But have you seen this girl? She’s been running through my dreams. di Molly182 (/viewuser.php?uid=86999)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap uno. ***
Capitolo 2: *** Chap due. ***
Capitolo 3: *** Chap tre. ***
Capitolo 4: *** Chap quattro. ***
Capitolo 5: *** Chap cinque. ***
Capitolo 6: *** Chap sei. ***
Capitolo 7: *** Chap sette. ***
Capitolo 8: *** Chap otto. ***
Capitolo 9: *** Chap nove ***
Capitolo 10: *** Chap dieci. ***
Capitolo 11: *** Chap undici. ***
Capitolo 12: *** Chap dodici. ***
Capitolo 13: *** Chap tredici. ***
Capitolo 14: *** Chap quattordici. ***
Capitolo 15: *** Chap quindici. ***
Capitolo 16: *** Chap sedici. ***
Capitolo 17: *** Chap diciassette. ***
Capitolo 18: *** Chap diciotto. ***
Capitolo 19: *** Chap diciannove. ***
Capitolo 20: *** Chap venti. ***
Capitolo 21: *** Chap ventuno. ***
Capitolo 22: *** Chap ventidue. ***
Capitolo 23: *** Chap ventitré. ***
Capitolo 24: *** Chap ventiquattro. ***
Capitolo 25: *** Chap venticinque. ***
Capitolo 26: *** Chap ventisei. ***
Capitolo 27: *** Chap ventisette. ***
Capitolo 28: *** Chap ventotto ***
Capitolo 29: *** Chap ventinove. ***
Capitolo 30: *** Chap trenta ***
Capitolo 31: *** Chap trentuno. ***
Capitolo 32: *** Chap trentadue. ***
Capitolo 1 *** Chap uno. ***
But have you seen this girl? She’s
been running through my dreams
Chap uno.
Non è mai stato semplice vivere in una città dove
si
avevano tanti ricordi, forse fin troppi e tutti così
stranamente nitidi. Ma uno
continuava ad alleggiare nella mia mente. Rimaneva lì,
bloccato ormai da più di
un anno e sembrava non voler scomparire. Avrei pagato oro per
dimenticarmene ed
eppure restava fermo nella mia testa. Ogni giorno ripercorrevo quel
ricordo
chiedendomi cosa avessi fatto di sbagliato o quale cavolo di motivo
c’era per
far sì che lui scomparisse, facendo perdere le sue tracce -
per quanto fosse
possibile.
Ed io mi ero illusa, credendo che le sue parole fossero
vere, ma come potevo fidarmi di uno sconosciuto? Come potevo dare
ascolto alle
sue parole se sapevo che sarebbe partito a distanza di poche ore?
Era riuscito a illudermi, a imprigionarmi in una bugia
che era durata soltanto una settimana, ma era una bellissima bugia da
cui non
riuscivo a liberarmi.
E ora mi ritrovavo come a parecchi mesi fa, a pensare
quasi ossessivamente a quei momenti, cercando con la forza di non
prendermi a
schiaffi da sola.
“Si avvisano i gentili passeggieri che ci stiamo
preparando per l’atterraggio al BWI Marshall. Vi chiediamo di
regolare i sedili
e di allacciare le cinture”, annunciò
l’hostess sull’aereo.
“Ci siamo…”, dissi più a me
stessa che a Sally, che era
seduta nel posto di fianco a me.
“Quindi è di questo
che ti occupi? Vai ai concerti e scrivi di quanto siano sudati e sexy i
musicisti di questi ultimi anni…”.
“Non esattamente. Vado ai concerti perché mi piace
la musica e scrivo sulle
band perché adoro scrivere, faccio una cosa che mi rende
felice e che mi piace”.
“E non hai mai
pensato di seguirne una in tour?”
“Sarebbe troppo
monotono, quasi alienante… mi chiedo sempre come voi
facciate a fare così tanti
spettacoli, uno dopo l’altro”.
“Penso per il tuo
stesso motivo. Viviamo di musica e amiamo i nostri fan, nulla di
più facile!”.
“Sono belle parole
dette da uno che cerca di portarsi a letto metà
pubblico”.
“Solo perché
l’altra metà se la vorrebbe portare a letto il
nuovo amichetto della tua amica”.
“Quindi potete dire
che avete un ottimo rapporto ‘biblico’ con i
fan”.
“Siamo coerenti… mi
sembra giusto dividere in modo uguale le nostre conquiste, e a volte
condividiamo pure”.
“Sei un
pervertito!”
“So essere anche
dolce quando mi ci metto”.
“Non lo metto in dubbio,
ma…”
“Vieni”, aveva
detto interrompendomi. Mi aveva preso la mano e mi stava portando
chissà dove.
“Sei sicuro di dove
stai andando?”
“Penso di sì,
cioè
ci sono passato stamattina per caso e ho pensato che era un posto
carino”.
“Mi stai dicendo
che conosci Milano meglio di me?”
“Sto solo dicendo
di seguirmi”
“Va bene”, lo avevo
lasciato fare.
Non conoscevo bene
quel ragazzo eppure mi piaceva, mi trovavo bene con lui. Dalla prima
volta che
ci ho parlato, avevo subito capito che si trattava di un ragazzo
imprevedibile.
Mi chiedevo chissà quale stramba idea gli passava per la
testa, ed ero curiosa
di dove mi avrebbe portato, sarebbe potuto accadere di tutto.
Si era fatto tardi,
non avevo la minima idea di dove stavamo andando e avevamo abbandonato
il resto
della band con Sally in un locale. Si era limitato improvvisamente ad
afferrarmi
per mano e ad andarsene senza che gli altri se ne accorgessero.
“Quindi questo è il
bellissimo posto dove volevi venire?”, gli avevo chiesto
alzando un
sopracciglio. “Un parco?”
“Preferivi una
stanza d’albergo?”
“Non intendevo
quello… cioè pensavo che tu, essendo una
rockstar, mi avresti portato, che ne
so, in mezzo a qualche bordello”.
“Se vuoi ne stanno
facendo uno qui vicino”, aveva detto ridendo.
“Forse è meglio di
no”, gli avevo risposto sedendomi sullo scivolo.
Si era messo di fronte
a me, teneva le braccia incrociate e mi fissava. Sembrava un ragazzo
qualunque
fuori dai riflettori e giù dal palco. Riusciva a essere
serio come un normale
ragazzo di venticinque anni.
“Quindi cosa ci
facciamo qui?”
“Stiamo da soli”,
aveva semplicemente risposto non perdendo il contatto con i miei occhi.
Le sue
scarpe si stavano avvicinando alle mie, così come il suo
corpo che restava
sospeso sopra il mio, sorretto dalle sue braccia. Mi sentivo
imprigionata, ma
era una sensazione bellissima.
“Questo sarebbe il
momento in cui io ti dovrei baciare”, aveva sussurrato a
pochi centimetri dalle
mie labbra.
“Questo sarebbe il
momento in cui tu dovresti farlo”.
Nella penombra
avevo visto comparire un sorriso sulle sue labbra e pochi secondi dopo
le
sentii appoggiate sulle mie.
“Mi piaci molto,
Allyson”, mi aveva sussurrato. Mi stavo davvero convincendo
che quel ragazzo
non fosse solo un completo idiota, ma sapeva essere dolce e romantico.
Eppure
mi stavo facendo abbindolare da un ragazzo che probabilmente avrei
rivisto
chissà quando. “Non mi scappi, ora sei
mia”, però mi piaceva e non potevo fare
nulla.
“Ally ci sei?”, mi chiese Sally sventolando una
mano
davanti ai miei occhi cercando di portarmi alla realtà.
“Ehm…sì, scusa”
“Ci stavi ripensando, vero?”, alzai le spalle. Non
potevo
farci nulla, ormai sapeva bene com’ero fatta.
“Si vede così tanto?”
“È il tuo sguardo che mente”, disse
guardandomi. “Però
ora non hai tempo di crogiolarti nei ricordi, dobbiamo incontrare David
Hasselhoff e farmi salvare da lui”.
“Scherzi?”, le chiesi quasi scioccata.
“È un ultra
cinquantenne, sarà tutto flaccido”.
“Ma in Baywatch era così…”
“Non dirlo, ti prego”, la fermai. “Non
dirlo”, scoppiammo
a ridere.
Sally aveva perfettamente ragione, non dovevo perdere il
mio tempo a pensare a uno stupido ragazzo che probabilmente non
incontrerò più
in vita mia.
Per consolarmi mi diceva che avrebbe chiamato alla fine,
che essendo un musicista era sempre impegnato, che il fatto di
piacergli doveva
significare qualcosa così come i baci che
c’eravamo scambiati perché un bacio
non si da tanto per dare, ma che c’era dietro un motivo ben
preciso e se è a
darlo anche la persona più fredda del mondo, un minuscolo
sentimento lo riesce
a provare.
Il fatto che mi fossi fidata di lui, in qualche modo
doveva significare qualcosa no? Era riuscito a incutermi qualcosa ed
eppure io
rimango dell’idea che gli uomini avevano la tendenza a essere
stronzi e questa
era la prova. Mi era piaciuto credere alle sue parole e mi ero illusa
della
loro sincerità, ma lui era una rockstar e sappiamo tutti
come sono fatte le
rockstar. Sono sempre impegnate, sono pagate per dire quello che i fan
vogliono
sentire, li coccolano, li apprezzano, scattano foto con loro e firmano
autografi, li baciano e li seducono. Ma io non ero una fan, ero solo
una
ragazza che lavorava per una rivista e che ha fatto semplicemente il
suo
lavoro.
Ed ora ci trovavamo qui, a Baltimora, con le nostre
valigie in una mano e l’indirizzo della nuova casa
nell’altra. Dovevo lasciarmi
davvero tutto alle spalle e fingere che non m’importava
più nulla di quello
sconosciuto. Il suo nome non significava più niente per me,
doveva scomparire
ed ero intenzionata a farlo.
La proposta che mi aveva fatto Mark era davvero assurda.
Lasciare il mio incarico di reporter a Milano per trasferirmi nella
sede di
Baltimora e fare lo stesso lavoro. Mi avrebbe fatto bene staccare un
po’ ma
andare a Baltimora non mi avrebbe fatto smettere di pensare, anzi, non
avrei
fatto altro che rimuginare su quella notte.
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Capitolo 2 *** Chap due. ***
Chap due.
Integrarsi in quel
posto non era stato per nulla facile,
infondo eravamo le nuove arrivate, ma nonostante ciò i
colleghi erano stati
piuttosto cordiali con noi e cercavano di metterci a nostro agio, ma
per qualche
strano gioco del destino le cose si stavano complicando.
Erano passate due
settimane dal nostro trasferimento e
andava tutto bene fino a quel momento. Fino a quando non me lo ero
ritrovato
davanti per una stupida intervista.
“Ally, sei
sicura di potercela fare?”, mi chiese Sally
che avrebbe dovuto fare le foto per la rivista.
“Sì,
tranquilla”, la rassicurai. “Mi
comporterò come una
persona matura, ormai sarebbe inutile fare qualcosa, quindi non lo
insulterò,
tanto meno gli rinfaccerò le cose…”,
dissi con tutta calma. “Io… lo prenderò
solo a calci in culo!”
“Ehi…
calma Terminator!”, mi bloccò lei. “Non
puoi
farlo!”
“Dammi un
buon motivo”
“Primo devi
fare l’intervista e secondo… beh… non
voglio
che le mie foto siano rovinate da qualche occhio nero e naso
spaccato”.
“Va
bene!”, dissi gettando fuori un lungo sospiro. “Lo
faccio solo per le tue foto”
“Grazie”,
pronunciò mettendomi un braccio attorno alle
spalle e avviandoci verso la stanza dove si sarebbe tenuta
l’intervista.
Lancia un sospiro di
sollievo nel vedere che la band non
era al completo, in effetti, mancava proprio il diretto interessato e
la cosa
mi rendeva più rilassata. Era uscita anche qualche battuta.
Quei ragazzi erano
capaci di mettere a proprio agio qualsiasi persona che trovavano di
fronte.
L’intervista
era andata piuttosto bene, fino a quando
Sally non prese parola. Non avevo la minima idea di cosa avrebbe
chiesto, era
imprevedibile, ma la sua domanda mi lasciò sbalordita.
“Vedo che
avete un ottimo rapporto con i fan, vi è mai
capitato di affezionarvi a qualcuno di loro in particolare?”,
chiese lasciando
tutti di stucco. “Tipo innamorarvi o, che ne so? Passare del
tempo extra con
una di loro?”
“Abbiamo un
ottimo rapporto con i fan, sono fantastici e
non saremmo qui se non fosse per loro”, parlò il
chitarrista. “Però non penso
che sia mai capitato una cosa del genere, cioè, parlo per
me, mi è capitato di
flirtare con qualcuna di loro, qualche bacio per scherzo ma non
è mai
schioccata la scintilla com’è successo a Billie
Joe Amstrong o a Chester
Bennington…”.
“Invece
sapete dirmi dov’è il cantante?”, chiese
curiosa.
“Come mai Alexander non è qui con voi?”
“Ce lo
stiamo chiedendo tutti”, rispose il batterista.
“Alex
ultimamente ha la testa tra le nuvole, si sarà
dimenticato dell’intervista”.
“Vi
chiediamo scusa da parte sua”, si sbrigò a dire il
bassista.
“Sapete
com’è, è un idiota!”, disse
sorridendo il
chitarrista.
“Va bene,
grazie per la collaborazione allora”, dissi
alzandomi e stringendo la mano ad ognuno di loro. “Jack,
Rian, Zack, è stato un
piacere”
“Bene,
quindi possiamo passare al photoshoot?”, mi chiese
Sally prima di far alzare la band.
“Io esco un
attimo a fare una chiamata”, avvisai la mia
amica prendendo il cellulare dalla borsa.
“Ehi,
Allyson”, mi chiamò Jack, il chitarrista,
catturando tutta la mia attenzione.
“Dimmi!”
“Io ti ho
già vista, il tuo viso mi è familiare e anche
quello della tua amica…”.
“Vi abbiamo
già intervistato l’anno scorso in Italia, a
Milano”, dissi tranquillamente. Infondo avevo deciso di
dimenticare tutto e
quel ragazzo non stava facendo nulla di male. “Poi eravamo
andati tutti insieme
a bere qualcosa in un locale vicino a dove avevate fatto il
concerto”.
“Ora mi
ricordo!”, dichiarò sorpreso e sorridendomi.
“Come ho
detto prima è stato un piacere intervistarvi di
nuovo”.
“Ally…”,
mi chiamò di nuovo. “Posso chiamarti
così?”,
disse passandosi nervosamente una mano sui capelli.
“Certo”,
lo rassicurai sorridendogli. “Avevi bisogno
ancora di qualcosa?”
“È
un coglione!”, disse semplicemente lasciandomi di
stucco. Non dissi niente. Non riuscivo a rispondere. “Alex
è stato uno stupido.
Avrebbe dovuto chiamarti ma non l’ha fatto, è un
idiota! Però non devi
prendertela con te stessa, ha fatto molti errori e questo è
stato uno di
quelli, cioè non fraintendermi, non ti conosco per
giudicarti ma conosco lui e
non doveva farlo…”, mi limitavo a stare zitta ad
ascoltare il suo monologo. Non
sapevo bene dove voleva arrivare ma penso che volesse darmi una
giustificazione
o almeno voleva scusarsi da parte sua. “È
abbastanza complicata la situazione e
non dovrei essere io a giustificarmi per le sue stupide azioni.
Probabilmente
oggi non è venuto qua perché di sicuro lo avresti
preso a schiaffi e se fossi
in te lo avrei fatto anch’io…”.
“Jack, ti
muovi?”, lo chiamarono gli altri due membri
della band che lo stavano aspettando per le foto.
“Shut the
fuck up!”, gli urlò il ragazzo e sorrisi a quel
suo atteggiamento così buffo, sembrava ancora un ragazzino
di diciassette anni.
“Forse dovrei andare, scusa il disturbo”
“Di
nulla”, dissi semplicemente continuando a sorridere.
“Eh Jack…”, lo chiamai facendolo
voltare. “Ti ringrazio, ma non devi dare delle
giustificazioni per il suo comportamento”.
“È
un mio amico, cerco di rimediare alle sue cazzate”.
Forse quel ragazzo non
era un completo idiota come voleva
far apparire. Jack riusciva a essere una persona matura e seria
nonostante i
suoi strambi capelli e le sue espressioni da clown.
Mi aveva fatto
riflettere e con le sue parole che mi
rimbalzavano in testa uscii dalla stanza e composi il numero di Mark,
volevo
parlare con lui. “Ciao Mark!”
“Ehi tesoro,
come stai?”, chiese. Parlammo del più e del
meno. Mi sentivo più tranquilla se sentivo la sua voce. Mi
mancavano i suoi
rimproveri e i suoi scherzi. Per avere trent’anni a volte si
comportava come un
ragazzino di sedici, ma li volevo bene e mi dispiaceva averlo lasciato
a
Milano. “Sai che è maleducazione ascoltare le
conversazioni altrui?”
“Ally, con
chi stai parlando?”, chiese il ragazzo dall’altra
parte della cornetta.
“Tranquillo,
ora devo andare, ci sentiamo presto”, mi
affrettai a salutarlo e a chiudere la chiamata.
“Il tuo
ragazzo?”, disse una voce davanti a me. Una voce
fin troppo famigliare.
“T’importa?”,
risposi freddamente. Non volevo la sua
compagnia, ma il suo sguardo m’imprigionava, bloccandomi in
quella posizione,
come se fossi incapace di fare qualche movimento.
“Non so cosa
mi faccia stare peggio…”, disse lasciandomi
sorpresa. “Vederti scherzare con i ragazzi della band o
essere un coglione”.
“Era solo il
mio ex capo”
“Mi
dispiace…”
“Per non
esserti presentato all’intervista o per essere
un coglione?
“Per
tutto!”
“Bene, hai
qualcos’altro da dirmi o posso rientrare
insieme con gli altri?”, gli chiesi quasi scocciata della sua
presenza.
“Dobbiamo
parlare, devo spiegarti perché mi sono
comportato così…”.
“Jack ha
già fatto il suo dovere, non penso che tu possa fare
meglio di lui”.
“Jack?”,
chiese confuso. “Cosa ti ha detto?”
“Non sei
stato tu a dirgli di parlarmi?”
“No,
cioè, non sapevo neanche che si ricordava di te”.
“A quanto
pare lui si è ricordato!”
“Ok,
touché”, rispose sconfitto. “Hai
ragione, sono stato
un’idiota…”
“Solo?”
“Ally…”
“Allyson”,
dissi sovrastando la sua voce.
“Fammi
spiegare ok?”, cercò di dire. “Mi
dispiace, sul
serio! Hai perfettamente ragione ad essere arrabbiata con me. Quella
sera ho
fatto quello che ho fatto perché il mio istinto mi diceva di
farlo, mi sei
piaciuta subito e mi è sembrato giusto baciarti”.
“Solo
perché sei una rockstar non sei autorizzato a fare
sempre quello che vuoi”.
“Non sono
una rockstar, sono un perdente che ha avuto
fortuna!”
“Bella frase
ma Pierre Bouvier potrebbe citarti in causa
per averla usata per pararti il culo!”
“Invece
Pierre ne sarebbe orgoglioso!”
“Senti, non
voglio restare qui ad ascoltarti su quanto tu
sia figo perché conosci di persona molte band,
ok?”, dissi stanca. “Se stai
cercando di scusarti, beh, non m’importa, ormai quel che
è fatto, è fatto. Sono
stanca di tutto questo. Alex, mi sono davvero illusa che tu dicevi sul
serio,
che mi avresti chiamato, ma non è successo. Ho aspettato una
tua chiamata o
qualche tua notizia per un anno, ma non ho ricevuto niente, quindi
fottiti!”,
sbottai tutto di un colpo.
Sentii qualcosa dentro
di me, come un click. Un suono
simile a quello che fanno i lucchetti aperti. Mi ero appena liberata
della
prigione invisibile che avevano costruito i suoi occhi. Ero libera di
andarmene
o prenderlo a schiaffi, ma non ne sarebbe valsa la pena. Avevo finito
di
lottare.
Lo aveva lasciato
lì, fermo e in piedi, non gli avevo
dato il tempo di rispondermi. Ero immediatamente entrata nella stanza
aprendo
forse con troppo forza la porta.
“Sally, io
vado a casa, non mi sento bene”.
“Cosa
è successo?”, mi chiese in italiano capendo che la
situazione non era delle migliori.
“Ne parliamo
dopo a casa”, le dissi prendendo la mia
borsa e per poi uscire dalla porta da cui ero entrata.
“Allyson…”,
pronunciò Alex vedendomi comparire dalla porta
aperta, ma decisi di lasciar correre, qualunque cosa mi avesse detto.
“Comunque
non ti ho dimenticato”, disse vedendomi uscire di nuovo.
“Mi piaci ancora”
“Sei ancora
in tempo per fare delle foto con il resto
della band”, gli risposi ignorando volontariamente quello che
mi aveva appena
detto.
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Capitolo 3 *** Chap tre. ***
Chap tre.
Era incredibile come
qualcuno potesse improvvisamente
tornare nella tua vita e sconvolgertela in peggio, facendoti impazzire
tanto da
voler strapparsi i capelli. Questo era quello che mi stava capitando a
causa di
Alex, un coglione di cui mi ero presa una bella cotta, ma dovevo
semplicemente
dimenticarlo e dopo ieri pomeriggio era la cosa migliore da fare.
Sì, perché
non potevo restare lì aspettando una sua mossa che
probabilmente non arriverà
mai, quindi dovevo mettermi l’anima in pace e continuare a
vivere come ho fatto
fin ora, senza di lui.
Non volevo diventare
una di quelle ragazze la cui
felicità dipendeva da un ragazzo. Era sciocco.
Per fortuna anche
quella giornata era finita, ero pronta
a tornare a casa e a buttarmi dentro una vasca piena di schiuma ed
eppure
sembrava non arrivare mai quel momento.
“Signorina
Porter, c’è una persona che vuole parlare con
lei”.
“Ora?”,
chiesi alla ragazza che sedeva alla reception.
“La sta
aspettando”, disse indicando con la testa delle poltroncine
di stoffa
addossate a una parete di legno. Sbuffai alla vista di quella figura
stravaccata che sfogliava annoiato una rivista.
“Grazie”,
le dissi cercando di ignorarlo passandogli
davanti.
Stavo attraversando la
porta quando una mano mi afferrò
il polso trascinandomi indietro.
Lo stava rifacendo.
Stava cercando di incastrarmi di
nuovo nella sua fitta rete.
“Ehi!”
“Che cosa
vuoi ancora da me?”, gli chiesi. “Sto tornando
a casa!”
“Ti do un
passaggio”
“Non lo
voglio”
“Non
è un disturbo”
“Forse non
hai capito: non sopporto la tua compagnia!”,
quasi gli urlai addosso liberandomi dalla sua presa.
“Ok, questa
era cattiva, ma….”
“Ma
cosa?”, gli chiesi uscendo dalla porta e ritrovandomi
sul marciapiede che mi avrebbe ricondotto a casa. “Non
abbiamo più niente da
dirci”
“E invece
sì, diamine!”, sbottò.
“Abbiamo tante cose da
dirci, da risolvere, e tu non mi vuoi ascoltare!”, disse
fermandosi in mezzo al
marciapiede. “Ieri sono stato zitto, ti ho ascoltato, ora
ascolta tu me!”, mi
fermai anch’io raggiungendolo. Trovandomi a pochi centimetri
da lui e dal suo
volto che avrei volentieri preso a schiaffi, solo per avere una
soddisfazione
personale.
“Avanti, ti
ascolto!”, dissi. “Comportiamoci da adulti e
finiamola con questi giochetti!”
“Perfetto!”
“Perfetto!”,
replicai.
“Ma non
qui!”, disse. “Non voglio discutere in mezzo alla
strada, quindi almeno fatti dare un passaggio a casa, almeno saremmo
solo noi”.
“Se accetto
mi lascerai poi in pace?”
“Forse…”
“Fingo che
il tuo ‘forse’ sia un sì”
Avremmo concluso
qualcosa o saremmo finiti a litigare di
nuovo? Non lo sapevo. L’unica cosa
sicura era che mi stavo avvicinando al territorio nemico ed ero
impreparata a
ciò. Restare da sola in macchina con lui non era esattamente
quello che volevo,
ma mi ero arresa. Ciò non mi faceva sentire né
orgogliosa né soddisfatta,
volevo solo liberarmi di lui al più presto.
Non avrei potuto
ignorarlo per sempre, mi trovavo nella
città dove entrambi abitavamo, alla fine sarebbe successo
che ci saremmo
incontrati.
“Quindi?”,
gli chiesi salita in macchina.
“Cosa?”
“Volevi
parlare?”, gli domandai. “Fallo!”
“Era solo
una scusa per restare da soli”
“Una
scusa?”, gli chiesi furiosa. “Ottimo! Ti
dispiacerebbe togliere la sicura alle portiere così che io
possa gettarmi
dall’auto in corsa?”.
“Sei
simpatica, sai?”, mi disse continuando a fissarmi
con quel cavolo di sorriso che aveva stampato sulla faccia.
“Invece sai
che questo si chiama sequestro di persona?”
“Non si
tratta di un vero e proprio sequestro se la
persona sequestrata ha accettato l’offerta di salire in
macchina con il
sequestratore”.
“Magari il
sequestratore ha mentito inventando una scusa”.
“Allora la
sequestrata doveva essere più furba e non si
doveva fidare delle prime persone che capitano”.
“Magari, in
un primo momento le era sembrato sincero, ma
poi, lui, si è rivelato un tale coglione, come tutti gli
altri”.
“Ok,
touché, hai vinto!”
“Non avevi
scuse”, dissi slacciandomi la cintura di
sicurezza. “Io sono arrivata, grazie per la non chiacchierata
e per il
passaggio imposto involontariamente”, aggiunsi guardandolo in
volto. Si
limitava a fissarmi rimanendo in silenzio. Avevo una strana
sensazione.
“Ally…”
“Che cosa
vuoi ancora?”
“Sto davvero
cercando di rimediare con te…”.
Forse quel posto era
esattamente quello giusto, dove
sarei dovuta stare, ed eppure qualcosa mi diceva di andarmene al
più presto, di
scendere dalla macchina e salire in casa, ma quegli occhi castani mi
avevano
ipnotizzato.
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Capitolo 4 *** Chap quattro. ***
Chap quattro.
–
Alex P.O.V.
Non pensavo che il
sapore delle sue labbra mi sarebbe
rimasto addosso. Non pensavo neanche di riuscire a essere perdonato per
la
terribile cazzata che avevo fatto l’anno precedente ed eppure
era successo. Avevo semplicemente fatto
quello che il mio cervello mi aveva detto e l’avevo baciata
perché mi sembrava
giusto farlo. Perché era giusto così. era giusto
farle sapere che ancora ci
tenevo a lei pur non conoscendola così bene.
In effetti Allyson era
una sconosciuta. Una semplice
ragazza che avevo conosciuto un anno fa.
Eppure il suo modo di
fare mi aveva rapito, così come la
sua semplicità. Non era una di quelle ragazze che i miei
genitori avrebbero
chiamato ‘da cartellone’. Era la tipica ragazza che
ogni madre vorrebbe al
fianco del proprio figlio.
Ora sembrava tutto
perfetto. Le sue mani avvinghiate ai
miei capelli mi eccitavano da morire. Non sarei riuscito a resistere un
minuto
di più.
Vorrei prendere il
controllo e sbatterla al muro, nulla
che non abbiamo già visto, ma questa volta è
diverso, è premeditato. Lo voglio
io quanto lo vuole lei.
Se solo questa
macchina fosse più larga o se la nostra
voglia non fosse così troppa saremmo riusciti a combinare
qualcosa senza farci
male ed invece spostarsi nei sedili posteriori non era mai stato
così difficile
come in quel momento.
Probabilmente saremmo
stati denunciati per atti osceni in
luogo pubblico, ma non me ne importava: volevo solo lei!
“Alex!”,
disse allontanandosi per prendere respiro.
“Alex!”, mi chiamò di
nuovo. Mi faceva impazzire come pronunciava il mio nome.
“Dimmi”,
le dissi non lasciando il suo collo.
“Perché
non mi hai richiamato?”, mi fermai di colpo.
“Perché non mi hai più
cercato?”, voleva delle risposte e io dovevo dargliele
solo che non sapevo come spiegarle che non ho avuto il coraggio
perché sono un
completo idiota. Che ho avuto un problema che continuo a lasciare
irrisolto.
Come potevo spiegarle la verità senza ferirla?
“Mi dispiace
per quello ti ho fatto, per quello che ti ho
detto e per quello che ti ho fatto credere ma mi piaci davvero, ed
è la verità.
Abbiamo passato una settimana insieme ed è stato fantastico,
mi sono divertito
con te e non avevo nessuna intenzione di farti pensare il
contrario”, avevo
iniziato a spiegarle. “Quando ti ho detto: ‘Non mi
scappi, sei mia’, dicevo sul
serio”
“Ti ricordi
cosa hai detto?”, chiese sorpresa.
“Ti
sorprende?”, domandai a mia volta. “Quando ti ho
baciato è stata la cosa migliore che avessi mai fatto,
naturalmente dopo averti
portato via da quel locale. Per restare da soli. Per conoscerci meglio.
E sai
una cosa?”, le chiesi. Lei fece di no con la testa non
distogliendo i suoi occhi
dai miei. “Se dovessi tornare indietro, lo rifarei.
Probabilmente mi
comporterei in modo diverso, cercherei di far funzionare le cose, ma
purtroppo
non posso e sto cercando di rimediare ora”, le dissi
poggiando il palmo della
mia mano sul suo e intrecciando le nostre dita. Volevo tutta la sua
attenzione.
“Alex…”,
disse di nuovo il mio nome.
“Anche il
bacio che ti ho dato poco fa. Non volevo farti
andare via ed è stata la prima cosa che mi è
passato per la mente per farti
restare ancora un po’ con me”
“Alex…”
“Non voglio
che pensi che potrei andarmene di nuovo.
Stavolta sono qui e resterò per molto tempo”
“Alex…”
“Sarà
difficile farti allontanare da me”
“Alex…”,
mi chiamò ancora. Questa volta la sua voce
sembrava più lontana, come se qualcuno mi stesse chiamando
da fuori.
Mi ci volle un
po’ per capire che non era Allyson a
chiamarmi ma qualcun altro che si era preso la libertà di
strattonarmi e
scuotermi finché non aprii gli occhi.
“Diamine
Alex, ti sei svegliato finalmente!”
“Cosa
è successo?”, chiesi confuso.
“Penso che
stavi sognando”, mi disse. “Avevi iniziato a
fare strani rumori e mi ero spaventata”
“Ah…”,
mi lasciai sfuggire come un sospiro. “Scusa Lisa,
sono solo un po’ pensiero in questi giorni”
“Ti senti
bene?”
“Penso di
aver bisogno di fare una doccia e uscire un
po’”
“Va bene, io
vado a lavorare”, mi disse dandomi un
leggero bacio sulle labbra. “Ci vediamo stasera”
La sentii uscire dalla
stanza e prendere le chiavi della
macchina. Appena la porta d’ingresso si chiuse mi alzai dal
letto per recarmi
in bagno a fare una bella doccia ghiacciata. Dovevo assolutamente
schiarirmi le
idee. Com’era possibile che fosse stato solo un sogno? Era
così reale.
Mentre
l’acqua scorreva sulla mia pelle continuavo a
ripensare al sogno fatto poco fa.
“Avanti
Alex! Riconnetti il cervello!”, mi ripetevo. “Ieri
pomeriggio l’hai solo riaccompagnata a casa e poi te ne sei
andato. Lei ti ha
ringraziato ed è scesa dalla macchina. Nulla di
più!”
Passai un tempo
interminabile sotto l’acqua fredda, era
fastidiosa ma almeno sarei ritornato lucido. Mi sentivo dannatamente in
colpa
per aver sognato Ally, non era giusto soprattutto nei confronti di Lisa
eppure
non lo avevo fatto apposta.
Dovevo risolvere
questa questione al più presto e senza
rendermene conto mi trovai immediatamente nella mia macchina sotto casa
sua.
Ero sorto nei pensieri
quando qualcuno bussò sul
finestrino.
|
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Capitolo 5 *** Chap cinque. ***
Chap cinque.
“Pensi
di restare qui
ancora per molto?”, dissi bussando al finestrino.
“Potrei denunciarti per
stalking, sai?”
“I
fan non sarebbero
felici di trovarmi dietro alle sbarre”.
“Però
ti darebbe un tono
più rock’n’roll”
“Non
penso che mi si addici
molto la tuta arancione”.
“Al
contrario, io non
penso che ti sopporterebbero in galera…”, non
replicò. Mi sorrise soltanto.
“Hai
qualcosa da fare
oggi?”, mi chiese dopo qualche istante. I miei occhi si erano
di nuovo persi a
guardare quei lineamenti che in un primo momento mi erano sembrati
così perfetti.
“È
martedì mattina, le
persone normali vanno a lavorare”.
“Giusto…”,
rispose
passandosi nervosamente una mano sui capelli.
“Tu
non hai qualche
impegno con la band?”
“No,
siamo in pausa prima
del tour e mi stavo annoiando”.
“Quindi
hai pensato di
venirmi a rompere le scatole alle otto del mattino?”
“In
verità volevo proporti
di fare colazione insieme”, disse.
“Pensi
che questo ti
faccia perdo... ”
“Penso
almeno che possiamo
diventare amici”, si affrettò a dire
interrompendomi.
“Sarebbe
carino parlare
con te senza prenderti a schiaffi, ma sono davvero in ritardo per il
lavoro,
quindi…”.
“Quindi
ti do un passaggio
e ne riparliamo in macchina”.
“Non
mi lascerai in pace,
vero?”, chiesi esasperata. Più non lo volevo
attorno e più me lo ritrovavo tra
i piedi.
“Te
lo prometto, resterò
fermo e muto”
“Penso
che tu non ne sia
realmente capace”.
“Lo
penso anch’io, ma ci
posso provare”, disse posando le mani sul volante e
trattenendo il respiro tra
le guance rosse.
“Pensi
di morire nel giro
di cinque secondi così che io ti possa rubare
l’auto per non ritardare o inizio
a correre verso la redazione?”, gli chiesi salendo in
macchina. Non ricevetti
nessuna risposta. Si limitò soltanto a guardarmi e a gettare
fuori tutta l’aria
che gli aveva gonfiato le guance.
“Dove
vuole che la porti
signorina?”, disse mettendo in moto l’auto.
“Davvero?”,
gli chiesi
ridendo. “Stai citando realmente Titanic?”
“È
un classico!”, rispose
con fierezza. “Mi sono quasi messo a piangere quando Jack
è morto”.
“Molto
virile”
“Cosa
ci posso fare? Sono
un ragazzo molto sensibile”, scoppiai a ridere. Forse quella
era la prima volta
che ridevo e parlavo con lui normalmente senza riempirlo
d’insulti e
rinfacciargli quello che mi aveva fatto. Era una bella sensazione.
Avevo
passato così tanto
tempo a odiarlo che mi ero dimenticata di quanto fosse capace a
intrattenere la
gente facendola ridere e scherzare con lui.
“Quindi
per quella
colazione...?”, chiese cambiando discorso.
“Penso che si potrebbe fare un altro
giorno…”
“Scusa,
non voglio essere
insistente…”
“No,
è che Sally non c’è e
senza di lei che mi butta giù dal letto, non so come fare a
svegliarmi puntuale”
“Dov’è?”
“In
Canada, per un
servizio fotografico di una band emergente, dovrebbe tornare domani
nella
mattinata”
“Capisco…”,
parcheggiò la
macchina davanti al mio ufficio.
“Io
sono arrivata”, dissi
vedendo l’insegna della redazione davanti a me.
“Grazie ancora per il
passaggio”
“Figurati…”,
mi rispose
mentre scendevo dall’auto. Forse dovevo comportarmi
diversamente con lui. Dovevo
almeno provare a essere gentile. Lui ce la stava mettendo tutta.
“Ah…
Alex!”, lo chiamai
voltandomi verso di lui.
“Dimmi”
“Come
mai stamattina eri
sotto casa mia?”
“Passavo
per di lì”,
rispose semplicemente alzando le spalle. Non so se era una semplice
scusa o se
la verità, ma qualcosa si era innescato nel mio cervello.
Dovevo andarci piano,
ma nulla mi impediva di diventare sua amica. In fondo non era poi
così male
come persona.
“Va
bene”, dissi
voltandomi per salire i primi gradini, ma ritornai immediatamente
giù verso di
lui. “Senti, stasera ti andrebbe di fare
qualcosa?”, gli proposi.
“Certo,
cosa avevi in
mente?”
“Nulla
di troppo
impegnativo, magari una cena da me”
“Perfetto,
ti passo a
prendere finito il lavoro”
“Non
ce n’è bisogno, sul
serio, ci vorrà una vita prima che arrivi l’ora di
cena”
“Ti
passo a prendere alle
cinque e mezzo”, ribadì. “Almeno ti
posso dare una mano a cucinare”
“Penso
che sia inutile
insistere con te, anche perché sto ritardando e tu mi fai
perdere tempo”, dissi
salendo i gradini che conducevano alla porta di vetro. “Ci
vediamo stasera”,
gli urlai prima di spingere la porta ed entrare in ufficio.
Non
so bene come la
giornata sembrava essere passata velocemente ma quando arrivarono le
cinque e mezzo
realizzai soltanto in quel momento che Alex sarebbe dovuto venire a
casa mia e
che praticamente non avevo la minima idea di cosa cucinare.
Spensi
il computer e mi
diressi verso l’uscita. Passai di fianco alla ragazza della
reception e la
salutai per poi attraversare la porta e ritrovarmi sul marciapiede.
Mi
incamminai verso il
supermercato per comprare qualcosa e poi andai diretta a casa.
C’era
qualcosa che mi
tormentava in testa, avevo una strana sensazione, come quella di
essermi
dimenticata qualcosa.
“Stavi
cercando di
scappare da me?”, chiese una voce alle mie spalle. Una voce
fin troppo
famigliare.
“Come?”,
chiesi a quel
ragazzo che mi fissava da sotto la visiera di un cappellino nero.
“Se
non sbaglio dovevo
aspettarti fuori dall’ufficio”, ecco cosa mi ero
dimenticata. Mi ero scordata
che Alex doveva darmi un passaggio.
“Mi
sono dimenticata,
scusa”, dissi sinceramente. “Ero sovrappensiero e
mi sono scordata. Però ho
preso il cibo, vale come giustifica?”
“Non
si dice mai di no al
cibo”
“Seguimi”,
dissi
facendogli strada lungo le scale del condominio. “Eccoci qui,
fai come se fossi
a casa tua, però immagino che sia decisamente molto
più piccola rispetto alla
tua, quindi scusa se non c’è tanto lo
spazio”
“Non
scherzare, va bene”,
disse cercando di mettermi a mio agio. Buffo come sembri lui il
proprietario e
io l’ospite. “Non so se tu abbia mai visto i tour
bus, quelli si che sono
piccoli”, disse ridendo.
“Quindi,
cosa vuoi
mangiare questa sera?”, gli chiesi tirando fuori la spesa
dalle buste e
posandole sul bancone che divideva la cucina dalla sala.
“È
indifferente, va bene
tutto”, disse aiutandomi.
“Meno
male perché ho
comprato qualcosa che vada bene per preparare un risotto giallo,
però alla
milanese”, dichiarai. “Stasera: cibo
italiano”, annunciai. “Ok, forse non è
proprio italiano ma sono molto famosi da noi!”, cercai di
giustificarmi.
“Vuoi
una mano?”
“Tranquillo,
non c’è
problema!”, dissi riempendo una pentola con
dell’acqua.
Passai
la successiva ora a
cucinare senza ottenere nessun risultato. Anzi, un risultato lo avevo
ottenuto,
ma non era per nulla soddisfacente. Avevo fatto bruciare il risotto
riducendo
la nostra cena in un cumulo nero.
“Merda!”,
sbottai buttando
la pentola nel lavandino.
“Tutto
apposto?”, chiese
Alex venendomi dietro e guardando da sopra la mia spalla la povera
pentola che
era stata massacrata da me.
“Penso
di aver combinato
un casino”
“Deduco
che non sei un’
abile cuoca”
“Pensavo
di potercela
fare, ma a quanto pare sono decisamente impedita”, gli dissi
voltandomi verso
di lui così da poterlo guardare in viso.
“Guardare tutti quei programmi di cucina non ti
insegnano a cucinare, ti
illudono soltanto!”, sbottai. “Maledetta Antonella
Clerici, perché fai sembrare
tutto facile!”
“Antonella
chi?”, chiese
lui confuso, non capendo a chi mi riferissi.
“Niente,
lascia stare”,
gli risposi abbassando la testa scoraggiata. “Scusa se ti ho
fatto perdere
tempo”
“Guarda
che non è un
problema”, disse lui ridendo. “Una volta volevo
riscaldarmi un panino e ha
preso fuoco”
“Perché
me lo racconti?”
“Perché
così sai che c’è
gente peggiore di te a cucinare”
“Grazie…”,
dissi
sarcasticamente. “Sei molto d’aiuto”
“Hai
ragione ma ora sai
cosa facciamo?”, scossi la testa non capendo dove voleva
mirare. “Tu sistemi
questo bordello e io vado da Taco Bell a comprare qualcosa da
mangiare”, disse
prendendo le chiavi della macchina dal tavolo e avvicinandosi alla
porta.
“Torno presto”
Nota:
non sono molto convinta di questo capitolo, ma vi prometto
che con il successivo mi farò perdonare (almeno spero) :)
P.s. Ringrazio Rack
per le recensioni :)
|
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Capitolo 6 *** Chap sei. ***
Chap sei.
Sembrava
quasi impossibile
liberare la pentola dal risotto che si era incollato ai bordi.
Probabilmente
lasciarlo a mollo per un po’ nell’acqua calda
avrebbe funzionato se solo non
fosse diventato un perfetto collante.
Aprii
la finestra facendo
uscire la puzza di bruciato e riordinai la casa. Non mi ero resa conto
del
macello che avevo combinato cucinando e di come la casa fosse
disordinata senza
Sally che mi aiutava a sistemarla. Come donna di casa ero davvero una
vera e
propria frana. Se fossimo stati nell’ottocento nessun uomo mi
avrebbe sposato o
scambiato per un paio di mucche a meno che lui fosse stato
tremendamente ricco
da sottovalutare questo piccolo fattore.
Mi
accasciai sul pavimento
della cucina sfinita quando Alex entrò in casa con un
sacchetto di carta tra le
mani.
“Eccomi!”
“Sono
qui!”, dissi alzando
una mano e sventolandola per farmi notare.
“Hai
per caso bruciato
anche il tavolo e le sedie?”, chiese prendendosi gioco di me.
“Ah…
Ah… Ah…”, gli feci il
verso. “Che simpatico”
“Perché
sei seduta giù per
terra?”, mi chiese poggiando la busta sul pavimento e
sedendosi a gambe
incrociate davanti a me.
“Me
lo chiedo anch’io, ma
non è poi così male stare qui per
terra”.
“A
meno che tu non voglia
dare un party per fantasmi, vampiri e qualunque altro mostro
dell’oltretomba sarebbe
opportuno accendere qualche luce, non trovi?”, mi fece
notare. In effetti il
cielo si era oscurato abbastanza in fretta e la stanza si era rabbuiata.
“Aspetta…”,
dissi per
alzarmi, ma la sua mano mi blocco.
“Faccio
io”, propose
prendendo delle candele su un tavolo del salotto e accendendole le
posò per
terra in mezzo a noi. “Cerchiamo di salvare la
serata”
“Perché
fai tutto
questo?”, gli chiesi ammirando il suo gesto.
“Te
l’ho detto, voglio
essere tuo amico”, disse tirando fuori il cibo dal sacchetto
e poggiandolo su
dei tovaglioli. “Non voglio che mi odi”
“Alex,
non ti odio, sul
serio”, lo rassicurai cercando di far incontrare i miei occhi
con i suo,
nascosti dalla visiera del cappello che portava in testa. “Mi
è passata, ok?
Facciamo finta di niente e come dici te: ricominciamo”
“Allora
siamo due amici
che stanno mangiando sul pavimento della tua cucina?”
“Esatto!”
“Allora
com’è andata la
giornata?”, chiese addentando il suo burrito.
“È
passata piuttosto
veloce, la tua?”, gli domandai.
“Come
hai riempito la tua pausa da rockstar?”
“Mi
sono annoiato e quindi
sono andato da Jack, abbiamo fatto un giro e poi sono venuto da te che
magicamente sei scomparsa per andare a fare la spesa che poi hai
buttato”
“Giornata
interessante!”,
risi.
“Sai,
mi piace stare qui a
parlare con te”
“In
effetti non sei poi
così male”
“Ora
vorrei che potessi vedere
la tua faccia in questo momento”, disse scoppiando a ridere.
“Perché hai il
sorriso di una pazza”
“Non
prendermi in giro!”, lo rimproverai. “Sono stanca,
ho lavorato tutto il giorno
a differenza tua!”, gli rinfacciai.
“Ma
anch’io lavoro”
“Non
lo metto in dubbio, ma il tuo lavoro è meno faticoso del
mio”
“Ma…
“Ok,
eccetto quando sei in tour, in effetti quella è una vita
davvero estrema”, mi
affrettai a dire senza dargli il tempo di replicare.
“È
questione di abitudine”, disse alzando le spalle.
“A proposito di tour, in
questi giorni sarò impegnato a preparare
la tournée”
“Perché
me lo dici?”
“Non
potremmo vederci per
un po’, ma fra tre mesi sarà finito il tour
nazionale ed io sarò ancora qui”
Mangiammo
e restammo a parlare a lume di candela seduti sul pavimento. Era
così strano
sentirlo così vicino a me e mi piaceva questa sensazione.
Eravamo di nuovo solo
noi due, senza complicazioni e secondi fini. Avevamo deciso di buttare
tutto
alle spalle e stavamo ricominciando. Stava andando tutto bene.
“Forse
è meglio se sistemiamo tutto e accendiamo la luce, non
vorrei dare fuoco alla
casa”, dissi prendendo le candele e posandole sul bancone.
Sentii lui che fece
lo stesso.
Mi
girai e lo ritrovai a pochi centimetri dal mio volto, di nuovo.
Rabbrividii al
tocco delle sue mani sui miei fianchi e del suo sguardo intenso dentro
al mio.
“Ally…”,
sussurrò al mio orecchio. Il mio corpo sembrava non reagire
a ogni minimo
impulso che il mio cervello cercava di mandargli. Ero come pietrificata
da quel
sussurro. “So che tutto questo è sbagliato quindi
dimmi se vuoi che me ne vado,
ma ti prego, fermami se sto per fare una cazzata”
Sarà
stata la situazione o le candele, ma quello che accadde dopo non fu
esattamente
una cosa saggia da fare. Il silenzio mi
stava uccidendo. Il mio cervello si stava annebbiando. Non riuscivo a
ricevere
più nessun input eccetto quello successivo: la sua mano sul
mio collo e le sue
labbra sulle mie.
P.s.
grazie a Layla
e Rack
per le recensioni ^^
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Capitolo 7 *** Chap sette. ***
Chap sette.
“Alex!”,
lo fermai. “Sul
serio, non dovremmo ritrovarci in questa situazione”.
“So
che è un errore,
però…”, disse prima di allontanarsi e
sistemarsi il cappellino. “Hai
perfettamente ragione, non dovremmo ritrovarci in questa
situazione”.
“Diamine,
Alex!”, dissi
allontanandomi da lui velocemente e iniziando a camminare furiosamente
per la
casa.
