Forgetting you, but not the time.

di BlueWhatsername
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Sai qual è stato il fondamentale problema con te?
Lo sai?
No, probabilmente no.
Perché fondamentalmente – e scusami le ripetizioni, davvero, come dicevi sempre tu, io ero quella che ‘ripeteva le cose insistentemente, convinta che gli altri non capissero mai’ – tu, le domande, non te le sei mai poste.
O comunque, non ti sei mai posto quelle giuste.
Oh, e sai che c’è?
Che anche qui mi viene in mente una cosa che dicevi sempre tu.
Orgogliosa, puntigliosa, saccente
E che altro?
Testarda, acuminata, maledetta
E ancora – potrei continuare all’infinito, sai?
Intelligente, terrificante, strabiliante
Me le ricordo tutte, le cose che mi ha detto.
Me lo ricordo tutte, e non credere che me le scorderò mai facilmente.
E cavolo, sto anche ridendo.
Non ci crederai, ma sto ridendo davvero.
E sai perché?
Perché anche qui, sento di nuovo la tua voce nel cervello che mi parla e mi suggerisce la risposta alla domanda che io stessa mi sono posta.
Com’era? Ah già, ora ricordo.
Inutile che ti poni le domande, attendendo risposte che tu stessa hai già formulato
Me lo dicevi sempre, quando ti chiedevo insistentemente qualcosa senza ottenerla.
O quando continuavo a cantarti nell’orecchio, con la speranza di farti incazzare e poi, quando decidevo di farla finita, tu mi chiedevi sempre di continuarla, quella canzone, che non l’avevi capita bene.
Oppure, Dio, te lo ricordi quando litigammo la prima volta?
La prima vera litigata, quella in cui lanciai il casco del motorino e lo feci rotolare più lontano di quanto pensassi, quando lo fissai e corsi immediatamente a raccoglierlo – perché ehy, lo sapevo quanto diamine avessi dovuto penare per ottenere quel modello e quel colore.
Insomma, te la ricordi?
Mamma mia, giuro che non penso d’aver mai urlato così forte.
E nemmeno d’aver mai pianto così senza motivo.
Voglio dire, tu te ne stavi zitto a fissarmi, che gusto c’era a disperarmi con uno che nemmeno mi dava retta, fondamentalmente?
(E lo so che questo avverbio lo uso troppo, me lo hai sempre detto)
Insomma, da dove ero partita?
Visto, ci risiamo.
Io lo sapevo che poi tornavamo a questo punto.
Mi ci sarei giocata, non so… Cos’è che dicevi tu? Ah sì, ‘Due dei tuoi neuroni, tanto ne hai talmente tanti e così superdotati che non ne sentiresti mai la mancanza’.
Che poi non ho mai capito se lo dicevi per farmi attaccare a parlare di quanti neuroni possedesse davvero il cervello umano o se volevi semplicemente dirmi che apprezzassi il mio cervello.
Che poi… Sia chiaro, avrei saputo spiegartelo.
Perché sì, se c’era una cosa che tu sapevi di me – e bene – era quanto maledetto orgoglio mi scorresse – scorra – nelle vene.
E sapevi anche come agitarlo, questo orgoglio, come infiammarlo, come renderlo esplosivo e portarlo a scatenarsi.
Ed io, scema, che ti davo anche retta.
Insomma, era un po’ strano, no?
(Che poi nemmeno ricordo da dove diamine fossi partita, accidenti)
Avrei saputo spiegartelo davvero, come funzionava il cervello umano, eppure non l’ho mai fatto.
Almeno avresti potuto giovarne, no?
Oh sì.
La risento la tua voce, giuro, anche adesso che sto ridendo.
(Sto ridendo, credimi, non credo d’aver mai riso come ora)
Credi che la cosa mi interessi davvero?
Era sempre quello il problema con te.
Vedi? Alla fine ci sono arrivata a chiarire la prima domanda.
Non l’ho mai capito, se ti interessasse o meno.
Se ti sia interessato davvero, dico.
