Come il coraggio della tigre e come la profondità dei segreti

di StellaDelMattino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo un ballo ***
Capitolo 2: *** Presentazioni improbabili ***
Capitolo 3: *** Dragamente patentata ***
Capitolo 4: *** La decisione di guerra ***
Capitolo 5: *** Addio ***
Capitolo 6: *** La nuova 'casa' ***
Capitolo 7: *** L'amore per i Guerrieri ***
Capitolo 8: *** Qualcosa cambia? ***
Capitolo 9: *** Cambio di prospettiva ***
Capitolo 10: *** L'Osteria ***
Capitolo 11: *** Un posto speciale ***
Capitolo 12: *** Persone di troppo ***
Capitolo 13: *** I segreti di Secreteyes ***
Capitolo 14: *** Segreti nei segreti ***
Capitolo 15: *** Una cosa coraggiosa ***
Capitolo 16: *** Questioni in sospeso ***
Capitolo 17: *** Il segreto di William ***
Capitolo 18: *** L'uovo si schiude ***
Capitolo 19: *** Preparativi ***
Capitolo 20: *** Mi concedi questo ballo? ***
Capitolo 21: *** La strategia dei Guerrieri ***
Capitolo 22: *** Lontani e vicini. ***
Capitolo 23: *** Gli accampamenti ***
Capitolo 24: *** La prima battaglia ***
Capitolo 25: *** Uno strano combattimento. ***
Capitolo 26: *** Spiacevoli misteri ***
Capitolo 27: *** L'asso nella manica ***
Capitolo 28: *** Una scelta drastica ***
Capitolo 29: *** Una vittoria, un ritrovamento e una storia ***
Capitolo 30: *** Notte senza fine ***
Capitolo 31: *** Esito incerto ***
Capitolo 32: *** Una chiacchierata ***
Capitolo 33: *** La prima neve ***
Capitolo 34: *** Il giorno ***
Capitolo 35: *** Salvarsi o salvare: parte I ***
Capitolo 36: *** Salvarsi o salvare: parte 2 ***
Capitolo 37: *** Il mondo con occhi diversi ***
Capitolo 38: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Solo un ballo ***


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Si possono insegnare tante cose,
ma le cose più importanti,
le cose che importano di più
non si possono insegnare, 
si possono solo incontrare.
-Oscar Wilde

"Un ballo con il nemico?!" disse la ragione.
"Sì, dai, un ballo non ha mai ucciso nessuno!" ribattè l'istinto.
"Ma un nemico sì!!"
I due stavano litigando pesantemente nella testa di Gemma. Doveva trovare una
soluzione, prima che quella discussione finisse in una rissa, e a quel punto era sicura che un'emicrania non avrebbe aiutato. Poteva fare una finta: sembrava una semplice ragazzina, ma invece non era così.
Geniale, se non fosse che lei era una normale adolescente, per di più un'adolescente regale e la sua adolescenziale voglia di essere libera (da cosa, poi?) e gli altri desideri erano amplificati.
Accidenti! Uhm, poteva far finta di far finta di essere normale e sperare che il nemico fosse abbastanza intelligente da pensare che lei stesse facendo finta, ma non tanto da capire che stava facendo doppiamente finta. Che dilemma. Ma poi, non era neanche così normale.
Considerò l'opzione di dire un semplice no, ma non poteva permettersi che il nemico pensasse che la Principessa Guerriera fosse una fifona.
-Allora?
La suadente voce del nemico la fece rinvenire dai suoi confusi pensieri e si rese conto che il giovane che aveva di fronte stava aspettando la risposta ormai da tempo immemore. Gemma si massaggiò la tempia, cercando di mettere a tacere le due voci contrastanti nella sua mente che ormai urlavano senza contegno.
-Va bene.
Si sarebbe inventata qualcosa, avrebbe fatto finta di essere... Qualcosa.
Era pure un bel giovane, alto e muscoloso, con dei lisci capelli castano scuri, occhi di un blu profondo e labbra sottili che non perdevano mai un sorriso malizioso. Sembrava soddisfatto.
"Buon per lui" pensò Gemma accigliata.

Gemma viveva nel regno di Tigerheart ed era figlia di uno dei dieci sovrani: ce ne era uno (o più che altro due, tra marito e moglie) per giustizia interna, uno per intrattenimenti, uno per commercio (che comprendeva anche l'economia del regno), uno agricoltura, uno arte, uno lavoro, uno medicina, uno istruzione e uno per la guerra (e la pace) con gli altri regni. Gemma era la principessa della guerra e già si pregustava le guerre che avrebbe combattuto affiancata dai suoi guerrieri, infatti amava combattere e la morte non la spaventava per niente, aveva già molti progetti per il suo futuro. Il ballo a cui stava partecipando era un ballo con molti dei popoli di quella terra e lei stava per danzare con uno del regno di Secreteyes, probabilmente con un lord. Tigerheart era in una situazione conflittuaria con questo popolo, che si stava evolvendo in una guerra. Gemma aveva analizzato attentamente la situazione: il suo regno era in minoranza numerica, ma avrebbe avuto anche molti alleati, dato che Secreteyes era in guerra con altri popoli. Il problema non era sconfiggere questo regno, ma combattere con i regni neutri che una volta finita la guerra avrebbero attaccato quelli che ritornavano da questa. Sarebbe stato un duro periodo, ma ce l'avrebbero fatta. Dovevano solo affrettarsi a dichiarare guerra seria a Secreteyes prima che i conflitti iniziassero a diventare veramente rovinosi, infatti per ora erano state piccole battaglie con poche perdite.
Si chiese se avessero scelto il ballo come occasione per infrangere la momentanea pace.
In quella terra viveva ogni genere di creatura, dagli elfi, che prediligevano la musica e l'arte, ai nani, che preferivano lavori tranquilli, soprattutto il giardinaggio, e ognuno aveva un ruolo, più o meno importante, nella società, che era divisa in tre 'caste': popolo in generale, nobili e sovrani, ma più che essere una divisione era un dato di fatto. Nessuno aveva privilegi. Sì, ognuno viveva nel lusso che poteva permettersi, ma niente era vietato per qualcuno e altri no.

Ma ritorniamo al ballo.
-Tu sei Gemma, vero? Io sono William, di Secreteyes.
-Lo sapevo.- aveva deciso che avrebbe interpretato il ruolo della ragazzina secchiona e non interessata a niente oltre allo studio. Questo era  decisamente  un carattere diverso dal suo, che naturalmente non conosceva neanche uno dei lord o dei reali di Secreteyes,cosa che invece avrebbe dovuto fare, ed era pure molto interessata alla vita delle persone, alle loro storie ed esperienze, e non sapere chi fosse esattamente colui che aveva davanti la innervosiva più che mai. Sperava solo che ci credesse.
William, però, aveva capito subito che non era così. Lo aveva capito dal modo in cui era entrata: i ricci ribelli che ondeggiavano intorno al viso distratto della giovane che scendeva frettolosamente dalle scale cercando di non farsi notare, probabilmente perchè era in ritardo, mentre si aggiustava lo stemma di Tigerheart sul lungo vestito azzurro come il cielo mattutino. Poi si era fermata, e con un sorriso dolce aveva rivelato tutta la sua bellezza: i morbidi riccioli rossi ricadevano copiosi sulle spalle, le incorniciavano il viso leggermente rotondo e contrastavano con i grandi occhi gialli luminosi. A William veniva da sorridere, tanto era contagioso il sorriso di Gemma, che rivelava dei denti bianchissimi e rendeva ancora più belle le labbra carnose. Si distingueva dalle altre ragazze del suo e degli altri popoli, infatti non aveva nè pettinature complicate, nè trucco pesante e non era neppure ricoperta di oro e argento come le altre, gli sembrava così semplice. Era abbastanza alta, confrontandola con la piccoletta bionda che le corse incontro urlando il suo nome (era così che aveva saputo che si chiamava Gemma).
Ed ora erano lì che ballavano analizzandosi reciprocamente e mentendo, ma sapendo entrambi cosa stava facendo l'altro.
-Avete degli occhi molto particolari.
-Non troppo per Tigerheart, come d'altronde sarebbero stati i vostri se aveste abitato qua, ma sospetto che a Secreteyes siano piuttosto comuni.
-E avete ragione. Eppure sono comunque intrappolato nei vostri occhi coraggiosi come quelli di una tigre.
-In effetti, io lo sono dai vostri profondi come i segreti.
William sorrise, non per niente era il Principe Guerriero di Secreteyes.

 

 

 

Angolo autrice :3

Ed ecco il primo capitolo! Spero che vi piaccia, questa era una presentazione generale delle circostanze dove si svolgerà la storia. Nel prossimo capitolo capirete meglio il carattere dei protagonisti, conoscerete molti altri personaggi e si inizierà ad entrare nel vivo della situazione.

Lo so, lo so, starete pensando: due di regni in conflitto si innamorano, sai che novità! Beh, non sarà così. Spero che leggerete anche i prossimi capitoli :3 (il secondo lo pubblicherò fra un paio di giorni)
Si ringrazia Figure Artist per la bellissima immagine

P.s: questa è la pagina facebook dedicata alle mie storie, passate se vi va :3 https://www.facebook.com/StellaDelMattinoEFP

Alla prossima!

StellaDelMattino

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Capitolo 2
*** Presentazioni improbabili ***


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Imparerai a tue spese
che nel lungo tragitto della vita
incontrerai tante maschere 
e pochi volti

-L.Pirandello, Uno, nessuno, centomila
 

Il ballo era finito e William ne propose un secondo a Gemma, che era già sul punto di correre via. Ricominciarono a danzare, entrambi esperti e per nulla preoccupati dei passi o del ritmo. Era così naturale.
-Quindi, Gemma, voi siete figlia di un Lord?
-Sì, esatto, non un lord molto importante.
Era palese che stesse mentendo, ma continuava a sperare, magari l'aveva scambiata per Gemma Willow, alla quale non assomigliava per niente, ma chi le impediva di sperare?
-E voi, figlio di un Lord?
-Esatto, ma anche io di uno non troppo importante.
"Meglio non dire la verità al nemico" pensò William, analizzando la situazione.
Un William Lord doveva pur esserci! Ma lui non conosceva quasi nessuno dei Lord del suo e degli altri regni, figuriomoci i figli!
Forse avrebbe dovuto seguire storia con un po' più di attenzione.
Non sapevano che dire, ma la cosa certo non era strana, visto che stavano mentendo entrambi, e cosa puoi dire a una persona a cui menti?
La danza finì, ed entrambi fuorono felici di andare lontani l'uno dall'altra, anche se si tenevano d'occhio costantemente.
La piccoletta bionda saltellò allegra da Gemma.
-Chi era?- disse con sguardo indagatore.
-William, figlio di un Lord di Secreteyes, voleva ballare.
-Cosa ti ha detto?
-Niente di che, e sicuramente io non gli ho detto nulla sulla guerra o quant'altro. Tranquilla, Lilybeth.
Lilybeth si ammorbidì in un sorriso dolce come quelli che solo lei sapeva fare. Era la principessa artista e la migliore amica di Gemma. Un giovane biondo e abbronzato le raggiunse, abbracciando dolcemente Lilybeth e facendo l'occhiolino a Gemma. Era Frederick, principe mercante, fidanzato di Lilybeth e amico fidato di Gemma. Ben presto iniziarono a chiaccherare del più e del meno.

Gemma contava i minuti che la separavano dalla fine del ballo, non ne poteva più. Vide i suoi genitori accigliati che discutevano con due di Secreteyes, probabilmente re e regina gruerrieri. Decise di uscire e prendere un po' d'aria, molti dei draghi dormivano, ed altri vicini di parcheggio chiacchieravano amabilmente.
Gemma si avvicinò a Louise, il drago dei reali di Tigerheart, che ammirava il paesaggio compiaciuto chiacchierando con il vicino.
-Dovresti dormire un po' prima di portarci a casa, lo sai che è pericoloso se ti addormenti in volo.
-Gemma, la mia guerriera preferita, si preoccupa di un vecchio drago come me? Tranquilla, ho già dormito tre ore, e i draghi qui sono socievoli.
-E bravo il mio Lou che stringe amicizie!
Il drago sorrise compiaciuto, la luce della luna evidenziava la lucentezza del verde delle sue squame. Aveva gli occhioni arancioni rivolti verso la luna, ammirandola e parlandole in un dolce sussurro che Gemma non riusciva a capire. La lingua dei draghi le piaceva moltissimo. Era così melodiosa e dolce, come una ninnananna.
Lou diresse il suo sguardo verso Tigerheart, dove intravedeva un puntino indefinito: la reggia. Il Palazzo del Ballo si trovava esattamente sul confine tra Tigerheart e Secreteyes, ma non apparteneva a nessun reame, come gli altri Palazzi dei Balli, che erano sempre ai confini di due regni.
Il drago tornò a rivolgersi a Gemma.
-Quindi fra poco farai la patente. Sei un po' agitata?
-No, io amo i draghi e ne so ogni cosa, sono sicura di passare e non vedo l'ora di avere il mio!
-Io non ti basto?!
-Sinceramente Lou, non potrei andare da molte parti, mica ci sono molti posteggi per voi Maxi.
Scoppiarono entrambi a ridere, era evidente che si stavano prendendo in giro, ma Gemma avrebbe veramente voluto guidare Lou dappertutto. Il drago era così gentile e buono e le voleva bene con tutto il cuore, proprio come gliene voleva lei.
Finalmente gli altri reali uscirono dal palazzo. La metà erano brilli e due dei pricipi erano completamente ubriachi. Germont, il gigante che guidava Louise (ci voleva un gigante tanto era enorme), gli allacciò il porta-persone sulla schiena. Il porta-persone era pieno di seggiolini come quelli delle montagne russe, ben allacciato alla schiena di Lou.
I passeggeri salirono sul drago e Germont passò a vedere che tutti fossero allacciati bene e poi si mise a capo della comitiva, allacciandosi a un sellino ben più grande degli altri.
-Si torna a casa!- esclamò con la sua roca e gutturale voce.

Un altro drago stava partendo in quel momento, ma si dirigeva nella direzione opposta, verso Secreteyes.
 

 

Angolo dell'autrice

Ed ecco che siamo arrivati al secondo capitolo :D Questo era più che altro un intermezzo che chiudeva il ballo e incominciava il prossimo importante capitolo: i draghi. Saranno abbastanza importanti nel corso della storia e vedremo Gemma prendere la 'patente'.

Visto che non era il massimo come capitolo, il prossimo lo pubblicherò tra un paio di giorni se non domani.

Ringraziamenti! Innanzitutto ringrazio Vienne e Adhar per aver recensito e messo nelle seguite la storia e naturalmente ringrazio anche i lettori silenziosi :)

Recensite in molti, ho un urgente bisogno di pareri :3 Ho molti dubbi per questa storia e spero che sia tutto chiaro.

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Alla prossima!

StellaDelMattino

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Capitolo 3
*** Dragamente patentata ***


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Forza e resistenza.
Attraverso le mie fragilità e impervie difficoltà
che la vita mi ha riservato
ho costruito la mia forza e la mia resistenza.
- Luciano Donatoni

Per Gemma era arrivato un giorno molto speciale: il giorno in cui avrebbe preso la patente. Era tesa, molto tesa. Sapeva ogni cosa, aveva studiato più di quanto non avesse mai fatto prima. Eppure, la paura persisteva, forse perchè era molto importante per lei.
Era passata più di una settimana dal ballo e i suoi genitori da quel giorno erano più nervosi di prima, probabilmente perchè non avevano dichiarato guerra, anche se da quel giorno non c'era stato neanche un conflitto. Stranezze, pensò.
Erano una decina, seduti in attesa di fare l'esame e tutti non vedevano l'ora di tornare a casa con la propria patente. Con lei c'era James, il principe della medicina, che essendo, però, il minore sarebbe diventato il capo della ricerca. Per la medicina era così, il primo Guaritore, il secondo Ricercatore. Aveva compiuto gli anni qualche giorno prima, ma aveva aspettato Gemma, per incoraggiarla ed essere incoraggiato. Era una ragazzo snello e slanciato, con una zazzera di capelli castano chiaro, le lentiggini e due grandi occhioni verde scuro. Muoveva agitatamente una gamba, come un tic nervoso e il suo viso era contratto in una smorfia.
Gemma gli mise una mano sulla spalla per distoglierlo dai suoi pensieri, lui si girò verso di lei, con un sorriso non troppo convinto. Gemma ricambiò il suo sorriso, cercando di sembrare più tranquilla che mai.
-Spero che vada bene- disse lui, che era sempre stato impaurito dagli esami.
-Ne sono sicura! Sei il più intelligente di noi e passerai certamente. Ora sei un po' più tranquillo?
-No...
-Andrà bene, capoccione. Ricorda solo di stare calmo.- Gli mise una mano tra i capelli e li scosse, con fare fraterno, perchè ormai erano una famiglia, tutti loro. Gemma sapeva che quando fossero diventati sovrani sarebbero stati una grande squadra, che avrebbe condotto Tigerheart in un periodo d'oro.

Una donna aprì la porta chiamando James, che si alzò di scatto e andò verso di lei. Prima di scomparire oltre alla porta, si girò verso Gemma, che gli fece l'occhiolino.
Se non ce la fa lui, sono fregata.
Si guardò intorno: era una stanza piccolina, piena di dipinti, affreschi e poster sui draghi. Le piaceva , era molto... Dragosa.
L'esame che stava per affrontare era per la patente standard, che le consentiva di guidare un drago molto più piccolo di Louise, di dimensione un poco più grande di un cavallo.
Non passò molto tempo che la donna tornò e la chiamò. James l'aspettava all'uscita che era alla fine del percorso d'esame.
Aprì la porta e si ritrovò in un grande garage di draghi, chiamato Dragorius: non era molto grande, aveva solo sei draghi. Dalla parte opposta a questo c'era la donna. L'esaminatrice.
-Scelga un drago.
Gemma si avvicinò al primo, che era un drago occidentale, cioè con quattro zampe e due ali, di un irritante giallo luminoso che quasi la accecò. Come sapeva che si facesse, allungò una mano verso il suo petto, dove c'era il cuore, e l'altra la mise sul proprio. Il battito del drago era troppo veloce per lei, che capì che quello non era il suo. Passò a quello dopo, una grande viverna, drago con due ali e due zampe, verde smeraldo, molto graziosa. Ma non era quella giusta. Passò al terzo.
Il tre mi porta sempre fortuna, pensò.
Quando mise la mano sul cuore di quell'Anfither, drago senza zampe e piumato, capì subito che era lui. I battiti calmi e regolari coincidevano esattamente con i suoi. Si rivolse all'esaminatrice.
-E' lui.
-Lo attrezzi e ci salga.
Gemma andò al grande tavolo vicino all'esaminatrice e prese un sellino con delle cinghie.
Si avvicinò al drago e iniziò a cantare sottovoce un brano romantico. Sapevi cosa cantare dal battito del suo cuore, che cantava armoniosamente, e quel drago era proprio un romanticone. I draghi avevano un legame speciale con la musica, la loro stessa lingua era creata da delle note. Gli mise cautamente i due oggetti.
Ritornò al tavolo e analizzò le sei collane riposte, ognuna con una targhetta, un nome e un colore diverso.
Marius, diceva una targhetta. Era scritto a piccoli e violacei caratteri in corsivo. Era lui. Marius. Prese la collanina e se la mise al collo. Infine, prese un pennarello cancellabile anch'esso viola e scrisse il proprio nome su una delle punte della coda del drago. La punta e la collanina iniziarono a luccicare. Perfetto.
Ricominciò a cantare e salì sul drago in tutta tranquillità. Mise una mano sul cuore di Marius e sentì il suo battito regolare. Tutto a posto.
Guardò la donna che annuì compiaciuta.
-Spicca il volo e all'altezza della Prima Nuvola procedi regolare. Alcuni colleghi ti diranno cosa fare.
Gemma fece camminare, o più che altro strisciare, il drago verso l'inizio dell'aria aperta e cercò una corrente. Molte andavano raso terra, ma ne trovò tre che si alzavano. Le analizzò, non capiva come facesse, ma solo respirando sapeva dove andavano. Una era perfetta: si alzava in velocità, ma si fermava all'incirca verso la Prima Nuvola.
Rimise una mano sul cuore del drago e la battè con un ritmo irregolare e veloce. Il ritmo dello scatto.
Rapidamente Marius spiccò il volo e alla prima nuvola Gemma regolarizzò il battito, aumentandolo un pochino, affinchè il drago volasse dritto.
In breve tempo fu affiancata da due draghi, guidati dagli esaminatori.
-Gira a sinistra.
Gemma ascoltò ancora un attimo il battito del drago per sentire che fosse regolare e quando ne fu certa si appiattì sul drago aprendo le braccia come se fossero ali. Sentì il tocco caldo delle ali del drago sulle sue e il sangue che pompava nelle vene. Dopo qualche secondo alzò leggermente il braccio sinistro e fece pressione su quello destro. Il drago girò a sinistra, mentre una compiaciuta Gemma aspettava nuovi ordini.
-Destra- si limitò a dire.
Gemma smise di fare pressione sull'ala destra e riappoggiò il braccio su quella sinistra. Il drago ricominciò ad andare dritto quando lei spostò il peso sul bracciò sinistro.
-Cambi Nuvola, vada alla Terza.
Gemma ristabilizzò il drago e mise nuovamente una mano al cuore. Ora le correnti erano molte di più, ma neanche una si fermava alla Terza Nuvola. Le era andata male. Alla fine ne scelse una che arrivava fino alla Quarta.
Battè la mano a ritmo veloce e irregolare come quando era partita e il drago salì più in alto. Arrivata alla Terza Nuvola rallentò il battito. La corrente portava sempre più su e con un'accellerazione improvvisa, ma regolata, prese la Terza Nuvola.
-Ora atterri gradualmente.
L'esame era quasi finito, meno male!
Gemma rallentò il battito del drago fino a che Marius non fu quasi fermo, quindi, sempre lentamente, battè irregolarmente la mano, il drago scese fino alla Prima Nuvola. Ora veniva la parte più difficile: doveva far 'camminare' in aria il drago finchè non fosse arrivato quasi al suolo e poi farlo atterrare. Gli tolse la mano dal cuore e si rimise a cantare. Scesero fino a quando non arrivarono a mezzo metro da terra. Gemma smise bruscamente di cantare. Non fu un atterraggio molto pulito, ma poteva andare.
-Riponi il drago.
Gemma lo condusse al Dragorius che aveva di fronte, era molto simile al primo, anche se i draghi cambiavano. Cantando, scese e gli tolse sellino e cinghie. Cancellò il suo nome dalla coda e ripose la collanina sul tavolo. Diede un'ultima occhiata a Marius che le fece l'occhiolino.
-Vai avanti così, Gemma.- disse benevolo, facendola sorridere.

Un'esaminatrice le andò incontro, annunciandole che fra poco le avrebbero comunicato i risultati, così le indicò una porta che racchiudeva una stanza analoga alla prima nella quale c'era solo James, che con un sorriso raggiante le andò incontro.
-Avevi ragione, l'ho passato!- non c'era persona più adatta a rappresentare l'entusiasmo.
-Piuttosto, a te com'è andata?
-Lo sapremo fra poco, ma penso di avercela fatta!
E fu proprio così.

Accompagnata da James, corse a casa, euforica ed entusiasta. Quest'allegria coinvolse tutta la reggia che nella sera festeggiò felicemente.
Verso metà serata la madre di Gemma le si avvicinò.
-Andiamo a dormire, domattina ti dovrai svegliare presto.
-Perchè?
-A pranzo verrà la Famiglia Guerriera di Secreteyes alla reggia.
-Dichiarerete guerra?
-Forse.

 

 

Angolo dell'autrice :3

Buongiorno gente! In questo capitolo Gemma ha preso la patente, una patente un po' strana, non è vero?

Se non si fosse capito, le Nuvole sono le unità di misura del cielo ;)

Se avete domande su qualcosa che non avete capito, chiedete pure ;)

Ringrazio tutti quelli che recensiscono, seguono o semplicemente leggono questa storia, come farei senza di voi?! Un ultimo ma grandissimo grazie a Figure Artist, che fa queste immagini stupende

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Al prossimo capitolo,

StellaDelMattino

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Capitolo 4
*** La decisione di guerra ***


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L'ospitalità è la virtù che induce
a nutrire e ospitare
persone che non hanno bisogno
nè di essere nutrite nè di essere ospitate
-Ambrose Bierce

William venne svegliato bruscamente dalla luce delle finestre le cui tende erano state tirate da Tami, la sua folletta domestica. Imprecò, mettendosi il morbido cuscino in faccia.
Tami gli iniziò a saltare addosso insistentemente, pesava poco più di una piuma, ma gli dava un fastidio quasi insopportabile.
-Perchè così presto?
-Mi dispiace, Willy, ma fra un'ora dovete partire per Tigerheart
-Cosa?!
-Un incontro con i guerrieri.
William sorrise malizioso, era giunto il momento, solo una cosa non capiva.
-Ma perchè non ci vanno solo i miei genitori?
-Penso che sia una cosa importante, anche la figlia dovrà partecipare.
Annuì, gli piacevano le cose importanti, le svolte, le rivoluzioni, una vera delizia.
Si alzò velocemente e andò all'armadio, mentre Tami gli trotterellava dietro allegra.
-Che ne dici?- disse William prendendo dei pantaloni di pelle.
-Allora sopra ci devi assolutamente mettere questo.
Gli porse un eleborata camicia bianca lunga con alcuni ricami neri. Poi indicò degli stivaletti, anch'essi neri.William pose tutto sul letto a baldacchino sfatto e prese due collanine lunghe sul comodino: una con il simbolo di Secreteyes, ovvero dei fili neri intrecciati che formavano un occhio, e l'altra con un piccolo draghetto d'argento. Poi prese un anello anch'esso d'argento con il simbolo dei guerrieri, che si portava esclusivamente nei momenti importanti: era una spada con il manico alla base del dito e la lama che arrivava quasi fino all'unghia.
Si vestì rapidamente e con Tami scese in cucina, dove salutò folletti e gnomi cuochi, augurò una buona giornata a Tami e mangiò una brioche al volo. Dopodichè si avviò verso il Dragorius e raggiunse il suo drago, un bellissimo drago occidentale bianco e dorato, di nome Jerry, che ancora dormiva. Riempì d'acqua e cibo le due ciotole giganti.
Jerry si svegliò, sbadigliando felicemente.
-Così mattutino oggi? - disse con la sua squillante voce.
-No, oggi si salta, dobbiamo andare a Tigerheart.
Il drago sembrò deluso, così William gli andò vicino e lo abbracciò, fragandosene degli abiti puliti.

Gemma si svegliò presto. Probabilmente perchè era impaziente per la visita.
Un sinuoso gatto nero grande quasi quanto una pantera le saltò sul letto facendo le fusa e strofinando il suo morbido pelo sulla faccia di Gemma.
-Ciao Billy- disse mentre lo accarezzava.
-Gemma! Ma che bello vederti sveglia a quest'ora!
-Oggi ci sarà un evento importante, mi piacciono le cose importanti, le svolte, le rivoluzioni, sono i momenti in cui si agisce di più.
Il gatto saltò giù dal letto, andando verso l'armadio, seguito da Gemma, che aprì le antine. Analizzò i vestiti contenuti in esso e alla fine ne tirò fuori uno bianco che arrivava fino al ginocchio e aveva le mezze maniche . Un disegno rosso come i capelli di Gemma iniziava alla base della gonna, coprendola quasi tutta. Il rosso continuava nel corpetto, ma ne disegnava solo il contorno e si incurvava dove c'era lo scollo, facendolo sembrare a cuore. Il gatto prese una fascia rossa che le avrebbe fatto da cintura. Passarono alle scarpe e Gemma ne prese due paia facendole vedere a Billy, indecisa.
Il primo era rosso con un piccolo tacchetto di 2 cm, con un cinturino che le circondava la caviglia e finiva in una punta spigolosa.
Il secondo era bianco, con il tacco leggermente più alto, ma non esagerato e finiva in un semicerchio, come le ballerine.
Il gatto indicò deciso il secondo paio e Gemma ripose l'altro. Sì vestì rapidamente e Billy le fece un grande e morbido fiocco sulla cintura, poi lei si andò a sedere ad un piccolo tavolino con gioielli, trucchi, fasce e un grande specchio. Con un abile balzo, il gatto saltò sul piccolo sgabello dietro la sedia di Gemma. Per un po' la guardò , poi le prese i capelli e li divise in tre grandi ciocche, per poi farle una graziosa treccia che le ricadeva morbida sulla spalla destra e alla fine aveva un piccolo fiocchetto rosso. Anche senza pollice opponibile, i gatti erano i migliori parrucchieri che ci potessero essere e Billy era proprio un grande maestro.
Con un altro balzo saltò dritto sul tavolo e, giratosi verso Gemma, le mise giusto un po' di correttore e mascara, così le porse la collanina di Tigerheart e l'anello dei Guerrieri.
Scesero frettolosamente e mentre Billy beveva il suo latte caldo (Gemma non riusciva a capire come faceva a piacere il latte caldo ad una tale pantera), lei salutò i folletti e gli gnomi cuochi e divorò una brioche al volo.
Era pronta, ma mancava ancora un'ora. Così chiamò un folletto e gli chiese di portare il libro delle specie di draghi.
Un ruggito di drago testimoniava l'arrivo dei Guerrieri di di Secreteyes. Gemma ripose il suo tomo con la lista dei draghi sul tavolino davanti al divano, dove stava leggendo, e corse alla porta principale.
I suoi genitori sfoggiavano un sorriso cortese. Gemma andò alla finestra sperando di vedere il loro drago, sentì la porta aprirsi, ma continuò a cercare, consapevole del fatto che agli ospiti importava solo dei sovrani, ma si sbagliava, infatti fu subito interrotta da una voce, che aveva già sentito da qualche parte.
-Ciao, Gemma.

Quando William vide Gemma per poco non ebbe un infarto. Era ancora più radiosa che al ballo, stava guardando il grande giardino, probabilmente in cerca del loro drago. Cercando di riprendere l'autocontrollo la salutò e nell'istante in cui Gemma sentì il saluto, si vide allo specchio di qualche attimo prima. In un secondo lo stupore nei suoi occhi fu rimpiazzato da gentilezza, che mascherava tutta la confusione.
-Ma tu non eri un Lord poco importante?
-Esattamente come te.
I genitori stavano guardando la scena come un film comico e alpadre di Gemma, golosone qual era, venne pure l'idea di chiedere dei popcorn.
-Bando alle ciance, andiamo in sala da pranzo, è tutto pronto.- disse la regina, che era una donna molto materiale.
Gemma stava ancora riflettendo sui draghi, dimenticandosi del fatto appena accaduto, era molto indecisa, erano tutti così belli!
Intanto William la osservava divertito, chi avrebbe mai detto che quella ragazza semplice e sempre persa nei suoi pensieri fosse una Guerriera?!
Arrivarono in sala da pranzo e si sedettero: i due re a capo tavola, le regine alla destra del re ospitante e i figli alla sua sinistra, in modo che figlia e regina fossero vicini al familiare, come da manuale.
Il tavolo era ricopertoda prelibatezze di pesce come antipasto. Il re di Tigerheart prese un piatto pieno di gamberi in salsa rosa e, dopo averne presa una quantità notevole, li passò alla moglie, che fece fare il giro di questi.Così fecero anche con gli altri pasti.
Il pranzo passò molto lentamente e la tensione era visibile, parlarono più che altro di gossip sugli altri paesi, per non dare informazioni sui propri.
Più che dei sovrani sembravano delle adolescenti spocchiose e vanitose miste a delle vecchiette pettegole di paese. Pessima combinazione.
Appena finito il pranzo andarono nella stanza apposita per le riunioni e lasciarono William e Gemma soli. I due per un po' stettero a girarsi i pollici, indecisi sul da farsi, poi il silenzio divenne troppo irritante per entrambi.
-Ho appena fatto la patente, stavo scegliendo un drago, quindi...
-Se vuoi ti posso consigliare, sono un esperto di draghi- disse, dandosi dello stupido appena dopo per aver detto qualcosa su di lui, poi pensò di smettere fingere e non essere troppo rigido, alcune piccole informazioni su di lui non avrebbero cambiato la guerra.
Seguì la ragazza in una piccola stanza graziosa. Gemma si sedette su un divano rosa salmone e lui, un po' esitante, le si sedette vicino. Prese un tomo polveroso e lo aprì: ogni pagina conteneva l'immagine con un drago e la sua descrizione. William lo sfogliò ammirato poi si rivolse a Gemma:
-Ci sono molti draghi, qui, ma ricorda che quasi la metà sono estinti o in via di estinzione, non ti innamorare di qualcuno che non puoi avere.
La guardò intensamente e vide la determinazione e la consapevolezza nei suoi occhi gialli.
-Lo so, ma a volte, semplicemente non c'è altra scelta.
-Quale ti piace?- chiese sorridente.
Gemma sfogliò delicatamente il libro. Arrivò ad un'idra squamosa color cielo. Si fermò, era bellissima.
-E' stupenda, ma non sai mai dov'è il cuore e devi avere le braccia lunghe con un'idra.
Gemma annuì, guardando le due teste minacciose del drago. Chissà se avevano nomi diversi.
-Tu che drago hai?
-Occidentale, bello da far paura, bianco e dorato, ma non ha le squame.
Gemma lo immaginò sul suo drago mentre si dirigeva verso il sole che risplendeva neisuoi occhi blu.
Doveva avere proprio un bel drago, aggiunse subito nella mente.
Vide un luccichio provenire dal petto di William, guardò curiosa, vedendo un ciondolo a forma di drago. Non ci poteva credere.
-Tu..Hai..Sei..Ma..
William la guardò accigliato, ma che stava blaterando?
-O insomma, sei un Cavaliere dei Draghi?!
-Già, ho preso la patente speciale l'anno scorso.
-Ma sei giovane!
I Cavalieri dei Draghi erano i più esperti in draghi, combattevano con essi ed era come se entrassero in simbiosi con loro, nel combattimento. Erano pochissimi e per diventarlo ci volevano anni e anni di studio. Gemma ne aveva visti un paio in tutta la sua vita e desiderava molto diventarlo, anche per questo aveva preso la patente.
-Sì, lo so, ma non ho avuto bisogno di studiare per entrare in simbiosi col mio drago, è stato naturale e poi lui mi ha insegnato tutto.
Le rivolse un sorriso sincero, compiaciuto del fatto che lei sapesse riconoscere il loro simbolo.
In un attimo, però, ritornò concentrata sui suoi draghi.
-Meglio uovo, selvaggio o allevato?
-Selvaggio assolutamente no. Sono molto più difficili da guidare e creare un legame saldo è pressocchè impossibile. Inoltre, è cattiveria togliere un animale dalla sua casa per obbligarlo a farti da autista.
Gemma lo guardò ammirandolo, era così esperto e giusto, le dispiaceva quasi doverlo sconfiggere e, nel peggiore dei casi, ucciderlo in battaglia. Scacciò il triste pensiero.
-Se è in allevamento puoi sapere esattamente ogni cosa su di lui, nome colore, canzone... Ti consiglio un uovo, se prendi un drago e lo vedi nascere e crescere, si crea un legamepiù forte, certo, se ti interessano solo le sue abilità non è conveniente, ma non mi sembri una a cui interessano ssolo le statistiche.
-Credo che seguirò il tuo consiglio, un uovo di drago occidentale.
-Prima di seguire il mio consiglio, però, segui il tuo cuore: quando pensi che sia quello giusto, è quello giusto.
Qualcuno fece finta di tossire per attirare la loro attenzione. I sovrani Guerrieri.

Gemma si chiese da quanto fossero lì e come fosse possibile che non li avessero visti prima, probabilmente troppo presi dai draghi.
-La guerra è stata annullata e i conflitti sono finiti per sempre, se...- il padre di Gemma aveva gli occhi fissi su di lei con un'espressione mista tra felicità e tristezza, sollievo e dolore, rabbia e tranquillità.Tutti avevano lo stesso sguardo indecifrabile.
Ma cosa stava succedendo? La guerra...Annullata?
Il re si inumidì le labbra, ricominciando a parlare.
-Se Gemma sposerà il Guerriero di Secreteyes.

 

Angolo dell'autrice

Buonasera a tutti! Questo capitolo è molto importante e finisce in un colpo di scena che cambierà tutto per i personaggi.

Come avrete capito, sia Gemma che William sono degli adolescenti che sono sempre stati preparati per la guerra e non sanno bene relazionarsi con coloro che pensano sia 'il nemico' e in questo capitolo si ritrovano lì con IL nemico in persona e un po' si sciolgono. Ma come sarà questa convivenza? Probabilmente non la accetteranno, ma ci sono motivi particolari? E gli altri che faranno?

Tutto questo nel prossimo capitolo (ok, sono fuori di zucca)

Spero che lasciate pareri o supposizioni sul futuro dei personaggi, non so se è un bene la piega che ha preso questa storia, e vi pregherei di farmi sapere, almeno per tranquillizzarmi un po' :)

P.s: questa è la pagina delle mie storie:  https://www.facebook.com/StellaDelMattinoEFP?bookmark_t=page

Grazie a tutti, soprattutto a Figure Artìst che ha la pazienza di fare queste bellissime immagini ;)

StellaDelMattino

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Capitolo 5
*** Addio ***


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E' un beccheggiar di stelle,
ancorate al suolo dalla tua triste partenza,
la mia triste canzone.
-Michele Gentile


 

-No, ripeti?
Wiliam era completamente andato in tilt: smise di respirare, sbattendo gli occhi ripetutamente quasi non ci credesse. E, in effetti, non ci voleva credere.
Gemma, d'altra parte, si chiedeva se stesse sognando: convinta che fosse proprio un sogno tanto bizzarro quanto impossibile, scoppiò a ridere.

-Non è uno scherzo- disse la regina Guerriera di Secreteyes, con tono severo. Sembrava volerli uccidere con uno sguardo: William conosceva bene quell'espressione, che la madre aveva quando era combattuta. -Vi dovete sposare.
Una notizia del genere poteva procurare solo tre fasi.
Fase uno: confusione, sorpresa. Tutto incorniciato da una tensione insopportabile.
Gemma spalancò gli occhi, trattenendo il respiro. Passava lo sguardo dalla madre al padre, quasi cercasse conferma di ciò che le era stato detto. I suoi genitori, però, non smentirono proprio nulla. 

Fase due: rabbia, tanta rabbia. Ora toccava a quella.
Quasi fossero sincronizzati, i due giovani iniziarono a urlare contemporaneamente. Contrapposto al silenzio di re e regine, il rumore che producevano era tale che alcuni domestici accorsero preoccupati, pensando che fosse successo qualcosa di brutto: appena intravidero la situazione, però, se la diedero a gambe levate, vedendosi dall'interrompere la sfuriata.

Le urla sovrapposte, però, non lasciavano capire nulla ai genitori: i Guerrieri di Secreteyes presero William con la forza e lo trascinarono in un'altra stanza, lasciando Gemma sola con i suoi.
-Come avete potuto farmi una cosa del genere? Tutti hanno il diritto di decidere con chi sposarsi, è legge! Preferirei sposare un poveraccio che amo che non un re che non amo!- sbottò la ragazza, come travolta da un fiume in piena: un fiume di emozioni incontrollabili.
-Gemma, quante sono le nostre possibilità di sopravvivenza in tutta questa faccenda? Pochissime. Non ti sei chiesta perchè ci hanno attaccato? Noi non c'entravamo nulla.- ribattè la regina Guerriera, con un tono calmo. Cercava di non far trasparire la sua disperazione: anche lei non avrebbe voluto tutto questo. Gemma notò per la prima volta solchi più profondi sul viso della madre: sembrava stanca come se improvvisamente fosse invecchiata di dieci anni. -Non sappiamo il motivo di questi conflitti improvvisi, ma hanno sicuramente un piano. Sarebbero pazzi, altrimenti: sebbene sia loro la responsabilità di questa situazione non possiamo far finta di nulla. 
Il re sospirò e si avvicinò a Gemma, con un finto sorriso, malinconico.
-Sai bene che i regni a noi vicini sono pronti a trarre vantaggio da questa guerra. Le Volpi di Foxiness non sono certo famose per la bontà e dar loro un'opportunità di sconfiggere il nostro regno è come condannarci a morte.- le disse.

Fase tre: tristezza, pianti infelici.
-Potremmo...- iniziò Gemma, la voce ridotta ad un sussurro. Praticamente piagnucolava. -Potremmo chiedere aiuto ad Hawkvengeance oppure agli squali...
-Tesoro, lo sai benissimo che la nostra vittoria non è scontata. Questi sono se ipotetici, il nostro futuro sarebbe fondato su speranze praticamente vane.- Il tono della madre, ora, si era addolcito.

-Ma... Mamma, proprio tu che da piccola mi raccontavi le favole sull'amore, non puoi farmi questo... Io volevo fidanzarmi con Lord Ermis!
-Non lo ami, quel tonto! Gemma, tu vuoi sposarti comunque con uno che non ami: per qualsiasi ragione tu lo voglia fare, penso che la vita del popolo e nostra sia più importante.
Gemma era una ragazza complicata. Voleva sposare Lord Ermis, importante Lord più tonto di una lepre che dorme vicino a un leone. Non lo amava, era vero, ma le ragioni di Gemma erano diverse.
Ora la ragazza stava piangendo disperata, vedendo il suo futuro improvvisamente incerto e deciso allo stesso tempo, ma sapeva che i suoi genitori avevano ragione: o lo sposava o la probabilità di vivere si riduceva tragicamente. Il suo futuro contro quello di tutti gli altri.

William urlava contro ai suoi da diversi minuti, ormai.
-Ma siete impazziti?! La strategia era perfetta, il piano era perfetto, lo avete dimenticato?- Gesticolava, in preda alla furia e li guardava come se avessero appena distrutto la cosa più preziosa che aveva. -Io non dimentico mio fratello, non dimenticherò mai ciò che è successo.
Il ragazzo abbassò lo sguardo: non c'era più rabbia, i lineamenti del volto erano distesi. Sembrava quasi sconfitto.

-Neanche noi, tesoro. Mai.- gli disse la madre -Ma ci sono stati alcuni problemi: ti diremo tutto, ma tu devi fidarti.
-E allora sposerò la ragazza.

***

-Per ora, sarà Gemma ad andare a Secreteyes.- decretò il padre di William.
Nessuno fiatò. Gemma aveva smesso di piangere, non si sarebbe mostrata debole. Cosa le rimaneva se non l'orgoglio, ormai?
-Partirete stasera, per dare il tempo a Gemma di salutare tutti e di organizzare i bagagli. Tutto chiaro?- continuò invece il re di Tigerheart.
Annuirono sommessamente, ancora sconvolti dalla notizia. Solo un dubbio venne in mente a William.
-A chi è venuto in mente tutto questo? I matrimoni combinati non sono in uso ormai da secoli, non è naturale pensarlo- disse.
-Al ballo, mentre stavamo discutendo vi abbiamo visti ballare. L'idea è arrivata a tutti subito.
Ci fu una breve pausa.
Gemma non ci poteva credere: doveva sposarsi con il principe Guerriero di Secreteyes a causa di uno stupido ballo. Un ballo con uno sconosciuto aveva cambiato la sua vita.
La tensione era palpabile, nella stanza: di certo nessuno si sarebbe aspettato diversamente, ma era comunque una situazione sgradevole, se non disperata.
La madre di William, mantenendo la sua espressione severa, si schiarì la voce.

-Analizzando i pro e i contro abbiamo notato di avere un solo punto sui contro.- disse
-La nostra felicità non è un punto da poco.- rispose Gemma, aspra.
Sapeva benissimo che avrebbe dovuto essere gentile con quella donna, dato che avrebbe vissuto nella sua reggia e sposato il figlio, ma in quel momento le sembrava insopportabile, quasi la incolpasse di tutto.

-Dove farvi vivere, era il punto- rispose l'altra con la stessa acidità.
Gemma le lanciò uno sguardo di fuoco.
-Non vi è neanche venuto in mente?! Siamo così importanti per voi che non vi interessate della nostra felicità?!- intervenne ora William.
-Abbiamo analizzato attentamente la vostra situazione. Volete davvero farci credere che vi sareste mai sposati per amore? Gemma vuole maritarsi con un Lord stupido che sicuramente non ama e tu, William, con il tuo disprezzo per l'amore e il matrimonio saresti sicuramente rimasto solo- rispose il padre di Gemma.
Al ragazzo si rivoltò lo stomaco.
-Come osate? Le nostre scelte di vita non giustificano questo patto! Il fatto che esse non vi piacciano non vi danno il permesso di cambiarle!
-William!- gridò la regina di Secreteyes -Ricorda ciò che ti ho detto.
Il ragazzo si zittì.
La decisione ormai era presa, non c'era più nulla da fare.


Gemma aveva fatto riunire tutti per un discorso.
Non ci credeva ancora, doveva andare via dal suo popolo, dalla sua casa, dai suoi amici, dalla sua famiglia.

Si schiarì la voce. Era arrivato il momento.
-Addio. Questo è quello che devo dirvi. Addio.
E' solo una parola, ma sappiate che significa molto più di quello che sembra. Significa che mi mancherete, che non vi dimenticherò.- I suoi occhi si fermavano su tutti i suoi amici lì: a Billy, a Lilybeth, a James e a tutti gli altri. -Non dimenticherò nessuno di voi, nessuno dei momenti belli passati insieme. Le nostre avventure, le nostre risate. L'allegria spensierata che viveva con noi nella reggia, che ci coinvolgeva tutti. No, non dimenticherò e magari un giorno ci sarà di nuovo, in una reggia diversa, con una famiglia più grande.
Il suo sguardò si posò per un secondo su William: cosa nascondevano quei due pozzi neri che aveva al posto degli occhi? Si chiese chi fosse davvero: per ora le era sempre sembrato un ragazzo gentile e affascinante, ma era solo uno sconosciuto. Distolse lo sguardo.
-In realtà non è neanche un addio.- continuò -E' più un arrivederci. A quando tutto sarà nuovamente spensierato, nuovamente felice. Dove saremo una nuova famiglia, in una nuova casa. Mi mancherete.

A William si strinse un nodo nello stomaco. Era forse senso di colpa? Lui, che provava senso di colpa? Impossibile: si era giurato di non provarne, di mettere al primo posto la sua missione e basta. Eppure vedere quella creatura tanto ingenua quanto spensierata strappata alla casa e alla famiglia lo faceva diventare più triste di quanto già non fosse. Gemma abbracciava tutti e sorrideva, sebbene fosse evidente che non era felice. Molti piangevano.
La vide anche salutare i genitori con un abbraccio: era triste di separarsene, malgrado fossero stati proprio loro ad allontarla, in un certo senso. William ne fu incuriosito: ancora non capiva bene Gemma e per lui non era così scontata questa dimostrazione di amore: pensò che lui, probabilmente, non lo avrebbe fatto.

Stavano ormai per partire: salirono sul drago di Secreteyes, un grande drago blu notte con gli occhi gialli che risplendevano come dei fari.
L'autista gigante salì e loro partirono verso la meta che Gemma tanto odiava. Ormai voleva solo dormire, non le importava più nulla, avrebbe pensato il giorno dopo.

Guardò un'ultima volta la reggia, cercando inutilmente di trattenere le lacrime.
Arrivarono prima di quanto si aspettasse, prima di quando avrebbe voluto arrivare. 

-Immagino che per il giro turistico sia un po' tardi...- disse William, che era stato zitto fino a quel momento, mentre entravano nell'imponente reggia, poco illuminata.
-Voglio solo andare a dormire.- rispose lei, sgarbata.
William la condusse nelle sue stanze. Entrambi volevano che Gemma stesse nelle stanze degli ospiti, ma i genitori avevano categoricamente rifiutato.
Avevano promesso di mettere due letti il prima possibile: per ora, però, ce ne era solo uno e Gemma era troppo stanca per aspettare.

Fece girare William per non essere vista mentre si cambiava e si mise un grande e lanoso pigiama che copriva il più possibile. Probabilmente sarebbe morta di caldo, ma non le importava, meglio così che ancora più in imbarazzo.
Lui, invece, si limitò a mettersi dei pantaloni morbidi e si tolse la maglia.
Certo, poteva andarle peggio: William era davvero bello, coi suoi occhi profondi e il suo fisico praticamente perfetto.
La ragazza scosse la testa: non era quello ciò che importava, anche se sicuramente non guastava. Entrò nel letto, occupandolo interamente.

William la raggiunse e cercò di infilarsi sotto le coperte , ma Gemma gli urlò contro che o dormiva per terra o gli avrebbe sfigurato il suo bel visino.
Il ragazzo, spodestato dal suo letto, mise una coperta per terra e con un'altra si coprì, sbuffando sonoramente, ma lasciandola lì: certo non sarebbe stato un buon inizio obbligarla a dormire con lui.
Dopo poco erano entrambi addormentati, troppo stanchi per la giornata trascorsa.

 

 

Angolo dell'autrice

Imploro perdono, lo so, lo so, questo capitolo è orrendo D:

Anche questo capitolo è come un intervallo tra due parti.

Beh, avete scoperto un po' di più della situazione sentimentale di Gemma e William, perchè Gemma voleva sposarsi con uno che non amava? William è davvero così dongiovanni? E che cosa succederà loro?

I soliti ringraziamenti, a tutti! Grazie perchè mi sostenete e mi avete fatto continuare una storia che pensavo senza futuro :) Come al solito, un grazie particolare a Figure Artìst :D

P.s: questa è la pagina delle mie storie: 

Al prossimo capitolo,

StellaDelMattino

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Capitolo 6
*** La nuova 'casa' ***


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Le case sono fatte per viverci,
non per essere guardate.
Francis Bacon

Era passata una settimana da quando Gemma era arrivata a Secreteyes e non si era mai spostata da quella stanza.
Rimaneva in posizione fetale tutto il giorno, tranne quando doveva mangiare. I pasti le erano portati, solitamente da un cameriere o da Tami, direttamente a letto: non ne aveva proprio voluto sapere di uscire da quella camera.
Avevano provato a convincerla ad alzarsi, ma aveva sempre rifiutato: sapeva di sembrare capricciosa e testarda, ma non si sentiva pronta e non voleva vedere. Gemma aveva già una casa e, se fosse uscita di lì, si sarebbe sentita come se avesse accettato quel matrimonio. E lei non aveva accettato proprio nulla.
Certo, avrebbe dovuto: il suo destino era stato deciso nello stesso momento in cui era salita sul drago per Secreteyes. Ora non poteva più tornare indietro.
Ma Gemma non era ancora pronta.
Ad un certo punto l'avevano pure minacciata che se non si fosse alzata per andare a pranzo non avrebbe mangiato. Non aveva mangiato, naturalmente, e nemmeno la sera, così si erano arresi e avevano ricominciato con il servizio in camera.

