I'm good, i'm gone.

di Mrs C
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


14 settembre 2012

Prima seduta

Ore 11:23

 

 

 

 

 

 

Mia madre si chiamava Frances. Era una scrittrice. Mio padre, un ambasciatore nostrano in Francia, ha vissuto lì tutta una vita, finché non è morto schiantandosi contro un camion in autostrada.

Nei rapporti ufficiali dicono si sia trattato di un semplice incidente.

Uno di quelli che capitano ogni giorno. Non sono mai state trovate prove del contrario.

A tredici anni, ho hackerato i sistemi della DGSE [1] e ho scoperto tutte quelle che erano state seppellite, per non far trapelare un sostanzioso scambio di ostaggi fra la Libia e il governo francese, tenuto sotto stretto silenzio. Niente di strano, dirà lei. Capita, a volte, di dover lasciar andare qualche prigioniero per riprendersi uno dei nostri.

Ma non è così, questa volta. Ero uno scambio sotto banco, se mi passa l'espressione, non approvato dal governo di Francia, ma nascosto dagli altolocati coinvolti nella faccenda.

Tre dei nostri, accusati dello sterminio di un villaggio libico, per uno pulito.

Il figlio di un Generale, credo.

Mio padre aveva scoperto questo traffico, non so come, ed era intenzionato a far venire a galla tutto ma gli hanno chiuso la bocca prima che potesse farlo.

Mia madre ha lasciato la sua casa quasi subito, ed è partita per gli Stati Uniti. Io ero molto piccolo.

Ci abbiamo vissuto insieme per quasi vent'anni, come una famiglia normale. Potrei quasi dire che eravamo felici. Perché per un po' lo siamo stati.

Non si è mai risposata, e quando anche lei è morta – una malattia cardiaca congenita – io sono tornato qui, nell'unico posto in cui avrei potuto realmente fare qualcosa. Di buono o cattivo, non lo so.

Ho causato un sacco di guai, prima di quel momento. Sono stato arrestato un paio di volte per furto e guida in stato di ebrezza. Non voglio dire che il mio comportato è da imputarsi alla mancanza di una figura paterna, perché sarebbe nascondermi dietro una scusa che non esiste e io non sono quel tipo di persona.

All'alba del terzo arresto, quando rischiavo il carcere a vita e un'accusa di omicidio pendente sulla testa, ho deciso di fare qualcosa.

Non ero implicato in quel caso, ma mi sono trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Se capisce cosa voglio dire.

Non sapevo come uscirne. Ci ho pensato a lungo. Così ho deciso di fare ciò che so fare meglio: barare.

Mister Groucho [2], così si chiama il detective che mi stava interrogando, ha rischiato un ictus

quando gli ho rivelato che sapevo perfettamente dei traffici di prostituzione e droga in cui era implicato l'allora primo ministro.

Ovviamente lui non era al corrente dei particolari, ma i vizi del nostro altolocato politico non erano cosa nuova, specie per chi era di casa...

Non avevo prove, se non la mia parola, ma sono stato abbastanza convincente dal far arrivare l'FBI al mio interrogatorio. Credo sia stato quello, il momento in cui ho deciso di giocare tutte le carte che avevo, ad aver cambiato la mia vita.

Ho una memoria eidetica [3], ricordo ogni cosa dopo averla letta una volta. E i server dei servizi segreti francesi non sono gli unici che ho hackerato...

Ho imparato che per essere giusto devi essere anche al sicuro. E per essere al sicuro, negli anni, ho raccolto più informazioni della CIA e l'FBI messi insieme. In modo da usarle al momento opportuno.

Se avevano intenzione di tapparmi la bocca, sarebbero andati incontro al sistema automatico che avevo creato [3].

Devo riprogrammarlo entro un momento preciso della giornata, altrimenti tutto quello che ho raccolto, viene spedito in ogni parte del mondo.

Dalla Cina, all'Inghilterra, Italia, Portogallo, passando per ogni server a cui posso arrivare.

Può immaginarlo? Ogni malaffare degli americani – ogni loro più piccolo e torbido segreto – di dominio pubblico nel giro di un'ora, causando il tracollo finanziario e politico di tutta la nazione.

Erano disposti a rischiare così tanto? Ovviamente no. Non ero un mitomane. Glielo avevo già provato, trascrivendo parola per parola un file secretato degli archivi nazionali, di cui hanno avuto l'accortezza di verificarne l'esistenza.

Non sapevano cosa fare con me. Non potevano arrestarmi, perché sarebbe stato condannarli a morte, e non potevano lasciarmi libero perché ero un'arma di distruzione di massa su gambe.

A me non importava. Non mi è mai importato niente, non fino a questo momento almeno.

Inaspettatamente, in mio soccorso venne M.

Suppongo l'abbia conosciuta, prima che... beh. Un paio di giorni dopo essere stato messo sotto protezione, fui portato via da un paio di uomini che non avevo mai visto e ficcato a forza dentro una limousine in cui mi stava aspettando. Mi guardò per qualche istante, cercando qualcosa nei miei occhi che ancora adesso non riesco a capire bene e a comprendere.

Ma lei era così, per cui non dovrei sorprendermi. Giusto?

“Voglio che sia messo bene in chiaro, ragazzino. Sei sotto la mia supervisione, da ora in poi, e se farai anche un solo sbaglio – uno solo – io non ci penserò due volte a farti sparare in fronte. Non sei l'unico hacker abile che controllo. Capito?”

Fu la sua presentazione e l'inizio di una vita che sarebbe stata, per me, incredibile.

Se mio padre fosse vivo oggi, non crederebbe mai che suo figlio è il caporeparto della Q-Branch dell'MI6 britannico.

