L'alba d'argento

di Alis Grave Nil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando tutto ebbe inizio... ***
Capitolo 2: *** Una partita per il destino ***
Capitolo 3: *** La tempesta ***



Capitolo 1
*** Quando tutto ebbe inizio... ***


Svoltò a destra, cercando di sfuggire alla cosa che lo inseguiva. Era da millenni che non si vedeva qualcuno così potente da dare la caccia a lui, il capo di Ankervalley, un luogo sconosciuto in cui tutti vivevano come in un qualunque paese della terra, tranne il fatto che lì la magia era infusa in ciascun abitante. Magia. Sempre la solita storia, penserete. Ankervalley stava attraversando un momento di sottomissione a una creatura di nome Morgana. La soluzione la diede una profezia, che si avverò alla nascita dell’erede al trono, una bambina dagli occhi grigi e tempestosi, con i capelli di un blu scurissimo. Nacque dalla rosa azzurra della dea della guerra, Siryndes, legata a una spada argentata con un grande zaffiro a forma di drago incastonato sull’elsa. Secondo la leggenda, la bimba avrebbe seguito una vita piena di pericoli, … ma ne parleremo dopo. Torniamo al nostro capo fuggente. Kal, il re, fuggiva con il fagotto della bimba fra le braccia. Raggiunse il luogo nel quale si trovava il portale, e lo aprì, gettandovi la bimba e la spada. Le recitò una preghiera nell’Antica Lingua dei Padri, e la lasciò attraversare la porta incantata. Richiuse in fretta il varco e fece finta di ritrovarsi in un vicolo ceco. – Dammi l’erede.- la voce sibilante della donna lo fece sobbalzare. Si voltò, guardandola negli occhi di vipera. – Non esiste alcun erede. Sei stata ingannata. Era stata predetta, ma la profezia non si è mai compiuta- rispose Kal – Che spreco di energie. Era troppo bello per essere vero. Pazienza! Mi accontenterò di una tazza di tè al mio ritorno- la creatura si trasformò una bellissima donna, dai capelli castani e dal sorriso contagioso. – Arrivederci, mio promesso sposo. La tua promessa è vincolante, o sbaglio?- ridendo si allontanò, mandando un bacio al capo. Nonostante avesse più di trecento anni, Kal sembrava ancora un giovane: aveva gli stessi capelli bronzei di quando aveva diciassette anni, e il suo viso non era solcato da neanche una ruga. Non era invecchiato per la potente magia che i Padri gli avevano infuso in lui. Per il resto della sua vita sarebbe rimasto un ragazzo, per aiutare il popolo. Un re vecchio non aiutava nessuno. La bimba intanto aveva raggiunto una famiglia che viveva in un appartamento di New York, vicino al centro. Avevano un figlio molto piccolo, Peter, e quando arrivò la bambina dal cielo, in una culla d’oro, i genitori ne furono entusiasti. Fecero un sacco di foto, raccogliendo la nuova venuta come se fosse una loro figlia. Le assegnarono in nome di Andrew Marilyn Jackson. Siccome Andrew era un nome da maschio, tutti la chiamavano con il suo secondo nome abbreviato a Mary. Mary passò molti anni in compagnia della sua nuova famiglia, trascorrendo i suoi più bei momenti assieme a loro.



