Shadows~

di Gozaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Act. ***
Capitolo 2: *** Nuovo Mondo. ***
Capitolo 3: *** Changes. ***



Capitolo 1
*** First Act. ***


Cap1 Dolce Flirt ~


Shadows


Vediamo se questa storia riesce ad essere più bella di Doppio Gioco...

Capitolo Uno.
First Act.


Ho sempre pensato fosse una persona strana. Qualcosa in lui mi aveva sempre attirato ma, al contempo, respinto in maniera viscerale. Era tutto ciò che io non ero e non sarei mai diventato. Il solo pensiero mi irritava più di quanto avessi mai potuto immaginare.
Ed è per questo che mi avvicinai a lui...

Stava fumando, seduto in modo scortesemente inappropriato sulla sua panchina preferita, quella più in disparte nel cortile del Liceo. Ricordo ancora quando, l'anno prima, dovetti far firmare una richiesta per far riverniciare le panchine solo per quella, rovinata da mozziconi di sigaretta spenti sopra e delle impronte di scarponcini che non venivano via con nessun prodotto di pulizia. Io stesso strofinai per una mezz'ora buona senza avere risultati.
Lo osservavo dal corridoio, con la spalla appoggiata al vetro della porta principale dell'istituto e la fronte calcata su di esso. Chissà, forse il fatto che lui non mi avesse notato mi aveva fatto credere d'essere invisibile e perfettamente nascosto e questa strana sensazione mi fece sussultare quando sentii la voce di Lysandre, alle mie spalle, chiamarmi.
«Che fai?» mi chiese avvicinandosi a me. Si mise al mio fianco e, poggiando una mano sul vetro, mise il suo volto a contatto con essa per riuscire a vedere bene il cortile senza i riflessi che la luce produceva sul vetro. «Castiel...?» pronunciò leggermente incredulo. Mi sentii come un ladro colto con le mani nel sacco: avevo sperato per qualche secondo che lui non capisse ma, d'altronde, non c'era nessun altro in cortile. Abbassai lo sguardo nello stesso momento in cui Lysandre alzò il suo. Non volevo vedere l'espressione che mi stava rivolgendo. Il solo immaginarla mi bastava.
«Che ti ha fatto, stavolta?» chiese ancora cercando di trattenere una risatina. Per poco non cedetti alla tentazione di guardare il suo viso mortificato dalle azioni dell'amico. Arrivai con lo sguardo fino al mento ma poi mi ricredetti fissandomi sui particolari della sua giacca e sul foulard verde che portava al collo. Guardai bottone per bottone ogni centimetro della stoffa che indossava pur di non incontrare quegli enigmatici occhi smeraldo e ambra. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo pur non avendone affatto motivo.
«N-niente» balbettai, riportando l'attenzione al rosso che, ora, stava spegnendo l'ennesima sigaretta sul legno all'apparenza nuovo della panchina. Storsi le labbra, pur senza accorgermi di questo mio gesto involontario. Un'altra bruciatura da togliere. Grazie Castiel!
Pronunciai le ultime due parole in un soffio, come se i miei stessi pensieri, dotati di volontà propria, avessero deciso di manifestarsi. Sentii ancora una volta la risata del ragazzo accanto a me, conscio dei miei sentimenti ostili verso quello che poteva considerare il suo migliore amico.
Che persona strana, Lysandre... Nonostante gli stia a cuore Castiel non fa nulla per difenderlo.
«L'anno prossimo gli farò sborsare i soldi per la manutenzione dell'intera scuola» sbottai cercando di farmi grosso agli occhi del bianco. Quand'ero con lui mi sentivo leggermente in soggezione. Non so perché ma avevo paura di risultargli inferiore rispetto al rosso.
Lui rise, per niente imbarazzato di trovarsi in mezzo a due persone da tutti considerati rivali o completamente opposti.
Tutto questo, comunque, mi dava sui nervi. Non volevo vedere più Castiel deturpare la scuola.
«Vado» esordii con fare molto più tranquillo. «Ho delle faccende da sbrigare». E voltandogli la schiena me ne andai. La voce di Lysandre, in sottofondo, che mi rassicurava riguardo al suo amico. Parole che, in fondo in fondo, mi rallegrarono un poco.