“Adesso
dove stai andando?”,
mi chiese afferrandomi per il polso e fermandomi.
“Perché stai scappando?”
“Non sto scappando, sto solo cercando di
andarmene… lontano da te”.
“È
casa tua!”, mi rispose
sorridendo.
“Allora
vattene tu!”, gli
risposi arrabbiata. “E smettila di ridere!”
“Non
sto ridendo…”, alzai
un sopracciglio. “Ok, forse lo sto facendo ma
perché sei buffa”.
“Tu
cosa…”
“Intendo
dire che mi fai
ridere”
“Alex,
lo stai rifacendo….”
“Ehi!”,
con un piccolo
strattone mi avvicinò a lui e finii nella sua presa, tra le
sue braccia.
Esattamente il posto dove non volevo stare. “Sto solo
provando a sistemare le
cose”
“Tu…
non… non hai una casa
dove andare?”, gli chiesi scocciata. “O delle
valige da fare?”
“Ci
penserò più tardi”
“Senti…
è meglio che tu
vada… e che la finisci di guardarmi
così”.
“Sono
gli unici occhi che
ho…”
“È
meglio che tu te ne
vada… sul serio…”
“Spiegami
perché stai
dando di matto?”
“Spiegami
perché ogni
volta che mi baci te devi scomparire?”
“Pensavo
che avessimo
chiuso con questa storia”.
“Lo
pensavo anch’io ma a
quanto pare tu non stai collaborando”, dissi spostandomi da
lui e sedendomi sullo
sgabello della penisola. “Ascolta, probabilmente scomparirai
tra qualche ora per
chissà quale stato dell’America e per qualche
strana ragione io sarò qui ad
aspettarti, non voglio che accada di nuovo”.
“Sai
che tornerò”
“Non
sei te il punto…”,
dichiarai portando le dita verso le tempie.
“E allora qual è?”, chiese lui non
capendo cosa volessi dire.
“Sii
sincero”, gli dissi
catturando tutta la sua attenzione. “C’è
già qualcun’altra nella tua vita, non
è così?”
“Tu
come…?”
“Alex,
non sono stupida e
ti ricordo che lavoro in una redazione, certe notizie circolano
soprattutto
quando ti vedono in compagnia di qualcuno di famoso”, avevo
colto nel segno.
Avevo scoperto la verità e lui restava semplicemente zitto.
“Probabilmente lei
deve essere una ragazza fantastica, soprattutto per sopportarti, ma non
so a
quale gioco stai giocando con me, io non posso essere
l’altra…”.
“Non
ne vedo il problema…”
“Scherzi vero?”, gli chiesi sconcertata.
“Senti…”
“No,
fa niente!”, sbotto
sovrastando le mie parole. “Hai ragione, è
fottutamente da pazzi, chissà perché
mi è saltato in mente solo pensarlo”, disse
alzando le mani in aria. “Va tutto
fottutamente bene, è tutto fottutamente perfetto”.
“Alex,
cosa stai
dicendo?”, gli chiesi confusa.
“Lascia
stare Ally”,
rispose prendendo le chiavi dell’auto dal bancone e
avviandosi verso
l’ingresso. “Ci vediamo…”,
disse lasciandomi da sola nella stanza.
Lo
guardai scomparire dietro
la porta, nell’oscurità del soggiorno illuminato
solo dalle candele.
Non
sapevo bene cosa era
appena successo, cosa avevamo combinato, ma non era stato nulla di
buono.
In
quel preciso momento
capii quanto quella porta avrebbe assunto importanza, ma restare a
fissarla non
lo avrebbe fatto tornare indietro, anzi, avrebbe soltanto alimentato la
mia
voglia di prendermi a schiaffi.
Quel
ragazzo era impetuoso e
presuntuoso. Egocentrico e cattivo. Se si aveva a che fare con lui si
finiva
sempre per soffrire. Questo
spiegava che
non avevo appreso niente dagli errori che avevo commesso in passato.
Il
punto era che Alex, per
un certo verso, era esattamente come me. Quando la situazione diventava
complicata,
difficile da gestire, quasi soffocante, l’unica soluzione era
di scappare, di
nascondersi per un bel po’ finché il problema non
sembrava essere scomparso, ma
poi, quasi come per magia, ricompariva e ti colpiva in pieno viso e non
riuscivi a fare più nulla eccetto combinare altri casini.
Quindi scappare era
la soluzione finale.
Non
so bene quanto tempo
passai seduta su quello sgabello a fissare la porta, immobile. Forse
erano
passiti alcuni secondi, pochi minuti o troppe ore ma pensavo davvero
che se mi
concentrassi qualcosa sarebbe successo. Magari avrei ricevuto una sua
chiamata
o magari sarebbe tornato da me, ma erano solo forti illusioni che mi
lasciavano
inchiodata a quella sedia.
Dovevo
smetterla di
fantasticare come una tredicenne con il suo primo amore. Ormai avevo
ventidue
anni, ero cresciuta per far si che la vita fosse rose e fiori come
nelle fiabe.
Decisi
finalmente di alzarmi
da quella sedia e comportarmi maturamente. Riaccesi le luci e spensi le
candele, ridiedi una sistemata alla cucina e chiusi a chiave quella
porta.
Era
la decisione migliore
e una buona dormita mi avrebbe tenuto lontano da lui.
Era
ormai notte fonda
quando qualcosa mi fece svegliare di soprassalto. Era come se stessero
cercando
di entrare in casa, ma non avessero le chiavi.
Sapevo
bene che Baltimora
aveva un alto tasso di omicidi e che fosse anche una delle
città più pericolose
dell’America eppure qualcuno stava cercando di entrare in
casa ed io me ne
restavo nascosta nella mia stanza con una mazza da baseball della
Baltimore
Orioles in una mano e un casco della Baltimore Ravens in testa pronta a
difendermi da qualunque attacco.
Sally
aveva insistito così
tanto a comprare dei gadget delle uniche due famose squadre
professioniste
della città e in questo preciso momento non sapevo come
ringraziarla per non
avermi dato retta.
“Ally,
ma che succede?”,
rispose una voce assonnata dall’altra parte del telefono.
“Hai idea di che ora
sia?”
“Sally,
sto per essere
uccisa!”
“Hai ancora fatto quel sogno?”
“Qualcuno
vuole entrare in
casa!”, le dissi.
“Ne
sei proprio sicura?”
“Si…
ci sono strani
rumori, echeggiano in tutta la casa”.
“Saranno
forse le
tubature, sono vecchie”
“Forse
hai ragione”, le
dissi tranquillizzandomi un po’. Il rumore aveva smesso per
fortuna. Forse
Sally aveva perfettamente ragione. “Grazie e scusa ancora il
disturbo”
“Stai
tranquilla, domani
mattina ti chiamerò ok?”
“Notte”, dissi riattaccando il telefono.
Già forse erano proprio le tubature.
Mi
ributtai nel letto,
forse un po’ più tesa, ma non riuscivo a prendere
sonno, erano le tre del
mattino e quel rumore era ritornato.
Se
quella notte fossi
dovuta morire, sarei morta lottando.
Rimisi
il casco e tenni
stretta la mazza da baseball in mano. Accesi la luce del corridoio e
silenziosamente mi avvicinai all’ingresso. Guardai dallo
spioncino e, in
effetti, c’era qualcuno fuori che si era appoggiato alla
porta. Feci scattare
la serratura, ma non aprii.
“Ally,
non so se sei qui. Volevo solo dirti che ho fatto un
casino”, disse in modo piuttosto confuso. “Sai,
sono ritornato solo per
chiederti scusa. Sono un coglione. Lo so”, si era davvero
ubriacato? “Se ci
sei, scusa se non sembrò molto spontaneo, ma è la
terza porta con cui sto parlando
e mi sento un completo idiota... “.
“Davvero
pensi di poter tornare quando vuoi e trovarmi qui ad
aspettarti?”
“Sì,
no, certo che no”, farneticava. “Cioè...
dovevo almeno
provarci”
“Sei
arrivato tardi, Alex!”
“Io
non credo, sono ancora le tre…”,
replicò. “Abbiamo tutto il
tempo davanti…”
Aprii
di colpo la porta,
forse troppo velocemente da non dare il tempo al ragazzo di spostarsi.
“Non
mi uccidere!”, urlò lui
cadendo di spalle sul pavimento. Probabilmente lo avevo spaventato
conciata in
quel modo.
“Alex,
cosa dovrei pensare?”, gli chiesi aiutandolo a rialzarsi.
“Cioè
dovrei crederti perché all'improvviso torni da me e mi dici
che vuoi che le
cose tornino come prima?”, gli domandai facendolo sedere sul
divano. “Vorrei
credetti, ma mi sento presa... ”, non finii di parlare che la
sua mano si posò
dietro al mio collo e mi spinse verso le sue labbra.
“Alex!”,
lo richiamai allontanandomi da lui. “Perché pensi
che
basti baciarmi per farmi cambiare idea?”
“Pensavo
che fosse la cosa giusta…”
“Per
te è sempre la cosa giusta!”
“No,
non è vero!”
“Sai,
ci casco sempre, ma questa volta no. Non ci casco più.
Adesso sono stanca di essere manipolata da te”.
“Ok,
capisco”, mi rispose dispiaciuto. “È
troppo tardi, ho capito,
ho combinato un casino”.
“Sì,
hai combinato in casino!”
“Hai
ragione, forse è meglio che me ne vado”,
dichiarò. “Scusa per
tutto”, disse alzandosi dal divano troppo velocemente da
perdere l’equilibrio.
“Fermo,
dove vuoi andare conciato così?”, gli chiesi
aiutandolo a
sistemarsi di nuovo sul divano. “Guardati, ma come ti sei
ridotto?”, dissi
passandomi una mano tra i capelli.
“Sono
un’idiota!”
“Su
questo siamo d’accordo entrambi”, mi
scappò un sorriso.
Vederlo in questo stato non gli rendeva onore ma almeno sembrava essere
così
tranquillo e innocente, mezzo addormentato sul divano. “Non
puoi stare qui, ora
ti porto a letto!”
“Mi
porti a letto?”, mi chiese ridendo.
“Non
è come pensi tu!”, lo avvisai. “Non puoi
restare a dormire
sul divano, peggioreremo solo la cosa. Ora hai bisogno di mettere la
testa
sotto l’acqua fredda per farti riprendere”, gli
dissi trascinandolo in bagno.
Lo feci sedere sulla vasca e con il getto dell’acqua fredda
gli bagnai la
testa.
“È
ghiacciata!”
“Non
ti lamentare!”
“Ti
stai per caso vendicando?”
“Forse un po’!”
Lo
aiutai a uscire da quel getto d’acqua fredda e con un
asciugamano gli strofinai la testa cercando di asciugare quei capelli
castani
che avevano assunto un colore decisamente più scuro.
“Alex,
stai fermo!”, ordinai al ragazzo che continuava a scherzare
come se fosse un bambino di sei anni. “Finirai col farti male
se continui così”,
gli dissi cercando di calmarlo e stranamente ce la feci.
Posò le sue mani sui
miei fianchi, come per reggersi, ma sembrava intenzionato a non
muoversi se non
fissarmi dal basso con i suoi occhi castani.
Sembrava
così innocente. Non aveva più
quell’aria da bullo della
situazione.
“Penso
che sia arrivata l’ora di metterti a
letto…”, gli dissi. “E no, non fare
strane
battutine!”, lo avvertì spostandolo nella mia
stanza. “Almeno per stanotte ti
posso tenere sotto controllo”.
“Grazie
per quello che stai facendo”, mi disse gettandosi sul letto.
“Ti prometto che
non ti darò più disturbo”.
“Mi
sembra difficile non credere al contrario”, gli risposi
stendendomi di fianco a
lui che aveva già chiuso gli occhi. Mi appoggiai su un
braccio e lo guardai
addormentarsi. Probabilmente quello che stavo facendo era un grosso
errore,
stavo affittendo la grossa rete di problemi che c’eravamo
costruiti attorno.
“Alex”,
lo provai a chiamare.
“Dimmi…”,
mi rispose velocemente guardando il soffitto.
“Perché
hai bevuto?”
“Perché
è l’unica cosa che sono capace di fare quando
combino dei
casini”.
“Potresti
provare a risolvergli”
“Hai
visto che non sono bravo a rimediare”.
Forse
farlo restare lì era stata una mossa dannatamente sbagliata.
Per
quanto volessi che
andasse diversamente, non ero del tutto arrabbiata con lui. In fondo ci
speravo
che tornasse da me a chiedere scusa, ma non pensavo che avrei dovuto
fare da
mamma a un completo disastro, ma vederlo così stava facendo
risvegliare
qualcosa in me, che avevo cercato di seppellire da diversi mesi.
“Ally”,
disse voltandosi a guardarmi. “Perché indossi un
casco da
football?”, mi ero completamente dimenticata di portarlo
ancora in testa.
“Pensavo
che fossi un ladro…”
“E
volevi difenderti solo con quello in testa?”
“In
verità avevo anche una mazza da baseball”.
“Quindi
volevi uccidermi…”
“Buonanotte
Alex”
|
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Capitolo 8 *** Chap otto. ***
Chap otto. –
Alex P.O.V.
Svegliarsi
quella mattina non era stato per niente facile. Mi
sentivo spossato e un forte mal di testa si era trasferito nel mio
cranio.
Il sole
non era mai stato così acceso come quel giorno che entrava
dalla finestra colpendomi in pieno viso.
Quella
stanza, quelle coperte, quei mobili non erano i miei.
Quella ragazza che dormiva al mio fianco non era decisamente Lisa.
Cercai
il mio telefono che aveva improvvisamente iniziato a
vibrare sotto il mio sedere. Una sensazione stranissima e fastidiosa.
“Buongiorno
principessa, sono le sette e mezzo e sto per venire a
casa tua per far scendere dal letto quel culetto delizioso che ti
ritrovi”,
disse una voce all’interno del cellulare. Chi poteva essere
sveglio a quell’ora
del mattino, avere una tal energia e dirmi quelle cose così
spinte? Soprattutto
dette da un ragazzo.
“Pronto?”,
dissi guardando lo schermo del mio iPhone. Trovai sullo
schermo un’immagine decisamente non aggraziata di Jack
ubriaco marcio fatta lo
scorso Cinco de Mayo. Dovevo immaginare che fosse lui. “Jack,
cosa stai
dicendo?”
“Bella
addormentata, oggi è il grande giorno!”
“Come?”
“Sono
quasi sotto casa tua, prendi il borsone che ti aspetto
fuori!”
“Aspetta
Jack, non sono a casa mia…”
“Che hai fatto ieri sera furbacchione?”, chiese con
un tono di voce di chi la
sapeva lunga. “Lisa immagino che non sa nulla”
“Merda,
Lisa!”
“Spero
almeno che ne sia valsa la pena perché se ti scopre, sono
cazzi amari”, disse ridendo. “Non potevi aspettare
almeno che il tour iniziasse?”
“Jack,
ascoltami!”, lo chiamai cercando di attirare la sua
attenzione. Mi passai più volte una mano tra i capelli e sul
volto cercando di
svegliarmi completamente. Sembrava un’impresa davvero
difficile. “Ho bisogno di
una mano, sai che per me sei sempre stato un fratello,
giusto?”, gli ricordai.
“Ecco, ora ho proprio bisogno di te, poi ti spiego, ma non
bussare a casa mia.
Sto arrivano!”, mi affrettai a dire. “…
e non farti vedere da Lisa!”
“Come
vuoi tu, amico!”
“Arrivo!”,
ripetei chiudendo immediatamente la chiamata.
Mi ero
completamente dimenticato che quella mattina sarebbe
iniziato il tour nazionale e come un idiota mi ero ubriacato e avevo
passato la
notte fuori casa senza neanche aver preparato la valigia.
Decisamente
avrei vinto il premio per il “Coglione
dell’anno!”,
forse lo avrei conteso con quell’uomo che correva nudo ogni
mattina lungo il
molo della città, ma non c’erano dubbi che lo
avrei vinto di sicuro io!
“Te
ne stai andando?”, chiese Ally che si era appena svegliata.
“Sì,
scusa, mi sono ricordato che stamattina inizia il
tour…”.
“Giusto…”
“Devo
ancora fare le valigie e trovare una scusa plausibile
per…”.
“Per
la tua ragazza?”, chiese lei capendo la situazione.
“Già”
“Beh,
non ti devi preoccupare di nulla, non abbiamo fatto nulla
giusto?”,
disse mordendosi il labbro inferiore cercando di sdrammatizzare la
situazione.
Quanto avrei voluto baciare quelle labbra, ma non potevo. Non adesso.
Non avevo
tempo, dovevo scappare e raggiungere immediatamente Jack. “Tu
stai bene?”, mi
chiese. “Cioè dopo ieri, sai, hai bevuto un
po’…”
“Sì,
penso di sì, ho solo un po’ di mal di
testa”.
“Va
bene”
“Senti
Ally…”, iniziai a dire. Non sapevo da che parte
cominciare
per scusarmi. “Scusami per quello che ho fatto ieri sera,
scusa se mi sono
arrabbiato con te e scusami se mi sono presentato ubriaco a casa
tua”, le
dissi. “Scusami se me ne stavo andando senza svegliarti e
scusami se ora sono
costretto ad andarmene”. Da quando le nostre vite si erano
rincontrate, non
avevo fatto altro che scusarmi con lei tutto il tempo.
“È il mio lavoro, è
l’unica cosa che so fare bene, così
sembrerebbe”, dissi abbozzando un sorriso.
“Raggiungo una città, ci passo una notte e poi
riparto per un altro luogo e la
storia continua, sempre così”, le spiegai non so
neanch’io per quale motivo. “A
volte non mi ricordo neanche in che posto sia in quel preciso momento o
quale
sia il giorno della settimana”.
“Alex,
cosa stai cercando di dire?”
“Ti
chiamerò, te lo prometto”, le dissi. “Lo
farò sul serio”
“Non
sei obbligato a farlo se non vuoi”, mi aveva semplicemente
risposto guardando fuori dalla finestra. Sembrava così
distratta mentre
parlava, come se fosse lontano mille miglia da questa stanza. Ero
curioso di
sapere cosa stava pensando, cosa le tenesse così impegnata
la mente.
“Preoccupati prima di tutto di lei”
“Ally,
so che potrebbe essere un problema, ma…”.
“No,
sul serio, tranquillo”, m’interruppe.
“Quando tornerai ne
riparleremo, ora preoccupati solo del tour, ok?”
“Starai
bene?”
“Perché
non dovrei?”, disse alzando le spalle.
Avrei
voluto prendermi a schiaffi per la terribile persona che ero
diventato. Non ho mai potuto vantarmi di essere sempre stato un bravo
ragazzo,
che faceva tutto quello che gli dicevano i propri genitori, che
prendeva bei
voti a scuola, che faceva sport e mangiava salutare, che non faceva a
pugni per
averci provato con la fidanzata di qualcun altro, che rimaneva fedele
alla
propria ragazza e che non si comportasse da idiota solo per attirare
l’attenzione.
Ero un
completo disastro e col passare del tempo riuscivo soltanto
a far soffrire le persone.
Mi
chiedevo cosa ci fosse di sbagliato in me.
“Fai
buon viaggio”, mi disse prima di chiudermi la porta alle
spalle.
Era
fatta. Me ne stavo andando per la medesima volta, ma non era
neanche colpa mia se questo era successo. Non era colpa mia se dovevo
partire
per un tour che mi avrebbe tenuto lontano da casa, da Baltimora, per
tre mesi,
ma in fondo tre mesi cos’erano? Sarebbero passati veloci e
stare lontano da
Allyson, da Lisa, dalla città, mi avrebbe fatto bene.
Mi
piaceva redigere delle liste con le cose che c’erano da fare
per tenermi occupato e ne stavo già stilando una nella mia
testa.
Avrei
scritto qualche canzone nuova per un prossimo album, i fan
sarebbero andati in delirio.
Avrei
potuto rilassarmi un po’ di più.
Nell’ultimo periodo ero
stato piuttosto teso.
Avrei
potuto lavorare sulla mia abbronzatura.
Avrei
potuto farmi un altro tatuaggio o cambiare colore di capelli
come avevo fatto per il Warped Tour. Avrei potuto copiare Billie Joe e
diventare completamente biondo oppure avrei potuto fare un piercing,
magari
alla lingua, però questo mi avrebbe impedito di cantare per
qualche giorno,
quindi era da escludere, almeno per ora.
Oppure
avrei potuto semplicemente prendermi del tempo con me
stesso e pensare al casino che avevo combinato, a cosa avrei potuto
fare con
Lisa e cosa sarebbe stato meglio per Allyson.
Parcheggiai
davanti casa. La macchina di Jack non c’era così
come
la sua ombra. Gli avevo semplicemente chiesto di non farsi vedere, non
di
scomparire dal resto della Terra. Avevo bisogno di lui in questo
preciso
momento.
“Psss…!”,
bisbigliò qualcuno. Mi guardai in giro ma non vedevo
nessuno. “Ehi, qui!”, disse di nuovo ma continuavo
a non vederlo. “Idiota, sono
qui!”, continuò attirando la mia attenzione
lanciandomi un ramoscello addosso.
Finalmente
avevo trovato Jack nascosto all’interno di un
cespuglio.
“Per
fortuna che sei magro!”, gli dissi scherzando del suo
nascondiglio.
“Allora?”,
mi chiese. “Come mai tutta questa segretezza?”
“Ti
ricordi di Allyson?”, Jack annuii. “Sono stato da
lei”, gli
dissi accovacciandomi vicino a lui. “Prima che tu possa dire
qualcosa non
abbiamo fatto sesso, solo che doveva trasformarsi in una normale cena
tra amici
ma io l’ho baciata, abbiamo avuto una sottospecie di
discussione e me ne sono
andato…”
“E…”,
disse lui con un gesto teatrale della mano che mi invitava a
continuare. “Arriva alla parte in cui sei restato da lei a
dormire”
“E
sono andato a bere, solo che mi sono ubriacato e alle tre di
notte mi sono presentato nel suo appartamento”, gli raccontai
giocando con il
legnetto che mi aveva tirato prima. “E ho rischiato di essere
picchiato con una
mazza da baseball, ma questa è un’altra storia,
sta di fatto che si è presa
cura di me e ho passato la notte a casa sua, ma abbiamo semplicemente
dormito e
ora mi sento terribilmente in colpa perché me ne sto andando
di nuovo e non
voglio lasciarla qui da sola”.
“Quindi
vuoi annullare il tour?”
“Non
ci penso neanche per sogno!”, mi affrettai a dire.
“Ho
bisogno di questa ‘pausa’”, dissi
disegnando delle virgolette con le dita.
“Solo che c’è il problema
Lisa!”
“Giusto…”,
disse. “Cosa pensi di fare?”
“Non
lo so amico!”, affermai.
“Però… posso dire di essere rimasto
da te a dormire?”
“Certo!”,
mi rispose tranquillamente tirandomi un pugno sulla
spalla. “Ora, però, aiutami a uscire”
“Come
hai fatto a entrare qui?”
“Sono
Jack Barakat!”, affermò. “Io entro da
tutte le parti!”
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Capitolo 9 *** Chap nove ***
Chap nove. –
Alex P.O.V.
Passare
la maggior parte della propria vita con una persona non
significava per forza amarla, magari il sentimento che si provava nei
suoi
confronti stava scomparendo lentamente, giorno dopo giorno, problema
dopo
problema.
Forse il
fatto che Lisa avesse condiviso tutto con me era una
buona scusa, abbastanza decente, da farmi tornare con i piedi per
terra. Ed
eppure non ne ero totalmente convinto. Non era una scusa abbastanza
grossa da
non farmi cambiare idea.
Il fatto
che lei mi conoscesse, che mi capiva al primo sguardo o
al primo sospiro, che mi comprendeva anche soltanto guardandomi in
silenzio, non
era per niente d’aiuto, anzi, complicava le cose
perché quando si stava insieme
a una persona da praticamente tutta la vita, essa non può
che non essere la
propria anima gemella.
Probabilmente
mi sarebbe mancato svegliarmi la mattina e trovarla
al mio fianco, tornare da un tour e prenderla in braccio sulla soglia
di casa,
le notti con lei e anche le discussioni.
Sapevo
che stavo pensando a una cosa azzardata, innaturale, da
pazzi.
Avevo
passato tutto il mio tempo a costruire le fondamenta per un
rapporto sicuro, piano dopo piano era cresciuto e ora stavo cercando in
un modo
quasi maniaco un uomo d’affari che avrebbe buttato
giù il grattacielo per
costruire un parco giochi per le famiglie.
Era da
stupidi fare una metafora su quanto Lisa ed io fossimo
forti come un grattacielo e che avessi attribuito ad Ally
l’immagine di un
parco giochi, cosa che non volevo fare.
La
verità è che anche noi abbiamo avuto i nostri bei
problemi. Ci
siamo ritrovati più volte al limite della nostra storia e
qualche volta abbiamo
anche oltrepassato la linea separandoci per un po’, ma era
buffa la storia di
come, alla fine, per qualche strana ragione, ritornavamo sempre insieme
facendo
retromarcia e scavalcando il problema, perché la maggior
parte delle volte,
molto spesso, ero proprio io il problema.
I troppi
viaggi, le mie scappatelle, l’alcool, il fumo, i ragazzi
della band, il mio non volermi impegnare seriamente, erano questi i
problemi
che ci perseguitavano. Ma cosa dovevo fare? Smettere con tutto questo?
Forse
avrei dovuto farlo, ma di una persona che si ama, bisogna
accettare tutto, giusto? Ogni minimo difetto. Non era così
che funzionava?
Eppure
questa era un’altra banalissima scusa solo per non
ammettere che avevo una paura fottuta. Avevo paura di lasciare Lisa, di
essere
rifiutato da Ally, di combinare altri guai o incasinarmi con la stampa.
Avevo
paura che quello che volevo creare con Allyson non avrebbe retto. Non
la
conoscevo per nulla e ciò nonostante non mi preoccupavo di
pensare a lei più di
quello che avrei normalmente dovuto fare.
“Siamo
arrivati!”, urlava Jack eccitato correndo per il corridoio
stretto dell’autobus che avevamo affittato per il tour
nazionale. “Forza Alex,
siamo a Baltimora!”, mi disse saltandomi addosso.
“Siamo a casa!”
“Già!”,
gli risposi non troppo convinto. “Siamo a casa!”
Forse
era proprio la parola ‘casa’ che mi metteva
più ansia. Ero
arrivato all’ultima svolta prima del traguardo. Non avevo
più scuse. Ero a
Baltimora, ora dovevo decidere cosa fare di me e della mia vita. Che
cosa fare
dei miei sentimenti e di quello che mi ordinava la mia mente.
“Buonanotte
Baltimora!”, urlai al microfono facendo andare in
delirio i fan che erano venuti ad ascoltarci.
Con
quello show avevamo chiuso il tour nazionale e finalmente
potevo tornarmene a casa. Dormire in un letto che non fosse in continuo
movimento e dividendo la stessa stanza con persone che russavano in
modo
innaturale o che ridessero nel sonno.
Nonostante
tutto, adoravo quei ragazzi!
“Ehi
Alex!”, mi chiamò Jack risvegliandomi dai miei
pensieri. “Stavamo
pensando con gli altri di andare a festeggiare, sai l’ultima
‘grande notte’…”.
“In
verità volevo tornare a casa da Lisa…”.
“Anche
se c’è una sorpresa che potrebbe farti cambiare
idea?”
“Una
sorpresa?”, chiesi guardandolo confuso.
“Ta
dah!”, annunciò aprendo la porta. Rimasi spiazzato
da chi mi
trovai davanti. “Sorpresa!”, continuò
lui. “Guarda chi ho trovato tra il
pubblico?”
Ero
davvero sorpreso di averla davanti.
“Ehi
Alex!”, mi disse salutandomi con la mano. “Ci si
rivede…”,
ero pietrificato. Cosa ci faceva lei lì? Non doveva essere a
casa sua?
“Abbiamo
i pass!”, annunciò un’altra voce.
“Possiamo scattare
qualche foto di tutti voi insieme?”, chiese.
“È per la rivista”
Non mi
ero accorta della ragazza bionda che era di fianco a lei.
Non mi ero più accorto di nulla dopo che era entrata nel
camerino. Forse era
meglio se davo qualche cenno di vita, giusto per non sembrar un
completo
rimbambito.
“Certo…”,
mi limitai a dire. “Raduniamo gli altri”
“Ehi
Alex!”, mi chiamò di nuovo Jack. “Felice
per la sorpresa?”
“Jack,
cosa… cosa ci fa lei qui?”, gli chiesi cercando di
non
farmi sentire dalle ragazze. “Pensavo che
tu…”
“Oh
tranquillo amico mio”, mi disse rassicurandomi, ma non ero
mai
sicuro al cento per cento quando si trattava di Jack Barakat e delle
sue strane
idee. “Ho chiamato l’agenzia e pensavo che sarebbe
stato carino se una certa
giornalista fosse venuta ad assistere al nostro ultimo spettacolo e
avrebbe
portato con sé una fotografa molto carina”, mi
passai una mano sul viso.
“Certo
che non cambi mai!”
“Pensa
a quante cose belle si possono fotografare con quella
macchina fotografica”.
“Tu
sei un ninfomane di prima categoria!”, lo avvisai ridendo.
“Devi farti curare”
“Sono
Jack Barakat!”
“Non
puoi giocare sempre questa carta!”
“Lo
dici solo perché sai che non puoi vincere contro di
me!”, mi
rispose fiero.
“Adiamo
Mr. Barakat!”, gli dissi posando le mani sopra le sue
spalle e spingendolo verso le ragazze che stavano parlando con Zack e
Rian.
Scattammo
qualche foto per la rivista e finimmo col parlare del
più e del meno. Come un anno fa in Italia, dove era iniziato
tutto.
«Ma
hai visto questa
ragazza?», mi chiedevo a me stesso. «È
da tempo che corre nei miei sogni e mi
sta facendo impazzire», pensai da solo come un idiota.
“Ehi,
vi va di andare a
bere qualcosa?”, propose di nuovo Jack.
Erano
passati tre mesi dall’ultima volta che c’eravamo
visti,
quando l’avevo lasciata la mattina successiva a casa sua, e
non era cambiata di
una virgola. Forse le erano cresciuti di qualche centimetro i capelli,
forse si
era comprata un nuovo paio di scarpe o forse aveva preso un aumento di
stipendio, ma erano piccolezze. Restava di fatto che il suo volto era
esattamente quello che mi ricordavo. Gli occhi. Le labbra. Il suo dolce
profilo. Il suo profumo. Non era cambiato nulla.
Accettammo
tutti l’invito proposto di Jack e ci ritrovammo di
nuovo insieme a festeggiare l’ultima data del tour in un
locale buio non molto
lontano da dove avevamo fatto lo spettacolo.
Ciò
mi fece venire un déjà-vu. Dovevo
stare attento a non commettere un’altra
gaffe e rovinare tutto, ma il fatto che lei si fosse presentata
lì voleva dire
che aveva sventolata una bandiera bianca e aveva messo da parte le armi?
Guardai
come il mio amico si divertiva mentre parlava animatamente
con Sally, sembrava piacergli sul serio in quanto non aveva ancora
provato a
portarla nel bagno del locale per farsi fare un lavoretto.
“Pensi
che Jack faccia sul serio con la mia amica o vuole solo una
sveltina?”, mi chiese Ally che stava guardando la coppia che
si divertiva al
tavolo.
“Può
essere…”, le risposi alzando le spalle.
“Perché
sei qui?”, mi domandò dopo qualche istante.
“Mi
avete invit…”
“Non
intendevo perché sei in questo locale”, disse non
lasciandomi
finire la frase. “Mi chiedevo perché te ne stavi
in disparte mentre tutti sono
al tavolo a divertirsi…”.
“Volevo
stare un attimo tranquillo”, le risposi maledicendomi
immediatamente. Non era esattamente una valida risposta. “Tu
perché sei qui e
non al tavolo?”
“Perché
i camerieri non sembrano accorgersi che voglio ordinare”, mi
rispose sedendosi sullo sgabello di fianco al mio del bancone.
“Chi mi devo
portare a letto per ordinare?”, domandò forse un
po’ troppo apertamente. La
guardai sorpreso e divertito allo stesso tempo. “Che
c’è?”, mi chiese
sorridendo.
“Niente…”,
le risposi iniziando a ridere.
“È
uno strano modo di dire in Italia quando il barista non ti
degna di uno sguardo…”.
“Certo….
Lo immaginavo”, le dissi continuando a ridere. Non so
bene come, ma la mia risata la contagiò e ciò mi
rasserenò. Ero più tranquillo.
Forse era davvero la volta buona che metteva fine alla sua guerra
contro di me.
“Vieni,
andiamo dagli altri”, mi disse prendendomi per il polso e
trascinandomi al tavolo.
Alla
fine avevo trascorso più di sei anni della mia vita con
Lisa.
Avevamo avuto i nostri alti e bassi, le nostre preoccupazioni, io
nostri
problemi. C’eravamo persi ma poi eravamo sempre tornati
insieme. Ogni santissima
volta.
Dovevo
arrendermi all’apparenza.
Per
quanto facesse male, forse, era la cosa migliore da fare.
Perché quando qualcuno riusciva a sopportarti
così tanto, a ritornare sempre da
te dopo i tuoi innumerevoli errori, qualcosa di sicuro non andava nel
verso
giusto.
Il
punto è che dopo che
passi tutta la tua vita con la stessa persona, inizi a volere cose
diverse da
quelle che si è abituato ad avere. Vuoi un’auto
nuova, una casa più grande, un
cane, incontrare persone nuove o semplicemente una ragazza nuova di cui
innamorarti. E questo era quello che volevo io. Volevo buttarmi a
capofitto con
lei. Volevo provarci sul serio. Andava come andava. Se mi avesse
respinto,
almeno, non avrei vissuto con il rimosso del se. Se mai avrebbe
funzionato. Se
mai mi avrebbe amato. Se mai tornerò indietro.
Forse
questa volta avrei seguito il
cuore anziché la testa. Forse questa volta sarebbe stata
quella giusta.
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Capitolo 10 *** Chap dieci. ***
Chap dieci. – Alex P.O.V.
“Alex!”,
urlò Lisa correndomi incontro appena aprii la porta di casa.
Ero distrutto, ma
quella era una sottospecie di tradizione che continuava da anni, non
l’avrei
infranta quella volta. “Mi sei mancato!”
“Lisa!”,
le dissi abbracciandola. Ero felice di essere tornato a casa.
“Hai
fatto tardi, ti aspettavo prima”
“Io
e i ragazzi siamo stati insieme a festeggiare insieme allo staff, sai
com’è…”.
“Pensavo
che saresti tornato solo un po’ prima”.
“Ora
sono qui!”, gli dissi abbozzando un sorriso.
“Quanto mi è mancato sedermi qui”,
dichiarai gettandomi sul divano bianco in mezzo alla sala. Amavo stare
in tour
ma c’erano alcune comodità che non potevano essere
sostituite, come un bel
divano, un morbido letto o un bagno personale.
“Ti
è mancato solo il divano?”, mi chiese lei
inserendosi tra me e il divano e
iniziando a farmi un dolce e sensuale massaggio alle spalle. Sapeva che
non
riuscivo a resistere se mi toccava in quel modo, ma per quanto potesse
essere
strano, quella sera non avevo voglia di passare una notte con lei.
“Vado
a letto”, mi affrettai a dire.
“Scherzi?”,
disse seguendomi. Si stava arrabbiando per via del mio rifiuto.
“Lisa,
sono stanco, capiscimi…”
“Però
non sei stanco per stare fuori a cazzeggiare con i tuoi
amici”.
“Fanno
parte della band!”
“La
band!”, sbottò. “È sempre la
band!”
“Cosa
ci posso fare, non posso mica abbandonare il mio lavoro solo
perché tu sei
frustrata!”
“A
volte mi chiedo se tu ami più loro che me”.
“Lisa,
sono cresciuto con loro, sono i miei migliori amici!”
“Anche
noi ci conosciamo da parecchio tempo ed eppure non passi
così tanto tempo con
me”.
“È
diverso…”
“Non
dirmi che è diverso perché non ti
credo!”
“Ti
stai incazzando perché non ho voglia di scopare?”,
gli urlai. Ero esausto e lei
litigava per queste sciocchezze. “Va bene, facciamolo, magari
poi sei meno
acida!”, le dissi prendendola in braccio e appoggiandola sul
tavolo della
cucina.
“Alex!”,
mi richiamò tirandomi dei pugni sulle spalle.
“Cazzo, fermati!”
“Non
è quello che vuoi?”, gli chiesi arrabbiato,
incrociando le braccia davanti a
lei.
“No,
diamine!”, mi rispose scocciata e allontanandomi da lei.
“Volevo passare del
tempo col mio fidanzato che non vedevo da parecchio tempo”.
“Mi
dispiace, ok?”
“Senti,
ne riparliamo domani”, mi disse scendendo dal tavolo.
“È bello rivederti girare
per casa”, disse, con un tono malinconico e deluso, prima di
scomparire verso
la stanza da letto. La sentii sbattere la porta e lanciare i cuscini
per terra.
Ormai
quel divano non era più così scomodo. Mi ero
abituato a dormirci sopra e poi
avevo la scusa di poter guardare un po’ di tv prima di cadere
in un sonno
profondo.
Non
riuscivo a capire quale fosse la cosa peggiore di tutto questo. Se non
essere
dispiaciuto per il litigio o se realmente mi era mancato di
più il divano che
di lei. Ero assolutamente un idiota, lo sapevo, ma lei mi faceva
impazzire.
Quando pensavo che le cose tra di noi andassero per il verso giusto,
che
potessero funzionare, mi ricredevo immediatamente perché
c’erano giorni, come
oggi, in cui mi faceva venire voglia di strappare i miei cazzo di
capelli. Mi mandava
di matto e non riuscivo a spiegarmi come mai restavamo ancora insieme.
Ormai
era piena notte, saranno state probabilmente le tre di
mattina. “Alex…”, mi chiamò
una prima volta. “Alex!”, una seconda, non volevo
aprire gli occhi, sapevo come sarebbe finita. “Svegliati
Alex!”, disse questa
volta lanciandomi un cuscino addosso. Mi misi a sedere emettendo un
sospiro,
quasi involontario, e la vidi in piedi, immobile, in mezzo alla stanza
che
stringeva le mani e le tormentava nervosamente.
“Che
c’è Lisa?”, le chiesi esasperato.
“Vuoi ancora litigare?”
“Voglio
parlare!”, disse. “Dobbiamo parlare su quanto
è accaduto”
“Non
possiamo aspettare domani mattina?”, le domandai come se
fosse una supplica. “Ho passato gran parte del tempo a
cercare di addormentarmi
su questo divano”.
“Alex,
ascoltami!”, disse decidendosi finalmente di muoversi e si
sedette sul tavolino davanti a me, così da potermi guardare
in volto.
Probabilmente si trattava di qualcosa di serio. Probabilmente non avrei
dormito
neanche quella notte.
Non
avevamo acceso le luci, non ce ne era bisogno. Ormai
conoscevamo a memoria ogni piccolo dettaglio del suo viso, ma i suoi
occhi
erano diversi. Nella penombra notai che erano lucidi. Forse aveva
pianto, forse
si era appena svegliata, forse non m’importava neanche
così tanto.
Sapevo
bene dove voleva andare a parare. Era così ogni volta.
Sapevo esattamente le parole che mi stava per dire ed eppure non
riuscivo a
guardarle negli occhi così mi concentrai sulla figura del
mio corpo coperto
dalla schiena di Lisa riflessa sullo schermo della tv.
“Dimmi
Lisa!”, la invitai a parlare. “Quale problema ti
affligge
di così importante?”
“Alex,
siamo arrivati alla frutta!”, disse. “Lo sappiamo
entrambi
che ormai qualcosa è cambiato”,
continuò a spiegare poggiando la sua mano
attorno al collo. Sembrava nervosa. “Non siamo più
i ragazzini di diciotto anni
che andavano al ballo scolastico, siamo adulti e penso che dovremmo
comportarci
come tali e dirci la verità”.
“È
quello che vuoi?”
“Sì,
è arrivato il momento di fare i conti con la
realtà”, disse
posando ora la sua mano sulla mia guancia. “Alex, tu sei come
Peter Pan, ti
rifiuti di crescere, di maturare”.
“Quindi
mi stai dicendo che sono io il problema?”, le chiesi
togliendo la sua mano dal mio viso e alzandomi dal divano. Era
totalmente
assurdo quello che stava dicendo.
“Si”,
rispose senza battere ciglio. “Sei sempre stato tu il
problema in questa coppia, è sempre stato così
ovvio”, disse nel modo più
tranquillo possibile. Odiavo quando le persone cercavano di litigare
senza
alzare la voce, era fastidioso perché non si riusciva a
capire quanto cazzo
fossero arrabbiate e la cosa peggiore era guardarla negli occhi,
diamine! Metteva
i brividi.
“Allora
perché sei sempre tornata da me?”, urlai cercando
di
smuovere quella situazione.
“Perché
eri tu che avevi bisogno di me Alex!”, rispose
immediatamente tirando fuori la sua ira. L’aveva detto. Aveva
avuto il coraggio
di dirlo e sbattermi la realtà in faccia.
“Io
non ho bisogno di te!”, dissi per difendermi. “Se
vuoi proprio
saperlo ho passato tre mesi fantastici senza di te, senza problemi,
senza
qualcuno che mi urlava continuamente contro di non frequentare i miei
amici”.
Forse
ero stato troppo cattivo nei suoi confronti ma mi ero
liberato di uno dei tanti pesi che mi portavo dietro, ormai da troppo
tempo. Non
le avrei raccontato di tutte le mie scappatelle durante i tour. Non le
avrei
raccontato di tutte le bugie che le dicevo. Non le avrei raccontato di
tutte le
cose che avevamo fatto quella sera. Tantomeno le avrei raccontato di
quello che
stava nascendo dentro di me nei confronti di Ally.
“Quindi
è questo che pensi davvero?”, mi chiese furiosa.
“Quindi mi stai attribuendo a
me tutta la colpa?”
“Sto
solo dicendo che a volte sei troppo oppressiva”.
“Penso
che dovremmo andare a dormire e riparlarne domani mattina, immagino che
tu sia
stanco”.
“No
Lisa, hai iniziato questa discussione e ora la finiamo!”,
m’imposi. Ero stufo
marcio dei continui litigi.
“Io
non ne ho voglia!”
“Lo
dici perché sai che ci lasceremo, vero?”
“E
anche se fosse?”, chiese. “Tanto, è
quello che facciamo continuamente, non
pensi?”
“Lisa,
se ci lasciamo, questa volta è per sempre”, le
dissi catturando tutta la sua
attenzione. Vidi la rabbia spegnersi nei suoi occhi. Abbassai lo
sguardo
soltanto per qualche secondo per poi riportarlo immediatamente a lei.
Stavo
cercando le parole giusto per essere onesto con lei. Questa volta per
davvero.
“Non
penso di farcela, di continuare, sono stufo di questa situazione e
penso che
stiamo perdendo tempo mentre restiamo qui a litigare come tutte le
fottute volte
che abbiamo fatto nei cinque anni successivi”, iniziai a dire
molto lentamente.
“Ho fatto i miei errori e ne sono cosciente, probabilmente
sto cercando di
dirti che sono uno stupido, ma è meglio se la finiamo
qua!”
“Quindi
mi stai lasciando?”
“È
l’unica soluzione per entrambi”, le dissi rimanendo
stranamente serio.
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Capitolo 11 *** Chap undici. ***
Chap undici. –
Alex P.O.V.
Bene,
non avevo più niente da dire, tantomeno non
avevo più nessun motivo per restare lì, anche se
si trattava di casa mia.
Ero
stato un terribile stronzo con lei, ma di sicuro
non l’avrei cacciata in mezzo alla strada, così
decisi di prendere la macchina
e dirigermi per chi sa in quale luogo. Non avevo più la
pallida idea di dove
sarei andato, ma quando mi ritrovai sotto casa sua, capii che
probabilmente
quello sarebbe stato il posto ideale, quello di cui avevo bisogno.
Quando
bussai alla porta, rimasi sorpreso di chi mi
venne ad aprire. Non avrei immaginato di trovarmi un ragazzo mezzo nudo
davanti
a me, ma dovevo aspettarmelo che finiva così.
"Alex
che ci fai qui?", mi chiese
stropicciandosi gli occhi. Probabilmente lo avevo svegliato.
"Tu
piuttosto cosa ci fai qui?", gli chiesi confuso.
"Cosa ci fai da Ally?"
"In
verità sono qui per Sally"
"Ha
già più senso... ", gli dissi abbozzando
un sorriso forzato. "Mi fai entrare?"
"Non
è casa mia, non saprei... "
"Jack
ho passato la peggiore nottata della mia
vita, ti prego fammi entrare!”, il ragazzo si
spostò su un lato così che io
potetti entrare finalmente in casa.
“Ehi
Jack, chi è che sta facendo tutto questo rumore?”,
disse un’altra voce proveniente dal corridoio. Attesi qualche
secondo prima di
vedere Ally comparire. “Alex, cosa ci fai qui?”, mi
chiese guardandomi come se
non fosse sicura della mia reale presenza nel suo soggiorno.
“Sono le tre e mezzo
del mattino, non hai una casa dove andare?”
“Io…
ho bisogno di parlare con qualcuno…”
“Stai
bene?”, mi chiese avvicinandosi a noi. I suoi
occhi avevano assunto un’aria preoccupata così
come il tono della sua voce.
«No!
Non sto affatto bene! Ho appena rotto con Lisa,
con cui pensavo che mi sarei sposato in un futuro molto lontano, ma il
nostro
rapporto, nonostante sia durato anni, è arrivato al culmine
ed è scoppiato.
Sono letteralmente fuggito da casa mia solo per non passare un altro
istante
con quella ragazza e l’unico luogo che mi è venuto
in mente in quel preciso
istante è stato questo, casa tua dove tu probabilmente stavi
dormendo
tranquilla prima che io ti piombassi in casa e sai
cos’è la cosa buffa? È che
vederti complica le cose! Aumenta il mio senso di colpa che alimenta
quella
vocina fastidiosa nella mia mente che continua a dirmi che sto facendo
una
cazzata a lasciar andare una ragazza come Lisa solo per essermi preso
una
sbandata per te, e penso che abbia ragione perché
è assurdo che mi stia
innamorando di una completa sconosciuta. È da essere
ricoverati in manicomio.
Tutto questo mi manda di matti! Quindi, se proprio vuoi saperlo: no,
non sto
affatto bene!», avrei voluto urlargli, ma non ci riuscivo.
“Io…
penso… Jack… forse è meglio che me ne
vado!”,
dissi non riuscendo a completare una frase di senso compiuto. Ero un
idiota. Il
caso è chiuso! “Scusate il disturbo”,
dissi girando i tacchi verso il
pianerottolo.
“Me
ne occupo io”, sentii dire di sfuggita da Jack.
Ero
stato un perfetto idiota a venire a casa di
Allyson. Mi chiedevo perché avevo guidato fin da lei e non
da Jack o da Zack o
da Rian, ma perché proprio dalla ragazza che tormentava i
miei sogni e i miei
incubi nell’ultimo periodo.
“Ehi
Alex!”, sentii chiamarmi alle mie spalle. “Alex,
fermati!”,
chiamò di nuovo. La voce di Jack era inconfondibile.
“Stai bene amico?”, mi
chiese posando una mano sulla mia spalla.
“Sì,
no, sto benone... ”, gli risposi
cercando di essere il più convincente possibile.
“Non
mi sembra…”, rispose stringendosi
nelle spalle. Non so se era perché mi conosceva da anni o se
avevo stampato
sulla fronte «Ho la stessa incontenibile
voglia di vivere di Lana Del Rey», ma
quando ero triste, lui lo capiva immediatamente nonostante cercassi di
nasconderlo. “Sento delle strane vibrazioni attorno a
te!”
