Of Arrows and Lucky Strike.

di DarknessIBecame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Get Lucky ***
Capitolo 2: *** Counting down to... ***
Capitolo 3: *** When it rains ***
Capitolo 4: *** Everyday I'm Shufflin'! ***
Capitolo 5: *** Ice Skating ***
Capitolo 6: *** Let me go (WTH??) ***
Capitolo 7: *** Because of you. ***



Capitolo 1
*** Get Lucky ***


Semplice, facile, veloce. Indolore. Questo le aveva promesso Tommy, con i suoi due occhioni da cucciolo, quando le aveva chiesto di fermarsi giusto una mezz’ora alla festa che avrebbe dato al loro club quella sera.
“Per il mio compleanno, Lis. Eddaaaai.”
Un bambino sarebbe stato meno petulante.
Però non sapeva davvero resistere a quello sguardo, al sorriso che vi scorgeva ogni volta che lei lo assecondava nelle sue imprese.
Non sapeva se ringraziare Oliver per aver detto al suo amico la verità o meno, visto che ormai i ruoli sembravano essersi invertiti: Oliver era lo sconosciuto per Tommy e lei ne era diventata la migliore amica.
Aveva provato a far ragionare l’erede della stirpe Merlyn e sembrava che piano piano li stesse facendo riavvicinare.
Quindi quella sera avrebbe costretto anche Oliver e Diggle a salire con lei, mettendo finalmente il muso fuori dal seminterrato per una meritata pausa.
Per quel giorno aveva deciso di lasciare a casa i vestiti floreali e le stampe ed aveva optato per qualcosa di più sobrio, un blu scuro per un vestito sì professionale, ma anche più adatto ad una piccola folla di ricconi come quella che si aspettava di sopra.
Ovviamente coda, occhiali e rossetto rosa gomma da masticare erano al solito posto, ma si sentiva più a suo agio nel non attirare troppa attenzione su di sé. Dopotutto ci sarebbe stata anche Laurel, probabilmente. Non sarebbe mancata al compleanno di Tommy, anche se non si erano lasciati nel migliore dei modi.
Sospirando, era uscita di soppiatto dalla porta sul retro per non destare sospetti e rientrata con tanto di giacchetto, scortata dai bodyguard di Tommy.
Bel modo di passare inosservata, Felicity.
Scosse il capo quando vide Oliver, Tommy e Diggle avvicinarsi nello stesso momento per dire agli uomini di lasciarla andare. Se fossero stati i buttafuori del Verdant e non le guardie personali del festeggiato l’avrebbero riconosciuta subito, ma in questo modo forse era meglio; meno sospetti per gli invitati.
Sorrise quindi prima ai due energumeni che tornarono al loro lavoro e poi tornò con gli occhi sugli altri tre, alzando un sopracciglio prima di sussurrare.
“Non dovremmo attirare l’attenzione, non sulla piccola tecnica Miss Smoak.”
Oliver si irrigidì immediatamente, mentre Diggle la prese sul ridere come sempre e Tommy sbuffò, decidendo in quel momento che lei sarebbe stata l’anima della festa, insieme a lui.
Se la portò dietro per 5 minuti buoni, prima di lasciarla al bancone dove poteva rifornirsi di alcoolici e di qualche fetta di torta al cioccolato, che si era premurato di ordinare con ingredienti che non contenessero per alcun motivo noci o similari.
Sorridendo al solito barista, che la salutò con un cenno del capo, guardò per un attimo la pista da ballo dove tre delle persone che più care aveva sulla faccia della terra giravano, ognuno col suo portamento, ognuno con le sue caratteristiche. Perse così tanto tempo a studiarli – Oliver per la maggior parte del tempo, a dir la verità -  che non si rese neanche conto di quando iniziò la musica.
Fu solo quando la mano di Tommy la prese per il polso e cominciò a trascinarla verso la pista che lei sbattè più volte le palpebre, sentendolo addirittura cantare.
Confusa come termine per descrivere il suo stato al momento, era l’eufemismo di un eufemismo.

“She's up all night to the sun,I'm up all night to get some…She's up all night for good fun, I'm up all night to get lucky!”
Quel ghigno da orecchio ad orecchio gli fece meritare un’occhiata glaciale da parte della bionda, anche se il rossore diffuso dalle guance fino al collo faceva intendere quanto imbarazzata fosse. E ancora di più quando lui la prese con la vita con uno strattone e lei fu costretta ad aggrapparsi alla sua giacca grigio “Fumo di Londra” per mantenere il precario equilibrio che le serviva a muovere i fianchi insieme a quelli dell’amico, che la stava bellamente costringendo ad avanzare nel mezzo della pista.
“EUSTACE, cosa diamine pensi di fare?”
“Uh-oh, MEGHAN. Sto cercando di assicurarci il famoso "bacio del vero amore". Cavolo, non viene bene col tuo. Hai un secondo nome carino, tu!!”
Ed ecco che Tommy diceva qualcosa che la faceva ridere, lei si rilassava tra le sue braccia e continuava a ballare; certo, le mosse di Merlyn erano qualcosa di orribile, orribilmente osceno su quella canzone così…evocativa. Ma non le interessava, perché la gente intorno a loro aveva smesso di guardarli e pensava solo a ballare e divertirsi.
Dopo diversi minuti però cominciò a sentirsi osservata e, se la stretta del moro le dava qualche indicazione, era lo stesso per lui.
Fu solo quando una mano le si chiuse - di nuovo - attorno al polso, trascinandola via ad una velocità quasi sovrumana che riuscì a capire, prima ancora di vederlo, che quello era Oliver; estremamente teso, vibrantemente teso.
Chissà chi le passava certe parole, la sua mente era davvero iperattiva in certe situazioni.
“Oliver, cosa…?”
Non riuscì a finire la domanda, una specie di ruggito la bloccò e la convinse anche a fermarsi, tirando il braccio ancora in quella presa mortale. Irritata dalla smorfia di dolore che le era salita al volto nella frenata contro un Oliver che solo qualche secondo più tardi si era accorto del suo sforzo, mugugnò scontenta.
Ora non si sarebbe mossa di lì.
Cercò di incrociare le braccia al busto, ma ovviamente dovette farlo con un solo arto, visto che l’uomo di fronte a lei stava guardando il suo polso che teneva tra le dita, con rinnovato interesse.
“Quindi? Hai intenzione di spiegar…”
E anche quella domanda venne interrotta, ma questa volta da due labbra prepotenti che premettero contro le sue, tanta di quella forza da farla arretrare fino al muro in due passi.
“Quindi la prossima volta voglio essere io a cantarti Get Lucky, soprattutto se devi ballare in QUEL modo.”
E con questo, fu libera. Libera dalla sua mano, dal suo corpo, dalle sue labbra; mai dal suo profumo e dall’adorabile, odioso carattere che l’aveva fatta innamorare.



Non lo so. Commentate? Pretty please, il prossimo è già pronto. Magari mi date la spinta a scrivere di più, se vi piace.
Vevve/Dark

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Capitolo 2
*** Counting down to... ***


Dieci.
Iniziò a contare da 10 quando la vide a bordo piscina nel suo bikini nero, piccolo quanto lei, solo che alla mercé di tutti.

Nove.
Un altro secondo, un lungo secondo, osservando il piede ed il polpaccio nudi oscillare a pelo dell’acqua, immergendosi e riemergendo per schizzare Thea, seduta a sorseggiare un drink insieme all’amica.

Otto.
Era un tatuaggio, quello alla fine della caviglia? La curva del piede era una visione delicata e deliziosa, poggiato sul pavimento bagnato di fronte a lei, che muoveva le dita coloratissime del piede per far vedere qualcosa alla giovane seduta vicino a loro. Un anello da dito forse. Si ripromise di scoprire cosa rappresentasse quel tatuaggio per lei.

Sette.
Aveva una voglia. L’aveva vista quando si era alzata, meravigliandosi di come non fosse svenuto per mancanza di sangue al cervello; fianchi e sedere ondeggianti non avrebbero dovuto essere legali nei confini di casa sua. Ma quella voglia, che spuntava beata sotto il bordo delle coulottes nere, faceva venire delle voglie anche a lui. Da imprimere sul corpo della ragazza, possibilmente.

Sei.
Un bel respiro di sollievo, la vista della sua guardia personale finalmente copriva quella minuscola della bionda e lui poteva tornare a perlustrare il perimetro con lo sguardo. Come se dovesse vigilare nella sua stessa casa.

