Shadows~ di Gozaru (/viewuser.php?uid=193641)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Act. ***
Capitolo 2: *** Nuovo Mondo. ***
Capitolo 3: *** Changes. ***
Capitolo 1 *** First Act. ***
Cap1
Dolce Flirt ~
Shadows
Vediamo se questa storia riesce ad essere più bella di Doppio Gioco...
Capitolo Uno.
First Act.
Ho sempre pensato fosse
una persona strana. Qualcosa in lui mi aveva sempre attirato ma, al
contempo, respinto in maniera viscerale. Era tutto ciò che io
non ero e non sarei mai diventato. Il solo pensiero mi irritava
più di quanto avessi mai potuto immaginare.
Ed è per questo che mi avvicinai a lui...
Stava fumando, seduto in modo scortesemente inappropriato sulla sua
panchina preferita, quella più in disparte nel cortile del
Liceo. Ricordo ancora quando, l'anno prima, dovetti far firmare una
richiesta per far riverniciare le panchine solo per quella, rovinata da
mozziconi di sigaretta spenti sopra e delle impronte di scarponcini che
non venivano via con nessun prodotto di pulizia. Io stesso strofinai
per una mezz'ora buona senza avere risultati.
Lo osservavo dal corridoio, con la spalla appoggiata al vetro della
porta principale dell'istituto e la fronte calcata su di esso.
Chissà, forse il fatto che lui non mi avesse notato mi aveva
fatto credere d'essere invisibile e perfettamente nascosto e questa
strana sensazione mi fece sussultare quando sentii la voce di Lysandre,
alle mie spalle, chiamarmi.
«Che fai?»
mi chiese avvicinandosi a me. Si mise al mio fianco e, poggiando una
mano sul vetro, mise il suo volto a contatto con essa per riuscire a
vedere bene il cortile senza i riflessi che la luce produceva sul
vetro. «Castiel...?»
pronunciò leggermente incredulo. Mi sentii come un ladro colto
con le mani nel sacco: avevo sperato per qualche secondo che lui non
capisse ma, d'altronde, non c'era nessun altro in cortile. Abbassai lo
sguardo nello stesso momento in cui Lysandre alzò il suo. Non
volevo vedere l'espressione che mi stava rivolgendo. Il solo
immaginarla mi bastava.
«Che ti ha fatto,
stavolta?» chiese ancora cercando di trattenere una risatina. Per
poco non cedetti alla tentazione di guardare il suo viso mortificato
dalle azioni dell'amico. Arrivai con lo sguardo fino al mento ma poi mi
ricredetti fissandomi sui particolari della sua giacca e sul foulard
verde che portava al collo. Guardai bottone per bottone ogni centimetro
della stoffa che indossava pur di non incontrare quegli enigmatici
occhi smeraldo e ambra. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo pur non
avendone affatto motivo.
«N-niente»
balbettai, riportando l'attenzione al rosso che, ora, stava spegnendo
l'ennesima sigaretta sul legno all'apparenza nuovo della panchina.
Storsi le labbra, pur senza accorgermi di questo mio gesto
involontario. Un'altra bruciatura da togliere. Grazie Castiel!
Pronunciai le ultime due parole in un soffio, come se i miei
stessi pensieri, dotati di volontà propria, avessero deciso di
manifestarsi. Sentii ancora una volta la risata del ragazzo accanto a
me, conscio dei miei sentimenti ostili verso quello che poteva
considerare il suo migliore amico.
Che persona strana, Lysandre... Nonostante gli stia a cuore Castiel non fa nulla per difenderlo.
«L'anno prossimo
gli farò sborsare i soldi per la manutenzione dell'intera
scuola» sbottai cercando di farmi grosso agli occhi del bianco.
Quand'ero con lui mi sentivo leggermente in soggezione. Non so
perché ma avevo paura di risultargli inferiore rispetto al rosso.
Lui rise, per niente imbarazzato di trovarsi in mezzo a due persone da tutti considerati rivali o completamente opposti.
Tutto questo, comunque, mi dava sui nervi. Non volevo vedere più Castiel deturpare la scuola.
«Vado» esordii con fare molto più tranquillo. «Ho
delle faccende da sbrigare». E voltandogli la schiena me ne
andai. La voce di Lysandre, in sottofondo, che mi rassicurava riguardo
al suo amico. Parole che, in fondo in fondo, mi rallegrarono un poco.
Inspirai profondamente riempiendomi i polmoni dell'aria fresca che si
respirava in fondo alle scale. Tra le mie dita la maniglia della porta
che dava nel sottoscala. La aprii con veemenza provocando un rumore che
però si disperse nelle note musicali che venivano suonate.
Nessuno mi aveva ancora notato e, davanti a me, sia Castiel che
Lysandre sembravano completamente assorbiti nella musica che stavano
producendo. Una melodia che non avevo mai sentito prima, più
bella del solito. La voce di Lysandre m'incantò per qualche
secondo. Sentii il respiro finora trattenuto scivolare via dalle mie
labbra socchiuse. Fu allora che mi ricordai cosa stessi facendo il quel
posto.
«CASTIEL!»
urlai con tutto il fiato rimasto. La musica si bloccò
all'istante e la grande stanza piombò nel silenzio. Lo sguardo
del rosso si posò su di me trafiggendomi come unalama di
ghiaccio. Mi strinsi istintivamente alla maniglia. Il freddo del
metallo sembrò penetrarmi nella pelle ed invadermi l'intero
corpo. Mai uno sguardo di quel ragazzo era riuscito a paralizzarmi a
quel modo. Come poteva essere capace di sguardi simili?
Persi totalmente la cognizione dello spazio e del tempo. La vista mi si
annebbiò e non riuscii più a mettere a fuoco altro che
non fossero quei due occhi grigi che mi guardavano con tanto astio.
