Blackheart

di La sposa di Ade
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO. Primo sangue ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1. Buio e Fiamme ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2. Dolore e Bugie ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3. Il Nulla ***



Capitolo 1
*** PROLOGO. Primo sangue ***


Concorso ‘L’ antieroe’
- Nickname Forum: La sposa di Ade
- Nickname EFP: La sposa di Ade
- Titolo storia: Blackheart
- Introduzione:
Una terra lacerata dalla guerra. Spargimenti di sangue, tradimenti, omicidi, una lotta per il dominio, la follia, il sangue, le urla, la morte.
Perché si combattono? Per la gloria, la famiglia, l'orgoglio, l'onore, il potere, la vendetta, la sopravvivenza, ma il mondo è crudele. Gli innocenti vengono massacrati, chi vuole il potere ha il potere, chi ha l'onore viene disonorato, ma ancora devono combattere per quel poco che è rimasto, mentre la terra piange.
- Genere: Fantasy 
- Rating: Arancione (Rosso?)
- Avvertimenti: Violenza – Contenuti forti
- Eventuali note autore: Ok, questa storia è un po’ particolare, sarebbe dovuta essere solo di un capitolo, ma si è rivelata più lunga, ma questo è il periodo in cui le lunghezze mi fregano. Anyway, questa è la ‘seconda’ storia per la serie Gears (la cui unica storia esistente per ora è
Frozen wood), che poi è seconda solo perché pubblicata dopo Frozen Wood ma temporalmente andrebbe inserita prima, ma ho voluto renderla leggibile anche singolarmente. 
Il personaggio è un po’ particolare (molto direi) perché all’ inizio non sapevo neanche io chi fosse esattamente, era solo un ragazzino con la mente confusa, ma alla fine mi sono decisa e (per chi ha letto Frozen Wood) probabilmente troverà delle ‘incongruenze’ all’ inizio, tipo il nome e altra robaccia, ma tranquilli! “È tutto calcolato!”
Forse.
Prompt:
Odio, carovana, rifugio e l’ immagine : http://mirojohannes.deviantart.com/art/Humanity-359459264. Legati al pacchetto ‘Blackheart dei Two Steps From Hell’ da cui la storia prende il nome.
Tutte le citazioni all’ inizio di ogni capitolo sono prese dalla canzone ‘The Night dei Disturbed’. Tranne l’ ultima, che appartiene a  Dr. Samuel Johnson.
Buona lettura!

Concorso ‘1:1’
Titolo: Blackheart
Fandom: Originale - Fantasy
Eventuale pairing: /
Frase:
This desire is eating me up
Eventuali note dell’autore: (sopra)
Link: /

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PROLOGO. PRIMO SANGUE

“What has come over me?
What madness taken hold of my heart
To run away, the only answer
Pulling me away
To run away from the sight,
So now recovering,
Sweet shadow taking over my mind,
Another day has been devoured
Calling me away, leaving the question why.”

 

Non puoi amare gli umani, impara ad odiarli per quello che sono.
Il ragazzino quale era si piegò a quell’ ordine, non poteva fare altro, non voleva fare altro.
Strinse la presa sul pugnale, il metallo era stato freddo un tempo, ora era caldo e rassicurante contro il suo palmo.
Osservò ancora una volta le ombre muoversi dietro le tende tirate di quell’ appartamento costoso, sembravano così normali.
Una pacca poco amichevole sulla spalla, un viso pallido davanti al suo, occhi del colore del sangue si puntarono nei suoi, ancora di un grigio incolore.
“Muoviti ragazzino, abbiamo fretta.” Le sue gambe si mossero per il vialetto, guidate da una volontà che quasi non riconosceva come sua.
Bussò alla porta, attendendo qualche istante, per vedere il volto sconosciuto di un’ uomo di mezz’età illuminato dal chiarore dell’ atrio sorridergli amichevolmente per poi sondare la sua espressione.
“Tutto bene?” Il vecchio si accigliò, tentando di capire cosa turbasse tanto il ragazzino.
“Mi dispiace.” Rispose lui, e ancora prima che il vecchio potesse simulare la domanda successiva sentì il gelo di una lama conficcarsi nel suo addome e il sangue colorare velocemente la camicia. Morì in pochi istanti, mentre l’ aorta addominale riversava tutto il suo contenuto.
Un vento freddo accompagnò il resto del gruppo, che veloce come acqua corrente si insinuò nella casa, distruggendo tutto ciò che trovava sul suo cammino.
Il ragazzino rimase sulla soglia, a fissare il sangue che, colando sulla pietra, lo raggiungeva e lo circondava velocemente. Era quello che doveva fare per diventare più forte, era quello che gli avevano ordinato.
Lì, davanti al primo corpo era rinato per la seconda volta.
Le gambe gli cedettero e con un tonfo cadde in ginocchio, il sangue che gli impregnava i pantaloni e raggiungeva la sua pelle. Si guardò le mani, pallide e tremanti e nonostante non vedesse sangue su di esse, e se chiudeva gli occhi, poteva percepirlo chiaramente.
Le sue labbra tremarono, mentre il cuore continuava a battere a un ritmo concitato, prima si stirarsi in un sorriso. Non poteva chiedere di meglio. O forse si.
Allungò la mano verso il coltello e lo sfilò lentamente dalla profonda ferita, osservando i lenti rivoli di sangue accompagnare la lama. Voltò il corpo a pancia in su, sedendosi a cavalcioni su di esso, aprì la camicia e percorse lentamente con la punta del coltello la linea appena accennata dei muscoli addominali, e quando raggiunse lo sterno infilzò con forza la lama per poi farla scorrere lungo il bordo tracciato dalle costole, prima da una parte e poi dall’ altra; vedeva la pelle pallida aprirsi e mostrare quel colore magnifico, così intenso, irresistibile.
Posò il coltello, sospirò e, con ancora il sorriso sulla labbra, infilò le mani nello squarcio che aveva appena creato, rovistando nel suo sangue e accarezzando il suo cuore fermo, ma ancora caldo, così come aveva visto fare a quell’ uomo mentre lui era bloccato sotto le macerie di una casa crollata per via della guerra.
Quando estrasse le mani e le osservò, rosse come una macchia sulla neve, una risata crebbe dentro di lui e quando la lasciò uscire si stava graffiando il volto, macchiandosi di altro sangue, mentre le lacrime correvano sulle sue guance e i brividi attraversavano il corpo come mille insetti.
Quindi era così che ci si sentiva? Quello che si aprì davanti a lui fu un nuovo mondo, pieno di soddisfazioni e piaceri.
Dei passi lo raggiunsero e, dopo una attimo di silenzio, sentì una risatina.
“Che ne dici di Jack?” A quelle parole il ragazzino sollevò il volto macchiato e osservò con espressione interrogativa lo stesso tizio che gli aveva detto di muoversi poco prima.
“Jack?”
“Dobbiamo pur trovarti un nome, no? allora che ne dici di Jack?” Seguì un attimo di silenzio, mentre la mente del ragazzino assorbì quell’ informazione, quel nuovo nome, che seppur banale, iniziò ad associarlo a se stesso. “Come Jack lo Squartatore.”
 

