Nobody's home.

di queerzay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Alice, diciotto anni, un'esistenza insignificante e tanti, troppi sogni.
Sogni, segni.
Se ci fate caso in queste due parole cambia soltanto una stupidissima vocale.
Una lettera e cambia tutto.
Sogni impossibili e segni invisibili.
Segni invisibili, impressi sotto la pelle e non sopra, come va di moda adesso.
Lei non si taglia, lei non è anoressica, lei non è depressa.
E' soltanto triste.
E persa.
Persa nella sua testa.
Non c'è un posto per lei.
Non per i suoi pensieri, i suoi sogni e i suoi segni.


Louis, ventuno anni, un'esistenza insignificante e tante, troppe delusioni.
Delusioni, illusioni.
Incredibile come queste due parole siano così simili, così collegate.
Due lettere e cambia tutto, soltanto sue.
Delusioni amare e illusioni incantevoli.
Incantevole, come una vita non vissuta, le tazze di thè la domenica pomeriggio e i libri.
Come lui, come lo definiscono le altre persone.
Un ragazzo incantevole.
Ma sotto quel ragazzo incantevole, sotto le battute acute, le osservazioni ciniche, la voce acida, c'è altro.
C'è tristezza, solitudine, rimorso.
Louis è un numero primo.
Non è divisibile, se non per se stesso e per uno.
Non ha ancora trovato il suo uno.




                                                                                                                                                      -



Hey.
Non chiedetemi da cosa mi sia saltata fuori questa roba qua sopra.
Non credo nemmeno si possa chiamare prologo.
La verità è che ho bisogno di scriverlo, poco importa se nessuno lo leggerà.
Ne ho bisogno io.
Il titolo è ispirato alla canzone di avril lavigne, che sto ascoltando ora, all'1:26.
Fatto sta che mi ha spronato a scrivere questo.
E lo pubblico, ha.
Scusate, so che è uno schifo, ma pace.
Ciao :3


 







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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Apri gli occhi, Alice, aprili.
E Alice li aprì.
Buio, era questo che vedeva.
Persa. 
Persa nel nero.
Il nero della notte, il nero dell'inchiostro, il nero della sua anima.
Nero.
Alice era nera.
Scrivi, Alice.
E Alice scrisse.
La bic nera che scorreva sull'intonaco già pieno di parole.
Era arrivata in quell'istituto da nemmeno due ore e la sua porzione di parete era già nera.
Parole.
Le lettere che si rincorrevano ancora prima che la penna potesse tracciarle.
Smettila, Alice.
Lasciò cadere la penna e si guardò le mani.
Numeri, numeri sulle sue mani, numeri primi.
1, 3, 5, 7, 11, 13, 17...
Alice nascose il viso tra le mani scarabocchiate e scoppiò a piangere, mentre lentamente  l'inchiostro si scioglieva e le macchiava la pelle.
Cadi Alice, stai cadendo. 
Continui a cadere.
Quando troverai il suolo?
E' questo continuo precipitare, più doloroso dello schiantarsi stesso.
Cadi, cadi, cadi.
E' il vuoto, il vuoto attorno a te.
Sei rotta, Alice, spezzata.
Anche se non ti sei ancora schiantata, sei già rotta.
Alice, alzati.
Alice si alzò in piedi e guardò fuori dalla finestra.
Era persa, le luci della città si estendevano davanti a lei, infinite.
Lei era finita, Alice sarebbe finita presto, consumata dalla tristezza, da quell'incolmabile vuoto.
Consumata dalla solitudine come la cera veniva consumata dalla fiamma.
Alice bruciava, o meglio, congelava.
Era fredda, ghiaccio, apatia, freddezza.
Alice era un blocco unico, incapace di sciogliersi.
Torna a dormire, Alice.
La ragazza si asciugò le lacrime e si infilò di nuovo sotto le coperte, tirando il piumone sopra la testa.



Louis afferrò il suo giubbotto di jeans e scese i gradini a due a due.
Uscì dal suo trasandato monolocale, la tracolla disfatta che gli penseva dalla spalla destra.
Camminò per qualche isolato, salutando e sorridendo a chiunque incontrasse, poi raggiunse la casa del suo migliore amico.
Zayn, il suo migliroe amico, abitava con i suoi genitori in una piccola villetta e non vedeva l'ora di avere una casa tutta per sè.
Louis stava seriamente pensando di proporgli di condividere la casa, ma aveva paura che poi sarebbero stati stretti.
Insomma, Louis era uno espansivo, aveva bisogno dei suoi spazi,  e Zayn altrettanto.
E poi erano entrambi disordinati, e in pochi giorni il monolocale sarebbe diventato un incubo.
Suonò al campanello e attese Zayn, gli occhi puntati sul cielo grigio e tempestoso.

