Niente più nascondigli, la dentro.

di Myfatherwillearaboutthis
(/viewuser.php?uid=500202)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primule candide e innocenti. ***
Capitolo 2: *** Me, povero illuso. ***
Capitolo 3: *** Accesso alla salvezza. ***



Capitolo 1
*** Primule candide e innocenti. ***


"In fondo all'anima, disteso sul prato,
giace
sotto una coperta di lacrime
ricamate.
Piange, e si dispera, e piange;
pensa
alla sua poco nobil dama,
pensa.
Giù in fondo al cuore
un pozzo nero,
una via di fuga, un fiore forse, una primula
in quest'abisso trafitto
da spine e, circondato
da rose".
 
 
 
‹‹Crucio!››.
La mia voce sembra quasi un fruscio, un debole alito di vento nei frammenti di guerra che si stanno svolgendo in questo momento nell’Ala Est del castello.
‹‹Crucio!›› ripeto ancora con noncuranza, mentre quello svampito di Ernie Macmillan si accascia sul pavimento ghiacciato e traballante difronte a me, contorcendo i pochi arti integri che gli restano.
‹‹Non mi sono mai piaciuti i Tassorosso›› ghigno, ‹‹Ma dato che oggi mi sento particolarmente generoso, voglio darti la possibilità di difenderti›› gli dico, e con uno scatto dei polpastrelli gli lancio la bacchetta di cui dieci minuti fa mi ero impossessato. Gli concedo circa una decina di secondi per riprendere fiato prima di gridare ‹‹Avada Kedavra››, ponendo fine ciò che era la sua miserabile vita.
Ora,  non ditemi che sono un bastardo, né tanto meno una persona caritatevole: gli ho dato modo di tenere la bacchetta poiché non sono un vile come tutti credono, e non mi sarei mai permesso di assassinare un uomo – pur quanto stupido, imbranato e Sanguesporco possa essere – Disarmato.
Nonostante questa sia una vera e propria battaglia, trovo il tempo di girovagare per le classi, i saloni, e persino per i Dormitori, contemplando le “opere” dei Mangiamorte: corpi seminudi dappertutto, quadri svuotati delle loro storie e dei loro padroni, arazzi bruciati; con aria assente mi passo una mano tra i capelli platino, prestando comunque attenzione a non cadere in uno dei buchi tra le piastrelle, per terra. L’odore nauseante del sangue misto a quello dell’umidità trasudato dalle pareti di pietra mi opprime le narici, annebbiando man mano anche la vista; tuttavia, quest’effetto logorante svanisce non appena metto piede nel Covo delle Serpi. Tra qualche novellino del secondo intento a raccattare le ultime cose prima di lasciare Hogwarts scorgo Pansy, in lacrime, tremante, i capelli sciolti che le ricadono sbadatamente sulle spalle, incorniciandole il viso. Non so bene cosa mi spinge a farlo, dato che io, Draco Malfoy, sono l’ultima persona in grado di confortare o aiutare qualcuno, ma con una scossa emotiva che parte fin da giù, fin dalle viscere, mi costringo ad avvicinarmi, anche solo per un istante.
Probabilmente, penso, è dovuto al fatto che lei c’è stata sempre per me, sempre.
Da perfido ingrato quale sono, , perché alla fine ecco cosa sono veramente, le rivolgo un rapido ‹‹Ehi››, mantenendo tuttavia il mio solito tono mellifluo (sexy, a suo parere).
‹‹Vattene, Draco›› mi dice, con aria sommessa, l’orgoglio inevitabilmente in primo piano.
‹‹Come vuoi, Parkinson›› rispondo, avanzando e appoggiandomi alla parete spoglia, accanto al camino le cui ceneri brillano ancora del rosso fiammante di una, o due sere fa’.
‹‹Sei ancora qua, costringerai me, ad andar via››.
E’ imbarazzata, e da brava Serpeverde tenta di nascondere le tracce. Invano, naturalmente, la conosco ormai.
Decido di stuzzicarla, ma senza iniettare troppo veleno: ‹‹Nel caso tu non te ne sia accorta, me ne sono andato da lì››
‹‹Senti, perché non vai a sbatterti un altro po’ la Weasley? Ti ho visto, sai››
‹‹Be’, almeno adesso sono a conoscenza del motivo di tutto questo sfogo›› ribatto, strappandole una lacrima dal viso incendiato dalla vergogna.
