But have you seen this girl? She’s been running through my dreams.

di Molly182
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap uno. ***
Capitolo 2: *** Chap due. ***
Capitolo 3: *** Chap tre. ***
Capitolo 4: *** Chap quattro. ***
Capitolo 5: *** Chap cinque. ***
Capitolo 6: *** Chap sei. ***
Capitolo 7: *** Chap sette. ***
Capitolo 8: *** Chap otto. ***
Capitolo 9: *** Chap nove ***
Capitolo 10: *** Chap dieci. ***
Capitolo 11: *** Chap undici. ***
Capitolo 12: *** Chap dodici. ***
Capitolo 13: *** Chap tredici. ***
Capitolo 14: *** Chap quattordici. ***
Capitolo 15: *** Chap quindici. ***
Capitolo 16: *** Chap sedici. ***
Capitolo 17: *** Chap diciassette. ***
Capitolo 18: *** Chap diciotto. ***
Capitolo 19: *** Chap diciannove. ***
Capitolo 20: *** Chap venti. ***
Capitolo 21: *** Chap ventuno. ***
Capitolo 22: *** Chap ventidue. ***
Capitolo 23: *** Chap ventitré. ***
Capitolo 24: *** Chap ventiquattro. ***
Capitolo 25: *** Chap venticinque. ***
Capitolo 26: *** Chap ventisei. ***
Capitolo 27: *** Chap ventisette. ***
Capitolo 28: *** Chap ventotto ***
Capitolo 29: *** Chap ventinove. ***
Capitolo 30: *** Chap trenta ***
Capitolo 31: *** Chap trentuno. ***
Capitolo 32: *** Chap trentadue. ***



Capitolo 1
*** Chap uno. ***


But have you seen this girl? She’s been running through my dreams

Chap uno.
Non è mai stato semplice vivere in una città dove si avevano tanti ricordi, forse fin troppi e tutti così stranamente nitidi. Ma uno continuava ad alleggiare nella mia mente. Rimaneva lì, bloccato ormai da più di un anno e sembrava non voler scomparire. Avrei pagato oro per dimenticarmene ed eppure restava fermo nella mia testa. Ogni giorno ripercorrevo quel ricordo chiedendomi cosa avessi fatto di sbagliato o quale cavolo di motivo c’era per far sì che lui scomparisse, facendo perdere le sue tracce - per quanto fosse possibile.
Ed io mi ero illusa, credendo che le sue parole fossero vere, ma come potevo fidarmi di uno sconosciuto? Come potevo dare ascolto alle sue parole se sapevo che sarebbe partito a distanza di poche ore?
Era riuscito a illudermi, a imprigionarmi in una bugia che era durata soltanto una settimana, ma era una bellissima bugia da cui non riuscivo a liberarmi.
E ora mi ritrovavo come a parecchi mesi fa, a pensare quasi ossessivamente a quei momenti, cercando con la forza di non prendermi a schiaffi da sola.
“Si avvisano i gentili passeggieri che ci stiamo preparando per l’atterraggio al BWI Marshall. Vi chiediamo di regolare i sedili e di allacciare le cinture”, annunciò l’hostess sull’aereo.
“Ci siamo…”, dissi più a me stessa che a Sally, che era seduta nel posto di fianco a me.
“Quindi è di questo che ti occupi? Vai ai concerti e scrivi di quanto siano sudati e sexy i musicisti di questi ultimi anni…”.
“Non esattamente. Vado ai concerti perché mi piace la musica e scrivo sulle band perché adoro scrivere, faccio una cosa che mi rende felice e che mi piace”.

“E non hai mai pensato di seguirne una in tour?”
“Sarebbe troppo monotono, quasi alienante… mi chiedo sempre come voi facciate a fare così  tanti spettacoli, uno dopo l’altro”.
“Penso per il tuo stesso motivo. Viviamo di musica e amiamo i nostri fan, nulla di più facile!”.
“Sono belle parole dette da uno che cerca di portarsi a letto metà pubblico”.
“Solo perché l’altra metà se la vorrebbe portare a letto il nuovo amichetto della tua amica”.
“Quindi potete dire che avete un ottimo rapporto ‘biblico’ con i fan”.
“Siamo coerenti… mi sembra giusto dividere in modo uguale le nostre conquiste, e a volte condividiamo pure”.
“Sei un pervertito!”
“So essere anche dolce quando mi ci metto”.
“Non lo metto in dubbio, ma…”
“Vieni”, aveva detto interrompendomi. Mi aveva preso la mano e mi stava portando chissà dove.
“Sei sicuro di dove stai andando?”
“Penso di sì, cioè ci sono passato stamattina per caso e ho pensato che era un posto carino”.
“Mi stai dicendo che conosci Milano meglio di me?”
“Sto solo dicendo di seguirmi”
“Va bene”, lo avevo lasciato fare.
Non conoscevo bene quel ragazzo eppure mi piaceva, mi trovavo bene con lui. Dalla prima volta che ci ho parlato, avevo subito capito che si trattava di un ragazzo imprevedibile. Mi chiedevo chissà quale stramba idea gli passava per la testa, ed ero curiosa di dove mi avrebbe portato, sarebbe potuto accadere di tutto.
Si era fatto tardi, non avevo la minima idea di dove stavamo andando e avevamo abbandonato il resto della band con Sally in un locale. Si era limitato improvvisamente ad afferrarmi per mano e ad andarsene senza che gli altri se ne accorgessero.
“Quindi questo è il bellissimo posto dove volevi venire?”, gli avevo chiesto alzando un sopracciglio. “Un parco?”
“Preferivi una stanza d’albergo?”
“Non intendevo quello… cioè pensavo che tu, essendo una rockstar, mi avresti portato, che ne so, in mezzo a qualche bordello”.
“Se vuoi ne stanno facendo uno qui vicino”, aveva detto ridendo.
“Forse è meglio di no”, gli avevo risposto sedendomi sullo scivolo.
Si era messo di fronte a me, teneva le braccia incrociate e mi fissava. Sembrava un ragazzo qualunque fuori dai riflettori e giù dal palco. Riusciva a essere serio come un normale ragazzo di venticinque anni.
“Quindi cosa ci facciamo qui?”
“Stiamo da soli”, aveva semplicemente risposto non perdendo il contatto con i miei occhi. Le sue scarpe si stavano avvicinando alle mie, così come il suo corpo che restava sospeso sopra il mio, sorretto dalle sue braccia. Mi sentivo imprigionata, ma era una sensazione bellissima.
“Questo sarebbe il momento in cui io ti dovrei baciare”, aveva sussurrato a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Questo sarebbe il momento in cui tu dovresti farlo”.
Nella penombra avevo visto comparire un sorriso sulle sue labbra e pochi secondi dopo le sentii appoggiate sulle mie.
“Mi piaci molto, Allyson”, mi aveva sussurrato. Mi stavo davvero convincendo che quel ragazzo non fosse solo un completo idiota, ma sapeva essere dolce e romantico. Eppure mi stavo facendo abbindolare da un ragazzo che probabilmente avrei rivisto chissà quando. “Non mi scappi, ora sei mia”, però mi piaceva e non potevo fare nulla.
“Ally ci sei?”, mi chiese Sally sventolando una mano davanti ai miei occhi cercando di portarmi alla realtà.
“Ehm…sì, scusa”
“Ci stavi ripensando, vero?”, alzai le spalle. Non potevo farci nulla, ormai sapeva bene com’ero fatta.
“Si vede così tanto?”
“È il tuo sguardo che mente”, disse guardandomi. “Però ora non hai tempo di crogiolarti nei ricordi, dobbiamo incontrare David Hasselhoff e farmi salvare da lui”.
“Scherzi?”, le chiesi quasi scioccata. “È un ultra cinquantenne, sarà tutto flaccido”.
“Ma in Baywatch era così…”
“Non dirlo, ti prego”, la fermai. “Non dirlo”, scoppiammo a ridere.
Sally aveva perfettamente ragione, non dovevo perdere il mio tempo a pensare a uno stupido ragazzo che probabilmente non incontrerò più in vita mia.
Per consolarmi mi diceva che avrebbe chiamato alla fine, che essendo un musicista era sempre impegnato, che il fatto di piacergli doveva significare qualcosa così come i baci che c’eravamo scambiati perché un bacio non si da tanto per dare, ma che c’era dietro un motivo ben preciso e se è a darlo anche la persona più fredda del mondo, un minuscolo sentimento lo riesce a provare.
Il fatto che mi fossi fidata di lui, in qualche modo doveva significare qualcosa no? Era riuscito a incutermi qualcosa ed eppure io rimango dell’idea che gli uomini avevano la tendenza a essere stronzi e questa era la prova. Mi era piaciuto credere alle sue parole e mi ero illusa della loro sincerità, ma lui era una rockstar e sappiamo tutti come sono fatte le rockstar. Sono sempre impegnate, sono pagate per dire quello che i fan vogliono sentire, li coccolano, li apprezzano, scattano foto con loro e firmano autografi, li baciano e li seducono. Ma io non ero una fan, ero solo una ragazza che lavorava per una rivista e che ha fatto semplicemente il suo lavoro.
Ed ora ci trovavamo qui, a Baltimora, con le nostre valigie in una mano e l’indirizzo della nuova casa nell’altra. Dovevo lasciarmi davvero tutto alle spalle e fingere che non m’importava più nulla di quello sconosciuto. Il suo nome non significava più niente per me, doveva scomparire ed ero intenzionata a farlo.
La proposta che mi aveva fatto Mark era davvero assurda. Lasciare il mio incarico di reporter a Milano per trasferirmi nella sede di Baltimora e fare lo stesso lavoro. Mi avrebbe fatto bene staccare un po’ ma andare a Baltimora non mi avrebbe fatto smettere di pensare, anzi, non avrei fatto altro che rimuginare su quella notte.

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Capitolo 2
*** Chap due. ***


Chap due.
Integrarsi in quel posto non era stato per nulla facile, infondo eravamo le nuove arrivate, ma nonostante ciò i colleghi erano stati piuttosto cordiali con noi e cercavano di metterci a nostro agio, ma per qualche strano gioco del destino le cose si stavano complicando.
Erano passate due settimane dal nostro trasferimento e andava tutto bene fino a quel momento. Fino a quando non me lo ero ritrovato davanti per una stupida intervista.
“Ally, sei sicura di potercela fare?”, mi chiese Sally che avrebbe dovuto fare le foto per la rivista.
“Sì, tranquilla”, la rassicurai. “Mi comporterò come una persona matura, ormai sarebbe inutile fare qualcosa, quindi non lo insulterò, tanto meno gli rinfaccerò le cose…”, dissi con tutta calma. “Io… lo prenderò solo a calci in culo!”
“Ehi… calma Terminator!”, mi bloccò lei. “Non puoi farlo!”
“Dammi un buon motivo”
“Primo devi fare l’intervista e secondo… beh… non voglio che le mie foto siano rovinate da qualche occhio nero e naso spaccato”.
“Va bene!”, dissi gettando fuori un lungo sospiro. “Lo faccio solo per le tue foto”
“Grazie”, pronunciò mettendomi un braccio attorno alle spalle e avviandoci verso la stanza dove si sarebbe tenuta l’intervista.
Lancia un sospiro di sollievo nel vedere che la band non era al completo, in effetti, mancava proprio il diretto interessato e la cosa mi rendeva più rilassata. Era uscita anche qualche battuta. Quei ragazzi erano capaci di mettere a proprio agio qualsiasi persona che trovavano di fronte.
L’intervista era andata piuttosto bene, fino a quando Sally non prese parola. Non avevo la minima idea di cosa avrebbe chiesto, era imprevedibile, ma la sua domanda mi lasciò sbalordita.
“Vedo che avete un ottimo rapporto con i fan, vi è mai capitato di affezionarvi a qualcuno di loro in particolare?”, chiese lasciando tutti di stucco. “Tipo innamorarvi o, che ne so? Passare del tempo extra con una di loro?”
“Abbiamo un ottimo rapporto con i fan, sono fantastici e non saremmo qui se non fosse per loro”, parlò il chitarrista. “Però non penso che sia mai capitato una cosa del genere, cioè, parlo per me, mi è capitato di flirtare con qualcuna di loro, qualche bacio per scherzo ma non è mai schioccata la scintilla com’è successo a Billie Joe Amstrong o a Chester Bennington…”.
“Invece sapete dirmi dov’è il cantante?”, chiese curiosa. “Come mai Alexander non è qui con voi?”
“Ce lo stiamo chiedendo tutti”, rispose il batterista.
“Alex ultimamente ha la testa tra le nuvole, si sarà dimenticato dell’intervista”.
“Vi chiediamo scusa da parte sua”, si sbrigò a dire il bassista.
“Sapete com’è, è un idiota!”, disse sorridendo il chitarrista. 
“Va bene, grazie per la collaborazione allora”, dissi alzandomi e stringendo la mano ad ognuno di loro. “Jack, Rian, Zack, è stato un piacere”
“Bene, quindi possiamo passare al photoshoot?”, mi chiese Sally prima di far alzare la band.
“Io esco un attimo a fare una chiamata”, avvisai la mia amica prendendo il cellulare dalla borsa.
“Ehi, Allyson”, mi chiamò Jack, il chitarrista, catturando tutta la mia attenzione.
“Dimmi!”
“Io ti ho già vista, il tuo viso mi è familiare e anche quello della tua amica…”.
“Vi abbiamo già intervistato l’anno scorso in Italia, a Milano”, dissi tranquillamente. Infondo avevo deciso di dimenticare tutto e quel ragazzo non stava facendo nulla di male. “Poi eravamo andati tutti insieme a bere qualcosa in un locale vicino a dove avevate fatto il concerto”.
“Ora mi ricordo!”, dichiarò sorpreso e sorridendomi.
“Come ho detto prima è stato un piacere intervistarvi di nuovo”.
“Ally…”, mi chiamò di nuovo. “Posso chiamarti così?”, disse passandosi nervosamente una mano sui capelli.
“Certo”, lo rassicurai sorridendogli. “Avevi bisogno ancora di qualcosa?”
“È un coglione!”, disse semplicemente lasciandomi di stucco. Non dissi niente. Non riuscivo a rispondere. “Alex è stato uno stupido. Avrebbe dovuto chiamarti ma non l’ha fatto, è un idiota! Però non devi prendertela con te stessa, ha fatto molti errori e questo è stato uno di quelli, cioè non fraintendermi, non ti conosco per giudicarti ma conosco lui e non doveva farlo…”, mi limitavo a stare zitta ad ascoltare il suo monologo. Non sapevo bene dove voleva arrivare ma penso che volesse darmi una giustificazione o almeno voleva scusarsi da parte sua. “È abbastanza complicata la situazione e non dovrei essere io a giustificarmi per le sue stupide azioni. Probabilmente oggi non è venuto qua perché di sicuro lo avresti preso a schiaffi e se fossi in te lo avrei fatto anch’io…”.
“Jack, ti muovi?”, lo chiamarono gli altri due membri della band che lo stavano aspettando per le foto.
“Shut the fuck up!”, gli urlò il ragazzo e sorrisi a quel suo atteggiamento così buffo, sembrava ancora un ragazzino di diciassette anni. “Forse dovrei andare, scusa il disturbo”
“Di nulla”, dissi semplicemente continuando a sorridere. “Eh Jack…”, lo chiamai facendolo voltare. “Ti ringrazio, ma non devi dare delle giustificazioni per il suo comportamento”.
“È un mio amico, cerco di rimediare alle sue cazzate”.
Forse quel ragazzo non era un completo idiota come voleva far apparire. Jack riusciva a essere una persona matura e seria nonostante i suoi strambi capelli e le sue espressioni da clown.
Mi aveva fatto riflettere e con le sue parole che mi rimbalzavano in testa uscii dalla stanza e composi il numero di Mark, volevo parlare con lui. “Ciao Mark!”
“Ehi tesoro, come stai?”, chiese. Parlammo del più e del meno. Mi sentivo più tranquilla se sentivo la sua voce. Mi mancavano i suoi rimproveri e i suoi scherzi. Per avere trent’anni a volte si comportava come un ragazzino di sedici, ma li volevo bene e mi dispiaceva averlo lasciato a Milano. “Sai che è maleducazione ascoltare le conversazioni altrui?”
“Ally, con chi stai parlando?”, chiese il ragazzo dall’altra parte della cornetta.
“Tranquillo, ora devo andare, ci sentiamo presto”, mi affrettai a salutarlo e a chiudere la chiamata.
“Il tuo ragazzo?”, disse una voce davanti a me. Una voce fin troppo famigliare.
“T’importa?”, risposi freddamente. Non volevo la sua compagnia, ma il suo sguardo m’imprigionava, bloccandomi in quella posizione, come se fossi incapace di fare qualche movimento.
“Non so cosa mi faccia stare peggio…”, disse lasciandomi sorpresa. “Vederti scherzare con i ragazzi della band o essere un coglione”.
“Era solo il mio ex capo”
“Mi dispiace…”
“Per non esserti presentato all’intervista o per essere un coglione?
“Per tutto!”
“Bene, hai qualcos’altro da dirmi o posso rientrare insieme con gli altri?”, gli chiesi quasi scocciata della sua presenza.
“Dobbiamo parlare, devo spiegarti perché mi sono comportato così…”.
“Jack ha già fatto il suo dovere, non penso che tu possa fare meglio di lui”.
“Jack?”, chiese confuso. “Cosa ti ha detto?”
“Non sei stato tu a dirgli di parlarmi?”
“No, cioè, non sapevo neanche che si ricordava di te”.
“A quanto pare lui si è ricordato!”
“Ok, touché”, rispose sconfitto. “Hai ragione, sono stato un’idiota…”
“Solo?”
“Ally…”
“Allyson”, dissi sovrastando la sua voce.
“Fammi spiegare ok?”, cercò di dire. “Mi dispiace, sul serio! Hai perfettamente ragione ad essere arrabbiata con me. Quella sera ho fatto quello che ho fatto perché il mio istinto mi diceva di farlo, mi sei piaciuta subito e mi è sembrato giusto baciarti”.
“Solo perché sei una rockstar non sei autorizzato a fare sempre quello che vuoi”.
“Non sono una rockstar, sono un perdente che ha avuto fortuna!”
“Bella frase ma Pierre Bouvier potrebbe citarti in causa per averla usata per pararti il culo!”
“Invece Pierre ne sarebbe orgoglioso!”
“Senti, non voglio restare qui ad ascoltarti su quanto tu sia figo perché conosci di persona molte band, ok?”, dissi stanca. “Se stai cercando di scusarti, beh, non m’importa, ormai quel che è fatto, è fatto. Sono stanca di tutto questo. Alex, mi sono davvero illusa che tu dicevi sul serio, che mi avresti chiamato, ma non è successo. Ho aspettato una tua chiamata o qualche tua notizia per un anno, ma non ho ricevuto niente, quindi fottiti!”, sbottai tutto di un colpo.
Sentii qualcosa dentro di me, come un click. Un suono simile a quello che fanno i lucchetti aperti. Mi ero appena liberata della prigione invisibile che avevano costruito i suoi occhi. Ero libera di andarmene o prenderlo a schiaffi, ma non ne sarebbe valsa la pena. Avevo finito di lottare.
Lo aveva lasciato lì, fermo e in piedi, non gli avevo dato il tempo di rispondermi. Ero immediatamente entrata nella stanza aprendo forse con troppo forza la porta.
“Sally, io vado a casa, non mi sento bene”.
“Cosa è successo?”, mi chiese in italiano capendo che la situazione non era delle migliori.
“Ne parliamo dopo a casa”, le dissi prendendo la mia borsa e per poi uscire dalla porta da cui ero entrata.
“Allyson…”, pronunciò Alex vedendomi comparire dalla porta aperta, ma decisi di lasciar correre, qualunque cosa mi avesse detto. “Comunque non ti ho dimenticato”, disse vedendomi uscire di nuovo. “Mi piaci ancora”
“Sei ancora in tempo per fare delle foto con il resto della band”, gli risposi ignorando volontariamente quello che mi aveva appena detto.

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Capitolo 3
*** Chap tre. ***


Chap tre.
Era incredibile come qualcuno potesse improvvisamente tornare nella tua vita e sconvolgertela in peggio, facendoti impazzire tanto da voler strapparsi i capelli. Questo era quello che mi stava capitando a causa di Alex, un coglione di cui mi ero presa una bella cotta, ma dovevo semplicemente dimenticarlo e dopo ieri pomeriggio era la cosa migliore da fare. Sì, perché non potevo restare lì aspettando una sua mossa che probabilmente non arriverà mai, quindi dovevo mettermi l’anima in pace e continuare a vivere come ho fatto fin ora, senza di lui.
Non volevo diventare una di quelle ragazze la cui felicità dipendeva da un ragazzo. Era sciocco.
Per fortuna anche quella giornata era finita, ero pronta a tornare a casa e a buttarmi dentro una vasca piena di schiuma ed eppure sembrava non arrivare mai quel momento.
“Signorina Porter, c’è una persona che vuole parlare con lei”.
“Ora?”, chiesi alla ragazza che sedeva alla reception.
“La sta aspettando”, disse indicando con la testa delle poltroncine di stoffa addossate a una parete di legno. Sbuffai alla vista di quella figura stravaccata che sfogliava annoiato una rivista.
“Grazie”, le dissi cercando di ignorarlo passandogli davanti.
Stavo attraversando la porta quando una mano mi afferrò il polso trascinandomi indietro.
Lo stava rifacendo. Stava cercando di incastrarmi di nuovo nella sua fitta rete.
“Ehi!”
“Che cosa vuoi ancora da me?”, gli chiesi. “Sto tornando a casa!”
“Ti do un passaggio”
“Non lo voglio”
“Non è un disturbo”
“Forse non hai capito: non sopporto la tua compagnia!”, quasi gli urlai addosso liberandomi dalla sua presa.
“Ok, questa era cattiva, ma….”
“Ma cosa?”, gli chiesi uscendo dalla porta e ritrovandomi sul marciapiede che mi avrebbe ricondotto a casa. “Non abbiamo più niente da dirci”
“E invece sì, diamine!”, sbottò. “Abbiamo tante cose da dirci, da risolvere, e tu non mi vuoi ascoltare!”, disse fermandosi in mezzo al marciapiede. “Ieri sono stato zitto, ti ho ascoltato, ora ascolta tu me!”, mi fermai anch’io raggiungendolo. Trovandomi a pochi centimetri da lui e dal suo volto che avrei volentieri preso a schiaffi, solo per avere una soddisfazione personale.
“Avanti, ti ascolto!”, dissi. “Comportiamoci da adulti e finiamola con questi giochetti!”
“Perfetto!”
“Perfetto!”, replicai.
“Ma non qui!”, disse. “Non voglio discutere in mezzo alla strada, quindi almeno fatti dare un passaggio a casa, almeno saremmo solo noi”.
“Se accetto mi lascerai poi in pace?”
“Forse…”
“Fingo che il tuo ‘forse’ sia un sì”
Avremmo concluso qualcosa o saremmo finiti a litigare di nuovo? Non lo sapevo.  L’unica cosa sicura era che mi stavo avvicinando al territorio nemico ed ero impreparata a ciò. Restare da sola in macchina con lui non era esattamente quello che volevo, ma mi ero arresa. Ciò non mi faceva sentire né orgogliosa né soddisfatta, volevo solo liberarmi di lui al più presto.
Non avrei potuto ignorarlo per sempre, mi trovavo nella città dove entrambi abitavamo, alla fine sarebbe successo che ci saremmo incontrati.
“Quindi?”, gli chiesi salita in macchina.
“Cosa?”
“Volevi parlare?”, gli domandai. “Fallo!”
“Era solo una scusa per restare da soli”
“Una scusa?”, gli chiesi furiosa. “Ottimo! Ti dispiacerebbe togliere la sicura alle portiere così che io possa gettarmi dall’auto in corsa?”.
“Sei simpatica, sai?”, mi disse continuando a fissarmi con quel cavolo di sorriso che aveva stampato sulla faccia.
“Invece sai che questo si chiama sequestro di persona?”
“Non si tratta di un vero e proprio sequestro se la persona sequestrata ha accettato l’offerta di salire in macchina con il sequestratore”.
“Magari il sequestratore ha mentito inventando una scusa”.
“Allora la sequestrata doveva essere più furba e non si doveva fidare delle prime persone che capitano”.
“Magari, in un primo momento le era sembrato sincero, ma poi, lui, si è rivelato un tale coglione, come tutti gli altri”.
“Ok, touché, hai vinto!”
“Non avevi scuse”, dissi slacciandomi la cintura di sicurezza. “Io sono arrivata, grazie per la non chiacchierata e per il passaggio imposto involontariamente”, aggiunsi guardandolo in volto. Si limitava a fissarmi rimanendo in silenzio.  Avevo una strana sensazione.
“Ally…”
“Che cosa vuoi ancora?”
“Sto davvero cercando di rimediare con te…”.
Forse quel posto era esattamente quello giusto, dove sarei dovuta stare, ed eppure qualcosa mi diceva di andarmene al più presto, di scendere dalla macchina e salire in casa, ma quegli occhi castani mi avevano ipnotizzato.

