Love me again

di _Breath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Carissima Jude, non odiarmi. 
Non odiarmi per averti lasciata sola, perché se leggerai questa lettera a nulla potranno più valere le mie preghiere, i miei voti di riconoscenza al Signore e la mia redenzione.
In quel caso, solo in quel caso, Lui avrà già scelto per me e noi, tesoro mio, dobbiamo solo accettarlo.
Quindi non odiarmi, mia amata, perché è così che la vita doveva andare. 
Questo era il mio destino. E anche il nostro.
Ti ho amata, solo Dio sa quanto ti ho amata! 
Tu non lo sai, Jude, ma tante volte mi svegliavo nel cuore della notte solo per guardarti. E per amarti, ma con lo sguardo.
Il mio non era un amore fisico, puramente passionale come quello di molti uomini verso la propria donna. Il mio non era neppure un amore unicamente sentimentale, emotivo.
Il nostro, mia amata, era il vero amore: un amore passionale e carnale, stupefacente per quanto intenso. 
Il nostro era un amore vivo, come il fuoco più ardente presente sulla terra.
Il nostro era un amore fatto di sguardi, risate, liti e poi nuovi sguardi fugaci. Abbiamo fatto tante volte l'amore, solo guardandoci. 
Amavo la consistenza della tua mano tra la mia, le tue dita piccole ed affusolate che giocavano con il mio palmo aperto e ruvido. Amavo il tuo sorriso come si pià amare solo una volta nella vita, e tu per me sei stata quell'unica esperienza. 
Non mi pento di nulla, amore mio.
Non mi pento di nessun istante passato con te, sul divano a guardare vecchi film strappalacrime per farti felice, perché ogni qual volte che ti guardavo sorridente e spensierata io ero contento di riflesso. Io ero il tuo riflesso come tu sei stato il mio.
E ti ho amato.
E ti amo anche adesso.
E ti amerò tra cinquant'anni, quando tu sarai ormai vecchia e io sarò morto già da cinque decenni, ormai. 
Ma io ti amerò, che tu possa avere vent'anni come oggi o cinquantacinque come un prossimo avvenire.
O settanta.
O cento.
O mille.
Io ti amerò sempre, Jude, perché per me resterai sempre la stessa bellissima donna che si è appoggiata al mio petto e mi ha sorriso riconoscente.
Perché per me resterai sempre quella donna che mi ha rubato il cuore e poi me lo ha ridato, più bello e luminoso di prima.
Perché la mia tomba sarà il nostro giaciglio, quando passarai di lì e guardando la mia foto muta faremo di nuovo l'amore insieme. Un amore lirico che solo noi capiremo, perché unicamente nostro.
E ti amerò anche quando avrai figli da un altro.
Quando insieme terminerete la vostra vita e verrete da me, sorridenti e abbracciati. 
Io non sarò geloso, perché ti ho amato e ti amerò, e ti lascerò andare. 
Perché ti amo anche oggi. E ti chiedo solo una cosa cosa, amore mio, non privarmi dei ricordi che ho di te, che saranno tesoro di ogni mio ultimo respiro. Non privarmi del ricordo della tua pelle sopra la mia, delle tue labbra contro le mie. Sii il mio più grande sogno, forse l'ultimo.
Carissima Jude, non odiarmi per questo.
Thomas. 





Judith Roberts strinse la sua maglietta preferita forte al petto, aspirando l'odore di vecchio bagnoschiuma che non era in grado neppure di identificare.
Sorrise, le labbra incurvate in un sorriso malinconico ma vero.
Era ancora in grado di sorridere, Judith. 
Nessuno le avrebbe mai tolto il sorriso, se lo era sempre ripetuto, e neppure la morte di Thomas era riusciuta a distruggerla totalmente.
L'aveva scalfita, l'aveva cambiata, ma l'aveva superata.
Erano passati ormai quattro anni e Judith era riuscita a capire come fare per convivere con quella terribile perdita che, nei primi mesi, l'aveva toltamente sconvolta.
Per un primo periodo- se ne ricordò con una strana espressione facciale, quasi si vergognasse della sua iniziale debolezza- era diventata lo spettro di se stessa. Era stata realmente male e, alcune volte, stesa nel suo letto, quel letto che aveva imparto a considerare loro, aveva pianto fino ad addormentarsi. E aveva agognato una sua carezza, reale o astratta. Ma Judith non lo aveva mai sognato, nonostante lui la amasse e lei amasse lui, nonostante il loro fosse stato un amore epico e irripetibile. 
Jude alcune volte si chideva perché mai lui non volesse abbracciarla neppure a distanza di tutti quei mesi, quegli anni, nemmeno in forma onirica e utopica. Eppure così era stato: Thomas era scomparso dalla sua vita così come era venuto, in una fredda giornata di Febbraio.
Era venerdì, perché è di venerdì che il mondo smette di girare.
Era di giovedì, quello successivo, quando lei si alzò per la prima volta dal suo letto per andare a vomitare via il suo dolore.
E non aveva vomitato via solo quello, ricordò.
Ormai erano passati tre anni, quattro il prossimo mese, e lei aveva superato quel dolore lacinante, capace di mozzarle il fiato per quelle che le sembravano ore. 
Lo amava ancora, lo avrebbe sempre amato, ma adesso stava bene.
Era tornata a sorridere, ad uscire con le sue amiche, a rifarsi una vita. 
Sua madre era molto orgogliosa di lei, le diceva sempre che era il suo orgoglio e, nonostante tutto, anche Jude era felice di se stessa, perché era contenta di essere riuscita a voltare pagina, seppur le piacesse, delle volte, tornare a sfogliare quelle ingiallite del capitolo precedente.
Era tornata a vedersi con un ragazzo, un giovane piacente di buona famiglia, con la passione per la poesia gli occhiali costantemente posati sul naso.
