Will you marry me?

di Illusionidellavita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo ***
Capitolo 2: *** II Capitolo ***
Capitolo 3: *** III Capitolo ***
Capitolo 4: *** IV Capitolo ***
Capitolo 5: *** V Capitolo ***



Capitolo 1
*** I Capitolo ***


Come ogni anno, anche quella volta era arrivata l'estate. L'estate con i suoi colori, il mare e il sole che brucia. Con i falò in spiaggia e le nottate con gli amici. Tutti dicono che l'estate dei diciotto anni è magica, unica. Finalmente si è liberi. Si può fare un lungo viaggio con gli amici, in quei posti proibiti dai minorenni e dai genitori. Puoi restare sveglia anche tutta la notte. Prendere la macchina e fuggire dalla prigionia.
 
Anche Elisabeth aveva diciotto anni, ma quell'estate non le sembrava così particolare. Aveva anche la patente, ma non se la sentiva di scappare. Era troppo stanca. Stanca di fuggire, stanca del mondo, stanca di vivere. Elisabeth aveva diciott'anni ma si sentiva distrutta, come se ne avesse avuti cento.
 
Le sue amiche erano partite per Ibiza. L'avevano invitata, ma lei pensava che aveva bisogno di stare un po' da sola. Aveva deciso di andare una settimana a Londra. C'era andata tantissime volte con la sua famiglia e forse per quello per lei era una città così affascinante per lei. E il suo sogno era quello di stabilirsi lì per sempre, perché no. Infondo era stanca della vita nel paese in campagna nel nord dove viveva. Erano già passati sei giorni. Aveva visitato molti musei e palazzi e moltissimi luoghi che amava come Hyde park.
 
Quella sera aveva deciso di prendere un po' di aria in balcone prima di dormire. Così uscì fuori e in compagnia della sua playlist estiva iniziò a riflettere seduta sul bordo di quel piccolo balcone. Era la notte di San Lorenzo, delle stelle cadenti e dei desideri. Ricordava il desiderio dell'anno passato: fidanzarsi. L'aveva espresso senza un preciso motivo, forse solo perché non credeva nel potere delle stelle cadenti. Voleva fidanzarsi, forse solo perché molte sue amiche già lo erano e lei no. Ma aveva dato troppa superficialità a quel desiderio. Pensava che una stella non poteva realizzarlo, invece era stato così. A ottobre dello stesso anno era fidanzata con Jake. Non aveva mai provato nulla per lui, ma quando si avvicinò la prima volta e le chiese di mettersi insieme, Elisabeth non ci pensò due volte. Ma aveva sbagliato e lo sapeva. Il loro rapporto si basava solo sul desiderio di compagnia e nient'altro. Ma se n'era accorta troppo tardi. Lo capì solo quando lui, sei mesi dopo, l'aveva lasciata, con la stessa superficialità con cui i bambini rispondono alla domanda "come ti chiami", senza problemi. Di quel periodo le erano rimasti solo i ricordi di risate, feste e nient'altro. Non un suo bacio o un po' di dolcezza, perché non c'era mai stato.
 
E lei soffriva e continuava a soffrire anche quella notte di agosto. Il caldo soffocante non le permetteva più di rimanere fredda pensando ai suoi errori e a quante volte la sua migliore amica Charlotte le aveva detto di stare attenta. E tra tutti questi pensieri, quasi senza accorgersene una lacrima le rigò il volto. Una dopo l'altra le lacrime scendevano e silenziosamente iniziò a piangere, con il volto fra le mani e le gambe che ondeggiavano, cercando di non perdere l'equilibrio. Poi fece un respiro e alzando gli occhi vide una stella cadente. Così, sperando di non sbagliare ancora, espresse il suo desiderio per poi continuare a piangere.
 
