Getting over you

di Vals Fanwriter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Titolo: Getting over you.

Capitoli: 1/3

Rating: Verde.

Pairing: Niff.

Genere: Angst, Romantico, Sentimentale, Introspezione a palla.

Avvertimenti: Mini-Long, Missing Moment, Ambientata durante l’episodio di Michael (3x11).

 

Note.

Dunque, non so bene com’è nata questa storia – o meglio lo so, ma sono dettagli che immagino io possa trascurare al fine di concludere queste note in quattro e quattr’otto. L’unica cosa che so per certo è che non doveva essere una mini-long, ma semplicemente una one shot troppo lunga. Pensavo che me la sarei sbrigata in fretta e che le cose si sarebbero risolte in massimo cinquemila parole, e invece ho superato le diecimila; e poiché la storia non è collocata temporalmente in un solo giorno, ho deciso di dividerla in punti strategici per lasciarvi un po’ di suspense e dubbi, ma soprattutto per alleggerirvi la lettura (per ovvi motivi).

Prima di lasciarvi alla “prima parte” – chiamiamola così – voglio ringraziare un po’ di persone: la mia pseudo-beta, Robs, per essersi sorbita questa cosa abnorme; la mia Niffer suprema, Silvia, per avermi dato il suo parere come al solito; e infine quella bulla di therentgirl che mi ha già imprecato dietro a dovere per aver scritto questa cosa, ma che in fondo in fondo mi vuole bene. u.u

Per concludere, vi ricordo che il prossimo aggiornamento cadrà tra 6 giorni (3 capitoli ogni 6 giorni, già) vale a dire il 10 Settembre. Come al solito, aspetto le vostre maledizioni e vi lascio un paio di link in fondo alla pagina, così che possiate rintracciarmi. :*

 

Vals

 


 

goy

 

1.

 

 

Cinque giorni. Per una persona normale cinque giorni non erano niente. Passavano in fretta, bastava non pensarci e volavano via che non te ne accorgevi neanche. Erano un attimo che si ripeteva nel tempo in maniera sempre uguale e che doveva essere vissuto sempre allo stesso modo.

Doveva, appunto. In teoria.

Cosa ci si aspetterebbe da un’Accademia pomposa come la Dalton, del resto? In genere, nulla più di quello. Sveglia al mattino e, di conseguenza, l’immane faticaccia impiegata per lasciare il proprio letto; maratona per trovarsi pronto in tempo per la lezione delle otto e mezzo del mattino; il compagno che continua a ripeterti di sbrigarti, che altrimenti la professoressa ti farà una delle sue solite strigliate isteriche; tu che lo rassicuri inutilmente e gli suggerisci di avviarsi; corsa per i corridoi e soliti sorrisi di circostanza e giustificazioni per l’evidente ritardo.

Nulla più di quello, appunto. In teoria.

Invece, quei cinque giorni lì proprio non volevano tornare monotoni come avrebbero dovuto essere. Constavano di un cambiamento graduale, ma pur sempre visibile, fin dal primo istante in cui era iniziato. Nessuno se ne accorgeva veramente, forse perché nessuno prestava troppa attenzione alla vita di Nick Duval. Ormai la gente lo conosceva e sapeva che non era un ragazzo appariscente, che non era capace di attirare l’attenzione dei compagni con gesti eclatanti. Non si parlava mica di Smythe, insomma? Lui sì che induceva le persone a guardarlo – con tanto d’occhi il più delle volte e per più d’un motivo – ma Nick era l’esatto opposto di Sebastian. Sarebbe stato stupido pensarlo capace di freddezza, presunzione e superiorità…

Eppure Jeff lo aveva notato fin dal primo dei cinque giorni in questione, quel mutamento di personalità che si diceva poco prima.

Il primo giorno era stato semplicemente sorpreso di vederlo tornare in camera presentando in viso un’espressione insolita; era un’espressione assorta e vuota e qualsiasi cosa gli stesse passando per la testa in quel momento doveva essere di sicuro qualcosa di serio e grave. Era stato questo uno dei motivi per cui Jeff gli aveva domandato immediatamente cosa ci fosse che non andasse e cosa gli fosse successo – lui sapeva leggere ogni suo cruccio in maniera particolare e inaspettata.

Nick aveva scosso la testa lentamente e aveva risposto che non c’era nulla di cui Jeff avesse dovuto preoccuparsi, ma non l’aveva guardato negli occhi, né aveva sorriso. Le labbra erano rimaste strette e diritte come una linea sottile e lo sguardo sempre insipido e sfuggente. Jeff aveva insistito soltanto un poco per saperne di più, ma poi aveva rinunciato. Sapeva quando era il momento di lasciargli spazio, anche se continuava a sembrargli tutto troppo strano. Nick gli raccontava sempre tutto quello che gli succedeva, stupido o complicato che fosse. Allo stesso tempo, però, era certo del fatto che quella sorta di segreto non poteva sussistere a lungo, lo sapeva lui e lo sapeva anche Nick. Prima o poi sarebbe saltato fuori tutto.

Perciò l’agitazione che lo aveva accompagnato nel dormiveglia, la prima sera, non era stata poi così oppressiva.

Il secondo giorno le stranezze erano cominciate al mattino presto. La sveglia era suonata al solito orario – le sette suppergiù – e Jeff l’aveva spenta senza badarci più di tanto e si era girato dall’altro lato, mugugnando qualcosa di indistinto e aspettando, in cuor suo, che arrivasse Nick e che lo svegliasse con tocchi delicati e con voce dolce.

Invece, niente di tutto quello si era manifestato. Il silenzio in camera aveva continuato a persistere per infiniti minuti, tanto che Jeff si era accorto perfettamente del ritardo colossale in cui sarebbe incappato se avesse continuato a poltrire a letto. Poltrire, poi, era un parolone grosso. Aveva smesso di dormire nel momento in cui la sveglia era suonata, stava semplicemente aspettando Nick, la sua voce, il materasso che si abbassava sotto il suo peso, la sua mano che scostava con gentilezza le coperte dalla spalla di Jeff.

Aveva aperto gli occhi e si era messo a sedere, allora. L’orologio segnava le otto men un quarto e Nick… Beh, lui era ancora sotto le coperte.

Dunque toccava a lui svegliarlo quella mattina, si era detto. E così si era alzato, si era avvicinato all’altro letto e gli aveva posato una mano tra i capelli pettinandoglieli un po’ e cercando di non svegliarlo troppo bruscamente.

‹‹Nicky›› aveva bisbigliato, ‹‹è ora, svegliati.››

Nick si era accucciato su se stesso, sfuggendo alle carezze della mano di Jeff e non aveva proferito parola. L’altro aveva osservato attentamente le sue spalle che si alzavano e abbassavano in maniera ritmica, ma non lenta e rilassata. Non stava dormendo.

‹‹Nicky›› ci riprovò, sfiorandogli la spalla con la punta delle dita.

A quel punto, Nick si era coperto fin sopra la testa con le lenzuola e aveva mugugnato qualcosa di basso ed indistinto che Jeff non aveva recepito.

‹‹Cosa?››

‹‹Va’ avanti tu, ti raggiungo dopo.››

E questo era piuttosto singolare, dato che solitamente accadeva il contrario. Jeff arrivava in ritardo, mentre Nick lo aspettava al banco e scuoteva la testa fingendosi serio e nascondendo alla meglio un sorrisino complice e divertito.

Jeff non aveva aggiunto nulla. Aveva provato a mandare via, per la seconda volta, quella strana sensazione che gli premeva all’altezza dello stomaco, si era preparato, non senza mancare di scoccare occhiate preoccupate alla sagoma di Nick sotto le coperte, e poi si era avviato in classe, arrivando per la prima volta in orario alle lezioni del mattino. Nick, però, non si era presentato.

Il terzo giorno le cose avevano iniziato a peggiorare. Nick gli era parso ancora più silenzioso, per quel poco di tempo che trascorreva insieme a lui e agli altri suoi amici. Si dice poco perché la sua presenza – in camera, in biblioteca, nei corridoi – cominciava a risultare pressoché inesistente. Spariva dalla circolazione per intere giornate e non si sapeva che fine facesse.

Addirittura, la sera del quarto giorno non era tornato in camera e Jeff l’aveva avvertita addosso e dentro di lui, quell’inquietudine che andava crescendo di giorno in giorno e la sensazione di aver perso per sempre una parte di lui. Era come se Nick stesse scappando da qualcosa e Jeff cominciava a pentirsi di non avergli chiesto esplicitamente quale fosse il problema, quando ne aveva avuto l’occasione.

Il quinto giorno, però, tutto fu più chiaro. Dovette aspettare la riunione dei Warblers per avere delle risposte, ma alla fine arrivarono. Lo vide mettere piede in aula canto, dopo più di dodici ore di completa assenza. Ed era diverso, ancora più diverso di quando lo aveva lasciato in camera a poltrire invece di insistere per svegliarlo e trascinarlo a lezione. E il cambiamento non consisteva soltanto negli sguardi complici che si scambiava con Sebastian Smythe, quel demonio che aveva strappato con la forza il ruolo di leader a chiunque avesse voluto provare a guadagnarselo; il cambiamento non stava nemmeno nel fatto che stesse affiancando Smythe anche dietro il tavolo che un tempo veniva occupato dal Consiglio – a mo’ di braccio destro insomma; il cambiamento, Jeff lo vedeva nei suoi occhi, ora duri e sicuri, nella sua postura dritta e rigida, nel mento sollevato, nelle mani infilate nelle tasche dei pantaloni con disinvoltura, nei capelli stranamente troppo ordinati.