Le gambe gli cedevano mentre una mano serrata con forza sul suo braccio lo strascinava avanti, sul pavimento lucido continuava a gocciolare il sangue ancora impregnato nei suoi vestiti, ma non suo. La stretta sul suo braccio era spiacevole e già sentiva la mano intorpidirsi, ma almeno ciò lo manteneva più o meno vigile.
All’ improvviso, la stretta si allentò, lascandolo rovinare a terra. l’ impatto con il pavimento gli ruppe un labbro contro i denti e quell’ improvvisa sferzata di dolore gli aprì completamente gli occhi, rendendolo consapevole del suo corpo umido di sangue, della presenza di diverse persone attorno a lui e dei loro sussurri concitati. Ricordava a malapena ciò che era successo, i suoi ricordi erano solo una massa di macchie rosse di sangue e nere del cielo a notte fonda.
“Che cosa ha fatto?” Che cosa aveva fatto? Non lo ricordava più nemmeno lui; ciò che occupava più spazio nella sua mente era la sensazione inebriante del sangue che avvolgeva le sue mani mentre le affondava nel petto dell’ uomo sotto di sé.
“Ha ucciso Ian.” La gente intorno a loro ammutolì in un silenzio sconcertato, mentre l’ uomo imponente in piedi davanti al ragazzino era sorpreso.
“Come ha fatto a uccidere uno dei nostri migliori uomini?” Chiese poi con tono quasi affascinato mentre si chinava ad osservarle il ragazzino che ancora si fissava le mani imbrattate di sangue, sentì l’ uomo muoversi nervoso davanti a lui prima di iniziare a raccontare con voce nervosa.
“Gli è saltato addosso e gli ha piantato il coltello nell’ occhio, poi lo ha pugnalato tanto da sfigurarlo, lo ha ridotto ad un ammasso di carne e sangue.” A quelle parole il ragazzino sobbalzò, ricordando all’ improvviso ciò che aveva fatto, come aveva potuto dimenticare quella soddisfazione? “Abbiamo dovuto sedarlo altrimenti non si sarebbe fermato.” L’ altro uomo sorrise compiaciuto mentre il ragazzino si alzava lentamente, quando fu in posizione eretta e, quindi, all’ altezza degli occhi dell’ uomo parlò con voce roca.
“Jack.”
“Come?” L’ uomo inclinò la testa continuando a osservare con i suoi occhi blu il ragazzino che stava iniziando a sorridere senza rispondere, una luce maligna nei suoi occhi. Si mise in posizione eretta; l’ ultima cosa che voleva era ritrovarsi le mani del ragazzino attorno al collo.
“Te la sei cavata bene piccolo, ma credo che sia ora di fare un po’ d’ ordine qui dentro, cosa ne pensi?” Gli mise una mano in testa, scompigliando la zazzera di capelli neri sporca di sangue, per un momento si chiese come avesse fatto a finire fin lì. “Da quando ti abbiamo trovato sotto quelle macerie sei cambiato, in bene, sei più forte, ma anche in male; questo Jack non dovrebbe esistere.” Fece un cenno all’ uomo che era rimasto dietro di lui, mentre sul volto del ragazzino compariva il primo accenno di consapevolezza, in quell’ istante qualcosa di duro e pesante lo colpì alla testa, facendolo cadere a terra, privo di sensi.

Posso ritenermi soddisfatta del banner, della storia invece.. beh ditemelo voi!

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1. Buio e Fiamme ***


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CAPITOLO 1. BUIO E FIAMME

 

This self discovery,
Redemption taking over my mind,
This serenade of haunting voices
Calling me away
To piece from the sight.
So much felicity
Downgrade and taking over my head,
Leading me away from hibernation,
Strong and I’m afraid
Remember the question why.

 