Quel giorno Gemma sentì bussare all'ora di pranzo, come al solito.
-Avanti.
Stranamente, a entrare nella stanza con il pranzo fu William.
Gemma ne era sorpresa: per quella settimana il ragazzo era stato con lei solo di rado e piuttosto malvolentieri, tanto che sospettava che fosse stato obbligato dalla sua famiglia. D'altronde, 
aveva avuto più o meno la sua stessa reazione: rifiuto.
William le si avvicinò, con un sorriso gentile, e si sedette di fianco a lei, sul bordo del letto. Aveva due vassoi in mano; ne mise uno sulle proprie ginocchia e uno su quelle di Gemma.
-Per quanto ancora vuoi restare qui?- le chiese. Nella sua voce c'era comprensione e rimprovero allo stesso tempo.
-Fino a quando non sarò pronta a uscire.- rispose lei: si sentiva quasi accusata.
William sembrò riflettere, serio, e Gemma lo guardò.
Cosa sapeva del ragazzo che avrebbe dovuto sposare? Entrambi avevano sempre portato una maschera nei loro incontri, tranne forse quando avevano parlato di draghi, ma Gemma non sapeva se fosse solo un altro modo per sabotarla consigliandole un drago sbagliato o fosse la verità.
Alla fine si erano mentiti appena conosciuti e evitati dal secondo giorno in cui si erano visti. Forse doveva dare almeno una possibilità a quel luogo, se non altro per quel povero ragazzo che si era trovato nella sua stessa situazione.
-Principessa, non sarete mai pronta finché non vedrete un po' questo posto. Non è così male, ve lo assicuro, e ci sono molte persone simpatiche- iniziò William, con tono insicuro. Aveva paura di offenderla o di peggiorare la situazione. -Dovete dare una possibilità a questo posto e a noi, ve ne prego. 
-Magari oggi.- disse Gemma, tutto di un getto, per non avere ripensamenti.
William aveva ragione e lei lo sapeva: non sarebbe mai stata pronta.
Lui sembrò sorpreso: si era lasciata convincere molto più facilmente di quanto pensasse.
Un silenzio teso calò su di loro: entrambi provarono a concentrarsi sul cibo per evitare di pensare alla decisione appena presa da Gemma. Infatti, mentre William non voleva che lei avesse ripensamenti, la ragazza cercava di scacciare l'ansia non pensandoci: prima o poi sarebbe dovuta uscire comunque.
Gemma guardò il proprio vassoio che conteneva un paio di uova e un piatto di spaghetti con un sacco di sugo rosso, mentre due grissini erano comodamente adagiati sul tovagliolo. Era piuttosto contenta della cucina: si mangiava bene e non avevano provato a farle assaggiare i piatti tipici di Secreteyes, o almeno per ora, limitandosi a servirle piatti "internazionali".
William, dal canto suo, stava esaminando i piatti, sapendo già cosa avrebbe fatto: prese un grissino e bucò il centro delle uova facendone uscire il rosso, dopodichè prese una forchettata di pasta con più sugo possibile e lo immerse nell'uovo. Quando portandosi la forchetta alla bocca vide Gemma che faceva lo stesso identico procedimento, fu talmente stupito che il cibo gli cadde sui pantaloni.
La ragazza rise e lui si insultò mentalmente per la figuraccia che aveva appena fatto: insomma, era il Guerriero di Secreteyes!
William, rosso in viso, ridendo e cercando goffamente di giustificarsi, si alzò e uscì dalla stanza.
In realtà, con quella scena imbarazzante era riuscito ad alleggerire un po' la situazione.
Poco dopo ritornò, con un paio di pantaloni nuovi e puliti, e trovò Gemma indaffarata a cercare un abito nell'armadio. Si accomodò sul letto per finire il suo pranzo, ma anche dopo aver finito di mangiare, notò che la ragazza non aveva ancora trovato un abito giusto.
William andò da lei, che era tanto concentrata da spaventarsi quando lo vide vicino.
-Non ti piacciono?- le chiese.
-Sono bellissimi, ma non so proprio quale decidere: a casa avevo un gatto che mi aiutava.- Gemma si sentiva un po' in imbarazzo, come dimostrato da quanto gesticolava.
-Quali ti piacciono di più? Non sono bravo come un gatto, ma magari ti posso dare una mano.
Lei indicò svariati modelli e William, che non era certo un esperto di moda, non sapeva cosa dire.
Poi vide un vestito verde smeraldo a tinta unita, che arrivava fino al ginocchio e aveva una cintura fine gialla. Era molto semplice, ma d'altronde non lo era anche lei?
-Questo ti starebbe benissimo.- disse, guardandola -I colori sono perfetti per te.
-Dici sul serio? Mi posso fidare?
William sorrise e alzò un sopracciglio, così Gemma lo cacciò e si mise l'abito.
Avrebbe visitato la reggia di Secreteyes. Doveva proprio farlo? Perchè non stare chiusa in camera ancora un po'?
Dopo una settimana, quella camera non le era più estranea: pareti e tende viaggiavano sulle sfumature del giallo pastello, mentre il pavimento e i mobili erano di legno. Era carina, alla fine, ma era vuota: non c'era nulla di Gemma. Solo cose di William: oggetti dell'infanzia e souvenir di viaggio che le ricordavano costantemente che non era a casa sua. Si sentiva fuori posto: una tigre in gabbia.
Gemma scacciò quei pensieri dalla testa. Se iniziava a rimandare era la fine. Sì, aveva un po' paura, ma si ripetè che prima o poi l'avrebbe dovuto fare.
Fece un respiro profondo e si mise davanti alla porta, con una mano sulla maniglia, ma ci volle ancora un respiro per trovare il coraggio di aprirla.
Il suo cuore perse un battito quando, invece di trovare William, che doveva accompagnarla per il palazzo, vide una dozzina di persone in trepidante attesa, pronte ad ammirare lo strano esemplare che si sarebbero trovate davanti.
E, ancora una volta, Gemma si sentì come una tigre in gabbia.


Angolo dell'autrice
Ciau a tutti! Quanto tempo! Scusate il ritardo del capitolo :(
Piccola parentesi cibo: non sapevo esattamente cosa far mangiare, quindi ho deciso che hanno piatti simili ai nostri e altri diversi. 
Che dire? Vi piace ancora la storia? O non vi è mai piaciuta? Sappiate che le recensioni sono ben accette ;)
Ringraziamenti: grazie a tutti quelli che seguono, ricordano, preferiscono, recensiscono, leggono solamente :)
E l'immagine vi piace? L'ho fatta io e sinceramente ne sono molto orgogliosa, sarà perchè è la prima che faccio e magari fa schifo, ma mi piace :) Anyway, come potrete aver intuito, i due raffigurati sono Gemma e William, ma della prima non sono sicura per la prestavolto, accetto volentieri pareri anche su questa :)
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Al prossimo capitolo,
StellaDelMattino

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Capitolo 7
*** L'amore per i Guerrieri ***


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Solo dopo un giusto tempo
e un giusto travaglio
l'innamoramento diventa amore.
-Silvana Stremiz

 
Quando William aveva annunciato ai genitori che Gemma sarebbe uscita, sperava che non avrebbero chiamato tutti i re e progenie. Aveva provato a dire che sarebbe stata imbarazzata, ma avevano subito risposto che invece si sarebbe sentita ben accolta.
Ma lui si sentiva molto simile a quella ragazza e non si stupì per niente quando dopo aver aperto la porta rimase immobile e a bocca aperta, sconcertata. La raggiunse subito e le sorrise per incoraggiarla. Non servì a molto, ma fu l'inizio dell'adattamento.
Le presentò tutte le persone giunte a conoscerla, che si mostrarono gentili e disposte ad accoglierla nella famiglia. Poi, non dopo che subisse domande su domande a proposito di ogni argomento che venisse loro in mente, la portò a fare il giro del palazzo, liberatosi dei reali con una scusa.
Appena girarono l'angolo, Gemma si fermò e lo fissò. Stava per chiederle il motivo quando gli tirò uno schiaffo, che lo spiazzò.
-Perchè hai portato lì tutta quella gente?!
-Ho avvisato i miei genitori che uscivi e loro hanno deciso di dirlo a tutti. Mi sono opposto, te lo giuro.
Ora lo guardava con un misto di compassione e felicità, probabilmente perchè si era tolta un peso. E poi, di getto, senza alcun motivo particolare, lo abbracciò. Sorpreso, ricambiò l'abbraccio e stettero così per un paio di minuti.
Quando si sciolsero William pensò ad un dubbio che spesso si ripresentava nella sua mente.
-Perchè volevi sposare quel tonto?
Gemma lo guardò incerta, glielo poteva dire? Decise di fidarsi. Perchè per qualche strana ragione sapeva che lui l'avrebbe capita e non derisa. E poi, l'avrebbe scoperto comunque.
-Non ho mai seguito molto le lezioni di storia, ma una cosa l'ho capita: i Guerrieri non trovano mai l'amore facilmente, già è tanto se lo trovano. Guerrieri, lo dice già il nome, persone in guerra sempre, questioni di stato o no. Pensavo... Beh pensavo che se mi fossi sposata con quel tonto quando fosse arrivato l'amore non se ne sarebbe accorto. Avrei anche potuto illuderlo con una scusa qulunque, quello se gli dici che hai visto un muro che parla ci crede. Lo so che è stupido ma..
-Non lo è. Io ho passato la mia vita a evitare l'amore per lo stesso motivo. L'amore è anche molta sofferenza per i Guerrieri.

-Non importa più, noi due ci sposeremo.
Gemma si stava per mettere a piangere, per qualcosa non ancora successo. Ognuno è artefice del proprio destino, ma in quel momento la ragazza avrebbe giurato il contrario.
William notò tutta quella tristezza e provò quella pietà che non aveva mai capito.
-Beh, se vuoi potremmo... Fare un patto..

La ragazza si girò verso di lui, incuriosita.

-Che genere di patto?

-Se ti innamorerai di qualcuno non ti ostacolerò, così come farai tu. Affare fatto?
I suoi occhi si colmarono di gioia e lo abbracciò di nuovo, non trasmettendo la tristezza di prima, ma un entusiasmo e una gratitudine che facevano sentire William meglio.

-Grazie grazie grazie!
La speranza di Gemma tornò a vivere e il suo fuoco ad ardere ed era sempre più felice, non ancora come a casa, ma quasi.
-Al diavolo il giro, ne avrai di tempo per conoscere la reggia. Ti porto in un uno dei miei posti preferiti e qualcosa mi dice che ne sarai entusiasta.

 

 

Angolo dell'autrice

Ciao a tutti! Scusate per il ritardo enorme!

Questo capitolo è abbastanza corto, ma si sta entrando nel vivo della faccenda. E lo so che i fan di Gemma e William vorranno uccidermi e nello stesso tempo sono felici (o almeno lo spero!)

Ringraziamenti: grazie a tutti quelli che seguono, ricordano, preferiscono, recensiscono, leggono solamente :)

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Ciauu

StellaDelMattino

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Capitolo 8
*** Qualcosa cambia? ***


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Capitolo 8
Qualcosa cambia?


William condusse Gemma al di fuori della reggia e mentre passavano attraverso un grande parco capiva quanto curiosa e impaziente fosse.
-Ci siamo quasi- disse come per rassicurarla.
E infatti poco dopo erano giunti a un enorme edificio con le pareti di marmo. Non era alto, o meglio, non quanto la reggia, ma Gemma non riusciva a vederne la fine. Un grandissimo corridoio di marmo, ecco cosa le sembrava e sinceramente si aspettava un posto un po' più... Carino.
Si dovette ricredere quando sentì rumore di luna. Non sapeva come descriverlo altrimenti, il linguaggio dei draghi. William l'aveva portata nel Dragorius più grande di tutto il regno e probabilmente anche degli altri, visto che Secreteyes era rinomata per i draghi.
Gemma si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi per la sorpresa e per la felicità. Cominciò a ridere e corse verso la struttura, seguita da William contagiato dal suo entusiasmo.
La ragazza aprì la grande porta e si ritrovò gli occhi di moltissimi draghi che la guardavano. I primi draghi erano i Maxi e Gemma riconobbe un drago che aveva visto al ballo. Poi c'erano i draghi 'formato standard', che usavano normalmente. Erano magnifici.
William la chiamò e lei lo vide vicino a un drago occidentale bianco e dorato.
-Ti presento Jerry, il mio drago.
-Wow, sei magnifico!
Il drago sorrise come solo una drago poteva sorridere, quel misto tra il vanitoso e il soddisfatto.
William gli diede un ultima carezza e poi prese la mano di Gemma, conducendola più in là, dove c'erano quelli che sembravano banchetti su cui erano esposte uova di ogni tipo di drago.
-Se non sbaglio volevi prendere un drago, no? Come ti ho già detto, ti consiglio un uovo di drago occidentale.
-Ma come faccio a scegliere?
Si misero davanti al banchetto e William guardò un po' le uova, poi mise una mano su una.
-Devi sentire il battito del cuore, come quando devi guidare alla patente. Il battito non deve coincidere con il tuo, ma deve farti sentire una melodia che ti faccia venire i brividi, devi sentirla nelle ossa e dev'essere adatta a te.- storse il naso -Questo uovo è crudele.
Gemma rabbrividì al pensiero di un uovo crudele, artigli e zanne comprese, e vedendo la sua espressione William rise.
-Beh, un po' tutte le uova sono crudeli, ma nel senso di selvaggie. Insomma, nelle uova si riconosce un po' del selvaggio che apparteneva ai draghi prima che diventassero domestici, si fa per dire.
Il ragazzo fece segno a Gemma di provare e le mise la mano sull'uovo vicino, ma non sentiva nulla, oltre al battito del cuore. In effetti ne provò un bel po' senza risultato.
William, intanto, conoscendo bene i draghi e riuscendo a capire a grandi linee il carattere anche dall'uovo, ne cercava di compatibili con Gemma. Uno in particolare, che oltre alle solite macchioline verdi ne aveva anche un paio di azzurre e viola, aveva preso la sua attenzione. Provò a sentire il suo cuore e la melodia lo invase, anche se solo leggermente (chi aveva già un drago era meno compatibile).
Chiamò Gemma, che quando lo toccò fu presa dalla melodia e disse a William di aver trovato il suo uovo, ammirando la sua bravura nel capire le uova. Lui sorrise pensieroso, ma scacciò subito il pensiero e disse all'uomo che stava di guardia, che prendeva quell'uovo ma avrebbe pagato più tardi.
L'uomo annuì, non voleva mettersi a protestare contro il Principe Guerriero.
-Ma l'uovo dove starà?- chiese Gemma.
-Beh, nella tua.. Ehm.. Nostra camera, appena si schiuderà prenderemo un posto qua al Dragorius.
Quando giunsero finalmente alla reggia, William, prima di entrare, si fermò e le disse:
-In camera dovrebbe aspettarti Tami, dille di sistemare l'uovo, io devo sbragare alcune faccende, non tornerò tardi.
Le sorrise e si rimise in marcia. Le faccende erano tornare al Dragorius e passare un po' di tempo con il suo drago, che portò fuori nel parco.
-Sembra simpatica.- disse Jerry.
-Solo perchè ti ha elogiato? Vanitoso di un drago!-scherzò l'altro, mettendosi a ridere.
-No, è gentile e carina.
-Già.- William, pronunciando quella parola, però, si incupì leggermente e fu travolto dai pensieri.
Jerry capiva sempre quando il ragazzo non gli diceva qualcosa e in quel momento era proprio quello che turbava l'atmosfera.
-Sputa il rospo- disse senza troppi convenevoli.
William sospirò, l'aveva beccato, ma forse quello era uno dei motivi per cui era lì in quel momento.
-L'uovo che ha preso Gemma.. Ne avevo sentito la melodia. C'è qualcosa nel fatto che il suo cuore batta come il mio che beh, mi fa strano.
-L'amore fa sempre strano.




*angolo autrice*
Ok, mi sento in colpa, tra scuola, internet che non va, gita e il resto non sono riuscita a pubblicare prima il capitolo :( 
Spero di riuscire ad aggiornare più velocemente le prossime volte.
StellaDelMattino

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Capitolo 9
*** Cambio di prospettiva ***


-L'amore fa sempre strano

William, sorpreso dalle parole del drago, si immobilizzò, come se improvvisamente fosse stato pietrificato. Durò solo pochi secondi, eppure furono quelli la vera risposta, non il 'ma che stai dicendo?!' che farfugliò subito dopo. 
La amava davvero? Quella strana ragazza, un po' buffa e impacciata, che era capitolata nella sua vita come un fulmine a ciel sereno, e che aveva sicuramente cambiato tutto.
Sì, lei gli piaceva, lo ammetteva, c'era sempre stato qualcosa in lei, qualcosa di famigliare e si era sempre sentito in dovere di proteggerla. Ma sapeva bene che per lei non era lo stesso e le aveva appena fatto una promessa da cui non poteva tornare indietro. E in quel momento fece a se stesso un'altra promessa, non meno solenne della prima: lei sarebbe stata felice, anche se per esserlo avrebbe distrutto il suo cuore in mille pezzettini, avrebbe trovato l'amore che meritava, anche se questo non era lui.
-Ehm, William? Stai bene?- chiese Jerry, con la sua voce draghesca, dopo un po' che l'amico stava immobile con un'emblematica espressione piantata in una faccia contratta dal misto di emozioni provate.
-Sì sì, solo che... Niente niente, grazie ehm... Ora devo andare.- farfugliò ancora dopo alcuni momenti. 
Così, portato via il drago e tornato alla reggia, iniziò a vagare per i lunghi corridoi, perso tra le nuvole. Era talmente concentrato sui propri pensieri, che nemmeno si accorse che dei passi affrettati arrivavano dal corridoio in cui stava per svoltare. 
Se ne accorse soltanto quando Gemma gli fu addosso, ridestandolo e lasciandolo un po' sorpreso. Lei si massaggiò il naso, che aveva sbattuto fortemente sul petto del ragazzo, poi con un gran sorriso lo prese per il polso e riprese a correre, ma nella direzione in cui prima stava andando William.
Questo, intanto, svegliato dal suo sonno astratto, aveva ripreso completo uso del proprio cervello, più o meno, infatti un sorriso sornione gli era apparso sul viso, non appena aveva visto la miriade di disordinati capelli rossi comparirgli di fronte.
-Ti stavo proprio cercando!- disse lei con un tono completamente entusiasto che lo fece sorridere ancora di più. -Ho trovato un posto all'uovo!-
 Allo svoltare dei vari corridoi, William riconobbe il percorso che portava alla sua stanza, stupendosi di quanto in fretta Gemma lo avesse imparato.
Velocemente la ragazza aprì la grande porta, senza badare a richiuderla e indicò un angolo della stanza dove era posizionato un tappeto piegato su se stesso, dove era poggiato l'uovo.
William le sorrise e chiuse la porta, mentre Gemma si sedeva vicino all'uovo. La raggiunse, vedendo per un attimo rabbuiarsi il suo sguardo.
-Vorrei tanto che si schiudesse subito, non credo di poter aspettare molto.- rise un po', timidamente, sistemando un ricciolo ribelle dietro un orecchio. -Non sono molto paziente..-
-Neanche io, ma tranquilla, a quanto mi sembra dovrebbe schiudersi fra una settimana, circa.- Sorrise lui di rimando, un po' per incoraggiarla, un po' per giustificare il sorriso da ebete che non lo abbandonava.
Ci fu un momento di silenzio, poi William si alzò, porgendo la mano a Gemma affinché facesse lo stesso.
-Su, forza, qui a Secreteyes ce ne sono di modi per passare il tempo: primo fra tutti una bella serata all'Osteria, non temere, è meglio di quel che sembra, non te ne pentirai.
Sorrise, di nuovo, sperando che davvero le sarebbe piaciuto.

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Capitolo 10
*** L'Osteria ***


William condusse Gemma lungo svariati corridoi e poi scesero una scala alquanto stretta, dove si iniziò a sentire un rumore. Quel rumore, misto tra strumenti suonati alla bell'e meglio e risate grossolane, diventava sempre più forte man mano che i due giovani avanzavano e fu chiaro che proveniva da una porta in legno, simile a quelle che introducevano le celle, ma più larga. William si fermò proprio davanti a quella e sorrise davanti alla faccia un po' sconcertata di Gemma.
-Che c'è? Perché quella faccia? -Mmm niente, è solo un po'...- mentre concentrata cercava la parola adatta, William scoppiò in una risata cristallina. Gemma, non sapendo comunque come descrivere quello che si aspettava, si ritrovò a pensare a quanto le piacesse la risata del ragazzo. Era, in qualche modo, pura, non macchiata della compassione o dello scherno che si sarebbe potuto avere di fronte a quella scena, ma era piena di felicità, o più che altro divertimento, soprattutto per la faccia concentrata e dubbiosa della ragazza.
-Popolare? Contadino?- chiese lui senza perdere il sorriso. Gemma corrugò la fronte e scosse un po' la testa, ma non troppo convinta.
-Ma si può sapere come vi divertite voi di Tigerheart?!- chiese sempre William, curioso.
-Beh, un po' di tutto, ma la sera solitamente ci troviamo al Corvo, una locanda ai piani superiori.. Che non è così diversa dall'Osteria, o almeno da fuori.
-Allora ti va di conoscere qualcuno? Sarà divertente, vedrai.
William bussò, senza aspettare la risposta della ragazza. Un grande omone largo e alto tanto da sembrare un armadio, pelato e molto, molto tatuato, con due piccoli occhi neri e uno sguardo truce che avrebbe incenerito chiunque e una bocca sottile con gli angoli rivolti all'ingiù al naturale, spuntò dietro la porta. William imprecò, vedendo Gemma indietreggiare.
-E te pareva che oggi non fosse il turno di Jin il chiacchierone o di Lola la tappetta, no, doveva capitare il Muto!- mormorò leggermente adirato mentre prendeva Gemma per mano e entrava con lei nell'Osteria.
L'Osteria era proprio simile a un'osteria normalissima: con un grande bancone di legno dove uomini bevevano spumeggiante birra dorata e un grande spazio pieno di tavoli anch'essi di legno, dove c'erano incalliti giocatori di carte o ubriachi cantanti che davano prova della loro bravura. Un tavolo, però, conquistò l'attenzione dei due giovani: c'erano una quindicina di giovani seduti che bevevano tranquillamente, più un paio seduti direttamente sul tavolo, uno dei quali stava parlando animatamente un po' a tutti un po' a nessuno, mentre gesticolando agitava in aria il boccale di birra che sorseggiava occasionalmente. Lo stesso ragazzo, appena vide William, saltò sportivamente giù dal tavolo e lo raggiunse a braccia aperte, abbracciandolo e quindi notando la presenza di Gemma, che era lì vicino.
-William! Che piacere!
Il ragazzo ricambiò l'abbraccio amichevolmente, poi indicò Gemma, che sorrideva, tranquilla.
-Questa è Gemma, mentre lui è Jackson, principe dell'intrattenimento.
Di che altro sarebbe potuto essere principe uno così? - pensò Gemma.
In effetti, le aveva dato subito l'impressione di essere una persona carismatica, con quel sorriso sicuro che sfoggiava la sua dentatura perfetta, gli occhi espressivi, il gesticolare espansivo e i modi teatrali. E sicuramente l'aspetto non guastava: era alto quanto William e altrettanto muscoloso ( in effetti dal punto di vista della statura sarebbero potuti essere fratelli), ma aveva i lineamenti meno morbidi e la mascella più importante, i capelli ricci di un biondo chiarissimo e gli occhi verde scuro.
-È davvero un piacere conoscerti- disse il ragazzo, e Gemma ricambiò.
A quel punto tutti si erano girati e le erano corsi incontro, iniziando poi ognuno a dire il proprio nome, magari contemporaneamente a qualcun altro, con il risultato che alla fine Gemma non si ricordava più neanche un nome. Jackson, allora, con un sorriso affabile, aveva preso parola.
-Dai su, accomodatevi con noi al tavolo, è più comodo parlaste da seduti. La folla, quindi, tornò al proprio posto e Gemma si sedette vicino a William, con gli occhi puntati tutti su di sé. All'inizio si era sentita a disagio, colpita da mille domande, alcune davvero strane, come se a Tigerheart bevessero davvero sangue di tigre al posto del vino o se fosse davvero usanza strappare il cuore a una tigre il primo dell'anno (Ovviamente non era così), ma poi avevano iniziato a parlare d'altro, un po' informando Gemma di qualcosa tipico di Secreteyes o spettegolando tra loro. Gemma dovette ammettere di essersi davvero divertita, aveva pure trovato alcune persone simpatiche, come Lindsay, la principessa artista, che era alta e con lunghi capelli biondi e occhi da cerbiatta, e sua sorella Mag, che le assomigliava molto e con cui stava parlando al momento.
- Ti troverai bene qui, vedrai. Siamo gente a posto e William è una brava persona.
Gemma sorrise, annuendo davvero convinta, poi sbadigliò, sentendo anche che gli occhi si appesantivano.
-A proposito di William, meglio che mi faccio riportare nella mia stanza, sono davvero stanca... È stato un piacere, proprio un piacere.- disse, poi si alzò, guardandosi in giro e cercando di trovare il ragazzo, di cui però non c'era traccia.
-Jackson, hai visto William?- chiese allora.
-È andato fuori- rispose l'altro indicando una porta dalla parte opposta dell'entrata.
- Perché? Te ne vai di già?
La ragazza annuì.
-Sono veramente esausta.-
-Beh allora- Jackson si alzò e la raggiunse, poi le prese la mano e le posò un bacio di saluto, senza mai staccare gli occhi da lei -Sono felice di averti conosciuto, buonanotte.-
Gemma sorrise, un po' sorpresa. -Buonanotte.
Così si incamminò verso la porta indicata.
-Ah e salutami Willy- aggiunse il ragazzo poco prima che uscisse.
L'aria, fuori, era molto più calma e fresca, Gemma cercò William, ma di nuovo non lo trovò. Stava per andare nel panico, quando si accorse di una canzone, del suono della luna, che proveniva non troppo lontano da lì. Un drago, indubbiamente. Seguì il suono, sperando che fosse il drago di William con lui. Era proprio così, per fortuna, e Gemma tirò un sospiro di sollievo. Stava per avvicinarsi al ragazzo, ma si fermò, quando sentì che oltre alla canzone del drago, il suono della luna era prodotto, un po' più goffamente e meno melodioso, dal giovane stesso, che comunicava con Jerry con lo stesso linguaggio.
-Oddio, ma sai parlare come la luna! Come fai? Chi te lo ha insegnato? Mi sto immaginando tutto??
William, dapprima si spaventò, non aspettandosi l'arrivo della ragazza così repentino e rumoroso, poi sorrise, orgoglioso. -Me lo ha insegnato Jerry, è una lingua bellissima.
-È... È semplicemente meraviglioso! Ti prego devi insegnarmi!
-Va bene, ma ora andiamo, è tardi.
-Promettilo!
William sorrise, poi si mise una mano sul cuore.
-Te lo prometto.
Forse avrebbe dovuto piantarla di fare promesse, ma davanti agli occhi disarmanti di Gemma, che luccicavano per la felicità e la meraviglia, non c'era niente che potesse fare.

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Capitolo 11
*** Un posto speciale ***


-Sveglia dormiglione!
Seppur la voce di Gemma contenesse una dolcezza alquanto disarmante, William non fu per niente felice di essere svegliato da lei: dopo una serata di bevute, quell'urlo nato dal nulla, aggiunto alle tende spalancate, lo fece sobbalzare non poco. Aveva, tra l'altro, dormito malissimo, su un letto improvvisato alla bell'e meglio, duro come una roccia. Si alzò un po', ma rimase comunque seduto tra le coperte stropicciate, cercando di capire dove fosse ( non era ancora sveglio abbastanza) e cosa fosse successo.
Si stropicciò gli occhi, e appena li riaprì si trovò Gemma davanti, a braccia incrociate, già pronta. Indossava un vestito molto semplice, come al solito, lungo fino a poco più del ginocchio, con i bordi di pizzo e anche le maniche, che arrivavano fino a al gomito, tutto di un giallo pallido a parte il pizzo e un grande fiocco che faceva da cintura che era bianco. Non c'era alcuna traccia di trucco sulla sua faccia, quindi la sua carnagione pallida faceva risaltare le lentiggini. I capelli erano raccolti in una semplice coda, legati con un fiocco dello stesso giallo del vestito. William, che ancora non era del tutto sveglio, rimase a bocca aperta, cosa che sicuramente non aiutò la sua immagine: ancora in pigiama, ovvero una canotta e dei pantaloni morbidi, con i capelli scompigliati, alzati in mille ciuffi ribelli, gli occhi ancora impastati dal sonno, la bocca spalancata con un piccolo rivolo di bava. Non era esattamente affascinante, in quel momento.
Gemma lo guardò storto, tirando poi un altro urlo, questa volta per chiamare Tami, con cui ormai aveva fatto amicizia. Quando questa fu arrivata, le indicò William, non cambiando espressione.
-Che fai quand'è così? Sembra uno zombie!
Fu allora che William si svegliò completamente e saltò su, facendo sobbalzare entrambe, e, facendo uno strano verso che sosteneva l'ipotesi della ragazza, si avviò verso il bagno. Ci mise solo cinque minuti a ripulirsi, ovvero gettarsi acqua ghiacciata in faccia, e a vestirsi decentemente. Così uscì, trovando Gemma appoggiata al muro che lo aspettava.
-Si può sapere perché mi hai svegliato alle otto?!- disse William, cercando di sembrare arrabbiato.
-Avevo due buonissimi motivi per farlo!- disse lei sorridendo e avvicinandosi.
-Beh, mi annoiavo e sembravi morto tanto eri immobile! Mi stavo preoccupando.
William, invece di sgridarla, si mise a ridere. Lo sapeva che scherzava, ma per lui quella preoccupazione era importante, quando si trattava di Gemma anche quelle piccole cose erano così importanti.
-Per essere una che ha fatto il broncio per una settimana, sei sorprendentemente felice, eh!
-Ho paura che si schiuda l'uovo, non sono quasi riuscita a dormire, e poi tu parli la loro lingua! Devo imparare!
-Tranquilla, l'uovo non si schiuderà prima di cinque giorni e ti insegnerò quando avrai addestrato il tuo drago, te l'ho promesso.
Gemma lo guardò incerta, poi sospirò e si gettò sul letto, sbuffando.
-Ehi, ci sono altre cose da vedere! Su su, tutta la tua vitalità dov'è finita?!- disse lui, poi le prese una mano e la fece mettere in piedi. -Andiamo, oggi ti mostrerò un po' del palazzo.
Gemma attraversò vari e vari corridoi con William, che ogni tanto le spiegava dov'erano. Era una specie di tour, ma la ragazza non si ricordava neanche la metà delle stanze che le erano state mostrate, così, quando giunsero all'ennesima sala che stavano per attraversare frettolosamente, Gemma si fermò, incrociando le braccia. William la guardò con un'espressione interrogativa.
-Che stai facendo? Sei già stanca?
-No, ma.. Vai troppo velocemente.. Così non vedo nulla-
William le sorrise, dolcemente, le si avvicinò lentamente e le scostò una ciocca, che era sfuggita dalla coda, mentre un basso sussurro usciva dalla sua bocca.
-Te l'ho detto, Gemma, hai tutto il tempo di conoscere il palazzo, ti sto portando nei posti in cui fin da bambini ci si nasconde, che crescendo diventano i luoghi in cui pensare, e sicuramente sono le cose che apprezzerai di più della tua nuova casa.
Per qualche momento rimasero con gli sguardi fissi negli occhi dell'altro, mentre il ragazzo, con la mano che prima le aveva scostato la ciocca, le lasciava una carezza sulla guancia leggermente rossa. Poi, con un ultimo sorriso, le porse una mano, e Gemma riprese a seguire William. Arrivarono a una scala a chiocciola che sembrava essere infinita.
-Questo è il mio posto preferito in assoluto- disse lui, appena prima che iniziassero a salire.
Quando svariato tempo dopo arrivarono in cima, dopo aver ripreso il fiato, si trovarono davanti una porta di legno, ornata con dei disegni che richiamavano i rami degli alberi, spogli come in autunno. William le disse che erano sulla torre e che quello era il punto più alto di tutto il regno, poi mise una mano sulla porta, dando un ultimo sguardo a Gemma, che era molto impaziente, così finalmente entrarono. Era una stanza abbastanza piccola, con grandi finestre ( senza vetro) tutte intorno alla porta. Come annunciato da William, si poteva vedere tutto il regno, ma la cosa che più sbalordì Gemma, fu che da lì si vedevano anche i draghi che numerosi volavano sopra tutto il resto.
-È veramente bellissimo!- commentò la ragazza, affacciandosi a una finestra.
-In realtà non siamo ancora arrivati, ora, non aver paura, ok?
Gemma guardò incuriosita William, che aveva appena fatto un fischio.
-Di cosa non dovrei av..- non fece in tempo a finir la frase che William si lanciò giù da una finestra.
La ragazza urlò il suo nome, correndo a vedere cosa fosse successo. Vide William esser preso al volo da Jerry, non molto prima di cadere a terra. Il ragazzo la guardò facendo cenno di saltare. Sapeva che sarebbe stato più semplice andare a prenderla e che molti ritenevano una pazzia ciò che aveva appena fatto, ma non si sorprese quando Gemma si buttò. Presa al volo, la fece mettere dietro di lui, poi controllò che stesse bene, vedendo la ragazza entusiasta e ancora piena dell'adrenalina per l'esperienza passata. Non dovette dire niente al drago, che automaticamente si diresse verso la solita meta. Infatti nella parte esterna della torre, abbastanza in alto da non essere raggiunta dagli alberi, c'era una specie di grotta, non abbastanza grande da essere notata, ma abbastanza da contenere due persone sedute.
Jerry posò lì i due ragazzi, per poi andare a posarsi su un albero appena lì sotto, pronto a prenderli se fossero caduti.
-È meraviglioso, semplicemente meraviglioso!- disse Gemma, ammirando il panorama.
-È ancora più bello al tramonto, quando i draghi sono meno e si può vedere il sole che irradia il cielo di arancione, quello sì che è magnifico.
Gemma provò a immaginare quello scenario, anche se sapeva che dal vivo doveva essere meglio.
-Ecco, vedi- disse William, indicando un punto lontano, dove si scorgevano solamente quelle che sembravano casette. -Quello è il palazzo di Tigerheart.
Una fitta di nostalgia invase Gemma, ma fu solo un secondo, imponendosi poi di non pensare a casa, ma a ciò di meraviglioso aveva visto e continuava a scoprire lì.
-Ti mancano molto?- chiese lui, riconducendola a quel pensiero.
-Sono le persone con chi ho passato tutta la mia vita, i bei momenti che si ricordano per sempre tanto quanto quelli brutti che si cercano sempre di dimenticare. Loro erano sempre lì per me, certo che mi mancano.
William si voltò verso di lei, stabilendo di nuovo un contatto visivo, cercando di farle capire quanto fossero profonde e sincere le cose che stava per dire.
-Ora ci sono io. So che non posso prendere il posto di tutte quelle persone, ma sappi che d'ora in poi, ci sarò sempre, ogni volta che avrai bisogno di me.
Gemma distolse lo sguardo, ma solo per un attimo: lo fissò di nuovo, con un piccolo sorriso a fior di labbra.
-Grazie, veramente, grazie.
William sorrise, avvicinando ancora un po' il suo viso a quello di Gemma. Ormai sentiva il suo respiro, quando un grido, o più che altro un verso, li fece allontanare velocemente.
-Ehm, da qualche minuto qualcuno ti chiama, con un tono di voce veramente alto... Ehm, meglio andare. - disse Jerry molto imbarazzato e dispiaciuto, dopo essersi preso uno sguardo glaciale di William. Riportò i due alla torre e dopo aver salutato velocemente tornò al Dragorius.
I ragazzi scesero le scale, senza dire quasi nessuna parola. Arrivati alla grande sale che introduceva le scale, William si girò verso di lei, ancora una volta sorridendo.
-Scusami, devo proprio andare, torno il prima possibile, tu intanto fai pure un giro, e se ti perdi, chiama Tami, ok?
Gemma annuì un po' contrariata, pensando a dove andare. Il ragazzo scomparì, e poco dopo lei si ritrovò a vagare per i corridoi, senza una meta precisa. Stava percorrendo uno di questi, mentre immersa nei suoi pensieri guardava fuori dalla finestra, e si accorse di non essere sola solo poco prima di finire addosso a qualcuno, che le aveva bloccato la strada.
-Che bello vedersi di nuovo così presto.
La voce di Jackson stava iniziando a infastidirla un po' troppo.

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Capitolo 12
*** Persone di troppo ***


-Ciao, ehm, Jackson.. Mi dispiace ma devo proprio correre via, il..il mio uovo si sta per schiudere, sarà meglio che vada..- disse Gemma sperando di potersene andare e cercando di sorpassare il ragazzo. Questi, dal canto suo, non pareva aver alcuna intenzione di accontentarla, quindi le si mise di fianco e, malgrado Gemma avesse aumentato il passo, non aveva nessuna difficoltà a seguirla.
-I draghi mi piacciono e adoro vedere le uova schiudersi, non ho nulla da fare, vengo con te- disse sorridente.
A quel punto Gemma si fermò, girandosi verso di lui, scocciata.
-Senti, non ho nulla contro di te, ma questo è uno di quei momenti in cui vorrei stare da sola, quindi..- Jackson la interruppe, avvicinandosi.
-Scommetto che non sta per schiudersi, l'uovo, e che magari non ce l'hai nemmeno.. - un sorriso sornione pieno di arroganza si fece strada sul suo viso.
-Sì che ho un uovo, non sto mentendo, come osi...- la interruppe di nuovo. Se c'era una cosa che odiava, era proprio che qualcuno non la facesse parlare.
-Oh, andiamo, è normale! Non riesci a starmi vicina..- per un attimo Gemma pensò che avesse capito quanto le dava i nervi e che se ne sarebbe andato, ma solo per un attimo -lo so, ho troppo fascino, non ci posso fare niente! Non è colpa mia, sono nato così. Ma sei fortunata! Non devi reprimere i tuoi sentimenti, sei al livello dei miei standard.
Jackson si avvicinava sempre di più, mentre Gemma indietreggiava, confusa.
-Ma che stai dicendo?! Ti sbagli, ti sbagli di grosso, vattene via!
-Tranquilla, William non lo saprà mai!
-Vattene! Va via!
In quel momento, mentre Gemma aveva le spalle al muro e Jackson le era pericolosamente vicino, William fece la sua entrata nel corridoio. I suoi passi, che prima erano rapidi e frettolosi, rallentarono e sul suo viso si formò un'espressione di autentico stupore.
Gemma approfittò del momento di confusione per sgusciare via e correre da William. Jackson sorrise ai due, poi, come se non fosse successo nulla, si girò, tornando a percorrere i corridoi, dalla parte opposta a quella verso cui si girarono gli altri due.
-Grazie, sul serio, grazie! - esclamò Gemma sorridendo.
William, invece, era ancora un po' cupo, non sapendo che pensare esattamente, decidendo quindi di non pensare a nulla. Sospirò, riportando alla mente ciò che inizialmente voleva dire alla ragazza.
-Sono stato informato della festa di.. Fidanzamento, ehm, sarà fra otto giorni, già stavano preparando tutti i dettagli, e sarà in quel giorno che l'intera faccenda sarà ufficializzata e resa pubblica anche agli altri regni. La seconda cosa che ti devo dire è che è ora di pranzo, quindi dovremmo andare.
-William.. Potresti... Potresti parlare con Jackson, per favore?
Il ragazzo deglutì, non sapendo se voleva conoscere ciò che era successo.
-Che vuoi che gli dica?
-Ecco, penso.. Dovreste essere amici, no?- lui annuì, così Gemma riprese a parlare-Beh, potresti dirgli di starmi alla larga? Mi mette veramente a disagio.
William tirò un sospiro, dicendole che avrebbe accontentato la sua richiesta.
Arrivarono alla sala da pranzo, che aveva un lungo tavolo centrale, apparecchiato per un ventina di persone, se non di più. Ai lati della sala c'erano altri due tavoli, uno su cui erano posti gli antipasti, dalla parte opposta del secondo, che conteneva numerosi e vari dolci, lungo gli altri due lati erano posizionati dei divanetti con davanti dei tavolini.
Gemma seguì il ragazzo, che dopo aver preso un piatto dalla pila posta a lato di ogni tavolo, faceva scorrere lo sguardo su tutti gli antipasti.
-Funziona esattamente come un buffet, anche per i dolci, il resto si mangia sul tavolo centrale.
-Ok, e per i posti? Sono già stabiliti?
-No, no, puoi metterti dove vuoi.
Gemma prese esattamente ciò che aveva preso William, anche perché non sapeva esattamente cosa fossero. Si sedettero su un divanetto, mentre altre persone (oltre alle poche che erano già lì) entravano nella sala, Gemma iniziava a riconoscere alcuni volti visto all'Osteria, come Mag e Lindsay. Le due sorelle, dopo aver preso da mangiare, le andarono vicino, salutandola.
Quando, quasi per ultimo, entrò Jackson, William scattò come una molla e con la scusa di prendere di nuovo da mangiare, lo raggiunse.
Ma non era solo Jackson a mettere problemi, anche qualcun altro, che in quel momento fissava Gemma, stava progettando qualcosa, o più che altro, aveva attuato un piano per riprendere ciò che aveva ritenuto perduto.

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Capitolo 13
*** I segreti di Secreteyes ***


I segreti di Secreteyes


William, quando fu vicino a Jackson, cercò di mantenere la calma, cosa che fu alquanto difficile, dato che Jackson lo stava guardando sorridendo, ma con un'ombra di sfida negli occhi. 
-Lascia stare Gemma- disse a denti stretti.
Un'espressione che fingeva stupore e innocenza spuntò sulla faccia dell'altro, che non si curò nemmeno di rispondere, continuando tranquillamente a prendere cibarie.
-In tutto il regno ci sono tantissime ragazze, già solo nella reggia puoi trovare chi vuoi, ma lasciala stare.- continuò il Guerriero, sentendo la rabbia che gli ribolliva dentro. 
-Non ho fatto niente, non ti scaldare tanto- replicò guardandolo dritto negli occhi e scandendo le proprie parole col suo solito modo teatrale. 
Si fissarono per qualche momento, finché William si avvicinò, senza spostare lo sguardo.
-Cosa nascondi, Jackson?
L'altro serrò la mascella e di nuovo non rispose.
-I tuoi occhi si sono scuriti, da quando è arrivata, sì l'ho notato, non molto, ma gli occhi non mentono. Che cosa stai nascondendo? 
-I segreti si chiamano così perché devono rimanere segreti, o sbaglio? E mi sembra di non essere l'unico ad averne uno nuovo.
-Stalle lontano, Jackson, è l'ultima volta che te lo dico.

Gemma osservava con la coda dell'occhio i due ragazzi, mentre Mag e Lindsay le spiegavano cosa stava mangiando. Molti erano ingredienti che non conosceva, ma le era subito piaciuto il modo sofisticato che avevano di cucinare. Nel tempo in cui aveva mangiato in camera sua le avevano sempre portato cibi semplici e comuni anche da lei e già li adorava, ma questi erano forse meglio. Durante quella loro chiacchierata, Gemma notò che Lindsay guardava spesso il grande orologio sopra la porta, che la Guerriera non aveva notato subito essendo proprio sull'entrata, e che ogni volta che lo faceva, Mag le scoccava un'occhiata di rimprovero.
Si sentiva molto osservata, tanto che continuava a guardarsi in giro, un po' a disagio. A un certo punto notò che una ragazza la fissava, in un angolo della stanza, un po' nascosta nell'ombra. Questa, nel momento stesso in cui Gemma la vide, iniziò ad avanzare verso di lei. Era notevolmente alta e snella, con lisci capelli biondi che le percorrevano tutta la schiena. La cosa che incuriosì di più Gemma, però, furono i suoi occhi, ma non perché fossero straordinari, ma proprio perché erano occhi normali. Nella reggia di Secreteyes aveva sempre visto occhi scuri, di diversi colori, ma sempre profondi. Gli occhi, lì, non sembravano solo superfici tondeggianti, ma pozzi profondi che contenevano ombre misteriose e sussurranti segreti. Ma non quelli della ragazza. 
-Ciao, tu devi essere Gemma. - disse sorridendo, affabile. -Io sono Lavinia, principessa dell'intrattenimento- 
-Quindi sei la sorella di Jackson? 
-Sì, la sorella minore-
In quel sorriso c'era qualcosa di falso, quasi di meschino. Lavinia rimase immobile per un po' fissandola negli occhi con quello stesso sorriso, tanto da sembrare una bambola di porcellana a Gemma. Poi improvvisamente si voltò, non dicendo nulla, e se ne andò. 
-Non fidarti di lei, Gemma- le disse a voce bassa Lindsay.
-Fidati, stalle alla larga.- disse la sorella. 
Erano entrambe tese verso di lei, ma con gli occhi seguivano Lavinia. La guardavano con puro odio e ribrezzo. Ripresero a mangiare, silenziose, come se quell'incontro le avesse turbate immensamente. 
Gemma sentì che qualcuno le toccava una spalla con un dito. Si girò, trovandosi un bambinetto, nascosto dietro a una tenda, che le rivolgeva un sorrisone, e le diceva di seguirlo. Curiosa, lei lo fece. Vide che nel muro c'era una specie di finestrella, che attraversò col bambino e che introduceva ad un corridoio che correva lungo i quattro muri della sala, con due fori per spiare qua e là, in punti strategici. Il bambino le spiegò che, come la finestrella, erano coperti da un incantesimo di elfi, che li nascondeva a chiunque non sapeva fossero lì.
Si fermarono ridosso il muro degli antipasti. Il bambino le tese la mano, molto ufficialmente.
-Ciao, io sono Trevor, principe Guerriero, secondogenito, di Secreteyes. 
Aveva il mento rivolto un po' all'insù, con fare regale, era magro come uno stecchino, sui dieci anni, con una zazzera di capelli ricci, neri come il petrolio, la carnagione chiarissima e le guance sparse di lentiggini, aveva due grandi occhioni, color ghiaccio, molto più chiari del normale per Secreteyes, ma comunque profondi. 
-Tu sei il fratello di William?
Il bambino sorrise, annuendo.
-Non mi aveva detto di avere un fratello. 
Trevor sbuffò, borbottando tra sè qualcosa, intristendosi un pochino. 
-Come mai siamo qui? 
-Ecco, non mi piace farmi vedere in pubblico.- Gemma alzò le sopracciglia, perplessa, ma Trevor continuò -in più volevo farti vedere questo passaggio e in più so che nessuno ha mai accennato al mio argomento preferito. 
La guardò, non sapendo se continuare, poi guardò di qua è di là con fare furtivo, avvicinandosi. Poi, abbassando il tono, avanzò.
-I segreti. Non è un caso il nome del regno, tanto quanto non è un caso che questo posto sia pieno di passaggi segreti. Qui, tutti hanno un segreto, la maggior parte ne hanno anche di più. 
-Beh, tutti i reali ne hanno.  
Il bambino scosse la testa.
-Non come questo posto, no sicuramente. Basta guardare gli occhi.
-Perché? Che hanno gli occhi?
-Hanno i segreti, mia cara curiosa Gemma, hanno i segreti.
Gemma sorrise, quel buffo bambino doveva essersi preparato il discorso e averlo provato più volte. Doveva tenerci veramente molto, e la ragazza sospettava che la stesse informando per avere un'amica.
-In che senso?
Trevor diventava sempre più felice, non riuscendo a trattenere l'emozione.
-Gli occhi, gli occhi, gli occhi. Sono tutti scuri e profondi qui, perché tutti hanno segreti oscuri e profondi, gli occhi li contengono, ma fanno anche capire agli altri quando ce ne sono di nuovi: mano mano che se ne aggiungono, il colore dell'iride si scurirà. 
-Allora tu non hai segreti.
-Esatto.
-E perché Lavinia non ce li ha profondi? 
Il sorriso di Trevor si illuminò, di nuovo.
-Brava! Questo è il segreto della Regina dell'intrattenimento. Perché solo i reali hanno gli occhi così.
-La Regina ha tradito il marito con un non reale! 
-Esatto!
Gemma rise, compiaciuta dalla propria deduzione almeno quanto il bambino. 
-Ehi voi due! Vi ho beccati- disse una terza voce che entrambi riconobbero subito. William.
Era comparso dietro a Gemma, all'improvviso, sorridendo. La ragazza stava ancora pensando alla conversazione con Trevor, quando una preoccupante domanda le si fece spazio in mente: qual era il segreto di William? I suoi occhi erano molto, molto scuri.
-Stanno per servire il primo, venite, su.- disse prendendo per mano Gemma e uscendo dal corridoio segreto. 
I tre si sedettero vicini, ma non parlarono più dell'argomento sui segreti.
-Gli hai rivelato il passaggio segreto, eh? - chiese lei a un certo punto a Trevor.
-In verità la maggior parte me li ha fatti vedere lui, anche lui doveva amare i segreti, da piccolo.. 
-Sai anche il suo? 
Il bambino scosse la testa. -Ha gli occhi scuri da quando ne ho memoria, ho provato a scoprirlo, ma niente da fare... Ehm, se vuoi scoprirlo, possiamo indagare... Facciamo un patto: puoi essere la mia assistente. 
-Assistente? Solo? 
-Sono un detective, io! Ok, ok, collega?
-Nah, troppo formale, socia? 
-Sembra troppo economico, che ne dici di compagna? Compagna di segreti. 
-Mi piace, approvo.
-Da ora in poi si investiga insieme, allora, un brindisi!
Così, bicchiere di succo di mela contro bicchiere di succo d'ananas, fu sigillato l'accordo.
Il pranzo finì e Gemma e William si incamminarono per una meta ancora ignota.
-Ti piacciono i libri? Abbiamo una biblioteca magnifica! 
-Amo i libri, ma vorrei ritornare un po' in camera, se per te va bene.
Il ragazzo annuì, tranquillo. 
-Hai conosciuto mio fratello, e scommetto che avete parlato dei segreti. 
-Ha una vera passione, in effetti. 
-Penso sia la persona che ne conosce di più in tutto il regno, e ha solo dieci anni!
-Eppure ha gli occhi così chiari... I segreti che sa non dovrebbero farli scurire? 
-In teoria sì, anche se di poco, ma penso che sia perché probabilmente non li percepisce come propri. È un bel paradosso, in effetti, conosce ogni segreto, ma non ne ha nemmeno uno. 
Erano arrivati davanti alla porta della camera, ma erano comunque rimasti lì ha parlare. Erano, quindi, l'uno davanti all'altra, occhi negli occhi.
-Non sa tutti i segreti, il tuo non lo sa.
William perse il suo sorriso e serrò la mascella.
-Ed è bene che non lo faccia.
-Qual è il tuo segreto, William?
-Non posso dirtelo... Ci potrebbe sentire..
-Non me lo diresti comunque, non è vero? 
-Non lo direi neanche a me stesso, e non è per la fiducia.
-E allora per cosa? Perché non lo diresti?
-Non fraintendere, non riguarda Tigerheart, quella era solo strategia...
-Cosa?! Che stai dicendo? Non cambiare discorso!
-Non sto cambiando discorso. Ma il mio segreto è uno di quei segreti che farebbero scoppiare una guerra. 