“È
deludente quando le cose vanno nel modo
in cui avevi programmato e non ti senti bene lo stesso, sai?”
“Lo
so... ”, mi disse semplicemente
guardandomi negli occhi per poi stringermi in uno dei suoi abbracci.
Sapevo di
poter contare su di lui. Sempre. Per qualunque motivo. Poteva essere un
completo idiota tutto il tempo, ma se qualcuno aveva bisogno di una
mano, beh,
diventava serio e faceva di tutto per aiutarlo e così ha
sempre fatto con me.
Poche parole e un forte abbraccio che mi fabbricava sentire a casa,
perché era
proprio lui l’immagine che mi veniva in mente ogni volta che
pensavo a casa
mia. Era esattamente la persona cui ero legato di più e gli
ero grato di tutto,
per primo: di esserci sempre quando ero sull’orlo di una
crisi. “Perché non
andiamo via?”, mi propose prendendomi per le spalle senza
perdere il contatto
con i miei occhi.
“Intendi
tipo fare un viaggio insieme?”
“No,
pensavo di fare due passi verso il
bar qui sotto”, proferì ridendo. “Non
penso che ci serva un altro viaggio o
robe del genere. I tour non ti tengono già abbastanza
impegnato?”.
“Hai
ragione!”, gli dissi
abbozzando un sorriso, meno forzato di quello prima.
“Però
sono le tre e mezza
del mattino, di bar a Baltimora non ce ne sarà neppure uno
aperto, quindi ti
propongo una nuova terapia”, dichiarò.
“Restiamo qui sul pianerottolo e mi
racconti cosa diavolo è successo”
“Posso
avere però una birra?”, gli chiesi.
Avevo bisogno del mio antidolorifico o come preferivo chiamarlo:
coraggio
liquido.
“Stella
Artois?”
“Sarebbe
perfetto”
Vidi
Jack entrare in casa delle ragazze e
tornare immediatamente dopo con una cassa di sei bottiglie. Quel
ragazzo sapeva
prendermi per la gola e sapeva adattarsi come nessun altro nelle case
di altri.
“Queste
però non sono le tue…”, gli feci
notare.
“Oh
suvvia, gliele ricomprerò!”, disse
stappandone una. Feci anch’io lo stesso. “Allora,
spiegami cosa ci fai qui?”
“Ora
berrò un po' perché è la mia mossa
tipica”, gli risposi semplicemente bevendo un sorso dalla mia
bottiglia. “È
quello che sono bravo a fare: a bere quando va tutto
storto”.
“Alex,
quando le cose s’incasinano, tu
scappi via, ma sai ci sono altre cose che si possono fare per
rimediare…”.
“Il
punto è che non voglio rimediare”
“Spiegati…”
“Mi
sono lasciato con Lisa…”, dissi.
“Questa volta definitivamente. Non tornerò
più da lei!”
“Ne
sei proprio sicuro?”
“Sono stufo marcio di essere seppellito dalla sua troppa
gelosia, dalla sua
ansia e dalla sua mania di controllo”, gli raccontai.
“Non sono fatto per tutto
ciò e me ne sono accorto soltanto ora, dopo aver perso la
maggior parte della
mia vita con una persona che avrei volentieri soffocato nel
sonno”.
“Non
eri tu quello che implorava per
ritornare con lei?”
“Sì
e me ne pento amaramente di quello che
ho fatto”.
“Allora
non capisco quale sia il problema,
amico!”, disse bevendo un sorso di birra e passandomi una
nuova bottiglia
ancora da aprire. “Ora sei libero, puoi andare a scopare con
qualsiasi ragazza
senza preoccuparti di nascondere i segni del rossetto”.
“È
che non voglio neanche più continuare a
fare questa vita”.
“Alex
Gaskarth che diventa serio?”, chiese
non molto convinto della cazzata che avevo appena detto.
“Voglio
trovare qualcuno che mi renda
sereno, che non mi dia preoccupazioni e che abbia un’enorme
pazienza per i miei
stupidi errori”, confessai. “Dovrei trovare la tua
versione al femminile”.
“Mi
lusinga, ma se non fossi così attratto
dalle ragazze, probabilmente, ti bacerei”.
“Dovrei
essere totalmente ubriaco prima
che questo accada!”, dissi ridendo. Jack era esattamente la
persona che stavo
cercando solo che non aveva due tette e tutto quello che un uomo aveva
bisogno.
“Senti,
per tutta la faccenda di Lisa,
lascia perdere”, disse stringendosi nelle spalle continuando
a sorseggiare la
sua birra. “Penso che tu abbia preso la decisione migliore.
Ora però dovresti
dormirci un po’ su e dimenticarti di tutto questo. Sei
giovane, sei bello, sei
famoso e hai un certo sex-appeal da far cadere le donne ai tuoi piedi,
penso
che possa bastare per renderti felice”.
“Grazie
amico”
“Ora
però andiamo a dormire!”, ordinò
Jack. “Anche se tu hai passato una notte d’inferno,
beh, non vorrei passarla
anch’io, quindi…”, disse raccogliendo le
bottiglie ed entrando in casa.
Lo
seguii all’interno dell’abitazione. Mi
sentivo spaesato, anche se non era la prima volta che ci mettevo piede,
ma
sembrava essere passato così tanto tempo
dall’ultima volta che ero stato lì.
Il
tempo di aprire la porta e la vidi
alzarsi dallo sgabello della cucina e venirci incontro.
“Ehi…”, disse come se
fosse un sussurro. “Alex, stai bene?”
“Ally,
può restare qui a dormire, non
voglio che torni a casa in queste condizioni”, le chiese Jack
prima che io
potessi risponderle e rischiare di avere una crisi.
“Certo…”
“Grazie”,
le dissi sedendomi sul divano.
“Alex
mi hai fatto preoccupare!”
“Davvero?”,
gli chiesi incredulo delle
parole che avevo appena sentito.
“Senti
Jack, tranquillo, vai pure a
dormire, ora ci penso io”, disse sedendosi davanti a me, come
aveva Lisa fatto
poche ore prima, ma a differenza sua, la sua presenza non mi dava
fastidio.
“Va
bene, buonanotte”, aveva risposto lui
prima di ritornare nella stanza di Sally.
“Diamine
Alex, cosa è successo?”, mi
chiese portando una sua mano sulla mia guancia, ma non le risposi, non
ci
riuscivo. Non sapevo neanch’io il motivo di questo
comportamento da stupidi.
“Forse dovrei lasciarti dormire, ti prendo un
cuscino!”, disse alzandosi dal
tavolino ma la bloccai prendendola per la mano costringendola a non
allontanarsi da me. Avevo bisogno di sentirla vicino.
“Ally,
posso dormire con te?”, le chiesi.
“Sono stanco di dormire da solo”
Ero
pronto a ricevere un no come risposta
o un’infinità d’insulti o magari di
pugni oppure tutte e due le cose messe insieme,
ma non avvenne. Rimasi sorpreso di come mi fece alzare e condurre nella
sua
camera.
Mi
sdraiai sul letto, come avevo fatto la
notte prima di partire, e tutto all’improvviso mi sembrava
così familiare. Il
profumo delle coperte, la sensazione di essere adeguato e non
giudicato, la
compagnia appropriata, tutto sembrava perfetto.
“Grazie
Ally”
“Buonanotte
Alex!”
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Capitolo 12 *** Chap dodici. ***
Chap dodici.
“Buongiorno
Jack”, annunciai al ragazzo che era intento a mangiare dei
cereali col latte indossando
solo dei boxer. Ormai ritrovarsi Jack in cucina era diventata
un’abitudine
nelle ultime due settimane. Tra poco gli avrei fatto pagare
l’affitto o almeno
gli avrei chiesto i soldi per la spesa visto che solo lui si faceva
fuori metà
delle nostre provviste.
“Ally!”,
salutò lui con un semplice gesto della mano continuando a
mangiare.
“Hai
dormito ancora qui?”
“Beh,
di sicuro non è un mio hobby andare in giro in boxer a fare
colazione a casa
degli altri”, disse scherzano.
“Ah
no?”, gli chiesi ridendo. “Beh, tu sei Jack
Barakat!”, affermai. “Ci si può
aspettare tutto da te!”
“Vedo
che si sta diffondendo la notizia”
“Sarà
un tormentone”, gli dissi continuando a ridere prima di
diventare momentaneamente
seria. “Quindi tu e Sally…. Beh… mi hai
capito…”
“Mi
stai chiedendo se abbiamo scopato?”
“Oh
no, lo so perfettamente quello... ”, dissi nascondendo una
risata che stava per
uscire. “Vi sento bene la notte”, non riuscii
più a trattenermi. “Beh, insomma,
quindi è una cosa seria?”
“Non
lo so ancora”, disse stringendosi nelle spalle. “Ci
stiamo lavorando… stiamo
andando con calma”.
“Con
calma?”, replicai non troppo convinta.
“Buongiorno”,
annunciò Sally entrando in cucina ed emettendo un enorme
sbadiglio. Si avvicinò
alla schiena del ragazzo e ci si poggiò sopra per
raggiungere le labbra del
chitarrista. “Di cosa parlavate?”
“Di
voi due che fate porcate alle tre del mattino”, risposi
osservando divertita il
viso della mia coinquilina che diventava sempre più rosso.
“Come
mai sei così allegra?”, mi chiese Sally cercando
di cambiare discorso e sedendosi
davanti a quello che apparentemente sarebbe stato il suo
ragazzo/amante/compagno. Sinceramente non sapevo neanch’io
come definirlo.
“Io?”
“Già,
ultimamente sei piuttosto allegra”
“Gaskarth
si è dato da fare?”
“Come
scusa?”, chiesi al chitarrista che continuava a fare strani
gesti alludendo a
qualcosa che non sarebbe successa per i prossimi, beh…
finché non… no, non
sarebbe successa mai, punto! “Penso di dover
andare”, annunciai prendendo la
mia borsa dalla sedia e le chiavi di casa.
“Scappi
signorina Porter?”, mi urla Jack facendomi ridere.
“Resta qui è affronta questa
discussione!”
“Ci
vediamo stasera!”
“Ci
vediamo dopo in ufficio”
Avevano
ragione, ultimamente ero piuttosto felice. Non sapevo spiegarmi
neanch’io il
motivo, ma mi piaceva questa nuova sensazione. Era da fin troppo tempo
che non
mi sentivo così bene.
“Ehi
Alex, sono quasi arrivata”, dissi al telefono che aveva
improvvisamente iniziato
a squillare. “Scusami per il ritardo”
“Tranquilla,
ti aspetto!”
Non
sapevo neanche come spiegarmi questo strano comportamento che avevo
iniziato ad
avere con lui. Forse mi ero davvero messa l’anima in pace e
avevo deciso di
comportarmi diversamente.
Da
quando era tornato, non aveva accennato di essersi lasciato con la sua
ragazza,
tanto meno di volerla lasciare. Avevamo deciso di sorvolarci sopra
semplicemente
non parlandone più e comportandoci come degli amici.
Era
decisamente la cosa migliore da fare.
“Eccomi!”,
annunciai sedendomi al tavolo davanti a lui. “Scusami
ancora”
“Mi
sono permesso di ordinare, se non ti dispiace”.
“Tranquillo”,
gli risposi facendo spazio alla cameriera che posava in quel preciso
istante un
cappuccino e un caffè sul tavolo.
“Grazie
Susan”, disse lui regalando a quella ragazza un magnifico
sorriso che la fece
arrossire. Aveva un certo non so che e le ragazze sembravano non
resistergli ed
io stavo cercando di non cadere nella sua trappola diventando di nuovo
una
delle sue vittime, ma diventava difficile quando se ne stava davanti a
te
mentre mescolava distrattamente il suo caffè. Era un
controsenso di tutto
quello che mi ero ripetuta prima. “Sai pensavo a una
cosa…”, disse facendomi
abbandonare i miei pensieri.
“Della
serie?”
“Tra
poco è il compleanno di Jack potremmo organizzare qualcosa
di divertente per la
sua festa…”.
“Sarebbe
una bella idea, ma io non conosco così bene Jack quanto te,
quindi non saprei
come darti una mano…”.
“Non è questo il problema, basta che mi aiuti, ti
dirò io cosa fare”, disse
regalandomi uno dei suoi magnifici sorrisi. Probabilmente Jack era
davvero
fortunato ad avere un amico come lui.
“Quindi
cosa avevi in mente di fare?”
“Penso che ti sia fatta già un’idea di
come sia Jack… cioè…. Penso che ormai
tu
lo abbia inquadrato…”, iniziò a dire
stringendosi nelle spalle. “Avevo pensato
di fare qualcosa di eccentrico, con piume e brillantini e tanta
birra…”.
“Intendi
dire con delle spogliarelliste?”
“Esatto!”,
dichiarò ridendo. “Inoltre penso che sia inutile
organizzare una festa a
sorpresa, ci romperebbe così tanto le palle che rischieremmo
di urlarglielo noi
stessi in faccia…”.
“In effetti, è un ragazzo
molto…”, dissi cercando di trovare le parole
giuste
per definirlo. “…determinato”
“Determinato…
certo!”
“Quando
compierebbe gli anni?”
“Il 18 ne fa 25, se non sbaglio”
“Se
non sbaglio?”, gli chiesi ridendo. “Non dovresti
sapere quanti anni ha?”
“Dipende
gli anni che intendi…”, mi rispose, ma non capii
cosa intendesse dire. “Vuoi
sapere quanti anni ha o quanti anni ha mentalmente?”, mi
spiegò. “Perché la
differenza è davvero enorme”, continuò
ridendo.
“Quindi
abbiamo a che fare con un bambino di cinque anni bloccato nel corpo di
un
venticinquenne?”
“Ora
hai capito!”
“Jack
è davvero unico”, dissi sinceramente.
“Nel senso positivo”
“In
effetti, Jack è quel tipo di ragazzo che piace a tutti:
ragazze, genitori,
vecchi e bambini. Ci sa semplicemente fare ed emana una sottospecie di
aurea
che lo fa giudicare simpatico e socievole”, iniziò
a dire. “Fa tanto lo scemo
del villaggio, ma è una persona fantastica”.
“È
davvero bello che tu parli di lui in questo modo…”.
“Siamo
amici da tutta una vita, ormai ho imparato ad amarlo… in
fondo lui è Jack Barakat,
come si fa a non amarlo?”
“Ma
tu sei Alex Gaskarth, probabilmente sei uno dei ragazzi più
desiderati di tutto
il Maryland, mi chiedo chi tu sia davvero?”, gli chiesi
sorprendendomi di
quello che la mia voce era riuscita a dire senza che me ne accorgessi.
“Mi sembri
uno sconosciuto, non so quasi niente di te…”,
notai che rimase sorpreso dalla
domanda che gli avevo appena fatto.
“Io…
beh, sono Alexander Gaskarth, ma puoi anche chiamarmi Alex, sono nato
il 14 dicembre del 1987 a Essex, il mio secondo nome
è William e sono
un musicista…”.
“Non
voglio sapere la biografia di Wikipedia, voglio sapere chi sei
realmente”, gli
dissi non distogliendo i miei occhi dai suoi castani. “Chi
sei Alex?”, rimase
parecchi minuti in silenzio prima di aprire bocca e poi chiuderla
immediatamente. Gli avevo posto una domanda cui neanche lui sapeva
rispondere.
Lo avevo totalmente lasciato senza parole. Per la prima volta mi ero
ritrovata
davanti a un Alex che riusciva a stare zitto. Non sapevo se
approfittarne di
quel momento e goderne la tranquillità o cercare di
risollevare la situazione
con una domanda di riserva.
“Non
saprei cosa risponderti”, disse finalmente dopo diversi
istanti di silenzio.
“Sai, dovrei essere un maestro della parola ed eppure non
riesco a formulare
una risposta a quello che mi hai chiesto”.
“È
così difficile?”
“Penso
di non essermi mai soffermato più di tanto su chi io
sia…”, disse stringendosi
nelle spalle e non distogliendo gli occhi dalla tazza bianca che
stringeva tra
le mani. “Sono diventato quello che sono grazie alla casa
discografica, ai fan
e a tutto il resto, penso che la mia vita sia comandata da qualcun
altro, ma nonostante
ciò, non penso che mi dispiaccia”,
continuò a dire. Forse si era sbloccato. “Voglio
dire, sono diventato famoso e ora quasi tutti mi conoscono,
è quello che ho
sempre desiderato essere, però… ”, si
fermò. Lasciò la sua frase sospesa per
aria, come se stesse cercando qualcosa da dire, qualcosa che andasse
bene. Si
stava aprendo con me ed ero felice del risultato che avevo ottenuto.
Stavo
finalmente conoscendo l’Alexander non famoso, quello lontano
dai riflettori.
“Però?”,
gli chiesi incoraggiandolo a continuare.
“Però
niente… non c’è nulla che cambierei di
quello
che ho fatto fin ora, sono sempre lo stesso stupido ragazzo soltanto
con più
anni”, disse alzando le spalle. “A volte mi
dimentico soltanto di accendere il filtro
che collega la mia bocca al mio cervello, e questo mio umorismo fa
ridere solo Jack
e i bambini”, sorrisi a quella frase.
“Penso
che ti sottovaluti, sai essere un fantastico
ragazzo quando vuoi”.
“Lo
pensi davvero?”
“Penso
che potresti esserlo, se solo la smettessi di
atteggiarti da rockstar”.
“Io
non mi atteggio da…”, gli lanciai
un’occhiata che
percepì immediatamente. “Ok, forse è
vero, a volte mi comporto da stronzo ma
non lo faccio a posta… non mi piace apparire
debole…”.
“A
volte penso all’Alex che si è presentato a casa
nostra in piena crisi emotiva e penso a quanto fossi simile a noi
comuni
mortali…”.
“Mi
stai dando della divinità?”, chiese ridendo.
“No,
non montarti la testa”, lo avvertì. “Ti
stavo
definendo come… beh… in effetti, la gente ti
tratta come una divinità… non ti
da fastidio essere così tanto al centro
dell’attenzione?”
“È
sia la mia forza e sia la mia kryptonite”.
“Ora
sei diventato il Superman del ventunesimo secolo?”
“Non
sto dicendo di essere Superman ma soltanto che
nessuno ha mai visto me e Superman insieme nella stessa
stanza”.
“E
dopo questa cazzata me ne vado Alex Kent”, gli
risposi scoppiando a ridere. “Ti perdoniamo Mister Gaskarth
per tutte le cavolate
che dici, soprattutto perché adesso devo andare al
lavoro”, dissi alzandomi
dalla sedia e prendendo il portafoglio dalla borsa.
“Tranquilla,
offro io”
“No,
sul serio…”
“Insisto”,
disse posando la sua mano sulla mia. “Non
sarei un gentiluomo se non lo facessi e da tale ti accompagno in
ufficio
aprendoti perfino la portiera della macchina”.
“Saresti
così galante?”
“I
can be a gentleman,
anything you want…” canticchiò.
“Ti
prego, dimmi che non stai cantando la canzone di
Justin Bieber”, quasi lo implorai.
“Se
ti dicessi che sto cantando la cover degli Issues, cambierebbe
qualcosa?”
“Forse
sì, almeno è orecchiabile!”
-Molly
Grazie ancora a Layla
e Rack
per le recensioni ^^
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Capitolo 13 *** Chap tredici. ***
Alex –
P.O.V.
Era
tutto pronto. Il locale era pieno, la
torta l'avevamo comprata e il festeggiato era con noi pronto a varcare
la
soglia del night club.
“I
feel like dancing tonight…”,
iniziò a cantare Jack entrando nel locale
ormai pieno di gente che lo aspettava. “I’m
gonna party like it’s my civil right…”
“Sei
così pieno di te che canti
addirittura una canzone del gruppo in cui suoni?”, gli chiese
Ally ridendo.
Quella
sera indossava un particolare
vestito nero che le cadeva a pennello, non più lungo
né più corto del dovuto,
era perfetto così come le scarpe rosse col tacco che
indossava, ma quel sorriso
sul volto era più prezioso che qualunque gioiello sulla
corona della regina
d’Inghilterra.
Era
bellissima ed io mi stavo innamorando
come un coglione!
“Potrei
citarti in causa!”, gli dissi
unendomi al loro scambio di battute.
“Forza
ragazzi, è il compleanno di Jack,
lasciamogli fare tutto quello che vuole… ma solo per questa
sera!”, si affrettò
a dire Sally facendogli un occhiolino malizioso.
La
musica a palla, le ragazze che
ballavano attorno ai pali e tutti gli amici più stretti
erano vicini a Jack.
Era una bellissima serata.
“Ora
amico, berrai il tuo primo drink da
questa bomba sexy”, gli dissi avvicinandoci a una ragazza
stesa sul palco.
“Abbiamo sale, tequila e limone, non starò qui a
spiegartelo, sai bene come
funziona!”, dissi porgendogli un bicchierino trasparente e
spargendo del sale
sulla pancia scoperta della ragazza.
“Amo
il mio compleanno!”, esultò lui
alzando le braccia al cielo. Accerchiato da gente che lo incitava a
dare via
alla festa, prese il bicchierino di tequila che gli stavo offrendo e il
limone
che mise in bocca alla fanciulla stesa davanti a lui. Leccò
prima il sale dalla
pancia della ragazza, in un solo sorso si scolò il liquido
marroncino
all’interno del bicchiere e afferrò il limone
dalla bocca della spogliarellista
senza toccarle le labbra. Nonostante tutto, era rimasto fedele a Sally.
Era
davvero una festa fatta con i fiocchi.
Eravamo riusciti a organizzare tutto in pochissimo tempo e con grandi
risultati. Si vedeva visibilmente che Jack si stava divertendo e che
gli
piacesse tutto quel movimento fatto da piume, luci e coriandoli su
delle belle
ragazze che si sarebbero spogliate per lui se solo glielo avesse
chiesto.
“Ho
sempre desiderato fare questo!”, annunciò
Jack salendo sul palco e appiccicandosi al palo da lap dance. Era
visibilmente
ubriaco e rideva come un pazzo. Dimenava il sedere come solo lui era
capace di
fare e quando provò ad arrampicarsi sopra, cadde per terra.
In
quel preciso istante tutti quanti
restammo zitti, trattenendo il respiro col fiato sospeso, immaginando
che si
fosse fatto male o si fosse rotto qualcosa, ma per fortuna non era
così.
“Sto
bene!”, annunciò rimettendosi subito
in piedi e continuando a ridere e a dimenarsi sul palo seguendo la
musica in
sottofondo.
“Jack,
ti voglio presentare questa bella
infermiera”, gli dissi offrendo la sua mano a quella del mio
amico che la afferrò
scendendo dal palco. “Si prenderà cura di ogni tuo
dolore”
“Sei
tu il bimbo che oggi compie gli
anni?”, chiese un’altra persona. Ci voltammo a
guardare chi avesse parlato e ci
trovammo davanti ad un uomo vestito da poliziotto, con occhiali da sole
e
basette bionde. “Mi hanno detto che sei stato molto
cattivo!”, non capivo da
dove fosse saltato fuori.
“In
verità la qui presente infermiera
stava per curare la mia bua”, disse Jack cercando di spiegare
all'uomo che non
era interessato alle sue avance.
“Ne
sei sicuro?”, chiese il poliziotto.
“Mi hanno detto che ti stai comportando davvero male
ragazzaccio, penso che ti
dovrò dare una bella lezione!”,
continuò lui dandogli una pacca sul sedere. Mi
voltai a guardare chi lo avesse spedito e mi accorsi che Ally e Sally
stavano
indicando nella nostra direzione e ridevano di quando Jack fosse in
imbarazzo.
Scossi la testa. Erano state piuttosto furbe.
“C’è
qualcosa che vuoi dire prima di
essere ammanettato?”
“Dovrei
parlare con il mio avvocato…”,
disse lui facendo dei piccoli passi all’indietro.
Probabilmente se la stava
vedendo brutta, ma era così divertente vedere Jack in quelle
condizioni.
“Non
penso proprio!”, continuò lui
strappandosi i pantaloni e rimanendo in slip. Vidi Jack impallidire e
probabilmente lo feci anch’io. Cercai di svignarmela al
più presto prima che la
situazione degenerasse. “Ehi biondino, dove cerchi di
scappare!”, disse questa
volta rivolto a me.
“Io
non sono biondo…”, cercai di giustificarmi
sperando che si rivolgesse a un altro ragazzo.
“Dovresti
essere illegale…”, disse
avvicinandosi a me mentre indietreggiavo lentamente a ogni suo passo.
“…perché sei
stupefacente!”, aggiunse posando un dito sulle mie labbra e
facendo poi scorrere
l’indice lungo il mio petto. Rabbrividii. Quelle due
l’avrebbero pagata grossa.
“Ehi
Rob, ottimo lavoro!”, dichiarò Sally
avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla. “Sei
stato bravissimo!”
“Di
nulla bellezze!”, affermò dando una
pacca sul sedere di entrambe e allontanandosi da noi dopo averci
mandato un
bacio con la mano. “È stato un piacere!”
“Mi
volete spiegare che storia è questa?”,
le chiesi ridendo. “Jack è ancora
traumatizzato!”, le dissi indicando il nostro
amico steso su uno dei divanetti.
“Suvvia,
era un piccolo scherzo innocente!”,
mi rispose Allyson continuando a ridere. Non riuscivo a resistere al
suono
della sua voce e alle sue labbra che si dischiudevano.
“Ci
avete fatto prendere un colpo!”
“Rob
è un bravo attore!”, rispose Sally
avvicinandosi al suo ragazzo. “Ehi Jack!”, gli
disse baciandolo dolcemente. “Il
poliziotto cattivo se ne è andato via!”
Tralasciando
il piccolo spavento, la festa
stava andando alla grande e nonostante fossero le tre passate,
c’era ancora
gente che ballava e scattava foto. Jack mi sarebbe stato debitore a
vita.
Avrebbe dovuto organizzarmi una festa degna di essere chiamata tale ma
speravo
che se la sarebbe ricordata perché dopo il primo short di
tequila aveva
ingurgitato vari liquidi di colori e gradi diversi e probabilmente si
sarebbe
risvegliato la mattina successiva ricordando soltanto un terzo della
serata.
“Ehi
Rob, posso farti una domanda?”, gli
chiese Jack quando il poliziotto si sedette in mezzo a noi. Gli
sembrava essere
passato il piccolo momento di panico avuto al primo incontro oppure era
l’alcool
ma in fondo quel l'uomo era simpatico nonostante ci provasse
spudoratamente con
noi.
“Dimmi
bellezza!”, disse lui posando le
sue mani dietro alle nostre schiene.
“Quanto
guadagni in un anno facendo
questo?”, gli chiese con mia sorpresa.
“Dipende,
dai 7.000 ai 10.ooo$ all’anno
facili, senza mance, quelle sono extra”.
“Accidenti!”,
disse sbalordito.
“Ti
interessa provare?”
“Io?”,
rispose lui ridendo. “In effetti, è
sempre stato il mio sogno!”, confessò continuando
a ridere. Non capivo se stava
scherzando o se fosse realmente serio. “Se praticamente
volessi entrare nel
settore, che esigenze ci sono nel reparto beh…?”,
chiese indicando il cavallo
dei suoi jeans scuri.
“Non
importa quanto ce l'hai grosso, le
donne vogliono che tu racconti una storia, che le faccia viaggiare con
la mente,
che le rendi protagoniste di una notte di passione, devi farti
desiderate,
farle impazzire con dei semplici sguardi”.
“Sembra
eccitante”
“E
lo è!”, rispose fiero il poliziotto.
“Senti, ti do un numero da chiamare”, disse
porgendogli un biglietto tirato fuori
dalla tasca del giubbotto. “Se hai intenzione di provare,
questo è il numero
giusto!”
“Grazie
amico!”
“Anche
tu sei interessato?”, chiese questa
volta rivolto a me.
“Io?”,
chiesi retoricamente. Non avevo mai
pensato a questa professione e non riuscivo neanche a immaginare di
spogliarmi
davanti a delle persone. “No, non farebbe per me”
“Dovresti
provarci!”, disse porgendomi lo
stesso biglietto che aveva dato prima al mio amico. “Voi due
fareste cadere ai
vostri piedi miliardi di donne!”
“Oh
Rob!”, intervenne Jack facendo una
strana vicina, molto effemminata, come quella che faceva solitamente
durante
gli show. “Tu ci stai adulando!”
“Sto
dicendo la verità!”, disse lui
tirando giù gli occhiali da sole e facendo
l’occhiolino al ragazzo. “Ora vado a
lavorare, tra poco c’è il mio spettacolo e di
là ci sono molte donne
eccitate!”, ci informò ridendo. “Buon
compleanno Jacky!”
“Ci
stai realmente pensando?”, gli chiesi
a Jack perplesso che si stava rigirando tra le mani il biglietto che
Rob gli
aveva appena lasciato.
“Sto
valutando l’idea di diventare uno
spogliarellista se la nostra carriera da musicisti dovesse
finire”, non gli risposi,
mi limitai a ridere a quella che probabilmente sarebbe stata una
battuta.
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Capitolo 14 *** Chap quattordici. ***
Ciao quattordici. -
Ally P.O.V.
La
festa stava andando alla grande, Jack
si stava divertendo così come tutti gli altri. Ero felice di
quello che Alex ed
io eravamo riusciti a organizzare. Messi insieme non eravamo per niente
una
pessima coppia, forse un po’ male assortita, ma ce la
cavavamo bene.
“Ehi
straniera!”, mi salutò Jack sedendosi
su uno sgabello vuoto di fianco al mio.
“Ehi
rockstar!”
“Ti
stai divertendo?”
“Decisamente!”,
dichiarò. “È la migliore
festa di compleanno che abbia mai avuto!”
“Ne
sono felice!”, dissi portandomi il
cocktail alle labbra.
“Come
mai qui da sola?”
“Open
bar”, gli risposi bevendo un sorso
dal bicchiere bianco che reggevo tra le mani. “Non si rifiuta
mai un open bar”
“Mi
sembra giusto…”, con una mano chiamò
il barista che gli portò immediatamente una Stella Artois ghiacciata.
“Tutto apposto?”
“No,
penso di no!”
“Cos’è
che ti affligge?”
“Faccio
bene a non credergli?”, gli
chiesi. “Ad Alex… dovrei dargli un’altra
possibilità?”
“Non
lo so Ally”, mi rispose. “Io penso che
tu sia una di quelle ragazze per cui vale la pena
riprovarci”, disse alzando le
spalle. “Se fossi in lui, anch'io sarei ritornato”.
"Anche
se sarei costretta a diventare
l'altra ragazza?", gli chiesi sconsolata.
"Non
penso che questo sia il vero
problema tra di voi…”.
"Che
cosa intendi dire?"
"Ci
sono cose rimaste non
dette", mi rispose semplicemente stringendosi nelle spalle e bevendo un
sorso di birra dalla sua bottiglia. "Non è così
difficile come sembra.
Decidetevi a parlare di cose serie, avete superato la fase
adolescenziale di
Dawson's Creek”.
“Grazie
Jack"
“Alex
è un mio amico, ormai lo conosco da
troppo tempo e so come si comporta”, ribadì.
“Tu invece sei una novità, cioè,
pian piano sto imparando a conoscerti e sei una ragazza tranquilla,
posata,
totalmente diversa da lui e la cosa assurda è che
quell’idiota sta facendo di
tutto per comportarsi bene, anche se non gli riesce
granché”, disse bevendo un
altro sorso della sua birra. “Però gli piaci sul
serio”
“Sai
Jack, in fondo non sei poi così
male”, gli feci notare porgendogli un sorriso.
“Sally è stata fortunata a
incontrarti”
“Non
sei la prima che me lo dice”
“Molta
gente ti sottovaluta”
“Ehi,
ricorda che sono Jack Barakat!”, mi
disse facendomi l’occhiolino.
Quel
ragazzo aveva un modo tutto suo di
ragionare, ma quando voleva, poteva essere anche la persona migliore di
questo
mondo. “Ah proposito di Alex, sta per fare uno
spettacolo!”, annunciò indicando
con la testa il ragazzo su uno dei palchi del locale. Ci spostammo dal
bar
andando verso di lui. "Dovresti farlo smettere di bere…"
Alex
era salito sul palco e si stava
muovendo a tempo di musica. Alzava le braccia, beveva dalla bottiglia
che
teneva in mano, si scopriva gli addominali cercando di apparire il
più sensuale
possibile. Stava facendo davvero uno spettacolo a quelle ragazze che
avevano
deciso di ammirarlo dagli sgabelli posti sotto il palco. Indossava un
boa di
piume attorno al collo e degli occhiali da sole, si sentiva proprio un
divo e
l'immagine di lui che era totalmente fuori di testa mi stava
letteralmente
uccidendo dal ridere, così come Jack che era piegato in due
mentre si reggeva
la pancia.
"E
ora canterò per voi!", urlò
indicando il pubblico femminile ai suoi piedi appena la cover di Poker
Face degli
You Me at Six fu riprodotta in sottofondo.
La
sua voce era così sensuale e i suoi
movimenti così provocatori. Aveva innescato in me una strana
sensazione che si
fece sentire all'interno del mio stomaco. Mi sembrava di avere degli
elefanti
anziché delle farfalle.
Per
quanto fosse strana quella sensazione,
mi piaceva.
"Ehi
Jack, lo stai vedendo?",
gli chiese un ragazzo poggiando un braccio attorno alle sue spalle. Era
poco
meno di lui, con braccia muscolose e capelli corti, castani,
così come i suoi
occhi che tendevano al verde. Aveva un bellissimo sorriso che si
abbinava
perfettamente ai suoi lineamenti che erano caratterizzati da un anello
che gli
bucava la narice.
"È
ubriaco marcio!", commentò.
"Uhm...
Forse è meglio se mi dedico a
quelle ragazze laggiù, cercherò di salvarle da
Alex ubriaco... e
arrapato", probabilmente quel ragazzo non aveva perso tempo in
chiacchiere
e aveva subito analizzato accuratamente tutte le ragazze all'interno
del locale.
"Ehilà", mi salutò stringendomi attorno alle
spalle un braccio
completamente tatuato.
"Ehi
Zack!", lo salutai.
L'ultima volta che c’eravamo visti era stato durante il loro
ultimo show a
Baltimora. Mi era sembrato un ragazzo particolarmente tranquillo, cosa
che mi
ero immediatamente ricreduta dopo averlo visto in azione con le ragazze
che
aveva adocchiato.
Alex P.O.V.
Ormai
la gente se ne stava andando e la
serata si stava concludendo, ma non per noi. Eravamo rimasti noi due
con Ally e
Sally insieme a Zack e Rian con Cassadee, la sua fidanzata, e
altri
ragazzi dello staff. Ci raggiunse anche Rob, lo spogliarellista.
“Potremmo
fare un gioco!”, propose Jack
catturando l'attenzione di tutti noi.
“Quale?”
“Kiss
or Ask!”, propose ma calò il
silenzio tra di noi che ci guardavamo confusi. “Non
guardate mai la tv?”,
chiese incredulo. “Lo fanno sempre nei telefilm... Comunque,
per chi non
sapesse come si gioca, qualcuno fa una domanda, un altro deve
rispondere
sinceramente oppure baciare la persona che gli ha fatto la
domanda”
“Mi
sembra un gioco stupido e da
ragazzini”
“È
il mio compleanno e decido io!”, disse
facendo sporgere il labbro inferiore così da assumere una
faccia da
cucciolo.
“Va
bene principessa Barakat!”, dissi
accontentando il nostro amico. Non sarebbe stato facile fargli cambiare
idea
soprattutto quando s’imponeva su qualcosa.
“Prendiamo
dei bicchieri e sediamoci qui”,
ci ordinò sedendosi per terra, tra i coriandoli argento e le
piume dei boa
delle ballerine.
“Bene,
allora iniziamo con te Jack che sei
il festeggiato!”, dissi bevendo un sorso dalla mia birra.
“Cosa potrei
chiederti?”, mi domandai portandomi un dito sul mento.
“Iniziamo con qualcosa
di semplice… ti è piaciuta la festa?”
“Amo
questo posto e amo queste ragazze e
penso di amare Sally!”, disse ridendo trasportato
dall'alcool. “Ora tocca a
me!”, esultò eccitato come un bambino.
“La mia domanda è per Sally!”, disse
diventando momentaneamente serio. La guardò dritto negli
occhi e le chiese:
“Verresti a vivere da me?”.
Improvvisamente
cadde il silenzio tra di
noi. Non ci saremmo mai aspettati che Jack dicesse una cosa del genere,
tantomeno non se lo aspettava neanche lei.
“Jack
sei ubriaco!”, rispose ridendo.
“Sono
serio!”, ribadì cercando di assumere
un’aria seria che però non gli riusciva bene.
“Allora?”, attendavamo tutti la
sua risposta.
Sally
guardò prima Jack, poi il suo
sguardo si posizionò su Ally che le porgeva un enorme
sorriso incitandola a
rispondere, e poi tornò di nuovo su Jack.
“Diamine, si”, gli rispose
buttandogli le braccia al collo e baciandolo. Applaudimmo a quella
scena,
alcuni fischiarono.
Forse
Jack stava crescendo. Forse aveva
capito che era ora di smettere con le storielle da una notte e via e
doveva
concentrarsi su una storia seria. Forse Jack era più maturo
di quanto mi
aspettassi.
“Ehi,
il gioco si chiama «bacia o
rispondi» non «bacia e
rispondi»!”, disse Zack ridendo, spezzando quel
momento
romantico che si era creato. “Scollatevi
piccioncini!”
“Sei
solo geloso perché non sei capace di
mantenerti una ragazza fissa!”, gli rispose Rian mettendo un
braccio attorno a
Cassadee. Nonostante gli volessi bene, mi chiedevo che cosa ci facesse
una
ragazza come lei, così bella e piena di talento, con uno
come Rian. Certo, era
il tenerone e romanticone del gruppo ma rappresentava a tutti gli
effetti
l'immagine del ragazzo tranquillo che per svagarsi suonava la batteria,
non
aveva nulla di particolare. Forse era stato il suo sorriso da
'pubblicità per
un dentifricio' a fare colpo su di lei. In effetti anch'io sarei caduto
ai suoi
piedi se avessi ricevuto un sorriso da quella dentatura perfetta e
smagliante.
“Ok
Zack!”, gli chiese il batterista. “Visto
che ti piace parlare, rispondi: la frase più strana che ti
hanno detto!”
“Sei
tutto il porno di cui ho bisogno!”,
dichiarò fiero e senza vergogna, ma continuando a ridere.
“Non
ci credo!”
“Chiedi
a Katie!”, ribadì orgoglioso e
sorridendo probabilmente a un ricordo che gli era tornato in mente.
“Jack
ho una domanda per te!", chiese
Rob. "Chiamerai quel numero per il lavoro da spogliarellista?”
"Spogliarellista?",
chiese
qualcuno ridendo dell'idea di Jack che si spogliava davanti a un
pubblico di
donne. In effetti quella scena non era neanche tanto strana, ormai noi
della
band c’eravamo abituati a vederlo in boxer e anche nudo,
coperto solo dalle due
mani. Anche i fans si erano abituati, ma sembravano volerne di
più e lui li
assecondava sempre
“Ci
farò un pensierino…”, rispose
stingendosi nelle spalle.
“Non
penso che sia accettabile come
risposta!”
“Rob
a cuccia!”, disse lui fermando l’uomo
che si stava avvicinando. "Ci hai provato..."
“Tocca
a me!”, annunciò Ally. “Una domanda
per Zack!”, continuò a dire. “Cosa ve ne
fate di tutti i reggiseni che vi
lanciano sul palco?”, chiese ridendo.
“A
questa domanda non posso rispondere!”,
disse strizzandole l’occhio. “È un
segreto della band!”
“Mi
sa che allora dovrò baciarti!”, gli
rispose lei ridendo. Zack si alzò dal suo posto per
avvicinarsi a lei e
posandole una mano sulla guancia, fece incontrare le sue labbra con
quelle di
Allyson. Mi fece uno strano effetto vederla. Come se fossi un
po’ geloso o
forse lo ero completamente. Mi aveva dato fastidio che quelle labbra
avessero
toccato quelle di Zack o che fosse stato proprio lui a farla ridere per
l’imbarazzo. Non ero stato io che l’aveva fatta
arrossire ma il donnaiolo della
band, e non mi andava giù che si era fatta baciare
tranquillamente senza dare
di matto come aveva fatto con me.
“Se
vuoi vomitare c’è un cestino qui
dietro”, le dissi cercando di farmi passare l’amaro
in bocca.
“Sta
zitto, Alex”, rispose tuttavia lui.
Continuammo
così per un po’ finché non
ritornò il turno di Jack di porgere una domanda.
“Perché i fan sono fissati con
il Jalex?”, mi chiese.
“A
questa domanda non so risponderti...”,
dissi facendo involontariamente una smorfia con la bocca. Non capivo
come mai
questa fissazione era nata tra i fan. Certo, io e lui ci mettevamo del
nostro
ma comunque scherzavamo sempre. Era solo per divertici. Senza un reale
interesse.
“Penso
proprio che ci tocca baciarci”,
annunciò Jack.
“Bacio!
Bacio! Bacio!”, iniziarono a dire
in coro tutti quanti. Lanciai un occhiataccia a Zack e a Rian che
sbattevano
addirittura le mani sul tavolo e che fischiavano come quegli uomini nei
film
che lavoravano nei cantieri e vedevano una bella donna.
“Il
Jalex è come gli unicorni…”, iniziai a
dire cercando di evitare le labbra del mio migliore amico.
“La
sappiamo bene questa storia ma ora ti
tocca baciarlo!”, disse Rian forse un po’ troppo
sovraeccitato. Era meglio se
smetteva di bere mentre io non ero abbastanza ubriaco da farlo.
“L’ho
immaginato per così tanto tempo e
ora non posso guardare!”, aveva detto Vinny, un amico che
lavorava nel nostro
staff, portandosi le mani davanti agli occhi, ma comunque tenendo
aperte le
dita così da guardare la scena.
Jack
si avvicinò guardandomi intensamente
negli occhi. “Mi raccomando, niente lingua
Gaskarth!”, scherzò prima di
poggiare le sue labbra sulle mie. Sentii alcuni gridolini e urla da chi
c’era
intorno. Era durato pochissimi secondi come quelli che erano capitati
di
scambiarci negli show, solo per far felice qualche fans e
così avevamo fatto
anche questa volta.
“Ally
tocca a te!”, l’avvertì Zack e
ciò m’irritò.
Davvero ero infastidito da Zack? Davvero mi sentivo minacciato da lui?
Tutto
questo era totalmente stupido. Sapevo perfettamente che Ally non si
sarebbe
lasciata abbindolare da lui, tantomeno lui avrebbe concluso qualcosa
con lei
per una scopata e basta. Eppure non ne ero totalmente convinto.
“Cosa
è successo con Lisa?”, chiese. Distratto
nei miei pensieri non capii immediatamente che la domanda fosse rivolta
a me fino
a quando non sentii il silenzio che si faceva strada tra di noi e il
peso del
loro sguardo su di me.
“Io…
non so come…”, cercai di dire senza
riuscire a formulare una frase dal senso compiuto. Ero stanco che Lisa
fosse
per me un argomento tabù. Ero stato io a lasciarla eppure
ancora non mi
spiegavo come mai mi ostinavo a non parlare della nostra rottura.
“Amico,
ti tocca baciarla!”, continuò il
bassista.
Sospirai.
Almeno questa volta sarei stato
io. “Va bene!”, dissi avvicinandomi a lei. Le posai
la mia mano sul suo collo e
la guardai intensamente un istante.
“Te
ne andrai anche questa volta?”,
sussurrò in modo che la potessi sentire solo io.
“No,
non stavolta!”, dissi prima di posare
le mie labbra sulle sue. Aprimmo gli occhi rimanendo ancora uniti.
“Resterò qui
ancora per un bel po’”, le sussurrai tra le labbra.
Ed
era vero! Non avevo intenzione di
andarmene da nessuna parte, almeno fino a settembre, quando sarebbe
ricominciato il tour e questa volta sarei stato via per molto
più tempo, ma
questo non doveva influenzare le mie azioni.
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Capitolo 15 *** Chap quindici. ***
Chap quindici. - Alex
P.O.V.
Guidai.
Guidai più veloce che potevo per
arrivare finalmente davanti a casa sua. Mentre la città
scorreva veloce fuori
dai finestrini, mi persi in lei. Mi voltai a guardarla mentre le
insegne dei
locali le illuminavano il viso. Mi puntai nella testa che dovevo
restare
attento alla guida, soprattutto dopo aver bevuto tutte quelle birre, ma
la mia
mente era confusa, dovevo trovare una scusa per smettere di guardarla
così da
non far rischiare la mia e la sua di vita.
Ero
sempre stato convinto che Lisa fosse
la ragazza giusta per me, ma quando quella sera vidi Ally,
così allegra e
felice della festa che avevamo organizzato, qualcosa era
cambiato in me e
tutto in quello che avevo creduto era magicamente scomparso in un
enorme puff,
come quello che si vede nei cartoni animati della domenica mattina.
Forse la
persona giusta arrivava quando meno se lo aspettava, come per magia,
pronta a
sconvolgerti totalmente la vita, oppure non arrivava mai, ma tutto
quello che
sentivi era una completa euforia che non riuscivi a trattenere.
E
mi sentivo come se fossi ubriaco marcio
e non era solo il fatto di esserlo sul serio, ma la mia mente non
riusciva a
trovare una scusa plausibile per smettere di guardarla, per fare le
cose con
calma, per non accostare la macchina e avvicinarmi pericolosamente alle
sue
labbra. Ero totalmente comandato da una forza superiore che non
riuscivo a controllare
e per quanto mi sforzassi di oppormi, tutti i miei sforzi erano
inutili, forse
perché non lo volevo sul serio e mi stavo abbandonando ai
miei pensieri, ma senza
accorgermene ci trovammo sotto casa sua e all’improvviso
tutto fu chiaro.
Ally P.O.V.
“Sono
felice che Jack si sia divertito!”,
dissi togliendomi le scarpe e gettandole sul pavimento. Era una bella
sensazione quella di poter camminare a piedi scalzi sul parquet di casa
propria. “Sembrava un bambino in un negozio di caramelle
eccitato dal troppo
zucchero, solo che il negozio era uno strip club e che le caramelle
fossero
bottiglie di alcool…”.
“Benvenuta
nel mondo di Jack!”, disse Alex
ridendo, chiuse la porta di casa dietro di lui e lasciò
cadere le chiavi
dell'auto sulla penisola che divideva la cucina.
“Adesso
è meglio che io vada a dormire…
grazie per il passaggio”, dissi portandomi una ciocca di
capelli dietro
l’orecchio.
“Di
nulla... ”, rispose rimanendo immobile
davanti a me, come se non si fosse accorto che lo stavo gentilmente
scacciando.
“Ora,
però, dovresti tornare anche tu a
casa da…”.
“…da
Lisa?”, mi chiese irritato. “È
ciò
quello che stai realmente pensando in questo momento?”
“Ora
basta, Alex!”, gli dissi cercando di calmarlo
ma finii per farlo arrabbiare più del dovuto.
Poggiò le sue mani contro il muro
bloccandomi in mezzo.
“Davvero
non capisci quanto ti desidero?”,
mi chiese lasciandomi senza parole. Non sapevo cosa dire, cosa fare.
Restai
diversi minuti in silenzio guardandolo negli occhi, assaporando il suo
profumo
mischiato all’odore della birra, a pochi centimetri dal suo
volto, dalle sue
labbra.
“Mi
desideri?”, riuscii finalmente a dire.
