Shadowhunters - City of Marble

di Winchester_Morgenstern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Non c'è pace per gli eroi ***
Capitolo 2: *** II - Una notte da ricordare ***
Capitolo 3: *** III - Di portali dimenticati e reazioni spropositate ***
Capitolo 4: *** IV - Clary : droghe = Vampiro : luce solare ***
Capitolo 5: *** V - Melchizedeck ***
Capitolo 6: *** VI - Chiacchiere e codici ***
Capitolo 7: *** VII - Black and gold ***
Capitolo 8: *** VIII - Ipotesi e corvi del malaugurio ***
Capitolo 9: *** IX - Ho (quasi) rischiato di perdere (di nuovo) la mano ***
Capitolo 10: *** X - Inizia la guerra ***
Capitolo 11: *** XI - Tutto ciò ch'è puro nasconde un lato oscuro ***
Capitolo 12: *** XII - Il tuo sangue è il mio sangue, le tue ossa sono le mie ossa ***
Capitolo 13: *** XIII - La verità fa male ***
Capitolo 14: *** XIV - Il passato non è il presente ***
Capitolo 15: *** XV - Il Consiglio ***
Capitolo 16: *** XVI - Una serpe in seno ***
Capitolo 17: *** XVII - Problemi in Paradiso ***
Capitolo 18: *** XVIII - Jean Arsh ***
Capitolo 19: *** XIX - Famiglia ***
Capitolo 20: *** XX - Cuore ***
Capitolo 21: *** XXI - Padre ***
Capitolo 22: *** XXII - Speciale ***
Capitolo 23: *** XXIII - Passi avanti ***
Capitolo 24: *** XXIV - Scambio di rosse ***
Capitolo 25: *** XXV - Protocolli speciali ***
Capitolo 26: *** XXVI - Idris ***
Capitolo 27: *** XXVII - Di animali morti, incendi e incontri piccanti ***
Capitolo 28: *** XXVIII - Tic, toc ***
Capitolo 29: *** XXIX - BOOM ***
Capitolo 30: *** XXX - KARMA IS A BITCH ***
Capitolo 31: *** XXXI - TONIGHT, WE RISE! RISE IN REVOLUTION! ***
Capitolo 32: *** XXXII - Hoc hopus, hic labor ***
Capitolo 33: *** XXXIII - Lights ***
Capitolo 34: *** XXXIV - Epilogue ***



Capitolo 1
*** I - Non c'è pace per gli eroi ***


Shadowhunters - City of Marble
 
I - Non c'è pace per gli eroi


Clary quasi non riusciva a credere che fosse passato più di un anno da quell'ultima, fatidica notte…. la stessa notte in cui l'Angelo Raziel era stato evocato, e con lui tutte le relative conseguenze della faccenda. Dopo era stato tutto un susseguirsi di giorni, avevano festeggiato la caduta di Valentine nella Piazza dell'Angelo, erano ritornati a New York tramite un portale e, sebbene Jocelyn avesse sperato che tutto potesse ritornare alla normalità, così non era stato. 
In ogni caso, rimaneva strano pensare che fosse passato così tanto tempo dalla battaglia di Brocelind, anche se Clarissa si sentiva decisamente più grande e diversa rispetto a com'era prima di incontrare i cacciatori e, perché no, differente anche dalla ragazzina impreparata che si era ritrovata a dover fronteggiare un padre psicopatico, quindi forse il tempo era passato davvero.
Dopo il ritorno nella Grande Mela, Jocelyn aveva cercato di convincere sua figlia a tenersi fuori dagli affari dei cacciatori. Peccato che non ci fosse riuscita, certo. Alla fine, comunque, aveva iniziato ad abituarsi a quella nuova svolta, complice anche il fatto che la casa di Luke con annessa la biblioteca era allagata a causa di alcune tubature rotte e avevano dovuto trasferirsi tutti e tre all'Istituto. Clary non amava particolarmente avere i suoi genitori costantemente vicino, ma perlomeno sua madre aveva iniziato a tollerare Jace. Di certo, questo era un punto nettamente positivo… certo, non che si aspettasse altro. Jace aveva un bel faccino, doveva confessarlo, una bella personalità e, quando voleva, oltre ad essere gentile sapeva anche dimostrarsi gentile e dolce. Quando voleva, certo, ma alla fine aveva sempre sperato almeno un po' che Jocelyn lo accettasse – e fortunatamente lo stava facendo.
Luke, invece, sembrava quasi non essersi posto il problema, stranamente. Forse aveva iniziato a considerare Jace in modo diverso dopo averlo conosciuto durante i mesi che avevano passato a cercare una cura per la bella avvelenata nell'ospedale e quando si era ritrovato fianco a fianco con lui, contro Valentine. Clarissa non lo sapeva, ma era felice che perlomeno da un lato non avesse incontrato rimostranze.
Un altro punto a favore di tutto era che finalmente, finalmente, aveva intrapreso un allenamento serio per diventare una Cacciatrice, una vera e non solo con delle nozioni di base per sfuggire alle situazioni più catastrofiche in cui, puntualmente, si ritrovava coinvolta. 
Proprio in quel momento si ritrovava su una delle travi di legno poste poco sotto il soffitto, nella grande sala che i nephilim dell'Istituto usavano per allenarsi e tenersi in forma. Aveva anche una corda nera ed elastica che l'avrebbe salvata dal rompersi la testa in due come un melone nel caso in cui i salti che stava provando non fossero andati proprio a buon fine, ma una striscia lunga e sottile di tessuto nero, ancorata a una cintura dall'aria antiquata, non era esattamente il sostegno più rassicurante al mondo. Certo, meglio questo che correre su per una scala inseguita da vampiri inferociti, sì, ma ugualmente non era una delle sue situazioni ideali. Non che potesse lamentarsi, comunque, era lei che aveva preteso di addestrarsi per bene, quindi meglio tenere la bocca chiusa e fare buon viso a cattivo gioco. 
Alla fine, comunque, dopo i mesi estenuanti spesi ad esercitarsi su quei dannati salti, non aveva poi così tanto da temere. Insomma, sapeva come lanciarsi e come atterrare, e molte volte lo faceva anche bene ma… com'era? Ah sì… be', gli incidenti succedono. Un esempio sono sicuramente gli aerei super sicuri che precipitano o spariscono nel nulla, le navi che affondano - Titanic non ha insegnato nulla a nessuno?! - e i bambini che si spezzano l'osso del collo semplicemente cadendo dall'altalena.
Quindi okay alla fiducia nelle proprie capacità, ma comunque non si sentiva del tutto sicura. 
C'era anche da dire che per la maggior parte dei primi tempi, quando Clary non faceva altro che cadere anche da un semplice albero di Central Park, si era più volte chiesta perché diamine dal sangue di Ithuriel lei avesse ricevuto la capacità di creare nuove rune e Jace grazia, forza e velocità. Che cavolo, un po' di equilibrio o anche nascere senza goffaggine non le avrebbe certo fatto male! 
Perlomeno, era certa che con un po' di quelle abilità non sarebbe stato tutto così complicato e lungo, considerando che la prima cosa che avevano dovuto correggere era addirittura la sua postura… Jace aveva insistito per giorni solo su quello.
Quasi come se l'avesse evocato, il biondissimo ragazzo in questione entrò in quel momento nella grande sala, spalancando con nonchalance la porta a doppio battente e appoggiandocisi sopra, senza nemmeno cascare, accidenti a lui! In quella posizione, gli mancavano solo le ali e sarebbe potuto sembrare un angelo venuto a salvarla da quell'estenuante esercitazione di lanci, capriole e sforbiciate in aria.
— Clary, tua madre ti sta cercando. Non ho avuto il cuore di farla venire qui, rischiando di farti cadere dalla trave e morire d'infarto o, più probabilmente, di schianto. — le sorrise sornione, spostandosi dall'ingresso per fermarsi quasi sotto di lei, molti metri più in alto. — È un peccato che non tu non possa indossare gonne per addestrarti, sai?
— Jace! — La rossa gli mostrò il dito medio. Si rimangiava tutto! Altro che angelo salvatore, era solo un idiota arrogante! Non solo veniva lì a dirle che sua madre voleva vederla - magari per sproloquiare di quanto pensasse che secondo lei riprendere la scuola sarebbe stato più utile di continuare l'addestramento -, ma si permetteva anche di fare lo stupido! Quasi quasi era meglio l'allenamento.
La cacciatrice si lanciò dalla trave, raggiungendo il pavimento se non con grazia almeno con equilibrio, che le permise di non fare una ravvicinata conoscenza col pavimento, come era già successo altre volte.
— Dov'è? — chiese, alzandosi in piedi e rassettandosi velocemente la tuta. Alla fine, non aveva bisogno di una tenuta completa per esercitarsi: qualcosa di leggero e pratico andava più che bene, per quanto la tenuta, doveva ammetterlo, fosse decisamente più stretta e stuzzicante. Non che fosse importante, considerando che non aveva il tempo per provocare il suo stupido ma divertente ragazzo mentre schivava i colpi che lui stesso sferrava con una lama angelica. 
— In biblioteca… sembrava un po' nervosa, tra l'altro. — rispose Jace. La rossa gli rivolse un cenno col capo e uscì dalla stanza, scuotendo il capo. Anche nervosa, perfetto!
Effettivamente, Jocelyn era appena oltre la soglia della biblioteca. Era una stanza che Clary amava profondamente, principalmente per le alte file di scaffali pieni di volumi. Alcuni erano davvero interessanti, altri roba noiosa e difficile, come i manoscritti di grammatica greca e latina che Alec le stava insegnando - strano a dirsi, dopo il loro inizio burrascoso erano riusciti a creare un rapporto amichevole -, che comunque rimanevano fra le cose più complicate che stava imparando in quel periodo.
— Cos'è successo? — chiese.
— Clary, finalmente! Dov'eri? — domandò sua madre allo stesso tempo. 
— Non so se l'hai dimenticato, ma da qualcosa come un anno e mezzo mi sto allenando per diventare una cacciatrice, ricordi? — Voleva bene a sua madre, sul serio, ma la verità era che non le aveva mai perdonato il fatto di aver interpretato il ruolo della bella avvelenata nell'ospedale lasciando tutto nelle sue mani e quelle di Luke, per poi tornare improvvisamente alla vita grazie al suo contributo e fare rimostranze perché non voleva che diventasse una shadowhunter – come se avesse potuto smettere di esserlo, a quel punto.
— Giusto. E… c'è qualcuno che vuole vederti. — annuncia, voltandosi a guardare la vecchia scrivania, una volta occupata da Hodge.
Quando vide chi voleva incontrarla Clarissa sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene e i peli delle braccia rizzarsi. Quasi non riusciva a crederci… davanti a lei, fredda e algida, seduta sulla sedia con i braccioli di pietra scolpita dietro la scrivania, c'era la regina della Corte Seèlie.
— Vostra maestà. — sibila la ragazza fra i denti, tentando inutilmente di nascondere il tono irato ed esibendosi in un piccolo inchino riottoso. 
— Clarissa. — rispose la fata, sembrando completamente a proprio agio.
— Come mai è qui? — chiese Clary, cercando di recuperare una parvenza di contegno. Una delle poche volte in cui si erano viste, quella sadica intrigante non solo aveva cercato di imprigionarla nella Corte, ma aveva anche costretto lei e Jace a baciarsi quando ancora credevano di essere fratelli e, per di più, il tutto davanti a Simon, con cui all'epoca lei aveva una complicata relazione.
— Sono qui, in realtà, per chiederti un favore, anche se l'ultima volta che ho accennato a qualcosa di simile tu non hai accettato… in realtà, potresti interpretare questa visita anche come un'avvertimento… — chiarì la bellissima regina. Non c'era traccia di paura o di preoccupazione nei suoi lineamenti finemente cesellati, ma le sue labbra erano distorte in un sorriso supponente. 
La cacciatrice serrò i pugni, nervosa: — Non ho alcun interesse ad ascoltare una sua richiesta o un suo avvertimento, ragion per cui le chiedo di andare via da qui. — disse. Okay, magari era stata un po' maleducata, certo, ma a sua discolpa c'era da dire che qualunque cosa la regina dicesse, be', si trattava sempre di un tranello, e non vedeva l'ora di levarsela dalle scatole anche per quello.
Clary sgranò gli occhi quando l'altra semplicemente sorrise e svanì come nebbia al vento. Avanzò di un passo, cercando di capire come avesse fatto, poi si rese conto che non era mai stata lì: si era soltanto servita di un'ologramma, una proiezione di se stessa. Probabilmente era sempre stata seduta sul suo comodo scranno a farsi servire e riverire.
— Clary! Ti sembra il modo di trattare la regina delle fate? Convengo con te che non sia un tipo di persona affidabile, ma proprio per questo dovresti cercare di non inimicartela! Potrebbe fare qualcosa… — esclamò Jocelyn.
— O io potrei fare qualcosa a lei. — rispose freddamente Clarissa, uscendo dalla biblioteca per poter ritornare in sala addestramento. 
A Jace, ancora fermo lì, si era aggiunta anche Isabelle, che aveva un'aria palesemente annoiata e si stava controllando le unghie dipinte di rosso: — Cosa voleva tua madre? — chiese la corvina, disinteressata.
— Lei niente… ma c'era la regina della Corte Seèlie, lì.
Lo sguardo ambrato di Jace si colmò immediatamente di preoccupazione: — Cosa?! Che voleva?
— Oh, un favore. — La ragazza fece spallucce.
— E potresti dirci quale, di grazia? — sbottò Izzy.
— Be', non ne ho idea. Le ho detto che non volevo ascoltare quello che aveva da dire e quindi il suo ologramma è scomparso. 
I due fratelli sgranarono comicamente gli occhi: — Raziel, Clary, sei l'unica persona che conosco che ha rifiutato di fare un favore ad una persona che potrebbe ripagarti con tutto. — rise Jace.
— Anzitutto, un favore sottintende che qualcuno voglia che qualcun altro faccia qualcosa, ma senza ripagarlo o ripagandolo soltanto a tempo debito e magari con qualcosa di ben più piccolo. Per di più, io ho già tutto. Non a caso all'Angelo ho chiesto te. — spiegò la shadowhunter, sorridendogli.
Jace si sporse in avanti per abbracciarla, e le diede un delicato bacio sulle labbra.
— Oh, per Raziel, almeno aspettate che me ne vada, o trovatevi una camera, piccioncini! — sbuffò Isabelle, alzando gli occhi al cielo e dirigendosi verso la porta. Giunta all'uscita si voltò un'ultima volta a guardarli: — Avete fame? Ho preparato della zuppa. Tu devi essere sicuramente affamata, Clary, dopo tutti gli avvenimenti di questa mattina!
Clary sbiancò: — Tu… tu hai fatto… della zuppa? — domandò, titubante.
La mora annuì, sorridendo maleficamente: — Oh, certo.
— Ehm, vedi, Izzy… io ho già fatto una colazione abbondante, e poi mi sono anche fermato a sgranocchiare un po' degli avanzi della cena di ieri con Alec, poco fa… — inventò di sana pianta Jace, ridacchiando nervosamente.
Clary annuì freneticamente: — Sì, sì, e io… io sono a dieta, sai com'è, e la zuppa purtroppo non posso proprio mangiarla, mi dispiace. — mormorò, cercando di simulare uno sguardo dispiaciuto.
— Siete dei pessimi bugiardi, sapete? Va bene, va bene, ho capito, ordino qualcosa da Taki's… — borbottò Isabelle, allontanandosi e facendo risuonare nel corridoio il rumore dei tacchi a spillo che indossava.
— Non dimenticarti il maiale Mu'shu, sai che è il mio preferito! — le urlò dietro Jace, sorridendo a trentadue denti.
Poi, quando sua sorella adottiva non fu più a portata d'orecchio, si voltò verso Clary, più serio: — Perché me? — chiese, stringendola a sé.
Per un attimo, la cacciatrice rimase spaesata dalle sue parole, poi le ritornò in mente il discorso di prima e sospirò: — Oh, Jace, sai benissimo che tu sei tutto quello che mi serve. Se ci sei tu, il resto non conta. — sussurra, coinvolgendolo in un bacio lento e passionale, facendo scontrare le loro lingue per gioco.
Lui si staccò appena, sorridendo: — Grazie. 
Finalmente, pensavano, era tutto finito… finalmente erano in tempo di pace, non c'erano guerre per la conquista del mondo a preoccuparli o pazzi psicopatici a far perdere loro il sonno…
O almeno, questo era quello che credevano, perché be', si sa, non c'è pace per gli eroi (1)



 
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(1) = "Non c'è pace per gli eroi" è originariamente "Non c'è pace per il maligno", cioè la traduzione del titolo di uno degli episodi della quinta stagione di Supernatural, se non sbaglio (?) il primo.

 
A.A after revision, 26/08/2015:
Come mi sembra ho già detto in qualche altro capitolo, ho finalmente iniziato a revisionare i primi dieci capitoli di questa fanfiction, e nel mentre ovviamente sto continuando a scrivere nuovi capitoli, considerando che siamo quasi alla fine, anzi, a -6! ;)
Cercherò di finire di revisionare il secondo entro oggi, ma comunque, in un paio di giorni dovrei aver finito il lavoro e ritornare a pubblicare normalmente ^^
Grazie mille per la vostra pazienza, e spero che questa versione molto migliorata dei primi capitoli vi piaccia :)
Winchester_Morgenstern

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Capitolo 2
*** II - Una notte da ricordare ***


SHADOWHUNTERS - CITY OF MARBLE


II - UNA NOTTE DA RICORDARE

 

Clary concordava assolutamente con il suo cuore che, innamorato perso com'era, le mostrava Jace fantastico, bellissimo e talentuoso, insieme a tutto il resto. Lo credeva davvero.
Ma pensava anche che, a volte, poteva dimostrarsi irritante e pignolo.
Le aveva più volte detto di avere dei progetti importanti da rivelarle, ma aveva anche più volte insistito sul fatto che l'avrebbe fatto soltanto quando avrebbe finalmente festeggiato il suo diciottesimo compleanno, inaugurando così anche il terzo anno di pace senza Valentine.
Il fatto era, però, che le aveva sussurrato indizi che non portavano a nulla e indovinelli impossibili per mesi, e adesso davvero non riusciva più ad aspettare, voleva che quell'idiota parlasse!
Ma no, ancora si rifiutava. "A mezzanotte, quando compirai diciott'anni", aveva detto. 
Alla fine, comunque, Clarissa aveva ceduto: si trattava soltanto di qualche ora, no? E per di più, Jace le aveva promesso un appuntamento romantico nella serra per le nove. Poteva solo immaginare che le avrebbe rivelato quello che nascondeva dopo una cena o qualcosa di simile.
In ogni caso, erano le sette quando Clary s'immerse nella vasca da bagno, con l'acqua e le bollicine di sapone fino al collo. Rimase per qualche minuto rilassata, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata al bordo di marmo della vasca, inspirando il profumo di lavanda del sapone che aveva usato.
Poco dopo incominciò a lavarsi con dovizia i lunghi capelli rossi, che in acqua si scurivano fino a divenire quasi neri, riflettendo su tutto quello che era successo negli ultimi tempi.
Era passato un po' da quando la regina aveva cercato di farle una proposta. Più di qualche mese, in realtà, e lei si era resa conto soltanto recentemente che magari poteva essere qualcosa di importante. Insomma, aveva detto un favore, sì… ma aveva anche menzionato un avvertimento. Perché avrebbe dovuto farlo? Avvertirla da cosa? E soprattutto, che cosa diceva questo fantomatico messaggio d'allerta?
La ragazza inspirò profondamente e risciacquò i capelli, inziando poi a stronfiarsi il corpo con il bagnoschiuma. Aveva sempre amato i massaggi, e accarezzarsi in acqua era qualcosa di fantastico.
In effetti, una delle sue fantasie più segrete, anche se di certo non la più perversa, riguardava lei e Jace in una vasca idro-massaggio, con candele profumate ovunque, e il suo biondissimo ragazzo che baciava, stringeva e massaggiava ogni singolo brandello del suo corpo. 
Poteva quasi sentire la sua mano, in quel momento, mentre provvedeva lei a rilassarsi. Quelle dita lunghe e sottili, da pianista, che le accarezzavano la gamba per poi risalire lungo la coscia, i segni rossastri appena visibili che si formavano a contatto con i polpastrelli di Jace, che risaliva lungo l'anca, solleticandola con le unghie e stringendole i fianchi fino a sedersi sopra di lei, per poi passare a palparla ovunque riuscisse ad arrivare, possessivo, e proseguiva con una scia di baci bagnati dal suo basso ventre fino al seno, che successivamente stringeva a coppa fra le sue mani con un sorriso birichino, giocando con i suoi capezzoli mentre gli occhi gli si colmavano di lussuria e incominciava a baciarle il collo lasciandole una collana di succhiotti...
Clary sgranò gli occhi, scattando a sedere nella vasca, ansimante. Diamine, non doveva perdersi in pensieri del genere, proprio no, non quando aveva poco tempo e tante cose da fare.
Uscì dall'acqua e, mentre sentiva le piccole goccioline residue scivolare lungo la sua schiena ed afferrava un telo pulito, quasi sentiva il fantasma delle dita del suo angelo personale che le percorrevano la schiena.
Sospirò, con l'ombra di un sorriso sul viso, e si affrettò ad asciugarsi per passare alla fase due, anche perché non aveva molto tempo. 
Nemmeno un quarto d'ora dopo, aveva tirato fuori dall'armadio quello che probabilmente era l'unico vestito elegante e sexy al tempo stesso che possedeva. Insomma, qualche tempo dopo essere ritornate a New York sua madre le aveva ricomprato interamente tutta la biancheria, questa volta rigorosamente bianca, casta e senza fronzoli, per eventualmente spegnere il… be', l'appetito sessuale di Jace.
Non ci si doveva stupire quindi se aveva un unico capo di vestiario che rispondesse contemporaneamente ai requisiti provocante e elegante.
In ogni caso, spese tutto il tempo che le era rimasto a vestirsi e prepararsi, e quando gettò un'occhiata all'orologio si rese conto che erano già le nove meno venti.
Prese un profondo respiro e sorrise appena, infilandosi quelle trappole infernali che Isabelle aveva osato chiamare "semplici tacchi nemmeno troppo alti" alla festa per il suo diciassettesimo compleanno, durante la consegna dei regali. 
Qualcuno avrebbe potuto pensare che arrivare alla serra, da lì in poi, sarebbe stato facile. Be', non fu così. Anzitutto, Clary doveva evitare sua madre. Raziel non volesse che la vedesse con addosso quel vestito - che non era nemmeno niente di eccezionale, eh! - e che scoprisse che doveva vedersi con Jace dopo le otto di sera! No no, non poteva permetterlo.
Il secondo ostacolo era Isabelle. Le aveva accennato qualcosa su una cena e le aveva promesso di rivelarle i dettagli in seguito, ma non le aveva detto quando si sarebbe tenuta, e la mora sospettava che fosse programmata per il giorno del suo compleanno. Meglio lasciarla continuare a pensare a quello, altrimenti l'avrebbe arpionata e ri-preparata secondo suo gusto, per spedirla a cena in tempo per il rintocco della mezzanotte. Non che fosse un'idea così malvagia, almeno così avrebbe saputo subito cos'era che quel romantico scellerato del suo ragazzo voleva rivelarle, ma non ci teneva a sopportare le torture di Izzy - sul serio, lei con in mano una piastra e delle mollette era peggio di un branco di demoni inferociti! -, quindi meglio evitare anche lei.
Finalmente, comunque, dopo una serie di rumori sospetti e balzi dentro nicchie e dietro statue per evitare il malcapitato di turno, Clarissa arrivò sulla sommità delle scale che portavano alla serra.
Amava quel posto, forse perché lei e Jace si erano scambiati il primo bacio lì, certo, ma anche a causa della strana magia di cui l'aria era satura. Non aveva niente a che fare con rune o stregoni, no, erano incanti diversi, quelli. Vedere giorno per giorno i fiori sbocciare e colorarsi, le foglie diventare verdi e rigogliose e il profumo di tutte le pianti presenti lì dentro era qualcosa di semplicemente sublime. Certo, anche vedere tutte queste cose appassire aveva un suo fascino, ma questo non l'avrebbe mai confessato ad anima viva. Fortunata com'era e con i problemi che aveva, nonostante tutto, col Conclave, questi avrebbero potuto pensare che amare i fiori che appassiscono fosse una strana forma di psicopatia mentale che presto l'avrebbe portata ad emulare suo padre e suo fratello, semplicemente in quanto Morgenstern. 
Questo era un altro argomento interessante, ma decisamente spinoso. Dopo che il Consiglio era venuto a sapere che Jocelyn era effettivamente viva, lei aveva dovuto riprendere il suo cognome da sposata. Anche se Valentine era morto, anche se lei non si considerava più sua moglie da lungo tempo, doveva rispettare la legge e mantenere quel cognome fino al momento in cui si sarebbe risposata - a questo proposito, Clary ancora non capiva perché Luke non le avesse ancora fatto una proposta, dopo due anni di relazione e una lunga, lunghissima conoscenza.
In ogni caso, anche dopo il loro matrimonio, Clary non avrebbe potuto prendere il nome "Clary Garroway", no. Persino il Console Jia Penhallow le aveva fatto capire che agli occhi di tutti, Morgenstern era e Morgenstern rimaneva. 
La nephilim prese un ultimo, profondo respiro, ed aprì la porta della serra, per poi entrare. Avrebbe voluto dire che la prima cosa che la colpì fu la mescolanza di profumi paradisiaci offerti dalle piante che crescevano lì, ma non era così.
La prima cosa che vide fu Jace, bello come il sole, con un sorriso affascinante in volto e i capelli biondi raccolti, stranamente, in quello che sembrava un basso codino. Stava bene. 
— Clar… issa. Wow. Sembri…
— Non dire un angelo, ti prego, perché è la battuta farfallona più squallida del secolo, specie se consideri che di angeli ne abbiamo conosciuti. — lo interruppe lei, ridacchiando.
Il cacciatore alzò gli occhi al cielo: — Stavo per dire che sembri la tentazione in persona, stasera.
— Oh. — La ragazza arrossì e le sue labbra si distesero in un sorriso: — Grazie. E… — si morse le labbra. Adesso o mai più: — Be', sappi che con quella giacca tu davvero non sei da meno. Cioè, non che sia la giacca a farlo. Intendiamoci, stai bene anche senza. Oh! Non volevo dire che, mi spiego, non avevo intenzione di insinuare vien…
Jace rise: — Clary, Clary, Clary. La mia piccola, ingenua Clary. — si avvicinò a lei, posandole un bacio sulle labbra. — Non c'è bisogno che ti scusi. Ma sappi che l'insinuazione è stata davvero molto gradita. — le sussurrò con voce roca, lasciandole una scia di baci sul collo. 
Se proprio si voleva essere precisi, comunque, non c'era nessuna insinuazione, perché il diciottenne era più scoperto che non, oltre ad essere praticamente un sogno erotico su gambe, quella sera. Be', certo, la giacca di pelle nera aperta e il petto nudo sotto contribuivano enormemente all'effetto finale, quindi chi mai avrebbe potuto biasimare la povera Clarissa? 
Jace le mordicchiò giocosamente le labbra e poi si staccò, guardandola negli occhi e successivamente scorrendo prima lo sguardo e poi le mani su tutto il suo corpo.
— Sai, ti avrei trovata ugualmente splendida anche in jeans e felpa, ma con questo vestito mi hai… be', stupito, credo. È davvero elegante.
— Che c'è, credi che non sia capace vestirmi con qualcosa di più raffinato di una t-shirt? — Clary arricciò le labbra, non potendo inarcare un solo sopracciglio come tanto agognava.
— No, no. Credevo solamente che questo non fosse il tuo stile. Insomma, avevo già la visione di un turbinio di capelli rossi e una bella fanciulla avvolta in un etereo vestito candido e svolazzante… — sussurrò lui, e la shadowhunter sapeva che non la stava prendendo in giro. Riusciva a scorgere sul suo viso quanto la vedesse bella anche con indosso un vestito casto e innocente, e questo la lusingava enormemente. Strano a dirsi, considerando che stava praticamente uscendo con un fotomodello, ma da quando si frequentavano la sua autostima stava aumentando enormemente. 
— Ma questo vestito tentatore proprio non me lo aspettavo… — continuò il biondo, accarezzandole la vita fasciata dall'aderentissimo tubino nero. 
— Andiamo, non esagerare!
— No no, certo, non è il tuo tipico vestito e sono piuttosto certo che non te l'abbia nemmeno consigliato Isabelle, visto che ha una lunghezza accettabile, ma è… sexy. — disse, posando lo sguardo sul profondo scollo a V dell'abito, e sul tessuto nero semi trasparente che copriva lo scollo fino a poco sopra l'ombelico. 
Clary era piuttosto certa che Jace fosse anche intrigato dal fatto che lei non facesse vedere nulla, vestita così, ma allo stesso tempo faceva pregustare tutto. Tutto cosa, ancora non lo sapeva e nemmeno l'aveva deciso, ma non era l'importante.
— Alors, mon chevalier, où allons-nous ce soir? (1) — chiese, appellandosi al poco francese che ricordava. 
— Per ora, mademoiselle, incominceremo con una bella cena romantica, cosa ne pensa? — rispose e domandò allo stesso tempo il nephilim, prendendola per mano e guidandola dietro un'alta parete ricoperta di viole e mughetti. 
Dietro essa Clary riconobbe uno dei tavoli presente in cucina, coperto da una candida tovaglia bianca e da tutta l'argenteria che ci si sarebbe potuta aspettare da un raffinato ristorante, intervallata da piatti da portata ancora coperti.
Jace si avvicinò ad una delle due sedie, la scostò e le fece cenno di sedersi, sorridendo. Alla rossa parve di vedere una gocciolina di sudore scivolare lungo lo zigomo del suo ragazzo. Non faceva così caldo, perché mai era così accaldato, quindi? L'unica altra spiegazione che le veniva in mente era il nervosismo, ma per cosa? 
— Quindi, cosa prevede il menù, mon amour? — chiese, dopo aver cercato di sbirciare una delle portate e aver ricevuto in cambio un'occhiataccia.
—Mmh, vediamo, lumache in salsa di spinaci… — il cacciatore s'interruppe alla vista della faccia di Clarissa: — Sto scherzando, Clary! — rise, scuotendo il capo, e le svelò uno dei piatti: — Che ne dici di risotto al gulasch? Ho pensato che avremmo potuto mangiare qualcosa di più esotico dei soliti spaghetti… in realtà volevo fare della pasta all'italiana, ma quando Magnus mi ha visto mettere dell'acqua sul fuoco e gettarci dentro della pasta mi ha guardato con aria allucinata e ha buttato tutto nella spazzatura… mah. — Jace scosse il capo.
— E l'hai cucinato tu? — chiese Clary, osservando curiosamente qualcosa che sporgeva da dietro delle piante alle spalle del ragazzo.
— Certo, per chi mi hai preso! — rispose, fingendo un cipiglio indignato.
— Mah, non so, ho solo pensato che quelle scatole di Taki's dietro le piante centrassero qualcosa… — rispose lei, ridendo e indicando col mento le suddette scatole.
Jace arrossì appena, borbottando qualcosa che suonava come: — Magnus avrebbe dovuto farle sparire! Scommetto che si è nascosto da qualche parte a pomiciare con Alec…
Clary non poté trattenere un sorriso: — Andiamo, non fa niente. Vediamo di scoprire se questo gulasch è buono, no? — disse, accarezzandogli una mano e percorrendo col pollice la sua runa della vista. Non sapeva perché era nervoso, ma non voleva farlo sentire teso ancor di più di quello che già era-
Il diciottenne le rivolse un sorriso raggiante e iniziò finalmente a rilassarsi, alternando bocconi di riso a battute divertenti. 
Alla fine, la pasta era davvero buona, c'era da dirlo. Ma c'era anche da precisare, secondo Clarissa, che probabilmente la compagnia di Jace rendeva tutto più bello. 
Scosse lievemente il capo, pensando a quanto persa e innamorata fosse. E a quanto sembrassero idioti e allo stesso tempo follemente presi, certo. Era contenta di aver perseverato, e di essere riuscita davvero, alla fine, a stare con quell'angelo che davvero non meritava. Era anche felice che Aline si fosse sbagliata, che non fosse solo il fascino del proibito a unirli. C'era un motivo se non aveva ripiegato su Sebastian, questo era certo. Si affrettò a terminare il dolce, una mousse al cioccolato e ribes, a giudicare dal sapore, che era semplicemente deliziosa.
Jace si alzò in piedi, sorridendo sotto i baffi, e le diede un bacio all'angolo della bocca, leccando il contorno di quest'ultima con la lingua. Arrossendo, la ragazza si rese conto che molto probabilmente era tutta sporca di cioccolato.
Il biondo si staccò da lei ed estrasse un foulard di cachemire dalla giacca, che a giudicare dal colore - rosso acceso - e dai brillantini luccicanti, doveva essere un prestito di Magnus.
Si portò alle spalle della ragazza, bendandola.
— Ti fidi di me? — chiese, e Clary non colse la nota trepidante nella sua voce.
— Sempre. — rispose, rilassata e trepidante allo stesso tempo. Cos'aveva intenzione di fare? Dove voleva potarla?
— Aggrappati forte, allora. — le rispose, avvicinandosi a lei e abbracciandola da dietro. La guidò verso destra e poi in avanti, per poi voltarsi e stringerla forte, mentre Clary faceva lo stesso.
Un attimo dopo, si gettarono entrambi in qualcosa di mollo e gelatinoso che Clarissa riconobbe dopo qualche attimo come un portale.
Sorrise appena, e qualche attimo dopo atterrarono entrambi sulle ginocchia, affondando le mani in quello che sembrava prato e rotolando appena l'uno sull'altro per lo schianto.
Aprirono entrambi gli occhi, rialzandosi in piedi e ridendo, fino a quando la nephilim non capì dov'erano.
Davanti a lei, in tutto il suo splendore e in tutto il suo pericolo, c'era il Lago Lyn.
— Jace…
— Aspetta, Clary. Ti ho voluta portare qui per un motivo. È vero, queste acque hanno visto sangue e morti, anche un angelo, ma non è questo il punto. Il punto è che qui, due anni fa, tu mi hai scelto. Avresti potuto chiedere a Raziel qualunque cosa… — disse il biondo con un filo di voce, accarezzandole una ciocca di capelli: —… Ma, tra tutte… hai scelto me. — sussurrò, emozionato.
Si avvicinò a lei, guardandola con occhi carichi di sentimenti, quasi liquidi. 
— Hai… mi hai preferito a tutto, hai dato a me il primo posto… e adesso voglio fare la stessa cosa. — sorrise, riacquistanti sicurezza, e s'inginocchiò nel prato, prendendo una mano di Clary nelle sue, proprio mentre la ragazza sgranava gli occhi, esterrefatta.
Il nephilim estrasse l'anello della famiglia Morgenstern da una tasca della giacca: — Mi rendo conto che sia un po' strano, soprattutto perché tu sei una Morgenstern e io sono stato adottato da Valentine e teoricamente l'anello prima del matrimonio dovrebbe essere quello degli Herondale, ma visto che non ce l'ho e che, alla fin fine, ho avuto per tutta la vita un solo padre… be', quello che voglio dire è che sto cercando di fare le cose per bene, per quanto sembri quasi impossibile. — snocciolò in fretta, arrossendo. 
Le mostrò il gioiello, trepidante: — Clarissa Adele Morgenstern-Fairchild — La ragazza dovette trattenere un sorriso quando Jace si fermò un attimo per riprendere fiato: — … vuoi sposarmi?
Jace non si era mai sentito così nervoso ed emozionato e felice al tempo stesso in tutta la sua vita, era un po' come mangiare un cioccolatino: l'attesa è gustosa, ma non si vede l'ora di assaporarne il cuore e lo si pregusta così intensamente da sentirne già il sapore. 
La cacciatrice era ancora lì, in piedi, gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata, immobile e in shock per qualche attimo. Prese un respiro profondo e tremante e si mise a sua volta il ginocchio, le gambe a contatto con l'erba fredda. Rabbrividiva, ma non per la temperatura.
— Sì, Jace, sì! — praticamente strillò, allacciandogli le braccia esili intorno al collo e baciandolo come mai aveva fatto prima d'ora. Rotolarono entrambi a terra, ridendo e con gli occhi illuminati da una gioia del tutto nuova, dei sorrisi ebeti sui volti.
— Oh Raziel — sussurrò Clary, mentre sentiva gli occhi farsi lucidi: — Non hai idea di quanto ti amo, Jace. — disse, stringendolo a sé. 
Non avrebbe saputo dire con certezza come accaddero, esattamente, gli eventi successivi. Certo, non quello non l'aveva mai immaginato così, aveva pensato a un letto, delle candele, dei petali… ma la verità era che, nonostante tutto, ogni cosa era perfetta.
Comunque, quel che intendeva era che non sapeva com'erano arrivati a quel punto, fatto stava che le dita del suo ragaz… del suo fidanzato le stringevano i fianchi, e la sua bocca stava torturando deliziosamente il suo collo, le pupille dilatate dalla lussuria e gli occhi che, illuminati solo dalla luna, sembravano scuri e ricolmi di misteri.
Clary si strusciò contro di lui, facendo scorrere le mani sul suo petto. Riusciva a sentire il caldo che le infiammava il sangue, l'eccitazione che la inebriava completamente, portandola ad essere più spigliata di quanto sarebbe stata normalmente in una tale situazione. Gli sfilò la giacca aderente, guardandolo apertamente: ben inteso, l'aveva già visto a petto nudo, ma quello era diverso. Sapere che adesso era suo, davvero e per sempre, che l'amava così tanto… era splendido. 
Iniziò a lasciargli una scia di baci sugli addominali, che presto divennero succhiotti sempre più profondi e scuri. Sentiva Jace contorcersi a quelle attenzioni, i piccoli gemiti che si lasciava sfuggire quando succhiava e mordeva a fondo. 
Lo lasciò libero di abbassarle la zip del vestito, le sue mani delicate e premurose sulla pelle e la sensazione della stoffa che la accarezzava.
Sì, sarebbe stata decisamente una notte da ricordare. 




(1) = Allora, mio cavaliere, dove andiamo questa sera? (Piccola precisazione, nonostante abbia alle spalle tre anni di francese non mi ricordo un'h, per cui mi sono affidata a Google Traduttore per tradurre questa frase… la colpa di eventuali parole sbagliate è sua xD)

 


A. A. after revision, 21/09/15:
Voi NON AVETE IDEA del terrore che mi ha attanagliato le viscere quando ho accidentalmente tagliato tutto il secondo capitolo rivisitato - fortuna che l'avevo anche su un altro file xD
Detto questo, chiedo umilmente scusa per l'immenso ritardo, ma la scuola è ricominciata anche per me e sapete com'è, come tutti non ho nemmeno il tempo di guardati allo specchio - anche perché sto cercando di raccapezzarmi e studiare il greco antico e, sappiatelo, non è una passeggiata xD -.
Anyway, spero che questo capitolo vi piaccia, era - è - uno dei miei preferiti e ho cercato di migliorarlo e ampliarlo al meglio.
Detto questo, vado a concludere il nuovo capitolo e a revisionare il terzo ;) 
Winchester_Morgenstern

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Capitolo 3
*** III - Di portali dimenticati e reazioni spropositate ***


SHADOWHUNTERS - CITY OF MARBLE

III - DI PORTALI DIMENTICATI E REAZIONI SPROPOSITATE


Clary strizzò gli occhi, infastidita da un raggio di sole malandrino che le stava colpendo il viso, quasi invitandola ad alzarsi.
Sbuffò ed aprì piano un solo occhi, per restare abbagliata dalla luce sfavillante che incombeva sopra di lei.
Un attimo… luce? Sopra di lei?
Cosa ci faceva il sole nella sua camera? Tralasciando anche il fatto che lei chiudeva sempre le tende, eh! 
Calma, Clary, si redarguì da sola. Non dire stupidaggini e ragiona, il sole non può certo essere entrato nella tua camera!, concluse, con tutta la convinzione di questo mondo.
Giusto, ovviamente la sua ipotesi da persona delirante appena sveglia non poteva essere esatta. 
Ehm… l'Istituto era crollato durante la notte e lei non se n'era accorta? Andiamo, sapeva di avere il sonno pesante, ma certo non fino a quel punto! 
Un po' rincuorata dall'esclusione di quella possibilità, la rossa aprì anche l'altro occhio e, semplicemente, scattò a sedere per lo spavento. 
Una massa di… cosi giallo biondi - decisamente non sembravano spaghetti, ma… -, prima che quasi rotolasse via, le stava oscurando la vista.
Clarissa trattenne il fiato quando qualcosa accanto a lei si mosse, salvo poi prendere un profondo respiro e incominciare ad avere vaghi ricordi della sera precedente. Si voltò, stupita, riconoscendo il corpo di Jace addormentato poco lontano da lei.
— Jace! — esclamò, cercando di recuperare un briciolo di sanità mentale, sentendo i fili d'erba fra le sue mani.
Lui si drizzò a sedere, cercando nel mentre una delle spade angeliche che si portava al fianco, quasi come un riflesso involontario. Sfortunatamente, l'arma giaceva abbandonata insieme ai suoi pantaloni neri vicino ad una roccia, a qualche metro di distanza. 
— Chi? Cosa? Quan… Valentine è risorto?! — biascicò allarmato quell'idiota del suo futuro marito. A quel pensiero, Clary praticamente saltò in aria, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.
— Jace! — strillò di nuovo, stupita, facendolo voltare verso di lei. Le rivolse un piccolo sogghigno e fece scorrere il suo sguardo sul suo corpo, gli occhi illuminati di malizia.
Inizialmente la ragazza non capì e aggrottò le sopracciglia, confusa. Fu soltanto quando un leggero venticello incominciò ad accarezzarla che si rese conto che qualcosa non andava.
Ovviamente, quelle furono le proverbiali ultime parole famose, o meglio gli ultimi pensieri.
Esitante, quindi, abbassò lo sguardo sul suo stesso corpo ed emise un gemito indefinito. Era nuda. Completamente nuda, proprio come quei due pazzi che si ritrovava per genitori l'avevano fatta.
In quel momento pensò di arrossire così tanto che, probabilmente, sarebbe presto esplosa per autocombustione. Non fu così, ma forse l'avrebbe preferito, considerando gli occhi dorati di Jace ancora su di lei e il suo ghigno.
Clary mantenne il volto dignitosamente alto, mordendosi le labbra a sangue per non scoppiare a ridere per l'imbarazzo, iniziando a guardarsi in giro per individuare la posizione dei suoi abiti e della sua biancheria, che erano tutti sparsi in malo modo attorno a loro.
Ovviamente, Jace Sono-Senza-Pudore Herondale scoppiò a ridere, e per reazione la diciottenne gli lanciò contro la prima cosa che le capitò sottomano, ovvero il suo reggiseno.
Oh, Raziel, per piacere, no!, si ritrovò ad implorare silenziosamente la rossa. Fa che non faccia quello che credo!, pregò.
Presumibilmente, quel giorno l'Angelo doveva avercela con lei, perché quell'adorabilissimo ragazzo conosciuto come il mio nuovissimo fidanzato ufficiale raccattò come un fulmine l'indumento intimo e prese a correre, sfuggendo alla presa della rossa, più veloce di un fulmine.
Clary non provò nemmeno a corrergli dietro, sapendo che sarebbe stato inutile, vista la velocità del cacciatore. Così, molto semplicemente, decise di giocare d'astuzia: — Jace, presto, vestiti! Sta arrivando una pattuglia! — disse.
— Non dire idiozie, rossa, non ci sono mai state pattuglie! — controbatté lui, ridendo.
— Vuoi davvero correre il rischio?! Sappi che non ti lascerò mai più avvicinare a me se non torni qui adesso! — strillò quindi Clary. 
L'idiota, anche detto Jace-Ho-Così-Tanti-Nomi-Che-Non-Vale-La-Pena-Elencarli, comparve dietro di lei in un nanosecondo, porgendole il reggiseno e cercando al contempo i suoi boxer e la sua giacca.
Clarissa infilò calze e sandali, litigando appena qualche secondo, stranamente, con laccetti e cerniere varie, per poi guardarsi intorno per un po', perplessa.
Era come se… sì, insomma, mancava qualcosa, anche se non avrebbe saputo dire cosa.
— Forza, Clary, non stare lì ferma come uno stoccafisso! Abbiamo di certo saltato la colazione, ma forse arriveremo in tempo per pranzare all'Istituto! — la esortò Jace, dirigendosi verso una direzione come un'altra, dal suo punto di vista.
Fu in quel momento che la cacciatrice comprese che la stupidità era dilagante, paragonabile a una malattia contagiosa. Molto contagiosa, quindi forse chiunque nel raggio di dieci miglia avrebbe dovuto pensare a scappare.
— Jace… — mormorò per l'ennesima volta in poco tempo, lanciandogli un'occhiataccia.
— Sì? — chiese lui, con l'aria più innocente di questo mondo.
— Jonathan Cristopher, amore bello della mamma… a che ora si chiudeva il portale?! — disse lei, il tono di voce che si faceva man mano più alto e intriso di ovvietà.
— All'alba, perc… merda! 
— Già, siamo proprio nella merda. E se non troviamo il modo di ritornare all'Istituto nel minor tempo possibile saremo ancor più nella merda. — si fermò un attimo a riflettere: — Anzi, tu sarai nella merda. — concluse.
— Perché? — domandò lui, inarcando un sopracciglio e, se possibile, irritandola ancora di più. Certo, lo faceva ogni sacrosanto istante della sua vita, praticamente, ma era così tanto chiedergli di non alzare un solo sopracciglio, quando lei per qualche arcano motivo proprio non ci riusciva?!
— Be', perché quando mia madre incomberà su di me come una folle assatanata con un passato da schizofrenica, io dichiarerò molto candidamente la mia innocenza e confesserò il tuo piano malvagio, ossia rapirmi e portarmi in un luogo dimenticato da Raziel con la complicità di Magnus, per prendere la mia virtù! — disse tutto d'un fiato lei, per poi ansimare e ricominciare: — E a quel punto mia madre ti farà… ehm, ave atque vale, Jace! — sghignazzò.
— Brutta folletti senza cuore! — mugugnò lui, prima di portarsi con fare teatrale una mano alla fronte: — Clary, perché non ci ho pensato prima! Evocalo tu un portale! — propose, con un sorriso a illuminargli il volto.
— E sentiamo, come lo dovrei evocare, considerando che ho lasciato il mio stilo in camera e tu hai dimenticato il tuo nella serra? E non provare a negarlo, ti ho visto chiaramente lasciarlo accanto al tuo piatto, ieri!  — sospirò, alzando esasperata gli occhi al cielo. La serata era stata davvero fantastica, ma il risveglio, d'altra parte…
Jace lanciò una lunga occhiata all'anello di fidanzamento che portavo all'anulare e che in quel momento stava scintillando al sole. Approfittai di quel momento per osservarlo a mia volta, rasserenandomi appena.
Si avvicinò a me e mi baciò la mano, con un sorriso accennato ad illuminargli il volto: — Le prometto che troveremo un modo per tornare indietro, futura signora Herondale. 
La nephilim arrossì e in un impeto di coraggio si sporse verso di lui, quasi trascinandolo di nuovo a terra e baciandolo con passione. Sentiva i denti di lui stuzzicarle le labbra, poteva quasi percepire la risata che si era incastrata nella sua gola, sapeva che i suoi occhi erano carichi di divertimento e passione nonostante non lo stesse osservando. 
Si staccarono poco dopo, ansimanti, e Clary si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, sospirando. — Andiamo, Raziel, se ci vuoi almeno un po' di bene aiutaci! Se ci sei, batti un colpo! — borbottò, scuotendo il capo.
Ora, poteva essere una coincidenza o meno, fatto stava che una delle pareti di roccia sulla sommità della collina, che facevano quasi da protezione al bosco, iniziò quasi a sciogliersi per creare quello che sembrava un arco riempito da gelatina azzurra in movimento.
— Magnus! — esclamò Jace, riconoscendo la sagoma familiare che stava uscendo dal portale.
— Eccomi qui, a salvare i due poveri idioti che non sono riusciti nemmeno a ricordarsi un orario per tornare! — rispose lo stregone, praticamente ridendogli in faccia. Attese per qualche attimo, lasciandosi raggiungere, e poi si fermarono entrambi davanti al passaggio verso New York.
 — Ah, per inciso, Clary. Quando tua madre è venuta a sapere la metà della tua bella serata romantica, è praticamente andata fuori di testa. Quindi preparati ad una sfuriata epocale. — spiegò Magnus, scuotendo il capo: — Sai, credo di sapere perché alla fine Valentine l'abbia sposata. Insomma, sono più che certo che insieme facessero una splendida coppia di sadici bastardi! — soffiò ancora il nascosto, varcando per primo il portale.
Ecco, appunto, ci mancava solo quello. Perché ovviamente la sfiga doveva perseguitarli, altrimenti non era una vita degna di essere vissuta, certo.
— Jace, ricordati del tuo piano sul rapimento e successiva presa con la forza della mia virtù! — sussurrai all'idiota che ci aveva fatto scoprire.
Lui rabbrividì, occhieggiando il portale come se volesse fare dietrofront e darsela a gambe.
Affrontare Valentine? Niente di più facile!
Combattere demoni e dimenticati? Una bazzecola!
Conversare - più o meno - pacificamente con la madre della sua futura moglie? Un'impresa ercoliana! 
Sospirando, Clary lo prese per mano e attraversarono insieme il passaggio, irrigidendosi appena alla sensazione di viaggiare da un luogo all'altro in così poco tempo.
E ovviamente, non potevano certo ritornare all'Istituto tranquillamente, no, perché come già detto la sfiga li stava perseguitando, e non aveva altro da fare se non occuparsi solo ed esclusivamente di loro.
Jocelyn era lì, proprio davanti a loro, mani sui fianchi e sguardo battagliero. 
— CLARISSA ADELE FRAY! — urlò: — COME HAI POTUTO SCAPPARE NEL CUORE DELLA NOTTE AD ALICANTE?! ME LO SAREI POTUTA ASPETTARE DA QUESTO SCIAGURATO, MA DA TE MAI! — continuò, avanzando verso di loro e facendoli conseguentemente arretrare: — SAPPI CHE NON TI PERDONERÒ MAI, RAGAZZINA, IN PUNIZIONE A VITA! 
La ragazza scartò di lato, lasciando il fidanzato in balia di sua madre.
— Ma, Jocelyn… — tentò di difendersi Jace, con scarsi risultati, certo.
— Niente ma, cacciatore dei miei stivali! È tutta colpa tua! La mia piccola Clary! — ringhiò lei: — Oh, ma io lo sapevo che dovevo sorvegliarvi giorno e not… — stava dicendo, quando Clarissa ebbe pietà di Jace e fece qualche passo in avanti, ritornando verso di lui.
— Mamma… — iniziò, cercando di farla ragionare.
— Non ora, Clary, sono occupata! — rispose, riprendendo a strigliare per bene lo shadowhunter.
— Mamma, dai… — ritentò la rossa.
— Zitta, Clary! — ordinò lei, determinata. 
Fu in quel momento che la povera diciottenne comprese cosa volesse dire Magnus. Valentine era pure stato un sadico bastardo pazzoide, ma se aveva sposato sua madre c'era di certo un ragionevolissimo motivo!
E cioè, in poche parole: sua mamma era anche peggio di lui e quindi, conseguentemente, insieme erano praticamente una coppia perfetta.
Nel frattempo, ovviamente, Jocelyn aveva continuato a ricoprire Jace di improperi e minacce di morte varie, e nel giro di qualche minuto aveva attirato tutti gli abitanti dell'Istituto, che erano fermi a qualche passo di sicurezza da loro e sembravano decisamente godersi lo spettacolo.
A quel punto, Clarissa perse la pazienza: — MAMMA, JACE MI HA CHIESTO DI SPOSARLO! — urlò a pieni polmoni e, più avanti, Isabelle avrebbe detto che in quel momento anche i muri erano tremati.
Ora come ora, però, Alec spalancò la bocca, Luke iniziò a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua e la sopracitata Izzy si lasciò sfuggire un grido entusiasta.
E Jocelyn, be'… diciamo che Clary si aspettava di tutto, ma proprio tutto, anche una sequela di maledizioni in purgatico che avrebbero fatto vergognare suo fratello Jonathan della sua scarsa conoscenza della lingua, ma di certo non… ehm, quello.
In un primo momento la donna stette zitta, come se stesse cercando di capire il senso della frase. Poi prese un profondo respiro, sembrò calmarsi e tutto quello che disse fu: — Oh.
Sì, avete capito, solo un patetico, misero "Oh". Okay, forse Clary non avrebbe dovuto denigrare quella piccola esclamazione così presto, perché subito dopo Jocelyn assottigliò lo sguardo e si voltò di nuovo con aria omicida verso quello che sarebbe dovuto essere il suo futuro marito ma, se le cose continuavano ad andare così, più che altro l'avrebbe resa soltanto vedova.
— Tu lo sai, vero, che se dovessi ferirla anche solo minimamente saresti un nephilim morto, vero, Jonathan Cristopher Herondale?! — minacciò la donna, incrociando le braccia al petto con fare gelido.
Alla fine, comunque, grazie all'intervento mediatore di Luke e a frasi sussurrate qua e là dei fratelli Lightwood, Jocelyn parve riconquistare una parvenza di umanità e si sciolse, sorridendo a Clary ed abbracciandola: — Oh, la mia piccola bambina!
Ecco, sì, decisamente, quella donna era più che lunatica, era bipolare!
— Ehm, Clary, tu sai che i cacciatori non si sposano con uno scambio degli anelli ma con delle rune, vero? — chiese Lucian, aggrottando la fronte all'anello sulla mano destra della ragazza.
— Certo che lo sa. Ma, dato che non sopporterò più di vedere anche solo un altro ragazzo metterle gli occhi addosso quando usciamo, ho pensato che con un anello di fidanzamento i mondani sarebbero rimasti a cuccia. — rispose per lei Jace, e Clary non poté trattenere una risata.
— Jace, i mondani non sono cagnolini! — gli fece presente Alec, alzando gli occhi al cielo.
— Sì, dettagli… — rispose lui, facendo un gesto svolazzante con la mano, come a voler allontanare una futile questione.




 
A.A after revision, 18/11/15:
Sì, lo so, è passato circa un secolo da quando ho revisionato il capitolo due, ma adesso sono qui, no?
E niente, ecco il terzo capitolo riveduto e corretto.
I hope you enjoy it! :D
Winchester_Morgenstern
P.S: -6 alla fine di COM, gente O.O

 

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Capitolo 4
*** IV - Clary : droghe = Vampiro : luce solare ***


 
— Oh, Clary! Non sai quanto sono felice per voi! — esclamò Isabelle: aveva gli occhi scuri illuminati di gioia, e Clary quasi poteva fisicamente sentirla immaginare di organizzare il matrimonio. Il suo aiuto sarebbe stato più che bene accetto, ovviamente - dopotutto, lei non era mai stata quel che si diceva l'emblema dell'eleganza, e a meno che non volesse decorare Idris a tema Star Wars per le nozze non sarebbe stata esattamente una cima nei preparativi - ma aveva come l'impressione che avrebbe finito per faticare più del dovuto, se non altro per contenere la tendenza all'eccesso di quella squinternata di una Lightwood e dell'esuberante suo compare, Magnus Bane, parlando per eufemismi.
— Lo so, Izzy, lo so. — rispose quindi la rossa ridendo: era almeno la centesima volta che l'amica si congratulava con lei, e adesso la sua eccitazione incominciava perfino a far voltare gli uomini d'affari, i pendolari e le patite dello shopping che passeggiavano lungo la Fifth Avenue. 
— Certo, ma non fa mai male ribadirlo — si difese tranquillamente la mora, svoltando l'angolo della strada con aria un po' affrettata e facendo dondolare sul polso le varie buste colorate che si trascinava dietro, come se pesassero meno di una piuma - e anche se oggettivamente parlando non era cosi, lei ovviamente le avvertiva come tali, considerata la pesantezza di alcune delle armi con cui si allenava.
— Forza, Clary! — strillò, praticamente, sporgendosi indietro e afferrando un braccio della povera malcapitata: — Ho voglia di un milkshake e c'è uno Starbucks proprio lì di fronte! 
Clarissa era passata decine di migliaia di volte per quella strada, o almeno lo aveva fatto fino a qualche anno prima, quando la vita soprannaturale non l'aveva ancora travolta investendola come un tir in corsa. 
Era un locale ampio, spazioso e pieno di luce, e così doveva essere, considerando che si trovava all'incrocio di alcune delle vie più trafficate di New York. Anche se era l'ora di punta, comunque, forse complice il cielo nuvoloso e carico di pioggia e la conseguente fretta dei passanti di ritornare nel calore delle proprie case, lo Starbucks sembrava del tutto vuoto, fatta eccezione per le due cameriere che s'intravedevano dalle vetrate del locale, costrette nell'abituale grembiule verde con tanto di cappellino coordinato.
— Okay — rispose quindi semplicemente la Nephilim, scrollando le spalle. Pur tenendo conto di tutte le belle novità accadute ultimamente, una bella ventata di cara e vecchia normalità non avrebbe fatto del male a nessuno.
 
 
 
 
L'interno del coffee shop (1) era esattamente come quello di tutti gli altri appartenenti alla grande catena sparsa per il mondo, banconi di legno ed espositori scuri e fornitissimi, e poco lontano una piccola schiera di poltrone e tavolini (2). Non aveva nulla di speciale, proprio per niente, e Clary si rese conto che aveva anche perduto il fascino del proibito che aveva quando lei e Simon ci andavano a poco meno di quattordici anni, saltando la scuola per bere caffè annacquato. 
Aveva diciott'anni, stava per sposarsi e nella maggior parte del suo tempo libero dava la caccia ai demoni e ai fuorilegge, e il suo migliore amico era un vampiro assetato di sangue. Be', forse sarebbe stato più appropriato dire il suo ex migliore amico: per quante volte avesse provato a chiamarlo, Simon non aveva mai risposto, e ogni volta che tentava di beccarlo a casa sua o alle prove della band - che a quanto pareva aveva lasciato - lui non c'era. Clary era preoccupata, e non poco, ma Jace le aveva appena fatto una proposta di matrimonio e riteneva che passare qualche giorno senza preoccuparsi degli altri non fosse peccato capitale. 
In ogni caso, Isabelle lasciò cadere borsa e buste accanto ad una poltroncina scura e la raggiunse alla cassa, dove Mary - o almeno questo era il nome appuntato sul cartellino che la ragazza portava appuntato al petto -, una graziosa adolescente dai capelli biondi raccolti in un morbido chignon basso prese le loro e ordinazioni - un milkshake al cioccolato e un frappuccino, riferendo per dovere di cronaca - e si voltò per comunicarle all'altra ragazza, Johanna. Benedette etichette con i nomi – non che a qualcuno importasse molto dell'identità della barman occasionale, comunque, rifletté Isabelle. 
 
 
 
— Allora, avete già deciso la data? — domandò la corvina, sfregandosi le mani e facendo scintillare la frusta che portava a mo' di gioiello sotto le luci soffuse della caffetteria.
— Ma ti pare, Iz? Abbiamo avuto a stento il tempo di dirvelo! — osservò Clary, occhieggiando con impazienza il bancone: erano le uniche due clienti lì dentro, per la miseria, quanto ci voleva a completare due ordinazioni, per la miseria?! 
Isabelle arricciò le labbra e giocherellò con la frusta, perfettamente in linea con i pensieri dell'amica: voleva soltanto un frappuccino, per Raziel. Aveva già abbastanza problemi a cui pensare, come l'improvviso silenzio radio di Simon, la stessa persona con cui avrebbe dovuto avere una tresca in corso, per quel che ne sapeva, oppure la quasi improvvisa elezione di suo padre come Inquisitore che l'aveva portato lontano dall'Istituto della Grande Mela, e il fatto che lei si sentiva quasi un mostro per essere praticamente felice di saperlo lontano: non avrebbe più costantemente litigato con sua madre, già abbastanza distrutta dalla morte di Max senza che anche lui s'intromettesse, perché se prima le cose in famiglia erano tese con la scomparsa del suo fratellino stavano letteralmente cadendo in pezzi. E sì, doveva per forza pensare in quei termini freddi al recente lutto che avevano sofferto, oppure sarebbe crollata in pezzi.
E poi, be', sapeva che anche Alec si sentiva più leggero nel sapere che loro padre era via: adesso, perlomeno, non aveva più l'aria di un ladro colto con le mani nel sacco quando si incontrava con Magnus.
— Hai ragione, ma dovresti incominciare a pensarci, sai, per non far passare troppo tempo. — sostenne comunque: — Pensa già a quanto perderemo per tutta l'organizzazione. Un anno, come minimo. 
Mentre Clary rifletteva sulle sue parole, lei s'illuminò alla vista di Johanna che si voltava verso di loro e mostrava le tazze che recavano i loro nomi scritti a pennarello in una grafia, be', orrenda. Le lettere sembravano più simili a scarabocchi imparentati col purgatico che all'alfabeto occidentale, in effetti, pensò ridendo mentalmente. 
Con aria estatica Clary afferrò il suo milkshake, girò bene con la cannuccia e ne prese un bel sorso fresco, la crema al cioccolato dolce e vellutata che le deliziava il palato. Fu solo dopo che il retrogusto amaro si fece strada nella sua bocca, qualcosa di decisamente troppo stonato per assomigliare anche solo lontanamente a latte o ghiaccio o cacao. 
Il suo corpo agì prima ancora che la sua mente capisse cosa stava succedendo: — ISABELLE, NON BERE! — urlò, cercando di gettare a terra il bicchiere dell'amica con una mano. L'unica cosa che riuscì a fare, però, fu barcollare in avanti e osservare tristemente la mora cadere a terra con un tonfo sordo.
 
 
 
Giro giro tondo, casca la terra, tutti giù per terra!
Clary sbatté le palpebre, cercando di mettere a fuoco l'ambiente intorno a lei: non poteva essere passato più di qualche secondo, lo sapeva, Isabelle era ancora distesa di fronte a lei, ma Mary aveva oltrepassato il bancone e l'aveva afferrata per le braccia, trascinandola verso quello che sembrava un Portale, aperto proprio sull'unica parete che non era visibile dall'esterno.
Si slanciò in avanti e afferrò le caviglie dell'amica, col solo risultato di piombare a terra mentre la testa pulsava così tanto da darle l'impressione che stesse per scoppiare. Si sentì afferrare da dietro e si ricordò confusamente di una seconda cameriera di cui non rammentava il nome, perché tutto si stava facendo buio e sentiva degli artigli sulla pelle, una parte di sé più lucida del resto li riconobbe come quelli di un lupo mannaro. Racimolò tutta la forza che ancora aveva in corpo e si gettò all'indietro, crollando a peso morto su Joshie, no, June, no, uhm, Johanne, o qualcosa del genere. A chi fregava. Sentì la Nascosta cadere a terra, schiacciata dal suo corpo, e approfittò della situazione per salirle addosso, mentre questa scalciava e scalpitava e tentava di graffiarla ma senza esito, e poi estrasse l'unica arma che portava davvero sempre con sé: lo stilo.
Non era affilato ai bordi e certo non era un pugnale, e lei era un'artista ed avrebbe dovuto usarlo per creare Rune, ma tutto stava svanendo e sapeva che non avrebbe resistito molto, e in preda ad un istinto animale affondò la sottile barra d'adamas proprio nel punto in cui supponeva ci fosse il cuore della ragazza.
'Fanculo gli Accordi, pensò, erano state attaccate per prime, si giustificò, mentre si rendeva conto che Mary stava attraversando il Portale con Isabelle a carico. 
Oh merda. 
 
 
 
Fu il suono delle sirene di svariate auto a farla drizzare a sedere come una molla, la testa che sembrava pronta a staccarsi dal collo tanto faceva male e gli occhi che le bruciavano come non mai. 
Non riusciva a tenersi in piedi ma, come si soleva dire, pensò, barcollo ma non mollo. 
Le informazioni le rimbalzavano nel cranio come una pallina su un tavolo da ping-pong, era tutto confuso: le due cameriere, Isabelle a terra, il Portale, lo stilo, e adesso quelle fastidiose luci rosse e blu... 
Sgranò gli occhi e scattò in avanti, salvo poi rendersi conto che con le volanti della polizia davanti non poteva certo uscire come se nulla fosse, e poi un conato di vomito le stava risalendo in gola.
Con tutta la forza possibile s'impose di non crollare e soprattutto di non mettersi a dare di stomaco, si chinò e afferrò lo stilo ancora appiccicato nel petto di Johanne, rosso e appiccicoso e semplicemente disgustoso, ma era troppo importante e troppo incriminante per lasciarlo lì: con un po' di fantasia gli artigli della cameriera sarebbero sembrati il frutto di un'operazione chirurgica, ma come spiegare quella strana arma del delitto?
Ovviamente, quello fu un pensiero che fece dopo, a mente fredda, perché prima era occupata a scavalcare il bancone e fuggire nel retro del locale cercando un'uscita secondaria, proprio nel momento in cui i poliziotti facevano irruzione in quel caos soprannaturale. 
 
 
 
Izzy, Izzy, Izzy, Izzy!
Clary non riusciva a pensare ad altro mentre correva a perdi fiato lungo le strade di New York: l'Istituto era troppo lontano, raggiungere Jace le avrebbe fatto perdere troppo tempo fin troppo prezioso e che aveva già sprecato facendosi una dormitina sul pavimento, quindi l'unica altra opzione era Magnus. 
La città le correva accanto, o forse girava, oppure era lei a correre e girare, non lo sapeva, le persone stesse le sembravano solo macchie colorate e a stento distingueva le macchine che, per quanto bloccate nel traffico, sembravano tutte più che intenzionate a investirla – magari c'entrava qualcosa il fatto che le vedeva arrivare sempre troppo velocemente o, al contrario, in slow motion.
Cosa diavolo c'era in quel milkshake?
Era letale?!
No, non poteva esserlo, insomma, volevano rapire anche lei, non ucciderla, e poi se avessero voluto farla secca non avrebbe dovuto già restare stesa sul pavimento di quel dannatissimo Starbucks fino a quando qualcuno non l'avesse chiusa in un orribile sacco?!
Non lo sapeva, non riusciva a capirlo, niente di tutto quello che pensava o vedeva e aveva un senso, e ogni persona che le sfilava accanto sembrava avere il volto di un demone diverso, Vermithrall, Shax, Eidolon, sembrava una parata degli orrori e la realtà e l'incubo erano indistinguibili.
Si aggrappò al citofono di Magnus come un naufrago ad un'isola deserta, la testa ciondolava di nuovo e non riusciva a comporre frasi sensate.
— Chi diavolo osa interrompere il Sommo Stregone di Brooklyn? — strillò Magnus. In sottofondo Alec stava ridacchiando, ma  alla psiche di Clary sembrava più il riso malvagio di un dannato mostro.
— Magni-is... Ma-Magnus, a... A-a-aiu-aiuto! — biascicò, lasciandosi crollare sull'asfalto.
Si sentì il rumore di una cornetta di plastica che sbatteva contro il muro e poi un trambusto infernale lungo le scale, come una mandria di elefanti al galoppo, pensò la rossa, ridacchiando, allucinata.
Il portone di aprì con uno scatto, sbalzandola appena all'indietro, ma il dolore era l'ultima cosa che sentiva, in quel momento, la confusione la stava uccidendo: — Clary! — sentì urlare Alec.
— Hanno preso I-Isabelle! — riuscì a gracchiare: — Qualcuno ha p-preso Isabelle.
 
 
 
 
 
 
 
(1) = In America i bar sono quelli dove usualmente vengono serviti alcolici, per lo più, mentre i "nostri" bar vengono chiamati coffee shop, dove appunto si servono caffè, dolcetti e bevande varie.
(2) = Non sono mai stata in uno Starbucks, per l'aspetto mi sono basata su alcune fotografie viste nel web.

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Capitolo 5
*** V - Melchizedeck ***


Shadowhunters - Città di Marmo

5 - Melchizedeck

POV CLARY
-Com'è potuto accadere?- urlò Maryse, fuori di sè dal dolore.
La capivo.
Aveva già perso un figlio, ed un altra era stata rapita.
Mia madre cercò di consolarla.
Quando finalmente si fu calmata, Magnus chiese:
-Hai sentito qualcosa di particolare nel discorso di quei due che ti hanno attaccato?-
-Uno si è fatto chiamare prima signor Smith e poi Jeff. Un altro Gilfillian. E poi l'uomo incappucciato ha nominato un certo Melchizedeck.- risposi.
-M... Melchizedeck? Ne sei certa?- balbettò Luke.
-Al cento per cento. Perchè?- chiesi, confusa.
-Melchizedeck è un essere potentissimo. Nato da un demone ed una vampira (e ancora non si sa come è stato possibile visto che le vampire sono sterili) è immortale e si ciba di sangue, ma è uno stregone. E' nato nella notte dei tempi ed è stato imprigionato trecento anni dopo, solo che poi è riuscito a scappare e altri centocinquant'anni dopo è stato riportato "in prigione". Di lui si sono perse le tracce circa cinquecento anni dopo, e da allora tutti credettero che fosse morto, visto che nella cella in cui era rinchiuso era scoppiato un incendio che di sicuro l'aveva arso vivo. E' entrato a far parte della mitologia e la sua è una storia che si racconta ai bambini Shadowhunter che fanno i monelli, facendo credere loro che se lo rifaranno Melchizedeck verrà a prenderli.- spiegò Jace.
-Be', non è così. Sono certa di quello che ho sentito. Il nome era proprio Melchizedeck.- risposi, preoccupata.
-Vieni qui, Clary.- mi sussurrò dolcemente Jace, prendedo uno stilo dallo stivale di pelle.
Mi avvicinai, e lui iniziò a farmi un iratze per i tagli ed i graffi che avevo.
L'effetto fu istantaneo.
-Grazie.- dissi, prima di dargli un bacio sulla guancia.
Sorrise.
-Di niente.- rispose.
-Adesso concentriamoci su Izzy, però.- dissi, ritornando seria.
-Qualche idea su dove possa essere?- chiese mia madre.
Non l'avevo mai vista nelle vesti di Cacciatrice, o non del tutto, almeno.
Guardando quel viso, serio e determinato, astuto e calcolatore, mi accorsi che non faceva meno paura di mio padre per nulla.
-No. Voi?- chiese Jace.
Rimasi in silenzio, meditando.
Dove poteva essere Isabelle?
Di sicuro c'era qualcosa, un indizio...
Non potevamo arrenderci, Isabelle era diventata la mia migliore amica, anche lei aveva messo radici nel mio cuore, e guadagnadosi di diritto la mia amicizia. Le volevo bene, e non riuscivo a sopportare che avrei potuto perderla per sempre.
Ripercorsi mentalmente tutta la nostra giornata insieme.
Eravamo uscite dall'Istituto, avevamo fatto shopping e poi avevamo deciso di bere un frappè. Prima, però, lei aveva messaggiato per qualche minuto con Simon.
Simon.
Messaggi.
Cellulare!
Balzai in piedi.
-Isabelle aveva il cellulare con sè, quando è stata presa! Potremmo provare a chiamarla!- proposi.
-Ma... sei il suo carceriere fosse in cella con lei?- chiese Maryse, apprensiva.
-Non abbiamo nulla da perdere, al massimo sapremo che non possiamo più sfruttare il telefono, sempre che non gliel'abbiano già sequestrato.- rispose mamma.
-Va bene. La chiamo.- annunciò Jace, estraendo il cellulare da una tasca.
Digitò velocemente il numero sulla tastiera, inserì il viva-voce e attese.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Quattro squilli.
Avevamo ormai perso le speranze, quando sentimmo una flebile voce rispondere.
-Ragazzi!- aveva sussurrato esultante.
-Izzy!- esclamò Jace.
-Dove sei? Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa? E...- Maryse la stava subissando di domande, quando Jace la zittì.
-Isabelle, riesci a dirci dove ti trovi?- chiese.
-Non lo so, sono in una cella. C'è una piccola finestrella in alto che dà sull'esterno, è circa al livello del terreno... fuori si vedono delle forme indistinte, grige e basse, e del prato giallino poco curato. Aspettate... quelle cose grigie sono... lapidi! Sì, proprio lapidi. Alcune grigie ed altre a forma di croce, in legno.- sussurrò, concitata.
-C'è qualcun altro con te?- chiese Jace.
-Sì, c'è un'altra persona incatenata all'altro lato della stanza. Sembra svenuta. Ha i polsi legati al muro. Forse è un maschio... non distinguo bene la figura, è buio.- rispose lei.
Sentimmo Isabelle sussultare.
-Izzy? Cosa c'è?- esclamai io.
-17 13 21 17 2 3 4 7 16 48 28 10 16 16 12 20 2 7 16 15 23 23 24 113 20 12 13 3 13 15 13 4 8 6 10 20 2 3 5 4 17 2 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 5 4 172 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 21 24 13 25 13 24 15 10 16 13 3 10 21 20 10 5 3 13 13 3 10 25 4 9 2 25 4 16 15 3 13. E' un codice. Decifratelo!E' qui che mi trovo.- sussurrò Isabelle.
Nel frattempo Magnus non aveva perso tempo ed aveva trascritto il codice.
-Izzy, cos...- stavo dicendo, quando un forte rumore di catene dall'altro lato del ricevitore m'interruppe.
-I tuoi amichetti ti hanno chiamato, Lightwood?- si sentì esclamare.
-Va via!- urlò Isabelle.
Delle mani brusche presero il cellulare.
-Chi sei? Cosa vuoi da noi? E dove hai portato Isabelle?- esclamò Jace.
Lo guardai, confusa.
Sapevamo dov'era Izzy!
Poi compresi la sua strategia.
Voleva far credere al nemico di non saperlo, così da avere più tempo e la certezza che non portasse Izzy in un altro luogo.
-Non avete ancora capito chi sono? Sono Melchizedeck, l'incubo più nero. Cosa voglio da voi? Nulla. Io voglio il potere sul mondo. Non immischaitevi, e la vostra amichetta vi sarà restituite. Isabelle Lightwood è... la mia assicurazione, per così dire. Dove siamo? Isabelle non ve l'aveva ancora detto? Be', meglio così, dopotutto... ma non dirò certo a voi dove siamo! A proposito, Herondale. Dì alla tua ragazza e a sua madre che ho qualcosa che potrebbe interessare loro.-
Quelle parole mi lasciarono di sasso.
Qualcosa per me e mia madre?
Cosa? O chi?
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POV ISABELLE
Aprì piano gli occhi, stordita.
Cercai di mettere a fuoco la stanza in cui mi trovavo, ma fu tutto inutile.
La stanza era completamente buia.
Avevo le braccia legate in alto, da delle manette, probabilmente, e il sangue mi affluiva in basso, facendomi formicolare le braccia.
L'unica fonte di luce presente nella stanza era una finestrella posta in alto, alla mia destra.
Illuminava la parete alla mia sinistra.
Pian piano i miei occhi si abituarono al buio, e riuscì a distinguere la sagoma di una persona sulla parete sinistra.
Era un ragazzo, o un uomo, molto probabilmente, con le braccia legate sopra la testa, ma non si distinguevano i colori ne dei capelli ne degli occhi, chiusi, molto probabilmente.
Poi sentì il telefono nella mia tasca squillare.
Dovevo prenderlo!
Ma come, visto che ero ammanettata?
Con l'agilità di una contorsionista, alzai una gamba e feci scivolare dalla tasca il cellulare di ultima generazione.
Il piede lo afferrò appena in tempo, ed alzai la gamba fino a poggiare il telefono sulla spalla. Dopodichè abbassai il capo facendo scattare la chiamata.
-Dove sei? Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa? E...- mamma stava parlando a raffica, quando subentrò la voce di Jace:
-Isabelle, riesci a dirci dove ti trovi?- chiese.
-Non lo so, sono in una cella. C'è una piccola finestrella in alto che dà sull'esterno, è circa al livello del terreno... fuori si vedono delle forme indistinte, grige e basse, e del prato giallino poco curato. Aspettate... quelle cose grigie sono... lapidi! Sì, proprio lapidi. Alcune grigie ed altre a forma di croce, in legno.- sussurrai, stando ben attenta a non alzare il volume della voce.
-C'è qualcun altro con te?- chiese Jace.
-Sì, c'è un'altra persona incatenata all'altro lato della stanza. Sembra svenuta. Ha i polsi legati al muro. Forse è un maschio... non distinguo bene la figura, è buio.- risposi.
In quel momento la figura ammanettata si mosse.
-17 13 21 17 2 3 4 7 16 48 28 10 16 16 12 20 2 7 16 15 23 23 24 113 20 12 13 3 13 15 13 4 8 6 10 20 2 3 5 4 17 2 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 5 4 172 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 21 24 13 25 13 24 15 10 16 13 3 10 21 20 10 5 3 13 13 3 10 25 4 9 2 25 4 16 15 3 13. E' un codice. Devono decifrarlo. Siamo lì.- sussurrò una voce di ragazzo, dalla mia sinistra.
La voce mi sembrava familiare... ma chi era?
-Izzy? Cosa c'è?- sentì esclamare Clary.
-17 13 21 17 2 3 4 7 16 48 28 10 16 16 12 20 2 7 16 15 23 23 24 113 20 12 13 3 13 15 13 4 8 6 10 20 2 3 5 4 17 2 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 5 4 172 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 21 24 13 25 13 24 15 10 16 13 3 10 21 20 10 5 3 13 13 3 10 25 4 9 2 25 4 16 15 3 13. Decifrate il codice! E' qui che mi trovo.- sussurrai.
-Izzy, cos...- stava chiedendo Clary, quando un forte sferragliare la interruppe.
Lui era arrivato!
Melchizedeck!
-I tuoi amichetti ti hanno chiamato, Lightwood?- esclamò, ghignando.
-Va via!- urlai.
Bruscamente, tolse il cellulare dalle mie mani.
-Chi sei? Cosa vuoi da noi? E dove hai portato Isabelle?- esclamò Jace.
Jace era geniale come sempre.
Chiedere dov'ero come se non lo sapesse,per guadagnare tempo e studiare un piano!
-Non avete ancora capito chi sono? Sono Melchizedeck, l'incubo più nero. Cosa voglio da voi? Nulla. Io voglio il potere sul mondo. Non immischaitevi, e la vostra amichetta vi sarà restituite. Isabelle Lightwood è... la mia assicurazione, per così dire. Dove siamo? Isabelle non ve l'aveva ancora detto? Be', meglio così, dopotutto... ma non dirò certo a voi dove siamo! A proposito, Herondale. Dì alla tua ragazza e a sua madre che ho qualcosa che potrebbe interessare loro.-
Clary? Jocelyn? Cosa voleva da loro?
Non sentì il resto della conversazione, perchè un sibilo in una lingua arcana del mio carceriere mi fece cadere in un sonno profondo.
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POV MISTERIOSO

E così si era aggiunta alla festa anche la piccola Lightwood.
Ma perchè?
Io un motivo per stare ammanettato in quella clla ce l'avevo, ma lei? Cosa aveva fatto?
Non lo compresi fino a quando Melchizedeck non entrò in cella e strappò il cellulare di mano alla ragazza.
Voleva che i Cacciatori di New York non s'intromettessero.
Credeva davvero che se ne sarebbero stati nella loro roccaforte con le mani in mano?
Naah. Per chi li conosceva come li conoscevo io, sapeva che quella di Melchizedeck era solo una speranza vana.
Perchè avevo detto a Isabelle dove ci trovavamo?
Nella speranza di essere salvato con lei? Lo trovavo improbabile, dopo tutto quello che avevo fatto difficilmente mi avrebbero perdonato.
Per cercare di fuggire mentre gli Shadowhunters liberavano Isabelle? Impossibile, l'edificio era pieno di Nascosti ed Ibridi che facevano la guardia e avevano giurato lealtà a Melchizedeck, quel vecchio pazzo.
Avva cercato di piegarmi per farmi diventare il suo braccio destro.
Peccato che io non mi piego. Mai.
Sono stato addestrato a non sentire il dolore, a non sentire la fame o la sete, a non provare sentimenti o emozioni.
Sono stato addestrato ad essere fedele a solo una cosa : la famiglia.
Ed è così che sarà per sempre.

Angolo Autrice:
Ok... mi scuso per il ritardo mostruoso, ma sono stata coinvolta in un trasloco!
Però, visto che sono magnanima, vi posto di seguito anche il sesto capitolo, che ho già pronto, ma voi dovete promettere che recensirete tutti e due i capitoli eh, altrimenti vi arriva un bell'Avada Kedavra!
(Ehm... hai sbagliato fandom, sai?NdSimon)
(Zitto tu!NdMe)
(Ma è vero!NdSebastian)
(Oh se lo dici tu... allora ti credo, mon amour!NdMe, con gli occhi a cuoricino).
Ehm, volevo dire, (Su consiglio di Seb) che vi arriverà per posta una bella bomba atomica.
(Così va bene?NdMe)
(Non stiamo mica facendo guerra ad Ithler!NdSebastian)
(Sai che se non fossi il mio idolo ti avrei già cancellato dalla faccia della Terra, vero?NdMe)
(E cosa vorresti fare tu, piccola Mondana, contro di me?NdSeb, che ride malvagio)
(Mmmh... potrei decidere di non inserirti in questa e in nessuna delle altre storie che deciderò di scrivere!NdMe)
(E questa sarebbe una punizione?NdSeb)
(Brutto ingrato! Ed io che volevo farti compiere un massacro!NdMe)
*Seb striscia ai miei piedi e chiede perdono*
(Bravo, angioletto!NdMe)
(Eh, no, angioletto no! Quello è Jace-quanto-sono-idiota-Herondale, non io!NdSeb)
(Ehi, non insultare il secondo idiolo della mia vita!NdMe)
(Grazie, Dubhe!NdJace)
Ok, credo sia meglio finirla qui, perchè sennò la tiriamo per le lunghe...
Un Bacio,
Dubhe01, Jonathan Cristopher Morgenstern alias Sebastian Verlac e Jonathan "Jace" Cristopher Wayland/Lightwood/Morgenstern/Herondale. :) :D
P.S: Jace, dovresti davvero scegliere un cognome! Tutti risultano troppo lunghi d ascrivere! Hai praticamente preso un rigo e un quarto di una pagina di Word!
P.P.S: Messaggio diretto a quei due screanzati di Jace e Seb : Scordatevi che vi faccia rifare i saluti con me, questo angoletto è solo mio! Mio! MIO! (Immaginatevelo in stile "Goblin del Signore degli Anelli" che dice "Il mio tesssoro!" Ecco, è come è stato creato nella mia mente) ;P

 

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Capitolo 6
*** VI - Chiacchiere e codici ***


Shadowhunters - Città Di Marmo

6 - Chiacchiere e codici.

POV ISABELLE
-Perchè sei qui?- sussurrai al ragazzo prigioniero dall'altro lato della stanza.
Sapevo che era sveglio. Ero una Cacciatrice, dopotutto. Addestrata a vedere al buio e a sentire anche il più flebile respiro.
-Perchè Melchizedeck voleva arruolarmi.- rispose la solita voce familiare, arrochita dal lungo silenzio.
Dal tono capì che era un tasto dolente che era meglio non toccare.
-Sei qui da molto?-
-Tantissimo.-
-Tantissimo quanto?-
-Due anni.-
Due anni? Come aveva fatto a resistere quel poveretto?
-Mostro.-
Vidi la sua figura irrigidirsi.
-Co...sa?- rantolò.
-Melchizedeck, è un mostro.- replicai, e lo vidi rilassarsi impercettibilmente.
-Non è il solo...-
-Cosa intendi?- chiesi, confusa.
-Quello che ho detto.- sussurrò.
-Io... ti conosco? Ricordo la tua voce, ma davvero non rammento chi tu sia!-
-Sì, Isabelle, mi conoscevi.-
-Ti... conoscevo?- mormorai, confusa.
-Sì. Mi conoscevi. Ti basti sapere questo.-
-Quanto tempo fa?-
-Appena prima della mia cattura.-
-Due anni fa, quindi... prima o dopo la caduta di Valentine?-
Lo vidi irrigidirsi ancora.
-Prima.-
-Che strano... davvero non rammento nessuno che abbia conosciuto in quel periodo... C'è stata Clary, Magnus, il finto Sebastian, Simon... Ma davvero non so chi tu possa essere!- risposi, confusa.
Era ancora rigido. -Tu sai chi sono io, Isabelle. Solo che ti rifiuti di ammetterlo.-
Osservai la sua sagoma, ancora più confusa.
Chi diamine era?
-E allora come ti devo chiamare? Tu lo sai il mio nome!-
-Chiamami... Ombra.-
-Perchè Ombra?-
-Perchè è quello che sono sempre stato : un ombra. Qualcosa di cui vergognarsi, non da mostrare con orgoglio.-
-Io invece credo che tu sia importante. Molto importante. Altrimenti non saresti qui, no?-
-Sono qui perchè sono un'ombra mooolto importante, come hai detto tu. Ma pur sempre un ombra, Izzy. Un'ombra che ha fatto del male.-
-Come... come mi hai chiamato?- chiesi.
-Izzy. E' così che ti chiamano tutti, no?- rispose, confuso.
-Sì... sì.- risposi, titubante.
Izzy. Riconoscevo la sua voce che mi chiamava, l'aveva già fatto, in passato.
Ma chi era?
-Qualunque cosa tu abbia fatto, sono sicura che c'è perdono anche per te.-
-Strano che me lo dica tu...-
-Perchè?-
-Perchè ti ho fatto del male, Izzy. Molto male.- rispose, chiando il capo.
Cosa diamine...?
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POV ALEC
-Alec, fermati!- borbottò Magnus.
Non mi davo pace, Izzy era scomparsa da più di una settimana e noi ancora non riuscivamo a trovarla.
Avevamo provato di tutto, usato i metodi più complessi per decrittare codici ma nulla, ancora non avevamo composto una frase di senso compiuto.
-Mangus, non posso fermarmi! Isabelle è chissà dove prigioniera di Melchizedeck!- urlai, frustrato, riprendendo in mano carta e penna per cercare ancora una volta di trovare il luogo esatto.
-Va bene, va bene. Fa vedere, ti dò una mano.- borbottò lo stregone, sedendosi accanto a me e allungando il braccio.
Gli diedi il foglio.
Magnus rimase a scrivere combinazioni impossibili per ore, ma nulla, il codice era troppo complesso.
-E se Isabelle stesse delirando? Magari non si rendeva nemmeno conto di quel che diceva...- osservò Jocelyn.
-Non credo. Come avrebbe fatto a rispondere al telefono? Ad inventare il codice?- rispose mia madre.
Mordicchiai pensoso la Biro. Sapevo che c'era qualcosa che non quadrava, un particolare che ci sfuggiva...
Scattai in piedi.
-Un secondo! Izzy non sa inventare codici, ne è totalmente incapace! Diceva sempre che per lei erano solo scritte incomprensibili!- urlai.
Jace puntò il suo sguardo su di me.
-E' vero. Quindi... Ma certo! Izzy ha detto che con lei in cella c'era un altro prigioniero!- esclamò, soddisfatto.
-Un altro prigioniero...- ripetè Clary, come in trance.
-Quindi ha inventato lui il codice.- continuò.
-Giusto!- annuì Jocelyn, convinta.
Ma chi poteva essere questo misterioso personaggio, perlopiù tanto bravo da inventare un codice così complesso in quattro e quattr'otto?
Chi aveva una simile elasticità mentale da inventare una chiave, sostituire lettere e numeri, ricordare tutto il codice e dirlo a voce in pochi minuti?
Lo conoscevamo?
Se sì, chi era?
-Ma chi sarebbe tanto astuto da inventare un codice così lungo e complesso in così poco tempo e ricordarlo?- chiese Luke, perplesso, dando voce ai miei pensieri.
-Questo non lo so...- borbottò Clary, mentre prendeva un altro foglio e ricopiava il codice, forse per cercare di risolvere l'enigma da sola, da qualche altra parte...

Angolo Autrice:
Ma salve!
Avete visto, per colpa della luuunga assenza ho pubblicato due capitoli di fila, anche se questo è un po' corto, ma vabè, è pieno zeppo di indizi sul POV MISTERIOSO!
Le ipotesi sul misterioso prigioniero si fanno sempre più fitte!
Adesso c'è solo da capire chi è, suppongo... altre teorie? Vi dò un indizio : rileggete con molta cura il dialogo tra il personaggio misterioso e Isabelle, soffermandovi sui dialoghi di... be', su tutto quello che si sono detti, perchè guardate che con tutti gli indizi trabocchetto che ho inserito praticamente dovreste sapere chi è alla perfezione... comunque, per chi non lo capirà... be', pazientate!
Poi, visto che sono buona e magnanima,
(Sè sè... ha parlato quella che mi ha fatto rapire!NdIzzy)
(Muta!NdIo)
Dicevo, visto che sono buona e magnanima, vi lascio uno spoiler del prossimo capitolo :
Quello di cui mi accorgevo solo adesso però era qualcosa di mostruoso.
Decine e decine di piccole linee frastagliate da cui colava un liquido nero ancora fresco.
Solo poi mi resi conto di cos'era.
Sangue. Sangue fresco. Sangue fresco che ancora sgorgava da ferite che Melchizedeck o uno dei suoi scagnozzi gli aveva appena procurato.
-E' strano, sai... nel buio il tuo sangue sembra quasi nero.- sussurrai, anche se mi sembrava la cosa più sciocca da dire in quel momento.
-E' perchè siamo in ombra... forse.- rispose, atono.
**************************
-Io sono quello che sono, Melchizedeck. Proteggevo la ragazza perchè pensavo che con lei avrei avuto qualche possibilità in più di essere salvato.- sibilò Ombra, freddo.

Ok, credo che avete abbastanza materiale per scervellarvi fino alla prossima settimana, soprattutto grazie ai righi dopo gli asterischi! Insomma, Ombra non era buono?
Ah, a proposito... scherzavo sul fatto di essere buona e magnanima, ovviamente... sono una sadica stronza, e anche un po' masochista, considerando quello che sto' per annunciarvi, e cioè... Che ho il prossimo capitolo completo ma lo pubblicherò solo avanti per tenervi sulle spine e godere!
Figurarsi che adesso sto incominciando a scrivere l'ottavo capitolo, ma... be', rosolatevi nei vostri dubbi.
Tra qualche giorno, quando sarete cotti a puntino, verrò a pubblicare il nuovo capitolo che, giusto per farvelo sapere, non dice esplicitamente chi è Ombra, ma lascia molti indizi...
Un Bacio,
Dubhe01. :) :D

 

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Capitolo 7
*** VII - Black and gold ***


Shadowhunters - Città di Marmo
 

7 - Black and Gold

POV ISABELLE
-Isabelle...-
Una voce lontana mi chiamava.
-Isabelle...-
Una rassicurante voce lontana mi chiamava.
-ISABELLE!-
Ooops... la voce aveva perso la pazienza!
Aprì piano un occhio, visto che non potevo aprire l'altro, gonfio e violaceo com'era.
-Ombra?- sussurrai.
-Chi altri poteva essere?- rispose, sarcastico.
-Cos'è successo?-
-Melchizedeck. E' venuto a farci un'altra delle sue visitine.- rispose, sbuffando.
-Come hai fatto?-
-Come ho fatto a fare cosa?- chiese, confuso.
-Come hai fatto a resistere qui per due anni. Io sarei impazzita.- chiarì, lottando contro la voglia di piangere, piangere e dimostrare al mondo quanto fossi fragile anch'io, come anche l'algida e glaciale Isabelle Sophie Lightwood potesse avere un cuore, un cuore che in questo momento batteva piano, con fatica, come se ogni battito costasse uno sforzo immenso.
Ed in effetti un po' era così.
-Chi ti dice che non fossi già pazzo? Che io non sia tutt'ora pazzo?- rispose, la voce stanca, quasi sconfitta, sopraffatta.
Si stava arrendendo. Non potevo permetterlo. No, per nessuna ragione al mondo.
Se lui crollava, sarei crollata anch'io. Era diventato il mio punto di riferimento.
La mia luce nel buio.
La mia ancora di salvezza.
La mia acqua nel deserto.
Il mio Paradiso nell'Inferno.
-Ombra, Ombra ti prego non arrenderti. Se ti arrendi tu mi arrendo anch'io!- lo supplicai, come mai avevo fatto in vita mia.
-Non è vero, Isabelle. Tu sei forte. Tu riuscirai a resistere.- replicò, la voce che si faceva sempre più roca.
Stava per svenire.
Cosa gli aveva fatto Melchizedeck?
Cercai di aguzzare la vista nel buio.
Peccato che la Runa adatta si fosse ormai consumata da giorni e giorni.
Come sempre distinsi nitidamente una sagoma maschile, di fronte a me, dalle spalle ampie ed i fianchi snelli, alta ad occhio e croce un metro e settanta... e settantacinque, forse, non avrei saputo dirlo con certezza.
Quello di cui mi accorgevo solo adesso però era qualcosa di mostruoso.
Decine e decine di piccole linee frastagliate da cui colava un liquido nero ancora fresco.
Solo poi mi resi conto di cos'era.
Sangue. Sangue fresco. Sangue fresco che ancora sgorgava da ferite che Melchizedeck o uno dei suoi scagnozzi gli aveva appena procurato.
-E' strano, sai... nel buoi il tuo sangue sembra quasi nero.- sussurrai, anche se mi sembrava la cosa più sciocca da dire in quel momento.
-E' perchè siamo in ombra... forse.- rispose, atono.
Sentivo il suo respiro farsi più lento e regolare.
Non poteva addormentarsi, non poteva lasciarsi andare all'oblio. Non con quelle ferite così gravi ancora aperte.
Cosa gliele aveva procurate?
-Ombra! Ombra rimani sveglio, ti prego, ti supplico, Ombra! Non posso farcela senza di te!- urlai, disperata, dimenandomi, cercando di strappare le catene che m'imprigionavano dal muro, forse.
Dal suo petto gocciolava ancora il sangue che sembrava nero.
Plic. Plic. Plic.
Goccia dopo goccia cadeva sul pavimento di pietra grezza.
Dovevo fare qualcosa.
Bendarlo, forse, ma come? Ero incatenata lì anch'io, e anche se avevo i piedi liberi non potevo fare nulla, quel bastardo di Melchizedeck mi aveva anche preso il cellulare.
Dovevo prendere tempo.
-Ombra... Ombra, parlami.-
-Di cosa?- sussurrò con voce roca.
-Qualsiasi cosa.- risposi.
-Hai... hai mai... hai mai pensato a come sarebbe stato scalare le Torri Antidemoni di Alicante?- chiese, nel delirio.
Quasi mi venne da ridere.
Cosa c'entravano le Torri Antidemone?
-No, non ci ho mai pensato, Ombra. Ma dev'essere un'emozione incredibile, penso.-
-Già.- rispose, come se le avesse scalate davvero.
Forse lo stava davvero facendo, in quel momento. Nel delirio, magari era febbricitante.
Clary? Jace? Alec?! Magnus?!? Mamma! Dove siete? Veniteci a prendere!
In quel momento realizzai cosa avevo pensato.
Non venitemi a prendere.
Veniteci a prendere.
Perchè?
Provavo pietà verso Ombra?
No, non era pietà. Non solo, almeno.
Forse perchè eravamo sulla stessa barca?
Nemmeno.
Quando parlavo con lui sembrava tutto così... diverso.
Dimenticavo di essere prigioniera in una cella da chissà quanto tempo.
I giorni scorrevano lentamente, un susseguirsi di sole e luna, sole e luna e poi ancora.
Peccato che quel timido raggio di sole che entrava dalle sbarre della finestrella posizionata al livello del terreno non fosse abbastanza forte da farmi capire chi era in realtà ombra.
Ma, ritornando al discorso principale... quando ero con Ombra mi sentivo diversa, rinata, piena di speranza, anche se i temi di cui parlavamo non erano propriamente allegri.
Sentivo uno strano sfarfallio nello stomaco, ma non era fastidioso, no.
Era... caldo, confortante, gentile anche, rassicurante, pacifico... Unico. Sì, era proprio unico.
Desideravo quasi che questa prigionia non finisse mai.
Desideravo rimanere qui per sempre solo per godere delle conversazioni con Ombra, dei muti pensieri che rimanevano inespressi fra di noi eppure venivano colti dall'altro in un solo istante.
Istintivamente ripensai a quello che provavo quando vedevo Simon, quando pensavo a lui, quando ci messaggiavamo.
Era come... come se tanti paguri trotterellassero nel mio stomaco. O come se dei ballerini di Java avessero scelto proprio il mio stomaco come palco.
Pensavo... pensavo che quello fosse l'amore.
Un sentimento rumoroso, forte, immaturo, incosciente... Non passionale, non impetuoso... solo forte... un bisogno fisico e mentale come un altro.
Avevo sempre creduto che l'amore fosse questo
Ma con Ombra era diverso... con Ombra era tutto delicato, gentile, tranquillo, dolce, ma anche impetuoso, imprevedibile.
Desideravo che le sue braccia mi stringessero a sè, che i suoi occhi di chissà quale colore indefinibile intrappolassero i miei per restare a guardarci per l'eternità. Volevo sentire le sue carezze sulle guancie, i suoi baci sul mio corpo, la sua lingua che percorreva il mio profilo e la mia che gli leccava dolcemente le labbra...
Un secondo...? Cosa stavo dicendo? Non era possibile.
Semplicemente era improbabile.
Io non potevo essermi innamorata di Ombra.
Non in così poco tempo, poi!
Chi ti dice che sia passato poco tempo? Per quel che ne sai potrebbero essere passati mesi, anni forse...
A queste osservazioni rispose la mia parte fredda e razionale:
Non può essere passato molto tempo, un essere umano non può sopravvivere per sempre solo con le goccioline d'acqua che scendono dal soffitto della cella. E poi non può essere passato più di un mese, altrimenti il ciclo sarebbe arrivato puntuale come un orologio svizzero!
Ma l'altra parte, quella più sognatrice, forse, controbattè:
Siete Cacciatori, dopotutto, e tu non hai mai testato questo tipo di resistenza. Per quel che ne sapete potreste rimarrere senza mangiare per mesi... E poi, con tutto il sangue che hai perso con le torture, chi ti dice che il ciclo non sia arrivato?
E poi... improbabile non vuol dire impossibile...
Dovetti arrendermi all'evidenza.
Ero pazzamente, perdutamente innamorata di Ombra.
A quel punto, avrebbe potuto anche essere il Demonio in persona, oppure Valentine, o anche Sebastian, oppure chessò... l'erede di Melchizedeck, se quel bastardo si era riprodotto, ma ormai ero nella merda fino al collo.
Ero innamorata, e niente mi avrebbe fatto cambiare idea su Ombra.
Nemmeno la sua vera identità.
-Con cosa ti ha torturato, Ombra?- sussurrai, guardando ancora una volta le goccioline di sangue nero che scorrevano sul pavimento lentamente.
-Non lo so... non ricordo con precisione. Una frusta, forse...-
Ma perchè se l'aveva torturato con una semplice frusta le ferite non si erano ancora rimarginate?
Dopotutto era un Cacciatore, avrebbe dovuto avre una guarigione più veloce del normale!
Accantonai quei dubbi troppo presa a cercare di scorgere altri particolari di lui.
-Bene bene bene... finalmente sveglia, vedo, Isabelle cara! Pronta per ricominciare?- chiese in quel momento una voce sibilante.
-Mechizedeck...- riuscì a sussurrare.
Entrò nella cella, posizionando sotto la luce lunare due piccole ampolline.
Una era piena di un liquido color nero pece, l'altra conteneva del liquido dorato.
-NO! NON PUOI FARLE QUESTO, MELCHIZEDECK!- urlò Ombra.
E' la prima volta che lo sento urlare, eppure... eppure questa voce sembra sempre così maledettamente familiare...
-C... cosa v...vuoi farmi?- balbettai, incapace di smettere di tremare.
Se anche Ombra era arrivato ad urlare, cosa che non aveva mai fatto da quando...? Da quando ero arrivata, diciamo così, voleva dire che era una cosa grave.
-FALLO A ME, BASTARDO, MA LASCIA IN PACE LEI!- urlò ancora una volta Ombra.
-Oh, il piccolo mostro senza cuore si è innamorato? Non eri tu quello che diceva di non provare sentimenti?- cantilenò Melchizedeck, quell'irritante abominio della natura.
-Io sono quello che sono, Melchizedeck. Proteggevo la ragazza perchè pensavo che con lei avrei avuto qualche possibilità in più di essere salvato.- sibilò Ombra, freddo.
No, non può essere.
No. No. NO. NOOOO!
Mi rifiuto di crederlo.
Non pui farmi innamorare, farmi illudere e poi stroncarmi così, in modo così brusco.
Non posso sopportarlo nemmeno io, insensibilee regina di ghiaccio.
Sento il mio cuore che inizia a sanguinare e si rompe in mille piccoli frammenti che cadono e si spargono in tutto il corpo, graffiandomi e lacerandomi internamente.
Sentì le gambe cedere.
Mi ritrovai con le ginocchia a terra, le braccia ancora allungate verso l'alto, tese a più non posso.
Melchizedeck scambiò la mia caduta come un gesto di paura.
-Un po' fifona sei, eh, Lightwood?- sibilò, inarcando un sopracciglio.
Gli occhi giallo evidenziatore illuminarono per un solo secondo una frazione della cella.
Il tempo necessario perchè un paio di occhi scurissimi incontrassero i miei e m'infondessero coraggio e forza.
Come sembravano scuri, nella penombra...
Eppure... eppure anche solo osservare quei pozzi neri che sembravano senza fondo mi aveva dato nuova forza.
Possibile che tu ti senta rassicurata dal ragazzo che ti ha appena spezzato il cuore? Mi chiesi, persa in un tumulto di emozioni.
Nel frattempo il bagliore, il lampo deglio occhi di Melchizedeck che era durato poco più di una frazione di secondo si spense, ed il bastardo si avvicinò a me.
Estrasse dalla giacca che indossava -di che colore, poi? Non si distingueva- una grossa siringa con un altrettanto lungo e doppio ago.
Alla sola vista rabbrividì. Sicuramente non era per iniettarmi medicine.
Poi Melchizedeck stappò la fialetta con il liquido nero e con esso riempì la siringa, avvicinandosi sempre più a me.
E poi... poi mi ficcò l'ago diritto nel cuore.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
Sentì la testa girare e lo sguardo offuscarsi, i sensi farsi sempre più deboli.
Pensai di star morendo.
Dopotutto era come se mi avesse pugnalato, no?
Per un attimo chiusi gli occhi e mi abbandonai al dolce oblio...
E poi il dolore arrivò come una secchiata d'acqua gelata subito prima di una bollente.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola. Sentivo i polmoni bruciare per la mancanza d'aria, ma non riuscivo a smettere d'urlare... era come se un fuoco mi stesse divorando dall'interno, ma allo stesso tempo mi sentivo gelare.
Come fuoco che sferza ma non brucia*
Ripresi fiato per un secondo.
Sentì le pupille degli occhi rovesciarsi, e non vidi più niente.
Gli urli aumentarno.
Udì la voce di Ombra che cercava di sovrastare la mia e che tentava di rassicurarmi.
Passai quelle che mi sembrarono ore ad urlare e dimenarmi, mentre m'impedivo con tutte le mie forze di impedirmi di piangere.
E poi, dopo un tempo che sembrava infinito, forse secondi, forse minuti, ore, giorni, mesi, anni addirittura, sentì di nuovo la puntura della siringa ed un caldo liquido che pompava direttamente dal cuore, miscelandosi col sangue.
E poi il liquido appena iniettato, che supponevo fosse quello dorato, forse l'antidoto a quello nero, incontrò il veleno -appunto quello nero- e la tortura ricominciò.
Nella mia mente nero e dorato combattevano con tutte le loro forze, risucchiandomi sempre più energie, o almeno quelle poche che mi rimanevano.
Alla fine, sembrarono accettare di coesistere. Da un lato la miscela nera, dall'altro quella dorata. E poi i due colori si fusero fino a formare un colore indefinibile, nero punteggiato d'oro, come una notte stellata.
Riaprì finalmente gli occhi.
-Bentornata tra noi, Lightwood.- esclamò Melchizedeck, ancora di fronte a me.
Desiderai quasi di smetterla di opporre resistenza, di lasciarmi morire e basta, sempre che quei liquidi portassero alla morte, ma se non era quello cosa poteva essere, allora?
-Ti prego Isabelle, ti prego non arrenderti. Fallo per me. Se mi vuoi almeno un po' di bene non arrenderti.- sussurrò Ombra.
NO! Non puoi dirmi questo!
Non quando stavo incominciado ad accarezzare l'idea di cedere.
Sai che farei di tutto per te.
Ed adesso sono costretta a resistere!
-Pronta, Lightwood?- chiese il sadico bastardo.
Solo che questa volta fu peggiore.
Iniettò prima il liquido dorato, che mi diede una sensazione di benessere e si aggiunse a quello già presente nel mio corpo.
Adesso non sembrava più una notte stellata. Il colore di fondo era il dorato, punteggiato da tante macchioline nere, come la sabbia con dei ciottoli neri.
E poi, come previsto, arrivò il veleno nero.
La quarta siringa nel cuore.
Una siringa che fece male, tanto male. Desiderai solo di morire.
Urlai, urlai e urlai ancora, ancora e ancora, fino a quando non sentì la gola graffiata, sferzata da quel fuoco ghiacciato che mi aveva già logorato dall'interno.
Ero debole, tanto debole.
Pensai quasi i arrendermi all'oblio una volta e per tutte.
Non arrenderti, resisti... sentì sussurrare Ombra nella mia testa.
Eri quella che preferivo, Isabelle* resisti, ti prego. Stranamente sentì la voce di Sebastian, come in un ricordo, e poi quella di Ombra in rapida successione, come a comporre un'unica frase.
Stranamente le vocei sembravano simili... Identiche, quasi. Anzi, no. Erano proprio identiche!
Che sciocca, pensai, il veleno mi stà davvero debilitando, se arrivo a paragonare Jonathan Morgenstern a Ombra, al mio Ombra.
E poi Melchizedeck se ne andò, lasciandoci finalmente soli.
La spiaggia con i ciottoli ridivenne una notte stellata, poi di nuovo una spiaggia e poi divenne una spirale sempre più stretta in cui si fondevano oro e nero.
Vi prego, spegnete il fuoco!
Anzi no, l'acqua gelerebbe ancor di più.
Maledetto fuoco che brucia.
-Isabelle? Isabelle? Mi senti? Isabelle, stai bene?- sentì mormorare Ombra.
-Om... Ombra... fa male!- sussurrai, la voce arrochita dal dolore acuto.
-Lo so. Lo so. Isabelle, resisti, non puoi arrenderti! Non ora che mi stavi facendo sentire di nuovo un essere umano!- supplicò.
Spalancai gli occhi di scatto.
Di nuovo un essere umano?
Chi sei, Ombra? Chi sei?

 
Angolo Autrice:

* = Cit. Eragon, Cristopher Paolini.

Zaaalve, gente!
Come ztate? Zpero bene! Io zto benizzimo!
No, dai, apparte gli scherzi.
Che ne dite del capitolo?
Troppo cruento? Non credo,no? :D
Grazie mille a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate, a chi mi ha inserito fra gli Autori Preferiti, a chi a recensito ma soprattutto :
Grazie a te, che sei arrivato a leggere fin qui, lettore silenzioso o recensore che tu sia.
Sappi che lo apprezzo davvero tanto.
Un Bacio,
Dubhe01. :) :D
 

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Capitolo 8
*** VIII - Ipotesi e corvi del malaugurio ***


VIII - Ipotesi e corvi del malaugurio.

POV ISABELLE
Aprì di scatto gli occhi.
Pensavo di aver toccato il fondo con i veleni.
Invece no, Melchizedeck si era ripresentato qualche giorno dopo con una frusta d'elettro, colpendomi sempre più forte.
Fu in quel momento che capì cos'era quel liquido nero.
Era sangue Demoniaco.
E quello dorato doveva essere sangue Angelico.
Rabbrividì, sperando che il mio corpo lo smaltisse il più in fretta possibile.
Melchizedeck sembrava leggermi nel pensiero, perchè aggiunse:
-Non preoccuparti, Lightwood, le pozioni spariranno entro qualche giorno. Sei già abbastanza grande, quindi in te resterà solo una vaga traccia delle sostanze, purtroppo- strascicò, malevolo.
-Bastardo- sussurrai.
-Cos'hai detto, Isabelle cara?- strascicò Melchizedeck, poggiando la frusta insieme ai vari oggetti metallici non ben definiti sul "Tavolaccio delle Torture", come l'avevo soprannominato, che era al centro esatto tra me e Ombra, come a volerci dividere.
Esitai, indecisa se rispondergli a tono o restare zitta.
Vidi Ombra che scuoteva leggermente la testa, con fare supplichevole.
-Nulla. Non ho detto nulla.- borbottai, e con questo il mio orgoglio era definitivamente partito per una vacanza alle Hawaii...
Melchizedeck sghignazzò e, compiaciuto fino all'inverosimile, uscì dalla stanza facendomi l'occhiolino, che provocò un altro flash di luce abbagliante.
Per la prima frazione di secondo non vidi nulla. Soltanto sagome indistinte e il rumore del vento che soffiava.
Poi i contorni divennero nitidi e vidi per un secondo la sagoma - ora leggermente più definita - di Ombra.
Il corpo snello e alto, muscoloso ma non troppo, il torace allenato con il vaghissimo profilo degli addominali, le mani lunghe e affusolate come quelle di un artista. Sul volto ancora ignoto c'era un accenno di barba lievissimo nonostante dovesse avere almeno vent'anni, e quegli occhi scurissimi che mi scrutavano e sembrava che mi scavassero dentro, leggendomi l'anima. I capelli invece, sembravano chiari ed erano arruffati in tutte le direzioni. Sul petto un intricato gioco di linee, vuoi per le Rune ormai sbiadite vuoi per le torture subite. Goccioline di sangue scurissimo scendevano lungo il busto sgocciolando fino al pavimento freddo.
Mi sembrava così familiare... capelli chiari, occhi scuri... chi...?
E poi, quando mi sembrava proprio di avere la risposta sulla punta della lingua, Melchizedeck si voltò, facendomi rendere conto che avevo colto tutti quei particolari in meno di un secondo.
Rimasi a trastullarmi nei miei pensieri su Ombra, non potendo fare altro.
Capelli chiari, occhi scuri... che fosse... no.... NO. NO! Non è possibile, non può essere Sebastian.
No. No. No!
E poi... poi Sebastian/Jonathan aveva una mano mozzata, gliel'ho tranciata proprio io con la mia frusta, quindi non vedo come possa essere lui.
Vagamente più tranquilla, riprendo a respirare, accorgendomi solo in quel momento di aver trattenuto il fiato per tutta la durata di questi ragionamenti.
Ma se fosse stato...? Se fosse stato veramente Sebastian, cos'avrei fatto? Ho detto ad Ombra che lo avrei accettato, chiunque fosse. Non potevo rimangiarmi la parola.
Ma perchè tutti questi problemi, poi? Ombra non è Sebastian. Sebastian è morto. Jace l'ha trafitto con la spada, lo so per certo!
Calma, Isabelle, calma.
Purtroppo non ero destinata a tranquillizzarmi, perchè una fastidiosissima vocina s'insiunò nella mia mente:
Ma se fosse lui, Izzy, cosa faresti?
Già. Cosa farei? Come potrei accettare di essermi innamorata di un mostro?
Un secondo. Da dov'è uscito questo "innamorata"?
Io non sono innamorata di Ombra, Jonathan o chi diavolo è!
Sei un po' contraddittoria sai, Izzy? Tu stessa hai pensato poco fa di esserti innamorata di Ombra...
Io... io non lo so, per l'Angelo!
Sebastian ha ucciso Max, ha ucciso mio fratello, però... però Ombra è così diverso!
Anche se potrebbe essere tutto un trucco per venire liberato, dopotutto ne sarebbe capace. Eppure... eppure mi sembra così sincero. Così disperato, diamine!
Cosa avrei fatto se fosse stato lui? Be', forse farei quello che non faccio mai con i miei ex-fidanzati : gli darei una seconda chance, perchè... perchè ormai ci sono dentro. Sono nella merda fino al collo! E quel che è peggio è che non posso più uscirne! Come sono arrivata a questo punto? Come, quando, perchè Ombra è diventato così importante per me?
POV CLARY
17 13 21 17 2 3 4 7 16 48 28 10 16 16 12 20 2 7 16 15 23 23 24 113 20 12 13 3 13 15 13 4 8 6 10 20 2 3 5 4 17 2 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 5 4 172 24 10 7 2 18 2 21 16 13 15 10 21 23 21 24 13 25 13 24 15 10 16 13 3 10 21 20 10 5 3 13 13 3 10 25 4 9 2 25 4 16 15 3 13
Qual'è la chiave?
Ho provato di tutto, oggetti e animali di tutti i tipi, ma nulla...
Quanto diavolo era intelligente il compagno di cella di Isabelle per fare una cosa così complessa?
In effetti, su di lui si sa poco o nulla : a detta di Isabelle è un ragazzo, e deve essere molto astuto per ricorrere ad un codice, con una grande elasticità mentale se è riuscito a codificare tutte quelle parole in così poco tempo, ed in effetti se ci ha dato un codice così lungo vuol dire solo una cosa : era certo che avremmo decrittato il codice, in un modo o nell'altro.
Per essere certo di questo, deve per forza aver fatto una di queste due scelte :
A - la chiave è talmente semplice e banale che pensava l'avremmo scoperta di sicuro.
B - il misterioso prigioniero ci conosce e quindi ha fatto riferimento ad un elemento che conosciamo tutti.
Però... mi domando chi sia. Qual'è il suo nome? Quanti anni ha?
Il suo nome... Suo nome... Nome. Il suo nome!
Se ci conosceva, come credo che sia, la chiave per decodificare i numeri è di certo il suo nome! Ma... come si chiama?
Mentalmente penso a tutti quelli che ho consciuto negli ultimi tempi : Lyme Cartwright, una ragazzina shadowhunter che ha soggiornato per qualche tempo all'Istituto. Jacob Ross, l'inviato del Conclave che ha sistemato alcune pratiche burocratiche qualche anno fa, ma... Isabelle ha parlato di un ragazzo. Quindi non è Lyme, perchè è una ragazza, e nemmeno il signor Ross, perchè troppo grande.
Forse... forse dovrei ritornare un po' più indietro, prima di Raziel.
Chi è che ho conosciuto?
Aline Penhallow, ma è una ragazza, Patrick e Jia Penhallow, entrambi troppo grandi, l'Inquisitore, ma è troppo grande e troppo egocentrico oltre che troppo stupido per fare quello che ha fatto il prigoniero... e poi tornando ancora più indietro c'è solo una sfilza di morti : Imogen Whitelaw in Herondale, Valentine Morgenstern, Max Lightwood... ma nessuno è adatto. Tutti morti, tutti troppo vecchi o troppo giovani.
Cos'è che sto tralasciando? Sento di sapere che manca qualcosa... o meglio, qualcuno. Sbuffo. Devo staccare, devo cambiare attività, almeno per qualche ora. Ne ho bisogno, non riesco a stare per più di cinque ore dietro ad un codice infruttuoso o irrisolvibili misteri...
Meglio rimettermi a studiare, quindi. Nonostante legalmente abbia appena finito il mio addestramento da Shadowhunter, sono ancora molto indietro rispetto agli altri, e poi... poi sinceramente non sopporto che tutti conoscano le lingue, come il latino, il greco, lo spagnolo, l'italiano e io sia l'unica idiota che non capisca una parola!
Cioè, vabbè che era un cattivo, va bene che era un pazzo malefico, insomma, era Valentine Morgenstern, ma diavolo, sapeva una marea di lingue straniere, era un abilissimo Cacciatore ed un ancor più abile ammaliatore... insomma, qualcosa di buono da lui devo pur averlo preso, no?
Soltanto vedere quel mattone del libro di grammatica latina mi fa rabbrividire. Forza, Clary, forza! Non vorrai farti legare ad una sedia come quel famoso scrittore antico... com'era? No, chi era? Ah, basta, oggi proprio non voglio saperne di ricordare le persone!
Alcune delle frasi più importanti che ricordo m'invadono il cervello :
Atque in perpetuum, frater, ave atque vale* cioè "E in perpetuo, fratello, salute e addio", parole molto importanti per i Cacciatori scritte da Catullo.
Do or die**, "fallo o muori".
Domine, quo vadis?, "signore, dove vai?" le parole pronunciate da Pietro a Gesù Cristo, che avevo sentito in quell'unica volta che mia madre mi aveva portato in Chiesa.
Et tu, Brutus?, le famosissime parole rivolte a Bruto da Giulio Cesare quando lo pugnalò.
Acheronta Movebo... non avevo idea di cosa significassero. Le avevo sentite sussurrare da Sebastian varie volte, suppongo che sia latino...
Un secondo... queste parole... scattai in piedi provocando un fracasso infernale, correndo come una pazza verso la Biblioteca. Quando arrivai avevo il fiatone, e i capelli erano diventati talmente gonfi e ondeggianti da sembrare fiamme vere.
Spalancai i battenti delle porte, entrando nella stanza. C'era solo Jace, che mi stava chiedendo spiegazioni, quando lo zittii:
-Sssh!- sibilai, prima di correre alla parete della lavagna, afferrare un gessetto e prendere a scrivere:
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-Cosa diavolo...?- Jace si avvicinò, per leggere meglio il disegno.
Sentii che tratteneva il fiato.
-Clary, ma... non può essere. Insomma, è morto..- riuscì a balbettare infine lui.
-Pensaci, Jace. Se non fosse morto? Hai ammesso tu stesso che sì, l'hai trafitto con la spada ma non nel cuore. Melchizedeck potrebbe benissimo averlo preso.- risposi.
-E come avrebbe fatto a sopravvivere per tutto questo tempo così gravemente ferito? Per quanto sia forte, nemmeno lui è invulnerabile. E nemmeno dalla nostra parte, tra l'altro.-
Mi bloccai per un attimo, ma subito risposi :
-Be', pensaci. Seb... Jonathan è forte, molto forte, e Melchizedeck lo voleva di sicuro tra le sue fila. Ma Jonathan deve avere rifiutato.- risposi, come se fosse una cosa elementare.
-Perchè? Perchè ha rifiutato?-
-Dimmi, Jace, ti ricordi la morte di Giulio Cesare? Cosa dice a Bruto?-
-Et tu, Brutus?-
-Esatto. Ora, dimmi, secondo te Valentine direbbe mai queste parole a Jonathan, se fosse ancora in vita? O meglio, Jonathan pugnalerebbe Valentine?- chiesi.
-No, ma... Un secondo! Ho capito. Jonathan non tradirebbe mai Valentine... Jonathan non tradirebbe mai la famiglia.- concluse Jace.
-E qui arriviamo al punto cruciale. Perchè?- mormorai, pensierosa, mentre coprivo la lavagna con un telo, nel caso fosse entrato qualcun altro.
Per qualche minuto nella stanza regnò il silenzio, tanto che sentii un corvo arrivare sul cornicone dell'edificio e posarvisi, osservandoci da fuori la finestra.
Che strano. Anzi, che strani. Il corvo aveva gli occhi di un verde stranissimo. Fluorescente. Non come quelli di Magnus, no. Quelli dello stregone erano verdi-dorati e semplicemente magnetici, ma questi... sembravano lo scarabocchio di un bambino di due anni.
Venni distratta da un'esclamazione compiaciuta, e mi voltai verso Jace.
-Pensaci, Clary. Perchè rimanere fedele sempre e solo a Valentine? Perchè non cedere a Melchizedeck? E' quasi ovvio. Jonathan non è stupido, anzi, e sa che Melchizedeck l'avrebbe trattato solo come uno strumento.-
Lo guardai confusa.
-Sì, ma... Valentine non ha fatto lo stesso?- obbiettai.
-Certo, ma vedi, c'è un motivo se tuo... fratello rimaneva con lui. Ecco, è tutto in quella parola. Fratello. Sangue del tuo sangue. Sangue di Valentine...-
-Credeva ancora, e nonostante tutto, che Valentine potesse volergli bene...- lo interruppi.
Jace scosse la testa.
-No. Jonathan sa che Valentine non gli voleva bene. Sa che era disgustato dal mostro che aveva creato. Ma ci sperava. Si aggrappava a questa speranza, pensava che un giorno o l'altro Valentine avrebbe finalmente deciso che dopotutto anche lui non era da nascondere. Jonathan probabilmente non riesce a provare completamente dei sentimenti, probabilmente il suo cuore è solo un accessorio, un accessorio di ghiaccio, ma non dobbiamo dimenticare che di fondamento è sempre un essere umano. Non percepisce i sentimenti, e per questo non ha limite, ma desidera, brama addirittura che qualcuno lo ami. Lo accetti per quello che è. E sa che Melchizedeck non lo farà, perciò era aggrappato alla speranza che almeno Valentine lo facesse.- spiegò, con voce sepolcrale.
Mi voltai di nuovo verso il corvo. Aveva una specie di laccio ad una zampa, come i piccioni viaggiatori. Sul laccio, c'era una specie di placchetta in argento, rettangolare. Aguzzai la vista. Una scritta in corsivo campeggiava sulla placchetta : "Di proprietà esclusiva di Melchizedeck, n°1".
Quasi soffocai.
Corsi verso la finestra, proprio nel momento in cui il corvo si alzava in volo.
La spalancai, disperata.
Il corvo mi guardava beffardo dal cornicione del piano superiore. Sapevo che se mi fossi sporta con cautela sarebbe volato via.
-Clary, cosa...- non sentii le parole di Jace, perchè con uno scatto fulmineo balzai sul corrimano del balcone ed afferrai l'animale per un pelo, prendendolo per il piccolo laccio di appartenenza. Strinsi il corvo tra le mani, stando ben attenta a non farlo scappare.
Senza dire una parola, staccai la placchetta e la diedi a Jace, che con uno sguardo malevolo prese il corvo per la gola e incominciò a stringere.
-Cosa fai?- chiesi.
-Elimino informazioni utli a Melchizedeck-, rispose, chiudendo entrambe le mani a coppa e soffocando il corvaccio. 200.
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* = Parole tratte da Shadowhunters Le Origini - La Principessa, pronunciate da Will a Jem, pag. 234
** = Non studio latino, sono parole che so per sentito dire, quindi non posso dirvi se siano corrette o meno e non mi azzardo ad affidarmi a Google Traduttore perchè diciamo che... non è propriamente affidabile, ogni correzione sarà ben accetta.
 