Non se ti sia interessato per un po’.
Sul serio.
Realmente.
Fondamentalmente – già, il mio vizio di ripetere le cose, lo so – che diamine pensavi, non l’ho mai capito.
Che poi eri un gran bastardo, fattelo dire.
Io sarò stata anche una stronza, ma tu quant’eri bastardo?
Lo sapevo che avevo un debole per gli occhi chiari ed i capelli biondi, capisci?
Che poi ce l’ho anche adesso questo debole – che poi vorrei tipo raccontarti una cosa, ma… Davvero, se te la raccontassi penso che mi prenderesti in giro per tutta la vita, quindi me la tengo per me, magari alla prossima te la spiego, visto che non mi crederesti tanto facilmente.
Vedi quant’è stupido? Ti sto raccontando dei miei gusti fisici.
Ma che c’entra, Dio mio? Cosa c’entra?
Non ne ho idea, ma, se ben ricordi, quando iniziavamo a parlare io e te niente aveva più un senso.
Due parole e la fiamma divampava, roba da aver paura seriamente.
Che poi non l’ho mai capito, come facevi.
Seriamente, uno che mi dicesse ‘Sei alta quanto la mia riga da disegno ma lei è molto più precisa di te’ con quella faccia io non l’ho più trovato.
E spero di non trovarlo più, perché davvero penso lo prenderei a schiaffoni.
(Che poi era anche una battuta che faceva schifo, pensaci bene!)
E tu non lo ammetteresti mai, ma mi hai fatto sentire capita il più delle volte.
Diresti più volentieri che il tuo proposito era di farmi incazzare – e credimi se ti dico che nessuno ce la farebbe mai come facevi tu – che non di farmi scoppiare a ridere.
Roba che quando ti guardavo pensavi seriamente che il sopracciglio mi si sarebbe spezzato, vero?
Che poi era anche una sorta di gara, ammettiamolo.
È sempre stata una gara.
Perderai, con me perde chiunque’ dicevi sempre.
Tronfio, esibizionista, egocentrico.
Ma che io non le sopporto proprio le persone così?
Tu avrei ucciso, cavato quegli occhi chiari che ti ritrovavi e poi avrei ballato sul tuo cadavere.
Macabra, violenta, sadica
Quant’eri idiota?
No, spiegamelo.
Che poi ti piaceva stuzzicare quella mia poca vanità mascherata dall’orgoglio.
Ti piaceva farmi parlare, sapevi quanto fossi versatile e creativa, sapevi che ti avrei accontentato su ogni argomento, eri consapevole del fatto che la mia testa fosse sempre pronta a nuove sfide.
Lo sono tuttora, sai?
Cioè, ho mantenuto le passioni che avevo.
A dir la verità, credo che nessuno le conosca poi tutte come le conoscevi tu.
A volte sento parlare di qualcosa che alcuni ritengono chissà cosa e a me viene da sorridere perché, beh… L’ho letto da qualche parte, no?
E tu mi conosci troppo bene per credermi vanesia.
Lo sai meglio di me che me ne stavo zitta, quando era il caso.
Queste unghiette dovresti usarle non solo per fare male a me ma anche per farne a chi lo merita
Due domande.
Davvero mi incoraggiavi?
Davvero tu non lo meritavi ed altri sì?
Che poi – oddio, quanto rido – ti faceva anche schifo l’odore di smalto.
Giuro, me la ricordo ancora la tua faccia.
E mi ricordo i capelli biondi che ti ricadevano sempre sulla faccia perché non avevi mai la pazienza di sistemarteli.
E poi, ok.
Io ho sempre sostenuto che i tuoi occhi fossero verdi.
Tu no, dicevi che fossero azzurri.
Che cosa cretina, la verità è che siccome entrambi davamo ragione all’altro, ma non volevamo ammetterlo, non abbiamo mai trovato un accordo vero.
Che scemenza.
Questa è una scemenza, fondamentalmente.
(E non scocciare, ripeto le cose quante volte mi pare!)