“Sì,
diamine!”, disse abbassando la testa,
poggiando la sua fronte con la mia. “Credevo che
l’avessi capito ormai…”
“Come
pensi che avrei dovuto... ”
“Tu
sei la prima, dopo tanto tempo, che ho
voluto davvero conquistarti e con te mi sembra sempre di sbagliare
tutto,
qualunque cosa faccia sembra che ti faccia sempre soffrire”.
“Alex,
non dire idiozie!”
“Ti
prego, dimmi che anche tu hai perso la
testa per me!”, mi chiese quasi implorando. Nel profondo
della mia mente una
voce mi prega di non dirlo, sapeva che sarei rimasta fregata di nuovo,
ma dall’altra
parte c’era la sua voce. “Dimmelo
Ally!”.
Avevo
il presentimento che se mi fossi
fidata di lui avrei sofferto di nuovo, però non potevo fare
sempre quello che
diceva la mia testa. A volte bisognava fidarsi del proprio cuore e fu
quello
che feci in quel preciso istante. Mandai al diavolo la mia parte
razionale
fregandomene completante se poi sarei stata male.
“Sì,
ho perso la testa per te, ma questo
non significa che…”, non riuscii a concludere la
mia frase. Le sue morbide
labbra erano di nuovo sulle mie e questa volta non per gioco. Si
muovevano
lentamente, come se volessero apprezzare ogni attimo di quel bacio. Si
trattava
di un bacio lento, dolce, poi diventò più veloce.
Sentivo il suo corpo premere
contro il mio che si era completamente abbandonato lungo la fredda
parete che
mi reggeva in piedi.
Ormai
era troppo tardi. Sia il mio cuore sia
il mio corpo appartenevano a lui. Mi stavo innamorata di un ragazzo che
era entrato
nella mia vita senza chiedere nulla, in silenzio, in punta di piedi e
aveva
iniziato a sconvolgerla come solo lui sapeva fare. Mi mandava di matto,
mi
faceva arrabbiare, ma mi faceva anche ridere. Quando ero insieme a lui
riusciva
a farmi stare bene e di questo gliene ero grata.
Questo
era quello che volevo davvero, che
era rimasto sepolto dalle mille preoccupazioni, ma alla fine era emerso
e stava
succedendo.
"Non
so cosa dare per far sì che
questo momento potesse durare per sempre fintanto che sono insieme a
te",
sussurrò a pochi millimetri dalle mie labbra.
“Alex,
sii sincero…”, gli chiesi
staccandomi da lui. Non poteva essere tutto così perfetto.
Ci dovevano essere
delle complicazioni da qualche parte. “Cosa è
successo con Lisa?”, abbassò lo
sguardo ed io mi schiacciai contro il muro, pronta a prendere
l’ennesima
batosta. In fondo me la ero andata a cercare da sola.
“Ci
siamo lasciati!”, disse soltanto. Lo
guardai negli occhi cercando un briciolo di bugia, e se era vero come
dicevano
che gli occhi erano lo specchio dell’anima, beh, i suoi erano
limpidi.
“Quante
ore fa è successo?”
“Parecchie
settimane, direi…”, rispose
stringendosi nelle spalle. “Precisamente la sera stessa che
sono tornato a casa
dal tour”.
“Perché
l’hai fatto?”
“Che
importanza ha ormai?”
“Perché
non voglio essere io quella che ha
rovinato il vostro rapporto”.
“Il
nostro rapporto era già rovinato da
tempo, nulla avrebbe peggiorato le cose…”.
“Quindi
ora…”
“…ora
ti vorrei chiedere se ti andasse di
condividere questa buonissima bottiglia di champagne che ho preso dal
compleanno di Jack”, disse allungando una mano verso la
penisola e prendendo la
bottiglia che non avevo visto portare in casa.
“Scusa,
sei diventato l’ispettore
Gadget?”, gli chiesi ridendo e portandomi involontariamente
una mano davanti
alla bocca.
“No,
chiamami Bond…”, disse togliendosi
gli occhiali da sole che si era prontamente messo prima di mettere in
atto
tutto questo spettacolino. "Alexander Bond!"
"Tu
sei pazzo!", gli feci
notare. "Teneramente pazzo!", ribadii più convinta
di prima.
“Però questo è sbagliato, è
totalmente sbagliato e lo sappiamo entrambi, non
puoi venire qua e dare questo spettacolo e aspettarti che io mi fida di
te", disse la mia parte razionale che si era ribellata e uscita di
nuovo
allo scoperto. "È davvero questo quello che vuoi?"
"Si
Ally, voglio una relazione seria,
stabile, chiamala te come meglio preferisci, ma voglio stare con
te”.
"Alex
tutto è contro di noi... "
In
pochi secondi si avvicinò a me e posò
le sue mani sui miei fianchi. Lo stava facendo di nuovo. Mi stava
ingabbiando
all'interno della prigione che costruivano i suoi occhi castani, da cui
non
riuscivo a evadere. Ed ero stanca di questa situazione. Volevo soltanto
che la
mia mente la smettesse di porre resistenza e che per una volta
decidesse quella
parte di me che voleva essere felice.
"Il
tuo corpo è più sincero di te, lo
sai?", mi sussurrò in un orecchio. La sua voce da seduttore
mi fece venire
dei brividi lungo la schiena. Il suo tocco mi faceva perdere le forze e
i suoi
baci mi mandavano in fiamme.
“Alex…”
Se
lui fosse stato il diavolo, avrei fatto
di tutto per raggiungere l'inferno.
“Per
adesso non possiamo goderci questo
momento?”, disse sussurrando di nuovo. Se mi avesse detto
ancora qualcosa con
lo stesso tono, probabilmente avrei fatto qualunque cosa mi avesse
ordinato.
Mi
afferrò per mano e mi trascinò per il
corridoio verso la mia stanza da letto. La mia mente era completamente
in
stand-by, incapace di capire cosa stesse succedendo. In pochi secondi
mi trovai
distesa sul letto, con lui sopra, a un passo da me che mi baciava con
passione
mentre lottava con la zip del vestito.
Si
sfilò le scarpe buttando per terra anche i calzini.
I
suoi pantaloni a vita bassa non erano
stati per niente difficili da sfilare così come la maglietta
bianca della AWG che
sfilai velocemente lasciandolo in pochi secondi in boxer.
Lo
aiutai con il mio abito che fece subito
compagnia ai suoi vestiti.
Iniziò
a baciarmi lentamente. Sulle
labbra, lungo il collo, fino alla mia pancia. Mi faceva impazzire e
tutta quell’attesa
aumentava il mio desiderio di averlo.
“Ho
bisogno di te!”, sussurrò guardandomi
dal basso. Lo aveva fatto di nuovo! Aveva utilizzato di nuovo quella
voce. Non
sapevo cosa dire. Avevo voglia di lui, ma contemporaneamente avevo
paura di
quello che sarebbe accaduto dopo, a quello che ci avrebbe aspettato la
mattina
successiva, quando ci saremmo svegliati e saremmo tornati alla solita
vita di
sempre.
Facendo
presa con sulle braccia si sollevò
sopra di me, così guardarmi negli occhi e ricevere una
risposta che ancora non
gli avevo dato.
Istintivamente
posai una mano sul suo
petto sentendo i suoi addominali nascosti.
Lo
sentivo sospirare e un brivido percorse
di nuovo la mia schiena.
Il
suo sorriso, perso in un bacio più morbido,
abbandonato sulle mie labbra. I nostri cuori accelerarono
contemporaneamente
perdendosi nei rumori della notte.
Eravamo
solo noi due e per ora andava
tutto bene.
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Capitolo 16 *** Chap sedici. ***
Chap sedici.
Non
ero certa di essere completamente
sveglia, tantomeno di essermi mai addormentata ma continuavo ad avere
davanti agli
occhi l’immagine di Alex che dormiva beatamente di fianco a
me. Nonostante
fosse giugno, un leggero lenzuolo bianco gli copriva la parte finale
della
schiena lasciando intravedere l’elastico nero dei suoi boxer.
Mi
morsi il labbro inferiore.
Probabilmente questo era stato il peggiore errore che avessi fatto in
vita mia
e sapevo che me ne sarei pentita amaramente quando sarebbe finito
tutto, perché
sapevo che sarebbe finito tutto e sapevo anche che qualcosa si sarebbe
messo
tra di noi. Non sarebbe stato il tour, non sarebbero state le persone,
ma
qualcosa sarebbe successo e lo sentivo nel mio stomaco. Era una di
quelle
sensazioni che solitamente sono chiamate «sesto
senso» e di solito non gli davo
mai retta ma questa volta era diverso. Una forza dentro di me mi
spingeva a
credergli e mi metteva in allerta.
Nonostante
tutto, però, non riuscivo a non
smettere di sorridere al pensiero di lui che dormiva come un bambino,
con l’espressione
simile a quella di qualcuno completamente abbandonato in un sogno che
avrei
tanto voluto sapere.
Senza
rendermi conto mi ritrovai a
percorrere con un dito il contorno del tatuaggio che aveva sulla mano
sinistra.
Una rosa rossa rubino con delle iniziali sotto di essa. C’era
scritto: T.E.G...
mi chiedevo quale fosse il significato di quel tatuaggio e anche di
quello
buffo che portava sullo stesso avambraccio, uno scheletro che indossava
un
costume da scheletro mentre faceva dolcetto o scherzetto. Inoltre aveva
un
terzo tatuaggio, ma su quello ero sicura al cento per cento che
centrasse con
la band, se non sbagliavo, dietro al suo orecchio, c’era un
piccolo cranio con
le ossa incrociate ed era il simbolo della band. Avevo visto lo stesso
tatuaggio su entrambi i membri del gruppo.
“Se
è un nuovo modo per dirmi di
svegliarmi, sappi che mi piace”.
“Ti
ho svegliato?”
“Sì,
ma non è un problema”, mi disse
continuando a tenere gli occhi chiusi.
Mi
persi a guardarlo e mi ritrovai di
nuovo dispersa in mezzo al mare dei miei pensieri. Mi stavo di nuovo
abbandonando a tutte quelle domande, a quei filmini mentali e ai
numerosi ‘se’
che sarebbero venuti dopo. Mi stavo preparando alla batosta che mi
avrebbe
colpito in piena faccia appena mi sarei alzata da questo letto.
Sembrava un
luogo così neutrale, come un’isola dove potevamo
rifugiarci prima di iniziare a
litigare per la medesima volta.
Mi
ero arresa così facilmente alle sue
parole. Pensavo di essere più forte e invece ero ceduta.
Speravo soltanto che
questa volta sarebbe andata diversamente.
“Stai
bene?”, mi chiese aprendo finalmente
gli occhi e riportandomi alla realtà.
“Penso
di si…”, gli risposi titubante
mordendomi il labbro inferiore. “Cosa significa il
tatuaggio?”
“Lo
scheletro?”, mi chiese. “Mi piace
Halloween, è la mia festività
preferita”, rispose regalandomi uno dei suoi
sorrisi sghembi.
“Intendevo
la rosa… chi è T.E.G.?”, gli
chiesi. Immediatamente vidi il suo viso rabbuiarsi e cambiare
drasticamente
espressione. Forse gli avevo fatto una domanda troppo personale e
plausibilmente
non se la sentiva di rispondermi. “Scusami… non
sei obbligato a parlarne se non
vuoi…”, mi affrettai a dire. Non volevo che si
rattristasse per un mio stupido
errore. Probabilmente gli avevo aperto una ferita che gli faceva ancora
male.
“È
mio fratello”, rispose sorprendendomi.
“Se
non vuoi parlarne… tranquillo”
“Non
ti preoccupare…”, mi rispose
girandosi con la schiena sul materasso e portando davanti a se la mano
con la
rosa. “Si chiama Thomas…”, disse
guardandosi il tatuaggio. Si stava fidando di
me, di nuovo. Stava cercando di farmi entrare all’interno del
suo mondo ed io
ero pronta a buttarmi a capofitto. Se era quello che voleva non mi
sarei tirata
indietro. “... cioè, si chiamava
Thomas”, fece una breve pausa dove sospiro.
Potevo immaginare cosa stesse per dire e in quel preciso istante capii
che quel
ragazzo, che faceva di tutto per apparire forte e sempre allegro, era
pieno di
insicurezze, di timori e di dolori. Aveva solo bisogno di qualcuno che
gli
stesse accanto e lo consolasse quando il mondo gli crollava addosso.
“È
successo nel 2004, io avevo solo diciassette anni quando accadde mentre lui
ne aveva
ventuno… è morto nel sonno”, disse
facendo una pausa tra una frase e l’altra. “Queste
lettere sono le sue iniziali: Thomas Edison Gaskarth”, mi
spiegò. “Non mi piace
parlare di lui, è abbastanza doloroso. Ho scritto anche
qualche canzone, come
per sfogarmi e da una parte ci sono riuscito ma dall’altra
parte odio
profondamente sentirle o semplicemente cantarle. So che per molti fan
«Lullabies» è stata importante, li ha
aiutati a superare un periodo difficile e
lo capisco da come alcuni di loro piangono mentre mi ritrovo sul palco
a
cantarla, ma è doloroso”, disse. “Fa
male!”
Non
sapevo cosa dirgli. Un semplice «mi
spiace» non avrebbe fatto la differenza tantomeno lo avrebbe
riportato in vita
e di sicuro sapevo che Alex non avrebbe voluto la mia pietà
così mi limitai a
non dire niente e abbracciarlo forte. Rimasi allibita di dove avessi
trovato
tutta quella forza ma sapevo che ne aveva bisogno e volevo fare di
tutto per
risollevarlo. Se sapevo che lo avrei reso triste, di sicuro, non gli
avrei
posto quella domanda. Mi sentivo in colpa per avergli portato alla luce
tale
ricordo.
“Grazie”,
sussurrò ricambiando il mio
abbraccio.
“Ti
andrebbe di fare colazione?”, gli
chiesi cercando di distrarlo. “Ti preparo i
pancake…”
“Ally,
non voglio che tu sai carina con me
solo perché ti ho raccontato questa storia”, disse
alzandosi a sedere. “Voglio
che tu sia carina con me perché te lo senti di esserlo, non
voglio obbligarti a
fare qualcosa che non vuoi…”.
“Ti
riferisci a quello che verrà dopo?”,
annuì. “Quindi ora cosa facciamo?”, gli
chiesi. “Cosa siamo?”
“I want to
write
a song that makes you smile. One that keeps you around for a while”,
canticchiò.
“Sarebbe
una bella frase da utilizzare se
solo non lo avessero già fatto i You Me At Six”
“Io
li conosco!”
“Se
ricominci di nuovo con la storia che
tu conosci molte band famose…”.
“Stavo
scherzando…”, si affrettò a dire
prendendomi per i fianchi e buttandomi di nuovo a letto. Finii con lui
sopra
che mi guardava continuando a sorridere. Un sorriso che gli avrei
volentieri
tolto prendendolo a schiaffi, ma mi sarei accontentata anche di
baciarlo solo
per farlo smettere e rimasi sorpresa di come fosse riuscito a leggermi
nella
mente e rimediare alla distanza che c’era tra le nostre
labbra.
“Non
mi avevi promesso dei pancake?”
“Quindi
ora non mi dovrei sentirmi
obbligata?”, gli chiesi rivolgendogli uno sguardo arcigno.
“Sai,
forse potrei davvero scrivere una
canzone su questo momento… su queste chiacchiere intime
fatte a letto”, disse
cercando di cambiare discorso. “I’m
lost
in empty pillow talk again…”,
canticchiò.
“È
una bella frase, ma con me non
attacca!”, lo avvisai tirandogli un cuscino addosso.
“Quindi
vuoi la guerra?”, mi chiese
prendendomi per i fianchi e iniziando a farmi il solletico.
“Ti
prego… no!”, gli urlai. “Mi fai morire
così…”
“Te
la sei cercata!”
“Aspetta!”,
lo fermai. “Aspetta… il
telefono!”
“Non
usare scuse!”
“Sul
serio, aspetta… ascolta!”, gli feci
notare. “Certo che come musicista fai un po’
schifo!”, gli dissi alzandomi dal
letto e infilandomi la sua maglietta raccogliendola da terra.
“Dovresti avere
un udito più sopraffino”
“Tutte
scuse!”, rispose stringendosi nelle
spalle e tornando a stendersi sul letto.
Mi
affrettai a raggiungere il cellulare
prima che mi riattaccassero.
“Pronto?”,
chiesi.
“Allyson,
sono David…”, disse la voce del
mio capo preoccupata.
“Tutto
bene?”
“Non
voglio che ti preoccupi, però domani
dovresti assolutamente presentarti nel mio ufficio”.
“Ho
combinato qualcosa?”
“Preferirei
parlarne di persona…”
Chissà
perché ogni qualvolta che qualcuno
diceva di non preoccuparsi, inevitabilmente l’altra persona
iniziava ad angosciarsi,
anche se non gli era mai sorta l’idea di farlo fino a quel
momento.
“Va
bene”, dissi soltanto immersa nei miei
pensieri. Mi chiedevo cosa avessi combinato. “Allora a
domani, arrivederci…”
“Buon
pomeriggio Allyson”, disse prima di
riattaccare la chiamata.
Guardai
l’ora sul cellulare, segnavano le
quattro del pomeriggio. Avevamo dormito così tanto e neanche
mi ero accorta di
come il tempo fosse passato mentre Alex ed io ce ne stavamo sdraiati a
letto a
parlare.
“Tutto
bene?”, mi chiese quando tornai in
camera. “Hai una faccia…”
“David
mi ha detto che mi vuole parlare
domani mattina…”, dissi sedendomi sul bordo del
letto dandogli le spalle.
“Penso che voglia licenziarmi…”
“Non
penso che ti voglia mandar via, sei
una brava giornalista…”, cercò di
rassicurarmi. “Magari vuole proporti
un’intervista importante, non pensi?”, disse
posando le sue mani sulle mie
spalle e iniziando a massaggiarle, cercando di farmi rilassare.
“Il
mio buon senso dice di no!”
“Non
credere a queste cose…”
“Allora
gioco la carta dell’ intuito
femminile!”
“Non
saprei come controbattere però devi
stare tranquilla, andrà tutto bene”, disse
piegandomi la testa verso il
soffitto e posando le sue labbra sulle mie.
“Ora
ti metti a rubare anche i baci dai
film?”, gli chiesi ridendo. “Spiderman è
l’unico che può farlo!”
“A
volte sei insopportabile, sai?”, disse
sbuffando ma continuando a sorridere.
“E
tu dovresti mettere nel tuo curriculum
che sei un rompipalle di prima categoria di fianco a cantante e
musicista!”
“Se
solo non mi piacessi così tanto ti
avrei già mandato a fanculo!”
“Allora mi ritengo fortunata!”
“Decisamente!”,
disse prima di baciarmi
ancora. Non mi ero mai soffermata a pensare ad Alex come possibile
ragazzo,
tanto meno a quale fosse il suo comportamento. Mi sorprendeva come
fosse capace
di essere dolce. “Quindi mangiamo qualcosa?”,
chiese rovinando quel momento.
“Sono
le quattro del pomeriggio, vuoi
davvero mangiare?”
“Abbiamo
perso sia la colazione sia il
pranzo e l’unica cosa che ho ingerire è stata la
torta ieri sera”, si lamentò.
“Allora
sarà meglio che ti preparo
qualcosa prima che mi svieni…”.
“Thank
u” disse con un accento tipicamente
inglese.
Mi
alzai dal letto e cercai qualcosa da
mettermi all’interno dell’armadio. Tirai fuori una
maglietta di qualche band e
un pantaloncino che solitamente indossavo per stare in casa e gli
lasciai la
sua maglietta piegata sul letto.
Mi
ritrovai in cucina a preparare
l’impasto per le frittelle. Ero di nuovo assorta nei miei
pensieri. Pensavo a
cosa mi avrebbe detto David l’indomani e a cosa avrei fatto
con Alex. Per ora
le cose andavano bene e per quanto mi sforzassi di non trovare il lato
negativo
della situazione, puntualmente mi tornava in mente quella strana
sensazione che
avevo avuto appena svegliata.
Una
parte di me voleva perfettamente che
quel ragazzo potesse comportarsi così per tutto il tempo,
voleva che rimanesse
dolce e affettuoso e che non se ne fosse andato da un momento
all’altro,
sparendo come solo lui era capace di fare ed eppure, l’altra
parte di me,
quella irrazionale, voleva soltanto che scomparisse prima che si
comportasse
troppo bene così da soffrire quando se ne sarebbe andato.
“Di
solito bisogna cuocere l’impasto prima
di servirlo”, mi disse Alex. Non mi ero accorta che si fosse
vestito e che si
era seduto su uno degli sgabelli della penisola, proprio davanti al
piano
cottura.
“Come?”
“Se
vuoi fare i pancake dovresti
cuocerli…”, mi consigliò indicando i
fornelli.
“Giusto…”,
dissi prendendo una pentola e
mettendola sul fuoco.
“Comunque
potevi tenere la maglietta
addosso, non mi dispiaceva…”.
“Ma
tu saresti rimasto senza…”
“Non
sarebbe stato un problema…”, disse
stringendosi nelle spalle e sorridendomi.
“AWG
starebbe per…?”, gli domandai indicando
il taschino rosso sulla maglietta dove risaltava quelle lettere bianche.
“Alexander
William Gaskarth!”, rispose
come se fosse la cosa più naturale in questo Mondo.
“Si tratta di una collaborazione
con la linea di vestiti della Glamour Kills che, appunto, porta il mio
nome”,
mi spiegò. Sentivo che era fiero mentre parlava. In
particolare lo era ogni
qual volta che parlava della sua band e della sua musica. Si riusciva a
vedere
una scintilla nelle sue pupille. “Anche Jack ha la sua linea,
non so se ci hai
mai fatto caso a tutte le sue magliette con scritto JAGK”,
disse. In effetti,
aveva ragione. Più volte avevo visto entrambi indossare
delle magliette con
quella scritta.
“Ecco
svelato un altro mistero!”, dissi
ridendo e girando una frittella che si distrusse.
“Lascia fare a
me!”, disse scuotendo la testa
e alzandosi dallo sgabello per mettersi di fianco a me, davanti ai
fornelli.
“Tu prendi i piatti e vatti a sedere
lì!”, mi ordinò sfilandomi la paletta
dalle mani e scacciandomi dal piano cottura. Mi sentivo sfrattata dalla
mia
cucina. “Non so cos’hai, mai sei piuttosto
pensierosa…”.
“È
normale…”, dissi stringendomi nelle
spalle e prendendo due piatti. Andai a sedermi dove poco prima
c’era lui e lo
guardai cucinare. Per quanto cercavo di negarlo, emanava un certo tipo
di
fascino vederlo ai fornelli. Mi morsi il labbro inferiore maledicendomi
di aver
fatto quel pensiero. Dovevo distrarmi o i ricordi della serata mi
avrebbero
tormentato, così decidi di guardare fuori dalla finestra e
vidi il cielo che si
era oscurato e che delle piccole gocce avevano iniziato a scendere.
“Ha
iniziato a piovere…”, gli dissi
avvicinandomi alla finestra. Con le dita sfiorai il suo riflesso e
sorrisi al
pensiero di come quel ragazzo aveva fatto cadere la barriera di
ghiaccio che mi
ero creata attorno facendomi apparire come una pappamolla.
“Siamo
a Baltimora, più ci avviciniamo
all’estate e più il tempo si fa umido e i
temporali pomeridiani sempre più
frequenti”, mi spiegò. “Mi sembra strano
che non ti sia ancora abituata…”.
“Lo
so, solo che mi sembra tutto così
nuovo…”.
“Forse
perché ora è tutto nuovo…”
“Cosa
intendi dire?”, gli chiesi
voltandomi verso di lui.
“Voglio
dire… noi!”, mi rispose. “Cosa
siamo?”, mi chiese. “Cosa facciamo?”
“Queste
domande te le avevo già poste io…”.
“Sì però non voglio prendere delle
decisioni che poi ti faranno stare male”.
“Sarà
una situazione complicata…”
“Mica
siamo su facebook!”, scherzò.
“Alex,
hai capito cosa intendo!”, dissi
cercando di farlo tornare serio. “Tu hai il tour e la band,
io invece ho forse
il lavoro, sempre se domani non mi licenziano… non
sarà facile”.
“Non
ho mai chiesto che lo fosse però, ti
prego… dimmi che non c'è una piccola parte di te
che ha paura che io sia troppo
incasinato”, disse. “Che crede che questa cosa sia
un errore... tu ed io... “.
“Io…”
“Ammettilo
e basta Ally!”
“Alex,
non voglio litigare… e sì, una
piccola parte di me lo pensa, ma... “.
“Probabilmente
le tue paure sono
giustificate”, disse interrompendomi.
“Però non…”
“Alex,
prima che tu dica qualcosa
ascoltami un attimo”, dissi questa volta interrompendolo.
“Non voglio che
chiudiamo perché... primo non ho la più pallida
idea di cosa dovremmo chiudere
e secondo... abbiamo affrontato tanti casini per arrivare fin
qui”, gli spiegai.
Volevo mettere le carte in tavolo. “Ti vuoi arrendere senza
provare?”, chiesi
più a me stessa che a lui. Forse dirlo ad alta voce aveva un
effetto diverso
rispetto a sentirlo nella mia testa.
“Se
questo è quello che vuoi, per me
va bene, facciamolo… proviamoci… ma non
sarà semplice”.
“Non
ho mai chiesto che lo fosse…”,
dissi riutilizzando la sua frase. Sorrise a quelle parole e portando i
pancake
a tavola mi baciò.
___________________
Molly:
Waaaaaaaaaaaaaaaaa che bello ho finalmente finito l'esame di maturità!!!!
Sono finalmente in vacanza!!!!
Comunque volevo sempre ringraziare Rack
e Layla
per le recensioni :)
|
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Capitolo 17 *** Chap diciassette. ***
Chap
diciassette.
“Allyson
Porter, può recarsi nel mio
ufficio?”, mi chiese David, il mio capo.
Il
pomeriggio precedente avevo
ricevuto una chiamata molto tesa da lui che mi diceva di volermi vedere
nel suo
ufficio perché voleva parlarmi di persona, ma sapevo
già come sarebbe andata a
finire, soltanto che non mi spiegavo quale fosse stata la causa per
fargli
prendere quella decisione.
Seguii
il signor Wilson nel suo ufficio
e attesi che mi accordasse il permesso di sedermi sulla poltrona
davanti alla
sua. “Si sieda!”, mi disse accomodandosi alla sua
scrivania. Feci come mi disse
e decisi di ascoltare attentamente quello che mi avesse detto. Dovevo
allontanare
i pensieri e concentrarmi solo sulla sua voce.
“Quando
Mark mi aveva proposto lo
scambio di giornalisti, ero stato piuttosto scettico, soprattutto
perché mi
aveva informato che aveva trovato la persona che cercavamo e che
nonostante
avesse solo pochi anni era davvero un’ottima
giornalista”, iniziò a dire. “Non
avevo la più pallida idea di chi sarebbe arrivato, ma mi ha
sorpreso… Sebbene
lei abbia soltanto ventidue anni, ha delle ottime capacità e
ho fiducia in lei…”.
“Sta
cercando di licenziarmi?”, gli
chiesi interrompendolo. Stavo veramente perdendo il filo del discorso e
la
ramanzina su quanto fossi brava ma che è stato costretto a
farlo non volevo
sentirla.
“Non
è che la sto licenziando, solo
che ci sono delle complicazioni…”
“Allora
sono sospesa per breve tempo?”,
gli chiesi.
“No…”
“La
prego, mi vuole dire cosa sta
succedendo?”
“Ecco
Allyson, posso darti del tu?”,
mi domandò.
“Ho
ventidue anni, può anche
chiamarmi Sò se è per questo!”, gli
risposi stupidamente. Forse avrei dovuto
evitare di fare quella battura, non ero più in Italia e
forse gli americani non
avrebbero capito. David mi guardò confuso. “Mi
scusi, mi chiami pure per
nome…”. Perfetto, se ancora non voleva
licenziarmi, ora avrebbe avuto una buona
scusa per farlo.
“Dicevo…
è sorto un problema!”,
continuò sfogliando dei fogli che teneva sulla scrivania.
“A nessuno piace
avere la propria vita privata sbandierata in prima pagina,
giusto?”, mi chiese ed
io annuii. Ancora non capivo cosa stesse cercando di dirmi.
“Ecco, penso che
anche a te non piacerebbe aver pubblicata la tua foto mentre ti ritrovi
appartata con qualcuno di famoso… soprattutto se lui si
tratta di un musicista,
abbastanza noto a Baltimora…”
“Lei
come…?”, gli chiesi non capendo
come facesse a sapere di Alex.
“Ci
sono delle foto…”, disse
passandomi quei fogli che stava sfogliando in precedenza. Erano alcune
foto del
compleanno di Jack. C’erano Rian, Zack, Jack mentre faceva lo
spogliarello e
delle foto con Sally, Alex mentre cantava sul palco con il boa e gli
occhiali
da sole e alcune di me e di lui che ci baciavamo. Chiunque avesse fatto
le foto
era riuscito a far sembrare che fossimo solo io e lui appartati e la
cosa mi
dava fastidio non solo perché mi sentivo violata ma anche
perché eravamo tutti
insieme e si trattava solo di uno stupido gioco cui ci ha obbligato a
giocare
Jack. “Me le hanno inviate ieri mattina”
“Posso
spiegarle… era il compleanno
di Jack Barakat, eravamo tutti insieme… ok, forse avevamo
bevuto tutti un po’
troppo, ma ci hanno obbligato a baciarci, era un gioco… non
lo abbiamo fatto
solo noi”
“Quindi
tu non sei fidanzata con
Alexander Gaskarth?”
“No…
cioè, si… ma… mi sta dicendo che
è questo il problema?”
“In
un certo senso, si…”, mi rispose.
Sembrava dispiaciuto per quello che stava per dire. “Fin ora
sapevamo tutti che
il signor Gaskarth fosse ancora insieme con la sua storica ragazza e
quindi
avevamo pensato a un possibile tradimento, però poi ho
notato te nelle foto e
volevo avere delle spiegazioni…”
“Non
sono una sfascia famiglie, se è
questo che vuole sapere!”
“Non
volevo assolutamente dire
questo, solo che sei una giornalista musicale e avere una relazione con
un
musicista non sarebbe decisamente appropriato soprattutto se questo
scandalo
dovesse uscire fuori…”
“Quale
scandalo?”, mi arrabbiai.
“Alex si è lasciato con Lisa già da
parecchio tempo! Solo perché delle stupide
riviste di gossip non hanno pubblicato ufficialmente la loro rottura io
devo
essere licenziata per questa cazzata?”, gli dissi alzandomi
in piedi. “È davvero
assurdo!”
“Allyson,
lo sto facendo per il tuo
bene!”
“E
da quand’è che lasciare una persona
senza lavoro fa bene?”
“Lo
so e hai perfettamente ragione,
ma ti chiedo solo il tempo che la notizia sbollisca… sai
anche tu cosa succede
quando qualcuno è preso di mira dai giornalisti”,
disse cercando di calmarmi. “Katie
ne è la prova vivente, sai come fa il suo lavoro e non penso
che avere centinai
di Katie sotto casa tua ti possa fare piacere, quindi è un
licenziamento
momentaneo”, mi spiegò cercando di calmarmi.
“Non voglio che la fama di un
qualunque ragazzo comprometta la tua carriera giornalistica, quindi ti
chiedo
soltanto di darmi del tempo per sistemare questa faccenda…
prima che altri
giornali pubblichino questo scoop”
“Non
si disturbi, ho capito!”, dissi
arrendendomi. “Mi spieghi soltanto perché Sally
è libera di frequentare Jack
mentre io dovrei lasciare Alex?”, mi sentii totalmente
egoista e stupida ad
aver posto quella domanda, ma al momento volevo sapere
perché non potevo essere
libera di frequentare chi volevo e rinunciare alla mia porzione di
felicità
quotidiana.
“Sally
è una fotografa, è diverso il
rapporto che si ha con l’artista”,
spiegò. “Tu devi parlare con loro, conoscere
la loro storia e far vivere al lettore la sensazione di essere loro
stessi a
parlare con i gruppi. Sally deve fare soltanto delle foto che massimo
diventeranno poster e che i lettori appenderanno nella loro
camera”. Mi
chiedevo se fosse davvero questo il motivo o era solo una scenetta
messa in
atto per accontentarmi e sbattermi fuori il più velocemente
possibile. “Non
voglio screditare il suo lavoro, fa delle foto fantastiche ma il
lettore compra
la rivista per l’articolo e stare con un membro di una band
complicherebbe le
cose se esce uno scandalo… o se voi dovesse
lasciarvi”
“Grazie
per la sincerità!”, dissi
voltandomi verso la porta e uscendo dal suo ufficio.
Andai
verso la mia scrivani e
raccolsi le cose essenziali. Era incredibile come tutto ci stesse
perfettamente
all’interno della mia borsa. Ed era anche triste. Avevo
passato la mia breve
vita a scrivere su delle riviste e adesso solo per colpa di alcune foto
che
sarebbero potute diventare uno scoop da quattro soldi ero stata
licenziata e
per non compromettere la mia carriera giornalistica è stata
l’idea migliore che
al mio (ormai) ex-capo era venuta in mente. Davvero,
un’ottima idea!
“Ally,
dove stai andando?”, mi chiese
John, il ragazzo che si occupava della sezione videogiochi e che aveva
la
scrivania collegata alla mia. Non gli risposi. Emisi soltanto una
sottospecie
di urlo nervoso soffocato dalle mie labbra sigillate e me ne andai
borbottando
una serie di insulti. Se fossi stata in un cartone animato
probabilmente sarei
stata rossa in viso e con il fumo che usciva dalle orecchie, ma questa
si
trattava della realtà quindi mi limitai a tirare un calcio
al muro esterno
dell’edificio.
“Vaffanculo!”,
mi ritrovai a urlare
in mezzo alla strada. Non m’importava cosa pensasse la gente,
almeno non in
quel preciso momento. Dovevo sfogarmi e se non volevo che usassi il
loro volto
come sacco da boxe era meglio che mi girassero alla larga.
“Ehi
Allynetor, come mai tutta questa
rabbia repressa?”, mi chiese l’ultima voce che
avrei voluto sentire in quel
preciso istante.
“Tu!”,
dissi soltanto. Non riuscivo a
formulare una frase di senso compiuto. Solo parole brevi e semplici,
piene di
ira. “Io… ahhhhh!”
“Ehi,
Ally, calmati!”, disse
stringendo le sue mani attorno alle mie spalle e obbligandomi a
guardarlo negli
occhi. “Fai un respiro e spiegami”
“Sono
stata licenziata!”
“Cosa?”,
chiese sorpreso. “Cosa è
successo?”
“È
probabile che sia ancora sotto
shock”, gli dissi. “Ho solo bisogno di andare a
casa mia a riflettere su quello
che è appena successo…”
“Posso
fare qualcosa?”
“Si!”,
dissi staccandomi dalla sua
presa. “Portami a bere qualcosa…”
“Poi
mi spiegherai cosa è successo?”
“Sì,
ma non qui, forse è meglio
andare da qualche parte”, proposi. “Magari in un
bar!”
“Se
vuoi prenderti una sbronza non
penso che il bar sia un luogo adeguato”, mi
consigliò. Mi ero dimenticata di
come lui fosse il grande esperto delle sbornie. “Facciamo
così: per andare a
casa tua bisogna passare davanti a un supermercato, giusto?”,
mi chiese ed io
annuii alla sua osservazione. “Bene, ci fermiamo e prendiamo
qualche bottiglia
di alcool e poi arrivati a casa ne parliamo così potrai
prenderti la tua
meritata sbornia”
“Mi
sembra un ottimo piano!”
Passai
tutto il resto della mattinata
chiusa in casa a bere un'intera bottiglia di vodka da sola mentre Alex
mi
guardava intanto che mi autodistruggevo il fegato e qualunque altro
organo
all'interno del mio corpo, il tutto bevendo tranquillamente le sue
birre
quotidiane.
"Sono
stufa di tutto
questo!", sbottai. "Problemi! Problemi! Solo problemi!", dissi
più volte. "Forse Baltimora non è neanche lei la
città giusta per me. Dovrei
andare in Canada. Lì sono tutto più gentili!".
"Forse
ora è meglio che ti vada
a sdraiare un attimo e chiuda gli occhi", disse togliendomi dalla mano
la
bottiglia quasi vuota e afferrandomi per mano mi fece alzare lentamente
dal
divano. Tenendomi sotto controllo attraversò il corridoio e
aprì la porta della
mia camera da letto, ma improvvisamente la situazione si
rivoltò. Mi trovai a
spingerlo sul letto e in pochi secondi fui sopra di lui a lottare con
il
bottone dei suoi jeans che sembravano essergli cuciti addosso, ma forse
era
solo una mia impressione dovuta alla scarsa capacità di
collegare mani e occhi
a causa dell'alcol.
"Ally...",
cercò di
fermarmi. "Ally, fermati!", disse questa volta più deciso e
spostandomi
di lato. "Cosa stai cercando di fare?"
"Non
è ovvio?"
"Non
lo farò con te in queste
condizioni, primo perché non sei in condizioni adatte,
secondo perché non
voglio abusare di te e terzo... Probabilmente ti addormenterai e
sarebbe
davvero demoralizzante per me"
"Stupido!",
dissi
voltandomi su un fianco e dandogli le spalle.
"Ehi,
non ce l'ho con te... Lo
faccio solo per il tuo bene"
"Smettetela
tutti di dire che lo
fate per il mio bene!", scoppiai. "Sono grande abbastanza da sapere
cosa è bene per me!"
"Vieni...",
disse lui
trascinandomi verso il suo petto. “Stai
tranquilla…”
Riuscivo
a sentire i battiti del suo
cuore e i respiri che emetteva. Erano così rilassanti mentre
mi accarezzava i
capelli tanto che mi addormentai poco dopo insieme a lui.
Quando
mi svegliai la stanza era al
buio, così come il resto della casa. Alex dormiva ancora
beatamente mentre io
non sapevo cosa fare.
Non
avevo più un lavoro e avevo
sprecato la mia giornata a bere. Tutto quello che avevo ottenuto era
questo
forte mal di testa e questa fastidiosa nausea.
Non
potevo passare altro tempo lì,
sarei impazzita, così decisi di alzarmi, prendere una
pastiglia per i fastidi e
infilarmi sotto la doccia. Mi avrebbe fatto bene. Mi sarei ripresa
dalla
sbronza che avevo in parte smaltito dormendo e soprattutto avrei avuto
tempo
per riflettere su cosa avrei fatto della mia vita.
Di
sicuro sarei andata a riprendermi
il lavoro, non sarei riuscita a mantenere l'affitto della casa da sola,
senza
neanche un centesimo e soprattutto non avrei potuto fare la spesa.
Avrei fatto
di tutto per riaverlo e se non me lo avrebbero ridato, mi sarei messa a
cercare
immediatamente un nuovo lavoro. Era davvero una pessima situazione e
per quanto
avessi Alex vicino, tutto sembrava non assumere una sfumatura migliore.
Dovevo
fare assolutamente qualcosa e
commiserarmi da sola non era esattamente quello che avrei doluto fare
per stare
bene così mi affacciai nella stanza per vedere se Alex
stesse ancora dormendo,
e lo trovai steso nel letto, proprio come lo avevo lasciato
mezz’ora prima.
Probabilmente neanche una granata lo avrebbe svegliato e ne approfittai
di quel
momento di pace.
Aveva
lasciato le chiavi dell’auto
sul bancone, come era solito fare, e poiché non si sarebbe
svegliato
probabilmente fino alle dieci di quella sera, gliele presi.
Scesi
velocemente le scale e m’infilai
nella sua auto. Non erano molti i posti dove andare ma sapevo
perfettamente
dove ero indirizzata.
Parcheggiai
sotto l’edificio, proprio
davanti a quei gradini che salivo abitualmente, e spensi la macchina.
Per
essere una normale sera di
giugno, era piuttosto tranquilla. Le strade erano per lo più
vuote, illuminate
soltanto dai lampioni, e ogni tanto qualcuno faceva una passeggiata sul
marciapiede portando a spasso il proprio cane, per poi tornare
immediatamente
dentro casa.
Decisi
di scendere dalla macchina e
di sedermi sul cofano, appoggiandomi con la spalla destra sul
parabrezza.
Di
sicuro restare lì a fissare
quell’edificio non avrebbe cambiato le cose e tuttavia non
riuscivo a fare a
meno di pensare a come quei quattro mesi fossero passati
così velocemente.
Eppure mi sembrava di aver trascorso a Baltimora la mia intera vita.
Non
so di preciso quanto tempo passò
da quando mi ero persa nei mie infiniti pensieri, ma capii che era
davvero
tardi quando Alex si sedette di fianco a me.
“Immaginavo
che tu fossi qui…”
“Sono
tornata solo per un addio”
“Non
penso che dovresti arrenderti
così facilmente…”
“Adoro
scrivere, sono una giornalista
e questo è quello che dovrei fare per il resto della mia
vita…”, dissi
sospirando. “E se non fossi capace di fare altro?”
“Ally,
avanti, io non so fare nulla e
guardami… non me la cavo poi così male”
“Tu
sei un musicista, non avrai mai
di questi problemi finché scrivi canzoni e ti
esibisci” dissi forse un po’
troppo duramente.
“Già
Ally, la vita fa schifo, ma non
ti devi abbattere!”, suonò come un rimprovero.
“Hai tantissime qualità, sei
giovane e non penso che ti debba buttare così giusto,
ricordati che dietro ad
una porta c’è sempre un portone”, disse,
ora, con un tono più dolce. “Magari
troverai il lavoro della tua vita…”
“Questo era il lavoro della mia vita”
“Allora
troverai una rivista
migliore, più importante e più famosa”
“Se
dovesse essere come dici te
significherebbe andare a New York o chissà dove”,
una smorfia preoccupata
comparve sul suo viso rovinando quel sorriso che cercava di confortarmi.
“Una
soluzione si trova sempre…”,
concluse e facendo cadere il silenzio tra di noi.
“Non
voglio che tu sia così carino
con me…”, dissi qualche minuto dopo rompendo
quella calma che si era creata.
“Perché?”
“Perché
non è giusto!”
“Ally,
cosa stai dicendo?”
“Voglio
trovare un motivo per
chiudere…”
“Chiudere?”,
chiese confuso.
“Chiudere con me?”
“Così
sarebbe tutto meno complicato!”
“Va
bene essere arrabbiate o
disperate per aver perso il lavoro, ma non credi di essere un
po’ troppo
tragica?”, chiesi innervosito. “Mi vuoi lasciare
solo perché sei stata
licenziata… è assurdo!”
“Alex,
credimi!”, dissi scendendo
dalla macchina e mettendomi davanti a lui. Mi sentivo così
piccola. “È meglio
cosi!”
“Non
puoi dirlo per davvero… sono io
la causa del tuo licenziamento?”, chiese improvvisamente. Non
risposi. Sapevo
perfettamente che aveva capito il motivo e quindi non c’era
nulla da spiegare.
Ed eppure avrei voluto dirgli tante cose, ma la mia voce non riusciva a
parlare.
Allungò una mano verso la mia e la afferrò per
poi spingermi verso le sue
braccia. “Ally… ora mi spieghi cosa diamine
è successo?”, chiese cercando di
essere il più dolce possibile.
“Durante
il compleanno di Jack
c’erano molte persone… molte persone che facevano
le foto… e ne hanno scattate
alcune mentre giocavamo a «Kiss or Ask» e non so
come è successo ma chi ha
scattato la foto è stato così abile da far
sembrare che fossimo solo noi a
baciarci appartati…”
“Merda…”,
bofonchiò come un sussurro.
“…
e quindi David ha pensato che
avessimo una relazione clandestina, soprattutto perché
pensava che tu fossi
ancora fidanzato con Lisa…”, continuai a
spiegargli. “…non sei ancora fidanzato
con lei, vero?”
“No,
ci siamo lasciati…”, disse
guardandomi negli occhi. “Ti devi fidare”, annuii.
Gli credevo. “Non capisco come
questo possa centrare con…”
“Perché
secondo lui questa faccenda
potrebbe compromettere la mia carriera giornalistica e vuole far
passare del
tempo aspettando che le acque si calmino perché chi ha
inviato le foto potrebbe
averle inviate anche a un’altra rivista e si potrebbe alzare
un polverone e
quindi…”
“…
e quindi vuoi lasciarmi per
questo?”
“Alex,
forse non capisci che…”
“Invece capisco e mi sembra che la tua decisione sia inutile,
se non sciocca!”,
rise. “Se stiamo insieme o no, le foto ormai sono
già state scattate e
quindi?”, disse. “Non puoi farci niente, goditi il
momento di notorietà e
continua a vivere tranquillamente, come faccio io… la gente
si dimenticherà di
questa storia”
“Io
non voglio il momento di
notorietà…”, gli dissi. “Io
sono quella che sta dietro a una rivista non
dentro!”
“Posso
fare qualcosa per te?”
“A
meno che tu riesca a far sparire
quelle foto…”
“In
effetti ho un certo potere… o
almeno posso provare a far calmare le acque…”
“Grazie
Alex”
“Quindi
sei ancora intenzionata a
lasciarmi?”
“Non
per adesso…”
“Allora
cosa ne dici se torniamo a
casa?”, mi propose regalandomi un sorriso che sciolse ogni
mia preoccupazione.
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Capitolo 18 *** Chap diciotto. ***
Chap
diciotto.
“Ehi
Ally… poiché ora le tue giornate
sono lunghe e vuote, ti andrebbe di venire a cazzeggiare da noi mentre
facciamo
un servizio fotografico?”
“Grazie
per ricordarmelo ogni
giorno!”
“Ally,
sai cosa intendo…”
“Si…”,
dissi sospirando. Ormai era
sempre la stessa storia. Io ero impegnata a cercare un nuovo lavoro e
lui mi
chiamava perennemente invitandomi ad andare a destra e a manca solo per
tenermi
occupata così da non pensare all’ennesimo rifiuto.
Era un bel gesto, ma mi
sentivo come se fosse obbligato a fare questa cosa.
“Almeno
ti diverti un po’ con noi…”,
disse allegro. “… e poi, così, possiamo
passare un po’ di tempo insieme…”.
“Non pensi che ne passiamo fin troppo?”
“Ok,
forse è vero… e se usassi la
scusa di Jack?”
“Jack?”
“Jack
sente la tua mancanza…”
“Jack non mi conosce così bene da sentire la mia
mancanza”.
“Un
motivo in più per venire”, lo
sentii ridere. “Così potete conoscervi
meglio…”
“Con
conoscerlo meglio mi stai accordando
il permesso di palpargli il sedere?”
“Assolutamente
no!”, disse. “Primo
perché il sedere di Jack è mio e secondo
l’unico sedere che hai il permesso di
palpare è il mio, ed è anche una cosa che non fai
mai”.
“Questa
conversazione sta diventando
strana”.
“Quindi
posso dire a Flyzik che ci
raggiungerai tra poco?”, chiese. “E poi ci
sarà anche Sally, quindi non sarai
completamente da sola con me”.
“La
cosa mi consola… sul serio!”, gli
risposi. “Almeno ci sarà qualcuno che mi
aiuterà a sopportarti”.
“Suvvia…
non dimenticarti del povero
Matt”, disse ridendo. “Dovrebbero farlo
santo”
“In
effetti… lui vi deve sopportare
tutti e quattro… ogni giorno dell’anno…
e lo fa da parecchio tempo…”,
dichiarai. “Dovrò fargli i miei più
sentiti complimenti”.
“Quindi
è un si?”
“Arrivo”
“Perfetto!”,
rispose soddisfatto. “T’invio
un messaggio con l’indirizzo… a dopo”.