Voglio dire... ho sempre avuto un animo ribelle fin da ragazzino, non ho mai creduto di poter fare qualcosa di così importante nella mia vita.

Non è sminuirmi, credo, si tratta solo di saper inquadrare bene la prospettiva.

Sono intelligente, e maledettamente bravo in quello che faccio, ma a volte essere intelligenti e bravi non è abbastanza.

Bisogna avere una possibilità, e non tutti sono disposti a rischiare per dartela, specie una persona con problemi relazionali come me. M ha rischiato tanto e tutto. Avrei potuto fare qualunque cosa, avendo accesso ai computer dei servizi segreti, compreso far esplodere questo palazzo, e il suo culo ancorato a quella poltrona.

Ma non l'ho fatto. E sa perché? Perché glielo devo. Le devo questo, a M, l'avermi dato un'occasione.

E se sono venuto oggi, è per questo motivo: perché glielo devo.

Non sono qui, perché lei è stato convincente nel suo discorso patetico da medico in carriera, Dottor Lecter. Non una sola parola è rimasta nel mio cranio abbastanza a lungo per fare breccia nel mio cervello o, peggio, nel mio cuore.

E l'unica persona che aveva questo privilegio, come lei ben sa, non è più qui per dimostrarglielo.

Sono qui perché l'intero corpo dell'MI6 pensa che io sia sconvolto dalla scomparsa di Bond, ed è così.

Sono sconvolto, frustrato e stanco. E sa perché sono sconvolto, frustrato e stanco? Perché tutti tendono a trattarmi come una mogliettina in lutto.

Non lo sono. Sono un uomo, e un hacker, gioco con le stringhe di codice dalla mattina alla sera – e, mi creda, non c'è niente di più freddo di una serie di intervalli e numeri che ti guardano impietosamente in attesa che tu riesca a sbrogliarne il significato nascosto – e so quando posso e non posso essere sentimentale.

E non posso. Non posso permettermelo. Non adesso, e neanche dopo. Non è la prima persona che perdo, so sopportare il dolore.

Per cui, se lei e tutti gli altri volete che io venga qui, a perdere un'ora e mezza del mio tempo, benissimo: lo farò.

Parlerò della mia famiglia, dei miei problemi, di come mi sento e di quanto mi da fastidio che qualcuno cerchi di scavare dentro di me senza permesso.

Sono disposto ad assecondare questa terapia, ma non cerchi di psicanalizzarmi.

Tutti nascondiamo dei segreti, Dottore. Se lei farà qualcosa che non sarà di mio gradimento, farò in modo di scoprire i suoi. E, mi creda, sono bravo in questo, è il mio lavoro. Sono il migliore.

 

 

 

 

 

 

       

14 settembre 2012

Prima seduta

Ore 12:19       

 

Il paziente presenta un accentuato disordine psicosociale. Probabile presenza di Asperger, anche se non in forma completa. Rifiuto della realtà, e chiusura nei confronti dell'esterno. Si richiede l'aumento delle ore di terapia durante la settimana.

 

 

Firma del Dr.

Hannibal Lecter

 

 

 

 

 

 

 

Ps. I'm a Serial Addicted

 

[1] Direction générale de la sécurité extérieure (DGSE), i servizi segreti francesi che si occupano delle trattative con l'estero.

[2] Un piccolo omaggio al personaggio di Dylan Dog XD

[3] Un altro piccolo omaggio a tre/quarti dei miei personaggi di telefilm preferiti che hanno, appunto, una memoria eidetica: Mike Ross (Suits), Spencer Reid (Criminal Minds), Patrick Jane (The Mentalist).

[4] Copiata spudoratamente da un episodio dell'ultima stagione di Supernatural. Messa come l'ho messa io, non è spoiler, tranquilli XD

 

 

Ordunque, siamo giunti! Hello everyone! Come avrete sicuramente notato è una fanfiction un po'... particolare. Tanto per iniziare quando ho deciso di metterci in mezzo lo psichiatra, non avrei potuto sceglierne un altro se non il Dottor Lecter di Hannibal (tv), di cui mi sono pazzamente innamorata sdnskdmsmdsdsihushdeuh ma non è un Crossover o una AU e non lo sarà, ecco, chiariamolo XD in secondo luogo, ho deciso di esplorare un po' la mente di Q, a cui mi sento molto affine. Ho cercato in tutti i modi di capire, come poteva sentirsi a perdere l'unica persona a cui tenesse, e come avrebbe potuto reagire. E questo è il risultato. Ho pensato molto a come poteva essere arrivato all'MI6, ed è uscito così. Spero di non aver sminchiato troppo il suo personaggio, ho cercato di mantenerlo nei limiti di ciò che sappiamo (che, purtroppo, non è molto). Good, considerando che in questo momento ho tanto tempo libero, credo e spero che il prossimo capitolo sarà a breve. Non saranno molti, forse una decina. Dipende da come e quanto decido di sviluppare 'sta cosa! Vi lascio un abbraccio, e una strizzata u.u see you later!

 

Ps. il titolo è preso da I'm good, i'm gone di Lykke Li.

 

Jess

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Capitolo 2
*** II ***


3 novembre 2012

Dodicesima seduta

Ore 16:25

 

 

 

 

 

 

Mi sono innamorato una volta. Avevo sedici anni, e lei diciotto. Si chiamava Sophie, e aveva gli occhi blu, bellissimi.. Non erano di un blu normale, voglio dire... ci sono tantissimi blu. 
Mi guardi, io ho gli occhi verdi. Eppure potrebbe dire con assoluta certezza che sono verdi verdi o avrebbe un minimo dubbio sul fatto che siano di un verde diverso?