Oh Dio, e ricordi quando ti raccontavo dei libri che leggevo?
Erano scene esilaranti, perché a volte erano più alte le pile dei libri che non io.
Che poi eri sempre tu a fare queste battute cretine, ma ok.
Ci rendiamo conto che eri un cretino?
Voglio dire, ho passato tutto questo tempo a ripetertelo, leggi tra le righe.
Anzi no, probabilmente sarai troppo occupato a dire che sono – come sempre – troppo prolissa.
E logorroica.
E mi piace rimarcare i concetti.
E devo piantarla.
Che altro?
Ah già, magari anche che così, io e te, sembriamo due idioti.
Probabile.
E anzi, sai che altro c’è?
Fondamentalmente – no, non lo sto facendo apposta, se te lo stai chiedendo – questa cosa sembra anche ridicola e senza senso, ma boh.
Magari domani me ne sarò scordata, come mi dicevi sempre tu, che dimenticavo più in fretta un errore che non un merito.
Eri un cretino, punto.
 
P.s.: ah, e se te lo stai chiedendo, quella fantomatica riga più precisa di me, che tu hai trovato magicamente spezzata nello zaino, te l’ho rotta io.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Mi è successa una cosa strana.
Tanto strana sei sempre stata’ diresti tu.
Quindi nessuno problema, no?
Beh, no.
A dir la verità, se ci ripenso, mi viene pure da ridere.
Ma possibile che quando parlo con te, io debba sempre ridere?
Vabbeh, sarà normale ‘sta cosa…
… Comunque, sì.
Insomma, è successa un cosa strana.
No, dai, smettila di fare quel sorrisetto scemo – perché lo so che stai sorridendo da solo! Lo so! – e ascoltami, ok?
Però ascoltami davvero.
Non come quando ti parlavo e tu puntualmente eri troppo impegnato a non ascoltarmi.
O a controllare che avessi i capelli in ordine.
(Ancora mi infastidisco se qualcuno mi tocca i capelli, pensa un po’, mi incazzo come una iena solo perché… Beh, non lo so, ma mi dà fastidio.)
O a pensare ai fattacci tuoi.
Come se io fossi invisibile, giusto?
Come se non ci fossi, come se… Beh, come dicevi? ‘Come se questa pulce davanti a me non fosse davvero dotata del dono della parola’.
Che stronzo.
Ed io penso, in tutta sincerità, che un pugno del genere sulla spalla non te l’abbia più dato nessuno.
Ammettilo, sapevo darli bene, i pugni.
Sapevo far male, anche.
Perché – sempre per citarti: ‘Sai esattamente dove colpire e questo è il più grande pericolo con te, che capisci sempre come fare’.
No, beh, la realtà è che io non c’ho mai capito un cazzo, con te.
O non sarei qui a… Cosa sto facendo, poi?
Parlarti? Scriverti? Sfogarmi con te? Incazzarmi?
Non lo so, non lo sai nemmeno te, immagino.
Ti sfido a dirmi cosa sto facendo.
Di solito eri bravo a capire le mie mosse, a capirle meglio della sottoscritta.
No, aspetta, prima che ti racconti questa cosa strana che mi è successa, lascia che ti dica una cosa.
(Se non la pianto di ridere a questo volume, penso che mi cacceranno presto.)
Insomma…
… Tipo, ti ricordi quando mi chiedesti se volevo provare a fumare?
Serio, te lo ricordi?
(E no, non è una delle mie solite stronzate, come ti piaceva tanto dire)
È una cosa seria, giuro.
Seria? Come no…
Che tono del cazzo, t’avrei volentieri mandato con la testa sotto un getto d’acqua gelata solo per il modo che avevi di guardarmi.
Insomma, vabbeh, te lo ricordi o no?
E ricordi anche cosa ti dissi?
Che io, sostanzialmente – scusa tanto, sai che non resisto! – non mi faccio tanto abbindolare, sia una persona a tentarci, sia una qualche strana dipendenza esterna.
E tu mi prendesti in giro, dicendo che era solo una sigaretta, e che provare non sarebbe costato nulla.