Improvvisamente sentì una voce limpida provenire dal piano di sotto:"Attenta a non cadere. Domattina non vorrei ritrovarmi una bella ragazza in pigiama nel balcone!" disse un ragazzo che iniziò a ridacchiare. Quella risata cristallina aveva colpito Elisabeth dritta al cuore. Subito, quasi per paura di dare fastidio, con attenzione scese dalla sua postazione e tornò in camera continuando a sentire la voce del ragazzo ripetere:"Ehi, sei scomparsa o sei ancora lì?". Elisabeth provava quasi piacere nel sentire quella voce interessarsi di lei.
 
Ma poi, improvvisamente, non la sentì più.
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** II Capitolo ***


Elisabeth si era appena distesa nel letto. Continuava a pensare a quella voce così melodica. Era svanita nel nulla ma continuava a sentirla nella sua mente. Si chiedeva se chi si era interessato a lei lo fosse davvero o era solo uno scherzo. Sapeva soltanto che avrebbe voluto sentire ancora quella voce indimenticabile.
 
Non trovando nessuna risposta cercò di addormentarsi, ma non aveva sonno neanche quella notte. Mise le cuffiette nelle orecchie e iniziò ad ascoltare la musica.Non sentiva più la voce misteriosa ma solo splendide note di pianoforte che rimanevano intrappolate nella sua mente. Aveva sempre desiderato imparare a suonare quel magico strumento, ma i suoi genitori non volevano che si dedicasse ad un'attività così "inutile". Elisabeth invece riteneva che saper suonare il pianoforte era un modo per esprimere tutti i sentimenti. Ogni nota per lei aveva un significato: il DO basso, malinconico, nostalgico; il FA con le sue variazione faceva tremare anche le foglie, per il suo tono leggiadro; e poi il SI, stridulo, pieno di energia.
 
Erano passati circa dieci minuti quando risentì la stessa risata di poco prima accompagnata da una frase: "Dai, non ti mangio!". Aveva subito tolto le cuffiette ma, non sentendo alcun rumore, era convinta che tutto era frutto della sua fervida immaginazione.
 
"Adesso me ne vado. Buonanotte.". Ancora quella voce. Continuava a pensare di essere pazza, ma cominciava a convincersi che c'era davvero qualcuno dietro la porta.  Si alzò un po' nervosa per aver lasciato il suo magico mondo. Avvicinandosi alla porta non sentiva nessun rumore se non quello dei ventilatori delle stanze vicine. Si rigirò per guardare fuori dalla finestra.
 
"È notte fonda. Probabilmente è qualcuno che ha voglia di scherzare." pensò e stava per tornare a letto, quando le ritornò alla mente la voce del ragazzo comparso dal nulla e il suo desiderio. E se quella fosse la risposta? Si rigirò verso la porta e con un sorrisetto andò ad aprirla. "Se vuoi giocare allora giocheremo!".
 
Spalancò la porta, senza dire niente, e subito rimase catturata da due occhi neri. Strano essere catturati da degli occhi neri, di notte, ma era successo. Appoggiato al muro c'era un ragazzo. Occhi neri, capelli neri e dita lunghe. Notò subito quelle dita affusolate che toccavano la gamba del ragazzo come per suonare un pianoforte.
 
"Sapevo che avresti aperto. Nessuno può resistere al mio fascino." disse quel ragazzo dalla voce melodica, con un sorriso perfetto e gli occhi luminosi, avvicinandosi.
 
"Allora è lui quel ragazzo..." pensò Elisabeth e disse molto seriamente:"E come avrei potuto vedere questo fascino se eravamo separati da una porta?"
 
"A quanto pare non sei solo bellissima, ma anche intelligente. Tranne per il fatto che sei uscita vestita così" e rise con la stessa risata di prima. Elisabeth si guardò. Era in canottiera e pantaloncini e i capelli ricci in aria. Impresentabile. Ed arrossì al pensiero che un ragazzo del genere l'avesse vista conciata in quel modo.
 
"Dai non ti preoccupare. Ti ho preso alla sprovvista. Comunque,"continuò tendendo il braccio "Henry. Tu?". Senza rendersene conto erano già entrati dentro e c'era abbastanza luce per guardarlo bene. Elisabeth si accorse subito che le mani continuavano a tamburellare, stavolta sul fianco. Henry era lievemente più alto di lei, né magro né muscoloso. Morbido, avrebbe potuto dire. Sicuramente aveva qualche anno in più di lei, ma non troppi. Poi si decise a rispondergli; non le faceva paura anzi le ispirava sicurezza.
 
