Baby, it's you.

di demilennon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** You've got to hide your love away ***
Capitolo 3: *** In spite of all the danger. ***
Capitolo 4: *** Help! ***
Capitolo 5: *** I'll follow the sun ***
Capitolo 6: *** Is this love? ***
Capitolo 7: *** Stand by me ***
Capitolo 8: *** "..This boy would be happy just to love you." ***
Capitolo 9: *** Ask me why ***
Capitolo 10: *** P.S. I love you ***
Capitolo 11: *** Getting better. ***
Capitolo 12: *** Love me do ***
Capitolo 13: *** Across the universe ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                      Baby, it's you

Prologo.

 

12-09-1958

“Sveglia Stella, sono già le 8 meno un quarto, non vorrai fare tardi il primo giorno di scuola!”

La voce acutissima di mia madre risuonava in tutta la stanza, certe volte pensavo che quella donna era sulla buona strada per diventare una cantante lirica. E cosa dite, non è un buon modo per iniziare l’anno scolastico quello di essere svegliati da una voce del genere? Non nel caso in cui con fare sinistro ti chiede di abbandonare un comodo rifugio come il letto. Ma sfortunatamente le sveglie erano troppo “silenziose” per svegliare un ghiro come me e potevo fare affidamento solo su quella voce stridula per ricordare che era già il dodici di settembre e stava per iniziare di nuovo la scuola.

Sì, la scuola, un misto tra amore e odio, dolce e salato, chiaro e scuro. Potrebbe essere meravigliosa senza i compiti, le interrogazioni, i prof apatici e le lunghe spiegazioni che a volte sembrano più ninne nanna che altro. Tutto sommato non potevo di certo lamentarmi dei miei voti, piuttosto nella media.

“Altri 5 minuti, ti prego.”
“Assolutamente no, se perdi l’autobus vai a piedi, e l’autobus passa esattamente tra 27 minuti.”


Scesi dal letto guardando mia madre in cagnesco e mi diressi verso il bagno. Ottimo, i miei capelli avevano creato una massa informe  così cercai di aggiustarli al meglio nelle mie possibilità, dopo presi la prima gonna che trovai nell’armadio e la indossai. Era una gonna nera, ampia e a vita alta, ovviamente lunghissima. Decisi di abbinarla ad una camicia bianca. Con il black&white si va sempre sul sicuro, del resto. Feci velocemente colazione e una volta uscita, sorpresa delle sorprese, incontrai John, il mio migliore amico.

“John!” urlai sorridendo “Finalmente un volto amico.”
“E che volto...” Rispose con fare soddisfatto indicando il suo bel faccino
“Modesto, eh?”
“Come sempre. La mia bella Stellina è pronta a passarmi tutti i compiti in classe per un altro anno e soprattutto ad ascoltare tutte le mie stronzate?”
“Ho vie di scampo?”
“No, ovviamente”

“Ottimo, allora direi che dovrò proprio adattarmi” e gli stampai un bacio sulla guancia sinistra.

John era uno di quei ragazzi che si comportavano da duri ma che in realtà avevano un cuore d’oro. La sua era una specie di corazza. Lo conoscevo da almeno 15 anni perché sua zia Mimi e mia madre erano molto amiche, e così da piccoli ci trovavamo spesso a giocare insieme mentre le sue signore prendevano il tè delle cinque. Avevo imparato a comprenderlo ed in fondo avevo capito che non era così male come voleva far credere. Sotto sotto era un ragazzo dolcissimo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per le persone alle quali voleva bene, che si potevano contare sulle dita di una mano, nonostante il mondo fosse stato crudele con lui non concedendogli una famiglia normale. In questo campo avevamo molto in comune, poiché mio padre era morto in guerra e mia madre aveva sposato un uomo che non avevo mai sopportato, jack. John era un po’ tutto; era il mio confidente, il mio amico, il mio consulente, il padre che mi era sempre mancato, e non lo avrei abbandonato per nulla al mondo.

“Diana, Carly, come state?”
“Bene!”
Risposero insieme.
“Stella, sai dov’è finito John?” Mi chiese Diana.
“Si, guarda, è all’entrata.” Risposi

Odiavo quella ragazza. Faceva l’oca con tutti i ragazzi, leggenda narra che se li fosse scopati tutti, John compreso, il quale era stato con centinaia di ragazze. Una bella coppia in termini di fedeltà, insomma.

Carly mi prese per una mano.
Lei si che mi capiva, ci conoscevamo da poco più di un anno, eppure mi sembrava di conoscerla da sempre. Chissà, forse in una vita passata ci eravamo incontrate. A lei confidavo tutto, o quasi.

 

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Capitolo 2
*** You've got to hide your love away ***


You’ve got to hide your love away



 “Ho conosciuto un ragazzo…” Mi disse Carly
“Davvero? Come si chiama?”
“Colin.”
“Non dirmi che è Colin Hanton..”
“Si, è proprio lui.”
“Sai che è il batterista del gruppo di John e si comporta esattamene come lui, vero?”
“Certo, non è che io voglia una cosa seria, intendiamoci.”
“Beh, contenta tu!”

Carly, la cara dolce Carly con quel mostro di Colin; un puttaniere di prima categoria, quasi peggio di Lennon. No, non poteva succedere. Sapevo già come sarebbe andata a finire; Colin l’avrebbe riempita di paroline dolci per portarsela a letto, poi dopo l’avrebbe abbandonata e ci avrebbe provato con altre ragazze, e la mia amica avrebbe sofferto terribilmente. No, non poteva, non doveva accadere.                     
Mi diressi verso John e gli chiesi di venire da me quello stesso pomeriggio; se c’era una persona che poteva farli lasciare quello era lui.
 

Erano le 15.20 quando John entrò nella mia camera tramite la finestra, fortunatamente ero abituata a queste entrate da superman e non mi feci cogliere alla sprovvista.
“Lennon, mai sentito parlare delle porte?”
“Si, mia dolce Stellina, ma se fossi entrato dalla porta Jack mi avrebbe cacciato sicuramente.”
“Per tua fortuna Jack e la mamma sono usciti e non saranno di ritorno prima di mezzanotte almeno” risposi facendogli l’occhiolino in una maniera che doveva risultare “sensuale”.
“Bando alle ciance, piccola mente perversa. Perché mi hai fatto venire?”
“Innanzitutto perché non parlavamo da un bel po’ di tempo.”
“Ohhh amichetto mio, mi sei mancatoooo.” Disse John imitando quelle che io chiamavo ochette.
Sorrisi.“E poi perché mi devi aiutare.”
“Farò tutto ciò che mi chiederai, oggi mi sento buono come mai.”
“Che gran poeta che sei, fai un baffo a Leopardi! Comunque Carly ce l’hai presente?”
“Certo, la tua amica.”
“Indovina con chi si sta vedendo…”
“Con l’uomo nero?”
“Peggio… Con Colin!”
“E così al buon vecchio Colin piacciono le sfide impossibili.”
“Non la vedo tanto impossibile, Carly gliela darà. Non oggi, né domani, ma prima o poi gliela darà. Devi assolutamente farli lasciare, non voglio che soffra.”
“Dagli una possibilità…”
“NO.”
“E va bene, gli parlerò io, acidella, anche se non sono d’accordo con te. Ora devo andare alle prove dei Quarrymen, vuoi venire?”
“Certo!”

Io e John uscimmo da casa, questa volta dalla porta, e ci avviammo verso la casa di Paul, dove ogni pomeriggio i ragazzi si ritrovavano per provare. Ad essere sincera non mi stavano tutti molto simpatici, anzi, quelli come Colin non li sopportavo per niente. C’erano due chitarristi molto bravi però, lo stesso Paul e George, con i quali avevo stretto amicizia.
“Ragazzi, oggi abbiamo una spettatrice!” esordì John
“Stella, quanto tempo” Esclamò Paul venendomi in contro.
“Dolce Stellina! Hai portato la torta per caso?” Mi chiese George con gli occhi a cuoricino.
“Oh, ciao Stella” disse Colin un poco con fare distratto.
“Ciao Colin. Già Paul, è davvero tanto. No George, scusami ma non sapevo di dover venire. Domani te la porto, promesso.”risposi.

I quattro iniziarono con “Roll Over Beethoven” di Berry e poi “In spite of all the danger”, una canzone scritta da Paul e George pochi mesi prima, carina ed orecchiabile.
“Stasera ci esibiamo al Cavern, vieni anche tu?” Mi chiese Paul.
“Non so se posso venire.. I miei non ci sono e non posso chiederglielo, se scoprono che sono uscita senza il loro permesso mi tagliano i viveri come minimo.”
“Dai, Harvey, vieni anche tu. Non lo sapranno mai.” Disse John unendo le mani e sbattendo vistosamente le palpebre “Sai che sei il mio portafortuna preferito.”
“Ad un Lennon in versione dolce non si può dire di no. Vengo!”
“Ottimo, sarò sotto casa tua alle 20, e non farmi aspettare troppo altrimenti salgo e ti porto anche se stai ancora in mutande!”
“Ti piacerebbe, vero?” chiesi retoricamente alzando le sopracciglia e mandandogli un bacio.
“Sei sempre la solita perversa, Stella del mio cuore.”
“Dopo 15 anni passati in tua compagnia è impossibile rimanere normali” esclamò Paul sorridendo.
“Viene anche Carly, l’ho invitata io.” Disse Colin.
“A tal proposito, buon vecchio Colin, vieni un secondo con me, io e te dobbiamo parlare.”
“Beh ragazzi, io vado, a stasera!”
“Ciao Stella.” Mi risposero tutti e quattro in coro.
 
Erano già le 20.45 ed ero pronta da una buona mezz’ora, ma non capivo perché John non fosse ancora venuto. Era successo qualcosa, ne ero sicura, non avrebbe mai rischiato di fare tardi ad uno spettacolo e di sicuro non si era dimenticato di me.                                                         Suonò il campanello, ma avevo come un cattivo presentimento, chiamatelo sesto senso.  Come non detto non era John, bensì George.
“Stella, devi venire subito a Mendips.” Mi disse George con aria spaventata
“George cosa è successo?”
“La mamma di John è-è stata investita ed è morta.” Rispose balbettando
“Ma dai George, è un altro scherzo di quel cretino di Lennon per farmi spaventare?”
“No, Stella, purtroppo no, è tutto vero.”