Ciao a tutti!!!! Fin qui niente di problematico... Ho inserito l'avvertimento arancione perchè più avanti ci saranno delle scene un po' violente, quindi vi preparo già a fiumi di sangue e arti che volano!!! Bene, ho detto tutto... Vi auguro una buona lettura, a presto!!!!! <3

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Capitolo 2
*** Una partita per il destino ***


All’età di quattordici anni, Mary era diventata una ragazza bellissima, ben proporzionata, con i capelli blu, lisci come la seta, lunghi fino a metà schiena, e gli occhi grigi sempre fonte di tempestosità, come le nubi temporalesche. – Che fai oggi?- mi domandò Peter senza staccare gli occhi dalla play-station. – Vado ad allenarmi con la mia squadra di pallavolo. Tu?- gli risposi infilandomi la felpa sopra la divisa molto corta e attillata della squadra. – Gioco con la play e ti raggiungo.- disse Peter, mettendo il gioco in pausa. - Vieni per me o per Beth?- lo presi in giro. –Spiritosa – aggiunse mio fratello, ma io era già partita di corsa verso la palestra. Corsi nei marciapiedi affollati di Manhattan, poi attraversai Little Italy e mi fermai davanti ad un edificio immenso contrassegnato dalla scritta a neon “ The gym for all!”. Entrai, e Beth mi saltò al collo. Bethany (è questo il suo vero nome, ma io preferisco abbreviare) era una ragazza bionda dagli occhi azzurri di origine nordica. Io e lei eravamo diventate amiche al primo colpo, dal primo asilo. Poi con il tempo la nostra amicizia si era consolidata, diventando più forte della pietra. Beth era anche diventata la fidanzata di Peter. – Mary!! Allora sei venuta! Avevi detto che non ne eri sicura… Beh, senti cosa è successo poco fa: la squadra di China Town ci ha sfidato a una partita per la conquista della palestra. Se vinciamo, potremmo allenarci senza che loro vengano a interrompere l’allenamento per un anno… Ma ti pensi?- esultò Beth, tenendomi un braccio attorno al collo – Ma perché erano sicuri di vincere?- le domandai, incuriosita dalla faccenda –Semplice! Ho detto loro che forse tu non venivi, e ora che hanno scommesso se si ritirano avremo vinto a tavolino!- Beth fece un salto di gioia. In palestra era tutto preparato: la rete era montata, e il resto della nostra squadra si stava già riscaldando per la partita. La nostra era una squadra mista, formata da maschi e femmine della stessa età, come quella dei China Town. Mi aggregai al gruppo, e Jennifer, una patriota molto convinta urlò ad alta voce: - Vi faremo vedere la potenza degli U.S.A.!- Arrivò anche l’avversario, e come il capitano mi vide impallidì. – Ma lei non doveva esselci! Questo essele imbloglio!- strillò irritata la capitana, puntandomi contro il dito. – Avevo detto che forse non c’era, non che non venisse!- ribatté Beth con un sorrisino di sfida dipinto sul volto. L’arbitro fischiò l’inizio della partita. Avevamo la palla. Mi preparai a battere al salto. In campo eravamo io, Beth come alzatrice, Daniel e Harry come attaccanti, Jennifer e Lester come difensori. Lanciai la palla, e tutto si fece confuso. Riuscivo a percepire la palla, e capivo la sua rotazione. Avevo visto un buco nel campo avversario, e ordinai alla palla di finirci in mezzo con una velocità discreta. Ricaddi a terra e l’arbitro fischiò il punto. Stavolta puntai contro una cinese in seconda linea e la misi fuori gioco con una palla flot. Al quinto punto di seguito Cheung, la capitana riuscì in qualche modo a buttare la palla nel nostro campo. La presi con un bagher, passandola a Beth, che la alzò a Daniel. Quest’ultimo colpì la palla con un tocco leggerissimo, che ricadde ai piedi del muro. Giocammo per più di due ore, e quando io o Daniel facevamo punto, l’intera squadra ci incitava a gran voce. Mancava un puntò quando Jennifer, che era il nostro capitano, mise la mano destra dietro la schiena facendo un segno che conoscevo bene: chiuse la mano a pugno, lasciando in alto l’indice e il medio, movendoli come