“A
dopo”
Chiusi
la chiamata e mi preparai. In
un certo verso Alex aveva ragione. Non potevo restare chiusa a casa a
deprimermi per l’ennesimo «le faremo
sapere» o «il suo curriculum è notevole
nonostante la sua giovane età, ma noi cerchiamo persone
più grandi… con più
esperienza». Era davvero stressante e sapevo per certo che
non era neanche
colpa loro se non andavo bene per quel lavoro, ma non mi sarei arresa.
Non così
facilmente. Fin da piccola i miei genitori e chi mi conoscesse mi
ripeteva che
ero una persona determinata ed ero felice di questa cosa. Non gli avrei
delusi
arrendendomi miseramente. Quindi, presi la borsa e mi avviai verso la
fermata
degli autobus. Forse avrei dovuto comprarmi una macchina appena avrei
avuto
l’opportunità.
Dopo
venti minuti scesi alla fermata
e mi avviai verso il parco. Non c’ero mai stata e mi sorpresi
di quanto fosse
grande e pieno di alberi verdeggianti e di bambini che correvano da
tutte le
parti con i gelati in mano. Alcuni erano inseguite dalle madri
esasperate,
altri erano in piena libertà. C’erano anche dei
ragazzi, già più grandi, alcune
erano distese sull’erba a prendere il sole mentre i maschi
erano troppo
occupati a lanciarsi la palla da football per rendersi conto di come le
ragazze
cercavano di mettersi in mostra. Adolescenti! Si poteva cambiare lo
Stato ma
gli atteggiamenti erano tutti gli stessi. Che poi, non potevo
lamentarmi visto
che a quanto pare ero anch’io, tuttora,
un’adolescente, forse un po’ troppo stagionata,
ma avevo pur sempre ventidue anni.
Percorsi
la stradina che attraversava
il parco fino a quando non vidi in lontananza un particolare movimento
di
persone indaffarate a fare qualcosa di estremamente importante. Mi
avvicinai
cautamente e le persone diventavano sempre più nitide e
sempre più agitate.
Anche se si trattavano di sette elementi notai che erano piuttosto
indaffarate
a sistemare delle macchine fotografiche su un tavolo che era stato
appositamente messo per l’occasione, un altro collegava i pc
portatili alle
fotocamere e altri stavano sistemando delle grosse luci per regolare
l’illuminazione del luogo nonostante fossimo
all’aria aperta.
Mi
avvicinai a un ragazzo giovane,
dai capelli corti e neri, un piercing sul lato e dei piccoli dilatatori
ai
buchi delle orecchie. Parlava animatamente al telefono non restando
fermo, e
quando lo faceva, muoveva il piede agitato. Avevo il timore di
avvicinarmi a
lui e quando fui abbastanza vicina mi maledissi per non aver seguito il
mio
buon senso.
“Meno
male che sei arrivata!”, disse
continuando ad avere il cellulare attaccato all’orecchio.
“Hai fatto in fretta…
io sono Matt e tu sei? Non importa, scusa, mi dirai dopo il tuo
nome… Adesso ho
bisogno di due caffè lunghi, uno decaffeinato e uno corretto
con della vodka,
aggiungi un the per me… ho davvero bisogno di
calmarmi…”, mi ordinò. Non avevo
la minima idea di chi fosse, ma feci come mi chiese senza sapere
neanche il motivo.
Forse sarà stato il semplice fatto di non fare niente negli
ultimi giorni che
mi aveva spinto a prendere ordini da qualcuno che sapeva il fatto suo.
Mi
affrettai ad andare al bar che avevo notato all’interno del
parco e tornai poco
dopo con quello che mi aveva chiesto. "Eccellente, vedo che hanno
migliorato il personale, ora le ragazze sono sia belle sia
abili… di solito
facevano solo disastri”, mi disse mettendosi il telefono in
tasca e prendendo
il supporto che conteneva i bicchieri. “Ti avverto:
sarà una giornata dura e se
fai bene il tuo lavoro, potresti anche fare una foto con la
band”.
“Io
in verità…”, provai a dire ma fui
immediatamente interrotta.
“Sì,
Jack ti autograferà il reggiseno,
però ora ho bisogno dei vestiti che la stilista ha
portato… mi chiedo dove siano
finiti quei completi idioti?", chiese guardando l'orologio. Mi
posò in
mano i bicchieri e tirò fuori, di nuovo, il cellulare dove
compose un numero. "Rian!”,
urlò. “Dove cazzo siete finiti?”,
domandò. “C'è il servizio e
l'intervista, muovete
il culo e venite immediatamente qui… come sarebbe che non
sapete dove è Alex?”,
sembrava davvero imbestialito. “Non è un puffo,
diamine, un idiota con degli
strani capelli lo si nota subito!”, disse continuando a
urlare attraverso il
microfono di quel povero cellulare. “Aspettate…
muovete il culo e venite sul set
forse l’ho trovato", ribadì per poi chiudere la
chiamata. Era davvero
furioso. "Alex!", urlò a un ragazzo che era palesemente
simile a lui
e quando si voltò notammo che effettivamente era lui. Almeno
uno della band era
stato trovato, ora mancavano gli altri tre. "Mi spieghi cosa cazzo stai
facendo?”, disse andandogli incontro. Lo seguii.
“Perché gli altri non sono con
te?"
"Sto
aspettando Ally, te l'ho
detto che veniva…”.
“Ally?”,
disse il mio nome. “Non... ”
“Alla
buona ora!", dichiarò guardandomi,
uno dei ragazzi sperduti interrompendo quello furioso. "Ti stavo
aspettando
da un bel po'”
“Sono
andata a prendere dei caffè per
la band”.
“Un
pensiero un po’ troppo carino da
parte tua... ”, chiese sospettoso.
“Me
lo ha ordinato lui appena mi sono
avvicinata”.
“Alex
smettila di provarci con il
personale!”, lo rimproverò il moro esasperato,
mentre controllava per
l’ennesima volta l’orologio.
“Matt
è la mia fidanzata!”, gli fece
notare lui. “È lei Ally e gli hai appena detto di
portarci il caffè e chissà
cos’altro le hai urlato dietro... ”, disse ridendo.
“Tu
sei l’Ally di Alex?”, chiese
questa volta a me come per confermare.
“Ehm…
si…”, dissi portandomi una
ciocca di capelli dietro all’orecchio. Era strano essere
definite la «Ally di
qualcuno» ma contemporaneamente mi rese felice, come se tutto
quello che
stavamo costruendo, Alex ed io, fosse qualcosa di sicuro. Sembrava che
si
stesse impegnando a far funzionare il nostro nuovo legame.
“Allora
sono terribilmente mortificato,
ti chiedo scusa…”, disse prendendo i bicchieri che
tenevo ancora in mano come
se si sentisse in colpa. “Non volevo darti degli ordini,
purtroppo questi
quattro disgraziati mi fanno perennemente arrabbiare e mi ritrovo a
urlare con
tutti…”, iniziò a giustificarsi.
“…anche con i bambini, prima ne ho fatto
piangere uno perché il suo pallone era rotolato fino ai miei
piedi”, disse
ridendo. “Sinceramente ora mi sento terribilmente in
colpa… anche per il
bambino”.
“Davvero…
non c’è problema”, dissi
sorridendogli. “In fondo può capitare,
no?”
“Forza
Matt, non lagnare!”, si
lamentò Alex. “Se fai il bravo ti compro un Mickey
Mouse da aggiungere alla tua
collezione”.
“Non
sfottere Gaskarth!”
“Siamo
arrivati a chiamarci per
cognome Flyzik?”, disse il ragazzo scompigliando i capelli
con un pugno a
quello che a quanto pare era il famoso Matt Flyzik.
“Alex,
mi fai cadere i caffè se fai
così!”, lo avvertì. “I
caffè che ha portato la tua ragazza!”
“Mhm…”,
disse smettendo di fare
l’idiota con il suo amico. “Comunque lui
è Matt!”, mi presentò il ragazzo che
allungò la mano verso la mia. “Il nostro tour
manager… che non dovrebbe essere
qui… Matt cosa ci fai qui?”
“Mr.
Tissera ha deciso di prendersi
delle ferie e con un semplice «Ehi Flyzik, hai fatto un
ottimo lavoro, continua
a occuparti tu di loro! Ci vediamo il 14!» il tutto
indossando un cappello di
paglia e una camicia hawaiana…”,
raccontò. “Aveva già le valigie in
mano”
“Quindi
siamo stati scaricati a te…”,
notò. “In un certo senso ciò mi
ferisce!”
“Evito
di risponderti!”, disse
porgendogli il suo caffè. “Ora spiegami dove sono
gli altri?”
“Stanno
arrivando, Sally e Cassadee
si sono fermate in un negozio qui vicino e sai come sono le donne
quando
vedono…”, mi schiarii la voce, facendo notare che
io ero lì ed ero una donna e
che soprattutto non doveva parlare male della mia amica. “Non
volevo dire tutte
le donne… solo alcune…”.
“Non
arrampicarti sugli specchi
Alex!”, lo sgridai. “Facciamo poi i
conti!”
“Quindi
è lei che comanda nella
coppia!”, affermò Matt ridendo.
“Solo
perché mi piace essere
sottomesso!”, scherzò il ragazzo. Era
un’idiota. Non c’era nulla da aggiungere,
però mi aveva fatto ridere e questo perdonava qualunque
cavolata che avrebbe
sparato durante il pomeriggio.
“Stanno
arrivando!”, ci avvisò Matt
vedendo cinque figure avvicinandosi di corsa verso di noi. Dovevano
essere di
sicuro loro.
“Eccoci!”,
annunciò Rian correndoci
incontro insieme a Zack, probabilmente erano i più atletici,
infatti, quando
arrivò Jack si chinò poggiando le mani sulle
ginocchia e prendendo fiato.
Invece, le due ragazze arrivarono con calma, parlando animatamente di
qualcosa,
una di fianco all’altra.
“Ehi
Al!”, mi salutò Sally. Non la
vedevo da qualche giorno, soprattutto da quando era andata a vivere da
Jack
lasciandoci tutti sbigottiti di come lui avesse preso
l’iniziativa.
“Ciao
Sal”, la salutai. “Ehm… ciao,
io sono Ally”, dissi allungando una mano verso
l’altra ragazza.
“Ciao”,
mi salutò regalandomi un
magnifico sorriso. “Io sono Cassadee… se non
sbaglio ci siamo già incontrate…”.
“Esatto!”, affermò Sally. “Al
compleanno di Jack, lei e Alex hanno organizzato
tutto”.
“Complimenti...
È stata una festa
grandiosa", disse ridendo.
"Ragazzi!",
li richiamò
Matt. "Lasciate le ragazze a parlare mentre voi prendete il vostro
caffè e
sbrigatevi ad andare sul set!", disse passandoli i vari bicchieri.
"Il caffè decaffeinato per Rian, l'altro per Zack,
tranquillo Jack il tuo
è stato accuratamente corretto così ti riprendi
dall'enorme sforzo che hai
fatto per correre e il the è per me, anche se ora come ora
avrei preferito una
tisana... O meglio una fiaschetta di alcool”.
"Non
sapevo che oggi era la
giornata «porta la tua ragazza al lavoro» ", fece
notare Zack al gruppo di
ragazze che affiancava tre quarti dei membri del gruppo. "Se lo sapevo
mi
sarei organizzato"
"Oh
Zacky... sai che tu sei
l'unico per me", scherzò Flyzik. "Però ora sul
serio... al
lavoro!"
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Capitolo 19 *** Chap diciannove. ***
Chap
diciannove.
E
anche quel pomeriggio era passato.
Ero riuscita a distrarmi dall'ennesimo rifiuto e avevo passato un bel
pomeriggio all'aria aperta in compagnia di due splendide ragazze con
cui avevo
parlato di tutto. Inoltre c'era anche la band che, beh, si comportava
come se
fossero in gita scolastica. Sembravano bambini di tre anni che si
divertivano
con poco. Era davvero esilarante vedere il loro buffo comportamento e
come si
divertivano mentre il fotografo li suggeriva delle pose per le foto.
"Allora,
ti sei divertita
oggi?", mi chiese Alex mentre stavamo tornando a casa. "Decisamente,
è stato bello rilassarsi un po'“.
"Mi
fa piacere", disse
distogliendo momentaneamente lo sguardo dalla strada per guardarmi e
sorridere
contento. "Al... hai per caso qualcosa da dirmi?", mi chiese
improvvisamente tornando a guardare la strada davanti a noi.
"Come?",
è da quando siamo
saliti in macchina che non la smetti guardarmi... la cosa mi lusinga ma
mi
mette in suggestione... mi è comparsa una seconda testa?",
scherzò.
"È più attraente di me... ora mi tradirai con
lei, vero?", disse
ridendo e lo seguì a ruota. "Non potrei sopportarlo... "
"No
no tranquillo", lo
rassicurai. "Nessuna seconda testa più attraente di
te”.
"Allora
cosa è che ti spinge a
essere così interessata al mio volto?"
"Non
penso che sia il volto,
cioè... uhm... mi chiedo come i tuoi capelli riescano a
restare in piedi... infrangono
non so quante leggi della fisica e non penso che la lacca sia capace di
vincere
contro la forza di gravità", gli dissi allungando una mano
verso quel
confuso ammasso di capelli che andavano da tutte le direzioni.
"Ehi,
non toccarli!", mi
avvisò allontanando la mia mano. "Sono fantastici!"
"Uhm...
hai usato troppa
lacca"
"Già...
forse i parrucchieri
hanno esagerato un po'", rispose ridendo.
Parcheggiò
sotto casa mia in quello
che probabilmente era diventato il suo posto auto personale. Il cielo
si stava
oscurando, com’era tipico nei pomeriggi e sere estive. Dei
nuvoloni grigi si
avvicinavano in città per bagnare Baltimora prima di
spostarsi a ovest.
Salimmo
in casa prima che iniziasse a
diluviare seriamente. Gettai le chiavi dell'appartamento nella ciotola
appoggiata su una mensola di fianco alla porta e mi scrollai dai
capelli la
poca acqua che avevo preso.
"Ti
andrebbe una pizza per
cena?", propose il ragazzo che si era già seduto sul divano
e aveva acceso
la tv su una partita di football. Era incredibile come in
così poco tempo era
riuscito ad ambientarsi perfettamente in casa mia e come si sia
organizzato per
restare. Prima aveva portato qualche vestito per il cambio, poi qualche
CD, in
seguito aveva abbandonato una chitarra classica in un angolo della sala
e alla
fine aveva messo il suo spazzolino di fianco al mio. Forse le cose
erano
talmente affrettate ed eppure sembrava come se stessimo facendo le cose
con
calma. Non capivo questo strano meccanismo.
"Prendi
la solita?", gli
chiesi componendo il numero della pizzeria sotto casa. Lui
annuì non
distogliendo gli occhi dal televisore. Sarebbero state pronte verso le
7.30 e
avrei mandato Alex a prenderle a calci nel sedere se non l'avesse
smesso di
urlare contro l'arbitro. "Stanno
giocando i Baltimore Ravens?", gli chiesi sedendomi vicino a lui sul
divano.
"No,
è un squadra canadese... loro
giocheranno domani sera”.
"Quindi
potresti andare a
prendere le pizze qui davanti?", gli proposi spegnendo il televisore.
"In
cambio cosa ottengo?"
"Lo
stomaco pieno di deliziosa
pizza?"
"Non
mi basta... "
"Troveremo
di sicuro un modo per
ricambiare il favore... ", dissi sfiorandogli le labbra con un leggero
bacio.
"Come
fai a convincermi
sempre?", rispose alzandosi dal divano e stiracchiandosi. La maglietta
corta gli lasciò intravedere la pelle nuda del suo ventre e
l'elastico dei
boxer che indossava. Mi morsi il labbro iniziando a pensare a come mi
ero
ritrovata in quella ridicola situazione. Sapevo che i rapporti tra uomo
e donna
erano come un labirinto senza uscita, dove rimanevi intrappolato
finché uno dei
due non si sarebbe arreso e avrebbe trovato una soluzione per uscire da
quel
groviglio di nascondigli. Ed eppure, se tornassi a qualche mese fa, non
mi
sarei mai immaginata che tutto questo sarebbe stato possibile. Alex era
stato
l'origine dei miei problemi, ma era stato anche capace di risollevare
il mio
animo distrutto e questo valeva più di ogni cosa.
"Torno
subito", disse il
ragazzo che si era messo addosso una felpa rossa e si era coperto la
testa con
il cappuccio. Prese il portafoglio e se lo infilò nella
tasca posteriore dei
jeans, fece lo stesso con il cellulare e si avviò verso
l'ingresso per poi
scomparire dietro la porta e giù lungo le scale.
La
pizzeria non distava neanche
cinquecento metti. Doveva semplicemente attraversare la strada e
tornare
indietro.
Approfittai
della sua assenza per
apparecchiare il tavolo e sistemare quel poco di disordine che c'era
sparso per
la stanza. Da quando Sally se ne era andata e da quando avevo molto
più tempo
libero, tenevo la casa più ordinata. Era una cosa che facevo
per tenere la mia
mente occupata.
“Je
suis arrivé!”, annunciò entrando
in casa.
“Parli
francese?”, gli chiesi ridendo
e prendendo i cartoni con le pizze e poggiandoli, poi, sul tavolo.
“Fingo
di parlarlo… serve per
rimorchiare!”
“E
ha mai funzionato?”
“Sono
una rockstar inglese che abita
in America e che parla francese!”, disse. “Secondo
te?”
“Penso
che tu mi abbia dato una
valida risposta!”, risi seguita a ruota da lui.
Ci
accomodammo a tavola e iniziammo a
mangiare continuando a parlare della giornata.
“Sai…
oggi Matt ci ha informato sulle
date del tour internazionale…”, disse esitante,
come se avesse paura della
reazione che avrebbero riscosso in me le sue parole.
“È
una bella cosa”
“Questa
volta starò via per molto più
tempo…”.
“Appunto!”,
ripetei ridendo. “È una
bella cosa”
“Lo
so che ti mancherò”, disse
lanciandomi uno sguardo di sfida. “Anche se non lo ammetti,
so di avere ragione!”.
Mi sorprendeva ogni giorno sempre di più di come avesse
imparato così
velocemente a conoscermi. Sapeva del mio orgoglio e di quanto fosse
difficile
per me dire quelle parole.
“Non
esserne così sicuro”, gli
sorrisi nascondendomi dietro un bicchiere che mi portai alle labbra.
“Quando
partirai?”
“Dovrebbe
iniziare a metà Agosto”
“Fra
poco più di un mese…”
“Già…”
Non
avevo ancora realizzato che a
distanza di poco tempo sarei ritornata alla mia vita. Significava non
avere più
Alex tra le scatole e quindi a ritrovarmi molto più tempo
libero rispetto a
quello che avevo prima. Significava abitare in quella casa
completamente da
sola. Significava svegliarsi la mattina e non trovare più di
fianco quel
ragazzo che fingevo di odiare.
“Quindi
cosa ne pensi?”, mi chiese
riportandomi alla realtà dai miei pensieri. Aveva
improvvisamente iniziato a
parlare e non gli avevo prestato la minima attenzione alle sue parole,
perdendomi
nelle mie riflessioni. “Ally, ma mi hai ascoltato?”
“Ehm…
scusami, ero sovrappensiero”
“Stavo
dicendo che, oggi pomeriggio,
scherzando con Matt, è uscita una battuta davvero
divertente”.
“Ossia?”
“Matt
ha detto che potresti fare
l’assistente del tour manager, nota del potenziale in
te”, sorrise. Aveva sul
volto un’espressione di chi la sapeva lunga.
“Che
cosa stai cercando di dirmi
Alex?”
“Che
in fondo non è una brutta idea…”,
rispose stringendosi nelle spalle. “Potremmo restare insieme
e tu avresti un
lavoro”.
“Alex,
stai di nuovo cercando di
occuparti di un mio problema…”.
“Invece
è stata un’idea di Matt…”
“Non gli avrai mica detto che sono…?”
“No,
no…”, si affrettò a dire.
“Lui
era tipo «Sarebbe un’ottima assistente»
ed io ero tipo «Già, sarebbe fantastico
averla in tour con noi» e lui, poi, era tipo
«potresti proporglielo» ed io
infine «è un’idea fantastica!»
e quindi eccoci qui!”, raccontò.
“Allora?”,
chiese guardandomi dall’altra parte del tavolo, con i suoi
splendidi occhi
castani. “Parti con me?”
|
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Capitolo 20 *** Chap venti. ***
Chap
venti.
Senza
rendermene conto era già
arrivato Agosto e i giorni che avrei passato con lui diminuivano sempre
di più,
fino a essere catapultati al giorno della sua partenza definitiva.
“Ti
chiamerò tutti i giorni, te lo
prometto!”, mi disse Alex. Le sue mani sui miei fianchi mi
spingevano verso di
lui.
Alla
fine avevo deciso di non
accettare la sua proposta di seguirlo in tour. Era la cosa giusta da
fare,
soprattutto non volevo stargli in mezzo ai piedi nei suoi impegni
quotidiani.
Sarebbe stato occupato tutto il tempo ed io sarei diventata come un
peso.
Sapevo
per certo che non avrebbe
mantenuto la sua promessa proprio per i suoi impegni da rockstar e non
mi sarei
arrabbiata per questa cosa. Non per una cavolata del genere.
“Non
ti preoccupare”, mi limitai a
dirgli sorridendogli.
“Una
parte di me non vorrebbe
ritrovarsi in questa situazione”, dichiarò, questa
volta, stringendomi più stretta
a lui. Automaticamente portai le mie braccia attorno al suo collo
così da
guardarlo dritto negli occhi, quegli occhi che mi avevano imprigionato
e fatto
innamorare.
“È
il tuo lavoro ed è giusto che tu
te ne vada immediatamente da qui se non vuoi che ti spedisca a calci
nel sedere”.
“Come
fai a essere così carina anche
quando mi minacci?”
“Alex
devi andare”, gli dissi
continuando a tenere le mani incrociate dietro alla sua testa. Ero io
la prima
a non volerlo lasciare andar via.
“Sarò
di ritorno prima di quanto
immagini”, sospirai. Era un’altra promessa.
Un’altra promessa che sarebbe stata
infranta per dei giusti motivi.
“Ora
Alex devi davvero andare, non
voglio che Matt si arrabbi con te per non essere ancora salito sul
bus”, dissi
sciogliendomi amaramente dal suo abbraccio. Sospirai di nuovo. Dovevo
farlo,
dovevo dirlo. Dovevo prendere coraggio e buttarmi.
Gli diedi un piccolo bacio e poi sussurrai
sulle sue labbra: “Mi mancherai”.
“Non
sto andando in guerra, tornerò”,
rispose sorridendo compiaciuto della sua battuta. “Mi
stupisco che tu lo abbia
detto!”, disse poi rubandomi un bacio inaspettato.
“Davvero?”,
gli chiesi infastidita.
“Provo a essere carina con te e tu mi prendi in
giro?”
“Non
ti lamentare!”, dichiarò. “Tu lo
fai sempre nei miei confronti e non mi lamento mai”,
continuò incrociando le
braccia al petto e facendo un finto muso arrabbiato. Risi a quel suo
atteggiamento così sciocco e immaturo, ma che mi faceva
impazzire.
“Ok,
scusa”, gli dissi posandoli una
mano sul braccio e con fatica riuscii a farlo girare verso di me
ritrovandomi
il suo solito sorriso da prendere a schiaffi ben stampato sul volto.
Scossi la
testa sull’assurdità di tutta la faccenda.
Sì, mi sarebbe decisamente mancato.
Quei mesi senza di lui sarebbero stati totalmente vuoti e monotoni.
“Mi
mancherai anche tu”, dichiarò
pochi istanti dopo portandomi contro il suo corpo. Posai una mano sul
suo petto
coperto solo da una camicia a quadri e riuscivo a sentire perfettamente
il suo
cuore. Mi sarebbe mancata anche quella sottospecie di ninna nanna che
mi faceva
addormentare sempre.
“Come
dici te: «Non sto mica andando
in guerra» ”, gli feci eco cercando di imitare la
sua voce.
“Io
non parlo così!”, si lamentò
ridendo. “La mia voce è più
mascolina”, disse allontanandomi da lui e
guardandomi negli occhi.
“So
cosa stai cercando di fare!”, gli
feci notare staccandomi da lui. “Non cercare di perdere
tempo, ora muoviti a
uscire da quella porta”, continuai a dire cercando di
spingerlo verso
l’ingresso. “Stanno arrivando gli invitati per la
festa che ho organizzato!”
“Quale
festa?”, chiese voltandosi
prima di ricevere la porta in faccia. “Ally, quale
festa?”, disse dall’altra
parte del muro che ci divideva.
“Quello
che ho organizzato per
festeggiare la tua partenza!”, gli risposi ridendo.
“Scherzi
vero?”, chiese lui. Potevo
immaginare le sue sopracciglia piegarsi in un’espressione
buffa. Non volevo
perdermi quella scena così aprii la porta trovandolo davanti
con il volto che
effettivamente mi ero immaginata.
“Tranquillo
Alex, vedrai le foto su
Facebook!”, gli dissi sorridendo. Scosse la testa rispondendo
al mio sorriso
con uno uguale.
“Ti
chiamerò per sapere come prosegue
la festa”.
“Fai
buon viaggio Alex”, pronunciai
prima di vederlo scomparire giù dalle scale.
Richiusi
la porta e guardai la casa. Anche
se mi dispiaceva dirlo, mi ero davvero affezionata a lui ad averlo
sempre in
mezzo alle scatole e ora la casa era praticamente in silenzio, vuota,
senza di
lui. Sarebbe stato frustrante non vederlo per i successivi mesi ma
sapevo che
il tour era il suo lavoro, quello che lo rendeva felice e non sarei
stata io a
rovinargli quei giorni di completo divertimento tra i suoi amici e i
fan.
Svegliarsi
senza di lui sarebbe stato
orribile. Ogni volta che mi alzavo la mattina, lo vedevo steso sul
letto, al
mio fianco, che dormiva beatamente, e puntualmente lo avrei svegliato
mentre
cercavo di vestirmi per una nuova giornata da affrontare e lui avrebbe
cercato
di riportarmi di nuovo a letto convincendomi di rimanere a casa insieme
a lui. E
alcune volte ci riusciva perfino. Oppure mi chiedevo come avrei fatto
se mi
fossi svegliata in piena notte per via di un incubo. Alex avrebbe
sempre
trovato un modo per farmi tornare a dormire, di solito usando il suo
tocco così
rilassante e rassicurante o la sua voce sexy che mi sussurrava parole
che mi
tranquillizzavano o una semplice canzone.
Stava
di fatto che quella volta mi
sarebbe mancato sul serio, più del nostro primo incontro, e
non avrei mai
immaginato di riuscire a legarmi così tanto a una persona
tanto da preoccuparmi
di cosa sarebbe stato di me senza di lui. Forse tutte quelle dicerie
che si
leggevano nei romanzi rosa provenivano da tutte ragazze innamorate e
tormentate
da sentimenti che non riuscivano a spiegare.
Mi
sedetti sul davanzale interno
della finestra e mi persi a guardare il cielo. Era stranamente buffo
come aveva
iniziato a piovere appena lui se ne fosse andato e non aveva smesso da
giorni.
Si
trattava di un altro giorno di
pioggia, di un'altra scusa per me per non farmi vedere.
Il
vetro si era completamente
appannato e le gocce di pioggia continuavano la loro corsa lungo la
superficie
finestrata. Quasi inspiegabilmente mi ritrovai a scrivere il suo nome,
come
suggeriva la canzone «Rainy
Day»
dei Plain White T's che improvvisamente era iniziata a suonare
dall’iPod.
Non
c’era nulla di meglio che avere
della buona musica e dei pensieri su cui riflettere in una piovosa
giornata
come quella.
Quel
ragazzo era odioso, mi faceva
sentire inadeguata e triste. A volte avrei voluto prenderlo
semplicemente a
sberle ma per qualche strana ragione mi ero legata a lui. Senza
rendermene
conto avevo cominciato a pensare sempre a lui, quasi ininterrottamente.
Mi
aveva detto che per un po’ di tempo non avremmo potuto
vederci. Mi chiedevo se
mi avesse pensato almeno un po’…
In
Giappone, nel corso degli anni, si
è diffusa una leggenda prettamente cinese. Si narra che ogni
persona, dal
momento della nascita, porta un filo rosso legato al mignolo della mano
sinistra. Seguendo questo filo si potrà trovare la persona
che sta
all’estremità opposta e che condivide lo stesso
destino. Beh, non è difficile
da immaginare che quell’altra persona si tratta esattamente
della propria anima
gemella.
Si
racconta anche che qualunque
evento, catastrofe, azione succeda, loro riusciranno a incontrarsi
prima o poi,
anche se sono in due città differenti, anche se sono lontani
mille miglia.
Niente potrà impedire loro di incontrarsi, conoscersi e
innamorarsi.
Non
tendevo a credere in certe
leggente e tantomeno credevo che Alex ed io fossimo legati da
quest’assurdo
filo però una parte di me credeva fermamente che lui fosse
il ragazzo giusto,
anche se non rispecchiava pienamente i miei ideali di ragazzo perfetto.
Un’altra canzone fu riprodotta
accumulandomi altri pensieri. «Raining In Baltimore»
dei Counting Crows. Decisamente era la canzone che rispecchiava al
meglio quello che provavo.
«Ci
sono cose che ricordo, e
cose che dimentico. Mi manchi credo sia
normale. Tremilacinquecento
miglia lontano da qui, ma cosa cambieresti se potessi?
», cantava
tristemente il vocalist della band. «E vorrei che questo
fosse un piccolo
mondo, perché sono troppo solo per le grandi
città. Mi piacerebbe
ascoltare una piccola chitarra, penso che sia tempo per una
svolta».
E
diamine! Adam Duritz aveva
perfettamente ragione! Volevo sentire il suono di una chitarra
echeggiare per
tutta la casa, una voce che cantava di tutto, anche le cose assurde
come la
lista della spesa. Volevo una svolta ed ero intenzionata ad averla.
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Capitolo 21 *** Chap ventuno. ***
Chap
ventuno.
“Ehilà Harry!”,
mi salutò.
“Harry?”
“Sì,
Harry Houdini, come il famoso
illusionista!”, disse ridendo.
“Tu
sei pazza!”
“E
tu sei scomparsa”
“Parla
quella che è andata a vivere
in un’altra casa”, le risposi ridendo.
“Ok,
ok, hai vinto!”, si arrese.
Non
vedevo Sally da qualche giorno,
esattamente da quando i ragazzi erano partiti per il tour. Mi ero
chiusa in
casa per via della pioggia, una cosa totalmente assurda
poiché eravamo a fine
Agosto! Quando mai si era visto piovere ad Agosto! Per fortuna quella
terribile
settimana piovigginosa era finita e il sole era ritornato a illuminare
il cielo
di Baltimora.
Si
poteva percepire nell’aria il
sollievo degli abitanti che camminavano per le strade in canottiera e
in
pantaloncini mentre andavano a prendere un gelato con gli amici o
mentre
portavano i propri figli a giocare al parco. E così anche
Sally ed io eravamo
emerse dalle nostre tane asciutte per andarci a prendere un
caffè.
“Allora,
cosa mi racconti?”, le
chiesi bevendo poi un sorso dal mio bicchiere.
“Che
cosa potrei raccontarti che
ancora non sai?”, disse ridendo e poi imitando il mio gesto.
“Con
Jack come va?”, le chiesi.
“Intendo la distanza… come la gestite?”
“È
davvero una cosa assurda, cioè… di
solito ero abituata a vederlo sempre, mentre ora è
così strano… penso che sia
la stessa cosa per te…”, annuii. Aveva
perfettamente ragione. “Mi sento a
disagio a stare in casa sua senza di lui… anche se abitiamo
insieme da qualche
mese, mi sento ancora in suggestione”, disse ridendo e
portandosi una ciocca di
capelli dietro all’orecchio. “Però devo
dire che riesco a colmare la sua assenza
grazie alle infinite foto e video scemi che si fa col
cellulare”, mi confessò
ridendo. “Nonostante sia un completo idiota, mi
manca”.
“La
cosa assurda è che non riesco a
immaginarmi un Jack Barakat innamorato e romantico”.
“Non
sei l’unica”, ammise sogghignando.
“Neanch’io me lo aspettavo ed eppure il piccolo
Jacky ha un cuore”.
“Che
storia!”, dissi enfatizzando la
frase come se ci trovassimo in uno di quegli stupidi film.
“Non mi dire!”
“E
invece si!”, affermò. Ero proprio
curiosa di conoscere quel lato romantico di Mr. Barakat che nascondeva
a
chiunque.
Sally
P.O.V.
Quando
avevo conosciuto Jack, non
pensavo che sarebbe potuto diventare un possibile fidanzato, tantomeno
immaginavo che lo avrei rivisto dopo quella notte ed eppure il giorno
dopo mi
aveva chiamato, e così anche quello successivo e
quell’altro ancora tanto che
ormai passavamo gran parte del nostro tempo insieme.
Era
totalmente assurda come cosa e com’eravamo
arrivati a quel punto. A com’eravamo arrivati ad abitare
insieme. Appena avevo
messo piede nella sua casa, la prima cosa che notai furono i vestiti
sparsi da
tutte le parti, chitarre disperse per la casa così come i
vari palloni da
football e da basket, le mazze da golf e qualche skate. Era esattamente
la casa
di uno scapolo. O meglio: era esattamente la casa di una rockstar
troppo
impegnata a divertirsi per iniziare qualcosa di serio, ma era riuscito
a farmi
ricredere, soprattutto negli ultimi giorni.
“Beh,
non ci crederai mai ma l’altra
sera, prima della grande partenza…”, iniziai a
raccontare ad Ally.
“Jack cosa diamine
vuoi fare?”, mi
lamentai cercando di liberarmi dalla sua presa. Mi aveva chiuso in
camera per
più di un’ora per poi bendarmi gli occhi con una
cravatta nera pescata dal
fondo del suo armadio e condurmi fuori dalla stanza. Non avevo la
minima idea
di dove mi stesse portando. “Jack, non ho voglia di
scherzare, devo preparare
la cena…”, non feci in tempo a finire la frase che
il ragazzo mi tolse la benda
così da poter vedere quello che aveva fatto.
Il
soggiorno era completamente coperto da petali di rose di vari colori,
il
tavolo era rivestito da una tovaglia bianca e in centro un candelabro
con delle
candele accese, l’unica fonte di luce della stanza, esclusa
la finestra aperta
che lasciava entrare la luce di un lampione poco distante.
“Questa
la useremo forse dopo…”, disse gettando la
cravatta sul divano di
pelle. “Siediti pure…”, aggiunse
spostandomi la sedia come un vero gentiluomo,
cosa che mi sorprese parecchio. Non pensavo neanche che conoscesse
questa
tattica da gentleman.
“Devo
per caso chiamare l’FBI e dichiarare un rapimento
alieno?”, gli
chiesi spostando la sedia vicino al tavolo.
“Dov’è il Jack cavernicolo?”,
gli
domandai ridendo.
“Jack
stasera non c’è!”, dichiarò
portando su un vassoio due piatti
contenenti due fumanti porzioni di lasagne. “Stasera,
signorina Sally Jhonson
avrà al suo completo servizio il qui presente Jack Bassam
Barakat”, disse
inchinandosi per poi posare i piatti sul tavolo. “Pronto a
esaudire ogni suo
desiderio”
“Oh
Jack!”, dissi ridendo.
“Mi
scusi?”
“Signor Jack Bassam
Barakat”, sospirai. “È
un onore restare a cena da lei, cosa ha preparato di buono?”
“Per
lei ho passato il pomeriggio a preparare delle squisite
leccornie…
come primo piatto avremo queste deliziose lasagne mentre, la seconda
portata
consiste in un magnifico pollo al limone contornato di patate e per
dessert…
avrà una sorpresa”.
“Hai
cucinato tutto te?”, gli chiesi sospettosa, poggiando la
forchetta sul
tavolo prima di dare un morso al cibo. Jack poteva essere un bravo
ragazzo e
magari le sue intenzioni erano buone, ma non si poteva di sicuro dire
che fosse
un abile cuoco. Forse anche Ally riusciva a cavarsela meglio ai
fornelli.
“Devo
essere sincero, sono ricorso alla tecnologia e ai
supermercati… tutto
questo non sarebbe stato possibile se non grazie a queste grandiose
invenzioni
dell’uomo”, dichiarò mangiando
tranquillamente la sua lasagna. “Volevo farti
restare questo ricordo prima che partissi per il tour e un ricovero in
ospedale
per avvelenamento da cibo non era esattamente il ricordo che volevo
lasciarti e
quindi ringraziamo tutti insieme l’inventore del microonde,
mio grande amico!”,
almeno era stato sincero. Di sicuro non sarei morta per colpa sua,
anche se il
gesto era stato del tutto premuroso e davvero dolce.
“Hai
il sospetto che mi possa dimenticare di te?”, gli chiesi.
“Non
penso che qualcuno si possa dimenticare di Jack Barakat!”,
dichiarò
molto sicuro di se. “Più che altro volevo
comportarmi almeno per una volta come
un vero fidanzato e non come il cazzone di turno”.
“È
un gesto davvero dolce Jack”, gli dissi sorridendoli
teneramente. Era
fantastico!
“Spero
che la cena ti piaccia perché il dessert è una
cosa che ti piace
davvero tanto…”.
“Jack,
non fare allusioni!”
“Non
intendevo quello, anche se poi… magari… nel dopo
cena… ok, ne parliamo
dopo”, affermò ricevendo un mio sguardo
fulminante. “Comunque si tratta del
tiramisù”, mi si illuminarono gli occhi.
“L’ho comprato oggi pomeriggio in
quella pasticceria italiana, dove eravamo andati il mese scorso e ti
era
piaciuto tanto e…”.
“Jack
è davvero fantastico tutto quello che hai fatto”,
mi affrettai a dire
interrompendolo. Mi alzai dal mio posto e lo baciai dolcemente sulle
labbra.
Non avevo mai visto quel suo lato romantico e dovevo ammettere che mi
piaceva.
Era davvero incantevole. Sarebbe stato sicuramente un bel ricordo da
portarsi
dietro appena lui se ne sarebbe andato. “Cosa ne pensi se
saltiamo direttamente
al dopocena e mangiamo il dessert più tardi?”, gli
proposi non resistendo e
iniziando a slacciargli i bottoni della camicia.
“Penso
che sia un’ottima idea!”, rispose prendendomi in
braccio e
spostandoci nella stanza da letto.
Decisamente
Jack era stato fantastico
in quei giorni e la sua assenza si era fatta sentire particolarmente
dopo il
grande momento di piena dolcezza.
“Wow,
Jack ha fatto davvero tutto
ciò?”, mi chiese Ally incredula. E come potevo
biasimarla.
“Sul
serio”, affermai fiera di lui.
“Non avrei mai immaginato una cosa del
genere…”.
“Che
storia…”, ripeté questa volta
seriamente, rimanendo senza parole.
“Invece
con Alex come va?”, le chiesi.
“Intendo la convivenza… perché
è questo che state facendo giusto?”, le dissi
ridendo.
“Convivenza…
sembra una parolona”,
rispose lei ridendo a sua volta. “Diciamo che si è
piazzato in casa gradualmente
senza che me ne rendessi conto fino a quando un giorno ho realizzato
che lo
trovavo praticamente piazzato sul divano quasi tutte le sere”.
“Uomini!”,
dissi. “Cosa ci vuoi fare?”
“Già…”,
rispose non troppo convinta.
Notai nei suoi occhi un velo di tristezza, non era da biasimare in
fondo.
Sentiva la mancanza di Alex così come io la sentivo di Jack,
ma la conoscevo
bene da sapere che non era solo quello il problema.
“Sai,
mi chiedo perché tu non abbia
seguito Alex…”, le dissi tutto d’un
tratto.
“Probabilmente
perché sono un’idiota”
Molly
Ok,
questo capitolo non mi piace particolarmente, però ho
pensato che sarebbe stato carino raccontare qualcosa della vita
"privata" di Jack & Sally e di come lui nascondesse il
suo
lato romantico, ma alla fine lo sappiamo tutti che Jack è un
inguaribile
romanticone sotto quella corazza di uomo da una notte e via... (Jack 4
more
bitches! Fuck Yeah!)
Ok,
tralasciamo questo piccolo sfogo... ho appena gettato nel cesso quel
briciolo di dignità che conservavo.
Al
prossimo capitolo :)
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Capitolo 22 *** Chap ventidue. ***
Chap
ventidue. – Jack P.O.V.
Lo
stava facendo di nuovo e non mi sarebbe
piaciuto come sarebbe finita quella situazione, sapevo per certo che si
sarebbe
lasciato trasportare dalle sue stupide emozioni e avrebbe passato le
giornate
chiuse nel bunk del bus che ci avrebbe portato in giro per l'Europa e
successivamente nel resto del Mondo.
Non
avrei tollerato un'altra scenetta
isterica di lui che si chiudeva in se stesso ad ascoltare canzoni
deprimenti.
Non faceva di certo bene a lui stesso, tanto meno alla band che viveva
come se
avesse bisogno di una strana dose di pazzia e perversione shakerato a
un pizzico
di buon senso e contenuto il tutto all'interno di un capiente bicchiere
di
allegria. Noi quattro, insieme, eravamo il mix perfetto. Il drink che
tutti
vorrebbero bere ma che solo pochi sanno reggere. Se solo fosse mancato
un
ingrediente sarebbe stato tutto inutile, una falsa cosa di quello che
in realtà
eravamo. Se io ero la perversione, Zack il buon senso e Rian la pazzia,
mancava
l'elemento portante, quello che ci avrebbe tenuto insieme ed era Alex
con la
sua allegria, che in questo giorni se ne stava letteralmente andando a
puttane.
Non dicevo che senza di lui noi tre non avremmo parlato, solo che era
quel
collante perfetto che riusciva a metterci tutti d'accordo.
Sapevo
che dovevo fare qualcosa ma
non sapevo precisamente cosa. Probabilmente dovevo parlargli. Esatto!
Ero il
suo migliore amico e dovevo assolutamente sollevarlo dai pesi che si
portava
dentro.
Quasi
mensilmente Alex aveva bisogno
di parlare con me, di sfogarsi seriamente, di urlare, di arrabbiarsi,
di ridere
e di scherzare e a volte di piangere solo perché aveva il
brutto vizio di
tenersi tutto dentro e archiviarlo in un angolo polveroso della sua
mente e del
suo cuore fino a quando quel grumolo di emozioni si stancava di
rimanere lì e
sbucava pronto a tormentarlo. Erano frequenti i suoi attacchi di panico
dovuti
all'ansia e mi sorprendeva come ancora non ne aveva avuto uno e la cosa
mi
preoccupava nello stesso tempo. Era come una bomba a orologeria, ed io
lo
sapevo bene, sarebbe potuto scoppiare quando meno ce lo si aspettava
semplicemente perché si aveva erroneamente schiacciato un
tasto sbagliato o per
restare in tema: si aveva tagliato il filo blu anziché
quello rosso e così la
bomba aveva iniziato il suo conto alla rovescia per una catastrofica
esplosione.
E
questo era sicuramente un lavoro
per l’artificiere Jack Barakat!
«Noi
tutti sappiamo che i musicisti
affrontano qualunque cosa in modo diverso dalle persone normali.
Durante i tour
è possibile trovare le rockstar nel loro ambiente naturale
mentre scherzano
tranquillamente con ogni persona che si trovano davanti nonostante
siano appena
state lasciate o abbiano semplicemente nostalgia di casa.
Grazie
all'opportunità che abbiamo
oggi di trovarci in un tour bus in viaggio per una nuova citta,
possiamo
studiare da vicino le determinate fasi che attraverseranno la mente e
il corpo
di questi ragazzi.
Prima
fase: l'evitazione del
problema. Le rockstar tendono ad evitare i loro problemi rifugiandosi
negli
scherzi e nelle chiacchiere animate con chiunque, facendo sembrare che
sia
tutto apposto e che non abbiano nessuna preoccupazione eccetto quella
di
riuscire a scrivere correttamente il proprio nome per un improvviso
autografo e
di avere abbastanza birre che vedremo poi nella fase successiva.
Seconda
fase: l'autodistruzione. Da musicista
degno di esserlo chiamato tale, esso affoga i propri dispiaceri
nell'alcol e
talvolta nelle droghe leggere, come facevano i poeti maledetti del
Decadentismo. Questo solo per creare uno stato anormale dove la
tristezza, la
malinconia e il dolore non possono continuare ad affliggerli.
Terza
fase: l'autocommiserazione. In
questo caso dobbiamo entrare più nello specifico e
analizzare ogni membro della
band.
Per
esempio, se il membro soggetto a
malumore si tratta di un chitarrista o di un bassista esso
passerà un'intera
giornata a demoralizzarsi e commiserarsi per essere stato un idiota, ma
tranquilli perché tornerà sul campo la sera
stessa pronto a mettere in scena la
fase due seguita dal primo stadio, il tutto non smettendo di sorridere
come un
idiota.
Se
è il batterista a essere
preoccupato vi consiglio dei tappi per le orecchio in quanto potrebbe
continuare a suonare su qualunque cosa e con qualunque strumento abbia
tra le
mani. Ebbene sì, potrebbe anche riprodurvi "My Heart Will Go
On" con
un paio di cucchiaini e due pentole. Il risultato sarà che
avrete una versione
black-metal della canzone, ma che potrebbe fare un successo tale da
essere
scaricata sui vostri iPhone e utilizzarla come suoneria per le
ex-fidanzate.
La
faccenda diventa più seria se è il
cantante il diretto interessato alla depressione. Preparatevi ad
affrontare
lagne, melodie e canzoni che parlando della magnifica storia d'amore e
di come
farà di tutto per riavere la sua lei o come ci si sente a
essere così tristi
quando tutto intorno a loro sembra andare avanti senza accorgersi di
quanto
loro stanno soffrendo. Sarà davvero una cosa
pesante… e smielata… e pesante, ma
probabilmente sarà di sicuro una canzone che sarà
inserita nel successivo album
e che sarà continuamente suonata live ai concerti.
Quindi,
se ancora sei convinto ad
intraprendere una vita da tour dopo queste indicazioni ti conviene
andare dal
proprio psicanalista di fiducia e farti rilasciare un certificato di
sanità
mentale!
Per
oggi è tutto. Ci vediamo alla
prossima puntata di: In Tour con Barakat!
Fuck
you!»
Mi
sentivo così idiota dopo aver
pensato a questo stupido discorso. Lo facevo sempre prima di fare
qualcosa di
importante. Mi mettevo a parlare nella mia testa come se fossi un
conduttore tv
e iniziavo a dire cose estremamente stupide e che probabilmente
avrebbero fatto
ridere Alex se solo avessi trovato le parole giuste per spronarlo ad
uscire dal
suo bunk, rannicchiato dietro alla tenda nera così da non
fare entrare la luce
del giorno.
Bussai
sul muro prima una vota, poi
due, finché la testa del ragazzo fece capolino dalla tenda
leggermente aperta.
"Posso
essere invitato nel tuo
letto o devo essere un vampiro che brucia alla luce del sole?", gli
chiesi
abbozzando un sorriso. Passarono diversi secondi, che sembravano
minuti, prima
che il mio compagno di tour aprisse la tendina per farmi accomodare.
Questi
autobus potevano vantarsi di
avere tutto eccetto lo spazio necessario per un decente letto. A volte
il
divano era decisamente più comodo che quei buchi che
spacciavano per letti.
"Tutto
questo buio non fa bene
ai tuoi capelli tantomeno alla tua pelle che sembra assumere una
tonalità
grigiastra”.
"Cosa
vuoi Jack?", chiese
come se fosse scocciato della mia presenza.
