Shi-hane: cento e ventisette tagli ~ di A m e t h y s t (/viewuser.php?uid=492546)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ottantacinque ~ ***
Capitolo 2: *** Innocenza ~ ***
Capitolo 3: *** Sadica dolcezza ~ ***
Capitolo 1 *** Ottantacinque ~ ***
~ Ottantacinque
~
yaso kara go
Shi-hane, la
leggenda che scatena terrore, costantemente e ovunque.
Lo spirito della morte si incarna ogni cento ventisette giorni, puntuale come il destino.
Il tramonto tinge, come ogni giorno, d'arancio le casette di
Amarantopoli. Una città tranquilla, questo è il
ricordo che gli abitanti hanno di essa. La serenità non era
altro che la caratteristica principale di questo borgo dalle
tonalità rilassanti.
Un uomo dalla tonaca di un rosso sbiadito si posa su un cadavere,
completamente ricoperto di sangue, tra le strade di Amarantopoli.
Ottantaquattro.
Una
lieve brezza solleva i capelli della gente. La palestra pare
così imponente, il teatro rende il borgo assai particolare.
La torre bruciata, costituisce una delle più apprezzate mete
turistiche.
Tuttavia, tra le piccole costruzioni del villaggio, incontrastata
domina la torre: numerose leggende ne narrano ed ogni saggio parla di
essa ai propri discendenti. Lui non deve essere da meno: i suoi posteri
in un lontano futuro racconteranno di lui, rendendolo immortale.
Sulla cima del fulcro delle narrazioni, una sagoma indistinta, bagnata
dal tramonto, osserva ogni aspetto della, oramai devastata,
città.
«Immortalità» sussurra il ragazzo,
fissando il sol calante per mezzo dell'occhio sinistro, amaranto.
L'altro è coperto da una benda violacea, stretta attorno
alla chioma. Il giovane passa la mano dalla carnagione pallida fra i
capelli color fieno. Stringe la fascia in un pugno, una volta avvertita
essa fra le dita.
«Menzogne!» grida, scattando
verso la balaustra.
A causa del brusco movimento, la sciarpa che adorna il suo collo si
solleva, sfiorandogli il disonorato viso.
Spaventati, gli uccelli fuggono, assieme alle tante creature abitanti
nel bosco dalle tinte pastello. Lacrime cominciano a rigargli il viso,
terminando nell'evidente taglio presente sul collo, recandogli
dolore.
Il panorama ammirabile dalla torre di Amarantopoli non ha nulla da
invidiare a quello d'una villa sul mare: il bosco, in quella tiepida
serata autunnale, rifletteva la splendida colorazione del tramonto. La
pace e la tranquillità, tuttavia, sono estinte da mesi, mesi
che paiono secoli alla mente del ragazzo.
«Matsuba, il vecchio
saggio, tuo maestro, è stato assassinato»
dice un uomo comparendo sulla porta.
Non vi è nemmeno l'ombra di un capello sul suo capo,
nonostante egli non abbia più di trent'anni. Il giovane dai
capelli dorati, girato di spalle, si lecca le labbra, assaporando con
la lingua ogni lacrima.
«La
bontà di questo sangue trasparente è immensa.»
pensa, tentando di pronunciare qualche parola.
«Cosa è
accaduto?» chiede, atono.
«Nessuno
era presente. Tuttavia, posso comunicarti che Sua Eccellenza presenta
ottantaquattro ferite superficiali, un evidente taglio sotto la gola
e..».
«Sì? Continua
pure.» dice il giovane continuando a dare le spalle al
calvo.
«Una piuma, una piuma arcobaleno
infilzata nell'occhio destro.» risponde quest'ultimo,
rimembrando disgustato il cadavere appena visionato.
Matsuba tace, completamente rilassato: convinto del fatto d'essere
l'unico su quella terrazza a bearsi del tepore solare. A far capolino
sul suo viso macabramente tranquillo, un sorriso. Il giovane monaco,
invece, pare assorto nei suoi pensieri: la sua espressione corrucciata
e il sudore che gli imperla la fronte non suggestionano il biondo dalle
facoltà telepatiche.
«Appari assai turbato Kai, dimmi, cosa
ti preoccupa, amico mio?» domanda il ragazzo dallo sguardo
amaranto.