Si ritrovò immerso nel buio, ma aveva ripreso i sensi, sentiva un sordo dolore dietro la nuca e qualcosa di freddo e spigoloso sotto la schiena nuda, un brivido lo attraversò quando, lentamente, tentò di rimettersi in piedi. Ovunque si trovasse non c’era luce, non un minimo spiraglio di quella che poteva essere una porta socchiusa o un lume. Allora allungò le braccia davanti a sé, e iniziò a muovere i primi passi incerti su quella superficie che, ora ne era certo, si trattava di nuda roccia. Andò in una direzione a caso, raggiungendo in pochi passi il muro, freddo e ruvido come il pavimento su cui si stava trascinando, lo percorse tutto, raggiungendo subito un angolo, poi un altro e infine una superficie diversa; fredda, ma liscia e compatta come poteva essere una porta d’ acciaio. Mentre il fiato usciva velocemente dai polmoni in ansiti sempre più nervosi iniziò a picchiare con i pugni sulla porta.
“Fatemi uscire!” Le sue parole risuonavano debolmente in quello spazio ristretto, ma sentì chiaramente dei passi dall’ altra parte della porta, poi più niente. Continuò a picchiare la superficie dura per qualche istante, prima di scivolare in ginocchio a fissare il buio davanti a lui.
Altri passi. Non provò neanche più a urlare, sapeva che non sarebbe servito a nulla; se l’ avevano chiuso lì dentro c’era un motivo, che lui non comprendeva, e di certo non l’ avrebbero lasciato uscire come se niente fosse.
Sentì il rumore del metallo scorrere su altro metallo e come alzò gli occhi una lama di luce lo colpì in pieno viso, costringendolo a farsi scudo con il braccio. Quando i suoi occhi si furono abituati e fu di nuovo in posizione eretta si avvicinò allo spioncino rettangolare, mettendosi in punta di piedi per guardare fuori.
“Perché tutto questo?” Chiese all’ uomo di prima, quello che era stato il suo salvatore; il demone che con la sua schiera di malebranche l’ aveva sottratto a quella guerra ancora in corso, per poi ributtarcelo dentro poco dopo. “Ho fato tutto quello che mi avevate chiesto, ho…” Si bloccò un attimo deglutendo prima di spingere fuori il resto delle parole. “Ho ucciso, ho…”
“Hai fatto anche fin troppo.” Quelle parole, dette con quel tono gelido e tagliente, lo ferirono più di quanto avesse potuto fare un’ arma ben affilata.
“Che vuol dire?” Chiese con voce debole, ma lo sapeva bene, aveva ucciso sì, ma non si sarebbe dovuto spingere a versare il sangue di un suo compagno, gioendo nel farlo; se chiudeva gli occhi poteva sentirne ancora la sensazione sulle mani.
“Hai fatto quello che ti abbiamo chiesto senza esitazione.” Il ragazzino non si illuse neanche nel sentire quell’ affermazione che sembrava lodarlo. “Ma non avresti dovuto uccidere Ian, uno dei migliori, perché ragazzino? Voglio sapere cosa ti ha spinto a fare questa sciocchezza.” Non lo stava semplicemente accusando, per quanto incredibile gli stava dando la possibilità di spiegarsi e, forse, salvarsi e uscire da lì.
Rimase in silenzio per qualche istante, facendo ordine nella sua testa, o almeno, provarci. “Io non volevo, è stato Jack.” La sua voce era stata un flebile sussurro, insicura.
L’ altro quasi rise, avvicinando il volto pallido a quel buco che li univa, i suoi occhi blu spiccavano come gioielli su un telo di velluto nero. “Non prendermi in giro ragazzino, non esiste nessun Jack. Le mani su cui si trova il suo sangue erano e sono le tue, in quella stanza ci sei solo tu e così nella tua testa.” Fece un passo indietro, il ragazzino avrebbe voluto ribattere, ma sapeva di non poter dire niente per discolparsi, anche perché non voleva, aveva gioito nell’ immergere le sue mani nel sangue, nel pugnalare un corpo e vedere il suo sangue schizzare intorno e su di lui.
“Fai ordine nella tua testa, perché non c’è niente che non vada, e quando capirai che non c’è bisogno di nessun Jack lo Squartatore, allora ti farò uscire da lì.” L’ uomo chiuse con uno scatto deciso lo sportellino, sigillandolo dentro quella gabbia di pietra e ombra.
Rimase a fissare il punto in cui si trovava la porta di ferro nonostante non vedesse nulla se non un nero uniforme, le sue mani tremavano, scossi da tremiti di rabbia e odio.
Fece qualche passo indietro fina a raggiungere quello che probabilmente era il centro di quella stanza, si sedette a terra , iniziando a ragionare.
Tutto quel nero che lo circondava sembrava amplificare i suoi pensieri, rendendogli impossibile seguire un filo logico, immagini di guerra, facce conosciute e voci lontane lo distraevano, ma da cosa?  A cos’è che stava tentando di pensare? Non lo sapeva neanche lui.
Si sdraiò a terra, con gli occhi ben aperti e le braccia spalancate. Allora li lasciò liberi, quei ricordi che in quel momento lo assillavano tanto, li avrebbe lasciati scorrere, così non l’ avrebbero più disturbato, perché doveva fare ordine, capire ciò che desiderava davvero.