Cinque.
Lo scatto della testa sul collo gli fece quasi male. Sentì distintamente lo scricchiolio delle ossa insieme all’urletto dell’oggetto del suo interesse, quel giorno. Sarebbe arrivato a finire quel countdown? L’avevano buttata in acqua, probabilmente lo stesso Diggle, e lei ora stava galleggiando e tossendo tra una risata e l’altra.

Quattro.
Un solo scatto ed era balzato in acqua anche lui, chiudendo le distanze in poco meno di 3 bracciate per poi tirarla contro di sé, un ammasso di capelli biondi e membra delicate che si muovevano e svolazzavano in giro, urlando di lasciarla stare.

Tre.
Per tenerla ferma, l’aveva bloccata con un braccio sotto al sedere e l’altro in mezzo alle scapole, costringendola ad aggrapparsi istintivamente alla sua vita con le gambe snelle e lisce. Dio, sperava solo di non aver spinto il bacino contro il suo come gli era sembrato. A giudicare dalla reazione di entrambi, l’aveva fatto.

Due.
Due occhi magnifici e sgranati lo fissavano, due labbra si erano schiuse di fronte al suo sguardo preoccupato e scuro di desiderio represso. Due mani si erano aggrappate alle sue spalle, graffiando leggermente, smettendo di agitarsi. Due gambe gli si erano strette di più alla vita ma una sola spinta che ricambiava la sua era stata abbastanza.

Uno.
Un ultimo respiro, un battito di ciglia, un movimento ben studiato e la mano posata tra le scapole di lei si era infilata tra i capelli, avvicinandola abbastanza da poter assaggiare le sue labbra con un colpo di lingua.
Felicity.

Il secondo Zero era arrivato e si ritrovò a pensare, da qualche parte nella sua mente in cui non era preso da tutto ciò che era Felicity aggrappata a lui, che mai dieci secondi gli avevano cambiato tanto in meglio la vita.
Dieci secondi e una freccia può colpirti, dieci secondi ed una certezza può esserti tolta da sotto i piedi, dieci secondi possono essere tutto quello che ti resta con il tuo migliore amico.
Dieci secondi sono anche il tempo che ti serve per accorgerti che fingere indifferenza è molto più faticoso di ogni altra cosa che tu finga al mondo se di mezzo c’è Felicity Smoak.

Rieccomi, veloce, non troppo veloce? Ho altri 3 chap pronti ma sto aspettando che la mia dolcissima Beta (che nel prossimo capitolo ringrazierò come si deve) si metta in paro con Arrow, per non spoilerarle niente.
Un grazie a chi ha letto, un ENORME grazie a chi ha commentato (e giuro, conosco entrambe le commentatrici, ma non le ho costrette o pagate per rispondere positivamente)...un grazie timido timido a chi mi farà arrivare a 3 commenti per questo chap. Potrebbe spingermi a pubblicare prima il numero 3, "When it rains".
Un bacio
Vevve!

 

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Capitolo 3
*** When it rains ***


“Sto arrivando, voi aspettate lì fuori qualche minuto, ok? C’è troppo traffico. Portate anche l’…”

Non aveva dato neanche tempo a Diggle di finire la frase.
Era già troppo infastidito per quell’intoppo dell’ultimo minuto. Lo stavano aspettando ad un meeting ai piani alti della sua azienda e lui, come ogni volta, doveva andare senza volerlo.
La sua mente era troppo concentrata su Alvaro Muñez per dar retta a pomposi avvocati e contabili che credevano di potergli far fare ciò che voleva, solo perché all’esterno dava l’impressione di essere lo stesso svampito playboy di prima che naufragasse su Lian Yu.
Sbuffando, trovò il suo cappotto, quello di Felicity ed abbaiò il suo nome senza neanche voltarsi verso la sua scrivania, dove ancora la sentiva battere le unghie corte e coloratissime.
Perché non si era ancora alzata?
 
“Finirai domani questo lavoro, lo sai che è tardi e Digg non può passare a riprenderti. Ancora non ti hanno ridato l’auto?”
 
Non gli piaceva suonare tanto duro, ma non era proprio dell’umore adatto. E poi lei di sicuro era abituata ai suoi sbalzi. Non le dava fastidio.
 
“Ti ricordo che se non fosse per me saresti morto dissanguato. Quindi fai il carino e compramene un’altra, oppure stai zitto e sopporta questi viaggi con me. Oh dio, così sembrava tanto che io sia qui per sfruttare la tua fortuna. Ho già detto che è meglio che tu stia zitto? Il che sarebbe una prima volta, dato che solitamente quella che parla troppo son…”
 
Parlando e camminando gli era arrivata a fianco, finalmente alzando gli occhi su di lui che la osservava con uno sguardo duro e controllato, ma sapeva bene di avere gli angoli della bocca tremendamente tesi nell’estenuante esercizio di non sorridere, o ridere addirittura, ad uno dei piccoli exploit della Smoak.
Però una cosa l’aveva capita in tutto quello: un’altra persona era entrata nel club “Non sopporto l’umore nero di Oliver Queen”.  E sapeva sempre farla azzittire con uno sguardo.
Certo, in pratica solo Diggle faceva parte di quel club perché era l’unica altra persona che lo vedeva senza  una maschera cordiale in volto, ma faceva piacere sapere che con il suo intervento faceva legare altre persone su temi tanto divertenti.
Con l’indice puntato verso di lei, le fece cenno di girarsi di spalle e lei alzò un sopracciglio, già pronta a protestare. Lui dovette solo rispondere con un sopracciglio arcuato dei suoi e lei sospirò, sconfitta.
Almeno in quello ancora riusciva.
Aspettò che alzasse un braccio e poi l’altro, facendoli passare nelle maniche del suo trench scuro, prima di infilare lui stesso il cappotto di lana che la madre si era premurata di fargli avere, secondo le nuove mode del momento.
Allacciando i bottoni, si ritrovò a guardare la piccoletta di fronte a lui che fissava intensamente la cintura del suo giacchetto ed ogni tanto doveva tirare su gli occhiali con una nocca mentre lavorava; sorrise all’intimità del gesto che stavano condividendo.
Se ci fosse stato anche John, l’atmosfera famigliare che lo accompagnava da quando entrambi facevano parte del suo Team sarebbe stata completa.
Ridestato dai suoi pensieri - ammorbiditi da Felicity ed il suo fratello in armi - proprio da un messaggio di quest’ultimo, si sbrigò a riordinare nuovamente le sue emozioni così che non trasparissero sul suo volto.
 
“E’ quasi arrivato, vai avanti così io chiudo.”

La girandola di emozioni in cui la metteva tutte le volte Oliver era qualcosa di estremamente irritante. Mischiava gentilezza a rabbia a malapena repressa, e le alternava nei suoi modi di fare almeno una volta al minuto. Per questo aveva cominciato a blaterare e poi era rimasta in silenzio, leggermente imbarazzata nel sentirsi osservata mentre chiudeva il trench. Alla rabbia, alle urla, sapeva rispondere; a silenzi e sguardi affettuosi, no. A meno che non venissero dai suoi genitori, ovviamente.
Per questo era stata più che felice di precederlo al piano superiore ed uscire ad aspettare Diggle fuori dal Verdant. Almeno lì fuori l’aria era respirabile, o almeno così pensava.
Un solo sguardo al cielo e si sentì subito oppressa dall’umidità e dalla pesantezza che le nuvole scure proiettavano su di lei. Stava quasi per voltarsi e rientrare, cercando così l’ombrello di scorta che ormai teneva lì sotto, ma Oliver si stava avvicinando e questo significava aver già chiuso tutto.
Scrollò le spalle dicendosi che la guardia del corpo di Queen sarebbe arrivata a breve, voltandosi nuovamente verso la strada per osservare le pozzanghere e i rigagnoli d’acqua che si erano creati nelle ore in cui era stata rinchiusa in quel sottoscala tetro.
Il tempo di battere le ciglia bastò affinché l’acqua che prima aveva osservato curiosa in terra fosse diretta tutta a lei, grazie ad un pirata della strada che con quel tempaccio si divertiva ad alzare colonne d’acqua ai lati dei marciapiedi: ma le andava mai qualcosa bene?
Sbuffando, tolse gli occhiali e li mise in tasca, cominciando a pulirsi il viso come meglio poteva, toccando i capelli e mugugnando scontenta nel sentirli sporchi.
Li aveva lavati poco più di 3 ore prima.
Un rumore estremamente fastidioso le arrivò alle orecchie e lei lanciò un’occhiata di ghiaccio nella direzione di Oliver, che era saltato via in tempo per non prendersi neanche una goccia d’acqua.
Tirando fuori il piccolo panno per pulire gli occhiali, lo guardò da sotto le ciglia lunghe, goccioline che le cadevano sulle guance ad irritarla di più mentre cercava di incenerirlo con lo sguardo.
 