"Elisabeth, ma puoi chiamarmi Beth." Disse stringendogli la mano. Questa volta la luce era quasi abbagliante ed Henry riuscì a vedere finalmente quella ragazza. L'aveva vista qualche giorno prima al bar a colazione. L'aveva subito colpito la sua eleganza, quasi regale. Il modo in cui si sporcava le labbra di cappuccino e poi le ripuliva. La mattina di quel giorno l'aveva vista affacciata al balcone. Pensò in un segno del destino, perché quel balcone era proprio sopra quello della sua camera. Così quando la sera la sentì piangere, sentendosi quasi in dovere, decise di aiutarla. Voleva farla sorridere e voleva sognare quel sorriso ogni notte. Restarono qualche minuto a guardarsi negli occhi con le mani ancora strette in segno di saluto. Poi Henry decise di parlare, perché quel silenzio era troppo imbarazzante.
 
"Che ne dici se ci facciamo due passi e mi racconti cosa avevi?"
 
"E perché dovrei dirlo proprio a te?"
 
"Perché mi sembra che qua intorno sono l'unico disposto ad ascoltare una ragazzina triste." Disse sorridendo. E Beth non se lo fece ripetere ancora. Prese la giacca ed uscì dalla stanza felice ma un po' spaventata da quella situazione imbarazzante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** III Capitolo ***


Fuori l'aria era calda, ma ventilata. Il caldo soffocante veniva compensato da un fresco venticello che riempiva i polmoni. Per strada non c'era nessuno e allora decisero di andare in un parco di fronte l'hotel, dove si distesero sotto un albero.
 
Rimasero qualche minuto in silenzio, poi Henry, che si dimostrava sempre più coraggioso di Beth, iniziò a parlare.
 
"E allora mi potresti gentilmente spiegare il motivo per cui piangevi seduta sull'orlo di un balcone?"
 
"Ma io non stavo piangendo..." Elisabeth non voleva riportare alla mente quei momenti e di certo non l'avrebbe fatto con uno sconosciuto. Odiava ricordare la sua tristezza e quanto era triste in quel periodo e soprattutto odiava parlare di sé. Non era la ragazza che si metteva al centro dell'attenzione e non riusciva a parlare con gli altri liberamente ormai da tempo. Non si fidava di niente e nessuno eppure quel ragazzo accanto a lei le ispirava sicurezza.                                                                                         
 
Henry continuava a insistere e voleva sapere cosa le era successo. Beth continuava a dire "Non ho niente, nulla davvero..." fino a quando i loro sguardi non si incrociarono per la prima volta. Lui la guardò dritto negli occhi, come per rimproverarla, e lei, non riuscendo a resistere, scoppiò in lacrime.
 
Henry inizialmente non sapeva come reagire, poi istintivamente l'abbracciò. Beth sentì subito quell'abbraccio, che nonostante il caldo non le diede fastidio, anzi la tranquillizzò. Per la prima volta sentiva che qualcuno le era veramente vicino. In quell'abbraccio i due sentirono il profumo dell'altro. Lei aveva un dolce profumo di gelsomino, di dolce. Lui un profumo pungente, di carta invecchiata, di fumo.
 
Poi si staccarono e Beth asciugandosi le lacrime iniziò a raccontare. Raccontò tutta la sua storia con Jake senza tralasciare nessun dettaglio, dai suoi occhi blu alla sua indifferenza, dal suo fisico muscoloso al suo cuore di pietra. Lui l'aveva lasciata con così tanta leggerezza e lei non riusciva a farsene una ragione.
 
"Lui non ti meritava. E tu devi stare solo con chi ti merita e ti rispetta davvero." disse Henry zittendola, con un senso di odio nei confronti di quel ragazzo. Non sapeva niente né di Jake né di Beth, ma pensava che solo un mostro avrebbe potuto fare del male ad una ragazza come lei. Così dolce, così sensibile, così... sì , così bella.
 
