Yu-Gi-Oh! 5D's: Rise of the White Dragon

di mdc1997
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Passato, Presente, Ombra ***
Capitolo 2: *** Prologo - il Re e il Drago ***
Capitolo 3: *** Specchio dell'Anima ***



Capitolo 1
*** Passato, Presente, Ombra ***


Ciao! Sono Mdc1997, co-autore di questa fiction! Intanto ci tenevo a dire che né io né la mia co-autrice siamo proprietari e/o possiamo accampare diritti su Yu-Gi-Oh! 5D's o su Bleach. Appartengono ai loro autori e ai rispettivi studi di animazione. Ok, detta questa cosa seria, direi che possiamo presentare anche Mary-chan, la ragazza nel team!

Salve a tutti! Sono la co-autrice di questa fanfiction, chiamatemi pure Mary-chan! Dopo aver visto la serie anime, il mio amico mdc1997 ed io abbiamo accordato di scrivere questa fiction in collaborazione. L’idea mi era piaciuta un sacco, e così ci siamo messi all’opera consultandoci tramite mail. Devo ammettere che è la prima volta che ne “scrivo” una... Ma come si dice, due teste sono meglio di una, no? Ooook, non allargarti troppo Mary...Beh, ecco il primo capitolo, spero vi piaccia 
:) recensite, grazie!


CAPITOLO 1 - PASSATO, PRESENTE, OMBRA
 
  Il cielo e le nubi correvano di fianco a lui. Così i paesaggi, gli edifici e i grattacieli di Neo Domino sfrecciavano ad altissima velocità, riflessi sulla sua visiera.  Sentiva una sensazione gradevole pervaderlo, ma questa volta non era a causa del vento che amava tanto. Fino ad allora i duelli turbo erano stati per lui la felicità, l’unico spiraglio di salvezza in un presente grigio e senza possibilità di scampo. La sua moto e il suo Deck erano la sua vita, a tutti gli effetti. Ma allora da dove proveniva quella sensazione? Che cosa c’era di diverso stavolta? ... Rivolse nuovamente lo sguardo sul sole che tramontava, sorridendo sognante. Ah, vero. Non cosa.
Chi.
 
Lei era già lì. Fin dagli anni passati al Movimento, la puntualità, o meglio l’anticipo di un’oretta buona, era un’abitudine oltre che una ferrea regola. Non osava ricordare le torture orribili che venivano inflitte a chiunque mancasse di rispetto ad una qualunque delle regole del Codice in vigore. Se una volta le aveva credute giuste e anzi necessarie al buon ordine di una società, ora sapeva con certezza che erano inumane. Tutto grazie al primo che l’avesse mai trattata come una persona. Come una sua pari. Tutto grazie a colui che aveva cambiato la sua vita. Si era ritrovata, precedentemente, a guardare il sole, e a pensare che forse lo stava guardando anche lui. Ma cosa le era accaduto? Cosa era entrato nella sua vita? Rise, un suono puro e cristallino, non il rumore rauco che aveva udito dalla sua bocca quando si era abbandonata a quella lunga, crudele sghignazzata... Non cosa.
Chi.
 
-Tempo prima
“E ora, signore e signori, ecco a voi il momento tanto atteso, la finale di questa Fortune Cup! Fate un bell’applauso a Yusei Fudo, il ragazzo prodigio del satellite!”
La folla ruggisce, mentre esco dal tunnel. Devo fronteggiare Aki Izayoi, anche nota come la Rosa Nera... Quella ragazza è strana, ma in una maniera bella. E’ davvero interessante, e anche affascinante a suo modo... Scosse la testa. Non poteva permettersi certi pensieri prima di un duello. Soprattutto non con una che gli aveva già detto più volte, in soldoni, di farsi gli affari suoi. Devo far capire ad Aki che non sto scherzando, quando parlo di volerla aiutare. E se l’unico modo è con i fatti, così sia.
 
“E ad opporsi a lui, Aki Izayoi, la Rosa Nera!”
Non sento altro che fischi e insulti. Oh bene, ci sono abituata. Non c’è altro da fare, devo dimostrare a tutti che sono ancora più terribile di quanto loro credano. Non ottengo rispetto attraverso l’umanità? Bene, allora che paura sia. Chi devo uccidere adesso? Ah già, Yusei Fudo... Quel ragazzino deve un po’  imparare a lasciar stare la gente. Anche se in realtà ragazzino non è... Si schiaffeggiò la faccia. Non c’era tempo per certi pensieri stupidi. I suoi occhi acquistarono quel bagliore cupo di oscura determinazione che da anni caratterizzava la leggenda della Rosa Nera.
Era tempo di vendetta.
 
Perché il duello sta andando così? Sto vincendo, eppure... eppure non riesco a farla rientrare in sé. So per certo che non è pazza. Non è questa quella vera. Ho cercato di dirle in tutti i modi e in tutte le lingue che voglio essere con lei, nel senso più ampio possibile dell’espressione. Voglio guardarla negli occhi e poterle dire “sei salva”. Voglio dimostrarle che quel  segno che lei odia tanto non è una maledizione, ma un dono. E ce la farò---
 
“Unendo Cavaliere della Rosa del Crepuscolo e Strega Viola, posso chiamare in gioco tramite Evocazione Synchro un caro amico... è la tua fine. Vieni a me, Drago Rosa Nera! Distruggi tutte le carte sul Terreno di gioco!”
Sorrise. Era finita per quel ragazzino.
Sorrise. Era la sua occasione.
“Attivo la mia Carta Trappola: Cammino Luce di Stelle! Grazie a questa carta, nego l’effetto del tuo drago e lo distruggo, Evocando tramite Evocazione Speciale il mio! Drago Polvere di Stelle!”
 
Cosa... Cos’era quello? Quel drago suscitava ammirazione solo a vederlo. Aveva davvero l’aura protettrice di cui quel ragazzo cercava di avvolgersi, e a cui lei era stata così refrattaria... Le ricordava qualcuno. Cominciava a sudare freddo, non sapeva cosa fare. Sembrava di star guardando una stella, tanto era brillante, e non poté esimersi dal pensare che  quel drago fosse davvero meraviglioso. E forte... Forte? Io sono forte. Io. “IO E NESSUN ALTRO!”
Capì che aveva urlato l’ultima frase. E allora decise di scatenare la vera portata della sua furia.
 
Qualcosa non andava. Fino ad ora era sembrata ora arrabbiata, ora in soggezione, ora decisamente pazza, ma mai come adesso. Non riusciva a concepire un essere umano che portasse in grembo un simile astio, un simile rancore verso il mondo intero.
Vide che si toglieva il massiccio fermaglio che le reggeva i capelli. Poi, sentì.
 
“Hehehe... Povero Yusei. Pensi davvero che quel drago basterà a placare la mia furia? Attivo la carta trappola Sincronizzazione Oscura! Pagando 800 Life Points, evoco nuovamente Drago Rosa Nera!” Aveva urlato. Era stanca di tutto questo. Voleva finirla qui, distruggere Yusei e il fasullo mondo di umanità che rappresentava.  “Attivo l’effetto del mio drago! Rimuovendo dal gioco un mostro di tipo Pianta dal mio cimitero, forzo il tuo draghetto in posizione di attacco, e i suoi punti scendono a zero! Attacca, Drago Rosa Nera! Attacca e mostra a questo incauto ragazzo cosa possono fare le tue spine a chi osa avvicinarsi a te!”
“... E allora perché quel Divine non ne è ancora stato trafitto? Non lo vedi che ti sta trasformando in un soldato? In una macchina da guerra senza discernimento? VUOI DAVVERO ESSERE QUESTO?”
“ZITTO!” sibilò “Non hai il diritto di entrare nelle esistenze degli altri senza saperne nulla! Cosa vuoi dirmi? Non capisci che non sei ben accetto in questa vita? VATTENE!”
“Forse non so nulla del tuo passato. Ma conosco il tuo presente, e voglio renderti in grado di avere un futuro! GUARDA QUESTO SEGNO! Non è una maledizione, è un dono! Smetti di portare distruzione! Non devi essere per forza un... un...”
Aki ghignò cupamente. “Dillo, forza. DILLO! Dillo che anche tu mi consideri un mostro! Dillo, toglila tu quella maledetta maschera di bontà che ti sei messo, e combatti sul serio!”
Yusei rise, rise di cuore. “Un mostro? No... Tu non lo sei, Aki. Tu sei quello che scegli di essere. E te lo dimostrerò!” Su quest’urlo, accadde l’imprevedibile. Forse era solo la presenza dei draghi in campo, forse la tensione del duello, forse qualcosa in più; ma un bagliore scarlatto si originò dalle rispettive braccia dei due combattenti, riempiendo lo stadio. Per un attimo il mondo sembrò venire inghiottito dal riverbero dei due Segni del Drago, in sintonia eppure in completo contrasto, e venne raggiunto un misterioso stato di pace mai provato prima...
 
Heh, come se potessi cascare in un trucchetto del genere.
“Drago Rosa Nera, DIVORALO!!!”
Tutto fu bianco, e poi fu nero. Lì dove luce ed ombra si incontrano in un vortice infinito di petali di rosa, il raggio partì, disperata speranza di un fiore spinato, di una bellezza letale scintillante alla luce della luna... L’oscurità inghiottì la luce, che si disperse in una nube di polvere di stelle.
Poche furono le persone a rimanere indenni dinanzi ad un colpo del genere. Due di esse erano lì in quel momento, fianco a fianco con i loro draghi.
“Attivo Raffica Cosmica.”
Un ennesimo tonfo, e una sola persona rimase in piedi.
Colui che avrebbe dovuto sfidare Jack Atlas in duello.
 
Corse direttamente da lei, senza neanche curarsi di tutti coloro che gli si avvicinavano, e che gli facevano le congratulazioni per aver vinto. Una sola cosa gli importava, ora.
Anzi, una persona.


 
Si trovò a ripensare a quell’evento. Le cose erano andate avanti di parecchio, da allora... dopo averla raccolta da terra, l’aveva immediatamente portata in infermeria, per poi andare a duellare con Jack; il torneo non era stato sospeso neanche con lo stadio in quelle condizioni. Aveva vinto, e aveva riavuto i suoi amici. Rex Goodwin era stato addirittura tanto gentile da offrire a tutti loro una sistemazione a Neo Domino, che lui aveva prontamente accettato. E’ strano, è successo non molto tempo fa... sembra una vita...  Sono quasi arrivato al posto. Ora finalmente la vedrò... di nuovo. Gli si scaldò il cuore al solo pensiero... il cuore e non solo: il braccio era rovente. Il solito segno... va beh, ormai ci ho fatto l’abitudine. Scendendo dalla moto, la vide e gli si mozzò il fiato.
 
