Blackheart di La sposa di Ade (/viewuser.php?uid=152568)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO. Primo sangue ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1. Buio e Fiamme ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2. Dolore e Bugie ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3. Il Nulla ***
Capitolo 1 *** PROLOGO. Primo sangue ***
Concorso
‘L’
antieroe’
-
Nickname Forum: La sposa di Ade
- Nickname EFP:
La sposa di Ade
- Titolo storia:
Blackheart
- Introduzione:
Una
terra
lacerata dalla guerra. Spargimenti
di sangue, tradimenti,
omicidi, una lotta
per
il dominio, la follia, il
sangue, le urla,
la morte.
Perché si combattono? Per
la gloria, la
famiglia, l'orgoglio,
l'onore, il
potere, la vendetta,
la sopravvivenza, ma il mondo
è crudele. Gli innocenti vengono
massacrati, chi vuole
il potere ha
il potere, chi ha
l'onore viene
disonorato, ma ancora devono
combattere per
quel poco che è
rimasto, mentre la terra piange.
-
Genere:
Fantasy
- Rating:
Arancione (Rosso?)
- Avvertimenti:
Violenza – Contenuti forti
- Eventuali note autore: Ok, questa storia
è un po’ particolare, sarebbe dovuta essere solo
di un capitolo, ma si è
rivelata più lunga, ma questo è il periodo in cui
le lunghezze mi fregano.
Anyway, questa è la ‘seconda’ storia per
la serie Gears (la cui unica storia
esistente per ora è Frozen
wood),
che poi è seconda solo perché pubblicata dopo
Frozen Wood ma temporalmente andrebbe inserita prima, ma ho voluto
renderla
leggibile anche singolarmente.
Il personaggio è un po’ particolare (molto direi)
perché all’ inizio non sapevo neanche io chi fosse
esattamente, era solo un
ragazzino con la mente confusa, ma alla fine mi sono decisa e (per chi
ha letto
Frozen Wood) probabilmente troverà delle
‘incongruenze’ all’ inizio, tipo il
nome e altra robaccia, ma tranquilli! “È
tutto calcolato!”
Forse.
Prompt:
Odio,
carovana, rifugio
e l’
immagine : http://mirojohannes.deviantart.com/art/Humanity-359459264.
Legati
al pacchetto ‘Blackheart dei Two
Steps
From Hell’ da cui la storia prende il nome.
Tutte
le citazioni all’ inizio di ogni capitolo sono prese dalla
canzone ‘The Night dei
Disturbed’.
Tranne l’ ultima, che appartiene a
Dr.
Samuel Johnson.
Buona lettura!
Concorso
‘1:1’
Titolo:
Blackheart
Fandom:
Originale - Fantasy
Eventuale pairing:
/
Frase: This desire is eating me up
Eventuali
note dell’autore:
(sopra)
Link:
/
PROLOGO. PRIMO
SANGUE
“What has come over me?
What madness taken hold of my heart
To run away, the only answer
Pulling me away
To run away from the sight,
So now recovering,
Sweet shadow taking over my mind,
Another day has been devoured
Calling me away, leaving the question why.”
Non
puoi amare gli umani, impara ad odiarli per quello che sono.
Il
ragazzino quale era si piegò a quell’
ordine, non poteva fare altro, non voleva fare altro.
Strinse la presa sul pugnale, il metallo era
stato freddo un tempo, ora era caldo e rassicurante contro il suo palmo.
Osservò ancora una volta le ombre muoversi dietro
le tende tirate di quell’ appartamento costoso, sembravano
così normali.
Una pacca poco amichevole sulla spalla, un
viso pallido davanti al suo, occhi del colore del sangue si puntarono
nei suoi,
ancora di un grigio incolore.
“Muoviti ragazzino, abbiamo fretta.” Le sue
gambe si mossero per il vialetto, guidate da una volontà che
quasi non
riconosceva come sua.
Bussò alla porta, attendendo qualche istante,
per vedere il volto sconosciuto di un’ uomo di
mezz’età illuminato dal chiarore
dell’ atrio sorridergli amichevolmente per poi sondare la sua
espressione.
“Tutto bene?” Il vecchio si accigliò,
tentando di capire cosa turbasse tanto il ragazzino.
“Mi dispiace.” Rispose lui, e ancora prima
che il vecchio potesse simulare la domanda successiva sentì
il gelo di una lama
conficcarsi nel suo addome e il sangue colorare velocemente la camicia.
Morì in
pochi istanti, mentre l’ aorta addominale riversava tutto il
suo contenuto.
Un vento freddo accompagnò il resto del
gruppo, che veloce come acqua corrente si insinuò nella
casa, distruggendo
tutto ciò che trovava sul suo cammino.
Il ragazzino rimase sulla soglia, a fissare
il sangue che, colando sulla pietra, lo raggiungeva e lo circondava
velocemente. Era quello che doveva fare per diventare più
forte, era quello che
gli avevano ordinato.
Lì, davanti al primo corpo era rinato per la
seconda volta.
Le gambe gli cedettero e con un tonfo cadde in
ginocchio, il sangue che gli impregnava i pantaloni e raggiungeva la
sua pelle.
Si guardò le mani, pallide e tremanti e nonostante non
vedesse sangue su di
esse, e se chiudeva gli occhi, poteva percepirlo chiaramente.
Le sue labbra tremarono, mentre il cuore
continuava a battere a un ritmo concitato, prima si stirarsi in un
sorriso. Non
poteva chiedere di meglio. O forse si.
Allungò la mano verso il coltello e lo sfilò
lentamente dalla profonda ferita, osservando i lenti rivoli di sangue
accompagnare la lama. Voltò il corpo a pancia in su,
sedendosi a cavalcioni su
di esso, aprì la camicia e percorse lentamente con la punta
del coltello la
linea appena accennata dei muscoli addominali, e quando raggiunse lo
sterno
infilzò con forza la lama per poi farla scorrere lungo il
bordo tracciato dalle
costole, prima da una parte e poi dall’ altra; vedeva la
pelle pallida aprirsi
e mostrare quel colore magnifico, così intenso,
irresistibile.
Posò il coltello, sospirò e, con ancora il
sorriso sulla labbra, infilò le mani nello squarcio che
aveva appena creato,
rovistando nel suo sangue e accarezzando il suo cuore fermo, ma ancora
caldo,
così come aveva visto fare a quell’
uomo
mentre lui era bloccato sotto le macerie di una casa crollata per via
della
guerra.