Non parlò. Non disse niente. Rimase nella sua posa stoica senza
muovere un muscolo per un tempo interminabile. Poche ciocche dei suoi
capelli erano scappate dal codino in cui erano state racchiuse tutte le
altre. Incorniciavano il viso pur non intromettendosi tra me e lui. Le
braccia bloccate nello sforzo di suonare. I muscoli si potevano vedere
ben delineati dalle maniche in giù, e le mani fermate poco prima
di far vibrare una nota che non avrei saputo riconoscere nemmeno
sentendola. Una gamba leggermente flessa con un ginocchio verso l'alto
e lo stesso piede appoggiato al terreno solo con la punta delle scarpe.
«Suonavamo troppo forte?».
Lysandre distrusse la tensione creatasi tra me e Castiel. Voltai il
viso verso di lui, ricordandomi della sua presenza così sottile.
Annuii pian piano cercando di trovare un appiglio alle sue parole
così da poter poi cominciare una conversazione. «Decisamente»
pronunciai con un tono di voce fin troppo basso. Sembrai sottomesso e
questo non potevo permettermelo. Quindi mi schiarii la voce, facendo
loro intendere che l'urlo che aveva interrotto il loro pezzo mi aveva
momentaneamente fatto calare la voce. Nel mentre sentii sbuffare.
Castiel, ancora lui.
«Che cosa vuoi, segretario delegato?»
freddo e implacabile. Sputò le ultime due parole come se gli
facessero schifo; come acido da gettarmi addosso per ferirmi. Gli
rivolsi il peggiore dei miei sguardi.
«Questa cosa non
può andare avanti per sempre» gli dissi. La cosa non
sembrò attirare la sua attenzione. Il suo sguardo ora era
rivolto alla sua chitarra elettrica con cui stava facendo finta di
suonare qualche melodia a me incomprensibile. Ciononostante le sue
orecchie erano ben attente a captare qualsiasi mia parola. Non che gli
interessassero, ovviamente, ma da sempre non si era mai negato il
piacere di perdersi qualche mio discorso così da potermelo un
giorno rinfacciare o per usare le mie stesse parole contro di me. «Dovete smetterla di suonare qua dentro. Ci faremo scoprire». Perché usai il noi?
Mi sentii un completo idiota e, nel contempo, loro complice. Immaginai
la nuova ragazza arrivare ora, alle mie spalle, e scattare fotografie a
raffica su noi tre con la nuova macchina compatta che aveva comprato il
pomeriggio prima. Già m'immaginai le voci che sarebbero girate
nella scuola e gli sguardi dei miei compagni. La sola idea di essere
bollato al pari di Castiel mi fece rabbrividire. O quasi. Avvertii uno
strano brivido lungo la schiena ma non fui certo che fosse disgusto. Un
mix di adrenalina e una sorta di paura primordiale che si prova quando
ci si sta per tuffare in una di quelle imprese folli che, però,
si desiderano nel profondo dell'anima. Cos'era quella stupida idea di
voler essere come Castiel? Perché mai avrei dovuto desiderare
una cosa del genere?
Mi scervellai su questa cosa per settimane. Odiavo sentire in me
crescere uno strano desiderio d'imitazione rivolto ad una delle persone
che più mi stavano sui nervi. Continuando ad osservarlo notavo
ogni giorno comportamenti diversi. Mi dava fastidio come, all'ingresso
della scuola, si spegnesse i mozziconi di sigaretta sotto alla suola
degli anfibi che indossava che avrebbero poi lentamente disperso la
cenere della sigaretta per tutti i corridoi della scuola. Mi
infastidiva vedere le cicce accartocciate nel cortile: troppe persone
stavano prendendo esempio da Castiel, ignorando completamente i
portacenere sparsi per l'area circostante la scuola. Mi saliva il
nervoso quando sentivo pronunciare il suo nome nei corridoi e, peggio,
in sala delegati -il mio mondo. Detestavo il fatto che le ragazze
parlassero sempre di lui; come se fossi geloso. Ma non lo ero.
Non era la schiera di fan a mancarmi, con tutte le ragazze che venivano
a trovarmi mentre cercavo di amministrare tutte le scartoffie della
scuola. Non era una popolarità minata dalla cattiva fama ad
interessarmi. Ciò che mi attirava di Castiel era il suo
atteggiamento: quel suo modo di dire al mondo che poteva
tranquillamente girare su se stesso che tanto, a lui, non sarebbe
importato comunque. Il suo menefreghismo era la sua più grande
arma e ciò che io gli invidiavo.
«Figliolo, mi stai ascoltando?»
La voce di mio padre sopra ogni altro pensiero; la sua autorevolezza
sovrastò, ancora una volta. Alzai gli occhi dal piatto
inquadrando per la prima volta la mia famiglia. Come sono arrivato qui? E da quanto stavo fissando il piatto ancora pieno preparato da mia madre?
Lei che, preoccupata, mi guardava cercando di capire come mai fossi
così schivo quella sera. E mio padre, a capotavola, che mi
rivolgeva il suo solito sguardo accusatore, come se io fossi la colpa
di ogni suo male. Da anni, ormai, mi padre mi trattave come se fossi lo
zimbello della famiglia, il figlio che gli rovinava la reputazione
ignorando totalmente che la figlia da lui tanto amata non era altro che
una falsa bugiarda che manovrava i nostri genitori a suo piacimento. Ed
eccola, infatti, davanti a me con il suo solito sorrisetto da furba a
godersi lo spettacolo del fratello preso di mira.
«Ti stanchi a
fare il segretario?» disse mio padre con una punta d'ironia. Lui
ha sempre reputato una cosa sciocca il mio ruolo nella scuola. O sei il
migliore o non lo sei. Per lui non ero mai abbastanza. Rappresentate di
classe, d'istituto e degli studenti. Segretario delegato, l'anello di
congiunzione tra gli alunni e il personale docente: un ruolo di molta
importanza al Liceo. Ma a casa tutto ciò era sminuito da quattro
frasi di Ambre e di mio padre. Mia madre, invece, rimaneva sempre
sottomessa come me alle parole del capofamiglia. Una risatina di mia
sorella si aggiunse al quadretto. Un rumore irritante quanto la sua
personalità e tutto ciò che la riguardava. Le mie dita si
strinsero attorno alla forchetta e il metallo luccicante mi
ricordò la maniglia della porta del sottoscala. Gli occhi di
Castiel tornarono a rimbombarmi nella memoria e sentii la stessa morsa
allo stomaco sentita quella sera. Niente mi aveva fatto così
male in tutta la mia vita, nemmeno le occhiatacce e le battutine di mio
padre. Realizzai, allora, che niente avrebbe più potuto
abbattermi. Niente che avesse da dire mio padre avrebbe più
potuto ferirmi come un tempo. Un dolore maggiore aveva ferito la mia
anima e nessuno era al pari del ragazzo ribelle dai capelli rossi. Non
c'era niente di peggio, no.