Improvvisamente capii. Dovevo correre subito da John, aveva appena perso una delle persone alle quali teneva di più ed io dovevo aiutarlo, non potevo abbandonarlo in una situazione del genere. Aveva già sofferto troppo, e proprio ora che stava ricostruendo un rapporto con sua madre lei se n’era andata, lasciandolo solo, di nuovo. Conoscendo John non avrebbe reagito bene, si sarebbe chiuso nella sua camera per almeno due giorni. E forse avrebbe anche tentato di suicidarsi. Aveva tutte le ragioni del mondo per farlo, ma doveva capire che non era solo, c’ero io con lui e non lo avrei mai potuto abbandonare.

“Dobbiamo andare subito da John.” Presi la borsa e iniziammo a correre velocemente per arrivare il prima possibile.


*Spazio autrice*
So che la mamma di John è morta il 15 Luglio 1958, ma perfar proseguire la storia ho dovuto spostare la data D:
In ogni caso spero che il capitolo vi sia piaciuto, presto pubblicherò il prossimo :3

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Capitolo 3
*** In spite of all the danger. ***


In spite of all the danger
 
 Io e George corremmo così veloci che in meno di 5 minuti arrivammo a Mendips. L’unico inconveniente fu che alla fine avevamo entrambi il fiatone e un dolore lacerante alla milza.

La prima cosa che notai fu che in strada c’era un gran frastuono creato sia dalle auto della polizia che dai curiosi, i quali erano accorsi per verificare cosa fosse successo; del resto quello era un quartiere tranquillo nel quale non succedeva mai niente, motivo per il quale lo stupore fu davvero molto. Al centro di questo grande caos giaceva il corpo senza vita di Julia, martoriato dall’auto che l’aveva investita. Era incredibile che ancora non fossero arrivati i soccorsi. Dopo poco più di un quarto d’ora venne l’ambulanza, ma sfortunatamente era troppo tardi; se solo fosse giunta prima!

Cercai di scacciare le lacrime. Io dovevo essere forte, forte per lui. Lui. Dov’era John? Vidi Paul, che era seduto su un marciapiede poco vicino alla strada e mi avvicinai.
“E’ morta sotto i suoi occhi, mentre stava attraversando. E nessuno ha potuto fare nulla per evitarlo.” Mi disse piangendo.
Capivo benissimo perché fosse così dispiaciuto. Voleva un gran bene a John e soprattutto sapeva cosa significasse perdere una mamma, ne era stato testimone avendo perso la sua quando aveva appena 14 anni. Ed ora, in un certo senso, aveva  rivissuto quel momento traumatico. Lo strinsi in un abbraccio, sembrava davvero averne bisogno.
 “Dov’è John?” gli chiesi subito dopo.
“Si è chiuso nella sua stanza, non vuole vedere nessuno.”
“Comprensibile..”
 “L’ha presa davvero male.”
 “Vado a parlargli.”
 “Inutile, ha chiuso la porta a chiave e non risponde a nessuno.”
 “Tranquillo, conosco un … Passaggio segreto.”
“Buon per te.” disse accennando un sorriso.

Quel ragazzo era incredibilmente dolce e vero. John non avrebbe mai pianto di fronte ad una ragazza semi-sconosciuta, invece a lui non importava che ci fossi io, doveva piangere perché stava soffrendo e non voleva usare né maschere né mezzi termini.
Il cosiddetto passaggio segreto non era nient’altro che una scala che portava alla finestra di John che lui usava per uscire mentre zia Mimi lo credeva a letto. Fortunatamente la porta era aperta, almeno non sarei stata costretta a bussare e ad aspettare che lui mi aprisse (e soprattutto, chi mi diceva che lo avrebbe fatto?). Entrai nella piccola stanza di John, in cui regnava il caos; infatti questa era sommersa da fogli strappati e fotografie. In un angolo c’era lui piegato in due, con la testa nascosta fra le ginocchia. Probabilmente stava piangendo, o forse le lacrime le aveva già finite tutte. Ecco, quello fu uno dei momenti più difficili della mia vita. Non sapevo cosa fare. Dovevo avvicinarmi e parlargli o aspettare che fosse lui a proferir parola? Alla fine decisi di compiere il primo passo, seppure cautamente. Sapevo benissimo come diventava John quando era arrabbiato: una bestia.

 “John, io… Mi dispiace.” Fu l’unica cosa che riuscii a dire. Solo dopo mi accorsi di quanto fossi stata stupida. Non voleva di certo sentirsi dire le solite cose. E io non mi ero arrampicata su una scala pericolante per dirgli le solite cose. Mi sedetti accanto a lui e restai per un po’ in silenzio, poi gli presi una mano.
“John sappi che io ci sarò sempre. Davvero. Non ti abbandonerò. Io ti voglio un bene dell’anima.”
“Stronzate.” Finalmente parlò, anche se dalla sua bocca non uscirono parole incoraggianti. “Sai cosa mi diceva Julia? Mi diceva Io non ti lascerò più ora che ti ho ritrovato, te lo prometto. E invece ora lei non c’è più, se n’è andata per la seconda volta. CAPISCI?” Mi urlò praticamente in faccia, per poi scoppiare in un pianto liberatorio. Non potei fare a meno di piangere con lui, che mi fissò per un secondo e poi mi abbracciò.
“E’ tutta colpa mia, la avevo invitata io oggi. Se non l’avessi fatto non sarebbe stata investita.”
“Tu non potevi saperlo.”
“Perché sempre a me? Proprio ora che l’avevo ritrovata lei se n’è andata via per sempre.”
 “Se fosse qui ti direbbe di continuare a seguire i tuoi sogni.”
 “Lo farò.”

Quella sera non me la sentii di lasciarlo solo. Mi faceva troppa pena, così parlammo per tutta la notte. Del futuro, del passato, del presente. Solo la mattina seguente realizzai di avere una mamma e un “padre” a casa che probabilmente mi avevano data per dispersa. Fortunatamente George li aveva avvertiti,  così da tranquillizzarli. Quello stesso pomeriggio si tenne il funerale. Era davvero la cosa più triste del mondo vedere dozzine di persone che dicevano di dispiacersi per la morte di una donna che per tutta la vita avevano apostrofato  come “puttana”. Fortunatamente John non sembrò accorgersi di questa ipocrisia, era troppo perso nei suoi pensieri, in quel momento probabilmente avrebbe preferito essere solo con la sua chitarra a strimpellare note.

“Ciao Stella.”
“Ciao Paul.”
 “Come è andata ieri?”
 “Meglio del previsto, sono riuscita a farlo ragionare, almeno sper..”
Non riuscii a concludere quella frase perché John si era buttato su un uomo intorno ai 40 anni e gliele stava dando di santa ragione. Probabilmente doveva essere uno di quelli che si erano finti addolorati per la morte di Julia.

“BRUTTO STRONZO, COME TI PERMETTI DI INSULARLA ORA CHE E’ MORTA? CREDI DI ESSERE MIGLIORE DI LEI? SEI SOLO UNO SPORCO MAIALE!”

No, mi ero sbagliata, era successa una cosa ben peggiore. Paul, George , Pete e altri ragazzi di cui ignoravo l’esistenza provarono a separarli. Alla fine ci riuscirono, peccato per Paul che si prese un pugno in pieno occhio., che la sottoscritta dovette curare.

“Stella mi fai male!”
 “Fammi capire McCartney, vuoi andare in giro con un occhio nero?”
“No, assolutamente.”
Questo era un lato di Paul che non avevo ancora conosciuto. Era vanitoso da far paura. Ora capivo perché John spesso gli desse dell’omosessuale. Beh comunque omosessuale non era visto che ci provò spudoratamente per tutto il tempo.
“Sai Stella non avevo mai notato quanto i tuoi occhi fossero belli.”
“Grazie Paul.”
“E guarda un po’ che bel nasino all’insù”
“Ok, ma se non stai fermo non riesco a medicarti bene.”
Improvvisamente entrò George “McCartney, quando hai finito di leccare il culo a Stella farmi un cenno.”
“Io? Leccare il culo? Ma non è vero, sta zitto moccioso!”
 “9 mesi di differenza. 9 MESI.”
 “Ragazzi vi prego, smettetela di fare i bambini. Piuttosto George, come sta John?”
“Meno incazzato di prima, ma sempre incazzato.”
“Dov’è?”
“Ha detto che andava a fare una passeggiata.”
“Ah… Beh forse è meglio lasciarlo solo. Ora dovrei proprio andare, ciao ragazzi, ci vediamo domani.”

Mi incamminai verso casa, quando per la strada vidi un John ubriaco fradicio che ci provava con una tizia accompagnata da un ragazzo che era anche abbastanza possente. Si stava cacciando nei guai, di nuovo. E chi doveva salvarlo? Io. Di nuovo. Lo tirai fuori da quella imminente rissa a forza e lo trascinai a casa mia, fortunatamente  vuota. Si, ultimamente i miei non c’erano molto.
“Quando smetterai di salvarmi le chiappe Harvey?”
“Quando tu sarai abbastanza responsabile da non creare casini.”
“Da oggi ti chiamerò angelo custode!”
 “Non male come soprannome.”
 John si sdraiò sul divano e iniziò a russare rumorosamente. Beh, era la notte di un giorno duro.


Spazio Autrice :3
Ssssalve :) Scusatemi il ritardo, purtroppo il computer si era rotto... Inutile dirvi che brutti giorni sono stati ç_ç 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ci ho davvero messo l'anima per scriverlo.
In ogni caso recensite, recensite, recensite. Vorrei almeno capire cosa ne pensate xD
Vorrei ringraziare in modo particolare @Reb e Ju e @noewalrus  che stanno seguendo la storia.
Al prossimo capitolo :3


 

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Capitolo 4
*** Help! ***


Help!

"Help, I need somebody.
Help, not just anybody
Help, you know I need someone
HELP!"  

 



Dopo quella notte rividi John ogni giorno. La mattina ci incontravamo nell’autobus per la scuola, il pomeriggio invece andavo a vedere le prove dei Quarry men, che diventavano sotto i miei occhi  più bravi ad ogni nuova canzone. Inoltre la mia amicizia con Paul e George divenne davvero solida, sapevo di potermi fidare di loro quasi come mi fidavo di John, sebbene Paul non avesse cessato di provarci continuamente con me.


