Raze

di aturiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


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Capitolo Uno


 
Aveva occhi come il sangue, rossi, intensi e profondi che scintillavano alla luce della luna. Guizzavano veloci alla ricerca della sua preda, come quelli di un vampiro.
In realtà era solo un ragazzo alto, piuttosto magro e dai movimenti sensuali ed eleganti, si vestiva sempre di colori scuri che mettevano in risalto il suo pallore innaturale dovuto, probabilmente, a qualche strana malattia. “Forse è albino”, dicevano, ma gli albini non avevano di certo i capelli neri come le tenebre e nemmeno le ciglia scure e lunghissime che proiettavano una lunga ombra sulle guance chiare.
Non era bello, o almeno non abbastanza per attirare l’attenzione delle ragazze della scuola che, al contrario, lo trovavano piuttosto inquietante. A quelle poche che avevano trovato Raze affascinante, era sempre passata la voglia di uscire con lui dopo che il ragazzo le aveva allontanate in malo modo.
Nessuno sapeva da dove provenisse o chi fossero i suoi genitori; si diceva che i suoi fossero morti e che fosse cresciuto in un orfanotrofio, tuttavia la sua vera storia rimaneva un mistero.
 
Quella notte Raze e qualche altro ragazzo dall’aria minacciosa, vagavano per le vie della città deserta alla ricerca di una ragazzina scomparsa qualche giorno prima.
Non erano poliziotti, anzi, ma si dava il caso che la dodicenne fosse la sorella di uno della banda e certo non volevano che spifferasse qualche loro segreto a qualcuno che avrebbe potuto mettere a repentaglio la sicurezza del gruppo. Avrebbe potuto raccontare la storia di Raze, l’unica storia di cui i ragazzi avevano davvero paura, l’unica che nessuno avrebbe mai dovuto conoscere e anche l’unica che chiunque conoscesse Raze almeno di nome avrebbe voluto sapere.
 
Era cominciato tutto circa un anno prima, quando Raze non aveva ancora compiuto diciotto anni e, quindi, si limitava ad andare in giro a piedi, spesso di notte.
Gli piaceva camminare nel silenzio e nel buio illuminato solo dalla fioca luce dei lampioni e dei fanali delle poche macchine che sfrecciavano per le strade deserte.
Non era mai stato particolarmente socievole e tutti lo ritenevano un po’ strambo, forse per il colore dei suoi occhi, oppure perché non sorrideva mai o perché quando camminava non produceva nessun rumore. In fondo a lui quest’ aura di mistero non gli dispiaceva, appena poteva la enfatizzava, sparendo qualche giorno da scuola oppure uscendo con qualche ragazzo che le madri per bene avrebbero chiamato “losco individuo”. Normalmente non avrebbe avuto bisogno di nessun motivo reale per starsene a casa, ma quel giorno era diverso.
Era arrivato a casa davvero tardi la sera prima e nemmeno lui era riuscito a recuperare il sonno perduto, senza contare che - sempre nelle sue passeggiate notturne - aveva incontrato qualcuno che non era riuscito a dimenticare, nonostante avesse fatto molti sforzi, e si era ritrovato a pensare alle cinque di mattina, aggrovigliato nelle lenzuola come un gatto, a quel qualcuno, senza riuscire a prendere sonno. Dandosi dello stupido ogni minuto in più passato sveglio, per evitare di perdere sonno utile, cercò di ricomporre velocemente i fatti: era passato in quel vicoletto buio, come faceva ogni sera, quando aveva visto uno strano bagliore azzurrino provenire dalla fine di quella viuzza; si era dunque avvicinato, preso da chissà quale curiosità. Aveva sbirciato da dietro il muro ammuffito della casa malandata che si affacciava sulla strada principale e aveva visto quel qualcuno girato di spalle.
Aveva dei capelli rosso fuoco arruffati e tagliati male che gli sfioravano le orecchie, muscoli asciutti e scattanti, come quelli di un nuotatore, che non ne appesantivano la figura longilinea, indossava una giacchetta di jeans e un paio di pantaloni neri piuttosto stretti che gli fasciavano le gambe come guanti; gesticolava e parlava a bassa voce, forse con qualcuno che non rientrava nel suo campo visivo, ma Raze non capiva cosa stesse dicendo esattamente.
Poi l’individuo si voltò.
Fu come quando ci si ritrova faccia a faccia con l’assassino in un film horror: Raze lo vide e si mise a correre più velocemente che poteva fino ad arrivare sotto casa con il fiatone; aveva ancora quegli occhi dorati con la pupilla sottile come quella di un serpente impressi nella mente e non se li sarebbe scordati tanto facilmente. 

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


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Capitolo Due
 

 