Quello non era Nick. Quello era la fotocopia sputata di Smythe.

Ma quando era successo? Quando era capitato che l’avesse perso di vista così a lungo da permettere a Sebastian di farlo diventare così?

C’era il suo zampino sotto, su questo non aveva dubbi, ma non era sicuro che quattro giorni e mezzo fossero bastati a renderlo così… così non Nick. Possibile che la cosa fosse cominciata prima?

No. Ricordava perfettamente quello che era successo “prima”. Era tutto come al solito. Loro che ridevano, scherzavano, forse qualche piccolo sprazzo di silenzio, ma non gli era sembrato poi così grave. Tutto era iniziato quando era tornato in camera il primo dei cinque giorni, ne era sicuro.

Ed ora era lì, in piedi, col fare più superbo di questo mondo, a guardarlo senza vederlo davvero. Il quinto giorno.

Si sentì sprofondare improvvisamente. Era così vicino, ma il suo sguardo era tremendamente lontano. E non solo da lui, ma anche da tutti gli altri. Era un’altra persona.

‹‹Suppongo che conosciate perfettamente il motivo per cui siete stati tutti convocati qui, nella sala riunioni, questo pomeriggio.›› Era stato Smythe a parlare. Si era seduto al posto dei Consiglieri – Nick occupava la poltrona alla sua destra adesso – e se ne stava con i gomiti poggiati sul tavolo e gli occhi fissi sui suoi compagni. Sembravano piccole api operaie ai suoi occhi, mentre lui non era altro che l’ape regina. ‹‹Le Nuove Direzioni ci hanno sfidato ufficialmente. Deve esservi giunta qualche voce in proposito.››

Qualcuno annuì, qualcun altro bisbigliò, Jeff e Thad si scambiarono un’occhiata preoccupata, ma sia l’uno che l’altro erano più in ansia per quella sorta di alleanza che sembrava essere stata stipulata tra Sebastian e Nick, piuttosto che per la sfida. A Thad probabilmente era bastato osservare per un attimo il viso di Jeff per capire, comprendere e condividere i suoi pensieri. Il suo compagno di stanza aveva fatto una specie di lavaggio del cervello a Nick, questa era la prima opzione speculabile; oppure Nick aveva battuto la testa da qualche parte e aveva improvvisamente deciso di diventare l’ombra di Sebastian. Perché, a questo punto, era evidente che il tempo in cui Nick era scomparso dalla circolazione, nei giorni precedenti, lo aveva trascorso insieme a Sebastian a fare qualcosa di molto simile a un “corso per apprendisti-cattivi-ragazzi”. Una roba del genere, insomma. Di certo, non era cambiato così tanto da un secondo all’altro.

‹‹Lo vedi?›› Bisbigliò Jeff, facendo aderire la spalla a quella di Thad per avvicinarsi e farsi sentire meglio. ‹‹Lo vedi com’è diverso? Com’è possibile che sia così diverso?››

Thad squadrò attentamente prima Nick – che ora stava come registrando, in maniera disinteressata e indifferente, il movimento della bocca di Sebastian ad ogni suono che rilasciava – e poi Jeff. Quest’ultimo si stava mordicchiando il labbro inferiore nervosamente, senza staccare gli occhi da Nick neanche un attimo, e si torceva le mani irrefrenabilmente. Percepì tutta l’ansia che provava in quei movimenti. Allungò la mano e la posò sulla sua per stringerla e fermarlo. Jeff finalmente lo guardò.

‹‹Lo vedo›› disse Thad, ‹‹e ti prometto, Jeff, che cercherò di capire che cosa gli è successo. Anche a costo di sorbirmi due ore di stronzate da parte di Sebastian. Riuscirò a capire cosa è accaduto.››

Jeff sospirò e annuì, ma non disse null’altro. Strinse la mano di Thad con la sua, come per infondere a se stesso un po’ di sicurezza, e si costrinse a puntare nuovamente lo sguardo in direzione della scrivania, nonostante la vista di quel Nick gli facesse malissimo.

Sebastian non aveva smesso di parlare, intanto.

‹‹Ci vogliono al parcheggio del centro commerciale, dopodomani›› stava dicendo il loro leader. Pareva tutto così facile per lui, un gioco da ragazzini di prima elementare, una prova da superare ad ogni costo. ‹‹In palio c’è Michael. Se vogliamo vincere le Regionali, deve essere nostro. Dobbiamo guadagnarcelo.››

Sebastian che parlava di “guadagnare” non era affatto negli schemi. Tanto quanto non lo era quella bocca, la bocca di Nick, che si incurvava in un sorriso complice e a tratti diabolico, in direzione di Sebastian. Un solo gesto, una piccola smorfia che fece rompere qualcosa nel petto di Jeff, il quale si ritrovò a schiudere le labbra e a memorizzare ogni singolo mutamento di quel viso, cercando forse di scorgere una piccola briciola del vecchio Nick. Ma nulla, era scomparso. Più lo guardava e più gli appariva diverso. Il respiro gli si stava facendo frenetico e così calò le palpebre in un vano tentativo di scomparire dalla stanza.

Il brusio continuava. La voce di Sebastian stava proseguendo indisturbata, spiegando strategie, esponendo gli orari e le modalità di quella battaglia di voci, ma Jeff si stava allontanando. Non voleva ascoltare, non voleva convincersi che tutto quello fosse reale. E poi…

‹‹Jeff.››

L’avrebbe riconosciuta tra mille, quella voce. Aveva quel tono delicato ed era una delle tante cose che gli avevano fatto perdere la testa per quel ragazzo gentile e diligente. Almeno quella, pensò, era rimasta la stessa.

‹‹Jeff.›› Nick lo chiamò nuovamente e solo allora Jeff aprì gli occhi, sperando quasi di ritrovare su di sé quello sguardo cordiale, quelle iridi di quel verde splendente. Di ritrovare lui.

Ma era stata solo un’illusione. Quando le sue palpebre si erano sollevate e il suo sguardo aveva incontrato quello di Nick, l’unica cosa che aveva trovato ad aspettarlo era stata durezza, serietà e ancora lontananza.

Deglutì a vuoto, cercando di scacciare tutte le cattive sensazioni che gli erano ripiombate addosso, e rispose con voce flebile e afflitta.

‹‹Sì?››

‹‹Non hai sentito?›› Domandò Nick, senza alcuna premura. ‹‹Sebastian ti ha affidato le coreografie di “Bad”. Devi prepararle entro domani e insegnarle al gruppo.››

Quel tono autorevole era troppo da sopportare. Nick non gli si era mai rivolto a quel modo. In un’altra occasione lo avrebbe convinto infilando nelle sue frasi milioni di “per favore” accompagnati da sguardi imploranti e dolcissimi; invece, adesso, la sua sembrava tutto fuorché una richiesta, era un ordine da eseguire all’istante senza discutere. Erano occhi fermi e gelidi, i suoi.

Il cuore gli fece malissimo.

‹‹Non›› bisbigliò con un tono di voce talmente basso da venire coperto dal brusio dei compagni, ‹‹non credo di esserne in grado.››

Nick assunse l’espressione di chi non è sicuro di aver afferrato bene il significato di una frase, però non disse nulla. Scoccò uno sguardo a Sebastian, come chiedendogli silenziosamente cosa fare, ma quest’ultimo non si scompose affatto.

‹‹Non ne sei in grado?›› Chiese, ma più che altro era una domanda retorica.

Jeff puntò lo sguardo sulle sue stesse scarpe, a disagio, e scosse lentamente la testa lasciandosi andare ad un sospiro tremulo.

‹‹Il tempo è poco, non sono in grado.››

Non era quello il problema, naturalmente. Non c’entrava niente il tempo con il suo rifiuto. Anche Nick ci stava arrivando pian piano, ma invece di comprenderlo, lo guardava con delusione, allo stesso modo in cui si poteva guardare un bambino negligente e irrispettoso.

Fece per dire qualcosa – Jeff lo notò mentre sollevava appena la testa, senza scoprirsi eccessivamente – ma Sebastian gli posò una mano sul braccio per incitarlo a lasciargli la parola.

‹‹Troveremo un altro modo per risultare vincenti.››

E di nuovo, Sebastian incontrò gli occhi di Nick. E stavolta stavano entrambi ghignando.

 

 

*

 

 

Lasciò la sala riunioni con un enorme peso sullo stomaco. Non ricordava di essersi mai sentito così distrutto e spezzato a metà, forse proprio perché non era mai accaduta una cosa simile con Nick. Anche quando era di cattivo umore, Nick lo trattava con riguardo e con la massima attenzione, cercando sempre di non ferirlo. Se voleva stare da solo, lo allontanava con delicatezza. Non gli sbatteva mai la porta in faccia. Invece, adesso, sembrava non valere più niente. Sembrava che Nick avesse cancellato tutto quello che Jeff era per lui, il loro legame, la loro imbattibile amicizia.

