The Twentythree EFP Women

di Desperate Housewriter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Felicia Lennox ***
Capitolo 3: *** Evelyn Wright ***
Capitolo 4: *** Mary Black ***
Capitolo 5: *** Ellery Wright ***
Capitolo 6: *** La signora Diamonds ***
Capitolo 7: *** Kimberly D Crystal ***
Capitolo 8: *** Rozanne Mitchel ***
Capitolo 9: *** Son le ventitrè per tutti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Fannie Crownden era in ansia quella mattina. Finalmente le era arrivata la lettera, quella lettera. Era da un po' che non aveva più una missione da compiere. Chissà che cosa si era inventato George quella volta considerato che ci avevo messo tempo per pensarci. Quel loro gioco era iniziato da quando avevano sei anni. Erano vicini di casa, a quei tempi. Costinteva nel lanciare sfide a vicenda, uno alla volta. Chi rinunciava veniva considerato un fifone. Ma non era mai successo. Entrambi erano sempre stati pronti a tutti, sebbene le richieste esilaranti del compagno di giochi. Dopo, al compimento dei sedici anni di Fannie, con grande suo dispiacere, George si era trasferito con la famiglia. Ma l'ultimo lancio dei dadi non era stato ancora tracciato. Il bello doveva ancora arrivare.
Le sfide erano diventate a poco a poco sempre più pesanti. L'ultima volta Fannie aveva sfidato George di prendere la patente di barca a motore e a vela. Lui odiava il mare, la spiagga e le barche; e questo Fannie lo sapeva, ma George non aveva mollato l'osso. Chissà, forse in questa sfida si era proprio vendicato.
Fannie, impaziente, aprì la busta.


Alice Williams
Alex Rose McKagan
Alexandra Johansson Smith Alicia Spinnet
Alison Sincler
Beverly Rose
Caroline Marie Smith
Daisy Pearl
Dianna Scarlett
Elizabeth Darcy
Evelyn Wright
Felicia Lennox
Hannah Baker
Jackie Poe
Kimberly D Crystal
Lana Grafe
Mary Black
Maya Riddle
Michelle Saint Claire
Roxy D Portuguese
Roberta Salvatore
Shelly Webster
Scarlett Waldorf

Trova che cos'hanno in comune e facci una storia.



Fannie non ci poteva credere. Era forse impazzito? Non conosceva quelle persone, come ci sarebbe riuscita? Venti persone. Venti vite. Una storia.



'Sera a tutte!
Nuova storia, avete visto?
Beh, non voglio dirvi nulla, davvero.
Il mio intento era fare questo prologo il più corto possibile.
Vi dico solo che la storia non sarà fatta solo da me.
Quelle venti persone esistono davvero, e mi aiuteranno.
Entreranno dentro la storia insieme a me.
Bacioni,
Desperate

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Capitolo 2
*** Felicia Lennox ***






La prima a farsi viva era stata Felicia Lennox. Aveva lasciato un messaggio sulla sua segreteria telefonica e quella di altre due Felicia e la prima a farsi viva era stata lei. George non aveva specificato niente in nessuno dei nomi, quindi Fannie aveva presunto che gli andava bene qualsiasi Felicia Lennox. Felicia aveva chiamato Fannie alle due di notte, interrompendo i sonni tranquilli della nostra protagonista. Si era svegliata di soppiatto dallo spiacevole squillare del telefono e aveva risposta senza neanche guardare chi la chiamasse.

- Pronto? -

- Ciao sono Felicia Lennox. Ho sentito che mi ha lasciato un messaggio. Mi scuso per l'orario, ho fatto un concerto stanotte. - La sua voce era molto acuta e dolce, non era certo insicura, ma Fannie si era comunque stupita dall'ultima affermazione di Felicia.

- Un concerto? -

- Già. Io ho una band, noi siamo i "Low Budget", abbiamo fatto scintille stanotte. Comunque accetto di essere intervistata. Possiamo incontrarci al "Break Ten" alle nove se ti va. -

- Sarebbe meraviglioso! - rispose con troppo entusiasmo Fannie. Finalmente era riuscita a rimediare un'intervista e per di più da una componente di una band di successo.

- Va bene, allora a domani mattina. -

Fannie prese la lista e tracciò una riga sopra il nome della sua nuova amica.

Una, trovata. Ne mancavano ancora diciannove.

Al Break Ten

- Allora, Felicia, quanti anni hai? -

- Ventiquattro. - rispose con un sorriso. Forse non sembrava una musicista dalla voce, ma l'aspetto aveva senz'altro fatto cambiare a Fannie alcune idee. Indossava una minigonna con delle calze nere, dei sandali borchiati e una canotta rosa attillata. I suoi occhi azzurri erano circondati da una matita che apparentemente sembrava più ad un indelebile. Chiunque l'avrebbe considerata una "poco di buono".

- Tu hai una band? La cosa mi intriga molto. -

- Già. - rispose molto entusiasta. Felicia sembrava sollevata appena Fannie le fece questa domanda, forse era orgogliosa di parlare del suo talento. - Io suono la batteria, siamo i Low Budget. Abbiamo molto successo. Siamo carini e talentuosi e il pubblico sembra apprezzarlo. Ci hanno fatto grosse offerte di carriera, ma le abbiamo tutte rifiutate. Abbiamo esibito anche allo stadio di Parigi, lì ci vanno i pezzi grossi. -

Felicia si fermò appena vide che mentre parlava l'intervistatrice prendeve appunti, ma Fannie la incitò a continuare.

- In quanti siete? -

- In quattro, come i grandi Beatles. Al contrario di loro, noi facciamo pezzi più... Rock. -

- Conosci per caso un certo George, Georgle Winckleman?-

- No, mai sentito. Forse è un mio fan. -

Fannie inorridì a quell'ultima affermazione. George e il Rock non erano mai andati d'accordo, ma preferì non dirglielo.

- Ora passiamo alla famiglia, mi parli un po' della tua famiglia? -

- Beh... Non c'è nulla di interessante. Non vedo come possa interessarti scrivere in una storia dei miei parenti. -

- Beh, bastano genitori e fratelli. Devo trovare un collegamento tra te e altre diciannove persone, quindi mi ritrovo costretta a fare questo tipo di domande. -

- Non ho fratelli. La mia mamma si chiama Mary. Penso che sia la donna più forte del mondo e la mia migliore amica. Sai, noi due ci somigliamo molto.
Lei e mio padre si amano molto, io le leggo l’amore negli occhi, quando si abbracciano e quando si baciano... Sempre. È una bella donna, mi ripete sempre che non bisogna mai lasciarsi andare e far vergognare chi ti sta accanto, anche se il mondo ti crolla addosso e hai solo un pezzo di pane per nutrirti, i capelli devono essere sistemati ed il trucco in ordine.
Mio padre si chiama John. Da giovane era il solito Don Giovanni con un sacco di ragazze che gli cadevano dietro.
Sai come si sono incontrati, mamma e papà? Mio padre appena la vide s’innamorò e, facendo tutto il fighetto, le disse, ad un’uscita con la comitiva «Ok, vengo con te, fammi spazio sul motorino» ed il bello era che era mia madre che doveva guidare, perché il motorino era il suo! E poi si sono innamorati, lo sai, com'è l'amore... -
- E in amore, com va? - si azzardò a chiedere Fannie.

- Sono fidanzata con un ragazzo bellissimo. Oltre il suo aspetto fisico, perchè è veramente bellissimo, è il suo carattere. È dolcissimo, si chiama Matthew. Sembrava uscito da un libro delle favole. Lui è simpatico, amichevole, divertente, romantico... È semplicemente perfetto.
L'ho incontrato mentre ero al parco con una mia amica, seduta su una panchina. Ad un certo punto ci si avvicina lui con il suo gruppo e... Mai mi sono divertita così tanto! Lo amo. -

- E glel'hai mai detto? -

- Beh, certo! -

A Fannie non venivano in mente altre domande, non sapeva che chiederle, oltre alla band non aveva qualcosa di speciale, da accomunare.

- Io credo che per ora possa bastare. Ma ci ricontatteremo comunque, dobbiamo ricontattarci! Esci con me? -

- No, mi incontro qui anche con la band. -

- Fa niente. Ci vediamo! -

- Ci vediamo. -

Felicia era sollevata. Fannie non aveva l'animo da giornalista e, con felicità di Felicia, non si era spinta troppo in certi argomenti che non voleva senz'altro toccare.
All'improvviso le squillò il telefono, era sua madre.

- Pronto Ma' -

- Ciao Fely, com'è andata l'intervista? -

- Tutto bene, tutto bene. Lo sai, ho parlato anche di te! -

- Ah sì? E che hai detto? -

- Beh, che sei la mamma migliore al mondo, ovvio! -

- Senti, con Roberta ci hai parlato? -

Felicia sospirò al sentire quella domanda e si appoggiò letteralmente alla sedia.

- Lo sai che non ne ho il coraggio. Forse ce l'avrei con Kevin, ma è lui ad evitarmi... Mamma, che devo fare? -

- Chiamala, è tua sorella. -

- E perchè non mi può chiamare lei? E perchè nessuno dei miei fratelli sembra mostrare qualche tipo di affetto verso di me? Ho fatto qualcosa che non va? - Felicia sembrava essere sfinita.

- Non lo so, Fely, non lo so. -

- Beh, mamma devo andare. -

- Passi stasera? -

- C'è Kevin... Non credo sarebbe molto contento di vedermi. Semmai passo domani, per pranzo. -

- Andata, allora. A domani. -

- A domani. -




'Pomeriggio a tutti.
Voglio ribadire che Felicia Lennox non è finta, esiste davvero. Lei ha risposto ad alcune mie domande e io le ho solo creato un'età e una carriera. Il resto... È grazie a lei, le sue risposte. È la sua vita. È lei che vi intrattenuto, è la sua storia, non la mia. Io non faccio altro che trascriverla.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Io intanto ringrazio Felicia Lennox per essere stata subito disponibilissima, un bacione.
Desperate

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Capitolo 3
*** Evelyn Wright ***


Fannie non era per niente felice con l'intervista di Felicia. Le sembrava che mancasse qualcosa, quel pizzico di pepe in più nella storia di una vita di una persona che non poteva essere sostituito dal rock. Doveva cercare di trovare le domande giuste alla persona giusta, perchè la gente va istigata, spinta, non ti dà in bocca quello che vuoi avere. E tra questa massa ne faceva parte anche Felicia. Andò a riguardare la lista.
Aveva lasciato un messaggio ai primi dieci della lista e nessuno di loro l'aveva richiamata. Allora decise di vedere se Evelyn Wright fosse disponibile a farsi sentire.
Sfogliò le pagine gialle. Ce n'erano solo due, grazie a Dio. Chiamò la prima. Squillava, buon segno.