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Capitolo 4
*** Chap quattro. ***


Chap quattro. – Alex P.O.V.
Non pensavo che il sapore delle sue labbra mi sarebbe rimasto addosso. Non pensavo neanche di riuscire a essere perdonato per la terribile cazzata che avevo fatto l’anno precedente ed eppure  era successo. Avevo semplicemente fatto quello che il mio cervello mi aveva detto e l’avevo baciata perché mi sembrava giusto farlo. Perché era giusto così. era giusto farle sapere che ancora ci tenevo a lei pur non conoscendola così bene.
In effetti Allyson era una sconosciuta. Una semplice ragazza che avevo conosciuto un anno fa.
Eppure il suo modo di fare mi aveva rapito, così come la sua semplicità. Non era una di quelle ragazze che i miei genitori avrebbero chiamato ‘da cartellone’. Era la tipica ragazza che ogni madre vorrebbe al fianco del proprio figlio.
Ora sembrava tutto perfetto. Le sue mani avvinghiate ai miei capelli mi eccitavano da morire. Non sarei riuscito a resistere un minuto di più.
Vorrei prendere il controllo e sbatterla al muro, nulla che non abbiamo già visto, ma questa volta è diverso, è premeditato. Lo voglio io quanto lo vuole lei.
Se solo questa macchina fosse più larga o se la nostra voglia non fosse così troppa saremmo riusciti a combinare qualcosa senza farci male ed invece spostarsi nei sedili posteriori non era mai stato così difficile come in quel momento.
Probabilmente saremmo stati denunciati per atti osceni in luogo pubblico, ma non me ne importava: volevo solo lei!
“Alex!”, disse allontanandosi  per prendere respiro. “Alex!”, mi chiamò di nuovo. Mi faceva impazzire come pronunciava il mio nome.
“Dimmi”, le dissi non lasciando il suo collo.
“Perché non mi hai richiamato?”, mi fermai di colpo. “Perché non mi hai più cercato?”, voleva delle risposte e io dovevo dargliele solo che non sapevo come spiegarle che non ho avuto il coraggio perché sono un completo idiota. Che ho avuto un problema che continuo a lasciare irrisolto. Come potevo spiegarle la verità senza ferirla?
“Mi dispiace per quello ti ho fatto, per quello che ti ho detto e per quello che ti ho fatto credere ma mi piaci davvero, ed è la verità. Abbiamo passato una settimana insieme ed è stato fantastico, mi sono divertito con te e non avevo nessuna intenzione di farti pensare il contrario”, avevo iniziato a spiegarle. “Quando ti ho detto: ‘Non mi scappi, sei mia’, dicevo sul serio”
“Ti ricordi cosa hai detto?”, chiese sorpresa.
“Ti sorprende?”, domandai a mia volta. “Quando ti ho baciato è stata la cosa migliore che avessi mai fatto, naturalmente dopo averti portato via da quel locale. Per restare da soli. Per conoscerci meglio. E sai una cosa?”, le chiesi. Lei fece di no con la testa non distogliendo i suoi occhi dai miei. “Se dovessi tornare indietro, lo rifarei. Probabilmente mi comporterei in modo diverso, cercherei di far funzionare le cose, ma purtroppo non posso e sto cercando di rimediare ora”, le dissi poggiando il palmo della mia mano sul suo e intrecciando le nostre dita. Volevo tutta la sua attenzione.
“Alex…”, disse di nuovo il mio nome.
“Anche il bacio che ti ho dato poco fa. Non volevo farti andare via ed è stata la prima cosa che mi è passato per la mente per farti restare ancora un po’ con me”
“Alex…”
“Non voglio che pensi che potrei andarmene di nuovo. Stavolta sono qui e resterò per molto tempo”
“Alex…”
“Sarà difficile farti allontanare da me”
“Alex…”, mi chiamò ancora. Questa volta la sua voce sembrava più lontana, come se qualcuno mi stesse chiamando da fuori.
Mi ci volle un po’ per capire che non era Allyson a chiamarmi ma qualcun altro che si era preso la libertà di strattonarmi e scuotermi finché non aprii gli occhi.
“Diamine Alex, ti sei svegliato finalmente!”
“Cosa è successo?”, chiesi confuso.
“Penso che stavi sognando”, mi disse. “Avevi iniziato a fare strani rumori e mi ero spaventata”
“Ah…”, mi lasciai sfuggire come un sospiro. “Scusa Lisa, sono solo un po’ pensiero in questi giorni”
“Ti senti bene?”
“Penso di aver bisogno di fare una doccia e uscire un po’”
“Va bene, io vado a lavorare”, mi disse dandomi un leggero bacio sulle labbra. “Ci vediamo stasera”
La sentii uscire dalla stanza e prendere le chiavi della macchina. Appena la porta d’ingresso si chiuse mi alzai dal letto per recarmi in bagno a fare una bella doccia ghiacciata. Dovevo assolutamente schiarirmi le idee. Com’era possibile che fosse stato solo un sogno? Era così reale.
Mentre l’acqua scorreva sulla mia pelle continuavo a ripensare al sogno fatto poco fa.
“Avanti Alex! Riconnetti il cervello!”, mi ripetevo. “Ieri pomeriggio l’hai solo riaccompagnata a casa e poi te ne sei andato. Lei ti ha ringraziato ed è scesa dalla macchina. Nulla di più!”
Passai un tempo interminabile sotto l’acqua fredda, era fastidiosa ma almeno sarei ritornato lucido. Mi sentivo dannatamente in colpa per aver sognato Ally, non era giusto soprattutto nei confronti di Lisa eppure non lo avevo fatto apposta.
Dovevo risolvere questa questione al più presto e senza rendermene conto mi trovai immediatamente nella mia macchina sotto casa sua.
Ero sorto nei pensieri quando qualcuno bussò sul finestrino.

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Capitolo 5
*** Chap cinque. ***


Chap cinque.
“Pensi di restare qui ancora per molto?”, dissi bussando al finestrino. “Potrei denunciarti per stalking, sai?”
“I fan non sarebbero felici di trovarmi dietro alle sbarre”.
“Però ti darebbe un tono più rock’n’roll”
“Non penso che mi si addici molto la tuta arancione”.
“Al contrario, io non penso che ti sopporterebbero in galera…”, non replicò. Mi sorrise soltanto.
“Hai qualcosa da fare oggi?”, mi chiese dopo qualche istante. I miei occhi si erano di nuovo persi a guardare quei lineamenti che in un primo momento mi erano sembrati così perfetti.
“È martedì mattina, le persone normali vanno a lavorare”.
“Giusto…”, rispose passandosi nervosamente una mano sui capelli.
“Tu non hai qualche impegno con la band?”
“No, siamo in pausa prima del tour e mi stavo annoiando”.
“Quindi hai pensato di venirmi a rompere le scatole alle otto del mattino?”
“In verità volevo proporti di fare colazione insieme”, disse.
“Pensi che questo ti faccia perdo... ”
“Penso almeno che possiamo diventare amici”, si affrettò a dire interrompendomi.
“Sarebbe carino parlare con te senza prenderti a schiaffi, ma sono davvero in ritardo per il lavoro, quindi…”.
“Quindi ti do un passaggio e ne riparliamo in macchina”.
“Non mi lascerai in pace, vero?”, chiesi esasperata. Più non lo volevo attorno e più me lo ritrovavo tra i piedi.
“Te lo prometto, resterò fermo e muto”
“Penso che tu non ne sia realmente capace”.
“Lo penso anch’io, ma ci posso provare”, disse posando le mani sul volante e trattenendo il respiro tra le guance rosse.
“Pensi di morire nel giro di cinque secondi così che io ti possa rubare l’auto per non ritardare o inizio a correre verso la redazione?”, gli chiesi salendo in macchina. Non ricevetti nessuna risposta. Si limitò soltanto a guardarmi e a gettare fuori tutta l’aria che gli aveva gonfiato le guance.
“Dove vuole che la porti signorina?”, disse mettendo in moto l’auto.
“Davvero?”, gli chiesi ridendo. “Stai citando realmente Titanic?”
“È un classico!”, rispose con fierezza. “Mi sono quasi messo a piangere quando Jack è morto”.
“Molto virile”
“Cosa ci posso fare? Sono un ragazzo molto sensibile”, scoppiai a ridere. Forse quella era la prima volta che ridevo e parlavo con lui normalmente senza riempirlo d’insulti e rinfacciargli quello che mi aveva fatto. Era una bella sensazione.
Avevo passato così tanto tempo a odiarlo che mi ero dimenticata di quanto fosse capace a intrattenere la gente facendola ridere e scherzare con lui.
“Quindi per quella colazione...?”, chiese cambiando discorso.
“Penso che si potrebbe fare un altro giorno…”

“Scusa, non voglio essere insistente…”
“No, è che Sally non c’è e senza di lei che mi butta giù dal letto, non so come fare a svegliarmi puntuale”
“Dov’è?”
“In Canada, per un servizio fotografico di una band emergente, dovrebbe tornare domani nella mattinata”
“Capisco…”, parcheggiò la macchina davanti al mio ufficio.
“Io sono arrivata”, dissi vedendo l’insegna della redazione davanti a me. “Grazie ancora per il passaggio”
“Figurati…”, mi rispose mentre scendevo dall’auto. Forse dovevo comportarmi diversamente con lui. Dovevo almeno provare a essere gentile. Lui ce la stava mettendo tutta.
“Ah… Alex!”, lo chiamai voltandomi verso di lui.
“Dimmi”
“Come mai stamattina eri sotto casa mia?”
“Passavo per di lì”, rispose semplicemente alzando le spalle. Non so se era una semplice scusa o se la verità, ma qualcosa si era innescato nel mio cervello. Dovevo andarci piano, ma nulla mi impediva di diventare sua amica. In fondo non era poi così male come persona.
“Va bene”, dissi voltandomi per salire i primi gradini, ma ritornai immediatamente giù verso di lui. “Senti, stasera ti andrebbe di fare qualcosa?”, gli proposi.
“Certo, cosa avevi in mente?”
“Nulla di troppo impegnativo, magari una cena da me”
“Perfetto, ti passo a prendere finito il lavoro”
“Non ce n’è bisogno, sul serio, ci vorrà una vita prima che arrivi l’ora di cena”
“Ti passo a prendere alle cinque e mezzo”, ribadì. “Almeno ti posso dare una mano a cucinare”
“Penso che sia inutile insistere con te, anche perché sto ritardando e tu mi fai perdere tempo”, dissi salendo i gradini che conducevano alla porta di vetro. “Ci vediamo stasera”, gli urlai prima di spingere la porta ed entrare in ufficio.
 
Non so bene come la giornata sembrava essere passata velocemente ma quando arrivarono le cinque e mezzo realizzai soltanto in quel momento che Alex sarebbe dovuto venire a casa mia e che praticamente non avevo la minima idea di cosa cucinare.
Spensi il computer e mi diressi verso l’uscita. Passai di fianco alla ragazza della reception e la salutai per poi attraversare la porta e ritrovarmi sul marciapiede.
Mi incamminai verso il supermercato per comprare qualcosa e poi andai diretta a casa.
C’era qualcosa che mi tormentava in testa, avevo una strana sensazione, come quella di essermi dimenticata qualcosa.
“Stavi cercando di scappare da me?”, chiese una voce alle mie spalle. Una voce fin troppo famigliare.
“Come?”, chiesi a quel ragazzo che mi fissava da sotto la visiera di un cappellino nero.
“Se non sbaglio dovevo aspettarti fuori dall’ufficio”, ecco cosa mi ero dimenticata. Mi ero scordata che Alex doveva darmi un passaggio.
“Mi sono dimenticata, scusa”, dissi sinceramente. “Ero sovrappensiero e mi sono scordata. Però ho preso il cibo, vale come giustifica?”
“Non si dice mai di no al cibo”
“Seguimi”, dissi facendogli strada lungo le scale del condominio. “Eccoci qui, fai come se fossi a casa tua, però immagino che sia decisamente molto più piccola rispetto alla tua, quindi scusa se non c’è tanto lo spazio”
“Non scherzare, va bene”, disse cercando di mettermi a mio agio. Buffo come sembri lui il proprietario e io l’ospite. “Non so se tu abbia mai visto i tour bus, quelli si che sono piccoli”, disse ridendo.
“Quindi, cosa vuoi mangiare questa sera?”, gli chiesi tirando fuori la spesa dalle buste e posandole sul bancone che divideva la cucina dalla sala.
“È indifferente, va bene tutto”, disse aiutandomi.
“Meno male perché ho comprato qualcosa che vada bene per preparare un risotto giallo, però alla milanese”, dichiarai. “Stasera: cibo italiano”, annunciai. “Ok, forse non è proprio italiano ma sono molto famosi da noi!”, cercai di giustificarmi.
“Vuoi una mano?”
“Tranquillo, non c’è problema!”, dissi riempendo una pentola con dell’acqua.
Passai la successiva ora a cucinare senza ottenere nessun risultato. Anzi, un risultato lo avevo ottenuto, ma non era per nulla soddisfacente. Avevo fatto bruciare il risotto riducendo la nostra cena in un cumulo nero.
“Merda!”, sbottai buttando la pentola nel lavandino.
“Tutto apposto?”, chiese Alex venendomi dietro e guardando da sopra la mia spalla la povera pentola che era stata massacrata da me.
“Penso di aver combinato un casino”
“Deduco che non sei un’ abile cuoca”
“Pensavo di potercela fare, ma a quanto pare sono decisamente impedita”, gli dissi voltandomi verso di lui così da poterlo guardare in viso.  “Guardare tutti quei programmi di cucina non ti insegnano a cucinare, ti illudono soltanto!”, sbottai. “Maledetta Antonella Clerici, perché fai sembrare tutto facile!”
“Antonella chi?”, chiese lui confuso, non capendo a chi mi riferissi.
“Niente, lascia stare”, gli risposi abbassando la testa scoraggiata. “Scusa se ti ho fatto perdere tempo”
“Guarda che non è un problema”, disse lui ridendo. “Una volta volevo riscaldarmi un panino e ha preso fuoco”
“Perché me lo racconti?”
“Perché così sai che c’è gente peggiore di te a cucinare”
“Grazie…”, dissi sarcasticamente. “Sei molto d’aiuto”
“Hai ragione ma ora sai cosa facciamo?”, scossi la testa non capendo dove voleva mirare. “Tu sistemi questo bordello e io vado da Taco Bell a comprare qualcosa da mangiare”, disse prendendo le chiavi della macchina dal tavolo e avvicinandosi alla porta. “Torno presto”



Nota: non sono molto convinta di questo capitolo, ma vi prometto che con il successivo mi farò perdonare (almeno spero) :)
P.s. Ringrazio Rack per le recensioni :)

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Capitolo 6
*** Chap sei. ***


Chap sei.
Sembrava quasi impossibile liberare la pentola dal risotto che si era incollato ai bordi. Probabilmente lasciarlo a mollo per un po’ nell’acqua calda avrebbe funzionato se solo non fosse diventato un perfetto collante.
Aprii la finestra facendo uscire la puzza di bruciato e riordinai la casa. Non mi ero resa conto del macello che avevo combinato cucinando e di come la casa fosse disordinata senza Sally che mi aiutava a sistemarla. Come donna di casa ero davvero una vera e propria frana. Se fossimo stati nell’ottocento nessun uomo mi avrebbe sposato o scambiato per un paio di mucche a meno che lui fosse stato tremendamente ricco da sottovalutare questo piccolo fattore.
Mi accasciai sul pavimento della cucina sfinita quando Alex entrò in casa con un sacchetto di carta tra le mani.
“Eccomi!”
“Sono qui!”, dissi alzando una mano e sventolandola per farmi notare.
“Hai per caso bruciato anche il tavolo e le sedie?”, chiese prendendosi gioco di me.
“Ah… Ah… Ah…”, gli feci il verso. “Che simpatico”
“Perché sei seduta giù per terra?”, mi chiese poggiando la busta sul pavimento e sedendosi a gambe incrociate davanti a me.
“Me lo chiedo anch’io, ma non è poi così male stare qui per terra”.
“A meno che tu non voglia dare un party per fantasmi, vampiri e qualunque altro mostro dell’oltretomba sarebbe opportuno accendere qualche luce, non trovi?”, mi fece notare. In effetti il cielo si era oscurato abbastanza in fretta e la stanza si era rabbuiata.
“Aspetta…”, dissi per alzarmi, ma la sua mano mi blocco.
“Faccio io”, propose prendendo delle candele su un tavolo del salotto e accendendole le posò per terra in mezzo a noi. “Cerchiamo di salvare la serata”
“Perché fai tutto questo?”, gli chiesi ammirando il suo gesto.
“Te l’ho detto, voglio essere tuo amico”, disse tirando fuori il cibo dal sacchetto e poggiandolo su dei tovaglioli. “Non voglio che mi odi”
“Alex, non ti odio, sul serio”, lo rassicurai cercando di far incontrare i miei occhi con i suo, nascosti dalla visiera del cappello che portava in testa. “Mi è passata, ok? Facciamo finta di niente e come dici te: ricominciamo”
“Allora siamo due amici che stanno mangiando sul pavimento della tua cucina?”
“Esatto!”
“Allora com’è andata la giornata?”, chiese addentando il suo burrito.
“È passata piuttosto veloce, la tua?”, gli domandai.  “Come hai riempito la tua pausa da rockstar?”
“Mi sono annoiato e quindi sono andato da Jack, abbiamo fatto un giro e poi sono venuto da te che magicamente sei scomparsa per andare a fare la spesa che poi hai buttato”
“Giornata interessante!”, risi.
“Sai, mi piace stare qui a parlare con te”
“In effetti non sei poi così male”
“Ora vorrei che potessi vedere la tua faccia in questo momento”, disse scoppiando a ridere. “Perché hai il sorriso di una pazza”
“Non prendermi in giro!”, lo rimproverai. “Sono stanca, ho lavorato tutto il giorno a differenza tua!”, gli rinfacciai.
“Ma anch’io lavoro”
“Non lo metto in dubbio, ma il tuo lavoro è meno faticoso del mio”
“Ma…
“Ok, eccetto quando sei in tour, in effetti quella è una vita davvero estrema”, mi affrettai a dire senza dargli il tempo di replicare.
“È questione di abitudine”, disse alzando le spalle. “A proposito di tour, in questi giorni sarò impegnato a preparare la tournée”
“Perché me lo dici?”
“Non potremmo vederci per un po’, ma fra tre mesi sarà finito il tour nazionale ed io sarò ancora qui”
Mangiammo e restammo a parlare a lume di candela seduti sul pavimento. Era così strano sentirlo così vicino a me e mi piaceva questa sensazione. Eravamo di nuovo solo noi due, senza complicazioni e secondi fini. Avevamo deciso di buttare tutto alle spalle e stavamo ricominciando. Stava andando tutto bene.
“Forse è meglio se sistemiamo tutto e accendiamo la luce, non vorrei dare fuoco alla casa”, dissi prendendo le candele e posandole sul bancone. Sentii lui che fece lo stesso.
Mi girai e lo ritrovai a pochi centimetri dal mio volto, di nuovo. Rabbrividii al tocco delle sue mani sui miei fianchi e del suo sguardo intenso dentro al mio.
“Ally…”, sussurrò al mio orecchio. Il mio corpo sembrava non reagire a ogni minimo impulso che il mio cervello cercava di mandargli. Ero come pietrificata da quel sussurro. “So che tutto questo è sbagliato quindi dimmi se vuoi che me ne vado, ma ti prego, fermami se sto per fare una cazzata”
Sarà stata la situazione o le candele, ma quello che accadde dopo non fu esattamente una cosa saggia da fare. Il silenzio mi stava uccidendo. Il mio cervello si stava annebbiando. Non riuscivo a ricevere più nessun input eccetto quello successivo: la sua mano sul mio collo e le sue labbra sulle mie.

P.s. grazie a Layla e Rack per le recensioni ^^

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Capitolo 7
*** Chap sette. ***


Chap sette.
“Alex!”, lo fermai. “Sul serio, non dovremmo ritrovarci in questa situazione”.
“So che è un errore, però…”, disse prima di allontanarsi e sistemarsi il cappellino. “Hai perfettamente ragione, non dovremmo ritrovarci in questa situazione”.
“Diamine, Alex!”, dissi allontanandomi da lui velocemente e iniziando a camminare furiosamente per la casa.
“Adesso dove stai andando?”, mi chiese afferrandomi per il polso e fermandomi. “Perché stai scappando?”
“Non sto scappando, sto solo cercando di andarmene… lontano da te”.

