Di campeggio, stelle e primi baci

di crazyclever_aveatquevale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dieci anni prima ***
Capitolo 2: *** Arrivo: chiarimenti ***
Capitolo 3: *** Primo pomeriggio: Raperonzolo ***
Capitolo 4: *** Tardo pomeriggio: Cenerentola ***
Capitolo 5: *** Sera: Biancaneve ***
Capitolo 6: *** Notte: principessa sul pisello ***
Capitolo 7: *** Epilogo. La Bella Addormentata ***



Capitolo 1
*** Dieci anni prima ***


Bonjour a tout le monde!
Dopo un po’ di inattività, torno a scrivere sui Merthur, perché non posso fare a meno di loro! In effetti, questa storia doveva essere per festeggiare il mio primo anno su EFP, ma come per l’altra (compleanno*-*) mi trovo in ritardo di un paio di mesi…
Inizio col dire che era partita come one-shot ma poi mi è stato caldamente suggerito di dividerla in due capitoli perché era decisamente troppo lunga! Ce l’ho tutta in testa ma ancora non la finisco, però presumo che sarà lunga quattro, cinque capitoli al massimo. Aggiornerò settimanalmente, sempre di sabato, credo (oggi è sabato, sì?).
Questo primo capitolo è un prologo/antecedente della storia, il rating è verde (si alzerà più in là con la storia). In realtà non so di preciso se questo è un “dieci anni prima” o tutto il resto un “dieci anni dopo”, come preferite voi!
DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.
 

Di campeggio, stelle e primi baci
La prima volta che Arthur e Merlin andarono in campeggio avevano otto anni. Un pomeriggio di maggio fecero sedere i genitori di entrambi sul grande divano di casa Pendragon e presentarono la loro richiesta di dormire da soli in un bosco, dentro le tende e riscaldati dal fuoco – Come i veri cavalieri! aveva detto Arthur – dato che ormai, alla veneranda età di otto anni, erano grandi.

Dopo che ebbero pianto e supplicato per un’altra mezz’ora buona per il lapidario no di Uther, padre di Arthur, sua moglie Ygraine e la sua amica Hunith decisero insieme di concedere ai figli ciò che chiedevano, a patto, però, che durasse solo una notte e che avesse luogo nel grande giardino di casa Pendragon. Arthur e Merlin, esultanti, iniziarono subito a saltellare; Morgana, la sorellina di Arthur, fu subito invitata ad unirsi ai maschietti, con la scusa che “serviva una principessa da salvare” – anche se Morgana faceva a botte col fratello molto meglio del piccolo Merlin che, dalla sua, aveva il vantaggio di essere veloce e furbo, sebbene incredibilmente goffo – e i due padri si lanciarono uno sguardo esasperato. Uther e Balinor, infatti, già sapevano che quella notte non avrebbero chiuso occhio, troppo occupati a controllare i propri figli.

Da allora il campeggio era diventato un’abitudine. A nove anni ebbero il permesso di accendere un fuoco dove arrostire marshmallows e l’anno successivo poterono montare da soli le tende, una per i ragazzi e una per Morgana, in un angolo remoto del giardino, una piccola radura circondata dagli alberi. Quell’anno i padri furono confinati in casa, controllati a vista dalle madri: al campeggio precedente, infatti, si erano avvicinati durante la notte per controllare gli amati figlioli ma questi, svegliatisi d’improvviso per via dei rumori, si erano spaventati per le due alte figure nere e avevano impugnato i bastoni con cui giocavano ai cavalieri; Uther e Balinor, che ancora si sentivano i lividi su tutto il corpo, avevano ammesso che i bimbi erano capacissimi di cavarsela da soli.

Successe quando avevano tredici anni. Avevano organizzato tutto come al solito, ma Morgana era finita in punizione perché aveva risposto male ad un’insegnante (Mi ha chiamato strega, mamma!) ed era stata cacciata dalla classe. Per una volta, i genitori non si fecero intenerire dai suoi pianti o convincere dalle sue più che sensate lamentele, impedendole in via definitiva di partecipare al campeggio. I due ragazzi, con grande sdegno di Morgana, la presero con filosofia e, invece di annullare la gita, erano partiti lo stesso. Fonti accurate, tuttavia, sostennero ben presto di aver udito Arthur chiedere di revocare o rimandare la punizione durante un colloquio privato con il padre, ma invano. I due, dunque, “partirono”: montarono la tenda, accesero il fuoco, giocarono con le spade (di plastica dura, un generoso regalo di Uther) e mangiarono carne arrosto e verdure, preparate quell’anno da Ygraine, come da accordo tra le due madri. Poi, mentre arrostivano i marshmallows, Merlin raccontò una delle sue storie di paura: era un’altra abitudine, ogni anno ne scaricava un paio tra le più terribili da Internet e poi le leggeva al suo “uditorio”, ed era bravissimo a farlo, sebbene nessuno dei due Pendragon ammettesse di essersi spaventato dal tono e dai racconti dell’amico.

Infine, stremati, si stesero su una coperta all’aperto, dato che era una serata calda e a nessuno dei due andava di chiudersi nella tenda. Naturalmente NON stavano guardando le stelle – erano cavalieri loro, mica delle ragazzine – bensì cercavano di mimetizzarsi con la natura per far avvicinare gli animali, che comunque si tenevano a debita distanza.

Ad un certo punto Merlin, sdraiato a pancia in su con le mani dietro la testa, esclamò: «Però un po’ mi dispiace che non ci sia Morgana, voglio dire, è strano»

«Hai ragione. Come principessa non vale niente, ma è un’ottima strega cattiva» Scoppiò a ridere, subito imitato da Merlin «Per fortuna per il ruolo di donzella in pericolo ci sei tu».

Merlin si rabbuiò. «Io non sono una principessa, Arthur, sono un ragazzo. Forse non sarò tutto muscoli come te ma questo non vuol dire che io sia una femminuccia. Perciò, vedi di smetterla di trattarmi come tale. Lo fai pure a scuola, che pizza!»

«Che vuoi dire?? Che c’entra la scuola?? E poi, scusa, non hai mai detto nulla prima. Pensavo non ti desse fastidio. È solo un gioco».

Merlin gli rivolse il solito sguardo da ma-quanto-puoi-essere-asino? e continuò: «Io lo so che è solo uno scherzo ma i nostri compagni no e non mi dà fastidio se tra di noi diciamo così ma anche altri…» «Cosa?? – lo interruppe l’altro – Ti hanno detto qualcosa di male? No perché se è io…»

«Arthur, è proprio questo il problema. Io non sono una principessa, non ho bisogno di un principe che mi salvi o mi risvegli con un bacio o vada in giro a raccattare le mie scarpe!»

Arthur rimase spiazzato. Pensò che se Morgana fosse stata lì avrebbe detto qualcosa tipo ‘Sei così disordinato che solo per ritrovartele le scarpe servirebbe una corte intera’ ma lui non era così e sapeva riconoscerlo un discorso serio, quelle rare volte in cui Merlin ne iniziava uno tra di loro. Solo non pensava che Merlin ci stesse così male: in fondo, non è che lo considerasse davvero come una ragazza! Insomma, Merlin non aveva niente a che fare con Sophia del 2C che aveva lunghi boccoli castani, occhi grandi e gli zigomi tondi… Si erano guardati spesso durante l’anno e aveva saputo dall’amico dell’amico di un amico che lei aveva detto ad una sua amica che le sarebbe piaciuto prendersi un gelato con lui… E Arthur voleva prenderlo un gelato con lei, solo che si vergognava perché in tutti quei film sdolcinati che Morgana – quella  piccola tiranna – lo aveva obbligato a vedere, dopo il gelato c’era una passeggiata mano nella mano e poi un bacio e lui, beh, non aveva mai baciato nessuno! Insomma, aveva una reputazione, lui! E se poi veniva fuori che come baciatore era un incapace?

«Merlin, tu hai mai dato un bacio? Un bacio vero, intendo» Ecco, ora Merlin lo avrebbe preso in giro a vita, come gli era venuto in mente di fare quella stupida domanda?? Beh, almeno qualcosa di buono c’era: anche con la poca luce del falò mezzo spento e delle stelle lontane si poteva chiaramente riconoscere la tonalità di rosso assunta dalle orecchie di Merlin; cavoli quanto adorava quando accadeva!

Merlin, dal canto suo, era completamente in imbarazzo. Rispose immediatamente di no, e si stese di nuovo, fissando le stelle. Certo che ci aveva pensato, ma era sempre stato un po’ timido da quel punto di vista. E, in realtà, non sapeva di preciso come si faceva, un mucchio di sue amiche gli avevano raccontato di pessimi primi baci e si era fatto prendere dal panico. Quando Arthur rispose con un flebile “nemmeno io”, pensò bene di rendere il suo amico partecipe dei suoi dubbi.

«È che non so come si fa» dissero contemporaneamente. A distanza di anni, Merlin ricordava perfettamente di aver pensato che avevano fatto un coretto, visto che avevano detto le stesse parole e anche con la stessa intonazione.

Erano entrambi girati su un fianco, rivolti l’uno verso l’altro, Merlin con le mani sotto il viso e Arthur che giocava con una frangia della coperta fra di loro. Rimasero in quella posizione per un po’, a fissarsi e distogliere lo sguardo non appena l’altro se ne accorgeva, finché Merlin, con un filo di voce, non disse: «E se… Potremmo provare, che dici? Cioè, noi due. Sarebbe solo per imparare, per vedere di preciso come si fa. Ecco, io mi fido solo di te e so che tu me lo diresti se facessi così schifo come baciatore, però non mi prenderesti in giro e siamo amici da un sacco di tempo e poi tra amici ci si aiuta no?? Possiamo fare un patto di non parlarne mai più no? Un… Com’è che si chiama?? Ah, sì! Un giuramento di sangue! Come i veri cavalieri! Cioè, ecco, se ti va… Se no non ne facciamo niente e basta, non è che dobbiamo per forza, no? Però se tu dici di no non fa niente, era solo così, per provare…» la voce gli si affievolì sempre di più e, notando che l’amico non si muoveva e incapace di guardarlo negli occhi per la vergogna, si rigirò a pancia in su e chiuse gli occhi.

Li riaprì di scatto un attimo dopo, quando Arthur mormorò un flebile «va bene, proviamo».

Si ritrovarono al punto di partenza, ancora a fissarsi l’un l’altro su quella vecchia coperta, solo che stavolta erano molto più vicini e che guardarsi negli occhi era diventato necessario perché erano davvero troppo, troppo vicini e troppo luminosi, con le stelle che si rispecchiavano negli occhi chiari di entrambi.

A distanza di anni, Arthur non saprà mai ricordare chi fece l’ultimo movimento, e fece scontrare delicatamente le loro bocche. Ricorderà che in quella posizione ci erano rimasti un tempo infinito, con gli occhi spalancati e il cervello annebbiato; ricorderà pure che aveva tentato di dire qualcosa, ma l’unica cosa che era riuscito a fare era sfregare le sue labbra con quelle morbide di Merlin e si era bloccato di nuovo.

Merlin, invece, ricorderà di aver chiuso gli occhi quando aveva aperto le labbra e Arthur lo aveva imitato, facendo avvicinare timidamente le lingue per poi lasciare che si esplorassero a vicenda per un altro interminabile periodo. Un altro particolare che gli resterà in mente sarà il braccio di Arthur, che si era ancorato alla sua schiena in un momento imprecisato e lui si era sentito protetto e a casa.

Si staccarono quando l’aria venne a mancare. Immediatamente tornarono alle loro posizioni originarie, riflettendo su ciò che era successo, con il cuore in subbuglio e il fiato corto. Fu solo dopo un po’ che Arthur mormorò: «Beh, non è andata così male».