La casa era piccola, umida e con il tetto bucato, gli anni precedenti era messa meglio, la guerra stava portando via tutto alla sua famiglia, ma era rimasta il loro rifugio solitario, lontano da tutto e da tutti. Era circondata da un campo di grano pieno di spaventapasseri, ma i corvi non avevano più paura, vi si posavano sopra e ridevano di loro.
Il viso di sua madre era  pallido come quello di un’ elfa, circondato da serici capelli color dell’ ebano, i suoi occhi… non ricordava più il colore dei suoi occhi, non ricordava più le sue forme da quando il fuoco l’ aveva divorata. E suo padre, lui non era mai esistito. Era una figura nera e lontana, irraggiungibile. Ma ricordava che sua madre curava le persone, medicava bruciature e ricuciva ferite, lavorava in città, ma quando i soldi e soldati iniziarono a scarseggiare dovette andare al fronte, praticamente ce la trascinarono a forza e suo figlio con essa, perché non aveva nessun’ altro con cui stare.
Era andato tutto discretamente bene, vivevano in una capanna di legno tanto simile alla vecchia casa quanto piccola. Il ragazzino aveva imparato a sgattaiolare nelle tende altrui in piena notte, rubando il cibo, perché il volto di sua madre si faceva sempre più pallido e sofferente, le ossa che risaltavano sotto la pelle; la guerra la stava consumando, e probabilmente stava succedendo l stesso a lui, tentava però di non darci peso.
E quando la situazione sembrò migliorare, quando gli attacchi si fecero sempre più sporadici, allora ci furono le fiamme.
C’era stato un tradimento e qualcuno aveva appiccato il fuoco, distruggendo il campo base, quello che era stato il loro secondo rifugio, tutto bruciava, anche la capanna del generale; le fiamme si alzavano da terra e danzavano contro il cielo senza stelle.
Loro erano incastrati, bloccati nel tentativo di fuggire dalla capanna in cui stavano imparando a vivere, pesanti assi di legno pesavano sui loro corpi, mentre le fiamme lambivano tutto ciò che c’era intorno a loro.
Il fumo li soffocava, mentre il ragazzino vide avvicinarsi un gruppo di pochi uomini. Amici o traditori? Si era chiesto il ragazzino. La donna era priva di sensi, ma viva.
“Attento.” Uno si scostò da gruppo, per poi riunirsi subito. “Ehi, guarda là.” Poi indicò nella loro direzione, al ragazzino salirono le lacrime agli occhi; sarebbero usciti da quell’ inferno, sarebbero tornati a casa, al loro rifugio.
Il gruppo si mise a ridere; quattro di loro sollevarono la trave che gravava sulla schiena della donna, mentre il quinto la trascinava nella terra. il ragazzino rimase immobile, pietrificato, quando vide il bagliore delle lame che venivano snudate. Provò a urlare, ma non sapeva più parlare, né sapeva come chiudere gli occhi mentre quegli uomini prima svegliavano e poi seviziavano la donna, non riuscì a chiudere gli occhi nemmeno quando uno di loro aprì il ventre della donna e vi infilava la mano, tirando via il cuore.
Lacrime grosse e silenziose corsero sulle sue guance,ma stette in silenzio e immobile, sapeva che doveva fare così se voleva restare vivo.
E proprio quando il loro gioco sembrò sul punto di terminare, una sesta figura scura si abbatté su uno di essi, gettandolo a terra e ferendolo ripetutamente con artigli esageratamente lunghi e un ghigno feroce sulle labbra, in quel breve istante gli altri quattro iniziarono ad urlare, in preda a dolori causati da creature che di umano avevano solo le sembianze. Occhi rossi rilucevano più delle braci attorno a loro, e un paio di quelli si puntò sul ragazzino; non c’era nulla lì dentro, se non una fame feroce. Quando questo fece per avvicinarsi con un sorriso che metteva in mostra una chiostra di zanne da bestia, una voce autoritaria lo fermò.
Un uomo emerse dalle macerie e dal fumo e si inginocchiò di fronte al ragazzino, lo guardò negli occhi, studiò lui e la scena intorno a loro; i suoi occhi erano penetranti, ma non rossi, non come quelli che gli umani chiamavano Gears, i suoi erano di un azzurro cielo, i ragazzino si chiese perché un umano stesse dalla loro parte, dalla parte dei mostri. Poi l’ uomo si rimise in piedi, con addosso gli occhi  terrorizzati e confusi del giovane.
“Tiratelo fuori da lì, ma non fategli del male, e ripulite questo scempio.” In un istante il peso sulla sua schiena si alleviò e venne issato su qualcuno, la sua spalla premeva dolorosamente contro il suo stomaco.
Salvato da mostri.
No, chi erano i veri mostri lì? Osservò gli uomini a terra che giacevano nelle pozze del loro stesso sangue; non riuscì a distogliere lo sguardo, neanche quando questi furono sollevati e buttati tra le fiamme, neanche quando il corpo di madre fece la loro stessa fine.

Tutto riacquistava senso, lentamente, il perché delle sue lacrime silenziose, il perché dei suoi tremiti, dei suoi occhi fissi; Jack ne voleva ancora, voleva vedere altro sangue, voleva unirsi a loro mentre straziavano quel corpo minuto, poi voleva ucciderli con le sue stesse mani, vendicarsi… Era davvero così o stava tentando di convincersi da solo, nel tentativo di non credere alle parole di quell’ uomo?
Si prese la testa fra le mani, tentando di convincersi che non fosse davvero così, tentò di scacciare Jack. Ma senza di lui chi era? Nessuno. Esisteva solo Jack, era se stesso, ed era lui a voler versare sangue… No, non era il semplice bisogno di negare le sue parole, era l’ istinto che gli imponeva di non perdere il vero se stesso.
Si rimise nella stessa posizione di prima, sospirando lentamente, con l’ impressione di aver appena snodato una grossa parte della sua mente.
Quindi il suo salvatore, Raphael, aveva torto. Non era vero che non esisteva nessun Jack. La verità era che non esisteva nessuno tranne che Jack.
Ferma i pensieri, un altro ricordo.