Angolo Autrice:
Okay, probabilmnte a questo punto, dopo aver pubblicato dopo così tanto tempo, dovrei immaginare anche da sola le maledizioni che mi avete lanciato, giusto?
Che dire... sempre Internet, anche il modem di mio zio ha deciso di tirare le cuoia, così ho dovuto trovare una soluzione alternativa. Poi dei problemi a casa, a scuola, insomma, è stato un po' un periodo di merda.
A parte questo, so che il ritardo è imperdonabile, quindi vi posto uno spoiler più consistente del solito :
"Adesso perfino il destino si faceva beffe di me, a ricordarmi di quanto ero caduto in basso, a ricordarmi di come un tempo sognavo di sedere sul trono più alto del Consiglio, investito alla carica di Console, di come sognassi di regnare su tutto.
Che concetto astratto, il tutto. Così vasto, così illimitato, eppure nella nostra mente immaginiamo solo un grande spazio vuoto grande soltanto quanto il nostro campo visivo, così piccolo, così limitato.
Ma allora il tutto è grande o piccolo?
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Un brivido attraversò la mia colonna vertebrale, e mi lanciai in avanti, afferrando un coltellaccio da macellaio sul tavolo delle torture e tranciando via le manette di Isabelle, che mi cadde addosso, spingendoci entrambi nel cono di luce che proveniva dalla finestrella che dava sull'esterno.
Lei spalancò gli occhi, irrigidendosi per un secondo.
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Aprii la porta, ormai oltremodo curioso : cosa c'era di tanto importante dietro quella porta da mettervi fuori due Demoni di guardia?
La visione che mi si presentò davanti era orribile, perfino per me che ero abituato a vedere gli scempi più terrificanti. In realtà non era tanto la scena che mi disgustava, ma i ricordi che scatenava.
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Due splendide ali dal piumaggio nero pece spuntavano tra le scapole sanguinanti, e alcune piume cadute circondavano il bambino. Mi ricordava i ritratti che avevo visto di Raziel, con le maestose ali dorate, ma queste erano nere, ed io non avevo mai visto ali nere."
E' tutto, in pratica un mega-super-iper-maxi-spoiler, quindi apprezzate e correte a recensire il prossimo capitolo! XD
Ok, ho una cosa da confessare. Ho scritto il codice, e ci ho impiegato un'eternità, l'ho tradotto in un'infinità di lingue su un solo foglietto e... l'ho perso. Ho perso il foglio, dimenticato la traduzione del codice... Be', avete capito. Quindi, darò un'interpretazione piuttosto approssimativa della traduzione e decodificazione, mi dispiace, gente. Mea culpa. Mea maxima culpa.
Che altro dire? Grazie mille a tutti voi, vi adoro. = D
Un Bacio,
Dubhe01. :) :D

 

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Capitolo 9
*** IX - Ho (quasi) rischiato di perdere (di nuovo) la mano ***


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Shadowhunters - Città di Marmo

9 - Ho (quasi) rischiato di perdere (di nuovo) la mano

POV OMBRA
Strinsi forte la catena, rigirandomela fra le dita.
Isabelle è ancora incosciente. Non si sveglia da due giorni, quando è avvenuta l'ultima seduta di Melchizedeck con quelle maledette misture. Per fortuna spariranno in fretta dal suo corpo.
Mi meraviglio che i Cacciatori non abbiano ancora risolto quel codice. In realtà, la maggior parte di loro non può farlo, la chiave sarebbe totalmente inimmaginabile per loro, ma... pensavo che almeno Jace e Clarissa avessero un briciolo di cervello in più!
Era giorno : c'era un piccolo fascio di luce nella cella, puntato sul corpo di Isabelle.
Aveva i capelli nero pece sciolti e arruffati che le arrivavano quasi alla vita, in un groviglio di nodi che non le donava molto. Il viso era pallido come quello di un cadavere e le labbra quasi violacee, ma era ancora viva. Riuscivo a sentire il battito del suo cuore ed il suo fievole respiro. La canotta grigia senza maniche che indossava era zuppa di sangue rossastro, il suo, con dei profondi squarci all'altezza del petto che le avevano lacerato anche la pelle, lasciando profondi segni con i bordi rossastri e slabbrati, segno di un'infezione, che probabilmente nemmeno un iratze sarebbe riuscito a curare del tutto : servivano dei punti. I pantaloni neri attillati erano stracciati e imbrattati di polvere, terra e sangue, e uno degli stiletti neri che calzava aveva perso il tacco. Insomma, non era proprio l'immagine della bellezza ma m'infondeva uno strano senso di... un coso... uno strano... sentimento. Non sapevo definirlo, non avevo mai provato cose del genere prima. Non era del bene, nè dell'amore, pur non avendolo mai provato sapevo che quello non era amore. Era un sentimento che si avvicinava di più alla... pietà, alla compassione.
In quel momento sentii delle voci concitate a livello terreno, poco più in alto di dove eravamo noi.
-Sicura che sono qui?- bisbigliò una voce nota.
-Sicurissima.- rispose un'altra.
Erano Jace Herondale e la mia sorellina Clarissa.
-Ma ci sono troppe feritoie per troppe celle! Non riusciremo mai a trovarli prima di far scattare l'allarme!- protestò Jace.
Aprii la bocca, cercando di dire qualcosa, ma dalla mia gola scaturì soltanto un rantolo soffocato : non parlavo da due giorni e più, era anche ovvio che non riuscissi a farlo all'improvviso.
Dovevo trovare un altro modo.
Disperato, mi guardai intorno. Nella cella non c'era niente, apparte me, Izzy, le nostre catene, il pavimento, i muri e il tavolo delle torture : insomma, nulla che potesse aiutarmi. O meglio, non proprio.
Diedi ascolto al mio lato più folle e positivo. Piano, mossi le mani, provocando il tintinnio delle catene ed anche qualcos'altro, un insopportabile dolore negli arti superiori del corpo. Erano passati due anni, due stramaledettissimi anni da quando mi ero mosso l'ultima volta. Strinsi i denti, riprendendo a smuovere le catene. Faceva male, certo, ma non quanto le frustate di Valentine o le occhiate disgustate di Starkweather. Ricordavo ancora le domande di tutti quando l'avevo ucciso :  "Perchè l'hai ucciso?!"
Mi ha devastato psicologicamente... mi ha odiato, disprezzato, mi ha guardato come fossi un abominio della natura, una cosa, non un essere umano, solo una fottuta cosa che non meritava di esistere.
Forse ero davvero un abominio, forse il mio cuore batteva soltanto per mantenermi in vita, circondato da una patina di ghiaccio, ma ero pur sempre un essere vivente. Un essere vivente in cerca di rassicurazioni, un ragazzo, un adolescente che non voleva altro se non l'approvazione dell'unica famiglia che gli era mai stata concessa : suo padre.
Tzè, poi... padre. Il suo sguardo era ancora peggiore di quello di Hodge. Vedevo nei suoi occhi il continuo confronto che dovevo reggere con Jace-quanto-sono-perfetto-Herondale. Ogni mio sogghigno, ogni mio passo e ogni mio gesto veniva sempre ed attentamente confrontato con quelli di Jace, come se fossimo stati i campioni in una competizione.
Competizione che, purtroppo, non avrei mai vinto.
Dopo un po' ho smesso perfino di provarci, ho smesso di cercare di essere migliore, sono diventato ciò che Valentine pensava che fossi : un mostro senza cuore. Cosa chiedevo, di così tanto irrealizzabile? Soltanto un po' d'affetto... Non credevo di pretendere tanto, dopotutto. Clarissa è cresciuta amata da mia madre ogni singolo giorno della sua vita, ed io, io cosa ho fatto? Sono diventato un mostro.
Mi riscossi quando sentii di nuovo la voce concitata di Clarissa : -Jace, ho sentito un rumore provenire da quella cella!-
Come a confermare le sue ipotesi, strattonai con violenza le catene, sbattendole contro il muro.
-Jace, sono sicura, lì c'è qualcuno!- di nuovo Clary. Soltanto che c'era qualcosa che non andava : si allontanavano sempre di più da me, andando verso le altre celle. Mossi ancora le catene, frustrato. Quei due avevano sì decrittato un codice complicatissimo in Croato, ma di seguire un rumore non ci pensano nemmeno se li pagano con fior di quattrini!
Proprio in quel momento Isabelle aprì gli occhi, forse a causa di tutto questo frastuono.
-Ombra? Cosa succede?- chiese, sbattendo le palpebre.
-I tuoi salvatori sono arrivati, hanno decrittato il codice. Però sono andati dall'altra parte della "prigione"-
Lei serrò le labbra, e prese a squadrare malevola il tavolino delle torture, come se volesse incenerirlo. Mi resi però conto che non era quella la sua idea : la piccola Lightwood si stava sporgendo con tutte le forze che poteva per afferrare una frusta d'elettro ma, nonostante tutti i suoi sforzi, non ci riusciva. La frusta era almeno cinque centimetri buoni più lontano, come se volesse farsi beffe di Isabelle.
Strinsi i denti e tesi le braccia fino allo spasmo, sentendo un crampo percorrermi per interminabili secondi l'arto sinistro che stesi ancor di più, incurante delle fitte lancinanti. C'ero quasi... stavo per sfiorarla... eccola! L'avevo afferrata.
Immediatamente l'arma mi trasmise una scossa elettrica che risalì per tutto il braccio : reagiva al sangue demoniaco. Aveva esattamente lo stesso effetto di quando Valentine mi inginocchiava, frustandomi, o quando mi faceva soltanto impugnare lo strumento di tortura. Anche l'impugnatura sembrava la stessa... : cuoio nero e pelle. Scioccato, la portai con un gesto brusco che mi provocò altro dolore fino al viso : c'erano delle iniziali in argento "V. L. M", in altre parole, Valentine Lucifero* Morgenstern. Quella non sembrava la frusta di mio padre, quella era la sua frusta.
Oltre al danno, anche la beffa.
Adesso perfino il destino si faceva beffe di me, a ricordarmi di quanto ero caduto in basso, a ricordarmi di come un tempo sognavo di sedere sul trono più alto del Consiglio, investito alla carica di Console, di come sognassi di regnare su tutto.
Che concetto astratto, il tutto. Così vasto, così illimitato, eppure nella nostra mente immaginiamo solo un grande spazio vuoto grande soltanto quanto il nostro campo visivo, così piccolo, così limitato.
Ma allora il tutto è grande o piccolo?
Sospirando, mi preparai al dolore che stavo per sentire : mossi impercettibilmente la mano, srotolando la frusta e facendola colpire una manetta che mi teneva preigioniero. Metallo contro metallo cozzarono insieme, provocando scintille e molteplici stille di dolore nel mio braccio che si diffusero in tutto il corpo. Un attimo dopo, la manetta era a terra. Ripetei l'operazione anche con l'altra, e poi con le gambe.
I polsi e le caviglie mi sanguinavano, ma non vi badai, muovendo per la prima volta gli arti intorpiditi.
Un rumore di passi risuonò fuori al corridoio. Per un istante provai sollievo, pensando che Jace e Clary fossero finalmente arrivati, ma poi mi ricredetti : era la voce di Melchizedeck quella che risuonava lungo la galleria : -Siete svegli, tesorini di Melchizedeck?-
Un brivido attraversò la mia colonna vertebrale, e mi lanciai in avanti, afferrando un coltellaccio da macellaio sul tavolo delle torture e tranciando via le manette di Isabelle, che mi cadde addosso, spingendoci entrambi nel cono di luce che proveniva dalla finestrella che dava sull'esterno.
Lei spalancò gli occhi, irrigidendosi per un secondo.
-Jonathan...- sussurrò.
Scossi la testa, in una muta protesta : -Jonathan è morto due anni fa, o forse non è mai esistito, mai nato. Io sono Sebastian.-
-Tesoriniiii, sto arrivandoooo!- la voce di Melchizedeck risuonò lungo il corridoio.
Isabelle si rialzò : -Ma è gay o cosa?- chiese, inarcando un sopracciglio. Sogghignai.
Aveva scelto la via più semplice : cercare di scappare dai guai e porsi dopo il problema della mia identità.
-Come facciamo a uscire? Se andiamo nel corridoio che lo ritroviamo davanti e qui non possiamo restare!- fece notare la piccola Lightwood.
Melchizedeck era arrivato fuori la porta.
Feci cenno ad Isabelle di rimanere in silenzio, ed afferrai la prima arma che c'era davanti a me, un grosso martello chiodato e rinforzato da metallo.
Isabelle si mise al lato sinistro della porta in modo che questa, una volta spalancata, l'avrebbe coperta. Io mi posizionai al lato destro, brandendo il martello. Come previsto, Melchizedeck aprì la porta subito dopo che ci fummo nascosti.
Per una frazione di secondo osservò spaesato la cella vuota e poi, mentre il suo volto compiaciuto mutava in arrabbiato, nel momento stesso in cui si girava verso di me gli diedi una martellata al centro del cranio, e Melchizedeck cadde a terra, provocando un fracasso infernale.
Non era morto, non con un colpo così... banale, ma era storidito, almeno per il tempo della nostra fuga.
-Corri!- urlai a Isabelle, afferrandola bruscamente per il polso.
Mi gettai fuori dalla cella, alle calcagna della piccola Lightwood che correva come una scheggia davanti a me. Ovviamente io ero più veloce, ma lei non avrebbe retto il mio passo se avessi accellerato. Svoltammo per decine e decine di corridioi, fino a  quando non ci fermammo in uno particolarmente luminoso a riprendere fiato : stavamo risalendo al livello terreno.
Quel che non sapevamo, ma che avremmo dovuto immaginare, era che le stanze e gli oggetti in quella specie di prigione più sembravano luminose, allegre e innocue e più non lo erano. Dal nulla sbucò un'ora di Demoni Shax.
-Merda! Sono almeno dieci, e non sono armata!- borbottò Isabelle, mentre saltava agilmente sul lampadario di cristalli che era appeso al soffitto e prendeva a staccare dei cristalli, spezzandoli in modo da rendere i loro bordi frastagliati e affilati. Mi accorsi di avere ancora il martello chiodato stretto in pugno, così caricai e lo abbattei sul primo Demone. Non sarebbe morto, quello accadeva solo con le lame angeliche o comunque che funzionavano con una particolare energia, ma era molto efficace per stordire lo Shax, che crollò al suolo. Mi gettai nella mischia, caricando un altro colpo nello stesso momento in cui Isabelle si gettava dal lampadario affondando taglienti bordi di cristallo in qualsiasi punto del corpo dei Demoni.
-Dobbiamo fare in fretta!- ansimai, per poi continuare -Melchizedeck non resterà svenuto a lungo, questa è la nostra unica possibilità di scappa...- non riuscii a terminare la frase che un altro Demone mi saltò addosso, ed io lo respinsi con l'ennesima martellata. I mostri erano tutti a terra, finalmente. Sapevo che non si sarebbero arresi, appena rinvenuti ci avrebbero dato la caccia, ma per allora speravo di mettere la mano su qualche arma più decente del martello che era ormai ammaccato.
Continuammo a correre senza il benchè minimo senso dell'orientamento, fino a che non ci fermammo di nuovo, per poi fermarci.
Questa volta il corridoio era completamente diverso : del tutto buio, con poco mobilio di cui si distinguevano soltanto le sagome nell'ombra.
-Abbiamo sbagliato strada. Siamo di nuovo sottoterra.- fece notare Isabelle, facendo un giro completo su se stessa per vedere bene tutto il corridoio.
-Non l'avevo capito...- feci, sarcastico, ma lei non ribbattè.
-Lì c'è una porta.- indicai una direzione alla mia sinistra.
-Tu vedi bene al buio?- fece, stupita. -Senza Rune?- aggiunse poi.
Annuii brevemente. -Al buio, alla luce, in contro-luce, nell'ombra e dovunque voglia. Sento i battiti del tuo cuore e riesco a contare i tuoi respiri. Avverto i passi delle persone prima ancora che mi arrivino vicino, sono più veloce dei... be', di tutti i Cacciatori, e sento il puzzo dei Demoni prima ancora di vederli.- risposi, senza attendere la sua risposta e camminando deciso verso la porta in ebano.
Provai ad aprirla, non era chiusa a chiave. Ma ovviamente queste erano le ultime parole famose, visto che due Demoni Oni sbucarono direttamente dal pavimento di marmo nero. Con decisone diedi una martellata sul... ehm, cranio del primo mentre Isabelle conficcava una delle schegge che aveva ancora in mano nel cuore dell'altro, per poi prenderne un'altra e infilzarlo nel secondo cuore che gli Oni avevano**.
Aprii la porta, ormai oltremodo curioso : cosa c'era di tanto importante dietro quella porta da mettervi fuori due Demoni di guardia.
La visione che mi si presentò davanti era orribile, perfino per me che ero abituato a vedere gli scempi più terrificanti. In realtà non era tanto la scena che mi disgustava, ma i ricordi che scatenava.
La stanza era buia, con le pareti in pietra nera traslucida, in alcuni punti semi-trasparente, il pavimento era grigio e in pietra levigata, e l'arredamento era terrificante. In un angolo c'era una brandina traballante, mentre nell'altro c'era una croce che conoscevo molto bene. Si legavano i piedi delle persone alla fine della trave verticale, e le braccia venivano ancorate a quella orizzontale, che di solito si trovava a circa metà della stecca verticale, e si frustavano i prigionieri. Quello che mi aveva lasciato interdetto era che la sbarra orizzontale era posizionata molto oltre la metà della verticale, quasi come se a venir frustrato fosse un bambino. I miei timori vennero confermati quando mi accorsi del bambino che non dimostrava più di tre anni steso di schiena sulla brandina, agonizzante. La schiena era... frastagliata da cicatrici vecchie e nuove provocate dalla frusta, e altre ferite ancor più recenti che ancora sanguinavano copiosamente. Quello che più mio colpii, però, fu altro.
Due splendide ali dal piumaggio nero pece spuntavano tra le scapole sanguinanti, e alcune piume cadute circondavano il bambino. Mi ricordava i ritratti che avevo visto di Raziel, con le maestose ali dorate, ma queste erano nere, ed io non avevo mai visto ali nere.
Isabelle, accanto a me, aveva trattenuto il respiro.
Avanzai tremante verso il piccolo angelo, inginocchiandomi accanto alla branda.
-Piccolo.- iniziai -Ehi, piccolo, sei sveglio?-
Ti prego fa che mi risponda, ti prego fa che mi risponda... Ma non giungeva nessuna risposta dal piccolo corpicino. Il cuore dell'angelo batteva debolmente e il respiro era flebile, così lo girai delicatamente per guardargli il viso. Aveva la pelle molto chiara ma le guance erano arrossate, probabilmente aveva la febbre. Gli occhi erano socchiusi, e quello che mi stupii di più era che avevano la mia stessa tonalità : nero pece. I capelli leggermente lunghi che gli incorniciavano il volto erano biondo oro, come quelli di Jace, dello stesso colore di capelli che i Mondani pensano abbiano gli angeli.
-Sono... morto? Sei un angelo?- rantolò il bambino.
Un angelo? Io?! Ma scherziamo?
-Non sei morto, piccolo, e no, non sono un angelo. Come ti chiami?- chiesi.
-I...-
-I-cosa?- chiesi io, curioso.
-I... Ian.- rispose lui, rannicchiandosi. Le ali si allungarno automaticamente ad avvolgerlo.
-Sei qui per punirmi, vero? Lui vuole uccidermi, no? Pensa che sia troppo pericoloso da controllare anche per lui...- quelle parole mi lasciarno inquieto.
-Lui chi?- chiesi.
-Lui. Mel... Mel... Mellizedek.- disse infine.
Mellizedek?
Mi esibii in una smorfia che era la miglior parvenza di sorriso sincero che riuscissi a fare. Ian parve apprezzare.
-Intendi Melchizedeck?- chiesi. Angelo o non angelo, il bambino aveva ancora tre anni, e non riusciva ancora ad articolare parole così complesse.
Lui annuì.
-Non sono qui per punirti, Ian. Ma ti devi fidare di me e di lei- indicai Isabelle -se vuoi uscire da qui.-
Il bimbo parve rianimarsi. Si alzò di scatto, ma gemendo di dolore. Lo presi in braccio, poggiandolo successivamente sulle spalle. Si aggrappò a me "in stile Koala", ed in tre uscimmo dalla stanza.
Dei passi risuonarono nel corridoio.
-Sta arrivando Melchizedeck...- osservò Isabelle.
-Ma dai, non l'avevo capito!- risposi, sarcastico. Non volevo mostrarmi debole come una femminuccia.
Isabelle non replicò, ma camminò decisa verso la parete sbagliata, e l'afferrai appena in tempo, poco prima che si schiantasse contro un muro.
-Attenta- dissi soltanto, tirandola via dal muro stringendole le mani per un secondo. Le aveva gelide. Sussultò.
-Cosa c'è?- chiesi, inarcando un sopracciglio.
-Hai le mani calde.- rispose, scrollando le spalle. Per un attimo la guardai confuso, ma poi sogghignai : -Lo sai vero che non esiste una regola scritta che dice "I cattivi senza cuore sono gelidi e i buoni sono caldi"...?-
-Tu non sei senza cuore.- rispose.
-Sbagli a crederlo. Ci sei già cascata una volta, quando mi facevo chiamare Verlac.-
-Hai sbagliato una volta, non significa che lo rifarai. Bada bene, non ti sto offrendo una seconda chance, soltanto... una prova per ottenere una chance in prova. Okay, è contorto. E poi tutti abbiamo un cuore che batte, altrimenti non potremmo vivere.-
-Non intendevo cuore in quel senso, e lo sai. Ma, se vuoi metterla così, allora il mio è coperto da una patina di ghiaccio.-
-Non è vero. Ho visto come ti sei... rapportato... con Ian. Non sono cieca, sai?-
I passi si facevano più vicini.
-Mi ha semplicemente ricordato me. Andiamo, adesso. Lui sta arrivando. Ian, aggrappati forte a me, capito?- dissi al bambino, che annuì, stringendo la presa attorno al mio collo.
Prendemmo a correre velocemente, inseguiti dalla voce dell'ibrido.
-Più veloce, più veloce!- incitava Ian, terrorizzato.
Ci ritrovammo in un ampio ingresso luminoso, con davanti a noi due grandi battenti. Ci fiondammo nella loro direzione, ma erano sbarrati.
-Maledizione!- urlai, frustrato.
-Ci deve essere un modo...- mormorò la piccola Lightwood, affannandosi inutilmente e cercando di aprire la grossa porta.
-E' tutto inutile, stolti. Tornate indietro, e forse avrete risparmiata la vita.- il bastardo era dietro di noi.
Mi voltai verso di lui : mai dare le spalle a un nemico.
Era sulla soglia della stanza, con la mano poggiata sull'elsa di una katana che emanava scintille rossastre, e gli occhi fosforescenti che passavano da me, a Isabelle, per finire su Ian.
-Lascialo!- urlò, slanciandosi verso di noi.
Coss'aveva di tanto importante quel bambino?
Sentii Isabelle urlare, forse per rabbia o forse per terrore.
Strinsi maggiormente il martello ammaccato e, quando stavo già imprecando per l'ignobile fine che avrei fatto, lasciando questo mondo assassinato da un pazzo e non morendo in battaglia, una luce azzurra invase la stanza per qualche secondo, accecandoci.
Subito dopo, la luce sciamò, mostrando Jace e Clary sulla soglia di un Portale. Melchizedeck era a meno di qualche metro da me. Afferrai per il polso Isabelle, mentre Ian artigilava terrorizzato il mio collo, graffiandomi la gola. Corremmo disperatamente con Melchizedeck alle calcagna, finendo nel portale senza danni mortali per un soffio. Mentre attraversavo il passaggio, avvertii la lama della katana che mi sfiorava per un'ultima volta, al braccio, lasciandomi un graffio.
Fiiiuuuu... perlomeno non l'avevano mozzata di nuovo... 294.

Angolino di Dubhe:
Ok, non ho molto da dire. A parte che ultimamente mi sono venute parecchie idee per la storia, quindi aspettatevi parecchi colpi di scena.
Ho una domanda : vi piace la coppia Isabelle/Jonathan o no? Sappiate che al 90% terrò conto delle vostre risposte, ma l'altro 10% è ancora da definire.
Spoiler :
– Valentine, schema X! – Urlai, voltandomi verso di lui.
[...]
Così, avvolta da centinaia di cadaveri, con le caviglie immerse in un lago di sangue, morì Clary Fray, e nacque Clarissa Morgenstern.

Ok, ho finito. Credo che avrete molto materiale per scervellarvi fino al prossimo capitolo, no? Mhahahahahaha...
Anyway, tralasciando la mia pazzia non momentanea, vi avverto che questa storia procede benissimo, pensate che sono alla fine dell'unidicesimo capitolo! Anzi, se vi fa piacere  (vi fa piacere?) pubblicherò oggi stesso il prossimo capitolo che è tutto incentrato su un nuovo POV che non avevo ancora sperimentato, mooolto lungo e anche abbastanza crudo, visto che l'ambientazione è un campo di battaglia, ma l'avrete capito dagli spoiler. Fatemi sapere!
Xoxo,
Dubhe01.

P. S : Ho inserito la mappa nello scorso capitolo!

P.P.S : Come avrete notato il capitolo è scritto in coniugazioni dei verbi diverse, almenno in parte. E' intenzionale, perchè dopotutto Jonathan è stato prigioniero per due anni e ha tutto il diritto di essere confuso, quindi con i tempi diversi voglio rendere al meglio il suo "status mentale attuale". XD

P.P.P.S : Il banner l'ho fatto io. Vi piace? Notate bene : c'è Clary, c'è Jonathan (è quello in smoking, Evan Peters), c'è Jace e... chi è l'altro biondo ossigenato? Lo scoprirete, è già entrato in scena sotto un'altra forma, ma presto farà la sua vera apparizione e sarà uno dei principali POV.

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Capitolo 10
*** X - Inizia la guerra ***


Shadowhunters - Città di Marmo

Desclaimer : i personaggi di questa storia - tranne gli OC da me inventati, ovvio - non mi appartengono, ma appartengono a Cassandra Clare, così come i luoghi e tutto il resto, anche perché se mi appartenessero, Jonathan e Valentine non sarebbero morti, in COG (City Of Glass = Città di Vetro per chi non lo sa, anche se mi sembra improbabile). ©

X - Inizia la guerra

POV JOCELYN
Mulinai su me stessa, tranciando di netto la testa di una Fata che stava per atterrarmi e mi chinai appena in tempo per sfuggire alla morsa ferrea delle braccia di un vampiro che rimbalzò contro la parete dell'Istituto. Maledizione! Tecnicamente non eravamo ancora su suolo consacrato, dovevo raggiungere le scale dell'Istituto per ritenermi salva, almeno dall'attacco dei vampiri, se escludiamo le fate, i demoni, gli ibridi, gli stregoni e i licantropi, ovvio.
Da quant'è che non scendevo in battaglia? Mi chiesi distrattamente, schivando un getto di luce azzurra scaturito dalle dita di uno stregone dalla pelle rossa e le corna di bue.
– Jocelyn, giù! – Urlò la voce di Maryse. Il mio corpo eseguì l'ordine ancor prima che il mio cervello lo elaborasse, giusto in tempo per vedere una freccia compiere un arco su di me e piantarsi al suolo. Mi sentì afferrare per le spalle e sbattere contro il muro dell'Istituto, giusto in tempo per vedere due occhi verdi che mi fecero rabbrividire. Davanti a me c'era un uomo sui trent'anni, capelli castani e occhi color prato dallo sguardo furioso e spietato. Ringhiava leggermente e, forse a causa della forza, pensai subito che fosse un mannaro. Cercai di spingerlo via, e quando vidi che era tutto inutile gli sibilai contro improperi vari. Lui sogghignò, scoprendo due canini acuminati come aghi. Socchiusi gli occhi : probabilmente era un ibrido. Da un po' di tempo, infatti, avevamo scoperto che Melchizedeck stava facendo strani esperimenti con i Nascosti. Aveva costretto le fate ad accoppiarsi con i licantropi, aveva trasformato dei licantropi in vampiri e così via, creando degli abomini. Sospirai amaramente. Proprio io mi ritrovavo a pensare a quegli incroci come abomini. Ne sapevo qualcosa, degli ibridi.
Ripensai con un sussulto a mio figlio Jonathan : nelle sue vene scorreva sangue demoniaco, sangue di Lilith, lo stesso sangue che l'aveva reso incapace di provare il benché minimo sentimento. Distratta, non mi accorsi di un licantropo che mi aveva afferrato per la caviglia, trascinandomi a terra, tra il fango e la polvere. Scalciai via il lupo e corsi verso i gradini dell'Istituto, cercando di raggiungere Robert.
Luke, invece, sembrava scomparso. Appena dieci minuti prima dell'attacco se l'era filata dicendo che doveva fare non so quale commissione, e non era ancora ritornato. Saltai, evitando che una testa mozzata e zuppa di sangue m'imbrattasse gli stivali e arrivai finalmente agli scalini.
– Ho chiamato i rinforzi. Arriveranno presto. – Ansimò Robert, infilzando un ibrido.
Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere che una fata si avventò su di me, bloccandomi i polsi. Sapevo che ne avevo un'altra alle spalle, ma ero immobilizzata. Un sibilo, e sentì accasciarsi un corpo dietro di  me. Veloce, sferrai un calcio sul mento alla fata che mi bloccava, che cadde a terra svenuta, e ringraziai Maryse con un cenno del capo per avermi liberato dall'altra.
In quel momento un portale si aprì poco lontano dai cancelli principali, e ne uscirono sei Cacciatori in divisa.
– Sei? Tutto qui? Noi combattiamo un'orda di Nascosti e loro ci mandano sei Shadowhunters?! – Sbottai, dando fuoco ad un vampiro. In quel momento un demone sbucò da dietro una siepe : doveva essere un Eidolon, perché mutava in continuazione il suo aspetto, cercando di confodermi.
– Asmodei – Evocai una spada angelica e mozzai un braccio al demone, che urlò, agonizzante. Tuttavia non si perse d'animo e si lanciò su di me, più che deciso a mettermi al tappeto. Schivai la mano artigliata del demone e lo afferrai per i capelli verdi, sbattendogli la fronte contro il muro. Era K.O, ma ci voleva una spada angelica per ucciderlo definitivamente. Impugnai saldamente Asmodei con l'altra mano e gliela piantai nel punto in cui, supposi, doveva esserci il cuore, centimetro più centimetro meno.
I cancelli si spalancarono, facendo entrare un'orda di demoni. Rabbrividì. Erano più di trenta! Mi voltai a  guardare le nostre forze : c'eravamo io, Maryse, Robert, e cinque dei Cacciatori inviati dal Conclave - il sesto era a terra, e non si capiva bene se era svenuto o morto -.
– Siamo spacciati – sussurrai, evocando un'altra spada angelica e stringendo saldamente le due armi tra le mani. Mi aggrappavo a esse come a delle ancore di salvezza, neanche avessero fatto la differenza contro quel battaglione di demoni e Nascosti vari.
– AIU… AAARGGH! – Mi voltai, ansimante. Chi aveva urlato? Individuai subito un Cacciatore a terra, che veniva ripetutamente colpito dagli artigli di un demone Rahab. Non persi nemmeno tempo a cercare di soccorrerlo : per quanto provassi pietà di lui, sapevo che era spacciato; l'unica cosa utile che potevo fare era continuare a combattere per vendicare anche lui.
Un demone Raum si avventò su di me, scrutandomi con i suoi occhi neri e sporgenti senza l'ombra di pupilla. Gli conficcai Asmodei dritto dritto nello stomaco, e la spada venne corrosa dal sangue del Raum, il cui cadavere si dissolse in una scia di cenere. I nemici si moltiplicavano sempre di più, ed eravamo sempre più in difficoltà. Mi sentì afferrare per le caviglie da qualcosa : un Imp. Mi voltai, e mi accorsi che non era solo, ce n'era una vera e propria schiera! Un demone Imp in sé, da solo, non era un grosso problema, ma un'intera orda poteva diventare pericolosa. Un altro demone mi afferrò per la gola, e adesso anche gli arti superiori erano bloccati. No. No. No! Non sono sopravvissuta a molteplici rivolte e guerre soltanto per morire a causa di un Imp!
Sentivo il sudore imperlarmi la fronte, inzupparmi i vestiti… era finita.
Nel momento esatto in cui vidi l'arto deforme dell'Imp calare verso la mia gola, una moltitudine d'immagini m'invase la mente. Il mio primo incontro con Valentine, con il mostro che mi avrebbe rovinato la vita. La creazione del Circolo. Il mio matrimonio. La morte del padre di Valentine per mano di un Nascosto, e la pazzia del pluri-citato Morgenstern. Valentine che ordina a Lucian di suicidarsi. La nascita di Jonathan, quel bambino che mi ripugnava a causa della sua natura e mi faceva disgustare di me stessa perché, dopotutto, era mio figlio. I piani per la Rivolta. L'incontro con Lucian. La scoperta di essere incinta di Clary. La morte "apparente" di Valentine e Jonathan. La fuga con la Coppa Mortale. La nascita di Clarissa. Il ritorno di "Luke". Quello di Valentine. Il coma in cui mi sono auto-indotta. Il ritorno di Jonathan. La battaglia a Brocelind. La morte di Valentine e quella di mio figlio. Il ritorno alla normalità. La nuova relazione con Luke. Melchizedeck.
La mia vita era stata tutta un'inutile presa in giro, ogni volta che raggiungevo la felicità questa mi veniva strappata via, per un motivo o per l'altro. Con Valentine, con Luke… Cos'ho fatto di male nella mia vita precedente per meritarmi soltanto dolore, odio e tristezza? Ora non era importante, però. Stavo per morire. Addio Clary, addio Luke… Ciao Val, piccolo Jonathan…
Presto avrei raggiunto l'Ade, mi sarei ricongiunta a mio marito e mio figlio e, forse, nel Regno dei Morti non ci sarebbero stati sogni di conquista, bambini demoniaci e occhiate malevole.
La mano dell'Imp si serrò attorno alla mia gola.
E poi rilasciò la presa con uno strano rantolo strozzato. Scattai in piedi, voltandomi e incontrando lo sguardo del mio misterioso salvatore.
– Cosa diavolo significa questo, Raziel? – Chiesi, parlando direttamente al cielo.
– Cos'è, uno scherzo? – Continuai, con una risata a metà tra la follia e l'isterismo.
Davanti a me, proprio davanti a me, c'era Jonathan. Jonathan Morgenstern. Mio figlio. Così simile a Valentine…
Gli stessi capelli albini, quasi bianchi, di suo padre. La stessa pelle candida e gli stessi lineamenti duri e marcati, spigolosi quasi. La stessa statura imponente e i medesimi lineamenti : identico naso dritto, ciglia lunghe e bionde, quasi trasparenti e sopracciglia sottili. Poche cose li differenziavano : Valentine aveva gli occhi grigi, del colore del ghiaccio, mentre Jonathan neri come l'Onice. Valentine aveva un fisico massiccio, petto ampio e spalle squadrate, mentre suo figlio, nostro figlio, era di costituzione più mingherlina, probabilmente ereditata da me, ma con gli addominali ugualmente scolpiti. Jonathan aveva la mia bocca sottile. In ultimo, Valentine aveva perennemente in volto un ghigno strafottente, e in alcuni rari momenti dei sorrisi sicuri, mentre il volto di Jonathan sembrava perennemente… inespressivo.
– Sono all'Inferno? – Sussurrai, prima che Jonathan si voltasse, frantumando - letteralmente - il cranio di un mannaro a suon di colpi contro il muro. Poco lontano da lui c'era Isabelle Lightwood, pallida, provata, con i vestiti laceri e sporchi e imbrattati di sangue, i capelli ridotti ad un ammasso informe e lo sguardo sofferente, ma che ancora si reggeva in piedi e menava fendenti con una spada alta almeno quanto lei a destra e a manca. Dietro di lei, Jace abbatteva senza pietà alcuni demoni Oni, e Clary fronteggiava una fata piuttosto agguerrita e un vampiro dall'aria folle.
Per quanti demoni abbattessero, però, altrettanti ne sbucavano da tutte le parti. Mi voltai dall'altro lato del cortile : Maryse era scossa da forti tremiti, ma quando ritrovò la forza di reagire non puntò la sua frusta contro un Nascosto o un Demone, bensì contro Jonathan, che afferrò la punta dell'arma e la strattonò, facendola cadere nella polvere nello stesso istante in cui infilzava con una spada angelica un Vermithrall.
Feci un respiro profondo, escludendo per un attimo dai miei pensieri il-morto-che-evidentemente-tanto-morto-non-era-visto-che-stava-polverizzando-un-Vermithrall, la sorpresa, lo sconcerto, e tutte le restanti sensazioni che stavo provando, concentrandomi sulla battaglia.
– MA COSA…? – Mi voltai di scatto, accorgendomi di Luke al mio fianco. – Ah, sei qui!  Aiutaci! – Urlai, mentre Luke sguainava un pugnale benedetto ed infilzava un vampiro, riducendolo in cenere tra urla agonizzanti.
Corremmo insieme verso Robert, che se la stava vedendo brutta contro tre demoni Moloch.
Ce ne "aggiudicammo" uno a testa, ingaggiando una folle lotta che mi portò ad inciampare in un sasso. Mi rialzai, decisa. Per un attimo ritornai indietro nel tempo, ricordando le cacce con Luke, con Valentine, quando eravamo solo dei ragazzi spensierati con in testa deliranti idee di gloria. Impugnai la spada con rinnovata forza e un sogghigno furbo sul volto, convinta. Sentivo aleggiare la presenza dei miei vecchi compagni dietro di me, mi donavano forza, coraggio, ferocia… tranquillità, anche nel cuore della battaglia.
Tranciai di netto la testa del Moloch e iniziai a duellare con un Eidolon. Luke combatteva poco più avanti con lo stesso Moloch che aveva attaccato Rob, ed io sentivo la rassicurante presenza di Val dietro di me. Immaginai i suoi capelli biondi, il suo sorriso sicuro, lo sguardo arrogante e ambizioso del colore del ghiaccio incastonato in quel volto da diciottenne.
– Valentine, schema X! – Urlai, voltandomi verso di lui.
Il mio grido si perse nel vuoto.
Non c'era nessun Valentine Morgnestern accanto a me.
Crollai a terra, lasciando cadere la spada. Cosa mi stava succedendo?
– Jocelyn! – Sentì urlare Maryse, ma non risposi al suo richiamo.
Avevo costruito un castello di carte in pochi secondi, un castello d'illusioni, ed in altrettanti pochi attimi questo era crollato. Mi rialzai di scatto, evocando l'ennesima spada angelica che tenevo nascosta nello stivale destro, ingaggiando una lotta serrata con una fata armata di ascia.
Non. Stoccata. Mi. Parata. Faccio. Attacco. Sottomettere. Schivata. Dai. Piroetta. Ricordi. Pugnalata al cuore.
Guardai con soddisfazione il corpo senza vita della Nascosta di fronte a me. Nessuno mette i piedi in testa a Jocelyn Fra… Mor… Fairchild, pensai, nemmeno degli stupidissimi ricordi di una vita che ormai non mi appartiene più.
Vedo Clary combattere tenacemente contro tre demoni Shax : non si è accorta che un altro le sta arrivando alle spalle. Corro, col fiato corto, mozzando la testa al mostro, ma prima che possa fare altro un forte colpo alla testa fa diventare tutto nero e crollo a terra, senza sensi.


Intorno a me risuonano grida di battaglia, urla sofferenti e il cozzare di metallo contro altro metallo. Apro gli occhi, stordita, riuscendo a distinguere solo una massa di gambe e corpi, umani e non, che corrono o sono riversi a terra. Realizzo di essere stesa anch'io, proprio davanti al duro asfalto che precede l'ingresso dell'Istituto. Scatto in piedi, e mi accorgo di essere nel cuore della battaglia.
Adesso ricordo, qualcuno deve avermi fatto svenire. Non per molto tempo, però, se la battaglia non è ancora finita.
Il cielo è tinto di rosso, viola, verde e blu e il sole sta tramontando, i corvi sono appollaiati sugli alberi in attesa della fine della guerriglia per poter squartare i cadaveri in terra. Un secondo… tramonto? Erano appena le tre del pomeriggio quando i Nascosti ci hanno attaccato, precedendo i demoni.
Mi guardo meglio intorno, preoccupata. Decine e decine di Shadowhunters sono in terra, morti o feriti gravemente, probabilmente dei rinforzi che il Conclave aveva inviato ma che non erano serviti poi a molto. Chi avrebbe pensato, adesso, ad avvertire le famiglie di quei poveri Cacciatori? Chi sarebbe stato loro vicino?
Ordino al mio cervello di smetterla di pensare a questo, erano Shadowhunters, così come i loro parenti, preparati a morire in battaglia, preparati a sapere che i loro figli, mariti, mogli, nipoti sarebbero potuti non tornare mai più da una delle tante battaglie che combattevano in nome di Raziel.
Una figura dai capelli biondo-argentei mi passò accanto ad una velocità impressionante, inseguita da almeno sette od otto demoni Vermithrall. La prima cosa che mi venne in mente fu "Valentine", ma quando il ragazzo si voltò a fronteggiare gli avversari scorsi in un lampo i suoi occhi, color dell'odio più nero. Jonathan, mi corressi. Non lo vedevo da…? Da quanto? Da anni, da quando ero scappata il giorno della Rivolta e avevo visto le sue finte ossa. Un Raum gli si parò davanti, e lui lo falciò a metà come fosse stato di burro. Clarissa era poco dietro il fratello, affiancata da Isabelle Lightwood, ed insieme le due se la vedevano con degli Imp. Jace, a qualche metro da loro, duellava con un ibrido metà vampiro e metà licantropo, credo.
Schivai per un soffio una sciabola intenzionata a ghigliottinarmi, e spezzai l'osso del collo ad un licantropo che aveva tentato di azzopparmi.
Salto, attacco, parata.
Salto, attacco, parata.
Per un attimo penso di essere una macchina da guerra programmata per fare sempre le stesse mosse, ma poi un demone Moloch mi risveglia dal mio torpore, cercando di colpirmi alla testa. Mi abbasso di scatto, rotolando in terra, ed afferro per le gambe il demone che crolla accanto a me. Mi rialzo e lo pugnalo al cuore con un coltello di adamas estratto dalla giacca di cuoio e pelle nera, poi mi volto e mi arrampico su un pino un po' rachitico, cercando di individuare da dove provenissero i demoni che ci stavano attaccando.
Una visione agghiacciante mi fece congelare sul posto. Eravamo completamente circondati, orde e orde di demoni e Nascosti provenivano da tutte le direzioni, spuntavano dal terreno e si materializzavano all'improvviso. Qualcosa scosse forte l'albero, facendomi cadere. Era un grosso lupo, sicuramente un licantropo. Mi balzò addosso, pronto a dilaniarmi, ma non gliene diedi l'opportunità, calciandolo via e riprendendo a correre verso il centro dello spiazzo, verso Robert e Maryse.
– Siamo circondati. – Ansimai, appoggiandomi al Lightwood per un secondo. – Arrivano nemici da tutte le parti. – Conclusi, raccogliendo un'accetta da terra e spaccando il cranio ad uno stregone di passaggio che cercava di maledire Jace, o comunque qualcosa del genere, se quel poco di lingua demoniaca che Valentine mi aveva insegnato mi aveva fatto capire quello che stava dicendo.
Valentine… scossi la testa, come a volermi liberare della sua immagine, di quando aveva fatto irruzione a Brooklyn e mi aveva rapito.
Tante volte mi ero chiesta se l'avesse fatto solo per ottenere informazioni sulla Coppa o se, infondo, molto infondo, provava ancora qualcosa per me.
Che senso aveva mantenermi viva e in coma, se non potevo dargli le informazioni che voleva? Perché aveva continuato a non toccarmi ma anzi, a cercare una cura senza smettere mai? Basta. Basta. Non posso pensare a questo. Lui è l'uomo che mi ha fatto male, che ha avvelenato mio figlio, che mi ha costretto a scappare con una figlia non ancora nata e che mi ha rapito senza pietà.
Strizzai gli occhi, concentrandomi di nuovo sulla battaglia, cercando di vedere qualcosa oltre a mere immagini sfocate in movimento tutto intorno a me.
Per un attimo pensai di aver visto la forma animale di Luke azzannare uno Shadowhunter. Risi di me stessa, stavo diventando davvero troppo paranoica. Luke non era Valentine, non avrebbe mai tradito il Conclave! Dovevo smetterla di pensare a Valentine, non mi giovava per niente e anzi, mi faceva soltanto dubitare delle persone a cui volevo e che mi volevano bene.
– MAMMA, ATTENTA! – Un urlo di Clary mi fece risvegliare, proprio mentre lei abbatteva un vampiro che stava per azzannarmi. Dovevo concentrarmi, ma rimasi per un attimo incantata ad osservare mia figlia. Aveva poco o nulla in comune con suo padre, ma in quel momento mi parve che fossero due gocce d'acqua. Non per l'aspetto, bensì per l'atteggiamento. I capelli rossi di Clary frusciavano nel vento proprio come facevano quelli più corti di Valentine, la pelle chiara e tutto il corpo di mia figlia sembrava teso e pronto a scattare proprio come quello di suo padre in una battaglia particolarmente avvincente. Avevano lo stesso sguardo deciso, risoluto, che risplendeva d'ardore e che dava forza e coraggio a tutti quelli che li circondavano, che obbligava tutti a seguirli. La bocca dalle labbra piene, uno dei pochi tratti che aveva ereditato dal ramo Morgenstern della famiglia e non da quello Fairchild, era atteggiata in un ghigno sprezzante del pericolo, un'espressione che gridava al vento la sicurezza di vincere, la voglia di combattere ancora, di misurarsi con avversarsi sempre nuovi e schiacciarli tutti al suolo come tanti piccoli scarafaggi. Era un'espressione del tutto involontaria, né padre né figlia si rendevano conto di averla in volto nella battaglia, ma che li faceva apparire dieci volte più maestosi e sicuri delle proprie capacità di quanto non fossero in realtà.
Poi Clary si volta e l'incanto si rompe veloce così com'era iniziato, ed io trapasso con un sol colpo di spada due fate parecchio agguerrite. 120.


È ormai l'alba quando finiamo di ricacciare tutti i demoni e i Nascosti fuori dal cortile dell'Istituto e sbarriamo i cancelli. Certo, i demoni e i Nascosti sono pur sempre lì fuori, ma perlomeno così non ci attaccheranno nell'immediato.
Magnus, arrivato da poco, si stava adoperando per bloccare qualsiasi portale proveniente dall'esterno non autorizzato, e con un incantesimo che l'aveva quasi sfiancato completamente aveva alzato le mura che circondavano l'Istituto di almeno una decina di metri ed aveva evocato una cupola trasparente che copriva il cielo sopra l'edificio, facendo passare aria, vento, pioggia e tutti gli alti agenti naturali ma bloccando qualsiasi essere vivente e non.
Proprio in quel momento Isabelle crollò a terrà, svenuta. Per la prima volta da ore Jonathan parlò : – L'hanno torturata, ha bisogno… – Ma non riuscì a finire la frase che cadde al suolo anche lui, qualche secondo prima che Maryse cercasse di atterrarlo.
– Buttatelo fuori. – Ordinò Robert, seccamente.
– Nessuno può entrare o uscire, e sia io che Clary siamo troppo sfiancati per evocare un portale. E, anche se le uscite non fossero bloccate, lo consegneremmo diritto diritto al nemico. È questo che vuoi, Lightwood? – Chiese Magnus, inarcando un sopracciglio.
– È questo che voglio. Ma cosa vuoi saperne tu, Nascosto? – Sibilò con disprezzo Robert.
– Molto più di quanto tu possa anche vagamente immaginare. Se lasciassi uscire Jonathan, il nemico non lo ucciderebbe. Nel migliore dei casi per noi continuerebbe a torturarlo, nel peggiore evocherebbe la madre di tutti i demoni e lo farebbe ipnotizzare per servirli. Vuoi davvero una macchina assassina contro di te? – Rispose Robert.
– Basta. Portate Izzy e Jonathan dentro, e smettetela di fare storie. – S'intromise Clary, incrociando le braccia al petto. Per un attimo lo stesso bagliore nei miei occhi si riflesse in quelli di Maryse e Robert : sembrava di parlare con Valentine.
–Non credo tu sia nella posizione di dare ordini, Clarissa. – Osservò Maryse.
– Benissimo, allora evocherò un portale e andrò qui fuori, ad allearmi con Melchizedeck. E puoi scommettere che porterei con me anche Jace, Jonathan e Izzy, e Alec e Magnus. È questo che volete? Rimanere senza i vostri guerrieri e stregoni migliori? – Rispose mia figlia, in tono tagliente.
– Non oseresti. – Ribbattè Robert.
– Scommettiamo? Sono stanca di essere un burattino in mani altrui, sono stanca di Consoli ignoranti e Inquisitori e Inquisitrici che fanno del male a chi voglio bene. Sarai anche diventato nuovo Inquisitore, signor Lightwood - calcò il nome con tono di scherno - ma tu non sei nella posizione di dare ordini a me. – È vero, Robert è divenuto Inquisitore da qualche settimana.
– E adesso portateli dentro. – Ordinò Clary a due Cacciatori accorsi in nostro aiuto, due dei tre superstiti su almeno cinquecento Shadowhunter.
In breve tempo rimasi sola con Clary nel cortile, circondata dai morti.
– Perché? – Chiesi, e non ci fu bisogno di ulteriori parole prima che lei incominciasse a parlare. Si accovacciò in terra, in un angolino miracolosamente sgombro da sangue o cadaveri.
– Perché sono stanca. Ho già sofferto troppo nell'ultima guerra, ho visto morire davanti ai miei occhi Jace e ho pensato di non poterlo più rivedere, ho visto i demoni trionfare sugli Shadowhunters per qualche minuto e ne sono rimasta devastata. Valentine era arrivato a tanto così dalla vittoria, e noi, anzi, io, l'ho fermato appena in tempo, ma ad un prezzo devastante. Avevo davvero corso il rischio di veder morire tutte le mie ragioni di vita. Tu e Luke, in battaglia a Brocelind. Jace, per mano di quello che considerava ancora suo padre. I miei nuovi amici, Isabelle, Alec, Magnus. – Fece una pausa, alzando lo sguardo al cielo che si stava lentamente tingendo di azzurro limpido.– Non sono disposta a vedere ancora in pericolo le persone a cui voglio bene, me ne sono resa conto quando Izzy è stata rapita. Nella scorsa guerra non avevo la forza né la preparazione per combattere adeguatamente e ho salvato tutti per puro miracolo, ma questa volta è diverso. Questa volta voglio avere la certezza di aver dato tutto quello che potevo dare e voglio vedere Melchizedeck implorare perdono, strisciando ai miei piedi. Fosse l'ultima cosa che faccio. Se il bastardo vuole giocare, giochiamo, ma avrò io le redini del gioco. Sarò io e io soltanto a prendere il comando. – Concluse, scrutandosi la tenuta da Cacciatrice divenuta da nera a rossa, impregnata del sangue dei nemici, strappata e lacerata in più punti. Nonostante tutto, però, i suoi occhi ardevano di un fuoco ribelle che soltanto in un'altra persona avevo visto, una persona che era arrivata a fare grandi cose, cose terribili, ma grandi*.
Così si concluse il suo monologo, facendola assomigliare ad una conquistatrice. Così mi resi conto che non era più la mia bambina da proteggere.
Così, avvolta da centinaia di cadaveri, con le caviglie immerse in un lago di sangue, morì Clary Fray, e nacque Clarissa Morgenstern.

* = Cit. Mod. Harry Potter e la Pietra Filosofale, Olivander.

Angolo Autrice:

Salve!
Come avete visto, la storia inizia a prendere forma, a diventare più dark e più cruenta, perché era proprio questa l'intenzione.
Non ho mai amato molto Jocelyn, ma mi piace scrivere dal suo punto di vista, così contrastante, sempre costantemente in lotta con sé stesso. Spero di averla resa bene, perché è probabilmente il POV più difficile in cui io mi sia cimentata, ma sarà solo il primo di una lunga serie.
Dico a chi cercava una storia tutta rosa e fiori di non sperarci, perché questa storia parlerà di guerra, di cambiamenti, di odio e sofferenza e di speranza che non vuole spegnersi, e vi farà sperare fino alla fine in, appunto, un lieto fine. Pensavo di cambiare introduzione, vi piacerebbe? Per ora c'è solo una bozza nella mia testa, ma vi farò sapere al più presto.
Ah, un'ultima cosa. Qualcuno avrà sicuramente notato i cambi di tempi dei verbi, ebbene, non è un errore ma è intenzionale. Dopotutto stanno sempre combattendo una battaglia, e Jocelyn in quel momento è confusissima, quindi credo che i pensieri incoerenti con tempi diversi ci stiano molto bene, no? Probabilmente non sarà l'unico capitolo scritto in questo modo, perché i POV a seguire saranno anch'essi molto, molto confusi, quindi aspettatevi cose del genere. ;D
Alla prossima settimana!
Oh, che sbadata, lo spoiler!
"Quelli erano gli occhi di Valentine Morgenstern."
Ok, spoiler millimetrico, ma credo sia parecchio, uhm, ambiguo (?), o almeno abbastanza intrigante da tenervi a rosolare (anche tu, Zaffy! XD) fino alla prossima settimana… mhuahahhahha, mi compiaccio di me stessa quando scrivo cose del genere, giuro! Ma ormai l'avete capito tutti che sono un po' (tanto!NdTutti) bastarda su queste cose, no? ^.^
Un Bacio,
Dubhe01. :) :D
P.S: Da qui in poi i protagonisti assoluti saranno i membri della famiglia Morgenstern, quindi Jocelyn, Clarissa, Jonathan e così via, perciò la maggior parte dei POV saranno loro, con qualche eccezione, ovviamente, come Isabelle e Co.

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Capitolo 11
*** XI - Tutto ciò ch'è puro nasconde un lato oscuro ***


Shadowhunters - Città di Marmo

Desclaimer : i personaggi di questa storia - tranne gli OC da me inventati, ovvio - non mi appartengono, ma appartengono a Cassandra Clare, così come i luoghi e tutto il resto, anche perché se mi appartenessero, Clary sarebbe di sicuro più Morgenstern. ©

XI - Tutto ciò ch'è puro nasconde un lato oscuro

POV CLARISSA

Accarezzai lievemente un grosso fiore lillà prima di fermarmi in uno spazio privo di piante e accovacciarmi a terra.
Che confusione, pensai, stanca. Erano tutti a riposarsi o a badare a Isabelle, in Infermeria, mentre Jonathan giaceva abbandonato su un lettino, nella stessa stanza, ma senza nessuno intorno. Avevo paura di quello che stava succedendo, un'enorme paura, ma ormai avevo fatto la mia scelta. Non potevo più tornare indietro, ero troppo cambiata per potermi definire ancora la dolce e ingenua Clary Fray di un tempo. Sentì uno scalpiccio di passi, e mi nascosi dietro una pianta. Era Magnus, venuto a rinforzare le difese. Scivolai via, oltre la porta della serra, in quel momento non volevo parlare con lui né con nessun altro.
Entrai nella mia stanza, chiudendo la porta a chiave. Non sapevo esattamente cosa fare, in cortile avevo mostrato una sicurezza che non avevo e adesso sentivo un vuoto dentro di me. Erano giuste le decisioni che stavo prendendo? Stavo davvero facendo la cosa migliore? Sarei stata capace di reggere tutta la pressione e le responsabilità? E soprattutto, avrei saputo darmi un freno?
Sapevo benissimo che la strada che avevo intrapreso assomigliava troppo a quella presa da Valentine prima di me, la stessa strada che l'aveva portato poi a rasentare la pazzia, ma in quel momento mi sembrava la cosa migliore. Ero l'unica a poter fare una cosa del genere, ad affidarci a Maryse probabilmente saremmo rimasti rinchiusi all'Istituto in attesa di una misteriosa sconfitta di Melchizedeck, d'altro canto se ci fossimo affidati a Robert ci saremmo ridotti a fare i suoi schiavi senza avere voce in capitolo. Mia madre poi, era assolutamente geniale e astuta, certo, ma la strategia militare non faceva per lei e sarebbe stata capace di mandare a monte un intero piano solo per la mia salute. Le ero enormemente grata per questo, ma eravamo in guerra e non potevamo permetterci debolezze. Se poi avessimo lasciato il comando al nuovo Console, Jia Penhallow, sarebbe stato anche peggio. Per lei Melchizedeck non esisteva e si trattava di una semplice congiura di Nascosti e demoni che volgevano ribellassi. Nessuno, a Idris, credeva in noi, i Cacciatori si rifiutavano di credere che dopo una guerra ne fosse scoppiata un'altra. E poi hanno anche il coraggio di farsi chiamare Shadowhunters…
Raziel, se sto facendo la cosa giusta mandami un segno...
Sbuffai, voltandomi e cogliendo per un attimo il mio riflesso nello specchio. Un secondo. Quella non ero io. Io non avevo gli occhi grigi! Mi avvicinai di nuovo allo specchio, scrutando con sospetto i miei occhi, verdi come al solito. Stavo quasi per lasciar perdere, e convincermi che era stato soltanto un riflesso della luce, quando il verde venne lentamente inghiottito dal grigio acciaio. 
Guardai soltanto i miei occhi, escludendo tutto il resto, e per un attimo il mio riflesso mi fece paura.
Non erano i miei occhi, quelli. Erano gli occhi di Valentine Morgenstern.
Li chiusi, sperando che fosse tutto un incubo, ma quando li riaprì erano ancora grigi.
– È questo che stai cercando di dirmi, Raziel? Sto facendo la cosa giusta? Bene, ho capito, ma adesso fa ritornare i miei occhi del loro colore naturale! – Urlai al nulla.
Niente, gli occhi rimanevano grigi.
Sospirai. Se è questo che vuoi, Raziel… pensai, mentre mi sfilavo dal collo il laccetto con l'anello dei Morgenstern. Era troppo largo per il mio dito medio, ma andava bene al pollice. Lo infilai lì, rimirando il gioiello.
In questa guerra non c'è posto per Clary Fray, se voglio sopravvivere, compresi, mentre entravo nel mio bagno personale. Aprì il rubinetto della vasca, facendo sgorgare fuori l'acqua calda, e m'immersi in essa, cercando di distendere i nervi tesi come una corda di violino.
I capelli vermigli, appena sotto il pelo dell'acqua, si distesero in morbide volute, accarezzandomi lievemente fino a poco prima della vita. Per qualche minuto non pensai a niente, rimanendo immobile a fissare una mattonella color del tramonto, e poi mi riscossi, afferrando un pacchetto di fiori da bagno poggiato sulla mensoletta sopra la vasca.
Iniziai a staccare lentamente i petali rosa, affogandoli ad uno ad uno nell'acqua che si tingeva lievemente del colore dei fiori… Strappai un petalo con particolare violenza, immaginando che fosse Melchizedeck. Lo sbriciolai con crudeltà fra le mie dita, rendendolo niente più che una poltiglia informe, e poi la gettai nell'acqua, godendo nel vederlo affondare sempre più giù, sempre più giù.
Chiusi gli occhi, scacciando anche quel pensiero. La mia mente era sgombra, non prestavo attenzione a nulla e mi beavo di ciò, rilassata.
Potrete quindi capire che scatto feci quando, all'improvviso, l'acqua s'increspò attorno al mio corpo. Aprì gli occhi, allarmata, ritrovandomi a guardare il corpo statuario e nudo di Jace. Si accovacciò nella grande vasca, sorridendomi malizioso mentre arrossivo come un pomodoro, e si stese accanto a me, prendendomi fra le sue braccia.
– Jace… cosa diavolo ci fai qui? – Chiesi, spezzando l'idillio del momento.
– Ero venuto a farti un, uhm, salutino - fece una pausa per farmi intendere tutti i doppi sensi che ciò implicava - e ho sentito l'acqua scrosciare, così ho deciso di approfittare. –
Annuì, mentre mi stringeva fra le sue braccia. Era bello stare immersi, insieme. Regalava una sensazione di pace.
– Jace, è… è possibile che gli occhi di una persona cambino colore dopo anni? – Chiesi poi, esitante.
– Non lo so, perché? –
– Perché è quello che mi è successo. – Replicai, incatenando il mio sguardo argenteo nel suo, color dell'oro più puro.
Vidi le sue pupille allargarsi impercettibilmente. – Valentine… – Sussurrò istintivamente.
– Già, gli occhi di mio padre – 
– Hai indossato l'anello. – Osservò, cambiando discorso. Probabilmente non aveva una teoria o, ancor più probabilmente, non voleva parlare in quel momento proprio di quell'argomento.
– È arrivato il momento che io mi prenda le mie responsabilità, e che faccia… valere il mio nome, ecco. – Risposi, percorrendo con il dito occupato dall'anello la linea dei suoi addominali.
– Sai che io sarò con te qualsiasi cosa farai, vero? – Chiese, dandomi un leggero bacio.
– Sì. – Risposi semplicemente, tracciando una scia di umidi baci lungo il suo collo non ancora immerso nell'acqua. Mi girai su un fianco, sedendo a cavalcioni su di lui. Gli mordicchiai le labbra, facendole gonfiare, mentre le sue mani mi lasciavano leggere carezze ovunque riuscissero ad arrivare.
Mi strusciai lentamente su di lui. – Cosa… – ansimo – hai intenzione… – altro ansimo – di fare? – Concluse con un sospiro lussurioso.
Infilai le mani nei suoi capelli biondi, bagnandoli e rendendoli così più scuri.
– Non ho ancora un piano ben preciso… – gli posai dolci baci sugli occhi socchiusi – … ma ho sicuramente intenzione di cambiare parecchie cose… tutto ciò che potranno dirci Isabelle e Jonathan sarà d'aiuto… aaah, continua… voglio riorganizzare le truppe… e motivarle… mmmh… e far capire al mondo, e a… uh, Melchizedeck… con chi ha a che fare. – Risposi, mentre mi carezzava possessivamente i seni. Li strinse tra le dita, facendomi inarcare.
– Dovremmo fare… mmmhh… più volte… aahhh… il bagno insieme. – Conclusi, col fiato corto, dopo averlo baciato passionalmente.
– Concordo in pieno. – Rispose, facendomi l'occhiolino, mentre invertiva le posizioni ed io mi sdraiavo, con la schiena a contatto con il marmo della vasca.
– Mmmh… l'acqua si sta facendo fredda, ed io sto gelando. – Borbottai, sedendomi sulle sue gambe. 
– Potremmo continuare altrove… – Osservò Jace, malizioso, afferrando due teli da un mobiletto senza ante, di legno chiaro. Uscimmo dalla vasca, avvolgendoci negli asciugamani. – Dopo, adesso fammi asciugare i capelli. – Risposi, prendendo il phon dal mobile. Inserì la spina nella presa, mentre Jace sgocciolava sul tappeto, stringendosi nell'accappatoio, e tornava nella mia stanza.
Sorrisi. Sì, Clary Fray era morta.
Dopo essermi asciugata i capelli, mi chinai verso un basso mobile, sotto il lavandino. Aprì il cassetto, ripensando alle parole di Izzy di qualche mese fa : "Fidati, arriverà il giorno in cui ti servirà, e sarai felice del regalo che ti ho fatto."
Strinsi tra le mani il baby-doll nero semitrasparente, che lasciava davvero poco all'immaginazione, e controllai le restanti cose che mi aveva regalato Isabelle : alcuni trucchi, un push-up e mutandine di pizzo nero e francese, a giudicare dall'etichetta, e un profumo dalla boccetta del colore del sangue. 
Infilai anche la biancheria, e recuperai i trucchi dal sacchetto in cui Izzy li aveva sigillati. Non erano mai stati usati, e mi sentivo impacciata a farlo io stessa, non avevo quasi idea di come si usassero.
Basta con tutti questi scrupoli, Clary. Da oggi sei un'altra. Mi ricordai, stappando il rossetto rosso acceso. Lo passai con mano tremante sulle labbra, tingendole di rosso. Recuperai l'eye-liner, cercando di metterlo sugli occhi. Sbagliai almeno cinque volte, ma alla fine riuscì a tracciare una linea decente sulla palpebra. Conclusi l'opera con un sottile strato di mascara, e osservai compiaciuta il risultato finale. Il rossetto era leggermente sbavato, così come l'eye-liner, ma sapevo che a Jace non sarebbe importato.
Spazzolai velocemente ma delicatamente i miei capelli, rassomiglianti a batuffoli rossi, e presi un grosso respiro. Ero pronta. 
Socchiusi la porta, dirigendomi a passo felpato verso Jace. Cosa del tutto inutile, visto che lui aprì gli occhi, accorgendosi della mia presenza. Mi osservò, ammirato, facendomi sdraiare accanto a lui sul baldacchino.
– E se entrasse qualcuno? – Chiesi.
– Fregatene. – Rispose semplicemente lui. – Chi ti ha dato la… uhm, camicia da notte? – Chiamarla camicia era improprio. Assomigliava più ad una maglietta, che ad una vera e propria camicia da notte. 




– Clary! Presto! Clary, vieni! È una questione di vita o di morte! – Mi svegliai di soprassalto, confusa. Chi chiamava?
– CLARISSA! – Mia madre fece irruzione nella stanza, irritata. Si bloccò sulla soglia della porta, esterrefatta, indicando il letto con un dito. Mi guardai intorno, confusa, poggiando di nuovo la testa sul cuscino.
Un momento. Perché il mio cuscino era caldo? Strano.
E perché era più duro di un normale cuscino? Stranissimo.
E perché diavolo respirava? Oddio. No. Fa che non sia come penso. Raziel, ti prego. Mi voltai con lentezza esasperante, scorgendo il corpo nudo di Jace. Per un attimo mi persi ad ammirare il suo fisico scolpito, paragonabile ad un adone, per me, la sua nudità coperta soltanto da un sottile lenzuolo bianco. Mi ricordai di mia madre ancora sulla porta e scattai a sedere, sentendomi una ladra colta con le mani nel sacco.
– Clary… Ra-Raziel, Clary… da… da qua-quanto va avanti tut-tutto que-questo? – Non l'avevo mai vista così scioccata, e non sapevo dire se fosse più spaventata dal fatto di aver ormai compreso di aver perso la sua piccola, pura e innocente Clary o fosse arrabbiata per quello che avevamo combinato, neanche amarsi fosse un crimine!
– Io… io aspetto fuori. – Mormorò infine, chiudendosi la porta alle spalle.
Vagamente terrorizzata, raccattai l'intimo e lo indossai assieme ad un jeans appoggiato sullo schienale della sedia della scrivania e alla camicia di Jace, il primo indumento che mi capitò sottomano. Non persi tempo a cercare delle scarpe ed uscì dalla stanza, stando ben attenta a non fare rumore per non svegliare Jace.
Appena mi richiusi la porta alle spalle mi ritrovai di fronte mia madre. Non mi ero mai resa conto di quanto facesse paura, sapete? Sembrava così fragile, avvolta nella sua camicia da notte azzurra e sformata, i capelli rossi increspati ad incorniciarle il viso e una macchia di pittura fucsia sul polso, ma le braccia incrociate sotto il seno e l'espressione a dir poco furiosa dicevano tutt'altro.
– Da quanto va avanti, Clarissa? – Chiese, cercando di mantenere un tono controllato per non svegliare i restanti abitanti dell'Istituto.
– Qua-quando è in-iniziata, dici? – Balbettai, per poi rimproverarmi mentalmente. Dovevo o non dovevo lasciarmi alle spalle la piccola e insicura Clary Fray?
Beh, quando mia madre mi chiama Clarissa e non Clary c'è da preoccuparsi, quindi posso anche permettermi di essere terrorizzata, no?
Lei annuì, con gli occhi ridotti a due fessure.
Decisi di girare intorno alla questione, di prendermela comoda, insomma : – Ehm, vedi, mamma, quando due persone si amano tanto… cioè, insomma, la conosci la storia delle api e dei fiori, no? Un giorno un'apetta svolazzava sopra un bel fiore lilla, e… –
– CLARISSA! – Praticamente urlò mia madre, fregandosene altamente dei residenti dell'Istituto che cercavano un sonno tranquillo.
Mi giocai il tutto e per tutto : – Mamma, ma non era una questione di vita o di morte? Mi è sembrato di capire che mi hai svegliato per un'emergen… – non mi fece nemmeno finire di parlare.
– Sì! Vieni, non c'è tempo da perdere! Ma il discorso è solo rimandato! – Snocciolò velocemente una marea di parole a cui non prestai particolare attenzione, e cominciai a seguirla. Ci fermammo davanti alla porta bianca e imponente dell'infermeria, e man mano che ci avvicinavamo si sentivano sempre più distintamente delle urla agonizzanti. Entrai a passo marziale, individuando subito Jonathan che si contorceva in un lettino, in preda a chissà quali atroci dolori.
Afferrai lo stilo che era posato sul comodino accanto alla brandita e iniziai a marchiarlo con delle Rune Iratze, non mirando ad un punto ben preciso ma bensì cercando di disegnare una vasta area per calmare il dolore.
Mia madre stava in religioso silenzio, indecisa se essere preoccupata per la sorte di suo figlio o sollevata perché finalmente un mostro sembrava già con un piede nella fossa. Credo che scelse la prima opzione, perché si posizionò all'altro lato del lettino, stringendo la mano di quello che, ormai non si poteva più negarlo, era suo figlio e mio fratello, che continuava a contorcersi in preda a fortissime convulsioni, urlando come un folle.
Per un attimo aprì gli occhi, facendo scorgere le iridi nere come l'odio enormemente dilatate. Gli toccai la fronte con un palmo : bruciava. 
Chiusi per un attimo gli occhi, e una Runa comparve nella mia mente. Incominciai a tracciarla sulla spalla di mio fratello, ansimante per lo sforzo : due cerchi sovrapposti, un pentagono, una linea zigzagante, due puntini e una specie di triangolo con un lato ondulato. Runa anti-dolorifica, così soprannominai quell'ammasso di forme che, fortunatamente, sembrarono calmare almeno un po' Jonathan, che smise di urlare ma non di dimenarsi. Inconsciamente strinse i pugni, portandoseli al petto e rannicchiandosi in posizione fetale. Un momento. Ma non gli mancava una mano? Un'altra convulsione mi fece rinsavire dai miei futili interrogativi, e decisi che avrei pensato dopo alla mano-mancante-misteriosamente-ricomparsa.
– Dobbiamo girarlo di schiena. Sul petto non ha nulla, quindi non so che altro fare se non controllare se ha qualche ferita sulle spalle. – Spiegai, mentre mia madre mi affiancava per voltare il ragazzo. Quello che vidi mi fece raggelare. Decine e decine di linee frastagliate e irregolari percorrevano la schiena di Jonathan. Alcune sembravano molto vecchie, tirate sulla pelle pallida talmente tanto da assomigliare ad una gigantesca Runa, cosa che mi fece pensare che risalissero a molti anni prima, altre invece erano violacee, segno che gli erano state inferte da poco, e altre ancora erano coperte da una sottile crosta rossastra o ancora sanguinavano. Mi venne in mente un solo nome, "Melchizedeck". Riconoscevo quelle ferite, erano state inflitte da una frusta in elettro, una frusta anti-demoni come quella di Isabelle, e di sicuro buona parte del sangue di mio fratello era proprio demoniaco, cosa che lo portava a soffrire terribilmente. Un alone scuro, quasi nero, contornava ogni frustata, come del veleno che si espandeva mano mano, e probabilmente era proprio così. 
Ri-tracciai la Runa Anti-dolorifica, per farlo smettere di dimenarsi, ma sapevo che la cura era molto più drastica. 
– Mamma, esci. – Ordinai.
– No, io… perché? – Rantolò infine, con gli occhi lucidi di lacrime miste a preoccupazione.
– Non vuoi vedere quello che sto per fare, fidati di me, non sei pronta. –
– Neanche tu lo sei! – Obbiettò stancamente lei, ma sapeva di non poter vincere.
– Io sono cresciuta senza di te, mamma. Mentre tu eri incosciente io rischiavo la vita per salvarti. Ho visto più dolori e morti e pianti di quel che credi. Ti prego, esci di qui. – Supplicai. Mia madre annuì, mentre le lacrime scorrevano ormai liberamente sul suo volto, ed oltrepassò la porta, singhiozzando. Faceva male ammetterlo, ma aveva perso il periodo più importante della mia vita. Non ero più una bambina, ero cresciuta, ero maturata, e lei non se ne rendeva conto, non del tutto, almeno.
Spostai di nuovo lo sguardo sulla schiena martoriata di Jonathan e strinsi i denti, soffocando i singhiozzi che volevano uscire dalla mia gola. Un po' anche per mio fratello, perché per quanto fosse malvagio era pur sempre parte di me. – Il tuo sangue è il mio sangue. Le tue ossa sono le mie ossa*. – Sussurrai, prima di incominciare a marchiare con complesse Rune la sua schiena. Avevamo lo stesso DNA, seppur alterato da tipi di sangue diametralmente opposti, eravamo pur sempre fratello e sorella. Figli degli stessi genitori, nati dalla stessa madre, concepiti dallo stesso padre.
Per un attimo, mentre tracciavo l'ennesima Runa che avrebbe estirpato parte del veleno, pensai a come sarebbe stata la mia vita se la mamma non fosse mai scappata, e Valentine non fosse mai impazzito. Magari Jonathan avrebbe avuto gli occhi verdi, sarebbe stato un Cacciatore normale, ed io non avrei saputo creare le Rune. Valentine mi avrebbe voluto bene? La mamma avrebbe voluto bene a Jonathan? Ed io e Jonathan, ci saremmo voluti bene? Cosa sarebbe successo a Luke, sarebbe stato morso lo stesso da un licantropo? Avrebbe continuato ad amare mia madre in segreto o avrebbe desistito, innamorandosi di qualcun altra? Avrei conosciuto Jace? E, domanda più importante, mi sarei innamorata di lui come lo sono oggi?
Scossi lievemente la testa, la storia non si faceva con gli "e se…". Valentine era morto, mia madre amava Luke, io ero una "mezza-angelo", Jonathan un mezzo-demone, e ci odiavamo fino a qualche ora fa. A dire il vero non conoscevo il nostro rapporto attuale. Probabilmente avrei lasciato che si svegliasse, e poi… poi non so. Non ho certezze, anzi, una ce l'ho. So che se non troveremo il modo di uccidere Melchizedeck, potevo anche sognare di capire qual era il mio rapporto con mio fratello.
Quando applicai l'ultima Runa anti-veleno sospirai, rendendomi conto di non poter fare altro se non attendere, e sperare che il veleno venisse espulso dall'organismo di mio fratello. Era sopravvissuto dopo essere stato trafitto da una spada, cazzo, aveva la pellaccia dura, non poteva schiattare adesso! Riprese a urlare e a contorcersi, sofferente, ma in quel momento non potevo fare nulla. L'Anti-Veleno doveva fare effetto, e quello era l'unico modo. Se gli avessi tracciato una Runa Anti-Dolorifica, l'effetto dell'altra Runa sarebbe svanito, e quindi sarebbe stato tutto inutile.
Quando mi sedetti sullo sgabello accanto al lettino che, ci avrei scommesso milioni di sterline, non era mai stato occupato da quando Jonathan si trovava in quel letto, mi accorsi che non avevo lavorato nel più completo silenzio, bensì accompagnata da un costante pianto di bambino. Non me n'ero accorta prima a causa delle urla di Jonathan, ma adesso il pianto era perfettamente udibile. Proveniva dal basso.
Mi accovacciai a terra, scostando il lungo lenzuolo e rivelando un bambino accucciato sotto il lettino di mio fratello. Era piccolo, assomigliava o a un bambino molto alto di due anni o a uno molto piccolo di tre, con la pelle chiara e i capelli biondo oro come quelli di Jace. Mi guardò, rivelando due occhi neri come l'Ossidiana, proprio come quelli di Jonathan, ma molto più espressivi. Erano intrisi di dolore, preoccupazione e paura. Per un attimo pensai quasi che fosse figlio di mio fratello. Insomma, Jonathan aveva ventun'anni**, poteva benissimo aver avuto un figlio. Ma poi ricordai che era stato prigioniero di Melchizedeck per due anni, e prima aveva costantemente assecondato i desideri di Valentine, e non credo che quest'ultimo gli lasciasse il tempo di spassarsela con qualche Cacciatrice, no? Tanto più che tutti lo credevano morto…e Jonathan non era il tipo da andare con una Mondana, dopotutto. Quindi, quest'ipotesi era da scartare. 
– Ehi, piccolino, come sei arrivato qui? – Chiesi gentilmente, tendendo una mano verso di lui, che si ritrasse, spaventato.
– Piccolo, ascolta, non voglio farti del male. – Mormorai, cercando di portarlo fuori da lì. Il bambino piangeva, terrorizzato. 
– Come ta? – Chiese infine. – Chi? – Chiesi.
Alzò la testa, guardando la rete metallica del materasso su cui giaceva Jonathan. – Ah, mio fratello. Guarirà. – Risposi, sorridendogli.
– 'Uo flatello? – Chiese, sgranando gli occhi. – Si, Jonathan è mio fratello. – Sospirai. Ormai non c'era altro da fare se non accettare la verità. Appena conclusi di dire quelle parole, il bambino gattonò verso di me, più sereno. Si aggrappò alla mia camicia - o meglio, alla camicia di Jace - e poggiò la testolina bionda sul mio petto.
– Da dove arrivi, piccoletto? – Chiesi. Lui mi guardò, confuso. Ma certo! Non capiva quello che dicevo! Come avevo fatto a non pensarci prima… se aveva davvero poco più di due anni, di certo non comprendeva ancora tutte le parole!
– Dove eri prima? – Chiesi, svanendo bene le parole.
Il bambino ricominciò a tremare. – Ok, ok, non fa niente, piccolo, non fa niente. – sussurrai. – Come ti chiami? – Aggiunsi, curiosa.
– Ian. –
– Bene, Ian. Che ne dici di mangiare qual… di mangiare? –
Ian annuì, sorridendomi. – Mamma! – Chiamai, mentre la testa rossa e riccia di mia madre spuntava dalla porta. – Sì? –
– Porta qualcosa da mangiare per Ian. –
– Ian? Chi è? –
Le indicai il bambino che avevo in braccio. – Era con Isabelle e Jonathan, credo. –
– Credi? E se fosse una spia di Melchizedeck? –
– Andiamo mamma, è un bambino! Forza, portagli qualcosa da mangiare. – Ripetei. Un urlo più forte di Jonathan la fece sussultare, ma si richiuse la porta alle spalle, probabilmente diretta alle cucine. – Pecchè bioddo ta male? – Ci misi qualche attimo a capire quella frase, e poi mi accorsi che effettivamente non sapevo se Ian conoscesse o no il nome di Jonathan. D'altronde, ne aveva talmente tanti…. beh, non quanto Jace, questo è certo… mmh, certo, meglio una duplice identità che una sfilza di cognomi, no?! Comunque, Ian deve aver detto qualcosa come "Perché biondo sta male?" E quindi "Perché il biondo sta male?" Il biondo, cioè Jonathan. Non c'era nessuno più biondo di Jonathan.
Poggiai Ian sulla sedia su cui prima ero seduta, e ricominciai a dedicarmi a Jonathan. – Adesso ti prego, Ian, fa silenzio. – Sussurrai, ma non ce n'era poi tutto questo bisogno, visto che il bambino era muto come un pesce.
Chiusi gli occhi : eccola lì, nella mia mente, la Runa della Interna Trasparenza, abbreviata in R. I. T. 
La tracciai su Jonathan, e in un attimo la sua pelle svanì, anche se era solo un'illusione, lasciando posto a strati di muscoli, vene e ossa. Vedevo il veleno : le mie Rune lo stavano espellendo, certo, ma non avrebbero fatto in fretta, il veleno avrebbe raggiunto il cuore se non riuscivo a rimediare.
Sarebbe morto nel giro di poche ore, se non avessi trovato una soluzione. Mi portai le mani ai capelli, disperata, tirandoli con un'aria da folle, mentre la R. I. T svaniva e mia madre entrava nella stanza, preoccupandosi a causa del mio stato terrificato. 
– Mamma, porta Ian nella tua stanza, fa qualcosa, tienilo occupato. Io devo trovare una cosa. – Sussurrai, uscendo di corsa fuori dalla stanza. Per raggiungere la biblioteca provocai un fracasso infernale, facendo cadere armature antiche e quadri dalle pareti. Aprì la porta della grande stanza come se avessi il diavolo alle  calcagna, e mi precipitai verso la sezione medica. Scorsi velocemente i titoli dei manoscritti, ma nulla, parlavano solo di veleni minori e i loro antidoti, e non era, purtroppo, il caso di Jonathan, o la mia Runa avrebbe già espulso le sostanze nocive. Dovevo capire esattamente cosa, o meglio, quale veleno gli aveva provocato quegli spasmi. Scattai via, lontano dai tomi medicinali e afferrai la lista di tutti i libri presenti sugli scaffali. Arte e cultura, botanica, medicina, romanzi classici, lingue straniere… Niente, non potevo capire cosa scegliere soltanto dai titoli delle sezioni.
Mi avvicinai alla scrivania che un tempo era stata di Hodge, e che adesso apparteneva a Maryse. La osservai per bene, la tastai dovunque, e alla fine mi accorsi che c'era un cassetto che non si apriva. Estrassi lo stilo, tracciando una Runa D'Apertura. Niente, quel cassetto era stato sigillato per non essere mai più aperto.
Entrai in panico : non avevo nessuna Runa in mente, nemmeno un semplice intreccio di linee che mi permettesse di sbloccare la serratura di quel maledetto cassetto. Lo tirai con tutte le mie forze ma quello, com'era prevedibile, rimase al suo posto, senza smuoversi di un centimetro.
Poi venne il colpo di genio. La Runa Esplosiva! Era una Runa inventata da poco, che faceva scoppiare la superficie su cui era incisa. Però così rischiavo di distruggere il contenuto del cassetto… e se… se non avessi utilizzato nessuna Runa?
Strinsi forte lo stilo in mano, e tracciai il bordo della serratura del cassetto che, a contatto con il calore sprigionato dalla punta dello stilo, iniziò a fondersi. Staccai lo stilo dal metallo, che divenne secco nel giro di pochi secondi, e poi diedi un colpetto col dito all'ammasso informe di metallo che una volta era la serratura, e che cadde a terra con un piccolo tonfo. Tirai la maniglia del cassetto che, con mia somma gioia, sì aprì, rivelando cinque o sei libri dall'aria molto antica. Su ogni libro era marchiato il simbolo del Conclave, le quattro C intrecciate, e sotto le parole "Libri Proibiti" e l'anno in cui erano stati rinchiusi dentro il cassetto. 
Diedi una scorsa veloce ai titoli : "Evocazioni maggiori di demoni arcaici", "L'arte dei veleni - quando un antidoto diventa letale", "Ciò che successe davvero il giorno della Grande Guerra", "La vera storia della Rivolta", "Guida all'iniziazione nel Circolo di Raziel". Per poco non mi caddero dalle mani. Gli ultimi due erano firmati Valentine L. Morgenstern.
Socchiusi gli occhi : dovevo rimettere a posto il cassetto, e in fretta. Se qualcuno scopriva che avevo trovato lì un libro - forse - in grado di curare Jonathan, Robert Lightwood non avrebbe esitato a condannare sia me che lui. Sapevo quanto odiava mio fratello, e se ne avesse avuto l'opportunità avrebbe eliminato anche me, ne ero certa. 
Strinsi i volumi al petto, ritornando di corsa in infermeria. Mia madre e Ian erano scomparsi, probabilmente rintanati in una stanza a giocare o a fare chissà cos'altro, e Jonathan urlava in preda al delirio. Mentre mi avvicinavo al letto la sua schiena s'inarcò violentemente, percorsa da forti tremiti. Spalancò la bocca, urlando come mai avevo sentito fare. Un urlo che mi ghiacciò il sangue nelle vene, mentre i capelli mi si rizzavano in testa alla vista del sangue che mio fratello stava sputando dalla bocca. Per un attimo spalancò di nuovo gli occhi spiritati, fissandomi ma senza vedermi davvero.
– Aiuto… – sussurrò infine, agonizzante, prima di ricadere sul letto.
– Sssh, Jonathan, ti prego. –
– Cla… Cla-clarissa? – 
– Sì, sono io. Sto cercando un modo per espellere il veleno. Sai dirmi cosa ti ha iniettato? – Chiesi, ringraziando Raziel per quel colpo di fortuna. Lui poteva dirmi cosa gli avevano fatto!
– S… sa-sang-sangue… – sussurrò Jonathan.
– Di cosa? – Chiesi, avvicinandomi.
– A-an…an…–
– An cosa?–
– An-ange-ange… Angelico. Sangue angelico. – Mormorò infine, perdendo i sensi.
Sangue angelico! Cristo, come ho fatto a non pensarci prima? Se Jonathan è un mezzo-demone, il sangue angelico di certo non lo fa stare bene, perché entra in circolo assieme a quello demoniaco e l'uno o l'altro lottano per prevalere.
Dovevo trovare il modo di eliminarlo dal suo organismo, e in fretta anche, avevo a malapena tre ore prima che il sangue angelico raggiungesse il cuore, che pompava sangue demoniaco. Nello scontro, il cuore si sarebbe fermato, e Jonathan sarebbe morto.
La porta dell'infermeria si spalancò, e Jace entrò di corsa.
– I Nascosti ci attaccano! Cercano di far crollare le difese che ha eretto Magnus intorno all'Istituto! – 
Caddi a terra, tirandomi i capelli mentre mi prendevo la testa fra le mani e le lacrime iniziavano a rigarmi le guance. Siamo nella merda. Navighiamo nella merda.
Urlai, e ancora oggi non saprei dire se per paura o per rabbia o chissà cos'altro. Semplicemente urlai, fino a  quando la voce non divenne roca e faceva male anche solo pensare di continuare a strillare, fino a quando sentii la mia gola quasi sanguinare, fino quando non mi resi conto che eravamo praticamente bloccati, i Nascosti ci avevano tagliato tutte le vie di fuga.
– Voi uscite, combattete. Io devo trovare il modo di salvare Jonathan e vedere come sta Isabelle. – Sussurrai infine, mentre mi accorgevo che, nella foga, mi ero strappata alcuni sottili capelli rossi.
 
Angolo Autrice:
* = Cit. Jonathan C. Morgenstern, Shadowhunter.
Salve!
Inizio col dire che sono certa che molti di voi si aspettassero un capitolo molto diverso, non è vero?
Già solo lo spoiler del capitolo scorso vi aveva mandati del tutto fuori pista, giusto? Qualcuno di voi ha pensato che Valentine risorgesse magicamente? Andiamo, ditemelo nelle recensioni, sono curiosa di capire cosa vi passa per la testa!
Devo confessare che questa è la storia che, al momento, mi prende di più. Ho un'ispirazione pazzesca da settimane, e intendo sfruttarla. Mi sono portata abbastanza avanti con la stesura dei capitoli, quindi potete star tranquilli.
Inoltre, so che molti autori - in pratica tutti… - scrivono una storia buttando giù una scaletta, o comunque avendo bene in mente gli avvenimenti o quantomeno il finale. Be', io no. Quando ho incominciato a scrivere questa storia non avevo idea di come si sarebbe evoluta ma, signori e signore - LOL - , qualche settimana fa è arrivata l'illuminazione. So come continuare la storia, e so anche come finirla, e so perfino come inizierà e continuerà per un po' il sequel, anche se mi manca il finale, ma dopotutto è già un bel passo avanti. Quindi, ricapitolando, c'è la prima storia o quantomeno parte di essa più la trama, c'è l'inizio e lo svolgimento della seconda e c'è la trama in generale della terza, e l'idea per il primo spinn-off. Volete qualche spoiler? Be', prima leggete quelli del prossimo capitolo, non vi pare? XD :
Componenti sanguigne - 60% sangue umano, 20% sangue angelico, 20% sangue demoniaco.
[…]
– Se davvero hai realizzato tutto quello che hai detto di aver realizzato, se davvero dentro di te provi anche solo un po' di bene per me, anche solo un poco, allora risparmiami di guardare gli occhi carichi d'odio di tutti e uccidimi tu, piuttosto che lasciarlo fare a uno sconosciuto del Conclave. –
[…]
– Si è svegliato? –

A chi si riferirà mai la diagnosi? Andiamo, non è troppo difficile.
E quel pezzo di dialogo? Insomma, quello è facilissimo!
E… quel "si è svegliato?" chi l'ha detto? Isabelle? Clary? Jace?
Venghino, signori, venghino, il botteghino è aperto per le scommesse!
Ma ritornando all'altro argomento, gli spoiler dei sequel e degli spinn-off, posso darvi qualche, diciamo, "direttiva" che spero apprezzerete.
Chi non vuole leggere gli spoiler - tanto che sono criptici non si capisce nulla o quasi, quindi non vedo dove sia il problema [ anche perché sono certa che vogliate saperli tutti voi ], tanto non capirete nulla comunque - può saltare questo pezzo e uscire dalla pagina, tanto a parte gli spoiler non c'è nulla di importante, tralasciando l'informazione che pubblicherò il nuovo capitolo sabato prossimo.
Alcune notizie già le sapete, altre no, comunque io le annoto tutte qui sotto :
  • Le storie sono tre, questa, il sequel, e il sequel del sequel.
  • Ci saranno vari spinn-off.
  • Il primo spinn-off parlerà della prigionia di Ian nelle celle di Melchizedeck e delle torture che il bambino subisce lì dentro, niente di troppo leggero insomma, ma nemmeno sadico come i capitoli della Clare, perché dopotutto Ian si salva!
  • Questa storia, - Città di marmo -, tradotta in inglese è Shadowhunters - City of Marble, abbreviata in COM, quindi da adesso mi riferirò ad essa con questa sigla. Questo non è uno spoiler, più un avviso, in effetti… :)
  • Il nome Città di Marmo verrà cambiato la settimana prossima in City of Marble, che significa esattamente la stessa cosa ma, dato che il titolo della seconda storia è in inglese, mi sembra più corretto tradurre anche il primo, quindi non preoccupatevi se vedrete il titolo cambiato, la storia è la stessa anche con il nome Shadowhunters - City of Marble, e il titolo significa la stessa cosa.
  • Ora che ho stuzzicato la vostra curiosità, mi sembra giusto dirvi il titolo della prossima storia. La sigla è COL, che sta per City of Lies, che significa letteralmente Città di Menzogne. Non è in inglese per un motivo importante, ma semplicemente perché City of Lies suona meglio di Città di Menzogne, a mio parere. Quindi, il secondo titolo sarà Shadowhunters - City of Lies -  in breve COL - .
  • A breve entrerà in scena un nuovo personaggio.
  • In COL ci saranno parecchi nuovi personaggi, posso anticiparvi che i più importanti saranno due maschi e una femmina, uno moro e due biondi, e forse una rossa, se aggiungerò un'altra ragazza.
  • Il titolo provvisorio della terza storia, mooooolto provvisorio quindi aspettatevi che verrà cambiato in continuazione da adesso fino alla sua pubblicazione qui su EFP, corrisponde alla sigla COT. Fate un po' voi, e ditemi cosa pensate che significhi…. City of…?  Sappiate solo che il titolo è in inglese, di conseguenza anche la sigla lo è.
  • Nei prossimi capitoli ci sarà molta, molta azione. Vedremo la morte di un personaggio che so sta a cuore a molte/i, e mi farò odiare per la sua morte, ma che ci volete fare, dopotutto meglio un solo morto che tanti, no…? Ok, cancellate questa frase dal vostro cervello, perché non morirà soltanto lui - sì, è maschio - anche perché ci sarà una vera e propria strage.
  • Il numero dei morti non è proporzionato a quello dei vivi - muahahahhahahah! Immaginatela in stile "risata alla Valentine Morgenstern" - ma posso dirvi che un personaggio che adoro - Marty, sai chi è - ritornerà, e collaborerà con dei (molto, molto, molto) reticenti ragazzi dell'Istituto. Il personaggio in questione è un maschio, e posso dirvi che probabilmente sarà il POV più difficile che ho scritto fin ora.
  • Non so cos'altro scrivere, ma quest'elenco è diventato una lista, e non c'è lista che si rispetti che non ha almeno… *Dubhe tira le somme* … dodici punti, ecco.
Non ho null'altro da dire, credo, anche perché ho spoilerato già troppo, quindi… ci vediamo sabato prossimo!
Xoxo,
Dubhe01.


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Capitolo 12
*** XII - Il tuo sangue è il mio sangue, le tue ossa sono le mie ossa ***


Disclaimer : i personaggi di questa storia - tranne gli OC da me inventati, ovvio - non mi appartengono, ma appartengono a Cassandra Clare, così come i luoghi e tutto il resto, anche perché se mi appartenessero, Simon sarebbe morto affogato su quella nave in COA (City Of Ashes = Città di Cenere, per chi non lo sa, anche se mi sembra improbabile). ©
                       
               

                 XII - Il tuo sangue è il mio sangue, le tue ossa sono le mie ossa*

 

POV CLARISSA

Smisi per un attimo di sfogliare le pagine del volume, guardando fuori dalla finestra che dava sul cortile. Magnus e i pochi stregoni dalla nostra parte continuavano a rafforzare le difese, ma sembravano stremati, e gli Shadowhunters dell'Istituto erano disposti lungo il perimetro dell'edificio in caso di attacco. Il Conclave non aveva mandato rinforzi, bollava il tutto come una semplice rivolta dei Nascosti nella Grande Mela e ci lasciava a salvarci le penne da soli. Pochi erano i Cacciatori che erano accorsi al nostro appello, circa cinque o sei, ed in tutto eravamo meno di trenta, contando anche gli stregoni, contro un esercito di più di mille Nascosti vari, senza aggiungere Ibridi e Demoni che saranno di sicuro arrivati a frotte per un'occasione come questa. Li immagino, dopotutto quale Nascosto non vorrebbe trovare il modo di spodestare i Cacciatori di New York, che negli ultimi tempi detenevano il potere e poi, più avanti, radere al suolo Idris stessa? Un lamento soffocato mi fece voltare di nuovo verso Jonathan, che strizzava gli occhi, probabilmente preda di un incubo. Sospirai, passandomi le mani tra i capelli aggrovigliati rassomiglianti a una balla di fieno rosso. Non sapevo cosa pensare, ricordavo bene il paragrafo in merito al sangue angelico scritto sul libro proibito, era come impresso a fuoco nel mio cervello : "Il sangue angelico è letale se iniettato nei demoni: assorbe lentamente il loro sangue demoniaco finendo col dissanguare lo sfortunato demone, mentre contemporaneamente distrugge i tessuti muscolari e le ossa, e tramite l'aorta raggiunge il cuore - o i cuori - che, impregnato del tutto della sostanza, smette di battere e si riduce a poco più che un mucchietto di cenere fumante. Alcuni demoni posseggono due cuori, e in questo caso la loro agonia è più prolungata perché il "veleno" - in questo caso - impiega più tempo a neutralizzare i cuori. È un veleno incurabile, un modo davvero troppo doloroso anche per uccidere i demoni rispetto ad una decapitazione netta con una spada angelica." Non sapevo cosa fare. Secondo il libro Jonathan era spacciato, completamente spacciato. Probabilmente una cura poteva essere inventata, ma nessuno aveva sprecato più di tanto tempo su una sciocchezza futile come quella perché in effetti nessun Cacciatore aveva l'interesse di salvare un demone e Jonathan era il primo incrocio tra demoni e Cacciatori esistente. Leccai con la lingua il mio labbro martoriato che bruciava come non mai, a causa di tutte le volte in cui l'avevo morso a sangue in quelle poche ore per la paura che non riuscissi a curare quello che era diventato a tutti gli effetti mio fratello quando aveva aiutato Izzy a scappare e aveva salvato mia madre dagli Imp, e preoccupazione per tutti gli Shadowhunters - e in special modo per Jace - che combattevano nel cortile. Un rantolo mi fece risvegliare dalla mia trance, ed io mi voltai istintivamente verso Jonathan, ma non era lui ad essersi lamentato. Era Isabelle. Corsi verso di lei, preoccupata, proprio mentre apriva gli occhi scuri.
– Clary… – sussurrò.
– Sono qui, Izzy, sono qui. 
– Come sta…
– Come sta chi? Tua madre? Oh, lei sta bene, è felicissima che tu sia qui sana e salva ma in questo momento è in cortile a difend…
– Non lei, Clary. Come sta Ombra?
– Ombra? – Chiesi, confusa. Non conoscevo nessun Ombra.
– Ombra, Sebastian, Jonathan… chiamalo come vuoi… come sta? – Sospirai, lasciandomi cadere sulla sedia accanto al lettino di Izzy.
– Non bene. Mi stupisco di come abbia fatto a combattere, ieri, con tutto quel sangue angelico in circolo… –
– Ma guarirà, vero? – Chiese, con una nota di panico nella voce.
Non risposi, e cercai di cambiare velocemente il discorso : – Allora, Izzy, ti ho visitato insieme a mia madre e ci siamo accorte che nel tuo corpo ieri erano presenti forti tracce di sangue angelico e demoniaco, che oggi non ci sono più. Melchizedeck ti torturava con quelle? – Mi accorsi della mia indelicatezza quando lei artigliò le coperte, ritraendosi e ottenendo il solo risultato di sbattere con la testa contro l'abat-jour sul comodino.
– Non ti ho chiesto di questo… – rantolò, evidentemente terrorizzata – ti ho chiesto come sta Ombra. – Osservai ancora una volta le sue mani scheletriche aggrappate alla coperta e presi un profondo respiro:
– Mi dispiace, Izzy, ma devo farlo – e le incisi sulla spalla una Runa Sonnifera. Isabelle si addormentò istantaneamente, chiudendo le palpebre ed emettendo un lungo sospiro rilassato. In quel momento Ian entrò nella stanza, correndomi incontro.
– Come 'tta 'uo flatello? – Tradotto per noi comuni persone già perfettamente in grado di parlare, come sta tuo fratello?
– Così e così… ha una malattia che fa soffrire soltanto lui, anche se a tutti noi non farebbe nulla. – Non era poi così lontano dalla verità, no?
– Ma tu sei 'ua solella… siete legati. Devi sapel fale quaccosa. – Non aggiunse altro, trotterellando fuori dalla stanza. Perfino un bambino mi rimprovera. È vero, sono sua sorella, condividiamo quasi tutto, stesso sangue - o quasi -, stesse ossa, stesso DNA e stessi parenti. Siamo legati da tutte queste cose. Se solo potessi trasferire a me parte del sangue angelico, sarebbe tutto risolto. A me il sangue angelico non fa nulla, è quello demoniaco che devo temere, no? Però… però potrei farlo. Cioè, io invento Rune, dev'esserci pure un simbolo da creare per legarci e farci condividere tutto, anche il sangue, in modo che il suo veleno divenisse la mia forza. "Tu non puoi far entrare in circolo nelle tue vene del sangue demoniaco. Sarebbe letale come il sangue angelico lo è per Jonathan", mi ricordò una fastidiosa vocina interiore. Un dubbio mi colse, e uscì a grandi passi dall'infermeria. Scesi diverse rampe di scale, mentre travolgevo armature, quadri e arazzi al mio passaggio. Arrivata all'ultimo livello sotterraneo, aprì la porta della cantina. Era una stanza non particolarmente grande, con le pareti e il pavimento di pietra e pochi arredi spartani, cioè una piccola credenza con dentro alambicchi e provette varie ricolme di strani liquidi, qualche arma appesa al muro e un rozzo tavolo nel centro della stanza ricoperto di strane attrezzature. Mi avvicinai al tavolo, osservando i vari oggetti gettati un po' alla rinfusa su di esso : una bilancia d'ottone, un portaspezie, alcune provette di cristallo e delle spade angeliche non funzionanti, assieme a tante altre cianfrusaglie di cui non conoscevo l'utilizzo. Presi in mano una scatola di cartone, sgombrando con il braccio libero parte del tavolo e estraendo dal contenitore un piccolo apparecchio argenteo. Da un lato aveva un ago, dall'altro una specie di schermo e un pulsante rosso per l'accensione. Lo premetti, e portai il dito indice vicino all'ago, pungendomi e lasciando che il sangue sporcasse la punta del metallo. Immediatamente sullo scanner apparvero le principali informazioni su di me, come i miei genitori biologici e altre cose. Jace mi aveva mostrato quell'esperimento, un giorno in cui mi aveva fatto fare il giro completo dell'Istituto. Lessi avidamente le righe apparse sul piccolo schermo, una sotto l'altra.
Padre biologico - Valentine L. Morgenstern.
Madre biologica - Jocelyn E. Fairchild in Morgenstern.
Fratelli/sorelle biologiche - Jonathan C. Morgenstern.
Componenti sanguigne - 60% sangue umano - ereditato da parte di madre e padre, attivo da sempre, gruppo 0 negativo;
20% sangue angelico - ereditato da parte di madre - attivo dal sedicesimo compleanno;
20% sangue demoniaco - ereditato da parte di madre - attivo da due giorni.

Trattenni il respiro, avevo ragione. Parte del sangue demoniaco che Valentine aveva dato a mia madre si era conservato nel suo corpo, e solo una parte di esso era andata a Jonathan, mentre quella restante era andata a me due anni più tardi, assieme al sangue angelico che assumeva regolarmente mia madre. Lanciai di nuovo lo strano aggeggio nella scatola, risalendo di corsa tutte le scale e entrando come un'indemoniata in infermeria. Mi fermai accanto al letto di Jonathan, ansimante non tanto per la corsa quanto per la notizia, e mi fermai a osservarlo. Non avevo mai pensato che potessimo condividere davvero tutte quelle componenti genetiche, DNA e sangue di esseri soprannaturali compresi nel pacchetto. Ma allora come poteva essere che il sangue angelico e quello demoniaco convivessero in me senza farsi la guerra? Giunsi ad una sola conclusione, e cioè che dopo aver cercato di prevalere l'uno sull'altro per diciotto anni della mia vita avevano accettato di coesistere nello stesso corpo. Adesso ero quasi sicura che anche dopo quello che volevo fare sarei stata incolume e non avrei subito effetti negativi. O almeno credevo. Presi un respiro profondo, fermandomi un attimo a riflettere. Era davvero quello che volevo? Anche se così fosse stato, avevo pochissimo tempo per compiere una missione impossibile! Tracciai di nuovo la Runa che mi avrebbe permesso di vedere sotto la sua pelle, e mi bloccai, scioccata. Quel che vedevo non era possibile, no, per niente. Nel petto, accanto al cuore sinistro di Jonathan, c'era un altro organo, del tutto identico al suo cuore. Ne aveva due. Due cuori. Oh, Raziel… Cosa diavolo significava? Ogni cosa che scoprivo su di lui mi faceva rimanere sempre più perplessa! Ogni risposta che avevo, svelava almeno un'altra decina di domande. Una sola cosa era chiara, però, e cioè che adesso sapevo come aveva fatto Melchizedeck a salvarlo dalla ferita al cuore che gli aveva inflitto Jace. Se un cuore era danneggiato, l'altro provvedeva a pompare il sangue per il corpo, mentre quello sinistro guariva. Raziel… Mi accorsi anche di qualcos'altro, però, che m'inquietava molto di più. Il sangue angelico stava per arrivare al primo cuore, era questione ore, se non appena mezz'ora. Presi la mia decisione istintivamente e scattai, afferrando lo stilo dal comodino. Chiusi gli occhi, cercando di concentrarmi, ma nulla, nessuna Runa compariva nella mia mente. Ti prego, Raziel, ti prego. Se non per lui, fallo per me. Ma Raziel non mi rispondeva, così sospirai e pregai tutti gli angeli che conoscevo. Una figura a me tristemente nota apparve accanto al lettino. Un angelo in miniatura, un angelo senza ali.
–Ithuriel… tu… tu eri morto. – Sussurrai infine.
– Gli angeli non muoiono, Clarissa Morgenstern. Sono qui per aiutarti. –
– Perché? Perché tu? Perché, dopo tutto quello che ti ha fatto Valentine? Perché vuoi aiutare Jonathan dopo che si è macchiato della colpa dell'omicidio e dell'infanticidio? –
– Perché Jonathan non ha colpe, anche se gli altri angeli non mi appoggiano. È stato istruito in un certo modo, abituato ad eseguire gli ordini e niente più. È innocente, non ha scelto lui di venire contaminato dal sangue demoniaco. – Rispose, avvicinandosi a me. Poggiò la sua fredda mano bianca sulla mia fronte, ed io immediatamente chiusi gli occhi. Una Runa si impresse a fuoco nella mia mente, una Runa diversa, che non era nera come quelle della battaglia o rossa come quelle del lutto. No, era color argento, composta da un esagono in cui era tracciata una stella*.
– Che… che cos'è? – Chiesi, anche se forse sapevo già la risposta. Aprii gli occhi, ma Ithuriel non c'era più. Una voce, però, rimbombò nella mia mente. È la runa Morgenstern, Clarissa. Sbarrai gli occhi, mentre Jonathan si dibatteva preda di forti convulsioni che lo fecero gemere più e più volte. Non ci pensai due volte, agii con l'istinto dimenticandomi la razionalità e iniziai a tracciare la runa sul lato destro del mio petto. Quando staccai lo stilo dalla pelle non persi tempo ad ammirare quell'intrico di linee che non erano altro che il simbolo dei Morgenstern, e incominciai a tracciare la Runa anche sul petto nudo di Jonathan. Man mano che disegnavo sulla sua pelle, sentivo una sensazione di benessere invadermi, segno che il sangue angelico si trasferiva da me a lui. Quando tracciai anche l'ultima linea, Jonathan smise di dimenarsi e i suoi lineamenti si distesero in pochi minuti, mentre sentivo quella sensazione di benessere che mi aveva invaso scemare per diventare sempre più dolorosa. Mi ritrovai rannicchiata a terra, con le braccia strette attorno al cestino della spazzatura in cui avevo vomitato. Ma non la cena o altro, no, avevo vomitato sangue dorato. Evidentemente il mio corpo non accettava più sangue angelico di quello che era già presente in lui. Mi passai una mano sulla fronte, detergendomi il sudore, e mi rialzai in piedi, barcollante. Gli occhi neri di Jonathan si aprirono.
– Clarissa. – Sussurrò con voce roca.
– Sono qui.
– Perché mi hai salvato?
– Sei mio fratello.
– Non hai festeggiato quando credevi che fossi morto?
– Ho festeggiato per la morte di Valentine, come tutti gli altri, non per la tua. Tu, come me, sei soltanto un'altra vittima della sua follia.
– Il prezzo da pagare per me, però, è stato più alto. Cosa hai fatto? Come mi hai salvato? Non posso essere vivo. Il sangue angelico mi stava distruggendo. – Osservò, cercando di sedersi nel letto ma ricadendo mollemente sul materasso, debole.
– Ho passato a me il sangue che ti stava uccidendo. Io ho molto più sangue d'angelo in circolo del normale, non mi ha ucciso. Be', mi ha fatto vomitare, ma niente di grave. –
– Mi uccideranno. Se tu non lo hai fatto, lo faranno i Lightwood, o il Conclave. Dovevi lasciarmi morire. – Sussurrò, esausto. Sentivo dentro di me un grande vuoto, come se non provassi nessuna emozione, semplicemente ero un guscio vuoto che non conteneva nulla, tranne una pacata rassegnazione e il desiderio di rendere tutto uguale a com'era dentro di me : vuoto, distrutto, nullo. Volevo bruciare la terra e vedere i suoi abitanti morire e far capire ai pochi eletti sopravvissuti cosa significava essere dei contenitori inutili e disprezzati. Con un sussulto, mi resi conto che ero dentro Jonathan. Sentivo i suoi sentimenti, o meglio, il suo nulla. Con un profondo respiro ripresi il controllo di me stessa, ricominciando a provare emozioni. Mi rilassai, cercando di simulare una sensazione di benessere che stonava in quel contesto drammatico. Se io sentivo lui, era ovvio che anche lui potesse sentire me, probabilmente, anzi, sicuramente grazie alla Runa. Lo vidi rilassarsi impercettibilmente e gli sorrisi, più tranquilla. Spalancò gli occhi : – Sei tu? Sei tu che mi fai provare queste cose? –Chiese.
– Sì. Sono le mie emozioni. – Risposi, sedendomi sul bordo del letto.
– Continua. – Sussurrò, chiudendo gli occhi e assumendo un'espressione beata mentre cercavo di provare tranquillità. Curiosa, cercai di capire esattamente cosa stesse provando lui. Sentiva la mia tranquillità, ma in modo strano, era come se ci si crogiolasse all'interno, assaporando le nuove sensazioni. Scavai più a fondo e mi accorsi che non era esattamente giusto, quel che pensavo. Non riconosceva la tranquillità, forse perché non era abituato a sentirla, semplicemente sentiva che il vuoto stava sparendo, anzi, si stava riempiendo, e la cosa lo appagava come una droga. – Non so quanto la Runa ci abbia legati, ma suppongo che equivalga più o meno a una Runa parabatai più potenziata. – Sussurrai, esitante.
– Posso… posso fare una cosa? – Chiesi, sporgendomi verso di lui, che rimase perfettamente immobile, come in attesa. Poggiai la testa sul suo petto, a sinistra, e chiusi gli occhi, ascoltando la melodia del suo cuore che batteva. Tu tum. Tu tum. Tu tum.
– Cosa stai facendo?
– Ho… finalmente realizzato… che sei… reale. Non sei più il principe oscuro che disegnavo, né l'angelo dalle ali nere che sognavo. Sei mio fratello, e qualunque cosa tu abbia fatto prima di questo istante, non ha importanza, perché sei mio fratello. Il tuo sangue è il mio sangue, le tue ossa sono le mie ossa. Non sei più il figlio cattivo di Valentine, ma non sei nemmeno il fratello malvagio di Clarissa. Sei Jonathan Cristopher Morgenstern, un essere umano con un cuore che batte e un cervello pensante, sei in grado di compiere delle scelte senza dipendere da nessuno, e sono sicura che adesso saprai anche scegliere la cosa giusta. Il tuo corpo, le mie emozioni, il nostro DNA. Non siamo i figli del cattivo di turno o due fratelli completamente opposti, ma nemmeno il bene e il male. Non siamo lo ying e lo yang, perché adesso in te c'è del bene come in me c'è del male. Siamo semplicemente due facce della stessa medaglia, uguali eppure diversi. Adesso sei mio fratello, adesso sei vero per me. Prima eri solo un'immagine nel mio cervello, adesso sei fatto di carne, ossa e muscoli e sangue. – Conclusi il mio monologo richiudendo gli occhi.
Tu tum. Tu tum. Tu tum.
Jonathan, inaspettatamente, rise. – Hai ragione, Clarissa, io sono reale. Sono reale come lo sei tu, ma soltanto per te. Per te solo sono Jonathan Morgenstern, per i Lightwood, per il Conclave, per Jocelyn, io sono un assassino, l'assassino di Max Lightwood, il figlio mostruoso di Valentine, un dannato. Sono senza speranza, e lo sei anche tu. Se davvero hai realizzato tutto quello che hai detto di aver realizzato, se davvero dentro di te provi anche solo un po' di bene per me, anche solo un poco, allora risparmiami di guardare gli occhi carichi d'odio di tutti e uccidimi tu, piuttosto che lasciarlo fare a uno sconosciuto del Conclave. – Fece una pausa, chiudendo gli occhi.
– Forse ho sbagliato a baciarti, anni fa, forse è stato un modo sbagliato di dimostrarti quello che provavo. Ma devo dirtelo, Clary, devo dirtelo prima di morire. Sei stata la prima ad aver riempito il vuoto dentro di me. Hai occupato per anni il centro dei miei pensieri, e quando ti ho vista per davvero ho sentito qualcosa muoversi dentro di me. Forse non l'amore che tutti tanto decantano, forse un semplice amore fraterno o un po' di curiosità, ma mi hai fatto sentire qualcosa. Hai riempito i miei pensieri e colmato per qualche attimo fuggevole il vuoto dentro di me e… e niente. Volevo soltanto che lo sapessi. –
– Uccidimi. – Sussurrò.
Scossi la testa.
– No, voglio farti un regalo, un dono. – Chiusi gli occhi e pensai a Max, a Isabelle, a Simon, trasmettendogli le mie emozioni.
– Ecco, questo è affetto fraterno, Jonathan. –
E poi pensai a Jace, al suo sorriso, alla sua aria spaccona e sicura di sé e al suo carattere deciso.
– E questo è amore. –
Fissò i suoi occhi neri nei miei : – Non m'interessa qual'è l'amore e quale l'affetto, Clarissa, non m'interessa, non quando la mia stessa famiglia mi considera un abominio. –
– Io non ti considero un abominio. –
– E mio padre? Jocelyn? Uccidimi, Clary. –
– Mia madre, tua madre, nostra madre, non ti odia. È stata lei a chiamarmi, sai? Io non sapevo che stavi morendo, mi ha svegliato nel cuore della notte e mi ha trascinato qui. – Spiegai, mentre le porte dell'infermeria si aprivano, facendo entrare un ridente Ian.
– Hey, piccolo! – Lui non mi guardò neanche per sbaglio, fissando Jonathan.
– Sei svellio! – Esclamò, cercando di salire sul letto. Stavo quasi per aiutarlo, quando chiuse gli occhi e con un piccolo gemito due ali piumate di nero gli spuntarono sulla schiena, e lui svolazzò accanto a Jonathan.
– Cosa diavolo… ? – Chiesi, a metà fra lo stupore e la curiosità.
– Non ne ho idea. Quando l'ho recuperato aveva le ali, ma non ha spiegato nulla, talmente era terrorizzato che fossi lì per punirlo. –
– Li dove?
– Nelle celle di Melchizedeck.
Trattenni il fiato, orripilata, poi presi un profondo respiro e chiesi : – Ti ha detto qualcos'altro? –
– Mmmh… sì. Pensava che lo volessi uccidere perché era troppo pericoloso da gestire anche per Melchizedeck. – Disse, guardando il bambino. Spostai anche io lo sguardo su Ian, che a sua volta scrutava Jonathan con sguardo apprensivo.
– 'Tai bene? – Chiese, allungando la manina pallida per carezzare il volto del più grande, che s'irrigidì.
– Grazie. – Sussurrò infine, quasi impercettibilmente.
– Cosa? – Chiesi anch'io in un sussurro.
– Una sola volta in tutta la mia vita mi ha accarezzato, e poi ha detto che dovevo dirgli grazie perché soltanto lui carezzava un mostro come me. – Rispose, assorto.
Non ci fu bisogno di specificare chi, entrambi sapevamo a chi si riferiva, purtroppo. Immaginai Valentine che accarezzava Jonathan, poi gli sorrideva dolce tanto quanto falso e gli imponeva di ringraziarlo. Un brivido mi percorse la spina dorsale, come se sentissi le mani di quel bastardo accarezzarmi, ma non era una bella carezza, era… viscida. M'immaginai avvolta dal suo abbraccio, e lui che cercava di convincermi a passare dalla sua parte, ed io che lo facevo e uccidevo Isabelle, Alec, e Magnus, e Jace, Simon in un mare di sangue… un conato di vomito mi fece piegare sulle ginocchia, e arrancai fino al secchiello di prima, vomitando anche l'anima, probabilmente.
– Una semplice frase ti riduce al tappeto? – Sogghignò Jonathan, mentre Ian continuava a sproloquiare, facendo capire soltanto la metà delle parole che diceva. Socchiusi gli occhi, dopotutto era sempre Jonathan Morgenstern.
– No, non la frase, ma ciò che essa comporta. – Feci una pausa – Mi fa schifo immaginare la scena. –
– Vedi, faccio schifo anche a te. Mio padre aveva ragione, era l'unico disposto a tenermi con sé, l'unico disposto ad allevare un abominio. –
– Non è vero! – Urlai, scattando in piedi. – Non sei tu a farmi schifo, è Valentine. È stato lui a dare a nostra madre sangue demoniaco, è stato lui! Lui ti odiava, Jonathan, ti considerava soltanto una macchina da guerra imperfetta, perché non ti rendevi conto qual era il limite da non oltrepassare, ma è stato lui a superare quel limite! È stato lui a far sì che tu dovessi subire tutto questo, lui ti ha frustrato e denigrato e tutto quello che ti ha fatto, non io, e nemmeno nostra madre, Jocelyn è tua madre! – Ripresi fiato, ma ricominciai a parlare quando vidi che cercava di ribattere : – Non è vero che non ti ha voluto, Jonathan. Quando sei nato lei ti amava, è rimasta spaventata da te, ma ti amava! Io e te abbiamo tre anni di differenza, Jonathan, e già quando avevi solo tre anni Valentine ti plasmava, e mia madre, nostra madre, aveva paura di quello che ti stava facendo! Non di te, ma di quello che Valentine ti stava facendo! – Presi un altro respiro. – Forse lui ti ha detto che è scappata senza di te, ma non è vero! Lei progettava la fuga, è vero, ma è scappata soltanto dopo che Valentine le aveva fatto credere di essere morto, e tu con lui! Ha appiccato un incendio alla casa dei Wayland, uccidendo padre e figlio e mettendo vicino alle ossa di Michael Wayland la sua collana! Cosa avrebbe dovuto pensare la mamma, eh? Ovviamente che le ossa di quel bambino erano le tue, perché sapeva che tu eri con lui, e se lui era morto allora anche tu dovevi esserlo! –
Piantai i miei occhi nei suoi, con il fiatone e la voce rauca per il troppo gridare.
– Da allora, ogni anno, il giorno del tuo compleanno, la mamma si chiudeva in camera sua e tirava fuori un cofanetto con le iniziali J.C, con le iniziali del tuo nome, lo apriva e prendeva una ciocca di capelli e piangeva, e poi metteva le dita nel cofanetto e toccava ossessivamente le poche cose che aveva di te, come se avesse avuto paura che sarebbero potute scomparire come eri scomparso tu! –
Una testa ricciuta e rossa fece capolino dalla porta, era mia madre.
– Si è svegliato? – Chiese, e non si capiva se fosse terrorizzata, felice o chissà cos'altro, mentre io prendevo Ian in braccio e uscivo dalla stanza, facendo entrare la mamma.
____________________________________________________________________________________________________________ * = Cit. Jonathan Christopher Morgenstern, Shadowhunters. (Cassandra Clare).