se li stesse facendo camminare a testa in giù. Era ora della schiacciata invisibile. L’arbitro fischiò, e Harry batté da terra e dal basso. Per fare la mia schiacciata avevo bisogno che la prendessero ad ogni costo. Cheung la prese e la mandò all’alzatrice, che la spedì da noi con un’alzata troppo storta. La presi in palleggio, la passai a Beth, che me la alzò altissima. Saltai, e feci per colpirla in alto con la destra. Il muro saltò e , appena vidi che stava scendendo la schiacciai sui piedi a Cheung con la mano sinistra. Feci tutto così rapidamente, che gli avversari non si accorsero di nulla. Rimasero imperterriti. La partita era conclusa e noi avevamo vinto. Tutta la squadra ci corse incontro e ci abbracciarono, come se avessimo vinto i mondiali. Entrammo in spogliatoio e tutti mi fecero i complimenti per l’ultima schiacciata, ma quando uscii dalla palestra, felice di aver vinto la partita, vidi due giocatori della squadra di Cheung appoggiati alla vetrata della porta. Feci finta di non vederli, e mi avviai verso casa. Davanti a me altri due mi venivano incontro, così mi infilai in un vicolo laterale. Affrettai il passo, ma l’uscita opposta era occupata da altri due. Ero circondata. Indietreggiai, ma due solide mani mi afferrarono, mentre altre due mi misero dello scotch sulla bocca. Mi divincolai, mi agitai, ma non riuscii a liberarmi. Cheung arrivò qualche istante dopo:- Tu sei un pelicolo pel la nostla squadla. Ci batti semple, così oggi battelemo un po’ noi te, così salemo pali!- disse melliflua. Un ragazzo cinese estrasse una siringa colma di liquido giallognolo. Provai a liberarmi, per sfuggire a quell’orribile strumento, ma la presa si chiuse ancora di più attorno a me. Sentii un pizzicare sul braccio sinistro. Tutti i miei muscoli si rilassarono, mentre la stanchezza aumentava. – Questo calmante ha effetti benefici se pleso in piccole dosi, ma se pleso in glandi ti fa sentile stanca e incapace di fale qualsiasi movimento- mi sbeffeggiò Cheung. Mi accasciai sull’asfalto in ginocchio. Aveva ragione. Mi sentivo stanca, esausta, con i muscoli che sembravano a pezzi. Fu allora che ricevetti il primo pugno. Un ragazzone grande quanto un armadio a tre ante mi mollò un pugno sul naso, facendone scaturire una cascata di sangue. Poi un altro sul labbro, un altro sulla guancia, e poi toccò ai calci, sugli stinchi e sullo stomaco, e per finire una mazza da baseball sulle costole. Mi distesi a terra dolorante, con la testa che mi pulsava e il colpo alle costole che mi faceva un male tremendo. Sentivo delle spine che si infilavano quando respiravo, mentre il viso era umido di sangue e lacrime. I cinesi e Cheung ridevano e mi calciavano ancora. –Gualdatela ola la campionessa! Distesa a tella piangente! Hahahahahaha!- mi fecero un’altra iniezione. – Con questa stalai meglio. Ti fala dimenticale tutto nel gilo di venti minuti, così avlemo tutto il tempo di allontanalci, e quando ti tlovelanno non licoldelai niente!! Hahahaha!- detto questo salì sulla Harley di un cinese al suo fianco. Rombarono via dal vicolo, ridendosela della grossa. A me non veniva da ridere. Tentai di prendere il cellulare che avevo in tasca, ma mi accorsi che me lo avevano rubato i tizi. Mi feci forza sulle gambe, ma cedettero. Mi tolsi il nastro adesivo dalla bocca, e lo scoprii tutto rosso bordeaux. Ansimai e piansi in singhiozzi, muovendomi convulsamente. Il veleno di Cheung stava già facendo effetto, quando Daniel mi chiamò dall’uscita del vicolo. Lo vidi che si voltava, quando mi vide il suo viso divenne pallido:- È qui! L’ho trovata!- urlò a qualcuno dalla parte opposta della strada. Mi corse incontro con in mano il mio cellulare. – Ma che ti è successo?- mi domandò preoccupato.- Io…aaah! – non riuscivo a parlare, e istintivamente mi misi la mano dove avevo ricevuto la mazzata. Daniel me la scostò, tastandomi il torace.