Aspettò almeno una decina di minuti, prima che il moro comparisse sulla porta d'ingresso e lo invitasse ad entrare.
Louis sbuffò - Zayn trovava sempre modo di arrivare in ritardo - e spinse il cancelletto.
Attraversò velocemente il viottolo che lo collegava alla porta d'ingresso e raggiunse il portichetto della villa.
Zayn era già sparito, sentiva la sua voce dal piano superiore che gli urlava di aspettare un momento.
In poche parole Louis avrebbe potuto prepararsi il pranzo, guardare un film, farsi un pisolino, e solo alla fine Zayn sarebbe stato pronto.
Louis non sapeva perché si ostinava a passarlo a prendere tutte le mattine, non sapeva cosa avesse quel ragazzo di così particolare.
Sapeva solo che lo rendeva un po' meno triste.
E che gli poteva scroccare le sigarette tutte le volte che voleva.
Si appoggiò con uno sbuffo alla parete che si trovava alle sue spalle e aspettò, in silenzio.
Zayn lo raggiunse in un tempo davvero breve per lui - circa un quarto d'ora - e gli sorrise.
Non era un tipo di molte parole, Zayn.
La gran parte del tempo lui e Louis se ne stavano in silenzio, si supportavano a vicenda.
L'amico afferrò la sua cartella e si affrettò ad uscire di casa, sapendo che Louis l'avrebbe seguito.
Aspettarono in silenzio l'autobus, Zayn che fumava una sigaretta e Louis che fissava l'asfalto.
"C'è qualcosa che non va, Lou?" chiese Zayn ad un tratto, passandosi una mano fra i capelli scuri.
Louis sorrise amaramente e "La domanda giusta sarebbe: c'è mai qualcosa che va per il verso giusto?"
Zayn sorrise e annuì, come per fargli capire che aveva inteso perfettamente ciò che voleva dire.
A Louis piaceva Zayn.
Zayn era uno perso, non aveva i piedi per terra.
Lui era diverso, si vedeva. I suoi pensieri erano diversi, lo si capiva.
Aveva modi di fare diversi. Come spegnava la sigaretta, come si sistemava il berretto, come sorrideva.
Sembrava tormentato.
Louis scosse la testa e salì sull'autobus, con Zayn che gli copriva le spalle.
Si sedettero uno di fianco all'altro, le gambe che si sfioravano e le spalle che si toccavano.
E Zayn aspettava con impazienza, le dita che tamburellavano sulla coscia e i denti a mordere le labbra.
Louis, vedendolo in quello stato d'ansia, sorrise e gli diede un colpetto sulla spalla.
Sapeva benissimo quale fermata, o meglio chi, stava aspettando.
Si trattava di una ragazza piuttosto magra, i capelli rosso fuoco e gli occhi più verdi che Louis avesse mai visto.
Zayn non sapeva neanche il suo nome, ma Louis aveva capito che aveva perso la testa per lei.
Si vedeva dai suoi occhi. Louis aveva la strana capacità di vedere tutto e tutti, tranne se stesso.
L'autobus frenò d'improvviso, appena pochi metri prima della fermata, facendogli perdere l'equilibrio.
Sia Zayn che Louis, come tutte le persone sull'autobus, balzarono in avanti; alcuni protestarono a mezza voce con dei borbottii indignati.
Louis fece appena in tempo a vedere una macchia scura confusa fare un cenno di scuse all'autista, per poi smaterializzarsi.
Si voltò verso Zayn, al quale si era aperta la cartella e si era rovesciato tutto il contenuto sul pavimento sporco del  mezzo pubblico.
Lo aiutò a raccogliere tutti gli appunti e insieme rimesero ordine nella cartella del moro, sbuffando scocciati.
Zayn era sempre parecchio nervoso quando si trattava della rossa, che in quel momento stava per salire sull'autobus.
Louis lo sentì trattenere il respiro quando la vide fare il biglietto, con il suo misero metro e sessanta e le cuffiette nelle orecchie.
Trovava bello che Zayn avesse perso la testa per qualcuno, perché lui, Louis, non era mai stato in grado di innamorarsi.
Era un numero primo, lui. 
Non era divisibile per altri numeri, se non per se stesso e per l'uno.
Lo zero poco contava.
La ragazza dai capelli rossi si mosse verso di loro, canticchiando e agitando la testa a ritmo della canzone che stava ascoltando.
Sembrava così dannatamente felice, al contrario di lui e Zayn.
Era sempre allegra, quella tipa.
Zayn la seguì con gli occhi, irrigidendosi quando lei lo guardò e si sedette nel posto davanti a loro.
L'autobus stava per ripartire, ma qualcuno bussò furiosamente al vetro dell'entrata.
L'autista fece spalancare le porta e la ragazza salì, uno sospiro scocciato che usciva dalla sua bocca.
Louis la guardò per un momento, i capelli neri scompigliati, gli occhi scuri tormentati e le mani che tremavano.
Dalla sua spalla penzolava uno zaino eastpack nero, pieno di scritte e scarabocchi illeggibili a causa della stoffa scura.
E se le tipa che aveva rubato il cuore a Zayn era colore, la ragazza appena salita era nero.
Nero come i suoi capelli, le mani coperte da parole scritte a penna, le vans e i leggins.
Era tutta nero.
Persino  i suoi occhi.
E Louis per un momento, per pochissimi secondi, si dimenticò completamente dell'idea di non potersi innamorare.



                                                                                                                                  


                                                                                                                                                           -



Hey.
Come primo capitolo fa schifo, ma non è questa la cosa importante.
E' mezzanotte lalala. L'ora dei vampiriiii.
O forse era l'ora dei fantasmi? Boh.
Coomunque, ho finito di scrivere questo capitolo alle 2:38 di sabato notte, ahaha.
Anyway, eccomi qui che lo posto e vi rompo la minchia, sorratemi.
Grazie mille a chi ha messo la storia tra preferite/ricordate/seguite e a chi ha recensito.
Siete l'amore, davvero.
Ah, mi scuso per eventuali errori, ma posto dal portatile in cui non c'è word che mi segnala le parole sbagliate.
Un dramma, ci saranno ottocento errori di battitura di cui non mi sarò accorta.
Okè, detto questo, se avete tempo - tanto so che non ne avete, lol - e se shippate larry - tanto so che non lo fate - passate dalla mia os larry?
(non metto il link perché non so come si fa, lo so, sono una sfigata, ahah).
Fantastico, meglio che vada dadada.
See ya :) xx

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


louis 3 Capitolo 2



Alice si si sistemò meglio l'auricolare, una piccola pressione sull'interno dell'orecchio.