Era un mite pomeriggio di Aprile e mi stavo recando a casa McCartney per vedere i ragazzi, quando un essere non identificato mi si scaraventò addosso facendomi cadere rumorosamente a terra. Si fermò un istante per aiutarmi a tornare in piedi e mi disse “Scusami, davvero, sono tremendamente in ritardo e non ti avevo vista. ”
“Credo proprio che faresti bene ad indossare un paio di occhiali!” risposi sul punto di urlargli contro.
“Comunque piacere. Stuart, Stuart Sutcliffe.”
“Piacere mio, Stella Harvey.” Risposi sempre arrabbiata
“Cosa ne dici se per rimediare uno di questi giorni ti invito a prendere un caffè?” mi chiese.
“Volentieri, è il minimo considerando che si è sporcata la mia gonna preferita... grazie a te.” Risposi con un tono che dovette risultare alquanto sgarbato.
“Ottimo! Allora ti cerco io. Au revoir, Stella.” Disse mentre già era lontanissimo.
Aveva davvero fascino. Era uno di quei ragazzi che ti colpiscono al primo sguardo, un po’ tenebrosi ma davvero intriganti. Mi sarebbe anche potuto piacere se non fosse stato per quello spiacevole inconveniente.
 
Quando arrivai da Paul era già abbastanza tardi, infatti la band stava già provando.

“Tu guarda un po’! Il nostro portafortuna è qui.” Disse John sorridendomi.
Paul con tono sarcastico controbatté “Un portafortuna sporco, direi.”
“Infatti Stellina, cosa hai combinato? Sesso violento nelle pozzanghere per caso?” esclamò John.
“No, cretino. Un ragazzo mi è venuto addosso e mi ha fatta cadere.”
“Che tipo! Avrà perso il controllo per la tua bellezza.” Disse Paul.
“Sempre più leccaculo tu, vero McCartney?” arrivò George.
“Tralasciando la mia “bellezza” e l’effetto che ha sugli uomini, ho un regalo per voi.” Risposi scandendo molto bene le ultime due parole.
In quel momento gli occhi di George si trasformarono in due cuori rampanti “Hai portato una torta per caso?”
“Ebbene si, eccol...”
Non feci neanche in tempo a concludere la frase che George si buttò a capofitto nella torta, che nel frattempo avevo poggiato sul tavolo.
“George, sei sempre il solito egoista, lasciane un po’ anche per noi!” urlò McCartney arrabbiato.
“Oh dai Paul, lascialo stare, lo sai che come tu impazzisci per le quarte lui impazzisce per le torte! Stellina comunque dobbiamo presentarti una persona, spero ti vada a genio perché dovrai vederlo ogni pomeriggio.” Disse John.
“Chi è? Non ti sarai mica finalmente fidanzato con qualche bella ragazza a tempo indeterminato?”
“Assolutamente no, sai benissimo che il mio cuore è solo tuo… Oh, eccolo!”
In quel momento dalla porta entrò un ragazzo che subito riconobbi, ossia colui che poco tempo prima mi aveva fatta cadere nella pozzanghera. “Scusatemi per il ritardo, avevo dimenticato il basso a casa.”

“Iniziamo bene Sutcliffe. La prima regola è arrivare in orario, altrimenti ti facciamo il culo, va bene? Comunque ti presento Stella, la nostra madrina, portafortuna, cuoca, amica e un mucchio di altre cose. Prova a toccarla e ti uccido, uomo avvisato, mezzo salvato.”
Ci guardammo scambiandoci un’occhiata complice.
“Oh ehm… ad essere sinceri già ci conosciamo.”
“Già” annuì io muovendo la testa dal basso verso l’alto.
“Davvero? E come?” disse George che aveva finito di mangiare metà torta.
“E lui l’essere non identificato che prima mi ha scaraventato a terra.”
“Mi dispiace, davvero, io non volevo.” Rispose lui imbarazzato
“Non preoccuparti, e poi hai promesso di offrirmi un caffè. Le promesse si mantengono.”
“Certo, quanto prima possibile.” E sfoderò il migliore dei suoi sorrisi. Rimasi per un po’ a guardarlo, fin quando non ci interruppe Paul.
“Se avete finito di mangiarvi con gli occhi magari possiamo anche iniziare a suonare.” Disse con tono secco.

Così si esibirono, ma purtroppo notai subito una cosa: Stuart non era bravissimo con il basso, non sapeva proprio suonare, per intenderci. Non capivo perché lo avessero voluto nel gruppo. Certo, era un bel ragazzo, affascinante, magnetico e altri mille aggettivi carini, ma non era un ottimo musicista e la qualità della band sarebbe diminuita se lui fosse rimasto dentro. Dovevo dirglielo, ma con lui vicino non era proprio il caso, così decisi che ne avrei parlato a John quella sera stessa.
“Ragazzi ora devo proprio andare, mi dispiace. John stasera ti aspetto alle 20, devo parlarti.”
“Ok, apri la finestra altrimenti va a finire come l’altra volta, ricordi? Fui costretto ad aspettare che tu mi aprissi per almeno venti minuti.”
“Non preoccuparti” Risposi sorridendo ricordando l’episodio accaduto pochi mesi prima.

Dopo aver salutato tutti gli altri andai a casa.
 
 

“Stella! Stella, dove sei? Esci fuori su,  non voglio farti del male” La voce di Jack mi svegliò dal sonno.
“Jack sono qui, cosa vuoi?” risposi sgarbatamente.
In un battibaleno me lo trovai addosso. Puzzava di alcol.
“Lasciami, mi fai male!” Le sue intenzioni non erano di certo le migliori, lo si poteva facilmente intuire. Non riuscivo a liberarmi dalla sua stretta, era sopra di me e cercava contatto con il mio corpo.
“Sai cosa ha fatto quella puttana di tua madre? Mi ha lasciato.”
“Lasciami stare, lasciami stare!”

Mi si annebbiò la mente, di quella sera non ho ricordi. So solo che mi svegliai il giorno dopo nella sala di un ospedale. Paul era seduto dormiente sulla sedia, invece George era vicino alla finestra a guardare verso il basso.

“Stella come ti senti? Ero così in pensiero per te.” Mi disse distogliendo lo sguardo dal paesaggio.
“Un po’ ammaccata, ma niente di che.” Risposi. “George, come ci sono finita qui?”
“Non ricordi nulla..?”
Improvvisamente mi tornò tutto alla memoria. Jack ubriaco, l’aggressione, le mie urla, la paura.
“Mio Dio…” fu l’unica cosa che riuscii a dire, prima di scoppiare in un pianto disperato. George mi strinse a sé.
“Tranquilla, è tutto passato, ora sei qui, al sicuro.”
“George, spiegami una cosa, come ci sono finita qui? Non ricordo cosa è successo dopo.”
“John aveva deciso di venire un po’ prima da te. Così è salito per la scala che ha vicino alla finestra e ti ha salvata. Poi ti ha accompagnata qui.”
“E John dov’è ora?”
“Se n’è andato 5 minuti prima che tu ti svegliassi, doveva dire a Stuart e a Phil che oggi non ci saranno le prove, vedrai che ora tornerà.”
“Sta bene?”
“Si, non preoccuparti.”

Nel frattempo si svegliò anche Paul, nonostante io e George avessimo cercato di parlare molto piano. Si accertò riguardo alla mia salute e poi se ne andò, assicurandomi che sarebbe tornato dopo poche ore. Io gli dissi che non era necessario e che ormai stavo bene, ma lui insisté e fui ben contenta di avere un po’ di compagnia, anche se non lo diedi a vedere. Gli avevo dato fin troppo disturbo, del resto.

Dopo un po’ anche George se ne andò, così sprofondai tra i cuscini cercando di ricordare qualcosa della sera prima, ma nulla. Dopo un po’ mi addormentai.


“John…” dissi con la bocca impastata dal sonno.
“Stella, finalmente ti sei svegliata” rispose con tono dolce.
“Grazie John, davvero, non so cosa sarebbe potuto succedere se tu non fossi venuto.” Ricominciai a piangere. Lui mi diede un bacio sulla fronte “ma sono venuto, ora non devi più aver paura.” Ci abbracciammo per un tempo che sembrò interminabile.
“Tua madre non è ancora tornata a casa, non sappiamo come rintracciala.”
“Spero solo che stia bene e che quel porco di jack non le abbia fatto del male.”
“Quel porco di Jack ora si trova in una prigione, e ci resterà per un bel po’ di tempo.”
“Tu stai bene?”
“Certo che si! Avessi visto come l’ho steso. Te l’ho sempre detto che quel tizio non mi stava simpatico.”
“Neanche a me…”
“Ora torna a dormire piccola Stellina, non pensarci più a quello che è successo ieri sera, io vado.”

“No, John t prego, rimani, non voglio stare da sola”



-Spazio autrice-

Rieccomi con un nuovo capitolo! :D
Innanzitutto vorrei ringraziare Reb e Ju  e noewalrus che continuano a leggere i miei capitoli recensendoli. Grazie ragazze, mi aiutate a capire cosa vi aspettate dalla storia, oltre a rendermi immensamente felice.
Voglio ringraziare anche tutti gli altri che hanno letto la storia fino a questo punto :3
Parlando del capitolo, spero vi piaccia :)
Cercherò di rivedere e pubblicare il prossimo al più presto, scuola permettendo.
Ciaaaao :3

 

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Capitolo 5
*** I'll follow the sun ***


I’ll follow the sun
 
 



“No, John ti prego, rimani, non voglio stare da sola.”

In quel momento qualcuno bussò alla porta, era l’infermiera di turno. Una donna bassa, sulla cinquantina, abbastanza pienotta. “Ragazzo tra un quarto d’ora devi uscire, l’orario delle visite è terminato.”

John mi guardò e mi fece l’occhiolino.

“Certo, esco subito. Ciao Stellina.”

Se ne era andato nonostante gli avessi chiesto di rimanere. Mi aveva lasciata da sola nonostante lo avessi praticamente implorato di restare. Questa me l’avrebbe pagata quel Lennon dei miei stivali.

O forse no.

Del resto mi aveva salvata, non potevo di certo fargli il muso solo perché se ne era andato, non esistevo di certo solo io per lui.
Così, cullata dai miei pensieri, provai ad addormentarmi, non avendo nulla di meglio da fare.

Pochi minuti dopo, mentre ero nel dormiveglia, sentì un rumore provenire dalla mia destra. Era John che bussava alla finestra aspettando che io andassi ad aprirla. Subito scesi dal letto e mi diressi felice verso essa.