Forse era impazzito tutto d’un colpo, ma il suo più grande desiderio in quel momento era rivedere quel ragazzo e osservare quegli occhi spaventosi fino a morire, ne aveva paura, ma – nel medesimo tempo - ne era così affascinato da dimenticare l’orrore provato.
La notte seguente era tornato nello stesso vicolo, ma non aveva più visto né la luce azzurrina né il ragazzo dagli occhi da serpente, quindi aveva camminato lì nelle vicinanze desiderando rivederlo, ma le sue speranze erano risultate vane. Aveva passato così le seguenti tre notti, ma niente da fare: che si fosse immaginato tutto?
Decise così di tornare a scuola e di metterci una pietra sopra, in fondo un ragazzo dagli occhi da serpente era quasi impossibile che esistesse davvero, no?
Quasi subito dopo, rise del proprio pensiero: se non sarebbe dovuto esistere qualcuno con gli occhi dorati e la pupilla stretta, lo stesso avrebbe dovuto valere per qualcuno con gli occhi rosso sangue, la pelle bianca come la luna e i capelli neri come le tenebre.
Uno studente lì vicino gli disse: «Adesso ridi anche da solo, mostro?»
Raze si voltò di scatto sorpreso: nessuno gli aveva mai parlato a scuola prima di quel momento – escluso quando era strettamente necessario, ovviamente -, figuriamoci per insultarlo: normalmente incuteva timore alle persone, non faceva venir voglia di attaccare briga.
L’incauto ragazzo che aveva avuto l’ardore di parlargli purtroppo era già scomparso dalla circolazione, e Raze notò solo un ciuffo di capelli rossi sparire dietro l’angolo del corridoio.
Lo inseguì, corse per tutto il corridoio sotto gli sguardi basiti dei suoi compagni di scuola e con un paio di insegnanti che gli strillavano dietro, ma lui non ascoltava nessuno e continuava a correre dietro a quel ciuffo rosso che gli sfuggiva ogni volta all’ultimo momento dietro ad un angolo. Aumentò l’andatura e riuscì a raggiungere quel ragazzo, quindi lo prese per la collottola della sua maglietta nero slavato e gli sibilò in un orecchio: «Fermo! Come ti permetti di darmi del mostro?»
Il ragazzino si girò di scatto e incontrò lo sguardo ardente di Raze, ancora a metà tra lo sbalordimento e la rabbia: «Riconosco i miei simili» disse a bassa voce.
Raze fissò gli occhi dorati che lo guardavano divertito e, di nuovo terrorizzato, fece un passo indietro, incespicando.
Non era assolutamente da lui incespicare, lui che procedeva con calcolati movimenti silenziosi, lui che pareva quasi una qualche creatura soprannaturale, lui che riusciva ad essere elegante pure con i denti affondati in un panino e il mento sporco di maionese, proprio lui, in quel momento, di fronte a quella persona, pareva quasi una persona normale, pareva insicuro.
Lui cambiava tutto: lo faceva sentire strano, agitato, terrorizzato e affascinato allo stesso tempo.
Il ragazzo con gli occhi da serpente, cogliendo probabilmente l’indecisione del suo inseguitore, ne approfittò per staccare la mano di Raze dalla sua maglietta e si mise a ridere: «Sembra che tu abbia appena visto un fantasma» poi continuò, ritornando serio: «Ti ho visto l’altra sera… cosa stavi cercando? Perché sei fuggito? Cosa hai visto?»
Raze riprese il controllo di sé e, cercando di evitare lo sguardo tagliente del ragazzo, disse: «Ho solo visto un idiota dagli occhi da serpente che parlava sottovoce come un pazzo».
Quello lo studiò un attimo, incerto se sentirsi in qualche modo minacciato da ciò che Raze gli aveva appena detto o meno. Probabilmente optò per la seconda ipotesi poiché, prima di dileguarsi definitivamente, aprì le labbra in un ghigno strafottente e sibilò, piantandogli bene addosso i suoi occhi inquietanti: «Bene. A volte avere a che fare con idioti è molto meglio, vero Raziel?»
Lui, non sapendo esattamente cosa rispondere, ancora un po’ sotto shock e relativamente incantato dalla voce roca del suo interlocutore, gli chiese, confermando così la sua ipotesi: «Come ti chiami?»
Lui rimase un attimo interdetto, poi di nuovo si mise a ridere e rispose: «Phil, mi chiamo Phil. Ricordatelo bene».
Poi se ne andò, immergendosi nella folla di studenti e insegnanti che li aveva circondati. Poco prima di scomparire dalla sua vista, un urlo sovrastò il chiacchiericcio dei presenti: «Ci si rivede, Raze!»

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


CAPITOLO TRE
 
Appena si fu ripreso dallo shock si rese conto della posizione che aveva assunto, così estranea ai suoi canoni: occhi spalancati, come la bocca, il busto sbilanciato all’indietro e sguardo annebbiato. Diede una scrollata alle spalle e colpì con forza la colonna della mensa con un pugno, lasciando teatralmente cadere qualche frammento di intonaco cadere a terra. Poi sussurrò un imprecazione e se ne andò dal corridoio, lasciando tutta la folla di spettatori basiti alle sue spalle.