Beh, vedi, è qui che non hai mai capito un cazzo.
Capisci?
Anche provare una volta crea dipendenza, da qualsiasi cosa, anche solo… Volerlo fare ti porta a volerne ancora e ancora e ancora.
Perché si sa, il cervello umano è un gran casino, ma se c’è una cosa che sa fare bene, è proprio gettarsi sulle braci ardenti da solo.
E insomma, capisci?
Respingere era già come attirare, eri già dipendenza prima ancora di essere il mio primo tentativo.
Che poi io quella sigaretta non l’ho manco mai fumata, l’ho vista consumarsi tra le tue dita, ma non l’ho toccata.
Mi piaceva guardarti mentre fumavi, mi piaceva un casino, te lo giuro.
(Prima o poi c’arrivo alla cosa strana che m’è successa, giuro!)
Boh, mi piaceva come il fumo saliva e… Sembrava che ti risucchiasse la faccia.
Che poi detta così fa anche schifo – no? – ma a me è sempre piaciuto il profilo che si scontrava con gli occhi chiari e incasinati che avevi.
Incasinati perché incasinavano.
A parlare di te, pare quasi che io stia parlando di un grande eroe da romanzo, quando in realtà sei solo lo stronzo che porta la bandiera.
‘I was a good girl till I found the bad boy who made me the worst one ever.’
Me lo hai detto tu, te lo ricordi?
Non so se fossi solo cretino, o stronzo, o forse un po’ brillo, quella volta.
Ma tipo ti sei avvicinato e me lo hai detto – ed avevi pure una buona pronuncia, dai.
Che presuntuoso del cazzo.
Hai sempre pensato di sapere tutto di me.
Ed il brutto è che avevi pure ragione.
Insomma…
… La cosa strana?
Ma ci credi se ti dico che ho sognato di baciare uno?
Giuro.
L’ho sognato davvero.
Che poi ‘sto qua è anche un tipo strano, insomma… Ho la vaga idea che se lo vedessi mi misureresti la febbre e poi mi manderesti a fanculo.
Probabile.
Insomma, ho sognato di baciarlo.
O forse era lui che baciava me, chi se lo ricorda?
Ma la cosa strana non sta tanto nel bacio – che poi era anche un bel bacio, appuntatelo, tanto lo so che la cosa ti dà ai nervi, quindi non fingere di ignorare le fitte allo stomaco – quanto nel fatto che, quando mi sono svegliata, ho pensato che un bacio del genere non me lo avevi mai dato.
E non fare quella faccia assurda come a dire che ti senti offeso.
Che tanto poi lo so che non te ne frega un beneamato nulla, ok?
E non mettere su nemmeno quello sguardo scemo.
Che tanto poi… Insomma, basta.
Insomma… Dicevo, questo bacio.
Dio, che cosa stupida.
Vedi quant’è stupido?
Nel mio cervello questa cosa aveva un senso, giuro.
Nel mio cervello era tutto un gran discorso, pieno di frasi ad effetto e fraseggi e non so che altra diavoleria – come quelle che tu mi dicevi che ero brava ad inserire per far sempre quadrare le cose – e invece…
… Arrivo qui e mi trovo a scrivere un mucchio di stronzate che non hanno né capo né coda.
Ci capiamo?
Capisci che dico?
No, non ha senso questa cosa.
Che poi perché te lo vengo a raccontare?
Dio Santo, che stronzata.
A parte che sto ridendo come una povera pazza, rischio di essere cacciata di casa e…
… Che altro?
Ah già, ho anche scritto una cosa totalmente priva di senso logico e direi anche scoordinata dal punto di vista dei contenuti.
Meno paroloni e più fatti’, dicevi sempre.
Forse è stato proprio quello il problema, non lo so.
Sinceramente e fondamentalmente le domande non me le pongo più.
Non mi interessano.
Però, insomma, sai… Quel bacio m’è piaciuto, alla fin fine.
Era intenso, pareva vero.