- Famiglia Wright - rispose una donna, con un tono di voce abbastanza scocciato.

- Sono Fannie, è Lei Evelyn Wright? - sentì il volume diminuirsi e per un attimo aveva creduto che la donna volesse riagganciare ma come sottofondo sentiva una voce che urlava << Evelyn ti cercano! >>.

- Sao - rispose dalla cornetta una voce infantile.

- Pronto sono Fannie e--

- Sao - disse brusca di nuovo la bambina e riattaccò. Forse non era la Evelyn che cercava. Richiamò la seconda Wright, ritentando la fortuna.

Sentì squillare e qualcuno le rispose subito, senza farla tanto aspettare.

- Avevo detto niente pubblicità. Non compro nulla di nulla. Cosa devo fare per farvelo capire? - rispose secca e veloce un'altra donna.

- Niente pubblicità, sono Fannie. È difficile spiegare il mio intento. Mi è stato affidato il compito di scrivere una storia su una lista di persone, ventitrè per l'esatezza. Devo trovare che cosa le accomuna. E anche tu sei nella lista. Quindi mi chiedevo se--

- Vuoi intervistarmi? - mi interruppe diffidente lei.

- Già, mi farebbe molto comodo. -

- Beh, mi fa piacere che sia in quella lista ma non vedo il motivo di scrivere una storia su di me. Non c'è nulla di interessante. -

- Lascia che sia io a giudicare. Possiamo fissare un incontro. -

- A dire il vero preferisco attraverso una chat, o delle mail. -

- Va bene. - rispose Fannie sbalordita. Non si fidava, era chiaro. - Su Skype? -

- Certo. Mi trovi sotto il mio nome ma senza "e" e senza "w". Sono Velyn Right. -

- Afferrato. Quando le scrivo? -

- Alle tredici e cinquantasei di che giorno vuole, mi trova. -

Tredici e cinquantasei? Che orario strano! Sembrava così impegnata, così fredda e distaccata... Come avrebbe potuto vedere se stava mentendo tramite messaggi?

Mancavano pochi secondi alle tredici e cinquantasei. Fannie era lì pronta seduta comoda davanti allo schermo del computer, non voleva fare qualcosa di sbagliato, si sarebbe fatta sfuggire Evelyn di sicuro. Uno, due, tre...



Fannie Fannie: Ciao Evelyn.

Velin Right: Buongiorno Fannie, sono pronta alle tue domande.

Fannie Fannie: Bene.

Fannie Fannie: Dunque... Parlami della tua famiglia, aspetto quanto vuoi.

Velin Right: Allora, in famiglia siamo in 4: io, mio fratello, mia madre e mio padre. Io e mia madre litighiamo per qualunque cosa semplicemente perché la pensiamo in maniera diversa praticamente per ogni cosa.. con mio padre andiamo discretamente d'accordo ma non lo vedo quasi mai quindi è per questo che il nostro rapporto non è tanto disastroso come con quello con mia madre. Mio fratello, Ellery, ed io ci vogliamo bene, litighiamo ma è normale tra fratelli. C'era stato un periodo in cui non potevamo neanche stare nella stessa stanza senza litigare ma ora le cose si stanno incominciando a risolvere ed io ho trovato il modo per stare insieme senza litigare. Ora abbiamo parecchie cose in comune e passiamo anche alcune serate insieme guardando film e telefilm. Per me comunque la famiglia è decisamente importante. Senza la famiglia per me non sarebbe la stessa cosa, anche se mi rendo conto benissimo di poter vivere senza il loro supporto. Solo che ovviamente più siamo uniti e meglio è! Ecco perché ci sto male se litighiamo...



Fannie Fannie: Bene, quindi fino a qui fila tutto liscio. E in amore?

Velin Right: Niente di che. Io sono una persona che ama una persona per tutta la vita, quindi non prendo mai alla leggera le cotte che potrei prendermi. Ho le idee ben chiare su chi desidero al mio fianco ma sembra che qui attorno a me non ci sia nessun ragazzo che potrebbe farmi felice ed io di conseguenza non posso rendere felice nessuno. A casa mia sto bene.. si, mi sento al sicuro dentro queste mura. Sono felice, ho le mie cose, posso viaggiare con la fantasia ed essere sempre ovunque ed in nessun posto grazie al mio PC. Il problema è oltre queste mura perché se a casa mia mi sento al sicuro non è la stessa cosa fuori. Fuori non mi sento a casa.

Fannie Fannie: E... Lavori?

Velyn Right: Sì, sono una traduttrice di romanzi. So molto bene lo spagnolo, infatti traduco i libri di Juanita Burlando. Ora mi sto occupando del suo libro "Me quieras o no me quieras?".

Fannie Fannie: E ti piace tradurre?

Velyn Right: Sì, io sono fedele a Juanita e lei è fedele a me. Ho una buona paga e mi sento protetta. Quindi sì.

Velin Right: Sono le 14:56, devo andare.

Fannie Fannie: A domani?

Velin Right è ora offline.

Fannie non era ancora entusiasta. Certo, aveva una musicista e una traduttrice di romanzi, non si trovano ogni giorno. Forse era questo che avevano in comune tutti, la loro carriera con successo.
Fannie pensò a Felicia. Come aveva detto che si chiamava la loro band?
Low Budget, giusto.
Cercò la band su internet.
Digitò "Low Budget" ma Google sembrava non aver capito. Aggiunse Band.
Nessun account Wikipedia, niente di niente.
Allora andò su Twitter.
Digitò il loro nome per la seconda volta.
Le apparì una foto di Felicia con quattro Coreani, a quanto le pareva.
C'erano tantissimi post dalla band che annunciavano loro notizie.
Nessun commento, solo cinque follower. Loro stessi.
Qualcosa non quadrava, questo era sicuro.




Ciao!
E finisco così anche questo capitolo.
Che vi pare di Evelyn? E di Felicia? Allora, vi ho incuriosito?
Ringrazio Evelyn Wright di EFP, è anche lei una persona vera che ha risposto alle mie domande.
Un bacione, e a presto.
Desperate

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Capitolo 4
*** Mary Black ***



- Pronto, parlo con Fannie Crownden? - chiese una donna dal telefono verso le dieci di mattina.

- Sì, io con chi parlo? -
- Rozanne Mitchel, gestisco gli affari di Mary Black. -

Fannie sussultò silenziosamente, finalmente qualcuno che non la prendeva in giro. Per ora.

- Mary Black, sì. Mi ricordo di averle lasciato un messaggio. Mi può fissare un appuntamento? -

- Può venire in Actor Studio in città, siamo a Los Angeles. -
Venti minuti di strada.

- Actor Studio? Mary Black è forse un'attrice? -

Fannie, in tutta onestà, non voleva un'altra persona troppo esuberante come la batterista. Voleva una persona un po' più... Normale, ecco.

- No. - sogghignò - È una sceneggiatrice. -

Poteva andar peggio.

- Comunque - continuò Rozanne - può cenare con Mary, se desidera. Va bene se ci diamo appuntamento al "Castle Mania" verso le otto? -

Fannie sbarrò gli occhi. Il "Castle Mania" era uno dei ristoranti più costosi nei paraggi di Los Angeles e non ci aveva mai messo piede, sperava con tutto il cuore che al conto ci avrebbe poi pensato Rozanne.

- Bene, allora. A stasera. -

Castle Mania
ore 20:20

Era da venti minuti che Fannie stava aspettando, immobile sulla sua sedia e, cercava o sperava, di esserlo anche nei suoi pensieri. Aveva addirittura pensato di arrendersi. Ma ormai, quello tra George e Fannie era diventato qualcosa di più di un gioco. Fannie non sapeva come definirlo, forse un modo per passare il tempo. No, di più.
Ma, ormai, era diventato troppo un tira e molla, si era troppo allungato e quei due sembravano avere solo quell'interesse in comune. Come una tradizione di famiglia ormai venuta a noia, ma che i parenti continuano ad esercitare in onore del bis-nonno defunto in guerra, della pro-zia morta in un incidente o qualcosa del genere.
E, per di più, George sembrava volersi liberare di tutto ciò. Aveva studiato un'impresa difficile per la ex-vicina, forse troppo. L'aveva fatto di proposito. E magari era giusto assecondarlo.
Insomma, Fannie era una scrittrice di storie per bambini. E pubblicare una storia su venti persone... Era troppo. Ne aveva incontrate due fino a quel momento e sapeva per certo che una delle due le stava nascondendo qualcosa, aveva tralasciato qualcosa. Forse entrambe.
E ora doveva parlare con una sceneggiatrice, per di più in ritardo. Sperava con tutto il suo cuore che questa Mary Black si rendesse più utile di quanto erano state loro.
In preda alla noia, Fannie prese il foglio ormai stropicciato dalla tasca e scrutò nuovamente i nomi. Li ricontò, così, per istinto. ... Diciannove, Venti... Ventuno, Ventidue, Ventitrè... Come aveva fatto a non accorgersene? Erano ventitrè.
Avrebbe dovuto cambiare tutti i piani sulla sua mente.
Ventitrè vite, ventitrè persone da trovare, ventitrè storie, ventitrè bugie.
Venti persone ancora da trovare, si ritrovava allo stesso passo di prima, dannazione.

- Fannie? - chiese una donna con una sciarpa violetta al collo, una voce femminile ma profonda, dei tacchi non altissimi ed un vestito non troppo serio, ma che portava bene. Le sarebbe stato bene anche uno straccio. I capelli erano neri e lisci a spaghetto, le ricadevano giusto sulle spalle, non erano lunghissimi. I suoi occhi erano verdi, aveva un nasino alla francese e delle labbra sottili. Non sembrava una sceneggiatrice.

Fannie si alzò impassibile e strinse la mano che Mary le aveva porso.

- Lieta di conoscerti. - disse con un sorriso a trentadue denti. -

- Il piacere è tutto mio. - rispose Fannie guardandosi da capo a piedi, si sarebbe almeno potuta vestire un po' meglio. Da quell'ultima famosa frase, entrambe si sedettero al proprio posto. Ordinarono e Fannie, con un leggero assenso di Mary, inizió la sua intervista.