La giornata continuò regolarmente, con i professori che non avevano il coraggio di rimproverarlo e i compagni di classe che non osavano neppure incrociare il suo sguardo. Avevano paura di lui, e non gli dispiaceva. Però questa volta la sua mente era altrove, persa nella rabbia per l’umiliazione subita e, nonostante tutto, persa anche nell’oro di quegli occhi innaturali, così belli ed esotici che gli mozzavano il fiato. E persa anche nella paura, perché Phil gli faceva davvero paura, lo temeva come si teme qualcosa che non si comprende appieno, qualcosa di così bizzarro da far venire i brividi. Ma Raze era curioso, lo era sempre stato, e le cose che non capiva lo attraevano come una falena con la luce di un lampione e se c’era qualcosa che non capiva era proprio Phil: non capiva chi fosse, cosa volesse da lui, che cosa aveva paura che avesse visto e soprattutto non capiva perché gli avesse dato del mostro senza un motivo apparente. Finita l’interminabile ora di matematica, si diresse deciso verso l’uscita della scuola ma, arrivato al cancello, un bidello lo bloccò e gli disse con un’aria che sarebbe dovuta sembrare minacciosa: -Dove credi di andare, ragazzino? Non lo sai che le lezioni finiscono alle quattro e mezza? -. Raze allora lo squadrò per un attimo, usufruendo al massimo la sua altezza non indifferente che gli permetteva di guardarlo dall’alto in basso senza nemmeno sforzarsi, poi disse: -Adesso io vado a casa e tu non mi intralcerai in nessun modo, ok? -. Il bidello allora sbattè velocemente le palpebre un paio di volte con un’espressione di paura dipinta in volto e balbettò: -V… va bene! -. Il ragazzo se ne andò soddisfatto per la sua strada con il suo solito passo felpato e il suo andamento armonioso e leggero, quasi levitasse a qualche palmo da terra. Non aveva voglia di restare anche per le ore successive perché, nonostante fosse piuttosto intelligente e amasse lo studio, odiava starsene rinchiuso in una classe ad ascoltare qualcuno parlare e prendere ogni sua parola come oro colato, non era adatto a stare fermo per più di qualche ora in uno stesso posto, per di più ad ascoltare nozioni su nozioni di cui, la maggior parte, riteneva senza una vera e propria utilità .
Di nuovo oro colato… perché mi deve sempre venire in mente quel maledettissimo colore?! I colori sono pressoché infiniti e quale mi viene sempre in mente?! Quello!
Continuò imperterrito la sua passeggiata finché non si ritrovò davanti ad un negozio di dischi. Aveva sempre adorato la musica e preferiva di gran lunga i dischi in vinile ai comuni CD perché gli sembrava che questi ultimi “sporcassero” il suono e lo rendessero meno bello e lieve di come in realtà era. Quel giorno comunque non si fermò molto ad osservare rapito le vetrine come al suo solito, ma le sorpassò velocemente perché vide sparire un ciuffo di capelli rosso vivo dietro l’angolo. Iniziò quindi a correre a perdifiato e si ritrovò a frenare troppo tardi la sua corsa finendo a sbattere contro una piccola personcina che gli arrivava a mala pena alla spalla. –Scusi! Si è fatta male? -. Poi spostò lo sguardo sul viso del suo interlocutore e vi scoprì il viso tra lo spaventato e l’arrabbiato di una ragazza più o meno della sua età, con grandi occhi verde scuro e una zazzera di capelli rossi che le incorniciava il viso.
Ecco di chi erano quei capelli…erano di questa inutile ragazzina! Che perdita di tempo.
-Ma ti sembra il caso di correre per i marciapiedi in questo modo?! Mi sarei potuta far male! E se non fossi stata io, avresti potuto investire una povera vecchina con le borse della spesa! L’avresti spaventata a morte poi, con quegli occhi rossi…! –Raze si riprese dallo stupore e disse con la sua solita aria strafottente: -Mi sarebbe piaciuto aver spaventato a morte te, non qualche povera vecchina… ora se vuoi scusarmi… - non fece in tempo a finire la frase che la ragazza gli aveva afferrato il braccio e disse: -Dove credi di andare?! Per colpa tua adesso ho perso le chiavi che avevo in mano e il minimo che puoi fare è aiutarmi a cercarle, screanzato! – Raze la guardò un attimo poi scoppiò a ridere: -Screanzato?! Chi usa più quella parola? Per di più per insultare! Vabbè, ti aiuto dai…! –e detto questo si chinò alla ricerca delle chiavi. Appena le ebbe trovate le diede alla ragazza che disse: -Grazie, eh. –Raze si girò con uno dei suoi rari sorrisi e disse: -Niente! E scusa ancora…- La ragazza però lo interruppe e disse: -Piacere, Elisabeth… ma preferisco mi chiamino Lizzie. Tu invece sei…? –Raze la guardò un attimo e poi disse, quasi scocciato: -Elisabeth è un gran bel nome! Comunque mi chiamo Raziel, ma chiamami Raze. –poi, senza lasciarle nemmeno il tempo di rispondere, se ne andò facendole un cenno con la mano quando ormai era già lontano.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