Author's Corner :

Hello! Do you like this chapter? Passando all'italiano, visto che in inglese sono una capra, cosa ne pensate di questo capitolo? Francamente mi sembra di aver reso Jonathan un po' troppo OOC, ma considerando che ha appena percepito un'emozione, sta guarendo da un veleno per lui mortale, non sa neppure lui più cosa credere e così via, e sta anche facendo dei discorsi piuttosto profondi con Clary, penso che sia venuto piuttosto bene, visto che comunque si rifarà nei prossimi capitoli. Dopotutto, lui è pur sempre un Morgenstern! Ahem, parlando d'altro, ho come l'impressione che questa storia, con tutte le cose che voglio inserirci, sarà davvero molto, molto lunga. Poi. Vi garantisco ancora una volta che questa fanfiction, a differenza della precedente long su Shadowhunters che ho scritto, non verrà mai sospesa, e che inoltre, appena avrò finito la stesura dell'ultimo capitolo di questa fanfiction, cioè quando voi la starete ancora leggendo ma io avrò tutti i capitoli già pronti, mi dedicherò al sequel. Sì, c'è un sequel. E c'è anche il sequel del sequel. In pratica, le fanfiction sono tre, una trilogia, più vari spinn-off che verranno pubblicati nel corso di tutte e tre le storie che vi segnalerò. Per il momento posso dirvi che sto lavorando a uno spinn-off, one-shot, parecchio "drammatico", se così si può definire, che tratta dal punto di vista di Ian la sua permanenza nella prigione di Melchizedeck, con annesse torture varie e denigrazioni. Semplicemente, un missing moment che racconta ciò che provava Ian in quel periodo, che verrà pubblicato al più presto. Be', non credo di avere altro da dire, credo. Ah, sì! Lo spoiler :
– Oh, no, non è tutta questa tragedia, dopotutto. Pensa soltanto a quanta gente vuole uccidere il tuo caro fratellino, e pensa se ci riuscisse! Lui morto, tu morta, e io qui come un'idiota. A quel punto cosa dovrò fare? Andare alla Città di Ossa, fermarmi davanti alla tua tomba e dirti "te l'avevo detto"?! –
[…]
– Quell'abominio è già morto, Jocelyn? –
[...]
– Mi vendicherò. –
– Lo vedremo. –

Che ne dite? Andiamo, la prima frase è davvero facile da capire, o almeno si capisce subito chi la dice, è ovvio! Gli altri due spoiler, invece, sono più succosi (?), interessanti? Chi chiede se il mostro è morto? Chi vuole vendetta e chi è sicuro di poterla svicolare facilmente? Sono curiosa di leggere i vostri pareri, quindi sappiate che se recensite non mordo!
Baisers,
-D.

P.S : Finalmente mi sono evoluta, signori e signore! Oltre ad una pagina facebook, adesso sono anche su Wattpad, e ho incominciato a postare questa ff anche lì, dove però mi chiamo LadyMorgenstern01, perché Dubhe01 era un nick troppo corto. Se qualcuno frequenta il sito e vede la storia firmata con un altro nome, NON È PLAGIO, sono sempre io registrata con un altro nome. Per adesso sono molto indietro con i capitoli che posto lì rispetto a EFP, perché pubblico anche lì una volta a settimana per dare il tempo anche ai "lettori ritardatari" - di cui faccio parte anche io - di leggere il capitolo, anche perché c'è gente che non ama leggere due capitoli di fila - a differenza di me che amo leggere storie lunghissime e complete - e preferisce capitoli corti e, visto che i miei non sono esattamente corti, pubblico una volta a settimana anche per dare il tempo alla mia beta Nitrogen di, appunto, betare il capitolo.

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Capitolo 13
*** XIII - La verità fa male ***


Disclaimer : i personaggi di questa storia - tranne gli OC da me inventati, ovvio - non mi appartengono, ma appartengono a Cassandra Clare, così come i luoghi e tutto il resto, anche perché se mi appartenessero, il film sarebbe stato molto più simile a COB (City Of Bones = Città di Ossa, per chi non lo sa, anche se mi sembra improbabile). ©

                                                            XIII - La verità fa male


AN : Un grazie speciale va a Nitrogen, che ha beato il capitolo facendo sì che non dobbiate leggere Orrori grammaticali - con la O maiuscola, e sì, orrori, non errori, come dice la mia prof - o di battitura. E ancora grazie a lei, perché sopporta i miei continui cambi di idee e opinioni come nessun altro farebbe mai e ovviamente anche perché si è imbarcata con me in un progetto che è, tirando le somme, titanico, oltre che lunghissmo! Quindi grazie, Nitrogen! ;)

POV JOCELYN
Presi un grosso respiro, tenendo lo sguardo fisso sul marmo bianco del pavimento.
– Perché sei qui? –
– Sono qui per… per spiegarti. – Rantolai.
– Non voglio ascoltarti. E comunque sei in ritardo di diciotto anni e mezzo. – Rispose, freddo. 
– Credevo fossi morto. – Risposi, scrutando la punta dei miei stivali di cuoio nero.
– Guardami quando ti parlo. – Ordinò, ma non accennai ad alzare lo sguardo. Sentii il fruscio delle coperte che si scostavano e il rumore di passi che rimbombavano nella stanza. Mi prese il mento tra pollice e indice, alzandomi il volto. Il mio sguardo verde incrociò il suo, in cerca di una rassicurazione che non ci fu. I suoi occhi neri mi scrutavano, vuoti come solo lui sapeva essere. Repressi un brivido, ma dovette accorgersene ugualmente, perché si allontanò di scatto, come bruciato.
– Non ho intenzione di mangiarti. – Disse, mentre si sdraiava di nuovo nel letto, coprendosi il petto nudo e ricoperto di rune con le coperte. Su di esso ne spiccava una argentea, ancora fumante, un simbolo che ricordavo benissimo, una stella in un pentagono. Significava solo una cosa, Morgenstern.
– Te l'ha fatta Clary? – Chiesi, indicandola.
– Sì. – Non aggiunse altro.
– Jonathan, io… –
– So già quello che stai per dire. Che non mi hai mai considerato un mostro, che mi vuoi bene, ma guarda. – Afferrò un pugnale poggiato sopra il comodino accanto a lui e, impugnandolo con la mano destra, si tagliò lievemente il palmo della mano sinistra. La girò, facendo gocciolare il sangue. Sangue nero, scuro come l'odio, scuro come l'icore dei demoni. M'irriggidii e lui sorrise, amaro. – Vedi? Tu lo sai che io sono un mostro. – Chiuse la mano a pugno, facendo gocciolare il sangue fuoriuscito dalla ferita in una bacinella, poi afferrò una garza dal comodino e ripulì il taglio. Gli porsi il mio stilo. Accettò senza ringraziare, e tracciò un iratze sulla mano.
– Non sei tu il mostro, ma Valentine. – Ignorai il groppo che mi si stava formando in gola, cercai di scacciare quell'inutile vocina che mi diceva che soltanto qualche giorno prima, in battaglia, avevo desiderato Valentine al mio fianco. Lo amavo? No. Non dopo quello che aveva fatto a me, a Jonathan, a Clary, ai Cacciatori e ai Nascosti. Lo odiavo? No, un amore che in passato era stato così forte non poteva semplicemente affievolirsi con gli anni, nemmeno dopo tutto quello che lui ha fatto. Amo Luke? No. Non lo amo. È il mio migliore amico, è stato il mio punto di appoggio, l'unica persona che mi manteneva ancora appigliata al passato, a Jonathan e a Valentine, era colui che mi aveva confortato nei momenti di bisogno, ma non lo amavo, non come si ama un fidanzato e nemmeno lontanamente quanto ho amato Valentine.
– Lo pensi davvero? – Chiese, inarcando un sopracciglio, scettico.
Sospirai, non aveva senso mentire anche a lui, avevo l'esperienza avuta con Clary a confermarlo. – In parte. Tu non sei un mostro, e di questo ne sono certa, perché non è colpa tua. È colpa di Valentine ma, anche se io vorrei odiarlo… –
– Non ci riesci. – M'interruppe.
– Sì. Mi sento un'ipocrita, ma non riesco a considerarlo un mostro. Dentro la mia mente c'è ancora il ricordo di quel Valentine ancora sano, quello a cui non era ancora morto il padre, quello che aveva semplicemente degli ideali, come moltiplicare i Cacciatori grazie alla Coppa Mortale, ma senza sterminare nessuno. Amavo quel Valentine, anche se è morto molto tempo fa, prima ancora che morisse anche la parte restante di lui, quella folle e ingorda di potere. – 
– Se esisteva, io quella parte non l'ho mai conosciuta, e non m'interessa conoscerla, proprio come non voglio conoscere te. Va via. –
Quelle parole mi fecero male. Male perché era mio figlio, quello che stava parlando, l'avevo portato dentro di me per nove mesi e l'avevo partorito, e male perché aveva ragione a non volermi parlare, avrei dovuto continuare a cercarlo, non arrendermi davanti a un mucchietto di ossa e una collana.
– Con Clary hai parlato… – cercai di ribattere.
– Clary non c'entra niente con quello che ho vissuto o quello che mi avete fatto. Ecco perché le ho parlato. E lei mi ha salvato la vita. Tu invece non sei stata in grado di fare altro che rovinarmela. –
– Non è vero! Non è colpa mia se Valentine mi somministrava del sangue demoniaco! –
– E tu, una Cacciatrice esperta, non hai saputo distinguere il profumo di un decotto dalla puzza dell'icore dei demoni?! – Chiese, atono. Nella sua voce non c'era ombra d'accusa, anzi, non c'era proprio niente. Ed era questo che faceva più male, questo che mi feriva. Per la follia di Valentine e la mia ingenuità Jonathan non avrebbe mai potuto provare nulla.
– Avresti potuto portarmi con te. – Sussurrò. – Quando sei scappata. –
– Ti credevo morto, Valentine mi ha fatto credere che foste morti. –
– Non dovevi arrenderti, allora. Quale madre vede le ossa di suo figlio, piange per la sua morte e poi si comporta come se nulla fosse successo, ricordandolo solo una volta all'anno? Scommetto che non hai nemmeno una mia foto, dentro il tuo cofanetto. Clary ha detto che avevi una ciocca di capelli e poco altro. Tu non hai una mia foto, perché hai paura dei miei occhi. QUALE MADRE HA PAURA DEL PROPRIO FIGLIO?! – Urlò, ficcando le unghie nelle coperte e graffiandole talmente forte da far fuoriuscire l'imbottitura.
– Non dei tuoi occhi, Jonathan. –
– E DI COSA, ALLORA?
– Del suo ricordo. In te vedevo costantemente Valentine, in ogni tua espressione o movimento vedevo lui. Siete talmente uguali… stessi capelli, stesso volto, stessa corporatura… avevo paura di ricordarlo, e allo stesso tempo avevo paura di dimenticarlo, perciò ho conservato una ciocca dei tuoi capelli. Identici ai suoi, ma tuoi. Abbastanza da farmi ricordare che erano i capelli di mio figlio e non farmi più temere mio marito, ma allo stesso tempo mi facevano ricordare che prima del mostro che Valentine era diventato, mi ero innamorata di un essere umano. –
– Ti eri innamorata. Innamorata. Io per colpa vostra non avrei potuto mai innamorarmi! Non avrei potuto mai capire perché le persone amano altre persone nonostante le altre persone provochino loro costantemente dolore, non avrei capito quando bisogna uccidere e quando bisogna risparmiare qualcuno. Per un vostro errore non avrei potuto vivere, perché sappilo, Jocelyn, c'è una grossa differenza tra vivere e sopravvivere. –
Jocelyn… mi ha chiamata Jocelyn…
– Non potresti? Non puoi o non potresti? –
– Non potrei. È stata Clary. Adesso non sento niente, come sempre, ma quando mi è vicina posso sentire i suoi sentimenti, e credo anche svilupparne di miei. Mi faccio schifo da solo. Vivo a spese di mia sorella, mi aggrappo alla sua vita per avere una parvenza di vita io stesso. – Rispose, ma non ebbi nemmeno il tempo di elaborare quelle parole che si piegò in due, stringendosi la costola sinistra. Mi avvicinai, tastandola. – È incrinata. – Si sottrasse al mio tocco, proprio nell'istante in cui Clary entrava in infermeria, seguita da Jace. – Ho una costola incrinata. – Borbottò la prima, gettandosi su un lettino. Jonathan si voltò di scatto verso di lei : – Quando è successo? –
– Pochi minuti fa. Perché? –
– Perché pochi minuti fa mi si è incrinata una costola. –
Clary sbarrò gli occhi. – Oh, no… fa che non sia così… – Afferrò lo stilo da uno stivale e sollevò appena la maglietta, tracciandosi diversi iratze sulla costola che ritornò al suo posto. Istantaneamente, anche la costola di Jonathan guarì.
– Quanto diavolo ci ha collegati quella Runa? – Borbottò Jonathan.
– Runa? Quale Runa? – Chiese Jace, preoccupato.
Clary incominciò a spiegargli, anzi, a spiegarci brevemente come aveva fatto a salvare Jonathan, per poi mordersi le labbra. – Non sapevo che ci avrebbe legato così tanto. –
– Be', allora basta solo lasciare che l'effetto della Runa svanisca, no? – Osservò Jace. Jonathan sgranò gli occhi, muovendo le labbra ma senza emettere alcun suono, non voglio non voglio non voglio.
Clary scosse la testa. – No. È permanente, almeno da quello che ho capito da Ithuriel. È più vincolante di una Runa parabatai. Lega i sentimenti e il benessere fisico, e non so cos'altro. –
– Quindi hai disegnato la prima Runa che ti è venuta in mente! – Esclamò Jace con voce stridula.
– Be'… insomma, non è tutta questa tragedia, no…? –
Jace spalancò gli occhi. – Oh, no, non è tutta questa tragedia, dopotutto. Pensa soltanto a quanta gente vuole uccidere il tuo caro fratellino, e pensa se ci riuscisse! Lui morto, tu morta, e io qui come un'idiota. A quel punto cosa dovrò fare? Andare alla Città di Ossa, fermarmi davanti alla tua tomba e dirti "te l'avevo detto"?! –
– Non lo uccideranno. –
– Ah, no, giusto, perché ovviamente è un angelo sceso in terra, no? Dopotutto non è come se avesse cercato di uccidermi, o come se avesse ucciso Sebastian Verlac e Max! – Strinse le labbra, pentendosi delle sue parole un attimo dopo averle dette.
– Clary, io… –
– Tu cosa, Jace? Max era tuo fratello, e Jonathan è il mio! Cosa dobbiamo fare adesso, ci leghiamo al dito tutto quello che abbiamo fatto? Tu ti baciavi con Aline Penhallow mentre io cercavo di dimenticarti e soffrivo come un cane, e mi hai trattato come una pezza quando sono venuta per vedere te a Idris! Però ti ho perdonato, così come tu mi perdoni tutti i giorni per tutte le stupidaggini che faccio, partendo da tutte le volte in cui ti coinvolgo in una missione suicida fino a quando ho cercato di dimenticarti con Simon!  –
– Ha ucciso Max! –
– E Robert Lightwood mi ha minacciato di morte, ma ci sono passata sopra per te! –
Si bloccò. – Cosa? –
– Io… Jace… –
– Ne parliamo dopo. Clary, non mi piace fare la parte del bastardo che se la prende con la sua fidanzata, ma mi preoccupo per te, capisci? Se tu dovessi morire io non potrei vivere, non ci riuscirei. Sei stata tu che mi hai fatto capire che cercare di essere ammazzati in una retata di Nascosti non serve a nulla, Clary, ma senza di te sarebbe molto peggio. Mi ucciderei io stesso, piuttosto che andare dai Nascosti, capisci? Io senza di te non sono niente. – Si morse il labbro, sedendosi sul bordo del letto di Clary. Mi voltai a guardarla. – Clary, i tuoi occhi… – Non erano i suoi.
Fece un gesto stizzito con la mano. – È una lunga storia. Quindi, adesso che facciamo? –
Jonathan si schiarì la gola. – Mi è parso di capire che volete eliminare Melchizedeck non meno di quanto lo voglia io. Il Conclave non cercherà di uccidermi, almeno fino a quando non avrò eliminato Melchizedeck, poi potremo pensare al da farsi. – Propose.
– Non se ne parla nemmeno! Tu non scenderai in battaglia rischiando di uccidere anche Clary se qualcuno ti colpisse! – Sbraitò Jace. Da una parte, il mio istinto di madre gli dava ragione. Non volevo che Clary e… e Jonathan rischiassero la vita, ma dall'altra sapevo che non era giusto. Avevo già sbagliato due volte cercando di proteggerla, non potevo sbagliare ancora.
– Scenderò comunque in battaglia, Jace, che Jonathan ci sia o no, e tu lo sai, quindi fattene una ragione. Anzi, probabilmente sono io quella che rischia di farlo ammazzare. – Ribattè Clary, ostinata.
– Ti avevo chiesto di uccidermi. Se trovi il modo di sciogliere la Runa, per me va bene. Sai benissimo che non voglio vivere questa vita, e prega che almeno in quella successiva io abbia un po' di pace. – Rispose Jonathan.
Trattenni un singhiozzo.
– Tu non morirai ed io non scioglierò la Runa, ci siamo intesi? E non guardarmi così, Jace, non voglio e non posso scioglierla. Al momento la priorità è un'altra, uccidere Melchizedeck. Siete con me? –
– Siamo con te. Ma non è questa la priorità, al momento. È vero che Robert ha cercato di ucciderti? – Chiese Jace, serissimo. Una scintilla omicida si scorgeva nei suoi occhi, ma non era indirizzata a Clary. Quello fu, probabilmente, uno dei momenti che mi fece capire che Jace era la persona giusta per Clary : avrebbe fatto di tutto per lei, le avrebbe regalato anche la luna se solo lei glielo avesse chiesto, e sarebbe stato pronto ad uccidere chiunque nel suo nome, anche suo padre adottivo. Forse era un ragionamento un po' egoistico il mio, confidare nel fatto che Jace uccida suo padre pur di salvare Clary, ma non ho mai detto di essere senza colpe, anzi, buona parte dei guai che abbiamo passato è stata per colpa mia. Ero io che davo alcune idee per le battaglie a Valentine, anche se indirettamente, io che non distinguevo i decotti da strane misture e io che avevo abbandonato mio figlio al suo folle padre. Era tutto così sbagliato…
– Jace, io… –
– Rispondimi, Clary. –
– Io… non proprio. Mi ha minacciato. Ha detto che era tutta colpa mia, era colpa mia se Max era morto perché se non fossi stata a villa Penhallow in quel momento Jonathan non avrebbe ucciso suo figlio, e se non fossi entrata nelle vostre vite tu non avresti rischiato così tante volte di morire e Alec non avrebbe mai incontrato Magnus e si sarebbe sposato con una Cacciatrice e gli avrebbe dato una lunga stirpe… ha detto che sono la peggiore disgrazia che vi potessi mai capitare, e che se un'altra sciagura si fosse abbattuta sulla vostra famiglia per colpa mia avrei pagato con la vita… – giunta alla fine del discorso singhiozzava, e le lacrime scendevano copiose lungo il suo viso.
– Clary non è vero! Tu sei la cosa migliore che potesse capitarci, che potesse capitarmi. Te l'ho detto, senza di te sarei perso, e probabilmente mi sarei fatto uccidere parecchi anni fa. Tu sei tutto ciò che mi lega a questo mondo di merda, Clarissa Alexandra Regina Morgenstern. Senza di te non avrebbe senso esistere. E Robert, dopo, farà una bella chiacchieratina con me. – Promise Jace, abbracciandola.
– Oh no, prima parlerà con me. – Ribattei, uscendo con passo marziale dalla stanza. Mi fermai davanti alla porta della cucina, presi un profondo respiro ed entrai. Robert era stravaccato su una sedia, come se nulla fosse, intento a sbavare davanti ad una torre di omelette, e Maryse lo guardava, con le labbra serrate e gli occhi socchiusi.
– Quell'abominio è già morto, Jocelyn? – Chiese Robert, addentando un'omelette come se nulla fosse.
Eh no! Insulta me, ma non permetterti di toccare la mia famiglia o giuro che ti cancello dalla faccia della terra, parola di Jocelyn Fairchild!
Socchiusi gli occhi : – Quell'abominio è mio figlio, Lightwood, nel caso te lo fossi dimenticato. –
– È il figlio di Valentine, un mezzo-demone, un mostro senza cuore. –
– Oh, sentite da che pulpito! Un mostro, dici. Eppure l'unico mostro che c'è in quest'Istituto sei tu, lo sai, vero? Con quale coraggio hai minacciato mia figlia, eh, me lo dici? Sarò anche una donna, Lightwood, avrò anche tradito Valentine per la salvezza dei traditori, ma ricordati chi ero io, miserabile pezzo di merda, e sappi che se oserai anche solo pensare di minacciare mia figlia o mio figlio, o ancor peggio di sfiorarli anche solo con un dito, io non avrò pietà. –
– I tuoi figli sono degli abomini, Jocelyn. Dovresti ucciderli tu stessa per risparmiarci le sciagure che ci calamitano, io non sopporterei di avere due figli che mi ripugnano così tanto. –
– E poi dici che Jonathan è senza cuore. Ma ti senti? Hai minacciato mia figlia di morte perché a tuo figlio piace un uomo al posto di una donna! Ti sembra normale? Tuo figlio è tuo figlio, sangue del tuo sangue, condividi un intero patrimonio genetico con lui, come fai a non accettarlo? Cosa t'interessa se gli piacciono gli uomini o le donne? Chi se ne frega se è gay e non etero? Mi fai schifo. –
– Alexander doveva darmi una stirpe lunga e prosperosa! E invece tra poco mi ritroverò come genero un Nascosto! –
Non lo ascoltai minimamente : – Per non parlare delle squillo che vedi tutti i giorni, perché lì entriamo davvero nel ridicolo. Dimmi, Maryse - iniziai, volgendo lo sguardo a quella che un tempo era la mia migliore amica - il caro Robert ti ha mai detto che si vede regolarmente con quattro o cinque donne diverse che cambiano sempre e ha un'altra relazione stabile con la sua amante Jia Penhallow? – Sibilai. Non volevo ferire Maryse, ma anche lei doveva sapere, tutto.
Maryse spalancò gli occhi. Le sue guance s'imporporarono, forse per la rabbia o forse per la tristezza, non avrei saputo dirlo. Per un attimo aprì la bocca e sembrò sul punto di parlare, ma poi la richiuse e uscì dalla stanza.
Robert si voltò verso di me con lentezza estenuante. – Tu. – Ringhiò, avanzando. – Come hai osato parlargliene? E come diavolo facevi a saperlo? –
– Non era poi così difficile scoprirlo, visto che le tue amanti lasciano biglietti in tutta la casa e Jia addirittura si firma col nome completo da celibe. – Risposi, assottigliando gli occhi.
– Non avevi il diritto di dirglielo! – Ringhiò ancora, scagliandosi verso di me. La mia parte Shadowhunter ebbe la meglio : calcolò la distanza e le possibilità che avevo di fronteggiare la sua forza bruta senza armi, il tempo che Robert avrebbe impiegato a raggiungermi e il tempo che avrei avuto per spostarmi.
Rimasi immobile fino a quando non si trovò a meno di un centimetro da me, e esattamente una frazione di secondo prima che piombasse su di me, semplicemente mi voltai e lui, data la troppa violenza con cui mi si era scagliato contro, crollò contro il muro senza riuscire a fermarsi, sbattendo la testa che prese a sanguinare.
– Mi vendicherò. –
– Lo vedremo. – Sibilai. – Non hai idea di quel che posso farti, Lightwood. –

Author's Corner :
Hello!
Do you like this chapter? I love it.
Ma, passando all'italiano, che ne dite di questo capitolo? Sinceramente mi sono divertita molto a trattare Robert come un tappetino, è un personaggio che odio profondamente!
Ora molti di voi si chiederanno : ma quand'è che 'sto maledetto Lightwood ha minacciato Clary? Be', tutto a suo tempo! Dopotutto narrare di ogni secondo che i nostri benamati eroi vivono sarebbe un po' noioso, perciò ho preferito parlare della minaccia ma non narrare l'evento nei dettagli.
Adesso, lo spoiler :
"Il Console prega caldamente il signor Jonathan Herondale, il licantropo Lucian Graymark, lo stregone Magnus Bane, la signora Morgenstern e la signorina Morgenstern di partecipare alla riunione.
[…]
Chiuse gli occhi, immersa nei ricordi, mentre una singola lacrima le rigava il viso, forse per il terrore di quei giorni o forse per altro. Gliela asciugai col pollice, dandole un delicato bacio sulla punta del naso.
[…]
– […] Sono Jonathan Cristopher Morgenstern. Hai presente? Lo squilibrato che tutti vogliono morto. – 
[…]
– Isabelle Sophie Lightwood. Hai presente? La ragazzina terrorizzata che urlava nella cella. –
[…] 
– Buongiorno, Diurno. Ti ricordi di me? Spero di sì. Ad ogni modo, ho un messaggio da darti. Non è educato interrompere una conversazione, quindi fammi il piacere di non richiamare. Ciao. – 
[…]
– Be', che c'è? Sono stato educato, l'ho perfino salutato prima di attaccare! – 
[…]
Mi diede le spalle e per poco non urlai."

Insomma, passiamo da spoiler microscopici a chilometrici, vero? Suvvia, che questo è abbastanza lungo, avete abbastanza materiale per crogiolarvi nel dubbio fino alla prossima settimana, anche se… può essere che sarò magnanima e pubblicherò prima… non so, dipende, soprattuto da un fattore : è probabile che pubblichi prima se, per quando avrò posato questo capitolo, sarò almeno a fine della stesura del capitolo sedici. Adesso sono all'inizio del quindici ma, per quando posterò questo capitolo, saranno già passate due settimane da adesso, quindi vi conviene sperare che riesca a finire i numeri quindici e sedici per pubblicare qualche giorno prima il quattordici, e penso di iniziare anche il diciassette… ok, vi siete persi? Io sì, e pensare che 'ste cose le ho scritte io! XD
Ci vediamo sabato prossimo, quindi!
Baisers,
-D.

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Capitolo 14
*** XIV - Il passato non è il presente ***


N.A: Un ringraziamento speciale a Nitrogen, che ha betato il capitolo.

Shadowhunters - City of Marble

XIV - Il passato non è il presente

POV MARYSE

Crollai sulle ginocchia nell'abitacolo della doccia, sotto il getto freddo dell'acqua.
Lo sospettavo, lo sospettavo da tempo, a questo punto non valeva nemmeno la pena di prendersela, pensai. Ma allora perché faceva così male, così tanto male da sentire come se il io cuore si stesse frantumando in tanti piccoli pezzi?
Perché lo ami, rispose una vocetta irritante. 
Come se non lo sapessi già!
Perché era così insensibile, così cattivo nei miei confronti? Non ti ama, rispose semplicemente la stessa vocina di prima.
Sapevo anche questo.
E Jia… Jia a scuola era la mia migliore amica dopo Jocelyn! Per non parlare poi proprio di Jocelyn, non sapevo ancora come comportarmi con lei. Le volevo bene, si era tirata fuori dal Circolo a differenza di noi, ma suo figlio… e Max… le lacrime presero a scorrere salate sul mio volto. Toccai con le mani il fondo della doccia e lo presi a pugni, arrivando a sanguinare.
Perché? Perché tutto a me, Raziel? COSA HO FATTO DI MALE?
Ricordo ancora quello che ci diceva Valentine prima di ogni battaglia, a fine discorso. "Dio lo vuole".
Ma come poteva Dio volere il tradimento di mio marito e la morte di mio figlio? La nostra non era una famiglia fortunata, Alec non avrebbe mai continuato la dinastia dei Lightwood e Isabelle non avrebbe mai avuto un figlio perché innamorata di un vampiro, mio marito mi tradisce e Max è morto, pensai, abbattuta.
Per un attimo pensai di rimanere lì, in quella doccia, per sempre. Lasciarmi semplicemente morire di fame, o uccidermi più velocemente con una lametta. Poi però ripensai ad Alec e Isabelle, e ritrovai di nuovo la forza di andare avanti. Se non per mio marito, avrei combattuto per loro.
Uscii dalla doccia e mi avvolsi nell'accappatoio, mi asciugai i capelli e indossai una tenuta da battaglia pulita. Di quei tempi, non era sicuro nemmeno girare in jeans e maglione. Entrai nella camera padronale collegata al bagno e mi armai velocemente. Proprio nel momento in cui sistemavo l'ultimo pugnale nello stivale Robert fece irruzione nella stanza, alterato e con le guance rosse di rabbia.
– Maryse, non le crederai sul serio! – Sbraitò, vedendo il mio sguardo e la postura rigida.
– È soltanto una traditrice del Conclave, dovremmo consegnarla all'Inquisitrice e avere giustizia! –
– Ah certo, la consegnamo alla tua amata Jia così hai anche un pretesto in più per vederla, verme! – Non attesi la sua risposta, sibilo o schiaffo che fosse, ed uscii dalla stanza, sbattendomi la porta alle spalle.
Camminai senza meta, fino ad arrivare nell'atrio. Poggiato sul tavolino posto accanto all'ascensore c'era un fascio di lettere. Lo afferrai, scorrendo i mittenti e i destinatari. La prima era da Magnus per Alec, la seconda da un misterioso "amico" per Robert, la terza da Cajimi Baster, una Shadowhunter giapponese, a Isabelle, e l'ultima… dal Conclave a me.
La aprì, preoccupata.
"Illustrissima lady Lightwood,
in nome dell'Angelo e del Consiglio di cui faccio parte Le invio questa missiva per metterLa al corrente della riunione che si terrà a Idris sabato prossimo.
Il Consiglio - o almeno gran parte di esso -, in accordo con il Console Jia Penhallow (1)  ha deciso di convocare un Consiglio speciale per discutere dell'incresciosa situazione in cui si trova l'Istituto di New York.
Alcuni di noi sono d'accordo con le Vostre ipotesi e vogliono sapere di più sul nuovo nemico, altri si sono schierati con l'Inquisitore Lightwood sostenendo che le Vostre teorie sono del tutto errate e parlando di blande rivolte di Nascosti dopo gli Accordi per i privilegi che non sono stati concessi loro.
Tutti i membri maggiorenni dell'Istituto di New York sono invitati caldamente a partecipare, e l'Inquisitrice prega caldamente il signor Jonathan Herondale, il Nascosto Lucian Graymark, Lady Morgenstern e Miss Morgenstern di partecipare alla riunione che verterà anche su questioni delicate che dovranno avere la loro approvazione, secondo la stessa Inquisitrice.
Nel nome dell'Angelo,
Patrick Penhallow."

Molteplici pensieri m'invasero contemporaneamente. Primo fra tutti, il fatto che quella stronza di Jia Penhallow aveva anche l'ardire di convocare noi ad una riunione. Be', sì, era il Console, ma restava sempre una, uhm, figlia di buona donna. Decisamente dovevo smetterla di farmi contagiare dai ragazzi e il loro linguaggio di strada.
Poi, mi resi conto che il Conclave era praticamente spaccato in due, o forse in tre. C'era chi ci sosteneva, chi sosteneva quell'idiota di Robert che era appena partito per Idris - che ovviamente non voleva distruggere la pace creatasi da appena due anni allertando gli Shadowhunters di tutto il mondo per Melchizedeck, da bravo idiota - e sicuramente c'erano anche i Cacciatori neutrali che non volevano prendere parte attiva alla disputa. Di questi, c'era un'ulteriore divisione. Alcuni di loro probabilmente volevano davvero restare fuori da tutti i giochi, ma altri, da grandi codardi quali erano, volevano solo valutare quale fosse lo schieramento migliore e poi aggregarsi a esso per assicurarsi la sopravvivenza.
In ultimo, perché Patrick - povero cornuto… - aveva detto che la s… Jia volve vedere particolarmente Jace, Lucian, e… Lady Morgenstern e Miss Morgenstern?
Ci misi un attimo a capire che Lady Morgenstern era Jocelyn e Miss Morgenstern Clary. Abituata com'ero a sentire i nomi Jocelyn Fray e Clary Fray o Fairchild, non avevo davvero pensato che effettivamente, per la legge e per le rune di legame, Jocelyn era si nata Fairchild, ma ufficialmente una Morgenstern. E Clarissa era figlia sua e di Valentine, nessuno poteva portare il peso di quel cognome più di lei, forse tranne Seba… Jonathan.
Jonathan, che aveva ucciso Max. Jonathan, che aveva ucciso Hodge. Aveva ucciso il mio bambino! Il mio piccolo Max, il mio sole e la mia luce, una delle poche persone ancora pure in questo mondo di merda. Era un bambino puro. Adesso amavo immaginarlo fra le nuvole, assieme agli angeli, ai miei genitori e a Stephen Herondale, Cèline Montclaire, Imogen Herondale e tutti i restanti parenti di Jace, per non parlare di Callistas Blackhope, sua madrina morta nella Guerra Mortale proprio come lui. Max…
Maledetto Jonathan, maledetto Valentine, maledetti tutti coloro che non si erano accorti che Sebastian era un impostore e tutti quelli che mi avevano detto che bisognava andare avanti e ricostruirsi una nuova vita dalle ceneri della vecchia dopo la morte di mio figlio!
Iniziai a camminare nervosamente, e per la fretta mi scontrai con qualcuno. Jocelyn.
– Maryse… 
Socchiusi gli occhi – Sì? –
– Maryse, io non ho detto quello che ho detto su Robert per ferirti, lo sai? Io ti voglio ancora bene, Maryse, come spero che tu ne voglia a me, e volevo soltanto aprirti gli occhi… ero arrabbiata, volevo che Robert capisse che razza di persona era, ha insultato me e i miei figli e io, per tutti gli errori che ho commesso e che quindi hanno commesso anche loro, non posso sentire tuo marito parlare di loro così. – Spiegò, concitata, il volto pallido e provato e con la pelle anche un po' tirata sugli zigomi, a causa forse dello stress che, come quando era ragazza, sicuramente la faceva mangiare di meno.
– Non sono arrabbiata con te, Jocelyn. Hai ragione, ci tengo ancora a te, e so che non l'hai detto per ferire me ma lui. Però parli dei tuoi figli, e io non ho nulla contro Clarissa, ma non posso fare a meno di incolpare Se… Jonathan perché è lui che ha ucciso il mio Max. Come ti sentiresti se Clary venisse uccisa da Alec, Jocelyn? Solo allora potresti capire come mi sento io, e non dirmi che tu in quel caso non vorresti uccidere Alec. –
–Lo so, Maryse, lo so. Ma te lo chiedo in nome della nostra passata amicizia e di quella che spero ci sarà in futuro, pensa un attimo ai reali avvenimenti…–
La interruppi. – Cosa vuoi dire? –
– Credi che davvero Jonathan abbia ucciso Max perché lo odiava? No, Maryse, mio figlio non lo odiava, perché mio figlio non prova nulla. Non prova nessun sentimento a causa di Valentine. È colpa di Valentine se mio figlio riesce soltanto a sopravvivere e non a vivere, che colpa ne ha Jonathan se non gli è mai stato insegnato a distinguere il giusto dallo sbagliato? Credi che abbia ucciso Maxwell perché aveva qualcosa contro di lui, o perché gliel'aveva ordinato qualcuno, o ancor peggio, per uno sbaglio? Pensa, Maryse, che cosa potrebbe avere un ragazzo senza sentimenti né emozioni contro un bambino innocente? Nulla. Assolutamente nulla. –
Sapevo che aveva ragione, lo sapevo, ma intanto suo figlio era in Infermeria a riprendersi, Max invece era parte della Città di Ossa, adesso, e l'unico vero monito alla sua vita era una tomba vuota ad Alicante. Sapevo che era sbagliato, irrazionale, ma non riuscivo a non pensarci : – Eppure tuo figlio è vivo, Jocelyn.
– Vivo a stento dopo due anni di torture nelle celle di Melchizedeck, quasi folle e cresciuto senza madre con un padre psicopatico e iniziato all'arte della guerra ma non a quella della civiltà umana. È questo che preferivi per Max, Maryse? Che venisse catturato da Melchizedeck e torturato da lui, o magari educato, cresciuto da lui che gli inculcava nel cervello che amare è distruggere e essere amati è essere distrutti? Volevi che a Max volesse iniettato sangue demoniaco rendendolo insensibile e che fosse cresciuto senza di te? O preferisci saperlo in Paradiso, con gli angeli? – Non continuò, entrando ancora una volta nell'Infermeria, supplicando per l'ennesima volta Jonathan di parlarle, almeno a quanto mi aveva detto Jace.
Un'altra figura uscì dalle porte della stessa stanza in cui era entrata Jocelyn, reggendosi a due stampelle mondane. – Isabelle? – Sussurrai, col respiro mozzato dall'emozione.
Mi slanciai verso di lei, abbracciandola con delicatezza. – Oh, Isabelle… non hai idea di quanto io abbia temuto per te… – Mormorai, mentre si abbandonava nelle mie braccia.
– Mamma, io… ho ascoltato te e Jocelyn, prima. Perché doveva averti ferito? Cosa è successo? E… –
– E? – La incitai, non volevo parlarle di me e suo padre.
– E… e non uccidere Jonathan, mamma. – Dichiarò, piantando i suoi occhi scuri nei miei.
Quella risposta mi spiazzò completamente. Izzy era stata la prima a volersi vendicare di suo fratello, aveva tranciato di netto con la sua frusta una mano di Se… Jonathan e aveva detto più volte di volerlo uccidere un'altra volta lei stessa, quando ancora si credeva che fosse morto. Cosa le era successo? Perché…
– Cosa? – Ripetei, incerta. Forse avevo sentito male, forse avevo frainteso le sue parole.
– Hai capito. Non cercare di uccidere Jonathan. –
– Perché? – Chiesi, mordendomi l'interno della guancia. Cosa le era successo in quelle settimane di prigionia?
– È legato a Clary, mamma. Ferisci uno, e ferirai anche l'altra, uccidi uno e ucciderai anche l'altra, e viceversa. E poi… –
– Poi? – Accantonai per un attimo la strana questione del legame e di Clarissa, di cui non avevo capito nulla, concentrandomi su quel poi che era suonato più esplicito e significativo di tutta la frase. Sospirò, reggendosi su una sola stampella e scostandosi dalla fronte un ciuffo di capelli neri con un gesto stanco, ormai disilluso. Piegò le labbra in una piccola smorfia e mi guardò, seria come non la avevo mai vista : – Era in cella con me. – Incominciò, ed io inarcai un sopracciglio, attendendo il resto del racconto. Continuò a parlare mentre entravamo nella sua stanza e si stendeva sul letto, ed io facevo lo stesso accanto a lei, come non capitava da secoli, e le accarezzavo il capo. 
– Stare lì era terribile, mamma. Ogni giorno Melchizedeck inventava torture nuove, una più orribile dell'altra, ma il giorno stesso parlai con Jonathan, che come ti ho detto era nella mia stessa cella, proprio di fronte a me, con mani e piedi bloccati al muro. – Prese un profondo respiro. – Non sapevo chi era, anche se la voce mi suonava familiare. Parlavamo per ore, senza fare distinzione tra notte e giorno, per non impazzire e perché poco importava se ci fosse il sole o la luna, ci capitava di svenire o di addormentarci a qualsiasi ora a causa delle torture. Era… – S'interruppe, strizzando gli occhi che si erano fatti lucidi. Izzy non piangeva mai, non la mia bambina. – Un giorno gli chiesi come chiamarlo. Rispose Ombra. –
– Ombra?
– Sì, Ombra. Si faceva chiamare così perché non si riteneva nient'altro che quello, diceva di essere "una cosa, una persona da nascondere nell'ombra, non da mostrare con orgoglio", testuali parole. Allora gli risposi che non poteva essere soltanto un'inutile ombra se si trovava lì da due anni e Melchizedeck non si era ancora liberato di lui. E lui rispose proprio così "sono un'ombra. Un'ombra molto importante, certo, ma pur sempre un'ombra". – Chiuse gli occhi, immersa nei ricordi, mentre una singola lacrima le rigava il viso, forse per il terrore di quei giorni o forse per altro. Gliela asciugai col pollice, dandole un delicato bacio sulla punta del naso.
– Isabelle, se non vuoi parlarn… –
– No, devo. Altrimenti non riuscirò più a superarlo. – Riprese a raccontare, visibilmente impaurita. Sembrava molto più giovane dei suoi diciott'anni, accartocciata com'era su se stessa. – Melchizedeck ci andava giù pesante con entrambi, e credo che dopo due anni di torture Jonathan stesse davvero perdendo il senno, o forse la ragione che lo manteneva in vita, qualunque essa fosse e sia tutt'oggi. Comunque, non ricordo bene cosa ci dicemmo in quegli ultimi giorni. So soltanto che io cercavo di non farlo svenire, gli parlavo delle cose più stupide e frivole e di Idris soltanto per quello, mi aggrappavo a lui nella speranza di che cosa, be', allora non lo sapevo ancora bene. Fu soltanto qualche tempo dopo che capii. Non volevo lasciarlo morire, perchè sarei morta anch'io. –
La guardai, fra l'orrore e la perplessità, mentre serravo i pugni e la stringevo forte a me, per il terrore di perderla ancora.
– Oh, lo so che detta così non ti fa capire nulla. Ma vedi, quel posto era così buio e desolato e terribile che, mi resi conto, mi aggrappavo a lui per non morire o peggio, impazzire del tutto. Se lui fosse morto credo che mi sarei arresa, perché senza sentire la sua voce che mi esortava a resistere, che mi diceva che non potevo arrendermi… be', probabilmente, anzi no, sicuramente non ce l'avrei fatta, avrei perso definitivamente la ragione perché non avevo più nulla a cui aggrapparmi, nessuno che mi dava conforto… Stare lì dentro era terribile, mamma, e Jonathan Morgenstern era, anche se è una cosa terribile da pensare per te, l'unica cosa che mi teneva salda alla ragione e alla vita, e se venisse ucciso adesso, be'… mi sentirei una fallita, oltre che in colpa con me stessa. Io mi sono appoggiata a lui per sopravvivere neanche fossi una sanguisuga, avevo attinto alla sua decisione e l'avevo perfino invidiato perché sembrava saldo e cosciente anche dopo due anni di torture, anche se probabilmente è più folle di quanto sembra, semplicemente non posso vederlo morire adesso. Ci hai insegnato, a me, Jace, Alec eMax, che gli Shadowhunters hanno un codice d'onore, specie quando si parla di debiti di vita. Jonathan mi ha salvato la vita, in un certo senso, ed io gli sono debitrice, quindi qualunque decisione prenderai io lo difenderò. – Concluse, mentre le lacrime sgorgavano ormai libere sul suo volto. Continuai ad accarezzarla, triste e in pena come poche volte prima d'ora, come solo una madre può sentirsi.
Jonathan Morgenstern, niente più che un'altra vittima innocente della follia di Valentine, come aveva detto Jocelyn.
Jonathan Morgenstern, assassino di Max.
Jonathan Morgenstern, salvatore di Isabelle.
Jonathan Morgenstern, che mi aveva strappato via un figlio e me ne aveva portata un'altra.
Jonathan Morgenstern, con cui Isabelle aveva un debito di vita, con cui avevo un debito di vita, perché se Isabelle fosse morta non me lo sarei mai perdonato. Anch'io avevo un debito di vita con lui, o forse era annullato perché aveva ucciso Max?
No. Non avevo alcun debito con lui, ma non aveva nemmeno qualcosa per cui farsi perdonare, secondo l'onore dei Cacciatori.
– Va bene. Ha salvato te e ucciso Max. Non posso dire di non odiarlo più, ma hai ragione. Ha annullato il suo debito nei miei confronti per la vita di Max salvando te, anche se tu sei comunque in debito con lui. E così, la figlia ha superato la madre. Hai ragione, non si viola il codice d'onore degli Shadowhunter. – Feci una pausa, addolcendo il tono – Vuoi che resti con te? –
– No. – Rispose, alzandosi e afferrando le stampelle mentre si ripuliva le ultime tracce di lacrime sul viso. – Sono uscita per lasciare a Jocelyn un po' d'intimità con suo figlio, ma adesso devo parlargli io. – Rispose, rivolgendomi un ultimo sorriso stanco prima di uscire dalla stanza, livida e zoppicante e con nuove cicatrici su tutto il corpo che non erano vecchie tracce delle rune. 




POV ISABELLE

Zoppicai, affaticata, e mi fermai nel mezzo del corridoio, prima di stringere i denti e riprendere l'arduo cammino verso l'Infermeria. Alla fine, spinsi la porta della suddetta stanza e mi trascinai fino al letto di Jonathan, che aveva gli occhi chiusi e il respiro regolare. Dormiva. Mi lasciai cadere delicatamente su una sedia accanto al letto e sospirai, mi passai una mano fra i capelli e pensai a cosa dovevo dirgli. Dovevo svegliarlo? Non ce ne fu bisogno, perché aprì gli occhi neri come l'Onice e li inchiodò nei miei.
– Isabelle Lightwood. – Riconobbe.
Forse quel tono freddo mi ferì un poco. Sembrava così accorato nella cella, e adesso mi si rivolgeva col mio nome completo?
– Sono io. – Risposi, senza aggiungere altro. Adesso che lo vedevo davvero non sapevo cosa dirgli.
Mi guardò, passandosi una mano fra i capelli biondo chiarissimo. Anzi no, adesso che ci facevo caso, erano proprio bianchi, albini, lisci e portati non troppo lunghi. Aveva la pelle ugualmente chiara e i tratti del viso spigolosi come quelli di suo padre - l'avevo visto in una foto del Circolo -, ma lievemente addolciti e più armoniosi come quelli di Jocelyn, anche se aveva qualcosa di… sfuggente? Anche le mani dalle dita lunghe e sottili erano le stesse di Jocelyn, sembravano quelle di un'artista. Un'artista della guerra, però, a giudicare dalle molteplici cicatrici dei marchi sulla pelle nuda del petto e delle braccia, erano troppi per un Cacciatore così giovane, anche se si chiamava Jonathan Morgenstern ed era figlio di Valentine-il-folle-Morgenstern.
Aveva gli occhi grandi e nerissimi, talmente neri da far paura, come tunnel senza fondo. L'iride non si sarebbe distinta dalla pupilla, se non ci fosse stato un sottile cerchietto argenteo a dividerle. Gli occhi inquietanti erano contornati da lunghe ciglia argentee come la tela di un ragno (2), e le sopracciglia di media grandezza erano in ordine.
Mi fissava, in attesa di qualcosa, con la testa inclinata lievemente di lato e la bocca socchiusa. Presi un respiro profondo : – Grazie –
– Prego? – Chiese, ma non era la risposta al mio ringraziamento, quanto più un'espressione che racchiudeva tutta la sua confusione.
– Per avermi mantenuto in vita, sono in debito con te. Se ti fossi arreso, sarei rimasta sola e probabilmente mi sarei lasciata andare anch'io. Grazie, Jonathan. –
Inarcò un sopracciglio, e mi resi conto di cosa c'era di sfuggente nella sua espressione che non avevo capito prima. Il suo viso esprimeva pura malizia. – Non mi chiami più Ombra? – Chiese, la voce impregnata della stessa maliziosità del viso.
– Non mi chiami più Izzy? – Risposi, di riflesso.
– Hai ragione. Non ci siamo presentati per bene, non credi? Sono Jonathan Cristopher Morgenstern. Hai presente? Lo squilibrato che tutti vogliono morto. – Disse, in tono pomposo. Forse non provava sentimenti, ma sapeva simularli bene. Scoppiai a ridere, ma non era una risata forzata, era un po' come quelle risatine che facevo quando eravamo in cella e lui mi raccontava di cose che aveva fatto o voleva fare, come scalare le torri Anti-demoni.
– Isabelle Sophie Lightwood. Hai presente? La ragazzina terrorizzata che urlava nella cella. – Risposi, sorridendogli stancamente. In quel momento il mio cellulare incominciò a squillare. Lo presi, fissandolo irritata per essere stata interrotta, e premetti sul vetro touch-screen il tasto verde.
– Sì? –
– Izzy, sono Simon. –
Trattenni il respiro. – Ahem… ciao, Simon. –
– Ho saputo che sei stata liberata. Tutto bene? Sarei venuto, ma non posso entrare all'Istituto, lo sai. Aspettavo tue notizie, ma poi visto che non chiamavi l'ho fatto io. –
– Tu aspettavi mie notizie? Simon, sono stata tenuta prigioniera per settimane, e tu aspettavi una mia chiamata? Cosa pensavi, che tra una tortura e l'altra potessi farti uno squillo? Grazie per la preoccupazione! – Sbottai, irritata. Jonathan mi squadrava, divertito, e mi fece cenno di passargli il cellulare.
Lo guardai, allucinata. – Scommettiamo che se la fa sotto? – Sussurrò, mentre gli passavo il telefono.
– Buongiorno, Diurno. Ti ricordi di me? Spero di sì. Ad ogni modo, ho un messaggio da darti. Non è educato interrompere una conversazione, quindi fammi il piacere di non richiamare. Ciao. – Non attese risposta e premette il tasto rosso, poi mi ridiede l'apparecchio.
Gli scoccai un'occhiataccia. Va be' che Simon non era stato il massimo della gentilezza, ma… – Be', che c'è? Sono stato educato, l'ho perfino salutato prima di attaccare! – Si difese l'albino, con fare innocente che non avrebbe ingannato nemmeno un cieco.
Si passò una mano fra i capelli sudati arruffandoli ancora di più mentre piccole goccioline di sudore gli scendevano lungo il profilo e poi sul petto nudo, accarezzando una runa argentea a forma di pentagono con dentro una stella.
– Te l'ha fatta Clary, vero? Non ho mai visto una runa del genere, per di più argentea, eppure mi sembra familiare… 
– Sì, me l'ha fatta Clarissa. Ovvio che ti sembra familiare, la stella è il simbolo dei Morgenstern come il fuoco è quello dei Lightwood. – Rispose, arricciando le labbra in un sorriso sarcastico. 
Non ribattei, e per un attimo chiusi gli occhi. Mi sembrò di essere di nuovo in quell'angusta cella che sembrava ti risucchiasse via tutta la felicità, ricordai cose successe pochi giorni fa che mi avevano sconvolto, ricordai quando imploravo Ombra di aiutarmi mentre Melchizedeck mi torturava.
Quando riaprii gli occhi, capii che lui aveva capito. Mi guardava, assorto, e per un attimo vidi qualcosa di simile alla comprensione nei suoi occhi. 
Sorrise : – È stata Clary. – Disse.
– Cosa?
– È stata lei a… be', adesso posso provare qualcosa, grazie a lei. Se le sono vicino e lei è felice, lo sono anch'io. Se è arrabbiata, lo stesso. E credo che col tempo potrò imparare a… sviluppare qualche emozione mia. Non tutte quelle che provate voi, ma almeno qualcuna. Che dici, il Conclave mi assolverà perché provo sentimenti? – Fece, sarcastico.
– Smettila. Vivo da otto anni con Jace Herondale, ed ho capito già da un po' che questo stupido umorismo caustico di cui vi rivestite non è altro che una barriera. –
– Ah sì? Be', buon per te. Sai quando potrò alzarmi da questo letto? –
– No. Sei stato due anni prigioniero, credo che comunque resterai qui per un bel po'. –
– Oh, ma io non ci penso proprio. Sto bene. Clarissa mi ha curato perfettamente. Non voglio più stare fermo a letto, non ci riesco. Che ne dici, puoi trovare una camicia che posso mettermi? – Chiese, scostando bruscamente le coperte e poggiando i piedi nudi a terra. Indossava un pantalone sporco e lacero, lo stesso che aveva nella cella, ed aveva il torso nudo, segnato da numerose cicatrici di rune. Mi diede le spalle e per poco non urlai. La sua schiena era ricoperta, oltre che dai marchi, da numerose cicatrici fatte da una frusta. Alcune sembravano molto vecchie e quasi slabbrate, altre appena rimarginate con un contorno violaceo.
– Perché non si sono rimarginate? – Chiesi, e non ci fu bisogno di specificare cosa.
– Frusta demoniaca. Era di mio padre, e la usava sia lui che Melchizedeck. Come quella che hai in vita. – Spiegò, indicando la frusta di elettro che sembrava una cintura, cioè esattamente il camuffamento che volevo ottenere.
Non replicai, non c'era nulla da dire dopo un'affermazione del genere, non era mai stato pensato qualcosa da dire in una simile situazione. 
 
________________________________________________________________________________________________________

(1) = Mi sembra che in uno scorso capitolo avevo scritto che Jia era Inquisitrice. Nel caso l'avessi fatto, provvederò appena posso a modificarlo, perchè l'Inquisitore è Robert, mentre il Console è Jia Penhallow.
(2) = Descrizione di Cassandra Clare più o meno letterale - mi è venuta in mente emntre scrivevo e sapevo che era della Clare, ma non so se sono le parole esatte.
 
Angolo Autrice:
Bonjour a tout le mond!
Comment ça va? 
Ok, la smetto qui, perché come con l'inglese il mio vocabolario della lingua francese si esaurisce qui, e non sono nemmeno sicura che le frasi siano corrette, quindi…
Coooomunque, che ne dite del capitolo? È un po' "lento" a dire il vero, ma vi assicuro che il prossimo sarà molto più movimentato. Non ci sarà battaglia ma vedremo alcuni scontri verbali e anche una notizia davvero, davvero scioccante alla fine. Devo inserirla negli spoiler? Sì? No? Forse? Be', sta tutto a voi capirlo!
Va be', la smetto di farmi scervellare e vi lascio agli spoiler :
— Perché è l'unica famiglia che mi resta. — 
[…]
— Sicuro? — strascicò una voce familiare.

Okay, spoiler molto molto corto, ma vi assicuro che probabilmente è anche uno dei più interessanti. L'unico indizio che posso darvi è che le due frasi sono pronunciate l'una molto vicina all'altra, quindi interpretate un po' voi… Ehehheheh!
Un'ultima cosa, che probabilmente sarà DAVVERO DAVVERO DAVVERO DAVVERO moooooooooolto SPOILER, o almeno vi farà capire qualcosa : non nel prossimo capitolo ma in quello successivo riprenderò una "teoria" - dimostrata - di Lilith, da Shadowhunters - Città degli Angeli Caduti. A questo punto se non avete capito, o sono io ad essere davvero brava a scrivere spoiler criptici, oppure siete voi ad avere l'intelligenza di Eric, l'amico di Simon - quello che scrive poesie orribili e senza senso, per intenderci - e fidatevi, non è un complimento. No, dai, scherzo. XD.
Baisers,
-D.

P.S: Sì, non sono soddisfatta se non inserisco almeno un post scriptum… cooomunque, sto facendo un esperimento. Il prossimo capitolo - quindi il quindicesimo - è scritto tutto in terza persona, e mi farebbe piacere sapere il vostro parere quando lo pubblicherò, per capire se preferite vedere più punti di vista in terza persona o solo uno o al massimo due con i POV.

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Capitolo 15
*** XV - Il Consiglio ***


Shadowunters - City of Marble

XV - Il Consiglio


Clary si guardava nervosamente intorno, spostando l'anello dei Morgenstern da un dito all'altro della mano destra. Jonathan le si avvicinò, il volto coperto da un cappuccio nero: — Io sto per essere processato e tu sei nervosa? — chiese, cercando di suonare spiritoso, ma non lo fu per niente.
— Il Conclave non convoca mai tutti i membri di un Istituto, ma solo l'esponente che fa eventualmente parte del Consiglio, lo sai. Perché il Console vuole vederci? Cosa abbiamo in comune io, la mamma, Jace, Luke e Magnus? — 
— A parte il fatto che siete tutti matti, dici? —
— Uh, da che pulpito! — ribatté la rossa, decidendo finalmente di infilarsi l'anello con la stella al dito medio accanto ad un anello con un diamante, quello che Jace le aveva regalato quando le aveva chiesto di sposarla.
— Non ti ha dato l'anello degli Herondale? Perché uno Mondano? — chiese il biondo, indicando l'anello.
— Anello degli Herondale? — ripeté lei, perplessa.
— Non lo sai? Fino al giorno della cerimonia delle rune, la promessa sposa indossa l'anello della famiglia di lui. 
— E perché non me l'ha dato?
— Cosa vuoi che ne sappia? Dopotutto te l'ho chiesto io! – si difese il fratello, alzando gli occhi al cielo.
— Già… Potrebbe essere perché Jace non ha mai vissuto col suo vero padre, no? Non ha nemmeno visto la casa di famiglia, quindi potrebbe non avere l'anello degli Herondale. —
— Sì, probabilmente è così. — convenne lui, giocherellando distrattamente con l'elsa di una spada angelica - Nakir - che portava alla cintura, che appena s'intravedeva sotto il lungo cappotto di pelle.
— Siete pronti? Magnus sta per aprire il Portale. — sussurrò Isabelle, alle spalle dei due.
— Sì. Tua madre non è riuscita a capire che cosa vuole esattamente il Console, vero? – bisbigliò in risposta Clary, mentre stringeva forte le stelle ninja che aveva nascosto nelle maniche della giacca. Con il Conclave bisognava stare sempre attenti, e loro non potevano permettersi di perdere nemmeno uno dei membri dell'Istituto, anche se questo avrebbe significato essere banditi da Idris per sempre e braccati come animali. Avevano bisogno di tutte le forze disponibili per combattere Melchizedeck.
— Ma voi cosa pensate che voglia? — mormorò Izzy, sistemandosi nervosamente una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio.
— Non lo so, ma a meno che non voglia delegare qualche stratega all'Istituto, non sarà nulla di buono. — rispose Clary, scrollando le spalle.
— Strateghi? Perché? — 
— Perché, Jonathan, non ne abbiamo nessuno di veramente qualificato. Io cerco di farlo, ma credo di essere troppo impulsiva per essere davvero utile. E poi c'è Maryse, ma in questi ultimi tempi è continuamente occupata a fare altre cose. Tutto quello che abbiamo fatto fin ora è cercare di resistere all'assedio, ma dobbiamo muoverci ad attaccare oppure verremo schiacciati come insetti. — rispose la rossa, serrando le labbra.
Magnus, nel frattempo, aveva inciso le rune del portale - per una volta autorizzato - e ad uno ad uno i Cacciatori iniziavano a passarci attraverso.
— Andiamo. E tu non farti tirare quel cappuccio. — sospirò infine la bella Lightwood, oltrepassando a sua volta quella barriera semi-gelatinosa color azzurro cielo, subito seguita dagli altri due.
Per un attimo si mozzò loro il respiro in gola e sentirono la consueta sensazione di immaterialità. Quando Clary aprì gli occhi, si rese conto di trovarsi nel palazzo parzialmente ricostruito della Guardia. A quanto ne sapeva, erano stati ricostruiti soltanto i piani inferiori che ospitavano le celle, che erano state meno danneggiate rispetto alle altre stanze, e il pian terreno con la sala riunioni, quella per le esecuzioni e quella che custodiva il portale. C'erano due Shadowhunters ad ogni angolo della stanza e al loro arrivo scattarono sull'attenti, irrigidendosi alla vista di una figura incappucciata.
— Identificati. — intimò un Cacciatore sulla cinquantina a Jonathan, puntandogli contro una balestra. Aveva uno strano accento.
Maryse si fece avanti: — Garantisco io per lui, Blackhope. Mi è parso di capire che il Console e il Consiglio volevano vederci. —
— Sissignora, il Console Jia vuole vederla. — replicò l'uomo squadrando ancora Jonathan, mentre Clary, accanto al fratello incappucciato, spostava il peso del corpo da un piede all'altro, a disagio.
— C'è stata qualche complicazione? — chiese Maryse, come aspettandosi di ricevere in risposta notizie orribili e catastrofi varie.
— Nulla di particolarmente importante, madame. L'Inquisitore Lightwood ha osteggiato fortemente questa riunione e anche i suoi sostenitori, ma il Console ha subito sedato le proteste. – Spiegò lo Shadowhunter, in evidente imbarazzo. Dopotutto stava parlando male dell'Inquisitore alla moglie dello stesso.
Oh, e immagino anche come le abbia sedate, queste proteste… rimuginò tra sé Maryse. Jocelyn colse al volo i suoi pensieri, quindi si fece avanti e chiese gentilmente al Cacciatore: — Può scortarci nella Sala Riunioni? —
Lui assottigliò lo sguardo: — Non parlo con le traditrici del Conclave. —
Jocelyn, scossa, cercò di fare un passo indietro proprio mentre Clary si faceva avanti. — E noi non vorremmo parlare con degli idioti. Ma che ci vuole fare, non si può avere tutto dalla vita. Quindi adesso faccia il suo dovere e ci scorti dal Console. — disse, fredda, inchiodando con gli occhi grigi il Cacciatore.
— E con chi ho l'onore di parlare, se posso permettermi? — replicò lo Shadowhunter. Ora Clary aveva identificato l'accento: era tedesco. Aveva studiato le basi del tedesco a scuola, e non le era mai piaciuto molto. Evidentemente, doveva iniziare ad applicare lo stesso giudizio anche a quel Cacciatore. Ricordava che la Germania era rimasta fuori dalla guerra contro Valentine, preferendo isolarsi come altri paesi tra i quali il Portogallo e la Russia. Per carità, non li giudicava di certo, anche lei sarebbe rimasta fuori dalla guerra se avesse potuto, ma una cosa era certa, e cioè che non potevano permettersi di starsene in panciolle nei loro paesi stranieri e poi tornare a Idris per giudicare coloro che avevano combattuto la guerra.
— Probabilmente avrai sentito parlare di me con il titolo `figlia di Valentine´. Mi presento per bene, sono Clarissa Adele Morgenstern (1). —
— Ah, la mondana che si immischia negli affari dei Cacciatori. —
— Bada a come parli, Shadowhunter. Tu sei un Cacciatore rimasto fuori dai giochi, lei un'eroina di guerra. Chi credi che verrà appoggiato dal Console, in futuro? – s'intromise Jace, sibillino.
— C'è qualche problema, signori? — Patrick Penhallow raggiunse i "litiganti" e incenerì con lo sguardo lo Shadowhunter. — Mia moglie non ti ha detto di scortare subito gli Shadowhunters di New York da lei? Devo fare rapporto al capo del tuo Istituto? — 
L'altro si morse le labbra. Era un veterano, per la miseria! Come si permettevano quei ragazzini di aggredirlo? Sospirò, svogliato, ma alla fine si posizionò alla testa dello strambo gruppetto e li condusse nella Sala degli Accordi.


Jia Penhallow era l'unica persona seduta accanto a un tavolo vuoto. Patrick Penhallow era in piedi, al suo fianco, e i membri del Consiglio erano anch'essi in piedi, ognuno accanto alla propria sedia, in attesa di un cenno da parte del Console che avrebbe permesso loro di accomodarsi. Robert Lightwood, invece, era qualche metro dietro Patrick e aveva le labbra serrata in un'espressione contrariata.
Quando tutti i componenti del consiglio furono seduti, Jia osservò per un lungo attimo quella moltitudine di Cacciatori e Nascosti davanti a lei: Clarissa Morgenstern era la prima della fila, subito seguita dal biondo Jace Herondale e da una figura incappucciata che doveva essere Jonathan Morgenstern, almeno a quanto le aveva detto quel verme schifoso di Lightwood. Dopo il ragazzo, c'era Jocelyn Morgenstern, contrariata per essere stata annunciata con quel titolo ma, dopotutto, al passato non si scappa, pensò Jia, bevendo un lungo sorso di vino rosso. Accanto a Jocelyn c'era Maryse Lightwood che la scrutava truce, e a ragione, poi l'attraente Isabelle Lightwood affiancata da suo fratello Alec e dal suo ragazzo, lo stregone Magnus Bane, e infine il licantropo Lucian Graymark. 
Maryse si schiarì la gola, posando lo sguardo azzurro e gelido come il ghiaccio sul nuovo Console. — Immagino che questo sia il momento in cui ci dite perché siamo stati convocati. — Si costrinse a dire, senza celare una nota irata nella sua voce.
— Ovviamente. — Jia le concesse un'occhiata benevola, bevendo quel che restava del vino. — Siete stati convocati qui per due questioni. Ma prima di iniziare a parlare, prego, accomodatevi. — fece, indicando con la mano dei posti vuoti tutt'attorno al tavolo.
— Ecco. Siete stati convocati qui principalmente per due motivi, il primo, come avrete intuito, è questa tanto decantata guerra che si vocifera stia per scatenarsi. Ma prima di parlare di questo, credo sia ora di chiarire la situazione altamente precaria del qui presente Jonathan Morgenstern. — annunciò, indicando il ragazzo incappucciato. I membri del Consiglio raggelarono e i Cacciatori di New York s'irrigidirono. Come aveva fatto a saperlo?
Robert sogghignò, dal suo posto lontano dal tavolo, ma tutti riuscirono a cogliere quello scintillio sinistro che attraversò come un lampo i suoi occhi. Era stato lui, erano tutti pronti a metterci la mano sul fuoco.
— Noi… — Jocelyn cercò di parlare, ma Jia l'interruppe: — Perché non facciamo parlare il diretto interessato? —
Jonathan assottigliò gli occhi e calò il cappuccio, rivelando i capelli bianchissimi e gli occhi scuri che in quel momento saettavano irrequieti da un lato all'altro della stanza, come se stesse cercando un buon nascondiglio.
— In effetti sono proprio io, Console. Immagino che l'Inquisitore Lightwood le abbia già detto tutto. — rispose, arricciando le labbra in un ghigno ferino. 
— Proprio così. Ho ritenuto che prima di allertare inutilmente la popolazione fosse necessario parlare con lei a porte chiuse, anche perché dopo quello che il Consiglio ha proposto di fare non credo che potrei mantenere la mia integrità morale se accettassi la loro proposta e condannassi lei a morte. Comunque, — aggiunse dopo una lunga pausa — immagino sappia cosa vogliamo sapere. — 
— Ovviamente. Suppongo che nonostante tutte queste belle parole che avete detto, vogliate una mia versione sincera dei fatti, di tutti i fatti. Ho ragione a sostenere che lei voglia usare Mellartach per interrogarmi, non è vero? Dopotutto mi è giunta la notizia che l'avete recuperata. — 
— Le sue supposizioni sono giuste. Se ora volesse farmi il piacere di posizionarsi lì — rispose Jia, indicando un punto poco oltre il tavolo, circa al centro della grande sala ma molto prima della pedana rialzata dove si tenevano i discorsi.
— Certamente. — senza smettere di sorridere, Jonathan si posizionò nel punto indicatogli e attese.
Robert gli si avvicinò con un sorriso freddo e sguainò la spada, avvicinandosi per dare inizio alla procedura (2).
— Dichiari il suo nome completo.
— Jonathan Christopher Morgenstern. 
— Età?
— Ventuno anni (3).
— È accusato dell'omicidio di Sebastian Verlac. Si dichiara colpevole o innocente?
— Colpevole. — il Consiglio trattenne il fiato, mentre Clary si mordeva le labbra. Non potevano condannarlo a morte, e non solo perché ci sarebbe andata anche la sua vita di mezzo, semplicemente perché era suo fratello.
— È accusato dell'omicidio di Maxwell Lightwood. Si dichiara colpevole o innocente? — Maryse quasi avrebbe voluto tranciare la testa del marito, per il tono gelido con cui aveva pronunciato il nome del figlio.
— Colpevole.
— È accusato dell'omicidio di Hodge Starkweather. Si dichiara colpevole o innocente? 
— Colpevole.
— Ha commesso altri omicidi di cui il Consiglio deve venire a conoscenza?
— Intende omicidi di Shadowhunters, di Nascosti o di demoni? No, perché nell'ultimo caso sarebbe un po' difficile quantificarli. — ribattè Jonathan, umettandosi le labbra con la lingua. Mellartach o non Mellartach, non si sarebbe fatto umiliare da quel cretino.
— Shadowhunters e Nascosti. — rispose Robert, controllando a stento la rabbia.
— E con Nascosti, intende coloro che avevano infranto la legge e quindi meritavano una punizione o coloro che erano innocenti? — continuò Jonathan, imperterrito.
— La mia pazienza non è infinita, signor Morgenstern. Parlo di Shadowhunters e Nascosti innocenti. — ringhiò Robert.
— Nessuno Shadowhunter. Un paio di Nascosti, sì, uccisi per ordine di mio padre. — 
— Per ordine di suo padre, quindi. Lei conosceva i piani di Valentine Morgenstern e non ha fatto nulla per fermarlo? — chiese l'Inquisitore, già pregustando il sapore della vendetta.
— Ovviamente. Cosa crede che avrei dovuto fare, Inquisitore? Ribellarmi e spifferare tutto al Conclave per poi venire imprigionato per la mia natura o usato come cavia da esperimenti? Ci tengo a farle sapere che ho vissuto segregato in una piccola baita e non avevo il permesso di uscire se non in presenza di mio padre e esclusivamente per l'addestramento. Ero costantemente sorvegliato, giorno e notte e non avevo modo di scappare. —
— Ci vuole forse far credere che non fosse capace di uccidere i suoi carcerieri?
— Sorvolando sul fatto che i miei carcerieri erano Cacciatori e quindi lei stesso mi ha consigliato di infrangere una delle più sacre leggi dell'Alleanza, Inquisitore Lightwood, le devo ricordare che io non avevo nulla per cui scappare. Sono cresciuto nella convinzione di essere un mostro - convinzione che lei approverà senz'altro, non è vero? - e sapevo che da qualche parte nel mondo c'era solo una donna che mi aveva abbandonato e si era data alla fuga. Dove sarei potuto andare? —
— Dal Conclave, per esempio. 
— Per essere imprigionato in quanto Morgenstern o in quanto mezzo demone, secondo lei? — sibilò Jonathan, socchiudendo gli occhi.
— Basta così. Mi rifiuto di interrogare un prigioniero così indisponente. —
Clarissa si fece avanti. — Anzitutto, Inquisitore Lightwood, mio fratello non è un prigioniero e, secondo punto, lei non ha il diritto di decidere quando smettere o incominciare di interrogare chicchessia, perché è un ordine che secondo la legge spetta solo al Console e, a quanto ne so, lei non è il Console. —
Jia annuì, compiaciuta. — La signorina qui, ha ragione. Decido io quando smetterai di interrogarlo e quando potrai intervenire, Inquisitore Lightwood. —
— Dovete ancora chiedere qualcosa oppure mi tenete qui per il piacere di guardarmi, Console? No, perché a quanto ho capito c'è qualcosa di più importante di cui parlare. — strascicò Jonathan, arricciando le labbra in una parvenza di sorriso. 
Clarissa scosse la testa, preoccupata. Non poteva starsene zitto per evitare di venire ghigliottinato o peggio? No, certo, ovvio che no, perché era fattibile che non avesse sentimenti ma non che riuscisse a calpestare per un attimo il suo orgoglio, pensò tra sé e sé, sarcastica.
— Un'ultima cosa — annunciò Jia, prendendo la spada dalle mani di Robert e portandosi davanti a Jonathan. — A chi va la tua lealtà, Jonathan Morgenstern? — 
Il ragazzo rispose senza esitazione: — La mia lealtà va a mia sorella Clarissa. — 
La rossa quasi rischiò l'infarto, tanto era grande la sua sorpresa. Lei? Perché lei? 
Jonathan, però, sorrideva, abbastanza compiaciuto. Non solo aveva detto tutta la verità, ma aveva anche evitato di schierarsi apertamente col Conclave, dichiarando di essere fedele a sua sorella, ed in effetti era vero. Clarissa era tutta la famiglia che gli era rimasta, perché Jocelyn non era sua madre, punto e basta. E Jonathan sarebbe sempre stato fedele alla famiglia.
S'incamminò fuori dalla portata della spada, ritornando a sedere.
— Per mera curiosità, Jonathan, perché sei fedele proprio a tua sorella? — chiese il Console.
Seh, lei lo chiede per mera curiosità e io sono Jonathan Shadowhunter, pensò l'albino, ironico. — Perché è l'unica famiglia che mi resta. — 
E le porte della sala si aprirono.
— Sicuro? — strascicò una voce familiare.
Sulla soglia della sala c'era Valentine Morgenstern.
 
__________________________________________________________________________________________________________________
(1) = Ho finito di leggere Città degli angeli caduti da poco, e ho iniziato a scrivere questa storia dopo aver letto Città di vetro. Allora non sapevo ancora il nome completo di Clary, così l'ho inventato, ma adesso uso l'originale. Provvederò a modificare i capitoli in cui ho scritto un secondo nome inventato al più presto. ^.^
(2) = Non ho idea di come si usi Mellartach per far dire la verità ai Cacciatori, quindi non descrivo la cosa nei dettagli.
(3) = La Clare ha un po' confuso l'età di Jonathan. Racconta che ha la stessa età di Jace, ma poi nell'albero genealogico dice che ha un anno in più. Attenendomi a quest'ultima teoria, Jonathan nella mia storia ha ventuno anni, Jace venti e Clary diciotto.


Angolo Autrice:
Hello, boys and girls. We like this chapter?
Okay, passiamo all'italiano.
Sì, spero di avervi scioccati. E lo spero proprio tanto, eh! Cioè, sapete quanto ho dovuto raccapezzarmi per far entrare Valentine in scena in modo fattibile? No, non potete saperlo, ma lo scoprirete nei prossimi capitoli.
Coooooomunque, voglio i vostri pareri.
Che ne pensate di questa apparizione? E come pensate che reagiranno i nostri benamati protagonisti? Qualcuno rischierà l'infarto? XD
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Lo so, come capitolo è un po' corto, ma anche interessante, no? O almeno io la vedo così.
Ecco lo spoiler:
— Paura, Lucian? — […] 
— Di te? Mai più. — 
[…]
— Non ci hai messo molto a sostituirmi, vero, Jocelyn? Fammi capire bene, hai aspettato che morissi per cercare un nuovo marito? —
[…]
— L'ultima volta non l'ho fatto. Ma ti assicuro che se tenti di nuovo di far del male a Clary ti uccido con le mie mani. — sibilò, e Valentine seppe che stava dicendo la verità. Sapeva sempre quando Jace mentiva, e questa volta non era così.
[…]

Su, che sono spoiler belli sostanziosi! Il primo è una bazzecola. È impossibile non indovinarlo, andiamo! Il secondo è ancora più semplice. Se non lo indovinate io sono Michael Jackson tornato dall'oltretomba - azzeccata come citazione, visto il capitolo, no? XD -. E il terzo è probabilmente quello più facile di tutti, persino esplicito: piccolo confronto tra Jace e Valentine, sì. Rosolatevi nei vostri dubbi! Mhuhahahhahahaha! Mamma, quanto mi diverto a tenervi sulle spine… XD. Okay, perdonatemi. Ma lo sapete che sono fatta così, no? ^.^ 
Ci vediamo presto,
-D.

 

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Capitolo 16
*** XVI - Una serpe in seno ***


Shadowhunters - City of Marble

Capitolo XVI - Una serpe in seno

 
              Può darsi che non ci piaccia vivere insieme, 
ma morire insieme non risolverà niente.
[L'alba dei morti viventi]


L'aria nella stanza sembrava essersi congelata, la tensione si poteva tagliare a fette.
Valentine avanzò con passi lenti e misurati fino ad arrivare poco lontano dal tavolo. 
Clary e Jace sembravano essersi pietrificati, come se stessero ancora cercando di capire chi c'era davvero davanti a loro; Jocelyn era cerea; Magnus sembrava essere a metà tra la curiosità e l'irritazione; e Jonathan… Jonathan sembrava essere una statua di marmo. Non muoveva un muscolo ma i suoi occhi saettavano per la stanza, cercando disperatamente… cosa? Sembrava quasi che cercasse una via di fuga. Ma la reazione più interessante fu senza dubbio quella di Luke: era seduto rigidamente, con la mascella contratta e il volto talmente paonazzo da sembrare un pomodoro. Aveva le labbra serrate e gli  occhi stretti in due fessure, ed era l'unico che guardava direttamente Valentine.
— Paura, Lucian? — strascicò il biondissimo Morgenstern.
— Di te? Mai più. — rispose l'altro, gelido. 
— Oh, non credo proprio. Ah, Console, sono forse entrato nel momento sbagliato? 
— Lei? È stata lei a volerlo qui? E come diavolo ci è arrivato qui, quando si supponeva che fosse nient'altro che cenere? — riuscì a chiedere Clary, non degnando l'uomo di uno sguardo. La sua attenzione andava tutta al Console.
— Sì. Mi è parso di capire che avete bisogno di uno stratega, no? Io ve l'ho procurato. 
— E, tra tutti gli strateghi del mondo intero ha scelto lui? Ci sta mettendo una serpe in seno! — Clary serrò i pugni sotto il tavolo.
— So che può sembrare una decisione molto sciocca, Clarissa, ma sono certa che converrai con me che fosse la scelta migliore. Non state avendo a che fare con un nemico comune ma, a quanto pare, con un incrocio di razze che è persino più pericoloso di Valentine qualche anno fa. Mi sbaglio forse? — chiese Jia, incrociando le dita delle mani.
Mentre Robert sproloquiava sul fatto che non esistesse nessun nemico e che chiamare il morto-evidentemente-non-tanto-morto era stata solo una sciocca imprudenza, Clary sospirò. Il ragionamento del Console faceva acqua da tutte le parti, ma aveva anche una sua logica.
— E, diciamo che io le do ragione, anzi, le do proprio ragione. Come cavolo ha fatto questo… uomo… a resuscitare?! Come può il Consiglio e, soprattutto, lei stessa, accettare che sia di nuovo in libertà? — contrattaccò la rossa, inspirando profondamente. Erano appena passati dalla padella alla brace. Ed erano ormai quasi cotti a puntino. 
— Partiamo dalle cose più semplici, ma prima, chiedo di rimanere in stanza solo con la famiglia Morgenstern. — annunciò Jia.
Qualche minuto dopo chiese: — Lucian? Jonathan? Come mai siete ancora qui? —.
Jace incrociò le braccia al petto: — Io da qui non mi muovo. —
Luke incominciò a blaterare qualcosa sul fatto di essere il fidanzato di Jocelyn, mentre Jonathan - il vero - sbuffava e Valentine ridacchiava tra sé e sé. — Non ci hai messo molto a sostituirmi, vero, Jocelyn? Fammi capire bene, hai aspettato che morissi per cercare un nuovo marito? — Sogghignò, ma gli occhi mandavano lampi. 
— Adesso basta! Lucian, Jonathan, uscite. — ordinò il Console.
Luke sembrava pronto a trasformarsi e sbranare il primo povero malcapitato - o, più precisamente, Valentine, che tanto povero e malcapitato non era… -, ma annuì ed uscì dalla stanza.
— Jonathan? — chiese il Console a Jace, inarcando un sopracciglio. 
— Jace fa parte della famiglia, Console. Ha il diritto di essere qui tanto quanto e probabilmente più di me. — ribattè Clary, incrociando le braccia al petto. 
— Se parlerà te ne assumerai ovviamente tu le responsabilità, Clarissa. — Specificò il Console.
— Certamente. Già che ci siamo, però, non mi sembra che l'Inquisitore Lightwood sia imparentato con la mia famiglia in qualche modo, o mi sbaglio?
— Ma come ti permetti, ragazzina! Io sono l'Inquisitore, e ti potrei fare… —
— Potresti fare cosa, Robert? Devo ricordarti della pacatissima chiacchierata che abbiamo fatto qualche giorno fa? — sibilò Jocelyn, occhieggiandolo pericolosamente.
L'Inquisitore sbuffò ma non proferì parola, e scomparve oltre le porte della sala.
— Adesso, questi chiarimenti? — borbottò Jonathan.
— E, giusto per chiarire, io mi chiamo Jace, è lui Jonathan. — sottolineò per bene Jace. Aveva decisamente chiuso con quel periodo in cui accettava di farsi chiamare Jonathan, anche se era il suo nome. 
E, dopo infiniti sproloqui su nomi, fidanzati e morti improvvisamente resuscitati - vedi Valentine che guarda ad occhi spalancati Jace e Jonathan - finalmente il Console si decise a spiegare la situazione.




Clary inspirò profondamente.
Tra tutte le teorie possibili e immaginabili che aveva elaborato in fretta e furia, quella data dal Console era probabilmente l'unica che non le era venuta in mente. Perché? Be', perché riguardava Jace, ovviamente, e non le era nemmeno sfiorato il pensiero che Jace, seppur involontariamente, centrasse qualcosa.
Jia aveva detto che, quando Raziel aveva fatto ritornare Jace dall'aldilà - scioccando tutti quelli che non sapevano del piccolo viaggetto del biondo nel regno dei morti - aveva rotto l'equilibrio naturale delle cose. Perciò la tenebra aveva diritto a riportare in vita un morto che stava "dalla sua parte", non solo per proprio vantaggio personale ma anche per ricostruire l'equilibrio naturale delle cose. E così, con il ciondolo di Valentine (1), una sua foto e un potente stregone, il cattivone era magicamente resuscitato.
Poi Jia aveva detto a Magnus di applicare ulteriori difese all'Istituto - come se non ci fossero già - per impedire a chiunque di vedere chi c'era dentro, e li aveva cacciati tutti bruscamente, non prima però di essersi rintanata con Maryse in un angolo a parlare, presumibilmente, di Robert.
Infine, l'Inquisitore Lightwood - altresì conosciuto come il-più-grande-figlio-di-buona-donna-del-sec…-no-millennio - suggerì - o meglio, impose - ai Cacciatori di New York di tornare all'Istituto con il portale della Guardia.
E adesso Jocelyn era impegnata in un accesso battibecco con Robert.
— Ora basta! Smettetela! E poi chiamate noi bambini… per quanto la sua offerta si allettante, Inquisitore Lightwood, mi fido soltanto dei Portali creati da me o di quelli di Magnus. Quindi, credo proprio che ce ne andremo con un mio Portale, visto che Magnus deve conservare le energie per innalzare altre difese attorno all'Istituto. Grazie mille per la sua proposta, comunque, ma adesso abbiamo da risolvere delle questioni urgenti. Arrivederci. — li freddò Clary con tono gelido.
Scese le scale dell'edificio e s'incammino, seguita da Jace, Jonathan e Isabelle, verso il confine della città.
Quando gli altri li raggiunsero, spiegò: — Dovremo camminare un po', le difese della città sono ancora deboli, ma non abbastanza da permettermi di aprire un portale. Dobbiamo oltrepassare il confine. —
Per un po' ci fu il silenzio, e ripresero a camminare, poi Luke si fermò: — Ma perché non hai accettato di tornare con il Portale della Guardia? — chiese, perplesso. — Così allunghiamo solo la strada. E che avevi di così urgente da fare da farci scappare in fretta e furia? —
— C'è fin troppa gente che ci desidera sottoterra, Luke. Meglio non dargli l'opportunità di farci arrivare chissà dove con il Portale. E ho molte cose da fare, e la maggior parte delle quali non ti riguardano. Jace, sai che ore sono? 
— Le undici e trenta. Perché? —
— Perché alle tre dobbiamo incontrare la Regina delle Fate.—
Il piccolo drappello si fermò di botto. — La Regina delle Fate? Perché? — chiese Jocelyn.
— Potremmo riuscire a convincerla a scegliere la nostra parte. —
— Senza offesa Clary, ma le negoziazioni non sono proprio il tuo forte, lo sai, vero? — Intervenne Jace, inarcando un sopracciglio. 
— Lo so, lo so. È per questo che parlerete tu e Jonathan, ovviamente. Credo che ci porteremo dietro anche Valentine, per quanto non voglia averci a che fare. —
— Fate pure come se non esistessi. — Sibilò quest'ultimo, irritato. Adesso doveva anche farsi mettere i piedi in testa da una banda di ragazzini! Cose da pazzi!
— Ascoltami bene. Io non lo so come è potuto passare per l'anticamera del cervello del Console di resuscitarti, ma una cosa è certa: adesso sei qui e devi darti da fare. E sappiamo tutti che sei bravo con gli armistizi. Non voglio più avere a che fare con te, ma tengo alla mia pelle. Quindi, farai quel che devi. Altrimenti ti rispediamo dal Console con tanto di fiocchetto e bigliettino di scuse. — Strascicò Jonathan. Okay, forse non dove a farsi trascinare così tanto dall'odio di Clary, ma… ormai quel che era fatto era fatto, no? 
— Tremo già. — replicò Valentine. Aveva tenuto in pugno Jonathan per tutta la sua vita, non avrebbe certo accettato adesso una simile indisciplina!
— Fai bene. Perché il biglietto di scuse lo scriveremo col tuo sangue. E il fiocco verrà deliziosamente bene con la tua pelle, suppongo. — ribatté Clarissa, fermandosi appena qualche passo dopo aver varcato il confine.
— Penso che lì vada bene. — annunciò infine, incamminandosi verso una grossa parete di roccia naturale segnata dalle intemperie.
Estrasse lo stilo dalla tasca e tracciò le rune del Portale. 
Immediatamente la superficie grigiastra e solida divenne morbida come gelatina, azzurrognola e lievemente increspata. 
La rossa sospirò e oltrepassò la sostanza gelatinosa. Per qualche attimo le sembrò di galleggiare nel vuoto, i suoi sensi si annullarono e le sembrò di essere completamente sola nel nulla.
Istituto di New York, Istituto di New York, si ripeté, risoluta, e finalmente davanti a lei comparve la grossa chiesa di marmo.
Con i suoi alti cancelli e tutte quelle guglie e le finestre altissime e il grosso cortile diviso dai muretti, sembrava quasi una città. Una città di marmo.
Gli altri la raggiunsero e Maryse aprì il cancello, facendo entrare tutti nel cortile.
Una volta dentro, si sparpagliarono in gruppetti.
Valentine sbuffò. A quanto pare avrebbe dovuto fare a meno degli onori di casa. Si liberò della giacca, posandola su un appendiabiti, e si diresse nell'ala in cui, usualmente, c'erano le camere da letto dei Cacciatori. 
L'ala dell'edificio si divideva in cinque lunghi e larghi corridoi. Imboccò quello a sinistra, leggendo i nomi incisi sulle porte. La prima camera era quella di Isabelle Lightwood, poi c'era Alec Lightwood e un'altra porta da cui erano state grattate via le lettere, ma ancora si leggeva, un po' sbiadito, Max Lightwood. Di fronte alle tre porte ce n'erano altre tre. La prima era occupata da un nome quanto mai lungo, scritto in diversi colori, segno che alcuni cognomi erano stati aggiunti dopo: Jace Wayland Lightwood Morgenstern Herondale. Ogni cognome era di un colore diverso. Wayland, in lettere grigie, era sbiadito e probabilmente risalente a molti anni prima. La scritta Lightwood doveva avere almeno un paio d'anni, le lettere della parola Morgenstern erano solo lievemente sbiadite, mentre quelle che componevano la parola Herondale sembravano nuove di zecca. Poi c'era un altra porta, su cui era stato scritto in fretta e furia con un pennarello nero Jonathan Morgenstern, e infine un'ultima porta bianca con un nome dipinto di verde, Clarissa Morgenstern.
Per poco Valentine non scoppiò a ridere. Credeva sinceramente che si facesse chiamare Fray, o Fairchild, o addirittura Graymark o Garroway, ma che avesse accettato il suo cognome… questa gli era nuova. Fece marcia indietro ed uscì dal corridoio, imboccando l'altro. Ma tutte le stanze erano vuote, così come quelle del corridoio successivo e di quello dopo ancora. Infine, nell'ultimo corridoio, c'erano due porte l'una di fronte all'altra. La prima recitava Maryse e Robert Lightwood. La seconda, Lucian Graymark e Jocelyn Fairchild.
Strinse i pugni.
Quel cane dormiva con Jocelyn. Con la sua Jocelyn.
Lei era una Morgenstern, non più una Fairchild e non sarebbe mai stata una Graymark. Mai.
Oh, ma a quello avrebbe posto rimedio. Sicuramente.
Socchiuse gli occhi e fece dietrofront, imboccando il terzo corridoio, che era abbastanza lontano sia dai ragazzi che dai Lightwood, per non parlare del bastardo. 
Entrò nella prima stanza a caso, osservandola. Niente di troppo sofisticato, ma non era nemmeno spartana come si aspettava. Pareti bianche e pavimento grigio chiaro di ardesia, con un grosso baldacchino d'ebano, e una scrivania e un armadio dello stesso legno. C'era poi una sedia dall'aria antica, sempre d'ebano, con la seduta e lo schienale foderati di pelle bianca, e poi nient'altro, tranne una porta bianca che presumibilmente dava su un piccolo bagno.
Valentine si sedette davanti la scrivania, sulla sedia, e fissò i fogli bianchi e la penna stilografica poggiati sopra. C'era l'intestazione dell'Istituto di New York, a lato.
Stappò la penna e incominciò a scrivere. A chi? Alla banca Svizzera dove aveva depositato il suo capitale, ovviamente.
Di sicuro Maryse non l'avrebbe fatto allontanare da New York, e non c'erano possibilità che lo facesse andare addirittura in Svizzera, ma poteva far trasferire una minima parte della somma sul suo conto newyorchese. 
Dopo aver finito la lettera, la infilò in tasca e sbuffò. Doveva decisamente decidere una linea d'azione, non poteva certo farsi comandare a bacchetta da quattro idioti.
Non aveva neanche finito di formulare quel pensiero, che un urlo lo fece saltare in piedi.
— CI ATTACCANO! — 
Era la voce di Jocelyn.
Scattò in piedi ed uscì dalla stanza, ritrovandosi sbarrato il passo da Maryse.
— Tu rimani qui. Non sia mai che decida di allearti con Melchizedeck. — non gli diede il tempo di ribattere e si allontanò in tutta fretta, scomparendo in un labirinto di intricati corridoi.
L'uomo aspettò dieci minuti in trepidazione. Dopo, controllò l'ora sull'orologio e scattò verso dove pensava ci fosse l'armeria. Era passato abbastanza tempo, erano già tutti in cortile a combattere di sicuro.
E invece no, si ritrovò davanti Jace che correva, armato di tutto punto, verso la direzione opposta. Si fermò e gli sbarrò la strada. 
Valentine imprecò. — Ascoltami bene, Jonathan. Magari non ti piace vivere nello stesso posto dove vivo io, ma far entrare qui i Nascosti e morire insieme non risolverà niente, quindi ti consiglio di farmi entrare nell'armeria. Suppongo che Maryse, sbadata come sembra ultimamente, non abbia perso tempo ad avvisare il Conclave per far arrivare rinforzi, quindi una persona in più capace davvero di tenere una spada in mano sono certo che sarà ben accetta. — 
Jace parve pensarci per un secondo, ma poi si fece da parte e scosse la testa.
Valentine annuì, compiaciuto, e sorrise: — Forse non ti piacerà stare in mia compagnia nel prossimo futuro, Jace, ma non credo che farci ammazzare cambierà qualcosa, non trovi? —
— L'ultima volta non l'ho fatto. Ma ti assicuro che se tenti di nuovo di far del male a Clary ti uccido con le mie mani. — sibilò, e Valentine seppe che stava dicendo la verità. Sapeva sempre quando Jace mentiva, e questa volta non era così.

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(1) = Quello che è stato ritrovato nell'incendio della tenuta dei Fairchild, per intenderci. 
 


A.A:
Hello, everybody!
Okay, okay, parto con le confessioni.
Anzitutto, mi sembra che la parte dedicata a Valentine sia davvero penosa. È un personaggio davvero complesso da rendere, dieci volte più di tutti gli altri sicuramente, perciò cerco di fare del mio meglio, anche se non sono del tutto convinta del capitolo. Però, dopo aver cancellato e riscritto due volte la parte del mio secondo Morgenstern preferito - non potrei mai declassare Jonathan! XD - non ho davvero il coraggio di riscriverlo ancora. 
Mea culpa, mea maxima culpa.
Chiedo pietà, non fatemi arrestare dai Fratelli Silenti!
Ma bando alle ciance e ciancio alle bande, continuiamo con un piccolo angolo di pubblicità, gente, ho due OS da proporvi:
Nightmare: Lo spin-off di City of Marble, la prigionia del piccolo Ian proprio dal suo punto di vista. Rating arancione, OS, nessuna coppia. Non è stata molto visitata - probabilmente proprio perché è uno spin-off e non una serie a sé -, però vi lascio lo stesso la trama:
[Spinn-off di Città di Marmo, indispensabile da leggere prima di leggere questa storia]
Tratto dalla storia:
Ian. Allora è così che mi chiamo, pensò il bambino, ripetendo quel suono nella mente.
[…]
Poggiata su un delicato panno bianco […] lo fissava una testa mozzata.
[…]
Gli occhi […] del bambino incominciarono a scurirsi fino a divenire neri e a non far più distinguere la pupilla dall'iride.
[…]
Chiuse gli occhi ancora neri come l'odio, e sogghignò all'Incubus. – No, non mi fai paula, mostlo. – 
[…]
– Oh, no, il mostlo non sono io, ma tu. – Sussurrò […] il bambino, beandosi del nulla dentro di sè.
No, quella notte non avrebbe avuto paura degli incubi, e nemmeno quella dopo o quella dopo ancora. Ian non avrebbe mai più avuto paura degli incubi.
Spinn-off Città di Marmo | Ian | Nessuna coppia | Violenza - senza scendere nei dettagli fisici | One-shot molto molto corta |

E ci tengo a presentare in modo speciale la seconda OS, la storia che ha ricevuto più recensioni tra tutte quelle che ho scritto - ne sono orgogliosissima! * Me si auto-compiace… * - con ben dieci recensioni, signori e signore. È un traguardo speciale e sono davvero contentissima, quindi ci tengo a ringraziare tutti i recensitori.
Se volete passare, vi dò le informazioni: Rating arancione, OS, coppia het, AU, incest, Jonathan/Clary.
Sissignori, una Jonathan/Clary. La mia prima Jary, signori e signore.
Venghino, signori, verghino a leggere la trama della OS!

Valentine non è impazzito. Si è sposato con Jocelyn e ha avuto due figli, Jonathan e Clary. Jace non sarà mai Jace, si chiama Will, è un rubacuori e non guarda Clary nemmeno di striscio.
Jonathan si sente impazzire. Vede persone che non ci sono. Vede una persona che non c'è. Che non può avere, nè potrà mai.
Jonathan vede capelli rossi e occhi verdi ovunque. Occhi uguali ai suoi, occhi verdi come la speranza che per loro non ci sarà mai. 
Jonathan vede Clary ovunque. L'ama perché l'ama e l'odia perché non può amarla.
Jonathan non si sente più Jonathan. In camera sua di giorno, in quella di sua sorella la notte. A guardarla dormire. 
Jonathan si detesta per quello che prova. Ma non può farci niente.
Jonathan ha accettato i suoi sentimenti. Deve solo imparare a convivere con essi.
Più facile a dirsi che a farsi.
Ma Jonathan si porterà il segreto nella tomba, costi quel che costi. O almeno lo crede…
Dalla storia:
Ed è così che ci trovano mamma e papà, mezzi nudi, feriti, in una pozza di sangue e circondati da schegge di vetro e con sotto di noi una foto imbrattata di rosso.
Rosso come l'amore che ci unisce.
Rosso come il peccato che abbiamo commesso.
Rosso come il sangue che ci lega.
E a quel punto succede… di tutto.
AU | Incest | Jonathan Morgenstern | Introspettivo | Triste | Malinconico | 

Fine dell'angolo(ne) della pubblicità, gente! ^.^

Infine, lo spoiler:
— Valentine… — Sussurrai, aprendo gli occhi ed incrociando uno sguardo azzurro e ferito.
Non era Valentine. Era Luke.
[…]
Chi c'era ancora in vita, oltre a me, che sapeva la verità? Tre sole persone. Valentine stesso, che non avrebbe mai parlato, Stephen Herondale, ma i morti non parlano, quindi non dovevo preoccuparmi, e Lucian stesso.
[...]
— Sapere che quel cane bastardo ti ha toccato… toccato come sto facendo io… mi fa andare in bestia, lo sai? — 
[…]


Okay, vi ho scioccati. 
Il primo spoiler è semplice, ma il secondo? Chi parla di un segreto? Cosa centrano Valentine, Stephen e Luke? E infine l'ultimo… andiamo… non ditemi che non l'avete capito… dai che è semplice, anche se scioccante… be', fatemi sapere nelle recensioni, sono moooolto curiosa dei vostri pareri.
-D.
P.S: Preparatevi, perché il prossimo capitolo sarà DAVVERO DAVVERO DAVVERO scioccante.

 
 

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Capitolo 17
*** XVII - Problemi in Paradiso ***


Capitolo XVII - Problemi in Paradiso
Ogni realtà è un inganno.
 La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi.
[Pirandello, Uno, nessuno e centomila, 1925]

POV JOCELYN

— Jocelyn, qui! — Mi voltai di scatto verso Maryse, accerchiata da quattro demoni Raum.
— Sithael! — Esclamai, correndo verso di lei. Infilzai diritto nel cuore il primo demone e il secondo si voltò verso di me, facendo allungare innaturalmente gli artigli nerastri che aveva al posto delle unghie.
Mi abbassai proprio mentre sferrava un colpo che avrebbe potuto tranciarmi la testa e mirai alle sue gambe con una stoccata, ma il Rahum saltò e schivò il colpo. 
Spiccò un balzo, cercando di atterrarmi dall'alto, e mi gettai a terra, rotolando di lato. Cercai d'infilzarlo e quello si spostò di scatto, pensando di afferrarmi per le spalle.
Ringhiai, frustrata, facendo roteare la spada sottile nella mano grazie all'impugnatura, e tranciai di netto la testa mostruosa del demone.
Un Vermithrall spuntò alle mie spalle e mi abbassai sulle ginocchia appena in tempo, evitando per un pelo la sua viscida morsa. Gli piantai una seconda spada angelica nel petto ma il demone continuò ad avanzare fino a quando non gli piantai la spada nel petto, all'altezza del cuore. Il Vermithrall crollò a terra, dividendosi in tanti piccoli vermi. Estrassi un accendino dalla tasca e lo gettai in terra, vicino a dell'erba secca e… et voilà, un bel falò di Vermithrall è servito!
Due ibridi si posizionarono davanti e dietro di me. Il primo era un incrocio lupo mannaro-fata, la seconda una fata-strega o qualcosa di simile.
Dove cazzo era Luke quando serviva?
Scossi la testa, gettandomi dietro un masso per ripararmi da un fascio di scintille verdognole che partivano dalle dita dell'ibrida femmina.
— Jocelyn, alle tue spalle! E dopo voglio ben capire a cosa serve esattamente quel tuo lupo mannaro da compagnia, oppure è solo un orpello? — Mi voltai di scatto, ritrovandomi un demone Drevak davanti a me. Gli tranciai la testa di netto e vidi Valentine correre verso di me, con in mano due katane con i marchi incisi ai lati delle lame.
Non avevo mai sentito un tono più sarcastico di quello. 
Scossi la testa. Concentrati Jocelyn, concentrati, mi ripetei. 
Srotolai la frusta dalla vita e colpii un demone non bene identificato, aveva quasi fattezze umane, ma non era davvero umano. La pelle era rossa e bitorzoluta, quasi gelatinosa, e pelosa, molto, e il volto da lupo con smisurati canini.
— Stanno incrociando i Nascosti con i demoni! — Urlai, gettandomi a terra per evitare dell'icore di demone che era spruzzato nell'aria. 
Un altro incrocio di demone si fece avanti, questo però sembrava più umano, e tra le mani artigliate stringeva una spada priva di rune. E cazzo se era abile!
Menò un fendente e mi gettai ancora in terra, sbucciandomi le ginocchia. 
Jael! — Urlai, evocando l'ennesima spada angelica. Cercai di colpirlo al fianco deforme, ma schivò abilmente il colpo e anche quello successivo schizzando in aria. Atterrò carponi e cercai di oltrepassare la sua guardia, ma impugnò la spada a due mani e sferrò un colpo talmente potente che avrebbe potuto tagliarmi in due dal capo al ventre, se solo fossi rimasta in quella posizione per un secondo in più. Mi spostai, schivando il colpo per un pelo, e mi accucciai dietro un gradone che era saltato dalla scalinata dell'Istituto nella foga del combattimento. 
L'ibrido colpì con la punta della spada la pietra, che si spezzò lasciandomi allo scoperto, ma anche la spada del mostro si accartocciò su se stessa per il colpo troppo forte che aveva sferrato. Approfittai dell'occasione e mi lanciai sull'ibrido, trapassandolo da parte a parte con Jael.
Vidi Maryse slanciarsi in avanti e ingaggiare un combattimento con due Moloch, mentre Valentine mi affiancava. 
Raffaele! — Esclamò, e la spada angelica che stringeva in pugno s'illuminò in modo quasi anormale, e non saprei dire se fosse per la potenza del nome o per la forza che Valentine vi aveva infuso.
Si lanciò verso un’Idra, mozzando una delle nove teste che il demone aveva, e gettandosi a terra dietro un cespuglio rinsecchito per evitare che l'icore fuoriuscito dalla ferita del mostro lo centrasse in pieno, bruciandolo. 
Scattò successivamente in avanti, cercando di sgusciare velocemente tra le zampe abnormi dell'Idra, ma si ritrovò sbalzato contro una delle pareti esterne dell'Istituto. Si rialzò, imprecando, e strinse saldamente Raffaele. Si gettò di nuovo in avanti, apparentemente senza ferite preoccupanti a parte qualche graffio, e riuscì a ferire una zampa del mostro. 
Nel frattempo, mi liberai dell'Eidolon che aveva cercato di attaccarmi alle spalle ed ero corsa verso l'Idra, tagliandole via la seconda testa. Bene. Ne restavano sette. 
— Valentine! — Urlai.
Si voltò verso di me, stupito. — Io lo distraggo, tu vagli alle spalle e uccidilo! — Non attesi una sua risposta e mi lanciai in avanti, col preciso intento di farmi notare dal demone. 
Roteai la spada luminosa, attirando lo sguardo feroce dell'Idra. Sibilava qualcosa d'incomprensibile e scuoteva forte tutte le teste, ad eccezione della quarta. 
Feci scattare la spada in avanti, infilzandola nella gamba decisamente troppo grande del mostro, che guaì di dolore pur continuando a sfarfallare gli occhi nel tentativo di seguire la luce abbagliante della spada angelica che si spostava velocemente da un lato all'altro. 
L'idra scattò in avanti, cercando di inghiottirmi o chissà cos'altro. Mi accucciai a terra nello stesso momento in cui una grossa spada angelica a due mani trapassava lo stomaco della creatura, che barcollò in avanti e si schiantò al suolo… imprigionando me sotto uno dei suoi lunghissimi colli.
— Jocelyn! — Mi voltai, cercando di capire a chi appartenesse la voce.
Ma mi sentivo così stordita… Chi era? Maryse? No… non era lei, era una voce maschile.
Che cosa era successo? Stavo combattendo nella battaglia di Brocelind, ne ero certa… Possibile che… possibile che Valentine avesse cambiato idea? Magari aveva deciso che non voleva più conquistare il mondo… che voleva ritornare ad avere una famiglia con me e Clary… e Jonathan. Dov'era il mio bambino? Era cresciuto? Dovevo chiederlo. Sì, se Valentine c'era allora doveva esserci anche lui.
— Valentine… — Sussurrai, aprendo gli occhi ed incrociando uno sguardo azzurro e ferito.
Non era Valentine. Era Luke. E io avevo ricordato tutto.
Si alzò di scatto, facendomi sbattere il capo contro qualcosa di duro. Stavo sanguinando, credo. 
— Te lo chiamo subito. — Sibilò. 
Provai a richiamarlo, ma non ne avevo le forze. E poi era lui a comportarsi da stupido, non certo io! Offendersi perché non avevo mormorato il suo nome nel delirio! Magari adesso pretendeva anche che lo sognassi ogni notte…
Sbuffai.
— Problemi in paradiso? — Strascicò una voce sarcastica e familiare.
Valentine avanzò verso di me, passandosi una mano fra i capelli chiarissimi madidi di sudore. Erano talmente chiari che, se aveva eventuali capelli bianchi dovuti all'avanzare dell'età - dopotutto, c'eravamo sì sposati giovani, ma io avevo già quarant'anni, e lui quarantuno, non eravamo più baldi ventenni… - questi non si vedevano. Sarebbe stato impossibile distinguerli.
— Cosa ci fai qui? — Svincolai abilmente la sua domanda, almeno secondo me, ma dovette accorgersene perché mi lanciò uno sguardo ironico.
— Lucian mi ha detto che hai chiamato me appena ti sei svegliata. Mi hai sognato? Sembrava parecchio arrabbiato, sai? — Scoppiò a ridere, ma era una risata fredda, priva di calore umano. 
Alzai gli occhi al cielo. — Era un incubo. — Ribattei, mentre afferrava una sedia e si sedeva accanto al letto.
— Parlando di cose importanti, com'è andata la battaglia? 
— Credi che adesso sarei qui, se non avessimo vinto? — Rispose, accavallando le gambe con nonchalance. 
— Avevo dimenticato quanto fossi irritante, sai? — Borbottai, scuotendo il capo.
Rise ancora, ma questa volta sembrava una risata più… viva. — Io non sono irritante, Jocelyn. Tu apprezzavi le mie parole, è quel cane che ti ha cambiato. Ah, a proposito, se n'è andato. —
Gli scoccai uno sguardo furioso: — Punto primo, Luke non è un cane. Punto secondo, cosa diavolo vuol dire che se n'è andato?! — Ringhiai.
Alzò le mani davanti al volto, sorridendo. — Non gli ho mica detto io di andarsene, non te la prendere con me! Non lo so dov'è andato, ma ha preso tutta la sua roba, l'ha ficcata in una borsa e se n'è andato facendo un baccano incredibile. Credo che si stesse trasformando, sai? Sarebbe stato interessante da studiare. — 
Mi morsi il labbro. Perché, nonostante tutto, lo trovavo divertente?
Distolsi lo sguardo dal suo.
No, Jocelyn. Lui ha condannato tuo figlio, l'ha picchiato e maltrattato e obbligato a compiere mostruosità. 
Però… però forse in lui c'è parte di quel ragazzo che mi ha fatta innamorare…
Scossi forte la testa, incuriosendolo.
— Cosa?
— No, niente, pensavo tra me e me. Puoi andartene, grazie. — Risposi, mordicchiandomi l'interno della guancia. Non dovevo far trasparire nessuno dei miei sentimenti davanti a lui. Mai.
— Certo che posso, ma chi dice che voglio? (1) — 
Sbuffai. — Lo dico io. Vai via, Valentine. —
Assottigliò gli occhi grigi: — Verrà il giorno in cui mi vorrai e io non ci sarò. — Sussurrò. Doveva suonare come una promessa, ma la sua voce era bassa e letale, da far scendere dei brividi lungo la colonna vertebrale.
Dopo, si voltò ed uscì dall'infermeria. 
Mi rigirai nel letto, frustrata, e stavo quasi per decidere di andarmene quando il cellulare poggiato sul comodino squillò. Era il telefono di Valentine. L'aveva dimenticato? Strano. 
Lui non faceva errori del genere, mai. E se li faceva, erano sapientemente studiati per chissà quale intricato scopo.
— Pronto? 
— Valentine? — Parlò una voce bassa, arrabbiata e nervosa. Nonostante questo, la riconobbi.
Cosa dovevo fare? Non potevo dirgli che ero io, no, dovevo capire perché aveva chiamato proprio Valentine quando era ovvio che lo odiava con tutto il cuore.
Mi schiarii la gola. — Lucian. — Risposi, sperando che non si accorgesse della differenza.
— Cos'è, hai preso il raffreddore mentre giocavi con quell'Idra? C'è da chiedere se non li avessi chiamati tu stessi, quei demoni. —
Cercai di pensare a qualcosa che avrebbe sicuramente detto Valentine, non potevo farmi scoprire. — Davvero, cane? Quindi le voci di te che richiami i demoni per spassartela di nascosto con un Eidolon non sono vere? Sai, quell'altro bastardino sembrava così convinto mentre me lo diceva… Cosa vuoi, comunque? Non ho tempo da perdere con la feccia. —
Okay, magari non era esattamente da Valentine, soprattutto la storia dell'Eidolon, ma… speriamo che abbocchi!, pensai, nervosa.
— Feccia chiami quella cagna di tua moglie! E ti consiglio, se vuoi restare vivo, di non dirle niente su me e Deck, o potresti scoprire quanta influenza ha sul Console… — 
Riattaccò senza dire altro.
Ma il messaggio? Non doveva dire qualcosa? E poi… moglie? Valentine si era risposato?
E poi collegai tutto. Il messaggio c'era, eccome. "E ti consiglio, se vuoi restare vivo, di non dirle niente su me e Deck, o potresti scoprire quanta influenza ha sul Console…"
Era un avvertimento…
Non dirle niente. Non dirle niente. Non dirle niente. 
Parlava di me! 
Feccia chiami quella cagna di tua moglie…
Parlava di me! Quello sporco bastardo parlava di me! 
Si stava tenendo a un altro e mi insultava alle spalle. Oh, ma se gliel'avrei fatta pagare, oh sì. Certo che gliel'avrei fatta pagare…
Calma, Jocelyn. Ti stai lasciando trascinare dalla situazione. Magari è un equivoco e Valentine ha davvero un'altra moglie. Non lasciarti suggestionare, non lasciare che il suo arrivo faccia emergere la vecchia te, mi ripetevo, ma sapevo che non era così.
Valentine era un fuggitivo e di certo negli anni non aveva avuto né il tempo né la voglia di fare il novello sposino, e non era nemmeno l'influenza di Valentine ha far risvegliare quel lato di me che credevo ormai sepolto, no.
Quella parte di me c'era sempre stata e non sarebbe mai andata via, aspettava solo il momento giusto per farsi viva. Ed era successo. Ora.
E sapevo anche che non era una fortuita coincidenza, Valentine sapeva che Luke l'avrebbe chiamato per ricordargli di stare zitto - come l'aveva scoperto, poi, se era resuscitato da meno di un giorno? - e l'aveva fatto apposta.
Per ferirmi, certo, ma sapeva che così mi sarei resa anche conto della realtà. Be'… magari aveva una chance, se stavamo rispolverando i lati di noi sepolti e custoditi gelosamente, come gli oscuri segreti che erano. 
Scalciai via le coperte e poggiai i piedi nudi a terra, stando ben attenta a non fare rumore. Sgusciai silenziosamente fuori dalla porta e con passi felpati entrai nella mia camera. Il lato dell'armadio che apparteneva a Luke era nel caos, mancavano parecchie cose, ma tutti gli altri suoi oggetti c'erano, segno che voleva ritornare.
Be', avrebbe di sicuro trovato una bella accoglienza.
Mi inginocchiai di fronte all'armadio, immergendoci dentro la testa e venendo sommersa da seta e pellicce varie. Tastai con le dita il fondo, fino a trovare una scanalatura in un angolo. La percorsi in tutta la sua lunghezza con l'indice: era una stella dentro un pentagono.
Si sentì un lieve scatto e poi il doppio fondo dell'armadio si palesò ai miei occhi. Dentro, c'era solo una scatola nera. Nessuna targhetta o cartellino, nemmeno un nome stampato sulla scatola, ma io sapevo cosa conteneva.
I ricordi di quegli anni, delle incursioni sanguinarie e di tutti i semi maligni che io stessa avevo piantato sulla terra. Le foto delle mie vittime, pezzi di Nascosti che avevo ucciso, macabri trofei che mi ricordavano che io ero stata disposta ad appoggiare in tutto e per tutto la causa di Valentine, prima che lui toccasse Jonathan.
Avevo mentito a Clary, al Conclave stesso, sottoposta a Mellartach avevo svincolato le domande senza destare sospetti, avevo detto bugie a tutti. Pochi ricordavano che io stessa avevo gettato le basi del Circolo con Valentine. Avevo aiutato a scrivere il Giuramento, dettato le leggi, fomentato la ribellione e la guerra contro i Nascosti e aiutato mio marito a trovare un modo per sabotare gli accordi.
Chi c'era ancora in vita, oltre a me, che sapeva la verità? Due sole persone. Valentine stesso, che non avrebbe mai parlato, Stephen Herondale, ma i morti non palano, quindi non dovevo preoccuparmi, e Lucian stesso.
E una cosa era certa: non potevo permettergli di parlare.
E se per farlo avrei dovuto abbandonare la pacifica e mite maschera di Jocelyn Fray, a me stava bene. 
Aprii piano la scatola, rivelando tantissimi oggetti che mi riportavano indietro con la memoria.