Il calvo, sorpreso da quelle parole, deglutisce rumorosamente. Alza lo
sguardo verso la schiena di Matsuba il quale non si è mai
mosso di un singolo centimetro. Avanza verso quest'ultimo a passi
pesanti, assaporando ogni attimo come fosse l'ultimo. Giunge dietro
alla schiena del biondo, così vicino da poter avvertire
nettamente l'assenza di battiti cardiaci.
«Sono molto turbato in effetti, mio
caro Matsuba ».
Matsuba pare di pietra, non si degna neppure di respirare. Sorride
assiduamente, rendendo l'atmosfera carica di terrore.
«Molte domande, ma nessuno sa darmi
risposte. » continua impellente Kai.
Il giovane dallo sguardo ametista avverte la ferita presente sul collo
pulsare: è questione di attimi.
«Kai, chiarirò ogni tuo
dubbio.» sussurra Matsuba, scandendo ogni
parola.
Il monaco, assuefatto dalla calma espirata dal biondo, inala abbondanti
quantità d'aria la quale pare anidride solforosa.
«Matsuba, io e te ci conosciamo da una
vita » dice Kai, ritrovando la pace interiore «sin
da quando tu eri solo un vivace neonato ed io un isterico
adolescente.» entrambi si lasciano sfuggire una pallida
risata, un inesistente sfogo.
«Cos'è successo, circa tre
mesi fa, quando sei scomparso nel vuoto?».
A quelle parole, il sorriso del giovane Matsuba si spegne all'istante.
Le ombre dei due si proiettano lungo la facciata della torre, mentre il
sole scompare dietro i lievi pendii.
«Matsuba, non sei mai stato in grado
di mascherare i disastri che combinavi da bambino» prosegue
Kai, rompendo il silenzio che si era creato.
«Matsuba. Nell'occhio sinistro del
maestro, immerso nel dolore, vi era il riflesso della tua
spilla.».
Il biondo abbassa lo sguardo verso la sua sciarpa, osservando
minuziosamente la spilla dorata posata su di essa. Poi sorride,
dimenticando il dolore proveniente dal taglio posto sotto la
gola.
«Hai sempre avuto naso per questo
genere di cose, Kai » dice Matsuba, riaccendendo il terrore
nell'animo dell'amico «è
un peccato che proprio tu, te
ne sia accorto».
Il ragazzo dagli occhi amaranto emette fastidiosi e terrificanti rumori
per mezzo del collo e delle nocche.
«Se solo fossi rimasto a casa ieri
sera, se solo non avessi voluto guardare negli occhi quel misero
cadavere senz'anima né cuore, ora..».
«Ora, non dovresti uccidermi
» lo interrompe Kai «Sei
tu l'ombra che si aggira per Amarantopoli, piantando piume negli occhi
delle tue vittime, scuoiandole vive ed incrementando i tagli su di esse
di uno ogni giorno».
Matsuba si volta senza degnare l'amico di uno sguardo. Quest'ultimo,
nonostante la situazione, è il riflesso della
tranquillità. L'aria pesante ed il tepore asfissiante non
impensieriscono i due ragazzi. Il biondo alza lo sguardo. Il suo occhio
sinistro, amaranto, è macchiato da gocce dalle tinte
arcobaleno. Il suo volto è sfigurato dal dolore ma su di
esso ogni smorfia muta in sorriso. Dalla ferita presente sotto la gola,
il sangue sgorga imperterrito. Matsuba preme sul taglio, cercando di
mascherare il dolore.
Una fitta lo coglie di sorpresa, egli si trattiene dal contorcersi.
Resiste per quei pochi attimi, sufficienti a pronunciare futili e vane
parole.
«Ti ho sempre
ammirato molto Kai. Ciò per cui ti ammiravo, tuttavia, si
è dimostrata la causa della tua fine.».
Gli occhi amaranto del ragazzo si accendono. Lacera la carne dell'amico
mentre il cuore di quest'ultimo continua a contrarsi. Il sangue ricopre
il corpo della vittima, in preda ad una grave emorragia. Taglio dopo
taglio, il giovane si trasforma in una carneficina umana. La sciarpa di
Matsuba si sporca di sangue assieme alla sua, ormai dissolta,
coscienza.
Ottantuno,
ottantadue, ottantatré, ottantaquattro.
Il
biondo dalla chioma sporca di rosso estrae dalla tasca una piuma dalle
tinte arcobaleno. La assapora passandosela sulle labbra copiosamente.