Inspirai profondamente riempiendomi i polmoni dell'aria fresca che si respirava in fondo alle scale. Tra le mie dita la maniglia della porta che dava nel sottoscala. La aprii con veemenza provocando un rumore che però si disperse nelle note musicali che venivano suonate. Nessuno mi aveva ancora notato e, davanti a me, sia Castiel che Lysandre sembravano completamente assorbiti nella musica che stavano producendo. Una melodia che non avevo mai sentito prima, più bella del solito. La voce di Lysandre m'incantò per qualche secondo. Sentii il respiro finora trattenuto scivolare via dalle mie labbra socchiuse. Fu allora che mi ricordai cosa stessi facendo il quel posto.
«CASTIEL!» urlai con tutto il fiato rimasto. La musica si bloccò all'istante e la grande stanza piombò nel silenzio. Lo sguardo del rosso si posò su di me trafiggendomi come unalama di ghiaccio. Mi strinsi istintivamente alla maniglia. Il freddo del metallo sembrò penetrarmi nella pelle ed invadermi l'intero corpo. Mai uno sguardo di quel ragazzo era riuscito a paralizzarmi a quel modo. Come poteva essere capace di sguardi simili?
Persi totalmente la cognizione dello spazio e del tempo. La vista mi si annebbiò e non riuscii più a mettere a fuoco altro che non fossero quei due occhi grigi che mi guardavano con tanto astio.
Non parlò. Non disse niente. Rimase nella sua posa stoica senza muovere un muscolo per un tempo interminabile. Poche ciocche dei suoi capelli erano scappate dal codino in cui erano state racchiuse tutte le altre. Incorniciavano il viso pur non intromettendosi tra me e lui. Le braccia bloccate nello sforzo di suonare. I muscoli si potevano vedere ben delineati dalle maniche in giù, e le mani fermate poco prima di far vibrare una nota che non avrei saputo riconoscere nemmeno sentendola. Una gamba leggermente flessa con un ginocchio verso l'alto e lo stesso piede appoggiato al terreno solo con la punta delle scarpe.
«Suonavamo troppo forte?». Lysandre distrusse la tensione creatasi tra me e Castiel. Voltai il viso verso di lui, ricordandomi della sua presenza così sottile. Annuii pian piano cercando di trovare un appiglio alle sue parole così da poter poi cominciare una conversazione. «Decisamente» pronunciai con un tono di voce fin troppo basso. Sembrai sottomesso e questo non potevo permettermelo. Quindi mi schiarii la voce, facendo loro intendere che l'urlo che aveva interrotto il loro pezzo mi aveva momentaneamente fatto calare la voce. Nel mentre sentii sbuffare. Castiel, ancora lui.
«Che cosa vuoi, segretario delegato?» freddo e implacabile. Sputò le ultime due parole come se gli facessero schifo; come acido da gettarmi addosso per ferirmi. Gli rivolsi il peggiore dei miei sguardi.
«Questa cosa non può andare avanti per sempre» gli dissi. La cosa non sembrò attirare la sua attenzione. Il suo sguardo ora era rivolto alla sua chitarra elettrica con cui stava facendo finta di suonare qualche melodia a me incomprensibile. Ciononostante le sue orecchie erano ben attente a captare qualsiasi mia parola. Non che gli interessassero, ovviamente, ma da sempre non si era mai negato il piacere di perdersi qualche mio discorso così da potermelo un giorno rinfacciare o per usare le mie stesse parole contro di me. «Dovete smetterla di suonare qua dentro. Ci faremo scoprire». Perché usai il noi? Mi sentii un completo idiota e, nel contempo, loro complice. Immaginai la nuova ragazza arrivare ora, alle mie spalle, e scattare fotografie a raffica su noi tre con la nuova macchina compatta che aveva comprato il pomeriggio prima. Già m'immaginai le voci che sarebbero girate nella scuola e gli sguardi dei miei compagni. La sola idea di essere bollato al pari di Castiel mi fece rabbrividire. O quasi. Avvertii uno strano brivido lungo la schiena ma non fui certo che fosse disgusto. Un mix di adrenalina e una sorta di paura primordiale che si prova quando ci si sta per tuffare in una di quelle imprese folli che, però, si desiderano nel profondo dell'anima. Cos'era quella stupida idea di voler essere come Castiel? Perché mai avrei dovuto desiderare una cosa del genere?

Mi scervellai su questa cosa per settimane. Odiavo sentire in me crescere uno strano desiderio d'imitazione rivolto ad una delle persone che più mi stavano sui nervi. Continuando ad osservarlo notavo ogni giorno comportamenti diversi. Mi dava fastidio come, all'ingresso della scuola, si spegnesse i mozziconi di sigaretta sotto alla suola degli anfibi che indossava che avrebbero poi lentamente disperso la cenere della sigaretta per tutti i corridoi della scuola. Mi infastidiva vedere le cicce accartocciate nel cortile: troppe persone stavano prendendo esempio da Castiel, ignorando completamente i portacenere sparsi per l'area circostante la scuola. Mi saliva il nervoso quando sentivo pronunciare il suo nome nei corridoi e, peggio, in sala delegati -il mio mondo. Detestavo il fatto che le ragazze parlassero sempre di lui; come se fossi geloso. Ma non lo ero.
Non era la schiera di fan a mancarmi, con tutte le ragazze che venivano a trovarmi mentre cercavo di amministrare tutte le scartoffie della scuola. Non era una popolarità minata dalla cattiva fama ad interessarmi. Ciò che mi attirava di Castiel era il suo atteggiamento: quel suo modo di dire al mondo che poteva tranquillamente girare su se stesso che tanto, a lui, non sarebbe importato comunque. Il suo menefreghismo era la sua più grande arma e ciò che io gli invidiavo.