“Ricorda le mie parole, Oliver Queen. Verrai punito per questo.”
 
Come se non bastasse, anche un John divertito si unì alla risata e lei si convinse che entrambi l’avrebbero pagata cara per averla presa in giro. 


Quindi la loro dea dei computer era anche una veggente, oppure una iettatrice.
Non l’avrebbe mai creduto, ma cercare di cambiare una gomma sotto la pioggia battente, dopo aver battuto il sedere a terra ed aver preso a spallate il suo capo per la risata gutturale che gli era uscita dal petto, non poteva fare a meno di ricordare le parole della loro bionda.
John non era mai stato uno che credeva in certe cose, ma quando la vide ridere silenziosamente da dentro la macchina - al calduccio e con il suo cellulare all’orecchio mentre loro due grugnivano e cercavano di non cadere sotto l’acqua torrenziale che stava scendendo -, non poté fare a meno di pensare che Felicity sapesse più di quanto volesse far loro credere.
Forse essere una maga della tecnologia le aveva dato qualche potere anche sul tempo.
 
“Digg, non faremmo prima a chiamare qualcuno? Sono in ritardo.”
 
L’espressione annoiata di Oliver cozzava con la sua, esasperata e sentì una risata ancora più forte da dentro la macchina, soppressa a malapena da una mano sulla bocca. Gettò un’occhiata anche a Felicity, facendole capire che non era divertente tutto ciò, ma quando una macchina si fermò accanto alla loro, non poté evitare di sentirsi sollevato. Due sportelli che si aprivano, due sportelli che si chiudevano ed il motore che riprendeva di giri gli dissero che non era come pensava.
 
“Oliver, ho avvertito che non ti saresti presentato in ufficio questa sera, quindi prendetevela con calma! Potrebbe sempre andare peggio, potrebbe sempre piove…ops, scusate, lo fa già. Ci si vede, belli!”
 
E con un cenno della mano la videro tirare su il finestrino della macchina e sorridere caldamente all’amica al posto di guida, prima di schizzare via verso la sicurezza di casa.
 
“Ricordami di non ridere più di lei, amico. E tu vedi di comprarle qualcosa di carino per rimediare, non voglio sapere cos’avrà fatto a tutti i tuoi sistemi mentre se la rideva in macchina.”


Ecco ecco! Come promesso, alla terza recensione ho pubblicato il capitolo! Avrei aspettato passasse la settimana altrimenti, perché era già pronto e betato (la adorabile GirlOnFire - leggete le sue storie, è una scrittrice magnifica che vi farà emozionare - ha finito a tempo record la nostra amata serie ed è venuta in mio soccorso), ma non stavo più nella pelle nel sapere cosa ne pensiate.
Non è propriamente Olicity, è più un missing moment del Team Arrow ma avevo voglia di inserire qualcosa che facesse ridere.
Fa ridere? Vi prego, ditemi che fa ridere. Q____Q
Ancora una volta, dedico questo piccolo racconto ad Ainwen (sì, oggi è la giornata dei link eh) che mi sostiene e si mangia tutti i miei spoiler. <3

Se qualcuno volesse farsi un giro sul mio tumblr, invece, WrongShipper è sempre a vostra disposizione e potrei iniziare a dare qualche spoiler sulle cose che sto scrivendo anche a voi!
Interagite con me!  Ps Playlist is up next, alle solite 3 recensioni credo! Vorrei chiedervi comunque: per il quinto racconto preferireste qualcosa di "nevoso" o qualcosa sulla famiglia Smoak? Let me know!

Dark/Vevve

 

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Capitolo 4
*** Everyday I'm Shufflin'! ***


Era tutto troppo tranquillo, nella loro base “segretissima”, perché andasse tutto bene.
Questo era il motivo – la scusa – che Tommy avrebbe rifilato ad uno del Team Arrow se mai l’avessero beccato lì sotto. Sicuramente non l’avrebbero beccato, ma che male c’era a prepararsi un piano B? Non stava facendo niente di male.
Se curiosare sulla scrivania di Smoakin’ Smoak si poteva chiamare crimine, allora lo stava commettendo, soprattutto perché gli era “accidentalmente” scivolata la mano sul suo I-pod e questo si era immediatamente illuminato. Aggrottando le sopracciglia, si chiese cosa l’avesse fatta uscire tanto velocemente da non bloccare neanche lo schermo del suo lettore ma, senza pensarci due volte, prese una delle cuffie enormi che sapeva essere nascoste nell’ultimo cassetto della scrivania e se le infilò, girando un paio di volte sulla comodissima sedia/poltrona che Oliver le aveva comprato per lavorare davanti ai suoi 3 schermi piatti, sperando che avesse già inserito la riproduzione casuale.


“Bene, bene, guarda chi ha portato il vento! Miss Smoak coi suoi segretissimi gusti musicali!”
La ragazza aveva trattenuto il respiro, prima per lo spavento di trovare qualcuno al buio ed alla sua consueta postazione – si sentiva violata, sì, che problema c’era? Quel posto era suo! -, successivamente per l’orrore di vedere Tommy Merlyn in persona, che giocherellava col suo I-Pod.
“Tom, che significa? Rimettilo subito a posto!”
“Oh no, Lis. Se vuoi che io tenga la bocca chiusa, dovrai rispondere ad un paio di domande.”
Il sorriso da Stregatto si era aperto sul suo volto, un sorriso che avrebbe ricordato ai suoi amici il vecchio Tommy, quello che non riusciva mai a prendere niente sul serio. Ora c’era quel ragazzo, ma con un cuore più grande, seduto su quella sedia girevole. Sbuffando, Felicity si era seduta sullo sgabello su cui Diggle prendeva posto di solito quando doveva ragguagliarlo su notizie trovate online; guardava attentamente l’uomo di fronte a lei, cercando di capire cosa potesse chiederle di tanto importante. Quando il sorriso di quest’ultimo si aprì di più, neanche aspettasse solo di leccarsi i baffi ed azzannare la preda, lei capì.
“Oh mio dio. Hai trovato le playlist, non è così? Tommy, di’ che non è così, te ne prego. Le hai trovate invece, vero? Certo che le hai trovate. Ma questi cosi non hanno impostazioni per permettermi di bloccarle! E perché mai dovrei bloccarle poi, come se qualcuno si potesse interessare ad i miei gusti musicali. TOMMY!”
Era troppo divertente vederla agitarsi in quel modo per non scoppiare in una risatona, che gli era valsa quell’urlaccio. Ma ne valeva la pena, sì. Soprattutto perché ora era tutta rossa ed alcune ciocche le erano volate via dalla coda, a causa dei movimenti concitati che faceva quando partiva per la tangente in uno dei suoi monologhi imbarazzanti. Scuotendo il capo, aveva alzato entrambe le mani in segno di resa e piano piano aveva aspettato che la bionda si calmasse, così da tornare all’attacco.
“Ho trovato le playlist, sì. Da quando ascolti musica Hard Rock? E perché la playlist di Oliver è la più lunga e…”
Non riuscì a finire la frase perché gli altri due membri del team erano appena tornati ed avevano parlato allo stesso tempo. Oliver con una faccia scioccata, Diggle invece divertita come la maggior parte delle volte, soprattutto quando si parlava di Felicity – o di Oliver e Felicity.
“Perché hai una mia playlist?”
“Hard Rock, Lis?”
Con un’espressione indignata, l’unica ragazza in quel gruppo si era alzata, strappando dalle mani di Merlyn l’oggetto del misfatto e si era messa a fare avanti e indietro, davanti alla sua postazione, piazzando anche uno schiaffo alla base della nuca di Tommy quando aveva ricominciato a ridere di tutta quella situazione.
“Ho una playlist per ognuno di voi, perché mi fate infuriare e dopo ho bisogno di qualcosa che mi ricordi come mai sono ancora qui a combattere con voi tre.”
Abbassando la voce fino ad un sussurro - si vedeva quanto mortificata fosse ad essere stata scoperta - per questo il moro si alzò in piedi e le mise prima una mano sul braccio, per farla fermare, e poi aprì entrambe le sue così da stringerla in un abbraccio di conforto. Sussurrò tra i suoi capelli, sperando che soltanto lei sentisse.
“Mi dispiace, speravo che questa conversazione rimanesse privata. Ma la prossima volta nascondi il lettore, se non vuoi che Oliver trovi “Bad Romance” versione Badass nella tua playlist. Ok?”
Togliendole una ciocca di capelli dalla fronte, le fece un occhiolino e la lasciò scivolare via per darle il suo spazio, per farle smaltire l’imbarazzo.
Sentì qualcuno avvicinarsi – cosa stranissima date le movenze silenziosissime dei due uomini oltre a lui, lì sotto – e si voltò con la curiosità negli occhi. Sapeva che Oliver sarebbe stato l’unico a chiedere spiegazioni, più che altro perché Diggle avrebbe parlato direttamente con Felicity, quando fossero stati da soli.
Alzò un sopracciglio, invitandolo a parlare se aveva il coraggio e, per un attimo, vide il ragazzino sperduto di tanti anni prima, sotto la maschera del Vigilante. Aprì un paio di volte la bocca, prima che ne uscisse qualcosa di sensato.
“Perché l’hai fatta arrabbiare? Sai bene come diventa, soprattutto se dopo deve lavorare con me.”
“Oh, dammi retta, lo so fin troppo bene. E non le farebbe male sfogare un po’ della tensione accumulata in modo diverso dal prendere noi a parole. Tanto per dire. A buon intenditor…”
Si era allontanato con le mani in alto, dando le spalle ad Oliver mentre ancora parlava, ma si era divertito troppo a vedere la faccia inconsapevole del suo miglior amico aprirsi nello sbigottimento più totale quando aveva insinuato che tipo di tensione potesse esserci in quella stanza.
“Aspetta, non puoi dire…non volevi dire…TOMMY!”
Lì sotto tutti urlavano il suo nome come faceva la sua babysitter tanti anni prima quando faceva qualcosa di sbagliato e forse era meglio correre fuori e non giocare più con Smoak e Queen per un po’.
Almeno per mantenere la sua bella faccia intatta ed il suo conto bancario al sicuro.