«Già. Credo che con Sophia non avrai alcun tipo di problema.» Arthur si girò verso l’amico, che gli sorrideva, sornione. Merlin lo sapeva, ancora prima di lui, perché Sophia stessa era andata a chiederglielo, se Arthur fosse libero e lui le aveva assicurato che Arthur non aveva altre ragazze. Era il suo migliore amico, e per gli amici si faceva questo e altro. Arthur lo ringraziò con gli occhi e gli regalò uno dei suoi più grandi sorrisi, prima di tornare a distendersi anche lui.

Il mattino dopo Morgana li trovò così, stesi l’uno affianco all’altro beatamente addormentati, e non ci pensò due volte prima di saltare addosso al fratello e subito dopo a Merlin esultando per aver avuto il permesso di giocare con loro almeno per quella giornata.
 

P.S. La storia non è betata, mi scuso per qualsivoglia castroneria presente!

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Capitolo 2
*** Arrivo: chiarimenti ***


Ed ecco a voi il secondo capitolo! Questa volta i nostri eroi sono già adulti e vaccinati, e avremo diverse new entries!
Voglio dedicarlo a Evelyn Wright e Lucylu (alle quali mando un bacione) e a chi l’ha messa tra le seguite e le preferite!

DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.
 

 

Di campeggio, stelle e primi baci

Capitolo 2
«Andiamo in campeggio, andiamo in campeggio» canticchiavano Morgana e Gwen, sedute sui sedili posteriori dell’auto di Lance. Le ragazze erano sempre le più euforiche quando si trattava della gita, ormai un’abitudine collaudata per tutta la loro comitiva che di anno in anno era andata ingrandendosi, fino a contare otto elementi. Al trio iniziale si era aggiunta ben presto Gwen, migliore amica di Morgana, perfetta per il ruolo di principessa e abbastanza assennata da aiutare Merlin a impedire che i due Pendragon ogni anno si scannassero. Poi fu invitato a partecipare un compagno di Merlin del corso di Economia, Lance, e a lui erano subito seguiti Percy e Leon, che giocavano a basket con Arthur. L’ultimo arrivato era Gwaine, un ragazzo talmente sui generis che si era guadagnato l’affetto di tutti immediatamente e non era stato possibile escluderlo dal campeggio: appena gli era stato accennato, aveva fatto i salti di gioia ed era così genuinamente felice che nessuno se l’era sentita di dirgli di no.

Da quando, in terzo superiore, una fidanzata di Arthur aveva voluto venire in campeggio per poi lamentarsi dell’erba, degli insetti e perfino del canto degli uccellini, una delle regole base era stata: “Non si portano estranei in campeggio”. A dire la verità, non era stato necessario: Lance e Gwen avrebbero festeggiato sei anni insieme quell’anno, mentre Morgana e Leon avevano da poco instaurato una relazione, che sembrava destinata a durare, data la pazienza di lui.

Considerato che le coppiette avrebbero dormito insieme, si erano risolti a portare solo quattro tende: Arthur e Percy avrebbero condiviso quella del biondo, e Merlin avrebbe dovuto affrontare il chiassoso caos che avrebbe creato Gwaine. Non che il moro se ne dispiacesse, certo: erano diventati molto amici, e sentiva che con lui poteva parlare di cose che non avrebbe potuto dire ad Arthur. Merlin si era accorto solo in tempi recenti di preferire gli uomini e, sebbene all’inizio non aveva avuto problemi a fare coming out né Arthur avesse mostrato disgusto o disprezzo a questa notizia, tuttavia il loro rapporto ne aveva risentito, senza contare che si sentiva ancora in imbarazzo a raccontare al biondo amico come si sentiva o i ragazzi che gli piacevano; al contrario, Gwaine era onnivoro e molto più disinvolto di lui e non c’era nulla che lo scandalizzasse, cosa che lo rendeva un confidente eccezionale per il timido Merlin.

Era stato proprio Gwaine, infatti, a presentare a Merlin Will, l’ultimo boyfriend del ragazzo, qualche mese prima – la storia tuttavia non era durata, perché Will si era dovuto trasferire all’estero e nessuno dei due voleva imbarcarsi in una complicata e quantomeno dolorosa relazione a distanza, preferendo piuttosto restare amici (“con benefici” aveva aggiunto Gwaine con malizia, quando Merlin gliel’aveva raccontato).

Avevano appena finito di montare le tende quando Lance e Leon pensarono bene di rinfrancarsi dal viaggio e dalla fatica e prendere le loro ragazze a tradimento e buttarle nel lago lì vicino, esortando gli amici ad unirsi a loro. Mentre Percy, che aveva preventivato questa scena e si era vestito di conseguenza, poté spogliarsi e seguirli immediatamente, Merlin dovette prima andare nella tenda e cambiarsi, indossare un costume e poi raggiungere gli altri in acqua.

L’immagine dell’amico completamente nudo non era certo ciò che si aspettavano di vedere Arthur e Gwaine, appena ritornati dalle auto con gli ultimi bagagli; Gwaine, per niente turbato, stava per entrare lo stesso ma Arthur glielo impedì: era completamente impietrito, con gli occhi sgranati, un’espressione ebete e totalmente incapace di distogliere gli occhi dall’ignaro amico. Ci manca poco che non sbavi!, pensò Gwaine, dovrò fare quattro chiacchere con Arthur, appena il suo sogno erotico finisce!

Quando, finalmente, Merlin uscì dalla tenda, senza notare gli amici appostati all’altra entrata, Arthur lo stava ancora fissando. Gwaine lo condusse all’interno, controllò che Merlin si fosse allontanato e poi si rigirò verso il biondo, che lo guardava con aria smarrita.

«Sei un idiota di proporzioni cosmiche! Perché non glielo dici??» esplose.

«Ma dirgli cosa? Io non devo dirgli nulla!»

«Arthur, per favore, se non vuoi farlo per te – vuoi mettere i vantaggi di averlo a disposizione?? - o per me – siete il mio OTP – almeno fallo per Merlin: si sente in colpa, crede di aver rovinato la vostra amicizia, perché ti sente distante da quando ti ha detto che è gay!»

«Cosa? Ma- ma non mi ha detto nulla! Io- Io non lo sapevo!» Se Arthur già di suo era lento, dopo lo spettacolo a cui aveva assistito il suo cervello ci metteva almeno il doppio a carburare.

«Cioè tu davvero non ti sei accorto di nulla? Merlin in pratica non ti guarda più nemmeno in faccia per la vergogna! Credi che lui non sappia che glielo hai chiesto tu a Percy di condividere la tenda? È il tuo migliore amico praticamente da sempre e tu lo scarichi per uno che conosci da giusto qualche anno; senza nulla togliere al rapporto che hai con Percy, ma Merlin è Merlin! Secondo lui hai paura che ti possa saltare addosso mentre dormi – ma nemmeno io pensavo che hai paura che TU possa saltare addosso a LUI nel sonno!» Gwaine riprese fiato, e si accorse di stare urlando e che Arthur lo guardava come se si fosse appena reso conto di aver scannato un gattino e ora si sentisse tremendamente in colpa… «Da quanto te ne sei accorto?»

«Da.. Oddio, Gwaine, non ne ho idea! Merlin è… Merlin! Come si può non amarlo?? È sempre stato una costante nella mia vita ma da quando mi ha detto che… Io mi sento male ogni volta che lo vedo parlare con qualcuno e poi ho iniziato a fare dei sogni strani… Per non parlare del fatto che ogni volta che sto con una ragazza penso sempre a lui, alle sue labbra morbide… Ma non so se questo conta, mi capita da sempre, dalla prima ragazza che ho avuto: nessuna ha mai superato il paragone con Merlin…» non era da lui parlare così tanto, di solito era Merlin quello che si perdeva in sproloqui, segno di quanto fosse agitato nel confessare i suoi sentimenti.

«Aspetta… Labbra morbide? Quando vi siete baciati tu e Merlin?» Gwaine era sotto shock.

«Oh, da ragazzi… Al campeggio. Sai… Per imparare.» Ora Arthur era sulla difensiva, così decise di contrattaccare. «Vuoi dirmi che non te ne sei accorto? Non parlo solo di quello che provo io, ma Merlin ha la capacità di attrarre le persone, non conosco nessuno che non lo adori; guarda, ti dirò, perfino mio padre, che, lo sai, non è proprio un tipo affettuoso, è completamente affascinato da Merlin fin da quando era bambino! Non mi dire che non hai pensato “ma che bel bocconcino” quando lo hai visto per la prima volta!».

«Uhm. Si, potrei averlo pensato, ma Merlin è troppo buono e gentile per i miei gusti. Inoltre, bisogna aggiungere il fatto che sono impegnato, io, e non avrei potuto tradire il mio uomo con nessuno, nemmeno con Merlin, per quanto possa essere affascinante».

Arthur era allibito. Il suo cervello già abbastanza provato ebbe il definitivo colpo. «I-Impegnato? Che significa impegnato?»

«Impegnato, fidanzato, coinvolto in una più che felice relazione sentimentale e sessuale, come preferisci metterla, tanto la sostanza non cambia».

«Ma come? Quando? Cioè, tu? Cioè, non che TU non possa avere una relazione stabile ma... Ehm... I-io non ne sapevo niente!».

«Questo perché volevamo tenercelo un po’ per noi, prima di rendere ufficiali le cose. Ci vedevamo da poco… Pensavamo di dirvelo in questo campeggio, ma TU ci hai scombussolato i piani!»

«Io?? Aspetta, al campeggio? Lo sai che non si possono portare “estranei” alla comitiva!»

«Non ci sarebbe stato nessun estraneo!» Gwaine aveva iniziato ad arrabbiarsi, punto sul vivo dal fatto che lui stesso aveva rischiato di far parte degli “estranei”, visto che conosceva tutti da non più di sei mesi, e aveva scoperto solo per caso del campeggio.

«Ma… Come? Vuoi dire che… Nooo, non posso crederci… Percy?»

«Sì, Percy! Perché? Qualche problema?»

«Ma no, figurati! È che non mi ero proprio accorto di nulla, e poi siete così diversi, lui così timido e silenzioso e tu una forza della natura!» Arthur era genuinamente felice per entrambi gli amici. Poi si ricordò che Gwaine lo aveva accusato di “aver scombussolato i piani” e si rese conto che i suoi amici non si aspettavano di essere divisi per un suo capriccio. «Senti, Gwaine, mi dispiace per… Sai… Aver chiesto a Percy di condividere la tenda».

«Guarda, non ti prendo a testate solo perché mi fai pena con quell’aria da cucciolo smarrito. Io e Percy ne abbiamo parlato e abbiamo deciso che non fa niente, perché Merlin ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino, e a quanto pare pure tu».

«Grazie. Comunque, sul serio, oggi pomeriggio parlo con Merlin e gli chiedo di spostarsi da me, così tu e Percy potrete stare insieme».

«Davvero?? Ma quindi hai intenzione di parlargli, di muoverti in quel senso!» Incurante della propria situazione, Gwaine si era subito elettrizzato nel desiderio di sapere che anche per Merlin le cose sarebbero migliorate: aveva addirittura alzato un sopracciglio, come aveva visto fare al professor Gaius, segno che voleva assolutamente una risposta.

Arthur sospirò. «Non farò nulla, Gwaine. Lo hai visto, a malapena mi guarda. Con che coraggio dovrei andare da lui e dirgli “Ciao, sono innamorato di te da quando avevo tredici anni ma me ne sono accorto solo ora”? Mi riderebbe in faccia!»

«Lo sai benissimo che Merlin non farebbe mai una cosa del genere, meno che mai a te! Almeno saprebbe che questa situazione non è colpa sua! E poi… Chi ti dice che lui non ti ricambi?»

Arthur stava per rispondergli, scettico, ma la testa di Merlin fece capolino dentro la tenda, con i capelli che sgocciolavano acqua dovunque, e la sua voce cristallina mise fine alla discussione, invitandoli a raggiungerli in acqua, senza smettere un attimo di sorridere, con buona pace del cuore di Arthur, che ormai si era stabilizzato ai duecento battiti al minuto, considerato che non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Lanciando un’ultima occhiata di scuse a Gwaine, si affrettò a seguire Merlin in acqua, cercando di non sbavare per la vista delle innumerevoli goccioline che scendevano lungo la schiena pallida dell’amico.
 