 

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Capitolo 14
*** Segreti nei segreti ***


Quella notte la quiete che regnava fu bruscamente interrotta da un urlo. Gemma si svegliò di soprassalto e si alzò subito per raggiungere la fonte del grido: William. 
Il ragazzo aveva il fiatone e continuava a sbattere le ciglia velocemente, quasi per convincersi di esser uscito da quell'incubo. Si passò una mano sugli occhi e respirò profondamente, per calmarsi. 
Quando Gemma fu più vicina notò che aveva gli occhi vitrei e distanti, cosa che la fece preoccupare ancora di più.
-Stai.. Stai bene? 
William deglutì, poi si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore. Sorrise per rassicurarla, annuendo.
-Solo un incubo.- disse dopo una breve pausa con voce tremante. -Ogni tanto capita..-
-Dai,su torniamo a dormire..
-No, beh, mi sa che non riuscirò dopo...
La voce gli morì in gola. Si fermò ancora un attimo, poi tolse le coperte e si alzò, farfugliando parole che Gemma non capì.
-Io devo... Devo andare.. Andare a..-  
Sparì dietro alla porta, lasciando la ragazza perplessa e con un tremendo dubbio. Era forse una coincidenza forse che William avesse avuto quel terribile incubo proprio quella notte? Soltanto il giorno prima gli aveva chiesto del suo segreto, del suo tremendo segreto che aveva cambiato il suo comportamento per l'intera giornata. Pensò di seguirlo e chiedergli cos'era successo, ma avendo visto quant'era scosso decise di non turbarlo ulteriormente.
Gemma tornò a dormire e al risveglio guardò subito il letto di William, ma lui non era ancora tornato. Per tutta la mattina non ci fu traccia del ragazzo e Gemma continuava a preoccuparsi, a differenza degli altri che non si preoccupavano minimamente della sua assenza. La ragazza giunse quindi a conclusione che succedesse non di rado e, anche se era molto curiosa, non indagò.
Incrociò un saltellante Trevor in giro per i corridoi e decise di confidarsi con lui, raccontandogli cos'era successo.
-Ogni tanto sparisce, non spesso, ma succede. Una volta sola ha avuto un incubo, quando eravamo in camera assieme. E' stato terrificante, ha avuto la stessa reazione, ma erano arrivati i miei genitori e l'avevano portato fuori, mi avevano detto di tornare a dormire, ma avevo preso uno dei passaggi nei corridoi e li avevo seguiti. William era fuori sul balcone che si riprendeva dall'attacco d'asma e i miei parlavano sottovoce, ben attenti che non ci fosse nessuno. sembravano estremamente spaventati.
-Hai sentito qualcosa della conversazione?
-Poco, tutto quello che so del suo segreto, o almeno penso. Dicevano frasi sconnesse, senza senso e non sentivo alcune parole. riguardavano... Riguardavano me,penso.. Ho sentito più che altro parole. Suo fratello, i confini, guerra e sangue erano le parole che dicevano più spesso. e poi dicevano un nome, che però non mi ricordo... Jake, forse, Jack, qualcosa del genere, iniziava con "Ja", mi sembra..
-Jackson magari?- Chiese interrompendolo.
-No, no, me lo sarei ricordato. Poi hanno solamente detto che ero troppo grande, che doveva rimanere segreto. E il giorno dopo mi hanno spostato in una camera tutta mia. Da quel momento ho notato che ogni tanto sparisce. Ma non succedeva ormai da mesi... Forse un anno..
-Non avrei dovuto chiedergli del suo segreto, se non lo ha detto a te perchè mai me lo avrebbe dovuto dire?     
Il bambino si era si era zittito per un po', poi l'aveva guardata con un mezzo sorriso.
-Io devo saperlo, Gemma, devo sapere il suo segreto. Non solo per curiosità, ma.. Potrei essere causa dei suoi incubi, potrei aver fatto qualcosa così..
I suoi occhi erano pieni di lacrime, che velocemente si asciugò con le mani. Doveva essere un peso tremendo, sapere di aver causato tutta quella sofferenza al fratello e non sapere nemmeno perchè.
-Confini? Siete mai stati al confine?
Trevor annuì.
-Sono nato qualche mese prima di partire per i confini Nord, siamo stati lì per alcuni anni. C'era una pace precaria con quei bruti, i miei genitori stavano cercando degli accordi, ma poi è scoppiata la guerra.
I "bruti" che rappresentavano parte del confine Nord di Secreteyes, e per un breve pezzo anche di Tigerheart, erano una popolazione bellicosa che per secoli aveva vissuto come nomade, stabilendosi ai piedi delle montagne e invadendo un po' del territorio di Secreteyes. Per questo, anni prima, quando Gemma aveva sette o otto anni, c'era stata una sanguinosa guerra tra i due popoli, risolta con un patto che concedeva ai rozzi una parte del territorio in cambio di pace. 
C'era sempre stato qualcosa di strano in quella guerra e Gemma ora vedeva la situazione come un puzzle che si componeva. I bellicosi (non avevano un proprio nome e non si erano mai preoccupati di trovarlo, quindi tutti li chiamavano con dispregiativi che descrivevano la loro popolazione ancora giovane per la loro natura) avevano preso un terreno incolto e non popolato dagli abitanti di Secreteyes per la sua situazione climatica. I Guerrieri erano andati per stipulare un accordo, che favoriva entrambi i popoli: un'alleanza in cambio di terra. Non si sa come o perchè, ma si trasformò in un conflitto che lasciò sempre astio tra i popoli, e la ragazza iniziò a sospettare che quello che i Reali tramassero non fosse altro che una vendetta. Ma cosa aveva fatto Trevor? E perchè proprio William? Che era successo veramente?
"Non riguarda Tigerheart, quella era solo strategia..." le aveva detto William il giorno prima. Quella era vendetta. 
I tasselli del puzzle si assemblavano velocemente, ma mancava sempre quello più importante. Che cosa nascondeva William?

Trevor sospirò, poi scrollò le spalle.
-Ormai che ci vuoi fare? Se è partito così presto non possiamo trovarlo..
-E se fosse ancora nel castello?
-Se William non vuole essere trovato, non lo troverai in ogni caso.
Ora sospirò anche Gemma e rimasero a fissare il vuoto. 
-Beh, ci sono tante altre cose da fare!- disse tutto ad un tratto Trevor, facendo sobbalzare la ragazza.
Il bambino la condusse attraverso vari corridoi,poi si infilarono in un buco nel muro, simile a quello nella sala da pranzo, e girarono in altri corridoi paralleli a quelli normali, finchè non sentirono dei passi arrivare. Trevor avvicinò il viso a due fessure fatte apposta per vedere; Gemma invece si limitò ad appoggiare un orecchio al muro.
-Stai attento, prova a capirla! Il tuo atteggiamento non è servito proprio a nulla finora. Cambia!- urlava una prima voce femminile e acuta, che Gemma non riconobbe.
-Senti, so come fare colpo, tra tutti proprio tu non devi dirmi nulla!- una seconda voce, maschile e bassa, che Gemma riconobbe subito. Jackson.
-Lo vedremo, ma ricorda il prezzo.

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Capitolo 15
*** Una cosa coraggiosa ***


Dopo che i due avevano smesso di parlare e i passi si erano dileguati, Gemma aveva guardato il bambino, che sospirava.
-Un nuovo segreto, o magari un paio. 
-Ho riconosciuto Jackson, ma chi era la ragazza?
-Lavinia. Non va bene. Allora, regola uno: i segreti si dividono in due tipi. Personali e dannosi. Quando riguardano Lavinia e Jackson sono sicuramente dannosi. 
-Penso parlassero di me.. Jackson...
Trevor sospirò ancora, strofinandosi gli occhi e scuotendo la testa.
-Non va per niente bene. Ne hai parlato con mio fratello?
Gemma annuì. -Sì, William gli ha parlato, ma a quanto pare non è servito a nulla.. 
-Va male. Mio fratello è uno dei pochi che lo riesce a tenere sotto controllo. I casi sono due: o c'è qualcosa sotto o Jackson ha scoperto il segreto di William. 
-Nascondono qualcosa sicuramente, se non sei riuscito tu a scoprirlo dubito seriamente che ci sia riuscito Jackson.
-Vuole molto bene a sua sorella, dovrebbe essere qualcosa di veramente grosso, se è pronto a rischiare che William riveli il segreto di Lavinia. 
-Ho capito io che sono nuova le sue origini, ormai ci saranno arrivati tutti.
Trevor sorrise, poi sospirò di nuovo. Certo che quel bambino sospirava un sacco. -Non parlavo di quello. Da poco ho scoperto che ha a un altro segreto, non ho ancora capito quale, ma ci sto lavorando.
-Fantastico!- Gemma sbuffò -Ci mancavano solo altri segreti! Perchè probabilmente sarà una via di mezzo. Un nuovo segreto a ognuno. 
-Potrebbe essere. Jackson, per qualche motivo, non ti lascia in pace;  William cerca di fermarlo, ma per non far scoprire il nuovo segreto, ha le mani legate. 
Seguirono alcuni momenti di silenzio. Erano troppe rivelazioni in troppo poco tempo. Gemma era preoccupata, temeva che Jackson non si sarebbe arreso tanto presto e, visto quello che era successo l'ultima volta che si erano visti, doveva fare qualcosa. In quel momento prese una difficile decisione.
-Gli parlerò io. Dirò a Jackson chiaro e tondo di starmi alla larga.
-Brutta idea. Gemma, stagli alla larga. 
-E' l'unica soluzione! Devo fargli capire.. 
"Capire cosa?" si chiese. Lei stessa doveva capire cosa stava succedendo, come sarebbe riuscita a farlo capire a Jackson? Il suo piano non era il massimo, ma era l'unica cosa che poteva fare.  
-Non mi deve più tormentare.
Trevor sospirò. -Va veramente, veramente male.


Gemma aveva deciso di parlare con Jackson subito dopo cena, in una stanza affollata, possibilmente.
Passò tutta la cena nervosa. Non solo non c'era ancora traccia di William, ma Jackson ogni tanto la guardava verso Gemma con un sottile sorriso.  
Finita la cena e preso un grande respiro, si fece coraggio e andò verso Jackson, che stava lasciando la sala. 
-Jackson!- chiamò la ragazza.
Lui si fermò, sulla soglia, e quando la vide assunse un'aria quasi diabolica.
-Lo sapevo che saresti tornata.- 
Si guardò intorno e, vedendo tutta la gente, si avviò per i corridoi, confidando nel fatto che l'avrebbe seguito. Gemma, che sperava ci fosse più gente possibile, cercò di trattenerlo.
-Devo parlarti!- gli urlò.
Per tutta risposta, lui rise, continuando ad avanzare. -Speravo in altro. 
-Sono seria. 
Jackson si fermò e le si avvicinò con un sopracciglio alzato. 
-Devi starmi alla larga. 
-Perché? Tu non ci riesci?
Si avvicinava decisamente troppo, così Gemma iniziò ad indietreggiare, finendo contro il muro. Jackson mise una mano vicino alla sua faccia, con l'altra invece le scostò una ciocca dal viso. 
-Basta!- disse lei, spostandolo e allontanandosi. -Smettila! Lasciami in pace! Io sto con William e tu.. Devi smetterla! 
Il ragazzo la raggiunse e Gemma si ritrovò di nuovo con le spalle al muro. Ma questa volta, Jackson non la lasciò andare via, restringendo lo spazio fra di loro. 
-Smettila tu! Smettila di attrarmi così! 
A quel punto, Jackson la baciò forzatamente e anche se Gemma cercava in tutti i modi di spostarlo, non ci riuscì. 
-Vai via!- gridò appena si fu staccato, ma lui non lo fece.
-Non posso! Non ci riesco!- disse, riprovando a baciarla, ma lei girò il viso, evitandolo.
Non c'era nessuno. Quel corridoio era deserto e Gemma ebbe veramente paura. Iniziò a sentire che le lacrime in fondo agli occhi, così li chiuse, cercando di respingerle. Quando di riaprì, Jackson era per terra, e William era comparso davanti a lei, facendole da scudo. Non disse una parola, ma i suoi occhi erano pieni di odio e rabbia. 
Jackson, al contrario, sembrava frastornato e leggermente spaventato. Si alzò, cercando di nascondere la paura. 
A quel punto William gli si avvicinò, tanto da arrivare fronte a fronte.
-Stalle lontano. È l'ultima volta che te lo dico, se ti trovo ancora una volta con lei, se anche solo la guardi un'altra volta, te ne pentirai. 
Jackson mantenne lo sguardo per un po', ma poi se ne andò, senza aggiungere una parola. William, allora, andò dalla ragazza e le prese il viso fra le mani. 
-Stai bene? Ti ha fatto del male?
Gemma scosse la testa, ancora scossa.
-Vieni, andiamo in camera. 
Appena arrivarono, lei si sedette sul letto, con lui di fianco.
-Che cos'è successo?
-Io.. Volevo fargli capire che doveva starmi lontano, ma a quanto pare ha avuto l'effetto contrario..
-Ora l'avrà capito, ne sono sicuro.
-È stata una cosa stupida. 
-È stata una cosa coraggiosa.
Gemma si perse nei suoi occhi scuri e, per la prima volta, si sentì strana, come se avesse delle farfalle nello stomaco. Lui si avvicinò e Gemma pensò che la stesse per baciare. Lo stesso William pensò di farlo, ma quando ormai sentivano il respiro l'uno dell'altra, furono interrotti da uno strano "crack", come se si fosse rotto qualcosa.
Un continuo scricchiolio proveniva dall'angolo della stanza. 
L'uovo si stava schiudendo.

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Capitolo 16
*** Questioni in sospeso ***



Nei giorni seguenti Gemma quasi non uscì da camera sua e stava tutto il tempo a guardare il drago. Era felicissima e non riusciva a staccarsi dal draghetto, che abbandonava solo quando andava a dormire. William, invece, trovava ogni scusa per andarsene e sicuramente la cosa non sfuggì a Gemma, che era sempre più preoccupata. Vedendo che il ragazzo le era sempre più distante e si faceva più pallido e stanco ogni giorno che passava, lei aveva provato a parlare con Trevor, invitandolo anche a vedere il suo draghetto, ma questi, quando aveva accennato al drago, si era subito defilato con una scusa, e per un po' non si era fatto vedere.

Approfittando di un sonnellino di Sharon, Gemma decise che era tempo di andargli a parlare. Percorse i corridoi chiamandalo, confidando che fosse in uno dei suoi passaggi secreti. Dopo un po', infatti, Trevor uscì da un passaggio nel muro, con un'aria seria.

-Ciao.-disse attirando la sua attenzione. Sembrava triste, quasi sconsolato. Gemma aggrottò la fronte.

-Stai bene?

Il bambino annuì, ma la sua espressione non cambiò.

-Cosa c'è che non va?- chiese preoccupata.

-Tutto bene ma.. - abbassò lo sguardo, guardandosi le scarpe.

-Ma?

-Ma pensavo fossimo compagni di segreti.. Sei scomparsa da giorni e mi hai lasciato solo..

Sembrava così triste e, in effetti, lo era. Era sempre stato un bambino molto solo, che pensava di aver trovato qualcuno che gli facesse compagnia, ma tutte le sue speranze non avevano fatto altro che farlo diventare ancora più triste quando aveva capito che non era così.

Gemma gli sorrise, dolcemente.

-Scusa, lo so, ma si è schiuso l'uovo ed ero così occupata con lui che non sono riuscita a far altro. Siamo comunque compagni, no?

Trevor sorrise un pochino, ma la ragazza aveva notato un lampo di paura negli occhi quando aveva menzionato il drago.

-Hai paura dei draghi?

-Sì, fin da quand'ero piccolo... Lo so che è irrazionale, ma non ci posso fare nulla..

-Sì, capisco.. Devo comunque occuparmene, Trevor, questo lo capisci, vero?

Il bambino annuì, mentre il vecchio sorriso ricompariva sul suo giovane volto.

-Io intanto cercherò segreti!

-Ma... Scusa se sono così schietta ma.. Non ci sono altri bambini che ti fanno compagnia, qui?

-Non ho avuto un buon risultato e sono il più grande.- disse alzando le spalle.

-Che intendi?

-All'entrata in società. Voi non ce l'avete a Tigerheart?- Gemma scosse la testa e il bambino spiegò. -I bambini di qui, beh i reali, entrano in società a dieci anni, tramite un test, che è diverso a seconda della famiglia. Beh, l'anno scorso io, essendo un Guerriero, ho avuto una prova più sull'abilità, sono andato abbastanza bene in tutte le prove, ma in una... Dovevo interagire con un drago, ma... mi sono bloccato. Beh, con un risultato scarso, essendo secondogenito ed essendo più piccolo... Sono un po' emarginato. In più, tutti i miei amici non hanno ancora fatto la prova, quindi non possono stare con me.

-Perchè no?

-E' una tradizione: i bambini se ne stanno per conto loro, esercitandosi per la prova e cercando di farsi vedere il meno possibile.

-Mi dispiace.

Il bambino sorrise, scuotendo lievemente la testa. Iniziarono a parlare dei segreti e, ancora una volta, cercarono di capire qualcosa. Gemma gli confidò che l'aveva sentito parlare da solo e che pensava gli stesse succedendo qualcosa. Erano arrivati a un punto morto e tutto stava pegguirando. Trevor le consigliò di parlargli e di lasciar perdere per un po' il suo segreto e Gemma decise che avrebbe seguito i suoi consigli.

Stavano camminando tranquillamente, quando Jackson imboccò il loro stesso corridoio. Stava, probabilmente, pensando tranquillamente ai fatti propri, ma quando vide Gemma gli si disegnò un sorriso malizioso e rallentò il passo, mentre l'altra serrava la mascella e lo ignorava.

-Ma guarda chi si vede! Ho sentito del tuo drago, pensavo di fare un salto a vederlo, sai, in camera tua..- disse sottolineando le ultime parole e ridendo. La ragazza non rispose, quindi lui la prese per un braccio costringela a guardarlo.

-Che c'è, hai perso la lingua?

-Lasciala in pace!- si intromise Trevor.

Jackson sbuffò e lo guardò con un sopracciglio alzato.

-Belle guardie del corpo ti scegli, tu.- disse appena prima di lasciarla andare e continuare per la sua strada, ridendo.

Gemma era rimasta tutto il tempo con la mascella contratta, cercando di non sputargli addosso.

Ripresero anche loro a camminare in silenzio, aumentando sempre di più il passo. Dopo poche svolte, si trovarono anche Lavinia davanti. Non potevano scegliere persone peggiori.

-Oh, ciao Gemma, che fai, scappi da William?! Tranquilla, nessuno si offenderà!

La ragazza scomparì subito dopo, senza aggiungere una parola, ma Gemma fu profondamente colpita e ferita da quella frase. Salutò velocemente Trevor, che era ancora al suo fianco, poi corse in camera.

Era dietro alla porta quando sentì William che urlava, apparentemente a nessuno.

-Sta zitto Jasper! Non le dirò proprio nulla! Non posso farlo, non se lo merita. E' una brava persona, non voglio che guardandomi pensi a quello che ho fatto, non voglio che veda il sangue sulle mie mani e non voglio che capisca con quanta freddezza l'ho fatto. Non voglio che mi veda come un mostro.

La ragazza aprì la porta e vide William con le lacrime agli occhi. La guardò brevemente, poi si portò le mani alla testa e urlò di dolore.

-No! MAI!- urlava e non riusciva a stare fermo, continuando a girare. Alla fine si buttò sulle ginocchia, le mani piene di lacrime. Gemma gli andò vicino, chiamandolo e urlando il suo nome.

Rivela il tuo segreto!

Rivela il tuo segreto!

Rivela il tuo segreto!

Si fermò. All'improvviso, con un gran respiro, William si calmò. Chiuse gli occhi e respirò lentamente. Poi guardò Gemma dolcemente e le sussurrò che stava bene, ma non si alzò. Restò lì, con la testa appoggiata alla spalla della ragazza, che lo stringeva a sè in un abbraccio pieno di preoccupazione.

-E' tutto finito, è tutto finito.

Ma entrambi sapevano che nulla lo era veramente.

 

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Capitolo 17
*** Il segreto di William ***


Dopo qualche minuto William si calmò, mentre Gemma un po' riluttante cercava di capirci qualcosa. 
Tutto questo aveva a che fare con il suo segreto, ormai ne era sicura, ma si chiedeva cosa fosse successo di così tremendo da fargli perdere la testa in questo modo. Era successo qualcosa, circa dieci anni prima, ai confini di Secreteyes e riguardava anche Trevor e qualcuno che iniziava con Ja (Gemma si rese conto che probabilmente era Jasper, un nome che aveva detto prima William). 
Il ragazzo si era seduto sul letto, con la testa appoggiata al muro e gli occhi chiusi. Gemma si sedette vicino a lui e William girò subito il volto verso di lei, guardandola negli occhi.
-Scusa..- mormorò impercettibilmente, ma lei capì comunque e scosse la testa.
-Non ti devi scusare. Con chi parlavi?
-Dicono che quando i tuoi occhi stanno per diventare neri, se troppo pieni di segreti, proiettano il fantasma di qualcuno coinvolto in un segreto per schiarirsi. L'ultima volta sono stato costretto a dirlo ai miei genitori, stavo veramente impazzendo e andrà sempre peggio..
-E allora perchè non me lo dici?
William aveva abbassato la testa scuotendola, poi con un sospirò guardò di nuovo Gemma, con una tristezza negli occhi che contagiò anche la ragazza.
-Non voglio.. Non voglio che tu lo sappia.. E' troppo..- le parole gli morirono in bocca e abbassò di nuovo lo sguardo.
Con una mano Gemma gli fece girare il viso e rimasero occhi negli occhi.
-Prima o poi sarai costretto a dirmelo e io.. Io non voglio che tu soffra ancora.
-Cambierà tutto, lo so, è un peso che non ti voglio far portare!
-Sopporterò ogni verità  per te, per quanto spaventosa possa essere.
William sorrise lievemente e annuì.



Eravamo andati ai confini coi Barbari, per un trattato. Doveva essere una cosa breve, qualche settimana al massimo. Avevo nove anni e non capivo esattamente cosa stava succedendo. Ero molto affascinato da quella popolazione, per me erano qualcosa di misterioso e sconosciuto, così come lo erano per mio fratello. Non Trevor, lui aveva solo un anno, ma Jasper, che ne stava per compiere undici. Avrebbe fatto la prova poco dopo essere tornati a casa, quindi, come ultima avventura insieme per un po' di tempo, decidemmo di andare a vedere questi "barbari". Lui era il mio fratello maggiore, era coraggioso e generoso, era il mio esempio, l'avrei seguito in capo al mondo... Era una persona davvero speciale..
Partimmo la sera, avevamo un po' paura e speravamo che non ci vedessero, ma non sapevamo che anche se per noi la pace era ovvia, loro si aspettavano una guerra, probabilmente la volevano pure.
Eravamo nascosti tra i cespugli e stavamo guardando le sentinelle sul confine, ma decidemmo di andare più vicino per vedere meglio. Devono aver sentito il fruscio delle foglie, credo che abbiano pensato che fossimo spie, ma eravamo solo bambini.. Sta di fatto che hanno iniziato a scagliare frecce. Ci siamo spaventati e abbiamo iniziato a correre, ma io sono inciampato. Eravamo troppo vicini al confine e loro oltre a scagliare frecce avevano iniziato a rincorrerci.
Jasper ha cercato di tirarmi su, ma mentre mi alzavo uno ha scoccato una freccia verso di me. Lui.. Lui mi ha fatto da scudo e se l'è presa per me.. Mi ha sussurato di scappare, mi ha sorriso e ha chiuso gli occhi per sempre. E' morto fra le mie braccia in pochissimi secondi. 
Non volevo lasciarlo lì, ma  arrivavano e se non fossi andato via avrebbero ucciso anche me. Così ho corso, cercando di trattenere le lacrime e non guardandomi indietro, finchè non ho visto le luci dell'accampamento. A quel punto mi sono fermato e ho visto che se ne erano andati.



"Jasper! Suo fratello!" pensò Gemma "Ecco perchè i genitori di William parlavano di lui, non intendevano Trevor!"
-Ma non è colpa tua! William, non hai fatto nulla di male, non devi sentirti in colpa!
-So che non è colpa  mia, ma questa è solo una parte del mio segreto.. Il segreto è in ciò che ho fatto..



Mi sono fermato e ho pianto. Quelle bestie avevano ucciso un bambino a sangue freddo senza pensarci due volte. Ero arrabbiato, tanto arrabbiato.
Il terreno che si erano presi i bruti era ai piedi delle montagne, incolto, selvaggio e freddo, per cui era un luogo ideale per i draghi. E se c'è una cosa a cui perfino i draghi selvaggi non possono resistere, è il pianto di un bambino. Sono creature sensibili, basti pensare al loro linguaggio. 
Comunque, uno di loro mi si è avvicinato, era Jerry. Ero un bambino di nove anni ricoperto del sangue del fratello, non ragionavo, ho solo pensato alla vendetta. I draghi mi erano sempre piaciuti, ne avevo guidati alcuni piccolini, e di teoria sapevo tutto. Misi una mano sul suo cuore e quando sentii che era uguale ho.. Preso una decisione che rimpiango da sempre. 
Sono salito sul drago e l'ho fatto volare fino alle sentinelle, che stavano appena davanti a un villaggio. Ho visto quei selvaggi ballare di fianco al corpo di mio fratello, che avevano trascinato fino al centro del villaggio. 
Non so neanche come abbia fatto, l'ho pensato e il drago ha iniziato a sputare fuoco.  Ha incendiato le sentinelle che urlavano e poi tutte le case del villaggio, tutti scappavano e urlavano. Siamo scesi e tra le fiamme ho preso il corpo di mio fratello e sono uscito dal villaggio con il drago al mio fianco. 
Quelli di Secreteyes, allarmati, sono corsi fino al confine, primi fra tutti mio padre e mia madre, con Trevor in braccio che guardava a occhi sbarrati tutto quello che succedeva. Sono arrivato davanti a loro, pensa.. Un bambino pieno di sangue che portava in braccio il corpo del fratello morto con uno sfondo di fiamme e urla e morte. Trevor ha iniziato a urlare e piangere quando il drago gli è andato vicino. Sono andato via senza dire una parola e per settimane ho continuato così, finchè il fantasma non mi ha costretto a dire tutto. 

Un segreto. Un segreto è fatto di azioni che si rimpiangono e di cose che si vorrebbero dimenticare, che ti segnano per tutta la vita. Non è vedere qualcosa di terribile: questo ti porta solo ad avere paura, se vedi qualcosa sei segnato in modo diverso da quello in cui fai qualcosa. Se fai qualcosa che per te è imperdonabile cerchi di migliorare e ti prometti che sarai migliore, che prenderai esempio da chi hai perso.  Se vedi qualcosa cerchi di evitare le tue paure, cerchi di ignorare tutto ciò che la riguarda e scappi.
Trevor ha paura dei draghi, io cerco di essere migliore. Questo è quello che ha comportato il mio segreto.

Ma la vendetta rimane. Abbiamo dichiarato guerra ai bruti, ma non saremmo mai riusciti a sconfiggerli definitivamente se non con aiuto e nessuno ce lo avrebbe concesso senza un giusto motivo. Se vi avessimo sconfitto, avremmo potuto chiedervi in cambio della pace un aiuto militare contro di loro, ma il rischio era troppo grande e.. Penso che i miei genitori abbiano trovato un modo più sicuro per costruire un'alleanza.


 
Ora era tutto chiaro, ma Gemma rimase in silenzio per qualche minuto.
-Tranquilla, non.. Lo so, non mi vorrai più parlare, io.. Mi sento un mostro..
Gemma scosse la testa e lo guardò, seria.
-Non sei un mostro. Se devo essere sincera non sono sicura che avrei agito diversamente se fossi stata in te. E' terribile quello che ti è successo, ma te l'ho detto. Porterò questo peso con te e per te.. Ognuno ha la sua sofferenza e ognuno si merita di avere qualcuno con cui condividerlo. Hai detto che sarai per me tutte le persone che erano con me a Tigerheart e io ti dico che sarò per te le persone che hai perso e quelle che avresti voluto avere di fianco durante la tua sofferenza. Io ci sarò per te.

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Capitolo 18
*** L'uovo si schiude ***


William e Gemma, allarmati, andarono subito verso l'uovo che si stava schiudendo. Chiamarono Tami, la folletta domestica, sperando che arrivasse in fretta.

Gli scricchiolii aumentavano sempre di più e la ragazza sentiva il suo cuore impazzito battere alla velocità della luce. William non lo avrebbe mai ammesso e anche in quel momento cercava di non mostrarlo, ma anche lui non stava più nella pelle ed era non poco emozionato.

Tami bussò alla porta, ma appena mise un piede nella stanza e capì perchè l'avevano chiamata, scomparì di nuovo. Poco dopo, questa volta senza bussare, entrò nella stanza correndo, con il fiatone e con tre pesci e una brocca di latte fra le manine. Proprio in quel momento l'uovo si ruppe e spuntò un piccolissimo draghetto dagli occhi enormi. Le sue ali minuscole erano di un viola e vivace, mentre tutto il resto del suo corpo era a grandi macchie senza forma erano o verdi o blu ed era ricoperto di piccole squamette rosse.

Tami gli lanciò un pesce, che il drago divorò in men che non si dica, poi diede gli altri pesci e il latte a Gemma, e senza dire una parola, uscì frettolosamente dalla porta, di nuovo.

Il draghetto puntò i suoi grandi occhi, che erano di un giallo pallido simile a quello della luna, su Gemma, con l'implicita richiesta di altro cibo. La ragazza, quasi con timore, allungò una mano che teneva un pesce e le sembrò che il draghetto le sorridesse, appena prima di mangiare anche quello.

William era rimasto lì immobile, catturato dalla scena. Aveva subito trovato quell'uovo speciale e vedendolo ora non ne ebbe che la conferma. Eppure, nonostante quello fosse uno spettacolo eccezionale, non riusciva a togliere il suo sguardo da Gemma e ad ammirare la sua semplicità. Fin dalla prima volta in cui l'aveva vista aveva sempre saputo che aveva un cuore puro, anche se non aveva mai avuto una prova concreta. Si era sempre chiesto come avesse potuto innamorarsi di una ragazza di cui sapeva pochissimo, ma solo ora si chiese come avesse fatto a non innamorarsi di lei al primo sguardo, come non fosse riuscito a vedere quanta bellezza c'era in lei già dalla prima volta in cui i suoi occhi luminosi e pieni di energia si erano posati sui suoi, così scuri e pieni di ombre. Si chiese, infine, se non fosse successo proprio quello.

Scacciò velocemente quei pensieri e guardò il drago con un sorriso.

-Perchè non gli chiedi come si chiama?

-Chiedere? E come glielo chiedo? E' telepatico?

William rise, poi scosse la testa.

-Chiedilo semplicemente.

Gemma annuì, poi prese un bel respiro.

-Come ti chiami?

Il draghetto sorrise di nuovo, poi farfugliò qualcosa: aveva utilizzato una strana lingua, un po' simile al solito linguaggio della luna, un po' quella degli umani; il risultato era stato uno strano fruscio, che però Gemma capì come se fosse normale.

-Sharon.

Un drago femmina?! Gemma era sempre stata sicura che quell'uovo fosse un maschio, ma ora che la guardava meglio capì che era sicuramente una draghessa, che comunque avrebbe chiamato al maschile, drago.

Sharon sbadigliò, poi guardò la brocca di latte, che Gemma mise a terra, e se la scolò.

Proprio in quel momento ritornò Tami, di nuovo con il fiatone, portando alcuni cuscini con delle coperte, con cui, nell'angolo della stanza, creò una piccola cuccia per il drago, che ci andò subito e sprofondò in un sonno profondo.

Tutti e tre guardarono il cucciolo con dolcezza e benevolenza, poi Tami prese il resto del guscio e, augurando una buonanotte, si congedò.

-Potrei rimanere a guardarla per tutta la notte.- disse Gemma.

-Il tempo passerà più velocemente, se dormi, e domani potrai già iniziare a insegnarle un po' di cose e a prenderti cura di lei.

William sorrise, ma sembrava turbato e infastidito da qualcosa, come se ci fosse qualcuno che gli parlottava nelle orecchie. Ciò continuò per tutto il tempo in cui Gemma si preparò e si mise sotto le coperte, finchè il ragazzo non disse che sarebbe uscito un attimo.

La ragazza si preoccupò subito che lui volesse andarsene ancora per tornare la sera dopo.

-Non andartene.. -disse in un sussurro mentre William era sull'orlo della porta. Il ragazzo si girò, sempre con lo stesso sorriso malinconico.

-Torno subito, tu dormi intanto.

-Non riuscirò a dormire finchè non ritorni..

-E allora ritornerò più in fretta possibile.

Uscì, ma non si allontanò che di pochi passi. Si passò una mano sulla fronte e si stropicciò gli occhi; poi cercò ad ascoltare la vocina che lo tormentava da tutto il giorno.

Rivela il tuo segreto.

Lo ripeteva in continuazione, senza sosta e aumentando ogni volta che Gemma gli era vicino.

-Pensavo fossi morto, esci dalla mia testa!- sussurrò piano.

Io sono morto, ma il tuo segreto non lo sarà mai! Rivela il tuo segreto!

Continuò a ripeterlo, ma la voce si affievolì rapidamente.

William tornò in camera e, come aveva detto, Gemma ancora non dormiva, anche se i suoi occhi si chiudevano involontariamente per il sonno ed era sul punto di crollare.

-Grazie- riuscì solo a dire, ma prima che il ragazzo potesse dire altro, Gemma si era addormentata, lasciandolo solo con i suoi demoni.

 

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Capitolo 19
*** Preparativi ***


Le colline erano di un verde luminoso ed erano piene di fiori gialli profumati, risate riempivano l'aria di allegra felicità.

Gemma era seduta vicino a Sharon, quando vide che una decina di persone andarle incontro: erano i suoi amici di Tigerheart. La abbracciavano e le sorridevano e Gemma vide in lontananza una figura che identificò subito: William. La stava raggiungendo e....

Con un tonfo Gemma si ritrovò per terra. Sbattè le palpebre un paio di volte e capì che era mattina e che quello era solo un sogno.

Intanto William, che si era svegliato di soprassalto, si mise a ridere, scuotendo la testa, vedendo la ragazza per terra.

Ridendo, William le andò vicino e le tese la mano, facendola alzare.

-Pronta per oggi?- le chiese con un sorriso.

In tutta risposta, Gemma scosse la testa.

Erano passate alcune settimane da quando William le aveva confidato il suo segreto e, piano piano, gli era tornato il sorriso e il buon umore.

In quei giorni erano stati tutti molto impegnati con i preparativi della festa di fidanzamento, che sarebbe stata proprio quel giorno.

Si prepararono e, chiacchierando, andarono nella sala da pranzo. La tensione era palpabile: non tanto per i ragazzi, che se ne stavano tranquilli a consumare il proprio pasto, quanto per gli adulti, che correvano qua e là sbraitando ordini ai domestici, che disperati obbedivano.

La madre di William, ad un certo punto si fermò e si mise al centro della stanza. Era sudata e rossa in viso, così, prima di parlare, respirò profondamente.

-La farò breve: i domestici sono pochi e voi siete fra i piedi. Oggi è un giorno importante ed è stato deciso che la festa sarà qui.

-Perchè qui?- chiese Jackson, annoiato.

-NON LO SO E NON INTERROMPERMI!- sbraitò.

Jackson, vagamente confuso, lanciò un'occhiata a William, che scosse la testa alzando gli occhi al cielo. Si scambiarono uno sguardo complice.

Gemma a volte si dimenticava, nonostante tutto quello che era successo, che quei due erano molto amici e si conoscevano da sempre e pensava che qualsiasi cosa fosse successa, probabilmente non avrebbero mai smesso di esserlo. Ne era una prova proprio quello sguardo complice, che era sembrato così naturale anche dopo quelle settimane in cui Jackson aveva avuto quell'atteggiamento con Gemma. Il ragazzo, infatti, non aveva certo smesso di tormentarla, continuando con tutte le sue frecciatine, e William l'aveva minacciato più e più volte, senza grandi risultati.

La Regina Guerriera chiamò un domestico e si fece portare un foglio. Ci scrisse sopra qualcosa e poi lo fissò al muro.

-Qui- disse poi ai ragazzi, indicandolo -c'è scritto cosa dovete fare e quando. MUOVETEVI!-

Quelli di Secreteyes, Gemma se ne era subito accorta, non si curavano per niente dei livelli sociali: poco importa che un principe dovesse pulire la stalla, se era necessario, non faceva tante cerimonie. E quel giorno era necessario che tutti aiutassero.

Mentre lei stava ancora finendo di mangiare, William andò a vedere il foglio. Quando tornò da Gemma non sembrava particolarmente contento, ma non si lamentò.

-Il primo turno e dalle nove, ovvero abbiamo ancora dieci minuti, alle dieci. Sei in cucina, ma non so esattamente che farai.

La ragazza annuì. -Tu dove sei?

-In sala da ballo, probabilmente pulirò le finestre. Ci ritroviamo qua alle dieci, va bene?

Con un sorriso William se ne andò.

Gemma con un ultimo boccone finì la colazione, così si diresse verso la cucina. Fu subito affiancata da Jackson che la guardava sorridente.

-Sei in cucina?- le chiese.

-Già.

-Ma che coincidenza, anche io.- le si avvicinò un po' -Il fatto è che non credo alle coincidenze.

Gemma sbuffò e lo guardò con un sopracciglio alzato.

-Fammi indovinare, è destino, dobbiamo stare insieme ecc ecc...

-Vedo che finalmente inizi a capire!

Con i suoi modi teatrali, Jackson la infastidiva sempre di più. Gemma sospirò, si fermò e lo guardò, con le braccia conserte.

-Neanche io credo alle coincidenze, sai? Penso che questa giornata non fosse abbastanza stressante quindi il destino ha deciso di farti fare un turno con me. Ma perchè non mi lasci in pace.

Il ragazzo non rispose, ma si indicò facendo una faccia innocente.

-Davvero, Jackson perchè non mi vuoi lasciare in pace?- continuò lei.

Lui scosse la testa e rise, ma poi rispose.

-Non ce la farò mai, non è vero?- vedendo l'espressione dura di Gemma rise ancora. -Mi sa che una tregua te la meriti.

Gemma alzò gli occhi al cielo e lui le porse una mano.

-Amici?- chiese Jackson

La ragazza dubitava seriamente che sarebbero mai potuti essere davvero amici, ma prese comunque la mano, senza dire nulla.

Certo lui non le aveva detto perchè l'aveva tormentata, ma una tregua era un passo importante. Da quel momento fino alla fine del turno le sembrò di conoscere per la prima volta una persona nuova. Era più naturale e meno finto, e Gemma capì subito che era intelligente. Le spiegò che a Secreteyes un evento del genere non si vedeva da anni e che lui stesso non ci aveva mai preso parte.

-Vedi, un ballo nella reggia significa un profondo cambiamento, come l'incoronazione del Re dei re, che si ha nei momenti di profonda crisi, una vittoria importante, come quella che gli abitanti di Secreteyes hanno avuto quando si è unificato il regno oppure la scoperta di una nuova creatura. Il fatto il vostro fidanzamento sia visto come un evento così importante la dice lunga: si hanno grandi speranze.- disse Jackson mentre tagliuzzava una carota.

Gemma sospirò, sentiva un peso sopra di lei, tutte quelle aspettative la mettevano a disagio.

Lavinia entrò spalancando la porta, corse a prendere dei piatti, senza guardare nessuno in faccia. Sembrava annoiata e un po' alterata, probabilmente perchè doveva lavorare. Solo richiudendo la porta vide Gemma e Jackson e lanciò un'occhiata al fratello. Quello sguardo era durato più o meno un secondo, ma Gemma aveva visto malizia e perfidia tanto da chiedersi se il comportamento del ragazzo non avesse qualcosa a che fare con la sorella.

Jackson, da parte sua, sembrò non curarsi di nulla. Continuò il suo lavoro con particolare accuratezza, a differenza della ragazza, che combinava solo disastri che una domestica continuava a pulire.

Il grande orologio a cucù appeso al muro iniziò a suonare e i ragazzi capirono di dover andare. Qunado arrivarono in sala da pranzo, William era già lì e, vedendo Gemma con Jackson, scoccò a quest'ultimo un'occhiata glaciale. Jackson non sembrò accorgersene e dopo averli salutati entrambi con un cenno del capo, guardò il foglio e sparì.

Anche loro andarono verso il programma e si resero conto di non essere di nuovo insieme. Ora William era fuori e Gemma in uno dei corridoi che portava alla sala da pranzo. Si diedero appuntamento all'ora successiva e si diressero al luogo assegnato.

Gemma aveva visto che con lei, oltre ad un paio di ragazzi che non conosceva, c'era anche Trevor. Da quando aveva scoperto il segreto di William gli aveva parlato poche volte e frettolosamente. Le dispiaceva un sacco e non sapeva cosa dirgli, ma sapeva che era un bambino ed era sensibile. Probabilmente si era chiesto mille volte cosa fosse successo, se avesse fatto qualcosa di sbagliato e egoisticamente Gemma lo ignorava. Non era brava a dire le bugie a qualcuno che non se le meritava, ma non sapeva cosa dire.

Sospirò e andò incontro al bambino.

Quando la vide, Trevor sorrise lievemente, un po' malinconico.

-Hai idea di cosa dobbiamo fare?- chiese lei con un sorriso incoraggiante.

Lui indicò le grandi finestre. -Pulire i vetri. Mia madre è piuttosto ossessionata con i vetri, quindi ha messo un sacco di turni per pulirli.

Un ragazzo, abbastanza alto, con corti capelli rossicci e un sacco di lentiggini arrivò con una scala. La mise davanti alla finestra e sorrise.

-Ciao Trevor e.. Gemma, giusto?- la ragazza annuì. -Uno tiene la scala e l'altro pulisce i vetri. Decide voi chi fa chi, ma consiglio che sia la Principessa, che è più alta, a pulire.

Diede loro un secchio con uno straccio e se ne andò, non prima di aver sorriso ancora.

-E' Gabriel, figlio di Lord Whitelaw, uno dei più importanti. E' venuto qui per i preparativi.- disse Trevor vedendo lo sguardo curioso di Gemma.

Lei scrollò le spalle e annuì: normalmente avrebbe preso in considerazione un giovane bello e apparentemente gentile, ma, e se ne stupì lei stessa, non provò più di tanto interesse.

Pulirono la prima finestra in silenzio, senza più dire neanche una parola. Quando passarono alla seconda, Gemma si sentì davvero in colppa, così cercò di fargli capire che non era cambiato nulla. Ma come farlo se lei stessa sapeva che qualcora era cambiato?

-Allora, successo qualcosa di interessante?- gli chiese.

Lui scosse la testa. -A te invece? Hai scoperto qualcosa?

Quella domanda la fece quasi cadere dalla scala. Doveva aspettarselo, se lo aspettava, ma..

Deglutì e scese dalla scala. Lo guardò negli occhi e lo vide un po' confuso.

-Io... William me lo ha detto e..

-Hai promesso di non dirmelo, non è vero? Me lo dovevo aspettare.- il suo tono si era inasprito tanto da sembrar che qualcuno l'avesse tradito.

L'hai tradito tu, Gemma. Pensò la ragazza. Prese un respiro profondo e decise di dire semplicemente la verità.

-No, non ho promesso nulla, ma.. Un giorno lo scoprirai, Trevor, ma non penso di dover essere io a dirtelo e devi sapere che questa cosa lo distrugge e... Hai visto quanto stava male.. Ha appena smesso di pensarci.. Dagli solo un po' di tempo..

-Dimmi solo.. Dimmi solo una cosa: è stata colpa mia, non è vero?

Gemma le sorrise e scosse la testa.

-No, no per niente..

Il bambino annuì e sorrise.

-Grazie per essere stata onesta.

Ripresero a lavorare, l'atmosfera calmata e chiarito tutto.

A Gemma non era mai piaciuto mentire, ma a volte pensava che fosse necessario per non ferire gli altri, magari persone che si amavano o a cui comunque si voleva bene. Molte persone usavano questa come scusa per mentire, ma la ragazza aveva capito che lo facevano solo per loro stessi, perchè avevano paura delle conseguenze. La verità era che si mentiva ai nemici, non agli amici. Agli amici puoi dire le cose francamente o dire perchè non vuoi confidare un segreto, non negare qualcosa di evidente.

Gemma capì di aver imparato una nupva lezione, ma si rese anche conto che a Secreteyes continuava a imparare e che le piaceva sempre di più stare lì.

Doveva fare ancora due turni e in nessuno di essi era con William, cosa che la indispettì davvero. Si chiese se sua madre l'avesse fatto apposta, cosa probabile, o se il destino li fosse davvero contrario, ma si sentiva più che altro come se il destino avesse deciso che quel giorno era un punto di chiusura alle questioni in sospeso e stesse solo ritardando. Prima Jackson, che iniziava ad arrendersi e poi Trevor, che aveva accettato di dover aspettare. Quella tesi in quel momento le sembrava probabile, ma la sera ne sarebbe stata certa.

Dopo un pranzo veloce e un paio di ore di riposo, arrivarono i primi ospiti: i Reali di Tigerheart. Erano arrivati alle 4 circa del pomeriggio, ma Gemma non aveva potuto vedere nessuno: sia lei che William erano stati relegati in una camera per prepararsi.

La ragazza era, appunto, in una camera piena di armadi, specchi e portagioie. Stava aspettando in silenzio, un po' arrabbiata per non aver potuto vedere subito i suoi genitori e i suoi amici. Il suo umore cambiò del tutto quando la porta si aprì ed entrò un sinuoso gatto nero. Billy.

Gemma gli corse incontro, lo prese, lo sollevò in aria e lo fece girare, poi lo abbracciò. Il gatto odiava quando Gemma faceva così, ma le lasciò, dato che non la vedeva da un sacco di tempo. Per un po' rimasero lì così, Gemma che accarezzava il gatto e lui che faceva le fusa; poi, con un balzo elegante, Billy saltò per terra e le si sedette davanti.

-Allora, mettiamoci al lavoro, dovrai essere assolutamente meravigliosa.

I due andarono davanti al primo armadio e lei lo aprì.

-Allora, questo mi sembra carino- disse prendendo un vestito non troppo lungo, ma semplice. Il gatto scosse il muso.

-No, sono settimane che penso a che abito avresti messo, oggi non ti lascerò scegliere. -vedendo la faccia tra il preoccupato e il triste della ragazza aggiunse -Ma rispetterò i tuoi gusti, come al solito. E alla fine, se necessario, potrai cambiare.

Con le sue zampe pelose iniziò a guardare i vestiti nell'armadio, finchè non ne trovò uno adatto. Era lungo fino alle caviglie, con lo scollo a cuore e senza spalline, tutto a tinta unita, blu scuro. Proprio come gli occhi di William, pensò Gemma. Scacciò quei pensieri e prese il vestito, ma appena prima che potesse farlo, Billy la fermò.

-Okay semplice, ma non esageriamo.

Saltò su un ripiano e aprì un cassetto, dove prese ago e filo. Ritornò al vestito e in pochissimo tempo ricamò sullo scollo, sulla vita e sul bordo della gonna delle spirali e dei cerchi in bianco e oro. Le porse il vestito e lei se lo mise, velocemente. Billy, poi, le saltò su una spalla e le raccolse i capelli in uno chignon non troppo stretto, che lasciava abbastanza ricci fuori da esso, tanto che sembrava che Gemma avesse una mezza coda.

Saltò sulle ginocchia della ragazza e prese una scatola con dei trucchi. Le mise una matita blu scura e poi un eyeliner dello stesso colore, poi un ombretto dorato. Come ultima cosa le diede una collana lunga con un ciondolo che raffigurava una tigre.

Le sorrise dolcemente e la invitò a guardarsi allo specchio. Lei lo fece e rimase positivamente colpita da ciò che vide, così abbracciò ancora una volta il gatto. Uscirono dalla stanza, il ballo stava ormai per cominciare.

 

Billy si separò da Gemma, con la scusa di dover preparare anchhe altri. Andò davanti alla porta di una stanza poco più in là, dove Tami aveva preparato William.

-Allora, missione compiuta?- chiese la folletta.

Il gatto annuì.

-Missione compiuta. 

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Capitolo 20
*** Mi concedi questo ballo? ***


Quando ormai il sole stava tramontando, arrivarono i primi ospiti. Erano stati invitati tutti i componenti delle famiglie reali di ogni reame, più alcuni dei lord più potenti. A parte i Bruti, che non erano stati invitati per due motivi: nei balli erano indisciplinati e rumorosi e i Guerrieri di Secreteyes non avrebbero mai permesso che loro ci andassero.
Non molto prima, Gemma era uscita dalla sala in cui si era preparata e aveva trovato i suoi genitori ad attenderla. Li aveva abbracciati, felice di rivederli e non più arrabbiata per la loro scelta. Tutta la rabbia e il senso di tradimento che aveva provato appena le avevano detto del futuro matrimonio erano scomparsi, sia perchè le erano mancati e non aveva intenzione di avercela con loro per tutta la sera, sia perchè capiva la loro scelta. In più, ora voleva aiutare William con la sua vendetta.
Subito dopo, tutti i suoi amici le erano andati incontro abbracciandola e ponendole tantissime domande. Rispose a tutti gentilmente, con un sorriso felice, come se non fosse passato neanche un giorno da quando li aveva visti l'ultima volta, ma per quanto cercasse di non pensarci, continuava a chiedersi dove fosse William e come fosse vestito.

Anche William aveva avuto lo stesso pensiero per lei e non appena uscì dalla sala dove si era preparato, andò a cercarla. Mentre percorreva il corridoio che l'avrebbe condotto alla sala da ballo, sentì delle urla, di voci familiari.
-Smettila! Basta, non ne vale la pena- stava gridando Jackson.
-Non è ancora finita! Ci sei quasi.
-No! Non solo non ci riuscirò, non voglio! In più, tu hai anche meno probabilità di me!
-Ma che dici?! Potrei riuscirci anche senza aiuto.
-Non ce l'hai fatta in tutti questi anni, dubito che ce la farai ora. Ma ti lascio provare, da sola. Io ne ho basta. Non puoi obbligare qualcuno ad amarti.
William si era accostato alla porta, ma appena sentì i passi veloci che si dirigevano verso di essa si allontanò e correndo svoltò nel corridoio vicino.
Si chiese di cosa stessero parlando, ma subito si impose di pensare più tardi e concentrarsi sul ballo. Quando capì che i due fratelli se ne erano andati, riprese a percorrere quel corridoio, finchè non arrivò nella sala da ballo. Lì, però, non c'era traccia di Gemma.
Fece per tornare a cercarla nei corridoi, ma fu fermato da Jackson, che aveva perso ogni traccia della rabbia di prima.
-Pronto per il ballo?-gli chiese questo e lo intrattenne fino all'arrivo di tutti gli ospiti.

Volendo anche parlare a William prima che iniziasse il ballo, Gemma si congedò dai suoi amici per cercarlo, ma prima che si allontanasse di un solo passo, Lilybeth, la principessa artista nonchè migliore amica di Gemma, le si parò davanti con le braccia incrociate.
-Ci vivrai, con William, ora dedica un po' del tuo tempo a me.
-Sì, volevo solo..- non finì la frase, capendo dall'espressione dell'amica che non avrebbe aspettato un secondo. -Non fa niente, com'era Tigerheart mentre non c'ero?
-Terribilmente noiosa. Il tuo gatto, poi, era depresso.
-Billy depresso?!
-Sì! Ha passato la prima settimana a bere latte corretto, era uno straccio. In più quella strega della sorella di James è diventata ancora più appiccicosa, insopportabile.
Gemma scosse la testa, ridacchiando. -Sarà pur successo qualcosa di bello!
-Beh, puoi immaginare, con Frederick e James! Siamo andati al Covo dei Fenicotteri e abbiamo beccato l'incoronazione del loro re! Era magnifico!
Mentre Lilybeth le raccontava le sue avventure, Gemma sentì una fitta di nostalgia. Avrebbe tanto voluto essere lì con lei. Eppure, quando l'amica le chiese di raccontarle di Secreteyes, nei suoi occhi passò una scintilla di entusiasmo che Lilybeth aveva visto poche volte.
-Sono diventata un'investigatrice. -rispose con aria vagamente altezzosa.
-Tu?!- disse l'altra ridendo.
Gemma le raccontò degli occhi dei reali e di tutti i segreti che abitavano nella reggia con loro, ma anche di Trevor e dei passaggi nei corridoi. Quando Lilybeth chiese del segreto di William, però, non rispose. Le disse solamente che non poteva dirlo. Iniziò poi a raccontarle del ragazzo e di tutto ciò che aveva fatto per lei, dove l'aveva portata e quanto era stato gentile.

-Dimmi qualcosa di brutto o non lascerò mai più questo posto!- scherzò Lilybeth, ridendo.