Era stato tutto un incubo, ne era certo. Ma le sue convinzioni svanirono quando sollevò le palpebre e incontrò un paio di occhi rossi. Sobbalzò, e si chiese se stava per morire; divorato o ucciso dai loro nemici di guerra.
Il volto si allontanò, ridacchiando fra sé.
“Hey Capo, è sveglio.” Lo stesso uomo dagli occhi azzurri che aveva visto tra le fiamme si mosse dalla sua posizione nell’ angolo della carovana, avvicinandosi tranquillamente, come se i movimenti bruschi e i buchi sulla strada non facessero traballare il resto degli uomini.
Si accucciò di fronte al ragazzino e quando questo si allontanò, fino a raggiungere le assi di legno con la schiena, iniziò a parlare.
“Bravo, mettiti comodo, perché il mio discorso non sarà breve.”
“Perché sono qui? Chi siete?”
“Sai bene chi siamo, ma non siamo qui per ucciderti, non ne abbiamo bisogno.” Numerosi occhi cremosi si puntarono su di loro. “Vuoi sapere ciò che è successo?” Il ragazzino annuì, ancora intimorito dalle persone intorno a loro; erano più o meno una decina e con il rapido sguardo che aveva gettato intorno a lui temette di aver visto un paio di corna e forse una coda, ma non avrebbe guardato di nuovo, non voleva. “Bene, sai bene che questa guerra va avanti da qualche anno, e che continuerà ad andare avanti per molto, quella notte eravamo lì non per uccidere e portare avanti la guerra, stavamo cercando qualcuno. Ma questo non ha importanza ora, immagino tu voglia scoprire innanzitutto perché è successo tutto ciò, nonostante non sia difficile da intuire, trattandosi di umani. Ad ogni modo, qualcuno, in quel campo base ha tradito e ha appiccato il fuoco nel tentativo di decimare soldati e uccidere il generale. Ma il codardo è fuggito e vi ha lasciato a bruciare in quell’ inferno. Dimmi, non provi rabbia verso di lui, non lo odi?” La carovana sobbalzò. Mentre un sorriso storto piegava le labbra dell’ uomo
“Non lo conoscevo, signore.”
“Chiamami Raphael.” Il ragazzino abbassò il capo. “Hai visto ciò che fanno gli umani, quali esseri spregevoli sono.”
“Ma anche tu sei un essere umano.” A quel sussurro l’ uomo sembrò sorridere di nuovo, ma in modo più amaro. Non aveva gli occhi rossi come il resto della gente lì sopra, anche lui era umano, o no? “Non tutti sono così.” Abbassò la voce, incerto se continuare a parlare; avvertiva perfettamente tutti quegli occhi su di sé.
“Dentro di loro si, sono neri,
il loro cuore è nero. Tradiscono, mentono, uccidono senza fare distinzioni. Noi siamo diversi, siamo superiori a loro, e quest’ oggi ti ho preso con noi perché puoi ancora abbandonare quella lordura, sei ancora in tempo.” Il ragazzino tacque, confuso e poi inorridito quando capì. “Portai essere più forte, è questo che vuoi? Vuoi l’ onore? Diventerai il loro terrore.” Eppure abbassò il capo, pensando, come gli era stato insegnato. Doveva ragionare bene per prendere una tale decisione. Eppure aveva già capito, da quando c’erano state tutte quelle fiamme, aveva capito che gli umani non erano meglio di coloro contro cui combattevano.
Un tremito gli percorse la schiena, l’ aveva voluto lui? O era stata quella situazione a obbligarlo a quella scelta; allora non aveva la più pallida idea di quello a cui andava incontro, in quella carovana, era iniziata la sua discesa nonostante nella sua mente da adolescente non c’era stato spazio per il sangue, la morte.
Ora era diverso. Ora viveva per il sangue; si portò le mani davanti al viso, senza vederle realmente in quel buio asfittico, voleva sentire di nuovo il sangue sulle mani, quel desiderio lo stava divorando; Jack desiderava di più, desiderava portare la morte, uccidere, squartare, eliminare. Un tremito lo percorse e si accorse che si trattava di una risata nel momento in cui si rannicchiò contro la fredda roccia. Era quello che voleva.
“Dove sarei senza di te, Raphael. Grazie.” Sussurrò con un sorriso feroce sulle labbra.

Nella mente restava il ricordo di sua madre.
“Non puoi amare gli umani, impara ad odiarli per quello che sono.” Non avrebbe mai potuto. O almeno, questo era quello che pensava prima di passare la notte di viaggio ad ascoltare le storie degli umani che Raphael aveva ucciso personalmente, cose orribili, al di là della sua immaginazione da bambino; c’erano stati infanticidi, stupri e omicidi in famiglia, atroci torture, umiliazioni, violenza fisica e psicologica vero chi non poteva difendersi.
Lentamente, quel veleno che lui chiamava odio e riteneva giusto si insinuò nella sua mente, attecchendo in profondità. Si, li odiava. Li odiava per la loro debolezza.
“Rinascerai tre volte, ti libererai dell’ animo umano e a quel punto sarai pronto ad accogliere il nostro sangue nelle tue vene.”
Lì, in quella carovana era rinato per la prima volta.

E gli umani erano deboli, ma lo era stata anche la sua mente, fragile come un contenitore di vetro, riempito fino all’ orlo di sentimenti che non avrebbe mai voluto provare fino scoppiare.
“Tu chi sei?” Ci fu un attimo di silenzio e il ragazzino credette che non avrebbe risposto, visto la sua espressione non era cambiata. Poi sorrise appena, un po’ di orgoglio che gli illuminava gli occhi.
“Io sono l’ Artefice, il padre di queste creature perfette.” Ma in quel momento, per il ragazzino quale era, che ancora non comprendeva le sue parole, era semplicemente l’ uomo che gli aveva donato un rifugio.

Chiuse gli occhi, respirando lentamente, non aveva più bisogno di ricordare altro, sapeva cosa fare; avrebbe mentito per lasciar libero Jack. Era ciò che desiderava, sentiva quel desiderio prepotente dentro di sé, tanto da fargli tremare le mani e per un momento si chiese se sarebbe uscito intatto dalla spirale di morte e tradimenti che avrebbe creato lui stesso.
Lì, in quella stanza nera, era rinato per la terza volta.

 Nuovo capitolo, un bel po' d'introspezione, ma ehi, ci vuole per chiarire un po' le cose in questa storia e nella testa del nostro protagonista. Decidete voi quanto tempo ha passato lì dentro, dipende da come volete immaginarvelo nei prossimi (due) capitoli, già storia corta, ma parecchio intensa. Le cose si faranno davvero interessanti nei prossimi capitoli :)
Creerò un banner per ogni capitolo? ...Forse

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2. Dolore e Bugie ***


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CAPITOLO 2 DOLORE E BUGIE

In a world beyond controlling,
Are you going to deny the savior
In front of your eyes,
Stare into the night.
Power beyond containing,
Are you going to remain a slave for
The rest of your life,
Give into the night.

