Eternal Flame - Un amore perfetto

di kirlia
(/viewuser.php?uid=78187)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Listen ***
Capitolo 2: *** My Immortal ***
Capitolo 3: *** I should go ***
Capitolo 4: *** Undisclosed Desires ***
Capitolo 5: *** I feel immortal ***
Capitolo 6: *** Bring me to life ***
Capitolo 7: *** In the end ***
Capitolo 8: *** Run ***
Capitolo 9: *** Tears of an Angel ***
Capitolo 10: *** Seize the Day ***
Capitolo 11: *** Follow me ***
Capitolo 12: *** Resistance ***
Capitolo 13: *** Save Me ***
Capitolo 14: *** Turning Tables ***
Capitolo 15: *** Because of You ***
Capitolo 16: *** You Saved Me ***
Capitolo 17: *** Memories ***
Capitolo 18: *** Things I'll Never Say ***
Capitolo 19: *** Eternal Flame ***
Capitolo 20: *** Fix You ***
Capitolo 21: *** Goodbye, my Lover ***



Capitolo 1
*** Listen ***


Capitolo Uno - Listen
 
 

“Oh, the time has come
for my dreams to be heard
they will not be pushed aside and turned
into your own
all cause you won’t
Listen!
[… ] I’m more than what
you made of me
I followed the voice
you gave to me
But now I gotta find my own…”
 
Listen.

 
Un fulmine squarciò il cielo, e la pioggia cominciò a battere insistente sul tetto dell’auto, quasi a darmi il benvenuto. Beh, bell’incoraggiamento, grazie. Bel modo di rientrare negli Stati Uniti per l’ennesima volta.
Un altro fulmine mi distrasse dai pensieri che stavo per formulare, ricordandomi che dovevo assolutamente sbrigarmi per arrivare in tempo al carcere di massima sicurezza.
Mi sporsi verso il tassista.
«Scusi, potrebbe accelerare un po’? Avrei fretta… » chiesi senza troppa cortesia.
«Senti dolcezza,» cominciò lui, e io mi irritai all’istante a causa del suo tono «vedi questi tuoni e lampi? Non credo sia il caso di correre in mezzo ad una tempesta e non ci tengo a rischiare la morte solo perché lei ha fretta, quindi sarà meglio che si metta l’anima in pace e… » si interruppe. La mia frustata gli era arrivata dritta in faccia, lasciandogli una striscia arrossata sulla guancia destra.
Adesso il suo sguardo era allarmato e fissava le mie piccole mani pronte a colpire. Sorrisi dolcemente e poi dissi quasi in un sussurro «Ho detto che ho fretta. Non sono ammesse obiezioni.»  Lo fissai solo per un attimo in modo da imprimergli il comando in mente, per poi voltarmi in direzione del finestrino chiuso.
Il taxi prese velocità, e mentre sfrecciava all’interno delle strade semi deserte a causa della pioggia non potei fare a meno di scrutare il cielo scuro.
Chissà come sarebbe stato, chissà come avrei reagito… ma che stavo pensando?! Una von Karma non avrebbe reagito, una von Karma come me sarebbe rimasta impassibile a osservare la scena senza far trasparire nessuna emozione. Ed è così che sarebbe stato.
Con un leggero sospiro lasciai vagare la mente fra i ricordi più antichi impressi nella mia memoria, quasi alla ricerca di qualcosa, qualcosa che avrebbe potuto spingermi a provare una minima sensazione di dolore, tristezza, o persino pietà verso ciò che sarebbe accaduto di lì a poche ore a quell’uomo.
Non trovai nulla e inconsapevolmente il mio viso fu illuminato da un sorriso sereno.
Finalmente da quel giorno sarei stata davvero libera, finalmente mio padre, quell’uomo che mi aveva educata alla perfezione assoluta, quell’uomo che mi aveva rovinato l’esistenza… quell’uomo sarebbe morto.
Già, morto. La sua sentenza sarebbe stata finalmente eseguita, e la mia anima si sarebbe finalmente sentita in pace, o almeno pensavo che sarebbe successo. Sicuramente mi sarei liberata da un peso che portavo ormai da troppo tempo. Chiusi gli occhi, beandomi di quella sensazione… finché il tassista non mi riportò alla realtà.
«Ehi, bella addormentata!» scherzò, ma poi notando che le mie mani si stringevano torcendo la frusta decise di fare un passo indietro.
«…cioè signorina. Siamo arrivati a destinazione.» Mi fece cenno verso il grande palazzo di fronte a noi, il carcere.
Sussultai lievemente, non mi ero assolutamente resa conto che fosse già passato così tanto tempo… forse mi ero addormentata davvero in taxi.
 
Mi affrettai a pagare il tassista per poi dirigermi di corsa all’entrata, tentando di bagnarmi il meno possibile, anche se il mio mini ombrellino di certo non era adatto a temporali così forti.
Arrivata all’interno trovai finalmente uno spazio asciutto e illuminato e mi sentii soddisfatta. Odiavo la pioggia, specialmente quella così insistente.
Mi avvicinai quindi a una scrivania, dove un uomo in divisa stava consultando alcuni documenti.
«Salve, sono il procuratore Franziska von Karma.» lo informai, aspettando pazientemente la sua risposta.
Lui alzò gli occhi dalle sue carte per scrutarmi attentamente. Poi sul suo viso comparve un sorrisetto divertito. Mi irritai immediatamente.
«Beh signorina, con un abbigliamento del genere non credo che l’avrei scambiata per nessun altro! Sembra uscita da un quadro ottocentesco!» rise di gusto.
I miei occhi diventarono fessure. Come osava?? I miei abiti erano perfetti ed erano stati cuciti su misura per me dal miglior sarto di tutta la Germania! I suoi invece erano solo dei poveri inutili stracci!
Aprii bocca per protestare ma una voce mi interruppe prima che potessi articolare una parola.
«La prego di non infastidire ancora me e la signorina von Karma per il nostro abbigliamento. Non sarebbe molto salutare per lei, gliel’assicuro.» concluse una voce calma e profonda, che conoscevo alla perfezione.
«Herr Miles Edgeworth, che sorpresa vederti qui.» lo salutai freddamente, voltandomi verso di lui.
Era davvero una sorpresa, non mi aspettavo di trovarlo qui. Perché venire ad assistere alla morte dell’assassino del proprio padre? Forse solo per poter provare una malsana felicità nel vederlo morire?
Non mi sembrava per nulla da lui. No, se davvero quello che avevo di fronte era lo stesso Miles Edgeworth che era cresciuto con me, non sarebbe stato qui per un motivo così sciocco.
Mi ritrovai a fissarlo, mentre mi sorrideva leggermente.
«Immagino di si. Sono certo che per te non abbia molto senso la mia presenza qui oggi.» rispose, lanciandomi un’occhiata incuriosita, quasi tentando di scrutarmi dentro per sapere se i suoi sospetti fossero fondati.
«Infatti è così,» ammisi « non comprendo proprio il motivo per cui tu sia venuto a vedere morire l’assassino di tuo padre. A parte forse per una soddisfazione personale…» supposi guardandolo di sottecchi.
Lui scosse la testa divertito. Probabilmente si aspettava questa mia supposizione.
Stava per ribattere, ma l’uomo in divisa di prima ci fece cenno di avvicinarci, per avvisarci.
«Vi è consentita un’ultima visita al signor von Karma, prima che venga portato nella stanza dove verrà giustiziato. Volete avvalervi di questa possibilità?» ci chiese, guardandoci dritto negli occhi.
«Si.» risposi freddamente, trattenendo ogni emozione e fissando il vuoto davanti a me.
Era per questo che ero venuta, per parlare con lui… un’ultima volta. Dovevo sapere, volevo sapere il perché. Perché avesse reso la mia vita un inferno. Volevo un motivo che mi spingesse a non sprecare nemmeno una lacrima, e dovevo sentirmelo dire da lui.
«Si.» sentii rispondere anche Miles. Lui, che era stato la più grande vittima di Manfred von Karma, adesso voleva visitarlo per l’ultima volta. Per l’unica volta anzi, come me.
Mi voltai a guardarlo con sguardo perplesso. Ma perché…? Il suo volto impassibile non mi dava la possibilità di capire perché era lì.
«Da questa parte.» ci indicò l’uomo, e lo seguimmo lungo uno stretto corridoio dove si affacciavano varie celle.
Lanciai delle veloci occhiate dentro oltre le sbarre, quasi incuriosita dal vedere i carcerati, e aspettandomi di vedere uomini tatuati e pieni di piercing ma trovando solo persone apparentemente normali.
 
E poi, eccoci arrivati. La cella numero 17, il che non era già un buon segno. Non che fossi superstiziosa ovviamente.
Mio padre ci dava la schiena, e osservava con sguardo indecifrabile il temporale che si faceva sempre più forte fuori dalla finestrella.
La guardia ci permise di entrare e, una volta dentro, rimasi accanto a Miles, non avendo il coraggio di muovermi di un centimetro. La sua sola presenza mi rendeva inquieta.
Restammo così in silenzio per più di cinque minuti, finché non si decise a prendere la parola.
«Guten Abend, meine kinder…» “figli miei” disse, ma quando si voltò verso di noi il suo viso esprimeva tutto tranne che affetto.
«Guten Abend, Papa» risposi io, senza accennare nemmeno un sorriso. Notai Miles rispondere al saluto con un semplice cenno del capo.
Decisi di provare a reggere il suo sguardo e aspettare che fosse lui a parlare per primo. Lo sguardo di ghiaccio di mio padre somigliava molto al mio, e non riuscivo a leggere alcuna emozione se non il disprezzo, che si riversò nelle sue parole.
«Hier sind Sie, schließlich… [eccovi qui, infine]» cominciòlui con uno strano sorriso «vedo che siete stati così coraggiosi da venire fin qui a farmi visita» il sorriso diventò crudele «come se avessi bisogno di vedervi prima di morire, come se mi foste mancati… voi, sciocchi imperfetti.»
Ci lanciò una delle sue peggiori occhiate, e un brivido mi percorse la schiena, quasi come se un fulmine fosse entrato dal tetto prendendomi in pieno. Mi agitai sul posto e mi resi conto che non ero capace di reggere il suo sguardo senza sentirmi tremendamente a disagio, come se fossi totalmente sbagliata in quel posto.
“Imperfetti” poi, quella parola detta da lui continuava a infliggermi un grosso colpo. Cercavo di non dare importanza alle sue ultime parole, ma mi costava un po’. Non riuscii più a guardarlo in faccia.
«Cosa c’è adesso, kleine Kinder? [piccoli bambini?] Non avete niente da dire? Credevo che foste venuti qui con l’intenzione di ricevere spiegazioni, o forse  siete venuti per darmi una lezione» spostò lo sguardo verso Miles, che era pronto ad affrontarlo « ridendomi in faccia in punto di morte. Allora? Ditemi, mein lieber [miei cari]» ci invitò a parlare con il solito sorriso.
Sentii Miles prendere fiato accanto a me, come se fosse sul punto di parlare. Ma si fermò e si chinò verso di me dicendo sussurrando «È il tuo momento, Frannie.»             
Lo guardai allarmata per un attimo e lui mi sorrise leggermente come incoraggiamento. Mi sentii per un attimo di nuovo la bambina timida e impacciata che tentava di costruirsi la propria maschera di perfezione mentre si trovava davanti al padre furioso. Non sapevo come cominciare, avevo sperato che lui facesse un monologo e mi rivelasse le risposte a tutti i miei perché… non mi aspettavo di dover parlare.
Ma dovevo. Ormai ero lì e dovevo arrivare fino in fondo alla questione.
«Vater… » mi morsi le labbra e cercai di concentrarmi «il motivo per cui io sono qui, e suppongo anche Herr Miles Edgeworth » lo guardai un attimo per ricevere un cenno incoraggiante « è che vorremmo sentire cos’hai da dire… Devi pur darci una spiegazioni per quello che ci hai fatto. Pretendiamo una spiegazione.» conclusi con grande sforzo.
Io, che ero un procuratore di fama mondiale, non riuscivo a fare un discorso convincente a mio padre. Odiavo il modo in cui la sua presenza continuava ad influenzarmi anche adesso che avevo ben 19 anni.                           
Alzai lo sguardo per un millesimo di secondo ritrovandomi addosso quello derisorio di Manfred von Karma.
«Ah! Una spiegazione… è questo che siete venuti a chiedermi? Beh, volete che vi spieghi ancora per quale motivo sono qui?» lo guardai impassibile mentre diceva queste parole.
Ma lui continuò quasi ridendo divertito. Come se nella sua prossima morte ci fosse qualcosa di comico.
«Per aver ucciso. Ucciso, Franziska. Sai cosa vuol dire? Vuol dire togliere di mezzo tutti coloro che intralciano la mia perfezione. Come suo padre, ad esempio.»  Fece un cenno col capo verso Miles, senza dare troppo peso alle sue parole, come se stesse parlando del più e del meno.
Poi con una strana smorfia aggiunse «O come tua madre. Lei è stata la prima imperfezione della mia vita… poi sei arrivata tu, ed è stata davvero la goccia che ha fatto traboccare il vaso…» concluse. E per dar rilievo alla conclusione si voltò nuovamente verso la finestra, ignorandoci. Facendo quasi finta che non ci fossimo.
E questo mi fece irrimediabilmente arrabbiare all’ennesima potenza. E come al solito, quando mi arrabbiavo cominciavo anche a piangere. Era una cosa involontaria, e non riuscivo a farne a meno.
Di solito, per evitare di essere vista tendevo a frustare tutti coloro che mi si trovavano davanti per uscire di scena con dignità. Ma stavolta non credevo di poterlo fare.
Sentii le guance pizzicarmi e le lacrime resero opaca la mia vista. Con un grande sforzo di volontà le ricacciai indietro.
«E sei soddisfatto adesso. Adesso si che sei perfetto, Vater. Davvero perfetto, complimenti.» Non riuscivo quasi a credere a ciò che stavo dicendo. Lo stavo prendendo in giro. Lo stavo deridendo!
Per aggiungere una nota di sarcasmo, sbuffai accennando anche un sorriso.
Sentii Miles irrigidirsi accanto a me e lanciarmi un’occhiata dubbiosa. Probabilmente non era sicuro della mia sanità mentale in quel momento.
La reazione di mio padre invece fu immediata. Si voltò verso di noi e mi trafisse con uno sguardo pieno di odio, uno sguardo che mai nessun genitore dovrebbe avere verso sua figlia… ma non era il suo caso, ovviamente.
«Tu, sciocca imperfetta! Come osi anche pensare di poter criticare le mie scelte?!» mi resi conto che il volume della sua voce andava via via aumentando e che si stava inesorabilmente avvicinando a noi.
Feci un passo indietro, allarmata dal suo tono, e mi pentii immediatamente della sfrontatezza con cui mi ero rivolta a lui.
«V-Vater…» balbettai spaventata «io n-non intendevo… Ich…» arretrai ancora verso l’uscita senza staccargli gli occhi di dosso.
«Tu non sei nulla. Nulla! Non sei degna di essere una von Karma, non sei degna di portare il mio nome… sei e resterai sempre una indegna creatura imperfetta!» tuonò, e persino un fulmine dall’esterno fece eco alle sue parole.
Fui colta da un tremito e sarei davvero scoppiata in lacrime proprio in quel momento se non avessi visto Miles mettersi tra me e mio padre. La sua figura adesso copriva il viso di mio padre e riuscii a espirare leggermente mentre diceva «Adesso basta. Non ha nessun diritto di parlare così a Franziska. D’ora in poi finalmente sarà libera di vivere la sua vita come desidera e le sue parole non potranno più influenzarla. Lebewohl, herr Manfred von Karma. Addio.» concluse, e fece cenno alla guardia affinché aprisse la cella e ci permettesse di uscire.
Uscii cautamente dalla stanza, seguita da Miles che con lo sguardo tentava di darmi coraggio. 

---
Angolo di Kirlia: 
Beh, era da tempo che non giocavo più ad Ace Attorney, ma ultimamente l'ho ripreso e non ho potuto non avere di nuovo il colpo di fulmine per questa coppia così bella! Purtroppo la mia storia non ha un inizio felice, e il prossimo capitolo sarà ancora più triste... Ma spero che avrete voglia di leggere comunque il seguito della storia. 
Aspetto i vostri commenti, se sarete così gentili da scriverli! 
A presto, 
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** My Immortal ***


Capitolo Due - My immortal
 

“These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that
time cannot erase”
 
My immortal.


Tornati per un attimo all’entrata, non potei fare a meno di sedermi su un divanetto per riprendere fiato. Lo sentii sedersi accanto a me per poi porgermi un fazzoletto di seta.
«Non sto piangendo.» risposi senza guardarlo in faccia. Non ero certa di poter reggere il suo sguardo calmo e comprensivo.
«Volevo solo provare a starti vicino…» cominciò lui.
«Non ho bisogno della tua pietà, chiaro?!» sbottai voltandomi finalmente a guardarlo negli occhi in un attimo di rabbia. Peccato che si esaurì subito e dovetti distogliere lo sguardo per evitare una crisi di pianto.
Lui capì comunque l’antifona e si voltò a osservare il temporale che si faceva sempre più forte al di là della finestra. Lo osservai solo per un attimo per poi tornare a fissare il pavimento, analizzando la situazione.
Perché? Perché ero una ragazza così sciocca? Non avrei dovuto reagire in quel modo, non avrei dovuto rischiare di scoppiare in lacrime davanti a mio padre! Non in quel momento, quando dovevo fargli sentire tutto il peso dei suoi peccati, non in quel momento, quando finalmente avrei dovuto fargli capire che razza di padre sia stato per me.
L’avevo pianificato, avevo già deciso cosa dirgli. Avrei dovuto sbattergli in faccia la verità, dimostrargli come ciò a cui mi aveva destinata, la perfezione che lui tanto vantava e insegnava a me, gli era sfuggita già molto tempo fa.
E invece non ero riuscita a fare proprio niente, mi ero resa ridicola come al solito quando mi trovavo di fronte a lui. E di fronte a Miles… no, proprio non avrei dovuto.
Mi voltai a guardarlo, mentre fissava il paesaggio al di là della finestra: era calmo e silenzioso come era sempre stato, non sembrava provare niente in quel momento. Nel suo sguardo non c’era alcuna emozione, non riuscivo ancora a capire perché si trovasse lì quel giorno. Non sembrava provare desiderio di vendetta.
«P-perché sei venuto qui?» le parole mi sfuggirono di bocca con un tremore involontario. Lui si voltò a guardarmi con un’espressione per metà preoccupata e per metà turbata, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Vedendo quella sua reazione di debolezza mi sentii meglio e ricacciai indietro le ultime lacrime, tornando perfetta e impassibile come ero sempre stata. Fissando i suoi occhi scuri come le nuvole che fuori si addensavano sempre di più, ripetei lentamente la domanda, scandendone le parole.
«Perché sei venuto qui, Miles Edgeworth? Qual è il vero motivo per cui vuoi vedere morire l’assassino di tuo padre?»
Rimase ancora un po’ in silenzio, irritandomi parecchio. Perché non poteva semplicemente rispondermi? Perché doveva insinuare questi dubbi dentro di me? Proprio non capivo.
Cominciai a guardarlo corrucciata, mentre incrociavo le braccia e battevo un piede per terra, quasi a contare i secondi che mi separavano dalla sua risposta.
Tic toc, tic toc… Miles Edgeworth, per quanto vorrai sfuggire alle mie domande?  pensavo.
Poi, proprio quando sospirò e sembrava stare per parlare, quella guardia scortese di prima ci interruppe di nuovo, guardandoci sempre con una sorta di scherno.
«Signori, l’esecuzione sta per cominciare. Se siete intenzionati ad assistere, vi prego di seguirmi.» si fermò a lanciarmi un’occhiata divertita, quasi come se pensasse che non avrei retto e avrei deciso di aspettare seduta su quella sedia. Non ne avevo proprio intenzione!
Ero venuta lì con l’esatto obiettivo di dire addio a quell’uomo che nonostante tutto ciò che mi aveva fatto chiamavo padre, e ci sarei riuscita. Non sarei stata debole e imperfetta, non questa volta.
Mi alzai di scatto per seguirlo, seguita dai passi silenziosi di herr Edgeworth che non aveva più proferito parola. Con un sorrisetto mi dissi che sarei riuscita a fargli sputare il rospo, presto mi avrebbe detto di più sul perché si trovasse lì.

Entrammo in una stanza scura, sembrava al buio ma poi mi resi conto che era illuminata da lampade che emettevano una luce soffusa. La stanza sembrava perfettamente in tono con il temporale che fuori sembrava rafforzarsi sempre di più… mmh chissà se dopo sarei riuscita a non bagnarmi del tutto… No, Franziska non è il momento per pensare a certe cose!
Nella camera c’erano diversi apparecchi, come in una stanza d’ospedale, con grandi schermi che mostravano sequenze di numeri e immagini per me senza alcun senso.
Infine il mio sguardo non poté non soffermarsi su quell’orrore: una grande sedia collegata a fili elettrici di diverso genere che torreggiava sulla stanza, come un enorme trono orribile.
Cercai di deglutire ma già mi veniva la nausea solo a guardarla. Ero davvero pronta per vedere una cosa del genere?
Anche se spesso avevo esaminato scene del crimine non ero mai stata testimone di un delitto, non avevo mai visto la vita di un uomo che si spegneva davanti ai miei occhi. Avrei sopportato?

Ma certo che si! Dovevo farcela. Mio padre doveva posare per l’ultima volta lo sguardo su di me, vedendomi come una donna forte e sicura, che non avrebbe sofferto all’idea di vederlo morire!
Dovevo farcela.
Una porta si aprì nel silenzio e due figure entrarono: mio padre e una guardia.
Manfred von Karma era vestito di tutto punto: il suo abito migliore, i suoi capelli erano stati pettinati ordinatamente, sembrava che stesse andando in tribunale per una delle sue cause perfette.
Non si voltò verso me e Miles, che nel frattempo si era fermato accanto a me ad osservare la scena.
Non ci guardò neanche una volta mentre con sguardo orgoglioso si sedeva su quella sedia infernale e veniva legato e preparato per la conclusione della sua vita.
Non alzò lo sguardo verso di noi mentre il medico diceva che si poteva dare il via all’esecuzione e le guardie controllavano che tutto procedesse come dovuto.
Io mi limitai a fissarlo sforzandomi di non far trasparire alcuna emozione, anche se sentivo lo sguardo preoccupato e comprensivo del mio fratellino, che sembrava quasi schiacciarmi. Perché non si voltava a guardare la fine di quel mostro e non mi lasciava in pace?!
Avrei preferito essere sola in questo momento, affrontare quest’episodio della mia vita da sola, come avevo sempre fatto. Ma lui si era messo in mezzo, accidenti! E ora mi sentivo strana.
«Cominciamo» disse il medico, poi la prima scossa partì.
Mi avevano detto che la prima scossa l’avrebbe subito tramortito, così da evitare che soffrisse troppo… ma ciò non successe.

In seguito, ricordai per tutta la vita le urla terrificanti di mio padre che soffriva ad ogni scossa su quella sedia, e spesso quando la sera chiudo gli occhi rivedo ancora quelle scene…

Non resistetti molto prima di perdere la calma che avevo tanto cercato di controllare. Bastarono i primi segni di sofferenza da parte di mio padre per farmi barcollare facendo un passo indietro.
Stavo per perdere l’equilibrio, cadendo rovinosamente a terra, quando una mano forte si poggiò sulla mia schiena, facendomi restare in piedi.
Vidi gli occhi grigi e spaventati di Miles scrutarmi in cerca di segni di… non saprei, forse del fatto che stavo per perdere i sensi?
«Frannie, non devi per forza seguire tutta l’esecuzione» le sue parole furono interrotte da un altro urlo agghiacciante, che mi fece rabbrividire. Dovetti trattenere un conato di vomito e voltarmi da un’altra parte per cercare di riprendermi.
«Frannie» ripeté il procuratore accanto a me, usando ancora il nomignolo con cui mi chiamava da bambina. Ma quando gli avevo detto che poteva chiamarmi in quel modo? Si meritava una frustata per il suo atteggiamento così affettuoso verso di me.
Stavo quasi per rimproverarlo quando continuò «… è meglio uscire di qui, abbiamo visto abbastanza.»
«No!» urlai improvvisamente, attirando persino l’attenzione delle guardie. Volevo e soprattutto dovevo restare fino alla fine. I miei occhi erano allarmati, e lui si rese conto che probabilmente in quel momento era meglio assecondarmi, perché non mi chiese più di andare via. Capì che io dovevo restare e vedere la fine di quell’uomo.
Un altro urlo lancinante. Era come se il dolore di mio padre scorresse nelle mie vene in quel momento, e io non riuscivo a fermarlo! In un attimo di debolezza nascosi il viso nel petto di Miles, e sentii subito le sue braccia forti che mi stringevano e sorreggevano. Non avrebbe dovuto: appena lo fece cominciai a singhiozzare, tentando in tutti i modi di non sentire quella voce che mi stava torturando e premendo sempre più il mio viso contro il petto di lui, che non faceva una piega.
Seguì tutta l’esecuzione senza dire una parola, mentre mi consolava e mi carezzava i capelli.
Io invece, la grande Franziska von Karma, il genio, piangevo a dirotto e mi azzardai solo una volta a spostare lo sguardo su mio padre… ciò che vidi mi segnò per tutta la vita.
Vidi la sua ultima espressione verso di me: era piena di disprezzo, come se stesse guardando un brutto scarafaggio da schiacciare. Era come se dicesse “sarai per sempre imperfetta, Franziska von Karma”.
Poi, per lui, si fece tutto buio…

__
Angolo di Kirlia:
Che dirvi? Io non sono per niente convinta di questo capitolo. Non mi piace per niente... ma purtroppo ho provato e riprovato ma non riesco a fare di meglio. Forse perché non mi voglio soffermare troppo sulla morte di Manfred. Vi è sembrata troppo forte come scena? Spero di no, ditemi voi ^^''
Finalmente dal prossimo capitolo le cose si rilassano un po', anche se dovrete ovviamente sopportare ancora i pensieri un po' tristi di Frannie... ma ci sarà il nostro caro Miles a consolarla! :)
Spero che mi vorrete lasciare una recensione, a presto!
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** I should go ***


Capitolo Tre – I should go

“And your company was just the thing I needed tonight
Somehow I feel I should apologize
Cuz I'm just a little shaken
By what's going on inside
I should go
Before my will gets any weaker
And my eyes begin to linger
Longer than they should
I should go”

I should go.

 
Il peggio era passato, così mi dissi.
Ormai è tutto finito, Franziska… se n’è andato.
Allora perché non mi sentivo finalmente libera? Perché quel peso opprimente sul mio cuore non si era volatilizzato come speravo? Proprio non lo sapevo, non riuscivo a capirlo.
Subito dopo la fine dell’esecuzione, avevo lasciato la stanza come un automa, seguendo la direzione che la guardia mi indicava ma senza guardare davvero dove stavo andando. Non sentivo niente attorno a me, ero come dentro una bolla. I suoni erano attutiti, non riuscivo ad afferrare le parole, non riuscivo a vedere bene nemmeno davanti a me. Non ero più me stessa.
Ma nessuno sembrava farci caso. Tutti gli altri, dentro quella sala, sembravano essere tornati alla loro vita, quindi anch’io lo stavo facendo.
Franziska von Karma stava andando via dimenticandosi dell’accaduto.
Non mi accorsi di essere uscita in strada senza nemmeno aprire il mio ombrellino, non mi accorsi della pioggia battente che mi bagnava il volto e i capelli e i vestiti. Non sentii nemmeno il suono cupo dei tuoni in lontananza.
Poi una mano, una mano sulla mia spalla… e una voce.
«Franziska, dove stai andando?» mi fermò il suono caldo della voce di Miles Edgeworth.
Sembrai risvegliarmi all’improvviso da un sogno, mi voltai verso di lui allarmata, con gli occhi smarriti e rabbrividendo per il freddo.
«I-io… non lo so. Non ne ho idea» risposi senza cercare di nascondere la mia paura. Era come mi fossi teletrasportata da quella stanza fino a lì, non sapevo cosa fosse successo nel frattempo.
E chissà dove sarei andata se lui non mi avesse interrotto, ero in una specie di stato incosciente.
Il suo sguardo invece sembrava tranquillo, dolce… accogliente. Era sempre stato così?
«Sarà meglio che tu venga con me, stasera non sei proprio in grado di andartene in giro da sola.»
Mi prese per mano, trascinandomi insieme a lui sotto un grande ombrello nero, poi mi guardò per un attimo con un’occhiata severa.
«Ma guardati! Sei completamente bagnata.» disse, togliendosi immediatamente la giacca e mettendomela sulle spalle. Ne strinsi inconsapevolmente una manica: era calda, soffice e aveva davvero un buon profumo. Mi faceva sentire a mio agio e stranamente protetta, come se fosse stato uno scudo che mi proteggeva da qualsiasi dolore.
«Ti porto a casa, prima che ti possa ammalare…» aggiunse, stringendo la mia manina infreddolita nella sua, grande e gentile.
Non ebbi neanche il tempo di replicare, chiedendo esattamente in quale “casa” mi stava portando, visto che avevo venduto tutte le mie proprietà negli Stati Uniti, che già mi portava via verso una destinazione sconosciuta.
Beh, in quel momento non ero esattamente in grado di replicare, non avevo la forza di puntare i piedi e chiedergli dove avesse intenzione di andare, quindi lo seguii passivamente.

Arrivammo a un grande palazzo signorile, non molto lontano dal luogo in cui mio padre… no, non volevo ancora pensarci. Guardai in alto, sembrava un palazzo molto alto, chissà perché ci trovavamo lì davanti.
Miles mi guardò in silenzio, probabilmente chiedendosi se fossi in me, visto che non lo sembravo affatto, poi mi portò all’interno. Nel mio stato non del tutto cosciente notai che, anziché prendere le scale, come aveva sempre fatto da quando lo conoscevo, chiamò l’ascensore premendo il tasto luminoso. Mentre attendevamo che l’ascensore arrivasse cercai di dire qualcosa di sensato, stringendomi ancora nella sua morbida giacca rossa.
«C-come mai l’ascensore? Credevo che tu ne avessi p-paura, Miles.» la voce mi era sfuggita a tratti, alterata sicuramente dal freddo. Si, doveva essere il freddo, non c’erano alternativa.
Io ero forte e sicura di me e sicuramente non ero in questo stato per via di… di mio… padre!
Lui mi guardò ancora con quella strana espressione che sembrava ricca di comprensione ed entrò tranquillamente nel vano dell’ascensore, o almeno a me sembrò tranquillo. Forse stava morendo di paura ma non lo dava a vedere.
«Per questa volta correrò il rischio, Frannie. Non mi sembri esattamente in condizione di poter salire tutte quelle scale da sola.»
Non mi guardò mentre parlava, osservando intensamente la porta che si chiudeva e che quindi ci sigillava in quel piccolo spazio angusto. Rabbrividii, pensando che doveva essere terrorizzato dal luogo in cui si trovava, ma che lo stava facendo per me.
Per un attimo mi sentii grata verso di lui, era sempre così gentile con me… No no, ma che mi prendeva?! Io ero Franziska von Karma! E lui era solo un povero debole imperfetto che non riusciva a stare in un ascensore senza avere una crisi isterica. Per un attimo decisi di fargli capire che io non ero come lui, e dissi con un sorrisetto compiaciuto «Spero solo che non abiti all’ultimo piano, Miles Edgeworth. Io non sopporterei di fare tutte quelle scale ogni volta che torno a casa!» Lo guardai con aria di sfida, mentre lui si voltò verso di me fissandomi con un sorriso che però sembrava sincero.
Mi sentii a disagio e mi strinsi nella sua giacca rossa, arrossendo leggermente. Chissà che gli stava passando per la testa, mentre mi fissava a quel modo?
«Che hai da guardare, sciocco?» gli dissi in modo brusco, scocciata da quel suo sguardo penetrante che sembrava leggermi dentro. Ne avevo abbastanza dei suoi modi gentili ed educati verso di me, ma soprattutto non sopportavo le sue occhiate.
«Pensavo che sembri tornata normale, hai superato in fretta il trauma» rispose.
Io tentennai leggermente. Trauma, quale trauma? Credeva che la morte di mio… padre… mi avesse sconvolta così tanto? Era per questo che faceva così il gentile con me?
Si sbagliava! Io ero forte e non mi lasciavo certo sconvolgere da una situazione del genere, e poi mi ero preparata per affrontarla, avevo avuto tutto il tempo necessario per accettare che sarebbe successo.
Non mi diede il tempo di rispondere e continuò «Comunque sta’ pure tranquilla, il mio appartamento è al secondo piano. Sarei stato uno sciocco a prendere una casa all’ultimo piano sapendo di dover prendere le scale ogni volta» sorrise.
«Ecco perché me lo aspettavo da te, sciocco.»  ribattei io a mia volta, ma senza cattiveria, poi lo seguii su per le scale fino al suo appartamento, chiedendomi perché lo stavo seguendo.
Beh, in fondo aveva solo detto di volermi aiutare con i vestiti bagnati e il resto, ma di certo non sarei stata lì un minuto di più. Mi ripromisi di restare solo per il tempo di una tazza di tè.
 
Erano già passate delle ore da quando ero arrivata a casa di herr Miles Edgeworth, ma ancora tardavo ad andare.
Non era colpa mia ovviamente! Ma lui mi aveva distratto con i suoi discorsi sul fatto che “non potevo andare in giro in queste condizioni” e “dovevo assolutamente prendere dei vestiti asciutti” e io, incapace in quel momento di ribattere, l’avevo lasciato fare.
Adesso mi trovavo nella sua vasca da bagno, immersa nell’acqua calda e profumata e nelle bolle… beh, lui aveva insistito tanto per prendersi cura di me e io ne avevo approfittato.
Il bagno del mio fratellino era davvero elegante, quasi quanto il mio nella magione von Karma in Germania. Ma chissà perché non avevo ancora fretta né voglia di tornare lì.
In questo momento, con la luce soffusa e le bolle che mi circondavano, volevo pensare solo a me stessa e alle buone sensazioni che stavo provando.
Ma non riuscivo proprio a chiudere gli occhi e immergermi nell’acqua calda. Appena ci provavo, la mia mente si popolava delle luci soffuse di quella camera infernale, le urla e gli orrori di quel pomeriggio tornavano ad assalirmi, l’ultimo sguardo di mio padre verso di me, colmo di odio e delusione.
E non potevo fare a meno di tapparmi la bocca con una mano, per non lasciarmi sfuggire il suono dei singhiozzi e ignorare le lacrime che ormai mi rigavano le guance da un po’ di tempo.
E, soprattutto, per non allarmare lui: era nella stanza accanto, ma dal silenzio riuscivo a capire che avrebbe sentito qualsiasi mia parola o pianto… Non potevo permettermi che mi sentisse. Non volevo che pensasse che ero ancora fragile e debole come una volta.
Questo pomeriggio era solo stato un caso, e anche in parte giustificato. Ma Franziska von Karma rimaneva la perfezione in persona. Una von Karma non aveva sentimenti, di nessun genere.
Colma di quella consapevolezza che mi rafforzava, decisi che non era più il momento di stare lì.
Mi alzai e uscii dalla vasca, rimpiangendo subito il calore e la sensazione di benessere che mi aveva dato l’acqua calda, poi presi l’asciugamano che avevo poggiato lì accanto prima di entrare nell’acqua e me lo avvolsi attorno al corpo. Era davvero morbido e caldo… che Miles l’avesse preparato apposta per me? Non volevo nemmeno pensare a quell’eventualità.
Uscii dal bagno facendo meno rumore possibile e guardandomi intorno. Dov’erano i miei vestiti? Speravo che si fossero asciugati in tempo, o non avrei proprio saputo cosa indossare.
Non mi andava di andare in giro per casa solo con un asciugamano che mi copriva a malapena ma dovevo proprio trovare i miei abiti.

Ero nel corridoio, con i capelli ancora gocciolanti e stringendomi addosso l’asciugamano candido, e non sapevo proprio che direzione prendere. Nonostante il mio senso dell’orientamento infallibile, in quella casa mi sentivo davvero dispersa.
Dove potevo andare?
Sicuramente i miei vestiti erano stesi ad asciugare da qualche parte dentro casa, visto il temporale che fuori non sembrava proprio intenzionato a darmi tregua. Il punto è che non avevo idea di dove potessero essere. Come al solito Miles non mi rendeva la vita facile.
Sospirando rassegnata, decisi di andare nella direzione opposta alla stanza in cui credevo si trovasse lui: ovviamente non ero intenzionata a farmi vedere in quelle condizioni, non sarebbe stato opportuno. Anche se era in un certo senso il mio fratellino, non volevo che mi vedesse… la cosa mi avrebbe imbarazzato molto.
Quindi mi incamminai per il corridoio in punta di piedi, facendo attenzione a non fare rumore per non allarmarlo, in cerca dei miei vestiti. Si, avrei preso i miei vestiti, li avrei indossati asciutti o bagnati che fossero, e poi sarei andata via da quella casa. Ero rimasta fin troppo, e l’aereo per la mia cara Deutschlandmi attendeva. Anzi! Non avevo nemmeno idea di che ore fossero, e se lo avessi perso?
Non potevo rimanere un minuto di più, quindi mi affrettai a sbirciare in ogni stanza alla ricerca dei miei abiti: niente, non riuscivo a trovarli! Eppure la casa non era mica così grande.
Entrai nell’ultima stanza in fondo al corridoio. Sembrava una camera da letto, e dal modo in cui era arredata e dai vestiti che vidi poggiati su una sedia mi resi conto che si trattava proprio della camera di herr Miles Edgeworth. No, i miei vestiti non potevano essere lì.
Feci dietrofront ma prima di riuscire ad uscire dalla stanza sentii un basso ringhio.

Okay, ammettevo che i cani non mi erano mai piaciuti molto: avevano uno sguardo sciocco e non si capiva mai cosa gli stesse passando per la mente, anzi credevo che non gli passasse mai niente per la mente. Pensavano solo a riportarti la palla e a mangiare croccantini tutto il giorno… i gatti erano molto più vicini alla mia idea di animale domestico.
Quel cane, in particolare, non sembrava essere felice di vedermi. Il suo sguardo mi diceva che la mia presenza lì non era gradita, e io non volevo altro che scappare via da quell’essere. Però purtroppo sembrava che stesse cercando di sbarrarmi il passo, mettendosi davanti all’unica porta della camera.
Quando, poi, si avvicinò a me e cominciò ad annusarmi, il mio primo pensiero fu che volesse mordermi la caviglia e corsi verso il centro della stanza. Ma dov’era la mia adorata frusta quando mi serviva?! Quel mostro mi inseguì e io non potei fare a meno di urlare.
«MILES!!!»

---
Il mio angolino: 
Questo è un capitolo abbastanza di passaggio, devo dire, ma in cui ho cercato di descrivere i sentimenti conflittuali di Franziska, un po' tristi e un po' "perfezionisti" come al solito. Oh, premetto che a me i cani piacciono tantissimo (ne ho uno) quindi quelli sono solo pensieri della nostra cara lady von Fustenberg XD Il cane è ovviamente Pess, il cane che si sente nominare una volta sul gioco... Okay non so più che dire tranne recensite e... il prossimo capitolo sarà un POV Miles! 

A presto!
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Undisclosed Desires ***


Capitolo Quattro - Undisclosed Desires

“I know you’ve suffered,
But I don’t want you to hide,
It’s cold and loveless,
I won’t let you be denied

Soothing,
I’ll make you feel pure,
Trust me,
You can be sure

I want to reconcile the violence in your heart
I want to recognize your beauty is not just a mask,
I want to exorcise the demons from your past,
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart”

Undisclosed desires.


{Miles Edgeworth}

Era chiaramente sconvolta dalla morte di suo padre.
Inutile che lo negasse, in un modo o nell’altro era legata a lui e stava soffrendo per la sua perdita. Non negavo perfino io che ero stato vittima della sua sete di perfezione, di aver rabbrividito a vedere quella scena: la morte del mio peggior nemico.
Vendetta era stata compiuta, così mi ero detto, ma sentivo, anzi ero certo, di non essere venuto ad assistere solo per togliermi questo peso dal cuore. Non volevo ammetterlo, non lo avrei mai accettato, ma sapevo che in realtà ero venuto per lei.
Franziska.
Lei che avevo immaginato sola, in quella sala, ad assistere a quell’atrocità. Lei che sapevo avrebbe sofferto troppo e che non avrebbe avuto una spalla su cui piangere.
E mi ero reso conto che sarebbe stato compito mio essere lì per lei, essere pronto a offrirle un abbraccio e un conforto e portarla via da quell’orrore prima che ne rimanesse stravolta. Ecco perché ero venuto a vedere la morte del mio maestro, la vera ragione era lei.
Sospirai leggermente mentre preparavo la cena di quella sera e pensai a quella ragazza così fragile ma al contempo così forte che in quel momento era nella camera accanto, nel bagno, a cercare di rilassarsi. Speravo che la mia presenza non la infastidisse troppo, e speravo si riprendesse presto da quest’ulteriore trauma che aveva subito.
Mi sfuggii un sorriso quando ripensai a come aveva cercato di imporsi su suo padre durante la nostra ultima visita in prigione. Ci aveva provato, era stata talmente coraggiosa persino da deriderlo. E io non avevo non potuto guardarla stupito dal suo atteggiamento e allo stesso tempo, in effetti, molto orgoglioso di lei. In quel momento, stava rinnegando ciò che era stata per tutta la vita, ciò che la portava ad essere il più simile a lui possibile. Aveva per un attimo rinnegato il credo dei von Karma, anzi gliel’aveva persino sbattuto in faccia, facendogli notare in quale modo scorretto quel mostro l’avesse perseguito.
Sentii un leggero gemito, seguito da un singhiozzo, subito interrotti prontamente. Forse stava piangendo ricordando le scene di quel pomeriggio.
Guardai gli abiti stesi lì, su una sedia della cucina, che ancora non si erano asciugati. Beh, forse avrei dovuto aspettare ancora un po’ prima di prenderli e lasciarglieli davanti la porta della camera da bagno. E poi non volevo disturbarla, non mentre piangeva o ripensava all’accaduto.
Anche la frusta era lì in cucina insieme a me, non volevo immaginare a cosa avrei potuto andare incontro consegnandogliela in quel momento. Era meglio che la tenessi io. E poi non si era nemmeno accorta di averla lasciata nella stanza della sedia elettrica… doveva essere davvero fuori di sé.
Scossi il capo cercando di liberarmi da quei pensieri, poi concentrai tutta la mia attenzione sulla cucina. Avevo in mente di fargli trovare una bella cenetta, speravo di addolcirla e rallegrarla un po’ almeno con questo. Speravo che potesse restare con me quella sera, in fondo nemmeno io me la sentivo di restare da solo…
All’improvviso sentii un tonfo, poi dei passi rapidi e infine una voce strozzata e spaventata che gridava.
«MILES!!!» Era Franziska! Che cosa stava combinando?!

Corsi dirigendomi subito verso il bagno, ma trovai la porta aperta e la stanza deserta, poi sentendo alcuni suoi urletti spaventati seguii la voce fino alla mia camera da letto.
La mia stanza… ma che ci faceva lei lì?
La scena che mi si parò davanti era di certo una delle più strane che avessi mai visto: la povera Frannie stava in piedi sul mio letto, ancora con i capelli bagnati, stringendosi addosso un piccolo asciugamano bianco e cercando di evitare in tutti i modi di essere avvicinata dal mio grosso labrador. Oh, dovevo immaginarlo che sarebbe finita così!
«Miles!! Dieses Ungeheuern wird versucht, mich zu essen! Hilfe! Rette mich! [Questo mostro sta cercando di mangiarmi! Aiuto! Salvami!]» disse tutto d’un fiato in tedesco, il che voleva dire che era talmente spaventata da non riuscire nemmeno a chiedere aiuto in inglese.
Saltellava in modo talmente buffo sul letto che non potei fare a meno di starla a guardare per alcuni secondi senza fare niente. Il mio cane, d’altro canto, sembrava trovarla divertente e cercava in tutti i modi di farla strillare fingendo di inseguirla. In realtà Pess era un angioletto, non avrebbe mai fatto del male a nessuno. 
«Miles!! Nimmt den Hund! [Porta via quel cane!]»
Sbuffai a ridere al suo ennesimo grido e lei mi guardò con un’espressione terribile. Se gli sguardi potessero uccidere in quel momento sarei stato fulminato sul colpo.
Riprendendomi improvvisamente grazie alla sua occhiataccia, presi il mio cane per il collare e lo feci stare giù. «Dai Pess, il divertimento è finito. Lascia stare Franziska, potrai giocare con lei più tardi, d’accordo?»
Il cucciolo sembrò ascoltarmi con attenzione e si mise seduto a fissarla con una scintilla divertita negli occhi. Scommisi che si stava divertendo davvero un mondo, nessuno aveva mai reagito così vedendolo prima d’ora, doveva essere una cosa nuova per lui.
Alzai lo sguardo per incontrare quello della mia sorellina, che adesso sembrava pietrificata: non riuscivo a capire la sua espressione, mentre mi guardava stringendo ancora più forte l’asciugamano attorno a sé. Mi mordicchiai il labbro inferiore mentre non potei fare a meno di fissarla.
In quel piccolo asciugamano sembrava così bella! I capelli ancora bagnati facevano risplendere il color cielo dei suoi occhi, per non parlare delle sue gambe così snelle, così sensual… Oh! Ma che mi prendeva?! Stavo davvero pensando quelle cose? Di Franziska?!
«Herr Miles Edgeworth! Smettila di fissarmi!» sbottò lei, che nel frattempo sembrava essere arrossita e cercava in tutti i modi di coprirsi e nascondersi ai miei occhi. A quanto pare doveva essersi accorta del mio sguardo tutt’altro che innocente. Accidenti a me, non era proprio il momento di trovarsi in una situazione del genere!
Scossi la testa, cercando di liberarmi di quei pensieri tutt’altro che giusti nei suoi confronti. Ero un po’ stupito dal mio comportamento: non mi era mai successo di soffermarmi a pensare a lei in quel senso, e credevo che non sarebbe mai successo. Insomma, lei era più o meno mia sorella, non si può guardare una sorella in quel modo!
Non ebbi il tempo di replicare per cercare di discolparmi, che Pess le abbaiò contro, giocoso, e lei fece un passo indietro con un urletto strozzato.
«Porta quel… quella cosa lontano da qui!» ordinò, senza darmi modo di rispondere. Portai il cane nello studio e lì lo chiusi a chiave, scusandomi con lui e facendo nota mentale di liberarlo appena possibile. A Pess non piaceva stare chiuso per tutta la notte in una sola stanza, tendeva a distruggerla.
 
Quando tornai alla camera da letto non la trovai più lì, e mi resi conto che probabilmente era andata in cerca dei suoi vestiti… infatti, tornato in cucina, la trovai vestita di tutto punto e con i capelli solo leggermente inumiditi.
La guardai con un mezzo sorriso, chiedendomi se la mia occhiata l’avesse messa davvero a disagio. Non volevo certo che si spaventasse e fuggisse via tornando nella sua fredda magione in Germania avvolta dalla neve.
Lei si voltò verso di me esibendo uno dei suoi migliori sguardi da perfetta von Karma e dicendomi «Non sapevo che avessi un Hund [cane], herr Miles Edgeworth.»
Oh bene, era tornata a chiamarmi per nome e cognome, questo non poteva essere un buon segno.
«A Pess piace solo giocare, Franziska. Non aveva alcuna intenzione di divorarti, te l’assicuro» sorrisi divertito. Non sapevo che avesse così paura dei cani, era stata una scena davvero divertente quella in camera da letto. Proprio per questo lei invece la odierà a morte, già lo sapevo.
Fece schioccare la frusta, facendomi arretrare di un passo per evitarla, poi carezzandola rispose «Se avessi avuto con me la mia fidata frusta, mi sarei subito liberata di quel tuo cane. Non credere che mi fossi davvero spaventata, herr Miles Edgeworth! Io non ho paura di niente!»
Okay, era irritata. Davvero arrabbiata. Avrei dovuto pensare a Pess in tempo per evitare questa tragedia… Ma ormai il danno era fatto, e mi dissi che era meglio cambiare strategia.
Mi avvicinai al bancone da cucina e sperai che fosse tentata dalla cena che stavo preparando.
«Sai, stavo cucinando per la prima volta un certo piatto… e mi sarebbe piaciuto avere un parere da un’esperta.»
Lei mi guardò alzando un sopracciglio, cercando probabilmente di capire qual era il mio scopo e perché avevo intrapreso questo discorso. «Si tratta di una torta tipica tedesca» aggiunsi subito dopo, e notai subito la sua reazione stupita e un po’ lusingata. Sapevo che l’avrei attirata con un dolce tipico del suo paese, la conoscevo bene e sapevo che era il suo punto debole.
«Mi stai chiedendo di restare per cena, Miles?» disse piano, rilasciando un po’ la presa sulla sua frusta, che adesso non sembrava più sul punto di colpire.
Le sue labbra si erano mosse in modo impercettibile formando un sorriso, e mi aveva chiamato solo per nome. A quanto pare ero riuscito a corromperla.

La serata fu tranquilla, mangiammo in un silenzio senza nessuna tensione, il suo unico commento scortese nei miei confronti fu «I miei domestici sanno preparare questa torta molto meglio di te, sciocco».
 Mi sentivo bene, in sua presenza, come se avere Frannie qui con me mi rendesse felice, come se con lei mi sentissi finalmente completo. Riuscivo a dimenticarmi del mio passato quando la vedevo, il che era davvero una contraddizione, considerato che lei è sempre stata parte del mio passato, e io del suo. Ma era davvero così.
Quella sera sembrava abbastanza convinta di poter restare anche dopo cena, era facile convincerla. Guardammo persino un film insieme, cosa che non facevamo da… No, mi correggo, cosa che non avevamo mai fatto. Da piccoli infatti, il signor von Karma non ci permetteva di guardare la televisione.
Si trattava di un film ricco di investigazione e con un caso da risolvere, quale programma migliore di questo per sfidarla a risolvere gli enigmi e trovare il colpevole? Peccato che Frannie non lo scoprì mai, visto che a circa metà del film, sentii la sua guancia sfiorarmi la spalla: si era addormentata.
Doveva essere sfinita, quanto aveva dovuto sopportare quel giorno? Le urla di dolore di suo padre riecheggiavano ancora nella sua mente sconvolta? Avrebbe dormito bene?
La presi in braccio, facendo attenzione a non svegliarla, o chissà che reazione avrebbe avuto. Non volevo che si spaventasse o si arrabbiasse fino a decidere di andare via quella notte stessa. Non mi ero ancora deciso a lasciarla andare. Io non volevo perderla.
Quella consapevolezza mi fece sorridere e rattristare allo stesso tempo, perché sapevo che lei se ne sarebbe presto andata, che mi piacesse o no. Mi avrebbe lasciato qui negli Stati Uniti e sarebbe tornata in Germania, ad aumentare il suo record di vittorie perfette. Oh, Frannie, se solo ti rendessi conto che la vittoria non è così importante…!
La portai in camera mia, non avevo altri letti a disposizione, e la poggiai delicatamente tra i cuscini. La mia sorellina sembrava così serena in quel momento, molto diversa da come l’avevo vista quel pomeriggio, nervosa e spaventata, e poi addirittura sconvolta e in lacrime durante l’esecuzione.
In un istante mi ripromisi che non l’avrei più vista soffrire in quel modo. Avrei fatto di tutto per renderla felice, mai più avrebbe avuto quell’espressione piena di dolore.
Era mio compito fare in modo che tutto ciò non accadesse mai più.

---
Il mio angolo:
Premesso che mi sono divertita tantissimo a scrivere questo capitolo, specialmente una parte (indovinate? XD), volevo dirvi che il mio non è vero tedesco, anche perché ho dovuto usare Google traduttore e non ho una minima conoscenza di questa lingua, anche se la adoro *-*
Mmhh, okay non ho nient'altro da dire per oggi, spero in tante belle recensioni come solo voi siete capaci di scriverne!
Un bacione,
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I feel immortal ***


Capitolo Cinque – I feel Immortal

Whenever I wake up
I’m lost and always afraid
It’s never the same place
I close my eyes to escape
The walls around me
[…]
Whenever I wake up
The shards of us cut within
Always the same day
Frozen all in the fringe
I surrender to the sleep
And leave the hurt behind me
There’s no more death to fear
here in my dreams

I feel Immortal.