Lasciai andare la forchetta che ricadde tintinnando nel piatto. Con una
forza e una risolutezza mai provate prima mi alzai dal tavolo spingendo
con le gambe la sedia indietro. Risuonò la mia ribellione in
tutta la sala da pranzo mentre gli occhi di mia madre si sgranarono.
Vidi nelle sue iridi il riflesso lontano di un ragazzo che non riuscivo
a riconoscere come me. Uno sguardo risoluto e deciso rivolto all'uomo
che da sempre aveva cercato di abbattermi. Non riuscii a dire niente, i
miei sentimenti straripavano senza sosta dai miei pori, dai miei
capelli, da tutto ciò che sentivo mio.
Mi voltai e mi diressi verso la porta della stanza. Volevo andarmene da
quella casa anche se sapevo benissimo che prima o poi sarei dovuto
tornarci. Mio padre cominciò a chiamarmi con un tono sempre
più alto ma ormai non mi comandava più. Mi fermai sulla
porta quando mi chiese che intenzioni avevo. Voltai solo la testa per
guardare un'ultima volta quel quadretto che fino ad ora era sempre
sembrato perfetto e felice a tutti quanti.
«Non lo so. Non aspettatemi» e chiudendo la porta alle mie spalle me ne andai.
Scesi di corsa le scale con l'adrenalina che mi scorreva ancora nelle
vene per ciò che era appena successo. Mi sentivo forte,
invincibile; nessuno avrebbe potuto fermarmi. Avevo preso giusto la mia
giacca, il portafogli, le chiavi di casa e il cellulare. Non poteva
servirmi altro per la notte che avevo intenzione di passare.
Vorrei ringraziare la
mia consulente privata, Ayubibi, per avermi sopportato in questi due
giorni in cui ho scritto il capitolo che ora s'è smezzato.
Purtroppo anche a me sembrava davvero molto lungo ma la voglia di
rendere il tutto in un unico capitolo m'ha portato a renderlo davvero
pesante, quindi ho deciso di cancellare l'altra storia per pubblicare
questa, totalmente identica ma con l'unica variazione della divisione
di tutto ciò che finora ho scritto. Per chi l'ha già
letto, mi dispiace, ma dovrà farlo da capo.
Così vi risulterà molto meno pesante, davvero.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Nuovo Mondo. ***
Cap2
Dolce Flirt ~
Shadows
Capitolo Due.
Nuovo mondo.
Mi resi presto conto di non essere il tipo di persona che la notte esce
a divertirsi. Vagai per le solite vie arrivando nei pressi del Liceo.
Mi resi conto allora di quanto la mia fuga fosse stupida e di quanto io
fossi triste a pensare di scappare dai miei soliti schemi
comportamentali. Avevo fatto senza pensarci la strada che percorrevo
ogni giorno. Passo per passo, sempre la stessa. Come potevo credere di
poter essere una persona diversa, anche solo per una notte?
Mi diressi verso l'ingresso. Ormai, che differenza faceva entrare o
meno? La scuola era chiusa ma, chissà, restare forse nel suo
cortile mi avrebbe forse aiutato a riflettere su ciò che avrei
dovuto fare una volta tornato a casa. E quale posto migliore del Dolce
Amoris che tanto mi rappresenta?
Non avevo mai visto il cortile così buio. I lampioni
illuminavano la strada ma solo pochi raggi di luce andavano a
rischiarare ciò che stava dentro le mura del liceo. Mi
sembrò tutto così suggestivo, così misterioso. Una
faccia della scuola che non avevo mai visto né preso in
considerazione. Mi avvicinai sempre più al portone
dell'ingresso. I vetri davano una perfetta visione del corridoio
principale completamente buio. Sembrava una galleria infinita in cui
sembrava così facile perdersi. Mi fermai arrestando i miei
passi. I sassolini della ghiaia sotto ai miei piedi smisero di
scricchiolare. E solo allora, quando mi ritrovai nel bel mezzo del
cortile, mi accorsi che qualcun altro stava camminando in silenzio. Mi
girai più volte senza però vedere nessuno. Chi mai stava
arrivando?
Una mano mi tappò la bocca e due braccia muscolose mi cinsero
una spalla e il ventre. Venni trascinato velocemente oltre la famosa
panchina. Nonostante l'agitazione ed una paura senza pari riuscii a
vedere chiaramente le bruciature sul legno. Erano addirittura
più di prima. Stupido Castiel!,
pensai. La mia mente andò a lui, realizzando che il voler essere
come il rosso mi aveva trascinato in quest'orribile situazione. Il
cuore mi saltava nel petto e ogni mio movimento per tentare di
liberarmi sembrava vano. Le mie dita si aggrappavano alle braccia del
mio aggressore e cercavano di liberarmi senza riuscirci. Volevo gridare
aiuto ma la mia bocca tappata non faceva che emettere mugolii soffocati
che non avrebbero attirato nessuno che non fosse abbastanza vicino da
sentirmi e, a quel punto, anche vedermi. Tutto ciò che stavo
facendo mi sembrava così inutile ma l'idea di venir rapito o
peggio senza ch'io avessi fatto nulla per difendermi mi sembrava ancora
peggiore. I miei piedi continuavano a muoversi. Indietreggiavo pur
senza volerlo per paura di cadere. Se fossi finito in una posizione
ancor più svantaggiosa sarebbe stata la fine. Tutto ciò
che dovevo fare era resistere più che potevo. La mia intenzione
era quella, fino a che non mi ritrovai davvero per terra. Successe
tutto in un secondo. La gamba del mio rapitore insinuò in mezzo
alle mie e, avvinghiandosi stranamente alla mia destra, riuscì a
farmi perdere il contatto con il terreno. Fu poi facile per lui far
pressione sulle mie spalle e ribaltarmi all'indietro. Mi ritrovai con
la schiena a terra dopo un urto tutto sommato attutito dalle braccia
dell'altro che subito mi sovrastò. Oddio, che diamine vuole fare?! Nella
mia mente si affollarono immagini di telefilm polizieschi che avevo
visto negli ultimi mesi e tutte riguardavano giovani donne stuprate e
poi uccise barbaramente. Anch'io sarei diventato una di quelle vittime?