«Figliolo, mi stai ascoltando?»
La voce di mio padre sopra ogni altro pensiero; la sua autorevolezza sovrastò, ancora una volta. Alzai gli occhi dal piatto inquadrando per la prima volta la mia famiglia. Come sono arrivato qui? E da quanto stavo fissando il piatto ancora pieno preparato da mia madre? Lei che, preoccupata, mi guardava cercando di capire come mai fossi così schivo quella sera. E mio padre, a capotavola, che mi rivolgeva il suo solito sguardo accusatore, come se io fossi la colpa di ogni suo male. Da anni, ormai, mi padre mi trattave come se fossi lo zimbello della famiglia, il figlio che gli rovinava la reputazione ignorando totalmente che la figlia da lui tanto amata non era altro che una falsa bugiarda che manovrava i nostri genitori a suo piacimento. Ed eccola, infatti, davanti a me con il suo solito sorrisetto da furba a godersi lo spettacolo del fratello preso di mira.
«Ti stanchi a fare il segretario?» disse mio padre con una punta d'ironia. Lui ha sempre reputato una cosa sciocca il mio ruolo nella scuola. O sei il migliore o non lo sei. Per lui non ero mai abbastanza. Rappresentate di classe, d'istituto e degli studenti. Segretario delegato, l'anello di congiunzione tra gli alunni e il personale docente: un ruolo di molta importanza al Liceo. Ma a casa tutto ciò era sminuito da quattro frasi di Ambre e di mio padre. Mia madre, invece, rimaneva sempre sottomessa come me alle parole del capofamiglia. Una risatina di mia sorella si aggiunse al quadretto. Un rumore irritante quanto la sua personalità e tutto ciò che la riguardava. Le mie dita si strinsero attorno alla forchetta e il metallo luccicante mi ricordò la maniglia della porta del sottoscala. Gli occhi di Castiel tornarono a rimbombarmi nella memoria e sentii la stessa morsa allo stomaco sentita quella sera. Niente mi aveva fatto così male in tutta la mia vita, nemmeno le occhiatacce e le battutine di mio padre. Realizzai, allora, che niente avrebbe più potuto abbattermi. Niente che avesse da dire mio padre avrebbe più potuto ferirmi come un tempo. Un dolore maggiore aveva ferito la mia anima e nessuno era al pari del ragazzo ribelle dai capelli rossi. Non c'era niente di peggio, no.
Lasciai andare la forchetta che ricadde tintinnando nel piatto. Con una forza e una risolutezza mai provate prima mi alzai dal tavolo spingendo con le gambe la sedia indietro. Risuonò la mia ribellione in tutta la sala da pranzo mentre gli occhi di mia madre si sgranarono. Vidi nelle sue iridi il riflesso lontano di un ragazzo che non riuscivo a riconoscere come me. Uno sguardo risoluto e deciso rivolto all'uomo che da sempre aveva cercato di abbattermi. Non riuscii a dire niente, i miei sentimenti straripavano senza sosta dai miei pori, dai miei capelli, da tutto ciò che sentivo mio.
Mi voltai e mi diressi verso la porta della stanza. Volevo andarmene da quella casa anche se sapevo benissimo che prima o poi sarei dovuto tornarci. Mio padre cominciò a chiamarmi con un tono sempre più alto ma ormai non mi comandava più. Mi fermai sulla porta quando mi chiese che intenzioni avevo. Voltai solo la testa per guardare un'ultima volta quel quadretto che fino ad ora era sempre sembrato perfetto e felice a tutti quanti.
«Non lo so. Non aspettatemi» e chiudendo la porta alle mie spalle me ne andai.
Scesi di corsa le scale con l'adrenalina che mi scorreva ancora nelle vene per ciò che era appena successo. Mi sentivo forte, invincibile; nessuno avrebbe potuto fermarmi. Avevo preso giusto la mia giacca, il portafogli, le chiavi di casa e il cellulare. Non poteva servirmi altro per la notte che avevo intenzione di passare.








Vorrei ringraziare la mia consulente privata, Ayubibi, per avermi sopportato in questi due giorni in cui ho scritto il capitolo che ora s'è smezzato.
Purtroppo anche a me sembrava davvero molto lungo ma la voglia di rendere il tutto in un unico capitolo m'ha portato a renderlo davvero pesante, quindi ho deciso di cancellare l'altra storia per pubblicare questa, totalmente identica ma con l'unica variazione della divisione di tutto ciò che finora ho scritto. Per chi l'ha già letto, mi dispiace, ma dovrà farlo da capo.
Così vi risulterà molto meno pesante, davvero.

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Capitolo 2
*** Nuovo Mondo. ***


Cap2 Dolce Flirt ~


Shadows



Capitolo Due.
Nuovo mondo.