- Allora, Mary... - iniziò Fannie, un po' in confusione - non ti immaginavo così giovane. Avrai neanche... -

- Non sono giovane, ho ventidue anni. -

- Per essere una sceneggiatrice, sei molto giovane. -

- Non sono l'unica. -

- Di che cosa ti occupi? Di cosa parla il tuo telefilm? Scusami, non guardo mai la televisione, quindi sono poco informata di mio. -

- Si chiama "Grace's Family", tratta di una famiglia negli anni 80. -

Grace's Family, Grace's Family, Grace's Family... Certo! Sua mamma era una patita, lo guardava ogni mercoledì sera alle 21:10, chissà che avrebbe detto se avesse saputo che in quel momento stava parlando con la sceneggiatrice.

- E che cosa fa una sceneggiatrice? -

- Principalmente le battute, il copione. - rispose Mary sospirando, sembrava abituata a quel tipo di domande - Il regista mi propone qualche idea e io la sviluppo e la metto su carta. Poi vengo anche a vedere come quello che ho scritto è recitato dagli attori, serve anche la mia approvazione, ovviamente. -

- E dove trovi la passione in ciò che fai? -

- In ciò che faccio? Non capisco bene cosa intendi! Se parli dello scrivere è molto semplice: senza non potrei vivere. Non scrivo una sera e sto male! -

- E.... Situazione famigliare? -

- Io vivo con mia madre e il suo terzo marito, più la di lui figlia, che, come me, ha ventidue anni! Tuttavia, mio padre è sempre il benvenuto, cosa che non si può dire della madre di mia sorella! Praticamente, mia madre ha avuto dal primo marito zero figli, dal secondo me, dal terzo e attuale zero. Mio padre, invece, dalla prima moglie ha avuto un figlio si trentacinque anni, dalla seconda moglie me. L'attuale marito di mia madre ha avuto un figlio di trentacinque anni, dalla seconda una figlia che ha la mia età, di ventun'anni e un figlio, di ventitrè. Con la terza e attuale moglie non ha avuto nessun figlio. La mia situazione famigliare la puoi capire da sola, un totale disastro. Ora mi sono spinta altrove e li sento poco, non mi interessa molto di loro, c'è qualcosa che... mi fa legar poco! -

- E la tua situazione... Amorosa? - disse Fannie con un sorriso che infastidì leggermente Mary, che la guardò impassibile.

- Reputo l'amore come una totale distrazione dal mio lavoro. Punto e stop. - disse chiara e precisa, non voleva approfondire niente di più, si poteva capire.

- Va bene, grazie mille, mi sei stata molto d'aiuto, non puoi immaginare quanto. - rispose Fannie con un largo sorriso.

Casa Crownden
ore 22:36
Fannie, al contrario delle altre due interviste, questa volta era abbastanza soddisfatta.
Mary Black era una donna elegante, pacata e in gamba. Teneva molto al suo lavoro, aveva molta passione e non aveva scheletri sull'armadio. Per di più il suo lavoro era a dir poco affascinante. Questo era quello che voleva Fannie Crownden. Una persona che le dettassi i fatti come stavano, in questo modo avrebbe potuto lavorare seriamente. Ma era quello che voleva anche George Winckleman? Ahimè se l'avesse saputo! In più era riuscita a rimediarsi un'intervista con Ellery Wright, il fratello di Evelyn, voleva qualcosa di più di una chat su Skype delle tredici e cinquantasei.
E, rimaneva ancora qualcosa da fare, il loro collegamento.
Fannie prese il suo block notes e ci scrisse:
Felicia Lennox, Evelyn Wright e Mary Black: i pro e i contro dei lavori interessanti.
Finora aveva solo questo in mano, almeno questo l'avrebbe aiutata a fare più domande a quelle tre donne.
Perchè sì, anche nella lista, erano donne, tutte donne.



'Quasi Notte! Allora... Qui abbiamo introdotto la nostra sceneggiatrice Mary Black. Che vi pare di lei? Non mi serve neanche più dirlo, anche lei è una persona di EFP. Grazie Mary per aver fatto conoscere una parte della tua vita a tutti. E i collegamenti, voi come colleghereste queste donne? Ah, ho notato con piacere che ho molte visite e molte persone hanno deciso di seguire questa storia, ma purtroppo ho solo una recensione. Mi piacerebbe molto sapere che pensate, qui o anche tramite messaggi, non importa se fate parte della storia. Un bacione grande, Desperate.

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Capitolo 5
*** Ellery Wright ***





Maywood ore 9:37
Bar "American Gum"
appuntamento con Ellery Wright


Fannie sorrise appena vide un ragazzo dai capelli corvini alzarsi, sembrava socievole ed educato, pronto a darle le giuste informazioni che cercava.

- Tu devi essere Fannie Crownden - affermò lui a trentadue denti porgendomi la mano.

- E tu Ellery Wright - risposi io stringendogli la mano.

Ci sedemmo, Fannie non ordinò nulla, non avevo fame quasi mai la mattina presto. Ellery, invece, si prese un cappuccino con un abbondante croissant alla crema. Di certo non era a dieta.

- Vedi, Ellery... - iniziò lei, un po' imbarazzata - Ti ho contattato perchè tua sorella si è dimostrata un po'... Rigida, ecco, nei miei confronti. Vuole che la contatti solo su Skype alle tredici e cinquantasei, un orario assurdo e... -

- Allora tu non lo sai. - confermò lui, poggiando la tazza sul tavolo.

- Che cosa? -

- Lo sai? - chiese lui, sembrava volesse allungare la conversazione.

- Se non mi dici cosa, come faccio a saperlo? -
- Che ti ha detto? -

- Beh, che ha un fratello, che litiga sempre con la madre - tentò di ricordare, non aveva i suoi appunti sotto mano - e che è una traduttrice, niente di più. -

- Allora non te l'ha detto. -

- Mi puoi dire di che si tratta? - Fannie non ce la faceva più, la stava tenendo troppo sulle spine.

- Evelyn non esce di casa sin dai suoi diciannove anni. -
Fannie scosse la testa, tutto questo non era possibile.

- Che cosa?! Tutto questo è assurdo! - rispose, sperando lui stesse scherzando, ma il suo sguardo suggeriva il contrario.

- Sai, a casa si sente bene, al sicuro. È dentro le sue mura ed è felice. Ha le sue cose, puó viaggiare con la fantasia ed essere sempre e ovunque in nessun posto oltre al suo PC. Il problema è oltre queste mura perché non è la stessa cosa fuori. Fuori non si sente a casa. -

- Ma dovrà pur uscire un giorno. Assapora il mondo, insomma... Chi non desidera questo? -

- La casa è il suo mondo, Fannie. -

- Non senti il bisogno di far qualcosa, di aiutarla? Non lo so, qualche psicologo, ci deve pur essere un modo per... -

- Come vuoi che mi senta, Fannie? Quando le porto da mangiare o passo a darle un saluto, ho paura di varcare quella porta. Vedo i suoi occhi che soffrono. E io cosa posso fare se lei nega tutto? A volte è meglio cercare di far finta di nulla, credimi Fannie. - quelle parole che stavano per uscire dalla bocca di Fannie si immobilizzarono per poi morire, ma non i suoi pensieri.

- Lascia entrare tutti, dentro? -

- No, solo me, mamma, papà e Juanita. - Ellery sembrava essersi già ripreso.

- Quindi credi che io non... -

- Dovrai conquistare la sua fiducia. -

- E c'è un motivo per cui ha deciso di chiudersi lì dentro? Ci deve pur essere qualcosa che--

- Forse è meglio che io vada, è tardi, devo andare a lavoro. - affermò Ellery stravolto prendendo la sua ventiquattrore e uscì dal bar.

Fannie aveva qualcosa di nuovo da scoprire, a quanto pareva. Una lezione George gliel'aveva data, non è mai come ció che abbiamo davanti ci si presenta. Lo specchio non riflette emozioni, ma solo la loro superficie.

Parcheggio "American Gum" ore 10:13
Maywood

Fannie uscì dal locale, non sapeva bene la sua prossima direzione, l'avrebbe scelta in viaggio.
Ma che cos'aveva la sua macchina? Una bella multa!
Fannie non ci poteva credere, era stata al bar solo una mezzoretta... Perchè la vita era così ingiusta con lei?
Non potè fare a meno di lasciarsi scappare una risatina, giusto per non piangere.

Questura ore 11:24
Maywood

Fannie era in fila, aspettando il suo turno per ammettere di aver commesso un errore attraverso delle banconote.
Finalmente, c'era solo una persona davanti a lei.
Non ascoltava gli affari degli altri, si limitava a cercare di capire qualcosa in tutto quel gran disordine che le si era creato in testa a causa di quella Evelyn Wright. Nulla capita per caso, si sa. Ed il fatto che avesse deciso di rinchiudersi dentro a quel luogo fosse solo per un affetto nei confronti di un luogo al chiuso non le tornava. Fu scossa dai suoi pensieri quando sentì pronunciare dalla ragazza dinanzi a lei un nome. Dianna Scarlett.
Le suonava famigliare. Ma non riusciva a ricordare. Una vecchia compagna di classe?



Eccomi qui,
disperata a mezzanotte con un capitolo da offrirvi!
Grazie delle quattro recensioni, ragazze, spero che continuerete a commentare tutto passo per passo, ci conto!
Grazie anche alle quattro che hanno messo la storia tra le seguite e alle due tra le preferite, ve ne sono molto grata.
Chiedo scusa ai personaggi della storia che non ho incluso in questo capitoli, sarete calcolati nel prossimo o al massimo nei prossimi due. Parola di Desperate.
Bah, non ho nulla da dire.
Che dite della nostra Evelyn? E del fratello? E di questo finale?
Troppe domande?
Vabbè, è tardi e quindi...
Passo e chiudo.
Bacioni,
Desperate.

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Capitolo 6
*** La signora Diamonds ***



- Non mi fidavo di Lei, c'era qualcosa che mi faceva... Insospettire. Ed infatti, mentre era in bagno ho sbirciato nel suo cellulare. - affermò la donna - Altro che Bernadette Hodge, si chiamava Dianna, Dianna Scarlett. -

Fannie controllò la lista che aveva in tasca e lesse i nomi ad uno ad uno. Dianna Scarlett, la numero nove. Il poliziotto non sembrava per niente interessato alle informazioni della donna, anzi, appariva che non le credesse.

- Vive nella ventisettesima strada di Santa Barbara nell'appartamento "Light Blue Sea" stanza tredicesima. - disse di nuovo decisa - dovete assolutamente andare a trovarla. -

Fannie, cercando di non dare nell'occhio, prese frettolosamente degli appunti sul suo block notes.

- Non possiamo andare lì senza una testimonianza precisa. -
- E la mia non Le sembra una testimonianza precisa? - la donna lo guardò negli occhi, era sicura di quello che diceva.