Giuro, quando mi sono svegliata mi sono dovuta toccare la bocca per sincerarmi che non mi si fosse staccata.
E, ci posso scommettere, non stai ridendo.
E so anche che mi diresti, sai?
Il tuo orgoglio fa così drasticamente schifo che non te ne frega nemmeno niente di sembrare stupida.
Beh, probabile.
Che sembri stupida, dico.
E anche un po’ infantile.
E scema.
Ma beh, parli proprio tu?
E sai, non credere che io stia scrivendo tutto questo mucchio di stronzate solo perché voglio sfogarmi o dirti che sei stronzo.
Cioè, che sei stronzo già lo sai, e già te l’ho detto.
E non pensare nemmeno a cose sceme tipo che tornerei volentieri a provare se davvero sai dare un bacio del genere.
(Mi devo spiegare? Direi di no.)
E non ridere, per l’amor di Dio, non riderei, dai.
Lo so che lo stai facendo.
Spero tanto che quei capelli alla ben’e meglio che ti piaceva portare ti accechino.
E no, non sto facendo la scema, dico davvero.
E sai cosa?
Era solo un sogno, è vero, ma non è stato davvero male come bacio.
Avrei la presunzione di dirti che vorresti strangolarmi per questo – cosa che poi ho fatto qualche riga sopra, ma dettagli – ma non lo farò.
No, lascerò semplicemente che le cosa vadano.
Come hai sempre fatto tu.
Ho imparato dal migliore, no?
Impari in fretta, c’è da aver paura seriamente.
Appunto.
 
 
P.s.: e no, non ricordo d’aver stretto le mani a quel tipo là come facevo con te, appuntati anche questo.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Ci ho provato ad aggiustarlo.
Giuro che ci ho provato.
Ma alla fine l’ho lasciato là, sul comodino, non ho nemmeno avuto il coraggio di tagliare i fili rotti.
Che poi, quando si è magicamente spezzato – non so nemmeno come abbia fatto – la prima cosa che ho pensato è stato: ‘Vabbeh, ma era allacciato alla cavolo però!‘.
Sì, lo so che tu non c’entravi niente in quel momento, ma, se ben ricordi, quel bracciale me lo avevi allacciato tu, ed io ti avevo anche detto – e sempre perché non mi stavi mai a sentire – che si sarebbe spezzato prima o poi, visto che un nodo del genere non lo facevano manco i bambini di due anni.
Con questo non dico che sia colpa tua se si è rotto, eh.
Anzi, sicuramente si è rotto perché era vecchio, logoro e sporco.
(Strano che le cose si rompano quando sono così, eh?)
Dico solo che se magari mi avessi dato retta – per una volta nella tua vita, mica dico chissà che, una volta – quel bracciale sarebbe durato un po’ di più.
(E no, non ti sto lanciando frecciatine, ma figuriamoci. Come puoi pensarlo? Non lo farei mai. )
Vabbeh, insomma, sta lì.
Ci ho pensato pure di buttarlo, a dirla tutta.
Cioè, all’inizio l’ho guardato basita, come a dire ‘Non avevi niente da fare, vero?‘ , dopodiché l’ho preso e tirato, e la cosa divertente è che nemmeno è andato tanto lontano.
Cioè, due metri avrà fatto, forse.
Ma sì, una distanza poco considerevole considerato che dopo averlo guardato in cagnesco per un buon quarto d’ora, mi sono piegata e l’ho raccolto.
La scena esilarante è stata quando mi sono messa a ribaltare casa per la colla.
Come se poi bastasse la colla per riparare qualcosa di rotto, eh?
(No, non è un’altra frecciatina, piantala di sentirti costantemente protagonista di un mio discorso e lasciami finire.)
Alla fine niente, ho tipo passato sopra un’ora ad imprecare su quel coso e poi l’ho messo lì, sul comodino, e lì resterà.
Beh, ma io te l’avevo detto, no?
T’avevo detto – testuale: ‘Questo nodo fa schifo!’, punto.