Era appena sorta l'alba, ero giovane, avevo appena diciannove anni e mi ero sposata da poco, pochissimo tempo.
Stavo appoggiata con nonchalance al muretto basso che circondava la casa dei Williamson, stregoni che vivevano appena fuori il confine di Idris. Sogghignavo ferocemente e giocherellavo distrattamente con la spada angelica mentre Valentine e Stephen facevano a pezzi i Williamson. Moglie, marito e figlio adottivo. Un piccolo stregone, piccolo si fa per dire, che aveva appena centoquaranta anni.
A malapena prestavo attenzione al fatto che Valentine si era allontanato dalla scena del massacro, mentre Stephen continuava a pungolare con la spada la testa di Abigail Williamson.
Il biondo apparve alle mie spalle, cingendomi i fianchi e poggiando il capo sulla mia spalla.
— Soddisfatta, mia cara? 
— Compiaciuta, sì. Non ancora soddisfatta. Sarò soddisfatta quando tutti i Nascosti verranno sterminati.
— Presto, Jocelyn, presto. 
Sorrisi, ferina. — Oh, lo so. Niente più Nascosti per sempre, ed io e te al potere. —
— Ti ci vedo già come Inquisitrice, sai? —
— Lo so. Non dobbiamo far visita anche ai Morris, stamattina? — Chiesi, roteando la spada.
Oh, sì, Stephen e Valentine avevano avuto il loro turno. Toccava a me.


Riaprii gli occhi. Non ero più convinta che tutti i Nascosti dovessero essere sterminati, ma una grande maggioranza sì. Magari prima volevo risparmiare Lucian, ma prima. Adesso sulla lista bianca erano in pochi. Magnus Bane, Raphael Santiago, Camille Belcourt, la Regina Seèlie e pochi altri.
Scossi il capo. Non avevo preso quella scatola per pensare ai Nascosti, no.
Presi il primo oggetto dalla scatola: era una tenuta da Cacciatrice, solo… modificata. Da me. Era in cuoio e pelle ma, a differenza dei molteplici indumenti che di solito indossano gli Shadowhunters, era una tuta costituita da un solo indumento, con una lunga cerniera sulla schiena e vari lacci per tenerla ulteriormente chiusa nel caso la zip fosse stata aperta per sbaglio. 
Poi c'era un pugnale dei Fairchild, macabri trofei, la maggior parte di essi erano capelli di fate o denti di licantropi, e altre spoglie che preferisco non guardare. 
Degli stivali con i tacchi fatto di adamas, che quindi potevano essere utilizzati come arma o anche come stilo, una copia del Grimorio e una del libro del Circolo, alcuni Libri Proibiti che ero riuscita a salvare prima che il Conclave avviasse la perquisizione di tutte le case, una foto di me e Valentine, un'altra in cui noi due eravamo affiancati da Luke, Stephen, Amatis e Cèline e un'ultima piccola foto, con me che avevo in braccio Jonathan appena nato e Valentine al mio fianco. 
E infine, un medaglione d'oro. Era un cimelio della famiglia Morgenstern, e per questo all'esterno era incisa una stella a cinque punte dentro un pentagono. Dentro, era diviso in due lati. Il primo era occupato da uno specchietto, il secondo da due foto che si contendevano lo spazio. La prima, quella più grande, ritraeva ancora una volta me, Jonathan e Valentine, e la seconda, incastrata alla perfezione nel poco spazio che rimaneva nel medaglione, mostrava Clary appena qualche giorno dopo la sua nascita. 
Tutti ricordi dolorosi che avevo tentato di nascondere in una stupida scatola dopo la mia fuga, quando Clary era nata ed io ero divenuta Jocelyn Fray, vedova di John Fray. 
Mi ero abituata ad essere la vedova Fray, certo, ma era arrivata l'ora di rispolverare le vecchie abitudini. Gettai un ultimo sguardo alla tenuta modificata: a occhio e croce, mi doveva ancora andare bene. La estrassi dalla scatola assieme alle scarpe e poggiai tutto sul letto, guardando per un attimo il mio riflesso nello specchietto che era incastonato nel medaglione, rimasto aperto sul fondo della scatola.
Ritraeva una donna matura ma ancora bella, col viso acqua e sapone e uno sguardo determinato negli occhi. Era ora che il mondo si accorgesse che non avevo solo lo sguardo deciso, ma anche lo spirito e il corpo. 
Sorrisi, mi sfilai le scarpe, afferrai la divisa ed entrai in bagno. E per poco non svenni scioccata sul pavimento di esso. 
Dentro al vasca, sommerso di bolle e col volto rilassato, stava bellamente sdraiato Valentine. E avevo l'impressione che, a parte qualche metro di distanza, acqua e sapone non ci fossero altre barriere fra di noi. 
— Mi chiedevo quanto ci avresti messo a riaprire quella scatola, sai? — Alzò la testa e piantò i suoi occhi nei miei. 
— Cosa ci fai qui? — Sibilai.
— Secondo te? Sono venuto a controllare la temperatura della vasca! 
Alzai gli occhi al cielo. — Esci. —
Inclinò la testa di lato, arricciando le labbra in un sorrisetto compiaciuto. — Andiamo, Jocelyn, vieni a farmi compagnia…
— Perché mai dovrei farlo? Pensi di riuscire a riconquistarmi con un bagno?
— No di certo. Non sto cercando di conquistarti con un bagno, Jocelyn. Non ti piacerebbe venire a farmi compagnia? In questo momento Lucian se la starà spassando con Deck… 
— E allora? 
— Perché lasciare che ti condizioni la vita? Vieni qui, stai con me, divertiti. Non infrangi nessuna legge, no? Dopotutto, io e te siamo ancora legalmente sposati. Non ti piacerebbe vendicarti di Lucian? 
Bastardo. Sapeva di toccare un tasto dolente. Lo faceva apposta, ovviamente. 
Però… Be', di certo i suoi pettorali erano una bella vista. 
No no no, Jocelyn! Non lasciarti ingannare!
Ma allora perché stavo camminando verso la vasca? Oh no, avevo lasciato cadere la divisa, e… no! Valentine aveva improvvisamente deciso che sarebbe stato divertente se fosse stato lui a spogliarmi. 
Aveva già sfilato la camicia e i pantaloni, e si stava occupando del reggiseno. E non ero esattamente nelle condizioni di rifiutare, non quando ero ancora infuriata con Lucian e sapevo che mi stava tradendo con chissà chi e, per di più, ero confusa io stessa sentimentalmente, con da un lato Valentine e da un lato chiunque altro non fosse tanto pazzo quanto il biondo.
Ma… insomma, ero già nella vasca, che senso aveva rifiutare? 
Era impensabile sottrarsi, visto anche che dopo Valentine non avevo visto nessun altro e Luke voleva andarci coi piedi di piombo e aspettare il matrimonio - o forse non mi riteneva abbastanza bella da meritarlo, il bastardo, rispetto a Deck. Che si affogasse! - e quindi… be', l'ultima volta era stata proprio con Valentine. Diciotto anni fa, cazzo.
Un secondo, da quand'è che mi comporto così da ragazzina?!
Da quando Valentine ti bacia in questo modo, ribatté una stupida vocina interiore.
Be', non aveva tutti i torti, certo…
Valentine mi prese in braccio ed incominciò a baciarmi il collo e poi il petto e dovunque riuscisse ad arrivare.
Solo che la cosa si stava facendo un tantino scivolosa. Non era molto romantico scivolare sulle piastrelle della vasca, no.
Nel frattempo Valentine aveva deciso di dedicarsi ai miei seni, mordicchiandoli con le labbra. — Non sarebbe meglio… ah… andare sul letto? — 
— Aspettavo che me lo dicessi. — Rispose, prendendomi in braccio. Letteralmente. 
Uscì dalla vasca e sgocciolò fino al letto dove mi depositò, e in breve il letto si bagnò del tutto a causa dell'acqua che ancora gocciolava, neanche fosse un asciugamano. 
Mentre mi baciava, Valentine ringhiò.
— Sapere che quel cane bastardo ti ha toccato… toccato come sto facendo io… mi fa andare in bestia, lo sai? — Sussurrò, con la voce roca intrisa di rabbia mista a lussuria. 
Spalancai gli occhi. — Cosa ti fa pensare… ah, sì, lì… che sia stata con lui? — Mormorai, passandogli le dita tra i capelli chiari. 
Si fermò. — Non sei stata con lui? E con chi? Chi è il misterioso signor Fray? Ti sei abbassata a vivere con un Mondano qualunque? — Ringhiò, ma non avevo paura. Non in quel frangente. 
— Non esiste nessun signor Fray, Valentine. Il primo sei stato tu, e sei stato anche l'ultimo, e tutti quelli che c'erano tra il primo e l'ultimo. — Ansimai, mentre sentivo la sua bocca sul collo. Dio, come avrei nascosto il succhiotto a Clary, domani? Girare con una sciarpa in primavera non era certo il massimo…
Valentine sorrise, uno di quei suoi sorrisi affascinanti che vent'anni fa mi aveva fatto innamorare di lui, e capovolse le posizioni, appoggiando me sul materasso e stendendosi sopra di me.
— Solo mia, Jocelyn… 
E io avevo la mente troppo annebbiata per rispondere a quelle parole… 




POV LUCIAN


Ringhiai, frustrato, sbattendo ancora una volta il pugno contro la porta di legno massiccio. 
Venne ad aprirmi Lui in persona.
— Lucian. — Salutò, facendomi entrare. — Come mai già qui? —
— Valentine è tornato. E mi sta rovinando il piano. — Sibilai.
Spalancò gli occhi fosforescenti. — Valentine Morgenstern? Sul serio? Be', si può rimediare a questo. — 
Inarcai un sopracciglio, frustrato. — Come? Sa di te e me! —
Lui avanzò pericolosamente. — Cos'hai detto? — Sibilò.
— Che sa che sto tradendo Jocelyn con un altro che si chiama Deck. —
— Ha sentito solo il soprannome, quindi. —
Tirai un sospiro di sollievo. — Sì. —
Ghignò, ma la cosa non mi rassicurava per niente, e infatti… — Possiamo porre rimedio a questo, Lucian. Di certo Valentine si terrà la cosa per se, non dirà nulla a Jocelyn per il gusto di ricattarti. Continua a stare con lei, sposatela e assumi quindi il controllo della famiglia Fray. A quel punto mi porterai Clarissa e Jonathan. — 
Scossi la testa: — La stupida rossa è sotto tutela di quella puttana, ma il mezzo demone è maggiorenne e comunque il genitore più prossimo è Valentine, non posso parlare anche per lui. —
— Va bene. Lui non ci serve, era una pura vendetta personale. Ma la rossa sì. Creerà nuove rune per i miei Ibridi, se vuole restare viva. Una volta che avrai assunto il controllo della famiglia Fray, il tuo posto nel Consiglio non ci servirà più e dovrai sbarazzarti di Jocelyn e portarmi Clarissa. Tutto chiaro? —
Annuii e mi avvicinai a lui, poggiando le mie labbra sulle sue. — Tutto chiaro. — 
Lo sentivo rigido tra le mie braccia. Aggrottai la fronte: — Lo sai che io la odio Jocelyn, vero? Io ho sempre amato te. Non hai motivo di essere geloso. Il nostro amore è reale, è reale davvero. Quello che crede lei no. —
E il mio più grande errore fu crederci davvero, in quelle parole.
Non vidi il sogghigno comparso sul volto di lui, non sapevo che lui aveva costruito questa falsa realtà solo a mio uso e consumo.
Non sapevo che lui non mi amava, che era solo un'ennesima menzogna spacciata per realtà.
Ma d'altronde, non avevo ancora capito che ero stato uno sciocco a fidarmi e innamorarmi di Melchizedeck.

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(1) = Cit. mod. Dog with a blog, Disney Channel. 
OMG! Valentine che cita Disney Channel. Okay, questo è comico. Ve lo vedete il super cattivone del secolo a guardare Disney Channel su Sky?

 
A.A:
Okay, ehm…
Prima di cercare di assassinarmi, fatemi spiegare o assumere un avvocato, perlomeno!
Lo so, lo so. Luke/Melchizedeck? Assolutamente folle. Follia allo stato puro.
Ma che vi aspettavate da me? Io sono folle, no? 
Hhhh… ehm, okay, forse è un tantino sopra le righe anche per me, ma be'… boh. Non so che dire, sul serio, tranne che avevo fin dall'inizio l'intenzione di rendere Luke un traditore.
E comunque, mi serviva anche per rimettere un po' in luce Valentine che sennò, poverino, non avrebbe avuto una chance con Jocelyn neanche nell'anno 9999. ^.^
Ora, la mia domanda è, sono riuscita a stupirvi? Spero di sì, perché davvero sto dando fondo a tutte le mie scorte di immaginazione per rendere ogni capitolo di questa storia speciale. :)
Ma partiamo a spiegare dal primo pezzo: ho cercato di rendere i duelli un po' più lunghi e intensi perché, effettivamente, mi sono resa conto che era impossibile che un Cacciatore riuscisse ad uccidere contemporaneamente due o tre demoni ibridi come se nulla fosse, quindi ho cercato di descrivere un po' di più gli scontri. Spero che apprezziate.
Poi. Jocelyn con un passato oscuro? Altro segno della mia non momentanea pazzia, ovviamente, sì. Però… però mi diverto un mondo a rendere i personaggi cattivi/buoni/o-quello-che-è, insomma, mi piace creare degli anti-eroi contro i cattivi veri e propri, al posto dei soliti eroi sfogati.
Cioè, spieghiamo bene la differenza fra eroe e anti-eroe.
Eroe è colui che è altruista, coraggioso, forte eccetera eccetera e di solito anche straordinariamente sfigato, pieno di complessi e con una pietà anche per i nemici larga quanto una casa. L'eroe buono non uccide se non costretto, non approva torture o altro tipo di violenza e sostanzialmente è un pacifista.
L'anti-eroe è colui che sì salva il mondo dai cattivi ma con metodi non convenzionali, ovvero come i cattivi non si fa scrupoli ad uccidere, torturare, mentire e così via. Immaginatevi tanti Jonathan Morgenstern redenti, per intenderci. XD
Sì, sono folle, lo so. LOL
Pooooi… successiva parte del capitolo. Jocelyn/Valentine. Credo che ormai avevate capito tutti che non avrei lasciato intatta la Luke/Jocelyn, no? 
Spero di essere riuscita a stupire tutti, però, con questo momento un po' piccante tra loro. Credo però, che comunque aveste già intuito qualcosa, visto lo spoiler nello scorso capitolo, no?
E infine Luke/Melchizedeck. Credo che questo sia stato il colpo finale per farvi venire un infarto, dopo tutti i precedenti risvolti della storia… XD
Non riesco a commentare il POV LUCIAN, credo si commenti da solo - e che tutti voi stiate maledicendo il povero lupastro - quindi evito di sproloquiare ancora e vi lascio allo spoiler:
Possibile che nelle vene di Ian scorresse sangue demoniaco? 
Corto ma molto esplicito, vero? XD
A presto!

-D.
 

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Capitolo 18
*** XVIII - Jean Arsh ***


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Shadowhunters - City of Marble

XVIII - Jean Arsh

 
Ogni realtà è un inganno.
 La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi.
[Pirandello - Uno, nessuno e centomila, 1925]

Erano appena le sette del mattino, e Central Park era già inondata di sole. Si sentivano gli uccellini cinguettare e i piccoli animaletti che vivevano lì svegliarsi e, in sottofondo, i rumori delle auto e dei pendolari che andavano al lavoro, ma nel parco non c'era ancora nessuno, tranne una vecchina appostata davanti ai cancelli a dar da mangiare ai piccioni.
Tutto era perfettamente tranquillo, o quasi. Una piccola scintilla azzurra illuminò la corteccia di una mastodontica quercia a poco a poco, fino a che tutto l'albero fu inondato di luce e la rugiada posata sull'erba scintillò, riflettendo per un attimo quel celeste deciso e splendente che fuoriusciva dall'albero.
Poi il tronco sembrò spaccarsi e lacerarsi e un varco gelatinoso comparve nel vuoto che si era creato, facendone uscire una sagoma ammantata di nero.
La persona, chiaramente un ragazzo a giudicare dall'altezza e dalla muscolatura, si guardò per qualche attimo intorno e poi si avviò silenziosamente verso i cancelli del parco. Gli anfibi che calzava ai piedi calpestavano le foglie secche senza fare rumore, e il vento che sferzava e faceva sbattere le fronde degli alberi sembrava non sollevare il lungo giaccone di pelle che il ragazzo indossava. Era proprio lunghissimo, in stile cowboy, forse uno spolverino, ed era impressionante vederlo perfettamente immobile anche con quelle forti ma calde raffiche di vento. 
Il ragazzo si fermò davanti al cancello e, senza degnare di un'occhiata l'anziana signora uscì dal parco e scivolò in mezzo alla folla di lavoratori. Questi ultimi non sembravano accorgersi di lui, nonostante il vistoso spolverino di pelle che indossava e la notevole statura. Anzi, non lo degnavano nemmeno di uno sguardo.
Il misterioso ragazzo si fermò all'angolo della strada, sedendosi su una panchina ed estraendo delle carte fitte di scritte e firme.
Gettò a queste ultime una lunga occhiata, sospirò e le infilò di nuovo nella tasca della giacca, e poi riprese a camminare verso una direzione ignota.




Simon sospirò, gettando un'occhiata all'orologio. Le 07:15.
Quand'era che sarebbe arrivata? 
Dopo l'ennesimo sguardo a vuoto diretto alla porta rossa del Java Jones, finalmente questa si aprì facendo entrare una ragazza splendida.
Aveva un viso dolcissimo, dalle labbra piene e gli occhi verdi-azzurri, la pelle chiara e contornata da mossi capelli color caramello che le donavano un'aria angelica. L'unica nota stonata era una cicatrice che spiccava sulla pelle pallida e partiva da poco sotto la coda dell'occhio destro e scendeva per circa due centimetri fino allo zigomo, ma sembrava un dettaglio trascurabile confrontato con la spettacolare bellezza di tutto il resto del volto. 
— Ehi. — Simon si alzò dalla panca, facendo posto alla ragazza.
— Ciao, Simon. — Lei aveva una voce dolcissima, era perfetta, davvero troppo perfetta.
— Ailinn, non credi che qui potrebbero trovarci? — Bisbigliò lui, mentre la cameriera si avvicinava per prendere le loro ordinazioni. — Due frappè al cioccolato — Simon ordinò per entrambi, e l'iniziativa sembrò infastidire Ailinn, che però non ribatté. 
— Perché mi hai fatta venire? — La voce della ragazza, seppur infastidita, suonava ancora bellissima e musicale.
— Avevo bisogno di parlarti. Voglio stare con te, io… sono disposto a fare quello che vuoi. —
La ragazza sorrise, abbagliandolo. — Qualunque cosa? — Chiese, cercando di dissimulare l'espressione compiaciuta che sentiva affiorare sul suo viso. 
— Qualunque cosa. — Rispose lui. 
No, un attimo, cosa stava facendo? Era sbagliato!
No, non era sbagliato… e gli occhi di Ailinn sembravano così ipnotici… così azzurri che pensava quasi di perdercisi dentro… Sì, era tutto giusto. Avrebbe ucciso per lei, solo per stare un secondo con lei… 
No! Isabelle!
Isabelle non conta niente, gli sussurrò una strana vocina nell'orecchio. Assomigliava curiosamente a quella di Ailinn, dolce e ipnotica.
Sì, hai ragione, vocina, pensò il vampiro, con un sorriso ebete sul volto. Isabelle non conta niente.
— Bene — Ricominciò la ragazza, continuando a guardarlo fisso negli occhi. — Per prima cosa devi lasciare Isabelle Lightwood. —
Simon annuì. Tutto per la sua Ailinn.
— E poi devi portarmi la tua amica Clary Fray, voglio conoscerla, potrebbe essere contraria al nostro rapporto, sai com'è, dopotutto è amica di Isabelle. Ti dirò io dove e quando. —  
Simon si accigliò. Clary? Cosa voleva da Clary? La sua amica non avrebbe fatto mai del male nemmeno a una mosca! 
Ailinn riconquistò il suo sguardo.
Be'… dopotutto lei voleva solo conoscerla, no? Che c'era di male?, si ritrovò a pensare Simon, suo malgrado.
Annuì in fretta e le sorrise ancora.
Lei rispose al suo sorriso. — Okay amore, adesso devo proprio andare: sai com'è, faccende da strega… — Esclamò, ridacchiando, ed uscì dal locale.
E Simon, con la mente irrimediabilmente annebbiata, non sembrò trovare strano il fatto che Ailinn affermasse di essere una strega senza avere alcun segno tipico degli stregoni. 




Il piccolo Ian si rigirò nel letto scalciando come un indemoniato, e facendo di conseguenza svegliare Jonathan che ospitava il piccolo nel suo letto, perché pareva che tutti gli altri si fossero completamente dimenticati del bambino.
Il ventunenne aprì gli occhi scuri, incontrando un altro sguardo altrettanto scuro e irritato. 
— Cosa c'è, Ian? — Borbottò il più grande, ancora intontito dal sonno. Non si era mai preso cura di un bambino - figurarsi! - e sperava decisamente che quella del piccolo diavoletto fosse solo una sistemazione provvisoria, fino a quando le acque non si fossero calmate e avrebbe potuto essere affidato a qualcun altro con più pazienza e esperienza, o comunque a una ragazza tipo Clary o Isabelle che sarebbero state sicuramente più felici di lui di occuparsi di quel mini-tornado. 
— Non liesco a dolmile! — Borbottò il bambino, strofinandosi i pugnetti sugli occhi.
Jonathan gettò un'occhiata alla sveglia. — Cavolo, marmocchio, sono le sette e trenta! Non dirmi che sei rimasto sveglio tutta la notte! — Esclamò, mentre veniva colto impreparato da una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Non era un'emozione positiva, supponeva, ma nemmeno troppo negativa.
Ma era più che certo che Clary stesse dormendo pacificamente senza provare alcunché! Un secondo, possibile che il legame con sua sorella avesse deciso che era ora di fargli sperimentare sentimenti indipendenti? Cazzo! 
Va bene, una cosa alla volta, rimuginò tra sé e sé, scuotendo il capo. Prima mi occupo del marmocchio e poi cerco di capire cosa diavolo significa quando ti si aggrovigliano le budella dalla preoc… oh. 
Preoccupazione?!
Sul serio, preoccupazione? La sua prima emozione indipendente era la preoccupazione? Sua, di Jonathan-Christopher-quanto-sono-cattivo-e-malvagio-Morgenstern? 
— Jonattan! —
Il mostriciattolo richiamava la sua attenzione. 
— Cosa c'è, Ian? — Ripeté il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli chiari. 
— Ho fame! 
L'albino sospirò. Come aveva potuto dimenticarsene? Il mini-tornado doveva anche mangiare e bere e andare al bagno, certo. Ancora non avevano inventato bambini autosufficienti? 
— Forza, mostriciattolo. Inizia ad andare nel bagno, ti lavo e poi ti porto a mangiare e, — Aggiunse, stroncando la protesta del bambino sul nascere — niente storie. Fila in bagno! —  
Il bambino scosse mestamente la testa ma ubbidì agli ordini e strascicò i piedini fino al bagno.
Jonathan sospirò. Si stava prendendo cura di un bambino! Un bambino, per la miseria! Lui!
E cosa sarebbe successo se avesse sbagliato qualcosa? Se gli avesse fatto male? Lui non sapeva niente di marmocchi lamentosi! 
Si alzò dal letto con uno scatto di reni e s'incamminò a sua volta verso il bagno, trovando il marmocchio intento ad arrampicarsi su una mensola appena sopra il lavandino, con i piedini nel vuoto che scalciavano per non perdere l'equilibrio e le manine aggrappate alla mensola più bassa per non scivolare. La cosa singolare, però, era che il bambino aveva i pantaloni del pigiama abbassati ad altezza caviglie e sembrava non curarsene.
Jonathan trattenne il fiato. Altro che mini-tornado, quel ragazzo era un piccolo demonio! 
— Ian! Ti ordino di scendere subito da lì! — Tuonò, entrando a passo di marcia nel piccolo bagno.
— Ma devo plendele la calta! — Protestò il bambino, continuando imperterrito la sua scalata.
Il ventunenne ci mise un po' a capire che Ian con calta intendeva la carta igienica, e si fece sfuggire una risatina, guadagnandosi anche un'occhiataccia del bambino, che mise un piede in fallo sulla mensola e rischiò di scivolare, riuscendo poi a poggiare il piccolo piedino appena in tempo sul portasciugamani.
Quando finalmente ebbe afferrato la carta, Ian si voltò verso Jonathan. — Mi fai scendele? — Piagnucolò, sbattendo le lunghe ciglia sugli occhini scuri.
Jonathan non poté trattenere uno sbuffo e il sorrisetto che si stava facendo strada sul suo viso. — Eh no, marmocchio. Hai voluto salire e adesso scendi da solo. — Rispose, facendo paralizzare il più piccolo della paura. Non era eccessivamente in alto, circa ottanta centimetri, e per di più sul pavimento c'era un soffice e spesso tappeto nero, ma per un esserino ancor più basso dell'altezza della mensola, be', di certo non doveva sembrare un piccolo saltino!
Il bambino serrò le labbra in un'espressione di disappunto misto a terrore, per poi illuminarsi improvvisamente. 
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Chiuse gli occhi e, dopo aver corrugato per un attimo la fronte, lasciò che tutti i pensieri scivolassero via e le sue ali color pece gli spuntarono tra le scapole, facendolo sollevare di qualche centimetro e poi tornare dolcemente a terra.
Ridacchiò e fece la linguaccia al più grande che, per tutta risposta, gli diede le spalle ed incominciò a lavarsi, senza prestargli troppa attenzione. 




Clary si portò una mano alla fronte, cercando di asciugare almeno un po' del sudore che le imperlava tutto il viso.
Era arrabbiata. Eccome, se era arrabbiata. Non solo a causa dell'improvviso attacco la Regina Seèlie aveva rimandato l'incontro - aveva detto di esser troppo occupata a punire le fate che avevano preso parte all'attacco contro loro, i Cacciatori di New York, ma Clary non ci contava troppo -, ma Valentine Morgenstern era anche resuscitato miracolosamente e proprio in quel momento si aggirava nell'Istituto come se niente fosse. Dopo tutti i morti che aveva mietuto, direttamente o indirettamente, dopo aver infilzato Jace con una spada per evocare un angelo arrogante, e aveva anche rapito sua madre e avvelenato il sangue di suo fratello. 
— Continua Clary non fermarti! — Jace apparve ai bordi del suo campo visivo, incitandola a lanciare altri coltelli.
Clary, dopo la prima morte di Valentine, aveva iniziato immediatamente ad allenarsi per diventare una vera e propria Cacciatrice, e c'era anche riuscita, ma sapeva che se voleva competere con avversari del calibro di Melchizedeck, o anche solo con Shadowhunters come Jace o Jonathan, doveva impegnarsi molto di più.
Jace lanciò in aria altri semi e Clary afferrò l'ennesimo coltello da lancio e tranciò a metà il minuscolo seme. Il secondo fece la stessa fine ed anche il terzo, ma il quarto cadde a terra con un leggero tintinnio.
— Non ci siamo. Riproviamo. — Jace era un fidanzato fantastico, ma anche l'allenatore più duro mai visto. Ad eccezione di Jonathan - e Valentine -, forse. Proprio ieri si era allenata con suo fratello, otto ore di fila, e lui non l'aveva fatta continuare solo perché dopo tutti i graffi e le ferite che la rossa si era procurata, anche lui era ammaccato a causa del legame e voleva solo trovare uno stilo per farsi un iratze. Clary era certa che se non fosse stato per il legame avrebbe continuato l'allenamento fino a notte fonda.
Il suo obbiettivo, così, era diventato quello di riuscire a portare a termine un intero allenamento con Jonathan senza nemmeno un graffio. Era un'impresa quasi impossibile, ma quel quasi doveva fare la differenza, se voleva avere davvero qualche speranza contro Melchizedeck.
Contro Valentine, aveva vinto per pura fortuna e un po' d'astuzia, ma combattere il Nascosto era tutt'altra cosa e lei non poteva farsi cogliere impreparata, e perciò doveva eccellere nel combattimento. Non aveva problemi ad affermare che perfino Alec era più bravo di lei - che però eccelleva nelle rune come nessun altro, ovviamente -, ma doveva risolvere la questione una volta e per tutte e per farlo doveva eliminare tutte le sue lacune. 
Clary afferrò due coltelli nel momento stesso in cui quattro semi volteggiavano nell'aria, li lanciò e due dei bersagli si spaccarono a metà. Strappò velocemente altri due coltelli dalla cintura e lì lanciò. Il terzo seme si spaccò in due metà perfette, ma il quarto ancora una volta non voleva saperne di collaborare e si spaccò in due metà disuguali.
— Ho detto metà e metà, Clary. Non tre quarti e un quarto! — Ribadì Jace, questa volta lanciando i semi senza nemmeno avvertirla. Tutti e quattro caddero a terra divisi in perfette metà.
— Sì, così. Ora mi allontano di più, okay? — 
Lei annuì e, mentre Jace si allontanava, prese altri coltelli dal tavolo e li assicurò alla cintura, visto che quelli che aveva utilizzato prima erano ancora sul pavimento, a metri di distanza. 
Continuarono a lanciare coltelli e semi in aria per un bel pezzo, fino a quando Ian non fece rumorosamente irruzione nella stanza, seguito da un calmissimo Jonathan Morgenstern.
Be', non proprio calmo. Insomma, si è calmi quando si sta fermi e tranquilli, lui invece sembrava un po' come… sembrava che si stesse preparando a far qualcosa, in stile "calma prima della tempesta", decisamente.
— Ian! — Abbaiò, raggiungendo il bambino che lo occhieggiava con un sorrisetto. — Fermo qui e non muoverti fino a quando non lo dico io. Se l'Istituto crolla, o Melchizedeck attacca, o il cielo crolla o qualunque altra cosa tu resti fermo qui. Immobile. Capito? Ottimo. — Sembrava fuori di sé, con i capelli arruffati e lo sguardo folle.
— Clarissa! — Esclamò poi, avanzando verso la sorella con passo risoluto. — Ospitalo tu il marmocchio! Soltanto per lavarsi ha messo sottosopra il bagno e la mia stanza! — Spiegò, stizzito.
Jace borbottò qualcosa tipo "Come se la tua stanza fosse normalmente in ordine. Puah!", ma nessuno gli prestò particolare attenzione.
Clary, intanto, aveva gli occhi sgranati. — Me n'ero completamente dimenticata! Ha dormito da te per tutto questo tempo? — Sembrava scioccata. 
Jonathan incrociò le braccia al petto: — Sette giorni e sette notti d'inferno, Clarissa. Il moccioso tira dei calci quando dorme da far impallidire anche Jonathan Shadowhunter! —
La rossa, però, non parve prestare attenzione a lui, sembrava piuttosto in stato di shock. — Tu… sei riuscito davvero a prenderti cura di Ian per una settimana? — Mormorò infine.
Jonathan socchiuse gli occhi: — Cosa staresti insinuando? Che sono un incapace? — Sibilò.
Clary si riscosse. — No. Dico solo che non ti credevo capace di prenderti cura di un bambino, cioè, dopo che… — La voce le si spense in gola, ma tutti e due sapevano dove sarebbe andata a parare e non volevano dar voce a quei dolorosi ricordi.
Jonathan, però, si riprese in fretta: — Certo che ne sono capace! Cosa scommetti che so prendermi cura del marmocchio meglio di te? — Borbottò, punto sul vivo.
Come osa insinuare che non sappia badare a un moccioso?, rimuginò tra sé e sé l'albino, mentre Ian - che si era mosso, disobbedendo ai suoi ordini - gli si aggrappava all'orlo della maglietta, terrorizzato.
— Cosa c'è?
— Jo… Jonattan… via! Via da qui! — Balbettò il bambino, con gli occhi gonfi di lacrime.
Il più grande si chinò alla sua altezza, perplesso. — Perché? —
Ian singhiozzò e le lacrime incominciarono a scorrergli sul visino, inarrestabili. — La… la f… — 
— La f-cosa? — Chiese Jonathan, prendendolo in braccio.
Il piccolo singhiozzò ancora. — Quella! — Esclamò con voce strozzata, puntando il ditino contro qualcosa poggiato sul tavolo delle armi. Jonathan si diresse verso di esso e Ian seppellì la testa tra la sua spalla e il suo collo, ma continuò a indicare la cosa che l'aveva spaventato.
Jonathan trattenne il fiato. Il marmocchio stava indicando una frusta di elettro, che veniva generalmente usata contro i demoni. Anche Isabelle ne aveva una così, lo ricordava benissimo.
Nel giro di un secondo ricordò le ferite e le cicatrici che deturpavano la piccola schiena di Ian e, involontariamente, lo strinse forte, cercando di scacciare via dalla mente i ricordi di quando era lui stesso sulla traiettoria di una frusta demoniaca.
S'impose di parlare con voce salda e di fare la cosa giusta e non quella più facile, come avrebbe fatto qualche anno prima, prima che venisse imprigionato, prima che incontrasse Isabelle, prima che si legasse a Clary.
Si avvicinò ancora di più al tavolo e poggiò Ian lì sopra. — Non può farti niente, Ian. Qui nessuno ti farà del male. — Spiegò con la massima serietà, senza nemmeno un'ombra di malizia o arroganza sul viso.
Il bambino scosse la testa e prese a tremare convulsamente. — Ian. — Ripeté Jonathan, staccando il bambino dalla sua spalla e costringendolo a guardarlo negli occhi. Nero contro nero. Sembrava quasi di guardare i propri occhi allo specchio.
— Devi ascoltarmi. Non sei più da Melchizedeck, capito? La frusta non può farti male da sola, e ti assicuro che chiunque cercherà di impugnarla contro di te morirà tra atroci sofferenze. — Mormorò il più grande, in modo che Clary e Jace non sentissero.
Il bambino non capì tutte le parole, ma parve rassicurato. — No male? — Chiese, con gli occhini sgranati.
Jonathan si concesse un sorrisino. — No. Nessuno ti farà del male, te lo prometto. — 
Da quand'era diventato così rammollito? Oggi consolava un bambino, e domani cosa? Sarebbe andato a distribuire caramelle e cioccolatini agli orfanello? Avrebbe salvato un povero coniglietto dalla strada?
L'albino trattenne uno sbuffo. Sapeva che non lo stava muovendo quella che Clarissa chiamava "compassione", non solo almeno. Era… Ian gli ricordava lui. Troppo, a dirla tutta. E Jonathan voleva salvare almeno lui, se non poteva salvare se stesso, l'aveva capito.
Intanto Ian sembrava essersi tranquillizzato. — Prendila — Lo incoraggiò il maggiore.
— No! — Per un attimo il bimbo sembrò essere di nuovo sul punto di piangere, poi però prese un profondo respiro e si trattenne.
— Forza. Non ti può fare niente! — Ribadì Jonathan. 
Clary e Jace, intanto, si erano scambiati un'occhiata ed erano usciti fuori dalla stanza con passi felpati, cercando di non disturbare i due, non quando Jonathan era quasi riuscito a far ragionare il piccolo. 
Ian lanciò un'occhiata indecisa all'arma. — È cattiva! — Strillò infine.
— Prendila.
— Brucia!
Brucia?, pensò Jonathan, perplesso. In effetti sì, la pelle che veniva ferita con una frusta sembrava bruciare, ma non esattamente…
— Ian, facciamo così. Se la prendi, ti farò un regalo. Qualunque cosa tu voglia. Se non la prendi, niente regalo e niente cena, stasera. — Disse infine l'albino.
Il bimbo s'incupì. — Devo proprio? — Chiese con una vocina sottile sottile.
— Ti ho dato due alternative. Sta a te scegliere. 
Ian arricciò le labbra in una strana espressione, come di chi si sta preparando a compiere l'errore peggiore della propria vita, ma annuì e strinse nella manina la frusta.
Per poi strillare "Ahia!" e lasciarla andare subito dopo.
Per un attimo Jonathan pensò che l'avesse fatto apposta, per dimostrargli che la frusta faceva male anche senza che la puntassero contro di lui, ma poi si accorse che il piccolo continuava a sfregarsi la mano e la teneva appoggiata al petto.
— Fammi vedere. — Ordinò, prendendo la piccola manina tra le sue notevolmente più grandi. Il palmo del bambino era nero, bruciacchiato, e un rivolo di sangue lo attraversava a metà. 
Jonathan trattenne il fiato. Era lo stesso identico effetto che faceva a lui l'elettro. 
Possibile che…? Possibile che nelle vene di Ian scorresse sangue demoniaco? 




Din don dan. Din don dan.
Maryse esitò, ma poi si decise a percorrere la navata della chiesa e si fermò davanti al portone. Eppure, era ancora esitante. Non era del tutto convinta di voler aprire il portone. 
Da alcuni giorni infatti, Ibridi, Demoni e Nascosti vari avevano interrotto l'assedio all'Istituto e se n'erano andati chissà dove. Le possibilità erano diverse: forse avevano capito che i Cacciatori avevano comunque modo di uscire con i Portali, o forse avevano semplicemente rinunciato oppure, molto più probabilmente, erano stati richiamati da Melchizedeck e si erano ritirati per organizzare un nuovo piano.
Però… insomma, quale stupido avrebbe bussato il campanello per attaccare?
La donna sospirò ed aprì il portone, ritrovandosi davanti un ragazzo sui venticinque anni avvolto da un lungo spolverino nero, di pelle. Era di certo un Cacciatore, visti i marchi che gli decoravano la parte bassa della gola, ma aveva un qualcosa di strano, misterioso. 
La pelle era pallida, pallidissima a dirla tutta. Sembrava quasi un po' malaticcio. Aveva i capelli di un anonimo castano scuro, ma gli occhi erano strani, un misto di celeste chiaro e più scuro, quasi nero, a chiazze. Era abbastanza alto ma meno di Jace o Alec, circa un metro e settantacinque, forse, ed era piuttosto snello, niente a che vedere con le spalle larghe di Valentine o quelle di Patrick Penhallow, ma sembrava ugualmente prestante. Aveva il volto ovale, forse leggermente troppo allungato, le labbra piene e il naso proporzionato e dritto, e gli occhi forse un po' troppo grandi, ma tutto sommato belli.
— Tu saresti? — Chiese Maryse, incrociando le braccia al petto. Che fosse un sicario nemico? Nah, era uno Shadowhunter, dopotutto, e gli Shadowhunters non si sarebbero mai alleati con Melchizedeck, almeno sperava.
— Mi chiamo Jean, signora. Jean Arsh. — Aveva una voce bassa e profonda, ma piacevole da ascoltare, una voce che sembrava costantemente in procinto di fare un complimento lusinghiero, ed aveva un accento indefinibile. Italiano, forse. No, non solo, almeno. Maryse era sicura che assomigliasse vagamente al francese o al tedesco. Ma no! Come poteva un accento unire tali lingue così contrastanti? Forse semplicemente non riusciva a riconoscerlo.
— E cosa sei venuto a fare qui, Jean? 
— Mah, in realtà ero curioso di vedere come ve la cavavate. Ho girato un po' per tutta l'Europa e avevo voglia di cambiare aria, e quando ho sentito dell'entrata in scena di questo Melchizedeck mi sono subito precipitato qui. — Spiegò il ragazzo, accompagnando il tono lievemente sprezzante con un sorriso affascinante.
— Ma, come sicuramente ben sa, in questo momento non lasciamo entrare chiunque. Fino a poco tempo fa eravamo assediati, chi mi dice che non voi non siate una spia? 
— Nessuno può garantire per nessuno in queste particolari circostanze, suppongo. Ma le ricordo che sono un Cacciatore e non mi abbasserei mai a servire un tale padrone come Melchizedeck, un Nascosto che fa esperimenti proibiti su esseri umani! Crede davvero che anche solo uno Shadowhunter si alleerebbe con lui? —
— Non lo so proprio, signor Arsh, ma sono disposta a darle il beneficio del dubbio. Non sia mai che qualcuno dica che ho negato dell'ospitalità a un Cacciatore. Sono la signora Lightwood, Maryse Lightwood, il capo di questo Istituto. — Disse infine la donna, di malavoglia, e porgendo all'altro la mano.
— Allora molto piacere, signora Lightwood. — Lo straniero, Jean, entrò nella chiesa stringendo forte una sacca.
— Venga, non c'è molto qui giù. Posso offrirle un caffè o un po' di vino, mentre la cameriera prepara la sua camera? — Chiese lei, chiamando l'ascensore. 
— Del caffè andrà benissimo, grazie. 




— Ehi, Jonathan, hai risolto con questo piccolino? — Clary era seduta su uno sgabello accanto alla penisola della cucina, e sorseggiava con aria esausta del caffè nero.
L'albino, nervoso, aiutò Ian a sedersi su un altro sgabello. — Più o meno, sì. — 
Non le avrebbe confessato i suoi sospetti nemmeno per tutto l'oro del mondo, no. Doveva fare da solo, e scoprire se le sue supposizioni erano fondate.
— Che cosa vuol dir… 
— Buongiorno, ragazzi — Maryse rivolse un cenno amichevole del capo a Jace e Clary, e un'occhiata quasi normale a Jonathan. Prima che i tre potessero parlare, spiegò: — Questo è Jean Arsh, un Cacciatore che sarà ospitato all'Istituto per i prossimi mesi. — 
Un ragazzo sui venticinque anni entrò nella stanza, sorridendo. Sembrava a suo agio, del tutto rilassato, ad occhi poco attenti, ma non era così.
Davvero un bravo attore, si ritrovò a pensare Jonathan. Se non fosse stato così abituato a recitare lui stesso, probabilmente non si sarebbe accorto dello sguardo lievemente ansioso di, uhm, come…? Ah, sì, di Jean.
Ma perché provare ansia? Sì, probabilmente il suo nome era piuttosto conosciuto, come quelli di Jace e Clary, del resto, ma da qui a essere ansiosi…
— Ciao, io mi chiamo Clarissa. — Si presentò per prima la rossa, sorridendo al nuovo arrivato. Sapeva come ci si sentiva a essere l'ultima arrivata in un gruppo già affiatato, dopotutto, e non voleva far sentire quel ragazzo fuori posto.
— Io sono Jace — Continuò l'altro, con tono incolore, ma nemmeno ostile.
— Jonathan — Concluse l'albino. — E lui è Ian. — Aggiunse, indicando il bambino che osservava con un misto di paura e perplessità il nuovo arrivato.
Gli occhi di Jean si soffermarono un attimo più del dovuto sul bambino e il giovane Morgenstern. Jonathan sentiva che quando si era presentato il cuore di Jean aveva incominciato a battere forte. Ma non era paura, come gli capitava spesso di sentire quando le persone lo riconoscevano, piuttosto… emozione? Sembrava davvero emozionato. Perché?
— E io sono Jean, ma questo lo sapete già. 
— Bene, ragazzi, confido in voi perché facciate sentire Jean a casa. Ovviamente presentatelo anche agli altri. — Maryse fece per andarsene. — Buona permanenza all'Istituto, signor Arsh. — Concluse, uscendo dalla stanza.
— Ehi, ti chiami come Ian! — Osservò Clary, per sdrammatizzare.
— Come? — Ribattè Jace.
— Ian, Jean. Jean non è il francese di Ian? 
Jean sorrise: — Sì, hai ragione. —
— Abbiamo lo tesso nome? — Trillò Ian, osservando con più curiosità il nuovo arrivato.
Un movimento ai margini del campo visivo di Clary la fece voltare di scatto.
— No! Un altro di quei corvacci maledetti! — Urlò, prima che il rapace nero inchiostro cercasse di avventarsi su di lei.
 
A.A:
Ave, lettori!
* Oh no… adesso anche il saluto alla Giulio Cesare! NdJonathan *
* Zitto tu, nessuno ti ha dato il permesso di parlare! NdMe *
* Ehi, non parlare male di m… NdJean *
* Zitto tu, e non spoilerare! NdMe *
* Ehm, folle? Ti sei resa conto che siamo online? NdJonathan *
* Oh… ehm… uhm, oops! NdMe *
Sorvoliamo, e fate come se non aveste mai letto questo siparietto!
* Sé sé… e secondo te cancelliamo quell'interessantissimo "Non parlare male di m…"? NdTutti, tono alquanto sarcastico *
Okay, okay, ho capito.
Coooomunque, passando ad altri argomenti, che ne dite del capitolo?
Che impressione vi ha fatto questo nuovo OC, Jean Arsh? E da dove è spuntato fuori? E Ailinn? E Ian com'è che… Okay, no, andiamo con ordine partendo dal tizio con lo spolverino.
Se non avete capito chi è nel penultimo paragrafo, siete peggio di Eric l'amico di Simon-quanto-sono-idiota-Lewis. Okay, no, non fa nulla, scherzavo.
* Me impallidisce alla vista dei lettori che mi minacciano con torce e forconi *
E poi… che ne pensate della misteriosa Ailinn? È buona? Cattiva? Nessuna delle due?
Subito dopo, interazione Jonathan-Ian. Quel marmocchio è pestifero, sappiatelo, almeno per come me lo immagino io. Molto pestifero! XD
Il successivo paragrafo inizia dal punto di vista di Clary sempre più determinata, e quindi niente di insolito, ma poi il testimone viene passato a Jonathan che si accorge che c'è qualcosa che non va in Ian. Cosa ne pensate, di questo?
E poi l'arrivo di Jean. Come vi è sembrato? Vi assicuro che è meno rigido di quanto sembra, ma questo si vedrà nei prossimi capitoli.
E… be'… credo di non avere null'altro da dirvi.
Ah, sì! Lo spoiler:
— Sono… malato? Sono malato pelché la flusta mi blucia? 
[…]
— Morgenstern. Azazel Ian Morgenstern. — 
[…]
Il test era positivo.
[…]
I kill Ian.
E a questo punto è inutile dire qualcosa, gli spoiler si commentano da soli! ;)
Però… be', sarei felice di sentire le vostre opinioni.
E questo è tutto. ^.^ 

P.S: Quella nel banner è Isabelle. Non adoro Jemima West come sua attrice, quindi l'ho sostituita. Facciamo finta che l'attrice nel banner abbia gli occhi scuri... ^.^

P.P.S: Il ragazzo biondo con gli occhi neri è un personaggio non ancora svelato. Ovviamente parlo di quello con i capelli corti. L'altro, con i capelli più lunghi, è Evan Peters, presta-volto per Jonathan Morgenstern. ;)
-D.

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Capitolo 19
*** XIX - Famiglia ***


Shadowhunters - City of Marble


XIX - Famiglia




Thomas Hardy ha scritto: "Per ogni male c'è sempre un peggio"
[24° episodio, VI stagione, Criminal Minds]


Jonathan si passò una mano fra i capelli albini. Doveva scoprire se in Ian c'era sangue demoniaco, questo era certo. Ma come? Non poteva certo chiedere ai Cacciatori dell'Istituto, che si sarebbero insospettiti, né a quelli di Idris che neanche sapevano che era vivo, e non aveva nessuna intenzione di chiedere a Nascosti di dubbia reputazione che potevano essere in combutta con Melchizedeck né tantomeno voleva essere imprigionato nella Città di Ossa per traffici illeciti con dei demoni. Dopotutto sapeva che una volta scoperta la sua esistenza, tutti avrebbero cercato anche solo il più stupido pretesto per sbarazzarsi una volta e per sempre di lui.
Quindi, come poteva fare?
La risposta era lampante! Mondani! Poteva andare in un ospedale Mondano! 
— Ian, vieni qui! — Ordinò, richiamando l'attenzione del piccolo che gli trotterellò vicino. — Che ne dici di uscire a fare una passeggiata? — Chiese, cercando di pettinare con la mano i capelli arruffati del bambino. Un secondo. Cosa diavolo stava facendo? No, no, no! Lui non faceva cose del genere a stupidi marmocchi col moccio al naso! 
Possibile che le emozioni lo stessero cambiando così tanto. Lasciò ricadere di scatto la mano e il bambino, indispettito, lo guardò con aria accusatoria.
— Forza, andiamo, prima facciamo un servizio e poi…
— Ma avevi detto che andavamo a fale una passelliata, non un selvizio!
— …E poi ti porto a prendere un gelato. Se mi avessi lasciato finire di parlare, magari, l'avresti capito prima. — Sibilò Jonathan, irritato. 
— Gelao? — Ripeté il piccolo, perplesso.
A volte Jonathan dimenticava che era rimasto prigioniero in una cella per tutta la sua breve vita.
— È una cosa buona da mangiare. — Spiegò. 
— Andiamo! — Trillò Ian. Gli afferrò la mano e lo trascinò fuori dalla stanza, gioioso. 
Jonathan sbuffò, ma si lasciò condurre verso l'ascensore.
— Ehi Ian! Dove andate? — La voce di Jocelyn fece fermare il bambino e irritare il più grande, che si voltò con lentezza esasperante, spalancando gli occhi. Perché diavolo Jocelyn e Valentine stavano uscendo dalla stessa stanza - quella di lei - con la tenuta da battaglia del giorno prima ancora sporca di sangue?
— Jonattan mi polta a mangiale il gelato! — Strillò il bambino, eccitato. 
Valentine e Jocelyn spalancarono gli occhi. Jonathan che portava… un bambino a spasso?! Il mondo aveva incominciato a girare al contrario!
— Cosa devi fare davvero? — Chiese Valentine, perplesso. A cosa diavolo gli serviva un bambino? Mica voleva sacrificarlo per chissà quale rito… no?!
— Devo portare a mangiare un gelato Ian, no? Ve l'ha appena detto. — L'albino inarcò un sopracciglio, scoccò loro un'occhiata in stile "questi sono pazzi" - e no, non gli era passato per la testa che era come il bue che diceva cornuto all'asino - e chiamò l'ascensore.
Quando ormai era dentro, sporse la testa e disse in tono isterico: — Ah, qualunque cosa facciate, sia ben chiaro. Non voglio un fratello! — 




Jean perse un attimo ad osservare l'arredamento della stanza che gli avevano assegnato. Pavimento grigio d'ardesia, pareti bianche e baldacchino nero con lenzuola chiare, affiancato da un comodino, con una scrivania e un armadio dello stesso colore, un tappeto e una sedia bianchi, uno specchio sottile senza cornice appeso alla parete e una libreria semi-vuota accanto ad esso.
Posò la borsa sul letto e si sedette, controllando per l'ennesima volta che i documenti fossero perfetti. Nessuno doveva avere il minimo sospetto su di lui, non voleva trovarsi nei guai con loro.
No, non poteva farlo a loro.
Sentiva ancora il cuore battere dopo averli visti. Clary, Jace, Isabelle e… e Jonathan. 
Pensava che sarebbe stato più facile ingannarli. Era un attore nato e non aveva alcuno scrupolo a ingannare le persone, ma loro…
Scosse la testa. Non doveva pensarci, non in quel momento. Gli altri contavano su di lui, Regina e Christopher stavano sicuramente bisticciando per decidere chi era il capo in sua assenza, ma sapeva che erano preoccupati per lui e allo stesso tempo arrabbiati perché volevano accompagnarlo, Valentine e Will molto probabilmente erano impegnati ad assillare Magnus per fargli aprire un Portale che li avrebbe portati lì o, in alternativa, in qualche località esotica, e Martine e Sebastian stavano sicuramente litigando per avere il monopolio della TV e della biblioteca. Non poteva deluderli, sapeva che contavano su di lui per avere un futuro migliore.
Perché li aveva appena lasciati e già gli mancavano? Erano sempre stati la sua più grande debolezza, l'unica probabilmente, ma non si sarebbe mai stancato di loro. Erano la sua famiglia, era tutto ciò che gli restava, erano tutto ciò che gli impediva di farla finita una volta e per tutte, probabilmente.
Senza di loro, lui restava solo. Completamente solo.
— Basta! — Urlò al nulla, passandosi le mani fra i capelli. Quegli stupidi capelli marroni che non gli appartenevano, come gli ancor più stupidi occhi celesti. 
Doveva concentrarsi. Nessuno doveva sospettare di lui, mai. 
Se fossero nati dei sospetti avrebbero potuto pensare che stava dalla parte di Melchizedeck. Raziel, dalla parte di quel mostro! Brividi di nausea gli percorrevano la schiena al solo pensarci. 
Ora, doveva trovare un modo per scovare il traditore. Era questo che li aveva rovinati! Non era il pazzo-ibrido-piscopatico-egocentrico Melchizedeck che lo preoccupava, i Cacciatori di New York potevano vedersela con lui dopo aver affrontato Valentine.
Melchizedeck era un ibrido, certo, ma non l'ibrido che credevano loro, era solo una delle pedine di una gigantesca scacchiera. E anche loro lo erano.
L'ibrido era forte e anche astuto, ma peccava di vanesia e arroganza, oltre che, pensandoci bene, di potenza. Non diceva che avrebbe potuto batterlo in un batter d'occhio, ma in uno scontro lui avrebbe avuto sei possibilità su dieci di vincere, figurarsi Jonathan, Clary e Jace insieme. No, non era quello il problema, ma lo era il burattinaio che comandava Melchizedeck e tutti gli altri.
Chi era? Aveva dei sospetti, piuttosto fondati in realtà, ma aspettava di avere prove certe prima di scartare le altre teorie, anche se meno valide.
E poi doveva trovare la spia. Nessuno sapeva chi era, nemmeno dalle sue parti, nessuno era mai venuto a saperlo. Ma c'era, c'era eccome, e probabilmente non lavorava da sola. 
Jean estrasse dalla borsa una pistola. Una pistola speciale, la prima in grado di sopportare le rune e di uccidere i demoni con uno sparo. La strinse per un attimo fra le dita, e poi la nascose nella giacca. 
Certo, sapeva di essere intoccabile, e non per qualche particolare protezione o altro, ma semplicemente perché quei Nascosti che giocavano a fare la guerra erano niente per lui, solo piccoli moscerini. Aveva affrontato ben di peggio, il Conclave aveva scatenato per lui la più grande caccia all'uomo mai vista, dopotutto.
Sorrise beffardo e controllò che anche tutte le altre armi fossero al loro posto. Adesso non gli restava altro che recitare bene la sua parte, scovare la spia, non farsi prendere dai sentimentalismi, capire chi c'era dietro Melchizedeck e… ok, forse non era indicato dire "non gli restava altro". Decisamente. 




Clary strinse forte la spada tra le dita e menò un fendente contro il manichino e poi un altro e un altro ancora.
Doveva diventare più brava in poco tempo, ma il problema era proprio quello. Tempo. Non ne avevano.
Frustrata, ringhiò e gettò la spada lontano, e questa andò a sbattere contro il muro di fronte a lei e rimbalzò a terra.
— Sai, forse più che allenamenti con la spada avresti bisogno di un corso di gestione della rabbia! 
Si voltò. — Piantala, Jace. 
— No, guarda che dico sul serio! Ci hai mai fatto caso? Tua madre si arrabbia facilmente, e lo stesso Valentine e Jonathan e tu. Dev'essere una cosa ereditaria! Dici che aiuti nella foga della battaglia? — Sapeva che non faceva sul serio. Voleva solo distrarla.
— Sì, mi iscriverò a un corso di yoga, allora. — Ribatté lei, sorridendogli mentre le cingeva la vita con le braccia.
— Non devi accanirti così su quel povero manichino, sai? Perché non rinunci all'idea che la spada sia la tua arma e ne provi un'altra?
— Perché no! — Rispose cocciuta Clary.
— Oh, davvero un'esauriente risposta. Non dire altro, che già tutte queste parole insieme sono difficili da capire! — Borbottò Jace, sarcastico. 
— Ma smettila! — 
La rossa si asciugò il sudore dalla fronte e lo guardò. Era bellissimo, con quegli occhi d'oro e i capelli color del grano, e la pelle ambrata… davvero un ragazzo d'oro, sia per cuore che bellezza.
E poi ripensò al corvo, e la visione perfetta sparì. Era entrato dalla finestra e le si era lanciato addosso, graffiandole le braccia che aveva portato davanti alla testa - e quindi automaticamente anche quelle di Jonathan - e il collo. Era dovuto intervenire Jace e aveva infilzato il corvo con il pugnale degli Herondale, ma Clary sapeva che se non ci fosse stato lui si sarebbe fatta abbattere da un pennuto da strapazzo.
E non poteva permetterlo!
Doveva migliorarsi, e se per faro avrebbe dovuto passare ventiquattr'ore su ventiquattro nell'armeria, ad esercitarsi, l'avrebbe fatto. 




— Jonattan! Plendiamo plima il gelato? — Ian spalancò gli occhini scuri e sbatté le palpebre. Perché diavolo su Ian quel nero scurissimo sembrava dolce e su di lui terrificante? Forse perché era piccolo. Nessuno ha paura dei bambini.
— No. Prima il servizio, Ian. 
— Ma…
— Niente ma! —
Il più grande lo trascinò fino al marciapiede, dove di solito passavano i taxi. 
Salirono su una delle macchine gialle e Ian si voltò verso Jonathan. — Dove andiamo? — Chiese, inclinando la testolina di lato. 
Jonathan rimase in silenzio. Il bambino si sarebbe spaventato, se gli avesse detto che stavano andando all'ospedale, quindi meglio tacere ed evitarsi inutili noie.
— Dimmelo! 
— No.
— E dai! — Gli occhi di Ian si riempirono di lacrime.
Oh no, no no! Meglio non far piangere il moccioso. Glielo avrebbe detto, così si sarebbe risparmiato noie infinite. Sì, lo faceva solo per questo. 
— Stiamo andando all'ospedale, Ian. 
— E che cos'è un opedale?
— Ospedale. Un posto dove vanno le persone malate.
Il bimbo serrò le labbra e gli occhi: — Sono… malato? Sono malato pelché la flusta mi blucia? 
Jonathan scattò in avanti. — No. Tu non sei malato, Ian, non devi pensarlo mai. Tu sei solo… speciale. — Disse, concitato, fissando negli occhi il bambino. Nero contro nero. 
— Speciale — Ripetè Ian, spalancando gli occhi. — Mi piace. —
Jonathan riuscì finalmente a rilassarsi e rise. — Sì, tu sei speciale. Vieni, siamo arrivati. — Più tranquillo, prese il bambino in braccio, pagò il tassista e scese dall'auto.
Ian rimase per un attimo incantato a guardare il grande edificio bianco davanti a lui. — È quello l'ospedale? — Chiese, indicando la grande costruzione. Jonathan annuì.
— Lo sai quando sei nato, Ian? — Chiese poi. I dottori avrebbero potuto chiederlo. 
Il bambino annuì energicamente e sorrise: — 30 lulio 2008. —
— Luglio, quindi. Bene. Entriamo, forza. — Jonathan lo strinse maggiormente e in poco tempo furono dentro.
Si accomodarono nella sala d'aspetto, e quindici minuti dopo un infermiera si rivolse a loro: — Cosa deve fare questo piccolino? Lo sai che sei proprio carino, cucciolo? — Continuò, scompigliandogli i capelli chiari.
— Analisi del sangue. — Chiarì Jonathan.
Rimase piuttosto stupito quando, una volta arrivati nella saletta apposita, Ian non si spaventò alla vista della siringa. Sentì una strana morsa attanagliargli lo stomaco quando capì che non era preoccupato perché aveva visto di peggio. 
— Allora, prima compiliamo la tua scheda, piccolo. Qual'è il tuo nome? 
Ian si mordicchiò le labbra. — Azazel Ian… — Lui non lo sapeva il suo cognome!
— Azazel Ian? — Ripeté l'infermiera, in attesa.
Azazel? Be', doveva averlo chiamato così Melchizedeck, rifletté Jonathan. Comunque lo aiutò: — Morgenstern. Azazel Ian Morgenstern. — 
Cosa diavolo aveva appena fatto? L'aveva fatto diventare suo figlio! Perché, per la miseria… non poteva inventarsi un cognome fittizio? Chiamarlo col suo cognome era come… come accettare che fosse entrato nella sua vita, sotto la sua pelle, e ormai non poteva più liberarsi di lui.
La voce dell'infermiera lo riscosse: — Un cognome complicato, eh? Ecco perché non lo sai dire, piccolino. Vieni, siediti sulla sedia! — Gli indicò una sedia bianca con un'alta imbottitura.
Ian si sedette e rivolse un'occhiata incerta alla siringa.
Forse non era così tranquillo come pensava Jonathan… L'infermiera se ne accorse e gli sorrise gentilmente, avvicinandosi a loro.
— Ti sentiresti meglio seduto in braccio al tuo papà? — Chiese poi.
Jonathan spalancò gli occhi e arrossì. Aveva… pensava… be', dopo che gli aveva dato il suo cognome era normale che lei pensasse… ma non ebbe tempo di soffermarsi a pensare, perché intercettò lo sguardo speranzoso di Ian.
— Forza. Siediti. — Sbuffò il più grande. Ma lo faceva solo perché c'era l'infermiera, eh! Poi però pensò che, appena qualche mese prima, non gli sarebbe importato di sembrare senza cuore. Cosa diavolo stava cambiando?
Ian ridacchiò e si sedette sulle sue ginocchia, e l'infermiera - ora che Jonathan ci faceva caso, una bella moretta con ricamato sul camice il nome "Florencia" - eseguì velocemente il prelievo.
Sia lei che Jonathan rimasero momentaneamente immobilizzati alla vista del sangue nero di Ian, ma per motivi diversi.
Lei diede semplicemente la colpa a diverse quantità di globuli e cellule, lui al sangue demoniaco. Una bella differenza, no? 
— Bene. Adesso credo proprio che farebbe bene a portare a mangiar qualcosa al piccolo Ian, signor Morgenstern. Potrete ritirare le analisi tra mezz'ora. 
Mentre se ne andavano, Ian osservò per un attimo l'infermiera ciarlare al telefonino mentre scriveva su un foglio dove dovevano essere portate le analisi. Lui non sapeva leggere, ma sentì lo stesso quello che stava scrivendo Florencia: aveva l'abitudine di dire a voce quello che scriveva, evidentemente. E, occupata a parlare al telefono con, presumibilmente, una collega, scrisse proprio quello di cui stava parlando con lei. Cosa?
Ian l'aveva sentito. E, per una volta, aveva anche capito cosa significava. 




Magnus sospirò. Troppe cose stavano accadendo in troppo poco tempo, troppo poco tempo per mettere in ordine troppo caos, troppo caos per anche solo pensare di sbrogliare la matassa e risalire finalmente al burattinaio che muoveva i suoi burattini, colui che muoveva le pedine sulla scacchiera.
Aprì pigramente un sol occhio e percorse con il dito indice la curva fra le scapole di Alec, che dormiva beato accanto a lui.
Quanto tempo ci avrebbe messo la guerra a distruggere quella poca felicità che era rimasta a tutti loro?
Quanto tempo restava loro prima di venire schiacciati? Se anche avessero vinto, i morti persi avrebbero comunque rappresentato una sconfitta, e se avessero perso non avrebbero visto l'alba dopo il giorno della battaglia.
Ma il Sommo Stregone di Brooklyn non si arrendeva, no. Sapeva che l'Istituto sarebbe divenuto teatro di una guerra e che il suo terreno si sarebbe imbrattato di sangue, così come le mani di tutti i guerrieri, ma meglio questo che altro.
Se si fossero arresi la terra e gli alberi sarebbero stati carbonizzati dai demoni, i fiumi sarebbero diventati torrenti di sangue rosso brillante e il cielo sarebbe stato ricoperto di nubi sinistre e temporalesche. Nell'aria si sarebbe costantemente respirata puzza di zolfo e i Mondani sarebbero stati sterminati, e quando i demoni avrebbero finito di cibarsi di quel mondo sarebbero passati a un altro, così, come se niente fosse.
Loro dovevano vincere, a qualsiasi costo, anche se vincere significava perdere delle vite e rovinarne molte altre, anche se vincere significava perdere.
— Ehi — La voce di Alec lo riscosse e si voltò verso il Cacciatore.
— Buongiorno, pasticcino. — Miagolò, squadrandolo con la sua languida occhiata maliziosa.
— Magnus. Non fare come se niente fosse successo. Siamo entrambi preoccupati, e mi fa male sapere che ti nascondi dietro una maschera pur di non farmi scoprire che sei vulnerabile come tutti. —
Da quant'era che Alec non faceva un discorso così lungo? Magnus capì che per lo Shadowhunter era importante sapere come stava lui tanto quanto a lui importava come stava Alec. E cioè, tantissimo.
— Scusa, fiorellino, ma credo che oggi sarà l'Ignore-Day. 
— E cioè? — Alec inarcò un sopracciglio e incominciò ad infilarsi il maglione blu, per poi armeggiare con la cintura delle armi.
— Ignora tutti i problemi e tutto ciò che è reale, perché oggi vivrai nel mondo dei sogni dove non ci sono problemi né preoccupazioni ma solo dolci, tanti Alec Lightwood, paesaggi esotici, un'amaca e un elefante. — Ribatté Magnus, rilassato, alzando gli occhi al cielo come se fosse ovvio.
— Un elefante? — Esclamò Alec, sbigottito. Okay, sapeva che il suo ragazzo era un folle che non sapeva come abbinare due colori che non facessero a pugni tra loro, ma da lì a desiderare un elefante… 
— Certo. Altrimenti chi ci porterà a spasso nella giungla dei sogni? 
— Magnus, sei uno svitato.
— Completamente, pasticcino. — Miagolò in risposta il figlio di Lilith, mentre si alzava e strappava dalle mani del Cacciatore la cintura, prendendo ad allacciargliela lui stesso. O meglio, Alec rivoleva la cintura e Magnus la tirava via, cercando contemporaneamente di sfilare il maglione dell'altro.
— Magnus! Devo ritornare all'Istituto, lo sai, potrebbe esserci bisogno di me. Non sappiamo quando Melchizedeck colpirà ancora, ma spero che gli altri si rendano conto che dobbiamo ricambiare il favore o verremo schiacciati. 
— Non mi fai compagnia nell'Ignore-Day, Alexander? — Chiese lo stregone con la migliore voce suadente che riuscisse a fare.
— Mi piacerebbe, ma… devo andare. E poi c'è Izzy, la mamma ha detto che si è svegliata, devo parlarle, devo capire… 
— Ok. Vengo anche io, allora. — Il Nascosto scrollò le spalle e prese a rivestirsi.
— Sul serio?
— Certo, Alexander. Potrebbero avere bisogno di uno stregone.
— E tu lo fai per pura bontà d'animo? Non ti credo nemmeno se me lo giuri su Chairmain Meow! — Come se fosse stato evocato, il gatto entrò nella stanza e prese a strusciarsi contro le gambe del suo padrone. — Sì, adesso ti darò la pappa, Presidente. Alexander, mi ritieni così senza cuore? — Magnus sogghignò, ironico — Be', visto che hai insinuato questo… posso anche confessare che speravo di appartarmi con te in una delle stanze vuote dell'Istituto… 
— Magnus! Sei incorreggibile! — Alec gli lanciò un'occhiata di disapprovazione che però assomigliava di più ad uno sguardo totalmente innamorato, e poi il figlio di Lilith fece comparire dal nulla due tazze di caffè, schioccando le dita.
— Tre cucchiai e mezzo di zucchero per me, con doppia panna e una spolverata di pezzetti di cioccolato, e un cucchiaio di zucchero e caramello per te. — Spiegò, facendo l'occhiolino allo Shadowhunter, che arrossì e bevve il caffè. — Niente più prediche come "non si prendono le cose dai negozi senza pagare", Alec? — Magnus gli rivolse uno sguardo birichino. 
— Nah, ho perso la speranza di farti ragionare almeno un milione e mezzo di anni fa. —
Risero entrambi, ed uscirono dall'appartamento - non prima che Magnus si fosse riempito di glitter, matite scintillanti e smalto -. 




— Piaciuto il gelato, Ian? — Jonathan non riusciva a darsi pace. Continuava a ripensare alle parole dell'infermiera, a come li avesse scambiati per padre e figlio.
La somiglianza in effetti c'era, stessa pelle chiara e stessi occhi. Ian aveva i capelli lievemente più scuri, certo, ma ora che ci faceva caso avevano lo stesso naso dritto e le stesse labbra piene, come pure le ciglia e sopracciglia chiare e la tendenza a inclinare un po' il capo di lato quando chiedevano qualcosa.
No… semplicemente non era possibile, Jonathan non era stato con nessuna negli ultimi tre anni, dopotutto. E suo padre o Melchizedeck non avevano interesse a farlo… riprodurre… senza che se ne accorgesse, no? Non voleva neanche pensare a come avrebbero potuto farlo.
Avrebbe dovuto chiedere a Valentine se aveva fatto una cosa del genere, decisamente.
— È buonissimo! — Il bambino ridacchiò soddisfatto mentre si avviavano verso la recepiton dell'ospedale. 
— Devo ritirare delle analisi. — Annunciò Jonathan alla segretaria.
— Nome? 
— Jonathan Morgenstern. 
— Un attimo solo… — La segretaria scomparve dietro una porta e tornò qualche minuto dopo. — Ci sono dei documenti, proprio di oggi, ma non sono di analisi, sono…
— Sono le mie. Me le dia. — Ordinò Jonathan. Aveva un tono talmente autoritario che fece impallidire la donna, che subito gli porse i fogli. 
Jonathan fece cenno a Ian di seguirlo fuori e aprì la busta.
Solo che non erano analisi. Possibile che Florencia avesse sbagliato o che qualcun altro avesse sbagliato?
Quelle non erano analisi. Era un test di paternità, per l'amor del cielo!
Con le mani rigide che sembravano non voler obbedire al suo cervello e la mascella serrata, l'albino lesse i risultati.
Il suo DNA coincideva al cento per cento con quello di Ian.
Il test era positivo.
Spalancò gli occhi e lasciò cadere la lettera.
— Ian… — 
Ma il bambino non gli rispondeva.
Quando si voltò, non c'era nessun bambino dietro di lui. Solo un biglietto. Tre parole vergate con inchiostro rosso. No. Non inchiostro. Sangue.
I kill Ian. 
 

A.A:
Ed eccoci tornati ai capitoli bomba.
Partiamo dal primo paragrafo: Jonathan decide di portare Ian in un ospedale perché crede che abbia sangue demoniaco dentro di sè.
Secondo paragrafo. Jean. Cosa pensate dei suoi pensieri? 
Terzo paragrafo. Clary si allena, e fin qui niente di complesso.
Quarto. Jonathan afferma che Ian è un Morgenstern per non insospettire Florencia, l'infermiera. Suonerò ripetitiva, ma: cosa pensare dei suoi pensieri?
Quinto. Malec, finalmente, anche se non molta. È il mio primo momento Malec in assoluto. È venuto male? Help me, ho bisogno di risposte!
Quinto e ultimo paragrafo, quello che spero ha confermato le vostre teorie o vi ha lasciato di sasso - quale delle due? -.
Jonathan è il padre di Ian.
Ian è stato rapito. Ucciso? Credete che il biglietto dica la verità? 
Credo che molti di voi avessero il sospetto su Jonathan e Ian, non è vero? 
Come si sarà capito, la citazione all'inizio del capitolo è per la scomparsa di Ian, ovviamente. 
Sono davvero CURIOSA di scoprire cosa ne pensate.
Questa volta, però, non lascerò uno spoiler convenzionale del prossimo capitolo.
Lo spoiler è un'immagine.

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Occhio allo schienale della sedia, gente!
Hhhh...
Cosa pensate di questa immagine? Su, ditemelo nelle recensioni che sono curiosa!
Vi lascio a crogiolarvi nei vostri dubbi! Muhahahahaha! XD
-D
P.S: Il bimbo nell'immagine è Michael Langdon di American Horror Story, non proprio come Ian, ma... mi son dovuta accontentare. Immaginate Ian con i capelli un po' più lunghi e mossi e gli occhi scuri. ;)

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Capitolo 20
*** XX - Cuore ***


Shadowhunters - City of Marble

XX - Cuore



Tutti entrano dappertutto se si trova il momento giusto.
[Sherlock II - Le cascate di Reichenbach]



Dalla borsa di Isabelle si diffusero le note di I like Chopin. Che Simon avesse finalmente deciso di richiamarla?
La Cacciatrice prese il cellulare: numero sconosciuto. Perplessa, premette il tasto verde.
— Sì? — Chiese.
— Isabelle, sei tu?
— Jonathan? — Esclamò, stupita.
— Esatto. Hanno preso Ian. Mi hanno lasciato un biglietto. Devi aiutarmi. Ho preso uno stregone che può saperne qualcosa, poi ti faccio sapere. Tra mezz'ora sotto la vecchia metropolitana. — Snocciolò velocemente lui, e poi richiuse la comunicazione, senza nemmeno dire "ciao" o dare a lei il tempo di dirlo.
Un secondo. Ian… quell'adorabile bambino… rapito? Come aveva potuto quell'incompetente lasciare che lo prendessero? E poi aveva anche la fama di super-cattivo invincibile! Altro che cattivo, stupido!
La bella Cacciatrice si tuffò oltre la porta della sua stanza, correndo come una forsennata per i corridoi dell'Istituto e fermandosi davanti alla porta della sala da pranzo.
Entro e, senza badare a chi c'era dentro, annunciò: — Hanno preso Ian! —
— Cosa?! — Clary si voltò verso di lei, stupefatta.
Isabelle annuì. — Dobbiamo andare a riprendercelo. — Esclamò, decisa.
— Voi non andate da nessuna parte! — Le redarguì Maryse, irritata. — Due mocciose che si lanciano in una missione suicida. No, grazie. Resterete qui e manderemo una squadra del Conclave ad indagare. — Ordinò.
— Sa, signora Lightwood? Parla sempre di squadre del Conclave, ma si rende conto che anche noi facciamo parte di esso? Inoltre, siamo legalmente maggiorenni. Come pensa di poterci fermare? Con la forza? Con le minacce? — La rossa inarcò un sopracciglio mentre incrociava le braccia al petto.
— Se sarà necessario, sì. — Annuì la mora più anziana, con Jocelyn e Valentine dietro di lei. Perché mia madre non dice niente?, si chiese Clary. Di norma, sarebbe stata la prima a scattare per tenerla al sicuro.
— Possono servire altre quattro mani? — Isabelle si voltò sorridendo verso Jace e Jean. — Certo. — rispose, controllando di avere la frusta ben annodata in vita.
Maryse socchiuse gli occhi: — Se adesso esci dalla porta dell'Istituto, sarà per non entrarci più, Isabelle. — Sibilò.
Izzy scrollò le spalle con un sorriso furbo in volto: — Se avessi avuto un dollaro per tutte le volte che me l'hai detto, a quest'ora sarei ricca sfondata! — Ridacchiò, uscendo dalla stanza, mentre i due ragazzi la seguivano verso l'armeria. Missione suicida sì, ma soltanto i pazzi avrebbero fatto quello che stavano per fare con appresso solo una frusta.


— Bene, ora hai due scelte davanti a te: o parli o parli. Decidi i fretta, hai solo tre secondi. — Strascicò Jonathan, ridacchiando mentre si rigirava uno dei pugnali con lo stemma dei Morgenstern fra le dita. 
Lo stregone inclinò di lato il capo. — E perché dovrei farlo? — Ansimò, mordendosi l'interno della guancia. Quello stupido Cacciatore li sapeva tirare, i cazzotti, eccome se li sapeva tirare i cazzotti! Ma chi diavolo si credeva di essere? E, cosa più importante, chi era sul serio?
— Mmh, vediamo… forse perché se non lo fai ti stacco le dita una per una? — Sibilò l'albino, gelido.
— Pff! — Rise il Nascosto. — E infrangeresti gli Accordi? Nessun Cacciatore sano di mente lo farebbe! — Lo derise, sicuro di avere ragione.
Jonathan sogghignò: — E chi ti dice che io sia sano di mente? — Sussurrò, incidendo la guancia del ragazzo, o di quello che sembrava un giovane, almeno, col pugnale. Il Nascosto serrò i denti, ma non rispose.
— Sei pronto a parlare, quindi? — Il ventunenne inclinò la testa di quarantacinque gradi, più o meno: ma con chi credeva di avere a che fare, quel cretino? 
— Mai. — Sputò l'altro, nel vero senso della parola.
Jonathan serrò le labbra: — Sto incominciando ad innervosirmi, Nascosto. - ignorò lo "uuuuh che paura!" derisorio dell'altro e continuò - Hai rovinato le mie nuove scarpe. Appena comprate, pezzo di merda. Che dici, me le ricompri tu?
— Ma chi ti credi di essere, eh?! Voi Cacciatori e il vostro ego grosso quanto una casa! — Ringhiò lo stregone, sputando ancora una volta. Solo che questa volta dalla sua bocca non uscì saliva, ma sangue, che macchiò la camicia bianca dello Shadowhunter.
Jonathan gli diede l'ennesimo schiaffo: — Forse non hai sentito parlare di me, ma fidati, il mio cognome è piuttosto conosciuto nel tuo… ambiente. — Strascicò.
Tese la mano e sorrise, freddo: — Tanto piacere, Jonathan Morgenstern. — Fece una pausa e rise, gettando il capo indietro. — Ooops, scusa, non puoi stringermela, la mano! — Esclamò, arricciando le labbra in un ghigno ferino.
Aurice Lontrer, lo Stregone, sgranò gli occhi: il padre di quel pezzo di merda aveva sterminato tutta la sua famiglia!
Glielo ringhiò dritto in faccia, e Jonathan si leccò le labbra: — Problemi tuoi. Vuoi far la loro stessa fine? — Chiese, deliziato. Davvero credeva di aver a che fare con mammalucco qualsiasi? 
Si morse la labbra per non ridergli in faccia. 
— Allora, pronto a cantare? — Chiese, rigirandosi il pugnale fra le dita.
— Neanche morto, Morgenstern. — Si decise infine a sibilare Aurice.
— Peccato, perché sono certo che mia sorella sappia creare una runa anche per far parlare i morti (1)… — Osservò l'altro, piantandogli il coltello nel palmo della mano, attaccandolo così ancor di più alla sedia, quando era già legato con robuste corde ad essa. 
— Vuoi che provveda all'altra mano, Lontrer? — Scoprire il suo nome era una delle prime cose che Jonathan aveva fatto, e non ci era voluto poi molto, visto che si era finto un semplice Cacciatore in cerca di aiuto. Molto probabilmente Aurice aveva intravisto la ghiotta occasione di catturarlo e portarlo legato come un salame a Melchizedeck e si era fatto avanti, oltremodo falso e disponibile, non pensando che il salame sarebbe diventato lui… 
— Il mio signore mi ridarà le mani! — Esclamò il figlio di Lilith, convinto.
— E chi è, Gesù? Nemmeno lui ricostruiva le mani mozzate, mi pare, o mi sbaglio? Forse ti stai confondendo con Lord Voldemort (2). — Rise l'albino, estraendo il coltello dalla carne dell'altro e tranciando di netto la mano dal polso in giù. Il Nascosto urlò, dimenandosi inutilmente.
— Parlerò! Parlerò! — Disse infine, reclinando il capo in avanti, unico movimento che gli era permesso di fare a causa delle corde che lo legavano.
Proprio in quel momento, Jace, Clary, Isabelle e Jean entrarono nella metropolitana.
— Jonathan, sei qui? — Chiese la corvina, mentre l'eco delle sue parole rimbalzava sulle pareti vuote.
— Sì, di qua! — Urlò il ventunenne in risposta.
In poco tempo i quattro furono a meno di qualche metro da lui. — E questo sarebbe tutto ciò che abbiamo tra le mani? — Chiese Jean, scettico, indicando lo Stregone legato alla sedia.
— Scusami se non ho fatto in tempo ad andare a prendere Melchizedeck in persona, sai com'è, avevo l'agenda un po' troppo fitta d'impegni! — Ribatté Jonathan, ironico. — Stava per confessare, comunque, se vi interessa. — Concluse, ondeggiando la lama del pugnale davanti al volto del Nascosto.
— Quindi? Cos'ha intenzione di fare Melchizedeck con Ian? Dove sono? Chi l'ha rapito? — Continuò, rivolto ad Aurice.
— Io… io non lo so…
— Bugiardo! — Lo redarguì il ragazzo, mozzandogli anche l'altra mano. — Ho capito, vuoi che ti uccida pezzo per pezzo. Per me va bene. 
Si passò la lingua sulle labbra secche e chiese ancora: — Cos'ha intenzione di fare Melchizedeck con Ian?
— Lui… vuole… cercava… il padrone dice che Azazel è… l'essere perfetto. 
— Azazel? — Chiese Clary, perplessa. — Ma non è un demone?
— È il primo nome di Ian, gliel'ha dato Melchizedeck. — Spiegò Jonathan, agitando una mano come se quella fosse una questione futile. Ed in effetti lo era, confrontata con la situazione attuale.
— Bene. Quindi Melchizedeck vuole addestrare Ian oppure tenerselo da parte, imprigionato, aspettando l'occasione giusta per usarlo. Chi l'ha rapito? — Considerò Jonathan.
— Un… un alto servo del padrone. Gederic Mole, uno stregone. 
— Non un ibrido? — chiese Clary, perplessa.
— No. Il padrone non si fida ancora degli ibridi, ma ora che ha Azazel potrà… potrà rendere loro un semplice… semplice esercito. Vi prego non uccidetemi! — Esclamò precipitosamente Aurice, vedendo l'albino muovere ancora il coltello.
— No, non ti uccideremo. — Disse Jonathan. — Non ancora, per lo meno.
Fece un'altra pausa ad effetto, sorrise come se si stesse divertendo e poi chiese: — Dov'è Ian?
Lo Stregone deglutì: — North Little Rock, contea di Pulaski, Arkansas. È in una villa abbandonata, nei sotterranei.— Sussurrò. — Vi prego, lasciatemi andare! 
— Oh, certo che ti lasceremo andare… - sorrise Jonathan - … incontro alla morte. — Amava le pause di suspance, non c'è che dire.
Subito dopo, piantò il pugnale nel cuore del Nascosto. 




— Quindi, adesso che facciamo? — Fortunatamente Jean era già stato a North Little Rock, quindi avevano potuto usare un Portale. 
— Cerchiamo informazioni. — Rispose Jonathan, scrutando l'ambiente circostante. Erano in un piccolo giardinetto fiorito, con eretta morbida a terra e uccellini che cinguettavano sugli alberi. Una versione rimodernata del giardino segreto (3), in pratica. 
— Dove? — Chiese Jean, ironico.
— In un Internet Cafè. Problemi? — Ribatté Jonathan, irritato.
Jean serrò le labbra per nascondere un sorriso. Era così divertente battibeccare con lui! Gli ricordava così tanto Regina…
— Per arrivare al centro dobbiamo svoltare a destra. — Disse, una volta fuori dal giardino.
In poco tempo si ritrovarono nella via più frequentata della cittadina, ed entrarono in uno dei tre Internet Cafè disponibili. Isabelle si sedette davanti allo schermo del computer e digitò "Ville abbandonate a North Little Rock" sul motore di ricerca. 
"Nessun risultato disponibile.", fu il responso di Google (4). 
— Forse non è un luogo abbastanza famoso da finire su Internet. — Azzardò Clary.
— Già. Ma quindi cosa facciamo? — Le rispose Izzy, frustrata. Ogni secondo che passava Ian poteva morire, e Jonathan ancora non le aveva detto cosa c'era scritto sul biglietto. 
— Ehi, tu! — Jace si era già voltato ed aveva richiamato l'attenzione di una tizia qualsiasi. — Sai qualcosa su case abbandonate da queste parti? — Chiese, sorridendole accattivante.
Quando se ne fu andata scuotendo il capo, Clary gli mollò una gomitata nelle costole. — Idiota! — Borbottò. — Mi hai messo questo anello al dito perché nessuno mi corteggi più, ma che mi dici di te? Sai che c'è? Ti regalerò una mia sciarpa rosa e andrai in giro con quella, vedremo se qualche altra ragazza oserà avvicinarsi!
— Ehm… Clary… — S'intromise Jean. — Credo che in quel caso attirerebbe i ragazzi. — Osservò.
— Oh. Bene, allora ti tatuerò sulla fronte "Sono di proprietà di Clarissa Morgenstern, chiunque voglia toccarmi verrà scuoiato vivo dalla mia ragazza".
— Non è un po' troppo lunga come frase? — Chiese Izzy, ridacchiando.
— Ehi! — Protestò Jace. — Non parlate di me come se non ci fossi!
—Volete tenere a mente l'obbiettivo principale, Giuda ballerina (5)! Dobbiamo riprenderci Ian! — Ringhiò Jonathan, uscendo dal Café e scrutando un ragazzino con aria truce, che scappò a gambe levate. 
— Quindi? Battiamo palmo a palmo ogni fottutissima villa? — Chiese Jace, irritato. Possibile che di solito tutti cercavano di farsi gli affari degli altri con consigli inutili e adesso nessuno aveva nulla da dire?
— Può essere che non sia una notizia abbastanza importante da finire su Internet, ma che ne dite di cercare qualche giornale locale? — Propose Clary, spostando il peso del corpo da un piede all'altro. 
— Potrebbe essere un'idea. — Rispose Isabelle, guardandosi intorno in cerca di un'edicola. Dopo aver camminato per due isolati, finalmente la trovarono. — Ma non sarà un giornale recente, no? Come fa un edicola ad averlo? — Osservò Jace. 
Si fermarono tutti di botto, frastornati. — Chiedere a qualcuno del luogo? — Chiese in fretta Jonathan. Stavano sprecando tempo prezioso, e ogni secondo che scivolava tra le loro mani poteva essere l'ultimo della vita di Ian.
— Ehi, ragazzi. Non siete di queste parti, vero? — Si voltarono tutti simultaneamente verso una donna di mezza età che sorrideva loro benevolmente.
Clary si stampò in faccia un piccolo sorriso timido: — Sì, ehm, in realtà stiamo facendo una piccola gita. Sa, stiamo girando una specie di corto horror, e abbiamo saputo che c'era una casa abbandonata nelle vicinanze che non aveva proprietari, ma non riusciamo a trovarla. — Spiegò, mordicchiandosi le labbra.
— Oh, sì, non vi potete sbagliare, dovete uscire da questa strada e imboccare quella a sinistra, svoltare due volte a destra e una a sinistra e ve la ritroverete davanti, è l'ultima della fila, al centro. Ma… - si fece d'un tratto seria - … non vi consiglierei di andarci. Corre voce che sia maledetta. Tutti i loro proprietari sono morti in circostanze misteriose! 
— Credo che correremo il rischio. Grazie mille! — Isabelle sorrise raggiante alla donna e si voltò insieme agli altri, imboccando l'uscita della strada a passo veloce.




Erano arrivati, si trovavano proprio di fronte ad una grande villa dipinta di bianco con l'intonaco però ormai scrostato, le colonne greche che sorreggevano il tetto erano quasi interamente avviluppate dall'edera e l'erba era alta e secca, per non parlare poi del pavimento scheggiato e degli alberi che si erano estesi fin quasi a circondare la casa.
Jonathan chiuse gli occhi, rimanendo in ascolto. C'erano sei guardie, tre a destra e tre a sinistra, appostate dietro gli alberi. Riusciva a sentire il loro respiro e perfino il battito frenetico del loro cuore, segno che li avevano avvistati.
Jean affinò i sensi: la paura dilagava ovunque da quella villa, ne sentiva la puzza, e poteva quasi vedere la scia nerastra nell'aria. Si voltò verso gli altri nello stesso momento in cui lo faceva Jonathan. — Andiamo. — Incominciò, oltrepassando la villa. — Credo che dopotutto non sia così importante girare quel filmino nella villa. È… strana. — Isabelle, Jace e Clary capirono al volol'antifona.
— Ci sono tre guardie per ogni lato, si suppone che siano ibridi. — Spiegò Jean, una volta che furono sufficientemente lontani.
Jonathan si fece attento: — E tu come diavolo fai a saperlo? — Chiese, socchiudendo gli occhi. Lo sapeva, quella faccenda puzzava di bruciato. Quel ragazzo, per altro più grande di loro - qualcosa gli faceva pensare che aveva visto molte battaglie, anche se non riusciva a spiegarselo, visto che l'unico e significativo scontro che c'era stato negli ultimi… uhm, dieci anni, era quello di Brocelind - nascondeva qualcosa, e qualcosa di molto grosso.
— È ovvio. Nessuno lascerebbe sguarnita una propria base, non trovi?
— Perché proprio sei guardie? — Continuò l'albino. Non si sarebbe arreso per nulla al mondo. Sentì Clary inquietarsi: anche lei stava incominciando a capirci qualcosa?
— Perché tre è il numero perfetto. Tre da un lato, tre da un altro, perché sapevano che non ci sarebbe stata una sola persona a cercare di infiltrarsi, quindi servivano più ibridi per proteggere la villa. Potrei scommettere che ci sono anche due guardie a piantonare la porta d'ingresso, dentro, e due davanti alla porta posteriore, e prima che me lo chiediate, due perché possano essere ognuno su un lato. - si picchiettò un dito contro la tempia - Semplice logica, ragazzi. Logica, che parola aliena! — Rise mentre Jonathan serrava i pugni. Aveva vinto una partita, non la guerra.
— Quindi? — Chiese Isabelle. 
— Le distraiamo io e te, mentre loro entrano. — Propose Jace in direzione della sorella adottiva. Cavolo, ora che ci pensava aveva una quantità immane di fratelli e sorelle adottivi! Isabelle e Alec da un lato, il demonietto e Clary dall'altro, e non si sarebbe stupito se da un momento all'altro avessero scoperto che aveva una sorelle gemella segreta vissuta chissà dove per tutto questo tempo che a sua volta aveva una mandria di fratelli adottivi. Sarebbe stato parecchio strambo, in effetti.
— Non sarebbe meglio far entrare te con loro e rimanere Jean qui con me? Si suppone che tu sia più forte, Jace… - si guardò le unghie smaltate: - … senza offesa, ovviamente, Jean. — Aggiunse, a beneficio del castano.
Lui le rivolse un silenzioso cenno del capo, come a voler dire "non me la sono presa, ma qualcun altro poteva farlo".
— No. Sono pur sempre sei ibridi, Iz. E uno di loro vale quanto due normali Cacciatori, del tipo… uhm, pescando un paio di nomi a caso direi Pangborn e Blackwell, niente a che fare col tuo livello, quindi, ma non si può mai sapere. Quindi noi ci dedichiamo alla carneficina di ibridi, loro vanno sul retro e ammazzano i due di guardia, come ha predetto Jean, e noi li raggiungiamo. — Spiegò Jace, sogghignando apertamente. Già sentiva l'adrenalina nelle vene.
— Mettetevi vicino ai cancelli! — Ordinò ai Morgenstern, con Jean che chiudeva il quadretto. 
Nel frattempo, si tolse la giacca nera e fece segno a Isabelle di fare lo stesso: le guardie li avevano visti solo di sfuggita, quindi non li avrebbero riconosciuti immediatamente e questo avrebbe dato agli altri il tempo di arrivare sul retro prima che gli ibridi li riconoscessero e si rendessero conto che dovevano esserci altri Cacciatori.
Sorridendo eccitato Jace si passò le mani fra i capelli, tirandoli lievemente all'indietro, arrotolò le maniche della maglietta scura - in quel frangente, nessuno aveva avuto il tempo di indossare la tenuta da combattimento - e ficcò la collanina che portava al collo sotto il tessuto, mentre l'altra si toglieva la giacca e prendeva un piccolo pugnale dalla tasca posteriore dei pantaloni e con quello faceva dei piccoli tagli sfilacciati ai jeans, facendoli quasi sembrare un modello diverso. Si sciolse i capelli sulle spalle e con una mano tolse il rossetto rosso dalle labbra, facendo un cenno di assenso a Jace che già incominciava ad arrampicarsi su per il cancello. 




— Ora! — Jonathan scattò in avanti, subito seguito da Clary e Jean, correndo verso il retro della casa e al tempo stesso cercando di non farsi notare da i tre ibridi all'altro lato, visto che solo la metà di essi aveva abboccato all'amo lanciato da Jace e Isabelle.
L'albino si bloccò nel bel mezzo del giardino: — Fermi! — Urlò, talmente forte che Clary si chiese perché si fossero dati tanta pena a creare un diversivo: avrebbero potuto semplicemente entrare e sgozzare i suoi ibridi. Poi si ricordò che avrebbero potuto dare l'allarme ai rinforzi, e comprese perché suo fratello non avrebbe dovuto rendere così platealmente nota la loro presenza.
— Ma sei matto?! — Nel momento stesso in cui gli sibilava questo all'orecchio, quattro fate-mannare - o almeno quelle che assomigliavano a fate mannare, visto il bell'aspetto e i lunghi artigli e le zampe al posto di gambe e braccia che stonavano l'insieme - sbucarono dall'erba alta in cui erano acquattate.
Il primo a reagire, sorprendentemente, fu Jean, che estrasse una spada angelica - Pahaliah - ed ingaggiò una lotta con il primo ibrido, subito seguito dagli altri due. Jean parò quello che sarebbe dovuta essere un artiglio così letale e affilato che avrebbe potuto mozzargli la testa con il piatto della spada e subito dopo si premurò di dare una bella spuntatina alle unghie della fata-mannara.
Scattando velocemente in avanti decise che, dopotutto, anche da corte quelle unghie facevano schifo, così tranciò di netto il braccio destro dell'avversario, accucciando a terra per evitare un altro fendente. Quindi il nemico decise di sferrargli un calcio sulle cosiddette e Jean, saltando, esclamò: — Eh no! I gioielli di famiglia no! — Facendo rischiare di morire per le troppe risate Clary, che aveva tagliato la mano di uno degli ibridi e la guardava rotolare via, e perfino alcuni degli avversari non poterono trattenere una risatina.
— Be', Jean, hai sicuramente un talento da comico, ma ti ricordo il motivo per cui siamo qui. — Ringhiò Jonathan, sprezzante. Fu in quel momento che si rese conto che Ian era entrato nel suo cuore proprio al momento giusto, senza che nemmeno se ne accorgesse.
Il moro alzò le mani in aria come a dichiararsi innocente, e le riabbassò subito dopo per affondare Pahaliah nello stomaco dello stesso ibrido che aveva cercato di castrarlo, facendolo crollare a terra in una pozza di sangue. Velocemente gli tranciò la testa e si voltò per controllare la situazione. Jonathan stava affondando la lama di Saraqael esattamente dove c'era il cuore del nemico, e Clary stava sistemando il terzo ibrido.
Venne afferrato per le spalle e stretto nella morsa di due braccia pelose, con i lunghi artigli che gli graffiavano il collo. Ansimò man mano che la presa sulla sua gola si rinsaldava e schiacciò il suo piede su quello della fata, sentendo un crack e l'ibrido che gemeva.
Cercò di sorridere, ma era comunque a corto d'aria e tutto quello che riuscirono a fare le sue labbra e la sua gola fu un colpo di tosse mezzo soffocato. Mollò una gomitata nello stomaco dell'avversaria, ma incominciava a vedere tutto nero… tante chiazze nere che si espandevano e oscuravano tutto come se qualcuno avesse spento la luce, e un fischio nelle orecchie come quello del treno che arriva.
Crollò in ginocchio nel momento stesso in cui Jace e Isabelle li raggiungevano e il primo tagliò letteralmente a metà - con un orribile schianto di ossa - il quarto ed ultimo ibrido che aveva aggredito Jean.
— Tutto bene? — Chiese Isabelle, chinandosi e porgendogli una mano.
Jean serrò le labbra: stava perdendo allenamento, forse? Era perché non poteva mostrare le sue abilità nella sala allenamenti, dove c'erano tutti gli altri? Non poteva permettersi di rammollirsi. Digrignò i denti e si alzò in piedi, rifiutando la mano tesa della corvina che parve sorprendentemente capire e annuì.
— Andiamo. — Già solitamente Jonathan era un allenatore parecchio duro - il più duro che avesse mai visto, la faceva sputar sangue, letteralmente -, pensò Clary, ma adesso sembrava una vera furia. Pronto a far fuori qualunque cosa gli si fosse parata lungo la strada, avrebbe scommesso tutti i suoi risparmi su questo.
Ovviamente aveva ragione, ma non riusciva a comprenderne il motivo. Ok, anche lei era preoccupata a morte per Ian, anzi, inizialmente credeva di esserlo anche più di lui, che invece sembrava davvero… cercava di ritrovare il bambino come se ne andasse della sua stessa vita. Ai suoi occhi era un comportamento inspiegabile. Sì, Jonathan stava cambiando, ma non era ancora arrivato fino a questo punto. Perché darsi tanta pena per un bambino lanciandosi in una missione suicida e non solo, facendolo con così tanto ardore che quasi pareva che l'aria intorno a lui fosse satura di elettricità? Nessuno, neanche la più emotiva delle persone sarebbe stata così… nevrotica? No, non era il termine giusto.
Quello sguardo d'onice…
Clary aveva sempre saputo che suo fratello aveva più di una rotella fuori posto, anche in versione "buona" - si fa per dire, ovviamente -, anche se non voleva dare tanto peso ai tanti che lo avevano additato - e ancora lo facevano - come pazzo, etichettandolo come folle. Nonostante non volesse prestare orecchio a quelle dicerie - anche se le appoggiava, non le sembrava giusto anche solo pensarlo. Sì, era folle, anche se non credeva che arrivasse a varcare il limite della pazzia, perché c'è una bella differenza fra follia e pazzia, ma non per forza questo era una cosa negativa. Era un buon folle, per quanto potesse sembrare strano… - l'unica parola che le veniva in mente in quel momento per descrivere quell'atteggiamento, quel modo di fare, quello sguardo… era psicopatico. Un folle psicopatico. 
Uno buono, però - sempre che ci fossero folli psicopatici buoni… evidentemente sì. -, se si stava preoccupando a tal punto per un bambino conosciuto appena una due settimane prima.
Che il problema fossero le emozioni? Che non sapesse dosarle? Nel senso, prima aveva una vita completamente vuota, e adesso era passato di punto in bianco dall'uno al novanta e le sensazioni lo frastornavano a tal punto da dargli alla testa, amplificarsi? 
Qualunque cosa fosse, comunque, metteva spavento. Però non era necessariamente un male, certo.
Scosse la testa, riscuotendosi, e arrivò con gli altri sul retro della casa.
Due vampiri-stregoni, o qualcosa del genere, non era molto facile riconoscere le razze in quel miscuglio, ma si supponeva fosse così visto che entrambi avevano segni demoniaci - il primo aveva le corna e il secondo la pelle verde - e i canini innaturalmente allungati come due sottili aghi, scattarono in avanti, ringhiando o soffiando, non si capiva bene.
Senza scomporsi Jean estrasse una pistola - una semplice Beretta, portata sempre addosso per quando si ritrovava sprovvisto di altre armi, anche se nello sfortunato caso in cui avesse incontrato un demone non avrebbe potuto fare molto. Ironico che fossero più gli umani che i demoni a cercare di fargli lo scalpo! - e sparò a entrambi, avvicinandosi con circospezione alla porta.
— Credete che sia incantata? 
— Se fossi in Melchizedeck, e se Melchizedeck ha un minimo di cervello, lo farei. — Osservò Jace, grattandosi via da sotto le unghie del sangue rappreso.
— O avrei messo a guardia dietro la porta altri tre o quattro gorilla del cazzo. — Concluse Jonathan.
— Come facciamo a sapere chi ha ragione? — S'interrogò da sola Isabelle, nervosa, guardando istintivamente verso il fratello adottivo.
L'albinò alzò gli occhi al cielo, sbuffando: — Fino a prova contraria poco tempo fa ero uno dei cattivi della storia, o forse te lo sei dimenticato, angioletto? — Chiese, sfondando con un calcio la porta.
Non gli crebbero le corna né gli spuntarono viscide pustole verdi, e tantomeno gli cascarono le orecchie o i piedi divennero mani e le mani piedi. Tutto a posto, tranne i cinque ibridi che si avventarono su di lui e lo stregone che mormorava qualcosa in una lingua tutta sibili e ringhi.
— Prendete lo stregone! — Urlò Jonathan, abbattendo il primo dei cinque avversari minori.
— Muovetevi! Mi sta maledicendo in purgatico, per la miseria! — Ringhiò, nel momento stesso in cui sua sorella, riscossasi dallo stupore, lanciava un pugnale che si conficcò nel cuore di quello che sarebbe entrato nella storia come il-Nascosto-che-stava-per-fare-la-pelle-a-mister-sono-il-più-bravo-dei-Cacciatori-e-ho-bisogno-dell'-aiuto-della-mia-sorellina-…-no-Clary-non-mi-uccidere, ovviamente secondo Jace.
Isabelle abbatté un secondo ibrido, riducendo la quota a tre contro cinque. Clary ne pescò un altro dal mucchio, ingaggiando una sudatissima lotta. L'ibrido in questione sembrava un po' più anziano degli altri - che dimostravano tutti circa vent'anni o venticinque, mentre questo si avvicinava alla quarantina - e anche più esperto.
— Ce l'hai un pass per il Paradiso, ragazzina? Nah, scommetto che sei una di quelle con un biglietto di sol andata per l'Inferno. — Strascicò lui, estraendo una spada corta a una mano e mezza dalla cintura. Cosa diavolo se ne fa un Nascosto di un'arma?, s'interrogò Clary. Rabbrividì quando si accorse che quel pensiero era maledettamente simile a ciò che Valentine aveva detto a Luke, quando gli aveva chiesto come mai un lupo mannaro combattesse con una spada.
Si scrollò di dosso quei viscidi pensieri striscianti ed estrasse a sua volta una spada angelica, evocando il nome Eremiel - c'era voluta una fatica del diavolo a imparare a memoria ben cinquantanove nomi angelici, includendo anche Raziel, anche se a quanto pareva l'Angelo non gradiva quando veniva dato il suo nome alle spade (5) - e facendo scontrare le due lame, che sprizzarono scintille.
Sì, sembri proprio una tipa infernale. 
Clary inarcò un sopracciglio: — E sentiamo, cosa ti fa dire questo? — Chiese, mentre gli mozzava due dita della mano destra e il Nascosto ringhiava.
— Non hai l'aria di una brava ragazza. Per niente. 
Ora che ci rifletteva, Clary dovette dargli ragione. Fino a poco tempo prima avrebbe potuto definirsi la più innocua tra gli Shadowhunters, o almeno in apparenza - molto in apparenza -, ma cambiando anche vestiario sapeva di dare un'impressione molto più… dura? No, dura non era la parola giusta, Isabelle sembrava una dura, lei sembrava più… oscura.
Indossava uno degli ultimi prototipi di tuta per Cacciatrici, un unico pezzo composto da pelle, cuoio e un tessuto avvolgente che non riusciva a riconoscere che era estremamente resistente, ovviamente tutto in nero, e che avvolgeva ben bene le sue forme che, finalmente, avevano iniziato a sbocciare mesi prima e sembravano quasi aver completato l'opera.
Era sempre bassa come un nano da giardino, ma poteva dire di avere alcune attrattive: le gambe non erano lunghe né estremamente snelle come quelle di Isabelle, certo, ma con lei condivideva le forme a clessidra e il vitino da vespa, anche se la Cacciatrice mora aveva un'abbondante quarta e lei una terza, anche se piena. Comunque, i capelli lunghi che non contribuivano a renderla più alta erano stati lisciati e raccolti in una lunga coda con un codino come mai aveva osato fare, in modo che i tratti del viso risultassero davvero più spigolosi. In effetti, con i capelli legati assomigliava molto meno a Jocelyn e più a Valentine.
Ad una prima occhiata in cui si registravano i capelli rossi e il naso piccolo, sembrava la copia sputata di sua madre, ma se si faceva attenzione ci si rendeva conto che la somiglianza si limitava al color rosso, specie ora che aveva gli occhi grigi. Gli zigomi marcati erano quelli di Valentine, così come gli occhi dal taglio leggermente all'insù - nemmeno vagamente asiatici, solo all'insù - e ovviamente il loro colore, la fronte mediamente spaziosa e le labbra pienissime con l'arco di Cupido ben delineato, perfino le sopracciglia non sottilissime ma nemmeno così spesse erano quelle del padre. Così come tutti scambiavano Jonathan per la copia a carbone di suo padre, visti i capelli albini e l'evidente altezza, la somiglianza finiva lì. Aveva sì i tratti spigolosi e gli zigomi uguali a quelli di padre e sorella, ma i tratti in generale erano lievemente addolciti dall'influenza di Jocelyn e come lei aveva il mento lievemente affilato e le labbra sottili, oltre che gli occhi grandi, anche se il colore li differenziava.
Insomma, dei falsi uguali, se esisteva un gergo simile. 
Certo lo smokey eyes sui toni del grigio e del nero e le labbra dipinte di rosso scuro non aiutavano Clary nell'impresa di sembrare più dolce, ma a lei stava benissimo così. Suo padre era un emerito bastardo, suo fratello non ne parliamo proprio e sua madre sembrava star diventando stranamente molto più dura e quindi, per aggregazione, lei non poteva certo fare la pecora nera - o meglio, la pecora bianca - e sembrare un docile cucciolo abbandonato!
Con il sorriso sulle labbra mise in atto una complicata mossa con la spada che aveva imparato da Jace e che principalmente mirava ad infilare la punta dell'arma tra il pomolo e l'elsa di quella dell'avversario, in modo da afferrarla e disarmarlo.
L'attacco venne eseguito con successo e la ragazza inchiodò l'ibrido con le spalle al muro, infilzandolo velocemente.
Si voltò, rendendosi conto che anche gli altri si erano dati da fare e avevano fatto piazza puliti di ibridi. Si guardò per un attimo pensierosa gli stivali stringati con tacchi talmente alti e sottili da sembrare stiletti d'adamas - anche perché erano fatti proprio di quel materiale - macchiati di sangue e rabbrividì, affrettandosi a seguire gli altri. 




— È sbagliato. — Si affrettò a sussurrare Jocelyn, mentre Valentine si prodigava in una lussuriosa opera: baciare qualunque punto di pelle scoperta riuscisse a trovare.
— Tu sei sbagliato. — Cercò di continuare lei, passandogli suo malgrado le mani fra i capelli per attirarlo di più verso sè.
— Anni fa non creavi questi problemi. — Osservò lui, mordicchiandole il lobo destro.
— Anni fa tu non avevi avvelenato il mio primogenito, dato fuoco ai miei genitori e fatto marciare un esercito di demoni su Alicante. — Ribbatté lei, dura, allontanandosi di scatto.
— Mi pareva avessimo concordato sul fatto che entrambi provassimo una spiccata antipatia per i Nascosti. — Valentine dischiuse le labbra, leccandole il profilo fino ad arrivare alle labbra e dedicarsi interamente ad esse, partendo con piccoli morsetti giocosi fino a obbligarla a concedergli l'accesso alla sua bocca e ingaggiare una lunga lotta con le loro lingue, quasi fosse una danza ipnotica.
— Cosa mi dici dei precedenti due punti? — Si difese Jocelyn, incrociando le braccia al petto.
— Ci è stato riferito che ora Jonathan può provare emozioni, no? — Il Cacciatore si mise sulla difensiva. Molte volte aveva odiato suo figlio per essere un "blocco di ghiaccio", anche se non era mai arrivato a detestarsi lui stesso. Molte volte aveva preferito Jace a Jonathan, ma quando Lilith gli aveva detto "brucerà la sua umanità (6)" non aveva, ovviamente, pensato ai suoi sentimenti in generale. Come avrebbe potuto pensare una cosa del genere? Magari, se l'avesse saputo, ci avrebbe pensato due volte su, anche se avrebbe comunque commesso lo stesso errore, di questo era certo. La sua brama di potere era troppo grande allora e continuava ad esserlo, per farsi fermare da tali ostacoli, futili confrontati con il suo grande piano. E adesso arrivava questo tizio, Melchizedeck, che gli rubava il primato di cattivo! 
— Questo non cancella i precedenti ventun anni passati come un guscio vuoto, Valentine. — Che lo chiamasse Valentine e non Val (7) era decisamente un brutto segno. 
— Diciannove, prego. Gli altri due prigioniero di quel rincitrullito Nascosto non sono certo da imputare a me.
— Sempre non aveva i suoi sentimenti. — Contrattaccò Jocelyn, sorridendo soddisfatta come se pensasse che la sua logica fosse a prova di bomba.
— Si vede che non hai una conversazione decente con me da molto tempo, Jocy. I tuoi standard intellettivi si sono abbassati, e di molto. Sarà stata la compagnia di quel cane bastardo…
Lei sorvolò sull'offesa a Luke, desiderando in quel momento solo di scuoiarlo vivo, anche se sapeva che al momento cruciale non ci sarebbe riuscita: — Cosa vuoi dire?
— A cosa credi che gli sarebbero servite le emozioni, da prigioniero? Ad alimentare il suo odio smisurato per Melchizedeck? Credimi, sono più che certo che anche quando non le aveva desiderasse ardentemente di ucciderlo come non l'aveva mai desiderato nemmeno nei miei confronti. Non posso negare di averlo frustato, come tu stessa hai visto i segni sulla sua schiena, ma non lo facevo ogni santo giorno ogni singolo secondo, sai? Non capisco proprio perché tutti continuino a vedere solo il nero della mia anima! — Esclamò, ironico. Molto ironico. La sua voce grondava sarcasmo.
— Idiota.
Lui affilò lo sguardo; nemmeno da lei era disposto a farsi chiamare i tali modi degradanti, come se lui fosse un idiota! — A proposito di idioti e cretini, lo sai chi è in realtà il ragazzo del cane?
— Ha detto che si chiama Deck, no?
Valentine alzò ancora gli occhi al cielo: — Sì, decisamente non hai avuto conversazioni di qualità. Anche se questo probabilmente non era solo per colpa del bastardo, ma anche degli ottusi Mondani (8) che ti circondavano.
— Allora? — Lo incalzò lei, sbuffando.
— Di quale nome credi che sia il diminutivo Deck? Ti facilito il compito, visto che sembri avere la memoria così ottenebrata (9): non è Dereck.
Jocelyn ci rifletté per un secondo, e sgranò gli occhi come se qualcuno le stesse portando via tutto l'ossigeno: — Andiamo, no, non può essere…
Sì, concordo con te nel dire che è scioccante che Lucian sia dell'altra sponda e, soprattutto, abbia tendenze così masochiste. Nel caso volessi ancora qualche conferma, Deck sta per Melchizedeck. 
Quando Jocelyn si rese conto di non provare niente per quella scioccante verità, quando si rese conto che non le importava che Luke l'avesse tradita con un mostro, si rese conto che Valentine le era ancora una volta si era intrufolato nel suo cuore senza permesso. 




— Andiamo. 
Erano arrivati davanti alla cella di Ian in modo relativamente tranquillo. Be', tranquillo per modo di dire: avevano dovuto attraversare una miriade di corridoi e tornare indietro molteplici volte prima di trovare la strada giusta, oltre che falciare una o due dozzine di Nascosti e ibridi vari e almeno una decina di demoni vari. Izzy già vedeva il cartello: "Venghino signori verghino, offriamo demoni di tutte le età da sbudellare! I nostri assortimenti sono vastissimi, dagli intramontabili e quasi invincibili Abbadon, Fame e Marbas fino ai comuni Behemoth, Kuri e Vetis passando per i Draghi, gli Idra e i Cani Infernali!"
Scosse la testa, reprimendo una risata allo sguardo da "sinistro cubo mietitore" di Jonathan. Carino sì, anche intrigante e misterioso, ma con un'aria da psicopatico da far paura… eppure non poteva fare a meno di prenderlo a cuore. Era forse perché le piacevano tutti i ragazzi strani e o che comunque non rientravano nella categoria di "Cacciatori standard", per così dire? 
Jace infilzò con un'abile mossa un Ravener e tranciò con indiscutibile maestria la testa ad uno Shax, fece un inchino e sorrise: — Forza signori, il grande Jace vi ha aperto la strada per la cella dell'amabile fanciullo!
Jonathan lo spinse via: — Poche scene, angioletto. — Ringhiò, arrivando alla porta e ruotando la maniglia.
Isabelle alzò gli occhi al cielo: come se lui poi non fosse un tipo teatrale, tzè! 
Prima o poi avrebbe dovuto fare una lista di tutti i difetti - et similia - che aveva quel ragazzo, e nel frattempo poteva incominciare a stilarla mentalmente: arrogante, presuntuoso, vanesio… - uhm, sì, forse. Non lo aveva mai visto passare tanto tempo davanti allo specchio, più che altro perché era figo anche senza prestare particolari attenzioni ai suoi capelli e alla sua pelle, naturalmente, ma aveva più volte affermato lui stesso di essere bellissimo, e se questo non è essere vanesi… - narcisista - e qui ci ricolleghiamo al punto precedente -, teatrale, freddo, spietato, crudele, malvagio, folle, psicopatico, okay-se-non-chiudiamo-adesso-questa-lista-potremmo-continuare-all'-infinito…
Ma allora perché riusciva sempre a passare sopra ad ogni difetto, a perdonargli ogni azione crudele?
Perché non riusciva a resistere al suo bell'aspetto, perché si ritrovava a guardare sempre quelle sottili labbra che erano sempre tese in un ghigno o arricciate in un'espressione sprezzante che faceva venir voglia di morderle, perché non riusciva a non seguire con gli occhi la linea del profilo aristocratico e perché ogni volta che la fissava negli occhi perdeva il controllo del suo corpo, si sentiva come se le stesse scavando l'anima mentre precipitava in quei pozzi neri senza fondo che sembravano essere gelidi e ardere di furia e passione al tempo stesso.
Isabelle conosceva la risposta ai suoi dilemmi, ma proprio non riusciva ad ammetterla. Sarebbe stato come rendere tutto più reale, tutto infinitamente più grande e pronto a fagocitarla appena avesse commesso un passo falso.
No, non avrebbe mai ammesso che il malvagio Jonathan Morgenstern si era insinuato silenziosamente nel suo cuore e l'aveva fatta innamorare.
… Ooops. 


— Andiamo, Deck… sono settimane, mesi che non facciamo l'amore… — Brontolò Luke, ciondolando avanti e indietro sui talloni con espressione insoddisfatta.
Melchizedeck lo interruppe: — Quant'è che ci conosciamo, Lucian?
— Non chiamarmi Lucian, solo Valentine mi chiama così ed è…
— È come? Ha forse l'esclusiva? Cos'è, il tuo fidanzatino segreto? — Ribatté l'altro, irato.
Il licantropo sgranò gli occhi: — No, mai!
— E allora perché non vuoi che ti chiami così? — Lo squadrò eloquentemente, e poi richiese: — Quant'è che ci conosciamo, Lucian? 
Questa volta l'uomo s'illuminò: — Da subito dopo il mio diploma, Deck!
— Esatto. E quand'è che ho mai lasciato comandare te? Quand'è che ti ho mai lasciato sovvertire un mio preciso ordine?
Luke abbassò lo sguardo. — Mai. — Borbottò, serrando i pugni nelle tasche.
— Smettila di cercare di fare l'alfa con me, Lucian. Non vinceresti.  
— Non voglio vincere.
— E allora smettila di assillarmi. — Rispose secco Melchizedeck, tornando al suo libro.
Il mannaro si sedette nella poltrona di fronte a lui, e sbirciò curioso la copertina: — Romeo e Giulietta, sul serio? Tu un tipo romantico? 
— Romeo e Giulietta finisce male, idiota. — Ovviamente, Luke sopportava gli insulti molto meglio del suo ex-parabatai - la runa era scomparsa, o meglio, era sbiadita e si era cicatrizzata - con la sua prima trasformazione in lupo, la notte della luna piena.
— Pardon. — Rispose, sulla difensiva, scrollando le spalle.
Melchiedeck alzò per una frazione di secondo gli occhi dal libro: — Come se sapessi il francese.
— È un semplice modo di dire, per la miseria!
— Touché.
— Ma… ma anche tu hai detto una parola francese! — Ringhiò Luke, contrariato, alzandosi in piedi e avviandosi verso la porta. Perché non riusciva a lasciarlo, maledizione? Non era solo la paura di morire, anche se quello influiva tanto, era l'amore che li univa, perché era certo che fosse corrisposto, ne era certo! E per questo… per questo era anche disposto a farsi trattare come uno straccio bucato, anche come l'ultimo dei servi e degli schiavi.
— Io conosco il francese, ma cherié. — Rispose l'altro in tono mellifluo.
Mentre usciva, Lucian sorrise.
Ovviamente, non l'avrebbe fatto se avesse saputo che ma cherié non significava mio caro bensì mia cara. Non si era ancora reso conto, come sempre, che per Melchizedeck non era altro che una stupida pedina come tante altre, come i tanti altri - e altre - che si portava a letto giurandogli amore eterno in cambio di favori. Il suo letto era molto più frequentato di quel che il mannaro pensasse. 
Melchizedeck sorrise: infiltrarsi nel cuore di quel cucciolo era stato davvero semplice. Come sempre, dopotutto, per ogni azione bisognava attendere il momento giusto.