Quando estrasse le mani e le osservò, rosse
come una macchia sulla neve, una risata crebbe dentro di lui e quando
la lasciò
uscire si stava graffiando il volto, macchiandosi di altro sangue,
mentre le
lacrime correvano sulle sue guance e i brividi attraversavano il corpo
come
mille insetti.
Quindi era così che ci si sentiva? Quello che
si aprì davanti a lui fu un nuovo mondo, pieno di
soddisfazioni e piaceri.
Dei passi lo raggiunsero e, dopo una attimo
di silenzio, sentì una risatina.
“Che ne dici di Jack?” A quelle parole il
ragazzino sollevò il volto macchiato e osservò
con espressione interrogativa lo
stesso tizio che gli aveva detto di muoversi poco prima.
“Jack?”
“Dobbiamo pur trovarti un nome, no? allora
che ne dici di Jack?” Seguì un attimo di silenzio,
mentre la mente del
ragazzino assorbì quell’ informazione, quel nuovo
nome, che seppur banale,
iniziò ad associarlo a se stesso. “Come Jack lo
Squartatore.”
Le gambe gli cedevano mentre una mano serrata
con forza sul suo braccio lo strascinava avanti, sul pavimento lucido
continuava a gocciolare il sangue ancora impregnato nei suoi vestiti,
ma non
suo. La stretta sul suo braccio era spiacevole e già sentiva
la mano
intorpidirsi, ma almeno ciò lo manteneva più o
meno vigile.
All’ improvviso, la stretta si allentò, lascandolo
rovinare a terra. l’ impatto con il pavimento gli ruppe un
labbro contro i
denti e quell’ improvvisa sferzata di dolore gli
aprì completamente gli occhi,
rendendolo consapevole del suo corpo umido di sangue, della presenza di
diverse
persone attorno a lui e dei loro sussurri concitati. Ricordava a
malapena ciò
che era successo, i suoi ricordi erano solo una massa di macchie rosse
di
sangue e nere del cielo a notte fonda.
“Che cosa ha fatto?” Che cosa aveva fatto?
Non lo ricordava più nemmeno lui; ciò che
occupava più spazio nella sua mente
era la sensazione inebriante del sangue che avvolgeva le sue mani
mentre le
affondava nel petto dell’ uomo sotto di sé.
“Ha ucciso Ian.” La gente intorno a loro
ammutolì in un silenzio sconcertato, mentre l’
uomo imponente in piedi davanti
al ragazzino era sorpreso.
“Come ha fatto a uccidere uno dei nostri
migliori uomini?” Chiese poi con tono quasi affascinato
mentre si chinava ad
osservarle il ragazzino che ancora si fissava le mani imbrattate di
sangue,
sentì l’ uomo muoversi nervoso davanti a lui prima
di iniziare a raccontare con
voce nervosa.
“Gli è saltato addosso e gli ha piantato il
coltello nell’ occhio, poi lo ha pugnalato tanto da
sfigurarlo, lo ha ridotto
ad un ammasso di carne e sangue.” A quelle parole il
ragazzino sobbalzò, ricordando
all’ improvviso ciò che aveva fatto, come aveva
potuto dimenticare quella
soddisfazione? “Abbiamo dovuto sedarlo altrimenti non si
sarebbe fermato.” L’
altro uomo sorrise compiaciuto mentre il ragazzino si alzava
lentamente, quando
fu in posizione eretta e, quindi, all’ altezza degli occhi
dell’ uomo parlò con
voce roca.
“Jack.”
“Come?” L’ uomo inclinò la
testa continuando
a osservare con i suoi occhi blu il ragazzino che stava iniziando a
sorridere
senza rispondere, una luce maligna nei suoi occhi. Si mise in posizione
eretta;
l’ ultima cosa che voleva era ritrovarsi le mani del
ragazzino attorno al
collo.
“Te la sei cavata bene piccolo, ma credo che
sia ora di fare un po’ d’ ordine qui dentro, cosa
ne pensi?” Gli mise una mano
in testa, scompigliando la zazzera di capelli neri sporca di sangue,
per un
momento si chiese come avesse fatto a finire fin lì.
“Da quando ti abbiamo
trovato sotto quelle macerie sei cambiato, in bene, sei più
forte, ma anche in
male; questo Jack non dovrebbe esistere.” Fece un cenno
all’ uomo che era
rimasto dietro di lui, mentre sul volto del ragazzino compariva il
primo
accenno di consapevolezza, in quell’ istante qualcosa di duro
e pesante lo
colpì alla testa, facendolo cadere a terra, privo di sensi.
Posso ritenermi soddisfatta del
banner, della storia invece.. beh ditemelo voi!
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Capitolo 2 *** CAPITOLO 1. Buio e Fiamme ***
CAPITOLO 1. BUIO E FIAMME
This self discovery,
Redemption taking over my mind,
This serenade of haunting voices
Calling me away
To piece from the sight.
So much felicity
Downgrade and taking over my head,
Leading me away from hibernation,
Strong and I’m afraid
Remember the question why.
Si
ritrovò immerso nel buio, ma aveva ripreso
i sensi, sentiva un sordo dolore dietro la nuca e qualcosa di freddo e
spigoloso sotto la schiena nuda, un brivido lo attraversò
quando, lentamente,
tentò di rimettersi in piedi. Ovunque si trovasse non
c’era luce, non un minimo
spiraglio di quella che poteva essere una porta socchiusa o un lume.
Allora
allungò le braccia davanti a sé, e
iniziò a muovere i primi passi incerti su
quella superficie che, ora ne era certo, si trattava di nuda roccia.
Andò in
una direzione a caso, raggiungendo in pochi passi il muro, freddo e
ruvido come
il pavimento su cui si stava trascinando, lo percorse tutto,
raggiungendo
subito un angolo, poi un altro e infine una superficie diversa; fredda,
ma
liscia e compatta come poteva essere una porta d’ acciaio.
Mentre il fiato
usciva velocemente dai polmoni in ansiti sempre più nervosi
iniziò a picchiare
con i pugni sulla porta.
“Fatemi uscire!” Le sue parole risuonavano
debolmente in quello spazio ristretto, ma sentì chiaramente
dei passi dall’
altra parte della porta, poi più niente. Continuò
a picchiare la superficie
dura per qualche istante, prima di scivolare in ginocchio a fissare il
buio
davanti a lui.
