maledì mentalmente e cominciò a ripetersi che doveva essere forte.
Jack gli sorrise entusiasta e Alex non poté far a meno di pensare alla dolcezza del volto dell'amico. Non era mai stato un amante delle smancerie e della dolcezza diabetica, ma ogni volta che il viso del suo migliore amico si illuminava in uno dei suoi sorrisi sinceri cambiava momentaneamente idea. Si sentì estremamente felice ad averlo vicino, ci si era sempre sentito in tutti quegli anni di amicizia. A volte si domandava perché quella fortuna fosse capitata proprio lui, Alex Gaskarth. Non era mai stato una persona così speciale rispetto alle altre, magari qualcuno necessitava di Jack più di lui. Rabbrividii al solo pensiero che Jack potesse avere quel legame con qualcuno che non fosse lui e poi lo guardò di nuovo, trovandolo nuovamente concentrato sulla sua colazione. Sorrise lievemente senza farsi notare e rimase a guardarlo ancora per un po'.
Jack dal canto suo non poteva essere più fiero di Alex. Sapeva meglio di chiunque altro che il suo amico non era in realtà così sicuro come dava a vedere, e sapeva che quando gli venivano dei dubbi o delle paure per lui non era per niente facile sbarazzarsene. Invece quella volta aveva affrontato le cose di petto pronto a lottare quasi contro se stesso. Poteva anche avere venticinque anni ma Jack ebbe l'impressione che in quel momento Alex fosse cresciuto, maturato; ma infondo non si smette mai di crescere nella vita.
Prese la sua ciotola ormai vuota e la ripose nel lavandino, riempendola con dell'acqua per non lasciarla macchiata. Si avvicinò poi al biondo, perso nei suoi pensieri. Sospirò, sperando che non cambiasse idea nuovamente preso dalla paura.
«Lexie, vado a farmi una doccia. Se ti serve, mi trovi in bagno.» Il moro si chinò lasciando un lieve bacio sulla guancia dell'altro, facendolo risvegliare dalla sua trance. Questo gli sorrise annuendo, e Jack lasciò la stanza.
Ed eccolo di nuovo, quel senso di vuoto dentro di Alex. 


 

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Capitolo 2
*** Take a breath and let the rest come easy. ***


Take a breath and let the rest come easy.


Il sole filtrava delicatamente tra le tapparelle tirate giù per metà, formando delle piccole righe di luce che facevano brillare i capelli color oro di Alex. Il ragazzo non riusciva a concentrarsi su nessuna delle parole che il loro manager stava dicendo, gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall'altro. Fissava distrattamente una biro nera posata su una fila di fogli bianchi scribacchiati solo per metà, e si sentì un po' come se i suoi amici stessero affrontando un importante colloquio di lavoro in qualche scadente ufficio pubblico e lui fosse lì solo come accompagnatore; avrebbe osato dire incoraggiatore ma la realtà era che aveva ben poco da incoraggiare. Aveva di nuovo permesso alla sua debolezza di prendere il sopravvento e aveva una gran voglia di alzarsi e urlare “cazzo no, non se ne fa niente!” ma uno strano senso di autocontrollo lo stava trattenendo dal farlo. Sbuffò impercettibilmente spostando lo sguardo su Zack, notando una scintilla di entusiasmo nei suoi occhi. Ma perché tutti erano così eccitati all'idea? Non pensavano alle conseguenze? Sbuffò nuovamente, riportando lo sguardo sulla biro. Jack alla sua destra gli posò una mano sul ginocchio, e il biondo non poté evitare di guardare l'amico. Poteva leggere la preoccupazione nel suo sguardo e quello bastò a fargli mettere su una maschera che sembrava dire “sto bene, è tutto ok”. Ma Alex sapeva benissimo che il suo migliore amico non l'avrebbe mai bevuta. Riuscivano a leggersi nella mente e questo era spesso un bene: quando uno dei due stava male e non aveva la forza di parlare, l'altro capiva perfettamente cosa andasse storto; ma in quell'occasione Alex avrebbe voluto solo essere invisibile agli occhi di tutti. Jack gli accarezzò una coscia per fargli capire che lui gli era accanto, e il maggiore dei due non riusciva a capire come si sentiva.
«Allora è andata ragazzi. Il concorso inizierà già da domani e la fortunata vincitrice, o vincitore chissà, potrà passare un'intera settimana con voi.» Il loro manager sorrise. Era un uomo sulla quarantina ma si portava perfettamente i suoi anni. Prima di scoprire la sua vera età, i quattro ragazzi gli avrebbero dato trenta, massimo trentadue anni.
I tre quarti degli All Time Low sorrisero alzandosi dalle proprie sedie, e dopo avergli stretto la mano tutti e quattro lasciarono la sala.
Zack e Rian parlavano entusiasti tra loro, sperando che la vincitrice – perché insomma, sarebbe stata sicuramente una lei – fosse una gnocca da paura, con i capelli biondi ossigenati e magari un bel paio di tette. Alex rimase a qualche passo di distanza tra i due, con Jack al suo fianco. Il moro era veramente preoccupato per l'amico, non voleva che stesse male per questo stupido concorso ma al contempo voleva che affrontasse le sue paure. Non riusciva a capire cosa veramente lo spaventasse e lo turbasse così tanto, ma rispettava i sentimenti del maggiore e non gli sarebbe andato contro.
«Lex, cosa ti succede?» gli chiese, a una voce abbastanza bassa da non essere udita dagli altri due. Certo, loro erano una band ed erano come fratelli, ma Alex e Jack avevano questo loro speciale rapporto che nessun altro all'interno della band aveva. Zack e Rian sapevano benissimo che loro due erano loro due e che loro non dovevano mettersi in mezzo a nulla che riguardasse privatamente la loro amicizia, ma infondo andava bene così; non si erano mai sentiti tagliati fuori o in qualche modo meno importanti.
«Non so Jack, non ne sono convinto. Non possiamo sapere chi sarà questa persona, non possiamo sapere cosa farà. Non capisco come voi ragazzi non riusciate a vedere i rischi che stiamo correndo!»
Jack sospirò. Dov'era finito Alex, il suo migliore amico? Quello che si scolava intere bottiglie di Vodka al liceo fregandosene altamente se poteva anche finire in coma etilico? Non riusciva a riconoscerlo più.
«Alex, sta calmo. Stiamo parlando delle nostre fan, le persone che ci hanno permesso di arrivare fino a qui, che ci amano. Non salirà sul nostro tourbus per una settimana un aspirante terrorista che ci ucciderà nel sonno, ne sono sicuro. Quindi rilassati. Prendi un respiro e lascia che il resto venga facilmente, ricordi? L'hai scritto tu.» Il moro sorrise dolcemente all'amico, che gli regalò un sorriso sghembo.
Cosa pensava Jack? Che Alex non lo sapesse? Alex lo sapeva benissimo, non era proprio quello a turbarlo. In realtà non sapeva precisamente cosa fosse a farlo preoccupare in quel modo, però qualcosa c'era. Si era sempre fidato del suo sesto senso, e ci aveva sempre azzeccato. C'è sempre una prima volta, quindi poteva anche essere quella buona che si sbagliava, ma le possibilità erano cinquanta e cinquanta. C'erano pari possibilità che si sbagliasse e che avesse ragione, anzi forse quelle che i suoi presentimenti fossero veri era anche maggiore, diciamo un 65 e 35. La cosa non lo rassicurava per niente.
Aveva voglia di confidarsi con Jack, lui aveva sempre saputo tutto di lui, anche i segreti più imbarazzanti e privati. Non si vergognava di niente con lui, ma quella volta preferì semplicemente stare zitto ed annuire, comunque cosciente del fatto che non sarebbe stato per niente facile fingere di niente con lui. Poteva forse far fessi Merrick e Dawson, ma non lui.
Sarebbe stata una settimana davvero lunga.

Alex si appuntò mentalmente ancora una volta di uccidere Rian per aver proposto di far scegliere all'etichetta la vincitrice perché “l'effetto sorpresa era più figo”. Ma insomma, si erano tutti bevuti il cervello?! “Portiamo un'estranea con noi per una settimana, a stretto contatto con la band ventiquattro ore su ventiquattro e nessuno si preoccupa almeno di poter decidere chi?”
Il ragazzo era furioso a quel pensiero, perché doveva aver a che fare con tre irresponsabili del genere? Maledì il giorno in cui decise di far parte degli All Time Low, anzi maledì il giorno in cui aveva accurato che quei tre fossero i suoi perfetti compagni di band.
Fissava il portellone come un ossesso. Il loro manager e la fortunata vincitrice sarebbero arrivati a momenti e Alex era sicuro che gli sarebbero caduti tutti i suoi meravigliosi capelli per lo stress e l'ansia. Buttò uno sguardo su Jack che se ne stava sdraiato sul divano fissando il vuoto. A volte si chiedeva se quella sua espressione da pesce lesso se ne sarebbe mai andata. Sorrise un po' al pensiero.
Jack, probabilmente sentendosi osservato, si guardò intorno incrociando lo sguardo sorridente di Alex. Sorrise a sua volta sollevato nel vedere l'amico sorridere. In quelle due settimane lo aveva fatto sporadicamente, fatta eccezione per quando erano sul palco ovviamente: lì era d'obbligo mascherarsi, mettere su una finta faccia felice e far finta di niente. Dovevi farlo, era uno dei pegni da pagare. Certo, i concerti facevano sempre sentire al settimo cielo, ma quando quello che ti angoscia è nel profondo del tuo essere, è difficile sentirsi leggeri. Il moro stava per andare da Alex quando qualcuno bussò alla porta e l'espressione contenta dal suo viso scomparve. Erano arrivati, era il momento.
Il maggiore si alzò a fatica dalla sedia sentendo un enorme peso sulle spalle, era come se le sue gambe avessero preso il controllo e non volessero muoversi come invece dovevano. Si fece coraggio e si avvicinò al portellone, mentre Jack avvisava il resto della band del loro arrivo. Pochi secondi dopo erano tutti e quattro riuniti e Alex, deglutendo, aprì la porta, ritrovandosi davanti il loro manager sorridente con affianco un ragazzo che doveva aver avuto più o meno la sua età, forse un paio di anni in meno. Guardò gli altri un po' spaesato, notando con un pizzico di piacere che gli altri avevano avuto la sua stessa ragione.
«Ragazzi, voglio presentarvi Noah Mitchell, il vincitore del contest. Noah, gli All Time Low.»
Il volto del ragazzo si aprì in un grandissimo sorriso, e porse la mano a tutti, cominciando da Alex. Tutti la strinsero e lo fecero accomodare, mentre il loro manager se ne andò giustificandosi con “ho molto da fare, divertitevi ragazzi”.
I cinque si accomodarono nella zona giorno: Zack, Rian e Alex su un divano e Jack e Noah su un altro.
Alex lo guardò senza dare troppo nell'occhio. Era un bel ragazzo, con i capelli neri di media lunghezza e gli occhi di un azzurro mozzafiato. Da quello che aveva potuto vedere prima era alto circa quanto Jack ed era poco più robusto di lui.
«Allora Noah,» iniziò Rian «sei il fortunato vincitore del contest! Sarò completamente sincero con te, quando ho visto che a vincere è stato un ragazzo sono rimasto un po' perplesso. Mi aspettavo una diciassettenne che sarebbe svenuta non appena ci avesse visto.»
Il ragazzo ridacchiò grattandosi nervosamente la nuca, nonostante non fosse una delle ragazze che Rian si aspettava, era ugualmente agitatissimo. Jack gli passò un braccio dietro al collo stingendolo un po', come se fosse stato un vecchio amico che non vedeva da anni. «Sta tranquillo Noah, ora siamo amici, non devi essere agitato.» tentò di rassicurarlo il moro. Alex alzò un sopracciglio alla scena, forse il suo amico si stava concedendo troppa intimità, in fondo era sempre uno sconosciuto.
«Ti sembra facile stare calmo, sto per passare una settimana intera insieme alla mia band preferita da nove anni, se non fossi agitato ci sarebbe qualcosa che non andrebbe.» il ragazzo sorrise. Il biondo doveva ammettere che sembrava un tipo a posto – e che aveva un bel sorriso. “Vedi Alex? Ti eri fatto tutte paranoie inutili”.
Eppure, non si sentiva ancora completamente ok. Il suo sesto senso continuava a tenerlo in allarme, e la cosa non gli piaceva.


Note: ebbene sì, questa fanfiction ha anche un'autrice. L'idea mi ronzava in testa da un po' quindi mi sono buttata e ho cominciato a scriverla. Mi farebbe piacere leggere cosa ne pensate, quindi se vi va lasciatemi una recensione. Un bacione a tutti. 

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Capitolo 3
*** Thanks to you. ***


Thanks to you.


Quella stessa sera arrivarono all'albergo dove avrebbero alloggiato per due notti di quella settimana. Di solito Jack e Alex condividevano la stessa stanza, perché Jack si rifiutava categoricamente di dormire da solo – Alex sospettava avesse ancora paura del buio, nonostante l'amico avesse sempre negato –, ma quella volta dovette rassegnarsi al fatto di dover avere una camera tutta per sé. C'erano già abbastanza voci sulla loro presunta relazione e nonostante a loro piacesse alimentarle scherzosamente, non potevano equivocare la situazione così concretamente dormendo insieme con un loro fan al seguito. Quando Jack mise piede nella sua stanza quasi si sentì mancare, era la prima volta che entrava in una stanza d'albergo da solo, senza Alex al seguito. Sospirò, appoggiando il suo bagaglio sulla moquette e sedendosi sul letto. Accarezzò le coperte con una mano, quel letto era decisamente troppo grande per una sola persona ed era sicuro che non sarebbe riuscito a chiudere occhio in quelle due notti. Sbuffò, sdraiandosi completamente su di esso e rigirandosi. Stava già pianificando un piano per evadere quella notte, e si meravigliò delle brillanti idee che gli erano venute. Si stava concentrando su una in particolare quando qualcuno bussò alla sua porta, facendolo risvegliare dai suoi pensieri. Si alzò di scatto e chiese chi fosse.
«Jack, sono Noah. Gli altri ragazzi sono nella hall e stanno uscendo per una specie di passeggiata, mi hanno detto di avvertirti, e che se non siamo là in dieci minuti se ne vanno senza di noi .»
Il moro aprì la porta trovandosi davanti il ragazzo con un paio di skinny di jeans e una maglietta degli All Time Low che gli aderiva abbastanza da lasciar intravedere i suoi addominali. Concentrò il suo sguardo sul suo viso, giusto per non sembrare un aspirante stupratore, e gli sorrise.
«Non credo che andrò, sono abbastanza stanco e l'aria fresca non fa per me in questo momento.»
Noah si lasciò sfuggire un piccola risata. «Va bene allora... mi chiedevo se... ti andasse un po' di compagnia... dato che non vado nemmeno io... cioè insomma mi sentirei di troppo e siccome tu sei qui ecco sì se ti va...»
Il moro non poté far a meno di sorridere intenerito dal comportamento del ragazzo, il cui viso era ormai diventato abbastanza rosso da far invidia a un peperone. Si scostò dalla porta invitandolo a entrare, per richiuderla poi alle loro spalle.
I due si sedettero sul letto, entrambi a gambe incrociate così da potersi fronteggiare. A Noah non sembrava vero di trovarsi davanti a Jack Barakat, seduto sul letto della sua stanza d'hotel, a parlare con lui. Era convinto che si sarebbe svegliato da un momento ritrovandosi nella sua stanza con la fronte completamente sudata. Aveva voglia di pizzicarsi – anche se lo aveva fatto già parecchie volte – per provare a se stesso che no, quello non era un sogno, quella era la realtà. Aveva così tante cose da dire a quei ragazzi, così tanti ringraziamenti da fare e sperava anche in altrettante risate. Aveva voglia di rimanere per sempre e il pensiero che quell'avventura sarebbe durata solo una settimana lo faceva sentire un po' giù, ma ogni volta che ci pensava si dava uno schiaffo mentale obbligandosi a pensare invece a quanto fosse stato fortunato a vincere quel concorso e a trovarsi lì in quel momento, con i suoi idoli da sempre a cui doveva forse anche di più della sua stessa vita. C'erano cose che non aveva mai raccontato a nessuno, neppure a sua madre, ma che sentiva di voler confessare solo a loro quattro, perché gli All Time Low erano come una seconda famiglia per lui, anche se fino a quel momento aveva avuto l'occasione di vederli solo tramite YouTube, le foto che trovava online e quei due concerti a cui aveva partecipato.
«Allora Noah, credo che tu sappia già abbastanza cose su di me e su di noi in generale, ma io non so nulla di te. Raccontami qualcosa.»
Noah si morse il labbro inferiore, da dove poteva cominciare?
«Beh, sono Noah, ma questo lo sai già. Ho ventitré anni e sono di Los Angeles. Umh, sono un vostro fan praticamente dall'inizio e mi sembra di essere in un sogno dal quale mi sveglierò ritrovandomi nella mia stanza.» il ragazzo rise nervosamente, tormentandosi un braccio. Jack era estremamente intenerito da Noah, riusciva a percepire la sua agitazione e non poteva biasimarlo in effetti: se fosse stato lui al suo posto, sarebbe stato anche meno calmo. Gli venne istintivo abbracciarlo, e così fece. Il minore spalancò gli occhi colto da sorpresa da quel suo gesto, ma ricambiò l'abbraccio con piacere. Jack Barakat lo stava abbracciando, aveva bisogno di una secchiata d'acqua gelata in faccia.
«So come ti senti, anzi in realtà sarebbe più appropriato dire che posso immaginarlo. Sono però sicuro che tu sia emozionato e quindi vorrei dirti che va tutto bene. Io e gli altri prima di essere gli All Time Low siamo quattro semplici ragazzi, proprio come te.»
Bassam gli sorrise cercando di infondergli un po' di sicurezza, gesto che l'altro apprezzò molto. Dopo quello che gli aveva detto, si sentiva un po' più sicuro di se stesso. Era quello che aveva sempre amato di quei quattro ragazzi: il modo in cui, vicini o lontani, lo facessero sempre sentire bene. Gli bastava avere a che fare con qualcosa che li riguardasse che si sentiva di nuovo bene.
Noah gli raccontò tutto: di quando suo padre era morto, del fatto che aveva smesso di ascoltare Lullabies perché ogni volta piangeva come se quel giorno, dopo quattro anni, fosse ieri. Di come a volte si rinchiudesse nella sua stanza con la musica a tutto volume perché non poteva farsi sentire da sua madre mentre singhiozzava; ora l'uomo di casa ormai era lui e non poteva ne tantomeno voleva provocare ancora più dolore a sua madre di quanto non ne avesse già. Gli raccontò di quando qualche anno prima ebbe una crisi esistenziale perché pensava che non avrebbe mai realizzato il suo sogno, quello di incontrare la sua band preferita, la sua ancora di salvezza. Gli raccontò di quando tutti i suoi “amici” gli avevano voltato le spalle solo perché aveva avuto il coraggio di mostrarsi per quello che era veramente. Gli raccontò della paura, della vergogna a camminare nei corridoi della scuola, gli raccontò di ogni singola presa in giro che, nonostante avesse sempre ignorato, ricordava parola per parola. Gli raccontò di quando l'unica cosa che voleva era morire e di quanto si fosse sentito codardo perché non trovava il coraggio di mettere finalmente fine alla sua inutile esistenza. Gli raccontò tutto, con le lacrime che gli scendevano solitarie dagli occhi.
Jack gli si avvicinò, alzandogli delicatamente il viso con una mano e asciugandogli le lacrime con il pollice dell'altra.
«Noah, so che la vita è dura, e lo sai anche tu. Ma non voglio più che tu faccia dei pensieri del genere. Tu sei una persona bellissima, che anche se ha avuto dei momenti di debolezza e di non fiducia in se stesso ha continuato a combattere, e che è riuscita a realizzare il suo sogno. Per favore, continua a lottare e difendi chi sei, perché nessuno è abbastanza importante da toglierti il sorriso, mi hai capito?»
Il minore lo aveva semplicemente guardato, leggendo ogni emozione nei suoi occhi. Sapeva che tutto quello che stava dicendo lo pensava davvero. Non aveva mai assaporato quella sensazione, la sensazione di avere qualcuno di concreto che credeva in lui. Tutti lo avevano sempre buttato giù, tutti lo avevano fatto sempre sentire come se fosse mai abbastanza, come se non fosse capace a nulla, come se la sua unica utilità nel mondo fosse occupare spazio e toglierlo a qualcun altro.
Noah lo abbracciò istintivamente e velocemente, in un movimento improvviso, come se non volesse pensarci due volte per la paura che le sue insicurezze gli avrebbero fatto cambiare idea. Lo strinse forte singhiozzando sulla sua spalla.