— Andiamo, piccolino, dimmi cosa ti hanno fatto!
Ian osservò curiosamente la stanza dall'alto della sedia a dondolo bianca su cui era seduto.
Era bella, bella come non aveva mai visto, con le pareti azzurre a righini e pallini e teneri orsacchiotti dipinti sopra, il pavimento di parquet chiaro e i mobili bianchi, straripanti di peluches e giochi di legno e plastica, carillon e soldatini di piombo, libri da colorare e pastelli a cera.
E la culla, oh, la culla era davvero splendida. Grande, bianca e soffice, con le coperte azzurre e il pupazzetto beige a forma di tigre poggiato sul cuscino.
Con un sussulto, si rese conto di aver nostalgia della vecchia camera di Jonathan: più grande di quella, con il pavimento di ardesia grigia graffiato dai tacchi di innumerevoli scarpe, il grande letto a baldacchino nero con lenzuola e tende bianche, i pochi mobili spartani e, unica concessione, il tappeto bianco e soffice di fronte al letto, proprio al centro della stanza, con poche piante negli angoli, alcune verdi perché appena comprate e altre marroni e rinsecchite, lasciate lì a morire perché il Cacciatore non si sarebbe mai ricordato di annaffiarle né tantomeno di esporle al sole ogni tanto. Non c'era nemmeno la TV, che a Jonathan non piaceva particolarmente, mentre invece in quella stanza c'era, ma a Ian non dava fastidio. Preferiva ancora la sua vecchia stanza.
Lo disse alla donna di fronte a lui scandendo bene le poche parole, pronunciandole come fosse un adulto: — Voglio Jonathan. — Ripensandoci, cambiò il voglio con una parola che aveva più volte sentito uscire dalle labbra del biondo - era ancora troppo piccolo per capire cosa significava effettivamente albino, anche se conosceva la parola - e da quelle della sua sorella rossa, Clary: — Pretendo Jonathan! — Strillò, agitandosi sulla sedia a dondolo.
La ragazza di fronte a lui sgranò gli occhi: non dimostrava più di vent'anni, era alta, molto alta, con la pelle abbastanza scura così come gli occhi color cioccolato e i capelli della stessa sfumatura. Vestiva con un lungo abito di ciniglia e mussola azzurro coprente, quello che un adolescente in piena fase ormonale avrebbe definito "abito risalente al medioevo casto come quello di una suora" e aveva un sorriso gentile in volto. Insomma, qualunque bambino sano di mente si sarebbe fidato di lei.
Be', qualunque tranne Ian. In effetti, non era nemmeno accertato che fosse effettivamente sano di mente, visti gli anni di torture e, soprattutto, il patrimonio genetico.
— Era Jonathan Morgenstern a torturarti, piccolo? — Chiese, avvicinandosi lievemente. Quel bambino aveva degli occhi terrificanti, guardarlo senza disgustarsi era già di per sé una cosa abominevole, figurarsi fingere di provare affetto per lui.
Inizialmente, Ian rimase muto. Non si sa cosa gli fece cambiare idea poco tempo dopo, repentinamente, anche se successivamente molti diedero la colpa alla grossa dose di sangue demoniaco che gli circolava nelle vene, o anche solo nei geni "malati" Morgenstern.
Fatto sta che aprì le labbra, tranquillo: — Vuoi sapele cosa mi faceva? — Chiese, mentre la donna annuiva e avanzava.
Si bloccò a pochi passi da lui, mentre sul volto di Ian si delineava un sorriso da far paura, un sorriso tutto denti che fece correre più di un brivido lungo la schiena della tata-licantropo. 
— Vieni pliù vicino. — Le intimò, sempre con quel suo sorriso agghiacciante che metteva in mostra i denti, sotto la luce della lampadina sembravano quasi affilati.
Quando il viso della ragazza fu a pochi centimetri dal lui, il bambino allungò con velocità e potenza strabiliante la mano e strappò con furia e una terrificante precisione millimetrica il cuore dal petto della tata. 
Lo rigirò per qualche secondo fra le dita, imbrattandosi le mani e gli abiti puliti - pantalone bianco a righe azzurre e maglietta color cielo - di scarlatto, con sottili rivoli rossi che gli scendevano lungo le corte braccia.
In quell'istante una lieve scarica elettrica gli attraversò le mani, irradiandosi per tutto il corpo fino ad arrivare alla testa e agli occhi.
Serrando le dita intorno al cuore che spruzzò sangue cremisi da tutte le parti, Ian sopportò il dolore - niente in confronto a quello che aveva già patito in passato - e la maniglia della porta (11) ruotò, facendo entrare Jonathan.
Che si ritrovò a fissare gli occhi neri in altri occhi scuri che ora non erano più tanto simili ai suoi: grandi, neri, senza più il cerchietto argenteo che divideva iride e pupilla.
Sempre neri, con la pupilla color argento e dal taglio verticale come quello di un gatto. 






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(1) = Ovviamente Jonathan parla ipoteticamente, Clary non ha ancora inventato una runa che riporta indietro i morti in stile "pazzi resuscitati", perché la ff segue i libri solo fino alla fine di COG, come già sapete.
(2) = Lord Voldemort, l'antagonista principale di Harry Potter, con i dovuti credits a chi di dovere, ovviamente. Andiamo ragazzi, non lo sapevate? Ma dove vivete, su Marte? ;)
(3) = Con i dovuti credits al libro "Il Giardino Segreto", ovviamente.
(4) = Il motore di ricerca - chi non lo conosce?! - sempre con tutta la storia dei credits. ^.^
(5) = Informazione accertata da "Shadowhunters Codex".
(6) = Da COG, sempre credits a chi di dovere.
(7) = Ma lo sapete che inizialmente Clary doveva chiamarsi Val, a detta di… coff… coff… Cassadica… coff… ehm, della Clare?! Ditemi, è o non è un ovvio riferimento a Valentine? O_o
(8) = Okay, mi dichiaro formalmente offesa con la visione del mondo di 'sti Cacciatori razzisti! XD
(9) = Sono l'unica che quando ha letto la parola "ottenebrati" in COHF è rimasta letteralmente di merda? Ma come diavolo hanno tradotto? Mi sarei aspettata tutto, anche "oscuri" o "inoscuriti" - anche se non è italiano… *.* - o addirittura che avessero lasciato la traduzione in originale, ma OTTENEBRATI?! WTF?
(10) = Perché ovviamente "malvagio" non è sinonimo di "cattivo". "Cattivo" è "antagonista", ma "malvagio" può indicare anche una persona particolarmente sadica e bastarda, secondo il mio punto di vista. 
(11) = Okay, l'orario è quello che è… pensate che prima avevo scritto "la porta della maniglia" XD. Non badate ai miei sclere… ;)



 


A.A:
Okay, prima che mi uccidiate per lo scandaloso ritardo, ho i miei motivi! Quindi alt, datemi libertà di parola e spiego: tralasciando su problemi futili come la linea che non c'è più del tempo in cui c'è e alcuni "malintesi" di famiglia, e altri dettagli insignificanti come il fatto che ho già riscritto questo capitolo tre volte - la prima volta non mi piaceva, la seconda era convincente ma si è cancellata e così ho dovuto riscrivere, rivedere e cambiare tutto -, il vero problema è sorto quando sono stata male per l'ennesima volta e sono finita in ospedale, ricoverata per alcuni giorni.
Ci tengo a farvi sapere che voi fan-girl e fan-boy eravate il mio principale pensiero, ho trovato la voglia e la forza di scrivere questo capitolo per la terza volta in ospedale solo grazie ai vostri splendidi commenti dei capitoli scorsi e grazie al pensiero che sareste rimasti delusi senza aggiornamento.
Perché è così, vero? 
* Andiamo, illudetemi che questa non sia solo una colossale schifezza *
Okay, no, la parte dell'umile non fa per me. Sono vanesia e lo ammetto, purtroppo sono un pizzico - tanto - arrogante e mi piace pensare che questa storia sia molto bella, però vi prego sorvolate… XD
Comunque, ci tengo a farvi sapere che gli altri capitoli sono già pronti - fortunatamente da brava idiota avevo cancellato solo un capitolo - e che quindi la pubblicazione non subirà ritardi, ci vediamo come sempre una volta a settimana. ;)
Ah, e poi, credo di essermi fatta perdonare, no?
Andiamo, ragazzi, ho scritto trecentoquarantasei righe in un solo capitolo! Bastano per meritarmi l'ammenda collettivo? :3
* Me sfodera lacrime di coccodrillo e sguardo da cucciolo abbandonato alla Sammy Winchester *
Okay, basta sclero-time, decisamente. ;)
Oh, sì, l'angolo spoiler!
Dato che mi piace essere alternativa, già vi dico che non trascriverò spezzoni di capitolo ma la citazione iniziale che molti di voi conosceranno:
"A volte le nostre vite possono cambiare tanto in fretta che il cambiamento va più veloce delle nostre menti e dei nostri cuori.
 È allora, credo – quando le nostre vite vengono alterate ma noi abbiamo ancora voglia di tornare a prima che tutto accadesse – è allora che proviamo il dolore più grande. 
Ma per esperienza posso dirti che ci si abitua. Si impara a vivere la propria nuova vita e non si riesce a immaginare, e neppure a ricordare davvero, com'erano prima le cose." 
[Jem Carstairs, Shadowhunters - Le Origini, Cassandra Clare]
Cosa vi fa pensare, questo? Muhahahahhahahahahah! XD
A presto,
-D.
P.S: Già vi anticipo che il prossimo capitolo è notevolmente - mooooolto - più corto di questo, ma è un intermezzo, quindi perdonatemi perché da quello dopo si ritorna in pista! XD
P.P.S: Questo capitolo non è stato beato dalla fantastica Nitrogen - alla quale devo una quantità spropositata di statue d'oro - per mancanza di tempo, visto che ho voluto pubblicarlo subito per non farvi attendere oltre, ma verrà revisionato al più presto, promesso ;)
P.P.P.S: Chi recensisce ha, parola mia, l' "intoccabilità" nel caso il buon vecchio Deck dovesse decidere di conquistare il nostro mondo di poveri mondani. Sicuro! Già mi deve un milione di favori anche solo per averlo creato! XD

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Capitolo 21
*** XXI - Padre ***


Shadowhunters - City of Marble 


XXI - Padre



"A volte le nostre vite possono cambiare tanto in fretta che il cambiamento va più veloce delle nostre menti e dei nostri cuori.
 È allora, credo – quando le nostre vite vengono alterate ma noi abbiamo ancora voglia di tornare a prima che tutto accadesse – è allora che proviamo il dolore più grande. 
Ma per esperienza posso dirti che ci si abitua. Si impara a vivere la propria nuova vita e non si riesce a immaginare, e neppure a ricordare davvero, com'erano prima le cose." 
[Jem Carstairs, Shadowhunters - Le Origini, Cassandra Clare]


— Jonathan, tutto bene lì dentro? — La voce di Clary lo riscosse. — Possiamo entrare? 
— Va tutto bene. No, non entrate. Veniamo fuori noi. — L'albino strinse a sé suo figlio e gli fece una carezza sul capo. Aveva davvero creduto di vederlo morto.
Un secondo. Suo… figlio? Quand'era che aveva incominciato a considerarlo tale? 
Gli si mozzò il fiato in gola quando capì che era un'associazione che aveva fatto automaticamente. 
— Jonattan! — Mormorò Ian, abbassando lo sguardo e ficcando il volto tra la spalla e il collo del più grande: — Posso… — E il resto delle parole si confuse in un mormorio indistinto.
— Jonathan, sicuro di stare bene? Vuoi che entriamo? — Chiese Clary, da fuori la stanza non si vedeva nulla, quel cretino di suo fratello si era chiuso la porta alle spalle.
— No! — Esclamò precipitosamente l'altro. — Sto bene. Anche Ian sta bene. Stiamo… risolvendo una questione.
— Idiota, tra poco arriveranno altri ibridi! — Gli fece notare Jace. 
— Due secondi, angioletto! — Ribatté Jonathan, alzando con una mano la testolina di Ian.
— Cosa volevi chiedermi? — Chiese, cercando di addolcire il tono che aveva usato con Jace prima.
— Io… all'ospedale… hai detto… hai detto che eli… — Il bambino si bloccò, mordicchiandosi un labbro.
Jonathan inarcò un sopracciglio: — Sì? —
Ian ingoiò a vuoto. — Hai detto che… che eli mio papà. — Borbottò infine, a voce bassissima.
L'albino spalancò gli occhi. Si costrinse ad annuire. 
Il bimbo sorrise: — Allola posso chiamalti papà? — Esclamò. Il più grande rimase raggelato e il piccolo si mordicchiò ancora il labbro, con gli occhioni lucidi. Prese un profondo respiro e disse: — No…non fa niente. Ma sai… io non ho mai avuto un papà… e pensavo che folse… folse tu potevi diventallo! — Singhiozzò, mortificato. 
Le lacrime avevano preso a scorrergli copiose lungo il volto, e qualcosa si ruppe nel cuore di Jonathan. Stava mortificando l'unico essere vivente che lo amava davvero senza alcuna remora. 
— No, Ian… puoi chiamarmi papà. — Sussurrò, accarezzandogli i capelli.
Il bambino alzò di scatto la testa, con gli occhi sgranati. — Davvero? Diventerai il mio papà?
L'albino gli sorrise e annuì. — Non un normale papà, Ian. Il tuo vero papà. — Il piccolo trattenne il fiato e rise. — Sei il mio papà! Sei il mio papà! — Prese a cantilenare infine, sorridendo tra le lacrime.
— Sì. Ora dobbiamo uscire di qui, Ian. —
E doveva ammettere di aver rischiato un collasso quando Ian aveva esclamato "Sì, papà!".
Era decisamente surreale.
— Cretino psicopatico, o esci ora o giuro che vengo a prenderti! Abbiamo già dovuto sbarazzarci di quattro Oni! — Urlò Jace, picchiando un pugno sulla porta.
— Sembla allabbiato, papà. — Osservò Ian.
Jonathan scoppiò a ridere ed aprì la porta, uscendo fuori dalla stanza-cella.
— Era anche ora! Tutto bene, piccolo? — Esclamò Clary, facendo una carezza al bimbo, che le rivolse un sorriso raggiante.
— Perché è tutto imbrattato di sangue? — Chiese poi la rossa, corrucciata.
Jonathan aggrottò le sopracciglia. Aveva quasi dimenticato il cuore. — Lunga storia. Ne parliamo dopo. — Chiarì, stringendo Ian con un braccio mentre con l'altra mano impugnava una spada angelica.
— Avete visto altri ibridi? È strano che ce ne siano così pochi. — Osservò. 
— Li abbiamo visti. Prima quattro Oni e poi tre ibridi. — Brontolò Isabelle, tenendosi la coscia con una mano. Sanguinava.
Ovviamente, parli del diavolo e spuntano le corna.
Ben otto ibridi uscirono dalla galleria che li aveva condotti lì, e si avventarono su di loro. Izzy gemette, tenendosi ancora la gamba. 
Jonathan la guardò, serio, e le tese Ian. — Noi li distraiamo. Voi uscite di qui. Non deve capitargli niente, capito, Isabelle? — Sibilò, senza ammettere repliche.
La ragazza stava quasi per rispondere con una battuta acida quando si ricordò delle condizioni della sua gamba. — Va bene! — Sussurrò forzatamente in risposta, e mentre gli altri si lanciavano in avanti lei si staccò dal gruppo e imboccò la galleria da cui erano arrivati.
L'albino scoccò loro un'ultima occhiata e poi estrasse una spada angelica.
Raffaele! — Urlò con talmente tanta rabbia da far illuminare molto più del solito la spada. O forse era solo la forza del nome a farla illuminare così tanto. 
Si avventò sul primo ibrido con talmente tanta forza da buttarlo al tappeto, e stava quasi per infilzarlo quando si rialzò. Era evidente che non era come le fate di guardia alla villa: non avevano messo degli idioti a guardia della stanza di Ian. O meglio, sì, perché non si erano accorti di Isabelle e del bambino che scappavano, ma di certo in combattimento sapevano il fatto loro.
Contro un normale Cacciatore, sì.
Jonathan sogghignò e strinse saldamente le mani sull'impugnatura della spada. L'ibrido - un miscuglio di razze non ben identificato - cercò di buttarlo a terra mollandogli un calcio sulle ginocchia, ma l'albino saltò in alto per qualche istante e si accucciò successivamente a terra, alle spalle dell'altro. Lo afferrò per la schiena e lo gettò a terra, tenendolo fermo con un piede, e lo infilzò con la spada. Proprio in quel momento un secondo ibrido gli si aggrappò addosso e lo fece inciampare. Jonathan si aggrappò appena in tempo ad una delle tante sporgenze rocciose delle pareti e si scrollò di dosso l'assalitore. Con uno scatto in avanti sfilò dal cadavere del primo ibrido la spada angelica e si mise in guardia, ritrovandosi davanti non più un ibrido ma un mastodontico lupo mannaro. Quest'ultimo balzò verso di lui con gli artigli sguainati e avrebbe anche infilzato l'albino, se solo non si fosse spostato di qualche centimetro limitando i danni a qualche graffio in volto e facendo andare a sbattere il lupo contro la parete di nuda roccia e spuntoni vari. 
Jonathan lasciò perdere la spada e scattò in avanti a mani nude, mentre il licantropo, forse a causa del dolore, si ritrasformava. Lo afferrò per il collo e glielo spezzò con un unico, fluido gesto, ridacchiando mentre sentiva il macabro crack che producevano le ossa spezzate dell'ibrido.
Stava quasi per voltarsi quando un dolore bruciante lo fece quasi crollare in ginocchio. Ricordava quel dolore lancinante, poteva essere prodotto da un'arma soltanto. Una frusta demoniaca.
— Jonathan! — Un urlo disperato di ragazza.
Clary. Non era stato lui ad essere colpito da una frusta, ma lei. La vide accasciarsi a terra mentre perdeva i sensi.
Strinse i denti. Non poteva svenire, non anche lui, aveva sopportato ben più di una frustata e non poteva lasciare che una maledetta strega o forse fata uccidesse Clary. Sarebbe morto anche lui se quella stupida ibrida avesse infilzato sua sorella!
Combattè contro l'incoscienza, sentendo in un angolino del petto le emozioni contrastanti di Clary ancora svenuta, e si slanciò verso l'ibrida, assottigliando gli occhi e afferrandole la testa. La sbatté più volte contro il muro, fino a quando non si assicurò che il cranio fosse quasi del tutto frantumato.
Forse Clarissa poteva trasmettergli le sue emozioni, e anche se erano una delle cose che più agognava al mondo, lui poteva anche respingerle e restare per un po' nel vecchio vuoto. Non era una sensazione piacevole, dopo i parecchi giorni vissuti in simbiosi con sua sorella e le sue emozioni, oltre a quelle che iniziava a provare per conto proprio, ma in battaglia era utile seppellire l'umanità e tornare per un po' il mostro di sempre. 
— Clary! Clary, svegliati! — La rossa scattò a sedere al suono della voce di Jace. — Cosa è successo? — Chiese, frastornata, passandosi le mani fra i capelli.
— Dopo. — Dichiarò Jonathan, asciutto. — Adesso dobbiamo uscire di qui. 
— Di qua. Z… Clarissa, ce la fai a reggerti in piedi? — Chiese Jean, comparendo in quel momento davanti a loro con la maglietta imbrattata da sangue di ibrido. 
Lei fece una smorfia. — Certo. — Rispose, tenendosi la spalla colpita dalla frusta. 
Jonathan serrò i denti e fece strada verso l'uscita. — Ehi! Voi! — Urlò Izzy, agitando la mano.
Si avvicinarono a lei, affannati, scrutando il piccolo Ian che tremava e batteva i denti e si torceva le manine, mentre piccole lacrime gli bagnavano le guance.
— Volio mio papà! — E singhiozzò ancora più forte, bagnando di lacrime salate la maglia di Isabelle, che si mordeva il labbro, preoccupata.
— Non so che fare! — Il problema era evidente ai suoi occhi e a quelli di tutti gli altri, meno uno.
Jonathan tese le braccia, ignorando il dolore della frustata sulla spalla, e fece cenno a Isabelle di passargli il bambino, che si aggrappò al suo petto e ficcò la testa nell'incavo del suo collo. 
— Sei tolnato, papà. — Mormorò, stringendolo forte per quanto possibile a un bambino di quasi tre anni.
Clary, Jace e Isabelle si guardarono l'un l'altro, scioccati, e poi rivolsero un'unica, penetrante occhiata a Jonathan che, mentre accarezzava i capelli biondi del bambino, scrollò le spalle. 
— La frusta demoniaca lo bruciava. Avevo il sospetto che avesse sangue demoniaco, e l'ho portato dai Mondani a fare delle analisi — Incominciò, con assoluta nonchalance. — Ma hanno sbagliato e non hanno fatto delle analisi, bensì un test di paternità. Era positivo. — Concluse, massaggiando delicatamente la schiena di Ian, che intanto aveva smesso di singhiozzare. 
— E adesso? — Gli chiese Isabelle.
— Non lo so. Ma ormai non posso più tornare indietro. Non so cosa mi riserverà il futuro, sarà tutto diverso con un bambino, più difficile, ma credo che una volta andati avanti mi guarderò indietro e non riuscirò nemmeno a ricordare come vivevo prima. — Rispose schiettamente il ventunenne.
Non gli importava certo del giudizio altrui.
Ian era l'unica persona di cui gli importava veramente, non gli interessava sapere cosa pensavano gli altri.
Non gli interessava se si sarebbe rovinato la reputazione, comprese.
Era pur sempre un bastardo senza cuore, com'era stato sino a quel momento, ma non voleva crescere Ian come Valentine aveva cresciuto lui. No, suo figlio meritava un'infanzia felice.
Perché l'avrebbe tenuto. Non avrebbe dato via l'unica persona che, probabilmente, l'avrebbe fatto sentire umano anche senza l'aiuto della runa di Clary.
Sapeva che tutti continuavano a guardarlo con sospetto, ricordava le occhiate disgustate di Robert Lightwood e quelle di Hodge Starkweather, che non perdeva attimo per ricordargli quanto fosse inferiore a un bambino normale. 
No, Ian sarebbe restato con lui, e non gli interessava minimamente quello che avrebbero potuto fare gli altri. Una sola protesta e avrebbero capito cosa voleva dire davvero fare i conti con un Jonathan Morgenstern furioso. 
— E quindi cosa farai? Insomma, non credo che tu sia in grado di…
L'albino lanciò un'occhiata fulminante alla sorella. — Contrariamente a quanto tu possa pensare, Clarissa, ci tengo davvero a mio figlio, e non lo crescerei mai come Valentine ha cresciuto me. — Sibilò con voce dura, e si voltò. — Tornatevene pure a casa. Troverò un modo di raggiungervi più tardi. — Borbottò, ancora coccolando delicatamente Ian e scomparendo in una stretta viuzza che portava al centro di Winchester. E se ne sbatteva del fatto che potessero esserci altri servi di Melchizedeck in giro. Se solo avessero osato attaccarlo, non se lo sarebbe fatto ripetere due volte e avrebbe staccato loro la testa in mezzo secondo. 




Clary si mordicchiò le labbra, vergognandosi di se stessa e delle sue parole.
Estrasse lo stilo dalla tasca dei jeans e aprì un portale. — Voi andate. Vi raggiungo dopo con Jonathan e Ian. — Sussurrò infine, facendo agli altri un cenno con la testa.
— Sicura, Clary? Non sai nemmeno dove sono. — Chiese Jace, preoccupato, mentre giocherellava con i suoi capelli fulvi.
— Sì. Non preoccupatevi, so cavarmela. Non sono un paio di ibridi che mi spaventano. — Detto questo si volto e sparì nella direzione che, supponeva, aveva preso anche Jonathan.
Isabelle lanciò uno sguardo preoccupato alla strada dov'era sparita la rossa. — Credi che dovremmo seguirla? — Chiese, scrutando alternativamente il portale e la strada.
— No. — Jace scosse la testa, facendo scintillare per un attimo i capelli biondo oro. — Devono chiarirsi una volta e per tutte e, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, il demonietto aveva ragione ad offendersi. Se non si chiariscono adesso, non lo faranno più. E poi Clary sa cavarsela. — Scosse ancora la testa.
— Piuttosto, dovremmo dire agli altri quello che ci ha detto Jonathan? — Chiese, sogghignando. Già pregustava la reazione degli "adulti", come se loro non lo fossero!
— No. — Isabelle gli scoccò un'occhiataccia carica di rimprovero: — È Jonathan che deve decidere quando e se dire tutto. Questa decisone non spetta a noi. — E, senza attendere una replica ancor più dura, Jace scomparve nel portale, subito seguito da Isabelle, ancora preoccupata, e da Jean, silenzioso e troppo immerso nei suoi pensieri per prestare loro attenzione. 




— Io… non so che pensare, Maryse, sul serio. — Dichiarò Jia, abbassando lo sguardo sulle mani intrecciate. Si rigirò con aria pensosa un piccolo anello di metallo della famiglia Penhallow, deglutendo.
Davvero non riusciva a capire come lui potesse aver fatto una cosa simile.
— Non sono pronta a crederti, Jia. — Rispose Maryse, gelida. I suoi occhi azzurro ghiaccio sembravano trafiggerla, algidi e allo stesso tempo furiosi come solo lei sapeva essere.
— È tutto vero, ti dico! Robert mi aveva detto che tu eri consapevole che il vostro matrimonio non andava più bene, che accettavi che frequentasse altre persone e che anzi, anche tu stavi vedendo un altro uomo! — Ribadì il Console, scuotendo il capo con aria sconsolata.
Si portò le mani alle tempie, sfiorando i capelli scuri. Proprio non riusciva a capire come fosse entrata in quel pasticcio. Era un totale… disastro. Caos. Caos allo stato puro!
— Non per interrompervi, ma vi ricordo che questa era una seduta estrema di misure drastiche contro Melchizedeck. Ne siete coscienti, vero? — Chiese alle due Jocelyn, cercando di trattenere un sorrisino.
Entrambe le donne voltarono lo sguardo verso la rossa, unica altra persona nella stanza.
Maryse inarcò un sopracciglio: — Qual'è esattamente il motivo di tanta felicità, Jocelyn? Non dirmi che centra un, uhm, Cacciatore di nostra conoscenza, vero? — Insinuò, inarcando un sopracciglio.
L'altra ebbe almeno la buona fortuna di arrossire: — Cosa dici? — Continuò a negare tutto strenuamente.
La Lightw… pardon, la ex-signora Lightwood - o almeno si riteneva tale, visto che i matrimoni Nephilim sono praticamente inscindibili - le rivolse uno sguardo supponente: — Andiamo, Jocelyn, non crederai davvero che non ce ne siamo accorte. Assomigli pericolosamente a quella di… tanto tempo fa. — Sussurrò, la voce sempre più bassa. Non erano stati bellissimi momenti, quelli, con le tante carneficine effettuate, ma nemmeno orribili. Divertenti alcune volte, sì. Sempre meglio sporcarsi le mani che combattere ora quella guerra.
— Ascolta, Joc, lo so che ora le idee puriste di Valentine sembrano sensate, specie dopo l'ultima piega degli eventi, ma… non credo sia utile fare di tutta l'erba un fascio. — Disse, con evidente disappunto. — Lui è cattivo, Jocelyn. E te lo dico da amica.
— Un'amica che non c'è stata negli ultimi… uhm, diciott'anni, vero? — Ribatté la rossa, acida.
— È il suo fascino, Jocelyn. Non cadere nella trappola. — La pregò Maryse, inserendosi nella conversazione.
— Non sempre malvagio è sinonimo di cattivo, sapete? Certo, ha fatto parecchie cose non esattamente giuste, ma…
— Devo ricordarti che ha avvelenato vostro figlio?! — Sbottò Maryse, alzandosi in piedi facendo leva con le mani sul tavolo.
La Cacciatrice serrò le labbra: — Hai ragione. — Disse lentamente, facendo sospirare di sollievo le altre. — Ma siamo nel presente, Maryse, siamo qui ora. Il passato è passato, non serve rivangarlo, l'hai detto tu, ricordi? 
— Avevo una motivazione molto più valida! Robert…
— È un bastardo. Esattamente come Valentine. Ma, come ha detto Jia, non è utile fare di tutta l'erba un fascio! — Jocelyn sorrise, uscendo a passo svelto dalla stanza, i tacchi a spillo che tintinnavano sul pavimento.
— È passata al lato oscuro. — Brontolò Jia, sbuffando.
— Capirai. Lato oscuro o no, stiamo comunque combattendo un Nascosto pericoloso. Quindi un po' di cattiveria in più dalla nostra parte non ci farà male, no?
— Se già conti che abbiamo i due malvagi Morgenstern per eccellenza e Clary che si sta trasformando in una dittatrice, be'… anche Jocelyn potrebbe essere… un secondo! È quel nome! Sono i Morgenstern! Ma cos'hanno che non va, mi chiedo io?! — Jia scosse energicamente il capo.
— Abbiamo tutti un lato oscuro, Jia. I Morgenstern sono solo i vassalli di quell'oscurità. — Rispose semplicemente Maryse. Se tutto andava avanti così, probabilmente, entro un anno nessuno avrebbe più avuto pietà per nessuno, amico, parente o sconosciuto che fosse.
 


Clary si guardò intorno, scoraggiata. Dove diavolo erano? Non potevano certo andarsene in giro come se niente fosse, Ian con la camicia e le mani sporche di sangue e Jonathan impolverato e con i vestiti stracciati.
Sentì una risata familiare e si voltò, sgranando gli occhi.
Quello non era suo fratello. Oh, no che non lo era. Chi diavolo si era impossessato del suo corpo?
Scosse la testa, ancora scioccata, e si fermò un attimo ad osservare i due.
Indossavano entrambi vestiti puliti, probabilmente appena acquistati, e il bambino non aveva più le mani sporche di sangue. Jonathan indossava un jeans chiaro e una camicia bianca e semplice, e Ian una maglietta a scacchi bianchi e azzurri e dei pantaloni color cielo.
Il bambino camminava da solo ma dava la mano a suo padre, e con l'altra era tutto intento ad indicare cose come i lampioni o le vetrine dei negozi e a chiedere cosa fossero, insomma, oggetti scontati per qualunque bambino normale ma non per uno che aveva vissuto per tutta la sua breve vita in una cella. 
Si avvicinò a loro, e l'espressione di Jonathan s'indurì. — Perché non sei tornata indietro? 
— Volevo scusarmi. — Rispose lei, abbassando lo sguardo.
— Non puoi scusarti per qualcosa che pensi davvero.
Clay serrò le labbra e lo fissò negli occhi, carica di nuovo ardore: — E non potevi biasimarmi se pensavo che non saresti stato capace di prenderti cura di un bambino! Cos'avevo per confrontare il tuo comportamento, Jonathan? Niente. Mi dispiace davvero di averti detto quelle parole, ma la colpa non è tutta mia. Se solo ti facessi conoscere davvero…
— Per venire giudicato da tutti voi? — Replicò l'altro, irritato.
— No. Non sbandiererei mai i tuoi pensieri ai quattro venti, cosa credi?! E non ti giudicherei. — Disse, seria.
— Come hai fatto con la questione di Ian, certo! — Replicò l'albino.
— Certo! Perché non ti conoscevo. Ma se ti facessi conoscere, magari… sarebbe diverso. E adesso che ti ho visto con Ian, Jonathan, penso che tu sia un padre fantastico. Anche se io non posso darti consigli su questo, certo, visto che non l'ho mai avuto. Ma secondo me Ian ti vuole moltissimo bene, e anche tu ne vuoi a lui. E alla fine è questo che conta. — Spiegò, concitata.
— Va bene. Ti perdono. — Borbottò infine Jonathan.
La rossa sgranò gli occhi. — Come? Tutto qui? Ed io che pensavo di dovermi buttare in ginocchio ed implorare il tuo perdono! — Ridacchiò.
— A quanto ho capito, è questo che fanno i fratelli maggiori, no? — Disse Jonathan, seriamente perplesso.
Lei scoppiò a ridere. — Sì, hai ragione. Hai proprio ragione. — Fece una pausa e gli sorrise. — Che ne dici di tornare all'Istituto? Dovresti mettere le cose in chiaro una volta e per tutte anche con gli altri. 
L'albino si irrigidì. — No. — Esclamò, deciso.
Clary si accigliò: — Perché? 
Jonathan sospirò. — Pensaci, Clary. Pensa se Valentine venisse a sapere la verità. Ian non sarebbe al sicuro. Lui è quello che Valentine cercava da sempre. Prova sentimenti, ma è… speciale. Ha ucciso la guardia che lo controllava. Gli ha strappato il cuore dal petto. —
La rossa trattenne il respiro. — Ecco perché tutto quel sangue! — Sospirò, e riprese: — Di Valentine non devi preoccuparti, Jo. Deve solo provare a fare una cosa del genere e lo uccido con le mie mani, questa volta.
Il fratello inarcò un sopracciglio. — Jo? — Ripeté.
Clary arrossì, e stava per ribattere qualcosa di sconclusionato quando un'anziana signora si fermò accanto a loro. — Oh, ma che carino! — Esclamò, guardando Ian.
Per un attimo la diciottenne pensò di essersi tolta dall'impiccio per un pelo. Ovviamente, aveva torto.
— È vostro figlio? — Continuò la signora.
— No! — Esclamò precipitosamente la ragazza. — Lui è mio fratello, Jonathan, e questo piccolino è suo figlio Ian. — Concluse poi, quando si fu calmata.
Nella sua mente era ancora vivido il ricordo di Sebatian, o meglio, Jonathan tinto di nero, che la baciava poco lontano dalla casa di Ragnor Fell. 
La donna non replicò e, dopo un cortese saluto, andò via.
Ian alzò la testa, guardando Clary e Jonathan. — Papà, chi è la mia mamma? — 

 
A.A:
Ma ciao, lettore/ice!
Cosa posso dire?
Be', sì, sono stata una bastarda a troncare il capitolo sul più bello. Ma dovevate aspettarvelo, ormai mi conoscete, no? XD
Che ne pensate di Jonathan? Troppo OOC? Ho cercato comunque di far rimanere il suo lato crudele, ma non so se ci sono riuscita o se è risultato lo stesso troppo fluff. Voi che ne dite? Vi prego rispondete perché sono in crisi! ^.^
Seriamente, Jonathan è uno dei personaggi più difficili di cui abbia mai scritto! Uff, una faticaccia!
Va be'. Che mi dite del capitolo in sé? Vi è piaciuto?
Finalmente Jonathan scopre le sue carte, ma è facilmente comprensibile il suo timore verso il padre.
Perché, senza sentimenti o no, anche nel libro Jonathan faceva il lecchino. E non credo fosse solo per voglia di essere accettato, secondo me il ricordo delle frustate era ben vivido e non voleva rischiare di finire ancora sotto la frusta, sì.
Visto che non ho altro da dire riguardo la storia…
* Alleluia! NdTutti *
Vi dò un altro paio di annunci prima di passare allo spoiler!
* Uff… NdTutti *
AVVISO NUMERO I:
Per coloro che hanno letto la mia OS Clastian, Mistake, e che attendono un seguito, dico che dovranno un po' aspettare. Il seguito ci sarà, ma non so quando, per due semplici ragioni.
La prima è che adesso sono molto assorbita da City of Marble e voglio portarmi un po' avanti con i capitoli - sono solo tre capitoli più avanti rispetto a voi, capite? Se mi blocco all'improvviso per scrivere la OS e mi finiscono i capitoli di questa sono morta! XD - finché c'è l'ispirazione e la voglia, oltre che il tempo;
Ragione numero due: al momento non ho un'ispirazione pazzesca per quella storia, sto ancora decidendo se mantenerla sullo stesso filone tragico della prima e lasciare la narrazione a Jonathan oppure optare per qualcosa di più allegro, e completamente opposto a Mistake, con Clary. Non so, non c'è proprio una trama precisa, ma quel che posso dirvi è che quasi sicuramente ci saranno le reazioni di Jocelyn e Valentine, e sicuramente vedremo comparire Jace/Will, e forse anche Cèline.
Proprio perché non ho una grandissima ispirazione per la OS voglio lasciar trascorrere un po' di tempo, perché mi sembra più utile postare un sequel bello e coinvolgente e scritto bene dopo del tempo che mettere online subito una OS sequel scadente e poco originale. Spero che la pensiate come me. ^.^
AVVISO NUMERO II:
Ultimamente ho avuto l'ispirazione per una nuova long che sto già incominciando a scrivere. Non la pubblicherò prima di aver postato tutta City of Marble, City of Lies e anche COT - a proposito, altre ipotesi per cosa sta la sigla? -, quindi probabilmente passerà un anno o anche di più, ma vi dò la conferma che dopo questa trilogia - se così si possono definire delle ff -, ci sarà un'altra long. Sono più propensa a credere che ne sia una sola, ma dato che non ho ancora una scaletta né un ordine mentale, non posso dirlo con certezza. ^.^
Quel che posso dire è che la protagonista sarà Clary, che si ritroverà circondata da traditori e passerà "al lato oscuro". Quindi cambierà gradualmente, da una assolutamente Light!Clary Fray ad una assolutamente Dark!Clarissa Morgenstern.
Posso inoltre dirvi che sarà ambientata circa dopo Città di Cenere, salvo improvvisi - e improbabili - cambiamenti, e che quindi Clary non starà dalla parte di Jonathan quanto più quella di Valentine, dove incontrerà, poi, anche Jonathan.
Ah, un'altra cosa! Dico che CERTAMENTE, e su questo non ci saranno ASSOLUTAMENTE CAMBIAMENTI, Jocelyn non verrà salvata dai Cacciatori "buoni" alla fine di Città di Ossa ma resterà nelle mani di Valentine. ^.^
In ultimo, non so dirvi chi dei buoni salverò o meno, e nemmeno chi sarà il ragazzo di Clary, non date per scontato Jace, ma posso dirvi già da ora che probabilmente - devo ancora decidere - o sarà una Clace o una Clastian, ma Clary avrà anche altre storie. 
Spoiler: uno dei ragazzi occasionali di Clary sarà il vero Sebastian Verlac.
Oh, giusto, un'ultima cosa. Non è ancora certo, ma probabilmente la sigla di questa nuova storia sarà COC.
City of… ?
Sono aperte le ipotesi, sarei felice di sapere i vostri pareri tramite recensione, e ricordate: in questa storia c'è un profondo cambiamento di Clary e la protagonista sarà lei e, appunto, la sua nuova identità. Quindi l'ultima C, in inglese, sta per…?
Andiamo che ci potete arrivare, è facile! ^.^
Vi ricordo inoltre che da domani saranno online, e quindi sulla mia pagina Facebook, Dubhe01 di EFP fanfiction, degli spoiler su COC appunto e anche su City of Marble e il suo seguito COL.
Bene, dopo questo papiro infinito, vi lascio agli spoiler.
* Alleuia! NdTutti *
TA DAN!:
— Proprio quello che volevo sentire! Voi desiderate avere tutto sotto controllo, ma non vi rendete conto che Clary e gli altri sono cresciuti, ormai. Sono perfettamente in grado di badare a loro stessi! —
[…]
— Tecnicamente Jonathan è l'essere perfetto. — 
[…]
— Prova a toccarlo e sei morto. —
[…]
[…] quello non era il sussurro di una ragazza in cerca di vendetta, […] e non era nemmeno il sussurro di una ragazza impaurita […] 
No, quello era il sussurro di una ragazza innamorata.
Le ragazza più pericolose che esistano.
[…]

E questo è tutto. = D
Sono incommentabili, no? 
-D.

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Capitolo 22
*** XXII - Speciale ***


Shadowhunters - City of Marble

XXII - Speciale
Per essere unici bisogna essere insostituibili.
[Coco Chanel]


— Quindi, non sapete quando ritorneranno Jonathan, Ian e Clary? — chiese Jocelyn, inarcando un sopracciglio. La faccenda puzzava tanto di menzogna, o mezza verità.
— Esattamente. — rispose Jean. Raziel, quella donna metteva i brividi! E pensare che la ricordava più dolce… bah. 
Scosse la testa e si volse a guardare Isabelle e Jace, che avevano l'aria di due condannati al patibolo. E, quando una bella schiera di adulti si posizionò davanti a loro, capì. Stavano per essere vittime di un vero e proprio interrogatorio! Per poco non scoppiò a ridere: va bene che aveva fatto il cattivo, ma davvero Valentine credeva che bastasse un'occhiataccia a spaventarlo? 
Jean si mordicchiò le labbra per non sorridere: era certo che, se malauguratamente qualcuno nella stanza l'avesse attaccato, sarebbe riuscito ad ucciderlo senza problemi. Dopotutto, non era famoso per nulla. Fortunatamente, i Cacciatori di NY non lo sapevano, o non sapeva come avrebbero potuto reagire alle notizie che circolavano sul suo conto.  
— Perché, semplicemente, non li aspettate? — Chiese, inarcando un sopracciglio.
Jocelyn serrò le labbra. — Perché… — Si bloccò. Non c'era nessun motivo! 
Jean sorrise. — Proprio quello che volevo sentire! Voi desiderate avere tutto sotto controllo, ma non vi rendete conto che Clary e gli altri sono cresciuti, ormai. Sono perfettamente in grado di badare a loro stessi! — Esclamò, gesticolando. 
— E tu hai capito tutto questo stando con loro solo qualche ora? — Maryse incrociò le braccia al petto, irritata. — Chi sei tu per decidere se sono maturi o meno? Si sono lanciati per nulla in una missione da veri idioti! — Sibilò. 
— Non per niente! Per salvare un bambino, cazzo! — Jean assottigliò lo sguardo. Ma ce l'aveva un cuore, quella donna? 
Forse, però, lui era solo di parte. Ma davvero quella donna non riusciva a capire? Avrebbe sacrificato un bambino? E tanti saluti a "quanto sono triste per la perdita di Max". Non avrebbe dovuto essere preoccupata per Ian anche solo inconsciamente, per via di quello che era accaduto a suo figlio? 
Maryse si bloccò. Un bambino, sì. Per un attimo si vergognò quasi di se stessa, ma poi rivide Ian nella sua mente. Quel bambino era strano, aveva gli stessi occhi neri di Jonathan che ti scrutavano l'anima e davano un loro giudizio, come se fosse Raziel in persona.
— Smettetela. Avete detto che Melchizdeck ha una base a Winchester. C'è una possibilità che si trovi lì? — Chiese Valentine, scrutando i ragazzi.
— No. — Rispose Jace per tutti. — Melchizedeck non c'era nemmeno quando abbiamo preso Ian, probabilmente, è stato troppo facile entrare. Gli ibridi però saranno rimasti, se non altro per non perdere il dominio sulla villa. Si potrebbe tentare un assalto per vedere se c'è qualcosa d'importante, ma non credo. A menochè… — Si bloccò. — Poteva essere una trappola per noi, ma a quale scopo? — 
Izzy scosse la testa: — Non cercare il pelo nell'uovo, Jace, ormai quel che è fatto è fatto. E Melchizedeck non ci ha guadagnato niente. — Sospirò. 
— Tecniche! — Esclamò improvvisamente Jean.
— Cosa? — Izzy sembrava perplessa.
— Ma sì! Melchizedeck voleva capire quali erano le nostre tecniche di combattimento, perciò ci ha mandato tutti quegli ibridi! — Completò Jace, come illuminato.
— Oh. — Isabelle fece una pausa. — Be', potrebbe essere. 
— No, non potrebbe. — Li interruppe Jean. — È così! — Concluse.
— Come fai ad esserne così sicuro? — Gli chiese Maryse.
— Be', non ci sono altre possibilità, perché non ci hanno preso né sangue né capelli per chissà quali rituali e nessuno di noi è rimasto indietro. Volevano capire come combattevamo. — Concluse Jean con tono ovvio. 
Jocelyn si morse le labbra. Melchizedeck aveva visto, molto probabilmente, lo stile di combattimento dei loro Cacciatori migliori, ma loro degli Ibridi sapevano poco o nulla.
— C'è modo di sapere di più su questi Ibridi? — Chiese ad alta voce, guardando fisso Valentine. Era lui lo scienziato pazzo, dopotutto.
— Sì. Hanno le qualità dei Nascosti con cui sono stati incrociati, ma anche i loro difetti. — Incominciò l'albino, avanzando nella stanza a grandi passi.
Si versò una coppa di vino rosso e la sorseggiò lentamente, poi la poggiò sul tavolo al centro della stanza e guardò lentamente tutti i presenti nella stanza.
— Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere. Sono forti o veloci, a seconda degli incroci, ma non quanto un Cacciatore come Jace o Jonathan, se le mie supposizioni sono esatte. Sono sensibili al ferro, all'oro e all'argento e così via, e ovviamente i vampiri incrociati non sopportano il tocco dei simboli sacri. Vista la varietà di Ibridi sempre diversa, però… credo che Melchizedeck stia cercando l'essere perfetto.
— Cosa? — Maryse sgranò gli occhi, esterrefatta. — L'essere perfetto? — Ripeté, incerta.
— Quello che stavo facendo con Jonathan e Jace. La potenza di Jonathan, i sentimenti di Jace. Se riuscisse a crearlo, anche per loro due sarebbe la fine. — Spiegò Valentine, percorrendo con il dito il cerchio bagnato lasciato sul tavolo dal calice.
Isabelle si schiarì la voce, e tutti gli sguardi delle persone presenti nella stanza si puntarono su di lei: — Tecnicamente… — Incominciò, incerta.
— Sì? — Valentine inarcò un sopracciglio. Non aveva per nulla prestato attenzione alla piccola Lightwood, le sembrava una Shadowhunter insignificante, senza particolari talenti che avrebbe potuto sfruttare.
Lei alzò arrogantemente il mento, per ripicca, e prese un profondo respiro: — Tecnicamente Jonathan è l'essere perfetto. — Concluse, asciutta.
Tutti gli sguardi delle persone presenti nella stanza si puntarono su di lei. — Cosa vuoi dire? — Chiese Valentine, guardingo.
Isabelle sorrise, amara: — Jonathan è forte e veloce come nessun altro, è potente, è…
— Questo lo sappiamo. — La interruppe spazientita Maryse. — Ma servono anche dei sentimenti per essere perfetti. Bisogna capire quando concedere ammenda a un nemico che implora pietà, che…
Izzy la interruppe a sua volta: — Se mi avessi fatto finire di parlare, magari avresti capito!
Si passò distrattamente una mano fra i capelli, tergiversando, e poi giocherellò con un filo scucito della maglietta, che ora riportava molti buchi, sicuramente a causa del combattimento nei sotterranei di Villa Barowe.
— Clary ha creato una runa per Jonathan. Jace e Jocelyn l'hanno vista. Li ha legati. Ferisci una, ferisci l'altro; uccidi una, uccidi l'altro, ma quel che è meglio… ciò che prova lei lo trasmette a lui, che lo sfrutta inconsciamente per sviluppare sentimenti propri. — Fece una pausa, godendosi gli sguardi scioccati di molti dei presenti. 
— Secondo voi… — Incominciò ancora, misurando a lunghi passi la stanza con le braccia e le mani congiunte dietro il corpo. — … Come avrebbe potuto senza sentimenti parlare con Clary senza ferirla verbalmente, od offendere qualcuno di noi, oppure accudire Ian? Se fosse stato quello di prima, Jonathan forse avrebbe lasciato quel bambino morire, prima di scoprire la realtà. - Si morse le labbra. Non voleva pronunciare l'ultima frase che aveva detto, ma ormai era fatta, quindi continuò: — Jonathan è l'essere perfetto, per quanto m'infastidisca ammetterlo, è speciale. Insostituibile.  —
Una lavorava per tutta la vita duramente, e poi arrivava il primo ragazzo di turno con uno sleale vantaggio come sangue diverso nelle vene e le faceva sapere che non avrebbe mai potuto competere con lui! L'avrebbe voluto vedere senza le sue abilità speciali.
Certo, doveva ammettere che sarebbe stato, anche in quel caso, nettamente superiore a lei, almeno nel novantanove per cento dei casi - nel centesimo aveva la febbre a quaranta e quindi lei riusciva a stenderlo… -, ma per lo meno le avrebbe dato la speranza di poterlo raggiungere e battere, un giorno.
Così, invece, non c'era sfizio. 
E poi quei continui sbalzi d'umore| Non aveva mai visto una persona più lunatica di lui. Un attimo prima scontroso e irritante, quello dopo pacato e accorto. Aargh! Quel ragazzo prima o poi l'avrebbe fatta uscire fuori di testa.
S'incamminò verso la porta, lanciando una lunga occhiata a Valentine, che aveva lo sguardo acceso di una nuova follia. Intercettò il suo sguardo e piegò il capo, lanciandogli un sorriso freddo che avrebbe fatto rabbrividire Lilith in persona.
L'albino sapeva cosa dicevano quegli occhi.
— Prova a toccarlo e sei morto. — Gli sussurrò Isabelle, piano, quasi in silenzio, quando fu davanti a lui, in modo da non farlo sentire agli altri.
E Valentine sapeva anche che quello non era il sussurro di una ragazza in cerca di vendetta, Isabelle non voleva uccidere Jonathan per conto proprio, e non era nemmeno il sussurro di una ragazza impaurita da ciò che suo figlio avrebbe potuto fare. No, quello era il sussurro di una ragazza innamorata.
Le ragazza più pericolose che esistano. Toccare il loro ragazzo vuol dire davvero cercare la morte.
Valentine trattenne una risatina, e poi la mora uscì dalla stanza. 




Magnus Bane sospirò, rigirandosi ancora una volta la lettera tra le dita. Era stropicciata e sgualcita a causa delle tante volte che l'aveva letta. Ancora non riusciva a credere alle parole di quella lettera, parole che aveva scritto proprio lui
Parole speciali, uniche nel loro genere, che lo avevano scioccato e si erano insinuate sotto la sua pelle, prospettandogli davanti qualcosa di orribile se solo non fosse riuscito a fermare quello che stava per accadere.
— Magnus, io vado! Mia madre mi vuole all'Istituto, stanno facendo non so quale piano per ispezionare la villa dove c'erano i tirapiedi di Melchizedeck. — Annunciò Alec, entrando nella stanza nel momento stesso in cui lo stregone nascondeva la lettera. Amava Alexander più di qualunque altra cosa al mondo, ma la tragica storia impressa con inchiostro indelebile su quel foglio non poteva conoscerla, per il suo stesso bene.
Si sforzò di sorridergli: — Certo. Torni stasera, per cena, oppure dormi all'Istituto?
Il corvino scrollò le spalle, dispiaciuto: — Non lo so. Se mi sbrigo presto verrò di certo, ma ho come la sensazione che faremo notte prima di decidere una strategia. Anzi, probabilmente domani a colazione ne staremo ancora discutendo. — Sospirò e alzò gli occhi al cielo: — Di certo non aiuta il fatto che mi considerino ancora un bambino.
Il figlio di Lilith rise: — Tu sei un bambino, Alexander.
Lo Shadowhunter gli lanciò un'occhiataccia: — In confronto a te, forse, ma ho solo vent'anni di differenza con i miei genitori. Ho ventun anni, per l'amor del cielo, non riesco a capire perché mi trattino come un idiota! 
Magnus scosse la testa e gli indicò la porta con un braccio: — Vai, piccolo Nephilim, i discorsi esistenziali non sono per nulla il tuo forte. 
Alec si chinò su di lui e gli diede un lungo bacio. Si staccò con gli occhi luccicanti e si avviò verso la porta.
— Ciao, Magnus. — Non attese risposta e uscì.
Il Nascosto guardò la busta che conteneva la lettera, ora vuota, nella sua mano destra, e la lettera stessa, in quella sinistra, che aveva appena tirato fuori da sotto i cuscini zebrati del divano: — Ciao, Alexander. — Sussurrò, toccandosi con un dito le labbra e sporcandoselo di rossetto viola brillantinato, che aveva messo proprio quella mattina. 




Jonathan prese Ian in braccio e, con un tovagliolo, gli ripulì la bocca sporca di cioccolato.
Era ancora… estraneo a questi gesti, non sapeva davvero come comportarsi, e per certi versi si sentiva anche un cretino, lui non era così, era più… freddo, calcolatore, emozioni o non emozioni, ma Ian meritava tutte le attenzioni del mondo. Non era giusto privarlo della sua infanzia solo perché lui non aveva mai avuto esperienza con un bambino.
Erano bastate poche ore a farlo affezionare sempre di più a quel marmocchio, e quando era scomparso… non diceva che sarebbe crollato a piangere e si sarebbe vestito a lutto per tutta la vita, non era nel suo carattere, ma probabilmente era l'unica morte di cui gli sarebbe importato davvero. 
Gli accarezzò piano i capelli chiari e lo fece sistemare meglio sulle sue gambe.
Ricordava la sua domanda: "Papà, chi è la mia mamma?".
Era rimasto in silenzio, non aveva saputo rispondere. Un bambino l'aveva lascito a bocca asciutta, per la miseria! L'unica persona che riusciva a lasciarlo senza parole era un bambino. Cosa alquanto strana, ma non poi così tanto se il bambino in questione era un Morgenstern.
— Allora, pronti a tornare? — Esclamò Clary, finendo di mangiare il suo gelato alla fragola e cioccolato. 
Jonathan annuì e si alzò, sempre stringendo a sé il bambino, e pagò i gelati al cassiere nel negozio.
— Hai deciso cosa dire? — Chiese la sorella, affiancandolo mentre si dirigevano in una via abbastanza deserta da poter aprire un portale.
— No. Per ora non dite niente, ci penserò io, poi… — Rispose lui.
— E come pensi di fare con Ian? — Chiese Clary, indicando col mento il bambino: — Cosa succederà quando ti chiamerà papà davanti a tutti? 
Jonathan serrò le labbra.
— Hai ragione. — Ammise infine, riluttante. — Quando torneremo… prendi Ian. Portalo a fare un giro, o che so io, e parlerò con gli altri. —
La ragazza spalancò gli occhi: quella era la prova definitiva che suo fratello stava cercando di cambiare. Se non fosse stato così, non le avrebbe dato ragione, non avrebbe pensato prima al bambino che a lui. Adesso, invece, per il bene di Ian si preparava a confessare qualcosa che nemmeno lui capiva, che avrebbe potuto incrinare ancora di più il suo rapporto già completamente rotto con la famiglia, che l'avrebbe cacciato in un mare di problemi, probabilmente. 
Per la prima volta, tra la scelta giusta e quella facile, Jonathan aveva scelto la prima. 
Gli sorrise, provando un dolce senso di affetto per il fratello che non aveva mai sentito prima e che si trasmise istantaneamente a lui e che lo fecero sentire speciale. 
— Stai facendo la cosa giusta, Jo. — Clary diede un piccolo bacio sulla guancia al fratello e si fermò davanti a un muro di mattoni, iniziando a tracciare le rune per il portale.




Jean si rigirò nel letto, frustrato. Aveva controllato. Oggi era un giorno di luna nuova, gli altri stavano sicuramente organizzando la Caccia. 
Aveva raccomandato loro di fare a turno per avere il ruolo di capo, in sua assenza, ma non era certo che avessero seguito le sue istruzioni.
Amava le Cacce! Riusciva anche a immaginarle: si svolgevano di sera, con le stelle nel cielo scuro, sempre nello stesso punto dello stesso bosco, una grossa radura che conteneva centocinquanta persone, più o meno, con uno spazio lì vicino per parcheggiare le macchine con cui si arrivava lì. Nella radura c'erano alte fiaccole che illuminavano i volti trepidanti di ogni presente, e un'altura di roccia contornata da fitta vegetazione, dove solitamente stava lui all'inizio. Lui era il capo
Teneva il discorso d'apertura, ascoltava tutti e se c'era qualche sfidante che voleva il ruolo di capo per lui e la sua famiglia, lo batteva.
E poi c'era la parte più bella… la Caccia!
Ogni mese catturavano uno o due dei "Cacciatori bianchi", o meglio, quelli che fingevano di essere i cosiddetti Shadowhunters buoni ma che erano anche peggio di loro, e li bendavano. Dopo venivano liberati nel bosco: se riuscivano ad oltrepassare il fiume e uscire dal bosco, erano salvi e non gli avrebbero fatto nulla, in caso contrario… in caso contrario gloria al Cacciatore che li avrebbe catturati e uccisi nel modo che più preferiva.
Era un'usanza barbara, vero, ma era anche vero che i "Cacciatori bianchi" facevano di peggio. Per ora non avevano ancora scoperto il loro nascondiglio in Romania, ma presto si sarebbero dovuti spostare perché quelli che dovevano essere i buoni avrebbero di certo organizzato una grossa caccia, per eliminare gli Shadowhunters come loro, e le regole erano molto diverse e molto più spietate delle loro, anzi, ce n'era una sola: uccidi o muori. 
E, anche se era divertente scendere in battaglia e sentire l'adrenalina, non era bello. Loro non volevano conquistare il Conclave o chissà cosa, volevano solo giustizia, e quindi la morte di quel criminale alleato con il Console, un pazzo che era rimasto ancora senza volto ma alleato con i Cacciatori. Non erano animali, per l'amor del cielo, e non meritavano di essere cacciati e braccati come loro!
Ovviamente, i "buoni" contestavano questo dicendo - sempre se ce n'era tempo e voglia, i bianchi non si sarebbero mai abbassati a parlare con loro, no, per carità! - che anche loro "neri" li catturavano e li uccidevano addirittura per gioco, ma era diverso. I neri lo facevano perché i bianchi avevano incominciato, soprattutto, e poi perché era una tradizione che era iniziata centinaia di anni prima, quando si usavano ancora i Nascosti, ma visto che si erano alleati con loro, a differenza del Conclave, non potevano certo prendere a ucciderli! E visto che quelli di Idris li avevano cacciati dalla loro stessa patria, braccati, insultati, contestati e uccisi e chi più ne ha più ne metta, erano le prede ideali. 
Ma, quando non c'erano tanti bianchi, le Cacce normali erano bellissime. Ognuno di loro non poteva portare armi, doveva uccidere e ferire solo con il proprio corpo, e tutti si lanciavano come un sol uomo contro la preda, e quello che la prendeva veniva ricoperto di complimenti per tutto il mese successivo, quando ci sarebbe stata un'altra caccia e un altro vincitore.
Jean, i suoi fratelli e i suoi cugini, avevano vinto forse più di tutti una moltitudine di Cacce, e ogni volta avevano portato un trofeo diverso della vittima. Trofei macabri, ma importanti, perché altrimenti gli altri avrebbero potuto dire che non erano capaci di guidarli e qualcun altro avrebbe preteso il posto di capo. Fortunatamente, non c'era mai stato questo problema. C'erano altri speciali oltre a loro, certo, anche se non erano molto in aumento, ma nessuno avrebbe potuto superarli. E non era semplice vanesia, semplicemente erano più addestrati, più pronti, erano i soli della seconda generazione di "diversi", e questo influiva molto, anche se c'erano bambini in arrivo. Non nella loro famiglia, ma c'erano.
Jean strinse le dita sulle lenzuola e serrò gli occhi, ficcando la testa nel cuscino.
Non doveva pensare a Regina e Cristopher, o a Sebastian o a Will e Valentine, e nemmeno a Martine. Rischiava soltanto di intristirsi e perdere di vista l'obbiettivo.
Ma erano la sua famiglia, non poteva non pensare a loro!
Piegò le labbra in una smorfia involontaria e singhiozzò, stropicciandosi gli occhi che incominciavano a inumidirsi. Malgrado ciò, sentì le lacrime scorrergli lungo le guance e sapeva che dopo avrebbe avuto gli occhi rossi e gonfi, ma sinceramente non gli importava.
Maledetto, maledettissimo Melchizedeck!
Ingoiò a vuoto e affondò di più la testa nel cuscino, bagnandolo di lacrime e passandosi le mani nei capelli, arruffandoli, con l'aria di un disperato.
Jean voleva molto. Pace, tranquillità, delle battaglie combattute con un'arma in mano e una strategia per vincere (1) ogni tanto, la famiglia che aveva, quella che aveva perso e una ancora da costruire, con una moglie, dei figli, una grande casa con giardino e, semplicemente, la felicità.
Quella felicità piena che era riuscito a toccare con mano solo per dodici anni, e che poi era scomparsa a causa della guerra, delle morti, dei problemi… a soli quattordici anni si era ritrovato a gestire tre fratelli e tre cugini più piccoli di lui, a fare il capo della famiglia e, alcuni anni dopo, quello di tutto il gruppo. Era diventato insostituibile nella vita di molti, e a sua volta era circondato da molte persone uniche. 
E così era arrivato a ventiquattro anni con molte più esperienze alle spalle di un normale ragazzo. Molti più dolori, molta più saggezza, che l'avevano fatto crescere in fretta. 
Così ora voleva sistemare davvero le cose, non tentare soltanto. 
Una volta fatto questo, probabilmente, avrebbe potuto vivere la sua vita come un ragazzo normale, per quanto uno come lui poteva esserlo, avere una ragazza, magari. Tutti i suoi amici si erano sposati almeno quattro anni prima, perché i Cacciatori si sposavano giovani, visto l'alto tasso di morte. 
Ma non aveva fretta, dopotutto era importante trovare la persona giusta. 
Jean scosse la testa, irritato. Si stava trasformando in un mollaccione, altro che capo! Scalciò via le lenzuola, corse in bagno e si sciacquò la faccia.
Lui non era uno stupido e ingenuo ragazzino in cerca di rassicurazioni. 
Jean era un soldato, uno Shadowhunter, un Cacciatore. E avrebbe combattuto fino alla morte per quello in cui credeva. 




Jean scoccò l'ennesima freccia colpendo perfettamente il punto in cui avrebbe dovuto esserci il cuore del manichino.
Controllò l'orologio digitale appeso alla parete: le tre del mattino. Era stato diversi giorni senza dormire, sapeva di poter resistere, e poi non gli restava che allenarsi di notte. Non poteva mostrare al mondo quello che sapeva fare. Sapeva che si sarebbe pentito amaramente di quella scelta, sapeva che presto il sonno sarebbe venuto meno per dar spazio a battaglie e strategie militari e creazioni di armi, in una sola parola guerra, ma in quel momento gli parve l'unica valida alternativa per non perdere allenamento.
Scosse il capo a salì agilmente la scaletta che portava alla trave poco sotto il soffitto, percorrendola agilmente. Adesso arrivava la parte difficile: le acrobazie. Era senza imbracatura, ma l'aveva già fatto altre volte e contava sul fatto di non essere poi così fuori addestramento.
Incominciò con qualcosa di semplice, un salto di appena un metro con facile atterraggio, riscaldandosi per poi provare mosse più azzardate: capriole nell'aria, sforbiciate, verticali e ruote sulla trave… gli sembrava di volare.
Era una splendida sensazione.
Saltò giù dalla trave come se la gravità non esistesse, ed infatti atterrò perfettamente senza spiaccicarsi al suolo. Sorrise e sferrò un paio di pugni ad uno dei sacchi da boxe, continuando fino a quando non gli si sbucciarono le nocche delle mani.
Con un sospiro vagamente soddisfatto si sedette in un angolo della Sala Addestramenti e incominciò a contare gli addominali.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Venti, ventuno, ventidue, ventitré, ventiquattro, venticinque.
Cinquanta, cinquantuno, cinquantadue, cinquantatré, cinquantaquattro, cinquantacinque.
Novanta, novantuno, novantadue, novantatré, novantaquattro, novantacinque.
Arrivato a duecentocinquantatré, qualcuno entrò nella stanza: — Ehi, cosa ci fai qui a quest'ora? 
Jean si alzò il busto nella duecentocinquantaquattresima torsione e lo guardò fisso negli occhi blu: — Non riuscivo a dormire, così ho pensato di allenarmi. — Prima regola del bravo bugiardo: mai sfuggire al contatto visivo. Chiunque stia parlando con voi capirà che state mentendo.
— Alle quattro? — Alec inarcò un sopracciglio, sedendosi accanto a lui: — Senza offesa, ti hanno mai detto che sei un po' matto? 
L'altro sogghignò, cercando di trattenere una risata divertita: — Oh, diciamo circa dieci volte in una giornata. Ma d'altra parte, tutti i migliori sono matti! — Rispose, sorridendo a trentadue denti, gli occhi illuminati come mai da quando era arrivato lì.
—E questo chi l'ha detto? — Chiese Alec, perplesso. Aveva già sentito quella frase.
— Il Cappellaio Matto.
— Cosa? — Il corvino sgranò gli occhi.
— Ma sì, quello di Alice nel Paese delle Meraviglie! — Jean rise alla faccia scioccata del più piccolo. — E no, prima che tu me lo chieda, non vedo i film della Disney per svago. Li vedeva mia sorella minore fino a… diciamo sei anni fa, più o meno, forse anche cinque, e mi costringeva a guardarli con lei.
Alec divenne curioso: — Quanti siete, in famiglia? 
Jean aveva in volto un'espressione beata, lo sguardo quasi malinconico: — Sette, cioè, otto. — Subito dopo, però, s'irrigidì, quasi a voler far capire all'altro che era un argomento off-limits.
— Sette o otto? 
— Otto. 
— Oh. Ehm, ci sei stato presentato, è vero, ma non sappiamo nulla di te. Quanti anni hai?
— Ventiquattro. — Rispose prontamente Jean.
Alec non pensò di chiedergli perché non stesse pensando di sistemarsi, doveva aver già finito l'addestramento da un po', dopo tutto. Scosse il capo: forse semplicemente non aveva ancora trovato la persona giusta.
— Hai un secondo nome?
— Sì. — Jean non aggiunse altro. 
Semplicemente, si alzò con uno scatto di reni, recuperò un pugnale dall'aria parecchio costosa che aveva lasciato sul tavolo delle armi - lama e impugnatura nera, con qualcosa inciso sull'elsa che Alec non riuscì a vedere -, gli rivolse un millimetrico cenno col capo e uscì dalla stanza. 

 

A.A:
*Dubhe entra in sala comandi, posta il capitolo e scappa a nascondersi*
Okay, no, forza e coraggio… so che sono in un ritardo mostruoso, ma ho principalmente un motivo che, be', blocca tutti… insomma, sto avendo dei problemi a casa - problemi che non amo avere, proprio per niente - e non ho proprio potuto postare, ma spero di poterlo fare presto.
Saltando le scuse infinite che di sicuro non volete leggere perché sarebbero più lunghe del capitolo… ricominciamo con l'angolo autrice!
...
Hello, fangirls and fanboys of Shadowhunters!
Do you like this chapter? 
Io, personalmente, non ne sono del tutto convinta, ma non credo che sia venuta così male, no? ^.^
La prima parte, con Izzy e gli altri: be'… forse Izzy qui sembra un po' OOC, ma vi assicuro che dal prossimo capitolo ci sarà una svolta davvero inaspettata per lei.
La seconda parte con un po' di Malec: ho visto che avete apprezzato la scorsa interazione fra il nostro stregone preferito e il Nephilim dagli occhi blu, perciò ho pensato di continuare la cosa. Ma qual era il contenuto della lettera che Magnus continuava a leggere? Niente spoiler, mi dispiace, anche perché probabilmente sarà svelato solo in COL. ;)
Jonathan, Clary e Ian, la terza parte: inizialmente questo paragrafo non ci doveva essere, ma il capitolo era troppo corto e quindi l'ho inserito. È un semplice intermezzo, diciamo, che serve più che altro per chiarire i pensieri di Jonathan e far capire cosa succederà d'ora in poi. Un po' come un ponte che collega due terre diverse, per intenderci.
Quarta e ultima parte, tutta per Jean: probabilmente, questa è la parte che credo sia venuta peggio, anche se è la più importante. Visto che l'ho cancellata e riscritta tre volte, però, non ho il coraggio di riscriverla una quarta volta! XD
Avete visto negli scorsi capitoli un Jean molto freddo, intuitivo, che sa usare bene la logica, non a caso è stato lui a sentire per primo gli Ibridi a Villa Barowe. Qui si è definito speciale. 
Speciale in che senso? Lo lascio decidere a voi.
In questo capitolo volevo farvi vedere anche il lato fragile di Jean, quello che tutti abbiamo e che tendiamo a nascondere agli altri. Allo stesso tempo, però, volevo farvi capire che Jean è un guerriero, abituato ad essere il capo, quello che si dimostra forte per gli altri.
Ci sono riuscita?
E chi sono Regina, Christopher, Will, Valentine, Sebastian e Martine? Vi dico che ci saranno, ma compariranno tutti molto più avanti. NESSUNO di loro comparirà in COM, due di loro per un po' in COL, e tutti ci saranno in COT - e attenti… se in COT ci saranno molti nuovi personaggi, va da sé che dobbiate temere per la vita di quelli che già ci sono! XD -. Alcuni di questi nomi, ovviamente, sono familiari a tutti voi.
Ma è una semplice coincidenza o queste persone sono collegate in qualche modo ai Cacciatori di NY?
Poi, l'interazione Alec-Jean. Finalmente scopriamo delle - poche, ma buone - informazioni su di lui. Precisamente ha ventiquattro anni, in famiglia sono otto - compreso lui - ed ha un secondo nome. Perché quando Alec gliel'ha chiesto se n'è andato? 
Sono curiosa di conoscere la vostra opinione, quindi vi prego, recensite e fatemi sapere! ;)
-D
P.S: A chi recensisce, un gelato pagato da Jonathan in regalo! XD

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Capitolo 23
*** XXIII - Passi avanti ***


Shadowhunters - City of Marble


XXIII - Passi avanti


Siamo tutti anime perse… (ma) almeno lo siamo insieme.
[Blood and Chocolate - La Caccia al Licantropo]


— Quindi, questo è tutto. Non è che centri qualcosa? — Jonathan scrollò le spalle e fissò Valentine, che a sua volta lo guardava assolutamente scioccato.
Era probabilmente la prima volta in ventun anni di vita che era riuscito a lasciarlo di sasso: — Deduco dalla tua espressione che è un no. Bene. Ora che sapete tutto, voglio mettere in chiaro una cosa. Se vi ho fatto qualcosa, o se avete qualcosa contro di me, ditemelo. - i suoi occhi scuri si fermarono in quelli azzurro impenetrabile di Maryse - Ma non prendetevela con Ian. Non lo merita. E, soprattutto, non avreste il tempo di torcergli un capello che sareste già morti. Buona giornata. — Girò i tacchi e se ne andò dalla stanza.
Non era mai stato un tipo isterico o eccessivamente ciarliero o anche sono aperto verso gli altri, e non lo sarebbe diventato adesso.
Maryse Lightwood prese un profondo respiro e si portò le dita alle tempie e alla radice del naso, poi prese ancora un altro respiro ed uscì dalla stanza, scioccata. 
Jocelyn e Valentine si guardavano negli occhi, incapaci di spiccicare parola.
Alla fine lei alzò le braccia: — Credo che… il mio udito stia perdendo colpi.
Valentine si riscosse e sbatté le palpebre: — No, il tuo udito è perfetto, l'ho… l'ho sentito anch'io. Dev'essere Jonathan ad avere qualcosa che non va. — Scosse la testa, misurando la stanza a grandi passi. 
Un figlio. Di Jonathan. E lui voleva prendersene cura.
Oh santissimo Raziel! Era resuscitato in un mondo che andava al contrario perché era un universo parallelo e non se n'era accorto!




Clary si gettò a terra, schivando un colpo di frusta di Isabelle. Rotolò di lato e scattò in piedi, evitando per un pelo un'altro colpo. 
Si arrampicò sulla scaletta per arrivare alle travi sul soffitto, e dovette evitare per un pelo una frustata piuttosto bastarda diretta alla sua testa.
— Isabelle! — Esclamò, irritata, iniziando a percorrere una delle travi come se non avesse fatto altro per tutta la vita. 
— Scusa! — Rispose lei, arrampicandosi a sua volta.
Si fronteggiarono per qualche secondo, e Clary indietreggiò all'ennesimo colpo di frusta. Si voltò velocemente e si lanciò giù, gliel'aveva insegnato Jace: Isabelle non poteva farlo con quei tacchi a spillo, per fortuna.
Corse alla parete delle armi e si armò di piccoli coltelli da lancio, mentre la mora scendeva la scala. Jace l'aveva fatta allenare così tanto con la spada e quei maledetti chicchi che colpire una frusta con un coltello, al confronto, sembrava uno scherzo. 
Socchiuse gli occhi e prese la mira; lanciò il coltello e… zac! La frusta venne tranciata in due pezzi e, quello che Izzy non stringeva, cadde a terra con un lieve tonfo. 
Clary sorrise mentre Izzy afferrava due spade e gliene lanciava una: magari non era bravissima, ma una cosa era certa: se sapeva tranciare in due quattro semi con una spada in mezzo secondo, avrebbe trovato il modo di darle di santa ragione alla mora.
La rossa giocherellò per qualche attimo con l'elsa della spada, provandone il bilanciamento. Era un po' troppo pesante per lei, ma non così tanto, avrebbe potuto farcela. Sapeva di essere più bassa e quindi meno prestante e atletica di Isabelle per determinati esercizi, soprattutto quelli con la spada, quindi attese che l'altra attaccasse e cercò d'infiltrarsi nella sua guardia con un fendente diretto alla coscia.
Niente, Isabelle parò abilmente e saltò su uno dei tappetini usati per l'atterraggio dalle travi, roteando la spada. 
Clary socchiuse gli occhi: l'aveva fatto apposta! Aveva preso una spada leggerissima e dato a lei una più pesante per essere avvantaggiata e compiere movimenti più veloci! Ma, di certo, non era questo che avrebbe fermato la diciottenne. Si avvicinò guardinga alla mora che, a sua volta, la scrutava con attenzione, e tentò una finta a destra, poi colpì a sinistra, ma solo lievemente di striscio, graffiando il fianco dell'altra.
Poco male, non era quello il suo obiettivo.
Senza perder tempo, e non lasciando ad Isabelle il tempo di reagire, Clary superò la sua guardia e con la punta della spada cozzò contro il pomolo di quella dell'altra. Più decisa, usò il piatto della lama per dare uno scossone alla spada della mora, che volò in aria per qualche secondo e atterrò con un grosso sbang! sul pavimento.
Clary sorrise e ripose la spada nella rastrelliera, e…  sentì una lama affilata contro la sua gola.
— Sbagliato, Clary. Mi hai disarmato, ma ciò non vuol dire che il combattimento sia finito. — Rise Izzy, facendola voltare e puntandole la spada contro la gola.
— Ma il Codice…
— Il Codice è un manuale per damerini, Ry. Non ti aiuterà in battaglia né tantomeno in una semplice incursione, un avversario in punto di morte farà di tutto per ucciderti, non lascerà certo perdere solo perché l'hai disarmato! — La rimproverò Isabelle.
— Ry? — Chiese innocentemente Clary.
— Sì, suona bene, non trovi? È il diminutivo del tuo soprannome. — La mora fece spallucce.
— Il diminutivo di un soprannome? Tu sei pazza, Izzy, lasciatelo dire. — La diciottenne rise e si scrollò l'altra di dosso, avviandosi verso la porta.
— Dove vai? — Le urlò dietro Isabelle.
— Da Jace. Mi ha promesso un picnic a Central Park, prima che le fate inizino ad infestarlo. Dobbiamo finalmente decidere una data per il matrimonio.
Izzy spalancò gli occhi: — Il matrimonio, già. Con tutto quel che è successo, me n'ero quasi dimenticata! - Fece una pausa e le sorrise - Hai già qualche idea? Potrei aiutarti. Sì, anche Magnus ne sarebbe più che disposto, secondo me. Potremmo organizzare tutto noi! — Esclamò, arzilla.
Clary inorridì: — Tu e Magnus? Senza offesa, Izzy, ma mi ritroverei a sposarmi in una cappella a metà tra lo stile chic-retrò e il pitonato, lo zebrato e il leopardato. No grazie! Se volete, potrete esserci e consigliarmi, ma niente boa, per carità! — Esclamò precipitosamente, uscendo dalla stanza.
Isabelle si prese un momento per raccogliere il moncone della frusta da terra e gettarlo nel cestino della spazzatura, e dopo si diresse al grande specchio appeso ad una delle pareti. Si liberò dell'elastico fra i capelli e lasciò i capelli sciolti sulle spalle, dopodiché aprì la cerniera che chiudeva una delle tasche del pantalone ed estrasse un acceso rossetto rosso. Colorò le labbra con esso e sorrise al suo riflesso, riponendo con cura il rossetto nella tasca.
La porta del grande stanzone si aprì velocemente mentre la ragazza controllava un'ultima volta il suo aspetto.
— Issy, hai vitto papà? — La mora si voltò il direzione del piccolo Ian.
— È uscito, Ian. Doveva fare un servizio. - Si mantenne sul vago, non poteva certo dire che Jonathan era uscito assieme a Jean per scovare degli agenti di Melchizedeck e torturarli per sapere qualcosa di più! - Ma se vuoi puoi rimanere con me. — Rispose.
Si sentiva una sciocca a non aver intuito prima il legame di parentela tra il piccolo e Jonathan, come tutti gli altri, del resto. Erano praticamente identici: stessa pelle pallida, identici occhi neri, medesimi lineamenti spigolosi col naso dritto, e perfino le sopracciglia sottili. Le uniche due differenze che avevano, probabilmente, erano le labbra un po' più piene di Ian ed il fatto che il bambino aveva i capelli lievemente più scuri ma che, Izzy supponeva, si sarebbero schiariti col tempo fino a diventare albini come quelli del padre. 
Jonathan… un vero idiota. O meglio, non era lui l'idiota, lui non aveva fatto nulla, ma lei.
Lei che in una fottuta cella si era fatta abbindolare da un fottuto idiota, si era innamorata un fottutissimo idiota!
Innamorata.
Innamorata?
Innamorata!
Innamorata?!
No, no. No! Lei non era certo innamorata di un simile bastardo!
Lui… lui aveva ucciso Max!… E salvato lei. Cavolo.  
E l'aveva supportata in cella… l'aveva aiutata a scappare. E aveva dei così bei capelli chiari… e quegli imperscrutabili occhi scuri… 
Oh, santo Raziel. Oh santissimo Raziel! Si era innamorata di Jonathan Morgenstern!
Si morse le labbra. No no no. Lei amava Simon. O meglio, era il suo ragazzo. E se lo sarebbe fatto andare bene.
Carezzò dolcemente i capelli di Ian mentre il bambino si accoccolava sul suo grembo e lei si sedeva sul materassino dei salti, appoggiando la schiena al muro.
— Te l'hanno mai raccontata una storia, Ian? — Chiese, cullandolo.
— Stolie? — Rispose il piccolo, incerto.
— Sì. C'era una volta un bellissimo bambino, di nome Ian…
— Come me! — Esclamò lui, ridendo.
— Sì. Un bambino di nome Ian che viveva in un grande castello di marmo, con il suo papà e tante persone che gli volevano bene…
Izzy continuò a raccontare la storia, coccolando il bambino fino a quando non sentì il suo respiro regolarizzarsi e, poco dopo, si assopì anche lei.
Dopo tanti, troppi incubi sulle celle di Melchizedeck, finalmente le fece visita un bel sogno. Un bel sogno che, certo, al risveglio le avrebbe spezzato il cuore.
Era seduta su un prato, con un bambino addormentato in grembo. Si rese conto che era Ian con appena un'occhiata superficiale: quel volto era inconfondibile. Sembrava più grande di qualche anno, forse ne aveva sei, e i suoi capelli, come pronosticato dalla ragazza, si erano schiariti.
Ian aprì gli occhi scuri e li inchiodò nei suoi. Sbadigliò stiracchiandosi e si rizzò a sedere: — Mamma, ho fame. — Mormorò, strusciandosi contro di lei come un gattino.
Isabelle spalancò gli occhi, e trattenne il respiro quando due salde mani si posarono sulle sue spalle: — Amore, quante volte ti ho detto di riposare almeno un po'? Nelle tue condizioni potrebbe farti male affaticarti troppo.
Izzy sentì la se-stessa-del-sogno, abbreviato in SSS, ridere e voltarsi. — Cosa dici, amore? Sono incinta, non moribonda! — A quel punto la mora stava per rischiare l'infarto. 
Jonathan si portò davanti a lei. Oh, apriti cielo e accoglimi, Raziel!, si ritrovò a pensare Isabelle. 
— Isabelle, andiamo, cosa ti costa ritornare dentro? — Continuò lui, facendola alzare assieme a Ian, che era balzato in piedi carico di nuova energia.
La tenuta in cui abitavano era davvero bella, quattro piani con pareti di mattoni rossi e tetti più scuri, e piante rampicanti sui muri. C'era un grande giardino ben curato e un portico con la veranda con rifiniture bianche, delle panche e s'intravedevano anche delle stalle. Nel giardino c'era un cane, un bastardino bianco a macchie beige con vispi occhi scuri, e un gatto rassomigliante a Silvestro, uno dei cartoni Mondani che aveva scoperto quando lei e Clary erano andate a casa di Luke.
Ritornarono in casa e il bambino scomparve oltre la porta della cucina, attirato dal vassoio di biscotti e latte al cioccolato che c'era sul tavolo.
Jonathan condusse la SSS su per una rampa di scale e poi diritto in un corridoio, la prima porta a sinistra. 
Oltre la porta una lussuosa camera da letto con baldacchino, arredata con colori scuri come il viola pervinca e il verde smeraldo. Jonathan la fece stendere sul letto e si mise accanto a lei: — Ricordi come è iniziata? — Chiese, accarezzandole il ventre. Ora che ci faceva caso, Isabelle notava che la pancia della SSS era abbastanza pronunciata, doveva essere almeno al quinto mese. 
— Certo. Mi sono innamorata perdutamente di te in quelle celle… - incominciò la ragazza con espressione trasognata -… ci siamo supportati a vicenda durante la guerra… mi hai chiesto di sposarti… sono diventata la mamma di Ian… e poi…
— E poi sono arrivati loro. Due splendidi gemelli. — Concluse per lei l'albino, stringendola forte e adoperandosi con la bocca di modo che, il giorno dopo, sul collo della mora ci sarebbe stato un vistoso succhiotto. 
— Isabelle! — La diciottenne aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi a fissare un altro paio di occhi scurissimi.
— Jonathan… — Sospirò, stiracchiandosi. Le venne un colpo quando si ricordò di avere Ian sulle ginocchia e scattò in avanti per prenderlo e, quando non lo vide, perse per lo spavento dieci anni di vita.
— Calma! — Jonathan la prese per le spalle. — Ho messo Ian a letto. — Spiegò, alzandosi in piedi, subito seguito dalla ragazza, che prese un profondo respiro. 
— Stavo per morire di crepacuore! — Esclamò, sbadigliando. — Che ore sono? 
— Ora di cena. Andiamo? 
Isabelle annuì, cercando di non pensare a quel maledettissimo sogno. E comunque, non era nemmeno realistico. Jonathan era troppo dolce per essere reale. Decisamente troppo dolce. E lei nemmeno in un millennio di anni sarebbe diventata così smielata. 
Non doveva farlo penetrare ancora sotto la sua pelle, non più di quanto già non avesse fatto. 
Non sarebbe caduta nella trappola dei sentimenti, poco ma sicuro. Simon era il suo ragazzo, non Jonathan!
Eppure non poteva fare a meno di credere che oramai era perduta… tutti loro erano perduti. Perlomeno, però, lo erano insieme. 




— Apri la bocca! — Clary affondò il cucchiaio di plastica nella torta panna e fragole ed imboccò Jace, ridacchiando e sporcandolo tutto.
L'atmosfera di Central Park al tramonto era magica. Gli uccelli incominciavano a tornare nei loro nidi dai figli con dei vermi in bocca come pasto, i piccoli animaletti della terra come scoiattoli e conigli si ritiravano nelle tane e le persone incominciavano a scemare lasciando ai due ragazzi una rara intimità, sotto il cielo trapuntato di rosso, arancio e rosa sfumato di azzurro e viola del tramonto, con la luna a tre quarti già alta nel cielo.
Erano giorni che non riuscivano a stare insieme decentemente e, oltretutto, la sera erano talmente stanchi da non poter avere nemmeno un piccante incontro notturno ogni tanto. Clary era risucchiata dai costanti addestramenti - che Jace aveva accollato alternativamente a Isabelle e Jonathan, allenandosi a sua volta per migliorarsi sempre di più - e dalle missive sempre più disparate che scriveva alla Regina Seèlie per ottenere un incontro, ovviamente senza risposta. Per non parlare del fatto che la rossa era preoccupata per sua madre.
Be', non proprio preoccupata, diciamo… confusa.
La vedeva diversa, più decisa, più grintosa, da un po' non le impediva o perlomeno non cercava di impedirle di allenarsi, di vedere Jace e di studiare il Mondo Invisibile, cose che in realtà aveva sempre fatto. Non riusciva proprio a capire cosa avesse potuto farla diventare così diversa: era più dura quando serviva, aveva ripreso ad allenarsi e partecipava alle riunioni di guerra, s'interessava di politica Shadowhunter e Nascosta e altro, e Clary cercava di svelare il mistero. 
Come se questo non bastasse, la diciottenne sospettava che sua madre si fosse lasciata con Luke. Il licantropo non si faceva ormai vedere da giorni, e non le aveva neanche fatto una telefonata, e nemmeno a sua madre, per quanto ne sapeva.
La faccenda, quindi, puzzava.
Che fosse stato l'arrivo di Valentine a fare tutto quello?
Comunque fosse, Clary era troppo assorbita dalle molteplici incombenze e Jace, del resto, occupato in allenamenti, strategie di guerra e contratti e incontri diplomatici col principale clan di vampiri di New York, guidato da Raphael Santiago, non era da meno.
— Ehi! — Protestò lui, imboccandola a sua volta.
La rossa rise e gli si avvicinò, baciandolo e ripulendo con la lingua le tracce di panna dal volto del fidanzato. 
— Allora, una data. — Incominciò, una volta finita la torta.
— Sì. Mmmh… io sono per… be', il più presto possibile. È che… Clary. - Jace si fece serio - Ci sono stati degli attacchi, sta andando tutto a rotoli. Non voglio che un'altra guerra ci impedisca di vivere. — Sorrise e le baciò la punta del naso: — Anche se, devo dire, in circostanze diverse avrei aspettato ancora un po', per vedere se cresci di qualche centimetro! — 
Clary gli scoccò un'occhiataccia ed annuì: — Comunque hai ragione. Il più presto possibile. Voglio che sia… ufficiale. Che sei tutto mio, intendo. — Sogghignò alla faccia scandalizzata di lui. 
— Ah sì? Io sarei tuo? Alzati. — Ordinò Jace, tirandola su. Le mise in mano il suo stilo. — Apri un Portale. — Continuò, sorridendo.
Clary obbedì ed insieme entrarono dentro esso, ritrovandosi nella camera della ragazza all'Istituto.
Ora capirai davvero cosa significa essere mia. — Ronfò malizioso lui, abbassandole la cerniera del corto vestitino e sfilandoglielo. 
— Sbruffone! 
Erano anime perse ormai da tempo… insieme, però.




Izzy batté nervosamente un piede a terra: poco prima si era sentita con Simon, si erano dati appuntamento davanti Starbuck's alle sette, eppure erano le sette e un quarto e lui non era ancora lì.
E dire che la mora si era anche cambiata e truccata per l'occasione! Sperava di fare bella figura col suo corto e morbido vestitino color fumo e le decoltè nere, ma a questo punto la voglia di deliziare quel vampiro da strapazzo le era passata del tutto.
Eppure ricordava che appena un mese prima le cose erano diverse: credeva di amare davvero Simon Lewis, di essere innamorata dei suoi ricci scuri e dei caldi occhi color del cioccolato, amava il suo essere sempre in ritardo e la tendenza a parlare sempre a sproposito. Ma perché, adesso, le sue fantasie erano occupate costantemente da ragazzi albini con gli occhi d'inchiostro e un sorriso strafottente? Perché si era ritrovata a desiderare battutine sarcastiche e allo stesso tempo, una composta serietà e una vena piuttosto spiccata di follia?
— Scusami, Izzy, giocavo a Dungeons&Dragons e non mi sono reso conto dell'orario. — Mormorò Simon alle sue spalle.
La diciottenne si morse le labbra per non voltarsi e urlargli contro. Si girò lentamente e altrettanto tranquillamente lo squadrò, come la calma prima di una tempesta. Indossava jeans chiari e stracciati e una maglietta nera con su scritto in lettere giallo lime "The red birds", probabilmente il nuovo nome della sua band da due soldi, nemmeno quattro… sarebbero stati decisamente troppi. 
Perché, se prima amava quello stile simpatico e trasandato, adesso Isabelle rivedeva davanti agli occhi jeans scuri e camicie dello stesso colore, arrotolate fino alle maniche e con i primi bottoni sbottonati, che lasciavano intravedere un fisico da David (1) molto diverso da quello esile di Simon? 
Scosse la testa e si concentrò sulla sfuriata da guinness dei primati che avrebbe dovuto fare al Nascosto.
— E tu, dopo che non ci vedevamo da mesi, dopo che sono stata prigioniera di un pazzo e dopo che non ti sei neanche sprecato a chiedermi d'incontrarci, ti presenti in ritardo perché stavi giocando ad uno stupido videogioco Mondano? — Strillò, facendosi violenza per non mollargli uno schiaffo che l'avrebbe fatto volare nella vetrina di un negozio dall'altra parte della strada.
— Ehi, Iz, calmati! — Tentò Simon, mettendo le mani avanti. Si morse le labbra e, quando la ragazza si fu calmata, incominciò: — Senti, Isabelle, io dovrei dirti una cosa… noi insieme non stiamo più tanto ben… 
La corvina spalancò gli occhi: — Tu! Non osare dire quello che stai per dire! Ascoltami bene, Lewis, non so cosa ti fossi messo in testa, l'amore per sempre e cazzate smielate simili, ma te lo dico a chiare lettere. Questa storia era già conclusa molto tempo fa. Basta. Ti mollo. È F-I-N-I-T-A. — Sillabò, poi si voltò in un ventaglio di capelli color inchiostro e scomparve oltre la curva della strada.
Furiosa, pestò i piedi a terra e serrò gli occhi: come osava quel ratto anche solo pensare di poterla lasciare?
Non era perché voleva che continuasse, ma era lei quella che mollava, sempre, e così sarebbe sempre stato. 
Si fermò accanto alla vetrina di un negozio, si appoggiò al muro di mattoni e chiuse gli occhi, respirando profondamente. 
Che cosa provava? Niente, come sempre. Lo stesso era successo con Meliorn, la fata con cui usciva tempo prima, e con Bill, il vampiro prima di lui, e Jake, prima di Bill, e Jay e Mike e Scott e tanti altri. Cosa la rendeva così cinica, così insensibile? 
Era come… come un blocco di ghiaccio sul cuore che le impediva di fidarsi dell'altro sesso. Non sapeva come aveva origine, però.
Ma allora perché con Simon sembrava diverso? Certo, ora era tutto normale, come se avesse usato il Nascosto come si indossa una sciarpa di visone, ma prima… prima che venisse fatta prigioniera, prima che conoscesse Jonathan Morgenstern e Simon provasse a lasciarla… credeva davvero che loro avessero qualcosa di speciale.
Iniziava a fidarsi di lui, pensava che sarebbe potuta durare, anche se tutto era contro di loro: le razze, l'immortalità di lui, i genitori di lei e il modo di pensare completamente diverso… credeva che fosse la persona giusta. Iniziava a sciogliersi, a fidarsi, poi non si erano visti per settimane e tutto era finito. 
Con un sussulto, comprese di essersi fidato di lui perché era debole
Certo, lei avrebbe potuto uccidere anche Bill, Jake, Scott, Jay e Mike, forse perfino Meliorn, ma solo Simon era… innocuo. Niente pensieri cattivi, aria da bravo ragazzo nerd, impacciato, timido… Isabelle sapeva di poter avere ai suoi piedi qualunque maschietto, ma di loro riusciva anche ad avere paura perché potevano tutti tradirla, mentirle, usarla, potevano anche provare ad ucciderla… Simon Lewis invece non l'avrebbe mai fatto, perché era buono. Completamente, totalmente buono. 
Poi tutto si era spezzato, Melchizedeck l'aveva rapita e Jonathan - Jonathan Morgenstern! - l'aveva aiutata. E qui sorgeva il dubbio: perché non riusciva a sentire quel ghiaccio nel cuore quando parlava con lui, che era probabilmente l'unico che avrebbe potuto usarla, spezzarla
Poteva quasi dire che erano fatti della stessa pasta: il cuore non sente l'amore, la testa non sente ragioni, lo stomaco non sente paura.
Lui non provava sentimenti, eppure nelle celle le aveva fatto "compagnia". Perché? Probabilmente per scappare quando la sarebbero venuta a prendere, per cercare di ritornare alla sua vita da "malvagio e dannato"? 
Ne era stata certa, pensava che la stesse usando ben bene mentre allo stesso tempo lei usava lui per non arrendersi, solo che poi Jonathan aveva salvato Ian e se n'era preso cura, e dopo l'aveva salvato… e quel discorso sulle responsabilità e sul non voler essere un nuovo "Valentine" per un altro "Jonathan". Forse era proprio quello che le aveva fatto cambiare idea, che aveva fatto scattare la molla fra tutti gli ingranaggi, se prima era "Morgenstern un bellissimo sogno erotico che cammina", che avrebbe potuto essere gradevole per una tresca fugace, divertente, anche un po' per gioco perché lo trovava davvero impossibile da avere, non perché fosse troppo bello per lei anzi, semplicemente perché era troppo sbagliato, e poi era diventato "Jonathan un bellissimo sogno erotico che cammina e che forse non è così… non è un errore". 
Forse aveva semplicemente una passione per i casi clinici: Meliorn il solitario cavaliere, Simon il timido nerd, Jonathan il cattivo assassino… forse le piaceva fare la crocerossina.
Il problema non era perché o come, però, e nemmeno chi fosse davvero Jonathan o quante volte avrebbe potuto farle toccare il cielo con un dito e subito dopo distruggerla, ma che ormai era entrato nel suo cuore, lo doveva ammettere. Ma come poteva liberarsene?
Il telefono iniziò a squillare dalla piccola pochette glitterata, ancora una volta le note della suoneria volteggiarono nell'aria, e Isabelle pregò intensamente che non fosse per un altra sparizione.
Prese il cellulare e lo portò all'orecchio senza nemmeno controllare il numero, sbuffando: — Chiunque tu sia, sappi che non sono di buon umore. Ho appena mollato l'ennesimo ragazzo sbagliato e sono a caccia. Se sei interessato e ovviamente sei un uomo, esponi i tuoi pensieri. Se non lo sei o non vuoi, vai a fare in c…
— Non me ne potrebbe fregare di meno delle tue pene amorose, ma se vuoi fare da scaldaletto sei la benvenuta. Comunque, sei libera oggi pomeriggio?
Il cuore di Isabelle saltò un battito e sogghignò: — Jonathan. Nessuno ti ha insegnato che certe cose si chiedono con più galanteria?
Lo sentì ridere attraverso il telefono: — Oh certo tesoro, quando troverò un buco libero nell'agenda te lo chiederò di certo con rose rosse e cioccolatini. Adesso sssh, bimba, parlano i grandi: oggi ho sulla famosa agenda un tortura-party con un simpaticissimo agente-corvo di Melchizedeck. Puoi guardare Ian?
La Cacciatrice si morse le labbra: — Certo, anziano signore. Quanti anni compi, il prossimo anno? Novanta? No, perché ti ricordo che tu a stento dicevi frasi di senso compiuto quando sono venuta al mondo. — Ribatté, acida.
Anche attraverso il telefonino, poté quasi vederlo inarcare il sopracciglio destro nella sua tipica espressione arrogante: — Cosa c'è, tesoro, arrabbiata perché non ho tempo per quell'appuntamento? Rimedierò, non preoccuparti. — Scoppiò ancora a ridere.
Per tutta risposta, Izzy premette il tasto rosso e si avviò a grandi passi verso Abercrombie. Che avesse trovato un modello figo? 




— Tu sei con me, vero, mia adorata? — Melchizedeck occhieggiò la ragazza di fronte a lui. Gli appariva insignificante, una piccola formichina che avrebbe potuto schiacciare con l'unghia del mignolo del piede. Eppure Noah aveva predetto che sarebbe stata la più grande condottiera dei suoi eserciti, colei che gli avrebbe servito su un piatto d'argento perfino Azazel.
Lei sorrise, arrossendo. Cos'era poi uno schieramento, confrontato con lui? 
Era bellissimo: la pelle abbronzata e i capelli neri, e gli intriganti occhi color evidenziatore… e quel sorriso sghembo che nascondeva molto più di quello che svelava. 
— Certo. Ma ora… — Si sporse verso di lui, elemosinando un bacio.
— Ora devi provarmi che tieni davvero alla mia causa.
La Cacciatrice sbuffò, riportando dietro l'orecchio una ciocca di capelli che era sfuggita dalla coda alta. — Cosa devo fare? — Chiese, spostando il peso del corpo da una gamba all'altra. 
Melchizedeck sorrise: quanto potevano essere ingenui i Cacciatori?
Si sporse verso di lei leccandosi le labbra, gli occhi scintillanti di malizia, e sussurrò poche parole nel suo orecchio. 
La ragazza spalancò gli occhi e la bocca, incapace di elaborare l'ordine appena ricevuto. — No… io… cos.. cos'è che dovrei… dovrei fare? Credo di aver capito male.
— Hai capito benissimo, mia cara. E adesso datti da fare. 
La spia si morse le labbra mentre cercava di controllare il tremolio alle mani. Come poteva… anche solo pensare… di fare una cosa del genere?! Era contro natura!
Eppure, in cuor suo, sapeva che per lui l'avrebbe fatto. 
Stava perdendo la sua anima… ma lo faceva per restare insieme a lui, dopotutto.




— Entra nella vasca. — Jonathan guardò accigliato il bambino davanti a lui, del tutto nudo e con un broncio visibile in volto.
— Ma non vollio fale il bagno! — Brontolò il piccolo, portando le manine dietro la schiena e sgranando gli occhioni neri, con quell'affascinante pupilla verticale argentea. Da quando lo avevano recuperato dalle celle, nessuno aveva mai toccato l'argomento, troppo intontiti dalla scoperta soprannominata "oh-mio-Dio-Jonathan-Morgenstern-è-il-padre-di-quell'-adorabile-bambino", ma l'albino non aveva smesso di pensarci un secondo.
Quella pupilla doveva pur voler dire qualcosa, no? Sapeva fin troppo bene che gli unici ad avere segni demoniaci ben visibili sul corpo erano gli stregoni. Ma questo cosa voleva dire? Che la madre di Ian era una strega? No, era una deduzione del tutto illogica. Le streghe sono sterili in quanto mezzosangue, incroci tra uomini e demoni, lo sapevano tutti. Quindi cosa si nascondeva dietro quelle iridi scure? 
Jonathan scosse la testa, ritornando al presente, e guardò fisso il nanetto davanti a lui. — Ascoltami bene, Ian. Puoi fare il bagno con le buone, o con le cattive. E sappi che ciò vuol dire che non ti farò svolazzare in giro con quelle ali che perdono piume ovunque per un intero mese. E addio a Ciuffy.
Quella di Ciuffy, giusto per sottolineare, era una lunga storia. Una volta usciti dalla maledetta villa a North Little Rock, aveva dovuto trovare dei nuovi vestiti per Ian. Purtroppo però, proprio accanto al negozio di abbigliamento più vicino - un altro era a circa cinque isolati di distanza -, c'era un gigantesco negozio di giocattoli e, con ad un lato Ian e dall'altro Clary che lo imploravano, il povero mezzo-demone era stato costretto ad entrarci. E circa altre dieci persone avevano scambiato lui e sua sorella per una coppia, ma meglio sorvolare. 
Comunque, Ian aveva sin da subito avvistato un gigantesco dinosauro di pezza, talmente grande da superarlo di buoni venti centimetri. Inutile dirlo, aveva provato a prenderlo e gli era cascato addosso, atterrandolo.
Così Jonathan aveva dovuto liberarlo dal "cattivo-mostlo-velde", o almeno a detta di Ian, che sembrava amare quella definizione, visto che chiamava "mostro verde" anche qualunque verdura - specie l'insalata - di quel colore. Ed aveva anche dovuto convincerlo che il dinosauro non sarebbe stato un giocattolo molto divertente, visto che gli sarebbe cascato addosso in continuazione.
E, sicuramente, avrebbe preferito affrontare Melchizedeck in persona piuttosto di convincere quel cocciuto bambino che il dinosauro era un giocattolo per "bambini grandi", e allora Ian era scoppiato a piangere dicendo che lui era grande e Jonathan aveva dovuto assecondarlo, così quel malefico nano da giardino si era asciugato le lacrime - di coccodrillo - e aveva incominciato a dire che allora poteva avere il pupazzo. E poi tutto daccapo, in un circolo vizioso che si era spezzato solo quando Clary gli aveva mostrato Ciuffy.
Quella maledetta, maledettissima paperella da bagno che Ian faceva squillare anche alle tre del mattino e svegliava Jonathan, che aveva il sonno troppo leggero per passarci sopra. Così ogni notte il marmocchio si prendeva un richiamo e prometteva che non l'avrebbe fatto più, e la sera dopo lo faceva ancora.
Insomma, Jonathan ne era più che stufo, visto che non era certamente famoso per la sua pazienza. 
Ian sgranò gli occhi e annuì, afferrando la sua amata papera di gomma ed entrando velocemente nella vasca.
— Papà… — Brontolò, facendo scattare verso di lui il volto del maggiore. Non credeva che si sarebbe mai abituato a quella parola. — Non so fale il bagno… — Sussurrò con una vocina sottile sottile che fece scoppiare a ridere il Cacciatore, che gettò un'ultima occhiata alla porta, la chiuse con una runa di blocco e si inginocchiò accanto alla vasca.
— Chiudi gli occhi. — Ordinò al bambino, mentre regolava il getto della doccia.
Gli bagnò i capelli di appena qualche tono più scuri dei suoi e fece alzare il livello dell'acqua, tanto che Ciuffy iniziò a galleggiare e ondeggiare pericolosamente verso il pavimento. Ian la strinse tra le dita e sospirò beatamente mentre Jonathan, con le mani cosparse di shampoo, gli accarezzava i sottili capelli e una spessa spuma bianca si formava su di essi.
— Non aprirli. — Continuò, sciacquandogli la testa con l'acqua tiepida.
Poco dopo lo fece alzare in piedi - be', per modo di dire, visto che l'acqua gli arrivava poco sotto la gola - e gli insaponò anche il corpo, per poi togliere il tappo sul fondo della vasca iniziando a togliergli il sapone di dosso.
— Posso aplile li occhi?
— Sì, ora puoi. — Jonathan annuì mentre lo prendeva in braccio e lo avvolgeva in un telo decisamente più grande di lui, strofinandolo per bene. Prese un'altra asciugamano e gli arruffò energicamente i capelli, asciugandoli in poco tempo.
— Dovremmo proprio tagliarli, sai? — Chiese retoricamente, prendendo in mano una ciocca bionda abbastanza lunga.
— No! — Ian si portò le mani alla testa. — Lunghi!
— Andiamo, Ian, così assomigli troppo a Jace l'angioletto. No no, un po' li taglierai. — Insistette, proprio come un bravo papà. Stava perdendo la sua anima, se anima si poteva definire, da spietato assassino. Almeno era insieme a Ian, insieme a tutte le altre anime perse… 
— Uffa!






— Okay, lo ammetto, mi hai battuto. — Jean sorrise in direzione di Jace.
Col cavolo che mi avresti battuto se solo avessi potuto combattere al pieno delle mie forze, brontolò interiormente, ma la cosa non gli dava troppo fastidio. Cioè, meglio quello rispetto a ciò che sarebbe successo…
— Ovviamente. Senti, adesso devo proprio andare, Izzy mi ha incastrato in una seduta intensiva di shopping.
— Sì, ed io sono Jonathan Shadowhunter. Cosa non vuoi dirmi? — Jean si avvicinò scrutandolo con occhi curiosi.
— Cosa dovrei nasconderti? Vado con Isabelle soltanto perché è meglio che mangiare una delle sue zuppe! — Si difese il biondo, facendo una smorfia disgustata.
L'altro sorrise: oh sì, le zuppe di Izzy. Anche quelle, così brutte e dal sapore orribile, gli mancavano un po'. Un po' tanto.
— Va bene, facciamo finta che ti credo. Anzi, ti credo proprio. Ma c'è qualcos'altro che mi nascondi, non è vero? Qualcosa che tutti voi non volete dirmi.
— Cosa te lo fa pensare? — Jace estrasse una lima dalla tasca dei jeans e ritoccò le sue unghie già perfette.
— C'è l'imbarazzo della scelta! Appena arrivo smettete di parlare, e quando pensate che non vi vedo mi osservate. C'è forse qualcosa su di me che nemmeno io stesso so? — Chiese, ironico.
— Oh sì. Ti ha mai detto nessuno che sei decisamente troppo sospettoso per essere solo un ventiquattrenne? Hai detto di aver partecipato a delle guerre. Quali e quante, se negli ultimi vent'anni ce n'è stata solo una e tu sei troppo giovane per aver partecipato ai primi Accordi che Valentine mandò all'aria? 
Jean serrò le labbra. Come aveva fatto ad essere così stupido?
Era stato troppo precipitoso, troppo avventato, ed aveva mandato tutto all'aria. 
Avrebbe dovuto usare più cautela e stare ben attento ai dettagli che concedeva agli altri, senza lasciarsi sfuggire informazioni compromettenti. Ma ormai il danno era fatto, quindi che fare?
— Hai ragione. — Disse, sorprendendo se stesso oltre che Jace. — Forse ho gonfiato un po' troppo le cose, in effetti. Molto. — Confessò, abbassando lo sguardo come se si sentisse davvero in colpa.
Jace scoppiò inaspettatamente a ridere e gli fece l'occhiolino: — Ecco, questo sì che era quello che volevo sentirti dire! Non sia mai che qualcuno mi rubi il titolo di pallone gonfiato, no? — Gli sorrise amichevolmente: — Allora, che ne dici di andare a sgraffignare qualcosa dalle cucine? Stasera tocca a Clary cucinare e fidati, se Isabelle produce zuppe velenose, la mia dolcissima fidanzatina non sa nemmeno come si prepara, una zuppa! — Lasciò cadere il pugnale che brandiva sul tavolo e si diresse verso la porta della stanza, seguito dal più grande. 
Certo, quel che Jean aveva tralasciato era che, volente o nolente, Jace era pur sempre stato cresciuto Valentine, ed era più astuto di quanto dimostrasse… il maggiore era appena caduto nella trappola del Cacciatore che, soddisfatto, già pregustava quelle piccole distrazioni che Jean si sarebbe fatto sfuggire e che, ovviamente, l'avrebbero condotto diritto diritto alla vera identità del moro. 




 
A.A:
Okay, un capitolo ricco di avvenimenti, anche se per me è più che altro di passaggio. ^.^
Che dire… mi sono voluta un po' rifare con la lunghezza, - il mio Mac non conta le parole (o forse sono io che non conosco l'opzione… qualcuno che lo sa c'è? ^.^) quindi io mi arrangio e conto le righe (perché già mi scoccio a contare le parole di una drabble, ma contare quelle di un intero capitolo di questa storia è mostruoso), come avrete ormai capito - con ben 256 righe. Non il mio massimo, certo, ma molto più lunghe delle normali 130-140, vi pare? ;)
Coooooooomunque, non fate caso ai miei scleri, ho appena finito di vedere Doctor Who Special IV stagione "The end of time", ep. 4 parte 2, e sono… be', emotivamente - parecchio - instabile, perché Ten è morto ed io sono in lutto. Per chi non segue DW, sappiate che per me perdere Ten è come uccidere Jonathan, straziante. E comunque non preoccupatevi, non ve lo ammazzo Johnny - non in questa ff almeno… -, io sono più brava dei produttori del cacchio che mi hanno ucciso John Smith/Doctor-10. 
* Certo, l'importante è crederci… NdJonathan che alza gli occhi al cielo *
* Zitto tu! NdMe *
Finendo anche la parte sclero - lasciatemi perdere, è tutta colpa di Ten… o dei produttori, certo. - che altro devo scrivere? 
Ehm… ah, sì!
Il mistero Jean s'infittisce: chi diavolo è 'sto povero ragazzo? È buono? Cattivo? Tutti e due - XD -? Le scommesse sono aperte, signori e signore, fan-boys and fan-girls! 
Giusto per farvelo sapere… chi indovina o pensa di averlo indovinato e me lo fa sapere - preferibilmente tramite messaggio privato e non per recensione, perché c'è gente che critica (non è il mio caso ma non si sa mai) pensando che lo faccia solo per più commenti, inoltre EFP vieta le votazioni tramite recensione e anche se questa non è una votazione preferisco non rischiare. Quindi, la risposta sarà valida SOLO  via MP! -, be'… nel caso in cui avrà azzeccato con l'ipotesi riceverà ben TRE spoiler:
Uno su COM - quindi questa ff, City of Marble -;
Uno su COL - il sequel com'è già stato detto, City of Lies -;
E uno su COT - sequel di COL e quindi terza ff di cui ancora non si sa il nome -;
I primi due spoiler - COM e COL, a scanso di equivoci, obbligatoriamente in quest'ordine - sono già definiti, non si cambiano, ma il terzo è a scelta del vincitore. Può chiedermi di svelare per cosa sta la sigla "COT", se ci saranno nuovi personaggi e i loro nomi, UNA SOLA morte, se ci sarà ovviamente e così via…
Poi starà al vincitore decidere se rendere l'informazione di pubblico dominio o tenerla per sé, ovviamente.
Sempre se qualcuno indovina - o vuole partecipare -, certo. ^.^
E questo è tutto, gente.
A presto,
-D.
P.S: All'inizio non sapevo cosa scrivere… ora che riguardo le AA mi accorgo che sono lunghissime… O.O

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Capitolo 24
*** XXIV - Scambio di rosse ***


Shadowhunters - City of Marble
XXIV - Scambio di rosse

Clary disarmò con soddisfazione Isabelle, sogghignando mentre la spada della mora voleva qualche metro più lontano.
— Ah, vedi se questa non me la lego al dito! Cos'avevo detto a Jace? "Ce la farò, imparerò ad usare bene una spada" e lui ovviamente non mi ha creduto! Ma ce l'ho fatta, no? Stupido idiota arrogante… 
Isabelle ridacchiò, scuotendo il capo. — Adesso non montarti la testa, rossa, solo perché hai vinto una battaglia non significa che vincerai anche la guerra! — Esclamò, riprendendo la spada e tornando all'attacco.
Clary si mordicchiò le labbra: già, quanto era vero. Peccato che loro, più che vincere le battaglie contro Melchizedeck, restavano in piedi e si difendevano strenuamente. Ma di vittorie… neanche l'ombra.
Con uno sguardo deciso in volto anche la rossa iniziò a contraccambiare i colpi, schivando per un pelo una finta che l'amica aveva fatto.
— Più veloce, più veloce! — La esortò Isabelle, aumentando il ritmo dei fendenti.
Clary prese fiato ancora una volta e le si gettò contro per un attimo, spiazzando Izzy che, decisa a resistere a quell'assalto fisico, tenne bassa la guardia permettendo così all'altra di provocarle un taglio sulla spalla.
— Continua! Penseremo dopo agli iratze. — Ordinò la corvina, danzando sugli stivali con tacco a spillo che indossava. Quanto erano alti, per Raziel?!
L'altra si chinò, evitando per poco un colpo che le avrebbe tranciato di netto la testa, e scattò di nuovo in piedi, cercando di infilare la punta della spada nell'elsa dell'altra, mossa che fallì miseramente, provocando a Clary un taglio sul polso.
Ringhiò, frustrata, lasciando perdere quella mossa da Codice e riprendendo col metodo più brutale: dopotutto, in combattimento, i manuali di scherma non valevano nulla.
Nonostante Clarissa fosse più bassa e, effettivamente, sembrasse anche più gracile dell'amica, aveva una forza niente male. Certo, un trucchetto del genere non sarebbe stato attuabile contro Alec o Jace, che erano nettamente più grossi e alti di lei, ma per Izzy andava bene.
Impugnò la spada con due mani e la fece scattare in avanti con tutta la forza che aveva in corpo, provocando un cozzare di lame assordante. Sentiva i polsi implorare pietà come se qualcuno li avesse presi a martellate, ma non si fermò e penetrò velocemente nelle difese dell'altra, facendole - non volutamente, certo - un grosso ma poco profondo taglio sulla pancia mentre Isabelle cercava di riprendersi dalla scossa di prima, che l'aveva fatta tremare tutta per qualche secondo. 
— Okay, okay. Stai vincendo anche la guerra, ho capito. — Ansimò Isabelle, lasciando cadere la spada e avvicinandosi al tavolo degli allenamenti, prendendo il suo stilo - che aveva abbandonato lì perché l'ultima volta la rossa, ancora non tanto pratica con le spade, l'aveva quasi tranciato in due -.
— Va bene, credo che per oggi puoi fare a meno di me. Riprendi ad allenarti con il lancio dei coltelli, vado a cambiarmi. — Izzy accenno eloquentemente alla sua maglietta verde militare imbrattata di sangue.
Clary annuì, guardando la ragazza uscire dalla porta principale, ancora col fiatone. Si appoggiò per un attimo al muro, cercando di recuperare le forze per ricominciare l'allenamento.
— Non basta, sai? — Si voltò di scatto verso Valentine, appena entrato dalla porta principale.
— Certo, non ci vuole un genio per capirlo! Ma non aspetterò certo che Melchizedeck mi faccia a fettine senza opporre resistenza… sai com'è, non tutti i cattivi sono idioti come te, sfortunatamente. — La ragazza ammiccò, sfacciata. Non poteva, non doveva avere paura di una persona del genere. Cos'avrebbe potuto fare, del resto? Un passo falso e l'avrebbero rispedito al Console con tanto di bigliettino di scuse e una lunga lista di reclami per tutti i grattacapi che aveva dato loro.
— Stamattina però non avevi il coraggio di chiamarmi idiota, quando ho presentato una strategia d'attacco perfetta alla riunione, vero? Non cercare di controllarmi, Clarissa, tempo perso. Sai benissimo che ti sono superiore.
Clary trattenne un grido esasperato. Era esattamente quello il suo obbiettivo, non poteva cedere così facilmente. No, doveva farlo pentire delle sue parole: — Va bene, lo ammetto, mi sei superiore. — Fece una pausa e un largo ghignò sbocciò sul volto del padre. La diciottenne inclinò di lato il capo, trattenendo un sorriso compiaciuto: — Quindi, perché non mi fai tu da istruttore, se ti senti tanto superiore? 
Per un attimo Valentine parve spiazzato.
— Pensaci. Potresti riscattarti agli occhi di mia madre e sembrare davvero volenteroso agli occhi degli altri in un sol colpo. — Continuò, ridacchiando.
— Non ho bisogno di fare beneficenza per avere Jocelyn, Clarissa. — Valentine sorrise, sottintendendo tutto o niente.
Clary si sentì avvampare quando comprese i significati di quella frase, ma si ricompose velocemente: — Sì, be', ti accontenti dei suoi baci? Andiamo, sappiamo entrambi che ancora ti resiste, che continuerà a considerare tutto quello che fai sbagliato… - e seppe di aver indovinato quando vide una vena pulsare sulla tempia di lui. Sbagliato. Doveva annotarselo da qualche parte, probabilmente era l'esatto termine che aveva usato sua madre… - Aiutarmi potrebbe finalmente redimerti ai suoi occhi.
Valentine alzò gli occhi al cielo: — Certo, come no. Piuttosto, cosa ti fa pensare che riusciresti a reggere uno dei miei allenamenti? 
— Sono sopravvissuta a quelli di Jonathan… sopravviverò anche a questi. E comunque, ho la garanzia che non cercherai di frustarmi. Non sarebbe una bella mossa agli occhi del Conclave, vero? — Clary sogghignò, ironica.
— Ci sono metodi di tortura che non hanno niente a che fare col dolore fisico, sai? Va bene, raccogli la spada. Iniziamo.
— Adesso? — La Cacciatrice sembrò spiazzata.
— Adesso. Com'è che dicono i Mondani? Ah sì, bisogna battere il ferro finché è caldo. Non ti aspetterai certo sconti da me, vero? In guardia! 
Valentine prese dalla rastrelliera su cui erano poggiate varie picche e lance un gigantesco spadone che sembrava alto più o meno quanto Clary. Lo impugnò saldamente con due mani, lanciando un'occhiata sprezzante alla spada corta di Clary - che comunque nelle mani della rossa faceva la figura di una spada di tutto rispetto, vista la scarsa altezza della Cacciatrice - e partendo subito all'attacco.
Roteò la spada tra le mani, probabilmente più per fare scena che per altro, e tentò un veloce affondo dove un attimo prima c'era la testa della Shadowhunter, che nel frattempo si era abbassata ed aveva cercato di colpirlo alle caviglie. 
Valentine scattò indietro qualche istante prima, maneggiando la spada come se fosse una piuma e sciabolandola nell'aria da destra a sinistra, cercando di colpire il bacino della ragazza che evitò per un soffiò l'ultimo scatto della lama, gettandosi di lato.
Il Cacciatore le fu sopra in un secondo e le puntò la spada alla gola. — Morta. — Decretò, sorridendo soddisfatto.
— In piedi. — Ordinò poi, non accennando minimamente ad aiutarla. La rossa tornò in piedi facendosi forza con le braccia, ansimante.
Valentine, nel frattempo, aveva percorso a passo veloce tutta la sala, eliminando gli ostacoli presenti lungo il perimetro.
— Incomincia a correre. Cinque giri, quattro minuti di tempo. — Clary sgranò gli occhi: era una sala gigantesca! 
— E se non ci riesco?
— Oh, ci riuscirai. — Valentine la occhieggiò per un secondo, sorridente. 
Quindici minuti dopo, Clary aveva fatto diciassette giri della stanza. Di corsa. Senza fermarsi. Le gambe bruciavano implorando pietà, il cervello le ordinava di gettarsi ai piedi di quel sadico e pregare, il cuore andava a mille all'ora; eppure lei non avrebbe mai chiesto a quel bastardo di fermarsi, piuttosto sarebbe svenuta sul pavimento! 
— Ferma. — Alleluia! Ha deciso di risparmiarmi, si ritrovò a pensare Clary, inspirando ed espirando forte. Sentiva di stare per morire.
— Prendi i coltelli da lancio. — Ordinò lui, accennando al tavolo poco lontano.
Raziel, ma cosa ho fatto per meritarmi un padre del genere?, Clary alzò lo sguardo al cielo, sbuffando. Come faceva a cacciarsi da sola in pasticci del genere? Era un'idiota!
— Clary! — Jace si precipitò nella stanza, rimanendo piuttosto spiazzato nel vedere i due Morgenstern a meno di cinquecento metri di distanza. La questione però passò subito in secondo piano quando il Cacciatore annunciò: — Melchizedeck ha attaccato l'Istituto di Copenhagen. 