Altri passi. Non provò neanche più a urlare,
sapeva che non sarebbe servito a nulla; se l’ avevano chiuso
lì dentro c’era un
motivo, che lui non comprendeva, e di certo non l’ avrebbero
lasciato uscire
come se niente fosse.
Sentì il rumore del metallo scorrere su altro
metallo e come alzò gli occhi una lama di luce lo
colpì in pieno viso,
costringendolo a farsi scudo con il braccio. Quando i suoi occhi si
furono
abituati e fu di nuovo in posizione eretta si avvicinò allo
spioncino
rettangolare, mettendosi in punta di piedi per guardare fuori.
“Perché tutto questo?” Chiese
all’ uomo di
prima, quello che era stato il suo salvatore; il demone che con la sua
schiera
di malebranche l’ aveva sottratto a quella guerra ancora in
corso, per poi
ributtarcelo dentro poco dopo. “Ho fato tutto quello che mi
avevate chiesto,
ho…” Si bloccò un attimo deglutendo
prima di spingere fuori il resto delle
parole. “Ho ucciso, ho…”
“Hai fatto anche fin troppo.” Quelle parole,
dette con quel tono gelido e tagliente, lo ferirono più di
quanto avesse potuto
fare un’ arma ben affilata.
“Che vuol dire?” Chiese con voce debole, ma
lo sapeva bene, aveva ucciso sì, ma non si sarebbe dovuto
spingere a versare il
sangue di un suo compagno, gioendo nel farlo; se chiudeva gli occhi
poteva
sentirne ancora la sensazione sulle mani.
“Hai fatto quello che ti abbiamo chiesto
senza esitazione.” Il ragazzino non si illuse neanche nel
sentire quell’
affermazione che sembrava lodarlo. “Ma non avresti dovuto
uccidere Ian, uno dei
migliori, perché ragazzino? Voglio sapere cosa ti ha spinto
a fare questa
sciocchezza.” Non lo stava semplicemente accusando, per
quanto incredibile gli
stava dando la possibilità di spiegarsi e, forse, salvarsi e
uscire da lì.
Rimase in silenzio per qualche istante,
facendo ordine nella sua testa, o almeno, provarci. “Io non volevo, è stato
Jack.” La sua voce era stata un flebile
sussurro, insicura.
L’ altro quasi rise, avvicinando il volto
pallido a quel buco che li univa, i suoi occhi blu spiccavano come
gioielli su
un telo di velluto nero. “Non prendermi in giro ragazzino,
non esiste nessun
Jack. Le mani su cui si trova il suo sangue erano e sono le tue, in
quella
stanza ci sei solo tu e così nella tua testa.”
Fece un passo indietro, il
ragazzino avrebbe voluto ribattere, ma sapeva di non poter dire niente
per
discolparsi, anche perché non voleva, aveva gioito
nell’ immergere le sue mani
nel sangue, nel pugnalare un corpo e vedere il suo sangue schizzare
intorno e
su di lui.
“Fai ordine nella tua testa, perché non
c’è
niente che non vada, e quando capirai che non c’è
bisogno di nessun Jack lo
Squartatore, allora ti farò uscire da
lì.” L’ uomo chiuse con uno scatto
deciso
lo sportellino, sigillandolo dentro quella gabbia di pietra e ombra.
Rimase a fissare il punto in cui si trovava
la porta di ferro nonostante non vedesse nulla se non un nero uniforme,
le sue
mani tremavano, scossi da tremiti di rabbia e odio.
Fece qualche passo indietro fina a
raggiungere quello che probabilmente era il centro di quella stanza, si
sedette
a terra , iniziando a ragionare.
Tutto quel nero che lo circondava sembrava
amplificare i suoi pensieri, rendendogli impossibile seguire un filo
logico,
immagini di guerra, facce conosciute e voci lontane lo distraevano, ma
da
cosa? A
cos’è che stava tentando di
pensare? Non lo sapeva neanche lui.
Si sdraiò a terra, con gli occhi ben aperti e
le braccia spalancate. Allora li lasciò liberi, quei ricordi
che in quel
momento lo assillavano tanto, li avrebbe lasciati scorrere,
così non l’
avrebbero più disturbato, perché doveva fare
ordine, capire ciò che desiderava
davvero.
La
casa era piccola, umida e con il tetto bucato, gli anni precedenti era
messa
meglio, la guerra stava portando via tutto alla sua famiglia, ma era
rimasta il
loro rifugio solitario, lontano da tutto e da tutti. Era circondata da
un campo
di grano pieno di spaventapasseri, ma i corvi non avevano
più paura, vi si
posavano sopra e ridevano di loro.
Il
viso di sua madre era pallido
come
quello di un’ elfa, circondato da serici capelli color
dell’ ebano, i suoi occhi…
non ricordava più il colore dei suoi occhi, non ricordava
più le sue forme da
quando il fuoco l’ aveva divorata. E suo padre, lui non era
mai esistito. Era
una figura nera e lontana, irraggiungibile. Ma ricordava che sua madre
curava
le persone, medicava bruciature e ricuciva ferite, lavorava in
città, ma quando
i soldi e soldati iniziarono a scarseggiare dovette andare al fronte,
praticamente ce la trascinarono a forza e suo figlio con essa,
perché non aveva
nessun’ altro con cui stare.
Era
andato tutto discretamente bene, vivevano in una capanna di legno tanto
simile
alla vecchia casa quanto piccola. Il ragazzino aveva imparato a
sgattaiolare
nelle tende altrui in piena notte, rubando il cibo, perché
il volto di sua
madre si faceva sempre più pallido e sofferente, le ossa che
risaltavano sotto
la pelle; la guerra la stava consumando, e probabilmente stava
succedendo l
stesso a lui, tentava però di non darci peso.
E
quando la situazione sembrò migliorare, quando gli attacchi
si fecero sempre
più sporadici, allora ci furono le fiamme.
C’era
stato un tradimento e qualcuno aveva appiccato il fuoco, distruggendo
il campo
base, quello che era stato il loro secondo rifugio, tutto bruciava,
anche la
capanna del generale; le fiamme si alzavano da terra e danzavano contro
il
cielo senza stelle.
Loro
erano incastrati, bloccati nel tentativo di fuggire dalla capanna in
cui
stavano imparando a vivere, pesanti assi di legno pesavano sui loro
corpi,
mentre le fiamme lambivano tutto ciò che c’era
intorno a loro.