CAPITOLO QUATTRO
 
Il ragazzo continuò la sua passeggiata ancora per un’ora buona, quando finalmente arrivò a casa. Appena entrato chiuse la porta a chiave e si gettò sul divano bianco panna in centro alla stanza gettando la chioma nero inchiostro all’indietro e lasciando i suoi occhi rossi vagare svogliati sul soffitto bianco immacolato. Poi chiuse gli occhi e i pensieri incominciarono ad affollare impietosi la sua mente. Erano troppo veloci per afferrarli e soffermarsi su uno solo e si susseguirono senza tregua finché la stanchezza prese il sopravvento sulla sua mente frenetica e sul mal di testa che gli mandava fitte lancinanti ogni volta che si sforzava di analizzare la situazione, così si addormentò. 
Lo svegliarono dei colpi ripetuti alla porta, lanciandogli ancora fitte alla testa come si fosse appena ripreso da una sbornia. Urlò: -Arrivo! Smettetela con questo fracasso…- si alzò, si aggiustò la maglietta e assunse la sua solita aria minacciosa e aprì la porta. –Cosa ci fai tu qui?! –Davanti a lui infatti c’era Lizzie, con un sorrisone innocente stampato in volto ma con gli occhi verdi diventati completamente neri a fissarlo come si fa con un vecchio amico. –Vedo che vi conoscete già… -
Quella voce…
Da dietro la ragazza spuntarono prima una zazzera di capelli rossi, tagliati male e spettinati, poi il corpo di un ragazzo e infine gli occhi. Quegli stramaledetti occhi. Raze allora chiese: -Che ci fate qui voi due? Rompete anche a casa della gente adesso? –spostò lo sguardo –Non pensavo foste degli stalker… - Phil però lo ignorò completamente e guardò un attimo Lizzie che, incrociando il suo sguardo, sorrise dolcemente. Poi la ragazza fece un passo avanti ed entrò nella stanza e tutto cambiò all’improvviso: il colore delle pareti, del pavimento, addirittura dei vestiti che Raze indossava. Poi tutto ad un tratto la stanza tornò normale, tanto che pensò di esserselo semplicemente immaginato ma, chissà perché, in fondo agli sguardi concentrati di Lizzie e Phil vedeva una nota di trionfo che gli sussurrava maliziosa che in realtà erano davvero cambiati i colori degli oggetti e che, chissà perché, da quel momento sarebbe cambiato qualcosa anche se il “cosa” ancora non lo sapeva. Poi, ad un tratto si sentì debolissimo. Tentò di appoggiarsi alla parete ma non riuscì a tenersi in piedi. L’ultima cosa che vide fu Phil che lo guardava preoccupato e che lo afferrava prima che cadesse a terra privo di sensi.
Raze si svegliò. Era sdraiato sul cemento freddo dello stesso vicolo in cui aveva visto per la prima volta Phil, però c’era qualcosa di diverso. Si guardò intorno con la netta sensazione ci fosse qualcosa di sbagliato, quindi mosse qualche passo incerto e fece per girare l’angolo che sentì una voce chiamarlo. Urlava, piangeva e implorava quella voce, non gli lasciava un attimo di tregua. Il ragazzo si voltò di scatto e vide una figura altissima, vestita con un abito bianco che non lasciava trasparire le forme del corpo, intorno ad essa si espandeva una luce simile a quella della luna: era triste, fredda e sembrava solo un ricordo perduto da tempo che a Raze provocò una fitta di nostalgia e rimorso.
Chi è? Conosco questa persona? Perché mi sembra di averla già incontrata?
Il ragazzo iniziò a camminare verso la figura che sembrava però non avvicinarsi mai. Continuava a gridare il suo nome, spezzato da singhiozzi, senza smettere. Raze iniziò a corrergli incontro ma, quando stava finalmente per sfiorarne l’abito, quello si ritrasse come se la mano di Raze gli provocasse una profonda ripugnanza e disse in un sibilo: -Non toccarmi, mostro. – Poi scomparve. Il ragazzo guardò lo spazio vuoto davanti a lui, poi cadde in ginocchio. Era pronto a ricevere il dolore che l’impatto gli avrebbe procurato ma invece che la durezza dell’asfalto non incontrò nessuna resistenza e affondò in una marea liquida. Tentò di risalire a galla ma non vedeva la luce e, dopo poco, iniziarono a bruciargli i polmoni e a mancargli l’aria, spalancò la bocca per riflesso incondizionato ma invece del sapore dell’acqua sentì quello metallico del sangue.
Raze si svegliò di nuovo, questa volta in un letto.
Un sogno… E’ stato solo un sogno.