Ebbe un brivido nel ricordare quel periodo... che poi “quel periodo”; non era passato troppo tempo, un mese al massimo. Ma in questo mese... ebbe un altro brivido, ma questa volta di piacere. In questo mese ho scoperto cosa vuol dire vivere. L’ho capito quando mi sono svegliata, e lui era lì. Aveva vinto contro Jack, era il nuovo campione dei duelli, aveva riavuto i suoi amici... eppure nulla di tutto ciò sembrava importargli. Poi c’è stato quel giorno in cui, rintracciati i miei genitori, me li ha fatti venire in stanza... All’inizio li ho respinti brutalmente, quasi riattivando i miei poteri nel processo, ma lui è stato con me, mi ha calmata, e abbiamo parlato e parlato e parlato. Quel giorno ho capito che non avevo più bisogno di Divine, di cui tra l’altro dopo il duello con Yusei si sono perse le tracce... Avevano pianificato con cura quell’uscita. Lui si era lasciato tutto libero, non che avesse altri impegni comunque... ma quello che era cominciato come un semplice progetto di uscita si era trasformato velocemente in qualcosa di più, ed erano arrivati inconsciamente a chiamarlo appuntamento... dopotutto sarebbe stato stupido negarlo, era evidente che ci fosse qualcosa.  Yusei... sei l’unico che abbia mai creduto in me per quella che sono, non per i poteri che ho... l’unico che mi abbia dato uno scopo per cui vivere, e non solo uno per cui combattere... Arrossì violentemente e si morse la lingua, come per impedire a quell’idea di diventare parola. Rivolse il pensiero a qualche ora prima, mentre si preparava. Aveva scelto uno dei vestiti più carini che aveva, rosa a decorazioni rosse, abbastanza aderente. Forse era la prima volta che lo indossava. Beh, non che ne avesse mai avuto bisogno fino ad allora. Poi trattenne il respiro. Era arrivato.
 
“... ehm, ciao, hai avuto problemi ad arrivare fin qui?” Wow. Me ne sono uscita con la frasetta più stupida di sempre...
“... no, no, tutto a posto... tu da quanto sei qui?” La invidiava. Almeno aveva avuto il coraggio di rompere il ghiaccio, cosa che lui non avrebbe avuto per tutto il giorno, altrimenti...
“... mmm, fammi pensare, un’oretta credo” Parlare così era decisamente scomodo. Si sentiva calda in faccia, sapeva di essere rossa come un peperone...
“wow, così tanto? Scusa se ti ho fatto aspettare allora”..
“no, tranquillo, non ti preoccupare, è una mia abitudine venire sempre in anticipo.”
“Allora va bene... che ne dici, ci incamminiamo?”
“Si, certo. Andiamo.”
Passeggiarono per un po’, l’uno accanto all’altra, senza parlare; non che servisse, dopotutto. Il sentimento era palpabile, e liberava le classiche farfalle nello stomaco di cui tanti parlavano, ma che entrambi stavano provando solo per la prima volta... i cuori acceleravano, battendo all’unisono, nell’euforia di stare con qualcuno di speciale, e di sapere che quel qualcuno è lì solo per te... L’unico rumore in quel tramonto senza nuvole era quello di una macchina o di una moto occasionali, che sfrecciavano a tutta velocità sulla strada accanto a loro... Si alzò un venticello fresco, portando con sé un aroma paradisiaco, una promessa di calore e dolcezza che amplificava quella che già stava sciogliendo i loro cuori... Svoltarono istintivamente in quella direzione, i loro passi che scandivano un ritmo comune e cadenzato...
Continuò a camminare, godendosi la serata. Stava provando emozioni forti, accanto all’unica ragazza che avesse mai avuto questo effetto su di lui. Ad un certo punto vide un cartello, appeso ad un cancello di ferro. Recitava “Parco Domino”. Ah wow, Neo Domino ha anche un parco? Pensavo fosse solo un’immensa distesa di cemento... Arrossì un pochino, al pensiero di entrare lì dentro con Aki. Avrebbe voluto davvero, ma non aveva il coraggio di chiederlo...
Poi fu lei a sorprenderlo. “Che bello questo posto... entriamo?” Che bello, vuole entrarci anche lei...
Entrarono nel parco, senza far rumore. C’era una pace innaturale, quasi fosse un luogo sacro la cui quiete nessuno dovesse disturbare. Ed era semplicemente istintivo adeguarsi, in religioso silenzio, muta ammirazione davanti a quel capolavoro della natura. Era come se fosse un bosco incantato, portato chissà come nel grigiore della città, dove nessuno penserebbe mai di trovarlo. C’era un’intimità perfetta. Il tramonto lambiva le cime degli alberi, facendo apparire traslucidi i bordi delle foglie, un gioco di luci che sembrava amplificare il profumo delicato trasportato dalla brezza leggera. E pensare che fino a poco fa stavamo passeggiando su un marciapiede, pensò Aki facendo un respiro profondo. Era un aroma buonissimo, sembrava davvero di essere in una fiaba.
 “Si, hai ragione. E’ bellissimo.” sussurrò Yusei, per non disturbare la quiete del posto. E soprattutto è bellissimo essere qui con te, Aki. Hai cambiato il mio mondo dal primo momento in cui ti ho vista... Si sorprese a pensare queste cose, ancora una volta dopo le innumerevoli in cui aveva cercato di fermarsi. Questa volta, però, è diverso... Questa volta devo ammettere l’innegabile, Aki mi piace davvero. E’ la prima volta che mi interesso ad una ragazza, ma è... è bello. E’ bello perché è lei.
Continuarono a camminare per il viale alberato, quando d’un tratto una luce li accecò... Il sole. Strano, dovrebbero esserci alberi qui intorno. E’ un parco, dopotutto... Oh, certo. C’è una spianata. E lì in mezzo... Il cuore di Aki perse un colpo dalla sorpresa. Ecco da dove proveniva quell’odore, si disse inalandolo in tutta la sua magnificenza. Stava guardando il ciliegio in fiore più grande e bello che avesse mai visto. Era spettacolare. La brezza ne scuoteva l’infiorescenza, diffondendone l’aroma in lungo e in largo, un delizioso profumo in grado di coprire anche lo smog della città. I giochi di luci creati dal sole che danzava sui fiori in movimento erano magnifici, e il vento portava con sé dei petali che la investirono in pieno. Che bello, pensò, questa è la vera forza della natura, non quella del combattimento... Cercò di scacciare quel brutto pensiero, una nota stonata in una situazione così romantica... Sono al parco. Al tramonto. Con un enorme e profumatissimo ciliegio in fiore. Con Yusei. E appesa al ciliegio...
 “...oh, un’altalena! ...Ti dispiace se ci salgo un minuto?”
Così... così spontanea. Conserva ancora l’animo spensierato di una bambina, sotto le spoglie di una sedicenne. Sei meravigliosa, Aki. Riesci a sorprendermi anche quando penso di averle viste tutte. Sei davvero diversa da tutte le altre. Si ritrovò a sorridere dolcemente, gli occhi che brillavano mentre un tenue rossore cominciava a colorargli le guance. La guardò incantato mentre saliva sull’altalena e cominciava a dondolare piano, il sorriso più perfetto che avesse mai visto dipinto sul suo affascinante viso. Il rossore crebbe.
“...posso spingerti?”
Non l’ha detto. Non l’ha detto. Oddio l’ha detto! Divenne istantaneamente rossa come un pomodoro, pregando che non se ne accorgesse. Cosa devo fare? Questo è un sogno che diventa realtà... Oh, al diavolo!
“V-va bene... solo stai attento!”
Stai attento? Perché gli ho detto una cosa del genere? Suona come se non mi fidassi di lui! Divenne ancora più rossa, dall’imbarazzo questa volta. Aveva rovinato tutto.
“Tranquilla, fidati di me.”
Non si è offeso? Ha accettato ugualmente? Oh, Yusei. Lo sguardo nei suoi occhi cambiò, le pupille si dilatarono, le fattezze si addolcirono nel sorriso che riservava solo a lui, a lui e a nessun altro.
Yusei cominciò a spingerla, dapprima piano, poi un po’ più forte, ma sempre con la delicatezza che si conviene a chi sta toccando un fiore. Sembrava come se avesse paura di romperla, di farle del male, che volesse proteggerla da tutto il mondo, che non gli importasse altro che lei.
Si trovò a pensare al mese che aveva passato con lui nell’infermeria. Non che quel pensiero la abbandonasse mai, così come non la abbandonava mai il pensiero fisso del suo Yusei... Ehi, da quando è diventato mio? Ma non posso fare a meno di pensarla in questi termini... è strano. Quella volta, quando ho ripreso i sensi, lui era lì, e io non sapevo che fare. Se l’avessi attaccato come avevo fatto fino ad allora, se ne sarebbe andato, e sapevo inconsciamente di non volere questo. Ma se mi fossi aperta troppo, sarei stata vulnerabile... Ho deciso di non fare nulla, guardandolo senza parlare... e quando mi ha chiesto << tutto bene? >> ho capito che avevo fatto la scelta giusta. Da allora è rimasto da me praticamente tutto il tempo, non tornando a casa neanche per dormire... Ricordo con affetto la prima volta in cui, svegliandomi durante la notte, l’avevo trovato che dormiva accanto a me, seduto sulla sedia e appoggiato con un braccio alla testiera del letto... È davvero piacevole sapere di dormire accanto a lui. Da allora Yusei aveva dormito con me praticamente tutte le sere. E’ stato un mese meraviglioso. Mi ha fatto vedere che c’è ancora un po’ di bontà nel mondo.
Guardò in avanti, oltre la ringhiera del parapetto su cui quella spianata si affacciava, verso il mare, contemplando il crepuscolo, quel momento di incertezza dopo il tramonto in cui sembra che la luce possa riaffacciarsi da un momento all’altro, e infine la notte prende il sopravvento... la notte... la notte evoca sempre in me una magia impareggiabile. Proprio come te, Yusei. E star guardando l’imbrunire, insieme, è la più grande emozione che io possa desiderare. Avanti, indietro, avanti, indietro. Yusei, ti amo. Arrossì violentemente subito dopo averlo pensato, come se l’avesse detto ad alta voce, ma effettivamente non è cosa di tutti i giorni accorgersi di amare qualcuno.
“Oh... oh oh... aiuto Yuseiiiii!” Sommersa dai suoi pensieri, aveva lasciato senza accorgersene le funi dell’altalena proprio all’apice della traiettoria. Fu questione di un momento: la tavola oscillò e la ragazza cadde all’indietro... dritta contro Yusei, che in un momento e qualcosina in più capì cosa stava succedendo; la afferrò giusto il tempo, stringendola forte a sé. Si erano fermati. Si sentiva stranamente felice, come se quella fosse l’occasione che stava aspettando. Com’è possibile che io sia contento, anche se lei è caduta? Non è giusto nei suoi confronti... Poi capì, guardandola, ora che di fatto la stava abbracciando, una stretta che rendeva chiare mille parole non dette e chiari mille sguardi sfuggenti. E’ perché l’ho protetta. Aki, non lascerò che nulla possa mai toccarti. Voglio stringerti in questo modo per il resto dei nostri giorni. Voglio sentire il tuo calore su di me. Aki, ti amo. Sentì tirare, e di riflesso la lasciò, arrossendo un po’. L’ho abbracciata; e ora che succede? E se l’avesse trovato inopportuno? E se mi considerasse immorale? Il panico cominciò a subentrare all’imbarazzo, e una goccia di sudore freddo gli imperlò la fronte...
“Grazie... Yusei, ora sto bene... tu piuttosto?” Era rossa. Era rossa come un peperone! Yusei l’aveva presa, poi l’aveva abbracciata e poi non aveva avuto intenzione di fermarsi!
“Non ti sei fatta male?” le chiese lui, ancora decisamente preoccupato.
“N-no... fortunatamente no..”
Arrossì violentemente. Aki versione monocolore in arrivo.
“... sono rossa come un peperone, vero?” sussurrò piano.
“... no, affatto.” rispose lui, altrettanto sottovoce, sorridendo. Ora sapeva dove andare a parare; si sarebbe giocato il tutto per tutto con questa frase, ma il gioco vale la candela, direi.
“... ma scherzi? sono rossa eccome...” continuò Aki, non capendo.
“... certo che sei rossa. Ma non come un peperone.” mormorò lui dolcemente. Poi le sussurrò. “Sei rossa... come i tuoi capelli.” Si concedettero un ultimo, pieno momento di palese romanticismo, fatto di parole non dette e di nuvole ancora da toccare, di stelle che cominciavano a comparire e di fiori di ciliegio portati dal vento, prima di separarsi, ancora sognanti.
 