Thad camminava al suo fianco, intanto che Jeff pensava e si struggeva, ma era come se non ci fosse. Probabilmente gli stava anche parlando, cercando di distrarlo o di rassicurarlo, però la testa di Jeff era da un’altra parte. L’aveva lasciata nella sala riunioni ad analizzare il comportamento di Nick. Ci aveva lasciato anche un pezzo di cuore su quel divanetto scuro.

Il suo corpo si muoveva per inerzia, il suo capo annuiva ogni tanto senza neanche recepire le frasi di Thad, il nodo alla gola si faceva sempre più pressante.

‹‹Jeff. Jeff, dai, fermati.››

Si sentì trattenere per un polso e, solo allora, si fermò. Sollevò lo sguardo spento su Thad e si costrinse a tornare alla realtà. Erano già giunti alle scale che conducevano ai dormitori e non se n’era neanche reso conto.

‹‹Scusa, io…›› Scosse la testa, con gli occhi un po’ lucidi, ma cercò di trattenere il pianto.

Non c’era nulla per cui valesse la pena piangere – cercava di dirsi, pur di non crollare. Nulla, se non si contava la nostalgia e la mancanza, la sensazione di irreparabile cambiamento e quella di essere sull’orlo di un precipizio, pronto a cadere e a non tornare più su.

‹‹Jeff, non fare così.›› Thad gli prese le mani tra le sue e le accarezzò con dolcezza, ma Jeff ora teneva lo sguardo basso. Gli era sfuggita una lacrima senza che lui riuscisse ad impedirlo.

Con Nick, succedeva così. I sentimenti non si potevano comandare quando si trattava di lui. Venivano da soli. Lo colpivano inaspettatamente, sempre, di qualunque cosa si trattasse, emozione o tristezza. Solo che quella sensazione era nuova e mai provata, e stava lentamente distruggendo Jeff dall’interno.

‹‹Scusa, adesso smetto›› biascicò con voce tremante. Ma i suoi occhi continuavano a riempirsi di lacrime. Li asciugava e poi tornavano punto e a capo.

‹‹Lo so come ti senti. In un modo o nell’altro, lo so.›› Thad stava parlando piano, quasi cercando di non farsi sentire da qualcuno che non fosse Jeff – anche se il corridoio era palesemente vuoto – e continuava a muovere i pollici e a strofinarli sulle sue nocche con lentezza. ‹‹Ma sarà semplicemente un momento storto, lo sappiamo entrambi che Nick non le fa queste cose.››

Jeff annuì, ma non alzò ancora lo sguardo. Si sentiva così debole e se ne vergognava quasi. Avrebbe voluto essere più forte e saperle gestire con più fermezza, certe faccende.

‹‹No, non le fa›› disse soltanto e Thad, a quel punto, emise un sospiro.

‹‹Ti ho promesso che parlerò con Sebastian – si vede lontano un miglio che c’è il suo zampino – ma tu devi stare tranquillo. Lo devi fare per me, okay?››

Si era avvicinato a Jeff, adesso, ed era riuscito ad incontrare i suoi occhi. Jeff aveva dovuto alzare lo sguardo per forza, quando Thad aveva inclinato appena la testa per riuscire a guardarlo in viso.

Sorrise, allora, anche se non era completamente convinto dalle parole di Thad. Era più forte di lui, temeva che tutto quello fosse irrisolvibile. Nick non si lasciava plagiare dagli altri, quindi se era cambiato doveva essere stata una sua decisione. Sebastian poteva aver insistito un po’, certo, ma più di tanto…

‹‹Ci proverò›› assentì infine, con l’intenzione di non farlo preoccupare ulteriormente. Ma Thad poteva leggergli lo sguardo e sapeva che era una promessa inutile quella di Jeff. Si sarebbe ritrovato solo, al buio, in camera, e avrebbe ripensato a Nick ed ad ogni suo singolare gesto di quel giorno. Magari, non lo avrebbe visto tornare in camera, per la seconda volta in quella settimana, e avrebbe passato la notte a domandarsi dove fosse e cosa stesse facendo.

Si sentiva così stupido a preoccuparsi in quella maniera, ad essere l’unico a preoccuparsi. Ma non riuscì ugualmente ad impedirselo.

 

 

Thad lo lasciò sulla soglia della sua camera, qualche minuto dopo, e lui entrò, sperando di trovare un po’ di pace al suo interno. La stanza, però, era terribilmente vuota e triste, e Jeff stette per una serie di minuti interminabili seduto sul suo letto, ad osservare inespressivo quello dell’altro, dalle coperte perfettamente lisce e ordinate. Non si aspettava che sarebbe tornato, ma dentro di sé ci sperava. Stando da soli, forse, sarebbe stato tutto più facile. Da solo con Jeff, Nick si sarebbe rivolto a lui come soleva fare di solito, oppure gli avrebbe rivelato qualcosa di importante, il motivo del suo cambiamento, magari.

Aveva bisogno di parlargli, aveva un disperato bisogno di capire cosa stava succedendo. Così aspettò, alternando lo sguardo tra il suo letto e la porta, ogni qual volta sentisse flebili rumori provenire dall’esterno.

Stava quasi per riporre ogni sua aspettativa e mettersi a letto, abbandonando il buon proposito di presentarsi a mensa per la cena, quando la serratura scattò con un rumore sordo che gli arrivò alle orecchie in maniera amplificata, risvegliandolo dal suo stato di trance.

E Nick apparve. La luce fece riversare in camera la sua ombra, accompagnando il suo ingresso, e gli occhi di Jeff si illuminarono di una luce nuova e diversa, come se avessero ritrovato la parte perduta di sé.

‹‹Nicky.››

Nick si chiuse la porta alle spalle lentamente, in maniera tutt’altro che brusca, e al contempo puntò gli occhi in quelli dell’altro. Nella penombra, Jeff fu sicuro di intravedere stanchezza nel suo sguardo, ma tutta la cattiveria e l’impenetrabilità che aveva visto in sala riunioni non c’erano già più. Avvertì il cuore molto più leggero a quella scoperta.

‹‹Ehi.››

Jeff gli sorrise lievemente, nel sentire la sua voce più tenue e delicata nel tono, una premura appena accennata riservata soltanto a lui. Erano scuse nascoste, Jeff riusciva a capirlo solo guardandolo in viso e ascoltando la sua voce. Lo conosceva così bene, del resto.

‹‹Non sei sceso a cena?›› Domandò Nick, ancora fermo sull’uscio, il pugno chiuso sulla tracolla della sua borsa.

‹‹Pensavo di rimanere qua, veramente. Non mi va tanto di scendere e vedere gente›› rispose Jeff e scrollò le spalle, ma non aggiunse ulteriori dettagli o spiegazioni a quella frase. Nick sapeva benissimo come trovarli e coglierli.

‹‹Capisco›› disse infatti. Successivamente si mosse in direzione della scrivania, la raggiunse e depose con attenzione la cartella su una sedia, lo sguardo basso e pensoso. Rimase in silenzio, immobile, per un paio di minuti, poi riprese a parlare. ‹‹Io invece penso che uscirò stasera.››

Jeff schiuse le labbra, stupito e allo stesso tempo un po’ deluso. In cuor suo, sperava che Nick sarebbe rimasto con lui, che sarebbero rimasti fino a notte fonda a parlare, a spiegarsi, a chiarire, e invece lui stava per andarsene di nuovo. Ingoiò a vuoto, ma non si mise a protestare.

C’erano silenzi che parlavano molto di più delle parole stesse.

‹‹Con Sebastian?›› Chiese soltanto, sottintendendo tutto il resto e sperando che Nick lo capisse da sé. Non sapeva neanche da dove era nata quella domanda, ma era l’unica cosa che gli premeva sapere per davvero.

‹‹Sì›› confermò Nick, incerto.

‹‹Oh›› mormorò Jeff.

E poi non emisero alcun suono per almeno dieci minuti. Nick aveva iniziato ad impiegare il tempo frugando nella sua cartella, alla ricerca di qualcosa che pareva non trovare, o forse stava semplicemente aspettando di essere fermato dal compagno, di sentirsi dire “Non andare”. Jeff non poteva saperlo con certezza, ma era quello ciò che sentiva di volergli dire e così ci provò, cercando di non aspettarsi troppo dalla sua risposta.

‹‹Perché non rimani?››

Le mani di Nick smisero di armeggiare con la sua borsa, nell’esatto momento in cui quelle parole raggiunsero le sue orecchie. Si irrigidì sul posto e Jeff lo vide sgranare gli occhi lievemente, probabilmente perché non si aspettava quella proposta.

‹‹Rimanere?›› bisbigliò senza voltarsi.

‹‹Con me›› precisò Jeff, anche se non ce n’era veramente bisogno. ‹‹Rimani con me, Nicky.››

Quell’ultima frase suonò come una preghiera alle orecchie di entrambi, ma a Jeff non importava di apparire patetico. Voleva essere trasparente con lui, voleva fargli capire che ci teneva, anche a costo di sembrare un idiota e rischiare di starci male come quella mattina, come quei cinque giorni precedenti. Voleva averlo al suo fianco perché gli mancava.

