Leggende del Mondo Emerso - Il Sigillo della Morte

di Aesir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Ombre sopra il Mondo Emerso - Il Sigillo della Morte ***
Capitolo 2: *** Scena Prima (I): CENERE ***
Capitolo 3: *** Scena Seconda (II): LAODAMEA ***
Capitolo 4: *** Scena Terza (III): DELLE COSE NON PERDUTE ***
Capitolo 5: *** Scena Quarta (IV): LA TUA MANO NELLA MIA ***
Capitolo 6: *** Epilogo: DAL DIARIO PRIVATO DELLA MAGA THEANA ***



Capitolo 1
*** Le Ombre sopra il Mondo Emerso - Il Sigillo della Morte ***


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Capitolo 2
*** Scena Prima (I): CENERE ***


[…] Per rovesciare dal trono il Re del Cielo
scendiamo in guerra, se la guerra
è il meglio per riconquistare il diritto perduto,
ma possiamo sperare di farlo solo se
il destino eterno s'arrenderà alla volubilità
della fortuna, e solo se su questa contesa
sarà il caos ad emettere il suo giudizio”
-
John Milton, Paradise Lost, Book One

 

Scena Prima (I): CENERE

 

Shame on you for thinking
Your all alone
If you want I'll make you wish you were
Failing to impress
Why can't you sleep with
Someone who'll protect you
Harm is coming your way
Its coming your way

- Muse, Dead Star

L'assemblea si sciolse lentamente e i presenti abbandonarono uno ad uno la casa. Rimasero solo Dubhe e Learco, nel buio pastoso di quel luogo che odorava di muffa. Lei gli aveva tenuto gli occhi piantati addosso per tutto il tempo, mentre gli incappucciati sfilavano fuori silenziosi.
“Che cosa ti è venuto in mente?”, sibilò. “Ti ho dimostrato che sei libera di fare ciò che devi.” La voce di Learco era salda e la sua calma irritò Dubhe.
“È una questione che riguarda solo me! Perchè hai messo in mezzo questa gente?”
Lui sorrise con amarezza. “Io sono uno di loro, Dubhe, sono stanco di abbassare la testa. Sono anni che mi nascondo dietro il nome di mio padre. Gli ho dato tutto: la mia innocenza, i miei sogni, persino il mio sangue. E ho avuto in cambio solo il suo sguardo gelido e il suo disprezzo. Io sto diventando come lui, e questo non lo voglio. Per tanto tempo mi sono detto che non c'era altra via che ubbidire. Lui sarebbe morto e io avrei continuato a perpetrare le sue stragi, perchè ormai mi ero spinto troppo oltre per tornare ad essere quello che ero. Ma non è vero. Me l'hai insegnato tu, e tu sei la ragione per cui mi trovo qui adesso. Voglio che tu mi aiuti a farlo, Dubhe.”
Bastò quella frase, che forse non aveva nemmeno considerato nei suoi significati, per spezzare qualcosa dentro alla ragazza. Una campana le risuonò nelle orecchie, assordandola, coprendo la voce di Learco che diceva che cos'avrebbe fatto se fosse stato lui a prendere decisioni per il Mondo Emerso. Stupide illusioni, lo mise a tacere la ladra, presa da una rabbia di cui non comprendeva la causa. La gente vuole qualcuno che la comandi e che prenda le decisioni al suo posto, e, pur di non essere costretta a farlo, accetterà un tiranno. Se ne lamenteranno, certo, ma dentro di sé saranno sollevati. Fu la frase che sancì uno scisma insaldabile. Non ci voleva molto, in fondo, per mandare in frantumi una persona fatta di vetro come lo era lei; certo, poteva atteggiarsi a dura, ma la verità era che lo faceva per celare la propria debolezza al mondo, timorosa com'era che bastasse poco per ferirla in maniera irreparabile. Com'era appena accaduto.
Ecco, pensò Dubhe. Era strano, ma non provava tristezza nella constatazione che stava per fare; esitava solo, perchè significava dare addio alle speranze che l'avevano sostenuta per tanto tempo, ma, in fondo al cuore, sapeva, per quanto potesse illudersi di essere condannata. Un altro che non mi vede per quella che sono, ma solo per ciò che io rappresento per lui. Un giorno ti scontrerai con la realtà e ti accorgerai di aver amato un'illusione.
Learco la scosse un attimo: “Dubhe?”
Al diavolo. Pensi che sia un mezzo per sbarazzarmi di tuo padre, una rivincita su ciò che ha fatto? Allora anche tu sarai un mezzo per me, Learco, e null'altro... ma come posso agire di nuovo così? È già successo, e qual'è stato il risultato? Loro sono andati avanti, e io sono rimasta qui. Non posso! Che devo fare?
Il ruggito della Bestia le risuonò nelle orecchie, e Dubhe lo ascoltò con rassegnazione, senza provare a ribellarsi. Siamo solo io e te, alla fine.
“E va bene!”, esclamò dunque. “Stai sbagliando, non lo capisci? Io lo ucciderò, e tu non potrai mai amarmi perchè in me vedrai solo un'assassina. È questo che vuoi? Se lo è, se vuoi passare il resto della vita a odiarmi, dimmelo, e facciamola finita! Mi rifiuto. Me ne andrò, e non sentirai più parlare di me. Io non sarò un riscatto su tuo padre, mi hai capito?”
Non puoi portare indietro l'orologio, Dubhe. Non puoi far sì che le parole rientrino nella bocca. Ciò che è stato detto è stato detto... e nulla sarà più come prima.
Learco la guardò, sbigottito. Solo allora Dubhe si rese conto d'aver urlato. “Mi dispiace”, sussurrò. Si avvolse più strettamente nel mantello, calandosi il cappuccio perchè lui non potesse vedere le lacrime che le bagnavano le guance, e fece per andarsene.
Perchè non piove, dannazione? Perchè il tempo non risponde al mio umore?
Si sarebbe sentita molto meglio con la pioggia battente, lampi, tuoni, il finimondo, in pratica, invece di quella notte che più che altro sembrava invitarli a gettarsi insieme in un letto.
Mai più.
“Dubhe...” mormorò il principe. Lei si voltò a guardarlo. Ora nei suoi occhi scuri era riapparsa quella tristezza sconfinata che i pochi giorni felici sembravano aver scacciato. “Dubhe, ti prego. Voglio stare con te, solo questo. Non potrei mai disprezzarti, mi capisci? Sei... sei... sei l'unica cosa buona che mi sia mai capitata...”
La ragazza sentì il suo cuore sciogliersi a questa dichiarazione, ma si impose di restare fredda. Fu un enorme sforzo di volontà, ma ci riuscì. “Learco... la morte di una persona amata non è mai naturale. Dentro di te, non potrai fare altro che chiederti se non ci fosse stato un altro modo. Lo so, perchè ci sono passata. Ho ucciso una persona che amavo, l'ho avvelenata. E ancora oggi non riesco a perdonarmi. Ti prego, non...”
Si fermò. Aveva gli occhi lucidi per il pianto. Learco l'abbracciò, non riuscì a fare altro. Lei rispose quasi con disperazione, poi si staccò. Gli pose un bacio sulle labbra. “Addio.”
Lui la trattenne. “No, Dubhe. Ascolta, te lo prometto, non me la prenderò mai con te.”
La ladra lo fissò, un sorriso amaro sulle labbra. “Credi davvero che siano cose che puoi promettere o no?”
“Ti prego, io ti amo. Non ti basta questo?”
“Non è questo il punto. È che...”
“È che?”
Che non ami me. Ami la cortigiana che fingevo di essere, ami la ragazza timida con i capelli del colore del grano, ami la sua debolezza perchè ti fa sentire più forte, doverla proteggere. Tu non puoi vedere quella che sono davvero. E io l'ho capito troppo tardi.
“Basta, va bene? Me ne vado! Addio, Learco.”
Si alzò, senza che stavolta lui riuscisse a trattenerla, e imboccò la porta. Forse, se ci fosse stato il temporale che tanto desiderava, ci sarebbe anche riuscita. Invece quella notte tranquilla la turbò a tal punto che richiuse di scatto la porta.
“Non posso”, singhiozzò. “Non ce la faccio.”
Potrebbe essere la tua ultima possibilità di essere amata. Accettala, Dubhe, accettala con rassegnazione, perchè non troverai mai qualcuno come te.
Rientrò, fronteggiando il principe. “E va bene. E va bene! Farò ciò che vuoi!”
Abbassò la voce e si chinò verso di lui, parlando con tono più calmo di quanto non si credesse capace. “Learco, sto mandando all'aria tutto ciò in cui credo, per te. Lo sto facendo perchè ti amo. Fammi soffrire, e giuro che ti ucciderò.”
“Non accadrà, vedrai. Stai facendo la scelta giusta.”
“Non dirmelo!”, gli urlò in faccia. “Non dirmelo.”, ripetè a voce più bassa. “Non sarà mai giusto ciò che sto facendo, lo capisci?”
Mi sto vendendo, e tu mi hai appena pagato i trenta denari.
“Va bene. Posso darti un bacio?”
Perchè no? Ormai è finita.
Dubhe annuì. Rimasero stretti a lungo.
Quando si staccarono, lo guardò negli occhi. “Ce l'hai, un drago?”
“Sì, perchè?”
“Prendilo, dobbiamo andarcene subito.”
L'ultimo bacio che ti darò, ma almeno devo metterti in salvo.
Il cambio di discorso era stato così repentino da sconvolgerlo. “Perchè”, chiese, stordito.
“Uno dei vostri vi tradirà.” e prima che Learco riuscisse a chiedere come lo sapesse, aggiunse: “L'ho letto, va bene? L'ho letto da come si muove, da come parla. Andiamo, prendi il tuo drago e spariamo. Vado a chiamare Theana.”
“Chi?”
“L'altra ragazza che era con me... non sono così stupida da buttarmi nella bocca del leone da sola.”
“Va bene, ti aspetto nel giardino, fra un'ora. E... ti amo Dubhe.”
“Ti amo anch'io.”
Eppure, mentre lo diceva, sentiva una nota discordante suonare nelle sue orecchie.
Non è ciò che provi. Sono le ceneri di un incendio, tutto qui. Ciò che rimane.