“Lo sai, io e le scale non andiamo d’accordo. Meglio le finestre!”

“Sei sempre il solito, Lennon..”

Passammo il pomeriggio a parlare, esattamente come era successo quando era morta Julia.
Ora mi sentivo ancora più vicina a lui. Avevamo sofferto. Entrambi. Ed avevamo messo a tacere il dolore. L’uno grazie all’altro. Era un legame molto più stretto dell’amicizia quello che ci legava. Ma non sapevo spiegare esattamente cosa era. Era difficile da descrivere; quando ero con lui mi sentivo al sicuro e serena, come se nulla avesse potuto ferirmi. Se era una giornata nera lui riusciva a risollevarmi con una stupida battuta. Era incredibile, mi bastava guardarlo per sorridere. Ma la parte migliore era che lui non mi avrebbe mai lasciata. Ne eravamo consapevoli tutti e due, non ci saremmo mai allontanati. Ne avevamo passate e superate tante. Io sapevo cose di lui di cui nessun altro era a conoscenza, e stessa cosa lui di me.

“Ah, devo dirti una cosa.” Disse John in tono serio.

“spara!”

“Siamo riusciti a rintracciare tua madre.”

“E ora dov’è?”

“A casa tua, tra pochi minuti sarà qui.”

“Finalmente!”

Nel suo modo di parlare percepì una certa tensione, ma non riuscì a capire a cosa fosse dovuta.
Come aveva predetto,  pochi minuti dopo arrivò  mia madre.

“Oh Stella! Mi dispiace per ciò che è successo. Ora stai bene?”

“Sto bene.”

Quante volte avevo pronunciato quella frase in quella giornata? Tante. E quante volte ero stata sincera? Nessuna.
La verità è che avevo una terribile paura. Non sapevo se sarei ancora riuscita ad amare dopo quel bruttissimo episodio. Alla fine jack non era riuscito ad abusare di me, ma il gesto in sé mi aveva spaventata.

“E’ tutta colpa mia. Avrei dovuto capire dall’inizio che razza di uomo era jack..”

“Tranquilla mamma, non è successo niente. Ora jack è in prigione, e grazie a John non è riuscito a raggiungere il suo intento.”

“A tal proposito, grazie John, non so cosa sarebbe potuto succedere senza di te.” Disse mia madre.

“Non c’è di che signora Harvey. La prossima volta però cerchi di stare più attenta e a preoccuparsi di più di sua figlia.” Rispose con una punta di arroganza e sarcasmo.

Cercai di fargli intendere con lo sguardo di non andare oltre, ma lui continuò.

“Se io non fossi arrivato sarebbe potuto succederle qualsiasi cosa, non so se mi intende.” Continuò con il viso intriso d’odio.

“John ora basta.” Dissi.

“Se non vi dispiace io tolgo il disturbo, arrivederci.” E se ne andò.

In quel momento non capii la sua reazione, se mia madre avesse saputo sicuramente avrebbe impedito il tutto, ne ero certa. Quindi non comprendevo perché John si era comportato in questo modo sgarbato con una persona che lo aveva solo ringraziato.


Il giorno dopo tornai a casa, e il primo a farmi visita fu proprio John.

“Mi sono già scusato con tua madre. Scusami anche tu Stellina.”

“Certo che ti scuso. Ma perché?”

“Lo sai che sono irascibile. E poi ci tengo a te. Molto.”

“Si, ma non mi sembra il modo di trattare una persona che ti ha ringraziato.”

“Lo so.”

“Cosa sai che io non so?”

“Io? Nulla, perché?” Si distese sul letto vicino a me e iniziò a fissare un punto imprecisato del soffitto.

“Sicuro?”

“Si.”

Stava mentendo, lo sapevo.

“Come va il gruppo?”

“Bene! Domani ci esibiremo ad una fiera a Blackpool, vieni a vederci?”

“Ovviamente, sai che non mi perderei un vostro concerto per nulla al mondo.”

“E domani avrai una sorpresa!”

“Morirò dalla curiosità fino a domani.”

“Lo so cara Stellina.”

“Sei perfido Lennon.”

“Muahahahah” Rispose sfregandosi le mani.

Non potei fare altro se non ridere a crepapelle.

“Quanto mi vuoi bene da 1 a 10?” dissi.

“Sei seria Harvey?”

“Ssssi.”

“Mhh.. Tanto… COSI’” rispose allargando le braccia più che poteva.

Gli diedi un bacio sulla guancia, poi dissi “Vado a vestirmi e tu mi porti a fare un giro per Liverpool.”

“Non ce n’è bisogno. Puoi anche venire nuda.”

“Tu e il tuo umorismo inglese mi farete saltare i nervi!” Risposi buttandogli un cuscino addosso, mentre provavo a soffocare le risate.


SPAZIO AUTRICE

Rieccomi con un nuovo capitolo -si sfrega le mani come Lennon- :3 
Innanzitutto, voglio di nuovo ringraziare le ragazze che mi recensiscono sempre i capitoli, siete l'amore. -si, lo so, sono ripetitiva ewe.
Con questo capitolo ho voluto suscitare un po' di curiosità in voi... Qual è la cosa che John non vuole raccontare alla nostra stellina? Eheh...
In ogno caso, ve lo farò sapere al più presto. Un bacio c:


 

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Capitolo 6
*** Is this love? ***


Is this love?
 
“Stella sono tre quarti d’ora che sei chiusa lì dentro, faresti meglio a sbrigarti, altrimenti ti distruggerò la casa dalla noia.”

Il giorno passato in ospedale mi aveva davvero fatto male. La mia pelle risultava più bianca del solito e le occhiaie più violacee, non era di certo facile tornare presentabile.

“Si Johnny, arrivo tra un secondo. Nel frattempo leggi un libro, così ti acculturi un po’.”

“E’ più divertente scassarti la casa.”

“Ok, messaggio ricevuto. 5 minuti e arrivo, promesso.” Gli urlai dal bagno.

Indossai un vestito giallo con dei fiori blu e mi diressi verso la mia stanza, dove trovai John intento a frugare tra

i miei vestiti.


“Vuoi che ti presti un bel vestitino? O una gonna?”

“Anche con tali vestiti la mia mascolinità sarebbe visibile comunque. E poi no, sto cercando la mia camicia preferita. Non la trovo più… per caso l’hai vista?”

“Quella celeste?”

“Si.”

“Dovrei averla qui.” Dissi aprendo il cassetto dove mettevo le camice.

“Sei una ladra.”

“Lennon ti lamenti anche? Guarda, è lavata e stirata.”

“L’hai stirata tu?”

“Si.”

“Si vede..”

“Meglio che usciamo da qui prima che mi venga lo stimolo di sterilizzarti, ingrato!”

Detto ciò ci avviammo verso l’uscita, salutai mia mamma ed andammo al parco.
Che meraviglioso posto, una macchia verde in mezzo al grigiore di Liverpool, sebbene la maggior parte dei ragazzi ci andassero per pomiciare o fumare erba.

Seduti su una panchina vicino al laghetto c’erano George e Paul, che cercavano di suonare “Be bop a lula”.

“Paul possibile mai che sbagli sempre quest’accordo? Io sono sprecato in un complesso come il vostro, se mi mettessi in proprio farei molta più fortuna.”

“Ma dove vuoi andare senza la mia bellezza?” Disse aggiustandosi i capelli

“Due modesti!” aggiunsi io ridendo.

“Oh, ehm, Stella. Cosa ci fai qui? Non eri in ospedale?”

“Non ero mica in fin di vita! MI hanno dimessa.”

“Ah, e comunque il più bello sono io.” Disse John con un sorriso malizioso sulle labbra.

“Sta zitto.” Rispose Paul in tono dispiaciuto ed offeso.

“Suvvia Macca, non prendertela così tanto.” Cercai di confortarlo

“Ti va di andare a fare un giro qui intorno?”

“Se non mi stupri anche tu, volentieri!”

Così Paul mi prese sotto braccio, andammo vicino alle aiuole e ci sedemmo sull’erba, iniziammo a parlare del gruppo e di quanto fossero bravi e poi lui mi disse:

“Stella c’è una cosa che vorrei raccontarti da tempo.”

“Sono tutta orecchie.”

“Da quando ti ho vista… mi sei piaciuta subito! Cosa ne dici se magari… beh… se magari io e te provassimo a
stare insieme?”

Lì per lì rimasi sconvolta. Avevo capito che Paul provava attrazione per me, ma pensavo fosse una cosa da una sera e via. Invece no, lui voleva stare con me. Aveva intenzioni serie. Non mi sarebbe di certo dispiaciuta una relazione del genere. Trovavo che Paul fosse abbastanza carino, ma niente di più.

“Non so Paul. Ci devo pensare.” Risposi arrossendo.

Lui si avvicinò timidamente e con dolcezza sfiorò le mie labbra.

“Pensaci bene.” Mi disse.

Senza neppure salutarlo mi alzai e corsi verso casa, come una bambina impaurita. Mi aveva baciata (e aveva un bel paio di labbra morbide) ma ciò non bastava. Potevo davvero provarci con lui? E se fosse andata a finire male? Del resto avrei dovuto vederlo ogni giorno, e sarebbe stata abbastanza dura.

“ABBANDONA LA RAZIONALITA’” mi dissi.

In quello stesso momento mi diressi verso la sua casa, decisa a rispondergli e a non scappare più. Alla fine chi se ne importava? Non dovevamo per forza avere una relazione seria. Ci avrei solo provato, se fosse finita male saremmo rimasti amici. Almeno speravo.

“Chi è?”

“Sono Stella, un’amica di Paul.”

“Ciao stella!” rispose Paul con un sorriso stampato sulle labbra

“Oh.. eri tu? Non avevo riconosciuto la tua voce.”

“Entra dai, ti offro qualcosa, ho appena fatto una crostata.”

“E così sei anche un buon pasticciere? Questa mi è nuova.”

Andammo in cucina ed assaggiai la sua crostata. Non era male, anzi.

“Ci ho pensato.” Dissi. “E la mia risposta è si. Scusami per prima, mi sono comportata come una deficiente.
Non era mia intenzione lasciarti lì senza una risposta.”

“Lo so.”

“Però devo dirti una cosa.”

“Ti ascolto…”

“Io non sono sicura di essere innamorata di te. Preferirei non avere una relazione seria.”

“Sono così bello che ti innamorerai sicuramente di me!” Mi prese e iniziò a baciarmi.