– Hai le costole fratturate…- disse allarmato. Si alzò in piedi e chiamò l’ambulanza. Poi tornò a me. Sentii il veleno che raggiungeva il cuore, e che mi rallentò la respirazione. Chiusi gli occhi, e la voce di Daniel si fece lontana. Sentii degli altri passi e qualcosa con le ruote. Poi persi i sensi. Quando mi svegliai mi ritrovai in un lettino tutto bianco, in una stanza dello stesso colore. Una sacca di acqua era appesa lì a fianco, collegata al mio braccio con un ago. Mi sentii di nuovo male. Da quando Cheung me ne aveva infilato uno simile nel braccio non ho più un buon rapporto con loro. La porta si spalancò e mia mamma entrò con un ticchettare nervoso dei tacchi. Si gettò sul mio letto, lanciando borsa, ombrello e impermeabile sulla sedia vicino a me.- Mary! Oh Mary, come stai? Ma che domande, certo che non stai bene! Appena l’ho saputo mi sono precipitata da te lasciando la mia conferenza. Meno male che a Daniel e Beth è venuto il sospetto di non vederti lungo la strada come ogni volta! Sai, sei stata priva di sensi per più di quattro giorni! Credevo che fossi morta! Oh piccola mia!- mia madre parlava come una macchinetta facendomi girare la testa, ma ero felice di vederla qui. –Mamma…Sto bene. – le dissi. Mamma mi guardò sconcertata: dall’aria che avevo non dovevo stare molto bene. Qualche minuto dopo arrivò anche papà con Peter. –Non posso lasciarti un attimo sola che ti fai picchiare! Ma chi è stato, e perché? – mi chiese mio fratello come prima cosa. – Non ricordo molto.- era vero. Ricordavo solo la parte in cui Cheung mi diceva che mi sarei dimenticata tutto. – Ho solo un vago ricordo di Cheung che rideva – dissi massaggiandomi la fronte –Allora è stata Cheung! Bastarda! Vigliacca! Puttana!- cominciò mio fratello tirandosi i capelli – Peter! Smettila! Non si dicono le parolacce!- lo interruppe mia madre. – Mi dispiace signori, ma il medico è qui per una visita. Dovete uscire per il momento, poi potrete tornare.- l’infermiera in candido camice bianco accompagnò la mia famiglia fuori. Poi entrò e con un gran sorriso mi passò la mano con le unghie laccate di un rosa pallido sulla fronte -Mmmmmh…la temperatura è scesa. Molto bene! Adesso il medico ti visiterà e poi i tuoi genitori con tuo fratello potranno rientrare.- disse con un pizzico di soddisfazione nella voce. Poco dopo arrivò il dottore che mi tolse la flebo per farmi gli esami del sangue. Appena ebbe finito, mi lasciò sola nella stanza per circa mezz’ora, in compagnia del silenzio e del bianco che mi circondava. L’infermiera entrò sorridendo:- Ora la tua famiglia può rientrare, se vuoi. Il dottor Jhonson ti dirà i risultati fra un po’- riordinò il comodino a fianco a me, pulendo il bouquet dai fiori secchi; si avviò verso l’uscita della stanza, e prima di uscire mi mandò un bacio. Non passarono che pochi secondi dall’uscita dell’infermiera all’entrata di mia mamma. Si sedette di nuovo al suo posto, tenendomi la mano. Peter mi guardava con uno sguardo perso nel vuoto. Il suono del suo cellulare lo fece rinsavire; lo tirò fuori dalla tasca, e rispose alla chiamata - Pronto?... ciao Beth!... Si, è qui ed è sveglia…. Va bene….Ok, ti aspetto qui! Ciao!- chiuse il telefono e lo rimise in tasca. – Era Beth. Voleva sapere se poteva venire a vedere come stavi. A te non dispiace, vero?- mi chiese. – No, anzi. Mi fa piacere.- gli risposi, felice che Beth stesse arrivando. Poco dopo varcò la soglia, seguita da Daniel, Jennifer e Harry. I suoi boccoli biondi frusciavano, mentre si avvicinava al letto –Mary, come stai? Daniel ha detto che sembravi morta! Sono stata tanto in pensiero. Pensa che ho impiegato minimo mezz’ora a trovare la tua stanza in questo labirinto bianco!- esclamò, regalandomi un sorriso che non avevo mai visto prima. Mia mamma dovette tornare al lavoro con mio papà, così io e gli altri restammo soli. Chiacchierammo, giocammo a carte, a Monopoli, al gioco dell’oca, passando così l’intero pomeriggio. Verso le otto e mezza di sera lo stomaco da Jennifer brontolò rumorosamente.