 
 “La storia di Jack, l’ hai sistemata?” I suoi occhi azzurri studiarono il suo volto, in cerca di un segno, una qualsiasi cosa che sarebbe stata più significativa delle sue parole.
“Ci sono solo io qui dentro.” Si sfiorò la testa e ciocche di capelli neri gli ricaddero in fronte, coprendo per qualche istante il grigio spento dei suoi occhi.
“Bene, allora sei pronto.” L’ uomo sorrise compiaciuto, mentre il corpo del ragazzino veniva attraversato da un lieve tremito; nonostante avesse pianificato tutto, non aveva idea di cosa aspettarsi, non in quella situazione.
Si ritrovò, tremante, davanti a un letto di pietra lievemente reclinato, si accorse di starsi torturando le labbra quando in bocca sentì il sapore del proprio sangue, allora si riscosse, in tempo per voltare lo sguardo su Raphael che con un cenno del capo lo incitava a coricarsi.
La pietra era fredda e scomoda, ma perdeva importanza quando sentiva i battiti del suo stesso cuore, non erano veloci, ma forti e ansiosi. Si costrinse a fissare il soffitto spoglio, anche quando sentì qualcosa bucare la pelle all’ interno della piega del gomito, una trasfusione? Quindi non era tanto per dire. Eppure non avvertì nulla scorrere dentro di lui, se non il proprio, umano, sangue.
Abbassò lo sguardo, lievemente confuso, su Raphael, che gli stava porgendo una coppa piena di un liquido scuro. Non la prese, aspettando che l’ uomo dicesse qualcosa.
“Hai compreso la natura degli umani, hai ucciso, e poi hai compreso te stesso. Diventerai il primo ad aver cambiato la propria natura in qualcosa di perfetto.” Il ragazzo rabbrividì, quindi si trattava di un mero esperimento. Non che gli importasse più di molto, ormai. Prese tra le mani la coppa e la accostò alle labbra. “Sei pronto ad accogliere il nostro sangue, ora.”
“Letteralmente.” Borbottò il ragazzo guardando storto Raphael, che sorrise appena.
“Non c’è altro modo, e poi sono certo che il sangue di Ian sia adatto a te.” Il ragazzo ebbe un brivido, che fece sciabordare lievemente il sangue nella coppa tra le sue mani.
“Cosa…” Era sorpreso da quella scelta, che lo facesse per vendicare, a detta sua, uno dei migliori, o semplicemente per il gusto sadico di vedere quali emozioni avrebbero attraversato il suo volto? In quel caso ne sarebbe rimasto deluso, vedendo semplicemente una gelida determinazione. Ma i suoi occhi rimasero immutati, di quell’ azzurro gelido.
“Devi semplicemente bere.” E così fece; il liquido scuro si insinuò nella sua bocca, sapeva di ferro e sale e bruciava, bruciava dentro di lui mentre colava nella sua gola e dentro il suo corpo, passò  qualche istante di semplice fastidio, in cui si permise di osservare Raphael armeggiare con qualcosa che non riusciva a vedere, poi all’ improvviso, mentre il suo sangue umano iniziava a scorrere lungo il sottile tubo infilato nella piega del gomito avvertì quel bruciore prendere lo spazio del sangue che era colato via dal suo corpo. Lo sentiva ovunque, prepotente e letale come le fiamme che si cibavano di legna e paglia, e così avvertì la sua pelle, semplice combustibile per un dolore troppo intenso da sopportare.
 

Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto, con il corpo indolenzito e la gola quasi completamente chiusa, gli occhi bruciavano, faticando a mettere a fuoco ciò che c’era davanti a loro.
Gemette quando tentò di sollevarsi sui gomiti, ma una mano premette sul suo petto, schiacciandolo contro il duro letto di pietra. Riprese fiato, tutto gli costava una fatica tremenda, anche battere la palpebre, anche respirare. Ricordava tutto quel dolore e le mani che lo tenevano fermo mentre si contorceva in preda a un fuoco che sembrava divorarlo dall’ interno, per un momento si chiese come facesse a essere ancora vivo.
“Resta giù.” Fece uno sforzo immane per voltare la testa, mentre sporadiche fitte gli infiammavano i muscoli, le ossa. Se ne accorse solo in quel momento; ormai era nauseato dal suo volto, la sua espressione che ostentava sicurezza e controllo doveva essere solo una maschera, che altro altrimenti? Quale uomo ha il coraggio di cambiare la natura umana altrui senza avere intenzione di cambiare la propria, da lui stesso considerata debole e immonda? Si accorse di odiarlo, nonostante per lui non avesse provato altro sentimento positivo se non la gratitudine. “Ora devi riposare, tra poco starai meglio.” Il suo volto era pieno di aspettativa, e in quel momento desiderò potergli sputare, umiliarlo, ucciderlo. Quei sentimenti così potenti, si chiese per un momento, se appartenessero davvero a lui o se quel sangue l’ avesse contaminato in qualche modo. Si, di certo era cambiato, ma quello che provava non era differente, era semplicemente amplificato in maniera sublime. Eppure si costrinse a stirare le labbra in un lieve e falso sorriso mentre il dolore scemava, mai abbastanza velocemente, ma andava bene così, si disse, avrebbe potuto aspettare ancora un po’ prima di accontentare Jack. Quando finalmente il dolore abbandonò la sua gola fece lo sforzo di parlare, attirando lo sguardo di Raphael, altrimenti assorto nel tomo che stava leggendo tranquillamente accanto a lui.
“Grazie Raphael.” La sua voce era roca e quelle parole gli avevano graffiato la gola, ma nonostante tutto, gli fu davvero riconoscente. Lui fraintese, come era normale che facesse sentendo quelle parole, e sorrise.
“La guerra non sta andando bene, abbiamo bisogno di te per portarla a termine.”

Si, distruggerò tutto, ma tu sarai l’ ultimo, perché mi fai schifo più di ogni altra persona che cammina su questa terra.
 