I miei sono verde palude. E non potrebbe dirlo in nessun'altra maniera, voglio dire... sono verde palude. Non verdi, o verde scuro. Verde palude. Non c'è un altro modo di chiamarli.

Quelli di Sophie erano blu corallo. Non era bella in maniera appariscente, anzi. Aveva uno strano colore di capelli. Le piaceva tingerli di un biondo sbiadito. Quasi bianco. Non le stavano bene, glielo dicevo sempre. Con i suoi occhi, sarebbe dovuta tornare al suo colore originale, il nero, ma non mi ha mai dato retta. Era una persona testarda. Mi piaceva per questo. Perché mi teneva testa. Non aveva paura della mia ritrosia, del mio pessimo carattere e di quel modo che avevo di allontanare le persone.

Non so come abbia fatto ad innamorarsi di me, né come io abbia fatto ad innamorarmi di lei.

Siamo stati insieme per tre mesi, ed è con lei che ho fatto sesso la prima volta.

Non ha mai preteso parole dolci da parte mia, né mentre eravamo a letto, né fuori.

Non le ho mai detto che l'amavo, e non le prendevo la mano in strada. Nei corridoi.

Nessuno sapeva che stavamo insieme, e nessuno l'ha saputo nemmeno quando è morta.

Ero presente al suo funerale, in chiesa, nell'ultima fila della navata. Una dopo l'altra, le sue amiche e i parenti sono saliti sul pulpito e, fra le lacrime, hanno detto parole dolci e gentili su di lei.

Sulla persona che era, su quella che sarebbe diventata. Non lo era. Una brava persona, intendo.

Sophie era ciò che più lontano potesse esserci dall'essere una brava persona.

Se n'è andata, decidendo lucidamente di farlo. Tutti pensano che sia stato un incidente.

Dissero che aveva bevuto un po' troppo, e che quella curva sulla tredicesima non l'aveva proprio vista.

Non andò così. Sophie si è tolta la vita, in piena coscienza di sé e non ha lasciato biglietti perché non aveva nessuno da salutare, a parte me.

E io già lo sapevo. E non l'ho fermata perché, se non l'avesse fatto quel giorno, forse l'avrebbe fatto il giorno dopo. Oppure oggi.

Lo immagini, Dottore. In un futuro diverso, io sarei stato qui con lei, e Sophie appesa a qualche trave, in un appartamento diroccato della City.

Ci siamo salutati la sera prima come se niente fosse, ma entrambi sapevamo che non ci saremmo visti mai più.

Mi ha chiesto cosa doveva fare.

Io le ho detto che qualunque fosse stata la sua decisione, sarebbe andata bene comunque.

Ho preso sulle mie spalle il suo peso, capisce? L'ho lasciata andare. Volevo bene, a Sophie.

Ma lei non è mai stata di questo mondo, e gli altri non avrebbero potuto capire.

Non l'avrebbero accettato.

Così ha fatto credere di aver bevuto troppo e, razionalmente, ha deciso di andarsene.

E io sono rimasto qui.

Dottore, lei sa perché? Perché sono rimasto, voglio dire. Io lo so. Non mi soffermo spesso su questo, perché fa troppo male, ma il motivo per cui io rimango sempre è che probabilmente è questo il mio posto. Io ho la visuale migliore, sulle persone che poi perderò.

E' sempre stato così. Con mio padre, con mia madre, con Sophie. Con James.

E' sempre stato, così, Dottore.

L'unica domanda che non ha risposta è quanto ancora riuscirò a sopportarlo.

Dopo Sophie ho deciso di non avvicinarmi più a nessuno. Tutti hanno un limite, capisce? E per non varcare il mio, allontanarmi dalle persone è stata l'unica scelta possibile.

Almeno finché non ho conosciuto James. So che lo conosce di fama, ma sono a conoscenza di come James si sia sempre rifiutato di venire a una delle sue sedute, per cui non lo conosce di persona.

E' arrogante. Fastidioso. Incredibilmente prepotente.

Avrei voluto spaccargli la testa sul tavolo più di una volta e, all'inizio, rapportarmi con lui è stato difficile. Litigavamo in continuazione. Una volta eravamo a tanto così dal metterci le mani addosso.

M diceva sempre che era l'unico in grado di farmi saltare i nervi, e quando mi sono accorto che qualcosa era cambiato era già troppo tardi.

Con gli altri mi sono sempre tenuto a debita distanza, mai un'uscita con i compagni della Q-Branch né una cena in compagnia. Uscito dal laboratorio, per me erano dei perfetti estranei.

Con James non ci sono riuscito. Mi si è avvicinato piano, per paura che potessi scappare, e ogni scusa era buona per parlarmi. Anche litigare, se era necessario.

Poi non so cos'è successo, Dottore. Ci siamo ritrovati a pranzare insieme per puro caso – anche se con il senno di poi, forse non lo era così tanto – finché il pranzo non è diventato cena.

E svegliarmi con il profumo dei croissant fumanti a impregnare la stanza.

La prima volta che ci siamo baciati, era la sera precedente alla sua partenza per il Cile. Stavamo cenando, a casa sua. Non ero mai entrato prima di quel momento.

Avevo lo stomaco chiuso, e per la prima volta sentivo che qualcosa era sbagliato.

In tutta quella situazione, qualcosa era sbagliato. Non ho mai messo in discussione gli ordini di M, o le missioni che ci vengono assegnate... ed è stato forse in quel momento che me ne sono reso conto. La mia non era paura di fallire. Era paura di perdere. Che qualcosa andasse storto... che James non riuscisse a tornare a casa.

Sa che cos'è un'epifania, Dottore? Io l'ho avuta in quel momento.

La porta che ho sempre tenuto chiusa a chiave, James l'ha buttata giù senza alcuna fatica.

