Leggende di Lothiriel_Indil (/viewuser.php?uid=54990)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pronto, Satoru-kun? ***
Capitolo 2: *** Kuchisake Onna ***
Capitolo 1 *** Pronto, Satoru-kun? ***
Spesso
ci si chiede cosa può spingere qualcuno a compiere pazzia o
atti all’apparenza
insensati.
Disperazione?
Mancanza
della speranza del futuro?
Non solo. Ciò che spinse me a compiere quel gesto non aveva
niente a che fare
con questo genere di emozioni. A quel tempo ero una ragazza annoiata
che viveva
tra casa e scuola, passavo la mia vita sui libri e non avevo alcun
amico.
Frequentavo un istituto femminile piuttosto prestigioso, le mie
compagne erano
per lo più figlie di politici di spicco o di persone note
alla gente comune.
Io ero
la figlia di un’attrice in voga in quel periodo. Inutile dire
che fin da
piccola vissi all’ombra di mia madre. Tutti, compresa lei, si
aspettavano che
prendessi la stessa strada, dopotutto ad occhi estranei la cosa poteva
sembrare
semplice.
C’era solo un problema: io non volevo fare
l’attrice.
Così mi chiusi in me stessa e diventai “La ragazza
del bando in fondo alla
classe”. Ero poco nota tra le mie compagnie, molte delle
quali non conoscevano
nemmeno il mio nome.
La cosa non mi dispiaceva più di tanto, ormai mi ero
abituata a quell’anonimato
che si era venuto a creare nel corso del tempo. C’era
soltanto un fattore che
rendeva quella situazione alquanto fastidiosa: la noia.
Mi capitava spesso di ascoltare di nascosto i discorsi delle mie
compagne di
classe, quello era il periodo delle leggende metropolitane, in
particolare
sembravano essere appassionata per i racconti horror. Mi trovavo a
sorridere
per le idiozie che uscivano dalle loro labbra, chi poteva credere a
storie del
genere? I fantasmi esistevano solo nei film o nei libri, la
realtà era per i
vivi.
In verità quel giorno, nel compiere quel gesto, o
semplicemente per la
curiosità che mi aveva assalita, mi sentii alquanto stupida.
Non ero quel
genere di ragazzina che credeva a certe storielle. Forse volevo
dimostrare a
quelle ragazzine che il fantasma in questione non esisteva e il giorno
dopo
sarei entrata in classe gridando:”Stupide galline credulone!
Sapevo che era una
buffonata!”.
Quella mattina avevano parlato di Satoru-kun, un fantasma che, a quanto
diceva
la leggenda, aveva l’aspetto di un ragazzo e si presentava
solo se chiamato per
rispondere a una domanda.
Ovviamente c’erano diverse regole da seguire nel caso fosse
veramente apparso:
mai voltarsi a guardarlo, non osare toccarlo e non perdere tempo nel
porgli la
domanda.
In realtà non avevo ascoltato la storia al completo e non
avevo idea di cosa
sarebbe successo quando avessi posto la domanda o nel caso avessi
infranto una
delle regole, in realtà la questione non mi interessava
più di tanto.
Finite le lezioni non mi diressi a casa, ma presi la strada per
Shibuya, il
quartiere dei divertimenti, lì avrei trovato quello che
stavo cercando e
nessuno mi avrebbe interrotto.
Entrai alla prima cabina telefonica, una di quelle ancora in vecchio
stile e,
dopo aver composto il mio numero di cellulare con i tasti ormai
sbiaditi dal
tempo, appoggia la cornetta all’orecchio e con
l’altra mano risposi alla
chiamata che arrivò al mio telefonino.
“Satoru-kun,
Satoru-kun, ti prego di
venire qui. Satoru, Satoru, ti prego di mostrare te stesso. Satoru,
Satoru, per
favore rispondimi se ci sei.”, mormorai senza
alcun timore e, senza
perdere tempo ad ascoltare una possibile risposta, riposi la cornetta
al suo
posto e mi affrettai a spegnere il cellulare.
Un sospiro abbandonò le mie labbra e socchiudendo gli occhi
mi appoggiai contro
il vetro della cabina. A quell’ora il quartiere non era molto
affollato, la
maggior parte degli studenti erano ancora al doposcuola e gli impiegati
al
lavoro. In qualche modo potevo considerarmi sola lì dentro.