Mise a fuoco la stanza intorno a sé, la testa gli pulsava e aveva sapore di sangue in bocca. Non riusciva a connettere i pensieri che gli vorticavano veloci come uno sciame di insetti inferociti. Poi iniziò a riprendere sensibilità del proprio corpo a partire dal collo fino ai piedi, piano e dolorosamente, come se la sua circolazione sanguigna si fosse arrestata e solo adesso stesse riprendendo regolarmente. Non in tutto il corpo però: c’era il braccio sinistro che continuava ad essere addormentato, Raze spostò quindi dolorosamente la testa e gli occhi verso il braccio ancora insensibile e vide che vi era appoggiata una testa piena di capelli rossi buttati alla rinfusa sul lenzuolo bianco. Il ragazzo cercò di togliere il braccio senza svegliare il visitatore, ma la testa si sollevò e due occhi dorati e assonnati lo guardarono. Passarono due secondi che Phil si era già alzato dalla sedia su cui era accasciato poco prima e che il formicolio fastidioso riportasse il sangue anche nel braccio sinistro di Raze che, però, era completamente preso dalla figura slanciata di Phil vicino al suo letto. Si tirò su a sedere e chiese al ragazzo: -C… cosa mi è sucesso? –Phil lo guardò un attimo e disse: -Non lo sappiamo, sei svenuto dopo il Riconoscimento di Lizzie… non era mai capitata una cosa del genere durante un Riconoscimento. Normalmente va tutto bene, invece adesso… -Raze lo squadrò e disse: -Frena un attimo. Cos’è un Riconoscimento? –Phil non cambiò espressione ma gli rispose velocemente, come stesse dicendo un discorso che aveva detto talmente tante volte che lo aveva imparato a memoria: -Il Riconoscimento è un esame che si fa ai possibili Altri prima di ammetterli al nostro quartier generale. Solo Lizzie è capace di riconoscere un Altro anche prima che le sue Caratteristiche si siano manifestate. Normalmente non ha nessun effetto collaterale, ma con te… sembra avere avuto un effetto devastante. – Raze lo guardò stupito e disse: -Ok che sono svenuto, ma non mi sembra che stia così male… -Phil lo interruppe: -Sei stato incosciente per quasi quattro giorni… Pensavamo fossi in coma. –Raze ci mise un attimo a metabolizzare la situazione: quattro giorni erano davvero tanti per stare senza bere e senza mangiare, si poteva morire se non si avevano i giusti strumenti. Si guardò i polsi alla ricerca di una flebo o qualcosa del genere, ma non ne trovò. Phil ora non lo guardava più, o meglio, lo guardava come si guarda un pezzo di carne sul bancone del macellaio. Lo guardava come volesse prenderlo, affettarlo e poi arrostirlo per bene per poi mangiarlo. Non era esattamente uno sguardo benevolo. Raze allora decise di rimettersi in piedi: spostò a fatica le gambe a lato del letto, spostò le lenzuola e finalmente cercò di stare in posizione eretta, su due piedi. Si sentiva come un uomo primitivo che conquistava piano piano la forza necessaria per stare in quella posizione. Aveva le gambe ancora un po’ intorpidite, ma riusciva a stare in equilibrio e questo gli bastava. Fece per fare un passo che sentì Phil ridacchiare piano. Raze lo fulminò con lo sguardo e chiese: -Che cosa c’è di tanto divertente di uno che tenta di stare in piedi dopo quattro giorni di incoscienza? –Phil allora gli sorrise divertito e in modo un po’ malizioso e disse: -Di per sé niente… Se non fosse che quel qualcuno non si è accorto di un piccolo particolare… -Raze infastidito chiese: -Di che cosa… -Poi si rese conto della completa mancanza di vestiti e disse arrossendo violentemente: -Ah, ecco… Ehm, sì, adesso mi vesto con… -Si guardò intorno senza trovare niente per coprirsi, quindi Phil, con un sorriso sempre più ampio in volto, gli sussurrò facendolo arrossire ancora di più: -Vado a vedere se ho qualcosa che ti sta… Per il momento però se vuoi puoi girare anche così… A me non dispiace affatto. Potresti solo scioccare un po’ la povera Lizzie ma… -Non fece in tempo a finire che Raze era già nel suo letto, coperto completamente di lenzuola e girato dalla parte opposta a quella di Phil per nascondere il rossore che gli imporporava le guance, poi sibilò: -Va bene, grazie. Aspetterò i vestiti… Ci tengo troppo a LIzzie e troppo poco a te per uscire così… -Phil si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia arrossata. Raze quasi saltò giù di nuovo dal letto, poi strillò con una strana voce acuta: -Portami questi stramaledetti vestiti e lasciami in pace! –Sentì il ragazzo ridacchiare e poi udì il suono di una porta che si chiudeva alle sue spalle con un tonfo. Raze ci mise due minuti buoni per riprendersi dall’imbarazzo e solo dopo essersi assicurato che il lenzuolo lo coprisse completamente escluso il capo si mise a sedere per osservare meglio la stanza dove era stato portato nella sua incoscienza: era completamente bianca, come quella di un ospedale, il letto era in legno scuro e sul lato sinistro c’era una porta fatta con lo stesso tipo di legno del letto. C’era anche una piccola finestra dalla parte opposta, che lasciava entrare abbastanza luce da illuminare tutta la stanza, sfruttando il bianco delle pareti. Accanto al letto c’era addirittura un basso comodino con sopra un vaso con due stupende orchidee viola ed accanto ad esso Raze vide un foglietto di carta che sembrava strappato da un quaderno a quadretti e vi era scritto:
 