Un rombo di tuono scosse la terra, mentre un lampo squarciava il cielo, spegnendo le stelle, i sogni, le speranze del mondo... un drago apparve sul mare davanti a loro, un drago che portava con sé vuoto, disperazione, dolore... un essere completamente bianco, insieme e assenza di ogni colore. Spiegò le ali, candide ma spente, contorcendosi ad un angolo innaturale, dirigendosi verso di loro e lanciando un poderoso ruggito. Nei loro occhi si intravide una scintilla di terrore, poi delle braccia forti avvolsero Aki per le spalle, nel disperato tentativo di proteggerla... un urlo di dolore.
Due grandi occhi, privi di luce.
-------
Mary-chan: "dan dan dan daaaaan! Cosa sarà mai successo?

Mdc1997: lo so io e lo sai tu. Loro no, però. U.U

Mary chan: hahahah già, e se hanno voglia di scoprirlo, non devono far altro che farci sapere cosa ne pensano e aspettare il capitolo successivo, che uscirà a breve credo u.u

Mdc1997: ... hai ragione. Dopotutto tante recensioni fanno gli autori felici * _ * E noi siamo pure veloci nello scrivere UwU dunque voi fate il vostro lavoro, noi il nostro. :D

Mary chan: [nel la mafochifta mode: on] Fiiiiiiiiii tutto nel proffimo epifod- capitowo uwu

Mdc1997: LOL, Nel la mafochifta... ma dove ti vengono certe idee? :'D UwU comunque meglio che tu ce le abbia... va in berserk PIU' IDEE! SERVONO PIU' IDEE!

Mary chan: Ehi, non spaventare i lettori! xD ...beh, ora sarebbe meglio andare, mi sembri un tantino stressato u.u notte gente ;)

 

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Capitolo 2
*** Prologo - il Re e il Drago ***


Mdc1997: Ebbene, rieccoci qui...
Mary chan: ci sono anche ioooo XD
Mdc1997: ...con il PROLOGO!
Mary chan: EH? Prologo??? Non avevamo già fatto un primo capitolo? ._.
Mdc1997: Beh, insomma, guardalo, spiega cosa è successo all’inizio, è ambientato un pochino prima, a te sembra un capitolo due??
Mary chan: ...no XD
Mdc1997: ecco U.U
Mary chan: dunque, buona lettura del prologo a tutti XD
Mdc1997: e se avete consigli/pareri da darci, recensite, grazie  ;)


PROLOGO
 
Ombra, dolore e disperazione. Da anni al Satellite non c’era altro che questo. Un ammasso male assortito di grattacieli decaduti e catapecchie varie, con l’occasionale casa quasi decente che puntualmente si rivelava il covo di briganti e taglieggiatori. Gente senza speranza. Questo era quello che tutti sapevano e pensavano, quando il quartiere distaccato veniva tirato in ballo. Nessuno sapeva dire con certezza perché fosse lì, o come mai due isole così vicine non fossero collegate da un ponte. Comunque, nessuno se ne curava. Nessuno si curava mai degli abitanti del Satellite. Erano strumenti, che rendevano migliore la vita già opulenta degli abitanti di Neo Domino. Uno strumento si rimpiazza, quando non funziona più. Tutto, lì, funzionava secondo questa logica, dalle scorrerie degli agenti di Sicurezza che cercavano di imprigionare chiunque capitasse loro a tiro, per il solo crimine di far parte del Satellite, alla regola ferrea e inumana che dettava la confisca del deck e della Duel Runner a chiunque vi abitasse.
 
C’era, però, un piccolo gruppetto che continuava a sfuggir loro. Una fratellanza di cui solo i pochi eletti che ne facevano parte erano al corrente, che si riuniva nel posto più nascosto e maledetto dell’isola.  Avevano piani, grandi piani, ingranaggi che si erano già messi in moto da cinquemila anni. Un segreto antico, e una storia che stava per ripetersi. Un capo ambizioso, crudele... e molto arrabbiato.
 
“COSA VUOL DIRE che non è apparso?” Era furioso. Com’è possibile che il Drago Cremisi  non si sia fatto vedere? 2Abbiamo fatto tanto per riunire i predestinati! Abbiamo fatto tanto per farli cadere tutti dritti nella nostra rete!” Sottolineò ogni esclamazione con un pugno sul tavolo. “Li abbiamo fatti duellare! E QUEL MALEDETTO DRAGO NON APPARE!” Scrutò i presenti con i suoi occhi di tenebra, come per sfidarli a parlare. “Ho pensato a questo piano per anni! Ho riunito una squadra scelta, scelta dai demoni che dovranno governare il mondo! E TU, Devack? TU, Misty? TU, Kalin? Cosa avete fatto?” Tutti ammutolirono, aspettando che il loro comandante continuasse a sfogarsi. “VOI NON AVETE FATTO NIENTE!” Aveva messo tutta la sua forza in quell’urlo, che lo aveva lasciato, per così dire, col fiatone... poi parlò nuovamente, più piano. “Voi non avete fatto niente. Dimmi, Kalin, quand’è stata l’ultima volta che hai lasciato questo posto?” Silenzio. “Ecco perché le cose vanno a rotoli! Ecco perché il drago non è apparso! È TUTTA! COLPA! VOSTRA!”
La tensione nell’aria era palpabile, nessuno si azzardava a parlare; li aveva addestrati per bene, dopotutto. Tutti loro sapevano che l’ira del loro comandante era una spada molto affilata, e nel senso letterale del termine: più di una volta qualcuno c’era rimasto secco per una delle sue sfuriate, anche se nulla di comparabile all’apocalisse che avrebbero dovuto scatenare. Già... se il drago si fosse manifestato, almeno;  l’apparizione avrebbe confermato che i quattro ragazzi invitati alla Fortune Cup erano effettivamente i Predestinati, con il Segno del Drago e tutto il resto. Eppure i presupposti c’erano stati tutti. I segni di Yusei e di Aki si erano manifestati. Jack Atlas, visto il macello accaduto nel suo primo duello con Yusei, lo era sicuramente anche lui. E la ragazzina, Luna... anche lei era una Predestinata, il suo segno si era manifestato nel duello di consolazione con il Professore. Dunque qual è il problema? PERCHE’ quel drago non è apparso? C’era stato un malfunzionamento di qualche tipo? Forse qualcuno non aveva fatto tutto come doveva? Ma CHI? Gli venne in mente suo fratello Rex. Era l’unico indiziato possibile, dato che non poteva esserlo nessun altro. Non c’era nulla da fare, avrebbe dovuto fare una chiacchierata con lui.
 
Non riusciva a capire. Aveva trovato gli altri quattro predestinati, oltre a lui stesso. Li aveva riuniti in un punto. Li aveva fatti duellare l’uno contro l’altro, e in tutti i casi era stato un successo pieno: i segni si erano illuminati tutti quanti, confermando dunque l’autenticità della sua teoria. Eppure... eppure il drago non era apparso. Perché? Com’è possibile? Dove ho sbagliato? Come mai il Drago Cremisi si è dimostrato sordo alla chiamata dei predestinati? E soprattutto, cosa avrebbe pensato Roman ora? Si erano lasciati con una promessa; ora chissà cosa sarebbe successo, ora che lui l’aveva involontariamente infranta. Si trovò a stringere con le mani il telefono cellulare, in una presa nervosa, energica; quasi volesse minacciarlo di non squillare.
Invece quello squillò, e Rex Goodwin sentì che le cose, da allora in poi, sarebbero andate sempre peggio.
 