L’aria era gelida, il silenzio assordante.
La penna si muoveva svelta nelle mie mani, scrivendo come una macchina impazzita e appuntando qualsiasi cosa fosse degna d’interesse in quel grande librone antico. Dovevo finire quel libro entro quella sera, dovevo farlo assolutamente.
Non vedevo l’ora di sapere cosa avrebbe detto di me Papa! Oh, sarebbe stato così orgoglioso! Così fiero che sua figlia, ancora solo tredicenne, fosse pronta per affrontare l’esame che l’avrebbe resa un procuratore a tutti gli effetti!
Con un sorriso soddisfatto sulle labbra, scrissi l’ultima frase, mettendo un bel punto evidente alla fine del mio appunto. Mi voltai poi verso la finestra: la fredda Deutschland si manifestava oggi con una fitta tormenta di neve, che mi avrebbe tenuto in casa ancora per qualche giorno senza la possibilità di fare il mio esame… ma a me non importava!
Mi alzai dalla sedia con un salto e, prendendo tutti i fogli e il grande libro tra le mani, mi incamminai verso l’ingresso della grande biblioteca di famiglia, certa che avrei trovato mio padre seduto sulla poltrona blu accanto a quello sciocco del mio fratellino, herr Miles Edgeworth.
Papa insisteva sul fatto che io non avessi bisogno di aiuto, voleva che io studiassi da sola… ma non riuscivo a capire il perché. Perché Miles poteva meritarsi le sue attenzioni, i suoi aiuti nello studio, e io no? Cercavo di convincermi che fosse perché io ero nata perfetta, ero il Genio, e quindi non avevo bisogno di un appoggio… Ma dentro di me ero sempre delusa. Sembrava quasi che mio padre preferisse il suo figlio adottivo a me.
Accelerando il passo arrivai all’entrata e lì mi bloccai vedendo la scena: Manfred von Karma metteva una spilla alla giacca di un sorridente herr Miles Edgeworth. Un distintivo, era il distintivo che affermava la sua professione di procuratore.
E lui l’aveva ottenuto prima di me, prima di Franziska von Karma… Mi sfuggii un gemito sommesso, che cercai di bloccare subito ma che attirò ugualmente l’attenzione dei due su di me.
Papa si voltò, e il suo sguardo prima soddisfatto per la promozione di mio fratello diventò subito diverso. Uno sguardo pieno di disprezzo, uno sguardo che poteva indicare solo una cosa: “tu sei imperfetta, Franziska, e lo sarai sempre”. Lo sguardo di mio padre quando l’ultima scossa mise fine alla sua vita con un urlo agghiacciante…

Mi svegliai in un lago di sudore, di colpo, spalancando gli occhi e sentendo un urlo quasi bloccato in gola e le lacrime salate che tentavano di scivolare sulle guance. Le ricacciai indietro con un improvviso tremore.
Era stato un sogno, solo uno stupido incubo. Cercai di convincermene passandomi una mano tra i capelli color cielo e cercando di svegliarmi e fare il punto della situazione.
Ero ancora a casa di Miles, come era possibile? Mi ero ripromessa che sarei rimasta solo per alcuni minuti, poi per alcune ore… ma ero certa di volermene andare ieri sera stessa. E invece ero ancora lì!
Mi guardai intorno e mi resi conto di essere circondata da cuscini e coperta da un morbido e leggero lenzuolo azzurrino. Dovevo essere andata a letto, anche se proprio non me lo ricordavo. Quella però non era la stanza degli ospiti anzi, pensandoci, quando il giorno prima ero andata alla ricerca dei miei vestiti non mi pareva proprio di aver visto una stanza degli ospiti. Vidi il grande armadio scuro e alzando lo sguardo mi accorsi di essere su un letto a baldacchino… oh, non era possibile! Avevo davvero dormito in quel letto? Nel suo letto?!
Con un leggero rossore sulle guance mi voltai a destra e a sinistra, per essere sicura di essere sola in quella stanza. Non avrebbe mai dormito nel mio stesso letto giusto? Anche se non ce n’erano altri in tutta la casa non l’avrebbe mai fatto. Non era da lui, vero?
Tentando di auto-convincermi che fosse così, notai un biglietto scritto a mano con una bellissima grafia, quella di Miles ovviamente, che diceva così:

“Sono uscito a portare fuori Pess per una passeggiata, riposati pure quanto vuoi.
Non starò fuori a lungo. Al mio ritorno potremo fare colazione insieme, se ti fa piacere.
Fa’ come se fossi a casa tua. Miles.”

Sbuffai irritata.
Ma certo, prima mi costringeva a restare da lui e poi mi abbandonava al mio destino. Grazie, herr Miles Edgeworth, gentile come al solito.
Mi alzai dal letto, accorgendomi di avere ancora addosso i miei vestiti da ieri sera. Erano tutti sgualciti e piegati, e la cosa mi diede un immenso fastidio, ma almeno non erano stati toccati da lui. Non avrei mai potuto sopportare che mi togliesse gli abiti per permettermi di dormire meglio, e lui ovviamente da perfetto gentleman non l’avrebbe mai fatto. Almeno su questo potevo stare tranquilla, anche se di certo non capivo il perché delle mie preoccupazioni.
No, in realtà sapevo esattamente il perché di questa mia preoccupazione: il suo sguardo. Ieri sera mi aveva lanciato davvero una strana occhiata, quando mi aveva visto con solo l’asciugamano addosso, un’occhiata che non avevo mai visto in lui. Non volevo sapere cosa nascondevano quegli occhi cupi, ma non mi avevano di certo resa tranquilla.
Mi dissi che era meglio non pensarci in quel momento, era meglio concentrarsi e capire cosa potesse essere successo ieri sera.
«Ricordo di aver deciso di rimanere per cena, ricordo anche di avergli concesso di vedere insieme a me un film molto interessante su un certo herr Sherlock Holmes. Ma ero certa che me ne sarei andata dopo, però non ricordo la fine del programma in tv. Devo essermi addormentata prima di finire…» discussi tra me. Doveva essere tutta colpa del fuso orario, era di certo quello che non mi aveva permesso di rimanere sveglia.
E poi sicuramente con quel tempaccio la partenza dell’aereo doveva essere stata rimandata. Non sarei comunque riuscita a tornare in patria, ne ero certa.
Sbadigliando decisi che dovevo fare qualcosa, nell’attesa che Miles tornasse, e quale idea migliore di dare una sbirciatina a casa sua? Ero davvero curiosa di lui, lo ero sempre stata. Fin da quando l’avevo guardato di nascosto la prima volta che era arrivato alla magione von Karma… Anche se questo non era proprio il momento di ripensare al passato, non dopo quell’orribile sogno. Quel ricordo mi rendeva sempre molto triste, era uno degli esempi più eclatanti di come io fossi stata nella sua ombra, di come mio padre mi ignorava per dare molta più importanza a lui.
No, davvero, non volevo pensarci.

Mi lasciai alle spalle la camera da letto, dopo aver indossato una camicetta azzurra e dei jeans, alcuni dei pochi abiti che mi ero portata dietro per il viaggio e che chissà come avevo trovato perfettamente piegati sul comodino accanto alla lettera.
Decisi di andare dritta in soggiorno e cominciare da lì a investigare sulla vita di Miles. Era da anni che non abitavamo più nella stessa casa ed ero curiosa di vedere se c’era qualcosa di interessante che ieri sera, ancora un po’ turbata per l’accaduto, mi era sfuggita.
La stanza sembrava normale, senza niente di speciale: un divanetto e una poltrona disposti davanti a un caminetto, un tavolo basso con sopra una lampada. Tutto di ottima fattura ovviamente, d’altronde era stato un von Karma anche lui.
Mi avvicinai al caminetto con l’idea di passarci sopra un dito e scoprire se ogni tanto dava una spolverata a casa sua. Non avendo dei domestici che si occupavano della casa e dovendo spesso lavorare sicuramente non aveva tempo per pulire. E invece era tutto splendente.
Mentre mi voltavo per dirigermi in cucina, il mio occhio cadde su una piccola mensola, l’unico luogo in cui c’erano delle cornici.
Foto? Herr Miles Edgeworth davvero teneva delle foto incorniciate?
Incuriosita le osservai meglio: erano tre cornici molto semplici, ma mi resi conto che dentro c’erano le cose più preziose per lui, soffermandomi sulla prima foto.
Si vedeva un letto d’ospedale, le lenzuola bianche un po’ ingrigite e le pareti di quel verde acqua tipico delle cliniche. Sul letto una donna dai capelli color dell’argento, che ricadevano in onde delicate sulle spalle… aveva un aspetto stanco, debole, gli occhi erano cerchiati di scuro come se fosse esausta, ma aveva un gran sorriso sulle labbra, mentre guardava il suo bambino dai capelli dello stesso grigio, insieme a un uomo con gli occhiali e un distintivo da avvocato difensore sulla giacca.
Era la sua famiglia, la famiglia di Miles. Sembravano così felici…
Sospirai intristita, ripensando come li aveva persi: la madre morì poco dopo per un cancro, e il padre Gregory… morto per colpa del mio. Era così ingiusto nei suoi confronti! Aveva avuto un’infanzia così triste, e poi, quasi a distruggere ancora di più la sua vita, era stato adottato dallo stesso assassino di suo padre.
Decisa ad ignorare quella foto passai alla seconda.
In questa foto aveva quasi l’età di adesso, ed era chinato per poter essere ritratto insieme al suo cane, Pess. Beh, per lui doveva essere una specie di famiglia, anche se io non ci trovavo proprio nulla di buono in quel Hund [cane].
Il mio sguardo si posò poi sull’ultima foto, e lì il mio cuore perse un battito.
Un ragazzo di circa diciotto anni era intento a leggere un grande libro di giurisprudenza - lo stesso libro del sogno – e accanto a lui una ragazzina dai capelli color cielo un po’ più lunghi di adesso lo osservava con un sorrisetto. Sembrava che gli stesse dando una lezione, mentre teneva il frustino in mano come una maestrina.
Quella foto… credevo che fosse andata persa! Che ci faceva proprio lì insieme alle foto della sua famiglia? Perché Miles teneva una vecchia foto di loro due esposta su quella mensola?
Persa in tutte queste domande, non mi accorsi che il silenzio aveva lasciato spazio a dei passi leggeri, quasi inesistenti, passi che si fermarono proprio quando…
«Trovo che quella foto sia davvero interessante. Non credi anche tu, Franziska?» disse la voce, riscaldandomi il collo con un soffio tiepido e facendomi voltare di colpo, quasi spaventata dalla sua comparsa improvvisa. Dopo qualche secondo, ripresi la mia solita perfetta calma.
«Non ti ho sentito arrivare» dissi con un’espressione accigliata. Io mi accorgevo sempre di tutto, avevo tutto sotto controllo, eppure lui mi era sfuggito. Non mi ero accorta nemmeno della porta che si chiudeva.
Poi abbassandomi a vedere quel cane di nuovo insieme a lui, tentai un altro approccio rispetto a quello del giorno prima. «E-ehi ciao… cane». Il mostriciattolo sembrò troppo contento di questo nuovo atteggiamento che avevo avuto nei suoi confronti, e per tutta risposta al mio tentativo di essere gentile, mi leccò una mano, facendomi andare completamente in paranoia.
«Das nervt! [Che schifo!] Non sai proprio insegnare un po’ di educazione a questo cane, herr Miles Edgeworth?!» mi lamentai con un tono di voce più irritato di quanto fossi in realtà.
I cani proprio non mi piacevano affatto, anche se questo non era poi tra i più terribili. Certi cani della polizia erano davvero fastidiosi, molto più di questo.
«Innanzitutto il suo nome è Pess, Franziska» disse lui, calmo e compassato come al solito, porgendomi un fazzoletto di seta mentre carezzava il suo animaletto con l’altra mano.
«E poi, sai com’è, non sa resistere al fascino delle belle ragazze». Mi lanciò un’occhiatina di sottecchi, che proprio non mi piacque. Era una specie di allusione la tua, herr Miles Edgeworth? Credevi che sarei stata lusingata da questa tua sottospecie di complimento? No grazie, preferisco lasciare i sospiri languidi alle tue fan girl.
Ignorando quindi il suo stupido commento e asciugando la mano dalla saliva viscida di Pess, dissi «Dove sei stato? Ci hai messo un po’ troppo per una semplice passeggiata». In realtà erano passati al massimo dieci minuti da quando mi ero svegliata, ma si trattava comunque di dieci minuti di imperfetto ritardo che io non avrei mai tollerato.
Sembrò stupito, forse perché non credeva di essere stato via a lungo, o forse per il mio repentino cambio di argomento. Beh, non mi interessava.
«Scusami. Sono solo andato a prendere la colazione per due nel caffè qui all’angolo. Non credevo di aver perso troppo tempo» rispose, ancora fissandomi un po’. Ultimamente mi fissava un po’ troppo… decisi che era il momento di fargliela finire e lo frustai proprio sul naso.
«Ehi! Ma che ti prende, Franziska?!» disse, per poi accorgersi di cosa aveva combinato: il sacchetto che conteneva, a quanto pare, la nostra colazione gli era caduto di mano di riflesso per proteggersi dalla frusta, e ormai era tutto rovinato. Specialmente perché Pess non aveva perso occasione di cominciare a leccare lo zucchero sui muffin che Miles aveva comprato.
Stupita, lo guardai mordicchiandomi il labbro inferiore. Perché mi comportavo così con lui? Eppure era l’unico che dimostrava un po’ di gentilezza nei miei confronti, un po’ di affetto.
Già, era l’unico… forse per questo non sapevo mai cosa fare o cosa dire in sua presenza e finivo per creare problemi, come adesso.
«I-io… Mi d-dispiace, non volevo…» sussurrai, senza riuscire a guardarlo in faccia. E allora ricomparve davanti a me l’espressione di disprezzo di mio padre, quel viso che non riuscivo a togliermi dalla mente. Quella consapevolezza di essere imperfetta ai suoi occhi.
Una singola lacrima sfuggì al mio controllo, scivolando lungo la mia guancia, mentre alzavo gli occhi verso di lui, verso Miles.
«Oh… Frannie, ehi… va tutto bene. Non è successo niente di grave in fondo» tentò quasi di consolarmi in modo impacciato. Mi si avvicinò di un passo e cercò il mio sguardo per rassicurarmi.
«Si trattava solo di un paio di muffin, non è un problema. E guarda! A Pess piacciono» mi indicò il cane, che nel frattempo aveva già ripulito il pavimento da qualsiasi traccia di dolci.
Sorrisi leggermente, cercando di calmarmi. Non era da me comportarmi così per una sciocchezza del genere, in fondo non era successo niente, aveva ragione lui.
Miles sembrò tranquillizzarsi vedendomi di nuovo calma, e mi prese per una mano, stringendola dolcemente. Che strana sensazione tenerlo per mano, emanava un calore accogliente e leggero.
«Dovresti fare colazione, che ne dici? E visto che Pess sembra aver divorato ciò che era nostro direi di uscire di nuovo e mangiare insieme al caffè».
Non mi diede neanche il tempo di ribattere che mi trascinò fuori con lui. Menomale che mi ero già preparata di tutto punto.

---
Il mio angolino:
Scusate se sono stata un po' più lenta ad aggiornare questa volta, ma purtroppo con l'università che comincia non avrò modo di aggiornare velocemente come durante le vacanze... comunque vi prometto che continuerò a scrivere! Per questa fic ho ancora molte idee :) 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, è molto basato sulla descrizione ma mi è sembrato significativo...
A presto! 
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Bring me to life ***


Capitolo Sei – Bring me to life

“How can you see into my eyes like open doors
leading you down into my core
where I've become so numb
 without a soul my spirit sleeping somewhere cold
until you find it there and lead it back home […]

I've been sleeping a thousand years it seems
got to open my eyes to everything”

Bring me to life.

 
L’aria mattutina era fresca sulle mie spalle.
Non avevo portato una giacca con me e ora quella camicetta azzurra che indossavo mi sembrava un po’ troppo leggera. Beh, pazienza.
In fondo ero tedesca, avevo sopportato climi molto più rigidi di quello senza fare una piega, e nemmeno ora mi sarei azzardata a provare freddo o a farlo capire a lui. Ne avevo avuto abbastanza della sua giacca rossa sulle spalle.
Pess sembrava molto eccitato all’idea di fare così presto una nuova passeggiata e strattonava il guinzaglio per invitare Miles ad accelerare il passo verso il parco cittadino. Lui però lo ignorava tranquillamente, guardandosi intorno con noncuranza e restando sempre accanto a me. Aveva un leggero segno rosso sul naso, e notandolo mi mordicchiai il labbro inferiore… Uh, dovevo averlo colpito proprio per bene, ecco perché la colazione gli era caduta di mano.
«Scommetto che non eri mai venuta in questa zona della città, non è vero?» esordì, senza guardarmi effettivamente negli occhi. Io invece mi voltai verso di lui e poi verso il panorama, notando che era vero. Non avevo mai visto questo posto, la mia vecchia casa in questa cittadina era da tutt’altra parte, e non avevo mai dovuto affrontare casi che riguardassero quel parco o le zone circostanti.
«No, questo quartiere non mi è familiare. Sia la procura che il centro di detenzione sono lontani da qui» risposi tranquillamente. Stavamo parlando del più e del meno, come due sciocchi conoscenti. Dopo l’incidente appena avuto in casa non intendevo più lasciarmi andare alle emozioni o alle mie fragilità. Volevo semplicemente tornare ad essere la Franziska von Karma perfetta di un tempo.
«Ogni tanto dovresti provare ad allontanarti dal lavoro. Non è la tua vita, Frannie» commentò, sempre lasciando che lo sguardo vagasse per il parco e tenendo stretto il guinzaglio del labrador.
«Il lavoro è la mia vita, herr Miles Edgeworth. E dovrebbe essere così anche per te, se fossi stato perfetto. E smetti di chiamarmi Frannie, non abbiamo più dieci anni». Non avevo voglia di essere contraddetta in quel momento. Mi ero sentita troppo fragile e indifesa ultimamente, non volevo che le mie ultime certezze crollassero. Sarebbe stato troppo per me.
Lui sospirò, senza aggiungere altro, e proseguimmo in silenzio. Lo guardai con la coda dell’occhio, scorgendo un’espressione un po’ delusa e un po’ scoraggiata… Era per la mia risposta? Cosa voleva che rispondessi, che aveva ragione lui? Che l’essere un procuratore perfetto non era la cosa più importante?
«Cosa dovrebbe essere secondo te la vita? Qual è la cosa più importante? Non fare finta che non abbia notato quello sguardo» dissi, tutto d’un fiato. In realtà avrei preferito tenere quelle supposizioni per me, ma mi erano sfuggite di bocca e ormai non potevo che attendere il suo responso. Ero proprio curiosa di sentire cosa avrebbe detto.
«Io… non so, beh…» cominciò lui, stranamente incerto. Non me lo sarei aspettata, insomma, lui era sempre quello calmo e sicuro di sé, aveva sempre la risposta pronta per tutto. Miles era colui che avevo sempre odiato proprio per la sua perfetta maschera di tranquillità e consapevolezza, e ora stava crollando. Cosa avevo detto per renderlo così vulnerabile?
Infastidita dal suoi balbettii, lo frustai a dovere, causandogli un altro segno rosso sulla guancia rivolta verso di me.
«Non borbottare, herr Miles Edgeworth! E rispondi chiaramente alla mia domanda!» lo sgridai, in realtà senza troppa convinzione. Ero solo curiosa di sapere perché esitava tanto, che cosa aveva in mente?
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, poi, facendo ben attenzione a non guardarmi in faccia, rispose finalmente:«… credo che sia l’amore la cosa più importante».
Ero pronta a lanciargli un’altra frustata, sapevo che avrebbe detto qualche sciocchezza degna di uno sciocco come lui, ma… l’amore?! Che risposta dovrebbe essere?
Lui non era stato educato all’amore. Noi non l’avevamo mai conosciuto. Il credo dei von Karma era “essere perfetti” e la perfezione prevedeva che ogni sentimento venisse annullato e cancellato da noi stessi. Non avevo mai visto alcun sentimento di amore sul viso di mio padre, e nemmeno lui l’aveva visto. Come poteva dare quindi una risposta del genere?
L’amore era per i deboli, l’amore non faceva parte di me e mai avrebbe dovuto farne parte. Perché questa risposta mi metteva tanto a disagio? Perché non riuscivo a dire a Miles che si trattava solo di un mucchio di sciocchezze?!
Rimasi in silenzio per quello che fu un secolo, o forse di più, rimuginando sul senso della sua risposta. Lui non disse parola, e continuammo a passeggiare per il parco con Pess che correva come se fosse impazzito… quel cane doveva avere dei problemi.

Arrivammo al piccolo caffè e prendemmo posto, accomodandoci in un tavolino all’esterno per non disturbare i clienti a causa del cane, saldamente legato alla sedia di Miles. Speravo solo che non vedesse qualcosa – come una farfalla o un postino – che potesse indurlo a correre via, scaraventando la sedia e il suo padrone per terra. Anzi, pensandoci la scena sarebbe stata davvero divertente, chissà che non potessi convincere Pess a farlo con la forza del pensiero? Mi piaceva l’idea di umiliare il mio fratellino.
Sorrisi mentre prendevo un sorso dalla mia tazza di tè e lui dovette notare questo mio improvviso cambio d’umore, perché subito disse «Sembri felice, a cosa stai pensando?»
Presa alla sprovvista dalla sua improvvisa domanda, ripescai qualcosa a cui avevo pensato quando ero ancora in Germania e mi stavo organizzando per questo breve viaggio negli Stati Uniti, e gli risposi in fretta e furia. Non volevo che sapesse che stavo pensando a una sua possibile brutta figura in pubblico a causa del suo labrador, non volevo che pensasse che io stavo pensando a lui. Non sapevo esattamente perché.
«Sto valutando l’idea di restare qui in America ancora per un po’… in fondo qui non è così male come mi ricordavo» sorrisi tranquillamente. Sapevo che mi avrebbe chiesto come mai avevo intenzione di restare, aspettavo solo che lo facesse.
Lui sembrò rimanere stupito per qualche motivo, poi guardandomi e abbassando la voce mi chiese «Ma Frannie… Domani c’è il funerale del signor von K… cioè di tuo padre. Credevo che avessi intenzione di assistere» si era piegato verso di me, come per non farsi sentire dalla gente.
Che c’è? Credeva che avrei avuto un crollo emotivo a sentir parlare di mio padre o qualcosa del genere? Io ero tranquillissima!
Come a sottolineare i miei pensieri, strinsi la frusta tra le mani in segno di minaccia e alzai lo sguardo ad incontrare il suo in modo deciso: volevo fargli capire una volta per tutte che proprio non avevo nessun problema a parlare della sua… morte. Era una cosa che succedeva a tutti, in fondo. Anche se certo non tutti morivano in modo così crudele… ma lui se l’era meritato, era la punizione giusta per i suoi crimini, lui aveva distrutto la vita di Miles!
Mi avvicinai a mia volta a lui e sussurrai, per farglielo capire bene.
«Non mi importa proprio nulla di lui. Io resterò qui, herr Miles Edgeworth, per migliorare il mio record di vittorie perfette e per sconfiggere te e herr Phoenix Wright in tribunale!»
Lui si allontanò di scatto e mi fissò prima turbato e poi deluso dalla mia risposta. Sapevo perfettamente cosa stava pensando: non ero cambiata affatto e non avrei mai capito che la perfezione era solo una chimera. Si si, avevo già sentito molte volte questo discorso, e lui sapeva esattamente cosa ne pensavo.
«Sai che è inutile che fai quella faccia, la perfezione resta sempre la mia priorità. Anche se tu hai dimenticato cosa significa fare parte della famiglia von Karma per abbracciare gli sciocchi valori dei tuoi amici americani, io non sono intenzionata a fare lo stesso».
Incrociai le braccia, poggiando di nuovo sullo schienale e guardandolo con un’aria di superiorità perfettamente calcolata. Spesso avevo desiderato che si pentisse, che tornasse ad essere anche lui il Miles perfetto che mio padre aveva creato, ma ormai mi ero resa conto che era impossibile per lui tornare ad esserlo. Si era troppo allontanato dal nostro credo, non sarebbe più stato come me. Il che forse era un bene, insomma, non avrei avuto concorrenza!
«So che è impossibile convincerti del contrario, Franziska, quindi non ho intenzione di parlarti ancora dell’inesistenza della perfezione. Solo… sei davvero sicura di non voler essere presente al funerale? Potresti tornare dopo la cerimonia, e io potrei ospitarti per tutto il tempo che vuoi, se vuoi restare qui in America». Nei suoi occhi sembrava di leggere una sincera preoccupazione nei miei confronti, quasi pensasse che fosse davvero necessario per me tornare in Germania, anche solo per alcuni giorni.
Ma… la verità è che proprio non potevo. Dovevo occuparmi di alcune faccende, e dovevo farlo in tempo. Se mi fossi allontanata per assistere alla sepoltura non avrei più avuto la possibilità di modificarlo…
Però non potevo riferirgli questi miei piani, e dovetti ripiegare su un secco no, senza alcuna spiegazione. Mi dispiaceva un po’ nascondergli i miei progetti ma era necessario: ciò che avevo intenzione di fare non era esattamente legale.

Dopo la colazione, decidemmo in tacito accordo di continuare la nostra passeggiata nel parco, anche perché Pess sembrava fremere d’eccitazione all’idea di esplorare quelle aiuole piene di fiori. All’inizio avevo pensato di tornare in camera e non seguirli nel loro piccolo giretto, ma in fondo non avevo niente da fare in casa, e prendere una boccata d’aria non mi avrebbe fatto male.
Dopo ben cinque minuti di silenzio, Miles si decise a parlare, con un sospiro quasi depresso.
«Quando morì mio padre ero piuttosto giovane, come sai, e il signor von Karma non mi permise di assistere al suo funerale. Disse che non era necessario e che avrei dovuto seguirlo in Germania, dove si sarebbe ritirato per una vacanza di alcuni mesi. La sua unica vacanza, in tutta la sua carriera perfetta».
Lo ascoltai in perfetto silenzio, limitandomi solo ad annuire. Non sapevo dove aveva intenzione di andare a parare con quel discorso, ma l’avrei lasciato fare: era raro che Miles raccontasse qualcosa sulla sua vita, ancora di più se si trattava della sua vita da giovane, quando era stato colpito da quella disgrazia.
«Ero solo un bambino, un ragazzino che aveva perso tutto e che vedeva nel signor von Karma l’unico a cui importava di lui… lo ascoltai senza dar troppo peso al fatto che sarei mancato all’ultimo addio a mio padre».
«Hai preferito dare ascolto al suo assassino» dissi senza volerlo, non avevo intenzione di ferirlo con le mie parole troppo dirette. Mi tappai la bocca in un gesto spontaneo, mentre lui si voltava a guardarmi.
«Es tut mir leid, Miles, scusami! Non volevo essere scortese…» sussurrai mortificata. Non era da me, lo sapevo, ma quando si trattava del suo passato avevo sempre cercato di essere il più delicata possibile. E avrei dovuto esserlo ancora di più adesso che sapevo cosa significava perdere un genitore…
Mia madre era morta quando io ero ancora in fasce, non erano mai state chiarite le circostanze della sua morte e io non mi ricordavo affatto di lei, ma sentendo le parole pronunciate da mio padre al nostro ultimo incontro… credevo che l’avesse uccisa lui. Ne ero quasi certa, eppure non volevo saperlo. Non avevo mai sofferto troppo per la sua mancanza, ma avevo sempre immaginato che se non fosse scomparsa così presto mi avrebbe cresciuta lei, con molto affetto.
«Non fa niente, Franziska. In fondo hai ragione tu… anche se allora non sapevo niente. Nel corso degli anni a venire comunque mi pentii moltissimo di non essere stato presente per lui, di non averlo salutato. Frannie, sei davvero sicura di non voler andare…?»
Dovevo immaginare che lo scopo di quel racconto fosse proprio questo: voleva che partecipassi al funerale di mio padre. Ma lui non capiva! Non poteva capire che il suo funerale non sarebbe stato come quello di qualunque altra persona. Il suo sarebbe stato il funerale di un assassino, e io non avevo alcuna intenzione di partecipare.

---
Il mio piccolo angolo:
Ero un po' riluttante nel pubblicare questo capitolo perché purtroppo non ho pronto il seguente (quindi non so proprio quando posterò la prossima volta) ma non volevo farvi attendere oltre. Come al solito poche azioni e troppa descrizione perdonatemi XD Spero che comunque vi piacerà!
Faccio un salutino alle mie fidate Emma e Ale che non smettono mai di recensire! 
Nel prossimo capitolo ci sarà un evento importante, ma non riuscirete a immaginarlo, visto che riguarderà un personaggio che non è ancora stato presentato nella fic... Volete provare a indovinare? :3

A presto!
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** In the end ***


Capitolo Sette – In the end
 

“It's so unreal
Didn't look out below
Watch the time go right out the window
Trying to hold on, but didn't even know
Wasted it all just to watch you go
I kept everything inside and even though I tried, it all fell apart”
 
In the end.


Erano passati già due giorni dal funerale.
Avevo fatto finta di niente e non ero tornata nel mio paese d’origine, non l’avevo fatto nemmeno quando mi era stata consegnata una lettera molto cortese in cui mi era stato chiesto di partecipare. No, avevo di meglio da fare.
Dovevo occuparmi di nuovi casi, nuovi colpevoli da far sbattere in cella, nuove questioni. Soprattutto una questione in quel momento mi stava a cuore, e tentavo di chiudere la faccenda il più presto possibile, prima che qualcuno potesse venire a protestare o a chiedermi spiegazioni. Mentre analizzavo il dossier di un vecchio caso che sembrava in qualche modo collegato a quello a cui stavo lavorando, sentii bussare alla porta. Non mi curai nemmeno di alzare gli occhi, sapevo che Herr Sciattone sarebbe entrato per consegnarmi dei documenti di cui avevo bisogno assolutamente.
Aspettai alcuni secondi, aspettandomi che entrasse senza chiedere il permesso. Ero pronta a frustarlo come si meritava e, anzi, stavo cercando un pretesto per farlo. Non che ne avessi bisogno, ovviamente.
Non successe niente e io alzai gli occhi, scocciata.
«Herr Sciattone! Quanto ci vuole per entrare e portarmi quei documenti?!» dissi ad alta voce, per farmi sentire da lui. Ma la voce che sentii dall’altra parte non fu quella che mi aspettavo.

La donna che era venuta a farmi visita dimostrava circa trentasette anni, al massimo quaranta, ma sapevo che ne aveva esattamente trentotto in realtà.
Il suo fisico era slanciato e stava seduta perfettamente dritta e composta sulla poltrona di fronte alla mia scrivania, con le mani guantate perfettamente appoggiate sulle gambe. I suoi vestiti erano eleganti, antiquati e impreziositi da una spilla di zaffiro sul petto simile alla mia, i merletti le davano un’aria austera. Il suo sguardo invece era rigido e solenne, freddo come il ghiaccio, quasi come una di quelle maestre d’altri tempi che erano capaci di punizioni terrificanti per i loro alunni.
Insomma, avevo esattamente capito chi avevo di fronte, anche se non avevo alcun ricordo di lei.
«Was verschafft mir die Ehre dieses Besuchs, Schwester? [A cosa devo l’onore di questa visita, sorella?]» chiesi, senza troppi giri di parole.
Angelika Viktoria von Karma era la mia unica sorella maggiore, ma potevo vantare di non averla mai vista in tutta la mia vita: era molto più grande di me – ben diciotto anni! - e, quando io ero nata, era già stata mandata da mio padre a studiare i metodi giuridici stranieri all’estero, per diventare il procuratore perfetto. Tutto di lei doveva essere perfetto, persino il suo nome: Angelika, come la madre di mio padre che non avevo mai conosciuto, Viktoria… beh, non c’era nemmeno bisogno di spiegare che il nome rimandava a ciò a cui era stata destinata. Vittorie perfette sempre e comunque.
Non sapevo molto di lei, tranne che aveva tradito il credo dei von Karma quando aveva solo vent’anni per seguire in un paese lontano un giovane avvocato difensore, che poi divenne suo marito. Seppi che morì in un incidente d’auto anni dopo soltanto sentendo dell’accaduto in televisione, visto che non avevo mai avuto nessun tipo di rapporto con lei, e non mi curai nemmeno di farle una telefonata per dirle che mi dispiaceva per la sua perdita.
Non potevo nemmeno considerarla una sorella. Per certi aspetti, Miles era stato per me un fratello molto più di lei, anche se nelle nostre vene non scorreva lo stesso sangue.
Lei mi posò addosso i suoi freddi occhi color ghiaccio tanto simili ai miei, e si scostò una ciocca di capelli cerulei dal viso. Era l’unica altra donna che conoscevo ad avere i capelli di quel colore, oltre me.
«Saltiamo i convenevoli, Schwester. Sai esattamente perché sono venuta a cercarti ed esigo immediatamente una spiegazione».
La sua voce era fredda e tagliente come il suo sguardo, e solo in quel momento mi resi conto di trovarmi davvero di fronte a una perfetta estranea. Non sapevo niente di quella donna, non le avevo mai parlato. Lei non mi aveva mai cercato, non aveva voluto conoscermi, ed ora veniva qui a dirmi e con questo tono credeva di poter esigere qualcosa da me?!
Stavo per aprir bocca, quando una voce melodiosa e infantile mi interruppe.
Una bambina che poteva dimostrare al massimo sette anni sedeva sul divanetto azzurro del mio studio, giocherellando con un cucciolo di spitz tedesco che, non sapevo ancora come, avevo accettato di far entrare insieme alla piccola.
«Phoenix, Phoenix!» rise leggermente, mentre quel minuscolo Hund cercava in tutti i modi di leccarle la faccia «Also habe ich zu kitzeln! [Così mi fai il solletico!]»
La madre si voltò verso di lei con uno sguardo che, credevo, l’avrebbe trafitta e uccisa in un attimo. Con una sorta di tristezza nel cuore mi resi conto che la sua espressione era identica a quella di mio padre quando mi sgridava, cioè terribile… per un attimo mi ricordò il momento della sua morte, e con un brivido scacciai il pensiero. Non era certo quella l’occasione giusta per lasciarsi andare a quel ricordo doloroso.
«Annika! Sit komponiert und sich wie ein von Karma! [Siediti composta e comportati come si conviene a una von Karma!]» la sgridò, non esattamente urlando ma scandendo le parole una per una. Come un vero ordine.
Quando immaginavo mia sorella, avevo sempre pensato che fosse una sciocca imperfetta per nulla dissimile da… non saprei, da tutte le altre sciocche di questa nazione? Non credevo che invece fosse così somigliante a mio padre. Forse aveva tradito il nostro credo sposando un avvocato difensore contro il volere di nostro padre, ma era per certi versi una von Karma migliore di me. Io, odiavo ammetterlo, non riuscivo a mascherare così bene i miei sentimenti. Non riuscivo ad essere così fredda… almeno credevo.
La bambina a quell’ordine scattò, sedendosi immediatamente come una signorina ben educata e tentando di tenere il cagnolino a bada. Quello però non sembrava essere contento di essere costretto a stare fermo e buono: scese dal divanetto e corse dall’altra parte della stanza, urtando un tavolino su cui era poggiato un rarissimo vaso che avevo portato dal mio ultimo viaggio di lavoro in Borginia. Ovviamente andò in frantumi.
Annika si portò le mani davanti alla bocca con un gridolino e subito mi guardò con quegli enormi occhioni azzurri pieni di lacrime.
«Es tut mir leid Tante Franziska! es ist alles meine Schuld! [Mi dispiace zia Franziska! E’ tutta colpa mia!]» si alzò correndo verso il cucciolo – credevo che si chiamasse Phoenix, che strana coincidenza poi! – e lo prese in braccio mentre quello si dimenava cercando di sfuggirle. Guardò sua madre con uno sguardo più terrorizzato che colpevole e la prima cosa che pensai fu a quando combinavo un guaio e al modo in cui mio padre mi puniva… con il suo bastone da passeggio…
«Non è niente! Non sgridarla, davvero, non era un vaso costoso o importante. Ne prenderò un altro» dissi di getto, non volendo che la bambina venisse punita. A volte non riuscivo proprio a controllarmi e in quel momento volevo soltanto proteggere quella bambina… vedevo già nei suoi occhi il dolore che avrebbe subito per quel piccolo errore. Aveva avuto un’infanzia se possibile peggiore della mia, io almeno avevo avuto Miles accanto a me.
«Nichte Annika, sie haben nichts falsch gemacht [Nipotina Annika, non hai fatto niente di male]» cercai di tranquillizzare la piccola. Lei, quasi stupita dal sentirsi dire quelle parole, fece qualche passo verso di me con un mezzo sorriso sulle labbra.
Mi soffermai a pensare che in effetti mi somigliava molto. Aveva i miei stessi occhi e i miei stessi capelli color cielo, la stessa paura dei genitori che avevo avuto io, lo stesso sguardo… Sentii di avere un legame con quella kleine Mädchen [piccola bambina].
« Annika! Zu Hause sprechen Sie über Ihre unangemessenes Verhalten… [A casa riparleremo del tuo comportamento inappropriato]» la sgridò ancora mia sorella. La povera piccola, terrorizzata dalle minacce della madre, gemette e cominciò a piangere. Poi, guardandosi intorno come alla ricerca di un rifugio, aprì il vano di un armadietto sotto la mia libreria, e si chiuse lì dentro insieme al suo cane. Probabilmente avrebbe preferito sparire invece di subire i rimproveri di Angelika.
Dopo un momento di silenzio decisi di parlare.
«Non dovresti essere così dura con lei».
«Queste non sono faccende che ti riguardano, Schwester. Non cercare di cambiare discorso. Devi dirmi esattamente che cosa hai combinato! So che l’hai manomesso!» mi minacciò, alzandosi dalla poltrona e sporgendosi verso di me con un’occhiata terribile.
Io non battei ciglio e con un sorrisetto falsamente innocente, scandii le parole: «Non so di cosa tu stia parlando».
«Oh, lo sai eccome Franziska! Voglio, anzi pretendo, una spiegazione da te!» il suo tono di voce era abbastanza alto adesso, tanto che mi chiesi se qualcuno fuori dall’ufficio ci stesse sentendo. Non sia mai che per la procura giri il pettegolezzo che la sorella del procuratore von Karma non riusciva a mantenere la calma, non avrei sopportato altre dicerie sul mio conto. Mi bastavano già quelle secondo le quali fosse “strano” che io e Miles condividessimo la stessa casa, avevo addirittura sentito dire ad un agente di passaggio che si diceva che condividessimo anche lo stesso letto. Ma come si permettevano?!
«Schwester, calmati per favore. Non è necessario che ti agiti così, ti spiegherò tutto» tanto, mi dissi, avrei dovuto farlo comunque prima o poi «Anzi, vado un attimo a prendere i documenti nel mio archivio, così potrai capire cosa ho dovuto fare» conclusi, per poi alzarmi e andare verso la porta del mio archivio privato, una stanzetta attigua al mio ufficio.
Angelika sembrò calmarsi e si sedette di nuovo sulla poltroncina, riprendendo il suo controllo perfetto e la sua posa iniziale. Sembrava una statua. Dopo l’ultimo sguardo verso di lei, entrai nell’archivio.

Non capii subito cos’era successo in quella stanza, quando tornai da mia sorella.
C’era uno strano odore, ma non riuscivo a classificarlo.
C’era qualcosa per terra, qualcosa di rosso, ma non era il mio grande tappeto persiano.
C’era anche una strana atmosfera, quasi irreale… Mi ci volle mezzo minuto buono per rendermi conto di cosa era accaduto, della scena che mi si presentava davanti.
La poltroncina su cui prima sedeva mia sorella era rovesciata a terra, sul parquet di legno scuro si allargava una piccola pozza di liquido rosso. Il mio cervello non voleva registrare, non voleva capire, non voleva accettare. Ma io me ne resi conto lo stesso.
«Schwester!» urlai, gettando i documenti che avevo in mano per aria, e correndo immediatamente al fianco di mia sorella, che giaceva al centro della stanza sporca di sangue fresco. I suoi occhi erano aperti in un’espressione sconvolta, ma erano spenti. Il suo collo era segnato di rosso e pieno di lividi scuri che lo circondavano.
Strozzata, diceva il mio cervello, morta soffocata.
Cercai in tutti i modi di rianimarla, di chiamarla, di svegliarla, anche se tutti i segni mi dicevano che era ormai morta non volevo accettarlo. Non anche lei, non un altro membro della famiglia che mi abbandonava!
I suoi vestiti sembravano strappati da qualcosa, e in questi strappi potevo vedere delle ferite che conoscevo alla perfezione. La mia frusta!
L’arma del delitto era accanto alla testa di mia sorella, macchiata dal suo sangue. Qualcosa mi diceva che non dovevo prenderla, qualcosa mi ricordava che così avrei inquinato le prove. Ma in quel momento non riuscivo a ragionare e la presi comunque in mano. Chi aveva usato la mia arma per uccidere la mia unica sorella? Chi era stato?!
«Schwester! Nein… Kleine Schwester, warum? Nein… [No… Sorellina mia, perché? No…]» cominciai a dire, carezzandole i capelli e con le lacrime agli occhi. Avrei dovuto chiamare i soccorsi… avrei dovuto chiamare la polizia… ma io non riuscivo a… pensare…
Sentii qualcuno che apriva la porta, un passo dentro la stanza e poi silenzio per un attimo. Non riuscii ad alzare lo sguardo per vedere di chi si trattasse, non riuscivo a capire nulla.
Mi sentivo persa, mi sentivo vuota.
E mi resi conto che l’unica persona di cui avevo assolutamente bisogno in quel momento era lui.
Miles.

---
Angolino di Kir:
Sicuramente non vi sarete aspettate di leggere della sorella di Franziska, mai citata nei giochi direttamente, ma solo attraverso la piccola Annika nominata da Manfred. In questa fic sto nominando molti personaggi solo accennati nei giochi, a partire da Pess... ma devo dire che mi diverto a farlo :)
Mmhh, cosa starà combinando Frannie per attirare l'attenzione di una sorella mai vista prima? E cosa sarà successo ad Angelika von Karma? Lo scoprirete nel prossimo episodio (forse)! 
A presto un bacio alle mie care lettrici!
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Run ***


Capitolo Otto – Run


“And I can barely look at you
But every single time I do
I know we’ll make it anywhere
Away from here

To think I might not see those eyes
Makes it so hard not to cry
And as we say our long goodbye
I nearly do”

Run.

 
{Miles Edgeworth}
 
Quel giorno ero nella scena di un delitto al Lordly Taylor, un centro commerciale non troppo distante dalla procura. Stavo investigando su un caso di poco conto, la verità sarebbe stata rivelata molto facilmente, o almeno era quello che prevedevo.
La scientifica stava facendo gli ultimi esami sul caso, e io stavo aspettando che il detective assegnato a questo luogo mi consegnasse il rapporto, prima di tornare in ufficio, prima di tornare vicino a lei.
Sapevo che non era molto professionale, ma non riuscivo a non pensare continuamente a lei in questi ultimi tempi. Era come se la vedessi dappertutto: nel cielo azzurro di quella giornata oltre la finestra, nei ghirigori color zaffiro che impreziosivano le pareti di quella stanza in cui si era consumato il delitto, anche nell’incompetenza di quegli agenti riuscivo a vedere Franziska, magari mentre li frustava.
Riuscivo persino a immaginare il movimento elegante del suo polso mentre si accaniva su quei poveri poliziotti… magari solo con un asciugamano addoss… Ehi basta Miles!
Avrei dovuto smetterla di pensare a queste cose, anzi non avrei dovuto pensarle affatto! Perché la mia mente indugiava così tanto in lei? Non mi era mai successo prima d’ora.
Non capivo proprio cosa mi stava succedendo, non volevo pensarci affatto.
Lei era mia sorella. Punto.
Forse ero solo preoccupato per quello che stava passando ultimamente… si, doveva essere questo. Doveva essere per forza questo.
Mentre mi torturavo mentalmente per convincermi di quello che stavo pensando, il mio cellulare prese a squillare improvvisamente. Mi fece quasi saltare in aria per quanto mi ero distaccato dalla realtà pensando a lei, quindi lo presi in mano con un’espressione decisamente irritata e lessi il nome di chi mi cercava.
Gumshoe. Sospirai, sperando solo che non mi stesse chiamando ancora per lamentarsi del fatto che Franziska gli avessere dimezzato lo stipendio. Accadeva spesso, ultimamente.
«Pronto? Parla Edgeworth» risposi alla chiamata con la mia solita calma.
«Signore! Oh, menomale che hai risposto subito alla chiamata, amico!» disse lui, senza curarsi di avermi prima dato del lei e poi del tu. Credevo che il detective non si accorgesse nemmeno della differenza. Rettifico: ne ero certo.
«Gumshoe, sai che sono occupato. Cos’è successo?» chiesi, senza troppe aspettative. Sapevo che probabilmente non era nulla di importante, ma decisi di stare ad ascoltarlo: almeno mi avrebbe distratto da una certa persona sempre nei miei pensieri.
«E’ per il procuratore von Karma, signore! Lei...» ecco lo sapevo, era sempre la stessa storia! Decisi di interromperlo prima che cominciasse a lamentarsi come al solito.
«Ti ha ridotto di nuovo lo stipendio? Detective ti ho già detto che non voglio essere disturbato per certe cose di poco conto» anche se di certo per lui non lo erano. Rischiava di lavorare gratis se Franziska avesse ancora infierito sul suo stipendio. Feci appunto mentale di dirglielo questa sera quando saremo stati soli a casa, poi feci per riattaccare.
«No, signore mi ascolti! Il procuratore è… è stato arrestato! Per omicidio!» disse ancora il detective. Il mio dito si fermò appena in tempo prima di chiudere la chiamata e rimase in sospeso. Io restai in sospeso e in silenzio. Che cosa aveva appena detto? Sicuramente non avevo sentito bene… Sicuramente si sbagliava. Che…?
«Signor Edgeworth, è ancora lì? Le ho detto che Franziska von Karma è stata arrestata. Credevo che volesse saperlo. Si trova al centro di detenzione in questo momento…»
Non era possibile, non era possibile. Lui si sbagliava! Franziska non potrebbe mai uccidere nessuno, lei non lo farebbe mai! Lei non era suo padre, non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Cos’era successo allora?
«Signore…» stava dicendo ancora Gumshoe, ma lo interruppi subito.
«Chiama Wright e digli di venire subito al centro di detenzione. Tu resta lì, detective. Non lasciare Franziska da sola» dissi velocemente, mentre il mio cervello ripartiva in quarta. Dovevo risolvere questo caso e dovevo farlo immediatamente! Chissà come si sentiva Frannie in quel momento?
Confusa, al freddo, spaventata… sola.
No, non potevo lasciarla sola un minuto di più.
Senza avvisare nessuno andai via dal Lordly Taylor e guidai di corsa, senza seguire alcun limite di velocità, verso il centro di detenzione.
 
Lasciai la mia auto rossa fiammante dove non era consentito, senza rendermi nemmeno conto di ciò che facevo. Che importava di trovare la multa al mio ritorno? Che importava se mi avessero portato via la macchina? L’unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento era la povera Frannie in una fredda cella del centro di detenzione. Quello non era esattamente un bel posto dove stare, e provare quell’esperienza doveva averla distrutta.
Non volevo nemmeno immaginare come il suo orgoglio fosse ferito. Chi era stato quell’idiota che l’aveva arrestata lasciando scappare il vero assassino?!
Perché io ne ero stato assolutamente certo fin dall’inizio: non era stata lei. Come avrebbe potuto?
Irruppi nell’atrio grigio, incrociando subito lo sguardo del detective Gumshoe, che sembrava a disagio mentre spostava il peso da una gamba all’altra. Sembrava che non avesse di meglio da fare. Ma non gli avevo detto di restare con lei?!
Mi vide e ma non ebbe il tempo di avvicinarsi, poiché io lo raggiunsi a grandi falcate.
«Signor Edgeworth! La signorina von Karma… lei…» balbettò senza senso, forse un po’ stupito dalla foga con cui ero arrivato e dalla mia espressione turbata. Di solito non perdevo mai la calma, questo mio atteggiamento probabilmente doveva averlo sconvolto.
«Gumshoe! Dov’è lei? Dov’è? Perché non sei rimasto con lei? Chi è quello sciocco che l’ha arrestata? Che cos’è successo?!» chiesi tutto d’un fiato.
Non mi resi conto di starlo praticamente tenendo per la giacca in modo evidentemente aggressivo finché non cercò di scostarsi e di riprendersi il suo impermeabile sgualcito con un’occhiata imbarazzata. Lo lasciai andare di colpo, facendogli perdere quasi l’equilibrio, per poi fissarlo in silenzio e cercando di respirare profondamente.
«Signore, è strano doverglielo dire ma… si calmi! Le spiegherò tutto mentre andiamo nella sala visite». Si rassettò gli abiti mentre lo diceva, poi ci avviammo insieme.
Io cercai di riprendere il mio solito atteggiamento di apparente calma, ma sapevo che oggi non ci sarei proprio riuscito. Detestavo ammetterlo, ma non potevo sopportare l’idea di Frannie in cella.
Forse era perché la conoscevo meglio di chiunque altro. Solo io sapevo che sarebbe stata non solo ferita da una situazione del genere, che avrebbe attirato negativamente l’attenzione della stampa su di lei, l’erede dei von Karma, ma anche spaventata dalla possibilità di venire condannata.
Già, si sentiva sicuramente come me, quando fui arrestato e credevo di non avere più speranze.
Nessun avvocato avrebbe avuto il coraggio di prendermi come cliente, non dopo che avevo fatto condannare tutti i suoi clienti, e sarei stato spacciato se non ci fosse stato Wright. Lui mi aveva salvato, e mi aveva anche cambiato. Quel caso resterà sempre dentro di me…
Procedevo in silenzio, rimuginando su tutto ciò, finché il detective non cominciò spontaneamente a parlare. In quel momento sicuramente non era certo delle mie facoltà mentali, e aveva preferito procedere.
«Questa mattina la vittima, il procuratore von Karma, si è recata nell’ufficio del procuratore von Karma, per discutere…» partì lui, ma subito lo interruppi. Era possibile avere un resoconto con un minimo di senso da parte sua?
«Gumshoe, sii chiaro e non confondere la vittima con l’imputata. Chi è stato assassinato?» dissi con un tono autoritario, quasi se stessi parlando di uno dei miei clienti con cui non avevo alcun legame. In quel momento dovevo essere professionale e cercare di capire bene i fatti per giungere alla verità. Chi cercava di incastrare Franziska?
«Certo, signore. La vittima è il procuratore von Karma, signore…» rispose, ed io ebbi quasi un mancamento. Mi dovetti fermare, la testa mi girava e non mi sentivo per nulla bene, quasi ci fosse stato un terremoto di cui non mi ero accorto.
«La vittima… è… Franziska…?» sussurrai quasi tremando. Gumshoe sembrò prima spaventato, poi imbarazzato, e infine sorrise in quel suo modo che lei amava definire sciocco.
«Oh oh oh, no signore, non si spaventi! La sua ragazza sta bene, è l’altro procuratore ad essere stato ucciso, Angelika von Karma».
Ripresi fiato, prima di rendermi conto di due cose.
Primo, il detective aveva definito Frannie la mia ragazza. Come poteva solo pensare una cosa del genere?! Insomma, noi dopotutto eravamo fratelli. Non di sangue, certo, ma comunque dovevamo definirci tali visto che il signor von Karma mi aveva in un certo senso adottato. Lei l’avrebbe frustrato mille volte sentendogli insinuare una cosa del genere… le bastavano già tutte le voci di corridoio che giravano su di noi per la procura. Sapevo che la mettevano a disagio, anche se a me per certi versi non dispiacevano: insomma, Franziska era una così bella ragazza e beh… io… Oh Miles ma che vai a pensare?! Questo non è esattamente il momento per soffermarti su certi particolari!
Ahem… tornando al mio discorso mentale.
Secondo, la vittima era il procuratore Angelika von Karma, sua sorella. Persino io non mi ricordavo assolutamente di lei: a volte mandava qualche lettera scritta perfettamente al padre, ma io non l’avevo mai conosciuta di persona e non riuscivo proprio a capire cosa la portasse qui negli Stati Uniti per far visita a una sorella che non aveva mai visto prima.
Non ebbi il tempo di rispondere, poiché arrivò Wright, come al suo solito di corsa e per nulla elegantemente, e la sua assistente sensitiva Maya Fey.
«Edgeworth! Il detective Gumshoe mi ha detto che era un’emergenza e che dovevo venire subito qui, che cos’è successo?» chiese un po’ confuso. Sospirai considerando l’idea di dimezzare ancora lo stipendio di quell’uomo che lavorava da anni insieme a me. Perché era stato tanto incompetente da non spiegare nemmeno a Wright cos’era successo?
Notando la mia occhiata di rimprovero, il detective cominciò a spiegare con chiarezza la situazione.
«Questa mattina Angelika von Karma si è recata in visita nell’ufficio della sorella Franziska. Lì hanno avuto un diverbio, di cui sono testimoni alcuni agenti assegnati al corridoio, che hanno sentito delle voci discutere all’interno della stanza.       Quando io, signore, sono tornato per consegnare dei documenti al procuratore, l’ho trovata inginocchiata accanto al corpo della vittima, mentre stringeva ancora l’arma del delitto e pronunciava parole sconosciute. Ah, e piangeva, amico. La signorina von Karma piangeva a dirotto!» concluse lui, evidentemente sconvolto dalle sue stesse parole.
Vedere Franziska piangere non era un bello spettacolo, anzi era la cosa che odiavo di più. Quel volto non poteva essere rigato dalle lacrime, mi spezzava il cuore ogni volta, anche se tentavo di non darlo a vedere. Ricordavo ancora com’era scoppiata in lacrime due anni fa, quando era fuggita via dall’America con la grande offesa di essere stata sconfitta in tribunale… i suoi occhi addolorati mi avevano quasi spinto a perdere la mia aria calma e composta per correre ad abbracciarla. Ma poi lei mi aveva detto chiaramente “Ti odio, herr Miles Edgeworth” e non ce l’avevo fatta, l’avevo lasciata andare.
Tuttavia, sapevo che il suo odio nei miei confronti non era vero, o volevo convincermi che non lo fosse mai stato, e adesso ero lì per aiutarla. Non dovevo rivangare il passato.
«Quindi l’hai arrestata tu, Gumshoe? Hai arrestato Franziska?» chiese Maya al detective, chiaramente sorpresa dalla situazione. Dal tono di voce che aveva usato mi sembrava di capire che lei e Wright non avrebbero mai dubitato di Frannie… beh, era un buon inizio. Speravo solo che non avessero dei preconcetti su di lei solo per il fatto di essere figlia di quel mostro.