Nick si raddrizzò, lasciando che le braccia gli sfiorassero i fianchi con fare arreso, ma non si voltò a guardarlo. Non ancora almeno.

‹‹Vuoi che rimanga?››

Non un “no”, non un “sì”, un’altra domanda. Come se non dipendesse da lui la scelta di restare in camera. Come se non fosse in grado di decidere.

Jeff si costrinse a non farsi inutili pensieri e a concentrarsi solo su quell’istante e su loro due.

‹‹Sì che lo voglio›› replicò, deciso.

Fu allora che Nick sollevò lo sguardo su di lui e fu allora che Jeff si rese conto di quanto fosse combattuto. Voleva restare, ma allo stesso tempo non voleva. E Jeff non riusciva a capire dove fosse il problema, questa volta non riusciva a leggergli dentro come avrebbe voluto.

‹‹Io… non lo so.››

Di nuovo incertezza.

‹‹Resta, Nick.››

Jeff allargò appena le braccia, come per accoglierlo. Accoglierlo e farlo sdraiare al suo fianco, e tenerlo vicino a sé tutta la notte.

Vide comparire, negli occhi di Nick, il desiderio che aveva della sua stretta salda e affettuosa, ed ebbe l’impressione che fosse sul punto di cedere e tornare quello di prima. Ma invece di fare un passo verso di lui, Nick arretrò, prima un poco, poi di più, fino a raggiungere la porta della loro camera.

‹‹Mi dispiace, Jeff.›› Disse così, poi gli diede le spalle, abbassò la maniglia ed uscì, quasi stesse scappando da lui.

Per un piccolissimo momento, Jeff ci aveva davvero sperato.

 

 

 



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Capitolo 2
*** 2. ***


Titolo: Getting over you.

Capitoli: 2/3

Rating: Verde.

Pairing: Niff.

Genere: Angst, Romantico, Sentimentale, Introspezione a palla.

Avvertimenti: Mini-Long, Missing Moment, Ambientata durante l’episodio di Michael (3x11).

Note: Alla fine.

 


 
goy

 

2.

 
 

 

Il giorno dopo, Nick non si presentò alle lezioni del mattino. Jeff lo vide direttamente alle prove dei Warblers. A quanto pareva, avevano davvero trovato qualcuno che ideasse le coreografie di “Bad” al posto suo – forse Nick e Sebastian avevano passato la mattinata a fare quella ricerca – ma a Jeff non importava particolarmente di quel dettaglio futile. Era stato lui stesso a rifiutare, e preoccuparsi di quella faccenda era fondamentalmente impossibile dato che aveva questioni più gravi per la testa. A Thad non aveva avuto modo – e voglia – di raccontare il breve dialogo avuto con Nick la sera prima. Era ancora una ferita aperta. Aveva cercato di non pensarci in tutte le maniere possibili, ma alla fine, vedendolo di nuovo al fianco di Sebastian, quel pomeriggio, gli era ripiombato tutto addosso. Quel “mi dispiace, Jeff” gli rimbombava ancora nelle orecchie. Ed era doloroso, doloroso da morire.

Vedere Nick, in prima fila, a ballare e cantare, a poca distanza da lui, e vedere con quanto impegno cercava di sfuggire al suo sguardo faceva male. Durante le prove, di solito, si cercavano sempre, anche solo per sorridersi complici o per ridere delle proprie gaffe. Era tutto così diverso, invece, adesso. Come avevano fatto a diventare così?

Jeff ci aveva rimuginato tutta la notte, ma non era venuto a capo di nulla. Gli sembrava di non aver sbagliato nulla, quindi tutto quello non poteva essere colpa sua. Ma continuava a trovarsi Nick davanti agli occhi, anche quando li chiudeva per provare a dormire, anche quando era a lezione e cercava di concentrarsi sulle parole del professore. Anche adesso.

E sbagliava i passi di danza. Non gli capitava mai di sbagliare i passi di danza. Fortunatamente, a lui era toccata la seconda fila, quindi né Nick, né Sebastian avevano modo di accorgersi di lui e fargli eventuali strigliate.

Ecco, si era ridotto a questo. Ad immaginare Nick rivolgergli parole cattive e severe, nonostante sapesse che non ne sarebbe mai stato capace. Ma il fatto era che non lo riteneva neanche capace di ignorarlo, eppure stava accadendo.

Nick continuava ad evitare il suo sguardo. Lo fece per tutta la durata delle prove e Jeff finì per arrendersi all’evidenza che quella giornata non avrebbe mai avuto modo di migliorare.

 

 

Tirò un sospiro di sollievo quando quelle lunghissime tre ore di prove terminarono e lui poté uscire fuori a respirare liberamente e profondamente, per scacciare quel fastidio continuo che gli opprimeva lo stomaco. Si era trattenuto un po’ con Thad e Flint ad ascoltare le loro chiacchiere – dato che lui era stranamente silenzioso e tremendamente giù di morale – giusto il tempo necessario a far sì che Nick e Sebastian abbandonassero la sala, poi era uscito inventandosi una scusa qualsiasi che Thad aveva subito preso per falsa. E forse nemmeno Flint gli aveva creduto, ma era frustrante stare lì, in compagnia, e riuscire a concentrarsi poco e niente sui discorsi in atto. Jeff aveva bisogno di starsene un po’ da solo, magari trovare un angolino tranquillo e riempirsi le orecchie di musica, canticchiare sottovoce e bere qualcosa di caldo e di dolce.

Stava appunto per recarsi al bar – lì avrebbe ordinato una cioccolata e si sarebbe trovato un posticino solitario solo per lui e per i suoi Neon Trees – ma fu costretto a fermarsi a metà strada. Nick era dietro l’angolo, riusciva a sentire la sua voce.

Ma perché la fortuna non era mai dalla sua parte?

Fece per fare dietro front, ma la frase che disse Nick in quel momento lo colpì nel profondo.

‹‹Diventa sempre più difficile. Questo non sono io, Sebastian.››

Più o meno quello che pensava lui da qualche giorno a quella parte: quello non era Nick. E non si stupì nel sentire quelle parole pronunciate proprio dalla sua voce.

‹‹Non dire cazzate. Devi solo prenderci la mano.››

‹‹No, Sebastian. Non mi sento a mio agio. Mi sento male a fare tutto questo, non è da me.››

Jeff si appiattì contro il muro. Forse quella era l’occasione giusta per capire qualcosa di più, per trovare un senso logico in tutta quella situazione. Stette in silenzio, provò anche a respirare più piano per non farsi sentire, e si strinse le mani al petto in attesa. Il cuore gli batteva così forte nel petto per l’ansia che temeva che i due ragazzi lo potessero sentire.

‹‹Non volevi smettere di pensarci e diventare indifferente?›› La voce di Sebastian pareva scocciata, nonostante gli arrivasse attutita alle orecchie a causa della lontananza e della parete che li divideva. ‹‹Cos’è che ti ha fatto cambiare idea?››

Nick non rispose subito, ma quando lo fece, Jeff dovette sforzarsi per carpire le sue parole appena sussurrate.

‹‹Lo sai, cosa.››

E forse anche Jeff sapeva, ma non era sicuro del completo significato di quella risposta. Ciò che aveva insinuato in Nick il dubbio era lui stesso, su questo non c’erano dubbi, ma vi era qualcos’altro di cui lui non era al corrente e che aveva indotto Nick ad indossare una maschera per apparire più forte e autoritario agli occhi degli altri e ai suoi.

“Non volevi smettere di pensarci?” E a cosa doveva smettere di pensare? Jeff non riusciva proprio a venirne a capo.

‹‹Quindi non ti importa più? Vuoi tornare ad essere l’idiota della situazione?›› Chiese Sebastian, poi fece una breve pausa, prima di proseguire. ‹‹Non ti sto costringendo a starmi dietro come una zecca, quindi decidi tu. Per me non fa differenza.››

Seguirono rumori di passi che si allontanavano e Jeff intuì che fosse Sebastian a stare lasciando Nick dietro di sé. Quest’ultimo, invece, non si mosse. Jeff riusciva ad immaginare benissimo il suo sguardo che seguiva la figura slanciata in lontananza, ed era uno sguardo afflitto e combattuto.

Poi parlò di nuovo.

‹‹Mi assicuri che funzionerà?››

I passi di Sebastian si arrestarono.

‹‹Io non faccio promesse che non sono sicuro di poter mantenere›› rispose con estrema lentezza. ‹‹Se continui ancora a pensare a quello che hai da perdere, però, forse è meglio che torni sui tuoi passi.››

Piombò di nuovo il silenzio, ma nessuno osò muoversi, né Jeff, né Nick, né Sebastian. C’era immobilità nell’aria e in quelle parole che ancora rimbombavano nel corridoio, ma Jeff riusciva a percepire la confusione che stazionava nella testa di Nick. Era come costituita da una serie di tasselli che si muovevano in maniera caotica in uno spazio chiuso e che poi si scontravano tra loro; e c’erano pezzi che cercavano di incastrarsi anche se la sagoma che li attendeva non era quella giusta. Era un’enorme forzatura.