Può anche solo vagamente immaginare come mi sia sentito? Quanta paura ho provato a sentirmi così esposto, così... stupido?

Dio. Mi sento anche adesso uno stupido, a venire qui.

Lei mi dice sempre che la speranza è l'ultima cosa a cui dobbiamo aggrapparci. Se non c'è più nemmeno quella, è una causa persa.

Mi dica, ora, a cosa devo credere. A cosa mi devo aggrappare. La mia speranza era James, Dottore.

E adesso che lui non c'è, mi tirano da così tante direzioni che non so da che parte girarmi. [1]

Quella sera l'ho baciato con rabbia, per la prima volta.

Gli ho tirato i capelli, cercando di andare oltre il sapore di Whisky e il profumo scozzese che porta sempre e, lo sa, mi infastidisce.

Inconsciamente sapevo che qualcosa non sarebbe andato come previsto.

Non so in che modo potrò andare avanti, senza baciarlo ancora una volta.

Alcune notti è così difficile respirare che ho paura di non arrivare alla mattina dopo.

E quando mi sveglio, con la luce del sole che mi colpisce gli occhi, è come se fossi stato investito da un camion. E la realtà mi piomba addosso, prepotente e malvagia.

Non sto bene, Dottore. E non so cosa fare per poter stare meglio.

Se lei non riuscirà ad aiutarmi, non so se sarò in grado di farcela da solo.

 

 



 

 

3 novembre 2012

Dodicesima seduta

Ore 18:55

 

 

Il paziente presenta una forma quasi completa di depressione post traumatica, aggravata al settanta per cento dallo stress per il lavoro. E' consigliata qualche settimana di vacanza e assoluto riposo. Viene prescritto un antidepressivo, Fluoxetina cloridrato [2], da ingerire una volta al giorno.



Firma del Dr.

Hannibal Lecter

 

 

 

 

 

 

 

 

Ps. I'm a Serial Addicted

 

[1] E' una citazione che mi è rimasta in testa dopo averla sentita una volta e non ho la minima idea di chi sia. Se qualcuno lo sa, mi renda partecipe XD

[2] Un antidepressivo, atto a curare depressione, disturbi ossessivi-compulsivi e bulimia nervosa.

 

 

Hellooooo! Sono tornata! Mi rendo conto che è passato praticamente un mese, e me ne dovrei vergognare, ma è stato un periodo davvero difficile per me. E non riuscivo più a scrivere. Questa è la prima cosa che in effetti mi soddisfa (o non mi fa del tutto cacare, devo ancora decidere) da molto tempo a questa parte. Spero di poter aggiornare più in fretta, per il prossimo capitolo, ma visto che mi son sbloccata, non credo dovrei avere problemi u.u spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e se non vi piace liberissimi di lanciarmi pomodori e sanguisughe. See ya!

 

 

Jess

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Capitolo 3
*** III ***


I4 gennaio 2013 
Diciottesima seduta
Ore 17: 34
 
 
 
 




Ho sempre avuto un po’ paura dei sentimenti. Del cuore. Delle persone. Non in senso letterale, voglio dire... gliel’ho detto una volta, se volessi potrei far saltare in aria mezza città con uno schiocco di dita e senza alzarmi dalla poltrona.

Ma gli esseri umani sanno essere infimi, a volte. Terribilmente fastidiosi e fanno male. Un colpo di lingua può fare più danni di una spada, dottore.

E io mi sono sempre rifiutato di farmi trascinare in un circolo vizioso di dolore e paura.

Mi sono sempre tenuto alla larga, in un modo o nell’altro, cercando di difendermi come meglio potevo.

Ma lei sa bene che non mi è servito a molto. Se non mi fossi chiuso nel mio bozzolo, forse ora sarei più preparato al dolore. Le scariche elettriche che sento sarebbero meno intense. O forse no.

Personalmente credo non ci si possa abituare a... quella cosa. Allo stare male.  

Se così non fosse, riuscirei a mangiare qualcosa senza alzarmi la notte e rimettere ai piedi del letto.

Non credo si tratti di senso di colpa. So distinguerlo da tutto il resto, sono una persona pragmatica. Razionale.

Credo di averlo accettato. Razionalmente.

James è morto.

Morto.

E’ una parola così forte. Aspra. Implica il movimento di tutti i muscoli facciali e quello un po’ più impegnativo del cuore.

Metaforicamente ti da la sensazione di star sanguinando.

Anche se non so se lei sa cosa intendo dire.

E’ una di quelle ferite che non si curano con la medicina o gli anti dolorifici.

Anche se, per essere onesti, ci ho provato.

La puoi fasciare alla bell’e meglio, cambiare le garze quando sono sporche, ma niente più di quello. Continuano a sanguinare e devi avere la forza e la pazienza di farle rimarginare da sole.

Se sei fortunato, ti rimane solo una dolorosa cicatrice che, ogni tanto, fa cadere qualche goccia di sangue. Se non lo sei, rischi di morire ben prima che il taglio si sia chiuso.

Io mi trovo in mezzo. Non mi sento fortunato né sfortunato. Credo sia una condizione di limbo che proprio non riesco a scacciare.

Una sensazione di apatia fulminante, insomma.

Ma io non voglio morire. Sto cercando di fare ogni cosa in mio potere per evitarlo, dottore. Non è mia intenzione lasciarmi andare, finché ho qualcosa che mi impedisce di farlo.

Morto. Morte. Morire.

Ripeto ogni giorno queste tre parole per cercare di... esorcizzare la paura, pensando che nonostante tutto, per me, è ancora molto lontana.

Che devo qualcosa a qualcuno. Che devo ripagare un favore o andare avanti perché ho tante vite sulle spalle.