“È casa tua!”, mi rispose sorridendo.
“Allora vattene tu!”, gli risposi arrabbiata. “E smettila di ridere!”
“Non sto ridendo…”, alzai un sopracciglio. “Ok, forse lo sto facendo ma perché sei buffa”.
“Tu cosa…”
“Intendo dire che mi fai ridere”
“Alex, lo stai rifacendo….”
“Ehi!”, con un piccolo strattone mi avvicinò a lui e finii nella sua presa, tra le sue braccia. Esattamente il posto dove non volevo stare. “Sto solo provando a sistemare le cose”
“Tu… non… non hai una casa dove andare?”, gli chiesi scocciata. “O delle valige da fare?”
“Ci penserò più tardi”
“Senti… è meglio che tu vada… e che la finisci di guardarmi così”.
“Sono gli unici occhi che ho…”
“È meglio che tu te ne vada… sul serio…”
“Spiegami perché stai dando di matto?”
“Spiegami perché ogni volta che mi baci te devi scomparire?”
“Pensavo che avessimo chiuso con questa storia”.
“Lo pensavo anch’io ma a quanto pare tu non stai collaborando”, dissi spostandomi da lui e sedendomi sullo sgabello della penisola. “Ascolta, probabilmente scomparirai tra qualche ora per chissà quale stato dell’America e per qualche strana ragione io sarò qui ad aspettarti, non voglio che accada di nuovo”.
“Sai che tornerò”
“Non sei te il punto…”, dichiarai portando le dita verso le tempie.
“E allora qual è?”, chiese lui non capendo cosa volessi dire.

“Sii sincero”, gli dissi catturando tutta la sua attenzione. “C’è già qualcun’altra nella tua vita, non è così?”
“Tu come…?”
“Alex, non sono stupida e ti ricordo che lavoro in una redazione, certe notizie circolano soprattutto quando ti vedono in compagnia di qualcuno di famoso”, avevo colto nel segno. Avevo scoperto la verità e lui restava semplicemente zitto. “Probabilmente lei deve essere una ragazza fantastica, soprattutto per sopportarti, ma non so a quale gioco stai giocando con me, io non posso essere l’altra…”.
“Non ne vedo il problema…”
“Scherzi vero?”, gli chiesi sconcertata. “Senti…”

“No, fa niente!”, sbotto sovrastando le mie parole. “Hai ragione, è fottutamente da pazzi, chissà perché mi è saltato in mente solo pensarlo”, disse alzando le mani in aria. “Va tutto fottutamente bene, è tutto fottutamente perfetto”.
“Alex, cosa stai dicendo?”, gli chiesi confusa.
“Lascia stare Ally”, rispose prendendo le chiavi dell’auto dal bancone e avviandosi verso l’ingresso. “Ci vediamo…”, disse lasciandomi da sola nella stanza.
Lo guardai scomparire dietro la porta, nell’oscurità del soggiorno illuminato solo dalle candele.
Non sapevo bene cosa era appena successo, cosa avevamo combinato, ma non era stato nulla di buono.
In quel preciso momento capii quanto quella porta avrebbe assunto importanza, ma restare a fissarla non lo avrebbe fatto tornare indietro, anzi, avrebbe soltanto alimentato la mia voglia di prendermi a schiaffi.
Quel ragazzo era impetuoso e presuntuoso. Egocentrico e cattivo. Se si aveva a che fare con lui si finiva sempre per soffrire. Questo spiegava che non avevo appreso niente dagli errori che avevo commesso in passato.
Il punto era che Alex, per un certo verso, era esattamente come me. Quando la situazione diventava complicata, difficile da gestire, quasi soffocante, l’unica soluzione era di scappare, di nascondersi per un bel po’ finché il problema non sembrava essere scomparso, ma poi, quasi come per magia, ricompariva e ti colpiva in pieno viso e non riuscivi a fare più nulla eccetto combinare altri casini. Quindi scappare era la soluzione finale.
Non so bene quanto tempo passai seduta su quello sgabello a fissare la porta, immobile. Forse erano passiti alcuni secondi, pochi minuti o troppe ore ma pensavo davvero che se mi concentrassi qualcosa sarebbe successo. Magari avrei ricevuto una sua chiamata o magari sarebbe tornato da me, ma erano solo forti illusioni che mi lasciavano inchiodata a quella sedia.
Dovevo smetterla di fantasticare come una tredicenne con il suo primo amore. Ormai avevo ventidue anni, ero cresciuta per far si che la vita fosse rose e fiori come nelle fiabe.
Decisi finalmente di alzarmi da quella sedia e comportarmi maturamente. Riaccesi le luci e spensi le candele, ridiedi una sistemata alla cucina e chiusi a chiave quella porta.
Era la decisione migliore e una buona dormita mi avrebbe tenuto lontano da lui.
 
Era ormai notte fonda quando qualcosa mi fece svegliare di soprassalto. Era come se stessero cercando di entrare in casa, ma non avessero le chiavi.
Sapevo bene che Baltimora aveva un alto tasso di omicidi e che fosse anche una delle città più pericolose dell’America eppure qualcuno stava cercando di entrare in casa ed io me ne restavo nascosta nella mia stanza con una mazza da baseball della Baltimore Orioles in una mano e un casco della Baltimore Ravens in testa pronta a difendermi da qualunque attacco.
Sally aveva insistito così tanto a comprare dei gadget delle uniche due famose squadre professioniste della città e in questo preciso momento non sapevo come ringraziarla per non avermi dato retta.
“Ally, ma che succede?”, rispose una voce assonnata dall’altra parte del telefono. “Hai idea di che ora sia?”
“Sally, sto per essere uccisa!”
“Hai ancora fatto quel sogno?”

“Qualcuno vuole entrare in casa!”, le dissi.
“Ne sei proprio sicura?”
“Si… ci sono strani rumori, echeggiano in tutta la casa”.
“Saranno forse le tubature, sono vecchie”
“Forse hai ragione”, le dissi tranquillizzandomi un po’. Il rumore aveva smesso per fortuna. Forse Sally aveva perfettamente ragione. “Grazie e scusa ancora il disturbo”
“Stai tranquilla, domani mattina ti chiamerò ok?”
“Notte”, dissi riattaccando il telefono. Già forse erano proprio le tubature.

Mi ributtai nel letto, forse un po’ più tesa, ma non riuscivo a prendere sonno, erano le tre del mattino e quel rumore era ritornato.
Se quella notte fossi dovuta morire, sarei morta lottando.
Rimisi il casco e tenni stretta la mazza da baseball in mano. Accesi la luce del corridoio e silenziosamente mi avvicinai all’ingresso. Guardai dallo spioncino e, in effetti, c’era qualcuno fuori che si era appoggiato alla porta. Feci scattare la serratura, ma non aprii.
“Ally, non so se sei qui. Volevo solo dirti che ho fatto un casino”, disse in modo piuttosto confuso. “Sai, sono ritornato solo per chiederti scusa. Sono un coglione. Lo so”, si era davvero ubriacato? “Se ci sei, scusa se non sembrò molto spontaneo, ma è la terza porta con cui sto parlando e mi sento un completo idiota... “.
“Davvero pensi di poter tornare quando vuoi e trovarmi qui ad aspettarti?” 
“Sì, no, certo che no”, farneticava. “Cioè... dovevo almeno provarci”
“Sei arrivato tardi, Alex!”
“Io non credo, sono ancora le tre…”, replicò. “Abbiamo tutto il tempo davanti…”
Aprii di colpo la porta, forse troppo velocemente da non dare il tempo al ragazzo di spostarsi.
“Non mi uccidere!”, urlò lui cadendo di spalle sul pavimento. Probabilmente lo avevo spaventato conciata in quel modo.
“Alex, cosa dovrei pensare?”, gli chiesi aiutandolo a rialzarsi. “Cioè dovrei crederti perché all'improvviso torni da me e mi dici che vuoi che le cose tornino come prima?”, gli domandai facendolo sedere sul divano. “Vorrei credetti, ma mi sento presa... ”, non finii di parlare che la sua mano si posò dietro al mio collo e mi spinse verso le sue labbra.
“Alex!”, lo richiamai allontanandomi da lui. “Perché pensi che basti baciarmi per farmi cambiare idea?”
“Pensavo che fosse la cosa giusta…”
“Per te è sempre la cosa giusta!”
“No, non è vero!”
“Sai, ci casco sempre, ma questa volta no. Non ci casco più. Adesso sono stanca di essere manipolata da te”. 
“Ok, capisco”, mi rispose dispiaciuto. “È troppo tardi, ho capito, ho combinato un casino”.
“Sì, hai combinato in casino!” 
“Hai ragione, forse è meglio che me ne vado”, dichiarò. “Scusa per tutto”, disse alzandosi dal divano troppo velocemente da perdere l’equilibrio.
“Fermo, dove vuoi andare conciato così?”, gli chiesi aiutandolo a sistemarsi di nuovo sul divano. “Guardati, ma come ti sei ridotto?”, dissi passandomi una mano tra i capelli.
“Sono un’idiota!”
“Su questo siamo d’accordo entrambi”, mi scappò un sorriso. Vederlo in questo stato non gli rendeva onore ma almeno sembrava essere così tranquillo e innocente, mezzo addormentato sul divano. “Non puoi stare qui, ora ti porto a letto!”
“Mi porti a letto?”, mi chiese ridendo.
“Non è come pensi tu!”, lo avvisai. “Non puoi restare a dormire sul divano, peggioreremo solo la cosa. Ora hai bisogno di mettere la testa sotto l’acqua fredda per farti riprendere”, gli dissi trascinandolo in bagno. Lo feci sedere sulla vasca e con il getto dell’acqua fredda gli bagnai la testa.
“È ghiacciata!”
“Non ti lamentare!”
“Ti stai per caso vendicando?”
“Forse un po’!”

Lo aiutai a uscire da quel getto d’acqua fredda e con un asciugamano gli strofinai la testa cercando di asciugare quei capelli castani che avevano assunto un colore decisamente più scuro.
“Alex, stai fermo!”, ordinai al ragazzo che continuava a scherzare come se fosse un bambino di sei anni. “Finirai col farti male se continui così”, gli dissi cercando di calmarlo e stranamente ce la feci. Posò le sue mani sui miei fianchi, come per reggersi, ma sembrava intenzionato a non muoversi se non fissarmi dal basso con i suoi occhi castani.
Sembrava così innocente. Non aveva più quell’aria da bullo della situazione.
“Penso che sia arrivata l’ora di metterti a letto…”, gli dissi. “E no, non fare strane battutine!”, lo avvertì spostandolo nella mia stanza. “Almeno per stanotte ti posso tenere sotto controllo”.
“Grazie per quello che stai facendo”, mi disse gettandosi sul letto. “Ti prometto che non ti darò più disturbo”.
“Mi sembra difficile non credere al contrario”, gli risposi stendendomi di fianco a lui che aveva già chiuso gli occhi. Mi appoggiai su un braccio e lo guardai addormentarsi. Probabilmente quello che stavo facendo era un grosso errore, stavo affittendo la grossa rete di problemi che c’eravamo costruiti attorno.
“Alex”, lo provai a chiamare.
“Dimmi…”, mi rispose velocemente guardando il soffitto.
“Perché hai bevuto?”
“Perché è l’unica cosa che sono capace di fare quando combino dei casini”.
“Potresti provare a risolvergli”
“Hai visto che non sono bravo a rimediare”.
Forse farlo restare lì era stata una mossa dannatamente sbagliata. Per quanto volessi che andasse diversamente, non ero del tutto arrabbiata con lui. In fondo ci speravo che tornasse da me a chiedere scusa, ma non pensavo che avrei dovuto fare da mamma a un completo disastro, ma vederlo così stava facendo risvegliare qualcosa in me, che avevo cercato di seppellire da diversi mesi.
“Ally”, disse voltandosi a guardarmi. “Perché indossi un casco da football?”, mi ero completamente dimenticata di portarlo ancora in testa.
“Pensavo che fossi un ladro…”
“E volevi difenderti solo con quello in testa?”
“In verità avevo anche una mazza da baseball”.
“Quindi volevi uccidermi…”
“Buonanotte Alex”

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Capitolo 8
*** Chap otto. ***


Chap otto. – Alex P.O.V.
Svegliarsi quella mattina non era stato per niente facile. Mi sentivo spossato e un forte mal di testa si era trasferito nel mio cranio.
Il sole non era mai stato così acceso come quel giorno che entrava dalla finestra colpendomi in pieno viso.
Quella stanza, quelle coperte, quei mobili non erano i miei. Quella ragazza che dormiva al mio fianco non era decisamente Lisa.
Cercai il mio telefono che aveva improvvisamente iniziato a vibrare sotto il mio sedere. Una sensazione stranissima e fastidiosa.
“Buongiorno principessa, sono le sette e mezzo e sto per venire a casa tua per far scendere dal letto quel culetto delizioso che ti ritrovi”, disse una voce all’interno del cellulare. Chi poteva essere sveglio a quell’ora del mattino, avere una tal energia e dirmi quelle cose così spinte? Soprattutto dette da un ragazzo.
“Pronto?”, dissi guardando lo schermo del mio iPhone. Trovai sullo schermo un’immagine decisamente non aggraziata di Jack ubriaco marcio fatta lo scorso Cinco de Mayo. Dovevo immaginare che fosse lui. “Jack, cosa stai dicendo?”
“Bella addormentata, oggi è il grande giorno!”
“Come?”
“Sono quasi sotto casa tua, prendi il borsone che ti aspetto fuori!”
“Aspetta Jack, non sono a casa mia…”
“Che hai fatto ieri sera furbacchione?”, chiese con un tono di voce di chi la sapeva lunga. “Lisa immagino che non sa nulla”

“Merda, Lisa!”
“Spero almeno che ne sia valsa la pena perché se ti scopre, sono cazzi amari”, disse ridendo. “Non potevi aspettare almeno che il tour iniziasse?”
“Jack, ascoltami!”, lo chiamai cercando di attirare la sua attenzione. Mi passai più volte una mano tra i capelli e sul volto cercando di svegliarmi completamente. Sembrava un’impresa davvero difficile. “Ho bisogno di una mano, sai che per me sei sempre stato un fratello, giusto?”, gli ricordai. “Ecco, ora ho proprio bisogno di te, poi ti spiego, ma non bussare a casa mia. Sto arrivano!”, mi affrettai a dire. “… e non farti vedere da Lisa!”
“Come vuoi tu, amico!”
“Arrivo!”, ripetei chiudendo immediatamente la chiamata.
Mi ero completamente dimenticato che quella mattina sarebbe iniziato il tour nazionale e come un idiota mi ero ubriacato e avevo passato la notte fuori casa senza neanche aver preparato la valigia.
Decisamente avrei vinto il premio per il “Coglione dell’anno!”, forse lo avrei conteso con quell’uomo che correva nudo ogni mattina lungo il molo della città, ma non c’erano dubbi che lo avrei vinto di sicuro io!
“Te ne stai andando?”, chiese Ally che si era appena svegliata.
“Sì, scusa, mi sono ricordato che stamattina inizia il tour…”.
“Giusto…”
“Devo ancora fare le valigie e trovare una scusa plausibile per…”.
“Per la tua ragazza?”, chiese lei capendo la situazione.
“Già”
“Beh, non ti devi preoccupare di nulla, non abbiamo fatto nulla giusto?”, disse mordendosi il labbro inferiore cercando di sdrammatizzare la situazione. Quanto avrei voluto baciare quelle labbra, ma non potevo. Non adesso. Non avevo tempo, dovevo scappare e raggiungere immediatamente Jack. “Tu stai bene?”, mi chiese. “Cioè dopo ieri, sai, hai bevuto un po’…”
“Sì, penso di sì, ho solo un po’ di mal di testa”.
“Va bene”
“Senti Ally…”, iniziai a dire. Non sapevo da che parte cominciare per scusarmi. “Scusami per quello che ho fatto ieri sera, scusa se mi sono arrabbiato con te e scusami se mi sono presentato ubriaco a casa tua”, le dissi. “Scusami se me ne stavo andando senza svegliarti e scusami se ora sono costretto ad andarmene”. Da quando le nostre vite si erano rincontrate, non avevo fatto altro che scusarmi con lei tutto il tempo. “È il mio lavoro, è l’unica cosa che so fare bene, così sembrerebbe”, dissi abbozzando un sorriso. “Raggiungo una città, ci passo una notte e poi riparto per un altro luogo e la storia continua, sempre così”, le spiegai non so neanch’io per quale motivo. “A volte non mi ricordo neanche in che posto sia in quel preciso momento o quale sia il giorno della settimana”.
“Alex, cosa stai cercando di dire?”
“Ti chiamerò, te lo prometto”, le dissi. “Lo farò sul serio”
“Non sei obbligato a farlo se non vuoi”, mi aveva semplicemente risposto guardando fuori dalla finestra. Sembrava così distratta mentre parlava, come se fosse lontano mille miglia da questa stanza. Ero curioso di sapere cosa stava pensando, cosa le tenesse così impegnata la mente. “Preoccupati prima di tutto di lei”
“Ally, so che potrebbe essere un problema, ma…”.
“No, sul serio, tranquillo”, m’interruppe. “Quando tornerai ne riparleremo, ora preoccupati solo del tour, ok?”
“Starai bene?”
“Perché non dovrei?”, disse alzando le spalle.
Avrei voluto prendermi a schiaffi per la terribile persona che ero diventato. Non ho mai potuto vantarmi di essere sempre stato un bravo ragazzo, che faceva tutto quello che gli dicevano i propri genitori, che prendeva bei voti a scuola, che faceva sport e mangiava salutare, che non faceva a pugni per averci provato con la fidanzata di qualcun altro, che rimaneva fedele alla propria ragazza e che non si comportasse da idiota solo per attirare l’attenzione.
Ero un completo disastro e col passare del tempo riuscivo soltanto a far soffrire le persone.
Mi chiedevo cosa ci fosse di sbagliato in me.
“Fai buon viaggio”, mi disse prima di chiudermi la porta alle spalle.
Era fatta. Me ne stavo andando per la medesima volta, ma non era neanche colpa mia se questo era successo. Non era colpa mia se dovevo partire per un tour che mi avrebbe tenuto lontano da casa, da Baltimora, per tre mesi, ma in fondo tre mesi cos’erano? Sarebbero passati veloci e stare lontano da Allyson, da Lisa, dalla città, mi avrebbe fatto bene.
Mi piaceva redigere delle liste con le cose che c’erano da fare per tenermi occupato e ne stavo già stilando una nella mia testa.
Avrei scritto qualche canzone nuova per un prossimo album, i fan sarebbero andati in delirio.
Avrei potuto rilassarmi un po’ di più. Nell’ultimo periodo ero stato piuttosto teso.
Avrei potuto lavorare sulla mia abbronzatura.
Avrei potuto farmi un altro tatuaggio o cambiare colore di capelli come avevo fatto per il Warped Tour. Avrei potuto copiare Billie Joe e diventare completamente biondo oppure avrei potuto fare un piercing, magari alla lingua, però questo mi avrebbe impedito di cantare per qualche giorno, quindi era da escludere, almeno per ora.
Oppure avrei potuto semplicemente prendermi del tempo con me stesso e pensare al casino che avevo combinato, a cosa avrei potuto fare con Lisa e cosa sarebbe stato meglio per Allyson.
Parcheggiai davanti casa. La macchina di Jack non c’era così come la sua ombra. Gli avevo semplicemente chiesto di non farsi vedere, non di scomparire dal resto della Terra. Avevo bisogno di lui in questo preciso momento.
“Psss…!”, bisbigliò qualcuno. Mi guardai in giro ma non vedevo nessuno. “Ehi, qui!”, disse di nuovo ma continuavo a non vederlo. “Idiota, sono qui!”, continuò attirando la mia attenzione lanciandomi un ramoscello addosso.
Finalmente avevo trovato Jack nascosto all’interno di un cespuglio.
“Per fortuna che sei magro!”, gli dissi scherzando del suo nascondiglio.
“Allora?”, mi chiese. “Come mai tutta questa segretezza?”
“Ti ricordi di Allyson?”, Jack annuii. “Sono stato da lei”, gli dissi accovacciandomi vicino a lui. “Prima che tu possa dire qualcosa non abbiamo fatto sesso, solo che doveva trasformarsi in una normale cena tra amici ma io l’ho baciata, abbiamo avuto una sottospecie di discussione e me ne sono andato…”
“E…”, disse lui con un gesto teatrale della mano che mi invitava a continuare. “Arriva alla parte in cui sei restato da lei a dormire”
“E sono andato a bere, solo che mi sono ubriacato e alle tre di notte mi sono presentato nel suo appartamento”, gli raccontai giocando con il legnetto che mi aveva tirato prima. “E ho rischiato di essere picchiato con una mazza da baseball, ma questa è un’altra storia, sta di fatto che si è presa cura di me e ho passato la notte a casa sua, ma abbiamo semplicemente dormito e ora mi sento terribilmente in colpa perché me ne sto andando di nuovo e non voglio lasciarla qui da sola”.
“Quindi vuoi annullare il tour?”
“Non ci penso neanche per sogno!”, mi affrettai a dire. “Ho bisogno di questa ‘pausa’”, dissi disegnando delle virgolette con le dita. “Solo che c’è il problema Lisa!”
“Giusto…”, disse. “Cosa pensi di fare?”
“Non lo so amico!”, affermai. “Però… posso dire di essere rimasto da te a dormire?”
“Certo!”, mi rispose tranquillamente tirandomi un pugno sulla spalla. “Ora, però, aiutami a uscire”
“Come hai fatto a entrare qui?”
“Sono Jack Barakat!”, affermò. “Io entro da tutte le parti!”