"Cosa
stai ascoltando?",
gli domandai ignorando la sua domanda e prendendo una cuffia che si era
tolto
quando lo avevo disturbato. “I'm Lost Without You", dissi
riconoscendo la
canzone. "I Blink-182... un classico"
"Sei
venuto per criticare i miei
gusti musicali?"
"Non
è per questo che sono qui...
", gli dissi incrociando le gambe e chiudendo la tenda nascondendoci
dietro.
Sapevo
che se avessi creato uno
spazio privato, sicuro, tranquillo, dove fossimo solo noi due, sarei
riuscito a
farlo ragionare o almeno a parlarci senza provocare ulteriori danni.
Però quel
buio non mi piaceva, volevo un pretesto che lo obbligasse a guardarmi
negli
occhi e che capisse che tutto quello che stava facendo non andava per
nulla
bene, così mi limitai ad accendere la piccola lucina
improvvisata su quella che
poteva essere chiamata la base del bunk di sopra.
"Sono
qui per parlare... ",
inizia a dire. "È arrivata la seduta mensile di
«Parla con Jack» ",
scherzai. "Cosa ti affligge?", gli chiesi sapendo esattamente quello
che lo tormentava da quanto era iniziato il tour. La nostalgia di casa,
la
nostalgia per Ally, il non essere abbastanza e le ulteriori
preoccupazioni.
"Jack...
", disse soltanto,
come se volesse continuare la frase ma che lasciò
prontamente cadere senza
aggiungere niente. Come se non trovasse le parole. come se non avesse
il
coraggio di dirle.
"So
che ti manca Baltimora e che
ti manca Ally, ma non puoi continuare a chiuderti qui dentro emulando
il Signore
delle Tenebre... ", gli dissi tutto d'un fiato. "... e sono stanco di
essere battuto da Zack alla Playstation, quindi ho assolutamente
bisogno del
mio compagno di squadra che faccia il culo a quel ragazzo tutto muscoli
e
niente cervello", dissi forse alzando un po’ troppo la voce.
"Jack
ti ho sentito!", urlò
il diretto interessato dall'esterno di quel rifugio che si erano creati.
"Fottiti
Zack!", gli
risposi. "Vinci solo grazie ai tuoi muscoli... se li avessi anch'io le
cose sarebbero diverse”.
"È
solo invidia!", ribadì
aprendo la tendina e mostrando il suo bel sorriso beffardo. "Lo sai
anche
te che appena dovrai aprire un barattolo di vetro avrai bisogno di me o
di Rian
perché le tue mani da mozzarella non riescono a fare
nulla”.
"Oh
tu non sai cosa riesco a
fare con queste mani... ", lo avvertì maliziosamente.
"Intanto potrei
portarle attorno al tuo collo mentre dormi e poi voglio proprio vedere
chi non
ha muscoli”.
"Contaci!",
rispose lui per
poi chiudere la tendina. Scossi la testa ritornando al mio amico che
aveva
bisogno di me.
"E
se si stancasse di me?",
chiese improvvisamente. "E se si abituasse all'idea di non avermi
più
attorno?", domandò. "Se non avesse accettato la proposta
perché non
vuole più stare con me?"
"Alex
non dire cazzate!",
lo avvertì. "Ally ti vuole bene, forse anche più
di quello che una persona
normale riuscirebbe a provare per te", dissi cercando di
tranquillizzarlo.
"Non si è stancata di te, probabilmente avrà
avuto i suoi buoni motivi e
non è così semplice levarti dalle scatole, ti
conosco da più di dieci anni e
ancora mi ritrovo a prendermi cura di te... sei come un maledetto tarlo
chiuso
nella mia testa", dissi ridendo e finalmente vedendo un sorriso anche
sul
suo volto. "Quindi non vedo nulla di cui preoccuparti... ", lo
rassicurai. "Appena ti tranquillizzerai vedrai che qualcosa si
sistema”.
"Grazie
Jack", disse
semplicemente. Poteva fare qualunque gesto: abbracciarmi, picchiarmi,
insultarmi e mandarmi a fanculo ed eppure si era limitato a dire
grazie.
Apprezzai quel gesto più di qualunque altra cosa. Era detto
con sincerità e
sull'angolo destro delle sue labbra c'era un sorriso che stava
crescendo. Era
tutto quello che pretendevo per il mio migliore amico. Volevo che
stesse bene.
Alex
P.O.V.
Appena
Jack se ne era andato, la mia
attenzione era stata catturata dal mio telefono che aveva iniziato a
squillare.
Guardai lo schermo cercando di capire
chi fosse, ma la troppa luce in contrasto con il buio all'interno del
bunk mi
diede fastidio così accettai la chiamata senza guardare chi
avesse composto il
mio numero.
"Pronto?",
domandai nel
microfono del telefono.
“Ehi
Alex…”, riconobbi la voce. Era
l'unica che al momento avrei voluto sentire.
“Tutto
bene Ally?”
“Sì,
ehm… dove sarete settimana
prossima?”
“Penso
in Italia, a Milano", le
dissi e mi resi solo in quell’istante che era passato
già tanto tempo. “É
incredibile, sono già passati due anni da
quando ci siamo incontrati per la prima volta”.
“Si…”,
disse distante. Forse anche
lei soffriva della distanza come me.
“C’è
qualcosa che volevi dirmi?”,
chiesi speranzoso. “Di solito non ci sentiamo mai a
quest’ora… soprattutto perché
da te sono circa le quattro del mattino se i miei calcoli non
sbagliano”.
“È
solo che... è ancora libero quel
posto da assistente?”, chiese quasi tutto un fiato. Non ero certo di aver
sentito bene ma speravo
vivamente che quello che avesse appena detto fosse vero. Voleva venire
qua.
Voleva venire da me.
"Matt
non ha assunto nessuno... posso
chiedergli di prenotarti un volo per arrivare alla prossima
tappa”.
"Non
c'è problema", rispose
semplicemente. Forse era interessata solo al lavoro.
"Non
vedo l'ora di
rivederti"
"Anch'io...
", disse
lasciando sospesa la frase come se non sapesse cos'altro aggiungere.
Ero un
idiota ad averci sperato. Ad aver creduto alle insensate e banali
parole dette
da Jack. "Alex... "
"Dimmi...
"
"Mi
manchi"
"Anche
te"
Ok,
mi sentivo così stupido per
essermi fatto mille paranoie. Lei era la stessa ragazza che mi aveva
aspettato
per più di un anno nonostante le avessi mentito, nonostante
le avessi detto che
l'avrei chiamata pur essendo fidanzato nascondendole questo piccolo
particolare,
e io mi ero posto mille dubbi su quella ragazza che come diceva Jack
«ti vuole
bene, forse anche più di quello che una persona normale
riuscirebbe a provare
per te». Ero stato un completo idiota a credere al contrario!
"Ora
vai a dormire, ci sentiamo
più tardi", le suggerii. Potevo immaginare che aveva passato
la notte
sveglia a pensare su come avrebbe potuto mettere da parte l'orgoglio e
gettarsi
a capofitto in quello che per lei era stata un'opportunità.
Riattaccai
il telefono e mi decisi ad
uscire da quel posto. Più che un bunk sembrava un bunker da
come mi ero
segregato dentro.
Mi
stiracchiai e andai verso la
cucina, volevo una birra fresca per dissetarmi e volevo trovare Jack
per
ringraziarlo come si doveva.
"Ehi
Jack, non so se vi siete
messi d'accordo ma... ", mi bloccai lasciando la frase a
metà. "Jack
cosa stai cercando di fare?", chiesi al mio amico che teneva un
barattolo
di burro d'arachidi sospeso per aria, pronto a buttarlo per terra per
farlo
aprire.
"Penso
che stanotte ucciderò Zack",
rispose con un tono vendicativo. "Sono anemico, diamine!", si
lamentò. "Non posso morire perché non ho assunto
una buona dose di ferro e
vitamine”.
"Non
penso che il burro
d'arachidi possa aiutarti... “.
"Vuoi
che soffochi anche te nel
sonno?", mi disse con tono minaccioso.
"Dammi,
te lo apro io", gli
risposi aprendo il barattolo e porgendolo di nuovo a lui tenendo il
coperchio
in una mano e il vasetto color caramello nell’altra.
"Ora
chi ha più bisogno di
Zack?!"
Molly
Ok,
lo ammetto: mi sono divertita a scrivere questo capitolo, soprattutto
la parte di Jack che descrive la depressione dei musicisti. Non ho la
più pallida idea se quello che ho scritto è reale
o meno, l'ho semplicemente immaginato così come mi sono
immaginata Jack vestito da escursionista, in tenuta militare con un
capellino mimetico abbinato ai pantaloncini e alla camicia a maniche
corte che si muove in punta di piedi, quasi cautamente all'interno del
bus.
Forse
dovrei semplicemente iniziare a cambiare spacciatore e smettere di bere
o forse sono solo strana!
Hahahhahaha
Al
prossimo capitolo :)
So long live us
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Capitolo 23 *** Chap ventitré. ***
Chap
ventitré.
Alla
fine avevo ceduto di nuovo. Mi ero lasciata
trasportare dai sentimenti diventando quasi dipendente da quel ragazzo
che s’impegnava
così tanto per dimostrarmi il suo affetto.
Accettare
quella proposta, probabilmente, era stata la
cosa migliore da fare e se non fosse stato per Sally, sarei rimasta di
sicuro a
Baltimora a rimuginare su tutte le scelte sbagliate che avevo fatto
nella vita
per colpa del mio stupido orgoglio. Era esattamente lui la causa delle
mie
indecisioni, ma non potevo attribuirgli tutta la colpa.
Però
ora stavo bene ed eppure non mi spiegavo come fosse
possibile essere in Europa e vedere ancora la pioggia scendere lungo i
finestrini del bus. Da quanto mi ricordavo, il brutto tempo arrivava
pressoché
a ottobre, novembre, non a settembre.
Era
così assurdo come tutto appariva grigio e buio
nonostante fosse quasi mezzogiorno, ma era fantastico il gioco di luci
che
realizzava all’interno del bus.
"Non
pensi che sia bellissimo?", gli chiesi
bevendo l’ultimo sorso di thè caldo, non
distogliendo lo sguardo dal cielo
scuro fuori dal finestrino. I grossi nuvoloni, le gocce di pioggia che
cadevano
sull'asfalto e sulle superfici vetrate e come essere giocassero a
creare
pozzanghere e linee irregolari lungo i vetri. Ero sempre stata
affascinata da
questi spettacoli che ci offriva gratuitamente la natura.
"Da
quando ti conosco, ho notato che sei attratta
dalle catastrofi naturali...", disse ridendo. "...a partire da
me"
"Alle
catastrofi naturali si può rimediare,
mentre con te ci abbiamo rinunciato tutti"
"Nonostante
questo tutti hanno bisogno di
me"
"Sbagliato!",
lo corressi. "Tutti hanno
bisogno del proprio Jack!", dissi. "Rose in Titanic, Sally in
Nightmare Before Christmas e anche la nostra Sally ha bisogno del suo
Barakat,
gli alcolizzati cercano il proprio Jack Daniel's e sono pienamente
convinta che
anche la Perla Nera avesse bisogno di Sparrow"
"Le
tue teorie non fanno una piega, però sono il
sexy cantante super figo di una band abbastanza famosa, tecnicamente
tutti mi
amano!"
"Ne
sei pienamente convinto rockstar?", gli
chiesi ridendo. “Il tuo ego sta per scoppiare!”
"Non
so cosa ti ha spinto a raggiungermi, ma ora
sei qua... qualcosa vuole pur significare..."
"L'ho
fatto solo per il lavoro e per
intraprendere una carriera da groupie"
"Scherzi?",
chiese tra il serio e l'ironico.
"Assolutamente
no", risi. "Sono qui
solo per Matthew che ha bisogno di distrarsi un po' da tutto questo
stress che
gli provocate"
"Ma
Flyzik non è un membro della band!", si
lamentò. "Io sono il cantante e tu dovresti essere la mia
groupie"
"Lasciala
stare Alex, ormai ha scelto me!",
disse, sorprendendoci, il diretto interessato, arrivando alle mie
spalle e
sollevandomi di peso per posarmi su quello che apparentemente doveva
essere il
suo letto. "Ha scelto il migliore!", dichiarò ridendo,
seguito a
ruota da me.
Stare
tutti in un unico bus aveva il suo lato
positivo, ossia quello di stare in contatto con i propri migliori amici
o
comunque con delle persone con cui ci si trovava bene e si poteva
scherzare
liberamente, ma quest’avventura presentava anche un lato
svantaggioso. Come si
vuol dire: «ogni medaglia ha il suo rovescio» e
quello negativo era che tutti
potevano sentire o intervenire in qualunque discorso, perché
dal momento in cui
si metteva piede in quel bus, era diventato un condividere tutto, dalla
felicità ai momenti di tristezza a quelli di pura rabbia. Il
punto era che non
si poteva mai stare completamente da soli fino a quando non si
raggiungeva una
tappa del tour e tutti scendevano per respirare aria pulita, non
intrisa
dall'odore di birra e di dopobarba diversi.
Tutto
sommato non mi dispiaceva restare lì. Avevo
Alex, parlavo di tutto con Zack tanto che si era offerto di insegnarmi
ad
andare sullo skate, cosi come Rian che aveva accettato la mia proposta
di
insegnarmi a suonare la batteria in cambio di aiutarlo a organizzare
gli
scherzi da fare a Jack. E soprattutto quest'ultimo, vittima di noi
bulli, mi
sorprese come reagì alla mia presenza sul bus. Pensavo che
si sarebbe
arrabbiato per il semplice fatto che io fossi qui con loro mentre Sally
era
rimasta da sola in città. E invece l'aveva presa con
notevole diplomazia. In
una delle nostre conversazioni notturne, quando entrambi non riuscivamo
a
prendere sonno, gli avevo chiesto se fosse arrabbiato con me e con mia
sorpresa
aveva semplicemente risposto che anche se Sally fosse stata con noi non
sarebbe
potuta restare a lungo perché aveva il suo lavoro e non
voleva essere la causa
di un suo licenziamento.
In
un primo momento sentii una stretta al cuore.
Sentire quelle parole mi fecero un po' male. Io ero stata licenziata
per una
foto che mostrava un semplice bacio dato per gioco mentre a lei sarebbe
capitato se avesse perso diversi giorni di lavoro per seguire uno
«stupido
musicista» come si definiva lui.
Però,
uno dei motivi che mi aveva spinto a
raggiungerli, per quanto egoista potevo sembrare, era stata proprio la
proposta
che aveva fatto Matthew ad Alex.
Matt
mi trattava come una della troupe, come se fossi
insieme con loro da tutta la vita. Scherzava con me come se lo avesse
sempre
fatto, mi ordinava cosa fare e m’indicava il programma della
giornata. A volte
mi urlava contro quando quei disgraziati gli facevano raggiungere
l'apice della
rabbia, ma andava bene così, lo faceva con tutti,
indifferente dal sesso,
dall'età e dalla specie. Probabilmente avrebbe urlato dietro
anche alla Regina d'Inghilterra,
al presidente Obama e al Papa se solo si fossero messi davanti alla sua
strada
ostacolandolo in qualunque modo, anche semplicemente avvisandolo che
sua madre
lo stava cercando al telefono da circa un’ora. Ciò
nonostante c'era solo un
modo per farlo calmare: fare quello che diceva lui... o prendere in
ostaggio il
suo pupazzo preferito di Mickey mouse ma quest’opzione era
presa in
considerazione soltanto in casi estremi, prima che al povero Matt gli
scoppiasse un embolo.
Però
andava bene così, non volevo che evitasse di urlarmi
dietro solo perché ero la ragazza del cantante, non volevo
favoritismi poiché
lavoravo per lui.
"Comunque
siamo quasi all'aeroporto di Parigi,
abbiamo il volo tra poco per Londra e dopo quella tappa ci sposteremo a
nord e
infine suonerete in Irlanda per poi ancora più a nord dove
il vostro culo si
congelerà”, ci informò il tour manager
sedendosi e facendo penzolare le sue
gambe già dal letto, di fianco a me. “Farete delle
tappe in Norvegia, Svezia,
Finlandia e in Danimarca per poi volare nel grande e freddo Est, ma la
vostra
testolina vuota non vi permette di immagazzinare così tante
città… quindi mi
limiterò a dirvi che stiamo andando a prendere l'aereo per
la terra del the e
di Harry Potter!”, spiegò Matt senza prendere un
attimo di respiro. “… e no
Alex, non farete un concerto a Hogwarts!", disse infine non lasciando
parlare il ragazzo che aveva solo aperto la bocca.
Era
davvero bravo a fare il suo lavoro nonostante la
sua giovane età. Probabilmente era proprio questo, quello
che gli permetteva di
essere in perfetta sintonia con il resto del gruppo.
Ero
così felice di stare in mezzo a questa gabbia di
matti.
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Capitolo 24 *** Chap ventiquattro. ***
Chap
ventiquattro.
Ho sempre amato Londra. Probabilmente se non mi fossi legata a
Baltimora, ci
sarei già andata a vivere. Mi sarebbe piaciuto alloggiare in
una di quelle case
bianche in stile vittoriano o in quelle che avevano la porta colorata
nel
quartiere di Notting Hill, e avrei sperato di scontrarmi con un attore
famoso
per puro caso, magari inciampando su di lui, e sarebbe poi nata una
magnifica
storia d'amore da cui sarà tratto in seguito un film. Tutto
questo però era già
stato realizzato da Hugh Grant e Julia Roberts. Mi sarei dovuta
accontentare di
incontrare il principe Harry, cosa che non mi dispiaceva per nulla
poiché avevo
sempre avuto un debole per la sua chioma rossa e il suo atteggiamento
da
ribelle.
"A cosa stai pensando?", mi chiese improvvisamente Jack notando sul
mio volto un sorriso ebete.
"Al principe Harry"
"Non capisco perché tutte sbavate dietro a quel
Ginger”.
"Lo hai detto... per i capelli rossi, secondo te per cosa?"
"Beh, avrei immaginato per le sue prestazioni sessuali o almeno per le
dimensioni del suo pene... “.
“Quindi
mi stai dicendo che hai visto anche tu le foto
del bel principe a Las Vegas?”
“Il
suo culo era su tutte le riviste!”
"Come sei volgare Jack!", scherzai. "Dove sono i
sentimenti?"
"Io non ho sentimenti!"
"Lasagne e tiramisù!", dissi soltanto e capii di aver
toccato il suo
punto debole da come si drizzò con la schiena e come le sue
pupille diventarono
piccole. "Io so!"
"Non devi dire niente!"
"Certo che non lo dirò... per ora!", lo ricattai.
"Che cosa vuoi in cambio?", domandò cercando di negoziare.
"Qualunque cosa... "
"Uhm... ", dissi portandomi l'indice sul mento e assumendo l'aria di
chi stava riflettendo sul serio per negoziare uno scoop che gli avrebbe
rovinato per sempre la sua fama.
"Qualunque cosa... ", disse di nuovo.
"Sai una cosa?", gli chiesi. "Non voglio niente per ora, mi
piace vederti vivere con il terrore che io possa farmi sfuggire
qualcosa in
qualunque momento", dissi aggiungendo un sorriso malefico.
"Lo sai che sei sadica?"
"Lo so!”, dissi imitando con le mani il signor Burns dei
Simpson.
Tra qualche minuto ci saremmo fermati davanti al Southbank Centre, dove
i
ragazzi avrebbero tenuto un concerto insieme ad altri gruppi, una
sottospecie
di I-Day festival che si teneva in Italia, però notevolmente
migliore.
Scendemmo dal bus. I cancelli dell'ingresso erano ancora chiusi ma si
poteva
percepire il vociare dei ragazzi dietro di esso che non vedevano l'ora
di
varcarlo per occupare le prime file.
Mi guardai attorno. Quel giorno, noi dello staff, saremmo stati davvero
occupati a rendere grandiosa la performance degli All Time Low che si
sarebbero
esibiti per penultimi, dopo i The Dangerous Summer e i We The Kings,
riscaldando la folla per un gruppo che aveva decisamente accompagnato
la mia
adolescenza, nonostante la loro età. Se avevo deciso di non
prendere la mia
vita troppo seriamente e di vivere alla leggera, ridendo e scherzando
finché i
miei polmoni non avevano più aria, era decisamente grazie a
loro. Ed era
proprio grazie a loro se la mia adolescenza era stata indiscutibilmente
divertente. Era grazie ai Blink-182 che avevo iniziato a scrivere per
diventare
un'importante giornalista di una famosa rivista di musica.
Tutto quello che desideravo, era incontrare i tre ragazzi di San Diego
e
ringraziarli per quello che loro, attraverso la loro musica, avevano
fatto
rendendo la mia vita migliore.
"Non ci credo!", sussultai vedendo quella figura che ero abituata ad
ammirare sul muro della mia stanza in Italia. Forse era il caldo, forse
stavo
andando in meno pausa o semplicemente mi stavo eccitando per il
semplice fatto
che Mark Hoppus si stava avvicinando a noi con il suo solito sorriso
stampato
in faccia e i suoi Ray-Ban leopardati. "Oh mio Dio!"
"Sono solo io, ma grazie", rispose il ragazzo con un sorriso beffardo
sul viso. Mi stava forse prendendo il giro?
"Non te… ma lui lo è di sicuro!", gli risposi
guardando dritto
davanti a me, ancora incredula di chi avessi difronte.
"Ehi Alex!", salutò la
«divinità» agitando la mano in aria,
come per
richiamare la sua attenzione, cosa assolutamente assurda visto che lui
era Mark
Hoppus, una sottospecie di leggenda, di Dio da venerare.
"Ehi Mark!", lo salutò tranquillamente il ragazzo mentre io
mi
sentivo sempre più in soggezione. Avevo davvero davanti agli
occhi l'uomo che
avrei voluto per migliore amico e non riuscivo a dire una parola. "Come
stai?"
"Uhm... il mio ultimo tweet parla da solo", rispose stringendosi
nelle spalle.
"In effetti, è un disastro... ", rispose Alex. "Mettere in
pausa
«Il trono di spade» è stato decisamente
un colpo basso dalla BBC…”.
"Ho letto troppi spoiler per aspettare fino a settembre, io devo sapere
cosa accadrà!", rispose quasi in modo maniacale. Era
così adorabile anche
quando faceva il nerd patito delle serie TV.
"Comunque ti voglio presentare Ally, lei è la nuova
assistente di Flyzik...
e anche la mia ragazza", mi presentò aggiungendo un sorriso
dolce
pronunciando l'ultima frase.
"Un vero piacere Ally!", disse lui porgendomi la mano e sorridendomi
com’era
abituato a fare.
"Ehm... forse non puoi capire, ma il piacere è tutto mio,
sul serio, tu
sei Mark Hoppus e sei di fronte a me in carne e ossa... ", iniziai a
parlare a raffica. "... so che può sembrare il solito
cliché, ma sono una
vostra fan e... diamine, non riesco a trovare le parole ed eppure
è la prima
volta che mi capita... scusami, probabilmente ti sembro un'idiota ma
quello che
sto cercando di dirti è «grazie»!",
dichiarai. "Grazie per le canzoni
idiote, per quelle serie, per quelle più profonde e per
quelle che mettono di
buon umore... la vostra musica ha davvero reso la mia adolescenza
migliore e
non sai quanto vorrei essere nata prima per potervi seguire
dall’inizio, così
da vantarmi di dire letteralmente «io sono cresciuta con i
Blink-182!» “.
"Ok, questa è decisamente la cosa più punk-rock
che mi abbiano mai
detto", affermò ridendo e senza rendermene conto finii tra
le sue braccia.
Mi abbracciò ed io ero totalmente incapace di rispondere a
quel contatto
fisico. Lo desideravo da tutta la vita e avrei voluto prendermi a
schiaffi per star
sprecando quell’occasione. "Grazie a te per essere nostra
fan, sono le
persone come te che ci spingono a fare musica", disse ora sciogliendo
l'abbraccio. "Ehi Alex, posso rubartela per qualche minuto?",
domandò.
"Certo!"
"Te la riporto sana e salva!", disse portandomi un braccio attorno
alle spalle. "Vieni, ti faccio conoscere Thomas e Travis!"
Ormai ero completamente abbandonata a quell'uomo. Poteva chiedermi
qualunque
cosa e l'avrei fatta senza lamentarmi e senza dubbi. Avrebbe voluto la
luna?
Gliela avrei portata nel minor tempo possibile.
Mi accompagnò verso lo stand della band, dove c'erano
diverse persone che
stavano sistemando le ultime cose. Provavo decisamente più
caldo, mi sentivo
soffocare, mi mancava quasi l’aria per respirare.
Probabilmente era tutta
l'agitazione che si era accumulata nel vedere Mark e nell'essere
stretta tra le
sue braccia. Ci avvicinammo e fui felice di attribuire un volto
all'ammasso di
persone che si trovavano sotto il tendone, ma una in particolare
attirò la mia
completa attenzione. Si trattava di Thomas Matthew DeLonge. Il
chitarrista con
la voce più buffa del mondo. Il ragazzo che aveva avuto la
pubertà a
trent'anni. Quello che credeva nella massoneria e nelle cospirazioni.
Colui che
era chiamato «Hot Pants». La cui faccia aveva
tappezzato i muri, i diari, il
cellulare e qualunque altra cosa possibile nella mia stanza. Il mio
sogno
erotico e onirico. Il mio solo e unico ideale di uomo perfetto.
Tutto poteva essere riassunto in due parole: Tom DeLonge.
"Ehi Tom!", lo chiamò l'amico. Non capii bene cosa avvenne
successivamente, mi ricordo solo di aver stretto la sua mano e
improvvisamente
tutto era diventato nero.
"Questo è l'effetto che faccio alle donne... ", fu l'ultima
cosa che
sentii prima di svenire ai suoi piedi e tra le sue braccia.
Ero stata un'idiota. Avevo avuto davanti l'uomo della mia vita ed ero
svenuta
come una pivella, non capace di reggere la sua presenza, ma era stato
il suo
sorriso, l’unico che faceva concorrenza a quello di Rian per
una pubblicità di
dentifrici sbiancanti, e il suo abbraccio caloroso che mi avevano
letteralmente
dato il colpo di grazia. Per giunta non ero neanche arrivata a
incontrare
Travis.
Avevo fatto sicuramente una pessima figura, dandogli l'idea di una
stupida
ragazza. Probabilmente avevo messo in imbarazzo la band e Alex, che a
proposito, mi chiedevo dove fosse finito.
Appena
mi svegliai capii che era successo qualcosa, ma
ero totalmente inconsapevole di cosa avessi combinato.
Aprii piano gli occhi e la prima cosa che vidi fu un soffitto di legno
a
qualche centimetro dalla mia testa. Non riuscii a capire dove fossi
finché,
cercando di alzarmi, allungai la mano destra verso l'esterno e spostai
la
tendina che mi nascondeva da un corridoio che ormai ero abituata a
vedere. Ero
finita nel bunk del tour bus dei ATL e non mi spiegavo come fossi
arrivata lì
visto che praticamente ero svenuta davanti a Thomas.
"Non così in velocemente", disse qualcuno seduto davanti al
letto.
"Cosa ci faccio qui?", chiesi non identificando la figura davanti a
me. Avevo ancora la vista annebbiata.
"Sei svenuta e probabilmente hai sbattuto la testa, quindi resta
sdraiata
finché il medico non arriva”.
"Medico? ", domandai. "Non ce n’è bisogno... sto
bene"
"Al resta lì ferma!", mi ordinò questa volta. Il
tono di voce mi
permise di associare un nome a quel volto sfocato, soprattutto grazie
al
ridicolo soprannome che mi aveva dato. Sembrava piuttosto tubato.
"Alex, cos'hai?"
"Niente!"
"Alex!", ripetei il suo nome duramente. Ciò mi diede la
forza di
mettermi seduta e sfidarlo. "Perché sei arrabbiato?"
"Non lo sono"
"Allora devo dedurre che ti piace assumere un tono adirato mentre parli
con le persone?"
"Resta sdraiata, sei ancora debole"
"Sto bene così!", affermai. "Quindi?"
"Non mi ero mai accorto del tuo tatuaggio", disse riferendosi a
quello che mi ero fatta diversi anni fa dietro all'orecchio.
"Sono dei semplici numeri... L'ho fatto dopo aver compiuto i diciotto
anni, sai... quando pensi di avere il mondo nelle tue mani e ti senti
libera e
rivoluzionaria di fare quello che vuoi e allora decidi di farti un
tatuaggio
che esprima al meglio te stessa e quel 182 descriveva perfettamente me
stessa”.
"Non sapevo che fossero la tua band preferita”.
"Alex, ci sono molte cose che non sai di me... “.
"Non so praticamente nulla di te, diamine!"
"Ed è colpa mia?"
"Voglio solo sapere perché non ti apri con me come io ho
fatto con te!"
"Perché ho la tendenza a non fidarmi delle persone!"
"Quindi non ti fidi di me?"
"Non ho detto questo!"
"Allora perché?"
"Non voglio discuterne ora!"
"E quando potremmo farlo?", disse alzandosi in piedi, di fronte a me,
imitando la mia reazione. "Quando ti deciderai a fidarti di me?"
"Perché diavolo stai urlando?"
"Perché sei svenuta!"
"É veramente questo il problema?", gli domandai esasperata.
"Ti
sei arrabbiato perché sono svenuta?"
"Sei svenuta davanti a Tom DeLonge!"
"Quindi ti preoccupa la figuraccia che ti ho fatto fare?", domandai
più che altro alla sua schiena. "Puoi guardarmi in
faccia? Non mi
piace parlare con le tue spalle!".
Odiavo quando Alex faceva così. Odiavo il suo caratteraccio.
Odiavo quando non
voleva discuterne dei problemi. Lo odiavo quando non mi
ascoltava.
"Lascia stare, è inutile che ci torniamo su…
ormai quello che è fatto è
fatto”.
"Adesso dove stai andando?", gli chiesi maledicendo il suo stupido
comportamento infantile. "Vuoi che gli vada a chiedere scusa o temi che
ti
possa far fare un'altra brutta figuraccia?"
"Non
capisci!"
"Vai all'inferno, Alex!"
"Cazzo,
Allyson!", disse sbattendo forte la
mano contro il muro. "Sei svenuta dopo aver incontrato Thomas e pensi
davvero che m’interessi qualcosa se mi hai fatto fare una
figura di merda?",
mi domandò tornando a guardarmi, tenendo chiusa la mano
destra stretta a pugno.
I suoi occhi erano diventati due fessure, impenetrabili. Le sue iridi
avevano
assunto un colore surreale, quasi nero. Così penetrante da
far rabbrividire chi
si trovava abbastanza vicino da poterle vedere, facendomi sentire in
colpa.
Facevano paura. "Sono arrabbiato perché hai avuto una
reazione del genere,
ma non lo sono con te soltanto su quello che ti è
successo... cazzo, quell'uomo
è riuscito a farti svenire semplicemente con un abbraccio,
qualcosa deve essere
scaturito nella tua testa un segnale o una cazzo di motivazione per
farti
perdere i sensi... appena ti ho visto in braccio a Tom mi sono chiesto
cosa
cazzo fosse successo e solo dopo che mi hanno raccontato mi sono
sentito un
idiota... probabilmente sono solo uno stupido che si è
innamorato di una
ragazza che ama un'altra persona!", disse tutto di un fiato. "Mi
sento come rifiutato e il fatto che tu non mi dica niente di te e della
tua
vita mi ha fatto riflettere, e forse non sono io quello che vuoi... ti
ho
portato solo guai!"
"Ora
ascoltami bene, perché sei davvero un
idiota!", gli dissi duramente. "Come diamine ti è venuto in
mente una
cazzata colossale come questa, deve esserti spappolato il cervello a
furia del
volume troppo alto delle casse durante i tuoi show perché
non ti ho mai dato motivo
di sentieri rifiutato, non da quando abbiamo iniziato a stare
insieme… e sì, mi
hai dato diversi problemi, a prescindere dal nostro primo incontro, ma
ora sono
qui e non so se te ne sei reso conto, ma sono stata disposta a subire
tutta la rabbia
di Matthew per stare con te e se ancora non ti è chiaro ti
posso fare un
disegnino così che il tuo stupido cervello possa comprendere
quello che sto
cercando di dirti!", continuai a dirgli puntando l'indice contro il suo
petto. "E sì, sono svenuta al semplice contatto con Thomas
DeLonge e sai
una cosa? Stavo per svenire anche con Mark! Ed è capitato
solo perché loro sono
il mio gruppo preferito, e non nego il fatto che sia particolarmente
attratta
da Tom ma non potrei mai farci niente se non idolatrarlo come una
stupida
ragazzina di dodici anni alle prese con le prime cotte per una boy band
di
cinque ragazzi di bell'aspetto", dissi portandomi le braccia al petto,
"E se non ti parlo della mia vita è perché non
c'è niente di così
importante che debba essere detto... sono una normalissima ragazza che
non ha
nulla di emozionante da raccontare, forse qualche aneddoto e un paio di
cene di
Natale imbarazzanti, ma nulla a confronto con la vita movimentata che
ti
ritrovi a fare, la mia vita è piuttosto breve da
raccontare", finii di
dire.
Mi
sorprese la successiva reazione di Alex. Mi sarei
aspettata una qualunque reazione, una risposta o che se ne fosse andato
da un
momento all'altro mandandomi all'inferno ed invece mi aveva
semplicemente
abbracciato, stringendomi forte a lui. "Sei un idiota Alex!",
affermai come ultima cosa restando beatamente tra le sue braccia.
Molly
Ok,
questo capitolo è decisamente troppo lungo ma spero che vi
sia piaciuto. Ho voluto inserire i Blink-182 perchè sono uno
dei miei (tanti) gruppi preferiti e quindi mi ritrovo molto in quello
che Ally dice a Mark. Amo Mark, amo Travis e amo Tom, forse fin troppo,
forse non abbastanza. Insieme agli All Time Low e ai Simple Plan
accompagnano le mie giornate.
Ok,
questo è un piccolo momento di dolcezza, hahahahahahaha...
scusatemi :)
Chiunque
stia leggendo vorrei ringraziarlo per essere arrivato fin qui e vorrei
ringraziare Rack
e unicornsr0mance
per le continue recensioni. Mi rendono davvero felice :)
Peace!
|
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Capitolo 25 *** Chap venticinque. ***
Chap
venticinque.
Indiscutibilmente
la litigata che avevamo avuto quel pomeriggio
era soltanto la prima di un'infinità di liti che avremmo
avuto, a partire dal
giorno successivo, dopo il mio piccolo incidente con Tom.
Però non era solo lui
il problema delle nostre litigate.
Il
punto è che quando s’inizia a stare a stretto
contatto
con una persona bisogna abituarsi alle sue manie e soprattutto starne
attente
perché il detto «il lupo perde il pelo ma non il
vizio» non era mai stato così
vero come quella sera e lui stesso lo avevo dimostrato.
Il
giorno dopo il grande festival, i ragazzi si
sarebbero esibiti a Londra in un concerto come headline. Il locale era
sicuramente
più piccolo rispetto alla location della sera precedente, ma
quei quattro
riuscirono a riempire tutto il locale raggiungendo il sold out.
Era
tutto pronto per la grande serata. La band di
apertura stava scendendo dal palco per dare spazio al gruppo e la folla
era
letteralmente in visibilio mentre le luci sopra il palco si spensero e
i
quattro presero posto davanti ai loro microfoni.
Alex
iniziò il suo riff di chitarra per primo seguito
poi dalla batteria, dal basso e dalla seconda chitarra.
Mi
faceva impazzire come introducevano i loro
concerti. Mi piaceva da morire tutta quell’energia che
mettevano nell’intro
come se dovessero dimostrare la loro bravura a qualcuno. E ogni volta
che li
sentivo riprodurre quelle note, una strana carica, delle strambe
emozioni, si
riscuotevano in me.
Vederli
dallo stage faceva decisamente uno strano
effetto. Era buffo
come non mi fossi mai
soffermata a sentire le canzoni del gruppo nonostante ora sia in tour
con loro.
Probabilmente milioni di persone vorrebbero essere al mio posto e di
sicuro
conoscevano ogni parola di ogni loro canzone, sapevano tutto
ciò che c’era da
sapere su quei quattro e probabilmente anche sul resto dello staff, ed
era per
questo che cercavo di dare il meglio di me in quello che realizzavo,
soprattutto perché mi sembrava il minimo per quello che quei
ragazzi stavano
facendo per me, anche senza rendersene conto.
“Ehilà!”,
disse una voce esterna, diversa da quella di
Matt che ero abituata a sentire dall’auricolare. Mi voltai a
vedere chi mi
avesse appena salutato e rimasi sorpresa di chi avevo di fronte, di
nuovo.
"Ehm...
ciao", lo salutai imbarazzata. Mi
portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e continuai a tenere lo
sguardo
basso come se avessi paura. E, in effetti, una parte di me era in
soggezione di
fronte a lui.
"Non
sverrai di nuovo, vero?", chiese
preoccupato vedendo che mi limitavo a non rispondere. Come facevo a
dire
qualcosa se davanti a me c'era, di nuovo, Tom DeLonge.
"Uhm...
no, non ti preoccupare", gli risposi
sorridendo. "Sto
decisamente molto
meglio rispetto a ieri... probabilmente è stato il caldo a
farmi avere un
mancamento…", dissi ridendo. Forse avrebbe creduto alla
palla che gli avevo
appena detto.
"O
forse sono stato proprio io... ", replicò
con un sorriso malizioso stampato sul viso. Improvvisamente sentii
caldo, di
nuovo. Non poteva capitare nuovamente.
"È
stato il tuo ego a dire ciò o lo pensi
davvero?"
"Non
è la prima volta che mi capita, non devi
imbarazzarti... “.
"Beh...
innanzitutto ti porgo le mie scuse per il
pessimo modo di aver affrontato la situazione, è stata la
prima volta che mi è
capitato, sul serio... di solito sono più spigliata con i
musicisti... sono
abituata alla loro presenza", farfugliai.
"Abituata
alla loro presenza?", disse
ridendo. "Più spigliata?", ripetette quello che aveva appena
detto.
"Sei per caso una groupie?", chiese continuando a ridere. Quella sua
affermazione mi offese, non perché lo avesse ipotizzato ma
per come lo avesse
detto, con quel sorriso stampato in faccia. Probabilmente Tom stava
perdendo
punti in fatto di «uomo perfetto» o forse era
esattamente questo suo
atteggiamento a piaceri tanto.
"Non
sono una groupie!", dissi enfatizzando
il «non sono». "Cosa te l’ha fatto
pensare?"
"Il
fatto che tu sia qui con la band... "
"E
secondo te queste cuffie che ho in testa le
uso come ferma capelli?", gli chiesi fin troppo sarcastica.
"Ok,
questo piccolo particolare mi era
sfuggito!", disse passandosi una mano tra i capelli. Inarcai un
sopracciglio scuotendo la testa. "Sai, ti preferivo mentre eri
svenuta...
“.
"Ti
preferivo quando eri solo appeso sulla parete
di un muro e non davanti a me”.
"Sei
simpatica, ma questa non è una risposta alla
domanda che ti ho fatto... “.
"Non
mi hai fatto nessuna domanda…"
"In
verità bisognava leggere tra le righe... ",
confessò continuando ad avere quello strano sorriso stampato
sulle labbra. Mi
ricordò Alex e di come all’inizio volevo toglierlo
prendendolo a schiaffi. In
effetti, Alex aveva sempre quel sorriso stampato sul viso, ormai mi ero
abituata a come decorasse il suo volto tanto che aveva iniziato a
piacermi
sempre di più, ogni giorno che passasse. Avrei soltanto
voluto baciare quelle
labbra che mi rendevano felice. Invece quelle di Tom erano lontanamente
dall’essere
simili a quelle del cantante che si stava esibendo poco distante da
noi. Thomas
era decisamente più maturo rispetto a lui, di età
sicuramente, non potevo dire
lo stesso per il comportamento. Entrambi erano due bambini chiusi in
dei corpi
decisamente troppo grandi per loro, ed eppure a volte riuscivano a
essere anche
seri, ma quello che avevo davanti non era il Tom di parecchi anni fa,
prima
della Reunion, prima che i Blink-182 si sciogliessero, prima che
diventasse
profondo e ipersensibile con gli Angels And Airwaves. Quello di cui mi
ero
innamorata. Ormai un ricordo ben lontano da quello cresciuto che
continuava a
parlare davanti a me nonostante non lo stessi ascoltando. Mi ero
totalmente
persa nei miei pensieri. "Quindi?"
"Come?"
"Ti
ho posto una domanda... è questa volta in
modo diretto”.
"Scusa,
non ti stavo ascoltando", ammisi
sentendomi mortificata. Dovevo smetterla di perdere l'attenzione mentre
qualcuno mi parlava.
"Ti
avevo solo chiesto perché di solito eri
abituata al contatto con i musicisti se non eri una
groupie…”.
"All'inizio
ero una giornalista di musica ma poi
sono successe delle cose e ora lavoro come assistente del tour manager
di
questa band”.
"E
cosa è successo per farti intraprendere questa
vita «on the road»?"
"Vivere
così fa decisamente più rock'n'roll non
trovi?", risposi ridendo.
"No,
sul serio... come sei passata da
intervistare i musicisti ad aiutare chi gestisce il tour di una band?"
"Lo
fai sembrare più brutto di quello che... mi
piace come lavoro e mi permette di stare a contatto più
ravvicinato con la
musica", dissi stringendomi nelle spalle.
"...
ma ancora ti ostini a non rispondere alle
domande che ti pongo”.
"Non
ti racconterò questa cosa... "
"Questo
mi ferisce... "
"Non
penso che una cosa del genere possa ferire
sul serio un omone grande e grosso come te!", dissi puntandogli un dito
sul petto. In effetti, Thomas era piuttosto grosso rispetto ad Alex.
Era più
alto, la sua corporatura più massiccia così come
le spalle possenti. Mi accorsi
soltanto in quel momento di apparire così piccola davanti a
lui. "Durante
la tua lunga vita ne avrai avute di delusioni... “.
"A
proposito di lunga vita... quanti anni
hai?", chiese appoggiandosi a un pannello. "Non sembri americana... "
"Sono
italiana e ho ventidue anni... ",
risposi portandomi le braccia al petto. "Vuoi anche sapere il mio
gruppo
sanguigno o è tutto per l'interrogatorio?", gli chiesi
sarcasticamente ma
inutile a dirlo che sorrise di nuovo. Quel maledetto sorriso.
"Sei
così giovane... cioè... cosa ci fai in
America?"
"Thomas
non ti racconterò della mia vita!",
mi affrettai a dire prima che potesse aggiunge qualche altra domanda.
"Primo perché probabilmente ti dimenticherai di me appena te
ne andrai
quindi qualunque cosa ti dirò sarà irrilevante e
secondo... beh, non mi piace
parlare della mia vita privata”.
"Ok,
va bene però posso almeno sapere come ti
chiami?", chiese. "Questo almeno è possibile chiedertelo?"
"Allyson...
mi chiamo Allyson, ma puoi chiamarmi
anche Ally, forse lo preferisco", accennai un sorriso.
"Piacere
Ally... ", disse allungando la mano
destra verso di me. "Probabilmente mi avrai già visto sui
muri di casa tua
o in televisione... io sono Thomas, ma puoi chiamarmi Tom”.
"Cosa
stai facendo?", gli chiesi confusa.
"Sto
cercando di sistemare quello che tu ieri hai
rovinato", rispose ridendo. "Secondo il galateo tu dovresti
rispondere alla stretta di mano", aggiunse sussurrando, come se mi
stesse
suggerendo davanti a un pubblico. Gli strinsi la mano solo per fargli
smettere
quell'orribile scenetta.
"Cosa
ci fai qui?"
"Volevo
vedere come stavi... dopo l'episodio di
ieri... “.
"E
lo fai con tutte quelle che ti svengono
davanti?"
"No,
solo con quelle che fanno preoccupare
Mark!"
"Ho
fatto preoccupare Mark?", domandai
sorpresa e confusa, ma comunque felice.
"In
verità ti ha preso in simpatia e mi ha
pregato di venire da te... ti aveva descritto come una ragazza
così dolce e
posata, una sottospecie di bambolina, invece mi sono ritrovata davanti
ad un’
ragazza cinica, fredda e riservata... “.
"Non
mi interessa se sei famoso o cos'altro ma
nulla mi fermerà dal prenderti a schiaffi!", gli dissi forse
un po' troppo
direttamente. Nonostante mi superasse di parecchi centimetri sarei
riuscita
perfettamente a colpire quelle guance. Avevo sempre pensato che Tom
fosse un
ragazzo simpatico, forse un po' troppo vivace, ma invece mi trovavo
davanti ad un
ragazzo arrogante che non rispecchiava per nulla le mie aspettative.
"Ehi
calma... scherzavo", si affrettò a dire
abbozzando un sorriso, più teso. Diverso da quello che mi
aveva rivolto prima.
"Forse preferisci parlare con Mark, è da qualche parte qua
in giro... “.
"Sarebbe
carino salutarlo... ", risposi
cercando di calmarmi.
"Ti
andrebbe comunque una tazza di caffè, magari
proviamo a fare due chiacchiere senza arrivare alle mani", disse questa
volta ridendo.
"In
verità io starei lavorando in questo momento...
“.
"Allora
dopo il lavoro?", propose.
"Non
penso che la band si fermi per la notte,
immagino che dovremmo ripartire subito... “.
"Beh
allora se cambi idea potresti sempre
chiamare questo numero o mandare un semplice messaggio... ", disse il
ragazzo scarabocchiando dei numeri sul primo foglio della cartelletta
che
tenevo in mano. "Ora forse è meglio se vado a cercare
Mark... “.
"Forse
l'ho appena trovato... ", dissi
indicando il palco. Mark stava ballando insieme ad Alex sulle note di
quella
che doveva essere «Weightless» mandando
in visibilio la folla. Era stata una sorpresa anche per il ragazzo che
era
felice di condividere quel palco con un uomo del genere.
Sapevo
che lo spettacolo
stava finendo e ad annunciare
l'ultima canzone furono
proprio le note di «Dear Maria, Count Me In».
"Mi
sa che lo abbiamo trovato", disse il
ragazzo vedendo Mark uscire dal palco, raggiungendoci con uno splendido
sorriso
stampato sulle labbra.
Mi
salutò con un caloroso abbraccio, preso
dall'eccitazione del momento, percorso ancora dalla scarica di
adrenalina.
"Ally!",
disse una voce all'interno della
mia testa. Forse stavo diventando pazza o forse il volume troppo alto
delle
casse mi stava facendo diventare sorda. "Ally, ci sei?", chiese. Mi
toccai le orecchie e mi accorsi di stare indossando ancora le cuffie.
Capii in
quel momento che si trattava di Flyzik che cercava di comunicare con me
dalla
parte opposta del palco.
"Dimmi
Matt!", risposi al walkie-talkie.
"Sapevi
di questa improvvisa sorpresa?",
chiese con un leggero filo di voce irritato. "Qualcuno sapeva che Mark
Hoppus si sarebbe presentato sul palco con la band?"
"Penso
di no a meno che uno del gruppo si sia
dimenticato di avvisarti... ", dissi. "Però è
andato tutto bene,
no?", gli feci notare cercando di tranquillizzarlo. "Alex sembrava
felice, così come il resto della band e al pubblico non
è sembrato dispiacergli...
“.
"Per
fortuna!", disse prima di chiudere il
contatto con me. Probabilmente potevo immaginare Matt che tirava un
sospiro di
sollievo perché tutto era andato senza complicazioni.
La
band uscii qualche secondo dopo che fui tornata con
dei grossi bicchieri di birra per i ragazzi che dovevano essere
totalmente assetati.