A quelle parole Beth si riprese dalla tristezza. Era come se dopo tanto buio finalmente aveva visto la luce e con la luce Henry, quel ragazzo che con poche parole le aveva ridato la vita.
 
Poi si riguardarono. Non potevano fare a meno di guardarsi in ogni momento. Ma quella volta gli occhi neri di Henry ridevano e fu così che anche Beth sorrise.
 
"Mamma mia" pensò Henry guardandola. Pensava che quel sorriso fosse la cosa più bella del mondo. Non poteva reggere il confronto con nient'altro. Con nessun fiore, nessun monumento e nessun paesaggio. L'unica e vera meraviglia del mondo.
 
"Certo che sono cretina. Ho raccontato ad uno sconosciuto tutti i miei problemi" disse Beth ridendo.
 
"Beh, almeno il signor sconosciuto ti ha fatto ridere. Ma cerchiamo di rimediare il problema conoscendoci meglio, sempre se non è un problema. Così non sarò più uno sconosciuto e ti metterai l'anima in pace." disse in modo scherzoso.
 
Elisabeth rise e iniziò a parlare, amava l'umorismo di Henry.
 
"Beh, cosa dire. Il mio nome già lo sai e ho diciott'anni. A settembre inizio l'università e sono ancora in cerca di casa. Mi piacerebbe tanto restare a vivere qui a Londra. " rispose Beth quando sentirono in lontananza le campane di una Chiesa.
 
"Finalmente ho vent'anni." disse Henry appena si accorse che era mezzanotte.
 
"È il tuo compleanno e non ti ho fatto nessun regalo? Mi sento veramente in colpa."Henry rise a quella frase.
 
"Accidenti" pensò Beth. Quella risata le fece ancora tremare l'anima. Era piena di gioia, di allegria; era semplicemente magnifica. Altro che pianoforte. Avrebbe voluto registrarla per poterla ascoltare ogni giorno, ogni minuto.                                                                                                                                                                     
 
Poi tornarono seri.
 
"Un regalo me l'hai fatto. Ti sei fatta conoscere da me." e Beth arrossì a quelle parole così tenere e sincere.
 
"Ma tu perché sei venuto a bussare? Cioè, neanche ci conosciamo, eppure l'hai fatto."
 
Henry non voleva dire la verità. Non gli sembrava il momento opportuno e poi aveva ragione. Non si conoscevano e non poteva di certo dire "Io ti amo. Sposiamoci.". No, troppo avventata come risposta. Così cercò una scusa in pochi secondi.
 
"Ero solo in camera. Tutti i miei amici erano fuori. E non avendo niente da fare sono corso in aiuto ad una donzella malinconica". Poco credibile? Troppo superficiale? No, sembrava che Beth se l'era bevuta. Rimasero qualche altro minuto in silenzio. Poi decisero di tornare nelle proprie camere. Henry accompagnò Beth fino alla sua.
 
"E allora buonanotte e buon compleanno" disse Beth sorridendo.
 
"Buonanotte" rispose Henry che stava per abbracciarla nuovamente, ma Beth troppo timida chiuse subito la porta, per evitare un nuovo contatto con lui che l'avrebbe fatta impazzire. Henry tornò in camera dove i suoi amici lo aspettavano per festeggiare il suo compleanno, ma quella sera niente lo aveva reso più felice di Elisabeth.
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** IV Capitolo ***