‹‹Sai›› continuo, facendo bruscamente irruzione nel silenzio tuonante della Sala Comune, in perfetto ordine nonostante lo scompiglio esterno, ‹‹c’è un’altra persona che vorrei scoparmi prima di lasciare questo posto››; un bagliore fulmineo si incespica negli occhi di Pansy.
‹‹E chi è? La Granger?››.
A sentir pronunciare quel nome ripenso al fisico perfetto e alla bellezza naturale che ha sviluppato quella ragazza nel corso degli ultimi due anni: d’un tratto la vedo. Vedo quell’impertinente di una Mezzosangue nuda, nelle mie mani, Cruciata e violentata dal suo unico possessore. La vedo fatta a pezzi da un amore mai esistito e dall’intersecarsi dei miei pensieri perversi, avvolta dal torpore della sua pelle color neve; un rivolo di sangue che le cola sinuoso dall’occhio destro per poi… No, non sarò io ad averla, non sarò io a ucciderla. Non mi sporcherò le mani di lei, prefissandole a crudo anima ed essenza.
La Parkinson mi riporta alla realtà con prepotenza, le guance rosse poiché è con la sua ancora che sta parlando, il suo giubbotto di salvataggio.
‹‹Vieni›› sbotto, incamminandomi verso il Dormitorio maschile, con la ragazza che mi segue senza batter ciglio. A questo punto, due sono le opzioni: o non ha capito le mie intenzioni – e ciò risulterebbe auspicabile, considerato che la lampadina mi si è accesa di colpo, costringendo anche me ad esitare –, o è così spregiudicatamente innamorata – cosa che io ho bellicosamente ignorato per sei anni – da non riuscire a rifiutare l’allettante proposta di finire a letto col sottoscritto. Ah, ve n’è anche una terza: è la solita puttana che non vede l’ora di far apparire il suo nome sulla lista delle conquiste di Draco Malfoy. Tuttavia, preferirei non cedere a quest’ultima.
Raggiunta la mia stanza da ex Caposcuola (è un fascio di color argento e verde muffa) chiudo la porta e mi lascio cadere sul letto a baldacchino invaso da grossi cuscini setosi; le mani serrate dietro la nuca, le iridi trasparenti fissi sulla mia compagna.
‹‹Siediti›› le dico e, nonostante l’abbia fatto il più calorosamente possibile, rifiuta. Caccio la mano nella tasca della giacca e ne tiro fuori un pacchetto di sigarette ‘S.W.’. Ne prendo due, porgendole la prima, e accendo le punte con un colpo leggero di bacchetta. Dopo qualche tiro mi chiede: ‹‹Allora?››, si acciglia per qualche secondo e un fascio di luce bluastra le avvolge delicatamente il viso. E’ bella, sì, è proprio bella: ha gli occhi scuri, a mandorla, gli zigomi appariscenti e le curve ben in evidenza.
‹‹Allora ti voglio›› boccheggio, indifferente alla smorfia di ostentazione che assume la ragazza.
‹‹Scordatelo. Dopo quello che ho visto non ho intenzione di essere una delle tante pedine nei tuoi giochi subdoli, a scopo unicamente erotico›› sibila.
Mi ama. Mi ama come non è mai stata in grado di amare nessun altro. Nemmeno io ho veramente voluto bene a una persona, in vita mia. Forse, è proprio ciò che ci accumuna a legarci l’un l’altra; e non si tratta di un elemento fisico, bensì di un assaggio di esistenza che ci collega, ci sfiora… Ma non riuscirà mai a toccarci davvero.
Nonostante non sia la verità – sì, ancora una volta sono costretto ad ammettere la mia destrezza nel manovrare i sentimenti altrui – la accosto a me tirandola per un polso e in un orecchio le sussurro: ‹‹E se tu fossi LA pedina? Se tu fossi il pezzo mancante del mio puzzle a cui io stesso aspiro? Non permetterei mai che diventassi una delle mie marionette acquisite, sciocca››. Se prima pendeva dalle mie labbra, adesso mi pulirebbe il culo con la lingua, pur di accontentarmi, pur di andare avanti trascinandosi quest’ultima consapevolezza che le ho offerto, quest’ultimissima, falsa e deplorevole chance di essere corrisposta e accolta in un oceano benevolo, mare di primule candide e innocenti. Ma, a rigor di logica, tutto ciò è solo una pozzo di finzioni, nel quale le uniche certezze che riuscirà a scovare sono il sesso e un cuore ricoperto di marmo freddo. Ma, se a lei sta bene così, io non ho problemi a privarmi dell’ultima briciola di pudore umano che mi rimane.