L'idea di pensare a me come ad una ragazza in difficoltà fu
tremendamente umiliante ma nulla poteva superare le lacrime che stavano
inondando i miei occhi. Strinsi le palpebre per trattenere le lacrime
che sentivo scorrere sulle ciglia. Una sola riuscì a scappare,
percorrendo parte della guancia e poi giù, verso il terreno,
passando di poco sotto all'orecchio.
«Fa silenzio,
dannazione!» fu un sussurro. Riconobbi al volo la voce di Castiel
e, riaprendo gli occhi, constatai che effettivamente il ragazzo disteso
sopra di me si trattava proprio di lui. Il respiro affannato
cominciò a calmarsi e lo stesso fece il mio cuore, rassicurato
dall'idea che nessuno stava cercando di violentarmi. Ma che stava
succedendo? Ancora non riuscivo a capire. Cercai di alzarmi facendo
leva sui gomiti ma la grande mano di Castiel s'abbatté sulla mia
fronte, ricacciando la mia testa contro il terreno freddo e spoglio del
cortile.
«Vieni fuori! So che sei qui!». Una voce che non riconobbi cominciò ad urlare non lontano da noi quelle due frasi. «Non
ti farò del male!». Castiel mi fece segno di tacere.
Sembrava così calmo ma il mio volto, così vicino al suo,
percepiva il respiro irregolare. Quell'uomo che dalla voce sembrava
più maturo di noi stava cercando proprio lui. Ma perché? E, soprattutto, come ho fatto a cacciarmi in questa situazione?
Restammo immobili per chissà quanto tempo. Io a braccia aperte a
pieno contatto con il terreno. Lo sguardo rivolto al cielo nella
speranza di trovare una risposta a tutto ciò che la mia mente
pretendeva di sapere. Castiel, accucciato sopra di me, a guardare la
figura maschile non ben definita che andava in giro per il cortile alla
sua ricerca. Se prima volevo essere una persona diversa da me stesso,
ora mi mancava molto la mia routine. A quell'ora sarei stato certamente
a letto a leggermi un libro, fresco della doccia che ogni sera facevo
dopo cena. Il mio rituale rilassante era ciò che preferivo della
giornata, quando mi fissavo sugli avvenimenti passati durante le ore
precedenti e ripensavo a ciò che avrei dovuto fare il giorno
dopo. La solitudine della mia stanza, sotto sotto, mi mancava
parecchio. Certo, era preferibile ai capelli e i vestiti pieni di
terra, al sudore della giornata ancora attaccato alla pelle, sotto alla
camicia e alla cravatta che erano il mio simbolo. Perso
nell'immensità di un cielo che non aveva confini se non gli
alberi sopra la mia testa e il limitato cono ottico della mia visuale
che non riusciva a contenere tutto l'infinito della visione che la
notte mi stava donando.
«Se n'è andato».
Quanto tempo aveva passato attaccato a me? Quando si staccò
sentii improvvisamente il freddo pungente della sera ormai scesa. Si
mise velocemente in piedi, scrollandosi di dosso della terra che
probabilmente non aveva, dal momento che mi aveva usato come tappetino.
E da quel momento mi sembrò di sparire di nuovo dalla sua vista.
Allora perché mi aveva portato lì con lui? Cos'aveva
pensato che stessi facendo o che avrei potuto fare? Non ebbi mai quella
risposta.
Senza degnarmi di uno sguardo mi voltò le spalle e fece per
andarsene con le mani in tasca quando lo richiamai. La prima volta si
fermò solamente; solo dopo la terza mi mostrò di nuovo il
suo viso, questa volta con un'espressione più accigliata in
volto.
«Chi era quello? » gli chiesi. «Non sono affari tuoi» rispose.
Certo, non mi aveva detto niente ma il solo fatto che mi avesse detto
qualcosa mi aveva aperto una parte di Castiel. Perché si
comportava a quel modo? Perché continuava ad esercitare questo
strano fascino su di me, nonostante tutto ciò che mi aveva
fatto? Guardai la sua schiena allontanarsi con una cadenza regolare.
Tanti pensieri affollarono la mia testa ma erano troppo confusi per
essere messi a fuoco, soprattutto dal momento che ero appena uscito da
una vera e propria aggressione in piena notte. Cercai di rimettermi in
piedi e nel farlo appoggiai il palmo della mano su un piccolo
cilindretto che sembrava di carta. Deboluccio, visto che sotto il mio
peso si era schiacciato. Lo portai con me, seguendo Castiel. Avevo
bisogno di una fonte di luce per capire che cosa fosse e immerso
nell'oscurità com'ero non capivo certo che cosa fosse.
Controllai le tasche constatando che quelle poche cose che avevo con me
si trovavano ancora dove le avevo lasciate. Ergo, il cilindretto non
era mio. Sembrava fatto di tanti pezzi di carta. Al tatto si muovevano
come un piccolo ventaglio e solo allora cominciai a realizzare cosa
fosse. Ne ebbi la conferma quando, al centro del cortile, trovai
Castiel con una mano tesa. Non mi ero accorto che si fosse fermato
proprio lì.
«È mio»
disse. Fu allora che misi a fuoco il rotolino di banconote che avevo in
mano. Il colore uniforme mi fece intendere che tra le mani avevo almeno
cinquemila euro. Ed erano di Castiel.