Sono sicuro che lei pensa stia delirando. Ma il mio discorso è imparziale e logico. O almeno, io vedo la logica e credo sia abbastanza.

Nonostante questo, quando guardo lo specchio del bagno e fisso il suo riflesso... mi spaventa.

Ho le occhiaie, il viso scavato, sono dimagrito tantissimo. Tutti vedono lo spettro di James che mi galleggia vicino e credono sia un male per me.

Forse lo è. Non lo so. Ma è un male che, almeno, mi fa compagnia. Mi impedisce di impazzire.

Lo vedo ogni tanto, nei miei sogni. Con quelle rughe sulla fronte e gli occhioni azzurri che ti fissano e, dio, era un vizio. Ha sempre saputo che mi da fastidio essere osservato, ma lui lo faceva di proposito!

Mi guardava, e non riuscivo a non guardarlo. Era impossibile, capisce? Anche adesso lo è.

La mattina mi sveglio e mi sembra tutto così... blu. Per un momento, solo per un momento.

E’ tutto così blu che quasi ci affogo dentro.

Non mi assegnano più missioni pericolose all’MI6, sa?

Niente da organizzare, nessuno da addestrare... non credono sia capace di seguirle.

Il mio lavoro è l’unica cosa che mi fa aprire gli occhi ogni giorno. Che mi permette di non buttarmi sotto un treno e di andare avanti in questa vita che mi ha portato via tutto.

Per riuscire a sopravvivere devo avere qualcosa a cui aggrapparmi, e io mi sono aggrappato disperatamente al lavoro.

Ho preso quelle due settimane di vacanza che mi aveva consigliato, mi sono rilassato, dottore.

Seguo la terapia e prendo i medicinali. Non ho mai mancato a un appuntamento con lei.

So che pensa non ci siano miglioramenti, glielo leggo in faccia.

Ma se c’è una cosa che ho imparato, è che se voglio risalire quanto basta per salvarmi, devo avere qualcosa a cui aggrapparmi. L’unica cosa che resta, è la mia Q-branch. Per cui, dottore, parli con M. Probabilmente a lei darà retta. Non possono portarmela via.

Lì ho conosciuto James, dottore. Ho conosciuto l’unica persona che è riuscito a superare la mia barriera, quella che mi ha dato un motivo per vivere invece di sopravvivere.

Non so se lei riesce a capirlo. Se entrare nella mia testa le risulta così facile come sembra.

Ma se riesce a farlo, dio solo sa come, sarà meglio che legga bene: quel posto mi appartiene di diritto.

Sarò corretto solo fino a un certo punto, tanto per essere chiari, perché non permetterò a nessuno di mettere anche solo un dito nel mio dipartimento senza che io l’abbia approvato e---

Un attimo.

Sono Q. Chi diavolo è? Sono in terapia.

Ah, Alec. [1] No, non m’interessa, dovrai aspettare a quando avrò-- Alec, mi hai braccato anche mentre venivo qui per parlarmi di quanto sono buone le salse olandesi, ti ricordi? Puoi aspettare mezz’ora di seduta per dirmi quello che devi dire!

In che senso? Trevelyan sto perdendo-- che cavolo vuol dire?

Se è uno scherzo non è divertente. Ti spedisco sul Monte Sinai a piantare patate.

Stai delirando? Hai bevuto troppi Jack?

Che dia-- oh merda.

No, prendo la macchina, sto arrivando. No, maledizione! Sono perfettamente in grado di guidare, smettila di ripetermelo!

Dottore, io devo... devo andare. Devo... Dottore. Hanno... James. L’hanno trovato. Io... devo andare.

Hanno trovato James!
 
 
 


 
 
 
4 gennaio 2013 
Diciottesima seduta
18:03


 
Il paziente presenta buoni riscontri alla terapia. Rispetto alle prime sedute, in cui non riusciva a esprimere nessun pensiero e preferiva rinchiudersi in se stesso, rifiutando qualunque tipo di aiuto interno o esterno - sintomatico della Sindrome di Asperger, benché appena accennata - ora parla spontaneamente. La rabbia, benché trattenuta e soffocata, è ben visibile nei gesti e nelle parole. Questo lo rende un soggetto in via di recupero. 
Parlando da un punto di vista personale e ben poco oggettivo - e da questo punto in poi gradirei che M non tenesse conto delle mie parole se non in via confidenziale - credo che Quentin sarà perfettamente in grado di recuperare le sue mansioni nel più breve tempo possibile. L’intelligenza di cui è dotato, sarà un grande aiuto nei periodi di difficoltà.




Firma del Dr.
Hannibal Lecter






Ps. I'm a Serial Addicted



[1] Alec Trevelyan, Agente 006 dell'MI6, il migliore amico di Bond. Lo so, non è colpa mia, prendeteva con Mrs Teller che mi ha fatto innamorare di questo personaggio (e di cui vi spingo a leggere Feel che è skdjskdmksdmsndjsdn).

Saaaaaaaaaaaaaaaaaalve! Sono tornata! Mi rendo conto che gli eventi stanno correndo molto più di quanto avessi preventivato, ma penso di non poter fermare niente, stanno andando esattamente come avevo pianificato anche se in meno capitoli. Sono quasi sicura che finirà tutto entro i prossimi due! Volevo a tutti i costi che James tornasse a metà della ff, e ho cercato di non sminchiare il lato tecnico della vicenda, spero solo non vi faccia cagare perché devo dire che - specie l'ultima parte - mi ha divertito parecchio (è sempre colpa di Mrs Teller, vergogna su di te!). Vi mando tanto amore e spero di rivederci presto °_°
see ya!




Jess

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Capitolo 4
*** IV ***


23 gennaio 2013

Diciannovesima seduta

Ore 18:03







Ieri ho dormito di nuovo da James.