Il
fumo li soffocava, mentre il ragazzino vide avvicinarsi un gruppo di
pochi
uomini. Amici o traditori? Si era chiesto il ragazzino. La donna era
priva di
sensi, ma viva.
“Attento.”
Uno si scostò da gruppo, per poi riunirsi subito.
“Ehi, guarda là.” Poi indicò
nella loro direzione, al ragazzino salirono le lacrime agli occhi;
sarebbero
usciti da quell’ inferno, sarebbero tornati a casa, al loro
rifugio.
Il
gruppo si mise a ridere; quattro di loro sollevarono la trave che
gravava sulla
schiena della donna, mentre il quinto la trascinava nella terra. il
ragazzino
rimase immobile, pietrificato, quando vide il bagliore delle lame che
venivano
snudate. Provò a urlare, ma non sapeva più
parlare, né sapeva come chiudere gli
occhi mentre quegli uomini prima svegliavano e poi seviziavano la
donna, non
riuscì a chiudere gli occhi nemmeno quando uno di loro
aprì il ventre della
donna e vi infilava la mano, tirando via il cuore.
Lacrime
grosse e silenziose corsero sulle sue guance,ma stette in silenzio e
immobile,
sapeva che doveva fare così se voleva restare vivo.
E
proprio quando il loro gioco sembrò sul punto di terminare,
una sesta figura
scura si abbatté su uno di essi, gettandolo a terra e
ferendolo ripetutamente
con artigli esageratamente lunghi e un ghigno feroce sulle labbra, in
quel
breve istante gli altri quattro iniziarono ad urlare, in preda a dolori
causati
da creature che di umano avevano solo le sembianze. Occhi rossi
rilucevano più
delle braci attorno a loro, e un paio di quelli si puntò sul
ragazzino; non
c’era nulla lì dentro, se non una fame feroce.
Quando questo fece per
avvicinarsi con un sorriso che metteva in mostra una chiostra di zanne
da
bestia, una voce autoritaria lo fermò.
Un
uomo emerse dalle macerie e dal fumo e si inginocchiò di
fronte al ragazzino,
lo guardò negli occhi, studiò lui e la scena
intorno a loro; i suoi occhi erano
penetranti, ma non rossi, non come quelli che gli umani chiamavano
Gears, i
suoi erano di un azzurro cielo, i ragazzino si chiese perché
un umano stesse
dalla loro parte, dalla parte dei mostri. Poi l’ uomo si
rimise in piedi, con
addosso gli occhi terrorizzati
e confusi
del giovane.
“Tiratelo
fuori da lì, ma non fategli del male, e ripulite questo
scempio.” In un istante
il peso sulla sua schiena si alleviò e venne issato su
qualcuno, la sua spalla
premeva dolorosamente contro il suo stomaco.
Salvato
da mostri.
No,
chi erano i veri mostri lì? Osservò gli uomini a
terra che giacevano nelle
pozze del loro stesso sangue; non riuscì a distogliere lo
sguardo, neanche
quando questi furono sollevati e buttati tra le fiamme, neanche quando
il corpo
di madre fece la loro stessa fine.
Tutto
riacquistava senso, lentamente, il
perché delle sue lacrime silenziose, il perché
dei suoi tremiti, dei suoi occhi
fissi; Jack ne voleva ancora, voleva vedere altro sangue, voleva unirsi
a loro
mentre straziavano quel corpo minuto, poi voleva ucciderli con le sue
stesse
mani, vendicarsi… Era davvero così o stava
tentando di convincersi da solo, nel
tentativo di non credere alle parole di quell’ uomo?
Si prese la testa fra le mani, tentando di
convincersi che non fosse davvero così, tentò di
scacciare Jack. Ma senza di
lui chi era? Nessuno. Esisteva solo Jack, era se stesso, ed era lui a
voler
versare sangue… No, non era il semplice bisogno di negare le
sue parole, era l’
istinto che gli imponeva di non perdere il vero se stesso.
Si rimise nella stessa posizione di prima,
sospirando lentamente, con l’ impressione di aver appena
snodato una grossa
parte della sua mente.
Quindi il suo salvatore, Raphael, aveva
torto. Non era vero che non esisteva nessun Jack. La verità
era che non
esisteva nessuno tranne che Jack.
Ferma i pensieri, un altro ricordo.
Era
stato tutto un incubo, ne era certo. Ma le sue convinzioni svanirono
quando
sollevò le palpebre e incontrò un paio di occhi
rossi. Sobbalzò, e si chiese se
stava per morire; divorato o ucciso dai loro nemici di guerra.
Il
volto si allontanò, ridacchiando fra sé.
“Hey
Capo, è sveglio.” Lo stesso uomo dagli occhi
azzurri che aveva visto tra le
fiamme si mosse dalla sua posizione nell’ angolo della
carovana, avvicinandosi
tranquillamente, come se i movimenti bruschi e i buchi sulla strada non
facessero traballare il resto degli uomini.
Si
accucciò di fronte al ragazzino e quando questo si
allontanò, fino a
raggiungere le assi di legno con la schiena, iniziò a
parlare.
“Bravo,
mettiti comodo, perché il mio discorso non sarà
breve.”
“Perché
sono qui? Chi siete?”
“Sai
bene chi siamo, ma non siamo qui per ucciderti, non ne abbiamo
bisogno.”
Numerosi occhi cremosi si puntarono su di loro. “Vuoi sapere
ciò che è
successo?” Il ragazzino annuì, ancora intimorito
dalle persone intorno a loro;
erano più o meno una decina e con il rapido sguardo che
aveva gettato intorno a
lui temette di aver visto un paio di corna e forse una coda, ma non
avrebbe
guardato di nuovo, non voleva. “Bene, sai bene che questa
guerra va avanti da
qualche anno, e che continuerà ad andare avanti per molto,
quella notte eravamo
lì non per uccidere e portare avanti la guerra, stavamo
cercando qualcuno. Ma
questo non ha importanza ora, immagino tu voglia scoprire innanzitutto
perché è
successo tutto ciò, nonostante non sia difficile da intuire,
trattandosi di
umani. Ad ogni modo, qualcuno, in quel campo base ha tradito e ha
appiccato il
fuoco nel tentativo di decimare soldati e uccidere il generale. Ma il
codardo è
fuggito e vi ha lasciato a bruciare in quell’ inferno. Dimmi,
non provi rabbia
verso di lui, non lo odi?” La carovana sobbalzò.