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Capitolo 9
*** Chap nove ***


Chap nove. – Alex P.O.V.
Passare la maggior parte della propria vita con una persona non significava per forza amarla, magari il sentimento che si provava nei suoi confronti stava scomparendo lentamente, giorno dopo giorno, problema dopo problema.
Forse il fatto che Lisa avesse condiviso tutto con me era una buona scusa, abbastanza decente, da farmi tornare con i piedi per terra. Ed eppure non ne ero totalmente convinto. Non era una scusa abbastanza grossa da non farmi cambiare idea.
Il fatto che lei mi conoscesse, che mi capiva al primo sguardo o al primo sospiro, che mi comprendeva anche soltanto guardandomi in silenzio, non era per niente d’aiuto, anzi, complicava le cose perché quando si stava insieme a una persona da praticamente tutta la vita, essa non può che non essere la propria anima gemella.
Probabilmente mi sarebbe mancato svegliarmi la mattina e trovarla al mio fianco, tornare da un tour e prenderla in braccio sulla soglia di casa, le notti con lei e anche le discussioni.
Sapevo che stavo pensando a una cosa azzardata, innaturale, da pazzi.
Avevo passato tutto il mio tempo a costruire le fondamenta per un rapporto sicuro, piano dopo piano era cresciuto e ora stavo cercando in un modo quasi maniaco un uomo d’affari che avrebbe buttato giù il grattacielo per costruire un parco giochi per le famiglie.
Era da stupidi fare una metafora su quanto Lisa ed io fossimo forti come un grattacielo e che avessi attribuito ad Ally l’immagine di un parco giochi, cosa che non volevo fare.
La verità è che anche noi abbiamo avuto i nostri bei problemi. Ci siamo ritrovati più volte al limite della nostra storia e qualche volta abbiamo anche oltrepassato la linea separandoci per un po’, ma era buffa la storia di come, alla fine, per qualche strana ragione, ritornavamo sempre insieme facendo retromarcia e scavalcando il problema, perché la maggior parte delle volte, molto spesso, ero proprio io il problema.
I troppi viaggi, le mie scappatelle, l’alcool, il fumo, i ragazzi della band, il mio non volermi impegnare seriamente, erano questi i problemi che ci perseguitavano. Ma cosa dovevo fare? Smettere con tutto questo?
Forse avrei dovuto farlo, ma di una persona che si ama, bisogna accettare tutto, giusto? Ogni minimo difetto. Non era così che funzionava?
Eppure questa era un’altra banalissima scusa solo per non ammettere che avevo una paura fottuta. Avevo paura di lasciare Lisa, di essere rifiutato da Ally, di combinare altri guai o incasinarmi con la stampa. Avevo paura che quello che volevo creare con Allyson non avrebbe retto. Non la conoscevo per nulla e ciò nonostante non mi preoccupavo di pensare a lei più di quello che avrei normalmente dovuto fare.
“Siamo arrivati!”, urlava Jack eccitato correndo per il corridoio stretto dell’autobus che avevamo affittato per il tour nazionale. “Forza Alex, siamo a Baltimora!”, mi disse saltandomi addosso. “Siamo a casa!”
“Già!”, gli risposi non troppo convinto. “Siamo a casa!”
Forse era proprio la parola ‘casa’ che mi metteva più ansia. Ero arrivato all’ultima svolta prima del traguardo. Non avevo più scuse. Ero a Baltimora, ora dovevo decidere cosa fare di me e della mia vita. Che cosa fare dei miei sentimenti e di quello che mi ordinava la mia mente.
 
“Buonanotte Baltimora!”, urlai al microfono facendo andare in delirio i fan che erano venuti ad ascoltarci.
Con quello show avevamo chiuso il tour nazionale e finalmente potevo tornarmene a casa. Dormire in un letto che non fosse in continuo movimento e dividendo la stessa stanza con persone che russavano in modo innaturale o che ridessero nel sonno.
Nonostante tutto, adoravo quei ragazzi!
“Ehi Alex!”, mi chiamò Jack risvegliandomi dai miei pensieri. “Stavamo pensando con gli altri di andare a festeggiare, sai l’ultima ‘grande notte’…”.
“In verità volevo tornare a casa da Lisa…”.
“Anche se c’è una sorpresa che potrebbe farti cambiare idea?”
“Una sorpresa?”, chiesi guardandolo confuso.
“Ta dah!”, annunciò aprendo la porta. Rimasi spiazzato da chi mi trovai davanti. “Sorpresa!”, continuò lui. “Guarda chi ho trovato tra il pubblico?”
Ero davvero sorpreso di averla davanti.
“Ehi Alex!”, mi disse salutandomi con la mano. “Ci si rivede…”, ero pietrificato. Cosa ci faceva lei lì? Non doveva essere a casa sua?
“Abbiamo i pass!”, annunciò un’altra voce. “Possiamo scattare qualche foto di tutti voi insieme?”, chiese. “È per la rivista”
Non mi ero accorta della ragazza bionda che era di fianco a lei. Non mi ero più accorto di nulla dopo che era entrata nel camerino. Forse era meglio se davo qualche cenno di vita, giusto per non sembrar un completo rimbambito.
“Certo…”, mi limitai a dire. “Raduniamo gli altri”
“Ehi Alex!”, mi chiamò di nuovo Jack. “Felice per la sorpresa?”
“Jack, cosa… cosa ci fa lei qui?”, gli chiesi cercando di non farmi sentire dalle ragazze. “Pensavo che tu…”
“Oh tranquillo amico mio”, mi disse rassicurandomi, ma non ero mai sicuro al cento per cento quando si trattava di Jack Barakat e delle sue strane idee. “Ho chiamato l’agenzia e pensavo che sarebbe stato carino se una certa giornalista fosse venuta ad assistere al nostro ultimo spettacolo e avrebbe portato con sé una fotografa molto carina”, mi passai una mano sul viso.
“Certo che non cambi mai!”
“Pensa a quante cose belle si possono fotografare con quella macchina fotografica”.
“Tu sei un ninfomane di prima categoria!”, lo avvisai ridendo. “Devi farti curare”
“Sono Jack Barakat!”
“Non puoi giocare sempre questa carta!”
“Lo dici solo perché sai che non puoi vincere contro di me!”, mi rispose fiero.
“Adiamo Mr. Barakat!”, gli dissi posando le mani sopra le sue spalle e spingendolo verso le ragazze che stavano parlando con Zack e Rian.
Scattammo qualche foto per la rivista e finimmo col parlare del più e del meno. Come un anno fa in Italia, dove era iniziato tutto.
«Ma hai visto questa ragazza?», mi chiedevo a me stesso. «È da tempo che corre nei miei sogni e mi sta facendo impazzire», pensai da solo come un idiota.
“Ehi, vi va di andare a bere qualcosa?”, propose di nuovo Jack.
Erano passati tre mesi dall’ultima volta che c’eravamo visti, quando l’avevo lasciata la mattina successiva a casa sua, e non era cambiata di una virgola. Forse le erano cresciuti di qualche centimetro i capelli, forse si era comprata un nuovo paio di scarpe o forse aveva preso un aumento di stipendio, ma erano piccolezze. Restava di fatto che il suo volto era esattamente quello che mi ricordavo. Gli occhi. Le labbra. Il suo dolce profilo. Il suo profumo. Non era cambiato nulla.
Accettammo tutti l’invito proposto di Jack e ci ritrovammo di nuovo insieme a festeggiare l’ultima data del tour in un locale buio non molto lontano da dove avevamo fatto lo spettacolo.
Ciò mi fece venire un déjà-vu.  Dovevo stare attento a non commettere un’altra gaffe e rovinare tutto, ma il fatto che lei si fosse presentata lì voleva dire che aveva sventolata una bandiera bianca e aveva messo da parte le armi?
Guardai come il mio amico si divertiva mentre parlava animatamente con Sally, sembrava piacergli sul serio in quanto non aveva ancora provato a portarla nel bagno del locale per farsi fare un lavoretto.
“Pensi che Jack faccia sul serio con la mia amica o vuole solo una sveltina?”, mi chiese Ally che stava guardando la coppia che si divertiva al tavolo.
“Può essere…”, le risposi alzando le spalle.
“Perché sei qui?”, mi domandò dopo qualche istante.
“Mi avete invit…”
“Non intendevo perché sei in questo locale”, disse non lasciandomi finire la frase. “Mi chiedevo perché te ne stavi in disparte mentre tutti sono al tavolo a divertirsi…”.
“Volevo stare un attimo tranquillo”, le risposi maledicendomi immediatamente. Non era esattamente una valida risposta. “Tu perché sei qui e non al tavolo?”
“Perché i camerieri non sembrano accorgersi che voglio ordinare”, mi rispose sedendosi sullo sgabello di fianco al mio del bancone. “Chi mi devo portare a letto per ordinare?”, domandò forse un po’ troppo apertamente. La guardai sorpreso e divertito allo stesso tempo. “Che c’è?”, mi chiese sorridendo.
“Niente…”, le risposi iniziando a ridere.
“È uno strano modo di dire in Italia quando il barista non ti degna di uno sguardo…”.
“Certo…. Lo immaginavo”, le dissi continuando a ridere. Non so bene come, ma la mia risata la contagiò e ciò mi rasserenò. Ero più tranquillo. Forse era davvero la volta buona che metteva fine alla sua guerra contro di me.
“Vieni, andiamo dagli altri”, mi disse prendendomi per il polso e trascinandomi al tavolo.
Alla fine avevo trascorso più di sei anni della mia vita con Lisa. Avevamo avuto i nostri alti e bassi, le nostre preoccupazioni, io nostri problemi. C’eravamo persi ma poi eravamo sempre tornati insieme. Ogni santissima volta.
Dovevo arrendermi all’apparenza.
Per quanto facesse male, forse, era la cosa migliore da fare. Perché quando qualcuno riusciva a sopportarti così tanto, a ritornare sempre da te dopo i tuoi innumerevoli errori, qualcosa di sicuro non andava nel verso giusto.
Il punto è che dopo che passi tutta la tua vita con la stessa persona, inizi a volere cose diverse da quelle che si è abituato ad avere. Vuoi un’auto nuova, una casa più grande, un cane, incontrare persone nuove o semplicemente una ragazza nuova di cui innamorarti. E questo era quello che volevo io. Volevo buttarmi a capofitto con lei. Volevo provarci sul serio. Andava come andava. Se mi avesse respinto, almeno, non avrei vissuto con il rimosso del se. Se mai avrebbe funzionato. Se mai mi avrebbe amato. Se mai tornerò indietro.
Forse questa volta avrei seguito il cuore anziché la testa. Forse questa volta sarebbe stata quella giusta.

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Capitolo 10
*** Chap dieci. ***


Chap dieci. – Alex P.O.V.
“Alex!”, urlò Lisa correndomi incontro appena aprii la porta di casa. Ero distrutto, ma quella era una sottospecie di tradizione che continuava da anni, non l’avrei infranta quella volta. “Mi sei mancato!”
“Lisa!”, le dissi abbracciandola. Ero felice di essere tornato a casa.
“Hai fatto tardi, ti aspettavo prima”
“Io e i ragazzi siamo stati insieme a festeggiare insieme allo staff, sai com’è…”.
“Pensavo che saresti tornato solo un po’ prima”.
“Ora sono qui!”, gli dissi abbozzando un sorriso. “Quanto mi è mancato sedermi qui”, dichiarai gettandomi sul divano bianco in mezzo alla sala. Amavo stare in tour ma c’erano alcune comodità che non potevano essere sostituite, come un bel divano, un morbido letto o un bagno personale.
“Ti è mancato solo il divano?”, mi chiese lei inserendosi tra me e il divano e iniziando a farmi un dolce e sensuale massaggio alle spalle. Sapeva che non riuscivo a resistere se mi toccava in quel modo, ma per quanto potesse essere strano, quella sera non avevo voglia di passare una notte con lei.
“Vado a letto”, mi affrettai a dire.
“Scherzi?”, disse seguendomi. Si stava arrabbiando per via del mio rifiuto.
“Lisa, sono stanco, capiscimi…”
“Però non sei stanco per stare fuori a cazzeggiare con i tuoi amici”.
“Fanno parte della band!”
“La band!”, sbottò. “È sempre la band!”
“Cosa ci posso fare, non posso mica abbandonare il mio lavoro solo perché tu sei frustrata!”
“A volte mi chiedo se tu ami più loro che me”.
“Lisa, sono cresciuto con loro, sono i miei migliori amici!”
“Anche noi ci conosciamo da parecchio tempo ed eppure non passi così tanto tempo con me”.
“È diverso…”
“Non dirmi che è diverso perché non ti credo!”
“Ti stai incazzando perché non ho voglia di scopare?”, gli urlai. Ero esausto e lei litigava per queste sciocchezze. “Va bene, facciamolo, magari poi sei meno acida!”, le dissi prendendola in braccio e appoggiandola sul tavolo della cucina.
“Alex!”, mi richiamò tirandomi dei pugni sulle spalle. “Cazzo, fermati!”
“Non è quello che vuoi?”, gli chiesi arrabbiato, incrociando le braccia davanti a lei.
“No, diamine!”, mi rispose scocciata e allontanandomi da lei. “Volevo passare del tempo col mio fidanzato che non vedevo da parecchio tempo”.
“Mi dispiace, ok?”
“Senti, ne riparliamo domani”, mi disse scendendo dal tavolo. “È bello rivederti girare per casa”, disse, con un tono malinconico e deluso, prima di scomparire verso la stanza da letto. La sentii sbattere la porta e lanciare i cuscini per terra.
Ormai quel divano non era più così scomodo. Mi ero abituato a dormirci sopra e poi avevo la scusa di poter guardare un po’ di tv prima di cadere in un sonno profondo.
Non riuscivo a capire quale fosse la cosa peggiore di tutto questo. Se non essere dispiaciuto per il litigio o se realmente mi era mancato di più il divano che di lei. Ero assolutamente un idiota, lo sapevo, ma lei mi faceva impazzire. Quando pensavo che le cose tra di noi andassero per il verso giusto, che potessero funzionare, mi ricredevo immediatamente perché c’erano giorni, come oggi, in cui mi faceva venire voglia di strappare i miei cazzo di capelli. Mi mandava di matto e non riuscivo a spiegarmi come mai restavamo ancora insieme.
Ormai era piena notte, saranno state probabilmente le tre di mattina. “Alex…”, mi chiamò una prima volta. “Alex!”, una seconda, non volevo aprire gli occhi, sapevo come sarebbe finita. “Svegliati Alex!”, disse questa volta lanciandomi un cuscino addosso. Mi misi a sedere emettendo un sospiro, quasi involontario, e la vidi in piedi, immobile, in mezzo alla stanza che stringeva le mani e le tormentava nervosamente.
“Che c’è Lisa?”, le chiesi esasperato. “Vuoi ancora litigare?”
“Voglio parlare!”, disse. “Dobbiamo parlare su quanto è accaduto”
“Non possiamo aspettare domani mattina?”, le domandai come se fosse una supplica. “Ho passato gran parte del tempo a cercare di addormentarmi su questo divano”.
“Alex, ascoltami!”, disse decidendosi finalmente di muoversi e si sedette sul tavolino davanti a me, così da potermi guardare in volto. Probabilmente si trattava di qualcosa di serio. Probabilmente non avrei dormito neanche quella notte.
Non avevamo acceso le luci, non ce ne era bisogno. Ormai conoscevamo a memoria ogni piccolo dettaglio del suo viso, ma i suoi occhi erano diversi. Nella penombra notai che erano lucidi. Forse aveva pianto, forse si era appena svegliata, forse non m’importava neanche così tanto.
Sapevo bene dove voleva andare a parare. Era così ogni volta. Sapevo esattamente le parole che mi stava per dire ed eppure non riuscivo a guardarle negli occhi così mi concentrai sulla figura del mio corpo coperto dalla schiena di Lisa riflessa sullo schermo della tv.
“Dimmi Lisa!”, la invitai a parlare. “Quale problema ti affligge di così importante?”
“Alex, siamo arrivati alla frutta!”, disse. “Lo sappiamo entrambi che ormai qualcosa è cambiato”, continuò a spiegare poggiando la sua mano attorno al collo. Sembrava nervosa. “Non siamo più i ragazzini di diciotto anni che andavano al ballo scolastico, siamo adulti e penso che dovremmo comportarci come tali e dirci la verità”.
“È quello che vuoi?”
“Sì, è arrivato il momento di fare i conti con la realtà”, disse posando ora la sua mano sulla mia guancia. “Alex, tu sei come Peter Pan, ti rifiuti di crescere, di maturare”.
“Quindi mi stai dicendo che sono io il problema?”, le chiesi togliendo la sua mano dal mio viso e alzandomi dal divano. Era totalmente assurdo quello che stava dicendo.
“Si”, rispose senza battere ciglio. “Sei sempre stato tu il problema in questa coppia, è sempre stato così ovvio”, disse nel modo più tranquillo possibile. Odiavo quando le persone cercavano di litigare senza alzare la voce, era fastidioso perché non si riusciva a capire quanto cazzo fossero arrabbiate e la cosa peggiore era guardarla negli occhi, diamine! Metteva i brividi.
“Allora perché sei sempre tornata da me?”, urlai cercando di smuovere quella situazione.
“Perché eri tu che avevi bisogno di me Alex!”, rispose immediatamente tirando fuori la sua ira. L’aveva detto. Aveva avuto il coraggio di dirlo e sbattermi la realtà in faccia.
“Io non ho bisogno di te!”, dissi per difendermi. “Se vuoi proprio saperlo ho passato tre mesi fantastici senza di te, senza problemi, senza qualcuno che mi urlava continuamente contro di non frequentare i miei amici”.
Forse ero stato troppo cattivo nei suoi confronti ma mi ero liberato di uno dei tanti pesi che mi portavo dietro, ormai da troppo tempo. Non le avrei raccontato di tutte le mie scappatelle durante i tour. Non le avrei raccontato di tutte le bugie che le dicevo. Non le avrei raccontato di tutte le cose che avevamo fatto quella sera. Tantomeno le avrei raccontato di quello che stava nascendo dentro di me nei confronti di Ally.
“Quindi è questo che pensi davvero?”, mi chiese furiosa. “Quindi mi stai attribuendo a me tutta la colpa?”
“Sto solo dicendo che a volte sei troppo oppressiva”.
“Penso che dovremmo andare a dormire e riparlarne domani mattina, immagino che tu sia stanco”.
“No Lisa, hai iniziato questa discussione e ora la finiamo!”, m’imposi. Ero stufo marcio dei continui litigi.
“Io non ne ho voglia!”
“Lo dici perché sai che ci lasceremo, vero?”
“E anche se fosse?”, chiese. “Tanto, è quello che facciamo continuamente, non pensi?”
“Lisa, se ci lasciamo, questa volta è per sempre”, le dissi catturando tutta la sua attenzione. Vidi la rabbia spegnersi nei suoi occhi. Abbassai lo sguardo soltanto per qualche secondo per poi riportarlo immediatamente a lei. Stavo cercando le parole giusto per essere onesto con lei. Questa volta per davvero.
“Non penso di farcela, di continuare, sono stufo di questa situazione e penso che stiamo perdendo tempo mentre restiamo qui a litigare come tutte le fottute volte che abbiamo fatto nei cinque anni successivi”, iniziai a dire molto lentamente. “Ho fatto i miei errori e ne sono cosciente, probabilmente sto cercando di dirti che sono uno stupido, ma è meglio se la finiamo qua!”
“Quindi mi stai lasciando?”
“È l’unica soluzione per entrambi”, le dissi rimanendo stranamente serio.

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Capitolo 11
*** Chap undici. ***


Chap undici. – Alex P.O.V.
Bene, non avevo più niente da dire, tantomeno non avevo più nessun motivo per restare lì, anche se si trattava di casa mia.
Ero stato un terribile stronzo con lei, ma di sicuro non l’avrei cacciata in mezzo alla strada, così decisi di prendere la macchina e dirigermi per chi sa in quale luogo. Non avevo più la pallida idea di dove sarei andato, ma quando mi ritrovai sotto casa sua, capii che probabilmente quello sarebbe stato il posto ideale, quello di cui avevo bisogno.
Quando bussai alla porta, rimasi sorpreso di chi mi venne ad aprire. Non avrei immaginato di trovarmi un ragazzo mezzo nudo davanti a me, ma dovevo aspettarmelo che finiva così.
"Alex che ci fai qui?", mi chiese stropicciandosi gli occhi. Probabilmente lo avevo svegliato.
"Tu piuttosto cosa ci fai qui?", gli chiesi confuso. "Cosa ci fai da Ally?"
"In verità sono qui per Sally"
"Ha già più senso... ", gli dissi abbozzando un sorriso forzato. "Mi fai entrare?"
"Non è casa mia, non saprei... "
"Jack ho passato la peggiore nottata della mia vita, ti prego fammi entrare!”, il ragazzo si spostò su un lato così che io potetti entrare finalmente in casa.
“Ehi Jack, chi è che sta facendo tutto questo rumore?”, disse un’altra voce proveniente dal corridoio. Attesi qualche secondo prima di vedere Ally comparire. “Alex, cosa ci fai qui?”, mi chiese guardandomi come se non fosse sicura della mia reale presenza nel suo soggiorno. “Sono le tre e mezzo del mattino, non hai una casa dove andare?”
“Io… ho bisogno di parlare con qualcuno…”
“Stai bene?”, mi chiese avvicinandosi a noi. I suoi occhi avevano assunto un’aria preoccupata così come il tono della sua voce.
«No! Non sto affatto bene! Ho appena rotto con Lisa, con cui pensavo che mi sarei sposato in un futuro molto lontano, ma il nostro rapporto, nonostante sia durato anni, è arrivato al culmine ed è scoppiato. Sono letteralmente fuggito da casa mia solo per non passare un altro istante con quella ragazza e l’unico luogo che mi è venuto in mente in quel preciso istante è stato questo, casa tua dove tu probabilmente stavi dormendo tranquilla prima che io ti piombassi in casa e sai cos’è la cosa buffa? È che vederti complica le cose! Aumenta il mio senso di colpa che alimenta quella vocina fastidiosa nella mia mente che continua a dirmi che sto facendo una cazzata a lasciar andare una ragazza come Lisa solo per essermi preso una sbandata per te, e penso che abbia ragione perché è assurdo che mi stia innamorando di una completa sconosciuta. È da essere ricoverati in manicomio. Tutto questo mi manda di matti! Quindi, se proprio vuoi saperlo: no, non sto affatto bene!», avrei voluto urlargli, ma non ci riuscivo.
“Io… penso… Jack… forse è meglio che me ne vado!”, dissi non riuscendo a completare una frase di senso compiuto. Ero un idiota. Il caso è chiuso! “Scusate il disturbo”, dissi girando i tacchi verso il pianerottolo.
“Me ne occupo io”, sentii dire di sfuggita da Jack.
Ero stato un perfetto idiota a venire a casa di Allyson. Mi chiedevo perché avevo guidato fin da lei e non da Jack o da Zack o da Rian, ma perché proprio dalla ragazza che tormentava i miei sogni e i miei incubi nell’ultimo periodo.
“Ehi Alex!”, sentii chiamarmi alle mie spalle. “Alex, fermati!”, chiamò di nuovo. La voce di Jack era inconfondibile. “Stai bene amico?”, mi chiese posando una mano sulla mia spalla. 
“Sì, no, sto benone... ”, gli risposi cercando di essere il più convincente possibile.
“Non mi sembra…”, rispose stringendosi nelle spalle. Non so se era perché mi conosceva da anni o se avevo stampato sulla fronte «Ho la stessa incontenibile voglia di vivere di Lana Del Rey», ma quando ero triste, lui lo capiva immediatamente nonostante cercassi di nasconderlo. “Sento delle strane vibrazioni attorno a te!”
“È deludente quando le cose vanno nel modo in cui avevi programmato e non ti senti bene lo stesso, sai?”
“Lo so... ”, mi disse semplicemente guardandomi negli occhi per poi stringermi in uno dei suoi abbracci. Sapevo di poter contare su di lui. Sempre. Per qualunque motivo. Poteva essere un completo idiota tutto il tempo, ma se qualcuno aveva bisogno di una mano, beh, diventava serio e faceva di tutto per aiutarlo e così ha sempre fatto con me. Poche parole e un forte abbraccio che mi fabbricava sentire a casa, perché era proprio lui l’immagine che mi veniva in mente ogni volta che pensavo a casa mia. Era esattamente la persona cui ero legato di più e gli ero grato di tutto, per primo: di esserci sempre quando ero sull’orlo di una crisi. “Perché non andiamo via?”, mi propose prendendomi per le spalle senza perdere il contatto con i miei occhi.
“Intendi tipo fare un viaggio insieme?”
“No, pensavo di fare due passi verso il bar qui sotto”, proferì ridendo. “Non penso che ci serva un altro viaggio o robe del genere. I tour non ti tengono già abbastanza impegnato?”.
“Hai ragione!”, gli dissi abbozzando un sorriso, meno forzato di quello prima.
“Però sono le tre e mezza del mattino, di bar a Baltimora non ce ne sarà neppure uno aperto, quindi ti propongo una nuova terapia”, dichiarò. “Restiamo qui sul pianerottolo e mi racconti cosa diavolo è successo”
“Posso avere però una birra?”, gli chiesi. Avevo bisogno del mio antidolorifico o come preferivo chiamarlo: coraggio liquido.
“Stella Artois?”
“Sarebbe perfetto”
Vidi Jack entrare in casa delle ragazze e tornare immediatamente dopo con una cassa di sei bottiglie. Quel ragazzo sapeva prendermi per la gola e sapeva adattarsi come nessun altro nelle case di altri.
“Queste però non sono le tue…”, gli feci notare.
“Oh suvvia, gliele ricomprerò!”, disse stappandone una. Feci anch’io lo stesso. “Allora, spiegami cosa ci fai qui?”
“Ora berrò un po' perché è la mia mossa tipica”, gli risposi semplicemente bevendo un sorso dalla mia bottiglia. “È quello che sono bravo a fare: a bere quando va tutto storto”. 
“Alex, quando le cose s’incasinano, tu scappi via, ma sai ci sono altre cose che si possono fare per rimediare…”.
“Il punto è che non voglio rimediare”
“Spiegati…”
“Mi sono lasciato con Lisa…”, dissi. “Questa volta definitivamente. Non tornerò più da lei!”
“Ne sei proprio sicuro?”
“Sono stufo marcio di essere seppellito dalla sua troppa gelosia, dalla sua ansia e dalla sua mania di controllo”, gli raccontai. “Non sono fatto per tutto ciò e me ne sono accorto soltanto ora, dopo aver perso la maggior parte della mia vita con una persona che avrei volentieri soffocato nel sonno”.