Come questo autobus va in avanti, in un imminente scontro con il futuro, così la tua esistenza corre verso l'ignoto, in attessa di un incidente.
Bum, lo schianto.
Non ci pensare, Alice.
Lo schianto con quegli occhi...
Un incidente, che come tutti gli incidenti non dovrebbe essere accaduto.
Non lo guardare, Alice.
Ma Alice mise per un momento da parte tutte quelle voci e si voltò verso di nuovo verso di lui.
Non era possibile che un incidente fosse così bello, che i suoi occhi fossero così spenti.
E così tu ti schianti, è così che finisce il mondo, non già con uno schianto, ma con un lamento*.
Un lamento.
Lei era il lamento, e quel ragazzo con gli occhi spenti, lui sembrava lo schianto.
Smettila.
Uno schianto è vivo, pulsante, violento.
Lui era spento, morto.
Gli occhi di Alice incontrarono quelli del ragazzo e lei arrossì, abbassando la testa.
Uno schianto era doloroso, quegli occhi erano piacevoli.
Così cadi, Alice, ma non nel tuo solito modo.
Cadi verso qualcosa, inciampi ma ti rialzi.
Alice si passò una mano tra i capelli e sospirò.
No, lei non era quel tipo di ragazza fatta per avere un ragazzo.
Lei era fatta per rimanere da sola, con i suoi pensieri.
Non poteva condividerli con qualcuno, non poteva condividere nulla.
Può questo schianto essere più doloroso di così?
La consapevolezza di essersi appena schiantati  contro un magnifico prato verde e di non poterci rimanere per il resto della vita.
Più doloroso della morte è questo schianto, questo urto.
Alice si appoggiò contro il vetro che delimitava l'uscita dell'autobus, poggiando lo zaino per terra e evitando di voltarsi verso il ragazzo.
Seduto affianco a lui c'era un altro tipo, circa della stessa età, e davanti a loro c'era Rhebecca.
Rhebecca era nella sua stanza, all'istituto. L'aveva vista la sera precedente, si ricordava del turbinio di colori e allegria che aveva portato nella stanza quando era entrata.
Allegria.
Rhebecca era allegria.
Alice era tristezza.


Louis guardò la ragazza mora negli occhi, e lei come se ne accorse abbassò di scatto la testa, non prima di aver messo in mostra le guance pallide colorate di un leggero rosso.
Poichè si sentiva addosso lo sguardo di Zayn, Louis si voltò a guardarlo negli occhi, scoprendolo sorridente.
"Che c'è?" sbottò, cercando di non pensare a quanto lo infastidisse quell'occhiata.
Il moro scosse la testa e rise, per poi dire: "Niente."
Louis lo guardò, una silneziosa preghiera, un'ammonizione dipinta negli occhi. "Non una parola."
"Okay, okay. Dirò solo che mi sembravi piuttosto... preso... e anche lei" commentò con una voce improvvisamente piena di allegria.
Louis lo scimmiottò e gli diede un colpetto sulla spalla. "Pensa per te, Malik, che è meglio."
Zayn rise e, di riflesso, sollevò le gambe per poggiare i piedi sul sedile davanti a loro, dimenticandosi completamente della rossa che vi era seduta sopra.
Lei si voltò di scatto, un'espressione non troppo amichevole sul viso, e Zayn, borbottando delle flebili scuse e arrossendo come solo lui sapeva fare, si affrettò a togliere i piedi.
Louis trattenne a stento una serie di risatine isteriche, mentre Zayn abbassava la testa, imbarazzato.
La rossa si voltò nuovamente verso di loro, torcendo il busto, e sorrise al moro.
La sua mano era tesa a mezz'aria e Zayn la fissava con un'espressione stralunata sul viso.
"Mi chiamo Rhebecca" cinguettò la ragazza, sorridendo e mettendo in mostra i denti perfetti.
Louis le sorrise, sforzandosi di mostrarsi cordiale, e si presentò.
Quando Rhebecca capì che Zayn non le avrebbe stretto la mano, la lasciò cadere e restò in silenzio.
"Beh" iniziò dopo un po', la voce critica. "Potresti almeno chidermi scusa, sai? Mi hai sporcato il giubbotto."
Louis capì che era rivolta al moro e si arrischiò a gettare un'occhiata alla ragazza mora, in piedi accanto all'uscita.
Stava osservando la scena con un'espressione inleggibile sul viso, le mani calate nelle tasche e le caviglie incrociate.
Zayn nel frattempo sembrava essersi rispreso dal suo stato comatoso e stava dicendo: "Io... sì, scusami, mi dispiace."
Rhebecca sembrò leggermente delusa da quella frase, come se si aspettasse altro.
Gettò uno sguardo sconfortato prima a Louis e poi a Zayn, e infine si girò di nuovo, infilandosi le cuffiette nelle orecchie che aveva precedentemente tolto.
"Io... comunque io sono Zayn" mormorò con un filo di voce.
Rhebecca sorrise e si liberò le orecchie dalle cuffiette, poi si girò verso di lui per l'ennesima volta.
"E io Rhebecca" ribadì lei, le mani e gli avambracci posati sul bordo dello schienale del sedile arancione.
Louis sbuffò e alzò gli occhi al cielo, senza capire perché ci girassaro così tanto intorno.
Era ovvio che erano cotti, entrambi.
Se c'era una cosa che Louis non tollerava erano le persone che non sfruttavano l'amore che provavano.
Se solo lui avesse potuto amare qualcuno, non avrebbe perso tempo in stupidi convenevoli.
Se solo lui avesse potuto amare quella ragazza mora alla sua sinistra, non avrebbe ripetuto il suo nome ottocento volte.
Le avrebbe detto altre cose.
Parole, gesti, cose così.
Non perdite di tempo.
L'amore era una perdita di tempo, sì, ecco perché a Louis non capitava mai di innamorarsi.
Quando Louis si riscosse dai suoi pensieri, Zayn aveva un'espressione confusa e la rossa stava parlando.
"Beh, Zayn, sporcare la giacca di una ragazza non è un gran bel modo per abbordarla, non credi?" gli chiese Rhebecca, schietta.
Zayn avvampò e iniziò ad agitarsi scompostamente sulla sedia. "Io non... non era assolutamente un modo per... per ecco..."
Louis alzò gli occhi al cielo.
Quattro.
La ragazza mora era salita sull'autobus da ormai quattro fermate.
Era più interessante quel numero che non la conversazione tra il suo amico e la sua fiamma.
Zayn provò a riprendere il discorso, senza riuscirci.
Dalla sua bocca uscirono soltanto mormorii disconnessi e privi di senso, frasi senza una struttura interna solida.
Rhebecca si alzò in piedi e lo guardò con un'espressione dispiaciuta. "Sai, mi piacerebbe starti ad ascoltare borbottare tutto il giorno..."
Louis strabuzzò gli occhi e Zayn lo seguì a ruota.
Era seria o stava prendendo il moro per il culo?
"... ma purtroppo devo scendere . Ci vediamo, Zayn" concluse, e il suo sorriso sembrava sincero.
Le porte dell'autobus si aprirono e Rhebecca scese, rivolgendo un rapido sorriso alla ragazza mora, che scese pochi secondi dopo, alla stessa fermata.
Louis la seguì con gli occhi, cercando di ignorare le imprecazioni di Zayn e i suoi continui 'che figura di merda, dio' sussurrati piano.
L'unica cosa che riusciva a pensare era che Rhebecca aveva sorriso alla ragazza mora, e forse la conosceva.
E, dopo quel giorno, Zayn conosceva Rhebecca.
Ma no, Louis non era il tipo da ragazza.
Lui era un numero primo, solitario, triste e malinconico, e a nessuno sarebbe mai piaciuto così com'era.