Gemma ci pensò. Le uniche note negative erano Jackson e Lavinia, ma anche se pensava che il primo stesse cambiando, aveva paura che la seconda non avrebbe mai abbassato quel muro di ostilità tra di loro. Raccontò anche quello, ma con meno dettagli possibili.
In quel momento si accorse che se ne erano andati gli altri e tutti si erano riuniti nella sala da ballo. Questa era ormai quasi piena, segno che gli ospiti erano quasi tutti arrivati. A ridosso dei muri più corti c'erano dei grandi tavoli: su uno erano messe tutte le pietanze salate, sull'altro quelle dolci, dov'erano anche le bevande. La sala era molto grande, illuminata da un lampadario che Gemma trovava meraviglioso, pieno di pietruzze trasparenti, probabillmente vetro, che pendevano e sulle quali erano posate tantissime candele. Cercò ancora una volta William con lo sguardo, ma non lo trovò, probabilmente perchè aveva delle persone davanti.
L'attenzione fu attirata dalla madre di William, che battendoci sopra una forchetta aveva fatto tintinnare un bicchiere. Lei stava, con il marito e i genitori di Gemma, davanti al tavolo dei salati. Aveva perso l'espressione ansiosa e si era preparata di tutto punto così che ora sembrava rilassata e pronta ad accogliere gli ospiti con un sorriso gentile. Dopo aver riposto il bicchiere, iniziò a parlare.
-Ora che siete arrivati tutti, o quasi, posso dare inizio a questo ballo. Ma per fare ciò, dovrò chiedere a William e Gemma di incominciare le danze.-un lieve brusio si diffuse per la stanza. C'era chi non sapeva chi fossero, la maggior parte, e chi non sapeva perchè dovessero essere proprio loro. La regina si schiarì la voce, così gli ospiti tacquero. -Ebbene, miei cari ospiti, questo ballo è stato indetto per un motivo preciso. La situazione delle nostre nazioni è in crisi: la guerra ci minaccia. Eppure due giovani, che ricorderemo come eroi, hanno acconsentito a unirsi in matrimonio, per consentire la pace e unire i nostri regni! Il principe Guerriero William di Secreteyes e la principessa Guerriera Gemma di Tigerheart si sposeranno!
Dapprima calò il silenzio, i visi dei re e delle regine tesi e colmi di preoccupazione; subito dopo un mormorio sommesso e sconcertato invase la sala e fece rimpiangere alla madre di William il silenzio di prima. Non era un buon inizio, soprattutto perchè sapeva che molti pensavano che i giovani fossero stati obbligati.
Sia Gemma che William sapevano che il modo migliore per porre fine al mormorio fosse quello di iniziare il ballo. Si fecero largo tra la folla e andarono al centro della stanza, l'uno davanti all'altra.
I due non erano vestiti a caso. Il colore scuro del suo vestito combaciava perfettamente con gli occhi di lui e con dei ricami sulla sua camicia, che era di un colore chiaro, simile al dorato, con altri ricami rossi, come i capelli e gli occhi di lei. Erano così perfetti insieme che tutti quelli che avessero visto uno dei due giovani più tardi, avrebbero pensato che fosse incompleto, senza l'altro. Erano semplicemente perfetti, insieme.
Ma qualcosa nel modo in cui si guardavano e nel fatto che tutta la preoccupazione fosse scomparsa non appena si fossero visti suggeriva a tutti che anche se non avessero avuto proprio quei vestiti sarebbero stati comunque l'uno apposta per l'altra. Ormai erano due metà, incomplete se non insieme.
-Sei bellissima.- disse William con un lieve sorriso.
-Anche tu stai benissimo- rispose lei arrossendo.
-Allora, mi vuoi concedere questo ballo?
-Proprio come la prima volta in cui ci siamo visti.- annuì Gemma.
La musica partì in quel momento. Era dolce, ma non eccessivamente lenta; Gemma non aveva idea da dove provenisse, ma non se ne curò. In quel momento non le interessava altro che il ballo. Con William.
Il ragazzo le mise dolcemente una mano sulla vita e con l'altra prese la mano di Gemma, che intanto posava un braccio sulla sua spalla. Gli occhi erano incatenati in quelli dell'altro, mentre con passi leggeri ballavano e non si curavano di altro. Quasi non ascoltavano nemmeno la musica e per loro fu come se tutti li altri scomparissero. Poco importava chi stesse incominciando a danzare, poco importava chi li guardava o perchè fossero lì. C'erano solo loro due, che si sentivano sempre troppo lontani. Il braccio di lui le avvolse la vita, spingendola ad avvicinarsi e quello di lei gli circondò le spalle fancendo lo stesso, mentre le loro dita si incrociavano e si stringevano sempre di più. Eppure i loro sguardi non si staccarono neanche per un momento e non dissero una parola per tutto il tempo. Si fermarono solo quando finì la musica e tutti applausero. Rimasero ancora qualche secondo così, ma appena sentirono una porta sbattere si lasciarono.
William guardò subito cosa fosse successo e incrociò lo sguardo con Jackson, che gli indicò la porta con la testa, con un messagio implicito. Va a vedere. Gemma lo guardò e annuì, come se desse il consenso, poi tornò da Lilybeth, arrossendo.
William uscì dalla sala e vide Lavinia che percorreva a grandi passi il corridoio, scossa dai singhiozzi. La provò a chiamare, ma invece di girarsi, lei accellerò il passo. La chiamò ancora un po' di volte e quando Lavinia capì che non avrebbe desistito, si girò. Aveva le guance rigate di lacrime, ma nel suo tono di voce c'era anche rabbia.
-Cosa vuoi? Non mi hai già ferito abbastanza?- gli gridò contro.
-Ferito? Non ti ho fatto nulla.-disse lui, calmo.
-Oh, smettila con questa farsa! So che sai il mio segreto.- prese un gran respiro, non sapendo se continuare. -So che sai che sono innamorata di te.
William non rispose, era vero, lo aveva sempre saputo.
-Aveva ragione Jackson. -continuò Lavinia, decisa a raccontare tutto. -Non ti conquisterò mai. Tu la ami. Puoi anche dire ai tuoi occhi di schiarirsi, perchè tutti, tutti lo sanno, ormai.
Si fermò, guardandolo negli occhi, che però non cambiavano.
-Non tutti- replicò lui.
Fu come se una lampadina si fosse accesa negli occhi di lei.
-Non lei. Jackson aveva ragione, è tutto inutile.
-Jackson?
-Sai, cercava di allontanarla da te per mia richiesta. Mi stava facendo un favore.
William dubitava che Jackson facesse qualcosa soltanto perchè sua sorella glielo avesse chiesto, sebbene le volesse molto bene. Lavinia gli aveva probabilmente detto che avrebbe avuto più importanza anche a Tigerheart e si sarebbe divertito a conquistarla. Quei tre motivi erano più che sufficienti.
-Non è solo per lei, non è vero? Sono io- prese una breve pausa -che non vado bene per te.
-Non hai niente di male, anzi, hai tante qualità.. Ma non sei giusta per me, scusa.
William la abbracciò, sapendo che solo così l'avrebbe consolata. La ragazza mise la testa sulla sua spalla. Fu in quel momento che vide una fiigura nascosta vicino al muro del corridoio. Trevor. Doveva aver visto che lui stava uscendo dalla stanza e doveva averlo seguito.
Negli occhi di Trevor stava una tacita domanda a cui William rispose annuendo quasi impercettibilmente. Valle a dire tutto.

Gemma era confusa, davvero confusa. Non capiva più cosa provasse. Si aggirava per la sala rispondendo a domande che non ascoltava nemmeno, quando si trovò davanti Trevor. La condusse fuori dalla sala, ma la portò in un altro corridoio, rispetto a quello in cui era William.
Le spiegò tutto quello che aveva sentito. La fuga di Lavinia, i suoi segreti e quello di Jackson, sospirò, come era solito fare prima di dire qualcosa di importante, rendendola ancora più impaziente.
-Ho sentito anche un segreto di William, anche se non era più un segreto per nessuno. Nessuno, a parte la persona per cui questo segreto era più importante. Tu.
Fece una pausa, analizzando attentamente la ragazza.
-Mio fratello ti ama, Gemma. E' chiaro come il sole.
Passò qualche secondo, poi rispose.
-Ho bisogno d'aria.
Gemma corse verso il balcone poco più in là, aspettandosi che Trevor la seguisse, ma lui si era già dileguato, lasciandola sola con i pensieri.
Non fu sola per molto, infatti, quando sentì dei passi arrivare e si girò, vide William, che le andava incontro quasi correndo.
-Niente più esitazioni.- disse quando fu abbastanza vicino da non dover urlare per essere sentito. -Nè draghi che interrompono.- Le fu finalmente davanti e le prese il viso tra le mani. -Niente di niente.
La baciò dolcemente, stringendola in un abbracciò deciso, che la faceva sentire sicura come mai prima in vita sua. Gemma all'inizio, sorpresa da quel bacio inaspettato non si mosse, ma poi si sciolse e gli avvolse le spalle con le braccia. Stettero lì abrracciati come se avessero una sola anima e un solo cuore. Gli occhi chiusi e le mani fra i capelli.
Quando finalmente si staccarono, lei sorrise e ammise anche lei i suoi sentimenti, riconoscendoli per la prima volta.
-Anche io ti amo.
Sarebbero davvero voluti stare lì tutto il tempo, ma il ballo era fatto apposta per loro. Passarono la serata a parlare con sconosciuti e conosciuti, ma mai fra loro. Si limitavano a guardarsi di sottecchi e a sorridersi, magari prendendosi la mano quando erano vicini.
Gemma aveva trovato il suo amore da Guerriera così facilmente? Le sembrava quasi impossibile.
E infatti lo era.

 

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Capitolo 21
*** La strategia dei Guerrieri ***


 

Come il coraggio della tigre e come la profondità dei segreti.
Capitolo 21: La strategia dei Guerrieri


 

Erano stati giorni felici.
Gemma si sentiva come se avesse finalmente trovato il suo posto nel mondo ed era così felice! Sperava ogni singolo momento che era con William che l'amore per lei non sarebbe stato impedito da nulla, a differenza di come spesso succedeva ai Guerrieri. L'unica cosa di cui aveva davvero paura era che il loro amore sarebbe finito e che si sarebbero odiati, ma ogni volta che lo vedeva, ogni volta che era con lui si sentiva una stupida anche solo ad averlo pensato. Pensava di essere davvero fortunata, dopotutto si sarebbe sposata con il ragazzo che amava, portando pace al regno.
Dopo il ballo, tutti gli ospiti erano partiti, tranne i Guerrieri, i principi e le principesse di Tigerheart, che erano rimasti lì con lei finchè non si fosse deciso il giorno per il matrimonio e si fossero definiti i dettagli su come avrebbero governato, ma Gemma aveva deciso di lasciare che fossero i loro genitori a pensarci e di passare quei giorni con William e con i suoi amici. Furono giorni felici, davvero felici. I ragazzi giravano con una spensierata allegria che si era sentita poche volte.
I loro genitori, però, non erano così spensierati. Avevano percepito la tensione dei Guerrieri degli altri regni e all'inizio avevano pensato che fosse solo stupore. Ma poi la faccenda era sembrata strana: già durante il ballo avevano iniziato a sembrare in qualche modo indispettiti e leggermente arrabbiati con i sovrani di Tigerheart e Secreteyes, iniziando poi a parlottare fra di loro. In più non avevano detto una parola, nè a favore nè contro, riguardo al matrimonio. Insomma, i Guerreri avevano paura. Temevano di non avere l'appoggio sperato e si aspettavano il peggio, ma dopo il ballo erano determinati a non disfare l'alleanza. Non dopo aver visto i figli così felici, ma neanche il loro amore riusciva a farli dormire la notte, che passavano cercando una strategia che non trovavano e sperando in un'approvazione che non sarebbe mai arrivata.

Gemma era nel grande giardino con Lilybeth, Lindsay e Mag, quando arrivò un messaggero. Era sceso dal suo drago, che non portava alcuno stendardo e si era posto tutto impettito davanti all'entrata della reggia.
La ragazza, incuriosita, era corsa a vedere di cosa si trattasse, ma quando stava per arrivare, un domestico aveva aperto la porta e aveva preso il messaggio, mentre lo straniero era ripartito, veloce com'era arrivato. Gemma era riuscita a vedere solo che il messaggio portava il timbro di ben tre regni, che non aveva, però, riconosciuto, essendo troppo lontana. Pensava fosse un messaggio di congratulazioni, in cui magari chiedevano informazioni sul matrimonio, ma non capiva allora perchè il messaggero se ne fosse andato così alla svelta. Più ci pensava più non se ne capacitava.
Decise di andare da William, che magari era stato informato dai suoi genitori, ma quando lo trovò in biblioteca, immerso a leggere un libro, capì che non era così. Gli raccontò cos'aveva visto e un'espressione di curiosità e timore si fece strada sul viso del ragazzo.
Corsero, mano nella mano, dai loro genitori, che erano nella sala apposita per decisioni politiche. Quando entrarono c'era un silenzio di tomba. Erano lì tutti e quattro, intenti a guardare fuori dalla finestra o il pavimento, con lo sguardo vuoto e nemmeno quando i loro figli entrarono si ridestarono da quella specie di dormiveglia. Il messaggio era tenuto dalla madre di William, che non lo stava più leggendo. Il ragazzo lo prese, senza che nessuno dicesse una parola, e lo lesse con Gemma a fianco.

Stimatissimi Regnanti di Secreteyes e Tigerheart,
dopo la sconcertante rivelazione di cui ci avete informato all'ultimo ballo, siamo giunti a una conclusione oltremodo difficile e triste: dichiariamo guerra.
Riteniamo oltremodo oltraggioso che dei giovani di stirpe reale siano obbligati a sposarsi perchè i genitori sono così disperati da crederlo l'unico modo per garantire la pace al proprio popolo. Ci credete sciocchi, se pensate che non ci saremmo accorti di quanto la loro unione sia forzata ed è un'offesa a noi e a loro il modo in cui li avete fatti recitare per convincerci. Ma vi diciamo, cari regnanti, che i vostri figli non sono attori. Sono Guerrieri che per vostro capriccio avrebbero subìto un matrimonio infelice, per la loro patria. Ma presto potranno fare ciò per cui sono nati. Combattere. Per quanto il loro comportamento sia stato motivo di stima e prova di generosità e lealtà, il vostro è stato deplorevole. Pertanto, dato che la nostra società è moderna e non accetta tali barbarie, dobbiamo dichiarare guerra, per salvaguardare la libertà.
Per quanto spiacevoli siano queste notizie, la nostra decisione è irrevocabile e offriamo la possibilità solo e soltanto ai due giovani di allearsi con noi.
I regnanti di Foxiness, Doerate e Mountainsky.

 

In un impeto di rabbia, William accartocciò il foglio e lo scagliò dall'altra parte della stanza. Per un attimo a Gemma mancò il fiato, le sembrò di aver perso tutto, come se ormai la sua vita non avesse alcun senso.
Tutto è perduto. Vincere è impossibile! Pensò con le lacrime che le solleticavano gli occhi. Serrò la mascella, ritrovando un po' della determinazione che aveva sempre avuto. Non c'era tempo di lamentarsi. Niente è impossibile.
Velocemente raggiunse una scrivania a lato della stanza e iniziò a frugare nei cassetti, non curandosi di quanto fossero privati i documenti fra cui frugava. Trovò una grande cartina e la pose sul tavolo tondo al centro della stanza, fatto apposta per programmare strategie. Gli sguardi vuoti che la circondavano si rianimarono un pochino, capendo di dover far qualcosa. William le lanciò un pennarello rosso, mentre se ne prendeva uno blu per sè.
-Noi siamo qui.- disse Gemma indicando una zona al centro-sud della cartina. I genitori si avvicinarono, circondando il tavolo. -Al confine Nord di Secreteyes ci sono i Bruti, che si uniranno il prima possibile alla guerra e probabilmente si uniranno a Foxiness, che sicuramente sarà il centro delle strategie, probabilmente sono loro ad aver avuto quest'idea. E sono qui, al confine Nord di Tigerheart.- disse segnando una x rossa sul territorio dei bruti e di Foxiness.
-Pensavo che fossero nostri alleati..- commentò con voce flebile la Regina Guerriera di Tigerheart. Tutti pensavano che fossero alleati, lo erano da centinaia di anni! Ma non conviene fidarsi delle volpi.
-La sete di potere non risparmia nessuno, mamma. Sono sempre stati avidi e hanno colto l'occasione.- sospirò, prima di ricominciare a parlare. -Il regno di Doerate copre tutto il confine Ovest di Secreteyes. E' un territorio piuttosto piccolo, quindi non dovrebbe essere un grande problema. Mentre Mountainsky confina con Tigerheart solo poco Nord, poichè circonda a Nord e Est Foxiness. Probabilmente le Volpi si appoggeranno alla loro forza militare e la maggior parte degli uomini di Mountainsky usciranno dal proprio regno per la guerra.- concluse, segnando di rosso anche gli ultimi due regni.
William tolse il tappo al proprio pennarello e fece una x su Secreteyes e Tigerheart. Poi iniziò a parlare. -Anche noi abbiamo bisogno di alleati, però. Sia Secreteyes che Tigerheart confinano a sud con Oceanshark, che è già un regno molto vasto e non dovrebbe aspirare ad altro territorio. Un problema è proprio che per l'ampiezza del loro regno hanno alcuni problemi di controllo, quindi, anche se decideranno di aiutarci, non possiamo affidarci solo sulla loro forza. A Est di Tigerheart c'è poi Wiseturtle: è un regno pacifico, ma se inviamo un messaggio c'è la possibilità che decida di aiutarci inviando armi o attrezzatura e non lasciando passare soldati di Mountainsky.
-La nostra migliore speranza è Hawkvengeance, che confina a Sud e Ovest con Mountainsky. Sono una grande forza militare e i loro Guerrieri credono profondamente nella giustizia ed erano al ballo. Capiranno che il loro amore è vero.- intervenne il padre di Gemma, che aveva negli occhi tutta la determinazione che la ragazza aveva ereditato. Gli altri sovrani annuivano, i loro cervelli messi in moto e attenti.
-In questo modo, se attaccassero Mountainsky, le sue forze sarebbero costrette a tornare nel regno e Foxiness non avrebbe più il loro appoggio.- commentò il padre di William, mentre la strategia stava prendendo forma.
-I Guerrieri di Foxiness sono avidi, sì, ma sono anche codardi e per quanto le loro strategie siano vincenti, sono accecati dalla codardia e dalla consapevolezza di non avere un gran numero di soldati ben allenati. Se iniziano a vedere che il loro principale alleato ha dei problemi, si ritireranno. - disse ora la madre di Gemma, che avendo vissuto la prima parte della sua vita a nord di Tigerheart conosceva meglio degli altri Foxiness. -Ma dobbiamo mandare subito una lettera a Hawkvengeance, le Volpi staranno per mandare un messaggio, se non l'hanno già fatto e tutti sappiamo che potrebbero mettere le cose come se avessero ragione loro.-
Tutti annuirono e ci fu una breve pausa, interrotta dalla madre di William.
-Se davvero, come ha detto Gemma, le principali menti dei nostri avversari si trovano lì, e sappiamo che è così, una volta ritirati loro, anche gli altri rinunceranno.
-In conclusione, ce la possiamo fare. -disse William guardando Gemma con un sorriso 
-Ce la possiamo fare.- ripetè lei, annuendo. Ci credeva davvero. Credeva davvero di avere un futuro con William e lo poteva vedere davanti a sè che l'aspettava, eppure, per ora, era solo una lieve speranza, offuscata da quella guerra incombente. Ma, se è vero che la speranza è l'ultima a morire, quel futuro poteva essere più possibile di quanto pensasse.

 

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Capitolo 22
*** Lontani e vicini. ***


 
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Come il coraggio della tigre e come la profondità dei segreti.

Capitolo 22. Lontani e vicini.

Anche se siamo già a un addio,
io aspetterò il tuo ritorno
e sarà la poesia della tua anima,
lasciata nel mio cuore,
ad accompagnare la tua attesa.
-Antonio Cuomo
 

 

Mano per mano, William e Gemma stavano percorrendo i lunghi corridoi della reggia, pensierosi e silenziosi. Erano ancora scossi e temevano la risposta degli alleati.
-Pensi che andrà tutto secondo i piani?- chiese Gemma ad un certo punto. Il ragazzo scosse la testa, sospirando.
-Se c'è una cosa che ho imparato della vita è che nulla va secondo i piani. Speriamo solo di trovare le soluzioni giuste ai problemi che dovremo affrontare.
Si fermarono in un balcone e si sedettero sulle sedie che erano lì, con il sole che li illuminava.
-Penso che sia tutta una bugia questa cosa del 'non sono innamorati'. Oltre a non essere vero non sarebbe comunque una cosa da scatenare una guerra, soprattutto visto che combatteranno con i bruti, che fanno sicuramente di peggio.- continuò Gemma una volta seduta.
-Vogliono solo più potere e prima o poi si distruggeranno per questo. Speriamo che lo facciano prima di distruggere noi.
Erano tutte speranze, speranze incerte e improbabili, ma in quel momento era l'unica cosa che avevano.

Nel corridoio passò di corsa un folletto che gridava a squarciagola "Riunione! Tutti nella sala da ballo! Ora!"
I due ragazzi si avviarono, in fretta e di nuovo in silenzio, i loro genitori probabilmente avrebbero annunciato la guerra.
Così fu. Riuniti tutti gli abitanti della reggia, fu data la notizia, accolta da mormorii e qualche pianto, nella sorpresa più totale. Fu letta la lettera e spiegata la strategia, mentre tutti ascoltavano attentamente e annuivano, trovandosi in accordo con ogni mossa, ma non avendo nulla da suggerire.
-Non staremo tutti a difendere Secreteyes.- disse il padre di William. -Per dimostrare quanto sia sbagliato il motivo della guerra, dovremo essere uniti come se fossimo un popolo solo, cosa che saremo, spero. La metà dei nostri soldati andranno a Tigerheart e la metà dei loro verranno qui. E così anche per i Principi e le Principesse, che sono state addestrate in ogni caso.-
Gemma sapeva che si sarebbe dovuta separare da William, ma pensare che i suoi amici, così abituati alla loro casa e che non avevano mai visto una guerra, sarebbero dovuti andare in quel luogo per loro sconosciuto e combattere la preoccupava moltissimo. William le strinse più forte la mano, come se avesse capito ciò che pensava. Lui li proteggerà pensò, rassicurandosi un pochino.

I reali che dovevano andare a Tigerheart sarebbero dovuti partire subito. Dissero chi doveva andare e chi no, e nel silenzio più totale tutti andarono a prepararsi. Per fortuna sia Frederick che Lilybeth sarebbero tornati a casa, mentre James sarebbe dovuto stare lì, facendo cambio con Jackson, che sarebbe andato a Tigerheart. Gemma avrebbe tanto voluto avere al suo fianco James, che per lei era come un fratello, e invece si ritrovava quello sbruffone patentato. Naturalmente Principe e Principessa Guerrieri dovevano stare nel proprio regno, ma Gemma non se la sentiva di salutare William. Preparò le valigie in fretta e silenzio e uscì dal palazzo per raggiungere il grande drago.
Fu raggiunta da Trevor, che sarebbe rimasto a Secreteyes, che le corse incontro e la abbracciò. Lei lo abbracciò a sua volta, con un sorriso malinconico sulle labbra.
-Prenditi cura di lui, ometto.- gli disse in un sussurro.
-Lo farò, compagna di segreti.- rispose stringendola ancora.
Quando finalmente si sciolsero dall'abbraccio Gemma gli diede un bacio sulla fronte, scostando i riccioli che c'erano sopra.
-A dopo la guerra, compagno di segreti.

Louise, il drago Maxi di Tigerheart, stava aspettando con la sua espressione estremamente calma e sorrideva. Appena vide Gemma sorrise ancora di più, e guardò il draghetto che teneva in mano.
-Alla fine ce l'hai fatta- disse. -Ciao piccolina, io sono Louise- continuò poi, rivolto alla draghetta.
-Shaaaron- rispose quella, fermandosi sulla 'a' un po' troppo tempo. L'altro ridacchiò, scuotendo la testa.
Iniziavano ad arrivare tutti gli altri e Gemma sapeva che sarebbe arrivato anche William. Era combattuta, da una parte non voleva salutarlo, non voleva piangere come probabilmente sarebbe successo, non voleva sembrare debole alle porte di una guerra e non voleva dirgli addio. Se lo avesse detto, avrebbe accettato la probabilità di non vederlo più e quella possibilità la spaventava. Dall'altra, però, bramava un suo abbraccio, un suo ultimo bacio, voleva anche solo vederlo ancora. Si sentiva senza aria. Sentiva un vuoto anche solo mentre stava per partire, che non riusciva a sostenere.

Jackson doveva andare a Tigerheart. Non si era mai separato dalla sorella e ciò spaventava entrambi. Aveva cercato Lavinia dappertutto, per salutarla prima di partire, ma non l'aveva trovata. Non poteva partire, non senza averla vista prima, così si fermò a pensare a dove poteva essersi cacciata.
Ripartì, doveva essere nel balcone degli aquiloni, non c'era altro posto. Percorse i corridoi di fretta e furia, finchè non arrivò a quel balcone, che per gli altri non aveva alcun significato, ma per loro sì.
Erano solo bambini quando il padre aveva preso loro quegli splendidi aquiloni, che Jackson ancora conservava. Erano entrambi a forma di drago, rossi come il fuoco, che contrastavano con il cielo azzurro di quella mattina. A Lavinia piacevano tantissimo, gli aveva confessato che le facevano pensare alla libertà.
-Sono là, in alto, superiori ai giudizi altrui e liberi, ma comunque legati alle persone che rendono felici.- disse entusiasta, perdendo, però, il sorriso poco dopo -A differenza mia.
-Che dici, sorellina? Anche noi lo siamo!- aveva commentato, anche se sapeva a cosa si riferiva.
-No che non lo siamo, io non lo sono. Devo essere il massimo perchè sono una principessa, ma non sarò mai considerata tale per i miei stupidi occhi!- esclamò, le lacrime agli occhi.
-Per me lo sei, Lavinia. Chissenefrega il resto.- rispose Jackson, abbracciandola e facendola ricominciare a sorridere.
-Chi arriva prima all'albero!- gridò, così iniziarono a correre.
Ritornarono alla reggia qualche ora dopo, con gli aquiloni in mano. Lavinia si fermò all'improvviso, correndo verso un piccolo balcone lì vicino.
-Un'ultima volta ti preeeego- disse al fratello, lasciando che l'aquilone volasse nel cielo. Jackson la raggiunse, ridacchiando.
Una folata di vento improvvisa portò via l'aquilone dalle mani di Lavinia, che già in preda al panico saltò per riprenderlo. Velocemente, il fratello la precedette, essendo più alto di lei, e prese il filo, ridandolo alla sorella.
-Grazie! Se non ci fossi stato tu l'avrei perso..- disse abbracciandolo.
-Io sarò sempre qui, Lavvie.
-Giurin giurello?
-Giurin giurello.
Si strinsero i mignoli, per sigillare quella promessa.

Una promessa che stava per essere infranta.
Jackson arrivò al balcone e ci trovò la sorella, come pensava. Lavinia era in lacrime, con le mani che le coprivano gli occhi e il petto travolto dai singhiozzi.
-Non puoi andartene!- gridò, mentre lui l''aveva raggiunta e l'aveva abbracciata.
-Devo, lo sai.- disse iniziando ad accarezzarle i capelli.
-Ma avevi promesso..
-Sarò sempre qui, in qualche modo. Capito? Sarò comunque vicino a te, almeno un po', sempre. Va bene? Non piangere Lavvie. -le disse dolcemente, mentre la ragazza si calmava un pochino.
-Ci rivedremo presto.- gli disse, ritrovando la forza che la aveva sempre contraddistinta. Perchè Lavinia era forte. Poteva essere cattiva e manipolatrice, ma lei non era nata così, lo era diventata. E nessuno meglio di Jackson sapeva cosa aveva dovuto passare. Tutti quegli anni passati a dover essere sempre la migliore in tutto per poter esser considerata una principessa, sempre guardata come se fosse sbagliata, come se fosse colpa sua il tradimento di sua madre. Aveva sempre avuto Jackson, solo lui. L'unica volta che si era affezionata a qualcun altro, se ne era innamorata, ma per William non era mai stato così. E ora il fratello stava per partire e Lavinia non sapeva per cosa avrebbe dovuto combattere. Forse per un regno in cui non era mai stata la benvenuta?
-Combatti per me.- disse Jackson, come se le avesse letto nel pensiero, ma era sempre così. Loro si capivano senza bisogno di parole.
-Lo farò.

-Gemma!- la chiamò con la sua inconfondibile voce William, proprio mentre lei saliva sul drago. Si girò e lo raggiunse.
-Allora.. Questo è un addio.- chiese la ragazza, con voce smorzata.
-No, Gemma, no di sicuro. E' solamente un "a presto"- le rispose, togliendole una lacrima che le bagnava una guancia. -Ci rivedremo ancora, ne sono sicuro.
-E' una promessa?
William le sorrise e annuì. -Come al solito.
La ragazza si buttò fra le sue braccia in un abbraccio quasi violento, mentre lui la stringeva come se non la volesse più lasciare. E forse era così.
Fu richiamata dai genitori, ma il ragazzo la fermò ancora una volta.
-Tieni.- disse, porgendole il suo ciondolo di Secreteyes. -Non c'è bisogno che lo tenga io, sanno tutti di dove sono e.. -sospirò, guardandola negli occhi. -Volevo che tu avessi qualcosa di mio, per ricordarmi.
Gemma lo guardò mentre le metteva la collanina, con il cuore che battiva all'impazzata come faceva solo quando erano vicini. Si tolse la sua e la porse al ragazzo.
-E allora anche io non ne ho bisogno. Io non... Non mi dimenticherò mai di te. Qualsiasi cosa accada. Will.. Grazie. Per quante cose ci siano successe o succederanno, sei stato la cosa più bella che mi sia capitata e mai capiterà.-
William era sorpreso. Sia per quel Will, che solamente i suoi genitori usavano, sia per come Gemma aveva detto quelle cose. Lei non aveva mai parlato così esplicitamente di cosa provava, se non al loro primo bacio. Sorrise, togliendole una lacrima con una carezza.
-Grazie a te, Gemma. Non so come faccio a meritarti. Sei così.. Speciale, speciale per me. Io.. Ti amo. Non so cosa altro dirti perchè tutto quello che provo è ormai concentrato in due singole parole. Ti amo.Non ti dimenticherò mai.
In un ultimo straziante bacio che sapeva di tristezza e amore si dissero quell'addio che non avevano voluto dirsi a parole.
Il drago partì poco dopo, mentre le lacrime di Gemma ancora scorrevano silenziose sul suo volto.


Angolo dell'autrice
Ciao a tutti! Sono tornata (dopo troppo tempo, purtroppo)
Su consiglio, ho fatto la cartina geografica dei territori della storia. Ovviamente non è molto bella, infatti l'ho fatta su paint che hai suoi limiti (e io i miei come disegnatrice). Comunque è giusta e magari vi farà capire un po' meglio. Le x sono quelle segnate da Gemma e William, anche se la loro cartina era più bella ;)
Beh, grazie a tutti voi lettori, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
StellaDelMattino

 

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Capitolo 23
*** Gli accampamenti ***


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Come il coraggio della tigre e come la profondità dei segreti.

Capitolo 23. Gli accampamenti

Vale la pena di lottare
solo per le cose senza le quali
non vale la pena di vivere.
-Ernesto Che Guevara 

 

 

Le risposte degli alleati furono tutte positive.
La guerra stava per cominciare ed erano stati posti accampamenti lungo tutto il confine con le terre nemiche. Uno di questi accampamenti era completamente gestito da Gemma, che stava aspettando l'arrivo di nuovi soldati.
Si era chiusa nel suo guscio, da quando era partita. Parlava poco e stava la maggior parte del tempo nella sua tenda, a guardare la cartina dei Regni, in cerca di una mogliore strategia.
Jackson era stato assegnato al suo accampamento, per grande "gioia" di Gemma, ma anche lui se stava da solo per la maggior parte del tempo.
C'era grande tensione nell'accampamento ancora in costruzione, aveva tutti paura di quella guerra così vicina. E facevano bene.
"Principessa, sono arrivati i soldati." disse qualcuno da fuori la tenda di Gemma. "Anche quelli di Hawkvengeance."
"Va bene, fai venire qua il comandante dei Falchi, io vado a chiamare Jackson." ordinò.
La ragazza uscì dalla tenda e andò a quella vicina, dove stava il principe di Secreteyes, gli riportò ciò che le era stato detto e tornarono da lei, in attesa del comandante.
In ogni accampamento stavano tre truppe, ognuna di un regno, gestite da un comandante. I tre comandanti davano ordini alla propria truppa, ma quando c'era da prende una decisione importante, era compito del comandante capo, in questo caso Gemma.
Poco dopo entrò una ragazza con lunghi capelli scuri, pressappoco della loro età, che fece loro cenno con il capo come segno di saluto.
Perfetto, uno tra i più importanti accampamenti gestito da adolescenti che non hanno mai visto una guerra, fu ciò che pensarono tutti e tre. In effetti, non era il massimo.
"Sono Christine, comandante della truppa di Hawkvengeance. Sto parlando con i comandanti di Tigerheart e Secreteyes?" chiese, nella lieve speranza che non fossero loro.
Gemma annuì, risoluta. "Grado?"
"Nobile di primo grado."
"Dove sono i Guerrieri di Hawkvengeance?"
"In patria. Dirigeranno l'attacco a Mountainsky."
"Anche il principe?"
"No, penso sia stato mandato a Secreteyes."
Passò qualche minuto di assoluto silenzio.
Gemma non capiva. Perchè avevano mandato una ragazza? In un accampamento doveva esserci qualcuno di esperto e lì erano solo... adolescenti piuttosto spaventati. In più, non era neanche una principessa. La situazione era così disperata?
Pazienza, avrebbe fatto a meno di un esperto. Si era preparata tutta la vita per combattere, era una Guerriera, dopotutto. Era nata per quello e fino a poco tempo prima desiderava che tutto ciò accadesse.

Christine la guardava. Quella ragazza dai capelli rossi poteva vincere la battaglia. Dipendeva tutto da lei, per quanto non se ne rendesse conto. Neanche lei se lo spiegava, ma lo sapeva e basta. Gemma aveva il potere di vincere o perdere la guerra. Era per quello che Christine era lì. Essere sicura che non facesse la scelta sbagliata. L'avrebbe dovuta toccare al momento giusto, pensò sistemandosi i guanti.
"Perchè ti hanno mandato qui?" chiese Jackson, parlando per la prima volta. Gli occhi verde scuro di Christine si posarono su di lui, analizzandolo. Sperava che non sarebbero stati così diretti, sapeva di non poter dire la verità. Non subito, almeno.
"Mi hanno semplicemente mandato qui. Sono brava con le strategie" rispose scrollando le spalle. "Se siete d'accordo, dovrei sistemare alcune cose." Così uscì velocemente.
Gemma guardò Jackson perplessa, la risposta della ragazza non l'aveva convinta. Non si fidava.
"Che ne pensi?" chiese al ragazzo.
"Mh, carina. Ha un bel fisico." commentò scrollando le spalle.
Gemma sbuffò. "Sei sempre il solito!" disse, ma non riuscì a trattenere un sorriso, il primo da quando era partita.

William, invece, era stato mandato all'accampamento al confine con i Bruti. Da una parte era contento di combattere con loro, che erano i suoi più grandi nemici, dall'altra la consapevolezza di essere così vicino a dove era morto Jasper gli faceva rivivere quei momenti e ciò lo rendeva triste. Chissà cosa sarebbe successo se quel giorno non fossero andati a guardare i Bruti... ma lo avevano fatto. Era inutile rimuginarci sopra.
Con lui c'era Gabriel Whitelaw, figlio di un Lord di Secreteyes. Si conoscevano fin da piccoli e la sua presenza lo aveva confortato un po'.
In più c'era Lord Ermis, un importante lord di Tigerheart. Aveva sui cinquant'anni, che non sembrava particolarmente sveglio, ma sicuramente lo era più del figlio, che gli faceva da secondo, e sembrava davvero stupido.
Lord Ermis, però, aveva esperienza e aveva raccontato agli altri due comandanti alcuni episodi che l'avrebbero potuto aiutare.
Sospirò. La guerra si avvicinava sempre di più e niente era certo.

Lavinia, invece, era in un accampamento al confine con Doerate.
Si era davvero stupita che le avessero dato il comando di quell'accampamento, ma era determinata a fare il meglio che riusciva, per provare quanto valeva.
Quando era dovuta partire era davvero spaventata. Pensava di esser stata mandata lì senza nessuno di quelli che conosceva e anche se aveva scoperto di avere come secondo Mag, ma non le era mai stata tanto sua amica. Beh, in realtà non era mai stata amica di nessuno. Aveva solo Jackson, solo lui.
Si passò le mani sugli occhi, per distorgliere i pensieri. Meno ci pensava meglio era. Il comandante di Tigerheart, un certo James, un principe amico di Gemma, entrò nella sua tenda.
"E' arrivata la truppa di Oceanshark." disse con un sorriso. Lavinia sbuffò e gli fece segno di entrare.
Dopo James, entrò anche un ragazzo, probabilmente di qualche anno più grande di loro, molto alto.
"Sono Axel, Principe Guerriero di Oceanshark." disse con un sorriso che metteva in risalto i denti bianchissimi.
Il Guerriero qui?!
Era bello, Lavinia lo doveva proprio dire. I capelli ricci piuttosto corti di un nero così intenso da sembrare blu, gli occhi dello stesso colore penetranti come non ne aveva mai visti, che erano risaltati dalla sua carnagione abbronzata.
Lavinia e James si presentarono, cortesemente.
"Tu sei il nostro capo?" chiese a Lavinia, con un po' di sarcasmo. Camminava per la tenda come se fosse la sua, fermandosi poi per guardare la cartina. La guardò solo quando si accorse che non aveva risposto, alzando le sopracciglia e fissandola.
"Problemi?" disse lei, acida. La mascella contratta in un moto di fastidio.
Non era per niente brava a rapportarsi con le persone, tanto meno se erano scortesi.
Axel sorrise, con un'espressione indecifrabile, poi riportò il suo sguardo sulla cartina.
Lavinia e James lo osservavano, era il primo abitante di Oceanshark con cui parlavano, neanche ai balli avevano mai conosciuto qualcuno di lì, semplicemente perchè erano timidi. Si scambiarono uno sguardo interdetto, poi la ragazza perse la pazienza e lo cacciò.
"Sarai stanco" disse con finta gentilezza. "Vattene."
Axel sorrise e obbedì e così fece anche James.
Lavinia sospirò. La guerra era troppo vicina per lamentarsi di avere un Guerriero nell'accampamento.

Gemma ricevette una lettera dai genitori la sera stessa. Sperava che in quella fosse annunciata la pace, ma sapeva bene che non era così.
La mattina successiva Gemma avrebbe dovuto incontrare il Re Guerriero di Foxiness, che risiedeva nell'accampamento parallelo al suo, dall'altra parte del confine.
Questo poteva voler dire soltanto una cosa: il giorno dopo avrebbe dovuto combattere la sua prima battaglia.


*angolo dell'autrice*
Ciao a tutti!
Questo capitolo introduce la divisione degli accampamenti. Beh, vi dico subito che questa parte della storia avrà come protagonisti non solo Gemma e William, ma anche altri che prima erano solo secondari.
Nuovi personaggi! (ancora o.o) lo so, lo so, dovrei smetterla. Ma Christine? Siete un po' curiosi? E' brava o cattiva? Ma cosa sa fare con un tocco? E Axel? Beh, continuate a leggere e lo saprete ;). Vi ricordate Lord Ermis? Probabilmente no (anche io sono andata a riguardare il nome) Beh, è il padre di quello che voleva sposare Gemma!! Non sarà importantissimo nella storia, ma ogni tanto farà la sua comparsa.
Uhm, che altro? Oh, ecco: purtroppo non sarò velocissima con la pubblicazione dei capitoli, mi ci vorranno una o due settimane. Da una parte è perché sono impegnata a scrivere "The key of my heart", un'altra mia storia che sto risistemando e riscrivendo completamente, dall'altra perchè voglio decidere che strada prenderà questa storia da subito. Per ingannare l'attesa (?) potete passare dalla mia pagina facebook, su cui pubblicherò qualche anticipazione o un possibile aspetto dei personaggi:
https://www.facebook.com/StellaDelMattinoEFP  :) Spero che aspetterete gli altri capitoli ;)
StellaDelMattino


 

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Capitolo 24
*** La prima battaglia ***


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Capitolo 24
La prima battaglia.

Il vero rivoluzionario è guidato
da grandi sentimenti d'amore
-Ernesto Che Guevara


I genitori di Gemma arrivarono la mattina presto.

Loro erano nell'accampamento vicino, che era quello principale nel confine con Foxiness, e gestivano le più importanti azioni di guerra.
Quella notte, Gemma non aveva chiuso un occhio. Era troppo agitata, sapendo che il giorno dopo avrebbe dovuto incontrare i Guerrieri di Foxiness e la guerra sarebbe davvero iniziata. Aveva scritto una lettera a William, in cui gli annunciava l'imminente incontro. Il resto del tempo, invece, l'aveva passato a giocherellare con il ciondolo di Secreteyes e cercare di dormire, invano.
All'alba si alzò, non ne poteva più.
Prese l'armatura e se la mise. Andò davanti ad uno specchio e si guardò. Le avevano regalato quella armatura per il compleanno e lei l'aveva subito voluta provare. Era dello stesso arancione dei cuoi occhi, di un metallo spesso ma allo stesso tempo leggero che le stava alla perfezione. Sorrise, leggermente.
Finalmente il suo riflesso rispecchiava anche ciò che era. Una Guerriera.
Eppure, non era più come la prima volta che l'aveva provata, ora non era più così impaziente di combattere. Ora aveva qualcosa da perdere.
Possibile che una persona la potesse cambiare così?
Aveva così paura! Non temeva di perdere la sua vita. Temeva di perdere la sua vita con William. Se lui fosse morto... se lui fosse morto lei sarebbe morta con lui, lo sapeva.
Ma lui non morirà, si disse, per convincersi. Noi non moriremo.
Uscì dalla sua tenda e andò a vedere il sole che ormai era sorto quasi del tutto. Sentì un rumore di ali che sbattevano e vide i suoi genitori sui loro draghi, che atterrarono vicino a lei. Li salutò con un abbraccio e andò a chiamare gli altri comandanti.
Jackson uscì dalla sua tenda subito, con i capelli arruffati e un'espressione assonnata, con due profonde occhiaie: probabilmente non aveva dormito neanche lui. Aveva l'armatura blu scura sistemata male, storta, cosa che Christine, che invece era assolutamente impeccabile e aveva un aspetto sereno e freddo, notò subito. Gli lanciò un'occhiata agghiacciante e gli fece segnò di aggiustarla.
Il ragazzo fece finta di non capire, con il suo solito sorrisetto sghembo, così che lei gliela sistemò, sbuffando.
-Ci dispiace, Gemma, di coinvolgere anche il tuo accampamento.- disse suo padre, sorridendole dolcemente. -Ma il vostro accampamento è quasi parallelo a quello del re Guerriero di Foxiness. In più, penso che dovresti partecipare all'incontro.
Gemma sorrise, comprensiva. Lei stessa voleva esserci.
La regina guardò gli altri due comandanti e quando il suo sguardo si posò su Christine, rimase stupita.
-I sovrani di Hawkvengeance avevano annunciato che avrebbero mandato un esperto di guerra.- disse guardandola, sospettosa.
-So che la mia giovane età può confondere, ma sono stata addestrata e mandata ai confini. Sono diventata una stratega e ho combattuto con nemici molto peggiori di questi. Ho combattuto gli sperduti.- ribattè lei, col suo solito tono freddo.
La regina sembrò addiritura più stupita di prima. La guardò ancora qualche secondo, annuendo e mormorando 'gli sperduti'.
Ai confini con Hawkvengeance c'erano le Foreste Sperdute, dove stavano, appunto, gli sperduti. Erano creature fatate, uguali in aspetto alle persone normali, se non per la carnagione quasi trasparente, come fossero fatti di vetro, e gli occhi molto più grandi. Erano esseri subdoli, che uccidevano senza alcun motivo, agili e veloci come il vento. Il regno di Christine era in lotta con loro da sempre e i giovani che volevano intraprendere una carriera militare, dopo l'addestramento, andavano ai confini.
Un po' come succedeva a Doerate, che confinava con le Montagne degli Eco, che ospitava gli urlatori, che erano creature ancora peggiori, se possibile.
Si diceva che fossero degli uomini che uscivano dagli alberi e che con le loro urla uccidessero le prede, ma nessuno nè di Secreteyes nè di Tigerheart ne aveva visto uno e sperava di non vederlo mai.
Christine doveva essere davvero molto brava se era stata mandata ai confini così giovane, pensò Gemma. Dato per la pericolosità degli sperduti solitamente mandavano solo chi aveva già una certa esperienza.
-Se volete, voi due potete stare qui.- disse impassibile il re.
Jackson scosse la testa.
-No, signore, noi seguiamo il nostro capo- disse convinto.
Christine lo guardò con un sopracciglio alzato, scrollando le spalle, poi annuì decisa. -Vale la stessa cosa per me.

Quando atterrarono al confine, ancora non c'era nessuno. Probabilmente erano in anticipo, ma Gemma sentì l'ansia salire smisuratamente.
Perché non era ancora lì?
Il re Guerriero arrivò proprio in quel momento, sul suo drago, seguito da altre quattro persone, una delle quali era probabilmente la regina. Atterrò e si diresse a passo spedito verso il re, stringendogli la mano con un sorriso.
Sembrava davvero una volpe, con i suoi piccoli occhi scuri e il viso allungato, con i capelli bianchi con una strana sfumatura rossiccia e la barbetta dello stesso colore. Era piuttosto magro e basso, ma era sicuramente agile e i suoi movimenti erano leggeri. Una volpe.
Nessuno parlò, non c'era niente da dire che non fosse già ovvio. Quello era soltanto un piccolo convenevole, un'usanza che serviva per decretare ufficialmente la guerra.
La Volpe si diresse poi verso Gemma, guardandola con uno sguardo quasi famelico e un sorriso che le metteva i brividi.
"Cara, cara Gemma." disse squadrandola. "Sei disposta a combattere e magari morire per qualcuno che ti ha ingannata?"
La ragazza non rispose, ma portò istintivamente la mano al ciondolo di Secreteyes, per trovare conforto.
"Sì, proprio lui." rispose fraintendendo.
"William non mi ha ingannato e lo sapete benissimo." disse acida, ma il re non demorse.
"Oh sì, invece. Ti ha raggirata. Credo fermamente nel tuo amore, cara Gemma, ma non ho creduto neanche per un secondo nel suo. Si vedeva da come ti guardava: come un affare, non una persona."
"Bugie!" urlò. Ruggì, quasi. I suoi occhi si accesero di un rosso ancora più intenso, la rabbia che cresceva.
Il re rise, mentre una scintilla di curiosità passava nei suoi occhi neri.
"Pensa a quello che ho detto, bambina. Quando capirai la verità, sarai benvenuta tra di noi." disse come se fosse scontato.
Tornò al suo drago e partì, veloce come era arrivato.
Anche loro se ne andarono senza una parola.

L'accampamento era un vero inferno.
Tutti i soldati, con armatura e armi, correvano qua e là, in cerca di qualcosa di imprecisato. C'era un'agitazione quasi insostenibile, che cresceva ogni momento che il tempo passava.
Gemma stava al di fuori di quel casino, con lo sguardo fisso in direzione di Foxiness, calma. Era inspiegabilmente calma, a differenza di quanto si aspettasse. Vide qualcosa, ormai stavano per arrivare; tanto valeva andar loro incontro.
Urlò e tutti si fermarono.
"Disponiamoci come abbiamo provato" ordinò.
Fu subito raggiunta dagli altri due comandanti, che avevano appena detto ai loro soldati la stessa cosa. Jackson le mise una mano sulla spalla, facendola voltare verso di lui. Aveva uno dei suoi soliti sorrisi furbi, ma in quel momento ne fu incoraggiata, non spaventata come prima.
"Andrà bene, vedrai, me lo sento." disse. "Mostra chi è la vera Guerriera a quella Volpe". Le fece un occhiolino e se ne andò dai suoi uomini.
Gemma si girò verso Christine, che aveva ancora lo sguardo fisso sul ragazzo, leggermente turbata e che poco dopo si riscosse dai suoi pensieri.
"Ho disposto tutto. Attendo tuoi ordini." affermò, per poi tornare anche lei dai soldati.
A sinistra c'era la truppa di Secreteyes, con Jackson davanti. In centro c'era quella di Tigerheart, con Gemma davanti e a destra c'era quella di Hawkvengeance, con Christine davanti.
Erano pronti.
Avanzarono, fino a che una schiera di uomini non fu ben visibile ai loro occhi. Quando furono ormai troppo vicini, Gemma capì che non poteva più tardare.
"Attaccate!"

 

William ricevette la lettera di Gemma quel pomeriggio.
Chissà come stava, ora, Gemma. Chissà com'era stata la battaglia e se c'era davvero stata.
Chissà quando avrebbe combattuto lui. Probabilmente presto.
Non si sbagliava, per niente.
Una sentinella, tra quelle che stavano sugli alberi della foresta che circondava l'accampamento nemico, arrivò proprio in quel momento.
"Si avvicinano." disse, con il fiatone.
I tre comandanti iniziarono dare ordini a destra e a manca, così dopo non molto fu tutto pronto.
William alzò lo sguardo al cielo. Era coperto da alcune nuvole, che rendevano l'atmosfera ancora più triste, ma non minacciava di piovere.
Se si fosse tenuto abbastanza in alto, pensò, e fosse stato prudente, combattere dal drago sarebbe stato davvero un vantaggio.
Andò dagli altri comandanti e disse a Gabriel, che era un cavaliere dei draghi, di prendere il suo, mentre disse al lord di Tigerheart ciò che voleva fare.
Si avvicinò, quindi, a Jerry, che aveva anche lui una specie di armatura blu scura, e ci salì sopra.
"Pronto, bello?" gli chiese, dandogli una pacca sul dorso.
Il drago sorrise leggermente.
"È il mio secondo nome."

Volando, William si rendeva davvero conto di quanto fosse brutta la guerra. Così tante persone, brave persone, la maggior parte delle volte, avevano in mano spade e lance, e combattevano un nemico che personalmente non aveva fatto loro niente.
Tutto per colpa delle manie del re Guerriero di Foxiness.
In realtà, combattere gli dava una sensazione di forza e di libertà all'altezza di ciò che si era sempre immaginato, ma che non avrebbe mai potuto definire 'giusto'.
Probabilmente i Bruti non si erano neanche accorti che, dall'alto, lui e Gabriel scoccavano frecce contro di loro, facilmente riconoscibili dalle spesse pellicce marroni che portavano. Erano troppo impegnati a guardare ciò che accadeva vicino a loro e troppo stupidi per notare che le frecce cadevano su di loro.
Combatterono fino al tramonto.
Quando ormai il sole era calato del tutto, i Bruti si ritirarono, per una strana paura che avevano del buio.
Più conosceva quel popolo, più William si rendeva conto di quanto fossero arretrati. E più li odiava.

Ormai la guerra era iniziata e presto tutti i confini tra i regni sarebbero stati infiammati dalle piccole battaglie che avrebbero determinato il futuro. E mentre Gemma e William speravano che andasse tutto secondo i piani, i nemici erano pronti a usare l'asso nella manica.