«Grazie Jack, grazie per aver salvato la mia vita un'altra volta.»

Quelle parole colpirono Jack come un proiettile. Certo, c'era abituato a sentirsi dire di essere il salvatore di qualcuno, ma quelle parole, dette in quella condizione, dopo aver ascoltato la storia di un'altra anima spezzata dal dolore, gli fecero capire quanto in realtà poteva essere importante per qualcuno. Si sentì un po' come Noah in quel momento. Dieci anni prima non avrebbe mai immaginato che lui, Jack il nasone, sarebbe mai stato importante per milioni di persone. Non avrebbe mai pensato di essere l'unica speranza di qualcuno. Si sentì fiero di se stesso in un certo senso.
Sciolse l'abbraccio e prese il viso di Noah fra le mani.
«Tu dici che noi ti abbiamo salvato la vita, ma in realtà siete voi ad aver salvato noi.»
Noah non fece niente, semplicemente rimase con gli occhi incollati a quelli di Jack, con il cuore che gli batteva a mille.
Fu un rumore a distoglierli.
Gi occhi di Jack si allargarono a dismisura quando vide Alex sulla soglia della sua porta. Il biondo, dal canto suo, si limitò a scusarsi per l'interruzione richiudendo la porta.
Jack tornò lucido. Cosa stava facendo?
Aveva voglia di correre appresso ad Alex per spiegargli la situazione, ma represse l'impulso.
Alla fine, perché doveva dargli delle spiegazioni?

Quella stessa sera, Jack era occupato a mettere in atto uno dei suoi piani per riuscire a dormire insieme ad Alex, ma questo sembrava evitarlo.
Aveva già bevuto un alto quantitativo di alcol e si sentiva davvero poco lucido, lo stomaco cominciava a ribellarsi e le luci a sembrargli sfocate, ma continuò a ingurgitare drink dopo drink, finché non rispose più delle sue azioni.
Alex lo guardava bere come probabilmente aveva mai fatto. Jack adorava l'alcol ma per quello che ricordava non si era mai spinto così in là. Quella sera cercava di stargli alla larga, anche se non capiva effettivamente il perché. Si convinse che lo faceva perché voleva dargli un po' di spazio dopo quello che aveva visto poche ore prima. Jack e Noah gli erano sembrati davvero intimi. Insomma, era a conoscenza dell'omosessualità del suo amico, così come lo erano Zack e Rian, ma non credeva che l'amico avrebbe mai baciato un ragazzo che conosceva da quanto? Poche ore? E in più un ragazzo che avrebbe passato un'intera settimana con loro, che era un loro fan. Ok, non si erano baciati, ma ad Alex sembrò che fossero sul procinto di farlo, e che sarebbe successo se non fosse arrivato lui.
Sospirò, posando il drink che aveva in mano sul tavolo davanti a lui e alzandosi dal divanetto del locale. Camminò lentamente in direzione del bancone, dove Jack era seduto intento a ordinare quello che era forse il quindicesimo drink della serata.
Si sedette sulla sedia vicino a lui, guardandolo.
«Hey Lexieeee vuoi da bereee? E' buona questa roba!» Il moro mandò giù un grosso sorso del drink che gli avevano appena servito, come se quel bicchiere contenesse acqua e non un super alcolico.
«No Jack, non voglio nulla a parte che tu la smetta di bere per sta sera, hai già dato abbastanza, non ti pare?»
Bassamo alzò un sopracciglio, scoppiando a ridere. «Lexie la notte è gioooovane!»
Il maggiore capì che con le parole non avrebbe risolto nulla, così prese Jack di peso – ci era abbastanza abituato, visto che era lui che lo salvava da un coma etilico quasi il 90% delle volte – e lo trascinò fuori dal locale, dopo aver avvertito gli altri tre della situazione. Fu sorpreso nel vedere che l'amico non impose nessuna resistenza, di solito si dimenava come un'ossesso urlando che doveva lascialo fottutamente in pace da solo con il suo amato alcol.
Una volta raggiunta una distanza abbastanza ragionevole dal locale, Alex rimise Jack sulle sue gambe, ed entrambi cominciarono a camminare verso il loro hotel. Il moro riuscì a fare pochi passi da solo, prima di finire con il sedere sull'asfalto ridendo sguaiatamente.
Alex non poté non farsi uscire un sorriso alla scena. Si chinò a raccogliere l'amico da terra, facendosi passare un suo braccio intorno le spalle e cominciando a sorreggerlo.
Ci volle un po' più del dovuto ad arrivare all'alloggio e una volta arrivati Alex si fermò davanti alla porta della stanza di Jack ma poi, guardando le condizioni in cui era ridotto, decise che era meglio tenerlo sott'occhio.
Continuò a camminare fino a raggiungere la sua stanza, aprì la serratura con un po' di difficoltà e fece sdraiare Jack sul letto matrimoniale. Questo si accomodò cominciando a borbottare cose senza un apparente filo logico che fecero sorridere il biondo.
Questo si tolse i vestiti buttandoli a casaccio su una poltrona ed entrò in bagno per lavarsi denti e viso. Si soffermò a guardare la sua immagine riflessa allo specchio. Chi era Alex? Non riusciva più a riconoscersi. Vedere Jack e Noah in quell'intimità lo aveva turbato, e non ne capiva assolutamente il motivo. Si era aspettato delle spiegazioni da Jack, ma lui non sembrava sentire il bisogno di parlare con lui.
Pensò a tutte le paranoie che lo avevano angosciato nei giorni precedenti. Il suo sesto senso aveva ragione ancora una volta, qualcosa sarebbe successo, qualcosa che non si sarebbe lasciato scivolare addosso così facilmente. Alex non sapeva cosa, ma sapeva che era solo l'inizio.
Sospirò, asciugandosi il viso con un morbido asciugamano bianco che riportava il marchio dell'hotel e ritornò nella zona notte, trovandosi davanti a un Jack che dormiva silenziosamente sotto le coperte del suo letto.
A sua volta si sdraiò su di esso, cercando di non fare rumore così da non svegliarlo, si coprì con le lenzuola e si mise su un lato, dando la schiena all'amico.
Un braccio gli circondò la vita e il corpo di Jack si adagiò al suo, si incastravano perfettamente, come i pezzi di due puzzle.
«Ti voglio bene Alex.» sussurrò il moro, appoggiando le labbra sull'orecchio del maggiore, per poi posargli un lieve bacio nell'incavo del collo.
Il maggiore strinse la mano dell'altro che si trovava sul suo stomaco e si addormentò così, con i brividi che gli percorrevano ogni lembo di pelle e quel senso di vuoto che andava a ritmo dei suoi battiti accellerati.

Note: sì, so che ci ho messo un secolo ad aggiornare, chiedo venìa cc comunque, sta mattina è uscito il video di A Love Like War con Vic Fuentes e io sono rimasta sveglia fino alle 6 per vederlo e ho allagato casa con le mie lacrime. Se non lo avete ancora visto, filate subito a vederlo. 

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Capitolo 4
*** I'm a walking travesty. ***


I'm a walking travesty.


Quella mattina Jack si svegliò con un enorme senso di stordimento. Aprì gli occhi e si ritrovò i capelli di Alex in faccia, ispirandone profondamente il profumo. Le loro gambe erano intrecciate e un suo braccio era appoggiato sulla vita dell'altro. Jack sorrise stringendolo di nuovo a se. Adorava il rapporto che aveva con Alex. Quando, pochi mesi prima, gli aveva confessato di essere gay, aveva avuto paura che il suo migliore amico non lo avrebbe accettato, non lo avrebbe più guardato con gli stessi occhi, che avrebbe cambiato il suo atteggiamento. Nonostante l'imbarazzo dei primi tempi, il loro rapporto non cambiò di una virgola; anzi, si rafforzò ancora di più. E in quel momento si trovava lì, nel suo stesso letto, abbracciato a lui.
Alex era il suo porto sicuro, quella sicurezza che prima di incontrarlo gli era sempre mancata. Era tutta la sua vita, sarebbe letteralmente morto senza di lui. A volte aveva voglia di ringraziarlo, ma alla fine non lo faceva mai. Non aveva bisogno di ringraziamenti, il suo migliore amico gli stava vicino perché gli voleva veramente bene, perché aveva piacere a farlo, Jack ne era più che convinto. Aveva messo in dubbio tantissime cose nella sua vita, ma mai l'amicizia con Alex; era sicuro che lui sarebbe rimasto nella sua vita fino a quando sarebbe morto, fino a quando la vecchiaia avrebbe consumato le loro ossa con i ricordi dei bei tempi di quando giravano il mondo diffondendo la loro musica alle anime che ne coglievano l'essenza, l'amore e la dedizione di un'esistenza.
Sorrise a quel pensiero, mentre il corpo dell'amico si muoveva impercettibilmente sotto la sua pelle, segno che stava per svegliarsi.
Il maggiore si lasciò sfuggire un verso gutturale girandosi in direzione di Jack, aprendo di poco gli occhi lasciando intravedere un piccolo spiraglio del miele che tenevano in ostaggio.
Sorrise all'amico richiudendoli, passando una gamba sopra a quella del minore e accomodandosi di più tra le sue braccia.
«Buongiorno Lex.» soffiò il moro, beandosi di quel momento che sperava sarebbe rimasto sempiterno.
Per anni si era risvegliato al fianco di Alex, per anni lo aveva avuto vicino quando la luce del sole privava i loro occhi della comodità del buio, ma in quel momento Jack poteva giurare che mai si era sentito in quel modo, mai si era sentito come il suo posto fosse lì, con lui, nel calore delle sue braccia.
In effetti quella sensazione era un po' condivisa da entrambi, ma per Alex la situazione era leggermente diversa.
Se fosse stato per lui, non si sarebbe mai privato di quel momento, ma qualcosa in lui non lo faceva sentire ok. Si sentiva come un puzzle a cui mancava un pezzo, e forse era così.
Ma qual era quel pezzo mancante? Cosa gli mancava?
Aveva un carriera, una ragazza magnifica, un migliore amico fantastico.
Ed ecco che quella sensazione di vuoto si riappropriava di lui, ecco che per l'ennesima volta si ritrovava a fare gli stessi identici pensieri a cui non veniva mai a capo.
«A cosa pensi?»
Da una parte Alex moriva dalla voglia di parlare con lui, ma da una parte qualcosa lo tratteneva dal farlo.
Alex era semplicemente tormentato, tormentato dalla sua mente e tormentato dalla consapevolezza di non sapere cosa gli stesse succedendo.
Forse era quello il famoso momento in cui diventi veramente un uomo?
Ricordò le parole del padre, ricordò i suoi racconti ti quando lui era pressapoco un bambino. Ai tempi dell'innocenza, pensava alla maturazione come al privarsi di qualcosa che ami per donarlo a qualcun altro che ne aveva maggiore bisogno. Alex non lo confessò mai a suo padre, ma fu quel pensiero a spingerlo, quando aveva circa sei anni, a regalare tutte le sue caramelle a un bambino della sua scuola che gli sembrava meno fortunato di lui.
Sorrise mentalmente a quel pensiero, aveva voglia di ritornare ad essere un bambino, a pensare che sarebbe bastato avere delle caramelle per stare bene.
«Alex?» lo richiamò Jack, accorgendosi che l'amico si era perso nuovamente nei suoi pensieri.
«Cosa ho interrotto ieri?»
Quella domanda gli uscì fuori spontaneamente, senza che la pensasse o formulasse prima di porla. Jack lo aveva guardato spaesato, quasi come non capisse a cosa si riferisse, ma Alex sapeva che in realtà aveva afferrato perfettamente il punto. Quello infatti sospirò, senza sapere sinceramente la risposta.
«Non lo so Alex, non ho idea di cosa mi sia preso. E' che mi ha raccontato della sua vita, sembrava così fragile in quel momento che mi è venuto quasi istintivo. Non so se lo avrei baciato, probabilmente sì, ma non è successo.»
Il maggiore non si sentì affatto tranquillo a quella risposta; anzi, si sentì piombare un peso addosso – come se tutto quello che stava passando non bastasse. “Alex, sei un coglione. Perché ti stai comportando così?”
Le sue domande non avevano apparentemente risposta, e la cosa lo frustrava.
«Jack, è un ragazzo che rimarrà qui solo per sette giorni, è un nostro fan non puoi permetterti di innamorarti di lui.»

Perché era così: Jack, lo stesso ragazzo che si vantava di andare con una ragazza diversa ogni sera, in realtà era sensibile. Poteva innamorarsi, e nemmeno con difficoltà. Forse Alex aveva semplicemente paura che l’amico avrebbe sofferto. Si disse che sì, era decisamente così. Eppure c’era qualcosa, nel modo in cui si stavano stringendo in quel letto, nel modo in cui Jack gli sembrava un cucciolo indifeso in cerca di amore, di cure, e di qualcuno che lo proteggesse, che gli suggeriva che c’era qualcosa sotto. E poi c’era quel senso di vuoto, quelle strane sensazioni che Alex non riusciva a spiegarsi.
«Alex, andiamo...»
«Capisci che lo sto dicendo per proteggerti?»
«Lo capisco Alex, ma non puoi impedirmi di fare quello che voglio. Sembra quasi che tu sia geloso.»
Geloso. Quella parola lo aveva colpito come un proiettile. Jack pensava che fosse geloso? E di cosa doveva essere mai geloso?§«Non sono geloso, non pensare queste cose ridicole. Sono il tuo migliore amico, ed è normale che io mi preoccupi per te.»
Jack dal canto suo sapeva che se avrebbe continuato a rispondere ad Alex la cosa sarebbe degenerata, avrebbero cominciato a discutere ed era fuori dai suoi piani. Voleva solo stringere il suo amico tra le sue braccia, coccolarlo ancora un po’ prima di cominciare le prove per l’imminente concerto.
«Lo so, mi dispiace. Non
penso che tu sia geloso, non avrei dovuto dirlo. Non arrabbiarti.»
Jack lo strinse ancora di più a sé, baciandogli delicatamente una guancia e affondando il viso nell’incavo del suo collo.
Alex si sciolse a quel contatto. “Fanculo.” Appoggiò la testa su quella di Jack cominciando ad accarezzargli i capelli, mentre l’altro si beava del fiato caldo del maggiore che si infrangeva sul suo collo.
 