* da una poesia di T. S. Eliot

                                                                                                                    -


Hey.

So che sono le due, ma pace.
Sto ascoltando one day acustica e sto piangendo come una rincoglionita.
Andrò a vedere asaf avidan in concerto, e sono troppo felice.
E per di più lo stesso mese in cui andrò a vedere i bastille e uscirà midnight memories.
Aiuto.
Non reggo l'emozione, per di più ho pure il ciclo.
Non ne esco viva, vi giuro.
Sono di nuovo un fiume di lacrime per una sola gif zerrie che ho visto.
Non so se avete presente cosa si sente a vederlo sorridere con lei.
Io sì, sto di merda, mi basta una foto e sto male.
Bene, bona. Più ne parlo peggio sto.
Per questa roba qui sopra, so che è molto breve, ma voglio che la storia sia strutturata in questo modo, perciò non uccidetemi.

Ringrazio chi ha messo questo obrobrio tra preferite/ricordate/seguite e le meraviglie che hanno recensito.
Voi mi volete morta, ahaah.
Detto questo, il prossimo capitolo sarà un po' meglio, questo fa merda ahahhahaha.
(one day babe we'll be old, oh babe we'll be old.............)
Ciao ciao :) xx

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


louis 4 Capitolo 3


Alice

Cadere.
Stai cadendo Alice.
Guardi i tuoi nuovi compagni di classe e cadi.
Precipitare.
Se solo ci fosse stato un modo per esprimere ciò che sentiva, quello era la parola precipitare.
Cadere.
Senza il terreno sotto i piedi.
Alice avanzò lentamente tra lo stretto corriodoio che separava le file di banchi scarabocchiati e occupati da ragazzi e ragazze sconosciuti.
Non devi guardarli, Alice.
Non guardarli.
Alice lasciò cadere lo zaino nero sul banco e si accasciò sulla sedia, poi guardò fuori dalla finestra.
Un palazzo le impediva di vedere il cielo.
Lo spazio tra il davanzale dell'edificio scolastico e quello della struttura al di là del vetro era minimo.
Un metro, un metro e mezzo forse.
La ragazza riportò l'attenzione sul professore di matematica, che in quel momento stava provando a riprendere la lezione dal punto in cui si era interrotto.
Pensieri tristi vagavano nella testa di Alice, quando il compagno di banco che aveva ignorato fino a quel momento le sfiorò il gomito con il braccio.
Lei sobbalzò e si voltò di scatto, gli occhi smarriti, e il ragazzo si affrettò a scusarsi.
Alice non disse niente, perché non aveva voglia di parlare con nessuno.
O semplicemente perché lei non parlava con nessuno.
La mattinata passò velocemente, e arrivarono presto le due del pomeriggio.
Ecco l'inferno.
Dai, Alice.
Solo altri sette mesi e potrai lasciare qusto posto.
Con lo zaino che le pendeva dall'esile spalla, Alice gettò all'indietro la testa e guardò l'alto edificio in mattoni grigi.
Le ricordava tanto uno dei palazzi che erano nella location di Sweeney Todd*.
Sbuffò e suonò il campanello malmesso. Quel palazzo era talmente vecchio e decrepito che probabilmente con il primo temporale si sarebbe allagato.
Alice s'immaginava già la scena: lei e Rhebecca intente a piazzare secchielli e cestini dappertutto nei punti in cui l'acqua sarebbe entrata.
Non era proprio ciò che poteva essere definita una gran prospettiva.
Passarono due minuti buoni prima che qualcuno aprisse finalmente il cancello semi-arrugginito.
La ragazza lo spinse con decisione ed entrò nell'ampio cortile pieno di erbacce a piccoli passi.
Raggiunse a fatica il portone in legno e posà le mani sui battenti in ferro.
Alice non aveva mai visto un edificio più antico ed inquientante dell'istituto.
Solo a guardarlo le veniva ogni volta la pelle d'oca, e il pensiero che ci avrebbe passato i mesi successivi non era per niente incoraggiante.
L'istituto sembrava una casa dell'orrore in cui la solita ragazza innocente veniva uccisa.
Coraggio Alice, entra.
Freddo.
Era quello che sentiva Alice ogni volta che entrava all'istituto.
Un enorme, atroce, incontenibile freddo.
La voce di Johannah la accolse non appena varcò la soglia di "casa" e si liberò del giubbotto di jeans.
"Alice, stavamo giusto parlando di te!" la donna la raggiunse nel buio corridoio e Alice si affrettò a riafferrare da per terra lo zaino e a darsi un contegno.
La ragazza provò a nascondere una smorfia scocciata, senza rispondere.
Johannah continuava a parlare a proposito di questo e di quello, con fare indaffarato.
Era una donna di mezz'età, alta e non troppo magra, i capelli chiari e piuttosto lunghi, sfilacciati.
Non era una di quelle donne che ti lasciavano a bocca aperta, era solo una normale donna, solo una normale direttrice di un normale istituto.
Si lisciò la gonna scura già liscia, e strinse al petto una cartelletta verde chiaro sorridendomi calorosamente.
Era quel tipo di sorriso finto, che le persone rivolgevano più per abitudine che perché avessero davvero piacere di vederti.
Alice sorrise a sua volta, debolmente, e gettò un'occhiata ai moduli che teneva tra le braccia la donna.
E la terra ci inghiottì,
e ci vomitò,
e così tu sei caduto,
caduto fuori dal tempo.
Alice pensava a quelle parole, che le tornavano alla memoria in ordine sbaglaito, pezzi di puzzle che tra loro non coincidevano.