“Theana...”
La maga battè le palpebre, confusa. “Dubhe... è già mattina?”, chiese, assonnata. Sbadigliò. “Ho di nuovo letto troppo prima di andare a letto...”
“No”, scosse la testa la ladra. “Ce ne andiamo.”
Questo la svegliò definitamente. “Andiamo? Non abbiamo ancora completato il rituale.”
Dubhe sorrise amaramente. “Non ho intenzione di completarlo.”
Con poche parole le raccontò quello che c'era fra lei e Learco, tenendo però per sé i propri dubbi, che ad ogni secondo che passava si trasformavano fastidiosamente in certezze, via via che ogni parola che si erano scambiati veniva letta con questa nuova luce.
“Ho trovato una ragione per vivere, quindi adesso posso anche morire”, terminò, mettendo in quella frase molta più convinzione di quanta non ce ne fosse in realtà. Theana annuì, e una scintilla rischiarò per un attimo l'animo di Dubhe: se non altro, ho trovato un'amica...

Learco fu di parola. Dopo un'ora stava puntualmente aspettando in dorso al suo drago. Le due ragazze lo raggiunsero.
“Andiamo”, fece la ladra, più freddamente di quanto non avesse voluto.
Salì sull'animale, poi aiutò Theana, notevolmente più impacciata, a fare lo stesso.
Si alzarono in volo. Il drago era una creatura grande e robusta, dall'aria nobile, verde con sfumature rosse. Aveva un'inspiegabile affinità di atteggiamenti con il principe, e il suo sguardo sembrava a tratti altrettanto triste. La ladra lo incrociò un momento, poi chinò il capo. Era stanca di vedere solo ombre sulla sua strada.
“E così, siamo di nuovo a viaggiare noi tre?”, disse Learco, per rompere il ghiaccio.
Dubhe fece un gesto con la mano. “Scusa, ma preferisco stare in silenzio.”
Lui annuì, rispettando il suo desiderio.
Ma la ladra non riusciva a tacere la voce che le risuonava nelle orecchie, quella che urlava: deficiente, hai buttato all'aria tutto!
Aveva perso Learco, aveva rinunciato alla salvezza. Cosa le restava, oltre al suo stupido orgoglio che le impediva di ammettere che la voce aveva dannatamente ragione?

Durante il volo non venne pronunciata parola. Theana era imbarazzatissima e cercava disperatamente di capire cos'avesse la sua amica; Learco dal canto suo si diceva che il suo atteggiamento era del tutto normale, che l'attendeva una prova molto difficile, e che doveva aspettare che le passasse. Non aveva idea di quanto fosse lontano dalla verità. Dubhe dal canto suo, era ignara dei pensieri dei compagni, e se ne fosse stata a conoscenza, se ne sarebbe dispiaciuta. Odiava che qualcun altro si preoccupasse per lei, odiava apparire una debole, come più che mai si sentiva in quel momento.

Atterrarono per la notte al confine con la Grande Terra.
Le schegge di cristallo nero che componevano il terreno, e che tutti i viaggiatori avevano imparato ad odiare, non risparmiarono nemmeno loro, e furono costretti a scrollare più volte gli abiti per sbarazzarsene.
A sorpresa Dubhe si avvicinò a Learco e lo strinse in un abbraccio. Parlò per la seconda volta dall'inizio del viaggio: “Scusa, mi sono comportata da stronza.”
Dato che lui la fissava senza capire, spiegò: “Durante il volo.”
Il principe sorrise: “Non preoccuparti, ti capisco. Vedrai, andrà tutto bene. Ben presto raggiungeremo Laodamea, ci metteremo sotto la protezione del Consiglio delle Acque. Poi andremo io e te da soli, torneremo nella Terra della Notte e uccideremo mio padre.”
Per me non c'è posto in tutto ciò. Morirò prima. Poi si accorse di un dettaglio della frase pronunciata dal principe. “Uccideremo? Ci sarai anche tu?”
“Dubhe, ti capisco. Lo so che non vorresti farlo, lo so. Ma devi, altrimenti morirai. Io non voglio che tu muoia, non potrei sopportare di vivere senza di te. Se posso aiutarti in qualche modo, lo farò. Ti prego, Dubhe, cerca di...”
“Di tornare quella che ero al palazzo?” Soriso amaro. Diglielo, tanto, ormai... “Learco, ti sei innamorati di un fantasma. Ti sei innamorato di una Dubhe che non esiste. Io sono quella che vedi ora. Io sono la ragazza che non sa darsi pace, che non conosce la tranquillità, che la gioia non sa neanche cosa sia. I miei occhi vedono solo dolore. Pensaci. Pensa con chi ti proponi di condividere la vita. Sei ancora in tempo per rinunciare.”
“No, Dubhe, ti amo per quella che sei davvero. Non ti lascerò mai, te lo prometto.”
La vedo dura, tu non hai la minima idea di chi io sia davvero... Parole, Learco. Belle parole, ma nient'altro. E le parole... le parole non bastano.
“È davvero una rottura questo cristallo nero, eh?”
Dubhe annuì, apprezzando il tentativo di cambiar discorso.
“Ogni volta che sono qui, penso al Tiranno, lo sai?”, mormorò. “Lo so che è sbagliato ciò che ha fatto, che voleva distruggere il Mondo Emerso, però... Però non riesco ad avercela con lui. Lo capisco, non posso dubitare delle sue scelte, le avrei fatte anch'io. È un personaggio che mi affascina.” S'interruppe, imbarazzata. “Adesso mi prenderai per pazza, ma...”
“No, no. È normale che tu lo pensi... hai vissuto un'esistenza crudele come la sua, la vita ti ha chiesto tanto quanto a lui.” La strinse a sé, e lei lo lasciò fare. Durerà poco, goditela finchè puoi.
“Avrà fine tutto ciò, te lo prometto.”
La guardò negli occhi. “Dai, fammi un sorriso.”
Lei eseguì. “Sei bella quando sorridi così.”
Le scostò la frangetta. “È così difficile ?”
Dubhe sorrise di nuovo, stavolta con più slancio. Dentro di sé però pensava. Come posso sorridere e dimenticare, quando il marchio che pulsa sul mio braccio mi ricorda ogni giorno le mie catene? E tu non sei che una di loro, più pesante perchè piacevole. La speranza, quella che dovrebbe seguire ognuno di noi, non è qui con me. Dov'è la mia speranza? Appesa alle fronde dei salici della terra dell'Acqua, forse. Io non ho diritto a sperare. Sperare è negare la realtà. Posso solo accettare di lasciarmi portare dalla corrente, e, si vedrà, è tutto ciò che ho.
Sentì che lui le veniva vicino. Si ritrasse per un momento. Che m'importa?, pensò subito dopo. Ormai è finita. Lasciò che l'abbracciasse.
Non è Learco... non solo. Anch'io ho la mia parte di colpe, prima di tutto la paura di amare. Ma se qualcuno crede che abbia intenzione di scusarmi, di chiedere perdono a me stessa, a lui o ad una qualche entità di ciò, si sbaglia di grosso. Nessuno ha il diritto di giudicare i miei sentimenti, a meno che non abbia vissuto ciò che anch'io ho provato. Finora questo mondo mi ha sempre deluso, ha sempre infranto le mie speranze. Sempre. E io sciocca a credere. E domani, e domani, e domani. Mi ha deluso troppe volte. Non voglio soffrire mai più. Non voglio, ma devo. Ma perchè, perchè, perchè? Perchè dev'essere per forza così? Perchè non può mai andare come voglio io? Perchè non posso trovare la pace? Perchè non riesco ad abbandonarmi? Cos'ho fatto, io tra tutti coloro che popolano il Mondo Emerso, per meritare questo? Sono stanca di recitare un ruolo che non mi appartiene, ma mi è stato imposto, forse sono stata senza amare talmente a lungo da non ricordare più come si fa. Perchè ogni volta che inizio a pensare a... qualcosa... di diverso, sento inevitabilmente un artiglio incidermi il cuore, dall'alto verso il basso, e continua a lacerarmi fino ad avere la certezza che mi sono arresa? Io cerco sempre di apparire forte, decisa, sicura... ma nella realtà, ah! Non ne posso più.
Sono stanca. Stanca. Non. Voglio. Più. Soffrire.