Ah!! Sono tornata! ISA1983, spero tu sia contenta, al solito non vedevo l'ora di sapere cosa ne pensaste anche di questo racconto, quindi mi raccomando, keep the reviews coming! E grazie mille per la tua terza, graditissima recensione.
Niente, molto leggero anche questo come racconto, vero?
Senza starvi ad annoiare, vi dico subito che interromperò per qualche tempo l'uscita di questi raccontini perché ci sono almeno 3 FF lunghe che voglio finire prima che la mia splendida Ainween debba fare un'operazione per la quale mi toccherà leggerle ogni capitolo a voce. XD
Quindi prima escono queste 3, meglio è!
Al solito, tutta per te, sissola bella!
Ed un enorme bacio alla mia beta di fiducia, GirlOnFire, che - se non avete fatto caso, è entrata nel mondo di Arrow con questa splendida FF su Thea e Roy (Thoy? Rhea? Che ne pensate? Lasciate una recensione qui per farcelo sapere!)!!
Ecco...voglio solo scusarmi già da ora, perché le cose che pubblicherà nei prossimi giorni saranno piuttosto angst, ma giuro che si sistemerà tutto. Promesso!!

Baci
Dark/Vevve
Ps link interattivo per Bad Romance degli Halestorm. Pretty badass, like our Blondicity!

 

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Capitolo 5
*** Ice Skating ***


Perché si era convinto di poter fare quella cosa?
E come si era lasciato tirare in mezzo, soprattutto quando quel ragazzino viziato e con una passione smodata per i guai era con loro?
Forse era questa la migliore domanda che poteva farsi in quel momento. Sapeva bene che tra Thea e Felicity c’era stata un’intesa che lui non poteva capire: sapeva che rimanevano ore al telefono, parlando di chissà che cosa e, persino quando Felicity era immersa nel lavoro, teneva sempre l’auricolare nell’orecchio opposto a quello che serviva per le sue ronde, nel caso sua sorella chiamasse.
Aveva visto questo rapporto svilupparsi e crescere in qualcosa che somigliava tanto a “la sorella/sorellina che non ho mai avuto”.
E questo spesso gli dava ancora i brividi.
Non c’era volta in cui Thea non lo torturasse perché facesse il primo passo con la sua nuova migliore amica, non c’era volta in cui Felicity non lo rimproverasse per come si comportava con il “povero” Roy.
Si erano messe d’accordo per mandarlo ai pazzi, come se non avesse già altri problemi a cui pensare.
Questi ragionamenti però non gli avevano impedito di cedere alla richiesta da parte di due paia di occhi chiari e dolci, di riscuotere qualche favore e far aprire la pista di pattinaggio sul ghiaccio di Starling City solo per loro.
Nulla di strano, completamente innocua come situazione… fin quando Roy Harper non era entrato nel quadretto.
Oh, certo, il sorriso soddisfatto della bionda e lo sguardo speranzoso di sua sorella l’avevano fatto cedere, per questo il ragazzino non era ancora volato da una parte all’altra della pista grazie al suo prezioso aiuto; no, lui stava infilando gli scarponcini dalla lama larga e guardava con disapprovazione la sorella che aiutava l’imbranato ad allacciare gli stivaletti.
Era davvero tanto incapace? O gli piaceva far inginocchiare Thea, tanto per avere una delle ragazze più ricche di Starling City ai suoi piedi?
Sbuffò di nuovo, impaziente, ma la voce della donna al suo fianco lo riportò al presente.

“Avrei dovuto portare qualcosa di più pesante, non so mai come…”

In effetti, il semplice vestitino blu a fiorellini bianchi, con quelle calze che per quanto pesanti non la coprivano abbastanza ed il maglioncino verde smeraldo non sembravano tenerle chissà quanto caldo.
Si sbrigò quindi a scogliere dalle spalle il suo maglione di cashmere arancione, che, per quanto fosse caldo di sicuro non le avrebbe impedito movimenti sulla pista.
Porgendoglielo con un sorriso, contento di aver evitato quel problema che già lo stava preoccupando più del dovuto, tornò ad aggrottare la fronte davanti all’espressione sorpresa di Felicity.

“Che c’è?”

“E’ arancione!”

“E quindi?”

“E quindi sono vestita di blu, e verde Oliver. Guarda il mio rossetto! Non stanno bene insieme, ma grazie.”

Scioccato dalla risposta secca della ragazza, grugnì qualcosa che assomigliava a “donne”, rimettendo il maglione al suo posto, prima di lanciare un’altra occhiataccia alla coppietta felice qualche gradino più in basso, rispetto a loro.
Perché non poteva essere anche lui così felice, rilassato… innamorato?
Perché non si permetteva di esserlo, ecco qual’era il suo vero problema.
Mentre la donna al suo fianco cresceva d’importanza nel suo cuore e nella sua vita – in ogni lato di essa -, lui rimaneva sempre il solito uomo arrabbiato che si impediva di vivere, seppure fossero passati anni da quando le colpe del padre erano ricadute su di lui.
E se Thea avesse avuto ragione? Se avesse semplicemente dovuto prendere coraggio e parlare con lo splendido genio al suo fianco?
La domanda più importante al momento era: ne aveva il coraggio?
Si voltò, osservando i lineamenti delicati della giovane donna che lo affiancava in ogni istante nella sua missione e lo supportava da anni ormai, in ogni evento importante. Lei si voltò con un sorriso quasi riservato, come se credesse di non meritare quell’attenzione particolare e si sentisse a disagio.
Non voleva più che si sentisse a disagio con lui, voleva poterla guardare in ogni istante senza che lei si sentisse in imbarazzo per qualcosa che riteneva inappropriato.

“Anche se questi colori non stanno bene insieme, non significa che non sarebbero perfetti per tenerti caldo, lo sai?”

Aveva iniziato così, stringendo di nuovo il maglione in mano e cercando di rilassare le spalle già tese perché, dopo anni, non aveva ancora capito come si sarebbe comportata Felicity Smoak con lui.

“Oliver, non ce n’è bisogno, davvero! Una volta in pista mi scalderò e poi ho il mio cappotto in…”

L’aveva interrotta scuotendo il capo, passando poi una mano tra i corti capelli biondo cenere e guardandola dal basso, dato che si era piegato in avanti per appoggiare entrambi i gomiti sulle ginocchia.

“Ci sono cose però che a volte… uno non pensa vadano bene, in coppia… Persone, che sono tanto differenti e invece alla fine risultano la perfetta combinazione di cose differenti. Magari… due persone che nessuno avrebbero mai pensato potessero stare insieme.”