Cioè, non ci voleva parecchio a capire che quel nodo facesse davvero schifo.
Fili intrecciati così, io boh.
Che poi, cocciuto, hai insistito per metterlo sul polso sinistro, ed io volevo lo mettessi sul destro.
E tu ‘Silenzio, non lamentarti sempre’.
Beh sì, come se quella lamentosa fossi stata io.
Cioè, semplicemente ti avevo suggerito di allacciarlo al polso destro e non sinistro perché mi sarebbe piaciuto più lì. Così, perché mi andava.
E tu no, dovevi per forza contraddirmi, vero?
Che poi, perché non te le ho staccate quelle manine quando me lo stavi allacciando?
Ripensandoci avrei potuto benissimo dirti di toglierti dai piedi ed allacciarmelo da me.
Però, se ben ricordi – io sì – io ero impegnata a fare zapping, ero era quasi impossibile che fossi riuscita a farcela, senza di te.
Sì, sì. Lo so cosa stai pensando.
Love me, love me, say that you love me’, eri proprio idiota quando la cantavi.
Perché eri convinto che t’avrei risposto, certamente.
Della serie: ‘Tu stuzzichi me, io stuzzico te’, no?
Sì, fondamentalmente era questo.
Eri così sicuro di te che quando poi mi sentivi rispondere a tono che cantavi da far schifo – pessima bugiarda perché cantavi pure bene, ma tienitelo per te quello che ho detto e non scocciare oltre, sii bravo almeno per una volta in vita tua – alzavi il tono di voce, sicurissimo che di lì a due minuti sarebbe volato qualcosa.
Ed io ricordo ancora quella volta che mi trovai per le mani l’astuccio e te lo tirai, prendendoti in faccia.
Che poi nemmeno avevo calcolato bene la traiettoria, voglio dire, pensavo ti sarebbe finito semplicemente sul braccio.
Invece no, ti sei girato e t’ho preso in faccia, in pieno viso.
Che poi quante scene hai fatto, sostenendo che ti avessi quasi fratturato il naso… Suvvia, non scherziamo, il mio astuccio pesava, ok, ma tu eri davvero lamentoso.
E hai preteso di metterci dell’acqua e pure che ti tamponassi il naso.
Non è che stessi perdendo sangue, sai?
No, era semplicemente la voglia categorica di fare lo stronzo e guardarmi in faccia come a dire che, al solito, avevi ottenuto quel che volevi.
E, come se non bastasse, mentre io tamponavo questo naso dolorante – se, come no – tu cosa facevi? Mi squadravi e sorridevi, giocando col bracciale.
Quel bracciale, sì.
A parte che, ripensandoci, mi chiedo come abbia fatto a non rompersi prima.
Ci infilavi sempre le dita, quasi incastrandole tra esso ed il mio polso, mi facevi quasi male, ma fin quando non t’avessi dato un calcio sugli stinchi tu non l’avresti smessa.
Che poi una volta mi sa che c’è davvero rimasto incastrato l’indice, se non sbaglio, roba che quasi rischiato di perdere l’uso del braccio perché tu tiravi e a momenti mi hai staccato il polso.
La delicatezza non era il tuo forte, eh?
Certo, non in quei casi.
Poi te ne uscivi con cose tipo ‘Ma quello che cazzo guarda?’ e allora capivo che era il tuo modo per essere delicato nei miei confronti.
Mi spiego, cervellone che non sei altro, sennò non capisci.
(E ridi pure quanto ti pare, che poi rido io)
Cioè, nel senso.
Il tuo tono di voce è sempre stato un casino da interpretare, nessuno capiva mai quando parlavi – e ti manco immagini le risate che mi ci facevo io a vedere come tu fossi sornione e contento di quel tuo non farti comprendere.
(Quel che ho scritto ha poco senso, ma sono certa tu mi stia seguendo)
Quindi, in automatico, se dicevi a la gente capiva b e se dicevi c tutti carini a pensare ad a.
Insomma, tutto molto simpatico, perché nessuno capiva mai.