Mentre lentamente sprofondava nel sonno, ancora abbracciata a Learco, riuscì a tenersi aggrappato un solo pensiero.
Un sacchetto di cenere. Non resta altro, di me.

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Buongiorno! Ho deciso di ripubblicare la storia, adesso è più coerente con i passaggi successivi e soprattutto mostra una Dubhe decisamente più disillusa nei confronti del mondo. Poverina. Ho unito vari capitoli per pareggiare la lunghezza diq uelli dei libri successivi, quindi questo sarà più che altro un antefatto. non preoccupatevi, non ci saranno cambiamenti radicali nella storia.
Saluti, miei cari ventiquattro lettori! (magari!)

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Capitolo 3
*** Scena Seconda (II): LAODAMEA ***


Scena Seconda (II): LAODAMEA

 

Wash me away
Clean your body of me
Erase all the memories
They will only bring us pain
And I've seen, all I'll ever need

Muse, Citizen Erased

Dubhe si agitò nel sonno, inquieta. Stordita dalla molteplicità delle scelte, si era arroccata infine nella sua posizione, convinta di dover fare un passo ma senza sapere esattamente da dove cominciare. Non che ci sia qualcosa di chiaro, questo no. Il bivio non è mai tra il colle illuminato e la selva oscura.
Una vita con Learco era ormai utopica, perchè giorno dopo giorno lo vedeva diretto su una strada che sempre più lo allontanava da lei. Che alternativa le restava? Un omicidio da compiere, a costo di dover massacrare tutta la corte di Makrat, un coltello nel buio che avrebbe posto fine al più pressante dei suoi problemi. Già... e poi?
Era dimagrita ancora, ma nessuno, fra i suoi conoscenti, se ne stupiva. Trascorreva le notti assieme a Learco, per non destre sospetti sui suoi reali pensieri; non voleva essere influenzata da nessuno, erano decisioni che doveva prendere da sola. Sola, come sono sempre stata. Anche l'amore era ormai una forzatura, appena più attraente per il vago piacere che le dava... che si faceva di giorno in giorno più flebile, come una candela che stava per spegnersi. Learco le si addormentava sopra, e lei restava sveglia, a guardare il soffitto, la mente piena di pensieri che le impedivano di prendere sonno.
Scelte, sempre scelte. Perchè non c'è un modo per sapere in anticipo le conseguenze delle mie azioni? Mi farebbe comodo...
Come sempre quando fantasticava, la voce la zittì, riportandola alla realtà. È impossibile. Non credere altrimenti, sei solo una ragazzina sperduta davanti ad un bivio, senza né cartelli né indicazioni per capire che strada prendere.
La ladra questa volta non ebbe problemi ad ammettere che la voce aveva ragione.

Il palazzo di Laodamea si era stagliato dinnanzi ai loro occhi, impressionante e grandioso. La cascata sopra la quale era costruito lo rendeva un edificio assolutamente unico, per il Mondo Emerso.
Vedendo Learco restare a bocca aperta, Dubhe e Theana avevano sorriso: “Fa lo stesso effetto a tutti, la prima volta.”
Il drago aveva planato verso i bastioni, atterrando nei pressi delle stalle, dove era stato ricevuto da uno stupito attendente. Prima ancora di riuscire ad aprire bocca era visto affidato Xaron, con la raccomandazione di trattarlo bene. Quando finalmente aveva ripreso l'uso delle corde vocali, il misterioso gruppo era ormai nel castello.
Si erano presentati davanti al Consiglio, avevano chiesto asilo politico. I Consiglieri avevano tentennato a lungo, ma alla fine l'intervento di Ido, che ricordava fin troppo bene di esservi passato anche lui, e che forse aveva capito la scelta di quel ragazzo biondo, il principe che mai sarebbe stato re, era stato decisivo. Avevano spiattellato tutto ciò di cui erano a conoscenza, movimenti delle truppe alleanze, piani per il futuro, tutto. Poi avevano parlato della loro missione... ad onore del vero, Learco aveva parlato, mentre Dubhe se n'era rimasta in disparte, con l'aria di preferire trovarsi a mille miglia da lì. Si era subito scatenato un brusio, messo a tacere con qualche difficoltà. Folwar il vecchio maestro di Lonerin e Theana, aveva ripetuto le stesse parole che aveva detto in precedenza a lei sola, ossia chiedendo se davvero importava che Dohor morisse in guerra. Aveva anche aggiunto che se da quella morte si poteva giungere alla liberazione di Dubhe, allora era una missione da compiere. Aveva infine suggerito a tutti quelli che ancora erano contrari se per caso non avessero provato ciò che doveva sopportare la ladra. No, nessuno l'aveva provato. Molti gliel'avevano chiesto. Di controvoglia, lei si era alzata aveva spiegato cosa fosse il sigillo, e dopo aveva parlato dell'orrore di essere rinchiusa in un corpo che non era più suo, del sangue delle stragi, della gioia che non riusciva a non provare. La sua voce si era spenta in un soffio, e la ragazza avrebbe voluto che il pavimento si aprisse sotto i suoi piedi e la inghiottisse: i suoi fatti messi a dominio pubblico dinnanzi a tutti la imbarazzavano; non aveva nulla a che vedere con il Mondo Emerso... era una faccenda fra lei e Dohor, che sapeva poteva concludersi in un solo modo. E Learco avrebbe fatto meglio a starne fuori. Ma fu inutile: tutti tranne pochi puristi fissi nella loro posizione – che Dubhe mentalmente aveva ringraziato – avevano votato per il sì.
Lì per lì, ingiustificatamente, era stata male. Avrebbe preferito un no, un ingiunzione a morire con quel sigillo addosso, sola e maledetta. Sarebbe scappata, avrebbe portato a termine il suo compito e nessuno l'avrebbe più rivisto. E invece il pensiero di avere Learco al seguito era di colpo tangibile.
Continui a preoccuparti della cosa sbagliata; di lui non ti deve importare nulla. Eh, facile a dirsi! Ma perchè devo avere solo queste due alternative, a mia morte o il suo odio, e perchè mi importa tanto da essere in dubbio fra le due? Perchè ti ho conosciuto, Learco? Perchè non sei potuto restare un estraneo per me? Perchè hai voluto amarmi?

Il giorno dopo, quegli interrogativi ancora le frullavano in testa. Doveva vedersi anche dal suo aspetto, perchè Leaco la guardò preoccupato. “Dubhe? Stai bene?” Lei sussultò: non si era accorta che le sue pene fossero così evidenti. “Sì, sto bene”, disse per levarselo dai piedi.
“No, non è vero. Dubhe non sei più la stessa ragazza che ho amato in quella soffitta a Markrat, credi che non me ne sia accorto?”
Sarebbe stata ora!, pensò cinicamente lei, pentendosene subito dopo.
Vuoi dirmi il perchè?”
Perchè ho paura.
“No, stai tranquillo, sono io. È che... sono successe tante cose, faccio un po' di fatica ad abituarmi”, si schermì.
Learco la baciò. “Non preoccuparti, Dubhe.”
Ah! Magari potessi.

Dubhe sospirò, rigirandosi nel letto. Avrò mai il coraggio di affrontare tutto ciò? Mesi prima, avrebbe riferito senza dubbi questa frase alla Bestia, la maledizione che giorno dopo giorno la consumava. Mai avrebbe pensato di trovarsi davanti ad un dilemma del genere. Anzi, se gliel'avessero detto, probabilmente avrebbe risposto di andarsi a fare un lavaggio del cervello.
Ora invece, si trattava di quella scelta. O io o lui. In passato avrebbe risposto senza esitazione io, perchè nessuno in quella terra era degno di essere salvato, quindi tanto valeva che fosse lei a farlo. Adesso, il dubbio era come levarsi da quella situazione. Non mi ama, questo è sicuro. Non sa niente di me, si è innamorato della persona sbagliata... che neppure esiste. Che ragione avrei di stargli vicino? Per un godimento fisico che si fa sempre più lieve? E poi, non potremmo mai essere felici insieme. O perchè io sarò maledetta, e non riuscirò mai a perdonarmi per aver ceduto a causa sua, o lui perchè ammazzeremo suo padre, e non riuscirà mai a perdonarsi per aver ceduto a causa mia. In ogni caso, in questo mondo non esiste la felicità per noi. E anche se ci provassi? Non lo amo, però potrebbe essere la mia ultima possibilità di trovare qualcuno che mi vuole bene. Ma non può durare. E, soprattutto, ne vale la pena? Sarei pronta a sacrificare la poca vita che mi rimane, in cambio di una mera rassegnazione?
No, non ne era capace. Che senso ha avuto chiedermelo? Per salvarmi la vita ho calpestato tutto quello in cui credevo; cosa sarà mai anche un amore che non corrispondo?
Faticava ad accettarlo, anche perchè fino ad una settimana prima era stata così innamorata di Learco che sarebbe stata pronta a fare qualsiasi cosa per lui, anche lasciarsi consumare dalla Bestia. E il vuoto che le era rimasto dentro, quando l'amore era evaporato, non era ancora riuscita a colmarlo.
E un'altra vocina pressante comincio ad insinuarsi: Diglielo, Dubhe.
Devo proprio?
Devi, e lo sai. Tu vuoi che continui, ma non puoi. Fallo. E poi, seppellisci tutto e torna a vivere. E vedrai, è ciò che vuoi.