Poi, senza la minima indecisione, la infilza nel bulbo oculare destro
del giovane monaco, distruggendolo e provocando la fuoriuscita del
liquido lacrimale.
Se
ne porta un po' alla bocca posandone una goccia sulla lingua:
«Questo
sangue puro e trasparente, non finirà mai di piacermi.
».
Matsuba
aspetta pazientemente sul tetto; dopo circa due ore la madre e la
sorellina di Kai stanno piangendo sul corpo dell'uomo.
Ottantacinque.
Il
giovane biondo non distoglie lo sguardo dalla bambina: i suoi capelli
sono castani e, un colore così banale, non può
che ricordagli il suo passato, la sua vita, lei. Lei, arrivata
e presentatasi come un dono del destino. Attesa per sei interminabili
anni, scomparsa in poco più d'un attimo. Matsuba ricorda
ogni sua movenza, i frammenti della sua memoria riemergono.
E mentre rivive gli ultimi dieci anni della sua vita, presta attenzione
alle parole di quell'innocente creatura, inconsapevole di
ciò che è appena avvenuto. Inconsapevole del
fatto che la vita è pura illusione.
Il più sadico fra gli assassini.
«Mamma,
mamma! Il fratellone sta sognando! Guarda come brilla il suo occhio
sinistro!».
Ottantasei.
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Capitolo 2 *** Innocenza ~ ***
~
Innocenza ~
muzai
Inerme.
Giace
sulle lenzuola candide, inconsapevole ancora una volta.
All'oscuro
d'ogni mistico sotterfugio, del patto col diavolo stretto dal
biondo.
Siede
accanto alla bambina, bagnato dal crepuscolo.
Segue
il corso degli eventi minuziosamente, per liberarsi dal sadico
contratto. E lei, costituisce l'unica via di fuga.
Ha
notato la spilla, il fato è stato cristallino.
Una
vittima al giorno, vi ha messo la firma.
Eppure,
per assaporare le lacrime della predestinata, si è
controllato fin troppo, conoscendo il perchè.
Sebbene
fosse conscio di doversi macchiare di sangue entro quella notte,
attende fino all'ultima frazione.
Il
destino è sadico, quella ne è solo l'ennesima
prova.
Il
tempo lo ha sconfitto, lo spazio deformato.
Questo,
in soli centoventisette
giorni.
Ciononostante,
la speranza fiammeggia tuttora timidamente nel suo sguardo.
Ametiste
navigano nell'amaranto puro dell'iride, risucchiate dal buco nero della
pupilla.
Assorto.
La
sveglia rosa, presente sul comodino, scandisce ogni secondo.
Secondi.
Secondi li hanno
portati ad incontrarsi, secondi
li hanno separati.
Secondi sufficienti
ad ucciderlo, secondi per
uccidere a sua volta.
Focalizza
se stesso sul volto del suo prossimo movente, per constatare che quella
bambina è, innocente.
Innocente.
Al solo riecheggiare vuoto di quella parola nella sua mente, cade in
una sorta d'ipnosi.
Vaga
per le pieghe dell'eterno nulla, un assoluto irrazionale, quello in cui
respira.
Gli
attimi latenti, ora esterni, abbandonano il ragazzo alla
crudeltà nostalgica del suo amore perduto.
I
ricordi si materializzano dinanzi a quest'ultimo, in preda
all'alienazione mentale.
Ricordo
numero ottantasei:
innocenza.
~
L'atmosfera
mistica d'Amarantopoli s'avverte in ogni ciottolo, per le stradine.
È una tiepida giornata autunnale, le foglie cadute
costituiscono un tappeto per le vie del borgo. La Torre Bruciata non
attira più un singolo turista; la gemella Campana, dal canto
suo, è una delle mete più ambite. L'orgoglio
d'Amarantopoli, nonché la famigerata palestra spettro,
è chiusa per il fine settimana. Uno stormo di Pidgey,
migrando in vista del freddo, sorvola il villaggio mentre, nel teatro
di danza, le prove proseguono incessantemente. Per un bambino di quasi
dieci anni, geisha danzanti rappresentano uno spettacolo a dir poco
noioso.
Ciononostante,
il restante pubblico di scapoli pare di tutt'altra opinione.
«Mamma,
posso uscire?» domanda il bambino, cercando di impietosire la
madre con quello sguardo amaranto.