Noah guardava i ragazzi fare le prove, seduto sul bordo del palco con le gambe incrociate. Li aveva visti dal vivo, ma pensò che quello spettacolo non era minimamente paragonabile a un concerto.
Li aveva lì, davanti a lui, tutti per sé. Non aveva gente che lo spingeva a destra e a manca, che lo soffocava, che urlava così tanto da fargli sentire la musica a malapena.
E poi, il suono era totalmente differente. Gli amplificatori non erano al massimo, ma a un volume abbastanza alto da risultare piacevole.
«I’m lost in empty pillow talks again.»
Jack suonò le ultime note sulla sua chitarra e la musica si arrestò. I ragazzi applaudirono soddisfatti del risultato, e Noah si unì all’applauso con un sorriso che partiva da un orecchio e finiva all’altro.
«Siamo fighi!» urlò Rian, lanciando le bacchette in aria e recuperandole abilmente, senza farle cadere in terra. Risero all’unisono.
Jack prese parola. «Ok, ora è il momento di…»
«Therapy.»
Lo sguardo di Alex sembrò rabbuiarsi un po’, Rian e Zack si allontanarono per un caffè, dato che avrebbero presentato una versione acustica per quel concerto.
Il moro cominciò con i primi accordi, concentrandosi un po’ più del solito. Era la prima volta che la suonavano completamente acustica, senza l’accompagnamento della batteria.
Alex cantò la prima strofa in modo impeccabile, lasciando trasudare un mare di emozioni dalla sua voce. Noah rimase affascinato da quella versione di una delle sue canzoni preferite, gli sembrò completamente diversa, più profonda. Cercò di trattenere le lacrime che si erano formate ai suoi occhi per l’emozione, ma una riuscì a sfuggire al suo controllo.
Fu proprio in quel momento che Jack lo guardò, e i loro occhi si incastrarono. Il chitarrista sentì una scarica di brividi percorrergli la schiena e Noah non capì più nulla. Lo sguardo di Jack lo aveva stregato già in passato, quando l’unico modo in che aveva per assaggiare un po’ di quel nettare che erano i suoi occhi era attraverso lo schermo del suo portatile; ma in quel caso era diverso. In quel secondo, i due sentirono come se qualcosa dentro di loro fosse successo, forse era quella famosa scintilla di cui si sente tanto parlare.
Fu proprio in quel momento che Jack lo guardò, e i loro occhi si incastrarono. Il chitarrista sentì una scarica di brividi percorrergli la schiena e Noah non capì più nulla. Lo sguardo di Jack lo aveva stregato già in passato, quando l’unico modo in che aveva per assaggiare un po’ di quel nettare che erano i suoi occhi era attraverso lo schermo del suo portatile; ma in quel caso era diverso. In quel secondo, i due sentirono come se qualcosa dentro di loro fosse successo, forse era quella famosa scintilla di cui si sente tanto parlare.
Jack perse la concentrazione e smise di suonare a poco a poco, sbagliano gli ultimi accordi, ma continuando a concentrarsi sugli occhi bagnati di Noah.
«Jack, che cazzo fai?»
Alex aveva assistito alla scena sentendo il vomito dietro la barriera delle sue labbra. Si sentiva in uno di quei film di metà serata in cui arrivava sempre il momento in cui il personaggio principale stava male, soffriva, cadeva in depressione.
Urlò quelle parole come se non fossero realmente una domanda, in realtà era solo un’affermazione a se stesa, un comando negativo, come se dire quelle parole sarebbe stato abbastanza da fargli aprire gli occhi e far smettere quello stato d’animo che lo perseguitava da mesi.
Tuttavia Jack non si era accorto della sua richiesta, del suo grido d’aiuto. Aveva continuato a guardare Noah ancora un po’, come stregato, ammaliato, caduto nel buco del terreno come Alice e finito nel paese delle meraviglie. La differenza era semplicemente una: la situazione sarebbe finita senza la candida consapevolezza che era stato solo un sogno, niente di reale a cui appoggiarsi. La situazione sarebbe finita con un Jack sanguinante che saluta per l’ultima volta il ragazzo che gli ha fatto battere il cuore per una settimana.
Jack si stava innamorando, e Alex lo riconosceva. Lo riconosceva e riconoscerlo non gli dava pace. Sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo respirare, lasciarlo sbagliare. Per quanto il pensiero fosse confortante, Bassam non era più un bambino a cui imparare a vivere, a cui regalare caramelle. Bassam era un ragazzo di 24 anni ed era giusto che facesse le sue scelte, che buttasse il suo cuore in balia di uno squalo che nella sua mente appariva come un curioso delfino che gli prometteva di non fargli del male.
Ma Alex sapeva che gli avrebbe fatto del male. Noah non era cattivo, e questo lo aveva capito dal momento in cui aveva guardato nei suoi occhi; ma Noah se ne sarebbe andato, Noah non avrebbe fatto parte della loro vita. Noah era un vento di passaggio proveniente da ovest che alla prima ondata di caldo sarebbe sparito, lasciandoti mendicante di quella sensazione di fresco e di vivo.
E lui sapeva cosa significasse stare con una persona lontana, una persona che puoi ritenerti l’uomo più fortunato del mondo se la vedi mezz’ora al mese. E faceva male, ti faceva sentire vuoto.
Aveva provato tutte quelle cose, sapeva come sarebbe stato, e voleva evitarglielo.
Pensò a Lisa, e il pensiero non gli suscitò assolutamente niente. Si era accorto che non gli mancava, che non aveva voglia di tenerla stretta e addormentarsi al rumore del suo respiro che gli si infrangeva sul petto.
Si spaventò dannatamente a quel pensiero.
Alex non amava più Lisa.
Attaccò a correre, e solo in quel momento Jack sembrò ricordarsi di essere nel bel mezzo delle prove.
«Alex!»
Il biondo non lo stette a sentire, corse ancora più veloce, più veloce di quando non avesse mai fatto in tutta la sua vita.
«Scusami.»
Jack aveva guardato Noah per un’ultima volta, ed era corso dietro al suo amico, Si guardò intorno, ma non lo trovava. 
Alex se ne era andato. Non solo dalle prove, ma da lui.

Alex si rinchiuse nel bagno di servizio, rannicchiandosi su se stesso e facendo una cosa che non faceva da anni.
Aveva pianto.
Era scoppiato in lacrime senza riuscire a smettere, sentiva quel dolore al petto causato dalla mancanza di respiro. Non riceveva ossigeno, respirava il sale delle sue lacrime.
Aveva voglia di gridare, di spaccare qualcosa. Di mandare a fanculo l’intero universo. Di lasciare la band, di non fare quel cazzo di concerto quella sera.
Lui non amava più Lisa.
Si era accorto che in realtà quella faccenda non era un puzzle a cui mancava un pezzo: era come un puzzle di cui erano stati messi insieme solo i bordi, solo l’azzurro del cielo e il verde del prato, ma a cui mancava la parte centrale, la sostanza dell’immagine.
Lui non amava più Lisa.
Capirlo era come aver aggiunto un quarto di puzzle.
Ora si vedeva la casa, ma mancava ancora il resto del paesaggio.
«Fanculo!» Alex tirò un pugno contro la parete, contro se stesso.
Non c'era niente che andasse bene, niente che lo rendesse felice. Era arcistufo di sentirsi in quel modo, di sentirsi incompleto. Era arcistufo di vedere Jack innamorarsi di quel bell'imbusto che chi cazzo di credeva di essere per portargli via Jack, il suo Jack.
«Io lo ammazzo.» sussurrò tra sé e sé «Io lo uccido cazzo.»
Alex spalancò gli occhi, sentendo due braccia cingerlo dolcemente da dietro, e il mento di qualcuno appoggiarsi sulla sua spalla.
«Calmo Lexie.»
Jack lo cullò un po' tra le sue braccia, facendolo girare così da poterlo guardare in faccia. Aveva gli occhi gonfi di pianto, le vene del collo gonfie. Guardò attentamente nei suoi occhi, erano tristi, stanchi. Alex era distrutto dentro.
«Ora mi racconti cosa succede.» non usò un tono severo, ma la sua voce era abbastanza ferma e convinta da far capire ad Alex che era arrivato il momento di parlare. Sospirò, buttando fuori la maggior parte della storia, ma omettendo dei “piccoli” particolari.
Tipo il fatto che non capiva perché provasse quella frustrazione nel vedere Jack innamorarsi di Noah.
Jack lo guardò senza sapere cosa dire.
«Non ami più Lisa?»
«No.»
Jack lo guardò con uno sguardo che Alex non decifrò completamente. Era un misto tra la confusione e la serietà.
«Ed è per questo che ti comporti così solo perché mi piace Noah?»

Note: non sono molto convinta di questo capitolo, ma spero vi piaccia ugh.

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Capitolo 5
*** Give me therapy. ***


Give me therapy.


Alex abbassò lo sguardo per evitare che Jack gli leggesse la risposta negli occhi.
Stava arrivando a capo di tutto. A quel senso di vuoto, a quella sensazione che mancasse sempre qualcosa nella sua vita. A quella sensazione di non essere a posto così, a quella sensazione che aveva quando Jack gli si accoccolava al petto e nella sua mente la parola “amici” risuonava. Non ci aveva pensato molto allora, ma stava iniziando tutto ad avere senso. Ad avere un senso che non gli piaceva per niente, un senso che non era quello giusto. Pensava che doveva esserci per forza qualcos'altro sotto, ma si sentiva solo che patetico. Per tutto quel tempo era semplicemente scappato dalla realtà, perché era più facile che accettarla, imparare a conviverci. Per tutto quel tempo aveva semplicemente avuto paura di stare male senza capire che era proprio la paura stessa a ferirlo, a costringerlo, a non farlo essere ciò che era. Lui era Alex Gaskarth, ed era fottutamente innamorato del suo migliore amico.
In quel momento il puzzle nella sua testa si completò, non c'erano pezzi mancanti. La casa era intera e le montagne dietro erano distintamente visibili.
Il suo vuoto era dato da Jack. Perché non gli bastava più la loro semplice amicizia. Perché quei momenti così intimi con lui non li adorava perché era il suo migliore amico o puttanate varie. Lui amava Jack, ma non lo aveva nella maniera in cui lo voleva.
«Cosa c'entra il fatto che non amo più Lisa con il fatto che ti piace Noah?»
“Bugiardo, lo sai benissimo.”
«Non lo so Alex. Prima ti comporti in modo strano, ti arrabbi se per scherzo ti chiedo se sei geloso. Poi mi dici che non ami più Lisa. Cos'è, ti sei innamorato di me per caso?»
Alex poté sentire il sangue defluirgli dal corpo, era sicuro di essere sbiancato. Dannazione.
Restò immobile. Cosa doveva dirgli? Era ovvio che doveva mentirgli, ma con quale coraggio? In tutti gli anni che si conoscevano non gli aveva mai detto nemmeno l'ombra di una bugia, non era sicuro che ci sarebbe riuscito. Ma doveva farlo, doveva riuscirci per non rovinare la loro amicizia.
«Alex?»
«Jack, pensi davvero questo? Senti, è semplicemente un brutto momento per me. Non c'entra il fatto che ti piaccia Noah. Se sono così protettivo con te è perché so che starai male perché Noah non fa parte del nostro mondo. Lui non ci sarà e tu ci soffrirai come un cane a non vederlo più, sto cercando di salvarti da questo, perché so cosa si prova.»
Il moro sospirò, appoggiando la schiena contro il muro e passandosi una mano sul viso. Rimase in silenzio, e il biondo prese di nuovo la parola.
«Ci sono passato tutto questo tempo con Lisa, Jack. So quanto faccia schifo amare una persona e non poterla avere. Perché sì, io e Lisa stiamo insieme da anni ma non è abbastanza. Tutti abbiamo bisogno di avere la persona che amiamo qui, al nostro fianco. E quando non c'è, e sai che non è possibile che ci sia, ti senti una merda. Ed è forse per questo che non la amo più. Perché il mio spirito di sopravvivenza ha sovrastato l'amore, e da una parte è giusto. Forse troverò qualcuno che potrà stare con me ventiquattro ore su ventiquattro, forse non lo troverò. Ma per ora è meglio così. So che devi fare i tuoi errori, e so anche che non posso impedirti di farli perché sarebbe la cosa più sbagliata che potrei fare, ma se mi comporto così è solo perché mi dispiace. Non giudicarmi male solo perché sei la cosa più importante della mia vita e voglio il meglio per te.»
Il minore guardò l'altro uscire, lasciarlo lì. Jack si sentiva completamente vuoto. Si sentiva insignificante, un fallimento, una merda totale. Sapeva benissimo che Alex aveva ragione su tutto, che si stava facendo un'idea sbagliata dei suoi comportamenti in testa. Ma quell'idea sbagliata era, da un certo punto di vista appagante.
Si avvicinò al lavandino per sciacquarsi il viso e guardò il suo riflesso allo specchio.
«Stai facendo una cazzata, amico.»


«Spero che vi siate divertiti questa sera! Siamo giunti al termine, vorrei davvero che questo momento potesse durare ancora per molto, ma purtroppo tutte le cose belle finiscono, ed è giusto così.» Alex fece un grosso respiro, guardando la folla mostrando un pizzico di entusiasmo in più di quello che aveva realmente. «Vedete, a volte la realtà in cui viviamo fa schifo, a volte non ci accettiamo e non veniamo accettati, e cerchiamo di fuggire via dalla realtà, viviamo con la paura che questa possa sopraffarci, ferirci. Ma sapete, ho capito una cosa. E' la paura stessa a farci stare male, a impedirci di vivere come vogliamo. Tutti dovremmo imparare a vivere le cose così come sono, a pensare “hey, se succederà succederà, è inutile stare a preoccuparmi quando non posso sapere cosa accadrà fra un'ora”, perché se viviamo ogni giorno nella paura di qualcosa che potrebbe non succedere, allora non viviamo, ci annulliamo, e stiamo male inutilmente. Quindi invito tutti voi, qualsiasi realtà stiate vivendo, a prendere un respiro e lasciare che il resto venga facilmente.» rise, divertito per il riferimento alla sua stessa canzone. «E soprattutto ad essere voi stessi, perché voi siete le persone più belle del mondo, e troverete sempre un amico pronto ad accogliervi in me, e nel resto degli All Time Low. Forse non possiamo essere presenti fisicamente, anche se vorremmo tanto abbracciare singolarmente ognuno di voi, ma la nostra musica vi accompagnerà in ogni momento, in ogni lacrima e in ogni sorriso. Perché noi vi amiamo, e vi dobbiamo la vita. Grazie a tutti voi per averci resi ciò che siamo oggi, senza di voi noi non saremmo niente. Veniamo a noi. Questa canzone parla dell'incubo di tutti i ragazzi, quando le persone ti dicono che hai bisogno di aiuto mentre tutto ciò che vorrebbero è un abbraccio
Un boato si alzò tra le lacrime della folla, che poteva immedesimarsi perfettamente nelle parole di Alex. Era la magia degli All Time Low, la magia della propria band preferita. Quella che ti da la forza di andare avanti quando tutto sembra nero, quando non ti sembra ci sia via d'uscita. Quando quella band, quei ragazzi, ti salvano dalla distruzione interiore, dalla lotta contro te stesso. Ti danno un motivo per non mollare, per affilare gli artigli e iniziare a graffiare. Ti danno un motivo per pensare al futuro, per pensare che le cose andranno meglio. Le lacrime di tutte le persone presenti avevano un DNA diverso, ma si univano nello stesso amore. Evaporavano insieme allo stesso cielo, che conteneva le speranze di tutte le anime spezzate, di tutte le preghiere fatte, di tutte le notti in bianco passate a chiedersi perché. I corpi avevano una fisionomia diversa ma tutti erano incollati allo stesso terreno, nello stesso spazio davanti al palco, nello stesso frammento di tempo, negli stessi elementi che contenevano tutte le urla e le chiavi girate delle proprie camere, che contenevano il volume di ogni stereo alzato al massimo nella speranza di essere invisibile. Erano tutti diversi, ognuno con storie simili ma con mille sfumature troppo estranee per essere uguali, ma condividevano la stessa emozione in quel momento. Tutti avevano cercato di spiegare quella sensazione a parole ma nessuno ce l'aveva mai fatta. Chi non passa quei momenti non può capire cosa si prova. Non può capire che quella non è solo una band, non sono solo strumenti, non è solo musica. Chi non passa quei momenti, non sa cosa si prova a sentirsi a casa, a sentirsi protetti, a sentirsi capiti, a non sentirsi per una volta nel posto sbagliato, di non sentirsi per una volta estranei al mondo. Tutte quelle persone avrebbero ringraziato tutti i momenti brutti per averli resi quello che saranno fra anni, ma il presente era un altro discorso. Il presente lacera l'anima, ti fa sentire senza forza, impotente, incapace.