 

Angolo dell'autrice
Buonasera! Ecco il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto, innanzitutto. 
Che pensate della Volpe? Quale sarà questo 'asso nella manica'?
Beh, lo scoprirete nei prossimi capitoli :3 
A proposito, mi è costata una notte di sonno (naturalmente l'ispirazione arriva nei momenti peggiori), ma ora so esattamente quello che succederà e vi posso dire che la storia finirà fra non molti capitoli. Non so esattamente quanti, ma ormai siamo nella parte finale. Mi sbrigerò a scrivere, ma i tempi saranno sempre di una/due settimane. Spero che avrete la pazienza di leggerla fino alla fine.
Vi sono mancati Lavinia, James e Axel? Il prossimo capitolo sarà incentrato soprattutto su di loro e sulla loro prima battaglia, che sarà un po' diversa.
Alla prossima,
StellaDelMattino

 

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Capitolo 25
*** Uno strano combattimento. ***


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Capitolo 25

Uno strano combattimento

 

Quella stessa sera, la notizia dell'inizio della guerra arrivò anche a Lavinia.
Quando giunse il messaggero, i soldati avevano appena mangiato -era già stato un miracolo quello- ed erano riuniti intorno ad un falò.
Tutti avevano gli occhi puntati su Axel, che stava raccontando animatamente qualcosa.
-Insomma, era una situazione disperata- stava dicendo. -La nave aveva già subìto dei grandi danni e gli uomini, me compreso, erano stremati, dopo la tempesta che avevamo appena superato. Però, mi sembrava che ci fosse qualcosa di strano, qualcosa di strano nel mare. E poco dopo ne ebbi la prova. Una grande coda emerse dall'acqua, una coda enorme! Molto più della nostra nave! Ci spostò moltissimo e per poco non ci fece ribaltare, ma con il timone riuscii a ristabilire l'equilibrio.- Fece una pausa d'effetto, guardando tutti quelli intorno a lui, che ascoltavano attentamente con la bocca spalancata.
-E poi?- chiese timidamente uno dei soldati.
Lavinia stava più indietro e seguiva il racconto con più interesse di quanto mostrasse.
-La balena tornò. Beh, non so se fosse esattamente una balena, non ne avevo mai vista una così grande, ne così cattiva. Provò a farci ribaltare più volte, ad un certo punto addirittura saltò fuori dall'acqua tanto in alto da fare ombra su di noi e lì, sì, rischiai la vita più che in ogni altra occasione. Infatti...
Un uomo si schiarì la voce, per attirare l'attenzione, proprio in quel momento. Gli stemmi che aveva sull'armatura dicevano che era un messaggero.
-Posso parlare con i comandanti?- chiese.
Lavinia, Axel e James andarono da lui, temendo di sapere proprio ciò che stava per esser detto.
-La guerra è ufficialmente incominciata. Alcune battaglie sono in corso, o sono appena state terminate, in tutti i confini di Nord di Secreteyes e Tigerheart. L'accampamento principale del lato Ovest ha richiesto un immediata assemblea. Prendete i draghi.-
Lavinia pensò subito al fratello. Stava bene? Aveva paura? Lei ne aveva, anche tanta.
Salirono sui draghi senza dire una parola e volarono al massimo della velocità.
Quando arrivarono, tutti i comandanti erano riuniti e parlottavano fra loro con un tono di voce bassissimo.
La madre di Lavinia la vide e le andò incontro, per poi abbracciarla.
"Oh, Lavinia cara, meno male che siete arrivati presto!"
La ragazza sorrise aspramente. Non era in vena di abbracci. Non da lei, almeno.
"Dobbiamo attaccare il più presto possibile." disse quello che probabilmente era il capo dell'accampamento principale.
"Probabilmente non è ancora arrivata la notizia, potremmo usarlo a nostro favore" disse un altro.
"Saranno sicuramente stati informati, è stato il Guerriero di Foxiness, comunque, a chiedere l'incontro." intervenne ora la madre di Lavinia.
"Non è detto, sono sicuro che le Volpi si siano alleate con loro soltanto per impedirci di concentrare tutti i nostri eserciti nei loro confini, e che informarli non sia stata una priorità. Dobbiamo tentare."
"Non è leale attaccare di notte, alle loro spalle." disse Lavinia.
"Siamo in guerra, ragazzina. Se vogliamo vincere dobbiamo agire con furbizia e ignorare la lealtà" commentò il capo risoluto, guardandola con disprezzo. Maledetti occhi! Pensò Lavinia.
"Quindi dovremmo ignorare proprio ciò che ci distingue dalle Volpi?"
Lavinia non si sarebbe mai definita una persona buona. Pensava di non meritarselo, e tutti l'avevano sempre portata a pensare così. Aveva imparato a usare ogni mezzo per ottenere quello che voleva, giusto o sbagliato che fosse. Solo quando aveva visto William e Gemma uno strano pensiero si era fatto strada nella sua testa. Che forse, alla fine, non contano i mezzi, ma le persone che li usano. Forse, semplicemente, la soluzione era di essere buoni ed essere ciò che si è, senza pensare al giudizio degli altri. Tanto quello non sarebbe mai cambiato. Non per lei, almeno.
E per una volta voleva provare ad essere un po' come Gemma, per quanto all'inizio l'avesse odiata. Si era chiesta che cosa avrebbe fatto Gemma e si era ritrovata a dire una cosa che le era sembrata molto più naturale di tutte le insidie che era solita usare. Forse, alla fine, lei non era così cattiva.
Ma a quanto pare agli altri non interessava molto chi era. Importavano solo i suoi occhi.
"Attaccheremo appena possibile." sentenziò infatti il capo non rispondendole neppure.
"Lavinia ha ragione" disse Axel con tono calmo. "Abbiamo la possibilità di evitare una battaglia, ma non per questo dobbiamo fare una carneficina. Come pensate che i soldati usciranno da un massacro? Contenti e felici di aver vinto? No, ripudieranno le armi sporche di sangue quanto lo faremo io e voi. Possiamo trarre comunque un vantaggio, usando semplicemente delle armi che funzionino da sonnifero. Ci inventeremo qualcosa! Ma se volete trucidare nel sonno dei soldati che magari hanno una famiglia e una vita al di fuori della guerra solo perchè i loro re hanno scelto l'ingiustizia, non avrete il supporto del nostro accampamento."
Tutti lo osservavano e annuivano.
Ma come ci riusciva? Ogni volta che Axel parlava sembrava che il mondo si fosse fermato per concentrare la sua attenzione su di lui. Forse per i suoi occhi profondi o per la sua voce calma. Lavinia non aveva mai sentito una voce così bella, così armoniosa. Lei non aveva mai visto il mare, ma se avesse dovuto immaginare il suo suono tranquillo e il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, avrebbe pensato alla voce di Axel.
Lui era semplicemente un leader. E con poche frasi era riuscito a far cambiare opinione a tutti.
"Le erbe del tramonto." disse James timidamente. "Ogni soldato ne ha un po', se le mettessimo insieme potremmo addormentare gli uomini negli accampamenti."
E così fu deciso.


"Grazie" disse Lavinia ad Axel non appena furono scesi dai draghi.
Il ragazzo alzò un sopracciglio.
"E di cosa? Mica l'ho fatto per te. Avevi semplicemente ragione." commentò con nonchalance.
"Sì, ma..."
In effetti, non aveva fatto niente di strano, ma per lei lo era.
"Mi è sembrato di capire che tu non gli andassi tanto a genio. Che strano!" disse con ironia. "Lasciatelo dire, ma se non fossi sempre acida, ti avrebbero ascoltata."
Com'era schietto.
"Non è per quello." rispose lei in un tono che era tutto il contrario di dolce. "E non sono acida."
Axel scrollò le spalle. "Come dici tu, ma allora perchè?"
"Per i miei occhi. Mia madre ha tradito mio padre e i miei occhi ne sono la testimonianza." Normalmente non lo avrebbe rivelato a un semi-sconosciuto, ma per lei era un po' un modo per ripagarlo per quello che aveva detto.
"Ahh, beh, lo sanno che non è colpa tua?" Rise aspramente. "Pazzesco, è poi dicono di essere una società avanzata. Ma per favore. Progettano un massacro e non ascoltano un parere giusto solo perchè è di una ragazza nata da un tradimento."
"Se vinceremo questa guerra, William e Gemma governeranno davvero bene, te lo posso assicurare." ribattè con un velo di malinconia negli occhi.
"Ah, i due Guerrieri, quelli per cui è scoppiato tutto questo casino."
"Il loro amore è uno di quelli per cui vale combattere" disse sospirando.
Ci fu qualche momento di silenzio, mentre raccoglievano l'erba del tramonto di ogni soldato e la dividevano in piccole 'porzioni' che mettevano nelle foglie di alberi che circondavano l'accampamento e che chiudevano così da formare una specie di fagottino.
"Ce n'è uno per tutti, dobbiamo solo trovarlo." disse Axel dopo un po'. "Se non li avessi visti al ballo, probabilmente non sarei qui. Erano talmente perfetti insieme che neanche un cieco avrebbe potuto dire una cosa come quella che hanno detto quelli di Foxiness!"
"Non sono ciechi, sono bugiardi."
"Maledette volpi."
Ci fu un altro momento di silenzio meditativo, poi Lavinia rise aspramente. "Io sono così sbagliata di mio che neanche la perfezione potrebbe compensare i miei difetti!"
"Mi dispiace, ma non posso accettare una frase del genere detta dalla ragazza che probabilmente ha salvato interi accampamenti nemici. E non dire che non sei stata tu." le disse fissandola.
Lavinia arrossì e ridacchiò, un po' imbarazzata.
"Axel?"
Il ragazzo la guardò con un sopracciglio alzato. "Sì?"
"Cos'è una balena?"
Axel scoppiò a ridere. "Davvero non lo sai?"
Lavinia sbuffò, infastidita.
"Non siamo tutti vicino al mare come te."
Il ragazzo la guardò scuotendo la testa. Possibile che si fosse offesa per così poco?
"È una specie di pesce enorme, non so esattamente come descriverla." disse "Vorrà dire che un giorno ti dovrò portare a vederle."


Dall'accampamento nemico non arrivava il minimo rumore. La quiete regnava su quel paesaggio notturno e solamente tre soldati, che tenevano delle torce, stavano a sorvegliare, con uno sguardo assonnato e la mente impegnata in pensieri lontani.
Furtivamente, Lavinia, James ed un altro paio di soldati si erano avvicinati, inoltrandosi in una piccola foresta che stava a lato dell'accampamento nemico. Axel era rimasto più indietro con gli altri soldati, consapevole che un gran numero di uomini avrebbe sicuramente attirato l'attenzione delle sentinelle.
L'erba del tramonto, quando veniva bruciata, faceva addormentare chi era nelle vicinanze e aveva un effetto istantaneo. Dovevano, quindi, lanciarla vicino alle sentinelle, prima che avvertissero gli altri.
James aveva portato una torcia, per infuocare quell'erba, sperando e pregando che i nemici non lo notassero. Per fortuna, così era successo.
Lavinia prese l'arco e mise un fagottino di erba del tramonto sulla punta di una freccia, attenta a non farlo cadere. Due soldati la imitarono e si prepararono a tirare, quando furono pronti, la ragazza fece segno con la testa a James di accendere i fagottini. Scoccarono le frecce e i fagottini caddero ai piedi delle sentinelle, che prima di poter anche solo capire che cosa era successo si accasciarono al suolo, in un profondo sonno.


Un altro aspetto molto positivo dell'erba del tramonto era che aveva un effetto istantaneo che poi finiva subito. Certo, chi lo subiva non si sarebbe svegliato per un paio di orette neanche a forza, ma se ti avvicinavi ad essa mentre non bruciava, era completamente innocua.
Per questo, dopo che furono arrivati altri soldati ed ebbero lanciato altri fagottini nell'accampamento così da far addormentare ancora più profondamente i soldati, poterono andare alle tende con tutta tranquillità.
Il piano, da lì, era piuttosto semplice: dovevano togliere le armi a tutti i nemici e, dopo aver spostato i loro corpi (erano addormentati davvero profondamente), radunarli in un grande cerchio, per poi accerchiarli. Ciò fu, appunto, quello che fecero.
Dopo qualche ora, quando ormai stava per arrivare l'alba, i nemici cominciarono a svegliarsi e non appena si accorsero di ciò che era successo, si arresero prontamente.
Eppure, Lavinia non capiva.
Perché era stato così semplice? Certo, il piano era andato alla perfezione, non c'era alcun dubbio, ma non avevano opposto alcuna resistenza. Nessuno aveva provato a ribellarsi e nessuno li guardava con odio o paura.
Lavinia leggeva sollievo nei loro occhi. Magari avevano capito di aver rischiato che quell'attacco non fosse con l'erba del tramonto, ma direttamente con le spade, chissà... ma le sembrava tutto strano.
Soprattutto quando trovò un messaggio nella tenda del comandante capo da parte del re Guerriero di Foxiness.
Soprattutto se quel messaggio annunciava che la guerra aveva avuto un inizio.


Angolo dell'autrice
Buonasera! Eccoci qua, con un nuovo capitolo interamente dedicato ad Axel, Lavinia e James.
Beh, che dire, grazie! Grazie a chi recensisce, a chi segue/ricorda/preferisce o semplicemente legge.
Per qualsiasi domanda, potete contattarmi sulla pagina facebook (il link è nei primi capitoli) oppure direttamente qui. 
Al prossimo capitolo!

StellaDelMattino

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Capitolo 26
*** Spiacevoli misteri ***


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Capitolo 26

Spiacevoli misteri


Un viavai di soldati scorreva tra le tende dell'accampamento. Alcuni portavano su delle barelle improvvisate i compagni feriti, mentre nell'aria si propagavano gemiti di dolore e il rosso sangue faceva da sottofondo.
Gemma passò lo sguardo sui feriti. Alcuni erano gravi, ma, per fortuna, solo pochi. Molti altri, sicuramente troppi, avevano solo alcune lievi ferite.
Ma i morti c'erano stati.
Da una parte, le grida di guerra, il rumore delle spade che si scontravano, l'adrenalina che percorreva le vene e che la spingeva a combattere per la vita erano inebrianti. Quella sensazione fantastica faceva sentire Gemma come se fosse nata solo per quello.
Dall'altra, la paura che le persone a cui teneva non avessero avuto la tua fortuna e non fossero sopravvissute alla battaglia era costante.


Jackson osservava Christine con la coda dell'occhio.
Le si avvicinò, mentre la ragazza si guardava intorno con aria vigile, giocherellando con i guanti.
Lui alzò un sopracciglio.
-Come mai porti sempre i guanti?- chiese Jackson e subito capì di averla messa in difficoltà, visto che Christine si irrigidì per un secondo.
-Non mi piace il contatto fisico.- rispose impassibile.
Jackson non ci credeva. Era palese che una ragazza che aveva intrapreso la carriera militare non potesse essere così schizzinosa da non voler toccare nulla. La osservò ancora per un secondo, poi se ne andò.
Christine nascondeva qualcosa, ne era certo. E prima o poi avrebbe scoperto cosa.


Quella notte, William non riuscì a chiudere occhio.
Pensò a Gemma e a quando l'avrebbe rivista, confidando nel fatto che ciò sarebbe successo.
Pensò alla sua vita passata, prima che incontrasse quella ragazza incredibile. A quanto era tranquilla, quella vita, senza grandi preoccupazioni, eppure così monotona. Un tunnel buio, che aveva visto una luce solo alla vista di Gemma in quella lontana sera.
Pensò a Trevor, che era a casa. Era così felice che fosse rimasto nella reggia -o più che altro che l'avessero costretto a rimanere- e sperava che non si sarebbe messo nei guai. Trevor, il piccolo Trevor dagli occhioni azzurri. Nei momenti più tristi pensava a lui e ai suoi sorrisi. Alla sua infinita curiosità e alla sua passione per i segreti.
Un sorriso si disegnò sul suo volto. Non vedeva l'ora di rivederlo.
Si addormentò stringendo il ciondolo di Tigerheart.


Era stato tutto troppo facile.
Lavinia, seduta su un masso un po' lontana dall'accampamento, continuava a leggere e rileggere il documento che aveva trovato nella tenda del comandante capo di Doerate, nella disperata ricerca di un indizio.
Il messaggio, però, era davvero conciso.

Cari alleati,
la prima battaglia si sta per svolgere, la guerra è iniziata.

Non c'era neanche una firma, solo un timbro dello stemma delle Volpi.
Possibile che quelli di Doerate non si aspettassero un attacco? Non avevano nemmeno aumentato le sentinelle.
I prigionieri erano stati condotti in un antico castello non molto distante dall'accampamento ed erano stati rinchiusi in delle celle sotterranee che questo aveva, sorvegliati e nutriti da alcuni soldati. Strano che dei soldati fossero così felici di esser stati catturati. Sembrava che avessero appena vinto la guerra. pensò la ragazza.
I soldati di Lavinia e degli alleati si erano spostati più avanti nel territorio una volta nemico ed erano stati mandati un paio di uomini in avanscoperta la mattina presto dopo l'attacco.
Il sole sta per tramontare, guardò il cielo, che stava prendendo delle sfumature arancioni, e ancora non sono tornati.
Rifissò il suo sguardo sul messaggio, sempre più corrucciata.
Qualcuno le strappò il foglio di mano, prendendola alla sprovvista. Lavinia si alzò di scattò, allugando una mano per prendere ciò che le era stato rubato.
"No, ora basta." disse Axel allungando il braccio verso l'alto. "È tutto il giorno che te ne stai a fissare 'sto coso!"
"Faccio quello che mi pare." ribattè la ragazza incrocando le braccia.
"Sei un comandante, non hai questo diritto."
"E tu chi sei per dirmi cosa posso o non posso fare?! Vattene via, Squalo, e pensa agli affari tuoi."
Lavinia scorse un moto d'ira nello sguardo di Axel, per quanto la sua espressione fosse rimasta calma.
"Chi è che non era acida?" chiese il ragazzo sarcasticamente. Sembrava quasi offeso.
"Stattene pure qui a crogiolarti nei tuoi dubbi, tanto non c'è una truppa di soldati che si fa le stesse domande e che attende qualche ordine."
Axel guardò il messaggio e sorrise con un velo di disprezzo. Con quella stessa espressione alzò lo sguardo verso Lavinia e stracciò il foglio.
"Cresci, Lavinia" le disse lanciandole ai piedi dei pezzettini del messaggio. "Non chiuderti nel tuo mondo in cui tutti pensano che sei cattiva. Non lasciare che loro ti facciano diventare così. Io ti ho visto. Ti ho visto quando sei sincera e questo tuo comportamento non ti si addice. Per niente."
Il ragazzo si voltò per andarsene, poi si girò verso di lei ancora un secondo.
"Non comportarti come se nessuno tenesse a te. Non è così."
Se ne ritornò all'accampamento senza più guardarla, ma lo sguardo di Lavinia non riusciva a staccarsi da lui. Era rimasta a bocca aperta, sconcertata da quel suo strano comportamento. Si era davvero arrabbiato per così poco? A malapena la conosceva.
Eppure, con quelle poche frasi che aveva detto, era riuscito a capirla molto più della maggior parte delle persone che Lavinia conosceva da anni.
Questa è la semplice verità. pensò la ragazza. Solo che nessuno te l'aveva detta così apertamente.
"Comandante!" urlò qualcuno.
Lavinia dapprima guardò verso l'accampamento, ma poi si accorse che l'urlo proveniva dall'altra parte, verso l'interno di Doerate.
I soldati che erano andati in esplorazioni stavano correndo da lei trafelati.
"Tutto bene?" chiese la ragazza, preoccupata.
"Sì, comandante. Più o meno, comandante" rispose lo stesso che l'aveva chiamata prima.
"Cosa vuol dire più o meno?!" disse alzandosi e incamminandosi verso l'accampamento.
Strano, gli alberi sembravano più lontani. pensò
"Non abbiamo trovato nessun accampamento, comandante, da nessuna parte. Abbiamo trovato solo un villaggio, ma le case erano vuote, completamente vuote. Non c'era anima viva, comandante, da nessuna parte."
"Com'è possibile?!" Lavinia non ci capiva più niente.
"Non lo so, comandante, non lo so."
Corsero alle tende e subito radunarono un'assemblea.
Mentre gli esploratori chiamavano tutti i soldati, la ragazza scrisse un messaggio all'accampamento della madre, in cui riassumeva ciò che era successo, chiedendo consigli su cosa fare.
Durante l'assemblea, Lavinia posò lo sguardo su Axel, che la ignorava completamente. Aveva un'espressione dura, quasi arrabbiata. Incrociò il suo sguardo solo un secondo, ma Lavinia lo distolse subito.
Perché doveva essere tutto più complicato?!

A lord Ermis non erano mai piaciute le battaglie. E, sicuramente, non gli erano mancate.
Tutti pensavano che fosse stupido, ma lui preferiva considerarsi una persona che non vuole tanto dalla vita: una famiglia, un tetto sotto cui dormire e un po' di cibo che mettesse a tacere il brontolio dello stomaco. Avrebbe anche potuto far a meno della famiglia, se proprio non avesse trovato una moglie che gli andava bene. Quella moglie, però, l'aveva trovata. Una donna meravigliosa, a detta sua, altruista e dolce.
Ed ecco che improvvisamente, per colpa di quei ragazzacci viziati che per un capriccio avevano scatenato una guerra, era costretto a stare lì e combattere di nuovo. Certo, in prima fila non stava, anche se avrebbe dovuto in quanto comandante, ma in quella misera tenda, su quel letto improvvisato così scomodo, non poteva far a meno di maledire William e Gemma, per quanto fosse legato a quest'ultima.
Si rigirò nel letto, cercando una posizione comoda.
Un fruscio, che segnalava che qualcuno stesse entrando nella tenda, lo fece alzare.
Disgraziato figlio, pensò, e ora che vuole?
La figura si fermò e sbuffò.
"Questa non era la tenda di William?!" disse avvicinandosi un pochino.
Lord Ermis si sorprese nel vedere un soldato, che non era suo figlio, che andava verso di lui. C'era qualcosa di strano nella sua voce, anche se il lord non capiva che cosa.
"No, mi dispiace, è la tenda vicina." rispose cortesemente.
Il soldato sbuffò.
"Quel tizio non sta mai fermo! È entrato in tutte le tende, che tra l'altro sono tutte uguali. Ma come fate a distinguerle?! Ma dico io, è impossibile. Chi siete voi, umile soldato?" disse sottolineando le ultime parole con disprezzo. Sembrava scocciato.
"Sono un comandante, fannullone che non sei altro! Rivolgiti al tuo comandante con il giusto rispetto!" urlò il lord indispettito.
"Comandante! Sono davvero, davvero desolato, signore. Non succederà più, glielo posso assicurare. Le mie umili, umilissime scuse, signore." Ci fu una pausa, poi il soldato scoppiò a ridere. Quella risata aveva qualcosa di sbagliato, di crudele.
Prima che il lord potesse dire altro, lo sconosciuto sguinò la spada e gliela puntò alla gola.
"Non un urlo! Urla e sei morto. Ti è andata male, vecchio, ma comandante per comandante...

Andrai bene comunque"
Lord Ermis gridò comunque. Sapeva bene che la sua fine era vicina, ma magari così avrebbero potuto prendere quell'assassino.
Dalla sua gola colò il sangue copiosamente, quando il soldato lo infilzò con un malsano piacere e il corpo del lord si accasciò a terra privo di vita.


William fu svegliato da un urlo.
Si alzò, ancora stordito dal sonno, e corse alla tenda vicina per vedere cosa fosse successo.
Il corpo esanime di lord Ermis, che aveva ancora gli occhi spalancati per la sorpresa, giaceva ai piedi del letto. Si avvicinò, ma era chiaro che ormai non si poteva più far nulla. Fu raggiunto da alcuni soldati e presto tutto l'accampamento fu sveglio e consapevole della disgrazia appena avvenuta.
Dell'assassino, però, non c'era traccia. Era solo più un'ombra tra le tante ombre di quella notte.



Angolo dell'autrice
Buongiorno! Sono finalmente tornata!
Questo capitolo non è molto... allegro, lo so, ma succedono alcune cose importanti.
Innanzitutto, come mai non c'è nessuno vicino all'accampamento di Lavinia e Axel? Chi ha ucciso lord Ermis? Tornerà per uccidere anche William? Beh, fate le vostre ipotesi ;)
Sono felice di annunciarvi che: D'ORA IN POI I CAPITOLI SARANNO PUBBLICATI IL LUNEDì (o il martedì, al massimo) OGNI SETTIMANA.
Spero vi sia piaciuto il capitolo, se avete voglia, lasciate una recensione :D
Al prossimo capitolo,
StellaDelMattino

 

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Capitolo 27
*** L'asso nella manica ***


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Capitolo 27

L'asso nella manica

 

Non farti prendere dal panico, tesoro, va tutto bene. Saranno scappati quando hanno saputo del nostro arrivo. Quelli di Doerate sicuramente non sono conosciuti per il loro coraggio.
Vedrai, andrà tutto bene.

Diceva solo questo il messaggio che ricevette Lavinia la mattina successiva, da parte della madre.
Eppure, la ragazza aveva una strana sensezione, una brutta sensazione, e per quanto cercasse di convincersi che andasse tutto bene, quella sensazione rimaneva lì.
Aveva pensato di parlarne con Axel, ma lui non l'aveva più neanche guardata e... Lavinia aveva quasi paura. Paura che lui la trovasse infantile, come chiaramente le aveva detto, che la giudicasse immatura.
James non ci capiva nulla. Lavinia aveva provato a parlare anche con lui, ma il ragazzo aveva risposto semplicemente scrollando le spalle e scuotendo la testa.
"Non so, non so proprio" aveva detto andandosene.
Lavinia doveva parlare con Axel.
Questo è il comportamento di una bambina, si disse. Una bambina lo eviterebbe.
Si fece coraggio e lo andò a cercare. Vedendolo, il suo cuore ebbe un tuffo. Era davvero la cosa giusta da fare? Probabilmente c'era un motivo se la evitava, probabilmente non le voleva parlare.
Al diavolo quello che vuole. Siamo in guerra, non ci possiamo prendere il lusso di evitarci, quindi ora vado a parlargli di cose davvero importanti. si disse per convincersi.
Quando gli si avvicinò, un lampo di sorpresa passò negli occhi di Axel. Anche se stava dicendo qualcosa a un soldato, smise di parlare e concentrò tutta la sua attenzione su di lei.
"Dobbiamo parlare" disse Lavinia, risoluta.
Axel abbozzò un sorriso.
"Ti ascolto."
"C'è qualcosa che non va. Prima l'attacco senza alcuna complicazione e poi gli abitanti spariti. C'è qualcosa che non va. Ti prego, dimmi che non sono l'unica a pensarlo."
Il ragazzo sembrava quasi felice.
"Non sei l'unica, ma non riesco a capire perché, sono due giorni che ci penso e ripenso."
Axel e Lavinia incamminarono per fare un giro: non riuscivano a ragionare con tutto il rumore che facevano i soldati.
Fu guardando indietro verso l'accampamento che Lavinia capì.
"Oh, no." mormorò.
Il ragazzo si girò verso di lei con aria interrogativa.
La foresta era più vicina.
"No, no, no, no!"
Lavinia guardò il cielo: era praticamente mezzogiorno. Il che voleva dire che fra poco sarebbero usciti. Gli urlatori.
Nessuno ne sapeva molto, in realtà, ma tutti speravano di non vederne uno neanche per sbaglio in tutta la vita.
Una delle poche cose che si sapevano era che uscivano da mezzogiorno al tramonto.
I due ragazzi iniziarono a correre verso le tende.
"Spero di non avere ragione... Ma spiegherebbe tutto! Ecco perché si sono fatti sconfiggere! Quelli di Doerate volevano che entrassimo nel loro territorio!" disse Lavinia con tono disperato.
"Avranno fatto sgomberare tutti i villaggi per lasciare che gli urlatori passassero, per farli arrivare qui!"
Il passaparola si sparse velocemente nell'accampamento, in un coro di mormorii spaventati. I soldati iniziarono a correre per l'accampamento in completo panico.
I tre comandanti scrissero un messaggio per ogni accampamento dei rispettivi regni, scrivendo velocemente "Urlatori, strategia, emergenza" completati da una serie di frasi sconnesse. Avrebbero pensato dopo (sempre che ce ne fosse stato uno) a spiegare bene la situazione. Dovevano solo sopravvivere fino al tramonto.
Con una serie di comandi, tutti i soldati furono radunati al centro dell'accampamento.
"Ora, qualcuno sa come si sconfigge un urlatore?" chiese Lavinia, che però non ci sperava molto.
Tutti scossero la testa.
"Va bene, allora dovremo fare qualche ipotesi. Cosa sapete degli urlatori?" chiese ancora. Ma sapeva di non aver tempo, sarebbero arrivati da un momento all'altro.
Nell'aria echeggiò un urlo. Non era un urlo triste, nè disperato, ma minaccioso. C'era qualcosa di disumano in quella voce. Disumano e malvagio.
L'accampamento calò nel silenzio improvvisamente. Ogni soldato ormai sentiva solo più il battito del proprio cuore, che sembrava essere impazzito.
Un altro urlo.
Non ce l'avrebbero mai fatta. Non sapevano neanche cosa aspettarsi.
Stiamo sprecando tempo prezioso. pensò Lavinia.
Ma d'altronde cosa potevano fare? Erano soldati in una terra straniera e spaventosa.
Un terzo urlo, sempre più vicino.
"Non c'è tempo per pensare a una strategia o lamentarci di quanto questi esseri ci siano sconosciuti" disse Axel, richiamando l'attenzione dei soldati. "Una cosa, però, la sappiamo: escono dagli alberi. Sono, per metà, alberi. E come si può sconfiggere qualcosa di legno?"
"Fuoco..." mormorò Lavinia, dando voce ai pensieri di tutti i soldati.
Un altro urlo: ormai erano alle porte dell'accampamento.

I soldati si schierarono intorno all'accampamento, circondandolo completamene. Alcuni tenevano semplicemente le spade sguainate, mentre altri avevano arco e frecce, che avrebbero infuocato attinendo da degli alti bastoni su cui era stato acceso il fuoco.
Dietro ai soldati erano accatastati dei mucchi di rami e pezzi di legno, che circondavano tutto l'accampamento e che, in caso estremo, sarebbero stati infuocati dagli unici due draghi che c'erano. Così facendo si sarebbe creata una sorta di barriera.
Una barriera del genere, però, non poteva restistere molto e il rischio che prendessero fuoco anche le tende era altissimo. Quelle, però, erano le uniche armi che avevano.
Era da qualche minuto che non si erano più sentite urla e l'aria era davvero tesa.
Lavinia e Axel erano vicini, con lo sguardo concentrato sugli alberi, in attesa di qualcosa che speravano non succedesse.


Poi, però, successe.
Un albero iniziò a contorcersi come se fosse mosso da un incontrollabile vento. Le foglie iniziarono a cadere e qualcosa si staccò dall'albero.
Una figura, che ricordava un umano solo lontanamente, fece un passo. Il viso era deformato, con degli occhi allungati con gli angoli rivoltati verso il basso come un sorriso triste e una bocca enorme spalancata come in un perpetuo urlo.
Avanzava lentamente, zoppicando per l'irregolarità dei rami che gli facevano da gambe e posando i piedi, che erano composti da radici, in modo che a ogni passo affondassero nella terra.
A un certo punto si fermò e urlò, per diversi secondi.
I soldati repressero l'istinto di tapparsi le orecchie, troppo impauriti perfino per sbattere le ciglia.
Non era un semplice urlo, però. Era un richiamo.
Tutti gli alberi della foresta si animarono e a quel grido disumano se ne unirono tanti altri.
Quel suono era insopportabile. Gli uomini caddero in ginocchio contorcendosi, con le mani sulle orecchie, senza essere in grado di opporre alcuna resistenza.
Poco dopo gli urlatori iniziarono la loro avanzata, interrompendo quel grido. E anche se procedevano lentamente, i soldati ci misero tanto a riprendersi che quando si ristabilì lo schieramento iniziale, ormai quelle creature erano quasi arrivate.
Lavinia guardò il cielo. Erano circa le due.
Da una parte, le sembrava che fosse passato solo qualche minuto da mezzogiorno, dall'altra sapeva che non sarebbero mai riusciti a sconfiggerli se non avessero attaccato subito.
La ragazza fischiò e subito gli unici due draghi si alzarono in volo.
Il primo attaccò, sputando fuoco su un gruppo di urlatori. Questi gridarono, ma le loro voci erano smorzate dal dolore, e i loro corpi incendiati rallentarono la loro avanzata, stando quasi fermi. Lo stesso drago li incenerì definitivamente ad un secondo tentativo.
Una prima freccia fu scagliata e fece centro, ma l'urlatore che era stato colpito non sembrò subire che un fastidio. Si limitò a spegnere il fuoco con un urlo e proseguì. Servirono ben quattro frecce prima che finalmente si accasciasse al suolo.
Anche Lavinia tirò e colpì un urlatore proprio nella bocca deformata. Questo cadde subito a terra.
"Colpite le bocche!" gridò la ragazza in modo che la sentissero più soldati possibile.
Ma per quanti urlatori colpissero, ne arrivavano sempre nuovi, le frecce iniziavano a scarseggiare e i draghi a stancarsi e finire il fuoco.
Erano ormai le cinque.
Un urlatore raggiunse i soldati e riuscì a prenderne uno. Urlò e la pelle del soldato sembrò sciogliersi, afflosciandosi e quasi colando, in uno spettacolo sanguinolento e disgustoso.
Il corpo esanime del soldato cadde a terra, ma la creatura sembrò aver rinnovate forze.
I compagni che gli erano vicini, assordati da quel grido troppo ravvicinato, furono una preda più che semplice, per gli altri urlatori che stavano arrivando.
Era ora di usare quella barriera.
"Ritirata!" urlò Axel.
Lavinia fischiò e quando i draghi le rivolsero la loro attenzione, ordinò loro di bruciare gli urlatori che stavano uccidendo i soldati, cercando di limitare le perdite.
Corsero all'interno dell'accampamento, sperando che il loro piano funzionasse.
Non tutti, però, erano entrati.
Dove era morto il primo uomo, come contagiati da un'epidemia, i soldati stavano morendo in massa, mentre gli urlatori acquistavano sempre più forza. Ormai non erano fermati neanche più dal drago.
Quella fu forse la decisione più difficile che i comandanti dovettero prendere: aspettare i soldati che ancora non erano rientrati, lasciando la possibiltà agli urlatori di entrare nell'accampamento, o alzare subito la barriera, condannando quelli stessi soldati a una morte certa?
Ormai le creature stavano per attraversare la barriera: non c'era scelta.
Lavinia ordinò a un drago di procedere con il piano.
L'altro drago, però, riuscì a volare fino ai soldati attaccati e a salvare quelli che erano solamente svenuti e stavano per essere uccisi.

La barriera bruciò.
Nessuno si sentiva ancora pronto a tirare un sospiro di sollievo, gli urlatori erano ancora troppo vicini e l'orrore per quello che avevano visto era ancora troppo vivo nella loro mente.
Il tramonto era arrivato relativamente presto, considerando tutto ciò che era successo in un solo pomeriggio.
James e i pochi soldati esperti in medicina che c'erano nell'accampamento si presero cura di tutti, a partire dai soldati che erano vivi solo grazie al drago.
Lavinia aveva deciso di farsi visitare tra gli ultimi: prima doveva avvertire gli alleati e aveva assolutamente bisogno di sapere come stavano gli altri accampamenti sul confine di Doerate.
Si pulì con dell'acqua il sangue che le era colato dalle orecchie durante la battaglia. Gli urlatori erano le creature peggiori che avesse mai visto in vita sua.

Anche quel pomeriggio avevano combattuto e anche quel pomeriggio non erano riusciti a dare una svolta alla guerra.
Jackson si sentiva inutile e stava iniziando a pensare che avrebbero combattuto per sempre. Era stanco, sporco e sudato, ma era ancora vivo, così come Gemma e Christine, che, nella battaglia di quel pomeriggio, era stata ferita a un braccio, anche se solo lievemente.
Oh, il ragazzo non aveva nessuna intezione di lasciare andare questa occasione di scoprire il "segreto dei guanti".
La accompagnò a farsi medicare, in un atto di finta gentilezza e le stette vicino fino a che non dovette togliersi un guanto, per far vedere la ferita.
Christine, che sicuramente non era stupida, aveva capito che il ragazzo aveva in mente qualcosa, così cercò di mandarlo via ripetutamente, non riuscendo però nel suo intento.
Il dottore guardò il lungo taglio della ragazza all'altezza del gomito. La medicò al meglio che poteva e le ordinò di non combattere per un giorno, come minimo.
"Certo non posso pretendere che tu stia molto a riposo." stava dicendo. "Dopotutto sei un comandante"
La congedò con un sorriso e Christine si rese conto che Jackson se ne era andato.
Oh, no pensò, non trovando il suo guanto. Mi sono distratta solo un secondo!
Maledì Jackson e gli attribuì vari epiteti che sicuramente il ragazzo non avrebbe gradito e iniziò a girare per l'accampamento cercandolo.
Quando lo vide camminare tranquillo fra le tende, ebbe un impeto di rabbia e represse l'istinto di strozzarlo.
"Jackson!" urlò.
Lui si girò e le sorrise, poi entrò nella tenda subito lì vicina.
Christine gli corse dietro, sempre più irata.
"Penso ci sia un motivo se tiene sempre i guanti, ma quando l'ho chiesto mi ha mentito." stava
dicendo il ragazzo a Gemma, che era la proprietaria della tenda.

"Questa me la paghi!" urlò Christine.
Gemma scosse la testa e sospirò divertita.
"E cosa ci nasconderebbe secondo te? Mmh?" chiese.
"Non sto nascondendo proprio niente" mentì l'altra "Ho una brutta cicatrice che non mi piace far vedere su una mano, va bene? Ho mentito perché sapevo che mi avresti chiesto di vederla e non voglio. Sei un ficcanaso."
"Visto, Jackson? Sei davvero un ficcanaso." disse Gemma ridendo.
"E tu ci credi pure? E non vuoi neanche vedere la ferita?"
"No, perché lei sa cos'è il rispetto! Solo perché quelli di Secreteyes hanno dei segreti non vuol dire che sia così per tutte le persone." disse aspramente Christine.
"Allora perché non ci tocchi, ora? Solo per provarci che non menti."
"Oh, ti posso assicurare che se ti toccassi adesso ti potrei strozzare!" urlò ricominciando a rincorrerlo. Il ragazzo, però, iniziò a scappare.
Gemma ne aveva abbastanza, così iniziò a urlare contro Jackson e lo rincorse a sua volta, riuscendo a prenderlo, alla fine.
Con il fiatone, consegnò il guanto alla ragazza, ma nel passaggio le loro dita si sfiorarono leggermente.
Christine si immobilizzò, con gli occhi spalancati, e stette così per diversi secondi. Poi sbiancò e tremò per un secondo, mormorando qualcosa.
Si riprese solo pochi momenti dopo, con lo sguardo degli altri due ancora fisso addosso.
"Volevi che ti toccassi? Eccoti accontentato." disse Christine mettendosi davanti a Jackson.
Gli tirò uno schiaffo con la mano senza guanto così forte che il ragazzo rimase rosso fino alla sera.
 

Angolo dell'autrice
Buongiorno! Già, sono in ritardo di un giorno, ma non accadrà più.
Allora, ecco l'asso nella manica! Ha soddisfatto le vostre aspettative? Beh, lo spero proprio!
Ma sarà l'unico o ci attendono nuove sorprese? Vi piacciono gli urlatori? Spero di non aver fatto la parte delle uccisioni troppo (o troppo poco) violenta, non sono molto esperta.
Christine ha toccato Gemma:  non è davvero successo nulla o c'è qualcosa che non va?
Al prossimo capitolo!
StellaDelMattino

 

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Capitolo 28
*** Una scelta drastica ***


Capitolo 28

Una scelta drastica

 

Jerry stava volando verso l'accampamento dopo l'ennesima battaglia.
William era steso su di lui, sfinito. Non ne poteva proprio più.
Da quando lord Ermis era morto, erano tutti più vigili, i turni di guardia erano raddoppiati e nessuno si fidava degli altri.
Dell'assassino, però, non c'era traccia, era come scomparso.
"Willy!" disse il drago con la sua voce melodica.
Il ragazzo si svegliò e sospirò, mentre Jerry atterrava.
"Siamo arrivati" disse quest'ultimo.
William scese dal drago e si fermò ad accarezzarlo un po'.
"È tutta colpa mia. Se quella notte io e Jasper non fossimo usciti sarebbe tutto diverso. Stupida vendetta, ti corrode la vita." disse il ragazzo.
Jerry lo guardò con un sorriso.
"Guarda il lato positivo: io e te non ci saremmo mai incontrati e Gemma non si sarebbe mai innamorata di te, queste cose varranno pure."
"Per me. Se non fosse successo, io, magari, sarei stato più infelice, ma molte persone che avevano famiglie sarebbero ancora vive. Solo il mio egoismo ha causato questa guerra."
Il drago rise dolcemente.
"Willy, lo sai che sei una delle persone meno egoiste che ci siano? Ti conosco da abbastanza tempo per dirlo. Andiamo, persino io capisco che le volpi cercavano solamente un pretesto per iniziare la guerra, non è per niente colpa tua, credimi."
William non rispose, ma lo strinse a sè con tutte le forze rimaste.
"Prima o poi il passato se ne andrà e diventerà quello che è: un ricordo lontano tanto brutto quanto decisivo per la tua vita, che ha portato cose felice e cose tristi." disse Jerry avvolgendolo con le sue ali.
"Grazie..."
Quando finalmente il ragazzo tornò verso l'accampamento, si sentiva meglio, come se il macigno che aveva lì da giorni fosse diventato più leggero. Certo, era sempre lì e ci sarebbe stato fino a che la guerra non fosse finita, ma quel peso, grazie al drago, era diminuito.
Con un sorriso sulle labbra, William entrò nella sua tenda e si rallegrò ulteriormente quando vide una lettera posata ai piedi del suo letto. Credeva che fosse di Gemma, con cui era stato in contatto e dalla quale era stato informato degli avvenimenti sul confine di Foxiness, ed era così speranzoso da pensare che la guerra avesse preso una svolta.
Quando raccolse la lettera e vide che il mittente era Lavinia, si sentì confuso. Quando la lesse, alla confusione subentrò la paura.

Cari comandanti alleati a Secreteyes,
è con timore che vi comunico i recenti avvenimenti sul confine di Doerate.
Siamo stati attaccati dagli urlatori, siamo caduti in una trappola del nemico: hanno lasciato che quei mostri invadessero il loro territorio per farli giungere a noi e, se ci ritirassimo, questi invaderebbero Secreteyes.
Il mio accampamento ha subìto un attacco, ma con la giusta difesa siamo riusciti a ridurre al minimo le perdite. Altri accampamenti non hanno avuto la stessa fortuna.
Vi chiedo dunque di renderci note le vostre conoscenze sugli urlatori e di mandarci i cavalieri dei draghi e/o i draghi addomesticati, in quanto per ora sono la nostra unica via di salvezza.
In timorosa attesa,
Lavinia
Per William: tu devi stare dove sei e anche Jerry, i cavalieri dei draghi comandanti non si devono spostare. Mai più di ora si ha bisogno di buoni risultati, quindi mi raccomando, vinci.
Per Jackson: fammi avere presto tue notizie, per favore. Ho bisogno di sapere che da qualche parte sta andando bene, spero che la situazione si risolva.


Il foglio cadde dalle mani di Gemma.
Non può essere.
Ma d'altronde, stavano combattendo contro Foxiness, non si poteva aspettare che non avessero una strategia: un traditore e gli urlatori. Fantastico.
La ragazza non si sentiva neanche di escludere che ci fosse qualche altra brutta sorpresa.
Dovevano inventarsi qualcosa anche loro, in fretta.
Andò a chiamare Jackson e Christine e lesse loro la lettera di Lavinia.
Il ragazzo sbiancò e Gemma poteva ben capire l'ansia che aveva: sua sorella doveva
combattere i mostri più temuti che ci fossero.

Christine, invece, rimase completamente insensibile a quella notizia.
"Troveremo una soluzione" disse Jackson, sia per convincersi sia per rassicurarla, ma si
capiva chiaramente che neanche lui ci credeva molto.

"Ma come?! Anche se riuscissimo a combattere gli urlatori la nostra strategia non avrebbe alcuna possibilità di vincere. Le volpi si chiamano così per un motivo e sicuramente non le possiamo battere per astuzia."
Gemma sentì gli occhi riempirsi di lacrime e non si riuscì a trattenere.
Coraggiosa tu?, si disse, non riesci neanche a proteggere i tuoi cari, moriremo tutti per colpa mia.
Jackson sospirò e la circondò con le sue braccia. Guardò Christine che stava in disparte con un'espressione neutra, rassegnata, e con un cenno della testa la invitò ad unirsi a quell'abbraccio pieno di tristezza.
Stettero un po' così, abbracciati, con gli occhi chiusi, cercando di consolarsi a vicenda.

Gemma aveva ormai preso una decisione.
Quando aveva incontrato il Guerriero di Foxiness, aveva provato una strana sensazione: in quei suoi occhietti aveva scorso una furbizia malvagia. Sembrava così sicuro del suo futuro, così certo dell'esito della guerra, come se avesse progettato ogni mossa e predetto contromossa da solo.
Questa cosa le aveva messo i brividi, ma ora aveva capito che se voleva dare una svolta a quella situazione, era lui quello da colpire. Era lui che, da solo, aveva organizzato una guerra.
Ti stai sbagliando, Gemma. Non è possibile che una persona faccia tutto ciò. si diceva. Ma quella sensazione non se ne andava.
Basta. Sarà da pazzi, sarà da stupidi, ma o così o la guerra è persa sicuramente.
"Ciao, Gemma" disse Christine, entrando improvvisamente nella tenda.
La ragazza si voltò di scatto, interrotta improvvisamente dai suoi tormentati pensieri.
"Ehm, ciao. Cosa ci fai qui?" chiese un po' preoccupata.
"Oh, niente... Non riesco proprio a prendere sonno e ho, uhm, ho pensato di venire qui a chiacchierare... Sai, una chiacchierata fra donne." rispose l'altra, sorridendo e avvicinandosi.
"Sei sicura di stare bene?"
Christine annuì, giocherellando per i guanti.
"Sì, ma le notizie di oggi... Sono tempi duri e l'importante è stare uniti. So di non aver mai fatto tanti sforzi per conoscerti, ma vorrei che tu sapessi che ti ammiro molto come comandante, se non ci fossi tu qui, non so come faremmo. Sei di enorme importanza, qui." disse tutto di un fiato.
Gemma spalancò gli occhi, sorpresa. Quel suo continuo dire "qui", quasi avesse paura che se ne andasse, le faceva pensare che sapesse il suo piano. Ma era impossibile: non aveva ancora detto nulla a nessuno, non poteva aver intuito tutto.
"Sono sicura che troveremo una soluzione, insieme. Domani, o magari dopodomani convocheremo un'assemble, va bene?" continuò ancora Christine. Era chiaro il messaggio che voleva trasmetterre: non agire impulsivamente, stai qui.
Gemma, però, sapeva bene quello che avrebbe fatto ed era troppo testarda per ascoltare questi consigli. E ancora una volta, l'altra le sorrise come se fosse consapevole che quel discorso non sarebbe servito a nulla, e uscì dalla tenda.
Gemma non aspettò neanche un minuto. Pensò ancora un attimo a quelle parole, poi scrisse velocemente una lettera, velocemente,che lasciò lì, e prese il mantello.
L'accampamento era praticamente deserto e la ragazza faceva del suo meglio per non farsi notare da quei pochi soldati che si aggiravano ancora. Quando ormai stava per inoltrarsi nella foresta appena davanti alle tende, si girò indietro, incontrando lo sguardo sorpreso di Jackson.
Gemma pensava che il ragazzo l'avrebbe seguita, ma lui si limitò ad annuire e a sorriderle, mimando con le labbra "stai attenta". Lei sorrise di rimando.
Non sapeva se Jackson aveva capito ciò che aveva in mente, ma le aveva appena dimostrato una fiducia che non si sarebbe mai aspettata. Jackson aveva fiducia in lei e questo le fece aumentare la fiducia in se stessa. Ce la posso fare.
Sicuramente, però, il ragazzo avrebbe capito tutto leggendo la lettera e allora Gemma sperava che quella fiducia rimanesse viva.
 

Angolo dell'autrice 
Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo :3
Qui, i protagonisti principali sono WIlliam e Gemma, come ai vecchi tempi.
La situazione è complessa: da una parte ci sono Axel e Lavinia, che devono affrontare gli urlatori, poi c'è William che deve trovare il traditore, Christine che dopo aver toccato Gemma si comporta in modo strano e quest'ultima che ha un piano in mente.
Quale sarà il piano? Ci saranno davvero nuovi imprevisti? 
Vi posso dire che nel prossimo capitolo anche l'assassino si "muoverà".
Al prossimo capitolo,
StellaDelMattino

 

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Capitolo 29
*** Una vittoria, un ritrovamento e una storia ***


Come il coraggio della tigre e come la profondità dei segreti

Capitolo 29

Una vittoria, un ritrovamento e una storia


Lavinia guardava la tenda con una certa ansia.
Quella mattina erano arrivati i genitori di Axel, i Guerrieri di Oceanshark, agitati, chiedendo al figlio udienza nella sua tenda. Avevano sicuramente ricevuto la lettera e non sembravano più molto propensi ad aiutarli nella guerra. E Lavinia sapeva benissimo quanto fosse importante la loro alleanza, in quel momento più che mai.
Ogni tanto si sentiva qualche grido, soprattutto dei genitori, che chiedevano al figlio di tornare a casa, al sicuro. Axel, però, non sembrava accettarlo.
James guardò Lavinia con aria preoccupata.
"Dici che ci aiuteranno ancora?" chiese senza molta speranza.
La ragazza sospirò. "Non lo so proprio. Se Axel riuscisse a convincerli..." Lasciò incompleta la frase. Un conto era convincere la mamma a prendere un nuovo draghetto, uno era buttarsi in una guerra che probabilmente non avrebbero vinto. Vinceremo, invece, si disse.
"Axel ce la può fare." disse James, fiducioso. "Dimentichi come ha convinto gli altri accampamenti a usare l'erba del tramonto o come pendono dalle sue labbra tutti i soldati quando racconta le sue storie." O come mi fa sentire ogni volta che mi parla. Accortasi di quel pensiero, Lavinia scosse la testa. Non era quello il momento per pensarci.
Eppure, non era neanche il momento per pensare agli altri accampamenti. Sul confine di Doerate, pochi avevano resistito come loro. La ragazza si era subito precipitata dalla madre, per vedere come stava, non appena era finita la battaglia. Stava bene, per fortuna, ma era scossa almeno quanto Lavinia. Il fatto che avesse sbagliato a non aver fiducia nella figlia, però, non le aveva dato alcun pensiero, come agli altri comandanti.
La ragazza, del resto, non ci aveva neanche sperato. Di routine, insomma.