Desolazione. Un cratere enorme, simbolo di un errore. Buio intorno a loro, perché buio era ciò che avrebbero portato. Un vento leggero spirava, portando con sé nuvole di sabbia e polvere, polvere di ciò che una volta era stato l’orgoglio di un’era... e aveva finito per divenirne la disgrazia. Inversione Zero, così l’avevano chiamata; quel tragico incidente che aveva convertito tutte le speranze di Neo Domino in una sentenza di morte per la città.
Pochi sapevano, tuttavia, che non era stato affatto tale. Era stato preparato, progettato, programmato da due fratelli, due facce della stessa medaglia, due combattenti nell’esercito del destino. E benché il loro fine potesse essere stato nobile, a suo modo, il prezzo da pagare si era rivelato essere la fine dell’unità e l’inizio del regno dell’odio.
Un elicottero, nera figura contro il sole che ardeva impietoso, atterrò. Da questo un uomo, sulla cinquantina, capelli bianchi fluenti e un braccio meccanico, scese deciso, scuro in viso e funereo nel cuore, perché sapeva che, di lì a poco, avrebbe dovuto fare i conti col destino, i conti con la sua missione. Una missione che lui aveva fallito. Una missione che era stata affidata a lui, e che non era stata portata a compimento. Per colpa sua, chissà come sarebbe finito il mondo. La forza che avrebbe dovuto proteggerlo non si era fatta viva, e quella che avrebbe dovuto distruggerlo era rimasta da sola, senza scopo, senza senso. Cosa sarebbe successo?
“Ciao, Rex.”
Non sentì il bisogno di girarsi, sapeva bene chi era. L’altro soldato, quello che il destino aveva scelto come antagonista, quello che aveva capito cosa sarebbe successo prima ancora che ogni cosa venisse svelata. Non poté fare a meno di provare un pizzico di invidia per lui; così come i suoi cittadini lo guardavano, così lui guardava suo fratello Roman. Era sempre stato il punto di riferimento, il pilastro della famiglia, quello responsabile e serio. Lui, invece, cos’era? Un povero pezzo di carne e metallo consumato e indurito dall’esperienza, che aveva dato tutto ciò che aveva in cambio di un potere oscuro; grande, sì, ma maledetto.
Il peso dello sguardo del fratello lo costrinse a girarsi; non poteva più far finta di ignorarlo, ma questo non voleva dire che dovessero già cominciare a rimbeccarsi. C’era ancora una minima possibilità che questo potesse essere un invito amichevole, e decise di scommettere tutto su quell’unica speranza. Respirò profondamente.
“Ciao, fratello mio. Qual buon vento ti porta?”
“Vento di sventura. Lo sai meglio di me, Rex.”
Ahi. Proprio quello che non voleva sentire. Rassegnandosi ad una conversazione a senso unico, cercò di comportarsi come aveva sempre fatto; evitando, eludendo. Somigliava tanto alle discussioni che erano soliti avere da bambini, quando Rex combinava una marachella e il fratello lo sgridava; ma il minore sapeva che l’altro lo faceva per il suo bene. Aveva preso un po’ il posto del padre e della madre, visto che erano sempre fuori per affari, e non vedevano di buon grado il tornare a casa, fosse anche per un momento. Forse avevano paura di Roman, ripensò. Era sempre stato scontroso con tutti noi, ma solo io lo capivo davvero. O almeno ci provavo...
“Purtroppo hai ragione. Ma perché io? Perché hai richiesto la mia presenza? Ho affari a Neo Domino che-“
“NON MI IMPORTA NULLA dei tuoi cosiddetti “affari”! A me importa della Fortune Cup! Di quello che è successo il mese scorso! DEL MALEDETTO DRAGO che non è apparso!” Era furibondo. Rex non capiva, non voleva capire. Stava succedendo tutto come al solito, e sapeva che anche il fratello ci stava ripensando; glielo leggeva negli occhi, e sapeva che avrebbe cercato di sviare il discorso, ma non gliel’avrebbe permesso. Non questa volta. Aveva trovato un capro espiatorio, un modo per liberarsi da tutte le colpe e su cui scaricare tutti i suoi fallimenti; peccato però che non lo ammise mai, o non se ne rese conto. Era troppo arrabbiato per curarsene, comunque.
“Sono diciassette anni che prepariamo questo piano! HAI LA MINIMA IDEA di quanto significhi questo per me?” No, il mio fratellino non può capire. Glielo leggo negli occhi. E’ confuso, deluso; ma non ha compreso. Non può aver compreso il duello che si era creato nella mia mente e nella mia anima, il duello originario tra luce ed ombra che si replicherà ancora e ancora, in contesti differenti, con storie differenti, ancora e ancora nella grande ruota del tempo.
“Cioè... pensi sia colpa mia?”
Adesso Rex gli ricordava esattamente quello che era quando erano bambini. Lui era quello che con un’occhiata ti faceva cadere addosso tutte le colpe del mondo, quello che con una frase poteva farti capire quanto tu ti stessi sbagliando. Era quello che con una domanda sapeva disarmare tutte le accuse che gli potessero essere portate.
Peccato che Roman Goodwin non potesse essere disarmato.
“Spero di no, Rex. Spero davvero che tu sia innocente. Hai portato il Segno del Drago, come ti avevo chiesto?”
La sua voce aveva assunto una nota di tristezza, di dolore; il peso di ciò che si stava compiendo era terribile, terribile e gravido di angoscia, ma era un peso che aveva già cominciato a portare da troppo tempo, e un peso che, a questo punto, valeva la pena tenere in spalla fino alla fine che già s’appressava. Rex aveva ancora, ai suoi occhi, quell’aria di innocenza di quando erano bambini; ma era edulcorata, diluita, dispersa in una durezza che i suoi occhi non avevano mai avuto prima d’ora.
“Sì. Perché vuoi vederlo?”
Eccolo qui, caro, vecchio, ingenuo Rex. Pensò amaramente che forse il pendolo dell’inferno aveva continuato a sbattere i rintocchi fino a questo momento; e lui, loro, tutti loro non erano stati altro che pedine in questa eterna partita a scacchi destinata a non finire mai. Tanto valeva, allora, fare la sua mossa, per quanto dura da accettare.
“Mettilo.”
Rex sospirò. Era arrivato il momento. Avrebbe potuto contrastarlo, se avesse voluto; ma sapeva che ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Aveva sempre seguito suo fratello in tutti i suoi progetti, in tutte le sue idee; per lui Roman era l’idolo da raggiungere, l’obiettivo di una vita intera. Aveva sempre voluto diventare come lui, la sua ammirazione andava anche oltre il pur profondo legame che c’era tra loro come fratelli.  E avrebbe continuato a seguirlo. Fino in fondo.
“Come vuoi. Mi fido di te, Roman.”
In preda all’angoscia, Roman Goodwin traballò sotto il peso di quella frase. Non riusciva a pensare. Non riusciva a parlare. Si sentì terribilmente male, quando suo fratello tolse il braccio meccanico per inserirne uno di carne, uno che era appartenuto a lui, uno che simboleggiava il legame che li univa indissolubilmente. Quand’era stata l’ultima volta che aveva pianto? Quando aveva provato una tale sofferenza, un tale dolore? La morsa dell’oscurità lo attanagliava, il gelido alito della morte che gli soffiava nell’orecchio. Non sentiva più il suo cuore battere. Guardò in basso, quasi aspettandosi di non vedere più nulla. Non merito di avere un cuore. Lo sto ferendo, lo sto torturando,...
“Uccidimi.”
L’aveva detto. Non riusciva a crederci. Rex, il suo fratellino, quello che aveva sempre visto come debole, ingenuo e bisognoso di protezione, come un bambino insomma, gli aveva appena chiesto di ucciderlo. Come se sapesse. Come se lo capisse, e si sentì un verme; si odiò per aver potuto anche solo pensarlo. Era stato accecato dall’ira, dall’odio, e dalla paura che tutto fosse vero; dal timore che suo fratello potesse essere stato il responsabile del fallimento di uno dei suoi piani. Sentì che il cuore gli cadeva in basso, in basso fino a dargli mal di pancia. Era come se il suo battito cardiaco si fosse fermato, in preda a quella sensazione tanto opprimente. Il mondo si congelò dopo quell’unica parola, ammissione di un milione di altre non dette, e un milione di azioni incompiute. Una promessa lasciata disattesa, un pagamento nella terribile valuta della vita. Roman Goodwin tacque. Inconsciamente la mano gli scivolò sotto il suo mantello; sul pomolo della spada, stringendo la presa sull’arnese che, secondo il suo piano originale, avrebbe dovuto garantire la sua ascesa al potere assoluto. Eppure non riusciva a farlo. Non riusciva a guardare negli occhi suo fratello e a dirgli “Sì, ti voglio uccidere”. Non ce l’avrebbe mai fatta - ma poi, un pensiero vagante lo fulminò, lo voglio davvero? Andrei davvero così fiero di un potere che ho conquistato distruggendo il sangue del mio sangue, il mio fratellino? Quello che ho protetto per tutto questo tempo? Quello che mi ammira incondizionatamente? Ridacchiò amaramente, prima di parlare un’altra volta.
“Ucciderti? E perché mai, fratello mio?” Un suono molto simile al precedente uscì dalla sua bocca; questa volta, però, non era la vuota sghignazzata di chi ha appena perso tutto. Questa volta c’era il cuore, dietro quella sincera e piena risata, il cuore e un legame fraterno che aveva da tempo seppellito, dissotterrando al contempo l’ascia... o meglio, la spada di guerra.
Anche Rex sembrò aver sentito questo repentino cambio di atmosfera. Fino ad allora l’aria era stata pesante, oscura, riarsa e terribile nella sua asprezza. Aveva avuto paura, paura di quella situazione, di quell’aria; ma ad un certo punto l’aveva semplicemente accettata, così com’era. Si sarebbe fidato di suo fratello fino in fondo, anche se questo avesse comportato venire ucciso, perché sapeva che se Roman faceva qualcosa, aveva sicuramente un buon motivo per farla. Eppure era felice che non l’avesse fatto. Fu come se un grosso masso -il più grande concepibile, in realtà- fosse stato sollevato dalle sue spalle. lì dove era atterrato con lo squillo del telefono. Quando udì la risata genuina del fratello, non poté fare altro che unirvisi; dopotutto, era una delle rarissime occasioni che aveva di sentirla, e di poterla apprezzare. Suo fratello era sempre stato così cinico. “Sai, Roman... sono contento. Non solo per la mia vita - ma anche per la tua.”
“Anch’io.” Roman non poté dire altro, tanta era la commozione.
Anzi, in realtà una cosa da dire ce l’aveva.
“Il drago non è apparso; questo potrebbe anche giocare a nostro favore. Potremmo risvegliare il Re dell’Inferno qui e ora.”
“Ma il Segno del Condor... non c’è un predestinato oscuro che ce l’abbia! Come faremo?”
Roman ghignò furbescamente. Conosceva troppo bene suo fratello per farsi giocare in quel modo.
“Rex, Rex, Rex... non si era detto di non avere segreti?” La voce era melliflua, ma aveva ancora quel lato tagliente che lo caratterizzava fin da quando aveva imparato a parlare. “So da tempo che quel segno ce l’hai tu. Non fare il furbo con me, e ricorda che hai ancora due braccia di carne” disse scherzosamente.
Rex si sentì un po’ in colpa per non aver raccontato tutto al fratello, ma fu sollevato dal suo tono burlesco. Era tempo che non lo vedeva così su di morale. Probabilmente, tutta una vita.
 
 “Ehi, Misty?”
Kalin era annoiato. Molto annoiato. Il loro capo stava parlando con suo fratello, ridendo e ricordando i vecchi tempi, mentre c’era un mondo da conquistare. Non era concepibile. Ok, sì, è vero, non si vedono da diciassette anni, questo devo concederglielo. In ogni caso, era troppo. Erano due ore che stavano ridendo a crepapelle, ricordando la madre e il padre e lo zio e tutto il resto della storia della loro vita. E ora Misty non lo stava neanche a sentire, era troppo occupata a fulminare tutti con le sue solite occhiatacce. Che noia ragazzi! Avrebbe dato qualunque cosa per un po’ d’azione.
“Bene, ragazzi. E’ tempo.”
”Finalmente!” Eruppe Kalin, già stufo di un’attesa durata anni. Nessuno di loro, in realtà, ne poteva più; non avevano ancora fatto nulla da quando erano stati Scelti. Chi aveva pensato a piazzare spie ovunque? Roman. Chi aveva ideato il piano? Roman. Chi era l’unico ad avere tutte le tessere del puzzle? Roman. Wow, che velocità, volevo l’azione ed eccola qui, si disse Kalin. Speriamo in bene... il capo non mi piace quando ha quello sguardo. Aveva un brutto presentimento, ma lo ignorò.
“Ora io e Rex andremo a fare i preparativi. Voi fatevi trovare al Cancello.”
Il Cancello? Deve trattarsi di qualcosa di grosso. Qualcosa che cambierà completamente il mondo. Gli Immortali, però, sono tutti qui... Che cosa vuole risvegliare Roman?
 