Sentì la biondina trattenere il respiro e si girò del tutto, pronto ad ogni risposta. Ma non a quella che gli diede.

“Oh, hai totalmente ragione! Non pensavo che ci saresti arrivato, non così presto! Cioè, non che pensassi che tu non sia in grado di certi ragionamenti o di lasciarti un po’ andare però… ok, smetterò di parlare ora. Comunque hai ragione, sono davvero perfetti insieme.”

E lo sguardo di Felicity vagò sulla coppia più giovane a pochi passi da loro. E poi dicevano a lui che era duro a comprendere quando si trattava di sentimenti? Quasi ruggì di frustrazione e fastidio, perché ancora una volta la sua sfortuna – o mancanza di comunicazione, se ci avesse ragionato – gli aveva tirato un brutto scherzo.

“Oh, sì, loro. Adorabili, certo.”

Rimase a guardare Thea e Roy scendere in pista ed osservò la postura da pallone gonfiato che era quel ragazzino. Poteva andare peggio? Sua sorella aveva quasi gli occhi a cuoricino e come minimo adesso Harper avrebbe dimostrato di essere un perfetto pattinatore.
Si dovette ricredere qualche secondo dopo, guardando il galletto entrare in pista e subito cadere a faccia avanti, braccia spalancate in cerca di equilibrio e gambe che volavano per aria, ancora in cerca di un appiglio.
Gli costò tutto il suo autocontrollo, non ridere di fronte a quella scena, ma almeno si sentiva un po’ rincuorato.
Si voltò quindi per offrire la mano a Felicity e l’aiutò a scendere le scalinate, una mano nella sua e l’altra al gomito per garantirle più equilibrio. Lei lo ringraziò giusto in tempo per sparire e volare nel bel mezzo della pista ghiacciata, dove sembrava completamente a casa sua.
La guardò per un minuto buono, bocca leggermente spalancata, mentre con una leggera rincorsa lasciava che la gamba destra rimanesse indietro rispetto alla sinistra e si alzasse dietro di lei, completando più di una piroetta prima di piegarla all’altezza del ginocchio e farla scivolare giù, braccia unite al petto e capelli biondi mossi dallo spostamento d’aria perfetto che aveva creato.
Imbambolato lì, l’aspettò perché venisse a prenderlo, infilò la mano nella sua e riuscì semplicemente a sussurrare un “non sapevo” mentre lei se lo tirava dietro per la pista, neanche fosse un peso carino da portarsi dietro.

Nella direzione opposta, Thea cercava di insegnare a Roy come stare in piedi senza cadere ogni due secondi, ma senza troppi risultati.
Appoggiandosi alla parete in vetro che circondava la pista, afferrò il polso di Felicity che stava per ripartire e la girò così che gli desse le spalle, poggiandosela contro e stringendola da dietro, felice di sentirne il respiro mozzato quando appoggiò il mento sulla sua spalla.
Uno di quei giorni avrebbe potuto strusciare il naso contro quel collo chiaro, lo sapeva.
Per ora si sarebbe limitato a farle capire a gesti di CHI parlasse, poco prima.

“Sono carini come dicevi tu. Però se vuoi evitare che io rida ogni volta…”

La strinse di più alla vita, sentendo le braccia coperte quasi istintivamente da quelle di Felicity e guardò Roy piegato sulle ginocchia sorridere, convinto di potercela fare quando lasciò le mani della sua ragazza.
Sapeva già che dopo qualche secondo sarebbe caduto e, proprio quando lo vide atterrare in malo modo sul ghiaccio, continuò a parlarle all’orecchio.

“…Ogni volta che quel ragazzino cadrà, sarà meglio che tu mi stia vicina e mi controlli, non credi? Lo dici sempre poi, che sei la parte buona della mia coscienza.”

Sorrise sulla sua spalla, sentendola fremere leggermente e sospirare, voltandosi così che potesse guardarlo negli occhi ed usando il naso di Oliver per tirare su gli occhiali.

“Lo faccio solo per Thea ed il povero Roy, sia chiaro. Quel ragazzo è un santo a sopportare i tuoi modi bru…”

“Ehi, guardate, ci sono riuscito!!”

Le teste dei tre volarono verso Roy, che con un sorriso enorme riuscì a stare in piedi fin quando non andò a sbattere contro il solido muro di vetro naso, petto e tutto il resto, scivolando successivamente a terra con lentezza e spingendo i Queen e Miss Smoak a fare una corsa verso di lui per controllare che fosse tutto a posto.
Mentre osservava Felicity prendersi cura del ragazzino, sentì lo sguardo della sorella su di sé, mettendolo a disagio.

“Beh?”

“Era ora, scemo. Però adesso che hai seguito il mio consiglio, vedi di seguire il suo e lascia stare il mio Roy, ok?”

E con questo, la moretta si era accucciata accanto alla bionda, entrambe prodighe di attenzioni per il ragazzo un po’ intontito, steso a terra, senza più degnarlo di uno sguardo.

Se doveva trattare meglio Roy Harper per far contenta sua sorella e quella che a breve – secondo i suoi piani – sarebbe diventata la sua fidanzata, allora avrebbe stretto i denti e lanciato giusto un paio di minacce, ma sarebbe tornato in grande stile nelle grazie di entrambe.

Ok ok, sono tornata. Tipo che mi mancava aggiornare qui? E poi ve lo dovevo, dopo tutto l’angst che ho portato nel fandom. Mi sentivo davvero tanto cattiva.
Spero però di fare ammenda innanzi tutto con questo capitolo leggero, as usual in questa raccolta, e dicendovi che uno dei prossimi (sempre qui), sarà il seguito dell’Oliver PoV di Let her go.
A proposito, avete guardato la seconda parte, quella con il Roy PoV? No? Andate a farlo!! *_*
GirlOnFire con quella coppia ci si impegna proprio. *_*
Ps. questo racconto è una scopiazzatura di una scena presa dalla seconda stagione di Teen Wolf, ma era troppo bella da reinterpretare con questi quattro! Spero che nessun fan se la prenda. <3
Volevo farvi presente che ho appena aperto la mia pagina FB e che potete trovarmi su DarknessIBecame con le mie pubblicazioni e con domande e magari qualche frase dalle future FF, se potesse interessarvi.

As usual, keep the reviews coming!
Io sono qui che rispondo e mi carico per ogni parola lasciata.

Baci
Dark/Vevve

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Capitolo 6
*** Let me go (WTH??) ***


Let me go (WTH??)

Aveva aspettato pazientemente, quella notte, che Digg ed Oliver rientrassero nel rifugio del Verdant e così potesse assicurarsi che stessero entrambi bene.
Giusto qualche ora e poi sarebbero tornati tutti a casa, per girarsi nei letti e tra i sensi di colpa; pronti a stringere i denti e ricominciare la mattina dopo, loro tre insieme, sacrificando tutto quel che avevano pur di aggiustare il terribile torto compiuto da Merlyn verso la loro città.
Aveva pianto, impaurita, ma anche cercato di farsi forza mentre il terremoto ancora scuoteva quelle fondamenta e la luce veniva a mancare.
Per fortuna c’era un secondo generatore che portava quel poco di elettricità che le serviva per non impazzire al buio; come sempre, i suoi schermi le davano una sicurezza ed un senso di protezione che non aveva paragoni, a meno che non si parlasse di un certo vigilante incappucciato di verde pronto a farle da scudo col suo corpo mentre dondolavano sopra il vuoto di un ascensore.
Alla fine però, come sempre da quando si era unita al Team Arrow –così le piaceva pensare al loro gruppo, uniti dalle frecce di giustizia scoccate da Oliver -, era andato tutto per il verso sbagliato.
Oliver aveva perso ancora un altro pezzo di se stesso in quell’ultima battaglia, innocenti ne stavano patendo le conseguenze e sicuramente lei e Diggle non sarebbero stati capaci di sopravvivere con la colpa di quella notte.
Ma ci avrebbero provato, si sarebbero aiutati ed avrebbero aiutato altri nel tentativo.
Attraverso l’auricolare aveva bisbigliato il più delicatamente possibile quale fosse la zona più colpita dal terremoto, sperando che nessuno dei due sentisse la paura e l’angoscia nascosta nella sua voce.
Digg aveva seguito Oliver verso il CNRI, dove di sicuro era diretto, perché lì sapeva essere la SUA Laurel e tra tutto quel dolore, una semplice ma efficace punta di gelosia aveva fatto strada nella facciata che cercava di mantenere perché sapeva che Laurel sarebbe sempre venuta prima.
Prima di lei, almeno.
E quindi aveva atteso, atteso che la ragazza fosse in salvo – essere contenta per il Detective Lance non rientrava nelle sue mansioni ma…quell’uomo era tanto legato alla sua famiglia e le ricordava così tanto quella che non aveva, che non poteva essere sollevata che gli fosse stata risparmiata un’altra, dolorosissima perdita –; atteso col cuore a pezzi che Oliver piangesse il suo più caro amico, piangendo con lui silenziando il microfono dal suo lato.
Poi la voce calda ed autoritaria di Diggle li aveva entrambi risvegliati dal loro lutto e tutto si era rimesso in moto.
La guardia del corpo era tornata a casa e, quando li aveva salutati, lei si era improvvisamente ricordata di accendere nuovamente il microfono.