 

Crazy’s corner
Gwaine è un mito, tutte le volte in cui c’è lui non posso fare a meno di ridere e ridere! Perciò non potevo non inserirlo nella fic, si è in qualche modo intromesso da solo, perché non era affatto previsto!
Di nuovo, la storia non è betata, perciò mi scuso per eventuali errori! E se qualcuno vuole prendersi l’onere, basta che me lo dica!

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Capitolo 3
*** Primo pomeriggio: Raperonzolo ***


Salve, gente!
 
Ancora un po’ (tanto) scombussolata per il ritorno a scuola – non so se essere felice o disperarmi del fatto che sia l’ultimo – approfitto di un’oretta di libertà per aggiornare!
 
Grazie tantissimo a Lucylu e misfatto per le recensioni e a chi preferisce e segue questa fic!
 
Stiamo più o meno a metà della storia, e ho scoperto che adoro l’UST, quindi magari i capitoli saranno sei e non cinque, perché mi sono venute un altro paio di idee! Ok, vi lascio al capitolo!
 
DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.

 

 
Di campeggio, stelle e primi baci

Capitolo 3

Dopo aver passato più di un’ora in acqua a schizzarsi e giocare a pallone, i ragazzi decisero di uscire, per evitare che spuntassero loro le branchie. Morgana, Gwen e Lance si stesero a riva, dicendo di voler prendere il sole – in realtà solo Morgana prendeva il sole, perché i due piccioncini non facevano altro che abbracciarsi e tubare. Tutti gli altri, invece, si recarono nelle rispettive tende a cambiarsi.

Quando uscì, Merlin chiese a Leon, che stava già posizionando le pietre per il falò, dove fosse finito Gwaine, che si era dissolto subito dopo essersi messo un paio di pantaloncini. Arthur arrivò appena in tempo per sentire Leon rispondere, tranquillamente, «Gwaine e Percy sono andati nel bosco a raccogliere la legna»; bastò questa frase per far capire ad Arthur che non avrebbero avuto legna per le prossime tre ore buone. Sperando che siano qui almeno per l’ora di cena: ci rimangono solo sei panini.
Merlin, d’altro canto, fece spallucce e preso un libro dei suoi, si diresse sotto la più grande quercia al limitare della loro radura e lì si estraniò dal resto del mondo.

Per la prima mezz’ora.

Dopo un po’ si accorse che Arthur e Leon avevano montato un cesto su di un faggio e stavano giocando una partita uno contro uno a basket. La sua attenzione fu immediatamente calamitata dalla canotta di Arthur, indecentemente appiccicata al petto del ragazzo per il sudore, e il libro si chiuse senza nemmeno che se ne fosse accorto. Una voce lo fece trasalire. «Avevi detto che te la saresti fatta passare, Merlin» lo accusò Lance, sedendosi affianco a lui. Merlin sorrise, un sorriso triste.

«Che devo dirti, Lance? Non ci riesco. Ci sono volte in cui penso di avercela fatta ma poi lo vedo e il cuore continua a bloccarsi… Al campeggio, poi, è ancora più difficile».

«Come mai?»

«Ah, no, nulla… sono solo ricordi…»

«Forse sembrerò ripetitivo, ma perché non glielo dici?»

«Andiamo, Lance, già gli faccio schifo perché sono gay, se gli vado pure a dire che ho una cotta per lui mi prenderà in giro e dopo non vorrà più vedermi»

«Non usare il tono da funerale, Merlin. Perché dici che gli fai schifo? A me non sembra!»

Merlin tentò di rimanere impassibile, mentre diceva «Ha chiesto lui a Percy di condividere la tenda, ho sentito Percy che lo diceva a Gwaine», ma faceva dannatamente male.

Lance lo abbracciò, tentando di confortarlo, ignorando che in quel modo Merlin si sentiva ancora peggio, perché gli veniva da piangere. Perciò fu grato a Gwen quando richiamò il suo uomo, invitandolo a raggiungerla perché doveva metterle la crema. «Vai, cavaliere» lo esortò, con un gran sorriso, questa volta sincero.

Non appena Lance si fu allontanato, e lui ebbe ricominciato a leggere il suo libro, ecco che un boato proprio sopra la sua testa lo fece saltare in piedi, allarmato. Quando vide un pallone da basket poco lontano dai suoi piedi, e sentì la risata di Arthur, capì che il terremoto era stato causato da un tiro di quell’asino, e non si fece scrupoli a dirgliene quattro. «Stupido equide ragliante – iniziò, furente – fai più attenzione! Questa quercia ha almeno duecento anni, ha resistito a non si sa quali intemperie e calamità naturali e poi arrivi tu e… Avresti potuto distruggerla! Senza contare che lì sotto c’ero anch’io, e avresti potuto farmi del male!». Ignorò il ghigno di Arthur, che lo prendeva sempre in giro per il suo animo ambientalista, e riprese a leggere.

Dopo poco, però, fu costretto a fermarsi di nuovo, poiché aveva sentito degli strani cinguettii alla sua sinistra. Giratosi, notò un nido che prima sicuramente non c’era e, al suo interno, quattro piccoli uccellini marrone scuro. Quegli uccellini gli ricordavano una foto che aveva visto in un libro sulle specie di animali che aveva da bambino, una foto di uno scricciolo. Da bambino ne era rimasto affascinato, perché “Scricciolo” era il soprannome che gli avevano dato i suoi, data la sua corporatura minuta e i capelli scuri.

Prese il nido con le mani a coppa, e si meravigliò di come apparisse compatto. Guardò in alto e solo allora si rese conto che doveva essere stato proprio Arthur con la sua pallonata ad aver fatto cadere il nido. Immediatamente, da persona empatica che era, si sentì in obbligo di riportare il nido più o meno dov’era, sperando che la madre li riconoscesse e continuasse a nutrirli, considerato che i piccoli erano affamati e che chiaramente non erano in grado di cavarsela da soli.

Si trovò, quindi, a scalare l’albero. Per sua fortuna la quercia, essendo piuttosto vecchia, aveva molti rami solidi che potevano reggere tranquillamente il suo peso, e gli davano abbastanza stabilità da potersi fermare ogni tanto per controllare il nido. Arrivato in cima, trovò quella che probabilmente doveva essere l’ubicazione originaria del nido, un incavo non molto profondo tra due rami corti ma piuttosto larghi. Posizionò dunque il suo tesoro, che fino ad allora aveva tenuto stretto al petto per trasmettere un po’ di calore corporeo ai piccoli, e si apprestò a scendere, ma, guardando in basso, fu colto da un’improvvisa vertigine e fu costretto a chiudere gli occhi.

Perfetto. Ora era bloccato da solo su una quercia. Maledette vertigini. E dire che il panorama non gli faceva nulla, anzi il lago da un lato e il bosco dall’altro erano così catartici… Ma non poteva restare lì per sempre! Che fare? Pensò di girarsi e scendere lungo la strada fatta per salire, ma improvvisamente non ricordava più il percorso compiuto; poi considerò di gridare per chiedere aiuto, ma aveva paura di spaventare mamma scricciolo e allontanarla per sempre dai propri cuccioli, e scartò anche questa ipotesi. D’un tratto, l’illuminazione: il telefono! Come aveva fatto a non pensarci prima?? Con non poche difficoltà lo prese dalla tasca e compose un numero che sapeva a memoria. Non dovette aspettare nemmeno un secondo.

«Che vuoi, Merlin? Sono nella tenda. Non potevi venire a parlarmi qui? Senti, se devi ancora ripetermi quanti anni abbia quella dannatissima quercia e tutti i danni che provoco all’ambiente giuro che riattacco e vengo lì e ti prendo a pugni!»

«Asino, smettila di ragliare a vanvera! Non è che potresti venire a prendermi? Sono sulla quercia»

«Cosa sono diventato, il tuo schiavo? Da lì al campo saranno non più di trenta passi, puoi farcela benissimo da solo!» Nonostante questo, però, si avviò comunque verso il limitare del bosco, tentando di scorgere la chioma corvina dell’amico.

«Ma sei scemo o cosa? Non sono ai piedi dell’albero, sono SOPRA l’albero! Per questo mi serve il tuo aiuto, asino!»

«Smettila di chiamarmi asino, idiota! Sono qua sotto, comunque. Toh, le tue orecchie si vedono anche da qui! Come ci sei salito fin lassù??»

«Stavo aiutando una nidiata di scriccioli che qualcuno aveva fatto cadere dall’albero, e da per terra non avrebbero mai e poi mai ritrovato la loro mamma!»

«Come sei sentimentale, Merlin! In natura gli animali devono imparare a cavarsela da soli!»

«Si, ma non è stato a causa della natura che sono caduti, quanto piuttosto di un biondo esibizionista e incosciente» Merlin si stava decisamente arrabbiando «Vuoi per favore aiutarmi a scendere, testa di fagiolo che non sei altro??»

Arthur sospirò con fare drammatico, ma accettò comunque l’impresa e iniziò l’ardua scalata. La quercia sembrava fare di tutto per ostacolarlo: ogni pochi secondi un ramo lo colpiva sul viso, la corteccia su cui erano ancorati i suoi piedi si sfaldava e cadeva («Arthur, che combini?? La stai rovinando tutta!») e l’albero sembrava divenire sempre più alto man mano che saliva. Finalmente, con gran fatica, riuscì a raggiungere la meta: Merlin era appollaiato su un ramo, incredibilmente tranquillo e osservava con fare compiaciuto una mamma-uccello che nutriva i propri piccoli con degli orribili vermi.

«Se avessi tenuto i capelli lunghi avrei potuto aggrapparmi a quelli per salire più agevolmente lungo questa schifosissima pianta» disse, per attirare la sua attenzione. L’amico, abituato alle frecciatine, non si degnò nemmeno di girarsi per rispondergli: «E magari avrei potuto tenerli legati in una treccia, eh, Arthur? Io sono maschio, in caso te ne fossi dimenticato!». Questo gioco andava avanti ormai da anni, ma si divertivano a ripeterlo ogni volta, con Arthur che stuzzicava Merlin e lui che un po’ faceva finta e un po’ no di prendersela.

Arthur scoppiò immediatamente a ridere, immaginandosi la scena di Merlin che si spazzolava i lunghi capelli e ci faceva una treccia stile Raperonzolo, e Merlin alla fine si unì a lui, soprattutto quando lo vide ricoperto di rametti e foglie sparse. Poi il moro si zittì, pensieroso. Quando riaprì la bocca per parlare, Arthur si aspettava come minimo una sequela infinita di ringraziamenti; invece l’amico non trovò nulla di meglio che dirgli, in tono arrabbiato: «Arthur, testa di fagiolo, dov’è la corda? Che ci fai quassù senza?»

«Corda? Quale corda?» chiese Arthur, sinceramente sbigottito.

«Cioè, fammi capire: io ti dico che sono rimasto bloccato su un albero e tu non hai idea migliore che venire quassù a farmi compagnia? Che gesto carino, grazie Arthur, ma ora mi spieghi come facciamo a scendere di qui?»

Arthur guardò in basso e si rese conto che magari Merlin aveva ragione, questa volta. Tuttavia, una cosa ancora non gli era chiara: «E la corda che c’entra?»

Merlin alzò gli occhi al cielo. «Se qualcuno si trova in un posto in alto e non riesce a scendere, la cosa più utile da fare è dargli i mezzi per farlo scendere da solo, come una scala, che qui non abbiamo, o una corda! Abbiamo portato le corde per giocare a tiro alla fune, ricordi?»

«Io non ho bisogno di una corda per scendere da qui, Merlin! Sono perfettamente in grado di tornare giù!» Mai che si dicesse che Arthur Pendragon non fosse capace di fare qualunque cosa!