Ci dirigemmo velocemente verso la sala visite, e lì la trovai.
Non riusciva ad alzare lo sguardo, non riusciva a guardarci negli occhi.
Franziska era seduta, i capelli imperfettamente scompigliati e gli abiti sgualciti… non mi sembrava nemmeno lei! Erano certi di aver chiamato l’imputato giusto?
«Non riusciamo a cavarle una parola, signore. Continua a mormorare parole sconnesse e senza senso e gli psicologi non riescono a capirla» disse l’agente che era a guardia della sala, quasi si sentisse in dovere di avvisarmi subito.
Non riuscivo a credere che Frannie fosse in questo stato, non era da lei. Persino quando era morto suo padre si era ripresa velocemente, tornando ad essere il procuratore perfetto, il che non mi aveva stupito poi così tanto: era brava a fingere.
Ma adesso proprio non ci riusciva, come mai? Davvero la morte di una sorella che non aveva mai conosciuto era per lei più importante della morte di un padre, seppur freddo e crudele, che l’aveva cresciuta?
Mentre mi soffermavo a pensare a tutte queste cose, Wright cercava di avvicinarsi il più possibile al vetro, per sentire le parole che Franziska continuava a mormorare tra sé, singhiozzando.
«Non ci capisco una parola, Edgeworth! Che sta dicendo?» il suo sguardo sembrava turbato. Speravo solo che non avesse cambiato idea! Se avesse rifiutato il caso, non avrei saputo proprio a chi rivolgermi: non c’era un avvocato in tutta la nazione, se non in tutto il mondo, che si sarebbe occupato della difesa di un procuratore perfetto che aveva incriminato ogni imputato senza pietà.
Mi avvicinai anch’io al vetro che divideva me e Franziska, e cominciai a percepire ciò che diceva, anche se si trattava solo di sussurri.
«Meine kleine Schwester… Wie ist es möglich? Warum…? Ich verstehe nicht… [Sorellina mia... com'è possibile? ...Perché? Io non capisco...]».
Ricacciai indietro le lacrime, ma sapevo che il mio volto mi tradiva. Franziska era ancora in stato di shock e nessuno si stava occupando di lei! Nessuno riusciva a capire come si sentiva, nessuno era stato capace di confortarla!
«Non sono parole senza senso! E’ tedesco. Nessuno si è reso conto che è ancora sconvolta per aver trovato il corpo di sua sorella?!» ero furioso. Era così difficile trovare un interprete in questa sciocca nazione? Mi resi conto solo dopo di stare pensando nello stesso modo in cui probabilmente pensava lei. Beh, a volte aveva ragione!
Mi voltai verso di lei, poggiando una mano sul vetro e desiderando di poter essere molto più vicino di così, di poterla abbracciare e poterle fare dimenticare tutto ciò che aveva visto. Volevo confortarla.
«Frannie, ich bin… Ich bin Miles. Ich bin hier für Sie, fürchte dich nicht. [Frannie, sono io... Sono Miles. Sono qui per te, non avere paura.]» sussurrai, quasi più piano di lei. Speravo che mi ascoltasse, speravo che almeno con me riuscisse a stare bene.
Alzò lo sguardo lentamente, prima guardandosi intorno in modo quasi frenetico, poi poggiando su di me i suoi bellissimi occhi azzurri, adesso terrorizzati e che sembravano urlare “Miles, ho bisogno di te!”. E per una volta non ero io a correre troppo con la fantasia, sapevo benissimo che solamente io potevo in qualche modo confortarla, se solo avessi potuto rompere quel vetro e correre da lei!
Rimase in silenzio per un attimo, poi poggiò a sua volta la mano sul vetro, tentando di sfiorare la mia, e con le lacrime agli occhi gemette «Ist tot, Miles! Meine Schwester Angelika… jetzt, da ich wusste, schließlich…! [E’ morta, Miles! Mia sorella Angelika… adesso che le avevo conosciute, finalmente…!]»
Oh Franziska! Chissà che idea ti eri fatta di tua sorella, chissà come l’avevi sempre immaginata! Forse per te era stata davvero una sorpresa la sua visita, forse credevi che finalmente avreste formato una vera famiglia. Sarà per questo che adesso stai soffrendo tanto?
Wright si avvicinò a me lentamente, per non urtare Franziska facendo dei movimenti troppo bruschi: in quel momento la stavamo trattando come se fosse fatta di vetro, o forse come una belva feroce che non si voleva far attaccare.
Sedendosi accanto a me, mi chiese piano «Che cosa sta dicendo? Riesci a capirla?»
Avevo capito che voleva qualche informazione, qualche prova che potesse usare durante il processo che si sarebbe svolto a breve. Ma quello non mi sembrava il momento adatto per chiederle qualcosa: tutto ciò che il mondo conosceva di lei era sbagliato, non era la donna forte e senza sentimenti che tutti credevano. Franziska non aveva soltanto vacillato di fronte a quella morte, era totalmente crollata.
«Sembra chiaramente sconvolta. Continua a ripetere che proprio adesso che le aveva conosciute… Aspetta» mi interruppi improvvisamente. Aveva appena detto che le aveva “conosciute” cioè si riferiva a più di una persona. Non potevo aver sbagliato a tradurre, avevo vissuto in Germania abbastanza a lungo da sapere benissimo la lingua… nell’ufficio non c’erano solo lei e Angelika!
«Franziska, die mit Ihnen und Angelika war? Wer sonst hast du heute treffen?! [Franziska, chi c'era con te e Angelika? Chi altri hai conosciuto oggi?]» le chiesi ancora in tedesco. Non ero sicuro che mi avrebbe risposto se fossi passato all’inglese per farmi capire anche dagli altri, preferivo non turbarla, ma dovevo assolutamente sapere chi era l’altra persona. Poteva essere il vero assassino! Potevamo scagionarla subito!
Lei sembrò non capire la mia domanda e per un attimo mi fissò confusa dal mio improvviso cambio di voce. Dopo alcuni secondi di silenzio sbarrò gli occhi e portandosi una mano alla bocca rispose «Miles! Sie müssen sie zu retten, könnte die Mörderin sie getroffen haben! [Miles! Devi salvarla, l'assassino potrebbe averla presa!]»
«Che succede, signor Edgeworth?» fece eco a Wright Maya, che nel frattempo si era avvicinata e osservava incuriosita Franziska.
Adesso sembrava molto meno triste e più preoccupata e spaventata, o almeno credevo. Era la prima volta che vedevo un’espressione del genere sul suo viso e non ero certo di come doverla interpretare. Che fosse ancora troppo sconvolta per dire qualcosa di sensato? Ma dovevo sapere a cosa si riferiva.
«Wer, Frannie? Wer ist gefährdet? [Chi, Frannie? Chi è in pericolo?]» chiesi ancora gentilmente, senza farle capire che ero davvero ansioso di ricevere la risposta. Non volevo che credesse che ci aspettassimo troppo da lei in un momento del genere.
«Annika!» disse finalmente alzando la voce, tornando in sé e parlando in inglese.
«ANNIKA è IN PERICOLO!»

----
Angolo dell'autrice:
Eeeeh sono tornata con un nuovo capitolo! Mi avete aspettato? 
Ci sono stata un po' a scriverlo infatti è un po' più lungo degli altri e pienissimo di dialoghi rispetto agli altri! Ma spero che vi piacerà :)
Anche il prossimo credo sarà un capitolo raccontato da Miles visto che, ora come ora, Frannie è un po' reclusa! O potrei decidere di far parlare Phoenix anche se sarebbe una novità per me... Che altro dire? Vi è piaciuto? Franziska vi è sembrata OOC? Fatemi sapere!
Un bacio a tutti! 
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Tears of an Angel ***


Capitolo Nove – Tears of an Angel
 

“Cover my eyes 
Cover my ears 
Tell me these words are a lie 
It cant be true 
That I'm losing you 
The sun cannot fall from the sky 

[…] I wont let you fly 
I wont say goodbye 
I wont let you slip away from me”

Tears of an Angel.


{Miles Edgeworth}

«ANNIKA è IN PERICOLO!»
Le parole di Franziska mi risuonavano in mente come una litania che non sembrava voler finire mai.
Non avevo mai sentito tanto terrore, tanta disperazione nella sua voce come quel giorno. Mai si era comportata così, e per la prima volta mi ero reso conto di non conoscere questa parte di lei. Mi ero reso conto che probabilmente anch’io ero stato in parte vittima di quella maschera che portava sempre, pur essendomi più volte detto che ero l’unico a conoscerla davvero.
L’immagine di lei che avevo visto quel giorno sarebbe stata scolpita nella mia mente per tutta la vita: i suoi occhi persi nel vuoto, come se il suo corpo fosse confinato in quella cella ma il suo spirito fosse ancora accanto alla sorella morta. Mi venivano i brividi al solo pensiero di non aver potuto fare niente per consolarla.
Ecco perché mi stavo dirigendo praticamente di corsa verso la procura, dopo aver chiesto a Wright Maya e Gumshoe di stare con Frannie, e poi verso l’ufficio di lei in questo momento incorniciato da lunghi nastri gialli e circondato da poliziotti e membri della scientifica. Oh, giusto, in quel momento si stava investigando sulla morte di Angelika, quasi me ne ero dimenticato.
Entrai come se nulla fosse nella stanza, nessuno mi bloccò né mi fece domande: in fondo ero un procuratore e probabilmente si aspettavano che fossi io ad occuparmi del caso.
Il corpo della sorella di Franziska era già stato portato via e restavano solo delle macchie di sangue sul pavimento e sul costoso tappeto persiano. Mi guardai intorno cercando di capire la dinamica di ciò che era successo: niente sembrava essere stato spostato nella stanza. I documenti sulla scrivania erano riposti perfettamente come solo una von Karma avrebbe potuto fare, la finestra era solo leggermente aperta per attenuare l’odore del sangue. La boccia di vetro con dentro l’unico pesciolino rosso di Franziska, Rot, era ancora al suo posto.
L’unica cosa che sembrava essere stata toccata nell’ufficio era un vaso di porcellana che sembrava di fattura borginiana di cui restavano solo dei cocci per terra. Che fosse l’unico segno di una colluttazione? Non mi sembrava possibile.
Mentre mi perdevo in questi pensieri, gli agenti stavano analizzando ogni cosa nella stanza, aprendo tutti i cassetti e gli armadietti dove Frannie riponeva le sue cose. Non mi piaceva per niente che frugassero così tra i suoi effetti personali ma non potevo impedirlo, quindi feci un giro completo intorno alla scrivania, alla ricerca di qualcosa che poteva essere stato dimenticato o non notato.
Quando mi ero quasi arreso all’evidenza che non ci fossero indizi, vidi un foglio sulla scrivania che non era in ordine come tutti gli altri, era come se fosse stato posato lì senza attenzione, senza cura. Questo non era da Franziska, quello era un indizio!
L’avevo appena preso in mano, cercando di leggere di cosa si trattasse, quando si sentì un guaito soffocato nella stanza. Calò improvvisamente il silenzio mentre tutti i presenti nella stanza si voltavano verso un agente che aveva appena aperto uno degli armadietti e ne stava osservando l’interno con uno sguardo stupito.
«Agente! Che succede?» chiesi subito, sperando che si trattasse di qualcosa che poteva ribaltare le sorti del caso e scagionare mia sorella.
«C’è una bambina qui dentro… con un cane» disse lui lentamente, quasi si stupisse delle stesse parole che stava dicendo, come se non potesse credere ai suoi occhi.
Beh, anch’io mi sarei stupito se non sapessi che quella bambina doveva essere proprio…
«Annika! Dev’essere Annika» risposi tra me e mi avvicinai in fretta all’armadietto, abbassandomi per osservarne meglio l’interno.
La piccola Annika stringeva forte al petto un cucciolo e si guardava intorno con aria confusa, con gli occhi spalancati. Possibile che non si fosse accorta di tutto ciò che era successo quel giorno in quella stanza? Speravo per lei che fosse così o ne sarebbe rimasta stravolta, proprio come sua zia.
Già, suonava davvero strano ma Franziska era la zia di quella bambina, e in effetti guardandola non poteva essere altrimenti: avevano gli stessi lineamenti, gli stessi occhi color cielo, gli stessi capelli… E io, l’avevo conosciuta da bambina, sapevo che erano quasi identiche.
«Annika, non avere paura. Sono Miles, sono un tuo amico». Le porsi la mano.
Non avevo idea di come comportarmi con una piccola, non ero il tipo a cui piacevano tanto i bambini… persino da bambino io ero stato così serio da sembrare quasi un adulto!
Lei mi guardò sconsolata, non riuscivo a capire la sua espressione né perché stesse così in silenzio. Che non sapesse parlare? Eppure doveva avere circa sei o sette anni.
Il cane mi abbaiò contro quando cercai di avvicinarmi di più e io dovetti ritirare la mano di riflesso per non farmi mordere. Subito Annika tentò di tenere a bada in cucciolo stringendolo più forte tra le braccia e sussurrandogli: «Phoenix! Sei ein guter Welpen… [Fai il bravo cucciolo...]»
Oh ma certo! Come avevo fatto a non pensarci? Certo che a volte Franziska aveva proprio ragione a definirmi uno sciocco.
Era ovvio che quella bambina non rispondeva, era tedesca! Sicuramente non capiva una parola di tutto quello che stavano dicendo gli agenti o io, per questo probabilmente era rimasta nascosta anche quando aveva sentito entrare molte persone nella stanza.
Decisi di ripetere ciò che avevo detto traducendolo e porgendo di nuovo la mano, sperando che si fidasse perché riuscivo a capirla.
«Annika, keine Angst. Ich bin Miles, ich bin dein Freund».
I suoi occhi azzurri si illuminarono improvvisamente, come se si fosse resa conto di aver trovato un’ancora di salvezza. Beh, in un certo senso l’aveva trovata, considerato che la polizia aveva interpretato le parole in tedesco di Franziska come una specie di delirio… non sapevo cosa avrebbero pensato della bambina.
«Du bist Miles Edgeworth? [Tu sei Miles Edgeworth?]» chiese lei con una vocina soave mentre mi prendeva la mano. La aiutai ad uscire dall’armadio e lei posò il cucciolo per terra, per poi rimettersi in piedi rassettandosi l’abitino bianco e nero. Non riuscivo quasi a capacitarmi di quanto somigliasse a Frannie da piccola… erano quasi identiche!
«Ja, bin ich. Du kennst meinen Namen…? [Si, sono io. Conosci il mio nome…?]»
Come faceva quella bambina a conoscermi se io non sapevo nemmeno della sua esistenza? Sapevo che Franziska aveva una sorella molto più grande di lei, procuratore, sposata a un avvocato difensore… ma non sapevo che avesse una nipotina. E invece lei conosceva anche il mio cognome.
«Du bist der Grund, warum ihre Mutter kam bis hierher. [Tu sei il motivo per il quale la mamma è venuta fino a qui.]» rispose lei, stupendomi.
Il motivo… già. Qual era il motivo per cui Angelika von Karma, che non aveva mai avuto l’accortezza di farsi conoscere dalla sua unica sorella, era venuta proprio adesso qui a parlare con Franziska? Me lo chiedevo da un po’ ormai.
Ma adesso quella bambina mi diceva che il motivo ero io. Io? Come potevo essere io il motivo se lei nemmeno mi conosceva?!
«Was meinst du, Annika? Ich bin der Grund? [Che cosa vuoi dire, Annika? Io sono il motivo?]» le chiesi, ma non riuscii ad avere risposta poiché fummo interrotti dall’entrata di una donna nella stanza.
Aveva lunghi capelli castani fermati da un cerchietto e piccoli occhi grigi lucenti nascosti dal vetro di un paio di occhiali da vista. I suoi abiti erano molto semplici: un completo di giacca e gonna in tessuto verde e un paio di scarpe con un tacco vertiginoso. In generale era una bella donna, anche se io non l’avrei mai paragonata a Franziska, che sembrava quasi irradiare luce quando entrava in una stanza, incutendo allo stesso tempo il terrore di tutti.
Quella signorina invece dava solo la sensazione di essere importante.
«Che ci fa quell’uomo sulla scena del delitto?» chiese subito ai presenti, indicandomi. Ah, sapevo che una cosa del genere poteva succedere, adesso avrei dovuto sopportare l’ammonimento da parte del procuratore capo.
«Procuratore Payne, non c’è motivo di allarmarsi. Mi stavo solo accertando che gli effetti personali del procuratore von Karma non fossero stati rovinati.» dissi alzando una mano quasi a volermi discolpare, mentre con l’altra tenevo per mano la piccola Annika e gentilmente la spingevo a nascondersi dietro di me.
Non volevo che il procuratore Katherine Payne, figlia di Winston Payne, si interessasse a lei e cominciasse a farle domande sul caso. Non sapevo ancora quanto ne sapesse la bambina della morte di sua madre, ma volevo essere il primo ad avere queste informazioni.
Mi rendevo conto che non era assolutamente professionale da parte mia nascondere un potenziale testimone all’accusa, ma non potevo farne a meno. Volevo proteggere Annika, ma soprattutto volevo proteggere Franziska e avevo paura che quella bambina, influenzata dal procuratore, potesse dire qualcosa contro di lei. L’avrei portata via con me come se nulla fosse, sperando di non attirare troppo l’attenzione.
Purtroppo non avevo messo in conto il piccolo spitz tedesco di nome Phoenix che, a quanto pareva, ci teneva proprio ad attirare l’attenzione. Infatti si avvicinò a Katherine annusandola leggermente, poi alzò una delle gambe posteriori e…
«Ma che…? Che ci fa questo animale qui dentro?!» strillò la donna, facendo sobbalzare i ricci bruni e tentando di calciare via il povero cucciolo. Quello cominciò a uggiolare e sapevo perfettamente che a questo punto era inutile nascondere Annika.
Infatti la bambina corse subito dal suo cane e lo prese in braccio carezzandolo per calmarlo.
«Ruhig, Phoenix, ist alles in Ordnung. Jetzt Mr. Miles bringt uns nach Hause und es ist alles vorbei. Wahre Mr. Miles?[Tranquillo, Phoenix, va tutto bene. Adesso il signor Miles ci porterà a casa e sarà tutto finito. Vero signor Miles?]» si rivolse prima a Phoenix e poi a me, guardandomi con i suoi bei occhi azzurri che mi ricordarono subito lei.
Franziska. Dovevamo andare da Franziska, non potevo lasciarla sola a lungo.
«Natürlich Annika, gehen wir geradeaus. [Certo Annika, andiamo subito.]» la rassicurai, prendendola di nuovo per mano e trascinandola via dalla scena del crimine prima che il procuratore a cui era stato affidato il caso potesse in qualche modo ribattere. Non le avrei dato il tempo di rendersi conto della situazione e di portarmi via la bambina, dovevo portarla da Franziska in fretta per farle capire che la sua nipotina era al sicuro.

Uscito fortunatamente dal raggio d’azione di quel procuratore, mi diressi subito al parcheggio della procura e aprii la portiera della mia auto rossa sportiva, invitando Annika ad accomodarsi dentro.
«Aber Mutter sagte, wir brauchten, um mit ihrer Tante Franziska sprechen, bevor Sie gehen. [Ma la mamma ha detto che dovevamo parlare con la zia Franziska prima di andare.]» si fermò lei, scuotendo la testa e guardandomi con aria confusa.
La mamma? Davvero quella bambina era all’oscuro di tutto? Come le avrei detto che sua madre era stata assassinata e che sua zia era sospettata del delitto?
Mentre mi torturavo con queste domande non sapendo cosa dire i miei occhi incontrarono quelli della bambina, ora velati di lacrime ma totalmente vigili.
«Ich weiß, dass meine Mutter weg ist. Ich habe gesehen ... Aber Mama lehrte mich zurück zu halten die Emotionen, und ich kann sie nicht enttäuschen. [Lo so che la mamma non c’è più. Io l’ho visto… Ma la mamma mi ha insegnato a trattenere le emozioni e io non posso deluderla.]» le tremò la voce e il labbro inferiore mentre lo diceva e mi lasciò totalmente senza parole.
Allora lei sapeva tutto fin dall’inizio!
Mi sarei aspettato un comportamento del genere da Franziska, una maschera completamente indifferente di fronte alla morte della sorella, ma non da parte di una bambina di appena sette anni! Eppure Annika era riuscita a sopportare in silenzio anche se alla sua giovane età doveva essere totalmente sconvolta da una perdita del genere.
Senza sapere come controbattere a una bambina con un carattere così adulto, le porsi di nuovo la mano in modo comprensivo.
Lei la guardò, poi si rivolse di nuovo verso di me e cominciò a singhiozzare leggermente, mentre una lacrima solitaria le segnava la guancia rosea di bambina.
«A-aber ich kann nicht das V-Versprechen. Mutti ist w-weg, aber ich werde euch h-hassen forever! [M-ma io non r-riesco a mantenere la p-promessa. La m-mamma non c’è più ma mi odierà per sempre!]» gemette, e io non potei fare a meno di abbassarmi per guardarla negli occhi, non sapendo esattamente come agire.
Lei invece senza alcun dubbio mi abbracciò improvvisamente, continuando a piangere. Ricambiai l’abbraccio un po’ confuso e senza avere idee su come realmente consolarla.
Oh, proprio non sapevo trattare con i bambini…
«Ich werde dich zu Tante Franziska nehmen, so respektieren, was deine Mutter dir gesagt zu tun. Ist das okay? [Ti porterò dalla zia Franziska, così rispetterai ciò che tua madre ti aveva detto di fare. Va bene?]» chiesi quando si allontanò da me, notando il suo sguardo infelice.
Lei annuì passandosi una mano sul viso arrossato per cancellare le lacrime, mi prese per mano e salì in macchina, aggiustandosi l’abito e mettendosi il cucciolo in grembo. Lui abbaiò felice scodinzolando, e io non potei fare a meno di paragonarlo a Pess. Erano tanti i miei pensieri in quel momento particolare… Ma dovevo concentrarmi solo su Frannie.
Dovevo farla uscire di lì.

----
Angolo dell'autrice:
Okay questo capitolo l'ho scritto in fretta e furia e non mi piace per niente, ma ero già in ritardo di un giorno e non volevo farvi aspettare >.<
Beeeh, è arrivato il procuratore del caso, che altri non è che la figlia del nostro caro e inutile Payne (ma un po' più brava e cattiva di lui, diciamo, vedrete più avanti)!
La piccola Annika ha ancora molto da raccontare, perché come avrete capito ha visto qualcosa dal suo nascondiglio... vedremo cosa riferirà nel prossimo capitolo.
Non ho altro da dirvi apparte... conoscete un gdr su Ace Attorney che funzioni? Ne esistono? Se no, ne vogliamo creare uno insieme? XD

Un bacio a tutte e a presto!
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Seize the Day ***


Capitolo Dieci – Seize the Day


“Trials in life, questions of us existing here,
don't wanna die alone without you here
Please tell me what we have is real

So, what if I never hold you, yeah, or kiss your lips again?
Woah, so I never want to leave you and the memories of us to see
I beg don't leave me”

Sieze the Day.



Il paesaggio era splendido.
Un cielo azzurro punteggiato qui e là da qualche nuvola bianca e vaporosa come panna, o forse come batuffoli di cotone volanti, una gradevole brezza che scostava gentilmente i capelli azzurri e lunghi fino alle spalle dal mio viso, il rumore dei nostri passi incerti sui sassolini.
Non avevo mai visto prima il mare, non avevo mai sentito la sensazione della musica prodotta dalle onde che si infrangevano sulla spiaggia, né quel profumo perfetto di salsedine che sentivo in quel momento.
Era assolutamente splendido.
«Allora, ti piace?» aveva chiesto lui, passandosi una mano tra i capelli e poi mettendosela in tasca, senza guardarmi. I suoi occhi fissavano l’immensità del mare in silenzio e la sua espressione non tradiva alcuna emozione. Eppure sapevo che sotto sotto doveva essere felice di avermi portata lì, altrimenti non avrebbe mai assecondato i desideri di una sorellina capricciosa come solo io potevo essere.
«Non posso ancora credere di essere qui. Avevo visto tante foto del mare, tanti quadri… ma non riuscivo proprio a immaginare che fosse così» risposi io, stringendo le palpebre per il sole e per cercare di mettere a fuoco un minuscolo triangolino bianco all’orizzonte, una barca a vela sicuramente.
Era vero che proprio non avevo mai capito come fosse davvero il mare. D’altronde ero cresciuta nella fredda capitale del mio paese senza mai avventurarmi più in là, senza mai avere l’occasione di scorgere all’orizzonte la striscia azzurra del mare che mi sembrava ancora irreale per certi versi. Eppure era davvero stupenda e non mi sarei mai voluta allontanare da lì.
Miles sorrise per un attimo al mio commento, continuando ad osservare il panorama e godendosi il leggero venticello fresco. Rimanemmo in silenzio per un po’, minuti o forse ore ma era così bello che sarei rimasta davvero lì per sempre.
Io e Miles. A guardare le onde per sempre.
In quel momento non mi sembrava affatto una cattiva idea e lo desideravo davvero, forse perché Vater ci aveva detto di tornare entro poche ore…?
«Adesso mi credi allora?» disse improvvisamente lui, quasi trascinandomi via dai miei pensieri che in quel momento avevano preso il volo.
Mi voltai verso di lui rabbrividendo e stringendomi nelle spalle per cercare di contrastare il vento. Anche se il sole era alto cominciava a fare freddo, stranamente.
«A cosa ti riferisci esattamente?» chiesi curiosa. Non sapevo proprio di cosa stesse parlando e il suo atteggiamento mi irritava. Non mi piaceva quando faceva il sapientone, come se avesse notato una cosa che io non potevo vedere. Io ero perfetta e la cosa a cui si riferiva era certamente una sciocchezza.
«Ai tuoi occhi, Frannie. Quando dico che i tuoi occhi sono color del cielo non mi riferisco mai al cielo scuro e pieno di smog di Berlino…» fece una pausa quasi si aspettasse una mia risposta. Ma io non sapevo cosa dire non capivo dove volesse arrivare quindi in silenzio aspettai il resto della frase.
«… Mi riferisco a questo cielo, il cielo azzurro che si specchia nel mare. Questo è il colore dei tuoi occhi.»
Lo disse quasi sussurrando e io non potei evitare di arrossire anche vistosamente a quella frase. Era stato stranamente gentile, mi aveva fatto un complimento! Era raro che Miles parlasse, di solito si teneva tutto per sé e per questo lo odiavo… ma oggi mi aveva parlato, e mi aveva anche fatta sorridere con queste sue parole.
Io però non gliel’avrei data vinta.
«I miei occhi non sono di questo sciocco colore, i miei occhi sono perfetti.»
Lui si voltò a guardarmi quasi divertito dal mio commento, quasi come se si aspettasse che dicessi così. Beh, era ovvio!
Incrociai le braccia rabbrividendo ancora per il freddo, ma come mai nonostante il sole mi facesse quasi male agli occhi non riuscivo a sopportare la temperatura?!
«Fa f-freddo, M-Miles…» sussurrai dopo cinque minuti buoni di congelamento.
Lui però mi ignorò quasi non avesse sentito niente di ciò che gli avevo detto. Continuai a cercare di chiamarlo ma lui non si voltava e cominciavo seriamente a preoccuparmi. Perché mai faceva così? L’avevo forse offeso con quel mio commento?
Intanto credevo di andare in ipotermia, mentre il mio corpo si raffreddava sempre di più e gli spasmi e i brividi erano sempre più forti…

Mi svegliai di soprassalto, guardandomi intorno come se cercassi ancora la spiaggia e il mare all’orizzonte. C’era davvero freddo, era vero, ma il paesaggio non era esattamente lo stesso…
Il letto nella cella era terribile, quasi se mi fossi sdraiata su un blocco di ghiaccio, e le coperte erano ruvide e fastidiose. La mia sottile camicia bianca non riusciva a scaldarmi.
Dovevo aver sognato, si, dovevo aver rivisto un vecchio ricordo nella mia mente. Ma come mai proprio quello? Perché avevo sognato di nuovo lui?
Eppure c’erano cose molto più gravi che affollavano la mia mente or ora, come la morte di mia sorella e, soprattutto, la scomparsa di Annika. Oh, dove poteva essere la mia nipotina in quel momento? Dove?! E se quel mostro dell’assassino l’avesse vista e portata via? Cosa avrei fatto?
Quella bambina era una mia responsabilità, ora che Angelika non c’era più. Non aveva famiglia, le ero rimasta solo io…
Sospirai tristemente. Già. L’unica parente che le era rimasta in vita era una donna fredda e imperfetta che stava per essere condannata a morte per l’omicidio della sorella. Non ero esattamente un buon partito per lei al momento.
Alzai lo sguardo quando sentii la serratura della porta scattare mentre una guardia entrava nella stanza. Lo guardai tornando al mio solito atteggiamento superiore, non doveva mica pensare di potermi intimidire con quell’uniforme e quello sguardo da duro! Ero o non ero Franziska von Karma, il Genio?!
«Che cosa vuoi, sciocco agente? Non voglio essere disturbata.»
Lui mi guardò dondolandosi un po’, sicuramente innervosito dal mio tono. Lo osservai attentamente per cercare di ricordare se era mai stato un mio sottoposto, visto il suo comportamento. Ma aveva una faccia da idiota come tutti gli altri, come potevo ricordarmi di lui? Di sicuro mi conosceva per fama. Tutti i poliziotti sapevano chi ero: il loro peggiore incubo.
«Mi scusi procuratore, ma c’è una persona che vuole incontrarla» commentò quindi, con aria insicura.
Io lo guardai stupita. Strano, come mai a quest’ora consentivano ancora le visite? Credevo che ci fosse un certo regolamento per tutti gli stupidi civili che intendevano parlare con gli imputati… Ma certo! Se qualcuno era venuto adesso, sicuramente doveva essere un procuratore.
Avevo mandato Miles a occuparsi di Annika ancora da poco, quindi probabilmente non si trattava di lui, a meno che non l’avesse trovata subito. Era quello che speravo, ma non credevo fosse successo.
Quindi la possibilità era solo una: doveva trattarsi del procuratore che si era aggiudicato il mio caso. Chissà chi avrà avuto l’onore?
«Mi segua, per favore» disse ancora quello, moderando i termini che certamente con un altro “prigioniero” sarebbero stati diversi. Faceva bene a non permettersi certe confidenze con me, o appena fossi uscita l’avrei fatto licenziare. Beh, sempre che quello sciocco di herr Phoenix Wright fosse riuscito a scagionarmi dalle accuse.

Non conoscevo per nulla bene la donna che c’era oltre il vetro. I suoi piccoli occhiali da vista mi ricordavano vagamente frau Adrian Andrews – a proposito, mi ero detta che l’avrei chiamata quando fossi stata in città, e me n’ero dimenticata! – e il suo sguardo sembrava intelligente a differenza di quello di suo padre.
Conoscevo herr Winston Payne, il procuratore più sciocco della procura: anche se veniva assegnato ai casi palesemente già vinti era capace di farsi battere anche da avvocati difensori davvero novellini. Eppure sapevo davvero poco di sua figlia Katherine, che a quanto pare era riuscita a diventare procuratore capo e a farsi assegnare il mio caso, anche se ancora era un pubblico ministero da poco.
«Frau Katherine Payne, non credevo proprio che sarebbe stata lei a farmi una visita questa sera.»
Il suo sorriso falso rispose al mio mentre si aggiustava meglio gli occhiali sul naso e mi guardava attraverso le lenti.
«E invece sono proprio io ad avere quest’onore, Franziska von Karma. Dovrebbe esserne felice. Grazie a me il suo processo sarà rapido e indolore, come la sua condanna» rise soavemente, quasi stessimo parlando del più e del meno e non della mia imminente morte.
Bene, avevo appena deciso che quella donna mi era davvero antipatica, il che non capitava spesso. Credevo che tutti gli americani fossero sciocchi, ma lei li batteva davvero per moltissimi punti. In quel momento desideravo davvero avere la mia frusta per poterle dare una lezione con i fiocchi… ma a quanto pare era l’arma del delitto e non potevo proprio riaverla indietro. Forse non l’avrei mai rivista, la mia cara frusta.
Mi morsi il labbro cercando di rimanere in silenzio e non dire niente che avrebbe potuto essere usato contro di me al processo. Katherine sarebbe stata capace di tutto, ne ero certa.
«Cosa c’è? Non ha niente da replicare? Davvero sta ammettendo di aver ucciso lei sua sorella…?» domandò, scostandosi i capelli bruni da una spalla con un gesto e facendo tintinnare gli orecchini. Oh si, mi dava proprio sui nervi…
«Non ho mai detto una cosa del genere. Io non ho ucciso Angelika» commentai nervosamente. Non riuscivo quasi a pronunciare i nome di mia sorella, ero ancora profondamente turbata dalla sua morte. E quel procuratore novellino si permetteva di supporre che io l’avevo uccisa? Come poteva farmi una cosa del genere?!
«Ma certo. Tutti i criminali dicono così, mia cara…» sussurrò lei, quasi a volermi dare il consiglio di ammettere ciò che non avevo fatto.
Per poco non persi la calma. Io non ero mai stata una persona paziente e lei mi stava davvero facendo arrabbiare. Sapevo perfettamente che non era il caso di fare una scenata, avrei solo aggravato la mia posizione, ma lei mi stava davvero portando al limite!
Cercai di trattenere qualsiasi sfogo di rabbia torcendomi le mani e fissandola con uno sguardo malevolo. Se gli sguardi potessero uccidere saresti già morta e io sarei davvero un’assassina, cara Katherine!
Attese qualche minuto, guardandomi con un’espressione decisa in volto, ma io non cedetti e lasciai correre.
Dovette arrendersi dopo un po’, perché disse: «Bene, se non hai intenzione di dirmi nulla credo di avere impegni più importanti. Ci rivediamo in tribunale, von Karma.»
Poi si dileguò. Non che io avessi cambiato idea, non avrei parlato proprio di nulla con lei. D’altronde era inutile: per esperienza personale sapevo che i procuratori avrebbero fatto di tutto per mettermi in prigione. Anch’io l’avrei fatto, purtroppo.
Tutta questa storia mi aveva davvero fatto riflettere molto sul vero scopo dei pubblici ministeri… forse non era giusto fare ciò che facevo? Forse dovevo indagare più a fondo sugli imputati prima di etichettarli come criminali.
Mi ero sempre detta che la polizia non avrebbe mai sbagliato, che il mio compito era soltanto ottenere un verdetto di colpevolezza su una persona che quasi certamente era un assassino. Eppure… se non fosse così? Se la polizia avesse arrestato la persona sbagliata, come nel mio caso?
Avevo forse condannato qualche innocente?
Non sapevo nemmeno perché pensavo a quelle cose. No, non dovevo pensarci affatto.
La perfezione non accetta scuse. Qui non si tratta di scoprire se una persona era colpevole o innocente, il compito di un procuratore era quello di avere il proprio verdetto a favore.
Si, dovevo convincermi di tutto ciò.

Passò qualche ora quando fui nuovamente svegliata dalla guardia carceraria. Guardai quell’uomo in cagnesco, per fargli capire che stava davvero rischiando molto disturbandomi di nuovo nel giro di poche ore.
«Mi s-scusi, signorina von Karma… C’è una visita per lei.» disse un po’ nervoso e senza il coraggio di guardarmi negli occhi. Doveva essere davvero un novellino per comportarsi così. Non sapeva che se fossi stata una vera criminale avrei tramortito un deboluccio come lui in un attimo e sarei fuggita via dalla cella? Aveva addirittura lasciato la porta spalancata ed effettivamente era molto attraente.
«Un’altra visita?! Dica al procuratore Payne che non ho ancora intenzione di ascoltare…» stavo cominciando, quando una voce lontana mi interruppe e attirò la mia attenzione.
«Mr. Edgeworth, wo Tante Franziska ist? [Dov’è zia Franziska?]» chiese una vocina che avevo sentito pochissimo ma che avevo subito riconosciuto. Un perfetto accento tedesco e una voce melodiosa, non poteva essere che la mia nipotina!
«Demnächst, Annika. Wir müssen einfach hier warten. [Arriverà fra poco, Annika. Dobbiamo solo aspettarla qui.]» rispose una voce maschile che riconoscevo altrettanto bene.
Miles l’aveva trovata! Per un momento il mio cuore aveva mancato un battito e mi ero resa conto di essere così orgogliosa di lui…!
Ma cacciai subito via il pensiero. Come avevo solo potuto pensare una cosa del genere riguardo quello sciocco del mio fratellino? Non mi ero dimenticata di quanto lo odiavo per avermi sempre messa in ombra davanti a mio padre, non me ne sarei mai dimenticata.
Ma non mi ero scordata di Annika e ora volevo vederla subito! Volevo sapere cosa le era successo e soprattutto volevo assicurarmi che sapesse della morte di sua madre. Non volevo pensare a cosa sarebbe successo se fosse stato mio compito dirglielo, l’idea mi faceva rabbrividire.
«Che stai aspettando, stupido agente?! Portami a vedere i miei visitatori!» ringhiai nervosa al poliziotto che ancora tremava come una foglia in un angolo. Ah, quanto adoravo essere temuta persino dalle mie stesse guardie!
Quello mi scortò poi fino alla sala visite, davanti a quel vetro che mi separava da tutto e tutti.
«Tante Franziska! Sie sind hier! [Zia Franziska! Sei qui!]» sembrò quasi trillare la voce di Annika mentre tentava di sporgersi il più possibile per avvicinarsi al vetro che ci divideva.
Presi un sospiro e tentai di assumere un’espressione tranquilla mentre mi avvicinavo a mia volta al vetro e mi accomodavo lentamente sulla sedia che mi era stata fornita dalla guardia, che dopo cinque secondi di silenzio guardai in cagnesco.
«Adesso puoi lasciarci soli, sciocco agente. La tua presenza non è più richiesta.»
Feci un gesto con la mano, come mi ero abituata a interloquire con Pess quando non volevo essere disturbata, cioè sempre. Via, sciò, lasciami in pace. Non ho alcun bisogno di una scorta. Odiavo essere considerata pericolosa. Anzi no, in realtà di solito adoravo incutere terrore, ma questo non era il caso.
Lui si mosse a disagio sul posto, tentando di rispondere.
«Ma ecco… veramente il procuratore Payne mi ha espressamente chiesto di non perderla di vis…» la sua frase fu interrotta da un mio sonoro schiaffo sulla guancia, che diventò subito rossa per l’impatto.
Sentii le risatine di Annika e quasi mi sembrò di sentire anche il sorriso divertito di Miles sulla pelle mentre rimproveravo la guardia in modo davvero minaccioso.
«Dica al suo caro procuratore che non ho bisogno di essere tenuta sotto controllo da nessuno e che appena uscirò di qui – perché io ne uscirò, ne sono sicura – farò tutto ciò che è in mio potere per…» rimasi a metà e mi zittii. Forse non avrei dovuto comportarmi così. Anzi, di certo non avrebbe giovato alla mia condizione. In effetti mi mancava solo l’aggravante per aggressione a pubblico ufficiale… e poi la piccola Annika mi stava guardando e proprio non era la parte di me che volevo mostrarle.
Cercai di essere delicata.
«Ci lasci in pace, agente.» Sbuffai. Okay, essere delicata non è proprio il mio forte.
Quello però, sembrò capire l’antifona e schizzò via spaventato. Chissà, forse era un amico di herr Sciattone e sapeva di non potersi fidare di questa mia improvvisa quasi gentilezza… o forse mi riteneva un’assassina pazza?
Mettendo da parte questi pensieri inutili per quando sarei stata sola in cella, rivolsi di nuovo l’attenzione ai miei visitatori.
La bambina sembrava essersi divertita grazie alla piccola scenetta tra me e quell’agente inutile e, insicura che potessi sentire quello che voleva dirmi oltre quel vetro, si era praticamente arrampicata sopra herr Miles Edgeworth e si sporgeva a più non posso verso il vetro, quasi toccandolo con il naso. Era una scena piuttosto divertente, considerato il piccolo cucciolo tra le sue braccia che si dimenava scodinzolando esattamente sulla faccia del suddetto procuratore. Lui non sembrava molto contento della situazione.
«Gute Tante! Mom sagte immer zu Agenten als Narren zu behandeln. [Brava zia! La mamma diceva sempre di trattare così gli agenti sciocchi.]» rise la bambina, provocando gli abbai divertiti del suo cucciolo e la conseguente irritazione di Miles. Quella Mädchen mi piaceva sempre di più.
Feci un sorriso compiaciuto alla mia nipotina appena prima che il mio fratellino cercasse aiuto.
«Franziska, dille qualcosa per favore!» La sua voce sembrava supplicarmi.
Mi morsi il labbro per un attimo quasi a non volerlo aiutare… ma mi resi conto che gli dovevo già molto per aver ritrovato Annika e proprio non se lo meritava.
« Annika! Es ist riskant, so nah an der fragilen Glas. [è rischioso stare così vicina a quel vetro fragile.]» commentai, in tono non troppo severo in realtà ma che la fece subito zittire e mettere seduta dritta e ferma. Fui stupita di questo suo comportamento, e un po’ rattristata a dire il vero. Non volevo che avesse paura di me, che temesse le mie reazioni come quelle di Angelika. Per questo mi avvicinai al vetro e poggiando una mano su di esso leggermente, continuai con un sorriso « Ich bin wirklich glücklich, dich zu sehen. [Sono davvero felice di vederti.]»
Lei sembrò davvero felice di questa mia espressione d’affetto perché sorrise dolcemente e rimase in silenzio ad accarezzare Phoenix. Miles invece mi guardò e con un mezzo sorriso commentò «Sembra che tu ti sia ripresa un po’.»
«Grazie per averla ritrovata Miles. Mi costa dirlo ma… sono in debito con te.» Cambiai subito argomento. Preferivo di gran lunga ammettere di dovergli qualcosa che parlare della mia situazione emotiva attuale. Potevo sembrare quasi normale, grazie alla maschera che avevo imparato a costruirmi intorno, ma in realtà dentro ero spezzata: avevo perso nel giro di pochi giorni mio padre e mia sorella. Nessuno dei due mi voleva bene o mi conosceva davvero, ma per qualche strano motivo per me rimanevano importanti. Credevo che fosse proprio la delusione a ferirmi, il fatto che fino alla fine della loro vita non avessero fatto niente per rendermi felici.
Rabbrividii e mi strinsi quasi a volermi consolare e riscaldare da sola, avevo già detto che faceva piuttosto freddo lì dentro?
Lui sembrò accorgersi di questo mio gesto, ma non disse nulla. Era sempre stato un tipo molto riservato, e non avrebbe mai preteso che gli dicessi qualcosa.
Cambiò a sua volta argomento.
«A quanto pare il procuratore Payne è già venuto a farti visita…» disse con un’occhiata incerta. A quanto riuscivo a capire dal suo tono, neanche lui sapeva molto di questo procuratore, né si fidava di lei. Non era esattamente un buon segno.
«Già, ha cercato di minacciarmi. Come se si potesse minacciare la grande Franziska von Karma!» Sbuffai, incrociando le braccia. Cercavo di dimostrarmi forte, come al solito, ma in realtà qualcosa mi faceva tremare. E se nessuno accettasse di difendermi? E se fossi condannata a morte, da innocente?
Credo che stavolta le mie emozioni furono tanto vivide da non poter essere represse, perché notai subito lo sguardo preoccupato di Miles. Incrociai il suo e per un attimo rimanemmo in silenzio a scrutarci.
Annika ci guardava dal basso un po’ indecisa se intervenire sul nostro silenzio, ma non fece nulla, mentre il piccolo Phoenix correva qua e là per il centro di detenzione.
Passò poco tempo, nel quale i nostri occhi sembrarono condividere tutti i pensieri e tutti i dubbi che ci affliggevano, poi lui poggiò una mano sul vetro, come avevo fatto il poco prima e facendomi arrossire per via del ricordo di quando le nostre mani si erano toccate attraverso il vetro, e disse semplicemente: «Uscirai di qui, Frannie, te lo prometto.»


Angolo dell'Autrice: 
Okay, faccio pena. Da quant'è che non aggiorno? Neanche lo so più e non ho nessun modo per giustificarmi... tranne che ho studiato, tanto. 
Penso che non esisteranno nemmeno più i miei lettori, mi avrete abbandonato :'( 
Ma grazie a Seris, che mi ha tenerosamente inviato una bella recensione, ho deciso di aggiornare. Non vi prometto niente sulla prossima data di pubblicazione ma proverò ad essere veloce... non ho mai voluto abbandonare questa storia :3 
Beh basta, non so che altro dire, tranne che se ancora qualche anima pia vuole commentare... lo sapete quanto piacere mi fa sentirvi! :D

Un bacio, Kirlia <3

P.S.: Nel prossimo capitolo forse si saprà qualcosa in più sul caso... dai che siete interessati! ^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Follow me ***


Capitolo 11 – Follow me

You can follow me
You can follow me
I will always keep you safe
Follow me
You can trust in me
I will always protect you, my love
Feel my love
Feel my love

Follow me.

 
{Miles Edgeworth}

Per quanto tentasse di stare tranquilla, Franziska era molto turbata, e anche leggermente imbarazzata. Sembrava essere confusa come se non sapesse come comportarsi o cosa dire. Era strano da parte sua, ma potevo capirla. In fondo aveva perso padre e sorella, tutto nel giro di una settimana circa.
In questi momenti mi rendevo conto di quanto ero sciocco a chiedermi perché odiasse l’America. Beh era scontato, visto che ogni volta che veniva qui le succedeva sempre qualcosa di non esattamente piacevole.
La prima volta aveva solo tredici anni, e ricordo ancora il terrore nei suoi occhi quando, riparandoci dietro ai banchi dell’accusa, avevamo evitato quegli spari.
La seconda volta era stato quando era venuta a battere Wright in tribunale, e forse a cercare me, che in quel momento ero confuso sulla vera essenza dell’essere un procuratore. In quel caso era stata battuta più volte, rovinando il suo perfetto record di vittorie, e… non potrò mai dimenticare quello sparo alla spalla destra, lo stesso che io avevo inavvertitamente fatto a suo padre. In quel momento il mio cuore aveva perso un battito. E se l’avessi persa? E se l’assassino non si fosse limitato a ferirla? Non ci volevo pensare.
Le sue lacrime all’aeroporto, il suo “Ti odio, herr Miles Edgeworth”. Tutti episodi infelici insomma.