Era così, la terra la inghiottiva, e la vomitava.
In continuazione.
La inghiottiva sottraendole ogni volta una maggiore porzione di felicità e la vomitava sempre più triste.
Triste, sola e senza voce.
E Alice urlava, ma nessuno la sentiva.
Urlava mentre Johannah le sorrideva, urlava mentre Johannah poggiava la certellina sul tavolo e ne estraeva i fogli, urlava quando Johannah la guardava.
Ma urlava in silenzio.
Silenzio rumoroso.
Rumore silenzioso.
Non sapeva quale fosse l'esatta definizione, ma era così: urlava.
E nessno sentiva.
"Ho pensato di spostarti al secondo piano, Alice. Per te è okay? In questo modo sarai in stanza con Rhebecca" disse Johannah, gli occhi abbassati sui fogli.
Alice annuì e aspettò che la direttrice le desse il numero della stanza.
19.
La ragazza salì le scale con lentezza ed entrò nella stanza senza nemmeno bussare, buttandosi sul primo letto che le capitò di trovare.
La stanza era piccola e carica di umidità, quattro letti erano addossati contro il muro, due dei quali facevano parte di un letto a castello traballante.
Alice non era sicura che qualcuno potesse dormirci, passarci praticamente la metà del tempo in un letto così.
La cosa la intristì molto.
Alice aveva una strana relazione con i letti, quasi come quella che aveva con le parole.
Il cuscino doveva essere alto o non riusciva ad addormentarsi, e il meterasso doveva avere le doghe in legno sotto, non la rete.
E soprattutto doveva essere un materasso piuttosto duro.
Il modo in cui invece il corpo di Alice formava una conca nel materasso del lettino suggeriva alla ragazza che lì i materassi erano spessi poco più di cinque centimetri e consumati dal tempo.
Non c'erano doghe, ma solo reti di ferro grigio e triste, linee che si intrecciavano contortamente sotto i suoi occhi.
Si arrampicò sul letto a castello e testò uno ad uno i materassi, decidendo poi di stabilirsi nel letto a castello, sotto.
Appoggiò il suo zaino sul materasso inconsistente e uscì dalla stanza per spostare i suoi effetti personali nella nuova camera.
Quando tornò, la borsa caricata in spalla, un ragazzo era seduto alla scrivania e le dava le spalle, le cuffie ad archetto bianche che lo isolavano dal mondo esterno.
La ragazza lo ignorò deliberatamente e appoggiò le sue cose sul proprio letto, poi vi si lasciò cadere sopra, con un sospiro.
A quel punto il ragazzo parve accorgersi della sua presenza, perché sobbalzò e si alzò di scatto dalla sedia su cui stava seduto.
"Ciao!" esclamò, un sorriso ampio sul volto spigoloso, ma allo stesso tempo dolce.
"Io sono Liam, tu devi essere la ragazza nuova, vero? Quella che è arrivata ieri sera" snocciolò velocemente, così velocemente che Alice faceva quasi fatica a stargli dietro.
Si limitò ad annuire, mentre il ragazzo "Quanti anni hai?" chiedeva.
Ad Alice non era mai piaciuto parlare, con nessuno.
Preferiva starsene in silenzio, per i fatti suoi, ad ascoltare, osservare ed assorbire i comportamenti delle altre persone.
Liam si grattò la testa, forse leggermente in imbarazzo.
"Sei tu la ragazza che non parla, vero? Johannah mi aveva detto qualcosa di simile" disse infine, srotolando i fili delle cuffie e rimettendosi seduto.
Alice annuì una seconda volta.
"Beh, io sono qui, quindi se hai bisogno di qualcosa basta che mh... mi scrivi qualcosa su un foglietto?"
La testa di Alice si mosse nuovamente su e giù e Liam annuì, tornando a guardare il computer e dedicandosi al suo videogioco.
E Alice passò il pomeriggio così, con la costante paura di cadere nonostante il letto sbilenco su cui si trovava.
Con la costante sensazione di stare affondando, lentamente, nelle sabbie mobili.
Affondava lentamente, prima i piedi, poi le gambe, il busto, le braccia, le spalle.
Affondi, Alice.
Nel fango.


Louis

Sei settimane.
Erano passate sei settimane da quando Louis aveva visto per la prima volta la ragazza mora sull'autobus.
Quel martedì mattina era l'ennesima volta che prendevano l'autobus alla stessa ora e Louis non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Erano così, lei la calamita e lui il ferro, l'uno attratto, l'altra no.
Tristi gli amori non corrisposti, tristi quasi come l'inverno senza la neve e l'estate senza il sole.
Tristi come le cioccolate calde senza la panna, i libri con le pagine strappate e le mani senza gli anelli.
E così erano gli amori non corrisposti, come una giornata ventosa e confusa, su un molo deserto e freddo.
Soli nell'universo, mentre nessuno si accorgeva di loro, lasciati in disparte perché così miseri in confronto agli amori corrisposti.
Così soli eppure così numerosi, così rari eppure così frequenti.
La metà delle persone soffriva di quella malattia.
Amore non corrisposto.
Louis non era mai stato un tipo sentimentale, era abituato a prendere in giro Zayn e la sua cotta per Rhebecca.
Era abituato ad amare solo se stesso e Zayn.
Zayn era il suo uno, forse.
Alice il suo zero.
E così tentava di convincersi che lo zero non era importante, che non serviva a niente.
Se sommato, non cambiava il risulatato.
Se sottratto nemmeno.
Se moltiplicato, annullava tutto.
Se diviso dava zero.
Lo zero era la sua costante.
Alice era la sua costante.