La Recluta-03 chiuse gli occhi, concentrandosi sui rumori attorno a sé.
Non era mai stata una grande Shadowhunter, ma sapeva che con Melchizedeck non si scherzava. Fino a pochi giorni prima era così affascinante, e simpatico, solare, divertente… splendido, in una parola. Peccato che, nell'esatto momento in cui si era legata a lui e alla sua causa con il Giuramento, era diventato più freddo di un ghiacciolo. E più cattivo di Valentine Morgenstern, certo. 
Sospirando, R-03 mosse qualche passo in avanti, indecisa, prima di individuare con precisione la fonte del suono: a ovest, era basso, strisciante, come un sibilo. Un rettile? C'erano poche razze di demoni-rettili in giro, tutte molto rare. E tutte estremamente velenose.
Possibile che ce ne fosse uno lì dentro?
Improvvisamente il suono di una sirena si diffuse nell'arena. R-03 non sapeva cosa significava, era nuova, non aveva certo avuto il tempo di informarsi su tutte le regole che vigevano lì…
Si strappò la benda dagli occhi nello stesso momento in cui un'ibrido spalancava la porta: — Forza, ragazzina! Il padrone ti vuole vedere! — Ringhiò, gettando un'occhiata sprezzante dietro di lei. Anche la recluta lo fece: non era inseguita da un demone-serpente ma da uno stupidissimo Boa Constrictor! Ok, forse per i Mondani sarebbe stato un bel problema, ma perfino il più infimo degli Shadowhunters sapeva come disfarsi di tali idiozie.
Sospirando, lasciò cadere la spada che impugnava e seguì lo stregone - o almeno quello che all'apparenza sembrava uno stregone, perché era più che certa che i figli di Lilith non avessero canini appuntiti come sottili aghi - fuori da lì, mentre imboccavano almeno mezza dozzina di corridoi con altrettanti bivi e svolte.
Alla fine, si fermarono davanti ad una grossa porta a due battenti fatta di un legno rosso che R-03 non riuscì ad identificare. Accanto alla porta, sui lati, due fiaccole e due guardie in divisa blu cobalto. Per quanto le osservasse, la recluta decise che quei due erano semplici licantropi. Cioè, non presentavano segni demoniaci, non avevano canini e non erano nemmeno molto belli. Quindi rimanevano i lupi mannari, all'apparenza piuttosto ordinari ma molto forti.
Solo dopo si accorse con un sussulto che, dai colletti delle divise di entrambi, s'intravedevano gli inizi di diverse rune. Riuscì a distinguere un angelic power, un iratze e la runa del vero nord prima che gli Shadowhunters - ormai era ovvio - le aprissero la porta e l'ibrido dietro di lei - l'unica cosa che sapeva su di lui era il suo nome in codice: soldato 0456 - la sospingesse all'interno della stanza, prima che i battenti si richiudessero dietro di lei.
Senza nemmeno voltarsi, seppe che 0456 non era entrato con lei. Perchè? 
Guardandosi intorno studiò velocemente la sala: era spoglia, vuota quasi, con il pavimento di marmo beige e le pareti nascoste da drappi bordeaux, tranne che per un punto del muro di fronte a lei, dov'era posta una grata nera, di quelle che si vedono nei film e che sono presenti nelle arene romane per le entrate dei gladiatori. L'unico arredo presente era un trono dipinto d'oro ricco di rilievi e dettagli.
Sopra c'era ovviamente Melchizedeck, e al suo fianco due persone.
R-03 non conosceva la prima, una ragazza che non dimostrava più di vent'anni. Aveva spumosi capelli color rame e grandi occhi chiari, un misto tra il verde e l'azzurro, che ben si appaiavano col vizino angelico e la pelle chiara. L'unica nota stonata che riuscì a cogliere era una piccola cicatrice sotto l'occhio. 
Ma il secondo… oh, il secondo lo conosceva eccome. Dovette reprimere una risata di scherno, perché al fianco di Melchizedeck c'era Lucian Graymark. Il buono per eccellenza, il soldatino Nascosto dei Cacciatori, il docile lupetto ed ex-parabatai di Valentine, migliore amico che aveva tradito per un bene superiore
La recluta stirò le labbra in un sorriso, e la ragazza al fianco del capo le rivolse un'occhiata torva che rovinava la sua bellezza da bambola di porcellana.
— Vieni avanti, Recluta-03. — La invitò Melchizedeck, sorridendo indulgente. Lei continuava a pensare che fosse bellissimo, ma in quel momento un orribile ghigno gli deformava il bel volto. 
Solo in quel momento però, la ragazza si accorse di una quarta presenza, esattamente dietro la ventenne. C'era un ragazzino che non dimostrava più di dieci anni accucciato dietro di lei, il volto pallido rigato dalle lacrime e gli occhi iniettati di sangue. Si stringeva le mani al petto come se volesse proteggersi dalla donna stessa, eppure ella non sembrava volergli fare del male.
Osservandolo meglio, R-03 si accorse che attorno ai polsi il bambino aveva dei segni rossi, come se avesse portato delle manette fino a poco tempo prima. Anzi, ora che la ragazza si era spostata un po' riusciva a vedere sottili rivoli di sangue che gli scorrevano lungo le braccia diafane poco muscolose. Nell'insieme il ragazzino sembrava scheletrico, denutrito, gli occhi azzurro cielo spiccavano in maniera paurosa sul volto smunto, con gli incavi degli zigomi messi troppo in evidenza.
Sì, stabilì la recluta, era di certo un prigioniero. 
Represse un moto di pietà per quel ragazzino separato da lei solo da dieci anni di differenza, e rivolse di nuovo lo sguardo verso il capo, pur tenendolo puntato in basso. Non poteva guardarlo negli occhi.
— Sì, mio signore? — Chiese, inchinandosi lievemente.
— Sei qui da due settimane. — Incominciò Melchizedeck, tranquillo. R-03 annuì, cercando di farsi piccola piccola. 
— E prima eri una brava Shadowhunter, o mi sbaglio? — La recluta annuì ancora. Non era eccellente, niente a che vedere con i veterani o con Jace Herondale, ma era nella media. Aveva partecipato alla battaglia di Brocelind contro Valentine, nonostante all'epoca fosse a malapena maggiorenne, e ne era uscita viva. Non indenne ma viva, e questo le bastava per dimostrare di essere quantomeno capace di ammazzare i demoni.
— Bene, allora oggi ci sarà il tuo primo vero battesimo di fuoco alle armi, nel mio esercito. — La ragazza impiegò qualche secondo a decifrare quelle parole, ma quando riuscì ad elaborarle tutto le fu tremendamente chiaro.
Un battesimo di fuoco con le armi, certo. Una battaglia.
— Dove, mio signore, se posso chiederlo?
A sorpresa, Luke scoppiò a ridere. — Tu non scenderai in battaglia, ragazzina. — Spiegò, scuotendo il capo come se non potesse nemmeno pensare ad una tale idiozia. R-03 si sentì avvampare di rabbia e odio verso il Nascosto. — Parte dell'esercito è già schierato a Copenhagen. Tu non ci servi come soldato, R-03, ricorda che tu sei una spia. Dovrai soltanto battere loro, ora. 
Proprio in quel momento, dietro la grata, comparvero tre demoni di diverse specie. La recluta li riconobbe: un demone Vetis, un Raum e uno Shax. Niente con cui scherzare, insomma. 
E poi la grata si sollevò, lasciando libere le bestie. 




— Quindi aspetteremo. Il Console ci ha mandato un messaggio di fuoco. — Annunciò Jocelyn, quando anche Valentine e Clary entrarono nella stanza. Il primo si appoggiò allo stipite, tranquillo e anche vagamente soddisfatto, mentre la seconda si lasciò cadere su una sedia con aria esausta. 
— Acqua… — Rantolò la rossa, accasciandosi. 
— Su, Clary! Contegno! Sembra quasi che tu abbia combattuto con i Cacciatori di Copenhagen! — La rimproverò Izzy, scoccandole un'occhiataccia.
— Fidati, Iz… ho fatto di peggio. Confrontati con me, loro stanno una meraviglia! — Borbottò l'amica, chiudendo gli occhi.
— Ma cosa diavolo le hai fatto? — Si azzardò a chiedere Jonathan in direzione del padre.
— Allenamento. — Valentine scrollò le spalle. — Allora, la lettera del Console?
— Come sapete, Maryse è a Idris con il Console e l'Inquisitore e molti dei capi degli Istituti principali. Quindi, in sua assenza, le decisioni saranno prese per votazione. — Jocelyn dispiegò la lettera apparsa tra le fiamme e prese un profondo respiro, leggendo velocemente.
— Non dice molto. Jia ci invita a mantenere la calma e, nel caso fossimo di nuovo sotto assedio, di contattarla immediatamente per dei rinforzi. Per ora viene messa in atto la procedura standard, coprifuoco alle nove e divieto di uscire da soli, i gruppi devono essere di tre o più persone. Nel caso altri Istituti fossero presi di mira, ci farà avere nuove istruzioni. 
Alec annuì, come tutti gli altri, del resto. Cos'altro si poteva fare?
Jean, invece, si agitò lievemente sul posto, incerto. Se le uscite erano a tre, come avrebbe fatto a terminare quei dannati preparativi? L'unica opzione era farlo di nascosto.
— Okay. Quindi chi inizia con i turni di guardia? — Jace spostò il peso del corpo da un piede all'altro, determinato: non si sarebbe fatto abbattere dalla paura all'inizio. Perché lo sapeva, quello era solo l'inizio di tutto, la guerra vera si vedeva all'orizzonte ma di certo non era ancora arrivata. 
— Non è stato ancora stabilito. Per stanotte, comunque, ci sarò io all'inizio e poi Valentine, Magnus e uno dei soldati assegnati dal Conclave per la pattuglia all'Istituto, quindi potete andare a riposare. — Rispose Jocelyn, senza alcuna remora. Se all'inizio c'era stato un po' d'attrito tra i due, anche perché Jocelyn continuava a vedere l'ombra del suo - una volta - defunto marito in lui, nei suoi gesti, nel suo tono e nel suo modo di parlare, perfino in alcune sue idee, con l'arrivo di Melchizedeck tutto si era complicato, e comunque era matura abbastanza da ammettere che Jace non aveva fatto nulla di male. Inoltre, proprio in quelle circostanze, non avrebbe potuto proprio accusarlo di essere simile a suo padre adottivo, non quando lei andava a letto con lo stesso Valentine. 
— Okay, adesso andiamo a cena e non pensiamoci, che ne dite? — Propose Jean, cercando di ritrovare la tranquillità. Aveva un'aria spossata anche lui, ma nessuno ci aveva fatto molto caso, dopotutto nemmeno si era integrato per bene. Se Clary aveva subito provato ad interagire con Alec, Isabelle e Jace, due anni prima, entrando piuttosto in fretta nel loro "circolo esclusivo", Jean era quasi stato emarginato intenzionalmente, tutti si chiedevano come mai un ragazzo così giovane fosse così impaziente di farsi travolgere dalla guerra. E, ovviamente, Jonathan aveva tutta l'intenzione di scoprire il perché di quelle "manie suicide in stile angioletto", come le aveva ribattezzate. 
Non a caso si fece avanti proprio in quel momento: — Jean, puoi seguirmi un attimo?
L'altro assentì, gli occhi lievemente sgranati. Ci mancava poco che s'indicasse il petto con le dita e dicesse qualcosa tipo "Io? Stai parlando proprio con me?".
Comunque cinque minuti dopo erano in camera di Jonathan - e Ian, ovviamente -, entrambi fermi sulla soglia ad osservare il bambino che giocava con delle costruzioni di legno, tutto intento a cercare di fare quello che avrebbe dovuto essere una grande torre.
— Papà, guadda! — Esclamò poi, estasiato, indicandogli i mattoncini di legno che, a dire il vero, sembravano impilati a caso l'uno sull'altro.
— Be', almeno sappiamo che da grande non farai l'architetto! — Jonathan sogghignò, sedendosi accanto al figlio e facendo cenno a Jean di imitarlo mentre cercava di aiutare il bimbo a dare una forma alle costruzioni anche solo vagamente simile a quella di un castello.
— Mi chiedevo se potessi tenerlo un po', quando sono fuori in missione. Gli altri non ci sono quasi mai, e mi è parso di capire che non ti affidano molte volte compiti fuori dall'Istituto. Non sarebbe ovviamente spesso, diciamo una volta ogni quindici giorni o giù di lì, quando non riesco a risolvere tutto in qualche ora.
— Okay. Ma… di quali faccende stai parlando? — Jean inarcò un sopracciglio, sinceramente curioso. 
L'altro lo osservò per qualche secondo, apparentemente impassibile. Eppure… c'era qualcosa che non andava in quel ragazzo, anche nel suo aspetto, che però proprio non riusciva a cogliere. Cosa non vedeva?
— In veste ufficiale sono l'ambasciatore del Conclave per i trattati di pace con gli araldi di Melchizedeck, in via ufficiosa…
— … Un torturatore di lusso. — Concluse per lui il maggiore, sorridendo lievemente.
Jonathan capì subito cosa c'era di sbagliato quella volta. Come poteva Jean sapere il suo reale incarico se ne aveva parlato soltanto con sua sorella, che non frequentava quasi per niente il ragazzo? Certo, non era difficile immaginare cosa facesse e nemmeno capire tutto dalla sua iniziale frase, ma era teoricamente e tecnicamente impossibile che il ventiquattrenne avesse anticipato le sue esatte parole. Cosa diavolo… ?
— Esatto. — Si costrinse a dire, mentre aiutava Ian a rimettersi in piedi per posizionare un mattoncino di legno piuttosto in alto per gli standard del bambino. 
Tanto per fare conversazione, Jean si schiarì la gola: — Ehm, sei albino. Non si vede molta gente albina da queste parti, o almeno da quanto ho visto io. 
— Origini svizzere. Tu invece da dove vieni? — Quale momento migliore per iniziare a sondare il terreno? Un'osservazione come quella era come un invito a nozze!
— Sono nato qui in America, ma poi mi sono trasferito con i miei fratelli e i miei cugini a Berlino. Non ci siamo restati per molto però, in realtà abbiamo viaggiato in luoghi diversi fino a quando non ho deciso di venire qui.
— E come mai hai deciso di venire qui?
Jean si trattenne a stento dallo sbuffare, mentre recuperava una costruzione caduta. Davvero lo stava sottoponendo a un interrogatorio?
— I miei fratelli minori sono diventati maggiorenni, i miei cugini lo sono già da un po' ed io, nonostante abbia terminato l'addestramento e visitato molti luoghi, non mi sono mai fermato in un Istituto per fare esperienza. Ho pensato che sarebbe stato interessante da fare.
Jonathan non chiese perché proprio New York: da come Jean aveva sviato le domande di Maryse e gli altri, sapeva che se avesse anche solo nominato l'argomento lui sarebbe tornato sulla difensiva e allora addio interrogatorio mascherato.
— Mh… un secondo. — S'interruppe per un attimo, come se avesse rammentato proprio in quel momento la questione. Esisteva l'Oscar per le bugie? Si sarebbe accontentato di quello per la miglior recitazione, però. — Hai detto che ti sei trasferito con i tuoi fratelli e i tuoi cugini. E i tuoi genitori?
— Sono morti quando avevo quattordici anni. — Rispose lui, irrigidendosi lievemente. Più per il dolore che per la reticenza a parlare, comunque. 
— E non avevi zii? O comunque parenti?
— No, tutti morti, sterminati da dei Nascosti. Così sono andato all'Istituto di Berlino con quello che era rimasto della mia famiglia. — Jean serrò le labbra, teso. Per un attimo lo guardò come altri avrebbero guardato il Santo Graal o l'Elisir dell'eterna giovinezza. Perchè?
— Hai detto di non essere stato in Istituti stranieri. — Gli fece notare Jonathan.
— Infatti. Prima vivevo a Idris, e quando sono stato all'Istituto di Berlino ho incominciato a considerarlo la mia seconda casa. Me ne sono andato con gli altri a sedici anni, la mia famiglia aveva varie tenute in tutto il mondo e abbiamo passato un po' di tempo, be'… ovunque.
— Non ho mai sentito il cognome Arsh. — Jonathan si accigliò: quello era un dettaglio che gli era venuto in mente solo in quell'istante. Arsh non era un cognome composto, per di più, quindi non era nemmeno da Shadowhunter. Era fittizio, ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Jean maledisse mentalmente se stesso. Come aveva fatto a non pensarci? Avrebbe dovuto cercare una casata decaduta e inventare una storia plausibile di sana pianta, e invece aveva creato un cognome sulla base dei sentimentalismi, che perlopiù non era composto. Che idiota! 
In un attimo vagliò tutte le possibilità che aveva: inventare una balla al volo sperando che se la bevesse, scappare - opzione praticamente impossibile da attuare -, o dire una mezza verità.
— No, infatti. Ho chiesto al Conclave di cambiare cognome quando i miei genitori sono morti, non riuscivo nemmeno a sentire i loro nomi. All'inizio ero arrabbiato con loro, erano usciti indenni da retate ben più pericolose e si erano fatti uccidere da cinque o sei Nascosti… quando poi mi sono accorto che non era colpa loro, be'… era troppo tardi.
Il maggiore scosse il capo chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, Jonathan si accorse che erano lucidi, intrisi di un dolore vero, nessuno avrebbe potuto fingere una cosa del genere.
Accettò la risposta e, dopo qualche minuto, chiese: — Chi ti resta della famiglia?
Jean parve illuminarsi come quando regalava a Ian un gelato, osservò Jonathan, sogghignando, e poi iniziò a parlare: — Ho tre fratelli minori e tre cugini, sempre più piccoli di me. — Fece una pausa, sorridendo estatico come se l'avessero appena eletto Console. L'albino avrebbe messo la mano sul fuoco su quello, Jean metteva la sua famiglia avanti prima di tutto il resto.
Quella, perlomeno, era una scelta che riusciva a comprendere.
— I miei primi fratelli minori sono gemelli, hanno diciotto anni, si chiamano Regina e Christopher. 
Jonathan assentì, mordicchiandosi il labbro inferiore. Sì, era un nome abbastanza comune, ma era interessante che il suo secondo nome fosse anche quello del fratello di Jean.
— E poi ho un altro fratellino di quattordici anni, si chiama Sebastian. 
Sebastian… lui aveva conosciuto un tizio che si chiamava così, vero? Ma dove… ah, sì! Sebastian Verlac, il tipo che aveva ucciso per prenderne il posto ad Alicante, dai Penhallow.
— Poi ci sono Will e Val, hanno vent'anni, sono miei cugini da parte di padre. Hanno anche una sorellina più piccola di dodici anni, Martine. 
Jonathan annuì: — Un'ultima cosa, perché ormai sono curioso… Se tieni così tanto a loro, perché li hai lasciati soli
Jean sembrò gelarsi sul posto, come se gli avessero comunicato che la fine del mondo era imminente. E poi gli cadde una costruzione in testa, certo.
Si voltò verso Ian, sorridendo, e gli scompigliò i capelli. — Cusa. — Borbottò il bambino, imbronciandosi.
— Papà, devo andale in banio! — Continuò, voltandosi verso Jonathan, che si alzò e aiutò il bambino a fare lo stesso. 
— Pensaci, poi mi risponderai. — Concluse l'albino, uscendo dalla stanza. 




Intorno all'Istituto tutto era silenzioso, le guardie ritte in piedi, con spade alla mano, sembravano statue con gli occhi vigili, unica parte del corpo in costante movimento. 
Lucian sorrise. Stupidi idioti, pensò. Si vantano tanto di essere imbattibili, e alla fine trascurano le cose più ovvie.
Cioè, si chiedeva, che senso aveva piazzare sentinelle lungo il perimetro, ogni tot di finestre e perfino sottoterra ma non sul tetto? Era una mossa da cretini! Ma tanto meglio, alla fine per lui andava bene così, anzi. Non voleva certo lamentarsi! 
Scosse il capo, cercando di concentrarsi, e si acquattò dietro una statua. Okay che erano stupidi, ma non poteva permettersi errori per nessun motivo al mondo. 
Si morse le labbra e strisciò sempre più vicino alla porta che dava sulle scale, che a loro volta scendevano e davano sulla grande soffitta.
Dopotutto, aveva avuto parecchio tempo per imparare tutta la pianta del mastodontico palazzo. Si guardò intorno un'ultima volta e iniziò a scendere velocemente le scale, cercando di non far rumore e rimpiangendo per l'ennesima volta le Rune. Se avesse indugiato un po' su ogni scalino, invece, il legno avrebbe scricchiolato e avrebbe svelato ad un'eventuale persona guardia che non tutti erano dove dovevano essere.
Si appiattì contro il muro quando un Nephilim gli passò davanti, stregaluce e picca alle mani.
Trattenne il fiato e continuò a camminare, imboccando un corridoio laterale. In poco tempo fu davanti ai corridoi delle camere: non aveva bisogno nemmeno di una luce per orientarsi, tanto gli erano familiari quei luoghi.
Camminò velocemente fino alla porta della stanza di Clary e vi poggiò sopra l'orecchio, affinando i sensi: niente, tranne uno strano respiro regolare.
Aprì silenziosamente la porta - Clarissa gli aveva addirittura facilitato il lavoro tracciando una runa silenziante sui cardini d'acciaio - ed entrò nella stanza, fermandosi di botto. Le cose si complicavano.
Ecco perché quel respiro sembrava così strano! Non era soltanto uno, bensì ce n'erano due. Clary e Jace, avvolti da un sottile lenzuolo bianco, erano più che sicuramente tra le braccia di Morfeo.
La rossa sembrava totalmente rilassata, il corpo abbandonato sul materasso ed il volto verso il fidanzato, mentre lui la stringeva per la vita con un braccio, mentre aveva l'altro sotto il cuscino, dove Lucian ipotizzava che tenesse sempre un'altra.
Non aveva mai fatto caso a quel particolare, ma era più che certo che Jace avesse il sonno leggero. Doveva soltanto tentare la buona sorte, giunto a quel punto.
Avanzò lentamente cercando di non fare il benché minimo rumore, fino a  quando non si trovò ad un soffio dal volto di Clary. La sciolse dolcemente dall'abbraccio dell'alto, tremando quando lui si rigirò nel sonno, abbracciando il cuscino, e prese in braccio la ragazza.
S'incamminò un'altra volta verso la porta ed uscì fuori.
L'uscio non si era ancora chiuso quando sentì la punta di una lama sul collo.
— Sai, continuo a chiedermi perché tutti riteniate che Jonathan sia più pericoloso di me. Sono stato cresciuto anch'io da Valentine, sai? Anche a me ha insegnato ad uccidere senza pietà. — Sussurrò Jace, incidendo lievemente la pelle del licantropo. Una gocciolina rossa gli macchiò il colletto della camicia.
— Andiamo, Jace, cosa dici? Sono qui per portare Clary da…
— Da chi, Luke? Quale scusa vuoi propinarmi? Magari la volevi portare ad una festa a sorpresa per il suo compleanno? Notizia dell'ultimo minuto: sarà tra più di undici mesi. — Jace riprese fiato, serrandogli un braccio intorno alla gola. — Quindi, adesso tu posi Clary in camera e vieni con me. — La su voce era carezzevole come fiele.
— Credi davvero di spaventarmi? 
— Oh, fidati, io posso fare molto di più che spaventarti. — Affondò il coltello ancora un po' nella carne di Lucian e strattonò velocemente Clary, rimettendola in piedi. La rossa aprì gli occhi, trasalendo alla strana scena davanti a lei.
— Jace, ma cosa… ?
— Clary, ti prego. Non so cosa gli sia preso! Aiutami! — Luke sgranò gli occhi azzurri, cercando di sembrare terrorizzato.
La diciottenne spostò lo sguardo dall'uno all'altro, per poi voltarsi verso il licantropo: — Credi davvero che non mi fidi del mio futuro marito? Come potrei sposare un uomo che non sono certa di conoscere?
— Andiamo, Clary! Non puoi fidarti più di lui! Lo conosci da qualche anno, io ti ho cresciuto…
— Sì, e poi te ne sei improvvisamente andato per un litigio con mia madre. Se mi avessi davvero voluto bene, Luke, avresti continuato a starmi accanto, indipendentemente dalla mamma…
— Avevo da far…
— Risparmiami la pappardella. — Clary ignorò il nodo che le si stava formando in gola. Non sentiva il suo cuore che si frantumava in un milione di schegge, no, per carità, era tutto perfettamente a posto. Cosa poteva esserci di sbagliato? Era solo l'ennesimo tradimento da parte dell'ennesima persona a cui voleva bene, di cui era certa di potersi fidare.
— Clary, va a chiamare Valentine. Sono certo che sarà più che felice di fare quattro chiacchiere con il suo caro vecchio parabatai. — Annunciò Jace, sorridendo al Nascosto, che rabbrividì.
Prima d'allora aveva visto quel sorriso bestiale, tutto denti, su Valentine, su Jonathan, una volta persino su Jocelyn… ma mai su Jace. Lui era il ragazzo d'oro, quello buono, quello dalla parte degli angeli… come avevano potuto tralasciare il fatto che, indipendentemente dal sangue che gli scorreva nelle vene, era un Morgenstern? Era stato adottato da Valentine, e all'educazione di quella famiglia non si scampava, mai.
C'era chi non aveva bisogno dei loro rigidi dettami… chi, come Clarissa, nasceva naturalmente inclinata verso il male grazie a quel sangue corrotto, quei geni malati, e c'era anche chi come Jocelyn o Jace diventava un Mogenstern. La sostanza era la stessa, quel cognome traviava tutti coloro che lo portavano, nel bene e nel male. 
I Morgenstern erano potenti, oscuri, forti…
Quella fu la prima volta in cui la fede cieca che Lucian riponeva in Melchizedeck vacillò.




Clary corse lungo il corridoio, frastornata. Non riusciva a capire cosa stava succedendo, l'unica cosa di cui era certa era che poteva fidarsi di Jace, quindi avrebbe chiamato Valentine. Anzi no, prima avrebbe chiamato sua madre, per evitare qualunque azione catastrofica fosse balzata in mente al folle.
Si fermò davanti alla porta della camera di sua mamma abbastanza composta, se la situazione non fosse stata così strana sarebbe scoppiata a ridere. Perlomeno le corse sfiancanti che Valentine l'aveva costretta a fare avevano dato qualche risultato, anche se la distanza non era la stessa.
Scosse il capo e, senza bussare, aprì la porta. O meglio, cercò di aprirla, perché la maniglia non voleva saperne di ruotare.
Per un secondo pensò che fosse chiuso a chiave, ma scartò velocemente quell'ipotesi: in quel caso, la maniglia avrebbe almeno dovuto girarsi, mentre qui non si muoveva proprio.
Lo stesso valeva se Jocelyn aveva messo qualcosa dietro la porta, quindi non era nemmeno quello.
Ispezionò velocemente la porta, ma nessun segreto misterioso si svelò a lei. Irritata e anche preoccupata, sbuffò e spinse la porta con le mani, non smuovendola nemmeno di un millimetro. Il suo indice, però, aveva sfiorato qualcosa.
Si chinò in avanti, non muovendo il dito, e quando finalmente si decise a toglierlo vide una minuscola runa di chiusura.
Sbuffando, prese lo stilo e la cancello velocemente, aprendo la porta di scatto.
Non vagliò nemmeno per un secondo l'ipotesi che sua madre potesse essere… ehm, in compagnia. 
Entrò e mosse un paio di passi felpati: — Mam… — La voce le si strozzò in gola, per non parlare del respiro.
Un secondo dopo riuscì a riprendersi, o perlomeno a riavere un minimo di contegno. Lo sapeva, no? Era ovvio che prima o poi sarebbe successo… quindi meglio prenderla con filosofia. Non avrebbe dato al beota la soddisfazione di vederla svenire senza nemmeno avere qualcosa di morbido - si sarebbe accontentata anche di un tappeto! - sotto di lei.
— Spero che abbiate usato un preservativo. Comunque sia, Valentine, Jace mi manda a dirti che vuole la tua collaborazione in una chiacchierata con Luke. — Annunciò, facendo voltare di scatto i due.
Jocelyn arrossì fino alle orecchie e spinse subito via il marito, arrotolandosi in parte del lenzuolo mentre lui si copriva meglio con l'altro lato. 
— Una chiacchierata con Lucian, dici? E come mai sarebbe tornato? 
Clary scosse la testa alla domanda di sua madre. — Non ne ho idea. Valentine, credo che la questione fosse piuttosto urgente, faresti meglio ad andare. — Si morse le labbra ed uscì dalla stanza, sospirando. 
Qualche minuto dopo ebbe raggiunto Jace nella Sala Musica. — Davvero volete parlare qui? Povero pianoforte… — Mormorò, lanciando un'occhiata obliqua ai due.
— Clary… — Serrò le labbra. Jace era probabilmente l'unico che riusciva a vedere quel misero cuore rattoppato che le era rimasto sgretolarsi in tanti piccoli pezzi. Fino ad ora non si ero mai resa conto come fosse difficile mantenere una facciata dura, composta, in situazioni come queste. E proprio in questo momento comprese come si era sentito Jace quando aveva pensato che suo padre, Michael Wayland, non era altro che Valentine Morgenstern. Che entrambe le opzioni poi, fossero sbagliate, quella era tutta un'altra storia.
— Io… non credo di voler restare. Valentine sta arrivando, comunque. Luke, mi… ti volevo bene, ma forse avrei dovuto lasciarti infilzare a Roosevelt Island. — Sussurrò poi, voltando loro le spalle e uscendo velocemente dalla stanza, scontrandosi con il beota.
— Clarissa. Non rimani? — Chiese, inclinando di lato il capo. Ecco da chi aveva preso quel vizio Jonathan quel vizio! Anche Jace, se ci pensava. Si accorse che, seppur indirettamente, anche lei tendeva a spostare lievemente la testa da un lato o da un altro. Deglutì. 
— No, sono stanca. Credo che andrò a dormire.
Valentine occhieggiò con divertimento i segni rossastri provocati dalla bocca di Jace sul suo collo e ridacchiò, mentre Clary cercava inutilmente di coprirsi con la vestaglia.
— Buonanotte. — Borbottò a mezza voce, e lo sorpassò velocemente. E un'ombra, accanto a lei, svanì nel buio ancor più velocemente di lei.
Quando Jace ringhiò di frustrazione, era già troppo tardi.




Jocelyn si morse le labbra.
Perché aveva convinto Valentine e Jace a rilasciare Lucian? Sapeva anche lei di aver sbagliato, eppure non si potevano cancellare anni di convivenza o quasi in un secondo, dopotutto. Nemmeno se il suddetto Luke era l'amante di Melchizedeck.
Stava per rimettersi a letto quando qualcosa la colpì forte alla testa.
Un attimo dopo, era svenuta tra le braccia del licantropo. 




 
A.A:
Salve, Nephilim ;)
Mi rendo conto che probabilmente ben poche persone ricorderanno questa storia, visto il tempo che è passato dall'ultimo aggiornamento, ma in ogni caso ci provo almeno una volta.
Volevo darvi una spiegazione: non ho smesso di lavorare alla fanfiction, ma in questi mesi ho passato un po' un brutto periodo a casa di cui preferirei non parlare, e per di più il mio computer era praticamente ucciso da una valanga di virus.
Adesso, fortunatamente, dopo il reset e tutta una lunga serie di manovre, è "resuscitato".
Quindi, be', niente… se ancora c'è qualcuno che ci tiene a sapere come finisce, resti sintonizzato, perché io non mollerò ancora una volta <3
Ho già pronto il prossimo capitolo, che verrà pubblicato tra due settimane - lunedì quindici giugno -. Purtroppo non posso pubblicarlo prima perché proprio adesso incominceranno gli esami e vorrei avere ancora qualche capitolo avanti prima di ritrovarmi nel fuoco assassino dei professori, ma prometto che il quindici pubblicherò e circa dopo il venticinque sarò qui puntuale :)
Grazie mille a chi si è fermato a leggere nonostante tutto, e anche a chi ha semplicemente ricordato la mia ff,
-D. 

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Capitolo 25
*** XXV - Protocolli speciali ***


 
SHADOWHUNTERS - CITY OF MARBLE
XXV - PROTOCOLLI SPECIALI

 
— Smettila, per la miseria! Tra poco scaverai dei solchi nel pavimento!
Clary ignorò il richiamo di Jace e continuò imperterrita a camminare avanti e indietro, i pugni serrati lungo i fianchi e l'espressione truce. Sembrava pronta ad uccidere.
— Clary. Calmati. La ritroveremo. — Sussurrò più dolcemente Jace, abbracciandola da dietro.
La ragazza sospirò, chiudendo gli occhi: — È tutto così difficile, Jace. Prima hanno preso Isabelle, poi Ian, adesso mia madre. Perché? Perché proprio lei?
— È colpa tua. — Sentenziò una terza voce.
La rossa si voltò di scatto verso Valentine, appena entrato nella stanza: — Come?!
— È colpa tua. — Ripeté lui, apparentemente impassibile. Eppure una vena pulsava pericolosamente sul suo collo. — Lucian era qui per te, ha preso Jocelyn per farti un dispetto, per incoraggiarti a gettarti nelle braccia del nemico per salvarla, così loro potranno avere te, o meglio, le tue rune.
Clarissa trattenne il fiato. Non poteva negare che la logica di quel discorso era ineccepibile. Se anche avesse voluto difendersi da Valentine, non sarebbe riuscita a mentire a se stessa. Sapeva anche lei che era la verità. La nuda e cruda verità, niente di più, niente di meno.
Perché doveva capitare tutto così in fretta, perché tutto insieme? Non bastava il tradimento di Luke, no, adesso Melchizedeck decideva che era anche ora di strapparle via sua madre. Okay, negli ultimi tempi non l'aveva molto calcolata, ma era sua madre!
— Scusatemi. — Sussurrò, si voltò ed uscì dalla stanza. Si sentì una codarda: ultimamente riusciva soltanto a scappare. Dov'era finita la Clarissa Morgenstern che avrebbe voluto essere?
Corse lungo il corridoio, frastornata, non badando a niente se non alla strada davanti a lei, mentre tentava di tenere la mente sgombra.
Per un attimo, pensò con indolenza che invece il "restyling" stava avendo i suoi frutti. Si allenava con Valentine da cinque giorni, una delle prime cose che le aveva insegnato era correre senza far rumore, e ci riusciva anche piuttosto bene, essendo molto minuta. Il problema era il carattere… rimaneva sempre disgustata da se stessa quando si ritrovava a desiderare per qualche attimo fuggevole la vuota piattezza di Jonathan prima della runa che li aveva uniti.
— Sorellina.
Parli del diavolo e spuntano le corna. Si voltò lentamente verso il fratello, mordicchiandosi le labbra. Ormai vivevano sotto lo stesso tetto da un po' e, anche se non poteva dire di conoscerlo come le sue tasche, avrebbe potuto tranquillamente affermare che iniziava a capirlo, che si stava lentamente aprendo con lei e che, al contrario, lei raccontava di sé in maniera straordinariamente spontanea, vista la sua timidezza. In poco tempo gli aveva propinato tutta la storia della sua vita con tanto di dettagli imbarazzanti e incidenti che avrebbe preferito non ricordare. Era piuttosto espansiva in confronto a lui, effettivamente.
Forse fu proprio perché si stavano conoscendo, o soltanto perché in quel momento la diciottenne aveva bisogno di conforto, fatto sta che si slanciò verso di lui e lo strinse forte, inspirando il suo profumo. Pepe e sole, marchi bruciati e sudore.
— Io non ce la faccio… — Sussurrò, e sapeva che non c'erano bisogno di parole. Lui riusciva perfettamente a sentire quello che provava lei.
La abbracciò goffamente, dandole delle lievi pacche sulla spalla come fanno i maschi quando si sentono in imbarazzo. — Ehi… non posso dire di essere triste per la sua scomparsa, Clary, ma se ti rende felice ti aiuterò a ritrovare Jocelyn. — Annunciò, composto.
Nonostante tutto, anni di rigidi insegnamenti non svanivano in pochi mesi. 
Clary tirò su col naso. Si sentiva una mocciosa, proprio lei che voleva giocare a fare l'adulta. Si strinse maggiormente al fratello mentre lui si sedeva in una nicchia nella parete di marmo, facendola accucciare sulle sue gambe e massaggiandole la schiena.
— Be', perlomeno la convivenza con Ian ha dato i suoi frutti. — Cercò di sdrammatizzare, accennando a lui stesso che la consolava molto meglio di quanto avesse fatto nei loro primi giorni da veri fratelli.
— Già. — Gli diede ragione, stropicciandosi gli occhi e imbrattandosi la faccia di mascara per asciugare le lacrime.
— Sembri un panda. — La prese in giro lui, cercando di cancellarle inutilmente le tracce scure con i pollici.
— Stronzo.
— Lo prenderò come un complimento. Senti… non so… Isabelle mi ha detto che di solito Alec le chiedeva questo quando stava male: c'è qualcosa che posso fare per te? — Chiese, insicuro, talmente stranito da risultare buffo.
Clary trattenne una risata: — Isabelle, eh? E avete queste conversazioni profonde? No, scherzi a parte… sì, c'è qualcosa che potresti fare per me.
Jonathan si sbatté teatralmente una mano in fronte: — Ah, ed io che pensavo fossero solo convenevoli! Allora, cosa c'è? 
— Uhm… una volta Jace mi ha portato in una discoteca. Una discoteca del Mondo Invisibile.
— Non vorrai che ti copra per svignartela col tuo fidanzatino, vero?! — Il mezzo demone strabuzzò gli occhi.
Lei rise e scosse il capo, ma non contagiando gli occhi. — No, no! È solo che… cioè, mi ricordo che aprimmo un Portale. Portava ad una discoteca chiamata Kostri Lustr, Lampadario di Ossa, no? E mi ricordo che cadeva della roba argentea giù dal soffitto. Droga…
— … Fatata, sì. — La anticipò Jonathan, sogghignando: — Fammi capire, vuoi che ti spacci della droga? Non devo anche farti la predica sul non si fa, vero? No, perché quella la riserverò a Jocelyn quando la riprenderemo, Clary. Perché ti prometto che la riprenderemo. — Si fece serio. — Lo giuro sull'Angelo.
Clarissa annuì.
— Sì ne sei convinta o sì vuoi della droga?
— Sì ne sono convinta e sì voglio della droga. È una sera, una sola sera… non voglio pensare a niente. Forse riesco a vedere ancora il mondo fantastico dell'altra volta… — Clary sospirò, giocherellando con i capelli rossi. — Allora, puoi farlo o no?
— Certo, a patto che tu apra il portale. E che la divida con me, certo. Non vorrai prenderti tutto il divertimento? 
Clary sospirò, stanca, accucciandosi meglio su di lui, e spiegò brevemente quello che era successo poco prima. — È un idiota. — Sentenziò infine Jonathan.
— Un idiota che ha ragione, però.
— E allora? Non so se te ne rendi conto, ma in questa famiglia la ragione non si è mai vista né sentita! — Jonathan stiracchiò le labbra in una parvenza di sorriso.
— Dovrebbero invitarci in uno di quei reality-show per gruppi familiari disastrati… 
 
 
Isabelle si morse le labbra, continuando a studiare il suo riflesso nello specchio. 
Indossava la lucida tuta nera di pelle, quella composta da un solo pezzo, e alti stivali al ginocchio dello stesso colore. Aveva lasciato i capelli sciolti, liberi di arricciarsi in morbidi boccoli e il viso accuratamente truccato in stile anni cinquanta (1), le labbra atteggiate in un sorriso seducente.
Non era mai stata una sciocca ragazzina innamorata e non lo sarebbe diventata adesso. Quel che voleva se lo prendeva, checché ne dicessero gli altri. 
Cosa le importava se poi qualcuno avrebbe avuto da ridire? Il passato era il passato, non si poteva riscrivere, bisognava andare avanti. Dopotutto, lei non era una fan delle opinioni altrui (2)!
Si passò la lingua sui denti per cancellare delle piccole tracce di rossetto che vi si erano appiccicate sopra e uscì dalla stanza sorridendo.
— Ehi, Izzy, dove vai co…
Alec si bloccò, fissando qualcosa alle spalle di Isabelle con le sopracciglia talmente alte da sfiorare l'attaccatura dei capelli. Nel contempo, sua sorella si era voltata lentamente spalancando la bocca in una O perfetta.   
C'erano buone probabilità che la Shadowhunter avesse sognato una volta quella scena…
— Cosa diavolo ci fa un Fratello Silente con la veste in fiamme inseguito da Clary?! — Esalò infine Alec, sconcertato. 
In un lampo il buffo duo passò accanto a loro, con la rossa che strappava qualcosa dalle mani dell'inquietante confratello, dispiegando quella che, Izzy comprese, era una lettera del Conclave, a giudicare dal sigillo che era stampato nelle fibre della carta.
Clary sbiancò tutto d'un colpo, come quando prendi il più grande spavento della tua vita e sei convinto di essere finito.
— Clary, cosa… — La ragazza zittì Isabelle alzando una mano e leggendo le ultime righe della missiva.
— Alec, chiama gli altri. Izzy, puoi medicare fratello Enoch? È appena uscito da una battaglia e ha un polso rotto. — Disse infine, decisa. Non attese risposta e si avviò verso la cucina, dove il Nephilim ipotizzava che avrebbe dovuto riunire tutti.
Dieci minuti dopo, fino all'ultima persona presente nell'Istituto era riunita nella stanza; chi seduto a tavola, chi in piedi, altri ancora sul divano o sul tappeto.
— Allora? — Chiese Jean, inarcando un sopracciglio. Non poteva succedere qualcosa in quel momento, per la miseria, doveva ancora finire di organizzare tutto! 
Clary sospirò e si morse le labbra, per poi gettare ancora un'occhiata alla lettera che stringeva tra le mani e iniziare a parlare: — Fratello Enoch è da poco arrivato qui, scampando ad una battaglia che gli Ibridi hanno tenuto per prendere l'Istituto di Parigi, e ha portato qui un messaggio dal Console.
Tutti si fecero immediatamente più attenti, Alec poteva vedere le spalle irrigidirsi e le mascelle serrarsi, le dita ben strette in saldi pugni. Desiderò ardentemente che fosse presente anche Magnus, ma lui non era lì.
— Cosa è successo? — Domandò Jace, guardando fisso la fidanzata. Non potevano esserci altre brutte notizie! Quando, esattamente, la ruota della fortuna avrebbe cominciato a girare per loro? Sospettava fortemente che non sarebbe accaduto mai, o almeno non nel prossimo futuro.
— Hanno preso l'Istituto di Parigi, quello di Dublino e quello di Mosca. Hanno conquistato definitivamente Copenhagen e per poco non hanno preso anche Londra, che è rimasta nelle mani dei Nephilim. Non molti si sono salvati dai massacri. Sono morti circa… — Clary fece una pausa, cercando di guardare dappertutto tranne che negli occhi di qualcuno: — … circa cinquantotto persone, perlopiù Cacciatori in servizio ma anche alcuni bambini. Abbiamo perso il capo dell'Istituto di Londra e quello di Parigi. Dublino e Mosca hanno riportato meno morti nel totale, ma comunque troppe. Sono stati evacuati immediatamente a Idris. Il Console vuole che tutti i Cacciatori si rechino lì entro domattina, sta attivando i protocolli speciali. 
Maryse trattenne bruscamente il fiato, come molti altri nella stanza.
Attivare i protocolli voleva dire riunire tutti i Nephilim a Idris, e riunirsi tutti a Idris voleva dire lasciare il mondo alla mercé di Melchizedeck. Era proprio questo ciò che Jia voleva? 
— Ma è da folli! — Sbottò con veemenza Alec, serrando i pugni. — Se noi ce ne andiamo, chi penserà a… ai Mondani? Ai Nascosti? A questo stramaledetto mondo! — ringhiò. Maryse si accigliò: non l'aveva mai visto così arrabbiato. Aveva ragione, certo, ne aveva da vendere… ma perché lo faceva notare così? Alexander era tutto tranne che un tipo dai gesti plateali. No, quello era il ruolo di Jace, cos'era quell'improvviso scambio di ruoli? 
— Calma, Alec. — Cercò di placarlo Jace, preoccupato, poggiandogli una mano sulla spalla.
— Calma un corno, Jace! Non ti ricordi forse chi è che ti ha aiutato quando eri in tutta quella merda con Clary? E prima dovevi conquistarla, e poi eravate fratelli, dopo ancora era tutto troppo perfetto, poi è arrivato Melchizedeck… ma ora va tutto bene, perché tanto ve ne andate insieme a Idris felici e contenti! E io cosa faccio, eh, Jace?! Come la metto con Magnus, che deve rimanere qui? Come faccio a dirgli: "Ehi ciao, il caro Melchy sta invadendo il mondo e noi ce ne andiamo a fare una vacanza iper-protetta nella nostra capitale… ma tu rimani qui a morire, eh!" — Gli ringhiò contro, avviandosi a grandi passi fuori dalla stanza. — Il mondo non ruota intorno a te, svegliati! — 
Jace spalancò la bocca, sbattendo gli occhi e facendo sfarfallare le lunghe ciglia — Ma… 
— Non ce l'ha con te, Jace. Lo sai. Sta solo cercando una valvola di sfogo. — Mormorò Izzy, accennando con la testa all'uscita. Il Nephilim non se lo fece ripetere e inseguì velocemente il parabatai.
Valentine serrò le labbra: — Ovviamente non ci resta altro da fare che ascoltare l'illustre e sensatissimo ordine del nostro intelligentissimo Console. — Sbuffò, la voce che grondava sarcasmo.
Percorse velocemente i labirintici corridoi dell'Istituto fino ad arrivare alla sua stanza, sbattendosi violentemente la porta alle spalle. 
Cosa saltava in mente a Jia? Ritiratevi tutti, così Melchizedeck prenderà più velocemente il mondo! Non sia mai che venga ostacolato…
Veloce, gettò la sua roba in un borsone. Oh, ma non avrebbe lasciato perdere così! 
No, eppure anche il bastardo lo sapeva bene. Lucian aveva sicuramente detto a Melchizedeck che sarebbe corso a riprendersi Jocelyn, quindi doveva essere più furbo, molto più astuto e molto più cauto.
Sarebbe andato a Idris, facendo perdere a Luke le speranze. Da lì avrebbe localizzato Jocelyn in tutta sicurezza e poi sarebbe andato a prenderla, mentre nel frattempo… be', il caro Melchy, per citare il ragazzo Lightwood, sarebbe stato un tantino occupato…
Tese le labbra in quello che doveva essere un sorriso ma assomigliava più ad una smorfia. Stupido ibrido Nascosto. Non aveva ancora capito contro chi cercava di giocare, e per di più sperando di vincere la partita! 
Aprì le ante dell'armadio e scoccò un'occhiata truce ai vestiti accuratamente ripiegati. Pochi, semplici ma eleganti, che si era procurato qualche giorno prima per non girare costantemente in tenuta da battaglia. I Mondani erano esattamente come se li ricordava: stupidi. 
Appena vedevano una banconota sragionavano e si lasciavano manipolare come idioti. Non che alcuni Cacciatori fossero molto meglio, certo.
Eppure aveva incontrato alcuni Mondani interessanti. Si contavano sulle dita di una sola mano, certo, ma perlomeno c'erano. Non abbastanza da creare un esercito con la Coppa Mortale, ovviamente. Ma dopotutto non c'era bisogno che dei soldati fossero intelligenti.
Scosse il capo, sbuffando. Non poteva pensare a conquistare il mondo adesso, non quando un pazzo Nascosto stava cercando di fare lo stesso. 
 
 
— … E io non so come fare! Non posso, capisci?! Non posso lasciarti qui, non ora! Poi… 
Magnus si alzò, sospirando, e posò le sue mani sulle spalle di Alec. — Alexander. Calmati. — Sussurrò rocamente, ficcando il viso nell'incavo del suo collo. Alec sentiva il suo fiato fresco solleticargli la pelle, ma non riuscì a fermarsi.
— Se ti succedesse qualcosa? Se ti rapissero come hanno fatto con Jocelyn? Se…
Lo stregone gli prese il viso fra le mani, i loro sguardi erano alla stessa altezza. Blu intenso, quasi violetto, che il Nascosto tanto amava, un colore che aveva già visto negli occhi di Will e Cecily Herondale, contro un oro limpido, screziato di verde, la pupilla nera di un gatto che sprizzava preoccupazione.
— Sono qui, okay? Non ti lascio. Troveremo un modo. Te lo prometto. Insieme. — Mormorò, stringendolo tra le braccia e cullandolo, dondolando avanti e indietro.
Di norma sarebbe stato strano per un uomo tanto alto e sottile stringerne uno altrettanto alto ma decisamente più muscoloso, Alec aveva quelle spalle larghe grazie agli allenamenti che Magnus non aveva e non avrebbe mai avuto. Ma, d'altronde, tutto in quella coppia era strano, eppure per loro era semplicemente la normalità.
Erano solo Alec e Magnus, in quel loro magico mondo ovattato, in cui si trovavano per pochi, fuggevoli istanti, più preziosi di tutto l'oro del mondo.
— Insieme. — Ripeté Alexander, più tranquillo, mentre lo stregone si sporgeva per catturargli dolcemente le labbra. Non era un bacio passionale, famelico, era più come… un'ennesima rassicurazione, un contatto che ripeteva che non si sarebbero separati. Mai.
Non l'avevano mai detto, mai nemmeno pensato, era più una sensazione a livello emozionale, eppure lo sapevano: i secoli che li separavano, le razze, le abitudini, il carattere, l'aspetto; niente avrebbe potuto separarli. Erano nati per stare insieme. Per sempre.
 
 
— Ehi, Ian. — Jean si sedette sul tappeto accanto al bambino, porgendogli un altro foglio bianco da colorare.
Era strano vederlo così preso da qualcosa. Ian, ovviamente. Aveva il visino tutto corrucciato a causa della concentrazione, gli occhi talmente stretti che quasi si vedevano solo le pupille argentee, ed era tutto intento a disegnare qualcosa che Jean non riusciva a vedere, visto che il bambino copriva il foglio con le spalle.
— Me lo fai vedere? — Chiese, sorridendo. Ricordava ancora quando lo faceva con Sebastian e Martine.
— Apetta. — Il Cacciatore ci mise un secondo a cogliere il significato della parola: il bimbo non stava parlando di una piccola ape, stava dicendo "aspetta".
— Okay. — Si sedette meglio, a gambe incrociate, cercando di sbirciare il disegno ma senza esiti. Ian era un bambino cocciuto. 
Poteva dire che stava imparando a conoscerlo. Era… strambo, in effetti, tornare tanto indietro, scavare in avvenimenti che ormai credeva morti e sepolti. Ultimamente, era come se Ian vivesse in un mondo ovattato, circondato di poche persone: Jonathan, ovviamente, Isabelle, che passava ogni suo momento libero con quel "bambolotto dolcissimo", come aveva deciso di chiamarlo, e Jean, che si ritrovava irrimediabilmente calamitato verso di lui. 
— Dai, che ne dici di farmelo vedere così dopo andiamo a preparare le valigie, mentre papà prepara la sua? — Chiese, alludendo ovviamente a Jonathan. Erano anni che evitava accuratamente di nominare quella parola, anche riferita a genitori altrui. Nonostante il tempo che passava, quella rimaneva ancora una ferita fresca. Non riusciva proprio a rimarginarsi, figurarsi se sarebbe riuscito a farla cicatrizzare e scomparire. No, doveva fare in modo diverso e, effettivamente, o stava facendo. 
Sorridendo, Ian si voltò verso di lui e reclamò la sua attenzione, distogliendolo dai suoi pensieri. Jean fissò lo sguardo sul disegno, spalancando la bocca in una perfetta O.
Erano figure appena abbozzate, c'era Jonathan che teneva per mano Ian, sull'altro lato proprio lui e, prima, accanto al mezzo-demone, lievemente dietro Ian, Isabelle. 
— Piace? — Chiese il piccolo, gli occhioni scuri illuminati di curiosità.
— È bellissimo, Ian. — Sussurrò, facendo finta di non sentire la sua voce che si spezzava.
Il bambino s'infilò a forza tra le sue braccia, strusciando il viso contro il collo del più grande in una sorta di carezza, un reclamo per delle coccole: — Regalo te. 
Fu istantaneo. Jean sentì uno strano pizzicorio pervadergli il corpo, come quando si provano emozioni intense che però vanno assaporati immobili. In meno di qualche secondo la sua vista si sfocò, appannandosi sempre di più. Non ci volle molto, e la prima gocciolina cadde sul foglio, mentre il ragazzo cercava di mettere a tacere i singhiozzi senza esito.
— Grazie. 
— Tuto bene? Tu piangele… piangele blutto. — Mormorò Ian, preoccupato. 
Proprio in quell'istante la porta della stanza si aprì, facendo entrare Jonathan, che si bloccò sulla soglia, osservando la strana scena. 
Jean si asciugò in fretta le lacrime, talmente in fretta che non si rese nemmeno conto di averlo fatto, e schizzò fuori dalla porta stringendo il disegno al petto come una reliquia. 
Mentre correva lontano, sentì Jonathan chiedere qualcosa: — Perché piangeva?
— Ho regalalo disenio. — Biascicò, fioca, la vocina di Ian.
Anche senza vederlo, poteva quasi immaginare l'espressione a metà fra il curioso e lo scettico di Jonathan.
Jean spalancò la porta della sua stanza, infilando nel frattempo il disegno nella tasca dei jeans. Afferrò il borsone con il quale era arrivato e iniziò a ficcarci dentro tutto quello che si era portato dietro all'inizio. I vestiti, le armi, quel pugnale nero a cui era tanto affezionato, la biancheria, piccole foto e lettere che non aveva ancora avuto il coraggio di aprire, il disegno di un bambino piccolo…
In tutto quello, non ci aveva pensato: come avrebbe fatto ad entrare a Idris se legalmente non esisteva? Non c'era traccia della sua vita negli archivi del Conclave. Se l'avessero scoperto? 
Ma adesso non importava. Adesso c'era solo un povero ragazzo che piangeva con il volto affondato nel cuscino, che poco assomigliava al guerriero che tutti coloro che lo conoscevano davvero erano abituati a vedere, un ragazzo spaesato in un mondo che non riconosceva come proprio, con persone che non erano le stesse che conosceva, e poi senso di colpa per aver messo quel suo sogno davanti alla famiglia che ancora gli rimaneva, paura di quell'ignoto davanti a lui; cosa lo aspettava? Sarebbe morto? Cosa avrebbero fatto gli altri senza di lui? 
Ora sembrava più piccolo dei suoi ventiquattro anni, e nonostante la corporatura massiccia poteva quasi assomigliare ad un ragazzino sperduto, forse per la posa rannicchiata, o il viso arrossato dall'ansia e solcato da lacrime di terrore.
Jean, come tanti altri, era solo un ragazzino perso e cresciuto troppo in fretta. 

_____________________________________________________

(1) = Eyeliner e rossetto rosso, insomma ;)

(2) = Citazione da "Two broke girls"

 
 
A.A:
Okay, okay, lo so, sono in ritardo di un giorno. Ma, gente, ieri ho passato tutto il giorno a ripetere per l'esame di matematica e, se ve lo steste chiedendo - okay, no, non lo state facendo, ma lo dico lo stesso - l'ho finito. Su nove quesiti, tre erano obbligatori. Ne ho fatti sei, tutti corretti. Insomma, poteva andare peggio ;)
Comunque, eccoci qui con il capitolo. Sì, lo so, è più corto di quello precedente, ma a me sinceramente piace. Adoro scavare nella testa dei personaggi e per questo mi piace tanto :)
Purtroppo, per il prossimo aggiornamento dovrete aspettare un po' – ho quasi finito di scrivere il capitolo, ma ho ancora gli esami e in questi giorni sto solo studiando T.T
Comunque sia, il capitolo ventisei sarà pubblicato tra due settimane, tra il trenta giugno e il primo luglio ^.^
Proprio per questo intervallo ancora abbastanza lunghetto, ecco a voi qualche spoiler: 
 
Cinque minuti dopo, Clary strabuzzò gli occhi alla vista della combriccola che si era creata: uno stregone glitterato, un dittatore folle, una modaiola che trattava i ragazzi come toy-boy, un mezzo-demone arrogante, un bambino con le ali e un fidanzato anatrofobico.
Non era pazza, no. Era la sua vita ad esserlo.
[...]
Ma giunta alla casa aveva trovato il più brutto scenario che si potesse mai presentare ai suoi occhi: tutto ardeva, avvolto da lingue di fuoco così alte da aver inghiottito anche i secolari alberi che circondavano il terreno. Si sentivano urla così acute e straziate da far pensare alla fine del mondo.
[...]
 Dura lex, sed lex, ma a volte la legge era troppo dura, quando si trattava di concessioni. E troppo debole, quando si trattava di proteggere gli altri prima di se stessi. Come poteva essere sia l'una che l'altra cosa?
[...]
Jace si chiese curiosamente se li avessero lasciati fuori, nel caso in cui fossero arrivati troppo tardi. Tardi per cosa, poi? Per la chiusura della città? Ah, già. Stavano abbandonando il mondo al suo destino, niente di particolarmente importante, dopo tutto.
 
Andiamo, sono ben quattro snippet! Cosa ne pensate? ;)
In più, vi prometto che il prossimo capitolo sarà notevolmente più sostanzioso di questo ^^
Winchester_Morgenstern

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Capitolo 26
*** XXVI - Idris ***


Shadowhunters - City of marble
XXVI - Idris


Clary si rigirò la piccola boccetta fra le mani, sospirando. Doveva farlo o no?
Era colma di liquido argenteo che sembrava quasi vorticare, era così invitante… dimenticare tutto per qualche ora, entrare in un mondo fantastico dove nulla avrebbe potuto disturbarla.
Eppure… era davvero giusto lasciare tutti gli altri nel mondo reale, anche se per poco, a far fronte a dei problemi che lei si era scrollata di dosso perché non riusciva a risolverli? 
Si sedette sul letto, stanca. Perché anche le più piccole scelte nella sua vita dovevano essere così complicate? 
Scosse il capo, ricontrollando per l'ennesima volta con lo sguardo che fosse tutto in borsa. Non poteva portarsi una valigia, era troppo pesante e non sapeva quanto tempo si sarebbero fermati lì, e in caso di fuga avrebbe faticato a trascinarla dietro, quindi era stata costretta ad ammucchiare tutti i suoi averi più importanti in quell'anonima borsa nera.
Dei vestiti, biancheria pulita, il suo amato kit da disegno e le armi a cui era più affezionata, sarebbe stato inutile portarsi dietro quelle di base dell'addestramento.
In realtà erano poche: il pugnale con il pomolo che sembrava una rosa che le aveva dato Jace, ed un altro pugnale lievemente più lungo interamente nero con un motivo di stelle sopra, un regalo di Jonathan. Se le sue informazioni erano esatte, apparteneva alla famiglia Morgenstern da molto tempo, l'ultima ad utilizzarlo prima di lei era stata sua nonna, la madre di Valentine.
Sbuffò, irrequieta. 
All'inizio, lo sapeva, andava tutto troppo bene: Valentine era morto, lei si stava allenando, Jace le aveva chiesto di sposarlo! Stavano organizzando il matrimonio, e poi… pouf! Era tutto sparito, i suoi sogni erano stati relegati in un cassetto e be'… chissà se li avrebbe mai ripescati.
Bussarono alla porta.
— Chi è?
— Oh, non lo so, ho tanti nomi… Jace, Tanta Roba, Grande Mango… quale preferisci?
Lei rise e, con un sospiro, fece per buttare la boccetta. Subito dopo ci ripensò e la infilò in tasca, la mano tremante come non mai.
— Vieni, oh Sommo Idiota! — Scherzò, aprendo la porta. Jace si abbassò alla sua altezza e le scoccò un bacio sulla punta del naso, ridacchiando.
Alors, mademoiselle Morgenstern, comment ça va (1)? — Chiese, mentre si appoggiava rilassato allo stipite della porta. 
Va bien, monsieur Herondale. Plus et moin (2). — Borbottò lei in riposta, abbracciandolo mentre entrava nella stanza.
Jace piegò in giù gli angoli delle labbra in una smorfia esagerata: — Allora, pensavo, entro due ore dobbiamo riunirci in biblioteca. Siamo ancora in tempo.
— In tempo per cosa? — Clary aggrottò le sopracciglia, perplessa.
— Per uscire. Andiamo sulla Fifth Avenue e cerchiamo un vestito da sposa. Quale luogo migliore di Idris per la cerimonia? — Jace aveva un sorriso estatico che andava da un orecchio all'altro.
Clarissa sgranò gli occhi, la bocca spalancata. — Ma… dici sul serio?!
— Certo! Andiamo, posa armi e bagagli e avventuriamoci nello spietato mondo della moda! — La tirò fuori dalla stanza, ridacchiando mentre correvano a tutta velocità nei corridoi. 
— Ma… non abbiamo i soldi, e poi non c'è la mamma… — Clary si fermò. No, non andava bene. Per niente. Lo disse a Jace.
— E perché non ti va bene? — Chiese, mentre Valentine, Jonathan e Izzy assistevano alla scena, incuriositi. 
— Be', non lo so… in tutti i programmi televisivi sulle spose c'è sempre la mamma. Anche in Abito da Sposa cercasi, e quello è popolare. — Fece spallucce, confusa. Cosa ne poteva mai sapere lei di quelle tradizioni? A dire il vero, a differenza della maggior parte delle ragazze, non aveva mai pensato di sposarsi prima di, be', incontrare Jace.
— Quindi… cioè, è una tradizione che non ti sembra fondamentale?
— Non lo so. Penso che per gli altri lo sia, ma, insomma… siamo una coppia molto anticonformista, no? — Clary si morse le labbra. Non voleva sbagliare tutto, però!
— Teste di legno! Avete la sfera emotiva di un cucchiaino (3)! Di solito la madre accompagna la figlia a scegliere un vestito da sposa perché è di supporto, ed è quella che deve scoppiare a piangere quando la sposa trova il vestito! — Li rimbeccò Isabelle, scuotendo il capo con aria esasperata.
Ridacchiò sentendo Jonathan mormorare sottovoce "E poi ero io quello senza sentimenti…", ma continuò: — E in mancanza di Jocelyn ci faremo bastare, uhm… — Si guardò intorno, spaesata, fino a quando non trovò il bersaglio perfetto: — Valentine. 
Tutti gli altri presenti strabuzzarono gli occhi, stupefatti. Un coro di "Valentine?!" risuonò per il corridoio, le voci che più esterrefatte di com'erano non potevano essere.
— Io?! — Fece loro eco il diretto interessato, inarcando un sopracciglio bianchissimo nella sua classica Espressione Bastarda #3, cioè la rinomata Hai-Dato-Le-Dimissioni-Dal-Cervello?! (4), ormai famosa in tutto il mondo e un po' troppo abusata per il continuo uso.
— Non ti aspetterai che mi porti dietro un centrino di pizzo per soffiarmi il naso e piangere a fontana, non è vero? — Chiese, incrociando le braccia al petto. Così facendo, le sue spalle già molto ampie sembrarono ancora più grandi. 
Cinque minuti dopo, Clary strabuzzò gli occhi alla vista della combriccola che si era creata: uno stregone glitterato, un dittatore folle, una modaiola che trattava i ragazzi come toy-boy, un mezzo-demone arrogante, un bambino con le ali e un fidanzato anatrofobico.
Non era pazza, no. Era la sua vita ad esserlo (5)




Jean ripiegò la lettera con cura, facendo coincidere tutti i bordi con fare quasi maniacale. Era un perfezionista come pochi altri.
Quando si ritenne soddisfatto e tutti i bordi furono allineati al millimetro, la infilò nell'anonima busta bianca ed uscì dalla sua stanza con fare disinvolto, scivolando indisturbato fra i corridoi. Si fermò di fronte alla grande porta della biblioteca: a quell'ora non doveva esserci nessuno.
Si guardò intorno per qualche attimo dopo essere entrato, facendo scorrere lo sguardo sulle numerose librerie di legno massiccio che quasi sembravano curvarsi sotto il peso di una moltitudine di libri diversi per colore, rilegatura e spessore.
Ricordava ancora il tomo che aveva trovato una volta, "Appendici demoniache dalla A alla Z", anche se non erano propriamente le appendici che un giovane Shadowhunter ci si aspettava. Insomma, non sapeva che fosse permesso tenere pornografia demoniaca in un Istituto! 
Ridacchiando tra sé con ritrovato buonumore, scartabellò tra i documenti sparsi senza un ordine preciso sulla scrivania, scorrendoli velocemente con lo sguardo.
Non guardò neppure per un attimo le borse piene di vestiti e armi ammucchiate in un angolo della sala, poco lontano dal punto in cui il Conclave avrebbe aperto per loro un Portale. All'inizio, però, non aveva potuto fare a meno di notare che il borsone extra-large glitterato di Magnus Bane non era lì, ciò voleva dire che non sarebbe partito con loro, nonostante le proteste di Alec.
Però, se non si sbagliava, sarebbe rimasto con il vampiro, Simon - Isabelle l'aveva lasciato, certo, ma Clary non aveva il cuore di lasciarlo indifeso pur avendo allentato i rapporti con lui ormai da un po' - all'Istituto. Ovviamente Lewis sarebbe rimasto nel poco suolo sconsacrato che avevano, un luogo d'incontro tra Figli della Notte e Shadowhunter costruito secoli prima in molti degli Istituti di tutto il mondo. 
Aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, Jean nascose accuratamente la lettera tra i documenti in un cassetto che non sarebbe stato aperto per un po', almeno fino alla loro partenza, ma era più che certo che Magnus prima o poi l'avrebbe ispezionato. Se non altro, perché lì dentro erano custoditi alcuni Libri Proibiti che il Sommo Stregone voleva con tutto il cuore. 
Con un'occhiata più attenta si accorse che aveva macchiato la busta di marrone. Cancellò la macchia, accigliato, sistemò la lettera e si guardò le dita.
Erano sporche di tintura.
Inclinò la testa, e i capelli si allungarono lievemente oltre gli occhi: le punte sbiadivano e si schiarivano gradualmente andando verso l'alto. 
Merda. Avrebbe avuto il tempo di tingerli prima della partenza? Mancava meno di un'ora! 




Jocelyn aprì gli occhi, frastornata. La stanza intorno a lei girava furiosamente come un mappamondo spinto troppo forte.
Era in quella che sembrava una lussuosa camera d'albergo, arredata con stile troppo barocco perché potesse apprezzarla. I colori erano troppo sgargianti: oro acceso, rosso rubino, blu elettrico. In alcuni casi, prese singolarmente, le tonalità avrebbero anche potuto essere belle, ma erano un pugno negli occhi in quelle circostanze, anche perché Jocelyn aveva un mal di testa di dimensioni galattiche. 
Cercò di tirarsi su ma senza esiti, qualcosa la tratteneva. Voltò lentamente il capo con un gemito per una fitta lancinante che le fece strizzare gli occhi per qualche secondo, ansimando. Quando riuscì a ruotare finalmente la testa scorse un paio di manette dall'aria robusta serrate talmente strette attorno ai suoi polsi da bloccarle l'afflusso di sangue, già incominciava a non sentire più le mani. Per un attimo l'aveva sfiorata l'idea di spezzarsi l'osso del pollice per liberarsi. Ma le manette erano troppo strette anche per quello.
Realizzò con un attimo di shock che era legata ad una colonnina di quello che sembrava ferro, la colonnina di un letto.
Ringhiò, frustrata. Avrebbe dovuto saperlo, non avrebbe dovuto essere così sciocca. Aveva sottovalutato Luke.
Poteva inventare tutte le giustificazioni che voleva e propinarle anche a se stessa, ma la verità era solo una: l'errore era tutto suo. Aveva abbassato la guardia, aveva allentato la tensione. Non in quel periodo, non in quegli ultimi tempi, per quanto cercasse di incastrarlo sapeva che Valentine non centrava nulla, né tantomeno Melchizedeck.
Aveva abbassato la guardia diciotto anni prima, quando se n'era andata via incinta di Clary. Era stata una scelta difficile, quella.
Ricordava quei giorni come se non fosse passato un solo istante. Andava tutto bene, i piani per smantellare gli Accordi stavano quasi per andare in porto e alla fine… Jocelyn ricordava benissimo quel maledetto figlio di buona donna che era stato sguinzagliato per trovare prove contro di lei e tutta la cerchia interna.
Per lo più erano reati minori, che erano stati facilmente risolvibili, si erano scagionati inventando crimini commessi da Nascosti che in realtà erano innocenti, ma poi l'allora Console, Alexej Blackoff, aveva incontrato per caso Jonathan.
Jocelyn, che era venuta a conoscenza della verità - di tutta la verità - su suo figlio solo poco tempo prima, all'epoca stava ancora digerendo il tutto, eppure… eppure amava Valentine come quasi nessun altro al mondo. L'aveva perdonato, sì, stavano organizzando la fuga dal Conclave, perché lo sapevano, Blackoff avrebbe preteso la morte del loro bambino o quantomeno di condurre studi su di lui, e lei non poteva permetterlo, a costo di vivere una vita a metà, fatta solo di fughe e paura.
Avevano programmato tutto: sarebbe stato la sera degli Accordi. Mentre i Pangborn e i Blackwell con la complicità dei Rosebund innescavano la trappola per i Nascosti, lei, Valentine e Jonathan sarebbero dovuti scappare.
Poi Amy e Andy Rosebund l'avevano chiamata: i Nascosti sembravano aver intuito qualcosa. 
Jocelyn era ovviamente andata lì, non poteva permettere che il loro diversivo saltasse, ma era andato tutto storto: i Rosebund li avevano venduti al Conclave per l'immunità da tutte le accuse e adesso volevano prenderla, sola e indifesa per quanto poteva esserlo una Cacciatrice esperta.
Era riuscita a scappare, ovviamente, non era certo la prima volta che lo faceva, ed era ritornata alla tenuta dei Fairchild dove abitava con la sua famiglia. Non erano andati a vivere nella tenuta della famiglia di Valentine, perché sua madre - la suocera di Jocelyn - era morta in quella casa e Valentine vedeva i fantasmi. Per quanto avesse amato sua mamma, non riusciva a guardare ogni giorno il suo fantasma aggirarsi con aria triste per la villa, senza poter uscire ed essere libera. 
Ma giunta alla casa aveva trovato il più brutto scenario che si potesse mai presentare ai suoi occhi: tutto ardeva, avvolto da lingue di fuoco così alte da aver inghiottito anche i secolari alberi che circondavano il terreno. Si sentivano urla così acute e straziate da far pensare alla fine del mondo.
Quelle ossa erano rimaste impresse a fuoco nella sua memoria, quando le aveva viste aveva avuto la dolorosa sensazione che i suoi occhi bruciassero con la villa. 
All'ingresso, quasi nel salotto, c'erano quelle di sua madre e suo padre. Le aveva riconosciute e non aveva mai avuto il minimo dubbio, c'erano piccoli brandelli di pelle e vestiti e capelli, i gioielli liquefatti su quei corpi carbonizzati. Poco lontano, nel centro esatto del salotto, altre ossa accompagnate da una placchetta di metallo; la medaglietta di Valentine. E, vicino, i resti di quello che aveva supposto essere suo figlio Jonathan, perché quella sera era con suo padre.
Ora ce ci pensava, avrebbe dovuto capire che non erano loro, la collana di Valentine avrebbe dovuto sciogliersi come i gioielli dei suoi genitori e invece era perfettamente integra, appena un po' sporca di cenere, sembrava proprio urlare "Eccomi! Sono qui! Cadi nel tranello!" e Jocelyn ci era cascata con tutte le scarpe, tra l'orrore e la confusione del momento.
Dopo, non aveva potuto far altro che scappare lontano, il più lontano possibile e contattare Lucian, raccontandogli una versione riveduta e corretta della storia. Lui non aveva mai creduto, dopotutto, che fosse dalla parte di suo marito fino in fondo. E in quel momento la sua protezione le serviva, quindi tanto valeva dare un piccolo aiutino alla fortuna.
Da quei lontani giorni, si trascinava dietro molti rimpianti: non essere riuscita a riconoscere l'inganno, essersi rivolta proprio a Luke tra tutti, che l'aveva convinta di amarla così tanto da esserle fedelissimo senza tentennamenti e, sicuramente, il suo più grande errore, Jonathan.
Non sapeva che fosse vivo, vero. Ma avrebbe dovuto saperlo. Quelle cose una madre doveva sentirle, no? E se anche non le sentiva, avrebbe comunque dovuto fare… qualcosa. Era quello il punto cardine. Ci sarebbe stato sicuramente qualcosa da fare in quegli anni, non arrendersi, continuare a cercare, e invece… invece si era lasciata prendere dalla vita mondana. Si era ammorbidita. Restava poco o niente della forte e sicura guerriera che era un tempo, che si era comodamente adagiata sugli allori e aveva lasciato che Luke facesse per lei il resto.
Che stupida che era stata. 




— Corri, Clary, corri! — Esclamò Jace, affannato, mentre si trascinava dietro la grossa busta bianca. 
Trovare un vestito fantastico - e che si potesse ritirare subito già perfetto - era stata un'impresa, ma nulla quanto a correre per mezza New York con dietro il suddetto vestito - probabilmente più pesante di Clary stessa - per arrivare in tempo al Portale che Magnus avrebbe aperto per Idris. 
La shadowhunter si fermò di botto, causando una reazione a catena di dimensioni galattiche: Jace barcollò contro Isabelle che si appoggiò a Jonathan che spinse Valentine, facendo ondeggiare pericolosamente tutti. Sospirando, Clary si guardò intorno e corse nel vicolo cieco più vicino, brontolando qualcosa sulla propria idiozia quando si trattava di fretta e del fatto che non avessero mai fortuna.
— Non ha senso sapere creare Portali se non li sfrutti, no? — chiese sardonicamente, mentre estraeva lo stilo dalla tasca ed incominciava a disegnare le rune su una maleodorante parete di mattoni già imbrattata da graffiti di tutti i colori.
Jonathan tirò un sospirò di sollievo: correre tra una folla di newyorkesi inferociti che urlavano contro insulti con un bambino sulle spalle e Valentine che non la smetteva di lamentarsi della loro stupidità non era esattamente il suo sogno più grande.
Qualche attimo dopo, erano tutti fortunatamente nel cortile dell'Istituto. Gli altri erano già tutti lì ad attenderli, palesemente confusi: — Credevo di aver ribadito che si trattava di una scadenza della massima importanza. — disse Maryse, sebbene non si capisse proprio perfettamente se avesse voluto essere ironica o infuriata.
— Andiamo, mamma, non fa niente. Comunque non ci siamo ancora tutti. — le fece notare Alec. In effetti era vero, né Jean né Magnus sembravano nelle vicinanze.
Comunque, si parlava del diavolo e spuntavano le corna, perché proprio in quel momento il Sommo Stregone di Brooklyn comparve sulla cima delle scale, seguito a breve da Jean.
— Fate con comodo, eh. — brontolò Jace.
— Sei arrivato due secondi fa, angioletto. — Magnus sorrise: — Sai, l'Istituto è dotato di finestre, e posso garantirti che non sono appannate. Anche Church ha visto la vostra entrata teatrale.
— Andiamo, Magnus, non esagerare, era solo un Portale! — fece presente Jean, ridacchiando. Lo Stregone annuì, complice.
Isabelle aggrottò la fronte: si era persa qualche passaggio? Da quand'era che quei due erano praticamente pappa e ciccia? 
Be', magari Jean stava solo iniziando ad aprirsi con qualcuno. Non sarebbe stato così male, visto che era lì ormai già da un po' e non si era ambientato quasi per niente. Sì, certo, era sempre disponibile e ben educato… in realtà troppo. Non si era mai sbilanciato più di tanto. 
— Okay. Datemi due minuti e aprirò tutti i Portali che volete, va bene? — Magnus sogghignò e tirò via Alec dagli altri, trascinandolo fino ad essere entrambi coperti da una delle sporgenze di pietra dell'Istituto. 
Alec si morse le labbra. Dura lex, sed lex, ma a volte la legge era troppo dura, quando si trattava di concessioni. E troppo debole, quando si trattava di proteggere gli altri prima di se stessi. Come poteva essere sia l'una che l'altra cosa? Erano ben pochi gli ossimori veramente reali, e Alec faticava a credere che quello facesse parte del gruppo.
Jace non vedeva Magnus, e nemmeno Alec, ma poteva sentire il dolore del suo parabatai come se fosse stato il suo. Certe volte, c'erano momenti in cui avrebbe preferito farsi rimuovere i marchi pur di non provare quel dolore nell'anima. C'era già passato, e l'esperienza gli aveva insegnato che è molto più difficile guarire da ferite emotive che fisiche. Un taglio si rimarginava, una cicatrice sbiadiva, ma l'anima rimaneva lacerata per sempre dalle sofferenze della vita. 
Si voltò verso Jonathan, poco lontano da lui, che sorrideva beffardo per qualche strano motivo: — Immagino che adesso rivedrai la tua famiglia. Voglio dire, l'allarme è stato dato anche a Berlino. — strascicò l'albino, in direzione dell'altro shadowhunter. Sul serio, non odiava quel ragazzo, ma erano tempi molto precari, e per quanto Jean gli stesse simpatico non poteva permettersi di farsi prendere da stupidi sentimentalismi. Se era sospetto, anche solo minimamente, voleva anche dire che era inaffidabile. Niente sconti, per nessuno. 
Jean s'irrigidì, e per un attimo il suo volto mostrò qualcosa di simile allo sgomento, ma le tracce di tutto quello vennero cancellate così velocemente che Jace pensò di aver immaginato tutto: — Penso di sì. Spero di riuscire a trovarli, dopotutto non sarà facile, con tutti i Cacciatori riuniti ad Alicante. È una città tanto piccola, ma anche parecchio dispersiva, non trovi? — mormorò infine, ma le parole perdevano man mano tutto il loro tono sarcastico, fino a diventare un fievole sussurro.
— Potrei darti una mano. — rispose Jonathan in tono secco. — E anche Jace sarebbe disposto a farlo, non è vero, angioletto? — chiese, rivolgendosi all'altro. 
— Certo. Sono molto curioso in effetti, Jean. — Trovarsi d'accordo con qualcosa con Jonathan era un evento più unico che raro. 
— Se proprio ci tenete… anzi, ho una proposta! — Jean cercò di trattenere il ghigno che si stava formando sulle sue labbra: — Trovateli. Pensate a chi possono essere, e vediamo se indovinate! — disse infine, prendendoli in giro apertamente.
— Se avete finito di fare gli idioti, dovremmo andare. — li interruppe Valentine.
Finalmente, Magnus ed Alec ritornarono in vista, e lo Stregone iniziò ad adoperarsi per aprire il Portale. — Datemi due minuti e sarà pronto. — disse quindi, vedendo che tutti gli si accalcavano addosso.
Clary si morse le labbra, sedendosi su una delle panchine presenti nel cortile. Le avevano installate lì appena qualche mese prima che la situazione precipitasse, assieme a piccoli cespugli ben curati e fiori colorati, ma dopo l'ultima battaglia oltre che secchi erano anche macchiati di sangue, e nessuno si era preso la briga di sostituirli o anche solo di liberarsene. Certo, non l'aveva fatto nemmeno lei, per cui non poteva biasimare nessuno.
Jace si sedette accanto a lei e le strinse una mano tra le sue: — Ehi. — esordì, accarezzandole il palmo con le dita.
— Ehi. — rispose debolmente, sospirando.
— Ci stai ancora pensando. — disse lui con aria affranta. 
— Come potrei non pensarci? È mia madre, Jace! — protestò lei, scuotendo il capo. Non poteva pretendere che se ne stesse lì calma e tranquilla senza nemmeno preoccuparsi. 
— Clary… non dico che non devi preoccuparti. Solo… non voglio vederti ridotta così, okay? La ritroveremo, ma tu non puoi farti prendere dal panico. E non perché sta andando tutto a rotoli, bensì perché non ti fa per niente bene. D'accordo? — spiegò seriamente.
La diciottenne stava per ribattere, ma Magnus la interruppe: — Sono pronto!
— Ottimo. — Isabelle avanzò di un passo e raccattò Ian, che aveva preso a correre in direzione del Portale, probabilmente attirato dalla luce azzurrina che esso sprigionava. — Fermo qui, piccolo. — si raccomandò, accarezzandogli i capelli.
Maryse fu la prima a passare. Dopo, gli altri avanzarono in fretta uno dietro l'altro, Jonathan tirandosi dietro Ian e Isabelle gettando un'ultima occhiata ad Alec, ancora esitante dietro di lei. Clary seguì Izzy in fretta, ma si fermò per un attimo sulla soglia del Portale, guardando ancora una volta l'Istituto dietro di loro. Era così grande, così imponente, e soprattutto sembrava così sicuro… una piccola città di marmo dall'aspetto impenetrabile. Peccato che così non fosse, non quando i nemici attaccavano direttamente dall'interno.
Alla fine, anche la rossa si gettò in quel varco azzurrino, affiancata da Jace.
Alec sfiorò lievemente le dita di Magnus: — Ci rivedremo presto. Te lo giuro. Te lo giuro sull'Angelo, Magnus.
Il Sommo Stregone di Brooklyn fece un sorriso triste: — Ci credo, Alexander. 




La prima cosa che Clary vide fu uno scorcio di cielo azzurro e limpido, senza traccia di nuvole, poi erba verde brillante. Per qualche attimo le ricordò la mattina dopo a quando Jace le aveva chiesto di sposarlo. Le sembravano passati secoli da quel momento.
— Ci siete tutti? — Maryse si guardò intorno, scandagliando i volti di ognuno di loro. Non ebbe la forza di guardare negli occhi Ian Morgenstern. Se suo padre era inquietante, lui era peggio. Poteva reggere Jonathan, capiva da cosa era animato, ma quel bambino era un'incognita. Un'incognita pericolosa.
— Sì. Andiamo. — dichiarò seccamente Valentine, iniziando ad avanzare sulla collina. Avevano ancora un po' di strada da fare. 
Avvistarono Alicante per intero solo un quarto d'ora dopo aver attraversato terreni più o meno incolti e colline brulle con folta erba verde smeraldo. Clary aveva anche visto il cimitero in cui era capitata con Luke la prima volta che aveva "visitato" Idris, ma non si era avvicinata. Ricordava fin troppo nitidamente le allucinazioni provocate dal veleno del Lago Lyn, e non aveva nessuna intenzione di rivedere ancora una volta quelle tombe.
All'interno della città, in ogni caso, sembrava regnare il caos. C'erano nephilim ovunque, perlopiù armati, e dalle origini più disparate. Alcuni conversavano amabilmente con gente che Clary non riconosceva, la maggior parte aveva un'aria tremendamente preoccupata e qualcuno era davvero angosciato, molto probabilmente si trattava di parenti dei feriti e dei morti degli Istituti attaccati.
Non si poteva dire che la loro fu un'entrata in sordina, no, decisamente no. Sembrava quasi che tutti stessero aspettando con ansia gli shadowhunters di New York, come se fossero tanto più avanti degli altri, cosa decisamente improbabile. Sì, Melchizedeck aveva deciso per qualche irragionevole motivo di prendersela con loro, ma questo non voleva certo dire che avevano una mitica soluzione a portata di mano! 
Clary si morse le labbra e guardò il Console avvicinarsi al loro gruppetto: — Maryse, è un piacere sapere che siete riusciti ad arrivare in tempo. — Perché? Avrebbero potuto fare altrimenti?
Jace si chiese curiosamente se li avessero lasciati fuori, nel caso in cui fossero arrivati troppo tardi. Tardi per cosa, poi? Per la chiusura della città? Ah, già. Stavano abbandonando il mondo al suo destino, niente di particolarmente importante, dopo tutto. 
— Ehi, che ne dici se cerchiamo di capire dove dobbiamo sistemarci? Non vorranno farci dormire sotto un ponte, spero. Ho bisogno del mio riposino di bellezza per essere sempre al top. — disse quindi, dando una scherzosa gomitata a Clary. Non c'era nulla di allegro in quelle circostanze, ma non c'era bisogno che glielo ricordasse. Non voleva certo farle pesare tutto quello che era successo, tra Jocelyn e Melchizedeck aveva più che diritto ad un po' di spensieratezza.
— Va bene. — rispose quindi la ragazza, atona. Reagire non era mai stato più difficile.
Il biondo si corrucciò quando lei non lo prese in giro per la battuta idiota, ma avanzò assieme a lei fino a raggiungere Maryse: — Sappiamo già dove dobbiamo sistemarci? — chiese quindi.
— Non ne siamo ancora del tutto certi. Sono accorsi anche molti cacciatori che qui non hanno nessuna abitazione, per cui potrà essere difficile trovare un posto abbastanza grande per tutti. Temo che verremo divisi. — rispose la donna, parlando abbastanza forte da farsi sentire da Jia.
— Oh no, non preoccuparti. Vi ho sistemati tutti nella tenuta Morgenstern.
Jonathan, poco lontano, sgranò gli occhi: — Sta scherzando, vero? Quel posto è maledetto!
— Non sto parlando di villa Fairchild, dov'erano andati ad abitare i tuoi genitori, Jonathan. Intendo la tenuta in cui abitavano i genitori di Valentine.
Jonathan trattenne un ringhio: — Anche io.
Solo in quel momento a Jace venne in mente che molto probabilmente Jonathan doveva aver passato parte della sua vita lì, mentre lui era nella tenuta Wayland. Sapeva molto bene come aveva vissuto l'altro, e per un attimo provò a immaginare cosa sarebbe successo se ci fosse stato lui al suo posto. 
Trattenne un brivido. Non era per le frustate, non era per i massacri… era per quegli anni di vuoto totale che avrebbe dovuto sopportare. Non dubitava che anche lui sarebbe diventato un mostro come lo era stato - o era stato cresciuto come tale - Jonathan, anche peggio, probabilmente. Dopotutto, il carissimo albino non avrebbe avuto problemi a troncare qualunque legame con Valentine: all'epoca non aveva sentimenti, non gli avrebbe fatto male. Ma lui… lui non ne avrebbe avuto la forza. Continuava a ripetersi che quello era un pregio, non un difetto, cercando di convincersi di ciò. 
Poi lo sguardo di Jia fu catturato da Ian, ancorato saldamente alle spalle di Jonathan. Sgranò gli occhi alla somiglianza impressionate, e tutti poterono vedere come sbiancò visibilmente, tutto d'un colpo. Robert le si avvicinò e le prese gentilmente un braccio, cercando di voltarla… quasi volesse impedirle la vista di quello che a tutti gli effetti, ai suoi occhi, non era altro che l'ennesimo abominio prodotto dalla linea Morgenstern.
— Forza, Clary. Non abbiamo più niente da fare qui. Dobbiamo andare alle stalle per prendere dei cavalli, la tenuta è piuttosto distante da qui. — Oh, eccome se era distante. Isolata, molto isolata dal resto della città. Oh, Jace non era stupido… sapeva perfettamente che l'intenzione di Jia non era quella di proteggerli dalle malelingue degli altri cacciatori, ma di preservare gli altri shadowhunter tenendoli separati da loro. Dopotutto, loro erano la squadra dei pazzi assassini di cui tutti non si fidavano. Certo, come no.
Era incredibile come si doveva faticare e quanto tempo ci voleva per arrivare ad avere un nome, ad essere ricordato e ammirato dalle nuove generazioni, e quanti pochi attimi e energia ci volevano per cadere e perdere tutto. Dalle stelle alle stalle… la salita era sempre lunga e ripida, la caduta facile e veloce. 

 

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(1) = Allora, signorina Morgenstern, come va?
(2) = Va bene, signor Herondale. Più o meno.
(3) = Citazione dalla saga di Harry Potter, di J. K. Rowling.
(4) = Citazione dal film HOP.
(5) = Citazione The Darkest Powers - The Reckoning, di Kelley Armstrong. 


 
A.A:
Hola!
Sono finalmente qui :) Con un paio di giorni di ritardo, sì, ma capitemi, tra meritato week-end al mare dopo il maledetto esame e il caldo che fa qui a Napoli - vi dico solo che sono spalmata sul pavimento, di fronte a un ventilatore, a mangiare cubetti di ghiaccio T.T - non sono riuscita a pubblicare prima.
Una cosa che mi ha resa un po' triste è stato vedere il calo di recensioni. Da tre siamo passati a una… non scrivo per i commenti, insomma, però fa sempre piacere vedere che il mio lavoro viene apprezzato, anche perché io per scrivere questi capitoli m'impegno tantissimo, oltre a scherzarci su con voi. E niente, comunque grazie a tutti voi lettori silenziosi ^^
Anyway, cosa ne pensate di questo capitolo? Cioè, mi sembra che accadano un bel po' di cose interessanti ;)
Clary dice no alla droga e va a comprare un abito da sposa con un corteo quantomeno inquietantemente strambo, il mistero su Jean, tra lettere e tinture, s'infittisce… Jocelyn finalmente svela cosa è accaduto la notte degli Accordi in questa fanfiction, dando un po' più elementi sul suo passato, poi ci sono i pensieri intrisi di sarcasmo velenoso di Jace e quel destabilizzante "Anch'io" di Jonathan… insomma, gente, sono quasi cinquemila parole! Cosa vi ha colpito? :)
Un'altra cosa: ho buttato giù una veloce scaletta del finale e posso annunciarvi che alla fine di questa storia mancano soltanto sette capitoli, compreso l'epilogo. Dopodiché mi prenderò circa una settimana per rivederne i primi dieci capitoli, perché tra questi primi dieci e gli altri capitoli c'è stato un intervallo di tempo in cui non ho scritto in cui il mio modo di scrivere è molto migliorato e ho imparato a fare molti meno errori grammaticali, per cui mi prenderò una settimana per correggere i capitoli grammaticalmente e allungarli con qualche altro dettaglio interessante - chi fosse interessato a leggerli può benissimo dirmelo in una recensione e io man mano gli dirò i capitoli modificati o andare a controllare di tanto in tanto :) -. Dopo questi sette capitoli e la settimana di revisione, inizierò a scrivere il sequel, City of lies. Questa volta, però, non posterò da subito il primo capitolo, ma mi assicurerò prima di averne sette o otto per fare avere aggiornamenti costanti a voi e nel contempo darmi il tempo per scrivere gli altri. Quindi niente, tirando due somme, tra i sette capitoli da pubblicare - postati con un intervallo di una settimana e mezzo o due, perché gente, devo ancora scriverli ed è estate XD -, la settimana di revisione e il tempo di scrivere i primi capitoli di COL credo che quest'ultima verrà pubblicata a fine agosto/inizio settembre :)
Qualche piccolo spoilerino del prossimo capitolo: Val andrà alla riscossa, e ci sarà un grosso scacco matto da parte di qualcuno ;)
This is all, people, ci vediamo tra circa dieci - o un po' di più - giorni per il capitolo ventisette ;)
Winchester_Morgenstern

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Capitolo 27
*** XXVII - Di animali morti, incendi e incontri piccanti ***


SHADOWHUNTERS — CITY OF MARBLE


XXVII - Di animali morti, incendi e incontri piccanti


La luce filtrava poco dalle pesanti tende di broccato, lasciando la stanza quasi in penombra. Forse era meglio, perché nascondeva parte dei problemi e dei guasti di quella stanza, ma allo stesso tempo sembrava che la polvere e l'ombra opprimente stessero per divorare tutto, compresa lei.
Clary sospirò e tirò le tende bordeaux ai lati della finestra, sollevando grosse nuvole di polvere. Scoraggiata, lanciò un'ultima occhiata alla camera: il letto a due piazze, un baldacchino, era più o meno intatto, mala scrivania traballava e aveva dovuto metterci sotto un calzino a pecorelle appallottolato. Il tappeto era praticamente diventato la lettiera degli animali che in quei lunghi anni di abbandono avevano popolato la casa - ed erano stati quasi del tutto brutalmente scacciati nemmeno mezz'ora prima da un'Isabelle più che decisa a non ospitare qualche topo rognoso nel suo letto (1) - e puzzava come una fogna. La cacciatrice l'aveva già arrotolato e aspettava solo l'arrivo di qualcuno per farsi aiutare a gettarlo via, dato che era alto almeno due volte lei e pesante più o meno come un materasso, visto quant'era doppio. 
C'erano due comodini con la vernice scrostata ai lati del letto e una lampada piena di ragnatele mentre, appeso al soffitto, il lampadario di cristallo e candele aveva perso molti pezzi finemente intagliati.
Ah, c'era anche un cactus ammuffito - davvero molto ammuffito - in un angolo, un armadio in cui aveva trovato la carcassa di un opossum (2) e una porta traballante che dava sul bagno più antigienico che avesse mai visto.
— Raziel, Clary, tu non puoi capire! Ho trovato una tana di scarafaggi nel mio letto! — praticamente urlò Jace, facendo irruzione nella stanza della fidanzata. Si grattava da tutte le parti, quasi come se temesse di avere ancora gli insetti addosso, e il collo e i polsi stavano già incominciando ad arrossarsi.
La rossa gli rivolse un piccolo sorriso: — Be', credo che sia la scusa perfetta per farti rimanere qui con me, allora. — ribatté, prendendogli il borsone dalle mani e poggiandolo accanto al suo, poco lontano dall'armadio e dall'opossum di cui ancora non si era liberata.
— Mi sembra una magnifica idea… — Jace si chinò a baciarle piano il collo, stringendole i fianchi: — … Mia cara futura signora Herondale. 
— Ottimo. Ora sbarazzati dell'opossum, amore. — Clary sbatté le palpebre ripetutamente, con un sorriso angelico che non avrebbe ingannato nemmeno un cieco. 
Il cacciatore sgranò gli occhi, atteggiando i lineamenti in una smorfia esageratamente oltraggiata: — Ma… ma io… vengo qui, inizio a coccolarti e tu… tu mi dici di sbarazzarmi di un animale morto?! — starnazzò, falsamente esterrefatto.
— Mi sembra il minimo, considerando che sei venuto qui pretendendo d'infilarti nel mio letto senza nemmeno un invito a cena o un mazzo di fiori. — scherzò debolmente la shadowhunter, aprendo le ante dell'armadio. — Forza, prendi questo coso. 
Jace entrò nella stanza, lasciando che la porta si richiudesse alle sue spalle, e fece una smorfia alla vista dell'animale putrescente. Si guardò intorno e afferrò la coperta impolverata sul letto per avvolgerci dentro la carcassa, avvolgendola ben bene dentro la stoffa verde pisello. 
— Anche quello? — chiese, indicando il tappeto.
— Ce la fai? Non è esattamente il momento esatto per cadere dalle scale, sai? 
— Certo che ce la faccio. Fosse solo anche per non farmi due viaggi con addosso puzza di pipì e putrefazione. Raziel, i miei capelli potrebbero cascare tutti solo a un metro di distanza da quel tappeto! Avrò bisogno di qualcosa come tre docce per togliermi l'odore di dosso! — borbottò, piegandosi sulle ginocchia e caricandosi il tappeto su una spalla.
Bussarono alla porta proprio mentre il cacciatore si stava dirigendo verso essa, e fu costretto a bloccarsi all'ultimo secondo con un borbottio indistinto. 
— Clarissa? — La voce di Valentine era poco chiara anche da dietro la spessa barriera di legno – Jace si ritrovò a pensare oziosamente che sarebbe stato un ottimo isolante per le loro attività notturne. Perlomeno qualcosa di buono c'era, in quella camera che stava crollando a pezzi.
Valentine non attese una conferma ed entrò, mentre Jace riuscì a scansarsi appena in tempo e roteò su se stesso, costringendo Clary ad abbassarsi per non venire colpita dal tappeto – diamine, per quanto era grande avrebbe potuto abbatterla.
— Cosa diavolo… ? — L'ex Hitler versione shadowhunter scosse il capo ed avanzò lo stesso nella stanza, guardandosi per qualche attimo intorno: — Preparati. — aggiunse poi in direzione della figlia. — Oggi ci sarà un'esercitazione speciale nell'allenamento.
Jace aggrottò le sopracciglia. Tutto quello non presagiva niente di buono.
— Cioè? — chiese Clary, mordendosi le labbra.
— Andiamo a riprenderci tua madre, mi sembra ovvio. — rispose Valentine.
— Bene, vengo anch'io. — aggiunse Jace, lasciando cadere a terra il tappeto e la coperta. L'uomo rise: — Oh, Jonathan, non ne avevo dubbi.
— Jace. — sibilò a denti stretti il diciannovenne, ma l'altro parve non udirlo. — Ovviamente hai bisogno di Clary per le rune. E non hai protestato a portarti dietro me perché sai che sarei utile. Hai intenzione di coinvolgere qualcun altro? — Il biondo fece una pausa, aggrottando le sopracciglia come per riflettere, e poi continuò: — Penso che non sarebbe di grande aiuto. Insomma, se siamo in pochi potremmo riuscire a entrare e uscire senza farci notare, se siamo fortunati.
— Ma se ci scoprono saremo in tre. — fece notare Clary.
— Oh, be', potrebbero esserci situazioni molto peggiori. — Jace fece spallucce e si accovacciò accanto al suo borsone, iniziando a tirare fuori quella che era, uhm, praticamente tutta l'armeria dell'Istituto.
— Ma che hai lì dentro, un arsenale? Dove diavolo hai ficcato i vestiti? — chiese la rossa, perplessa.
Il ragazzo le sorrise e le indicò il suo stesso borsone mentre lo apriva: tra una maglietta rosa e una divisa da cacciatrice erano infilati anche i suoi abiti: — Il resto li ho sul fondo della mia borsa. — concluse.
— Non abbiamo tutto il giorno, sapete? Se ho ragione, Jia passerà qui in serata o al massimo domattina. — li rimproverò Valentine.
— Perché mai dovrebbe farlo? — Clary arricciò le labbra.
— Be', amore, non ti sei resa conto che ci ha sistemato qui per tenerci ben sotto controllo e ad una buona distanza dagli altri? — le fece notare il fidanzato, ridacchiando, mentre lei afferrava i suoi pugnali e qualche spada angelica dalla scorta pressoché infinita di Jace. 
— Mi dai il tempo di mettermi una divisa o pretendi che venga in maglietta e pantaloncini? — chiese poi sarcasticamente al padre, prendendo una delle sue aderenti tute nere e dirigendosi verso il bagno. Oh, poteva essere costretta a collaborare con lui, poteva anche essere obbligata a riconoscere che aveva una mente brillante… ma ciò non voleva dire che non poteva continuare a odiarlo e a lanciargli frecciatine. In quel momento, Valentine non era altro che tutto fumo e niente arrosto.
Circa dieci minuti dopo erano stavano scendendo uno alla volta le scale per arrivare al seminterrato.
— Ehi, Clary, dove vai? — chiese Isabelle, mentre trascinava Ian fuori dalla cucina per costringerlo a farsi un bagno dopo che si era completamente sporcato di purea di spinaci e carote. 
— Uhm, io… io stavo cercando delle coperte. Quelle nella mia stanza erano piene di ragni. — borbottò la rossa, cercando di non distogliere lo sguardo da quello dell'amica.
— Non credo che le troverai in cantina, sai? Vieni in camera mia, forse io ne ho qualcuna in più. — propose la mora.
— Oh, be', magari dopo. Ho convinto Jace ad andare a cercare nel seminterrato, anche perché dobbiamo sbarazzarci di un tappeto e di un opossum e non avevo idea di dove metterli, così per ora li sistemiamo qui. — Clarissa fece spallucce e le rivolse un ultimo sorriso, continuando a scendere le scale di pietra. Raziel, quanto odiava le scale a chiocciola.
Giunta finalmente alla base dei gradini, prese la fiaccola che Valentine, avanzando, aveva fissato al muro per lei, e raggiunse gli altri due: — Dovremmo andare un po' più in fondo, credo. Se qualcuno scende si accorgerà subito delle rune per il portale. — osservò, passando la rudimentale torcia alla mano sinistra per prendere con la destra il suo stilo. 
Continuarono ad avanzare per qualche minuto nel più completo silenzio. La ragazza non si aspettava che lì sotto ci fosse così tanto spazio… magari non era gigantesco, e i passaggi li costringevano a stare stretti come sardine in scatola, ma c'erano abbastanza pareti e vicoli ciechi da far perdere le speranze di riemergere a chiunque non conoscesse il posto. Comunque Valentine, alla testa del piccolo drappello, sembrava sapere dove stava andando. Diamine, se qualcuno le avesse detto appena sei mesi prima che in un futuro prossimo si sarebbe ritrovata a collaborare col suo malvagio e folle padre, gli avrebbe riso in faccia dandogli del pazzo visionario e l'avrebbe mandato alla Città di Ossa per farsi curare dai Fratelli Silenti.
Si fermarono alla fine di un vicolo cieco appena più ampio degli altri, e Clary passò la sua fiaccola a Jace per iniziare a tracciare le rune sul muro di mattoni. Chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro e incominciò a disegnare sulla pietra, salvo poi bloccarsi all'ultimo secondo.
— Aspettate, ma dove dobbiamo andare? Non possiamo certo pensare di arrivare da Melchizedeck e basta. 
— Credi sia un idiota? Ho fatto le mie ricerche, Clarissa. Voi non dovete fare altro che seguirmi, ci ritroveremo lì, non preoccuparti. 
Cinque minuti dopo, i tre attraversarono per la seconda volta in un solo giorno un Portale. Clary rabbrividì alla sensazione di varcare quella soglia, ma nell'arco di un secondo si ritrovò completamente a proprio agio, e qualche attimo dopo si ritrovarono in una stradina laterale di una città che la shadowhunter non riconosceva.
Comunque, strinse forte il suo pugnale circense e prese ad avanzare a piccoli passi tra gli altri due. A dire il vero, c'era parecchio da dire su quel pugnale, oltre al fatto che faceva parte della coppia che molti anni prima apparteneva a Valentine e Luke - alla fine, era proprio vero che i parabatai erano diversi ma simili in tutto e per tutto… loro due si erano anche inconsciamente messi d'accordo sul tradimento al Conclave! -. In un primo momento, la ragazza era rimasta piuttosto stupita nello scoprire che quello che aveva lei, cioè quello rosso, era appartenuto proprio a suo padre. Fino a qualche giorno prima aveva desiderato ardentemente che il suo fosse quello di Luke, anche se ormai lo sapeva, ma… ma dopo gli ultimi eventi, sinceramente, preferiva quello che aveva. Almeno, Valentine non l'aveva ferito tanto quanto Lucian, dopotutto col suo pazzo padre biologico non ci aveva avuto quasi nulla a che fare… cioè, fino a quel momento. 




Qualche tempo dopo, Clary si ritrovò a strisciare in un sudicio cunicolo, probabilmente ricoperto di muffa a giudicare da quello che toccava, e ancor più probabilmente brulicante di insetti a causa dei rumori intorno a lei.
Non pensarci non pensarci non pensarci. Non pensarci non pensarci non pensarci. 
Una parte di lei non voleva fare altro che rimanere ben salda a quella stupida scaletta arrugginita per non piombare giù tutto d'un colpo, ma un'altra voleva soltanto lanciarsi per non dover sopportare ancora quel supplizio. Non aveva mai avuto paura dei luoghi chiusi, ma quella specie di passaggio sotto lo stupido tombino avrebbe fatto diventare claustrofobica anche l'aria.
— Clarissa, muoviti! — sibilò Valentine, dal basso.
La ragazza roteò gli occhi, esasperata, e alla fine scelse l'opzione B: semplicemente mollò la presa che aveva su una delle sottili barre di metallo e si lasciò cadere, atterrando sulle ginocchia. Non si sbilanciò, ma non fu nemmeno un finale degno del salto: aveva sentito l'eco rimbombare nelle fogne con un frastuono assordante, e si era beccata un'occhiataccia sia dal suo fidanzato che da suo padre. Ancora una volta, perché diamine non aveva un po' della grazia naturale di Jace? Mondo crudele.
— Una caduta un po' più silenziosa no, eh, Clarissa? — si sentì quindi rimproverare da Valentine. 
— Sai, mi sono sempre chiesta perché tu abbia quest'odio insensato verso i diminutivi. Clary e Jace sono bei nomi, sai? — lo rimbeccò mentre si rialzava in piedi.
Solo in quel momento si accorse del fetore che proveniva dal canale di scolo a pochi passi da loro, poco più in basso rispetto al piccolo marciapiede sotterraneo su cui si trovavano. Era un odore nauseabondo, abbastanza da indurla a respirare silenziosamente con la bocca, per non parlare dell'immondizia più strana e orripilante che galleggiava nell'acqua praticamente marrone.
Valentine si rimise in testa al gruppo mentre Jace prendeva una Stregaluce dalla sua divisa per illuminare il luogo, e la cacciatrice si affrettò a seguirli. Come lo stupido ex dittatore avesse avuto il tempo di impararsi a memoria la piantina di una fogna non lo sapeva, sfortunatamente, ma sperava solo che ricordasse la strada giusta. Non ci teneva a inoltrarsi chissà dove per non ritrovare più l'uscita.
Camminarono per quella che le sembrò un'infinità, soprattutto considerando l'orrendo odore che permeava le gallerie e il silenzio pesante che c'era fra loro. Ad un certo punto, quando incontrarono un tubo che scaricava altre schifezze nel canale, Jace roteò gli occhi e sbuffò lievemente: — Dalla puzza di putrefazione a quella dei tubi di scarico, fantastico! Il mio corpo non si riprenderà mai da questa esperienza.
Clary si morse le labbra per non ridacchiare. Se c'era una cosa che apprezzava di lui era proprio quel suo accorgersi delle situazioni penose e sdrammatizzarle con una battuta – anche se doveva ammettere che all'inizio la sua ironia quasi perenne l'aveva più volte irritata.
Finalmente si fermarono davanti a una scaletta di metallo simile a quella che avevano usato per scendere, ugualmente sporca ma fortunatamente non circondata da quattro mura larghe a stento cinquanta centimetri. 
Jace si sporse in avanti e fece girare quella che sembrava una grossa manopola, e poi una piccola botola di ferro si aprì sopra di lui.
— Perché questo passaggio non è sorvegliato? — bisbigliò Clary.
— Oh, ma lo è. — le rispose il ragazzo, saltando all'interno di quella che presumibilmente doveva essere una stanza. Immediatamente si sentirono delle urla d'allarme che le fecero temere che tutto sarebbe andato a monte, ma per il momento in cui era arrivata anche lei Jace aveva già sistemato le due guardie armate di spade corte. 
Quando furono tutti e tre nella grossa stanza, Jace premette piano la stregaluce, cercando di non attirare su di sé l'attenzione di altri possibili soldati. Avanzarono silenziosamente e nel modo più veloce possibile: tutto doveva essere fatto in poco e nessuno doveva accorgersi di loro. 
La villa in cui si trovavano aveva una pianta mastodontica, eccessiva, di certo non era un tipo di abitazione che ci si aspettava di trovare in pieno centro città: — Noti qualcosa di strano? — chiese Jace alla fidanzata.
Lei aggrottò le sopracciglia: — Cosa intendi?
— Hai visto la casa quando siamo arrivati, no?
— Jace, ma che dici? Da dietro il muro della stradina si vedeva solo un condomin… oh. — La rossa sgranò gli occhi: era un incantesimo. Sembrava un palazzo, ma in realtà era quasi un piccolo maniero. — Perché non me ne sono accorta?
— Gli shadowhunter vedono con facilità il Mondo Invisibile che è celato ai mondani, ma proprio per questo non rimangono all'erta per cercare possibili sotterfugi: ci sono magie che alterano anche le percezioni di un nephilim. È possibile oltrepassarle, se sei allenato e hai un buon occhio… ma devi farci caso, altrimenti ti sembrerà solo qualcosa di perfettamente ordinario in un mondo non così ordinario. 




Quando Lucian uscì dal portale aperto sulla parete in mattoni di quell'attico in uno dei tanti grattacieli di New York, per la prima volta dopo giorni sorrise. Dapprima erano piccoli rumori lontani, poi divennero sempre più forti, e poi ancora si accesero incendi microscopici che si espansero sempre di più.
Il licantropo poteva facilmente vedere gli edifici più bassi nel cuore della Grande Mela che venivano ricoperti da lingue di fuoco sempre più alte, e mentre i minuti scorrevano senza che lui si muovesse li vedeva annerirsi mentre il fuoco si ingrandiva sempre di più.
Si sedette su una delle poltrone in pelle bianca posta davanti alla grande porta finestra, che dava su un terrazzo piuttosto ampio pavimentato in parquet di pietra, e lanciò un'occhiata allo stregone rimasto accanto al portale.
— Asa — incominciò, non distogliendo lo sguardo dallo spettacolo davanti a lui. — Melchizedeck non si è ancora fatto sentire?
— Conoscete i suoi ordini, signore. Aspettare fino al suo segnale e poi andare a dirigere la squadra di nephilim. — rispose il nascosto dalla pelle color pomodoro, impassibile. Luke sbuffò: quanto odiava i piccoli soldatini del re dei nascosti. Insomma, mai un po' di iniziativa, mai uno sbilanciamento personale, mai una gentilezza, niente di niente, sembravano solo vuoti e senza emozioni. 
Scosse lievemente il capo, aspettando impaziente il messaggio grigio che Melchizedeck avrebbe dovuto mandare di lì a poco. Non vedeva l'ora di scendere in campo, e sperava ardentemente che i cacciatori di New York si presentassero a far fronte a quella nuova ondata di attacchi. Oh, quanto avrebbe goduto nel vedere lo sguardo tradito di Jocelyn e nell'ucciderla, sì! Aveva passato i migliori anni della sua vita a seguirla come un cagnolino, e questo soltanto perché doveva farsela amica e monitorare la mini piattola con i capelli rossi. Solo perdite di tempo, secondo lui, ma si sapeva, agli ordini del suo dispotico fidanzato non si poteva disobbedire.
Era anche ironico che Lucian non si rendesse conto che, pur avendo paragonato i nascosti al soldo di Deck a soldatini vuoti, anche lui non era altro che una marionetta nelle mani di qualcuno molto più potente di lui.
Se solo fosse riuscito a vedere le cose da un punto di vista oggettivo, be', di sicuro tutto sarebbe stato molto più chiaro. Il licantropo era sempre stato in cerca di fama, da quando Valentine l'aveva raccolto e aveva fatto di lui un buon combattente, ma… ma non era stato abbastanza.
Era bravo, godeva della luce riflessa di persone più importanti e affascinanti di lui, era addirittura il parabatai di Valentine Morgenstern, colui che a quei tempi era forse una delle maggiori promesse dei cadetti di Idris e che godeva di una considerevole buona nomea anche fra gli anziani, eppure non era abbastanza, il problema era proprio il suo ex-migliore amico. Doveva sempre essere oscurato dalla sua luce, tutti che lodavano l'albino ogni santo giorno, neanche fosse stato Raziel in persona, e lui… lui riceveva sorrisi condiscendenti solo perché gli faceva da spalla. 
La cosa divertente era che odiava Valentine con tutto se stesso, e allo stesso tempo non poteva fare a meno di idolatrarlo all'inverosimile. Vedeva in lui il diavolo e un santo, reincarnati insieme nello stesso corpo.
Aveva incontrato Melchizedeck poco tempo prima di compiere diciott'anni e quindi, poco prima di diventare uno shadowhunter a tutti gli effetti. All'inizio gli era sembrato soltanto uno sporco nascosto in cerca di gloria, pieno di idee deliranti e strampalate, qualcuno da disprezzare – dopotutto, le convinzioni che il suo parabatai gli aveva inculcato in testa erano dure a morire e ancor più ad essere sradicate, per quanto lo odiasse… 
Ma alla fine, l'ibrido - il primo vero ibrido, all'epoca, almeno a quanto gli aveva raccontato - era riuscito a convincerlo. Piano piano e con sottili lusinghe, si era insinuato in lui come poche altre persone avevano fatto.
Ci teneva a precisare, comunque, che era stato un lavoro difficile anche per Melchizedeck. Non perché lui fosse una persona particolarmente forte o determinata, no, dopotutto gli ideali del Circolo contavano ma non quanto giorni e notti di lusinghe, dimostrazioni, regali, chiacchierate sempre più impegnate sui vari punti di vista dei nascosti e dei nephilim.
No, quello che davvero aveva contato era la dichiarazione del fidanzamento ufficiale tra Jocelyn e il suo cosiddetto parabatai. Oh, quanto li aveva odiati, con tutto il suo cuore, con l'intera sua anima. Era stato quello a buttarlo tra le braccia del re dei nascosti.
Ma no, lui non amava Jocelyn, non li aveva certo detestati per questo. Lui, be'… lui voleva Valentine. La persona che più odiava e più amava al mondo, che lo oscurava con discorsi grandiosi, e in quel modo l'aveva fatto innamorare, un amore pieno di veleno, questo era certo. E sarebbe anche stato disposto a lasciare le cose come stavano, a seguirlo in silenzio senza dire nulla, perché se c'era una cosa che il Morgenstern non avrebbe accettato dopo i nascosti era probabilmente proprio quella, ma… ma non l'aveva nemmeno sfiorato l'idea che prima o poi l'altro potesse decidere di sposarsi con la sua storica fidanzata. Oh, era stato così ingenuo.
Ma per fortuna Melchizedeck l'aveva fatto rinsavire, gli aveva mostrato quanto, effettivamente, avesse sbagliato a credere in quello sciocco shadowhunter. 
Da lì le cose si facevano sfocate: ricordava vagamente degli incontri tra lui e l'ibrido, ma non sapeva cosa avessero fatto in quel lasso di tempo, poi c'erano stati dei baci, delle prime notti di fuoco, parole sussurrate che non riusciva a rammentare e poi… c'era qualcosa, qualcosa nascosto sotto la superficie di quei brandelli poco importanti, eppure non riusciva a capire cosa. 
Stava iniziando a interrogarsi sulla faccenda quando Asa si schiarì la gola: — Il nostro signore ha mandato il messaggio. Ha il via libera. — disse.
E Lucian semplicemente lasciò perdere la questione.
Quello fu solo l'ennesimo dei suoi tanti sbagli, perché se solo avesse insistito, se avesse scavato sotto la soglia dell'incantesimo, avrebbe scoperto che sotto i baci e le carezze e i discorsi c'era ben altro.
L'unica cosa che continuò a tormentarlo durante la battaglia, comunque, mentre lasciava libero  il suo istinto ed entrava nelle case massacrando i civili, fu una manciata di parole che non ricordava di aver mai pronunciato, e a cui non riuscì a dare un senso.
"Io giuro di mettere al servizio del mio signore il mio corpo, la mia mente e la mia anima, volontariamente e dolorosamente, e così sia."