L'entrata della tenda si spalancò violentemente. Axel uscì arrabbiato, girandosi solo per urlare: "Voi potete pure fare quello che volete, ma io non abbandonerò così degli alleati!"
Subito uscirono anche i genitori. Si vedeva quanto fossero preoccupati per il figlio, sebbene cercassero di coprire questa paura con un'espressione arrabbiata.
Dal canto suo, Axel richiamò l'attenzione dei soldati.
"Ascoltatemi tutti bene. Gli urlatori sono creature spietate, maligne, non esiteranno un solo secondo a ucciderci tutti, anzi, lo faranno ben volentieri. E noi, beh, noi non li conosciamo. Avremmo bisogno di mesi per prepararci a quello che dobbiamo affrontare giorno per giorno. Per questo, i Guerrieri di Oceanshark hanno deciso di non mantenere la parola data e di spezzare l'alleanza che avevano promesso. Quindi, Squali, potete andare nelle vostre tende e prendere le vostre cose." Fece una pausa, tutti lo guardavano sbigottiti. Alcuni stavano per fare come ordinato, ma lo sguardo si Axel passava su tutti loro, li guardava a uno a uno, come uno squalo che sceglie la preda. Deciso, imperturbabile. "Su, avanti. Scappate. Lo facciamo sempre, perchè dovrebbe essere diverso? È normale, giusto così. Dobbiamo salvarci e pensare al nostro regno, a noi. Però ora vi dirò perché io starò qui." Altra pausa, nessuno fiatava o si muoveva. " Oh andiamo, guardateli. Non sono patetici? Spaventati a morte e bisognosi più che mai d'aiuto: questi sono i soldati di Tigerheart e Secreteyes, le grandi Tigri coraggiose e i misteriosi uomini dagli occhi profondi. Patetici." disse con un tono quasi sprezzante, indicando i soldati. "Il fatto è, cari miei, pensate di essere tanto diversi? Perché ho visto anche le vostre facce da squali nella battaglia ed erano uguali. Eravamo uguali. Ora mettetevi nei loro panni, mettetevi nei panni dei nuovi amici che avete trovato qui e pensate che entro una settimana saranno tutti morti, ve lo posso assicurare. Magari meno di una settimana: non ce la faranno mai. E allora? Allora diamocela a gambe levate prima di venire uccisi anche noi, no? E poi giustifichiamoci, diciamoci che non sarebbe cambiato nulla, che saremmo morti anche noi se non ce ne fossimo andati, tanto per alleviare il senso di colpa. Beh, mi sembra proprio giusto. Proprio da amici o da alleati.
Non penso che loro se ne andrebbero nel momento del bisogno e se lo facessero sarebbero peggio degli urlatori. Non vi chiedo di stare, ma sappiate che partendo avrete ucciso tutte le persone che avete incontrato in questa sfortunata condizione. E quello, quello non è qualcosa che si cancella tanto facilmente."
Neanche un soldato andò a prendere le sue cose.

I Guerrieri di Oceanshark erano impietriti. La loro posizione, però, non cambiò.
Supplicarono il figlio di andare con loro, lo provarono a minacciare, ma lui ormai aveva deciso.
Partirono, quindi, poco dopo, incerti e spaventati più che mai.
Axel era stanchissimo. Si ritirò nella sua tenda senza dire una parola, turbato da quegli avvenimenti. Aveva capito, come anche gli altri, che probabilmente era l'unica truppa di Squali rimasti a combattere e gli altri accampamenti nel confine, già indeboliti dalla battaglia, dovevano esser davvero vulnerabili.
Più tardi, Lavinia gli fece visita. Entrò nella tenda, piuttosto restia. La sua timidezza lo faceva sempre sorridere.
"Ciao." disse avvicinandosi. "Grazie."
Stare nella sua tenda la imbarazzava, era evidente. Le sorrise.
"Facciamo un giro?" chiese Axel.
Camminarono un po', in silenzio. Lavinia si torturava le mani, stranamente agitata.
"Che c'è?" chiese il ragazzo, dopo un po'.
Lei sorrise. "Niente, è solo che non me l'aspettavo. Saremmo persi senza di te."
"Oh, tranquilla. Salvare le fanciulle e le loro truppe è il mio hobby preferito."
Lavinia ridacchiò. "Però non è vero che siamo patetici. Abbiamo solo un po' paura."
Axel alzò gli occhi al cielo. Aveva appena convinto tutti i suoi soldati a combattere con un'altissima probabilità di morire, e quello le era rimasto impresso. Se no non sarebbe Lavinia, pensò.
Erano ormai davanti alla tenda della ragazza. Lei fece per entrare e Axel si diresse dalla parte opposta.
"Ma perché lo hai fatto? Rischi davvero di morire." disse Lavinia, facendolo fermare. Il ragazzo sembrò rifletterci.
"Ho trovato qualcosa per cui vale combattere."
Con un ultimo sorriso, sparì fra le tende.

***

Il cielo era colorato da sfumature rosa e arancioni e il sole si faceva strada sulla linea dell'orizzonte.
Gemma non pensava che una notte sarebbe potuta essere così lunga e spaventosa. Tra gli inquietanti fruscii e il vento che la faceva rabbrividire, non era riuscita a chiudere un occhio.
Il castello di Foxiness era più vicino che mai. Troppo vicino.
Tanto, ormai, non poteva più tornare indietro, per quanto una parte di lei lo volesse.
Dal limite della foresta, Gemma poteva vedere i soldati che correvano fra le tende, in quello che sembrava un accampamento, ai piedi di una collina su cui troneggiava un imponente castello. Lì, pensò, dovevano esserci le persone più importanti.
Perché era quello il piano della ragazza. Andare dritto dritto nelle fauci fameliche delle Volpi, conquistarsi la loro fiducia e scoprire il piano del Guerriero. Che piano stupido, si disse.
Al loro primo incontro, il re le aveva offerto ospitalità e aveva cercato di raggirarla, parlando di William. Quasi quasi ci aveva creduto, aveva passato alcune notti a pensarci, decidendo poi di non potersi fidare delle Volpi. Questo, però, loro non potevano saperlo.
Puntava tutto su questo: che la credessero abbastanza ingenua da credere alle parole del re.
Che piano stupido, si ripetè.
Sospirò, sconsolata. O quello, o avevano perso in partenza. Eppure non era più tanto sicura che fosse la cosa migliore da fare: ci avrebbe dovuto pensare di più.
Beh, ormai era fatta.
Si avvicinò lentamente all'accampamento, sperando che non la attaccassero subito. Alzò le mani, facendo vedere che non era armata. Poi, con voce bassa, richiamò l'attenzione di un soldato. Questo la guardò con i suoi occhi neri, tipici delle Volpi, incuriosito.
"Sono la principessa Guerriera di Tigerheart." disse Gemma lentamente. "Devo parlare con il tuo re. Ora."

L'avevano accolta come si accoglie un amico di vecchia data.
Scortata al castello, aveva attirato l'attenzione di tutti i soldati, stupiti e contenti, come se ormai avessero vinto.
Il castello aveva un nonsochè di inquietante e al tempo stesso attraente, come se quei muri la obbligassero ad addentrarsi sempre più in quella ragnatela di corridoi.
Quando la vide, persino il Guerriero delle Volpi sembrò stupito.
"Non pensavo che saresti davvero venuta qui." mormorò, quasi si stesse cercando di convincere che fosse vero.
Gemma annuì, pronta a recitare meglio che poteva e allo stesso tempo consapevole di non essere molto brava. Per un secondo ripensò al primo incontro con William e si ritrovò a sorridere lievemente.
"Ho riflettuto sulle vostre parole. E... William aveva tutti gli interessi." disse, poi abbassò lo sguardo. "Io sono stata troppo ingenua per capirlo."
Il re le si avvicinò e Gemma dovette reprimere l'impulso di arretrare.
"Oh, no, cara. È di Secreteyes, nasconde segreti e raggira da tutta la vita. Non potevi capirlo."
Mi ha appena dato della stupida?!
Trattieniti, si disse.
"Chissà se mi ha mai detto qualcosa di vero..." continuò Gemma.
"I tuoi genitori sanno che sei qui?" chiese. Il cuore della ragazza sobbalzò, la Volpe stava indagando. Un passo falso ed era morta: doveva soppesare bene le parole.
Scrollò le spalle.
"A loro non importa nulla. Mi hanno scambiata con la pace. E questo non lo potrò mai perdonare." Una lacrima le rigò il viso. Inavvertitamente aveva pensato alla possibilità di non vederli mai più. Di non vedere nessuno, mai più. Quello l'aveva fatta piangere.
Il re sembrava essersela bevuta.
Chiamò alcuni servitori e disse loro di prepararle una stanza, intanto avrebbero fatto il giro del castello.
Bene, pensò Gemma, devo memorizzare tutto.
"Sono felice che tu abbia capito, cara. Si vede che sei una ragazza d'oro, ti meriti di meglio." disse il Guerriero, guardandola con quegli occhietti che le davano i brividi.
La ragazza sorrise forzatamente. Sapeva che l'avrebbe ancora messa alla prova: doveva stare all'erta.
Neanche avesse letto i suoi pensieri, il re fissò la sua attenzione su qualcosa che Gemma aveva al collo. Il ciondolo di William.
"Perché lo tieni ancora?" le chiese, sospettoso.
La ragazza aveva pensato di lasciarlo all'accampamento, ma proprio non ce l'aveva fatta. Ne aveva bisogno, e aveva sperato che non se ne accorgessero.
Come un riflesso involontario, Gemma si portò una mano al ciondolo.
"Io lo amavo..." sussurrò. Lo amerò sempre.
"Aveva un posto importante nel tuo cuore, non è vero?"
La ragazza serrò la mascella.
"Dovrei toglierlo, lo so. Ma non sono pronta." disse. Con qualche ritocco, la verità poteva essere abbastanza falsa da sembrare credibile.
Continuarono il giro senza farne più parole. Il re indicava le stanze e le presentava domestici o guardie. Erano tutti molto diffidenti.
Stava quasi iniziando a rilassarsi, quando il re le fece vedere le celle dell'ala ovest, come l'aveva chiamata lui. Le celle, certo, non l'avevano mai entusiasmata particolarmente, e ancor meno l'avevano fatto i prigioneri.
Quando, però, vide due grandi occhioni azzuri che la guardavano sorpresi e confusi, le mancò il respiro.
Prigioniero di quel castello era qualcuno che mai e poi mai si sarebbe aspettata di trovare.
Trevor.

***

Dopo aver letto la lettera di Gemma, Jackson scoppiò a ridere.
Quella era proprio matta.
Scosse la testa, sospirando.
Vedendola al limitare della foresta, in procinto di partire, il ragazzo aveva capito che c'erano solo due cose da fare: o la rincorreva e le faceva il terzo grado, o riponeva tutta la sua fiducia in lei.
Non ci aveva neanche dovuto pensare.
Seguì le istruzioni che gli aveva scritto nella lettera: mandò un messaggio ai Guerrieri di Tigerheart e uno a William. Quest'ultimo era riuscito a fargli capire tutto l'amore che provavano l'uno per l'altra e si era ritrovato a sorridere come un ebete.
Si era imposto di tornare serio ed era andato da Christine, meditando su cosa dirle.
Chiese il permesso di entrare nella sua tenda, ma la ragazza cercò di scacciarlo con un urlo. Naturalmente Jackson entrò comunque.
Christine, che prima era stesa sul letto, si alzò di colpo.
"Ti avevo detto di non entrare, razza di imbecille!" urlò.
"Oh, sei troppo... carina quando mi insulti." le disse con un sorriso malizioso.
"Oh, quasi quanto lo sono mentre ti prendo a schiaffi?" ribattè lei, sempre più arrabbiata.
"No, non così tanto."
Christine sbuffò.
"Vattene. Ora. Non sono dell'umore giusto per sopportarti e anche se lo fossi, non ti vorrei qui comunque."
"Ma come siamo simpatiche." ribattè Jackson, che non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere. "La mia bellezza ti disarma?"
"No, è la tua stupidità."
Il ragazzo rise di gusto. Oh, stuzzicarla era davvero divertente. Avrebbe continuato tutto il giorno, se non avesse avuto una questione così importante da comunicarla. Sospirò.
"Sono qui per dirti una cosa importante, Christine. Gemma è dovuta andare... all'accampamento dei genitori, mi sembra. Doveva..." La ragazza non lo lasciò finire.
"Risparmia fiato. So dov'è e perché." disse, fredda.
Questo non se lo aspettava.
"TI ha detto tutto?!" esclamò, sconcertato.
Christine non rispose. Si mise una mano sugli occhi e sospirò. Era sul punto di piangere.
"... Christine? Stai bene?" chiese, incerto. Ma che cavolo le prendeva?
La ragazza lo guardò, piena d'odio.
"Sei stato tu! È colpa tua! Se non mi avessi costretto a toccarla ora andrebbe tutto bene!" urlò fuori di sè.
Jackson sbiancò. "Che cosa?! Tu... cos'hai fatto?!"
Christine respirò profondamente e fissò il suo sguardo su di lui.
"È ora che io te lo dica. Tanto più danni di così non li puoi fare." Ora pose la sua attenzione sui propri guanti, iniziando a stropicciarli. "Tanto tempo fa, il mondo era molto più magico. I popoli erano molto più divisi e ognuno di essi si distingueva per una particolare caratteristica: gli Squali avevano il controllo sull'acqua e attingevano da essa la propria forza. Quelli di Doerate si diceva facessero salti così alti che sembrassero volare, mentre le Volpi riuscivano a mimetizzarsi e diventare invisibili. Le Tigri emanavano l'Essenza del Coraggio e quelli di Secreteyes riuscivano a fiutare un segreto e a capire quando qualcuno mentiva."
Jackson fece finta di sbadigliare e ricevette un'occhiata omicida.
"Quando inizia la parte interessante?" chiese con finta aria innocente.
Christine sbuffò. Perlomeno si era calmata.
"Con il passare del tempo questi poteri divennero sempre più rari, per poi essere dimenticati. A volte, però, capita che si manifestino in alcune persone."
Il ragazzo iniziò a capire. "Cosa facevano quelli di Hawkvengeance?" chiese. Non era sicuro, però, di volerlo sapere.
"I falchi sono animali famosi per una loro precisa qualità. La vista. E da questa, il mio popolo aveva preso i poteri. Ad un tocco, potevano vedere il futuro di una persona.
Ho visto il futuro di Gemma"

***

Guardava l'accampamento con una certa frustrazione. William era lì, che andava avanti e indietro senza fermarsi un secondo. Sembrava sempre di fretta: se fosse stato fermo, a quest'ora l'avrebbe ucciso e si sarebbero evitate molte grane. E magari avrebbe avuto un incarico più divertente.
L'assassino lo guardò insistentemente, quasi lo volesse uccidere con lo sguardo. Doveva trovare un'altra strategia per farlo fuori.
Un fruscio, simile a un battito di ali, gli fece distogliere lo sguardo. Dall'alto cadde un messaggio, proprio vicino a lui. Sorrise, cattivo, e si chinò a raccogliere il foglio.
Non c'era lo stemma (erano sempre così i messaggi per le spie, per evitare di essere compromessi nel caso finissero in mani nemiche), ma lui sapeva bene da ci proveniva.
"Torna in patria. Urgente. Inconveniente."
Deciso, sintetico. Criptico.
Adorava quei messaggi: non stavano a girarci intorno.
Meno male, non ne poteva più di stare nell'ombra: preferiva agire alla luce del sole, conoscere di persona le sue vittime. Vedere il tradimento nei loro occhi era molto meglio della banale sorpresa.
Si chiese dove l'avrebbero mandato, ora. Magari avrebbe fatto visita all'accampamento della cara amata di quell'idiota che non si era fatto uccidere, oppure sarebbe andato dagli urlatori (ci sperava, non ne aveva mai ucciso uno) o, chissà, direttamente alla reggia di Secreteyes a uccidere chi era rimasto. In ogni caso sarebbe stato meglio che stare lì, non ne poteva più.
Partì subito.
Attenti, pensò con un sorriso malvagio, il Jade Jailbird sta arrivando.


*angolo autrice*
Buongiorno!
Beh, non so neanche da dove cominciare. 
Ne sono successe di cose, eh? 
Innanzitutto: Axel e Lavinia. Il ragazzo ha tenuto un discorso piuttosto convincete e i loro sentimenti... stanno uscendo allo scoperto. Senza l'aiuto di Oceanshark, però, sarà molto difficile. Cosa faranno?
Gemma: questo era il suo piano! Riconosce anche lei quanto la sua mossa sia stata avventata, ma ha ritrovato Trevor, che ci fa lì?
Christine: il suo potere vi ha sorpresi? Cos'ha visto nel futuro di Gemma?
E il Jade Jailbird? Dove andrà?
Una curiosità su quest'ultimo: la traduzione di questo nome/soprannome è "l'avenzo di galera color giada" :)
StellaDelMattino

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Capitolo 30
*** Notte senza fine ***


Capitolo 30
Notte senza fine

 

Gli occhioni azzurri di Trevor si spalancarono per la sorpresa.
Gemma non sapeva cosa dire. Cercò di riprendere il proprio contegno, chiudendo la bocca che prima aveva spalancato, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla fingere. Ormai il danno era fatto.
"Cosa ci fa lui qui?" chiese a voce bassa, in un sussurro.
Il re, dal canto suo, sembrava compiaciuto. Sorrise, malvagiamente, prima di risponderle.
"È stato catturato ai confini. Si stava cercando di infiltrare per spiarci: ormai il tuo vecchio regno usa anche i bambini. Giusto, Trevor?"
Il bambino non disse nulla. Guardava torvo Gemma, con uno sguardo che comunicava tradimento. Non sapeva che lei stesse fingendo.
Se non l'ha capito lui che scova segreti da sempre ho qualche probabilità che non l'abbia capito neanche il re, pensò la ragazza. Doveva cercare di non farsi scoprire, ma non avrebbe mai permesso che lo lasciassero lì.
"Trevor, tu capisci che ciò che ti hanno ordinato è inumano, vero? Perché lo è. Tu sei solo un bambino..." disse Gemma.
Lo sguardo di Trevor ci accese di rabbia, ma, ancora, non rispose.
La ragazza si rivolse alla Volpe. "Lui non ha colpe. Il suo animo è stato forgiato dall'ingiustizia del suo regno. Non si merita una punizione."
Il re sembrò pensarci. "Avete ragione, ma dovrà capire questi sbagli, prima di esser rilasciato. Se vorrai, avrai la possibilità di farglielo capire tu. Ora proseguiamo."
Detto questo, ricominciarono a camminare. Gemma lanciò un ultimo sguardo al bambino: ancora non si capacitava della sua presenza.
Durante il resto del giro, non riuscì a pensare che a lui. Solo quando un soldato arrivò urlando di andare nel salone -dove un tempo c'era un maestoso trono, ora sostituito da una goffa sedia di legno- si distrasse.
Quando furono lì, si spalancò il grande portone e fecero il loro ingresso due soldati, che tenevano un uomo. Un ragazzo, più che altro, sporco di terra e sangue, che si dimenava per scappare. Sul suo viso risplendavano occhi verdissimi, color smeraldo. Si muoveva troppo, però, per individuare altro del suo aspetto.
Il re ordinò di portarlo nelle prigioni, con nonchalance, come se non gli importasse nulla.
Il ragazzo, con il fiatone, si mise a urlare, disperato e furioso allo stesso tempo. 
"Non vincerete mai!" diceva "I vostri valori sono falsi!"
C'era qualcosa di strano nella sua voce, qualcosa che Gemma non riusciva bene ad identificare. Non appena il re rispose, però, la ragazza capì.
Il ragazzo aveva l'accento delle Volpi: era un traditore.
 

***

Che cosa?!
Jackson si chiedeva se avesse sentito bene. Il futuro di Gemma? Christine aveva davvero visto il futuro di Gemma? Impossibile, decisamente impossibile.
Vista la faccia sconvolta del ragazzo, Christine sospirò. E ancora non sa cosa ho visto!
"Ho sempre pensato che il futuro fosse incerto..." disse Jackson, in un filo di voce. Stava ancora elaborando ciò che aveva appena appreso e molte domande stavano nascendo nella sua testa.
"Solo chi conosce il futuro può realmente cambiarlo. Eppure, gli avvenimenti più importanti sono immutabili: anche sapendolo, una morte non si potrebbe evitare. L'incontro di William e Gemma, ad esempio, ha cambiato la vita di tutti ed era destino che ciò avvenisse."
Jackson sembrò rifetterci.
"Ma se avessi convinto William a non andare al ballo, cosa sarebbe successo?" chiese.
"Si sarebbero incontrati comunque. Magari qualche giorno dopo, magari non al ballo, ma si sarebbero incontrati." Delle lacrime affiorarono negli occhi della ragazza. "L'unico modo per evitarlo sarebbe stato usare il potere al momento giusto. Vedere il futuro è una cosa complessa: conferma e dà la possibilità di cambiarlo allo stesso tempo. Non puoi capire, ma io lo sento."
Jackson le asciugò una lacrima che le scendeva sulla guancia: per un momento pensò che quel contatto le facesse vedere il suo futuro, ma lei non reagì.
Il ragazzo doveva mettere a posto i pezzi del puzzle.
Il futuro cambiava, ma, nel momento in cui lo si vedeva, i punti fondamentali diventavano certi, mentre si potevano cambiare i dettagli. Era una questione di tempismo, bisognava guardare il futuro quando la prospettiva era più favorevole. E lui era riuscito a rovinare tutto. Riusciva sempre a rovinare tutto.
Ora, però, la domanda era un'altra: come poteva essere il futuro così brutto da farla reagire in questo modo? Proprio Christine, così sicura e fredda da sembrare un soldato più che una giovane ragazza.
"Cos'hai visto?" chiese Jackson.
Lei scosse la testa: "È un peso che non ho intenzione di condividere."
Jackson sorrise. Christine non aveva ancora capito quanto potesse essere persuasivo?
 

***

Appena il re la congedò per alcuni "affari di guerra" -come li aveva definiti lui-, Gemma andò da Trevor.
Si sentiva terribilmente in colpa. Doveva fargli capire subito da che parte stava.
Scese ed entrò in quel corridoio buio e angusto dove stavano le celle e le guardò una ad una per trovare il bambino. Si chiese se fosse lì anche l'altro prigioniero, il traditore, e un altro interrogativo nacque nella sua mente. Perché c'erano solo due prigionieri? Era un castello da cui venivano dirette le più importanti azioni militari e c'erano solo due prigionieri.
"Gemma?" chiamò una vocina.
La ragazza corse verso la cella da cui era provenuto quel suono.
"Oh, Trevor, cosa ci fai qui?" chiese, posando le mani su quelle del bambino, che aveva afferrato le sbarre.
"Io non potevo sopportare di starmene con le mani in mano alla reggia... volevo fare qualcosa di utile. Io scopro segreti e sarei potuto essere una brava spia." disse, con le lacrime agli occhi.
"Ma...? Cosa è successo?"
"Mi hanno scoperto al confine. Sono stato stupido." Il suo sguardo si fece improvvisamente duro. "Tu, invece? Cosa ci fai qui?!" quasi urlò.
Gemma si avvicinò, guardandosi intorno. La prudenza non era mai troppa.
"Devo scoprire i piani del re." gli sussurrò. "Sono anche io una spia."
Trevor ci mise un po' per capire, tanto aveva parlato piano la ragazza.
Poi, però, sorrise e il suo sguardo si illuminò.
"Lo sapevo! Compagni di segreti!"
Gemma lo zittì, dolcemente. "Ti tirerò fuori di qui appena sarò riuscita a trovare ciò che voglio.
 

***

Christine stette nella sua tenda tutto il giorno.
Non voleva uscire. Non aveva nemmeno voluto mangiare.
Spiegare il suo potere a Jackson le aveva ricordato quanto fosse impossibile cambiare il futuro e ora ogni cosa le sembrava senza senso.
Jackson tornò da lei quella sera. Le si sedette accanto sul letto e per un po' rimasero zitti. Non si guardavano neanche.
Poi il ragazzo si alzò e fissò il suo sguardo su di lei.
"Ho fatto proprio un casino, eh?" disse. Il suo tono sembrava quasi divertito, ma i suoi occhi erano tristi. "Come al solito. Sono bravissimo a sbagliare, sai? Non ho mai fatto la cosa giusta, non ho mai rimediato ai miei errori, non penso sia nella mia natura. Data la tua reazione al futuro di Gemma direi di aver rovinato tutto. Ed è ancora tutta colpa mia."
Christine non disse nulla, ma Jackson era troppo preso dai suoi pensieri per accorgersene.
"Lo so che il futuro non può cambiare e il resto, ma io non posso andare avanti sapendo di aver rovinato tutto." continuò poco dopo "Sarà per egoismo, ma voglio fare la cosa giusta, per una volta. Voglio rimediare ai miei errori, Christine. O il senso di colpa mi ucciderà. Quindi ti prego, ti prego fammi vedere il futuro di Gemma. Mal che vada tenterò inutilmente, ma almeno ci avrò provato."
La ragazza lo guardò per un po'. Poi un piccolo sorriso inarcò le sue labbra.
"Posso fare anche di meglio. Te lo posso mostrare."
 

***

William sospirò.
Di quei tempi sospirava un sacco. Era il suo modo per dirsi "anche oggi ce l'ho fatta" e allo stesso tempo: "anche oggi non è cambiato nulla". Tirava un sospiro di sollievo e sospirava per la tristezza.
Entrò nella sua tenda, impaziente di togliersi quell'armatura tanto pesante.
Una lettera, posata sul suo letto, attirò la sua attenzione. L'ultima volta non erano state sicuramente buone notizie e William ormai aveva perso molta di quella speranza che aveva prima di combattere. Aveva visto troppe uccisioni, troppo sangue. Non importava che fosse sangue amico o nemico: era sangue, che mai avrebbe potuto portare buone cose.
I Barbari erano spietati e forti, troppo forti per essere reputati meno preoccupanti delle Volpi. Forza e astuzia, dalla parte nemica.
E loro cosa avevano? Segreti e coraggio. Uomini che non si fidavano degli altri e uomini che agivano impulsivamente.
All'inizio credeva che l'amore che aveva scatenato quella guerra sarebbe riuscito a superare ogni cosa, ma ora non ne era più tanto sicuro. Tra i due, era Gemma quella ottimista.
Prima di iniziare a combattere, l'amore e la vendetta erano le cose più importanti della sua vita, ma ora erano entrambe così lontane...
William sospirò, ancora, e si concentrò su quella lettera. Era di Jackson.
Il ragazzo storse il naso.
Che portasse notizie brutte come quelle della sorella? D'altronde, non sarebbe stato tanto strano. Jackson non era proprio famoso per portare buone notizie: era più uno che portava guai.
Una paura improvvisa avvolse William. Jackson era nello stesso accampamento di Gemma, perché non aveva scritto lei? Che fosse...
Il ragazzo si rifiutò di pensarlo.
Aprì la lettera con una velocità quasi vorace. Come se a un digiuno fosse stata messa davanti una torta al cioccolato. Solo che lui non era spinto dalla fame, era spinto dalla paura.

Caro William,

Già qui capì che non era Jackson il mittente.

Sono la tua Gemma.

Rimase fisso a lungo su questa frase. La mia Gemma.
Un nome e una garanzia. Per lui era così preziosa, lui continuava a combattere guidato dal riflesso luminoso del suo ricordo. Era l'unica cosa che lo facesse andare avanti.
Un sorriso nacque sul suo viso come un riflesso involontario: era sempre così quando pensava a lei.
Eppure, ancora si chiedeva perché il messaggio fosse da parte di Jackson.

Lo sai tu come lo so io che così non vinceremo la guerra: bisogna fare qualcosa. E lo farò.
Sto per andare dalle Volpi.
Sono convinta che sia il Guerriero ad aver progettato la guerra, quindi cercherò di capire il suo piano e scapperò. Devo ancora stabilire i dettagli, ma non puoi fare nulla per fermarmi: probabilmente quando leggerai questa lettera io sarò già là.
Ho fatto mandare questa lettera da Jackson, perché le spie sono ovunque e la prudenza non è mai troppa.
Volevo solamente che sapessi che anche se dirò di esser stata ingannata da te, di non amarti, ciò non sarà mai vero. Io ti amerò sempre.
Le nostre anime sono legate, William. Lo so, lo sento! E sarò sempre vicina a te, in qualche modo. Sempre.
Ti ricordi la nostra promessa? Ci rivedremo. Mi devi ancora insegnare il linguaggio dei draghi!

William sorrise a quell'ultima frase. Era così... da Gemma.
Spesso si era chiesto perché l'amasse. Sul subito, non aveva trovato una risposta, ma poi aveva pensato alle piccole cose che la contraddistinguevano.
Aveva pensato alla fossetta che si formava sul suo viso quando sorrideva, ai suoi movimenti leggeri e impacciati allo stesso tempo. Al suo essere così terribilmente timida e coraggiosa, alla sua paura per l'amore e alla sua semplicità. Era una contraddizione a tutto quello che aveva sempre creduto, un errore in tutta la normalità in cui era vissuto. Un rosso in tutto il grigio che lo circondava. Oh, se l'amava.
Il sorriso morì sulle sue labbra.
Gemma non era mai stata brava a mentire e le Volpi non si facevano ingannare: era in pericolo. Ma la cosa peggiore, era che William non avrebbe potuto fare nulla, se non vincere la guerra.
Ed era come un altro doloroso addio, che sembrava più definitivo degli altri. Era come se la perdesse di nuovo. Si chiese se avrebbe mai smesso di perderla.
Quella guerra era una notte di cui non vedeva l'alba.


*Angolo dell'autrice*
Buonasera! Questa settimana sono puntualissima. 
Beh, non so che dire.
La situazione è sempre più critica, eh?
Mi era mancato scrivere di William. Personalmente lo amo e scrivere di lui mi riesce naturale, è come se mi chiedesse di scrivere di lui.
Spero vi sia piaciuto il capitolo!
Alla prossima,
StellaDelMattino

 

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Capitolo 31
*** Esito incerto ***


Capitolo 31
Esito incerto

 

Era tutto sfocato.
La vista comprendeva solo soggetti che si muovevano in modo frenetico, gli sembrava quasi che l'aria non gli arrivasse ai polmoni.
Si girava, ma non vedeva altro che questi soldati che correvano.
Soldati, registrò la sua mente. Erano soldati.
Ad un battito di ciglia era tutto nero.
La visuale cambiava.

Ora, William piangeva. Era macchiato di sangue.
Brancolava, avanzando su passi incerti, la spada che strisciava la punta a terra, trascinata dalla sua mano malferma. Era scosso da tremiti.
Sangue e lacrime, nei suoi occhi. Rabbia e disperazione.
In quel lento progredire, che gli altri soldati sembravano ignorare, lo sguardo di William continuava a mutare.
Sembrava che la sua intera esistenza gli stesse passando davanti agli occhi, in un doloroso ricordo dei suoi errori.
Si fermò improvvisamente: aveva visto qualcosa, o meglio, qualcuno.
Il ragazzo guardò le sue mani, o più che altro il sangue che c'era sopra. Chiuse gli occhi, una lacrima solitaria passava sulla sua guancia.
Quando li riaprì, il blu era stato rimpiazzato da un nero profondo. Un buco nero di vendetta, eterna rabbia. Il suo sguardo era spietato.
Avanzò quasi correndo e, quando raggiunse un Barbaro, lo guardò con un odio che avrebbe potuto ucciderlo, ma il Barbaro sostenne lo sguardo, con sfida.
"Ding" disse quest'ultimo "Sappi che è questo il nome del tuo uccisore."
William si scagliò contro di lui con forza, ma l'altro parò il colpo.
Combatterono per molto, le mosse di William erano dettate dalla rabbia, prevedibili, gli prendevano energia e gli sbilanciavano l'equilibrio. Il Barbaro si difendeva facilmente, ma i suoi attacchi erano lenti, seppur forti.
Il Guerriero l'avrebbe potuto battere a occhi chiusi, normalmente. Ma il suo animo era agitato, le lacrime minacciavano di offuscargli la vista.
Alla fine William cadde in ginocchio e, rialzandosi poi con uno slancio impetuoso, cercò di colpire Ding, ma questo schivò, ancora una volta, e, approfittando della situazione, infilzò il Guerriero nel petto.
Il ragazzo spalancò gli occhi e cadde all'indietro, steso per terra.
Dalla sua ferita uscì una copiosa quantità di sangue. Il respiro gli mancava.
Una miriade di emozioni gli passò davanti agli occhi, appena prima che il suo sguardo si facesse vitreo e l'anima abbandonasse il corpo.
William era morto.

La morte di William sembrò riflettersi negli occhi di Gemma. Il suo cuore smise di battere, per un secondo. Le mancava il fiato.
Un secondo bastò per impedirle di accorgersi di una lama che veniva sfoderata.
Un grido, che però non era suo.
Gemma si girò e il suo cuore perse un altro colpo.
Urlò, le lacrime scorrevano sul suo viso.
Cadde in ginocchio, posando sulle ginocchia un corpo esanime senza volto.
"Non può perdere anche te" sussurrò.
Un altro rumore: la lama questa volta era indirizzata al petto di Gemma.
La colpì e la ragazza cadde indietro.
Qualcuno, con una voce meschina, parlava. Aveva un tono divertito.
Afflosciandosi per le poche forze, Gemma sembrò mormorare qualcosa, ma la voce non uscì.
La vita la lasciò.

Solo un battito di ciglia ed era tutto diverso: altri soldati, ora, morivano.
Urla e sangue, ancora.
Vide il re delle Volpi che rideva, troneggiando sui cadaveri dei nemici.
Il suo esercito dietro di lui.
La guerra era persa ed erano tutti morti.

Jackson indietreggiò, interrompendo il contatto con Christine.
Non poteva essere vero, quello non poteva essere il futuro.
Allora le loro anime erano davvero legate, pensò.
Un legame che li avrebbe uccisi entrambi.
Senza essersene neanche accorto, aveva pianto.
Per William e per Gemma, che erano suoi amici, ma anche per tutti loro.
Per Lavinia, per Christine. Era tutto perso.
Avevano perso.
E le morti viste nel futuro non potevano essere cambiate.

***

All'accampamento di Lavinia c'era una calma quasi irritante.
Erano passati giorni dal primo attacco degli urlatori e questi erano scomparsi. Li avevano aspettati, ogni pomeriggio, in un'attesa snervante e preoccupata, ma non erano mai arrivati.
Mentre la maggior parte dei soldati tirava un sospiro di sollievo e pensava che quello scontro fosse bastato a farli impaurire e scappare, Lavinia sapeva che non poteva essere così.
Ancora una volta, sarebbe stato troppo semplice, troppo bello per essere vero.
Perché non poteva andare tutto bene? Secondo i piani, per una volta.
Da loro, stava andando male persino il piano per l'emergenza.
Per fortuna, almeno, erano arrivati dei nuovi cavalieri dei draghi, che sicuramente avrebbero aiutato.
Sembravano anche loro piuttosto spaventati, tesi, se ne stavano sulle loro e parlavano poco, quasi non volessero conoscere gli altri soldati.
Uno in particolar modo le sembrava strano. Non parlava con nessuno e sembrava quasi disprezzare il suo drago. Come se lo incolpasse per essersi trovato lì.
Lavinia si chiese se si comportassero in quel modo perché non volevano affezionarsi, perché pensavano che avrebbero visto morire gli altri soldati dell'accampamento.
Lei lo sognava tutte le notti.
A volte era sua madre, il soggetto dei suoi incubi. A volte James, ma anche tanti altri. A volte
si sentiva morire lei stessa.

Ma vedeva soprattutto Axel, che veniva ucciso in modo atroce dagli urlatori.
Si alzava improvvisamente, con il fiato corto, e non riusciva più a chiudere occhio.
Per questo, le sue energie erano minime e i suoi occhi erano solcati da profonde occhiaie. Stava dimagrendo, ormai era quasi scheletrica.
Piangeva per ogni cosa. Era la stanchezza, a farle quell'effetto.
Ormai, aveva solo più un barlume di speranza.
L'unica cosa che la faceva stare meglio era sapere che c'era anche Axel, con lei. Ogni volta che lo vedeva, tirava un sospiro di sollievo.
Un suo sorriso ed ogni cosa tornava a posto.
Era lui, il suo barlume di speranza. La flebile luce in quel buio che la opprimeva.
Ancora non capiva quei sentimenti e cercava di non pensarci.
L'amore non aveva mai portato niente di buono nella sua vita, non era proprio il momento per pensare ad esso.
Pensava a queste cose con un timido sorriso sulle labbra, mentre stava nella sua tenda, sola a riflettere.
"Posso?" chiese una voce, inconfondibile.
Axel
Gli diede il permesso di entrare nella tenda con un cenno del capo e si mise a sedere.
"È successo qualcosa?" le sembrò spontaneo dire.
Il ragazzo scosse la testa. Un filo di barba era cresciuta sul suo viso, facendolo sembrare più adulto.
"Non... non sapevo cosa fare, così ho pensato di passare a far due chiacchiere."
Per un attimo rimasero in silenzio, a fissare il pavimento. Non era un silenzio imbarazzante, però. Era solo... tristezza.
Poi Axel si alzò e andò a sedersi vicino a lei. La guardò, in una tacita richiesta, poi le mise un braccio attorno alle spalle e la abbracciò.
Lavinia si abbandonò in quell'abbraccio, rilassandosi per la prima volta, dopo tanto tempo. Le veniva da piangere, ma non lo fece.
Axel iniziò a sussurrare.
Stava raccontando una delle sue storie, quelle che parlavano delle sue avventure in mare, di tutti quei pericoli e quelle meraviglie.
Lavinia le amava, quel ragazzo ce l'aveva sempre fatta, per quanto dubitasse che fosse tutto vero. Era sempre speranza, comunque.
E sospettava che aiutassero anche lui a sentirsi meglio.
In quel momento si sentì più vicina a casa.

***

"Ora capisci?" chiese Christine.
Jackson non rispose.
Iniziò a camminare avanti e indietro, preso dal panico.
Ci doveva essere una soluzione. Non poteva averli uccisi tutti.
Era solo colpa sua, o almeno così pensava, e per uno stupido scherzo era tutto perso.
"Calmati!" urlò la ragazza, poco dopo, mentre si rimetteva i guanti.
Gli occhi di Jackson erano sbarrati, le mani chiuse a pugno talmente forte da essere rosse.
Christine gli si mise davanti. Gli prese i polsi e gli fece aprire le mani.
Aveva piantato le unghie nella carne tanto da farsi uscire sangue.
Lo sguardo della ragazza era risoluto, deciso.
"Non è facendoti del male che il futuro cambierà, te lo posso assicurare. Hai detto che lo volevi fare qualcosa, quindi inizia a pensare."
Lui sembrò calmarsi un pochino.
"Se William non morisse, probabilmente non morirebbe neanche Gemma e quindi ci sarebbe qualche possibilità. Il fatto che si sia visto anche l'esito della guerra significa che le loro morti sono strettamente collegate ad esso."
Però, allora non è così stupido come sembra, pensò Christine. L'avrebbe detto, ma non era il momento.
Annuì, dicendogli di andare avanti.
"Mi rifiuto di pensare che il futuro sia immutabile." disse Jackson, mentre un sorriso gli spuntava sulle labbra. "Questo tuo potere è un dono, non una tortura. Lo cambieremo."
Le prese le mani e le strinse, ma in modo delicato, guardandola con tenerezza.
Pensava a quanto avesse sofferto, a quante morti avesse visto. Ed era solo una ragazza...
Non si meritava tutto questo.
"Andrò da William e glielo dirò. Lo convincerò a non combattere..."
Fu subito interrotto da Christine, che lo guardò con grandissima preoccupazione.
"Non farlo!" urlò la ragazza. "Non dirglielo! O l'avrai condannato ad un destino ben peggiore."
Jackson alzò un sopracciglio. Non disse nulla, ma lei capì dal suo sguardo che voleva una spiegazione. Una spiegazione che non era pronta a dare.
Inspirò profondamente, non poteva più tornare indietro.
"Dopo aver scoperto il mio potere mi mandarono subito ai confini. Il mio compito era quello di guardare il futuro dei soldati quando c'era una probabilità maggiore che andasse tutto bene. Per questo sono qui, sapevo che Gemma avrebbe fatto la differenza fra vittoria e sconfitta..." Si fermò lanciando un'occhiata a Jackson. Sembrava davvero risentito, determinato a cambiare il futuro. Le fece cenno di continuare. "La prima volta che vidi un soldato morire glielo dissi, era solo un ragazzo... Lo avvertii di non combattere e lui mi ascoltò. Non era uno che ascoltava molto..."
La voce le si ruppe e alcune lacrime le iniziarono scendere dagli occhi. Non singhiozzò, ma non le tolse nemmeno. Il suo sguardo era pieno di tristezza, ma mostrava anche quanto fosse forte il suo animo. Era davvero forte, più di tutte le persone che Jackson avesse mai incontrato. E di persone plasmate dal dolore ne aveva viste tante.
Perché alla fine era quello, ciò che faceva il dolore. Plasmava le persone, le modellava e faceva vedere quanto fossero forti, quanto avrebbero potuto resistere. Chi fossero davvero.
In un mondo di segreti, loro erano ciò che il dolore li aveva fatti diventare.
Persone spezzate, che ancora andavano avanti.
Christine teneva davvero a quel ragazzo, si vedeva. Jackson aveva paura di sapere cosa fosse successo.
"Quella notte, un gruppo di sperduti, sai, quei mostri... attaccarono l'accampamento, dove stavamo: io non potevo combattere, non ero addestrata... uccisero tutti. Lo uccisero davanti ai miei occhi, crudelmente, in un modo atroce. E io non potevo fare niente. Poi mi guardarono ed ero sicura che avrebbero ucciso anche me, ma non lo fecero. Si misero un dito sulle labbra, per farmi segno di stare zitta, e se ne andarono. Come se sapessero ciò che gli avevo detto..."
Nessuna parola avrebbe cambiato ciò che era successo, ma neanche tutti i modi a cui lei aveva pensato. Il passato era immutabile. Non il futuro.
Jackson ne era pienamente convinto.
"Eri innamorata di lui, non è vero?" chiese.
Christine scosse la testa.
"Era un completo idiota. Snervante, irritante. Sfacciato. Ti assomigliava molto." Il ragazzo roteò gli occhi e lei sorrise, timidamente. "Però... alla fine era una brava persona. C'era sintonia, fra di noi. Andavamo d'accordo... saremmo potuti essere amici. O forse lo eravamo già."
Era un ricordo doloroso, quello. Si vedeva dal suo sguardo triste, pieno di rammarico.
Se c'era una cosa che Christine non avrebbe mai voluto fare era raccontare quella parte della sua vita, eppure l'aveva fatto. Avrebbe potuto rifiutare categoricamente, ma glielo aveva detto. Suo malgrado, la ragazza si rese conto che si fidava di lui.
"Non glielo dirò, allora." disse Jackson. "Troverò un altro modo. Cambieremo il futuro."
Le sorrise, ancora, e fece per andarsene.
La ragazza lo chiamò, facendolo girare quando era ormai sulla soglia della tenda.
"I tuoi occhi sono più scuri."
Lui scrollò le spalle. "Un segreto in più."
Uscì, e Christine sentì una strana stretta al cuore.
Jackson le ricordava tantissimo quel ragazzo del suo passato.
Il suo carattere, la sua intelligenza... ma anche ciò che stava succedendo. Senza rendersene conto, la storia si stava ripetendo. E benché questa volta non avesse visto lui
morire, gliel'aveva rivelato.

Si rese conto di averlo condannato a morte.
Implorò che per una volta, per una sola volta le regole del futuro cambiassero. Che il suo fosse davvero un dono e non una condanna.
La domanda, ora, era solo una. Che cosa avrebbe permesso a Jackson di vivere? Perché era proprio questo, ciò che lei sentiva: lui sarebbe vissuto.



Angolo dell'autrice
Buongiorno!
Finalmente scopriamo il futuro di Gemma, che è legato a quello di William e a quello di tutti loro. 
Probabilmente quella parte sembrerà un po' confusa e distaccata, ma è un effetto voluto, in quanto vista da uno spettatore esterno (Jackson).
Cosa farà in proposito? Sono davvero tutti destinati a morire o qualcuno si salverà?
Vi è piaciuto il pezzo di Lavinia e Axel? Che pensate di loro? E come si evolverà la faccenda?
Beh, lo potrete scoprire nei prossimi capitoli!
StellaDelMattino 

 

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Capitolo 32
*** Una chiacchierata ***


Capitolo 32

Una chiacchierata

 

Gemma vagava per i lunghi corridoi del castello.
Per quanto avesse fatto attenzione alle svolte, era riuscita a perdersi. All'inizio, fiduciosa, si era detta che sarebbe riuscita a trovare comunque l'ufficio della Volpe, anzi, probabilmente aveva più probabilità di arrivarci percorrendo nuovi corridoi che seguendo lo schema di quelli che conosceva. Poi, però, aveva perso tutta quella speranza.
Era un maledetto labirinto, quello. Non pensava che fosse così grande.
Perlomeno, se l'avessero trovata, non avrebbe dovuto ricorrere a scuse: si era davvero persa.
Si fermò, sbuffando per l'irritazione e chiudendo le mani a pugno. Non sapeva neanche come tornare indietro.
Non aveva alternative: doveva continuare a camminare.
Svoltando a caso, si ritrovò in una stanza piuttosto familiare. Sospirò di sollievo, riconoscendo l'entrata del tunnel che portava alle prigioni, e decise che una chiacchierata con Trevor avrebbe migliorato il suo umore nero.
Stava guardando le celle una ad una, in cerca del bambino, quando una voce la fece rabbrividire.
"Cosa ci fa una Principessa nelle prigioni?" Con il suo accento da Volpe, il traditore l'aveva spaventata.
Gemma si girò verso il ragazzo che era stato catturato poco dopo il suo arrivo. Era, stranamente, meno sporco della prima volta che l'aveva visto: il suo volto era libero dalla sporcizia e dal sangue, e il verde dei suoi occhi risplendeva in uno sguardo pieno d'odio.
"Mi sono persa." rispose la ragazza, con un tono quasi severo. "E comunque non sono affari vostri."
Lui rise di gusto, con un'amarezza tale da farla rabbrividire.
"Siete proprio una sciocca. O malvagia." disse, avvicinandosi alle sbarre.
Gemma fece un passo indietro, ma non se ne andò e non disse nulla.
"Non so cosa vi abbia detto il re o cosa vi abbia promesso, ma non avreste dovuto credergli. Avevate la fortuna di essere dalla parte del giusto e vi siete fatta abbindolare dalle parole di una Volpe. Non sapete che le Volpi sono ingannatrici?" continuò il ragazzo, afferrando le sbarre con le mani.
"E voi siete uno sciocco se pensate che fossi dalla parte del giusto. Ignorate gli animi di coloro che amavo." intervenne ora la ragazza. Quella bugia le provocava un male quasi fisico.
"E voi ignorate quelli di chi vi circonda ora."
Oh, Gemma sapeva benissimo con chi aveva a che fare, ma non doveva farglielo capire. Quel ragazzo avrebbe anche potuto essere un alleato, ma non poteva rivelargli la verità: aveva già rischiato molto confessando il suo piano a Trevor.
In quel momento si rese conto che il bambino non era lì. Fu presa da un'improvvisa angoscia e iniziò a guardarsi in giro, passando in rassegna ogni cella.
La risata amara del prigioniero la fece rabbrividire, ancora, rompendo quel silenzio che si era creato.
"Sei stai cercando il bambino, non è qui. Le segrete sono fatte da diversi corridoi e non ho avuto la fortuna di avere compagnia nei miei ultimi giorni." disse. All'inizio, il suo tono conteneva rabbia e sdegno, ma mentre pronunciava quelle ultime parole, sembrò quasi piangere.
Stava per morire, lì, solo.
La natura della ragazza le diceva di aiutarlo, ma non poteva farlo, non ora, almeno: dipendeva tutto dalla sua missione, non si poteva permettere di fare stupidaggini.
"Pensate che il Guerriero mi abbia torturato per bontà?" sbottò il ragazzo "Che mi abbia tenuto la testa in un secchio d'acqua fino a farmi svenire perché gliel'ho chiesto?!" Questo spiegava l'assenza di sporcizia sul suo volto, pensò Gemma.
"Dovreste collaborare, allora!" urlò lei di rimando.
Lui rise, facendo appello al suo contegno.
"Non ho fatto nulla di male, sapete? Io credo nei valori di quella gente a cui appartenevate. Volevo combattere per loro... non conoscevo null'altro che ciò che mi circondava."
Si girò e si mise a sedere sul pavimento, facendo aderire la schiena al muro sporco. Non c'era neanche un letto.
A Gemma sembrò sentirlo piangere, sommessamente, e a lei stessa salirono le lacrime negli occhi. Trattieniti.
"Sono sicura che se dirai le tue intenzioni ti lasceranno andare." mentì, senza la certezza che voleva esprimere, avvicinandosi alle sbarre.
"L'ho già fatto, ma probabilmente mi uccideranno. Sono un traditore..."
Non poteva lasciarlo lì, non se lo sarebbe mai perdonata. Una terribile consapevolezza quasi le tolse il sospiro.
Stavano morendo persone innocenti, che non aveva nulla a che fare con quell'ambizione del re delle Volpi, costrette a combattere secondo valori che non condividevano. Il suo piano era ormai diventata un'esigenza: la guerra doveva finire.
"Come ti chiami?" chiese Gemma, dolcemente.
Il ragazzo alzò la testa e fissò il suo sguardo in quello della ragazza.
"Sai che non posso dirtelo" disse, con una calma sorprendente. "Il re potrebbe trovare la mia famiglia e questa è l'ultima cosa che voglio."
Gemma ammutolì. La Volpe avrebbe ucciso tutti i suoi cari, se li avesse presi. Ma non il reclutamento registrava ogni soldato, no? Come faceva il re a non sapere ancora l'identità del ragazzo? Cogliendo i suoi dubbi, lui aggiunse che aveva dato un falso nome, da contadino, che nessuno avrebbe controllato. Gemma non capì esattamente cosa avesse fatto, ma capì che le dinamiche di Foxiness dovevano essere molto diverse da quelle di Tigerheart.
"Puoi chiamarmi JJ" continuò il ragazzo, abbozzando un sorriso "o Jimmy. Fai tu."
La Guerriera sorrise a sua volta. Non era il suo vero nome, ma era un inizio.
"Cercherò... cercherò di convincere il re a lasciarti andare, vedrai, gli parlerò e potrai vivere felicemente. Qual è la tua storia?" chiese Gemma.
Lui la guardò, titubante, chiedendosi se si potesse fidare. Non ci mise tanto, però, a decidere.
"La mia famiglia non è particolarmente ricca. Ho sempre vissuto sapendo di dover seguire il mestiere di mio padre, di dover sposare una ragazza che fosse adatta al mio ceto e rispettare le leggi, senza mai chiedere una possibilità di scelta." iniziò, con un tono sommesso. "Non mi sono mai lamentato e mai l'avrei fatto, ma... dopo l'ultimo ballo, si è sparsa voce che finalmente si era presentato il pretesto per intraprendere la Nuova Guerra. La chiamavano così perché si diceva che Foxiness sarebbe stato l'unico regno, alla fine di essa, e che avrebbe introdotto una nuova era. Sentii la vostra storia, seppi che era il vostro matrimonio, il pretesto. Quando finalmente scoppiò la guerra, la mia famiglia mi spinse ad arruolarmi, dicevano che se non lo avessi fatto sarebbero venuti a prendermi con la forza e che combattere per il re era un onore. Ma io non ci credevo: la guerra porta morte e io non volevo uccidere persone che non avevano fatto nulla di male. Mi hanno preso nell'esercito comunque e io ho provato a scappare. Come vedi non è finita bene."
Gemma provò una forte ammirazione per quel ragazzo più grande di lei solo di qualche anno. Era andato contro tutto e tutti, incurante dell'ambiente in cui era vissuto, sosteneva ciò che credeva giusto, a discapito dell'opinione di chi lo circondava. Controcorrente, era oppresso da una società che non lasciava scelta. 
Era coraggioso, davvero. Molto più di quanto lei stessa, la Tigre Guerriera, avrebbe mai detto di essere.
Un nodo strinse lo stomaco di Gemma: il coraggio l'aveva portato alla prigione. Sicuramente non era di buon auspicio.
Lo tirerò fuori di qui, pensò. Doveva farlo.
Lui si meritava la libertà.
La Guerriera sapeva di non poter convincere il re o dirgli qualcosa della storia di JJ -o Jimmy che fosse-, non poteva far saltare quell'immagine già così fragile.
Però lo avrebbe liberato, in cuor suo lo promise. Sarebbe tornata a prenderlo.