- Questa Dianna Scarlett, che si è presentata come una certa Bernadette Hodge, è alla ricerca di un appartamento. La invita a colazione, se ne va in bagno, lei controlla sul cellulare e vede che si chiama Dianna e non Bernadette. -

- Esattamente! -

- Beh, non possiamo certo per questo motivo andare a perlustrare la sua casa. E poi, se fosse una ladra come pensa lei, non se ne starebbe tranquilla nella casa che ha appena comprato da Lei, non trova? -

- Ma è sempre un punto su cui partire. -

- Partire per arrivare a che cosa? Per scoprire che, magari, non voleva riferirLe il nome? -

- Tutto questo è assurdo. Non Le sembra strano che mi ha voluto pagare in banconote di sabato e, che quella stessa sera, siano sparite? -

- Ha cercato bene per tutta la casa? -

- Sta insinuando che sia stata io a perderle? - la donna stava diventando sempre più paonazza, la pelle le bruciava dalla rabbia.

- Signora Diamonds, dico solo che è assurdo che una ladra scappa, non resta mai nel luogo del delitto, o, almeno, non in quel posto non ci vive. -

- Non posso restare a pensare che una truffatrice stia lì tranquilla a bere il suo cocktail e nel frattempo va a derubare altra gente, è assurdo. Va punita per quello che ha fatto! Io intanto me ne--

- Mi dispiace, signora. - la interruppe il poliziotto - ma non posso farci nulla. Posso denunciare la scomparsa dei soldi, se tanto ci tiene. -

- Signor... - la donna tentò di cercare il suo nome da qualche parte nella sua giacca, ma fallì.

- Conders. - la aiutò lui.

- Signor Conders, quante denuncie ci sono state, nell'ultimo mese, di scomparse di soldi? - chiese lei, finalmente in modo calmo e tranquillo, per la prima volta. Forse era passato al piano B, lo scongiurare.

- Temo che non sia tenuto a dirlo, signora Diamonds. -

- Lei ha figli? -

- Che cosa? - chiese stranito lui, sorpeso dal suo improvviso cambio di traiettoria con le domande.

- Lei ha figli? - le ripetè nello stesso tono di voce la signora, sperando in una risposta.

- Una - disse sospirando, decise di accontentarla lui, almeno in questo.

- È una femmina, allora! Quanti anni ha? -

- Quattro, fra poco cinque. -

- E come si chiama, la piccola? -

- Guendoline - ammise lui, con un sorriso.

- E cosa dirà alla piccola Guendoline appena tornerà a casa, stasera? Di non avere aiutato una povera madre di famiglia in difficoltà? -

Al poliziotto Conders inizialmente scappò una risata per l'ingenuità della signora, ma cercò di trattenersi e rimanere serio per risponderle con l'intento di riuscire a mandarla fuori dai piedi.

- No, dirò che ho preferito rispettare gli ordini che mi vengono assegnati invece di dar retta ad un'estranea che in qualche modo potrebbe inganarmi, o forse perchè è solo pazza. -

Fu così che Conders riuscì nella sua impresa perchè la signora Diamonds se ne andò, rimanendo comunque a testa alta e non sapendo cosa dire in risposta, si limitò nel cercare di ingelosirlo, in qualche modo.

- Bene, vorrà dire che andrò nella questura di Los Angelese, sa, da quelli bravi! - disse uscendo con un tono di voce così alto tanto che tutte le persone si girarono a guardarla e l'accompagnarono con lo sguardo verso l'uscita. - Vi siete persi un caso grosso, vi siete persi un bel caso grosso! - ripetè due volte chiudendosi la porta alle spalle.

- Come posso aiutarla? - chiese il poliziotto riferito a Fannie, che ci mise qualche secondo per capire che qualcuno le stava parlando. Fannie, infatti, non sembrava per niente interessata a pagare la multa, la sua attenzione era concentrata su quella signora che se ne stava andando e che probabilmente avrebbe perso per sempre.

- Io... mi spiace, devo scappare! - si limitò a dire Fannie correndo verso la porta, cercando con gli occhi di non perdera di vista la signora Diamonds.

La vide entrare in macchina sbattendo la porta e Fannie accellerò il passo.

- Signora, signora! - urlò lei, raggiungendola.

La signora Diamonds la scrutò da capo a piedi, non aveva idea di chi fosse. Fannie sembrò capirlo.

- Ero dietro di lei in questura. -

La donna buttò la testa sul sedile della macchina e fece un grande sospiro e sussurrò : - Questa è la sesta questura in cui vado. -

- Perchè nessuno mi crede? -

- Io Le credo. -

- Certo, sto andando in crisi, alla pazza servirà un supporto, no? Sei molto gentile, comunque. -

- Non mento, anzi. Vorrei invitarLa al bar, a bere un caffè, un cappucino, qualcosa... Se non le dispiace, mi piacerebbe che mi raccontasse tutto, per filo e per segno. E io in cambio, Le dirò il motivo per cui io ora Le stia chiedendo questo. -

- Non è certo un poliziotto ma... Ci sto. - disse la donna con un leggero entusiasmo, finalmente qualcuno che la credeva.

- Non mi sono ancora presentata. Mi sono solo limitata ad intrufolarmi nella sua vita - ammise Fannie, imbarazzata - Fannie, Fannie Crownden. - disse porgendole la mano.

La donna scese dalla macchina e la strinse dicendo: - Kimberly, Kimberly Diamonds Crystal. -





Ciao a tutti,
bellissimi!
Allora, che vi pare di questa Dianna Scarlett? E di Kimberly? Vi aspettavate che fosse uno delle persone nella lista? Credete che sia una pura coincidenza il fatto che si conoscono?
Beh, vi lascio da rispondere questo ed altro a voi. Mi piacerebbe avere una vostra sincera opinione senza dipendere dal fatto che c'entriate con il capitolo o con la storia. Grazie mille a chi lo fa e a chi lo ha già fatto.
Bacioni,
Desperate.

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Capitolo 7
*** Kimberly D Crystal ***



- Come hai detto, scusa? - chiese Fannie d'istinto, senza neanche rendersene conto.

- Kimberly, Kimberly Diamonds Crystal. -

- Questo nome non mi è nuovo, per niente. - disse Fannie cercando di pensare a dove avrebbe potuto conoscerla.

- Non so dove mi abbia potuto vedere, forse in un'altra vita - disse con quel pizzico di sorriso.
- No... - disse Fannie tentando di pensare nuovamente.

Non sapeva che erano quei "Diamonds" ad ingannarla.

- Comunque, invece di un bar, che ne dici se andiamo in un ristorantino a due passi, c'è un po' di gente ma... Il mangiare è buono ed in più, posso parlarti di quella Dianna. -

E all'improvviso capì. Controllò nuovamente la lista, questa volta sicura delle sue azione.
Ede ecco apparire Kimberly D. Crystal, la numero quindici.

Che cos'aveva in mente George? Nella lista c'erano due persone che, anche se non amichevolmente, si conoscevano. Un segno? Ma che tipo di segno?

Kimberly la guardò un po' confuso per poi schiarirsi la voce e sussurrar piano un - Tutto bene? -

- Il ristorante è perfetto per l'occasione, avremo molto da parlare, signora Diamonds. -

Top of the Heap ore 12:37
Santa Barbara


- Vede, signora Diamonds... - iniziò Fannie dopo aver ordinato un po' spaesata, non credeva lei stessa alla totale confusione che cercava di metaforizzare.

- Chiamami Kimberly, ti prego. Mi sento vecchia, sennò. -

- Vedi Kimberly... - continuò Fannie, bloccandosi allo stesso punto di prima, forse un po' più indietro - il fatto è che... -

Kimberly aspettava una risposta chiara, si capiva.
E forse Fannie avrebbe dovuto spiegarle tutto dall'inizio, anche se non l'aveva fatto con gli altri.

- Il mio vecchio vicino di casa ed io, fin dai sei anni, giochiamo ad un gioco. -

Kimberly sorrise, ma Fannie aveva intuito che in realtà si stava chiedendo che diavolo tutto questo c'entrasse con Dianna Scarlett. Fannie decise comunque di proseguire.

- Consiste nel darci... ordini. Uno alla volta ha il diritto di chiedere all'altro di fare qualcosa. Chi rifiutava avrebbe ammesso di essere un perdente, un fifone, per così dire. Abbiamo iniziato con piccole cose, mangiare un po' d'erba, farsi registrare mentre si dice una frase più che esilarante, tirare uno sculaccione ad un passante... - Fannie si fermo e cercò di ridere, era strano per lei, ma tutto questo la faceva... Ingelosire, sì, ecco, ingelosire.
Era gelosa di lei stessa, ma ha sei anni. Quando la vita la doveva ancora scoprire e, quindi, un po' di speranza le si leggeva ancora negli occhi. - E poi, avanti con gli anni, le sfide si sono dimostrate sempre più dure. Un giorno si trasferì e l'unico modo per tenerci in contatto era rimasto uno solo: queste sfide. Ormai i nostri interessi in comune erano rimasti pochi e perciò... Non abbiamo più smesso. L'ultima volta gli ho chiesto di farsi la patente di entrambe barca a vela e a motore. Lui odia il mare e la spiaggia. Odia il sale che resta appiccicato sulla pelle anche dopo milioni di lavate di acqua e sapone. E collega al mare ad un'insieme di feci e urine. Lui pensa ai pesci e alle barche che scaricano giornalmente i loro ricordini. E quindi, nella sfida dopo si è vendicato, questo è quello che credo. Ci ha messo un po' a propormi questa sfida. -

- Che devi fare? - chiese Kimberly incuriosita, finalmente Fannie era riuscita a catturarla con le parole.

- Mi ha dato una lunga lista di nomi, ventitrè per l'esattezza. Ho notato che son tutte donne. Sotto c'è scritto solo che devo trovare che cos'hanno in comune e farci una storia per poi pubblicarla. -

- Sei una scrittrice? -

- Ho sempre scritto libri solamente per bambini. Il mio editore si occupa anche per testi più seri, per adulti, ed infatti mi ha ribadito più volte che se volessi avrei potuto tentare nel scriverne uno. Ma non ho motivazioni, non ho idee, non ho la stoffa. -

Il cameriere servì loro le prelibatezze che avevano ordinato, ma nessuna delle due sembrava intreressata nel mangiare il proprio piatto, ormai c'era tensione ed ansia tra le due. Avrebbero dovuto entrambe giocare le carte giuste e, una di loro, nasconderne qualcuna sotto il comodo cuscino rosso legato delicatamente sopra la sedia.

- Non ti credo. - disse Kimberly, assaggiando il primo boccone e annuendo con la testa.