Ma come aveva detto poco prima, non serve a niente scappare dalla realtà perché quando trovi un vicolo cieco e sbatti la testa, sei costretto a voltarti, a tornare sui tuoi passi, ad affrontare tutto ciò da cui sei scappato. Ed è anche peggio che affrontarlo quando ti si presenta davanti per la prima volta, perché sei costretto a rivivere tutto da capo, a scavare nella tua mente ricordando le cose che vorresti cancellare per sempre. Ma è inevitabile. Non si può scappare dai problemi, perché ti si ripresenteranno sempre davanti quando meno te lo aspetti. Non c'è un posto in cui scappare, non c'è qualcosa da lasciare, c'è solo un muro da scalare: le prime volte ti sembra impossibile, troppo difficile; ma mano a mano diventa sempre più facile. E così è la vita. Non cambia la gravità degli avvenimenti, ma solo il modo in cui li guardi.
A quei pensieri Alex si girò a guardare Jack, che suonava le prime note di quella canzone con la sua chitarra acustica. Therapy era sempre stato uno dei punti deboli di Alex. Non sapeva esattamente per chi l'aveva scritta, a chi aveva dedicato quella frase, “you were never a friend to me”. A volte pensava che non ci azzeccasse nulla con il vero significato della canzone.
Il moro era abbastanza vicino a lui da permettergli di vedere le lacrime di sudore scendergli sul collo, sapeva che continuare a fissarlo non era una buona idea, a giudicare dalla folla. Alzò lo sguardo e guardò tutte quelle persone, chiedendosi cosa pensassero su lui e Jack. C'erano un sacco di storie sulla Jalex, il loro nome di coppia, ma pensavano davvero che ci fosse qualcosa tra loro? Oppure erano solo fantasie che tutti sapevano infondate? E in ogni caso, per quale motivo la gente pensava che stessero bene insieme? Era vero? Scosse la testa, cercando di tornare a concentrarsi sulla canzone. Doveva iniziare a cantare. Deglutì.
«My ship went out in a sea of sound, when I woke up alone I had everything. A hand full of moments I wish I could change, and a tongue like a nightmare that cut like a blade.»
Alex guardò di sottecchi Jack, impegnato a dare il meglio di se con quella chitarra. Ricordò i primi giorni della band, quando non erano altro che un branco di idioti che cercava di fare il loro meglio per divertimento, che non avrebbero mai creduto di poter arrivare fino a quel punto. Sorrise, continuando a cantare.

«My lungs gave out as I faced the crowd, I think that keeping this up could be dangerous.»
Nella testa di Alex cominciavano a ricollegarsi delle cose. Tipo quando, pochi minuti prima, si era costretto a distogliere lo sguardo da Jack perché non era una buona idea, a giudicare dalla folla. Era lo stesso concetto che esprimeva quella riga della sua canzone.
In realtà Therapy era molto più di una canzone per lui. L'aveva scritta così, facilmente, senza bisogno di pensare due volte alle parole. C'era tutto il suo cuore lì dentro, ma c'erano delle cose che lui stesso non riusciva a comprendere. Quelle righe, che gli erano venute così naturalmente, a chi erano indirizzate? Aveva sempre pensato che non c'era apparentemente un destinatario, che erano semplicemente parole, ma stava cominciando a ricredersi.
«Therapy, you were never a friend to me, and you can take back your misery.»
Guardò nuovamente Jack.
Lui non amava più Lisa.
Lui aveva capito che Jack non era solo un amico per lui.
Si fermò a pensare. Senza continuare la canzone. Attirando lo sguardo di Jack che si voltò per vedere cosa ci fosse che non andava.
I loro occhi si incastrarono, e dei piccoli brividi si impossessarono del biondo.
You were never a friend to me.
Alex aveva davvero amato Jack per tutto quel tempo senza mai rendersene conto?
.
Ed ecco spiegato perché era stato con Lisa quel tempo, senza avventurarsi in nuove e improbabili relazioni. Perché Lisa serviva a riempire quel vuoto che Jack non avrebbe mai colmato. Lui aveva inconsciamente usato la ragazza per tutto quel tempo, per stare meglio, per non affogare in quell'amore impossibile. Gli era andata bene in tutti quegli anni, ma ora? Ora che aveva scoperto tutto, come avrebbe fatto a continuare quella farsa? Non avrebbe mai potuto. Sarebbe stato inutile, non gli sarebbe più servito a niente. Non ne sarebbe più stato capace.
Si sentì come se gli fosse crollato addosso un muro, come se la sua vita fino a quel momento si fosse cancellata e si ritrovasse ad iniziare da capo. Tutto.
Abbassò lo sguardo, sentendo la sua voragine di vuoto ampliarsi a dismisura e mangiargli l'anima. Trattenne le lacrime, mordendosi un labbro. Aveva la testa bassa, lo sguardo fisso sulle sue scarpe, ma poteva percepire il silenzio che lo circondava, lo sguardo dell'altro su di lui. La perplessità del pubblico. Stava deludendo tutti in quel momento, e non poteva permetterselo.
Riprese a cantare, mormorando le prime parole senza accompagnamento strumentale, dato che non aveva dato cenno al chitarrista di ricominciare.
Lo spettacolo riprese, e il ragazzo ringraziò mentalmente che quella canzone fosse l'ultima della serata. Era stata una giornata pesante, non voleva davvero avere altre sorprese su quel palco. Voleva solo uscire di scena, salutare tutti e andarsene a dormire, sperando che il sonno potesse lavargli la mente e far sparire tutti quei pensieri.
«Buonanotte! Ci vediamo al prossimo show!»
Alex mise su un finto sorriso e alzò le braccia al cielo, godendosi le urla del pubblico. I ragazzi lasciarono il palco, ritrovandosi nel backstage circondati da persone che gli offrivano acqua e asciugamani per il sudore.
Era una loro usanza festeggiare dopo ogni concerto, per rendere grazie a quella fortuna, per dimostrare che non davano nulla di tutto ciò per scontato. Il biondo non era perfettamente nelle condizioni di festeggiare, ma si fece coraggio e mise su nuovamente un finto sorriso. I suoi compagni erano ancora estremamente elettrizzati e continuavano a schiamazzare su quanto fosse stato galattico quel concerto. Lui se ne stette in silenzio, annuendo di tanto in tanto giusto per far vedere che era ancora vivo. Stavano per avviarsi al loro camerino quando Noah comparve davanti a loro con un sorriso a trentadue denti in faccia, evidentemente emozionato anche lui. Il sorriso – per quanto finto – scomparì dalla faccia di Alex nel tempo di un secondo. Si era quasi dimenticato della sua presenza. Tutto d'un tratto quella forza che si era fatto per festeggiare con gli altri scomparve del tutto. Non aveva nessun voglia di vedere Jack e Noah filtrare palesemente davanti a lui, ma a quanto pare era inevitabile. Infatti Jack corse ad abbracciare il ragazzo stringendolo come se fosse effettivamente il suo fidanzato, mentre Zack e Rian continuarono a camminare nella direzione opposta, verso il loro camerino, dove avrebbero aspettato gli altri tre. Noah e Jack si scambiarono un casto bacio sulle labbra, e Alex avrebbe potuto giurare di aver sentito il rumore del suo cuore rompersi nel preciso istante in cui le labbra di Jack si erano posate su quelle dell'altro, di un altro che non era lui. Si sentì montare dentro una strana sensazione. Non era solo gelosia, era qualcosa di più. Sì sentiva triste, estremamente demotivato e scoraggiato. Come se stesse correndo verso qualcosa senza accorgersi che ad ogni suo passo avanti, quella ne facesse due indietro. E quel qualcosa era Jack. Jack non provava nessun sentimento per lui, e doveva farsene una ragione. Erano migliori amici da praticamente tutta la vita, Jack era gay e non aveva mai mostrato nessun tipo di interesse verso di lui, e questa era una risposta sufficiente. Il biondo alzò lo sguardo sui due che parlavano felicemente. Pensando di non essere notato, prese a camminare via, lontano da loro, lontano dal dolore che Jack gli stava causando semplicemente parlando con lui. Raggiunse il tour bus camminando a testa bassa, con le mani nascoste nelle tasche e le lacrime incastrate tra le ciglia. Stava combattendo davvero tanto contro se stesso per non lasciarle scendere. Non voleva essere così vulnerabile, così debole e in cerca di amore. Voleva solo tornare nella sua ignoranza, tornare a quella normalità in cui credeva ancora di essere innamorato di Lisa e di nutrire nient'altro che amore fraterno per il suo migliore amico, tornare a quella normalità dove tutto andava bene e non aveva bisogno di scappare da Bassam ogni qual volta parlasse con un ragazzo che non era lui.
Si chiuse la porta del tourbus alle spalle, accasciandosi contro di essa e prendendosi la testa tra le mani.
Come avrebbe fatto a sopravvivere?


«Jack, dov'è Alex?»
Noah mise su uno sguardo serio, notando che il biondo non era più tra loro.
Jack si girò e i due si guardarono confusi. Jack scrollò le spalle. «Sarà stanco, probabilmente è tornato al tourbus a riposare.»
Noah annuì alle sue parole, ma qualcosa non gli quadrava del tutto. Da fuori, Alex gli era sempre sembrato una persona allegra, sorridente anche davanti alle situazioni peggiori. Bastava guardare il suo comportamento mentre cantava Lullabies ai concerti. Si vedeva palesemente che era sul punto di piangere, di spezzarsi davanti a quella sofferenza, ma continuava a sorridere, a fare finta che la questione non lo toccasse più come all'inizio, quando invece il dolore nei suoi occhi era visibile e traforante anche attraverso lo schermo di un computer. Lo aveva sempre ammirato, e non voleva davvero venire a scoprire che l'immagine che aveva sempre avuto di lui era falsa, non voleva scoprire che in realtà Alex era tutto il contrario di quello che aveva sempre creduto fosse, cioè fragile, depresso, in fuga dal mondo. Noah sapeva che lui non era così, ed era determinato ad andare in fondo a quella faccenda. I suoi testi lo avevano sempre aiutato nel momento del bisogno, ed ora era arrivato il momento di ripagarlo, di fare lui qualcosa per Alex.
Le braccia di Jack lo distolsero dai suoi pensieri. Si accoccolò a lui lasciandogli un bacio sulla guancia.
Le cose tra lui e Jack erano successe così, naturalmente. Dopo che era corso via dalle prove, lo aveva trovato nel bagno sull'orlo della disperazione. Lo aveva abbracciato incitandolo a raccontargli cosa fosse successo, e questo parlò, raccontandoli le cose a grandi linee, ma gli andava bene così. Sapeva che il rapporto che aveva con Alex era intoccabile, quindi non fece ulteriori pressioni sull'argomento, non erano fatti suoi in ogni caso.
Lo aveva rassicurato, dicendogli che andava tutto bene, che lui c'era. Il moro aveva alzato lo sguardo e i loro occhi si erano incastrati nuovamente, e poi il resto era semplicemente venuto facilmente. Le loro labbra si erano incontrate e i fuochi d'artificio erano scoppiati dentro ogni fibra del suo corpo e della sue anima.
Ed ora erano lì. Non sapeva se fossero effettivamente una coppia, e anche se lo sperava davvero tanto sapeva che ci sarebbero stati mille ostacoli da affrontare, e il primo si sarebbe verificato fra pochi giorni, quando lui se ne sarebbe dovuto andare via per tornare alla sua monotona realtà, con in mano soltanto un mucchio di ricordi che sapeva non si sarebbero mai affievoliti, in qualsiasi modo le cose tra lui e Jack sarebbero andate dopo la loro separazione.
Ma in quel momento non aveva tempo di pensare a loro, avevano davanti tutti il tempo che volevano per parlarne. Ora aveva in mente solo Alex, voleva davvero aiutarlo.
«Jack, Rian e Zack ti stanno aspettando. Vado a chiamare Alex, magari è fuori a fare una telefonata.»
Il maggiore annuì, lasciandogli un altro casto bacio sulle labbra e scomparendo nel camerino.
Noah sospirò, cominciando a camminare verso il tourbus dove sapeva – senza un'apparente spiegazione logica – avrebbe trovato Alex.


Alex era ancora seduto sul pavimento del tourbus quando sentì qualcuno bussare. Non era decisamente in vena di visite, ma doveva costringersi a indossare di nuovo quella maschera di finta serenità.
«Chi è?»
«Alex, sono io, Noah.»
Il biondo si sentì mancare, era sicuro di essere sbiancato. Cosa voleva da lui?
Aprì il portellone trovandosi davanti il ragazzo con un'espressione indecifrabile sul volto. Senza parlare si spostò per farlo entrare, chiudendosi il portellone alle spalle.
«In cosa posso aiutarti?»
Lo guardò prendere posto sul divanetto nero, raggiungendolo ma rimanendo in piedi.
«Vorrei parlarti.»
Sospirò mentalmente, abbandonandosi all'idea che la cosa sarebbe stata lunga, quindi tanto valeva mettersi comodi. Prese posto sul divano di fronte a quello dove era seduto l'altro.
«Di cosa vuoi parlarmi?»
Cercò di suonare il più normale possibile, ma con vani risultati. Sperò solo che Noah non avesse colto la scocciatura nella sua voce.
«Cosa ti succede, Alex?»
«Cosa dovrebbe succedermi?»
Si agitò un po' a quella domanda, cominciando a torturarsi le mani. Era una cosa che faceva involontariamente quando era nervoso.
«Sei strano. Sei triste. Qualcosa ti turba.»
«Non sono triste, ne tantomeno qualcosa mi turba.»
«So che non sono fatti miei, quindi non sei obbligato a dirmelo. Ma ti prego, non mentirmi. Riesco a percepire che qualcosa non va. Io vorrei davvero aiutarti.»
A quelle parole Alex sentì la rabbia invadergli la testa. “Vuoi davvero aiutarmi? Allora vattene a fanculo e ridammi il mio Jack.“
«Ok va bene, ho semplicemte discusso con Jack ok? Niente di grave.»
Noah lo guardò fisso negli occhi, cosa che snervò ancora di più il biondo. Non riusciva a reggere quello sguardo, ma non voleva essere lui ad arrendersi. Stava prendendo quella cosa troppo come una competizione, nonostante sapesse di aver perso in partenza.
Il moro si alzò, avviandosi alla porta. Alex lo guardò confuso. «Dove stai andando?»
«Recentemente le fiamme stanno perdendo il controllo, eh Alex?»
Noah uscì dal tourbus, lasciando un Alex estremamente confuso e impaurito.
Come faceva a saperlo?

Note: bene, ed ecco a voi un altro capitolo! Spero davvero vi piaccia e sì, mi sono inventata un Therapy speech di sana pianta, sperando che non faccia troppo schifo cc
Comunque volevo ringraziare tutti voi che leggete e recensite la fanfiction, perché insieme agli "allegri" avvenimenti di queste due checche, leggete anche una grandissima parte di me. Sto mettendo anima e cuore in questa storia e molti dei sentimenti e delle riflessioni di cui ho scritto li ho provati sulla pelle, anche se in circostanze diverse. Sappiate che lo speech di Therapy che ho scritto, nonchè la parte seguente, la dedico a tutti voi, perché appunto qualsiasi realtà stiate vivendo dovete prendere un respiro e lasciare che il resto venga facilmente, come dice il nostro Alex. Spero di essere stata un po' di aiuto con le mie parole, almeno per qualcuno di voi. Siete tutti stupendi, grazie per le magnifiche recensioni, spero di non deludere le vostre aspettative. 
Un bacione enorme a tutti voi. 


 

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Capitolo 6
*** You're just a daydream away. ***


You're just a daydream away.