“E’ rimasto tutto come allora...” I ricordi; meravigliose, ingannevoli creature. Era molto tempo che non tornavo qui; eppure, in nome dei ricordi, nulla è stato cambiato. Persino la sedia è nella stessa posizione in cui l’ho vista l’ultima volta. Fece scorrere la mano sulla tastiera di uno dei computer, quello che era stato suo; e sorrise nel trovarvi ancora quel tasto che gli si era bloccato tanti anni prima. Ricordò che doveva utilizzare una combinazione assurda di tasti per ottenere la lettera “B”; eppure, si disse, saprei ritrovarla ad occhi chiusi ancora oggi.
“Sì, fratello mio. Tutto come allora.”
Roman Goodwin, ghignando, sbatté il pugno sul massiccio tasto rosso; e, letteralmente, si scatenò l’inferno.
 
Nel preciso momento in cui il Cancello cominciò a pulsare di una luce innaturale, guardò giù. Il loro capo aveva premuto il grande pulsante rosso, quello che già una volta aveva liberato una quantità di energia negativa tale da dividere un’isola e farne sprofondare una parte nell’oscurità. E’ il momento. Questo sarà davvero qualcosa di mai visto prima. Spero solo che Roman sappia quello che faccia. Ho un po’ paura, anche se so che questo momento è stato il nostro obiettivo fin dall’inizio. Non devo avere timore, né incertezze. Kalin era assalito da pensieri contrastanti, dubbi dell’ultimo minuto, e tutte quelle cose che possono passare per la testa quando si sta per fare un grande passo; eppure era calmo, perché ormai aveva fatto troppo per potersi tirare indietro. Doveva solo accettarlo. Siamo in ballo, e allora balliamo.
Improvvisamente, la voce di Roman tuonò.
“Eccoci, amici miei. Il grande momento è giunto. Cinquemila anni sono passati, da quando ci siamo incontrati qui... in altri corpi, in altri tempi. La sostanza del discorso, però, non cambia. Noi siamo quelli che siamo stati Scelti dal destino! Siamo i combattenti delle tenebre e dell’oscurità! Siamo le forze delle ombre!” Fece una pausa. “Come saprete, sono stato molto turbato, recentemente, dalla mancata apparizione del nostro avversario; pensavo che tutto fosse perduto. Eppure, potrebbe trattarsi della svolta. Senza più un nemico con cui misurarsi, gli Immortali Terrestri tornano al loro riposo... e noi, noi possiamo dare vita ad una nuova era, un’era dove il mondo sarà congestionato e oppresso dalle forze del male. Il Re degli Inferi sbarcherà su questa terra, e noi verremo innalzati con lui, e avremo potere su ogni cosa!”
Tutti loro alzarono una mano, esponendo il proprio Segno Oscuro.
Una luce viola; il Cancello era aperto.
 
 
Chi era? Dov’era? Cos’era? Che belle, le grandi domande a cui nessuno, nel mondo di sopra, sarebbe mai riuscito a rispondere. Non ne avevano il privilegio. Erano sempre sul filo del rasoio, quegli inutili umani. Sempre sulla linea di passaggio tra la luce e l’ombra, senza cadere in nessuna delle due. Per questo non avrebbero mai potuto raggiungere la sicurezza di sé che aveva lui. Lui sapeva perfettamente ciò che era. Chi era? No, lui non era una persona. Non aveva una sola anima. Lui era il male, l’unione di millenni di dolore, di angoscia, di gelo e di morte. Gli uomini vedevano l’oscurità come un’astrazione; come un’entità che non potesse mai toccarli.
Quanto si sbagliavano. Il male era una bestia, un mostro indomabile; sei ali, otto zampe, pura, liquida tenebra davanti alla quale ogni luce impallidiva, svanendo. Era un ricettacolo di ogni possibile peccato o imperfezione; invidia, angoscia, malizia. Tutte queste qualità negative si riunivano in lui, e costituivano la sua forza. Non era una riflessione che faceva spesso; più che altro, ne era costituito, lo sapeva, e tanto bastava.
Una luce.
Un’altra cosa che conosceva era la leggenda del Drago. Come poteva essere altrimenti, visto che ne era stato parte integrante? Non perché avesse vissuto lo scontro; era rimasto nelle retrovie, ad aspettare che i suoi servitori, gli Immortali Terrestri, gli aprissero la strada contro quelli del Drago Cremisi, sua antitesi e nemesi designata. Tuttavia, ogni cosa, ogni strategia, ogni battaglia era stata inutile. Avevano perso, e per cinquemila anni era stato costretto alla segregazione totale, alla prigionia, alle catene opprimenti che lo schiacciavano. Ora quell’umiliazione stava per essere finalmente riscattata da quella luce. Una luce che avrebbe dato speranza di salvezza all’essere della disperazione per eccellenza. Sembra così ironico. Ma essere l’incubo di tutti significava non averne, ed essere forte. Essere ferro. Essere fuoco. Essere odio puro. Si mosse verso la luce, la luce del mondo di sopra, la luce che lui, molto presto, avrebbe estinto.
Il Condor.
Tutto secondo i piani. Avrebbe raggiunto il Condor, e quella sarebbe stata la porta per la sua salvezza... e la morte di chiunque altro. Avrebbe portato il suo regno di terrore nel mondo, scatenando l’armata degli Inferi alla conquista di tutto ciò che si estendeva sotto l’odiato sole. Eppure qualcosa non andava. Il Condor cominciò a mutare forma, a venire tagliato fuori, come se qualcosa di scuro e molto grosso lo eclissasse. L’uscita, la sua unica possibilità per realizzare tutti i suoi piani, si stava chiudendo.
Eppure... eppure quella cosa che la stava eclissando non era nera, anzi; non pareva affatto un prodotto degli inferi, tanto era bianca. Tuttavia non sembrava una luce gioiosa; pareva l’incarnazione del dolore e della depressione, da quanto era funerea. Più che un pallore luminoso, infatti, sembrava spento, vuoto, angosciante. Vedeva quella bestia come qualcosa di molto vicino a un suo simile, ma anche molto diversa...
In tutti i casi, stava sbarrando l’uscita al re degli inferi. Quest’ultimo sparò un colpo magmatico all’altro, infuocata espressione della sua forza, un raggio di distruzione che aveva sempre vinto ogni battaglia; tuttavia, era così piccolo al confronto della gargantuesca creatura che non riuscì a vedere dove fosse atterrato. Sembrava non l’avesse nemmeno danneggiato; anzi, ora pareva furioso. Lui attaccò, attaccò e attaccò ancora; ma era come se quello non lo sentisse. Il Re dell’Inferno ululò, un grido bestiale, inumano, oscuro che era l’affermazione di tutta la sua potenza, e per un momento apparve forte, forte e in grado di battere qualunque avversario.
Poi lo vide con chiarezza, e capì che non c’era più nulla da fare. Non poteva sconfiggere un drago come quello; un drago che portava con sé il potere più grande che lui avesse mai visto, già una volta pareggiato da un altro essere, che era a sua volta una di quelle schifose lucertole; ma questa era praticamente il suo opposto. Dove c’era il rosso della passione, ora c’era il bianco del vuoto. Là dove gli occhi brillavano, ora erano cupi, malinconici e pieni d’odio, e là dove c’era stato il cuore... ora, ora non c’era nulla. Non aveva mai visto nulla di simile; quel mostro sembrava non avere alcuna emozione, non comunicare alcun sentimento. Perfino lui, lui che si definiva la bestia per eccellenza, comunicava qualcosa. Incuteva soggezione, talvolta irretiva, talvolta conduceva sulla strada della depravazione; ma non era mai stato completamente vuoto. Quella cosa pareva un buco nero, mentre lui, come ipnotizzato dall’angoscia, continuava a fissarlo avidamente. Un buco dal quale poté per l’ultima volta rivedere il Condor, l’uscita, la libertà, quando la bestia creata dal dolore scese a divorarlo. Il nero puro stava sbiadendo, mano a mano che il bianco del nulla e della disperazione prendeva il sopravvento; e non poteva crederci. Lui era il Re! Lui era colui che non doveva cadere, pilastro del suo dominio! Lui era il baluardo che aveva fatto reggere il regno degli Inferi fin dalla notte dei tempi; e stava per morire? Non poteva accettarlo. Urlò ancora, un grido possente, distruttivo, una sfida allo spettrale pallore che lo circondava, prima di sparire. Poi, il bianco inghiottì il nero.
Vuoto.
 
In un singolo istante, tutti loro seppero cosa dovevano fare. Fu come se una potente e terribile voce lo sussurrasse loro nell’orecchio, un amico appena ritrovato del quale si sarebbero fidati ciecamente, fino ad andare incontro alla morte, se fosse stato necessario; eppure qualcosa sembrava suggerire che non sarebbe finita così, che tutti sarebbero stati salvi. Si aprì loro uno scenario di infinite possibilità, si sentivano quasi galleggiare, senza gravità, senza peso nella contentezza che li aveva appena pervasi. Quando i loro segni si erano illuminati, non li avevano neanche visti, tanto erano presi dalla magnifica sensazione che stavano vivendo. Erano vivi, vivi e liberi, e fu come se ogni fardello fosse finalmente sollevato da spalle che ne portavano troppi, da troppo tempo; ma non avevano voglia di sentire dolore. Si concentrarono sull’emozione che li stava appagando; e il loro pensiero fu uno.
Siamo liberi.
 
Una scintilla, un bagliore biancastro. Perché? Era un pessimo segno. Dovevano liberare il signore degli inferi, il re di un mondo senza luce; come mai allora se ne intravedeva una bianca al fondo del cancello?Qualcosa non stava andando come doveva; e tuttavia nessuno riusciva a muovere un passo, nessuno riusciva a staccare gli occhi; quella luce li aveva come ipnotizzati, catturati in quella spirale di angoscia, dolore e disperazione che la caratterizzava. Nel contemplarla, era come se il tempo si fosse fermato. In un lampo, arrivò, cancellando tutto quello che si trovava sul suo cammino; i sogni e le speranze, le gioie e i dolori; perfino il cratere fu spazzato via, divorato dalla possente creatura come la terra devastata dalla furia degli elementi. Un urlo di dolore, cinque vite spezzate. Due fratelli riappacificati, tre esistenze guidate dalla vendetta.
Due grandi occhi, privi di luce.