Continuai a spostare lo sguardo dal denaro al ragazzo che, ansioso, smaniava per riaverlo. «Allora?!»
fece, irritato. Aggrottai le sopracciglia alla sua richiesta.
Ovviamente i soldi erano i suoi. O, a ben pensarci, dell'uomo che
l'aveva seguito. Miei non erano di sicuro ma la consapevolezza che
fossero nelle mie mani mi suggeriva l'idea folle di tenermeli.
«Perché dovrei?
Chi mi dice che siano tuoi?». Vidi il suo sguardo arroventarsi e
i suoi occhi assottigliarsi per scagliarmi sguardi minacciosi.
«Segretario» disse minaccioso cercando di incutermi timore
o cercando di sottomettermi com'era sempre riuscito a fare. Ma questa
volta c'era in ballo qualcosa di un pochino più grande.
Leggermente più grande, come ad esempio un crimine.
«Dove li hai presi?» dissi, calmo, alzando la mazzetta
arrotolata a fianco della testa. La mano di Castiel, tesa in avanti, si
strinse a pugno tornando a fianco di tutto il corpo.
«Non sono affari tuoi» ripeté, convinto. Allora
abbassai il rotolino di contanti andando a nasconderlo alla sua vista,
dietro al mio corpo per infilarmelo nella tasca posteriore dei
pantaloni.
«Vuol dire che cercherò l'uomo di prima per chiedergli la
sua versione dei fatti». Il volto del rosso, alla luce dei
lampioni, sembrò sbiancarsi. A quanto pareva, doveva aver paura
dell'uomo entrato nel cortile.
«Non osare, Nathaniel!» alzò il tono di voce
scandendo con rabbia le sillabe del mio nome. Fu un colpo. Non lo avevo
mai sentito pronunciare il mio nome.
«Li hai rubati?» gli chiesi in tutta serietà. Lui
sbuffò stizzito, come se gli avessi chiesto se fosse innamorato
di mia sorella.
«Certo che no» rispose secco. Questo era tutto ciò
che mi bastava. A malincuore tirai fuori i soldi dalla tasca e, ancor
prima che lui capisse le mie intenzioni, glieli avevo già
lanciati. Li prese al volo con entrambe le mani. Impagabile fu
l'espressione sul suo volto; come se avesse visto un evento
inspiegabile: non si aspettava certo che glieli avrei restituiti tanto
facilmente. Certo, l'idea di tenermeli mi aveva tentato ma non erano
miei e quei soldi, rubati o no, nelle mie mani avrebbero potuto
insospettire qualcuno e rendermi un criminale di chissà quale
leva per altri.
Imbarazzato e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, grato per il gesto
che avevo appena compiuto, Castiel balbettò un Grazie non molto
convinto. Si mise subito i soldi in tasca, al sicuro e per pochi
istanti si fermò prima di andarsene definitivamente. Lo guardai
fissarmi stranito mentre mi grattavo la testa indeciso sul da farsi per
quella sera. Cominciò a calcarsi nella testa l'idea di
tornarmene a casa, stanco delle emozioni fin troppo intense vissute
nemmeno in un'ora di fuga.
«Che ci fai
qui?» mi chiese ad un tratto. Il tono di voce insolitamente
tranquillo e pacato che mai avevo sentito quando si rivolgeva a me. Mi
stava trattando come una persona -a suo dire- normale? E che avrei dovuto dirgli? Alzai le spalle lasciandogli intendere che il motivo non era niente di che.
«Sono scappato di casa» dissi poco convinto della cosa. «Per stanotte»
specificai vedendo i suoi occhi sbarrarsi come se avessi detto
chissà quale bestemmia. Era così strano per lui e, in
effetti, anche per me credere ch'io avessi fatto qualcosa dagli schemi.
Dai miei schemi.
Lo sentii uscirsene con una piccola risata. Il volto rilassato e
l'espressione del cattivo ragazzo completamente distrutta. Sembrava
divertirsi davvero per ciò che avevo detto o, chissà,
magari per via dei suoi pensieri. Alzò una mano e con due dita
mi fece segno di avvicinarsi. Mentre tutto il suo essere si ricomponeva
dalla risata incontrollata che lo aveva attraversato cominciò ad
avviarsi verso la strada.
«Se non hai un posto dove tornare vieni con me. Per stanotte».
Lo seguii in silenzio verso le vie della città. Il suo passo
veloce e l'andatura sicura mi lasciarono intendere che il posto in cui
mi stava portando gli era molto familiare. Probabilmente casa sua. Ma,
leggendo i dossier, mi era capitato d'imbattermi nell'indirizzo del suo
appartamento e ricordai che si trovasse non molto lontano dalla scuola,
quindi non poteva certo trattarsi di quello: ormai ci eravamo
allontanati troppo e le vie che stavamo percorrendo stavano lentamente
diventando sempre più strette e meno illuminate. Cominciai a
preoccuparmi quando un uomo dall'aspetto poco affidabile e con una
giacca logora lo salutò e Castiel ricambiò con un cenno
della testa.
Ci fermammo davanti ad un locale che non avevo mai visto prima. La
strada poco affollata non era certo una garanzia ma chiunque passasse
di lì si fermava per entrare in quel posto. Lo scrutai da cima a
fondo cercando di farmi un'idea del posto. I mattoncini visibili gli
conferivano un'aria rustica, con l'edera che cresceva sul lato destro e
parte della facciata. Entrammo e potei constatare che il pub in cui ci
trovavamo aveva un'atmosfera molto irlandese. La birra scorreva a fiumi
dal lungo balcone di legno nero ai tavoli sparsi per tutto il locale.
Una cameriera agitò le braccia in aria salutando animatamente
Castiel. Lui si limitò ad alzare una mano ed abbozzare un
sorriso. Poi si rivolse al barista intento ad asciugare dei bicchieri
di vetro e a riporli su un vasto ripiano alle sue spalle.
«Oggi siamo in due» disse. Quello sorrise e gli fece cenno
di andare verso la sua destra. Castiel disegnò un semicerchio in
aria con la mano e si diresse verso una porta dall'altra parte della
stanza, ormai esperto. Doveva essere un cliente abituale. Bussò
due volte.