Jack controllò meticolosamente l'ora sull'orologio a parete della stanza per la terza volta nell'arco di sette minuti. Ogni volta sembrava passare un intervallo di mezz'ora, quando in realtà erano passati solo pochi minuti. Aveva l'impressione che il tempo si fosse fermato soltanto per torturarlo e fargliela pagare per qualcosa che lui proprio non capiva. Rivolse uno sguardo a Rian e Zack, evidentemente troppo ubriachi per ricordarsi anche solo i loro nomi. Sorrise alla scena prendendo un sorso della sua birra, non precisamente dell'umore di unirsi ai suoi due amici in qualche pazza nottata. Il suo sguardo finì nuovamente sull'orologio, che segnava a malapena la mezzanotte, e in seguito sul corpo di Noah, in piedi davanti a lui con un un drink che Jack non identificò propriamente, non che la curiosità di sapere cosa fosse lo stesse torturando. Il moro si sedette affianco a lui accoccolandosi al suo braccio, e lui gli accarezzò i capelli dolcemente, sorridendo a malapena. Il minore alzò lo sguardo, contemplando il suo sorriso meraviglioso. Non poteva ancora credere a quella sua fortuna, gli sembrava ancora di essere nel più meraviglioso dei suoi sogni, tra tutti gli incubi.
Jack ricambiò lo sguardo e incollando le labbra a quelle di Noah. Era felice con lui, ma qualcosa semplicemente non quadrava del tutto. Non provava più le stesse emozioni di quel pomeriggio, quando i suoi occhi si erano persi in quelli dell'altro e aveva sentito le scosse percorrergli interamente il corpo, facendogli rivalutare il colpo di fulmine. Continuò a baciare passionalmente l'altro, ma era come se non lo stesse facendo. Tutto gli appariva come una realtà parallela, forse per colpa in parte dell'alcol. Si sentiva come se quel contatto non stesse nemmeno accadendo, come se fosse in dormiveglia e stesse sentendo addosso il peso delle azioni che stava compiendo nel suo sogno. Si staccò da lui, che continuò a stargli vicino.
La sua mente nuotava in una marea di pensieri, tanto che aveva paura di annegare. Non sapeva perché fosse successo tutto così, fino a poche ore fa Noah gli era sembrata come la persona giusta per tutta la vita, come se volesse lui e solo lui. Ma poi era come se un qualche avvenimento gli avesse scombussolato l'anima, svegliandolo da quel sonno che lo rendeva cieco. Il problema era semplicemente che non capiva quale quell'avvenimento fosse. Quando per la prima volta lui e il minore si erano trovati, non aveva provato assolutamente niente, se non calore nelle sue labbra. Niente stomaco attorcigliato, niente brividi, niente amore. Era un rapporto vuoto, ma forse era solo perché in realtà il suo cuore era impegnato a pensare a tutto ciò che era successo con Alex. Due giorni erano bastati per scombussolargli l'intera vita. Cosa sarebbe successo con Alex? Sarebbero rimasti senza parlarsi per molto? Alex lo odiava? Perché si comportava così?
Jack si sentì male a quei pensieri, era come se il loro rapporto si fosse incrinato. Fino a pochi giorni fa, riusciva quasi a leggergli nella mente e ora non riusciva nemmeno a capire i suoi comportamenti; qualcosa era cambiato, e il pensiero lo tormentava. William era la cosa più bella che gli fosse capitata nella vita, la sua ancora, la sua forza, la sua vita sopra tutto, e non poteva permettersi di perderlo senza fare niente.
Nel backstage lo aveva lasciato andare pensando che volesse stare semplicemente da solo, ma aveva guardato scrupolosamente ogni suo passo, e a ognuno di questi gli sembrò sentire la terra tremargli sotto i piedi, e una voragine aprirsi in mezzo a loro due. Avrebbe dovuto corrergli appresso e stringerlo tra le sue braccia, ma non lo aveva fatto. Non lo aveva fatto e non ne capiva assolutamente il motivo, altra prova che qualcosa tra loro fosse cambiato. Jack aveva paura che quello fosse l'ultimatum e che le cose non sarebbero più tornate come prima. Trovava quei pensieri un po' stupidi, dato che lui e il suo migliore amico avevano litigato milioni di volte e il loro rapporto si era solo che fortificato.
Ma quella volta era diverso, riusciva a percepirlo, se lo sentiva nelle ossa. Non si erano urlati contro, non si erano lanciati oggetti random. Si erano scontrati silenziosamente, senza esprimersi a voce. Si erano feriti senza usare oggetti,, o forse era solo lui a farsi paranoie inutili.
Ma se erano solo paranoie, perché Alex non era lì, con loro, a festeggiare? Perché si era allontanato senza più tornare?
Chiuse gli occhi. Senza più tornare. Era davvero quello il modo in quei dovevano andare le cose?
Se lui e Alex non si fossero più nemmeno guardati in faccia, le cose avrebbero avuto conseguenze troppo grandi da portarsi in spalla. Cosa ne sarebbe stato della band? Si sarebbero sciolti? Come poteva Jack permettere questo, solo perché le sue gambe non volevano scollarsi dal divano per andare a parlare con Alex e risolvere tutto?
Ma sarebbero bastate le parole?
Sentì gli occhi velarsi di lacrime, ma li strizzò impedendogli di uscire. Non voleva perdere Alex, anzi, non poteva perderlo, per nessuna ragione al mondo. Mando mentalmente a fanculo le sue gambe, e si costrinse ad alzarsi da quel divano che lo stava inghiottendo, dividendolo da Alex.
«Dove vai?»
Ecco, si era dimenticato quel piccolo particolare che era Noah. Avrebbe dovuto dirglielo? Infondo non stava facendo nulla di male se non andare a chiarire col suo migliore amico.
Ma un campanello di allarme gli suonò in testa avvertendolo che non era una buona idea. Seguì il suo istinto e gli mentì, dicendogli che si sentiva la testa scoppiare e che aveva bisogno di silenzio e riposo. Pregò mentalmente che non gli chiedesse di andare con lui e la fortuna quella sera sembrò essere dalla sua.
Inspirò profondamente l'aria fresca della notte e camminò fino al loro hotel. Raggiunse la camera di Alex e bussò piano.
«Alex, sono Jack.»
Nessuna risposta. “Perfetto, non vuole vedermi.”
Riprovò una, due, tre volte ma nulla. Aggrottò le sopracciglia, Alex non era così infantile da non rispondergli in quel modo, che stesse dormendo?
O forse non era in albergo.
Jack era ufficialmente confuso. Decise di scendere in reception per chiedere se fosse rientrato, ma la risposta fu negativa.
Imprecò mentalmente ma poi si sentì quasi mancare. Alex era solo, chissà dove a fare chissà cosa, di notte.
La mente di Jack cominciò ad immaginarsi le peggiori situazioni e si sentì terribilmente in colpa. Avrebbe dovuto fermarlo quando era in tempo, nel backstage, invece di comportarsi da bambino immaturo.
Perlustrò tutto il cortile dell'albergo ma non c'era traccia del suo amico. Poteva essere ovunque, da dove poteva cominciare?
«Dannazione.»
Girò per un circa un'ora, tornando anche al locale di prima e all'arena del concerto, ma invano. Stava iniziando seriamente a preoccuparsi.
Si sedette su una panchina e prese il telefono. Aveva già provato a chiamarlo ma era spento. Si prese il viso tra le mani, sprofondando nella propria disperazione.
Non riusciva mai a pensare alla probabilità positiva; se c'era un 50% di probabilità positivo e un 50% negativo, lui si aggrappava automaticamente all'ultima metà, senza poterci fare niente. Era automatico e inevitabile, e lo odiava. Voleva vedere il lato positivo delle cose almeno in quell'occasione.
Sì ricordò di quella volta nel tourbus, quando c'era stato un guasto e tutti...
«Ma certo!»
Il moro si alzò e cominciò a correre il più veloce possibile verso il parcheggio, doveva essere lontano circa un chilometro da lì. Il pensiero di trovare Alex lo motivò a correre, nonostante la pioggia che stava cominciando a bagnarlo completamente. Sorrise automaticamente quando l'immagine dell'amico gli si materializzò davanti agli occhi, sentendo già il suo calore così familiare. Erano stati divisi solo per poche ore ma già gli mancava da morire, lui dipendeva da Alex, era la sua droga personale, non poteva pensare di vivere una vita senza di lui, piuttosto sarebbe morto.
Continuò a correre ignorando le sue gambe che gli imploravano pietà e i brividi di freddo causati dalla felpa ormai zuppa. Non poteva fermarsi, doveva continuare, doveva raggiungerlo. Doveva essere lì, per forza.

Aprì il portellone del tourbus attento a non fare rumore, trattenendo il fiatone e cercando di tornare a respirare normalmente, inspirando dal naso ed espirando dalla bocca. Si aggrappò ad un mobile piegando le gambe e il busto in avanti, cercando di recuperare un po' di energie. Si guardò intorno, ma non vedeva Alex.
La sua espressione mutò, e senti il suo cuore perdere un battuto. Ma in quel momento di silenzio, riuscì a scorgere distintamente il suono della chitarra acustica del biondo. Riprese colore a quel suono, sorridendo di nuovo.
«Mi farai morire.» sussurrò sorridendo, camminando silenziosamente fino alla zona delle cuccette e incontrando il corpo di Alex con lo sguardo. Era seduto a gambe incrociate sul suo letto, suonando dolcemente le note e cantando, nascosto nella penombra. Rimase ad ascoltarlo in silenzio.
«We would go out on the weekend to escape our busy lives. And we'd laugh at all the douche-bag guys chasing down their desperate wives. I would drink a little too much, you'd offer me a ride, and I would offer you a t-shirt, and you would stay another night...»
Il biondo mollò la presa sulla chitarra, appoggiandoci la testa. Jack non riusciva a vedere il suo viso, ma era sicuro che stesse... piangendo.
Si avvicinò cautamente e si piegò sulle sue ginocchia davanti all'altro, così da poterlo fronteggiare. Questo alzò la testa e alla vista di Jack si asciugò le lacrime. «Che cosa vuoi?»
«Perché stai piangendo?»
«Non ti riguarda.»
«Ma voglio saperlo.»
«E cosa succede se io non voglio dirtelo?»
Jack soffiò una risata.
«Succede questo.»
Il minore si buttò sopra il corpo di Alex, facendo cadere la chitarra. Cominciò a solleticarlo ignorando tutti i calci che gli stavano arrivando e le implorazioni di pace. Ascoltò la sua risata divertita e un po' infastidita e lo trovò il rumore più bello del mondo.
«Va bene va bene mi arrendo, hai vinto!»
Alex sbuffò un'ultima risata asciugandosi una lacrima dall'occhio destro, mentre Jack smetteva di solleticarlo ma rimanendo in quella posizione, sopra di lui.
Sì sentiva strano, ma uno strano piacevole, in quella posizione. Avevano dormito insieme quasi tutte le notti della loro vita, ma non si erano mai ritrovati in una situazione simile. Ma diamine, non voleva spostarsi da lì.
Alex non lo guardava, teneva la testa bassa rivolta alla direzione opposta. Jack gli alzò il viso con due dita, affogando i suoi occhi nei suoi. Nonostante il buio, riusciva a scorgerci ogni sfumatura. Ormai li conosceva a memoria, quegli occhi. Le loro labbra erano paurosamente vicine, e Bassam voleva solo affogarci dentro.
Cosa stava pensando? Alex era il suo migliore amico.
E allora perché si stava avvicinando impercettibilmente a lui?
Il maggiore chiuse gli occhi, poteva percepire il calore del suo respiro. Aspettò, ma le labbra d Jack non arrivarono. Riaprì gli occhi per trovare l'amico a pochi millimetri da lui, i loro nasi si toccavano.
«Non posso.»
Il minore si alzò dall'altro, tornando sui suoi piedi.
Ecco, quella era una delle sensazioni peggiori del mondo. Quell'imbarazzo sovrastante che si crea dopo un bacio mancato. Aggiungiamoci che il bacio mancato era tra due migliori amici da una vita.
Alex aprì la bocca per parlare ma la richiuse immediatamente, senza trovare nulla da dire. Voleva davvero sapere cosa stava succedendo, voleva davvero dire qualcosa a Jack, ma non sapeva esattamente cosa. Era confuso come mai nella sua vita, e sperò davvero che l'amico trovasse qualcosa da dire per aprire il discorso, perché se la responsabilità fosse ricaduta su di lui, allora sarebbero stati tutta la sera muti come pesci.
Jack si schiarì la gola, sedendosi ai piedi del letto, con lo sguardo basso e le dita intrecciate. Non aveva il coraggio di guardare Alex in faccia.
Aveva fatto la cazzata più grande del secolo, anzi del millennio. E anche se non era andato a fondo con la faccenda, sapeva che aveva decisamente qualcosa da spiegare.
Il problema era che non sapeva cosa spiegare e soprattutto come spiegare qualsiasi cosa fosse. Non sapeva nemmeno lui perché aveva quasi fatto quello che aveva quasi fatto, come poteva spiegarlo a qualcun altro?
La sua mente stava disperatamente cercando una risposta a tutte le domande che galleggiavano in essa, senza risultato tuttavia.
“L'award per il più coglione diasagiato dell'anno va a Jack Barakat.” sospirò. Doveva fare qualcosa in fretta e la cosa lo mandava nel panico più totale. In che razza di situazione si era cacciato?
«Umh...»
Si schiaffeggiò mentalmente. “Seriamente Jack? Umh?!”
Alex si schiarì la gola, coprendosi la bocca con un pugno.
«Credo che... dovremmo, sì insomma, beh, gli altri saranno in pensiero?»
«Uh. Credo... credo di si, è ok.»
Il minore si alzò seguito dal biondo, ed entrambi uscirono dal tourbus. Camminarono fino all'hotel appesantiti dal silenzio che regnava tra di loro. Era tutto così strano. Jack e Alex, i due idioti che non riuscivano a stare cinque minuti insieme senza ridere che camminavano silenziosamente imbarazzati. Chiunque avesse visto quella scena senza sapere, avrebbe pensato che fosse una qualche specie di strano scherzo, o che si fossero fatti di qualche sostanza altamente depressiva.
Quando raggiunsero le loro camere, entrambi si sentirono un po' sollevati, Alex meno di Jack.
Lo guardò entrare silenziosamente nella sua stanza, senza pregarlo per passare la notte con lui. Avrebbe tanto voluto che ci fosse stato un temporale improvviso così forte da causare un blackout nell'intero albergo, così l'amico sarebbe sicuramente scappato dalla sua stanza per andare ad abbracciarlo nel suo letto, tremando.
Ma purtroppo fu il rumore della porta chiudersi che lo fece risvegliare dai suoi pensieri. Si guardò intorno.
Era solo.
Chi voleva prendere in giro? Anche se fosse arrivato un uragano Jack non avrebbe scelto lui. Avrebbe sempre scelto Noah. Ora c'era lui a difenderlo, ad amarlo.
Sospirò, aprendo la porta della sua stanza per poi richiuderla delicatamente, quasi avesse paura a fare qualsiasi rumore. Si buttò sul letto affondando la faccia nel cuscino.
Il silenzio intorno a lui gli permetteva di udire chiaramente i rumori che provenivano dall'altra camera. Sentì un gemito di piacere che gli fece stringere lo stomaco. Chiuse gli occhi lasciando che le lacrime gli ustionassero le guance e si addormentò così, con gli occhi troppo pieni d'acqua e il cuore troppo pieno di un amore sbagliato.

Note: un applauso a me che ho aggiornato velocemente! *yay* Forse è un po' corto, ma non mi andava di allungarlo maggiormento perché sarei finita per ripetere le stesse cose over and over again (?) 
So che mi odierete per questo capitolo *schiva i pomodori*, ma boh, sono una che ci va mooolto piano quindi se vi stuferete di aspettare e abbandonerete la fanfiction vi capirò, davvero. *sob*

 

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Capitolo 7
*** He has got a smile on his lips and some cuts on his hips. ***


He has got a smile on his lips and some cuts on his hips.


Alex si svegliò un paio di ore dopo, e guardò l'orologio sullo schermo del suo iPhone: segnava le 4.05 di mattina.
Si mise seduto massaggiandosi la testa, strizzando gli occhi un paio di volte prima di riuscire a mettere perfettamente a fuoco le immagini davanti a lui. Si alzò facendo pressione con le mani sul materasso, camminando svogliatamente verso il bagno.
Si chiuse la porta alle spalle, facendo scattare la serratura un paio di volte, tanto per essere sicuro che nessuno sarebbe entrato. Non che fosse stato possibile comunque, visto che la porta della sua stanza era a sua volta chiusa, o almeno ricordava di averla bloccata.
Aprì il rubinetto e unendo le mani le riempì d'acqua, buttandosela poi sul viso. Ripeté l'azione altre tre volte, per poi buttare a casaccio la mano sul pomello del rubinetto per bloccare il flusso. Con l'altra mano tastò il porta asciugamani alla sua destra fino ad afferrare un asciugamano, che si portò al viso.
Appoggiò nuovamente l'asciugamano al suo posto e guardò il suo riflesso allo specchio.
Le sue ciglia erano ancora leggermente bagnate, e le occhiaie gli circondavano gli occhi, incredibilmente vuoti. Odiava il suo riflesso, odiava il suo aspetto. Si sentiva incredibilmente sbagliato, tutto in lui non andava bene.
Era sul punto di tirare un pugno allo specchio, quando si bloccò di scatto. Abbassò la testa restando con il braccio ancora in aria. Singhiozzò ancora prima che le lacrime gli uscissero dagli occhi.
Come era buffa la vita. Fino a pochi giorni prima, tutto andava abbastanza bene. Il suo senso di vuoto lo perseguitava, certo, ma ora le consapevolezze lo avevano investito completamente, e lui era stato lì fermo a guardare, come un cervo nelle luci di un autobus che si avvicina.
Buttò lo sguardo sul piccolo astuccio rosso sul bordo del lavandino. Lo prese in mano e cominciò a frugarci dentro, estraendone un piccolo rasoio da barba.
Lo guardò a lungo, per poi aprirlo ed estrarne la lama.
Se la rigirò tra le dita un paio di volte, continuando a guardarla come se la sua vita dipendesse la essa.
Con l'altra mano si sbottonò i jeans che aveva ancora addosso, abbassandoseli fino a metà coscia. Prese l'elastico dei suoi boxer e lo tirò verso il basso, scoprendo quella parte del suo corpo che evitava di guardare da almeno dieci anni. Con le dita libere si accarezzò quei piccoli segni, sentendoli ancora quasi impercettibilmente in rilievo nonostante tutto quel tempo. I brividi gli percorsero il collo, e la sua testa quasi girò.
Si portò quel pezzo di metallo, così piccolo eppure così potente, al fianco, senza esercitare nessuna pressione su di esso.
Guardò nuovamente il suo riflesso allo specchio, perdendosi nei flashback della sua adolescenza.