Jia ansimò, passando una mano sul petto di Robert. Oh, quanto amava il suo corpo: così tonico ed allenato, nonostante gli anni che passavano, proprio come il bravo soldatino che era. 
Aveva parlato con Maryse, certo, le aveva assicurato che tra loro due non c'era più niente… ma la verità era che non sarebbe mai riuscita a smettere. Non amava Robert Lightwood, per carità, con il carattere schifoso che si ritrovava era stupita di come la sua carissima amica si fosse potuta innamorare di lui, ma non poteva negare che fosse un amante eccezionale.
Strinse forte il corsetto da battaglia che l'altro ancora indossava, iniziando a slacciare velocemente tutte le cinghie che la separavano dal suo magnifico corpo nudo. Giunta quasi alla fine diede un ultimo strattone, sistemando così gli ultimi impedimenti, e facendo crollare la protezione. Si sbarazzò in breve tempo anche della sua camicia, e poco dopo lui la fece voltare per liberarla dalla semplice tunica che indossava quel giorno.
Cinque minuti dopo erano entrambi stesi sulla sua scrivania, gementi.
— Oh, Robert… — sussurrò, baciandogli con passione il collo. La verità era che si divertiva immensamente a lasciargli dei succhiotti, sebbene il nephilim le avesse imposto di non farlo: era proprio quello il bello, disobbedirgli. Perché lei poteva. Era il Console, dopotutto, e l'Inquisitore era tenuto ad obbedirle.
Sorrise mentre si strusciava contro di lui, lasciandosi slacciare con cura il reggiseno – alla fine, Robert era sempre stato più pacato di lei, nonostante tutto.
Occhieggiò con malizia i suoi boxer di seta, ridacchiando al pensiero di quanto fosse maniaco dei dettagli, e prese a giocherellare con il bordo elastico quando la porta si spalancò.
Vide quasi tutto al rallentatore: uno dei messaggeri, uno dei pochi incaricati di rimanere fuori dalla protezione fornita da Alicante, era entrato di botto nella stanza, senza nemmeno bussare. Cosa più importante, era la spia rimasta a New York. 
Il ragazzo, che non doveva avere più di ventott'anni circa, rimase pietrificato sulla soglia, boccheggiante, mentre Robert si accorse dell'altra presenza maschile nella stanza, scattando immediatamente verso la sua camicia lanciata su una sedia poco lontana per poi drappeggiarla addosso all'amante. Era sempre stato un vero cavaliere, dopotutto. Uno viscido e strisciante, come un piccolo verme affamato, ma comunque un cavaliere.
— Quindi? — chiese Jia, cercando di recuperare il contegno perduto. Riusciva solo a pensare che avrebbe dovuto costringere quell'idiota a non rivelare a nessuno quello che aveva visto.
— G-gli ibridi s-s-tanno attaccando N-new York, Console… I-i-nquisitore. — balbettò il ragazzo, con ancora gli occhi sgranati.
Nonostante tutto, quelle parole fecero riprendere a Jia il pieno controllo delle sue facoltà mentali. Poteva essere una bugiarda, poteva avere una relazione extra-coniugale, ma non si fosse mai detto che non era una buona Console. 
— Robert, fa entrare il ragazzo. Poi rivestiti e vai ad avvisare gli Shadowhunters di Los Angeles dell'attacco, digli di intervenire.— fece una pausa per riprendere fiato, lo sguardo deciso e sicuro di sé: — Il gruppo dei Morgenstern non deve venire a sapere nulla, ci siamo intesi?
—  Sissignora. — Oh, quanto amava vederlo sottomesso. 




Clary non pensava che aggirarsi in quello che era praticamente il palazzo privato di Melchizedeck fosse facile, no, per carità, ma non pensava nemmeno che fosse così difficile. Insomma, doveva essere una missione veloce, ma anche se erano lì da appena dieci minuti si erano visti venire addosso due fate-vampire, uno stregone parecchio potente, quattro licantropi perfettamente trasformati, tre vampiri assetati di sangue, poi due cani neri non bene identificati che Jace aveva chiamato Incubus e, sorpresa delle sorprese, uno shadowhunter che ora stavano fronteggiando – anche se comunque i mostri non avevano attaccato tutti in quest'ordine, ma era lo stesso.
La ragazza sgranò gli occhi, esterrefatta: trovarsi a fronteggiare un altro nephilim, era… strano. Improvvisamente ritornò ad essere la mondana di qualche anno prima, e ricordò le guerre viste da occhi completamente umani, non contaminati dal sangue angelico: soldati posizionati su due schieramenti diversi che si uccidevano l'un l'altro come se niente fosse, soltanto perché appartenevano a due fazioni diverse, pur essendo tutti semplicemente umani.
Si sentì come loro. Piccola, spaventata, soltanto una formica in qualcosa di troppo grande.
Tutto finì in fretta, troppo in fretta, comunque. Quasi non vide Valentine estrarre una spada - non avrebbe saputo dire se era angelica o meno, di certo non aveva la caratteristica luminosità e non bisognava evocarla - e preparare il colpo roteando la spada come una mazza da baseball che deve colpire la palla. Semplicemente, al posto di infilzarla, gli colpì il collo, tranciandogli di netto la testa con una forza quasi disumana.
Clarissa spalancò la bocca, esterrefatta. Jace, accanto a lei, sembrava più composto, ma non ebbe il tempo di preoccuparsene, perché venne strattonata in avanti dal padre. 
— Non abbiamo tutto il giorno, e non ho intenzione di restare allo scoperto a farmi attaccare. 
Avanzarono velocemente e il più silenziosamente possibile, aprendo ogni porta che incontravano - e certe volte richiudendole subito dopo, esterrefatti -. Alcune non si aprivano, nemmeno con delle rune, forse a causa di alcuni incantesimi che probabilmente erano stati apposti sopra esse, e nemmeno le spade facevano nulla. Potevano solo sperare che Jocelyn non fosse dietro una di quelle porte.
Poi incominciarono i rumori, piccoli passi che si propagavano ovunque, e Clary scattò in avanti, portandosi alla testa del gruppo, non volendo essere attaccata per l'ennesima volta.
Dopo una decina di minuti passati praticamente correndo si fermò, esterrefatta, indicando un punto davanti a sé. Oh, Melchizedeck era ironico. Molto. Troppo. 
La porta della "cella" di sua madre era aperta, e lei era legata alle colonnine di un baldacchino, con manette in quello che sembrava adamas. Praticamente indistruttibile, ottimo. 




Dall'alto di brulle colline verdi, poco lontano da un gigantesco lago attorniato da alberi secolari e maestosi, Melchizedeck sorrise. Sì, alla fine stava andando tutto secondo i suoi piani. 




 
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(1) = Qualsiasi riferimento a Simon Lewis è puramente casuale, eh XD
(2) = Riferimento al primo racconto delle Cronache Dell'Accademia, che se non sbaglio - non ricordo XD - si chiama Benvenuti all'accademia.



 
A.A:
Mi scuso umilmente per il ritardo di sedici giorni - contati, sì -, ma sono purtroppo ancora impantanata in una situazione di merda e la voglia di scrivere è ben poca. Nonostante questo, comunque, sto cercando di andare avanti e come vedete, per ripagarvi dell'attesa ho cercato di postare un capitolo abbastanza corposo ^^
Che cosa ne pensate? Me la lasciate una recensioncina, anche piccina piccina?
Ancora una volta, non so dirvi con precisione quando aggiornerò, ma inizierò a scrivere il prossimo capitolo questa sera stessa, quindi rimaniamo con la solita scadenza di quindici giorni - sì, è tanto, ma ripeto, ultimamente per problemi personali la voglia è poca :( -.
A presto,
Winchester_Morgenstern
P.S: Piccolo spoiler: nel prossimo capitolo ci sarà qualche dettaglio in più su Jean e qualcosina su Simon e Ailinn, di cosa pensate si tratterà? ;) 
P.P.S: Dov'è Melchizedeck? LOL

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Capitolo 28
*** XXVIII - Tic, toc ***


SHADOWHUNTERS - CITY OF MARBLE

XXVIII - TIC, TOC


Ian si arrampicò sul letto di Isabelle, dove aveva già lanciato Qua Qua, altresì conosciuta come la sua paperella di gomma che ormai si portava dietro ovunque. Ma al momento, il suo giocattolo per il bagno gli interessava ben poco perché, mentre la shadowhunter accanto a lui era impegnata a cambiare le lenzuola impolverate del letto, avevano trovato un grosso baule di legno, che Izzy aveva poi aperto con una runa di sblocco, un po' esitante. Insomma, avrebbe potuto esserci qualunque cosa lì dentro, e invece… invece c'erano interi pacchi di vecchie fotografie, delle lettere, una spada di legno e un orsacchiotto di peluche. 
Entusiasta, Ian si era subito appropriato del pupazzo, rigirandoselo fra le manine: era marrone cioccolato, un po' spennato e con le cuciture malandate, in più gli mancava uno dei due occhietti neri, ma aveva un bel fiocco viola al collo ed era morbido, e tanto bastava. Prima di cederlo al bambino, Isabelle aveva dovuto più volte sbatterlo in aria tenendolo per una zampa, cercando di far volare via la polvere che si era depositata sopra al giocattolo, e poi bagnarlo, perché alla fine sballottarlo di qua e di là non aveva funzionato.
Ora il piccolo Morgenstern lo stringeva fra le braccia con aria entusiasta anche se un po' corrucciata.
— Cosa c'è? — gli chiese Isabelle, perplessa.
— Be'… devo dali u nome! — rispose il bambino, fissando intensamente l'orsacchiotto come se esso stesso avrebbe potuto animarsi e rivelargli come si chiamava.
Se lo rigirò ancora un po' fra le mani, poi si sporse in avanti per afferrare Qua Qua e li mise seduti vicini, scrutandoli ancora per qualche minuto: — Qua Qua e Samy! — decretò infine, illuminandosi.
La corvina rise e lo prese in braccio, avendo cura di porgergli anche i due giocattoli, ben conscia che probabilmente Ian non se ne sarebbe separato tanto presto.
Lei aveva finalmente finito di ripulire quel letamaio che Jia aveva osato chiamare camera, quando aveva parlato della casa, quindi aveva un po' di tempo per giocare con quel piccolo cosino dalle ali piumate. Meglio quello che pensare a Melchizedeck che molto probabilmente stava massacrando i Mondani fuori da Idris, certo. Davvero non riusciva a capire la decisione del Conclave, tutt'al più biasimava quegli stupidi idioti che avevano costretto i nephilim a ritirarsi nella loro "fortezza inespugnabile", ancora una volta. La gente avrebbe dovuto imparare dai propri errori, no? E allora perché non avevano pensato che, se davvero aveva a disposizione un esercito di ibridi, molto probabilmente quel folle Nascosto avrebbe potuto attaccare da un momento all'altro? Valentine aveva già mostrato come fosse facile farlo qualche anno prima, dopotutto.
Scosse il capo per scacciare quei pensieri almeno per un po' e aiutò Ian a prendere una delle coperte che aveva trovato in giro per la casa - a proposito, avrebbe dovuto portarne una a Clary, più tardi - e poi ad aprirla e accartocciarla fino a formare quello che sembrava una specie di nido, dove il bambino depose paperella e orsacchiotto. 
— Qua Qua e Samy fano nanna! — spiegò il piccolo, accarezzando i due giocattoli come avrebbe fatto con due animaletti veri. A volte era inquietante pensare che quel biondissimo bimbo fosse capace di tanto amore verso le piccole cose e, allo stesso tempo, anche di strappare il cuore di un'ibrida a mani nude con la stessa leggerezza e felicità.
— E magari anche Ian vuole fare la nanna? — chiese Jonathan, entrando nella stanza. Isabelle trattenne una risata: lui si rendeva conto quanto si addolcisse in presenza di suo figlio? Sembrava un'altra persona. 
— No no! Non volio domire! — protestò il biondissimo mini-Morgenstern, scattando in piedi sul letto mentre gli occhi gli si illuminavano di una luce birichina. Poco dopo, però, si esibì in un fantastico sbadiglio spacca-mascella.
Il cacciatore rise e si sedette a sua volta sul letto, facendo sdraiare Ian accanto ai suoi giocattoli. — Papà, no domire! — protestò, scalciando appena e sbattendo le palpebre, forse per combattere il sonno. D'altra parte, aveva speso la maggior parte della giornata ad aiutare Isabelle a pulire, seppur con pochissimo sforzo – e ancor meno dedizione, certo.
— Ne sei sicuro? Perché per me puoi anche restare sveglio, ma poi stasera, quando sarai stanco e vorrai andare a letto, non potrò stare con te perché dovrò parlare con gli altri del signore cattivo, Ian. Quindi, vuoi dormire adesso e restare con me più tardi o andare a dormire da solo dopo? — chiese Jonathan, nascondendo un sorriso. La risposta era così scontata che probabilmente non avrebbe dovuto nemmeno formulare la frase come una domanda.
— No no, dolmo ola! — strillò il bambino, annuendo freneticamente. Isabelle rise, divertita, e gli accarezzò i capelli. 
— Però… — Ian si imbronciò, contrariato. Afferrò il braccio di suo padre e quello della shadowhunter, deciso: — … Voi dovele domile con me! — esclamò, ridendo. 
Ora, c'era qualcosa di dannatamente persuasivo in quel bambino, perché nel giro di dieci minuti tutti e due i cacciatori erano sdraiati sul letto, con Ian, le coperte, Qua Qua e Samy tra loro.
Dopo un po' il bambino si mosse e poi scattò a sedere, stropicciandosi gli occhi: — Papà… — chiese, titubante, mentre gli lanciava il classico sguardo che Jonathan aveva imparato a classificare come "voglio qualcosa o il permesso per fare qualcosa".
— Sì? — chiese, riflettendo su quale potesse essere la nuova richiesta del marmocchio. Insomma, cosa c'era di così importante da riscuoterlo dal dormiveglia?
— Be'… — incominciò il bambino, stringendosi Samy al petto: — Stavo pelsando… se… poso cambiale mama? Può essele Isy la mia mama? 
Jonathan e Isabelle sgranarono gli occhi, guardandosi a vicenda con l'aria di chi ha appena visto una Sorella di Ferro in topless e perizoma che va ad un appuntamento con un Demone Superiore. In parole povere, probabilmente non erano mai stati e non sarebbero mai stati più stupefatti di quanto lo erano in quel momento.
— Be', Ian… — borbottò Jonathan: — Dovresti… dovresti chiederlo a lei, non credi? — tentò di argomentare, fissando un punto imprecisato della tappezzeria a fiori sbiaditi davanti a lui.
Isabelle arrossì e gli lanciò un'occhiataccia in stile "perché scarichi a me tutto il lavoro?! Sei tu suo padre!" e prese il bambino in braccio, accarezzandogli i capelli con aria esitante.
— Issy, puoi essere la mia mama? — chiese di nuovo il bambino, cercando di impegnarsi per dire tutte le parole giuste come le sentiva pronunciare dai grandi.
La ragazza si mordicchiò le labbra e subito dopo tentò di rivolgergli un sorriso convincente: — Io… suppongo… be', suppongo che potrei esserlo, se tu lo volessi davvero, Ian.
Questa volta soltanto Jonathan era in coda per l'effetto shock, perché spalancò comicamente la bocca, stupefatto, mentre Ian gettava le braccia al collo della ragazza e iniziava a parlare talmente velocemente da non far capire nulla. Il ragazzo le rivolse uno sguardo serio, sporgendosi appena: — Tu sai che non se lo dimenticherà tanto presto, vero? Potrebbe decidere che tu sei la sua vera mamma, ad un certo punto. — le sussurrò in un orecchio.
Isabelle rabbrividì quando le labbra di Jonathan le sfiorarono la pelle: — Sarebbe così male? — chiese a bassa voce, rendendosi conto che Ian si era appisolato con la testa sulla sua spalla. Lo poggiò con cura sulle coperte, rannicchiato su se stesso poco lontano da loro, ma non più in mezzo. 
— Non sono esattamente la persona più adatta per fare rimostranze o simili progetti per te, ma… — fissò i suoi occhi scuri in quelli della shadowhunter: — Non pensi che lo sarà quando deciderai di sposarti e avere dei figli?
— Be', vediamo… a voler essere onesti, Jonathan, sono sempre uscita con i Nascosti per un motivo. Conosco tutti i nephilim della mia età, o almeno tutti quelli che sono venuti almeno una volta ad Alicante, e sono per un terzo degli idioti, per un altro terzo dei bigotti tradizionalisti e per l'ultimo insulsi e senza spina dorsale. Comprenderai quindi che, ragionando in questi termini, e aggiungendo a questo problema anche la guerra che di certo non finirà domani… ti aspetti che riesca a trovare qualcuno in tempi brevi? 
— Gli shadowhunter si sposano giovani, di solito…
— Stai insinuando quindi che dovrei sposarmi col primo che capita solo per avere altri figli per rimpinguare l'esercito di, be', praticamente di morti che camminano contro gli ibridi?! — Isabelle assottigliò gli occhi: — Sappilo, stai camminando su ghiaccio sottile.
— No! — L'albino scosse il capo: — Raziel, perché nessuno riesce mai a comprendere il mio punto di vista? Intendevo dire che, insomma… hai mai pensato che tua madre o tuo padre potrebbero presentarti dei pretendenti? Di solito è così che si fa, e se tu non sei già impegnata…
— Mio padre non ha più alcun diritto su di me, giunti a questo punto. E mia madre ha una volontà di ferro, è vero, ma io sono più cocciuta, davvero non c'è limite alla testardaggine di certe persone, sai? — La cacciatrice rise, scuotendo il capo. — E poi, — aggiunse, sorridendo appena: — Se mi stessi frequentando con qualcuno nessuno potrebbe corteggiarmi, giusto? Chi ti dice che non abbia già qualcuno in mente con cui uscire?
Lui inarcò un sopracciglio: — Hai appena detto che nessun nephilim incontrato a Idris ti piace, e probabilmente Robert Lightwood riuscirebbe a trovare una legge secondo la quale uno shadowhunter ti può corteggiare anche se stai frequentando un Nascosto.
— Raziel, e tu dovresti essere quello intelligente! — sbuffò Isabelle, alzando gli occhi al cielo. Poi scattò in avanti e afferrò Jonathan per il colletto della divisa, facendo scontrare le loro labbra e iniziando a mordicchiare quelle del ragazzo. 






Jean scosse il capo. Chi diavolo aveva reso Console Jia Penhallow? L'avrebbe ucciso alla prima occasione!
Insomma, come poteva essere giusto, nella mente di quell'idiota, ritirare tutti i cacciatori per rinchiudersi a Idris? Il punto non era nemmeno questo, in realtà. Per colpa di quell'inetta, ora il suo lavoro sarebbe diventato immensamente più difficile.
Ma non poteva pensare a questo, non ora. Insomma, quando aveva deciso di andare a New York sapeva dei problemi a cui sicuramente sarebbe andato incontro, e quindi non poteva certo lamentarsi.
Nascose l'ultimo pugnale nella manica della tenuta e chiuse la porta della sua stanza. Nel caso non avesse risposto nel lasso di tempo in cui sarebbe stato via, tutti avrebbero sicuramente pensato che dormisse. Non era così insolito, dopo le pulizie estenuanti che avevano stancato tutti per gran parte del giorno.
Aprì la finestra, lasciando che il vento non troppo fresco che spirava gli solleticasse il viso, e poi si arrampicò sul cornicione. Era al secondo piano, non era un salto così difficile, l'unico problema era stare attento a non farsi vedere davanti alle finestre del piano di sotto, nel caso in cui ci fosse qualcuno nella stanza.
Si lanciò, cercando di cadere di lato rispetto alla finestra. Gettò un'occhiata alle sue spalle e sorrise alla sua stessa fortuna sfacciata: era vuota. 
Si allontanò in fretta dalla villa, nascondendosi come un'ombra tra gli alberi. E chi l'avrebbe mai detto, anche solo un anno prima, che si sarebbe ritrovato a fare una cosa simile? Lui no di certo, e se uno dei suoi fratelli o cugini l'avesse saputo gli avrebbe riso in faccia.
In ogni caso, adesso non poteva perder tempo in sentimentalismi, ma solo percorrere il più in fretta possibile la strada che lo separava dalla tenuta dei Wayland, che non era esattamente dietro l'angolo. Passò i seguenti trenta minuti a camminare tra le fronde e i sassi, acquattandosi dietro qualcosa ogni volta che sentiva il minimo rumore. La maggior parte della volte si trattava solo di piccoli animali, ma non voleva sapere cosa gli avrebbero fatto se l'avessero trovato ad aggirarsi armato di tutto punto nel boschetto. 
Era quasi giunto alla grande casa, già ne vedeva il profilo, mente il cielo si faceva sempre più scuro, quando iniziò a sentire dei rumori parecchio sospetti. Nessun animaletto avrebbe fatto un frastuono simile, erano movimenti troppo pesanti per uno scoiattolo o un coniglio, e in più sentiva un cuore pulsare forte e chiaro. Un cuore umano.
Sfilare uno dei pugnali che si portava dietro fu fin troppo semplice, ed estremamente veloce. Quasi rise in faccia allo shadowhunter che gli si catapultò contro, urlando come un ossesso. Non aveva più di diciott'anni, e non era nemmeno troppo difficile pensare a cosa potesse mai volere. Essere famoso. Oh, quanto lo compativa… la fama era qualcosa di orrendo, feriva più di quanto aiutava.
In ogni caso, lasciò che gli arrivasse vicino e poi gli bloccò le braccia, gettando a terra la spada angelica che impugnava.
— Tu… — iniziò il ragazzo, ringhiante.
— Io ti uccido se non la smetti di fare il cretino! — sibilò Jean, spingendolo contro un albero in modo che non potesse liberarsi in alcun modo, avendo il legno dietro e lui davanti. — Uita. — sussurrò, e per un attimo, superando anche la barriera delle lenti a contatto, i suoi occhi s'illuminarono del loro colore originale. 
Amava la Romania, oltre che per i luoghi affascinanti, anche per la magia. C'era tutto un mondo nascosto in quella nazione, più che in altri paesi, una rete di Nascosti e in special modo stregoni che inventavano sempre nuovi incantesimi. Uita, letteralmente, significava dimentica (1) in rumeno, e faceva proprio questo, cancellare i ricordi dell'ultima ora. La cosa più bella, poi, era che aveva dei contatti, in quei luoghi… contatti che creavano incantesimi appositamente per lui che, purtroppo, più di qualche trucchetto utile non riusciva a fare altro. La sua natura primaria non era quella di stregone, dopotutto. 
Subito dopo diede un pugno al ragazzo. Aveva il naso sanguinante e probabilmente rotto, oltre ad essere svenuto, ma perlomeno non era stato costretto ad ucciderlo per davvero. Lo sistemò seduto con la schiena contro l'albero a cui l'aveva inchiodato col suo corpo anche prima e sparì in fretta da lì, attraversando una piccola radura a grandi passi, un po' nervoso a causa del fatto che era completamente allo scoperto, e poi giunse finalmente davanti a quella che era di certo la tenuta Wayland. 
Sorrise, soddisfatto, e fece il giro del perimetro fino a quando non si ritrovò sul retro. Si avvicinò ad una delle finestre al piano terra ed estrasse lo stilo dalla tasca dei pantaloni. Non aveva bisogno di incidere nessuna runa, ma semplicemente di infondere una stilla di potere del manufatto nella finestra… quindi affondò la punta di quella che era a tutti gli effetti un'arma nel vetro e quello s'illuminò per un attimo di luce celeste, per poi creparsi e rompersi in tantissimi piccoli pezzi. Si aggrappò al lato superiore di quel che restava della finestra e si issò dentro, cercando di non sfiorare il vetro. Quando atterrò sul pavimento della casa, si rese conto di avere il fiato corto. Ecco perché non usava mai incantesimi… anche i più semplici lo sfiancavano fin troppo per essere realmente utili in battaglia, ma in questo caso non doveva combattere contro nessuno, quindi andava bene. 
Rimase per qualche attimo a cercare di controllare il respiro, ma poi si alzò e si diresse verso la sua meta. Non poteva lasciare che qualcuno, nella villa dei Morgenstern, si accorgesse della sua assenza.
Giunto alla biblioteca, aprì la porta e sorrise, avviandosi verso un punto preciso. Sì, avrebbe trovato quello che stava cercando. 




Clary si accasciò contro lo schienale di una grossa poltrona rossa, esausta. Aveva fatto tante cose difficili nella sua vita, o almeno, negli ultimi anni, ma liberare sua madre dal covo di Melchizedeck si piazzava direttamente nella top ten, questo era poco ma sicuro.
Insomma, erano entrati nella stanza in cui era tenuta prigioniera e l'avevano vista imprigionata al letto con delle manette di adamas. A parte quello, sembrava illesa, comunque. Il problema era, però, liberarla da quell'ingegnoso metodo per tenerla ferma: praticamente il metallo angelico era indistruttibile.
Non avrebbe mai dimenticato, comunque, lo sguardo colmo di emozioni che Valentine aveva rivolto a sua mamma. Non avrebbe saputo dire se era amore o un semplice strascico di esso, lussuria o sollievo, quello che sapeva, però, era che qualcosa l'aveva provata anche lui. 
— Luke si è portato via le chiavi. — aveva detto sua madre, indicando con la testa i suoi polsi bloccati.
Oh, fantastico, quindi quella era la stanza di Luke. Clarissa si era guardata intorno, cercando di capire che tipo potesse essere quel Lucian che mai, in tanti anni, aveva visto. Ogni singolo oggetto, colore o anche il più piccolo e insignificante particolare, malgrado tutto, era una stilettata al cuore. Cercava di essere forte, sul serio, ma questo non significava che non soffrisse, specie per qualcuno che aveva considerato quasi come un padre e che l'aveva tradita - le aveva tradite - così brutalmente. 
Forse era una specie di maledizione, magari era destinata a cavarsela sempre male con i padri o con gli pseudo-tali. 
Comunque non aveva più avuto tempo per riflettere perché, mentre Jace e Valentine trafficavano attorno a Jocelyn, cercando un modo per liberarla, un succubo era entrato nella stanza.
I succubi erano una delle tante varietà di demoni, e questa era anche fra i più rari. Cacciavano prede umane, perlopiù, ma non disdegnavano nemmeno i quasi-umani come i nephilim e i licantropi. Potevano nutrirsi dell'energia di queste razze e rinforzarsi, o prendere sostentamento dall'atto sessuale in sé.
Effettivamente, non erano obbligati a scopare qualcuno per nutrirsene, ma leggende metropolitane - anche il Codice, in realtà, sebbene piuttosto sottilmente e molto fra le righe - volevano che portandosi a letto la vittima i succubi acquisissero un maggiore potere e sostentamento, oltre che un piacere più grande, ovviamente.
Comunque, per quel che ne sapeva Clary, quel tipo di demoni poteva succhiare energia vitale con un semplice contatto, e dopo aver toccato il malcapitato poteva farlo anche a distanza fino a prosciugarlo. Ragion per cui avrebbero dovuto farlo fuori al più presto e soprattutto, non lasciarlo scappare in nessun caso se avesse anche solo sfiorato uno di loro.
Non ci aveva messo molto a sfoderare una lama angelica dalla cintura che aveva in vita, ma non aveva calcolato quanto dannatamente veloce fosse il maledetto mostro – in realtà aveva un aspetto femminile, assomigliando quasi in tutto e per tutto a una donna, seppur non considerando i denti appuntiti, la pelle quasi innaturalmente brillante e la lingua biforcuta.
La nephilim era schizzata di lato, evitando un attacco del succubo e iniziando a girare in cerchio per tenerla d'occhio. Non che avesse potuto far molto altro, in un ambiente così ristretto.
— Clary, non guardarla fisso! La luce che emana serve per ipnotizzarti e nutrirsi di te! — le aveva strillato Jace, mentre colpiva le manette con una spada angelica. Adamas contro adamas. C'era stato un terribile rumore stridulo che aveva assordato tutti per qualche attimo, mentre le scintille volavano alte, abbastanza da accecare per un attimo Clarissa e permettere al demone di raggiungerla.
La diciottenne era balzata indietro, aveva scartato l'ennesimo attacco del mostro e si era resa conto che era rimasto - o rimasta, o quello che era, insomma - a sua volta lievemente disorientato dalla luce sprigionata dalle lame. 
Si era lanciata in avanti, tentando di affondare la spada nello stomaco del demone, che però se l'era cavata con una mezza piroetta, per poi cercare di tirarle via la spada dalle mani, ottenendo il solo risultato di ferirsi sempre di più i palmi.
Clarissa aveva poi strattonato l'arma e contemporaneamente era stata imitata dal'avversario, fino a quando non si erano ritrovati entrambi praticamente a terra. Il succubo era bloccato da un tappeto persiano che le aveva avvolto le gambe nella caduta, e la shadowhunter ne approfittò per alzarsi in ginocchio e trapassarle il cuore con Ezekiel.
Si era rialzata in piedi e aveva lanciato un'occhiata furente a Valentine che, nel mentre, al posto di aiutarla e staccare la testa a quella dannata puttana demoniaca, era rimasto a osservare le manette con aria curiosa, poi aveva scrollato le spalle e detto: — Be', ti avevo detto allenamento speciale, no? Che senso avrebbe avuto aiutarti?
Stupido bastardo arrogante.
Clary si era poi avvicinata a sua madre, ansimante e preoccupata, e aveva chiesto: — Qualche idea? 
Jocelyn aveva aggrottato le sopracciglia e poi scosso il capo, ma Valentine aveva sgranato gli occhi e indicato il cadavere del succubo: — Il sangue demoniaco corrode le spade angeliche. — aveva affermato.
— Corrode, appunto. Ce ne vorrebbero litri per neutralizzare completamente delle manette così. — aveva obiettato Jace.
Clarissa aveva lanciato uno sguardo al demone, soppesandone il cadavere: — Be'… lì dentro dovrebbe essercene abbastanza. — aveva detto, disgustata dal suo stesso pensiero. Ma per sua madre, in ogni caso, avrebbe squartato anche una legione intera di mostri.
— Nessuno si è ancora chiesto perché il corpo non è svanito? — aveva fatto notare Jocelyn, inarcando un sopracciglio. 
Dopo quella domanda senza risposta, l'operazione "recuperiamo Jocelyn" era diventata più o meno "apriamo un mattatoio", e da lì era storia. Il vero problema non era stato tanto uscire dalla villa di Melchizedeck, perché a parte i nascosti che sbucavano ad ogni svolta, praticamente, non c'era stato nulla di significativo. No, la cosa complicata era stata vedersela con gli altri rimasti a villa Morgenstern e spiegare loro che sì, erano sgattaiolati di nascosto in cantina, avevano aperto un portale ed erano andati a riprendersi sua madre. 
— Sentite, io non ce la faccio più! — sbottò Maryse, alzandosi in piedi di scatto dalla poltrona color borgogna su cui era seduta. — Non possiamo starcene qui con le mani in mano mentre fuori succede chissà cosa! — continuò, iniziando a percorrere la stanza a grandi passi: — È per questo che l'ultima volta ci siamo ritrovati così in difficoltà con Valentine. Dobbiamo elaborare una strategia, attaccare per primi, non aspettare che ci vengano a stanare! — Così concluse la sua arringa, mettendosi le mani sui fianchi e scrutando tutti in stile sergente dei marines.
Valentine applaudì beffardamente, ridendo a pieni polmoni: — Oh, ma bene, dopo quasi un millennio i Nephilim ci sono arrivati! Ormai praticamente non ci speravo più! 




Erano forse le sei del pomeriggio e il cielo stava incominciando a tingersi dei colori del tramonto, appena infuocato, quando si ebbe il primo sentore di qualcosa si sbagliato. I primi ad avvertirlo furono gli uccelli: incominciarono a volare in circolo, tutti insieme, stormi dalle tonalità scure che sembravano quasi delle grosse nuvole fin troppo veloci.
Il primo ad accorgersene fu Matthew Burnshadow, un bambino di tre anni che stava giocando con un trenino e una spada di legno. Lasciò cadere i giocattoli in terra e con aria stupefatta tirò il pantalone della madre, per poi farsi prendere in braccio ed indicare il cielo, anche se allora la donna se n'era già accorta. 
Furono quelli i momenti in cui i cacciatori iniziarono ad uscire dalle case, a riunirsi, ad armarsi. E fecero bene, perché, come se il movimento improvviso degli uccelli - degli animali, in realtà, ma piccoli scoiattoli e tassi nella foresta di Brocelind erano decisamente meno visibili di tutti i volatili nel cielo - non fosse bastato, scintille, no, fumo colorato iniziò a riempire il cielo, in lontananza, ben oltre le barriere protettive di Alicante, ma ancora troppo vicino e sicuramente dentro Idris.
Gli shadowhunter avevano dei codici ben precisi, basati su qualunque cosa: colori, frasi, gesti, avvenimenti. E tutti, da Matthew Burnshadow tra le braccia di sua madre al Console Jia Penhallow, che si trovava dietro una delle alte finestre della dimora Lightwood, sapevano esattamente cosa stavano a significare dei fumogeni neri e rossi nel cielo. Battaglia, guerra e, come se non bastasse, magia. 
C'è da dire in favore del Console che l'allarme partì subito, tutte le torri riflessero in meno di tre minuti quei colori, e chiunque fosse entro quella barriera corse in casa propria, a prepararsi, o nelle armerie, spalla a spalla con il proprio parabatai o con qualche familiare, o anche con completi sconosciuti, uniti da una sola cosa: l'essere guerrieri.
Magari non erano pronti militarmente parlando, ma chiunque avrebbe potuto scommettere che nell'animo erano più che preparati: quegli attentati avevano sfinito tutti, avevano fatto perdere loro il sonno, e adesso stava arrivando l'occasione di vendicarsi. 
In ogni caso, fino ad allora gli shadowhunter erano stati piuttosto composti. S'incominciò ad avvertire il panico e allo stesso tempo l'eccitazione quando all'orizzonte incominciò a profilarsi la sagoma dell'esercito di Melchizedeck. 
— Soldati! — esclamò Robert Lightwood, salendo sui gradini della Piazza dell'Angelo, un incoccio punto di incontro dei presenti. — Sapete cosa dovete fare! Siete stati, siamo stati addestrati a questo! — continuò, spostandosi appena e facendo entrare i bambini nella Sala dell'Angelo, dove sarebbero poi stati rinchiusi con delle guardie scelte per proteggerli. Non che Robert s'illudesse: se loro fossero crollati, se non ce l'avessero fatta… i loro bambini semplicemente non avrebbero avuto speranza di sopravvivere. E lui poteva essere tante cose, a partire dal razzista per finire con il traditore, ma era prima di tutto un soldato. Un guerriero. Aveva un codice, e sebbene in passato avesse infranto più di una delle regole di questo "codice", quello che sapeva era che avrebbe lottato fino alla fine, fino alla stregua delle sue forze, perché quello era il suo paese, quelli erano i suoi simili, quelli erano i suoi amici, e quelli erano i loro bambini.
Fu per questo che, mentre Jia restava rintanata nel suo studio, a coordinare e a tener d'occhio la situazione da lontano, quando i nemici arrivarono di fronte a loro, al confine, fu il primo a farsi avanti.
Nonostante tutto, la cavalleria e l'ardore e il coraggio, chiunque avrebbe potuto dire che in quei momenti la paura risaliva lungo le schiene dei nephilim come mai prima di allora, di fronte alla vista di quella fiumana di incroci di razze senza il benché minimo desiderio, se non quello di compiacere il loro padrone. Avrebbero dato la vita per lui e niente li avrebbe fermati.
Quando gli ibridi arrivarono alle torri, quel sottile confine tra Alicante e tutto il resto, l'aria si fece satura di scintille. E quando la barriera resse, un sospiro collettivo di sollievo percorse l'esercito di uomini e donne in nero, quasi come se pensassero che per quello avrebbero avuto la pace, come se così avessero guadagnato il diritto di arrivare vivi al giorno dopo. Non era così. Non lo fu. 




Jean seppe che era iniziata quando un suono simile a quello dei tamburi risuonò in lontananza, secco e duro, non abbastanza vicino da poter essere definito con precisione, non abbastanza lontano da non sapere che si spostava e si faceva sempre più vicino. Anche senza la possibilità di captarlo al massimo, Jean sapeva cos'era. No, cos'erano: passi, tantissimi passi sincronizzati. Ed era pronto anche a scommettere che fossero quelli degli ibridi di Melchizedeck. 
Imprecò fra sé e sé, correndo nei corridoi vuoti della Guardia fino ad arrivare sempre più giù, ai sotterranei, alle prigioni. Non c'era nessuno lì dentro, erano tutti sul confine, tralasciando le due guardie stordite all'ingresso. Era proprio quello che stava aspettando, la prima cosa giusta in mesi. Mesi! 
Percorse a grandi passi i corridoi che affacciavano sulle celle, insensibile ai lamenti dei pochi prigionieri lì dentro, fino ad arrivare all'unico punto ancor più in basso del carcere: il portale.
Gettando un'occhiata preoccupata all'orologio da polso che portava estrasse lo stilo e si affaccendò attorno alle rune permanenti sul muro di pietra per attivarlo. Non ci mise poi così tanto, ed era perfettamente in orario, ma… non poteva fare a meno di sentire il tempo scivolare via dalle sue mani, l'ansia che gli opprimeva il petto come poche volte prima di allora.
Tic toc, tic toc, tic toc. Il tempo sta scadendo. 
Prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare a terra, di fronte al portale, proprio quando questo si stava attivando. La luce azzurrina quasi lo accecava mente si arruffava i capelli e lasciava scomparire tutti i pensieri. Era ironico come per tutta la vita, tutti i santissimi giorni, combattesse quella parte di sé, e invece ora gli servisse così tanto. 
Vedeva già degli stivali neri varcare la soglia gelatinosa davanti a lui quando si morse le labbra e rimosse le lenti a contatto, lasciandosi andare ad un piccolo sospiro di sollievo quando si accorse che le sue mani non tremavano più. 
— Sai, davvero non sono un grande fan della tua modalità Terminator. — La battuta lo fece riscuotere e alzò la testa per incontrare un paio di occhi felini.
— Nemmeno io, Magnus, nemmeno io. 



 
∫ ~ ∫


(1) = Non conosco il rumeno, mi sono affidata a Google Traduttore per l'incantesimo, quindi se qualcuno ritenesse la parola non corretta sarò più che felice di modificarla dietro il suo suggerimento.



 
A/N:
*Posta il capitolo e scappa via*
Lo so, lo so, ci ho messo un secolo anche questa volta. Dire che ho iniziato il liceo classico e che mi sta massacrando è una giustificazione valida? Sarà tipo un mese che cerco di finire questo capitolo, e ci sono riuscita soltanto in questi giorni perché sto male e non sono andata a scuola, quindi ho avuto qualche ora di tempo in più.
E niente, spero comunque di essermi riuscita a farmi perdonare almeno un minimo, anche perché in questo capitolo accadono praticamente solo cose interessanti, no? :)
In ogni caso, sto cercando di approfittare di questa microscopica pausa per scrivere almeno la metà del prossimo capitolo, e vi prometto che farò tutto il possibile per aggiornare il più presto possibile, studio permettendo. 
Ah, volevo farvi sapere che su Wattpad ho cambiato nome, ora sono Lucifer - dedicato a Lucifer di Supernatural, no, non sono satanista -.-' - e questo è il link: https://www.wattpad.com/user/_Luci-fer_
:)
Winchester_Morgenstern
P.S: Per adesso siamo ancora a soli due capitoli revisionati, sì, lo so, ma giuro che sto cercando di recuperare anche quello e sto lavorando sul capitolo tre. Nel caso non ve l'avessi già detto - potrebbe essermi passato di mente -, vi invito a dare un'occhiata ai primi due capitoli modificati. Il primo è sostanzialmente la versione originale corretta e allungata, ma nel secondo sono state stravolte alcune parti che, pur non alterando la storia, penso siano interessanti da leggere :) 

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Capitolo 29
*** XXIX - BOOM ***


XXIX - BOOM

Isabelle, doveva ammetterlo, aveva fatto molti errori nella sua vita: alcuni per semplice incoscienza, altri perché voleva provare sulla pelle il brivido della libertà. Fino a qualche tempo prima, niente era più bello e soddisfacente di vedere lo sguardo di disapprovazione di sua madre, sapere che non stava agendo come lei, che non si sarebbe ritrovata incastrata in un matrimonio con un uomo assurdamente bigotto e che invece avrebbe potuto essere capace di fare esattamente ciò che voleva. Era una bella aspirazione, certo, ma era quella dell'adolescente che era stata fino a poco tempo prima: le acque avevano iniziato ad agitarsi fin dal momento in cui Clary era piombata in tutte le loro vite, anche se all'epoca non era ancora stata pronta per vedere - figurarsi accettare - il cambiamento.
Poi però le cose erano andate decisamente più avanti, fino a ritrovarsi incastrata in qualcosa che non aveva mai voluto: l'ultima scelta.
La Nephilim si staccò da Jonathan, malvolentieri, certo, e prese un profondo respiro guardando appena le belle labbra gonfie che baciava fino ad un attimo prima: "Aspetta", disse, facendo a sua volta forza su se stessa per non ritornare alla piacevole attività precedente: "Ho da mettere in chiaro qualcosa".
Il Cacciatore alzò gli occhi al cielo, lo sguardo si fece appena più freddo: "Fammi indovinare, ci stiamo solo divertendo. Dovresti proprio mettere ordine alle tue idee, Izzy cara".
Isabelle sbuffò: "Ma perché  devono piacermi tutti così idioti?", sussurrò a nessuno in particolare, per poi fissare gli occhi in quelli dell'altro: "Fammi finire di parlare. Quello che volevo mettere in chiaro è questo: tu sei un assassino psicopatico e io sono la ragazza facile che esce con i Nascosti, almeno agli occhi della maggioranza".
"E su questo non ci sono dubbi. Davvero stiamo parlando di questo quando potremmo essere coinvolti in ben più piacevoli attività?", domandò sarcastico lui. Anche connesso fin troppo strettamente ad una di loro, Jonathan era piuttosto certo che non sarebbe mai riuscito a capire una donna. Be', poco male: un altro problema che poteva imputare tranquillamente a Jocelyn, no?
"Sì, certo, con tuo figlio qui nella stanza. Raziel, perché non puoi fare a meno di interrompermi?! Zitto e ascolta."
"Sissignora."
"Jonathan!"
L'albino le lanciò un'occhiata impertinente da sotto le lunghe ciglia, e stava già per aprire di nuovo la bocca e ricominciare a parlare quando Isabelle lo interruppe: "Quello che voglio dire è che sono abbastanza certa che nessuno di noi due è semplicemente l'etichetta che ci hanno dato, però purtroppo la cosa ci limita molto lo stesso. E diciamoci la verità, agli occhi degli altri saremmo una coppia assolutamente assurda."
"E ritorniamo inesorabilmente al solo divertimento." osservò pacatamente il mezzo demone.
"No! Zitto!", gli impose ancora lei: "Lascia da parte per un singolo secondo il tuo essere un sarcastico bastardo disfattista e dimmi sinceramente chi è che oltre a me si è dimostrata interessata a te..."
"Cosa staresti insinuando?! Che sono un'opera di carità?!", e questa volta la scintilla irata negli occhi di lui era più che ben visibile.
"... E, se mi avessi lasciato finire, avrei aggiunto: e lo stesso è tristemente valido per me", ringhiò Izzy, sfoderando uno dei suoi migliori sguardi intimidatori: "Il punto è che, comunque, già da soli non è che siamo proprio ben visti, insieme mal accettati a dire poco. Ma anche se io non fossi interessata a te, e tu non lo fossi a me - e non osare negare, hai una spada angelica nella tasca o sei solo contento di avermi praticamente seduta addosso a te? -, avremmo davvero tanta altra scelta? Per cui quello che ti sto chiedendo è semplicemente di tentare entrambi di fare le cose sul serio e per bene, prima perché sappiamo entrambi che è la soluzione più giusta, poi perché Ian ha sicuramente bisogno di qualcun altro oltre a te e per quanto sia amaro ammetterlo per me è ora di crescere e infine perché, be', - e sappi che mi sto esponendo davvero tanto nel dirlo, quindi tieniti stretta questa fiducia - non è che le possibilità che io m'innamori di te col tempo o che la cosa stia succedendo gradualmente siano remote, eh". Isabelle prese un lungo respiro, più profondo del precedente, mentre sentiva il sangue affluire alle guance e arrossirle inesorabilmente: Raziel, era probabilmente una delle cose più difficili e umilianti che avesse mai fatto, inserendo nell'elenco anche le molteplici battaglie degli ultimi anni.
Volse lo sguardo verso Ian, sorridendo con affetto all'angelo biondo addormentato, quasi pronta ad assecondare l'istinto primordiale di scappare via e tentare di non incrociare mai più la strada del biondissimo Morgenstern, ma qualcosa la blocco: no, non sentimentalmente parlando.
La mano di Jonathan raggiunse la sua, accarezzandole pigramente il dorso, ma con la stessa attenzione con cui probabilmente passava l'indice su una lama, facendola voltare.
Lui aveva la testa appena inclinata di lato e un sorriso sornione sul volto: "Sai, Isabelle, tu non finisci mai di stupirmi.", disse, ridacchiando appena, mentre lei restava a guardarlo nel dubbio: lo odiava, odiava essere così impotente e alla mercé di qualcun altro, proprio lei che si era sempre erta fiera contro tutto e tutti.
"Anche se, devi ammetterlo, nemmeno io stavo scherzando su questo quando ti ho detto che Ian potrebbe -anche se magari adesso è meglio usare il termine deciderà e abbandonare il condizionale - convincersi che tu sei realmente sua madre. Quindi, be', stiamo sostanzialmente girando intorno allo stesso argomento.", dichiarò con tutta la serietà del caso, ma trattenendo una risata: "E so benissimo che tu non mi ami e io, be', non ti amo, miei problemi e scompensi emozionali a parte, ma concordo con te nel dire che questa non è certo solo una situazione di semplice profitto personale, per cui...", Jonathan sorrise: "Vuoi che vada a prendere adesso l'anello o possiamo iniziare con un semplice appuntamento come tutti e far finta di non aver programmato da persone assolutamente anormali  tutto il nostro futuro?"
Dire che Isabelle rischiò di soffocare con la sua stessa saliva era dire poco, ma la frase rappresentava bene il concetto di base: "Oh, per me possiamo anche prendercela comoda e fingere di capire il concetto di normalità, certo", sogghignò lei, quando si fu sufficientemente ripresa.
"Ottimo. Quindi, concordato questo...", lo Shadowhunter si leccò le labbra, gli occhi straordinariamente carichi di malizia, per poi sistemarla meglio fra le sue braccia, dalle quali si era precedentemente allontanata per parlare,  e iniziò a baciarle morbidamente il collo con tutta la cura e la dovizia possibili.
"C'è Ian!", fece notare lei, rabbrividendo alla sensazione delle labbra di lui contro la sua pelle.
Lui sbuffò: "Potremmo andare in camera mia".
"Frena, Casanova, magari ora siamo estremamente collegati ma, sai com'è, la strada per le mie mutandine te la devi guada...", Isabelle non poté fisicamente continuare la frase.
E, questa volta, non per colpa del biondissimo, frustratissimo ed eccitatissimo Morgenstern, no. Fu questione di un istante: il pavimento, il letto e tutti i mobili tremarono come se qualcuno avesse sradicato l'intera villa da terra, i suppellettili caddero a terra, e quella che doveva essere l'onda d'urto più forte del millennio fece ballare pericolosamente i vetri nelle giunture delle finestre, che s'incrinarono a tempo record e si spaccarono in ancor meno, letteralmente volando ovunque.
Jonathan spinse Isabelle a terra, mentre lei strisciava alla massima velocità umanamente possibile sotto il letto, e poi si lanciò su Ian, cercando di fargli da scudo contro i vetri che volteggiavano nell'aria mentre il bambino si svegliava di soprassalto.



Jean si aggrappò ansimante ad una delle pietre che sporgevano dal muro della casupola, cercando di riprendere fiato, o almeno di resistere in apnea quel che bastava per raggiungere la Piazza dell'Angelo.
"Ci siamo quasi, Jean, ci siamo quasi!", lo spronò Magnus, facendo passare un braccio del Cacciatore attorno alla sua spalla e cercando di spingerlo in avanti: "Ti avevo detto che avrei potuto fare io quel dannato incantesimo, avresti perfino potuto stendere quelle guardie con un dannato pugno!", sbottò, mosso dalla preoccupazione più che dal rancore.
Il Nephilim si accasciò contro di lui, nel tentativo di racimolare la forza per parlare: "Hai bisogno della tua magia per il piano B, Magnus... E non avrei potuto farlo, non in quel momento, l'avrei ucciso senza... senza rendermene conto.", sussurrò, stremato.
A quella risposta, lo stregone rimase in silenzio: sapeva benissimo tutto quello anche da solo, ma non ci aveva certo pensato in quel momento.
"Andiamo, ci siamo quasi.", borbottò, trascinando in avanti l'altro come poteva: di certo Jean non era più alto di lui, ma era anche innegabilmente più muscoloso.
Giunsero alla loro destinazione con l'aria di due condannati appena sfuggiti alla gogna, ed il Cacciatore si lasciò cadere per terra, con la schiena contro il basso muretto al centro della Piazza.
"Devi andare, Magnus, non possiamo permettere che questo vada storto! C'è troppo in gioco, io ho messo troppo in gioco e certo non posso permettermi di perdere.", disse, reclinando il capo all'indietro. Detestava tutta quella situazione.
Il Nascosto s'inginocchiò accanto a lui, pensando al da farsi: per fortuna in giro non c'era un anima viva, ammassati com'erano tutti quanti vicino alle barriere crollate. Non riusciva ad immaginare quanto fosse difficile e mortale combattere l'orda di ibridi che stava arrivando fin nel cuore di Alicante, ma lui non era assegnato a quella parte del piano: no, se tutto fosse andato bene lui avrebbe dovuto salvare il culo a tutti. Ma come poteva lasciare lì Jean, ridotto in quello stato?
"Vai!", ordinò imperioso il Nephilim, cercando di trasmettergli una forza che non aveva. Nonostante questo, fece leva sulle braccia e si rialzò in piedi, concentrandosi sul rimanere in posizione eretta.
"Non preoccuparti per me! Io... uhm, io...", il ragazzo si guardò intorno per un attimo, spaesato: "Io andrò a nascondermi lì fin quando non mi riprenderò, okay?", affermò, indicando col mento una scalinata di pietra che a quanto pareva portava al terrazzo di una delle case raggruppate attorno alla Piazza e alla fontana.
Se lo ricordava, quell'edificio, lo rammentava perfettamente, in realtà: solo che l'ultima volta che l'aveva visto aveva quella stessa bianca scalinata tinta di scarlatto, e non per la vernice. Non era difficile tenerlo a mente: tutto, o quasi tutto, oltre a quei gradini e quelle quattro mura, era parzialmente crollato o del tutto raso al suolo. Poi Jean non aveva mai più messo piede lì, ma se gli Shadowhunters erano bravi in una cosa, oltre che a combattere, be', quella era molto sicuramente il leccarsi le ferite per ergersi all'apparenza più forti di prima, per poi crollare come un castello di carte al vento a causa dell'essersi presi cura delle ferite più evidenti, ma non di quelle interne.
C'era stato un tempo in cui ancora sognava una bella carriera nel Consiglio, ancora aveva il pensiero di diventare Inquisitore, ancora credeva che nessuno potesse semplicemente nascere cattivo, ancora era convinto che nonostante tutto, con un pizzico di fantasia e un po' di buona volontà, sarebbe potuto perfino diventare Console. Non che poi avesse assunto una carica molto diversa da quella, vero, ma era completamente un altro discorso.
Trovava estremamente ironico il fatto che i Nephilim avessero distrutto la sua vita, e nonostante questo lui li stesse aiutando - e fin troppo. L'arrivo lì, le mosse tattiche dopo, tutto quello che aveva dovuto dannatamente sopportare, tutto era il progetto di una vita o quasi. E per questo non poteva permettere che andasse a monte così facilmente, perché non avrebbe avuto una seconda opportunità, pasticciare come aveva fatto era già pericoloso una volta, ma due era un suicidio.
Il ragazzo si strofinò il volto, un po' per cercare di riordinare le idee ed un po' per evitare di vedere ciò che fluttuava davanti ai suoi occhi: perché dopo la stanchezza destabilizzante, ovviamente, ci mancavano soltanto le allucinazioni.
Ma quelle non lo erano, no, erano molto di più: ricordi.
Riusciva a vedere come se fosse accaduto ieri Regina e Cristopher seduti con aria terrorizzata e confusa nella fontana, per metà zuppi d'acqua che zampillava e per l'altra metà del sangue che stava venendo versato a litri. Assurdo che non si fossero accorti di loro, tanto più che Cristopher stringeva testardamente Sebastian, spaventato e piangente come non mai. Jean ricordava bene cos'aveva fatto dopo, senza nemmeno un rimpianto: aveva falciato tutti quelli sulla sua strada e preso in braccio il suo fratellino più piccolo, per poi cercare di far correre i gemelli al riparo. Non era stato facile, non mentre era praticamente un morto ambulante a sua volta, con ciò che era successo prima, no.
Ma comunque, era ancora fattibile, il livello di difficoltà era schizzato alle stelle soltanto quando quei cani avevano preso a decorare la fottutissima Piazza con loro, letteralmente. Erano impressi nella sua testa, i pezzi di corpi sparpagliati ovunque ma ancora ben riconoscibili, i busti che facevano straboccare la fontana e le braccia ben disseminate sugli alberi, come pallidi e amorfi festoni che si agitavano al vento della sera mentre le gambe sembravano fare da tappeto al resto assieme alle foglie cadute, e quella era forse la parte più tranquilla - o semplicemente meno rivoltante, meno dolorosa - da accettare, perché niente, niente era mai stato così duro come guardarli negli occhi, ormai spenti e privi di vita. Quelle bestie bastarde glieli avevano aperti, certo, ma tutti i lineamenti del viso erano distesi nella pace del sonno, e non della morte, e ciò nonostante non bastava.
Ci hai lasciati uccidere, dicevano quelle teste, ci hai lasciato morire! Colpa tua, colpa tua!
Jean si riscosse, tremando visibilmente e rendendosi conto di essere già a metà della scalinata, mentre il compagno d'avventura era ancora fermo dove lo aveva lasciato: "Andiamo! Magnus, quello che devi fare è più importante! Ho sacrificato la mia intera vita per questo, va bene?!", strillò con tutta l'aria che aveva nei polmoni: "Non puoi rendere vani i miei sforzi solo perché sei preoccupato per me! Lo capisco, ma adesso vai!".
Barcollò appena in avanti ma rimase in piedi, finalmente sulla sommità del terrazzo, osservando l'altro andarsene e scomparire velocemente prima fra le case e poi fra gli alberi.
Finalmente, si distese sul pavimento piastrellato con aria tranquilla, che decisamente non si addiceva alle grida straziate dei Cacciatori che morivano in battaglia contro gli ibridi a pochi chilometri da lì. Ma non importava, tutto sarebbe andato bene, tutto doveva andare bene, Noah l'aveva visto.
Peccato che non avesse minimamente calcolato la persona ammantata di nero che improvvisamente torreggiava su di lui e che lo afferrò per la testa, battendola con forza contro il cemento.
Poi tutto si fece nero.



Clary si rialzò in piedi, ringraziando mentalmente il fatto di essere stata dietro al gigantesco divano della sala da pranzo nel momento in cui, be', tutto era saltato per aria.
"Che diavolo è successo?!", ruggì poi Jace, che sul suddetto sofà ci stava schiacciando un pisolino e dopo essere stato praticamente scosso di qua e di là si era gettato in terra - okay, prima aveva avvertito l'impulso di nascondersi sotto ai cuscini pensando che fossero una protezione migliore da qualunque cosa gli stesse piombando addosso, sì -.
Clarissa si morse le labbra: "Non lo so, ma di certo non era di buon auspicio.", rispose, osservando i vetri sparsi a terra assieme agli oggettini vari ormai irrimediabilmente rotti con un cipiglio.
"Le barriere! Sono le barriere!", Maryse scese di corsa le scale, seguita da Valentine, mentre Jocelyn si affacciò da una delle stanze al pianterreno al suono di quelle parole.
A loro beneficio, c'era da dire che si prepararono estremamente in fretta per andare fuori e cercare di capire cos'era accaduto - non che fosse poi così difficile, ma la speranza era l'ultima a morire -, il problema era un altro: Jonathan stava sul ciglio della porta, sentiva le membra pronte a scattare e il sangue che gli ribolliva in corpo, per quanto razionalmente potesse negarlo attendeva momenti come quelli, quando in quell'oasi di relativa pace che si era venuta a creare tra un evento e l'altro il problema di turno decideva di presentarsi ed attaccare, e lui sapeva che qualsiasi cosa fosse l'avrebbe uccisa. O almeno, ne era certo fin quando non si rese conto di stringere ancora Ian tra le braccia, a mo' di ancora di salvezza: "Cosa è successo, papà?", domandò, serio come poche volte era stato.
Jonathan s'irrigidì: non poteva farlo, non poteva lasciare suo figlio da solo, avrebbe semplicemente dimostrato di essere soltanto il mostro che tutti credevano che fosse, ma non poteva nemmeno restare lì impotente mentre gli altri andavano fuori a combattere. Non era colpa sua, davvero, era un bisogno fisico: il suo corpo era pronto alla battaglia, la sua mente pensava soltanto a combattere e ancora era poco descrittivo; era abbastanza certo che gli altri non potessero vedere il lieve tremore che lo pervadeva, l'eccitazione e il sangue che danzava nelle sue vene, pronto a combattere, pronto a uccidere.
Magari era davvero un mostro, e quella ne era soltanto la riprova: il suo istinto che vinceva contro la famiglia. Ma non gli fu dato altro tempo di scelta: Isabelle afferrò Ian con aria determinata e rialzò lo sguardo verso di lui: "Le barriere sono crollate, saranno tutti occupati ai confini. Vado alla Guardia, lo porto da qualche parte al sicuro con il Portale.", spiegò, tetra. "Hanno più bisogno di te, qui, e sappiamo entrambi che è la cosa migliore."
Jonathan si morse le labbra: anche prima sapeva che tutto ciò non era uno scherzo, ma quello... ora la cosa stava diventando dannatamente reale, e si rese conto che non sarebbe più potuto tornare indietro: "Grazie, Isabelle Lightwood.", soffiò semplicemente, chinandosi per lasciarle un bacio leggero sulle labbra. Cos'avrebbe dovuto importargli degli altri, dopotutto?
La sentì rispondere appena, il tocco fantasma della lingua di lei sulla sua bocca.
Dopo, in perfetto stile Shadowhunters, Isabelle si voltò per uscire dalla casa, afferrando nel contempo una delle coperte che avevano precedentemente accatastato nella stanza pensando di distribuirle per la notte: non serviva tanto per nascondere Ian, a quel punto il centro storico doveva essere deserto, quanto più per coprirlo. Non sapeva dove l'avrebbe portato, e in quel momento non sapeva se dopo sarebbe rimasta con lui o no, ma perlomeno sarebbe stato al caldo. Era forse così stupido pensarlo? Magari sì, quando tentavano di rapire quello stesso bambino per tenerlo come cavia o arma segreta o chi se ne fregava, ma non importava. Forse era solo e semplicemente perché tutti vedevano le coperte come simboli universali di protezione, mah.
Ma bisognava farlo, bisognava seguire l'istinto e credere che tutto sarebbe andato bene. I Nephilim non si augurano buona fortuna, la vittoria deve essere certa.
Fuori era buio, ovviamente, essendo il sole tramontato da un po', ma alcuni dei flebili bagliori rossastri che avevano servito ad avvertire i Cacciatori dell'assedio ancora si riflettevano sulle torri. Oltre quelle, Isabelle non riusciva a vedere, ma anche lì, al limitare della foresta, giungevano gli echi della battaglia. Lei era una guerriera, non ne era spaventata e non li temeva, ma avrebbe mentito dicendo di sentirsi completamente rilassata, vuoi perché da sola con un bambino a carico in quella che era - o stava diventando - potenzialmente terra ostile, vuoi perché sapeva benissimo che fin troppo vicino a lei amici, parenti, semplici conoscenti - chi non conosceva tutti gli altri, in un posto come Alicante? - stavano combattendo e cadendo. E lei stava scappando.
"Lo sto facendo per un buon motivo", sussurrò: "Lo sto facendo per un buon motivo."
"Cosa?", Ian era ben sveglio e aveva i grandi occhi scuri sgranati: non sembrava particolarmente spaventato, ma sicuramente scosso: "Perché papà non viene co' 'oi? Dove papà? Dove anniamo?", balbettava quasi e, sebbene non fosse mai stato un campione con le parole - come biasimarlo, considerando i due anni di reclusione forzata? -, ora iniziava a sbagliarle quasi tutte di fila.
Non poteva dirgli che andava tutto bene. Non sarebbe risultata credibile, considerando quanto fosse nervosa lei per prima, e poi perché lui non si sarebbe certo fatto bastare un E' tutto okay Ian, non preoccuparti.
Isabelle si morse le labbra: "E' come tutte le altre volte che era fuori, Ian. E' andato a combattere i mostri cattivi.", rispose, sentendosi vagamente stupida. Magari era dovuto al fatto che il piccolo Morgenstern la stava guardando con un cipiglio scettico che era tutto di suo padre.
"Papà andao a 'ccidere Mell-Mem-", il bambino aggrottò la fronte: "Me-Mezi-Melly?", domandò, serissimo.
"Sì" disse semplicemente lei, con tono incolore: "Sì, Ian. Papà è andato ad uccidere Melchizedeck."
Lui sorrise: "E dopo tu mama? Io, papà, mama?", chiese ancora, illuminandosi, mentre Isabelle s'impegnava con tutte le sue forze ad attraversare il bosco velocemente e senza correre rischi allo stesso tempo.
"Sì", ripeté ancora la Cacciatrice. Aveva esaurito il suo repertorio, perché davvero non riusciva a pensare a nulla di migliore da dire.
A quel punto, finalmente, il bimbo parve quietarsi e appoggiò la testa alla spalla di lei, lasciandosi coprire meglio con la coperta.



Ailinn sorrise divinamente, le labbra piene illuminate dal rossetto e dalla luce che quasi sembrava riflettersi su di esse.
Non era andato proprio tutto secondo i piani, anzi, niente l'aveva fatto, ma non era questo l'importante. Per quanto avesse voluto prendersi lei il merito, suo padre era ben più che in una buona posizione, e lei aveva ottenuto esattamente ciò che voleva: un nuovo animaletto da compagnia con cui giocare.
Era cieca, Ailinn, non letteralmente, certo, ma non vedeva molto più di altre persone: era solo un semplice strumento, un'arma, e gli oggetti non hanno bisogno di avere particolari progetti o aspirazioni.
Lei era un semplice mezzo da tanto, tanto tempo. Immemore. All'inizio aveva combattuto, ci aveva provato, davvero, con tutte le sue forze. Poi con lo scorrere dei decenni e, ancora, dei secoli, non aveva potuto far altro che arrendersi. Era stata schiava per tanto tempo, poi liberata soltanto per servire un altro padrone e, infine, ritornare al primo.
Ormai non le importava, niente aveva più importanza. Nemmeno quelle povere anime a lei così legate, prigioniere tutte lì, come una bella schiera di soldatini.
Le avevano insegnato, come ad un bravo cagnolino, a non mordere mai la mano del proprio padrone. Nulla aveva più valore, nemmeno quelle vite che un tempo le erano state così care.
Dopotutto, adesso, aveva un nuovo gioco tutto per sé: cosa le poteva mai importare degli altri, o del povero ragazzino incatenato ai piedi di un trono?



Si erano già enormemente allontanati dalla foresta e dal cuore della cittadina quando se ne accorsero. Non erano ancora arrivati alla prima linea, ma una marmaglia di gente correva da tutte le parti, le divise nere zuppe di sangue e le urla di dolore che sembravano grondare assieme ad esso, quasi altrettanto rosse all'udito: era poco, meno di cinquecento metri o giù di lì, ma gli ibridi stavano avanzando, e avrebbero continuato a farlo, se non avessero trovato un modo di arginarli. E di distruggerli, certo.
"Dobbiamo trovare un modo per avvertire tutti gli altri. Portarli alla foresta di Brocelind, al Lago Lyn, o in campagna. Lì faranno meno danni!" esclamò qualcuno. Alec si girò di scatto, con gli occhi sgranati: "Magnus!", esclamò. Il suo intero animo era combattuto tra l'essere felice perché lo stregone era finalmente lì con lui o l'essere atterrito e sull'attenti per quello che si stava svolgendo tutt'attorno.
Il Nascosto gli rivolse un sorriso stanco e tirato, sporgendosi appena per lasciarsi toccare, quasi Alec volesse assicurarsi che fosse davvero lì e non solo un'illusione, poi si voltò di nuovo verso gli altri: "Potremmo contenerli più facilmente ed evitare la distruzione di Alicante se lì dirigiamo via da qui."
Maryse annuì, cercando di elaborare una buona strategia, poi scosse il capo: "Dovremo farlo a forza. Continuare a combatterli e spingerli sempre più di lato e indietro, fino a raggiungere il lago, almeno."
"E poi che facciamo, li anneghiamo?" Valentine alzò gli occhi al cielo: "Un paio di alberi non risolveranno la situazione."
"No, ma potrebbero facilitarla.", rispose seccamente l'ex signora Lightwood.
"Okay, allora..." Jocelyn venne interrotta da Jonathan, che aveva la fronte aggrottata: "Aspettate. Dov'è Jean?"
Jace si scrollò di dosso uno degli ibridi, spingendolo a terra e trapassandolo, prima di alzare lo sguardo e guardarsi intorno: "Qui non c'è".
"Grazie, Capitan Ovvio", ringhiò Jonathan. Maryse, Jocelyn e Valentine erano vicini, impegnati fino ad un minuto prima a cercare una strategia per limitare le perdite e rimandare indietro quei bastardi, Clary e Jace stavano fronteggiando gli ibridi, Isabelle era via con Ian, Alec invece era accanto a Magnus appena spuntato da non si sapeva dove, ma non era importante, in quel momento. Di Jean, però, neppure l'ombra.
Fu in quel momento che il serpente del dubbio incominciò a serpeggiare fra loro, strisciante e sinuoso e incancellabile: era colpa sua. Era arrivato misteriosamente e loro da grandi idioti l'avevano accolto, si era infiltrato fra loro e, ben al sicuro anche se in bella vista, li aveva spiati. Traditore.
"Aspettate, non saltiamo a conclusioni affrettate. Magari quando le barriere hanno iniziato a crollare lui era già fuori e adesso è bloccato qui da qualche parte.", fece notare Magnus e, sebbene molti dubitassero delle sue parole, nessuno ebbe dubbi su di lui. Era il Sommo Stregone di Brooklyn, l'altra metà di Alec, aveva salvato loro il culo milioni di volte: e, per una volta, fecero bene a fidarsi.
Maryse stava per ribattere, ma Clary praticamente le ringhiò contro: "Non per interrompervi il salottino, ma vi sembra questo il momento di parlare?!" chiese.
Tutto intorno a loro era l'inferno, e lei era stata occupata fino a quel momento a togliere dalla loro strada i nemici che arrivavano a frotte. Non potevano permettersi di mettersi a fare speculazioni mentre i Cacciatori cadevano come mosche!



Isabelle aveva intuito che qualcosa non andava fin dall'inizio: la Guardia era vuota, non c'era un singolo soldato appostato lì. E sì, anche in quelle circostanze, avrebbe dovuto esserci.
In ogni caso, non aveva potuto far altro che avanzare, mentre Ian iniziava ad agitarsi tra le sue braccia senza riuscire a trovare una posizione più comoda.
Si era successivamente convinta che qualcosa di potenzialmente molto pericoloso era accaduto quando avanzando vide i corpi delle guardie a terra, auspicabilmente svenuti e, pochi livelli al di sotto di loro, un po' più su delle prigioni stranamente silenziose, il Portale già aperto.
Ma, per quanto fosse un bruttissimo, orribile segno, non poteva darci peso in quel momento: doveva continuare ad avanzare.
Si era concentrata con tutte le sue forze per apparire nella casa di Magnus, a Brooklyn, ma si ritrovò sbalzata poco distante dal portone dello stregone, ben sigillato.
Con un sorriso, Isabelle si rese conto che aveva finalmente avuto un colpo di fortuna, il Nascosto aveva - prevedibilmente, ma non ci aveva pensato, non in quel momento - potenti incantesimi di protezione sull'intero palazzo in cui abitava, e probabilmente nessuno se non lui poteva aprire un passaggio nella sua casa.
Bussò al citofono mentre Ian si rizzava a sedere, ascoltando con attenzione i rumori della città che solo poche volte aveva visto. Non ci fu risposta: "Andiamo, Magnus, vuoi dirmi che davvero non sei in casa adesso?! Adesso, per la miseria?", sbottò. Niente.
Provò ad aprire la porta con una Runa e poi prese ad armeggiare direttamente con lo stilo e la serratura, ma niente. Perfino tentare di sfondare la porta risultò una fatica vana: probabilmente uno dei posti più sicuri della città, e lei non poteva nasconderci Ian perché Magnus era stato troppo bravo a sigillarlo!
Non poteva arrendersi così, decisamente no, tanto più che aveva dovuto armeggiare per parecchio tempo per fare in modo che il Portale restasse aperto dopo il loro arrivo nella Grande Mela, ma non sapeva per quanto.
Sgranò gli occhi, ritornando al passaggio sul retro da dove erano comparsi, e sorrise rendendosi conto che, se anche lo stregone aveva scongiurato e pesantemente protetto tutto l'edificio, aveva pensato a chiudere manualmente soltanto casa sua e l'ingresso. Le finestre del pian terreno, alle spalle dell'entrata, erano ancora aperte. Stupidissimo, genialissimo stregone.
"Ascoltami bene, Ian", disse, scoprendo il bambino e guardandolo negli occhi, ottenendo in risposta uno sguardo letteralmente felino: "Adesso io ti faccio entrare da quella finestra, okay? Quando entri, devi chiuderla e poi chiudere anche quella di fianco, capito? Io devo andare, non posso entrare con te."
Il cucciolo di Nephilim annuì: "Entlo e chiudo finestle", ripeté attentamente.
"Bravo." Izzy sorrise, scompigliandogli i capelli: "Dopo, devi provare ad entrare a casa di Magnus. La porta sarà proprio davanti a te, una volta entrato" spiegò lentamente, per poi continuare: "Non so se si aprirà, ma se non lo farà devi trovare un buon nascondiglio, va bene? Nel seminterrato, oppure nel sottotetto, lì ci dovrebbero essere degli armadi. Chiuditi dentro e non fiatare." Prese un profondo respiro, sentendo il cuore spezzarsi alla vista della faccia spaventata del bambino. Era orrendo, ma doveva avvertirlo: "Non penso che nessuno potrà entrare, Ian, se chiudi le finestre. Ma nel caso in cui succedesse non devi farti scoprire, okay? Rimani nascosto, non farti vedere per nessun motivo."
Lo sapeva, lo vedeva benissimo, Ian era praticamente sull'orlo delle lacrime: "Mi lasci qui? Vegono a plendelmi?", chiese, terrorizzato.
"No! No, Ian! Nessuno sta venendo a prenderti!" Isabelle prese un profondo respiro: "E' solo una precauzione. Devo andare ad aiutare il tuo papà, capisci? Tu qui sarai più al sicuro. Tornerò a prenderti, te lo giuro.", disse, sollevandolo per appoggiarlo al bordo della finestra e dandogli un ultimo abbraccio: "Tornerò a prenderti. Io, o... o qualcun altro. Qualcuno che conosci, tuo padre o Clary o Jace. Esci soltanto se conosci la persona che ti sta chiamando, va bene? Qualcuno... qualcuno tornerà a prenderti, se io non ci sarò."
Ian increspò la fronte, con le lacrime che ora scendevano liberamente sulle sue guance paffute: "Ma io volio che tu e papà prendere me dopo."
"Lo so, Ian. Torneremo. Farò tutto il possibile." gli sussurrò. Sentiva alle sue spalle la luce del Portale che iniziava ad affievolirsi.
"Vai ora!" esclamò, osservandolo oltrepassare la finestra e richiudersela alle spalle assieme all'altra.
Non poteva aspettare oltre, poté solo attraversare ancora una volta il Portale verso la Guardia.



Jonathan e Valentine correvano fianco a fianco, non per scelta ma per dovere: a quanto sembrava, alcuni degli ibridi avevano ideato una nuova iniziativa e volevano entrare in città sgusciando via dai Cacciatori nella battaglia. Verso, ovviamente, la Sala dell'Angelo.
E, altrettanto ovviamente, non poteva essere loro permesso di raggiungerla. Poco importava il suo valore storico, ma le vite innocenti all'interno di essa di sicuro meritavano sforzi anche ben più che ercoliani.
Jonathan mozzò la testa al primo nel momento stesso in cui questo si lanciava verso di lui sfoderando gli artigli. Erano cinque in tutto, e non potevano permettersi di fermarsi ed ingaggiare un combattimento o gli altri sarebbero andati avanti. Valentine infilzò il secondo, lanciandosi in avanti: quegli abomini non avevano nessunissima intenzione di combattere con loro se non costretti, volevano soltanto raggiungere la Piazza.
E ci arrivarono, oh se ci arrivarono, grazie a quella dannatissima velocità da vampiro. Per il Morgenstern più giovane era tutto estremamente complicato: sentiva aprirsi sulla pelle tutti i tagli che Clary si procurava nel furore della battaglia, non avvertendoli a causa dell'adrenalina, e a sua volta doveva fare attenzione a non restare ferito a causa della resistenza decisamente minore della sorella al dolore. Amava avere emozioni proprie, non l'avrebbe scambiato per nulla al mondo, ma era in momenti come quello che il gioco non sembrava valere la candela.
Con uno sbuffo, atterrò il terzo e lo privò del suo pugnale, presumibilmente intinto in un veleno di qualche tipo a giudicare da come gocciolava, e lo usò per sgozzarlo: un lento, pigro sorriso si disegnò sulle sue labbra. Cosa ci poteva essere di più liberatorio del sentire di avere il potere, di riuscire a sopraffare chiunque si credesse abbastanza forte da poterli distruggere? Ora provava il bene, la gioia, la felicità e anche il dolore emotivo, ma quelli erano mostri, ed i mostri andavano uccisi. Aveva fatto di peggio nella sua vita, e non si sarebbe di certo messo a frignare con i sensi di colpa per qualcosa che amava così tanto fare. La morte era il suo hobby.
Non c'erano tante cose gratificanti come il lasciarsi dominare dall'istinto e fare quello per cui era naturalmente portato: uccidere. Strappò via il quarto ibrido dalla presa di Valentine, e spaccargli la testa contro quei candidi, bellissimi mattoni bianchi della fontana fu facile come bere un bicchiere d'acqua. Per un attimo si ritrovò confuso, il quinto era scomparso dalla loro vista e tutto quello a cui lui riusciva a pensare era il sangue e il rumore delle ossa che si rompono e la morte, e suo padre era sempre stato un bastardo, dopotutto. Chi l'avrebbe pianto?
Si era già girato verso di lui, un pigro sorriso predatore sul volto, pronto ad attaccare, ma qualcosa lo richiamò all'attenzione: "Jonathan!".
Si voltò di scatto, individuando prima Isabelle sul tetto di una casa poco lontano e poi l'ibrido che gli stava saltando addosso. Falciarlo non fu più difficile di piegare gli angoli della sua bocca in una smorfia vagamente contrita.
Si voltò di nuovo verso Isabelle, mentre una sensazione di malessere potente quanto la voglia viscerale di uccidere che l'aveva mosso prima si faceva strada in lui, attorcigliandogli le budella e rendendo tutto d'un tratto la sua saliva amara. Non era disgusto, no, nonostante tutto non avrebbe mai potuto essere disgustato da se stesso, no... Era vergogna, pensò, mentre un quieto conato di vomito gli risaliva lungo la gola.
Lo rimandò giù, arretrando disperatamente sotto lo sguardo scettico di Valentine e quello totalmente confuso di Isabelle: "Jonathan?! Che stai facendo? Vieni qui!", strillò lei, ma non poteva fermarlo. Si voltò e cominciò a correre, sentendola a sua volta scendere velocemente - no, praticamente saltare - le scale.
Non voleva che lo vedesse così, no. Era... l'avrebbe trovato mostruoso, orribile, disgustoso. Doveva andare via, lui... Non credeva che fosse umanamente possibile sentirsi così infimi e indegni di qualcuno, così sporchi e ripugnanti. Non era mai stato sconvolto da ciò che era e non lo era nemmeno in quel momento, ma Isabelle... Isabelle lo sarebbe stata e lo avrebbe guardato esattamente come tutti gli altri.
Represse ancora l'istinto di buttar fuori tutto quello che aveva mangiato per pranzo, tentando di non pensare ai passi dietro di lui. Ma come poteva combattere una battaglia del genere, quando non sapeva come farlo?
Si lasciò cadere a terra ansimando, prima di vomitare ciò che aveva nello stomaco. Sentiva le lacrime salire agli occhi e scorrere liberamente mentre tossiva, in un disgustoso miscuglio di lacrime e bile.
"Jonathan", sussurrò Isabelle, accucciandosi accanto a lui. Non disse altro, non era nemmeno sicura di capire fino in fondo la situazione, ma gli accarezzò i capelli come aveva fatto con Ian poco tempo prima e quando ebbe finito di rigettare lo strinse a sé. Era la prima volta che lo faceva lei e non il contrario, sembrava un bambino terrorizzato e la somiglianza con suo figlio non era mai stata più forte.
"Ssssh", sussurrò, sentendolo singhiozzare: "Va tutto bene".




A/N: Piccole note, andiamo per punti:
- Sì, lo so, interi mesi sono passati dall'ultima volta che ho aggiornato, ma la vita e i problemi si sono messi in mezzo e niente, spero possiate capire. Ho atteso per tanto tempo che il mio pc venisse riparato e ancora nessuno mi ha fatto sapere nulla, ma saltando i dettagli futili vi dico che adesso ho una specie di sostituto e in più non c'è scuola, quindi farò tutto il possibile per finire la storia e revisionarla nel più breve tempo possibile.
- Non so se avete notato, ma ho dovuto sostituire i trattini con le virgolette perché A su questo portatile non c'è quel tipo di trattino (o io non so farlo) e B non ho ancora capito come mettere le caporali, per questo per adesso mi arrangio. Lo stesso vale per la E maiuscola che pur dovendo avere un accento ha un apostrofo: mi dispiace, ma a differenza della tastiera del Mac che ha quell'opzione su questa non la vedo, se qualcuno sa come correggere sono più che disposta a imparare ^_^
- Last but not least: mi rendo conto che Jonathan, in specie nell'ultima parte, può apparire molto, molto OOC. Vi invito però comunque a ricordare il percorso che c'è stato in questi quasi trenta capitoli (OH. MY. RAZIEL.) e come il suddetto corso degli avvenimenti l'ha cambiato. Non dico che si pentirà di quello che ha fatto (lui stesso l'ha ribadito nel testo), ma credo che tutti abbiamo avuto a che fare con la vergogna, chi più chi meno, e alcune volte succede in modi così estremi, sì. Per cui Jonathan, non essendo abituato a tutto quello, ha reagito anche fin troppo oltre le aspettative e, sebbene all'inizio sembrasse bilanciare la cosa, anche lui è crollato sotto il peso delle emozioni. Perdonatelo, è umano, e comunque è soprattutto per questo stravolgimento graduale di personaggi che c'è l'avv
ertimento OOC ^_^

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Capitolo 30
*** XXX - KARMA IS A BITCH ***


XXX - KARMA IS A BITCH

Stranamente, Valentine non si era ancora avvicinato per infierire: Jonathan pensò che fosse rimasto indietro a causa dell'arrivo degli altri ibridi, o che fosse ritornato dagli altri a dare una mano.
"Stai bene?", domandò Isabelle, mentre il ragazzo si rialzava in piedi.
Lui prese un profondo respiro, guardando oltre, senza soffermarsi sulla Shadowhunter: "Sì.", disse, cercando di evitare il suo sguardo. Avanzò di nuovo verso la Piazza, ripulendosi la bocca con la manica della divisa ancora non troppo sporca: essere lui serviva a qualcosa, certo. A scendere in battaglia e ritornare a casa sano e salvo senza nemmeno una macchia di sangue sui vestiti, bell'affare.
"Non per rovinare il bel momento", esordì Valentine, avvicinandosi e indicando un punto alle loro spalle: "Ma abbiamo un problema".
Isabelle si voltò di scatto, appena in tempo per vedere la luce di un Portale affievolirsi e un paio di mani che si tiravano dietro un Jean fin troppo incosciente, poco lontano, sul tetto di una delle case che circondavano la piazza.
Incontrò lo sguardo confuso ma saldo di Jonathan, e si morse le labbra: "Dobbiamo fare qualcosa!", sbottò.
Lui scrollò appena le spalle: "Ormai l'ha preso, non possiamo certo corrergli dietro. Il meglio che possiamo fare è andare lì e vedere se hanno lasciato qualche traccia.", rispose, avviandosi.
Perlomeno erano certi del fatto che Jean non era la spia.
"Non possiamo lasciarlo lì!"
"Ma lì dove, Isabelle? Non sappiamo nemmeno dov'è!"
"Sì, ma Jean ci ha aiutato sempre, e noi dobbiamo ricambiarlo. Sai benissimo che se lì ci fosse stata Clary saremmo corsi in suo aiuto.", concluse la mora.
Certo, pensò tra sé e sé il più giovane Morgenstern, altrimenti avrebbero torturato anche me.
Non aveva nulla contro Jean, insomma, in linea di massima era educato e silenzioso, un buon combattente e per di più sembrava piacere davvero tanto a Ian, ma proprio per la sua impeccabilità era fonte di sospetto. Non si era mai sbilanciato, mai una volta si era lasciato andare, mai una volta aveva dimostrato di voler semplicemente vivere alla giornata quanto più di dover portare avanti una missione di cui solo lui era a conoscenza.
E, per di più, non aveva un cognome shadowhunter. Cosa significava? Gli veniva in mente soltanto una cosa, e cioè che voleva nascondere la sua vera identità, per qualche motivo, e l'aveva fatto molto ingenuamente. Per di più, dal loro arrivo a Idris non si era mai allontanato dalla tenuta Morgenstern, quasi temendo di
incontrare qualcuno: dov'era la sua famiglia? Perché non l'avevano contattato?
Ma non espose i suoi dubbi a Isabelle, disse semplicemente: "Va bene, andiamo".
Arrivare sul tetto non fu per niente difficile, in più da lì avevano una buona visuale del territorio circostante e potevano essere sicuri della relativa sicurezza della Sala.
Certamente più complicato fu trovare una traccia del rapitore, nonostante il fatto che tutti e tre avessero visto il portale: "C'è della terra", fece notare Isabelle.
"Questo non ci serve a molto, genio", sbuffò Valentine, guardandosi intorno.
"No, ma adesso sappiamo che è un posto probabilmente fuori Alicante, visto che qui è tutto pavimentato, e che qualcuno di davvero molto potente deve aver aperto il passaggio perché non ci si può spostare con i Portali in città".
Jonathan scosse il capo: "E' entrato quando le barriere erano già crollate, la potenza dello Stregone non ha nulla a che fare con tutto questo".
"Potremmo provare con una Runa di localizzazione", ritentò la Shadowhunter, cercando di non scoraggiarsi. Non poteva dire che Jean fosse nella sua lista di migliori amici, ma non le aveva mai fatto nulla di male e si era sempre dimostrato pronto ad aiutare, e pur essendo abbastanza schivo e più grande di loro li aveva comunque appoggiati, e aveva rischiato la sua vita per salvare Ian.
Oggettivamente, comunque, non si era lasciato coinvolgere troppo in un qualche tipo di rapporto con nessuno di loro: quasi come se sapesse di doverli lasciare presto, e forse già programmava di andarsene, di tornare dalla sua famiglia.
"C'è del sangue" osservò in quel momento il maggiore dei tre: "E dei capelli, anche, suppongo siano di Jean", concluse, chinandosi.
"E' abbastanza per una Runa?", domandò Isabelle: "Non è che siano proprio oggetti".
"No, ma stiamo pur sempre parlando del sangue di chi stiamo cercando di trovare. Tentare di certo non nuocerà", razionalizzò Jonathan, estraendo lo stilo.


Jean tentò più volte di battere le palpebre, rendendosi conto che erano praticamente incollate fra loro. Il suo primo istinto fu ovviamente quello di liberarsi gli occhi da ciò che li ostruiva con le mani, ma scoprì ben presto di non poterlo fare perché queste erano incatenate da qualche parte non ben precisata, probabilmente pietra.Un mal di testa martellante si stava facendo strada nel retro del suo capo, ottenebrandogli i sensi solitamente affilatissimi, ma si rese conto ugualmente che qualcosa gli stava gocciolando addosso: era quasi certo che fosse acqua, il sangue era troppo vishioso e troppo caldo rispetto a ciò che percepiva.
"Oh finalmente, la bella addormentata si è svegliata!". Jean sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale: erano anni che non sentiva quella dannata voce, era passato così tanto tempo dall'ultima volta che il suo cervello ne aveva praticamente rimosso il suono.
"Ti è tanto facile fare il gradasso mentre mi tieni incatenato come una bestia, vero?", disse in risposta, cercando di mettere in fila i suoi pensieri.
La spossatezza dovuta all'incantesimo per stendere le guardie era passata, ma sebbene fisicamente fosse pronto a ribaltare un tir, mentalmente la confusione regnava sovrana. Cosa diavolo gli avevano dato?
"Se solo fossi libero tu tremeresti", continuò comunque. Non sarebbe rimasto in silenzio davanti a quella bestia, né in quel momento né in nessun altro, aveva già subito abbastanza per colpa sua.
"Intanto, se io fossi al tuo posto, mi sarei liberato in meno della metà del tempo che tu hai impiegato per insultarmi vanamente.", ribatté argutamente l'altro. Il Nephilim sapeva che era vicinissimo: non abbastanza da sentire il suo respiro sulla faccia, ma riusciva a sentire il suo cuore battere forsennatamente nella sua gabbia toracica: non immaginava che ci tenesse così tanto, a quel momento.
Lui, in ogni caso, lo detestava.
"Sei stato via a lungo, Jean", sibilò quel viscido verme. Non riusciva nemmeno a pensarci, alla sua faccia, solo a risentire il suo nome nella testa iniziava a pensare ai mille e uno modi per ucciderlo e farlo lentamente e dolorosamente.
Il ragazzo rise appena: "Non ti sei praticamente nemmeno accorto della mia mancanza".
"Ma a quanto pare tu in questo lasso di tempo hai fatto fin troppi danni", contrattaccò lui. Lo sentì prendere qualcosa in mano e poi una secchiata d'acqua gelida gli colpì il volto, scollandogli le ciglia che realizzò essere velate di rosso, e quindi probabilmente ancora incrostate di sangue. ll suo, ovviamente, anche se non ricordava di essere ferito. Ovviamente gli scagnozzi di quell'abominio non avevano sprecato tempo ma anzi, avevano colto al volo l'occasione di divertirsi un po' con  lui. Sempre che il pezzo di merda non l'avesse fatto da solo, ovvio.
Strizzò appena gli occhi a causa della forte luce che illuminava quella che sembrava essere una grotta dalle pareti altrissime, e la testa gli prese a pulsare ancora più forte, facendogli contrarre i muscoli. Con un sibilo di dolore si rese conto che il dolore che provava scendeva fin lungo la schiena, su entrambi i lati, in due solchi paralleli.
Quel... quel... non esisteva una dannatissima parola per definirlo! Quel disgustoso figlio di puttana gli aveva riaperto le ferite, ferite che si erano cicatrizzate da tempo!
Emise un gemito, per poi rialzare il capo con tutta la forza che aveva in corpo: "Mi fai schifo!", ringhiò, strattonando le catene e ottenendo soltanto di procurarsi più dolore.
L'uomo, o quel che doveva somigliare ad un uomo, rise forte: "Oh Jean, come mi piacerebbe restare qui con te a conversare", soffiò, guadagnandosi un altro ringhio animalesco: "Sfortunatamente, ho ancora delle faccende da sistemare. Ma non temere, ci rivedremo tra poco.", concluse, voltandosi, raggiungendo quella che presumibilmente era l'uscita della grotta.
Non dovevano essere tanto lontani da Alicante se lui era lì. Certo, avrebbe sempre potuto usare un Portale per spostarsi da dovunque fossero fino all'aperta campagna che circondava Idris, ma sarebbe stato un inutile dispendio di energie e una strategia piena di rischi, anche perché quell'idiota non amava affidarsi e dipendere dalle abilità degli altri, quindi erano vicini alla battaglia, e se solo avesse trovato un modo per liberarsi...
Abbassò lo sguardo sul suo petto, rendendosi conto che qualunque cosa gli stesse scorrendo addosso non era semplice acqua. All'inizio pensò che fosse un qualche tipo di scarto liquido, a giudicare dal colore marroncino, poi si rese conto che era la sua vecchia tintura che scivolava via: non sapeva con precisione quale diavoleria stessero versando dall'alto, ma per avere quell'effetto doveva essere certamente un qualche tipo di acido. E quello significava che doveva togliersi di lì sotto il più in fretta possibile.



La luna già brillava alta nel cielo: era quasi del tutto piena, e di certo illuminava bene i Cacciatori che stavano spingendo la coda dell'esercito nemico verso la foresta, ma non quelli che già si erano addentrati in essa, coperti com'erano dagli alberi secolari di Brocelind.
Jia rotolò a terra, in un misto di fango, erba e sangue vischioso e viscido che le si attaccava sulla divisa ora non più così scura e le imbrattava il volto quasi come una seconda pelle.
Quella di certo non era la sua prima battaglia, ma era probabilmente una delle più sanguinose, e lei seppur ben addestrata non era fra i guerrieri migliori. Nella sua giovinezza aveva lavorato sodo, ma non aveva davvero partecipato alle cacce demoniache come la maggior parte dei suoi compatrioti, essendo nata e cresciuta nella protettissima capitale. Non aveva preso parte nemmeno alla guerriglia durante gli Accordi, quando Valentine aveva attaccato, era rimasta in casa per la maggior parte del tempo non volendo aderire né con l'una né con l'altra parte: simpatizzare per il lato sbagliato avrebbe voluto dire addio alla sua carriera politica, e lei questo non poteva permetterlo.
Aveva comunque combattuto l'ambizioso Morgenstern nel suo tentativo di evocare Raziel, seppur non direttamente ma falciando demoni. Era stata fortunata ed era sopravvissuta, e da lì in poi sembrava che tutto potesse andare bene, ora che ricopriva il ruolo a cui aveva sempre aspirato.
Questo, almeno, finché il dannato Melchizedeck non era comparso e non aveva preso ad attaccare gli Istituti più disparati, costringendo lei e il Consiglio ad una terribile decisione: la convocazione di Valentine stesso dall'altra parte del velo. Non era stato facile né carino, e di certo quella decisione non le era piaciuta per niente, pur essendone stata una delle più fervide promotrici per il bene comune: era vero che non si poteva combattere il fuoco con il fuoco, ma era altrettanto vero che per capire un pazzo psicopatico ce ne voleva un altro.
E quindi adesso era lì, pronta a combattere per la sua patria: non a morire.
Nel corso degli anni aveva salvato il salvabile, si era nascosta dietro tante maschere e aveva tradito amiche fedeli per ottenere gli oggetti del suo desiderio, a partire da Robert Lightwood per finire agli incarichi e i premi politici, e non era pronta a lasciare quella terra.
Quindi strinse i denti e combatté con tutte le sue forze, oppose resistenza e si arrampicò su svariati alberi graffiandosi le mani, trascinò ibridi e li uccise a suon di scontri contro i massi, tutto per un solo scopo: la vita.
Aveva sempre avuto grandi mire, Jia, ma era stata abbastanza intelligente da ottenere un ruolo di prestigio rispettando la legge. I fasti della celebrità che avevano raggiunto personalità come Valentine e i suoi adepti del Circolo erano sicuramente allettanti, e i loro nomi, così come quello di Melchizedeck - che comunque fino a tempo prima aveva creduto una semplice fiaba per bambini -, sarebbero stati ricordati nei secoli dei secoli, ma non era quello ciò che lei voleva. Tutto quello che aveva agognato erano sicurezza, potere decisionale e una vita, per così dire, comoda. Cosa non propriamente facile se eri un Nephilim, ma abbastanza attuabile, se avevi una posizione importante nel Conclave: automaticamente tutti gli altri decidevano che eri troppo importante per venir sprecata in piccole scaramucce e tendevano a conservarti al sicuro.
Quel ragionamento non valeva in quel momento, ovviamente.
Ringhiò e si abbassò sulle ginocchia, giusto in tempo per evitare gli artigli di una vampira mannara, e le tranciò in fretta la testa, schivando il colpo alle spalle della seconda avversaria: se la società Shadowhunter fosse ancora stata come quella di un tempo, qualcuno nella sua posizione avrebbe dovuto raggiungere il capo nemico e sfidarlo in un duello all'ultimo sangue, evitando inutili morti, ma il mondo odierno era molto cambiato rispetto a quello di un tempo, e lei non poteva che esserne felice; era più che contenta di lasciare le gesta e la gloria a quegli assurdi, mostruosi Morgenstern e manovrare le fila dell'esercito dall'ombra, in piena comodità.
Evidentemente, però, il destino aveva pensato che fosse più divertente ritornare alle origini e, per citare sua figlia Aline, pensò poi Jia, karma is a bitch.
Tutto si fece quieto e silenzioso: era ovvio che non ci fossero né uccelli né animali, spaventati dai combattimenti e rintanati com'erano nelle loro tane, ma tutt'a un tratto gli Shadowhunters lì presenti sembrarono cadere contemporaneamente e gli ibridi si dileguarono. Tutto quello che il Console riusciva a vedere erano mari, ancora piccoli laghi di cadaveri che si ostinavano a sanguinare sul terreno, il colorito che lasciava spazio al bianco candore pulito della morte, intervallati da pile e mucchietti sparsi di arti amputati, se possibile ancor più pallidi, grossi vermi che strisciavano nella terra e sembravano voler infestare e moltiplicare il mondo.
Jia sentì un brivido correrle lungo la schiena mentre la sensazione di essere osservata si fece strada in lei: scattò all'indietro con un sussulto, spaventata da uno spasmo di morte di un braccio poco lontano da lei, e serrò la presa sulla lama angelica che stringeva, il pomo reso scivoloso da tutto quello schifo.
"Credevo apprezzassi un'aria un po' più solenne che il clangore della battaglia in un momento come questo. Mi sbagliavo?"
Jia si voltò repentinamente: tutto si era fatto freddo, come se quell'essere si portasse dietro un qualche vuoto interiore o un immenso inferno ghiacciato dentro sé, i colori sembravano essere diventati gelidi e distaccati e per un attimo ebbe la terrorizzante sensazione di essere inghiottita dalle troppe tonalità impersonali di verde, blu, nero e azzurro. Poi si rese conto che tutte quelle sfumature dell'acqua e del cielo erano amplificate dalla nebbiolina che stava riempiendo il luogo, e non riusciva a capire se arrivasse da lontano o si alzasse da terra, o se semplicemente la sprigionasse quello che non poteva essere altri se non Melchizedeck, in piedi di fronte a lui.
"Fa un po' troppo freddino per i miei gusti, ma comprendo il tuo voler essere scenico", rispose, alzando il mento e tenendo la schiena diritta.
Aveva chiesto molto dalla vita, vero, anche se nulla di irrealizzabile o troppo difficile, e niente che nuocesse in modo serio a qualcun altro. Era stata fiera, a tratti contenta, e avrebbe voluto avere di più, più gioia, più calma, più amore, più tempo... Ma era una Nephilim, e sapeva riconoscere la morte, e guardarla in faccia, e salutarla come una vecchia amica.
Dura lex, sed lex.
Furono quelle le ultime parole che disse mentre la falce di Melchizedeck le disegnava un sorriso rosso lungo la gola candida, e in quel momento il sortilegio parve spezzarsi: la nebbia si dissipò mostrando il rosso che impregnava la terra e il gelo svanì permettendo al vento di far cadere le foglie, come un corteo funebre per lei e tutti gli altri morti. Le parve quasi di trapassare in autunno, accompagnata dalla natura gialla e rossastra e da una brezza stranamente calda, il tutto quasi a rallentatore: i suoi piedi che cedevano, le gambe che crollavano all'indietro, la schiena che scivolava nell'aria e infine la testa che si schiantava contro il terreno, e le piacque immaginare di chiudere gli occhi assieme alla natura che andava a dormire in quel caldo autunno, e non circondata da tanta miseria e desolazione, tanto bianco.
Karma is a bitch.


Jace afferrò Clary per i fluenti capelli rossi, sbattendola a terra: no, non aveva deciso di iniziare ad abusare della sua fidanzata, la stava salvando da una stella ninja che arrivava roteando nella loro direzione, senza che lei se ne fosse accorta.
La ragazza si acquattò sulle ginocchia piegate e poi si rialzò in piedi, ringraziandolo con uno sguardo velocissimo e facendo lo sgambetto ad uno degli ibridi che stava cercando di sorpassarla per poi bloccarlo a terra e infilzarlo velocemente.
Nello scorrere dei secondi e poi dei minuti erano riusciti ad affiatarsi e a cooperare: Alec e Jace si occupavano di spingere sempre più indietro e a destra gli avversari, a spallate, spinte e colpi di spada, facendoli arretrare a ogni passo per condurli agli alberi, ormai vicini, che custodivano lo specchio d'acqua che tanto era importante e mortale per gli Shadowhunter; Clary, invece, si lanciava verso di loro con velocità più che forza e uccideva tutti - o quantomeno tutti quelli che riusciva ad afferrare - coloro che gli altri due non riuscivano a far arretrare o che avevano costretto a retrocedere ma senza ammazzarli, per continuare a spingere.
Attorno a loro, molti altri stavano seguendo quella tattica, che Alec aveva proposto tanto brillantemente al suo parabatai con solo qualche sguardo d'intesa ben piazzato e un paio di gesti, lasciando poi che si diffondesse per imitazione fra gli altri.
Loro chiudevano il corteo, ma molti altri stavano avanzando già dentro la foresta di Brocelind senza mollare un attimo, serrando i denti e trattenendo il fiato se necessario: Clary non sapeva da quanto andava avanti, ma sembrava un'eternità. Per conto suo, era abbastanza certa che una volta morta il suo inferno sarebbe rassomigliato più o meno a quella lotta senza tempo: non amava i conflitti, preferiva la magia e la calma delle Rune alla fatica che le attanagliava il corpo nei momenti in cui era costretta a brandire una spada o un pugnale o chissà quale altra arma. Lo stesso non si poteva dire per Jace, che pur non sembrando fresco come una rosa non appariva stanco e anzi, si gettava contro i nemici come in una lotta fra gladiatori, con una scintilla pericolosa ed estatica che gli illuminava gli occhi, e Clary sapeva che si trovava nel suo elemento, che il combattimento era una delle sue attività preferite - dopo il sesso, ovviamente.
Alec non riportava preoccupanti ferite e cercava di avanzare e allo stesso tempo coprire le spalle al parabatai, troppo preso nella sua incosciente battaglia per curarsi delle minacce più piccole. Era un compito che non gli dispiaceva e sapeva che era anche uno dei più importanti, perché senza di lui a ripulire in vita non ci sarebbe stato nessun super dotato Herondale a fare fuoco e fiamme di ibridi, e la cosa lo rendeva appagato. Certo, non poteva far a meno di pensare che una parte di lui era rimasta attaccata a Magnus quando, qualche tempo prima, lo Stregone si era creato un varco a suon di incantesimi ed era corso nella foresta a fare qualunque cosa dovesse fare. Temeva per lui e per la sua vita, era terrorizzato dal fatto che l'altro sarebbe potuto cadere nell'oblio da un momento all'altro e adesso le sue preoccupazioni sull'immortalità del Nascosto erano quanto di più ridicolo esistesse al mondo, sapendo che ora avrebbe potuto spirare in qualsiasi momento.
Magnus era eccentrico, affascinante, spiritoso e assolutamente indispensabile in qualsiasi piano di salvataggio o esplorazione o impresa fuggitiva e tutta una lunga lista di cose, tra cui la vita che Alec voleva vivere con lui, ma non era un animale da battaglia: avrebbe dovuto restarne al di sopra, traendo i nemici in inganno con le sue abilità, non tentando di combattere tra loro senza un addestramento adeguato. Non che gli avesse dato ascolto, ovviamente. E sapeva che, in fondo in fondo, lo amava anche per quello.
Era rassicurante sapere di poter opporre resistenza, combattere e uccidere nemici mentre pensava al suo ragazzo, conosceva la sua bravura, ma allo stesso tempo non voleva peccare di superbia e morire solo per sciocca arroganza, quindi cacciò in un angolo della sua mente tutti quei pensieri e si concentrò soltanto su ciò che vedeva e ciò che riusciva a udire, le urla e la morte e il sangue e i mostri e i compagni caduti. Era orribile.


La prima cosa che vide fu un soffitto altissimo: no, non era un soffitto, erano le pareti rocciose di quella che doveva essere una grotta, una molto alta, con le mura che si restringevano sempre di più fin quasi a creare una punta, una guglia. Tutto era grigio, o di qualche tonalità slavata di bianco, la maggior parte della roccia era ricoperta da uno strano cristallo bianco opaco.
Blocchi di pietra erano stati sistemati a coprire alcune zone, quasi come pareti e corridoi che portavano chissà dove, e contro la parete centrale finemente intagliata dalla natura in listelli dalla forma squadrata e stalattiti e stalagmiti varie, c'erano delle catene di quello che sembrava uno strano miscuglio di adamas e metallo, ancorate a dei ceppi molto tesi posti molto in alto, abbastanza da fargli notare delle scanalature che correvano tutto intorno alla circonferenza della grotta e scendevano e si arrampicavano in luoghi coperti dalle pietre, che facevano scorrere un liquido chiaro e fumoso, che comunque a colpo d'occhio non avrebbe saputo riconoscere.
Incatenato ai ceppi, o meglio, alla parete rocciosa, visto che non toccava terra e veniva stretto alla roccia da pesanti cavi dello stesso materiale di ceppi e catene, c'era Jean. O qualcuno che assomigliava davvero tanto al signor Jean Arsch.
Aveva il suo fisico, sebbene lui non l'avesse mai visto a torso nudo e quindi non aveva nemmeno potuto avere l'opportunità di vedere le cicatrici che gli deturpavano il petto e che presumibilmente continuavano sulla schiena, che decoravano la pelle assieme a vecchie rune sbiadite e altre più nuove, o incancellabili: alcune, e giurava di non averne mai viste prima, erano rosse.
Il tipo aveva il volto di Jean, la sua altezza e i pantaloni della sua divisa, ma i suoi capelli erano diversi. O meglio, la sostanza che colava giù da quei canali scavati nella pietra cadeva su di essi, sbiancandoli o cancellando qualcosa, presumibilmente tintura, lasciando svanire il marrone e lasciando spazio ad un colore più chiaro.
Era Jean, quello era certo, ma non era il Jean che loro avevano conosciuto.
Venne improvvisamente sbalzato indietro, prima sul pavimento gelido della grotta e poi fuori, fra l'erba calpestata che si piegava sotto il peso suo e quello del vento, lasciandogli vedere il luogo dal di fuori: l'esterno non differiva molto dall'interno, grigio e grezzo com'era, ma era accerchiato dalla vegetazione.
Jonathan aprì gli occhi, inalando un respiro profondo e producendo una specie di rumore di un risucchio, quasi non rendendosi conto di aver trattenuto il fiato fino ad allora.
"So dov'è Jean", sussurrò.
Di certo, oh, di certo non avrebbe mai dimenticato quegli occhi che quasi sembravano vederlo.


Melchizedeck arricciò le labbra in un sorriso soddisfatto, lasciando che il suo viso si distendesse e non mostrasse la più minima traccia di soddisfazione: tutto stava andando secondo i suoi piani e chi doveva essere soddisfatto, alla fine, ne era certo, lo sarebbe stato.
Lanciò un'occhiataccia al pendio erboso poco oltre il Lago Lyn, che permetteva di accedere dopo una lunga scarpinata al punto più alto della collina che dominava lo stesso specchio d'acqua e la radura che lo circondava.
Poco male, pensò, inclinando appena il capo di lato e lasciando che la magia si diffondesse in lui, lo riempisse, lo circondasse e lo sollevasse, facendolo librare pochi centimetri sopra il verde e gli ostacoli. Tutto ciò era molto rappresentativo, e lo rispecchiava: perché arrancare per conquistare la vetta quando potevi semplicemente servirti delle tue abilità innate e vincere?
Poggiò i piedi sull'erba soffice e osservò per qualche secondo Nephilim, ibridi e Nascosti affannarsi da una parte o dall'altra dello schieramento, nemici e amici cadere nelle acque scure del Lyn senza, il più delle volte, riemergere... Non dubitava che, perfino una mostruosità di quelle dimensioni, si sarebbe presto riempita di cadaveri - se non fino al fondo, almeno per un buon paio di metri al di sotto - e tinta di scarlatto.
"Cacciatori!", esclamò, con la voce magicamente potenziata: "Nephilim, Nascosti e ibridi amici miei!"
Lasciò che un'altra stilla dei suoi poteri lo abbandonasse, andando a quietare gli animi il tempo necessario per farlo parlare. Il tempo quasi parve bloccarsi o forse lo fece davvero, per quegli insignificanti moscerini nel fondo della valle, e tutti si voltarono per ascoltarlo.
"Ho osservato tutti voi combattere strenuamente e valorosamente", disse, lasciando che i suoi lineamenti si distorcessero in una gioia pura e selvaggia, quella dei vincitori: "Vi ho visti resistere e cadere, avanzare e indietreggiare, e posso affermare che tutti l'avete fatto con coraggio e onore!"
"Ma ora", continuò: "Ora dobbiamo affermare una verità incancellabile: io sto vincendo, i miei ibridi stanno vincendo. Siamo numerosi, veloci e forti, e non soccombiamo al dolore, fisico o emotivo che sia. Vi siete battuti bene, ma le vostre barriere sono crollate!", urlò con una risata. Il suo tono perse tutta la malizia e il calore dell'inizio, lasciando spazio all'isterismo e alla soddisfazione della bestia che sta massacrando la sua preda.
"I vostri cari sono caduti!"
Melchizedeck si prese un attimo per aprire le braccia, quasi alzate al cielo: "I vostri paladini stanno soccombendo con voi, i vostri migliori mostri nemmeno li ho visti, in questa battaglia!"
"Siete riusciti a sottrarmi elementi molto importanti, questo ve lo concedo", affermò con altergia, agitando le mani: "Ma, signori miei, questa è la fine: i vostri eroi non sono di alcun aiuto, le vostre forze stanno finendo e la vostra stanchezza, il vostro dolore stanno vincendo. IL VOSTRO CONSOLE E' CADUTO!".
L'urlo sembrò rimbombare, rimbalzare da parete ad albero a persona ad acqua ed espandersi nell'aria, fino ad avvolgere il luogo per poi continuare ad avanzare in un mortifero percorso.
"ARRENDETEVI, E NESSUN ALTRO MALE VI SARA' FATTO! ARRENDETEVI, E CI SARA' PACE ED ONORE PER VOI, I VOSTRI CARI ED I VOSTRI CADUTI!"
L'uomo, o lo pseudo tale, abbassò le braccia e si piegò appena in avanti, quasi a volerli scrutare tutti in faccia: "MA LOTTATE, E NON CI SARA' PIETA' PER VOI!"
Abassò la voce: "Voi verrete giustiziati, i vostri bambini torturati e la vostra patria bruciata. Arrendetevi, o così sia."



N/A: Non per rovinare l'atmosfera solenne venutasi a creare dopo il bel discorsetto del caro Melchy, ma adesso pretendo come minimo una standing ovation di applausi per aver pubblicato in tempo U.U
*Me attente la standing ovation*
*Passa una balla di fieno*
Va be', in ogni caso sappiate che ho patito le pene dell'inferno per portare a termine questo capitolo, e @proudtobea_fangirl ne sa qualcosa. Prima non riuscivo a scrivere oltre le mille parole perché non avevo la scaletta - scaletta che tra parentesi ho riscritto da capo cambiando nel mentre tutto il finale di COM e tutto il sequel, sì -, poi perché anche questo pc aveva deciso di abbandonarmi a causa di un virus e quindi è stato necessario un reset - e ringraziando Raziel e tutti gli dei dell'Olimpo avevo la ff sulla pen-drive -, poi per vari problemi familiari che non sto qui ad elencare ed infine sappiate che ho appena finito di scrivere e revisionare il tutto, e sono esattamente le 03:18 di notte, perché domani il dannato computer è nelle mani di mio fratello e non sapevo quando sarei riuscita a rivederlo, quindi ho fatto una tirata non stop fino ad ora di writing e niente, spero che apprezziate e la finisco qui con la lista della spesa delle mie periferie o mi morite di sonno - o meglio, io muoio per il sonno -.
Vi annuncio anche che mancano tre capitoli alla fine di questa fanfiction, più l'epilogo :)
Non so se avete notato, ma questo capitolo è più corto rispetto al precedente - circa quattromilaseicento parole contro le oltre seimila del ventinovesimo - e anche più povero di dialoghi, ma credetemi quando vi dico che questo qui ha dato davvero una grande, grande svolta alla trama, e anche se può sembrare poco movimentato a causa dell'assenza di discorsi, è parecchio importante ai fini della trama.
Quindi niente, I hope you like it ^_^
See you soon,
Winchester_Morgenstern.





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Capitolo 31
*** XXXI - TONIGHT, WE RISE! RISE IN REVOLUTION! ***


XXXI - TONIGHT, WE RISE! RISE IN REVOLUTION!

Our future's here and now,

here comes the countdown!
Sound it off, this is the call!
Rise in revolution!
It's our time to change it all,
rise in revolution!
Unite and fight, to make a better life!
Everybody one for all,
Sound off, this is the call, tonight, we rise!
Rise.
Tonight, we rise.
Rise.
Tonight, we rise!
[Skillet - Rise]

Luke riprese la sua forma umana, incrociando lo sguardo di uno dei tanti ibridi lì presenti e facendogli imperiosamente cenno di passargli i vestiti che stringeva in mano.
Le cose stavano andando bene, davvero bene, sul fronte guerriero: avevano sbaragliato i Nephilim, fin troppo pochi per poter sperare di vincere, e il mannaro sapeva benissimo che Melchizedeck era riuscito a catturare uno dei prigionieri evasi. Non gli aveva mai detto chi fosse, né perché avesse tanta importanza, ma non ci aveva pensato poi molto nemmeno lui: perché preoccuparsi di un tizio già spacciato?
Certo, le cose non andavano esattamente come dovevano andare su tutti i fronti, e c'era ancora da lavorare, ma Luke confidava che avrebbero potuto ricompattarsi alla fine della battaglia, dopo aver conquistato Alicante: gli ibridi incominciavano ad avere dubbi, dato che se anni prima si erano uniti volontariamente alla causa, adesso le nuove generazioni di bambini cresciuti sotto il controllo del suo amante iniziavano a farsi delle domande, come se fosse davvero giusto combattere in nome di qualcun altro e venir trattati come schiavi, se non ci fosse altro nel mondo, se non potessero avere una vita migliore.
Ovviamente tutto quello era vero, ma non sarebbe di certo stato Lucian a rivelarlo loro, portando ancor più scompiglio: per adesso, i sovversivi erano pochi, controllabili, quel piccolo mucchietto che aveva avuto modo di interagire con le grandi città mondane. Gli altri, cresciuti in cattività, erano facilmente controllabili, sebbene istigati dai rivoltosi.
E poi, be', Luke non l'avrebbe mai ammesso volontariamente, ma li temeva. Melchizedeck trattava quegli incroci alla stregua di uno schiavista, ma lui si rendeva conto che le cose erano ben diverse: soltanto perché non istruiti, gli ibridi erano tutto tranne che innocui per loro.
Fate che bevevano sangue, stregoni capaci di diventare lupi e vampiri con le ali, queste erano solo alcune delle più svariate stranezze che si trovavano in circolazione, e lui sapeva che già si stava lavorando alla creazione di licantropi non feriti dall'argento, succhiasangue capaci di stare alla luce del sole, stregoni senza segni demoniaci evidenti in nessun caso e perfino fate capaci di mentire: cos'avrebbe impedito loro, un giorno, guidati da un buon capo, di rendersi conto dell'immensa potenza che possedevano e sottometterli tutti, perfino Melchizedeck, che si vantava di essere il più forte tra gli incroci, ma poi disprezzava il suo stesso miscuglio di razze.
Si avviò verso l'ingresso della grotta, che si collegava tramite corridoi di roccia e gallerie sotterranee ad un intera base sottoterra.
"Non si può accedere da qui, signore, ordini di Melchizedeck", disse la guardia, facendosi avanti per bloccarlo: "Dovrete entrare dall'altro lato".
"E, di grazia, perché?", domandò, irritato.
La guardia gli rivolse uno sguardo controllatamente inespressivo: "Sorveglianza, signore, non so altro. Ordini di Melchizedeck.", ripeté.
Mah, rifletté Lucian, forse quegli stolti erano davvero stupidi come gli erano stati dipinti e non c'era motivo di temere una sommossa.
"Bene allora", disse: "Se non sono ritenuto abbastanza importante da passare per la porta principale, ritornerò indietro!"