Ma questo sarebbe di certo stato il più infelice di tutti se non riuscivo a tirarla fuori di lì. Non potevo abbandonarla, non ora che l’avevo quasi convinta a rimanere lì con me.
Dovevo sapere di più su quel caso, e dovevo farlo in fretta, il primo giorno di processo si avvicinava velocemente, e io non avevo nessun indizio per scagionarla, come avrei fatto? Non potevo affidarmi ciecamente a Wright. Anche se sapevo che era capace di trovare degli indizi, sapevo anche che spesso preferiva bluffare durante i processi, e io non potevo rischiare di perderla per la mancanza di un’informazione cruciale.
Ecco perché poco prima di arrivare al centro di detenzione ero passato solo per un attimo allo studio Wright&Co. e avevo ottenuto un oggetto che avevo imparato ad usare in un’occasione non esattamente legale della mia carriera.
Stringendo il magatama – credevo finalmente di aver capito che si chiamasse così – ero pronto a chiedere a Franziska di spiegarmi la situazione. Sapevo che sarebbe stato difficile: si sarebbe nascosta nel suo guscio come un granchio, e avrei dovuto estorcerle la verità con tutti i mezzi, ma andava fatto.
«Franziska, dobbiamo parlare delle circostanze del delitto.» cominciai, fissandola negli occhi cerulei e improvvisamente freddi e scostanti.
Speravo che la sua reazione fosse più “ma certo, parliamone subito!” ma era ovvio che non sarebbe stato così. Non era da lei, non era da von Karma.
Lei incrociò le braccia, segno che era irritata e anche un po’ sulla difensiva, e rispose semplicemente: «Non so di cosa tu stia parlando, herr Miles Edgeworth.»
Bene, quella sarebbe stata una lunga notte…
Improvvisamente ebbi un’idea. Forse potevo usare un punto debole di Frannie, forse potevo cambiare metodo. Soddisfatto da questa mia idea quindi, alzai la voce.
« Annika? Sie sind hungrig, nicht wahr? [Hai fame, per caso?]» chiesi, rivolgendomi alla bambina, che in quel momento correva in tondo inseguendo il suo cucciolo che a sua volta inseguiva una giovane guardia un po’ impaurita con un hot dog in mano. Uh, non mi ero accorto di tutto quel caos finché non avevo distolto lo sguardo da quello di Franziska, che strano.
La piccola si fermò improvvisamente, catturando finalmente il cane e stringendolo al petto mentre quello come un matto cercava ancora di prendere la guardia, che si era nel frattempo dileguata. Mi guardò per un attimo con i grandi occhi della stessa sfumatura della zia, e io, nell’attesa della sua risposta aggiunsi: « Ich denke, es ist Zeit für Sie Abendessen. [Credo che sia ora di cenare per te.]»
Lei mi sorrise e disse « Oh ja, herr Edgeworth. Mutter hat immer gesagt, dass von Karma auf perfekte essen hatten. Und dann auch Phoenix hungrig! [Oh si, signor Edgeworth. La mamma diceva sempre che i von Karma dovevano mangiare all'ora perfetta. E poi anche Phoenix ha fame!]»
A questa risposta guardai Franziska di sottecchi, cercando di capire che cosa pensasse della risposta che mi aveva dato Annika. Lei aveva un’espressione corrucciata, ma non credevo avesse capito quale fosse lo scopo di questo mio cambio d’argomento.
Ecco perché risposi ad alta voce e con un sorriso compiaciuto: « Oh, tut mir so leid Annika… Ich denke, dass man nicht auf perfekte essen, da Ihre liebe Tante Franziska will nicht zu helfen, sie kennen die Mörderin von deiner Mu… [Oh, mi dispiace tanto Annika... credo proprio che non potrai mangiare all'ora perfetta visto che la tua cara zia Franziska non vuole aiutarti a conoscere l'assassino di tua ma…]»
Non riuscii a completare la frase a causa della risposta improvvisa e scontrosa di mia “sorella”, che non sembrava voler turbare ancor più la nipotina.
«Okay, okay, ho capito. Chiedimi pure tutto quello che vuoi, ma velocemente. Poi esigo che tu porti Annika a casa e le prepari una cena perfetta. Hai capito? Perfetta.»
Ero stupito. Avevo capito che si era formato un legame tra Frannie e la bambina, ma non fino a questo punto. Sembrava realmente che le importasse di lei. La cosa mi fece sorridere genuinamente e per l’orgoglio. Forse il suo cuore di ghiaccio cominciava finalmente a sciogliersi…
Ovviamente lei interpretò in modo diverso il mio sorriso.
«Smettila di sorridere in quel modo così sciocco, herr Miles Edgeworth. Sappi che ti dirò solo lo stretto necessario.»
Se in quel momento avesse avuto la sua frusta credo proprio che non ne sarei uscito vivo. Beh, la mia è solo una metafora… non avevo cambiato idea sul fatto che lei non potesse essere un’assassina.
«Certamente. Vuoi raccontarmi cos’è successo stamattina, Frannie?» chiesi, guardandola negli occhi e sperando finalmente di sapere qualcosa di utile per scagionarla.
«Smettila di chiamarmi così, Miles Edgeworth! Non sono più una bambina.» rispose subito lei, tremendamente irritata. Poi con un sospiro e un’occhiata ad Annika, che nel frattempo si era seduta per terra e canticchiava sottovoce una filastrocca tedesca che mi sembrava di ricordare, continuò.
«Stamattina mia sorella Angelika è venuta nel mio ufficio. Dovevamo discutere di alcune… faccende. Mi ha chiesto di vedere dei documenti che avevo in archivio e io sono andata a prenderli, poi quando sono tornata lei era… beh lo sai.» Si mordicchiò il labbro nervosa, come se fosse di nuovo sul punto di piangere. E mi resi conto che era così visti i suoi occhi lucidi e arrossati.
Abbassai lo sguardo. Odiavo vederla piangere, era una cosa che proprio non sopportavo di vedere. Ma in questo caso consolarla era impossibile, solo il tempo avrebbe guarito la sua ferita. Il mio compito era garantirle quel tempo. Se fosse stata giudicata colpevole... No, non riuscivo nemmeno a immaginare la mia Frannie su quella sedia, la stessa dove suo padre era stato giustiziato.
Non era giusto. Non doveva succedere. Io non l’avrei permesso.
Ma avevo bisogno di saperne di più se volevo farcela.
«Ci deve essere qualche dettaglio in più, Franziska. Perché tua sorella era venuta, per esempio? Non vi eravate mai incontrate, non le importava di te, né a te di lei. Cosa voleva?»
La vidi improvvisamente irrigidirsi e mettersi ancor più sulla difensiva. Poi disse semplicemente: «Niente di importante.»
E fu allora che lo vidi. Migliaia di catene che si intrecciavano intorno a lei formando un groviglio intricato e quasi impossibile da sciogliere, bloccato da moltissimi di quegli psicocosi!
Il suo cuore conteneva un segreto che non avrebbe mai liberato, qualcosa di terribile? Cosa poteva nascondere la mia Frannie? Cos’era così grave da non poter essere rivelato a me, il suo “fratellino”?
Mentre rimuginavo su quell’oscuro segreto e sul modo di poterlo carpire, lei si riprese dall’agitazione dell’attimo prima.
«Cos’è quella faccia, Miles Edgeworth? Ti avevo detto che ti avrei rivelato solo lo stretto necessario. Quello che dovevamo discutere non ha alcun collegamento con il caso, quindi non è necessario che te lo riveli.»
Mi stavo innervosendo. Non capiva che volevo solo aiutarla?! Perché doveva comportarsi così con me? Magari poteva reagire in questo modo con Wright, con il procuratore Payne, con il mondo intero, ma doveva parlarne con me. Sapeva di potersi fidare, perché allora questo comportamento?
«Perché rifiuti il mio aiuto, Frannie? Non capisci che il motivo…» Mi bloccai. Qualcosa nella mia mente mi diceva che avevo appena ricordato qualcosa di importante. Ma cosa?
Rifiutare, aiuto, Frannie, motivo… Motivo!
Ricordai improvvisamente ciò che mi aveva detto Annika solo poco tempo prima:

«Du bist Miles Edgeworth? [Tu sei Miles Edgeworth?]»
«Ja, bin ich. Du kennst meinen Namen…? [Si, sono io. Conosci il mio nome…?]»
«Du bist der
Grund, warum ihre Mutter kam bis hierher. [Tu sei il motivo per il quale la mamma è venuta fino a qui.]»

«Il motivo… sono io il motivo» sussurrai tra me, cercando di capire il senso di quelle parole ma senza riuscirci.
Cosa aveva voluto dire Annika con quella frase? Non avevo avuto modo di chiederlo, né credevo in fondo che ne sapesse molto. Qualcosa mi diceva che l’atteggiamento di Angelika nei confronti della figlia era sempre stato piuttosto freddo e distaccato. Non c’era altro motivo per spiegare il pianto trattenuto della bambina o l’empatia che Franziska provava nei suoi confronti.
E se era così, dubitavo fortemente che la bambina si fosse immischiata nelle faccende che riguardavano gli adulti.
Ma allora cosa centravo io in tutto ciò?
Mentre facevo questo discorso mentale non mi ero reso conto che stavo continuando con i bisbigli, almeno finché Franziska non mi interruppe.
«Cosa stai farfugliando, sciocco? Parla in modo chiaro.»
Mi guardava ancora dall’altra parte del vetro con atteggiamento a metà fra l’aggressivo e il difensivo. L’avevo già detto che mi sembrava piuttosto confusa?
La fissai a mia volta senza lasciar trasparire nessuna emozione dal mio viso e dissi forte e chiaro: «Sono io il motivo, Franziska. Angelika era venuta per colpa mia.»
La vidi vacillare sulla sedia come se avesse perso l’equilibrio improvvisamente, mentre una delle catene attorno al suo cuore si allentava per poi improvvisamente scomparire, insieme al primo psicocoso che andava distrutto. Ero sulla buona strada.
I suoi occhi tremavano, come se stesse scoppiando a piangere mentre si mordicchiava subconsciamente le labbra. Sapevo che era un suo vizio, lo faceva quando qualcosa non andava come lei credeva.
La sua vocina era acuta, quasi come se non riuscisse a parlare, quando mi parlò cautamente.
«Tu non dovresti saperlo. Come l’hai scoperto, Miles?»
Bene, almeno era passata a chiamarmi col solo nome, era già un miglioramento. Voleva dire che le emozioni  avevano preso il sopravvento sulla sua maschera e che era più facile scoprire qualcosa da lei.
Rimasi in silenzio osservandola, mentre sembrava crollare, rivelando qualcosa.
«Io io… te l’avrei detto, lo sai! Ma come avresti reagito? Quello che ho fatto… è inaccettabile! Mia sorella si è accorta subito della modifica che avevo apportato al…» si interruppe con un singhiozzo.
Non capivo a cosa si riferisse, ma lei credeva che sapessi.
Di che cosa si trattava? Cosa aveva fatto Franziska di inaccettabile? Aveva paura di come avrei reagito sapendolo!
Ero pronto a rispondere in modo ambiguo sperando di estorcerle qualcosa senza che lei se ne rendesse conto, quando la stessa guardia di prima mi si avvicinò.
«Procuratore Edgeworth, signore? Il procuratore Payne ha espressamente indicato che l’orario di visita per l’imputata finiva alle 22…» sussurrò, quasi a non volermi disturbare, ma indicandomi l’orologio.
Proprio adesso che la soluzione sembrava così vicina! Proprio adesso dovevo andare via? Tentai di prendere tempo in qualche modo, ma la guardia stava già portando via Frannie, che nel frattempo singhiozzando diceva: «Mi dispiace, mi dispiace! Credevo di fare la cosa giusta… Non avrei dovuto…»
Rimasi in silenzio, ancora in cerca di qualche scusa per farla rimanere, qualche motivo per poter stare con lei  tutta la notte, per consolarla e farmi spiegare a cosa si riferisse.
Appena prima che chiudessero la porta, ebbi solo il tempo di dirle: «Manterrò la promessa! Ti libererò!»
E lei mi sorrise. Un sorriso caldo, sincero. Un sorriso da sciogliere il cuore…
In quel momento mi resi conto che avrei dato qualsiasi cosa per vedere quel sorriso ogni giorno sul suo viso, e avrei fatto di tutto per ottenerlo.

«Warum Tante Franziska kann nicht mit uns kommen, herr Edgeworth? [Perché la zia Franziska non può venire con noi, signor Edgeworth?]» chiese Annika, mentre scendevamo dalla mia auto rossa.
Dovevo restituire il Magatama a Wright. Non solo non avevo scoperto quasi niente con quell’oggetto, tranne che Franziska nascondeva un grande segreto, ma ero certo che lui lo sapeva usare sicuramente molto meglio di me. Sarebbe stato più utile a lui.
Ecco perché ci stavamo dirigendo di nuovo verso il suo studio legale, ma questa volta la bambina non aveva proprio voluto restare ad aspettare in macchina per un attimo, quindi adesso la sua piccola manina stringeva la mia mentre il suo cucciolo camminava tranquillo davanti a noi tenuto stretto da un bel guinzaglio rosa.
«Zunächst einmal können Sie rufen Sie mich einfach Miles. Und Frannie wird nach Hause kommen morgen mit uns… [Innanzitutto puoi chiamarmi semplicemente Miles. E Frannie tornerà a casa insieme a noi domani...]» le risposi con un sospiro. Speravo proprio che fosse  così.
Sentii subito Annika ridere sottovoce come se avessi detto qualcosa di divertente e mi girai verso di lei, ma quella subito si zittì e cercò di riprendere una posa seria e tranquilla. In certi momenti pensavo che quella bambina fosse persino più strana di Franziska… il che era quasi impossibile.
Bussai alla porta dell’ufficio, che era evidentemente chiuso, ma con le luci ancora accese all’interno.
«Was ist so lustig? [Cosa c'è da ridere?]» chiesi nel frattempo ad Annika, sorridendo incuriosito dal suo atteggiamento.
Non ebbi mai la risposta a quella domanda perché all’improvviso Pearl Fey aprì la porta dello studio e, dopo un sospiro trattenuto per la sorpresa e un sorriso compiaciuto, strillò: «Signor Nick! E’ appena arrivato il signor Eiwood ed ha portato sua figlia!»
Subito cercai di interromperla.
«Ma lei non è mia… figlia.» Ormai era troppo tardi.
Subito si affacciarono all’ingresso Maya Fey e Wright, curiosi di vedere la piccola. Lei nel frattempo si era nascosta dietro di me, ma continuava a stringermi la mano. Non credevo che fosse abituata ad avere tutte queste attenzioni in effetti.
«A quanto vedo l’hai trovata, Edgeworth» disse divertito il mio amico d’infanzia. Non sapevo cosa ci trovassero di divertente nel fatto che andassi in giro con una bambina. Beh, in effetti non era solito vedermi così, né io avevo molta esperienza con i bambini, ma loro esageravano.
«Volevo solo restituirti il tuo Magatama, Wright. Non mi è stato granché utile e…» stavo cercando di finire la mia frase di cortesia che mi avrebbe portato a dei saluti freddi e ad andarmene velocemente via di lì quando sentii qualcuno tirarmi per la manica della giacca.
I miei occhi grigi incontrarono quelli color dell’oceano della nipotina di Franziska quando lei mi disse: «Ich bin hungrig, Onkel Miles! [Ho fame, zio Miles!]»
Oh accidenti! Mi ero dimenticato di dover portare Annika a casa e prepararle una cena perfetta, così come aveva detto Frannie. Dovevo risolvere la cosa velocemente.
«Che cosa stai dicendo? Perché parli in modo strano?» le stava chiedendo nel frattempo Pearl, che le girava intorno curiosa.
Annika la guardò corrucciata e, con mia grande sorpresa rispose: «Ich non parrla strranou, ich bin tedeska!» Poi le fece una linguaccia, lasciando Pearl senza parole.
Non sapevo che Annika stesse cercando di imparare l’inglese… ma in effetti se Angelika assomigliava almeno un po’ a suo padre doveva essere scontato. Ricordavo che, quando ero arrivato a Berlino e avevo visto la piccola Franziska la prima volta, lei era già bilingue.
Mentre pensavo ancora a Frannie – la mia mente si soffermava stranamente spesso a pensare a lei ultimamente – Phoenix, cioè il cucciolo Phoenix, si era messo a uggiolare tristemente in un angolo.
A quei lamenti Pearl si avvicinò al cane e lo accarezzò.
«Cos’hai, piccolino?»
«Ihm hat Hunger auch… Ha fa… fami..?» cercava di interloquire Annika, ma non era ancora capace di esprimersi in una lingua tanto diversa dalla sua. Andai in suo aiuto.
«Annika voleva dire che ha fame, e che anche il cane è affamato, quindi sarebbe meglio per noi anda…» non riuscii a terminare la frase che Maya intervenì.
«Ohh ma io e Nick abbiamo ordinato valanghe di hamburger! Potete rimanere qui con noi, e secondo me ad Annie piacerà» applaudì con le mani convinta della sua idea e spalancando la porta per lasciarci passare.
Non ebbi nemmeno tempo per declinare l’invito, poiché lo spitz tedesco si fiondò letteralmente all’interno del locale, probabilmente per l’odore di hamburger, e Annika fu trascinata dentro da Pearl, che già le parlava spedita di non sapevo quale argomento che sicuramente la piccola non avrebbe capito.
Sospirai.
Aaah, mi dispiace Frannie, non potrò preparare ad Annika la cena perfetta che ti avevo promesso…


Angolo di Kirly: 
Avere la febbre mi porta a tanta ispirazione! :D 
Ecco qui il vostro aggiornamento, anche se forse potevo fare di meglio.... che ve ne pare? Cosa ne pensate voi?
Oh ho introdotto l'inglese tra le conoscenze di Annie perché ho pensato che forse esageravo con le frasi in tedesco. 
Che altro...? Penso che nel prossimo capitolo ci sarà il primo giorno di processo! 

Okay basta u.u Ringrazio Seris e Rurue per aver commentato il precedente capitolo e spero di risentirle presto :D

Un bacio! Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Resistance ***


Capitolo 12 – Resistance

Is your secret safe tonight?
And are we out of sight?
Or will our world come tumbling down?

Will they find our hiding place?
Is this our last embrace?
Or will the walls start caving in?

Resistance.


{Miles Edgeworth}

Quando quella sera tornammo a casa, dopo tutti gli avvenimenti di quella giornata che mi avevano praticamente stravolto la vita, non potevo immaginare quello che era successo in mia assenza.
Era stata davvero la goccia che aveva fatto traboccare il vaso… ma andiamo con calma.
Il soggiorno sembrava normale, ma mi accorsi subito che qualcosa non andava, per un momento non me ne resi conto però, né volli approfondire la cosa. Ero davvero troppo stanco per pensarci.
Annika entrò in casa superandomi e inseguendo il suo volpino che nel frattempo annusava dappertutto come impazzito.
Non mi resi conto nemmeno di questo dettaglio e proseguii all’interno della casa.
Anche la cucina sembrava a posto, anche se Franziska aveva lasciato la tazzina del thé che avevamo preso a colazione sul tavolino, e sapeva tantissimo quando odiavo quella cosa: non volevo che restasse il segno circolare della tazza sul legno lucido.
Osservandola non potei non sorridere al ricordo.

«Franziska, per favore, potresti ricordarti di mettere la tazzina in lavastoviglie? O se proprio vuoi lasciare lì quella tazza metti almeno un sottobicchiere» le avevo chiesto quella mattina, mentre posavo alcuni documenti sul caso che avrei dovuto seguire quel giorno al Lordly Taylor  nella valigetta.
«Che sciocchezza, herr Miles Edgeworth! Nella mia ricca magione in
Deutschland sono i comuni domestici ad occuparsi di queste cose sciocche.» aveva risposto lei, facendomi sorridere.
Non era proprio abituata a vivere senza qualcuno che si occupasse di lei.
A quel punto mi aveva frustato, ma senza vera motivazione. Poi aveva commentato: «Smettila di sorridere in quel modo sciocco!»

Era così tremendamente ostinata da farmi tenerezza. A quanto pare aveva ignorato il mio consiglio e, probabilmente di proposito, aveva lasciato lì la tazzina. Per farmi un dispetto.
E se fosse stata l’ultima volta? E se non avessi più avuto la possibilità di vedere quei suoi gesti ogni giorno?
Da quando abitava qui con me mi ero abituato alla sua compagnia e adesso che lei non c’era… la casa mi sembrava così vuota! Possibile?
In ogni caso, che avesse deciso di continuare a vivere insieme a me oppure no, l’avrei scagionata il giorno dopo, senza ombra di dubbio. Però sarebbe stato… interessante averla ancora qui.
Il filo mentale dei miei pensieri fu interrotto da un abbaiare acuto seguito da uno molto più grave.
Voltandomi in direzione del corridoio vidi Annika che cercava di trattenere il suo piccolo cagnolino dal graffiare tutta la porta dello studio.
«Onkel Miles, tut mir leid! Phoenix hat etwas Seltsames über der Tür war, und ich kann nicht aufhören! [Mi dispiace, zio Miles! Phoenix ha sentito qualcosa di strano oltre la porta e non riesco a fermarlo!]»
La piccola alzò le spalle quasi ad indicare la propria incapacità di gestire la situazione, poi aggiunse: «Ich weiß nicht, was könnte Sie interessieren ihn genug, um ihn zu drücken, um auf diese Weise zu verhalten… [Non so proprio cosa potrebbe interessargli tanto da spingerlo a comportarsi in quel modo…]»
Già, come mai si comportava così? Proprio non riuscivo a cap… Oh no. Come avevo potuto dimenticarmene?!
Avevo capito cos’era successo, e questo mi riportò ad un altro ricordo di quella mattina, quando Frannie era ancora libera.

«Franziska, potresti farmi il favore di lasciare una ciotola di croccantini e una di acqua per Pess? Credo che stasera faremo tardi, meglio lasciargli una scorta.»
Sapevo che se il mio labrador avesse avuto abbastanza cibo si sarebbe tenuto distratto tanto quanto bastava per non distruggere la casa.
«E ti raccomando di non lasciare porte chiuse, o potrebbe diventare claustrofobico» avevo poi aggiunto.
Dall’altra stanza mi era poi arrivata l’irritata risposta: «
Ja, ja, mi occupo io di quell’Hund. Vieni qui… piccolo mostro…»
Sarebbe stato davvero divertente vedere Frannie alle prese con Pess, ma quella mattina avevo così fretta da non poter quasi respirare, quindi l’avevo lasciato alle sue “cure”… sperando in bene.

Peccato che era andata male. Credevo proprio che Franziska sarebbe stata soddisfatta di ciò che aveva fatto, se solo avesse potuto vederlo!
Appena aprii la porta dello studio infatti, mi trovai davanti uno spettacolo così sconcertante da strappare un respiro mozzato persino ad Annika, che esclamò stupefatta: «Che dissastrrou!»
Lo studio era praticamente a pezzi: le poltrone erano state sventrate e ora piume e pezzi di cotone volavano e rotolavano per la stanza, talmente leggiadramente da sembrare neve. Ma quella era l’unica cosa vagamente carina: le gambe delle sedie erano state masticate per molto tempo, a quanto potevo notare dai segni lasciati dai dentoni e dalla saliva che sembrava quasi scioglierle come acido. La scrivania sembrava essere stata un luogo di guerra, per com’era piena di graffi e per niente lucida.
Avrei anche potuto sopportare tutto questo, ma non di certo i miei libri, tutti i miei dossier, i documenti, i files dei miei casi e qualsiasi altro tipo di elemento cartaceo che era stato dolcemente masticato e in alcune parti anche ingerito dal mio cane.
Eppure le avevo detto di non tenerlo chiuso da nessuna parte! Aaah, Franziska!
Scossi la testa sconvolto e non sapendo come comportarmi, quando vidi qualcosa di interessante.
Pess aveva appena tirato via un foglio sconosciuto, nascosto sotto un cassetto di un mobiletto che tenevo su un lato della stanza. Phoenix sembrava interessato, e ora si contendevano in tutti i modi il documento, qualunque cosa fosse, tirandolo di qua e di là con il rischio di strapparlo.
Stavo per lasciarsi fare – tanto il danno era ormai fatto – quando, con la coda dell’occhio, mi parve di leggere parte dell’intestazione:

                            “Documento testamentario di Manfred von Karma

Ma che…? Cosa era quel documento?!
Con una mossa degna dell’uomo più veloce del mondo, strappai via dalle bocche assassine di quei cani il foglio, stringendolo e cercando di concentrarmi per leggerne il contenuto.
Ma quelli continuarono ad abbaiare in mia direzione, come per chiedermi di restituire a loro il giocattolo nuovo che avevano trovato.
Con un’occhiata severa dissi: «Adesso basta!»
Pess si zittì immediatamente, mettendosi seduto. Phoenix sembrò più indeciso ma poi si calmò.
Sospirai soddisfatto, adesso si ragionava. Poi mi rivolsi ad Annika, che nel frattempo sorrideva divertita, forse a causa mia. Mi ero reso conto che forse spesso rideva di me, ma non ne conoscevo il motivo. Forse le sembravo strano.
«Ich denke, es ist Zeit, schlafen zu gehen, Annika. Deine Tante würde mich umbringen, wenn er wüsste, dass Sie immer noch bis zu dieser Stunde. [Credo che sia ora di andare a dormire, Annika. Tua zia mi ucciderebbe se sapesse che sei ancora in piedi a quest'ora.]» sogghignai. Effettivamente erano le 23 passate, e per una bambina della sua età era strano essere sveglia a quest’ora. Frannie mi avrebbe sicuramente ucciso a colpi di frusta se l’avesse saputo. Metaforicamente parlando, era ovvio.
Lei annuii e io la portai nella camera da letto dove dormiva la mia “sorellina” da quando era qui negli Stati Uniti. Io avrei dormito sul divano, come al solito. Eppure… come avrei fatto quando anche Franziska sarebbe tornata? Questa casa, che avevo sempre considerato molto grande, adesso mi sembrava troppo piccola per tutti noi. Forse avrei dovuto comprare una casa più grande, dove io, Franziska e Annika avremmo potuto vivere… Ma che stavo pensando? Stavo pianificando come se fossimo una famiglia?! Scacciai subito il pensiero così strano che mi era venuto in mente. Avevo altre cosa che a cui pensare.
«Onkel, wo mein Schlafanzug ist? [Zio, dov'è il mio pigiamino?]» mi distrasse dai miei pensieri di nuovo Annie.
Oh, non avevo pensato a quel dettaglio. La piccola era praticamente senza alcun vestito, se non consideravamo quello che indossava, e io avevo dimenticato di chiederle in quale albergo alloggiasse per prendere la valigia con le sue cose. Avrei dovuto pensarci, che sciocco.
La bambina sbadigliò, mentre io le dicevo: «Morgen werden wir um Ihre Sachen zu nehmen. An diesem Abend können Sie tragen eine der Dinge Franziska.[Domani andremo a prendere le tue cose. Per questa sera puoi indossare una delle cose di Franziska.]»
Le indicai i cassetti dove Frannie teneva le sue cose, ma lasciai che fosse lei a scegliere cosa indossare e a farlo. Uscii dalla stanza. Non volevo che si sentisse in imbarazzo con un uomo nella stanza – anche se si trattava solo di una bambina – e allo stesso tempo mi metteva a disagio l’idea di guardare nei cassetti di lei. Non avevo idea del perché, quasi come se mi immaginassi di trovarci dentro non sapevo quale strano capo, ma non volevo proprio toccare niente.
Quindi mi accomodai in soggiorno, dove Phoenix e Pess avevano preso posto sul tappeto e giocherellavano con un libro illustrato intitolato “Franzy e la Frusta del Potere”, mordicchiandone gli angoli. Beh, di certo quello non sarebbe stato una grave perdita nella mia biblioteca…
Presi tra le mani il foglio umido e sgualcito che avevo sottratto ai diavoletti davanti a me, e cominciai ad osservarlo.

La prima cosa di cui mi resi conto era che non si trattava di un foglio, ma di ben due fogli, ognuno con quella stessa intestazione inquietante sul testamento.
Lessi la prima pagina, quella che mi sembrava anche meglio conservata:

“Io, Manfred von Karma, in pieno possesso delle mie facoltà mentali, decido così di suddividere i miei beni al momento della mia morte.”
Lasciai perdere la parte burocratica del testo per saltare direttamente alla divisione delle varie proprietà del signor von Karma.

“Decido di dividere i miei beni solamente in due parti:
Lascio la prima parte dei miei beni immobili e finanziari alla mia figlia primogenita, Angelika Victoria von Karma, e a sua figlia, nonché mia nipote, Annika von Karma, che ne prenderà pieno possesso una volta raggiunta la maggiore età.
Lascio la seconda parte alla mia secondogenita Franziska von Karma, affinché con i miei mezzi possa raggiungere la perfezione.”

Lessi fino all’ultima riga, chiedendomi perché Franziska mi avesse nascosto il testamento del suo padre recentemente scomparso. Era chiaro che me lo stesse nascondendo, se no come sarebbe finito dietro quel cassetto che Pess aveva solo per caso smontato?
Che avesse un legame con il caso? Al momento non mi sembrava plausibile.
Decisi di leggere l’altro foglio, quello che gli altri cani avevano rovinato di più, sperando di trovare qualcosa che potesse in qualche modo essere utile a me e a Wright per il processo di domani.
L’intestazione era praticamente uguale, tanto che pensai si trattasse di una fotocopia, ma si trattava di un testo scritto a mano, anche se in una grafia elegante e perfetta.
Saltai la parte noiosa del testo per arrivare a ciò che mi sembrava differente:

“Decido di dividere i miei beni in treparti, quanti sono i miei eredi:”

Sembrava aver cambiato idea in questo testamento, forse voleva dare un terzo delle sue proprietà interamente ad Annika?

“Lascio la prima parte dei miei beni immobili e finanziari alla mia figlia primogenita, Angelika Victoria von Karma, e a sua figlia, nonché mia nipote, Annika von Karma, che ne prenderà pieno possesso una volta raggiunta la maggiore età.
Lascio la seconda parte alla mia secondogenita Franziska von Karma, affinché con i miei mezzi possa raggiungere la perfezione.
Lascio infine la terza e ultima parte dei miei beni al mio allievo, nonché figlio acquisito, Miles Edgeworth, per dimostrargli che non provo astio nei suoi confronti.”

C… Cosaaa?! Il signor von Karma aveva deciso di lasciare parte dell’eredità a me?! Mi sembrava davvero assurdo, considerando il suo modo di pensare e il comportamento che aveva avuto nei miei confronti al nostro ultimo incontro.
Conoscendolo, l’idea che potesse decidere di lasciarmi qualcosa mi sembrava impossibile! Figuriamoci, mi sembrava tale anche quando non sapevo ancora che era l’assassino di mio padre!
No, c’era qualcosa che non quadrava in tutto ciò, qualcosa di strano… Come quel modo di arricciare la “r” nella sua grafia, o il trattino imperfetto della “t”…
Improvvisamente tutto mi fu chiaro: la faccenda che doveva sbrigare Franziska e che non le permetteva di tornare in Germania per il funerale di suo padre, tutte quelle catene e psicocosi  intorno a lei. Le sue lacrime, i suoi “Mi dispiace! Quello che ho fatto è… inaccettabile!”
Era ovvio, come avevo fatto a non rendermene conto subito? Come avevo fatto a non capire cosa stava combinando?! Avrei dovuto riconoscere subito la sua grafia!
Solo una frase mi martellava in testa di continuo, come una litania: Franziska ha modificato il testamento di suo padre.
E lo aveva fatto per includere me.
Perché voleva che fossi parte del testamento? Sapeva che non avrei mai preteso di ereditare qualcosa del mio maestro, nonché assassino di mio padre. Non volevo niente di lui.
Ma lei lo aveva fatto, e questo mi turbava. Andava incontro ad una condanna, una vera condanna. E lei era colpevole.
Il cuore mi batteva tanto forte da assordarmi, tanto forte quasi da non sentire una presenza dietro di me, che improvvisamente mi strattonò la manica della camicia.
Per poco non ebbi un infarto, quando girandomi scoprii Annika, ancora sveglia, che mi guardava con grandi e stanchi occhi celesti.
«Onkel Miles? Ich kann nicht schlafen… [Zio Miles? Non riesco a dormire…]» gemette tristemente, poi sbadigliò.
Io dovetti prendere qualche secondo di respiro, ancora sconvolto dalla mia scoperta, ma accantonai il pensiero per il momento.
Franziska avrebbe voluto che mi occupassi della sua nipotina, Frannie avrebbe voluto che io pensassi alla bambina, non a lei. E poi, pensai per un attimo, c’era la possibilità che non fosse scoperta il giorno dopo, al processo. In fondo, il segreto del testamento non aveva molti legami con il caso in discussione.
Perché era ovvio che Franziska non avrebbe mai ucciso sua sorella, nemmeno per un’eredità. Specialmente per un’eredità.
Magari avrei potuto convincere Wright a non insistere troppo sul perché Angelika quel giorno si trovasse lì. Ma Katherine Payne…? Lei avrebbe di certo insistito su questo punto fino a far scoppiare la mia “sorellina” in lacrime.
«Onkel Miles…?» ripeté ancora la bambina, e allora mi resi conto di essermi fermato a rimuginare sui miei pensieri per, forse, molto tempo.
«Tut mir leid, Annika. Willst du mich neben dir schlafen? Vielleicht fühlen Sie sich besser.[Scusami, Annika. Vuoi che venga a dormire vicino a te? Magari ti sentirai meglio.]»
Le sorrisi cercando di sembrare gentile, anche se in realtà ero sconvolto. Non credevo che avrei dormito quella notte.
Anzi, mentre la bambina mi prendeva per mano e mi portava in camera da letto, mi resi conto che era effettivamente così. 

Angolino dell'autrice:
Buonasera mie care! 
Ho deciso di fare ancora un altro capitolo prima del processo, come avevo già anticipato a qualcuno nelle risposte alle recensioni... 
Mi ero resa conto di dover svelare il mistero di Frannie finalmente ed eccolo qui! Ma credo che fosse ovvio ormai! XD
Spero che vi piaccia comunque, e vi mando tanti baci :3
Aspetto i vostri commentiii! 

Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Save Me ***


Capitolo 13 – Save me

Watch me cos I’m on a mission
Hold me back so I’m forced to listen
Don’t let me go
Cos I’m nothing without you

Turn me into someone like you
Find a place that we can go to
Run away and take me with you
Don’t let go I need your rescue

Save me.


Quella mattina mi fu concesso di darmi una sistemata allo specchio, visto che mi dovevo presentare in tribunale entro poco tempo.
L’avevo trovata una cosa carina da parte loro, darmi l’opportunità di non sembrare una povera ragazza sciatta e colpevole. Forse perché per me di solito sciatta era al 90% sinonimo di colpevole. Forse semplicemente non volevo apparire imperfetta alla corte.
Purtroppo però, quando fui messa davanti allo specchio mi resi conto di non poter fare niente per il mio aspetto.
Ero semplicemente un disastro: i miei splendenti capelli color cielo – come a Miles piaceva definirli, anche se io non ero molto d’accordo – erano un groviglio informe sulla mia testa, ma quello era il minimo. Avevo delle ombre scurissime sotto gli occhi, segno che non avevo dormito tutta la notte, e la pelle innaturalmente pallida e stanca. Insomma, ero un vero mostro.
Capii che non c’era molto da fare per migliorare la situazione, tranne forse rubare la pochette da trucco di quell’agente bionda per niente naturale che credevo di aver visto una volta durante un’indagine.
«Agente, prestami subito i tuoi trucchi.» la minacciai, stringendo le mani in due pugni lungo i fianchi, impotente. Odiavo non poter avere con me la mia frusta, non riuscivo a esprimere me stessa senza di lei.
«Non esiste, tesoro. Vedi di arrangiarti.» rispose lei, con un colpo di ciuffo biondo ossigenato, mentre si appoggiava allo stipite della porta della cella, aspettando che finissi.
Nervosa come non mai, mi resi conto che quello non era proprio il momento di provocarmi. A grandi passi e facendo risuonare i miei tacchi per tutta la stanza mi diressi dritta verso di lei, alzando la testa per poter permettere ai miei occhi di quel freddo color ghiaccio in quelli castani di lei.
«Senti, tesoro, non credo che ci siamo capite. Io sono Franziska von Karma, il Genio, e pretendo subito che tu mi presti i tuoi trucchi in modo che io appaia perfettamente al mio processo. Non azzardarti a contraddirmi, non ti conviene.»
Non potei fare a meno di digrignare i denti mentre dicevo tutto ciò. Se non avessi rischiato anche la denuncia per aver attaccato un pubblico ufficiale l’avrei strozzata. Ugh… non avrei dovuto pensare a certe cose, specialmente non quando mia sorella era stata uccisa allo stesso modo.


{Miles Edgeworth}

Era arrivato. Non riuscivo proprio a crederci, ma il fatidico giorno in cui Franziska sarebbe stata processata era arrivato.
Così in fretta da non riuscire nemmeno a capire qualcosa del caso. Così presto da non avere nessuna prova, nessun testimone che potesse riuscire a scagionarla. Come avrei fatto a portarla via di lì?
No, non dovevo pensare queste cose. Le avevo promesso che l’avrei liberata, e dovevo mantenere la promessa. Ad ogni costo.
Con quella convinzione, mi guardai allo specchio. I miei occhi erano grigi e cupi come nubi che annunciavano tempesta, il mio sguardo sembrava perso nel vuoto. Mi resi conto solo in quel momento di quanta paura avessi di perderla.
Franziska era stata la mia spina nel fianco per molti anni: in tutti i modi aveva cercato di superarmi, di battermi, di essere migliore di me. Era stata cresciuta nel credo dei von Karma, e aveva fatto di tutto per essere perfetta. Eppure, la verità era che voleva solo che suo padre le volesse bene, che fosse fiero di lei.
E la verità era che qualcuno che le voleva bene in realtà esisteva. Io le volevo bene.
Ecco perché quella sera ero andato a vedere l’esecuzione dell’assassino di mio padre. Non avrei mai voluto che Frannie lo affrontasse da sola. Lei era solo una piccola e fragile ragazza, non avrebbe mai sopportato tutto ciò. E io ero stato lì per lei, anche se probabilmente non l’aveva capito.
Adesso la paura di non riuscire a salvarla da quella situazione in cui si era cacciata mi distruggeva. Cosa potevo fare? Cosa…?
«Onkel Miles! Welche Kleidung sollte ich tragen? [Zio Miles! Quale vestito dovrei mettere?]» improvvisamente Annika si affacciò alla porta del bagno, con indosso un maglioncino celeste di Franziska troppo grande per lei, tanto da coprirla fino alle ginocchia. La bambina sembrava essersi resa subito conto dell’importanza di quella giornata, anche se nessuno le aveva detto chiaramente che sua zia sarebbe stata accusata dell’omicidio di sua madre.
«Annika, Ich denke, man sollte die einzige Kleidung, die Sie tragen müssen. [Credo che dovresti indossare l'unico abito che hai.]» risposi, alzando le spalle. Non avevo ancora avuto modo di andare a prendere i suoi vestiti nell’hotel in cui alloggiava insieme ad Angelika, ma la sua reazione mi spaventava. Se avevo capito l’atteggiamento della piccola, se lei era davvero così simile alla mia “sorellina”… beh, avrebbe fatto una scenata.
Lei sospirò, scuotendo la testa e i lucenti capelli chiari.
«Es ist okay. Però prometii che duopo andiamo a prendire i miei vestitui.» aveva ribattuto, e io l’avevo guardata praticamente sconvolto. Come poteva una bambina essere così accondiscendente? Forse l’avevo paragonata troppo a lei…
Beh comunque sarebbe stata un problema in meno a cui badare. A proposito di problemi, dovevo ancora decidere a chi lasciare Pess e Phoenix per quella giornata. Non avevo proprio voglia di ripetere il disastro della notte precedente, e adesso che i cani erano due le possibilità che lo studio, insieme al resto della casa, andasse in pezzi erano davvero alte.
Uscii dal bagno, decidendo che fissarmi allo specchio in quel modo non mi avrebbe di certo aiutato a risolvere il caso. Né a sentirmi meglio a riguardo.
Indossai la mia giacca rossa e mi diressi verso la cucina, trovando Annika vestita di tutto punto che lanciava croccantini in aria. Il labrador e lo spitz facevano a gara a saltare, per cercare di afferrarli e divorarli, come due sciocchi ingordi.
«Che cosa state facendo ancora qui? Dovremmo andare.» dissi in inglese, riferendomi sia ad Annika, che speravo avesse capito, sia a Pess e Phoenix. La solitudine in casa prima dell’arrivo di Franziska mi aveva portato a parlare spesso con questo tono al mio grosso cane, che sembrava capirmi al volo.
Pess infatti si sedette, fissandomi in attesa. Annie nascose la scatola di croccantini dietro la schiena, mentre il suo cucciolo guaiva e si accucciava accanto a lei. Mi sentii soddisfatto, erano bravi ad ascoltare i miei ordini. Anche se non volevo che la bambina mi credesse un uomo di cui avere paura.
Aggiunsi un sorriso, e lei mi sorrise di rimando. Mi tranquillizzai immediatamente. Immaginavo già la faccia arrabbiata di sua zia se avesse scoperto che spaventavo la sua nipotina. Rabbrividii al solo pensiero di quante frustate avrei dovuto sopportare.
Quindi presi i guinzagli dei due cani da uno scaffale lì accanto e li porsi alla bambina.
«Andiamo, oggi un mio amico si occuperà dei nostri Hunde

«Che cooosa? Edgey non puoi chiedermi questo! Proprio no!» scosse la testa disperato, stringendo in mano un pennello e con i lacrimoni agli occhi.
«Larry, sai che se avessi potuto li avrei lasciati in mani migliori, ma non posso proprio occuparmi di loro. Si tratta solo di un paio di ore!» avevo risposto nervoso, restando sullo stipite della porta di casa sua. Proprio mi chiedevo perché avevo deciso di lasciarli a lui. Sapevo che non c’era da fidarsi, ma visto che Gumshoe doveva sicuramente testimoniare, e di solito anche uno sciocco come lui sapeva occuparsi di Pess… Insomma, qualsiasi sciocco poteva andare bene per questo compito.
Mi resi improvvisamente conto che stavo cominciando a pensare proprio come Franziska. Forse era la mia preoccupazione nei suoi confronti a rendermi così strano?
«M-ma… anch’io volevo assistere al processo di Franzy. La mia modella non può essere colpevole! Non la mia Franzy!» aveva strillato, torcendo le mani intorno al pennello.
Sospirai pesantemente e strinsi forte le mani, nel tentativo di non rispondergli male. Odiavo il modo in cui si comportava, anche se eravamo amici ormai da troppo tempo.
E poi, il modo in cui parlava di Franziska mi irritava molto. Come se fosse qualcosa che in un certo senso gli apparteneva.
Lei non era assolutamente di nessuno, specialmente non sua.
Come si permetteva di pensare a Frannie in quel senso? Nessuno poteva assolutamente pensare a lei in quel senso perché lei era…
Mi accorsi dei miei pensieri e li eliminai, considerando che probabilmente la mia reazione si poteva spiegare come la gelosia di un “fratellino”. Perché per me lei era questo, giusto? Una “sorellina”…
«Onkel Miles! Du tust mir weh! [Mi fai male!]» gemette improvvisamente Annika, cercando di liberarsi in tutti i modi dalla tenace stretta della mia mano. La rilasciai di colpo, mordicchiandomi il labbro turbato.
«Es tut mir leid, Annie.[Scusami.]» ribattei sconsolato. Se Franziska mi avesse visto in quel momento mi avrebbe frustato fino alla morte, ne ero certo!
La bambina scosse la testa, in segno che non era successo nulla di grave, e ciò mi tranquillizzò. Io non volevo farle del male, mi ero solo distratto. Ed era tutta colpa di Larry.
Mi alzai a fissare duramente il suo sguardo, quando mi resi conto che stava guardando Annika come se fosse la creatura più bella del mondo.
Oh no, speravo non si fosse innamorato di lei! Era soltanto una bambina, non poteva davvero!
«Ciao, Annika! Io sono lo zio Larry, ti piacerebbe posare per me? Saresti un’ottima modella e…»
Stavo per interromperlo quasi urlandogli in faccia che Annika non gli avrebbe mai fatto da modella, e che non riuscivo proprio a capire come avesse ricattato Frannie per farlo, quando la piccola lo fece al mio posto.
«Onkel Larry, poutresti badare a Phoenix und Pess, per favuooore?» unì le manine in segno di preghiera e inclinò la testa leggermente, sembrando ancora più dolce e carina di quanto era solitamente. I suoi occhi color cielo così simili a quelli della zia brillavano come se stesse facendo una sorta di incantesimo ai danni di Larry.
E in effetti fu proprio così. Il ragazzo sembrò essere totalmente stregato da Annika, e annuì energicamente, come se avesse acquisito una forza nuova.
«Ma certo, piccola! Mi occuperò io dei vostri cani e li troverete ancora più belli di prima!» il suo sguardo ispirato e convinto mi stupii. Che la bambina avesse una sorta di potere che riusciva a ricondurre alla ragione persino i più inutili esseri umani come lui? Era una possibilità. Feci nota mentale di provare il suo “potere” su Gumshoe, chissà se sarebbe riuscita a farlo diventare un detective quasi discreto.
Con questa ultima battuta, lasciammo il mio cosidetto amico in balìa dei nostri cari cuccioli – che sapevo gli avrebbero dato filo da torcere – e ci avviammo velocemente verso il tribunale.
Era ora di parlare a Franziska di una certa “faccenda”.

Nella sala imputati n.3 c’era una strana atmosfera. Come se una tormenta si fosse materializzata all’improvviso e avesse congelato tutto ciò che c’era di vivo all’interno della stanza.
Una povera donna, una guardia di sicurezza a giudicare dall’uniforme, si guardava ansiosamente allo specchio, tentando in tutti modi di dare un contegno ai lunghi capelli biondi, che sembravano essere stati scompigliati da chissà quale tornado.
Un’altra guardia, un uomo stavolta, se ne stava silenziosamente in un angolo, tremando come una foglia.
Tutto era chiaro, Franziska doveva essere lì da qualche parte.
Infatti la trovai seduta su un divanetto, mentre guardava scorrere le immagini di un notiziario, nel piccolo schermo posizionato in un angolo della stanza. La giornalista affermava: «Possibile che l’omicidio sia un vizio di famiglia? Sembra proprio così per quanto riguarda la famiglia von Karma. Dopo il padre assassino, da poco giustiziato, adesso anche la figlia si trova accusata di omicidio. Stiamo parlando ovviamente del famoso procuratore Franziska von Karma, il genio che a soli tredici anni aveva...»
La trasmissione si interruppe improvvisamente, quando l’imputata, la mia “sorellina”, spense la tv con un gesto nervoso della mano. I suoi occhi però sembravano non aver lasciato lo schermo, segno che era sul punto di crollare. Non aveva il coraggio di voltarsi verso di me.
«Credono che abbia ereditato non solo il cognome ma anche l’omicidio adesso. Assurdamente sciocco. Vero, herr Miles Edgeworth?» la sua mano era stretta intorno al telecomando fino quasi a stritolarlo. Probabilmente la mancanza della frusta la innervosiva ancora di più.
Mi avvicinai a lei, abbassandomi per fare in modo che i miei occhi fossero alla stessa altezza dei suoi. Lei continuava a non guardarmi.
«Frannie, sai che sono solo sciocchezze. Tu non faresti mai del male a nessuno.» sussurrai, prendendo le sue mani nelle mie. Erano piccole e delicate, stranamente non aveva indossato i guanti neri. Che strano, solitamente non li toglieva mai, e questo mi faceva piacere visto che si trattava di un mio regalo.
Lei finalmente alzò lo sguardo ad incontrare il mio, e notai i suoi occhi lucidi e gonfi, come dei laghetti di montagna sul punto di esplodere. Odiavo vederla in questo modo, il mio cuore vacillava e smetteva quasi di battere ogni volta che succedeva.
«Tu mi credi, vero Miles? Non pensi che sia colpa mia se Angelika…» lasciò la frase in sospeso con un singhiozzo.
Trovai il coraggio di carezzarle la guancia per asciugare l’unica lacrima che era sfuggita al suo controllo. Il perfetto controllo che sembrava aver perso totalmente.
Come poteva solo pensare che io non le credessi? Era forse a causa del testamento che pensava che io non mi fidassi più di lei?
«Sai che credo nella tua totale innocenza, Frannie.» sussurrai ancora dolcemente, tentando in tutti i modi di tranquillizzarla. Ma si poteva essere tranquilli quando nelle prossime ore sarebbe stato deciso il destino della propria vita? Si poteva osservare con tranquillità due avvocati che si urlavano contro indicando te come colpevole?
Per un’orribile esperienza, sapevo che non era possibile. Ma mi sarei impegnato in tutti i modi per fare in modo che Franziska lo affrontasse serenamente.
La guardai ancora una volta con preoccupazione. Sapevo che non era affatto il momento migliore per parlarle di questo, ma dovevo farlo. Era mio compito.
«Franziska, perché hai modificato il testamento di tuo padre? Perché ci tenevi tanto a includere anche me?» le chiesi titubante, confuso dal modo in cui si sarebbe comportata scoprendo la mia domanda.
Lei sospirò sconsolata, scuotendo la testa e con essa i soffici capelli color cielo, come aveva fatto sua nipote quella mattina stessa. Il ricordo mi fece sorridere.
Poi, interpretando come un invito a parlare il mio sorriso, cominciò a parlare.
«Quando ho scoperto che mio padre non intendeva includerti nelle sue volontà testamentarie mi ero arrabbiata molto. Sapevo che ti meritavi parte dell’eredità perché eri stato un figlio per lui come lo eravamo state io e Angelika. Anzi, ad essere sinceri dovrai ammettere che per lui eri stato molto più un figlio tu di quanto lo eravamo noi due messe insieme.» rise leggermente, ma si trattava di una risata amara, piena di risentimento e delusione.
Aspettai che continuasse a parlare, rivelandomi qualche indizio importante per la risoluzione dell’enigma, ma rimase in silenzio, cominciando ad attorcigliare una ciocca di capelli intorno ad un dito.
Finalmente mi soffermai a guardarla davvero: i suoi capelli non erano perfettamente lisci e lucenti come al solito, il suo viso sembrava spento e stanco. A quanto pare non aveva dormito tutta la notte, proprio come me. Doveva essere molto spaventata dall’eventualità di… No, lei non sarebbe mai stata dichiarata colpevole finché ero vivo!
Certo di quello che avevo appena pensato, ricominciai a chiedere: «Franziska…?»
«Questo comunque non c’entra nulla con il delitto, Miles! Il testamento era solo il motivo per cui Angelika era arrivata, ma non ho idea di chi l’abbia uccisa, né il perché! Non so proprio cosa pensare…» la sua voce si spense tanto, che riuscii a malapena a sentire le ultime parole che aveva pronunciato.
Dovevo ammettere comunque che aveva ragione, la modifica del testamento non aveva alcun legame con il caso. Ma per la procura poteva essere considerato un movente.
Ed era proprio su questo che Katherine Payne avrebbe basato tutto il processo.


{Franziska von Karma}

Fui ben presto allontanata da Miles per essere portata nella sala del tribunale dove si sarebbe tenuto il processo.
Dovevo ammettere di essere molto nervosa: avevo preso posto al banco della procura molte volte nel corso del tempo, ma mai mi ero trovata al banco degli imputati. Era strano vedere la stanza da quella prospettiva, strano e spaventoso.
Avevo visto il mio “fratellino” prendere posto accanto ad Annika, che mi faceva cenno come per salutarmi in modo entusiasta. Abbozzai un sorriso ma non ero sicura di che espressione avessi davvero fatto di fronte alla bambina. Se non ero abituata a sorridere quand’ero tranquilla, figuriamoci in questo momento!
Miles tentò di tranquillizzare la mia nipotina indicandole di sedersi, e lei si accomodò lasciando le gambe penzolare nel vuoto.
«… è quindi chiaro, Vostro Onore, che si trattava di un delitto dettato da questioni economiche. Ovviamente la qui presente signorina von Karma aveva manomesso il testamento del padre, come abbiamo potuto verificare grazie ad un esame calligrafico. La scrittura era quasi identica, per un occhio inesperto.» aveva in quel momento concluso il procuratore Payne, scostandosi i capelli dal viso e spingendo gli occhialetti su per il naso. Quanto mi stava antipatica.
Proprio non riuscivo a concentrarmi sullo svolgersi dei fatti, comunque. Sapevo già quali erano le prove contro di me che avrebbe usato frau Katherine Payne, perché erano le stesse su cui mi sarei basata io.
La modifica del testamento che aveva portato ad un delitto che avevo commesso con la mia stessa arma, la frusta, su cui erano rimaste ovviamente macchie del sangue di Angelika ma non impronte digitali, visto che portavo i guanti. Essi stessi erano una prova, e mi erano stati sottratti per fare delle analisi che avevano rivelato tracce del sangue di mia sorella anche lì. Bene, non credevo proprio che i guanti che Miles mi aveva regalato quando eravamo bambini mi sarebbero stati restituiti. Questo era davvero troppo!
Nervosa, cercai di ascoltare la testimonianza di herr Sciattone che affermava: «Il procuratore von Karma era accanto a sua sorella e pronunciava strane parole in tedesco. Teneva ancora in mano l’arma del delitto quando l’ho vista, e sembrava totalmente sotto shock»
Si trattava di una testimonianza veritiera, per uno sciocco come lui, ma si trattava anche di una prova schiacciante della mia cosiddetta colpevolezza.
«Sotto shock, ha detto? Detective, normalmente la signorina von Karma esprime i suoi sentimenti in maniera così vistosa?» chiese ancora frau Payne, con uno sguardo maligno negli occhi.
Oh, avevo capito dove voleva arrivare, e sembrava che anche herr Phoenix Wright l’avesse capito, infatti tentava in tutti i modi di farsi sentire gridando “Obiezione!” ma il giudice rifiutava di ascoltarlo.
«La signorina von Karma è sempre fredda e impassibile. Raramente lascia trasparire i propri sentimenti.» sussurrò herr Sciattone, guardandomi poi con un’occhiata di scuse. Sembrava quasi che fosse stato costretto a testimoniare contro la sua volontà.
Bene, ero spacciata.
«Questo, Vostro Onore, fa capire il perché l’imputata fosse sotto shock: in un raptus di follia deve aver strozzato la sorella, che si è dibattuta urtando il vaso borginiano che vediamo in questa foto, ma che è stata sconfitta. Signor Giudice, sa anche lei quanto a questo procuratore piaccia la violenza… non mi dica che non è mai stato frustato durante i processi tenuti da Franziska von Karma!»
Il giudice annuì in modo solenne, e io mi mordicchiai il labbro, pentendomi di essere stata così dura con lui e con tutti gli altri a volte. Potevo essere davvero terribile, comunque, ma non miravo mai a far davvero del male.
Ormai però era troppo tardi per fare un’affermazione del genere.
«Obiezione! Vostro Onore, è chiaro che l’imputata era sotto shock per aver ritrovato il cadavere della sorella… non certo per averla uccisa!» tentò Phoenix, ma la difesa mi parve troppo debole, infatti subito l’accusa replicò.
«Obiezione! Sotto shock per la morte di una sconosciuta? Avvocato Wright, sa anche lei che Angelika e Franziska non si erano mai viste prima d’ora, l’unico tratto in comune tra di loro era il colore dei capelli…» sorride beffardamente, facendo un cenno con la mano agli individui della difesa come per scacciarli dolcemente dall’aula.
Adesso si che mi innervosivo davvero! Se c’era una cosa su cui non ero d’accordo era che considerassero Angelika una sconosciuta. Non l’avevo mai vista, questo era vero, ma non era di certo un’estranea per me! Era la mia sorella maggiore, e anche solo per un attimo, avevo creduto di volerle bene, come ne volevo ad Annika, come ne volevo a… Miles.
Mi voltai di nuovo verso di loro, nella zona degli spettatori, e incrociai il suo sguardo cupo e plumbeo. Il mio “fratellino” sembrava davvero nervoso, come se non si aspettasse questa piega nel processo. Eppure era talmente scontato…
Poi successe qualcosa, qualcosa di davvero straordinario e sconvolgente. La mia bambina estrasse qualcosa dalla tasca, qualcosa che aveva la forma di una carta da gioco. Cominciò a rigirarsela tra le mani, osservandola da tutte le angolazioni, e io, pur essendo distante, riuscii a distinguere una forma familiare, la forma di una conchiglia rosa.
«De Killer!» strillai, alzandomi in piedi e puntando il dito verso Annika, che ora stringeva la carta al petto come se fosse il suo cucciolo.
Tutti si fermarono improvvisamente, voltandosi verso di me in silenzio, che ero rimasta a mia volta pietrificata in quella posizione. Il cuore mi batteva forte in petto.
Miles si interessò improvvisamente alla piccola, e riuscii a strapparle di mano la carta che teneva stretta. Poi fece una domanda veloce ad Annika, e lei rispose con un cenno della testa.
A questo punto herr Miles Edgeworth abbassò lo sguardo e sorrise per un attimo, poi con fierezza alzò gli occhi.
«Non è stata colpa di Franziska. Nella stanza al momento del delitto è stato ritrovato il marchio dei De Killer!»