Altro: numero 423
Riconoscimento: 6 aprile 2013
Caratteristica: sconosciuta
Ritrovamento: gruppo A
 
Raze rilesse più volte il foglietto e le uniche due cose che riuscì a capire erano che molto probabilmente il gruppo A erano Phil e LIzzie che lo avevano “ritrovato” il 6 aprile appunto. Gli sembrava quasi una carta d’identità ma, per qualche strano motivo, vi trovava qualcosa che lo inquietava, che sapeva non avrebbe voluto sapere, almeno per il momento.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE
Finalmente Phil rientrò nella stanza con i vestiti. Raze si mise a sedere, lo ringraziò e aspettò che il ragazzo gli porgesse gli abiti ma senza successo. Raze lo guardò interrogativo e gli chiese: -Allora, non me li dai? -Phil rispose, con un sorriso malizioso: -Se li vuoi, devi venirteli a prendere" poi gli fece un occhiolino e si posizionò appena di fronte alla porta, fuori dalla portata delle lunghe braccia di Raze che, se avrebbe voluto prendere i vestiti, si sarebbe dovuto alzare. Il povero ragazzo era diventato completamente rosso per l'umiliazione e la rabbia. Alla fine decise che non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da Phil: prese il lenzuolo, se lo lego' in vita e si alzò. Arrivato di fronte al ragazzo lo guardò intensamente e gli strappò i vestiti dalle mani e gli sussurrò minaccioso: -Ti piace farmi scherzetti, eh?  -L'altro, con un sorrisetto divertito, che fece venir voglia a Raze di lanciargli un bel cazzotto sul naso, rispose: -Dovresti esserne onorato... Non faccio scherzetti a tutti, ma solo a quelli che mi piacciono". Poi si avvicinò e gli stampò un veloce bacio sulle labbra. Raze gli ringhiò contro come un cane rabbioso e lo spinse via lasciando che uscisse dalla stanza ridacchiando. Il ragazzo lo stava cominciando ad odiare.
Che cosa gli è preso a Quello? Ma che nervi! Chi si crede di essere per mettersi contro di Me!! Me la pagherà cara… sicuramente non ho intenzione di diventare un povero succube di quella testa rossa!! Stupido serpente…!
In quel momento sentì di nuovo bussare alla porta. Si alzò con uno sguardo che avrebbe incenerito anche la Torcia Umana, ma alla porta non spuntò il più focoso dei Fantastici 4, ma un ragazzino con al massimo 13 anni e un'aria molto impaurita. Raze, per niente intenerito, gli ringhiò contro: -Che cazzo vuoi pulce? -. Il ragazzino sembrò voler sprofondare e quando parlò la sua voce era talmente sottile e balbettante che il ragazzo non riuscì a capire cosa volesse: -T...ti...v...le...Li...ve…p...par...re -. A quel punto Raze gli urlò: -Se non sei capace a parlare sparisci e smettila di rompermi le palle, pulce!" il ragazzino allora scappò veloce. Il ragazzo allora chiuse la porta e fece per sdraiarsi di nuovo sul letto che sentì bussare per l'ennesima volta alla porta. Si voltò e andò ad aprire, rassegnato. Si trovò di fronte i capelli corti e rosso fuoco di Lizzie, con uno sguardo ancora più ardente: - Come osi trattare così un ragazzino?! Voleva solo chiederti di venirmi a parlare, ma tu l'hai spaventato troppo!! Era terrorizzato!! Non devi trattare così le persone! Se sei incazzato non devi prendertela con gli altri, e comunque adesso vai a scusarti, e di corsa, se no potrei fartene pentire! - . Raze, passato il momento di stupore di fronte al fiume di parole di Lizzie, iniziò a ridere sguaiatamente e senza ritegno. Un po' per la rabbia, un po' per non farsi prendere in giro da Raze, Lizzie gli urlò: - allora ti sfido a duello! - Il ragazzo la guardò come fosse completamente ammattita per qualche secondo, poi con un sorriso strafottente disse: -Va bene ragazzina, combattiamo in un duello! - Poi rise e aggiunse: -Non vedo nessun guanto per terra però, mi dispiace prode cavaliere! - Lizzie divenne rossa per la rabbia, poi chiuse lentamente gli occhi, rilassò i muscoli, e incominciò a sussurrare parole incomprensibili. Quando riaprì gli occhi, però, non erano più di quel bel color verde foglia, ma completamente neri. Raze cercò di darle un colpo non troppo forte sul viso ma, a un nonnulla dal suo naso una mano bloccò il pugno con una presa ferrea. Raze guardò stupito la piccola mano di Lizzie che gli stringeva il polso talmente strettamente che sentiva le proprie ossa scricchiolare, ad un tratto la ragazza si mosse e con uno scatto talmente veloce che il ragazzo non la vide nemmeno gli tirò un pugno nel bel mezzo dello stomaco. Raze si accasciò a terra rantolante.
Che cavolo sta succedendo? Per quanto Lizzie possa essere una cintura nera di karate non può essere così forte!!
Fece per rialzarsi, ma si trovò la ragazza a cavalcioni sopra di lui: aveva lo stesso sorriso dolce di quando aveva cambiato i colori delle cose e lo stesso sguardo così fisso e nero da mettere i brividi pure a qualcuno che i brividi li faceva venire, come Raze. Lizzie avvicinò il viso a quello del ragazzo e lo baciò. Ma non era assolutamente un bacio normale, non c’era nessuna tenerezza, nessun amore, solo fame. Sembrava quasi che volesse mangiarlo con quel bacio: lo inghiottiva, gli faceva male, lo mordeva e lo soffocava. Per quanto lui tentasse di staccarsi da lei la sua forza era talmente soverchiante da impedirgli ogni movimento. Lei adesso non si limitava a baciarlo ma gli stringeva le braccia, gliele graffiava fino a fargliele sanguinare. Poi un rumore e Raze urlò: gli aveva appena spezzato un polso. Il dolore gli si propagò in tutto il corpo e non si fermava poiché la ragazza continuava a torturarglielo stritolandoglielo. Adesso Raze si dimenava sempre di più e cercava di sfuggire dalla morsa letale di Lizzie: era completamente in sua balia. Quando sentì anche le ossa del suo braccio destro scricchiolare pensò di essere spacciato e una paura folle lo prese. Urlò di nuovo, questa volta ancora più forte di prima, poi ancora, ancora e ancora. Non sapeva nemmeno cosa stesse gridando, lo faceva e basta. Ad un ratto a bordo del suo lato visivo la porta si spalancò e una figura saettante e velocissima gli tolse il peso del piccolo ma fortissimo corpo di Lizzie di dosso. Questa volta la ragazza sembrava aver perso tutta la sua potenza, o comunque era talmente sballottata di qua e di là da questa nuova figura che al ragazzo sembrò tornare di nuovo piccola e fragile come prima di attaccarlo. Ma ad uno sguardo più attento la potenza di Lizzie non era affatto diminuita, ma semplicemente quella del suo nuovo avversario era talmente mostruosa da far sembrare la ragazza una bambola di pezza in balia di un uragano. Finalmente le due macchie indistinte si fermarono e una piccola figura era accasciata a terra in un angolo. Se Raze avesse