‹‹Non ci sto pensando. Per niente.›› Ma era una bugia, Jeff sapeva riconoscerlo anche senza guardarlo negli occhi. Ci stava pensando, anche adesso. Non riusciva a smettere, questo diceva la sua voce, anche se non a parole. Provava a nasconderlo, ma non ce la faceva. ‹‹Non ho nulla da perdere, solo da…››

‹‹Solo da guadagnare.›› Sebastian finì la frase per lui e, probabilmente, dopo si voltò a guardarlo.

A Jeff iniziarono a prudere le mani. Che diavolo gli aveva promesso? In che specie di patto lo aveva trascinato? Dio, avrebbe tanto voluto prendere a pugni Sebastian, in quel momento.

‹‹Solo da guadagnare, sì›› mormorò Nick, poi prese a camminare verso Sebastian, lo raggiunse e gli disse qualcos’altro, ma Jeff non riuscì ad udirlo. Ormai erano lontani e non avevano più bisogno di parlare a voce alta per sentirsi.

Jeff rimase fermo lì per un lungo momento, fino a che i due non si allontanarono del tutto da quel corridoio. Non sapeva più cosa fare, si era completamente dimenticato del suo bisogno di stare solo e di svuotare la mente. L’unica cosa che voleva, adesso, era andare in camera, buttarsi a peso morto sul letto e mettere un po’ d’ordine nella sua testa. Avrebbe trascorso un’altra notte insonne, a rimuginare e ad analizzare ogni parola detta da Nick. E poi, al mattino, si sarebbe alzato più stanco di prima, per nulla pronto ad affrontare la sfida in cui i Warblers erano stati trascinati a forza.

 

 

*

 

 

Non riuscì a capacitarsi in nessun modo quando accadde l’imprevedibile, la mattina dopo, al garage del centro commerciale. Sembravano essere partiti col piede giusto. Avevano tenuto testa alle New Directions a suon di voci e di passi di danza ben coordinati. Di certo, non avevano bisogno di trucchetti per essere avvantaggiati e per superarli in bravura, il loro talento parlava da solo. Ma a quanto pareva, Sebastian non era d’accordo con quell’idea. Sebastian non era quello che programmava un piano B da utilizzare in caso di sconfitta; lui aveva un solo piano attuabile e funzionante, uno di quei piani che portano alla vittoria ad ogni costo.

E il risultato di tutto questo era il senso di colpa, la sensazione di aver vinto una sfida ricorrendo ad un colpo basso di cui gli altri Warblers, prima di entrare in scena, neanche erano consapevoli, il pensiero di aver fatto involontariamente del male ad un loro amico.

Non sapeva che cosa fosse passato per la testa di Sebastian, quando aveva ideato quella bastardata, decidendo di colpire i suoi avversari a quel modo, ma neanche gli importava scoprirlo. Al momento, era troppo preoccupato a cercare Nick, scomparso dalla circolazione non appena erano ritornati tutti in Accademia.

Lui era quello che si sentiva più in colpa, di sicuro. Aveva appoggiato Sebastian in quella follia, forse inconsapevolmente, ma quello era comunque un grosso peso da sopportare. Nessuno poteva sapere cos’avrebbero pensato gli altri di lui, cos’avrebbe pensato il Preside, o i suoi genitori, una volta venuti a conoscenza dell’accaduto.

Sebastian, del resto, stronzo e menefreghista com’era, non si sarebbe fatto scrupoli a trascinarlo in quel casino e ad ammettere davanti a tutti che Nick era stato suo complice. Che diamine gliene importava, poi? A lui interessava soltanto vendicarsi per chissà quale torto e far capire a tutti che lui decideva, lui manipolava e lui comandava.

Di come stava Nick importava solo a Jeff, perché riusciva a sentire perfettamente tutto quello che pensava e provava.

Non avrebbe dovuto fare dietro front, tornare da Nick per l’ennesima volta e cercare nuovamente di far parte della sua vita. In quei giorni, Nick lo aveva evitato, gli aveva taciuto cose, era stato duro con lui, ma Jeff stava sotterrando tutto, ogni più piccolo gesto sbagliato, ogni sguardo non ricambiato. Lo stava facendo in onore del suo Nick, del vero Nick, quello che lui conosceva veramente.

Non gli pesava passare le ore a cercarlo per tutta l’Accademia. Voleva trovarlo e voleva abbracciarlo. E voleva dirgli che sarebbe andato tutto bene, che Blaine si sarebbe rimesso, che non era colpa sua.

Aveva quel discorso ben stampato in testa, frase per frase. Si era ripetuto ogni parola, più volte, fino a ricordarle in maniera ordinata e precisa, ma quando poi vide Nick, seduto sotto un albero, in giardino, da solo e con la testa incassata nelle spalle, gli parve di dimenticare tutto. Aveva le ginocchia rannicchiate al petto e le braccia avvolte attorno ad esse, e Jeff non poté fare a meno di sentirsi stringere il cuore di fronte a quell’immagine.

Prese un bel respiro e si decise a fare qualche passo in direzione del compagno, cercando di muoversi silenziosamente per non spaventarlo. Il fruscio dell’erba sotto le scarpe, però, attirò l’attenzione di Nick e lo indusse ad alzare lo sguardo per identificare la persona che gli si stava avvicinando. Tuttavia non parve stupirsi nel riconoscere i lineamenti di Jeff, anzi, la sua espressione divenne quasi sollevata – ma non perse quell’accenno di tristezza e colpevolezza. I suoi occhi dicevano “Dio, meno male che sei qui”. Avevano trascorso troppo tempo distanti e, adesso, la mancanza iniziava a farsi insostenibile, il bisogno che avevano l’uno dell’altro era quasi soffocante.

‹‹Sono qui›› disse Jeff, senza neanche lasciarlo parlare – come se Nick lo avesse già fatto attraverso lo sguardo. Si lasciò cadere sull’erba, al suo fianco, sfiorandogli casualmente una spalla con la sua, ma non distolse lo sguardo dal suo viso mentre lo faceva. E neanche Nick.

Lui respirò più volte, profondamente, e gli occhi gli si fecero lucidi. Forse aveva temuto che Jeff non ci sarebbe più stato per lui, in seguito ai suoi comportamenti stupidi, e ora il vederlo lì gli causava quel vortice di emozioni e sollievo che gli comprimeva il petto in maniera dolorosa e lo conduceva quasi al pianto.

‹‹Io non pensavo che…›› provò a dire, ma la frase si spense a metà fondendosi con una sorta di miagolio flebile. Nick chiuse gli occhi di scatto e Jeff avvertì la vergogna che provava di se stesso, come quella di un bambino che rompe qualcosa di fragile e prezioso, senza farlo apposta, e che si ritrova immediatamente gli indici di tutti puntati contro.

‹‹Lo so. Nessuno lo pensava, Nicky.››

Jeff gli parlò dolcemente, sperando che quello bastasse a guadagnarsi un po’ della sua fiducia e a fargli capire che, per lui, non aveva nessuna colpa. Ma Nick continuò a fuggire dal suo sguardo – le braccia che gli ricadevano in grembo adesso – e Jeff non ebbe altra scelta. Non che gli dispiacesse abbracciarlo, anzi, gli mancava così tanto che avrebbe voluto rimanere in quel giardino per tutta la notte, a stringerlo e basta, ma aveva paura che Nick potesse respingerlo, come aveva fatto giorni addietro.

Però ci provò. Lo strinse tra le braccia e Nick parve rilassarsi tra di esse. Jeff gli era mancato, anche se aveva fatto di tutto per non darlo a vedere.

‹‹Quindi mi credi?›› Domandò sottovoce.

‹‹Per chi mi hai preso? Certo che ti credo.›› Jeff posò la guancia ai suoi capelli e lo avvicinò di più al suo petto. Il calore che irradiava e il suo profumo, da quanto tempo non li sentiva così vicini? Sorrise automaticamente e chiuse gli occhi. ‹‹Sono il tuo migliore amico, Nick. Di me puoi fidarti.››

Nick avvicinò una mano al suo fianco e chiuse un pugno attorno al suo blazer, ma stette in silenzio, con la fronte posata nell’incavo del collo di Jeff, a respirare a pieni polmoni e con le labbra schiuse. Passò un minuto, poi due. Si sentiva solo il frusciare del vento attorno a loro, nessuno dei due proferiva parola. Poi Nick sollevò appena la testa dalla spalla di Jeff e bisbigliò.

‹‹Già.››

Inizialmente, Jeff non collegò quel monosillabo all’ultima frase che lui stesso aveva pronunciato. Rimase semplicemente stupito e confuso insieme, perché Nick aveva assunto improvvisamente un tono di voce arreso e sconsolato. Dunque, si mosse e cercò di incontrare il suo sguardo per capire a cosa si stesse riferendo e per accertarsi che stesse bene. Nick ora aveva la fronte aggrottata e gli occhi bassi, come se stesse rimuginando su qualcosa di importante; ma quando li alzò, subito dopo, Jeff vi ritrovò dentro sicurezza e caparbietà. Non ebbe il tempo di chiedere nulla, però, perché Nick rafforzò la presa sul suo blazer e si sporse in avanti.

Le sue labbra avevano il sapore del sale.