Era un ragazzo attraente, con gli occhi verdi e le fossette sulle guance, gli immancabili capelli ricci indomabili. Il suo nome era Matthew, ma gli piaceva essere chiamato Matty, perché lo faceva sentire ancora piccolo. Matthew aveva la sindrome di Peter Pan nonostante avesse quasi trent'anni e una carriera alle spalle, ma a Jude non dispiaceva; delle volte le piaceva sapere che c'era qualcuno pronto a intrattenerla, con le sue battute idiote e i suoi sorrisi sghembi. 
E Matty non si era mai tirato indietro, neppure quando le aveva confessato di amarla e lei si era messa a piangere, per poi scappare dalla stanza senza neppure rivestirsi. L'aveva ritrovata nascosta dietro le scale, con le gambe strette al petto, mentre ancora piangeva, con le mani sul volto, e lui l'aveva perdonata, e l'aveva baciata.
"Io non ti amo, Matty, e mai ti potrò amare. Io sono di Thomas, come lui era mio."
E lui lo aveva accettato; l'aveva stretta a se, le aveva baciato il capo profumato e poi l'aveva riportata nella sua stanza, camminando piano senza fare rumore. Senza pretese, quando poi l'aveva riposata tra i cuscini morbidi del suo letto. 
Avevano dormito insieme, quella sera, e Jude si sentì sporca il mattino seguente perché aveva sperato, nonostante fosse tra le braccia di un altro, di sognare Thomas che le rimboccava le coperte.
Avrebbe voluto sognare Thomas anche mentre la prendeva a calci, mentre le dava della sgualdrina per averlo così presto dimenticato, ma questo non accadde.
E non accadde neppure le decine di volte successive. 
E Jude non pianse più quando lui, dopo una notte insieme, le ripeté che l'amava. E non pianse neppure quando lui le chiese se mai avrebbe potuto sperare in un affetto particolarmente intenso da parte sua; semplicemente lo guardò, gli sorrise e poi, con un bacio sulle labbra, fece spallucce sparendo dalla stanza, con il lenzuolo bianco ancora avvolto sul corpo magro.
Perché per Judith quella ormai era una routine, come quando uno si alza al mattino dal letto per andare in bagno e prepararsi in vista della giornata lavorativa.
Non c'erano sentimenti particolarmente impegnativi nelle giornate della ragazza e forse lei nemmeno li voleva; stava bene così, con la sua tazza di caffé costantemente fra le mani e, nelle giornate più angoscianti, anche una sigarezza fra le labbra.
Perché aveva capito una cosa, Judith, nei ventitré anni passati a rincorrere una stella troppo lontana e troppo astratta: mai aspettarsi nulla dalla vita.
Perché la vita delude e ci ferisce, come se fosse un coltello tagliente e noi creta nelle sue mani.
Ci uccide, la vita. 
E poi, bastarda, neppure ci guarisce. 




Ian Keating finse di ascoltare sua madre mentre tesseva le lodi di suo figlio maggiore, mentre implicitamente offendeva lui descrivendolo come la pecora nera della famiglia. 
Probabilmente il ragazzo si sarebbe dovuto sentire offeso dalle accuse della madre, ma non lo scalfirono molto. In verità, adesso, la sua attenzione era tutta rivolta verso la ragazza formosa del meteo. 
Sorrise tra se e se, chiedendosi se quelle curve fossere state donate da Madre Natura o da Padre Chirurgo; in entrambi i casi a lui poco importava: era più interessato a ciò che potevano dargli, rispetto a chi gliele aveva date.
Per lui potevano anche essere frutto di un patto con il diavolo e non gli avrebbe cambiato la vita anzi, probabilmente in quel caso avrebbe voluto stringere la mano al diavolo in persona per complimentarsi di quel bel acquisto. E per ringraziarlo del ben di Dio che aveva messo al mondo, perché no?
Nonostante tutto, sua madre continuava a ciarlare.
Era instancabile.
"E tua fratello mia ha detto: che buono questo dolce, mamma! Sei veramente una cuoca provetto, dovresti aprire una pasticceria tutta tua. Diventeresti famosissima."
Ian cambiò canale, leggermente dispiaciuto quando la linea del tg passò nuovamente a quel vecchio bavoso del conduttore. Addio belle tette!
"Sì mamma, Matt è veramente un figlio gentile. E un ingegnere grandioso. E un nipote eccezionale. E un uomo oltromodo eccitante. Hai ragione, mamma: se fossi gay probabilmente me lo sognerei la notte. Che dico, farei sogni indecenti su di lui e verrei nei miei stessi pantaloni solo incontrando il suo sguardo. Ti immagini quanto sarebbe eccitante sedersi sullo stesso water che ha usato anche lui per defecare? Mmm... un sogno, mammina. Peccato solo che sono etero... e che ho un briciolo di cervello. E di amor proprio." le fece il verso lui, un sorriso sghembo tra le labbra che andava contaggiando anche gli occhi azzurri. 
Carmen Keating diede una scalpellotto in testa al figlio più piccolo, trattendo anche lei a stento una risata, continuando però a mostrarsi seria e decisa circa le sue posizioni. Poi si strinse le mani al petto.
"Sei assurdo, Ian! Non capisco perché ti ostini tanto a prendere in giro tuo fratello. Matthew è un ragazzo così buono ed elegante... ed è anche incredibilmente bello, non trovi?"
Ian storse la bocca bevendo un sorso della sua birra ormai calda. "Quale frase del sono etero  non ti è chiara, mamma?"
"Ammettere che tuo fratello è un bel uomo non farà di te un omosessuale, figlio mio."
"Oh, lo so mammina, ma mi renderebbe molto più simile a lui di quanto io già sia. Ci tengo alla mia dignità e credo che basti un solo uomo nella famiglia Keating che il sabato sera, invece di vedersi le partite di football in tv,  preferisce guardare una sfilata di moda.  E nemmeno da donna, per potersi così rifare gli occhi, ma da uomo. In mutande. Non vorrei sconvolgerti, mamma, ma dalle mie parti questo è alcquanto ambiguo."