Isabelle trattenne uno sbuffo mentre strisciava tra l'erba alta: intendiamoci, non era nuova a quel tipo di missioni, ma la temperatura notturna di Idris non era esattamente temperata, la tenuta grondava acqua perché per arrivare lì, senza un portale, avevano dovuto gettarsi in uno stagno per evitare di farsi scoprire da una pattuglia di ibridi - quanti diavolo erano? Pensava che ce ne fossero fin troppi ad Alicante - che avrebbero anche potuto uccidere, ma non se non volevano attirare l'attenzione.
Insomma, Isabelle sentiva anche un po' di pena per loro: dopotutto, erano Nascosti. Una nuova razza, o meglio, un miscuglio di esse, ma facevano comunque parte della categoria e lei generalmente non aveva nulla contro di loro - quando non la venivano ad attaccare nella sua stessa casa, almeno. In quel caso, si considerava scusata e anzi, autorizzata a cancellarli dalla faccia del pianeta.
"Ripetimi un po' come mai i mezzi demoni non possono fare qualche arcana magia da Stregoni e aprire un Portale come le loro care sorelline mezze angelo", sospirò, sentendosi graffiare la mano da un rametto. Sperava che fosse un rametto, almeno. Non c'erano siringhe di droga sul terreno di Idris, vero? Insomma, il tetano o chissà cos'altro era più facile prenderlo a New York che lì, no?
In più, non l'aiutava il fatto che il suo nuovissimo ragazzo fosse innaturalmente teso, per di più per un assurdo qualcosa di cui non aveva voluto parlare, ma che aveva visto quando gli aveva applicato la Runa per trovare Jean. Cosa, però, cosa?
Non poteva concentrarsi su quello, in ogni caso, doveva distrarlo: un mezzo demone Morgenstern nervoso avrebbe portato inesorabilmente a grossi guai, ne era certa.
"Ti pare che Jacella sappia aprire Portali? Per piacere!", la rimbeccò Jonathan mentre strisciavano in avanti. E oh, che cosa carina, erano ancora ad almeno un quarto d'ora di distanza. Se camminavano su due piedi, ovviamente, non aveva idea di quanto avrebbero impiegato continuando così, ma non potevano nemmeno mettersi a correre in mezzo ad una radura in territorio nemico: strisciare tra l'erba alta era molto più sicuro, non perché lui temesse attacchi, bensì poiché non voleva che il rumore della battaglia attirasse altri dannati mostriciattoli e li spingesse a dare l'allarme.
Isabelle fece finta di non sentire la sua ultima affermazione, e continuò: "Ma scusa, se hai una specie di collegamento indiretto con Clary, non dovresti saper fare quello che fa lei?"
"Il talento di Clary deriva dal suo sangue angelico", le fece presente il Nephilim: "Io sono collegato a lei più che altro grazie alla sua anima, che essendo più sviluppata della mia mi permette di provare emozioni. Le ferite complementari che ci provochiamo, be'... Credo che quelle siano più che altro un effetto collaterale, perché a livello fisico non c'è legame, se non quello di fratellanza", spiegò, mentre si fermava un attimo per accertarsi che i fruscii degli animaletti che passavano accanto a loro fossero appunto solo quelli e non i passi di un possibile avversario.
Qualche attimo dopo ripresero la loro strisciata: da una parte Izzy non voleva far altro che conservare il fiato, non essendo quella l'attività più leggera del mondo, ma dall'altra sapeva che non sarebbe riuscita a reggere un quarto d'ora di silenzio con il ragazzo, o meglio, con l'uomo con cui probabilmente avrebbe passato il resto della sua vita. Oh Raziel, che prospettiva assurda.
"Okay, altra domanda. Sì, sto tentando di impiegare il tempo in modo costruittivo e sì, se vuoi puoi non rispondere. Mi rendo conto che il sangue Shadowhunter è dominante in ogni caso, ma tecnicamente, al posto di farti diventare un super Cacciatore di ghiaccio, il sangue demoniaco non avrebbe dovuto darti alcune limitate capacità di uno stregone?", domandò la corvina.
Jonathan inarcò un sopracciglio, anche se sapeva che lei non poteva vederlo: "Una volta mi hai detto che non potrei mai costringerti a fare quello che non vuoi, Isabelle, e la cosa è reciproca. Stai pur certa che se non volessi rispondere non lo farei. In ogni caso, conosco modi molto migliori di impiegare il tempo in modo costruttivo, ma mi rendo conto che il piano non sia attuabile al momento", disse, con una punta di rimpianto nella voce.
"In ogni caso", aggiunse, "Non ne ho la più pallida idea. Tecnicamente sì, ma i rituali e il fatto che sono un Nephilim e non un Mondano devono aver interferito. Comunque, se mi concentro, a far qualcosa ci riesco. Di magia, intendo, ma è così flebile che non serve poi a molto e, se anche fosse effettivamente utile, non la farei lo stesso."
"Perché?"
"In primis perché anche qualcosa di minuscolo mi consuma un'energia tale da mettermi a terra per secoli, e in secondo luogo, be'... Mio padre è Valentine. Hai presente la sua opinione sui Nascosti? Io non sono così estremista, o meglio, generalmente mi stanno sul cazzo tutti gli esseri che respirano senza distinzione di razza, sesso, provenienza geografica o età... Ma in ogni caso sono uno Shadowhunter, non uno Stregone, non uso la magia.", rispose bruscamente Jonathan.
"A proposito di Valentine, siamo proprio sicuri che non ci serva?". Non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma forse, rifletté Isabelle, forse avrebbero dovuto farlo venire con loro. Okay, improvvisamente ai confini tutto sembrava essersi quietato e, anche se gli altri Cacciatori fossero riusciti a spingere gli ibridi nella foresta, avrebbero dovuto sentirli, o vedere qualcosa dal tetto. Quindi Morgenstern senior era ritornato indietro, ma il punto era che adesso anche loro erano nella foresta, anzi, più che altro l'avevano superata, però non avevano nemmeno sentito un fremito, addentrandosi tra gli alberi. Cosa stava a significare?
"Siamo scappati già una volta da Melchizedeck, no?", si difese lo Shadowhunter.
"Già, e ce la siamo cavata per un pelo. Ti ricordo che hai quasi perso una mano, la prima volta, e la seconda lui non c'era e noi eravamo in cinque."
"Come mai tutta questa voglia di stare con mio padre? Hai deciso che nella botte vecchia c'è il vino buono?"
"Per l'amor di Raziel, no! Assolutamente no, diamine, neanche se ne andasse della mia vita! E comunque com'è che mi sei diventato improvvisamente Mondanofilo?"
"Mondanofilo? Io?! Scherzi?"
"Be', di certo non sono io quella che ha iniziato a citare, e per di più in modo sbagliato, detti Mondani".
"Non in modo sbagliato, l'ho adattato al contesto!"
"Quindi ammetti di conoscerli!"
"... Li ho sentiti da Clarissa".
"Seh, certo, e io ci credo", Isabelle trattenne una risata e gli arruffò i capelli chiari: lui fece una smorfia appena irritata, ma poi le sorrise. Certe volte la Nephilim proprio non riusciva a capacitarsi che quello stesso ragazzo aveva ucciso suo fratello.
No, si disse, non è il momento di pensare a questo. Abbiamo seppellito il passato, non vale la pena rovinare tutto ora.
Jonathan allontanò con la mano un mucchietto di foglie secche che sarebbero frusciate al loro passaggio, poi si voltò verso di lei: "Dove hai lasciato Ian?"
Isabelle si morse le labbra: "E' a casa di Magnus. Stare bene, ci sono barriere su tutto il palazzo, non entrerà nessuno".
"Ne sei sicura?". C'era un'urgenza nella sua voce che non aveva mai sentito prima, o meglio, mai se non si parlava di suo figlio.
"Jonathan, non so se te ne rendi conto, ma ora come ora la responsabilità di tuo figlio è anche mia, e poi è adorabile, credi davvero che non mi sia assicurata che non potesse essere raggiunto? Non lo toccherà nessuno, stai tranquillo.", gli rispose, acquattandosi dietro una roccia: "Siamo vicini?", chiese. Non riusciva a immaginare dove volesse arrivare, considerando che erano praticamente al limite estremo di Brocelind. Da quella parte, c'erano solo montagne e cave.
"Sì, penso meno di un chilometro e mezzo. Da qui in poi ce la dovremmo cavare a piedi, credo, ci sono abbastanza alberi per coprirci". Chissà perché, ma non sembrava poi così entusiasta di essere quasi arrivato, anzi, più che altro molto sulla corda, come un equilibrista sospeso su un'altissima fune.
"Per coprire le sentinelle che ci assalteranno, intendi"
"Anche quello, sì. Hai paura?"
"Per chi mi hai preso, Morgenstern?", sbuffò Isabelle, indignata. "Quei soldatini mi fanno un baffo!"
Lo sentì trattenere una risata: "Certo, certo".
"Guarda che non sto scherzando, eh!", protestò lei: "Solo perché voi stronzetti coi superpoteri oscurate tutti gli altri, non vuol dire che io sia da buttare. Lo sai che se non fosse saltata tutta questa storia degli esperimenti probabilmente sarei stata fra i migliori di questa generazione?".
"Be', tesoro, io sono tra i migliori di tutti e basta. Sai, sarà divertente".
La Nephilim alzò gli occhi al cielo: "Cosa?"
"Passare il resto della vita insieme, dico. Sarà una continua gara a chi è più narcisista.", osservò l'albino: "Oh, non fare quella faccia spaventata. Con la vita che facciamo, se arriveremo a quarant'anni sarà un miracolo!"
"Non portati sfiga da solo, idiota", si lamentò l'altra, mentre si rialzavano in piedi e scivolavano silenziosi fra i tronchi secolari degli alberi.
C'era una quiete assurda, da quelle parti, come se nulla stesse accadendo.
"Oh ti prego, non dirmi che sei scaramantica!"
"E se anche lo fossi? E comunque zitto, idiota, o ci troveranno!"
"Per favore, tesoro, io voglio che ci trovino. Altrimenti che gusto c'è? E comunque la smetti di chiamarmi idiota?!"
"E tu quando la finirai di chiamarmi tesoro?"
"Più o meno, mai", sogghignò lui: "E fammi indovinare, questo vuol dire che tu mi renderai pan per focaccia e farai lo stesso".
"Oh, eccolo che ricomincia con i motti Mondani!"
"Clarissa"
"Ma perché mai devi dare la colpa a quella poverina di tua sorella?"
"Certo, poverina. La piccola, dolce Clary che usa il suo fratellone cattivo come spacciatore di droga", si lagnò Jonathan, per poi farle cenno di stare un attimo in silenzio. Un mannaro, o quello che almeno assomigliava ad un licantropo, passò accanto a loro: un attimo dopo, aveva una stella ninja conficcata nella carotide.
Isabelle aggirò cautamente la pozza di sangue che si stava ancora formando accanto al cadavere, nell'ardua impresa di non venire ricoperta da schifezze varie, e poi alzò lo sguardo: "Che cosa? Clary? Quella Clary, rossa, bassina, artista? Della droga?", esclamò, esterrefatta.
"A meno che non abbiate una sua gemella cattiva nascosta in soffitta, sì, quella Clarissa."
"La stessa con cui condividi il patrimonio genetico?"
"Sempre lei, sì".
"La persona a cui sei legato tramite runa?"
"L'ultima volta che ho controllato, ovvero circa mezzo secondo fa, quando la mia guancia ha misteriosamente incominciato a sanguinare da sola, sì."
Isabelle si voltò indietro e gli prese il mento fra le dita, voltandogli la faccia. Una linea rossa e leggera correva dallo zigomo a poco prima delle labbra, alcune goccioline rosse gli decoravano la pelle come un trucco per Halloween.
"Brucia?", domandò, estraendo un fazzoletto dalla tasca.
"Non è niente", rispose lui, cercando di scostarsi.
"E rieccoci con le tendenze masochiste", sbuffò la Cacciatrice. Gli tenne ferma la testa e gli ripulì la guancia, per poi soffiarci delicatamente sopra.
"Vedrai, un bacetto e passa tutto", lo prese in giro, sfiorandogli appena le labbra.
"Oooh, già mi sento meglio". Okay, va bene, forse stava per scoppiare a riderle in faccia, ma questo era un altro discorso. L'attirò appena a sé per approfondire il bacio, giochicchiando con i ciuffetti di capelli corvini che erano sfuggiti alla strettissima coda di cavallo che si era fatta qualche tempo prima. Al diavolo gli Shadowhunters al confine, che morissero tutti, al diavolo anche quello che aveva visto mentre cercava di rintracciare Jean, lui sarebbe rimasto lì in eterno.




Valentine si fermò per un attimo, guardando il cadavere che stava trascinando verso il Lago Lyn. Mezz'ora di tregua era tutto ciò che quello schifoso miscuglio di razze aveva concesso loro.
Non avrebbe mai ammesso che fosse migliore di lui, o in generale migliore anche del più debole dei Nephilim,  ma non era uno stupido e sapeva che fino ad allora li aveva schiacciati grazie alla superiorità numerica, ogni volta che si girava vedeva otto, nove o anche più ibridi che si accanivano su un singolo Shadowhunter.
I più, adesso, erano seduti lì attorno o si aggiravano sperduti, altri si affrettavano a gettare qualunque morto riuscissero a trovare nelle acque dello specchio di Raziel. Avrebbero dovuto cremarli, ma non c'era tempo: non quando quei suidici cani bastardi si trasformavano in lupi schifosi e divoravano i corpi dei loro cari come se niente fosse. Erano ributtanti.
In ogni caso, qualuno era tornato indietro a controllare i bambini, ad assicurarsi che stessero bene e... be', a portar fuori quelli dai sedici anni in su.
Perfino in quelle circostanze, quasi nessuno era stato d'accordo a coinvolgerli solo per far numero contro gli ibridi, ma non c'era altra soluzione possibile. Stavano sacrificando ragazzini soltanto per arrestare di qualche ora al massimo l'avanzata di quel mostro schifoso.
Valentine gettò lo Shadowhunter mezzo divorato nell'acqua.
Ave atque vale.
"ADESSO BASTA!". L'urlo fece voltare anche lui, e quel che trovò fu Jace nel centro dello spiazzo erboso, in piedi in mezzo a tanta altra gente. Un cerchio vuoto si venne a creare quasi istantaneamente tutto attorno a lui.
"Basta", ripeté il ragazzo, a voce solo leggermente più bassa: "Ma vi guardate? Con quale cazzo di coscienza voltate le spalle ai vostri cari, ai vostri figli, alla vostra razza?!"
Quegli occhi d'oro sembravano star giudicando tutti contemporaneamente: "Pensate che non riesca a vedervi? Ma certo, vado a controllare un attimo i ragazzi e poi vi dileguate fra i boschi, tentando di scappare il più lontano possibile. Cosa farete poi, vi unirete a Melchizedeck? Ho già visto troppi figli dell'angelo tra le sue fila!", urlò.
Lo stavano fissando tutti, migliaia di paia di occhi fissi su quel volto infervorato, illuminato da una luce nuova.
Valentine trattenne un sorriso: non ci avrebbe mai scommesso, ma pareva che alla fine anche Jace avesse fatto il grande passo. Alla fine, si disse, alla fine dieci anni sotto la sua tutela e altri sei passati a far crescere rabbia per quello che credeva essere l'assassinio di suo padre avevano lasciato i loro frutti, e quello che era una volta un ragazzino spaventato dalla crudeltà del mondo era cresciuto. Non solo, era diventato qualcuno capace di smuovere intere masse, ovvero esattamente ciò che Valentine aveva voluto per lui.
Forse, pensò, forse i suoi piani non erano deragliati così tanto.
"State abbandonando la vostra patria e i vostri compagni per cosa, eh? Credete che Idris gli basterà? Una volta caduta Alicante, Melchizedeck deciderà di prendere tutto ciò a cui può arrivare, e allora voi non avrete pace, perché ovunque andrete a nascondervi lui vi raggiungerà per uccidervi o per farvi unire a lui.", sputò Jace: "Voi con la vostra codardia state mietendo più vittime di Melchizedeck! State permettendo un genocidio, lo sterminio di un'intera razza, del vostro sangue e dei vostri affetti, di quelli che fino a ieri chiamavate vicini e amici!"
"Non vi sto dicendo che credo di poter vincere, sarei un pazzo. Ma vi sto dando una scelta: potete restare e combattere fin quando l'ultimo briciolo di forza non sarà spirato via dal vostro corpo e morire da Shadowhunter, sapendo di star dando la vita per la propria nazione e la propria gente, oppure potete scappare. Scappare come vili, sapendo che da oggi la vergogna è su di voi e così la colpa di tutto questo è sulle vostre spalle, perché non avete nemmeno tentato. Potete morire degnamente, o vivere da schiavi, sotto un padrone che vi considera pezzi degli scacchi e non singoli individui, che torturerà i vostri figli e piegherà il vostro spirito. Ditemi, siete così tanto sicuri di voler andare via, sapendo che porterete il peso di tutto questo come una spada di Damocle sulla vostra testa?!"
Una voce non ben definita si fece largo tra la folla, e il proprietario di essa stava ben attento a non farsi identificare: "Ma vivremo! Perché morire qui, quando potremmo scappare ogni volta che lui si avvicina a noi?!"
"Ma ti senti?", aveva replicato Jace, quando qualcun altro lo interruppe.
Un uomo si era fatto largo tra la folla e aveva poggiato una mano sulla spalla del ragazzo, invitandolo a spostarsi appena: Robert Lightwood si ergeva imponente al centro della folla, gli occhi blu accesi di una fiamma con cui Valentine non li vedeva risplendere da molto tempo.
"Non possiamo costringervi a rimanere qui, è vero. O meglio, potrebbe essere un mio ordine in quanto attuale Console ad interim, ma non lo farò", disse, lasciando prima ricadere lungo i fianchi le braccia che aveva tenuto incrociate al petto e poi allargandole appena, come a volerli abbracciare tutti, mentre raddrizzava le spalle.
Valentine trattenne una risata: davvero ricordava ancora quei trucchetti sul linguaggio del corpo di cui avevano parlato più di due decadi fa?
"Quel che farò, invece, è dirvi che se credete che la vostra salvezza sia tutto allora non siete degni di essere chiamati figli dell'Angelo": Robert non aveva l'impazienza quasi elettrica di Jace che portava tutti gli altri ad agitarsi sul posto in attesa di agire, ma la sua voce era salda e sicura e coinvolgeva immancabilmente i suoi spettatori, facendo crescere in loro un sempre più grande senso di sicurezza: "Qui e oggi, noi stiamo facendo la storia. E cosa volete che dicano, quelle pagine? I Nephilim fuggirono, lasciando la loro terra e il loro sangue in balia del nemico, e Melchizedeck trionfò. E' questo che volete? Non state combattendo per voi stessi, state opponendo resistenza per rendere libere le nuove generazioni, per impedire che l'intero mondo crolli! A Jonathan Shadowhunter venne affidata una missione, quella di proteggere il mondo dalle forze del male. E se fallire nel tentativo è già vergognoso, non provare nemmeno è semplicemente inaccettabile! E' vero, non siamo immuni dalla cattiveria, e tutti noi abbiamo sbagliato, io per primo. Qualcuno a cui tenevo infinitamente stanotte è caduto, ma non importa adesso! Non c'è tempo per piangere sul sangue versato, perché qui a combattere con me ci sono i miei figli, c'è mia moglie, e non voglio che il sacrificio di tutti quelli che oggi sono morti sia stato invano. Per questo io combatterò, per i morti che non calcheranno più questa terra e per i giovani che hanno appena iniziato a farlo, e che dovranno farlo ancora per millenni! Per un mondo migliore, chi è con me?!".
Per un attimo ci fu silenzio. Nessuno si muoveva, l'aria si era fatta pesante e sembrava di essere in un cimitero nell'ora del diavolo, in attesa di un'udienza da parte dei Fratelli Silenti.
Poi qualcosa cambiò, una persona si mosse, uno spadone nero venne estratto dalla sua custodia, le stelle incise nella lama color notte che rilucevano alla luce della luna.
Valentine si fece avanti mentre la folla di Cacciatori si apriva in due ali per farlo passare, quasi percorsa da uno strano timore riverenziale: "Noi abbiamo i nostri trascorsi, Robert Lightwood", disse, fermandosi di fronte al vecchio compagno di caccia. "E non m'illudo che possano essere cancellati così facilmente", continuò.
"Ma adesso, adesso sono con te.", disse. Puntò la spada a terra, proprio ai piedi di Robert, incrociando i suoi occhi. Era un vecchio motto, uno di quelli che avrebbero fatto immediatamente suonare un trillo in chi aveva avuto trascorsi col Circolo, ma non importava in quel momento. Lo dissero insieme, come un sol uomo, come parecchio tempo prima, l'ultima volta proprio a poco tempo da quei dannati Accordi. All'inizio era solo un sussurro, le ultime parole erano un urlo: "Per un mondo migliore, stasera insorgiamo! Stasera insorgiamo!"




Ian si sedette contro il muro bianco del palazzo, stringendosi le ginocchia al petto. Aveva detto ad Isabelle che sarebbe subito corso a trovare un nascondiglio, ma... ma magari l'avrebbe fatto tra un po', sì.
Aveva paura, aveva tanta paura.
Faceva freddo lì dentro, i termosifoni che di solito riscaldavano le case erano spenti ed era buio, c'erano strane ombre proiettate ovunque che lo spaventavano come non mai e sembravano volerlo mangiare.
Il bambino stava rabbrividendo, le mani nascoste sotto le gambe. Non era davvero così gelido, ma sicuramente non tano carino.
Sentì uno strano rumore e poi una porta che sbatteva e si nascose nell'angolo più buio e lontano del pianerottolo, dietro l'ascensore, e vide una donna tutta imbellettata scendere le scale e passargli avanti senza notarlo minimamente, mentre parlava a telefono di qualcosa che riguardava strani giocattoli lunghi, e troppo grandi o troppo piccoli, non era riuscito a capire bene.
Poi la signora uscì dal portone e se lo richiuse alle spalle con tutta la naturalezza del mondo.
Perché Izzy non era riuscita a entrare, se quella donna poteva andarsene così facilmente? Voleva dire che chiunque poteva farsi aprire e arrivare lì?
Ian non sapeva leggere, ma Isabelle gli aveva detto che l'appartamento di Magnus era proprio quello di fronte all'entrata, perciò forse avrebbe dovuto provare ad andare ad aprire la porta.
Rimase davanti ad essa per una buona ventina di minuti, intento a cercare di aprire tramite il pomello o qualcosa del genere, mentre le lacrime si facevano strada nei suoi occhi.
Voleva andare a casa, e voleva anche il suo papà. E la sua mamma!
"Papà...", incominciò a piagnucolare, stanco.
Batté i piccoli pugni contro il legno, praticamente esausto, smettendo anche di trattenere il pianto: "Papà, volio papà, volio papà, volio papà, volio papà!"
Si stropicciò gli occhi e prese ancora a martellare la porta, fin quando una piccola luce azzurrina si sprigionò dai suoi palmi. L'uscio sì aprì, smettendo di opporre resistenza e lasciando che il bambino entrasse, per poi richidersi alle sue spalle.
Ed Ian crollò a terra, sul soffice tappetino di pelo viola, stremato, mentre Presidente Miao si acciambellava accanto a lui.


Isabelle sgranò gli occhi alla vista del ragazzo davanti a lei. Okay, erano esseri senzienti proprio come i Nephilim e i Nascosti, ma fino ad allora... Non aveva potuto fare a meno di pensare a loro come un qualche tipo di automi.
Non poteva avere più di venticinque anni circa: "Ero uno Stregone. O meglio, avrei dovuto esserlo perché mio padre è un demone, ma a mia madre, una Nephilim, è stato dato del sangue di fata ", stava dicendo, torturandosi i ricciuti capelli color inchiostro.
"E a me stava bene anche restare qui, va bene? Non avevo scelta, ci sono cresciuto dentro", spiegò concitato, stringendo un fagottino al petto. Era uscito poco prima da un'entrata sul retro: "Vi prego, non avevo scelta. Non uccidetemi, lasciatemi andare, non dirò niente. Questa è mia figlia, vi prego, deve avere una vita migliore!".
Continuava a ripetere in una cantilena straziante vi prego, vi prego, vi prego, vi prego.
"Come si chiama?", chiese Jonathan.
"Cosa?". L'ibrido sbatté le palpebre, fissandolo con quegli impossibili occhi viola.
"Tua figlia, come si chiama".
"Estella, il suo nome è Estella".
"E' molto bello", rispose l'albino, sporgendosi appena per guardarla: aveva sia i capelli del padre sia quel colore dell'iride strabiliante: "Anche lei lo è, da grande sarà meravigliosa", aggiunse.
Gli occhi dell'ibrido s'illuminarono di speranza: "Ci lascerete andare?", domandò.
"Sì. Anche io ho un figlio, Ian. E hai avuto molto coraggio a fare tutto questo, così come farebbe qualunque padre". Isabelle sapeva che ora Jonathan era praticamente un essere umano a tutti gli effetti, ma... Non l'aveva mai creduto così tanto, non come in quel momento, era quasi un miracolo.
"Grazie", sussurrò il ragazzo, iniziando ad arretrare.
"Soltanto una cosa", aggiunse l'albino: "Sai per caso di qualche prigioniero particolare? E' stato portato qui da poco."
"Oh, ecco, sì", affermò l'altro, guardandosi furtivamente intorno, quasi come se temesse di veder comparire Melchizedeck: "E' proprio oltre l'ingresso principale, avrei dovuto andare a far la guardia lì qualche minuto fa", confidò.
"Grazie allora", rispose Jonathan: "Non andare verso Brocelind, stanno ancora combattendo. Scappa il più lontano possibile da Alicante.", gli sussurrò nell'orecchio, prima di lasciare la sua presa su di lui per farlo andar via.
Isabelle si voltò verso di lui: "Sei stato grandioso, lo sai?"
"Non ho fatto nulla", rispose Jonathan, scrollando le spalle e tenendo ben stretta la spada angelica, in attesa di altre sorprese.
"Appunto. Qualche tempo fa, non li avresti lasciati andare."
"Non l'avrei fatto nemmeno adesso, anche con i nuovi sentimenti pronti all'uso, se non avessi pensato ad Ian".
"Ma ci hai pensato, ed è questo l'importante", spiegò lei. "Senti qualcuno?", chiese poi.
"Dall'altro lato, l'ingresso davanti dovrebbe essere libero."
"Andiamo allora".
Non era nulla di particolare, un semplice arco di pietra coperto da un pannello di spesso legno posto lì in fretta e furia, in stile porta. La Cacciatrice si sarebbe aspettata più organizzazione, ma era evidentemente un covo organizzato in fretta e furia. Questo voleva dire che Melchizedeck non aveva programmato l'attacco a Idris, ma l'aveva deciso sulla cresta di una particolare emozione di un momento? Bah. Era un pazzo.
Jonathan la afferrò per il polso: "Aspetta un attimo", sussurrò. La Cacciatrice pensava che avesse sentito qualcuno, che ci fosse una minaccia, ma non era così: "Isabelle, quando ho cercato Jean... Quando l'ho cercato ho visto qualcosa. Qualcosa a cui non riesco a credere."
Lei lo guardò curiosamente, era la spiegazione che aspettava da un po', ma nonostance ciò l'albino non sembrava avere l'intenzione di aggiungere altro, quindi annuì e non replicò.
Scostarono la pallida imitazione di una porta e camminarono per qualche attimo nel buio, visto che c'era una galleria di pietra scura che si estendeva per una decina di metri.
Sbucarono in un ampio ambiente con toni di grigio più chiari a comporre le pareti, che si restringevano a imbuto fino a lasciare un piccolo foro sulla somità che non lasciava entrare nulla, nemmeno la luce lunare, se non un sottile refolo di vento. In ogni caso, la grotta era illuminata da delle lampade a led artificiali, di quelle che probabilmente si caricavano al sole, visto che lì non doveva esserci nessuna presa a portata di mano.
Tutto intorno a loro, c'erano dei solchi nelle pareti, in cui scorreva un liquido strano, fumoso, né Jonathan né Isabelle avevano abbastanza competenza nelle materie scientifiche per poterlo definire, ma non aveva un'aria esattamente innocua, ecco.
Comunque, nulla di tutto quello era importante, se non un piccolo particolare: tutti quei solchi liquidi e fumosi convergevano in un unico punto al centro dell'ampissima grotta, proprio di fronte a loro, dove una figura umana era appesa al muro tramite delle catene di adamas, nella stessa posizione in cui sarebbe stato Gesù su un crocifisso, ma al contrario, con la testa rovesciata in basso e i piedi in alto, le braccia aperte e tese. Sangue colava a terra, presumibilmente da delle ferite sulla schiena, tutto il corpo era nudo ed esposto al liquido che colava giù dalle pareti circolari.
Sì, era Jean, e allo stesso tempo non lo era mai stato. Come, si chiedeva Jonathan, come aveva fatto a non capirlo prima?
Era un ragazzo, non estremamente alto, più esile che forzuto, ma dalla figura sottile e longilinea, oltre che mediamente muscolosa.
I tratti del volto, seppur non meravigliosamente singolari, erano decisi e puliti, il viso sembrava una maschera d'innocenza, contornato da un'aureola di capelli chiarissimi, praticamente bianchi. L'incarnazione di un angelo disceso in terra, non fosse stato per gli occhi; erano due pozzi neri e profondi, abissi senza fine in cui cadere, tagliati di netto da due verticali e argentee pupille da gatto.
"Ciao, papà".

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Capitolo 32
*** XXXII - Hoc hopus, hic labor ***


XXXII - Hoc hopus, hic labor


Simon sbatté lentamente le palpebre, mentre la sua vista da vampiro si adattava al buio nella stanza. La prima cosa che mise veramente a fuoco fu Ailinn: era a meno di un palmo di naso da lui, gli occhi fissi sul suo viso, e l'aria folle che l'aveva contraddistinta in quelle ultime settimane, quando tutto era andato a rotoli.
Strattonò senza molta convinzione le catene ricoperte di stelle di David, ottenendo soltanto di bruciarsi maggiormente, e poi le lanciò un'occhiata carica d'odio: «Quando hai intenzione di finire questo teatrino?» chiese con la gola riarsa: nemmeno ricordava l'ultima volta in cui aveva bevuto una goccia di sangue. Sapeva che non doveva avere un aspetto piacevole, eppure nonostante questo la strega, ibrida o quel che era continuava a guardarlo affascinata. Cosa diavolo aveva che non andava, in quella testolina malata?!
«Ssssh» rispose quindi lei, portandosi un dito alle labbra con aria giocosa. Gli metteva addosso una paura assurda, qualcosa che nemmeno sulla nave di Valentine aveva mai provato: lui era lucido, attento, sapeva esattamente cosa voleva e come avrebbe dovuto prenderselo - o meglio, come se lo sarebbe preso -. Ma Ailinn... Non aveva uno scopo particolare in mente, o perlomeno non sembrava averne. Magari era solo una brava attrice, ma sebbene non avesse mai alzato un dito su di lui - se non si contava l'averlo affamato ed incatenato - lo terrorizzava più di quanto avesse mai potuto pensare, perché semplicemente non poteva essere prevista. Senza nessuna logica, nessun ordine, nessuno scopo superiore.
«Andiamo, Simon, oggi è il tuo giorno fortunato...» continuò ancora lei, accarezzandogli il viso. Si rialzò in piedi con uno scatto delle gambe lunghe ed andò ad aprire la pesante porta di metallo alle sue spalle, che costituiva l'ingresso a quella scatoletta per sardine tutta di metallo. Un incubo.
La ragazza, o presunta tale, si sporse appena oltre la soglia e sussurrò qualcosa in una lingua che Simon non riuscì a comprendere, perché non era niente che avesse mai conosciuto. Qualche attimo dopo, Ailinn rientrò completamente nella stanza tenendo per la collottola una donna sulla cinquantina.
Il vampiro che era in lui, la bestia, o come diavolo avesse voluto chiamare la parte di lui che era affamata di sangue, si risvegliò in un battito di ciglia: i tagli che adornavano l'intero corpo della poveretta erano un invito a banchettare ben più che prelibato.
Arricciò il naso, era una licantropa. Era nemica naturale della sua razza - razza che ancora non aveva accettato, ma dettagli -, e nonostante questo la sua fame era tale da non considerarlo un dettaglio degno di nota.
«Cosa, non ti piace la mia sorpresa?» domandò Ailinn, inarandò un sopracciglio e spingendo la lupa mannara verso di lui, o meglio, addosso a lui. Era una tortura così orribile e allo stesso tempo così dolce, e lui sapeva che non avrebbe resistito ancora per molto, e che lei avrebbe vinto ancora una volta.
«Perché mi trattieni qui?» rispose lui, dando voce ai suoi dubbi. Sapeva di non doverla guardare ancora a lungo negli occhi: in qualche modo, riusciva a stregarlo e a fargli dimenticare perfino il suo nome.
Dato che la risposta sembrava tardare ad arrivare, rivolse di nuovo la sua attenzione verso l'altra prigioniera: magari, e solo magari, avrebbe potuto saziarsi senza dissanguarla del tutto... E comunque, si diceva, dopo quei dannati mostri non l'avrebbero uccisa comunque? Meglio che lo facesse lui senza darla in pasto a torturatori vari, giusto?
Okay, non erano altro che patetiche scuse, ma cosa potevi fare quando ti mettevano davanti una bella torta al cioccolato e tu eri a pane e acqua da non si sapeva bene quando?
Quindi pensò bene di approfittarne e favorire, quando Ailinn tirò indietro la donna, buttandola in un angolo - e meglio non descrivere l'uggiolio straziato con cui si espresse la domanda, perché stava distruggendo anche il cuore dello sfortunato vampirello.
«No, Simi-Simi, prima la medicina, da bravo» sussurrò la strega, facendolo rabbrividire. Simi-Simi? Dove diavolo era finito, nel nuovo prototipo di The Sims?
Il Nascosto serrò le labbra: non gli davano da mangiare, no, ma in compenso qualcuno si presentava sempre ogni dannatissimo giorno con una specie di strana pozione magica e verdastra dal sapore orribile. Se volevano avvelenarlo, perché non si sentiva male? Quella manfrina andava avanti da lungo tempo, dopo tutto.
«Non voglio più».
«Be', allora non avrai nemmeno la cagna, mi sembra ovvio!» ribatté Ailinn con nonchalance. E davvero, davvero Simon si sentì orribile per quello... Ma si sporse in avanti con uno scatto fulmineo e inghiottì quella cosa il più velocemente possibile, tentando di non far caso al retrogusto di calzini rancidi, cadaveri o quel che era, insomma.
«Bravo, Simon.» E dopo, finalmente, ebbe quello che aveva aspettato.


Valentine, sinceramente, non riusciva nemmeno a capire come ci fossero arrivati, a quella situazione assurda.
Insomma, ad un certo punto, poco dopo la ripresa della battaglia, Lucian era spuntato fuori dai cespugli ingiuriandolo per qualcosa che inizialmente non aveva un senso, e quindi aveva preso a girare in cerchio attorno a lui forse sperando di rassomigliare ad un qualche predatore pronto ad azzannare la preda... Certo, come no.
Lui non aveva messo fine a quella giostra semplicemente perché voleva vedere dove il lupo sarebbe andato a parare e, francamente, non l'avesse mai fatto!
Aveva iniziato a borbottare qualcosa sulla falsariga di Io ti amavo, e tu non ti sei mai accorto di nulla, avremmo potuto essere felici, avremmo potuto conquistare il mondo insieme!
Ora, Valentine non sapeva se quello fosse parte del delirio causato da mi-sono-unito-a-Melchizedeck-il-Nascosto-pazzo o se fosse una qualche assurda parte impazzita del carattere di Luke, ma comunque fosse, che diavolo, per una dichiarazione di quel tipo si sarebbe aspettato almeno fiori e cioccolatini, prima di prenderlo a pedate per scacciarlo via, ovvio.
In ogni caso, era stato abbastanza divertente fino a quando non si era deciso a menare il primo fendente e il mannaro aveva risposto con un assalto. Certo, okay, non era esattamente deboluccio, ma c'era sicuramente una lotta impari tra una spada angelica e un paio di artigli, sì.
Insomma, si poteva dire che Graymark stesse perdendo quando s'immobilizzò al centro della radura fissando qualcosa alle spalle dell'albino. E sinceramente, Valentine non ringraziò mai così tanto quel riflesso involontario - non tanto perché questo dimostrava che da qualche parte doveva ancora tenerci, a loro, anzi, forse per questo lo irritava ancora di più - perché, escludendo la possibilità di una finta per attaccarlo alle spalle - o meglio, tenendo l'altro d'occhio girandosi solo per tre quarti -, con quello scatto aveva appena salvato la vita di Clarissa.
Che, per inciso, aveva appena violato una delle regole più importanti che si era impegnato a strillarle in testa ogni santo giorno d'allenamento.
Comunque, la rossa era impegnata a togliersi di dosso quelli che sembravano essere tre vamp.. cioè, streg... oh per l'amor di Raziel, un trio di ibridi dall'aria parecchio assetata di sangue, e nel frattempo evitava di finire infilzata dal mare di nemici che sciamava tutt'intorno a loro.
Peccato che non avesse preso in considerazione quello che sembrava essere un arciere fatato che, in piedi su una roccia, stava per scagliare una freccia contro di lei.
Quindi Valentine aveva fatto l'unica cosa che, a quel punto, era plausibile: se n'era altamente sbattuto di Lucian, dei vampiri e compagnia cantante e verosimilmente, dato che di certo non poteva attraversare mezzo boschetto durante la traiettoria di una freccia, aveva lanciato a sua volta un pugnale, beccandola di striscio alla gamba, abbastanza forte da farla barcollare e cadere in terra.
La freccia sibilò sopra di lei e andò a colpire uno degli avversari che si era incautamente mosso in avanti, mentre Clary si rialzava in ginocchio e guardava con aria esterrefatta il pugnale dei Morgenstern che l'aveva colpita - per la serie Perché la mia famiglia ha ricominciato per l'ennesima volta a tentare di uccidermi?! - e Valentine si occupava dei due vampiri rimanenti - lasciando a quel fedifrago di Lucian la possibilità di scappare.
«Che diavolo... ?!» sbottò lei, rialzandosi in piedi dopo essersi fatta un iratze proprio mentre lui strappava la freccia dal corpo del Nascosto.
«Questa» disse lui, lanciandole un'occhiata eloquente: «Ti avrebbe centrata in pieno, se non ti avessi buttata a terra». Non attese la risposta di lei, voltandosi e rendendosi conto che l'arciere si stava già preparando a mirare e lanciare di nuovo.
«Spostati da qui, non ti salverò il culo un altra volta» concluse semplicemente, allontandandosi. Forse, dopotutto, era ancora in tempo per inseguire Luke e ucciderlo una volta e per tutte.
«Grazie».


Jonathan sbatté le palpebre, cercando di mettere in ordine il caos che stava esplodendo nella sua testa come nemmeno una bomba atomica avrebbe potuto fare.
E allo stesso tempo, tutti i pezzi del puzzle, tutte le trame e i fili apparentemente senza oridne né collegamento logico si stavano mettendo a posto nella sua testa.
Nonostante ciò, comunque, il suo primo pensiero logico fu "Ed è perfino più grande di me!", e pace alla presunta intelligenza del povero Morgenstern.
«I-ian?» riuscì quindi a balbettare, con in volto quella che era probabilmente la più grande espressione di stupore della sua intera - e poco incline alle emozioni - vita.
Ora, se solo Isabelle si fosse trovata a fare da semplice spettatrice non a conoscenza di tutti i fatti - ma quello era lo stesso bimbo dolcissimo che aveva lasciato da Magnus nemmeno un'ora prima, per cui... - sarebbe scoppiata a ridere, non tanto perché sembrava che avessero appena tirato una padellata in testa al povero Jonathan, quanto più perché in un attimo vide cadere una maschera che, a posteriori, pensò essere davvero molto ben costruita: l'affabilissimo, cordialissimo, gentilissimo e freddissimo Jean Arsch che spalancava la bocca per dire qualcosa e poi arrossiva fuoriosamente, per poi iniziare a guardarsi intorno freneticamente, sbattere le palpebre a più non posso e cercare di nascondere quelli che erano... occhi lucidi? Per... la commozione?
«Ecco... sì» pigolò poi il ragazzo, guardando verso il soffitto. E a quel punto Isabelle iniziò a pensare che soffrisse di una qualche strana malattia rara o che avesse multiple personalità o qualcosa del genere, perché semplicemente era impossibile passare così velocemente da un comportamento ad un altro, no?
E comunque, davvero stava tentando di associare Arsch a Ian, ma era come... come venire investiti da un treno e poi dover affermare che un dinosauro e una formica in fondo si assomigliano. Perché, be', perché respirano, e camminano, e mangiano, e muoiono... Quelle cose lì, insomma.
Jonathan sgranò gli occhi: «Quindi... ll cognome falso è una svista, suppongo, o un anagramma o qualcosa del genere, l'attaccamento a Ian, e devi aver scambiato tu il test del DNA con uno di paternità, all'ospedale, non è vero? Suppongo sia stato anche facile procurarti qualcosa di mio.»
Jean, o Ian, o quel che era, ripeté di nuovo: «Ecco... sì» annuendo.
Quando lo disse per la terza volta, dopo che gli chiesero se volesse scendere da lì - e poco importa che tra sé e sé il povero Jean pensasse qualcosa come "Maddai, geniacci!", considerando che non riusciva a spiccicare mezza parola -, i due iniziarono a sospettare seriamente che stesse avendo un attacco di panico.
«Okay, okay, adesso ti liberiamo, sì» tentò di tranquillizzarlo Isabelle con voce falsamente calma, considerando che era la prima a non starci capendo più niente.
«Jonathan» fece poi la ragazza, osservando le catene e deglutendo: «Come lo liberiamo?»
L'albino si guardò intorno - e guardò male anche i ceppi di adamas, questo sì - e poi si morse le labbra. Rimase in silenzio per un po' - quello non era un luogo pullulante di nemici che avrebbero potuto attaccarli da un momento all'altro, no, certo che no - e infine inclinò di lato il capo, sfilando Phosphoros dalla custodia che portava attaccata alla schiena: «Incidiamo prima la montagna, staccandolo con le catene, e poi vediamo cosa fare con quelle.» rispose, preparandosi a colpire.
E Isabelle, be'... Non che non avesse fiducia nelle sue capacità, anzi, ma si ritrovò comunque a pregare ardentemente Raziel perché il tiro andasse a segno al millimetro senza privare Jean di qualche dito o di una mano.
Nemmeno si accorse di star trattenendo il respiro fino a quando l'adamas non si staccò dal muro, e stava già per prendere una bella boccata d'aria quando J- cioè, Ian cadde in avanti a peso morto.
Jonathan lo prese al volo, tenendolo per sotto le ascelle, e osservando terrificato qualcosa che da quell'angolazione lei non riusciva a vedere.
Quindi si avvicinò, restando bloccata a qualche passo da loro: le stesse cicatrici di Ian erano, ovviamente, sulla schiena del ragazzo, solo più allungate e biancastre col crescere del suo corpo. Poi ce n'erano altre due, parallele, che andavano praticamente dalla fine del collo all'osso sacro, e prima di essere riaperte dovevano essere state spesse e fin troppo evidenti.
Adesso, erano slabbrate e rossastre e macchiate di sangue, tagli abbastanza profondi da non guarire con un semplice iratze.
«Oh Raziel santissimo» riuscì semplicemente ad esclamare lei, portandosi una mano alla bocca.
Ian rialzò la testa strizzando gli occhi, sofferente: «Ce la faccio» borbottò semplicemente, iniziando a rimettersi in piedi.
La mano di Jonathan gli bloccò la spalla destra, uno dei pochi punti della schiena dell'altro non invaso da un reticolo orribile di cicatrici: «Aspetta» disse, tirando fuori lo stilo: «Non si richiuderanno, ma un paio di Rune potrebbero impedirti di morire dissanguato in questa grotta».
Questa volta il prigioniero non protestò, distendendosi lentamente sul pavimento mentre il padre - Raziel, Isabelle ancora non si sentiva a suo agio con quella parola. Non riferita a Jonathan e Jean - iniziava a tracciare linee sulla sua pelle.
Sembrava calmissimo, in apparenza, il suo volto riusciva ad apparire come una maschera di ghiaccio, e lo stesso Morgenstern non avrebbe potuto esserne più felice, perché ancora non riusciva a capire che diavolo di emozioni stesse provando in quel momento, ma la mano gli tremava abbastanza da fargli quasi sbagliare a tracciare una delle Rune. Dopo che ne ebbe resa una completamente inefficiente a causa del tremore, Isabelle gli si affiancò e gli tolse con gentilezza lo stilo di mano, rimpiazzandolo.
«Tu...» Jonathan scosse il capo, rimanendo in ginocchio per poter guardare Jean nei suoi occhi da gatto: «Tu sei davvero mio figlio, eh?»
«... Sì» rispose Ian dopo un attimo d'esitazione. L'unica altra persona che lo ammutoliva così era... Be', era qualcuno a cui non voleva pensare adesso. Era stato così bravo a non farlo per tutti quei mesi, e adesso crollava? No. Si sarebbe permesso di indulgere di nuovo nella sua fantasia solo quando l'avesse rivisto, sano e salvo.
«Perché?» chiese quindi suo padre, scrutandolo. Da quando lo conosceva - ovvero più di un decennio -, c'erano state poche occasioni in cui era stato così mortalmente serio.
Non ci fu bisogno di chiarificare ulteriormente la domanda.
«Questo temo di non poterlo dire» si scusò quindi, distogliendo lo sguardo.
«Andiamo» Jonathan rise senza allegria: «Pensando a tutta questa storia dei viaggi nel tempo - perché deve esserlo, non c'è altra spiegazione -, hai già combinato un mucchio di casini. Secondo quella spazzatura mondana, non si può tornare indietro nella propria linea temporale, e anche se fosse si deve stare ben attenti a non incrociare la propria versione passata. Soprattutto, poi, non ci si deve far scoprire. Tu hai infranto tutte e tre le regole.»
«Da quand'è che hai tutta questa cultura in fatto di fantascienza? Ti ho conosciuto per una vita, ma non ne hai mai fatto parola» cercò di sviare il discorso Ian.
Jonathan s'incupì appena, e poi i suoi occhi s'illuminarono: «Bingo!»
Isabelle sbuffò. E poi diceva di non conoscere le espressioni mondane. Puah!
«Cosa?» domandò suo figlio, trattenendo un gemito particolarmente sofferente. La Nephilim si era liberata del cardigan che indossava - ovviamente, dopo il crollo delle barriere e compagnia cantante non aveva certo avuto il tempo di prepararsi di tutto punto con una tenuta da battaglia, grazie tante - e lo stava riducendo in strisce per cercare di coprire almeno un po' le ferite, ma non era una guaritrice e si rendeva conto che così facendo la stoffa si sarebbe attaccata ai tagli. Meglio quello di niente, in ogni caso.
Jonathan serrò le labbra in una linea sottile e poi si decise a parlare: «Be', hai detto ti ho conosciuto. Sono morto, non è vero?»
Ian voltò il capo, cercando di evitare l'espressione rassegnata dell'altro e quella scioccata di Isabelle.
«Andiamo, Ian. Peggio di così non può andare, perché non raccontarci la verità? Non cambieremo il corso della storia.»
«Anche solo la conoscenza che già avete lo sta cambiando.»
«Appunto allora, non c'è modo per impedirlo!» fece notare Jonathan, alzandogli il capo con due dita: «Dimmelo».
Oh, Raziel. Ian era sempre stato quello che si poteva definire il cocco di papà, e proprio non riusciva a mentirgli, e anche se questo Jonathan aveva anni e anni in meno...: «Tecnicamente non si dovrebbe tornare indietro durante la propria vita, ma, AHIA!, era una situazione disperata. Non avrei nemmeno dovuto incontrare l'altro Ian, ma è troppo piccolo per ricordarsi di me in futuro, quindi non dovrebbe fare troppi danni. Quanto al non farsi scoprire... Be', restare nel segreto era davvero nei miei piani, ma... OUCH!... Be', quando siete entrati e mi avete visto senza lentine e tutto il resto non sapevo che scusa inventarmi, anche perché stare lì appeso era solo leggermente doloroso, sapete? Quindi ho preferito dire la verità senza arrampicarmi sugli specchi.» Il ragazzo chiuse gli occhi e prese un profondo respiro ad un nodo della stoffa particolarmente ostico: «E, ugh... Ovviamente adesso andrà tutto a puttane, ma sono uno specialista delle situazioni merdosamente schifose, per cui... »
«Non hai risposto alla mia ultima domanda, però.» fece notare Jonathan.
«Non era una domanda, era un'affermazione, la tua».
«Ed era un'affermazione verosimile?».
Questa volta, Ian lo guardò volontariamente: «Sì».
L'altro aggrottò la fronte mentre Isabelle sussultava, tentando di fare due calcoli.
«Quindi sono morto durante questa guerra? E' per questo che sei qui?» Ma no, non poteva essere per quello. Ian aveva detto di conoscerlo da molto, ma lui aveva preso la sua versione più piccola da relativamente poco, e aveva anche parlato di una famiglia...
«No» chiarì infatti suo figlio, scuotendo il capo: «Mancano almeno... Be', più di un decennio, comunque.»
Per la prima volta da un po', Isabelle parlò: «Ma allora perché sei qui adesso?» chiese, i muscoli facciali così tesi nello sforzo di mantenere una faccia apparentemente impassibile che quasi sembrava un pitbull.
«Perché ero già troppo grande quando è successo, ed ero sulla scena dell'omicidio. Quindi mi sarei visto da solo rovinando il piano... Non che non l'abbia già fatto dicendo tutto questo a voi, ma ormai siamo in ballo, quindi balliamo, e 'fanculo la linea temporale» borbottò lui, cercando di rimettersi in piedi.
«Ma perché ritornare indietro adesso? E perché salvarmi, anche? Non fraintendermi, sono felice che tu lo stia facendo, ma... Non so, avresti potuto chiederlo a Raziel. Avresti potuto lasciarmi morto, anche!»
Ian negò con la testa: «Adesso perché è qui che è iniziata la catena di eventi che ha portato all'omicidio. Da una parte, il riportarti indietro è il semplice raddrizzare un torto, e poi... Non avrei potuto chiedere nulla, a Raziel. Il mio desiderio non mi è stato accordato, e fidati, ci ho provato, eccome se ci ho provato... E ci ho quasi rimesso le penne.»
Isabelle inarcò un sopracciglio: «Raziel può riportare indietro un morto. L'ha già fatto.»
Poi si bloccò, e un terribile presentimento iniziò a serrarle le viscere e poi a mangiargliele come un mostro che abitava dentro di lei: «Aspetta... Perché noi non ti abbiamo aiutato? Perché noi non abbiamo fatto niente?».
Ian si rimise finalmente in piedi: «Perché siete tutti morti».


Simon indietreggiò nella cella fino a quando non si ritrovò con le spalle al muro, impossibilitato dalle catene a spostarsi in qualunque altra direzione.
«Ailinn...» sussurrò, terrorizzato: «Che... che stai facendo?»
«Ma come, non si vede, tesoruccio?» Lei gli si sedette sulle gambe: «Da bravo, apri la bocca, questo ti farà stare meglio» miagolò, mostrandogli una pillola color puffo.
Anche al buio, Simon ci vedeva bene a causa del recente pasto: da un lato c'era scritto pfizer. Dall'altro, VGR 100.
E non aveva idea di cosa diavolo fosse, anche se uno strano campanello stava trillando nella sua testa cercando di avvertirlo, ma era abbastanza certo che non si trattasse di un'aspirina.
E poi, i vampiri non hanno bisogno di medicine.
Fu proprio questo che le disse, ma lei scosse il capo: «Di questa invece hai bisogno» lo zittì, aprendogli la bocca senza tanti complimenti - e senza fregarsi minimamente delle zanne affilate che le graffiarono la mano, anche - e gli fece inghiottire la pasticca.
I seguenti trenta minuti - e quelli dopo, ma ancora - furono probabilmente il più grande sogno di molti e il suo più terribile incubo.
Insomma, neanche qualche mese fa avrebbe venduto l'anima ad un Demone Superiore per poter avere quell'opportunità con Ailinn e... E poi si rese conto che lei era effettivamente nuda su di lui per un motivo e sempre per il suddetto motivo gli stava slacciando i pantaloni e gli aveva dato una compressa di quello che doveva essere, be', Viagra.
«Questo... que-questo è uno stupro!» balbettò, cercando di scrollarsela di dosso. Cosa difficile, quando avevi le mani bloccate.
«Lieta che tu l'abbia capito, tesoruccio».
«Ma... ma... pe-perché? I-insomma, se solo m-me l'avessi chi-chiesto gentilmente, qualche te-tempo fa... ».
Ailinn alzò gli occhi al cielo, e in quel momento, per la lunghezza di un paio di frasi, la sua maschera cadde: «Per piacere! Credi che abbia bisogno di un farmaco per far eccitare un uomo? No, ho solo bisogno che tu duri... Più di un round. E sei vergine.»
«Ma pe-perché me, allora?!» strillò il vampiro, isterico, scalciando.
«Andiamo Simi-Simi, non ci sei ancora arrivato? La fiala, quella che bevi ogni giorno... Diciamo che ha fatto sì che diventassi un po' più umano. La licantropa... Sono gli esseri più fertili del pianeta, praticamente, il loro corpo tenta di riprodurre il gene del licantropismo ma senza successo, allora nel tempo sono diventati sempre più fecondi per riuscirci... Cosa pensi che voglia?»
Simon non era idiota. Non lo era per niente. Ma stava per essere vittima di uno stupro, una specie di top model assatanata era seduta nuda su di lui, l'amichetto delle parti basse si stava risvegliando e... e a dirla tutta nemmeno voleva pensarci, a quell'opzione: «Be'... ».
Lei sorrise: «Tu sei un Diurno, Simon. Non siamo riusciti a capire come, ma... Immagina una prole di bambini vampiri che possono essere esposti alla luce solare!»
«Ma io sono sterile!»
«E a cosa credi servissero tutti quegli intrugli?»
«Tu... t-tu... tu...»
«Si è rotto il telefono, Simi-Simi?»
«T-tu... vuoi usarmi come stallone da monta per creare un esercito di baby vampiri Diurni?!»
«Non dire sciocchezze, Simon, lo sarai fin quando loro non cresceranno e assumeranno quel ruolo a loro volta!».


Isabelle sbatté ripetutamente le palpebre, cercando di scendere a patti con quel concetto così assurdo che si era impiantato nella sua testa.
Morti? Tutti morti?
Era un po' come vedersi Ian con ventun anni di più addosso: semplicemente... Talmente improbabile da diventare impossibile, anche se ne avevi le prove davanti agli occhi.
Avevano provato ad uscire da dove erano entrati, ma erano stati bloccati dall'arrivo di un paio di guardie armate di tutto punto con al guinzaglio due Inucbus.
Ian rabbrividì interiormente.
In ogni caso, molto probabilmente erano sulle tracce di Estella e di suo padre, si ritrovò a pensare Jonathan.
Comunque, non avevano potuto fare altro che buttarsi proprio oltre il varco da cui erano arrivate le sentinelle con tanto di demoni e iniziare ad esplorare quel corridoio buio, evitando ogni tanto qualche mostro di sorta - e cercando di non ingaggiare lotte, anche, considerando che si portavano dietro un mezzo morto.
«Cosa diavolo... ?» sussurrò Jonathan, guardandosi intorno nella gigantesca sala vuota in cui erano arrivati - quanto diavolo era grande quella montagnella? -.
«Melchizedeck ha davvero... Una sala del trono a meno di una decina di chilometri da Alicante?» esclamò Isabelle, esterrefatta, per poi portarsi repentinamente le mani sopra le labbra quando, poco lontano, sentirono sferragliare qualcosa.
Jonathan assottigliò gli occhi, puntando gli occhi accanto a quello che era uno scranno troppo grande, anche per una persona che oltrepassava i due metri d'altezza. Oh.
Un po' dietro e un po' accanto ad esso, c'era... Un mucchietto di stracci? No. Quello era inequivocabilmente un bambino molto piccolo.
Aguzzando i sensi per tentare di capire se qualcuno li avrebbe raggiunti di lì a poco, Jonathan avanzò nella sua direzione, seguito a fatica dagli altri due, mentre il sacchettino di ossa - non c'era altro modo per definirlo - si ritraeva alla loro vista.
Il mezzo demone s'inginocchiò di fronte a lui con le mani alzate davanti al petto. Aveva due occhi blu così grandi e spalancati da essere scioccanti, anche se forse era solo impressione causata dal volto estremamente scavato, e sembrava essere più intelligente di quanto potesse apparire un ragazzino così piccolo.
«Tu sei Jonathan Morgenstern» lo salutò il piccolo prigioniero, impassibile. «Isabelle Lightwood, Ian» continuò, rivolgendo un cenno agli altri due. La Nephilm sgranò gli occhi.
«Come ti chiami?» domandò invece Jonathan.
«Noah.»
«Noah e poi?»
«Solo Noah. Vi ho visti arrivare.»
«Dal corridoio?»
«No, molto tempo fa. Vi ho visti arrivare.» ripeté lui, tranquillo.
Ian si morse le labbra: se scavava lontano nella sua memoria, in quegli anni che aveva cercato di seppellire con abnormi valanghe di altra roba, riusciva a vedere alcuni bambini che aveva incontrato, o meglio, che Melchizedeck a volte gli aveva presentato. Era anche per quello, tramite i discorsi di quel pazzo e quelle strane riunioni per bambini superdotati, che aveva imparato a parlare.
«Ci siamo incontrati, non è vero?» chiese quindi, osservandolo. L'altro annuì: «Una sola volta. Ma ho visto spesso la tua vita.»
«Farò qualcosa d'importante?»
«Lo stai già facendo.»
«Sì, ma ci riuscirò?»
Noah arricciò le labbra in una parvenza di sorriso: «Be', questo dipende da te, suppongo.»
Ian inarcò un sopracciglio mentre tendeva le catene di comune metallo per farle spezzare da suo padre: «Sai, così assomigli sempre di più ad una zingara ciarlatana che ad un veggente. E la cosa non mi aiuta a crederti.»
Noah rise. Non sembrava particolarmente distrutto dalla prigionia, a parte la malnutrizione, e nessuno dei tre presenti riusciva a spiegarsi come fosse possibile.
Ma era piuttosto facile, per lui, rifugiarsi in visioni di possibili futuri quasi irrealizzabili per tutto il giorno e ignorare quel che succedeva al suo corpo fisico. Quasi non lo sentiva.
«Proprio non puoi dirmi altro?» chiese quindi il ragazzo, a bassa voce, una volta che si furono messi in marcia.
«Se avessi avuto scelta, avresti rivelato a loro due il loro futuro?»
«No, ma è div...»
«No che non lo è! Sapere che qualcosa accadrà ti porterà a cercare di evitarlo a tutti costi, e così facendo quella cosa succederà sul serio. E' così che si avverano le profezie. Dicendo loro che moriranno, li hai automaticamente condannati a morire. Potranno cercare di evitarlo, ma succederà lo stesso. E magari in questo caso il problema non si pone perché tu sei qui per rimettere a posto le cose, ma chi rimetterebbe in ordine i tuoi fili se ti rivelassi il tuo, di futuro? Una singola parola può cambiare il destino di molti.»
«Il destino non esiste.» ribatté pragmaticamente Ian.
«Allora perché mi stai chiedendo di svelarti il tuo?».
A quello, il maggiore non seppe rispondere.
Quel che successe dopo, be'... Ian comprese solo posteriormente il perché di quella scelta. Poiché, ovviamente, era stata una decisione consapevole.
Una cosa, però, il falso Jean la capì benissimo in quello stesso istante: vedere il futuro non era una cosa bella.
La prima freccia sibillò proprio accanto alla sua testa, e forse l'avrebbe centrato se non fosse scattato di lato all'ultimo momento.
Si misero tutti e quattro sull'attenti - be', per quanto la prigionia di Noah e quella di Ian lo permettessero, visto che non erano ridotti troppo bene - e svoltarono l'angolo velocemente, dopo aver centrato quello che non poteva essere altro che il dannato cecchino che aveva tentato di farlo fuori.
Accadde così velocemente che né Ian né Jonathan riuscirono ad impedirlo, o anche solo a spostarsi: un trio di ibridi stava a dieci metri da loro, quello al centro appena più avanti, e non solo aveva già una dannata freccia - una di quelle con la punta incendiata, grazie mille - già incoccata, ma prima che potessero anche solo realizzarlo la scoccò.
Era talmente veloce che Jean praticamente se già se la vide nel cuore. Sbatté le palpebre, immobile, ma non accadde nulla: eppure, avrebbe già dovuto essere al suolo, in quella frazione di secondo.
Poi un corpo cadde a terra con un tonfo pesante, una testa sbatté contro il freddo e irregolare pavimento di pietra: la freccia era entrata esattamente al centro della testa di Noah. Si era lanciato davanti a lui.

«Ma no Clarissa, vuoi già smettere di giocare?» si lagnò Melchizedeck, mentre lei cercava di sgusciare via.
Era inchiodata ad un albero, il sudore le impregnava così tanto i capelli e i vestiti che sembrava si fosse fatta un bagno di mezzanotte nel Lyn, e il suo cuore non aveva mai battuto così forte. No, okay, l'aveva fatto - e non stava parlando della sua prima volta con Jace, no - quando, sempre sulle sponde di quello stesso lago, suo padre aveva tentato un figlicidio. E certo, non avrebbero mai eletto Valentine papà dell'anno, ma ancora... Avrebbe preferito fosse lui a minacciarla, sì. Amava perdersi in chiacchiere, abbastanza da farle trovare una scappatoia, quel pazzo di Melchizedeck era anche un tipo di poche parole, invece, dannazione.
Mentre lui estraeva l'arma bianca si lanciò in avanti, cercando di buttarlo a terra e ottenendo il solo effetto di allontanarlo di qualche passo, cosa che comunque bastò a liberarla per poter estrarre Eosphoros.
All'inizio non si era sentita molto a suo agio con quella spada, quando lo stesso Valentine gliel'aveva messa fra le mani, blaterando su qualcosa come le tradizioni di famiglia e non puoi tenerti il mio cognome senza tutti gli annessi e connessi. Comunque, lei ancora non capiva perché gliel'avesse affidata, considerando che okay, durante gli allenamenti non tentavano di distruggersi a parole a vicenda, ma ancora...
E va bene, forse avrebbe dovuto rivedere il suo giudizio considerando che aveva appena finito di salvarle la vita, ma a proposito di vita... Non era il momento di pensare a padri psicopatici, no.
Melchizedeck nel frattempo era ritornato all'attacco: menava fendenti così velocemente da farla piroettare alla velocità di una trottola per evitarli, e nel frattempo tutto intorno a lei sembrava che il terreno si stesse liquefacendo sotto i suoi piedi e che alberi e cielo si stessero appiattendo e aggrovigliando in un miscuglio di colori. Che razza di stregoneria era mai quella?
«Combatti!» ringhiò ancora l'ibrido: «E' tutto qui quello che sai fare?!»
D'improvviso il mondo iniziò a girare così rapidamente da avere le vertigini, il cuore le batté abbastanza forte da sentirlo rimbombare nelle orecchie, ancor più di prima, e le mani incominciarono a tremare. Non riusciva a capire cosa stava succedendo, ma non le era mai successo prima. Era nervosa, certo, stava rischiando troppo con qualcuno troppo più forte di lei, ma era certa che quel panico non fosse inconsciamente opera sua. Era un intervento esterno, uno di quel folle.
Parò malamente un colpo menato con entrambe le mani serrate sulla spada, e si ritrovò a indietreggiare nuovamente verso l'albero.
«CLARY!» si voltò verso la voce di sua madre: nell'arco di un battito di ciglia la vide sporgersi verso di lei, mentre Jonathan - Jonathan? Da dove diavolo era spuntato? - le urlava di voltarsi sbracciandosi, strillando qualcosa contro sua mamma.
Fu probabilmente l'istinto di suo fratello che la salvò dal secondo ibrido appena sbucato da dietro gli alberi: era così nervoso e scattante che lei si ritrovò ad esserlo di conseguenza, schivando un paio di artigli con un salto in avanti.
E fu così che la spada di Melchizedeck la trapassò da parte a parte.
L'ultima cosa che sentì prima del buio fu il tonfo del corpo di Jonathan che cadeva a meno di qualche metro da lei.



A/N: *Me va a nascondersi dietro la sua parabatai*
Ecco, io... L'ho fatto, sì.
*Scappa*
Parabatai, difendimi!
Lucifer
NB: Il titolo Hoc hopus, hic labor è una locuzione latina scritta da Virgilio (Eneide, VI,129) che si può tradurre con ecco la difficoltà, ecco ciò che v'ha di faticoso.







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Capitolo 33
*** XXXIII - Lights ***


 
XXXIII - LIGHTS 
 
Jean lo vide accadere a rallentatore, orribilmente filtrato dai suoi occhi: il corpo di suo padre che, in una parabola discendente, crollava al suolo circondato da fiotti scarlatti, sospesi nell'aria per un battito di ciglio e poi improvvisamente giù, a impregnare il terreno, già zuppo del sangue delle altre vittime. 
Era stato così veloce che quasi non se n'era accorto, aveva capito la portata dell'accaduto solo all'ultimo istante, quando aveva visto la smorfia d'orrore che aveva corrucciato il volto di Jonathan e aveva fatto posare lo sguardo sul buco che gli si stava allargando nel petto, apparentemente comparso dal nulla. 
Per un secondo, solo un singolo e infinitesimale secondo, rimase bloccato a sua volta, la figura a terra che si sfuocava e la mente che ritornava indietro, mostrandogli immagini che si era ripromesso di non ricordare mai più
 
Ian sospirò di contentezza, affondando la testa albina nel soffice cuscino: — È proprio bellissimo, non è vero? — mormorò, coprendosi col lenzuolo per nascondere un timido sorriso. 
Isabelle scoppiò a ridere, finendo di piegare i vestiti che aveva lasciato ammassati sulla sedia accanto alla scrivania, e si sedette sul suo letto: — Sì, lo è. — rispose, sporgendosi per accarezzargli i capelli affettuosamente: — Ti piace molto, non è vero? — domandò, trattenendo un'altra risata. La prima cotta di Ian. Era esilarante, considerando che fino ad allora non aveva nemmeno dato sentore di sapere cosa fosse, l'amore romantico. 
Ian arrossì, diventando di un bel rosso pomodoro che risaltava splendidamente sulla sua pelle chiarissima: — Non proprio così tanto, è che... Insomma... È così... 
— Fammi indovinare, bellissimo? — concluse lei, sogghignando. 
— Sì! — rispose precipitosamente il Cacciatore, per poi spalancare la bocca: — Cioè... È alto, e simpatico, e divertente, e intelligente, e ha questi occhi... 
— Occhi bellissimi, e un sorriso bellissimo, e dei capelli bellissimi, e delle mani bellissime, e un culo bellissimo... 
— Papà! — urlò scandalizzato Ian, lanciando un'occhiataccia all'uomo appena appoggiatosi allo stipite della porta: — Smettetela! — borbottò poi, guardando trucemente anche Sebastian, che gli faceva le boccacce sporgendosi dalle braccia del padre e ripetendo: — Ian ha una cotta, Ian ha una cotta! 
Il quattordicenne scivolò ancor di più sotto le coperte: — Siete degli stronzi! — si lamentò, imbronciandosi. 
Jonathan tossicchiò per coprire una risata, ed entrò nella stanza: — Andiamo, non fare così, ti stiamo solo prendendo in giro. — tentò di rimediare, mentre Sebastian si slanciava in avanti, ansioso di essere poggiato accanto al fratello per strisciare sotto le coperte e abbracciarlo. 
Soltanto due o tre ore dopo, nel cuore della notte, Ian si destò lanciando un urlo straziante, così forte da graffiargli la gola. 
Era il dolore peggiore che avesse mai sentito, la peggiore tortura a cui potesse mai essere sottoposto, l'incubo peggiore in cui potesse mai essere intrappolato. 
Si gettò in avanti, annaspando e incontrando il corpo ancora addormentato del suo fratellino, che stava iniziando a svegliarsi a causa del rumore. 
Non riusciva a pensare, non riusciva a fare nulla, men che meno a sfuggire da quella morsa che gli stringeva sempre di più le ali, trascinandolo indietro. 
Voltò il capo per quanto poteva, incontrando lo sguardo assolutamente freddo di uno dei tre uomini che lo tenevano saldamente ancorato al letto. 
Da lì in poi era tutto un tremendo caos, qualcosa che era riuscito a ricostruire soltanto grazie a vaghi frammenti, sogni e conoscenza più o meno inesatta di quello che era successo. 
Sapeva esattamente cosa gli avevano fatto, ma non lo ricordava.
Strillava e strillava e strillava e non riusciva a capire perché nessuno lo aiutasse, perché suo padre non avesse già sfondato la porta e il cranio di quei pazzi. 
Invece no, nessuno l'avrebbe aiutato, c'era solo lui che con il suo peso schiacciava a letto Sebastian, che piangeva terrorizzato. 
— AIUTO! AIUTO! — Quelle parole furono seguite da mugolii insensati e grondanti di dolore. Erano passati dodici anni dalla sua permanenza nelle celle di Melchizedeck, e forse nemmeno quello era paragonabile alla tortura a cui lo stavano sottoponendo. — PAPÀ! PAPÀ, TI PREGO! 
 
Altri buchi neri, altri pezzi mancanti. Il nulla più assoluto. 
 
Lui tirava da un lato e i suoi aguzzini verso l'opposto, poteva fisicamente sentire le piume staccarsi dalle sue ali come se qualcuno gli stesse strappando via ciocche di capelli dalla testa, ma quello non era nulla. 
Avvertiva i muscoli che tiravano sempre di più e i due arti che iniziavano millimetricamente a staccarsi, l'affondare di una lama abbastanza pericolosa da affettare le ossa. 
Pensò di essere già morto, e in effetti avrebbe dovuto esserlo davvero, non fosse stato per una frase di troppo di uno degli assalitori: — Va' ad occuparti degli altri bambini. 
C'era il suo fratellino sotto di lui. Regina e Christopher, se non erano balzati nel letto a causa del loro udito sopraffino, stavano ancora beatamente dormendo nella stanza di fronte. 
Probabilmente fu quello che gli diede la scossa, l'energia necessaria a reagire nonostante volesse solo far terminare quell'agonia il più velocemente possibile. 
Ringhiò, e al posto di continuare ad opporsi si gettò indietro, cogliendo di sorpresa gli uomini in nero - ibridi, avrebbe riconosciuto in un secondo momento - e sbalzandoli appena, il tempo necessario per raccogliere Sebastian e schizzare fuori dalla porta, fiondandosi in quella di fronte. 
Se s'impegnava, ancora oggi riusciva a rievocare il dolore provato, sebbene non perfettamente, ma ciò che più aveva impresse nella mente erano le espressioni dei gemelli, che all'epoca avevano soltanto dieci anni. 
Non avrebbe saputo dire se le loro facce fossero completamente vuote, spoglie di ogni emozione, o cariche del terrore più nero. 
Non era mai stato un asso nelle questioni emotive, e con il panico che gli attanagliava le viscere lo era ancor meno. 
— Reg! Chris! Alzatevi e infilatevi le scarpe, ADESSO! — ordinò, cercando di mantenere il sangue freddo, mentre allo stesso tempo Christopher osservava con una calma che sarebbe risultata inquietante, non fosse stato che si trattava di un bambino non proprio normale in una famiglia per nulla normale: — Ian, sei tutto sporco di sangue. 
Il ragazzo posò Sebastian tra le braccia di Regina, che aveva finito a tempo record di infilarsi un paio di stivali: — Non lo devi mollare, capito? Per nulla al mondo. 
La maniglia della stanza girò e lui face scattare la chiave, appoggiandosi al legno e prendendo un profondo respiro, anche se non ne aveva il tempo. 
La testa gli girava e iniziava a sentirsi senza peso, per di più Christopher aveva ragione e ferite profonde come quelle, anche se non aveva potuto vederle, avrebbero potuto ucciderlo in cinque minuti o tre ore, per quel che ne sapeva. 
Doveva concentrarsi. Non poteva lasciarsi prendere dal panico. Concentrazione. 
Non poteva tornare indietro, ma allo stesso tempo non sapeva cosa si stava lasciando alle spalle. E quindi come ne usciva? 
Al di fuori della stanza c'era trambusto, stavano parlando, ma era troppo fuori di sé per riuscire a cogliere cosa dicevano, sapeva solo che molto probabilmente stavano cercando di entrare. 
Si riscosse quando vide Christopher alzare la finestra: chi diavolo stava facendo entrare?! 
Scattò in avanti, per poi rendersi conto che si trattava di Valentine e William. O meglio, del primo che trascinava il secondo, il quale aveva il volto coperto da una maschera di sangue. 
Oh Raziel santissimo. 
Ritornò indietro sentendo la porta cedere, e per qualche attimo esitò dondolando prima verso un lato e poi verso l'altro della camera. 
Alla fine confidò nel fatto che la serratura potesse reggere un altro po' e si gettò su Will, prendendolo tra le braccia e sentendo una fitta atroce alla schiena. Il mondo divenne buio per qualche attimo, poi riuscì a mettere a fuoco la faccia del bambino: — Cosa è successo? — chiese a Val. Aveva le mani che tremavano e il respiro corto, e non voleva nemmeno pensare a quello che stava succedendo... 
Se nessuno era venuto ad aiutarli, se i suoi cugini erano da soli e suo padre o sua madre non avevano sentito le sue urla... 
Non poteva pensare anche a loro, in quel momento, no. Era tutto sulle sue spalle - martoriate, tra l'altro -, e cazzo se era terrificante. Una morsa gelida gli serrava lo stomaco, e allo stesso tempo delle vampate di calore assurde gli si propagavano a ondate nel corpo. 
— Apri questa cazzo di porta, mostro! 
Come faceva a resistere così tanto, effetivamente? Elogi all'architetto. 
Si concentrò su Will: era vero che le ferite alla testa sanguinavano sempre più di quanto ci si aspettasse anche se erano lievi, ma lì... lì il capo non c'entrava nulla, no. 
Un lungo squarcio correva giù dalla sua tempia, attraversava la guancia e arrivava fino all'angolo delle labbra, dove terminava solo perché non poteva andare più oltre. 
Che qualcuno lo aiutasse. 
 
Non stava esattamente ragionando, in quel momento. Era un po' come l'effetto di alcune luci stroboscopiche in discoteca: alcuni movimenti sembravano fatti al rallentatore, altri soltanto lampi veloci, e non riusciva nemmeno a vedere parte delle sue azioni. 
Sapeva che ad un certo punto si era allontanato dal cadavere di suo padre, aveva afferrato Magnus per la collottola della camicia e l'aveva sbattuto di peso contro un'albero. 
— Dammi quella cazzo di evocazione. Adesso! 
— Ian, rifletti, era un piano Z, non puoi usarlo per ques...
— ADESSO! 
 
Indietro a circa nove o dieci ore prima del fattaccio. 
Ian tirò rabbiosamente su la zip del suo chiodo di pelle, estraendo poi una sigaretta e un accendino dalla tasca sinistra. 
— Non ti fanno bene, sai — accennò Jacqueline, martoriandosi con le dita la lunga treccia di capelli scuri. 
— Nessuno ha chiesto il tuo parere — rispose bruscamente, facendo scattare la rotellina per produrre una piccola fiamma. Prese una lunga boccata di fumo appena qualche secondo dopo, abbandonandosi con la schiena contro un albero e il capo reclinato verso l'alto: non voleva guardarla, in quel momento. Era stato così euforico per quell'appuntamento, e tutto d'un tratto riusciva a provare solo irritazione, per quei coglioni che li avevano interrotti, per lei che in fondo in fondo era identica a loro, e per tutti gli altri Nephilim bastardi. 
— I tuoi genitori lo sanno? — domandò ancora la ragazza. Doveva avere al massimo un paio d'anni più di lui, calcolò, quindi circa sedici. Certo che avrebbe anche potuto imparare a viverla, la vita che si ritrovava, piuttosto che perder tempo a far ramanzine. 
Ian rise appena: — Perché, vuoi andarlo a dire a mio padre? — domandò, col sorriso del gatto che si è appena mangiato il canarino. 
— N-no, però... 
Lui inclinò pigramente il polso, lasciando cadere un po' di cenere a terra: — Però cosa? 
— Lo sto dicendo per il tuo bene... 
L'ibrido dovette mordersi le labbra per non scoppiare a riderle in faccia: — Ma davvero? E non pensavi al mio bene, quando quei due cretini hanno iniziato a darmi della bestia immonda distruttrice di vita? L'Anticristo, sul serio? Potrebbero almeno avere la decenza di aggiornare il repertorio! 
Jacqueline si strinse nel cardigan grigio foderato di pelliccia: — Dai, lo stavano dicendo per scherzare, non volevano certo... 
Ian si voltò di scatto verso di lei, con gli occhi spalancati: — Per scherzare? Tu saresti divertita se ti dicessero una cosa del genere?! Saresti divertita se per gioco ti facessero espellere dall'Accademia? — sbottò, stringendo la sigaretta fra indice e pollice. 
La vide arretrare appena, e capì di averla spaventata. Ottimo, un'altra persona che lo considerava un mostro. 
— Tu volevi essere espulso — si sentì dire in risposta, cosa che lo irritò abbastanza da non fargliene fregare più niente dell'opinione che si sarebbe fatta di lui. 
— Certo, perché il sogno di ogni ragazzino è essere preso in giro da tutti! È ovvio che io poi abbia reagito, dopo tre mesi d'inferno! — si difese, per poi scuotere il capo: — Va' via. 
— Ma... 
— Va' via! Adesso!
Jacqueline serrò le labbra in una linea sottile, sistemandosi la tracolla della borsa con i libri sulla spalla e dondolando appena sui tacchi sottili - che diavolo se li era messi a fare, ad Alicante? Per inciampare nei ciottoli?! Adesso Ian la vedeva, ed era solo una stupida oca come tante altre - rosso vernice: — Sai che c'è, Morgenstern? Fottiti. Questi pregiudizi li stai creando tu. 
L'ibrido scoppiò a ridere: — Non è certo colpa mia se voi teste di cazzo continuate a dare la colpa di tutto alla mia famiglia, Saintcroix. Attenta alle radici, o finirai per terra. Non vogliamo certo rovinare quel tuo bel faccino, giusto? — domandò, sardonico, voltandosi di spalle e dirigendosi verso il sentiero che portava a casa sua. E pensare che si era fatto un'ora e venti di camminata solo per incontrarla, e adesso doveva farsela anche al ritorno. Cazzoni arroganti. 
Inalò ancora il fumo, chiedendosi perché mai era stato così stupido da credere di potersi, forse, costruire una vita lì in mezzo a loro, a quelli normali: non l'avevano accettato anni prima, e non l'avrebbero mai fatto. 
Rabbrividì, stringendosi nel giubotto: forse indossare qualcosa di così leggero a pochi giorni dal Natale non era stata una così grande idea, no. E tutto perché voleva fare colpo su una tizia che non gli interessava di cui a volte ricordava il nome e a volte no. Che idiota che era stato. 
Non era nemmeno sicuro che gli piacessero così tanto, le ragazze. 
 
Magnus era un tipo previdente, e per questo, nonostante le sue minacce, gli aveva anche messo addosso un incantesimo d'invisibilità, in modo che chiunque stesse combattendo non lo vedesse, e quindi non riuscisse a smascherarlo. Senza lentine e tintura, spiccava più o meno come una zucca in un campo di cocomeri. 
Gli sembrava ancora di essere in uno strano limbo in cui il tempo scorreva diversamente, sapeva di star recitando parole per un rituale di convocazione, e per di più senza nessuna precauzione presa contro un eventuale incenerimento. 
Eppure in quel momento non gli importava, cos'aveva ancora da perdere? Non c'era niente che potesse bloccarlo, magari essere colpito da un fulmine era il suo destino ed era per questo che Noah non ne aveva voluto parlare. 
Non fare l'idiota, Ian. Poi chi lo va a dire al tuo caro élios (1) che il suo fílos (2) è morto?, lo rimproverò una voce inquietantemente simile a quella di Regina, con lo stesso identico tono canzonatorio. 
 
— Mamma! — esclamò, mentre un sorriso a sessantaquattro denti si faceva strada sul suo volto. E pensare che solo qualche ora prima era così arrabbiato per quel disastroso appuntamento! 
Isabelle si voltò verso di lui, avvicinandosi: — Sì? — chiese, ridacchiando: — L'incontro con Jacqueline è andato bene? Ma non ti sei congelato con quel chiodo?! — chiese con aria di rimprovero, legandosi i capelli in una coda alta con un elastico che portava sempre al polso, mentre Sebastian la richiamava dall'altro capo della stanza: era seduto sul divano e avvolto in un plaid troppo grande per lui, intento a guardare con estremo interesse un cartone abbastanza vintage per gli anni venti del ventunesimo secolo, Curious George
Ian non capiva cosa ci trovasse di così tanto divertente in una scimmia pasticciona e un tizio tutto vestito di giallo, ma contento lui... 
— Allora? Era carina? — gli domandò suo padre, che si stava slacciando il farsetto della divisa davanti al grande specchio presente nel salone: se Ian non fosse stato al corrente del sangue demoniaco che gli scorreva nelle vene, non avrebbe saputo capacitarsi di come un trentunenne riuscisse a dimostrare più o meno un quarto di secolo. Si chiese se anche lui sarebbe riuscito a portarsi gli anni così bene, da grande, considerando che evidentemente i geni dei suoi genitori da qualche parte avevano fatto cilecca, dato che comparato agli altri maschi della sua famiglia era un nanetto da giardino. Che poi non era lui troppo basso, ma loro ad essere esageratamente alti! 
— A dire il vero, mi ha detto di andare a farmi fottere e se n'è andata col naso talmente in aria che quasi inciampava in un sasso, non guardando il terreno, ma non è questo l'importante! — spiegò, euforico. 
Jonathan lo guardò curioso dalla superficie riflettente, aggrottando le sopracciglia: — Ah no? E qual è? 
Ian sorrise e si avvicinò a lui, prendendogli l'indumento per posarlo nello sgabuzzino nascosto lì accanto, dietro un arazzo persiano: da piccolo si divertiva a tentare di allacciare tutti i pezzi della divisa di suo padre, e quella tradizione non era mai scomparsa del tutto. 
— Be'... — incominciò, mordicchiandosi le labbra: — Stavo tornando a casa qualche ora fa, e ho incontrato una persona... 
 
Quello che successe dopo, be', quello che successe dopo lo videro tutti. Non avrebbero mai capito chi ne era l'artefice, ma era impossibile ignorare un avvenimento del genere. 
All'inizio una piccola onda partì dal centro del lago e si distrusse prima di arrivare alla riva, muovendo appena l'acqua, ma nel giro di un paio di secondi lo Specchio dell'Angelo incominciò ad infrangersi e agitarsi, bagnando con gli spruzzi tutti quelli nei dintorni, Ian compreso. 
Una luce argentea iniziò a prendere forma appena sotto il pelo dell'acqua e poi ad emergere, come avvolta dall'oro più puro. 
Raziel prese forma in modo relativamente veloce: sembrava quasi un gigantesco angelo metallico, con le piume delle ali ricoperte di occhi. 
Ian pensò ironicamente che, prima della loro perdita, le sue fossero molto più belle. E mimetiche, anche, rispetto a quel tripudio accecante. 
Osi evocarmi ancora, figlio del caos? Ti ho già risparmiato una volta, oggi non ti farò lo stesso favore. 
Ian rabbrividì: un gelido vento gli stava accarezzando il corpo, scendeva lungo la spina dorsale e lo bloccava sul posto. 
— Mi rimetto alla tua benevolenza, mio Angelo. — sussurrò, abbassando il capo. Era un po' che non s'inchinava davanti a qualcuno. 
Io non sono il tuo Angelo, figlio del caos. Tu non sei un Nephilim. 
Sembrava quasi di essere ritornati indietro - o avanti, certo - nel tempo, all'Accademia: — Posso portare i tuoi marchi, Raziel. Lo sono quanto basta. — protestò, cercando di infonderci quanta più convinzione possibile. 
Quelle parole però gli erano state ripetute fin troppe volte per dar loro una qualche importanza, e per lui non era mai stato troppo difficile accettare di essere un ibrido, almeno crescendo. Quando era più giovane... Be', aveva cercato disperatamente di essere accettato. Solo col tempo aveva capito di andare benissimo così com'era. 
Mi hai già convocato una volta per esprimere lo stesso desiderio di oggi, ibrido, e già una volta ho rifiutato. Ho giurato sulla mia grazia di incenerirti, se ci avessi ritentato. Hai un motivo per cui dovrei salvarti? 
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle sue sguarde: — No — rispose, scuotendo il capo: — Puoi prenderla, la mia vita, se vuoi. Ma ti prego, devi riportarli indietro! — esclamò, disperato. 
Devo? Io non devo far nulla. Questa è tutta colpa tua, e ne pagherai le conseguenze. 
Era stato tutto fin troppo veloce. Non credeva di essere un abile oratore, ma pensava di avere almeno qualche minuto per riuscire a convincerlo. Forse... forse avrebbe dovuto farlo fare a qualcun altro, a Magnus, magari. 
Ma sapeva che avrebbe solo condannato a morte anche lui, in quanto figlio di Lilith. 
Non aveva concluso niente, se non quella di morire fin troppo giovane, e sapeva di non poter lasciare che le cose andassero così. Non aveva paura di andarsene, ma non era ancora il tempo. Troppe cose da fare, troppe persone a cui teneva e che non si sentiva pronto a lasciare... 
Inspirò profondamente e piegò le ginocchia, abbassandosi a terra in quella che sapeva essere una posizione di preghiera. 
Era la cosa più umiliante che avesse mai fatto, e si era ripromesso di non essere mai più inferiore a nessuno. 
— Ti prego, mi-Raziel. Farò tutto quello che vuoi, ma rimedia a questo mio errore. Non ne va di me, non m'importa se vuoi uccidermi, ma... ma così i miei fratelli non nasceranno, mia madre non sarà mai felice! Ti supplico. 
Mi supplichi, ibrido? Tu, che hai mietuto morti più di chiunque altro, e non hai nemmeno ascoltato le preghiere delle tue vittime? Non meriti il mio favore né la mia benevolenza. Non meriti niente. 
Ian serrò i pugni e prese un profondo respiro, artigliando il terreno. Si rialzò in piedi, guardando Raziel dritto in faccia: — E cosa ti dà il diritto di giudicare, eh? L'essere un angelo? Perché ti credi superiore a me, se anche tu non mostri pietà?! Io ho combattuto con le unghie e con i denti per cercare di avere quello che volevo, per rimanere in piedi, e lo sto ancora facendo. Ti ho supplicato, mi sono prostrato ai tuoi piedi ma non hai ritenuto nulla di tutto questo degno della tua attenzione. Avevo anche io ali come le tue, ma poi è arrivato qualcuno che me le ha strappate. Cosa farai, chi pregherai di salvarti quando questo accadrà anche a te? Allora, non sarai più miserabile di me. Tutto ha una fine, perfino gli angeli. Quindi uccidimi se vuoi, Raziel, ma ricordati che non sei migliore di nessuna di noi formichine intente a sopravvivere, mentre siedi sul tuo trono! 
Se doveva morire, allora l'avrebbe fatto con stile. Non sapeva dove sarebbe finito una volta al di là del velo, forse a Edom. Era un posto orribile, e voleva togliersi un ultimo sfizio prima di venir rinchiuso in quell'inferno. 
Il lampo lo colpì così velocemente che non ebbe nemmeno il tempo di accorgersene, un fulmine così gelido da farlo sentire come se gli stessero stracciando l'anima dal corpo.
Ghiaccio liquido nelle sue vene. 
 Era questo che si provava a venire polverizzati? 
Non lo seppe mai, perché d'improvviso una luce calda e rassicurante lo avvolse, riportandolo improvvisamente coi piedi per terra. 
Un giorno non ci sarà più nessuno a salvarti dalla tua stessa linguaccia impertinente, cucciolo d'uomo. 
Era una voce carezzevole, questa, con quel tipo di tono che chiunque avrebbe associato alla sicurezza, ad una ninna nanna. 
Ian aprì gli occhi, incontrando un gigantesco volto senza occhi. Gli erano stati letteralmente scavati fuori, e per quanto ne sapeva la colpa era di suo nonno.
— Ithuriel — sussurrò, tossendo, ancora accasciato al suolo. Il suo élios non scherzava, quando diceva che lassù aveva qualcuno che gli voleva bene. 
Fatti indietro adesso che puoi, cucciolo d'uomo. Tuo padre è tornato indietro, ma sta ben attento a non commettere altri errori, non ci saranno altri desideri disponibili per te. 
Senza nemmeno rendersi conto di come, anche perché lui di certo non si era mosso, si era ritrovato davanti al cadavere di Jonathan, ancora in ginocchio. 
Isabelle era accanto a lui, e sussultò quando lo vide apparire dal nulla: — Ian... — sussurrò. Aveva le mani sporche di sangue, probabilmente proprio quello di suo padre, osservò il ragazzo, e continuava a fissarlo con aria vuota. Aveva distolto lo sguardo solo per posarlo su di lui: — Come... 
— Sssh — mormorò a sua volta, stringendo una delle mani di Jonathan. Attorno al polso aveva una sottile linea circolare, quasi come un braccialetto o un tatuaggio, ma Ian sapeva che era il punto in cui Melchizedeck gli aveva riattaccato la mano che proprio Isabelle aveva tranciato con la sua frusta. — Guarda —. 
Ed era una scena da osservare davvero: sembrava che qualcuno avesse iniziato a riavvolgere il nastro di una videocassetta ad una velocità impressionante, il sangue che sporcava il terreno e i loro corpi iniziò a muoversi, a ritornare indietro, lo squarcio provocato dalla spada nel petto del Nephilim iniziò a richiudersi come una spirale che si arricciò su se stessa per poi scomparire, senza lasciare nemmeno una cicatrice. 
Il corpo una volta morto sussultò e poi Jonathan scattò a sedere, stravolto e con gli occhi sgranati. 
Fu in quel momento che Ian riprese metaforicamente a respirare, a farlo con la consapevolezza che no, non aveva distrutto tutto. 
Christopher, Regina e Sebastian sarebbero nati, i suoi genitori si sarebbero sposati, e nel peggiore dei casi avrebbe avuto altri undici anni con loro. Nel migliore, al suo ritorno nel futuro sarebbero stati lì ad attenderlo, come aveva sempre sognato. 
D'un tratto ci fu un fragore assurdo, assordante, e non si riferiva alle grida di battaglia e di dolore tutto intorno. Sembrava quasi che le montagne avessero deciso di crollare tutte assieme. 
Si voltò di scatto, in tempo per vedere un lampo di luce dorata, quasi un'ona d'urto che si propagava nell'aria, Raziel ed Ithuriel che cozzavano l'uno contro l'altro per poi venir coperti dalle onde del Lyn. 
Loro vennero sbalzati indietro, quelli più vicini alla rivera caddero, caddero come corpi morti, perché erano ormai corpi morti. 
 
Panico. Urla. Sangue. 
Gli ibridi di Melchizedeck battevano i pugni contro la porta, Will piangeva, Val strillava, Regina e Christopher si aggrappavano l'uno all'altro coprendosi le orecchie, Sebastian era finito ai suoi piedi, sporco del sangue che gli colava dai tagli, e lui semplicemente non stava più capendo nulla. 
Era il caos assoluto, le lacrime gli scorrevano sul volto e il mondo si stava facendo nero, la cena di poche ore prima gli stava risalendo nello stomaco. 
Si accasciò a terra e vomitò carponi, mentre inconsapevolmente ondate di magia violastra si propagavano dal suo corpo, stremandolo ancora di più. Passò qualche secondo, poi un minuto, cinque. 
Il muro sulla sua destra iniziò a liquefarsi, il cemento e la pittura si disciolsero e un varco dello stesso colore dei suoi incanti si aprì nella pietra, mentre una sagoma si stagliava sulla superficie. 
Di fronte a lui, invece, la porta venne sfondata. 
L'alta sagoma uscì dal Portale, ed Ian l'avrebbe ricordata per sempre, per tantissimi anni a venire. 
Non era la prima volta che lo vedeva, anzi, ma fu come un punto di rinascita, un avanti strappo delle sue ali e un dopo strappo delle sue ali. 
Non lo chiamava ancora così, ma era lui. Era il suo èlios, grande e grosso e forte, ed era arrivato per salvarli tutti. 
 
 
 
 
(1) = èlios, sostantivo della seconda declinazione greca (greco antico, ovviamente) in caso nominativo, come sostantivo vuol dire sole, luce, raggio di sole. I significati della parola sono elencati in ordine di importanza per come sono intesi in questa fanfiction. 
(2) = fílos, nome della seconda declinazione greca in caso nominativo, come sostantivo vuol dire amante, compagno, amico, alleato e come aggettivo amato, caro, pregiato. I significati delle parole sono elencati in ordine di importanza per come sono intesi in questa fanfiction. 
 
 
A/N: Un paio di righe. 
Sì, siamo giunti alla conclusione di questa fanfiction. Manca solo un capitolo, che è l'epilogo, e che spero chiarirà almeno un po' alcuni dei parecchi dubbi lasciati in sospeso. 
Più che la scrittura di un aggiornamento, questo capitolo è stato un vero parto. L'ho riscritto più volte perché non mi soddisfava mai abbastanza, ed è stato solo grazie all'aiuto di Martina Balla, qui su EFP Marty Evans, che è quella santa della mia parabatai che mi sostiene dall'inizio di questa avventura e che proprio mentre concludevo questo capitolo è venuta a conoscenza proprio da me di una brutta notizia sul suo personaggio preferito e ha promesso di uccidermi, quindi se non avrete l'epilogo è colpa sua - scherzo, eh -; uno speciale grazie anche a Federica Improda, che tutti qui conoscete come proudtobea_fangirl - e se non avete ancora letto le sue long su Shadowhunters, filate a farlo! -, che ha per prima suggerito il soprannome fílos per Ian, vezzeggiativo che gli è stato affibiato da un personaggio speciale per lui che proprio Federica ruola con me, per aiutarmi a portare avanti alcune particolari scene di cui leggerete più avanti. E last but not least, santifichiamo anche @vashappeningirl98 , che ogni giorno è costretta a farmi da compagna di banco e a sentir parlare di personaggi di una saga che a stento conosce. 
Grazie, ragazze, anche se questo non è il tempo dei ringraziamenti e quindi vi ritroverete citate anche nell'epilogo, sorry not sorry. 
Infine, anche se non è la vera fine - that's only the start, girls, siamo solo ad un terzo di questa trilogia e manca ancora l'epilogo -, grazie a tutti voi meravigliosi lettori che siete arrivati al fondo di questo papiro. 
Sono tutt'ora impegnata nella correzione dei capitoli che vanno circa dal cinque al quindici, e mentre questi verranno revisionati e parzialmente riscritti andate a dare un'occhiata a quelli dall'uno al quattro, se non l'avete ancora fatto, e... Niente, ci rivediamo tra un paio di settimane - sarò puntuale, I swear - con l'epilogo. 
*Me incrocia le dita sperando che continuiate a restare sintonizzati su Radio Follia per leggere anche il sequel di questa fanfiction, City of Lies, e auspicabilmente anche quello dopo, City of Time. (Dite la verità, lo farete tutte per scoprire chi è il misterioso èlios e mi farete tutte tanto felice! xD)* 
Lucifer
P. S. Quasi dimenticavo, che ne pensate di questa strana conclusione? Come avete interpretato il finale? L'alternanza tra realtà e flashback in ordine cronologicamente errato vi è piaciuta? 

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Capitolo 34
*** XXXIV - Epilogue ***


XXXIV - EPILOGUE 
 
Isabelle spinse via il piatto con una mano, rifiutando quella delizia di cioccolato con uno sguardo spento. 
Capiva perché avevano voluto allestire tutto quello così in fretta, davvero, dopo tutte le orrende cose accadute Clary e Jace sentivano di dover trovare un appiglio in quel mare agitato, un faro nella tempesta per evitare di affogare o di perdersi, qualcosa che li tenesse a galla. 
Era partita come una cosa intima e semplice, in famiglia, poi in qualche modo la voce del matrimonio del decennio si era sparsa e i Cacciatori erano sembrati disposti a far di tutto pur di ottenere un invito. 
Così un grande giardino era stato messo a disposizione dei nuovi coniugi Herondale, una mastodontica tendostruttura era stata montata all'interno di esso con drappi dorati al posto del soffitto, piccole cupole al contrario che si agitavano al minimo alito di vento. 
Era davvero bellissimo, c'erano tavoli avvolti in stoffe pregiate sui toni dell'oro, composizioni floreali degne d'essere immortalate come nature morte, un quartetto d'archi allietava gli ospiti ed alti e viventi muri verdi circondavano l'evento, snodandosi in dedali e dedali di corridoi naturali in cui i quasi cento invitati potevano imboscarsi tranquillamente e, perché no, anche gli sposini. 
Eh be', sì, come tutti avevano notato anche la cucina era fantastica, ma Isabelle non riusciva a godersi né quella né tutto il resto.
Contrariamente a quel che aveva sempre immaginato da quando era divenuto chiaro che suo fratello adottivo e la sua unica amica stabile si sarebbero sposati, non aveva nemmeno tentato di organizzare il ricevimento. No, a dire la verità non aveva mosso un dito, ed aveva passato tutto il suo tempo avvolta alternativamente tra le braccia di Alec, di Jonathan o di Jace. 
— Vuoi allontanarti da qui, Iz? — si sentì domandare con tono sorprendentemente soffice per appartenere ad un Morgenstern. 
— Magari tra un po' — rispose, sorridendogli debolmente: — Voglio dire, mio fratello si sta sposando. Ed è anche il tuo. Di fratello, intendo. E Clary è tua sorella. Non dovremmo perderci questi momenti. — osservò, prendendo un profondo respiro e recuperando il suo piccolo cucchiaino dal piatto. 
Raccolse un piccolo pezzo di torta e lo avvicinò alle labbra di Jonathan, che si dischiusero per permetterle di imboccarlo: — Potevi semplicemente chiederla, se la volevi, sai? Te la stai mangiando con gli occhi da un quarto d'ora, almeno. 
All'inizio era stato difficile. Le prime ventiquattr'ore dopo la fine sembravano essersi dilatate all'infinito, le avevano passate a impilare cadaveri, fare condoglianze e tracciare rune, fino a quando non erano scivolate via dalle loro mani tutte d'un colpo, improvvise come un lampo nel cielo. 
Non aveva trovato lei corpo, non ricordava il nome dello Shadowhunter che l'aveva fatto, ma non era quello l'importante. 
In seguito a quella che era stata una colluttazione fra due angeli, a quanto le avevano detto, una gigantesca onda d'urto luminescente si era scatenata dal loro scontro facendo sprofondare di un metro il lago nel terreno, radendo al suolo tutto quello che c'era nel raggio di venti metri da esso. 
Centinaia di guerrieri di entrambi gli schieramenti erano crollati al suolo, alcuni quasi del tutto carbonizzati, altri soltanto ustionati, ma tutti morti. 
Lei era stata fortunata, l'unica cosa che aveva sentito da dove si trovava, nascosta dietro i primi lembi della foresta con il corpo allora inanimato del suo ragazzo sulle ginocchia e il suo futuro figlio al fianco, era stato un improvviso quanto effimero aumento della temperatura. Sua madre, però, non era stata altrettanto favorita dalla sorte. 
Era riversa su una roccia, le braccia aperte a formare una croce ed il capo reclinato verso sinistra, gli occhi azzurri alzati verso il cielo, del tutto inanimati. 
Fu come se le avessero strappato improvvisamente il terreno da sotto ai piedi, come quando Ian impilava i blocchi di legno uno sopra l'altro a formare una torre e poi decideva di sfilare proprio quello che era alla base, facendo crollare tutto. 
Tre settimane e mezzo erano passate da quel giorno, ma non erano abbastanza per elaborare un altro lutto nella sua famiglia. 
Prima se n'era andato Max. I due giorni immediatamente successivi alla morte di Maryse Lightwood Isabelle si era rifiutata completamente di vedere Jonathan, assillata notte e giorno dal fantasma del suo fratellino che l'accusava di infangare la sua memoria. 
Era stato come ripetere tutto da capo, venire schiacciata ancora una volta dal peso della morte, questa volta doppiamente devastante.
Aveva passato duemilaottocentottanta minuti della sua vita senza mangiare e senza bere, serrata nelle lenzuola nonostante delle goccioline di sudore le scendessero lungo la spina dorsale. Un calore innaturale, dovuto più ai tremori che la scuotevano a causa degli incubi che al clima, considerando che la finestra era rimasta sempre spalancata e libera di far entrare l'impetuoso e gelido vento di fine febbraio. 
— Pensavo la volessi tu. — rispose il Cacciatore, leccando il cucchiaino d'argento e sfiorandole appena il dito con la lingua. 
Le cose erano ancora un po' tese fra loro, sebbene stessero cercando di ricominciare dagli ultimi momenti relativamente innocui che avevano vissuto, ovvero la fuga dal covo di Melchizedeck. Ovviamente, in quella frase la parola chiave era relativamente
Lei sapeva che, almeno un po', Jonathan c'era rimasto male, specie dopo avergli assicurato che voleva ricominciare a vivere dal presente, e non da quello che avevano fatto quando si conoscevano a stento. A discapito di questo, nessuno dei due era nel torto, e nessuno dei due si sarebbe scusato per ciò che aveva fatto, sebbene fosse stato lui a fare il primo passo avanti. 
La seconda notte si era svegliata urlando, tormentata dai corpi senza vita, e la prima cosa che aveva sentito erano due salde braccia attorno a lei, che la stringevano abbastanza da impedirle di dimenarsi ed allertare gli altri. 
Sssh — le aveva sussurrato in un orecchio, accarezzandole il volto nonostante lei lo stesse tempestando di pugni ovunque riuscisse ad arrivare: — Va tutto bene, Isabelle. Va tutto bene, era soltanto finzione. — 
L'aveva graffiato e graffiato, cercando solo un colpevole per tutto quello che era successo, per la sua vita che era stata ancora stravolta e calpestata, fino a quando aveva perso la forza di reagire ed era scoppiata a piangere, seppellendogli il volto nel petto muscoloso, coperto da una sottile maglietta nonostante fosse inverno. 
In quel momento si era resa conto che Jonathan era davvero molto caldo, anche con tre gradi e la finestra spalancata sulla notte come un occhio cieco. 
Fa male. Fa così male. — Aveva sussurrato sommessamente, mentre sentiva le sue mani accarezzarle i capelli. 
Passerà. Passa sempre. — Non era stato particolarmente rassicurante, ma aveva aiutato. Aveva aiutato abbastanza da farla rilassare, dopo qualche minuto, fino a crollare addormentata. 
Jonathan si morse le labbra: — Non hai toccato nemmeno le altre portate. Che ne dici se facciamo un boccone a testa? — chiese retoricamente, perché le aveva già sfilato il cucchiaino di mano e, dopo averlo riempito di nuovo, lo stava protendendo verso di lei: — Andiamo, nessuno può resistere al cioccolato! 
Gli sorrise debolmente, come a scusarsi: — Non ho fame. Che ne dici di un ballo? — propose, cercando di fargli capire che no, non stava lentamente scivolando anche lei nel mondo dei morti. Aveva solo... solo bisogno di tempo per riprendersi.
Lo faceva sempre, alla fine. Doveva farlo.
Si alzarono insieme, avviandosi verso la pista da ballo. Riusciva a sentire gli sguardi degli altri invitati sulle sue scapole, sulla sua nuca, ovunque sul suo corpo. 
Si chiese se fosse per la recente perdita di sua madre o perché il suo cavaliere era Jonathan Morgenstern. Alla fine sbuffò: era ovvio che la stessero guardando tutti per il suo fantastico vestito! 
Era davvero bello, in effetti, sebbene fosse proprio quello il punto: per una volta, non era lei a far brillare l'abito, ma esso ad illuminarla. Non aveva la forza di risplendere da sola, non in quel momento.
— Isabelle... Forse questo sarebbe il momento giusto per confessarti una cosa... — Le sussurrò il Nephilim da sopra la sua spalla. 
— Cosa? 
— Ecco... Non ho la più pallida idea di come si balli un lento. — bisbigliò lui in risposta, imbarazzato. 
La ragazza si lasciò sfuggire una piccola risatina, attirandosi ancora qualche altro sguardo: — Sfortunatamente per noi, sono sempre stata un tipo da discoteca. Che ne dici di limitarci a dondolare in giro e sperare di farlo passare per un valzer? 
— Dico che è un'ottima idea. 
Solo a posteriori Isabelle si rese conto che Jonathan era un ballerino provetto, e che aveva messo su tutta quella farsa - e molte altre - solo per farla sorridere. 
Rimasero ad oscillare sul posto in un angolo della sala per un bel po', e si resero conto che la musica era finita soltanto quando qualcuno alle loro spalle tossicchiò e li indicò, per di più nemmeno tanto discretamente. 
Isabelle alzò gli occhi al cielo: — Tesoro, mi rendo conto di essere favolosa, ma al posto di mangiarmi con gli occhi, non potresti farmi una foto? Eviteresti di consumarmi, sai. — si lamentò, prendendo Jonathan per mano e riconducendolo al tavolo. 
Okay, più che ricondurlo dovette trascinarlo, perché fosse stato per lui sarebbe morto dalle risate proprio nel punto in cui avevano tentato di ballare, a discapito della tizia che stava arrossendo con ventisei sfumature diverse dopo le sue parole. 
— Idiota!
— Cioè, fammi capire, tu fai battute e la colpa è mia?! 
 
 
 
— Dico che è un'idea assurda! Cosa credi di risolvere, così facendo? 
— Potrebbe farti bene! Dimenticare la battaglia, non pensare più a... 
Isabelle alzò gli occhi al cielo, la rabbia trattenuta a stento nei pugni serrati: — Cosa, papà? Jonathan? Oppure la morte di tua moglie, che tra l'altro sembra non averti nemmeno scalfito?! — Prese un profondo respiro, ringraziando il cielo di essere abbastanza lontani dal ricevimento: — Sei un pazzo se credi che dopo tutto quello che è successo io me ne vada in Spagna a fare uno stupido anno all'estero. Al momento, renderti fiero di me è l'ultima cosa nella mia scala di priorità. — Incrociò le braccia al petto, già mezza voltata: — Anzi, direi che non vi rientra proprio. 
Senza attendere risposta, s'incamminò lungo il sentiero erboso costeggiato da due muri di labirintiche piante. Non era mai stata in quei giardini, nelle sue precedenti visite a Idris, ma probabilmente dipendeva dal fatto che, a discapito dei suoi genitori, ci andava di rado. 
Come diavolo poteva suo padre pensare di spedirla via come un pacco postale? Non era riuscita nemmeno a rimettersi in piedi del tutto, e lui già pensava di separarla dai suoi appigli? Era l'unica ad aver sofferto per la morte di sua madre, forse?! 
— Cosa speri di ottenere, Isabelle, crescendo un figlio non tuo con l'assassino di tuo fratello? Andando via potresti rifarti una vita! Metterti tutte queste brutte esperienze alle spalle! — Avrebbe voluto poter dire che suo padre le stava urlando contro, ma non era vero. Era fermo all'inizio del vialetto, l'aria impassibile ed il tono pacato, come se le sue parole non gli fossero nemmeno arrivate al cervello. 
— Ho diciotto anni. Non puoi più decidere per me. — rispose, cercando di abbassare a sua volta il tono della voce. Figurarsi se intendeva rovinare la festa a Clary e Jace. 
Forse lui disse qualcos'altro, ma semplicemente non ci prestò attenzione: aveva fin troppi pensieri per la testa, non poteva permettersi di prestare attenzione anche ad un padre assente e troppo esigente. 
S'inoltrò quanto più poteva nei verdi dedali, non abbastanza da perdere il senso dell'orientamento ma sicuramente da non farsi trovare al primo colpo. 
Si fermò soltanto di fronte ad uno spiazzo particolarmente più grande degli altri, circondato da muri di foglie, con al centro una fontana di marmo rialzata da blocchi dello stesso materiale. L'acqua sgorgava limpida e cristallina, probabilmente il tutto era stato rimesso a nuovo solo per quell'occasione, perché a terra c'erano ancora i resti di tralci rampicanti che una volta erano avvolti attorno alla base e si arrampicavano su di essa, fin dentro la vasca, a giudicare dai segni. 
— Diciotto anni... Mi sento improvvisamente vecchio. 
La Cacciatrice alzò lo sguardo, incontrando quello protetto dalle lentine chiare di Ian: era appoggiato al retro della fontana, ed aveva appena iniziato ad aggirarla per arrivarle di fronte. 
— Non ne dimostri più di me — rispose, avvcinandosi a lui. Non avevano davvero avuto modo di parlare dopo quel salvataggio rovinoso, anche perché tra le ferite che Ian aveva riportato e che l'avevano costretto a letto e il suo carattere chiuso che era improvvisamente diventato ancor più schivo, be'... Non c'era stato molto da dire, soprattutto considerando che anche lei non era stata molto di compagnia, in quegli ultimi tempi. 
— No, ma tra poco ne compirò ventiquattro. Sette di differenza. — spiegò, bagnando appena un dito. Con esso tracciò dei ghirigori sul pelo dell'acqua, sorridendole distrattamente: — Immagina quanto dev'essere strano per me.
Isabelle aggrottò appena la fronte, avvertendo l'assurdo impulso d'incominciare a schizzarlo soltanto per ridere entrambi - non che sarebbe successo, probabilmente -: — Sei e mezzo, e non sono così tanti, dai. 
Ian sorrise: — Ho due cugini della tua stessa età, e non fanno che ripetermi la stessa cosa. 
Non ebbe bisogno di ulteriori dettagli per capire a chi si riferisse: — Stai parlando dei figli di Jace e Clary. 
— Sì — Il ragazzo si passò una mano fra i capelli tinti di scuro, che non gli stavano poi così bene. Era vero che non dimostrava più della maggiore età. 
— Puoi... dirmi qualcosa di loro? 
Lui sembrò rifletterci su: anche lei era memore delle parole di Noah - distrattamente, si chiese se Ian non si fosse fatto vedere a causa di quel lutto -, parlare del futuro lo incideva su pietra, a meno che qualcuno non apportasse un grande cambiamento, ma dire due nomi e qualche tratto caratteriale non le pareva un gran problema. 
— Loro... sono due, due gemelli. Si chiamano Will e Val. Okay, in realtà William e Valentine, ma tutti usano i diminutivi. 
Non credeva che sarebbe potuto accadere, ma dopo parecchi giorni a quella parte Isabelle scoppiò a ridere: — ... Hanno chiamato uno dei loro figli Valentine?! — esclamò, appoggiandosi contro la vasca e rischiando quasi di finirci dentro. Ian le afferrò il polso, tirandola in avanti: — Fa un po' freddino per un bagno, non credi? — La lasciò, ridacchiando a sua volta: — Suppongo si sentisse in debito. Clarissa, intendo. Il nonno le ha salvato la vita non troppo tempo fa, e per questo l'ha portata all'altare. Okay, credo che in realtà sia più per tutta la storia di Lucian. Ma ci saranno altri avvenimenti. E Jace ha una passione per il tramandare i nomi. 
La Nephilim stava cercando di immagazzinare quelle informazioni e metterle in ordine, quando un pensiero piuttosto scioccante le passò metaforicamente davanti agli occhi: — Aspetta... ne hai parlato prima... tu hai... hai dei fratelli! — Praticamente lo strillò, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in una gigantesca O. 
Questa volta fu il turno dell'ibrido di scoppiare a ridere: — Sì, ne ho tre. E non c'è bisogno di dire che certamente non sono figli della gallina bianca, giusto? — disse, ed Isabelle poteva quasi avvertire il sarcasmo grondare dalla sua voce. 
— T-tre... — balbettò, chiedendosi se quello non fosse il momento giusto per tuffarsi nella fontana. Sarebbe stato un ottimo diversivo. 
— Be', due programmati. A quanto pare le coppie di gemelli sono comuni, in famiglia, stando ai fatti. 
— G-gemelli...
— Saresti un ottimo pappagallo — La prese in giro, sorridendole anche con gli occhi. Era la prima volta che lo faceva, almeno a lei, da che ricordasse. 
Non poteva dire che tutto quello non fosse strano o imbarazzante, ma... ma era qualcosa, no? 
— Comunque, sì. Ci sono Regina e Christopher, che hanno quattro anni di differenza con me, e Sebastian, e qui invece sono dieci. — spiegò, staccandosi dal bordo di pietra e facendole cenno col mento di seguirlo. Imboccò uno dei sentieri a passo moderatamente veloce, conducendola alla fine del labirinto in miniatura. Da lì potevano scorgere la tendostruttura, ma essendo coperti da dei cespugli gli invitati non potevano fare altrettanto con loro. 
Ian indicò alcune panchine: — Così puoi sederti. — mormormò, distogliendo lo sguardo. 
Stava arrossendo? Stava arrossendo! 
Di profilo, assomigliava davvero tanto a suo padre, ed era ugualmente adorabile. In realtà di più, perché a differenza sua dava più l'aria di essere gentile e premuroso. 
Non riusciva a capire come fosse possibile, considerando che lei era una pazza e Jonathan anche di più. Da chi diavolo aveva preso? 
— Tu no? — domandò, suo malgrado obbedendo alla proposta. 
Lui s'imporporò ancor di più e piegò le labbra in una smorfia: — Non sono un grande fan delle... piante. E questa cosa ne ha un sacco alle spalle. 
Isabelle sbatté le palpebre per qualche attimo: — Delle piante. Questo posto dev'essere il tuo incubo, allora. 
Ian alzò gli occhi al cielo: — Non proprio le piante piante. Più degli insetti sopra di esse, in realtà. 
La Shadowhunter tentò di restare impassibile. Ma ci provò davvero, eh, solo che era più forte di lei: in meno di dieci minuti, era riuscito laddove molti altri avevano fallito, in quei giorni. Se la sua compagnia portava sempre così allegria, quando non sembrava essere un ghiacciolo terrorizzato di sciogliersi, allora l'avrebbe pedinato, o qualcosa del genere. 
— Scusa — ansimò, tentando di fermare le risa. Non era nemmeno così divertente, ma aveva le lacrime agli occhi, forse perché aveva semplicemente bisogno di sfogarsi e quello era il metodo migliore per farlo: — È che... gli insetti!
L'ibrido incrociò le braccia al petto: — Sì, quelli! Non ti ci mettere anche tu, o non ti parlo degli altri. 
Isabelle alzò le mani: — Per carità. Allora, cosa puoi dirmi di loro? 
— Tu cosa vuoi sapere? 
— Non lo so, qualunque cosa. 
Ian si voltò verso il punto da cui erano arrivati: — Tu non hai nessuna domanda particolare, invece? 
Solo in quel momento lei si accorse che Jonathan era lì, con due calici di champagne in mano: — Ho lasciato Ian a fare amicizia con Octavian Blackthorn — le disse a mo' di spiegazione, per poi voltarsi verso la versione adulta del suddetto figlio: — A parte "sul serio, insetti", intendi? — sogghignò, avvicinandosi ai due per poi porgere uno dei bicchieri alla ragazza. 
— Insomma! A parte quello, sì! 
— Va bene, va bene — Isabelle represse un altro attacco di ridarella: — Non lo so, mi basta qualunque cosa. Quello che gli piace, qualche storiella... 
Al suo fianco, Jonathan annuì: — Qualcosa di divertente — aggiunse, anche se non c'era troppo bisogno della precisazione. Ma dato che erano riusciti a risollevare l'umore generale, meglio non rischiare di perderlo per strada. 
— Okay... — Ian prese a camminare avanti e indietro ed iniziò a parlare, gesticolando per enfatizzare le parole: — C'era questa volta in cui... Era il mio sedicesimo compleanno, credo, ed avevano tutti deciso di farmi una sopresa, di cucinarmi la colazione. — Si leccò le labbra con fare scherzoso: — C'era solo un piccolo problema, però. 
— Ovvero? 
— L'unico a saper accendere i fornelli ero io. Che ho recuperato il talento culinario da non si sa dove, considerando che voi due non siete capaci di fare un uovo al tegamino, e che i miei fratelli hanno ereditato questa vostra... mancanza. — spiegò, producendosi in uno strano suono buffo alla vista delle loro facce oltraggiate: — Comunque, ci misero tutto il loro impegno. Presero padelle e pentole, tra l'altro soltanto per fare dei pancake avevano usato l'intero servizio, ma dettagli, e Christopher e Val si appropriarono dei fornelli, mentre Sebastian giocava con l'impasto e Regina  e Will tentavano di mangiarlo. Almeno, questo è quello che mi è stato raccontato. Da qualche parte a casa c'è anche conservato un video, credo. Solo che, come già detto, erano piccoli e non proprio chef provetti, allora innanzitutto misero il sale al posto dello zucchero e lo zucchero a velo al posto della farina. Non un grande mix, se chiedete il mio parere. — continuò, con un'espressione rilassata in volto. Intimamente non era del tutto a suo agio, ma era facile dimenticare di essere indietro nel passato e credere di star rivangando il passato con un amico a caso, o col suo elìos. 
— Ma fosse niente! No, dopo iniziarono a litigarsi per decidere chi doveva versare l'impasto, e stabilirono che il modo migliore per farlo era, be', non ne sono del tutto certo, ma fatto sta che rovesciarono qualunque cosa gli capitò sotto mano, e i campi di battaglia non potranno mai reggere il confronto con lo stato della cucina di quel giorno. Poi... — Ian s'interruppe, mordendosi le labbra. 
Scosse il capo: — Scusate, è che... Se per voi è difficile accettare la mia identità, be'... Pensate a me. L'ultima volta che vi ho parlato eravate delle persone diverse, e continuo a rivedervi nella mia testa, più grandi, loro... È strano essere qui e fingere che vada tutto bene. 
— IZZY! 
 
 
Magnus si appoggiò ad una delle colonne portanti della tendostruttura, sorseggiando il suo calice di vino. 
Dall'inizio del matrimonio, era la prima volta in cui si ritrovava da solo, e semplicemente perché Alec stava ballando con la sposa. 
Aveva passato gli ultimi giorni a cercare di rimettere insieme i pezzi del suo ragazzo, o meglio, di farlo crollare e poi ricostruirlo, perché con quell'atteggiamento stoico non sarebbero andati da nessuna parte. Prima o poi tutti scoppiavano, ed Alexander non faceva eccezione. Sperava solo che non succedesse in quel momento... 
E gli faceva bene concentrarsi su di lui. Gli impediva di pensare a tutti gli altri morti che c'erano stati. 
Avendo un seggio nel Consiglio come Stregone, be'... Aveva avuto fra le mani resoconti specifici, liste. Liste di persone che non c'erano più, e se anche avrebbe dovuto essere abituato alla perdite, quella era stata del tutto inaspettata. 
Aveva visto i Blackthorn riunirsi e piangere Helen, compattarsi fra loro e farsi forza. Andrew Blackthorn sembrava essere appena stato investito da un treno, ma era ugualmente seduto lì ad uno dei tavoli, con il figlio Mark al fianco. C'erano anche gli altri, sparsi fra loro, riusciva a vedere il piccolo Octavian giocare con Ian... Non si sarebbe ricordato di nulla. 
Le fate erano piombate nel più completo caos, la Regina Seelie era caduta e con lui uno dei suoi più fidati cavalieri, Meliorn... 
Sapeva che, poco prima dell'alba, Jace era andato a visitare la tomba di Amatis Greymark.
Certamente, era positivo che Melchizedeck fosse caduto. Nel momento in cui l'onda d'urto che era stata provocata dallo scontro dei due Angeli si era sprigionata, lui era proprio in prima linea. Ne aveva risentito così tanto da rimanere carbonizzato.
E quella era una grande, grande notizia, perché da quel che gli aveva confidato Ian questo sottintendeva un temporaneo cessate al fuoco, ma... ma gli Shadowhunter non erano gli unici ad aver sofferto. 
L'aveva vista di sfuggita, prima, tra i cespugli, guardava Jace e Clary. L'aveva salutata, ma non aveva risposto. 
Non gliene aveva fatto davvero una colpa, anche se avrebbe gradito scambiare qualche parola con lei. Certo, Tessa era riuscita a conoscerlo meglio, e lui col passare delle decadi si era distaccato da entrambi, ma... ciò non voleva dire che Magnus non fosse rimasto scalfito dall'accaduto. 
Jem... Jem Carstairs era caduto in battaglia. Non c'era più, la sua salma di Fratello Silente era stata cremata e riportata alla Città di Ossa. 
— Magnus! — Si voltò di scatto, incontrando gli occhi sbarrati di Alec: — Sì? — chiese. Era la prima volta da giorni in cui Alexander si mostrava così reattivo. 
— Hanno portato la torta. — sussurrò il Nephilim, indicando qualcosa alle sue spalle. Lo Stregone stava quasi per protestare, gli aveva fatto prendere un colpo,  ma...
Avrebbe dovuto essere un dolce bellissimo. A più piani, interamente ricoperto di foglie d'oro finemente lavorate, rune tutt'intorno, eppure... Le statuine degli sposi erano cadute sul vassoio. Al loro posto, proprio in cima, c'era la testa del neo eletto Inquisitore, Kadir Safar. 


 
 
A/N: Vorrei avere qualcosa di davvero significativo da dire, ma la realtà è che davvero, davvero non ci credo. 
Da una parte, sono felice di essere arrivata alla fine di questa prima avventura. Dall'altra, cavolo, ci ho lavorato per tanto tempo e adesso ci sto mettendo la parola fine... Be', relativamente, perché ci sono ancora capitoli da revisionare, ma avete capito quel che intendo. 
Le buone notizie: City of Lies, ovvero il sequel di questa storia, è già in fase di scrittura, ed in realtà il primo capitolo è già pronto, quindi potete aspettarvelo molto presto, appena finirò di revisionarlo. E niente, spero che tutti quelli che mi hanno accompagnato fin qui passino a dare un'occhiata anche a COL, perché è proprio lì che la vera storia inizia. 
Detto questo, ancora una volta un gigantesco grazie a tutti coloro che hanno letto e a quelli che hanno commentato, a quelli che hanno dato solo un'occhiata e a quelli che sono arrivati fin qui. 
Infine, ancora, un ringraziamento speciale a Marty Evans, senza la quale COM non sarebbe quel che è, e a proudtobea_fangirl, per così tante cose che è impossibile elencarle tutte e renderle il giusto merito. 
Grazie mille, e spero a presto,

Winchester_Morgenstern

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