 

 

 

 


 

Ma quanto siete stati carini tutti nei commenti allo scorso capitolo! (minacce di morte a parte (che tra l’altro mi meritavo))

Avevo una paura tremenda che nessuno avrebbe letto questa cosa tristissima e invece, a quanto pare, mi sbagliavo. E ne sono felicissima. Sarete ricompensati con un lieto fine per questo, lo sapete, sì? *occhioni dolci alla Jeffie*

Chi mi conosce sa che a me piace da morire confondere il lettore e lasciare punti di domanda sparsi per strada, ma soprattutto mi piace creare un’ “apparenza dei fatti” e poi smontarla man mano. Quindi siete avvisati, arriverete alla fine della storia e direte “Nick, sei un completo idiota” (come se non lo abbiate già fatto).

Il prossimo e ultimo capitolo lo avrete il 16 Settembre (e quindi tra 6 giorni, come promesso). Perciò la smetto di perdermi in chiacchiere inutili e vi lascio, mandandovi tanti bacini per farmi perdonare. :*

 

Vals

 



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Capitolo 3
*** 3. ***


Titolo: Getting over you.

Capitoli: 3/3

Rating: Verde.

Pairing: Niff.

Genere: Angst, Romantico, Sentimentale, Introspezione a palla.

Avvertimenti: Mini-Long, Missing Moment, Ambientata durante l’episodio di Michael (3x11).

Note: Alla fine.
 


 

goy

 

3.

 

 

‹‹Che ha fatto Nick?!››

La mattinata di Jeff non poteva iniziare peggio di così – vale a dire con un Thad Harwood che urlava ai quattro venti il suo segreto inconfessabile. Già si malediceva troppo spesso per non avere la capacità di nascondere, per più di un giorno o giù di lì, ciò accadeva nella sua vita al suo migliore amico. Insomma, in genere non era così tanto svantaggioso, tranne quando si trattava di feste di compleanno a sorpresa, o di regali per qualsivoglia occasione – insomma, fare una sorpresa a Thad risultava pressoché impossibile, anche perché quest’ultimo riusciva a capirlo quando Jeff gli teneva nascosto qualcosa e lo costringeva a parlare, il più delle volte.

Il più delle volte, appunto.

‹‹Sshh! Non urlare, Thad, ti prego›› lo ammonì Jeff. Erano in un corridoio anche piuttosto affollato, non molto lontano dall’auditorium della scuola, e stavano seduti su un divanetto in un angolo. Jeff aveva il volto completamente acceso di rosso adesso, al solo ricordo di quel bacio.

La verità era che non riusciva a pensarci senza andare completamente in crisi. Nick non aveva mai dimostrato esplicitamente di tenerci a lui a tal punto, né tantomeno aveva fatto intendere che lui potesse piacergli in quel particolare senso. Certo, come migliori amici, loro due si comportavano in maniera piuttosto anormale delle volte, ma chi poteva mai arrivare a quella spiegazione?

Forse Thad. Sì, forse lui ci era arrivato da un pezzo, dato che ora lo stava guardando con quel sorrisino saputo che faceva sempre quando era certo di aver ragione.

‹‹E tu? Tu cos’hai fatto?›› Gli chiese senza girarci intorno, puntellando una mano sul cuscino del divano e scivolando più vicino a lui, come per impedirgli di sfuggire a quella domanda. Aveva gli occhi leggermente sgranati, adesso, a simboleggiare il suo livello di euforia. A vederlo, Jeff poteva affermare con certezza che fosse esaltato da morire per quella notizia.

Jeff si appiattì contro lo schienale del divano, a quel punto, e lo osservò leggermente inquietato.

‹‹Secondo te, cosa si fa in questi casi?››

Sarebbe evaporato da un momento all’altro, ne era sicuro. Ogni parola, ogni singolo dettaglio delle labbra di Nick, lo stavano mandando in brodo di giuggiole.

‹‹Quindi lo hai baciato?››

Ingoiò a vuoto e fece una smorfia buffissima, agitandosi un po’ sul posto a causa di quelle domande così dirette.

‹‹Ovvio che sì›› rispose con un filo di voce, tremante tra l’altro; poi tacque e abbassò lo sguardo, e Thad capì all’istante che c’era dell’altro.

‹‹Non dirmi che sei scappato.››

Non riuscì nemmeno a stupirsi dell’intuito che aveva avuto Thad nel capire quale fosse la verità – ormai ci aveva fatto il callo con la connessione mentale che li legava – ma non si risparmiò di sospirare sonoramente. Era alquanto frustante, delle volte, rendersi conto che era così facile leggergli dentro – non che gli altri ci riuscissero, certo, solo Thad aveva questo privilegio.

‹‹Come hai fatto a capirlo?››

‹‹Non vuoi saperlo davvero, credimi.››

E quella risposta aveva qualcosa a che fare con la sua faccia funerea, di sicuro.

Nick lo aveva baciato – era successo, ormai era inutile cercare di cancellare quel ricordo. Lui ne era rimasto dapprima stupito, poi ne era stato felice, poi aveva avuto paura; e così lo aveva allontanato ed era scappato via da quel giardino, farneticando qualcosa che nemmeno si ricordava al momento, ma che certamente lo aveva fatto sembrare un idiota, agli occhi dell’altro ragazzo. Ma la cosa peggiore non era questa – magari lo fosse stata, sarebbe stato tutto più semplice – la cosa peggiore era che a lui piaceva veramente Nick, gli piaceva da una vita, passava le giornate a fantasticare sul quando e il come si sarebbero confessati l’uno all’altro; e adesso che Nick lo aveva baciato e gli aveva dimostrato il suo interesse, gli pareva tutto sballato.

Il vero problema erano i segreti che aleggiavano ancora tra di loro, il fatto che Nick non si fosse ancora aperto con lui su quella questione. Era questo che rendeva tutto caotico e impossibile, perché Nick aveva passato i suoi ultimi giorni lontano da lui e poi, quando si era sentito vacillare, lo aveva baciato. E Jeff ancora non capiva se quella fosse stata solo la necessità di aggrapparsi a qualcuno, o il bisogno unico e assoluto di dirgli ciò che provava.

La mezza conversazione tra lui e Sebastian, che aveva origliato di nascosto, non lo aiutava per nulla a capire cosa avesse spinto Nick a fingersi un’altra persona. Cosa lo spingeva tuttora a sparire dalla circolazione. Certo, il comportamento di Jeff non aveva per nulla giovato alla causa; il fingersi addormentato, al suo ritorno, era stato da stupidi bambini immaturi. Però Nick era stato il primo a mentire e ad occultare questioni importanti, era suo dovere spiegare tutto, adesso. Invece, continuava ad essere chissà dove, forse ancora con Sebastian a sfogliare il “manuale del piccolo diavolo in carriera”.

Stavolta non sarebbe andato da lui, però. Stavolta toccava a Nick fare la sua mossa e dimostrargli che quel bacio aveva davvero valore e non era messo lì a caso. Era in grado di affrontare le conseguenze delle sue scelte; era quello razionale, lui. Non gli servivano i suggerimenti di Jeff per capire cosa fare.

Quando finì di raccontare a Thad – più o meno in quest’ordine – tutto quello che gli passava per la testa, la gola gli si era prosciugata ed era rimasto a corto di parole ed eventuali improperi.

‹‹Hai tutte le ragioni del mondo›› asserì Thad, alla fine del fiume di parole che avevano lasciato la bocca dell’amico, ‹‹ma continuo a pensare che tu abbia sbagliato a scappare. Nick potrebbe aver frainteso.››

Jeff incrociò le braccia al petto ed assunse un’espressione imbronciata da bambino capriccioso.

‹‹Beh, io sono qui se ha dubbi a riguardo. È lui quello che si nasconde.››

Ma Nick non si stava nascondendo, affatto, e a dimostrazione di ciò vi era la calca di studenti che si muoveva, a mo’ di gregge, verso l’auditorium della Dalton, incuriositi da una serie di urla femminili indefinite e ben poco eleganti.

Thad e Jeff seguirono la folla con lo sguardo, poi si alzarono dal divanetto e si rivolsero uno sguardo veloce, uno solo, seguito da un cenno del capo. Quello sguardo diceva: “Lo stronzo ha combinato un altro dei suoi casini”.

Si mossero velocemente in direzione di quelle urla che, man mano che si avvicinavano, diventavano più concrete e somiglianti quasi a degli insulti pronunciati in una lingua sconosciuta. Ora la folla si stava diradando, appiattendosi lungo le pareti del corridoio e lasciando libero un piccolo passaggio al centro, e come una furia, Jeff e Thad videro sfrecciare davanti a loro, a grandi passi, la ragazza ispanica delle New Directions – il suo vestito nero era completamente ricoperto di granita ai mirtilli.

‹‹Usted no sabe con quién está tratando!›› Strillò quella e continuò con quella diatriba fino a che non girò l’angolo e scomparve dal corridoio.

Dall’altro lato, invece, ad osservare la ragazza che fuggiva via con la coda tra le gambe, vi era Sebastian. E dietro di lui, Nick e Trent.