Uno squillo.
Il mio cuore sobbalzò e abbassai lo sguardo per vedere il
cellulare che si era
riacceso da solo e che stava squillando, segno che qualcuno mi stava
chiamando.
Deglutii rumorosamente e, con un certo timore, avvicinai
l’apparecchio al mio
orecchio per poter rispondere alla
chiamata:”P-Pronto?”, domandai balbettando.
“Sono ad Akihabara.”, pronunciò una voce
maschile per poi chiudere
immediatamente la chiamata.
Tremante abbassai il cellulare e mi guardai intorno. Dovevo uscire di
lì e
nascondermi.
No, mi stavo facendo prendere dal panico e la cosa non andava per
niente bene.
Dovevo stare calma e ragionare su quella situazione, probabilmente si
trattava
di uno stupido scherzo.
Silenziosamente e con passo veloce abbandonai la cabina per
incamminarmi verso
la stazione.
Cosa
avrei potuto
farei? Rivolgermi a un poliziotto? No, chiunque mi avrebbe preso per
una
stupida ragazzina, proprio come le sue compagne. Io avevo fatto quella
chiamata
per dimostrare alle altre che si trattava di un’idiozia, non
perché ci credevo.
Un altro squillo.
Socchiusi gli occhi e mi fermai sul marciapiede. Cliccando il tasto
verde
avvicinai nuovamente il cellulare all’orecchio e trattenni il
respiro nel
sentire quella stessa voce pronunciare:”Sono a
Shibuya.”.
D’impulso presi a guardarmi in giro freneticamente.
La leggenda raccontava che in tutto dovevano essere tre gli squilli: il
primo
in cui Satoru-kun diceva dove si trovava, il secondo per avvisare che
si stava
avvicinando e il terzo…
Il terzo squillo.
Le lacrime presero a scorrere sulle mie pallide guance.
“No…”, mormorai e istintivamente
premetti il tasto di risposta.
La voce che sentii in quel momento non arrivò dal cellulare,
era troppo
lontano, ma dalle mie spalle. Lentamente voltai il viso per scoprire
chi avesse
osato farmi quello scherzo e mi sentii raggelare il sangue nel vedere
quel
ragazzo che, a sua volta, mi osservava con i suoi occhi neri.
Un sorriso si dipinse sul suo volto, un ghignò inquietante
che mi fece perdere
ogni speranza di poter uscire da quella stupida situazione.
Nel giro di pochi secondi tutto intorno a me divenne nero.
L’oscurità mi avvolse.
Troppo tardi avevo capito che Satoru-kun era reale quanto me e la noia
che mi aveva
spinto a compiere quella pazzia.
Salve
a tutti! Parto col dire che
non sono un’amante del genere horror, anzi direi che lo detesto, ma sono stata
conquistata da
alcune leggende riguardanti fantasmi giapponesi e da qui è
nata la mia
ispirazione.
Chiedo venia se i racconti sono un po’ banali, spero solo di
non avermi
annoiati.
Sono ben accette critiche di ogni genere, voglio solo migliorarmi!
A presto!
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Capitolo 2 *** Kuchisake Onna ***
Mai Mikasa si sarebbe aspettato una
Tokyo tanto affollata,
non di sera. Se il sole non fosse tramontato ormai da quale ora si
sarebbe
trovato ad avere qualche dubbio sull’orario. Ma il cielo,
privo si stelle a
causa delle forti luci artificiali che ne impedivano la vista, era buio.
D’altronde non ne sapeva molto, no?
All’età di tredici anni gli era stato
permesso di uscire in serata, quella era la prima volta che si trovava
a
gironzolare per le strade della capitale giapponese dopo cena. Inutile
dire che
si sentiva non poco emozionato.
Per festeggiare l’evento, Mikasa, si era dato appuntamento
con alcuni suoi
compagni, nonché migliori amici, davanti alla Tokyo tower.
In realtà sembravano essere in ritardo, forse a causa di
qualche imprevisto
dato che non aveva ricevuto alcun tipo di notizia o avvertimento.
Prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans diede
un’occhiata all’orario
mostrato in bella vista sul display. Si trovava lì da
un’ora e mezza e iniziava
ad annoiarsi.
Forse nell’attesa sarebbe stato il caso di andare a bere
qualcosa, ma c’era la
possibilità che arrivassero durante la sua assenza e non era
davvero il caso di
non farsi trovare.
C’era anche la possibilità che gli stessero
tirando qualche brutto scherzo, Masato
non perdeva occasione per prendere in giro lui e gli altri.
Un sorriso si allargò sul viso del giovane che
cominciò a considerare
quell’eventualità
la più plausibile.
Probabilmente lo stavano osservando da qualche vicolo e di certo si
stavano
sbellicando dalle risate nel vederlo tanto annoiato.
Maledetti, gliel’avrebbe fatta pagare.
Quindi, girando i tacchi, si incamminò fingendo di essere
preoccupato.
Aveva intenzione di attirarli in una trappola, era piuttosto bravo a
recitare
ed erano minime le possibilità di essere scoperto.
“Ride bene chi ride ultimo.”, mormorò
tra sé sogghignando.
Svoltando un angolo, Mikasa, si inoltrò in un vicolo che, a
differenza della
strada principale, non era molto illuminato, probabilmente proprio per
questo
sembrava non esserci anima viva.
Camminò per un paio di metri. In realtà si stava
chiedendo se fosse stata una
buona idea quella di allontanarsi dalla folla, iniziava a sentirsi non
troppo
tranquillo, sembrava lo scenario perfetto per un qualche film horror,
non si
sarebbe stupito se fossero spuntati un qualche mostro o un serial
killer da un
momento all’altro.
All’improvviso si rese conto di non essere solo. In quel
vicolo risuonarono
altri passi oltre ai suoi.
Che si trattasse di uno dei suoi amici? Probabilmente era cascato in
pieno nel
loro scherzo, l’avevano attirato in quel posto per
spaventarlo. O almeno ci
sperava.
Lentamente si voltò e puntò gli occhi neri sulla
figura che si trovava a pochi
passi da lui. A prima vista sembrava trattarsi di una donna con indosso
un
lungo cappotto che le copriva anche il viso.
“Sono bella?”, fu lei a interrompere il silenzio.
Che domanda era? Come avrebbe potuto rispondere se ogni centimetro di
pelle era
coperto dall’indumento? Che in realtà non si
aspettasse una risposta?
Mikasa non si sentiva tranquillo, aveva iniziato a sudare freddo e un
tremolio
prese a scuotere il suo corpo. Per quale motivo si sentiva tanto
agitato?
“Oh si, moltissimo!”, esclamò cercando
di mantenere il suo solito tono allegro,
nonostante fosse tutt’altro che felice in quel momento.
La donna prese a sbottonare uno a uno i bottoni che tenevano chiuso il
cappotto. Il ragazzo si sentì rabbrividire nel vedere il suo
viso dove
campeggiava una mostruosa bocca gigantesca.
Subito si trovò ad arretrare. Doveva scappare, doveva
correre per mettersi al
sicuro. Era in pericolo.
“E ora sono ancora bella?”, domandò
nuovamente la donna mostrandogli un paio di
forbici. Ma lui non fece in tempo a rispondere dato che, senza
aspettare oltre,
il mostrò gli tagliò il corpo in due parti.
Mikasa venne dato per disperso. Le sue foto si trovavano su tutti i
giornali e
molte persone si mobilitarono per poterlo cercare, ma nessuno
riuscì mai a
scoprire cosa veramente gli successe.
Gli amici, quelli con cui doveva incontrarsi quella sera, avevano
semplicemente
avuto un contrattempo a causa del ritardo della metropolitana. Nessuno
la prese
bene. Uno di loro fu trovato morto annegato nei giorni seguenti,
suicidato per
i sensi di colpa.
Ok, ammetto di essere un
po’ in ritardo con questo
secondo capitolo, ma alla fine è arrivato.
Cercherò di essere più svelta con il terzo,
più che altro spero di trovare
leggende altrettanto interessanti.
Aspetto ancora vostre recensioni, ogni critica o suggerimento per
eventuali
storie a cui possa ispirarmi saranno ben accetti!
Alla prossima!
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