Quest'ultima,
tuttavia, pare essere immune al futile tentativo del figlio dalla
chioma color oro. Sorride, accarezzandogli le ciocche.
«Matsuba,
dovresti smetterla di comportati come un infante.»
Il biondino sbuffa, assumendo un'espressione tanto infantile quanto
esilarante.
«Inoltre,
tesoro, i tuoi capelli avrebbero bisogno di una spuntatina: sei proprio
buffo, amore mio!»
Matsuba soffia sul ciuffo dorato il quale gli oscura gran parte della
visuale. Poi, una volta assicuratosi che la madre stesse ammirando
nuovamente le ballerine, esce di soppiatto, facendosi largo fra le
gambe dei presenti.
«Finalmente!
Posso respirare!» il ragazzo inspira abnormi
quantità d'ossigeno, uscito dal teatro gremito di
gente.
Stringe
fra le mani una sciarpa viola, profuma di nuovo.
D'improvviso,
i suoi occhi di fanno lucidi. Il suo sguardo è rivolto verso
la palestra, perfettamente ristrutturata.
Un
tempo, apparteneva a suo padre, suo punto di riferimento. Egli era
deceduto pochi mesi prima, senza un motivo, almeno era ciò
che gli avevano riferito.
«Papà,
un giorno, diventerò come te. Sarai fiero di tuo figlio,
Matsuba.»
Matsuba
non è più solo un bambino, è
cresciuto.
Cresciuto
all'ombra di un genitore,
cresciuto con l'unico
scopo di succedergli.
Corre
verso la torre Campana ove, spesso, gioca con il suo migliore
amico.
Mentre
si allontana, l'amaranto delle sue iridi è concentrato sul
foglio di carta attaccato all'entrata.
«Chiusi per il weekend»
legge una bambina sulla decina d'anni, dalla voce squillante.
La madre prende la mano di quest'ultima, distraendola da quella sorta
d'ossessione per i capopalestra.
«Tesoro sai bene che non posso lasciarti partire.»
La donna dai capelli fluenti, accarezza la chioma della bambina,
fissandola con sguardo carico di dolore.
«Ma tutti i miei amici..»
«Sono già partiti.» l'interrompe la
madre, aggiustandole uno dei codini.
Il marito della donna è scomparso al lavoro, oramai
è dato per morto. Non erano una famiglia agiata, non vi
erano i fondi per il viaggio della piccola.
«Quanto ancora dovrò aspettare?» domanda
la castana, stringendo fra le mani le bretelle della
salopette.
«Qualche anno, Kotone. Forse due o tre.»
La donna trascina Kotone con la forza verso il teatro. Quest'ultima,
tuttavia, si libera della presa della madre fuggendo verso il bosco
sottostante la torre Campana.
Continua a fissare la palestra, rischiando di scontrarsi con un
palo.
La madre si sbraccia, urlando il suo nome. È tutto
inutile.
Kotone è scomparsa: non può più
considerarla solamente
la sua bambina.
Arrotola
le ciocche castane sul dito, rallentando in vista degli alberi dalla
colorazione pastello.
Le iridi nocciola si tingono d'arancio; il tramonto giunge puntuale sui
tetti delle case, sui rustici paesaggi d'Amarantopoli.
Procede imperterrita, calpestando rami secchi e foglie. Oltrepassa le
panchine, stranamente vuote. I lampioni cominciano ad accendersi
timidamente.
Inutilmente, la ragazza cerca di attirare l'attenzione di qualche
Pidgey. Tuttavia, pare che in quel posto tanto suggestivo vi sia solo
lei. Lei e quella torre.
L'imponente costruzione le si erge dinanzi, bagnata dalla luce
solare.
Per un attimo si dimentica del padre, di come l'abbia abbandonata senza
preavviso. Conosce la morte, eppure fa del genitore l'unico colpevole.
I ricordi riaffiorano, quasi fosse stato solo un effetto placebo. Un
vano tentativo d'autoconvincimento.
Corre verso la torre, irraggiungibile come il suo papà.
Intangibile, intoccabile.
Inesistente.
Corre verso la libertà, corre verso il sogno e contro colui
che l'ha spezzato.
Corre verso colei che vuole diventare.
«Non sarò solo l'ombra di colei che voglio
divenire» sussurra, serrando le labbra quasi ad intrappolare
la frase appena pronunciata.