Scostò le coperte, mettendosi a sedere sul bordo del letto. Le sue gambe pallide rilucevano alla luce della luna. Si puntellò sul braccio e si alzò.
Forza, Dubhe. Hai del lavoro da fare.

Quando il principe si svegliò, sentì che il posto al suo fianco era vuoto. Spalancò subito gli occhi, drizzandosi contro la testiera. Dubhe era seduta sul margine del letto, le ginocchia strette al petto e il mento poggiatovi sopra. Vestita.
“Learco...”
“Sì?”
“Ascolta, c'è una cosa che devo dirti. Noi... non possiamo... non possiamo stare insieme”, sputò la ragazza tutto d'un fiato. Il peso allo stomaco si affievolì subito, e, rincuorata, si preparò a continuare. Credevo sarebbe stato come con Lonerin, invece... forse davvero non l'ho amato, forse ho costruito un castello di carte sopra i sentimenti di una notte in cui ero confusa e spaventata.
“Perchè?” Il tono non era arrabbiato, piuttosto stupito.
“Lo sai perchè, non devi chiedermelo. Io me ne andrò. Ucciderò Dohor e poi lascerò il Mondo Emerso per non farvi più ritorno. Tu non mi rivedrai mai più. Dimenticami. Cancella tutti i ricordi, ripulisci il tuo corpo da me. Lava via tutto.”
“Ma... perchè?”
“Finiscila di chiedermi perchè. Lo sai benissimo. Perchè può solo farci male. Da noi due non può nascere niente, non lo capisci? Non può, e non potrà mai. Vattene, lasciami sola. Lascia che trovi la soluzione ai miei problemi, e la metta in atto. Torna al palazzo, trovati una cortigiana, o la regnante di un'altra Terra, per un matrimonio politico, o quel che vuoi. Fai come se non fossi mai esistita.”
Non ebbe il coraggio di dire “non ti amo”, anche se le parole erano sulle sue labbra. Sarebbe stata la cosa più semplice, eppure qualcosa in lei la frenava dal pronunciarle.
Le lacrime cominciavano a bagnarle le guance. Piangi, anche? Stupida. Si ordinò di non abbandonarsi, e il discorso riprese a fluire. “Ti ho portato qui perchè volevo salvarti dal tradimento. Ti amo – bugiarda – non voglio che tu muoia. E se anche tu mi ami, fai come ti ho detto. “
“Ma... “
Lei addolcì il tono. “Io non sono fatta per te. Noi non possiamo vivere insieme. Il rimorso ci ucciderà, e non potremmo mai amarci. Guardami negli occhi e dimmi che sto sbagliando. Vorrei stare con te, davvero – see – ma non posso. Credimi, è meglio per entrambi.”
Di colpo non ne potè più di quella farsa.
“Addio...”, sussurrò.
Si voltò. Questa volta, forse perchè aveva il cuore colmo di disperazione, forse perchè la strada era finalmente spianata, ci riuscì. Si allontanò di corsa, il mantello che le frusciava dietro, perchè sapeva che se si fosse voltata, se l'avesse visto di nuovo, si sarebbe arresa a quella parte di lei che si crogiolava nell'incertezza; era pericolosa quanto la Bestia. Sentì che lui la seguiva, la chiamava.
Devo andarmene.
Uscì di corsa dal palazzo e attraversato il cortile si infilò nel bosco. Pioveva, e grosse gocce d'acqua la colpivano ad ogni passo. Non si protesse. Andava bene così. Il freddo era un amico, il freddo consolava, il freddo proteggeva. Nel freddo, trovò la verità. Si dice che l'amore ci mostra cosa siamo veramente. Io sono solo un mucchio di tristi ricordi, tenuti insieme dal sordo dolore. Un sacchetto di cenere. Si lasciò avvolgere da quella cappa di foglie bagnate, e finalmente si concesse di piangere davvero.
Non per Learco. Pianse per se stessa.
E dal pianto scivolò nel sonno, il sonno le portò l'oblio e infine giunse la calma a cui Dubhe agognava.
Era pronta.

Il sole bucò la cappa dei rami, illuminando una figura vestita di nero, rannicchiata al suolo. Una creatura scivolò fuori da un albero: una fanciulla composta interamente d'acqua, con I capelli che ondeggiavano intorno al volto. Si avvicinò alla sagoma in nero, le mise una mano sulla spalla, scuotendola leggermente.
“Ehi. Tutto bene?”
No.
Dubhe alzò gli occhi verso chi l'aveva svegliata: era una ninfa. Chissà perchè, quel fatto le trasmise una grande tranquillità. “Adesso sì...”, mentì spudoratamente. “Grazie.”
La ninfa sorrise: “Vieni, vedo di accompagnarti al palazzo...” Mai!
“Quale palazzo?”, disse, cercando una via d'uscita.
Lei parve sorpresa. “Quello di Laodamea, no?”
“Laodamea? Dove sono finita?”
“Perchè?”
“Ero diretta nella Terra della Notte. Con la tempesta di ieri, ho perso l'orientamento. Hai visto per caso un cavallo?”
“No...”
Data l'inesistenza dell'equino in questione, mi sarei stupita del contrario...
“Infatti, dev'essere scappato molto lontano da qui”, inventò. “Forse lungo il confine con la Grande Terra.”
“Se è li che devi andare, ti ci possiamo portare. Noi ninfe non possiamo avventurarci dove il suolo piange e non ci sono alberi, ma fino al confine non è un problema... Un momento!”
La sua voce era mutata di colpo, adesso era spaventata. “Non sarai mica un'Assassina della Gilda?”
“Non sono un'Assassina”, sospirò, con il tono di chi ha ripetuto una cosa diecimila volte, e si scoprì il braccio. “Sai cos'è questo?”
“Un sigillo”, rispose la creatura d'acqua senza esitare. Dubhe si chiese come lo sapesse, poi ricordò che le ninfe erano in grado di percepire naturalmente i vari tipi di magia, data la loro peculiare vicinanza con la natura. Spiegò dunque la propria storia.
“Accidenti”, commentò l'altra. “Sembra la trama di un libro.”
“Già. Adesso devo andare nella Terra della Notte, e ammazzare Dohor, poi sarò libera”, confessò.
“D'accordo. Ho capito che sei sincera e il tuo animo nobile e la tua sofferenza giustificano ampiamente le bugie che mi hai raccontato poco prima...”
“Ehi!” La ladra era sempre stara orgogliosa delle sue capacità di mentire, che le avevano salvato la pelle più di una volta. “Come fai a sapere che erano bugie?”
“Beh, la tua reazione è più che eloquente...” Dubhe si accorse di essere avvampata. “Comunque, noi ninfe siamo parte della natura. Non puoi mentire a noi.” La ragazza si appuntò mentalmente di prestare attenzione, in futuro, qualora si fosse trovata di nuovo a dialogare con una di loro. ”In ogni caso”, continuò l'essere d'acqua, “la tua missione significherebbe la pace per queste Terre, ed è troppo che il Mondo Emerso piange, perciò ti aiuteremo.”
“'Aiuteremo'?”
Dagli alberi uscirono frotte di creature eteree. “Nel caso tu fossi stata davvero un'Assassina, sai...” Pareva imbarazzata. “Non offenderti...”
“Nessun problema.”
Diede qualche colpetto al tascapane per assicurarsi che il suo contenuto non avesse riportato danni: le boccette per tenere a bada la pozione, in essenza. Poteva essersi assuefatta quanto voleva, ma sapeva che ce n'erano talmente tante che anche a berne una al giorno sarebbero ampiamente bastate. E poi l'ultimo contenimento di Theana reggeva ancora.
La voce della creatura la riscosse: “Hai bisogno di qualcosa, intanto?”
“C'è un ruscello, una sorgente, qualcosa del genere, qui?”, chiese. Arrossì leggermente: “Avrei bisogno di darmi una lavata.”
La stessa ninfa che l'aveva accompagnata finora le sorrise. “Certo”, disse. “Vieni con me.”