fatto più attenzione avrebbe notato che gli occhi erano spalancati e si muovevano come alla ricerca di qualcosa che non si poteva vedere, avrebbe notato il tremore delle mani della ragazza e avrebbe notato che il colore delle iridi era ritornato verde. Ma Raze non si accorse di niente di tutto ciò perché era completamente preso da qualcos’altro, o meglio, qualcun altro: la figura nera che si spostava avanti e indietro come una palla in un flipper era Phil, ma allo stesso tempo era un altro. I suoi lineamenti erano distorti, la sua pelle ancora più chiara di quanto già non fosse prima e il suo sguardo era profondamente diverso da quello tranquillo e penetrante del ragazzo, aveva un qualcosa di completamente folle. Poi il ragazzo notò Raze e gli si avvicinò talmente velocemente che il ragazzo non fece in tempo a battere le palpebre che era già lì di fronte a lui, il suo sguardo famelico che lo scrutava e il sorriso esagerato stampato in volto che gli congelava le viscere. Poi Phil fece qualcosa di davvero strano: si prese il braccio destro e si conficcò le unghie nella carne, lacerandola, poi, di colpo, si accasciò su Raze, ancora immobile. Dopo qualche minuto il ragazzo dagli occhi rossi si riprese e cercò di alzarsi: spostò Phil, ancora svenuto, da sopra di sé e andò a vedere Lizzie, ancora con gli occhi serrati, cercando di contenere il tremore delle mani e il dolore al polso rotto. Lentamente e con cautela le tastò il collo per capire se fosse ancora viva: il suo cuore batteva. Poi una mano gli afferrò saldamente il polso, ma non era più la forza anormale di prima, era una normale stretta data da una ragazza minuta ma decisa. Raze si tranquillizzò un attimo e le chiese: -Lizzie… che è successo? –La ragazza lo guardò come stesse cercando di riordinare i pensieri senza però riuscirci. Poi, senza degnarlo di una risposta, si alzò e corse da Phil. Iniziò a sussurrare qualcosa che Raze non riusciva a sentire bene ma, a mano a mano che continuava il suo discorso solitario, poiché iniziava ad alzare la voce, il ragazzo incominciò a capire: -…combatti! Stupido, me la sarei cavata da sola! Sei uno scemo! Svegliati cazzo! Non farlo vincere, taglialo fuori, torna in te! Phil! –ripeteva il suo nome urlandolo adesso, come cercasse di richiamarlo da un posto lontano e dovesse urlare per farsi sentire, ma non ci riusciva, Phil non si svegliava. Allora Raze gli afferrò una mano e iniziò a parlargli, anche se non sapeva esattamente il motivo per cui lo stesse facendo, e si ritrovò a dirgli di tornare indietro, ovunque fosse, ovunque si fosse spinto per salvarlo. Doveva tornare. Lizzie ormai singhiozzava e stringeva i lembi della felpa del ragazzo tanto da farsi sbiancare le nocche graffiate, poi lo iniziò a schiaffeggiare. Al secondo colpo che gli ebbe dato finalmente aprì gli occhi, quegli stupendi e terribili occhi dorati, un po’ spaesati ma sempre bellissimi. Lizzie lo avvolse in un abbraccio talmente stretto che Raze ebbe l’impressione di sentire le ossa di Phil scriocchiolare, poi, anche lui, si lasciò cadere all’indietro per il sollievo. Poi però Phil incominciò a dire alla ragazza: -Stupida! Non hai ancora pienamente il controllo dello Scambio! Lo sai bene! E allora perché vai sempre a ficcarti nei guai? Sei un’incosciente! E se non fossi arrivato io che cazzo avresti fatto? Magari lo avresti ucciso! O avresti scatenato il suo Altro, e allora ti avrebbe ucciso lui! –Lizzie aveva un’espressione sempre più dispiaciuta tanto che Raze si sentì in dovere di difenderla, in fondo era stata colpa sua se si era incazzata e messa nei guai dopo, anche se non capiva bene cosa centrasse lui nella faccenda ‘Lizzie uccide Raze o Raze uccide LIzzie’, in fondo sperava ancora che fosse il classico modo di dire, un po’ come ‘ti uccido di botte’, si sa, alla fine nessuno uccide di botte nessuno, anche se in effetti un polso rotto e una paura mai provata di morire ce l’aveva davvero avuta. Quindi disse: -Bhe, è stata colpa mia, l’ho provocata io… non ha fatto niente di male e di sicuro non l’avrei uccisa… -Phil sembrò accorgersi solo adesso della sua presenza e, prima di rispondergli, guardò in modo strano Lizzie, come se stessero parlando con degli sguardi, poi si passò una mano tra i folti capelli rosso fuoco, fece un sospiro e iniziò a dire: -Mi dispiace deluderti, Raze, ma se ci fosse stato il tuo primo Scambio l’avresti quasi sicuramente uccisa. –alzò la mano per far segno al ragazzo, già pronto a parlare, di non interromperlo e continuò: -Tu sei un Altro. Un altro è una persona in cui è contenuta l’anima di qualcuno che è morto. Non una persona qualunque però, ma qualcuno che ha ucciso almeno una volta in vita sua, volontariamente o meno, e che non è riuscita a superare ciò che ha fatto o diventando un killer, o non riuscendo a rifarsi una vita e che comunque è un’anima che ha bisogno di una seconda vita per completare la propria. Noi li chiamiamo Altri perché sono delle seconde personalità che vivono in noi e ci rendono diversi, anche per quel che riguarda l’aspetto: per esempio i miei occhi sono un effetto collaterale di possedere due anime coesistenti in uno stesso corpo, infatti sono una deformazione che esplicita una caratteristica dell’Altro in noi. Ora, lo so che tu non mi credi, ma non importa, io ho il compito di avvertire i potenziali Altri dei rischi che corrono e fanno correre alle persone che li circondano, quindi stammi ad ascoltare. Noi abbiamo principalmente due problemi, il primo è che la seconda anima, quando ci possiede completamente, ha una forza sovrumana, che è maggiore nelle persone che hanno ucciso di più nella vita precedente, il secondo problema è che non possiamo controllarla se non dopo anni e anni di allenamenti. Quindi, quando la seconda anime prende il controllo del nostro corpo, specialmente la prima volta, spesso ci sono stragi, morti, feriti eccetera. Quindi adesso noi cercheremo di impedire una strage al tuo primo Scambio. Dovrai restare isolato per un po’ e noi cercheremo di indurre la tua seconda anima ad uscire. –Raze lo guardò senza capire, come se dovesse ancora recepire il messaggio, poi disse sottovoce: -Voi siete pazzi…-.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Ciao! Da adesso in poi ci sarà un mio piccolo spazio autore :3
Voglio ringraziare tutti quelli che hanno letto questa storia e spero che il nuovo capitolo vi piaccia!
Comunque sarei molto felice se qualcuno recensisse questo o gli altri capitoli giusto per sapere se ai tantissimi visitatori è piaciuta o meno! mi basta un "bella" o "brutta" davvero!! Grazie in anticipo! :)
CAPITOLO SEI
 