Alex si scontrò contro qualcuno, facendo cadere i libri che aveva tra le mani sul pavimento.
«E sta attento!» gli urlò il ragazzo a cui era andato addosso.
«S-scusami, n-non ti avevo v-visto.»
Si piegò sulle sue ginocchia per recuperare le sue cose, e si sentì scaraventato per terra, un dolore lancinante al suo stomaco.
«Non me ne frega un cazzo se non mi avevi visto. E ringrazia Dio che sono di corsa, ma sappi che non è finita qui.»
Il ragazzo si allontanò dopo aver sferrato un altro calcio al biondo, che era ancora sdraiato sul pavimento. Si rialzò trattenendo le lacrime e corse fino al bagno della scuola, Si rinchiuse in una delle celle, senza curarsi di chiudere la serratura a chiave e tirò fuori una lametta che teneva sempre in una tasca segreta della sua tracolla. La premette con forza sul suo fianco, stringendo i denti mentre il sangue non cominciò a fuoriuscirgli. Si accorse di essersi procurato un taglio più profondo del solito quella volta, ma non gli importò. Strappo un bel po' di carta dal rotolo e la premette sulla ferita.

Il moro si piegò leggermente su di se per lavarsi le mani. Maledetta ora di arte, non riusciva a tenere un pennello in mano per più di dieci minuti senza sporcarsi l'intero corpo di tempera. Alzò lo sguardo incontrando il suo riflesso. Si stava sistemando i capelli quando la sua attenzione fu catturata da uno dei bagni alle sue spalle. Dal piccolo spiraglio sotto la porta riuscì a intravedere una figura seduta in terra. Aggrottò le sopracciglia, udendo dei singhiozzi riecheggiare nella stanza.
Percorse la breve distanza dai lavandini ai servizi, bussando alla porta di quella cella occupata.
«E' tutto ok?»
Non ottenne alcuna risposta, se non dei singhiozzi ancora più forti. Si fece un po' di coraggio ed aprì la porta, trovandosi davanti una scena che gli fece gelare il sangue.
Un ragazzo biondo era rannicchiato sul pavimento, che premeva con una mano un pezzo di carta insanguinato sul suo fianco.
Entrò in quello spazio decisamente troppo piccolo per due persone e si richiuse con fatica la porta alle spalle. Si piegò sulle sue ginocchia davanti alla figura dell'altro.
«Hey, cosa ti è successo?»
Il biondo teneva lo sguardo basso, non abbastanza coraggioso di guardare in faccia chiunque l'altro fosse.
Il moro entrò quasi in panico, non avendo la minima idea di cosa fare, ma cercò di mostrarsi comunque calmo, per non peggiorare la situazione del ragazzo.
Con un coraggio che nemmeno lui sapeva di avere, prese la mano di Alex e la tolse dal suo fianco lentamente, sgranando gli occhi alla visione.
La sua pelle era quasi lacerata da un brutto taglio, profondamente rosso. Di corsa si alzò e prese altra carta, uscì dalla cella e la bagnò con dell'acqua calda, per poi tornare dall'altro.
«Farà un po' male.» lo avvertì, tamponando la carta bagnata sul taglio dell'altro, che strizzò gli occhi permettendo così a un altro paio di lacrime di uscire da essi.
Il moro continuò a prendersi cura della ferita ancora per un po', pero poi ricoprirla con un cerotto che teneva in tasca.
Alex assistette alle cure dell'altro senza muovere un muscolo, senza capire perché lo stesse facendo. A nessuno importava di come stava, quello sconosciuto doveva avere sicuramente un doppio fine.
Il ragazzo sconosciuto si alzò in piedi tendendo la mano ad Alex, che la afferrò incerto tirandosi su con poca forza o voglia. Si sistemò l'elastico dei boxer e si tirò nuovamente su i suoi skinny jeans neri, richiudendo con qualche difficoltà il bottone e tirandosi su la zip. Alex recuperò la sua tracolla e i due ragazzi uscirono, ritrovandosi nell'atrio della scuola, vuoto visto che ancora mancavano cinque minuti al suono della campanella del pranzo.
«Mia madre è infermiera e vuole che mi tenga sempre dei cerotti in tasca in caso succeda qualcosa. E' totalmente ipocondriaca.» soffiò una risata. «Non so cosa sia successo, ma se vuoi parlarne ti ascolto. Comunque io sono Jack.» disse, tendendo una mano che l'altro strinse incerto e impaurito.
«Alex.» sussurrò, correndo via un minuto dopo.


Alex tornò alla realtà, svegliato dal dolore al suo fianco destro.
«Merda!» imprecò, lanciando la lametta dall'altra parte della stanza e affrettandosi a tamponare il taglio con la carta igienica. Era così perso nel suo flashback da non accorgersi di essersi davvero tagliato.
Si rannicchiò sul pavimento come quel giorno a scuola, solo che questa volta non ci sarebbe stato Jack a baciargli le ferite.

 


Il moro si rigirò per l'ennesima volta nel suo letto, non era riuscito a chiudere occhio nemmeno per qualche minuto.
Guardò la figura di Noah dormire beatamente, appoggiata su un fianco a dargli le spalle. Percorse con due dita la linea dei suoi fianchi, per poi ritrarre la mano e appoggiarla sul suo ventre piatto. Alex gli diceva sempre che era troppo secco.
Si sentiva strano, con Noah nel suo letto. Non aveva mai dormito con nessun altro che non fosse Alex, e non aveva mai avuto rapporti sessuali con nessuno, non poteva permettersi di averne con uno sconosciuto, come invece faceva qualsiasi altro personaggio famoso. Il perché? Semplicemente non poteva rischiare che qualcuno scoprisse la sua sessualità. Non era lui ad avere problemi con essa, lo aveva accettato parecchi anni prima, ma sapeva che il suo manager non avrebbe accettato che il pubblico lo sapesse. Tutta questione di fama, di soldi. Sospirò, ripensando ad Alex e a cosa era successo poche ore prima.
Gli era venuto spontaneo baciarlo, ma si era tirato indietro, per fortuna. Aveva pensato a Noah, al suo fidanzato. Il tradimento era una cosa che aveva sempre odiato. Era viscido. Se non ami più una persona devi avere il fottuto coraggio di dirglielo, di finire una storia prima di buttarti in un'altra.
Ma lui amava Noah? No, certo che no. In realtà non era nemmeno sicuro di provare qualcosa per lui. Certo, era un bellissimo ragazzo, ma oltre all'attrazione fisica non gli sembrava di percepire nulla. Non sentiva le farfalle nello stomaco quando lo baciava, non aveva sentito i brividi e il respiro mancargli quando lo aveva spogliato e si era donato a lui. Non avevano fatto sesso, ma ciò che era successo era qualcosa che non passava sicuramente inosservata ai suoi occhi. Erano passati anni da quando aveva avuto un rapporto così intimo con qualcuno, l'ultima volta che ricordava era quando ancora frequentava il liceo. Si alzò silenziosamente, raccattando i suoi vestiti da terra e rimettendoseli velocemente, per poi uscire sul terrazzo. La dolce brezza gli fece venire i brividi, e si strofinò istintivamente un braccio, cercando di riscaldarsi un po'.
Guardò la Luna, che con la sua luce debole creava dei piccoli riflessi nel cielo scuro. Sì chiese cosa si provasse a sapere di non risplendere di luce propria, ad essere sempre dipendente da qualcuno per brillare. Ma la risposta già la sapeva.
Lui era un po' come la Luna, e Alex era un po' come il Sole. Jack aveva bisogno di Alex per risplendere, per essere qualcuno. Senza Alex lui non era niente.
Si chiese a quel punto come avrebbe fatto. Come avrebbe imparato a brillare da solo ora che aveva oscurato il suo Sole. Come avrebbe affrontato tutto quell'enorme cielo senza di lui. Lasciò che una lacrima gli percorresse la guancia, senza fare niente per ostacolare la sua discesa.
Jack sapeva che le cose sarebbero cambiate, che niente sarebbe rimasto lo stesso. Ed era tutta colpa sua. Si sentiva il coglione più grande del Mondo, cosa gli era saltato in mente?
Come aveva potuto anche solo pensare di baciare Alex? E soprattutto, perché lo aveva quasi fatto?
Si strofinò il viso con una mano.
“Perché Alex ti piace, smettila di negarlo.”
«Sta zitto!» urlò a quella voce dentro di se, a se stesso.
A lui non piaceva Alex, era il suo migliore amico, stop.
E allora perché avere qualcuno che non fosse lui nel suo letto sembrava così tremendamente sbagliato? Perché quando era con lui si sentiva come non si sentiva come quando era con Zack, Rian o addirittura Noah? Perché quando era nel letto con Alex e lui lo accarezzava si sentiva come se il suo posto fosse con lui? E perché si rattristava improvvisamente quando era costretto a interrompere quei momenti magici? Perché quando gli aveva detto che non amava più Lisa era stato costretto a reprimere la sua felicità? Perché quando lo baciava scherzosamente sul palco il suo cuore si riemepiva? Perché quando baciava Noah vedeva il suo viso davanti agli occhi?
Tutte quelle domande portavano ad una sola risposta, ma Jack rifiutava di accettarla. Si prese la testa tra le mani e la strinse, quasi come se quel gesto avrebbe scacciato tutti i suoi pensieri.
Non poteva piacergli Alex, semplicemente non poteva. Sarebbe stato un disastro completo, la fine del Mondo.
Era l'unica persona con cui poteva parlare di tutto senza essere giudicato. La prima persona ad averlo accettato per quello che era in realtà. Era il suo migliore amico, e avere dei sentimenti per il proprio migliore amico era sbagliato.
E poi Alex non era gay, e soprattutto non provava nulla per lui.
Giusto?
Però non aveva reagito in nessun modo quando era sopra di lui e lo aveva quasi baciato. Non lo aveva scansato urlandogli cosa cazzo stesse facendo. Era rimasto lì ed aveva aspettato, chiudendo gli occhi, quasi non vedesse l'ora.
Ma sfortunatamente per Jack, la sua parte negativa continuava a dominarlo, e si ritrovò a pensare a qualsiasi possibile scusa al comportamento di Alex.
«Jack?»
Il moro si girò verso il suo letto, dove Noah lo guardava assonnato. Mise su un finto sorriso. «Sì?»
«Che cosa fai?»
Non aveva nessuna voglia di rispondere a quella domanda, così si costrinse a tornare da lui, a stringerlo fra le sue braccia e a lasciargli un bacio sulle labbra, vedendo di nuovo Alex davanti agli occhi.

 


Jack stava trasportando svogliatamente la sua chitarra al tourbus, si sentiva estremamente stanco e senza forze, forse perché la notte prima i suoi pensieri non gli avevano dato un attimo di tregua e di conseguenza non era riuscito a riposarsi.
Noah era al suo fianco e Zack e Rian erano davanti a lui. Sbuffò pesantemente, aveva voglia di scaraventare lo strumento a terra ed andarsene.
«Qualcosa non va?»
Voltò la testa verso il suo ragazzo, circondandogli le spalle con un braccio e lasciandogli un bacio sulla fronte.
«No amore,» “amore?” «sono solo un po' stanco, non ho dormito molto sta notte.»
Il ragazzo alla sua destra annuì, alzandosi un po' sulle punte e baciando la guancia di Jack. Quest'ultimo stava diventando ancora più confuso, in quanto la vicinanza con il moro sembrava fargli qualche strano effetto quel giorno. Aveva voglia di battere la testa al muro ripetutamente. Un giorno gli sembra di innamorarsi, l'altro non prova niente, l'altro prova a baciare Alex, e quello dopo sembrava che gli piaccesse davvero Noah. Non ce la faceva davvero più, avrebbe alzato volentieri la bandierina banca, si stava arrendendo.
I suoi pensieri furono risvegliati da degli urletti di felcità che provenivano da poco più avanti a lui. Fece pochi altri passi prima di bloccarsi completamente sul suo posto.
Non poteva crederci. Cosa ci faceva lì?
La guardò avvinghiarsi ad Alex con lo stesso sguardo di chi aveva appena visto la morte passagli davanti. Guardò l'amico baciarla passionalmente e lo sentì dirle quanto le era mancata. Erano il ritratto dell'amore, ma per Jack erano solo il ritratto di un'indigestione.
Sentì lo stomaco sottosopra, il sangue gelarsi e il sudore freddarsi.
«Ciao Jack.» salutò lei, con le braccia strette all'addome di Alex.
Il moro deglutì, cercando di ricomoporsi sperando di nascondere la sua agitazione. «Lisa.»
Noah lo guardava con uno sguardo confuso, aveva notato il panico nei suoi occhi quando avevano incontrato il corpo di Lisa, che lui sapeva essere la ragazza storica di Alex. Sospirò.
Il moro continuò a camminare ed entrò nel tourbus, dove posò lo strumento a casaccio nella zona giorno, sdraiandosi immediatamente sul piccolo divano nero di pelle.
Non bastava la confusione che si causava da solo, ci mancava solo vedere Alex con Lisa.
Non sarebbe stata una cosa strana, se solo l'amico non gli avesse confidato di non essere più innamorato di lei.
Jack Barakat non ci capiva più un emerito accidente in quella situazione.

 


Per fortuna di Jack Lisa non era lì per rimanere, era semplicemente passata per un saluto breve visto che si trovava in quella città per una qualche motivo che il moro non aveva capito.
Aveva deciso di non pensare a tutto il caos nella sua mente, almeno per un po', e a provare a gioire della dolcezza del suo ragazzo; per questo era sdraiato sul suo letto con il moro accoccolato al suo petto, mentre lui gli accarezzava delicatamente i capelli. Stavano parlando del più e del meno, le loro risate riecheggiavano nel tourbus quando le buche della strada li facevano sobbalzare.
«Noah, devo andare in bagno.»
Il minore annuì al suo ragazzo e gli lasciò un bacio casto sulle labbra, gesto che l'altro apprezzò.
Scivolò giù dalla sua cuccetta e si diresse verso il bagno, aprendo la porta noncurante di bussare.
Cosa che forse avrebbe dovuto fare.
Sì ritrovò un Alex completamente nudo davanti agli occhi, intento ad entrare nella doccia.
Questo gli lanciò uno sguardo quasi scandalizzato, arrossendo un po' subito dopo. Del canto suo Jack era immobilizzato e non riusciva a staccare gli occhi dal corpo del biondo.
Alex tossicchiò per attirare l'attenzione dell'altro, che si svegliò dalla sua trance richiudendo dubbioso la porta alle sue spalle. I due si erano visti nudi almeno un miliardo di volte, senza che la cosa causasse loro nessun tipo di problema.
Invece, in quel momento, si poteva percepire a pelle l'imbarazzo che galleggiava tra i due.
Il maggiore quasi si scordò di essere in procinto di entrare nella doccia, e rimase semplicemente lì, a guardare il viso di Jack muoversi verso i servizi.
Deglutì, le sue gambe si rifiutavano categoricamente di muoversi come invece dovevano fare.
Quando il moro si tirò giù i boxer per soddisfare i propri bisogni, non poté fare a meno di buttare un occhio sui genitali dell'altro.
Stava entrando in iperventilazione, sapeva benissimo che l'altro si sentiva il suo sguardo addosso, come avrebbe spiegato quella situazione?
Deglutì nuovamente, fissando la mano di Jack spingere sullo scarico. I loro sguardi si incontrarono quando questo si girò verso di lui.
Si fissarono negli occhi per qualche istante, quando le gambe di Alex decisero finalmente di muoversi.
Ma nella direzione sbagliata.
Si stava lentamente avvicinando a Jack, nonostante la voce nella sua testa gli stesse gridando di fermarsi, che non era una buona idea. Si bloccò quando fu abbastanza vicino all'altro da contare i centimetri che dividevano le loro labbra. Appoggiò una mano sulla guancia di Jack, che abbassò lo sguardo estremamente combattuto sul da farsi.
I suoi occhi però si fermarono su un piccolo taglio sul fianco dell'altro. Quella vista lo fece sobbalzare all'indietro.
«A-Alex.»
Il biondo si schiaffeggiò mentalmente. Perfetto, aveva fatto l'ennesima cazzata.
«Scu-scusami i-i-»
Il minore indicò con l'indice il suo fianco, cosa che fece abbassare la testa all'altro. Si congelò sul posto quando capì a cosa si riferisse l'altro.
«Jack non è come pen-»
«Alex, cosa cazzo hai fatto? Ti sei dimenticato della nostra promessa?!»
No, in realtà Alex non se ne era dimenticato. Era stato il motivo che lo aveva fermato dal farlo, almeno intenzionalmente.
«Jack, ascoltami. Non l'ho fatto con intenzione, te lo giuro. Ero sul punto di ricaderci, è vero, ma è stato un flashback di quel giorno nel bagno della scuola a fermarmi.»
A quel punto Jack era davvero furioso. Lo stava prendendo in giro?! Era ovvio che non si era fermato!
«Alex non dirmi cazzate, lo hai rifatto. Abbi almeno il coraggio di non negare davanti all'evidenza!»
In quel momento, il fatto di avere il suo migliore amico completamente nudo davanti non gli creava più così tanto imbarazzo, anzi, non ci faceva nemmeno più caso. L'unica cosa che si vedeva davanti agli occhi era quel taglio sul suo fianco, e il suo viso spaventato.
«Ascoltami cazzo! Non l'ho fatto intenzionalmente! Mi ero perso nei ricordi e non mi sono accorto di aver davvero spinto la fottuta lama nella pelle. Ti prego, credimi. Non ti mentirei mai.»
Sapeva benissimo che in realtà era solo una mezza verità, in quando lo aveva già fatto. Aveva già mentito sui suoi sentimenti per lui, ma infondo c'era un motivo se aveva scritto “non ho mai detto una bugia, e questo mi rende un bugiardo” in una delle sue canzoni, giusto?
Jack si prese la testa tra le mani, affondando le dita nei capelli. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, senza riuscire a trovare una soluzione. Ci erano voluti anni prima che fosse riuscito a togliere Alex da quel tunnel, non sapeva se ce l'avrebbe fatta un'altra volta.
In quel momento, gli montò dentro lo stesso coraggio di quel giorno, al liceo, quando aveva curato la sua ferita nel bagno della scuola. Si avvicinò ad Alex e si piegò sulle ginocchia per lasciargli un lungo bacio sulla ferita.
Il biondo lo guardava dall'altro, con i brividi che gli percorrevano la spina dorsale. Quel gesto, per quanto casto fosse stato nella mente dell'amico, lo aveva eccitato da morire. Ed era nudo, inerme davanti a Jack. La cosa non gli piaceva affatto, e l'unica cosa che fece fu sperare che non se ne accorgesse.
Ma a quanto pare la fortuna non era dalla sua parte. Infatti Jack cominciò a baciargli la pelle dello stomaco, risalendo fino al torace e fino al collo. Spinse il suo corpo contro quello dell'altro, sentendo la sua erezione contro la propria intimità, che non tardò a risvegliarsi.
Schiacciò il biondo contro il muro, cominciando a baciare e succhiare la pelle del suo collo. Dei gemiti sfuggirono dalla bocca di Alex, che Jack tappò prontamente con una mano, mentre con l'altra stava cominciando a masturbare lentamente l'altro.
Gli occhi di Alex si socchiusero e Jack sentiva il suo respiro irregolare infrangersi sulla sua mano, cosa che lo fece eccitare ancora di più. Cominciò ad aumentare la velocità dei suoi movimenti, e un piccolo gemito gutturale di Alex gli fece capire che era arrivato al limite. Venne nella mano di Jack, che tolse l'altra dalla sua bocca permettendogli così di respirare ancora più affannosamente.
I due si guardarono negli occhi, entrambi senza sapere cosa dire. L'unica cosa che Alex sapeva era che doveva ricambiare il favore, e con forza ribaltò le posizioni così che l'altro era al posto che prima occupava lui.
Jack invece ci sentiva una merda, una merda perché stava tradendo il suo ragazzo, una merda perché non riusciva a spingere via Alex, anche se in realtà era lui quello che aveva cominciato.
Cosa stava facendo...