- Beh, ti farò leggere qualcosa di mio, allora. Comunque finora sono riuscita a contattare tre persone. Felicia Lennox, una batterista che mi sta nascondendo qualcosa... Mi ha detto che la sua band ha molto successo, ma ho scoperto grazie a fonti sul web che mi nasconde qualcosa. Poi c'è Evelyn Wright, che non mi vuole vedere di persona, mi chiede di scriverle alle tredici e cinquantasei di ogni pomeriggio su Skype. Ho scoperto dal fratello che non esce di casa dai suoi diciotto anni, mi sembra di ricordare. Ma non mi ha detto il motivo e so che c'è qualcosa che non torna. Mary Black, invece, sembra la persona più normale che io abbia mai incontrato. È una sceneggiatrice con molto talento, mi ha detto ciò che volevo e con lei vado d'accordo. -

- Anche lei ti nasconde qualcosa. -

- Come, scusa? -
- Dico che George sicuramente non è andato alla ricerca della normalità, a parer mio. Sennò tutto questo non avrebbe senso. E se magari quello che hanno in comune fosse un segreto? Ventitrè donne con uno scheletro nell'armadio? -

Fannie si sorprese a quell'affermazione. Non aveva mai pensato alle parole di Kimberly. Perchè mai George avrebbe dovuto segnarle se fossero state normali? Winckleman cercava qualcosa di più, non cercava la luce, lui cercava l'ombra.

- Non vedo che cosa Mary mi possa nascondere... -

- È una donna, sicuramente ti nasconderà qualcosa. -

- Forse hai ragione. -

- Dianna è nella lista, non è vero? -

- Già, è capitato tutto così in fretta, sono andata in questura per pagare la multa - Fannie si fermó di scatto, la multa, non aveva pagato la multa. Al diavolo, ci avrebbe pensato dopo. - E poi ho sentito lei nominare Dianna, quel nome non mi era nuovo. -

- Un bel colpo di fortuna. -

- Ma c'è dell'altro. - sussurrò Fannie sorpresa nel sentire le sue stesse parole.

- Che cosa? - chiese Kimberly, non aveva idea di cosa la sua vicina le avesse potuto dire, in più.

- Kimberly, nella lista ci sei anche tu. -

E quella frase colpì la donna come un raggio di sole nella profonda nebbia. O, meglio, il contrario. Come la nebbia più cupa in un giorno soleggiato. Non disse nulla, per un attimo.
Non poteva credere a quest'alleanza.
Ripensandoci, non aveva letto tutti i nomi, non ne aveva avuto il tempo.

- Tutto questo non è possibile, io non nascondo segreti, non ho uno scheletro nell'armadio. -

- Sei una donna, sicuramente nasconderai qualcosa. - le rispose Fannie imitando lo stesso tono di voce che aveva usato Kimberly.

- Beh, se avessi segreti ti nasconderei che il mio ex-marito è un assassino. -

- Sul serio? - chiese Fannie, pronta a scrivere i dettagli nel block-notes? -

- E pensare che abbiamo avuto tre figli, insieme... -

- Non pensavo avessi figli. -
- Ne ho tre. Jeremy, che ha sei anni, Webster ne ha quattro e Michelle ne ha quasi tre. -

- Sono piccoli. - sospiró Fannie, immaginandoseli.

- Per quanto siano piccoli e per quanto possano pesare, loro mi sorreggono, mi fanno alzare ogni mattina, sono il mio primo pensiero. -
Almeno quelle parole erano sincere.
- Non ne dubito. -

- Finchè non avrai il tuo bambino tra le braccia per la prima volta, ne dubiterai. Non si possono capire queste sensazioni, non si possono spiegare con le parole. -

Fannie si zittì, si sentiva un ostacolo ai pensieri della donna.

- Comunque, ho denunciato io mio marito, alla polizia. -

- Dev'essere stata dura. -

- Quando sai che i tuoi figli sono in pericolo, credimi, non ci pensi un attimo. -

- Lui... - iniziò Fannie, ma Kimberly continuò la frase senza disturbarla.

- Ha ucciso quattro persone, non per un motivo preciso, per... per collera. L'ho scoperto perchè un giorno l'ho seguito. Io tendo a non fidarmi delle persone e lui, durante quel periodo, era più che assente. Ero convinta che mi tradisse. L'ho seguito con la macchina e l'ho visto uccidere. - non usciva una sola lacrima dal viso di Kimberly.

- Posso solo immaginare quanto sia potuta essere dura. -

- Non puoi immaginarlo. -

Partì una musica dalla borsa di Kimberly. Una telefonata dal cellulare.

- È Dilma - sbuffò lei - mi scusi? Mi sa che devo rispondere. -

Fannie annuì.

- Dilma, non chiamarmi durante queste ore, lo sai che sono impegnata. -

- Deve imparare a stare senza la mamma, almeno per qualche ora. -

- Passamela. -

- Michelle, tesoro, perchè fai impazzire la povera Dilma? -

- Lo so che ti manco, ma ora arrivo, è questione di un'oretta. -

- Dai, su, fa la brava. -

- Domanda? Che tipo di domanda dovrei farti?

- E va bene... Vediamo... Lo sai perchè nei cartoni giapponesi i personaggi hanno gli occhi grandi? -

- Non te lo ricordi? -

- Perchè sono invidiosi di noi e vogliono superarci di grandezza. -

- Uhm... Forse! Senti ora fai la brava che arrivo! -

- Ciao. - disse Kimberly riattaccando.

- Non so se abbiamo molto tempo a disposizione. - continuò poi, rilassando le spalle.

- Devi incontrarla - decise Fannie.

- Incontrare chi? -

- Dianna. -

- Perchè? -

- Dovrete prendere una decisione. -

Forse Fannie era riuscita a capire che cos'avesse in mente il suo George.




CIAO A TUTTI! (odio più punti esclamativi e, poi, sono anche un errore grammaticale XD)
Scusate il mio ritardo, di solito aggiorno nel giro di un giorno la storia, considerata la sua leggerezza, ma qui il problema non sono io ma... La mia WiFi!
Sono in vacanza in barca e quindi potete immaginare.
E poi mi dice "Impossibile accedere alla rete X". È la mia!
Non so, se è successo anche a voi, ditemi tutto!
Il fatto è che appena accesa per un minuto funziona e poi... STOP!
Andata.
In ogni caso, che ne dite del capitolo?
Come vi sembra Kimberly?
Nasconde qualcosa come ogni altra donna?
Fatemi sapere che ne pensate, ne ho bisogno!
Un bacione,
Desperate Housewriter

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Capitolo 8
*** Rozanne Mitchel ***


Fannie aveva avuto un'idea, una grande idea.
Doveva farle conoscere, farle parlare.
Kimberly e Dianna, una madre ed una ladra.
Doveva scoprire i segreti di entrambe facendo loro prendere una decisione.
Non aveva ancora unito il puzzle in modo completo, non aveva tutte le idee chiare.
Era qualcosa che l'intuito le aveva sussurrato sull'orecchio e sentiva che non poteva ignorarlo. Ormai era lui a comandare.

Dianna di certo qualche scheletro ce lo doveva pur avere nell'armadio, insomma, era una ladra. E Fannie, nonostante Kimberly si fosse rivelata molto amichevole e pronta a viaggiare con lei e a farle vedere dalla finestra del treno tutta la sua vita, non era del tutto convinta che non avesse nulla in più da dirle. Era moglie di un assassino, di certo non si pensa ad un tradimento. Come si chiamava suo marito? Non gliel'aveva detto, accidenti... Avrebbe dovuto cercare il modo di aprire il finestrino, la volta successiva che avrebbero viaggiato insieme.
Forse questa volta, però, avrebbe avuto un'altra compagna di viaggio al posto suo. Dianna Scarlett.
Fannie non aveva alcun dubbio, il carattere di Kimberly sarebbe sicuramente riuscito a far abboccare i segreti di Dianna all'amo. Di questo era sicura. Ma sarebbe stato anche viceversa? Una ladra sarebbe riuscita a trovare il lato oscuro di una madre di tre figli?
E, soprattutto, chi era Dianna? Com'era? Come viveva? Perchè rubava?
Sarebbe riuscita a risolvere questi rompicapo soltanto facendole discutere, tranquille, in una stanza senza interruzioni.

Fannie era diretta con il Taxi verso la casa di Mary, a Los Angeles. Avrebbe sicuramente rinfacciato a George i soldi che aveva speso per passare da una città all'altra, uno ad uno. Era stata la sua abile agente Rozanne Mitchel a contattarla tramite messaggio, le aveva chiesto di venire per le cinque. Cavolo, non si era presentata su Skype con Evelyn.
In ogni caso, appena Fannie aveva richiamato Rozanne, aveva intuito in lei un morale leggermente sotto i piedi, come se la supplicasse di venire. Chissà, magari Mary non voleva più avere a che fare con la storia e l'intervista.
Di Mary non aveva percepito neanche un minimo di misteriosità, non era convinta del fatto che avesse tralasciato qualcosa parlandole e per Fannie sarebbe stata un'impresa veramente ardua cercare di scoprire qualcosa oltre alla sua presenza composta e il suo spirito imprenditoriale.
- Quarantasette dollari. - la interruppe il tassista, era così persa dai suoi pensieri che stava uscendo dal taxi senza pagare.

- Ma sono quasi cinquanta! - rispose Fannie allibita, era una scrittrice di libri per bambini, non aveva di certo il talento di Shakespeare e non era neanche un petroliere.

- Vedo che è brava in matematica. - affermò questo con coraggio. I tassisti sono solitamente scorbutici, non hanno ristoranti nè tabaccherie quindi non è richiesta la gentilezza. Non si puó di certo sconsigliare un preciso taxi. Che peccato...

- Ha allungato il percorso... - continuò lei.

- E lei stava cercando di scappare senza pagarmi. -

- Questo non è - iniziò lei, ma si interruppe, non voleva badarci troppo tempo. Tanto fumo e poco arrosto, avrebbe comunque perso.
Prese una banconota da cinquanta e sbuffando gliela porse, lui la studiò per un po'. Credeva veramente che fossero finti?

Lui accese il motore e lei sospirò acidamente - Il resto. -

- Lo consideri come mancia. - sorrise di nuovo e se ne scappò via.
A Fannie vennero i brividi dall'irritazione ma cercò di trattenersi. Davanti a sè aveva una villa. La casa non sembrava molto grande, ma ad occupare lo spazio ci pensava bene un giardino infinito di un verde dei campi d'Irlanda. Le irrigazioni erano accese e stette bene attenta a non farsi bagnare, appena entrata. Il cancello era aperto, segno che l'aspettavano.
Suonò il campanello e ad aprirle la porta fu una ragazza con gli occhi a mandorla.