                                                                                                            -

Hey.
Eccomi qui, scusate per il ritardo.
Come alcune di voi avranno letto nell'altra storia, non ho passato un gran bel periodo.
Però adesso è passata, credo.
Ho avuto un po' di problemi vari in famiglia, ma si è risolto tutto.
E mi è tornata la voglia di scrivere.
Il mio amico che aveva la leucemia è guarito, e devo dire che è principalmente per questo che mi è tornata la voglia.
Spero solo che non abbia ricadute o cose del genere.
In ogni caso, ho intenzione di dedicargli questa storia.
Tra tutte quelle che sto scrivendo è la più seria, e voglio che sia per lui.
Non credo di averlo mai detto di avere mai parlato di lui negli spazi autrice, non volevo farvi pena o cose del genere, ma adesso che è tutto a posto mi prendo la libertà di dedicargliela apertamente.
Come al solito è un capitolo breve, ma devono essere così.
Scusate per gli errori,scrivo sempre dal portatile e non ho word (devo pagare per istallarlo :/ )
So, vado a scrivere il capitolo uno di 'until the end starts', se avete voglia passate, però è una larry.
Spero che vi piaccia, perché ci ho messo più impegno del solito, specialmente per la parte di Alice.
Louis è sempre facile da scrivere, non so perché.
Un bacio, e grazie a Faithfully_ e Cherryblossomgirl9, small leaf e Never Stop Dreaming che hanno recensito gli scorsi capitoli.
Grazie anche alle lettrici silenziose, vi amo tutte.
:) xx

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


louis 5 Capitolo 4



Alice

Piove.
Prendi l'ombrello, Alice.
Non mi va.
Prendilo.
No.
Pioveva.
La pioggia batteva insistente sul marciapiede e quel giorno Alice non ne aveva mezza di andare a scuola.
Iniziò a camminare a testa bassa, cercando di aprire l'ombrello e di sistemarsi gli auricolari nello stesso momento.
Oh, if you could see me now,
Oh, if you could see me now.
Alice strinse forte il manico dell'ombrello e si impose di continuare a camminare sul marciapiede, come se nulla fosse.
Le lacrime tentavano disperatamente di uscire, incoraggiate ancor di più dal grigiore di quella giornata e dalla pioggia insistente.
Oh, se tu mi potessi vedere adesso.
Mi defineresti un santo o un peccatore?
Un perdente o un vincitore?
Alice serrò gli occhi e strinse i denti, lasciandosi cadere sulla prima panchina libera che trovò durante la strada.
Il legno era di colore più scuro per via della pioggia e i jeans della ragazza si inumidirono non appena ci si appoggiò.
Guardò dritto davanti a sè per un momento, le macchine, gli autobus e le moto che sfrecciavano veloci come il battito del suo cuore.
Oh, se tu mi potessi vedere adesso.
Aspettò le lacrime, lacrime che non arrivarono.
Aspettò ancora, e ancora, e ancora, ma la sua anima sembrava essersi seccata, prosciugata da qualsiasi liquido, da qualsiasi emozione.
Oh, wow.
Aveva trattenuto così a lungo le lacrime che ormai non era più abituata a piangere.
Forse era una questione di resistenza morale, o forse quel fatto era dovuto soltanto alla pratica estenuante svolta nei precedenti anni.
La pioggia bagnava l'ambiente circostante, quasi fosse la sostituta delle sue lacrime, l'eco lontano di numerosi tichettii irregolari e storti, in gruppo ma con una sola, unica direzione.
I capelli neri di Alice si inumidivano sempre di più, l'ichiostro sulle sue mani nude sbiadiva gradualmente, e la sua ultima bolla di felcità l'abbandonava cercando di passare inosservata, eppure lei rimaneva lì, lo sguardo fisso sull'asfalto e la mente altrove.
Come ali invisibili, i pensieri la portavano via da un mondo così freddo e apatico, troppo rigido e contenuto per una personalità come la sua.
Come fili di una marionetta, le sue idee la tiravano su e la innalzavano a universi paralleli che non esistevano realmente, frutto di una fantasia troppo sviluppata e articolata, così tanto articolarata da risultare sbagliata.
Un errore, una cosa di troppo che tuttavia non era abbastanza.
Era così Alice, come la sua fantasia.
Volteggiava sulla panchina come su un materasso ad acqua, le braccia come ali e la testa come centro del suo corpo.
Accenditi, Alice.
Stai andando a fuoco, adesso.
La pioggia non appena ti sfiora brucia, scotta e infine evapora.
Accenditi.
E invece che accendersi Alice si spegneva, lentamente, le braccia cadevano lungo i fianchi, le palpebre si abbassavano e il peso crollava - all'indietro - fino a cadere per terra, con un impatto secco e improvviso e un dolore lanciante alla schiena.
Alice teneva gli occhi ben chiusi, le goccioline di pioggia che le bagnavano il viso con delicatezza, e ascoltava in silenzio.
Se ne stava lì, in quel limbo tra l'acceso e lo spento, tra il vivere e il morire.
Vedeva il cielo grigio e sentiva il rumore assordante dei motori delle macchine, la terra umida e fredda sotto le dita delle proprie mani.
Rumori insensati e silenzi profanati per così poco.
La testa le scoppiava dal dolore, causa di una tristezza talmente enorme da non poter essere nemmeno paragonata a qualcosa.
Era solo estrema tristezza.
Accenditi, Alice.