«Sono io». La porta gli venne subito aperta da un uomo
sulla trentina dalla pelle bruciata dal sole e due grandi occhiali da
sole. Castiel trafficò con la tasca in cui aveva messo il denaro
e ne estrasse qualche banconota.
«C'è uno nuovo» disse con un tono più basso,
forse sperando di non farsi sentire da me. L'altro uomo mi
squadrò da capo a piedi più volte poi guardò
Castiel che ancora teneva alzate tra indice e medio i soldi. Questi
annuì e li prese facendogli un cenno d'assenso. Poteva entrare e
io con lui. Notando il mio sguardo confuso mi rivolse uno dei suoi
sorrisetti con cui spesso prende in giro la nuova arrivata.
«Dai. Stanotte offro io».
Scendemmo una rampa di scale e, verso la metà, cominciò a
sentirsi un flebile rumore di musica molto ritmata ed elettronica.
Avvicinandoci ad una grande porta di metallo che sembrava parecchio
spessa e robusta la musica continuava a crescere diventando sempre
più fastidiosa e pressante. Quando Castiel aprì la porta
fu addirittura peggio. Venni investito da due note ripetute alla nausea
e da luci stroboscopiche che inizialmente mi accecarono. Fu quasi uno
shock entrare in qualcosa del genere.
Davanti a me si aprì una distesa di tavolini placcati di finto
legno e di divanetti in velluto rosso. Un ambiente raffinato, per
l'arredo. Sì, si sarebbe anche potuto dire un locale carino se
non fosse stato per i pali sparsi un po' ovunque e delle donne che ci
ballavano appiccicate. Uno strip club?!
Una donna in abiti piuttosto succinti ci raggiunse. Aveva un trucco c e
molto pesante. La sua enorme scollatura ci venne incontro ma si
fermò dal rosso e, dandogli un bacio sulla guancia, gli diede il
bentornato per poi andarsene a servire dei drink che per qualche strano
motivo non avevo messo subito a fuoco.
Sentii una mano sulla spalla e, girandomi, vidi Castiel che mi sorrideva soddisfatto.
«Benvenuto nel mio mondo» mi disse.
Già. Questo posto non mi apparteneva. Era il mondo di Castiel
che, per una sera, aveva aperto i battenti anche al sottoscritto.
Quello sarebbe stato, per una notte, un Nuovo Mondo.
Sapete, l'ultima parte
mi ha fatto un po' pensare ad una storia ormai cancellata di Euphoria.
Chissà, forse è arrivato il momento di vedere
com'è dall'altra parte di un bordello -anche se il mio,
tecnicamente, non lo è.
Questa, come già sapete, è la seconda parte di quello che
era il primo capitolo. Spero che così vi sia stato davvero molto
meno faticoso arrivare alla fine.
Mi dispiaceva cancellare la parte su Euphoria quindi quella l'ho lasciata ma spostandola da questa parte per ovvi motivi.
Con il terzo capitolo spero di fare meno danni!
Volemosebbene!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Changes. ***
Cap 3
Dolce Flirt ~
Shadows
Scusate se il capitolo si legge piccolo ma credo che mi sia partito NVU.
Vi chiedo di avere un po' di pazienza con me e il mio vecchio pc e, per questa volta,
di accontentarvi dell'opzione d'ingrandimento messa a disposizione da EFP.
Grazie a tutte coloro che, nonostante questo disguido, leggeranno la storia.
Capitolo Tre.
Changes.
Uscii dal bagno, sperando di essermi tolto quell'imbarazzante
faccia da schiaffi che pensavo di avere. Mi sentivo tremendamente a
disagio in quel posto così poco consono alla mia persona, eppure
l'idea di averci messo piede non mi dispiaceva affatto. Non avevo mai
provato certe emozioni né pensieri poco adeguati erano affiorati
in modo così insistente nella mia mente. Avevo deciso di
rinfrescarmi il viso e, nel lussuoso bagno dello strip club sembravo
essermi calmato. Addirittura, il comodo divanetto che per uno strano
motivo era stato posto all'interno dei servizi, si era rivelato il
punto chiave per la mia calma. Eppure, una volta appoggiato il palmo
sudacchiato contro alla porta di legno massiccio che sembrava proprio
essere mogano, l'ansia e l'inadeguatezza mi tornarono addosso come
mosche sul miele -per non dire altro. Il primo istinto fu di rigirare i
tacchi ancora una volta e rifugiarmi nel bagno così puro e
accogliente, ma una cameriera mi assalì in modo inaspettato. Le
sue unghie smaltate si chiusero attorno al polsino della mia camicia
bianca, facendone risaltare i colori più disparati. La prima
cosa che focalizzai di lei fu il pollice rosso al contrario delle altre
dita, colorate di un giallo acceso che sembrava un pugno in un occhio,
che mi ricordarono molto la nuova tinta, miele principesco, di mia sorella.
Poi passai al rossetto, di un rosso profondamente marcio e quasi
scrostato dalle labbra screpolate che si aprivano e chiudevano
ritmicamente mostrando al mondo il suo ruminare di cicca. Trattenni una
smorfia schifata solo grazie ad una punta di autocontrollo che, grazie
al cielo, sopravviveva in me.
Perché tra tutte, proprio lei?
Mi sorrideva in modo complice, continuando maleducatamente a masticare
la cicca, come se si aspettasse qualcosa da me. Lanciando una rapida
occhiata in giro, non riuscii a trovare il mio accompagnatore e mi
sentii perso, ma potei comunque notare le belle ragazze che affollavano
il locale, libere o intente a soddisfare un cliente. Seppur non mi
soffermai a guardarle tutte una ad una avrei potuto giurare che fossero
molto più attraenti di quella che, trentina d'anni passati, mi
stava bloccando all'uscita della toilettes. Il solo fatto che si fosse
imposta me la fece detestare; senza contare il seno visibilmente
raccimolato in un push-up poco efficace, le evidenti rughe sul collo e
ai lati della bocca, e per non parlare anche di quello strano modo in cui usava
la lingua attorno a quell'informità rosa acceso. E il vestito
che indossava? Doveva sembrare sexy, ma anche sforzandomi non pensavo
che ad una delle amiche di mia sorella invecchiata; fine che,
probabilmente, avrebbe potuto fare, continuando su certe strade.