Lui è ancora in ospedale da quando l’hanno recuperato e io sono rimasto lì tutto il tempo. Non ha ancora aperto gli occhi, ma a quanto dicono i medici è normale.

Malnutrito com’era, e con quella gigantesca ferita al petto cucita male e rimarginata peggio, hanno preferito metterlo sotto cura antibiotica e, per sicurezza, in coma farmacologico, dopo aver riscontrato che i polmoni erano in stato precario.

Ha i capelli lunghi adesso. Fissato com’è con la cura del suo aspetto, gli prenderà un colpo. E i vestiti! Deve vedere come sono i vestiti con cui l’hanno trovato. L'hanno trattato come un animale.

Anche se mi sfugge ancora il motivo per cui l’abbiano tenuto in vita tanto a lungo. Sadismo? Probabile.

James mi rinfacciava bonariamente il non aver mai messo piede sul campo di battaglia.

So come vanno queste cose… ma non per esperienza diretta. E mi è capitato di pensare che se ci fossi stato io al posto suo, a quest’ora sarei solo un cadavere e niente di più.

Lui ha resistito. Nonostante il dolore. La voglia di morire e farla finita. Ha resistito per tornare a casa.

E io sono rimasto lì, con lui in quella stanza asettica, ad affrontare da solo la mia battaglia personale.

La voglia di scappare, il non essere pronto per rivederlo, quella sensazione strisciante di terrore delle aspettative deluse…

Sono rimasto dieci minuti fuori dalla porta dell’ospedale perché non sapevo cosa fare e come farlo.

Mi ero rassegnato a quel dolore, alla morte di James, all’essere di nuovo solo.

Non so se ha presente quella sensazione di miracolo avvenuto e la paura infondata che in realtà sia tutto uno scherzo di cattivo gusto. Che gli incubi sono reali e, chi è morto, non tornerà più.

Non riesco a spiegarmi come vorrei, dottore, ma spero mi capirà lo stesso.

Mi ero rassegnato al sopravvivere. Alla perdita.

Poi sono entrato nella stanza. La luce del tramonto filtrava dalla finestra socchiusa e colpiva James in pieno viso, giocando con il biondo naturale della sua testa e quelle rughe appena accennate intorno agli occhi.

Era lui, ed era lì.

E… non lo so.

Mi sono cedute le ginocchia.

Quando sono caduto per terra, scosso da brividi e singhiozzi e il fiato che non aveva proprio voglia di entrare nei polmoni, ho sentito il peso della solitudine scivolarmi via dalle spalle.

Il peso di una vita fatta di ricordi risucchiata dalla sola vista di James, sdraiato e distrutto su un letto d’ospedale, intubato e coperto di fili.

Ma vivo.

Vivo e al sicuro.

Alec è entrato in quel momento. Non ha detto niente, perché lui è fatto così. Non s’impiccia mai degli affari altrui, e anche se ha capito dall’inizio cosa lega me e James, non si è mai messo in mezzo.

Stanco, fisicamente a pezzi ed emotivamente compromesso più di chiunque altro per la missione di salvataggio che lui per primo aveva organizzato in segreto e lontano da me - come ho saputo solo dopo, è stato lui a chiedere a M di estromettermi dalle missioni di alto livello, per non darmi una speranza e poi, se fosse andata male, togliermela - ha trovato la forza di venire in ospedale, e rimanerci per tutta la notte.

Mi ha guardato, ancora con un piede fuori dalla stanza e i suoi grandi occhi verdolini, poi si è seduto per terra, spalle alla porta, stringendomi in una specie di goffo abbraccio.

Non sono mai stato un amante del contatto fisico ma con Alec viene naturale perché lui è fatto così.

La risata squillante e l’amore nel cuore, gli si vuole bene per forza.

Gli si vuole bene come a una persona di famiglia, anche se tu ha una famiglia non ce l’hai mai avuta.

È tornato a casa, ha detto, te l’ho riportato, Q.

E, dio mio...

Guardando James, e con Alec alle spalle che cercava di tranquillizzarmi… credo di non essermi mai sentito tanto a casa, come in quel preciso momento.


Alec mi ha dato le chiavi dell’appartamento di James verso le cinque di mattina. Mi ha praticamente buttato fuori dalla camera per andare a farmi una dormita.

Una dormita vera, ragazzino, ha specificato.

Il sole stava per sorgere, e il materasso di James sapeva ancora del suo profumo. Tutta la casa teneva impressi i ricordi dei nostri baci e una scossa diversa ha invaso il mio corpo in quel momento. Una scossa che non sentivo da tanto tempo.

Mi sono addormentato e mi sono sentito vivo. A casa. Felice.

Tanto felice che non credo di essere in grado di gestire quest’emozione, perché è una cosa che non sono abituato a provare. Non so gestirla da solo e questo un po’ mi spaventa.

Ma James si sveglierà.

Adesso respira da solo, la situazione non è più grave come si credeva all’inizio e domani proveranno a farlo uscire dal coma.

Ci vorrà tempo e riabilitazione. Pazienza - che a James manca, ma che io ho in abbondanza - e cure.

Io e Alec saremo lì. Questo credo sia la sola cosa sicura al momento. Ed è abbastanza.

Non m’importa di nessuno se non di queste due persone. E, se per questo dovrò rinunciare al mio lavoro o a quello che negli anni ho costruito, beh… non importa.

Sarò in grado di creare molto altro, adesso.

Di cambiare il mio mondo, e forse quello di chi mi sta accanto.

Non mi illudo di poter fare molto di più, sono razionale, lei lo sa.
Un po' di tempo fa mi ha detto che bisogna aggrapparsi alla speranza per andare avanti. Io ho ritrovato la mia ed è tutto quello che mi occorre, per il momento.