---

Angolo di Kirlietta: 
Ed eccoci qui, mie care! A quanto pare il processo è cominciato. Ho pensato di non soffermarmi molto sui particolari elementi del processo, visto che comunque era chiaro come il sole che Franziska era spacciata con tutte quelle prove contro di lei... Pensate che abbia sbagliato? Pensate che dovrei rifare tutto il processo nel classico stile di Ace Attorney? Fatemi sapere, sono disposta a modificare un po' questo capitolo se non vi piace XD
Che dire? Oh, volevo darvi il mio contatto ufficiale su facebook, nel caso che qualcuno voglia parlare con me, discutere della fic, degli spoiler, e ovviamente di ogni altra cosa vogliate! Sono così affezionata a voi che mi piacerebbe sentirvi di più. Ovviamente se vi va :3

https://www.facebook.com/kirlia.efp.5
Beh, l'ultima info che vi volevo dare... uhm, me ne sono dimenticata! Ci penserò! 

Un grande bacio a tutte! 
Kirlia <3


Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Turning Tables ***


Capitolo 14 – Turning Tables

Close enough to start a war
All that I have is on the floor
God only knows what we’re fighting for
All that I say, you always say more

I can’t keep up with your turning tables
Under you thumb, I can’t breathe


Turning Tables.



La risata stridula e fastidiosa di frau Katherine Payne si diffuse per tutta l’aula, riempiendo il silenzio lasciato dalla rivelazione di Miles.
Non potei non guardarla corrucciata. Cos’aveva tanto da ridere?
«Vorrebbe insinuare, procuratore Edgeworth, che una misera carta in mano ad una bambina che potrebbe averla presa chissà dove, possa essere usata come prova per scagionare l’imputata? Mi sembra un po’ affrettato» sorrise malignamente, incrociando le braccia. Intanto sentivo il tacco della sua scarpa battere sul pavimento di marmo della stanza, producendo una eco fastidiosa e irritante.
Mi chiedevo perché ce l’avesse tanto con me: ero una dei suoi migliori procuratori, il mio cognome e il mio record in Germania portava prestigio alla procura. Almeno quando ero in servizio. Dovevo essere un orgoglio per lei, doveva cercare di “difendermi” per quanto rappresentasse l’accusa. Invece sembrava cercare ogni più futile dettaglio per mettermi in cella e gettare via la chiave. Era ambigua.
«Le assicuro, procuratore Payne, che la carta è una prova attedibile, in mano ad una testimone attendibile» replicò freddamente il mio “fratellino”, con un fugace sorriso.
Oh no, speravo non avesse intenzione di far testimoniare Annika! Era solo una bambina, in un paese straniero per giunta. Chi l’avrebbe mai ascoltata davvero?
E poi gli avevo specificatamente fatto capire che doveva proteggerla… gettarla in questa situazione a raccontare l’omicidio di mia sorella, nonché sua madre, non era esattamente il modo che avrei utilizzato per tenerla al sicuro.
Lui si voltò verso di me, e io gli inviai telepaticamente la parola “sciocco” sperando che ricevesse il messaggio e ritrattasse ciò che aveva appena detto. Purtroppo non fu così, ma lui alzò le spalle con aria di scuse, come a dirmi di non avere altra scelta.
Intanto nell’aula si era diffuso un brusio confuso di voci che non riuscivano a capire quali fossero le vere dinamiche di questo delitto. Riuscivo a sentire alcune accusarmi direttamente, ma cercai di non dare peso a queste cose e a concentrarmi sulla situazione.
«Silenzio!» tuonò il giudice, battendo il martelletto «Silenzio in aula! Considerata la svolta presa dal processo, ci sarà una pausa di 15 minuti. Procuratore Payne, la invito a rivedere i dati in suo possesso. Avvocato Wright, l’invito vale anche per lei.»
I due rappresentanti annuirono seriamente, per poi congedarsi dai propri banchi.
«Nell’attesa vorrei vedere la testimone e il signor Edgeworth nel mio ufficio.» concluse il giudice, indicando Annika e Miles.
Ero un po’ preoccupata di cosa il giudice le potesse chiedere, ma confidavo nella presenza di mio “fratello” per la sua sicurezza.
Non potevo fare altro che affidarmi totalmente a loro, adesso.

«Signorina von Karma, dov’è Annika?» chiese un’eccitata Pearl appena varcai la soglia della sala imputati.
La cosa mi colpii leggermente, perché non sapevo si conoscessero. Non ero nemmeno tanto sicura che la piccola sensitiva fosse una compagnia adatta per la mia nipotina. Non che fosse una criminale, ovviamente, ma non era neanche la gente perfetta che volevo che lei frequentasse.
Mi chiesi cos’altro avevano fatto Miles ed Annika durante la mia assenza e per poco non rabbrividii all’idea. Lui aveva certi sciocchi amici che proprio non mi andava che Annika conoscesse…
«Allora, dov’è Annie?» ripetè ancora la bambina, saltellando come se volesse raggiungere l’altezza dei miei occhi.
«Al momento è nello studio del giudice, fräulein Pearl Fey. Penso che le potrai parlare dopo il processo… sempre che vi capiate.» aggiunsi, non tanto convinta che fra loro potesse istaurarsi un rapporto di amicizia. Mi sembravano totalmente differenti in realtà. E poi, Annika non era ancora molto brava con l’inglese, anche se credevo che Angelika, da perfetta von Karma, le stesse facendo prendere già delle lezioni.
La bambina sembrò arrendersi all’idea e si sedette sul divanetto che mi aveva ospitato quella mattina, con aria tranquilla.
La cugina, frau Maya Fey, si alzò nello stesso momento come se qualcosa l’avesse punta, o come se avesse avuto un’idea improvvisa. Il suo sguardo sembrava indeciso.
«Sai Nick, sento che uno spirito sta chiedendo di essere evocato. A volte Mia lo fa, ma non credo di riconoscerla… sembra qualcun altro.»
Herr Phoenix Wright si voltò verso di lei, e anche io la guardai con un’occhiata interrogativa. Mi ero informata sulla tecnica di evocazione Kurain per via di quel processo in cui distrussi il mio record di vittorie perfetto… ah! Non era il momento per rimuginare su quelle cose.
Comunque, sapevo cosa intendeva, anche se non l’avevo mai visto in prima persona, ed ero piuttosto curiosa. Chi poteva essere lo spirito che chiedeva di essere evocato? E se fosse stata Angelika?!
«Potresti…» cominciai, ma poi mi interruppi quando tutti gli sguardi si puntarono su di me. Mi mordicchiai nervosamente un’unghia e, appena me ne accorsi, nascosi subito la mano dietro la schiena. Ecco perché indossavo sempre i guanti, solitamente.
Presi un respiro e continuai.
«Potresti evocare Angelika? Magari lei conosce il suo assassino.»
Mi accorsi subito che c’era qualcosa di sbagliato in quelle parole, come se un cassetto nella mia mente si fosse aperto rivelando che per le sensitive non era molto conveniente collaborare con la polizia o aiutare le indagini grazie alla testimonianza della vittima. Però non riuscivo a ricordare perché.
«Franziska, mi dispiace ma dopo quello che è successo a mia madre… Ho proibito alle sensitive Kurain di evocare vittime per scoprire assassini.» rispose Maya Fey, in tono di scuse.
All’inizio non capii a cosa si riferisse e quasi avevo tentato di chiedere chi fosse sua madre e cosa le fosse successo. Poi improvvisamente ricordai: il caso DL-6!
Il caso in cui il padre di Miles fu ucciso da mio… padre. Durante quelle indagini fu chiesto ad una sensitiva di intervenire, e la sensitiva era Misty Fey, la maestra, nonché madre di Maya. Avrei dovuto capire subito perché la richiesta mi sembrava sbagliata. Per molti anni mio padre era rimasto impunito solo perché Gregory Edgeworth non aveva visto il proprio assassino. E frau Misty Fey era stata presa per una ciarlatana.
Credendo di aver offeso la nuova maestra, portai una mano alla bocca stupita, poi fissai il pavimento.
«Mi… mi dispiace, frau Maya Fey. Non avrei mai dovuto chiederti una cosa del genere.»
Restai in silenzio, sentendo per l’ennesima volta la mancanza della mia adorata frusta. Tutti quegli sguardi su di me mi innervosivano, e di solito quando calava un silenzio del genere durante una discussione frustavo tutti per evitare di essere fissata. Adesso però non potevo e questo mi rendeva ancora più irritata.
Sentii la presenza della ragazza che si avvicinava a me e mi poggiava una mano sulla spalla. Normalmente avrei reagito male a quel contatto indesiderato, ma in quel momento non riuscivo ad essere scontrosa. Alzai i miei occhi color ghiaccio incontrandone un paio neri.
«Non fa niente Franziska! Immagino che sia normale nella tua situazione sperare in un aiuto del genere… Ma tranquilla! Vedrai che Nick e il signor Edgeworth ti tireranno fuori da questo pasticcio» mi sorrise in un modo che avrei potuto definire incoraggiante, come se volesse farmi forza.
Dovevo dirle che in realtà non mi fidavo per niente di herr Phoenix Wright? E che non ero certa che nemmeno Miles riuscisse ad aiutarmi?
No, non volevo distruggere le sue speranze, anche se le mie erano definitivamente andate in vacanza.
«E poi» aggiunse ancora improvvisamente la sensitiva «Smettila di chiamarmi “frao” o “frau” o come dici. Non sono così vecchia, anzi abbiamo la stessa età! Chiamami semplicemente Maya.»
La guardai stupita. Non sembrava che avessimo la stessa età, lei era molto più infantile di me. Beh, dovevo anche ammettere che io ero sempre stata molto precoce, considerato che ero diventata procuratore a tredici anni, ma lei dimostrava almeno tre anni di meno!
Ma la verità è che ero più stupita della sua confidenza nei miei confronti, che in un certo senso mi faceva sentire bene. Come se avessi quasi ottenuto un’amica.
«Va bene… Maya.» sorrisi leggermente e lei sembrò illuminarsi.
«Franziska, fra poco dobbiamo tornare in aula. Sei proprio sicura di non avere un’idea di chi possa aver pagato De Killer per uccidere Angelika?» disse improvvisamente Phoenix Wright, distruggendo l’atmosfera rilassata che quella conversazione con la sensitiva aveva appena creato.
Scossi la testa con sguardo angosciato e lui sospirò, riguardando di nuovo il dossier del caso.
Purtroppo non sapevo proprio come aiutarlo: per quanto ne sapevo, questo era il primo viaggio di Angelika negli USA, e questo significava che non conosceva nessuno. Chi avrebbe potuto volere la sua morte?

«Riprende il processo che vede come imputata Franziska von Karma. L’accusa è pronta a presentare il testimone?» cominciò il giudice, mentre prendevo posto di fronte a lui e prendevo un respiro per restare calma.
Annika sarebbe stata la prossima a testimoniare, chissà cosa aveva visto? Chissà cosa avrebbe detto?
Mi voltai ad osservare il procuratore Payne, che sembrava terribilmente arrabbiata e scocciata, e spingeva continuamente gli occhialetti lucidi su e giù per il naso. Che cosa l’aveva devastata tanto da comportarsi così?
Intanto nella stanza era calato il silenzio mentre tutti si aspettavano la risposta della donna, che improvvisamente sbottò: «Vostro Onore, perché non mi avete lasciato preparare la testimone?»
Io sorrisi divertita dal suo atteggiamento e mi appoggiai con un gomito al mio banco, osservandola. Scommisi che a lei non sfuggì il mio atteggiamento derisorio, ma non si azzardò mai a voltarsi verso di me.
«Sa, prima il signor Edgeworth mi ha fatto notare che la testimone è solo una bambina, ed è facilmente influenzabile. Ho preferito che riferisse direttamente ciò che ha da dire.»
La sua espressione in quel momento mi sembrò tanto afflitta, come se un fulmine dal cielo si fosse schiantato sul tribunale prendendola in pieno. I miei occhi erano luminosi di divertimento.
Accavallai le gambe mettendomi comoda per sentire la testimonianza veritiera della mia nipotina, che nessuno avrebbe potuto contraddire.
Annika fu portata al banco dei testimoni, accompagnata da Miles, che non le lasciava mai la mano. Il loro comportamento mi fece sorridere: sembrava che si fossero avvicinati molto in questi due giorni, e che la bambina si fosse sinceramente affezionata al mio fratellino.
Lui si schiarì la voce, poi disse: «Annika non conosce ancora bene l’inglese. Ha promesso che cercherà di farsi capire, ma io la aiuterò nel caso non riuscisse a tradurre qualcosa.»
Il giudice annuì e passò la parola a frau Katherine Payne.
«Testimone, ci dica quali sono il suo nome e la sua professione.» sussurrò tra i denti un sempre più scocciato procuratore, mentre si torceva un riccio tra le dita.
«Uhm… Io sonuo Annika von Karma. Prof… professonie Waise?» rispose subito la bambina un po’ confusa su cosa dire. Mi vennero le lacrime agli occhi a sentire ciò che aveva dichiarato come professione, povera piccola!
«Annika, “orfana” non vale come professione. Signor Giudice, la bambina… credo frequenti le elementari.» aggiunse Miles un po’ preoccupato, guardando prima lei poi me. I suoi occhi grigi sembravano dire “cosa faremo con lei?”
Io di rimando scossi la testa, sperando di poterne parlare con lui dopo.
Sapevo che se fossi uscita di lì la prima cosa che avrei sbrigato sarebbero state le pratiche per l’affidamento della piccola. Avevo riflettuto durante tutta la mia notte insonne su questo punto e avevo deciso che, pur essendo ancora solo una diciannovenne, potevo essere in grado di occuparmi di lei. In fondo ero un procuratore a tempo pieno, con i miei guadagni non le avrei fatto mancare niente e l’avrei cresciuta secondo il nostro credo, come pensavo mia sorella volesse.
Ma se non fossi stata liberata, cosa sarebbe successo alla mia nipotina? Era un pensiero che continuava ad attanagliarmi. Non potevo pretendere che mio “fratello” si occupasse di lei anche se era ovvio che per certi versi era anche sua nipote. Sarebbe stata affidata ad una famiglia di sconosciuti chissà dove, non potevo permetterlo!
«Annika, prosegui con la testimonianza, per favore» disse il giudice, che sembrava essere rimasto stregato da quegli occhi color mare e quell’atteggiamento dolce e gentile.
Lei annuì e mi guardò per un attimo. Vidi nei suoi occhi una consapevolezza adulta, quasi una promessa di liberarmi che avevo visto solo in quelli di Miles. Non riuscii a rispondere al suo sguardo in tempo, mentre lei cominciava a parlare.
«Io e Mutter [mamma] abbiamou fatto visiita a Tante Franziska per una cosa che ricuardava Onkel Miles.» recitò la bambina, come se avesse imparato a memoria quelle parole. Forse si era preparata per evitare di fare troppi errori durante la testimonianza.
C’era qualcosa che non quadrava in quella frase ma non avevo ancora capito cosa… Oh! Onkel Miles? Da quando Miles era diventato suo zio? Che fosse stato lui a dirle di chiamarlo in questo modo? Sicuramente non era stata sua madre che disprezzava così tanto la presenza di lui nel testamento che avevo modificato.
Mentre riflettevo, la mia nipotina continuava.
«Mutter si era arrabbuata con me per Phoenix…» affermò la bambina, e subito il giudice, che pendeva dalle sue labbra, le chiese: «Che cosa c’entra l’avvocato Wright? Non credevo ci fosse anche lui sulla scena del delitto.»
Vidi Miles trattenersi a stento dal ridere, e herr Phoenix Wright scuotere la testa convulsamente mentre in tutti i modi cercava di discolparsi, ma senza dare la vera spiegazione.
Sospirai. Com’era possibile che dovessi fare tutto io anche nei momenti in cui non era mio compito intervenire?
«Phoenix è il piccolo cucciolo di Annika, Signor Giudice.» mi inchinai come mi era solito fare al banco dell’accusa, con grazia. Per un attimo mi ero quasi dimenticata del mio ruolo in quel momento.
Il giudice annuì, riprese la sua espressione solenne e con un cenno invitò la testimone a proseguire.
«Ero nel cassetto mit Phoenix, quanduo ho sentito la pourta aprirsi. Era un Mann [uomo]e ha detto una cosa strania.»
Miles si voltò verso di lei con espressione stupita e curiosa. Immaginavo che non conoscesse questa parte della storia. Beh, in realtà nemmeno io ne sapevo niente: mentre ero nell’archivio non avevo sentito la porta del mio ufficio aprirsi, né i passi di qualcun altro all’interno della stanza. Ma probabilmente questo era dovuto ai muri insonorizzati della procura.
Attentamente cercai di seguire l’ultima parte della testimonianza, quella forse cruciale.
«Er ha detto: “Immaginiavo che tu fossii più giovane”»  


{Miles Edgeworth}

Immaginavo che tu fossi più giovane.
Perché mai l’assassino avrebbe dovuto dire una cosa del genere? Mi sembrava del tutto illogica. Chiunque fosse stato il mandante di De Killer, sicuramente doveva essere stato informato sull’aspetto della sua vittima. Avrà avuto una foto, l’avrà seguita in giro per la città, dall’hotel fino alla procura, dove io e Franziska lavoravamo. Perché guardare in faccia la propria vittima e dire in quel modo?
I miei occhi incontrarono quelli azzurri di Frannie, che sembrava anche lei confusa dall’ultima rivelazione di Annika. Non riuscivamo a vedere la connessione, ma eravamo entrambi certi che si trattasse di un dettaglio importante.
Anche Wright l’aveva capito, ma speravo non bluffasse. Non avevo bisogno che la posizione della mia “sorellina” diventasse ancora più precaria di quanto già fosse.
«Onkel Miles, Habe ich etwas komisch? [Ho detto qualcosa di strano?]» chiese improvvisamente Annika, tirandomi per una manica della giacca. Mi abbassai a guardarla con dolcezza e le carezzai la testa, mentre lei mi guardava con gli occhioni chiari.
« Absolut nicht. Du hast gesagt, was du gesehen hast, Mädchen. [Assolutamente no. Hai detto ciò che hai visto, bambina.]» le risposi, per farle capire che non aveva fatto niente di male. In realtà però l’informazione che ci aveva appena fornito mi inquietava molto.
L’aula era rimasta in silenzio, sembrava che tutti riflettessero ma nessuno riuscisse a spiegarsi il perché di quell’affermazione. Sembrava una sciocchezza, ma ognuno di loro si era reso conto che si trattava della chiave che avrebbe dato una svolta al processo.
«Mi sembra chiaro che la bambina stia mentendo, su questo punto. Un assassino professionista come De Killer non avrebbe mai sbagliato vittima, anzi avrebbe conosciuto ogni minimo dettaglio del proprio bersaglio.» spezzò il silenzio il procuratore Payne, scuotendo la chioma bruna e sorridendo in modo subdolo «Quindi, Vostro Onore, questa testimonianza è totalmente insensata e contraddittoria
L’occhiata che lanciò ad Annika mi fece gelare il sangue, tanto da spingermi inconsciamente a prendere per mano la bambina e tirarla verso di me, in segno di protezione. Aveva già sopportato troppo, non volevo che passasse anche per una bugiarda.
Il giudice però sembrava aver preso sul serio la considerazione dell’accusa, e si carezzava la barba soppesando le parole appena sentite. Speravo solo che avesse un po’ di buon senso e si rendesse conto che qualsiasi cosa potesse significare la frase che Annie aveva sentito, era sicuramente la verità.
«Posso risponderi, Onkel Miles?» disse improvvisamente la piccola, lasciando la mia mano e facendosi avanti per affrontare il procuratore.
Guardai confuso Franziska, non sapendo cosa aspettarmi, ma lei annuì, in segno che si fidava della nipote e che sicuramente non avrebbe detto nulla per danneggiarla. Quindi a mia volta le diedi il mio assenso.
«Frau Rechtsanwältin [Signora procuratore], perché dovriei mentire? La vittima è la mia Mutter, non avriei motivo di difenderi nessuno.»
Un mormorio di assenso si diffuse nella sala, segno che le parole di Annika erano evidentemente ovvie. In effetti, nella sua posizione, la piccola doveva solo volere che l’assassino di Angelika fosse punito. Non aveva importanza di chi si trattasse.
Katherine Payne però non sembrava demordere, e seguitava a discutere. Non si rendeva conto di stare avendo un diverbio con una bambina che poteva avere al massimo sette anni?
«Ma l’imputata è tua zia. La tua unica zia e l’unica parente in vita che ti sia rimasta. Sicuramente nutrirai dell’affetto per lei e la vorrai difend…» questa volta non riuscì nemmeno a completare la frase, che la ragazzina rispose.
«Signora, è stata lei stiessa a dire che per Tante Franziska noi eravamo delle sconosciute. Vuole forse riti… ritirarre la sua affermazione?» concluse Annika, incrociando le braccia e sorridendo vistosamente.
La guardai con uno sguardo talmente stupito e ammirato! Come poteva, una bambina di appena sette anni, riuscire a rispondere così a tono ad un adulto? E con una logica talmente perfetta e inattaccabile, poi! La piccola era davvero una von Karma, dovetti ammetterlo, ma aveva qualcosa in più che non riuscivo ad identificare. L’influenza di un padre avvocato difensore, forse?
Nell’aula intanto era il caos: gli spettatori non riuscivano a capacitarsi di cosa stesse succedendo, quel dialogo tra testimone e accusa non faceva parte della classica “procedura”, e soprattutto era raro che una ragazzina riuscisse a zittire così bene un procuratore.
Franziska sospirava felice, sembrava davvero soddisfatta di sua nipote. Sicuramente stava pensando qualcosa come “lei sì che è una von Karma”.
Maya, l’assistente di Wright, applaudiva dicendo: «Quella bambina è un genio, Nick!»
Il giudice improvvisamente batté il martelletto per richiedere il silenzio che si conveniva ad un’aula di tribunale. Mentre tentava di riprendere in mano la situazione, Wright ebbe un’intuizione improvvisa, e cercò di attirare l’attenzione.
«Signor Giudice, riflettendo sulle affermazioni della testimone e sulle parole del procuratore…» cominciò. Oh no, speravo solo che non dicesse qualcosa di strano e impossibile. Anche se, in realtà, quella luce nei suoi occhi si accendeva solo quando sapeva di aver capito qualcosa di fondamentale. Pregavo fosse così.
«Annika von Karma ha affermato che l’assassino ha detto “Immaginavo che tu fossi più giovane”; il procuratore Payne ha subito ribattuto che De Killer non avrebbe mai potuto sbagliarsi. E se invece… e se invece si fosse realmente sbagliato?» disse l’avvocato, mostrando le carte che riguardavano ciò che era stato detto quel giorno in aula.
Che… che cosa stava insinuando Wright? Stava forse dicendo che il killer avesse sbagliato bersaglio? Certo, questo avrebbe spiegato la strana frase ma…
Mi resi conto di dove stava andando a parare proprio mentre il giudice chiedeva: «Si spieghi meglio! Se anche si fosse sbagliato, chi sarebbe stata la vera vittima di De Killer?»
Era tutto chiaro, doveva essere così! Solo pensarci mi faceva stare male, solo l’idea che se l’omicida non avesse sbagliato…
«E’ ovvio, Vostro Onore. La vittima di quel giorno, in quell’ufficio, doveva essere Franziska von Karma


Angolino di Kirlia: 
Ma perché mi dilungo sempre? Mi ero detta e ridetta che con questo capitolo il processo sarebbe finito, e invece... Beh, purtroppo in questo caso mi era d'obbligo tagliarlo ancora. Questa volta ho usato uno stile un po' più Ace Attorniano forse! Ma avevo degli indizi da inserire, e delle rivelazioni che dovevano essere fatte pian pianino. 
Ci sono ancora delle cose da scoprire, ma non vi dirò proprio nulla questa volta! Tranne che ho già dato tutti gli indizi per individuare il mandante di De Killer, sta a voi capire chi abbia voluto la morte di Angelika, o Franziska... insomma, tentate la fortuna XD
Che ne pensate del capitolo? Troppi dialoghi e niente descrizioni? Ho cercato di bilanciare un po' le cose ma mi rendo conto che i pensieri in generale sono stati un po' messi da parte in queste scene... mi rifarò prossimamente! 
Care tesore mie (?) vi lascio con un'ultima cosa: un'immagine della nostra Annika! Non è tenera? *_*


Image and video hosting by TinyPic
A presto e alla prossima puntata! 
Un grande bacio,
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Because of You ***


Capitolo 15 - Because of you

Because of you
the tears dead in my eyes
they freeze until I’m blind
the eyes a gift from you

[…] because of you
the winter feeds my heart
while summer blows and burns
my disappearing youth

Because of you.



Questo doveva essere uno dei famosi bluff di herr Phoenix Wright, ne ero certa.
Era ovvio, in fondo… come potevo essere io la vittima designata di De Killer, anzi del suo mandante? Chi poteva volermi morta?
Certo, mi rendevo conto che spesso non ero molto gentile con le altre persone – va bene, non ero mai gentile con gli altri – ma questo non significava che qualcuno volesse la mia morte. Non avevo mai fatto un torto a nessuno.
Dovevo ammettere, però, che il suo ragionamento forse aveva un po’ di logica: non che io e Angelika fossimo identiche, ma riflettendo ci assomigliavamo molto, e se i segni del tempo non avessero fatto la loro apparizione sul viso di mia sorella, la gente avrebbe potuto scambiarci.
Una morsa mi strinse il cuore. Se davvero fosse stato così, se l’assassino avesse scambiato me e lei… mi sarei sentita in colpa per tutta la vita. Avevo davvero condannato Angelika a una morte immotivata? Non me lo sarei perdonata.
L’aula del tribunale, nel frattempo, era caduta in un silenzio quasi religioso. La rivelazione dell’avvocato aveva lasciato tutti senza parole. Persino Miles mi guardava con uno sguardo tra il confuso e il preoccupato, come se non sapesse cosa dire. Quello che mi stupii però fu che la sua occhiata mi trasmise una tale sicurezza, come se mi stesse dicendo “Si, Frannie, l’assassino doveva uccidere te”.
La calma fu di nuovo rotta da frau Katherine Payne, che rise e applaudì, come se si trovasse ad uno spettacolo. Un’ondata di odio mi travolse. Non sopportavo proprio quella donna!
«Davvero esilarante, signor Wright! Avevo sentito nominare la sua bravura nel cambiare le carte in tavola, stravolgendo il caso. Ma questa poi! Poteva inventarsene una migliore!» continuò a ridere come se stesse guardando una commedia o non sapevo cos’altro.
Tutti – leggesi: io, Miles e Annika, che era ancora al banco dei testimoni – la guardammo con un’aria corrucciata e infastidita. Non si rendeva conto di quanto fosse per noi già abbastanza sconvolgente l’idea che l’assassino in realtà dovesse uccidere me? Oh, giusto, non le importava.
«Il signor Nick ha sempre ragione! Se dice così avrà delle prove, vero mistica Maya?» intervenne improvvisamente fräulein Pearl Fey, saltando e cercando di farsi vedere oltre il banco della difesa. Mi voltai verso di lei ad occhi spalancati, mentre vedevo che nessuno tentava di fermarla. Non potevo credere che il mio avvocato avesse assistenti così indisciplinate… quanto ero caduta in basso.
«Non vorrei essere unhöflich [scortese] verso la Frau Staatsanwältin [signora procuratore], ma credo che Pearly abbia ragioni. Io mi fido di herr Nick» aggiunse Annika parlando con il mio “fratellino”, ma abbastanza forte da farsi sentire in tutta la stanza. Lui le sorrise ma con un gesto le chiese di fare silenzio, per poi osservare la reazione del giudice a tutto quel caos creato dalle bambine.
Con mia grande sorpresa mi resi conto che non era stato minimamente offeso dal loro comportamento, anzi sorrideva come un ebete. Se solo avessi avuto la mia frusta con me! In quel momento la mia mano fremeva: ero così abituata a frustare gli sciocchi, specialmente quelli che avevano un’espressione sciocca come la sua.
Con un sospiro e un’aria trasognata, commentò: «Sono così carini a volte. Sapete? L’altro giorno mio nipote…»
Il suo interessantissimo discorso fu interrotto dal procuratore, che per la prima volta in tutto il processo fece qualcosa di giusto.
«Ce lo racconterà appena avrò ottenuto il verdetto di colpevolezza per quella von Karma, Vostro Onore.» sorrise malignamente incrociando le braccia.
Quella von Karma? Quella von Karma?! Ma come si permetteva di chiamarmi in questo modo?! Il mio cognome era un simbolo di una grande famiglia perfetta, un onore! E lei lo dispregiava così? Come se facessi parte di non sapevo quale povera famiglia di delinquenti.
Il suo sì che era un cognome da perderti. Herr Winston Payne era stato uno dei peggiori pubblici ministeri di questa procura, che dicevo? Di tutto il paese! Doveva essere una vergogna per lei portare quel cognome, come un marchio che non era capace di togliersi di dosso.
Cominciai a mordicchiarmi le unghie per impedirmi di alzarmi e insultarla e aggredirla come avrei tanto voluto fare. Intanto le lanciavo occhiate di fuoco. Se gli sguardi avessero potuto uccidere… allora si che sarei stata una vera assassina!
«La mia cliente è innocente, Signor Giudice. Si è solo trovata coinvolta in una situazione molto spiacevole» cominciò herr Phoenix Wright, ignorando totalmente il commento cattivo che aveva fatto Katherine Payne nei suoi confronti poco prima. Ammirai il suo sangue freddo in quella situazione: se un avvocato difensore mi avesse accusato di bluffare sarei andata su tutte le furie. Questo mio pensiero non significava ovviamente che lo stimassi. Io odiavo quell’avvocato.
«Wright, la sua ipotesi non sta in piedi. De Killer aveva già visto l’imputata in un’occasione, come avrebbe potuto dimenticare il suo viso?» sbottò il procuratore, cercando di zittire ogni obiezione della difesa.
Ah, ovviamente si riferiva a quando quell’assassino mi aveva sparato alla spalla, nello stesso punto dove mio padre era stato colpito da Miles anni prima, nell’intento di evitare la mia apparizione in tribunale nel processo contro Matt Engarde. Non dimenticherò mai quel giorno…
Una vittoria senza soddisfazioni, tutte le mie convinzioni andate in pezzi. In quell’occasione tutte le mie certezze si erano sgretolate, e avevo abbandonato persino la frusta lì, gettandola, come a voler annunciare al mondo che mi ero arresa.
Ero scappata via, verso l’aeroporto, verso un paese dove il mio cognome era ancora un onore e la mia famiglia una leggenda. E poi era arrivato lui.
Il mio fratellino, colui che avevo sempre cercato di raggiungere e superare a tutti i costi… eppure anche colui a cui volevo più bene, anche se ero disposta ad ammetterlo molto raramente. Lui mi aveva riportato la frusta, e con essa la voglia di andare avanti e di essere sempre migliore.
Mentre mi lasciavo andare a questi ricordi dolci e amari allo stesso tempo, per poco non mi persi la risposta che diede il mio avvocato all’accusa.
«Procuratore, è proprio sicura che il killer abbia visto in viso Franziska von Karma?» chiese l’avvocato in blu sfogliando un dossier che non riconoscevo. Sembrava un grosso libro, per quanti fogli conteneva: stringendo gli occhi per mettere a fuoco vidi che si trattava di una lunga lista. Che cosa poteva essere?
Finalmente trovò quello che sembrava cercare e continuò.
«Questa è letteralmente la lista dei delitti di De Killer… Alla voce “von Karma” troviamo scritto: “Ferita da arma da fuoco alla spalla destra. Il colpo è stato sparato alle spalle della vittima”. Franzisk… cioè, imputata, confermi il contenuto di questo documento?» si voltò a guardarmi speranzoso, e io riuscii a sentirmi tranquilla e leggermente speranzosa. Forse, dopotutto, herr Phoenix Wright sarebbe riuscito a tirarmi fuori da quella situazione.
 Con un cenno sicuro annuii, poi aggiunsi:«Confermo. Non ho visto il viso del mio aggressore, né lui deve aver visto il mio.»
«Esattamente! Ora, Vostro Onore, immaginate di vedere l’imputata per una volta, una volta sola… cosa ricordereste di lei?» ribatté il mio avvocato, spinto da un impeto e una frenesia che sembravano essersi impossessati di lui all’improvviso.
Guardai Miles, che nel frattempo aveva riportato la mia nipotina al proprio posto tra gli spettatori e ora sembrava sovrappensiero. Notò il mio sguardo e si voltò verso di me con un mezzo sorriso, come se neanche lui capisse come il suo amico d’infanzia riuscisse a trasformarsi così improvvisamente in un avvocato quasi decente.
Mi resi improvvisamente conto di volergli parlare. Non sapevo esattamente di cosa, ma desideravo uscire di lì come innocente quel giorno, per poter tornare a casa insieme a lui, insieme ad Annika. Mi sarebbe andata bene persino la presenza di Pess e di Phoenix. Volevo dirgli quanto era stato… piacevole passare quei giorni insieme a lui, come avevo… gradito la sua presenza e il conforto che mi aveva dato in quel periodo davvero molto difficile da superare anche per una come me. Mi mordicchiai il labbro, quasi decisa a mimargli queste cose, quando sentii distrattamente la risposta del giudice.
«Credo che ricorderei gli abiti particolare, e i capelli, ovviamente. La signorina von Karma ha dei capelli di un colore indescrivibile, un color…» rimase in silenzio, indeciso su che termine usare per descriverli. Sapevo che era davvero difficile dare una definizione della strana tonalità grigio azzurra che avevo ereditato da mia madre.
«… Cielo, Signor Giudice. I capelli di Franziska sono color cielo, come i suoi occhi.» commentò il mio “fratellino”. Ma non guardava lui, bensì i suoi occhi cupi si incatenarono ai miei, e io mi sentii per un attimo sospesa come in un’altra dimensione. Una dimensione in cui esisteva solo Miles, e i suoi occhi color delle tempeste.
Rimasi così a fissarlo, non fui mai certa per quanto tempo, prima che il giudice si schiarisse la gola per attirare di nuovo la nostra attenzione. Con leggero imbarazzo tossicchiò e disse:«Si, suppongo si possano definire “color cielo”, signor Edgeworth. Adesso proseguiamo.»
«Oh, Mistica Maya! E’ talmente romantico…» commentò dolcemente la piccola Pearl Fey, nascondendo con le mani il rossore che le imporporava le guance. La cugina la zittì subito, ridacchiando.
Io sbuffai, incrociando le braccia e voltandomi da un’altra parte. Sapevo di aver fatto una figuraccia, e che tutti avevano visto quello strano scambio di occhiate che c’era stato tra me e Miles, ma non potevo farne un dramma al momento. Non adesso che rischiavo ancora la pena di morte!
«Tornando a noi» riprese guardingo l’avvocato in blu, quasi insicuro di interrompere qualcosa di importante «Possiamo facilmente intuire attraverso la fotografia della vittima, che lei e la sorella, cioè la mia cliente, avevano la stessa tonalità di colore dei capelli, nonché degli occhi. Sarebbe stato facile scambiarle, se non fosse per l’età, Vostro Onore. Soltanto così possiamo spiegare la frase pronunciata dalla testimone.» concluse, mettendo le mani sui fianchi, come se credesse di aver risolto il caso.
Non sapeva che non sarei mai stata scagionata, basando la difesa solo su questi elementi? Avevo bisogno di una testimonianza più forte, di una prova così rilevante da rivelare la verità sulle circostanze del delitto. Anche accettando l’idea di me come vera vittima dell’assassino, finché non fosse uscito fuori il mandante… io sarei rimasta la principale indiziata…
Cambiai posizione sulla sedia, nervosa. Per un attimo avevo pensato di avere una possibilità di uscire di lì ma adesso tutte le mie speranze si erano di nuovo volatilizzate. Dovevo ammetterlo, ero proprio spacciata.
Quasi come se il procuratore riuscisse a leggere i miei pensieri, rise sommessamente, battendo il tacco sul pavimento della stanza in modo da attirare l’attenzione su di sé.
«La sua supposizione è piuttosto pittoresca, avvocato Wright. Ma si renderà conto anche lei che non ha abbastanza prove per supportare questa tesi. La sua resta, appunto, solo una supposizione.» rise ancora, scrollando la chioma di ricci castani e aggiustandosi gli occhialetti sul naso.
Se solo ci fosse stato un indizio sul mandante, se solo mi fosse venuto in mente qualcuno che ce l’aveva tanto con me da volermi uccidere!
Il giudice non poté che annuire.
«Mi trovo d’accordo con l’accusa, signor Wright. Finché non riusciremo almeno a scoprire…» cominciò a dire con un sospiro sommesso, come se neanche lui volesse battere il martelletto per condannarmi.
«…il motivo per cui Franziska sia tanto imperfetta…» continuò una voce che conoscevo bene e che mi gelò improvvisamente il sangue nelle vene. No, non era possibile che…!
Mi voltai di scatto verso l’origine della voce, il banco della difesa, ma sembrò come se vedessi al rallentatore tutte le persone dell’aula voltarsi in quella direzione e sbarrare gli occhi stupefatti e spaventati allo stesso momento.
Nello stesso istante in cui incrociai dei occhi color ghiaccio tanto simili ai miei, eppure tanto crudeli, persi un battito, mentre il mio cervello si bloccò del tutto. Non poteva davvero essere lì, lui non doveva mai più apparire davanti ai miei occhi!
Mi portai una mano alla bocca, cercando di soffocare un gemito che venne fuori comunque, mentre cominciavo a tremare e la mia visione si faceva opaca. Tentai di ricacciare indietro le lacrime, ma mi resi conto di non poterci riuscire.
«È davvero un dispiacere vederti ancora viva, mein Kind [bambina mia].» disse, senza l’ombra di espressione, facendomi tremare ancora di più.

«Papa…!» riuscii solo a sussurrare.
Tutto mi fu improvvisamente chiaro.
Le sue ultime parole, così spregevoli nei miei confronti.
Il suo odio verso tutti coloro che erano imperfetti o che facevano apparire lui tale.
Il suo sguardo così disgustato verso di me, quando le scariche elettriche gli attraversavano il corpo.
La sua forza e lucidità nel guardarmi come se fossi la cosa più miserabile a questo mondo, proprio prima di chiudere gli occhi per l’ultima volta.
Era lui, era Manfred von Karma, mio padre! Era stato lui a pagare Shelly De Killer perché venisse ad uccidermi, perché venisse a riportare la perfezione anche quando lui se ne era già andato da questa realtà. Adesso era chiaro, dovevo essere io la vittima, e Angelika aveva pagato per la mia imperfezione.
E in quel momento il mio assassino era lì davanti a me, a osservarmi con quegli occhi truci e al limite della sopportazione, spazientito, come era solito. A quanto pareva, osservando i vestiti e i capelli, potevo capire che era stato evocato da Maya Fey – ecco di chi era lo spirito di cui parlava durante la pausa! – ma neanche quell’abbigliamento riusciva a renderlo ridicolo. Continuava ad avere un’aria pericolosa e terribile, e io, mio malgrado, continuavo a temerlo, come avevo sempre fatto mentre lui era in vita.
Mi sfuggii un gemito mentre mi accasciavo sul banco degli imputati, distrutta dall’idea che mio padre mi odiasse tanto da volere la mia morte. Ammettevo di non essere stata la figlia che lui avrebbe voluto, quella che nonostante tutto avrebbe tenuto alto il nome della famiglia von Karma, ma… mi ero impegnata tanto nella mia vita per avere la sua approvazione, e lui non l’aveva mai capito!
«Stai seduta diritta,Tochter [figlia]! Mi chiedo ancora come sia possibile che quell’incompetente di un killer abbia scambiato le mie figlie… la tua imperfezione supera di gran lunga quella di Angelika Viktoria» commentò maligno, le braccia incrociate e una mano stretta sulla manica. Era uno di quei suoi vizi che aveva passato a me, purtroppo, che avevo sempre voluto imitarlo.
Con un singhiozzo tornai a sedermi composta, come se dopotutto non riuscissi a fare a meno di eseguire i suoi comandi. I miei occhi non sembravano riuscire a smettere di piangere, anche se continuavo a ricacciare indietro le lacrime. Non volevo sembrare ancora debole davanti a lui, ma proprio non ci riuscivo.
«Warum… Vater, warum?»chiesi sommessamente, riuscendo finalmente a dire qualcosa di sensato ma non riuscendo a tradurlo in inglese. Anche questo era un segno di debolezza e lui lo sapeva, infatti sorrise crudelmente fissandomi con quello sguardo gelido.
«Perché, Franziska? Mi chiedi “perché”? Sei talmente sciocca da non aver ancora capito?» commentò acidamente, scuotendo la testa, innervosito dalla domanda che per lui sembrava avere una risposta tanto ovvia.
Eppure per me non lo era. Per me, un padre, pur profondamente deluso dalle sconfitte e dalle umiliazioni subite da una figlia imperfetta, non poteva mai desiderare che sua figlia, sangue del suo sangue, morisse! Perché non riuscivo a capire? Dovevo essere davvero sciocca… Doveva avere ragione lui…
Mentre tenevo lo sguardo basso, non riuscendo di nuovo a incrociare i suoi occhi, sentii un mormorio diffondersi nell’aula, mentre tutti cercavano di darsi una spiegazione a ciò che stavano vedendo accadere.
«Che cosa sta succedendo, signor von Karma? Lei… non dovrebbe essere qui… Lei dovrebbe essere…» commentò confuso e sconcertato il giudice, non riuscendo a completare la frase che stava formulando. Sapevo che aveva di certo sentito parlare dell’evocazione di spiriti durante il primo caso che avevo perso, oltre che in quello in cui il mio fratellino era stato al banco della difesa, ma sicuramente non ne aveva mai vista una di persona. Il pensiero di avere davanti qualcuno che non doveva più esistere doveva stupirlo, era normale.
D’altronde stupiva anche me. Non avrei mai chiesto a nessuna sensitiva di farmi rivivere il ricordo di mio padre, nemmeno per un attimo. Credevo di essermi liberata di lui una volta per tutte, la scorsa settimana. Speravo di andare avanti con la mia vita, seguendo certamente i suoi consigli ma non essendo più oppressa dal suo credo.
E invece adesso era lì, a fissarmi con lo sguardo più terrificante che potessi mai immaginare, e aveva praticamente ammesso di avermi voluto eliminare. Non riuscivo ancora a capacitarmene.
«… Morto? Non è poi così terribile da dire. Ed è per questo che mi trovo qui adesso: a quanto pare non ci si può proprio fidare di nessuno, nemmeno di un serial killer.» scosse di nuovo la testa, alzando la voce alla fine della frase, in un crescendo di ira che non sapevo a cosa avrebbe portato.
Terrorizzata, riuscii a staccare gli occhi dal suo viso per cercare quelli grigi e spaventati di Miles, che in questo momento sembrava pietrificato, come se non sapesse che fare. Anche lui mi guardava, come se non sapesse cosa dire, eppure con una consapevolezza che mi fece intuire che lui avesse capito tutto già prima che mio padre facesse la sua comparsa in tribunale. Si mordicchiava il labbro inferiore, e notai che stringeva la mano di Annika, come se avesse paura che Papa  la portasse via. Mi chiesi se avrebbe stretto anche la mia allo stesso modo, se gli fossi stata vicina.
La mia nipotina, intanto, rimaneva in silenzio, ma mimò una parola in modo da non farsi sentire da nessuno, e quella parola fu:«Großvater? [Nonno?]»
Miles le annuì lentamente, come se fosse indeciso sul dirle o no la verità su quell’uomo apparso all’improvviso. Non fui certa della sua scelta, non volevo che sapesse quanto suo nonno fosse cattivo e spietato.
Tornando a guardare mio padre, vidi herr Phoenix Wright accanto a lui, ancora al banco della difesa, che timidamente sembrò volergli estorcere una confessione.
«Sta ammettendo che aveva pagato De Killer per uccidere Franziska, signor von Karma?» chiese, attirando l’attenzione di tutta la stanza su di sé.
Sentii il procuratore Payne sbuffare innervosita dalla sconfitta che sentiva arrivare per lei di lì a poco, eppure non riuscii ad essere felice della cosa. Perché era ovvio che mio padre avrebbe confermato… in fondo era già morto, come potevano punirlo più di così?
«Ma certo, sciocco avvocato difensore! Quella miserabile ragazzina non avrebbe vissuto un minuto di più portando disonore ai von Karma… non merita di vivere più di quanto lo meritassi io!» sbottò lui, come se si stesse liberando di parole che aveva tenuto dentro per molto tempo e che adesso mi colpivano come milioni di spade al cuore, e facevano molto più male di quanto avrebbe fatto una vera ferita, ne ero certa.
Scoppiai di nuovo in lacrime, e questa volta non tentai nemmeno di trattenermi, per il dolore che quelle parole continuavano a infliggermi. Non riuscivo a smettere di ascoltare ciò che diceva come se fosse pura verità, anche se una parte di me mi diceva che io non ero davvero così inutile, che sicuramente nella mia vita avevo fatto qualcosa di buono per meritarmi di vivere… Eppure non riuscivo ad ascoltare me stessa. Ero ancora così sottomessa a lui?
«Adesso basta!» tuonò Miles tra gli spettatori, alzandosi in piedi e puntando un dito inquisitore verso mio padre «Come osa trattarla così?! Franziska merita di vivere molto più di lei, e soprattutto merita di farlo libera dalla sua ombra, von Karma!»
Lo spirito di mio padre si voltò verso il mio fratellino, con uno sguardo talmente infuriato che per un attimo ebbi paura che l’avrebbe ucciso. Poteva uno spirito uccidere solo con un’occhiata? Speravo proprio di no!
Se Miles fu innervosito o spaventato da lui, non lo diede a vedere, anzi i suoi occhi grigi lo guardavano in modo ancor più severo e intimidatorio, come a volerlo avvertire di non fare nessuna mossa avventata. Azzardai un sorriso e arrossii leggermente: mi stava difendendo come un vero cavaliere d’altri tempi. In quel momento sentii di essere molto importante per lui e di avere un posto speciale nel suo cuore, e quella consapevolezza improvvisa mi riscaldò dentro insieme a una strana speranza che non avevo mai sentito in me. Non riuscii ad identificare di cosa si trattasse, ma quella sensazione mi faceva stare bene e mi faceva ancor di più pensare al mio proposito di volergli parlare presto.
Mentre pensavo a quelle cose, mio padre parlò.
«Edgeworth! Tu e tuo padre siete stati la mia rovina! Meriteresti la morte anche tu… ma voglio lasciarti in vita, per poterti rammaricare di non essere riuscito a salvare lei!» disse, poi si voltò verso di me con uno sguardo che non trasmetteva alcuna emozione.
«Visto che il destino ti ha lasciato viva… me ne occuperò io!»

Successero molte cose contemporaneamente e i miei ricordi di quel momento rimasero sfuocati per tutta la vita… come se li potessi vedere al rallentatore.

Mio padre si voltò e con un gesto studiato e immediato prese qualcosa dalla tasca dell’impermeabile di herr Sciattone, che si trovava quasi come un segno del destino vicino a lui. Quel qualcosa si rivelò essere una pistola, una pistola che adesso puntava dritta sul mio cuore! In quel secondo non riuscii nemmeno a capacitarmi di cosa stesse succedendo, quasi come se il mio corpo avesse smesso di funzionare e la mia mente si fosse bloccata ad osservare come una spettatrice indifferente. Non riuscii a fuggire, non riuscii nemmeno a pensare di fuggire in quel millesimo di secondo che intercorse tra la pistola che mi prendeva di mira e lo sparo che avrebbe portato alla mia morte.
Mi passò davanti tutta la mia vita, i miei pochi anni vissuti nella speranza di poter essere come lui mi voleva, un’infanzia difficile, priva di giochi e ricca di libri di giurisprudenza, una corsa mai vinta, la ricerca di una perfezione che non ero mai riuscita a raggiungere.
Eppure insieme a questi ricordi se ne mescolarono altri: una gita in riva al mare, una mattina a guardare la neve cadere oltre la finestra, un cane che mi inseguiva nei corridoi di una casa non mia, una passeggiata in un parco… e mi resi conto che in tutti quei momenti lui era lì accanto a me, e mi sorrideva, mi consolava, mi faceva sentire felice. Quello che doveva essere l’ultimo battito del mio cuore era anche stato il più forte di tutti, perché mi ero resa conto che tutti quegli istanti racchiudevano la mia felicità. Miles era la mia felicità.
«FRANZISKA!»
E fu proprio lui ad arrivare, come un cavaliere senza paura, senza pensare al rischio che stava correndo, e a mettersi tra me e mio padre, facendomi da scudo alla sua pazzia e spingendomi via dalla sua traiettoria.
Lui rischiò la sua vita per salvare la mia, quella della misera ragazzina imperfetta che mio padre voleva recidere. E fu lui che la pallottola colpì, schizzandomi sul viso gocce di sangue caldo e rosso, che mi raggelarono, mentre perdevo l’equilibrio e cadevo a terra.

---

Angolino dell'autrice:
... Va bene lo so, lo so che vi ho lasciati spiazzati! Ma neanche io pensavo di finire così il capitolo. Ho voluto modificare qualcosa per fare in modo che Manfred fosse abbastanza IC e spero di esserci riuscita, mi direte voi. 
Adesso voglio sapere se avevate capito che si trattava di lui! Però dovete essere sincere, non ditemi "Ah ma era ovvio" se per voi non lo era eh u.u Userò la macchina della verità per testarvi xD No vabbè... per me era abbastanza ovvio (embé? Tu sei l'autrice!) ... cioè voglio dire che non avevo nascosto troppo le sue intenzioni già in principio. Okay, non mi dilungo più su tutto ciò.
Capitolo troppo deprimente? Capitolo triste ma con un pizzico di romanticismo che forse era necessario? Oppure no? 
Vi lascio allora una vignetta carinissima che ho trovato girando su internet, tanto per sdrammatizzare un po' e strapparvi un sorriso:


Image and video hosting by TinyPic
"Pesu" è ovviamente "Pess" nella versione originale giapponese :3
Bene dopo questa parentesi divertentissima vi lascio i miei saluti e spero di ricevere i vostri commenti a riguardo, ovviamente! A cui risponderò sempre felicissima!