Socchiusi appena le labbra. Per sbaglio inspirai una zaffata di quello
che sembrava profumo scadente, riuscendo a sentire le particelle
decisamente tossiche sopra alla lingua e contro il palato, quando una
ragazza molto più giovane venne in mio soccorso, chiamandomi.
«Signor
Nathaniel!» trillò con una vocina che mi sembrò
così soave da rappresentare la salvezza; come una sirena che
salva il povero marinaio da una perfida arpia -ovviamente non nella
versione pensata da Omero. Si avvicinò leggermente imbarazzata a
me e alla cameriera, titubante sui tacchi alti che slanciavano la sua
figura decisamente più bella da vedere rispetto a quella che i
miei occhi avevano sopportato -per pochi secondi- fino a quel momento.
Si chinò leggermente in avanti, lasciando che la sua lunga
chioma castano scuro le ricadesse oltre le spalle nude, facendomi
desiderare di essere anche un semplice e fine capello. Chiuse gli
occhi, lasciandomi vedere solo un paio di lunghissime ciglia che
risaltavano sulla guancia arrossata e, sempre in quella posizione,
cominciò a chiedere scusa alla sua collega anziana: il cliente
con cui ero venuto -probabilmente parlavano di Castiel- aveva chiesto
di me e mi aveva fatto cercare. Smisi di ascoltare le sue parole,
beandomi solo del loro suono armonioso e concentrandomi sulla profonda
scollatura a cuore risaltata anche dalle braccia di lei che, strette in
avanti, comprimevano i già abbondanti seni non lasciando altro
punto focale sul suo corpo. Notai, infatti, le sue gambe solo al suo
arrivo e il suo eccitante sedere sculettante solo dopo che l'arpia
decidette, a malincuore, di mollare la presa su di me. Quasi non notai
l'espressione scocciata di quest'ultima nell'allontanarsi lasciando un
appetibile cliente in mano ad una sbarbatella appena arrivata, né pensai più a quella una volta che la giovane mi disse di seguirla.
Mi portò ad un divanetto posto in un angolo tranquillo e
riservato del locale dove ritrovai il rosso beato e felice nel suo
harem di donne disposte a servirlo. Una, in intimo, gli
lasciò un bicchiere ghiacciato con qualche gocciolina che
scendeva sulla superficie di vetro oltre la quale intravedevo un
liquido che non avrei saputo riconoscere, andandosene dopo avergli
lanciato un bacio con la mano, come facevano le bambine ai loro
fidanzatini, ma in modo molto più complice. Lui era comodamente
stravaccato sulla superficie di velluto rosso e leggermente consumato
come se quel posto fosse sempre stato suo. Le braccia aperte e distese
lungo lo schienale che lasciavano libero accesso a due donne
avvinghiate al suo corpo. Quella alla sua destra, dai lunghi capelli
biondi, lo fissava insistentemente, come una ragazza sovrappeso, messa a dieta, guarda un piatto di cioccolatini, accarezzandogli il torace e
aspettando un suo cenno per potersi fiondare di più sul corpo
del ragazzo. Il vestito bordeaux si fermava a metà coscia, per
niente coperta da uno spacco che faceva vedere un piccolo filo di stoffa
rossa. Sotto di esso, solo autoreggenti a metà coscia che
avvolgevano perfettamente le gambe. L'ombelico era seducentemente messo
in mostra da un ben pensato pezzo di stoffa mancante.
L'altra donna era invece molto più composta. Le gambe
accavallate mostravano delle calze a rete che lasciavano intendere ben
poco sulla sua professione, come del resto i pantaloncini di jeans
molto molto corti e una maglietta stracciata che passava benissimo come
top o anche come straccio per la polvere che di poco copriva un terzo
del provocante reggiseno leopardato che indossava. I capelli corti
erano raccolti in una piccola coda di cavallo alta, eccezion fatta per
un paio di ciuffi ai lati del viso che le facevano risaltare i grandi
occhi azzurri. Sembrava a proprio agio di fianco a Castiel e, al
contrario della sua collega, non sembrava avere alcun interesse per
lui, limitandosi a compiere il suo lavoro con la sua sola presenza.
Ogni tanto sistemava le gambe accavallate o controllava che le unghie
fossero perfettamente smaltate.
«Dove
ti eri cacciato?» chiese il rosso non appena arrivai. Dal suo
tono capii che la domanda era retorica: non gli fregava proprio niente
di me ma il suo sguardo sembrava comunque aspettar qualcosa. In un
territorio non mio, con il mio peggior nemico a fingersi un compagno
non potevo che cercar di mimetizzarmi in quel luogo. Ma non ebbi, di
nuovo, il tempo di dire qualcosa che venni anticipato. «Te
la sei fatta sotto?» ghignò Castiel, piazzandosi il suo
solito ghigno sul muso. Scostò la bionda per allungare il
braccio davanti a sé a prendere il drink portatogli poco prima.
La ragazza sembrò quasi risentirsi per quel gesto, dal momento
che stava facendo di tutto per attirare la sua attenzione senza
evidente successo, mentre la sua rivale rimaneva la preferita pur senza
batter ciglio. Sorseggiò il liquido dal colore indefinito mentre
il mio viso assumeva una smorfia offesa, subito calmata dal trillio
della ragazza in tubino rosso che mi aveva condotto lì. «Allora
io vado. Prego» mi sorrise e con un inchino, che fece
immancabilmente cadere il mio sguardo sul suo seno, si
allontanò. Rimasi a guardarla mentre si allontanava nella
direzione da cui eravamo venuti quando una risatina sommessa del mio
compagno attirò la mia attenzione. «Lei
è una di quelle che non si possono avere» disse, senza
troppe spiegazioni, per poi far tintinnare il bicchiere sulla
superficie di vetro liscio del tavolino davanti a lui. Fece poi un
cenno alla bionda con la testa e questa si illuminò per un
secondo. «Portagli
Candy» le ordinò, spegnendole lo sguardo. Ma prima ch'ella
potesse alzarsi, il rosso aveva infilato la sua mano nella tasca dei
pantaloni di pelle e ne aveva estratto il rotolino di banconote. Lo
allungò alla bionda sussurrando qualcosa che non riuscii a
capire, afferrando solo parole come Lui e un Mi raccomando piuttosto sentito.