Mentre un sorriso storto
piegava le labbra dell’ uomo
“Non
lo conoscevo, signore.”
“Chiamami
Raphael.” Il ragazzino abbassò il capo.
“Hai visto ciò che fanno gli umani,
quali esseri spregevoli sono.”
“Ma
anche tu sei un essere umano.” A quel sussurro l’
uomo sembrò sorridere di
nuovo, ma in modo più amaro. Non aveva gli occhi rossi come
il resto della
gente lì sopra, anche lui era umano, o no? “Non
tutti sono così.” Abbassò la
voce, incerto se continuare a parlare; avvertiva perfettamente tutti
quegli
occhi su di sé.
“Dentro
di loro si, sono neri, il loro cuore è nero. Tradiscono, mentono, uccidono
senza fare distinzioni. Noi
siamo diversi, siamo superiori a loro, e quest’ oggi ti ho
preso con noi perché
puoi ancora abbandonare quella lordura, sei ancora in tempo.”
Il ragazzino
tacque, confuso e poi inorridito quando capì.
“Portai essere più forte, è
questo che vuoi? Vuoi l’ onore? Diventerai il loro
terrore.” Eppure abbassò il
capo, pensando, come gli era stato insegnato. Doveva ragionare bene per
prendere una tale decisione. Eppure aveva già capito, da
quando c’erano state
tutte quelle fiamme, aveva capito che gli umani non erano meglio di
coloro
contro cui combattevano.
Un tremito gli percorse la schiena, l’ aveva
voluto lui? O era stata quella situazione a obbligarlo a quella scelta;
allora
non aveva la più pallida idea di quello a cui andava
incontro, in quella
carovana, era iniziata la sua discesa nonostante nella sua mente da
adolescente
non c’era stato spazio per il sangue, la morte.
Ora era diverso. Ora viveva per il sangue; si
portò le mani davanti al viso, senza vederle realmente in
quel buio asfittico,
voleva sentire di nuovo il sangue sulle mani, quel desiderio lo stava
divorando; Jack desiderava di più, desiderava portare la
morte, uccidere,
squartare, eliminare. Un tremito lo percorse e si accorse che si
trattava di
una risata nel momento in cui si rannicchiò contro la fredda
roccia. Era quello
che voleva.
“Dove sarei senza di te, Raphael. Grazie.”
Sussurrò con un sorriso feroce sulle labbra.
Nella
mente restava il ricordo di sua madre.
“Non
puoi amare gli umani, impara ad odiarli per quello che sono.”
Non avrebbe mai
potuto. O almeno, questo era quello che pensava prima di passare la
notte di
viaggio ad ascoltare le storie degli umani che Raphael aveva ucciso
personalmente, cose orribili, al di là della sua
immaginazione da bambino;
c’erano stati infanticidi, stupri e omicidi in famiglia,
atroci torture,
umiliazioni, violenza fisica e psicologica vero chi non poteva
difendersi.
Lentamente,
quel veleno che lui chiamava odio e riteneva giusto si
insinuò nella sua mente,
attecchendo in profondità. Si, li odiava. Li odiava per la
loro debolezza.
“Rinascerai
tre volte, ti libererai dell’ animo umano e a quel punto
sarai pronto ad
accogliere il nostro sangue nelle tue vene.”
Lì,
in quella carovana era rinato per la prima volta.
E gli
umani erano deboli, ma lo era stata
anche la sua mente, fragile come un contenitore di vetro, riempito fino
all’
orlo di sentimenti che non avrebbe mai voluto provare fino scoppiare.
“Tu
chi sei?” Ci fu un attimo di silenzio e il ragazzino credette
che non avrebbe
risposto, visto la sua espressione non era cambiata. Poi sorrise
appena, un po’
di orgoglio che gli illuminava gli occhi.
“Io
sono l’ Artefice, il padre di queste creature
perfette.” Ma in quel momento,
per il ragazzino quale era, che ancora non comprendeva le sue parole,
era semplicemente
l’ uomo che gli aveva donato un rifugio.
Chiuse
gli occhi, respirando lentamente, non
aveva più bisogno di ricordare altro, sapeva cosa fare;
avrebbe mentito per
lasciar libero Jack. Era ciò che desiderava, sentiva quel
desiderio prepotente dentro
di sé, tanto da fargli tremare le mani e per un momento si
chiese se sarebbe
uscito intatto dalla spirale di morte e tradimenti che avrebbe creato
lui
stesso.
Lì, in quella stanza nera, era rinato per la
terza volta.
Nuovo
capitolo, un bel po' d'introspezione, ma ehi, ci vuole per chiarire un
po' le cose in questa storia e nella testa del nostro protagonista.
Decidete voi quanto tempo ha passato lì dentro, dipende da
come volete
immaginarvelo nei prossimi (due) capitoli, già storia corta,
ma
parecchio intensa. Le cose si faranno davvero interessanti nei prossimi
capitoli :)
Creerò un banner per ogni capitolo? ...Forse
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Capitolo 3 *** CAPITOLO 2. Dolore e Bugie ***
CAPITOLO 2 DOLORE
E BUGIE
In a world beyond controlling,
Are you going to deny the savior
In front of your eyes,
Stare into the night.
Power beyond containing,
Are you going to remain a slave for
The rest of your life,
Give into the night.
“La
storia di Jack, l’ hai sistemata?” I suoi
occhi azzurri studiarono il suo volto, in cerca di un segno, una
qualsiasi cosa
che sarebbe stata più significativa delle sue parole.
“Ci sono solo io qui dentro.” Si sfiorò
la
testa e ciocche di capelli neri gli ricaddero in fronte, coprendo per
qualche
istante il grigio spento dei suoi occhi.
“Bene, allora sei pronto.” L’ uomo
sorrise
compiaciuto, mentre il corpo del ragazzino veniva attraversato da un
lieve
tremito; nonostante avesse pianificato tutto, non aveva idea di cosa
aspettarsi, non in quella situazione.
Si ritrovò, tremante, davanti a un letto di
pietra lievemente reclinato, si accorse di starsi torturando le labbra
quando
in bocca sentì il sapore del proprio sangue, allora si
riscosse, in tempo per
voltare lo sguardo su Raphael che con un cenno del capo lo incitava a
coricarsi.