Un bacione e alla prossima!
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** You Saved Me ***



Capitolo 16 – You Saved Me

I had hope in my heart
That you’d run for me
Can saved it all
Now I feel in my heart that you’ve come for me
When everyone left me
you loved me and no one else
You came and saved me
you saved me from myself

You saved me.



Stordita per un attimo, quasi non mi resi conto di quello che era successo in un solo istante. Ero stata spinta via dal mio posto sul banco degli imputati e l’impatto con il pavimento freddo dell’aula mi aveva confuso, ma solo per un attimo. Il mio cervello ricominciò a ragionare appena vidi qualcosa color magenta accanto a me.
«Miles! Miles…» gemetti spaventata, mentre mi avvicinavo a lui, cercando di capire in che condizioni era. Era caduto su un fianco, e dopo un attimo di esitazione, lo voltai lentamente e con delicatezza verso di me, sperando di non fargli male. I suoi occhi plumbei erano chiusi, e la sua espressione vuota, come se… no.
Lui non…? Lui non poteva, vero? Non poteva essere, insomma, morto. Lui mi aveva salvato e non avrebbe pagato quanto aveva fatto già mia sorella – era tutta colpa mia, colpa mia!
Con un singhiozzo sommesso, gli carezzai i capelli, senza capire esattamente cosa fare. Ero troppo agitata per reagire responsabilmente come avrei dovuto, non riuscivo a soccorrerlo davvero.
«Miles…! Ti prego dimmi che stai bene…» lo supplicai, mentre lo osservavo per cercare di capire dove il proiettile lo avesse colpito. Dopo aver lanciato per prima uno sguardo sulla zona degli organi vitali, mi resi conto finalmente di dove la sua giacca era macchiata da un rosso più scuro, lo stesso che brillava in alcune macchie sul mio incarnato cereo.
La manica nella zona della spalla destra era strappata, quasi squarciata, e da essa sgorgava quel sangue caldo che tingeva il tessuto. Con un sospiro di sollievo mi dissi “Solo la spalla, è solo ferito alla spalla…”. Questo avrebbe dovuto in un certo senso consolarmi, visto che anche io avevo subito solo un anno prima lo stesso trattamento e ne ero uscita perfettamente guarita. Eppure… eppure non riuscivo a darmi pace sulle sue condizioni.
«Fr… Frannie? Stai bene…?» sussurrò allora lui, aprendo faticosamente gli occhi, che sembravano più scuri del solito, con uno sguardo allarmato. Le mie lacrime decisero che quello era il momento per venire giù, mentre sorridevo leggermente. Come poteva pensare a me, quando era stato lui a subire quel colpo di pistola e ora stava sopportando quel dolore atroce?
«Certo che sì, sciocco» sussurrai anch’io con dolcezza, e il mio “fratellino” sapeva benissimo che quell’aggettivo, in quel momento, era il mio modo di ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto per me. Infatti anche lui tentò di sorridere, mentre i nostri occhi si incrociavano e, come poco prima era successo, si fissavano come a voler vedere sempre più nel profondo dentro di noi.
Presa com’ero dall’accertarmi che stesse bene, non mi accorsi di tutto quello che succedeva attorno a me, non finché non sentii una voce in particolare, acuta ma piuttosto dolce, ergersi in mezzo alle altre.
«Großvater! [Nonno!] Come hai potiuto fare del male a Tante Frannie e Onkel Miles?! Loro sono i tuoi Kinder! [figli]» disse la mia piccola Annika, affrontando il nonno. Correndo giù per le scalinate si mise tra noi e lui, quasi a voler fare da scudo anche lei alla sua pazzia. Vidi tutti mettersi all’erta al suo gesto, terrorizzati da ciò che quel mostro di mio padre avrebbe potuto fare alla sua stessa nipotina.
No! Non Annika, non l’avrebbe toccata! Non avrebbe fatto del male anche a lei!
Strinsi di scatto le mani intorno al viso di Miles, visto che gli carezzavo ancora i capelli, e lo guardai terrorizzata senza riuscire a muovere un passo, proprio mentre lo spirito maligno sbarrava gli occhi, e con grande sorpresa affermava: «…Groß… Großvater?»
Lo stupore si dipinse nei suoi tratti, celando il suo sguardo duro e crudele, che sembrò quasi svanire, quasi addolcirsi in un’espressione sorpresa e stupefatta. Mi alzai di scatto, senza però muovere un passo, indecisa se prendere subito la bambina in braccio e portarla via dalla sua vista o lasciare che la fissasse in quel modo non tutto convincente.
Cosa passava nella sua mente, mentre i suoi occhi di ghiaccio scrutavano la sua unica nipote, che coraggiosamente proteggeva i suoi zii?
Cosa pensava di quella piccola così simile a me che allargava le braccia a fare da scudo, mentre con i suoi occhi celesti tentava di convincerlo a fermare quelle atrocità?
«Sie bitte, Großvater? [Per favore, nonno?] Sii buono per questa unicka volta… Sii perfetto!» chiese lei, prima dolcemente, poi imprimendo nella propria voce melodiosa, da bambina, una forza senza pari che la fece come splendere. Non avevo mai visto nulla del genere. Nemmeno io, con l’ausilio della mia frusta, riuscivo ad essere autorevole come lo era Annika in quel preciso istante. E dire che aveva utilizzato solo il coraggio e la forza di volontà!
«P-perfetto? Vuoi che sia… perfetto?» ribatté a bassa voce Vater, facendo un passo indietro, come se lo sguardo della nipote e la sua sola presenza lo spaventassero. Non avevo mai visto mio padre così: conoscevo la sua ira, la sua rabbia, il suo disprezzo. Ma non conoscevo la sua paura. Annika… come poteva lei essere la sua paura?
La bambina fece un passo avanti a sua volta, con atteggiamento forse amichevole nei suoi confronti, come se volesse fare pace con lui. E io feci a mia volta un passo avanti, seguita, come mi resi conto subito, da Miles, che nel frattempo si era faticosamente alzato e ora camminava a passo incerto accanto a me, tenendo la mano sinistra sulla spalla destra, come a bloccare l’emorragia. Avevamo paura di muoverci in fretta, avevamo paura che mio padre potesse sparare di nuovo, stavolta a lei.
Notai infatti con orrore che la pistola era ancora tra le sue mani, e che la teneva stretta come se volesse puntarla di nuovo. Non potevo sapere quante pallottole tenesse herr Sciattone nella sua pistola, non potevo sapere quante volte avrebbe potuto ancora colpire. L’idea sola che la piccola potesse essere ferita o addirittura uccisa da lui mi terrorizzava.
Ma lei sembrava non accorgersi di niente o, forse, ignorava volontariamente il fatto di trovarsi in pericolo.
«Sie bitte, Großvater! Loro sono la mia unicka famiglia, adesso…» chiese ancora la Mädchen, questa volta quasi supplicando il parente, con la voce che tremava. Immaginavo che se avessi potuto vedere i suoi occhi adesso, sarebbero stati pieni di lacrime.
Quasi come i miei. D’altronde, come avrebbero potuto non esserlo? Sentire una frase del genere, sentire che considerava me e il mio “fratellino” la sua unica famiglia, mi fece sentire un’emozione dentro che probabilmente non avevo mai provato. Quella bambina mi voleva bene, ed era qualcosa che nessuno aveva mai manifestato verso di me, o almeno non apertamente…
Guardai Miles solo per un attimo mentre decine di pensieri diversi su di lui si affollavano nella mia mente: spesso era freddo, scostante e si comportava come se qualsiasi cosa dicessi o facessi per lui era totalmente indifferente. Ma poi, in alcune occasioni particolari, sembrava riuscire a dimostrare gentilezza, comprensione, calore. Affetto. In quel momento poi, il legame che c’era tra noi sembrava essersi rafforzato come non aveva mai fatto prima: aveva fatto di tutto per proteggermi dall’accusa di omicidio, e poi… aveva appena rischiato di perdere la propria vita per salvare la mia. I miei occhi luccicarono di gratitudine e di qualcos’altro, un qualcosa che però non riuscii a decifrare.
Quasi ad aver sentito il mio sguardo celeste su di lui, Miles si voltò verso di me. La sua espressione seria e sofferente allo stesso momento si addolcì in un sorriso, come se volesse fare in modo che io fossi certa dei pensieri che avevo appena avuto su di lui.
«Enkelin…? [Nipote…?]» chiese ancora mio padre, non riuscendo quasi a capacitarsi di ciò che stava succedendo. A quella parola sia io che mio “fratello” ci distraemmo dalle nostre occhiate e tornammo a guardare con preoccupazione la bambina.
Improvvisamente Vater, il cui sguardo sembrava incastonato in quello della nipote, come se fosse ipnotizzato dalla sua presenza, fece di nuovo un passo avanti, trovandosi pericolosamente vicino a lei e allungando la mano che non teneva la pistola nel desiderio di volerla toccare.
Ebbi paura. Non volevo che la sfiorasse con quelle mani macchiate di omicidi e violenze, con le mani crudeli che più volte durante l’infanzia – e fino a non molto tempo prima – mi avevano strattonato e picchiato per la mia imperfezione. Quelle mani che avevano ferito anche Miles.
Scattai in avanti prendendo Annika e tirandola indietro, per poi circondarla in un abbraccio che voleva essere protettivo, restando in ginocchio accanto a lei.
«Non lei, Vater.» dissi soltanto, a bassa voce.
Il significato di quelle parole poteva essere vago o addirittura inesistente per molte persone, ma non per quell’uomo che avevo definito per tanti anni mio padre, e che ora era lì di fronte a me.
Non lei. Non avrebbe subito le sue malsane influenze. Se avessi potuto scegliere, non avrei mai accettato un incontro fra i due.
Dagli occhi di lui trasparivano sentimenti contrastanti, forse emozioni che non aveva mai provato? Cosa stava pensando mentre poggiava la pistola sul banco della difesa, restando disarmato, e continuava a fissare la piccola in quel modo?
«È quasi uguale a te, mein Kind [bambina mia]» commentò lui, con stupore, con gli occhi color ghiaccio che scintillavano. Quello che mi stupii di più però fu il tono che usò. Non crudele, non di scherno… mi aveva chiamato mein Kind  ma l’aveva detto in modo sincero!
Avrebbe dovuto farmi sorridere, avrebbe dovuto farmi sentire finalmente amata anche da lui. Avevo lottato tutta la vita per ricevere un’espressione del genere: tutti i miei studi, un’infanzia sprecata, anche i miei atteggiamenti spesso scontrosi e violenti, erano stati dettati dal desiderio di essere amata, di ricevere un sorriso e una carezza. Per un attimo, sentii la mia speranza crescere, eppure… eppure…
Mi faceva solo stare più male, mi faceva decidere che non volevo più vedere il suo volto e soprattutto che non l’avrei mai perdonato per ciò che aveva fatto e aveva tentato di fare. Non importava che ora la conoscenza di Annie l’avesse addolcito.
Quell’ultimo commento aveva fatto calare un silenzio e una tensione quasi palpabile nella stanza. Tutti erano immobili, tutto era immobile, e per un attimo mi chiesi se stessimo respirando. Poi Annika si liberò della mia stretta, e disse, con mia grande sorpresa:«Adesso, Pearly!»
Tutti ci voltammo verso la piccola sensitiva, che in quel momento alzò la voce e sembrò completare un rito che nessuno aveva visto cominciare.
«Via, spirito maligno! Rendi il corpo a colei che te l’ha ceduto. Lascia andare la Mistica Maya!» strillò la bambina dai capelli castani, mentre il magatama che portava al collo si illuminava di un intenso verde smeraldo.
Mio padre fece un passo indietro, come stordito dalla luce e dal suono di quelle parole, e cercò di coprire gli occhi con le mani. Per un attimo si voltò di nuovo verso di noi, con uno sguardo che diceva molte parole. Parole confuse, parole crudeli e cattive, parole dolci e di scuse.
Il mio sguardo invece, malgrado la sorpresa, fu duro e freddo, senza un minimo di cedimento. Perfetto come lui lo avrebbe voluto.
«Lebewohl, Vater. Addio.» sussurrai quasi impercettibilmente, ripetendo una delle poche parole che Miles aveva detto durante l’ultimo incontro con mio padre.
Lo spirito di mio padre si portò le mani alle orecchie, come se un suono che nessuno riuscisse a sentire lo stesse assordando. Poi, con un urlo agghiacciante, lasciò il corpo che aveva occupato, volando in alto e scomparendo nel tetto della stanza.
Una singola lacrima sfuggì al mio controllo, rotolando giù per la mia guancia e rigandomi il volto.
E spero di non rivederti mai più, questa volta…


{Miles Edgeworth}

Il processo era finalmente concluso, la sua innocenza era stata dimostrata.
Dopo la spiacevole comparsa del signor von Karma e la sua chiara confessione di aver assoldato De Killer per uccidere Franziska, era chiaro che lei era solo stata una vittima di una terribile coincidenza. Il solo pensiero mi faceva ancora rabbrividire: non avrei mai creduto che si sarebbe spinto fino a tanto, non avrei creduto che avesse voluto portarla insieme a lui nella tomba…! Frannie non era certamente perfetta come lui voleva, ma questo non significava che non avesse il diritto di vivere la sua vita! Chissà come questa scoperta le aveva fatto male, chissà quanto aveva sofferto, e quanto stava soffrendo in quel momento!
Scossi la testa con fatica, cercando di ignorare quei pensieri così tristi, e per poco non urlai per il dolore che quel movimento, attraverso il collo, portò alla mia spalla destra. Trattenni un gemito tra i denti e chiusi gli occhi, mentre per un attimo la vista si oscurava per la debolezza.
Ero stato portato urgentemente alla Clinica Hotti, dove mi avevano subito operato per estrarre il proiettile nel mio corpo e avevano fatto il possibile per medicare la ferita. Non avevano voluto che assistessi al verdetto di “non colpevolezza” di Franziska, dicevano che potevo essere grave e che avevo già danneggiato troppo la spalla nell’attesa di vedere scomparire lo spirito maligno di von Karma. Ma non avrei potuto fare altrimenti! Non potevo andare via e lasciare ancora in pericolo Frannie, e nemmeno Annika, che si era coraggiosamente parata davanti a noi per proteggerci.
A proposito di quella bambina, non riuscivo ancora a capacitarmi del suo gesto! Avevo scoperto in quei due giorni di conoscenza che era certamente un tipo particolare, sveglia per la sua età e anche piuttosto adulta nei pensieri, ma fare un gesto così temerario era strano anche per lei. Avrei dovuto chiederle delle spiegazioni non appena…
«Onkel  Miles! Sei qui!» la vidi aprire la porta, sbirciando all’interno e salutandomi con la manina. Io le sorrisi leggermente ma non ebbi la forza di alzare il braccio per salutarla a mia volta. Si voltò, come se dietro di lei ci fosse qualcuno, e disse a voce un po’ troppo alta:«Tante Frannieee!! Ho trovato Onkel Miles!».
Poi entrò nella stanza d’ospedale, correndo verso il mio letto e poggiando le manine piccole e paffute sulle lenzuola ingrigite. Si sporse a baciarmi la guancia con uno schiocco.
Sbarrai gli occhi, per un attimo stupito dal suo gesto, e mi voltai a guardarla: i suoi occhi azzurri sprizzavano allegria come se quella fosse una giornata come tante altre, come se si fosse totalmente dimenticata di ciò che era successo nel giro di poche ore e fosse tornata quella di un tempo, non la bambina coraggiosa e seria che era stata poco tempo fa.
La osservai più attentamente. Il fiocco che portava tra i capelli non era più sgualcito come quella mattina, quando mi aveva pregato di aiutarla a legare i capelli con un nastro e io ne avevo fatto uno per niente carino, ma perfettamente annodato. Il vestito perfettamente stirato e i capelli ben pettinati… Bastava un colpo d’occhio per notare il tocco di Franziska.
«Nichte Annika [nipotina], è sconveniente urlare e correre in un ospedale.» commentò severamente la zia, fermandosi per un attimo all’entrata della stanza e incrociando le braccia. Il mio sguardo stanco si posò su di lei, e non riuscii a non sorridere. Sembrava essere tornata esattamente quella di un tempo: i capelli color cielo perfettamente lisci, l’incarnato sano e lucente, i soliti vestiti con cui si presentava al lavoro puliti e stirati. Come se niente fosse successo.
Poi i miei occhi incontrarono i suoi e allora la vidi davvero. La maschera che portava poteva proteggerla dagli sconosciuti, dai conoscenti, da chi non sapeva chi era davvero ma la considerava semplicemente il successore della famiglia von Karma. Ma non l’avrebbe mai protetta da me, che la conoscevo ormai troppo bene: i suoi occhi urlavano, piangevano, chiedevano aiuto come mai avevano fatto prima. Il conflitto che si svolgeva dentro di lei era ben celato a tutti, ma io riuscivo a guardarla nel profondo, a scrutare i suoi sentimenti, e sapevo che in quel momento avrebbe solo voluto nascondersi e piangere. E io avrei voluto consolarla…
Mi resi conto che la mia “sorellina” però non mi guardava, non rispondeva alle mie occhiate, probabilmente per non crollare definitivamente. Era consapevole che io sapevo della sua sofferenza, e mi ignorava di proposito. Tuttavia, le sorrisi.
Annika la guardò con atteggiamento tranquillo, come se il suo rimprovero non l’avesse sfiorata, e le chiese, inclinando il capo in quel modo tenero che le avevo spesso visto fare:«Tante Frannie, non vieni a salutare Onkel Miles?»
“Tante Frannie”sembrò a disagio e si mosse sul posto per un attimo, indecisa su come comportarsi. A quanto avevo potuto vedere con Larry e con… Manfred von Karma, era difficile resistere al fascino delle richieste della bambina, ed ero curioso di sapere se questa sua sorta di “potere” funzionasse anche su di lei.
Franziska fece lentamente un passo all’interno della stanza, poi si fermò. Si morse il labbro inferiore confusa, poi, sotto lo sguardo della nipote, si arrese.
«C-certo… Ma certo che vengo.» commentò sottovoce, poi si avvicinò e si sedette su una sedia accanto al letto, senza però avere il coraggio di guardarmi davvero. Con grande forza di volontà, alzai il braccio sinistro, tormentato da una flebo che lo manteneva debole, e la avvicinai a quella di lei, priva di guanti. Lei si sentì sfiorare e prese la mia grande mano tra le sue piccole e soffici.
Annika, osservandoci con uno sguardo indecifrabile e furbo, ci diede le spalle e andò ad osservare il panorama fuori dalla finestra, come per consentirci un po’ di privacy. Ero sempre più stupito dal suo atteggiamento. Una bambina di sette anni poteva davvero pensare a queste cose…?
Distogliendo lo sguardo dalla piccola, tornai a guardare la mia “sorellina”, che finalmente riusciva a guardarmi negli occhi, esprimendo emozioni contrastanti.
«Ciao…» sussurrai, indeciso su cosa dire. Non volevo che crollasse, ma non volevo nemmeno che restasse così fredda e scostante. Non ero più abituato a vederla in quel modo.
«Miles… Come stai?» chiese lei, e la sua voce esprimeva tutta la preoccupazione che i suoi gesti non riuscivano a far trasparire. Come stavo, mi chiedeva, ma era quello che avrei voluto domandare io a lei. Cosa pensava in quel momento? Cosa stava provando? Stava bene?
E invece l’unica cosa che riuscii a risponderle fu «Mi riprenderò» seguito molto velocemente da «Ti hanno lasciato andare, finalmente».
Lei annuii con un sospiro, ma i suoi occhi tremarono e sembrarono nervosi, come se qualcosa non fosse andato esattamente bene come aveva voluto. No… forse pensavo troppo. Doveva essere solo provata per tutta quella faccenda. In fondo, le aveva sconvolto la vita, e tutte le sue sicurezze erano crollate: anch’io avevo perso mio padre, e ne soffrivo ancora, ma almeno avevo la certezza che mi volesse bene. Lei invece non poteva vantare lo stesso trattamento da parte del suo.
Rimase in silenzio per un po’, prima di parlare di nuovo.
«Miles, io volevo ringr…» ciò che stava per dirmi fu interrotto dall’arrivo come un uragano di molte persone all’interno della stanza, che ruppero la tranquillità che la presenza di Frannie e Annie mi portavano.
«Signor Edjiwood, come sta?!» chiese entrando e correndo verso di noi la piccola Pearl, seguita a breve da Maya Fey e poi da Wright, che restò per un attimo sulla porta, come mia “sorella” prima di lui aveva fatto. Portavano ancora gli stessi abiti della mattina – non che le sensitive indossassero altro, a quanto potevo vedere – ma non sembravano stanchi, anzi. Erano felici e spensierati come non mai e si avvicinarono al mio letto come se fossero ansiosi di potermi parlare. In realtà, anche se la loro visita era piacevole, in quel momento mi sembrarono estremamente soffocanti.
Annika tornò vicino a me e Franziska, per poi salutare la medium più piccola in modo vivace:«Hallo, Pearly!»
«Ehi Annie! Siamo state bravissime stamattina, vero?» disse felice la bambina, saltellando mentre batteva le mani, applaudendo.
Credevo si riferisse, ovviamente, a quella specie di magia che aveva fatto per cacciare lo spirito del signor von Karma dal corpo di Maya. Era stata davvero brava, ma come aveva fatto?
Quasi leggendomi nel pensiero, la nipotina di Franziska rispose alla mia domanda.
«Pearly ha eseguitou la Tecnica di Sparizione delo Spirito…» cominciò, spiegando attentamente e, con mia sorpresa, in quasi un perfetto inglese. Che sua zia le avesse fatto un corso accelerato di quella lingua, mentre non ero cosciente? Tutto era possibile con lei.
«Di Separazione dello Spirito, Annie…» la corresse Maya, per poi inchinarsi verso Frannie e dire con voce triste «Mi dispiace davvero per ciò che è successo, Franziska. Non credevo che lo spirito di tuo padre fosse talmente forte da sopraffarmi».
Lei fece un gesto come per dirle di non abbassarsi, poi le sorrise.
Oh, non credevo che lei e la sensitiva fossero così in buoni rapporti. Cioè, sicuramente non si odiavano ma non le avevo mai viste scambiarsi più di poche parole formali. Invece notai che adesso sembravano essere molto più in confidenza, e che la mia “sorellina” la guardava in modo amichevole. Era un tipo di sguardo che le avevo visto rivolgere a poche persone, davvero poche: me, Annika e… forse nessun altro. Di certo in quel momento non mi veniva in mente nessun altro.
«Non fa niente, Maya. Mio padre doveva essere davvero ostinato a…» la sua voce si incrinò, e lasciò perdere il seguito della frase voltandosi a guardare un punto imprecisato della stanza. La sentii sospirare e concentrarsi, come se volesse trattenere le lacrime. Povera Frannie… se non fossi stato inchiodato a quel letto…
Non riuscii a completare il mio pensiero, qualcuno parlò.
«Dicevo!» riprese all’improvviso la bambina dai capelli color cielo, quasi a voler distogliere l’attenzione di tutti dalla zia «Ha fatto questa Tecnica, e mi sono resa contuo che aveva bisogno di un diversivo. E allora ho cominca… cominciato a distrarrie Großvater
Adesso si che capito il suo comportamento! Era d’accordo con Pearl per fare in modo che avesse il tempo di completare quello strano rito senza che nessun’altro si facesse del male! Ingegnoso. Davvero, mi stupivo sempre di più dell’intelligenza di quella bambina, che sembrava sempre più un genio.
Però non aveva pensato al rischio che stava correndo: si era messa a discutere con un uomo che aveva appena sparato, con la pistola ancora in mano, contando solo sulla sua capacità di convincere gli altri e sul suo fascino da bambina.
«Non fare mai più una cosa del genere, Mädchen. Promettimelo» le ordinò Franziska, che nel frattempo sembrava essersi ripresa perfettamente. La sua occhiata era severa, ma il tremore nella sua voce diceva che aveva davvero avuto paura per lei, e che non voleva più vederla in pericolo come lo era stata quella mattina.
Anch’io ero d’accordo con lei, infatti annuii, procurandomi una fitta che cercai di ignorare malamente.
«Tua zia ha ragione, Annika.» commentai, trattenendo un gemito e cercando di mettermi più comodo sui cuscini senza attirare le preoccupazioni di tutti.
La piccola sembrò colpita dai nostri rimproveri, e le vennero le lacrime agli occhi. Oh no, non volevo che piangesse! Vederla piangere quando aveva scoperto della morte di sua madre era già stato abbastanza… faceva davvero male al cuore. Sembrava tanto indifesa!
«È ingiusto! Io l’ho fatto per voi, perché Ich liebe dich... [Vi voglio bene…]» gemette, mentre si nascondeva il viso tra le mani, singhiozzando.
Ecco, proprio quello che non volevo che succedesse. Sembrava proprio che io e Franziska non fossimo adatti al ruolo di tutori di quella bambina… anche se ero certo che era nelle sue intenzioni adottarla e occuparsi di lei. Per quanto si dimostrasse spesso fredda e priva di sentimenti, sapevo che in realtà voleva molto bene ad Annika, che si era creato un legame fra loro e che non l’avrebbe mai lasciata andare. Ne avevo avuto la conferma quando l’aveva abbracciata per proteggerla dal padre, quella mattina.
E ne avevo avuto un’altra conferma in quello stesso momento, quando si alzò dalla sedia e si abbassò davanti a lei, guardandola negli occhi, senza curarsi della gente che la vedeva senza la sua maschera spietata da von Karma.
«Obwohl wir lieben dich, Liebling.[Anche noi ti vogliamo bene, cara.] Ed è per questo che non vogliamo che tu corra dei pericoli» le disse gentilmente, con una dolcezza tanto sconfinata da farmi sentire invidioso.
Bloccai subito il pensiero. Perché dovevo essere invidioso che dicesse alla bambina “Ich liebe dich”? Insomma, non potevo esserlo, non potevo aspettarmi che dicesse anche a me una cosa del genere. Non l’aveva mai fatto.
Eppure in fondo desideravo che lo facesse? Ero piuttosto confuso.
Mentre mi perdevo in quelle domande, Franziska aveva abbracciato Annika, e adesso i singhiozzi diminuivano e un silenzio piuttosto imbarazzante si era creato nella stanza.
Wright tossicchiò leggermente, cercando di farsi notare, e ricevette subito un’occhiataccia da mia “sorella”, che stava ancora consolando la piccola. Beh, doveva essere uno sguardo davvero terribile, di quelli che promettevano mille frustate, considerato il modo in cui lui spinse via dalla stanza le due assistenti e salutò silenziosamente con la mano.
E mentre Annika veniva da me e mi stringeva il braccio non ferito con delicatezza, e Franziska sorrideva spontaneamente, non potei fare a meno di sentire un commento detto sottovoce da Pearl, prima che la porta si chiudesse dietro di lei.
«Sembrano davvero una famiglia. Non è vero, signor Nick?»

Angolino di Kirlia:
Allooora! Metto il capitolo un po' in anticipo con i tempi per festeggiare (?) la materia che ho appena superato evvaiii! Adesso finalmente è estate anche per me, emozione ç_ç
Che pensate della piega che hanno preso gli eventi? Che ne pensate di Miles, Frannie e Annie? 
Volevo inoltre avvisarvi che pensavo di far diventare questa storia parte di una serie che racconterà ancora a lungo le vicende dei nostri protagonisti... anche per dare una sorta di "cesura" che tutti avete notato. Infatti la domanda più gettonata ultimamente è stata: "Ma la storia sta per finire, vero?" Beh, non esattamente.
Questa prima parte della serie comprenderà ancora un paio di capitoli, o tre al massimo credo. Poi pensavo di cominciare la seconda parte... mi seguirete comunque, vero? Non mi abbandonerete? ç_ç
Beh, vi dirò in seguito anche che titolo darò alla seconda parte, così la ritroverete facilmente. Stay tuned! :D

Infine, dopo l'angolo informazioni, torna l'angolo della vignetta! Non posso fare a meno di trovare queste immagini e volerle condividere con voi! Questa mi sembrava anche adatta al capitolo, quindi XD

Image and video hosting by TinyPic
Okay, direi che adesso ho proprio finito! Aspetto con ansia i vostri commenti sul capitolo :)
Un bacione, Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Memories ***


Capitolo 16 – Memories

All of my memories keep you near.
In silent moments,
Imagine you being here.
All of my memories keep you near,
In silent whispers,
Silent tears

Made me promise I'd try,
To find my way back in this life.
Hope there is a way,
To give me a sign you're okay.
Reminds me again it's worth it all,
So I can go home.

 Memories.


 

Il sole mi abbagliò per un attimo, quando uscii di casa in quella mattina di primavera.
Mi resi subito conto che era una bella giornata: gli uccellini cantavano e i fiori gialli e rossi adornavano ogni angolo del viale che portava dalla casa alla strada principale. Sembrava che la natura si fosse risvegliata all’improvviso, inondando di colori persino il centro della città. Respirai a pieni polmoni e anche l’aria mi parve pulita e profumata da mille odori diversi, che mi rilassarono e mi resero stranamente serena.
Sorrisi leggermente. Era proprio una mattina perfetta.
Mentre scendevo i gradini dell’ingresso e lasciavo che i raggi luminosi del sole inondassero i miei capelli color cielo di riflessi argentei, sentii delle voci e degli abbai dietro di me. Non ebbi tempo di voltarmi per vedere cosa stesse succedendo e rimproverare i proprietari delle voci, quando un grosso cane beige, inseguito da uno più piccolo e scuro, inseguito a sua volta da una bambina dagli occhi color mare, mi urtò un fianco facendomi quasi perdere l’equilibrio e cadere giù dalle scale. Il cestino che portavo cadde però a terra nell’impatto, aprendosi e rivelando il contenuto. I sandwich e le altre cose che avevo preparato per il pranzo si riversarono sull’erba, insieme ad alcune bottiglie d’acqua e un thermos pieno di tè al gelsomino.
«Annika!Welpen! Nicht ausgeführt! [Cuccioli! Non correte!]» li richiamai ad alta voce, tentando di farmi ascoltare. Né i cani, né la bambina mi ascoltarono però, forse perché il mio rimprovero non riuscì ad essere convincente, e continuarono a correre in cerchio nel giardino davanti alla casa.
Il mio sguardo cadde per un attimo sulla mia nipotina: indossava un abitino rosa confetto che si gonfiava grazie alla brezza leggera che spirava, e un cappellino con fiocco dello stesso colore. Sorrisi senza nemmeno accorgermene. Le piacevano molto i fiocchi, un po’ come me.
Distraendomi da lei, tornai al mio lavoro e, con un sospiro rassegnato, guardai il disastro che avevano combinato e mi inchinai per raccogliere almeno le bevande, che erano rimaste intatte. Per i panini non c’era niente da fare… ormai erano sprecati.
Mentre cercavo di salvare ciò che era rimasto del picnic che avevo faticosamente preparato quel giorno, un’ombra scura e fresca calò su di me, con la figura di un uomo che conoscevo molto bene. Una certa irritazione mi colpì immediatamente, rendendomi conto di aver rovinato la nostra uscita e che ora di certo lui me l’avrebbe fatto notare.
Senza voltarmi dissi semplicemente:«Herr Miles Edgeworth, invece di stare lì a fissarmi con quell’espressione da sciocco – perché anche senza vederti sono sicura che stai sorridendo come uno sciocco – vieni ad aiutarmi».
L’ombra dietro di me si spostò, rivelando la figura del mio “fratellino” che si chinò accanto a me per aiutarmi a raccogliere ciò che era ancora salvabile.
Lo osservai con la coda dell’occhio, solo per un attimo: oggi aveva un abbigliamento più sportivo del solito, con quella camicia casual di un rosso scuro e dei semplici jeans che lo facevano sembrare un ragazzo come tanti altri. Eppure, sapevo perfettamente che non era un ragazzo come tanti altri, e quello mi fece sorridere, ancora. Quel giorno ero particolarmente felice, mi dissi, malgrado l’inconveniente del pranzo.
Avevamo quasi finito di recuperare le vivande quando, cercando di prendere una confezione di merendine che Annika mi aveva convinto a portare con noi, sfiorai accidentalmente la mano di Miles. Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono, cielo azzurro dei miei occhi che si specchiava nelle nubi d’argento dei suoi, e io sentii il sangue affluire alle mie gote, riscaldandole e arrossandole. Subito diedi le spalle a Miles, imbarazzata e confusa dall’importanza improvvisa che avevo dato a quel gesto. Perché mi comportavo in quel modo? In fondo, mi aveva solo toccato la mano… non era niente di straordinario. Anzi, si sarebbe meritato una bella frustata! Dov’era la mia frusta, quando serviva? Smarrita, mi guardai intorno, come a volerla cercare.
«Cosa c’è, non ti senti bene? Forse sarebbe meglio che ti alzassi, Frannie…» disse subito lui, prendendomi saldamente le braccia e aiutandomi ad alzarmi, come se non potessi farlo da sola.
Lo trovai un gesto estremamente strano, e lo guardai con un’occhiata ancora più confusa e preoccupata, come se non riuscissi a capire. Soprattutto, quello che mi incuriosiva era il tono che aveva usato: premuroso, preoccupato, come se fossi un oggetto così fragile che aveva paura di rompere all’improvviso. Cosa stava succedendo…?
E poi, lui era troppo vicino a me, e mi guardava e mi sfiorava in modo così dolce e intimo, con una confidenza che non avevamo mai avuto. Con una complicità che non gli avevo mai accordato.
Il mio sguardo diventò ostile e si fissò sul suo, che invece era sorridente e affettuoso come non l’avevo mai visto: i suoi morbidi occhi d’argento si posavano su di me come se fossi la cosa più importante del mondo.
«Sto perfettamente, herr Miles Edgewor…» cominciai nervosa, ma fui interrotta da un suo dito che si posò gentilmente sulle mie labbra, come se mi volesse zittire, ma in un modo molto sensuale.
Sospirai stupita, e i miei occhi si sbarravano mentre lui mi circondava la vita con un braccio, e con l’altra mano andava a sfiorare il mio ventre…
«Shhh. Non vorrai spaventare il piccolo. Non è vero, frau Franziska Edgeworth?» chiese scherzosamente, ma sottolineando le ultime parole con un sorriso amorevole.
Io rimasi congelata e con gli occhi sbarrati, come se non sapessi cosa fare, come se non riuscissi a capire il significato di quelle parole. Il mio sguardo si abbassò, posandosi sulla sua mano che carezzava lievemente il mio ventre evidentemente gonfio.
No… quello… non era possibile… cosa significava…?
Mentre la mia mente era così affollata dalle domande contrastanti che mi stavo ponendo, delle dita gentili mi presero per il mento e mi costrinsero ad incontrare di nuovo il morbido sguardo d’argento dell’uomo davanti a me. Lui non sembrava per niente turbato, anzi era più rilassato del solito, come se tutte le preoccupazioni e i misteri che sembravano sempre affliggerlo fossero scomparsi.
Aprii la bocca, per dire qualcosa, chiedere spiegazioni, cosa fosse successo. Ma nessun suono uscì dalle mie labbra, poiché la stessa mano che mi aveva sfiorato il mento, in quel momento si trovava fra i miei capelli intessuti d’argento e attirava il mio viso verso il suo.
Le labbra di Miles catturarono le mie in un bacio dolce, avvolgente, che sapeva di famiglia, di tè al gelsomino e di amore.

«Signora… Mi scusi, signora?» sentii una voce chiamarmi come un’eco lontana. Chiamava me?
Avvertii una mano delicata poggiarsi sulla mia spalla e scuotermi gentilmente, come a voler attirare la mia attenzione.
Non le diedi peso e cercai di raggomitolarmi meglio su quella poltroncina che era stata il mio “letto” per tutti quei giorni. Volevo solo che mi lasciasse riposare, ero così stanca…
«Signora Edgeworth?» ripeté ancora la voce chiamandomi, stavolta con più insistenza e spezzando totalmente il mio sogno.
Per poco non caddi dalla sedia per la sorpresa, mentre i miei occhi si spalancavano allarmati sulla realtà, ma riflettevano ancora le immagini di quel sogno così strano che la mia mente aveva creato. No, la mia mente non poteva essere così sciocca da creare quegli incubi, non poteva… dovevano essere suggestioni, sì. Suggestioni create dagli sciocchi richiami di quella sciocca infermiera che mi stava scioccamente dando della signora! Sembravo forse così vecchia?
Ma soprattutto chi le aveva detto di chiamarmi in quel modo?!
«Edgeworth?! Non c’è nessuna signora Edgeworth!» sbottai reggendomi sbadatamente alla poltroncina come se fosse l’unico appiglio al mondo reale che mi fosse rimasto. Guardai l’infermiera, che sembrava essere a disagio, come se non sapesse come comportarsi, mentre si faceva piccola piccola cercando di sfuggire alla mia reazione eccessiva. Forse.
La osservai bene: una donnina dai capelli castani strettamente legati all’indietro, vestita di bianco e con degli occhi color nocciola. Si, si trattava proprio dell’infermiera che era stata assegnata a Miles e che si occupava di lui. In quei giorni l’avevo vista fare avanti indietro, mentre gli medicava le ferite e controllava i liquidi anestetici che venivano iniettati nel braccio di lui per evitare che sentisse troppo dolore. Sembrava una persona molto dedita al suo lavoro, ma non avevo scambiato con lei più di qualche parola sullo stato del mio “fratellino”.
«Mi scusi. Sa, lei è sempre qui insieme al paziente, il signor Edgeworth, quindi io ecco pensavo…» lasciò incompleta la frase, ma la sua allusione fu ovvia. Pensava che fossi sua moglie! La moglie di Miles… Come poteva solo aver immaginato una cosa del genere? Era davvero assurda, cioè io ero sua “sorella”. Beh, non di sangue, ma eravamo pur sempre cresciuti insieme e lei non avrebbe mai dovuto pensare una cosa del genere sul nostro legame.
Eppure quel sogno, in quel sogno ero stata più di una sorella per lui: eravamo marito e moglie, e aspettavamo un bambino, da ciò che avevo potuto dedurre dalla situazione, vivevamo insieme in una casa con un grande giardino pieno di fiori, con Annika e i due Hunde che gironzolavano divertiti, e… per un attimo avevo ammesso di essere felice in quel luogo, con loro. E dovevo ammettere che persino in quel momento in cui ripensavo a quel sogno da sveglia, la sensazione che provavo era una strana sorta di formicolio nello stomaco che mi faceva sorridere. Ero stata felice, solo per un attimo.
Mentre sorridevo guardando un punto imprecisato davanti a me, finalmente ricominciai a sentire il mondo intorno a me, e con esso le spiegazioni titubanti dell’infermiera, che tentava ancora di scusarsi per l’errore.
«… e poi, la bambina che viene ogni giorno a trovarvi, credevo fosse vostra figlia. Cioè, le assomiglia molto, e voi sembrate entrambi molto affezionati a lei…» continuava la signora, cercando in tutti i modi di dare una spiegazione coerente.
Dovevo effettivamente darle ragione per la mia somiglianza con Annie: era evidente che fossimo imparentate, per quanto io fossi ancora troppo giovane per avere una bambina di sette anni. Inoltre, dovevo accettare anche il fatto che sia io che Miles fossimo molto legati a lei, e che ci sentissimo responsabili di darle una vita serena. In particolare, mi stupiva la gentilezza con cui lui si rivolgeva alla piccola, e l’affetto che provava per quella che in realtà per lui era solo una sorta di nipotina acquisita.
Con un sospiro e un mezzo sorriso alzai la mano, come a chiedere all’infermiera di fermare il suo monologo di scuse e parlai a mia volta.
«Non si preoccupi, frau infermiera. Ero solo turbata per il mio risveglio improvviso» scossi la testa, per poi indicare la poltrona su cui ero seduta, come a voler dire che non era esattamente il giaciglio perfetto su cui riposarsi.
Lei sembrò subito tranquillizzarsi, e dopo essersi rassettata la gonna bianca e aver guardato in giro un po’ confusa, si stava dirigendo verso l’uscita in silenzio. Ma… perché mi aveva svegliato se poi non aveva niente da dirmi?
Stavo per chiamarla ad alta voce, quando il mio sguardo fu catturato da Miles, che dormiva. Non potevo disturbarlo, ora che stava riposando, quindi, con grande sforzo e con le gambe che sembravano cedere per la stanchezza e la posizione scomoda, mi alzai dalla poltrona e mi diressi verso la porta, cercando di richiamarla.
Riuscii ad attirare la sua attenzione solo fuori, in corridoio, davanti alla porta numero 7, quella della camera dove avevo vissuto per giorni. Ormai avevo perso il conto di quanto tempo avevo passato accanto a quel letto, stando ben attenta a rendere il più confortevole possibile il posto dove il mio “fratellino” doveva stare. Mi rendevo conto che quell’atteggiamento, da parte mia, doveva risultare estremamente strano agli occhi di Miles, ma… avevo ovviamente i miei motivi per comportarmi in quel modo. Non ero ancora riuscita a ringraziarlo, dopo ciò che aveva fatto per me, o almeno ci avevo provato, ma non ero mai riuscita a farlo in modo adeguato: la prima volta, invece di “grazie” gli avevo dato dello sciocco – che era quello che era, ma non era il caso di ricordarglielo con una pallottola conficcata nella spalla – e la seconda ero stata interrotta e mi ero chiusa di nuovo nel mio guscio perfetto.
Non ero più riuscita a trovare l’occasione, né il coraggio, di dirgli “Danke, Miles” . Era molto difficile per me, come lo era scusarmi. Eppure l’avevo appena fatto con quell’infermiera, quasi come se il fatto che mi avesse chiamato “signora Edgeworth” non fosse così grave. Non sapevo perché mi ero comportata così.
Le poggiai una mano sulla spalla, nello stesso modo in cui l’aveva fatto lei solo poco tempo fa, e lei si voltò, con un’occhiata un po’ indecisa.
«Doveva dirmi qualcosa? Qualcosa su Mil… sul signor Edgeworth?» le chiesi, cercando di non sembrare troppo diretta, né troppo brusca. Mi sembrava che quella donna si innervosisse facilmente, o forse ero io a fare paura anche quando non volevo?
«Oh, si! Me ne stavo quasi per dimenticare…» commentò lei, passandosi una mano tra i capelli in un gesto nervoso. Già, probabilmente la mia presenza doveva metterla a disagio per qualche motivo. Infatti non se ne era “quasi dimenticata”, bensì “del tutto scordata”.
Non volli accennare a questo dettaglio e la invitai a continuare con un accenno di sorriso.
«Il paziente può tornare a casa. Le analisi sono andate bene, e se lei sarà in grado di medicargli la ferita tutti i giorni potrà…» la interruppi subito, mentre uno strano senso di calore e di liberazione si impossessava di me e mi ritrovavo a sorridere finalmente soddisfatta.
«Questa è una notizia perfetta! Vado subito a dirgli di prepararsi…» cominciai, mentre mi dirigevo velocemente dentro la stanza. Per un attimo mi ero dimenticata della donna che era rimasta immobile lì, quasi stupita dal mio improvviso atteggiamento felice, e mi voltai di nuovo a guardarla.
«La ringrazio per essersi occupata di mio fratello» dissi, calcando in particolar modo la voce su legame di parentela che legava me e il suo paziente, per farle capire ancora che aveva sbagliato a giudicare. Per essere ben certa che non mi chiamasse ancora in quel modo, aggiunsi:«Comunque, io sono la signorina von Karma
Poi, senza aspettare che mi rispondesse e ignorando del tutto la sua reazione alle mie parole, tornai nella camera numero 7, pronta ad annunciare la novità a Miles.


{Miles Edgeworth}

Le giornate in quell’ospedale erano passate molto lentamente, scandite sempre dagli stessi ritmi: sonno, veglia, medicine, sonno, veglia, medicare le ferite. Tutto piuttosto noioso in realtà, e avrei voluto scappare subito da quel posto per tornare a casa e tornare alla mia vita normale.
E l’avrei anche fatto, se una certa ragazza dagli occhi color cielo e dall’atteggiamento piuttosto severo non mi avesse praticamente costretto con il solo sguardo a restare su quel letto e a guardare il soffitto senza poter fare nulla in contrario. Era così insistente a volte, considerato che lei stessa era tornata a casa il giorno stesso dell’operazione, quando un anno fa aveva subito esattamente la mia stessa situazione… Avevo cercato di farle notare questo particolare, ma sembrava non essere in grado di ascoltarmi.
Eppure, per quanto fosse ostinata e, alcune volte, fastidiosa, avevo gradito la sua presenza in quei giorni, e la pazienza con cui si era occupata di me ed era rimasta a farmi compagnia giorno e notte. Aveva persino lasciato Annika nelle mani di Wright, confidando che si sarebbe occupato di lei come faceva con la piccola Pearl, per non lasciarmi da solo! Questo era davvero un grande passo per lei, che non si sarebbe mai fidata di qualcuno che non fosse lei – o me, forse – soprattutto per quello che riguardava la sua nipotina.
Sapevo però che doveva essere stanca: non riposava bene da giorni, su quella poltroncina scomoda che non si addiceva a lei, perfetta von Karma, e non l’avevo vista mangiare molto. Mi rendevo conto che questo poteva essere dovuto a… beh, alla confessione di suo padre di volerla uccidere, e avevo paura che questo la stesse distruggendo dentro, senza che lei lo dimostrasse al mondo esterno. Avevo più volte provato a parlarle, chiedendole come si sentisse, ma lei spesso mi ignorava o sfuggiva in tutti i modi alle mie domande, senza mai incrociare il mio sguardo.
Avevo deciso di lasciarla riflettere su quello che era successo, prima di riprovare di nuovo a introdurre questo discorso, ma non ero certo, in realtà, che fosse la decisione giusta: l’avevo sentita, durante la notte, agitarsi nel sonno, pronunciando parole in tedesco. E non si trattava di parole sconnesse, ma di parole con un senso compiuto, che parlavano di dolore, di paura e di suo padre. Speravo solo che riuscisse a superare anche questo…
Quella mattina, l’anestetico che l’infermiera continuava ad iniettarmi mi rendeva debole, e non riuscivo ad aprire gli occhi che per pochi minuti. Franziska sembrava stranamente serena, accoccolata su quella poltrona, quando mi voltai a guardarla con occhi assonnati. Mi soffermai ad osservarla inconsciamente, notando particolari di lei che non avevo mai considerato prima: i capelli chiari erano imperfettamente scomposti, dandole quasi un aspetto infantile, tenero, e una ciocca ricadeva dolcemente sul suo viso, che sembrava essere fatto di delicata porcellana. I suoi occhi color cielo erano chiusi e incorniciati da lunghe ciglia chiare, le sue labbra…
No, un attimo! Perché la stavo guardando così? Distolsi lo sguardo e costrinsi il mio volto in un’altra direzione. Poi chiusi gli occhi per un attimo, cercando di concentrarmi e di trovare il perché a quell’interesse improvviso per mia “sorella”.
Appunto, lei era mia sorella ! Non mi era permesso osservarla così, come se… No! Non dovevo nemmeno pensarci. Era già la seconda volta che lo facevo, considerato quella, pochi giorni fa, in cui l’avevo trovata casualmente in camera mia con quell’unico piccolo asciugamano a coprirla.
Anzi, pensai arrossendo leggermente, quella era la terza occasione in cui succedeva qualcosa del genere.

La magione von Karma era un luogo freddo e piuttosto buio, per quanto sfarzoso e ricco di ornamenti, che lo rendevano, per certi versi, simile ad un castello medioevale. E, proprio come un castello, era soprattutto un luogo molto grande: era davvero facile perdersi, persino quando si conosceva benissimo quella casa, persino quando ci si abitava da molti anni.
Ed era proprio quello che era successo quella gelida sera di febbraio quando, dopo aver studiato per tutto il giorno, fuori dalla mia finestra si era scatenato un temporale. Avevo deciso di chiudere i libri e di andare in cerca di Franziska, per condividere con lei dei dettagli molto interessanti sul diritto penale, e per essere da lei sfidato, come facevamo solitamente, a chi aveva imparato di più durante quella giornata di studio.
Mi divertiva vedere la sua fronte corrucciata e i suoi occhi color cielo stringersi in due fessure e guardarmi come se fossi il suo più grande nemico, a volte. La sua ostinazione mi faceva tenerezza.
Quindi mi ero diretto in quell’ala della casa dove si trovavano le sue stanze, e dove di solito lei si trovava a studiare. Un fulmine mi accecò per un istante, quando la luce raggiunse il corridoio dove stavo camminando, e mi fece sbagliare l’angolo a cui svoltare. Ciò mi fece inevitabilmente perdere.
Ciononostante, continuai a girovagare per quella zona della casa, sapendo di certo che mi trovavo nell’area della sua camera, e che sicuramente prima o poi avrei sentito la sua voce, o forse lo schiocco della sua frusta.
Per un attimo, mentre i tuoni continuavano a rimbombare sulle pareti e i lampi a confondermi le idee, quando finalmente, con un sospiro di sollievo, vidi una luce provenire da una stanza socchiusa e mi diressi in quella direzione. Non ero sicuro di quale stanza fosse, anzi credevo di non averla mai vista… ma non importava. Di sicuro Franziska doveva essere lì, o almeno ci sarebbe stato uno dei suoi domestici, che mi avrebbe indicato la giusta via da seguire per tornare in un luogo familiare.
Entrai a passo spedito nella stanza, e mi resi subito conto dell’errore che avevo fatto: la stanza era piena di vapore, che creava una sorta di nebbiolina. La luce era soffusa e proveniva da una moltitudine di candele rosa che si trovavano in tutti gli angoli, le fiammelle ondeggiavano vagamente come mosse da una brezza inesistente. Non ero mai stato prima in quel posto, e non credevo nemmeno che esistesse. Se fossi stato furbo, mi sarei voltato e sarei subito andato via, invece, come uno sciocco, feci un passo all’interno di quello che evidentemente era una sala da bagno. Attraverso le nuvole di vapore e alcune bolle di sapone che volteggiavano nell’aria, riuscii infine ad identificare una grande vasca da bagno, sorretta da zampe di leone dorate, all’interno della quale si trovava una figura, immersa nell’acqua calda. I suoi capelli bagnati riflettevano d’argento e di cielo persino in quella luce color confetto non molto forte, una delle sue gambe era fuori dall’acqua, rivoli lucenti scivolavano sulla sua pelle chiara…
Il mio sguardo seguì lentamente una goccia, che rigava la sua caviglia, poi la sua gamba, poi… No! Sentii il mio viso riscaldarsi come se mi trovassi circondato dalle fiamme, e chiusi gli occhi di scatto. Non avrei dovuto guardare! Non avrei dovuto vedere Franziska nuda! Lei era la mia sorellina, ed era solo una ragazzina di appena dodici anni!
Se si fosse accorta di me? Cosa avrebbe fatto? E se l’avesse detto a suo padre? Il signor von Karma mi avrebbe come minimo cacciato di casa per un oltraggio del genere!
Feci un passo all’indietro, decidendo di tornare lentamente sui miei passi e costringermi a dimenticare dell’accaduto, ma inavvertitamente urtai un candeliere d’argento, che cadde a terra, con un rumore che mi parve estremamente assordante in quel silenzio di tomba che si era creato.
Subito sentii un suono scrosciante di acqua che si spostava, e di riflesso mi voltai verso la fonte. Non avrei mai dovuto farlo: Frannie si era alzata in piedi nella vasca, e ora, pur attraverso la nebbia, riuscivo a intravedere le sue forme ancora solo accennate, acerbe, da bambina, eppure ciò mi fece arrossire se possibile ancor più di prima.
«Chi c’è?» chiese lei, ad occhi sbarrati, ma evidentemente non riuscendo a scrutare oltre il vapore come avevo fatto io. Rimasi per un attimo fermo, indeciso, quasi non sapendo se dirle “Ehi Franziska, scusami ho sbagliato stanza” o scappare via.
Decisi ovviamente per la seconda e mi dileguai dalla stanza in fretta, con una marcia che rasentava molto la corsa, lasciandomi dietro la mia “sorellina”.
Il mio ultimo ricordo di quell’episodio era la sua voce cristallina, che echeggiava nel corridoio che attraversavo per allontanarmi di lì.
«Herr Miles Edgeworth, sei tu?»
Non seppi mai se si era davvero accorta che si trattasse di me.