Louis

C'erano giorni in cui Louis si svegliava e si chiedeva chi glielo faceva fare di vivere la sua schifosissima vita.
Un continuo circolo, regolare e prevedibile, ecco che cos'era la sua vita.
Si alzava, faceva colazione, andava all'università, studiava, andava a fare sport e tornava a casa.
Si perdeva nelle superficialità, nelle cose insignificanti e inutili, per poi ritrovarsi a parlare con Zayn del senso di tutto quello che facevano.
Erano poche le cose in cui si ritrovava davvero, poche le cose che non lo deludevano, e tra queste cose c'erano Zayn, la birra e le sigarette.
La sua vita era concentrata in quelle tre cose, tanto carnali quanto reali.
Concrete e incredibilmente  a portata di mano, quando voleva, quando più gli faceva comodo.
Louis camminava lentamente, il berretto grigio calato sulla testa e le mani infilate in tasca.
Quel giorno il cielo era grigio e pioveva a dirotto, e a Louis la pioggia piaceva, gli paiceva da morire.
Alzò il viso verso il cielo e spalancò la bocca, aspettando che l'acqua piovana vi entrasse indisturbata e ottenendo varie occhiate perplesse da parte dei passanti.
Era felice, così: il viso rivolto al cielo e l'acqua sul viso e tra le labbra, il freddo che si insinuava sotto il cappotto e i muscoli che si contraevano.
Gli bastava poco per essere felice, e lo stesso valeva per illudersi.
Una parola, un gesto, un'occhiata, e Louis era capace di evolvere il tutto in qualcosa che non sarebbe mai successo.
Troppe le volte in cui aveva sperato senza ottenere, desiderato senza avere e amato senza essere amato.
Era così che aveva imparato ad accontentarsi di ciò che aveva e a non deisderare troppo; e in quel momento non desiderava altro, solo la pioggia e il freddo, per essere spento e per morire dentro ancora una volta.
Procedeva a passo lento nella pioggia, guardandosi attorno di tanto in tanto, senza tuttavia assistere alla sua stessa vita.
Si limitava soltanto a condurre le sue giornate secondo i bisogni del proprio corpo, senza fare ciò che voleva o ciò che gli sarebbe piaciuto fare.
Faceva le cose che voleva fare in quel momento, senza preoccuparsi troppo; infatti in quel preciso momento aveva voglia di vedere Zayn e non gli importava se non sarebbe stato in casa, Louis lo avrebbe aspettato in camera.
Così raggiunse la casa di Zayn, dove la madre del suo amico lo invitò ad entrare e gli diede dei vestiti asciutti, rimproverandolo come solo lei sapeva fare, con quel misto di severità e dolcezza tipico delle madri dei propri migliori amici.
Aspettò in silenzio, steso sul letto del ragazzo con lo sguardo fisso sul soffitto, pensando a tutto e a niente.
"Lou" mormorò Zayn quando arrivò, per poi affrettarsi a chiudere la porta e a sfilarsi gli anfibi.
"Ciao Zay" rispose lui, seduto sul letto con la schiena appoggiata alla parete e una cartina tra le mani.
Zayn lo guardò per un momento senza proferir parola, poi "Come stai?" gli domandò, mentre iniziava a sfilarsi gli strati di vestiti.
"Sei felice, Zay?" sussurrò Louis piano, passando la lingua sulla cartina e chiudendola, per poi sporgersi verso il comodino e afferrare un accendino.
 Il moro si immobilizò all'improvviso, la felpa che si stava sfilando a metà strada e le braccia in una scomoda posizione. 
"Io... Sì, immagino" sbottò alla fine, come se gli fosse costato un grande sforzo trovare una risposta del genere.
Si sfilò la felpa e ne infilò una più vecchia e malandata, per poi sostituire i suoi jeans a dei pantaloni della tuta e raggiungere Louis.
Incrociò le gambe e guardò Louis negli occhi, come per capire che cosa lo portasse a discorsi di quel genere.
"E tu sei felice, Lou?" mormorò ad un tratto, quando lo sguardo di Louis diventò insostenibile.
Quello inclinò la testa di lato e guardò attentamente Zayn, poi si lasciò cadere a peso morto sul letto, poggiando la testa sulle gambe dell'amico.
"No."
"No?" ripetè Zayn, abbassando la testa per guardarlo negli occhi e sfilargli di mano il drum.
Louis si corrucciò quando venne separato dalla sigaretta, le sopracciglia incurvate e le labbra arricciate nel disappunto che lo coglieva ogni qual volta che Zayn gli fregava le sue amate sigarette.
"No Zay, non sono felice, per niente" biascicò, gli occhi fissi sul soffitto. Si girò su di un fianco e osservò attentamente la camera di Zayn, nella testa un dolore estenuante che si stava prendendo troppe libertà.
Quando tornò supino, Zayn gli scoccò un'occhiata incerta, per poi avvicinargli la sigaretta alle labbra.
Louis aspirò, mentre il moro "Perché?" chiedeva a bassa voce, passandogli una mano tra i capelli esageratamente lunghi.
Louis scrollò piano le spalle; era così e basta, si sentiva triste, sempre: da quando si alzava a quando andava a letto. 
Poco importavano i sorrisi e le risate, poco importavano le cose che lo rendevano davvero felice, perhé erano tutte istantanee.
Duravano troppo poco, nulla era per sempre, eccetto la tristezza.
Un'enorme, incolmabile tristezza, fattadi sospiri, di sorrisi tirati e di notti insonni.
Una tristezza che non aveva un motivo preciso.
Era tristezza per il mondo, per la società, per il consumismo.
Per il fatto che per Louis le cose che contavano non erano i soldi bensì altre cose.
"Non lo so" si decise a rispondere. "Come va con Rhebecca?"
Zayn fece un verso contrariato e la sua bocca si storse in una smorfia amara.
"Di merda."