«E riesci a farlo portando me? Perché io sono completamente terrorizzato dal pensiero di cadere, e sono troppo goffo per non farlo, da solo!»

«Ma a salire ci sei riuscito!»

«Che vuol dire? DOVEVO riportare qui quegli uccellini, ero responsabile per loro!»

«Merlin, continuare ad affannarti così per l’ambiente è completamente inutile, nonché pericoloso!»

«Non capisci niente, vero, Arthur? È grazie alla natura se abbiamo la vita, io la ringrazio comportandomi in questo modo, proteggendo l’ambiente, per quanto posso!»

«Lo so, lo so, avremmo fatto questa discussione un milione di volte… Tanto non mi convincerai mai ad essere vegetariano! O a controllare che gli animali che mangio siano morti per cause naturali, come fai tu! Dai, aggrappati a me che ti porto giù».

Merlin gli appoggiò una mano sulla spalla, e Arthur gli avvolse un braccio intorno alla vita, per farlo girare in modo da reggersi all’albero, senza sbilanciarsi troppo indietro. Lentamente, passo dopo passo, cominciarono la discesa.

Erano più o meno a metà strada, all’incirca ad un paio di metri da terra, quando accadde quello che non doveva succedere. Nonostante la goffaggine di Merlin, fu Arthur, impegnato a controllare quanto fossero distanti da terra, a mettere un piede in fallo, caricandosi con tutto il peso sull’amico. Il moro, preso alla sprovvista, si appoggiò al ramo che aveva più vicino ma questo si ruppe, non potendo reggere il peso di entrambi, prima che Arthur avesse la possibilità di ritrovare un appiglio. I ragazzi, quindi, si ritrovarono a cadere. Fortunatamente, non erano molto in alto, ma l’impatto fu piuttosto doloroso, soprattutto per
Arthur, che si ritrovò schiacciato tra il duro terreno e le membra ossute di Merlin, finitogli poco elegantemente addosso.

Non appena riaprì gli occhi che aveva istintivamente chiuso, lamentandosi per il dolore alla schiena e alle ginocchia, Arthur vide subito buio, e si preoccupò, temendo un qualche problema al cervello. Subito dopo, però, si accorse che il nero si muoveva, ed era composto da tanti piccoli fili scuri, che identificò essere i capelli di Merlin quando una mano ossuta li scompigliò; vide Merlin alzare la testa e continuare a massaggiarla, probabilmente perché l’aveva sbattuta, e poi fu rapito da due enormi pozze azzurre che lo scandagliavano, preoccupate per lui.

Merlin si alzò quel tanto che bastava per non gravare su Arthur, mentre controllava che l’amico non avesse nulla di rotto. Arthur ne approfittò per fare lo stesso. Finita l’indagine e non avendo trovato contusioni gravi, il moro si dedicò a guardarlo in faccia con un sorriso canzonatorio, sapendo che Arthur riusciva a capire appieno il messaggio implicito Visto? Sei stato tu a farci cadere! senza la necessità di dirlo ad alta voce, per non giocare troppo con la sua mortificazione.

Vide Arthur mordersi le labbra più e più volte, mentre tentava di pronunciare quella piccola parola di cinque lettere che gli pareva tanto difficile da dire.

«L’atterraggio non è stato dei migliori, ma almeno siamo scesi. È questo che conta, no?» Merlin rise ad alta voce per un po’ e poi, chinatosi su di lui per non farsi sentire dagli altri (e proteggere il tanto decantato orgoglio Pendragon), gli sussurrò «Accetto le tue scuse Arthur, e grazie mille per avermi aiutato».

Ad Arthur balzò il cuore in gola. Solo allora si rese effettivamente conto che Merlin era ancora bellamente sdraiato su di lui e questo era il contatto maggiore che avevano avuto da… più o meno… dieci anni. Con suo sommo orrore, sentì una specifica parte del proprio corpo reagire alla presenza dell’altro, e soprattutto al fatto che Merlin lo stesse ancora fissando, con gli occhi luminosi e un sorriso complice… Doveva assolutamente alzarsi di lì, prima di fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito!

La scusa gli arrivò insieme agli altri, al sopraggiungere dei quali entrambi si alzarono in piedi, imbarazzati. Furono immediatamente circondati dagli amici, che si erano preoccupati per il frastuono che avevano provocato cadendo. Da dietro la quercia comparvero anche Gwaine e Percy, scarmigliati e affannati, accorsi per la medesima ragione, portandosi dietro due grossi rami e altri ceppi più piccoli. «Su, accendiamo il fuoco, così questi due potranno raccontarci come diamine hanno fatto a cadere da un albero, -  scherzò Gwaine – Come due pere troppo mature!», scatenando come al solito, teatrali sospiri e risate. Leon, il più vicino a lui, gli rifilò un meritatissimo scappellotto dietro la nuca, con l’approvazione di tutta la comitiva.

Sull’albero, intanto, gli scriccioli cantavano: stavano raccontando alla mamma della loro gita fuori porta e di quegli enormi uccelli tutti spelacchiati, che erano grandi grandi ma non sapevano nemmeno volare, che li avevano riaccompagnati a casa.
 
 
 

Crazy's corner

Se c'è qualcosa che non mi è mai piaciuta è il nome “Raperonzolo”: sarà pure un bel fiore, ma non mi piace affatto, preferisco la versione “Rapunzel”. Tuttavia, in inglese viene associato più al cartone della Disney che alla favola dei fratelli Grimm e non volevo creare incomprensioni!

Vi lascio con l’immagine dello scricciolo;)

http://www.montiernici.com/files/a_u_i_scricciolo_nido_178.jpg

A presto!
Crazy

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Capitolo 4
*** Tardo pomeriggio: Cenerentola ***


Aiutooooooo

Beh, sono sfinita, questa settimana è stata un vero e proprio incubo: ho dormito poco (00.30-06.30 più o meno a notte), ho un mal di schiena tremendo e con le poche forze che mi rimangono vorrei costantemente prendere a pugni ogni professore che crede che leggere il libro in classe sia “spiegare” e si arrabbia se tutti gli alunni fanno altro! (Perdonate lo sfogo ma non potendolo dire ai suddetti lavoratori –poi uno si chiede perché in Italia l’istruzione fa schifo: si badano ai soldi, non ai contenuti!- lo ripeto al mondo intero!)

Vaa beene… Vorrei dire che questo capitolo è stato scritto con tranquillità e nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, ma mentirei, quindi dico solo che questo è il capitolo di svolta e che non doveva esserlo, perciò non prendetevela con me ma con la storia che ha voluto questo svolgimento!

Voglio fare un ringraziamento speciale a Rosso_Pendragon, che ha recensito i tre capitoli precedenti, e ai 15 che seguono questa storia e ai 4 che la preferiscono!

DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.

 

Di campeggio, stelle e primi baci
 
Capitolo 4

Merlin aveva sbattuto. Cadendo su Arthur, aveva puntato per terra il polso sinistro per evitare di gravargli addosso con tutto il peso e ora aveva serie difficoltà a muoverlo, e stava lentamente ingrossandosi. Tuttavia non voleva apparire debole, perciò vi mise un po’ di pomata per storte e, stringendo i denti quando il dolore si faceva più forte, lasciò perdere. Stava appunto rimettendo la pomata nello zaino quando nella tenda entrò Arthur, senza nemmeno chiedere il permesso.

«Merlin, senti… Ho parlato con Percy e vorrei che vi scambiaste di posto per stanotte… Ho scoperto che russa e quindi vorrei evitare… sai… di passare la notte in bianco».

All’inizio, Merlin fu sorpreso, un po’ per l’intrusione, un po’ per il discorso, ma poi capì. E sospirò. «Gwaine me l’ha detto, Arthur, che vi siete parlati». Voleva essere scherzoso ma la frase gli era riuscita troppo dura, proprio non ce la faceva a fare finta di nulla. E, come se non bastasse il dolore al cuore, il polso continuava a mandargli quelle fitte… Si voltò, per nascondere una smorfia.

Fu per quello che non vide Arthur sbiancare. Tuttavia, udì distintamente il suo balbettio:  «Cos- Cosa?? E che ti ha detto Gwaine? No perché probabilmente ha frainteso…», a cui tuttavia non seppe dare un senso.

«Frainteso? Ma che dici Arthur! Era chiarissimo, l’avevo capito perfino io, per quanto era evidente! Solo un asino come te non poteva arrivarci!»

Arthur si sentiva svenire. «Ma-Ma io… Tu… Tu l’avevi capito?»

«Non c’è molto da fraintendere quando quei due si saltano addosso l’un l’altro ora minuto e momento… Vuoi mettere quando si parlano in quel modo tutto loro o si mandano frecciatine e provocazioni? O quando si lanciano quegli sguardi di fuoco che l’unica cosa che vorresti fare è teletrasportarti nella stanza affianco (anche se pure lì, non te lo consiglio!) ma alla fine basta passare dalla porta perché tanto non si accorgono della tua assenza? Era chiaro come il sole, ti dico!» Nonostante il tono fintamente esasperato, Merlin era entusiasta per gli amici, si vedeva da come gli brillavano gli occhi. Arthur lo amò, se possibile, un po’ di più.

Intanto, il suo segreto era salvo. E non gli andava proprio di sentire i particolari sulla relazione degli amici. «Okay, okay, basta. Ho capito il concetto. Quindi… tutto risolto, no? Se vuoi ti aiuto a spostare le tue cose»

Merlin diventò color peperone. «Oh, ehm, guarda, lascia perdere, ci penso io, è tutto in disordine… Dovrei prima riordinare… Non fa nulla, ci penso io più tardi.» Detto questo, lo cacciò letteralmente fuori dalla tenda.

Non l’avrebbe mai ammesso davanti a nessuno, ma non ritrovava una scarpa. Si era dato dell’idiota da solo più volte, ma l’unica cosa che sapeva, dopo una buona mezz’ora di ricerche, era che una delle due era finita sotto la tenda, in un angolo, mezza dentro e mezza fuori. Riguardo a dove si trovasse l’altra, non ne aveva la minima idea.

Rivoltò la tenda da cima a fondo, ma della sua scarpa neppure l’ombra. Si sedette sul letto, con la testa tra le mani. Cosa poteva fare? Ormai  non aveva più tempo: era stato precettato dalle ragazze per aiutarle a preparare i contorni e la frutta per la cena, mentre Lance, Percy e Leon si sarebbero occupati dell’arrosto, e Gwaine e Arthur avrebbero preparato la tavola.

Ora non solo doveva maneggiare coltelli con una mano fuori uso, ma doveva anche andare in giro scalzo! Oh, perché capitavano tutte a lui?? Ok, pensò, qualcosa si sarebbe inventato. Con fatica indossò un paio di calzini neri ed uscì dalla tenda, facendo il disinvolto.

Aveva fatto appena due passi quando un tornado biondo si abbatté su di lui, costringendolo a rientrare. Non poté dire nulla, perché una mano si era stretta attorno al suo polso e lo stava usando per tirare indietro tutto il suo corpo e lui era troppo impegnato a mordersi le labbra per non gridare dal dolore. Arthur, nel frattempo, del tutto ignaro delle pene dell’amico, lo spinse a sedere sulla sedia pieghevole e gli si piazzò davanti, con un’espressione tronfia sul viso.

A Merlin occorse qualche secondo per riprendere il controllo di sé e, massaggiandosi la parte lesa che pulsava da morire, guardò interrogativo il suo amico, che non accennava a spiegare il motivo di tutta quella furia. Ci pensò Arthur a spezzare il silenzio.

«Ah, dopo oggi, non potrai assolutamente dire di non essere una principessa: guarda un po’ qui cosa ho trovato!» disse, ghignando, sventolandogli una scarpa sotto il naso.

«Ehi, ma quella è mia! Si può sapere dove l’hai trovata? Io la stavo cercando!»

«Stavo per inciamparci. Così l’ho presa e ho subito pensato che dovesse essere tua: hai un piedino così piccolo!» Arthur ormai sghignazzava apertamente: adorava prenderlo in giro.