Mi resi presto conto di non essere il tipo di persona che la notte esce a divertirsi. Vagai per le solite vie arrivando nei pressi del Liceo. Mi resi conto allora di quanto la mia fuga fosse stupida e di quanto io fossi triste a pensare di scappare dai miei soliti schemi comportamentali. Avevo fatto senza pensarci la strada che percorrevo ogni giorno. Passo per passo, sempre la stessa. Come potevo credere di poter essere una persona diversa, anche solo per una notte?
Mi diressi verso l'ingresso. Ormai, che differenza faceva entrare o meno? La scuola era chiusa ma, chissà, restare forse nel suo cortile mi avrebbe forse aiutato a riflettere su ciò che avrei dovuto fare una volta tornato a casa. E quale posto migliore del Dolce Amoris che tanto mi rappresenta?
Non avevo mai visto il cortile così buio. I lampioni illuminavano la strada ma solo pochi raggi di luce andavano a rischiarare ciò che stava dentro le mura del liceo. Mi sembrò tutto così suggestivo, così misterioso. Una faccia della scuola che non avevo mai visto né preso in considerazione. Mi avvicinai sempre più al portone dell'ingresso. I vetri davano una perfetta visione del corridoio principale completamente buio. Sembrava una galleria infinita in cui sembrava così facile perdersi. Mi fermai arrestando i miei passi. I sassolini della ghiaia sotto ai miei piedi smisero di scricchiolare. E solo allora, quando mi ritrovai nel bel mezzo del cortile, mi accorsi che qualcun altro stava camminando in silenzio. Mi girai più volte senza però vedere nessuno. Chi mai stava arrivando?
Una mano mi tappò la bocca e due braccia muscolose mi cinsero una spalla e il ventre. Venni trascinato velocemente oltre la famosa panchina. Nonostante l'agitazione ed una paura senza pari riuscii a vedere chiaramente le bruciature sul legno. Erano addirittura più di prima. Stupido Castiel!, pensai. La mia mente andò a lui, realizzando che il voler essere come il rosso mi aveva trascinato in quest'orribile situazione. Il cuore mi saltava nel petto e ogni mio movimento per tentare di liberarmi sembrava vano. Le mie dita si aggrappavano alle braccia del mio aggressore e cercavano di liberarmi senza riuscirci. Volevo gridare aiuto ma la mia bocca tappata non faceva che emettere mugolii soffocati che non avrebbero attirato nessuno che non fosse abbastanza vicino da sentirmi e, a quel punto, anche vedermi. Tutto ciò che stavo facendo mi sembrava così inutile ma l'idea di venir rapito o peggio senza ch'io avessi fatto nulla per difendermi mi sembrava ancora peggiore. I miei piedi continuavano a muoversi. Indietreggiavo pur senza volerlo per paura di cadere. Se fossi finito in una posizione ancor più svantaggiosa sarebbe stata la fine. Tutto ciò che dovevo fare era resistere più che potevo. La mia intenzione era quella, fino a che non mi ritrovai davvero per terra. Successe tutto in un secondo. La gamba del mio rapitore insinuò in mezzo alle mie e, avvinghiandosi stranamente alla mia destra, riuscì a farmi perdere il contatto con il terreno. Fu poi facile per lui far pressione sulle mie spalle e ribaltarmi all'indietro. Mi ritrovai con la schiena a terra dopo un urto tutto sommato attutito dalle braccia dell'altro che subito mi sovrastò. Oddio, che diamine vuole fare?! Nella mia mente si affollarono immagini di telefilm polizieschi che avevo visto negli ultimi mesi e tutte riguardavano giovani donne stuprate e poi uccise barbaramente. Anch'io sarei diventato una di quelle vittime? L'idea di pensare a me come ad una ragazza in difficoltà fu tremendamente umiliante ma nulla poteva superare le lacrime che stavano inondando i miei occhi. Strinsi le palpebre per trattenere le lacrime che sentivo scorrere sulle ciglia. Una sola riuscì a scappare, percorrendo parte della guancia e poi giù, verso il terreno, passando di poco sotto all'orecchio.
«Fa silenzio, dannazione!» fu un sussurro. Riconobbi al volo la voce di Castiel e, riaprendo gli occhi, constatai che effettivamente il ragazzo disteso sopra di me si trattava proprio di lui. Il respiro affannato cominciò a calmarsi e lo stesso fece il mio cuore, rassicurato dall'idea che nessuno stava cercando di violentarmi. Ma che stava succedendo? Ancora non riuscivo a capire. Cercai di alzarmi facendo leva sui gomiti ma la grande mano di Castiel s'abbatté sulla mia fronte, ricacciando la mia testa contro il terreno freddo e spoglio del cortile.
«Vieni fuori! So che sei qui!». Una voce che non riconobbi cominciò ad urlare non lontano da noi quelle due frasi. «Non ti farò del male!». Castiel mi fece segno di tacere. Sembrava così calmo ma il mio volto, così vicino al suo, percepiva il respiro irregolare. Quell'uomo che dalla voce sembrava più maturo di noi stava cercando proprio lui. Ma perché? E, soprattutto, come ho fatto a cacciarmi in questa situazione?
Restammo immobili per chissà quanto tempo. Io a braccia aperte a pieno contatto con il terreno. Lo sguardo rivolto al cielo nella speranza di trovare una risposta a tutto ciò che la mia mente pretendeva di sapere. Castiel, accucciato sopra di me, a guardare la figura maschile non ben definita che andava in giro per il cortile alla sua ricerca. Se prima volevo essere una persona diversa da me stesso, ora mi mancava molto la mia routine. A quell'ora sarei stato certamente a letto a leggermi un libro, fresco della doccia che ogni sera facevo dopo cena. Il mio rituale rilassante era ciò che preferivo della giornata, quando mi fissavo sugli avvenimenti passati durante le ore precedenti e ripensavo a ciò che avrei dovuto fare il giorno dopo. La solitudine della mia stanza, sotto sotto, mi mancava parecchio. Certo, era preferibile ai capelli e i vestiti pieni di terra, al sudore della giornata ancora attaccato alla pelle, sotto alla camicia e alla cravatta che erano il mio simbolo. Perso nell'immensità di un cielo che non aveva confini se non gli alberi sopra la mia testa e il limitato cono ottico della mia visuale che non riusciva a contenere tutto l'infinito della visione che la notte mi stava donando.
«Se n'è andato».
Quanto tempo aveva passato attaccato a me? Quando si staccò sentii improvvisamente il freddo pungente della sera ormai scesa. Si mise velocemente in piedi, scrollandosi di dosso della terra che probabilmente non aveva, dal momento che mi aveva usato come tappetino. E da quel momento mi sembrò di sparire di nuovo dalla sua vista. Allora perché mi aveva portato lì con lui? Cos'aveva pensato che stessi facendo o che avrei potuto fare? Non ebbi mai quella risposta.
Senza degnarmi di uno sguardo mi voltò le spalle e fece per andarsene con le mani in tasca quando lo richiamai. La prima volta si fermò solamente; solo dopo la terza mi mostrò di nuovo il suo viso, questa volta con un'espressione più accigliata in volto.
«Chi era quello? » gli chiesi. «Non sono affari tuoi» rispose. Certo, non mi aveva detto niente ma il solo fatto che mi avesse detto qualcosa mi aveva aperto una parte di Castiel. Perché si comportava a quel modo? Perché continuava ad esercitare questo strano fascino su di me, nonostante tutto ciò che mi aveva fatto? Guardai la sua schiena allontanarsi con una cadenza regolare. Tanti pensieri affollarono la mia testa ma erano troppo confusi per essere messi a fuoco, soprattutto dal momento che ero appena uscito da una vera e propria aggressione in piena notte. Cercai di rimettermi in piedi e nel farlo appoggiai il palmo della mano su un piccolo cilindretto che sembrava di carta. Deboluccio, visto che sotto il mio peso si era schiacciato. Lo portai con me, seguendo Castiel. Avevo bisogno di una fonte di luce per capire che cosa fosse e immerso nell'oscurità com'ero non capivo certo che cosa fosse. Controllai le tasche constatando che quelle poche cose che avevo con me si trovavano ancora dove le avevo lasciate. Ergo, il cilindretto non era mio. Sembrava fatto di tanti pezzi di carta. Al tatto si muovevano come un piccolo ventaglio e solo allora cominciai a realizzare cosa fosse. Ne ebbi la conferma quando, al centro del cortile, trovai Castiel con una mano tesa. Non mi ero accorto che si fosse fermato proprio lì.
«È mio» disse. Fu allora che misi a fuoco il rotolino di banconote che avevo in mano. Il colore uniforme mi fece intendere che tra le mani avevo almeno cinquemila euro. Ed erano di Castiel.
Continuai a spostare lo sguardo dal denaro al ragazzo che, ansioso, smaniava per riaverlo.
«Allora?!» fece, irritato. Aggrottai le sopracciglia alla sua richiesta. Ovviamente i soldi erano i suoi. O, a ben pensarci, dell'uomo che l'aveva seguito. Miei non erano di sicuro ma la consapevolezza che fossero nelle mie mani mi suggeriva l'idea folle di tenermeli. «Perché dovrei? Chi mi dice che siano tuoi?». Vidi il suo sguardo arroventarsi e i suoi occhi assottigliarsi per scagliarmi sguardi minacciosi. «Segretario» disse minaccioso cercando di incutermi timore o cercando di sottomettermi com'era sempre riuscito a fare. Ma questa volta c'era in ballo qualcosa di un pochino più grande. Leggermente più grande, come ad esempio un crimine. «Dove li hai presi?» dissi, calmo, alzando la mazzetta arrotolata a fianco della testa. La mano di Castiel, tesa in avanti, si strinse a pugno tornando a fianco di tutto il corpo. «Non sono affari tuoi» ripeté, convinto. Allora abbassai il rotolino di contanti andando a nasconderlo alla sua vista, dietro al mio corpo per infilarmelo nella tasca posteriore dei pantaloni. «Vuol dire che cercherò l'uomo di prima per chiedergli la sua versione dei fatti». Il volto del rosso, alla luce dei lampioni, sembrò sbiancarsi. A quanto pareva, doveva aver paura dell'uomo entrato nel cortile. «Non osare, Nathaniel!» alzò il tono di voce scandendo con rabbia le sillabe del mio nome. Fu un colpo. Non lo avevo mai sentito pronunciare il mio nome. «Li hai rubati?» gli chiesi in tutta serietà. Lui sbuffò stizzito, come se gli avessi chiesto se fosse innamorato di mia sorella. «Certo che no» rispose secco. Questo era tutto ciò che mi bastava. A malincuore tirai fuori i soldi dalla tasca e, ancor prima che lui capisse le mie intenzioni, glieli avevo già lanciati. Li prese al volo con entrambe le mani. Impagabile fu l'espressione sul suo volto; come se avesse visto un evento inspiegabile: non si aspettava certo che glieli avrei restituiti tanto facilmente. Certo, l'idea di tenermeli mi aveva tentato ma non erano miei e quei soldi, rubati o no, nelle mie mani avrebbero potuto insospettire qualcuno e rendermi un criminale di chissà quale leva per altri.
Imbarazzato e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, grato per il gesto che avevo appena compiuto, Castiel balbettò un Grazie non molto convinto. Si mise subito i soldi in tasca, al sicuro e per pochi istanti si fermò prima di andarsene definitivamente. Lo guardai fissarmi stranito mentre mi grattavo la testa indeciso sul da farsi per quella sera. Cominciò a calcarsi nella testa l'idea di tornarmene a casa, stanco delle emozioni fin troppo intense vissute nemmeno in un'ora di fuga.
«Che ci fai qui?» mi chiese ad un tratto. Il tono di voce insolitamente tranquillo e pacato che mai avevo sentito quando si rivolgeva a me. Mi stava trattando come una persona -a suo dire- normale? E che avrei dovuto dirgli? Alzai le spalle lasciandogli intendere che il motivo non era niente di che. «Sono scappato di casa» dissi poco convinto della cosa. «Per stanotte» specificai vedendo i suoi occhi sbarrarsi come se avessi detto chissà quale bestemmia. Era così strano per lui e, in effetti, anche per me credere ch'io avessi fatto qualcosa dagli schemi. Dai miei schemi.
Lo sentii uscirsene con una piccola risata. Il volto rilassato e l'espressione del cattivo ragazzo completamente distrutta. Sembrava divertirsi davvero per ciò che avevo detto o, chissà, magari per via dei suoi pensieri. Alzò una mano e con due dita mi fece segno di avvicinarsi. Mentre tutto il suo essere si ricomponeva dalla risata incontrollata che lo aveva attraversato cominciò ad avviarsi verso la strada.
«Se non hai un posto dove tornare vieni con me. Per stanotte».