Note: Scrivere la scena tra Jack e Alex per me è stato un parto, ci ho mezzo circa mezz'ora prima di riuscire a sbloccarmi e scrivere, mi sento tutt'ora in imbarazzo davanti al computer ahah. Ho evitato di rileggerlo perché altrimenti avrei cancellato tutto e avrei buttato il computer dalla finestra, quindi vorrei dirvi che non so se ci sono degli errori di alcun tipo, se li notate sentitevi liberi di comunicarmelo e provvederò a correggerli. 
Un'altra cosa che vorrei dirvi è che in questo capitolo ho affrontato una tematica importante quale l'autolesionismo. Non ho approfondito di più per due motivi: 1, perché non volevo cambiare gli avvertimenti della fanfiction adesso che è inoltrata. Voi avete deciso di leggerla per quello che avete letto e non mi sembra giusto scombussolare le cose ora. 2, perché è un argomento particolarmente delicato, e anche se avrei potuto approfondire di più, non ho voluto farlo perché appunto, non voglio turbare nessuno. 
Detto questo, spero il capitolo vi piaccia, aw. 

PS: E' USCITO DON'T PANIC IT'S LONGER NOW E IO AMO LE NUOVE CANZONI, ADDIO.

 

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Capitolo 8
*** Shaken and tried. ***


Shaken and tried.


Noah era sdraiato sul letto in attesa del ritorno del suo ragazzo. Ci stava mettendo decisamente più del dovuto ma chi era lui per decidere quanto tempo fosse troppo? Ognuno aveva le sue abitudini, anche se, concretamente, 15 minuti erano una bella quantità di tempo. Forse Jack era rimasto chiuso nel bagno? O magari non si sentiva bene?
Si alzò svogliatamente dal letto per andare a controllare se fosse tutto ok, e si scontrò contro qualcuno. Alzò lo sguardo incontrando il viso di Jack. Gli sorrise felice di vederlo finalmente di ritorno ma il suo aspetto lo aveva lasciato un po' perplesso.
Aveva le guance arrossate, i capelli visibilmente fuori posto e la maglia stropicciata.
«Jack, tutto bene?»
«Uh? Sì, tutto bene. Perché me lo chiedi?»
«Non so,» Noah appoggiò le mani sul petto del proprio ragazzo «sei stato in bagno per più di quindici minuti, pensavo ti sentissi poco bene.»
Jack si irrigidì, sentendosi la peggiore merda del mondo. Cosa doveva fare? Doveva dirglielo?
«C'era Alex in bagno, quindi ho dovuto aspettare che finisse. Quel ragazzo è lentissimo.» mentì, stampandosi un sorriso che sapeva fosse palesemente finto, ma sperò che l'altro non se ne accorgesse.
«Uh, va bene.»
I due stavano per tornare sul letto quando Rian, dall'altra stanza, chiamò Noah dicendogli che c'era una questione da risolvere con Matt. Il minore sbuffò lasciando un casto bacio sulle labbra di Jack, che gli sorrise terribilmente colpevole e buttò fuori un respiro che non sapeva nemmeno di star trattenendo.
Si sdraiò sul suo scomodo letto con gli occhi sbarrati e una mano sul suo stomaco piatto.
Non riusciva ancora a credere a cosa era successo pochi minuti prima. Era accaduto tutto così velocemente e inconsciamente, così naturalmente, come se fosse la cosa più giusta del mondo.
Ma in realtà era tutto il contrario. Era sbagliato, sbagliatissimo. Jack era impegnato, e Alex era il suo fottutissimo migliore amico. Niente di quello che avevano fatto doveva accadere. Ed era tutta colpa sua. Era colpa sua perché non era riuscito a trattenersi, colpa sua perché quel dannatissimo bacio che aveva lasciato sulla cicatrice di Alex doveva essere il gesto più amorevole e casto del mondo, e invece si era lasciato rapire dalla lussuria, dalla voglia improvvisa che aveva dell'altro.
Si prese i capelli tra le mani, tirandoli ignorando il dolore. Aveva rovinato le cose ancora una volta, e questa volta ne era sicuro.
«Cosa ho fatto?» si disse.
Prese il cuscino al suo fianco e se lo premette sul viso, così da soffocare l'urlo che lanciò. Morse il morbido tessuto dell'oggetto, strizzando gli occhi e lanciandolo poi lontano da se, mettendosi seduto sul letto.
Tutto era dannatamente sbagliato.
Eppure c'era stato qualcosa, qualcosa nei gemiti di piacere di Alex, qualcosa nel suo corpo nudo, esposto a lui, che lo aveva reso debole, gli aveva fatto provare una strana sensazione nel profondo del suo stomaco.
Non era solo eccitazione, non era solo voglia e desiderio, era qualcosa di più e Jack sapeva che si sarebbe disperato nel tentativo di capire cosa fosse.
Si strofinò il volto con le mani, sentendo il sudore cominciando a percorrergli la fronte.



Alex era appoggiato alla parete della doccia, mentre l'acqua si infrangeva delicatamente sulla sua testa scivolando velocemente sul suo corpo.
Non sapeva da quanto si trovasse in quella posizione. Minuti, ore. Non sapeva come si sentiva.
Il ricordo delle mani di Jack sul suo corpo lo fece rabbrividire, socchiudere gli occhi come se stesse rivivendo quel piacere ancora e ancora. Le sue labbra erano state così delicate sulla sua ferita, così morbide sulla sua pelle. Chissà cosa si provava a sentirle premere sulle proprie.
Alex grugnì, chiudendo l'acqua della doccia; ne uscì e si legò un'asciugamano alla vita, pensando al perché di tutta quella situazione, di quella sofferenza, di quella necessità improvvisa d'amore. Ma non di un amore qualunque, dell'amore di Jack.
Ma Jack non provava lo stesso, e Alex doveva solo lasciar entrare il pensiero nella sua mente e convincere il suo cuore.
Tutto quello che era successo era stato solo un desiderio da parte dell'altro, solo uno sfogo lussurioso, niente di più e niente di meno.
Ma Alex non riusciva a pensare che lo avesse usato così, non lo avrebbe mai fatto. Alex doveva andare a fondo a quella situazione, ma come? Non era sicuro di poter reggere lo sguardo del moro, non più.
Sospirò, asciugandosi leggermente i capelli con un'asciugamano e lanciandolo in seguito in fondo alla stanza, dalla quale uscì in cerca di un paio di boxer puliti.
Si diresse verso la zona notte, sperando vivamente di non incontrare Jack.
«Alex.»
Il biondo imprecò mentalmente. “Mai che tu lassù me la mandi una giusta, vero?”
Fece comunque finta di nulla e continuò a dargli le spalle, piegandosi sulle ginocchia tenendo l'asciugamano ben stretto alla vita con una mano – non aveva nessuna voglia di ritrovarsi nudo davanti all'altro un'altra volta –, mentre con l'altra frugava nella sua borsa, afferrando in fine un paio di semplici boxer neri.
Quando si rialzò e si girò nuovamente, si ritrovò l'altro a pochi centimetri di distanza, e sobbalzò per lo spavento.
«Alex.»
Questo roteò gli occhi, cercando di raggirare l'altro per tornare in bagno e vestirsi. Ma evidentemente Jack aveva altri piani: appoggiò entrambe le mani ai lati della testa di Alex e si avvicinò ancora un po' a lui, impedendogli di scappare.
Il biondo si sentì imprigionato in una soffocante trappola, anche se in realtà non gli dispiaceva troppo che la trappola fosse il moro.
Si schiaffeggiò mentalmente, doveva togliersi quei pensieri, doveva tornare indietro sulla sua strada e dimenticarsi di quei stupidi sentimenti che aveva per Jack. Era disposto a bere veleno pur di cacciare le farfalle nel suo stomaco che svolazzavano ogni qualvolta che il ragazzo lo toccava.
«Che cosa vuoi, Jack?»
Il moro in realtà non sapeva bene cosa stesse facendo, non sapeva se aveva qualcosa di propriamente sensato da dirgli, ma fatto sta che il suo istinto lo aveva portato dove era in quel momento, con il volto paurosamente vicino a quello di Alex e lo sguardo fisso nei suoi occhi caramellati.
Sentì la gola seccarsi mentre cercava di mantenere lo sguardo negli occhi dell'altro. Non voleva guardare le sue labbra, perché sapeva che ci si sarebbe buttato non appena gli avesse dato anche solo una breve occhiata. Deglutì, sapeva che doveva lasciarlo andare, ma semplicemente non voleva. Amava troppo il modo in cui la vicinanza all'altro lo faceva sentire, amava troppo il pensiero di averlo lì, a pochi centimetri di distanza, amava il pensiero di poterla annullare in qualunque momento.
Jack ripensò alla sera sul tourbus, quando si era trovato sopra Alex e aveva quasi premuto le labbra sulle sue. In quel momento, voleva solo sentire la loro morbidezza, voleva solo sentire le loro lingue danzare lentamente insieme, voleva solo assaporare ogni minimo gusto che Alex aveva da offrirgli. E l'unica cosa a fermarlo era stata il pensiero di Noah, il pensiero che non lo avrebbe tradito.
Ma in quel momento cosa c'era a fermarlo?
Senza nemmeno accorgersene, aveva cominciato ad avvicinarsi sempre più ad Alex, con gli occhi ancora fermi nei suoi. Sentì il proprio cuore accelerare, lo stomaco stringersi e le gambe indebolirsi, e pensò che tutto quello non poteva essere un semplice bisogno fisico.
Alex lo guardò avvicinarsi con gli occhi spalancati, immobilizzato dalla paura.
Voleva quelle labbra più di ogni altra cosa al mondo, ma non a quelle condizioni.
E proprio quando stavano per sfiorarlo, prese coraggio e spinse via Jack da lui, correndo via subito dopo.
Si ritrovò chiuso nuovamente nel bagno, con gli occhi lucidi e i singhiozzi che cominciavano a farsi strada nel suo petto, creando quella sensazione di dolore che, in quel periodo, Alex aveva imparato a conoscere più che mai.



Il concerto di quella sera non si poteva definire uno dei migliori. La tensione tra i due si poteva tagliare con un coltello da burro, e ovviamente anche il resto della band ne era influenzato. Rian e Zack, all'oscuro di tutto, erano estremamente confusi. Certo, erano capitate delle discussioni tra i due amici in passato, ma niente di così grave da riuscire a percepirsi sul palco.
Tra Alex e Jack c'erano metri di distanza, e neanche per sbaglio uno dei due si era avvicinato all'altro o aveva fatto una delle solite battute. In quel momento non erano Jack e Alex; Jack e Alex erano un'unità inscindibile, una persona sola. In quel momento erano come due estranei che erano stati messi insieme in una band a suonare davanti milioni di persone.

Quando finalmente lo spettacolo finì, Zack e Rian si scambiarono uno sguardo complice e, quasi leggendosi nella mente, annuirono.
Una volta nel camerino, Zack sospirò nel vedere il biondo e il moro sedersi in due posti diversi.
Da una parte c'era Jack con Noah accoccolato a un braccio, che si scambiavano tenere effusioni, mentre dall'altro c'era un Alex distrutto. Il bassista notò solo in quel momento il suo profondo cambiamento. Era dimagrito un po', i capelli sembravano sfibrati e poco lucenti, e i suoi occhi erano circondati da delle lievi occhiaie. Aveva l'aria di uno che non dormiva da giorni, o che fosse comunque stanco. Se fosse una stanchezza fisica o emotiva, Zack non lo sapeva, ma lo avrebbe scoperto.
«Alex?»
Il biondo alzò lo sguardo, sorridendo lievemente all'amico. Un sorriso sincero, ma palesemente tirato.
«Sì?»
«Possiamo parlare?» chiese il bassista, in un sussurro. Era sicuro che Jack avesse a che fare con quella storia, e non voleva farsi sentire.
L'altro si limitò ad annuire, alzandosi dal piccolo divano di pelle nera e trascinandosi con fatica verso l'angolo opposto della stanza, seguito fedelmente dall'amico.
«Cosa devi dirmi?» il cantante incrociò le braccia al petto.
«Alex, cosa succede?»
«Cosa dovrebbe succedere?»
Zack roteò gli occhi. «Non fingere di non sapere di cosa sto parlando. Cosa succede con Jack?»
A quella domanda, il biondo sussultò impercettibilmente, abbassando lo sguardo trovando improvvisamente interessante la piccola linea tra le mattonelle sotto i suoi piedi.
Si morse un labbro, forse aprirsi con qualcuno non gli avrebbe fatto male. E poi era Zack, si fidava ciecamente di lui
Sospirò, prima di buttare fuori tutto: i suoi sentimenti per Jack, la loro piccola avventura nel bagno e le due volte che il moro aveva provato a baciarlo.
Il bassista ascoltò le sue parole rimanendo impassibile all'esterno, quando in realtà era completamente sconvolto, ma sapeva che aveva bisogno di calmare Alex, ormai sull'orlo delle lacrime.
«Vieni, andiamo da un'altra parte.»
Zack lo afferrò dolcemente per un polso conducendolo verso i bagni dell'edificio, dove avrebbero potuto parlare indisturbati.
Una volta lì, il ragazzo strinse le sue muscolose braccia attorno il corpo più gracile, che cominciò a singhiozzare nascondendo il viso nell'incavo del collo dell'altro. Questo lo cullò dolcemente, sussurrandogli che andava tutto bene, che c'era lui.
Rimase in quella posizione per un'altra manciata di minuti, lasciando che il cantante si sfogasse. Quando i suoi singhiozzi si fermarono gradualmente e il suo respiro cominciò a tornare normale, lasciò andare la presa per tornare a guardare il suo viso, soffermandosi per un momento sulle ciglia bagnate e gli occhi rossi e stanchi di pianto. Vedere il suo amico in quelle condizioni gli spezzò il cuore, e un'espressione addolorata si fece spazio sul suo volto.
Alex evitò di guardarlo negli occhi, concentrando il suo sguardo su qualsiasi altro punto della stanza.
«Alex, questa storia non può continuare. Sei ridotto malissimo, non puoi lasciarti consumare così.»
«Pensi sia facile Zack?!» urlò questo, cominciando a farsi prendere dal panico. «Pensi che se potessi smettere di amare Jack o almeno ritornare nella mia beata ignoranza non lo avrei già fatto?! Semplicemente non posso! Non c'è un fottuto modo che io possa finire questa situazione!»
Zack si morse un labbro, non troppo sicuro di quello che stava per dire. Lo aveva pensato sin da quando Alex gli aveva cominciato a raccontare di loro due, ma per quanto fosse abbastanza sicuro della cosa, c'era sempre quella piccola probabilità che si stesse sbagliando, e non voleva dare false illusioni all'amico. Sospirò, pensando che se avesse invece avuto ragione, non si sarebbe mai perdonato il suo silenzio.
«Alex, secondo me Jack prova qualcosa per te.»
Il cantante spalancò gli occhi, riportando improvvisamente lo sguardo su Zack. Rimase a guardarlo completamente in stato di shock per una manciata di secondi, prima di scuotere le testa. «No Zack, è assurdo io-»
«Oh andiamo Alex! Nemmeno io sono sicuro al 100% ma per quale altro motivo dovrebbe comportarsi così? Sai benissimo come è Jack, lo conosci meglio di me, per l'amor del cielo!»
«Ma non c'è nessuna possibilità che provi qualcosa per me! Sono il suo migliore amico da sempre, non potrebbe mai innamorarsi di me!»
Zack scosse la testa, incrociando le braccia al petto. «Perché, a te non è successo questo?»
Il biondo aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito.
«Pensaci su Alex, e prova a parlargli.»
Il bassista uscì dalla stanza, lasciando un Alex immobile e ancora più confuso di prima lì, nel centro della stanza.
Si morse un labbro. «Stupido Zack!» urlò, prima di tirare un calcio alla porta davanti a lui.