- Credo che dovreste tornare a casa. Si è fatto tardi.- dissi loro – Non ci penso neanche a lasciarti qui! E se Cheung tornasse?- saltò su Peter. – Non tornerà. Sono in ospedale. Non fanno entrare le persone se tu non vuoi.- gli risposi in tono piatto. – Facciamo così: stanotte dormirò io con te, domani Jennifer, dopodomani Daniel e così via. Faremo dei turni, così avrò una scusa per stare lontano da mio padre.- propose Beth. Non sapevo molto di suo padre, ma una cosa era certa: non adorava Beth. Beth ha tre fratelli più grandi, per i quali il padre stravedeva, mentre per la sua unica figlia femmina non faceva altro che provare disprezzo. Mi ha raccontato che numerose volte l’ha picchiata, e i suoi fratelli sono intervenuti, altrimenti per lei sarebbe stata la fine. Anche io l’ho visto picchiarla una volta: aveva la cintura in mano e gliela dava sulla schiena, dove ora ha delle cicatrici molto evidenti. Sua madre è morta quando Beth aveva cinque anni in un incidente stradale, e adesso lei deve subire suo padre. La sua matrigna è la donna più dolce che ci sia, e la tratta come sua figlia, ma non può fare nulla per il marito. A volte penso di essere fortunata a non avere una famiglia come quella di Bethany. – Allora è deciso…. Per il mangiare, volete che ordino una pizza da mangiare qui, così chiudiamo positivamente questa serata?- propose Harry. – Con piacere…Allora, io una pizza con peperoni, cipolle e salamino piccante, voi cosa prendete?- domandò Daniel leccandosi i baffi. – Io una tonno e cipolla!- gridò Jennifer – Io e Beth una Italiana con mozzarella di Bufala, una a testa ovviamente- raccomandò Peter. – Tu cosa prendi Mary?- gli risposi – Io prendo il solito: una patatosa con poca mozzarella.- Harry accese la chiamata alla pizzeria italiana che c’era in centro, e poco dopo la pizza entrò nella stanza, impestando quest’ ultima di odore di cipolla. Mangiammo fino alle dieci, poi i miei amici se ne andarono, lasciandomi da sola in stanza con Beth. Mi distesi sul letto, ma il petto mi faceva ancora male, così mi addormentai con tre cuscini sotto la schiena e la testa che ricadeva all’indietro. Beth si accoccolò sul divano a fianco della finestra, coprendosi con una coperta che l’infermiera le aveva dato quando aveva saputo che avrebbe dormito con me. Sognai un bellissimo prato verde, e io che ci correvo sopra, inseguita da un lupo. Ero vestita molto stranamente: portavo un vestito azzurro dalla gonnalunga e molto ampia, con il corpetto senza le maniche. Il tutto mi rendeva molto lenta e impacciata, tanto che inciampai più di una volta. Il lupo era veloce, e mi raggiunse con un balzo. Caddi a terra, con il bestione sulla schiena. Mi girai, aspettandomi il peggio, quando il lupo parlò con una voce da donna che mi ricordava molto quella di una fata: - Silver, non avere paura. Voltati e alzati al mio cospetto.- alzai gli occhi e vidi che il lupo si trasformava in una bellissima donna, dai capelli di un blu molto accentuato. Portava un’armatura d’argento sulla quale erano incastonati zaffiri, topazi blu e azzurri, quarzi di mille sfumature che tendevano all’azzurro, diamanti e aquamarine. Gli occhi erano grigi e tempestosi come i miei, ma i suoi brillavano di una energia che non avevo mai visto prima. La pelle era bianca come il latte, e emanava una luce bianca tutto intorno a noi. Sul fianco una spada le penzolava sul fianco. Aveva l’impugnatura di madreperla, e la lama brillava purissima. Mi inchinai, e vidi che non portava calzature, ma i piedi erano nudi e senza dita. – Ti ho voluto vedere per parlarti. Una profezia mi è stata affidata, ed è stato deciso che tu devi saperne le parole. “Alla morte del sole tu farai vendetta, un lupo ti vedrà piangere. Le tue lacrime cadranno su colui che sarà ucciso. Troverai un vecchio ricordo ma ne lascerai altri. Il tuo sangue la vita di qualcuno macchierà. La sorgente mai più guarirà. Abbraccerai la fine. Ne ucciderai l’origine. Uno zaffiro morirà. Un diamante annerirà. Un cuore si sgretolerà. La fonte del dolore sparirà. La battaglia guidata da te sarà. La vittoria ti aspetterà, la delusione e la sconfitta con lei. La solitudine mai ti coglierà. Il freddo ti snebbierà. L’odio ti corroderà. Il nero ti coprirà. Diventerai dolore. Ti trasformerai in fame. La vita ricomincerà. Nulla si ricorderà. Solo la sorgente non guarirà”- concluse la donna. – Ma che significa? E perché mi deve servire? Non riesco a capirvi. E poi non mi ricorderò tutto questo!