In quel momento qualcuno entrò.

“Macca c’era la porta aperta. Uhhh c’è qualcuno?”

“JOHN!”

“JOHN?!”

“STELLA? PAUL?” disse lui  fissando stupito.



-Spazio autrice-

Ebbene si, dopo secoli e secoli ho aggiornato la storia! :) 
Probabilmente questo capitolo non piacerà a molti (Neppure a me piace tantissimo) Ma è importantissimo per lo svolgimento della storia. 
IL TRIANGOLO NO, NON L'AVEVO CONSIDERATOOOO.
eheh u.u
Grazie di nuovo a tutti coloro che mi seguono e mandano recensioni. 

A prestooo. :3


 

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Capitolo 7
*** Stand by me ***


Stand by me.



John ci fissò sconvolto, senza sapere cosa pensare.

“John, posso spiegarti tutto.” Dissi io.

Mi fulminò con lo sguardo. Sapevo come si sentiva. Tradito, abbandonato. Io e lui non stavamo insieme, ma eravamo migliori amici. Mi raccontava sempre tutto e si aspettava che io facessi lo stesso. Invece no, quella volta non gli avevo detto niente.

“Non sprecarti, vilascio ai vostri… incontri.” Disse dando enfasi all’ultima parola.

Senza pensarci due volte afferrai la mia giacca ed uscii di corsa, senza neppure salutare Paul.

“John! John fermati!” gli urlai dalla strada.

Con mia grandissima sorpresa si fermò e venne verso di me.

“Ti costava tanto dirmelo?” Mi chiese.

“Scusami, io… me ne sono completamente dimenticata. E poi che senso avrebbe avuto? Non è una cosa seria.”

“Wow, ora Stella è anche una.. puttana!”

Di getto gli diedi uno schiaffo “Come ti permetti? Proprio tu non sei proprio nella condizione di giudicarmi, cambi più ragazze che mutande! Paul mi ha chiesto di provare a stare insieme e  io mi sono buttata, vuoi per caso insultarmi perché ho fatto ciò che tu mi hai insegnato? E poi… non sono affari tuoi! Questa è la mia vita, tu non hai nessun diritto di trattarmi come se ti appartenessi.”

Le ultime frasi forse sarebbe stato meglio non dirle. Lo vidi diventare rosso di rabbia dopo averle ascoltate. Ora lo avevo davvero ferito, in maniera irreversibile. Allo stesso tempo però non mi sarei mai scusata per ciò che avevo detto perché ero troppo orgogliosa.

“Ok, allora vaffanculo Harvey. Se è questo che vuoi dimentica di avermi conosciuto. Tu per me non esisti più.” Detto ciò scomparve nella nebbia di Liverpool, lasciandomi sola e sconsolata.
 
            

                   Era finita un’altra giornata ed io avevo perso sia John che Paul. Tutto per colpa della mia stupidità e della mia superficialità. Io e McCartney non eravamo fatti per stare insieme; troppo diversi, troppo distanti. Me ne ero accorta quella sera stessa, o forse l’avevo sempre saputo. Ciò che c’era stato con Paul non aveva avuto alcun senso, me ne rendevo conto solo ora. Inoltre avevo fatto soffrire il povero John senza un buon motivo. Non solo gli avevo nascosto una cosa che lui poteva ritenere importante, ma lo avevo anche trattato male. Malissimo. Non sapevo se le cose si sarebbero mai sistemate, in ogni caso ciò non sarebbe successo a breve.
 


Liverpool; 10-12-1958


Erano passati più di 2 mesi, durante i quali avevo visto di rado John, e in quei momenti ci eravamo ignorati. Di solito incontravo Paul o George e chiacchieravamo un po’, ma mai di Lennon. Quell’argomento era assolutamente vietato nelle nostre conversazioni.

Quel pomeriggio ero seduta sul mio letto coperta da una plaid ricco di disegnini natalizi intenta a sorseggiare una cioccolata calda quando improvvisamente sentii qualcuno che mi chiamava dalla
strada. Incuriosita decisi di affacciarmi e vidi George.

“Geo! Vieni su dai!” gli dissi.

Lui seguì il mio consiglio e in meno di 10 secondi me lo trovai in camera infreddolito. Gli diedi una coperta e una cioccolata calda e lui si posizionò di fronte a me.

“E’ piuttosto imbarazzante questa posizione…” mi disse arrossendo.

“Suvvia George, cosa sarà mai! Se proprio ti infastidisce possiamo andare in cucina o in salone…”

“No dai, meglio così, stiamo più comodi.”

“In ogni caso, a cosa devo la tua improvvisa visita?” Gli chiesi incuriosita.

“beh stella… abbiamo evitato questo argomento come la peste per 2 lunghi mesi, ma ora dobbiamo affrontarlo. E’ davvero necessario.” Mi rispose

“Ti ascolto…”

“da quando tu e John avete litigato la situazione è diventata insostenibile. E’ ubriaco 24 ore su 24 e va in giro a fare a botte senza motivo. Davvero, tu  non puoi capire come sta. Se continua di questo passo potrebbe compromettere la sua stessa vita e quella del gruppo.”

George era serio, lo si poteva capire dal tono inconsolabile della sua voce.

“Mi dispiace, ma io non posso fare nulla per aiutarlo.”

“Ascolta, lui… lui ti vuole davvero bene. Tu sei letteralmente la sua vita. Io ora non so di preciso cosa sia successo, in ogni caso siete entrambi troppo testardi, se qualcuno non fa il primo passo le cose non cambieranno. E tu lo conosci meglio di me, lui non si scuserà mai, piuttosto si farà uccidere. Ti prego, scusati tu, anche se non hai colpa.” Disse George supplicandomi.

“Sai george, sono stati davvero dei bruttissimi mesi. Mi sono sentita come se avessi perso una parte del mio cuore, e sapere che per lui è stato lo stesso mi fa sentire ancora peggio. Io non volevo ferirlo, davvero. Le parole che ho detto non le pensavo davvero. Però anche la sua reazione è stata esagerata.”

“Se davvero ci tieni a lui parlaci e tornate amici come prima. Fallo per il bene pubblico.” Disse george

“Ci penserò, non ti assicuro nulla ma ci penserò..” risposi.

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Capitolo 8
*** "..This boy would be happy just to love you." ***


"...This boy would be happy just to love you."


Era dicembre inoltrato e sentivo l’aria natalizia intorno a me. Gente felice, città illuminate, alberi addobbati a dovere in tutti i luoghi… Ma il mio cuore, quello era spento. Mi lasciavo scivolare tutto addosso, non riuscivo ad andare avanti. Quanto avrei voluto averlo vicino a me, con il suo sarcasmo e le sue battutine pungenti.

Uscii da casa e presi una grossa boccata d’aria. Aria gelida, che mi attraversava i polmoni e me li congelava. Avevo deciso di non voler più vivere chiusa tra quelle quattro mura, dovevo accettare la fine dell’amicizia con John.

Mi avviai verso il Cavern, dove mi aspettava Carly, decisa a dare una svolta alla mia vita, a voltare pagina.

Si dice che quando cerchi di sfuggire ai tuoi problemi questi ti si ripresentino in faccia. Ebbene, quella sera al Cavern, seduto al bancone, solo con la sua birra, c’era il mio problema più grande:  John Winston Lennon.

Sarà stata l’ebrezza causata dall’alcol o solo la mia infermità mentale, fatto sta che, scordandomi l’orgoglio a casa, andai da lui e lo salutai, volendo chiarire una volta per tutte.

“Chi si vede!” esclamai.
Dopo avermi ispezionata e ancora un poco incerto riguardo la mia identità, rispose “Stella?”

“Si, sono io.”

“Finalmente” disse in tono sarcastico.

“Finalmente?” gli chiesi sconcertata e allibita. Mi aspettavo una reazione diversa, non so di preciso che tipo di reazione, ma non quella che ebbe.

“Finalmente ti sei decisa a parlarmi.” Rispose dando la risposta per scontata.

“Avresti anche potuto farlo tu comunque.”

“Ma non l’ho fatto.”

Passammo due o forse tre minuti a fissarci, poi lui esclamò “Scusa.” Non mi sembrava vero, John Lennon che chiedeva scusa. Se me l’avessero raccontato non ci avrei creduto.
“Sono stato uno stronzo, non avrei dovuto mandarti a quel paese né tantomeno insultarti. Lo sai come sono fatto, faccio una stupidata al giorno e subito perdo il lume della ragione. Mi perdoni?”

Inizialmente provai a fare la “dura”, ma non durò tanto.

“Certo che si, non è solo colpa tua, io ci ho messo la mia bella parte”. E ci abbracciammo.

“Ti ho mai detto che ti voglio bene?” Mi chiese

“Mi sono mancate le tue dimostrazioni improvvise d’affetto. Te ne voglio anche io, più di quanto tu non possa immaginare.”

Così in quella fredda e scura sera di metà dicembre parlammo di cosa avessimo fatto durante quei lunghi e interminabili mesi. Mi raccontò di tutte le ragazze con cui era stato in quel periodo, di quanto fossero antipatiche e superficiali. Poi orgoglioso mi disse dei successi della band, accennò ad un possibile impiego ad Amburgo, in Germania. Pagavano male, ma era l’unico modo di avere un po’ di popolarità e magari sfondare. Era sempre così ottimista, lui. Convinto di essere nato per cambiare la storia. In un certo senso lo invidiavo. Invidiavo la sua sicurezza, il suo ottimismo, la sua abilità nel vedere sempre il lato positivo delle cose.
Avrei tanto voluto sapere anche io cosa fare della mia vita, invece non lo sapevo. A dire la verità non sapevo neppure chi fossi realmente, mentre lui sembrava sapere tutto. E se qualcosa nel suo progetto fosse andato storto, niente paura, avrebbe trovato un altro modo per realizzare i suoi sogni.

Ogni volta che ero con John il tempo volava, tant’è vero che finimmo di parlare alle 4, e ci dovettero praticamente cacciare fuori.
Se fossi tornata a casa mia madre mi avrebbe uccisa, così andai a mendips, giusto per avere un alibi.
Non era la prima volta che dormivo con John, ma questa volta era diverso perché non c’eravamo visti per così tanto tempo da perdere la naturalezza che avevamo mentre stavamo insieme un tempo. Sentivo che anche lui era in imbarazzo, infatti pensai di andarmene.

“Tu potresti stare nel mio letto, io vado sul divano.” Disse.