-Felicity? Cos’era quel rumore? Il tuo quartiere ha subito danni?-

Per un attimo la voce roca e stanca di Oliver l’aveva sorpresa, ma la mente geniale si era ripresa immediatamente e le aveva permesso di rispondere.

-Cos…oh, non lo so, sono…sono ancora al Verdant, Oliver. Ora vedo di mettere tutto in sicurezza e vado a cercare la mia macchina. Ti richiamo quando sono arri…-

Queen l’aveva interrotta improvvisamente, il sussurro di quell’uomo poteva spaventare qualsiasi essere sulla faccia della Terra, anche senza modulatore da Incappucciato.

-Sei ancora al Verdant? Non muoverti, non fare niente, vengo a prenderti. Nessuna discussione; non ne ho la forza, Felicity.-

E no, la stanchezza nella sua voce non lasciava spazio per fraintendimenti. Si era quindi seduta di nuovo, portando le gambe sotto al sedere in attesa che quell’eroe speciale facesse ritorno per portarla a casa.
Era quasi ironica, la situazione.
Ed era dispiaciuta per lui, sinceramente.
Oliver Queen doveva portare lei a casa e non poteva rimanere accanto all’amore della sua vita, non poteva portare il lutto con chi l’avrebbe capito.
Non poteva neanche considerarsi un peso però, non aveva chiesto di essere salvata e non aveva sicuramente chiesto di essere scortata a casa: era la vita di Oliver, adesso, a non permettergli di avvicinarsi ai suoi cari, all’uomo che era prima di salpare per una destinazione differente da quella pianificata.
Il suo cuore si stringeva per tutto il dolore che doveva provare e, risoluta, decise che se avesse potuto, l’avrebbe aiutato a ricostruire pezzo per pezzo quella vita, a riprendersi i suoi cari così che non dovesse più soffrire nello stargli lontano.
 Nel percorso era sicura, poi, che avrebbe potuto ritagliarsi un pezzettino in quella vita, facendo sì che anche Diggle fosse al loro fianco. Dopotutto considerava gli altri due un surrogato di famiglia e doveva ricordarsi – come doveva ricordare ad Oliver – che il passato ed il presente potevano mischiarsi, se ci si giocava bene le proprie carte.
Evitò di guardare i comunicati stampa e le notizie in diretta che passavano veloci sui suoi schermi miracolosamente indenni e funzionanti, perché altrimenti sarebbe ricaduta nella tormentosa spirale di sensi di colpa e per quella notte doveva smettere di pensarci. Avrebbe avuto tutti i giorni a venire e per il momento doveva solo costruire un percorso fiducioso per non ricadere nella disperazione; né lei, né gli altri due potevano permetterselo e, per quanto Digg fosse un uomo forte, era anche estremamente onesto, quindi loro due avrebbero dovuto appoggiarsi l’uno all’altro per aiutare il terzo e forse più debole membro quando si parlava di speranza.
Il rumore di una porta che si apriva sopra la sua testa la fece scattare improvvisamente in piedi e, dimenticandosi di aver tolto le ballerine prima di sedersi, maledì silenziosamente tutti i programmatori ricchi e conosciuti al mondo, attirando lo sguardo curioso di Oliver.
Sguardo che durò estremamente poco, prima che l’uomo si accorgesse dei frammenti di vetro e cemento conficcati nel suo piede e che lei vedesse il dolore straziante dipinto nei suoi occhi.

-Felicity, non ho tempo per curarti, rimetti le scarpe ed andiamo. La tua macchina è a posto, prendo il cappotto e possiamo andare.-

Quel tono autoritario non le piaceva per niente, quello era il tono che sapeva riconoscere come il “ti sto chiudendo fuori così non dovrò più preoccuparmi per te, tanto ti farò allontanare comunque”.
L’aveva già detto che non le piaceva quel tono?
Affrettandosi a togliere ogni piccolo detrito dalla pianta del piede, infilò frettolosamente le ballerine e lo raggiunse, osservandolo togliersi il trucco verde dalle guance, dov’era colato ed infilare il cappotto lungo così che il suo abbigliamento non si notasse troppo. Avrebbe voluto allungare la mano e cancellare alcune righe dal suo volto, perché le ricordavano troppo le lacrime che entrambi avevano pianto da quando quella lunga notte era iniziata, ma in silenzio avevano risalito la scala del seminterrato e si erano diretti il più velocemente possibile verso l’uscita posteriore, con Oliver che di tanto in tanto si premurava di coglierla all’ultimo secondo quando rischiava di cadere, inciampando nelle grosse impalcature che avevano schiacciato il pavimento del club.
Non si era permessa di gettare un’ultima occhiata a quel posto: se l’avesse fatto, probabilmente avrebbe ricominciato a piangere ed in quel momento doveva essere forte per sopportare il peso della colpa sua e di Oliver.
Sospirò solo una volta al sicuro nella macchina, senza permettergli di guidare perché sapeva, dalla postura rigida e da come aveva infilato il cappotto, che si era ferito nell’ultima battaglia con Malcolm.

-Dovrai farti dare una sistemata, quando arriveremo da me.-

Gettando un occhio verso di lui, per una frazione di secondo solo a causa delle strade bloccate e piene di pericoli dopo il terremoto, l’aveva visto tendersi a quella considerazione e strizzare gli occhi, sicuramente per il dolore che stava provando. Cocciuto.

-No. Non ho tempo. Quando saprò che sei a casa, tornerò là fuori. La città ha ancora bisogno di me, dopo quello che non ho fatto per lei.-

Invece di schiaffeggiarlo, come stava pensando di fare, non esitò neanche un attimo ad allungare la mano e prendere la sua, facendo sì che si spostassero entrambe sul cambio una volta intrecciate le dita. La pelle di Oliver era freddissima e comunque riusciva a mandarle scariche di calore per tutto il braccio, ma forse questo era dovuto più alla sua attrazione per l’uomo, quindi alle sue reazioni chimiche e nient’altro. Sorridendo delicatamente non si era voltata verso di lui, aveva solo cambiato marcia premendo sul dorso di quella mano grande ed aveva svoltato verso il suo quartiere.

-Lo sapevo che avresti fatto così. Non pensi che se io ti dessi un’aggiustata, allora, saresti in grado di svolgere meglio il tuo compito? Non farti carico del peso del mondo, Oliver. Fa’ in modo che qualcuno di noi umani te ne tolgano un po’ dalle spalle, altrimenti non potremmo più considerarci tuoi aiutanti. Rispetto il tuo dolore e capisco cosa stai provando, anche se solo marginalmente…ma fidati se ti dico che nessuno può biasimarti o accusarti di non aver fatto tutto il possibile. Hai sacrificato tutto, questa notte. Non sacrificare anche la tua vita, per favore.-

Era stata brava, si sentiva molto orgogliosa di se stessa. Tutto quel discorsetto era stato ordinatamente e pacatamente pronunciato senza un’incrinatura nella voce, senza neanche un singhiozzo. Ma sentiva le lacrime scendere silenziose lungo le guance e sugli angoli della bocca che ancora si innalzavano fiduciosi per lui.
Oliver era rimasto in silenzio ed aveva fatto scivolare via la mano da sotto la sua, lasciandola fredda e vuota, proprio come il suo palmo. Sospirò, perché sapeva che non sarebbe stato così semplice; ma non si sarebbe fatta allontanare: neanche lei era una persona semplice.
Una volta parcheggiato sotto casa sua, erano scesi entrambi ed in silenzio avevano raggiunto il portone, preso l’ascensore e finalmente erano arrivati di fronte alla sua porta di casa.