«Miles, svegliati… Miles?» sentii ancora quella voce chiamarmi, dolcemente, e le mie palpebre si aprirono faticosamente. Il mio sguardo ne incontrò uno color del cielo, appartenente alla ragazza che avevo appena sognato, che ora era quasi una donna, e che mi osservava chinata su di me.
Dovevo essermi addormentato, mentre ripensavo a quel ricordo così strano che non avevo più considerato per tanto tempo e che ora tornava tra i miei pensieri. Doveva essere di certo così, visto che ora la luce tenue che filtrava dalla finestra era cambiata, e il sole era già alto.
Mi misi seduto sul letto molto facilmente, e mi resi subito conto di stare molto meglio, rispetto agli altri giorni. Finalmente ero abbastanza in forze, anche se il braccio destro era ancora difficile da muovere, e questo mi rese felice. Sorrisi, forse sarei andato via di lì molto presto…
Anche Franziska sorrise, ed era raro che lo facesse in modo così spontaneo e genuino. Doveva essere davvero contenta per qualcosa, e la guardai con sguardo interrogativo, sperando che rispondesse al mio quesito inespresso.
«Fai bene a sorridere, kleinen Bruder [fratellino]. L’infermiera è appena passata e a quanto pare puoi tornare a casa.» disse lei, cercando di apparire calma e perfetta come al solito, ma con una nota di entusiasmo in più che era facile notare. Probabilmente doveva essere sollevata di poter lasciare finalmente l’ospedale e quella poltrona. Io di certo lo ero.
«Finalmente» commentai, con un sospiro stanco, e passandomi una mano sugli occhi in modo da svegliarmi bene. Riuscivo ancora a vedere le immagini della piccola Frannie nuda nella vasca da bagno, e volevo cancellare quel ricordo dalla mia mente, almeno finché la diretta interessata fosse stata lì insieme a me. Sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
Quell’ultimo pensiero mi fece alzare di nuovo lo sguardo su di lei, che nel frattempo si era allontanata e ora cercava qualcosa nella grande borsa che aveva tenuto lì con sé durante quei giorni. Non avevo ancora capito cosa ci tenesse, visto che di solito lei preferiva borsette grandi abbastanza solo per la sua frusta, o ventiquattrore nel caso in cui dovesse portare dei documenti al lavoro. Fu tutto chiaro, quando tirò fuori un completo di giacca e pantaloni color magenta, una camicia e un gilet scuro.
Oh! Mi aveva portato degli abiti puliti… non avrei mai pensato che fosse stata attenta a tutti questi dettagli. Era stata talmente premurosa e accorta nei miei confronti da non sembrarmi neanche lei in alcuni momenti, ma poi mi rendevo conto che forse questa era semplicemente la vera Franziska, quella che era sempre nascosta dentro di lei e che difficilmente lasciava uscire.
O forse stava attenta a tutto perché lei era una perfetta von Karma, come si ostinava a sottolineare ad ogni occasione? Non ne ero certo. A volte riusciva a confondere persino me, che la conoscevo bene, con quel suo atteggiamento ambiguo e difficilmente decifrabile.
Però dovevo ammettere che una sera, mentre rassettava delle lenzuola e pensava che io stessi dormendo, l’avevo sentita perfino canticchiare una melodia molto interessante. Con una voce davvero incantevole… Quella non poteva essere perfezione. Quella era semplicemente Frannie.
Mentre riflettevo su queste cose non notai lo sguardo infastidito che mi lanciò la mia “sorellina”, mentre poggiava i miei abiti sul tavolino accanto al letto.
«Herr Miles Edgeworth, ti sei incantato sciocco?» chiese portandosi le mani ai fianchi, in un gesto spazientito, poi, notando che sembravo ancora perso nei miei pensieri, scosse la testa e aggiunse «Vestiti, ti aspetto fuori.»
Mi diede le spalle e lasciò la stanza, a passo svelto e facendo ticchettare i tacchi sul pavimento liscio e freddo. Le fissai la schiena solo per un attimo, arrossendo leggermente per quei pensieri strani che avevo avuto su di lei quella mattina, poi distolsi lo sguardo.
Dovevo assolutamente darmi una calmata, e smetterla di guardarla così.


Angolo dell'autrice:
Capitolo soprattutto introspettivo, come avete potuto notare... vabbè, lo ammetto, non succede proprio niente xD 
Però mi sembrava d'obbligo, specialmente dopo tutti i dialoghi dovuti al processo, no? Vi ha annoiato? Vi è piaciuto? Oppure è troppo dolce/romantico/fluff? 
Ditemi voi! Non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni sui pensieri di Frannie e Miles, che nel frattempo, loro malgrado (o forse no?), si stanno avvicinando sempre di più. 
Vi lascio una bella immagine di Miles e Frannie, per oggi niente vignette XD Ma sono carini  <3

Image and video hosting by TinyPic
Okay, non ho più niente da dire... anzi una cosa! Spoiler: nel prossimo capitolo ci sarà il primo POV di Annika! *-*
Adesso ho davvero finito, aspetto i vostri commenti! 

Un bacio,
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Things I'll Never Say ***


Capitolo 18 – Things I’ll Never Say


I'm tugging out my hair 
I'm pulling at my clothes 
I'm trying to keep my cool 
I know it shows 

I'm staring at my feet 
My cheeks are turning red 
I'm searching for the words 
inside my head 

(Cause) I'm feeling nervous 
Trying to be so perfect 
Cause I know you're worth it 
You're worth it 

Things I’ll Never Say.


{Annika von Karma}

«… e poi convincerò il signor Nick a comprare alla Mistica Maya un pacco di cioccolatini e un enooorme orso di peluche con un bel fiocco rosso, e finalmente lui le confesserà il suo amore!» concluse estasiata Pearly, mettendosi le mani sulle guance, come a voler nascondere il rossore le le imporporava.
Sospirai, felice che finalmente avesse smesso di parlare, ma speravo che lei non notasse che non avevo seguito la maggior parte del suo “piano” per fare in modo che Maya e herr Nick capissero i sentimenti che provavano. Non che non fosse interessante, anzi, avevo preso mentalmente appunti per alcune idee che avrei potuto sfruttare per i miei zi… ehm, i miei interessi personali. Tuttavia, credevo che la nuova amica non avesse ancora capito che la mia conoscenza della lingua inglese era modesta – almeno per ora – e che non riuscivo a comprendere proprio tutto ciò che diceva… avevo comunque colto il succo del discorso.
Le sorrisi e pensai ad una frase facile per rispondere, sperando di non sbagliare un verbo o la pronuncia di alcune parole. Non ero ancora abbastanza brava, ma in quei pochi giorni avevo ascoltato bene il modo in cui parlavano questi Amerikaner e avevo una vaga idea di come comportarmi con loro.
«Pensi che funzionirà, Pearly?» chiesi titubante, indecisa sui metodi che credeva di poter utilizzarle per farli avvicinare.
Le nostre situazioni erano piuttosto simili, riflettendo: sia io che lei non volevamo altro che i nostri adulti trovassero la felicità e l’amore, e il “per sempre felici e contenti”, come nelle fiabe che mi leggeva la mia Mutter [mamma]. Sia lei che Tante Frannie erano cresciute nella convinzione che la perfezione fosse l’unica cosa da perseguire, ed era per questo che per molto tempo erano state infelici… ma poi la mia Mutti aveva trovato l’amore, il mio papà, e con lui era cambiato tutto nella sua vita. Io lo sapevo perché mi raccontava sempre della sua favola, anche se spesso appariva così dura e severa. Quella era solo la maschera che era solita portare in pubblico, e che aveva cercato di insegnare a portare anche a me, per non essere ferita dalla realtà.
Sorrisi inconsciamente. Mi sarebbe mancata tanto, mi mancava già, e pensare a lei mi faceva venire voglia di piangere, e il desiderio di poterla abbracciare e di poter sentire il suo profumo mi rattristava, ma mi dicevo che sia lei che il mio Papa sarebbero stati sempre nel mio cuore.
Però io ero una bambina grande ormai, e adesso dovevo occuparmi del presente, e il mio presente era Tante Frannie, e sentivo, come la sensitiva seduta sul pavimento di fronte a me, che era mio compito occuparmi di lei, visto che nessuno l’aveva fatto.
Beh, nessuno tranne Onkel Miles, il suo cosiddetto “fratellino”.
Mi ero accorta subito, dalla prima volta che l’avevo visto da dentro quell’armadietto dove ero nascosta con Phoenix, che i quegli occhi grigi appartenevano a una persona gentile. Come mi ero accorta dell’apprensione che aveva verso la zia, del nomignolo con cui solo lui sembrava avere il permesso di chiamarla, e del modo titubante in cui i loro sguardi si incrociavano. E avevo capito qual era la missione che mi era stata affidata dal destino…
Mentre pensavo a quelle cose, la mia amica continuava a fantasticare su quanto sarebbe stato splendido il momento in cui herr Nick si sarebbe dichiarato a Maya.
«Ma certo che funzionerà, Annie! E saranno così felici insieme! E avranno tantissimi bambini, e saranno tanti piccoli avvocati e sensitive e…» avrebbe continuato all’infinito, se qualcuno non l’avesse interrotta.
«Pearly! Sta per iniziare il nuovo episodio del Samurai d’Acciaio, non vieni a vederlo?» richiamò la sua attenzione la cugina, urlando dall’altra stanza con un tono molto eccitato.
Il Samurei d’Accialio? Non sapevo di cosa stesse parlando, ma credevo di aver visto una statuetta del genere a casa di Onkel Miles, nel suo studio distrutto. Ah si, avevo visto Pess e Phoenix masticarne una gamba! E mi ricordavo di aver notato lo sguardo di lui molto turbato, come se tenesse molto a quell’oggetto.
Ebbi un lampo di genio: se allo zio piaceva questo personaggio, forse piaceva anche alla zia, e sarebbe stata un’altra cosa che avevano in comune. Dovevo saperne di più su questo Samurei…
Intanto, la piccola sensitiva si era alzata dal pavimento e, prendendomi per mano, mi aveva trascinato letteralmente nell’altra camera, dove si trovava una grande tv. Una sigla avvincente veniva trasmessa in quel momento, e fui subito attirata dalla sequenza di luci, suoni e colori che investivano il mio sguardo.
Improvvisamente interessata, mi sedetti sul divanetto tra Maya e Pearl, cominciando ad appassionarmi non appena l’episodio fu iniziato.


{Franziska von Karma}

Finalmente Miles era stato dimesso, finalmente eravamo pronti per tornare a casa.
Avevamo percorso silenziosamente il corridoio e il parcheggio dell’ospedale, per raggiungere l’auto sportiva rossa del mio fratellino. Dovevo ammettere che si trattava davvero di un colore vistoso, persino per noi von Karma che amavamo essere notati dalla gente comune.
Mentre camminavamo, continuavo a lanciare occhiate nervose verso di lui, mentre il ricordo del sogno che avevo fatto quella mattina mi assaliva: avevo fatto incubi, avevo visto mio padre tutte le notti e tutte le volte che chiudevo gli occhi, da quando c’era stato quel processo. Come mai in quel momento, improvvisamente, avevo fatto un sogno totalmente diverso? E che riguardava me e Miles, come in una sorta di possibile futuro?
Io non avevo mai pensato a lui in quel modo. Anzi, ad essere sincera con me stessa, non avevo mai pensato a nessuno in quel modo.
Papa, dopo la scelta di Angelika di abbandonare il nostro credo per sposare il padre di Annika, aveva deciso di aggiungere una nuova regola a tutte quelle che portavano alla perfezione: i sentimenti d’amore non erano concessi, i matrimoni non erano accettati. Avere una persona accanto, qualcuno che ti ami e che tu ami a tua volta, ti rendeva una persona debole.
Me l’aveva persino detto quella sera in cui fu giustiziato.
“Tua madre è stata la prima imperfezione della mia vita”, aveva ammesso, con un tono e un’espressione disgustati, quasi quanto quelli che aveva usato poi per descrivere me. E io gli avevo sempre creduto, e mai avevo lasciato che un ragazzo mi avvicinasse – la mia fidata frusta mi aiutava in questo – né io avevo volontariamente provato interesse verso qualcuno.
In questi diciannove anni della mia vita nessun uomo era riuscito a farmi battere il cuore, nemmeno in sogno, e ora improvvisamente succedeva. Ed era tutta causa sua, di herr Miles Edgeworth, il mio “fratellino”, come insistevo a chiamarlo, anche se non eravamo davvero imparentati. Perché era successo? E perché io ero così turbata, anche se in realtà non era accaduto nulla?
Aprii lo sportello anteriore dell’auto, per poi sedermi al posto del guidatore. Con quel braccio ferito, non potevo pretendere che lui guidasse, quindi era compito mio portarlo fino a casa. Ancora immersa nei miei pensieri, fissavo le mie mani strette al volante, che continuavano ad essere prive di guanti. Dovevo ricordarmi di fare compere prima di…
«Franziska…? C’è qualcosa che non va?» chiese l’uomo accanto a me, lanciandomi uno sguardo piuttosto preoccupato. Spaventata dalla possibilità che il mio cuore potesse di nuovo fremere come aveva fatto in sogno, evitai accuratamente di incrociare i suoi indecifrabili occhi plumbei, capaci di scrutarmi nel profondo.
Strinsi ancor di più le mani, che si arrossarono leggermente per lo sforzo, poi, con la voce più calma e sicura possibile, e fissando il vuoto davanti a me, risposi.
«Sto benissimo, herr Miles Edgeworth.»
La mia risposta era stata definitiva, e sicuramente Miles si era reso conto che non avevo alcuna intenzione di fare conversazione perché, dopo alcuni secondi in cui percepii ancora i suoi occhi sondarmi con curiosità, lo sentii voltarsi verso il finestrino, e osservare in silenzio il panorama.
Lasciai che l’auto prendesse velocità e sfrecciasse nel traffico pomeridiano della città, stando bene attenta a restare nei limiti ovviamente, ma continuando a far vagare i miei pensieri.
Perché avevo così tanta paura di confrontarmi con lui?
No! Non poteva, non doveva essere timore quello che provavo nei suoi confronti!
Non importava che mio padre fosse un assassino e che fosse ossessionato in modo malsano dalla perfezione. Io rimanevo sempre e comunque una von Karma, e i von Karma non avevano paura! Soprattutto non di uno sciocco procuratore che scioccamente mi fissava con quei suoi sciocchi occhi grigi che sembravano leggermi dentro!
Passai nervosamente dalla terza alla quarta marcia, con la mano destra che spostava in modo violento la leva di cambio verso il basso. Sentivo l’ira montare dentro di me, e cercavo di tenerla a freno concentrandomi sulla guida.
Non riuscivo ad essere perfetta come mio padre mi voleva perché ero troppo fragile e le emozioni riuscivano troppo facilmente a prendere il controllo su di me, come stava succedendo in quel momento. Ero contemporaneamente arrabbiata e spaventata, non ero capace di mantenere la calma e questo mi faceva arrabbiare ancora di più.
Ed era tutta colpa sua! Perché mi faceva sentire in questo strano modo? Perché qualcosa nel mio stomaco si agitava come se avessi la nausea, ma in una maniera molto piacevole? Non riuscivo a capire, non lo comprendevo!
Le immagini di quel sogno continuavano a scorrere davanti ai miei occhi, e per un attimo lasciai persino il volante con una mano, che andò a sfiorarmi il ventre, come a volere la certezza che non fosse diventato realtà e che non fossi davvero incinta del figlio del mio “fratellino”.
La mano si allontanò e violentemente tornò alla leva di cambio, con l’intenzione di passare dalla quarta alla quinta marcia, quando fu sfiorata da qualcosa di tiepido e gentile. Riconobbi il contatto che avevo avuto in sogno all’istante: la mano di Miles aveva appena sfiorato la mia, con delicatezza.
Inchiodai immediatamente in mezzo alla strada, senza preavviso e senza rendermene bene conto. Almeno finché non sentii il mio corpo spinto in avanti per la frenata brusca, e il suono dei clacson appartenenti alle auto dietro di me, evidentemente infastidite dal mio arresto improvviso.
«Franziska! Tutto bene?» chiese ancora l’uomo seduto al mio fianco, sporgendosi verso di me e guardandomi preoccupato.
Beh, in effetti il mio comportamento doveva risultare un po’ strano, anche se trovavo la sua preoccupazione nei miei confronti piuttosto eccessiva. Con un gesto della mano, gli feci capire che poteva tranquillizzarsi, e cercai di rimanere relativamente naturale, mentre lo osservavo negli occhi.
«Ero solo sovrappensiero, herr Miles Edgeworth! Ti ho già detto che sto perfettamente bene, sciocco.» gli risposi, sputando fuori le parole in modo nervoso e scontroso. Furono quasi un ringhio verso di lui, che si ritrasse e abbassò lo sguardo.
In realtà mi ero spaventata, e il suo gesto mi aveva colto alla sprovvista come mai era successo prima, ma non l’avrei mai ammesso di fronte a lui. Quel tocco così leggero aveva per un attimo inibito la mia capacità di pensare, e l’istinto mi aveva fatto agire cercando in tutti i modi di evitare una collisione e allo stesso tempo di fermare il tempo.
Mentre rimuginavo su ciò che avevo fatto, la voce di lui mi raggiunse di nuovo, gentile, come se non volesse rischiare di farmi esplodere.
«Ti sei… accorta che abbiamo mancato l’imbocco per la strada che porta all’ufficio di Wright?» chiese piano. Sembrava quasi che avesse paura che impazzissi all’improvviso. Io stavo benissimo! Sembravo sconvolta? Sembravo… spaventata?
Cercando di darmi un contegno, spostai una ciocca di capelli che era ricaduta imperfettamente sui miei occhi color cielo – avrei dovuto trovare un altro modo per definirli! – e annuii leggiadramente.
«M-ma certo! Ed è per questo che mi sono fermata» risposi, anche se in realtà non mi ero accorta di nulla.
Mi resi improvvisamente conto di essere stata così immersa nei pensieri da essermi totalmente dimenticata di dove stessi andando. Ma soprattutto, avevo accantonato Annika. Dovevamo andare a prendere la bambina, che avevo lasciato in custodia a herr Phoenix Wright.
Non che mi fidassi di lui, ovviamente. Ma non avevo avuto altra scelta che lasciarla nelle sue mani, mentre mi occupavo di Miles. Speravo solo che la mia nipotina stesse bene…!
Concentrata sul mio obiettivo, eliminai tutti gli sciocchi discorsi mentali che avevo fatto fino a quel momento, e rimisi in moto l’auto.
Senza aggiungere altro, e evitando accuratamente uno sguardo molto fastidioso alla mia destra, feci inversione e lentamente mi diressi verso l’ufficio dove lei ci attendeva.

«Oh! Vedo che ti hanno dimesso, Edgeworth» salutò l’avvocato difensore vestito di blu, mentre ci apriva la porta del suo ufficio.
Lo vidi sorridere, mentre ci invitava ad entrare. Osservai subito gli interni della stanza: niente di speciale, a dire il vero, tutto sembrava urlare “economico” nello stesso modo in cui tutto nel mio studio in procura gridava “costoso ed elegante”. C’erano una scrivania con alcuni giornali sopra, una pianta da appartamenti e alcune poltroncine molto anonime. Una finestra dava direttamente su un lato dell’Hotel Gatewater, senza un minimo di privacy tra i due palazzi… Beh, che potevo aspettarmi da questo posto?
Speravo solo che la piccola stesse bene e che l’avessero trattata nel modo giusto, facendola sentire a suo agio. A proposito di lei, mi voltai in tutte le direzioni, cercandola, ma non era da nessuna parte.
«Herr Phoenix Wright, dov’è mia nipote?» chiesi, con voce seccata e con un tono autoritario.
Quella era proprio una giornata no per me, mi ero svegliata in modo strano e non riuscivo proprio a contenere il mio nervosismo. Persino quello sciocco dovette accorgersene, visto che guardò Miles con un’occhiata interrogativa, come a chiedergli cosa mi prendesse. Lui rispose con un’alzata di spalle e si limitò a lanciarmi un grigio sguardo curioso. Se possibile, il mio fastidio aumentò. Ma cos’avevano da fissarmi tanto?! Se solo avessi avuto la frusta…
«Dev’essere di là con Maya e Pearls. Stavano guardando alcuni epis…»
Non sentii nemmeno la fine della frase, che mi fiondai nella stanza accanto a quella, sperando che almeno la presenza di Annika riuscisse a rasserenarmi. Avevo notato che aveva un effetto calmante, e che riusciva spesso a farmi fare o dire cose che altrimenti avrei tenuto per me.
La camera accanto all’ufficio non era altro che una specie di salottino, o forse sarebbe stato meglio definirla una sala relax: un divano di fronte ad un’enorme televisione – l’unica cosa relativamente costosa che avevo visto finora in quel posto – che stava in quel momento trasmettendo una sottospecie di programma sui samurai. Non riuscivo a vedere molto del resto, visto che le luci erano spente, forse a dare una sorta di “effetto cinema”, e le uniche cose visibili erano quelle illuminate dallo schermo.
Riuscii ad individuare tre figure nel buio, di cui due portavano abiti molto simili e acconciature strane, mentre una terza, piccola ed elegantemente accomodata sul sofà, indossava un abitino e aveva un fiocco tra i capelli.
Gli occhi di Annika scintillavano di fronte all’avvincente cartone animato che stava vedendo, e la sua espressione sembrava stupita e interessata. Cosa stavano facendo vedere alla bambina? Qualcuno di quegli sciocchi programmi americani che incitavano alla violenza? Chi aveva dato loro il permesso di vederli?!
Trovai il pulsante tastando la parete accanto alla porta, accendendo le luci e rompendo l’atmosfera. Tre visi si voltarono verso di me, tutti con sguardi corrucciati. Stavo per dire qualcosa sull’inutilità di quel programma e sull’effetto nefasto che poteva avere sulla psiche dei bambini, quando Annika si alzò in piedi e mi corse incontro con un gran sorriso sulle labbra.
«Tante Frannie!» strillò, con quella sua vocina melodiosa da bambina, e io mi sentii subito meglio. Non riuscivo a resistere a quel suo infantile entusiasmo nel vedermi, era l’unica persona in questo mondo che mi voleva bene e che lo dimostrava così. Le feci un mezzo sorriso anch’io, mentre mi abbracciava, poggiando la testolina cerulea sul mio grembo. Percepii gli sguardi stupiti di Maya e Pearl Fey, che commentavano silenziosamente la rarità di quel mio gesto, ma le ignorai tranquillamente.
«Mi sei mancata tanto!» disse ancora ad alta voce, guardandomi dritta negli occhi.
Ecco una caratteristica di lei che non avevo ancora notato: per quanto le sue iridi fossero di quel freddo color ghiaccio molto simile al mio, riuscivano a trasmettere un calore che credevo non potessero possedere. Riuscivano a sciogliere persino il mio cuore di ghiaccio da perfetta von Karma. Le mie, invece, non erano capaci di ottenere quell’effetto, o forse ero io a non volere trasmettere nulla attraverso di loro?
Lasciai perdere questo discorso mentale a cui, comunque, non sapevo dare risposta, per parlare con la mia nipotina.
«Mi sei mancata anche tu, mein Kleiner [piccola mia]» sussurrai, finalmente con un tono molto diverso da quello scontroso che avevo utilizzato praticamente per tutto il giorno. Anche volendo, non credevo che sarei mai riuscita a rivolgermi ad Annika in quel modo così arrabbiato.
Non l’avrei mai turbata mostrandole quella parte di me stessa, non potevo spaventarla. In fondo, stavo per diventare la sua tutrice, la donna che si sarebbe occupata di lei da quel momento in poi, e non era certo un buon modo per instaurare un legame.
Si, ricordai a me stessa continuando a sorridere, mancava poco e quella bambina sarebbe stata legalmente sotto la mia custodia. Mentre Miles era in ospedale, infatti, nei momenti in cui riposava e l’infermiera era lì ad occuparsi di lui, avevo sbrigato tutte le pratiche per l’affidamento della bambina, e ormai aspettavo soltanto l’ultima conferma che sarebbe arrivata di lì a poco. Non ero preoccupata: ero la sua unica parente in vita, la migliore candidata per lei. Di certo non ci sarebbero stati problemi.
Sapevo che la presenza della nipotina avrebbe cambiato molte cose nella mia vita. Anzi, in effetti, stava già succedendo: mi sentivo meglio, quando ero con lei, non avvertivo il peso opprimente delle mie responsabilità e del mio cognome. Mi sentivo semplicemente me stessa.
Spesso succedeva anche quando ero in presenza di lui, ma non volevo ammettere che mi tranquillizzasse. Lui mi destabilizzava.
Quasi a poter avvertire i miei pensieri, Annika tornò a guardarmi con quei suoi occhioni azzurri, e mi chiese: «Dov’è Onkel Miles?»
Mi stupivo ogni volta che lo chiamava in questo modo, anche se l’aveva fatto ormai in molte occasioni in mia presenza. Perché lo considerava uno zio? Il mio fratellino mi aveva detto di non essere stato lui a chiederle di chiamarlo così, ma che era stata un’iniziativa personale della bambina. Cosa l’aveva spinta a darle questo appellativo? Prima o poi le avrei posto questa domanda, ma non era ancora il momento.
«Sono qui, Annie» commentò una voce dietro di me, che subito riconobbi.
I toni di Miles erano sempre gentili, calmi, come se niente potesse stupirlo. In presenza della piccola, poi, diventavano particolarmente dolci, simili a quelli usati verso di me in quel sogno che avevo… Ah! No, non dovevo più pensarci! Avevo quasi rischiato un incidente solo pochi minuti fa per quello stupido incubo, non dovevo più lasciarlo sfiorare i miei pensieri.
Entrambe ci voltammo in sua direzione, incrociando il suo sguardo grigio con i nostri due celesti. Si stagliava sulla porta della stanza, tenendo il braccio destro innaturalmente rigido lungo il fianco.
La reazione di Annika non si fece attendere: si staccò da me per correre dallo “zio”, per poi allungarsi verso l’alto cercando in tutti i modi di avvicinarlo a sé. Il che era praticamente impossibile, considerato il dislivello fra i due. Infatti, mentre Miles era molto alto – mi superava molto in altezza – la piccola era piuttosto bassa per la sua età, una dei geni che doveva aver ereditato dai von Karma. Nemmeno io ero molto alta in effetti, ma compensavo questa mancanza con la frusta: nessuno doveva pensare che ero piccola e debole.
L’uomo si abbassò per avvicinarsi a lei, finché i loro visi non furono allo stesso livello, poi la bambina le schioccò un bacio sulla guancia. Lui sorrise calorosamente al suo gesto.
Un moto di gelosia mi assalì, ma allo stesso tempo mi stupì. Non riuscivo a capire se fossi gelosa per le attenzioni che la mia nipotina aveva dimostrato verso lui, anziché verso di me, oppure per lo sguardo così affettuoso che Miles lanciava verso di lei, anziché verso di… No. Sicuramente era per il primo motivo.
Scossi la testa cercando di liberarmi di quelle ipotesi, mentre mi dirigevo di nuovo verso l’ingresso dell’ufficio e dicevo:«Credo che dovremmo andare, adesso. Dobbiamo ancora passare a prendere… delle cose.» Mi riferivo, ovviamente, ai due Hunde [cani].
Ero quasi arrivata alla porta, quando una mano si poggiò sulla mia spalla. Mi trattenni dall’urlare a quel contatto lieve, che avevo subito associato ad una persona, solo per non sconvolgere la piccola, e mi voltai con uno sguardo infastidito verso il mio “fratellino”.
Lui non vacillò, non scostò la mano, ma parlò con voce pacata.
«Credo che tu ti sia dimenticata di ringraziare Wright per essersi occupato di Annika in questi giorni. Non è vero, Franziska?» i suoi occhi, simili a nuvoloni d’inverno, non erano severi, né mi imponevano di fare quello che aveva detto. Sembravano solo chiedermi gentilmente di accontentarli.
Era vero, non lo avevo ringraziato. Ma pretendeva forse che mi sarei esposta così? Che avrei ammesso di avere un debito con quello sciocco avvocato difensore? Forse non mi conosceva ancora abbastanza bene.
Incrociai le braccia, e una mano andò a stringere la manica dell’altro braccio. Uno di quei gesti che non riuscivo a smettere di compiere, anche se mi ricordavano mio padre. Non incrociai lo sguardo dell’uomo in blu, che probabilmente attendeva i miei danke con un sorriso trionfale sulle labbra.
«Non devo ringraziare nessuno. Herr Phoenix Wright mi ha fatto questo favore solo per scusarsi della sua sciocca inutile difesa durante il mio processo» pronunciai le parole lentamente, come per fare in modo che tutti le comprendessero.
In realtà dovevo ammettere che aveva fatto qualcosa in mia difesa, anzi che la sua assurda ipotesi mi aveva salvato dalla condanna a morte. Ma per me era difficile ringraziare una persona.
“I von  Karma non hanno bisogno di aiuto, quindi non ringraziano mai nessuno” era una delle leggi più importanti della mia famiglia, e io, con il mio orgoglio, non riuscivo a sottrarmi a questa regola. E Miles lo sapeva. Infatti sorrise e mi guardò di sottecchi, divertito dal mio atteggiamento, probabilmente. Appena avrei riavuto la mia cara frusta tutti quegli sguardi sarebbero stati puniti…
«Che cosa?!» sbottò Maya, che ci aveva seguito dall’altra stanza insieme alla cugina «Nick ti ha praticamente salvato la vita, e tu…!» la predica che la sensitiva mi stava facendo per la mia frase fu interrotta bruscamente da mio “fratello”, che mi indicò gentilmente la porta.
«Tu vai pure avanti con Annika, Franziska. Ti raggiungerò fra poco.»
Io girai i tacchi e stavo per andarmene a testa alta e senza salutare nessuno. Non avevo intenzione di essere giudicata da quella sciocca Maya Fey! Sembrava che nessuno riuscisse a capire che non potevo ringraziare per il favore che mi era stato fatto e questo mi innervosiva ancora di più.
Mentre il tacco del mio stivaletto si poggiava già sulla soglia, una manina piccola e tiepida mi tirò per la manica della camicetta, attirando la mia attenzione.
La mia nipotina mi guardava confusa, e con voce melodiosa mi fece una domanda.
«Dovresti dire “danke” a herr Nick, Maya e Pearly, Tante Frannie. Sono stati tanto gentili con me…» inclinò il capo, con quello sguardo a cui non si riusciva a dir di no.
Era già la seconda volta che lo faceva, con me, e proprio non mi rendevo conto di come facesse. Non poteva essere semplicemente il fascino da bambina, sembrava quasi un potere sovrannaturale! Eppure era capace di farmi cambiare idea.
«Io… Beh…» ero a disagio, combattuta tra i miei ideali e gli occhi supplicanti di quella piccola. Non riuscivo a pronunciarmi, eppure stavo crollando e il mio volto esprimeva emozioni che non dovevano essere viste da nessuno.
Mi mordicchiai il labbro e sussurrai semplicemente:«… se ne occuperà Miles, Nichte. Andiamo»
La presi per mano e me ne andai velocemente, sperando che tutti si dimenticassero di avermi vista così.
Debole.


Angolo di Kirly:

Beeeh un altro capitolo un po' vuoto di "avvenimenti" ma ricco di pensieri contorti. Vi prometto che nel prossimo succederà qualcosa di carino, dai... No, anzi, non prometto niente XD 
Alla fine il POV di Annika è venuto una cosa piccola piccola, ma sapete era un po' difficile entrare nella testa di quella bambina! Dovrò allenarmi (anche perché ce ne saranno altri, provate ad indovinare in che occasioni? :3)
Visto che il suo punto di vista era piccino, vi lascio una sua immagine in varie posizioni, non è tenera? 

Image and video hosting by TinyPic
Che altro...? Ah, pensavo che magari potreste spedire le vostre domande personali ai personaggi, che vi risponderanno nel prossimo capitolo u.u Per intenderci:

Kirlia: Miles, perché non hai ancora sposato Franziska?! -.-
M: Ehm... che domanda dovrebbe essere... *arrossisce* ... è perché... cioè...

Vabbè tesoro, non dovevi rispondere adesso, non agitarti, era solo un esempio! Okay, tutti avete capito quanto sono sclerata.
Spero che la lettura di oggi sia stata interessante e spero di ricevere presto i vostri commenti! Sapete quanto ci tengo <3 
Un bacione a tutte,
Kirlia <3 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Eternal Flame ***


Capitolo 19 – Eternal Flame


Image and video hosting by TinyPic



{Miles Edgeworth}

Sospirai di sollievo quando finalmente rientrammo a casa.
Osservandolo sulla soglia, il salottino d’entrata sembrava buio e silenzioso, come se la nostra assenza fosse durata mesi, o anni, e la cosa mi rattristò. In fondo erano passati solo pochi giorni dalla nostra ultima uscita, anche se nel frattempo molte cose erano cambiate: il nostro “nucleo familiare” si era allargato, Frannie aveva ottenuto la sua libertà, ed io… beh, avevo passato qualche giorno in ospedale, e avevo riflettuto molto. Ma non avevo voglia di ripensare a tutto ciò che era successo, e mi concentrai sulla stanza.
La casa, come dicevo, sembrava vuota, priva di vita, ma subito questa mia impressione fu distrutta. I cani irruppero correndo in giro, annusando dappertutto, come per essere sicuri di essere di nuovo nel loro appartamento, e i guaiti felici cambiarono subito l’atmosfera.
Mi sfuggii un sorriso, pensando che probabilmente a casa di Larry – o dovunque li avesse tenuti per tutti quei giorni – dovevano aver pensato a lungo alle loro cucce e ai loro giocattoli. E, osservando lo sguardo entusiasta di Pess che scodinzolava, anche noi dovevamo essergli mancati. Il piccolo Phoenix in particolare, non faceva che gironzolare intorno ad Annika, uggiolando contento, e la piccola continuava a coccolarlo e carezzarlo con tenerezza.
Accesi le luci e mi avviai verso il sofà, sperando di riuscire ad avere un po’ di riposo. Già, dovevo ammettere che quel viaggio mi aveva sfiancato, e che avevo bisogno di sedermi per riprendermi: la ferita in sé non era niente di grave, ma ero ancora convalescente. E poi, forse – e sottolineo forse – mi piacevano le attenzioni che Franziska mi riservava da quando mi sentivo così, e forse non avevo voglia di stare improvvisamente meglio, per essere di nuovo frustato a morte come prima. Mi piaceva la Frannie premurosa che avevo visto in lei… Oh, ma che stavo pensando?!
Il mio sguardo cadde su di lei, che nel frattempo aveva chiuso la porta e mi dava le spalle. Ebbi appena un attimo per osservarla, prima che i suoi occhi color cielo incrociassero i miei e si socchiudessero a guardarmi con ostilità.
«Che cos’hai da guardare, sciocco? E smettila con quell’atteggiamento da “sono ferito e ho bisogno di cure”. Stai benissimo!» sbottò, in modo molto scontroso.
Sia io che Annika ci voltammo a guardarla con un’espressione tra il confuso e il preoccupato, mentre lei si allontanava in corridoio, e poi si infilava nella sua stanza. Sentimmo lo scatto delle chiavi nella serratura: si era chiusa dentro.
Non capivo cosa le stesse succedendo. I suoi movimenti erano stati rigidi, nervosi, come se quel giorno qualsiasi cosa avrebbe potuto farla scattare. I suoi atteggiamenti erano scostanti, molto diversi da quelli che aveva avuto in tutti questi giorni, gentili ed educati. I suoi occhi si rifiutavano di incontrare i miei, come se avesse paura che potessi leggerle dentro qual’era il problema che la affliggeva. E lei non voleva dimostrarsi debole.
Ma, molto di più, le sue parole: taglienti, cattive. Parole che, riferite ad altre persone, sarebbero state normali per lei. Ma non verso di me… quell’atteggiamento così aggressivo, non l’avevo mai visto nei miei confronti, o almeno non con tanta serietà. Cos’era successo di tanto terribile da renderla improvvisamente così? Che le avessi fatto un torto di cui non mi ero reso conto?
«Onkel Miles… Perché Tante Frannie è così arrabbiata?» mi chiese la bambina, avvicinandosi a me e guardandomi con la testa inclinata.
Per lei soprattutto, quel comportamento da parte della zia doveva essere una sorpresa. In sua presenza, infatti, la mia “sorellina” si era sempre comportata bene, era stata gentile e persino affettuosa, quindi adesso quel tono doveva sembrarle strano. Non aveva ancora conosciuto il lato peggiore della sua nuova tutrice, a quanto pare…
A proposito di questo, mi chiedevo se Franziska si fosse già occupata dell’adozione di sua nipote. Non me ne aveva parlato, ma probabilmente doveva aver già fatto domanda per il suo affidamento. Avrei voluto chiederle, ma proprio non mi sembrava il momento adatto per farlo. Non avrei certo voluto che mi assalisse accompagnata da molti “sciocco” e occhiatacce.
«Io… non lo so, Annie. Probabilmente qualcosa deve averla turbata.» dissi a bassa voce, per evitare che riuscisse a sentirmi dall’altra stanza, dove si era rifugiata.
La bambina fece il broncio, poi si avvicinò di più, e capii che voleva sussurrarmi qualcosa nell’orecchio. Oh, probabilmente avrei dovuto sgridarla, dicendole qualcosa come “non si parla nell’orecchio, è maleducazione”, ma in quel momento sua zia non c’era. E poi ero curioso di sentire cosa aveva da dire.
«Sei stato Frech [cattivo] con lei, Onkel Miles?» chiese in un soffio. Il suo tono non era esattamente d’accusa, ma il suo sguardo diceva che sarebbe stata molto delusa da me se le avrei confermato che era colpa mia.
I suoi occhi di ghiaccio mi fecero venire i brividi. Che quella bambina avesse il potere di farmi fare quello che voleva l’avevo già appurato, ma era anche capace di farmi sentire in colpa per ciò che non avevo fatto?
Scossi la testa lentamente, e per essere chiaro sulla questione le risposi nella sua lingua madre.
«Absolut nicht. Ich glaube, sie ist einfach müde… [Assolutamente no. Credo che sia solo stanca…]» sussurrai, non molto convinto delle mie stesse parole. Insomma, Franziska poteva pure essere stremata dalla permanenza in clinica, ma non era da lei comportarsi in quel modo. Era come se la sua maschera perfetta si fosse sbriciolata del tutto, come se non riuscisse a restare calma in qualsiasi situazione.
Sì, era decisamente strana. Forse avrei dovuto andare da lei e chiederle gentilmente cosa le stesse succedendo. D’altronde, a causa del processo di pochi giorni fa, il suo rapporto con me si era modificato in un modo che mai avrei pensato possibil…
«Ich habe eine Idee! [Ho un’idea!] Perché non prepariamo una tortèa per Tante Frannie? Si sentirà più glückliche! [felice]» mi interruppe ad alta voce melodiosa la bambina, improvvisamente estasiata dalla sua idea. Cominciò a saltellare per la stanza, inseguita dal piccolo Phoenix che le girava intorno scodinzolando.
Mi voltai verso Pess, quasi a chiedergli conferma. Era forse una buona idea quella di fare una torta per la mia “sorellina”? Il cane inclinò la testa, guardandomi con aria saggia e in silenzio.
Beh, mi dissi, una volta aveva funzionato, ed era stata la mia strategia per invitarla a restare a casa con me. Magari avrei potuto corromperla anche stavolta allo stesso modo. E se fosse stata Annika a consegnarle una fetta, non avrebbe potuto resistere al suo fascino. Giusto?
Mosso dall’idea di riuscire a far spuntare un sorriso sulle labbra della donna che se ne stava prepotentemente chiusa nella stanza in fondo al corridoio, mi alzai in piedi. Ignorando il dolore alla spalla, presi la bambina in braccio e dissi:«Davvero un’ottima idea, Annie. Prepareremo una torta per la zia.»

{Franziska von Karma}

Potevo farcela. Dovevo farcela.
Insomma, dopotutto ero o non ero una von Karma, una leggenda e un genio indiscusso?
Allora come mai non ero stata capace di archiviare la questione di quel sogno e tornare a comportarmi come prima?
Perché lo sapevo, me n’ero accorta. Avevo visto lo sguardo turbato negli occhi di Miles, avevo visto la tristezza in quelli di Annika, quando ero sbottata in quel modo in salotto. E loro si erano decisamente accorti che qualcosa non andava in me, che stavo nascondendo un problema e che cercavo in tutti i modi di non farlo notare, ma purtroppo ciò mi riusciva malamente.
Se c’erano delle persone che non volevo deludere, quelle erano certamente la mia nipotina e il mio… “fratellino”. Odiavo ammetterlo, ma erano gli unici che tenevano a me, e gli unici per cui provavo vero affetto. E anche se mi era vietato dal credo della mia famiglia, le loro attenzioni mi scaldavano il cuore, e non riuscivo a farne a meno. Anzi, non ero abbastanza forte da farne a meno.
Sospirai pesantemente, guardandomi nello specchio della stanza da letto.
I miei occhi erano circondati da ombre scure, ed era evidente che non dormissi bene da un pezzo. In effetti era così: il processo mi aveva tenuto in ansia, e dopo di esso erano stati gli incubi su mio padre a svegliarmi ogni notte, madida di sudore per lo spavento. Insomma, avevo tutti i motivi per essere scontrosa, in fondo.
Ma questo non mi giustificava. Dovevo dimenticarmi di ciò che era successo quella mattina e tornare ad essere più gentile, per non sembrare una tiranna agli occhi della mia bambina. Dovevo dimenticarmi degli strani pensieri che avevo avuto su Miles: era stato solo uno sciocco sogno, una situazione futura impossibile partorita dalla mia mente stressata ed esausta.
Sì, dovevo essere convinta di questo. Ciò che era successo in auto poche ore prima, quella scossa che avevo provato sfiorando la sua mano… non era stato nulla. Era solo stata una suggestione, ma non avevo sentito niente, vero? Era tutta colpa di quell’infermiera e del suo sciocco errore.
Mentre cercavo di convincermi che fosse così, un rumore di qualcosa che cadeva a terra, frantumandosi in pezzi, attirò la mia attenzione. Proveniva dalla stanza più lontana da me, cioè la cucina, e proprio mi chiedevo cosa stesse succedendo. Ma non mi sentivo ancora pronta a mostrarmi agli altri, quindi speravo che fosse tutto a posto.
Tornai ad osservarmi nello specchio, mettendo una ciocca di capelli celesti dietro l’orecchio e rassettando la camicetta, quando sentii ancora qualcosa.
«Ti sei fatta male, Annie?» chiedeva la voce maschile, appartenente chiaramente a Miles, con un tono vagamente preoccupato.
Bastò quel vagamente a farmi scattare. Se Annika si era fatta del male, anche solo leggermente, herr Miles Edgeworth ne avrebbe pagato le conseguenze finché fosse stato in vita! Era lui che si stava occupando della mia nipotina, e se l’aveva in qualche modo ferita l’avrei ucciso all’istante!
Aprii la porta della camera e quasi corsi lungo il corridoio, tastandomi il fianco alla ricerca della mia cara frusta, che però non si trovava al suo posto. Mi morsi il labbro inferiore nervosamente: dovevo riprendere la mia fidata amica, o dovevo trovare un’arma che la sostituisse al più presto. Non ne potevo più della sua assenza.
Entrai in cucina e mi fermai di colpo, rischiando per poco di perdere l’equilibrio e cadere rovinosamente.
La scena davanti a me era piuttosto surreale: la cucina era un caos, con stoviglie e cibo di diversi tipi ovunque. Una ciotola di farina si era rovesciata, e quegli sciocchi Hunde [cani] si rotolavano sul pavimento diventando bianchi e polverosi. Una bottiglia era caduta a terra e adesso frammenti di vetro galleggiavano in una pozza d’acqua al centro della stanza. Su tutto quel disastro si ergeva Annika, su uno sgabello molto alto, il vestitino blu coperto da un grembiule con la stampa di quel cartone animato che aveva visto da herr Wright – ma dove l’aveva preso? –, con una sacca da pasticcere in mano e il viso sporco di quella che sembrava panna, che mi fissava con un paio di occhi color mare sorpresi e leggermente colpevoli.
Aprii la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Il mio cervello cercava di catalogare i danni e allo stesso tempo di trovare qualcosa da dire che non suonasse solo come un rimprovero verso la bambina. Cosa stava cercando di fare? E perché Miles non era lì ad assicurarsi che tutto andasse bene?
Proprio in quel momento, lui entrò in cucina, con quella che sembrava una frusta elettrica in mano. O forse si trattava di un frullatore? Non ero molto esperta in materia.
Rimase in silenzio, facendo passare lo sguardo grigio e nuvoloso da me alla bambina, alla cucina disastrosa e poi di nuovo a me. Strinse leggermente la presa sull’oggetto metallico che teneva in mano, forse indeciso su cosa dire per giustificare quella situazione. Si morse le labbra e mi resi conto che era nervoso, come se non sapesse cosa dirmi.
Lui non… non aveva paura di me, giusto?
«Cosa… cosa sta succedendo qui dentro?» dissi accigliata, incrociando le braccia. Che cosa stavano cercando di fare tutti, in mia assenza? Era possibile che appena distogliessi lo sguardo, cominciassero a comportarsi come degli sciocchi?
«Franziska… noi stavamo…» cominciò mio “fratello”, ma prima che potessi sentire la fine della frase successe una cosa che non avrei mai potuto prevedere.
Quello sciocchissimo cane di Miles si alzò, così ricoperto di farina da sembrare completamente bianco e non beige, e corse verso di me. Oh no, sapevo che quell’animale aveva qualcosa che non andava e che gli piaceva farmi impazzire con i suoi scherzetti – aveva una sorta di ossessione per me, forse perché sapeva quanto mi irritasse la sua presenza – ma non potevo pensare che…
Prevedendo la sua mossa, cercai di togliermi dalla sua traiettoria, ma così facendo aggravai solo la situazione. Quel mostro prese una gran ricorsa per poi saltarmi addosso, facendomi perdere l’equilibrio già precario sui tacchi e facendomi cadere a terra.
Beh, non esattamente a terra. Caddi su Miles, che cadde a sua volta, e ci ritrovammo entrambi sul pavimento, ricoperti da una nuvola di farina, ma soprattutto vicini. Troppo vicini: le sue braccia erano attorno a me, quasi a volermi proteggere dalla caduta, il suo profumo mi circondava, i suoi occhi comprensivi e bui mi fissavano un po’ turbati e un po’ sorpresi.
E io mi sentii per un attimo avvampare, come se la sensazione della sua mano sulla mia, che avevo provato già, si fosse moltiplicata all’infinito. E sapevo che lui probabilmente se ne sarebbe accorto.
«M-Miles…» sussurrai inconsciamente, la mente in totale subbuglio.
Volevo fuggire da quella situazione, eppure non riuscivo a muovermi, quasi come se i suoi occhi fossero stati capaci di immobilizzarmi. Ed erano così magnetici, così…
Come i cani mi avevano messo in quel problema, me ne tirarono fuori. In particolare fu il cucciolo di Annika a saltarmi in grembo, distruggendo le catene che tenevano il mio sguardo incatenato a quello di Miles, e facendomi starnutire per la farina che fu sollevata in aria da quel movimento.
Ed ecco che l’atmosfera di disagio che si era creata si spezzava, e io mi alzavo in piedi barcollando, con i vestiti tutti incrostati e guardavo con aria di rimprovero tutti in quella stanza, tutti eccetto la bambina, ovviamente.
Notai che ci osservava con gli occhi leggermente lucidi, come se si fosse emozionata o come se fosse successo qualcosa di estremamente affascinante. Che cosa le stava passando per la testa? Proprio non avrei saputo dirlo…
«Tante Frannie! Stiamo preparando una tortéa per te!» commentò lei, dando finalmente risposta alle mie domande, e alzando la sacca piena di panna che teneva in mano come un trofeo.
Oh, adesso era tutto chiaro! A quanto pareva volevano di nuovo usare il metodo della torta per addolcirmi. Miles sapeva che ero golosa di dolci e probabilmente pensava che mi avrebbe messa di buon umore. Era… un pensiero carino…
Sorrisi leggermente, come non avevo fatto per un’intera giornata, e mi misi le mani sui fianchi.
Un paio di occhi azzurri e un paio grigi si illuminarono, nel vedere finalmente le mie labbra aprirsi in un sorriso.