Cioè, tutti convinti d’aver capito cosa intendessi ed io che me la ridevo dietro, assurdo!
E tu, cordialmente stronzo come sempre, non ti curavi di essere chiaro.
Però c’è una cosa che non hai mai preso in considerazione di me, e cioè che io t’avevo letto e già da un bel pezzo.
Sennò tutti quei pomeriggi di sopportazione nei tuoi riguardi non si spiegano, eh.
Ripensandoci – e mi chiedo perché non l’ho fatto prima – avrei potuto accendere quel motorino e lasciarti per strada, tanto poi ero io che mi ci sedevo sempre, tu eri più tipo da sederti per terra – che idiota.
Però era divertente vedere mentre ti passavi le mani tra i capelli biondi e poi tipo frizionavi per chissà che motivo, e poi te la ridevi pure.
Quanto stavi male?
O forse stavamo male in due, boh.
Cioè, io penso d’aver avuto qualche problema – e se ora sapessi che problemi ho penso mi misureresti la camicia di forza più adatta a tenermi ferma a vita natural durante – ma anche tu non scherzavi oh.
Che poi avevi rotto sempre in mezzo, come se fossi il paladino della giustizia.
Guarda che Dio m’ha fornito di una lingua bella lunga, ed anche biforcuta, non c’era bisogno che ogniqualvolta tu ti piazzassi in mezzo alla discussione solo e solamente per rinfacciarmi un aiuto che non volevo.
Era quello, no?
Sbattermi in faccia che avevo avuto bisogno di te, e che tu c’eri stato.
Te lo leggevo negli occhi, pure quando me ne stavo per conto mio, con quel broncio che saprebbe vincere un Oscar – parole tue – e tu arrivavi a dirmi che avrei dovuto darmi una calmata.
Cioè, non che tu fossi più calmo di me, diciamocelo.
Tu le cose me le urlavi in faccia, e poi pretendevi che io ti ringraziassi pure.
Però almeno eri l’unico che mi permettesse di non aver paura.
Non avevo paura, quando stavo con te, non avevo paura perché sapevo che tu sapevi come fossi, lo sapevi benissimo, e così profondamente, che non mi avresti mai rimproverato un comportamento solo all’apparenza, avresti intuito subito cosa l’avesse scatenato e solo dopo saresti partito con la tua filippica.
Una delle quali – forse una delle migliori performance della tua vita – ancora ricordo durò una buona mezz’ora, prima che ti mollassi uno schiaffo liberatorio a cui tu dicesti semplicemente ‘Ah, grazie’.
Che poi la filippica la facevi a me… Quando tu eri una iena, per principio.
Eri una iena quando ti chiedevo di tapparti la bocca o avrei perso la concentrazione in ciò che stavo facendo.
Eri una iena quando ti beccavo nella giornata sbagliata e quindi ogni occasione era buona per massacrarmi – certo, ma solo per litigare abbondantemente.
Eri una iena quando ti dissi che se avessi continuato a fumare t’avrei lanciato di sotto le sigarette al primo momento disponibile.
Io li odio i fumatori, li detesto, te lo giuro.
(Vorrei aggiungere altro ma non lo farò, rimani col dubbio, mi spiace.)
E, appunto, quando mi offristi quella famosa sigaretta, così ti dissi?
Lo ricordi, spero.
Te la lasciai fumare – era anche bello guardarti fumare, a contraddizione che mi mettevi addosso era/è incredibile – e pace.
Da dov’ero partita?
Ah già, dal bracciale.
Insomma, dicevo, si è rotto.
Storia chiusa, addio, ciao.
Sta ancora là – che poi tu guarda che giro di parole nel mezzo, che casino, mamma mia, come sempre, quando uno parla con te, si perde – e penso ci rimarrà.
Ora il braccio è più leggero, una preoccupazione di meno.
 
 
 
P.s.: avessi avuto il coraggio, anni fa, di resettarmi il cervello, eviterei di ripetermi il tuo numero in testa. E tranquillo, non ti chiamo per riaggiustalo, proprio no.

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