Carmen gonfiò le guance e arrossì vistosamente, offesa. "Tuo fratello non è gay, Ian! Lavora tutta la settimana e nel weekend ama riposarsi seduto sul suo divano, quel divano che si è comprato con i suoi sudatissimi risparmi. E se vuole starci sopra in biancheria intima, bhé sono problemi suoi. Non miei, non tuoi, ma suoi. E poi lui  è fidanzato con una bellissima ragazza della tua età!"
"Oh, davvero mamma? E ha il pene questa ragazza?"
Guardando l'espressione disgustata della mamma, lui non poté non ridere: si alzò dal divano, si avvicinò alla sua genitrice e le diede un bacio sulla guancia, veloce e dolce, come se fosse un bambino. Poi la strinse fra le braccia, cullandola ritmicamente.
"Scherzavo, mammina, lo so che Matty è un uomo possente e valoroso. Quando avevo quindici anni lo beccai sul letto tuo e di papà intento a darcela dentro con una bella biondona."
"COSA HAI DETTO!?"
Ian rise ancora, sempre più divertito. "Tranquilla mamma, scherzavo ancora. Sul vostro letto, non sulla bella biondona, lei esiste veramente. Chiedi a Matt, se non mi credi: per come ha urlato più volte il suo nome credo proprio che non se ne sia dimenticato. Una certa Kristen, se ben ricordo."
Carmen non abbandonò neppure per un istante la sua espressione sconfitta e disgustata ricambiando, però, seppur debolmente, l'abbraccio del suo secondogenito.
Ian posò il mento sulla testa della donna, ispirando il suo profumo di buono, torta e fettuccine. 
Una donna casareccia, corpulenta, di casa, ma piena d'amore.
Sorrise con ancora un'immagine ben impressa nella mente.
"E così il nostro Matty è bello che fidanzato, eh?"
Carmen staccò il volto dal petto del suo bambino, un sorriso gongolante e soddisfatto.
"Oh sì, con una bellissima ragazza. Mi ha promesso che ce la farà conoscere, prima o poi. Sembra davvero innamorato, il mio bambino."
Ian avrebbe voluto dirle che era lei ad essere irrimediabilmente innamorata del suo bambino, tanto da eloggiare ogni sua singola azione. Probabilmente se Matthew avesse incendiato la loro stessa casa con ancora loro dentro, lei ne sarebbe andata fiera ugualmente.
"Ci ha ucciso il nostro Mattino, Ian. E' un buon modo di morire, non credi?" gli avrebbe sicuramente detto.
Sbuffò affranto, forse un po' geloso da quel bene spropositato che sua madre nutriva per quel deficiente. Era sempre stato così: lui era il bambino più allegro e spensierato e Matthew quello che, diversamente, sembrava vivere di complessi interiori, problemi fisici e mille e più seghe mentali. 
Matthew era andato da diversi psicologi, perché era un isterico che tendeva a sfogare la sua rabbia su chi stava intorno, quando le cose non andavano come lui invece desiderava. 
Matthew era miope, condannato a portare gli occhiali ogni attimo della sua misera esistenza, con mille e altri problemi fisici, uno sfigato che viveva per i libri e la filosofia. 
Ian invece era allegro, forse un po' sopra le righe, ma nient'altro. 
Era stato sospeso due volte al liceo, bocciato una volta in terza superiore, ed era stato arrestato per guida in stato di ebbrezza quando aveva diciotto anni, ma apparte quello era un bravo ragazzo.
Forse troppo vivace, ma almeno la sua vita non ruotava intorno a Shopenhauer e quel suo pallossissimo pendolo fra le vita e la morte.
Il libro preferito di Matthew era la Divina Commedia in lingua originale; Ian non sapeva neppure che lingua fosse quella usata da Dante Alighieri, se veramente fosse esistito o fosse solo frutto dell'immaginazione di qualche malato di mente.
Il libro preferito di Ian era invece la saga di Harry Potter: semplice, comprensibile e significativa. 
Matt odiava Harry Potter, perché lo riteneva immaturo e insignificante; Ian lo aveva preso molte volte a calci, specialmente quando suo fratello maggiore, da bambino, si divertiva a strappare le pagine del suo libro preferito solo per farlo piangere.
Ironia della sorte, alla fine, a piangere era lui con un bel ematoma sulla fronte. 
Sorrise al ricordo, ancora leggermente orgoglioso di come, anche solo a otto anni, era solito gonfiare di botte un bambino più grande di lui. Almeno uno in famiglia aveva da sempre dimostrato di avere le palle, pensò divertito!
Con uno sguardo biricchino diede un altro, ultimo bacio sulla testa di Carmen, poi sciolse l'abbraccio e posò le sue mani sui suoi fianchi stretti, di cui andava molto fiero.
"Sono sicuro che rimarremo molto sorpresi da questa ragazza, mammina."
Carmen lo incenerì con lo sguardo, furiosa. "E' inutile che fai tanto il malizioso, Ian: tuo fratello non ci farà strane sorprese perché porterà a casa una bella ragazza. Ragazza, ti dico."
"Tranquilla mamma, io non ho detto niente. Sei tu che adesso stai mettendo in seria discussione l'orientamento sessuale del figliol prodigo."
Carmen guardò attentamente il suo secondogenito negli occhi, scorgendo nei suoi occhi azzurro intenso, azzurro cielo, limpidi come il ghiaccio, una promessa incerta. Sapeva dello strano rapporto conflittuale dei suoi due figli e ne soffriva, esattamente come ogni mamma. 
Avrebbe tanto voluto che i suoi due bambini andassero d'accordo, che avessero un rapporto intenso e duraturo, amichevole oltre che fraterno, ma così non era mai stato.
Ian soffriva di quella concorrenza che Matthew aveva da sempre alimentato, fin da quando era venuto al mondo e Matt aveva solo quattro anni. 
La prima volta che li aveva visti litigare Ian aveva solo un anno e mezzo e aveva risposto con uno sputo ad un calcio del maggiore; Matt gli aveva tirato uno schiaffo e Ian, piangendo, gli aveva sputato ancora sul volto. Qualche ora dopo, orgogliosamente offeso, gli aveva anche vomitato sulla sua maglietta preferita, apparentemente senza motivo. 