“Non eri tu quello che implorava per ritornare con lei?”
“Sì e me ne pento amaramente di quello che ho fatto”.
“Allora non capisco quale sia il problema, amico!”, disse bevendo un sorso di birra e passandomi una nuova bottiglia ancora da aprire. “Ora sei libero, puoi andare a scopare con qualsiasi ragazza senza preoccuparti di nascondere i segni del rossetto”.
“È che non voglio neanche più continuare a fare questa vita”.
“Alex Gaskarth che diventa serio?”, chiese non molto convinto della cazzata che avevo appena detto.
“Voglio trovare qualcuno che mi renda sereno, che non mi dia preoccupazioni e che abbia un’enorme pazienza per i miei stupidi errori”, confessai. “Dovrei trovare la tua versione al femminile”.
“Mi lusinga, ma se non fossi così attratto dalle ragazze, probabilmente, ti bacerei”.
“Dovrei essere totalmente ubriaco prima che questo accada!”, dissi ridendo. Jack era esattamente la persona che stavo cercando solo che non aveva due tette e tutto quello che un uomo aveva bisogno.
“Senti, per tutta la faccenda di Lisa, lascia perdere”, disse stringendosi nelle spalle continuando a sorseggiare la sua birra. “Penso che tu abbia preso la decisione migliore. Ora però dovresti dormirci un po’ su e dimenticarti di tutto questo. Sei giovane, sei bello, sei famoso e hai un certo sex-appeal da far cadere le donne ai tuoi piedi, penso che possa bastare per renderti felice”.
“Grazie amico”
“Ora però andiamo a dormire!”, ordinò Jack. “Anche se tu hai passato una notte d’inferno, beh, non vorrei passarla anch’io, quindi…”, disse raccogliendo le bottiglie ed entrando in casa.
Lo seguii all’interno dell’abitazione. Mi sentivo spaesato, anche se non era la prima volta che ci mettevo piede, ma sembrava essere passato così tanto tempo dall’ultima volta che ero stato lì.
Il tempo di aprire la porta e la vidi alzarsi dallo sgabello della cucina e venirci incontro. “Ehi…”, disse come se fosse un sussurro. “Alex, stai bene?”
“Ally, può restare qui a dormire, non voglio che torni a casa in queste condizioni”, le chiese Jack prima che io potessi risponderle e rischiare di avere una crisi.
“Certo…”
“Grazie”, le dissi sedendomi sul divano.
“Alex mi hai fatto preoccupare!”
“Davvero?”, gli chiesi incredulo delle parole che avevo appena sentito.
“Senti Jack, tranquillo, vai pure a dormire, ora ci penso io”, disse sedendosi davanti a me, come aveva Lisa fatto poche ore prima, ma a differenza sua, la sua presenza non mi dava fastidio.
“Va bene, buonanotte”, aveva risposto lui prima di ritornare nella stanza di Sally.
“Diamine Alex, cosa è successo?”, mi chiese portando una sua mano sulla mia guancia, ma non le risposi, non ci riuscivo. Non sapevo neanch’io il motivo di questo comportamento da stupidi. “Forse dovrei lasciarti dormire, ti prendo un cuscino!”, disse alzandosi dal tavolino ma la bloccai prendendola per la mano costringendola a non allontanarsi da me. Avevo bisogno di sentirla vicino.
“Ally, posso dormire con te?”, le chiesi. “Sono stanco di dormire da solo”
Ero pronto a ricevere un no come risposta o un’infinità d’insulti o magari di pugni oppure tutte e due le cose messe insieme, ma non avvenne. Rimasi sorpreso di come mi fece alzare e condurre nella sua camera.
Mi sdraiai sul letto, come avevo fatto la notte prima di partire, e tutto all’improvviso mi sembrava così familiare. Il profumo delle coperte, la sensazione di essere adeguato e non giudicato, la compagnia appropriata, tutto sembrava perfetto.
“Grazie Ally”
“Buonanotte Alex!”

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Capitolo 12
*** Chap dodici. ***


Chap dodici.
“Buongiorno Jack”, annunciai al ragazzo che era intento a mangiare dei cereali col latte indossando solo dei boxer. Ormai ritrovarsi Jack in cucina era diventata un’abitudine nelle ultime due settimane. Tra poco gli avrei fatto pagare l’affitto o almeno gli avrei chiesto i soldi per la spesa visto che solo lui si faceva fuori metà delle nostre provviste.
“Ally!”, salutò lui con un semplice gesto della mano continuando a mangiare.
“Hai dormito ancora qui?”
“Beh, di sicuro non è un mio hobby andare in giro in boxer a fare colazione a casa degli altri”, disse scherzano.
“Ah no?”, gli chiesi ridendo. “Beh, tu sei Jack Barakat!”, affermai. “Ci si può aspettare tutto da te!”
“Vedo che si sta diffondendo la notizia”
“Sarà un tormentone”, gli dissi continuando a ridere prima di diventare momentaneamente seria. “Quindi tu e Sally…. Beh… mi hai capito…”
“Mi stai chiedendo se abbiamo scopato?”
“Oh no, lo so perfettamente quello... ”, dissi nascondendo una risata che stava per uscire. “Vi sento bene la notte”, non riuscii più a trattenermi. “Beh, insomma, quindi è una cosa seria?”
“Non lo so ancora”, disse stringendosi nelle spalle. “Ci stiamo lavorando… stiamo andando con calma”.
“Con calma?”, replicai non troppo convinta.
“Buongiorno”, annunciò Sally entrando in cucina ed emettendo un enorme sbadiglio. Si avvicinò alla schiena del ragazzo e ci si poggiò sopra per raggiungere le labbra del chitarrista. “Di cosa parlavate?”
“Di voi due che fate porcate alle tre del mattino”, risposi osservando divertita il viso della mia coinquilina che diventava sempre più rosso.
“Come mai sei così allegra?”, mi chiese Sally cercando di cambiare discorso e sedendosi davanti a quello che apparentemente sarebbe stato il suo ragazzo/amante/compagno. Sinceramente non sapevo neanch’io come definirlo.
“Io?”
“Già, ultimamente sei piuttosto allegra”
“Gaskarth si è dato da fare?”
“Come scusa?”, chiesi al chitarrista che continuava a fare strani gesti alludendo a qualcosa che non sarebbe successa per i prossimi, beh… finché non… no, non sarebbe successa mai, punto! “Penso di dover andare”, annunciai prendendo la mia borsa dalla sedia e le chiavi di casa.
“Scappi signorina Porter?”, mi urla Jack facendomi ridere. “Resta qui è affronta questa discussione!”
“Ci vediamo stasera!”
“Ci vediamo dopo in ufficio”
Avevano ragione, ultimamente ero piuttosto felice. Non sapevo spiegarmi neanch’io il motivo, ma mi piaceva questa nuova sensazione. Era da fin troppo tempo che non mi sentivo così bene.
“Ehi Alex, sono quasi arrivata”, dissi al telefono che aveva improvvisamente iniziato a squillare. “Scusami per il ritardo”
“Tranquilla, ti aspetto!”
Non sapevo neanche come spiegarmi questo strano comportamento che avevo iniziato ad avere con lui. Forse mi ero davvero messa l’anima in pace e avevo deciso di comportarmi diversamente.
Da quando era tornato, non aveva accennato di essersi lasciato con la sua ragazza, tanto meno di volerla lasciare. Avevamo deciso di sorvolarci sopra semplicemente non parlandone più e comportandoci come degli amici.
Era decisamente la cosa migliore da fare.
“Eccomi!”, annunciai sedendomi al tavolo davanti a lui. “Scusami ancora”
“Mi sono permesso di ordinare, se non ti dispiace”.
“Tranquillo”, gli risposi facendo spazio alla cameriera che posava in quel preciso istante un cappuccino e un caffè sul tavolo.
“Grazie Susan”, disse lui regalando a quella ragazza un magnifico sorriso che la fece arrossire. Aveva un certo non so che e le ragazze sembravano non resistergli ed io stavo cercando di non cadere nella sua trappola diventando di nuovo una delle sue vittime, ma diventava difficile quando se ne stava davanti a te mentre mescolava distrattamente il suo caffè. Era un controsenso di tutto quello che mi ero ripetuta prima. “Sai pensavo a una cosa…”, disse facendomi abbandonare i miei pensieri.
“Della serie?”
“Tra poco è il compleanno di Jack potremmo organizzare qualcosa di divertente per la sua festa…”.
“Sarebbe una bella idea, ma io non conosco così bene Jack quanto te, quindi non saprei come darti una mano…”.
“Non è questo il problema, basta che mi aiuti, ti dirò io cosa fare”, disse regalandomi uno dei suoi magnifici sorrisi. Probabilmente Jack era davvero fortunato ad avere un amico come lui.

“Quindi cosa avevi in mente di fare?”
“Penso che ti sia fatta già un’idea di come sia Jack… cioè…. Penso che ormai tu lo abbia inquadrato…”, iniziò a dire stringendosi nelle spalle. “Avevo pensato di fare qualcosa di eccentrico, con piume e brillantini e tanta birra…”.

“Intendi dire con delle spogliarelliste?”
“Esatto!”, dichiarò ridendo. “Inoltre penso che sia inutile organizzare una festa a sorpresa, ci romperebbe così tanto le palle che rischieremmo di urlarglielo noi stessi in faccia…”.
“In effetti, è un ragazzo molto…”, dissi cercando di trovare le parole giuste per definirlo. “…determinato”

“Determinato… certo!”
“Quando compierebbe gli anni?”
“Il 18 ne fa 25, se non sbaglio”

“Se non sbaglio?”, gli chiesi ridendo. “Non dovresti sapere quanti anni ha?”
“Dipende gli anni che intendi…”, mi rispose, ma non capii cosa intendesse dire. “Vuoi sapere quanti anni ha o quanti anni ha mentalmente?”, mi spiegò. “Perché la differenza è davvero enorme”, continuò ridendo.
“Quindi abbiamo a che fare con un bambino di cinque anni bloccato nel corpo di un venticinquenne?”
“Ora hai capito!”
“Jack è davvero unico”, dissi sinceramente. “Nel senso positivo”
“In effetti, Jack è quel tipo di ragazzo che piace a tutti: ragazze, genitori, vecchi e bambini. Ci sa semplicemente fare ed emana una sottospecie di aurea che lo fa giudicare simpatico e socievole”, iniziò a dire. “Fa tanto lo scemo del villaggio, ma è una persona fantastica”.
“È davvero bello che tu parli di lui in questo modo…”.
“Siamo amici da tutta una vita, ormai ho imparato ad amarlo… in fondo lui è Jack Barakat, come si fa a non amarlo?”
“Ma tu sei Alex Gaskarth, probabilmente sei uno dei ragazzi più desiderati di tutto il Maryland, mi chiedo chi tu sia davvero?”, gli chiesi sorprendendomi di quello che la mia voce era riuscita a dire senza che me ne accorgessi. “Mi sembri uno sconosciuto, non so quasi niente di te…”, notai che rimase sorpreso dalla domanda che gli avevo appena fatto.
“Io… beh, sono Alexander Gaskarth, ma puoi anche chiamarmi Alex, sono nato il 14 dicembre del 1987 a Essex, il mio secondo nome è William e sono un musicista…”.
“Non voglio sapere la biografia di Wikipedia, voglio sapere chi sei realmente”, gli dissi non distogliendo i miei occhi dai suoi castani. “Chi sei Alex?”, rimase parecchi minuti in silenzio prima di aprire bocca e poi chiuderla immediatamente. Gli avevo posto una domanda cui neanche lui sapeva rispondere. Lo avevo totalmente lasciato senza parole. Per la prima volta mi ero ritrovata davanti a un Alex che riusciva a stare zitto. Non sapevo se approfittarne di quel momento e goderne la tranquillità o cercare di risollevare la situazione con una domanda di riserva.
“Non saprei cosa risponderti”, disse finalmente dopo diversi istanti di silenzio. “Sai, dovrei essere un maestro della parola ed eppure non riesco a formulare una risposta a quello che mi hai chiesto”.
“È così difficile?”
“Penso di non essermi mai soffermato più di tanto su chi io sia…”, disse stringendosi nelle spalle e non distogliendo gli occhi dalla tazza bianca che stringeva tra le mani. “Sono diventato quello che sono grazie alla casa discografica, ai fan e a tutto il resto, penso che la mia vita sia comandata da qualcun altro, ma nonostante ciò, non penso che mi dispiaccia”, continuò a dire. Forse si era sbloccato. “Voglio dire, sono diventato famoso e ora quasi tutti mi conoscono, è quello che ho sempre desiderato essere, però… ”, si fermò. Lasciò la sua frase sospesa per aria, come se stesse cercando qualcosa da dire, qualcosa che andasse bene. Si stava aprendo con me ed ero felice del risultato che avevo ottenuto. Stavo finalmente conoscendo l’Alexander non famoso, quello lontano dai riflettori.
“Però?”, gli chiesi incoraggiandolo a continuare.
“Però niente… non c’è nulla che cambierei di quello che ho fatto fin ora, sono sempre lo stesso stupido ragazzo soltanto con più anni”, disse alzando le spalle. “A volte mi dimentico soltanto di accendere il filtro che collega la mia bocca al mio cervello, e questo mio umorismo fa ridere solo Jack e i bambini”, sorrisi a quella frase.
“Penso che ti sottovaluti, sai essere un fantastico ragazzo quando vuoi”.
“Lo pensi davvero?”
“Penso che potresti esserlo, se solo la smettessi di atteggiarti da rockstar”.
“Io non mi atteggio da…”, gli lanciai un’occhiata che percepì immediatamente. “Ok, forse è vero, a volte mi comporto da stronzo ma non lo faccio a posta… non mi piace apparire debole…”.
“A volte penso all’Alex che si è presentato a casa nostra in piena crisi emotiva e penso a quanto fossi simile a noi comuni mortali…”.
“Mi stai dando della divinità?”, chiese ridendo.
“No, non montarti la testa”, lo avvertì. “Ti stavo definendo come… beh… in effetti, la gente ti tratta come una divinità… non ti da fastidio essere così tanto al centro dell’attenzione?”
“È sia la mia forza e sia la mia kryptonite”.
“Ora sei diventato il Superman del ventunesimo secolo?”
“Non sto dicendo di essere Superman ma soltanto che nessuno ha mai visto me e Superman insieme nella stessa stanza”.
“E dopo questa cazzata me ne vado Alex Kent”, gli risposi scoppiando a ridere. “Ti perdoniamo Mister Gaskarth per tutte le cavolate che dici, soprattutto perché adesso devo andare al lavoro”, dissi alzandomi dalla sedia e prendendo il portafoglio dalla borsa.
“Tranquilla, offro io”
“No, sul serio…”
“Insisto”, disse posando la sua mano sulla mia. “Non sarei un gentiluomo se non lo facessi e da tale ti accompagno in ufficio aprendoti perfino la portiera della macchina”.
“Saresti così galante?”
“I can be a gentleman, anything you want…” canticchiò.
“Ti prego, dimmi che non stai cantando la canzone di Justin Bieber”, quasi lo implorai.
“Se ti dicessi che sto cantando la cover degli Issues, cambierebbe qualcosa?”
“Forse sì, almeno è orecchiabile!”

-Molly
Grazie ancora a Layla e Rack per le recensioni ^^

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Capitolo 13
*** Chap tredici. ***


Alex – P.O.V.
Era tutto pronto. Il locale era pieno, la torta l'avevamo comprata e il festeggiato era con noi pronto a varcare la soglia del night club.
I feel like dancing tonight…”, iniziò a cantare Jack entrando nel locale ormai pieno di gente che lo aspettava. “I’m gonna party like it’s my civil right…”
“Sei così pieno di te che canti addirittura una canzone del gruppo in cui suoni?”, gli chiese Ally ridendo.
Quella sera indossava un particolare vestito nero che le cadeva a pennello, non più lungo né più corto del dovuto, era perfetto così come le scarpe rosse col tacco che indossava, ma quel sorriso sul volto era più prezioso che qualunque gioiello sulla corona della regina d’Inghilterra.
Era bellissima ed io mi stavo innamorando come un coglione!
“Potrei citarti in causa!”, gli dissi unendomi al loro scambio di battute.
“Forza ragazzi, è il compleanno di Jack, lasciamogli fare tutto quello che vuole… ma solo per questa sera!”, si affrettò a dire Sally facendogli un occhiolino malizioso.
La musica a palla, le ragazze che ballavano attorno ai pali e tutti gli amici più stretti erano vicini a Jack. Era una bellissima serata.
“Ora amico, berrai il tuo primo drink da questa bomba sexy”, gli dissi avvicinandoci a una ragazza stesa sul palco. “Abbiamo sale, tequila e limone, non starò qui a spiegartelo, sai bene come funziona!”, dissi porgendogli un bicchierino trasparente e spargendo del sale sulla pancia scoperta della ragazza.
“Amo il mio compleanno!”, esultò lui alzando le braccia al cielo. Accerchiato da gente che lo incitava a dare via alla festa, prese il bicchierino di tequila che gli stavo offrendo e il limone che mise in bocca alla fanciulla stesa davanti a lui. Leccò prima il sale dalla pancia della ragazza, in un solo sorso si scolò il liquido marroncino all’interno del bicchiere e afferrò il limone dalla bocca della spogliarellista senza toccarle le labbra. Nonostante tutto, era rimasto fedele a Sally.
Era davvero una festa fatta con i fiocchi. Eravamo riusciti a organizzare tutto in pochissimo tempo e con grandi risultati. Si vedeva visibilmente che Jack si stava divertendo e che gli piacesse tutto quel movimento fatto da piume, luci e coriandoli su delle belle ragazze che si sarebbero spogliate per lui se solo glielo avesse chiesto.
“Ho sempre desiderato fare questo!”, annunciò Jack salendo sul palco e appiccicandosi al palo da lap dance. Era visibilmente ubriaco e rideva come un pazzo. Dimenava il sedere come solo lui era capace di fare e quando provò ad arrampicarsi sopra, cadde per terra.
In quel preciso istante tutti quanti restammo zitti, trattenendo il respiro col fiato sospeso, immaginando che si fosse fatto male o si fosse rotto qualcosa, ma per fortuna non era così.
“Sto bene!”, annunciò rimettendosi subito in piedi e continuando a ridere e a dimenarsi sul palo seguendo la musica in sottofondo.
“Jack, ti voglio presentare questa bella infermiera”, gli dissi offrendo la sua mano a quella del mio amico che la afferrò scendendo dal palco. “Si prenderà cura di ogni tuo dolore”
“Sei tu il bimbo che oggi compie gli anni?”, chiese un’altra persona. Ci voltammo a guardare chi avesse parlato e ci trovammo davanti ad un uomo vestito da poliziotto, con occhiali da sole e basette bionde. “Mi hanno detto che sei stato molto cattivo!”, non capivo da dove fosse saltato fuori.
“In verità la qui presente infermiera stava per curare la mia bua”, disse Jack cercando di spiegare all'uomo che non era interessato alle sue avance.
“Ne sei sicuro?”, chiese il poliziotto. “Mi hanno detto che ti stai comportando davvero male ragazzaccio, penso che ti dovrò dare una bella lezione!”, continuò lui dandogli una pacca sul sedere. Mi voltai a guardare chi lo avesse spedito e mi accorsi che Ally e Sally stavano indicando nella nostra direzione e ridevano di quando Jack fosse in imbarazzo. Scossi la testa. Erano state piuttosto furbe.
“C’è qualcosa che vuoi dire prima di essere ammanettato?”
“Dovrei parlare con il mio avvocato…”, disse lui facendo dei piccoli passi all’indietro. Probabilmente se la stava vedendo brutta, ma era così divertente vedere Jack in quelle condizioni.
“Non penso proprio!”, continuò lui strappandosi i pantaloni e rimanendo in slip. Vidi Jack impallidire e probabilmente lo feci anch’io. Cercai di svignarmela al più presto prima che la situazione degenerasse. “Ehi biondino, dove cerchi di scappare!”, disse questa volta rivolto a me.
“Io non sono biondo…”, cercai di giustificarmi sperando che si rivolgesse a un altro ragazzo.
“Dovresti essere illegale…”, disse avvicinandosi a me mentre indietreggiavo lentamente a ogni suo passo. “…perché sei stupefacente!”, aggiunse posando un dito sulle mie labbra e facendo poi scorrere l’indice lungo il mio petto. Rabbrividii. Quelle due l’avrebbero pagata grossa.
“Ehi Rob, ottimo lavoro!”, dichiarò Sally avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla. “Sei stato bravissimo!”
“Di nulla bellezze!”, affermò dando una pacca sul sedere di entrambe e allontanandosi da noi dopo averci mandato un bacio con la mano. “È stato un piacere!”
“Mi volete spiegare che storia è questa?”, le chiesi ridendo. “Jack è ancora traumatizzato!”, le dissi indicando il nostro amico steso su uno dei divanetti.
“Suvvia, era un piccolo scherzo innocente!”, mi rispose Allyson continuando a ridere. Non riuscivo a resistere al suono della sua voce e alle sue labbra che si dischiudevano.
“Ci avete fatto prendere un colpo!”
“Rob è un bravo attore!”, rispose Sally avvicinandosi al suo ragazzo. “Ehi Jack!”, gli disse baciandolo dolcemente. “Il poliziotto cattivo se ne è andato via!”
 