«Ma se porto un 40!» si difese Merlin, arrossendo per la battuta.

«Guarda che tra noi uomini tu hai il piede più piccolo, Merlin! Io porto un 44, e Percy un 50!»

«Sì, ma non puoi paragonarmi a Percy, lui è un gigante, mentre io sono magro di costituzione!» s’infervorò Merlin. «Non come un asino qui davanti a me…»

«Stai dicendo che sono grasso?»

«Non mi permetterei mai!»

«Mpf. Sarà meglio per te. Dai, allacciati le scarpe, e muoviti, che ci stanno aspettando.»

Merlin rimase spiazzato. Non avrebbe potuto allacciarsi le scarpe con il polso in quelle condizioni. Però non voleva neppure mostrarsi debole… Decise di provarci comunque. Stando attento a non sforzare il polso malandato, usò l’altro per reggere la scarpa mentre vi infilava il piede, ma non riuscì nell’impresa, non sapendo come fare per tenerla ferma con una mano sola. Continuò a provare per un po’, quando Arthur lo fece fermare, prendendogli il braccio e alzando la manica della maglia, per vedere la fasciatura, resa inutile dall’ormai evidente gonfiore del polso.

Merlin abbassò il capo, mortificato, già immaginandosi una sfuriata. Invece Arthur si inginocchiò davanti a lui, cercando il suo sguardo. «Te lo sei slogato quando siamo caduti, vero?»

«Io… Non volevo pesarti addosso, potevi farti male, già sei caduto di schiena…»

«Merlin, la devi smettere di preoccuparti per m- per gli altri, non pensando mai alle conseguenze per te stesso.» Con le sue conoscenze base di primo soccorso, sapeva che il polso dell’amico necessitava di impacchi freddi, quindi gli intimò di non muoversi, mentre lui si recava nella sua tenda a prendere il necessario. Corse come un matto e ci impiegò meno di un minuto per fare il tutto, tempo che Merlin impegnò nello stare immobile dove l’aveva lasciato l’amico, ricordandosi giusto ogni tanto di respirare. Arthur ritornò col fiatone e due buste di ghiaccio secco che posizionò immediatamente sul polso dell’amico, ordinandogli di reggerle con l’altra mano.

Poi, per stemperare la tensione, si inginocchiò di nuovo davanti a lui e gli infilò entrambe le scarpe, legandogli i lacci e non potendo trattenersi dal commentare: «Toh, calzano a pennello!».

«Sei veramente un asino» borbottò Merlin, dandogli uno scappellotto sulla testa. Poi, accorgendosi di avergli scompigliato i capelli, sorrise e allungò una mano per riordinarli.

A quel tocco gentile Arthur alzò la testa, sorridendogli, e di nuovo si perse a guardarlo negli occhi. Dio, la voglia che aveva di baciarlo… E lui non doveva avere certi pensieri proprio di fronte a Merlin. Abbassò lo sguardo, arrossendo, per non rimanere incantato dalle iridi dell’amico, e puntò lo sguardo dritto davanti a sé. Si rese subito conto di aver commesso un grave errore. Proprio all’altezza del suo viso vi era il cavallo dei pantaloni di Merlin, e solo allora lo colse la sconvenienza della situazione: inginocchiato davanti a lui, tra le gambe aperte di Merlin, con una sua mano fra i capelli.

Sentì i pantaloni farsi sempre più stretti. La parte razionale del suo cervello gli stava urlando di spostarsi, lo sapeva, ma tutto il resto del suo corpo aveva deciso di stare troppo bene in quella posizione per muoversi. In effetti, assomigliava ad alcuni suoi sogni, sebbene ci fossero troppi vestiti in mezzo a separarli… Un brivido gli scese lungo la schiena per terminare all’inguine.

All’improvviso, non percepì più la mano di Merlin fra i capelli e, quando alzò lo sguardo, vide che l’altro si era irrigidito, e fissava il soffitto.

Con una voce innaturalmente calma Merlin gli chiese: «Ti faccio davvero così schifo, Arthur?»

«Che dici Merlin? Sei il mio migliore amico, ci conosciamo da anni!»

«E allora perché mi stai sempre lontano? Perché prima sembra che vada tutto alla normalità poi prendi e scappi? Perché non mi guardi più negli occhi, da quando ti ho detto di essere gay? Non è una malattia, non sono contagioso, Arthur!» Adesso il tono era diventato quasi disperato, sebbene il viso fosse rimasto immobile, gelido.

Arthur era rimasto spiazzato. Certo, Gwaine gliel’aveva detto, ma non pensava che Merlin pensasse sul serio che lui pensasse quelle cose dell’amico.
Immediatamente si trovò davanti ad un bivio: rivelargli quello che provava, e spiegargli le sue motivazioni, o confermare le paure di Merlin proteggendo il suo segreto. Se la prima soluzione era rischiosa, perché avrebbe rischiato di perdere Merlin, se lo avesse rifiutato, la seconda era distruttiva, perché lo avrebbe perso definitivamente.

Non poteva perderlo. Non riusciva ad immaginarsi senza Merlin.

Poi si ricordò di una cosa che gli aveva detto Gwaine qualche ora prima (oddio, sembravano secoli!), cioè che Merlin era troppo buono per prenderlo in giro o lasciarlo da solo comunque e, perciò, decise di buttarsi.

«Hai ragione. - disse con un sospiro – ho cercato di evitarti per tutto questo tempo. È vero. Ma non è affatto per i motivi che pensi tu. Non mi fai schifo,
Merlin. Non potresti mai farmi schifo. È proprio questo il problema. I-io mi sono accorto che… Sì, insomma… che non posso fare a meno di te. Che… Io… Io… Potrei, ehm, ecco… Io…»

Merlin era in stato di shock. Arthur stava davvero cercando di dirgli quello che lui pensava stesse cercando di dirgli? Doveva star sognando. Strinse forte il polso, ricevendo in cambio una scarica di dolore che gli fece capire che sì, dannazione, era sveglio.

«Ecco, io…- ciarlava intanto Arthur, trovandosi nella più assoluta capacità di terminare la frase, nonostante constasse di esattamente cinque lettere. Merlin, intenerito e trepidante al tempo stesso, non gli lasciò finire la frase. Gli prese il mento costringendolo a voltare il capo verso di lui. Di nuovo si capirono senza parlare. Il “ti amo” e l’ “anche io” risuonarono forte nelle loro teste, mentre le bocche si trovavano e i fiati si univano.

Non fu come il loro primo bacio, naturalmente. Non poteva esserlo. Ma fu dolce, passionale, intimo. Rimasero a guardarsi negli occhi tutto il tempo, quasi temendo che, se li avessero chiusi, si sarebbero accorti di star sognando.

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Capitolo 5
*** Sera: Biancaneve ***


Et voilà!

Il quinto capitolo! Mi viene da ridere se penso che l’dea iniziale vedeva solo la scena di dieci anni prima e questa, e basta! Ma sono sempre stata prolissa, è una cosa ereditaria (mio padre se inizia è capace di andare avanti per ore), quindi mi spiace ma la scena “hot” è stata rimandata… Vi giuro che ci sarà!

Come sempre, dedico il capitolo a lucylu, Rosso_Pendragon e Aithusa_Emrys che hanno recensito e ai 6 che la preferiscono, i 17 che la seguono e 1 che la ricorda! *distribuisce pace e amore al mondo intero*

DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.

 
Di campeggio, stelle e primi baci
 
Capitolo 5

Il bacio, per bello che fosse, non durò a lungo. Furono costretti a staccarsi, ansimanti e incredibilmente eccitati, quando sentirono degli strilli provenienti da fuori la tenda, accompagnati da diversi “Non ci posso credere”.

La scena che si presentò davanti ai loro occhi quando uscirono li fece ridere: Gwaine e Percy erano molto coinvolti in un corpo a corpo, circondati dai fischi degli amici e dagli squittii delle amiche. Furono immediatamente resi partecipi della situazione e, per non offendere nessuno (Morgana, particolarmente, odiava non essere la prima a sapere le cose), si mostrarono entusiasti della scoperta e genuinamente felici per gli amici. Per toglierli dall’imbarazzo, o meglio per togliere Percy dall’imbarazzo, perché Gwaine era più che felice di essere al centro dell’attenzione, Merlin propose a tutti di tornare alle proprie precedenti attività, ché lo spettacolo era finito. Tutti seguirono il suo ordine consiglio, ricominciando a darsi da fare per la preparazione della cena, senza risparmiare complimenti, pacche sulle spalle e battutine ironiche all’indirizzo dei due malcapitati.

Merlin e Arthur non riuscirono più a scambiarsi nemmeno mezza parola su ciò che era successo fra di loro poco prima, perché il moro era stato relegato al lavaggio della frutta (dopo che si seppe della sua slogatura, nessuno lo volle vicino a materiale tagliente o infiammabile) e il secondo si era occupato di trasportare nella propria tenda la roba dell’amico, dopo averla ritrovata e riordinata accuratamente, visto che era sparsa un po’ dappertutto. Non riusciva proprio a capacitarsi di quanto l’altro potesse essere disordinato: sembrava che nella sua valigia fosse esplosa una bomba che aveva diffuso tutti i vestiti all’interno della tenda.

Una volta terminato l’ingrato compito, gli altri si erano già accomodati attorno al falò. Con suo enorme disappunto, Merlin era circondato dalle due donne del gruppo, che si preoccupavano di farlo mangiare e di non sforzare il braccio ferito, sorde alle sue lamentele e ai suoi “non sono un bambino!”. Sentì lo sguardo di Merlin addosso mentre si sedeva tra Lance e Percy: negli occhi blu dell’amico vedeva riflessa la delusione della separazione e il desiderio,  rimasto irrealizzato dopo il bacio, di parlare, a lungo.

Risate e aneddoti vari costellarono tutta la cena, ma ben presto si tornò a quello che era diventato lo scopo principale della serata: sapere il più possibile del nuovo, gustoso gossip della comitiva. Le domande furono tra le più disparate: da quanto tempo stavano insieme, quando si erano innamorati, quando si erano dichiarati, come faceva l’uno (Percy) a sopportare l’altro (Gwaine), perché l’avessero tenuto nascosto… Infine Morgana, dopo averci girato attorno più e più volte, si fece esplicita, chiedendo, con voce melliflua: «E il sesso?»

Immediatamente Gwaine aprì la bocca e gonfiò il petto, di certo per vantarsi, ma Percy fu più rapido e gliela tappò con una mano, per poi ribattere che “erano cose personali, cavolo!”.

«Si, vabbè. Per te è la prima volta con un uomo, vero?» Morgana non demordeva.

«Oh, ehm, sì. Fino a qualche tempo fa non avevo mai nemmeno pensato alla cosa, adesso invece…» Percy guardò Gwaine con fare ammiccante. L’altro sorrise predatorio e lo baciò con tutta la forza di cui era capace. Sembrava una lotta per la supremazia.

«Chissà com’è… - blaterava intanto Morgana, meditabonda. – Baciare un uomo, intendo».

«Scusa? – si indignò Leon – e io che sarei, di grazia?»

«Ma che c’entra? Io intendevo tra due uomini… Non stavo certo parlando di me! E comunque, rilassati, non sei mica il primo uomo che io abbia mai baciato». Si girò verso Merlin, sorridendo sotto i baffi, «E Merlin lo sa bene, vero?» e gli ammiccò.

Ci fu un attimo di silenzio, di quelli irreali che sembra che sia tutto congelato, tanto che non si sentiva più il frusciare delle foglie degli alberi. Poi, d’un tratto, iniziarono a parlare tutti contemporaneamente, la maggior parte di loro rivolti a lodare o sgridare Merlin, mentre quest’ultimo inveiva contro Morgana. La ragazza stava sorridendo, soddisfatta come un gatto che ha appena catturato la sua preda, quando si sentì sollevare e stringere: si voltò a guardare Leon, con le braccia attorno alla sua vita, che a sua volta fissava in cagnesco Merlin, sibilando minaccioso «Morgana è mia, Merlin!»