- Buongiorno. - salutò Fannie sorridendo e lei ricambiò.
Sbucò poco dopo Rozanne che le fece cenno di andarsene e fece accomodare Fannie in salotto in un divano di camoscio. La casa aveva uno stile particolare, ma comunque molto raffinato. Gran parti degli armadi e dei tavolini erano di un grigio chiaro oppure di un rosa shock, che spingevano il territorio ad un look perseverante ma allo stesso tempo affascinante.
Tra gli oggetti rosa, c'era una mensolina bassa accanto al divano in cui era seduta che conteneva varie serie televisive: Lost (che le aveva menzionato), Alias, Desperate Housewives e Shameless sembravano occupare la maggior parte dello spazio. Dall'altra parte, invece, ci stavano vari e vari film molto famosi, divisi per genere. In un comodino vicino ci stavano pochi e pochi film con un'etichetta appiccicata sopra ad ognuno con su scritto "one of the best", probabilmente i suoi preferiti. Nel mucchio ce n'erano vari di Steven Spielberg, poi c'era Scoprendo Forrester, Il Padrino, Forrest Gump, Pulp Fiction, The Help e The Truman Show.
Film completamente diversi l'uno dall'altro. Fannie li aveva visti tutti ma nessuno, peró, trattava temi sdolcinati come l'amore.

- Dicevamo - continuò Rozanne, che le aveva permesso per un po' di curiosare in giro con gli occhi.

- Mary quando arriva? - chiese Fannie un po' frastornata.

- Non c'è, ti parlerò io, non abbiamo bisogno di lei. È molto impegnata ultimamente. A dire il vero... - abbassò gli occhi e sospirò - non sa che ti ho convocata e non deve saperlo. -

- Come? - chiese Fannie avvicinandosi incuriosita.

- Penso che tu debba sapere altro della sua situazione. So che non ti ha detto tutto e di certo non ti avrà lasciato intuire alcune cose... -

- In effetti... -

- Le ho insegnato io ad essere sicura di sè stessa, che lei non deve temere gli altri ma dev'essere l'opposto. Le ho insegnato io a farsi rispettare e devo dire che c'è riuscita molto bene. A cena con te ha fatto di proposito a venire in ritardo. Deve far stare in ansia le persone anche nella vita reale. Ma... In realtà... Nasconde qualcosa. -

- Che tipo di cose? -

- È dura la vita di uno sceneggiatore. Lei ha molto talento. Sa rendere la caduta di una gomma qualcosa di completamente tragico, non so come faccia, non ne ho idea. Ed infatti ha successo. Ma, se provi a pensare... Quando esce un film a chi si dà il merito, a chi si pensa? Al regista, solitamente. Certi confondono addirittura il lavoro di regista con quello di sceneggiatore. Pensano sia la stessa cosa. E quindi... Il regista diventa celebre, lo sceneggiatore lo conoscono solo i più esperti. È lo stesso che è successo a Mary. Tutti parlano di Stu Brost, nessuno di Mary Black. E Mary ha bisogno di fama. -

- Beh... -

- Non è solo questo. Per lei la fama equivale a sicurezza, protezione. E poi... Questo lavoro non fa per lei. Non è adatta. Vedi... -

Fannie rimase in silenzio in attesa di un suo continuo, non voleva farle cambiare idea, non voleva perdere l'opportunità di sapere qualcosa in più su Mary Black. E ci riuscì.

- Soffre di depressione invernale. Appena è freddo, il tempo è cupo e magari c'è qualche goccia di pioggia lei si chiude in sè stessa. O, almeno, è quello che faceva prima. Non voleva uscire di casa. A quei tempi non ero la sua agente ma gestivamo insieme un sito vendita, @BuyMe', compravamo qualcosa a basso prezzo e la rivendevamo a di più. Poi ha iniziato con questa... malattia, se così si può chiamare. Prendeva tutto drammaticamente, qualsiasi cosa. Lo psicologo le ha consigliato di scrivere copioni per il teatro di bambini della parrocchia, in questo modo si sarebbe sfogata. E tutto è iniziato da lì, pian piano il suo talento si è iniziato ad evolvere, così come la sua carriera. Mi ha chiesto di farle da agente e ho subito accettato. Lei scrive solo d'inverno. Durante l'estate lavora con il regista e fa recitare gli attori, ma non scrive. Il fatto è che... I copioni non esprimono sentimenti. Sì, nei dialoghi, ma non è lo stesso. Si passa la maggior parte del tempo ad incastrare azioni, insomma... Le scelte non sono libere, deve lavorare e decidere in base a quello che le dice il regista, le idee principali sono del regista... E in questo modo non si sfoga, nè fa ció che le piace, nè ottiene successo. Tutto contemporaneamente, povera Mary! Sta diventando esattamente come un copione, non esprime ciò che pensa perchè odia quella che era una volta, da malata. Lei ha molta fantasia, quando descrive fa venire i brividi. -

- Quindi... -

- Io credo che sarebbe capace di scrivere un libro, da sola. Una storia, qualcosa... Ma le serve un incoraggiamento in più oltre al mio, qualcuno che la faccia stimolare. -

- Io? -

- Beh... Non lo so perchè io ti racconti tutto ciò... Ritenevo tu dovessi saperlo. -

- Sì, infatti mi sei stata molto d'aiuto. -

- Non devi proferir parola con Mary della nostra discussione, ti prego - la supplicò Rozanne, quasi mettendosi in ginocchio.

- Non lo farò, te lo assicuro. -

- Bene, mi hai sollevato da un gran peso. -

Casa Crownden
ore 22:45

Fannie era stravolta, era andata a mangiare un panino ad un bar di Los Angeles, non aveva intenzione di spendere troppo in ristoranti costosi.
Appena tornata a casa, si era letteralmente buttata nel divano ricoperto di stoffa gialla che le aveva regalato sua madre per evitare di sporcare un "vecchio ricordo".
Dopo si era trascinata a forza nel suo bagno azzurrino per struccarsi e lavarsi i denti. Prese lo spazzolino e lo iniziò a premere e strusciare sui denti. Ma che strano sapore... Fannie fu costretta a sputare. Si guardò attorno. Un momento... Il dentifricio non c'era nemmeno... Aveva usato il sapone. Che completa idiota! Tra la totale confusione, corse sulla scrivania di vetro ormai da rimettere a posto, era un totale disastro, e aprì la pagina di Skype. Nessun messaggio. Andò sul profilo di Velyn Right e iniziò a digitare.

Fannie Fannie: Hey, Evelyn... Scusami, so perfettamente che non sono le tredici e cinquantasei ma tra i miei impegni mi sono completamente dimenticata dei nostri appuntamenti giornalieri.
Scusa l'ora, anche se credo che il messaggio lo leggerai domani.
Non so se tuo fratello te l'ha riferito ma l'ho incontrato. L'ho contattato. Mi ha raccontato di te, della tua storia. E stai tranquilla, non te ne devi vergognare. Forse non vorrai vedermi perchè non ti fidi di me ma... Vedi, sto facendo un progetto. Nella lista c'è una persona che è molto simile a te. Vi potreste incontrare, parlarvi, prendere una decisione. Già, una decisione.
Staresti molto a tuo agio. Magari domani ne parliamo, ti racconto un po' di lei.
Notte.
P.S.- Comunque si chiama Mary Black.




Buongiorno (per dire) a tutte! In questo capitolo, come vedete, abbiamo scoperto qualcosa in più sulla nostra Mary Black. Ora sotto che luce la vedete? E le coppie? Che ne pensate di Kimberly e Dianna? Che succederà? E tra Mary ed Evelyn? Beh, fatemi sapere, ne ho bisogno. P.S- Ringrazio tutte le persone che hanno risposto ai miei messaggi accettando quest'avventura anche senza conoscermi, chi ha deciso di seguire la mia storia e chi ha recensito. Tra tutti, un omaggio in particolare Beverly Rose che mi è stata molto d'aiuto tramite recensioni! Grazie ancora a tutti! Passo e chiudo. Desperate Housewriter

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Capitolo 9
*** Son le ventitrè per tutti ***



CAPITOLO NOVE- Son le ventitrè per tutte


Casa Wright ore 23:00
Los Angeles

Evelyn Wright lesse il messaggio qualche secondo dopo che Fannie premette il tasto "INVIO". Non voleva risponderle subito per due principali motivi.
Il primo era perchè non erano le tredici e cinquantasei e lei era stata chiara con Fannie sull'orario d'incontro in chat. Rispondere sarebbe stato come approvare le undici come nuova ora di ritrovo. Il secondo perchè non aveva idea di che cosa risponderle. Era arrabbiata con Ellery per aver rivelato alla sua intervistatrice qualcosa di estremamente delicato che a parer suo sarebbe stato trattato da Fannie con troppa goffaggine, che avrebbe portato il tutto a rompersi e a ricostruirsi di nuovo più dolorosamente. Poi, l'idea che avrebbe dovuto incontrare una persona ancora più estranea di Fannie... Non poteva somigliarle, nessuno le somigliava. Nessuno provava quello che aveva provato lei e che forse provava ancora. Sapeva di essere una persona molto fragile e una casa con quattro mura era esattamente l'ideale per dimostrare il contrario, rigidità, schivamento e freddezza.
Evelyn andò nella stanza degli armadi, come la chiamava sua madre perchè ogni facciata era ricoperta da scaffali o mobili, e si guardò al lungo specchio che aveva davanti.
Rabbrividiva al vedere il suo corpo. Era una brutta grassona.
Guarda il doppio mento, guarda le gambe corte e troppo sformate, guarda gli occhi ormai non più azzurri, guarda le cosce bucherellate, guarda quanto è grassa Evelyn.
Sei una brutta grassona! Sei una brutta grassona! Sei una brutta grassona! Sei una brutta grassona! Sei una brutta grassona! Sei una brutta grassona!
Evelyn si coprì gli orecchi con entrambe le mani, basta! Urlò quasi piangendo e si strusciò su un armadio continuando a dargli pugni e calci, basta! Non fece in tempo neanche a rendersene conto che ad un tratto il suo corpo si fece sempre più debole, si sentì le gambe non reggere più neanche la sua persona, il suo carattere, la sua anima. Gli occhi si chiudevano da soli, le braccia allentarono la forte presa della rabbia appena provata e cascò a terra. Lei era lì in quella stanza e nessuno lo sapeva. Solo qualcuno poteva saperlo ma non l'avrebbe di certo aiutata, lui era un suo grande nemico, come poteva?
Era il suo specchio, lui aveva visto tutto.