Ne portai due in più anche per Mark e per Tom che rimasero a
parlare con il
quartetto. Si spostarono nel camerino dove si rinfrescarono con una
doccia e
poi tornarono asciutti e profumati da quei due che stavano commentando
l'esibizione del gruppo e cercavano di ricordarsi come erano loro a
quei tempi,
quando avevano ancora l'agilità di venticinquenni e non di
quarantenni ormai
propensi a una pensione punk-rock.
Alex
non aveva parlato molto, qualcosa lo turbava e
pochi minuti dopo si dileguò con una scusa banale.
Probabilmente aveva visto me
è Tom parlare durante il concerto, ma questo non era un buon
pretesto per
andarsene via e scomparire come il migliore degli illusionisti. Forse
Alex era
davvero un lontano parente di Houdini.
Stava
di fatto che almeno doveva esserci una
motivazione se era sparito all'improvviso lasciando i tre quarti della
band a
parlare con i due terzi dei Blink-182, così andai a
cercarlo. Una mossa
totalmente stupida da parte mia!
Molly
Ok,
siamo arrivati al punto in cui tra poco partirò per le
vancaze e questo, probabilmente, sarà il penultimo capitolo
che pubblicherò prima di sparire in mezzo ai monti (insieme
ad Heidi e a tutti i suoi amici strambi), però ne
approfitterò col scrivere i successivi capitoli e finalmente
dare una svolta alla storia. Deve accadere qualcosa di acclatante, no?
Qualcosa riuscirò ad inventarmi, ma per ora spero che vi sia
piaciuto quello che avete letto e, anche se è un classico
cliché, sono favorevole alle recensioni, anche semplicemente
per farmi sapere se vi piace la storia o è meglio che la
elimini dal sito :)
Beh,
a presto!
|
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Capitolo 26 *** Chap ventisei. ***
Chap
ventisei - Alex P.O.V.
Non
potevo fingere di non aver visto Ally scherzare
con Thomas DeLonge durante il concerto e non potevo neanche fingere che
non mi
avesse dato fastidio. Lui era un musicista famoso, la sua rockstar
preferita,
ma lei era pur sempre la mia ragazza e lui aveva una certa reputazione.
Eppure
in quel momento qualcuno era riuscito a catturare la mia attenzione
distraendomi dai miei fottuti pensieri di quanto fossi geloso.
Dopo
tutto quel tempo faceva uno strano effetto
vederla di nuovo, ma ora era davanti a me, in un paese che non era suo,
ma in
cui avrebbe indiscutibilmente voluto vivere. Me lo aveva confessato una
di
quelle volte in cui avevamo avuto l'opportunità di visitare
Londra.
"Ciao
Alex” disse nel modo più innocente
possibile. La sua voce mi fece rabbrividire. I bei ricordi che
accompagnavano
la sua voce mi tornarono in mente, come se stessi per morire e quelli
erano il
riassunto della mia vita che sarebbe stato trasmesso nella mia mente
per
ricordarmi di quanto avessi e di cosa avessi perso, ma poi
m’investirono altri
ricordi di lei, mentre era arrabbiata, furiosa, mentre mi la lanciava
oggetti
addosso e mentre cercava di picchiarmi con le sue piccole mani. E tutto
fu
terribilmente chiaro. Nonostante mi trovassi a pensare qualche volta
ancora a
lei, ero felice di essere sceso da quelle montagne russe che fingevamo
di
chiamare relazione.
"Ciao
Lisa... "
"É
bello rivederti... ti vedo in ottima forma... ",
disse abbozzando un sorriso, forse un po' troppo forzato anche per lei
che era
abile a mentire. In fondo era grazie a lei che il nostro rapporto
continuava a
rimarginarsi fingendo semplicemente che andasse tutto bene.
"Sì...
ehm... anch'io ti trovo in forma... ",
quasi balbettai. Mi sentivo non poco a disagio con lei, ma di
più. "Hai
cambiato colore di capelli... ", dissi notante una chioma bionda, color
miele, al posto di quella castana che avevo visto l'ultima volta.
"Già,
volevo fare qualcosa di nuovo, sai… nuova
città... nuovi amici... nuove abitudini... “.
"Ti
sei trasferita a Londra?"
"No
a Los Angels, mi trovo qui da una mia amica e
visto che mi aveva invitato, ho colto subito l'occasione
poiché Londra è... “.
"...
la tua città preferita!", dissi finendo
la sua frase. "Mi ricordo che me lo avevi accennato qualche anno fa...
“.
"Già,
ho sempre desiderato essere inglese... come
te", sorrise questa volta più rilassata.
"Beh...
London Calling, baby!", scherzai
accennando a una canzone dei «The Clash».
"Mi
mancavano le tue citazioni!", disse
ridendo e portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lo faceva
sempre
quando cercava prendere tempo per trovare le parole giuste prima di
dire
qualcosa d’importante. E mi piaceva da impazzire quando lo
faceva così come il
modo di inumidirsi le labbra prima di parlare.
"Come
mai sei qui?", le chiesi cercando di
non apparire sgarbato.
"Ho
visto che facevate un concerto e ho pensato
di fare un salto solo per... beh, vedere come stavi..."
"Quindi
niente annunci del genere «sono incinta e
il bambino è tuo» o «ho appena ucciso un
uomo e ho bisogno di un aiuto per
nascondere il cadavere»?", scherzai.
"
Volevo solo vedere come stavi e dirti che mi
mancavi, tutto qui..."
"Tutto
qui?", chiesi. "Solo
questo?", sembrava voler dire altro. La conoscevo fin troppo bene e non
si
sarebbe limitata a un «mi mancavi». Si
avvicinò di più a me e impiantò i suoi
occhi azzurri dentro i miei. Quella mossa l'avevo inventata io! Stava
esattamente mettendo in atto tutte quelle cose che facevo io prima...
prima di
tornare da lei. Erano tutti piccoli gesti che mettevo in pratica per
farmi
perdonare da lei.
Mi
prese la mano e iniziò a giocare con le mie dita,
intrecciandole con le sue, impreziosite da anelli e con le unghie
perfettamente
smaltate. Come sempre.
"Alex
mi manchi e non poco...", cominciò a
dire. "Ci sono abitudini difficili da dimenticare e non voglio
scordarmi
di tutto quello che abbiamo vissuto, sarebbe troppo da rimuovere..."
"Lisa...
lo sai anche te che sarebbe totalmente
sbagliato riprovarci"
"Non
ho detto di voler riprovare... vorrei solo
continuare quello che abbiamo interrotto...", disse mettendosi in punta
di
piedi nonostante portasse ai piedi dei tacchi altissimi. Il suo
delicato naso
quasi sfiorava il mio. Le sue labbra tinte erano a pochi centimetri
dalle mie.
Sapeva perfettamente come catturare la mia attenzione. "Dimentichiamo
la
litigata e ritorniamo a quando hai varcato la soglia di casa e mi hai
preso in
braccio"
"Sarebbe
fantastico, ma non posso...", le
risposi lasciando la sua mano, ma le sue braccia si chiusero dietro al
mio
collo e istintivamente posai le mani su di esse, incerto se toglierle o
aspettare una sua successiva mossa.
“Mi
sento così umiliata, noi stavamo insieme!”
“Lisa,
cerca di calmarti… ”
"Alex...
ogni volta che tu sbagliavi, io ti
perdonavo sempre, accettavo ogni tuo errore, e ora tu potresti fare una
piccola
cosa per... potresti perdonarmi per quello che ti ho detto?"
"Sono
cambiare diverse cose"
"Pensavo
che non ti piacessero i
cambiamenti..."
"Beh...
invece sono stato felice di
farli..."
"E
quindi ora eviti il passato?"
"Evito
quello che c'è stato di sbagliato nel
passato...", la corressi.
"Pure
tutte quelle volte che ci nascondevamo nei
ripostigli prima che iniziasse uno dei tuoi concerti", chiese sempre
più
vicina alle mie labbra. "Tutte quelle volte che avevi voglia ed io ero
lì... vuoi scordarti di quei momenti?", sussurrò.
"Pensavo che ti
piacessero ancora questo tipo di cose... una ragazza aggressiva,
cattiva… forse
non lo sono stata abbastanza?”, chiese non perdendo il
contatto con i miei
occhi. “Siamo stati bene insieme, ammettilo!”
“Le
persone cambiano”
“Io
non credo… tu no?”
Lisa
sapeva bene che tipo di ragazzo ero. Sapeva come
prendermi e sapeva cosa mi piaceva. Sapeva come mi sentivo ogni minima
volta e
sapeva leggermi nella mente e fu proprio questa sua capacità
che mi lasciò
senza parole e le diede il tempo di gettarsi sulle mie labbra prima che
io
potessi controbattere con qualche stupida frase o battuta indecente,
perché
solo questo sapevo fare. Nascondermi dietro a delle stupide battute
cercando di
nascondere quello che pensavo davvero. Eppure non mi spiegavo come
continuassi
ad avere Lisa avvinghiata a me e di come non facessi altro che pensare
che
dovevo allontanarla perché non era giusto nei confronti di
Ally che era nel camerino
con il resto della band, con Mark e Tom. Eppure non riuscivo a trovare
la forza
per allontanarla, per dire che tutto questo era sbagliato.
I
miei pensieri erano troppo rumorosi perché
permettano di concentrarmi su cosa stesse realmente accadendo. Non
riuscii
neanche a sentire dei passi che si avvicinarono a noi, ma delle voci mi
portarono alla realtà della situazione. Delle voci che mi
ferirono, come un
coltello a doppia lama dritto nel petto.
"Complimenti!",
disse la prima. Vidi il più
totale disgusto all'interno dei suoi occhi. Mi sentii morire da quanto
faceva male.
"Cazzo
Alex!", notificò la seconda voce, quella che mi
raggelò il sangue nelle
vene. Sicuramente
l'ultima che mi
sarei aspettato di udire.
“Ally,
aspetta!”, disse infine una terza.
Chi altro
ancora doveva assistere a questa scena?
Cazzo,
avevo fatto l'ennesimo casino da aggiungere sulla parete de
«Le cazzate di
Alexander William Gaskarth». Ormai quel muro era stracolmo.
Prima o poi avrei
vinto un premio. Un qualunque trofeo per essere il ragazzo
più coglione sulla
faccia della Terra e probabilmente di tutto l'Universo.
Molly
Ok,
forse il capitolo è un po' corto ma appena
tornerò dalle vacanze ce ne sarà un altro e
sarà decisamente più lungo anche
perchè accadranno diverse cose, ma non anticipo niente :)
Beh,
lo ripeto: se siete arrivati fin qui, vi faccio i complimenti, non
pensavo neanche che qualcuno leggesse questa storia (hahahhaha).
Non
so cos'altro aggiungere se non ringraziare Rack e unicornsr0mance per
le recensioni :). Tuttavia, vi auguro buone vacanze.
XoXo
|
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Capitolo 27 *** Chap ventisette. ***
Chap
ventisette.
Cercare
Alex era stata la peggiore mossa che avessi
potuto fare. Avrei preferito rimanere all'oscuro di quello che stava
facendo e
invece mi ero preoccupata per lui e come una stupida ero andata a
cercarlo.
Vederlo
con quella ragazza, mentre la baciava, era
stato decisamente fin troppo! Come aveva potuto fare una cosa del
genere,
soprattutto lì in mezzo al corridoio, dove tutti avrebbero
potuto vederli. Non
era decisamente una cosa saggia da fare, tanto meno furba! Anzi era
proprio da
idioti! Così come lo era stato lui!
Ero
letteralmente furiosa, adirata, idrofoba, delusa, incazzata…
non riuscivo a pensare a nient’altro che a quella scena
orribile cui avevo
assistito poco fa. Volevo trovare un modo per dimenticarmi di
quell’evento
catastrofico.
Totalmente
presa dai miei pensieri rumorosi e dalle
mie scarpe che calpestavano il pavimento come se ogni piastrella
corrispondesse
alla faccia di Alex, non mi accorsi di un paio di scarpe che
m’inseguirono. Non
era il classico suono delle converse dell’Idiota! Era un
suono nuovo,
completamente diverso, a me sconosciuto. Sinceramente non
m’interessava neanche
un po’ a chi appartenesse, volevo solo uscire dal retro del
locale e prendere
una boccata d’aria fredda, così da sbollire una
parte della rabbia, ma qualcosa
m’impedì di raggiungere l’esterno. Due
grosse braccia m’imprigionarono
bloccandomi prima che potessi fare un altro passo. Guardai attentamente
quelle
braccia cercando di liberarmi, pensando che magari Alex avesse avuto la
brillante idea di seguirmi, ma non era così. Due grosse
braccia, di cui una
completamente tatuata, mi tenevano stretta contro la mia
volontà. Mi dimenai,
ma era inutile.
“Tom
lasciami!”, urlai riconoscendo i disegni. “Jack
digli di lasciarmi!”, ordinai all’altro ragazzo che
mi trovavo davanti.
“Ally,
calmati un attimo”, disse lui posandomi le sue
mani sulle mie braccia come per calmarmi. “Fai due respiri
profondi e guardami
negli occhi!”
“Jack...
voglio solo prendere una boccata d’aria”.
“Invece
hai l’aria di chi vuole scappare!”
“Non
essere stupido!”, gli dissi. “Non posso
scappare…
non saprei neanche da che parte andare!”
“Almeno
sei consapevole del tuo pessimo orientamento”.
“Jack!”,
gli dissi di nuovo. Mosse la mano in segno di
lasciarmi andare e la stretta di Thomas divenne sempre più
morbida fino a
scomparire dietro di me.
“Grazie!”
“Come
stai?”, mi chiese il ragazzo che mi aveva
imprigionato.
“Davvero
mi chiedi come sto?”, gli risposi forse un po’
troppo duramente. “Secondo te come potrei sentirmi?”
“Scusa…”
“Sono
ferita, delusa, arrabbiata, addolorata, scontenta,
infuriata!”, elencai. “Ci sono troppe emozioni che
vorrei esternare, ma
qualcosa mi blocca!”, sbottai. “Non riesco a
trovare neanche la voglia di
prenderlo a schiaffi!”
“Ally,
forse faresti meglio a sederti un attimo”, si
affrettò a dire Jack, guardandosi intorno come a cercare un
supporto per farmi
accomodare, ma non ne avevo nessun bisogno. Non stavo così
male da avere un
mancamento, ero totalmente lontana ad avere una reazione del genere.
“Sto
bene Jack, non ce n’è
bisogno…”, gli dissi. Feci
un profondo respiro. “Sto bene, sul serio”, cercai
di essere il più convincente
possibile. “Non ti devi preoccupare”
“Jack
se vuoi la tengo d’occhio io, tu… beh cerca di
convincere qualcuno a restare qui per la notte, non penso che siate in
grado di
partire in queste condizioni”, si affrettò a dire
Thomas. “Immagino che ci sia
un po’ di scompiglio… raduna tutti e andare a bere
qualcosa”, mi sorprese come
Thomas gestiva la cosa, nonostante non mi conoscesse, si stava
preoccupando per
me e in quel momento riuscii a vederlo come una persona normale,
lontano dai
riflettori e da quell’idea che mi ero creata di lui.
Jack
annuì e dopo avermi rivolto un’ultima occhiata
per vedere se stavo bene o se fossi in procinto di una caduta
emotivamente se
ne andò lungo il corridoio che non mi ero accorta di aver
percorso, tornando
dai ragazzi che stavano confabulando e le cui urla arrivavamo fino a
noi in
modo confusionario, non riuscendo neanche a distinguere le voci.
“Ti
va di uscire?”, chiese indicando con la testa la
porta che si trovava davanti a noi. Annuii e lo seguì oltre
la soglia. L’aria
fresca mi colpì in pieno viso. Nonostante fossimo in piena
estate, il fresco anglosassone
alleggiava nell’aria e mi fece rabbrividire.
"Ti
andrebbe di prendere quel caffè?", mi
chiese. Non sapevo dove riuscisse a tirare fuori tutta quella
gentilezza. Prima
si comportava come uno sicuro di se e soprattutto di quello che
è, usando un
tono di voce totalmente diverso che lo faceva sembrare altezzoso,
atteggiandosi
da rockstar, come faceva Alex! Diamine lui! Che vada a fanculo! Lui e
il suo
nome! Quell'idiota! Aveva ventiquattro anni e non era capace di tenere
allacciati i suoi pantaloni senza essere in grado di usare un organo
diverso
per ragionare, ma no! Quella volta aveva decisamente utilizzato un
altro
organo. Aveva ben pensato di inserire la sua fottuta lingua nella bocca
di
quella ragazza.
"Va
bene", accettai il suo invito e ci
spostammo in un bar non molto lontano, ma che Tom conosceva bene.
"Mi
ci ha portato Mark la prima volta, fanno dei
cappuccini fantastici", disse aprendo la porta e facendomi entrare per
prima. Misi un piede davanti all'altro, camminando lentamente, come se
avessi
paura di ogni passo che facessi, paura di rivedere quello che avevo
visto poco
fa. "Ok, forse non dovrei dirlo poiché tu sei italiana e
probabilmente te
ne intendi meglio tu di caffè e affini, ma lo
continuerò a pensare finché non
berrò di meglio... è finora non mi ha mai
deluso", continuò accennando un
sorriso alla fine. Un sorriso amorevole, dolce, fraterno. Fin troppo
perfetto.
Mi
fece strada verso un tavolino nascosto dietro a
delle piante, ben lontano dalla vista dei clienti all'interno del bar.
Nonostante fossero le quasi le due, sembrava non importar alla gente
che
continuava a chiacchierare e a bere tranquillamente in compagnia.
"Quindi...
", continuò lui guardando la
schiuma della birra scomparire mentre io continuavo a girare il
cucchiaino
all'interno della mia tazza da circa cinque minuti da quando una
cameriera ci
aveva portato le nostre ordinazioni.
"Già...
"
"Se
vuoi piangere o sfogarti... "
"Non
ne sento il bisogno"
"Sicura?",
chiese con un tono preoccupato.
"Hai il volto di qualcuno che sta per crollare... “.
"Decisamente!",
affermai. "... ma non
ne vale la pena, ha fatto una cazzata e anche bella grossa a baciare
quella
ragazza ma non verserò neanche una lacrima per quello che ha
fatto...
probabilmente provo pietà per quella ragazza che
sarà illusa da Alex, un'altra
delle sue innocenti vittime... “.
Era
così strano parlare quando dentro volevi solo
urlare, ma non ce la facevi e quindi esternamente sembravi calma e
avresti
potuto mandare a fanculo chiunque avessi avuto davanti mantenendo un
sorriso
rilassato sul volto. Eppure dentro di me sembrava esserci una tormenta
che non
sapevo come gestire.
"Non
sapevo che fossi così legata a lui... “.
"Non
lo sapevo neanch'io e a quanto pare lui non diceva
sul serio quando si era preoccupato della mia reazione nei tuoi
confronti,
probabilmente il semplice fatto che gli avessi detto che fossi attratta
da te
non lo aveva sfiorato minimamente... mi ero solo illusa... “.
"Sei
attratta da me?", disse il ragazzo
mutando il suo tono di voce da preoccupato a decisamente divertito,
sollevando
un sopracciglio e alzando un angolo delle sue labbra in un mezzo
sorriso.
"É
davvero l'unica cosa che hai sentito in tutta
la frase che ti ho detto?"
"Beh,
è stata la più interessante... ",
rise. "Non so che strano rapporto di amicizia c'è tra voi
due ma devi
lasciarlo perdere... il suo atteggiamento non è stato
decisamente dei migliori,
ti ha ferito e penso che questo possa bastare per mandarlo a fanculo
almeno
finché non ti chiederà scusa in modo
particolarmente convincente... “.
"Alex
ed io non siamo amici... ", gli
spiegai. Probabilmente non gli avevo accennato un piccolo particolare e
tantomeno lo aveva fatto Mark nel presentarmi. Limitandosi con un
«ehi, lei è
Ally, una nostra fan!». "Io e quell'idiota stiamo insieme o
almeno così
pensavo prima che lo vedessi baciarsi con un'altra”.
"Ok,
questa cosa mi era sfuggita... non sapevo
che tu e Alex... beh... “.
"Non
ti preoccupare, non è stato pubblicato sui
giornali quindi meno gente lo sa e meglio è... per
me”.
"L'anonimato
non aiuta le coppie... "
"Tua
moglie è felice di comparire sulle riviste
di gossip?"
"Beh...
è mia moglie... per ora non c'è nessuno
scandalo”.
"Prima
che vi sposasse... probabilmente anche tu
hai combinato qualcosa... hai una certa reputazione per questo, no?",
annuì. Vidi il suo sguardo spostarsi da me alla parete alle
mie spalle come se
stesse pensando a qualcosa del suo passato che lo fece diventare
immediatamente
serio.
"Senti
Ally, noi uomini siamo degli esseri
complicati, forse dovremmo nascere con un libretto delle istruzioni in
mano
così, chi ci sta attorno, possa usufruirne per comprenderci,
soprattutto voi
donne perché tra noi uomini ci basta un grugnito per capirci
al volo",
sorrise. "Quello che sto cercando di dirti è che non sempre
le cose vanno
per il verso giusto, ci saranno sempre delle complicazioni e il fatto
che lui
sia famoso non semplifica le cose, anzi rende le cose ancora
più difficili
perché non dovrai preoccuparti di una possibile amante, ma
sarai in piena lotta
con tutte le sue fans che cercheranno in tutti i modi di portartelo via
e te lo
sto dicendo per esperienza... ", disse guardandomi negli occhi.
Improvvisamente aveva assunto un tono serio, così come la
sua espressione. I
suoi occhi castani erano decisamente diversi da quelli luccicanti che
aveva
all'inizio mentre scherzava e anche la sua chioma color miele sembrava
aver
assunto una pettinatura autorevole. Buffo direi. "E non lo dico per
vantarmi,
ma è capitato anche a me e non penso che finirà
mai questa storia, almeno finché
ci esibiremo sui palchi... è una cosa che affrontano tutti i
musicisti, se non
attori o chi altro di famoso... “.
"Quindi
tu sei sempre così profondo o al momento
degli alieni hanno preso il controllo del tuo cervello rendendoti
serio?",
scherzai. Forse era una battuta fuori luogo dopo il discorso sensato
che aveva
fatto, ma ciò nonostante vidi comparire sul suo volto uno
splendido sorriso che
mi fece ridere anche a me.
"Non
sottovalutarmi!"
"Dico
soltanto che non hai detto delle complete
cavolate”.
"Spero
solo che tu abbia capito quello che stavo
cercando di dirti”.
"Sì...
che dovrò vivere questa storia finché
resto con lui... quindi dovrò vedermela con miliardi di fans
che faranno di
tutto per portarmi via Alex... “.
"In
un certo senso... "
"È
buffo come inizialmente scherzavo di non volerlo,
facendo battutine su chi lo avrebbe potuto prendere e ora…
diamine!”, dissi.
“Cioè… era lì a baciarsi con
un’altra ragazza, una che non fossi io e… non
sembrava dispiacergli… hai visto anche tu come rimaneva
appiccicato a lei”.
“Magari
era solo una fan e lui stava cercando di
spostarla… magari cercava di essere
gentile…”.
“Anch’io sono gentile e non vado a baciare il primo
che capita!”
“Ally,
quello che sto cercando di dirti è che magari
non è come sembra…”.
“Tom,
hai visto anche tu quello…”
“Non significa che sia stato lui a baciarla!”, mi
precedette. “Sei fuggita via
e non gli hai dato il tempo di spiegare”.
“Siamo
sinceri e guardiamo la realtà in faccia”,
dichiarai guardandolo negli occhi. “Non mi ha seguito, non mi
ha fermata, non
mi ha neanche chiamata… non sembra essere così
grave per lui”.
“Probabilmente
è rimasto sconcertato, magari neanche
lui se l’era aspettato… ci sono molte cose che
capitano e neanche noi sappiamo
come”, disse. “La vita è davvero una
cosa assurda, forse la gente dovrebbe
prendersi meno seriamente e ridere di più, dovrebbe cercare
di dare una svolta
e sistemare delle questioni irrisolte, quindi Ally, ora ti riaccompagno
al bus
e appena puoi cerca di parlare con Alex, cerca di sistemare il casino e
soprattutto cerca di farti spiegare cosa è accaduto
realmente….”, ribadì.
“Dovresti
essere dannatamente sicura di lasciare una persona, perché
potresti non
riaverla quando ti accorgi di aver sbagliato”,
dichiarò infine sorridendomi
dolcemente. “Siete giovani… tutto potrà
essere rimesso in ordine”.
Molly
Eccomi
qui. Sono tornata in città, ma partirò tra pochi
giorni sempre in mezzo ai monti. Ho passato queste brevi vacanze
continuando a leggere le FF e a continuare i capitoli della mia. Ci
sono molte idee in arrivo.
Vorrei
ringraziare chiunque l'abbia letta e soprattutto alle nuove recensioni
e anche a quello vecchie (ma che mi fanno sempre piacere).
Non
so davvero cosa dire, ma ecco qui finalmente un capitolo nuovo.
Alla
prossima :)
|
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Capitolo 28 *** Chap ventotto ***
Chap
ventotto – Alex P.O.V.
“Alex,
penso che tu abbia un problema!”, mi fece
notare Jack squadrandomi per bene.
Aveva
spedito tutti quanti a bere qualcosa mentre io
li avevo liquidati tornandomene sul bus, non sentendomi
dell’umore giusto per
festeggiare, perché di festeggiare non c’era
proprio niente eccetto la mia
stupidità. Però Jack si era offerto di farmi
compagnia nonostante non me lo
meritassi e si era limitato a fissarmi per un tempo notevolmente lungo
senza
dire nulla fino a quel momento. Aveva assistito all’intera
scena di come un
piccolo gesto aveva mandato a puttane una relazione. E così,
come lui, lo aveva
visto Ally e per completare il quadro avevo dato un motivo in
più a DeLonge per
starle accanto.
“Si
lo so…”, sospirai abbastando lo sguardo sul tavolo
di quella che apparentemente doveva essere il luogo ristoro
dell’autobus. Eravamo
seduti l'uno di fronte all’altro, con diverse bottiglie e
lattine di alcolici
sparse sulla superficie liscia che riproducevano perfettamente il
disordine che
avevo in testa. “Ho fatto un…”
“Sì,
hai fatto un casino!”, sbottò lui di colpo,
sovrastando la mia voce che sembrava un sussurro per la vergogna. Non
mi ero
mai sentito così e lo sguardo che mi rivolgeva, mi faceva
sentire sempre
peggio. Era la prima volta che glielo vedevo. Era deluso da me?
“Ubriacarti
fino a stare male non è una buona scusa, non rimedierai alla
cazzata che hai
combinato con qualche bottiglia di birra e di vodka”.
“Quando
sono triste, mi diverto a fare questo gioco,
così una parte della tristezza scompare”.
“No
Alex, non è un gioco, si chiama alcolismo e i tuoi
cazzo di problemi non puoi ignorarli apparentemente
così!”
“Perché
ora stai urlando?”
“Perché
sei un coglione!”, disse sbattendo la mano sul
tavolo facendo tremare le bottiglie e anche me.
Far
arrabbiare Jack non era mai stata un’impresa
facile e per farlo reagire in quel modo avevo fatto davvero una cosa
terribile.
Solo che non si era mai comportato così, neanche quando
stavo con Lisa. Di
solito si sarebbe buttato sul letto e mi avrebbe tartassato di domande
su quali
fossero le mie intenzioni o quando avrei deciso di portarmi a letto la
«prescelta», come si divertiva a chiamarle. Jack
era sempre stato un mio
complice in tutte queste stupide avventure e solo in quel momento mi
accorsi di
quanto era cambiato. Di come tutti fossimo cambiati in così
poco tempo. Forse
Lisa aveva ragione. Forse ero davvero io il problema, forse avevo io
qualcosa
che non andava che mandava a puttane tutte le relazioni. Forse non
avrei mai
dovuto lasciarla sul serio.
“Ally
non è una di quelle bamboline che eri solito a
portati a letto!”, continuò. “Ally
è una ragazza semplice, dolce, sensibile… e
tu l’hai ferita e questo potrebbe portarla via da qui,
lontano dal bus e da te!
I ragazzi si sono abituati a lei, Matt è felice di essere
aiutato ed è l’unica
capace di calmarlo quando impazzisce, Zack e Rian si divertono con lei
ed io ho
trovato una buona amica… e proprio tu che eri
così depresso quando inizialmente
aveva scelto di non seguirti in tour, non dirmi che ti senti un idiota
perché
ti meriteresti concretamente parole peggiori, ma non sarò io
a dirtele, anche
se ho una terribile voglia di farlo!”.
“Non
capisco perché ti arrabbi così tanto, non
è la
prima volta che faccio questo casino e tu non mi hai mai detto
niente!”
“Ally
non è come Lisa che ti perdonava ogni minima
cazzata!”, disse puntandomi l’indice contro.
“Non so neanche perché ti
perdonasse ogni cosa, ma sinceramente non me ne fotte un cazzo
perché è sempre
stata una facile e in fondo vi completavate a vicenda no?”,
dichiarò. “Non sono
mai stato un suo grande fan… ho sempre pensato che non fosse
la ragazza giusta
per te…”.
“E
perché non me lo hai mai detto prima?”, gli
domandai irritato. “Gli amici dovrebbero dirsi
tutto!”
“Infatti!
E sono stato uno stupido a dirtelo solo
adesso, ma ora sto cercando di farti aprire gli occhi su quello che hai
fatto e
se sono arrabbiato con te, è perché sono proprio
un tuo amico!”, disse più
calmo rispetto all’inizio. “Hai avuto la fortuna di
avere la tua ragazza sul
bus, con te, e ora te la stai facendo scappare… non hai
neanche provato a
rimediare!”
“Con
Lisa non ce ne era bisogno!”
“Basta
parlare di Lisa!”, sbottò di nuovo. “Vi
siete
lasciati, smettila di parlare di lei! Non dovresti neanche
più vederla!”,
sbuffai. Mi ero stancato del fatto che Lisa fosse diventato un
argomento tabù. Ne
avevo sempre parlato tranquillamente con tutti, perché ora
non avrei potuto
continuarlo a fare? Era comunque una persona, era comunque stata una
mia
fidanzata. Avevo il diritto di poter parlare di lei.
“Fai
qualcosa per sistemare le cose con Ally!”
“Sembra
che t’importi più a te che a me…
perché non ci
pensi tu?”
“La
mia parte l’ho già fatta, ma non sono io il suo
ragazzo e se non ti fossi accorto c’è Tom con
lei… e sono da soli!”
“Buon
per lei, allora!”, mi fulminò con lo sguardo.
“La
verità è che tu sei totalmente spaventato dalla
vostra relazione!”, disse lasciandomi di stucco.
“Hai capito che sta diventando
qualcosa di troppo serio e ti stai tirando indietro perché
hai una fottuta
paura che lei ti possa mollare da un momento all’altro. Sai
che questa volta,
la ragazza che ti lascerà, ti farà davvero male e
quindi approfitti di quest’occasione
prima che lei possa spezzare il tuo cuoricino, ma la verità
è che lei è l’unica
per te e tu sei un coglione perché non vuoi ammettere di
esserti follemente
innamorato di lei!”, finì il discorso tutto di un
fiato e tutto quello che
riuscii a fare era soltanto aprire e chiudere la bocca per un paio di
volte,
senza dire niente. “Dimmi se mi sbaglio…”
Probabilmente,
se non fosse stato un mio amico, gli
avrei riso in faccia e mentito spudoratamente, ma davanti a me
c’era Jack
Bassam Barakat ed era il mio migliore amico e lui aveva sempre ragione
quando c’era
da spiegare i miei sentimenti, forse perché era
l’unico in grado di entrare
nella mia testa e di capire cosa succedesse all’interno di
quel bordello.
“Come
immaginavo…”
“Non
so neanche dove sia e probabilmente non vorrà
neanche vedermi…”.
“Non
ti preoccupare”, mi rassicurò ridendo.
“Vedo
tutti i CSI, so come rintracciarla…”,
continuò più sereno. Sembrava essere
tornato il Jack di sempre e mi rilassai un po’
anch’io, ma ancora non riuscivo
a togliermi le sue parole dalla testa. “Tutti gli indizi
portano a un’unica
soluzione: lei è già qui!”,
dichiarò indicando con la testa verso la zona
letto. “È entrata prima, mentre
degeneravi…”
“E
non mi ha detto niente?”
“Ho
preferito farti il cazziatone!”, disse
stringendosi nelle spalle. “Ora però dovresti
andare a dormire e lasciare
sistemare a me, vedrai che domani sarà un altro
giorno”, mi rassicurò
sorridendomi e dandomi una pacca sulla spalla prima di scomparire lungo
il
corridoio.
Jack
aveva ragione, domani sarebbe stato un altro
giorno e avrei potuto parlarci. Spiegarle che quello che avevo fatto
non era
esattamente come sembrava, ma che era stata lei a volermi baciare.
Avrei potuti
iniziare col dirle «Mi dispiace, hai ragione ad essere delusa
da me!”», ma non
sarebbe bastato. Sarebbe stato un cliché già
visto fin troppe volte.
Inoltre
odiavo quelle stupide frasi fatte che si
trovavano in giro stampate su dei ridicoli biglietti o che si sentivano
spesso
nelle commedie romantiche. Erano inutili e inventate per tutte quelle
persone
che avevano paura di reagire e si accontentavano di aspettare quello
che non
sarebbero mai accaduto. Io non ero mai stato quel tipo di persona, davo
sempre
ragione all’istinto che mi comandava più di quanto
pensassi. Era proprio lui ad
avere il controllo su di me e spesso era la causa di numerosi dei miei
casini
ma era anche lo stesso che faceva di tutto per rimediare a quello che
avevo
combinato. Perché ero fatto così: rompevo
qualcosa e poi cercavo di aggiustare
i cocci, in qualche modo. Così ero diventato nell'ultimo
periodo. Passavo più
tempo a rimediare alle merdate che a fare del bene verso le persone cui
tenevo.
Ero un totale fallimento e non potevo giustificarmi con qualunque
scusa. Il
problema ero proprio io, e Lisa aveva avuto fottutamente ragione a
dirmi che
ero io la causa di tutti quelle complicazioni e solo in quel preciso
momento mi
ero reso conto che in fondo aveva totalmente ragione.
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Capitolo 29 *** Chap ventinove. ***
Chap
ventinove
“Ehi
ragazzi, dobbiamo fermarci per fare benzina!”,
annunciò l’autista del bus. Dopo qualche ora di
viaggio volevo proprio
camminare sulla terra ferma per respirare un po’ di aria
pulita, non quella opprimente
e viziata che girava all’interno dell’autobus.
Però questa era probabilmente
una scusa per allontanarmi da Alex e dai suoi occhi che continuavano a
implorarmi qualche banalissima scusa.
Nessuno
era a conoscenza di quello che era accaduto a
Londra. Solo Jack e Tom avevano visto la scena e di sicuro non
avrebbero
pubblicato dei manifesti al riguardo, quindi Zack e Rian e il resto
dello staff
non si sarebbero preoccupati più di tanto se Alex ed io non
ci fossimo rivolti
parola.
“Finalmente!”,
sospirai inalando una bella quantità
d’aria come se dovessi fare la scorta prima di immergermi
dentro un mare
ghiacciato.
“Ally!”,
mi chiamò Jack dalla porta del bus. Sembrava
davvero preoccupato.
“Tutto
bene?”, gli chiesi andandogli incontro
cautamente, come se il pullman potesse scoppiare da un momento
all’altro.
“Abbiamo
un problema”, disse passandosi nervosamente
una mano sui capelli. “Alex non sta bene”
“Non
m’interessa!”, gli risposi duramente al suono del
suo nome. “Può scendere dal bus e andare a
vomitare in bagno”, dissi fermandomi
e portandomi le braccia incrociate al petto. “È
grande abbastanza da poter
essere responsabile delle sue azioni, no?”
“So
che sei arrabbiata con lui, ma ho veramente
bisogno di te”, quasi mi supplicò. “Il
pullman è vuoto e lui sta avendo un
attacco di panico, non li aveva da un po’ e questo
è decisamente forte”, disse.
“Ti prego…”
Vedere
i suoi occhi scuri così preoccupati mi fece
ricordare la sera in cui l’Idiota si era presentato tutto
confuso e triste a
casa mia e di come Jack si fosse preso cura di lui. Mi ricordai anche
il giorno
in cui Alex mi aveva proposto di organizzare con lui la festa di
compleanno per
il moro e di come gli brillavano gli occhi mentre elencava le sue
qualità e di
come fosse grato dell’essere il suo migliore amico.
Non
potevo negargli quell’aiuto, anche se avrei voluto
evitare, però Jack sembrava davvero preoccupato e volevo
aiutarlo in qualche
modo per toglierli quell’espressione dal viso.
“Va
bene”, dissi infine salendo la scaletta
dell’autobus. Ero sempre più convinta che potesse
scoppiare improvvisamente e
in parte ci speravo, avrei evitato un incontro ravvicinato con Alex, ma
dovevo
farlo. Lo avrei fatto solo per Jack.
“Dov’è?”, gli chiesi mentre il
ragazzo se
ne restava all’entrata.
“È
nei bunk”, disse. “È pallido e respira
affannosamente, non so più come calmarlo”.
“Tu
dove stai andando?”, gli domandai guardandolo.
Aveva uno strano sorriso compiaciuto sulle labbra e la preoccupazione
sembrava
essere scomparita.
“Scusa…”,
disse soltanto prima di scendere velocemente
i gradini e chiudersi la porta alle spalle.
“Jack,
sei un figlio di…”, urlai correndogli incontro,
ma finii col lasciare la frase in sospeso mentre i miei pugni cercavano
invano
di aprire la porta mentre Jack sventolava le chiavi.
“Ally…”,
sentii dire, come un sussurro. Doveva per
forza appartenerne ad Alex. “Ally?”, disse di
nuovo. Mi avvicinai titubante al
suo letto. “Ally,
mi dispiace…”
Lo
trovai sdraiato sul letto, disteso sopra le
coperte, con lo sguardo rivolto verso la base del letto sopra il suo,
lo
sguardo vitreo, senza quella luce che brillava sempre nei suoi occhi,
le cui
iridi avevano assunto un colore differente, più scuro del
solito.
Mi
avvicinai cautamente e m’inginocchiai ai piedi del
bunk.
“Mi
dispiace di averti deluso…”, disse questa volta
guardandomi in volto.
“Alex,
perché lo hai fatto?”, gli chiesi stupidamente,
come se in quelle condizioni potesse davvero spiegarmi cosa gli fosse
passato
per la testa.
“Io…
mi dispiace”
Sarebbe
stato inutile parlare con lui in quel momento.
Non avrebbe detto nient’altro, però riuscivo a
percepire nella sua voce il
senso di colpa. Non sapevo cosa fare o cosa dire per calmarlo. Era la
prima
volta che mi capitava e Jack si era limitato a chiudermi dentro quella
gabbia senza
darmi spiegazioni. A quanto pareva non era la prima volta che capitava
ed
eppure quel ragazzo era stato così stupido da sigillarci
dentro senza preoccuparsi
che avrei potuto ucciderlo, anche se non avrei mai avuto il coraggio di
farlo.
Gli
strinsi una mano e sentii immediatamente le sue
dita stringersi strette attorno alle mie come se avesse paura che lo
avrei lasciato
da solo da un momento all’altro. Istintivamente, con la mano
libera gli
sistemai il ciuffo di capelli che gli cadeva disordinato davanti agli
occhi e
mi lasciai ipnotizzare da essi. Gli stessi occhi che avevano la
capacità di
ingabbiarmi in una prigione invisibile. Nonostante fossero spenti,
riuscii a
intravedere un’immensa gioia data dal fatto che fossi
lì con lui e che non lo
avessi lasciato da solo in un momento del genere. E avevo voglia di
baciarlo,
ma non era quello il momento adatto tantomeno era la cosa giusta da
fare, però
volevo farlo e l’istinto mi diceva di compiere
quell’atto.
Volevo
un ultimo bacio prima di sentire che non voleva
più restare con me. Un ultimo bacio per ricordarmi che in
fondo, stare con lui era
stato effettivamente bello e divertente. Era forse un modo per
zuccherare la
pillola, per rimanere sospesi per qualche istante.
A
quel pensiero tolsi immediatamente la mano dalla sua
guancia, ma fu prontamente afferrata per il polso dalla sua.
“Ally,
non te ne andare”
“È
tutto sbagliato”
“Nulla
è sbagliato… tu devi restare qui”,
disse
cercando di mettersi a sedere, in qualche modo, in quello spazio fin
troppo
stretto. “Questo è il tuo posto!”
“Stai
farneticando… e sei ancora debole, devi restare
sdraiato”, dissi provando a farlo sdraiare di nuovo, ma
risultava sempre più
forte di me in qualunque occasione. “Non devi sottovalutare
gli attacchi di
panico”.
“Attacchi
di panico?”, chiese confuso. “Io non ho…
ero
solo sdraiato sul letto”
“Quindi
non centri niente col fatto che Jack ci ha chiuso
qui dentro fingendosi preoccupato per te?”
“Lui
cosa ha fatto?”, dichiarò alzandosi in piedi.
“Deve smetterla di vedere stupidi film, gli traviano il
cervello e sta anche
diventando fin troppo bravo a recitare”.
“
«House Arrest»!”, sospirai scuotendo la
testa.
“Dovevo immaginare una cosa del genere”
“Come?”
“
«Arresti familiari» ”, dissi di nuovo.
“Jack ed Io
lo abbiamo visto qualche sera fa… parla di due bambini che
per non fare
divorziare i propri genitori li chiudono in cantina finché
non fanno pace”, lo
informai. “Mi chiedo come abbia potuto pensare che
un’idea del genere potesse
funzionare”.
“Beh…
tu sei qui e abbiamo anche l’occasione di poter
parlare…”.
“Non
penso che…”
“Ti
prego Ally…”, sospirai spazientita.
“Perché
lo hai fatto?”, portai i miei occhi nei suoi,
decisa a mettere le cose in chiaro. Non potevo passare il resto della
vita a
ignorarlo e maledirlo. “Perché hai baciato quella
ragazza?”
“Non
sono stato io a baciare lei, ma è stata Lisa a
baciarmi… voleva tornare insieme a me
e…”.
“Quella
ragazza era proprio quella Lisa?”, gli
domandai. “La stessa Lisa che tu hai lasciato appena tornato
dal tour?”
“Sì,
chi pensassi che fosse?”
“Non
lo so forse una fan o magari una probabile
amante…”.
“Una
probabile amante?”, chiese ridendo. “Lisa non
potrebbe mai essere la mia amante… ho chiuso con
lei”, disse facendo
intrecciare le nostre dita. “C’è
già qualcun’altra con cui dovrei e voglio
stare… ed è proprio davanti a me”,
sfilai immediatamente la mia mano dalla sua
notando uno sguardo confuso negli occhi del ragazzo.
Quando
la nostra storia era iniziata, sapevo che
avrebbe fatto male quando ci saremmo lasciati. Sapevo anche che
continuare a
restare insieme avrebbe portato solo guai, per entrambi. Appartenevamo
a due
mondi diversi e anche noi lo eravamo, forse fin troppo. Se lui non si
sarebbe
deciso a farlo, avrei preso io l’iniziativa.
“Alex…”,
lo chiamai sedendomi sul divanetto poco
distante dai letti. Immediatamente si sedette di fianco a me.
“Scommetto che se
passassimo ancora un minuto insieme tu inizieresti a odiare la mia
risata ed io
il tuo modo di sorridere. Poi inizierei a odiare le tue abitudini, i
tuoi
scherzi e le tue battutine e tu faresti lo stesso e così
finiremmo col litigare
e penso che inizierei a detestarti e, davvero, non vorrei
farlo”, confessai mantenendo
lo sguardo fisso davanti a me, mentre guardavo i vetri scuri che
riflettevano
le nostre immagini. Feci una breve pausa cercando di prendere del tempo
per
trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. Dovevo avere fegato. Non
dovevo
scappare anche quella volta. “Penso che sia meglio se
noi…”, mi bloccai. “No!”,
dissi coprendomi gli occhi e distogliendoli da quello sguardo da
cucciolo
abbandonato che era comparso sul suo volto. Quegli occhi
così grandi. Quelle
labbra. Quelle guance rosse. Non potevo ignorarle e lui lo sapeva
benissimo.
“Per favore… non rendere la cosa più
difficile”, sospirai.
“Cazzo
Ally, mi stai lasciando!”, sbottò mettendosi
davanti a me, ma non riuscivo ancora a guardarlo. “Volevo
ridurre il colpo…
dovrei davvero fingere di non provare quello che provo?”,
domandò. “Sai che non
potrei resistere…”
“A
fare cosa?”
“A
stare lontano da te!”
Il
suono della sua voce mi fece sentire la persona
peggiore del Mondo. I suoi occhi incollati su di me mi facevano sentire
il peso
delle parole che gli stavo per dire e del dolore che, insieme al mio,
mi fece
realizzare per la prima volta quanto facesse male.
“So
di aver fatto degli errori”, iniziò a dire.
“Sono
il tipo di fidanzato di cui le ragazze si lamentano con le amiche, sono
emozionalmente menomato e troppe poche volte esprimo i miei sentimenti.
Passo
la maggior parte del tempo in tour e quando non lo sono, a volte sono
occupato
con le interviste o i vari eventi e se ho un po’ di tempo
libero lo passo a
scrivere canzoni. Non posso fare a meno di guardare i Ravens in TV ogni
volta
che giocano una partita e vado allo stadio quando giocano in
casa…”, disse
tutto di un fiato. “Voglio solo che tu mi dia
un’altra possibilità”.
“Non
pensi che sia bastato già sbatterci la testa più
di una volta?”, gli chiesi mettendomi davanti a lui.
“Può
darsi che tra noi non funzionerà neanche questa
volta, chi lo sa, ma almeno ci avremo provato….”,
il suo tono si era fatto
dolce, così come i sui gesti. Le sue mani sui miei fianchi
non volevano
allontanarmi e la sua fronte appoggiata alla mia ci permetteva di
vederci nel
profondo dell’anima.
“Quando
mi hai baciato per la prima volta, quando
eravamo a Milano, tu stavi con Lisa e ora hai fatto lo stesso baciando
lei
mentre stavi con me”, dissi a pochi centimetri dal suo volto.
Mi sentivo
ferita. “Come posso fidarmi di te se questo è
accaduto già due volte e chissà
quante altre… non voglio fare altri sbagli”.
“Io
penso che lo sbaglio peggiore sia buttare via
tutto quello che abbiamo costruito con difficoltà”.
“Non
voglio che un musicista mi spezzi il cuore!”
“Fantastico!”,
sbottò di colpo allontanandosi da me
come se improvvisamente mi fosse diagnosticata una malattia contagiosa.
Ero
riuscita a farlo arrabbiare. “È stupendo essere
ridotti al solito cliché”.
“È
quello che sei…”
“Posso
essere un bugiardo, un egocentrico. Sono così
per me. Sono alla ricerca di un riconoscimento. Non sono interessato
alla
politica. Sto cercando di puntare in alto. Non dimenticherò
mai le mie
intenzioni. Mi è lecito preoccuparmi della mia vita assieme
alla vita degli
altri”, dichiarò. “Non puoi definirmi
solo come un musicista, perché dopotutto,
sono umano, come te, quindi non voglio che tu pensi di avere
chissà chi davanti,
sono solo un perdente che ha avuto fortuna, ma rimango sempre uno
stupido”.
“Lo
hai fatto di nuovo!”, gli feci notare non
riuscendo a trattenere un sorriso. “Hai rubato di nuovo la
frase a Pierre”
“Beh,
Pierre è saggio!”, rispose serio, ma pochi
istanti dopo sorrise anche lui. “Ally, so che non mi credi e
che non ti fidi,
ma sono stato un idiota e ti amo”, dichiarò
lasciandomi sorpresa. “E sono
innamorato di te… da parecchio tempo”, disse
prendendo di nuovo le mie mani.