 

 

*

 

 

Si andò a rifugiare in biblioteca, quel pomeriggio, dopo aver assistito a quella singolare scena in corridoio. In realtà, cercava un posto in cui starsene per conto suo, un posto dove, ne era certo, Nick ci avrebbe messo un po’ a trovarlo – ma alla fine l’avrebbe fatto.

Prima di lasciare il corridoio, Jeff gli aveva rivolto uno sguardo arrabbiato e deluso. Aveva davvero pensato che, in seguito all’infortunio di Blaine, Nick avrebbe lasciato perdere definitivamente Sebastian e sarebbe tornato ad essere il ragazzo leale e gentile che era. Ma poi, vedendolo ancora al suo seguito, come un cagnolino ubbidiente insieme al suo padrone, tutte le sue certezze erano cadute e si erano infrante, e si era ritrovato furioso come non lo era mai stato. L’ultimo sguardo che gli aveva rivolto Nick aveva un che di dispiaciuto, ma Jeff si era detto che no, stavolta non si sarebbe lasciato intenerire. Nick doveva assumersi le sue responsabilità.

Ed eccolo lì, adesso, ad affondare la testa in un libro di matematica pieno di studi di funzione e derivate, cercando di pensare soltanto al compito che si sarebbe svolto la settimana successiva. Inutilmente, tra l’altro. Se conosceva abbastanza Nick Duval – e non ne era più completamente sicuro – allora poteva scommettere sul fatto che, a breve, sarebbe apparso in biblioteca, si sarebbe seduto di fronte a lui e gli avrebbe spiegato cosa gli stava passando per la testa.

Tamburellava le dita sopra le pagine del libro quindi, in attesa, la fronte aggrottata e un lieve broncio ad increspargli le labbra.

A quanto pareva, lo conosceva ancora bene.

Nick gli si sedette di fronte solo quindici minuti dopo e lo fece silenziosamente, perché quella era pur sempre una biblioteca e lui aveva rispetto per le biblioteche. Posò cautamente le mani sul tavolo, forse indeciso tra l’allungarle verso quelle di Jeff o il chiuderle semplicemente a pugno. Alla fine, scelse la seconda opzione, temendo forse la reazione dell’amico.

‹‹Possiamo parlare?›› Bisbigliò.

Jeff si sentiva il suo sguardo addosso, ma non osò incontrarlo. Non era certo che Nick se lo meritasse.

‹‹Sarebbe quasi ora›› rispose meno acido di quanto realmente volesse apparire; poi voltò pagina, fingendo di concentrarsi sullo svolgimento di un problema.

Udì Nick sospirare ed avvertì lo stomaco annodarsi dolorosamente. Lui non era capace di apparire distaccato e di arrabbiarsi con Nick. Gli bastava averlo davanti per perdonarlo all’istante, qualunque cosa facesse. Anche in quel caso, con tutto quello che aveva combinato, con tutto quello che gli aveva fatto, lo aveva già perdonato. Due minuti e un sospiro, e già lo aveva perdonato.

Ma aveva bisogno di sapere ciò che Nick non gli aveva ancora detto, perciò, per quanto non fosse sicuro di riuscire bene nell’intento, cercò di fingersi ancora nervoso di fronte a lui.

‹‹Mi dispiace, Jeff. Per tutto›› disse Nick sottovoce. ‹‹Soprattutto per quel bacio.››

‹‹Non hai bisogno di farti perdonare per quello, lo sai.››

Nick, però, pareva non saperlo. Quando Jeff si decise a sollevare lo sguardo su di lui, notò lo stupore vivido sul suo viso – gli occhi appena sgranati, un leggero rossore sulle guance e le labbra schiuse. Ma quanto era idiota.

‹‹Non…?››

‹‹No, Nick.››

‹‹Ma sei scappato.››

‹‹E tu non mi hai fermato.››

Jeff lo guardò risoluto e, per la prima volta nella sua vita, riuscì ad apparire severo e deciso di fronte a lui. Nick, invece, abbassava gli occhi, poi li risollevava, non capendo. Lo fece un paio di volte e boccheggiò trovandosi spiazzato. Jeff aveva mescolato improvvisamente tutte le carte in tavola e tutto quello che Nick pensava di lui – e di loro – ora appariva insensato e confuso. Ma non parlava, non osava proferire parola. Forse temeva di sbagliare, qualsiasi cosa dicesse. Sbagliare e vedersi urlare contro dall’unica persona realmente importante per lui. Jeff lo capiva dal movimento ansioso delle sue mani, che ora si torcevano e si graffiavano a vicenda.

‹‹Davvero non sai il motivo per cui sono arrabbiato con te?›› Gli diede il tempo di rispondere, ma Nick non lo fece; lo osservò di sottecchi, colpevole e dispiaciuto, e attese che Jeff proseguisse, ancora a bassa voce. ‹‹Perché improvvisamente sei diventato la spalla di Sebastian e assecondi i suoi sporchi giochetti, e a questo punto io mi chiedo se tu non mi abbia fregato e abbia fatto lo stesso quando Smythe ha messo in scena quel piano idiota contro le New Directions.››

L’espressione di Nick divenne una maschera di terrore, la stessa di un povero malcapitato che sta per essere schiacciato da un macigno, e Jeff si pentì appena un po’ di avergli detto quelle cose; ma aveva bisogno di essere sincero e di fargli capire che facendo così non arrivava da nessuna parte, qualunque fosse il suo scopo.

‹‹Io…›› iniziò incerto, gli occhi che iniziavano a farglisi lucidi. ‹‹Pensavo che tu mi credessi, Jeffie. Io non sapevo che Sebastian-››

‹‹E ti credo›› lo interruppe Jeff, ‹‹ma tu continui a nasconderti e, cazzo, da quant’è che non mi racconti ciò che ti passa per la testa? Da un momento all’altro ti ho visto andare dietro a Smythe e dirmi a mala pena buongiorno – ma che dico? Neanche quello – e ancora non ne capisco la logica.››

Il respiro di Nick si era fatto più veloce, mentre Jeff pronunciava quelle parole. Era addolorato e distrutto, e si vedeva, ma ancora non si decideva a dire la verità.

‹‹Mi… mi dispiace›› disse soltanto, tra un singhiozzo e l’altro.

‹‹Non mi serve che tu mi dica che ti dispiace. Mi serve che tu mi dica che succede e perché improvvisamente non te ne frega più niente della nostra amicizia.››

Dall’altra parte della sala provenne un “sshh” ammonitore. La voce di Jeff si era fatta più elevata ed alterata, alla sua ultima frase, e la bibliotecaria della Dalton non era esattamente la persona più paziente del mondo. Jeff le scoccò un’occhiata di scuse, ma poi tornò subito ad osservare Nick. Stava respirando profondamente per calmarsi e per non scoppiare a piangere, le palpebre socchiuse come se stesse cercando di difendersi da Jeff e di rimanere da solo col suo dolore. Jeff non riuscì a sopportare quella visione e così allungò una mano per posarla sulle sue, che ancora si muovevano e si strofinavano tra loro con frenesia, e le fermò. Nick sussultò leggermente a quel contatto e tornò a ricambiare il suo sguardo con una speranza nuova negli occhi.

‹‹Ti va di andare fuori? Così ci sediamo da qualche parte e mi racconti per bene?›› Gli chiese Jeff, stavolta con estrema dolcezza.

Nick parve più rilassato, quando annuì in risposta.

 

 

‹‹Sebastian non è così pessimo come sembra. Sebastian è… Non è poi questo granché e i suoi consigli fanno schifo, ma ascolta. Non sembra ma ascolta. Ero riluttante a seguirlo e a fare tutto quello che ho fatto insieme a lui, ma avevo bisogno di staccare la spina. Di provare ad essere un’altra persona. Lo so, non è da me, ma tu… Tu non te ne accorgevi, Jeff, pensavo che fosse tutto inutile e che non te ne saresti mai accorto… E così ho deciso di provare a fare finta di niente, come spegnendo un interruttore. Pensavo che sarebbe stato meglio se avessi imparato ad essere un po’ più come Sebastian. Sai, indifferente, forte… Tu lo sapevi che gli piace Thad? Lo sai in quanti modi riesce a fare finta di niente? Ha una capacità invidiabile, lui, ed io… Ne volevo un po’ anche io, di quella capacità, sai? Così quando mi ha detto che l’unico modo era fingere che non rappresentassi niente per me, io ci ho creduto. Stupidamente ci ho creduto… E ho provato ad imparare da lui. Ma era troppo difficile. Quello che provo per te, Jeff, non si può spegnere. Ci ho provato, ma non si può e così…››

‹‹E così mi hai baciato.››

Si erano seduti in giardino, su una panchina all’ombra, poco distanti da quello stesso albero sotto il quale si erano dati un bacio. Avevano fatto la strada in silenzio e poi Jeff l’aveva lasciato parlare, stringendogli forte la mano e accarezzandone il dorso con dolcezza, come se gli stesse fornendo una ricompensa per ogni sua piccola rivelazione. Ad ogni parola, i pezzi andavano a posto ed entrambi si sentivano più leggeri e vicini, come non accadeva da giorni.