Lo seguii in silenzio verso le vie della città. Il suo passo veloce e l'andatura sicura mi lasciarono intendere che il posto in cui mi stava portando gli era molto familiare. Probabilmente casa sua. Ma, leggendo i dossier, mi era capitato d'imbattermi nell'indirizzo del suo appartamento e ricordai che si trovasse non molto lontano dalla scuola, quindi non poteva certo trattarsi di quello: ormai ci eravamo allontanati troppo e le vie che stavamo percorrendo stavano lentamente diventando sempre più strette e meno illuminate. Cominciai a preoccuparmi quando un uomo dall'aspetto poco affidabile e con una giacca logora lo salutò e Castiel ricambiò con un cenno della testa.
Ci fermammo davanti ad un locale che non avevo mai visto prima. La strada poco affollata non era certo una garanzia ma chiunque passasse di lì si fermava per entrare in quel posto. Lo scrutai da cima a fondo cercando di farmi un'idea del posto. I mattoncini visibili gli conferivano un'aria rustica, con l'edera che cresceva sul lato destro e parte della facciata. Entrammo e potei constatare che il pub in cui ci trovavamo aveva un'atmosfera molto irlandese. La birra scorreva a fiumi dal lungo balcone di legno nero ai tavoli sparsi per tutto il locale. Una cameriera agitò le braccia in aria salutando animatamente Castiel. Lui si limitò ad alzare una mano ed abbozzare un sorriso. Poi si rivolse al barista intento ad asciugare dei bicchieri di vetro e a riporli su un vasto ripiano alle sue spalle.
«Oggi siamo in due» disse. Quello sorrise e gli fece cenno di andare verso la sua destra. Castiel disegnò un semicerchio in aria con la mano e si diresse verso una porta dall'altra parte della stanza, ormai esperto. Doveva essere un cliente abituale. Bussò due volte. «Sono io». La porta gli venne subito aperta da un uomo sulla trentina dalla pelle bruciata dal sole e due grandi occhiali da sole. Castiel trafficò con la tasca in cui aveva messo il denaro e ne estrasse qualche banconota. «C'è uno nuovo» disse con un tono più basso, forse sperando di non farsi sentire da me. L'altro uomo mi squadrò da capo a piedi più volte poi guardò Castiel che ancora teneva alzate tra indice e medio i soldi. Questi annuì e li prese facendogli un cenno d'assenso. Poteva entrare e io con lui. Notando il mio sguardo confuso mi rivolse uno dei suoi sorrisetti con cui spesso prende in giro la nuova arrivata. «Dai. Stanotte offro io».