*drin drin*
Quella mattina la sveglia suonò prima del solito. Erano le sette e Beth alle nove avrebbe dovuto prendere il pullman per tornare in città.
Aveva dormito solo cinque ore, eppure si sentiva felice e rilassata.
La stanza era illuminata soltanto da qualche raggio di sole e rinfrescata da un vento mattutino.
Mentre preparava la valigia ripensava alla notte passata. Quella era stata la notte più bella dell’ estate.  Si sentiva piena di allegria e appena riportava alla mente un momento di quell’evento sorrideva come una cretina.
Ma sapeva che doveva partire, non avrebbe più rivisto Henry e non voleva illudersi per nessun motivo.
Dopo aver preparato la valigia e lasciato la camera, andò a fare colazione.
Erano le otto, ma nonostante l’orario, il bar era piena di gente. Prese un tavolo e dopo aver ordinato un cappuccino iniziò a guardarsi intorno. C’erano famiglie, coppie di innamorati e gruppi di amici. Erano tutti felici, abbronzati e vestiti di colori vivaci.
Quella mattina Beth notava allegria ovunque. Poi lo vide.
Henry era seduto in un tavolo abbastanza lontano dal suo con altri due ragazzi e tre ragazze. Sembrava un gruppo di amici affiatato e scherzoso. Continuò a fissarlo per tutto il tempo, ma lui non si accorse della sua presenza.  Era tardi, doveva andarsene e lasciare in quel tavolo e tutti i suoi ricordi.
Anche Henry finì la colazione. Guardò i suoi amici e improvvisamente sentì che mancava qualcosa. Mancava il sorriso di Elisabeth. Si girò di scatto e la vide mentre, con la sua grazia, usciva trascinando una valigia. Sperava che anche lei si sarebbe girata e che magari i loro sguardi si sarebbero incrociati ancora una volta, per un’ultima volta.
 Ma non fu così. Lei continuava a camminare per la sua strada e lui restava seduto sulla sedia.
“Sam, se ti accorgessi che stai per perdere una persona, che faresti?” disse Henry seriamente a suo fratello Sam. Sam era più piccolo di lui di un anno, ma in quel momento era l’unico che poteva dargli un serio consiglio, senza prenderlo per pazzo.
“Se questa persona conta molto per me, io andrei a fermarla.” rispose Sam, non capendo la domanda del fratello.
Henry si alzò di scatto e si avviò verso l’uscita della sala, scansando camerieri, tavoli e la gente. Doveva fermarla.
Sam lo vide fuggire e anche lui si mise a correre. Henry era sempre stato pazzo, ma in quel momento non riusciva proprio a capire cosa avesse.
Beth stava salendo sul pullman quando si sentì chiamare.
 “Elisabeth aspetta!”. Quella voce… era sicuramente lui. Si girò di scatto e lo vide fermo a pochi passi dal pullman, con il fiatone e tutto rosso per la corsa.
Lei scese subito e gli andò in contro. Sam invece guardava la scena da lontano, stupito.
“E tu che ci fai qui?” disse Elisabeth, felice di averlo visto ancora.
“Sono venuto a fermarti...” rispose Henry ancora col fiatone. Poi continuò “Ti sta benissimo l’azzurro” riferendosi alla maglietta che indossava Beth.
“Anche a te sta benissimo il rosso della tua faccia” disse arrossendo e ridendo.
“Non sono abituato a correre incontro alle persone di prima mattina”. Risero entrambi, anche se Elisabeth continuava a non capire perché la sera prima Henry, uno sconosciuto, l’avesse aiutata e perché adesso lo stesso della sera prima la volesse fermare.
“Tornando seri,” disse Henry, dopo essersi ripreso dalla corsetta, “perché ieri non mi hai detto che oggi saresti partita?”
“Perché non mi sembrava il caso. Insomma ci eravamo appena conosciuti, non pensavo t’interessasse”
“E invece si.”
“Ti prego non ti arrabbiare. Ti chiedo scusa, ma nessuno si è mai interessato così tanto a me e non so cosa fare.”
“Ti perdono” ed Henry tese le braccia come per volere un abbraccio, e Beth lo abbracciò. Non si accorsero che erano fermi abbracciati davanti ad un pullman con un sacco di persone che li guardavano, inteneriti per la scena.
“Signorina, se deve salire sul pullman, si dovrebbe sbrigare perché stiamo per partire.” disse il conducente del pullman, riportando i due alla realtà.
Henry e Beth si staccarono e lui le chiese “Ma devi proprio andare?”
“Si, non ho altra scelta. Non ti preoccupare, se il destino vuole ci rivedremo. E grazie di tutto ” gli rispose sorridendo. Ma Henry continuava ad avere voglia di restare con lei per sempre davanti a quel sorriso. Poi anche lui ricambiò il sorriso.
Henry le prese la mano e le scrisse alcuni numeri con un pennarello.
“Fatti sentire. Così anche se il destino è contrario, riusciremo a sentirci. Appena arrivi inviami un messaggio”. Beth non sapeva che fare. Così lo salutò un’ultima volta e poi salì sul pullman.
Henry rimase lì a guardarla per tutto il tempo. Sperava che Beth l’avrebbe chiamato, che si sarebbero rivisti e che magari sarebbe scoppiata la scintilla.
Continuava a pensare al sorriso stupendo di quella ragazza, quando sentì una mano sulla spalla.
“Carissimo, ma tutte queste conoscenze le fai di notte, mentre tutti dormono?” disse Sam, con un sorrisino sotto i baffi.
“Bravo, bravo. Ti è piaciuto lo spettacolo? Sono sicuro che l’hai seguito tutto.” disse Henry, un po’ nervoso, ma sicuro che solo Sam l’avrebbe potuto aiutare.
“Dai, facciamoci una passeggiata e racconta tutto per bene.” Così i due ragazzi s’incamminarono verso la loro stanza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** V Capitolo ***