Quello di cui non si accorse, in realtà, era di un paio di occhi che lo avevano guardato per tutto il tempo.

Note:

Hello everybody!
Sto scrivendo questa piccola nota perché ho delle cose da dirvi.
Volevo dirvi che purtroppo la fanfiction non sta andando molto avanti. Ultimamente non sono molto dell'umore di scrivere e ogni volta che apro la fanfiction mi sento come un po' obbligata. Non fraintendetemi, adoro scrivere ma ultimamente sono completamente fuori ispirazione. Non sono mai al 100% soddisfatta di quello che scrivo, quindi è una cosa a cui sono abbastanza abituata, ma durante la stesura di questo capitolo, mi è sembrato che tutto quello che scrivevo faccesse abbastanza schifo. Credo che questo dipenda dal fatto che ultimamente ho la mente completamente da un'altra parte e non ho molta capacità di concentrazione.
Non ho assolutamente intenzione di lasciare questa fanfiction incompleta ed è proprio per questo che sto scrivendo questa nota, per avvertirvi che non so se gli aggiornamenti saranno molto frequenti.
E' una situazione che mi crea molto dispiacere, visto che ci ho messo anima e cuore in questi capitoli; ma purtroppo come ho già detto a qualcuno come risposta alla recensione se mi obbligo a scrivere quando non mi viene spontaneamente il desiderio, finisce che ne esce una cosa senza senso e assolutamente illeggibile.
Quindi se continuerete a leggere sappiate che ne sarò infinitamente contenta, ma se non troverò più nessuna recensione al prossimo capitolo capirò.
Vi chiedo umilmente perdono.
Grazie a tutti per l'attenzione, I love you all.

PS: So che è corto, ma beh, dovevo lasciare un po' di suspance.

 

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Capitolo 9
*** Tonight's like a knife, would you cut me with your kiss? ***


Tonight's like a knife, would you cut me with your kiss?


«Buonanotte!»
Si alzò un ultimo boato dalla folla, e i quattro ragazzi sparirono nel backstage. Alex si passò un asciugamano sulla fronte per asciugarsi il sudore. Il concerto era andato alla grande e le urla dei loro fan riuscivano sempre a fargli tremare il cuore. Si era sentito vivo quella sera, vivo come non gli succedeva da un po' di tempo ormai.
Erano passati due giorni da quando aveva avuto quella conversazione con Zack, ma ancora non era riuscito a scambiare nemmeno una parola con Jack e, anzi, i due si evitavano più che potevano. Guardò il chitarrista con la coda dell'occhio, avvertendo il suo sguardo su di lui, tradito dalle sue braccia che invece stringevano Noah così dolcemente.
Sospirò.
Jack gli mancava. Gli mancava il rapporto che avevano, quel rapporto che tutti invidiavano e che erano sicuri nessuno avrebbe mai distrutto. Ma tra quel “nessuno” non si erano inclusi loro due, come potevano immaginare che sarebbero stati proprio loro i colpevoli del loro stesso diritto?
I cinque si rinchiusero nel backstage poco dopo la fine dello spettacolo, adottando le postazioni che ormai erano diventate pressoché automatiche. Era strano per Rian e Zack vedere i due sedersi così distanti, quasi ci fosse un mare a dividerli, ma quello che non sapevano era che, tra gli sguardi che si scambiavano senza farsi notare reciprocamente, si nascondeva lo stesso sentimento.
Ad Alex mancava stringere Jack al suo petto e a Jack mancava sentire le sue braccia avvolte intorno alla sua vita, come se volessero proteggerlo dal Mondo intero.
Jack passava decisamente troppo tempo a fissare Alex, e Alex passava troppo tempo a bearsi di quelle attenzioni sussurrate, impercettibili al tatto, ma abbastanza da doverlo far nascondere per asciugarsi le lacrime che nascevano ai suoi occhi nonostante quanto cercasse di combatterle.
E Zack era arcistufo di vederli soffrire così stupidamente, per un motivo davvero inesistente, per dei problemi che si erano creati da soli e che erano come un muro invisibile, che non gli permetteva di raggiungersi.
«Jack?»
Lo stanco sguardo del chitarrista si posò sul ragazzo tra le sue braccia, che lo guardava con l'aria di chi stava per fare qualcosa che davvero non voleva fare, ma sapeva era la cosa giusta.
Una volta guadagnata l'attenzione di Jack, il minore sospirò lievemente, chiudendo gli occhi.
«Possiamo allontanarci? Ho bisogno di dirti delle cose.»
L'altro si limitò ad annuire, lasciando andare la sua presa sull'altro che cercò di godersi quel momento a pieno, sapendo che era probabilmente l'ultimo.
Alex dall'altro lato della stanza guardò i due allontanarsi e sentì il peso del suo cuore dolorante scendergli dritto nello stomaco. Da lì a poco, avrebbe sentito i palesi rumori dell'amore di Jack donato a qualcun altro, a qualcuno che non era lui e non gli assomigliava nemmeno vagamente. E a quel punto non riuscì a trattenere quella lacrima solitaria che gli scivolò lungo la guancia, bruciando come acido che gli consumava la pelle.

«Cosa succede?»
Noah percepiva da giorni che lo sguardo negli occhi del suo ragazzo non era più lo stesso di quando tutto era cominciato, che era spento, era diverso, e quegli occhi che lo guardavano non erano più contraddistinti da quella scintilla di desiderio.
«Jack, credo che tu debba smetterla.»
Il chitarrista aggrottò le sopracciglia. «Smetterla di fare cosa?»
«Di fingere. Smetterla di prendere in giro le persone, e non parlo poi tanto di me, ma di te stesso.»
«Continuo a non capire.»
«E' proprio questo quello che intendo.» Il moro fece una pausa, sospirando e abbassando lo sguardo. «Ti stai prendendo in giro anche adesso.» Jack stette in silenzio, invitando l'altro a continuare. Questo alzò di nuovo lo sguardo, incastrando i loro occhi, e Jack notò la dolcezza e la comprensione in essi, nonostante la sottile linea di dolore. «Sai Jack, non ce la faccio più a vederti così. Non ce la faccio più a vederti scappare dai tuoi sentimenti, non ce la faccio più a sentirti singhiozzare durante la notte quando pensi io non ti senta. Non puoi continuare a evitarlo per sempre e io non voglio essere l'ostacolo che divide la vostra felicità.» Il ragazzo accarezzò dolcemente il braccio dell'altro, in un gesto inconsapevole. «Sai, tutto questo mi sembra ancora un sogno, e con te e i ragazzi ho passato i momenti più belli della mia vita. Non potrò mai dimenticare tutto questo, e le cose tra noi sarebbero state difficili in ogni caso; ma ora che non sono più io quello che vuoi, tra noi non può davvero continuare. Non ce l'ho con te, non fraintendermi. Mi dispiace davvero per come si siano evolute le cose, ma sai come si dice? Se ami qualcuno, lascialo andare. Ed è ciò che sto facendo.» si asciugò una lacrima sul nascere, sorridendo leggermente. «Sei libero Jack. Per favore, smettila di prenderti in giro. Smettila di soffocare i tuoi sentimenti per paura.»
Jack aveva ascoltato tutto il suo discorso quasi trattenendo il fiato. Forse doveva sentirsi in colpa per ciò che aveva appena sentito, ma quello sguardo così soffice negli occhi dell'altro lo faceva sentire estremamente calmo e a casa.
Gli sorrise dolcemente, abbassandosi a baciarlo dolcemente. «Grazie.» sussurrò sulle sue labbra.
L'altro si limitò a ricambiare il sorriso. «Ora va da Alex.»
Jack annuì quasi impercettibilmente, camminando lentamente via.
Noah rimase ancora un po' lì, fermo, combattuto tra la tristezza e il senso di fierezza che aveva dentro.

Alex non aveva più visto Jack da quel momento nel backstage, quando era andato via con Noah. Nonostante si trovassero nello stesso minuscolo bus, il biondo si era rinchiuso nella sua cuccetta e non ne era più uscito.
Zack gli aveva proposto di andare a festeggiare con lui e gli altri, ma lui si era rifiutato. L'amico aveva semplicemente sospirato e annuito, e Alex era grato del fatto che non avesse insistito.
Sentì i ragazzi salutarlo e chiudere lo sportello del tourbus, e il silenzio calò cupo nel mezzo.
E quello era il motivo in cui poteva dare sfogo a tutto il suo dolore.
Le lacrime non mancarono ad arrivare, i singhiozzi non mancarono a togliergli il respiro.
Pianse pensando a tutto ciò che era successo, pensando a tutti i momenti che avevano avuto lui e Jack prima che tutto precipitasse. Avrebbe dato tutto per riavere quell'intimità, per riportare le cose alla normalità, per eliminare tutti quegli stupidi sentimenti che nutriva per Jack, per riavere il suo migliore amico.
Era seduto sul suo letto con la schiena appoggiata alla parete, quando sentì un rumore provenire dalla zona giorno. D'un tratto smise di piangere, e facendo silenzio. Il rumore si ripeté a distanza di pochi minuti e Alex era decisamente abbastanza scosso di suo e non aveva davvero bisogno di avere a che fare con qualche male intenzionato. Decise comunque di andare a controllare, prendendo in mano il primo oggetto che poteva essere usato come arma che gli capitò sotto mano – il caso volle che si trattasse della sua acustica, ma meglio sacrificare essa che la sua vita, pensò.
Cautamente si diresse verso la zona giorno, stringendo la stretta sul collo dello strumento e alzandolo in aria appena addentrato nella zona, pronto a colpire.
Ma, a sua sorpresa, non c'era nessuno. Il tourbus era avvolto nel buio, illuminato lievemente solo dalla luce di una candela rossa sul tavolo. Appoggiò la chitarra alla parete e aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi alla fonte di luce e trovando un biglietto infilato sotto la candela.
Lo prese tra le dita, aprendolo e leggendo la calligrafia corsiva.
Esci.
Alex era decisamente confuso. Se era uno stupido scherzo di uno dei ragazzi non era decisamente divertente. Decise comunque di essere prudente, e imbracciò di nuovo la chitarra.
Si avvicinò allo sportello del tourbus e fece un respiro profondo prima di aprirla.

I suoi occhi si spalancarono così come la sua bocca, e la chitarra cadde provocando un boato.
Doveva avere le allucinazioni, probabilmente stava sognando.
Jack era seduto a gambe incrociate su un telo poco più in la, con una coperta piegata alla sua destra e una fila circolare di candele dietro di lui.
Il chitarrista gli sorrise dolcemente, facendogli segno di sedersi vicino a lui. Alex ubbidì, sistemandosi alla sinistra di Jack, che si girò così da fronteggiarlo. Lo guardò guardarsi intorno, la luce delle candele si rifletteva nei suoi occhi stupiti, illuminandoli. Sentì il suo cuore tremare alla visione di Alex, visibilmente debole, gli occhi rossi di pianto e circondati da delle tremende occhiaie. E tutto per colpa sua.
«Cosa significa tutto questo?» Chiese il maggiore, incastrando i loro occhi. Il moro cercò la mano dell'altro muovendo la sua sul telo sotto di loro, trovandola e stringendola dolcemente, gesto che fece abbassare lo sguardo di Alex per un secondo.
«Lex, ultimamente sono successe tante cose. L'arrivo di Noah, la mia cotta per lui, le volte che io e te ci siamo quasi baciati, l'incidente nel bagno.» Alex arrossì leggermente, stringendo a sua volta la mano di Jack, facendolo sorridere. «E' stata una settimana intensa a dir poco, e ho odiato ogni momento in cui ti ho sentito piangere e non ho fatto nulla. Ma credimi quando ti dico che io ho cercato di essere forte solo davanti a te, e davanti agli altri, ma quando arrivava la notte, tutti i miei demoni riaffioravano e ho davvero perso il conto di tutte le volte che mi sono ritrovato a piangere quando nessuno poteva vedermi. Ho cercato di negare tutto, ma oggi una persona speciale mi ha fatto capire che devo smetterla di mentire a me stesso. E quindi sono qui,» il moro accarezzò la mano dell'altro con il pollice. «sta sera, per chiederti scusa di tutto quello che è successo. Per dirti che, Alex, sei tu la persona che voglio al mio fianco. Sei tu la persona che voglio trovarmi vicino al mio risveglio, sei tu la persona che voglio avere tra le mie braccia e la persona che voglio coccolare. E so che sono cose che già facevamo, ma voglio farle sotto un'altra luce. Voglio farle sapendo che posso baciarti quando voglio, sapendo che posso assaporarti ogni volta che mi manchi, sapendo che sei solo mio. Voglio te, e non Noah, e non posso più tenermi queste cose dentro solo per la paura che tu non possa provare le stesse cose.»
Alex lo guardava immobile. Lasciò andare la sua mano e abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.
«Oh Jack...» scosse la testa e il moro si rabbuiò, sentendo le lacrime già premere per uscire. «Sei proprio uno stupido.»
Il biondo si avvicinò velocemente all'altro, attaccando le loro labbra insieme. Il moro spalancò gli occhi, colto impreparato e preparato al peggio, ma li richiuse subito dopo, ricambiando il bacio. Le loro labbra si muovevano insieme come gli accordi di una loro canzone, la lingua di Alex aveva chiesto il permesso con la remota sicurezza di entrare, proprio come faceva la loro musica con le persone là fuori. E Jack gli aveva dato quel permesso, e aveva sentito il piacevole sapore della bocca dell'altro, che sapeva ancora di tutte le lacrime salate che ci erano entrate. Scacciò via quel pensiero accogliendone un altro; anche Alex gli aveva dato un permesso: il permesso di amarlo, il permesso di prendergli il cuore e ripulirlo di tutto il dolore, di prendere l'anima e di purificarla da tutti i suoi demoni.
E Jack non poteva chiedere di più.
Il biondo fu il primo ad allontanarsi, sorridendo con le labbra ancora appoggiate su quelle del moro, e non poté fare a meno di pensare che quel bacio era valso tutte le notti insonni passate a piangere, tutte le paure e tutte le sofferenze che lo avevano angosciato in quei giorni. Era valso tutte le volte che aveva sentito il suo cuore spezzarsi alla vista di Jack, il suo Jack, con Noah, era valso tutte le volte che gli era mancato il corpo di Jack premuto sul suo durante la notte, quel taglio che si era fatto sul fianco.
Jack prese la coperta al suo fianco, appoggiandola sulle spalle di Alex e sulle proprie, avvolgendo il fianco del ragazzo con un braccio e avvicinandolo più a sé, ospitando ben volentieri la sua testa sulla propria spalla. Gli baciò i capelli, prima di alzare lo sguardo al cielo, seguito da Alex. Da quel punto, le stelle si vedevano benissimo e il moro non poté fare a meno di sorridere al pensiero che la Luna aveva finalmente ritrovato il suo Sole.

Note: ebbene, eccomi qui, lo so che vi sono mancata! *diveggiaH*
Ok, sul serio. ho scritto questo capitolo tutto oggi ed è un traguardo per me, visto ciò che vi ho spiegato l'altro giorno.
E sì, finalmente i due zucconi si sono decisi! Un applauso a Noah. 
Hope you enjoy it.

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Capitolo 10
*** Per favore leggete, non è un capitolo. ***


Allora, come avrete capito questa storia non va più avanti. 
Sì, so che avevo detto che avevo intenzione di portarla a termine ma purtroppo non ho più aperto questo documento dall'ultimo aggiornamento. Ho completamente perso l'interesse in questa fan fiction e, rileggendola, mi sono accorta di quanto i capitoli si facciano mano a mano più sforzati, più scritti contro voglia, e sinceramente non voglio che fuoriesca questo da quello che scrivo, così ho deciso di non sforzarmi ulteriormente e inutilmente e di finirla qui. Mi dispiace davvero deludervi, mi avete lasciato sempre delle recensioni bellissime che voi, davvero, non sapete quanto io abbia apprezzato e ancora apprezzi. E' bello vedere che a qualcuno è piaciuto quello che ho scritto ed è stato bello vedere che qualcuno è rimasto con me fino alla "fine".
Non credo che in futuro riprenderò questa storia, ma alla fine mai dire mai no? 
Grazie ancora per aver seguito/recensito/messo tra i preferiti/ricordato questa fanfiction, siete davvero fantastici aw.

Alla prossima,
nothing but a shadow.

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