- esclamai. La donna sorrise, e i suoi denti bianchi e lucenti come la madreperla brillarono nel buio. Mi inquietarono. Erano ancora le zanne del lupo. – La profezia è scritta qui. Solo tu potrai leggerla. – mi porse un foglietto piegato a rosa, come un origami. – E ricordati. La fedeltà si vede dagli occhi che ti guardano quando parli- disse la donna. Poi si trasformò di nuovo in un lupo grigio. Mi guardò con i suoi occhi dolci, e corse all’interno del bosco sul margine del prato, lasciandomi in piedi in mezzo alla radura con una rosa azzurra in origami in mano e la faccia sconvolta. – Silver!- mi alzai a sedere sul letto con un balzo, spaventando Beth, che mi guardò con aria stralunata. – Ma che fai?! Sono le sette del mattino, non disturbarmi!- si rigirò nel letto e riprese a russare. Quella parola continuava a girarmi per la testa. – Mi ha chiamato Silver. Ma che significa.- mi distesi, quando notai un bocciolo di rosa azzurro fatto con gli origami sul mio comodino. Ebbi un sussulto. Lo presi in mano e si illuminò di una tenue luce azzurra: un canto lieve si disperse nell’aria, e la rosa sbocciò, rendendo il canto più distinto, e le parole cominciarono a definirsi “ Alla morte del sole tu farai vendetta…. Un lupo ti vedrà piangere…. Le tue lacrime cadranno su colui che è stato ucciso….” soffocai un urlo, e richiusi la rosa. La luce si spense e le voci smisero di cantare...


La storia si fa più interessante... Recensite e ditemi cosa ne pensate!!! Accetto anche recensioni negative per migliorare sempre più!!! baci a tutti <3

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Capitolo 3
*** La tempesta ***


Lo presi in mano e si illuminò di una tenue luce azzurra: un canto lieve si disperse nell’aria, e la rosa sbocciò, rendendo il canto  più distinto, e le parole cominciarono a definirsi “ Alla morte del sole tu farai vendetta…. Un lupo ti vedrà piangere…. Le tue lacrime cadranno su colui che è stato ucciso….” soffocai un urlo, e richiusi la rosa. La luce si spense e le voci smisero di cantare. Tenendomi una mano sul petto, mi alzai dal letto e zoppicai fino al letto di Beth. La svegliai con uno strattone. – Ehi Beth! Svegliati ti devo raccontare una cosa. Stanotte ho fatto un sogno incredibile!- Beth si tirò seduta e brontolando mi disse che andava a far colazione. Tornò su con due tazze di thè in mano, ne diede una a me, e poi cominciai il mio racconto. Alla fine le mostrai il bocciolo e lei mi fissò sbigottita. – Cavolo! È una cosa seria allora! Ascolta, adesso chiamo anche gli altri, così avremo più cervelli da utilizzare…- Beth telefonò a Peter, che a sua volta telefonò a Daniel, che contattò Harry, che chiamò Jennifer. In un quarto d’ora erano tutti nella mia camera dell’ospedale. Sentita la storia, Harry cominciò subito con le sue teorie assurde – Allora, la morte del sole potrebbe significare la morte di qualcuno che è per te un mito, ma se avrai la vendetta, questo mito deve averti fatto un torto, perciò la mia domanda è questa: hai un mito con cui sei arrabbiata?- ci pensai. – Non ho nessun mito con il quale dovrei essere arrabbiata- il suo entusiasmo si spense –Allora la morte del sole vorrà dire la fine del mondo: la fine del mondo cancellerà tutte le persone che detesti, o no?- riprovò Harry – Non è corretto. Se finisse il mondo, anche lei verrebbe cancellata, quindi non è la fine del mondo- disse Jennifer– Basta !!! Mi arrendo! Cos’è questa morte del sole???