I passi si fanno via via più pesanti, l'equilibrio pare
abbandonarla.
Continua a fissare ciò che non può sorvolare, non
può né superare né tantomeno
distruggere.
Inciampa ed il tempo si ferma.
Lo spazio si deforma, medesimo destino della sua controparte.
Lei a mezz'aria, afferrata da ciò che il fato le
riserva.
Lui, impacciato, derapando riesce ad attutirle il colpo, ammortizzarle
la caduta.
Nocciola nell'amaranto.
Una viola immersa nel fango.
Entrambi paralizzati dal contatto, dichiarano l'unica cosa di cui sono
coscienti di essere.
«Kotone,
il mio nome è Kotone.»
«Matsuba, piacere di conoscerti.»
Io sono il ragazzo costretto a
vivere all'ombra di suo padre.
Io sono la ragazza cui
padre ha stroncato i suoi sogni.
Non siamo poi
così diversi.
Non possiedono infanzia, loro, riflessi d'innocenza
~
La vita
è ti coglie di sorpresa: dieci anni fa, egli rispecchiava la
purezza di quell'angelo caduto.
Ora ne assaporava le sue ultime lacrime, senza sapere nemmeno il
significato della parola innocenza.
~ La fioreria di Amethyst ~
Aloha(?).
C'è nessuno?
Hem, hem, proseguo ugualmente.
Ho dovuto scrivere questo capitolo due volte poichè si
è cancellato.
Se non l'aveste intuito, la storia tratterà principalmente
dei ricordi di Matsuba e Kotone prima che lui divenisse Shi-hane.
Ogni ricordo sarà legato alla persona che giustizia(?), dato
che segue una logica ben precisa. In seguito ai ricordi, i capitoli
tratteranno di...
Beh, questo lo scoprirete leggendo!
Spero lascerete commenti, lo apprezzerei tanto.
Grazie a chi ha messo la storia fra le seguite, mi ha
fatto seriamente piacere.
Alla prossima,
Amethyst<3.
p.s. mi dispiace davvero tanto per la bambina.
no, non è vero.
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Capitolo 3 *** Sadica dolcezza ~ ***
ijsabk
~ Sadica dolcezza ~
sadisutikku ama-sa
Pulsazioni.
Attimi.
Frazioni.
Tempo
scandito dai
battiti, attimi ne compongono la cognizione, le frazioni scindono
entrambi.
Un
processo perpetuo
ed incrollabile, a cui sei esterno. Impotente.
Lo
stesso destino si
arrende dinanzi ad esso.
Scritto,
nero su
bianco. Dura, cruda realtà.
Realtà
da
farsi piacere, da amare. Morire per essa, uccidere per passione.
Osservare
il mutare
della materia, il passare delle stagioni, senza prenderne parte.
Sospesi,
aggrappati
al senso della vista, come dinanzi ad uno schermo.
Gustandosi
il film
della propria vita.
Poi
esistono gli
stolti, quegli egocentrici che si spingono oltre le loro
facoltà.
Lei
ne è
l'esempio: disperata, batte i pugni sul petto del marito, assente.
Intrappolato in quella situazione quasi irreale.
Poichè
ciò che è autentico, è anche
sopravvalutato.
Non
è
tutto oro quello che luccica; come
quella spilla.
Come
quell'orrida
visione: l'occhio socchiuso, trafitto da una piuma. Il viso pallido,
rigato su un lato dalle lacrime. Trasparenti, come l'occhio restante.
Luminoso,
folgorante, intrappolava il luccichio di quello stemma.
La
madre lo aveva
notato subito, non appena era entrata nella stanza della figlia, per
controllarne i battiti.
Cardiopatia.
Mai
si sarebbe
aspettata di trovare un cadavere, acerbo, steso sulle lenzuola,
così come l'aveva lasciata.
Prima
il figlio, un
giovane monaco, ed ora, la sua innocente secondogenita.
Implorava
la morte e
lui l'avrebbe
accontentata.
Il
fato, seppur
sadico, alle volte realizza anche i più oscuri dei desideri,
se sinceri, bramati fino ad esalare l'ultimo respiro.
Non
ci perdeva
nulla. Prima o poi, lo
Shi-hane passa
per tutti.
Quella
sventurata
donna non avrebbe mai pensato d'essere nel suo mirino.
La prossima.