{Miles Edgeworth}

La cena si svolse in un’atmosfera di tranquillità.
Franziska sembrava essere tornata quella di prima: premurosa e ricca di quei sorrisi spontanei che erano così rari per lei, rivolti alla sua piccola nipotina. Mi stupiva ancora vedere quanto la adorasse.
Il suo atteggiamento con me invece era naturalmente scostante, ma in un modo non troppo aggressivo. Non ero più turbato, perché quella era la perfetta Franziska, quella che manteneva la sua maschera, e finché era capace di farlo potevo essere certo che qualsiasi fosse il problema che la tormentava, non doveva essere così grave. O comunque, lei credeva di poter essere capace di gestirlo.
In ogni caso, sembrava comportarsi come sempre. Aveva spiegato ad Annika quali forchette usare in tavola in base alla pietanza che veniva servita, come stare diritti sulla sedia e come comportarsi in maniera adeguata al suo cognome. Insomma, era di nuovo la solita Frannie.
Arrivò l’ora di andare a dormire, che per la bambina si aggirava intorno alle ventuno e trenta, almeno secondo le direttive della zia. Se solo avesse saputo l’orario in cui era andata a dormire soltanto pochi giorni fa, quando lei era al centro di detenzione…! Mi avrebbe di certo frustato. Ma speravo che quello potesse rimanere un piccolo segreto tra me e la mia “nipotina acquisita”, come avevo preso a considerarla.
Ad ogni modo, venne il momento di accompagnarla in camera da letto, e fu quello l’attimo in cui ci rendemmo conto che un letto solo non era abbastanza per il numero di persone che adesso abitava quella casa. E dire che, quando avevo comprato quell’appartamento, mi sembrava anche troppo grande per me e Pess. Adesso invece, osservando l’unico letto, tutti ci guardammo in dubbio, senza sapere chi dovesse prenderlo per quella sera. Io l’avrei volentieri ceduto ad Annika e Franziska, ma…
«Assolutamente no, Miles. Tu sei ancora ferito, e hai bisogno di riposare in un letto comodo.» aveva subito detto lei, anticipando la mia proposta, che doveva avermi letto negli occhi. Sì, io ero di certo ferito, ma non si potevano non notare le ombre scure sotto gli occhi color cielo di Frannie. Insomma, anche lei aveva bisogno di riposare. Aveva dormito su una poltroncina per giorni! Anche ad Annika toccava ovviamente il letto, non avrei mai permesso che la bambina dormisse male.
La conclusione era che non sapevamo proprio come organizzarci, finché la mia “sorellina” non prese la decisione per tutti. E quando lei decideva qualcosa era inutile discutere.
«Tu e Annika dormirete nel letto, io dormirò sul divano del salotto. E non insistere, herr Miles Edgeworth. Hai dormito su quel divano per giorni, da quando mi hai ospitato.» commentò, lasciando intendere che se avessi obiettato qualcosa avrei praticamente ammesso che un mobile di casa mia non era abbastanza pregiato da essere comodo. E questo per lei era una grave offesa, anche se secondo me non era poi così terribile dire che il sofà non era un buon letto.
A turno, tutti ci cambiammo indossando i relativi abiti da notte, e io scelsi di indossare un pigiama color borgogna. Misi da parte per quella sera quello del Samurai d’Acciaio, per non farmi deridere da qualcuno, ma presi nota mentale di farlo vedere presto ad Annie. Sapevo che si stava appassionando a quella serie di cartoni animati, ed ero piuttosto eccitato all’idea di poter finalmente avere qualcuno con cui condiv… Miles, datti un contegno!
Lasciando stare questo dettaglio, tornai in camera, trovando Annika già sotto le coperte, che con un sorriso infantile e spontaneo mi invitò a mettermi a letto accanto a lei. Era piuttosto graziosa quella sera: portava una camicia da notte con un fiocchetto rosa sul davanti, e una cuffietta sui capelli chiari e scompigliati. Wright doveva essere andato in albergo a recuperare le sue cose, mentre io ero ancora in clinica.
Franziska entrò a sua volta e io non riuscii a non fissarla, anche per un solo istante. Il suo corpo era fasciato da una vestaglia color glicine, che non riusciva tuttavia a nascondere le sue curve. I suoi capelli color cielo… No, non avrei dovuto guardarla in quel modo.
Fortunatamente, lei sembrò non accorgersi della mia occhiata, mentre si avvicinava alla piccola accanto a me, e le carezzava una guancia rosea con una mano delicata. Quei gesti così affettuosi spesso mi facevano dubitare di essere davanti alla stessa persona fredda e competitiva che era cresciuta insieme a me sotto il comando di von Karma. Ma a quanto pareva, la mia “sorellina” era capace anche di questo.
«Gute Nacht, piccola mia. Buonanotte…» le stava sussurrando, mentre faceva un passo indietro e si voltava per uscire dalla stanza. Ma la piccola la fermò.
«Tante Frannie? Potresti raccontarmi una Fabel [favola], prima di dormire?» chiese la bambina, alzandosi a sedere sul letto e indicando con una mano alla zia di avvicinarsi.
Quella piccola continuava a stupirmi: soprattutto, metteva in discussione tutto quello che conoscevo di Franziska, e non avevo idea di come si sarebbe comportata adesso. Era piuttosto interessante vedere come interagiva con una bambina, cercando di assecondarla, eppure rimanendo sempre se stessa.
Mi accomodai meglio tra i cuscini, ignorando una breve fitta alla spalla destra, e mi preparai a vedere la sua reazione. La donna davanti a me sembrava combattuta, il suo sguardo era indeciso come se non sapesse esattamente cosa dire.
«Nichte… Mi dispiace, non conosco alcuna Fabel» abbassò lo sguardo, dopo aver sussurrato quelle poche parole con una punta di imbarazzo. E io mi sentii subito triste per lei.
Frannie non era mai stata realmente una bambina, suo padre non l’aveva mai permesso: non l’avevo mai vista sfogliare un libro di favole illustrate, né giocare con una bambola. Non l’avevo mai vista davvero piccola. Eppure ero arrivato nella sua vita quando non poteva che avere due anni, e mi ricordo perfettamente com’era al tempo: un’infante che quasi sprofondava nei manuali di legge, per quanto fosse piccina, eppure ostinata a diventare il procuratore perfetto che Angelika non era stata.
Le avevo subito voluto bene: per quanto fosse ostinata, capricciosa e tremendamente convinta di essere l’erede perfetta, avevo sempre visto al di là di questo, e sapevo quanto aveva sofferto.
Riuscivo a vedere tuttora la sofferenza nei suoi occhi di cielo, mentre non sapeva cosa rispondere alla nipote che attendeva ansiosa.
«Nemmeno Schneewittchen [Biancaneve]? Non fa niente… Potresti cantare una canzone!» propose subito Annika, cercando di far ritrovare l’allegria alla zia. Probabilmente doveva aver pensato che fosse più facile che conoscesse una canzone, piuttosto che una storia.
Franziska alzò lo sguardo, indecisa. Stavolta, cosa avrebbe risposto alla nipote? L’avrebbe nuovamente delusa con un no o avrebbe cercato di accontentarla?
«Io non conosco alcuna…» la interruppi prima che completasse la frase, colto da un’idea improvvisa. Un sorriso divertito mi si disegnò sulle labbra, sapendo come avrebbe reagito a quello che stavo per dire.
«Perché non provi con la canzone che ti ho sentito cantare l’altro giorno in ospedale? Mi sembrava che te la cavassi piuttosto bene» commentai, come se stessi dicendo la cosa più innocente del mondo. In realtà sapevo quanto le mie parole l’avrebbero colpita, e me ne resi subito conto appena un’espressione dapprima stupita, e poi stupefatta le segnò il volto. Di certo non poteva immaginare che io l’avessi sentita, quella volta. Credeva che stessi dormendo a causa dei farmaci e quindi pensava di non avere testimoni.
Le sue guance si erano lievemente imporporate, e questo la faceva sembrare ancora più carina e… Miles! Che ti prende, non ti sei ancora dato una calmata? Doveva essere colpa dell’influenza di quel sogno, anzi di quel ricordo a cui avevo ripensato, sì. E doveva essere colpa di tutte quelle medicine che mi tenevano debole e stanco. Non c’erano dubbi.
«Oh si! Ti preeego, Tante Frannie. Canta per noi!» mi aiutò una super eccitata Annika, che adesso applaudiva e si alzava in piedi sul letto, saltellando sul materasso.
Franziska le fece cenno di sedersi di nuovo, facendole capire che avrebbe accettato soltanto se si fosse comportata bene. La bambina non se lo fece ripetere due volte e si rimise sotto le coperte, avvicinandosi a me e stringendomi il braccio sinistro, come se fosse emozionata. Mi guardò per un attimo con uno sguardo che non riuscii a decifrare bene, tra il compiaciuto e il furbo, e poi tornò a fissare le sue iridi in quelle dello stesso colore della zia.
Quest’ultima si sedette ai piedi del letto, e chiuse gli occhi per un attimo, ispirando. Doveva sentirsi a disagio per quello che l’avevamo costretta a fare, ma speravo che la cosa non distruggesse troppo il suo orgoglio. Anche perché era davvero intonata.
Cominciò, con voce inizialmente tremolante e bassa, poi lentamente alzò il tono prendendo sicurezza.

«Close your eyes 
Give me your hand, darlin' 
Do you feel my heart beating? 
Do you understand? 
Do you feel the same? 
Am I only dreaming 
Is this burning an eternal flame.
 »

I suoi occhi si aprirono, rivelando la loro intensa tonalità celeste, e si incatenarono ai miei, proprio mentre diceva quelle parole. E in quel momento io mi sentii avvolto da una fiamma eterna, proprio come quella che stava cantando la mia “sorellina” – e in quel momento mi sembrava tremendamente sbagliato darle quell’appellativo. In quell’istante io vidi solo la donna che lei era, la luce che sembrava irradiarsi da ogni parte intorno a lei, come se fosse una stella scesa in terra. Sentii il calore di quello sguardo formicolare sulla mia pelle, farsi strada dentro di me fino a raggiungere il mio cuore, inibire i miei sensi e allo stesso tempo amplificarli.
Cosa stava succedendo? Era come se la vedessi per la prima volta.

«Say my name 
Sun shines through the rain 
A whole life so lonely 
And then you come and ease the pain 
I don't want to lose this feeling, oh.
 »

Franziska concluse la melodia voltandosi di nuovo verso la sua nipotina, con uno sguardo improvvisamente glaciale. Il suo volto tradiva un’espressione stupefatta, come se all’improvviso si fosse accorta di un errore o di una verità che non aveva mai notato prima.
«I-io… devo andare adesso…» stava cercando di dire la zia, con voce spezzata da un’emozione che non riuscivo a definire, prima che Annika la bloccasse, prendendola dolcemente per un polso.
«Ti prego, Tante Frannie! Resta qui con me ancora un po’» la supplicò la bambina, con gli occhi che brillavano.
Sembrava l’unica tra noi per nulla turbata da ciò che era successo.
Io invece mi sentivo tremendamente confuso… Cosa ci era stato rivelato dal destino quella sera?

Angolo di Kir: 
Beh, non saprei, Miles. Cosa credi ti sia stato rivelato? 
Ragazze mie! Scusatemi per il leggero ritardo nell'aggiornare, ma sapete com'è... le vacanze, ferragosto... insomma, sono stata piuttosto impegnata! Ma sempre pronta qui a lasciarvi un bel capitolo :D
E finalmente viene anche rivelato il motivo per cui avevo intitolato questa fanfiction Eternal Flame! Ammettetelo, so di avervi stupito almeno un po' per aver sostituito il solito testo iniziale con un'immagine (bellissima, comunque u.u) Ma non potevo ripetere due volte la canzone, no? 
A proposito, eccola qui: 
http://www.youtube.com/watch?v=T1sdp_kbTQs Ho scelto la versione cantata da Candice Accola in The Vampire Diaries perché mi è sembrata la più adatta alla nostra dolce (?) Franziska. Spero che vi piaccia! 
Che altro...? 
Oh si! Innanzitutto, Frannie voleva rispondere alla domanda di Keily Neko: 

K: Franziska hai mai ricevuto avances esplicite da alcuni tuoi compagni di scuola? Se sì, immagino li avrai frustati per bene :3 e saranno come minimo morti XD

F: Certamente la mia perfetta bellezza si fa notare - sapessi che occhiate mi lanciano quegli sciocchi agenti durante le investigazioni! - ma, purtroppo, devo deluderti. Ho frequentato le elementari solo per pochi giorni, prima che tutti si rendessero conto che la mia perfetta intelligenza richiedeva lo studio a casa con degli insegnanti privati... Quindi no, non è capitato.
Ma ricordo che uno sciocco bambino aveva provato a regalarmi un lecca lecca mezzo masticato e l'ho frustato così tanto che... Oh. Forse è per questo che mio padre ha deciso di farmi studiare privatamente. Forse mi hanno espul... No! Franziska von Karma, il Genio, non può essere stata espulsa da una sciocca scuola! Io... *parte a blaterare sulla perfezione* 

Ho interrotto il discorso infinito di Frannie per salvaguardare la tua sanità mentale, Key <3

Seconda cosa importantissima! Volevo mostrare il bellissimo disegno che mi ha mandato la mia dolce Rurue: 

Image and video hosting by TinyPic
Non smetterò mai di dire quanto è bello! Grazie tesoro, mi rende orgogliosa avere lettrici così! <3 

Bene! Adesso ho proprio finito, vi aspetto con i vostri fantastici commenti e vi saluto!
Un bacione a tutte! 
Kirlia <3


Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Fix You ***


Capitolo 20 – Fix You


When you try your best but you don't succeed 
When you get what you want but not what you need 
When you feel so tired but you can't sleep 
Stuck in reverse 

And the tears come streaming down your face 
When you lose something you can't replace 
When you love someone but it goes to waste 
could it be worse?

Fix You.



Nello stato tra il sonno e la veglia in cui mi trovavo, non riuscivo a darmi pace.
C’era qualcosa che continuava a turbarmi, a infierire sulla mia mente già stanca e spossata, senza riuscire a farmi riposare bene. Eppure mi sentivo allo stesso tempo circondata da affetto e calore, ma visto che non riuscivo a dormire, né a svegliarmi, non capivo quale fosse la situazione.
Almeno finché non riuscii ad aprire gli occhi.
Mi alzai a sedere, osservando il buio intorno a me e cercando di comprendere dove mi trovassi. La flebile luce notturna dei lampioni sulla strada penetrava attraverso le leggere tende nella stanza. Attraverso quel fragile aiuto riuscivo a riconoscere un grande armadio scuro, uno specchio.
Attraverso il tatto sentivo le morbide e calde lenzuola che mi avvolgevano… sembravano quasi fatte di seta.
Attraverso l’udito riconobbi i respiri leggeri e regolari accanto a me.
Finalmente mi resi conto di cosa mi stava turbando così tanto da non riuscire a farmi prendere sonno proprio quando ne avevo più bisogno. Osservai sopra di me, riconoscendo il baldacchino del letto dove mi trovavo.
Ero rimasta nella camera da letto insieme a loro!
Dovevo essermi addormentata quando Annika mi aveva chiesto di non lasciarla sola, almeno finché non si fosse assopita. L’idea era che, non appena avesse chiuso i suoi bei occhi celesti, me ne sarei andata di lì, per accomodarmi nel divano del salotto che mi attendeva per riposarmi. Invece dovevo essere crollata senza nemmeno rendermene conto, tanto ero stanca per le dure giornate che avevo passato.
Chissà se Annie se n’era accorta.
E… Miles? Lui si era accorto della mia improvvisa stanchezza?
Non potevo dirlo, ma di certo se era successo gli avevo soltanto dato l’ennesimo motivo per ridere di me e pensare a quanto fossi debole. O forse no?
Posando di nuovo la testa sul cuscino, ma stavolta senza un minimo accenno di sonno, ripensai allo sguardo che mi aveva rivolto mentre stavo cantando quella sciocca canzone che lui mi aveva suggerito. Era stato… strano, non sapevo come definirlo altrimenti.
Avevo visto più volte quelle iridi grigie e nuvolose come tempeste osservarmi con gentilezza, comprensione, preoccupazione, rimprovero. Ma quello che avevo visto quella sera non rispecchiava nessuna di queste emozioni. Sembrava sorpreso, ammirato. Sembrava che avesse quasi scoperto qualcosa di cui non era al corrente, come se le parole della mia melodia fossero riuscite a illuminarlo su qualcosa di cui non ero al corrente.
Su qualcosa di cui non volevo essere al corrente.
Avevo distolto subito lo sguardo, infatti, quando mi ero accorta di come mi guardava, posandolo sulla mia nipotina e ignorandolo completamente. Perché per una volta io, Franziska von Karma, il prodigio della procura, avevo avuto davvero paura.
Non sapevo cosa stesse succedendo a me, o volevo semplicemente ignorarlo di mia spontanea volontà, pur sapendo di cosa si trattasse? Una parte di me sapeva che si stava creando un legame nuovo tra me e quello che chiamavo il mio “fratellino”, un legame che – tra le altre cose – non mi avrebbe più permesso di definirlo in questo modo.
E ne avevo paura perché si trattava di qualcosa che non conoscevo, ed era qualcosa che, secondo gli insegnamenti che mi avevano cresciuta per diciannove anni della mia vita, non mi era permesso conoscere. Io non dovevo provare niente per lui.
Nonostante questo, mi ero ritrovata più e più volte a pensare a lui, a fissarlo senza che se ne accorgesse, a chiedermi se nel mio sogno “premonitore” non ci fosse un fondo di verità. E, soprattutto, avevo cantato quelle parole mettendoci dentro tutti i pensieri, tutte le speranze e tutte le paure che avevo nei suoi riguardi, colmandole di quei sentimenti contrastanti che facevano parte di me.
E lui? Sembrava che lui se ne fosse accorto.
Il suo sguardo, che mi turbava tanto, si era reso conto di ciò che volevo fargli capire attraverso quella canzone? Era per questo che era così sorpreso, mentre mi osservava?
I miei pensieri così confusi furono interrotti da una manina morbida e chiara che mi strinse dolcemente il braccio. Mi voltai lentamente, per osservare la mia piccola Annika, che si era avvicinata a me, forse per cercare il mio calore.
I suoi occhi erano chiusi, segno che stava dormendo, ma un sorriso stava affiorando su quelle labbra da bambina innocente, mentre sussurrava nel sonno.
«Mutti… [Mamma]» disse soltanto, con un sospiro tranquillo, prima di stringersi intorno al mio braccio e poggiare la testa sul mio fianco.
Povera piccola nipotina mia, mi dispiaceva che il sonno la ingannasse così. Doveva sentire ancora molto la mancanza di sua madre, e aveva bisogno di una figura che si dedicasse completamente a lei, non di una sciocca ragazzina alla presa con dei sentimenti che non era in grado di accettare!
Scossi la testa sul cuscino, sentendo i corti capelli color cielo solleticarmi il viso. Mi morsi il labbro inferiore, mentre una singola lacrima sfuggiva al mio ferreo controllo e rotolava giù lungo la mia guancia.
Dovevo prendere una decisione.
Sarebbe stato difficile per tutti, ma era l’unico modo.
L’unico modo in cui potevo donare un’esistenza serena ad Annika, l’unico modo in cui tutto poteva tornare come prima.

{Miles Edgeworth}

Quando quella mattina mi svegliai, mi ritrovai da solo in quel letto.
Un senso di inquietudine mi colse subito, come se la mancanza delle persone più importanti della mia vita – perché era questo che Franziska e Annika erano, per me – non dovesse prolungarsi troppo. Mi stupii pensarlo, ma non potevo fare a meno di loro.
Ormai ero abituato a vedere i loro capelli color cielo sempre nella mia visuale, ed era come se i miei occhi e la mia mente stessa non sopportassero la loro assenza.
Sorrisi, sorpreso di me stesso. Ero sempre stato molto schivo e introverso nei rapporti interpersonali, e spesso avevo pensato che forse, dopo la morte di mio padre, non sarei stato più capace di affezionarmi a nessuno. Come se la mia mente volesse preservarmi dalla possibilità di perdere le persone che amavo.
Invece non era così: adesso il mio corpo stesso fremeva all’idea di vedere Franziska, di poterle parlare, di poterle stare tanto vicino da sfiorarla.
E allo stesso tempo mi mancavano i sorrisi infinitamente dolci e affettuosi di Annika, la sua manina che stringeva la mia, i baci che mi schioccava nei momenti più assurdi sulla guancia.
Per un attimo mi chiesi se mi fossi innamorato di entrambe, ma poi con uno sbuffo divertito mi scostai una ciocca di capelli dal viso. No, non ero innamorato di certo di Annika.
Ma di Franziska…?
Mi tornarono subito in mente le parole di quella canzone che aveva cantato la sera prima, e la sensazione che non sapevo definire che mi aveva circondato quando mi aveva guardato, con quei suoi bellissimi occhi, quelle sue labbra, quel suo corpo così perfetto…
Oh. Non riuscivo nemmeno più a rimproverarmi per i pensieri così sbagliati che avevo su di lei. Erano ormai diventati talmente frequenti da essere normali per me, come se finalmente fossi in grado di accettare l’idea di lei come una donna, e non come una sorella.
Questo però non significava che provavo qualcosa. No.
Significava semplicemente che, essendo una ragazza molto bella, io non ero immune al suo fascino e a volte mi ritrovavo a fissarla come non avrei dovuto fare. Ma non volevo ovviamente che lei se ne accorgesse.
Per Frannie ero ancora il suo “fratellino” e lo sarei stato sempre. Se si fosse resa conto che provavo per lei questa… attrazione… beh, sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
E cosa avrebbe pensato il mondo di noi? Ufficialmente, eravamo considerati fratelli, anche se non di sangue.
Ecco perché per me era comunque impossibile esternare queste mie emozioni con Franziska, e sarebbe stato meglio per tutti ignorarle. Ed era proprio quello che avrei fatto.
 
Malgrado ciò, comunque, continuavo a volere bene sia a lei che ad Annika, e in quel momento mi chiedevo dove fossero.
Mi alzai faticosamente, ma molto più riposato, per andare in cerca di loro, e quasi non inciampai in Pess, che aveva avuto la straordinaria idea di appisolarsi proprio ai piedi del letto.
Il cane alzò la testa, per guardarmi con occhi sapienti, come se mi stesse dicendo:«Stai mentendo a te stesso, Miles, e io lo so.»
Io lo fissai di rimando, scocciato, poi sorrisi leggermente dandomi dello sciocco – a volte Franziska aveva ragione. Come, un cucciolone come lui, poteva sapere che io stavo mentendo a me stesso? Anzi, come la mia mente poteva immaginare cosa lui stesse pensando?
A volte andavo troppo in là con la fantasia.
Convinto di questo, mi vestii – non con pochi problemi, considerando la ferita che ancora voleva farsi notare – e uscii dalla stanza, per dirigermi lentamente in cucina.
Ebbi l’idea di guardare di nascosto le mie due “ragazze”, curioso di vedere come si comportasse Frannie quando io non ero lì ad osservarla. Magari era più spontanea, più rilassata, più… lei, insomma.
Sbirciai silenziosamente attraverso la fessura lasciata dalla porta socchiusa.
Franziska stava davanti al fornello, mentre aspettava che il tè fosse pronto. Dall’odore potevo capire subito che miscela avesse scelto per quella colazione: gelsomino, uno dei suoi preferiti… e anche dei miei, ad essere sinceri. L’espressione sul suo viso non era esattamente felice, ma nemmeno triste. Sembrava pensierosa, come se stesse meditando su qualcosa di molto importante. Motivo per cui non si era nemmeno accorta che la bevanda era pronta da almeno dieci secondi.
Niente di speciale in realtà, ma non per lei. Per lei quelli erano dieci secondi di imperfetto ritardo, ma chissà perché non si era resa conto di nulla.
Annika comparve in quel momento nella mia visuale, con in braccio Phoenix, che quel giorno portava un fiocco blu sul collarino. Il cucciolo non sembrava molto contento di ciò però, infatti tentava in tutti i modi di liberarsi di quell’accessorio molto vistoso.
«Tante Frannie, der Teekessel Burst [il bollitore scoppierà]» commentò amabilmente la bambina, senza preoccupazione. Come se fosse una semplice constatazione.
Probabilmente si era accorta che la zia non era esattamente presente in questo momento, ma non voleva allarmarla. Quella piccola continuava a sorprendermi ogni volta che la vedevo.
La ragazza però non sembrò sentire le parole della nipote, continuando a fissare un punto imprecisato, come se fosse sempre più immersa in pensieri così importanti da estraniarla dal mondo esterno.
«Tante Frannie…?» la chiamò ancora Annie, indecisa.
Mi resi conto che il bollitore poteva davvero scoppiare, e che Frannie era troppo vicina ai fornelli per restare illesa, nel caso succedesse.
Ecco perché mandai all’aria l’idea di spiarle, per entrare senza correre, ma comunque a passo molto spedito, nella stanza e spegnere immediatamente il fornello. Non prima di aver spinto leggermente più in là la mia “sorellina”, a distanza di sicurezza, e di essermi comunque messo davanti a lei per farle da scudo.
Il mio movimento doveva averla distolta da qualsiasi cosa stesse pensando, perché improvvisamente tornò in sé.
«Herr Miles Edgeworth, che cosa stai facendo?! Mi stavo occupando io della colazione» affermò lei, incrociando le braccia, ma guardandomi senza vera ostilità.
Si stava occupando lei…? Mi voltai verso il bancone, trovando un vassoio su cui erano poggiati alcuni muffin, biscotti, una teiera ancora vuota a una tazzina da tè.
Oh, mi voleva portare la colazione a letto? Era forse tornata ad essere la Frannie premurosa che si era occupata di me in ospedale? Non potevo di certo negare che tutte quelle attenzioni da parte sua mi facessero più che piacere.
Sorrisi inconsciamente, e subito mi trovai a fissare lo sguardo corrucciato della mia “sorellina” – non riuscivo proprio a chiamarla così – che non sembrava per nulla felice del mio sguardo compiaciuto.
«Non essere tanto contento, herr Miles Edgeworth. Lo faccio solo perché sei debole, e debole significa…» aveva cominciato a dire, con la sua solita aria saccente, prima che completassi la sua frase con la solita parola che lei e suo padre detestavano.
«… imperfetto. Me l’hai già detto, Frannie» un milione di volte, a dire il vero. Continuai a sorridere, mentre versavo il tè bollente nella teiera. Il suo solito comportamento da von Karma non mi aveva mai sfiorato, men che meno in quel momento. Ormai ero perfettamente abituato alla sua voce irritata, e sapevo riconoscere l’esatta sfumatura nel suo tono che mi diceva che in realtà non era poi così arrabbiata.
Presi altre due tazzine dalla vetrinetta dove le tenevo, e le poggiai sul tavolo, accanto al resto della colazione. Poi mi voltai verso Annika, che mi sorrise subito.
«Guten Morgen, Onkel Miles!» mi salutò la piccola, mentre lasciava andare Phoenix, che si accucciò a terra cercando ancora di strapparsi di dosso il fiocco. Si avvicinò, per poi arrampicarsi sulla sedia rialzata del banco da cucina e sedersi.
«Buongiorno a te, Annie. Gradisci una tazza di tè?» le chiesi tranquillamente, mentre versavo la bevanda nelle varie tazzine. La bambina annuì, aspettando di poter avere la sua.
Guardai di sottecchi Franziska, che nel frattempo aveva sbuffato e si era avvicinata di qualche passo, cercando di non farsi notare. Sapevo che non voleva darmela vinta, sedendosi con noi, non dopo che l’avevo praticamente zittita e ignorata per il suo commento sulla mia debolezza.
Mi sfuggii leggermente una risata. A volte era così tremendamente ostile da farmi quasi tenerezza.
Lei però sembrò accorgersene, e questo la fece irrigidire sul suo posto.
Sarebbe rimasta lì in eterno come una statua, se non fosse stato per Annika, che si voltò verso di lei e inclinò la testa, curiosa.
«Non vieni a fare Frühstück [colazione], Tante Frannie?» chiese dolcemente, con quella sua voce molto uhm… convincente. Persuasiva, avrei detto. Non riuscivo ancora a capire come facesse, comunque, ma la zia si arrese e si sedette sul bancone, proprio accanto a me.
E ritornava quella emozione a cui avevo pensato solo poco tempo prima, quella voglia di continuare a fissarla, mentre prendeva la tazzina e se la portava alle labbra, che erano belle e rosee… chissà come sarebbero state morbide al contatto con le mie… No!
Okay, adesso stavo esagerando. Un conto era semplicemente trovare Franziska bella e attraente, ma un altro era cominciare a fantasticare sulla sensazione delle sue labbra sulle mie! Non potevo arrivare a ciò, era troppo!
Mi concentrai sul mio tè, e finii quasi per bruciarmi la lingua nel sorseggiarlo con tanta velocità.
Avevo bisogno di restare da solo e di riflettere davvero su ciò che provavo per Franziska, per decidere quali limiti potevo dare a quello che sentivo per lei. E dovevo convincermi di non poter andare oltre queste barriere che io stesso mi ero creato.
Mi alzai, attirando l’attenzione delle mie commensali, e prima che potessi lasciare la stanza Annika parlò.
«Dove stai andando, Onkel? Non resti a mangiare con noi?» chiese la piccola, con in mano ancora il muffin che stava mangiando.
Forse ero stato un po’ troppo brusco nell’abbandonare la colazione, perché anche Franziska si voltò, incrociando i miei occhi grigi con i suoi cielo, e tenendo ancora in mano la piccola brocca del latte.
«No, io… devo consultare alcuni documenti nello studio, se volete scusarmi…» inventai in un attimo, cercando di nuovo di sfuggire allo sguardo di quella ragazza e chiudermi nella stanza che avevo nominato, sperando di non essere disturbato.
Colsi il loro momentaneo silenzio per ritirarmi, ma all’ultimo istante la voce di lei mi fermò.
«Prima dovresti andare in camera da letto, Miles. L’infermiera ha detto che devo medicarti la… ferita ogni mattina» commentò, un po’ a disagio, come se parlare del danno che suo padre mi aveva procurato e che io avevo avuto al posto suo la innervosisse.
Molto probabilmente doveva sentirsi in colpa per ciò che era accaduto, anche se non ne avevamo mai parlato apertamente.
Io rimasi in silenzio, un po’ imbarazzato. Volevo fuggire da lei per un po’, invece mi sarei ritrovato ancora più vicino, visto che avrebbe dovuto occuparsi di me.
Sospirai pesantemente, poi annuii e mi diressi in camera.
Dovrai stare calmo, Miles. Parlare del più e del meno, farla arrabbiare magari. Così non si accorgerà dei tuoi sguardi e tu sarai distratto.
Sarei riuscito a comportarmi come mi ero prefissato?


{Franziska von Karma}

Quando entrai nella camera da letto, ero piuttosto nervosa.
Forse perché non avevo mai medicato nessuna ferita in vita mia: insomma, io ero abituata ad occuparmi di persone morte. Cioè, a trovare gli assassini di queste persone morte e metterli in prigione.
O forse perché immaginavo che la vicinanza di Miles mi avrebbe soltanto fatto rimuginare ancora di più sulla mia decisione, che era comunque già stata presa e che non avevo alcuna intenzione di cambiare.
In ogni caso era mio preciso compito occuparmi di lui, e l’avrei fatto perfettamente, come tutto ciò che era mio dovere.
Feci un passo avanti, scorgendo la figura di Miles che si sbottonava lentamente la camicia, di spalle, e tornai indietro, nascondendomi dietro la porta. Speravo che non mi avesse visto.
Dovevo ammettere che era quello che in realtà mi rendeva nervosa: l’idea di vederlo… beh, a torso nudo. Non che non avessi mai visto un uomo in quelle condizioni ma… Forse era proprio perché si trattava lui… Qualcosa mi diceva dentro di me che era tremendamente sbagliato vedere il mio “fratellino” in quel modo!
Inoltre, mio padre aveva sempre espressamente vietato che io fossi nella camera di Miles quando lui si stava cambiando, e la stessa cosa accadeva nei miei confronti. Era per questo che alla magione von Karma ognuno di noi aveva un’ala della casa separata.
E adesso mi ritrovavo a dover andare contro il suo insegnamento, come avevo già fatto per molte altre cose!
Inspirai profondamente. Calma, dovevo stare solo calma.
In fondo, non c’era niente di male, volevo solo aiutarlo. E poi mio padre non era lì, e non poteva punirmi per quello che stavo per fare, né poteva rimproverarmi.
Entrai di nuovo nella stanza, e stavolta scorsi Miles guardarmi con aria interrogativa. Probabilmente si era accorto che ero uscita di scatto pochi secondi fa, e si chiedeva il perché. Non poteva arrivarci da solo? O credeva che avessi mandato all’aria tutto ciò che mio padre mi aveva insegnato quando aveva cercato di uccidermi? Alcune cose ormai facevano parte di me, non potevo cambiarle.
Il mio sguardo cadde sui suoi addominali scolpiti solo per un istante, prima di tornare a incrociare il suo. Lui sorrise leggermente, come se si fosse accorto della mia occhiata, ma non disse nulla.
Aveva fatto bene. O lo avrei disintegrato non appena avessi avuto di nuovo la mia frusta con me.
Indossai la mia maschera di perfetta indifferenza, cercando di non lasciar trapelare alcuna emozione, e i miei occhi non caddero più sul suo corpo, se non sulla ferita che in fondo io gli avevo procurato.
Feci un passo avanti, dicendogli passivamente:«Sdraiati. Devo toglierti le bende» e sei troppo alto per me. Quest’ultimo commento lo tenni per me, però, non volendo che trapelasse nulla che mi facesse apparire piccola e fragile di fronte a lui.
Il mio cosiddetto “fratellino” fece come gli avevo ordinato, non prima di avermi lanciato un’occhiata divertita di sottecchi. Probabilmente doveva essersi accorto del mio improvviso cambio d’umore, ma non voleva dire niente per non irritarmi ulteriormente.
Peccato che la sua sola presenza mi innervosisse tanto da strappare via le bende con troppa forza. Un sibilo di dolore gli sfuggì dalle labbra, e io subito rabbrividii. Non ero proprio capace di occuparmi di lui, dovevo ammetterlo.
«Tut mir leid! [Scusa!] Io non…» mi mordicchiai le labbra, senza riuscire a concludere una frase di senso compiuto.
Senza incrociare il suo sguardo, mi voltai a prendere un batuffolo di cotone e dell’acqua ossigenata per disinfettare quella sorta di squarcio scuro che si disegnava nella sua spalla. Per un attimo sfiorai la mia, ricordando di avere una cicatrice simile nello stesso punto, e rimasi in silenzio. Sentivo il suo sguardo indagatore su di me, e non riuscivo a tranquillizzarmi.
Poggiai con mano tremante il batuffolo imbevuto sulla ferita, suscitando in lui un altro gemito di dolore soffocato. Subito mi allontanai, frustrata.
«Io… non sono capace. Dovresti tornare in osped…!» feci per alzarmi, dicendo queste parole di sciocche scuse per essermi dimostrata debole, quando lui mi fermò, prendendomi per mano.
Dovetti lottare con tutte le mie forze per ignorare la sensazione così familiare di calore e dolcezza che quel contatto mi aveva donato, per non dare importanza ai ricordi del sogno e dell’auto rossa dove avevo provato delle sensazioni simili.
«Stai andando benissimo, Frannie. Davvero» commentò lui, cercando in tutti i modi di rassicurarmi. Io mi voltai lentamente, lanciandogli un’occhiata dubbiosa, a cui lui rispose con un sorriso convincente.
D-davvero stavo andando bene? Ma se continuava a lamentarsi per il dolore! Ero certa che con una brava infermiera non avrebbe aperto bocca.
Indecisa, tornai a prendere il batuffolo e lo poggiai sulla ferita di nuovo, con tutta la gentilezza che riuscivo ad avere, e lui tentò cortesemente di non lamentarsi. Sembrava che cercasse in tutti i modi di mettermi a mio agio, e la cosa mi confondeva.
Come avrebbe reagito a quello che gli avrei annunciato di lì a poco? Sarebbe stato triste? O forse non si sarebbe nemmeno curato della mia decisione?
Beh, se almeno un po’ anche lui si era affezionato ad Annika avrebbe sofferto… almeno per lei.
«A cosa stai pensando, Frannie?» e poi quel nomignolo che si ostinava a darmi! Come avrei voluto essere chiamata semplicemente Franziska, con più formalità!
Comunque, doveva essersi accorto che ero immersa nei miei pensieri, e decisi che in qualsiasi caso prima o poi avrei dovuto dirglielo, quindi tanto valeva approfittarne in quel momento…
«Stavo pensando al futuro, in realtà…» cominciai, ma lui mi interruppe di nuovo, con uno sguardo improvvisamente illuminato.
Sembrava entusiasta di quello che stava per dire, e questo mi stupiva davvero da parte sua. Di solito era sempre così calmo e compassato.
«A proposito di questo! Sai, pensavo che potremmo prendere una casa più grande. Non c’è abbastanza spazio qui per tutti, e Annika avrebbe bisogno di una stanza tutta per sé…» commentò, e io sentii il mio cuore stringersi in una morsa e le lacrime salirmi agli occhi.
Miles stava progettando una vita insieme a me e ad Annie come se fossimo una famiglia, una vera famiglia! E sembrava talmente felice di quello che diceva, come se fossimo la cosa più importante della sua vita.
E se lui era così affezionato a noi, forse si era reso conto di volermi bene. Molto più bene di quanto se ne voleva ad una semplice sorella.
Come potevo ora dirgli quello che avevo deciso di fare? Come avrei potuto dirgli che…?
No. Non potevo cambiare la mia decisione.
Era proprio per quello che non potevo rimanere al fianco del mio “fratellino”, proprio perché lui per me cominciava a non essere più un fratello. E questo non potevo permetterlo, questo avrebbe rovinato tutto.
«Miles. Noi non… non rimarremo» sussurrai, mentre mi concentravo attentamente su un punto dello squarcio sulla sua spalla. Non avrei incrociato il suo sguardo nemmeno sotto tortura in quel momento.
Non in quell’istante in cui sentii tutta la felicità scemare via dalla sua voce e certamente dal suo viso. Non in quel momento in cui avevo distrutto tutte le aspettative sul nostro futuro insieme.
«Cosa vuol dire “non rimarremo”?» chiese titubante.
La sua voce esprimeva una paura profonda, oscura, e mi resi conto che quello non era stato proprio il modo migliore di annunciarglielo. Mi dispiaceva, e tanto. Ma non avevo scelta.
Rimasi in silenzio, continuando ad occuparmi di lui, senza avere la forza di rispondere a quella sua domanda così pressante. L’atmosfera nel frattempo si era fatta pesante nella stanza.
«Franziska. Voglio che mi guardi negli occhi e mi ripeta quello che hai detto» disse lui, con una sorta di minaccia.
Forse si stava arrabbiando, o forse si stava spaventando, ma io non mi sarei lasciata intimorire dal suo atteggiamento. Con sguardo glaciale e indecifrabile incrociai il suo, in cui i nuvoloni di tempesta erano sempre più oscuri.
Cosa stava provando in quel momento?
Presi fiato e ripetei quello che stavo dicendo.
«Io e Annika partiamo. Torniamo in Germania, a casa» dissi, a voce non troppo alta ma scandendo per bene le parole, in modo che lui le capisse.
E in quel momento, mentre lui assimilava quello che gli avevo annunciato e ne comprendeva appieno il significato, riuscii a vedere oltre la sua maschera il dolore farsi strada dentro di lui. Mi resi conto che noi gli saremmo mancate, e molto, e che non voleva lasciarci andare via.
Ma la scelta era stata fatta, e lo facevo per Annie. Non potevo essere così egoista da anteporre i miei desideri ai suoi bisogni.
«Ma avevi detto che saresti rimasta qui negli Stati Uniti. Mi ricordo esattamente queste parole dette da te, quel giorno al parco» commentò lui, e con ciò sottintendeva “Cos’è cambiato? Cosa ti ha fatto cambiare idea?”.
Di cose ne erano cambiate parecchie in quei pochi giorni, ma la più importante rimaneva di certo la mia nipotina. O forse… forse quella che aveva più importanza era il legame che si era formato tra me e Miles?
Presi le fasciature nuove dal pacchetto e le passai intorno alla sua spalla, cercando di trovare qualcosa da dire che non sarebbe suonato troppo come una falsa scusa. Ma ero certa che qualsiasi cosa avessi risposto, da lui sarebbe stata percepita come tale. Era ovvio.
«Le mio priorità sono cambiate, Miles. Annika ha bisogno di tornare nel suo paese, dove potrà studiare e vivere più serenamente. La conferma del suo affidamento mi arriverà entro pochi giorni. Forse oggi stesso. E la riporterò in Germania» punto. Non c’era nulla da discutere. Speravo che se ne rendesse conto e mi lasciasse finire il mio lavoro in silenzio.
E in effetti lui non disse più una parola, e il suo sguardo diventò talmente indecifrabile che nemmeno io, che lo conoscevo bene, riuscii a capire cosa stesse pensando.
Io però volevo saperlo. Volevo allo stesso tempo che non mi chiedesse altre spiegazioni e mi lasciasse partire, e che mi fermasse, mi dicesse che Annika gli sarebbe mancata… ma soprattutto che io gli sarei mancata.
Ma non si sarebbe mai esposto fino a tanto.
Non lui, lui mi avrebbe fatto un semplice cenno di saluto e mi avrebbe guardato allontanarmi, come aveva fatto anche un anno prima, dopo il caso che aveva definitivamente rovinato la mia carriera in America. 


Angolino dell'autrice: 
Bien, siamo alla fine gente! 
Il prossimo sarà l'epilogo, e sarà (credo) anche un po' più corto di questi capitoli. Non so, dipenderà da me! 
Che cosa ne pensate della svolta che ha preso la storia? E della decisione di Franziska di tornare nella sua patria? 
E la prossima serie, si svolgerà in America o in Germania? 
Avrete risposta a questa domanda solo se leggerete Bonfire Heart! Il seguito di Eternal Flame, prossimamente su questi schermi *-* 
Okay, dopo essermi fatta pubblicità da sola, faccio pubblicità a qualcun altro: vi consiglio vivamente la storia di Rurue, una cara mia lettrice. Si tratta di un crossover tra Harry Potter e le Cronache di Narnia davvero interessante! 

-->
Enigmi dal passato

Bueno. Adesso il nostro caro Manny (evocato da Maya sotto stretta sorveglianza) risponderà alla domanda di Key:

K: 
Manny, perché hai deciso per questo abbigliamento raffinato ma antico, che tra parentesi ti fa sembrare un mammuth rinascimentale? ^W^
M: Signorina Neko. Innanzitutto il mio perfetto nome è Manfred, e non le permetto di storpiarlo in questo modo. Ma visto che sono un uomo educato, risponderò comunque alla sua domanda. I von Karma sono una leggenda da tempi molto antichi: il mio bis-bis-bisnonno Wolfgang von Karma fu il nostro capostipite. Egli decise che l'abbigliamento perfetto era quello utilizzato dalla nobiltà dei suoi tempi, e questa legge si è tramandata di padre in figlio fino a me, e poi a mia figlia Franziska. Spero che anche mia nipote Annika continuerà la nostra stirpe, visto che è rimasta l'ultima.


Va beeene, grazie Manny. Poi vorrei farti notare che appena Franziska e Annika si sposeranno, non ci sarà più alcun von Karma. Vi sarete estinti u.u 

Inoltre ecco l'immagine di oggi, cioè una citazione di T&T. La inserisco perché come potete notare nel testo, l'ho fatta citare da Miles nei confronti di Franziska (so che non se ne sarà sicuramente accorto nessuno, vi sfido a trovarla u.u) ed è semplicemente bellissima <3

Image and video hosting by TinyPic
Bene carissimi, vi saluto e aspetto i vostri commenti!
Un bacione,
Kirlia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Goodbye, my Lover ***



Epilogo – Goodbye, my Lover

And as you move on, remember me, 
Remember us and all we used to be 
I've seen you cry, I've seen you smile. 
I've watched you sleeping for a while. 
I'd be the father of your child. 
I'd spend a lifetime with you. 
I know your fears and you know mine. 
We've had our doubts but now we're fine, 
And I love you, I swear that's true. 
I cannot live without you. 

Goodbye my lover. 
Goodbye my friend. 
You have been the one. 
You have been the one for me. 

Goodbye, my Lover.


{Miles Edgeworth}


Quel giorno era arrivato troppo in fretta.
Senza avere il tempo di fare vera luce sui miei sentimenti, senza avere modo di parlare ancora con lei, di farla desistere dai suoi intenti.
Senza avere modo di farle cambiare idea.
Non ero stato capace di dare ascolto a quella parte di me che diceva di stringerla forte tra le mie braccia e dirle di non lasciarmi mai, di non abbandonarmi. Ed ero solo uno sciocco.
Entrammo in aeroporto e io trasportai per lei la valigia, come uno dei suoi agenti – servi – ubbidienti, senza dire una parola. Senza una protesta.
Avrei potuto lasciar perdere quella valigia, prendere per un polso Franziska e trascinarla di nuovo a casa mia con la forza, con la consapevolezza che Annika ci avrebbe seguito senza lamentarsi.
Avrei potuto urlarle contro che non volevo che se ne andasse, che la volevo con me per sempre, per sempre.
E invece posai la valigia sul nastro trasportatore in silenzio, aspettai che fosse annunciata la partenza del loro aereo per Berlino. Mancavano solo dieci minuti, e poi quelle due ragazze se ne sarebbero andate dalla mia vista, e mi avrebbero lasciato solo.
Riuscivo già ad immaginare quanto quella casa mi sarebbe sembrata grande e vuota, senza di loro. Come sarei riuscito ad andare avanti? Sarei riuscito a tornare alla vita di sempre?
Non ne ero certo. E questo perché per me, ormai, erano qualcosa di cui non si poteva fare a meno, qualcosa di insostituibile. Ma sarei riuscito a dirlo loro?
Sarei riuscito a confessare a Franziska che… mi sarebbe mancata?
La vedevo lì, davanti a me, in quell’aeroporto, come era successo solo un anno prima, mentre stringeva una piccola borsa con una mano, e la piccola Annika con l’altra.
I miei occhi plumbei cercavano i suoi, ma il suo sguardo color cielo non sembrava avere alcun intenzione di incontrare il mio. Questo comportamento mi suggeriva che ci fosse, in realtà, qualcosa che non andava, che anche per lei quella separazione non era esattamente facile.
Ma allora perché lo stava facendo? Perché?
«Credo che per noi sia ora di andare, Annika» disse lei, senza nessuna inflessione nella voce, senza nessuna espressione in quel suo viso dai lineamenti delicati.
Io facevo fatica a trattenere le mie emozioni, ma almeno riuscivo a guardarla negli occhi. Lei invece non ci provava nemmeno, e questo perché sapeva in cuor suo di essere sul punto di crollare.
E mi ricordai improvvisamente di quelle parole che gli avevo rivolto l’anno prima, quelle parole che sembravano tremendamente adatte anche a questa occasione.

«…E adesso cosa farai?» le avevo chiesto, sperando in una risposta sincera, e non tagliente. Anche se sapevo già cosa aspettarmi da lei.
«…Non sono affari tuoi.» aveva risposto, con un’occhiataccia che, sapevo, nascondeva un grande dolore nel suo cuore. Era stata sconfitta, oltraggiata. Aveva gettato via tutte le possibilità di dare di nuovo lustro al suo cognome.
E poi io gliel’avevo chiesto.
«Stai scappando?»
Il suo sguardo stupito mi diceva che avevo indovinato. Che aveva chiuso gli occhi e si era voltata per non tornare mai più in questa sciocca nazione.
Ma lei non aveva ceduto così facilmente alla mia insinuazione.
«Zitto! Tu non capisci!»


E anche in quel momento, Franziska, stavi scappando? Da cosa?
Stavi forse scappando… da me?
Non avevo bisogno di farmi questa domanda, perché qualcosa dentro di me mi diceva che era così. Che, per qualche motivo, non tollerava più la mia presenza.
Ma una domanda mi era concessa, e l’avrei fatta. Anche a costo di non avere nessuna risposta da parte sua.
L’unica parola che pronunciai fu:«Perché…?»
Volevo sapere solo questo. Mi doveva una spiegazione, dopotutto. Dovevo almeno sapere cosa l’aveva davvero spinta ad allontanarsi da me e dall’America in quel modo. Ed era chiaro che ciò che mi aveva detto il giorno prima era solo una scusa campata in aria per non dirmi il vero motivo della sua partenza.
Frannie scosse la testa, prima di tornare a guardare Annika. Senza dire nulla.
Che non fosse in grado di controllare nemmeno la sua voce, oltre che la sua espressione, quando si volgeva verso di me? Cosa stava davvero succedendo?
«Allora, Nichte, non vai a salutare il tuo Onkel…?» chiese dolcemente alla bambina, che la guardò con i suoi grandi occhioni color mare leggermente lucidi.
Mi ero subito reso conto che Annie non era d’accordo con l’idea di tornare in Germania, dallo stesso momento in cui quella mattina mi aveva lanciato uno sguardo praticamente disperato.
Stava mettendo il suo cucciolo nella gabbietta dove sarebbe stato per il resto del viaggio, quando io mi ero fermato accanto a lei, e l’avevo guardata con un mezzo sorriso.
Lei era scoppiata in lacrime e mi aveva confessato che le piaceva stare qui negli Stati Uniti. Che voleva restare a casa mia con me e sua zia, che non voleva tornare al suo paese natale. E io l’avevo abbracciata e le avevo promesso che sarebbe andato tutto bene, che ci saremmo scritti e sentiti al cellulare, che non si sarebbe resa conto della distanza che ci divideva.
Ma quelle parole avrei voluto dirle anche ad un’altra persona… e lei, in quel momento, non mi guardava nemmeno. Come se non ci fossi.
Annika mi si avvicinò, e io mi abbassai in modo che i nostri occhi fossero alla stessa altezza. I suoi erano colmi di lacrime che non aveva il coraggio di liberare. Era proprio una brava von Karma, ma non quanto la sua tutrice.
«Mi mancherai tantissimo, Onkel Miles» gemette, con un singhiozzo e un sospiro. Poi mi posò un bacio, tiepido e umido di lacrime che le erano improvvisamente sfuggite, sulla guancia.
Quel contatto mi ricordò ancora quanto non volevo che loro si allontanassero da me. Il mio cuore si strinse in una morsa.
«Anche tu mi mancherai molto, Annie. Ich liebe dich [Ti voglio bene], ricordalo» sussurrai, stringendola in un abbraccio.
Non mi ero mai affezionato a nessuno come avevo fatto con quella piccola. La consideravo quasi mia, ormai. E dire che non ero molto pratico di bambini, prima di incontrare lei… e adesso, come potevo lasciarla andare?
Alzai la voce, in modo che anche la ragazza che ci osservava in un silenzio ricco di tensioni mi sentisse.
«Ich liebe beide [Voglio bene ad entrambe]» aggiunsi, con un sorriso sincero, e guardando solo con la coda dell’occhio la reazione della mia… “sorellina”.
Anzi, come dovetti accettare, la mancanza di essa. Non sussultò, non si voltò nemmeno verso di me. Dubitai persino che mi avesse sentito.
Ma non ho altro modo di dirtelo, Frannie. Ti renderai mai conto di quanto siamo legati…?
Trattenni per me i miei pensieri, perché sapevo che anche esprimendoli ad alta voce non avrei avuto alcuna risposta. Non in quel momento. Forse in un momento di sua fragilità, ma non ora che la maschera era saldamente al suo posto, sul viso di lei.
Mi rialzai in piedi, mentre la piccola prendeva di nuovo posto accanto a Franziska, docilmente.
Aspettai che mi dicesse qualcosa, qualsiasi cosa simile ad un addio che ci si potesse aspettare da lei, ma l’unica cosa che mi fu concessa fu una frase.
«Danke, herr Miles Edgeworth. Grazie di tutto.»
Un’ultima parvenza di affetto, da parte sua, prima che si voltasse e si allontanasse da me.
Solo un grazie. Le sue ultime parole, ciò che avrei ricordato di lei per chissà quanto tempo, sarebbe stato un semplice ringraziamento?
Potevo davvero permetterlo? Potevo lasciare che se ne andasse così?

La sirena che indicava la partenza dell’aereo suonò di nuovo, appena dopo che Franziska e Annika furono sparite all’orizzonte.
E sapevo che ormai le avevo perse, che avevo perso l’ultima occasione di dire a Frannie…!
Cosa? Di dirle cosa?
Non ne ero certo nemmeno io, ma sapevo che qualsiasi cosa fosse, ormai non aveva più importanza. Non ora che il loro aereo stava decollando, lasciando dietro di sé una scia di tristezza e solitudine.
E mentre lo osservavo diventare un puntino sempre più impercettibile nell’azzurro del cielo che mi ricordava tanto i suoi occhi, non potei evitare che una lacrime sfuggisse al mio controllo.
«Franziska… mi mancherai…»

 
...Fine.

 
Angolo di Kirlia: 
Lo so, non è proprio quello che vi aspettavate per la fine di questa storia. E se devo essere sincera, nemmeno io sono convinta di come ho descritto questa scena... Ma non riuscivo a fare di meglio ^^''
Allora, innanzitutto sapete che questa non è realmente la fine, ma le avventure di Franziska, Miles e Annika continueranno nel sequel Bonfire Heart, che posterò a breve! Quindi non vi angosciate se è andata a finire così, perché di certo prima o poi si incontreranno di nuovo (e io adoro i "per sempre felici e contenti", quindi non abbiate paura!) 
Poiii volevo dire grazie a tutte voi, care lettrici mie, che avete seguito questo mio racconto fino alla fine, avete avuto coraggio u.u 
In particolare i miei ringraziamenti vanno a Keily e Rue che sono state sempre presenti per me e mi hanno portato ispirazione e voglia di continuare a scrivere *-* 
Infine voglio rispondere, come di consueto, alle domande inviate ai miei personaggi! Oggi ne abbiamo due :D 


Rue: Senti Miles, ma visto che quando è in Germania Franziska ti manca così tanto, perchè non le telefoni, ogni tanto? Ce l'hai il telefono!
Miles: Io... beh, è difficile. Ho provato più volte a chiamarle, ma avevo paura che mi prendesse per uno sciocco. E poi... *tira un sospiro* Secondo lei, l'unico motivo buono per farle una chiamata, è per lavoro. O per vantarsi del suo record di vittorie perfetto in Germania. 
*si avvicina a Rue e le sussurra* Però una volta le ho chiamato quando da lei era notte fonda - per il fusorario - e credo che fosse sonnambula. O forse mezza addormentata. Insomma, è stato carino parlare con lei: abbiamo ricordato i giorni della nostra infanzia in cui potevamo sgattaiolare via dal signor von Karma e rubare i biscotti dalla cucina! 


Key: Miss procuratrice, volevo chiederti se avevi finito di interferire fra Franzy e Miles o se ti ritroverò ancora nella fiction (sbagliando come sempre nome)
Katherine Payl... ehm, Payne: Io non ho assulutamente interferito. E non starò a complottare contro quella von Karma per il resto della prossima stagione. No, assolutamente. Non ho un piano per separarli per sempre e sposare Mil... 
Kirlia: Kath, non ti conviene esagerare con gli spoiler *le punta contro un mitra* 
Paylor: Va bene. L'autrice dice che non mi posso sbilanciare molto. Ma ti assicuro che avrò un ruolo molto importante nella prossima stagione ^^ *sorriso falsissimo* 


Okay! Mi pare che qui abbiamo finito :D 
Vi saluto e spero che mi seguirete ancora nella prossima stagione! La potrete trovare anche attraverso il comando "Serie", e il titolo sarà "Perfect for me" (e, ammettetelo, è il titolo più azzeccato di questo mondo *modestia portami via*) 

Un bacione e grazie a tutti, 
Kirlia <3 


Image and video hosting by TinyPic
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1282053