“Lennon stai scherzando, vero? Quante volte abbiamo dormito insieme? Suvvia, non sarai mica a disagio!” Risposi mascherando l’imbarazzo dietro il migliore dei miei sorrisi.

“Assolutamente no, pensavo che a te avrebbe fatto piacere dormire da sola. Ma se vuoi la mia ingombrante presenza accanto alla tua, non temere, non mi tirerò di certo indietro.” Disse gonfiando il petto.

“Innanzitutto non alzare la voce, se tua zia si sveglia e ci trova qui ci mangia. E comunque se non mi stupri puoi benissimo evitare di dormire giù.”

“Tranquilla, non ti stupro, sono un bravo ragazzo, io.”

“Mai avuto dubbi!” gli dissi.

Dopo aver infilato la più brutta delle sue camice, gentilmente offertami da John, mi misi nel letto e chiusi gli occhi, decisa a dormire come un ghiro. Ovviamente non durò molto il mio stato di coma, perché, esattamente mentre stavo per prendere sonno, sentii una voce urlare.
Era zia Mimi, sconvolta dalla mia visione.

“John ma non ti vergogni? Ne porti una diversa ogni sera, ti voglio ricordare che sei a casa mia e io le puttane qui non le voglio.”

“Mimi non gridare, cazzo! Ma ci vedi? Non è una puttana, è Stella. E no, non me la sono scopata, non lo farei mai.”

“Non usare questi termini, John, non con me!” rispose la minuta donna.

Scocciata da quella conversazione, e decisa a porre un punto ad essa mi alzai e tolsi il disturbo, scusandomi anche troppo.

“Ciao Stellina, ci vediamo oggi.” Disse John.

In una serata tutte le cose erano tornate al loro posto. Io e John eravamo tornati ad essere inseparabili, ma qualcosa era cambiato. Era come una sensazione, sapevo che da quel momento nulla sarebbe stato come prima, ma non sapevo dire se le cose si sarebbero evolute in maniera positiva o negativa.

SPAZIO AUTRICE
Rieccomi! Finalmente mi sono decisa a scrivere un nuovo capitolo, in seguito all'ispirazione subita da Nowhere boy :') Spero vi piaccia, un sauto a tutti e soprattutto a coloro che stanno seguendo la storia e stanno mandando recensioni!<3

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Capitolo 9
*** Ask me why ***




                                                                                                                                                                                                                         “So I hope you see that
                                                                                                                                                                                                                          I would love to love you.”


Caro diario,
finalmente io e John abbiamo fatto pace, e la parte migliore sta nel fatto che lui ha fatto il primo passo! Cioè, mi spiego meglio, io sono stata la prima a salutarlo e lui il primo a scusarsi. Vabbè, diciamo che abbiamo fatto entrambi la nostra parte. Te l’avrò già detto probabilmente, tendo ad essere ripetitiva e lo so, ma mi è mancato davvero tantissimo. Rivederlo è stato quasi come… beh, hai presente quando sei sott’acqua e trattieni l’aria per molto tempo? Ecco, quando riemergi il peso che avevi sul petto va via. Quando l’ho salutato mi sono sentita libera, sapevo di aver fatto il mio dovere. E’ un po’ come confessare la verità, sai che ciò avrà ripercussioni negative su di te ma dopo averla detta ti senti meglio. Quando l’ho salutato sapevo che ciò avrebbe portato a qualcosa che non mi sarebbe piaciuto ma l’ho fatto lo stesso, perché andava fatto, perché era giusto così. Me l’ha detto la mia coscienza, lei non mente mai. Carissimo mio diario ti ringrazio perché ti sei subito il mio sfogo, forse sei l’unico che riesce a farlo. A presto.


Di solito, quando avevo bisogno di capire meglio le cose prendevo il mio diario e scrivevo tutto ciò che mi passava per la testa. La maggior parte delle volte scrivevo cose senza nesso logico, infatti quando andavo a rileggerle non capivo cosa avessi scritto. In quel momento però mi facevano stare bene. Del resto cosa me ne poteva importare del fatto che erano incomprensibili? Dovevano, e sottolineo, dovevano, restare a me. Nessuno doveva leggerle. Erano un’utile alternativa all’esaurimento.


Camminai lentamente fino ad arrivare al posto, dove c’eravamo dati appuntamento io e John. Aspettai per una buona mezzora, poi mi stancai e andai verso casa sua, cercando di trovare nel movimento un modo per combattere il freddo.
Fortunatamente lo incontrai a metà strada e non fui costretta a farmi un altro chilometro a piedi, sola e con la punta del naso gelata.
“Ma si può sapere dov’eri? E che diamine, ti ho dovuto aspettare per più di mezz’ora John!” gli dissi.
“Poche domande Stellina, seguimi!”
Corremmo così veloce che arrivammo in pochissimi minuti a casa di Paul, dove c’erano tutti i ragazzi. Entrammo, salutammo tutti e poi John esclamò:
“Ebbene Stellina cara, ti ho portata qui per farti ascoltare una cosa che ho scritto io, tutto solo.”
“Vai Mozart, fammi sentire!” Esclamai in preda alla gioia.
Iniziò una melodia molto dolce e pacata, diversa dalle canzoni rock’n’roll alle quali mi avevano abituata.

“Io ti amo
perché mi dici le cose che voglio sapere
ed è vero che questo
in realtà dimostra solo
che io lo so
che non dovrei mai essere triste
Ora sei mia
la mia felicità sta per farmi piangere
e un giorno tu capirai il motivo
per cui se io piango
non è perché sono triste
ma perchè tu sei l’unico amore
che io abbia mai avuto
Non riesco a credere che sia successo a me
non riesco a concepire nessun’altra infelicità
chiedimi perché, ti dirò che ti amo
e che penso sempre a te
Io ti amo
perché mi dici le cose che voglio sapere
ed è vero che questo in realtà
dimostra solo che io lo so
che non dovrei mai essere triste
Chiedimi perché, ti dirò che ti amo
e che penso sempre a te
non riesco a credere che sia successo a me
non riesco a concepire nessun’altra infelicità
chiedimi perché, ti dirò che ti amo
e che penso sempre a te, te, te”.

“Ma, John… è bellissima!” dissi io
“Ne sei sicura? Mi sembra un po’ troppo… dolce. Non è nel nostro genere.” Rispose Paul.
“Non è assolutamente vero! E’ meravigliosa, mi ha fatta emozionare.” Replicai.
“Paulie è solo geloso…” disse John
“E di cosa dovrei essere geloso?” rispose Paul, con un velo di irritazione.
Si parlarono con lo sguardo, e tutti capirono ciò che si dissero, eccetto me. Nel giro di un millesimo di secondo si scatenò una rissa. John contro Paul. Ormai ne avevo viste a centinaia di risse del genere e non mi spaventavano più. Furono subito divisi dagli altri ragazzi, e, per fortuna, nessuno dei due si fece seriamente male.

Pochi minuti dopo George mi portò fuori, dicendomi che doveva parlarmi di una cosa importantissima, anzi, di vitale importanza.
“John qualche giorno fa, in preda una sbronza, mi ha confessato una cosa e mi ha chiesto di non dirti niente, però devo dirtelo, necessariamente.” Disse George “Mi ha detto che il suo sogno più grande sarebbe che tu lo considerassi più di un amico.”
Guardai George con aria sconvolta, anche se in realtà me l’aspettavo da tempo una dichiarazione del genere. Il motivo del mio sconvolgimento era ciò che sarebbe venuto dopo. E soprattutto ero proprio io il motivo del mio sconvolgimento. Lo consideravo già qualcosa di più e non volevo ammetterlo neppure a me stessa.
“Io non avrò mai il coraggio di confessargli una cosa del genere.” Dissi senza pensare.
George mi guardò, spalancando gli occhi, e ,poi, mi chiese “Quindi questo vuol dire che per te lui è veramente qualcosa di più?”
Rimanemmo un bel po’ di tempo a fissarci , e poi risposi “Si.”

Spazio autrice-
Sono tornata finalmenteee :3 mi scuso infinitamente per il tempo che avete dovuto aspettare, sapete com’è… la scuola e tutto il resto e.e
Comunque, come avete letto alla fine, stella ha finalmente detto che ama John, yeaaaah. Forse ho un poco accelerato il tutto, ma non ne potevo più di vederli distanti.
Vi aspetto al prossimo capitolo, grazie infinite per aver letto anche questo capitolo fino alla fine!

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Capitolo 10
*** P.S. I love you ***


                                                                                                                                      -P.S. I love you.
 
Era la vigilia di Natale e correva l’anno 1958

“Tieni Stella, appena l’ho visto ho pensato che ti sarebbe calzato a pennello.” Mi disse Paul.

“Ma grazie Paul, è bellissimo questo golfino!” risposi fingendomi entusiasta. In realtà quel golfino era di un colore orribile, un arancione zucca misto a un giallo scambiato, non saprei come definirlo. “Appena finirà questo noiosissimo freddo lo metterò.”

Il regalo più bello che ricevetti fu quello di George. Era un diario con una copertina adornata da motivi orientali. Considerando che il mio diario stava finendo mi sarebbe davvero stato utile, quell’uomo sembrava sapere tutto.
Dopo aver dato e ricevuto tutti i regali, John mi prese da parte.

“Stella questo è il tuo regalo, aprilo solo quando sei da sola.” E mi sorrise. Era un sorriso dolce, quasi paterno, non uno di quei suoi soliti sorrisini maliziosi.

Appena arrivai a casa aprii il pacchetto. Dentro c’era un carillon con sopra una ballerina di danza classica. Era davvero adorabile. Sotto la ballerina però c’era qualcos’altro. La spostai rapidamente e capii che era una lettera. Ancora un po’ intontita la aprii e la iniziai a leggere.
 
“Cara Stella,
mi hai sempre detto che la scrittura è il miglior metodo di comunicazione e così oggi ho voluto seguire il tuo consiglio, un po’ perchè sapevo che ti avrebbe fatto piacere, un po’ perché avevo paura di dirti ciò che devo dirti, guardandoti negli occhi.
Ecco, non sono bravo con le parole, le so solo mettere insieme a una base musicale. E ora non so da dove iniziare.
 Ricordi quando eravamo piccoli e, ogni volta che Zia mimi mi sgridava, io venivo da te? E ricordi cosa mi dicevi? Mi dicevi che lei era cattiva e non vedeva il buono che c’era in me. Forse, un po’ anche per colpa mia, nessuno l’ha mai visto il buono in me. Eccetto una persona. Eccetto tu. Tu che te ne stavi ore ed ore seduta di fronte a me ad ascoltarmi, tu che non mi giudicavi mai male, tu che eri sempre dalla mia parte, anche se avevo torto. Forse perché tu sei l’unica che sia riuscita a capirmi, in tutta la mia vita. Riesco ad essere me stesso solo quando sono con te, e con te ci starei tutta una vita.”