Casa Diamonds Crystal ore 23:00
Santa Barbara

- Dianna Scarlett, ladra. - stava digitando Kimberly sul computer troppo vecchio, era capace di perdere i file anche dopo averli salvati un milione di volte - Alice Williams, apprendista stilista. Felicia Lennox, batterista di una band senza successo. Mary Black, sceneggiatrice. Evelyn Wright, traduttrice che non esce di casa da anni. -

Kimberly finì di scrivere soddisfatta, più per l'ordine e per essere riuscita a scrivere qualcosa senza che il computer si spegnesse, che per il contenuto. Il fatto che anche lei fosse nella lista l'aveva di certo spiazzata, ma aveva deciso comunque di proseguire. Magari avrebbe tralasciato sè stessa. Kimberly non voleva pensarci ed infatti non ci aveva mai pensato, ma anche lei un segreto ce l'aveva. Forse più d'uno, slacciandoli tutti dai collegamenti.

- Mamma, mamma! - urlò entrando senza bussare la porta Jeremy - i muffin sono pronti! -

- Jeremy, quante volte ti ho detto che non mi devi disturbare mentre lavoro? - - Non stai lavorando, sei sul desktop. -

- Come fai a sapere che questo si chiama desktop? -

- Io so tante cose, sono grande ormai! - Jeremy non era grande ma era molto furbo e intelligente per la sua età.

- Va' là sciocchino! - rispose Kimberly sorridendo - Arrivo tra cinque minuti! -

- Mamma ma non hai capito? Se non vieni finiranno bruciati! - urlò Jeremy, quasi come se in quel forno ci stessero persone viventi al posto di muffin.

- Allora corriamo! - stette al gioco Kimberly portandolo in spalle mentre scendevano le scale.

- Mamma finalmente sei aivvata! - affermò Michelle senza smettere di guardare dentro il forno - Sai stanca di stae davanti a computte! Dai, appi il fonno! -

- Va bene Miss Comando Io! - rispose Michelle aprendo il forno, i muffin non sembravano aver un bell'aspetto, erano sformati e si sbriciolavano facilmente, ma nessuno dei quattro se n'era accorto. L'importante per tutti era un venerdì sera passato armonosiamente insieme e a loro sarebbe andato bene anche un'atmosfera difettosa.

- Voglio che prima assaggi il mio. - disse Webster, il più timido dei tre al di fuori di casa, ma non per questo superbio e vendicativo.

- No, il mio! - gli urlò contro Michelle e il suo caratterino.

- Dai, Webster, assaggio prima quello di Michelle, dato che è la più giovane e dopo la signorina dovrebbe andare a nanna. - affermò strizzando gli occhi guardando l'orologio - cavolo, sono già le ventitrè passate! -

- Io a nanna non si vado! - disse Michelle, buttandosi a terra.

- Mangio il tuo per primo e gli altri li mangiamo domani mattina perchè ora ci dobbiamo filare, a letto! -

- Neanche pessogno! - soffermò Michelle incrociando le braccia.

- Devi mangiare prima il mio, mamma! - disse Webster cercando di attirare l'attenzione.

- Dai, Jeremy, lo mangio per secondo. Lascia stare tua sorella, che poi non va più a dormire. -

Webster, molto permalosamente, corse di sopra, probabilmente accasciandosi al letto piangendo come al suo solito. Kimberly ci avrebbe pensato più tardi.

- Mangiamo questo muffin, Michelle! - disse Kimberly prendendolo e spezzandone un pezzo per mangiarlo.

- Mmmh... Che buono! - mentì la mamma, ingoiandolo a forza. - Ora ci andiamo, a letto? -

- No e poi no! Io te lo ho zsa detto, a letto non si vado neanche nei sogni! - affermò nuovamente decisa la bambina, non c'era niente da fare.

- Allora io e Jeremy ti lasciamo qui, così il lupo stanotte ti porta via e noi non verremo neanche a cercarti! -

- Tanto non si credo. -

- Fa come vuoi, Michelle, fa come vuoi. Andiamo Jeremy? - chiese la mamma facendogli l'occhiolino, lui sembrò capire e la raggiunse salendo le scale.

Kimberly andò con Jeremy nella stanza di Webster e, prima di entrare gli disse - Mi aiuti a consolarlo? -

Jeremy aprì la porta e...

- Santo cielo Webster scendi giù di lì! -

Webster era fuori dalla stanza nel terrazzo, era salito da una sedia nel muretto in cui ci si appoggiava ed era pronto a buttarsi. Era ovvio che il bambino non aveva nessuna intenzione di morire, ma cercava di ottenere un modo per catturare tutta l'attenzione su di lui e, in effetti, c'era proprio riuscito. Ma questo l'aveva intuito solo Jeremy, la madre era impegnata nel farlo scendere.

- Dai... Forza, vieni dalla mamma. - cercó di dire Kimberly nel modo più tranquillo possibile, era terrorizzata, in caso fosse caduto avrebbe rischiato la morte. Ma Kimberly cercò di non pensarci.

- No che non ci vengo, devi assaggiare il mio muffin prima! -

- Allora scendiamo e lo assaggiamo. -

- No, devi portarlo qui e mangiarlo, allora scendo. -

- Webster vieni! - allungò le braccia la madre tremando avvicinandosi a lui.

Lui la schivò e nel farlo appoggiò un piede nel vuoto. La madre cercò di prenderlo in tempo ma non ci riuscì. E cadde. E il rumore della sua caduta fu l'unico suono che Kimberly sentì per settimane, giorno e notte.

Trouble Park ore 23:00
Los Angeles

- Credi che riusciremo mai ad essere felici, un giorno? -

- No. -

- Come sarebbe a dire no? -

- La felicità e il dolore non esistono, Grace. -

- Non è vero. -

- Si è felici solo perchè si pensa che in futuro si sarà felici. Si è tristi solo perchè si crede che in futuro si sarà tristi. -

- Aaron, ma dai! -

- Quando un bambino riceve un cavallino come regalo è felice solo perchè pensa che in futuro, mentre ci giocherà, sarà felice. Questa non è felicità pura. -

- E se ti morisse un parente? -

- Sarei triste perchè penso che in futuro sarò triste perchè sentirò la sua mancanza. La felicità e la tristezza sono solo illusioni ottiche, tutto qui. -

- E se morissi io? -

- Allora soffrirei veramente. -

- E... STOP! - urlò Stu soddisfatto e facendo un leggero applauso - Questa era perfetta, ragazzi! Cinque minuti di pausa. -

- Come perfetta? - chiese Mary un po' irritata, cercando comunque di mantenersi composta.

L'attore che interpretava Aaron File aveva recitato veramente male, non aveva soddisfatto per niente le soddisfazioni di Mary. I due attori avevano una candela a testa, le stelle erano troppe e troppo luccicanti, i grilli erano troppi mentre cantavano. Rendevano il tutto troppo combaciato romanticamente appositamente e Mary non voleva questo. Mary adorava la pura semplicità, il realismo della vita vera, non qualcosa di pensato che poteva accadere solo nello schermo del televisore. Una coppia mentre guardava la sua trasmissione doveva dire "guarda, quei due potremmo essere noi".

- Oh Mary, scusami! Rex non gliel'hai detto? - rispose Stu con un tono di voce troppo indaffarato, anche se in realtà non lo era per niente. - Cielo che caldo con queste luci sempre puntate, Rex portami qualcosa da bere! -

Mary tossì appropositamente, non poteva tenerselo stretto per parlarci neanche per un secondo che si era già dimenticato di lei.

- Abbiamo dovuto fare una stretta del copione. Era carino quel "allora illudiamoci otticamente insieme" e tutto il resto ma serve qualcosa di più... -

Mary sapeva già che parola lui stesse per usare, quella battuta ormai era diventata da copione. Magico. Anche se per lei, la parola più adatta da usare era irreale.

- Magico? -

- Già... Incredibile, sai sempre quello che sto per dire. -

- Ma... -

- Stu, Stu Brost? - la interruppe un uomo con un cappellino molto allegramente, non troppo giovane, se Mary non sbagliava, aveva superato la cinquantina.

- Sì. Tu sei? - chiese nel suo solito modo da sbruffone.

- Mike Tomphson, giornalista della rivista mensile del "May Day", mi ha convocato la vostra compagnia. Devo sentirmi onorato nel fare i miei più cari complimenti al regista di questa serie eccezionale! Che temi e che classe con cui li trattate! -

- Oh, ti ringrazio Mike. Ma il merito non è solo mio, c'è tutto un lavoro sotto che non avrei potuto far da solo senza l'aiuto dei miei operatori. -

- Suvvia, Stu, non perdiamoci in ciance! Tu sei l'ideatore e il mio articolo sarà dedicato solamente a te! -

Mary era abituata a questo, era sempre la solita ramanzina.

- Un bicchiare di The fresco al Limone va bene? - chiese Rex sperando di aver accontentato il capo.

- Sì certo, dammi qui. - rispose Stu non badante.

- Comunque hai ragione, Mark... -

- Mike. -

- Scusami, stavo dicendo... Ah, sì! Senza di me tutto questo non potrebbe essere in vita, non mi ci avevi mai fatto pensare! -

Mike guardò il bicchiere di the fresco di Stu desiderandone anche lui uno, con tutto quel caldo afoso artificiale, ma il regista sembrò non essersene accorto.

- Allora lo vedi che ho ragione! -

- Che dirai nell'ar... - Stu fu interrotto da un colpo di tosse che fu seguito da un altro e poi da altri ancora. Sentì una sensazione di vuoto arrivargli in gola, non riusciva più a percepire le persone che gli stavano attorno, tutto ormai gli era diventato indifferente. Per un attimo, il mondo non girava intorno alla sua radiosità, ma al suo soffocamento. Stu Brost cadde a terra quella stessa sera alle ventitrè e ventisei. Chissà se avesse considerato anche quell'avvenimento un tocco magico nella sua vita.

Casa Lennox ore 23:00
Santa Barbara

- E uno, e due, e un due tre vai! -

Quando il bar è chiuso perchè è Natale
e fuori non si trova un cane nè un maiale,
allora vengo a casa tua e ci metto un po' di sale,
a tutta questa musica che hai tutta commerciale.

Se tu non mi paghi
io ti spacco il culo
Se tu non mi droghi
io ti tiro un mulo
Se tu non mi streghi
ti dico "vaffanculo"!

Quando tu ti strucchi per andare a letto,
io ci metto un po' a guardarti e rimango piatto,
forse sono tutto fatto,
o forse mi ha morso il dito un ratto!

Se tu non mi paghi
io ti spacco il culo,
se tu non mi droghi
io ti tiro un mulo,
se tu non mi streghi
io dico "vaffanculo!"