Eppure un motivo c'era eccome, ma tutti facevano finta di non notarlo. 
Anche Ian, alcune volte, tentava di ignorarlo, come si cerca di ignorare la puntura di una zanzara particolarmente bastarda.
E Matthew era la sua zanzara, la sua puntura e lo stesso prurito.
Non era un fratello, era la sua croce. 
Eppure, nonostante non lo avesse mai ammesso, alla fine era sempre lui ad averla vinta. In un modo o nell'altro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***



Capitolo 2.





Judith aprì gli occhi per la prima volta quella mattina e la prima cosa che vide fu una testa scura, fulva e crespa a poche spanne dal suo viso. Aveva caldo e una mano era posata mollemente sul seno, pensandole sul petto.
Nonostante si frequentasse con Matthew da ormai quasi un anno, non riuscì a sorridere davanti quel gesto intimo e delicato, ma diversamente trattenne a stento un'espressione disgustata e alquanto infastidita. Poi si alzò a sedere, stando attenta a non svegliarlo, più per avere il tempo di accumulare l'energia necessaria per affrontare quella giornata che reale interesse. Si guardò intorno, cercando di metabolizzare il tutto.
Si trovava a casa del suo ragazzo, seduta ancora suo letto largo e accogliente, che era stato spettatore attivo molte volte della loro passione. La mano di Matty adesso sfiorava a stento un suo fianco caldo, facendola rabbrividire per il contrasto netto fra le due pelli:lui era caldo, bollente come il fuoco, mentre lei era gelida, fredda fuori e dentro. Inoltre la televisione era ancora sintonizzata, a basso volume, quasi inesistente, su un canale poco conosciuto che però la sera prima stava trasmettendo un film abbastanza interessante. Si erano addormentati entrambi a metà trasmissione, per poi svegliarsi a notte fonda eccitati e vogliosi.
E avevano fatto sesso.
E si erano addormentati, ancora successivamente, chi contento e innamorato, chi serena e soddisfatta.
Infine, lo notò solo ora, il cagnolino di Matty, un bellissimo cucciolo di Labrador, la guardava con i suoi occhi intensi e dolci, color del caramello fuso. Jude lo guardò a lungo, poi gli sorrise; il cane, forse contento, iniziò a ruotare su se stesso.
Con riluttanza, con ancora il desiderio di restare a poltrire su quel letto morbido ed accogliente, Jude si alzò definitivamente, facendo leva sui suoi polpacci sottili e delicati. I piedi caldi di sonno sfiorarono le mattonelle gelide, facendola rabbividire.
Matty al suo fianco iniziò a svegliarsi: aprì lentamente un occhio, poi si voltò su un fianco e respirò piano, in modo quasi impercettibile. Judith lo sentì sbadigliare, poi lo vide sorridere e infine Matthew si voltò, incatenando i suoi occhi ancora lucidi a quelli della ragazza. Sorrideva ancora e Jude, guardandolo, pensò che il suo compagno avesse veramente un bel sorriso. "Buongiorno", gli disse increspando le labbra anche lei in un sorriso, meno luminoso di quello di lui ma ugualmente dolce.
Matty allungò una mano per sfiorarle la gamba. "Buongiorno a te, amore mio."
Nonostante Jude non ricambiasse il sentimento lampante del ragazzo, si sentì compiaciuta e si avvicinò a sfiorargli le labbra con le sue.
Era sempre così: lui le diceva che la amava e lei faceva spallucce, lo baciava e se ne andava dalla stanza che, fino a qualche secondo prima, stavano allegramente condividendo. Come se fossero veramente innamorati entrambi, come se non ci fosse quel muro invisibile ma indistruttibile che, ormai, aveva preso il nome di Thomas Edward Lanter.
Jude sapeva che Matty ne soffriva, ma non poteva fare nulla per cambiare i suoi sentimenti.
Glielo aveva detto esplicitamente, lei, che se avesse potuto lo avrebbe amato senza riserve, che lei lo voleva realmente amare, ma non poteva. Non sapeva come fare.
Forse con il tempo... chissà.
Quella mattina, però, qualcosa andò diversamente perché Jude non abbandonò la stanza, ma diversamente si limitò ad allontanarsi dal ragazzo avvicinandosi alla televisione. Poi la spense.
"Abbiamo dormito tanto. E' tardi."
Matthew si alzò a sedere e percorse con lo sguardo il corpo nudo della sua fidanzata. Non era famelico, solo innamorato.
"Non ci sono problemi: è domenica. Non abbiamo nessun programma per oggi, eccetto quello di stare insieme e baciarci tutto il giorno."
Jude sorrise voltandosi a guardarlo; il suo sorriso era malizioso. "Proposta allettante, signor Keating, ma mi duole ricordarti che tu oggi hai da fare."
"Oh, davvero? Non ho impegni nella mia vita, al di fuori di quello di amarti con tutto me stesso."
Judith schioccò la lingua sul palato, infastidita. "Sarà anche vero, ma devi andare a pranzo dalla tua famiglia oggi. Lo hai promesso a tua madre, ricordi? Sono oltre due mesi che non la vedi e lei freme dalla voglia di baciare ancora il suo figlio preferito."
Matt fece roteare gli occhi per la stanza, sfiorando con lo sguardo ogni parete e tutti i sopramobili; poi lo riportò su di lei e arricciò il naso.
"Non voglio andare a pranzo dalla mamma!" si lamentò come un bambino. "Non voglio vedere quel rompicoglioni di Ian, mio fratello. Mi dà i suoi nervi anche solo sentire il suo dopobarba addosso ad uno sconosciuto per la strada; vorrei solo prenderlo a calci per ore ed ore... non lo sopporto!"
Jude sorrise intenerita da quel broncio infantile addosso ad un trentenne; lentamente si avvicinò al ragazzo e gli carezzò il volto. "Oh, andiamo, non può essere così terribile. Non siete più bambini, non potete continuarvi a fare la guerra in eterno!"