Il fuoco era tutto intorno a lui e riportava alla mente ricordi, non dolorosi, erano semplicemente dei ricordi; ma di quelli archiviati in un angolo ben protetto della sua mente, e stavano lì, come un monito a ricordargli il compito che si era prefissato.
Avanzò tra le macerie, capendo per la prima volta come si sentisse essere dall’ altra parte, camminare in mezzo a fiamme e macerie piuttosto che venirne schiacciato.
Era un accampamento non troppo dissimile da quello in cui aveva vissuto. Era simile nella tonalità e nel calore delle fiamme che lo divoravano, nei corpi agili dei Gears che scovavano e uccidevano i superstiti.
Lui andò oltre, raggiunse quella zona che le fiamme non avevano ancora raggiunto e individuò subito il rifugio del comandante; l’ aveva cercato apposta e aveva voluto che fosse lui la prima vera vittima di Jack, voleva versare il sangue di quell’ uomo patetico e fargli provare il terrore che aveva provato lui, si sarebbe vendicato della sua codardia.
Entrò in silenzio, rimanendo qualche secondo a osservare l’ uomo tentare di raggruppare ciò che rimaneva della sua inutile vita.
“Quindi scappi di nuovo?”  L’ uomo sobbalzò lasciando cadere a terra le poche armi e documenti che aveva raccolto.
“Chi sei tu?” Nel momento stesso in cui lo chiese vide nei suoi lineamenti le ombre del viso del ragazzino che era stato, che correva per l’ accampamento rubando scorte di cibo; era cambiato; il volto più tirato e pallido, gli occhi risplendevano come macchie di sangue sulla neve, e ormai alto quanto lui lo guardava dritto negli occhi, sorridendo appena. E anche senza bisogno di sentirlo dalle sue labbra ebbe la certezza che quella persona dagli occhi ardenti e vestita di nero sarebbe stata la sua morte.
“Io lo so; so quale schifezza siete voi e non mi farò uccidere né da te né da nessun’ altro della tua schifosa razza.”
“Tu non sai niente, e non puoi dire niente. Hai già abbandonato una volta la tua gente tra le fiamme, li hai traditi.” La sua voce era ancora controllata, gelida in quell’ inferno di ricordi e fiamme.
“Voi siete la causa di tutto ciò!”
“E tu saresti dovuto bruciare con loro, bruciare come il resto della gente, come lei…” La sua voce si riempì di rabbia quando i ricordi si fecero più intensi, più rossi si sangue e fiamme. Fece per scattare in avanti quando il comandante estrasse dalla cintura un misero coltello e se lo portò alla gola.
“Piuttosto.” E con un lieve sorriso di vittoria si recise la tenera carne aprendola in una fontana scarlatta.
Quando il corpo cadde a terra privo di vita, Jack stava tremando, pieno di una rabbia distruttiva e di ribrezzo verso il misero essere che giaceva nel suo stesso sangue.
Le sue gambe si mossero da sole; si avvicinò al cadavere e, dopo aver raccolto il coltello da terra si sedette a cavalcioni sul corpo , come aveva fatto quella notte lontana, in cui aveva versato il primo sangue. Mentre il suo corpo era scosso da brividi causati da un desiderio che si faceva sempre più pressante e che sembrava volerlo divorare, premette la lama sull’ occhio rimasto spalancato a fissare il vuoto, mentre l’ altra mano si tingeva nel calore della sua gola. Quando la lama affondò del tutto Jack riconobbe quella sensazione così familiare di odio, di insoddisfazione, amplificato in maniera incredibile nel suo nuovo corpo.
Estrasse la lama e la infilò sotto lo sterno, aprendo un ampio squarcio da cui il sangue cominciò a colare pigro. Con il petto pieno di emozioni troppo forti da contenere infilò le mani nel taglio, raggiungendo con facilità il cuore, caldo, ma fermo. Allora fremette, pieno di rabbia e delusione; non era abbastanza.
Si alzò, barcollando, stordito dalla forza con cui l’ odio, la rabbia e il desiderio di versare nuovo sangue sembravano volerlo divorare.
Si passò le mani sul volto; incurante delle macchie rosse che lasciava sulla pelle pallida, mentre la sua mente smaltiva tutte quelle sensazioni iniziò a comprendere la differenza tra un umano e un Gears; non erano semplicemente due razze che non potevano coesistere, le loro stesse esistenze si basavano su principi differenti. Ma in fondo Raphael aveva ragione riguardo agli umani; erano esseri codardi e insignificanti, e nonostante lui fosse stato un umano in passato sapeva di essere cambiato radicalmente. Quindi, si chiese, che cos’ era Rapahel? Così legato alla sua natura umana che non sarebbe dovuto essere tanto differente dai corpi che bruciavano in quell’ accampamento.
E in quel momento, mentre gli umani urlavano e le fiamme divoravano qualsiasi cosa capì quale sarebbe stato il passo successivo e così anche la conclusione di quella faccenda.
Si voltò, e camminando in mezzo alle fiamme che a malapena lambivano il suo corpo si diresse da solo verso il rifugio dell’ Artefice.

 

 

 

 

Ho fatto aspettare un mucchio, lo so e mi dispiace, ma fra tutte le cose che dovevo fare questa è finita in fondo alla lista perché facile. Quindi… siamo quasi alla fine e continuano a venire fuori dubbi e le cose continuano ad andare storte… povero Jack, che non riesce ad ammazzare le persone e la sua testa che si incasina sempre di più. ^^"

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3. Il Nulla ***


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CAPITOLO 3 IL NULLA

For saving me from all they’ve taken
Let my honor fall again,
Giving me the strength to face them,
Feeling it taking over now.
I’m about to take it all away,
There could be no better way of knowing