Mentre si spostavano nel sottobosco, la ninfa le tese una mano: “A proposito, non ci siamo ancora presentate. Io sono Callipso.”
Lei gliela strinse: “Dubhe.”
“Beh, Dubhe, eccoci qui.”
Il bosco si apriva in una radura, circondata da pianticelle e rocce, al cui centro stava un laghetto d'acqua splendente. Era posto lungo una parete di roccia, da cui scendeva una cascatella. Un luogo che immediatamente trasmetteva una grande pace. Solo a guardarlo, l'ex-Assassina sentì rinascere la speranza.
Callipso tentennò un attimo: “Aspetta, forse è troppo fredda per te.”
Dubhe le sorrise, un sorriso vero, di gratitudine. Quant'è che non sorrido così?, si chiese.
“Non preoccuparti, è meglio se è fredda. Il freddo ti protegge, ti accoglie.” SI fermò stupita. Non aveva mai parlato così liberamente delle proprie idee, anche se si trattava solo di sciocchi gusti personali, da... beh, un bel po'.
La ninfa la guardò con simpatia. “Buon bagno allora!” E poi aggiunse, ridendo: “Non ti guardiamo, promesso!”
Ma Dubhe ormai non ascoltava più. Si era sfilata il mantello, il corpetto, gli stivali e i pantaloni che indossava. Anche la sottoveste venne depositata sulla riva. Quando sfiorò in acqua, sentì un brivido. “È fredda”, mormorò, poi scivolò sotto la superficie. Era talmente limpida che riusciva a vedere chiaramente alcuni pesciolini che le guizzarono accanto, spaventati per quell'essere estraneo al loro ambiente. Avrebbe potuto contare loro le squame. I capelli, che erano tornati castani, le fluttuarono accanto al volto. Si lasciò galleggiare sulla superficie, tenendo il volto appena fuori dal pelo dell'acqua. Era in pace, finalmente. Il freddo la accoglieva come un amico a lungo dimenticato, e per un attimo si illuse di essere di nuovo alla Fonte Scura, prima che tutta la storia avesse inizio. Poi, il sigillo la costrinse a riemergere per respirare, e l'incanto svanì. Ma, pur tra le catene del sigillo, la ragazza doveva ammettere che erano molti mesi che non si sentiva così bene. Troppo tempo trascorso in compagnia della gente, così da farmi apprezzare la solitudine. Diventerà la norma, per me, constatò, ma senza tristezza. Era una decisione presa da tempo, e poi in quel luogo di pace non c'era posto per la Bestia.
Quando infine si decise a riemergere, era tornata come nuova. Si vestì, assaporando lentamente la sensazione del calore degli abiti, che erano stati lasciati su un sasso esposto in pieno sole.
“Sono pronta”, annunciò a nessuno in particolare.
“Certo”, rispose la ninfa uscendo da un albero. Conduceva un cavallo, tenendolo per la cavezza. La sorpresa di Dubhe fu tale che per poco non cadde di nuovo in acqua.
“Non avevi perso il cavallo?”, domandò innocentemente la creatura.
“...sì”, fu l'unica cosa che la ragazza riuscì a spiccare.
E io che avevo sempre creduto che le ninfe fossero prive di senso dell'umorismo!

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Capitolo 4
*** Scena Terza (III): DELLE COSE NON PERDUTE ***


Scena Terza (III): DELLE COSE NON PERDUTE

 

O what can ail thee, knight-at-arms,
Alone and palely loitering?
The sedge has withered from the lake,
And no birds sing.
- John Keats, La Belle Dame Sans Merci

Lo gnomo si stava rigirando la pipa fra le mani. Era spenta, perchè da quando la tosse non gli dava più pace i medici gliel'avevano severamente proibita, e Ido non poteva certo accettare di morire prima di aver messo le mani sull'uomo che aveva distrutto la sua vita. Tuttavia, anche se non la fumava, non riusciva a separarsi da quella pipa di legno consunto, la stessa da tanti anni. Il tabacco era servito molte volte a calmarlo, quando ancora era giovane e irruento, e lo gnomo ebbe la netta impressione che gli sarebbe servito anche in quel momento.
“Accidenti!”, esclamò, picchiando un pugno sul tavolo. “Non ci mancava altro! Dobbiamo andare a recuperare la nostra unica speranza da una combriccola di pazzi, non c'è tempo per le fesserie di una ragazzina!”
Di colpo gli tornò in mente un'analoga scena che gli aveva raccontato Nihal, di quando era ancora una recluta all'Accademia. Cercò di calmarsi davanti all'espressione sbalordita del principe, ma la notizia era pesante da digerire così in fretta. “Va be', ho un po' esagerato. Comincio a parlare come Raven. Comunque, lo sai che non può esserle accaduto nulla di male, no? La Bestia la protegge.”
Entrò in quel momento Theana, sconvolta. “Dubhe è sparita!”
“Lo sappiamo, stiamo discutendo proprio di questo.”
Rimasero un momento a rimuginare. Lo gnomo fu il primo a riprendersi: “Bene, ascolta, Learco. Dubhe non è una sciocca, se l'è cavata da sola per anni. Ce la farà anche stavolta. Se la intralci, si arrabbierà a non dire.”
“E come fai a saperlo?”
Ido lo guardò, l'unico occhio socchiuso. “Perchè lei è come Nihal”, disse in tono amaro.
“E allora che posso fare, dannazione? La mia ragazza è la fuori da qualche parte, e...”
“A giudicare da quel che ha sentito mezzo palazzo, ho qualche dubbio che tu possa definirla tale...”, commentò lo gnomo. Non gli era affatto piaciuto il modo in cui il principe aveva definito sua Dubhe, ma decise di soprassedere, attribuendolo al fatto che doveva essere sconvolto.
“È la mia ragazza”, ripetè con convinzione. “È soltanto confusa, ma chiunque lo sarebbe al suo posto...”
Lo gnomo l'interruppe ancora. “Learco, forse non l'ho conosciuta bene come te, ma ti posso dire una cosa su di lei. Non la puoi aiutare. Dubhe è come un drago. È una forza della natura, uno spirito libero, e non appartiene a nessuno. Non la puoi fermare. Solo gli schiavi hanno un padrone, e lei ha alcuna intenzione di essere schiava: non hai visto quanto odia la Gilda, dove cercavano di renderla tale? Non preoccuparti per lei. È sopravvissuta per anni da sola e senza l'aiuto di nessuno, e a quel che mi ha detto uno della Gilda, è l'assassina più abile che il Mondo Emerso conosca da anni... anche se non si considera tale. Non le accadrà nulla.”
Learco annuì.

“Theana? A cosa stai pensando?”
La maga si voltò, guardando il giovane dai capelli neri accanto a lei. Questi, vedendo che non rispondeva, le mise la mano intorno alle spalle e ripetè la domanda.
“Sai, Lonerin... potrà sembrarti stupido, ma... pensavo a Dubhe.”
“Perchè?” Il suo tono era stupito. “Pensavo vi odiaste.”
“All'inizio, forse. Poi siamo diventate amiche.”
“Vuoi dire che posso riprendere a frequentarla?”, chiese, scherzando.
“Non ci provare nemmeno. Comunque, non lo so, perchè, continuo a pensare alle scelte che ha fatto. Mi chiedo se davvero non avesse ragione.”
Stavolta Lonerin annuì. “Ha rinunciato a tutto, ha seppellito i suoi sogni, per salvarsi e per salvare la persona che ama.”
“Gli ha fatto del male, però.”
“Sì, gli ha fatto del male, ma se non l'avesse fatto avrebbe sofferto ancora.”
“In ogni caso non soffrirà come Dubhe.”
“No, questo è sicuro. Sai... è buffo. Durante la tua missione, pensavo 'non le accadrà niente'. Ne ero sicuro, e sai perchè? Perchè eri con Dubhe. E lei è inarrestabile, non teme nulla.”
“Questa è una sciocchezza. Dubhe ha paura come tutti gli altri... solo che è brava a tenerlo nascosto.”
Rimasero un attimo a riflettere sulla verità di quelle parole. Fu Theana a romperlo.
“Ascolta, tu sei stato tanto tempo insieme a lei... cosa pensi?”
“Non sei gelosa vero?”
“No! Cioè, forse un pochino pochino...”
Il mago la guardò divertito, poi sospirò. “Dubhe è Dubhe. Non ci sono parole per descriverla. L'hai mai guardata negli occhi? Ecco la prima volta che l'ho vista, ho pensato che avesse degli occhi bellissimi. Nient'altro. Poi mi ha parlato di sè, e ho capito che quella luce che vi brillava dentro era dolore. Tanto dolore... Nessuno ha mai dovuto soffrire quel che ha sofferto lei. E a volte, mi sveglio chiedendomi come sarebbe andata se fossi riuscito a liberarla dalla maledizione, se l'avessi salvata. Delle notti mi sveglio, e me la vedo accanto, a guardarmi con quei suoi occhi. A volte mi sembra di abbracciare lei, mentre sono con te.”
Perchè... sì, ti voglio bene ancora, Dubhe. A volte gli occhi di Theana sono i tuoi, a volte mentre faccio l'amore con lei, il suo corpo morbido si trasforma nel tuo, quello magro, nervoso, che ho stretto nelle Terre Ignote. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre.
Si fermò imbarazzatissimo, al pensiero di ciò che aveva appena detto, temendo persino che la maga riuscisse a indovinare i suoi pensieri, ma Theana si limitò a sospirare: “Manca tantissimo anche a me. Vorrei essere riuscita ad aiutarla.”
Rimasero in silenzio, e fu come se fra loro due aleggiasse lo spirito di quella ragazza triste, vestita di nero, i capelli castani legati in una coda, il viso pallido e serio, due occhi scuri, lo sguardo triste.
“Ti ricordi di quando ti ho chiesto se stavate insieme, e poi ti ho dato uno schiaffo?” chiese poi la maga, a tradimento.
Non ebbe il coraggio di chiedergli se la amava ancora. Gli sembrava sbagliato, soprattutto nei confronti di Dubhe: da quando l'aveva conosciuta bene, si era sentita in dovere di proteggerla, di starle accanto, di aiutarla. Poteva dire anche lei di essersi innamorata di Dubhe, in un certo senso.
“Spero stia bene...”, mormorò.
Lonerin annuì. Un attimo dopo, erano sul letto, e si stavano baciando; forse perchè era l'unico modo per esorcizzare lo spettro della giovane ladra, che ancora aleggiava nella stanza. Un gomito colpì il comodino, e un foglio di pergamena scivolò oltre il bordo, perdendosi nella polvere dietro al mobile. Cadendo, si aprì, rivelando due pentacoli sovrapposti, uno nero e uno rosso.