- esplose Harry, mettendosi le mani in testa. – Potrebbe essere semplicemente il tramonto. – disse Daniel – In molte poesie quando il sole tramonta, viene definita “morte del sole”. Può essere?- Peter si rallegrò e fece un salto di gioia – Ma certo! La tua vendetta avverrà al tramonto. – concluse. – Ma la vendetta su chi?- domandò Jennifer - Su Cheung naturalmente! – rispose trionfante Harry. - Aspettate un attimo: vi sfugge una cosa. Io sono su un lettino dell’ospedale. Come faccio a vendicarmi di Cheung qui?- domandai. Il silenzio calò nella stanza. – Ha ragione… A questo non avevamo pensato - detto questo l’infermiera entrò con in mano una cartella e un sorriso smagliante sulle labbra. – Il dottor Jhonson ha fatto gli esami,  e tu signorina sembri in ottima forma. Ti facciamo una radiografia per accertarci delle condizioni delle tue costole, poi, se tutto è a posto, potrai tornare a casa – Fece uscire i miei amici e mi passò con una macchinetta sul costato. Sorrise ancora, e pensai che quell’infermiera era la migliore che avessi mai conosciuto. Rimise tutto in ordine, mi diede una borsa con su scritto “Hospital = Home sweet Home” dove riposi tutta la mia roba. Salii sulla moto di Peter e, seguiti dagli altri in bici, arrivammo a casa mia. “ Non fare movimenti troppo bruschi o cose troppo pericolose. Le costole si sono stranamente sistemate, ma non devi sforzarle. Sono ancora deboli” mi aveva raccomandato l’infermiera. Entrammo, e mio padre ci accolse con un caloroso abbraccio - Potevi dirmi Peter che tua sorella era tornata. Sarei venuto a prendervi in macchina! Ma prego, entrate pure piccoli pulcini bagnati a scaldarvi attorno a fuoco!- mio padre aveva ragione sul “bagnati”. A metà strada era cominciato a piovere, e noi non avevamo ombrelli al momento. Ci radunammo attorno alla fonte di calore. Non avevo intenzione di parlare a mio padre della rosa. Non ancora. Andai in camera mia, e rovistando fra le mie robe ritrovai l’oggetto al quale tenevo più di ogni altra cosa: i miei genitori mi avevano sempre raccontato che quella spada era una eredità di un vecchio zio, che a sua volta l’aveva ricevuta da suo padre, che a sua volta l’aveva ricevuta da suo padre che gli era stata donata per la sua nomina di cavaliere.  La forma iridescente della spada brillò fra le mie mani, mentre l’elsa sembrava aspettare solo che io la impugnassi. Posai la mano sulla lama, e la feci scorrere fino al manico. Accarezzai il diamante purissimo che vi era incastonato, e mi sentii pervadere da una energia che non avevo mai avuto fino a quel momento. La riposi nel fodero e attraversai il salotto di corsa. – Dove stai andando? Mary!- Peter si frappose fra me e la porta. – Voglio vedere il mare in tempesta- la risposta mi era così naturale che mi stupii di averla detta. – Ti accompagno-  aggiunse mio fratello voltandosi per prendere l’impermeabile, ma io ero già uscita. Mi diressi di corsa verso la costa. La pioggia mi sferzava il viso, ma non mi dava fastidio, anzi: era una sensazione molto gradevole, come la carezza di qualcuno. Raggiunsi il mare, e lì mi fermai. Camminando mi avvicinai ancora di più al bagnasciuga, e mi tolsi le scarpe, immergendo i piedi in acqua ed estraendo la spada, che era diventata il punto più luminoso di tutto l’oceano. L’acqua si posava su di lei in piccole gocce che si trasformavano in brillanti. Inspirai l’aria salmastra, il profumo della tempesta, ascoltai il rumore delle onde che sbattevano contro gli scogli, lo starnazzare dei gabbiani in mezzo alle correnti. Le nubi incombevano oscure su tutta New York alle mie spalle, mentre in lontananza un raggio di sole illuminava un tratto piccolissimo di mare. – Mary!! Che stai facendo? Ferma!