‹‹Sì, ti ho baciato. Ma tu sei scappato e pensavo…››

‹‹Pensavi male, Nicky.››

Jeff non riusciva ancora a razionalizzare tutto quello che gli aveva detto Nick. Cercava di non badarci, ma era impossibile ignorare il battito del suo cuore, improvvisamente più veloce, sia per quelle rivelazioni che per la paura di quello a cui stava andando incontro. A Nick lui piaceva, e a lui piaceva Nick, solo che lui non l’aveva ancora capito completamente. Continuava a pensare di non essere corrisposto e Jeff non lo aiutava minimamente a mettere le cose in chiaro; lasciava piccole briciole di indizi sul suo cammino per guidarlo nella scoperta, ma ancora non se la sentiva di parlare chiaramente. C’era altro che voleva sapere.

‹‹Il motivo mi è chiaro, per quanto possa essere assurdo e stupido.›› Si stava riferendo alla complicità che si era instaurata tra Nick e Sebastian, adesso, e lo stava facendo tenendo lo sguardo fermo in quello dell’altro ragazzo e mantenendo la voce seria e decisa. ‹‹Ma oggi? Perché anche oggi? Eri con lui e con Trent, vi ho visti, e sembravate la Banda Bassotti con tanto di maglietta a righe bianche e nere da carcerato.››

Nick si mordicchiò il labbro inferiore, a quella domanda, probabilmente soppesando le parole che volevano lasciare le sue labbra e che si accavallavano le une alle altre senza un senso logico. Parve sul punto di rispondere un paio di volte, tuttavia non emise alcun suono. Passò un minuto intero prima che si decidesse a parlare.

‹‹Lo so che… è difficile da credere, ma›› prese un respiro profondo e sospirò, ‹‹volevo dire a Sebastian che non avevo più intenzione di seguirlo nel senso stretto del termine. Essere suo amico, sì, okay, ma non volevo più che tu mi guardassi in quel modo… come se non mi riconoscessi.›› Fece una pausa, giusto il tempo necessario per analizzare l’espressione di Jeff. Questa era distesa e comprensiva, e aiutò Nick a proseguire nella sua spiegazione. ‹‹Ma poi è apparsa Santana Lopez e… E lo sai com’è fatto Sebastian, ho dovuto accontentarlo.››

‹‹Tu non devi accontentare proprio nessuno, Nick›› protestò Jeff, stringendo automaticamente di più la sua mano. ‹‹L’unico a cui devi dare conto sono io, e lo sai perché?››

Nick schiuse le labbra e scosse lentamente la testa.

‹‹Perché›› proseguì Jeff, ‹‹io ti conosco, e so che cosa è da te e che cosa non lo è. E questo non lo è, accontentare i capricci di Sebastian non lo è. Tu sei molto meglio di così, hai capito?›› Un vago cenno di assenso. ‹‹Tu sei la persona più bella di questo mondo, Nick. Non lasciarti sporcare da un deficiente come Sebastian. Se vuole giocare con la vita degli altri, lascialo fare, ma non andargli dietro, ti prego.››

Chiuse la mano di Nick in entrambe le sue e si avvicinò appena un po’ di più a lui. Nick parve irrigidirsi e respirò più velocemente, come intuendo ciò che veniva dopo.

‹‹Tu mi piaci da morire, Nicky. Tu mi piaci, non la pallida ombra di te stesso in cui ti sei trasformato negli ultimi giorni. E lo so che è colpa mia, perché sono stupido e perché non sono bravo a parlare chiaramente. Ma ora te lo sto dicendo. Non hai più bisogno di spegnerlo perché…››

‹‹Tu non sei stupido›› lo interruppe Nick, a bassa voce e con dolcezza.

Le guance di entrambi si erano arrossate e i loro occhi si erano fatti luccicanti di sentimento.

‹‹Non sei stupido›› ripeté e poi lo fece di nuovo.

Nick baciò Jeff per la seconda volta, ma stavolta Jeff non scappò. Gli avvolse le braccia intorno al collo e lo avvicinò a sé, quasi dicendogli senza parlare “Devi rimanere vicino a me. Vicino a me, non vicino a Sebastian.” E Nick avrebbe fatto esattamente così. D’ora in poi sarebbe stato solo e soltanto la persona che piaceva a Jeff. La persona che faceva battere il cuore a Jeff.

 

 

*

 

 

‹‹La smetti di guardarlo?››

‹‹Lo sai che non posso.››

Un sospiro.

‹‹Eravate vicini fino a due secondi fa, Jeff.››

Un altro sospiro.

‹‹E che c’entra, non mi stanco mai di guardarlo. È così bello.››

‹‹Sì, lo so. Me lo hai già detto. Ora mi ascolteresti cortesemente?››

‹‹Ti sto ascoltando, Thad.››

‹‹Seh, come no? E che ti ho detto?››

‹‹Di sicuro qualcosa a che fare con Sebastian.››

‹‹Il contesto, Jeff.››

Jeff distolse finalmente lo sguardo dal suo ragazzo – il suo ragazzo, gli faceva ancora strano pensarla in questi termini – e si concentrò su Thad. O almeno ci provò. Si grattò la mascella con fare pensieroso, stringendo le labbra e aggrottando la fronte.

‹‹Mmh, no, mi è sfuggito›› disse dopo un lungo momento di riflessione in cui non era riuscito a venire a capo del punto della questione. ‹‹Che fa Sebastian?››

Thad sospirò, avvilito, e incrociò le braccia sul tavolo, lasciandosi ricadere sopra di esse.

‹‹Non lo ripeterò un’altra volta›› borbottò.

‹‹E io non te lo farò ripetere›› lo rassicurò Jeff, ridacchiando.

Entrambi voltarono il capo in direzione di Nick e Sebastian, che sedevano poco distanti da loro, in un angolo della sala mensa, a chiacchierare indisturbati. Sebastian aveva una smorfia in viso e stava scuotendo la testa. Thad lo osservò pensieroso.

‹‹Dicevo, è strano. Mi tratta in modo strano.››

‹‹Strano in che senso?›› Chiese Jeff, pur conoscendo bene la risposta; un sorrisino gli stava increspando le labbra.

‹‹Nel senso che›› iniziò Thad e, prima di proseguire, ci pensò un po’ su, cercando di scegliere le parole adatte, ‹‹invece di fare lo scontroso, mi prende in giro. E ride di me e…››

‹‹E…?››

‹‹E non esce più. Rimane in camera a leggere, la sera. È strano.››

Jeff piegò le labbra in dentro, per evitare di sorridere troppo apertamente. Riportò la sua attenzione su Nick che adesso stava ridendo in quella maniera bellissima e spensierata che a lui piaceva tanto.

‹‹Sarà l’influenza di Nick›› spiegò vagamente.

‹‹Tu dici?››

‹‹Sì, io dico.››

La situazione si era invertita, a dirla tutta. Nick aveva smesso di seguire Sebastian nelle sue follie – che comunque erano diminuite gradualmente nel corso della settimana successiva – ma subito dopo, era stato Sebastian a mettersi a seguire Nick. Jeff sospettava che fosse lui stesso, adesso, ad invidiare i risvolti della loro storia e che, in una maniera un po’ contorta, stesse cercando di seguire l’esempio del suo migliore amico per la vita. Sì, Nick era stato promosso da soldato a confidente, e probabilmente aveva convinto Sebastian che il modo in cui trattava Thad per nascondere quello che provava fosse da stupidi.

Jeff non poteva fare altro che sorriderne e tacere. E al massimo, lasciare qualche piccolo indizio al suo migliore amico.

‹‹Vedrai che non è nulla di grave. Sarà semplicemente di buon umore.››

Nick si voltò a guardarlo proprio in quel momento e gli rivolse una smorfia saputa, quasi lo stesse leggendo nel pensiero.

Non era cambiato nulla. Non sarebbero cambiati mai, loro due.

 

 

Fine.

 



 


 

E siamo alla fine.

Questa storia si è scritta davvero da sola. Avevo in mente pochissimi punti “focali” – diciamo così – su cui strutturarla, ma il grosso l’hanno fatto Nick e Jeff da soli, decidendo cosa dirsi e quando dirselo, cosa fare e quando lasciarsi andare. Ed io mi sono fidata di loro e ho scritto senza quasi pensare. Quindi, anche se la storia non è delle più felici, penso proprio che si andrà ad affiancare a “Snapshot”, che come sapete è la mia (mia) preferita in assoluto.

Unico punto che voglio “discutere” di questo capitolo è il pezzetto finale. Quando l’ho scritto non sapevo se l’avrei inserito o meno, nella pubblicazione; l’avevo scritto per gioco quasi – la Thadastian che si infila dappertutto – poi è successo che è piaciuto alle persone a cui avevo fatto leggere la storia in anteprima (a lei in particolare) e quindi l’ho lasciato. L’idea di Sebastian che, grazie a Nick, capisce cosa vuole davvero è… un bell’inizio per la Thadastian, ecco. ♥

In ultimo, voglio dire grazie a chi ha letto, recensito, preferito, seguito e ricordato la storia, perché io davvero pensavo che nessuno se la sarebbe filata, dato l’andazzo degli eventi. E invece non sono l’unica masochista su questa Terra. Yay!

Vi adoro tutti. Tutti. ♥

Ci leggiamo alla prossima idea pazza. :*

 

Vals

 

 


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