Al che il moro, già rosso come un peperone, scoppiò a ridere: «Non preoccuparti, Leon, non te la rubo! Diciamo che non è proprio il mio tipo… E comunque, per la cronaca, non sono stato io a baciare lei, quanto piuttosto lei ad assalire me!»

Ora Leon guardava Morgana con fare inquisitorio. «Che c’è? – disse lei, sempre sorridendo – era il mio dodicesimo compleanno e non avevo mai baciato nessuno e lui era il migliore amico di mio fratello, ed era così carino!».

A quelle parole Merlin arrossì ancora di più, azzardandosi a lanciare un timido sguardo ad Arthur. Il biondo lo osservava con aria truce, lo sguardo che giurava vendetta. In realtà dentro di sé Arthur bolliva: ricordava a mala pena quel compleanno, ma sapeva con certezza che non aveva lasciato Merlin un secondo, perché stavano sempre insieme, tranne quando quello stupido di Mordred non lo aveva sfidato ad una partita uno contro uno a calcio… Ora che ci pensava, dopo la partita aveva cercato Merlin per un po’ e poi l’aveva trovato seduto da solo sul patio a fissare il vuoto… Col sole che gli illuminava la pelle chiara… E poi lui l’aveva visto e gli aveva rivolto quel sorriso che il moro riservava solo a lui, quello complice che gli aveva riservato la sera in cui… e Arthur non ci aveva capito più nulla… Invece quel bastardo aveva appena baciato sua sorella! Ah, ma gliel’avrebbe fatta pagare cara!

Doveva aver perso qualche passaggio, perché d’improvviso sentì Gwen dire, con la sua peggiore espressione morganiana: «Hai ragione, Morgana, Merlin ha proprio un talento naturale»

Fu solo quando vide Lance boccheggiare e sputare l’acqua che stava bevendo che si rese conto dell’esatto significato delle parole di Gwen. Ci volle tutta la sua forza di volontà per impedirsi di prendere Merlin per le spalle e baciarlo davanti a tutti, per rivendicare la sua proprietà.

Non è possibile, non è possibile, anche Gwen! si disse, digrignando i denti e stringendo i pugni. Per calmarsi, ascoltò le scuse di Merlin, che si lamentava di complotti alle sue spalle e casualità perché il bacio con Gwen era frutto di una partita al gioco della bottiglia. Ecco perché Merlin si rifiutava sempre di giocare, nonostante lui lo avesse sempre invitato, sperando inconsciamente che, per caso, uscissero proprio loro due…

«Sì, ma questo non nega che tu sia un ottimo baciatore Merlin!» la voce di Gwen lo raggiunse mentre era immerso nelle sue fantasticherie. Dio, se baciava bene Merlin… Era ancora eccitato se ripensava al bacio di appena due ore prima… Non voleva guardarlo, davvero, ma non riuscì a impedirsi di sbirciare il suo viso.

Merlin oramai era perennemente rosso. Era così bello quando arrossiva. Gli zigomi rossi come mele mature, i capelli d’ebano, la carnagione chiara come la neve… Quelle labbra vermiglie che sembravano urlare “baciami!”… Sembrava l’incarnazione al maschile di Biancaneve, altrettanto puro, altrettanto sensibile.

«No, ma che dici, non è vero, e comunque non è stato un bacio così stratosferico, Gwen!» stava dicendo la principessa, e Arthur avrebbe voluto mettersi a gridare per la frustrazione di non potergli dimostrare nel dettaglio quanto avesse torto.

«Merlin, era il mio primo bacio e tu l’hai reso perfetto!» Gwen non perdeva mai occasione di lodarlo, ben conoscendo i suoi problemi di autostima. «Dipende tutto da te, no? Hai gli standard troppo alti! C’è un bacio che ti sei davvero goduto fino in fondo?»

«Certo che c’è Gwen! – si intromise Morgana – Il suo primo bacio, ti ricordi che ce ne ha parlato? Quello tenero e dolce e taaanto taaanto – mimò le virgolette con le dita delle mani - “coinvolgente”, che solo a nominarlo gli brillano gli occhi! Come fai a non ricordarlo? Quello sotto le stelle!»

Merlin tentò disperatamente di farla smettere di parlare, premendole la mano sulla bocca – grazie a Dio il polso andava molto meglio -  ma ormai il danno era fatto.

Quando si girò verso Arthur, vide che il biondo aveva alzato le piume e stava facendo la ruota, raggiante. Entrambi trasalirono quando sentirono Gwen che diceva: «Ah, sì… Ora ricordo! E chi era lei…? Già quella ragazzina minuta, con i capelli scuri… Com’era il nome… Freya!», e Merlin alzò le spalle, come a dire dovevo pur inventare qualcosa, non potevo mica dire che eri tu!

Arthur non ebbe il tempo di muovere nemmeno un muscolo in risposta che l’attenzione di Merlin gli fu tolta. Gwaine, infatti, scelse proprio quel momento per attaccare Merlin di spalle e sfregargli le nocche sul cuoio capelluto, urlandogli nelle orecchie: «E bravo il nostro latin lover!»

Mentre tutti scoppiavano a ridere, Arthur mise significativamente una mano sulla spalla di Percy, come per confortarlo per le stranezze del suo compagno. Percy si girò verso di lui con un sorriso. «Sembra strano, lo so, ma io lo amo proprio per com’è, non lo vorrei diverso»

«Lo so, Percy, ti capisco. Non sai quanto ti capisco»

«Arthur io… Forse Gwaine non avrebbe dovuto, ma me l’ha detto. Del fatto che ami Merlin»

«Non fa nulla, Percy, davvero. Oddio, fino a due ore fa avrei ucciso entrambi per quella frase, ma adesso mi sembra la più bella del mondo». Non avrebbe dovuto esporsi così, lo sapeva, ma doveva dirlo a qualcuno, era troppo felice.

«Cosa intendi con… No, non ci credo! Quando?»

«Mentre voi facevate coming out con gli amici. Io stavo per dirgli che… E lui mi ha baciato».

Percy lo abbracciò forte. «Sono davvero contento per voi!» gli sussurrò all’orecchio.

Dall’altra parte del fuoco, Merlin e Gwaine guardavano i rispettivi compagni abbracciarsi. Quando Gwaine si girò verso di lui per chiedergli se avesse avuto idea del motivo per cui quei due, tipi normalmente se non freddi almeno controllati, si stessero abbracciando come ragazzine, Merlin gli rispose con un sorriso serafico: «Probabilmente Arthur gli ha detto che stiamo insieme». Gwaine all’inizio annuì, come convinto, e si voltò ad osservare il fuoco, ma poi ripensò per bene alle parole dell’amico e tornò a guardarlo in faccia, trovandolo con gli occhi che gli brillavano e  le labbra che tendevano all’insù nonostante facesse di tutto per restare serio.

Merlin gli fece cenno di non dire nulla, poi si alzò per distribuire i marshmallows. Gwaine mantenne il suo proverbiale autocontrollo. Iniziò ad ululare. Non a gridare, strillare, esultare, proprio ad ululare. Quando gli chiesero il motivo per cui si stesse comportando da lupo, rispose solo che era un ringraziamento alla Dea Natura e alla Luna, semplicemente espresso in un’altra lingua. Merlin emise un gemito esasperato.

Rimasero tutti insieme ancora un altro paio d’ore, a mangiare, ascoltare le storie horror di Merlin e poi a cantare accompagnati dalla chitarra di Lance. Gwaine trovò il modo di farsi raccontare da Merlin ogni più piccolo dettaglio e l’amico fu più che felice di accontentarlo.

Quando iniziarono i primi sbadigli, si risolsero ad andare a dormire. Merlin voleva rimanere ad aiutare le ragazze a mettere un po’ in ordine, ma Arthur fu irremovibile: «Hai un braccio fuori uso, Biancaneve, saresti d’intralcio più del solito. Buonanotte, ragazze!»

«Vai, Merlin, non ti preoccupare, ci pensiamo noi qui. Buonanotte!» rispose Gwen.

Arthur gli avvolse un braccio intorno alle spalle, gioendo del ritrovato contatto con la pelle calda di Merlin, mentre il moro gli mise una mano nella tasca posteriore dei jeans. D’un tratto, Merlin si girò verso di lui e gli chiese: «Perché Biancaneve, ora?»

«Perché sei il più bello del reame. Mi pare ovvio, no?»

Merlin sorrise, avvicinò la bocca al suo orecchio e gli sussurrò «Asino» con tutta la lussuria di cui fu capace, per poi divincolarsi con un sorriso provocatore e precederlo nella tenda.
 

 

Crazy’s corner

Non credo ci sia bisogno di spiegare l’animale che si sottintende quando si parla di “alzare le piume” e “fare la ruota”. Arthur in modalità pavone è una cosa che ho sempre immaginato.

Nella fic Morgana ha un paio d’anni in meno di Arthur e Merlin, quindi Merlin ne aveva quattordici quando si sono baciati… Dovete capirlo, poverino, a quell’età gli ormoni fanno fare cose strane!

Credo sia tutto, per eventuali altri chiarimenti e critiche potete contattarmi!

Un bacione (in questo periodo sono molto coccolona) :* <3

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Capitolo 6
*** Notte: principessa sul pisello ***


Ehilà! *fa capolino da dietro uno scudo perché sa di essere in ritardo*

Sono bloccata a letto con una caviglia slogata a “studiare” fisica e mi sono detta: perché non aggiornare, visto che dovevi farlo ieri ma non hai proprio potuto, causa impegni presi e padri tiranni (io ho la caviglia così e lui vuole la pasta all’uovo…)

E siamo arrivati alla notte! La tenda finalmente verrà usata per bene, e i nostri protagonisti si daranno ad occupazioni ben più interessanti che scalare gli alberi! Il titolo è chiaramente allusivo (la mia BFF –oddio, sembro Paris Hilton, sparatemi!- l’ha caldamente proposto), ma il mio Arthur non avrebbe mai potuto dirlo, perché sembrerebbe un insulto, così è sottinteso… Ma si capisce… spero!

Dedico il capitolo a Rosso_Pendragon, lululove2, black _sofiacolandrea_, grinpow e misfatto che anno recensito, i 7 che preferiscono, i 19 che seguono e l’1 che ricorda questa storia! E soprattutto al Vagabondo, che ha fatto le ore piccole per leggerla tutta!

DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.
 

Di campeggio, stelle e primi baci
 
Capitolo 6

Merlin ebbe a mala pena il tempo di girarsi verso  l’entrata della tenda che Arthur fu su di lui con una specie di ruggito animalesco, agognando la sua bocca come un  assetato nel deserto, e unendo le mani dietro la sua schiena per schiacciarselo meglio addosso. Il moro non si tirò indietro: stringendogli i capelli nelle mani per cambiare l’angolatura della testa, iniziò a mordere e succhiare sistematicamente il suo labbro inferiore, per convincerlo ad aprire le labbra; cosa che Arthur fece con grandissimo piacere, ricambiando il favore e facendo danzare la propria lingua con la sua, sempre più vorticosamente e voracemente.

La disperazione, la furia, il desiderio sempre più forte di sentirsi scemarono piano piano, ma i due rimasero stretti, baciandosi castamente e specchiandosi l’uno negli occhi dell’altro, finché Merlin non poggiò la testa sulla spalla di Arthur, chiudendo gli occhi e permettendogli  di abbracciarlo stretto e passare ad accarezzargli la schiena. Non dissero nemmeno una parola: non ne avevano bisogno, e comunque in quel silenzio così intimo erano entrambi perfettamente a loro agio.