Una
fra tante.
Una
semplice cliente
d'un supermercato, tiene in mano il biglietto con scritto numero del
suo turno. Ch'era
finalmente giunto.
Annegava
nell'amaranto del suo sguardo già da tempo ma era troppo
presa dal combattere il suo destino, per accorgersene. Uno sguardo
composto da un solo occhio, dopo che il suo gemello era stato
brutalmente trafitto.
Trafitto
dal suo predecessore, trafitto
da un fato sempre più avverso, trafitto per
essersi sottratto al suo volere.
Trafitto, per la centoventisettesima
volta.
Uccide
per essere
ucciso, uccide per salvarla.
Lei,
lei le
assomiglia davvero.
E'
fredda, fredda
con se stessa.
La
rabbia con cui
colpisce l'uomo, la complessità delle sue emozioni. Emette
un rantolo ogni volta che maschera una sensazione.
Stolta,
va contro
ciò che non può mutare.
Questo
non
può che riportare alla sua mente il giorno in cui ha
conosciuto la sua vera assassina.
Così
la
definisce, nonostante sia conscio d'essersi ucciso da solo.
Ricordo
numero ottantasette:
sadica dolcezza.
~
Facciamo
sempre meno caso alle meraviglie contenute in questa prigione. Ogni
volta che il sole tramonta, ci pare più banale.
Convinti del
fatto che risorgerà, quando potrebbe benissimo
rimanere nascosto.
Non siamo
degni dopotutto di godere della sua visita, come lui non si
sente degno di quella della ragazza.
Assorto,
osserva la sfera di fuoco tornare e sparire, appollaiato sulla
torre.
Ogni frazione
pare la medesima.
Le note della
melodia della quotidianità si ripetono,
generando un'assilante nenia.
Macabra,
tremenda.
Alienato,
attende qualcosa, qualcuno.
Colei
che lo aiuterà a fuggire da un sogno che
non sente proprio.
Una prigionia
durata fin troppo, costretto da una persona che
non esiste più.
La telepatia
su cui si cimenta, non lo può certo aiutare,
all'oscuro del fatto che la sua attesa sta per terminare.
Sette
e ventiquattro:
la sua ombra si proiettata sulla facciata della torre, puntuale.
Ma, questa
volta, non
è la sola.
La sagoma
è tutt'altro che indistinta, nitida ed esile.
Presenta un cappello sul capo, da cui fuoriescono due ciuffi.
Assottiglia lo
sguardo, socchiudendo quel paio d'occhi
ametista, inconsapevole del fatto che un giorno avrebbe potuto contare
solamente su uno di loro.
L'ombra si
materializza, forme insolide divengono carne e materia.
Quegli occhi
nocciola, banali seppur enormi, accompagnati da una
consueta chioma del medesimo colore, la rendevano semplicemente diversa.
Non
perchè fosse una mora con differenti
tonalità, non per il suo carattere frivolo e totalemente
privo di spessore.
Lei
era tornata.
Riapparsa dopo essersene andata per tre anonimi anni.
Può
sfiorarne la pelle, constatarne la realtà.
Non si tratta,
tuttavia, d'un organismo fatto di organi e sistemi. Lei
è solo un demone di ghiaccio, il più dolce che
avesse mai incontrato.
Dischiude le
labbra, come a pronunciare futili parole. Nessun suono,
solo la campana della Torre pare avere qualcosa da dire.
Perchè
gli anni passano, il tempo trafigge. Solo alcune cose
restano così come sono.
E,
sicuramente, l'amore non rientra tra queste. Solo l'odio, la
crudeltà, il dolore e la sadica morte.
Loro,
marchiano indelebilmente.
Per quanto
avessero cercato d'esorcizzare quel risentimento nei
confronti del proprio padre, esso si ripresentava sempre alla porta.
Immortale.
Dipinta
d'arancio, corrosa da un semplice sguardo.
Protagonista
d'una scena surreale, ferma, estranea al concetto di tempo
e, probabilmente, anche di spazio.
Poichè
la gravità cominciava a farsi
insostenibile, l'aria irrespirabile.
Sicuramente
per il semplice fatto che stessero vivendo il loro destino,
in modo caotico.
Pronti a
cambiarne le sorti da un momento all'altro.
Preparati a
sfidare se stessi.
Ne aveva
gustate di visioni, eppure, ciò che aveva dinanzi,
sapeva di mistico.