- la voce di un ragazzo mi chiamò, ma io non gli badai. Era tutto un’armonia di tuoni, e lampi, mentre le gocce diventavano grandi quanto una nocciola. Non mi voltai finché non sentii lo sparo. Il proiettile mi passò sulla spalla sfiorandomi per un pelo. Mi voltai e vidi Cheung con una pistola e due poliziotti che lottavano contro i suoi scagnozzi. Cheung ricaricò la pistola e si preparò a sparare ancora. Premette il grilletto, ma non ebbi paura. Cosa diceva la profezia? “Avrai la tua rivincita” molto bene! Deviai il proiettile con la spada e corsi verso di lei. Cheung non si perse d’animo: ricaricò e stavolta continuò a sparare nella mia direzione. Feci un salto oltre il guardrail, e mi gettai sulla mia nemica. La buttai a terra, premendole la faccia sull’asfalto della strada con la spada. I suoi occhi erano colmi di pazzia -Muori!- mi lanciò di lato, e rialzandosi fece tempo a prendere la pistola. Rideva con una espressione folle negli occhi, imprecando in cinese cose che non riuscivo a capire. A un tratto cadde a terra girando gli occhi, e Daniel comparve alle sue spalle con un bastone in mano:- Ti serviva una mano?- mi rialzai e lo guardai negli occhi piena di gratitudine - Grazie… Vieni, ci sono i due poliziotti da aiutare!- gli dissi correndo incontro alla mischia che si era creata. Stendere gli scagnozzi fu abbastanza semplice: li mettemmo in discussione fra loro, mentre le guardie si rialzavano stravolte. Mi voltai verso Daniel, e vidi che si piegava in due per poi cadere a terra: si reggeva il fianco e mandava lamenti terribili, e mi chinai su di lui in preda al panico; con la coda dell’occhio vidi Cheung con la pistola in mano che rideva come una pazzoide. Daniel respirava a fatica, mentre sulla maglietta bagnata si allungava una macchia rossa. Tossì leggermente e io gli presi la mano: -Chiamate un medico!- urlò uno dei due poliziotti. Daniel si rilassò, smise di agitarsi e la sua mano divenne rigida nella mia. Un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca semichiusa. –No. Daniel, Daniel svegliati! Rispondimi! Daniel! No….No!- mi stesi sul suo petto. Le mie lacrime si mescolavano alla pioggia che cadeva a dirotto. Mi voltai di scatto verso Cheung che se la rideva della grossa - L’ho ucciso! Hahahah! Ho sbagliato miraahahahaha.- sentii una grande rabbia che mi montava dentro.Mi girai verso di lei con tutto il corpo camminando gattoni mentre lacrime di rabbia e di dolore correvano veloci lungo le guance. Emisi un ringhio sordo e avvertii un formicolare su tutto il corpo, percepii che i miei denti si allungavano, e che facevo meno fatica a camminare così chinata. Quando il formicolare finì mi ritrovai a un metro da terra sorretta da due zampe di lupo. Non ci badai, come se fossi sempre stata un animale, e saltai sulla mia nemica: la buttai a terra e le ringhiai in faccia. Lei era lì che rideva, rideva perché Daniel era morto, perché l’aveva ucciso. Le aprii uno squarcio sul fianco e lei si agitò, sempre ridendo. Non riuscii a controllarmi, e le mollai un morso sulla spalla, un altro sul braccio, un altro sulla gamba. Ormai era praticamente grondante di sangue, ma non la smetteva di ridere. Mi allontanai da lei e la lasciai a ridere in mezzo alla strada. Passai sopra una pozzanghera e mi vidi riflessa: un lupo grigio con le labbra insanguinate, delle zanne che gli spuntavano dalla bocca, la pelliccia di un grigio strano, che piangeva. In quel momento mi venne in mente la profezia “Un lupo ti vedrà piangere”. Rimasi a fissare il mio riflesso, e vidi che il mio viso stava tornando umano. Le zampe si allungarono e il pelo sparì. Mi ritrovai in ginocchio in una pozza a cercare un lupo inesistente. Mi rialzai, e tornai da Daniel. La pelle era diventata biancacea, e le labbra viola. Sembrava dormire. Già, in un sonno da cui non si sarebbe più svegliato.


Ehilà!!!! La storia prosegue, e qui abbiamo la prima perdita... Vi avevo avvisato che ci sarebbero state delle scene un po' cruente, ma alla fine state tranquilli!!! Tutto si risolverà per il verso giusto!! :) vi aspetto cari lettori per il prossimo capitolo!!!!!
Ciao!!!

Alis Grave Nil
 

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