Mi sento felice.

Il mio futuro è un po’ più mio, ora. Un po’ più azzurro.







23 gennaio 2013

Diciannovesima seduta

Ore 19:14




La condizione del paziente presenta miglioramenti significativi; la precaria situazione psico-fisica del suddetto, presentatasi a inizio terapia, si è stabilizzata portandolo a uno stato di ripresa tale da non aver più alcun bisogno aggiuntivo da parte di uno specialista. Pertanto, sospendo con effetto immediato la Fluoxetina e le sedute obbligatorie. Viene consigliato un periodo di riposo per assimilare la non assunzione delle medicine, ma è puramente una formalità.

Come nella precedente, spero che M considererà questa parte di discorso puramente informale.

Consiglio di assegnare al ragazzo un incarico che possa gestire con più tranquillità, da casa o da qualunque parte lui voglia andare. M ricorderà senz’altro cosa significa avere delle… priorità, chiamiamole così.





Hannibal Lecter





Ps. I'm a Serial Addicted


Lo so, lo so, sono in ritardo. [cit]
Ma è estate. E io odio l'estate. E ho caldo. E sempre fame. E sonno. E dormo poco. E quando finalmente dormo come si vede stamattina, poi mi alzo alle sei per scrivere perché ho gli attacchi isterici da scrittrice mestruata. Shame on me. 
Well, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come ho detto nell'altro, il prossimo credo sarà l'ultimo. Non ho potuto fare a meno di infilare Alec anche in questo, è più forte di me. Lo conosco così poco e lo amo così tanto che proprio nun gliela fo! Vi mando amore e tanti bacini, grazie come al solito per il supporto <3




Mrs C (Jess)

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Capitolo 5
*** V ***


10 febbraio 2013
Ventesima seduta
Ore 15:29







 

So tante cose su di lei.

Non gliel’ho mai detto, perché credo sia qualcosa ai limiti della violazione della privacy, o qualcosa del genere.

E poi, parliamoci chiaro, a nessuno piace essere spiato.

Ma prima di presentarmi alla sua porta, ho preso informazioni su di lei.

Non crederà che sia venuto qui a occhi chiusi, vero? Sono sicuro che se l’era immaginato.

O qualcosa del genere, insomma.

Ho fatto ricerche. Si può dire che sia uno dei maggiori esperti della sua vita, dopo se stesso.

Cose che ha detto. Cose che ha fatto.

Suppongo sia un po’ come presentarsi da una persona sconosciuta e dire devo ritirare una testa [1], no? Piuttosto singolare. Forse anche un po’ maleducato.

Ma credo che lei abbia imparato a conoscermi. Non ho intenzione di riferire a qualcuno quello che so. Non ho prove.

E dopotutto non sono affari miei né delle persone per cui lavoro - che, tra l’altro, sono a conoscenza dei suoi traffici da un po’ prima di me -.

Credo che sia consapevole del fatto che non verrò più qui e sarà meglio per lei se non mi verrà a cercare.

È stato presente a una delle fasi più difficili della mia vita e le sarò sempre grato per aver cercato di aiutarmi, nell’unico modo in cui poteva farlo.

Si può dire, in un certo senso, che le devo un favore.

Non amo avere debiti con gli altri. Diciamo che tenere la bocca chiusa sarà il mio modo per ricambiare se lei porrà fine a… quello che sta facendo per qualunque motivo lo stia facendo.

Non sono una persona che ama guardarsi indietro, per cui credo che non ci rivedremo di nuovo.

Non ho più bisogno di alcun aiuto adesso.

James è uscito dal coma. Non ha riportato danni cerebrali, anche se ha problemi alle gambe.

I medici dicono che è stato intaccato qualche nervo, ma niente di irrecuperabile.

Sta facendo riabilitazione e io e Alec ci siamo trasferiti in pianta stabile a casa sua, visto che non è voluto rimanere in ospedale più del tempo necessario per i controlli.

Una sera di qualche giorno fa ci siamo ubriacati. Tecnicamente, James non potrebbe bere tenendo conto delle medicine che prende, ma ha la testa più dura di un mattone.

(Tra l’altro, Alec aveva nascosta una bottiglia di Jack Daniel’s e… Dio, non so resistere a quel whisky.)

Così, un paio di bicchieri dopo - diciamo un paio di troppo -, alle tre di notte, ci siamo trovati distesi tutti e tre sullo stesso letto, fissavamo il soffitto e parlavamo di tutto e di niente.

James diceva che Dumbo avrebbe potuto liberare mamma-elefantessa dalla prigionia sparando dall’alto con un AK-47, e Alec replicava che sarebbe stato invece più adeguato un Avada Kedavra alla Harry Potter, poi James ha tirato un pugno ad Alec e Alec si è ricordato di quando anche sua nonna lo prendeva a pugni e preparava i biscotti alla cannella.

Avevano il retrogusto di olio sgrassante e polvere da sparo perché, quando era di cattivo umore, giocava al tiro al bersaglio con il culo di mio nonno e poi lo mandava a dormire nella stalla insieme ai cavalli. La mattina dopo puzzava di merda come se avesse fatto un triplo carpiato nello sterco e mia nonna gli tirava dietro direttamente il fucile.

Dottore, lei ha mai assaporato la felicità? Quella vera, intendo. Quella che si prova nella vita quando trovi il tuo posto, quello che ti appartiene. Quello che senti essere casa tua.

La felicità che ti porti dentro per sempre, anche quando qualcuno cerca di intaccare quella felicità e portartela via.

Per me ha il sapore della risata squillante di James e quella più possente di Alec.