Castiel non degnò più di uno sguardo la ragazza che,
risentita per il suo ingrato compito, avrebbe preferito starsene tra le
braccia del ragazzo. Ella se ne andò ticchettando con gli alti
tacchi il pavimento, evidentemente offesa. Aveva nascosto abilmente
quella che sembrava proprio essere una mazzetta tra i due seni,
approfittando della loro abbondanza, dirigendosi verso una parte del
locale a cui praticamente nessuno sembrava poter accedere. Ripensando a
ciò che era successo nel cortile del liceo, cominciai a pensare
che quei soldi potessero davvero appartenere a quell'uomo, e che quindi
Castiel mi aveva mentito. Pensai anche ad un qualche pizzo o un saldo
di qualche conto strano. Mi piaceva riflettere sulle situazioni per
arrivare poi ad una conclusione, come un abile detective, ma per sapere
la verità dovevo anche avere la conferma dall'indiziato circa le
mie congetture. Mi voltai quindi verso il mio compagno ma non potei
chiedergli niente. La mia gola, ormai inutilizzata, stava cominciando a
scocciarsi di quel continuo richiamo all'azione senza che però
andasse a parare da qualche parte. Castiel, invece, stava facendo
lavorare la sua lingua nella gola della ragazza che sembrava un pochino
più sciolta di prima. Le gambe sempre accavallate con fare quasi
regale, erano l'unico dettagli immutato della sua figura. Del viso
coperto dai capelli di lui si riusciva a vedere solo qualche brandello
di pelle e, ogni tanto, lingua. Le sue piccole mani si stringevano al
colletto della giacca di pelle di lui mentre quella di Castiel
accarezzava ogni centimetro non coperto dai vestiti. La vidi che ormai
aveva superato la coscia e, passando per il ventre con gli addominali
contratti per la posa leggermente inclinata all'indietro, finì
sul modesto seno ben reso provocante dagli abiti indossati. Dapprima si
limitò a toccarglielo da sopra il tessuto ma, incurante delle
altre persone, decise di darci dentro, bypassando la stoffa e
spostandole la coppa preformata dalla fantasia leopardata. Intravidi un
capezzolo turgido della ragazza e improvvisamente il mio disagio
tornò a bussare alla porta della mia mente. Deglutii un groppo
d'imbarazzo e, ancora in piedi davanti a loro, mi sentii totalmente
fuori luogo. Non avevo mai visto il seno nudo di una ragazza, eccezion
fatta per mia sorella fino ai dieci anni, quando ancora mi permetteva
di entrare in camera sua o facevamo il bagno insieme, anche se non sono
sicuro che valga come esperienza. Ma perché mi ero messo a
pensare a queste cose infantili mentre due persone, davanti a me,
stavano per copulare? Mi sembrava di trovarmi davanti ad un film porno
senza schermo, dove io potevo solo essere la comparsa -non che
avessi visto un porno, eh. La cosa, stranamente, cominciò a non
dispiacermi del tutto. Ero imbarazzato, sì, ma una parte di me
non voleva andarsene, rimanendo per vedere il finale.
Cominciai a sentire un rigonfiamento nei miei pantaloni. Era normale
provare una simile reazione nei confronti di quella scena? Da che ero
entrato, il mio amico si era fatto sentire più volte,
soprattutto all'arrivo di quella leggiadra ragazza che mi aveva
salvato, ma perché ora sembrava premere più di prima?
L'imbarazzo crebbe a dismisura e decisi che dovevo finirla lì,
subito. Mi girai, convinto a non voltarmi indietro fino a che non fossi
uscito da quel posto peccaminoso, ma una figura seducente mi si
parò davanti. Una donna dai lunghi e mossi capelli neri che si
morsicava provocante il labbro inferiore. Le mani appoggiate sui
fianchi proporzionati al vitino stretto e al seno prosperoso. Sul
reggiseno rosso di pizzo vi era una molletta o spilletta a forma di
caramella e solo allora pensai a ciò che aveva detto Castiel:
lei doveva essere Candy. Non
feci in tempo a squadrare tutto il suo provocante outfit che una sua
mano andò a poggiarsi sopra la mia erezione contenuta e, con
sguardo malizioso, mi abbassò la zip. La vidi avvicinarsi e per
qualche istante inspirai un dolce profumo alla fragola. Chiusi gli
occhi e la sua presenza scomparve davanti a me. Sentii solo la cintura
slacciarsi e la sua voce, più armoniosa di quanto mi aspettassi,
cantilenare
«Vedo che si può cominciare».
Da quanto tempo non aggiornavo?
Chiedo scusa a tutte coloro che hanno dovuto radersi la barba cresciuta per l'imperdonabile ritardo.
Ma questo nuovo capitolo arrostisce e accende un po' le cose. Spero possa piacervi.
Prendetelo anche come un augurio per queste feste che stanno passando velocemente.
Poi avrei cose da specificare.
Per prima cosa, l' "idea" mia: Candy è un tributo alla spogliarellista di American Pie 6 - Beta House.
Nathasha, la bionda che sparisce con la mazzetta è stata disegnata da ParadiChloroBenzene_ alias Ayu,
e l'outfit per l'altra donna senza nome è stato comunque ispirato ai suoi disegni.
Inoltre, un particolare ringraziamento a lei per avermi corretto il labbro nero e altre schifezze in questa storia.
Un buon slinguazzamento con Castiel a chi apprezza, altrimenti, chi preferisce Nathaniel... Aspetti il prossimo capitolo!
Scusa, Jessie... Ricordati che la storia ti piace!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2129125
|