Scendemmo una rampa di scale e, verso la metà, cominciò a sentirsi un flebile rumore di musica molto ritmata ed elettronica. Avvicinandoci ad una grande porta di metallo che sembrava parecchio spessa e robusta la musica continuava a crescere diventando sempre più fastidiosa e pressante. Quando Castiel aprì la porta fu addirittura peggio. Venni investito da due note ripetute alla nausea e da luci stroboscopiche che inizialmente mi accecarono. Fu quasi uno shock entrare in qualcosa del genere.
Davanti a me si aprì una distesa di tavolini placcati di finto legno e di divanetti in velluto rosso. Un ambiente raffinato, per l'arredo. Sì, si sarebbe anche potuto dire un locale carino se non fosse stato per i pali sparsi un po' ovunque e delle donne che ci ballavano appiccicate. Uno strip club?!
Una donna in abiti piuttosto succinti ci raggiunse. Aveva un trucco c e molto pesante. La sua enorme scollatura ci venne incontro ma si fermò dal rosso e, dandogli un bacio sulla guancia, gli diede il bentornato per poi andarsene a servire dei drink che per qualche strano motivo non avevo messo subito a fuoco.
Sentii una mano sulla spalla e, girandomi, vidi Castiel che mi sorrideva soddisfatto.
«Benvenuto nel mio mondo» mi disse.
Già. Questo posto non mi apparteneva. Era il mondo di Castiel che, per una sera, aveva aperto i battenti anche al sottoscritto. Quello sarebbe stato, per una notte, un Nuovo Mondo.




Sapete, l'ultima parte mi ha fatto un po' pensare ad una storia ormai cancellata di Euphoria. Chissà, forse è arrivato il momento di vedere com'è dall'altra parte di un bordello -anche se il mio, tecnicamente, non lo è.
Questa, come già sapete, è la seconda parte di quello che era il primo capitolo. Spero che così vi sia stato davvero molto meno faticoso arrivare alla fine.
Mi dispiaceva cancellare la parte su Euphoria quindi quella l'ho lasciata ma spostandola da questa parte per ovvi motivi.
Con il terzo capitolo spero di fare meno danni!
Volemosebbene!

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Capitolo 3
*** Changes. ***


Cap 3 Dolce Flirt ~




Shadows








Scusate se il capitolo si legge piccolo ma credo che mi sia partito NVU.
Vi chiedo di avere un po' di pazienza con me e il mio vecchio pc e, per questa volta,
di accontentarvi dell'opzione d'ingrandimento messa a disposizione da EFP.
Grazie a tutte coloro che, nonostante questo disguido, leggeranno la storia.



Capitolo Tre.
Changes.