Raze camminava e incespicava. I suoi occhi erano di un rosso slavato, i capelli neri solitamente lucidi e belli come la notte erano in disordine e luridi. Incespicò ancora una volta e si appoggiò al muro. I suoi occhi stralunati si posarono allora sulle sue mani; dovette guardarle per qualche minuto prima di alzare lo sguardo e vedere le figure accartocciate e scure ai bordi del suo campo visivo, accasciate ai lati della stradina. La sua mente lacerata e straziata si riprese abbastanza per capire che il colore della sostanza viscida sulle sue mani, sui suoi abiti, sulle pareti scure era rosso. Ci vollero ancora alcuni minuti prima di collegare il rosso delle sue mani a quello sparso sull’asfalto ovunque intorno a lui e ci volle ancora lo stesso tempo per capire cosa fosse. Poi la sua mente collassò di nuovo in un urlo animalesco, disperato e completamente folle. Cadde a terra tremando e si sporcò ancora di più.
 
Phil era seduto sul muretto di una casa bianca molto probabilmente abbandonata, con i muri scrostati e pieni di muffe dal colore verdognolo. Non che gli importasse di sporcarsi i vestiti, tanto erano già abbastanza malmessi così e non era nemmeno tipo da preoccuparsi di piccolezze del genere, però di quel posto non gli piaceva l’odore: sapeva di qualcosa di putrido, lercio, viscido. Si alzò e iniziò il suo millesimo giro di perlustrazione. Non l’avevano ancora trovato nonostante avessero girato praticamente tutti i quartieri della città tranne un paio che erano, infatti, proprio quelli che doveva girare lui quella sera. Nessuno ci voleva entrare in quei quartieri, erano quelli più malfamati, quelli che segnavano il confine tra la città in cui vivevano e quella limitrofa. Violenze, furti, uccisioni, giri di droga e schifo vario erano all’ordine del giorno, senza contare gli scontri tra i gruppi avversari. Lui però ci aveva vissuto per anni in quella zona e la conosceva come le sue tasche. Passarono un paio d’ore, poi ne passò un’altra e un’altra ancora. Oramai aveva male ai piedi e alle gambe. Si sedette a terra e si accese una sigaretta per calmare i nervi, più tesi che mai. Poi un urlo, folle, penetrante. Iniziò a correre finchè non si trovò in una stradina talmente secondaria da non averla nemmeno calcolata nei suoi giri, anche perché era un vicolo cieco senza nessuna abitazione, aveva solo i muri grigi e scuri di due fabbriche quasi confinanti abbandonate da tempo. Ma in quel momento non si curò particolarmente del luogo in cui si trovava, bensì di una persona piegata al centro della viuzza scossa da tremiti talmente forti da sembrare un attacco di panico. Subito vi si precipitò vicino e toccò la spalla di quell’individuo che continuava a tremare, con i capelli sporchi e spettinati e l’odore di sudore talmente penetrante che sembrava appartenesse a un senzatetto di quelli che si trovano ai lati delle strade principali coperti da un pezzo di cartone e una miriade di strati di vestiti, ma quando i suoi occhi incontrarono due pupille rosso fuoco spalancate e completamente folli che lo guardavano senza riconoscerlo si coprì la bocca con una mano, cercando di nascondere il gemito che gli era uscito.
Phil prese Raze per un braccio e iniziò a trascinarlo verso il suo motorino abbandonato in qualche via lì nelle vicinanze, ma che al ragazzo sembrava troppo lontana, troppo fuori dalla sua portata, troppo poco conosciuta per potergli permettere di salvare la debole mente di Raze. Lo vedeva lì, accasciato come un morto e rannicchiato come un neonato, pazzo, incurabile, lontano. Non era riuscito a salvarlo. La sua mente non aveva retto il primo Scambio? Era davvero un’altra anima perduta? No. Lui era diverso, doveva esserlo. Ma cosa era successo in quel vicolo? Era troppo buio per vederlo. Phil adesso correva, non guardava nemmeno dove metteva i piedi. Aveva preso in braccio il ragazzo dai capelli corvini che lo guardava con occhi fissi e vacui. In quel momento Phil avrebbe tanto voluto piangere, ma le lacrime erano già finite tempo prima e l’unica cosa che si guadagnò fu un bruciore alla gola, come se stesse bevendo acido. Finalmente trovò il motorino, lo mise in moto facendo sedere Raze dietro di sé e gli disse, sperando ardentemente che gli desse ascolto, ti tenersi stretto a lui. Partì deciso con le deboli dita scosse da tremiti violenti del ragazzo che gli cingevano il busto e la sua testa appoggiata alla schiena. Questa volta sarebbe riuscito a salvarlo.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Ciao! scusate se non ho più aggiornato la mia storia ma sono stata piuttosto occupata... Comunque spero vi piaccia questo nuovo capitolo e, per favore, RECENSITE UN PO' DI PIU'! Non vi costa davvero nulla... Comunque grazie per stare seguendo la storia di Raze!
Capitolo sette
Phil spalancò la porta di casa, entrò quasi correndo e appoggiò sul suo letto color panna Raze, ancora scosso da tremiti violentissimi. Iniziò a sussurrargli qualcosa, non sapeva nemmeno lui cosa. Poi gli afferrò la mano e gliela tenne stretta. Sentì che il suo Altro iniziava a prendere il sopravvento, come gli succedeva sempre quando era agitato e, questa volta, lo lasciò libero. Phil perse piano piano sensibilità del suo corpo e lasciò che la sua mente si rifugiasse in un angolo solitario e marginale per lasciar passare Victor, che ormai era una presenza ­­­imponente e che lo circondava completamente. Ora Phil era quasi totalmente posseduto da Victor, e si sentì per l’ennesima volta come Valerie, quella ragazza che in V per Vendetta aveva scritto al suo vicino di cella quella frase stupenda. Come sempre la riportò alla mente, per calmare i nervi e farsi coraggio.
Morirò qui, tutto di me finirà, tutto... tranne quell'ultimo centimetro. Un centimetro, è piccolo, ed è fragile, ma è l'unica cosa al mondo che valga la pena di avere.
Non dobbiamo mai perderlo, o svenderlo, non dobbiamo permettere che ce lo rubino.
E di nuovo sopravviveva in quell’ultimo centimetro di mente da lui occupata. Certo, forse il senso non era lo stesso che Valerie attribuiva a quella frase, ma la sanità mentale gliel’aveva sempre salvata e, si diceva, non valeva la pena salvare il senso originario di una frase se con quell’accezione non serve. Iniziò a sussurrare, dire, cantare, urlare quella frase, finché non iniziò a riuscire a vedere ciò che Victor gli stava facendo fare. Si vide mentre allungava le braccia e tastava il petto palpitante di Raze. Victor era sì un patito di serpenti, ma era anche un buon medico e, questa volta, sperava che proprio quella seconda caratteristica aiutasse il ragazzo.
Raze svenne per l’ennesima volta e Victor, scocciato, si ritirò di nuovo in una parte lontana della mente di Phil che, piano piano, riacquisì il pieno controllo del proprio corpo. Il ragazzo si soffermò un attimo più del necessario ad ammirare i tratti di Raze. Forse aveva la bocca troppo carnosa, il viso troppo affilato e il naso stretto e appuntito; forse il suo taglio quasi orientale degli occhi, ammorbidito dalle lunga ciglia nere e i suoi capelli neri lisci e troppo lunghi per un ragazzo non lo rendevano bello convenzionalmente, ma per Phil quella sinistra bellezza era peggio di un brillante per una gazza ladra. Se non fosse stato terribilmente presuntuoso, irascibile e impetuoso forse avrebbe potuto farci un pensierino. Ma il carattere delle persone non si può cambiare con la semplice volontà e, di certo, la vera natura di Raze e, probabilmente, anche quella del suo Altro, era brillante e intensa come un fuoco nella notte: caldo, pericoloso e bellissimo. Raze aprì gli occhi e fissò per un attimo il ragazzo senza dare segni di averlo riconosciuto, poi si tirò su, piano, e allontanò Phil con una debole spinta. Poi tentò addirittura di tirarsi su, Phil tentò di fermarlo ma il ragazzo urlò: -Non mi toccare! -. E il suo sguardo era talmente lampeggiante che nemmeno protestò. Riprovò ad alzarsi e questa volta riuscì a stare in piedi per qualche secondo prima di ricadere pesantemente sul letto. Guardò Phil e iniziò a tempestargli il petto di deboli pugni, urlando: -Perché??!! Perché tutto questo? Non guardarmi così… come se fossi un malato in punto di morte! Non farlo! NON FARLO TI HO DETTO! – Phil subì i suoi pugni per un bel po’ fino a quando non si fu sfogato del tutto e cadesse di nuovo sul letto crema, vomitando. Il proprietario del letto, scocciato ma accondiscente, prese le lenzuola sporche e le raggomitolò, togliendole dalla vista del ragazzo. Poi gli disse: -Lo so come ti senti, lo so credimi. Ma non mi pare il caso di imbrattare le mie lenzuola così… non hai un’influenza intestinale, devi solo riprenderti e… - Non fece in tempo a finire che Raze gli urlò: -Ho ucciso delle persone Phil! Altro che influenza intestinale! Taci, fammi il piacere. – Phil allora rispose: -Ah. -.
 
 

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