Senza dir niente si è già sbottonata la camicia, lo sguardo che mi implora di stare attento, come se fosse la sua prima volta (le voci suppongono che abbia perso la verginità durante il quinto anno, per atto di Nott). Mi si getta sopra impulsiva commettendo un grave errore, la ragazza, sa che non mi piace esser lo schiavo, la vittima, quindi ribalto la situazione: il tramonto cala sovrano perforando le finestre, le urla e le grida di dolore causati dalla guerra viva si acuiscono rimbombando attraverso i muri sotterranei… E io sono qui, a cavalcioni sopra le anche di Pansy Parkinson, intento a slacciarle il reggiseno con mani abili, professioniste. Riuscito a pieno nell’impresa comincio a torturarle i seni, e i capezzoli turgidi, mentre lei si tiene occupata con la cinghia dei miei pantaloni.
‹‹Draco…›› prima che possa aggiungere altro le tappo la bocca con un bacio duro, secco. Non voglio che rovini questo momento con qualche assurdità da ragazzina come ‘i sensi di colpa’, o ‘la paura’, voglio solo che si sfoghi e che dia modo di far sfogare me; voglio solo possederla, come tutte le ragazze venute prima di lei, ma con un minimo di passato a cui rendere memoria. Continuo il mio giochetto vizioso accarezzandole il bacino, mordicchiandole l’orecchio e denudandola per bene: dopo circa una quindicina di minuti che siamo entrambi spogli di qualsiasi indumento la provoco penetrando in lei con le dita. Sono quasi sicuro che non ce la faccia più a resistere, così, senza troppe cerimonie, entro in lei spingendo con voga. Ed ecco che viene l’orgasmo. I nostri sessi si incontrano ripetutamente, le unghie delle mani di lei mi si infliggono veementi su per la schiena, lasciando graffi e tracce di sangue caldo. Le sta piacendo. La bacio ancora una volta e le sussurro chiaramente: ‹‹Adesso tocca a me godere, dolcezza››. Fa cenno di sì col capo e si slega dal mio corpo bollente: due secondi dopo è in ginocchio, la pelle chiara dei seni non abbronzati che risalta in perfetto contrasto con il resto, china sul mio cazzo mentre…
Con un frastuono assordante la porta della camera si spalanca, rivelando subito dopo Dafhne Greengrass, in preda a quello che credo possa essere definito ‘panico’.
‹‹Finalmente vi ho trovati… Oh›› per un attimo pare che non abbia mai sentito parlare di due persone che scopano, poi si riprende: ‹‹Nel caso non ve ne foste accorti là fuori c’è una guerra! Hanno appena catturato Hermione Granger!››.
Ancora una volta, sentendo pronunciare quel nome, il rimasuglio di pietra del mio ‘muscolo vitale’ sussulta eccitato, si consuma dalla rabbia e si contorce, attaccato dai soliti pensieri perversi che si infiammano in esso.
La domanda che ora sorge spontanea è: perché?
Senza essermene accorto sono già in piedi, completamente rivestito, pronto ad osservare – senza un motivo valido  – quello spettacolo osceno che sarà la tortura della Sanguesporco… Poiché non canterà, è ovvio che non canterà. Quella stupida ragazzina perderà persino sé stessa, pur di non tradire la fiducia dei suoi cari rivelando i segreti e le intenzioni di Potter.
Mio Dio, ma è davvero peggio del mio, di destino? E’ realmente peggio che ritrovarsi nudo, a letto con una ragazza che non si è disposti ad amare? Forse no. Forse anch’io avrei bisogno d’affetto, forse anch’io necessiterei di un mare di primule candide e innocenti.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Me, povero illuso. ***