Matt la guardò scettico ma divertito. "Ah, tu credi? Stiamo parlando di Ian Keating, amor mio, un ventiquattenne indeciso e scalpestrato che continua, nonostante la sua età, a comportarsi come il diciotenne villano che è sempre stato. Non capisco perché papà non lo cacci di casa, dopo tutto quello che gli fa passare."
"Matty, io credo tu stia esagerando..."
Lui le sorrise dolcemente, ma ancora lievemente infastidito. "Tu non lo conosci, Jude, non puoi capire. Io e Ian ci siamo da sempre odiati! Lui è sempre stato geloso di me, in qualche modo, mentre io l'ho sempre trovato un maledetto rompicoglioni, fin da quando è venuto al mondo. Da bambini eravamo soliti sputare nei nostri bicchieri quando eravamo malati, nella speranza remota che uno dei due prendesse un raffreddore talmente forte da restare fuori gioco per almeno un mese o due. Una volte c'è anche riusciuto, quel bastardo, ma successivamente mi sono vendicato. Eccome se mi sono vendicato."
Jude si sedette al suo fianco, un sorriso curioso fra le labbra. "E che gli hai fatto?"
Matty sembrava orgoglioso di se stesso quando le rispose. "Ho reso pubblica la sua dislessia a scuola, durante la festa di fine anno. Sapevo quanto lui soffrisse per quello e volli umiliarlo come lui aveva fatto con me, quel bastardo."
Judith lo guardò sconvolta, sorpresa da tutta quella cattiveria che non credeva il suo Matty potesse avere. I suoi occhi erano spalancati, come se vedesse il mondo per la prima volta in tutta la sua vita.
"Questo è stato un colpo molto basso da parte tua, Matt! Hai umiliato il tuo fratellino davanti a moltissima gente, rendendo pubblico il suo più intimo segreto. E ne sei andato orgoglioso, per giunta. E ne vai ancora più orgoglioso oggi!"
Il ragazzo allungò un braccio per circondare le spalle della sua ragazza, un'espressione serena sul volto; la avvicinò al suo petto, abbracciandola completamente. "Fidati, amor mio, non è niente rispetto a quello che fece lui a me. Allora avevo diciassette anni e mi stavo frequentando con una delle più belle ragazze del nostro liceo. Ero popolare, lei era ancora più popolare di me: era il capo cheerleader! Ne andavo oltremodo orgoglioso e quando finalmente lei accettò di venire a letto con me- non che fosse una ragazza molto difficile, anzi!- Ian ebbe la brillante idea di mischiarmi la sua fastidiosa febbre. Stetti male per interi giorni e decisi di annullare il nostro appuntamento, ma quel bastardo di mio fratello la invitò ugualmente a casa nostra, quando i miei genitori non erano presenti. Lei venne e appena mi vide mi baciò calorosamente, perché mi voleva tantissimo e non voleva perdere tempo; Ian, d'altro canto, godette tantissimo quando, nel ben mezzo di un bacio appassionato con la ragazza dei miei sogni, io rimisi ogni liquido che avevo in corpo ai suoi piedi. E non solo lì, ma anche nei suoi capelli e tra i suoi vestiti. Avevo la febbre a trentanove! Quella lurida feccia era riuscito nel suo intento."
Jude rabbrividì disgustata, increspando le labbra in una smorfia. "E' disgustoso!"
"Lo so e lei mi odiò tantissimo. Da quel giorno lui mi chiamò "baby vomito" e tutti a scuola conoscevano quel episodio. Anche i professori e i bidelli avevano paura che io potessi rimettere da un momento all'altro, costringendoli a pulire ogni singola mattonella della scuola. Era mio dovere vendicarmi e rovinare, dunque, la fama di mio fratello."
Judith si staccò dalla spalla del ragazzo, portando nuovamente i piedi per terra. Lo guardò ancora, gli occhi ricolmi di attenzione e tristezza. "Ma come è iniziata questa disputa tra te e tuo fratello? Come mai vi odiate tanto?"
Matty sospirò pensieroso. "Sinceramente non lo so, non ho ricordi al riguardo. So solo che fin da quando eravamo bambini non ci siamo mai sopportati; alcune volte evitavamo di dire che fossimo fratelli, perché ognuno si vergognava dell'altro. E ancora oggi, delle volte, facciamo finta di non riconoscerci."
"Mi dispiace tanto,Matty..."
Lui le sorrise dolcemente, due fossette delicate sulle guance; non aveva ancora inforcato i suoi occhiali da vista, ma Jude seppe che lui la vedeva. E la amava. E avrebbe, probabilmente, anche voluto sposarla.
"Tranquilla, amor mio, è ormai diventata una routine per noi e probabilmente non riusciremmo neppure a vivere senza. L'odio, apparte il sangue comune, è l'unica cosa che tiene uniti noi due. Questo però non cambia il fatto che io detesti andarlo a trovare, perché non perde mai occasione per infastidirmi con la sua sola presenza. Odio anche il suo respiro, pensa un po'!"
"Purtroppo è tuo fratello, Matty, e quindi sarà per sempre legato a te. Hai promesso a tua madre di andarla a trovare e quindi devi mantenere la parola data. Che vuoi che sia, dopotutto? Sono solo un paio d'ore!"
Il ragazzo si massaggiò la fronte, gli occhi, le tempie, tenendo saldamente gli occhi chiusi; contemporaneamente sospirò pesantemente, muovendo da sotto il lenzuolo le gambe a ritmo. Sembrava quasi stesse seguendo la melodia di qualche musica, seppur la stanza fosse silenziosa e rotta solo dai loro sospiri: quello di Jude era lento e regolare, quello di Matt più affannato e nervoso, a tratti anche spezzato.
Quando le gambe di Matty si fermarono, la sua fronte si rilassò e ogni suo muscolo di distese sulle sue braccia, Jude seppe che aveva finalmente ritrovato la calma. E probabilmente aveva anche accettato la cosa, come solo un uomo maturo sa e può fare; improvviamente fu molto orgogliosa di lui.