Una lacrima bagnò il foglio, poi due, e poi tre. Iniziai a piangere e tremare come una foglia.

Mia madre mi chiamò dalla cucina “Stella scendi, sono arrivati gli zii.”
Mi asciugai la faccia, nascosi la lettera che non avevo finito di leggere sotto al cuscino e andai a salutare i miei zii e mia cugina.

“Stella, ma quanto sei cresciuta!” disse mio zio.

Mio zio era un uomo piuttosto… robusto, anzi, molto robusto. Era il fratello di papà, e veniva a trovarci, con la sua famiglia, solo a Natale e Pasqua. Viveva a Napoli, in Italia, dove si era trasferito da almeno 10 anni. Sua moglie era una donna piuttosto stravagante, non parlava mai, ma sapeva cucinare benissimo e ciò sostituiva tutte le parole non dette.

“Ciao cugina!” esclamò Beatrice.

Lei era la figlia dei miei zii, una ragazza alta, magra, con i capelli rossi e gli occhi verdi. La adoravo. Avevamo passato i primi 6 anni della nostra vita come gemelle siamesi, poi lei si era dovuta trasferire in Italia e ci eravamo perse di vista. Del resto nel 1958 le chiamate in un altro paese erano troppo costose e le lettere erano troppo lente.

“Bea, ti aspettavo.” Risposi “Per quanto tempo vi fermerete?”

“Partiamo il 5 gennaio.” Rispose mio zio.

“Così presto?” chiese mia madre dispiaciuta.

“ Zia, purtroppo il 7 ricomincia la scuola. fosse per me, resterei per sempre.” Disse Bea.

“Capisco.. comunque tra un’ora si mangia, rinfrescatevi un pochino, nel frattempo.” Annunciò mia madre.

Improvvisamene ebbi come un colpo al cuore. Dovevo finire di leggere la lettera di John prima di incontrarlo.

“Scusatemi, ora devo proprio andare in camera, mi mancano le ultime 10 pagine di un libro, devo assolutamente finirlo prima di Natale, è una scommessa con me stessa.” Dissi inventando una scusa poco credibile.

“Che libro?” chiese mia zia

“Il vecchio e il mare di hemingway” risposi senza pensare troppo, era il libro che stavo leggendo in quel periodo, del resto.

Mi diressi velocemente verso la mia camera, presi la lettera e chiusi a chiave la porta.

“Riesco ad essere me stesso solo quando sono con te, e con te ci starei tutta una vita,. Ti ho cercata nei volti di tutte le ragazze che incontravo, ogni volta che stavo con una mi chiedevo se potesse sostituirti. Ma la risposta era sempre negativa, nessuna poteva sostituirti, perché nessuna guardava oltre l’apparenza. Credo di essermi innamorato di te quando trovasti il modo di farmi incontrare mia madre senza farlo sapere a Mimi. In quel giorno capii che tenevi a me come nessun altro al mondo. E soprattutto capii che io tenevo a te, capii di amarti più di tutti, più della musica, più di Elvis, più di ogni cosa che potesse esistere. Capii che eri tu la mia metà.
Beh, credo che tu abbia capito lo scopo di questa lettera. Con te ho scoperto il significato della parola amore, ho capito che non sono un buono a nulla e che, forse, in fondo, valgo qualcosa. E se ora, come mi dici sempre, mi invidi per la mia tenacia, lo devo solo a te.
Tu non sei una semplice amica, tu sei molto di più.
Buon natale.
Il tuo John.

P.S. Ti amo.”



-Spazio autrice-

I'm baaaack! *tatatataaa*
Questo è uno di quei capitoli che mi ha fatta emozionare, praticamente lo scrivevo e piangevo... forse è anche quello più romantico, sarà il ciclo mestruale che mi rende così! 
Come sempre ringrazio tutti coloro che mandano recensioni o che leggono, vi voglio bbbbene <3

Ah, comunque, ecco la Stella che immagino io :3

 

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Capitolo 11
*** Getting better. ***


GETTING BETTER.


La lettera di John mi lasciò inerme; una parte di me sapeva che prima o poi sarebbe successo, l’altra parte, invece, sperava che non succedesse mai. Il vero problema era che io non sapevo prendere una decisione, insomma John mi piaceva, anche molto, ma se non avesse funzionato con lui? Se fossi rimasta delusa? Forse era questo il mio più grande difetto, l’incapacità di buttarmi nelle situazioni, la ricerca continua di stabilità. Io adoravo John, non potevo fare altrimenti, ma avevo paura di perderlo, e se l’avessi perso, avrei perso anche me stessa.
Ma non era quello il momento di pensarci, ci avrei riflettuto con calma, valutando bene e cercando di far prevalere la ragione. Intanto dovevo uscire dalla camera, altrimenti mia madre mi avrebbe uccisa.
“Stella, sbrigati, devi apparecchiare!”
“Si, ma’, due secondi e scendo.”
“No, devi scendere ora, ORA.”
Scoraggiata, decisi di uscire dalla mia stanza e, soprattutto, dai miei pensieri. Presi la tovaglia rossa, i piatti rossi, le forchette rosse, i coltelli rossi, i tovaglioli rossi e i bicchieri rossi (insomma, se non a Natale quando?), ed apparecchiai con cura, cercando di copiare le belle tavole natalizie di quelle riviste che sfogliava mia madre nei momenti di noia. Il risultato fu accettabile.
Pochi minuti dopo ci riunimmo intorno alla tavola, dove mangiammo e chiacchierammo, dopo di che aspettammo che facesse mezzanotte. Io e bea ci appartammo e parlammo dei momenti salienti di quel lungo anno.
“In Italia avevo un ragazzo” mi disse “si chiamava Riccardo. Però… beh, lui è morto, incidente stradale.”
Fece di tutto per trattenere le lacrime, ma non ci riuscì e scoppiò a piangere, così ci abbracciammo.
“Mi dispiace, davvero, ma perché non me l’hai detto prima?” le chiesi.
“Questa è una di quelle cose di cui meno si parla e meglio è, il dolore aumenta quando viene ricordato.”
“Lo amavi?”
“Si, avevamo anche deciso di sposarci, dovevamo solo annunciarlo. La vita può essere molto cattiva certe volte, può mandare in frantumi in un solo secondo centinaia di sogni.” Rispose.
La dichiarazione di Beatrice mi aveva lasciata sconvolta. Succede che, quando si è giovani, la vita possa sembrare eterna, ma in realtà non lo è, e basta poco per rendersene conto.Siamo solo pedine. “carpe diem” recitava un motto latino “Cogli l’attimo” e mi resi conto che cogliere l’attimo era la cosa giusta da fare. Avrei seguito il mio cuore, e al diavolo la ragione.
Natale passò velocemente e, in un batter d’occhio, fu già il 27. Ora dovevo solo accettare la proposta di John e mettere da parte le paure. Sapevo che i ragazzi si sarebbero riuniti, come sempre, da Paul per provare. Indossai un vestito blu e misi del rossetto rosso, dicevano che così apparissi più sicura. Decisi di portare anche Bea con me, ormai sapeva tutta la storia e mi avrebbe aiutata ad entrare in casa, altrimenti mi sarei sicuramente tirata indietro all’ultimo minuto.
“Sei pronta?” mi chiese bea
“…no.” Risposi
“Devi solo entrare, andare verso di lui, dirgli e baciarlo, non è così difficile, suvvia.”
“La fai facile tu.” Risposi a tono amaro.
“Bussi tu o busso io?”
“Tu.” Le dissi.
Paul venne ad aprirci con il sorriso più smagliante del mondo, esclamando “Stella, mi sei mancata!” e mi abbracciò, poi aggiunse “E questa bella ragazza chi è?” sfoderando lo sguardo più attraente del mondo.
“Ah, giusto, scusa.. lei è Beatrice, mia cugina.”
“Piacere di conoscerti, Beatrice.” Disse Paul.
“Piacere mio” rispose lei. “
Sai, cara Beatrice, ho sempre immaginato la Beatrice di Dante esattamente come te.” Disse paul
“E fammi indovinare, tu saresti il Dante della musica, vero?” dissi io ironizzando. Bea mi fulminò con lo sguardo “Grazie mille Paul” rispose.
Come al solito Mccartney ci provava con una povera fanciulla sola, che, ammaliata dal suo sguardo, cadeva ai suoi piedi.
Decisi di togliere il disturbo e cercare John prima di cambiare idea, così mi avviai verso la sala da pranzo, dove provavano di solito. “George!” esclamai felicissima.
“Stella, quanto tempo che non ci vediamo!” rispose.
Una volta conclusi i saluti gli chiesi di John, ma lui mi disse che era  partito con Zia Mimi per il natale e non sarebbe tornato prima di sera.  Perfetto, io trovavo il coraggio di mostrare i miei sentimenti e lui se ne andava.
“Bea io devo sbrigare una faccenda, di’ a mia madre che tornerò stasera tardi, o forse resterò a dormire da Carly.”Dissi a mia cugina
“Cosa devi fare?” mi chiese insospettita.
“Te lo dico domani, ora devo andare.”
La zia di John teneva sempre sotto lo zerbino all’ingresso una chiave per aprire la porta, così decisi di entrare furtivamente in casa e aspettare John nella sua stanza.
Dopo un'oretta qualcuno aprì la porta.
"STELLA?" 
 

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Capitolo 12
*** Love me do ***


Love me do.

“Stella??”
La voce di John riecheggiò in tutta la stanza, curiosa e, allo stesso tempo, molto  timorosa.

“Si, sono io.” Risposi

Ci fissammo per due buoni minuti, dopodiché mi chiese “L’hai letta?”

Mordendomi il labbro inferiore sibilai un si incerto.

Capii che si aspettava una risposta migliore e dissi “Mi hai stupita, non pensavo che tu provassi queste cose per me, è.. è bellissimo.”

Si appoggiò al letto e disse “Mi sono sforzato molto, ci ho messo almeno due ore piene.”