Ed ecco a voi...l'angolo della chat! :D
Mdc1997: E il capitolo du-ehm il prologo si è concluso! Recensite! RECENSITE HO DETTO UwU
Mary-chan: E ci risiamo... lo vuoi capire che sei troppo brusco? *si scusa con tutti* ^^" lo vedi che figure mi fai fare <.<
Mdc1997: E che ci posso fare io, così sono fatto U.U :P Allora *caccia un elenco lunghissimo... di quattro nomi* Si ringraziano per le recensioni... Valix97, Tony Stark, matematica97, Keily_Neko (messaggio per quest'ultima: la tua recensione era troppo lunga, rispondere era faticoso :P in ogni caso abbiamo seguito praticamente alla lettera i tuoi suggerimenti u.U)... e basta ^^"
Mary-chan: ... devo ammettere però che sto capitolo l'hai fatto quasi tutto tu... ç_ç vabbè, mi rifarò col prossimo UwU ma abbiamo una chicca per i nostri lettori, no? :D
Mdc1997: Siiii :3 Innanzitutto volevo dirvi che, per come l'avevamo pensato, questo capitolo sarebbe stato ancora più triste/dark/pesante... non ce la facevamo noi a scriverlo però, capiteci TwT
Mary-chan: E inoltre... la parte che preferisco! Diglielo, forza UwU
Mdc1997: Ok lol *è costretto a dirlo* Ecco a voi... com'è nata davvero la scena del re degli inferi! :D Enjoy U.U

[punto di vista del re]
Re: Che bello che bello l'uscita * ^ * mo vado a conquistare il mondo :3... aspetta, una luce? mah sarà quella... no, è a forma di drago. AIUTO IL DRAGO CREM-ehm no, è bianco... ._. ... Oh c****, pare forte T.T

*il drago lo mangia*

Drago: Burp! U.U
---
Mdc1997: Oook, questo è più o meno il prototipo dello scheletro su cui lavoriamo U.U abbiamo rivelato il nostro segreto :P
Mary-chan: Già UwU... ma perché finiamo sempre col pubblicare a tarda notte? x'D
Mdc1997: Non lo so lol, c'entrerà qualcosa col fatto che SCRIVIAMO solo a tarda notte? :'D
Mary-chan:  Mi sa tanto :'D... *guarda l'ora* uhm, come non detto, notte gente ^^" ;)

Mdc1997: P.S.: Prossima volta la buonanotte la do io U.U

 

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Capitolo 3
*** Specchio dell'Anima ***


-Mdc1997: Salve a tutti U.U siamo tornati C:
-Mary-chan: Già UwU con un nuovo chap fresco di giornata! :3
-Mdc1997: Si x’D E soprattutto questo capitolo, per la prima volta, ha DUE titoli!
-Mary-chan: già già, non siamo riusciti a deciderci XD
-Mdc1997: e non metterla in questi termini, è bello avere una scelta UwU
-Mary-chan:  ... ok, questa ci sta UwU
-Mdc1997: e.e dunque il primo titolo possibile è “Specchio dell’Anima” che è anche quello che avete trovato nel menu a tendina! :D
-Mary-chan: Il secondo, invece, è “Sguardi persi nel buio”... Capirete perché U.U
-Mdc1997: Dici che lo capiranno? x’D
-Mary-chan: Massì, dai u.u
-Mdc1997: Piuttosto, perché abbiamo detto i titoli? Non sono a inizio capitolo?
-Mary-chan: ... ^^” Vabbè UwU godetevi il capitolo :P

 
 
 SPECCHIO DELL'ANIMA - SGUARDI PERSI NEL BUIO
Pian piano riaprì gli occhi, quegli stessi occhi nocciola che, storditi e confusi, cominciarono timidamente a guardarsi intorno. Dov’era finita? Che posto era quello? Il buio la circondava, muta espressione dell’angoscia che cominciava a pervaderla. Aveva sempre odiato il buio. Non quello della notte, anzi; lei adorava la notte, la faceva sentire libera e splendente come una stella, come quella stella cui era stata solita rivolgere tutti i suoi pensieri, sogni e desideri, da bimba... Adorava quel tipo di buio, ma qui... Qui non c’era niente. Nessuno che la potesse vedere o sentire, nessuno che la potesse aiutare, nessuno che la potesse salvare. Come aveva fatto Yusei... Alla menzione di quel nome, sentì un dolore lancinante alla testa, come un fulmine a ciel sereno, e con esso tornò la coscienza, la memoria, l’emozione. Ora ricordo... Il parco, il ciliegio, l’altalena... Perché è sparito tutto? Il pensiero divagò, richiamando alla mente i magici momenti di quella sera, un pensiero luminoso e pieno di calore in un buio agghiacciante. Non era come nel bosco, no. Lì la calma era pulsante di vita, di meraviglia, della gioia negli occhi di un bambino. La quiete di quel luogo era solo vuoto.  All’improvviso, una voce tagliente risuonò in quello spettrale silenzio.
“Ciao, principessina”.
 Le si gelò il sangue nelle vene. Chi aveva parlato? Chi altro c’era lì, oltre a lei, in quel luogo di oscurità e disperazione? Si voltò istintivamente. Non si era sbagliata, c’era davvero qualcun altro. Poi, vide. Man mano, una figura pallida e quasi diafana si delineò dal fondo di quella tenebra, muovendo alcuni passi verso di lei, e avvicinandosi sempre più. Un rintocco netto e scandito che sembrava interminabile, un pendolo infernale che segnava il tempo che le restava da vivere. Il buio era soffocante, e il cuore cominciò a batterle all’impazzata, l’adrenalina che le urlava di scappare, scappare il più lontano possibile, al sicuro, fuori di lì.  Appena poté distinguerla con precisione, sbarrò gli occhi. No, non è vero. Che sta succedendo? Dove sono? Sto sognando? Chi c’è davanti a me? Perché? Non è possibile che...che...
“Che ti prende, principessina? Sembra tu abbia visto un fantasma!” la interruppe nuovamente quella tetra voce, dura, graffiante, disarmonica.
Cominciava ad essere più che semplicemente spaventata. Quella che le si parava davanti era una copia di se stessa, esattamente com’era, come fosse il suo riflesso in uno specchio; eppure lo specchio non rifletteva a colori; avrebbe dovuto conoscere solo il bianco e il nero perché lei potesse apparire così, e fu quello a riempirla di terrore, angoscia e dubbio; il dubbio che non potessero esistere vie di mezzo; il dubbio di poter diventare bianca, o nera. Quella figura non era solo pallida; era esangue, vitrea, spenta; eppure quelle sue pupille dorate sembravano vive,  piene di ira, odio e una tristezza infinita.
“Chi sei tu?”
Non aveva il coraggio di parlare ancora. Aspettando una risposta, si mise a studiare l’altra per stabilire se potesse essere un pericolo o no. Non aveva fatto ancora nulla, eppure irradiava una sensazione di rischio imminente, di morte, di desolazione e di dolore. Pareva che l’aria stessa fosse fatta di odio, tanto era scuro il suo sguardo. Sembrava... delusa. Delusa e arrabbiata.
 “Io? Non mi vedi? Sono te”. L’aveva detto così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se quell’altra se stessa sapesse cosa stava succedendo. Il suo tono era aspro, ma i suoi occhi erano malinconici. Era la personificazione dell’ira, di una rabbia repressa e alimentata da un dolore immenso, un dolore che non aveva trovato un appoggio, il suo peso troppo schiacciante, il suo alito troppo opprimente. Aki era incredula. Questa non sono io. Non è possibile. Io non sono così. Non... sono... Ricordò. Ricordò tutti i momenti che aveva passato come duellante psichica, in mezzo alle piazze a spaventare la gente, a sghignazzare davanti al dolore e al pianto di altri, a torturare il prossimo per il puro gusto di farlo. Non poteva accettarlo.
 “Non prendermi in giro! Io sono io! Sono Aki Izay- “LO SO CHI SEI!” la interruppe bruscamente, la sua voce piena d’odio, dolore e cieca furia.
“Credi che non lo sappia? Io ti conosco meglio di chiunque altro. Persino meglio di te stessa. Io...-un bagliore cupo si accese nei suoi occhi, colmi d’ira - sono la Rosa Nera!”

Aki si abbandonò. Non sapeva cosa dire. Non sapeva cosa fare. Avrebbe fatto di tutto, pur di non rivivere quel dolore. Avrebbe fatto di tutto, pur di non sentire più quel nome. Avrebbe fatto di tutto, pur di essere libera. Eppure... eppure l’incubo era tornato, più forte di prima, e bussava alla sua porta, duro, difficile, tragicamente reale. Questa volta, poi, era peggio, peggio di tutte le altre. Peggio di quando era lei a torturare la gente, e a ricavarne una perversa allegria. Era peggio perché ora poteva vedere con chiarezza ciò che era stata. Per la prima volta, lo sguardo senza luce della Rosa Nera si era rivolto contro se stessa.
 
Troppe domande affollavano la sua mente, troppi fantasmi popolavano il suo passato... e il suo presente. La Rosa Nera era tornata, insieme al suo incubo peggiore. Si sentiva vuota, vuota come non mai; ancora incerta, ancora traballante di fronte al vortice di emozioni in cui era scivolata- e di cui sembrava essere il fulcro, il punto d’incontro. Era come essere un ramo secco in mezzo a un uragano; la consapevolezza della propria fragilità la attanagliava in una gelida morsa di terrore. Lei si era sempre ritenuta potente, prima come combattente, poi nei sentimenti; sapeva sempre chi era e cosa voleva. Per la prima volta, Aki Izayoi si sentiva inerme. Poi, aprì gli occhi, e vide.
 