"Sono sicura che sarai grande e riuscirai a resistere alla tentazione di stringere il collo di tuo fratello tanto forte da farlo starnazzare!" cercò di ironizzare, sfiorandogli la spalla con le dita. Lui la guardò, i suoi occhi verdi ridenti e allegri, spensierati. Poi le strinse la mani fra le sue, le baciò il palmo e poi il naso, la fronte e, infine, anche le labbra.
Le sorrise ancora, riconoscente.
"Certo, amor mio, ne sono sicuro anche io questa volta, ma non sono molto bravo a supervisionarmi. Ho bisogno del tuo aiuto... Verrai con me?"






Ian sedeva comodamente sul divano del suo salotto, proprio come ogni Domenica mattina dopo la colazione.
O meglio, dopo che sua madre lo aveva calorosamente buttato giù dal letto entrando, euforica e intraprendente, proprio come un tornado, nella sua bellissima camera buia. Che improvvisamente, come in un film della Disney dove la fatina di turno faceva le sue mirabolanti magie, trovava la luce.
Ian odiava la luce di prima mattina. La odiava terribilmente. E quella mattina, lo decise con tutto il cuore, odiava anche la sua maman.
"Allora Ian, ti vuoi alzare sì o no?"
La risposta tacita ma negativa del ragazzo provenì ovattata da sotto il cuscino che si era teneramente premuto sulla faccia. Eppure, cazzo, era udibile. Perché sua madre faceva finta di non sentirlo?
"Ce l'ho con te, Ian! Ti vuoi decidere a rispondermi? Per la miseria, non mi far arrabbiare già di prima mattina!"
Ian si tolse il cuscino bianco dal volto, tossì come se fosse un malato terminale e tenne gli occhi chiusi. Chiusi, perché la luce del giorno rischiava di rovinargli le retine.
"Hai detto bene, madre: 'prima mattina' e aggiungerei anche 'Domenica Mattina!' Che problemi hai, di grazia?"
Carmen Keating si avvicinò al suo figlio minore scoprendogli interamente il corpo coperto unicamente da un sottilissimo lenzuolo, bianco come la federa del cuscino. E lo trovò completamente nudo, eccezion fatta per quei ridicoli e consumati boxer neri che, ancora se lo chiedeva, probabilmente, erano stati il primo abbigliamento intimo del figlio alla tenera età di dodici anni. Meno male che c'era lei, pensò, che li lavava ogni maledetto giorno.
"Sono le undici di mattina, Ian. Abbiamo ospiti a pranzo oggi, quindi alzati immediatamente. Devi mettere in ordine questa stanza, e io devo rifarti il letto. Devo cambiarti le lenzuola, che dico! QUESTE PUZZANO!"
Il ragazzo si voltò dall'altro lato, come se dandole la schiena la voce di Carmen potesse, in minimo, ovattarsi. Ma così non fu.
"Non rompere mà! Non me ne passa per l'anticamera del cervello che Matt ci viene a fare visita. Resterò chiuso in questa stanza fin quando non sentirò la sua macchina svoltare la strada per tornarsene nel suo ridicolo appartamento, stasera. Non uscirò neppure per pisciare!" Carmen sbuffò pensantemente, poi con il medio della mano sinistra si sistemò sul naso gli occhiali dalla montatura viola che le scivolavano pericolosamente lungo il naso. Infine sbuffò ancora portandosi le mani sui fianchi, nella tipica posizione di madre stressata/prossima al delirio.
E Ian lo sapeva bene, ma in quel momento le dava le spalle quindi la ignorò bellamente.
Mai errore fu peggiore, per lui.
Non seppe neppure come, ma si ritrovò catapultato fuori dalla sua stessa stanza, seduto sul divano, con le gambe incrociate sotto il sedere e un'espressione basita sul volto.
E, per giunta, senza tazzina di caffè fra le mani.
Cosa gli poteva capitare di peggio, si chiese prendendosi la testra fra le mani?
Oh, sì, certo... non c'è limite al peggio: suo fratello stava per venire a casa!
La notte scorsa era uscito con i suoi amici ed era andato in discoteca, divertendosi, ballando e, ovviamente, rimorchiando alla grande. Era rincasato alle sei del mattino, per la miseria! SEI DEL MATTINO?
Che ore potevano essere adesso, per il cielo? Le undici e mezzo? Mezzoggiorno meno un quarto? E lui, cosa era di lui?
Un ragazzo di ventiquattro anni con un aspetto terribile, le occhiaie che gli arrivavano fin sotto i piedi, un vecchio e sgaulcito boxer ancora a coprirgli i genitali e una terribile voglia di un dannato caffè.
Che per giunta sua madre, quasi per fargli dispetto, sembrava non volergli portare!
Se proprio stavano così le cose, si disse con un ghigno divertito, sarebbe tornato esattamente lo stesso bambino dispettoso che era al tempo della sua adolescenza. Avrebbe reso quella giornata un inferno, per sua madre, per suo fratello e principalmente per rivendicare quelle ore di sonno che gli erano state private.
E perché no: per quella tazzina di caffé che gli era stata così egoisticamente negata. Mettendosi più comodo sul divano,le gambe totalmente stese sul cuscino preferito di suo padre, Ian decise che avrebbe aspettato suo fratello esattamente in quella posizione.
Così, con un espressione indecente sul volto e la gambe e il torace nudo, i piedi congiunti e le braccia dietro la testa. Avrebbe dimostrato a sua madre che di Matty non gliene fregava assolutamente un emerito cazzo.
E che, anche solo con un piccolo boxer a coprirgli le parti intime, sarebbe stato ugualmente più bello di lui.







Judith guardò per l'ultima volta il suo riflesso dentro lo specchietto della macchina, stando attenta a verificare se ci fossero ancora tracce delle lacrime che avevano solcato le sue guance prima, nel bagno di casa.