Henry e Sam erano fratelli, ma erano diversi.
Sam aveva diciannove anni, alto, biondo, occhi azzurri. Il perfetto principe azzuro, ma aveva un carattere difficile da domare. Era testardo,orgoglioso ed egoista.
Ma quando voleva, sapeva anche essere d’aiuto. Molte volte neanche i genitori capivano i suoi assurdi ragionamenti; solo tra fratelli c’era complicità.
Henry invece era tutto l’opposto fisicamente e caratterialmente. Dolce, sensibile e tenero, ma anche lui aveva un animo ribelle nascosto.
L’unica cosa che avevano in comune, oltre il cognome e i parenti, era il fumo.
Entrambi fumavano da quando aveva diciassette anni e nonostante tutti gli continuavano a ripetere di smetterla, loro continuavano un po’ per sfizio un po’ perché era l’unico modo per sfogarsi che avevano.

Così, dopo una sigaretta, inizarono a parlare.
“Adesso mi spieghi tutto? Non mi sembra da te dare il numero di telefono a chiunque.”
“Non è chiunque, è una ragazza che ho conosciuto ieri sera, per caso, senza nessun fine. Ora che è tutto chiaro posso andarmene?” disse Henry, nervoso per quella situazione.
“E dove vorresti andare? A casa oppure dalla tua bambina?”
“Non è una bambina. Anzi è più matura di te!”
“E tu invece? Tu ti senti maturo, ti senti un uomo?” Sam era arrabbiato. Voleva delle spiegazioni dal fratello per il suo strano comportamento. E se le voleva, le avrebbe avute.
Henry rimase sbalordito dalla domanda di suo fratello. Lui era un uomo? Lui che aveva lasciato andare via una ragazza che sapeva di amare? Che l’aveva lasciata senza dire niente su ciò che provava?
“Scusa, non volevo rattristarti. Ma sai io come sono: se voglio una cosa, l’avrò.” disse Sam scusandosi.
“Hai perfettamente ragione, ti devo una spiegazione” ed Henry raccontò ciò che era successo. Ogni tanto sorrideva pensando alle parole che si erano detti. Parole piene di amore e di fiducia.
“Avresti dovuto vederla; il suo sorriso, i suoi occhi…”
“Da quel che ho visto mi sembra un povera bambina ingenua”
“Sei un insensibile, veramente!” disse Henry che inziava a rilassarsi.
“Ma vivete in posti lontanissimi! Tu a Londra lei a Birmingham. Siete lontanissimi e non sai neanche dove se ne andrà!”
“Ma chi se ne frega della distanza? Lei ha il mio numero e se mi cerca mi chiama.”
“E se non ti vuole cercare?”
“Me ne farò una ragione, penso. Altre domande per l’interrogatorio?” Ad Henry faceva piacere parlare con il fratello, ma una chiaccherata si stava trasformando in un interrogatorio.
“Ultima domanda. Quanti anni avrebbe la donzella in questione?”
“Diciotto, ma questo non farà alcun effetto sulle mie idee”
“Ma Henry ha due anni in meno di te! Dai è una bambina, non puoi essere serio” ripeteva Sam, sconvolto da Henry. Era strano, diverso. Pensava “Se l’amore fa questi effetti, io non ho alcuna intenzione di innamorarmi”.
“Sam, ti ricordo che tu ne hai diciannove, quindi anche tu sei un bambino” disse ridendo Henry imitando la voce del fratello. Risero un po’, poi tornarono seri.
“Henry davvero, io non riesco a capire cosa ti sia successo. Hai preso una botta in testa, di sicuro”
“No fratello, la mia non è una botta in testa. Io mi sono innamorato, e penso di esserlo davvero.”
“Oh ti prego, non iniziare adesso a fare lo sdolcinato”
“Sono serissimo Sam, come mai lo sia stato prima. Io amo quella ragazza e non posso cambiare idea.”
“Ma Henry, tu hai vent’anni e sei una persona stupenda dentro e fuori! Puoi avere qualunque ragazza, beato te! Non puoi innamorarti di una ba…” Henry lo guardò male “va bene, di una diciottenne grassottella, diplomata da poco, che si comporta come una stupida adolescente!”Sam era sincero e le cose che pensava te le sputava in faccia. Non gli interessava degli altri, perché se doveva dire una cosa la diceva e basta. E anche quella volta era sincero ma acido. Henry era suo fratello e doveva aiutarlo a farlo ragionare. O forse era lui che non capiva.