Uscii dal bagno, sperando di essermi tolto quell'imbarazzante faccia da schiaffi che pensavo di avere. Mi sentivo tremendamente a disagio in quel posto così poco consono alla mia persona, eppure l'idea di averci messo piede non mi dispiaceva affatto. Non avevo mai provato certe emozioni né pensieri poco adeguati erano affiorati in modo così insistente nella mia mente. Avevo deciso di rinfrescarmi il viso e, nel lussuoso bagno dello strip club sembravo essermi calmato. Addirittura, il comodo divanetto che per uno strano motivo era stato posto all'interno dei servizi, si era rivelato il punto chiave per la mia calma. Eppure, una volta appoggiato il palmo sudacchiato contro alla porta di legno massiccio che sembrava proprio essere mogano, l'ansia e l'inadeguatezza mi tornarono addosso come mosche sul miele -per non dire altro. Il primo istinto fu di rigirare i tacchi ancora una volta e rifugiarmi nel bagno così puro e accogliente, ma una cameriera mi assalì in modo inaspettato. Le sue unghie smaltate si chiusero attorno al polsino della mia camicia bianca, facendone risaltare i colori più disparati. La prima cosa che focalizzai di lei fu il pollice rosso al contrario delle altre dita, colorate di un giallo acceso che sembrava un pugno in un occhio, che mi ricordarono molto la nuova tinta, miele principesco, di mia sorella. Poi passai al rossetto, di un rosso profondamente marcio e quasi scrostato dalle labbra screpolate che si aprivano e chiudevano ritmicamente mostrando al mondo il suo ruminare di cicca. Trattenni una smorfia schifata solo grazie ad una punta di autocontrollo che, grazie al cielo, sopravviveva in me.
Perché tra tutte, proprio lei?
Mi sorrideva in modo complice, continuando maleducatamente a masticare la cicca, come se si aspettasse qualcosa da me. Lanciando una rapida occhiata in giro, non riuscii a trovare il mio accompagnatore e mi sentii perso, ma potei comunque notare le belle ragazze che affollavano il locale, libere o intente a soddisfare un cliente. Seppur non mi soffermai a guardarle tutte una ad una avrei potuto giurare che fossero molto più attraenti di quella che, trentina d'anni passati, mi stava bloccando all'uscita della toilettes. Il solo fatto che si fosse imposta me la fece detestare; senza contare il seno visibilmente raccimolato in un push-up poco efficace, le evidenti rughe sul collo e ai lati della bocca, e per non parlare anche di quello strano modo in cui usava la lingua attorno a quell'informità rosa acceso. E il vestito che indossava? Doveva sembrare sexy, ma anche sforzandomi non pensavo che ad una delle amiche di mia sorella invecchiata; fine che, probabilmente, avrebbe potuto fare, continuando su certe strade.
Socchiusi appena le labbra. Per sbaglio inspirai una zaffata di quello che sembrava profumo scadente, riuscendo a sentire le particelle decisamente tossiche sopra alla lingua e contro il palato, quando una ragazza molto più giovane venne in mio soccorso, chiamandomi.
«Signor Nathaniel!» trillò con una vocina che mi sembrò così soave da rappresentare la salvezza; come una sirena che salva il povero marinaio da una perfida arpia -ovviamente non nella versione pensata da Omero. Si avvicinò leggermente imbarazzata a me e alla cameriera, titubante sui tacchi alti che slanciavano la sua figura decisamente più bella da vedere rispetto a quella che i miei occhi avevano sopportato -per pochi secondi- fino a quel momento. Si chinò leggermente in avanti, lasciando che la sua lunga chioma castano scuro le ricadesse oltre le spalle nude, facendomi desiderare di essere anche un semplice e fine capello. Chiuse gli occhi, lasciandomi vedere solo un paio di lunghissime ciglia che risaltavano sulla guancia arrossata e, sempre in quella posizione, cominciò a chiedere scusa alla sua collega anziana: il cliente con cui ero venuto -probabilmente parlavano di Castiel- aveva chiesto di me e mi aveva fatto cercare. Smisi di ascoltare le sue parole, beandomi solo del loro suono armonioso e concentrandomi sulla profonda scollatura a cuore risaltata anche dalle braccia di lei che, strette in avanti, comprimevano i già abbondanti seni non lasciando altro punto focale sul suo corpo. Notai, infatti, le sue gambe solo al suo arrivo e il suo eccitante sedere sculettante solo dopo che l'arpia decidette, a malincuore, di mollare la presa su di me. Quasi non notai l'espressione scocciata di quest'ultima nell'allontanarsi lasciando un appetibile cliente in mano ad una sbarbatella appena arrivata, né pensai più a quella una volta che la giovane mi disse di seguirla.
Mi portò ad un divanetto posto in un angolo tranquillo e riservato del locale dove ritrovai il rosso beato e felice nel suo harem di donne disposte a servirlo. Una, in intimo, gli lasciò un bicchiere ghiacciato con qualche gocciolina che scendeva sulla superficie di vetro oltre la quale intravedevo un liquido che non avrei saputo riconoscere, andandosene dopo avergli lanciato un bacio con la mano, come facevano le bambine ai loro fidanzatini, ma in modo molto più complice. Lui era comodamente stravaccato sulla superficie di velluto rosso e leggermente consumato come se quel posto fosse sempre stato suo. Le braccia aperte e distese lungo lo schienale che lasciavano libero accesso a due donne avvinghiate al suo corpo. Quella alla sua destra, dai lunghi capelli biondi, lo fissava insistentemente, come una ragazza sovrappeso, messa a dieta, guarda un piatto di cioccolatini, accarezzandogli il torace e aspettando un suo cenno per potersi fiondare di più sul corpo del ragazzo. Il vestito bordeaux si fermava a metà coscia, per niente coperta da uno spacco che faceva vedere un piccolo filo di stoffa rossa. Sotto di esso, solo autoreggenti a metà coscia che avvolgevano perfettamente le gambe. L'ombelico era seducentemente messo in mostra da un ben pensato pezzo di stoffa mancante.
L'altra donna era invece molto più composta. Le gambe accavallate mostravano delle calze a rete che lasciavano intendere ben poco sulla sua professione, come del resto i pantaloncini di jeans molto molto corti e una maglietta stracciata che passava benissimo come top o anche come straccio per la polvere che di poco copriva un terzo del provocante reggiseno leopardato che indossava. I capelli corti erano raccolti in una piccola coda di cavallo alta, eccezion fatta per un paio di ciuffi ai lati del viso che le facevano risaltare i grandi occhi azzurri. Sembrava a proprio agio di fianco a Castiel e, al contrario della sua collega, non sembrava avere alcun interesse per lui, limitandosi a compiere il suo lavoro con la sua sola presenza. Ogni tanto sistemava le gambe accavallate o controllava che le unghie fossero perfettamente smaltate.