L'imponente
costruzione, antica e divenuta leggenda, veniva macchiata
dalle ombre delle nubi. Insignificanti quanto quella ragazza. Bagnata,
bagnata da una luce così timida e fioca, da fargli temere
che lo spettacolo potesse terminare sinceramente sul più
bello.
Poichè
i riflettori si erano spostati su di lei,
evidenziandone i tratti somatici. Tingendone il copricapo abnorme, i
codini infantili.
Eppure,
innocente non lo
era più.
Contro tutte
le aspettative, ora, nonostante tutto, è ancora
più enigmatica per lui. La credeva immutabile, era rimasto
interdetto per l'ennesima volta.
Kotone, dal
canto suo, ricordava Matsuba come un bambino impacciato ed
insicuro. Ora era impassibile, inespressivo.
La sua chioma
folta e bionda non era cambiata. I lineamenti sono
semplicemente più marcati. In qualcosa, tuttavia, era
diverso.
«Ti
hanno tagliato la lingua?» esordì la
mora, accennando un innocente sorriso.
Per tutta
risposta, il ragazzo si volta. Il suo tono di voce
è cambiato, è doloroso accorgesene, per un
tradizionalista come lui.
I primi
lampioni cominciano a dare segni di vita, il giorno sta per
morire.
Le chiome del
bosco dalle tinte pastello, perdono colore.
Tonalità assorbite con violenza dal cielo, sempre meno
terso.
Ad
Amarantopoli, come nella mente di Matsuba, era perennemente autunno.
Una condizione
imparziale, combattuta fra due fronti. Un confronto
irrazionale, incomprensibile. Una guerra senza vincitori, fra l'estate
e l'inverno.
Il concetto di
polarità si estingue, giorno dopo giorno. Lui
resta fermo, inalando quell'atmosfera d'incompletezza.
Divenendo
impuro, insano.
Malato.
Assorto in
quella mistica area, chiuso nell'aura vitrea, distingue solo
un fievole rumore di passi che muta in voce, acquistando lo stesso tono
che lo deturpava.
«Sto
parlando con te.»
Vorrebbe non
rispondere a quella dannata, opportunista. Vorrebbe
fuggire, evadere. Vorrebbe gettarsi da quella terrazza, schiantarsi su
quel letto di foglie che calpestava sin da bambino, giocando a calcio
con Kai, il suo migliore amico.
Vorrebbe
sedersi su quelle panchine per lasciarsi cullare da quella
stucchevole quotidianità.
Ma si
è spinto troppo oltre per tornare indietro.
Troppa fiducia
regalata.
Troppe
speranze riposte.
«Ed
io non intendo risponderti.» trema, dinanzi
alle menzogne pronunciate. Trema, dinanzi all'orrore del mentire a se
stesso.
Non
può ingannare il destino. Non può prendersi
gioco di ciò che gli riserva. Non può negarsi
alla sadica dolcezza la quale si trova ad un passo.
«Sai
anche tu di mentire. Sei troppo sveglio per non
accorgertene.»
Kotone
uno, Matsuba zero.
Deve
recuperare terreno, il respiro lo sta soffocando. Il peso di tutta
quella disonorevole incertezza, lo strangola senza pietà.
«Perchè
sei tornata? Ma soprattutto, perchè
non te ne vai?»
Convinto
d'averla ferita, torna a crogiolarsi al tiepido calore.
La
banalità, la semplicità, l'ovvietà,
non lo avevano mai abbandonato. Poteva contare solo su di esse, erano
la sua unica famiglia.
Il sole un
padre, la luna una madre. Legati, connessi, eppure mai si
sono
sfiorati.
L'amore gli era estraneo, la gioia non lo aveva mai conosciuto. Si
nutriva del crepuscolo, si beava del tepore.
Eppure, vi è qualcosa che persino lui può donare:
la fiducia. Nessuno, tuttavia, si è mai meritato tale
riconoscimento.
«Ne avevi bisogno, non è forse vero?»
Kotone due, Matsuba zero.
Probabilmente era autentico, mancava qualcuno che desse
sapidità alla sua vita. Senza nessun genere di legame, lei
aveva scrutato ogni sua carenza.
Vulnerabile. Inerme.
Indifeso.
Pronto ad essere stritolato fra le sue spire, digerito nelle sue
viscere.