Dopo aver sfregato un paio di volte il suo naso sull’incavo del collo di Arthur, Merlin, con un sospiro profondo e chiaramente sofferto, si slacciò dall’abbraccio comodo e confortevole dell’altro, ricordando ad Arthur che dovevano ancora gonfiare i materassini* ed era meglio iniziare da subito.
Arthur non si rassegnò a lasciarlo andare, facendo scorrere un dito lungo la spina dorsale di Merlin, chino davanti la sua valigia, ben conscio di pervaderlo di brividi.

«Sai, stavo pensando… Potremmo gonfiare solo il mio, dato che ho portato  quello grande, perché pensavo servisse a Percy… E poi, in caso, ci possiamo stringere un po’» Quando Merlin si girò a guardarlo, colmo di stupore, Arthur gli fece un occhiolino malizioso. Il brivido di aspettativa e piacere che corse lungo la spina dorsale di Merlin fu talmente intenso e potente che avrebbero potuto sentirlo con chiarezza anche a Timbuctu.

Il moro sorrise, sornione, si alzò e si avvicinò all’amico, pronto per una nuova sessione di baci – ora che ne aveva l’opportunità e poteva farlo quando voleva, ne avrebbe certamente approfittato il più possibile – ma proprio in quel momento sentì una voce che diceva “toc toc” giusto in corrispondenza dell’entrata della tenda. Con un sospiro teatrale, seguito da un’occhiata esasperata di Arthur, che gli fece un gesto con la mano che in asinese stava a significare più o meno un occupatene tu, io non ne ho le forze a quest’ora, uscì. Entrambi avevano infatti riconosciuto la voce di Gwaine, fin troppo maliziosa e allusiva.

«Non vi ho disturbato, vero? Cioè, non ho interrotto niente! Insomma, siete rientrati in tenda da non più di un quarto d’ora e non abbiamo sentito rumori ambigui, perciò non potete essere arrivati già lontano!» Esordì il terremoto, alla vista dell’amico.

«Ma di che parli? Dove dovremmo arrivare?» Merlin era ingenuamente curioso di sapere cosa stesse girando nella strana e pericolosa mente di Gwaine.

«Oh, andiamo, Merlin! Sto parlando di un’attività molto piacevole svolta da almeno due persone che tendenzialmente prevede una superficie di appoggio, preferibilmente orizzontale, e prevede una notevole perdita di calorie e fluidi corporei vari… Ti basta come spiegazione, o vuoi che ti faccia un disegnino esplicativo?»

Merlin non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Stai parlando del sesso? Oddio, Gwaine, perché mi parli di sesso alle - guardò il suo orologio da polso – due e quarantatré del mattino?»

«Ma come, “perché”? Cosa avete intenzione di fare tu e Arthur tutta la notte, giocare a tris?»

«Parla piano! C’è altra gente qui, ti possono sentire! E comunque… Io… Io, ecco, Gwaine… Io non lo so se… Se Arthur vuole… Insomma, lui non lo ha mai fatto con un uomo, ecco. Magari non è pronto o non vuole, io non voglio forzarlo a fare nulla».

«Da come ti guardava oggi non credo proprio che non voglia…»

«O- oggi? Perché, come, cosa, quando? E soprattutto, perché non mi sono accorto di nulla?»

«Perché hai i prosciutti sugli occhi! Comunque non è importante il contesto, è importante il fatto che Arthur ti vuole anche (diciamo soprattutto)  in quel senso e tu dovresti smetterla di pensare cosa gli altri vogliono o no e iniziare a parlare, chiedere, vivere! Ma tu vuoi?»

«Certo che voglio! Sono anni che…»

«Si, si, risparmiami i dettagli sulla tua adolescenza frustrata. Sono qui apposta per aiutarvi. Taa daan! Questo è per voi.» concluse, consegnando a Merlin un tubetto, prima di sparire con un «Percy mi aspetta… Divertitevi, ragazzi!»

Merlin, ancora frastornato, osservò il tubetto nella sua mano. Lubrificante. Non poté impedirsi di arrossire fino alla punta delle orecchie. Decidendo che forse era meglio non farlo vedere ad Arthur, per evitare di palesare le sue intenzioni, lo infilò nella tasca della tuta, e rientrò in tenda.

Arthur, che aveva appena finito di gonfiare il materassino, lo accolse tra le sue braccia calde, con un «Che voleva?», a cui Merlin rispose semplicemente con un  mugugno, il viso affondato nel suo petto, incapace di riportare la conversazione avuta con Gwaine. In risposta, Arthur lo strinse più forte, per confortarlo e coccolarlo contemporaneamente.

«Ci stendiamo?» chiese il biondo, prendendolo per mano e facendolo cadere sul letto, con una risata. Merlin lo guardò, un po’ scioccato, poi imitò l’amico, cominciando a ridere di gusto pure lui, senza alcun motivo. Continuarono per un po’, stesi l’uno affianco all’altro, finché Merlin non disse, ancora un po’ affannato: «E questo cos’è?»

«Merlin, dai, si chiama cielo, si trova perennemente sopra le nostre teste ed ora è nero perché il sole è da tutt’altra parte… E quei puntini gialli che vedi si chiamano stelle… Dai, ripeti con me: S-T-E-L-L-E»

«Asino, so cosa sono il cielo e le stelle, non prendermi in giro! Solo volevo sapere perché c’è questa specie di finestra nella tua tenda… non è un po’ fastidioso la mattina?»

«A parte che si può tranquillamente coprire, comunque voleva essere un gesto carino!» Arthur si mise su un fianco con la testa appoggiata alla mano, guardandolo in modo allusivo.

Merlin, tuttavia, non lo vide. «Scusa, come “carino”? Vedo la copertura da qui, quell’apertura c’è da quando hai comprato la tenda, saranno almeno sei anni!»

«Carino, testa di fagiolo, perché l'ho aperto! E l'ho aperto perché magari quello scorcio per me ha un significato, non credi?»

«Significato? Che intendi?» Merlin, quando ci si metteva, sapeva essere proprio ottuso.

«Quand’è stata l’ultima volta che abbiamo guardato le stelle insieme?»

Merlin strabuzzò gli occhi. Lo guardò con la coda dell’occhio e sorrise dicendo: «Dieci anni fa». E lì Arthur si sentì come svuotato, pronto per rivelare il suo segreto.

«Dopo quella notte le stelle non mi sono più sembrate la tessa cosa. Le guardavo e vedevo il tuo viso e al campeggio ogni notte mi svegliavo e uscivo per guardarle … Quando, al negozio, ho notato questa tenda con la finestra, ho dovuto comprarmela. L’anno prima mi ero preso un bel raffreddore!»

«Sì, me lo ricordo, Asino! – lo prese in giro Merlin. Poi, tornando serio, gli chiese: «Arthur, ma perché non mi hai detto nulla? Tutti questi anni… tutte quelle ragazze…»

«Mi vergognavo, ecco. E le ragazze servivano per dimenticare quel bacio, dimenticare te… Ma più continuavo più mi accorgevo che era tutto inutile, quel bacio rimaneva il più bello che avessi mai dato… Beh, fino ad oggi!»

Merlin era completamente senza parole. Una parte non indifferente del suo cervello stava realizzando quanto Arthur si fosse lasciato andare con quella confessione, dato che il biondo non amava molto esternare i propri sentimenti; ma un’altra parte, ben più grande, stava stappando lo champagne e lanciando coriandoli per la gioia di sentirlo parlare in questo modo, dopo averlo sperato per tanto tempo.

Sorridendo come un ebete gli si avvicinò e catturò le sue labbra in un bacio carico di passione. La furia, prima assopita, tornò a farsi sentire più forte, costringendolo a stringere le spalle dell’altro e a tirarlo sopra di sé, in modo da sentirlo, fremente e vero, con tutto il corpo. Sentì l’altro mugolare e ricambiare la stretta, perciò si azzardò a infilare le mani sotto la sua maglietta, ad accarezzare la schiena possente e sudata di Arthur, quando quello interruppe il bacio, allontanandosi da lui di qualche centimetro. Merlin gli lanciò uno sguardo confuso, sentendo le mani bruciare a contatto con la pelle del biondo, ma non avendo il coraggio di toglierle.

«Merlin aspetta» riuscì ad articolare Arthur, con il fiatone.

E Merlin si sentì un verme, ad aver voluto spingere così in là, senza contare i bisogni dell’altro, che chiaramente non era pronto. «Oddio, Arthur, scusami! Ti prego, scusami, non avrei dovuto… Mi sono lasciato andare troppo, ma ti giuro, non volevo affrettare le cose… Tu vuoi aspettare, vuoi sentirti pronto, lo capisco…»

«E invece non capisci proprio nulla! Io… Io ti amo, idiota! Ti amo con tutto me stesso, ti amo da quando eravamo ragazzini, da quel bacio dato per prova e forse anche da prima. E ti voglio, ti voglio dannatamente tanto ma… Ma io non ho mai, con un uomo… E se ti facessi del male? Cosa succederebbe se-» ma il suo sproloquio terminò nelle labbra di Merlin, che gli si era stretto contro, che lo aveva preso e baciato tutto il viso, labbra, occhi, naso, fronte, sussurrandogli che lo amava anche lui, e che non ci sarebbe stato nulla di cui preoccuparsi, perché erano loro e già solo questo bastava per far sì che tutto fosse perfetto.

Si spogliarono con calma, lentamente, guardandosi negli occhi. Risero, quando Merlin si ricordò del “regalo” di Gwaine e chiese ad Arthur di prepararlo. Poi, Merlin decise di far distendere Arthur e posizionarglisi a cavalcioni sui fianchi, per fargli vedere che non vi era alcun tipo di problema. In realtà, fece male. Non tantissimo, e non per molto, ma fu doloroso. Tuttavia, non una smorfia apparve sul suo viso, anzi Merlin si trovò a sorridere, finalmente completo, finalmente unito ad Arthur.

Per il biondo fu come un sogno. Merlin, il corpo chiaro illuminato dalle stelle, era suo, suo, e sorrideva. Si alzò a sedere, per abbracciarlo, e si fecero cullare dal piacere che saliva. E quando vennero, insieme, baciandosi per soffocare le urla, le stelle brillarono più luminose, ancora una volta testimoni di quell’amore per troppo tempo nascosto ed ora finalmente realizzato.
 
 
 
 
 
 
 

Crazy’s corner

*Ho cercato su Internet, il sacco a pelo d’estate è scomodo, e poi non ci si può proprio stare in due;)

La storia è praticamente finita, però ho pensato ad un “the morning after” che mi ispira molto, quindi metterò anche un epilogo;)

Non sapendo bene cosa potessi permettermi con l’arancione e cosa no, ho scelto di rimanere sul vago e non descrivere tutti i particolari, spero di non aver deluso nessuno…

Quindi… Che dire… Alla prossima settimana!

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Capitolo 7
*** Epilogo. La Bella Addormentata ***


Saaalve! *Fa la disinvolta fingendo che non siano passati mesi dal suo ultimo aggiornamento*

La storia era praticamente finita, ma avevo promesso un epilogo che non aveva per niente voglia di farsi scrivere, perciò ci ho messo un po' a convincerlo ;) ma, come si suol dire.... meglio tardi che mai, no?

Sono contentissima che la mia storia sia piaciuta e non vedo l'ora di scrivere ancora (con i miei tempi, però, temo se ne riparli nel 2190!!) perché Merlin e Arthur mi ispirano troppo ;))

Grazie di cuore alle persone che hanno sempre seguito questa storia, a black_sofiacolandrea_, Lucylu e Rosso_Pendragon, a Inessa per i suoi preziosi consigli, ai 10 che la preferiscono, i 20 che la seguono e i 3 che la ricordano. Grazie, grazie, grazie!

Questa volta il capitolo è tutto dedicato al Vagabondo, perché è lui che mi ha costret-spinto a completare questa storia nonostante le mie lamentele e le mie paranoie!! E alla mia beta Vale (prezzemolina) perché lei è lei, e perché sì (che non è una risposta ma vabbè)!

DISCLAIMER: L’Asino Reale, l’Idiota e tutta la combriccola non sono miei; non scrivo a scopo di lucro ma solo per puro piacere personale.
 