Aprì gli occhi. Chi era? Chi era stato? Cosa più importante, dove si trovava? Ah già, ora ricordo.
Sapeva con precisione chi era; conosceva il suo passato... e il suo futuro. Si sentiva vuoto, dentro. Una tristezza infinita lo pervase, e il suo collo non fu capace di sostenere il peso della sua testa, che cadde in basso, gli occhi ormai neri come la pece intrisi di uno sguardo malinconico e affranto. Aki, perché? Perché sono stato separato da te? Ti amo, ti amo con tutte le mie forze. L’ho capito solo poco fa... e ora, dopo aver provato l’emozione più forte, affascinante e potente del mondo... vengo strappato via, la mia vita risucchiata da un vortice di vuoto incontrastabile. Yusei Fudo, così mi chiamavo... una volta. Ma ora non più. Yusei continua ad esistere, nel mondo che una volta ero arrivato a vivere pienamente. Quello, però, non sono io.
Rialzò la testa, posando il suo sguardo sul nuovo arrivato con un movimento lento, dinoccolato, malinconico. Era svenuto, vide. Svenuto e malconcio, ma la sua espressione era decisamente felice, come se non avesse più alcun pensiero a preoccuparlo. Dopotutto ha senso, si disse. Lui è me. E’ me e mi ha portato via la mia vita, la mia Aki, tutto quello che avevo. Sono solo una pallida, lattescente copia di ciò che ero. Non ho più neanche un cuore. Si toccò il petto, e quando arrivò alla cavità che un tempo celava il pulsante fulcro di tutte le sue emozioni, chiuse gli occhi mentre tastava il nulla, un vuoto che aveva preso il posto di ciò che era stato, un buco nella sua anima; una mutilazione dell’essere, una ferita che è troppo per continuare a vivere, eppure non abbastanza per morire. Almeno a quanto pare avevo un cuore grande, si disse. Ma ripensarci rende solo più amara la realtà. Nuovamente, si sentì sopraffare dalla tristezza; dalla tristezza e dall’amore. Gridò il silenzio a voce nulla, e, dopo che il suo viso fu rigato da un’unica, amara lacrima, tacque.

Cominciava adesso a svegliarsi. Era stordito, non sapeva dove fosse... Anzi, certo che lo so, si disse dopo essersi guardato intorno. Quello che non capisco è come io ci sia finito, qui.
Sapeva benissimo di che posto si trattava; c’era stato troppe volte con gli Esecutori perché potesse dimenticarsene. Crow aveva ancora il suo nascondiglio da quelle parti, da quel che ne sapeva lui, e in un primo momento pensò di cercarlo; tuttavia, gli bastò poco per capire che non l’avrebbe trovato. Tutto questo non era reale; era solo una proiezione delle sue sensazioni, delle sue emozioni riguardo quel luogo. Come poteva dirlo? Facile. Il cratere era enorme, sproporzionato al resto; proprio come era solito apparirgli da bambino, insuperabile e nero come la notte. I ricordi inondarono i suoi pensieri, e li vide, li vide lì davanti a sé. Li vide tutti, Crow, Jack, Kalin. Li vide, per un breve tempo, e una sensazione di grande nostalgia lo riempì. Poi, sparirono; al loro posto, una figura bianca, rannicchiata, che pareva piangersi addosso. Emanava un dolore immenso. Yusei si trovò incuriosito, impaurito, e un po’ in soggezione.
“Chi sei tu?”
Gli chiese. Quello che di certo non si aspettava fu di ricevere una risposta.

“Perché me lo chiedi?” La sua voce era rotta, sull’orlo delle lacrime. Non aveva mai saputo come comportarsi con gente del genere. Non sapeva cosa dire. Quello continuò: “Tu sei quello che ha la vita. Sei quello che ha il potere. Perché dovresti avere compassione di uno come me, uno che ha perso tutto?” Alzò il viso, e Yusei spalancò gli occhi per lo shock.
Quel tizio... era lui. Gli balzò il cuore in gola, paralizzato dalla paura e dall’angoscia che, pian piano, lo stava riempiendo. Era come venire colpiti da un fulmine, quel terribile istante in cui non sapevi cosa ti sarebbe successo dopo.
“Hai perso tutto? In che senso? Cosa c’entri con me? Perché sei uguale a me?”
Si limitò a sorridere tristemente.
“Non hai capito ancora nulla. Mi spiace.”
Detto questo, se ne andò, lasciando Yusei ancora da solo, solo e in preda a mille dubbi. Come avrebbe dovuto comportarsi? Cosa avrebbe dovuto dire? Cosa avrebbe voluto quell’essere che lui facesse? Mille domande alle quali non riusciva a trovare risposta. Cominciò a sentire freddo, un freddo terribile.
 
Non poteva accettarlo; non ora che aveva visto una tale angoscia in un altro essere, e di punto in bianco si mise a corrergli dietro. Corse, corse più veloce che poté; corse per sé, per il suo cuore, e per la creatura che l’aveva piantato in asso in quel modo. Non riusciva a comprendere una tale sofferenza. Dopotutto, quando era mai stato veramente triste? Forse solo recentemente; e neanche quella poteva definirsi vera ansia, vera infelicità. Aveva conosciuto la gioia; era solo questione di tempo prima che si trovasse faccia a faccia col dolore. Pareva l’incarnazione della tristezza e della malinconia; e la possibilità di non poter fare nulla per lui lo riempiva di frustrazione a sua volta, e ancora non era abbastanza, perché sapeva che non era abbastanza per capirlo appieno, perché lui aveva ancora un cuore; e allora scattò, sempre più veloce verso il suo obiettivo. Il paesaggio gli parve quasi annullarsi in un velocissimo grigiore, che scorreva davanti ai suoi occhi senza soluzione di continuità; quando alla fine lo vide. Lo vide che correva esattamente come correva lui, solitaria macchia bianca, in contrasto con la tinta cinerea del monotono paesaggio che esprimeva desolazione tanto quanto quell’essere esprimeva dolore. O erano la stessa cosa? “Fermati! Spiegami!” Gli urlò. Nulla; ma questo non lo fermò. Con uno slancio repentino, si portò vicino a lui, così che potesse udirlo. “Voglio capire la tua sofferenza! Voglio comprenderti! DAMMI UNA POSSIBILITA’!” L’altro si girò di scatto, ma non accennava a rallentare; così come il paesaggio non accennava a finire, o a cambiare. Perfino al vero Satellite, dopo tutto questo correre, alzando la testa avrebbe visto un paesaggio almeno leggermente diverso; qui non poteva capirlo bene, visto che le sue gambe continuavano a muoversi praticamente da sole, impedendogli di mettere bene tutto a fuoco, eppure aveva la sensazione di non essersi mai mosso. Guardò il viso dell’altro, e vi vide dipinto un sorriso triste; cercò di rispondere con il massimo del calore che poteva raccogliere in quella situazione, ma gli occhi dell’altro si fecero oscuri, enigmatici; e scoppiò in pianto, distanziandolo in un impeto di angoscia. “VATTENE VIA!” Yusei era atterrito. Cosa poteva aver mai fatto?... E ad un certo punto, lo raggiunse; non perché fosse andato più veloce, ma perché l’altro si era fermato, calde lacrime di ghiaccio che gli rigavano il volto.
“Vattene via” ripeté più piano, con voce rotta, in singhiozzi. “Perché se tornerai... ti ucciderò.”
 



La prima impressione che ebbe fu rosa. Rosa ovunque. C’era qualcosa di grande e rosa davanti a lei. Anzi, sopra di lei... Si sentiva stranamente bene. Forse era il dolcissimo profumo che si stava insinuando dentro di lei a farla sentire così piena, così viva, così soddisfatta di sé. Guardando i petali portati dalla leggera brezza, cominciò a capire dove fosse. Era sotto un ciliegio, un ciliegio in fiore... Rimase incantata a fissarlo, godendosi lo spettacolo della luce che danzava dolcemente su un albero tanto bello; i petali che volavano sembravano scintille, effimere e perfette vite di un minuto. Si rese conto di essere lei stessa ricoperta da fiori... e c’era qualcosa. Qualcosa di caldo e accogliente. Le brillarono gli occhi quando vide che due braccia la stavano ancora stringendo, decise e sicure seppur prive di forze. Forse so a chi appartengono, si disse dolcemente divertita. Rivolse lo sguardo al suo fianco, ancora stesa a terra. Lo aveva immaginato. Eccolo. Era lui. Era lì accanto a lei. Respirava lentamente. Aveva gli occhi chiusi. Probabilmente stava dormendo. Adesso aveva dimenticato quell’incubo terribile. Era tranquilla, e si sentiva al sicuro.
Com’è bello, pensò. Rimase a osservarlo incantata. Quei capelli neri dai riflessi dorati, quel viso... Non voleva che nulla in quel momento sfiorasse quell’immagine perfetta, che, a suo modo, le era così familiare. Ah, ora ricordo dove l’avevo già vista, si disse. Anche stavolta aveva vegliato su di lei tutta la notte. Stava così bene ora. Vederlo l’aveva rasserenata. Qualunque cosa avesse visto fino a un attimo prima, per quanto paurosa potesse essere stata, ora sapeva che non le avrebbe più potuto fare del male. Sollevò una mano e gliela passò sulla guancia: come era morbida... In un altro momento, forse, se quegli occhi blu e intensi fossero stati aperti, fissi su di lei, probabilmente non l’avrebbe fatto. Ma stavolta non era in vena di riflettere. Aveva voglia di farlo e basta. Lui, sentendo quella mano dolce sulla sua pelle, mosse un po’ a scatti le sopracciglia, e chinò leggermente la testa. Aspetta un attimo... questo è il parco. Perché siamo qui a terra? Cosa ci è successo? Yusei, apri gli occhi, per favore! Svegliati, ti prego!




Un fascio di luce squarciò il cielo, colpendolo direttamente in faccia. La sensazione era magnifica, esotica, calda, radiosa. Pura energia. Cominciò a muoversi istintivamente, verso quel bagliore, quella scintilla che sembrava irretirlo e stregarlo come il miele un’ape. Parve dimenticarsi di ogni cosa; della sensazione di morte che aveva da sempre circondato quel luogo, della triste e addolorata creatura che aveva incontrato poco prima; il gelo venne rimpiazzato dal calore e dalla passione, che invasero il suo corpo come fuoco, come la marea, come la sensazione d’amore che si crea sotto la magia della luna. Si ritrovò al bordo del cratere; quel posto che tanto lo aveva terrorizzato da piccolo, e che ora sembrava essere l’apoteosi di ogni desiderio. Poi, come se qualcuno gliel’avesse sussurrato dolcemente all’orecchio, si chinò, per raccogliere un fiore, gli occhi chiusi, fidandosi totalmente di quell’angelo che sembrava stargli parlando. E nel momento in cui le sue mani toccarono la rosa, quella rosa i cui petali erano per metà bianchi e per metà neri, quella rosa dallo stelo rosso come il sangue, come la vita, rosso come l’amore, una luce immensa rischiarò il suo mondo, rasserenando il cielo e portando con sé un dolce tepore.
 
 “Ti amo.”                                                                  
Socchiuse leggermente gli occhi, e fu rosa.
 