L'enigmatico Matsuba, viene costretto ad uscire allo scoperto, a
giocare in trasferta.
Si volta, rendendola partecipe delle sue lacrime. Pronto a confessarle
ogni segreto, ogni frazione di lui.
«La verità è che ho paura di
te.»
Le sue parole non la sfiorano neppure, si finge quasi sconcertata.
«Ho paura che tu possa fuggire ancora.»
Oramai si è esposto completamente, all'oscuro dei pericoli
che sta correndo.
«Poichè so che il dolore mai mi
abbandonerà, mentre..» interrotto, zittito e
umiliato nel miglior modo possibile.
Sente le labbra di quel demone posarsi sulle sue. Un bacio innocente,
la collisione di due atomi incompatibili.
Il contatto li deturpa, li corrode. Sono disposti a dimenticare il
fato, a voltargli le spalle.
Il sole si trattiene, quasi a voler osservare la scena, a rendersi
partecipe come il più geloso dei padri.
Ma non li può
sfiorare.
Lo aveva derubato di tutto, apparentemente innocua.
Invece, non perde tempo.
La vede entrare nella sua palestra, avida. Per lei, Matsuba
è solo un avversario come tanti, non è
problematico sbarazzarsene.
Esce dall'edificio a testa alta, sfoderando orgogliosa il trofeo
appena guadagnato. Non solo una medaglia, la sua fiducia.
Il biondo avanza imperterrito verso l'uscita, spezzato.
L'osserva andarsene, cristallina. Impuramente innocente, lo ha punito.
Punito per un'illogica ingenuità, per essersi lasciato
coinvolegere. Credendo di poter conoscere la lealtà, si era
aggrappato a quell'occasione per evadere.
Ne ammira le movenze, la figura. L'ombra dissolta dietro di lei, dietro
quella sadica dolcezza.
La sfera di fuoco decede, dopo aver osservato minuziosamente la scena.
Dopotutto, Matsuba, da quel giorno ha perso il suo secondo padre.
Il sole non
tornerà a fargli visita.
~
Ammira la donna passeggiare per il borgo, respirare per l'ultimo
giorno.
Può decidere sulle vite della gente ma non può
permettersi d'essere chiamato destino.
Un destino che la donna combatte, per il quale deve essere punita.
Quanta ostinazione futile, non può che portarla verso
l'oblio. Ora ne è convinto, eppure in un passato recente,
anche lui ha sfidato il fato.
Cos'era cambiato? Per
chi combatteva?
La signora vira, entrando in un viottolo stretto.
Esala, già morta. Trafitta da ciò che si
è trovata davanti.
Tic, tac, tic, tac.
Si volta, per identificare il suono.
Il nulla le si staglia dinanzi, circondato da anonimi caseggiati
rustici.
Si gira nuovamente, per constatare di stare annegando in un oceano
color ametista.
Una figura slanciata, circondata d'una gravità malsana.
Controlla un orologio da taschino, sorridente.
Le si avvicina lentamente, senza comunque darle il tempo di fuggire.
Poichè già al lavoro
.
Ottantacinque,
ottantasei.
Incide il petto della donna, macchiandosi dell'ennesimo sangue umano.
Fa roteare la classica Piuma d'Iride fra le dita, passandosela sulle
labbra copiosamente.
Poi, appropriatosi dell sapore, la conficca preciso nel bulbo oculare
della vittima, dissanguata.
Ottantasette.
Si posa dolcemente sul cadavere, leccandone lo zigomo
umido.
Si erge dinanzi al sole o, perlomeno, quello che ne resta.
Sta spirando, proprio
come quella volta.
~ La fioreria di Amethyst ~
Ya, eccomi qui.
NOOOOOOOO.
Probabilmente il capitolo non mi è riuscito
bene, la verità è che scrivo come un cane
ho avuto una brutta giornata.
Avevo comiciato a scriverlo di buon umore, poi è successo il
finimondo. Ma, a parte questo, ne abbiamo uccisa un'altra!
Ho le lacrime agli occhi, poverina. No, doveva morire, prima o poi
moriranno tutti.
Alla prossima
uccisione prossimo capitolo,
Amethyst<3.
p.s. Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite! Vi
prometto che tornerò presto a scrivere capitoli decenti.
p.p.s. Se pensate ch'io sia cattiva, vi sbagliate di grosso. Sono sadica, un vero sicario.
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