Tralasciando il piccolo spavento, la festa stava andando alla grande e nonostante fossero le tre passate, c’era ancora gente che ballava e scattava foto. Jack mi sarebbe stato debitore a vita. Avrebbe dovuto organizzarmi una festa degna di essere chiamata tale ma speravo che se la sarebbe ricordata perché dopo il primo short di tequila aveva ingurgitato vari liquidi di colori e gradi diversi e probabilmente si sarebbe risvegliato la mattina successiva ricordando soltanto un terzo della serata.
“Ehi Rob, posso farti una domanda?”, gli chiese Jack quando il poliziotto si sedette in mezzo a noi. Gli sembrava essere passato il piccolo momento di panico avuto al primo incontro oppure era l’alcool ma in fondo quel l'uomo era simpatico nonostante ci provasse spudoratamente con noi.
“Dimmi bellezza!”, disse lui posando le sue mani dietro alle nostre schiene.
“Quanto guadagni in un anno facendo questo?”, gli chiese con mia sorpresa.
“Dipende, dai 7.000 ai 10.ooo$ all’anno facili, senza mance, quelle sono extra”.
“Accidenti!”, disse sbalordito.
“Ti interessa provare?”
“Io?”, rispose lui ridendo. “In effetti, è sempre stato il mio sogno!”, confessò continuando a ridere. Non capivo se stava scherzando o se fosse realmente serio. “Se praticamente volessi entrare nel settore, che esigenze ci sono nel reparto beh…?”, chiese indicando il cavallo dei suoi jeans scuri.
“Non importa quanto ce l'hai grosso, le donne vogliono che tu racconti una storia, che le faccia viaggiare con la mente, che le rendi protagoniste di una notte di passione, devi farti desiderate, farle impazzire con dei semplici sguardi”.
“Sembra eccitante”
“E lo è!”, rispose fiero il poliziotto. “Senti, ti do un numero da chiamare”, disse porgendogli un biglietto tirato fuori dalla tasca del giubbotto. “Se hai intenzione di provare, questo è il numero giusto!”
“Grazie amico!”
“Anche tu sei interessato?”, chiese questa volta rivolto a me.
“Io?”, chiesi retoricamente. Non avevo mai pensato a questa professione e non riuscivo neanche a immaginare di spogliarmi davanti a delle persone. “No, non farebbe per me”
“Dovresti provarci!”, disse porgendomi lo stesso biglietto che aveva dato prima al mio amico. “Voi due fareste cadere ai vostri piedi miliardi di donne!”
“Oh Rob!”, intervenne Jack facendo una strana vicina, molto effemminata, come quella che faceva solitamente durante gli show. “Tu ci stai adulando!”
“Sto dicendo la verità!”, disse lui tirando giù gli occhiali da sole e facendo l’occhiolino al ragazzo. “Ora vado a lavorare, tra poco c’è il mio spettacolo e di là ci sono molte donne eccitate!”, ci informò ridendo. “Buon compleanno Jacky!”
“Ci stai realmente pensando?”, gli chiesi a Jack perplesso che si stava rigirando tra le mani il biglietto che Rob gli aveva appena lasciato.
“Sto valutando l’idea di diventare uno spogliarellista se la nostra carriera da musicisti dovesse finire”, non gli risposi, mi limitai a ridere a quella che probabilmente sarebbe stata una battuta.

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Capitolo 14
*** Chap quattordici. ***


Ciao quattordici. - Ally P.O.V.
La festa stava andando alla grande, Jack si stava divertendo così come tutti gli altri. Ero felice di quello che Alex ed io eravamo riusciti a organizzare. Messi insieme non eravamo per niente una pessima coppia, forse un po’ male assortita, ma ce la cavavamo bene.
“Ehi straniera!”, mi salutò Jack sedendosi su uno sgabello vuoto di fianco al mio.
“Ehi rockstar!”
“Ti stai divertendo?”
“Decisamente!”, dichiarò. “È la migliore festa di compleanno che abbia mai avuto!”
“Ne sono felice!”, dissi portandomi il cocktail alle labbra.
“Come mai qui da sola?”
“Open bar”, gli risposi bevendo un sorso dal bicchiere bianco che reggevo tra le mani. “Non si rifiuta mai un open bar”
“Mi sembra giusto…”, con una mano chiamò il barista che gli portò immediatamente una Stella Artois ghiacciata. “Tutto apposto?”
“No, penso di no!”
“Cos’è che ti affligge?”
“Faccio bene a non credergli?”, gli chiesi. “Ad Alex… dovrei dargli un’altra possibilità?”
“Non lo so Ally”, mi rispose. “Io penso che tu sia una di quelle ragazze per cui vale la pena riprovarci”, disse alzando le spalle. “Se fossi in lui, anch'io sarei ritornato”.
"Anche se sarei costretta a diventare l'altra ragazza?", gli chiesi sconsolata.
"Non penso che questo sia il vero problema tra di voi…”.
"Che cosa intendi dire?"
"Ci sono cose rimaste non dette", mi rispose semplicemente stringendosi nelle spalle e bevendo un sorso di birra dalla sua bottiglia. "Non è così difficile come sembra. Decidetevi a parlare di cose serie, avete superato la fase adolescenziale di Dawson's Creek”.
“Grazie Jack"
“Alex è un mio amico, ormai lo conosco da troppo tempo e so come si comporta”, ribadì. “Tu invece sei una novità, cioè, pian piano sto imparando a conoscerti e sei una ragazza tranquilla, posata, totalmente diversa da lui e la cosa assurda è che quell’idiota sta facendo di tutto per comportarsi bene, anche se non gli riesce granché”, disse bevendo un altro sorso della sua birra. “Però gli piaci sul serio”
“Sai Jack, in fondo non sei poi così male”, gli feci notare porgendogli un sorriso. “Sally è stata fortunata a incontrarti”
“Non sei la prima che me lo dice”
“Molta gente ti sottovaluta”
“Ehi, ricorda che sono Jack Barakat!”, mi disse facendomi l’occhiolino.
Quel ragazzo aveva un modo tutto suo di ragionare, ma quando voleva, poteva essere anche la persona migliore di questo mondo. “Ah proposito di Alex, sta per fare uno spettacolo!”, annunciò indicando con la testa il ragazzo su uno dei palchi del locale. Ci spostammo dal bar andando verso di lui. "Dovresti farlo smettere di bere…"
Alex era salito sul palco e si stava muovendo a tempo di musica. Alzava le braccia, beveva dalla bottiglia che teneva in mano, si scopriva gli addominali cercando di apparire il più sensuale possibile. Stava facendo davvero uno spettacolo a quelle ragazze che avevano deciso di ammirarlo dagli sgabelli posti sotto il palco. Indossava un boa di piume attorno al collo e degli occhiali da sole, si sentiva proprio un divo e l'immagine di lui che era totalmente fuori di testa mi stava letteralmente uccidendo dal ridere, così come Jack che era piegato in due mentre si reggeva la pancia.
"E ora canterò per voi!", urlò indicando il pubblico femminile ai suoi piedi appena la cover di Poker Face degli You Me at Six fu riprodotta in sottofondo. 
La sua voce era così sensuale e i suoi movimenti così provocatori. Aveva innescato in me una strana sensazione che si fece sentire all'interno del mio stomaco. Mi sembrava di avere degli elefanti anziché delle farfalle.
Per quanto fosse strana quella sensazione, mi piaceva.
"Ehi Jack, lo stai vedendo?", gli chiese un ragazzo poggiando un braccio attorno alle sue spalle. Era poco meno di lui, con braccia muscolose e capelli corti, castani, così come i suoi occhi che tendevano al verde. Aveva un bellissimo sorriso che si abbinava perfettamente ai suoi lineamenti che erano caratterizzati da un anello che gli bucava la narice.
"È ubriaco marcio!", commentò.
"Uhm... Forse è meglio se mi dedico a quelle ragazze laggiù, cercherò di salvarle da Alex ubriaco... e arrapato", probabilmente quel ragazzo non aveva perso tempo in chiacchiere e aveva subito analizzato accuratamente tutte le ragazze all'interno del locale. "Ehilà", mi salutò stringendomi attorno alle spalle un braccio completamente tatuato.
"Ehi Zack!", lo salutai. L'ultima volta che c’eravamo visti era stato durante il loro ultimo show a Baltimora. Mi era sembrato un ragazzo particolarmente tranquillo, cosa che mi ero immediatamente ricreduta dopo averlo visto in azione con le ragazze che aveva adocchiato.
 
Alex P.O.V.
Ormai la gente se ne stava andando e la serata si stava concludendo, ma non per noi. Eravamo rimasti noi due con Ally e Sally insieme a Zack e Rian con Cassadee, la sua fidanzata, e altri ragazzi dello staff. Ci raggiunse anche Rob, lo spogliarellista.
“Potremmo fare un gioco!”, propose Jack catturando l'attenzione di tutti noi.
“Quale?”
“Kiss or Ask!”, propose ma calò il silenzio tra di noi che ci guardavamo confusi.  “Non guardate mai la tv?”, chiese incredulo. “Lo fanno sempre nei telefilm... Comunque, per chi non sapesse come si gioca, qualcuno fa una domanda, un altro deve rispondere sinceramente oppure baciare la persona che gli ha fatto la domanda”
“Mi sembra un gioco stupido e da ragazzini”
“È il mio compleanno e decido io!”, disse facendo sporgere il labbro inferiore così da assumere una faccia da cucciolo. 
“Va bene principessa Barakat!”, dissi accontentando il nostro amico. Non sarebbe stato facile fargli cambiare idea soprattutto quando s’imponeva su qualcosa.
“Prendiamo dei bicchieri e sediamoci qui”, ci ordinò sedendosi per terra, tra i coriandoli argento e le piume dei boa delle ballerine.
“Bene, allora iniziamo con te Jack che sei il festeggiato!”, dissi bevendo un sorso dalla mia birra. “Cosa potrei chiederti?”, mi domandai portandomi un dito sul mento. “Iniziamo con qualcosa di semplice… ti è piaciuta la festa?”
“Amo questo posto e amo queste ragazze e penso di amare Sally!”, disse ridendo trasportato dall'alcool. “Ora tocca a me!”, esultò eccitato come un bambino. “La mia domanda è per Sally!”, disse diventando momentaneamente serio. La guardò dritto negli occhi e le chiese: “Verresti a vivere da me?”.
Improvvisamente cadde il silenzio tra di noi. Non ci saremmo mai aspettati che Jack dicesse una cosa del genere, tantomeno non se lo aspettava neanche lei.
“Jack sei ubriaco!”, rispose ridendo.
“Sono serio!”, ribadì cercando di assumere un’aria seria che però non gli riusciva bene. “Allora?”, attendavamo tutti la sua risposta.
Sally guardò prima Jack, poi il suo sguardo si posizionò su Ally che le porgeva un enorme sorriso incitandola a rispondere, e poi tornò di nuovo su Jack. “Diamine, si”, gli rispose buttandogli le braccia al collo e baciandolo. Applaudimmo a quella scena, alcuni fischiarono.
Forse Jack stava crescendo. Forse aveva capito che era ora di smettere con le storielle da una notte e via e doveva concentrarsi su una storia seria. Forse Jack era più maturo di quanto mi aspettassi.
“Ehi, il gioco si chiama «bacia o rispondi» non «bacia e rispondi»!”, disse Zack ridendo, spezzando quel momento romantico che si era creato. “Scollatevi piccioncini!”
“Sei solo geloso perché non sei capace di mantenerti una ragazza fissa!”, gli rispose Rian mettendo un braccio attorno a Cassadee. Nonostante gli volessi bene, mi chiedevo che cosa ci facesse una ragazza come lei, così bella e piena di talento, con uno come Rian. Certo, era il tenerone e romanticone del gruppo ma rappresentava a tutti gli effetti l'immagine del ragazzo tranquillo che per svagarsi suonava la batteria, non aveva nulla di particolare. Forse era stato il suo sorriso da 'pubblicità per un dentifricio' a fare colpo su di lei. In effetti anch'io sarei caduto ai suoi piedi se avessi ricevuto un sorriso da quella dentatura perfetta e smagliante.
“Ok Zack!”, gli chiese il batterista. “Visto che ti piace parlare, rispondi: la frase più strana che ti hanno detto!”
“Sei tutto il porno di cui ho bisogno!”, dichiarò fiero e senza vergogna, ma continuando a ridere.
“Non ci credo!”
“Chiedi a Katie!”, ribadì orgoglioso e sorridendo probabilmente a un ricordo che gli era tornato in mente.
“Jack ho una domanda per te!", chiese Rob. "Chiamerai quel numero per il lavoro da spogliarellista?”
"Spogliarellista?", chiese qualcuno ridendo dell'idea di Jack che si spogliava davanti a un pubblico di donne. In effetti quella scena non era neanche tanto strana, ormai noi della band c’eravamo abituati a vederlo in boxer e anche nudo, coperto solo dalle due mani. Anche i fans si erano abituati, ma sembravano volerne di più e lui li assecondava sempre
“Ci farò un pensierino…”, rispose stingendosi nelle spalle.
“Non penso che sia accettabile come risposta!”
“Rob a cuccia!”, disse lui fermando l’uomo che si stava avvicinando. "Ci hai provato..."
“Tocca a me!”, annunciò Ally. “Una domanda per Zack!”, continuò a dire. “Cosa ve ne fate di tutti i reggiseni che vi lanciano sul palco?”, chiese ridendo.
“A questa domanda non posso rispondere!”, disse strizzandole l’occhio. “È un segreto della band!”
“Mi sa che allora dovrò baciarti!”, gli rispose lei ridendo. Zack si alzò dal suo posto per avvicinarsi a lei e posandole una mano sulla guancia, fece incontrare le sue labbra con quelle di Allyson. Mi fece uno strano effetto vederla. Come se fossi un po’ geloso o forse lo ero completamente. Mi aveva dato fastidio che quelle labbra avessero toccato quelle di Zack o che fosse stato proprio lui a farla ridere per l’imbarazzo. Non ero stato io che l’aveva fatta arrossire ma il donnaiolo della band, e non mi andava giù che si era fatta baciare tranquillamente senza dare di matto come aveva fatto con me.
“Se vuoi vomitare c’è un cestino qui dietro”, le dissi cercando di farmi passare l’amaro in bocca.
“Sta zitto, Alex”, rispose tuttavia lui.
Continuammo così per un po’ finché non ritornò il turno di Jack di porgere una domanda. “Perché i fan sono fissati con il Jalex?”, mi chiese.
“A questa domanda non so risponderti...”, dissi facendo involontariamente una smorfia con la bocca. Non capivo come mai questa fissazione era nata tra i fan. Certo, io e lui ci mettevamo del nostro ma comunque scherzavamo sempre. Era solo per divertici. Senza un reale interesse.
“Penso proprio che ci tocca baciarci”, annunciò Jack.
“Bacio! Bacio! Bacio!”, iniziarono a dire in coro tutti quanti. Lanciai un occhiataccia a Zack e a Rian che sbattevano addirittura le mani sul tavolo e che fischiavano come quegli uomini nei film che lavoravano nei cantieri e vedevano una bella donna.
“Il Jalex è come gli unicorni…”, iniziai a dire cercando di evitare le labbra del mio migliore amico.
“La sappiamo bene questa storia ma ora ti tocca baciarlo!”, disse Rian forse un po’ troppo sovraeccitato. Era meglio se smetteva di bere mentre io non ero abbastanza ubriaco da farlo.
“L’ho immaginato per così tanto tempo e ora non posso guardare!”, aveva detto Vinny, un amico che lavorava nel nostro staff, portandosi le mani davanti agli occhi, ma comunque tenendo aperte le dita così da guardare la scena.
Jack si avvicinò guardandomi intensamente negli occhi. “Mi raccomando, niente lingua Gaskarth!”, scherzò prima di poggiare le sue labbra sulle mie. Sentii alcuni gridolini e urla da chi c’era intorno. Era durato pochissimi secondi come quelli che erano capitati di scambiarci negli show, solo per far felice qualche fans e così avevamo fatto anche questa volta.
“Ally tocca a te!”, l’avvertì Zack e ciò m’irritò. Davvero ero infastidito da Zack? Davvero mi sentivo minacciato da lui? Tutto questo era totalmente stupido. Sapevo perfettamente che Ally non si sarebbe lasciata abbindolare da lui, tantomeno lui avrebbe concluso qualcosa con lei per una scopata e basta. Eppure non ne ero totalmente convinto.
“Cosa è successo con Lisa?”, chiese. Distratto nei miei pensieri non capii immediatamente che la domanda fosse rivolta a me fino a quando non sentii il silenzio che si faceva strada tra di noi e il peso del loro sguardo su di me.
“Io… non so come…”, cercai di dire senza riuscire a formulare una frase dal senso compiuto. Ero stanco che Lisa fosse per me un argomento tabù. Ero stato io a lasciarla eppure ancora non mi spiegavo come mai mi ostinavo a non parlare della nostra rottura.
“Amico, ti tocca baciarla!”, continuò il bassista.
Sospirai. Almeno questa volta sarei stato io. “Va bene!”, dissi avvicinandomi a lei. Le posai la mia mano sul suo collo e la guardai intensamente un istante.
“Te ne andrai anche questa volta?”, sussurrò in modo che la potessi sentire solo io.
“No, non stavolta!”, dissi prima di posare le mie labbra sulle sue. Aprimmo gli occhi rimanendo ancora uniti. “Resterò qui ancora per un bel po’”, le sussurrai tra le labbra.
Ed era vero! Non avevo intenzione di andarmene da nessuna parte, almeno fino a settembre, quando sarebbe ricominciato il tour e questa volta sarei stato via per molto più tempo, ma questo non doveva influenzare le mie azioni.

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Capitolo 15
*** Chap quindici. ***


Chap quindici. - Alex P.O.V.
Guidai. Guidai più veloce che potevo per arrivare finalmente davanti a casa sua. Mentre la città scorreva veloce fuori dai finestrini, mi persi in lei. Mi voltai a guardarla mentre le insegne dei locali le illuminavano il viso. Mi puntai nella testa che dovevo restare attento alla guida, soprattutto dopo aver bevuto tutte quelle birre, ma la mia mente era confusa, dovevo trovare una scusa per smettere di guardarla così da non far rischiare la mia e la sua di vita.
Ero sempre stato convinto che Lisa fosse la ragazza giusta per me, ma quando quella sera vidi Ally, così allegra e felice della festa che avevamo organizzato, qualcosa era cambiato in me e tutto in quello che avevo creduto era magicamente scomparso in un enorme puff, come quello che si vede nei cartoni animati della domenica mattina. Forse la persona giusta arrivava quando meno se lo aspettava, come per magia, pronta a sconvolgerti totalmente la vita, oppure non arrivava mai, ma tutto quello che sentivi era una completa euforia che non riuscivi a trattenere.
E mi sentivo come se fossi ubriaco marcio e non era solo il fatto di esserlo sul serio, ma la mia mente non riusciva a trovare una scusa plausibile per smettere di guardarla, per fare le cose con calma, per non accostare la macchina e avvicinarmi pericolosamente alle sue labbra. Ero totalmente comandato da una forza superiore che non riuscivo a controllare e per quanto mi sforzassi di oppormi, tutti i miei sforzi erano inutili, forse perché non lo volevo sul serio e mi stavo abbandonando ai miei pensieri, ma senza accorgermene ci trovammo sotto casa sua e all’improvviso tutto fu chiaro.
 