“Eh beh, si è visto!” risposi.

Avevamo rotto il ghiaccio, ora mi toccava dargli la risposta, la più veritiera possibile.

“Ci ho riflettuto molto” dissi “E credo di provare qualcosa di più di una semplice amicizia nei tuoi confronti”

Un enorme sorriso si fece spazio sulla sua bocca. Poi mi invitò a sedere accanto a lui. Ci guardammo profondamente negli occhi, poi prese il mio viso tra le sue mani e mi baciò dolcemente le labbra. Non fu uno di quei baci appassionati che si vedono nei film, fu un bacio che non potrei definire con altra parola se non “amore”.

Fu esattamente in quel momento che capii che era lui l’uomo della mia vita, che non avrei trovato mai più una persona come lui. Non glielo dissi, ma lo capii sicuramente da solo, perché, del resto, io e lui ci capivamo con uno sguardo.

Passammo il pomeriggio insieme, distesi sul letto, mentre lui mi accarezzava i capelli e mi cantava canzoni lente e romantiche. Fu uno dei momenti più belli della mia vita, fino a quel giorno. Era una perfetta soluzione di pace e serenità.

Mi sarebbe piaciuto restare così in eterno, cullata dalla sua voce, dalle sue carezze e dal suo profumo.
Nonostante il tempo sembrasse essersi fermato, purtroppo continuava, inesorabilmente, a scorrere. In un batter d’occhio furono già le 21, ed io dovevo necessariamente tornare a casa, controvoglia.

“John è tardi..” dissi con un velo d’amarezza sulla lingua.

“Non puoi rimanere un’ altra oretta, anche di meno?” mi chiese

“No.. non posso proprio. Mi dispiace.” Risposi.

“Ti accompagno.” Disse.
 


Ci ritrovammo, così, giù in strada, mano nella mano, diretti verso la mia casa.

“Ma allora io e te cosa siamo, ora?” gli chiesi

“Non so, possiamo essere qualsiasi cosa.” Rispose, ed iniziò a simulare un gabbiano, nel ben mezzo della strada.

“Eri stato serio per troppo tempo, iniziavo seriamente a preoccuparmi!” dissi, imitandolo mentre ridevo.
Iniziammo a rincorrerci per la strada, fin quando non vidi, in lontananza, una chioma rossa. Ben presto capii che era Beatrice, affiancata da un ragazzo vestito da teddy-boy.

“Ma quello è Paul!” disse John.

“NO.”

“Cosa no, stellina?”

“quella accanto a lui è Beatrice, mia cugina italiana, ricordi?”

“Certo.. e perché è con Paul?”

“La solita, vecchia storia” risposi.


 
Sfortunatamente arrivammo subito a casa mia, e fummo costretti a  lasciarci.
“Ah, comunque ecco ciò che io e te siamo, siamo l’uno dell’altro . Si, ci apparteniamo.” Disse.
 
 
 
Salutai velocemente i miei parenti, che avevano appena finito di cenare, e mi ritirai in camera. Ero troppo emozionata per poter mangiare. Ero troppo emozionata per poter fare qualsiasi cosa. Così decisi di andare a dormire.
“Del resto, domani è un altro giorno.” Accennò Rossella O’hara dalla tv nel salone.
 
 


L’indomani era decisamente un altro giorno. Le nuvole avevano lasciato posto a un sole meraviglioso, così bello e luminoso che sembrava essere arrivata la primavera. Però, purtroppo, era ancora dicembre.
Erano le 10, ed io avevo dormito per più di 12 ore. Insomma, era un record. Improvvisamente riaffiorò il ricordo della sera precedente, che per un po’ di tempo mi aveva abbandonata.
In quello stesso momento un sassolino colpì la mia finestra.

“John, di buon ora?” dissi sottovoce

“Stellina, scendi.”

“Sali tu.”

Così John salì e mi stampò un bacio sulle labbra. Era strano, non ero abituata, di solito, per salutarmi, faceva versi animaleschi, ed ora, invece, era cambiato tutto.

“Devo ancora abituarmi a questa situazione.” Dissi.

“Ci stai ripensando?” mi chiese mentre si accovacciava sul letto.

“No, ti sto solo chiedendo tempo.” Risposi mentre legavo i capelli in una coda.

Dopo avermi fissata, mi chiese “Hai da fare oggi?”

“No”

“Allora vieni a vedere le prove, ci vediamo alle 4.” Disse “Ora ho da fare, vado.”





Nota autrice*
Eccomi, questa volta ho cercato di scriverlo il più presto possibile! Spero di non avervi delusi ç_ç Grazie mille a tuttiiii <3


 

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Capitolo 13
*** Across the universe ***


Across the universe

                                                                                                                                                  -“Nothing is gonna change my world”



Ero in un turbine nero e bianco. I miei pensieri volavano. Una grande forza, simile ad un vento,  li spargeva. Poi venivo trasportata anche io in questo turbine di energia immensa. Ma non ero io. Era una Stella senza mente. La mente e il corpo separati, come se fossero due cose completamente diverse. Vedevo me stessa senza vita immersa dal nero, e vedevo i miei pensieri che si rivolgevano verso il bianco. Pensieri di ogni tipo, e sotto ogni forma, sotto forma di oggetti, sottoforma di immagini, sottoforma di parole.
Non è forse così che è la morte? Uno stato di benessere e di separazione completa di corpo e anima, di bene e male, di nero e bianco.
In un angolo del turbine vidi lui, John, forse un poco invecchiato, che mi salutava. Si trovava vicino ad un enorme edificio, in una città straniera, di certo non Liverpool. Agitava la sua mano e mi chiamava, io gli rispondevo, ma lui non sentiva. Poi si avvicinava un uomo, anzi un ragazzo, e gli chiedeva un autografo. Forse era davvero riuscito a diventare famoso. Ma, del resto, con la sua bravura, mi sarei dovuta sorprendere se non lo fosse diventato.
Ma il ragazzo era strano; tremava, sbiancava e balbettava. Poi il ragazzo cacciava una pistola dal suo zainetto, mentre John era ancora intento a fargli una dedica. Era stato un attimo. Avevo gridato, ma lui non mi aveva sentita. Mi ero agitata ma lui non mi aveva vista. Avevo provato a correre ma non ero riuscita a muovermi. Era stato un attimo. Ora il corpo di John si muoveva senza vita nel turbine, tra il mio di corpo e i miei pensieri. Ed io continuavo a gridare. Nessuno mi sentiva.
 


Mi svegliai di colpo. La sveglia portava le 4.14. Era ancora buio e faceva freddo. Ma io ero completamente sudata.

Era quello il prezzo che John doveva pagare per diventare famoso. La sua vita in cambio di fama, soldi e notorietà. Ma io che lo amavo lo dovevo proteggere, e invece non avevo fatto nulla per salvarlo dalle grinfie di quell’assassino.
Quel sogno sembrava così realistico che mi sconvolse tantissimo, tanto che faticai a prendere sonno di nuovo, e così alle 5 ero già in piedi, in cucina a prepararmi la colazione. Ero in ansia. Avevo paura che quel sogno si avverasse o che si fosse già avverato.

Decisi così di andare io stessa a controllare. Andai a casa di john e mi arrampicai su verso la sua finestra.
Ma lui c’era, ed il suo corpo era vivo. Dormiva, respirando pacatamente sotto il manto di coperte. Non volevo svegliarlo. Gli diedi un leggerissimo bacio sulla fronte e tornai indietro.

“Stella!”

“Buongiorno.” Dissi, accennando un sorriso. “Scusami se ti ho svegliato, ho fatto un brutto sogno e avevo voglia di vederti.”

“si, ma ora non andare. Vieni qui, accanto a me, ci stringiamo e ci entriamo entrambi.”

Lui e il suo letto erano come al solito impregnati di quel profumo di dopobarba e sigarette, quel solito profumo che mi dava sempre i capogiri per quanto potesse essere inebriante.

Sospirai un “ti amo” e poi mi addormentai.

La mattina dopo lui era sempre lì, ed io accanto a lui che lo osservavo. Osservavo i suoi lineamenti, imperfetti ma belli lo stesso. Gli occhi piccoli, il naso lungo, la bocca secca. Ma quest’ insieme di caratteristiche lo rendeva unico. Dove avrei mai potuto trovare un altro uomo con degli occhi del genere, o con dei denti così minuscoli e leggermente accavallati.
Lo fissai ancora, e mi dissi che se l’amore non era lui, allora l’amore era solo un’invenzione. Mi dissi anche che probabilmente non sarei riuscita a vivere senza lui, mi sarei sentita persa ed inutile. Gli umani non sono fatti per stare da soli, Dio li ha creati per farli amare. E se non hai trovato ancora l’anima gemella, sta’ tranquillo, la troverai. Perché Dio è troppo buono per non concedere ad ogni umano uno spezzone di paradiso, quello in cui vivi quando sei innamorato. 
 
 
Qualche giorno dopo John mi disse che durante quella estate sarebbe partito insieme ai ragazzi. Avevano trovato un ingaggio ad Amburgo. Una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita, diceva, una di quelle che si devono prendere al volo, perché del resto proprio io gli avevo detto sempre “carpe diem”.
Ma io non sarei riuscita a stare lontana da lui per tutto quel tempo. Forse era un amore malato, il nostro, chi può dirlo, ma io avevo bisogno di lui. Era impensabile che gli stessi lontana per 3 mesi.

“Mi hai fatta innamorare e ora mi pianti in asso per andare ad Amburgo, ad inseguire i tuoi sogni di rock’n’roll. Me lo dovevo aspettare da uno che è andato con tutte le ragazze di Liverpool.” Gli dissi, con le lacrime agli occhi.

“Stella! Ma cosa dici. Davvero pensi queste cose di me? LO sai benissimo che con te è diverso e che tu non sei una come le altre. Ti giuro, ma davvero, ti giuro… ti giuro su mia madre che ti penserò sempre e che ti scriverò ogni sera. E soprattutto che non penserò ad altra ragazza che non si chiami Stella. Ti puoi fidare di me, te lo assicuro.”

Gli buttai le braccia al collo e lo tenni stretto a me per un buon quarto d’ora.

“John Winston Lennon, se mi rimpiazzi con un’altra ti rompo questa bella faccia che ti ritrovi. E non scherzo.”
"Io sono diverso dagli altri, io non ti lascerò." mi disse.

 

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