Fortunatamente Matt non se ne era accorto, altrimenti avrebbe attribuito a quel pianto un improbabile gravidanza. Che poi, perché Matthew sperava tanto ardentemente di diventare padre nonostante lei prendesse la pillola? Certe volte, si disse con un mezzo e malinconico sorriso sulle labbra, quel ragazzo le sembrava assolutamente privo di senno.
Jude aveva pianto in silenzio con le gambe piegate contro il petto, seduta sul water e con la testa sulle ginocchia, ricordando quando quattro anni prima anche Thomas le aveva chiesto di andare a pranzo a casa sua. Era sempre una Domenica mattina.Era sempre un 18 Maggio, ma di molti anni prima.
Jude ricordava ancora alla perfezione le braccia della mamma di Thomas che le avvolgevano la vita, le sue labbra tirate in un severo sorriso di circostanza e il suo sguardo riluttante. Aveva delle mani così piccole e delicate la signora Lanter da farle chiedere come avesse fatto a preparare il pranzo per una famiglia tanto numerosa come quella di Thomas per tutta una vita.
E poi c'era la sorella di Thomas, Isabella, una ragazza talmente magra da sembrare scheletrica. Nonostante avesse un fisico che molte ragazze le avrebbero invidiato, Bella continuava a vedersi brutta perché il potersi permettere il lusso di indossare tutte le gonne che voleva, di tutte le lunghezze esse volessero essere, le era costata la cosa più femminile del mondo: un seno materno.
George, invece, il fratello maggiore di Thomas e Bella, era un ragazzo possente di venticinque anni, ben piazzato, spalle larghe, sorriso luminoso ma rovinato dal fumo; portava costantemente sulle spalle un bambino grassoccio, frutto della sua precedente relazione che, nonostante gli desse gioia, lui continuava a definire uno sbaglio. Jude avrebbe dato oro per avere anche lei uno sbaglio del genere, da parte di Thomas.
E il padre di Thomas, Joe, uomo di mezza età con la bocca sempre chiusa in un ghigno sadico, triste, melodrammatico. Judith non sapeva che suono avesse la sua voce, credeva fosse sordomuto così come suo padre, il nonno di Thomas, Franz, signore con il Parkinson e una grande depressione a pesargli la schiena. Judith era del parare che l'unico desiderio di Franz, alla solida età di ottantacinque anni, fosse quello di riunirsi alla moglie morta tanti anni prima.
Vivevano tutti sotto lo stesso tetto, in una casa piccola e modesta, ristretta, con un salotto, una cucina e quattro stanze. Thomas glielo diceva sempre che dormire con Bella era infernale, perché la sentiva la notte piangere con due dita ficcate in gola.
"Non voglio ingrassare" le rispondeva correndo al bagno e Tommy scuoteva la testa, perché ormai i suoi genitori gli avevano insegnato a ignorare i problemi della vita. E la vita stessa, che sostanzialmente era sempre un problema.
Judith ricordava di essersi sentita vagamente a disagio, quella giornata, ma la sensazione della mano di Tommy fra la sua era riuscita a darle il sorriso per tutta la durata del pranzo. Perché lei lo amava, si disse, e lui amava lei. E lei voleva, lo desiderava con tutto il suo cuore, diventare presto parte di quella grande famiglia... non tanto per lei, ma per lui. Proprio perché lo amava, con tutto il suo cuore.
Eppure Thomas era morto, terribilmente. Si era spento, lei con lui, i suoi genitori con loro. E Judith, con malessere, aveva giurato a se stessa che non avrebbe più far parte di nessun'altra famiglia che non fosse stata la sua. Che non avrebbe più amato nessun uomo, che non fosse stato lui.
Quindi, piangendo, si era chiesta, e se lo chiedeva ancora adesso chiusa nella macchina comoda di Matty, che cosa stava andando a fare a casa dei genitori del suo ragazzo? A che fine conoscerli, si chiese, se non aveva intenzione di diventare come loro?
Lo faccio per Matty, si disse.
Lo faccio per renderlo contento, perché lui me lo ha chiesto. Perché so che apprezzerebbe avermi con lui, al suo fianco.
Così come lei avrebbe apprezzato avere Thomas accanto a lei, a stringerle la mano, teneramente, come quel 18 Maggio di quattro anni prima, ma per tutta la vita.






Quando il campanello di casa Keating suonò, Jude si guardò le scarpe. Matty, insistivamente, le prese la mano.
"La mia famiglia ti piacerà. Tu piacerai alla mia famiglia: ne sono sicuro."
La ragazza si sforzò di sorridere, incoraggiante, per dargli un segnale, per fargli capire che lei era lì per lui.Sarebbe stato molto più semplice dirgli che lo amava, ma non voleva mentire.
Non sapeva neppure farlo.
Aspettò con trepidanza che finalmente qualcuno li ricevesse perché prima fossero entrati in quella casa, prima se ne sarebbero anche andati.
Via il dente, via il dolore.
Sentì qualcuno urlare da dietro la porta, una voce femminile, stressata, imbronciata. Sembrava stesse richiamando qualcuno, stesse rimproverando un bambino.
Jude non ricordava che Matty le avesse detto di avere un cuginetto a casa o che so, qualche fratellino più piccolo. Erano solo lui ed Ian, il fratello pestifero.
Il fratello che Matty odiava e che, molto probabilmente, era lo stesso ragazzo che aveva aperto loro la porta.
In mutande. A piedi nudi e torso scoperto. La barba incolta, i capelli in disordine. Il suo aspetto era quello di una persona che si era appena svegliata, che era stata disturbata dalla sua quiete notturna (nonostante fosse ormai passata l'una!), ma i suoi occhi non erano quelli di un uomo che stava ancora dormendo. Erano svegli, arrabbiati e infastiditi mentre si posavano sul corpo del fratello avvolto, diversamente da lui, da un jeans nuovo e una polo azzurra che gli fasciava il busto, meno atletico del proprio ma molto più predisposto a ricevere degli ospiti. Quello che, probabilmente, in questo momento, avrebbe dovuto fare lui.