La pietra era fredda e scomoda, ma perdeva
importanza quando sentiva i battiti del suo stesso cuore, non erano
veloci, ma
forti e ansiosi. Si costrinse a fissare il soffitto spoglio, anche
quando sentì
qualcosa bucare la pelle all’ interno della piega del gomito,
una trasfusione?
Quindi non era tanto per dire. Eppure non avvertì nulla
scorrere dentro di lui,
se non il proprio, umano, sangue.
Abbassò lo sguardo, lievemente confuso, su
Raphael, che gli stava porgendo una coppa piena di un liquido scuro.
Non la
prese, aspettando che l’ uomo dicesse qualcosa.
“Hai compreso la natura degli umani, hai
ucciso, e poi hai compreso te stesso. Diventerai il primo ad aver
cambiato la
propria natura in qualcosa di perfetto.” Il ragazzo
rabbrividì, quindi si
trattava di un mero esperimento. Non che gli importasse più
di molto, ormai. Prese
tra le mani la coppa e la accostò alle labbra.
“Sei pronto ad accogliere il
nostro sangue, ora.”
“Letteralmente.” Borbottò il ragazzo
guardando
storto Raphael, che sorrise appena.
“Non c’è altro modo, e poi sono certo
che il
sangue di Ian sia adatto a te.” Il ragazzo ebbe un brivido,
che fece
sciabordare lievemente il sangue nella coppa tra le sue mani.
“Cosa…” Era sorpreso da quella scelta,
che lo
facesse per vendicare, a detta sua, uno dei migliori, o semplicemente
per il
gusto sadico di vedere quali emozioni avrebbero attraversato il suo
volto? In
quel caso ne sarebbe rimasto deluso, vedendo semplicemente una gelida
determinazione. Ma i suoi occhi rimasero immutati, di quell’
azzurro gelido.
“Devi semplicemente bere.” E così fece;
il
liquido scuro si insinuò nella sua bocca, sapeva di ferro e
sale e bruciava,
bruciava dentro di lui mentre colava nella sua gola e dentro il suo
corpo, passò qualche
istante di semplice fastidio, in cui
si permise di osservare Raphael armeggiare con qualcosa che non
riusciva a
vedere, poi all’ improvviso, mentre il suo sangue umano
iniziava a scorrere
lungo il sottile tubo infilato nella piega del gomito
avvertì quel bruciore
prendere lo spazio del sangue che era colato via dal suo corpo. Lo
sentiva
ovunque, prepotente e letale come le fiamme che si cibavano di legna e
paglia,
e così avvertì la sua pelle, semplice
combustibile per un dolore troppo intenso
da sopportare.
Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il
soffitto, con il corpo indolenzito e la gola quasi completamente
chiusa, gli
occhi bruciavano, faticando a mettere a fuoco ciò che
c’era davanti a loro.
Gemette quando tentò di sollevarsi sui gomiti,
ma una mano premette sul suo petto, schiacciandolo contro il duro letto
di
pietra. Riprese fiato, tutto gli costava una fatica tremenda, anche
battere la
palpebre, anche respirare. Ricordava tutto quel dolore e le mani che lo
tenevano fermo mentre si contorceva in preda a un fuoco che sembrava
divorarlo
dall’ interno, per un momento si chiese come facesse a essere
ancora vivo.
“Resta giù.” Fece uno sforzo immane per
voltare la testa, mentre sporadiche fitte gli infiammavano i muscoli,
le ossa.
Se ne accorse solo in quel momento; ormai era nauseato dal suo volto,
la sua
espressione che ostentava sicurezza e controllo doveva essere solo una
maschera, che altro altrimenti? Quale uomo ha il coraggio di cambiare
la natura
umana altrui senza avere intenzione di cambiare la propria, da lui
stesso
considerata debole e immonda? Si accorse di odiarlo, nonostante per lui
non
avesse provato altro sentimento positivo se non la gratitudine.
“Ora devi
riposare, tra poco starai meglio.” Il suo volto era pieno di
aspettativa, e in
quel momento desiderò potergli sputare, umiliarlo,
ucciderlo. Quei sentimenti
così potenti, si chiese per un momento, se appartenessero
davvero a lui o se
quel sangue l’ avesse contaminato in qualche modo. Si, di
certo era cambiato,
ma quello che provava non era differente, era semplicemente amplificato
in
maniera sublime. Eppure si costrinse a stirare le labbra in un lieve e
falso
sorriso mentre il dolore scemava, mai abbastanza velocemente, ma andava
bene
così, si disse, avrebbe potuto aspettare ancora un
po’ prima di accontentare
Jack. Quando finalmente il dolore abbandonò la sua gola fece
lo sforzo di
parlare, attirando lo sguardo di Raphael, altrimenti assorto nel tomo
che stava
leggendo tranquillamente accanto a lui.
“Grazie Raphael.” La sua voce era roca e
quelle parole gli avevano graffiato la gola, ma nonostante tutto, gli
fu
davvero riconoscente. Lui fraintese, come era normale che facesse
sentendo
quelle parole, e sorrise.
“La guerra non sta andando bene, abbiamo
bisogno di te per portarla a termine.”
Si,
distruggerò tutto, ma tu sarai
l’ ultimo, perché mi fai schifo più di
ogni altra persona che cammina su questa
terra.
Il fuoco era tutto intorno a lui e riportava
alla mente ricordi, non dolorosi, erano semplicemente dei ricordi; ma
di quelli
archiviati in un angolo ben protetto della sua mente, e stavano
lì, come un
monito a ricordargli il compito che si era prefissato.
Avanzò tra le macerie, capendo per la prima
volta come si sentisse essere dall’ altra parte, camminare in
mezzo a fiamme e
macerie piuttosto che venirne schiacciato.
Era un accampamento non troppo dissimile da
quello in cui aveva vissuto. Era simile nella tonalità e nel
calore delle
fiamme che lo divoravano, nei corpi agili dei Gears che scovavano e
uccidevano
i superstiti.
Lui andò oltre, raggiunse quella zona che le
fiamme non avevano ancora raggiunto e individuò subito il
rifugio del
comandante; l’ aveva cercato apposta e aveva voluto che fosse
lui la prima vera
vittima di Jack, voleva versare il sangue di quell’ uomo
patetico e fargli
provare il terrore che aveva provato lui, si sarebbe vendicato della
sua
codardia.
Entrò in silenzio, rimanendo qualche secondo
a osservare l’ uomo tentare di raggruppare ciò che
rimaneva della sua inutile
vita.