Louis si tirò a sedere e spense la sigaretta nel posacenere, poi "Che cos'ha che non va, di preciso?" chiese, accostandosi a Zayn e poggiando la schiena contro il muro.
Il moro scosse il capo scoraggiato, sollevando un sopracciglio e parlando fissandosi le mani. "Suo padre picchiava lei e sua madre, da quanto ho capito."
"Merda" sussurrò solo Louis, guardando dritto davanti a sè, così come stava facendo anche il suo amico.
"Già" replicò Zayn. "Quando... Quando lunedì ci siamo visti l'ho salutata dandole un bacio sulla guancia e da lì è stato un disastro."
Louis restò in silenzio per un po'. "Quando l'hai scoperto?" 
Sentì Zayn deglutire piano. "Sempre lunedì. Dopo che l'ho toccata ha dato di matto, allora l'ho riportata indietro e i tutori mi hanno spiegato tutto."
Il ragazzo castano annuì piano, ancor più triste di prima. "Mi dispiace tanto, Zay. Posso provare a vedere cosa ne dice mia ma-"
"No" lo interruppe precipitosamente Zayn. "No, non preoccuparti, davvero. Va bene così. Lascerò... Lascerò passare un po' di tempo, adesso."
La voce di Louis risultò stanca quando parlò di nuovo. "Come vuoi tu."
Il moro annuì piano e posò la testa sulla spalla dell'amico. "La mia vita fa schifo."
I capelli di Zayn solleticavano il collo di Louis, che restava in silenzio, attendendo che il moro riprendesse a parlare.
"Oh, ma chi voglio prendere in giro, Lou? Con Rhebecca va tutto una merda e nonostante io le voglia un bene dell'anima succede un disastro dopo l'altro. Tra un po' abbiamo l'esame e io non sono per niente preparato, ho una concentrazione da fare schifo. Ho ventuno anni e vivo ancora con i miei genitori perché non riesco a trovare un cazzo di lavoro."
Louis impallidì quando le lacrime di Zayn gli inumidirono la maglietta: non lo aveva mai visto piangere, sapeva che Zayn tendeva a non esternare i suoi sentimenti e se lo faceva erano davvero casi eccezionali.
Gli accarezzò debolmente i capelli, gli occhi fissi sulla mappa del mondo appesa sulla parete di fronte a loro.
Fin da quando erano bambini adoravano entrambi segnare i luoghi che avrebbero visitato una volta che sarebbero diventati "grandi".
Tuttavia, "grandi" lo erano di già, eppure non avevano raggiunto nemmeno una delle loro mete.
"Guardami, Lou" riprese Zayn con voce abbattuta, le lacrime incastrate in gola. "Sono un fallimento totale, la mia vita sociale fa schifo, quella scolastica pure, mia madre si fa un culo assurdo per pagarmi gli studi e mio padre sputtana tutti i soldi con i giochi d'azzardo. A volte vorrei scomparire, andarmene e lasciare tutto. Solo andarmene. Sono così inutile. Ci sono giorni in cui mi chiedo per quale motivo mi alzo la mattina o-"
"Che cazzo dici Zayn?" quasi urlò Louis, raddrizzandosi di scatto e voltandosi verso l'amico.
Gli accarezzò il viso con una mano e gli asciugò le lacrime mentre gli occhi scuri di Zayn gli stavano addosso, addolorati e distrutti.
Sembrava un dolore così concreto e palpabile che Louis si chiedeva come poteva non essersene accorto prima.
Lo guardò per un momento, poi senza nemmeno pensarci lo tirò verso di sè e lo baciò, provocando nel ragazzo un verso sorpreso.
Louis non aveva mai baciato un ragazzo, ma era più o meno come baciare una ragazza, soltanto che Zayn aveva la barba.
E il suo busto era privo di curve, un unico blocco sottile e in tensione.
Mosse piano le sue labbra su quelle dell'amico, cercando di trasmettergli il bene che gli voleva e tenendoselo vicino grazie alla presa salda che esercitava sulle sue spalle.
"Guardami, Zay" susurrò, allontanandosi leggermente da lui ma tenendo la fronte accostata alla sua. 
"Non sei inutile. Tu sei uno dei pochi motivi per cui io mi alzo dal letto la mattina. Non sarai mai inutile finché io sarò vivo, perché tu mi rendi un po' felice."
Zayn annuì piano e serrò gli occhi, nascondendo il viso contro l'incavo del collo di Louis. "Ti voglio bene, Lou."
Louis gli diede un bacio tra i capelli, poi iniziò ad accarezzargli piano la testa. "Anche io, Zay. Non dire mai più una cosa del genere."
"Okay" la voce del moro giunse all'altro ragazzo ovattata e carica di tristezza.
"Okay" replicò Louis, e sorrise leggermente.






                                                                                                                             -



Vi voglio molto bene, ricordatevelo.
In ogni caso, scusatemi per questo ritardissimo, ma avevo completamente perso l'ispirazione.
Non che mi sia tornata, però comunque mi sono sforzata per voi, stavate aspettando da quasi un mese o più, credo.
Mi dispiace davvero tanto :(
Mi scuso anche perché il capitolo è orrendissimo, davvero.
Mi dispiace molto, non credo ci siano altri modi per dirlo, no?
Faccio schifo, madonna mia.
Ci tenevo a precisare che nello scorso capitolo non avevo annotato che Sweeney Todd è un film di Tim Burton, come voi mi avete fatto notare.
Volevo anche dire che dell'istituto ne parlerò più avanti, non subito, quindi per ora dovrete accontentarvi di quello che ho scritto, scusatemi :(
In ogni caso, ringrazio chi preferisce/ricorda/segue, chi recensisce (grazie mille, ora rispondo alle recensioni) e tutte le lettrici silenziose.
Okay, corro che devo aggiornare anche altre due storie e non ho ancora scritto nessun capitolo.
Un bacio :) xx
Su twitter sono @queerzay, se volete parlarmi e tutta quella roba lì.
Ciao ciao xx
 

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