La mattina dopo, un servo si precipitò in tutta fretta da Ido.
“Il principe è sparito, e manca un cavallo dalle scuderie!”
“Maledizione!”
Il primo pensiero dello gnomo fu: Perchè diavolo non ha preso il drago?
Non ci volle molto ad intuire la verità. Perchè muoversi con un drago in un territorio occupato equivale a farsi uccidere.
“Maledetto idiota...”
Perchè, se sapeva che Dubhe se la sarebbe cavata contro qualsiasi cosa l'aspettasse là fuori, non era sicuro di poter dire lo stesso di Learco.

Attraverso uno degli innumerevoli boschi della Terra dell'acqua, risuonava un rumore ritmato.
Un cavallo lanciato al galoppo. Un animale anonimo, marrone.
Il cavaliere indossava un mantello, da cui sbucavano ciocche di capelli biondi chiarissimi, quasi bianchi. I suoi occhi verdi trasmettevano uno sguardo disperato.
Dubhe, dove sei?
Ma nessuno rispondeva alla sua voce, nessuna figura vestita di nero sbucava dalle piante per abbracciarlo. Il bosco, visto così, gli sembrava ostile, gli sembrava che si stia prendendo gioco di lui. Ma Learco non voleva rassegnarsi. Dubhe era la fuori da qualche parte, e lui l'avrebbe trovata, o sarebbe morto nel tentativo.
Era partito in fretta, non aveva preso nè provviste nè acqua. Il suo unico indizio era una vaga indicazione sulla direzione, verso est, verso la Terra della Notte.
Nei suoi occhi passavano immagini sconnesse, Dubhe ferita, Dubhe morente, Dubhe morta, Dubhe in preda alla maledizione che portava. Il terrore che le fosse accaduto qualcosa e di non poterla più vedere, non poterla più salutare, non poterle più dirle che la amava.
Queste immagini gli davano la forza di andare avanti, ma per quanto? Non lo sapeva.
Ad ogni momento qualcosa gli diceva che era un idiota, che si stava suicidando, che Dubhe non aveva bisogno di lui. Ma finchè non l'avesse vista, non l'avrebbe saputo.
Il cavallo era stremato, e, sebbene il principe avesse scelto un animale robusto, ormai non ce la faceva più. In altre occasioni si sarebbe pentito del suo gesto ma ora nella sua mente c'era posto per un solo pensiero.
Dubhe, dove sei?

Ripensava freneticamente a quando l'aveva conosciuta, al suo sguardo che l'aveva attirato in quel villaggio, quando ancora erano ragazzini. Due occhi scuri, due abissi in cui perdersi. Lo sguardo triste di una persona cresciuta in fretta. Troppo in fretta.
Degli occhi che trovava semplicemente stupendi. Quegli occhi, e il suo sorriso. I suoi capelli , la sua pelle pallida, delicata. Il ricordo di quelle notti, del suo corpo morbido schiacciato contro di lui, dei suoi baci, del piacere che avevano provato entrambi, allora. Ricordava la sorpresa che veva provato quando il filtro con cui si era camuffata s'era esaurito e lui si era trovato davanti quella ragazza ancora più giovane, e con la chioma divenuta castana, il corpo snello e muscoloso; come aveva capito immediatamente che lei era sempre stata così, come gli era piaciuta, e come aveva sentito, anche se l'avrebbe creduto impossibile, di amarla ancora di più. Solo gli occhi, quegli occhi dove si leggeva tutta la tristezza del mondo, erano rimasti uguali. Sospirò. Avrebbe dato qualunque cosa pur di rivederla.

“Dubhe, dove sei? Esci fuori, dannazione!”
I suoi richiami si stavano spegnendo in lontananza quando una figura vestita di nero si lasciò cadere da un'albero, una mano premuta sul petto, come se le facesse fisicamente male.
Ed era così. Essere costretta a rinunciare, a far ancora del male alla persona che aveva amato, nonostante tutto, era stata una prova tremenda. Ma lei l'aveva fatto, come aveva affrontato tutte le altre prove che la vita le aveva messo davanti.
Fischiò, e il cavallo, anch'esso nero, si materializzò al suo fianco. Lei vi balzò in groppa e si allontanò nel folto.
Mi dispiace, Learco, ma capirai. È meglio per entrambi.

Dubhe si fermò, davanti alla grotta. A parte le ragnatele, e diversi animaletti che si erano insidiati, era identica a come l'aveva lasciata. Sorrise, nel rivedere quel luogo che tanto aveva amato. Casa, pensò. Ma era una visita momentanea. Si chinò in avanti, e per un attimo il respiro le si mozzò nel petto, la vista si annebbio, mentre una voce ben conosciuta la chiamava. Con la mano irrigidita, afferrò una boccetta, litigò con il tappo e, dopo averlo finalmente tolto, ne prese un lungo sorso. La voce scomparve com'era venuta e la ragazza rimase da sola, ansimando. Non ho tempo. Scostò alcune rocce, mettendo alla luce gli oggetti che erano lì celati. Dubhe osservò le sue armi, una copia esatta di quelle che era stata costretta a distruggere; le prese come se fosse stata la prima volta. Si mise i coltelli da lancio nelle guaine sul petto, l'arco a tracolla e, pro forma, estrasse e ringuainò il pugnale del Maestro nel fodero.
“Ci siamo”, mormorò.
Stai imboccando una via senza ritorno, le sussurrò la solita voce. Stai gettando via la tua ultima possibilità di trovare qualcuno che ti ama.
Qualcuno che ama me, ma che io non amo, qualcuno per cui dovrei piegarmi, adattarmi a recitare un ruolo che non è il mio. No, grazie, non è il genere di vita che voglio.
Sicura di non star sbagliando? Che ne valga la pena, o meglio dire che non ne valga?
In che senso?
Smettila di mettermi davanti scelte, dimmi cosa vuoi, accidenti a te!
Nessuna risposta. Solo una risatina.




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Addio alla possibilità per Dubhe di liberarsi della Bestia... o forse no? C'è forse qualcuno che può aiutarla?

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Capitolo 5
*** Scena Quarta (IV): LA TUA MANO NELLA MIA ***


Scena Quarta (IV): LA TUA MANO NELLA MIA

 

Please forgive me for the sorrow
For leaving you in fear
For the dreams we had to silence
That's all they'll ever be
Still I'll be the hand that serves you
Though you'll not see that it is me
-
Within Temptation, Hand of sorrow

L'accampamento era immobile. Nessuno si muoveva, gli ordini erano stati molto severi. Le sentinelle guardavano svogliate il bosco tutto attorno. Il re era paranoico, d'accordo, però era sempre meglio fare il proprio lavoro: le mancanze erano severamente punite. La struttura aveva una pianta ottagonale ed era relativamente spartana, edificata con sole assi di legno e senza l'impiego di mattoni o pietre. Pochi edifici erano più robusti. All'interno, vi erano inoltre tende, di un tessuto chiaro.
La figura in nero saltò giù dall'albero, atterrando con grazia.
Aveva visto abbastanza.

Avrebbe agito quella notte.

Era una notte senza luna e senza stelle. Un vento fresco spirava sulla pianura, agitando le fronde degli alberi.
La figura, vestita di nero, era praticamente invisibile. Non aveva mentito a Theana. Stava davvero bene, anzi, era un bel pezzo che non si sentiva così. Aveva trovato un ruscello, e vi era rimasta a lungo immersa. Le sue armi erano state affondate nella cenere di un focolare, non avrebbero luccicato tradendola.
Era pronta.
Stava andando ad uccidere un uomo.
Dubhe, la ladra, l'Assassina, la Bestia, si fermò. Alzò la testa coperta dal cappuccio, ascoltando per un attimo i rumori della natura intorno a sè. Non si vedeva che a breve distanza ma i suoi occhi erano talmente potenziati dalla maledizione che portava addosso, che riusciva a vedere come se fosse stato pieno giorno. I suoi piedi, che calzavano gli stivali, si posavano uno dietro l'altro, con cautela, facendola camminare con un'andatura assolutamente silenziosa. Dietro le sue spalle c'erano l'arco con la faretra, nei foderi sui fianchi i coltelli da lancio, tre per lato. Al fianco sinistro era attaccato al cinturone il fodero del pugnale. A parte il volto, neanche un centimetro della sua pelle pallida era scoperto, e i suoi abiti erano ampi e comodi, ma aderivano al corpo e alle gambe, il genere di vestiti adatto al lavoro che doveva fare. Il mantello nero ondeggiava dietro di lei. Prese l'arco e ne controllò la tensione della corda, passò a rassegna le frecce una ad una per essere sicura che non avessero difetti. Si assicurò che i coltelli fossero nei foderi, ma non ebbe bisogno di cercare il pugnale. Quell'arma era parte di lei, era come un prolungamento della sua persona. Era l'arma del Maestro, ma era molto di più. Il suo pugnale non era nulla, in mano a qualcun altro. Lei non era nulla, senza il suo pugnale. Lo sollevò, mettendoselo davanti agli occhi. “Sei nella mia vita da così tanto tempo... Non ricordo altro, ormai.”
Sospirò. Se quella notte fosse andato tutto bene, non l'avrebbe usato mai più.