“Oceano,
spegnere,
primula candida,
innocuo,
fiore,
primula candida”.
 
 
Una volta giunto in cortile mi precipito tra le prime file di studenti che accerchiano tale scempio, attenti a scorgere ogni minimo dettaglio della tortura come insulsi ragazzini che si eccitano per un porno, come se fossero gli spettatori di una tragedia incestuosa, al teatro babbano. Peccato che questa sia la realtà, che non vi siano tracce di bugie nelle parole della Greengrass; peccato che la figura distesa a terra, i polsi e le caviglie legati a due a due, sia proprio Hermione Granger. Non credevo che avrei mai potuto percepire in maniera tanto cruda la distruzione del suo orgoglio, del suo essere donna: nuda, straziata, avvolta dallo sporco in una pozza di sangue; ricoperta da lividi violacei e scaglie di detriti, il simbolo della sua razza calpestato.  
Quante volte ho rischiato di perdere me stesso nel tentativo di diseredare dalla mia coscienza quei pensieri perversi che tutt’ora si insidiano dando fuoco agli ormoni, stimolando piacere per atti di possessività nei confronti della Granger?
E adesso è lì, morente, attorniata e violentata da quattro Mangiamorte e un Lupo Mannaro che la istigano alla verità, più per divertimento che per altro. Scommetto una nottata con la Delacour che vorrebbe urlare, vorrebbe chiedere pietà. Ma non può. Non ci riesce.
E’ fatta, penso, che canti o meno è… E lo Sfregiato? E Lenticchia? Ovviamente saranno impegnati in questioni di prim’ordine.
‹‹Morta›› sussurro, piano.
Per circa una decina di secondi trapelo in una specie di coma fisico. Incapace di muovermi, incapace di batter ciglio.
Morta… No.
Senza saper io stesso il motivo mi sblocco di botto e prendo a correre verso la Foresta Proibita. Durante il tragitto sono fortunato: neppure un’anima, vegeta o meno che sia, si accorge di me.
Una volta addentrato nella boscaglia fangosa e realizzato a scorze il “piano” inizio con la manovra di base, posizionandomi dietro ad uno degli alberi più vicini (abbastanza largo da potermi coprire interamente) e scagliando l’Anatema che Uccide contro il primo Mangiamorte che mi capita a tiro (devo ammettere che non è affatto un’impresa ardua, consideratone il numero presente). Osservo “l’uomo” che crolla a terra e sto ben’attento alle reazioni dei suoi compagni.
Nulla. Assolutamente nulla. Provo ancora: questa volta miro ad Avery, figura di rilievo la cui morte susciterebbe un bel po’ di scalpore. Mano a mano, notando come la folla scaraventa la propria attenzione da un cadavere all’altro, continuo a sparare colpi funesti, di cui nessuno pare averne concretizzata la provenienza. Tutt’a un tratto mi accorgo che la Granger è rimasta in balia di un unico Mangiamorte, mentre il resto ha cominciato a combattersi tra sé; vedo servitori del medesimo Padrone sottoporsi a vicenda alla Maledizione Cruciatus fino allo stordimento, studenti che si accalcano per evitare uno sgozzamento precoce… ‹‹Avada Kedavra›› sibilo ancora, incerto sul come e il perché io stia dimostrando tutto questo coraggio, tutta questa prontezza nell’essere lapidato nel nobile tentativo di salvare una sporca Mezzosangue di cui non mi è mai importato niente… o sì? Ma non è il momento di pensare, questo, nel mezzo di un’eclatante battaglia dalla quale in pochi riusciranno ad uscire sani e salvi; non adesso che l’ultima bestia è crollata, accanto alla corporatura fragile e immobile della ragazza.
Stupida ragazzina.
Intorno a me, silenzio, il minimo rumore trangugiato dal torpore della Foresta.
A pochi passi una nube di fulmini aggrovigliati scandisce il ritmo della situazione. Sento prudermi la gola, il busto, le gambe.
Stupida ragazzina, guarda cosa mi costringi a fare.
Con uno scatto improvviso prendo a correre, spianando qualsiasi creatura mi si pari davanti: uscito allo scoperto Schianto un paio di studenti ricevendo in cambio una Fattura Ustionante, ma non importa, l’essenziale è trascinare la Granger – il perché mi è ancora ignoto − in quel che è rimasto dell’infermeria. Finalmente, il completo nero a metà tra l’incenerito e l’impolverato, mi avvicino alla massa sanguinolenta e, cauto, la sollevo da sotto le gambe e la prendo in braccio; indietreggio di qualche passo e sotto gli occhi del cielo ormai notturno eseguo una *Smaterializzazione Congiunta.
Fortunatamente il locale è ancora accessibile e il suo cuore, benché svenuta, continua a battere, non si arrende. Certo, la stanza è quel che è: pervasa da uno strano odore, colma di feriti in cerca di aiuto, e alcune delle risorse farmaceutiche sono andate perdute. Ma ciò che conta, per ora, è trovare un letto dove la possa sistemare.