Ally P.O.V.
“Sono felice che Jack si sia divertito!”, dissi togliendomi le scarpe e gettandole sul pavimento. Era una bella sensazione quella di poter camminare a piedi scalzi sul parquet di casa propria. “Sembrava un bambino in un negozio di caramelle eccitato dal troppo zucchero, solo che il negozio era uno strip club e che le caramelle fossero bottiglie di alcool…”.
“Benvenuta nel mondo di Jack!”, disse Alex ridendo, chiuse la porta di casa dietro di lui e lasciò cadere le chiavi dell'auto sulla penisola che divideva la cucina.
“Adesso è meglio che io vada a dormire… grazie per il passaggio”, dissi portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Di nulla... ”, rispose rimanendo immobile davanti a me, come se non si fosse accorto che lo stavo gentilmente scacciando.
“Ora, però, dovresti tornare anche tu a casa da…”.
“…da Lisa?”, mi chiese irritato. “È ciò quello che stai realmente pensando in questo momento?”
“Ora basta, Alex!”, gli dissi cercando di calmarlo ma finii per farlo arrabbiare più del dovuto. Poggiò le sue mani contro il muro bloccandomi in mezzo.
“Davvero non capisci quanto ti desidero?”, mi chiese lasciandomi senza parole. Non sapevo cosa dire, cosa fare. Restai diversi minuti in silenzio guardandolo negli occhi, assaporando il suo profumo mischiato all’odore della birra, a pochi centimetri dal suo volto, dalle sue labbra.
“Mi desideri?”, riuscii finalmente a dire.
“Sì, diamine!”, disse abbassando la testa, poggiando la sua fronte con la mia. “Credevo che l’avessi capito ormai…”
“Come pensi che avrei dovuto... ”
“Tu sei la prima, dopo tanto tempo, che ho voluto davvero conquistarti e con te mi sembra sempre di sbagliare tutto, qualunque cosa faccia sembra che ti faccia sempre soffrire”.
“Alex, non dire idiozie!”
“Ti prego, dimmi che anche tu hai perso la testa per me!”, mi chiese quasi implorando. Nel profondo della mia mente una voce mi prega di non dirlo, sapeva che sarei rimasta fregata di nuovo, ma dall’altra parte c’era la sua voce. “Dimmelo Ally!”.
Avevo il presentimento che se mi fossi fidata di lui avrei sofferto di nuovo, però non potevo fare sempre quello che diceva la mia testa. A volte bisognava fidarsi del proprio cuore e fu quello che feci in quel preciso istante. Mandai al diavolo la mia parte razionale fregandomene completante se poi sarei stata male.
“Sì, ho perso la testa per te, ma questo non significa che…”, non riuscii a concludere la mia frase. Le sue morbide labbra erano di nuovo sulle mie e questa volta non per gioco. Si muovevano lentamente, come se volessero apprezzare ogni attimo di quel bacio. Si trattava di un bacio lento, dolce, poi diventò più veloce. Sentivo il suo corpo premere contro il mio che si era completamente abbandonato lungo la fredda parete che mi reggeva in piedi.
Ormai era troppo tardi. Sia il mio cuore sia il mio corpo appartenevano a lui. Mi stavo innamorata di un ragazzo che era entrato nella mia vita senza chiedere nulla, in silenzio, in punta di piedi e aveva iniziato a sconvolgerla come solo lui sapeva fare. Mi mandava di matto, mi faceva arrabbiare, ma mi faceva anche ridere. Quando ero insieme a lui riusciva a farmi stare bene e di questo gliene ero grata.
Questo era quello che volevo davvero, che era rimasto sepolto dalle mille preoccupazioni, ma alla fine era emerso e stava succedendo.
"Non so cosa dare per far sì che questo momento potesse durare per sempre fintanto che sono insieme a te", sussurrò a pochi millimetri dalle mie labbra. 
“Alex, sii sincero…”, gli chiesi staccandomi da lui. Non poteva essere tutto così perfetto. Ci dovevano essere delle complicazioni da qualche parte. “Cosa è successo con Lisa?”, abbassò lo sguardo ed io mi schiacciai contro il muro, pronta a prendere l’ennesima batosta. In fondo me la ero andata a cercare da sola.
“Ci siamo lasciati!”, disse soltanto. Lo guardai negli occhi cercando un briciolo di bugia, e se era vero come dicevano che gli occhi erano lo specchio dell’anima, beh, i suoi erano limpidi.
“Quante ore fa è successo?”
“Parecchie settimane, direi…”, rispose stringendosi nelle spalle. “Precisamente la sera stessa che sono tornato a casa dal tour”.
“Perché l’hai fatto?”
“Che importanza ha ormai?”
“Perché non voglio essere io quella che ha rovinato il vostro rapporto”.
“Il nostro rapporto era già rovinato da tempo, nulla avrebbe peggiorato le cose…”.
“Quindi ora…”
“…ora ti vorrei chiedere se ti andasse di condividere questa buonissima bottiglia di champagne che ho preso dal compleanno di Jack”, disse allungando una mano verso la penisola e prendendo la bottiglia che non avevo visto portare in casa.
“Scusa, sei diventato l’ispettore Gadget?”, gli chiesi ridendo e portandomi involontariamente una mano davanti alla bocca.
“No, chiamami Bond…”, disse togliendosi gli occhiali da sole che si era prontamente messo prima di mettere in atto tutto questo spettacolino. "Alexander Bond!"
"Tu sei pazzo!", gli feci notare. "Teneramente pazzo!", ribadii più convinta di prima. “Però questo è sbagliato, è totalmente sbagliato e lo sappiamo entrambi, non puoi venire qua e dare questo spettacolo e aspettarti che io mi fida di te", disse la mia parte razionale che si era ribellata e uscita di nuovo allo scoperto. "È davvero questo quello che vuoi?"
"Si Ally, voglio una relazione seria, stabile, chiamala te come meglio preferisci, ma voglio stare con te”.
"Alex tutto è contro di noi... "
In pochi secondi si avvicinò a me e posò le sue mani sui miei fianchi. Lo stava facendo di nuovo. Mi stava ingabbiando all'interno della prigione che costruivano i suoi occhi castani, da cui non riuscivo a evadere. Ed ero stanca di questa situazione. Volevo soltanto che la mia mente la smettesse di porre resistenza e che per una volta decidesse quella parte di me che voleva essere felice.
"Il tuo corpo è più sincero di te, lo sai?", mi sussurrò in un orecchio. La sua voce da seduttore mi fece venire dei brividi lungo la schiena. Il suo tocco mi faceva perdere le forze e i suoi baci mi mandavano in fiamme.
“Alex…”
Se lui fosse stato il diavolo, avrei fatto di tutto per raggiungere l'inferno.
“Per adesso non possiamo goderci questo momento?”, disse sussurrando di nuovo. Se mi avesse detto ancora qualcosa con lo stesso tono, probabilmente avrei fatto qualunque cosa mi avesse ordinato.
Mi afferrò per mano e mi trascinò per il corridoio verso la mia stanza da letto. La mia mente era completamente in stand-by, incapace di capire cosa stesse succedendo. In pochi secondi mi trovai distesa sul letto, con lui sopra, a un passo da me che mi baciava con passione mentre lottava con la zip del vestito.  Si sfilò le scarpe buttando per terra anche i calzini.
I suoi pantaloni a vita bassa non erano stati per niente difficili da sfilare così come la maglietta bianca della AWG che sfilai velocemente lasciandolo in pochi secondi in boxer.
Lo aiutai con il mio abito che fece subito compagnia ai suoi vestiti.
Iniziò a baciarmi lentamente. Sulle labbra, lungo il collo, fino alla mia pancia. Mi faceva impazzire e tutta quell’attesa aumentava il mio desiderio di averlo.
“Ho bisogno di te!”, sussurrò guardandomi dal basso. Lo aveva fatto di nuovo! Aveva utilizzato di nuovo quella voce. Non sapevo cosa dire. Avevo voglia di lui, ma contemporaneamente avevo paura di quello che sarebbe accaduto dopo, a quello che ci avrebbe aspettato la mattina successiva, quando ci saremmo svegliati e saremmo tornati alla solita vita di sempre.
Facendo presa con sulle braccia si sollevò sopra di me, così guardarmi negli occhi e ricevere una risposta che ancora non gli avevo dato.
Istintivamente posai una mano sul suo petto sentendo i suoi addominali nascosti.
Lo sentivo sospirare e un brivido percorse di nuovo la mia schiena.
Il suo sorriso, perso in un bacio più morbido, abbandonato sulle mie labbra. I nostri cuori accelerarono contemporaneamente perdendosi nei rumori della notte.
Eravamo solo noi due e per ora andava tutto bene.

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Capitolo 16
*** Chap sedici. ***


Chap sedici.
Non ero certa di essere completamente sveglia, tantomeno di essermi mai addormentata ma continuavo ad avere davanti agli occhi l’immagine di Alex che dormiva beatamente di fianco a me. Nonostante fosse giugno, un leggero lenzuolo bianco gli copriva la parte finale della schiena lasciando intravedere l’elastico nero dei suoi boxer.
Mi morsi il labbro inferiore. Probabilmente questo era stato il peggiore errore che avessi fatto in vita mia e sapevo che me ne sarei pentita amaramente quando sarebbe finito tutto, perché sapevo che sarebbe finito tutto e sapevo anche che qualcosa si sarebbe messo tra di noi. Non sarebbe stato il tour, non sarebbero state le persone, ma qualcosa sarebbe successo e lo sentivo nel mio stomaco. Era una di quelle sensazioni che solitamente sono chiamate «sesto senso» e di solito non gli davo mai retta ma questa volta era diverso. Una forza dentro di me mi spingeva a credergli e mi metteva in allerta.
Nonostante tutto, però, non riuscivo a non smettere di sorridere al pensiero di lui che dormiva come un bambino, con l’espressione simile a quella di qualcuno completamente abbandonato in un sogno che avrei tanto voluto sapere.
Senza rendermi conto mi ritrovai a percorrere con un dito il contorno del tatuaggio che aveva sulla mano sinistra. Una rosa rossa rubino con delle iniziali sotto di essa. C’era scritto: T.E.G... mi chiedevo quale fosse il significato di quel tatuaggio e anche di quello buffo che portava sullo stesso avambraccio, uno scheletro che indossava un costume da scheletro mentre faceva dolcetto o scherzetto. Inoltre aveva un terzo tatuaggio, ma su quello ero sicura al cento per cento che centrasse con la band, se non sbagliavo, dietro al suo orecchio, c’era un piccolo cranio con le ossa incrociate ed era il simbolo della band. Avevo visto lo stesso tatuaggio su entrambi i membri del gruppo.
“Se è un nuovo modo per dirmi di svegliarmi, sappi che mi piace”.
“Ti ho svegliato?”
“Sì, ma non è un problema”, mi disse continuando a tenere gli occhi chiusi.
Mi persi a guardarlo e mi ritrovai di nuovo dispersa in mezzo al mare dei miei pensieri. Mi stavo di nuovo abbandonando a tutte quelle domande, a quei filmini mentali e ai numerosi ‘se’ che sarebbero venuti dopo. Mi stavo preparando alla batosta che mi avrebbe colpito in piena faccia appena mi sarei alzata da questo letto. Sembrava un luogo così neutrale, come un’isola dove potevamo rifugiarci prima di iniziare a litigare per la medesima volta.
Mi ero arresa così facilmente alle sue parole. Pensavo di essere più forte e invece ero ceduta. Speravo soltanto che questa volta sarebbe andata diversamente.
“Stai bene?”, mi chiese aprendo finalmente gli occhi e riportandomi alla realtà.
“Penso di si…”, gli risposi titubante mordendomi il labbro inferiore. “Cosa significa il tatuaggio?”
“Lo scheletro?”, mi chiese. “Mi piace Halloween, è la mia festività preferita”, rispose regalandomi uno dei suoi sorrisi sghembi.
“Intendevo la rosa… chi è T.E.G.?”, gli chiesi. Immediatamente vidi il suo viso rabbuiarsi e cambiare drasticamente espressione. Forse gli avevo fatto una domanda troppo personale e plausibilmente non se la sentiva di rispondermi. “Scusami… non sei obbligato a parlarne se non vuoi…”, mi affrettai a dire. Non volevo che si rattristasse per un mio stupido errore. Probabilmente gli avevo aperto una ferita che gli faceva ancora male.
“È mio fratello”, rispose sorprendendomi.
“Se non vuoi parlarne… tranquillo”
“Non ti preoccupare…”, mi rispose girandosi con la schiena sul materasso e portando davanti a se la mano con la rosa. “Si chiama Thomas…”, disse guardandosi il tatuaggio. Si stava fidando di me, di nuovo. Stava cercando di farmi entrare all’interno del suo mondo ed io ero pronta a buttarmi a capofitto. Se era quello che voleva non mi sarei tirata indietro. “... cioè, si chiamava Thomas”, fece una breve pausa dove sospiro. Potevo immaginare cosa stesse per dire e in quel preciso istante capii che quel ragazzo, che faceva di tutto per apparire forte e sempre allegro, era pieno di insicurezze, di timori e di dolori. Aveva solo bisogno di qualcuno che gli stesse accanto e lo consolasse quando il mondo gli crollava addosso. “È successo nel 2004, io avevo solo diciassette anni quando accadde mentre lui ne aveva ventuno… è morto nel sonno”, disse facendo una pausa tra una frase e l’altra. “Queste lettere sono le sue iniziali: Thomas Edison Gaskarth”, mi spiegò. “Non mi piace parlare di lui, è abbastanza doloroso. Ho scritto anche qualche canzone, come per sfogarmi e da una parte ci sono riuscito ma dall’altra parte odio profondamente sentirle o semplicemente cantarle. So che per molti fan «Lullabies» è stata importante, li ha aiutati a superare un periodo difficile e lo capisco da come alcuni di loro piangono mentre mi ritrovo sul palco a cantarla, ma è doloroso”, disse. “Fa male!”
Non sapevo cosa dirgli. Un semplice «mi spiace» non avrebbe fatto la differenza tantomeno lo avrebbe riportato in vita e di sicuro sapevo che Alex non avrebbe voluto la mia pietà così mi limitai a non dire niente e abbracciarlo forte. Rimasi allibita di dove avessi trovato tutta quella forza ma sapevo che ne aveva bisogno e volevo fare di tutto per risollevarlo. Se sapevo che lo avrei reso triste, di sicuro, non gli avrei posto quella domanda. Mi sentivo in colpa per avergli portato alla luce tale ricordo.
“Grazie”, sussurrò ricambiando il mio abbraccio.
“Ti andrebbe di fare colazione?”, gli chiesi cercando di distrarlo. “Ti preparo i pancake…”
“Ally, non voglio che tu sai carina con me solo perché ti ho raccontato questa storia”, disse alzandosi a sedere. “Voglio che tu sia carina con me perché te lo senti di esserlo, non voglio obbligarti a fare qualcosa che non vuoi…”.
“Ti riferisci a quello che verrà dopo?”, annuì. “Quindi ora cosa facciamo?”, gli chiesi. “Cosa siamo?”
I want to write a song that makes you smile. One that keeps you around for a while”, canticchiò.
“Sarebbe una bella frase da utilizzare se solo non lo avessero già fatto i You Me At Six
“Io li conosco!”
“Se ricominci di nuovo con la storia che tu conosci molte band famose…”.
“Stavo scherzando…”, si affrettò a dire prendendomi per i fianchi e buttandomi di nuovo a letto. Finii con lui sopra che mi guardava continuando a sorridere. Un sorriso che gli avrei volentieri tolto prendendolo a schiaffi, ma mi sarei accontentata anche di baciarlo solo per farlo smettere e rimasi sorpresa di come fosse riuscito a leggermi nella mente e rimediare alla distanza che c’era tra le nostre labbra.
“Non mi avevi promesso dei pancake?”
“Quindi ora non mi dovrei sentirmi obbligata?”, gli chiesi rivolgendogli uno sguardo arcigno.
“Sai, forse potrei davvero scrivere una canzone su questo momento… su queste chiacchiere intime fatte a letto”, disse cercando di cambiare discorso. “I’m lost in empty pillow talk again…”, canticchiò.
“È una bella frase, ma con me non attacca!”, lo avvisai tirandogli un cuscino addosso.
“Quindi vuoi la guerra?”, mi chiese prendendomi per i fianchi e iniziando a farmi il solletico.
“Ti prego… no!”, gli urlai. “Mi fai morire così…”
“Te la sei cercata!”
“Aspetta!”, lo fermai. “Aspetta… il telefono!”
“Non usare scuse!”
“Sul serio, aspetta… ascolta!”, gli feci notare. “Certo che come musicista fai un po’ schifo!”, gli dissi alzandomi dal letto e infilandomi la sua maglietta raccogliendola da terra. “Dovresti avere un udito più sopraffino”
“Tutte scuse!”, rispose stringendosi nelle spalle e tornando a stendersi sul letto.
Mi affrettai a raggiungere il cellulare prima che mi riattaccassero.
“Pronto?”, chiesi.
“Allyson, sono David…”, disse la voce del mio capo preoccupata.
“Tutto bene?”
“Non voglio che ti preoccupi, però domani dovresti assolutamente presentarti nel mio ufficio”.
“Ho combinato qualcosa?”
“Preferirei parlarne di persona…”
Chissà perché ogni qualvolta che qualcuno diceva di non preoccuparsi, inevitabilmente l’altra persona iniziava ad angosciarsi, anche se non gli era mai sorta l’idea di farlo fino a quel momento.
“Va bene”, dissi soltanto immersa nei miei pensieri. Mi chiedevo cosa avessi combinato. “Allora a domani, arrivederci…”
“Buon pomeriggio Allyson”, disse prima di riattaccare la chiamata.
Guardai l’ora sul cellulare, segnavano le quattro del pomeriggio. Avevamo dormito così tanto e neanche mi ero accorta di come il tempo fosse passato mentre Alex ed io ce ne stavamo sdraiati a letto a parlare.
“Tutto bene?”, mi chiese quando tornai in camera. “Hai una faccia…”
“David mi ha detto che mi vuole parlare domani mattina…”, dissi sedendomi sul bordo del letto dandogli le spalle. “Penso che voglia licenziarmi…”
“Non penso che ti voglia mandar via, sei una brava giornalista…”, cercò di rassicurarmi. “Magari vuole proporti un’intervista importante, non pensi?”, disse posando le sue mani sulle mie spalle e iniziando a massaggiarle, cercando di farmi rilassare.
“Il mio buon senso dice di no!”
“Non credere a queste cose…”
“Allora gioco la carta dell’ intuito femminile!”
“Non saprei come controbattere però devi stare tranquilla, andrà tutto bene”, disse piegandomi la testa verso il soffitto e posando le sue labbra sulle mie.
“Ora ti metti a rubare anche i baci dai film?”, gli chiesi ridendo. “Spiderman è l’unico che può farlo!”
“A volte sei insopportabile, sai?”, disse sbuffando ma continuando a sorridere.
“E tu dovresti mettere nel tuo curriculum che sei un rompipalle di prima categoria di fianco a cantante e musicista!”
“Se solo non mi piacessi così tanto ti avrei già mandato a fanculo!”
“Allora mi ritengo fortunata!”

“Decisamente!”, disse prima di baciarmi ancora. Non mi ero mai soffermata a pensare ad Alex come possibile ragazzo, tanto meno a quale fosse il suo comportamento. Mi sorprendeva come fosse capace di essere dolce. “Quindi mangiamo qualcosa?”, chiese rovinando quel momento.
“Sono le quattro del pomeriggio, vuoi davvero mangiare?”
“Abbiamo perso sia la colazione sia il pranzo e l’unica cosa che ho ingerire è stata la torta ieri sera”, si lamentò.
“Allora sarà meglio che ti preparo qualcosa prima che mi svieni…”.
“Thank u” disse con un accento tipicamente inglese.
Mi alzai dal letto e cercai qualcosa da mettermi all’interno dell’armadio. Tirai fuori una maglietta di qualche band e un pantaloncino che solitamente indossavo per stare in casa e gli lasciai la sua maglietta piegata sul letto.
Mi ritrovai in cucina a preparare l’impasto per le frittelle. Ero di nuovo assorta nei miei pensieri. Pensavo a cosa mi avrebbe detto David l’indomani e a cosa avrei fatto con Alex. Per ora le cose andavano bene e per quanto mi sforzassi di non trovare il lato negativo della situazione, puntualmente mi tornava in mente quella strana sensazione che avevo avuto appena svegliata.
Una parte di me voleva perfettamente che quel ragazzo potesse comportarsi così per tutto il tempo, voleva che rimanesse dolce e affettuoso e che non se ne fosse andato da un momento all’altro, sparendo come solo lui era capace di fare ed eppure, l’altra parte di me, quella irrazionale, voleva soltanto che scomparisse prima che si comportasse troppo bene così da soffrire quando se ne sarebbe andato.
“Di solito bisogna cuocere l’impasto prima di servirlo”, mi disse Alex. Non mi ero accorta che si fosse vestito e che si era seduto su uno degli sgabelli della penisola, proprio davanti al piano cottura.
“Come?”
“Se vuoi fare i pancake dovresti cuocerli…”, mi consigliò indicando i fornelli.
“Giusto…”, dissi prendendo una pentola e mettendola sul fuoco.
“Comunque potevi tenere la maglietta addosso, non mi dispiaceva…”.
“Ma tu saresti rimasto senza…”
“Non sarebbe stato un problema…”, disse stringendosi nelle spalle e sorridendomi.
“AWG starebbe per…?”, gli domandai indicando il taschino rosso sulla maglietta dove risaltava quelle lettere bianche.
“Alexander William Gaskarth!”, rispose come se fosse la cosa più naturale in questo Mondo. “Si tratta di una collaborazione con la linea di vestiti della Glamour Kills che, appunto, porta il mio nome”, mi spiegò. Sentivo che era fiero mentre parlava. In particolare lo era ogni qual volta che parlava della sua band e della sua musica. Si riusciva a vedere una scintilla nelle sue pupille. “Anche Jack ha la sua linea, non so se ci hai mai fatto caso a tutte le sue magliette con scritto JAGK”, disse. In effetti, aveva ragione. Più volte avevo visto entrambi indossare delle magliette con quella scritta.
“Ecco svelato un altro mistero!”, dissi ridendo e girando una frittella che si distrusse.
 “Lascia fare a me!”, disse scuotendo la testa e alzandosi dallo sgabello per mettersi di fianco a me, davanti ai fornelli. “Tu prendi i piatti e vatti a sedere lì!”, mi ordinò sfilandomi la paletta dalle mani e scacciandomi dal piano cottura. Mi sentivo sfrattata dalla mia cucina. “Non so cos’hai, mai sei piuttosto pensierosa…”.
“È normale…”, dissi stringendomi nelle spalle e prendendo due piatti. Andai a sedermi dove poco prima c’era lui e lo guardai cucinare. Per quanto cercavo di negarlo, emanava un certo tipo di fascino vederlo ai fornelli. Mi morsi il labbro inferiore maledicendomi di aver fatto quel pensiero. Dovevo distrarmi o i ricordi della serata mi avrebbero tormentato, così decidi di guardare fuori dalla finestra e vidi il cielo che si era oscurato e che delle piccole gocce avevano iniziato a scendere.
“Ha iniziato a piovere…”, gli dissi avvicinandomi alla finestra. Con le dita sfiorai il suo riflesso e sorrisi al pensiero di come quel ragazzo aveva fatto cadere la barriera di ghiaccio che mi ero creata attorno facendomi apparire come una pappamolla.
“Siamo a Baltimora, più ci avviciniamo all’estate e più il tempo si fa umido e i temporali pomeridiani sempre più frequenti”, mi spiegò. “Mi sembra strano che non ti sia ancora abituata…”.
“Lo so, solo che mi sembra tutto così nuovo…”.
“Forse perché ora è tutto nuovo…”
“Cosa intendi dire?”, gli chiesi voltandomi verso di lui.
“Voglio dire… noi!”, mi rispose. “Cosa siamo?”, mi chiese. “Cosa facciamo?”
“Queste domande te le avevo già poste io…”.
“Sì però non voglio prendere delle decisioni che poi ti faranno stare male”.

“Sarà una situazione complicata…”
“Mica siamo su facebook!”, scherzò.
“Alex, hai capito cosa intendo!”, dissi cercando di farlo tornare serio. “Tu hai il tour e la band, io invece ho forse il lavoro, sempre se domani non mi licenziano… non sarà facile”.
“Non ho mai chiesto che lo fosse però, ti prego… dimmi che non c'è una piccola parte di te che ha paura che io sia troppo incasinato”, disse. “Che crede che questa cosa sia un errore... tu ed io... “.
“Io…”
“Ammettilo e basta Ally!”
“Alex, non voglio litigare… e sì, una piccola parte di me lo pensa, ma... “.
“Probabilmente le tue paure sono giustificate”, disse interrompendomi. “Però non…”
“Alex, prima che tu dica qualcosa ascoltami un attimo”, dissi questa volta interrompendolo. “Non voglio che chiudiamo perché... primo non ho la più pallida idea di cosa dovremmo chiudere e secondo... abbiamo affrontato tanti casini per arrivare fin qui”, gli spiegai. Volevo mettere le carte in tavolo. “Ti vuoi arrendere senza provare?”, chiesi più a me stessa che a lui. Forse dirlo ad alta voce aveva un effetto diverso rispetto a sentirlo nella mia testa.
“Se questo è quello che vuoi, per me va bene, facciamolo… proviamoci… ma non sarà semplice”.
“Non ho mai chiesto che lo fosse…”, dissi riutilizzando la sua frase. Sorrise a quelle parole e portando i pancake a tavola mi baciò.