Ian Keating aveva uno sguardo totalmente annoiato, prima di posarlo su di lei. Poi, improvvisamente, parve risvegliarsi dal suo tepore e solo per un istante, un piccolissimo istante, sembrò vergognarsi di essere in mutande. Arrossì, nell'arco di quell'istante, poi riacquistò la sua totale sicurezza.
Strafottenza.
"Buongiorno Matthew, qual buon vento!" aveva un braccio posato allo stipite della porta, non per mostrare quanto il suo braccio potesse realmente flettersi, ma per ostruire il passaggio a Matt.
Odio palpabile nei suoi occhi.
"Levati, Ian. Facci entrare" rispose il maggiore, una mano ancora a stringere il polso di Jude, l'altra ad aggiustare gli occhiali con la montatura in metallo che scendevano pericolosamente lungo il setto nasale. Una lunga discesa.
"Quanta gentilezza, caro fratellone. La nostra mamma sarebbe molto scontenta di vedere che il suo figlio prediletto non conosce le basi del bon ton. Sei deludente, come sempre d'altronde."
La mascella di Matty si contrasse pericolosamente e solo per un istante Judith potette capire perché odiava tanto il fratello; poi però si riscosse e comprese anche cosa odiasse Ian in Matthew: l'arroganza, la superiorità, quella che veniva sancita ogni minuto da ogni sua parola. Da ogni suo sguardo.
"Levati dai coglioni, razza di fallito. Ho detto che ci devi far passare, siamo intesi? Non voglio prendere ordini, tanto meno ramanzine, da uno socialmente più in basso di me. E non venirmi tu a parlare di educazione, sa? Sei così maleducato che faresti impallidire e arrossire anche un carcerato con pena l'ergastolo. D'altronde cosa ci si può aspettare da uno che riceve i suoi ospiti in boxer e calzini?"
Ian sorrise, per nulla scalfito da quell'affronto verbale; diversamente sembrava divertito,stimolato. Non spostò il suo braccio da davanti la porta, per nulla al mondo.
"Avresti ragione, fratellone, se solo tu potessi essere definito un ospite. Sei solo una persona piena di se che ama venire a distrubare gli altri, con la puzza sotto il naso e un'adorabile signorina sotto il braccio" concluse guardando con occhi languidi la stessa Jude che, seppur lusingata, non riuscì ad arrossire.
Ian aveva due terribili occhi azzurri, penetranti, in grado da farti perdere la cognizione del tempo, da farti smarrire la via della saggezza. Eppure non erano gli occhi di Thomas che, con le sue iridi color caramello, riuscivano a farla sentire a casa. Al sicuro. Protetta.
Sorrise cordialmente a Ian poi decise che, se non fosse dipeso da lei, la situazione davanti quella porta di casa non si sarebbe mai evoluta. E d'altronde... come può andare via il dolore, se uno non tira via il dente?
Educatamente fece un passo in avanti, guardandolo in volto, non scendendo con lo sguardo al di sotto del mento, poi si presentò.
"Sono Judith Roberts, un'amica di Matt."
Non seppe neppure lei perché non si definì la sua ragazza, o la sua compagna, o magari la sua fidanzata, ma qualcosa dentro di lei glielo vietò.
Era come se gli occhi di Ian avessero risvegliato antichi confronti con Thomas, come se quel 18 Maggio fosse destinato ad appartenere solamente a Thommy.
Come se lei, nonostante tutto, restasse solo la sua donna.
Ian sbarrò gli occhi sorpreso, poi le sorrise calorosamente. Un sorriso che aveva qualcosa che andava oltre la semplice cortesia, come se provasse interesse e fosse sicuro che la cosa fosse ricambiata. Possibile che avesse interpretato la sua educazione come atto civettuolo?
Possibile che si credesse ancora un gran figo, nonostante avesse solo un piccolo boxer alle gambe?
"Io sono Ian Keating, ma presuppongo che questo tu lo sappia già. Mi scuso se io e mio fratello abbiamo dato spettacolo, ma credo tu sappia anche del nostro infimo rapporto. Ti inviterei ad entrare e ti chiederei, piuttosto garbatamente, di lasciare il tuo animale da compagnia legato vicino il cancello."
Judith non comprese bene quello che il ragazzo le stava dicendo, ma quando lo fece dovette trattenere un sorriso. Matt dovette trattenere una bestemmia.
"Piccolo bastardo di un cane. Tu sei una bestia, non io. E ora mi sono veramente rotto i coglioni: fammi entrare!" e con un forte strattone diede una spallata al fratello minore forzando l'ingresso.
Ian si spostò senza opporre resistenza, la mano ancora stretta in quella di Jude, che venne strattonata dallo stesso Matty per portarla dentro con lui. Ian avrebbe voluto deriderlo ancora un po', ma aveva lo sguardo totalmente perso nei capelli rosso fuoco di Jude e sulle lentigini del naso e delle palpebre, i suoi occhi verdi e intensi. Un verde diverso, non come quello bottiglia di Matty. Avrebbe quasi voluto poter essere Matthew, in quel momento, per poter avere tra le dita la mano di
Judith per quello che era stato più di un solo piccolo istante.
Avrebbe tanto voluto essere Matty, in quel momento, per essere meno coglione e forse un po' più galantuono; per ragionare meno con quello che aveva in mezzo le gambe e per impressionare tipe come Jude.
Jude, dai capelli fluenti, il sorriso smagliante, gli occhi tristi, le tracce di lacrime che Matty non aveva saputo notare.
Jude, con la voglia di continuare a piangere, con la voglia di tornare a casa, la sua, di non voler seguire il suo ragazzo in quella triste avventura.
Jude, che ora si guardava sperduta, che lo aveva interotto mentre litigava con Matty, come se avessero ancora dodici anni.
Jude, che ora lo guardava ancora, senza un sorriso, senza un rimprovero, senza serenità. Seria.
In quel momento, solo in quello, Ian sarebbe voluto essere un po' più come Matty... per avere indosso un paio di pantaloni.

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