Scruto l’ampia sala affollata e mi accorgo che a circa una decina di passi, sotto una finestra ancora intatta e affiancato da un mobiletto scuro con sovrascritto “O. San Mungo – Kit per principianti”, c’è un materasso da una piazza (lenzuolo incorporato) ancora vuoto. Spaziando tra i vari moribondi lo raggiungo, il *nocciolo che palpita veloce per la gravità della situazione: mi inginocchio e la depongo sul piccolo giaciglio, dove la luce filtra appena per veder sgorgare il sangue e distinguerle i lividi; tutto ciò mi provoca orrore, disgusto, e allo stesso tempo dolore. Ma non il solito senso di vuoto seguito dalle messinscene perverse che elabora la mia mente, una vera fitta al… Una fitta che mi brucia agli occhi, ecco. Mi affretto ad applicarle un laccio emostatico all’altezza dello stomaco e una spessa garza immersa in un liquido bluastro attorno alla fronte (non sono un Guaritore né tengo a diventarlo, ma è certo che non può essere peggio dello stato in cui si trovava poco fa’). Essendo rimasta svestita la avvolgo nella mia camicia (fantastico, rifletto, l’unico indumento che ero riuscito a salvare dagli scontri contagiato dal tocco di una Sanguesporco) e infine nelle lenzuola color corallo; dovrebbero aiutarla a mantenere una temperatura media di trentasette gradi. Per sicurezza eseguo degli Incantesimi di Protezione, poi continuo a medicarle le ferite: la cospargo interamente di un unguento consigliato dal manuale “Come Curare i Malanni Magici”, trovato sul fondo del mobiletto; di tanto in tanto cambio le fasciature controllando i gonfiori e la profondità dei segni; provo anti-fatture contro il dolore alle ossa, dato che non la smette di gemere frivolamente quando cerca di muoversi (nel sonno, ovviamente, non si è ancora ripresa dal coma fisico). Deve avere almeno quattro fratture alle costole e qualche grave problema al femore.
Intanto le ore passano e con esse anche l’alba. Verso le sei di mattina (credo) crollo sul pavimento ghiacciato. Sono stanco, tremante e furibondo con me stesso: perché non l’ho lasciata lì, sul suolo polveroso? Quali erano le mie intenzioni? Volevo forse assicurarle una fine più dignitosa, portandola all’interno delle mura? Persino io, in fondo, so che quel laccio non reggerà a lungo, cederà… Così come questa maledettissima ragazzina.
Ecco cos’ho fatto: ho messo a repentaglio la mia vita e quella della mia famiglia per strappare una maledettissima Mezzosangue dalle grinfie della Morte, per poi osservare come, lentamente, quest’ultima la stanerà, facendosi beffe di entrambi. Perché, Draco? Perché?
Con una mano rigida, gli occhi fissi su un qualcosa di inesistente, le accarezzo mellifluamente le gote giallognole a causa dell’atteggiamento sadomaso subito.
‹‹Devi tutto al tuo temperamento da cocciuta sapientona, Granger›› le sibilo, senza aspettarmi una risposta, naturalmente. Le scosto un ricciolo d’oro dal viso e all’improvviso mi balena Pansy nella testa: probabilmente ancora nuda nella mia lussuosa camera da Caposcuola, ferocemente aggrappata *all’illusione in cui l’ho lasciata, inconscia – chi può dirlo? – della delusione contro cui andrà a sbattere quando si accorgerà che ho mentito, che sono uno stronzo,  che ho deliberatamente sfruttato la mia bravura con le parole per scoparmela. Si è ancorata a me e a ciò che le ho offerto, e io l’ho gettata fra gli scogli.
L’ho gettata fra gli scogli. Io e Pansy siamo molto più simili di quanto pensassi. L’ho gettata fra gli scogli. Scommetto che se non fosse stata incantata da quell’unico giubbotto di salvataggio che le ho mostrato – per poi lasciarla annegare – non avrebbe accettato. Non avrebbe assolutamente permesso che la si gettasse fra gli scogli. Io e Pansy siamo molto più simili di quanto pensassi. Nemmeno io avrei ceduto, nemmeno io l’avrei permesso. E se la Granger fosse la mia, di ancora? Se fossi stato depistato dall’illusione chiamata “salvezza”? Se l’avessi salvata per amor mio, se l’avessi salvata a fine di salvare me stesso? Un fiotto di luce renderebbe più chiara tutta la questione… Eppure manca qualcosa: perché proprio lei? Cos’ha di tanto speciale? Riuscirebbe persino ad espugnare qualsiasi esalazione provenga dal mio avambraccio sinistro? Riuscirebbe a purificarmi l’anima, strappandole di dosso tutto lo schifo accumulato in questi ultimi anni?
Masse di supposizioni correlate mi attaccano, conferendo al petto un’oppressione tale che costringe le mie palpebre ad abbassarsi, spedendomi in uno stato di dormiveglia asfissiante.
Un’ultima considerazione zampilla alle meningi, precludendo la scomparsa del campo visivo e di quello uditivo, attorno.
Ogni illusione è un’arma a doppio taglio.