-Allora che fai, entri?-

-Felicity, non avvicinarti più al Verdant, ok? Non cercarmi più, dopo stanotte. Sarebbe inutile. Stai lontana da me e da tutti questi criminali, mantieni la tua parola e torna alla vita noiosa e sicura alla QC che ti piaceva tanto. Ormai non ho più nessuno che mi tenga legato a questo posto e dopo stanotte sparirò, quindi non perdere tempo a venirmi dietro. Non serve, non servi più a nessuno scopo, vicino a me.-

Aveva ascoltato l’uomo di fronte a lei pronunciare ogni parola con precisione zelante, acciaio nella voce ed un freddo negli occhi che comunque non riusciva a nascondere qualcosa di più, sotto la forza di volontà che ci stava volendo per cacciarla.
Tenendo a freno le lacrime che rischiavano di rigare ancora le sue guance sporche e graffiate, si fermò a pensare a quanto gli stesse costando dirle quelle cose, a quante verità fossero nascoste sotto le sue parole.
Non era l’unica che stava morendo dalla voglia di poter allacciare le braccia attorno al corpo della persona che le si trovava di fronte: ormai era brava a leggere Oliver in quelle piccole tensioni del corpo che i più ignoravano. Mani strette e braccia immobili accanto ai fianchi, sguardo che cercava ogni altro particolare pur di non focalizzarsi più sul suo volto, bocca tenuta ferma in una linea netta per far sì che gli angoli non si piegassero all’ingiù. Si stava trattenendo dal muoversi.
Soffriva per lui, che stava soffrendo per allontanarla. Ma non avrebbe permesso a quello stolto di passarla liscia ed andarsene prima di aver chiarito un paio di cosette con lui.
Con un unico cenno del capo l’aveva salutato e si era chiusa la porta alle spalle, lasciando cadere libere le lacrime e programmando la sua prossima mossa. Così avrebbe cancellato il peso di quel momento dalle spalle di entrambi.

Qualche ora dopo aveva inviato un messaggio ad Oliver, chiedendogli di tornare al suo appartamento e pressandolo con un “è di vitale importanza”.
Non si sentiva neanche in colpa per averlo ingannato.
Beh, forse solo un pochino, ma una ragazza deve pure tutelarsi.
Quando l’uomo era arrivato ed aveva bussato alla sua finestra, invece che alla porta come tutte le persone normali, l’alba sorgeva fuori da quelle quattro mura e lei era avvolta in una coperta, intenta a concentrarsi sulla stessa pagina di un libro che non avrebbe mai capito.
Balzò giù dal letto con tutta la coperta addosso e si affrettò ad aprire la finestra, tutta l’aria che aveva nei polmoni buttata fuori quando il corpo pesante del suo Vigilante le era caduto addosso, troppo stanco anche solo per preoccuparsi di rimanere in piedi.
Senza un’altra parola l’aveva aiutato a sedersi sul letto e dopo un paio di spintoni ben piazzati l’aveva convinto a stendersi di traverso, così che lei potesse tornare a sedersi al centro del letto, vicino alla sua testa. Con cura gli aveva tolto il cappuccio ed aveva passato le dita tra quei capelli corti, di un biondo sporco che adorava. Sorrise internamente perché un Oliver vigile ae attento non avrebbe mai permesso a lei quel gesto intimo; ma questo, distrutto e steso sul suo letto, non si interessava più di niente.

-Bene, ora che sei abbastanza stanco da non poterti arrabbiare o dirmi altre bugie, ti dirò cosa succederà, da oggi in poi. Faremo finta che ogni cavolata uscita sulla mia porta stasera e ricominceremo…-

-Se non sei in pericolo allora…-

-No, sta giù, chiudi gli occhi ed ascolta, per una volta!-

Sbuffando al tentativo di protesta dell’altro, si era leggermente piegata in avanti e gli aveva slacciato la felpa di pelle verde, così da potergliela sfilare con un po’ di sforzo. In qualche modo si era medicato la ferita sulla spalla, anche se la maglia grigia che portava sotto era ancora macchiata di sangue secco. Rabbrividendo al pensiero di quanto dolore stesse provando, si tolse la coperta dalle spalle e gliela sistemò addosso, sbrigandosi a tornare sotto il piumone ed avvicinarsi di nuovo a lui da sotto le coperte, alzandogli la testa per poggiarla sulle sue cosce. Lo sentì sospirare e capì che il sonno stava per prendere il sopravvento. Doveva sbrigarsi, se voleva che capisse tutto quello che gli stava per dire.

-Ti lasceremo il tuo tempo. Onora i defunti, risolvi i tuoi problemi personali e poi scappa. Scappa da questa città ma non da me e Digg, ok? Ti lasceremo il tempo che penseremo sia adatto e poi ti verremo a prendere. Non tentare di nasconderti da me, sarebbe impossibile. Non mi hai cercata tante volte solo perché sono una bionda con la bocca troppo larga. Comunque, tornando al discorso principale, ti verremo a prendere, sappilo. Se i tuoi giorni da eremita ti faranno venire strane idee in testa…ricordati che siamo testardi quanto te, ma siamo in due e siamo un team fantastico. Quindi non sarai solo, non dovrai più essere solo, ok? Ricordatelo, ovunque tu sparisca. Ora dormi e se sparisci domani mattina, fammi almeno un caffè, Queen.-

Si sdraiò di nuovo, il cuore che batteva fin troppo forte contro la cassa toracica per tutto quel discorso in cui si era lasciata sfuggire un po’ troppo quanto tenesse alla persona che ora cominciava a rilassarsi sul suo letto e si stava girando di fianco per strusciare la guancia sulla sua coscia ed appoggiarci una mano, come se dovesse toccarla per essere sicuro che fosse ancora lì. Riuscì a calmarsi solo dopo vari minuti, quando il respiro di Oliver si fece regolare e lieve pensando che sì, forse potevano sistemare le cose, cambiare e migliorare insieme. Magari ci sarebbe voluto tanto, ma fin quando lui fosse tornato da lei, ad ascoltarla, tutto sarebbe andato per il meglio.
Si addormentò quella notte con una mano tra i suoi capelli, a sfiorargli le tempie ed a sognare di un giorno in cui sarebbero stati liberi da ogni peso e forse, solo forse…

 

Ecco, ecco, ce l’ho fatta!
Siete contenti? Ho sistemato tutto???? *_*
Certo, non è l’happy ending che forse stavate aspettando, ma insomma…ho pensato che così potesse essere vagamente più credibile.
Alla fine avrete tempo, con me e se sarete pazienti, di avere Olicity fluff e come coppia; per ora però mi sembrava giusto che finisse così.
*gironzola per casa tutta contenta*
Coooomunque, cosa ne pensate della prima puntata di questa seconda stagione? A me è piaciuta un sacco e mi sta dando un sacco di idee, tanto che forse creerò una seconda raccolta che comprenda i racconti che mi verranno man mano sui missing moments della nuova stagione. Così magari avverto chi non la sta vedendo che ci saranno spoilers, mentre qui continuerò a mettere tutto ciò che c’è di AU o che mi viene in mente.
Fatemi sapere e se vi andasse di lasciarmi qualche ideuzza sulla quale scrivere, dite pure!
Come sempre, potete trovarmi qui, mi piacerebbe interagire di più con voi.
So che ci siete e leggete, ma fatemi sentire che siete vivi!!
Bene, dopo lo sclero post FF, posso lasciarvi andare e che le Frecce siano con voi. ù.ù

Dark/Vevve

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Capitolo 7
*** Because of you. ***


Because of you. (spoiler 2x13)

Famiglia.
Davvero, non aveva senso, sulla sua lingua.

Però nell’ultimo anno e mezzo si era formata questa folle, folle idea che sotto al Verdant ci fosse la sua seconda casa e – attenzione Felicity, non ci pensare neanche! – un piccolo surrogato di famiglia.
Quanto ci era voluto perché accettasse questa verità? Ci erano voluti i mesi in cui Oliver era andato a nascondersi nuovamente sulla sua Isola maledetta per capirlo. Lei e Digg avevano ricostruito “casa” dalle fondamenta, come farebbero due bravi fratelli che si appoggiano l’uno sull’altro e poi…poi erano andati a riprenderlo. Era stato un accordo comune e silenzioso: lei lo avrebbe cercato e lui l’avrebbe aiutata ad organizzare l’operazione di “salvataggio”.