- Dico è perfetta, ragazzi! -

Yako andò a battere il cinque a tutti, Felicia tentò di sorridere e gioire insieme a loro. Quella canzone non era quello che voleva lei, non rappresentava il suo essere e sapeva che neanche ai ragazzi non piacevano quelle parole, quei testi assurdi, quella musica che faceva solo baccano. Stavano correndo tutti troppo, correndo per salvare un amico.

- Non possiamo un po'... Rimodellare il testo? - chiese Felicia tentando di sembrare innocente, senza peli sulla lingua.

- Domani suoniamo, Fely... E noi vogliamo salvare Shono... Dobbiamo avere abbastanza soldi per... -

- Pagargli le cure, lo so. -

Lo sguardo di Felicia e quello di Shono si incontrarono. Lei sapeva che i suoi occhi stavano rifiutando l'aiuto che gli era stato regalato, la troppa premura. Si sentiva un ostacolo per i suoi fratelli e anche verso Felicia, che prima aveva una vita felice e serena, ma che era stata costretta a mettere in condivisione la casa con loro. Non poteva andare all'ospedale perchè non aveva, come tutti gli altri componenti della band, il permesso di soggiorno. Felicia lo sapeva bene, al contrario dei suoi fratelli aveva un gran cuore e, ormai, si considerava parte della loro famiglia. Dovevano salvarlo, al costo di pagare qualsiasi medicinale.

- Stai bene, Shono? - gli chiese Felicia, sapendo già che lui avrebbe mentito. Yako, intanto, stava parlando con Stujo, il genio del computer, per gli effetti speciali durante la futura gran serata.

- Sì, tu tranquilla. -

- Vedrai che domani spaccheremo. -

- Non pensare sempre a me. Tu hai famiglia, casa, tu troppo buona. Tu non essere razzista. Tu accettare me come fratelo. Tu fai il possibile per me, io lo so. Vorei essere al posto dei tuoi frateli, perchè loro non sanno quanto sei speciale, io sì.

- Tu sei mio fratello. -

- E tu sei mia sorella. -

A Felicia scappò una lacrima dal viso, ma non ebbe per la prima volta l'impulso di coprirla.

- Quando io moio, tu non deve essere triste. È normale nela vita. Tutti prima o dopo moiono. A me è toccato prima. Tu deve ascoltare tui frateli, tu devi continuare per tua strada, perchè tu sei speciale, sei persona più speciale che io conosco. -

Alla prima lacrima versata di Felicia, fecero compagnia altre due, e poi tre, quattro, cinque. Sempre di più, disfandole il trucco e rigandole il viso di mascara.

- Tu non morirai, Shono. -

- E devi prometermi che pubblicherei quelo che mi hai fato legere, devi mostrare qualcuno più importante de me. -

- Uno, tu sei importante. Due, tu non morirai. -

- Prometemi. -

- Shono, devi ascoltarmi, non... -

- Prometemi. - le ripetè Shono di nuovo, con lo stesso tono di voce.

- Te lo prometto. - sussurrò Felicia pizzicandogli il naso, era un gesto che gli faceva sempre.

- Sei stanco? - gli chiese vedendo Shono un po' teso, con gli occhi gonfi e un po' paurosi. Era più che stanchezza, era paura. Lei non era a conoscenza di quello che Shono stava per affrontare, nessuno ne era.

- Sì. - rispose lui, alzandosi e dirigendosi verso la sua stanza. Ce n'erano solo due, di stanze, Shono la divideva con lei.

- Faccio piano quando arrivo, non sentirai volare una mosca. -

Come risposta sorrise e sussurrò ai ragazzi - Posso darvi un bacio di buonanotte? -

- Ma certo! - sussurrarono loro ben felici di accettare.

-'Notte a tutti, vi voglio tanto tanto bene. - disse perlustrando gli occhi dei tre per poi lasciarsi tutto alle spalle e girarsi.

- Anche noi. - risposero all'unisono gli altri, ma era troppo tardi.

- Che ha detto a te? - le chiese Yako.

- Mi è sembrato molto strano... -

- Come mai? -

- Non saprei, in realtà. Crede di essere un peso. -

- Non lo è. - disse Stujo, parlandole per la prima volta in tutta quella sera.

- È quello che gli ho detto, ma non lo vuole proprio capire. -

- Comunque domani bisognamo guadagnare, per il bene di Shono. -

- Dobbiamo andare all'ospedale. - suggerì Stujo.

- E come portiamo lui, a forza? -

- Uhm... -

- C'è qualcos'altro, da preparare? - chiese Felicia.

- No, anzi meglio che tu controli lui e fai compagnia, noi facciamo le ultime cose. -

Felicia non si oppose, preferiva passare il suo tempo con Shono che parlare del discorso "Low Budget". Camminò piano per il corridoio cercando di non svegliarlo in caso dormisse e aprì dolcemente la porta.
Non accese le luci, ormai conosceva quella casa a memoria.

- Shono, stai bene? - Nessuna risposta, probabilmente si era già addormentato.

A tastoni andò verso il suo letto, voleva rimboccargli le coperte essendo a consapevolezza del fatto che durante la notte gli cadevano sempre fuori. Ma, appena rimesse a posto, non sentì il corpo di Shono.
Accese la luce e si sentì mancare appena vide scritto in matita sul muro: "Non ciamate l ospedale, soteratemi e nessuno se ne acorgera. Vi volio bene e ho lashato sul tavolo una busta per ogniuno. "

Felicia non badò agli errori grammaticali sul muro o alle buste sul tavolo, per un attimo si dimenticò di tutte le superficialità imposte da una società troppo presente nelle vite umane, in quel momento erano sparite dal suo cervello, erano diventati insignificanti, invisibili. Si mise a cercarlo da tutte le parti, nella speranza che tutto fosse uno scherzo ed in preda al panico urló disperata - Ragazzi venite qui! -

Intanto guardò sotto il letto, in bagno, nell'altra stanza...
I due coreani arrivarono in un balzo percependo il dramma della vicenda. Lei si limitò nel parlare ma lasciò che loro scoprissero che cosa fosse accaduto. Entrambi, senza dire una parola, si misero a cercare.
Felicia non sapeva come si sentivano, non avevano espresso alcuna parola. Forse perchè non volevano mollare l'osso, speravano di trovarlo e non volevano sprecare il tempo regalato. La speranza che aveva Felicia la stava avvelenando, non vedeva più quello che stava facendo, tutto intorno a sè le girava, non capiva nulla. Si stava muovendo a caso, tanto per far qualcosa, per cercare di essere di aiuto, un aiuto invisibile. Si sentiva invisibile.
Fu Stujo ad indirizzarla verso la finestra urlando - Yako, chiama l'ambulanza, subito! - Felicia guardò in basso cercando di abbattere il pensiero di quello che si aspettava di scoprire, non voleva vedere quello che le si presentava davanti. Ma, purtroppo, quel desiderio non si avveró. Shono era accasciato a terra pieno di lividi e coperto dal suo stesso sangue, aveva fatto un volo dal quinto piano.
A nessuno era sfiorato il pensiero del permesso di soggiorno, delle loro sorti. Tutti e tre sarebbero stati pronti anche a morire, pur di salvarlo.
Felicia, per un attimo, desiderò di fare la stessa fine dell'amico.
Voleva accompagnarlo. Non le rimaneva che sperare, pregare e sperare. Ma non riusciva a pensare ad altro oltre al fatto che Shono sarebbbe stato intrappolato da un sogno dal quale non si sarebbe mai più risvegliato.




'Mattina a tutte, ragazze.
Questo capitolo, tra tutti, è quello che preferisco.
Non è che io abbia molta autostima, anzi, tutto quello che scrivo mi fa letteralmente schifo, ma chi scrive come me avrà sicuramente questo mio problema, magari non lo ammette.
Quindi, mentre agli altri il mio voto per loro avrebbe raggiunto per poco la sufficienza (se di buon umore della sottoscritta), con questo sono buona e do un bel sette e mezzo a me stessa! ;) Allora, in questo ho molte domande da farvi, vorrei sapere la vostra opinione.
Prendetevi tutto il tempo che volete per rispondermi, rilassatevi comode...
Non importa se sei una dei personaggi oppure no, una tua opinione mi farà saltare di gioia, la leggerò e la leggerò in continuazione, fino a non ricordarla a memoria. Mi basta una frase, due, per farmi sorridere. E non dico che debbano essere positive, anzi! Se hai qualcosa da criticare fatti subito avanti e ti accoglierò a braccia aperte, non prendo niente come offesa ma come uno stimolo a migliorare.
E dopo questa mia predica in ginocchio scritta apparentemente da una disperata passiamo alle domande, che è meglio, va'!
Intanto, vi piace questa mia idea di farvi spiare dalla tenda della finestra dei nostri quattro personaggi? Vi disorientate senza Fannie, oppure vi piace questa novità? Cosa pensate di tutto questo, degli eventi simili che sono capitati alle nostre donne verso le undici? Chi sarà morto? Chi invece sarà riuscito a sopravvivere?
Analizzo con voi ben bene personaggio per personaggio, un po' per schematizzare le mie domande.

Miss Wright- guarda com'è grassa Evelyn La parte più breve, più corta, è stata la prima, quella con la nostra Evelyn. Vi ho accennato un altro suo lato, ma ho lasciato in sospeso qualcosa. Che cosa è successo ad Evelyn nello specchio? E cosa succederà?

Mrs. Diamonds Crystal- scendi giù di lì
Bene, nella seconda scena, in sospeso ho lasciato due cose.
Che stava facendo esattamente Kimberly nel suo computer? E che ne sarà del piccolo Webster?
Miss Black- il tocco magico di Stu Brost
Con Mary ho cercato di mettere a prova come la descrive Rozanne, avete percepito in lei qualcosa che diceva la sua agente? E cosa è successo a Stu? Tutto questo non vi puzza?

Felicia Lennox- prometemi
Devo ammettere che per un po' di tempo non avevo fatto più apparire Felicia in scena, un po' ped la mancanza di idee e di interessamento. Ma ora... Mi interessa di più e onestamente tra tutte è quella che mi incuriosisce maggiormente. Come la vedete con Shono? Uguale o diversa? E con Shono? Cosa è successo? Si salverà? E Felicia, che farà? Che le capiterà?

Tra tutti, leggendo i miei schemi, chi vi incuriosisce di più? Chi meno? Mi fate una classifica? E, se tra di questi c'è il vostro personaggio, che ne pensate finora? In che vi identificate? In che, invece, non ve' somiglia pe' niente (pronunciata alla Johnny Stecchino ;)?
Fatemi sapere tutti i dettagli, mi raccomando!
Baci,
Desperate

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