“Quindi scappi di nuovo?”
L’ uomo sobbalzò lasciando cadere a
terra le
poche armi e documenti che aveva raccolto.
“Chi sei tu?” Nel momento stesso in cui lo
chiese vide nei suoi lineamenti le ombre del viso del ragazzino che era
stato,
che correva per l’ accampamento rubando scorte di cibo; era
cambiato; il volto
più tirato e pallido, gli occhi risplendevano come macchie
di sangue sulla
neve, e ormai alto quanto lui lo guardava dritto negli occhi,
sorridendo
appena. E anche senza bisogno di sentirlo dalle sue labbra ebbe la
certezza che
quella persona dagli occhi ardenti e vestita di nero sarebbe stata la
sua
morte.
“Io lo so; so quale schifezza siete voi e non
mi farò uccidere né da te né da
nessun’ altro della tua schifosa razza.”
“Tu non sai niente, e non puoi dire niente.
Hai già abbandonato una volta la tua gente tra le fiamme, li
hai traditi.” La
sua voce era ancora controllata, gelida in quell’ inferno di
ricordi e fiamme.
“Voi siete la causa di tutto ciò!”
“E tu saresti dovuto bruciare con loro,
bruciare come il resto della gente, come lei…” La
sua voce si riempì di rabbia
quando i ricordi si fecero più intensi, più rossi
si sangue e fiamme. Fece per
scattare in avanti quando il comandante estrasse dalla cintura un
misero
coltello e se lo portò alla gola.
“Piuttosto.” E con un lieve sorriso di
vittoria si recise la tenera carne aprendola in una fontana scarlatta.
Quando il corpo cadde a terra privo di vita,
Jack stava tremando, pieno di una rabbia distruttiva e di ribrezzo
verso il
misero essere che giaceva nel suo stesso sangue.
Le sue gambe si mossero da sole; si avvicinò
al cadavere e, dopo aver raccolto il coltello da terra si sedette a
cavalcioni
sul corpo , come aveva fatto quella notte lontana, in cui aveva versato
il
primo sangue. Mentre il suo corpo era scosso da brividi causati da un
desiderio
che si faceva sempre più pressante e che sembrava volerlo
divorare, premette la
lama sull’ occhio rimasto spalancato a fissare il vuoto,
mentre l’ altra mano
si tingeva nel calore della sua gola. Quando la lama affondò
del tutto Jack
riconobbe quella sensazione così familiare di odio, di
insoddisfazione,
amplificato in maniera incredibile nel suo nuovo corpo.
Estrasse la lama e la infilò sotto lo sterno,
aprendo un ampio squarcio da cui il sangue cominciò a colare
pigro. Con il petto
pieno di emozioni troppo forti da contenere infilò le mani
nel taglio,
raggiungendo con facilità il cuore, caldo, ma fermo. Allora
fremette, pieno di
rabbia e delusione; non era abbastanza.
Si alzò, barcollando, stordito dalla forza
con cui l’ odio, la rabbia e il desiderio di versare nuovo
sangue sembravano
volerlo divorare.
Si passò le mani sul volto; incurante delle
macchie rosse che lasciava sulla pelle pallida, mentre la sua mente
smaltiva
tutte quelle sensazioni iniziò a comprendere la differenza
tra un umano e un
Gears; non erano semplicemente due razze che non potevano coesistere,
le loro
stesse esistenze si basavano su principi differenti. Ma in fondo Raphael
aveva
ragione riguardo agli umani; erano esseri codardi e insignificanti, e
nonostante lui fosse stato un umano in passato sapeva di essere
cambiato
radicalmente. Quindi, si chiese, che cos’ era Rapahel?
Così legato alla sua
natura umana che non sarebbe dovuto essere tanto differente dai corpi
che
bruciavano in quell’ accampamento.
E in quel momento, mentre gli umani urlavano
e le fiamme divoravano qualsiasi cosa capì quale sarebbe
stato il passo
successivo e così anche la conclusione di quella faccenda.
Si voltò, e camminando in mezzo alle fiamme
che a malapena lambivano il suo corpo si diresse da solo verso il
rifugio dell’
Artefice.
Ho fatto
aspettare un mucchio, lo so e mi
dispiace, ma fra tutte le cose che dovevo fare questa è
finita in fondo alla
lista perché facile. Quindi… siamo quasi alla
fine e continuano a venire fuori
dubbi e le cose continuano ad andare storte… povero Jack,
che non riesce ad
ammazzare le persone e la sua testa che si incasina sempre di
più. ^^"
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Capitolo 4 *** CAPITOLO 3. Il Nulla ***
CAPITOLO
3 IL NULLA
For saving me from all they’ve taken
Let my honor fall again,
Giving me the strength to face them,
Feeling it taking over now.
I’m about to take it all away,
There could be no better way of knowing
“Già di ritorno?” Non ricevendo risposta
si
voltò e fu sorpreso di vedere solo una figura scheletrica di
un ragazzo pallido
coperto di sangue, il volto quasi inespressivo. “Dove sono
gli altri, T?” A
quelle parole il ragazzo sembrò riscuotersi lievemente e
alzando appena lo
sguardo puntò i suoi occhi rossi in quelli dell’
umano.
“T? Sarà il mio nuovo nome? Mi aspettavo di
meglio.” Rispose con voce piatta, Raphael si sentì
a disagio; non riusciva a
scorgere niente in quegli occhi del colore del sangue, se non
un’ incredibile
freddezza e determinazione. “Gli altri si stanno ancora
divertendo.” Rispose
laconico fermandosi.
“Comunque, stavo pensando di chiamarti
Testament, solo a sentirti nominare la gente
tremerà.” Un lieve sorriso nacque
sulle labbra del ragazzo che si rifletté sul volto di
Raphael, mentre l’
inquietudine iniziava ad avvolgergli lo stomaco.
“Io stavo pensando a qualcos’ altro, che ne
dici di Jack?”
“Credevo di aver…”
“Credevi male, Jack c’è sempre stato,
non esisteva
nessun altro, era il vero me stesso.”
“Ti distruggerà, anzi, lo sta già
facendo.”
Il suo sguardo corse rapido alle sue occhiaie profonde, accentuate dal
rosso
dei suoi occhi e al pallore della pelle, poi più
giù, sulle costole che
sembravano pronte a tagliare la pelle e a spuntare fuori.
“Lo so, ed è per questo che per liberarmene
devo dargli ciò che vuole.”