Quell’opprimente senso di solitudine, di mancanza durante l’assenza di Oliver le aveva fatto capire che si era lasciata andare, troppo. Forse anche per questo al suo ritorno aveva reagito come una pazza ai cambiamenti.
Ma no…aveva ragione infondo. Oliver stava chiedendo tantissimo da lei e Digg, ma il problema era non averlo chiesto alla diretta interessata, prima di darle un posto che le avrebbe creato più problemi che guadagno. Solo che non poteva sapere tutte le problematiche che quel cambio di lavoro presentava.
Come poteva? Non gliene aveva dato mai l’opportunità.

Il bello di rimanere al piano degli Informatici era uno: nessuno ti notava, quando eri lì sotto. Neanche una mente brillante come quella di Felicity era messa in luce se non nei momenti in cui il lavoro lo richiedeva. Nessuno scavava mai fino in fondo per sapere come fosse arrivata lì, cosa facesse durante le sue giornate o se le andasse qualcosa da bere. A lei stava bene così: certo, non aveva scelto la strada della tecnica informatica per quello ma di sicuro aveva aiutato molto la sua decisione.
Meno domande, meno problemi. Meno pensieri.
Però ora, da Assistente personale di Mr Queen, era in vista. Esposta al pubblico ludibrio. Al diavolo quello…esposta al giudizio della madre.
Quello che era successo? Una disgustosa telefonata piena di falsi complimenti e di “te l’avevo detto”,  di gioia mal riposta ed egocentrismo. Pensare che le scorresse quel sangue nelle vene a volte la faceva rabbrividire, ma alla fine era pur sempre sua madre, no? L’unica che le fosse rimasta. L’unica che sarebbe sempre rimasta, nonostante tutto.

-

Durante gli anni aveva imparato a sopravvivere. Non tanto alle domande degli altri ragazzi della sua età che con quella tipica curiosità maligna le chiedevano come mai non avesse un padre: sopravviveva alla sua assenza come meglio poteva, sopravviveva ad un genitore solo e sempre alla ricerca di modi per migliorare lei e la figlia. Sopravviveva alle notti in cui non riusciva più ad evitarli: il pianto, i ricordi, la paura di aver sbagliato qualcosa quando era ancora tanto piccola da non poter neanche sapere cosa significasse sbagliare.
Sopravviveva e tirava avanti ancora un giorno, tirando fuori il coraggio di non lasciare mai nessuno indietro, di non aver paura di vivere. Invece quella paura c’era e non poteva contenerla. Di tanto in tanto le sue piccole manie, le ossessioni tornavano a bussare alla sua porta, rendendola schiava della fobia di essere perfetta; nessuno poteva lasciar andare la perfezione, no?

Crescendo, si era allontanata dalla piccola cittadina che l’aveva cullata e protetta per tutta una vita e si era trasferita all’MIT sperando di lasciarsi indietro quella parte del passato che ancora le faceva tremare le gambe: non era in grado di fidarsi, non del tutto. Non riusciva a fare amicizie, non come avrebbe voluto. Si tirava indietro di fronte alla possibilità di un legame, perché cosa ci guadagnava a farsi spezzare un cuore che non era intero da neanche lei ricordava quanto tempo? Cercava di dimenticare, ma più provava e meno sapeva come evitare il vuoto che la circondava.

E poi si era lasciata andare. Cadere nel vuoto.
Un giorno, durante un esame particolarmente difficile, era scoppiata a piangere davanti all’aula gremita senza accorgersi che al posto delle risposte aveva scarabocchiato il testo di una canzone che le girava nella testa da giorni, impedendole di dormire, di pensare, di comportarsi con coerenza. Non riusciva più a nascondere la dualità dei suoi pensieri. Non riusciva più a comportarsi da perfetta studentessa, figlia, amica se era fortunata. Avevano chiamato la madre, come fosse pronta ad un crollo psicologico e le avevano consigliato di prendere qualche giorno di riposo, riconsiderare la sua posizione nella classe di laureandi del 2007. Era presto, era giovane, era tutto troppo perfetto perché potesse durare per loro.
Aveva stretto i denti e fatto buon viso a cattivo gioco. Aveva ascoltato pazientemente i rimproveri della madre, che le diceva di comportarsi più da ragazza normale e di smettere di giocare al genio, perché “non credere di essere tanto più intelligente di me, Fel.”

-

Odiava la sua intelligenza. Avesse potuto davvero passarla tutta alla madre e fingersi un’oca bionda solo per una sera, l’avrebbe fatto.
Invece no.
Lei sapeva cose.
Sapeva entrare in un conto bancario e seguire le tracce di alcuni spostamenti fino ad arrivare al nome del ricevente. Sapeva fare due più due, dedurre soltanto collegando piccoli pezzi di informazione.
Odiava la sua intelligenza perché: come poteva un’arma tanto lodata fare tanto male ad una delle persone che aveva di più care sulla faccia della terra?
“Vai a parlarle, Lis. Dalle la possibilità di spiegare. Di spiegare a lui le sue motivazioni. Non è cattiva, è solo impaurita. Sai cosa fa la paura alle persone.”
La paura, aveva imparato, a certe persone faceva tirar fuori gli artigli. Non avrebbe mai voluto spaventare tanto Moira Queen, ma le sue parole, seppure tendessero un ramoscello d’ulivo verso la donna, erano risultate a doppio taglio, proprio come la sua intelligenza.
Aveva rigirato quella paura in lei e colpito, proprio dove faceva più male. Felicity non era mai stata brava ad usare i punti deboli degli esseri sensienti per forzare una via al loro interno e farli crollare. Ma quella donna c’era quasi riuscita.
Glielo vedeva negli occhi, Moira, che aveva tanta paura quanto lei, ma non aveva capito quanta realmente fosse fin quando non l’aveva vista sbiancare a quel “vedo come lo guardi”. Era sembrata compassione la sua, ma si era trasformata in veleno solo pochi secondi dopo.

-Se glielo dici, distruggerai il suo mondo. Ed una parte di lui ti incolperà sempre per questo.-

Trafitta, senza aver neanche versato una goccia di sangue sul preziosissimo tappeto che permetteva alla donna di camminare scalza intorno a lei.
Più tardi, nella sicurezza del suo appartamento, aveva riso amaramente nel congratularsi con se stessa.
Non aveva pianto.
Gli occhi le si erano riempiti di lacrime ma non le aveva lasciate cadere. Aveva persino trattenuto il respiro così che le ciglia non si chiudessero.
Moira Queen non l’aveva comunque vista completamente distrutta.
-

-Ricordo quanto ha fatto male, quando se n’è andato.-

Oh, la pena in quegli occhi azzurri. Probabilmente era stata più quella a farla scattare, a far tremare la sua voce tanto da dover mordere l’interno della guancia come d’abitudine per continuare a parlare. Doveva portare avanti quel discorso perché non era più capace di raccontargli menzogne. Intorno a Digg ed Oliver, il surrogato di famiglia che prima o poi avrebbe ammesso fosse parte importantissima della sua vita, non era poi così capace di mentire.
Ometteva, sì.
Non si confidava.
Ma quando si parlava di lei andava bene. Non importava la sua storia, non importavano le sue motivazioni, le sue emozioni personali.
Lei era lì a supporto degli altri due e questo era il momento di mostrarsi forte. Di superare l’incredibile paura di vedere gli occhi di Oliver tramutarsi negli occhi di Mr Queen. Uno sconosciuto con quel tocco d’odio per tutto ciò che erano gli affari e che non avrebbe mai voluto avere vicino.
Che stesse per fare l’errore più grande della sua vita e stesse per allontanarlo, non era più importante. Se ad Oliver doveva crollare il mondo addosso, che allora crollasse anche intorno a lei.
Senza la presenza di quel duo al suo fianco, tanto, sarebbe crollata lo stesso, adesso che aveva avuto un assaggio di cosa significasse avere qualcuno accanto.
Alla fine era sempre lei la scema, non avrebbe mai dovuto legarsi tanto.
Ed ora era di nuovo il momento di saltare nel vuoto.


Ok. Questa è venuta fuori di notte e non so neanche come sia finita. So solo che se cliccate sul titolo uscirà un video. E' stato scelto apposta per questo testo. Le motivazioni sono mille, ma comunque, vi consiglio di sceglierlo come colonna sonora nella lettura. Mi ha distrutta scrivere questa cosa e seppure non sia affatto allegra, ve la lascio comunque qui, perché è un piccolo momento che parla soprattutto di Felicity, ma il Team Arrow è presente. Spero di non aver travisato l'idea di Miss Smoak che vi siete fatti e spero anche che gradirete questo scorcio nei suoi pensieri.
Besitos

Vevve

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