Ha il sapore di cannella e dei biscotti e di polvere e delle mani intrecciate con qualcuno che ami.

Quella notte ho pianto.

Non mi capita spesso, lo sa.

In silenzio, con gli occhi rivolti al soffitto e il respiro pesante, ho pianto per tutte le volte che non l’ho mai fatto e per liberarmi delle colpe che in questi anni mi sono portato addosso come una seconda pelle.

Ho pensato a Sophie. Qualche volta. Forse perché quando guardo James, mi viene naturale paragonare il suo azzurro con il blu dei suoi occhi.

La gioia che vedo in quelli di James, il suo sorriso e le sue smorfie, l’affetto per Alec… l’amore per me.

Non ho mai visto niente del genere, nel suo sguardo.

Quando gli ho raccontato di lei, James mi ha ascoltato in silenzio.

Ha aspettato che finissi di parlare, con tutte le pause e le difficoltà che il discorso ha portato.

Ho ammesso di sentire la sua mancanza e di avere delle colpe. Di avere colpe e ancora più tanti rimpianti.

L’ho amata molto e non gliel’ho mai detto per non caricarla di un peso che l’avrebbe obbligata a restare. Nella mia vita se ne vanno tutti, e anche tu te ne andrai. E la mia maledizione è che sarò ancora qui. [2]

Poi mi ha stretto forte.

Non ha detto nulla, ma mi ha stretto forte, come se stesse cercando di curare una vecchia ferita che in realtà non ha mai smesso di sanguinare.

James è fatto così. Credo sia il motivo per cui mi sono innamorato di lui.

Ha ucciso molte persone e probabilmente ucciderà ancora. È un assassino dal cuore puro, ed è raro vederne qualcuno in giro.

Ha le mani sporche di sangue, e l’anima tormentata di chi è davvero stanco di questo lavoro, ma ti abbraccia, in quella maniera tutta particolare e calda…ti fa pensare che c’è ancora qualcosa di buono, dopotutto.

Quando mi guardavo allo specchio, prima, vedevo nient’altro che un ammasso di carne e ricordi e una sofferenza quasi fisica sulle spalle.

Sono grato a James per un sacco di cose, dottore, ma primo fra tutti, per avermi permesso di vedere me stesso per quello che sono: un semplice ragazzo, con un passato pesante alle spalle ma con tutto un futuro davanti.

Non solo un’arma di distruzione umana, o un giovane genio, ma tutte le sfumature che la mia personalità comporta, e tutto ciò che sono…

È difficile da spiegare, da comprendere.

Forse anche da accettare, perché io sono tutto quello che non dovrei essere.

Ma sa una cosa, dottore? Va bene così.

Non mi illudo che i momenti difficili siano passati. Ma adesso è diverso: adesso non sono più solo. [3]

Quando mi addormento, e gli incubi decidono di farmi visita, so che aprirò gli occhi e troverò James addormentato accanto a me, e il calore della sua mano sempre pronta a stringere la mia.

Forse per qualcuno non sarà molto, ma per me è più che abbastanza.

Ringrazio ogni giorno, per tutti i giorni che mi saranno concessi. [4]

Ringrazio ogni giorno, per avere James con cui svegliarmi la mattina.

Ringrazio ogni giorno, per essere ancora vivo.






 

10 febbraio 2013
Ventesima seduta
17:54



 

Le sedute con Quentin J. Novak [5] sono ufficialmente sospese a tempo indeterminato, consigliando la reintegrazione  totale del soggetto che reputo completamente in grado di svolgere i suoi doveri al pieno delle sue facoltà.

A titolo personale, approfitto di questa comunicazione ufficiale per dare le dimissioni da psichiatra del dipartimento, per poter riprendere a lavorare nel mio studio privato.

M capirà i motivi, senza che io glieli debba spiegare, suppongo.

Ci saranno altre occasioni per… lavorare insieme.

Un saluto e un arrivederci,


Hannibal Lecter





 

Ps. I’m a Serial Addicted


[1] Frase detta proprio da Hannibal Lecter, dopo essere entrato nel negozio gestito dagli assassini di Mischa [sua sorella] XD gran bastardo.
[2] Rivisitazione di una frase de Il miglio verde.
[3] Mezza citazione e riferimento (il mio cervello l'ha messa da sola, e io DEVO mandarvi a leggere questa meraviglia) di Feel di Mrs Teller. [4] Una libera rivisitazione di un verso di Max Pezzali, nella canzone Grazie Mille
[5] Un omaggio al personaggio (... uno dei personaggi) interpretato da Misha Collins in Supernatural.


Alla fine siamo arrivati a capolinea. E’ stato un percorso lungo, non di capitoli ma di tempo, e penso che sia una delle fanfiction che più mi hanno provata dal punto di vista emotivo. C’è tanto di me in questo Q, c’è tanto di me in questa storia e tanti miei pensieri. Ho amato particolarmente muovere questo meraviglioso personaggio, e non credo sarò mai più soddisfatta di come sono per come l’ho conclusa. Ci sarà un probabilmente spin-off, perché qui non sono riuscita a descrivere bene il rapporto amoroso fra Q e James, proprio per il tipo di stile che ho adottato, ma credo che se avessi forzato la cosa, sarebbe venuta una porcata immane. In sostanza, credo di esserne abbastanza soddisfatta e sicuramente mi rivedrete presto su questi lidi. Ringrazio tutte le persone che hanno seguito questa storia, chi mi ha incoraggiato silenziosamente e chi mi ha fatto credere un po’ più in quello che posso dare, perché alla fine credo che la scrittura sia essenzialmente questo: dare qualcosa. Io spero di aver dato qualcosa a voi. Grazie infinite!





Mrs C (Jess)

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