 
“Già di ritorno?” Non ricevendo risposta si voltò e fu sorpreso di vedere solo una figura scheletrica di un ragazzo pallido coperto di sangue, il volto quasi inespressivo. “Dove sono gli altri, T?” A quelle parole il ragazzo sembrò riscuotersi lievemente e alzando appena lo sguardo puntò i suoi occhi rossi in quelli dell’ umano.
“T? Sarà il mio nuovo nome? Mi aspettavo di meglio.” Rispose con voce piatta, Raphael si sentì a disagio; non riusciva a scorgere niente in quegli occhi del colore del sangue, se non un’ incredibile freddezza e determinazione. “Gli altri si stanno ancora divertendo.” Rispose laconico fermandosi.
“Comunque, stavo pensando di chiamarti Testament, solo a sentirti nominare la gente tremerà.” Un lieve sorriso nacque sulle labbra del ragazzo che si rifletté sul volto di Raphael, mentre l’ inquietudine iniziava ad avvolgergli lo stomaco.
“Io stavo pensando a qualcos’ altro, che ne dici di Jack?”
“Credevo di aver…”
“Credevi male, Jack c’è sempre stato, non esisteva nessun altro, era il vero me stesso.”
“Ti distruggerà, anzi, lo sta già facendo.” Il suo sguardo corse rapido alle sue occhiaie profonde, accentuate dal rosso dei suoi occhi e al pallore della pelle, poi più giù, sulle costole che sembravano pronte a tagliare la pelle e a spuntare fuori.
“Lo so, ed è per questo che per liberarmene devo dargli ciò che vuole.”
“E cosa desidera?”
“Sangue caldo sulla pelle e un cuore che batte tra le mani.”
“Non ne ha già avuto in abbondanza?”
“Vuole il tuo.” Riprese ad avanzare, avvicinandosi a Raphael, in quel momento pensò che la sua vita valeva molto di più di quella di un comandante codardo.
“Non puoi farlo, io sono il creatore di voi esseri superiori, creature perfette, e solo io posso guidarvi.”
“Già, per guidare un esercito di Gears ci vuole qualcosa di differente, qualcosa che si distingua; cosa meglio della mente marcia di un umano può farlo?”
“Uccidendomi, manderai tutto all’ aria.”
“Non mi importa più. Non mi importa di tutti i tuoi progetti falliti, non mi importa se anche io sono un esperimento venuto male.” Si osservò le mani chiedendosi per la prima volta se la sua stessa esistenza fosse uno scherzo.
“Ci sono cose che ancora non sai, cose sul tuo nuovo corpo…”
“Cosa ancora non so?” Strinse con forza le mani e le unghie incisero la tenera pelle delle mani; quando le riaprì, i palmi delle mani erano macchiati di rosso. “Non era così che faceva Ian?” dette quelle parole il sangue sulle sue mani sembrò agitarsi lievemente, poi con più decisione, come animato di vita propria; unì le sue mani, creando una lunga asta alla cui estremità si formò una lama piatta e ricurva del colore del sangue stesso. “È per questo che esisto, no? Per sterminare esseri umani.”
Entrambi osservarono la falce, entrambi sorpresi, poi Jack sorrise, soddisfatto e impaziente mentre Raphael pensava che quel ragazzo era stato l’ errore più grande della sua vita.

Colui che fa una bestia di se stesso si sottrae al dolore dell’ essere umano*
 
Il silenzio era assoluto; solo il vento osava romperlo, accarezzando l’ erba secca, creando onde ipnotiche sulla sua superficie,
il cielo su cui si stagliavano i profili aguzzi delle montagne era grigio e apatico.
Le sue gambe lo avevano portato fino a lì, la sua mente si era persa in una sorta di oblio, in cui né realtà né passato poteva penetrare. Ma era stanco, non si aspettava che il nuovo corpo che aveva cominciato a conoscere si potesse stancare così presto. Non ricordava da quanto stesse camminando, da tanto, di certo; il viaggio era stato lungo, lungo e insensato.
Non aveva più nulla; non aveva più Jack, che soddisfatto del cuore e del sangue dell’ Artefice si era ritirato, forse per sempre, non aveva più nessuno contro cui rivolgere il suo odio, non esisteva più neanche la guerra nel posto in cui era arrivato, ma aveva lasciato i suoi segni sulla casa abbandonata che era stata il suo, il loro rifugio, non aveva più un tetto, la staccionata era a pezzi e  viale che la costeggiava era invaso dall’ erbaccia. Non aveva più nulla, e per un istante credette di non avere più neanche un corpo quando, avvicinandosi, un piccolo stormo di corvi lo ignorò, restando in un inconsueto silenzio. Crollò in ginocchio sentendo la stanchezza invadere il suo corpo, tremava e aveva freddo, un freddo che era certo di non aver mai provato, circondato dalle fiamme come era stato per la maggior parte della sua vita.
I corvi gracchiarono prima di sollevarsi in volo e macchiare di nero il cielo, per un momento desiderò essere come loro, liberi e orgogliosi di non avere un vero rifugio, se non il cielo.
Ora quello di cui aveva bisogno era una ragione, qualcosa che lo spingesse a portare avanti quell’ esistenza che sembrava uno scherzo, di cattivo gusto, per di più. Un motivo per rialzarsi e tornare a vivere.
Osservò ancora una volta la sua vecchia casa, il suo rifugio. Senza riuscire a riconoscere niente in quella forma squadrata, neanche i ricordi tornavano, aveva perso tutto, il suo desiderio di sangue l’ aveva consumato e Jack si era portato via tutto quello che era rimasto; la sua umanità e la sua anima, lasciando indietro un buco, un dolore al centro del petto, straziante.

Alzò gli occhi al cielo, maledicendo ogni dio che avesse mai sentito nominare, prima di cadere e lasciarsi avvolgere da migliaia di piume color pece.

 

 

 

 

 

 

*he who makes a beast of himself removes himself from the pain of being human
–Dr. Samuel Johnson

 
Eh già, era l‘ ultimo capitolo, ed è cortissimo... mi dispiace così tanto non essere in grado di fare una suddivisione più intelligente, ma no, non ho ammazzato il protagonista! Mi credete tanto stronza? Comunque non avrebbe avuto senso visto che lo vediamo più avanti, ma parliamo di quest’ ultimo capitolo. Ho deciso di non scrivere la parte in cui lui uccide l’ Artefice, certo, mi sarei divertita un mondo, ma credo che così renda meglio. O almeno, questo è quello che penso io avendo provato a creare una certa atmosfera con stentate frasi ad effetto, ditemi voi se la mia scelta è giusta. Ma almeno spero che quella piccola conversazione pre-morte abbia risposto ad alcune domane (pensavo anche di inserire un qualche riferimento a Dizzy, ma credo che il nostro caro ragazzo dovrà faticare ancora un po’ prima di trovarla). E credo che anche la frasetta del dottor Johnson abbia chiarito un po’…
E la parte finale, cavolo! Non ho mai scritto tanta introspezione in una volta sola, ma sono (quasi) certa di aver trovato il modo per far finire la storia in modo che non discordasse con l’ altra; nella quale non vediamo Jack, ma solo lo stesso Testament che c’è qui nell’ ultimo paragrafo. Ora posso dire di essermi davvero affezionata a questo personaggio, un po' come per Zephit, i miei figlioletti preferiti *-*
Beh, ora posso dire di non aver mai scritto un finale tanto chiaro xD
Quindi ora sono curiosa, vorrei sapere cosa pensate di questo personaggio problematico (incredibilmente NON problematico qui sulla ‘carta’) e… beh, della storia in generale. :)
Grazie a tutti per essere arrivati in fondo! :D
A presto!

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