“All’inizio pensavo che mi piacessi tantissimo, ma
poi… invece... è diventato
amore e non so neanch’io come, ma quella
sera…”, non lo lasciai finire di
parlare. Arrendersi a quelle due fatidiche paroline erano davvero da
schiocche,
ma avevano sempre lo stesso potere su qualunque persona. E
così lo zittì
baciandolo. Baciai quelle labbra che mi erano mancate nonostante fosse
passato
poco tempo dall’ultima volta. Eravamo solo noi due, nessun
altro era stato
invitato nella nostra bolla personale. Non ci accorgemmo neanche che
qualcuno
si era affacciato dalla porta del bus e stava osservando la scena.
“Avete
fatto pace?”, chiese il diretto interessato. Ci
staccammo e trovammo Jack con un sorriso stampato sul viso,
completamente
soddisfatto che il suo piano avesse funzionato.
“Fuck
off Jack!”, urlò Alex mostrandogli il suo dito
medio, ma l’altro rispose con una fragorosa risata.
-Molly
Sono
tornata (di nuovo). Ho troppe storie da leggere e questa settimana le
leggerò tutte, penso che ricomincierò dall'inizio
perchè ne sono state pubblicate davvero tante e scommetto
che ne vale la pena leggerle tutte.
Per
il resto, questo capitolo non mi ha convinto tanto, forse
perchè è da tanto che non ci lavoro su questa FF,
ma cercherò di rimediare coi successivi. Manca poco alla
fine :)
XoXo
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Capitolo 30 *** Chap trenta ***
Chap trenta.
E anche quel problema era stato risolto, almeno apparentemente. Alex mi aveva lasciato letteralmente senza parole dopo che la sua voce aveva pronunciato quelle due paroline, quelle cinque lettere piene di significato. Tuttavia mi mettevano sempre ansia, anche quando le sentivo soltanto nei film o le leggevo in qualche libro. Semplicemente perché non avevo la minima idea di come l’altra persona avrebbe potuto rispondere e rimanevo così, col fiato sospeso, aspettando una possibile reazione del protagonista. Però questa volta mi ero trovata io in quella situazione e tutto quello che il mio cervello era riuscito a ordinarmi di fare era stato baciare le sue morbide labbra. E in quel momento andava perfettamente bene così, perché era esattamente quello che avrei voluto dare, ma nonostante ciò non gli avevo risposto e non sapevo neanche se dovessi dargli una risposta al momento. Non sapevo cosa dirgli. Non sapevo cosa fare.
L’unica cosa certa era che mi ero innamorata di lui, giorno dopo giorno, nonostante l’inizio mi avesse fatto dannare e lo avessi odiato come chissà cosa, ma ero innamora di lui e anche i muri l’avevano capito, eccetto la mia voce.
Eppure rimanevo totalmente convita di quello che avevo detto ad Alex all’inizio. Passavamo troppo tempo insieme e quel bus stava letteralmente diventato troppo stretto. Mi ero ritrovata più volte ad allontanarmi da lui cercando di stare con il resto dello staff o con Zack e Rian e con Jack solo per non diventare una di quelle coppie che passano tutto il loro tempo insieme dimenticandosi di chi avessero attorno. Probabilmente avrei iniziato a detestare tutto ciò se avessimo continuato così.
Amavo la musica, amavo i concerti, amavo restare in mezzo ai ragazzi della band, ma amavo anche il fatto di poter essere libera a casa mia. Amavo la vita tour, ma non faceva esattamente per me però amavo Alex e restavo qui per lui.
Era incredibile come la parola «amore» era adoperata spesso nelle frasi e di come quante volte l’avessi utilizzata io in questo stupido discorso con me stessa. Forse tutto quello di cui avevo bisogno era di schiarirmi le idee con qualche consiglio dato da una persona di cui mi potevo fidare, che avrebbe voluto il bene per entrambi e che, qualunque cosa fosse successa, ci avrebbe aiutato entrambi rimanendo comunque nella sua neutralità. Cercavo soprattutto qualcuno che fosse ancora sveglio a quell’ora.
“Possiamo parlare?”, gli chiesi sedendomi di fianco a lui sul divano.
“Al... non interrompermi!”, disse passandomi la sua mano davanti al viso e decidendo appositamente di ignorarmi. “Sto guardando Oprah!”
“Sul serio Jack?”, gli chiesi scocciata e togliendo la sua mano fastidiosa. “Oprah?”
“Devo capire se la moglie perdonerà il tradimento del marito”.
“Potresti sempre intrometterti e realizzare qualche piano idiota escogitato da dei bambini nei film per le famiglie”.
“Però ha funzionato!”
“Dovevamo risolverlo noi!”
“Non avreste fatto niente… e probabilmente tu te ne saresti andata e lui sarebbe stato perennemente depresso e vi sareste poi incontrati fra centottantadue anni ed io non sono sicuro di essere in grado di poter vivere così a lungo per poter vedere come finiva la faccenda!”, disse non distogliendo gli occhi dalla TV. “Ho solo voluto darvi una piccola spinta come fanno le mamme tartarughe con i loro piccoli per farli raggiungere l’oceano”.
“Ci hai appena definito come delle tartarughe marine?”
“Sono belle le tartarughe!”
“Tu…”, scossi la testa. “Aspetta… come siamo arrivati a parlare delle testuggini?”, gli chiesi confusa. Il ragazzo spense la TV e lanciò il telecomando sul divanetto di fronte.
“Penso che volevi avere un chiarimento sui tuoi sentimenti ma poi ho cercato volontariamente di ignorarti per vedere questa puntata che avevo già visto, e per la cronaca si scoprirà che la moglie scapperà con il capo di lui lasciandolo completamente in mutande!”
“Lo sai di essere totalmente un cretino?”, gli dissi colpendolo con un cuscino.
“Certo!”, rispose fiero togliendoselo dal volto. “Però mi adori e non puoi fare a meno di me!”
“E pensare che Matt era il mio preferito!”
“Così mi spezzi il cuore!”, dichiarò mostrandomi i suoi grossi e luccicanti occhi scuri. “Pensavo di essere sempre stato l’unico, fin dall’inizio…”.
“Con me non attacca!”, lo informai mettendo i miei palmi sui suoi occhi però mi prese i polsi costringendomi a guardarlo, ma i suoi occhi da cerbiatto mi provocavano soltanto da ridere e non riuscivo a farne a meno. “Ti prego, così sveglieremo tutti… non respiro più!”, continuai a ridere.
“Allora…”, disse dopo un po’ quando fosse arrivato il momento giusto per lui di smettere con quella tortura. “Apriti con il «Dottore dell’Amore Jack Bassam Barakat»!”, mi propose incrociando le gambe sul divanetto e poggiandoci sopra le mani. Imitai la sua postura mettendomi comoda davanti a lui.
“Ok, prima di tutto non mi abituerò mai al tuo secondo nome e come seconda cosa… da quando hai un dottorato?”
“Da quando sono il migliore amante che si possa avere”, rispose molto fiero di se. “Nessuno sa amare come lo faccio io!”
“Il tuo passato ti tradisce…”
“Sono solo piccoli e inutili scheletri nell’armadio”.
“Va bene «Dottore dell’Amore»…”, lo assecondai. “Non so come comportarmi… con Alex… lui ha dett…”.
“Lui ti ha detto «ti amo» e tu non sai come rispondere, tantomeno sai se lui si aspetta immediatamente una risposta e poi c’è anche un altro problema, vero?”, chiese. “Però non riesco a decifrarlo…”
“Mi fai rabbrividire!”, lo informai sconcertata e sorpresa da quello che aveva appena detto. “Per caso sei scivolato e caduto nella vasca da bagno colma d'acqua assieme all'asciugacapelli e per qualche ragione ti sei svegliato e hai iniziato a leggere i pensieri delle donne?”
“Sarebbe fantastico avere il potere di Mel Gibson ma no, non mi è ancora capitato”, disse ridendo. “Solo che ho imparato a capirti… non sei un libro totalmente difficile da leggere, bisogna soltanto decifrare alcune parti che all’apparenza sembrano difficili”, aggiunse sorridendo e ricambiai il sorriso.
“Sono indecisa se richiedere agli alieni il vecchio Jacky o tenermi stretto quello intelligente”.
“Io chiederei più birra… perché finisce sempre?”
“Non c’è bisogno che risponda…”, dissi scuotendo la testa. “Beh… a quanto pare sai già tutto, cosa mi consigli di fare?”
“Niente”, rispose semplicemente stringendosi nelle spalle.
“Come sarebbe «niente»?”
“Non devi fare niente!”, disse di nuovo. “Alex sa che gli vuoi bene e che ci tieni a lui, sa anche che sei innamorata di lui, tutti l’hanno capito, e non ti metterà fretta nel fartelo dire, quando sarai pronta lo renderai felicissimo, ma ora gli basta che tu resti al suo fianco e che lo sostieni… in fondo lui ti ama!”, aggiunse ridendo con l’ultima frase.
“E questo è un altro dei problemi…”
“Il fatto che ti ama?”
“Lo stare al suo fianco…”, sospirai. “Non fraintendermi, adoro stare qui e seguirlo in giro per il Mondo però tu non hai assistito a tutta la discussione… ho detto cose che mi hanno fatto riflette, cose in cui inizio a credere…”, feci una breve pausa lasciando la frase sospesa. “Sto considerando l’idea di tornare a Baltimora”.
“E lui lo sa?”
“Per ora è solo un’idea che si è formata nella mia mente, non so ancora se sia la cosa giusta da fare…
“Se è quello che vuoi dovresti farlo, ma…”, si fermò come se stesse cercando le parole giuste da dire. “Alex è un ragazzo delicato, anche se non lo da vedere… era veramente triste all’inizio del tour e quando lo hai raggiunto lo hai reso il ragazzo più felice sulla faccia della Terra, sembrava essersi ripreso immediatamente da un profondo coma”, spiegò. “So che gli ha fatto piacere averti qui con noi… ma so anche che potresti spezzargli il cuore”.
“Non ho intenzione di lasciarlo… vorrei solo tornare a casa mia…”, gli dissi. “Non so cosa fare, non voglio farlo soffrire, ma non posso stare qui, non è il mio posto… non è giusto”.
“Cerca solo di ferirlo il meno possibile, so che le tue intenzioni non sono cattive, ma lui è pur sempre il mio migliore amico, sarò io quello che dovrà consolarlo quando tu non ci sarai e tutto l’alcol del Mondo non basterà, quindi… cerca di ridurre il colpo!”, disse sorridendo. Non mi spiegavo come quel ragazzo riuscisse a passare dall’essere serio a essere scemo così velocemente, ma qualunque cosa fosse, facesse o utilizzasse per farlo ne ero grata. Riusciva sempre a risollevare la situazione.
“Ally, sono le tre e mezzo, vieni a letto!”, disse una terza voce mentre si strofinava l’occhio destro con la mano. Non mi ero accorta che Alex si era alzato e che mi fosse venuto a cercare. Ero completamente assorta nei miei pensieri e nella conversazione con Jack da non rendermi conto di quello che accadeva intorno.
“Arrivo…”, mi limitai a dirgli sorridendogli. “Finisco di parlare con Jack…”
“Jack non va da nessuna parte, potrai continuare a parlaci domani e qualunque altro giorno che vorrai…”.
Mi morsi il labbro nell’udire quella frase. Bassam forse non se ne sarebbe andato da nessuna parte, ma io avrei potuta allontanarmi da lui e non avevo la minima idea di come glielo avrei detto. Jack era riuscito a farmi venire ulteriori dubbi con i suoi consigli nonostante abbia cercato di aiutarmi.
Ancora non sapevo cosa avrei deciso, ma su una cosa ero certa: non avrei fatto soffrire Alex!
“Torniamo a letto!”, gli dissi infine baciandolo dolcemente sulle labbra. “Buonanotte Jack!”, aggiunsi prendendo la mano del ragazzo e raggiungendo il suo bunk.
“Sai, mi sono svegliato e tu non c’eri… ho fatto un brutto sogno”.
“Ora sono qui…”, gli sussurrai sul suo petto mentre con le braccia mi stringeva stretta a lui.
“Alex…”, lo chiamai costringendolo ad aprire gli occhi. Erano stranamente lucidi e la pupilla dilatata. Non aveva fatto nient’altro che tremare e agitarsi durante la notte.
“Mhm…”, mugugnò mentre mi allontanavo un po’ da lui per valutare la situazione.
“Hai una brutta cera”, lo informai prendendo il suo viso tra le mani e osservandolo bene alla luce del piccolo bunk che avevo improvvisamente acceso.
“In che senso?”, chiese preoccupato. “Sto per morire?”
“Nulla di così melodrammatico…”, gli risposi posando una mano sulla sua fronte. “Probabilmente hai solo un po’ di febbre”
“Quindi mi farai da infermierina sexy?”, chiese maliziosamente stringendosi nella sua coperta.
“Non ne godresti dei vantaggi”
“Cosa stai insinuando?”
“Che sei piuttosto bollente e hai bisogno di riposarti…”.
Lo stress e la stanchezza del tour gli aveva fatto salire la febbre alta e la stessa sera avrebbe avuto uno spettacolo. Matthew si sarebbe più che altro arrabbiato che preoccupato per la salute del cantante. Guardai l’orologio. Segnava le quattro e mezzo. Giusto un’ora da quando era venuto a chiamarmi. Probabilmente se non avesse avuto un incubo non si sarebbe mai accorto della mia assenza.
“Dove stai andando?”, gli chiesi fuori dal letto. “Diamine Alex, ti stai sforzando e non va bene”, lo rimproverai facendolo stendere di nuovo a letto e coprendolo con le coperte.
“Sto bene… è solo un po’ di febbre”
“Non è vero…”, obiettai. “È meglio se ti lascio qui a riposare”, dissi sporgendomi verso di lui per spegnere la lucina. “Sarai più comodo così”
“Resta con me…”, disse afferrando il mio polso prima che riuscissi a spostarmi.
“Rischieresti di attaccarmi la febbre e poi voglio vedere chi si prenderà cura di te e di chi farà calmare Flyzik”.
“Ti prego…”, sospirai. Non riuscivo a cedere a quella voce e a quegli occhi dolci.
“A mio rischio e pericolo… torno subito”, dissi andando a prendere un panno bagnato da posargli sulla fronte.
Il resto della notte passò piuttosto tormentosa tra gli incubi del ragazzo e il mio continuo controllarlo. Stare vicino a lui era come stare di fianco a una caldaia. Più volte avevo provato a raffreddarlo con il panno bagnato e lasciarlo sulla sua fronte bollente, ma era servito poco, così mi trovai la mattina successiva con un cantante da curare e un manager da calmare.
“Matt, calmati un attimo!”, cercai di tranquillizzarlo. “È sollo un po’ di febbre da stanchezza, vedrai che per stasera si sentirà meglio”.
“Forse non hai in mente cosa significa avere Gaskarth ammalato…”, disse portandosi le mani alle tempie e massaggiandosele. “Nessuno si avvicina ad Alex quando è ammalata… è come entrare nel Triangolo delle Bermuda”.
“Solo con più germi!”, aggiunse Zack ridendo mentre sorseggiava un frullato proteico. Era l’unico della band sveglio alle 7.30 del mattino solo per fare i suoi allenamenti.
“Diventa insopportabile e continua a lamentarsi… ti viene voglia di soffocarlo con un cuscino o peggio…”.
“Conosco un metodo, ma ti devi fidare di me”, dissi guardando J. Matthew. “Lo metterà KO per tutta la giornata e nel tardo pomeriggio sarà pronto per fare le prove”, sospirai. “Te lo prometto!”
“Va bene… è tutto nelle tue mani”, disse. “Sempre se ne uscirai viva…”
“Ok… dimmi solo se hai dello sciroppo per la tosse”.
“Cosa ci dovresti fare?”, chiese dubbioso.
“Un aperitivo di gruppo!”, gli risposi sarcasticamente. “Di solito due dosi dovrebbero stenderlo a tappeto… la sua è solo stanchezza, lo sciroppo servirà solo per farlo dormire”, gli spiegai. “Con mio fratello funzionava.
“Se funziona ti giuro che ti sposo!”, dichiarò Flyzik. “Ti giuro che non ti permetterò di andare da nessuna parte… farai tutti i tour con noi come mia assistente… non m’interessa se hai altro fare!”, iniziò a farneticare esaltato da questa scoperta mentre versavo due cucchiai di liquido rosso e appiccicoso all’interno di una tazza di latte caldo.
“Alex…”, sussurrai avvicinandomi cautamente al suo letto per svegliarlo dolcemente. Mi sedetti vicino a lui e lo guardai aprire gli occhi lentamente. “Bevi questo…”
“Cos’è?”, chiese annusando il profumo dolciastro.
“Solo del latte caldo, ti farà bene”
“Potresti farmi un favore?”, mi chiese tra un sorso e l’altro del liquido bianco. “Potresti chiedere scusa a Flyz? So che sarà furioso con me e so anche di non essermi comportato per niente da professionista… sono fatto così…”, disse. “Devo sempre arrivare al limite… devo distruggermi e rendermi uno straccio finché le cose non iniziano ad andare storte, finché non ci sbatto la testa contro…”, farneticò. “Perché è quello che faccio, no? Rovino sempre le cose belle…”
“Alex, stai degenerando, devi riposare ancora un po’”.
“Ally, è la verità, cioè… guarda noi! Ho fatto un casino e ti stai allontanando da me”.
“Lascia stare…”, lo rassicurai scuotendo la testa. “Cos’altro posso fare per farti stare bene?”
“Resta qui con me!”, disse prima di risistemarsi sotto le coperte e richiudere gli occhi. Presi la tazza dalle mani prima che il contenuto si fosse rovesciato su tutte le lenzuola. Attesi cinque minuti prima di controllare se Alex fosse ancora sveglio e sicura che si fosse riaddormentato lo lasciai riposare in pace. Era buffo come da quando avevamo iniziato a conoscerci non avevo fatto che prendermi cura di lui ogni qual volta che stava male.
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Capitolo 31 *** Chap trentuno. ***
Chap trentuno.
“Uno show spettacolare!”, urlai abbracciandolo appena aveva raggiunto le quinte del palco. Ancora preso dall’adrenalina del momento, mi prese in braccio e mi baciò in un modo nuovo. Totalmente diverso dal solito morbido bacio e completamente differente da quello passionale che mi lasciava senza fiato. Era lui a comandare il gioco e lo lasciai fare divertita da tutta quella frenesia che aveva addosso. “Ehi Rocky!”, gli dissi staccandomi dalle sue labbra. “Forse è meglio se ti vai a fare una doccia, sei tutto sudato!”, gli feci notare scendendo dal suo abbraccio.
“Mi rende più virile l’odore di sudore”
“No, ti rende disgustoso e puzzolente!”, obbiettai non riuscendo a evitare di fare una smorfia, ma puntualmente scoppiai a ridere.
“Va bene bellezza! Ma quando torno, riprendiamo da dove ci siamo fermati!”, disse facendomi l’occhiolino e passandomi di fianco allungò una mano dandomi una pacca sul sedere facendomi sussultare.
Mi chiedevo cosa diavolo gli fosse preso quella sera, forse era l’effetto collaterale del troppo sciroppo.
Alex P.O.V.
“Fate spazio belve!”, urlai entrando nel camerino atteggiandomi da diva. “ «L’Uomo Dell’Anno» sta passando”, continuai la mia messa in scena. “Inchinatevi dinnanzi al mio regale cospetto!”
“Gaskarth non c’è abbastanza spazio per te e il tuo ego!”, rispose Zack lanciandomi una salvietta in pieno viso.
“Io opterei per tenerci il suo ego!”, disse Rian mentre se ne stava stravaccato su uno dei divanetti di pelle nera all’interno del camerino. “Almeno è invisibile e non occupa spazio come il suo proprietario e senza di lui non può parlare, quindi resterebbe in silenzio!”, osservò.
“Vorreste davvero scacciare dalla band il vostro cantante preferito?”, chiesi portando il braccio sinistro attorno alle spalle del bassista e trascinandolo sul divanetto dove era seduto il batterista.
“Non impiegheremmo neanche un secondo a trovare un valido sostituto!”
“Potrebbe essere una donna”, propose il ragazzo alla mia destra. “Magari con due tette così…”, disse portandosi le mani davanti al petto per simulare una taglia di reggiseno davvero esagerata.
“Tu hai già Cassadee!”, mi lamentai. “Cosa te ne faresti della cantante?”
“Potremmo chiedere a lei se vuole diventare la nostra vocalist!”, suggerì l’altro. Ero scoraggiato di come mi prendevano tranquillamente in giro. Soprattutto perché erano anche bravi a farti credere quello che volevano. Io però non ero come Jack! Era di lui che dovevano prendersi gioco. Io ero quello sensibile.
Mi guardai attorno mentre quei due continuavano a ridersela. In effetti, di lui non c’era l’ombra.
“Voi siete due disgraziati!”, mi lamentai alzandomi da mezzo a loro. “Vado dall’unica persona che mi può capire! Vado da Jack!”, recitai. “Sapete dirmi dov’è?”
“Nelle docce, ma ora è pronto a dare il suo voto per la scelta del nuovo cantante”, annunciò il diretto interessato comparendo già vestito e con i capelli ancora bagnati. “Anch’io approvo la scelta della ragazza solo le sue tette sono davvero enormi e non rifatte… mi piace vederle ballonzolare mentre si agita per tutto il palco”, disse con un sorriso malizioso. Jack era fatto così! Era incorreggibile! Era un pervertito! “Tranquillo Alexander, troveremo una piccola parte da farti fare, potresti continuare a scriverci canzoni e poi inviarcele per email”, disse ridendo.
“Ve ne pentirete!”, li risposi a tutti e tre. Afferrai i miei vestiti puliti e il beauty per la doccia pronto per andare a farla. “Creerò una nuova band e la chiamerò «All Time Low Sucks»! O meglio, diventerò un cantante solista così che i fan adoreranno solo me!”, continuai. “E ora la «Nuova Stella della Musica» esce di scena!”, annunciai volgendoli le spalle a entrambi e andando verso la doccia.
Mi lavai velocemente. Volevo raggiungere al più presto Ally. Non sapevo cosa mi avesse reso così, ma desideravo davvero tanto restare totalmente da solo con lei. Nei giorni passati ne avevamo passate di tutti i colori. DeLonge, Lisa, quel maledetto bacio, le litigate, la gelosia, la fiducia, il «ti amo». La lista era decisamente lunga e avrei potuto continuarla ma avrei soltanto perso tempo. Tutto doveva essere cancellato e dimenticato. Sarebbe stato meglio così per entrambi. Questo tour ci aveva permesso di passare molto più tempo insieme, forse fin troppo, ma mi piaceva la sua compagnia, però iniziavo a sospettare che qualcosa non andasse per il verso giusto. Ultimamente era sempre distaccata. Passava le notti insonne, restava alzata fino a tardi a parlare sottovoce con Jack. Non era la stessa Al che era all’inizio del tour.
Ally P.O.V.
“Mi manca la comodità di un letto normale!”, si lamentò stendendosi di fianco a me. Si era poggiato su un fianco e si reggeva la testa con una mano.
Quel buco che si ostinavano a chiamare letto era davvero troppo piccolo e stretto e soffocante. Eppure riuscivo a scivolare su queste piccolezze perché il suo sorriso bastava a mettermi l’anima in pace.
Con una mano cercai di sistemargli i capelli totalmente scompigliati mentre mi perdevo a osservare ogni minimo dettaglio del suo volto. Forse mi ero davvero innamorata e forse era arrivato anche il momento di dirglielo, solo che ero troppo codarda per farlo, ma dovevo farlo prima che fosse troppo tardi.
“Alex… io….”, sussurrai il suo nome facendo comparire un enorme sorriso sul suo volto. “Io penso che dovremmo rivestirci”, dissi spostandomi da lui e iniziando a ricompormi, raccogliendo i vestiti dal pavimento. Non ce l’avevo fatta neanche questa volta. “Gli altri potrebbero tornare a breve”
“È ancora presto”, si lamentò nonostante lo trovai a fare esattamente quello che gli avevo chiesto.
“Non lo è poi così tanto”
“Però torni di nuovo qui a letto?”
“Vado a darmi una rinfrescata…”
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle e mi guardai allo specchio. Il mio riflesso non aveva nulla si sbagliato, tutto era come mi ricordavo eccetto che per le guance arrossate e i capelli scompigliati. Non dovevo temere niente, solo che non riuscivo a guardarlo negli occhi e dire quelle parole. Era tutto così tremendamente patetico. Io ero patetica. Come potevo pretendere di dirgli «ti amo» se non riuscivo neanche a dirgli che volevo tornare a Baltimora? Era assurdo! Avevo ventidue anni! Dovevo prendermi le mie responsabilità.
Aprii il rubinetto e mi sciacquai il viso con l’acqua gelida. Forse era arrivato il momento migliore per far valere i miei diritti di donna. Feci un lungo respiro e spalancai la porta.
“Vieni qua!”, disse Alex sorprendendomi e prendendomi in braccio per portarmi di nuovo sul suo letto. Stare sotto di lui mi suscitava sicurezza in un certo senso. Le sue braccia ai lati del mio corpo creavano una sottospecie di gabbia che mi faceva capire quanto non volesse lasciarmi andare così come le sue labbra che baciavano ogni parte di pelle scoperta. Mi lasciavo sempre trasportare da quella sensazione di quando le cose andavano perfettamente bene, ma mentivo a me stessa e mentivo a lui mentre passavo distrattamente un dito sul suo braccio tracciando linee confuse.
“Alex…”, lo chiamai. “Come mai questa sera se così… frenetico?”, gli domandai. Il ragazzo si fermò dal darmi tutte quelle attenzioni e impiantò i suoi occhi nei miei. “La medicina che ti ho dato non può averti fatto reagire così…”.
“So che hai qualcosa che non va e che vuoi parlarne ma non ci riesci… abbiamo avuto un brutto periodo e questa giornata è stata davvero bella, almeno i momenti in cui non ero in coma, e non vedo il motivo per cui dovremmo rovinarla”.
“Come sai che la rovineremo?”
“Dal fatto che ti stai trattenendo dal dirmi «dobbiamo parlare» ”, sostenne spostandosi di lato. “Se non era qualcosa di grave, di solito, l’avresti detta tranquillamente senza cercare le frasi giuste o fare giri di parole, perché qualunque cosa avresti detto saresti stata sicura che non abbia preoccupato chiunque ti avrebbe ascoltato”, disse continuando a fissare il soffitto del letto a castello. “Tu invece stai nascondendo qualcosa e sto aspettando che tu me lo dica però non ci riesci e non ti posso forzare o tiratelo fuori con le pinze, quindi sto impazzendo temendo il peggio, cercando di non pensare a quello che mi stai per dire. Forse non lo accetterò, forse mi arrabbierò, forse non so neanch’io come potrei reagire, ma ti prego! Se devi dire qualcosa fallo al più presto perché sto letteralmente impazzendo e so anche che Jack sa cosa ti affligge e mi dispiace vederlo nascondermi un segreto. Almeno fallo per lui…”, dichiarò. Per tutto il tempo non mi aveva guardato neanche una volta. Si era limitato a fare il suo discorso ed io non riuscivo a rispondergli, troppo sorpresa da quanto mi conoscesse in realtà. Forse non sapeva il nome dei miei genitori, forse non sapeva quale fosse il mio colore e cibo preferito, forse non sapeva neanche quale fosse il mio peso o quanto fossi alta, ma forse non gli importava neanche. Però sapeva leggermi dentro. Sapeva come ero fatto e sapeva capirmi come nessun altro. Ogni mio sguardo, ogni mio gesto, ogni mio sospiro, sapeva esattamente a cosa corrispondesse ed io lo avevo sottovalutato. “Mi vuoi lasciare?”, chiese dopo di quella che mi sembrò essere passata un’eternità.
“Ti amo!”, dissi senza neanche rendermene conto. Ero riuscita a dirglielo ed era stato così tremendamente facile.
“Davvero?”, chiese lui impressionato, voltando il suo viso verso di me come se non fosse certo di aver sentito bene quello che avevo appena pronunciato. “Ti amo anch’io”
“Amo il te privato, il te pubblico e soprattutto amo il te che gli altri non possono vedere!”
“Però non è quello che inizialmente mi dovevi dire, giusto?”, domandò.
“Se te lo dovessi dire le cose cambierebbero tra di noi”.
“Mi stai per lasciare?”, domandò di nuovo.
“Ti ho appena detto che ti amo, come puoi pensare che ti voglia lasciare?”, gli chiesi sorridendogli dolcemente.
“Non so ancora leggerti nella mente”, si giustificò sporgendo il labbro inferiore. “Allora… cosa c’è di così tremendo che mi devi dire?”
“Ho pensato di tornare a Baltimora”, confessai prendendo coraggio. “Questo continuo spostarsi, ogni notte passarla in movimento tra una città e l’altra. Questa vita frenetica non fa per me, è la tua, tu ci vivi, ed io mi sento come se stessi interferendo con la tua vita personale. Io faccio parte di quella privata e penso che stare qui complichi in un certo senso le cose”, dichiarai cercando di non essere troppo dura. “Sto solo dicendo che ho bisogno di tornare a casa. Adoro stare qui con te, ma non è il mio posto…”, aggiunsi posando la mia mano sulla sua guancia. Volevo averlo vicino. Volevo un suo contatto. Volevo che rispondesse invece di restare zitto a pensare. “Però manca poco meno di un mese alla fine del tour e quindi non è poi così tanto se ci pensi… ti ho aspettato per un anno, ti ho aspettato per tre mesi e ora ti aspetterò per un altro mese contando i minuti che ci mancano per rivederci”, gli sorrisi dolcemente. “Spero che tu possa capire quello che sto cercando di dirti… non ti sto chiedendo una pausa, tantomeno ti sto lasciando, voglio metterlo in chiaro. Desidero soltanto tornare a casa mia, a Baltimora”.
“Da quando consideri Baltimora casa tua?”, domando decidendosi finalmente a parlare.
“Da quando il ragazzo che amo ci abita ed è l’unico che mi fa sentire a casa…”.
“Quello che hai detto è un controsenso”
“Ti giuro che nella mia testa aveva perfettamente senso”, gli risposi ricambiando il sorriso. “Vorrei solo assicurarmi che tu starai bene…”.
“Un mese… sembra tanto…”
“Sono solo trenta giorni… quattro settimane… non lo è poi così tanto”, gli feci notare. “Basta guardare la faccenda da una diversa angolazione…”.
“Dovrei provarci…”
“Dovresti!”, gli accarezza di nuovo la guancia. “E poi ti ricordi quello che ti avevo detto qualche giorno fa sullo stare troppo insieme? Ti avevo spiegato che avrebbe rovinato il nostro rapporto….”, dissi. “Una parte del discorso non era vera, non riuscirei mai a odiarti completamente… non riuscirei neanche a detestare la tua risata o il tuo sorriso…”.
“È carino da parte tua, ma questo non giustifica che te ne vuoi andare via da me…”, disse un po’ deluso dalla mia scelta. “Quindi hai già deciso?”, domandò. “È veramente quello che vuoi?”
“Sì, è quello che ho bisogno… e so che può sembrare un gesto totalmente egoista da parte mia, ma penso che faccia bene per entrambi, no?”, annuì non molto convinto. “Quando stavi con Lisa non eri felice di tornare a casa da lei? Non eri felice di rivederla e recuperare il tempo perduto?”.
“Intendi con del sesso?”
“Non esattamente, ma è sempre un’idea… molti terapisti consigliano che per mantenere vivo il rapporto con il proprio partner bisogna farsi desiderare e quindi, più lunga è l’astinenza e migliore sarà…”.
“Te lo stai inventando!”, affermò interrompendomi con un bacio passionale, rimettendosi sopra di me. Riuscivo a sentire il peso del suo corpo sopra il mio e non mi dava affatto fastidio.
“Ti detesto quando m’interrompi quando parlo!”, mi lamentai allontanando le sue labbra dalle mie.
“Ed io quando non riesci a stare zitta mentre cerco di baciarti!”, disse fiondandosi di nuovo sulla mia bocca, ma lo allontanai di nuovo ridendo.
“Visto? Dobbiamo per forza allontanarci per un po’”, dichiarai. “Stiamo iniziando a detestarci…”
“I just want to see you when you're all alone. I just want to catch you if I can. I just want to be there when the morning light explodes on your face it radiates. I can't escape. I love you 'till the end”, canticchiò stampandomi un dolce bacio alla fine.
“Come fai a trovare tutte le canzoni giuste nel momento giusto?” gli domandai curiosa. “È scientificamente impossibile a meno che tu sia un jukebox umano…”.
“Ti prego stai zitta e fatti baciare in santa pace!”, dichiarò lui alzando gli occhi. Scossi la testa e lo attirai verso di me facendo quello che mi aveva chiesto.
Molly
Ehilà gente! Eccomi qui!
Avete visto il nuovo video della band con Vic Fuentes? è spettacolare! Li adoro! è stato decisamente un bel risveglio e so esattamente cosa mi posso far regalare per il mio compleanno u.u
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Capitolo 32 *** Chap trentadue. ***
Chap trentadue.
Mi alzai dal letto. Non mi sembrava vero essere ancora lì. Il freddo pavimento mi fece rabbrividire, ma l’aria che respiravo riusciva a calmarmi perfettamente. Erano trascorsi tre mesi da quando avevo seguito Alex in tour e tornare a casa era stato come un toccasana, ma non potevo negare di aver fatto una mossa fin troppo azzardata. Mi mancava e il non averlo più intorno era davvero triste, ma tra meno di un mese sarebbe tornato e le cose sarebbero ritornate di nuovo opposto. Iniziai a girare per casa con una tazza di thè tra le mani, come avevo fatto la prima volta dopo che Sally si era trasferita da Jack. Come facevo da ormai una settimana, ma volevo godermi quegli attimi di pace.
Nessuna chitarra in sottofondo, nessun odore di birra, nessuna barzelletta sconcia, nessuna presenza umana eccetto me stessa. Regnava dopo tanto tempo la tranquillità, forse anche fin troppa. Avevo davvero bisogno di tutta quella calma dopo la tempesta di nome Alexander.
Tornai nella mia stanza e aprii l’armadio, mi sarei dovuta vestire per uscire. Dovevo di nuovo trovare un lavoro, ma forse sarei potuta tornare al giornale e strisciare e implorare David per riavere il mio posto da giornalista. Certo, avrei potuto e per farlo mi sarebbe servita un’enorme dose di coraggio, ma non sapevo, proprio, dove prenderlo finché qualcosa catturò la mia attenzione.
Una parte dell’armadio sembrava provenire dal negozio della Glamour Kills. Alex aveva così tanti capi di quella società che una parte l’aveva lasciata da me, una seconda era a casa sua e l’ultima in tour con lui.
Tirai fuori una maglietta e respirai il profumo che emanava. Era inconfondibile. Era esattamente il suo e non riuscii a fare a meno di sorridere. Tre settimane e sarebbe tornato.
Mi vestii in fretta indossando la sua maglietta e uscii da casa. Forse avevo trovato il mio coraggio.
Non mi resi conto di quanto avessi camminato veloce fino a quando non mi trovai sotto quell’edificio di mattoni. Faceva sicuramente più freddo rispetto a quando me ne ero andata. O meglio, da quando David mi aveva cordialmente mandato in pausa fino a un tempo indeterminato.
“Trohman! Lei è licenziato!”, si sentì urlare da una stanza in fondo al grande ufficio. Subito dopo udii una porta sbattere e un uomo uscire dalla porta e borbottare qualche insulto. Decisamente David aveva fatto di nuovo una delle sue carneficine. “Lei è un incapace! Non si faccia più vedere qui!”
Mi ero dimenticata di quanto fosse cattivo quando si arrabbiava e non potevo nascondere il fatto di essere terrorizzata all’idea di doverci parlare.
“Voi tornate al lavoro!”, continuò rivolgendosi agli impiegati. “Non c’è nulla da guardare!”, concluse chiudendosi per la porta alle spalle.
Dire che ero terrorizzata era davvero riduttivo e gli sguardi che qualche giornalista mi rivolgevano non aiutavano per niente. Sembravano suggerire di scappare via. Però quell’espressione terrorizzata nei loro occhi mi fece tornare in mente quella che avevano la crew appena Matthew perdeva le staffe e neanche David raggiungeva il suo livello.
Feci un profondo respiro e avanzai verso quella porta nera che tutti temevano e bussai cercando di essere più tranquilla possibile. In fondo, non c’era nessuno peggio di James Matthew Flyzik. Di cosa avrei dovuto avere paura?
“Avanti!”, rispose con un tono di voce ancora arrabbiato.
“È permesso?”, chiesi facendo capolino dalla porta con la testa.
“Porter! Quale buon vento la porta da queste parti?”, chiese facendo un cenno di sedermi con la mano.
“Il mio posto di lavoro!”
“Ha coraggio a presentarsi qui!”, rispose ridendo e adagiandosi alla sua poltrona.
“In verità sto nascondendo il mio nervosismo, ma il mio posto di lavoro è un argomento lasciato irrisolto e ora vorrei fare due chiacchiere con lei e arrivare a un compromesso”.
“Oh Allyson….”, sorrise. “Hai perfettamente ragione, ma sai come la penso…”.
“Lo so ed è per questo che sono qui… sono passati più di cinque mesi dall’accaduto e intanto non ci sono stati problemi, ho seguito la band in tour lavorando nello staff e non sono sorte incognite nonostante fossimo esposi a un eccessivo rischio e sinceramente non penso che sia giusto privarmi di qualcosa che amo fare e che, come ha detto lei, di cui ho le capacità solo perché ho una relazione con un musicista”, dichiarai tutto di un fiato. “Inoltre non siamo la Famiglia Reale che richiedono così tanta importanza e se capita qualcosa me ne assumo tutta la responsabilità e lei potrebbe sempre trarne vantaggio a scopo pubblicitario”.
“La sua determinazione mi ha lasciato senza parole, devo ammetterlo, e il suo discorso è convincente, ma…”.
“Ma?”, chiesi. “Sono dentro o sono fuori?”, gli domandai impazientita. Ero stata una pazza a essermi tuffata in una fossa di leoni soprattutto a rivolgermi in quel modo a un uomo concretamente più grande di me. Dovevo immaginare a un possibile rifiuto con un calcio nel sedere e un possibile allontanamento da tutti i giornali della città.
“Ok, va bene…”
“Come?”, chiesi non capendo cosa avesse detto. “Può ripetere?”
“È dentro signorina Porter!”, rispose facendo comparire un sorriso da sotto i suoi spessi baffi grigi. “Mi ha convinto e sinceramente lei è di gran lunga meglio di Trohman, da quando è qui ha combinato solo disastri!”, disse l’ultima parte con un tono di voce che mostrava tutto il suo disprezzo nei confronti di quell’uomo.
“Beh, è fantastico!”, esultai. “Cioè il fatto di poter tornare a lavorare qui… non per quell’uomo che è appena stato licenziato…”.
“Dov’è finita tutta la grinta con cui mi aveva affrontato prima?”, chiese ridendo. Mi sentivo decisamente più rilassata. “È quella che cerco nei miei giornalisti… niente pappamolla!”
“Certo!”, dissi. “Grazie mille… beh… per questa seconda possibilità, signore!”
“So che non mi deluderai, basta che ti presenti qui domani mattina al solito orario e tutto andrà bene!”, mi sorrise di nuovo alzandosi in piedi. Allungai la mia mano verso la sua e la strinsi forte, ringraziandolo per altre mille volte.
Ce l’avevo fatta! Era andato tutto bene ed ero riuscita a riottenere il mio vecchio lavoro senza aver preparato un discorso, ma mi era bastato un profondo respiro e tutto quello che dovevo dire era uscito dalla mia bocca senza preoccuparmi di quello che avrebbero potuto causare le mie parole. Forse era stata la maglietta di Alex, forse l’irascibilità di Matt, forse la mia voglia di scrivere. Qualunque cosa fosse stata a darmi coraggio aveva funzionato e ora non potevo chiedere di meglio.
Due settimane.
Tre settimane.
Mancava poco ormai. Era questione di giorni. Non avevo idea a che ora il suo aereo fosse atterrato. Non sapevo se sarebbe venuto subito a trovarmi. Non sapevo neanche se avesse avuto un improvviso impegno di lavoro.
L’unica cosa certa era la mia felicità nel poterlo rivedere tra breve, nel poterlo di nuovo avere intorno che girava per casa con una penna appoggiata sull’orecchio e dei fogli completamente scarabocchiati mentre provava a intonare qualche melodia. Era esattamente tutto quello di cui avevo bisogno.
“Pronto?”, risposi al cellulare che aveva interrotto i miei pensieri e anche il mio sonno.
“Al!”, disse l’altra voce.
“Alex?”
“Scusa, aspettavi la chiamata di qualcun altro?”
“Sono le due del mattino… non mi aspettavo la chiamata di nessuno, in verità!”
“Non dovresti essere sveglia a quest’ora…”.
“Alex, è successo qualcosa?”
“Perché dovrebbe succedere qualcosa?”
“Alex...!”, lo rimproverai.
“Volevo solo sentire come stati o se stavi ancora dormendo”
“Lo stavo facendo… prima che tu mi svegliassi”, gli feci notare adagiandomi di nuovo sul letto e chiudendo gli occhi.
“Scusa… però volevo dirti una cosa…”
“E cosa c’è di così importante da chiamarmi a quest’ora di notte?”
“Nulla… volevo dirti che stavo tornando”, disse con tutta la tranquillità del Mondo. Il contrario di me, che avevo aperto gli occhi cercando di capire bene quello che aveva appena detto.
“Puoi ripetere scusa?”
“Sto tornando a casa”
“Casa tua?”
“A casa”, ripetette rimanendo sempre tranquillo. In quel momento mi apparve in mente un libro che avevo letto: «On The road» di Jack Kerouac. Alex mi dava assolutamente l’impressione di quel ragazzo che faceva da protagonista alla storia. Nelle ultime righe del libro scriveva: «una macchina veloce, l'orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada»*. Era un po’ il riassunto della sua vita e sorrisi a quell’idea che mi si era formata in testa.
“Ora dove sei?”, gli chiesi alzandomi dal letto e iniziando a sistemare la stanza, come se avessi davvero la voglia e l’energia di poter fare qualcosa. “Immagino che andrai a letto… ti farebbe bene una bella dormita in un letto decente”
“Non hai tutti i torti, ecco perché dovresti immediatamente venire ad aprirmi la porta e lasciarmi entrare”
“Potresti ripete, scusa?”, gli chiesi. “Non penso di aver capito bene dove diavolo tu sia”
“Apri la porta e basta!”, rispose chiudendo la chiamata.
Non sapevo se stava scherzando o no, ma feci ugualmente quello che mi aveva chiesto. Mi alzai dal letto e percorsi il breve corridoio fino alla sala. Pensai a quanto fosse pazzo quel ragazzo. Probabilmente non avrei mai trovato un’altra persona come lui, forse Jack era quella che gli si avvicinava di più, ma lui era unico, almeno per me. I suoi occhi, le sue guance morbide, i suoi capelli sempre scompigliati e la sua risata, la sua voce, i suoi gesti e il suo comportamento da voler piacere a tutti in ogni caso. Erano tutti piccoli particolari che mi piacevano di lui, ma solo una cosa mi aveva fatto innamorare di lui: il suo modo di essere.
Girai la chiave nella serratura e stupidamente aprii la porta. Rimasi sorpresa nel trovarmi un ragazzo con un sorriso smagliante e con una chitarra sulle spalle.
“Sono a casa!”, disse osservandomi da sotto una visiera. Gli copriva con, la propria ombra, metà volto, lasciando libere le sue labbra. Questo però non m’impedì di scorgere i suoi occhi che brillavano di quella luce che mi faceva impazzire. Era un bagliore che avevo trovato solo in lui.
“Da quando questa è casa tua?”
“Da quando ho iniziato a passare più tempo qui che nella mia”
“Hai detto qualcosa di giusto… quindi adesso che si fa?”
“Io opterei per lasciarmi entrare e poi salutarmi come si deve”, disse concludendo la frase con uno dei suoi magnifici sorrisi. Portai le mie mani dietro al suo collo e feci quello che volevo fare da un mese. Il contatto con le sue labbra mi fece rabbrividire. Non mi ero dimenticata di quanto fossero morbide e buone. Non avrei mai potuto farlo.
“Bentornato Alex”, gli sussurrai a pochi centimetri da lui. Mi staccai a malincuore e lo lascia passare. Chiusi la porta alle mie spalle e appoggiandomi sopra. Mi ero persa a osservare quel ragazzo davanti a me. Mi chiedevo come fosse successo. Come fosse stato possibile tutto questo. A come mi ero innamorata di un ragazzo che avevo provato a detestare. Forse la frase «gli opposti si attraggono» era vera ed io iniziavo a crederci, ma questi erano solo stupidi pensieri che si formavano per mancanza di argomentazione, perché neanch’io sapevo come era potuto succedere eppure quel ragazzo mi aveva rapito. Aveva sempre avuto una capacità di attirarmi a se con un semplice sguardo e imprigionarmi in un Mondo dove tutto era perfetto. Eppure non avevo bisogno di un mondo perfetto quando potevo avere lui. Non era il ragazzo perfetto, ma era quello che mi faceva stare bene in qualunque momento e in qualunque posto e non c’era nulla che potessi desidera di più.
“Che c’è?”, chiese poggiando la chitarra sul divano e guardandomi con un sorriso felice sul volto. Lo vedevo particolarmente rilassato e tranquillo.
“Nulla… stavo pensando”
“A cosa?”
“A nulla…”
“Allora potresti spiegarmi perché indossi una delle mie camicie come pigiama…”
“Potrei spiegartelo, ma cadrei troppo nello sdolcinato”
“E sarebbe così assurdo per te?”
“Davvero vuoi restare qui a parlare di cosa indosso per dormire?”
“Potremmo restare qui a parlare… o scopre cosa indossi sotto”, propose spingendomi a se e posando le sue labbra sul mio collo. Mille brividi mi percorsero la schiena.
“Alex…”, sussurrai allontanandolo da me.
“Ally…”
“Che fai?”
“Non stavamo giocando a chiamarci?”
“Idiota!”, gli dissi ridendo e dandogli un leggero schiaffo sul braccio.
“Dimmi…”, mi chiese poggiando poi le sue mani sui miei fianchi. Mi sembrava un’eternità dall’ultima volta che mi avesse toccato. “Cosa volevi dirmi?”
“Mi sei mancato…”, il sorriso che comparve sulle sue labbra significava molto.
“Mi sei mancata anche te”, disse baciandomi lievemente e stringendomi forte in un abbraccio che mi sarei mai aspettata. “Cosa ne pensi se ora andiamo a dormire e domani mattina parleremo di tutto?”
“Penso che sia un’ottima idea!”
Molly
Ed eccoci alla fine di tutto. Finalmente esulterete per la fine di questa FF che ha assillato la pagina hahahahaha. In effetti è stata abbastnaza lunga e non me lo sarei aspettato neanch'io.
Comunque volevo ringraziarvi a voi che avete letto la storia e che siete coraggiosamente arrivati fin qui. E si, sto parlando specialemente di Rack e Lullabies :) Grazie mille ragazze. Mi avete fatto sorridere con le vostre recensioni... Diamine, come sono sdolcinata hahahah. E naturalmente non mi dimentico di unicornsr0mance e Layla!
*Ci sono due versioni di questa frase. Nel mio libro c'è scritto «Una macchina veloce, una costa da raggiungere e una donna alla fine della strada» mentre su internet è possibile trovare la frase che ho citato nel testo. Ho pensato che quest'utilma sia migliore rispetto alla prima elencata.
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