Henry non rimase tanto sconvolto dalle parole del fratello. Era normale pernsare quelle cose. Lui era il bello, lei la bestia apparentemente. Ma Henry riusciva a vedere una luce ed una straordinaria bellezza in Beth. La sua semplicità ed il suo essere diversa la rendeva unica.
“Sam io non so se ti riuscirai mai a capire cosa provo. Non so se tu proverai mai  ciò che sento io adesso. Ma mi auguro che tu un giorno t’innamorerai, perché è davvero magnifico.”
“Henry ma il tuo non è amore, hai solo perso la testa per un attimo”. Henry fermò Sam che stava per allontanarsi.
“No Sam. Io la amo. Amo tutto di lei. I suoi occhi, il suo sorriso e la sua voce. I difetti e i pregi che sono appena riuscito a scorgere in poche ore. In quelle ore in cui abbiamo parlato io mi sono sentito vivo. Sentivo il cuore battere ed ero veramente felice. Non so come abbia fatto finora a vivere senza Beth. Davvero. Io non lo so e penso che non potrei vivere ancora senza di lei. Per questo l’ho aiutata, l’ho rincorsa e le ho dato il numero. Solo per questo.”
Sam vedeva negli occhi del fratello una luce nuova.
“E cosa vorresti fare? Sposartela?”
“Fratello,” continuò Henry alzandosi dalla comoda poltroncina rossa su cui, ormai passava la maggior parte delle sue ore "mi hai dato proprio un'ottima idea."
Poi i fratelli si sorrisero e dandosi una pacca sulla spalla andarono dai loro amici.
Henry sperava che un giorno il suo telefono avrebbe suonato e avrebbe risentito Beth, ma sapeva che non sarebbe mai successo.

****Angolino dell'autrice: Salve a tutti lettori. Vorrei intanto chierevi scusa per il ritardo nel pubblicare il nuovo capitolo. Ho avuto problemi con Internet e il Pc. Poi mi vorrei scusare per il capitolo. E' brutto, un po' insensato ma spero che non vi farà cambiare idea sulla mia storia. Infino vorrei avvisarvi che ì, con l'inizio del periodo scolastico, mi allontanerò da EFP. Non so quando riuscirò a pubblicare un nuovo capitolo e mi scuso già in anticipo per i ritardi. Grazie mille per aver letto e attendo vostre recensioni e critiche. A presto, Marisabella99 ****

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