La concentrazione si sposa alla pazienza, alla capacità di attendere. Si tratta di leggere il mondo come un libro, compenetrandosi con esso. Sentirlo nelle ossa e interpretarne i segnali, fino a trovare l'attimo, l'unico in cui colpire efficacemente...
Le parole le risuonavano nelle orecchie. Quella notte, per l'ultima volta, ne avrebbe avuto bisogno. Quella notte, per l'ultima volta, avrebbe udito mormorare la Bestia che dormiva nel suo petto.
Scivolò nell'accampamento, la mente svuotata dai pensieri.
Gli ultimi che aveva sentito erano: Stanotte ucciderò ancora.
E poi: Domani non ucciderò più.

Non riusciva a prendere sonno. Faceva caldo, dannatamente caldo. E lui non aveva voglia di dormire. Si vestì, indossando l'armatura. Sapeva che lei sarebbe venuta, ad uccidere, a portare a termine ciò che non aveva fatto. Sarebbe venuta ma... non quella sera. L'uomo aprì appena la porta della catapecchia di legno, l'unica abitazione appena più decente delle altre, e scivolò fuori. Si fece riconoscere dalla sentinella, poi si avviò verso una zona alberata nei pressi della palizzata. Non vista, sopra di lui, una figura nera saltava di albero in albero.

Dubhe osservava il suo nemico. Ogni gesto, ogni passo che faceva, in lui dicevano 'giusto'. Era colui che doveva uccidere. Aveva appena gettato una fiaschetta di una certa pozione, stando attenta a non annusarla, nell'accampamento. Avrebbero dormito tutti, non si sarebbero accorti di nulla. Il gas era più pesante dell'aria, e avrebbe aleggiato lì intorno. La sua preda si fermò al limitare di una zona alberata, il viso rivolto nella direzione opposta alla sua. Meglio. Anche se era il suo nemico, anche se era l'uomo che le aveva rovinato la vita, che l'aveva venduta per mera politica, era comunque un essere umano, e non ce l'avrebbe fatta a rivedere Gornar anche nei suoi occhi. Anche perchè ciò che stava facendo, significava tradire la persona che amava. Basta, si disse. Il mio cuore è di ghiaccio.
Si alzò con calma, un angelo oscuro stagliato contro la luna.
Prese bene la mira.
Tese al massimo la corda e tirò la freccia.
La distanza era breve, la ragazza era stata gelida mentre tirava e il lancio era preciso.
In quel momento, una possibilità su un milione, la figura si scostò.

La freccia penetrò in profondità, e l'uomo cadde a terra. L'Assassina imprecò. Avrebbe dovuto sporcarsi le mani, avrebbe dovuto vedergli gli occhi. Saltò giù, e, sguainato il pugnale, si avvicinò all'uomo che odiava. Si fece forza e gli guardò il volto.
Solo l'istinto le impedì di urlare.
NO!!!!”

In quel momento una lama le si posò al lato del collo.
“Ti è piaciuto lo scherzo, sgualdrinella?”

Dubhe trasalì. Odiava quella voce. Quella era la voce della persona che doveva ammazzare. Quella era la voce della persona che voleva ammazzare. Agì senza pensare, mossa solo dal suo odio. In fondo sono questi i grandi motori che ci muovono, l'odio e l'amore, no? Le emozioni che guidano le specie senzienti. Strinse la mano inguantata di nero sull'elsa. In seguito si disse quanto stupida e folle era stata in quel momento. Ma non c'era tempo per ragionare, non fu la parte umana di lei a reagire, ma la Bestia. Il suo ruggito le risuonò nelle orecchie, il suo spettro si contorse nelle sue viscere, i suoi occhi rossi si spalancarono nel buio del suo petto. Si voltò, così in fretta che l'occhio umano avrebbe fatto fatica a seguirla.
Con una mano strinse il polso di Dohor, finchè non sentì le ossa spezzarsi, l'altra la serrò attorno alla sua gola. Lo abbassò alla sua altezza, anche se qualunque osservatore avrebbe detto che in quel momento era lei a troneggiare sul vecchio re. Sapeva che si stava perdendo, ma non glie ne importava. Voleva che vedesse i suoi occhi, e voleva vedere la paura nei suoi. E lo fece, finchè non fu soddisfatta. Poi la mano si serrò attorno alla gola, divelse il cranio e la colonna vertebrale dalla loro sede e lasciò che il corpo si accasciasse ai suoi piedi. Per un attimo rimase lì, terribile e selvaggia come una dea della morte, poi sembrò tornare il sé, le sue spalle sottili si chiusero e si guardò le mani.
Un moto di disgusto per sé stessa, ma non provava altro.
Non degnò il corpo del vecchio re di uno sguardo, e si rivolse invece a Learco.
Lo guardò negli occhi. Le pupille avevano il tipico aspetto di una persona drogata con la scopolamina. Era una sostanza che conosceva, in grado di inibire la forza di volontà delle persone. Serrò i pugni. Dohor, maledetto bastardo! Avevi troppa paura di me per affrontarmi vero? Ti avrebbe ucciso l'Assassina, sì, così hai voluto architettare il gran piano. Tu saresti tornato come un eroe, dicendo come avevo ingannato e poi ucciso Learco, e ti saresti sbarazzato di due incomodi: tuo figlio, il principe che mai sarebbe diventato re, e la sua puttana, vero? Peccato che ti sia andata male. Ah, Learco...
“Cosa ti hanno fatto?”, sussurrò, in lacrime. E subito dopo: “Cos'ho fatto?”
Lui le sorrise debolmente. “Mi... dispiace... Dubhe. Sono... sono stato... uno sciocco...”
“Non parlare! Ti porto fuori di qui, ti farò curare.”
No, non un'altra volta, non come il Maestro, non posso averlo ucciso io!
Learco rise debolmente, e del sangue gli spruzzò dalla bocca, segno che la freccia aveva leso i polmoni e il liquido li stava invadendo. “Mi ha... fregato... come uno stupido... Era il suo piano... tu.... mi avresti... ucciso... e poi.... lui... avrebbe... ucciso te...”
“Ti prego, è morto. Ho sbagliato tutto, sono una stupida!” Ormai Dubhe piangeva.
“Non piangere... non mi piace vederti così...”
Le scoprì l'avambraccio. “Vedo... che sei libera... ora...”
Si fermò, e la ragazza pensò che fosse morto. Poi le parlò di nuovo. “Mi... abbracci?”
Lei singhiozzò, fece un cenno convulso di sì, e lo sollevò delicatamente. Lo strinse a sé, e quasi inconsciamente cercò le sue labbra. Il sapore del suo sangue le scese in gola, ma Dubhe non si staccò. Rimasero lì, abbracciati, fermi in quell'ultimo bacio che doveva durare in eterno e invece finì anche troppo presto. Learco smise di respirare.
La ragazza si alzò, respirando affannosamente, asciugandosi gli occhi con furia.
Non lo amavo, pensò disperata. Ma avrei potuto farlo, se fossi andata a vivere con lui avrei finito per amarlo, alla fine, avrei dovuto fare così, e sarebbe ancora vivo. Adesso questa possibilità mi è preclusa per sempre. Perchè tutti quelli che incontrano il mio cammino sono destinati a morire?
Dentro di sé, anche se nella sua attuale disperazione non sarebbe mai stata capace di riconoscerlo, aveva sempre temuto che sarebbe finita così. Come si era detta centinaia di volte, durante il suo viaggio, che a vivere con Learco si sarebbe spenta come una candela, soffocando il proprio essere per adeguarlo a qualcuno che non era lei. Ma forse la sua mente ebbe paura per la propria stabilità, e non riportò a galla quei pensieri; o forse fu la pietà verso sé stessa, a bloccarla. Fatto sta che la ragazza era ridotta ad uno straccio, sì... ma sarebbe potuta stare molto peggio, anche se era convinta del contrario.
Questa non è la mia vita, e questa non sono io, era la sintesi dei pensieri che attraversavano la sua mente.
Per un attimo pregò di non essersi salvata, pregò che la maledizione uscisse, che la portasse a sbranarli tutti, a sgozzarli, a lacerare i loro corpi. Pregò che la portasse a saziarsi di carne per la sua fame, sangue per la sua sete. Pregò che alla fine uccidesse anche lei, perchè che motivo aveva di vivere, quando l'unica persona che amava era morta uccisa proprio dalle sue mani? Se le guardò, vedendole sporche di sangue, e le odiò. Il sigillò sul suo braccio bruciò, e un ruggito la scosse, e Dubhe fu felice, felice di potersi perdere definitivamente, perchè la sua vita non aveva alcun senso. Non avrebbe mai avuto nessuno che le fosse accanto, non avrebbe mai gioito di nulla. La Bestia era ancora in lei, e la sua anima non sarebbe mai stata libera. Mentre uccideva, squarciava e dilaniava pregò di non svegliarsi mai più, perchè non avrebbe potuto sostenere la vista, spietata e razionale, del suo destino. Fu il suo ultimo pensiero, poi ci fu solo sofferenza, darla e subirla, avrebbe voluto ferire, uccidere, e nel contempo gioire nel sentire delle lame che toccavano la sua carne, senza riuscire a fermarla.
Ma le stelle furono mute alle sue richieste.