Note:
*Albus Silente è deceduto, e con lui lo stesso Incantensimo Anti-Smaterializzazione;
*Sinonimo di cuore;
*E' consigliabile la lettura del capitolo precedente.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Accesso alla salvezza. ***


 “Nel Paradiso di ogni
dove,
muore.
Cosa?”
 
«Signorino» scocca impaziente una voce.
«Coraggio, Signorino Malfoy, è ora di alziarsi!» scocca impaziente la voce di una donna.
Schiudo di un pelo le palpebre e la riconosco. E’ Gretha, l’ex-nutrice di Villa Malfoy, il maniero nel quale vivevo prima che diventasse la sede in cui iniziarono a fabbricare i miei problemi: «Dove mi trovo, Gretha?». Un momento, c’è qualcosa che non va nella mia voce.
«A casa, sciocchino, nel suo letto di sempre»
«Oh, no, questa non è più casa mia. E tu lo sai bene». E’ più acuta, stridula, come se fossi tornato di nuovo bambino. «E la Granger? Sì, insomma, la Sanguesporco?», «Non sento rumori, la Guerra è finita?» chiedo.
«Ma di che cosa stai parlando?» controchiede.
Ansimo. Non riesco a rispondere, ho il respiro affannato. C’è qualcuno che mi chiama ed io non riesco a rispondere. C’è qualcuno che mi chiama; odo la voce, ma non riesco a rispondere. Ho gli occhi chiusi, non riesco ad aprirli. Buio.
«Buongiorno». Luce.
Questo è il primo buongiorno che possa essere definito tale, lo giuro. «Cristo». Riesco a rispondere. «Tu… Tu sei viva».
Socchiudo le palpebre, di nuovo. Buio. Luce. Mare. I suoi occhi sono il mare. La sua bocca è il mare. Lei è il mare. Io il povero naufrago. Lei è il mare. Lei è l’ancora. Lei è l’arma. Lei è la salvezza. E’ come se fossimo le parole di un romanzo. Un romanzo giallo. Parole scritte e riscritte in una realtà che non cambia mai: c’era una volta... stop… E tutti vissero infelici e scontenti. Primo capitolo. L’innocente lancia il coltello, io lo afferro. Secondo capitolo. L’innocente diventa il coltello. Terzo capitolo. Io dipendo dal coltello. Quarto capitolo. Io non voglio dipendere dal coltello. Quinto capitolo. Ma il coltello è innocente. Sesto capitolo. Il coltello era innocente. Settimo capitolo. Il coltello mi uccide. Ottavo capitolo. Il coltello è di nuovo innocente.
Ma, dipendenza? Che cazzo è la dipendenza? Io sono Draco Malfoy e… Ed ho salvato la mia salvezza. Cos’è, questa, se non dipendenza? Mentre sprango porte e abbatto muri inesistenti, mi bacia. Sì, mi bacia. Mi bacia con l’esatta delicatezza di un riccio: avrà forse imparato ad attaccare, oltre che a difendere?
«Grazie» dice, separando le nostre labbra.
«No, cazzo. Grazie a te»
«Per il bacio?»
«Per la speranza»
«Speranza di cosa?»
«Per quanto tempo ho dormito?», non deve sapere che sono un insulso burattino di legno.
«Speranza di cosa?» ripete.
«Per quanto tempo ho dormito?» ripeto.
«Tre giorni» cede.
«Di smettere di sopravvivere e cominciare a vivere» cedo. Che Piton possa maledirmi. Fanculo alla mia boccaccia e alla sua natura di seduttrice.
Una, due, tre, cinque lacrime le rigano il volto. Piange, non so dire se per compassione oincredulità; mi bacia ancora una volta, non so dire se per compassione o incredulità. La bacio ancora. Ci baciamo ancora. Cosa sola, siamo, ammasso di pelle ed emozioni, neutri nei confronti del mondo. Addio Pansy Parkinson, addio paura, addio odio, addio merda, addio tutto. Benvenuto Paradiso di ogni dove, benvenuta Hermione Granger.
«Non sento rumori, la Guerra è finita?».

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2132721