Si svegliò pervaso da sensazioni magnifiche. C'era un’aria leggera che portava con sé un profumo molto gradevole, stuzzicandogli il naso e l'immaginazione. Vedeva rosa ovunque, rosa e rosso scuro e un rosa più chiaro, con l'occasionale macchiolina di verde. Tuttavia, era dal tatto che aveva la sensazione più incantevole. Il suo braccio era appoggiato su qualcosa, qualcosa di caldo, morbido e accogliente, che pulsava ritmicamente. Non avrebbe mai voluto muoversi da lì, si sentiva troppo a suo agio e in pace con il mondo. Poi notò che i suoi capelli si muovevano. Era come se qualcuno li stesse accarezzando,  spazzando via tutti i problemi del suo mondo. Si sentiva come un bambino, e gli piaceva terribilmente. Si godette il massaggio e l'effetto ammaliante, quasi ipnotico che stava avendo su di lui.
“Yusei? Yusei, apri gli occhi!”
Questa voce. La voce di un angelo? no, un momento. Io questa voce la conosco, si disse con un misto di imbarazzo, amore e panico che ben conosceva. Era esattamente quello che gli capitava quando era con lei.
“Aki...?”
La sua voce uscì come in un sussurro indistinto, un basso mormorìo quasi impercettibile; eppure entrambi capirono. Si scambiarono un'occhiata per un momento, cercando e trovando l'uno lo sguardo dell'altra, i visi che si addolcivano, le labbra che si piegavano in un lieve sorriso.
Che bello, pensò Yusei. Svegliarsi accanto alla persona che ami è davvero come dicono. Fantastico. E' meraviglioso aprire gli occhi e sapere che la prima persona che vedi ha visto te per primo. Quei grandi, bellissimi occhi marroni... Un momento, lo fulminò un pensiero. Troppo grandi.
Immediatamente si rese conto di dove si trovava, e di com'era messo, arrossendo all'istante quando capì cosa fosse quella “cosa morbida e calda". In un lampo l'imbarazzo prese il posto del piacere, la magia del momento cancellata brutalmente dallo shock di ritrovarsi attaccati in quel modo.
Completamente purpureo, sudando freddo, Yusei si rotolò sulla schiena, quasi a divincolarsi dalla pur meravigliosa stretta di Aki, sedendosi quasi mezzo metro più in là, in un silenzio abbastanza scomodo.
 
Meno male, si è svegliato... quegli occhi azzurri... erano così belli... e poi sono suoi... Sospirò. Ehi, perché si è allontanato? Fa freddo cosi... Perché mi ha lasciata? Non gli piace stare vicino a me? È colpa mia? ...Cosa ho fatto di male? Guardò verso Yusei, un pochino intimidita e spaventata dal suo atteggiamento che pareva scostante... solo per scoprire che gli occhi di lui non solo non erano puntati su di lei, ma anzi la stavano intenzionalmente evitando. La sintonia parve perduta per un attimo, un attimo in cui Aki non capiva cosa avrebbe dovuto fare...aspetta un momento... accidenti, è vero, è colpa mia! Non ho spostato il suo braccio, me lo teneva proprio addosso... si sarà sentito a disagio! Colpa mia dunque... Scenari catastrofici si disegnarono nella sua mente, scenari in cui lui se ne andava, o in cui uscivano dal parco senza nemmeno guardarsi... aiuto, e adesso? Come faccio? ...devo rimediare, devo fare qualcosa, non posso di certo aspettare che parli lui, come farebbe? Accidenti! Non sapeva che dire, dunque optò per la semplicità, per quello che le passava per la mente in quel momento. “S-scusami.”
Devo essere forte. Yusei non deve vedermi così, rossa dalla vergogna e sull'orlo delle lacrime. Forza e coraggio, Aki, non è successo nulla... o almeno si spera. Il suo sguardo era ancora nuvoloso, fino a quando lui non decise di parlare, a sua volta con una voce venata dall'imbarazzo.
“N-non preoccuparti..”
Il cuore di Aki fece un salto. Un salto di gioia, e di commozione, perché poteva sentire la sincerità nelle parole di lui. Sincerità... Improvvisamente il suo morale cedette, mentre i ricordi di quella notte tornavano ad affiorare nella sua mente con un impeto inimmaginabile. L'altalena... e il drago, il sogno...! Ebbe paura, e cominciò a sentire freddo, un freddo terribile. Sei sincera, tu, con te stessa?
Un brivido le percorse la schiena, già abbastanza infreddolita dalla notte precedente. Decise però di non parlarne; non voleva metterlo ancora più in ansia. “Meno male che stai bene. Io invece credo di aver fatto un incubo. Un drago bianco.”
Ah, whew, meno male che ha cambiato argomento... non avrei retto quel silenzio ancora per molto. Oddio... un incubo? Immagini su immagini affollarono la sua mente mentre il suo sguardo perdeva la messa a fuoco, fissando un punto all'infinito per solo un momento, nuvole che gli oscuravano l'iride. Non posso dirglielo. E' già abbastanza scossa così. “Lo so, è successo anche a me.”
Aki sospirò. Sperava che non gli fosse successo anche il resto, tutto quello che lei gli stava tenendo nascosto. Lo sperava con tutto il suo cuore, per il bene di entrambi. Decise di continuare. “Era immenso, faceva così paura.”
Yusei  assentì. “Già. Tu stai bene?”.
Aki ora pareva confusa; quella conversazione la stava un po' disorientando. “Si, ma non capisco perché siamo qui. Guarda, il sole sta sorgendo.”
Era vero. Il disco infuocato cominciava a fare capolino dalle cime degli alberi, le fronde che si muovevano, agitate dalla fresca brezza mattutina. I fiori di ciliegio ricominciarono a volare, dopo essere placidamente caduti a terra per tutta la notte. Nulla poteva essere più perfetto. Il mare era limpido, cristallino, illuminato solo di riflesso dall'astro che nasceva nella direzione opposta, la luce filtrata dalle foglie traslucide degli alberi. Persino il cielo aveva ancora quella tonalità incerta, tra il rosa e il blu marino, come se il mattino stesso non sapesse se dover porre fine a quella nottata che era stata così agitata, eppure così immobile. La confusione che tormentava i cuori di entrambi sembrava riflettersi su ogni vago e indefinito aspetto del giorno che nasceva.
“Non capisco cosa sia successo, però credo che sarebbe meglio se ora tornassimo a casa.” Si alzò in piedi, parte del rossore passato, rimpiazzato dal pallore della paura; cercò comunque di mascherarlo: doveva essere forte perché lei si sentisse al sicuro. Le tese la mano, un gesto che da solo valeva più di mille parole.Voglio averti sempre qui vicino a me. Voglio essere egoista. Non voglio condividerti con nessuno. Parve sentirlo anche lei.
Che bello, mi ha teso la mano! Meno male, è tornato tutto a posto... Aki si abbandonò a quell'attimo di gioia, calore e sicurezza che le veniva infusa ogni qual volta Yusei entrasse in gioco. Un caldo sorriso le inondò il volto, illuminando il suo sguardo e l'aria attorno a lei. Mano nella mano, aggrappandosi l'uno all'altra come alla propria stessa vita, Yusei e Aki varcarono il cancello del parco, uscendo in strada.
Poi, fu lui a uscire.
 
E ora... l’angolo della chat! :D
 
-Mary-chan: Beeeene, qualcuno sa chi è il “lui” appena nominato? :D
-Mdc1997: *alza la mano* Io lo so! Io lo so! C:
-Mary-chan: *facepalm* ooooook lol, allora se lo sai tieniti la risposta per il prossimo chap UwU acqua in bocca, mi raccomando ;)
-Mdc1997: *beve mezzo litro d’acqua* Ok! :D
-Mary-chan: Perché mi fai questo? TwT
-Mdc1997: Eddai, mi dovrò divertire un po’ U.U xD
-Mary-chan: ... ok ci sta, hai ragione x’D
-Mdc1997: E invece no UwU :P Io non mi devo divertire! Sono i lettori che si devono divertire a leggere questa minichat! x’D
-Mary-chan: Ma ma ma ma ma... Mah. Io non ti capirò mai <.<
-Mdc1997: Neanche io mi capirò mai se è per questo :P
-Mary-chan: *rivolgendosi ai lettori* Mi scuso per... questo. A proposito, abbiamo conservato alcune delle nostre bozze apposta per questa mini-rubrica U.U"
-Mdc1997: Ah già! Stavo per dimenticarmene! I nostri fantastici scheletri, su cui ci spacchiamo la schiena (mary-chan: Ehi! >.<) ok, ci fracassiamo le ossa (>_____________<) ooooook, LAVORIAMO UwU
 
Prima di tutto abbiamo quello della scena dell’hollow di Yusei (possiamo dirlo vero? Si è capito? U.U tanto lo diciamo lo stesso LOL)
Y.Hollow: TwwwwwT ho perso tutto, non ho più una vita, non ho più amici, un tizio che a quanto pare è parte di me mi ha rubato tutto, voglio morire, non servo più a nulla T_T
Yusei: tranquillo, va tutto bene, voglio aiutarti ^w^ C:
Y.Hollow: *beeeeep*
 
-Mary-chan: Ora è il turno del risveglio di Aki e del suo tentativo di far rinvenire Yusei! >w<
Aki: Oooohw checcarino * w * ma... aspetta... non si sveglia! *comincia a martellargli la testa* Svegliati svegliati svegliatiiiiii!!! >.<
[Yusei: AHIO! T.T]
 
-Mdc1997: E ora il momento che tutti aspettavate! Un applauso per l’imbarazzante risveglio di Yusei! :’D
*sensazione paradisiaca*
Yusei (pensa) che bello che bello che bello, calda morbida si muove respira... RESPIRA? WTF?!?
*apre gli occhi di botto*
Yusei: AIOUHISUHGAIU!!!! [urla parole incomprensibili, non fate caso a lui <.<] *scappa*
Aki (pensa) TwT perché se n’è andato >.<
 
-Mary-chan: E questo era tutto U.U
-Mdc1997: Looney Tunes Style! That’s all folks! [Ehi, mary-chan, avevo detto che avrei salutato io >.< :P]
-Mary-chan: ... hai ragione lol, allora---
-Mdc1997: ---Allora ciao a tutti, e alla prossima! UwU
[...]
*fa capolino valix97*
-Valix97: O_O non avete detto “notte gente”! A che orario state pubblicando? * w *
-Mary-chan: Un orario in cui anche tu sei sveglia :P
-Mdc1997: Già TwT purtroppo le idee migliori ci vengono all’una di notte (e riuscivamo anche a scrivere più velocemente <.<) ma attualmente la scuola e gli impegni ci impediscono di stare fino a un’ora così tarda >____<
-Mary-chan: T_________T Perché me l’hai ricordato?
-Mdc1997: T.T soffri insieme a me TwT
-Mary-chan: [sussurra] Ehm... non pensi sia ora di salutare? Un altro po’ e queste note sono più lunghe del chap >.<
-Mdc1997: Hai ragione... ciao a tutti ^^””””””””
[Valix97: UwU]



*mdc1997 e mary-chan tornano sulla scena* Appello degli autori: Abbiamo visto che c'è gente che ha messo la nostra storia tra i preferiti/seguiti. E' bellissimo avere tutto questo supporto, ma non sarebbe male se ogni tanto qualcuno lasciasse qualche recensione x'D ok? UwU
... allora (e stavolta davvero) alla prossima ;)

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