Caricò il corpo di Learco sul cavallo, e si mise a correre. Corse fino a sfinire la bestia, a farla cadere per terra schiumante, poi ne rubò un'altra e andò avanti. Giunse una mattina davanti al palazzo di Laodamea.
Non aveva né mangiato, né dormito da quando il principe che mai sarebbe stato re era morto.
Aveva la vista annebbiata, non capiva più niente.
Vide solo Theana correre davanti a lei, cercare di sorreggerla.
Poi crollò.

Passò una settimana in stato di totale confusione. Non ricordava chi era, se buona, o malvagia, se una ladra, o un'Assassina, e neanche le importava. Mangiava e beveva meccanicamente ciò che le veniva messo davanti, ma non avrebbe mai cercato nutrimento da sola. Era, e basta. Si lasciava portare dalla corrente, come aveva fatto per gran parte della vita. Tutti le dicevano che era un'eroina ma che le importava? Ogni notte, rivedeva il volto di Learco macchiato di sangue, assieme a tutti coloro che aveva ucciso. Ora sapeva che Theana non aveva completato il rituale, ma non ebbe la forza di chiederle il perchè. Tutto questo, finchè non giunse il settimo giorno...

Camminava per le vie di una città bianca, dove si affaccendavano persone intente a compiere i loro lavori quotidiani. Avevano qualcosa di strano che non riusciva però ad identificare. Lei passava attraverso i muri, scivolava fra le statue, e le occhiate la trapassavano. Era come uno spettro.
All'improvviso il cielo si fece scuro, scoppiò una terribile tempesta e la città si coprì delle urla dei suoi abitanti, mentre venivano trucidati uno ad uno. La ladra li osservò con distacco. Era un altro massacro che era venuta a sognare?
Una voce la chiamò, e, non seppe bene come, capì che le sue parole, parole tranquille, che contrastavano con l'ambiente circostante, erano rivolte a lei. “Vedi, Dubhe, questa è la verità. Tu hai ragione. Questo mondo non conosce che sangue, sangue e altro sangue, non ci sarà mai la pace che vorresti. So quello che stai per fare. Mi dispiace per te. Avresti avuto diritto ad un maggior riguardo, tu, che hai già visto la sorte portarti via tutto.”
Una figura venne verso di lei, le sorrise: “Vieni da me, Dubhe, ti stavo aspettando.”
La ragazza non si fidò, e rimase guardinga: “Chi sei?”
La creatura era molto piccola, un uomo a metà. Uno gnomo forse? No.
Le proporzioni erano diverse, sembrava piuttosto un bambino.
Le sorrise. Vide la sua bocca delicata da sotto il mantello, la vide dischiudersi in un sorriso talmente sincero che sarebbe stata disposta ad accettare qualunque cosa da lui. Ma gli occhi e la parte superiore del volto le rimasero celati. La ladra si guardò intorno, e vide che ora erano in un prato pieno di fiori.

Sappi che non ti sto prendendo in giro, davvero mi dispiace, e...”
Si fermò, prendendosi la testa fra le mani: “No, è troppo tardi.”

Troppo tardi per cosa?”
Il bambino era triste. “Mi dispiace, Dubhe. So che dovresti, essere tu quella che soffre, ma mentre lo fai, non posso impedirmi di soffrire anch'io. È questa la strada che hai percorso, è la stessa che scelsi io, a mio tempo...”

Chi sei?”
Davvero non lo indovini, Dubhe?”
Lei si inginocchiò per portarsi alla sua altezza, e allungò una mano.

No! Non scoprirmi il viso!”
Lei rimase sorpresa dalla reazione. “Tranquillo... volevo solo accarezzarti...”

Ah... ok...”
Il bambino le lasciò allungare la mano, e lei fece di più che accarezzarlo: se lo strinse addosso.
Quel gesto le infuse una sicurezza inspiegabile, e si sentì stranamente sicura, stretta a quel personaggio che non conosceva neppure, a quel bambino che parlava come un adulto.
Quando si staccò, il piccolo le disse: “Grazie. Sei la prima persona che mi rivolge un gesto gentile, da... tanto, troppo tempo.”
Il bambino le sorrise ancora. Era tutto così perfetto, realistico, che la ragazza si sentì obbligata a chiedere: “Questo... questo è solo un sogno, vero?”
La risposta fu un ennesimo sorriso, e una frase sibillina: “Forse. Ma cos'è la vita, se non un sogno?* Chiudi gli occhi, Dubhe della Terra del Sole.”
Lei ubbidì, e sentì le labbra del piccolo baciarle la fronte.

La mattina dopo, la ragazza si ridestò senza ricordare nulla di ciò che aveva sognato. Eppure, dopo tanto tempo, si risvegliò da sola, e sentì il sole accarezzarle la pelle, sentì la sua mano protestare per come l'aveva tenuta durante la notte, e sentì un guizzo di emozione scuoterla.
Poi tornò la calma, l'oblio, ciò che aveva sempre desiderato.

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* Lewis Carroll, Alice attraverso lo specchio

 

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Capitolo 6
*** Epilogo: DAL DIARIO PRIVATO DELLA MAGA THEANA ***


Epilogo: DAL DIARIO PRIVATO DELLA MAGA THEANA

Dubhe è tornata. Ha portato a termine il suo compito. Quando è arrivata, era debolissima, tremava per la febbre e il freddo. I suoi occhi erano accesi da una luce di follia ed era madida di sudore. L'ho portata dentro, l'ho scaldata, l'ho guarita. Il sigillo sul suo braccio è sparito. In tutti questi giorni si è svegliata una volta sola. Ha mormorato “Learco è morto”, ed è risprofondata nel sonno. Non che non ce ne fossimo accorti: ci sono volute due persone a staccarla dal corpo del principe. È stato cremato con gli onori dei Cavalieri, e Ido ha fatto un discorso molto commuovente. Il suo drago non si da pace da allora. Nella confusione che è seguita la morte di Dohor, Sennar e Lonerin, assieme ad una scorta armata, sono penetrati nella Casa e hanno liberato Aster, disinfestando il luogo dalla Gilda... I risultati... sono stati quelli che sono stati. Sennar dice che forse era destino.
Per sette giorni, non è stata altro che l'ombra della ragazza forte che ha viaggiato con me nella Terra del Sole. Il settimo giorno, è successo qualcosa. Quando Dubhe s'è svegliata, mi è sembrata normale. Era sconvolta, ma normale. Sono sorpresa, temevo che quest'ultimo, definitivo scherzo del destino avrebbe abbattuto le barriere della sua mente, già provate. Invece lei è stata più forte. Quella settimana deve averle dato il tempo di pensare, perchè è stata tranquillissima per tutto il tempo; ma non mostra nessuna emozione. È come se avesse spento la mente, lasciando solo il corpo a muoversi. L'unica reazione l'ha avuta quando il re della Terra del Mare ha proposto di edificare una serie di statue a lei dedicate. Prima che qualcuno potesse anche solo prevederlo, per non parlare di fermarla, gli ha poggiato la lama sulla gola, chiedendogli tranquillamente avesse mai provato ad essere accoltellato. Poi l'ha rimesso via e se n'è andata.
Appena è stata in grado di viaggiare, ha chiesto un cavallo e se n'è andata.
Sapevo dove fosse, avevo abbastanza elementi per ricostruirlo. A differenza della sua versione normale, questa Dubhe è piuttosto prevedibile. Dopo una lunga consulta, è stato deliberato che la spada di Nihal spettasse a lei, e, per non disturbarla dal suo esilio volontario, le è stata inviata magicamente. Mentre la finestra si chiudeva, sono riuscita a vedere il luogo: una cosa in riva al mare, e una figuretta seduta sul pontile, lo sguardo perso verso il tramonto. Almeno la mia intuizione si è rivelata esatta.
Ora sono al palazzo. Chi-sapete-voi continua a chiedermi dove viva Dubhe. Alla fine gliel'ho detto, con il comando di non rivelare la fonte neanche sotto tortura.
Come se io fossi in grado di imporgli qualcosa.
Adesso dev'essere andato a cercarla, chissà perchè, poi.
Vabbè, è tardi. Era un po' che non aggiornavo, e questo mi ha aiutata a mettere in ordine le mie idee.
È stata una lunga giornata.
Thenaar protegga Lonerin, maestro Folwar, Ido, Sennar... e soprattutto aiuti Dubhe.
Buonanotte.

 

Theana della Terra dell'Acqua

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La storia continua con Leggende del Mondo Emerso - La Strada di Dubhe

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