 ***

Jackson ormai era sul punto di andarsene.
Doveva partire, andare da William e cambiare il futuro.
Una cosa proprio da niente.
Gli aveva mandato un messaggio, dicendo che andava a rimpiazzare il defunto lord Ermis e che il suo accampamento aveva altri comandanti, ora.
Nulla di vero, ovviamente, ma una delle poche cose che sapeva fare era dire bugie. Non che fosse un vanto, non l'aveva mai creduto, ma era necessario se avevi intenzione di mantenere un segreto. E chi meglio di un principe di Secreteyes lo sapeva fare?
Ora tutte le tre truppe erano in mano a Christine, ma Jackson sapeva che le poteva gestire. Una bella impresa, per una ragazza giovane come lei, ma Christine non era una persona qualunque. Aveva vissuto la maggior parte della sua adolescenza in guerra, ce la poteva fare.
Jackson, al limite dell'accampamento, pronto a salire sul drago, si girò a guardare indietro, quando vide una figura composta che andava verso di lui, a passo lento e calmo.
Christine gli sorrise, raggiungendolo e fermandosi davanti a lui, a debita distanza.
"Bene, quindi." disse. Per la prima volta da quando l'aveva incontrata, a Jackson sembrò di vedere dell'incertezza nei suoi occhi. Quasi imbarazzo. "Stai andando via."
Il ragazzo annuì, ma non disse nulla, limitandosi a fissare lo sguardo su di lei e aspettando che dicesse qualcos'altro.
"Lo sai che con ogni probabilità non funzionerà, vero?" chiese Christine. Stava cercando, in qualche modo, di farlo desistere dall'impresa.
"Non è il tuo forte convincere la gente a non partire, non è vero?" scherzò in risposta, riferendosi al tentativo della ragazza di fermare Gemma.
Lei, però, si irrigidì, come se fosse stata accusata di qualcosa o come se qualcuno le avesse rivelato una profonda verità inaspettata.
Jackson si rese subito conto dell'errore. Dopo essersi insultato mentalmente per la sua capacità di dire sempre qualcosa di sbagliato, le sorrise.
"Le persone partono sempre, Christine." disse "Quelle a cui importa davvero tornano anche. E io, io ho pienamente intenzione di tornare."
La ragazza gli tirò un pugno sulla spalla, scherzoso, e ridacchiò, mentre le sue guance andavano in fiamme.
Anche lui ridacchiò, per qualche momento rimasero in silenzio, a fissarsi negli occhi, con un sorriso stampato sulle labbra.
Poi Jackson le fece l'occhiolino e si girò. Salì sul drago e partì.
Non un saluto o un abbraccio: quello non era un addio.
Bastava solo quella promessa non detta, quell'arrivederci certo, a discapito del futuro incerto. Bastava solo quello.

***

A William serviva davvero un volto amico in quella situazione disperata.
Che fosse proprio di Jackson, quel volto, non era proprio il massimo: quel ragazzo sembrava portare casini in ogni luogo in cui andasse.
Certo, non si poteva lamentare e non l'avrebbe fatto, ma che fosse proprio lui, fra tutti, ad esser stato mandato lì era piuttosto strano.
Consapevole di aver maggior problemi di cui doversi occupare, William decise di non pensarci, accogliendo di buon grado l'aiuto che ne sarebbe risultato.
In quei giorni, le battaglie con i Barbari sembravano essersi attenuate, concedendogli una tregua che in realtà non voleva.
Più scontri ci fossero stati, prima la guerra sarebbe finita, si diceva. Combattere, inoltre, era un modo per non pensare a Gemma e quindi alleviare quell'angoscia che lo seguiva come una nuvoletta del maltempo personale.
In realtà sapeva bene che quella diminuzione di conflitti non solo concedeva tempo ai suoi uomini di riposarsi un po', ma segnalava un indebolimento del nemico. Rimanevano poche battaglie, se lo sentiva.
Jackson era arrivato sul tardo pomeriggio, con un buon umore profondamente ingiustificato e con un'autorevolezza quasi sfacciata. Il solito Jackson, insomma. A quanto pareva, il suo carattere non era stato mitigato neanche dalla guerra.
In tutta la sua irriverenza era entrato nella tenda di William, sorridendo.
Si erano abbracciati e il Guerriero si era reso conto di quanto, in realtà, gli fosse mancato. La sua amicizia era una cosa che aveva sempre dato per scontato nella vita quotidiana, ma di cui ora aveva davvero bisogno.
"Allora, come ve la passate, qui?" chiese Jackson.
William lo aggiornò velocemente, spiegando la situazione. Una domanda insisteva prepotentemente di esser posta.
"Notizie di Gemma?"
Jackson alzò gli occhi al cielo, poi scosse la testa.
"Nessuna. Non può mandar messaggi, da lì."
"Come..." iniziò William, sperando di non sembrare stupido "Come era lei, lì?"
"Brava. Sia sul campo che in accampamento. Si vede proprio che è una Guerriera." rispose Jackson con un sorriso. "Notizie da Trevor?" chiese poi, cambiando argomento.
L'altro sospirò.
"Non risponde alle mie lettere, penso sia arrabbiato per esser stato lasciato alla reggia. Non può capire cosa sia il campo di battaglia e non lo dovrebbe fare mai. È solo un bambino, non può capire cosa si provi a stare qui." rispose. Aveva un tono stanco, infelice. Turbato da mille incertezze.
Se avesse saputo dove si trovava in realtà Trevor, probabilmente avrebbe avuto un infarto, ma per fortuna, per lui era al sicuro.
Jackson sorrise. "Tipico del piccoletto."
Si congedarono quasi subito, entrambi impazienti di farsi una bella dormita.
William, alle luci dell'alba, privato del sonno, uscì dalla sua tenda per prendere un po' di aria fresca.
La leggera brezza notturna era ormai sostituita dal tiepido calore del sole nascente, in un'altra giornata di guerra che gli sembrava uguale a tutte le altre.
Il ragazzo alzò il viso e chiuse gli occhi, prendendo dei respiri profondi, per nulla impaziente di cominciare la normale routine.
Sul suo naso si posò qualcosa di soffice, freddo, così da fargli spalancare gli occhi, sorpreso.
Circondato da una visione bianca, William seppe per certo di non essere più sotto la sua personale nuvoletta del maltempo, ma sotto una nuvola ben più grande e reale, che mandava un messaggio preciso a tutti loro.
Un sorriso genuino gli nacque sulle labbra.
Neve.



*angolo dell'autrice*
Perdono! Sono in ritardissimo, lo so, ma la scuola in queste settimane non mi ha lasciato neanche un minuto di tempo o.o
Con le vacanze di Natale, comunque, pubblicherò più spesso, promesso.

Scriverei ancora qualche cosuccia, ma devo scappare a studiare (di nuovo)
Al prossimo capitolo!
StellaDelMattino

 

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Capitolo 33
*** La prima neve ***


Capitolo 33:

La prima neve

 

In quel freddo mattutino, William era sotto la neve.
Allargò le braccia, consentendosi una risata vera, quasi spensierata, mentre alcune lacrime scorrevano veloci sulle sue guance.
L'aveva vista solo una volta, la neve, tanti anni prima, quando alcuni sovrani si erano riuniti a sancire un accordo di pace e alleanza.
Era un segno positivo, di fortuna, che preannunciava eventi lieti.
E in quel momento, era un barlume di speranza in più: la neve premiava i giusti, o almeno questo era ciò che diceva la tradizione.
William si asciugò le guance e iniziò a correre, senza una destinazione precisa, imprimendo orme che sembravano rovinare quel terreno candido. Era in preda all'euforia.

Jackson fu svegliato dalle risate.
Si stiracchiò e si stropicciò gli occhi, poi uscì dalla tenda, curioso.
Non fece neanche in tempo a mettere a fuoco ciò che lo circondava, che una palla di neve lo colpì sul volto. Strabuzzò gli occhi, lanciando uno sguardo di fuoco al soldato che l'aveva lanciata, in una battaglia con i suoi compagni, poi si mise a ridere. Si passò una mano sul viso, togliendo la neve rimasta, e ricambiò il colpo a sua volta prendendo della neve da terra.
Non poteva credere ai suoi occhi. Jackson era sotto la neve.
Il bianco vellutato si posava su ogni cosa, illuminando gli occhi di tutti.
Si tolse della neve dalla spalla e decise di andare da William.
Lo trovò impegnato anche lui in una battaglia di neve e lo colpì a tradimento, con una risata.
Incredibile quanto una cosa del genere avesse fatto quasi dimenticare la situazione in cui si trovavano, la guerra che imperversava.
Jackson sapeva che presto quella neve bianca sarebbe stata macchiata di rosso, nell'ennesima battaglia, e che quelli stessi soldati che ora ridevano avrebbero potuto non sopravvivere alla giornata.
Ma quella neve non era casuale. Era lì per un motivo, lui lo sapeva, lui ci credeva. E sebbene fosse anche sui nemici, la neve premiava la bontà. Loro avrebbero vinto.
Era una speranza in più, che li avrebbe fatti combattere in modo più agguerrito, sarebbero stati più fiduciosi.
Un altro motivo, però, incoraggiava Jackson. Una certezza lo spingeva a sorridere più felicemente. La certezza che nella visione di Christine non c'era neve. Ne era sicuro.
E questo poteva dire una cosa sola: qualcosa era già cambiato.
Non sapeva cosa, non sapeva se fosse importato, ma la neve portava fortuna e non era un caso. Qulcosa era cambiato.

***

Gemma percorreva i corridoi quasi correndo, incapace di trattenere quella felicità che poteva sembrare senza motivo.
Arrivò nel salone, dove stava il Guerriero delle Volpi, e cercò di riprendere il controllo. Con un'espressione allegra ma moderata, gli si avvicininò.
Seduto su quel finto trono, il re stava leggendo un libro sconosciuto a Gemma. Alzò i suoi occhietti neri su di lei, quasi infastidito, e la osservò per qualche secondo senza proferir parola.
La ragazza sorrise leggermente, cercando di mascherare l'ansia che quello sguardo le procurava.
"Cosa posso fare per voi?" chiese infine la Volpe, con il suo solito sorriso astuto.
"Volevo chiedere il permesso di far uscire il prigioniero, ehm, il bambino..." Gemma si interruppe, cercando il giusto modo con cui chiamare Trevor.
"Il fratello del principe di Secreteyes." intervenne il re. Pronunciò quella frase quasi con accusa, come se fosse un crimine imperdonabile.
Lei annuì.
"E perché mai?" le chiese, con un po' di curiosità nella voce. Il suo sguardo era affilato, gli occhi lievemente socchiusi.
"C'è la neve! Il bambino non ha mai visto la neve, è troppo piccolo." rispose Gemma. Aveva preparato un discorso, per persuadere il re: si schiarì la voce. "Il prigioniero si è già pentito: sta iniziando a capire perché io sia qui e ritengo che portandolo fuori -naturalmente sotto mia stretta sorveglianza- potrebbe passare definitivamente dalla nostra parte."
La ragazza sorrise e incrociò le dita, senza farsi vedere, sperando che il re acconsentisse. Questi la scrutò ancora qualche secondo, poi, con un segno della mano, la fece allontanare. Annuì, con un sorriso: aveva un'espressione di puro divertimento sul viso.
"Guardia!" urlò "Date le chiavi alla principessa."
La guardia che stava subito vicino al re ubbidì.
Gemma uscì dalla stanza frettolosamente, esultando nella propria mente. Corse nelle segrete e trovò quasi subito Trevor, ignaro di ciò che succedeva fuori.
Quando la vide, il bambino sorrise, felice e allo stesso tempo confuso per quella visita inaspettata. E fu ancora più confuso quando Gemma aprì la cella.
"Cosa succede?" chiese.
La ragazza gli raccontò tutto e lo trascinò fuori, correndo.
Gemma e Trevor erano sotto la neve.
Il bambino quardò con stupore il meraviglioso paesaggio attorno a lui. Si chinò, ammirando quel bianco che aveva ricoperto il terreno, e tese una mano lentamente, quasi timoroso.
Quando le sue dita toccarono la neve, scoppiò in una risata stupefatta, felice.
"È gelata!" esclamò.
Anche Gemma rise, annuendo.
"Non è bellissima?" gli chiese.
"Lo è." Trevor non pensava di aver mai visto niente di altrettanto bello in tutta la sua vita.
Quella luce quasi lo accecava, dopo il buio in cui era stato per tanto tempo. Improvvisamente gli salirono le lacrime agli occhi. Davvero la fortuna girava dalla loro parte?
Quei pensieri furono bruscamente interrotti da una palla di neve che aveva lanciato Gemma.
Spensierati, si divertirono molto, in quel pomeriggio speciale.
Si dimenticarono di essere in territorio nemico. Si dimenticarono della guerra e dell'alto rischio di morire. Si dimenticarono persino delle persone che amavano e di quelle che odiavano, come se la neve avesse cancellato ogni cosa che non fosse del presente.
Niente futuro, niente passato. Solo quel momento, quel "qui e ora" di cui avevano dimenticato l'importanza.
Inconsapevolmente, capirono che da tempo avevano guardato al futuro cercando disperatamente di prevederlo o avevano al contrario guardato al passato piangendo per le cose perdute.
Forse, era quello ciò che voleva dire la neve: il futuro si costruiva nel presente e il passato non poteva far altro che rimanere tale.
Ma la neve non aveva fatto cambiare qualcosa solo in loro.
Christine ne percepì lo stesso messaggio e così fecero che Lavinia e Axel
Un messaggio di speranza e di incoraggiamento. Di felicità e cambiamento.
Un messaggio di neve che qualcosa aveva cambiato in tutti coloro che ci credevano.
D'altronde, alla fine erano tutti sotto la stessa neve.

 

Angolo dell'autrice
Buon Natale (un po' in ritardo) e buon anno nuovo (un po' in anticipo) a tutti voi!
Come al solito, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Non è successo molto, ma diciamo che rappresenta la calma prima della tempesta: vi posso anticipare che nel prossimo capitolo ce ne saranno di avvenimenti e che in quello dopo scoppierà davvero un putiferio.
Solo quattro capitoli e la storia sarà finita, portate pazienza :D
Aspetto un vostro parere, spero che questo capitolo non faccia proprio schifo! 
Consigli, insulti, dubbi: potete dirmi e chiedermi quello che volete, spero solo di sapere qualcosa da voi lettori :3
Al prossimo capitolo!
StellaDelMattino

 

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Capitolo 34
*** Il giorno ***


La neve era ancora fresca sul terreno, il giorno dopo.

L'aria, però, era tesa più che mai. In essa dimorava una consapevolezza, allarmante, che inquietava il cuore di ognuno di quei soldati che si accingevano a combattere l'ennesima battaglia. Quel giorno era un giorno speciale, decisivo.

E, nonostante nessuno ne conoscesse il motivo, ne erano tutti sicuri.

Christine osservava le sue tre truppe con incredibile ansia, celata come sempre dal suo solito sguardo fiero e impassibile. L'unica cosa che rivelava questa ppreoccupazione era il continuo movimento del suo indice che ticchettava sull'elmo che teneva con entrambe le mani.

Gli occhi scrutavano l'orizzonte, nella paziente attesa di un segno che non aveva la minima intenzione di mostrarsi.

I nemici sembravano scomparsi.

La nebbia bassa, al limitare del bosco, copriva ogni cosa: e di soldati, nemmeno l'ombra.

Eppure il sole era quasi al suo apice, nel cielo.

Christine si intimò di smetterla con tutta quella preoccupazione, sbuffando sonoramente, e iniziò a camminare avanti indietro.

"Comandante!" esclamò un soldato, che giunse correndo.

La ragazza si fermò e gli rivolse tutta la sua attenzione, il cuore che batteva all'impazzata.

Il soldato recuperò il fiato respirando profondamente, poi la guardò.

"Comandante" ripetè "Gli esploratori hanno visto i nemici al proprio accampamento."

Christine non capiva. Erano in guerra: bisognava combattere. Pensavano di prendersi un altro giorno di pausa? Se così fosse stato avrebbe avuto qualcosa da dire. Il giorno prima, con la nevicata, una sorta di tregua momentanea era stata stabilita da tutti, senza bisogno di accordi: la neve era davvero speciale. Ma ora la tregua era finita.

"Si stavano preparando, arriveranno." concluse il soldato.

Christine sospirò.

Non sapeva se esserne felice o meno.

Quel giorno sarebbe cambiato tutto, lo sapeva.

 

***

Lavinia piangeva.

Le lacrime scendevano sulle sue guance e non sembravano potersi fermare.

Ed era come convinta che il giorno decisivo sarebbe stato proprio quello.

"Lavinia, basta!" disse Axel, preoccupato e sconfortato.

Scosse la ragazza, rannicchiata sul letto, ma lei strinse ancora di più i bordi di quelle coperte leggerissime.

Lavinia aprì gli occhi improvvisamente: era solo un incubo, un altro. Non si ricordava neanche quale fosse, ormai erano tutti uguali e avevano tutti lo stesso effetto.

Axel la abbracciò, stringendola delicatamente e forte nello stesso momento. Sussurrava, per calmarla, e una lacrima solitaria e inosservata passò anche sul suo viso.

Gli attacchi degli urlatori erano ricominciati: brevi, deboli attacchi che portavano via la vita a un paio di soldati al massimo.

Difendersi, però, era sfiancante: le loro forze, da limitate, si stavano velocemente trasformando in nulle.

Nessuno reggeva più.

Sarebbero morti presto, Lavinia se lo sentiva, ma non era pronta.

Ed era come convinta che il giorno decisivo sarebbe stato proprio quello.

Poi un urlo disumano. Un urlo che ormai conoscevano troppo bene.

Altre urla, subito successive, lontane ma terrificanti.

Era presto, troppo presto, e non erano pronti.

Troppe urla, troppo presto.

L'accampamento nel panico, Axel e Lavinia uscirono dalla tenda della ragazza e si misero in ascolto: le urla si ripetevano, con solo una breve distanza fra di esse. Perché erano così tante?

La frenesia dei soldati, che allarmati correvano avantie indietro, le urla lontane ma allo stesso tempo troppo vicine e la lieve nebbia che li circondava non facevano che aumentare quel panico che li aveva colti.

La ragazza guardò il cielo: non avevano molto tempo.

Avrebbero aspettato la morte. Come se quelle urla fossero segnali che preannunciavano la loro fine, sembrava quasi che li stessero deridendo.

Vi siete portati i vostri amichetti, realizzò Lavinia, notando che i suoni arrivavano da luoghi diversi. Tutti gli urlatori riuniti per una battaglia.

"Comandante!" urlò un soldato "Cosa facciamo?"

"Stesso procedimento della prima battaglia: cerchio di legno." rispose Lavinia. Sembrava sconfitta, come se non potesse fare nient'altro. "Saremo anche meno soldati, ma ci sono più draghi." E più urlatori, anche.

L'uomo annuì e corse dai suoi compagni riportando l'ordine.

Axel si girò verso di lei e la guardò, con uno sguardo impenetrabile che esprimeva tutte le emozioni e nessuna allo stesso tempo, poi se ne andò senza una parola.

Lavinia si diresse a passo lento verso la sua tenda, la mente vuota da ogni pensiero, ma con ben impresso il destino che li sembrava attendere. Giunta a destinazione, si limitò a chiudere gli occhi, per qualche momento. Non era pronta, per niente.

Era troppo giovane per tutto quello, lo sapeva. Non era pronta a morte e guerra, tutta quella tristezza l'aveva mutata, per sempre.

Erano le sue decisioni, che importavano, che cambiavano tutto. Una responsabilità troppo grande per una ragazza. Persino una principessa.

Ma il problema era proprio quello, era una principessa, doveva combattere e comandare. Così diceva la legge.

Il re Guerriero, uno delle generazioni precedenti, aveva stabilito che essendo comune a tutti i regnanti lo spirito leader, caratteristica fissa tanto quanto il coraggio alle Tigri, in caso di guerra, sarebbero stati comandanti tutti i reali che avessero passato sufficientemente bene la prova.

E così era successo.

Lavinia riaprì gli occhi e si mise l'armatura, senza un minimo di esitazione. Quello era il suo dovere e basta.

Con la stessa espressione indecifrabile di prima, Axel entrò nella tenda senza dire una parola. Poi il ragazzo si avvicinò e le prese il viso con una mano, che muoveva in una carezza dolce.

"Grazie per avermi dato qualcosa per cui combattere" sussurrò.

Axel le pose un leggero bacio su una guancia, sull'angolo della bocca. Chiuse gli occhi, facendo aderire la sua fronte a quella di Lavinia, con un sospiro stanco. La ragazza lo fissava impietrita, il cuore che batteva come mai aveva fatto, il respiro bruscamente sospeso. Non sarebbe riuscita a pronunciare una sola sillaba neanche se avesse voluto.

Con un altro sospiro, Axel riaprì gli occhi e si allontanò.

"Ora dobbiamo andare" disse con tono atono, come se le avesse detto che il cielo era blu. Sembrava solo stanco.

Stava per uscire dalla tenda, ma Lavinia lo fermò chiamandolo.

"Non posso morire sapendo di non aver fatto questo" disse. Il suo cuore batteva, se possibile, anche più veloce di prima. Deglutì, chiedendosi se fosse davvero lei che agiva.

Come aveva fatto lui prima, gli prese il volto in una carezza. Sentiva il lieve pizzicore della barba appena accennata sotto i polpastrelli e sorrise.

Il tempo sembrava essersi fermato, in quel momento così semplice e complicato allo stesso momento. E per un attimo, le sembrò quasi che gli urlatori avessero smesso di urlare.

Sarebbe rimasta così in eterno, ma non poteva.

Si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio, triste e dolce. In esso tutta la malinconia che quelle circostanze portavano sembrava quasi felicità, la disperazione che ormai avevano accettato si colmò di speranza e di futuro, in quell'attimo rubato al destino.

Axel le cinse la vita con un braccio, stringendola delicatamente, mentre approfondiva il bacio.

"Andiamo" disse lei.

 

***

Ding si era sempre ritenuto intelligente.

Era proprio fortunato, si diceva, a essere non solo figlio di un Barbaro, ma anche di una Volpe. Ed era proprio convinto di aver preso la forza di uno e la furbizia dell'altra.

Sebbene non fossero molti quelli che si trovavano d'accordo con lui in questo, la sua certezza non era mai stata scalfita: non li reputava degni.

Non per nulla era il capo, si diceva.

In realtà, questo suo potere non era di certo suo merito, come credeva.

Non era infatti un mistero che il glorioso generale fosse suo padre, che aveva combattuto valorosamente in ogni battaglia che i Barbari avevano voluto intraprendere. Era una vera celebrità fra la sua gente.

Ding non si vergognava per nulla ad affermare che la morte del padre era stata davvero un sollievo: con lui era sempre stato severo e non aveva mai mancato di punirlo.

Quella guerra, in effetti, aveva portato a diverse cose positive: la morte del padre gli aveva conferito più potere e autorità presso la sua comunità e per la sua parentela con una Volpe era stato designato come referente. Era una persona importante, lui.

In più, era il miglior combattente che avessero i Barbari e sicuramente il più scaltro. Era solo invidia quella che portava i coetanei a deriderlo sicuramente.

Il rumore metallico di armi giungeva alle sue orecchie come un dolce suono armonioso e la cruenta scena di sangue e morte che osservava con occhi divertiti era il meglio che si potesse aspettare. La guerra era un dono fatto a lui.

Osservava tutti quei soldati, alleati e nemici, con un aria di superiorità sprezzante: avrebbe combattuto, ma lui era troppo bravo, troppo forte.

Con occhi attenti, cercava William nel caos davanti a lui. Quel giovane aveva scatenato la guerra, voleva ucciderlo a tutti i costi: avrebbe ottenuto una fama immensa e una vita di riconoscimenti.

Eppure non lo trovava, non sembrava esserci. Possibile? Quale comandante non avrebbe coombattuto una battaglia con i suoi soldati?!

Certo, Ding poteva farlo. Avrebbe sbaragliato l'intero esercito nemico in un solo giorno e non voleva che la guerra finisse presto.

Stava osservando un Barbaro, non molto lontano a lui, quando questi cadde a terra, morto. Aveva una freccia conficcata all'altezza del cuore, ma Ding non riusciva a capire da dove fosse arrivata, essendo tutti i soldati nemici impegnati in una battaglia. Gli sembrava che fosse caduta dall'alto, così alzò lo sguardo.

Due draghi volavano silenziosamente all'altezza delle nuvole, quasi mimetizzandosi con esse, e i cavalieri che stavano su di loro scoccavano frecce sui nemici.

Ma quello era William! Notò il Barbaro.

Sorrise, malvagio, mentre prendeva una freccia dalla faretra e la posizionava sull'arco. Respirò profondamente e lentamente e chiuse un occhio, prendendo la mira sul drago.

Ancora un respiro e scoccò la freccia.

William la vide sibilare davanti ai suoi occhi e si rese conto che erano stati scoperti. Il suo cuore iniziò a battere all'impazzata e urlò a Jerry che se ne dovevano andare.

Quando Ding vide il drago iniziare a volare più velocemente verso il proprio accampamento, in ritirata, imprecò. Lui non sbagliava mai la mira.

Scoccò un'altra freccia e un'altra ancora, ma nessuna andava a segno mentre William era quasi uscito dal campo di battaglia.

Ding respirò profondamente e scoccò un'ultima freccia, quasi scocciato e senza alcuna fiducia che andasse a segno.

Cosa che invece successe.

 

***

Gemma percorreva velocemente i corridoi, come al solito.

Ormai il percorso e le stanza di quel castello le erano famigliari, aveva smesso di perdersi continuamente, come invece faceva all'inizio.

A destra, si disse ritrovandosi a un bivio, si va verso le cucine.

Imboccò il corridoio di sinistra, che non si ricordava di aver mai percorso e fu invasa dalla speranza.

Mentre le prime porte erano spalancate, una porta in legno scuro era chiusa. Attirata la curiosità di Gemma, la ragazza pose un orecchio su di essa e non sentendo alcun rumore la provò ad aprire.

La porta, però, era chiusa a chiave.

Gemma sorrise e avvicinò un occhio alla serratura: la visuale limitata non bastava a determinare se quella stanza fosse proprio quella che cercava lei, ma di certo non smentì. Per quel poco che si vedeva, sembrava proprio uno studio e il fatto che fosse chuso a chiave non faceva che aumentare la possibilità che fosse lo studio del re.

Il problema era, però, il come fare ad entrarci.

Ma a Gemma questo non preoccupò minimamente: non sarebbe stata certo la prima volta che scassinava una porta.

Era sempre stata una persona curiosa, lei: per quanto i genitori cercassero di tenerla fuori dal loro studio, non c'erano mai riusciti, ma i loro tentativi certamente l'avevano allenata e ora aveva la possibilità di entrare in quella stanza. Gemma si chiese se non fosse destino.

Tirando via una spilla dai suoi capelli, iniziò ad armeggiare con la serratura, finché un clic non le disse che era riuscita nel suo intento.

Spinse piano la porta, che si aprì scricchiolando.

Quello era sicuramente lo studio della Volpe.

A sinistra c'era una scrivania piena di fogli, mentre sul muro c'era una grande cartina dei regni, con segni blu e rossi e a destra stava un baule con un lucchetto.

Quest'ultimo, a Gemma, non interessava: era probabilmente pieno di scartoffie che riguardavano solo Foxiness.

Sulla scrivania, invece, il re teneva ciò su cui stava lavorando in quel periodo. E la guerra sicuramente era un problema attuale.

La ragazza si avvicinò velocemente, consapevole di dover fare più in fretta possibile.

Molti di quei fogli erano lettere degli alleati: alcuni erano dei Barbari, che lamentavano la morte di valorosi generali e che dicevano di star sopportando bene gli attacchi, ma di non riuscire a vincere completamente; altre di spie dei confini di Doerate che affermavano che tutto andasse secondo i piani e che tutte le truppe di Oceanshark si erano ritirate come previsto, a parte una.

L'attenzione di Gemma si spostò su una lettera degli alleati di Mountainsky, che affermavano di dover chiamare in patria i propri soldati per combattere Hawkvengeance.

Sul viso di Gemma si fece strada un grosso sorriso: la loro strategia stava funzionando, allora! Ce la stavano facendo.

E, questa, era una notizia sufficiente a farli vincere: si immaginò quanto sarebbero stati contenti i soldati, quanta speranza e fiducia avrebbero riconquistato e quanto avrebbero combattuto più valorosamente.

La ragazza se ne stava andando quando un'altra lettera la fece fermare. Era datata il giorno dopo il suo arrivo al castello.

 

Arriverò al castello più velocemente possibile per sistemare il problema di cui mi avete accennato.

Il Jade Jailbird

 

Gemma aggrottò la fronte.

Aveva già sentito questo nome, possibile?

Rovistò fra i fogli in cerca di altre lettere che le potessero dare qualche informazione, finché non ne vide una che le fece salire un brivido lungo la spina dorsale.

 

Obiettivo mancato.

A causa di un mio errore ho ucciso un comandante di Tigerheart al posto del soggetto che mi avevate indicato.

Persevererò nella mia missione, ma devo aspettare alcuni giorni: ora l'attenzione è massima.

Attendo istruzioni.

Il Jade Jailbird

 

La lettera cadde dalle mani di Gemma, mentre un'orrenda consapevolezza si faceva strada nella sua mente.

Era un assassino, il Jade Jailbird era un noto assassino che anche in passato aveva operato per conto di qualcuno che solo ora la ragazza capì che fosse la Volpe.

Aveva ucciso regnanti ed era stato motivo di terrore per qualche mese, pochi anni prima: la Volpe stava cercando la guerra da tempo.

Gemma non ci mise molto a capire che il problema di cui parlava nella prima lettera era proprio lei.

Il Jade Jailbird era lì per ucciderla.



Angolo dell'autrice!
Buongiorno!
Okay, come avevo preannunciato in questo capitolo sono successe un po' di cose...
Nel pezzo di Lavinia ho citato una 'prova', per chi non ricordasse: è la prova che i regnanti devono fare per essere ammessi alla società.
Come vi è sembrato il punto di vista di Ding? Volevo fare una cosa un po' diversa, quindi ho deciso di provare a vedere come sarebbe uscito... Ditemi che pensate.
Al prossimo capitolo,
StellaDelMattino

 

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Capitolo 35
*** Salvarsi o salvare: parte I ***


CAPITOLO 35:

Salvarsi o salvare:
La profondità dei segreti

 

Il terreno era vicino, così come la salvezza.
L'accampamento era sempre più chiaro alla vista, mentre la battaglia prendeva le fattezze di una massa indistinta di spade e sangue.
Ancora solo un momento, uno solo.
Una piccola scintilla, il sollievo nato nel suo cuore appena prima di toccare terra.
Poi dolore, atroce.
Sebbene sapesse quanto stessero rischiando, quella freccia arrivò con la violenza di un colpo inaspettato.
Jerry spalancò gli occhi, il respiro mozzato, mentre un dolore inimmaginabile si estendeva per tutto il suo corpo da drago.
William urlò, ma Jerry sentiva solo più un fischio. Stava cadendo, rovinosamente, rischiando di far davvero male al Guerriero.
Utilizzò tutta la forza che gli rimaneva per atterrare nel modo migliore possibile. Nonostante questo tentativo, le sue zampe non ressero il suo peso e cadde a terra, peggiorando la ferita. Jerry emise un rantolo.
William scese velocemente dal drago e, preoccupato, gli si avvicinò.
Lo chiamò, il cuore gli batteva come mai aveva fatto.
"Mi dispiace, Will..." disse il drago. La sua voce melodiosa era ridotta ormai ad un roco sussurro.
Alzò un'ala, mostrando la ferita troppo vicina al cuore.
William capì in quel momento che Jerry non ce l'avrebbe mai fatta.
"Dimentica il tuo passato" disse il drago "Fallo per me, ti prego."
"Lo farei" replicò il ragazzo con voce spezzata. Accarezzava il muso di Jerry lentamente, la sua pelle rugosa così fredda. "Ma non posso."
"Lascia che esso muoia con me" ripetè lui.
William non gli avrebbe detto che non sarebbe morto, non lo avrebbe fatto. Non gli avrebbe mai mentito, nemmeno in quella situazione.
"Preferirei mille volte esser tormentato per sempre dal mio passato che perderti!"
"Lo so, Will, lo so."
Il Guerriero aveva gli occhi pieni di lacrime, la vista offuscata e il male quasi fisico che provava non facevano che peggiorare quella situazione.
Come una luce che sfarfalla prima di spegnersi, all'immagine di Jerry si sovrapponeva quella del piccolo fratello, Jasper, che lo guardava con la stessa espressione di tanti anni prima, mentre moriva.
"Lasciaci andare" sussurrava.
"Non posso, non voglio" disse il ragazzo, aggrappandosi a quella immagine. Del fratello non gli rimaneva altro che essa.
William si rese conto che aveva paura di dimenticare: il tormento, il dolore gli facevano sembrare di essere in qualche modo più vicino a chi aveva perso e lui non era pronto a dire addio. A nessuno dei due.
"Promettimelo" disse il drago, spazzando via quel ricordo. "Voglio morire sapendo che tu la smetterai di guardare il passato e ti godrai il futuro. Fallo per me. Per noi."
Il piccolo Jasper tornò e guardò William con la decisione che lo aveva sempre caratterizzato. Allungò la piccola mano paffuta verso il viso del ragazzo e gli tolse le lacrime dalle guance.
"Combatti, Guerriero" disse, poi svanì. Forse per sempre.
"Te lo prometto" disse William a Jerry "Addio, fratello."
Il drago sembrò sorridere, ma non riusciva più a sopportare quel dolore. Le palpebre sembravano essere troppo pesanti. Rivolse solo una preghiera alla luna, le chiese di avere cura di quel ragazzo.
"Combatti, Guerriero" sussurrò.
Poi la morte lo colse.

***

Sapere che c'è un assassino incaricato di ucciderti non è una notizia che si prende proprio alla leggera, neanche Gemma riusciva a ragionare lucidamente.
Sapeva di non avere tempo, così come sapeva di non poter agire impulsivamente. Si prese un solo attimo per pensare, prima di chiudere dietro di sè la porta dello studio della Volpe.
Gemma realizzò che il re non aveva mai creduto a ciò che gli aveva detto e si insultò mentalmente pensando che una Volpe non avrebbe mai potuto credere alle storie di una ragazza che già di suo non sapeva fingere. Ma non era quello il momento: doveva agire.
Non poteva più restare, ormai: il re si sarebbe accorto che qualcuno aveva rovistato fra le sue lettere.
Doveva andare a prendere Trevor.
Pensò anche all'altro prigioniero, si era ripromessa di aiutarlo: decise che avrebbe liberato anche lui.
Corse verso le prigioni, cercando di dare nell'occhio il meno possibile, sebbene sul suo volto ci fosse un'espressione che mostrava chiaramente quanto fosse sconvolta.
Gemma non aveva ancora pensato al suo piano di fuga, ma sapeva che uscire dal castello con due prigionieri non sarebbe stato semplice, per niente.
Durante il percorso, trovò varie guardie, che la osservavano con la solita espressione impassibile. La ragazza cercò di mantenere tutto il suo contegno, ma era maledettamente difficile, essendo consapevole di ciò che doveva fare.
Quando fu fermata dalla guardia del re, Gemma iniziò a tremare. Che l'avessero già scoperta?
"State bene?" chiese la guardia "Vi ho vista preoccupata."
La ragazza trattenne un sospiro di sollievo.
"Sì, sto bene... penso di essermi persa di nuovo" disse sperando di sembrare sincera.
"Dove stavate andando? Vi indico la strada."
Gemma esitò. Avrebbe sospettato qualcosa se gli avesse detto la verità? Non aveva abbastanza tempo per cambiare strada.
"Nelle prigioni" rivelò allora.
La guardia indicò un corridoio a destra e se ne andò.
La Guerriera ricominciò a camminare, sempre più velocemente.
Non ci mise molto ad arrivare da Trevor, nè a liberarlo. Non gli disse cos'era successo nè dove stavano andando: gli chiese soltanto di avere fiducia. E così fece anche per l'altro prigioniero.
Uscirono il più velocemente possibile.

***

William aveva promesso a Jerry che avrebbe dimenticato il passato e lo avrebbe fatto, ma in quel momento non riusciva a frenare la furia che si era impossessata di lui.
Forse, a volte, per dimenticare il passato devi riviverlo. E in quel momento era l'unica cosa che riusciva a fare.
Il Guerriero si addentrò nella battaglia.
Numerose lacrime scorrevano per la guance di William, ancora macchiato del sangue del drago.
Brancolava, avanzando su passi incerti, la spada che strisciava la punta a terra, trascinata dalla sua mano malferma. Era scosso da tremiti.
Gli altri soldati sembravano ignorare quel suo lento progredire, quasi si fosse formata una bolla invisibile intorno a lui, che a sua volta non sembrava esser consapevole della loro presenza.
Non riusciva a far altro che pensare che Jerry non c'era più. Che aveva perso un fratello, di nuovo.
Che per quanto avesse voluto lasciarlo andare, non ci sarebbe mai riuscito prima della morte di colui che aveva scagliato la freccia.

Aveva un segreto così profondo che avrebbe condizionato per sempre la sua vita. A meno che non si fosse finalmente riuscito a vendicare. Ed era quello il momento, poi avrebbe potuto lasciarli andare.
E, come tanti anni prima, avanzava spietato verso la sua vendetta, pronto a rendere giustizia a chi aveva perso. William era spinto dalle stesse emozioni del bambino che aveva visto suo fratello morire.
Mentre il suo passato riviveva in lui più doloroso che mai, il Guerriero lo vide.
Era sicuro che fosse lui, il comandante che aveva scoccato la freccia. Quando le prime frecce erano state scagliate, William lo aveva visto: era lui.
Il ragazzo guardò il sangue che stava sopra le sue mani. Chiuse gli occhi, mentre sentiva un lacrima solitaria che passava sulla sua guancia. Ti vendicherò, promise a Jerry.
Avanzò quasi correndo, finchè non si ritrovò davanti al Barbaro. Lo guardava con un odio che gli sembrava uscire dal petto, mentre l'altro aveva un'aria di superiorità sprezzante.
"Ding" disse quest'ultimo "Sappi che è questo il nome del tuo uccisore."

***

"Il re ha assoldato un assassino per uccidermi" spiegò Gemma non appena furono fuori dal castello.
Per quanto il pericolo si stesse allontanando, la Tigre sapeva che c'era qualcosa che non andava. Sentiva che William era in pericolo.
Non sapeva perché avesse quella sensazione, così forte e così dolorosa. Provò a farla tacere, ma continuava a crescere e, impertinente, chiedeva di essere sentita.
"La nostra strategia stava funzionando" disse, riscuotendosi dal torpore in cui l'aveva fatta cadere quel presentimento.
"Decisamente il momento di darsela a gambe" disse JJ "Quindi tu sei dalla nostra parte?"
Gemma sorrise. Quel ragazzo le era subito piaciuto: in qualche modo le ricordava se stessa e la Tigre fu davvero felice di aver la possibilità di salvarlo, di salvare qualcuno fra tutti quelli che avrebbero perso la vita in quella guerra.
"Sì, lo sono."
"Lo sapevo!" rispose il ragazzo con un'espressione divertita.
Corsero per la foresta senza mai guardarsi indietro ed erano quasi arrivati. Mancava così poco.
Ma il re gli si parò davanti. E non era solo: aveva un intero esercito con sè.
Eppure anche davanti a tale incontro, Gemma non fece altro che cadere nuovamente in quello strano limbo che la estraniava da tutto e tutti, non smettendo mai di ripetere: William sta per morire.

***

Jackson stava combattendo.
In realtà si aspettava che i Bruti fossero più forti, ma di certo non si lamentava.
Volse lo sguardo a ciò che lo circondava, mentre la battaglia diventava sempre più violenta.
Alla sua sinistra, William avanzava spietato. Proprio come nella visione di Christine.
Nella mente di Jackson, un campanello di allarme iniziò a suonare. Doveva assolutamente fare qualcosa.
Cercava di farsi strada fra i soldati, in modo da raggiungerlo, ma passare era difficile. In più sapeva di dover fare attenzione a chi lo circondava: non doveva essere colpito.
Fra un colpo di spada e l'altro, Jackson era quasi arrivato a William, mentre ormai il duello stava per raggiungere la fine.
Eppure lui sapeva benissimo che non sarebbe arrivato in tempo. Era vicino, ma non abbastanza per combattere.
In quel momento che avrebbe potuto cambiare tutto, Jackson si pose una singola, breve domanda: salvarsi o salvare?
Non esitò un solo istante.

***

William si scagliò contro il Bruto con forza, ma lui parò il colpo.
I colpi del Guerriero erano forti, ma troppo prevedibili, erano dettati dalla rabbia. Gli prendevano energia e gli sbilanciavano l'equilibrio.
Perfino Ding riusciva a parare i suoi attacchi facilmente, colpendo con lentezza ma anche forza.
William normalmente lo avrebbe potuto battere a occhi chiusi. Ma il suo animo era agitato, le lacrime minacciavano di offuscargli la vista.
La rabbia è il peggior nemico di un Guerriero.
Ormai era stanco, per difendere l'ennisimo attacco cadde in ginocchio e rialzandosi con uno slancio impetuoso cercò di colpire il Barbaro.
Quest'ultimo schivò ancora una volta e, approfittando della situazione, provò a infilzare William.
All'ultimo momento, un'altra figura fece da scudo al Guerriero, buttandosi davanti a lui.
Jackson sentì il dolore irradiarsi dal punto in cui la spada di Ding lo aveva colpito. Crollò a terra, mentre William attaccava il Barbaro che non si capacitava di cosa fosse successo.
Ding spalancò gli occhi, portandosi le mani alla ferita mortale, mentre il Guerriero otteneva la sua vendetta.
Ma la vendetta ha sempre il suo prezzo e William lo capì non appena vide Jackson agonizzante sul terreno ancora innevato.
 

***

Gemma non capiva più nulla.
Sentiva voci che sembravano lontane, nonostante sapesse benissimo quanto fossero vicine. Si ricordava di esser vicina a Trevor, che a sua volta aveva di fianco JJ, e di aver di fronte il re, ma non se ne capacitava. Non le sembrava di essere davvero lì.
Sentiva il cuore battere velocemente e le lacrime che chiedevano di scorrere, mentre sentiva quel legame, l'unica cosa che ancora la attaccava a William, essere sul punto di spezzarsi.
Ma forse la cosa peggiore era il sentirsi inutile: Gemma non poteva assolutamente fare nulla per impedire che morisse.
Per quanto quella situazione necessitasse della sua massima attenzione, era come se la sua mente fosse scaraventata da un'altra parte, lontano, dove il suo cuore apparteneva. Da William.
Ma quando ormai questa sensazione era al suo apice, in un attimo svanì, riportandola bruscamente alla realtà. 
Appena in tempo per intravedere, con la coda dell'occhio, una lama che veniva sguainata, proprio di fianco a lei.
Fu un attimo: Gemma fece in tempo a strattonare via Trevor, prima che fosse infilzato da un pugnale.
La ragazza sbarrò gli occhi, quando finalmente realizzò che colui che aveva attaccato era JJ. La sua mente non ci mise molto a capire come era stata ingannata.
Jade Jailbird. JJ.
Letteralmente il suo nome significava "avanzo di galera", così aveva finta di essere un prigioniero.
Nondimeno, era stato catturato per tradimento e ora eccolo lì, a tradirli.
Aveva calcolato che lei gli si sarebbe affezionata e le si era avvicinato, con una bella storiella del ragazzo infelice ma coraggioso. Aveva contato sul fatto che lei non avrebbe abbandonato qualcuno in pericolo.
E aveva capito tutto.

***

Gli urlatori li stavano sovrastando.
Erano troppi, sembravano non finire mai. E, di certo, mai sarebbero riusciti a batterli.
Axel e Lavinia combattevano fianco a fianco, cercando di aiutarsi il più possibile. Le loro mani, in alcuni momenti, si sfioravano: in qualche modo si sentivano meglio, come se solo così percepissero di non essere soli in quella battaglia dall'esito scontato. Ed era anche il loro modo di dirsi addio, come se il successivo combattimento fosse l'ultimo.
Erano solo le due: non ce l'avrebbero mai fatta.
Lavinia pensò di chiudersi nell'accampamento, infuocando il cerchio di legno che lo circondava, ma sapeva che quello avrebbe solamente prolungato l'attesa. Dovevano combattere.
Le forze stavano finendo.
Axel era accerchiato dagli urlatori, ma per quanto provasse a difendersi, muovendo la spada freneticamente, un urlatore lo prese.
Gli mise le mani, sempre che potessero essere definite tali, sulle spalle, impedendogli di scappare e tenendolo con una forza inaspettata.
E poi iniziò a fare ciò per cui si meritava quel nome. Urlare.
Axel si sentiva come se gli stessero strappando via l'anima, risucchiata da quel buco vuoto che avevano come bocca.
L'urlatore si stava cibando della sua vita in un disperato tentativo di riempire quel nero. Tutto bruciava.
Anche Axel si mise a urlare.

***

Gemma rimase a guardare JJ, per alcuni istanti, mentre ancora non si capacitava di ciò che fosse successo. Non era possibile.
Stringeva a sè Trevor, come a proteggerlo dall'assassino, che la guardava con uno sguardo divertito e allo stesso tempo quasi sadico. Sembrava così felice.
Tanto quanto il re sembrava soddisfatto.
"Non te lo aspettavi, non è vero?" chiese quest'ultimo indicando il Jade Jailbird. Gemma non rispose nemmeno, aspettando che la Volpe continuasse quello che sarebbe stato quasi un monologo.
"Io in realtà volevo che ti uccidesse nel sonno, ma lui ha insistito per conoscerti di persona" continuò con lo stesso tono che avrebbe qualcuno mentre racconta una barzelletta "Sai, ha detto che quell'espressione di tradimento sarebbe stata meravigliosa e non ci voleva rinuanciare. Ora non posso non essere d'accordo."
Gemma tremava e continuava a spostare lo sguardo dal re all'assassino, mentre con lenti passi incerti indietreggiava. Non proferì parola.
"Avrei lasciato che ti uccidesse senza interferire," stava dicendo il re "ma di certo non voglio che tu muoia pensando che state vincendo. Perché non è così: domani tutti quelli che combattono sul confine fra Tigerheart e Foxiness saranno morti."
"Piano, piccola" intervenne l'assassino avvicinandosi a Gemma "Io e te non abbiamo ancora finito, quindi non allontanarti troppo."
La ragazza infatti stava indietreggiando sempre più velocemente, rischiando di cadere. Teneva ancora stretto Trevor.
A quelle parole, si fermò di colpo e deglutì.
"Scappa" sussurrò al bambino "Io non ho scampo. Fallo per me: scappa più veloce che puoi."
Trevor le ubbidì: si girò e scappò.
Il Jade Jailbird guardò il re, come se stesse domandando cosa fare. La Volpe si limitò a fare un cenno negativo, ordinandogli silenziosamente di non inseguirlo.
Gemma sperò che almeno lui si salvasse.
"Stavo dicendo..." riprese il re "Penso che tu, da brava Tigre, conosca il Covo dei Fenicotteri."
La ragazza pensò a tutti i pomeriggi che aveva passato in quello stretto passaggio, tra Foxiness e Tigerheart, dove vivevano i fenicotteri.
Era un luogo magnifico, uno spettacolo pari alla più bella delle albe. Un paesaggio colorato e meraviglioso, ma allo stesso tempo una possibilità per i nemici.
Nessuno entrava in quel luogo con armi, era questa la regola. Lo era sempre stata e nessuno, in pace o in guerra, aveva il diritto di infrangerla.
Ma a quanto pare alle Volpi non interessava quanto quel posto fosse speciale, quasi sacro: loro avrebbero infranto ogni legge, degli uomini o della natura, pur di conseguire il loro scopo.
"Beh, mentre sono in corso le battaglie non sarà difficile passare di lì inosservati, con le ultime truppe che Mountainsky ci ha inviato: truppe che a loro non servono, avendo richiesto una pace momentanea ai vostri amici di Hawkvengeance. Ora immagina quanto saranno stupiti i tuoi amici, quando stanotte saranno svegliati dalle urla dei compagni morenti. E, ora, immagina quanto sarà facile sconfiggere il resto dei tuoi alleati senza più le truppe sul nostro confine e, probabilmente, neanche quelle a Doerate. Immagina la tua gente morire. E il fatto che quel bambino sia scappato non fa che posticipare la sua esecuzione."
Con una risata soddisfatta, il re si gustò l'espressione di sgomento di Gemma, immobile. Poi si girò verso i suoi soldati, con un ultimo ordine per l'assassino.
"Ora puoi ucciderla."

***

Furono gli attimi peggiori di tutta la sua vita.
Una vita che si stava staccando da lui, il suo proprietario.
E furono solo attimi, che ad Axel sembravano passare tanto lentamente quanto sembravano veloci a Lavinia.
La ragazza agì di impulso, avvicinandosi all'urlatore e spezzandogli le braccia con un solo colpo di spada.
Axel cadde a terra, svenuto, con ancora quei rami dalle fattezze degli arti umani attaccati alle spalle.
Lavinia non poteva far altro che difenderlo come meglio poteva: colpiva quei mostri con tutta la forza che aveva, lottava con la consapevolezza che il domani fosse una remota possibilità, ma sicura che, se ci fosse stato, il suo futuro era per Axel.
Alla fine cadde in ginocchio vicino a colui che solo in quel momento capì di amare davvero.

Il destino era davvero crudele.
Proprio lei, che aveva passato la vita cercando di star lontana dall'amore e allo stesso tempo a rincorrerne uno non corrisposto, aveva trovato la sua metà solo alla sua morte.
E l'unico lato positivo che ancora vedeva era che l'ultimo calore che avrebbe sentito sarebbe stato quello della mano di Axel, stretta nella sua.
Guardò il cielo, per l'ultima volta.
E in quell'azzuro senza nuvole, vide dei draghi.

Tanti draghi, troppi per essere solamente quelli che avevano all'accampamento.
Lo stemma che portavano, poi, era inconfondibile. Oceanshark.
I genitori di Axel erano andati ad aiutarli.
Erano salvi.


Angolo dell'autrice
Salve a tutti!