«Dove ti eri cacciato?» chiese il rosso non appena arrivai. Dal suo tono capii che la domanda era retorica: non gli fregava proprio niente di me ma il suo sguardo sembrava comunque aspettar qualcosa. In un territorio non mio, con il mio peggior nemico a fingersi un compagno non potevo che cercar di mimetizzarmi in quel luogo. Ma non ebbi, di nuovo, il tempo di dire qualcosa che venni anticipato. «Te la sei fatta sotto?» ghignò Castiel, piazzandosi il suo solito ghigno sul muso. Scostò la bionda per allungare il braccio davanti a sé a prendere il drink portatogli poco prima. La ragazza sembrò quasi risentirsi per quel gesto, dal momento che stava facendo di tutto per attirare la sua attenzione senza evidente successo, mentre la sua rivale rimaneva la preferita pur senza batter ciglio. Sorseggiò il liquido dal colore indefinito mentre il mio viso assumeva una smorfia offesa, subito calmata dal trillio della ragazza in tubino rosso che mi aveva condotto lì. «Allora io vado. Prego» mi sorrise e con un inchino, che fece immancabilmente cadere il mio sguardo sul suo seno, si allontanò. Rimasi a guardarla mentre si allontanava nella direzione da cui eravamo venuti quando una risatina sommessa del mio compagno attirò la mia attenzione. «Lei è una di quelle che non si possono avere» disse, senza troppe spiegazioni, per poi far tintinnare il bicchiere sulla superficie di vetro liscio del tavolino davanti a lui. Fece poi un cenno alla bionda con la testa e questa si illuminò per un secondo. «Portagli Candy» le ordinò, spegnendole lo sguardo. Ma prima ch'ella potesse alzarsi, il rosso aveva infilato la sua mano nella tasca dei pantaloni di pelle e ne aveva estratto il rotolino di banconote. Lo allungò alla bionda sussurrando qualcosa che non riuscii a capire, afferrando solo parole come Lui e un Mi raccomando piuttosto sentito.
Castiel non degnò più di uno sguardo la ragazza che, risentita per il suo ingrato compito, avrebbe preferito starsene tra le braccia del ragazzo. Ella se ne andò ticchettando con gli alti tacchi il pavimento, evidentemente offesa. Aveva nascosto abilmente quella che sembrava proprio essere una mazzetta tra i due seni, approfittando della loro abbondanza, dirigendosi verso una parte del locale a cui praticamente nessuno sembrava poter accedere. Ripensando a ciò che era successo nel cortile del liceo, cominciai a pensare che quei soldi potessero davvero appartenere a quell'uomo, e che quindi Castiel mi aveva mentito. Pensai anche ad un qualche pizzo o un saldo di qualche conto strano. Mi piaceva riflettere sulle situazioni per arrivare poi ad una conclusione, come un abile detective, ma per sapere la verità dovevo anche avere la conferma dall'indiziato circa le mie congetture. Mi voltai quindi verso il mio compagno ma non potei chiedergli niente. La mia gola, ormai inutilizzata, stava cominciando a scocciarsi di quel continuo richiamo all'azione senza che però andasse a parare da qualche parte. Castiel, invece, stava facendo lavorare la sua lingua nella gola della ragazza che sembrava un pochino più sciolta di prima. Le gambe sempre accavallate con fare quasi regale, erano l'unico dettagli immutato della sua figura. Del viso coperto dai capelli di lui si riusciva a vedere solo qualche brandello di pelle e, ogni tanto, lingua. Le sue piccole mani si stringevano al colletto della giacca di pelle di lui mentre quella di Castiel accarezzava ogni centimetro non coperto dai vestiti. La vidi che ormai aveva superato la coscia e, passando per il ventre con gli addominali contratti per la posa leggermente inclinata all'indietro, finì sul modesto seno ben reso provocante dagli abiti indossati. Dapprima si limitò a toccarglielo da sopra il tessuto ma, incurante delle altre persone, decise di darci dentro, bypassando la stoffa e spostandole la coppa preformata dalla fantasia leopardata. Intravidi un capezzolo turgido della ragazza e improvvisamente il mio disagio tornò a bussare alla porta della mia mente. Deglutii un groppo d'imbarazzo e, ancora in piedi davanti a loro, mi sentii totalmente fuori luogo. Non avevo mai visto il seno nudo di una ragazza, eccezion fatta per mia sorella fino ai dieci anni, quando ancora mi permetteva di entrare in camera sua o facevamo il bagno insieme, anche se non sono sicuro che valga come esperienza. Ma perché mi ero messo a pensare a queste cose infantili mentre due persone, davanti a me, stavano per copulare? Mi sembrava di trovarmi davanti ad un film porno senza schermo, dove io potevo solo essere la comparsa -non che avessi visto un porno, eh. La cosa, stranamente, cominciò a non dispiacermi del tutto. Ero imbarazzato, sì, ma una parte di me non voleva andarsene, rimanendo per vedere il finale.
Cominciai a sentire un rigonfiamento nei miei pantaloni. Era normale provare una simile reazione nei confronti di quella scena? Da che ero entrato, il mio amico si era fatto sentire più volte, soprattutto all'arrivo di quella leggiadra ragazza che mi aveva salvato, ma perché ora sembrava premere più di prima? L'imbarazzo crebbe a dismisura e decisi che dovevo finirla lì, subito. Mi girai, convinto a non voltarmi indietro fino a che non fossi uscito da quel posto peccaminoso, ma una figura seducente mi si parò davanti. Una donna dai lunghi e mossi capelli neri che si morsicava provocante il labbro inferiore. Le mani appoggiate sui fianchi proporzionati al vitino stretto e al seno prosperoso. Sul reggiseno rosso di pizzo vi era una molletta o spilletta a forma di caramella e solo allora pensai a ciò che aveva detto Castiel: lei doveva essere Candy. Non feci in tempo a squadrare tutto il suo provocante outfit che una sua mano andò a poggiarsi sopra la mia erezione contenuta e, con sguardo malizioso, mi abbassò la zip. La vidi avvicinarsi e per qualche istante inspirai un dolce profumo alla fragola. Chiusi gli occhi e la sua presenza scomparve davanti a me. Sentii solo la cintura slacciarsi e la sua voce, più armoniosa di quanto mi aspettassi, cantilenare
«Vedo che si può cominciare».




Da quanto tempo non aggiornavo?
Chiedo scusa a tutte coloro che hanno dovuto radersi la barba cresciuta per l'imperdonabile ritardo.
Ma questo nuovo capitolo arrostisce e accende un po' le cose. Spero possa piacervi.
Prendetelo anche come un augurio per queste feste che stanno passando velocemente.


Poi avrei cose da specificare.
Per prima cosa, l' "idea" mia: Candy è un tributo alla spogliarellista di American Pie 6 - Beta House.
Nathasha, la bionda che sparisce con la mazzetta è stata disegnata da ParadiChloroBenzene_ alias Ayu,
e l'outfit per l'altra donna senza nome è stato comunque ispirato ai suoi disegni.
Inoltre, un particolare ringraziamento a lei per avermi corretto il labbro nero e altre schifezze in questa storia.
Un buon slinguazzamento con Castiel a chi apprezza, altrimenti, chi preferisce Nathaniel... Aspetti il prossimo capitolo!
Scusa, Jessie... Ricordati che la storia ti piace!

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