Di campeggio, stelle e primi baci


Epilogo
Un raggio di sole entrava attraverso l’apertura della tenda, definendo l’immagine di due ragazzi profondamente addormentati, puntando proprio all’altezza del volto del giovane ragazzo biondo che, dopo aver inutilmente tentato di spostarsi da quell’improvvisa aggressione ai propri occhi, si rassegnò ad aprirli. L’orologio che indossava gli comunicava che erano appena le sette e mezzo di mattina, ma l’orario impossibile non era indicativo perché quella luce lo aveva privato di qualunque desiderio di dormire. Tentò di stiracchiarsi, ma si accorse di essere bloccato dalla morsa in cui l’altro l’aveva avvolto: le gambe intrecciate, il braccio attorno a lui, il busto sul suo petto e il volto nascosto nell’incavo del suo collo, con i capelli corvini che gli sfioravano la mascella e l’orecchio.

In risposta ai suoi movimenti, Merlin lo strinse più forte, mugugnando. Arthur si ritrovò a sorridere come un idiota al pensiero della notte precedente, di Merlin e della sua dichiarazione. E il sesso… Ah, il sesso… Era stato fantastico!

Massaggiando delicatamente la schiena dell’amante con la mano sinistra, iniziò ad accarezzargli il viso con la destra, per svegliarlo, ottenendo solo di spostarlo dal proprio petto, facendolo appoggiare al cuscino. Merlin, però, non voleva lasciarlo nemmeno nel sonno: se lo tirò addosso, continuando a dormire.

Arthur soffocò uno sbuffo tra il divertito e il frustrato, decidendo di fare sul serio. Dopotutto, era mattina presto, lui non aveva più sonno e in compenso aveva un’idea grandiosa su come iniziare al meglio quella mattina… Ma gli mancava la materia prima, ovvero il suo Merlin. Quando nemmeno sussurrargli all’orecchio funzionò, Arthur si risolse ad adottare maniere drastiche, attaccando le sue labbra come un tossico in crisi di astinenza, iniziando a morderle e succhiarle, prima avidamente poi dolcemente, finché non sentì quelle stesse labbra schiudersi e la lingua dell’altro fare capolino; e allora non smise, ma anzi continuarono a lungo a darsi battaglia, a baciarsi sempre più a fondo.

«Buongiorno» riuscì ad articolare con voce roca Merlin, non appena si staccarono per impellente necessità di ossigeno.

«Buongiorno, mio Bel Addormentato» rispose Arthur, con un sorriso sornione, riprendendo ad accarezzarlo e coccolarlo dolcemente.

«Credo di essermelo meritato, stavolta… Scommetto che ti sei svegliato prima apposta! Non che io mi sia lamentato, vorrei che tu mi svegliassi così tutte le mattine… Comunque, ti faccio notare che non sono più “addormentato”, e di certo non sono tutta questa bellezza!»

«E invece io dico che sei bellissimo, punto e basta! E, soprattutto, sei MIO!»

«Oh, abbiamo un asino geloso, qui!»

«Tu non hai idea di cosa sia stato… Sentire mia sorella – mia sorella! – dire che lei ha potuto baciarti quando io ho passato anni dopo quel bacio a sognare le tue labbra tutte le sante notti e tutti i dannati sonnellini a scuola, per poi svegliarmi di scatto intontito e incredibilmente frustrato… Mi hai fatto passare anni di inferno, Merlin!»

«Io? Guarda che io ero nella tua stessa situazione! Anzi, se vogliamo anche un po’ peggio, visto che per molto tempo ho rimandato il mio “coming out” per paura che capissi che ero innamorato di te!»

«Non l’avrei capito nemmeno se me l’avessi detto dieci anni fa, lo sai!»

«L’importante è che tu lo sappia adesso» sussurrò Merlin direttamente sulle sue labbra, chiudendo il discorso. Erano ancora nudi, e lo sfregamento con il corpo dell’altro li stava eccitando pian piano e, in fondo, avevano ancora molta voglia di scoprirsi l’un l’altro.

Poi, d’un tratto, Merlin fece scostare Arthur, chiedendogli: «A proposito di Morgana, non è che tra un po’ entrerà, come tutte le mattine da dieci anni a questa parte, per farti uno scherzo di cui poi ti vendicherai e lei si vendicherà della tua vendetta eccetera eccetera?»

«Merlin, perché mi parli di Morgana mentre stiamo facendo sesso? È prestissimo, Morgana a quest’ora starà ancora dormendo della grossa e io voglio solo farmi il mio meraviglioso ed eccitante ragazzo, se magari la smettesse di ciarlare a vanvera!» Detto questo, Arthur si spalmò bellamente su Merlin, mordendogli le labbra finché l’altro non acconsentì con un mugolio a lasciar perdere il discorso Morgana. Solo allora si decise a liberargli le labbra e passò a succhiargli il collo, mentre il moro gli gemeva nell’orecchio, spingendoselo contro, sempre più vicino.

Fu solo quando Merlin gli si inarcò contro sussurrando un “Arthur sto per-” spezzato, che Arthur alzò il viso per guardarlo negli occhi mentre veniva, mordendosi le labbra per non urlare a pieni polmoni il suo piacere, e la vista di Merlin sconvolto, con gli occhi luminosi leggermente appannati per l’orgasmo e gli zigomi pronunciati colorati da un profondo rossore, fu sufficiente a far venire anche lui, copiosamente.

In quel momento, mentre i due ragazzi erano troppo presi da loro stessi e dall’altro per accorgersi di tutto il mondo circostante, accadde che Morgana, nonostante l’orario impossibile e il fatto che la sera prima avesse fatto le ore piccole, si era organizzata per riservare al fratellino il risveglio più traumatico della sua esistenza, completamente ignara che il suddetto fratellino era tutt’altro che addormentato. La poverina si era anche dovuta “sporcare le mani”: aveva riempito due grandi secchi di acqua del lago ed era tutta intenta ad evitare che l’acqua si rovesciasse per far caso ai fruscii e agli strani rumori provenienti dalla tenda verso cui si stava dirigendo.

Probabilmente fu per questo che non si accorse di nulla finché non si ritrovò davanti l’intera scena del corpo di suo fratello nudo sopra quello di qualcun altro, che aveva arruffati capelli corvini e due orecchie inconfondibili. Il “Che cosa sta succedendo?” le morì in gola quando udì il gemito di puro piacere che Merlin, nonostante gli sforzi, non era riuscito a bloccare del tutto, seguito subito da un “Merlin” ringhiato dal biondo in piena estasi.

I secchi le caddero dalle mani, spandendo il loro contenuto su tutta la tenda.

Forse fu il tonfo, forse l’acqua che aveva inzuppato il materasso, o forse fu un caso, ma improvvisamente i due ragazzi, reduci da un’enorme scarica di piacere, alzarono contemporaneamente la testa, ritrovandosi di fronte ad uno spettacolo stranissimo: Morgana era completamente immobile, con la bocca spalancata e con il bel viso pallido, quasi avesse visto un fantasma. Merlin, che guardava la ragazza al contrario, assunse in un lasso di tempo decisamente allarmante svariate tonalità di rosso, iniziando a boccheggiare; ma la cosa più sconcertante fu che Morgana a quella visione ai limiti del surreale non mosse un muscolo, come se fosse paralizzata, e in effetti lo era, paralizzata dallo shock.
Arthur, dopo un attimo di disorientamento, si decise ad alzarsi da Merlin, per lo meno quel tanto che bastava per non gravargli addosso e avere la possibilità di allungarsi per prendere il primo paio di boxer che gli capitavano sottomano. Una volta afferratili, se li infilò, di fretta, alzandosi per permettere all’amante di fare lo stesso. Non ebbero il tempo di finire di rivestirsi che la loro tenda divenne piazza pubblica: uno alla volta, chi attirato dal fracasso (Gwen e Leon), chi per controllare l’accaduto (Gwaine), chi per semplice curiosità (Percy e Lance), si riunirono tutti attorno alla statua che una volta era stata Morgana.

Sarebbe stato divertente, pensò Merlin, registrare la reazione di ognuno non appena entrava e realizzava la situazione: l’immobilità innaturale di Morgana, che, assicurava Leon, non riusciva a rimanere ferma neppure nel sonno, avrebbe battuto sicuramente tutti nella scala di stranezze, ma altri non furono da meno in quanto ad incredulità e manifestazioni di affetto. Gwen saltò al collo ad entrambi, balbettando felice; Lance sgranò gli occhi, e poi accennò ad un applauso, tentando invano di spingere tutti gli altri ad una standing ovation; Leon fu l’unico a seguire per poco l’esempio di Lance, con un “lo sapevo!” esultante che stonava non poco con la sua aria da uomo inflessibile tutto d’un pezzo, cercando al tempo stesso di controllare le funzioni corporee della propria ragazza; Percy, sempre composto, si limitò ad un cenno compiaciuto del capo; mentre Gwaine tutto sommato fece il bravo, limitandosi a battutine per essere stati beccati in flagrante o per il modo in cui erano, o meglio, non erano abbigliati. Toccò il non plus ultra quando, al contrario degli altri che avevano preferito tacere per pudore (e per non metterli ancora di più in imbarazzo), chiese, praticamente urlando per sovrastare il chiacchiericcio: «E come mai ora indossate anche i vestiti l’uno dell’altro? Capisco l’intimità ma a volte quando è troppo è troppo!». Tutti gli amici risero nel guardare la sfortunata coppia osservarsi le mutande e subito dopo puntare gli occhi al soffitto per nascondere l’imbarazzo.

Morgana si riprese subito dopo. Col senno di poi, si stupì lei stessa per non aver mai unito i puntini ed essersi accorta della tensione sessuale repressa da suo fratello e dal suo migliore amico per tutti quegli anni. A sua discolpa, tuttavia, portò sempre la questione dell’orgoglio, che si era stoicamente rifiutato di vedere la cotta di Merlin per il suo fratellino dopo che il moro aveva rifiutato, seppur gentilmente, le sue avances quando avevano tredici anni, non potendo sopportare che il ragazzo preferisse Arthur a lei. Quando, dopo che ebbe ricominciato a muoversi e aver balbettato frasi incoerenti, aveva preso
per la collottola i due, finalmente con i vestiti addosso, intimando loro di dover fare un “bel discorsetto” e aveva saputo che la cotta durava da ben prima di quel bacio, e si era accorta che quello che provavano non aveva niente a che vedere con una cotta e tutto con “le due facce della medaglia”, “anime gemelle” e così via, si rassegnò a dare loro la sua benedizione, iniziando a ciarlare di slash, rating rosso e PWP e dicendo di dover correre a scrivere prima di perdere l’ispirazione.

Merlin e Arthur la lasciarono andare, bellamente ignari di cosa passasse nella mente della ragazza, e approfittarono del momento di libertà concessa loro dagli amici per sparire nel bosco e farsi una passeggiata indisturbati dall’altra parte del lago.

Parlarono a lungo, si baciarono, fecero un bagno e si baciarono di nuovo. Erano seduti abbracciati a fissare il lago e immersi in profondi pensieri filosofici quando l’attenzione di Merlin fu calamitata da due bastoni, posti l’uno sopra l’altro nel punto in cui la spiaggia si trasformava in vegetazione e gli si illuminarono gli occhi. Corse a prenderli, poi ne porse uno ad Arthur, invitandolo con un sorriso a trentadue denti. Presero a giocare come quando erano ragazzini e fingevano di essere cavalieri che lottavano con le spade ma ben presto la forza fisica di Arthur ebbe la meglio e il biondo riuscì ad atterrare il moro, iniziando a fargli il solletico. Quando, impietosito dai “basta” di Merlin, si fermò, gli disse «Ti amo», pacato e solenne. «Ti amo» ripeté Merlin come una promessa, suggellata da un bacio che non era il primo né sarebbe stato l’ultimo, ma sapeva di eternità.

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