Allora? Piaciuto il capitolo? Siete un po' sconvolti?
Questa volta i commenti li lascio tutti a voi e non dico nulla: di cose ne sono successe.
Ah, un'informazione: in realtà questo capitolo doveva comprendere anche tutto quello che sarà il prossimo, ma mi sembrava troppo sproporzionato quindi l'ho diviso in due. In questo modo, mancano ancora tre capitoli alla fine :)
Al prossimo capitolo!
StellaDelMattino

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Capitolo 36
*** Salvarsi o salvare: parte 2 ***


CAPITOLO 36:

Salvarsi o salvare:
Il coraggio della tigre

 

Il Jade Jailbird guardava Gemma come se si aspettasse che da un momento all'altro scappasse via. Non c'era nessun sorriso sul suo viso, ma nei suoi occhi ora la Tigre vedeva chiaramente la pazzia. Un insano desiderio di far del male, di uccidere.
Gemma si chiese perché fosse così. Eppure più lo osservava, più si coinvinceva che a una tale follia non fosse possibile attruibuire la causa. Ora lo vedeva per ciò che davvero era: un mostro.
Lentamente, sfilò la spada dalla custodia che aveva su un fianco e la impugnò, guardandolo con aria di sfida.
"Allora, pronta a morire?" chiese l'assassino. Poi sorrise lievemente, quasi dolcemente. E si scagliò su di lei.
Gemma parò il primo colpo e balzò indietro quando JJ fece un affondo puntando dritto al suo cuore.
Il ragazzo ghignava, avanzando mentre la Guerriera arretrava. Lei provò ad attaccare, quasi timidamente, con un timore che pareva reverenziale.
Era un assassino. Non poteva prenderlo per un avversario debole, nè al suo stesso livello.
Il Jade Jailbird parava i suoi colpi come se dovesse difendersi dal goffo tentativo di un bambino. Aveva un'espressione vagamente annoiata e non attaccava. Gemma capì cosa stava facendo: voleva farla stancare. Nei suoi attacchi, lei metteva forza, ma l'assassino si difendeva comunque facilmente.
Si fermò, decisa a non stare più al suo gioco e aspettò che fosse lui a fare la sua mossa.
Non era pronta, però, a un impeto così forte e sebbene avesse provato a scansare l'affondo, sentì il dolore irradiarsi dalla spalla destra. Urlò, ottenendo solamente la risata soddisfatta del nemico, poi scambiò mano impugnando la spada con la sinistra e scagliò una serie di colpi veloci e forti: la ferita sarebbe stato un punto debole facilmente sfruttabile e doveva agire il prima possibile.
Il Jale Jailbird la guardò ammirato e non esitò a ricambiare gli attacchi, che ora Gemma evitava con maggior difficoltà.
L'assassino fece l'ennesimo affondo, ma la Tigre con un colpo di spada riuscì a disarmarlo: senza perdere un solo secondo, JJ le prese il polso della mano che teneva la spada, tanto velocemente che lei se ne accorse solamente quando sentì la forza esercitata sulla sua pelle.
Le torse il braccio, portandolo dietro alla sua schiena e facendole perdere la presa sulla spada. Come se non bastasse, con l'altra mano le afferrò la spalla destra, gravando sulla ferita.
A ogni urlo della ragazza, il Jade Jailbird era più felice. Ed era sul punto di raccogliere la spada e finirla del tutto, quando fu colpito in testa da una pietra.
Si girò di scatto, allentando la presa su di lei.
Trevor lanciò un'altra pietra, mancandolo questa volta.
La distrazione del Jade Jailbird, però, bastò a Gemma per liberarsi dalla sua presa, recuperare la spada e trafiggerlo con tutta la forza che le rimaneva in corpo.
L'assassino spalancò gli occhi, con un'espressione di puro terrore sul viso e, per un attimo, tutta la follia che era stata il suo segno indistinguibile svanì, rimpiazzata da stupore e quasi ammirazione.
Le ginocchia gli cedettero e crollò al suolo, con la spada ancora conficcata nel petto. I suoi occhi erano ancora aperti quando la vita abbandonò il suo corpo.
Il volto del mostro era stato rimpiazzato da quello umano solo nel momento della morte.

Gemma si appoggiò con la schiena a un tronco e poi scivolò, finendo seduta per terra. Aveva una mano sulla ferita e a stento tratteneva le lacrime. L'aria non sembrava poter soddisfare il suo impellente bisogno di respirare.
Guardò Trevor, che le corse incontro preoccupato.
"Mi hai appena salvato la vita, lo sai?" disse la Tigre.
"Non avrai mica pensato che me la sarei semplicemente data a gambe?" chiese il bambino con un sorriso.
"Grazie"
Il bambino annuì per nulla sollevato e guardò la spalla mal messa. Sbiancò al vedere il sangue e le strappò la manica. Strappò anche una parte della sua maglia logora, la stessa che teneva quando era prigioniero, e le avvolse la ferita con essa, operando così come gli era stato insegnato. Quello era il meglio che potesse fare.
Gemma però aveva la testa da tutt'altra parte. Se ciò che aveva detto il re era vero -e non lo dubitava- erano tutti in pericolo.
Doveva agire subito: le Volpi non potevano entrare nel territorio di Tigerheart, o la guerra avrebbe avuto un risvolto tutt'altro che positivo.
Con la spalla che doleva, la testa che le girava e le forze sempre minori, Gemma sapeva di dover fare qualcosa. E anche velocemente.
"Trevor" iniziò "devo chiederti un ultimo favore, forse quello più importante. Probabilmente l'intera guerra dipende da quello che ti sto per chiedere."

***

Gemma respirava a fatica.
Il cuore le batteva forte per la paura, tanto che il suo suono sembrava sovrastare il resto dei rumori.
Certo, non sarebbe stato brutto morire in quel luogo che aveva segnato la sua infanzia. Ne aveva passate di avventure, in quell'ambiente colorato di un rosa cristallino. Le piante, i cespugli, persino le piccole pozze d'acqua erano rosate, lì dentro.
Il Covo dei Fenicotteri era un posto davvero magico.
Lì, al centro del passaggio che divideva Tigerheart da Foxiness, Gemma stava aspettando che la Volpe e il suo esercito arrivassero.
La sua era una mossa disperata, ma era l'unica cosa che le era venuta in mente.
Dal luogo dello scontro con JJ non sarebbe mai riuscita ad arrivare lì: non solo non avrebbe avuto il tempo di arrivare per prima, ma probabilmente non avrebbe avuto neanche forze sufficienti.
Ed era una grande fortuna che fosse amica dei Fenicotteri da sempre, così da poter chiamare con un solo fischio uno di essi. Questi era arrivato, dispiegando le sue ampie ali, e dopo aver ascoltato ciò che stava per succedere l'aveva portata lì.
Erano animali molto grandi, i Fenicotteri, tanto che a Gemma sembrava affondare nelle piume mentre veniva trasportata in volo. Quello che la trasportava, però, aveva subito messo in chiaro una cosa: loro non avrebbero spezzato quel giuramento di pace mai e poi mai. Non sarebbero intervenuti in alcuno scontro.
Era certa di essere arrivata per prima.
Un suono attirò la sua attenzione. Erano voci e passi.
Le Volpi erano arrivate, non c'era dubbio.
Gemma impugnava la spada debolmente, la mano che le tremava. Era giunto il momento.
Il re non riuscì a trattenere tutto il suo stupore quando la vide lì. Spalancò la bocca, poi si mise a ridere. Non erano nascoste a nessuno le pessime condizioni in cui si trovava la Tigre.
"Pensi davvero che riuscirai a fermare un esercito?" chiese con tono di scherno la Volpe.
Gemma deglutì e sperò con tutto il cuore che il suo piano funzionasse.
"Penso di poter fermare colui che si fa chiamare Guerriero delle Volpi senza mai combattere" disse acida.
Il re sembrò alterarsi. Chiuse la mano a pugno, poi scoppiò a ridere ancora.
"Propongo una sfida" continuò lei imperterrita "Se mi riuscirai a sconfiggere, potrai continuare nel tuo intento e tutti sapranno quanto vali. Se vinco io, i tuoi uomini se ne torneranno a casa e firmeremo la tregua."
La Volpe la scrutava incuriosita e pensierosa. Si chiedeva che trucco ci fosse sotto.
"E perché nelle tue condizioni vorresti tentare una sfida?" chiese con tono canzonatorio "Cosa mi nascondi?"
Gemma abbassò lo sguardo ed esitò prima di rispondere. "Perché non c'è nient'altro che io possa fare. È l'unico modo in cui ti posso fermare."
"Accetto, allora" rispose il re. Sembrava soddisfatto, come se quel duello gli rendesse la vittoria della guerra sempre più vicina.
Con disinvoltura, la Volpe si avvicinò a Gemma. La osservava con il suo solito sguardo famelico, in attesa della prima mossa della Tigre.
Gemma si scagliò sul nemico con forza, tanto da rendergli difficile parare. Il re arretrò, evitando per pochi centimentri la lama affilata che di nuovo cercava di colpirlo. Contrattaccò, avanzando in una serie di colpi decisi e potenti.
La Guerriera inciampò, cadendo rovinosamente a terra e rotolando su un fianco. Urlò per il dolore alla spalla, ma quando si alzò vide che il re stava aspettando, quasi volesse prolungare quel duello per farla soffrire. La guardava con un sopracciglio alzato, che sembrava dirle: "È tutto qui quello che sai fare?"
Si rialzò, con il respiro affannato e riprese con la sua serie di colpi. Il re parò ognuno di essi, contrattaccando con un'altra serie di attacchi.
Gemma sollevò la spada per ferirlo, ma la Volpe scansò il colpo. Con la spada le ferì una gamba, poco sopra al ginocchio, e la Tigre non riuscì a sostenere il suo peso, cadendo in ginocchio.
Il re appoggiò la lama contro il suo collo e fece pressione, tanto che un rivolo di sangue le scivolò sulla pelle candida.
"Ultime parole?" chiese la Volpe con un ghigno soddisfatto.
Le lacrime facevano pressione per uscire dagli occhi di Gemma.
Il suo piano non avrebbe mai potuto funzionare, lo sapeva. E lei di sicuro non sarebbe mai potuta sopravvivere. Ed ora era tutto perso.
È stata una cosa stupida,si disse, mentre cercava di accettare la sua sorte.
"È stata una cosa coraggiosa"
Gemma sentì chiaramente quella voce, come se fosse davvero lì. Ma quella era la voce di William, che di certo era in un luogo tanto lontano.
Ma per loro due la distanza non era mai davvero tale.
E William era lì con lei, in quel momento. Forse non materialmente, ma la ragazza sentiva che era lì.
Gemma fu travolta da una forza sconvolgente, prorompente. Una forza inimmaginabile che nella sua testa assunse subito un nome. Coraggio.
Allora le parole le uscirono dalla bocca quasi non fosse lei a pronunciarle.
"Abbiamo vinto" disse.

***

William aveva combattuto strenuamente.
Dopo la morte di Ding, la battaglia non era continuata ancora molto.
Ma avevano vinto, finalmente. Forse definitivamente.
Il Guerriero di Secreteyes aveva fatto tutto ciò che poteva per proteggere Jackson, ma sono alla fine della battaglia aveva potuto trasportarlo fuori dal campo. Aveva cercato disperatamente un medico, qualcuno che lo potesse aiutare, e aveva sperato che tutto andasse bene.
Jackson era semicosciente, a tratti sembrava lucido, a tratti sembrava che la vita lo avesse abbandonato. Eppure il battito, flebile, ancora c'era.
Ma chiunque lo vedesse capiva che il suo destino era già deciso. Sul suo volto c'era già la morte.
William lasciò l'amico in mani esperte e uscì dall'accampamento, in cerca del silenzio.
Non avrebbe mai sopportato che Jackson fosse morto per colpa sua.
Iniziò a girovagare, non allontanandosi mai troppo dalle tende, cercando di scappare dal duro presente
Ad un certo punto si fermò, sentendosi trasportato da qualche altra parte. Il suo cuore batteva velocemente, mentre si ritrovò a sussurrare impercettibilmente: "È stata una cosa coraggiosa."

***

"Ti sto uccidendo, Guerriera, voi non avete vinto. Ho vinto io" replicò il re, ma nella sua voce c'era incertezza.
Una finta risata, roca, nacque dalla gola di Gemma. Quella risata subito si trasformò in una leggera tosse che sapeva di sangue.
La Volpe, però, la osservava attentamente. L'avrebbe già uccisa, ma aveva paura che quel suo delirio stesse per anticipare un asso nella manica dei nemici, quindi attese che parlasse.
"Tu non vincerai mai. Non sarai mai felice." continuò la Tigre "E sai perché? Perché non proverai mai nulla. Io ho vissuto mille volte più di te. Ora che sono davanti alla morte ho paura, ma non cadrò mai. Mentre tu hai strisciato per tutta la vita, io sono in piedi ad aspettare ciò che il destino mi riserva."
Gemma si alzò in piedi, incurante del dolore che la affliggeva e della lama ancora appoggiata alla sua gola.
Guardò il re negli occhi, sfidandolo. Disgusto e amarezza, nel suo sguardo, ma anche un coraggio quasi sfrontato che faceva rabbrividire la Volpe tanto da impedirgli di muoversi.
"Io ho tutto ciò di cui ho bisogno e ne sono soddisfatta, tu non avrai mai nulla perché mai nulla ti basterà. Non potrei desiderare altro e non lo farò. Ho provato rabbia, odio, tristezza e disperazione, ma anche sentimenti che tu non potrai sognare neanche lontanamente. Sollievo, gioia, allegria. Amore. Una vita che ha provato amore anche solo per un secondo è una vita vissuta davvero. E la tua non lo è e non lo sarà mai. Mi fai quasi pena! Cerchi così tanto la vittoria che non ti rendi conto che hai già perso in partenza. Qual è il tuo scopo nella vita?!"
La mano del re iniziò a tremare e mentre lo sguardo di Gemma sembrava ardere di una forza inspiegabile, la Volpe si sentì bruciare. Una sensazione che derivava dal suo stesso cuore e che lo avvolgeva togliendogli il respiro. Ma era anche una forza emanata dalla Tigre stessa, la cui essenza si espandeva in un alone di fuoco.
Le passioni, le emozioni che in Gemma ardevano così potenti stavano incenerendo l'animo del re, che ne era privo.
"Il coraggio è forza e l'amore che lo spinge dà vita. L'amore è vita in tutte le sue forme! E posso chiaramente vedere il tuo cuore marcio morente, nero e viscido che si contorce perché l'odio porta solo alla distruzione. Sei come polvere e vali quanto essa."
Le parole della Tigre, come una condanna a morte irreversibile, avevano stabilito il destino del re.
La Volpe prese fuoco.
Bruciava e urlava.
E in breve tempo non fu altro che polvere.

***

Jackson guardava il cielo.
Era così azzurro, così intenso. Così bello e maledettamente lontano.
Sentiva voci che lo chiamavano, ma allo stesso tempo erano suoni distanti e incomprensibili.
Il suo corpo era in balia del caso. Ma ancora un poco e la vita lo avrebbe abbandonato.
Eppure stava morendo troppo lentamente. Il dolore lo stordiva e gli impediva di muoversi, sentiva il sangue abbandonarlo e la vista offuscarsi.
Non avrebbe mai più visto quel cielo azzurro. Ma ora non importava.
Non importava più nulla.
Si fece tutto nero, solo due occhi spiccavano in quell'oscurità, vividi e gioiosi come l'ultima volta che li aveva visti.
Se avesse avuto ancora la forza di sorridere, Jackson l'avrebbe fatto.
"Vieni con me" diceva una voce melodiosa, che apparteneva alla stessa persona a cui appartenevano quegli occhi. "È passato così tanto tempo... Ci rincontreremo. Abbandona la vita e raggiungimi!"
Jackson esitò. Solo un momento, un singolo attimo.
Poi fu pronto. Fu pronto a rinunciare a tutto.
E lo avrebbe fatto, se una voce non avesse fatto irruzione nella sua mente con una forza che sapeva di fuoco, accompagnata da una violenta luce arancione che lo acciecò.
"Il coraggio è forza e l'amore che lo spinge dà vita"
Gli occhi di Jackson si chiusero.

***

Sui volti dei soldati c'era stupore. Si guardavano intorno, come se non avessero capito cosa fosse appena successo. E neanche Gemma lo capiva davvero.
Aveva vinto il duello, ma forse non era bastato. Perché sapeva che le Volpi non avrebbero rinunciato alla vittoria così.
E infatti i soldati, superato lo stupore, iniziarono a correre verso di lei, le spade sguainate.
Un brivido percorse la Tigre, ma nell'aria sibilò una freccia che colpì uno dei soldati nemici.
Ce l'avevano fatta.
Gemma si girò e vide Christine con l'arco in mano, seguita dalle tre truppe. Vicino a lei c'era Trevor.

***

All'inizio, Christine non voleva fidarsi di quel bambino che era arrivato al suo accampamento non appena era finita la battaglia.
Lei era sospettosa per natura, diffidava di chiunque.
Eppure qualcosa nell'espressione di quel bambino e nelle sue parole allarmanti, l'aveva convinta a seguirlo.
Erano arrivati a quel posto, il Covo dei Fenicotteri, e Christine aveva capito subito che stava succedendo qualcosa.
Aveva zittito i soldati e si era avvicinata, nascondendosi fra i cespugli.
Appena in tempo per vedere Gemma che parlava con il re, atterrito, che poi aveva preso fuoco.
Lei capiva cosa era appena successo. Capiva cosa aveva fatto la Tigre.
Aveva emanato l'Essenza del Coraggio.
Così come lei poteva vedere il futuro, Gemma aveva utilizzato la magia che così rara era in loro.
Christine sorrise. Era ora di mettere fine alla guerra.

***

Il duello aveva svolto il suo lavoro. Aveva dato a Trevor il tempo di arrivare da Christine e condurla lì, nella battaglia decisiva.
Certo il re non si aspettava nulla, aveva visto il bambino scappare non appena il Jade Jailbird aveva rivelato la sua identità.
E alla fine, la Tigre aveva ingannato la Volpe.
Gemma lasciò che fossero gli altri soldati a combattere, mentre le forze venivano meno. Trevor le andò vicino e la aiutò ad allontanarsi, Christine comandava le truppe come se fosse nata per quello.
E alla fine avevano vinto.
Alla fine, nell'impossibile e nell'inimmaginabile, il coraggio e l'amore avevano vinto.

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Capitolo 37
*** Il mondo con occhi diversi ***


CAPITOLO 37:

Il mondo con occhi diversi


La luce disturbava il suo sonno.
Le sue palpebre sfarfallarono, come se provasse ad aprire gli occhi ma non ci riuscisse veramente.
Ed era proprio questo ciò che Jackson provava.
Si sentiva sopraffatto da un macigno, ma allo stesso tempo leggero. E quella sensazione era fin troppo umana. Fin troppo viva.
Dapprima, una domanda si era fatta strada nella sua mente: Sono morto?
Eppure, quel peso e il dolore che sentiva dappertutto dicevano di no.
Con uno sforzo enorme, aprì gli occhi, richiudendoli poi subito per la luce acciecante. Li tenne ancora un attimo chiusi, poi riprovò ad aprirli. Con un po' di fatica si abituò a quel sole così invadente.
Era una giornata bellissima.
O almeno così testimoniava la luce che filtrava dalle finestre irradiando tutta la stanza con un tiepido calore.
Ed eccolo lì, quel cielo azzurro.
Senza neanche volerlo, Jackson allungò la mano verso le bianche nuvole.
Scosse lievemente la testa, come a comandarsi di non comportarsi da stupido.
Distolse la sua attenzione dal cielo e si concentrò sul posto in cui si trovava. Era la sua stanza della reggia, la solita in cui aveva dormito per tutta la sua vita. Le stesse pareti beige, gli stessi mobili di legno. Gli stessi oggetti che avevano accompagnato la sua vita.
Vicino al letto, su una sedia apparentemente scomodissima, si trovava Lavinia. Era addormentata, con un'espressione impassibile sul volto.
Jackson sentì il suo cuore accellerare improvvisamente: la ragazza era talmente magra e pallida da sembrare in punto di morte.
Con un sussulto, Lavinia si svegliò.
Per un attimo, i due si guardarono con un'espressione di puro stupore. Poi lei abbracciò il fratello con tutto l'affetto che aveva, saltandogli al collo e dimenticando momentaneamente lo stato in cui era Jackson.
Quest'ultimo, però, sentì il dolore quasi subito e mugolò facendola così allontanare.
“Grazie al cielo ti sei svegliato!” gridò la ragazza dopo essersi scusata per l'abbraccio doloroso.
Jackson inarcò un sopracciglio. Stava cercando di ricordare cosa fosse successo, ma era tutto vago. Si ricordava che stava combattendo, poi sentiva il dolore.
A mano a mano sarebbe ritornata anche la memoria, ne era sicuro.
“Cos'è successo?” chiese, sperando di capirci qualcosa di più.
“Non ricordi?” Jackson scosse la testa. “Hai salvato William, in battaglia. Ma ti hanno colpito e hai rischiato moltissimo. Ti avevano dato tutti per morto...”
Nella mente del ragazzo iniziarono a riaffiorare alcuni ricordi, mentre sempre più velocemente acquisiva la consapevolezza di ciò che era accaduto.
“Senti un po'” riprese Lavinia, distogliendolo dai suoi pensieri. “Che hai fatto agli occhi?”
Jackson inarcò un sopracciglio, guardandola perplesso.
“Come sono finito qui?”
La sorella sospirò, avvicinandosi e sedendosi sul suo letto.
“È passata quasi una settimana da quando... da quando sei stato ferito” disse, mentre un sorriso spuntava sul suo viso. Sebbene i suoi occhi fossero solcati da occhiaie, illuminandosi di gioia la resero tanto bella quanto Jackson l'aveva sempre reputata. Gli si accese il cuore di un calore che pensava non avrebbe provato mai più. “La guerra è vinta, ce l'abbiamo fatta! Il giorno dopo hanno dichiarato resa e siamo potuti tornare a casa. William ha fatto in modo che tu fossi trasportato qui senza che la tua condizione peggiorasse, io sono arrivata appena ieri.”
La guerra era vinta, tutto era finito.
Jackson sospirò e una lacrima gli percorse una guancia. Una lacrima di gioia, che Lavinia prontamente gli tolse.
“Non è tempo di piangere” disse “È tempo di festeggiare.”

Jackson rimase solo.
Aveva chiesto alla sorella qualche momento, per riprendere il controllo di sé.
Cercò di alzarsi, ogni muscolo gli doleva. Lavinia gli aveva raccomandato di non muoversi, ma Jackson non aveva mai dato retta a nessuno. Facendo forza sulle braccia, si tirò in piedi. Incredibilmente, non aveva subito alcun danno permanente.
Sebbene ogni passo fosse una tortura, Jackson provò a camminare. Le gambe minacciavano di cedere, quindi si appoggiò ad un cassettone non troppo lontano dal letto, il fiato corto.
Tutta quella faccenda era davvero strana.
Lui avrebbe dovuto essere morto, eppure quello squarcio che avrebbe dovuto ucciderlo ora era il minore dei suoi problemi. Era fasciato, ma sentiva che quella era una ferita poco più che superficiale. Non aveva senso.
Jackson alzò lo sguardo, fissando lo specchio appena sopra il cassettone.
Il suo viso era pallido, ricoperto da un paio di lividi violacei e qualche piccolo graffio. Il labbro superiore era spaccato e un sottile strato di barba bionda gli ricopriva il mento. Aveva un pessimo aspetto.
Ma non fu questo ciò che lo sorprese.
I suoi occhi erano cambiati. Le sue iridi contenevano il solito verde scuro e profondo che aveva sempre avuto, ma questo colore era interrotto da sprazzi di arancione, quasi i suoi occhi avessero attirato un raggio del sole.
Fu quello che gli fece ricordare quelli che aveva creduto essere i suoi ultimi momenti di vita: quegli occhi, quel suo desiderio di lasciarsi andare e, infine, le parole di Gemma. Così strano che, proprio in quel momento, avesse sentito lei, fra tutti.
Improvvisamente, si sentì mancare. Si afflosciò a terra, incapace di sostenere il suo peso.

Quando Jackson riprese coscienza, aveva puntato addosso lo sguardo di Lavinia, che aveva un'incredibile voglia di prenderlo a pugni.
“Ma si può sapere che credevi di fare?! Ti ho detto di non muoverti!” gli gridò contro.
Lui non rispose, osservando un uomo che era nella stanza. Scriveva qualcosa, lanciandogli rapide occhiate. Appena finì di scrivere, sorrise e si avvicinò. 
Era, a quanto pareva, un medico. Gli fece una rapida visita e si congedò, ordinandogli di non alzarsi assolutamente senza l'aiuto di qualcuno, poi lo lasciò solo con sua sorella.
Lavinia lo guardava con evidente preoccupazione. Una domanda le premeva chiedere, ma sapeva che non avrebbe detto nulla.
Il suo cuore era diviso in due, in quel momento: il futuro premeva per sapere la svolta che avrebbe preso davanti a quel vincolo.
Quando erano arrivati gli Squali, la battaglia contro gli urlatori aveva preso un risvolto inaspettato: avevano vinto facilmente, mentre quelle creature erano state sconfitte una volta per tutte, o almeno così si sperava. La notizia della fine della guerra era arrivata quella sera stessa e, chi per Secreteyes, chi per Tigerheart e chi per Oceanshark, erano tutti partiti subito. I comandanti erano andati tutti lì, alla reggia.
Il viaggio era stato lungo e faticoso, neanche una parola era stata detta da uno dei comandanti. James era solo stanco, ma fra Axel e Lavinia c'era una tensione incredibile. Si lanciavano occhiate e poi distoglievano subito lo sguardo.
Entrambi stavano elaborando ciò che era successo.
Quando pensi di stare per morire, pensi solo al presente, ma davanti a loro ora c'era il futuro, il destino che immancabilmente gli avrebbe separati.
Poi, mentre Lavinia stava per andare nella sua stanza, decisa a starsene un po' da sola, Axel l'aveva afferrata per un braccio, facendola fermare.
Io...” incominciò il ragazzo guardandola negli occhi. Sembrava soffrire intensamente, come ogni sua parola fosse una pugnalata. Abbassò lo sguardo, ordinandosi di ricomporsi, poi fissò di nuovo i suoi occhi in quelli della ragazza. “Io non posso lasciarti andare.”
Lavinia esitò, stupita. C'erano così tante cose da dire, ma neanche una parola uscì dalla sua gola.
Questi mesi sono stati i peggiori di tutta la mia vita” continuò il ragazzo “Un periodo che non vedo l'ora di dimenticare, davvero. Tutte le notti sogno le terribili cose che ho visto e ogni volta che chiudo gli occhi vedo quell'urlatore che mi stava per uccidere. Ho pensato molte volte di abbandonare tutto, di allontanarmi da tutte le atrocità che ancora per molto tempo mi tormenteranno, di correre via dalla guerra e lasciarvi al vostro destino. Solo una cosa mi ha fermato.”
Axel le prese il volto fra le mani e la baciò. Lentamente, dolcemente.
Rimase con la fronte appoggiata a quella di Lavinia.
Quando pensavo a te ogni cosa mi sembrava migliore e non potevo fare a meno di desiderare che quel periodo di orrore e sangue durasse all'infinito, perché così non avrei mai dovuto allontanarmi da te. Le nostre vite si sono intrecciate e non si scioglieranno mai davvero.” La sua voce era ridotta ad un sussurro, il suo fiato che sfiorava delicatamente il viso della ragazza. “Non avrei mai detto che una ragazza capricciosa e superficiale rendesse una guerra degna di essere combattuta. Il fatto è che non sei come pensavo, Lavinia, tu sei una continua sorpresa. Incredibile e meravigliosa. Ho combattuto per te.”
Axel sospirò, mentre lei era come immobilizzata dalle sue parole. Il cuore batteva tanto velocemente che le sembrava stesse per scoppiare.
Lascia questo posto”disse guardandola, gli occhi di Axel la supplicavano, mentre la sua voce si limitava a chiedere. “Ti farò vedere il mare. Partiremo per mille avventure e potrai capire che cos'è una balena. Ti prego, non abbandonarmi. Non lasciarmi andare.”
Poi se ne era andato, senza lasciarla rispondere.
Lavinia scacciò quel pensiero.
Sul momento, dopo quella dichiarazione, avrebbe subito detto che sarebbe andata.
Quando aveva saputo di suo fratello, però, era cambiato qualcosa.
Jackson era stato fino a quel momento l'unica persona che l'aveva fatta sentire protetta, amata, che non l'aveva mai abbandonata, per nessun motivo.
Non poteva lasciarlo, non ora che la condizione era così precaria.

Eppure Axel... non poteva rinunciare a lui. Ogni volta che pensava di separarsene, si sentiva morire. La vita, senza di lui, non sembrava avere più senso. 
“C'è una lunga serie di persone che ti vogliono vedere, Jackson” disse scuotendosi da quei pensieri. “Sono tutti qui fuori, li faccio entrare?”
Il fratello annuì, ma non sembrava aver ascoltato davvero. Fissava un punto nel vuoto, il suo cuore batteva velocemente. Lavinia rimase ad ossevarlo qualche momento, chiedendosi a che cosa stesse pensando. Realizzò che quella ferita aveva provocato un trauma emotivo più forte di quanto si sarebbe aspettata.
Lentamente, la ragazza camminò verso la soglia, ma quando appoggiò la mano sulla maniglia, sul punto di uscire, fu chiamata da Jackson si fermò.
“L'ho rivista. Proprio quando stavo per morire. E avrei abbandonato tutto di nuovo, ma ho esitato” La sua voce si spezzò, alcune lacrime scesero sulle sue guance. “Ho esitato.”
Lavinia tornò verso di lui e lo abbracciò delicatamente e dolcemente.
La sua scelta era ormai presa.

***

I comandanti erano arrivati tutti. Tutti tranne lei.
William stava aspettando Gemma ormai da ore.
Era stato diviso da lei per mesi, ma mai l'attesa si era fatta sentire come in quel momento.
Il Guerriero non riusciva a far altro che pensare a lei. Si chiedeva se fosse combiata, se stesse bene, se anche lei pensasse a lui. Aveva bisogno di vederla, di stringere le sue braccia attorno all'esile corpo di Gemma, di guardare i suoi occhi e vivere nell'energia che essi trasmettevano.
Iniziò a girare avanti e indietro, mentre osservava il cielo con trepidazione.
Abbassò lo sguardo, imponendosi di calmarsi.
Sentì un rumore, come uno sfarfallio, e quando guardò nel cielo vide un grande drago che lentamente stava per arrivare.
Gli sembrò che il suo cuore stesse cercando di uscirgli dal petto e non riusciva più a stare fermo. Osservò il drago atterrare prima di iniziare a correre.
Non appena Gemma fu scesa dall'animale, vide la figura di William che le andava incontro e non potè fare a meno di correre lei stessa.
I due si abbracciarono con forza, mentre ridevano.
Ridevano e piangevano nello stesso momento, come se tutte le loro emozioni fossero state sconvolte al loro incontro. E non esisteva più nulla, più nessuno, se non loro.
Il bisogno quasi fisico dell'altro era finalmente soddisfatto e non volevano assolutamente sciogliere quell'abbraccio, come se finalmente due metà della stessa cosa fossero state riunite.
Per mesi l'aria non era bastata a soddisfare il naturale bisogno di respirare, i colori erano stati opachi e la vita non aveva avuto senso.
Per mesi il sole non li aveva mai illuminati, l'alba non aveva colorato il cielo azzuro donandogli vita.
Per mesi avevano vissuto nella notte, nelle tenebre, incapaci di vedere la fine di quelle sofferenze.
Ma ora non più.
Ora, stretti l'uno all'altra, respiravano.
E la notte era finalmente finita.

***

Dopo alcuni minuti, Lavinia se ne andò e Jackson fu costretto a subire tutte le smancerie di chi gli faceva visita.
Inutile dire che lui non era affatto un tipo da smancerie. Era più il tipo che soffre in silenzio, che non fa vedere il suo dolore. Che pretende che vada tutto bene e non vuole la commiserazione di nessuno. Che cerca di far credere che è autosufficiente e senza emozioni.
Ogni volta che una persona se ne andava dalla porta, lui aspettava con trepidazione che entrasse l'unica che davvero volesse vedere.
Eppure era stato deluso molteplici volte, e quando nuovi amici o familiari facevano ingresso nella stanza si sentiva immancabilmente arrabbiato.
Li liquidava tutti in fretta, dicendo che era stanco, e il suo cuore prendeva a battere più velocemente nell'attesa del prossimo ospite.
Lei doveva essere lì. C'erano tutti i comandanti, lo aveva detto Lavinia.
Che non le interessasse se lui stava bene o meno? Jackson si rifiutò di prendere in considerazione quell'opzione.
Finalmente, Christine entrò nella stanza.
Era più bella del solito, senza la sporcizia della battaglia o il sangue dei feriti.
I lunghi capelli scuri le incorniciavano il viso su cui spiccavano quegli così freddi, così calcolatori. Occhi capaci di mettere in soggezione anche il soldato più valoroso, ma anche capaci di attirare Jackson come la luce attirava una falena.
“Ce l'hai fatta” disse la ragazza con un sorriso. Era ancora sulla soglia della porta, quasi intimidita.
Lui sorrise, invitandola ad avvicinarsi con un segno della mano della mano. Christine rimase comunque distante.
“Dimmi della guerra” esortò Jackson, volendo dettagli.
“Beh, l'ultimo giorno è arrivato un minor numero di soldati che dovevano combattere contro di noi. Li abbiamo vinti, pensavo davvero che fosse finita una volta per tutte. Poi è arrivato un bambino che diceva di essere il fratello di William e che aveva un messaggio di Gemma. Le Volpi avevano un altro asso nella manica, ma abbiamo vinto definitivamente. Il giorno dopo i re delle Volpi hanno firmato un trattato di pace, ma bisogna ancora vedere come pagheranno per ciò che hanno fatto. Poi siamo tornati qui” spiegò la ragazza cercando di essere più esaustiva possibile.
Jackson, dal canto suo, sembrava soddisfatto.
“A quanto pare il futuro si può davvero cambiare” disse.
Christine sorrise, poi abbassò lo sguardo. Per alcuni secondi sembrò essere immersa nei suoi pensieri, poi parlò.
“Gemma è come me. L'ho vista incenerire il re delle Volpi, letteralmente, ha usato l'Essenza del Coraggio. Le sue parole... dovevi sentire il fuoco che emanavano, la luce che irradiava Gemma. Sembrava che avesse un sole dentro di lei.”
Il ragazzo alzò un sopracciglio, ma ciò che lei diceva gli sembrava di averlo già vissuto. Uno strano dubbio si insinuò nella sua mente.
“Che cosa stava dicendo?” chiese, il cuore che gli batteva velocemente.
“Ho sentito solo le ultime parole. Qualcosa di simile a il coraggio dà vita”
Jackson schiuse le labbra. Non poteva essere.
“Il coraggio è forza e l'amore che lo spinge dà vita” sussurrò più a se stesso che a lei. Christine, in risposta, alzò un sopracciglio.
“E tu come fai a saperlo?”
“Guarda i miei occhi” ordinò invece di rispondere. Lei finalmente si avvicinò e rimase a bocca aperta nel vedere quei raggi di sole.
“Ciò che mi ha fatto salvare William era coraggio e l'amore, l'amore per tutti voi, per tutte le persone che sapevo di stare salvando, mi ha salvato la vita. Mi ha dato la vita. È grazie a Gemma che sono ancora qui.”
Ora aveva senso. La sua guarigione non era stata solo fortuna.
Jackson pensò al momento in cui aveva deciso di prendere la spada al posto di William. Lo aveva fatto per l'amico, ma anche per Lavinia, per Gemma, per Christine. Lo aveva fatto perchè non avrebbe mai potuto lasciare che morissero.
Ed era quest'amore che lo aveva salvato. Proprio lo stesso amore che lo aveva spinto a salvare.

***

Con il sorriso sul volto, Gemma e William camminavano verso la reggia, lentamente. Si stavano raccontando i giorni che avevano passati lontani, dal primo all'ultimo.
"Poi la neve..." stava dicendo la ragazza. "era bellissima!"
Il ragazzo annuì, ridendo.
D'un tratto William si rabbuiò.
"Jerry..." iniziò, la voce che tremolava. "Jerry è morto."
Gemma trattenne il respiro per alcuni secondi, involontariamente. Lo abbracciò, sussurrando che le dispiaceva.
Dopo l'iniziale euforia, ora era il momento giusto per dire tutto ciò che quella guerra aveva portato di brutto.
"Io..." disse Gemma, abbassando lo sguardo. "io ho ucciso. Soldati, la Volpe... e anche una persona che credevo fosse mia amica. Il Jade Jailbird mi ha ingannata, Will, e io l'ho ucciso"
La Tigre deglutì, mentre alcune lacrime le scorrevano sulle guance.
Il Guerriero le prese il volto in una dolce carezza, poi le sorrise tristemente.
"Lo hai dovuto fare, lo sai. O tu o lui. Non ti ha dato scelta" le disse.
Gemma annuì, aspettando un attimo prima di replicare.
"L'ho comunque ucciso, questa non è una giustificazione. Io non me lo perdonerò mai."
"Ed è giusto così. Questo ti rende una persona buona, Gemma." disse William. "Io ho ucciso tanti Bruti e non me ne pento. Non un filo di senso di colpa, lo rifarei mille volte."
La ragazza lo guardò. "Come fai? Come puoi..."
"Il passato ha condizionato tutta la mia vita" la interruppe "Ho agito e aspirato al momento della mia vendetta da quando è morto Jasper. Tutto ciò che ho fatto era per dare ai Barbari ciò che meritavano per questo non ho rimorsi. Ora però è finita, Gemma. Ora potrò pensare al mio futuro senza l'ombra del mio passato. Gliel'ho promesso."
I due si abbracciarono ancora, stringendosi come nella promessa che non si sarebbero mai più allontanati. Che il loro legame non si sarebbe mai spezzato.

***

Lavinia era agitata.
Era davanti alla porta di Axel, ma non riusciva a decidersi di entrare.
Camminava avanti e indietro, impaziente di dire ciò che aveva deciso.
Il suo cuore era diviso fra quel ragazzo e il fratello. In entrambi i casi si sarebbe spezzato. Eppure lei indugiava, cercando di rimandare quel momento il più possibile.
Si decise finalmente a bussare, quasi timidamente.
Sentendo che il permesso le era stato concesso, aprì la porta.
Deglutì, prima di entrare, poi si trovò davanti Axel, che sorrise vedendola. Era un sorriso sofferente, la sua espressione esprimeva ansia.
“Allora?” chiese il ragazzo. Non era il momento di perdersi in chiacchiere.
“Io...” iniziò Lavinia. Fu un flebile suono quello che uscì dalla sua gola, così si schiarì la voce prima di continuare. “penso di amarti. Davvero. Non avevo mai provato nulla di più intenso, nulla di più sconvolgente, nulla di più incredibile. Ogni cosa che mi hai detto ha provocato intensa gioia, passavo le notti a chiedermi se fosse possibile e analizzavo i tuoi comportamenti nella speranza che fossero la prova che tu provavi lo stesso per me. Quando mi hai detto quelle cose... non pensavo di poter essere più felice.” La ragazza si fermò un secondo, camminò verso di lui fino ad essergli davanti, poi gli prese il viso in una mano e lo guardò, facendogli fissare il suo sguardo nel proprio. “Ma non posso. Non ora.”
Fu così che il cuore di Lavinia si spezzò. Il suo cuore, che lui aveva reputato dello stesso valore di un diamante, non era altro che vetro. Fragile, talmente delicato da spezzarsi in mille pezzi grazie alla sola forza di una frase.
Axel la guardava ancora negli occhi, la sua espressione sconvolta, che chiedeva il perché di quella scelta, mentre si sentiva quasi tradito. E anche il suo cuore si ruppe con il sordo rumore di un rifiuto.
“Non posso lasciare mio fratello qui nelle condizioni in cui è. Io glielo devo, non posso abbandonarlo.” Disperazione, nella sua voce, lacrime nei suoi occhi. Quella era la scelta più difficile di tutta la sua vita.
Il ragazzo si allontanò, senza dire una parola. Scuoteva leggermente la testa, come se ancora stesse capendo di capire cosa aveva detto. Chiuse le mani in pugno, preso dalla rabbia, poi chiuse anche gli occhi.
Quando li riaprì sorrise, amaramente. “Non è mai semplice l'amore per un Guerriero” sussurrò.
Lavinia gli si avvicinò, titubante. I loro sguardi erano fissi negli occhi dell'altro.
“Un Guerriero deve sapere quando non è più il momento di combattere, ma di aspettare” disse la ragazza. “Aspettami, Axel. Io ti aspetterò.”
Con un ultimo dolce bacio a fior di labbra, Lavinia se ne andò, senza guardarsi indietro.


Angolo dell'autrice
Salve a tutti!
La storia è proprio alla fine, manca solo un capitolo.
Beh, non so che dire, vi aspettavate ciò che è successo?
Una piccola informazione riguardo alla ragazza che Jackson ha visto appena prima di "morire". Non ho intenzione di svelare chi sia, ma dovete ricordarvi che jackson è di Secreteyes e i suoi occhi sono scuri per un segreto...
Che altro? Datemi un vostro parere!
StellaDelMattino

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Capitolo 38
*** Epilogo ***


EPILOGO

Il matrimonio

 

Il sole illuminava ogni cosa, splendido e solo in quel cielo azzurro. Neanche una nuvola, vicino a lui. A fargli compagnia solo una leggera brezza, che proteggeva il posto dal caldo afoso.
Erano stati dei giorni d'inferno, volevano che tutto fosse perfetto. Ma Gemma e William sapevano che quel giorno, per loro, lo sarebbe stato comunque. Il loro matrimonio sarebbe stato perfetto in ogni caso.
Erano passati poco più di due mesi, i loro genitori avevano trascorso il loro tempo a risolvere questioni burocratiche derivate dalla guerra e a preparare il loro matrimonio. Non avevano avuto un secondo di riposo, per cui il nervosiso era al massimo. E tutti ne avevano risentito.
A parte William e Gemma.
Loro sembravano vivere da un'altra parte, da soli. Erano sempre insieme, quasi ci fosse una corda che li legava. La Tigre diceva che era il loro legame, che ogni volta che si allontanava dal ragazzo sentiva male al cuore.
La Guerra li aveva separati, per nulla Gemma al mondo si sarebbe allontanata ancora da lui.
Anche l'aria tesa intorno a loro, segno dell'imminente evento, sembrava rilassarsi quando c'erano loro. I cuori sospiravano, i muscoli si allentavano. Tutto sembrava migliore.
L'unico che faceva finta di non accorgersi di ciò che quei due provocavano era Jackson, che dopo essersi ripreso aveva ricominciato ad allietare tutti della sua presenza, girovagando e stando sempre nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Sarcasticamente, il ragazzo si chiedeva se ai due innamorati si fosse paralizzato il viso, sempre acceso da un sorriso. Tutte le volte che faceva una battuta del genere, però, Lavinia lo rimproverava, dicendogli che era solo geloso. Jackson si metteva a sbuffare e rispondeva a tono.
Alla sorella, però, veniva sempre un sorriso malinconico quando lo diceva. Avrebbe potuto essere felice anche lei, con Axel, se non avesse fatto quella scelta. In ogni caso, però, non se ne pentiva: era importante per lei che il fratello si riprendesse fisicamente ed emotivamente. In un certo senso glielo doveva.
Jackson si era accorto che Lavinia gli nascondeva qualcosa. Le aveva chiesto e richiesto più volte, ma lei non aveva detto nulla.
Il ragazzo era riuscito infine a convincerla e lei gli aveva raccontato tutto, fino alla scelta che aveva fatto.
Dapprima lui fu come inorgoglito dal fatto di essere stato scelto dalla sorella, o più altro dal fatto che lei fosse così buona. Poi si era sentito in colpa. Il suo stato psicologico, che lentamente si stava rimettendo in sesto, ricadde rapidamente quando realizzò che a causa sua Lavinia era triste. E lui si era ripromesso di mettere la felicità della sorella al primo posto su tutto.
In ogni caso, fu una crisi che riuscì a superare. E ora stava bene.
Forse non al massimo, ma Jackson se la sarebbe cavata, come sempre.

Il matrimonio si sarebbe svolto in quello stesso palazzo in cui William e Gemma si erano incontrati. Proprio lì, dove tutto era iniziato. 
Dove, senza un motivo preciso, come due calamite si erano attratti e avevano cambiato ogni cosa.
In quel giorno gioioso, tutti gli invitati -le famiglie reali e i nobili principali dei regni alleati- stavano seduti sulle panche allestite appositamente. Dappertutto c'erano fiori bianchi, rosa e gialli.
Anche la navata che Gemma attreversò era piena di petali chiari.
Quando era entrata nella sala, tutti avevano trattenuto il sospiro. Aveva un vestito bianco lungo e bellissimo, ma anche molto semplice. Un corpetto con una scollatura a cuore, una gonna lunga ma non eccessiva. Niente fronzoli.
Eppure il suo sorriso, così vivo, così felice, catturò subito l'attenzione e contagiò anche tutti, facendoli sorridere a loro volta.
Come al solito, per Gemma c'erano solo lei e William, che la aspettava impeccabile. Lui aveva un completo nero, che sembrava accentuare la profondità dei suoi occhi. Lo sguardo intenso fisso sulla ragazza fino a che non gli fu davanti.
Un matrimonio apparentemente normale, se non per l'aria elettrostatica che li avvolgeva. Come se lì in mezzo a loro ci fosse un piccolo sole che illuminava tutto.
A portare gli anelli fu Trevor.
Con i suoi occhioni azzuri e il suo sorriso travolgente, porse loro i simboli del loro amore, sospirando.
I due anelli erano piuttosto spessi, di metallo.
Su quello di William internamente c'era scritto il nome della ragazza che amava, mentre esternamente era incisa una tigre, con le fauci aperte, dai contorni solo accennati.
Su quello di Gemma, invece, oltre al nome del ragazzo era inciso un serpente, più simile a un drago.
Ma quelli non erano più che una testimonianza di ciò che era chiaro a tutti: il loro amore era pure e semplice, immotivato e spontaneo. I loro genitori pensarono che, forse, loro avevano solamente aiutato il destino, organizzando quel matrimonio, che era già prestabilito che loro si amassero.
Ed è amandosi intensamente che giurarono che per nulla al mondo si sarebbero separati, mai.
Ed è persi l'uno negli occhi dell'altra che si sposarono.

Durante il ricevimento, anch'esso piuttosto ordinario, gli invitati richiesero a gran voce un discorso. Una tradizione, volevano sentire cose assolutamente sdolcinate e tenere, quasi ad essere partecipi ancora di quell'amore così grande.
Gemma, imbarazzata e rossa in viso, si alzò in piedi.
Si schiarì la voce, prima di iniziare.
“Questo matrimonio era stato stabilito per politica quindi di questo vi vorrei parlare” iniziò, sentendo subito un coro di fischi. La Tigre indirizzò il suo sguardo verso il posto da cui era provenuto, vedendo Jackson con altri principi. Quando il suo sguardo si incrociò con quello dell'amico, lui le fece l'occhiolino. Gemma scosse la testa e riprese: “Beh, vi vorrei parlare di una questione che ci è ancora vicina. La guerra.
È una ferita ancora aperta, lo so, ha portato morte e distruzione. Ci ha segnati per sempre.
Però, contrariamente a ciò che ci si aspettava, abbiamo vinto.
Quando ho impedito il passaggio del re, sapevo disperatamente che le mie azioni avrebbero deciso la vita o la morte di molte persone, per questo ero disposta a sacrificarmi. Lo dico perché, se non fossi stata salvata a mia volta prima, sarebbe cambiato tutto. Grazie a Trevor sono arrivata fino al Passaggio dei fenicotteri, grazie a William ho avuto la forza di combattere la mia ultima battaglia, di sconfiggere il re. Quando ho saputo che William a sua volta era stato salvato da Jackson ho capito una cosa. Per salvare, bisogna prima essere salvati.
Sapete cosa vuol dire salvare? Vuol dire esser pronti al sacrificio per amore di altri. Salvare vuol dire anche avere coraggio. Salvare vuol dire dimenticarsi di sé, perchè in amore esiste solo più il noi.
Io sono stata salvata dal mio amore per William.
L'accusa che ci era stata mossa contro, la scusa che aveva fatto scatenare la guerra è lo stesso motivo per cui abbiamo vinto.
So che tutti non possono essere salvati, ma per far sì che lo sia la maggior parte bisogna salvare, per essere salvati.
Più saremo pronti a rischiare, più probabilità avremo di riuscire, per amore.”

Ammutoliti per un secondo, poi gli ospiti applaudirono entusiasti per il discorso. Forse persuasi sempre di più che il bene vince. E, almeno per quella volta, aveva vinto davvero.
I festeggiamenti andarono avanti fino a sera.
Solo sul tardi Lavinia vide Axel. Durante la giornata lo aveva solo intravisto, il suo cuore che faceva un salto ogni volta che il suo viso capitava sotto il suo sguardo.
Quando se lo trovò davanti, Lavinia gli sorrise, semplicemente.
“Sono pronta” disse.
Non ci fu bisogno di aggiungere nulla, il volto di entrambi si accese in un sorriso come quelli che nessuno dei due faceva da tempo.
Jackson aveva accettato di doverla lasciare andare, consapevole che Lavinia dopo tanto tempo era riuscita a trovare la sua felicità.
Ad un certo punto della serata, il ragazzo aveva fermato Axel, guardandolo con un un'espressione attenta.
“Axel.” disse quasi aspettandosi di aver sbagliato persona. L'altro annuì. “Fai del male mia sorella e non rivedrai mai più la luce del sole.”
“Lavinia è l'unico sole che riesco ad immaginare” rispose il Guerriero.
Jackson sorrise e annuì, convinto che quel ragazzo gli piaceva, poi tornò a fare quello che più gli piaceva: girare senza una meta ben precisa.
Così s'imbattè in Christine e fra qualche battuta e un po' di scherzi, la serata passò.
L'amore per un Guerriero è sempre difficile, ma non impossibile.
Gemma e William ne erano la prova. Erano la prova di un amore senza limiti, ostacolato, ma mai diviso completamente.
Dentro le mura di quel palazzo c'era la gioia, la felicità e, per una volta, la spensieratezza. I problemi non erano stati invitati.
Dentro c'erano i sorrisi e l'amore. La speranza.
E fuori, la neve.

Okay, ammetto che ha fatto bene ad accettare quel ballo” disse la ragione.
Sì, dai, è valso tutti quei pericoli!” ribattè l'istinto.
L'amore, sì!”

 

 

RINGRAZIAMENTI

È finita.
Dopo un anno e mezzo, 38 capitoli, una guerra, tanta disperazione e un amore immenso dal loro primo incontro, William e Gemma si sono sposati.
E questa storia è finita.
Inutile dire che mi mancherà scrivere di loro, mi mancherà davvero tantissimo. Perché questa storia si è quasi scritta da sola ed è arrivata a raggiungere un'importanza nella mia vita quasi fondamentale.
Sono cresciuta tanto, di stile e di vita, durante questo percorso.

E i primi che devo ringraziare sono loro, i miei personaggi.
Da Gemma con il suo coraggio, William e la naturalezza con cui mi faceva scrivere di lui, Jackson e la sua spavalderia e la sua teatralità, Lavinia con la sua forza, Axel con il suo carisma, Christine con la sua freddezza, Trevor con i suoi occhioni azzurri. Ma anche tutti gli altri.
Io non li dimenticherò mai e spero che non li dimenticherete neanche a voi. Spero che magari, qualche volta, voi troviate riferimenti a loro e ci pensiate, magari con un sorriso.

Ringrazio Ayr e Two girls and a heart, che mi hanno dato un parere e mi hanno sostenuta.

Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, che hanno inserito la storia fra le seguite/preferite/ricordate o che la hanno semplicemente letta. Vi ringrazio tutti, dal primo all'ultimo.

Ringrazio Matilde, la mia Ciambi, che ormai un anno fa mi ha motivato al punto di farmi continuare una storia che pensavo sarebbe finita nel dimenticatoio.

Ringrazio la mia Stanley che mi ha sostenuta e sopportata. Mi hai spronato a dare il meglio di me e mi hai dato il tuo parere portandomi a capire quale strada fosse migliore percorrere. Tranquilla Epi, Trevor sta benone.

E niente, vi sarei eternamente grata se mi deste un ultimo parere, giusto per sapere se questa storia vi è piaciuta. Beh, su questo capitolo non c'è moltissimo da dire, quindi, non so, se c'è un personaggio che vi è piaciuto particolarmente, una frase che vi ha colpito o un momento che vi ha fatto emozionare anche solo un pochino, o al contrario qualcosa che non vi è proprio piaciuto, fatemelo sapere. Per me è importantissimo.
Vi lascio la mia pagina facebook delle storie: https://www.facebook.com/StellaDelMattinoEFP?pnref=story

Questa è stata una storia di amore, di guerra, di speranza e di coraggio. Di momenti difficili e problemi che non sembrano avere soluzioni.
Dell'alba dopo una notte profonda.

 

StellaDelMattino

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