“E cosa desidera?”
“Sangue caldo sulla pelle e un cuore che
batte tra le mani.”
“Non ne ha già avuto in abbondanza?”
“Vuole il tuo.” Riprese ad avanzare,
avvicinandosi a Raphael, in quel momento pensò che la sua
vita valeva molto di
più di quella di un comandante codardo.
“Non puoi farlo, io sono il creatore di voi
esseri superiori, creature perfette, e solo io posso
guidarvi.”
“Già, per guidare un esercito di Gears ci
vuole qualcosa di differente, qualcosa che si distingua; cosa meglio
della
mente marcia di un umano può farlo?”
“Uccidendomi, manderai tutto all’ aria.”
“Non mi importa più. Non mi importa di tutti
i tuoi progetti falliti, non mi importa se anche io sono un esperimento
venuto
male.” Si osservò le mani chiedendosi per la prima
volta se la sua stessa
esistenza fosse uno scherzo.
“Ci sono cose che ancora non sai, cose sul
tuo nuovo corpo…”
“Cosa ancora non so?” Strinse con forza le
mani e le unghie incisero la tenera pelle delle mani; quando le
riaprì, i palmi
delle mani erano macchiati di rosso. “Non era così
che faceva Ian?” dette
quelle parole il sangue sulle sue mani sembrò agitarsi
lievemente, poi con più
decisione, come animato di vita propria; unì le sue mani,
creando una lunga
asta alla cui estremità si formò una lama piatta
e ricurva del colore del
sangue stesso. “È per questo che esisto, no? Per
sterminare esseri umani.”
Entrambi osservarono la falce, entrambi
sorpresi, poi Jack sorrise, soddisfatto e impaziente mentre Raphael
pensava che
quel ragazzo era stato l’ errore più grande della
sua vita.
Colui
che fa una bestia di se stesso si sottrae al dolore dell’
essere umano*
Il silenzio era assoluto; solo il vento osava
romperlo, accarezzando l’ erba secca, creando onde ipnotiche
sulla sua
superficie, il
cielo su cui si stagliavano i profili aguzzi delle montagne era
grigio
e apatico.
Le sue
gambe lo avevano portato fino a lì, la sua mente si era
persa in una sorta di
oblio, in cui né realtà né passato
poteva penetrare. Ma era stanco, non si
aspettava che il nuovo corpo che aveva cominciato a conoscere si
potesse
stancare così presto. Non ricordava da quanto stesse
camminando, da tanto, di
certo; il viaggio era stato lungo, lungo e insensato.
Non
aveva più nulla; non aveva più Jack, che
soddisfatto del cuore e del sangue
dell’ Artefice si era ritirato, forse per sempre, non aveva
più nessuno contro
cui rivolgere il suo odio, non esisteva più neanche la
guerra nel posto in cui
era arrivato, ma aveva lasciato i suoi segni sulla casa abbandonata che
era
stata il suo, il loro rifugio, non
aveva più un tetto, la staccionata era a pezzi e viale che la costeggiava
era invaso dall’
erbaccia. Non aveva più nulla, e per un istante credette di
non avere più
neanche un corpo quando, avvicinandosi, un piccolo stormo di corvi lo
ignorò,
restando in un inconsueto silenzio. Crollò in ginocchio
sentendo la stanchezza
invadere il suo corpo, tremava e aveva freddo, un freddo che era certo
di non
aver mai provato, circondato dalle fiamme come era stato per la maggior
parte
della sua vita.
I
corvi gracchiarono prima di sollevarsi in volo e macchiare di nero il
cielo,
per un momento desiderò essere come loro, liberi e
orgogliosi di non avere un
vero rifugio, se non il cielo.
Ora
quello di cui aveva bisogno era una ragione, qualcosa che lo spingesse
a
portare avanti quell’ esistenza che sembrava uno scherzo, di
cattivo gusto, per
di più. Un motivo per rialzarsi e tornare a vivere.
Osservò
ancora una volta la sua vecchia casa, il suo rifugio. Senza riuscire a
riconoscere niente in quella forma squadrata, neanche i ricordi
tornavano,
aveva perso tutto, il suo desiderio di sangue l’ aveva
consumato e Jack si era portato via
tutto quello che
era rimasto; la sua umanità e la sua anima, lasciando
indietro un buco, un
dolore al centro del petto, straziante.
Alzò gli occhi al cielo, maledicendo ogni dio
che avesse mai sentito nominare, prima di cadere e lasciarsi avvolgere
da
migliaia di piume color pece.
*he who makes
a beast of himself removes himself from
the pain of being human
–Dr.
Samuel Johnson
Eh già, era l‘ ultimo capitolo, ed è
cortissimo... mi dispiace così tanto non essere in grado di
fare una suddivisione più intelligente, ma no, non ho
ammazzato il
protagonista! Mi credete tanto stronza? Comunque non avrebbe avuto
senso visto
che lo vediamo più avanti, ma parliamo di quest’
ultimo capitolo. Ho deciso di
non scrivere la parte in cui lui uccide l’ Artefice, certo,
mi sarei divertita
un mondo, ma credo che così renda meglio. O almeno, questo
è quello che penso
io avendo provato a creare una certa atmosfera con stentate frasi ad
effetto,
ditemi voi se la mia scelta è giusta. Ma almeno spero che
quella piccola
conversazione pre-morte abbia risposto ad alcune domane (pensavo anche
di
inserire un qualche riferimento a Dizzy, ma credo che il nostro caro
ragazzo
dovrà faticare ancora un po’ prima di trovarla). E
credo che anche la frasetta
del dottor Johnson abbia chiarito un po’…
E la parte finale, cavolo! Non ho mai scritto tanta introspezione
in una volta sola, ma sono (quasi) certa di aver trovato il modo per
far finire
la storia in modo che non discordasse con l’ altra; nella
quale non vediamo
Jack, ma solo lo stesso Testament che c’è qui
nell’ ultimo paragrafo. Ora posso dire di essermi davvero
affezionata a questo personaggio, un po' come per Zephit, i miei
figlioletti preferiti *-*
Beh, ora posso dire di non aver mai scritto un finale tanto chiaro
xD
Quindi ora sono curiosa,
vorrei sapere cosa pensate di questo personaggio problematico
(incredibilmente
NON problematico qui sulla ‘carta’) e…
beh, della storia in generale. :)
Grazie a tutti per essere arrivati in fondo! :D
A presto!
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