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Molly:
Waaaaaaaaaaaaaaaaa che bello ho finalmente finito l'esame di maturità!!!! Sono finalmente in vacanza!!!!
Comunque volevo sempre ringraziare Rack e Layla per le recensioni :)

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Capitolo 17
*** Chap diciassette. ***


Chap diciassette.
“Allyson Porter, può recarsi nel mio ufficio?”, mi chiese David, il mio capo.
Il pomeriggio precedente avevo ricevuto una chiamata molto tesa da lui che mi diceva di volermi vedere nel suo ufficio perché voleva parlarmi di persona, ma sapevo già come sarebbe andata a finire, soltanto che non mi spiegavo quale fosse stata la causa per fargli prendere quella decisione.
Seguii il signor Wilson nel suo ufficio e attesi che mi accordasse il permesso di sedermi sulla poltrona davanti alla sua. “Si sieda!”, mi disse accomodandosi alla sua scrivania. Feci come mi disse e decisi di ascoltare attentamente quello che mi avesse detto. Dovevo allontanare i pensieri e concentrarmi solo sulla sua voce.
“Quando Mark mi aveva proposto lo scambio di giornalisti, ero stato piuttosto scettico, soprattutto perché mi aveva informato che aveva trovato la persona che cercavamo e che nonostante avesse solo pochi anni era davvero un’ottima giornalista”, iniziò a dire. “Non avevo la più pallida idea di chi sarebbe arrivato, ma mi ha sorpreso… Sebbene lei abbia soltanto ventidue anni, ha delle ottime capacità e ho fiducia in lei…”.
“Sta cercando di licenziarmi?”, gli chiesi interrompendolo. Stavo veramente perdendo il filo del discorso e la ramanzina su quanto fossi brava ma che è stato costretto a farlo non volevo sentirla.
“Non è che la sto licenziando, solo che ci sono delle complicazioni…”
“Allora sono sospesa per breve tempo?”, gli chiesi.
“No…”
“La prego, mi vuole dire cosa sta succedendo?”
“Ecco Allyson, posso darti del tu?”, mi domandò.
“Ho ventidue anni, può anche chiamarmi Sò se è per questo!”, gli risposi stupidamente. Forse avrei dovuto evitare di fare quella battura, non ero più in Italia e forse gli americani non avrebbero capito. David mi guardò confuso. “Mi scusi, mi chiami pure per nome…”. Perfetto, se ancora non voleva licenziarmi, ora avrebbe avuto una buona scusa per farlo.
“Dicevo… è sorto un problema!”, continuò sfogliando dei fogli che teneva sulla scrivania. “A nessuno piace avere la propria vita privata sbandierata in prima pagina, giusto?”, mi chiese ed io annuii. Ancora non capivo cosa stesse cercando di dirmi. “Ecco, penso che anche a te non piacerebbe aver pubblicata la tua foto mentre ti ritrovi appartata con qualcuno di famoso… soprattutto se lui si tratta di un musicista, abbastanza noto a Baltimora…”
“Lei come…?”, gli chiesi non capendo come facesse a sapere di Alex.
“Ci sono delle foto…”, disse passandomi quei fogli che stava sfogliando in precedenza. Erano alcune foto del compleanno di Jack. C’erano Rian, Zack, Jack mentre faceva lo spogliarello e delle foto con Sally, Alex mentre cantava sul palco con il boa e gli occhiali da sole e alcune di me e di lui che ci baciavamo. Chiunque avesse fatto le foto era riuscito a far sembrare che fossimo solo io e lui appartati e la cosa mi dava fastidio non solo perché mi sentivo violata ma anche perché eravamo tutti insieme e si trattava solo di uno stupido gioco cui ci ha obbligato a giocare Jack. “Me le hanno inviate ieri mattina”
“Posso spiegarle… era il compleanno di Jack Barakat, eravamo tutti insieme… ok, forse avevamo bevuto tutti un po’ troppo, ma ci hanno obbligato a baciarci, era un gioco… non lo abbiamo fatto solo noi”
“Quindi tu non sei fidanzata con Alexander Gaskarth?”
“No… cioè, si… ma… mi sta dicendo che è questo il problema?”
“In un certo senso, si…”, mi rispose. Sembrava dispiaciuto per quello che stava per dire. “Fin ora sapevamo tutti che il signor Gaskarth fosse ancora insieme con la sua storica ragazza e quindi avevamo pensato a un possibile tradimento, però poi ho notato te nelle foto e volevo avere delle spiegazioni…”
“Non sono una sfascia famiglie, se è questo che vuole sapere!”
“Non volevo assolutamente dire questo, solo che sei una giornalista musicale e avere una relazione con un musicista non sarebbe decisamente appropriato soprattutto se questo scandalo dovesse uscire fuori…”
“Quale scandalo?”, mi arrabbiai. “Alex si è lasciato con Lisa già da parecchio tempo! Solo perché delle stupide riviste di gossip non hanno pubblicato ufficialmente la loro rottura io devo essere licenziata per questa cazzata?”, gli dissi alzandomi in piedi. “È davvero assurdo!”
“Allyson, lo sto facendo per il tuo bene!”
“E da quand’è che lasciare una persona senza lavoro fa bene?”
“Lo so e hai perfettamente ragione, ma ti chiedo solo il tempo che la notizia sbollisca… sai anche tu cosa succede quando qualcuno è preso di mira dai giornalisti”, disse cercando di calmarmi. “Katie ne è la prova vivente, sai come fa il suo lavoro e non penso che avere centinai di Katie sotto casa tua ti possa fare piacere, quindi è un licenziamento momentaneo”, mi spiegò cercando di calmarmi. “Non voglio che la fama di un qualunque ragazzo comprometta la tua carriera giornalistica, quindi ti chiedo soltanto di darmi del tempo per sistemare questa faccenda… prima che altri giornali pubblichino questo scoop”
“Non si disturbi, ho capito!”, dissi arrendendomi. “Mi spieghi soltanto perché Sally è libera di frequentare Jack mentre io dovrei lasciare Alex?”, mi sentii totalmente egoista e stupida ad aver posto quella domanda, ma al momento volevo sapere perché non potevo essere libera di frequentare chi volevo e rinunciare alla mia porzione di felicità quotidiana.
“Sally è una fotografa, è diverso il rapporto che si ha con l’artista”, spiegò. “Tu devi parlare con loro, conoscere la loro storia e far vivere al lettore la sensazione di essere loro stessi a parlare con i gruppi. Sally deve fare soltanto delle foto che massimo diventeranno poster e che i lettori appenderanno nella loro camera”. Mi chiedevo se fosse davvero questo il motivo o era solo una scenetta messa in atto per accontentarmi e sbattermi fuori il più velocemente possibile. “Non voglio screditare il suo lavoro, fa delle foto fantastiche ma il lettore compra la rivista per l’articolo e stare con un membro di una band complicherebbe le cose se esce uno scandalo… o se voi dovesse lasciarvi”
“Grazie per la sincerità!”, dissi voltandomi verso la porta e uscendo dal suo ufficio.
Andai verso la mia scrivani e raccolsi le cose essenziali. Era incredibile come tutto ci stesse perfettamente all’interno della mia borsa. Ed era anche triste. Avevo passato la mia breve vita a scrivere su delle riviste e adesso solo per colpa di alcune foto che sarebbero potute diventare uno scoop da quattro soldi ero stata licenziata e per non compromettere la mia carriera giornalistica è stata l’idea migliore che al mio (ormai) ex-capo era venuta in mente. Davvero, un’ottima idea!
“Ally, dove stai andando?”, mi chiese John, il ragazzo che si occupava della sezione videogiochi e che aveva la scrivania collegata alla mia. Non gli risposi. Emisi soltanto una sottospecie di urlo nervoso soffocato dalle mie labbra sigillate e me ne andai borbottando una serie di insulti. Se fossi stata in un cartone animato probabilmente sarei stata rossa in viso e con il fumo che usciva dalle orecchie, ma questa si trattava della realtà quindi mi limitai a tirare un calcio al muro esterno dell’edificio.
“Vaffanculo!”, mi ritrovai a urlare in mezzo alla strada. Non m’importava cosa pensasse la gente, almeno non in quel preciso momento. Dovevo sfogarmi e se non volevo che usassi il loro volto come sacco da boxe era meglio che mi girassero alla larga.
“Ehi Allynetor, come mai tutta questa rabbia repressa?”, mi chiese l’ultima voce che avrei voluto sentire in quel preciso istante.
“Tu!”, dissi soltanto. Non riuscivo a formulare una frase di senso compiuto. Solo parole brevi e semplici, piene di ira. “Io… ahhhhh!”
“Ehi, Ally, calmati!”, disse stringendo le sue mani attorno alle mie spalle e obbligandomi a guardarlo negli occhi. “Fai un respiro e spiegami”
“Sono stata licenziata!”
“Cosa?”, chiese sorpreso. “Cosa è successo?”
“È probabile che sia ancora sotto shock”, gli dissi. “Ho solo bisogno di andare a casa mia a riflettere su quello che è appena successo…”
“Posso fare qualcosa?”
“Si!”, dissi staccandomi dalla sua presa. “Portami a bere qualcosa…”
“Poi mi spiegherai cosa è successo?”
“Sì, ma non qui, forse è meglio andare da qualche parte”, proposi. “Magari in un bar!”
“Se vuoi prenderti una sbronza non penso che il bar sia un luogo adeguato”, mi consigliò. Mi ero dimenticata di come lui fosse il grande esperto delle sbornie. “Facciamo così: per andare a casa tua bisogna passare davanti a un supermercato, giusto?”, mi chiese ed io annuii alla sua osservazione. “Bene, ci fermiamo e prendiamo qualche bottiglia di alcool e poi arrivati a casa ne parliamo così potrai prenderti la tua meritata sbornia”
“Mi sembra un ottimo piano!”
Passai tutto il resto della mattinata chiusa in casa a bere un'intera bottiglia di vodka da sola mentre Alex mi guardava intanto che mi autodistruggevo il fegato e qualunque altro organo all'interno del mio corpo, il tutto bevendo tranquillamente le sue birre quotidiane.
"Sono stufa di tutto questo!", sbottai. "Problemi! Problemi! Solo problemi!", dissi più volte. "Forse Baltimora non è neanche lei la città giusta per me. Dovrei andare in Canada. Lì sono tutto più gentili!".
"Forse ora è meglio che ti vada a sdraiare un attimo e chiuda gli occhi", disse togliendomi dalla mano la bottiglia quasi vuota e afferrandomi per mano mi fece alzare lentamente dal divano. Tenendomi sotto controllo attraversò il corridoio e aprì la porta della mia camera da letto, ma improvvisamente la situazione si rivoltò. Mi trovai a spingerlo sul letto e in pochi secondi fui sopra di lui a lottare con il bottone dei suoi jeans che sembravano essergli cuciti addosso, ma forse era solo una mia impressione dovuta alla scarsa capacità di collegare mani e occhi a causa dell'alcol.
"Ally...", cercò di fermarmi. "Ally, fermati!", disse questa volta più deciso e spostandomi di lato. "Cosa stai cercando di fare?"
"Non è ovvio?"
"Non lo farò con te in queste condizioni, primo perché non sei in condizioni adatte, secondo perché non voglio abusare di te e terzo... Probabilmente ti addormenterai e sarebbe davvero demoralizzante per me"
"Stupido!", dissi voltandomi su un fianco e dandogli le spalle.
"Ehi, non ce l'ho con te... Lo faccio solo per il tuo bene"
"Smettetela tutti di dire che lo fate per il mio bene!", scoppiai. "Sono grande abbastanza da sapere cosa è bene per me!"
"Vieni...", disse lui trascinandomi verso il suo petto. “Stai tranquilla…”
Riuscivo a sentire i battiti del suo cuore e i respiri che emetteva. Erano così rilassanti mentre mi accarezzava i capelli tanto che mi addormentai poco dopo insieme a lui.
 
Quando mi svegliai la stanza era al buio, così come il resto della casa. Alex dormiva ancora beatamente mentre io non sapevo cosa fare.
Non avevo più un lavoro e avevo sprecato la mia giornata a bere. Tutto quello che avevo ottenuto era questo forte mal di testa e questa fastidiosa nausea.
Non potevo passare altro tempo lì, sarei impazzita, così decisi di alzarmi, prendere una pastiglia per i fastidi e infilarmi sotto la doccia. Mi avrebbe fatto bene. Mi sarei ripresa dalla sbronza che avevo in parte smaltito dormendo e soprattutto avrei avuto tempo per riflettere su cosa avrei fatto della mia vita.
Di sicuro sarei andata a riprendermi il lavoro, non sarei riuscita a mantenere l'affitto della casa da sola, senza neanche un centesimo e soprattutto non avrei potuto fare la spesa. Avrei fatto di tutto per riaverlo e se non me lo avrebbero ridato, mi sarei messa a cercare immediatamente un nuovo lavoro. Era davvero una pessima situazione e per quanto avessi Alex vicino, tutto sembrava non assumere una sfumatura migliore.
Dovevo fare assolutamente qualcosa e commiserarmi da sola non era esattamente quello che avrei doluto fare per stare bene così mi affacciai nella stanza per vedere se Alex stesse ancora dormendo, e lo trovai steso nel letto, proprio come lo avevo lasciato mezz’ora prima. Probabilmente neanche una granata lo avrebbe svegliato e ne approfittai di quel momento di pace.
Aveva lasciato le chiavi dell’auto sul bancone, come era solito fare, e poiché non si sarebbe svegliato probabilmente fino alle dieci di quella sera, gliele presi.
Scesi velocemente le scale e m’infilai nella sua auto. Non erano molti i posti dove andare ma sapevo perfettamente dove ero indirizzata.
Parcheggiai sotto l’edificio, proprio davanti a quei gradini che salivo abitualmente, e spensi la macchina.
Per essere una normale sera di giugno, era piuttosto tranquilla. Le strade erano per lo più vuote, illuminate soltanto dai lampioni, e ogni tanto qualcuno faceva una passeggiata sul marciapiede portando a spasso il proprio cane, per poi tornare immediatamente dentro casa.
Decisi di scendere dalla macchina e di sedermi sul cofano, appoggiandomi con la spalla destra sul parabrezza.
Di sicuro restare lì a fissare quell’edificio non avrebbe cambiato le cose e tuttavia non riuscivo a fare a meno di pensare a come quei quattro mesi fossero passati così velocemente. Eppure mi sembrava di aver trascorso a Baltimora la mia intera vita.
Non so di preciso quanto tempo passò da quando mi ero persa nei mie infiniti pensieri, ma capii che era davvero tardi quando Alex si sedette di fianco a me.
“Immaginavo che tu fossi qui…”
“Sono tornata solo per un addio”
“Non penso che dovresti arrenderti così facilmente…”
“Adoro scrivere, sono una giornalista e questo è quello che dovrei fare per il resto della mia vita…”, dissi sospirando. “E se non fossi capace di fare altro?”
“Ally, avanti, io non so fare nulla e guardami… non me la cavo poi così male”
“Tu sei un musicista, non avrai mai di questi problemi finché scrivi canzoni e ti esibisci” dissi forse un po’ troppo duramente.
“Già Ally, la vita fa schifo, ma non ti devi abbattere!”, suonò come un rimprovero. “Hai tantissime qualità, sei giovane e non penso che ti debba buttare così giusto, ricordati che dietro ad una porta c’è sempre un portone”, disse, ora, con un tono più dolce. “Magari troverai il lavoro della tua vita…”
“Questo era il lavoro della mia vita”

“Allora troverai una rivista migliore, più importante e più famosa”
“Se dovesse essere come dici te significherebbe andare a New York o chissà dove”, una smorfia preoccupata comparve sul suo viso rovinando quel sorriso che cercava di confortarmi.
“Una soluzione si trova sempre…”, concluse e facendo cadere il silenzio tra di noi.
“Non voglio che tu sia così carino con me…”, dissi qualche minuto dopo rompendo quella calma che si era creata.
“Perché?”
“Perché non è giusto!”
“Ally, cosa stai dicendo?”
“Voglio trovare un motivo per chiudere…”
“Chiudere?”, chiese confuso. “Chiudere con me?”
“Così sarebbe tutto meno complicato!”
“Va bene essere arrabbiate o disperate per aver perso il lavoro, ma non credi di essere un po’ troppo tragica?”, chiesi innervosito. “Mi vuoi lasciare solo perché sei stata licenziata… è assurdo!”
“Alex, credimi!”, dissi scendendo dalla macchina e mettendomi davanti a lui. Mi sentivo così piccola. “È meglio cosi!”
“Non puoi dirlo per davvero… sono io la causa del tuo licenziamento?”, chiese improvvisamente. Non risposi. Sapevo perfettamente che aveva capito il motivo e quindi non c’era nulla da spiegare. Ed eppure avrei voluto dirgli tante cose, ma la mia voce non riusciva a parlare. Allungò una mano verso la mia e la afferrò per poi spingermi verso le sue braccia. “Ally… ora mi spieghi cosa diamine è successo?”, chiese cercando di essere il più dolce possibile.
“Durante il compleanno di Jack c’erano molte persone… molte persone che facevano le foto… e ne hanno scattate alcune mentre giocavamo a «Kiss or Ask» e non so come è successo ma chi ha scattato la foto è stato così abile da far sembrare che fossimo solo noi a baciarci appartati…”
“Merda…”, bofonchiò come un sussurro.
“… e quindi David ha pensato che avessimo una relazione clandestina, soprattutto perché pensava che tu fossi ancora fidanzato con Lisa…”, continuai a spiegargli. “…non sei ancora fidanzato con lei, vero?”
“No, ci siamo lasciati…”, disse guardandomi negli occhi. “Ti devi fidare”, annuii. Gli credevo. “Non capisco come questo possa centrare con…”
“Perché secondo lui questa faccenda potrebbe compromettere la mia carriera giornalistica e vuole far passare del tempo aspettando che le acque si calmino perché chi ha inviato le foto potrebbe averle inviate anche a un’altra rivista e si potrebbe alzare un polverone e quindi…”
“… e quindi vuoi lasciarmi per questo?”
“Alex, forse non capisci che…”
“Invece capisco e mi sembra che la tua decisione sia inutile, se non sciocca!”, rise. “Se stiamo insieme o no, le foto ormai sono già state scattate e quindi?”, disse. “Non puoi farci niente, goditi il momento di notorietà e continua a vivere tranquillamente, come faccio io… la gente si dimenticherà di questa storia”

“Io non voglio il momento di notorietà…”, gli dissi. “Io sono quella che sta dietro a una rivista non dentro!”
“Posso fare qualcosa per te?”
“A meno che tu riesca a far sparire quelle foto…”
“In effetti ho un certo potere… o almeno posso provare a far calmare le acque…”
“Grazie Alex”
“Quindi sei ancora intenzionata a lasciarmi?”
“Non per adesso…”
“Allora cosa ne dici se torniamo a casa?”, mi propose regalandomi un sorriso che sciolse ogni mia preoccupazione.

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Capitolo 18
*** Chap diciotto. ***


Chap diciotto.
“Ehi Ally… poiché ora le tue giornate sono lunghe e vuote, ti andrebbe di venire a cazzeggiare da noi mentre facciamo un servizio fotografico?”
“Grazie per ricordarmelo ogni giorno!”
“Ally, sai cosa intendo…”
“Si…”, dissi sospirando. Ormai era sempre la stessa storia. Io ero impegnata a cercare un nuovo lavoro e lui mi chiamava perennemente invitandomi ad andare a destra e a manca solo per tenermi occupata così da non pensare all’ennesimo rifiuto. Era un bel gesto, ma mi sentivo come se fosse obbligato a fare questa cosa.
“Almeno ti diverti un po’ con noi…”, disse allegro. “… e poi, così, possiamo passare un po’ di tempo insieme…”.
“Non pensi che ne passiamo fin troppo?”

“Ok, forse è vero… e se usassi la scusa di Jack?”
“Jack?”
“Jack sente la tua mancanza…”
“Jack non mi conosce così bene da sentire la mia mancanza”.

“Un motivo in più per venire”, lo sentii ridere. “Così potete conoscervi meglio…”
“Con conoscerlo meglio mi stai accordando il permesso di palpargli il sedere?”
“Assolutamente no!”, disse. “Primo perché il sedere di Jack è mio e secondo l’unico sedere che hai il permesso di palpare è il mio, ed è anche una cosa che non fai mai”.
“Questa conversazione sta diventando strana”.
“Quindi posso dire a Flyzik che ci raggiungerai tra poco?”, chiese. “E poi ci sarà anche Sally, quindi non sarai completamente da sola con me”.
“La cosa mi consola… sul serio!”, gli risposi. “Almeno ci sarà qualcuno che mi aiuterà a sopportarti”.
“Suvvia… non dimenticarti del povero Matt”, disse ridendo. “Dovrebbero farlo santo”
“In effetti… lui vi deve sopportare tutti e quattro… ogni giorno dell’anno… e lo fa da parecchio tempo…”, dichiarai. “Dovrò fargli i miei più sentiti complimenti”.
“Quindi è un si?”
“Arrivo”
“Perfetto!”, rispose soddisfatto. “T’invio un messaggio con l’indirizzo… a dopo”.
“A dopo”
Chiusi la chiamata e mi preparai. In un certo verso Alex aveva ragione. Non potevo restare chiusa a casa a deprimermi per l’ennesimo «le faremo sapere» o «il suo curriculum è notevole nonostante la sua giovane età, ma noi cerchiamo persone più grandi… con più esperienza». Era davvero stressante e sapevo per certo che non era neanche colpa loro se non andavo bene per quel lavoro, ma non mi sarei arresa. Non così facilmente. Fin da piccola i miei genitori e chi mi conoscesse mi ripeteva che ero una persona determinata ed ero felice di questa cosa. Non gli avrei delusi arrendendomi miseramente. Quindi, presi la borsa e mi avviai verso la fermata degli autobus. Forse avrei dovuto comprarmi una macchina appena avrei avuto l’opportunità.
Dopo venti minuti scesi alla fermata e mi avviai verso il parco. Non c’ero mai stata e mi sorpresi di quanto fosse grande e pieno di alberi verdeggianti e di bambini che correvano da tutte le parti con i gelati in mano. Alcuni erano inseguite dalle madri esasperate, altri erano in piena libertà. C’erano anche dei ragazzi, già più grandi, alcune erano distese sull’erba a prendere il sole mentre i maschi erano troppo occupati a lanciarsi la palla da football per rendersi conto di come le ragazze cercavano di mettersi in mostra. Adolescenti! Si poteva cambiare lo Stato ma gli atteggiamenti erano tutti gli stessi. Che poi, non potevo lamentarmi visto che a quanto pare ero anch’io, tuttora, un’adolescente, forse un po’ troppo stagionata, ma avevo pur sempre ventidue anni.
Percorsi la stradina che attraversava il parco fino a quando non vidi in lontananza un particolare movimento di persone indaffarate a fare qualcosa di estremamente importante. Mi avvicinai cautamente e le persone diventavano sempre più nitide e sempre più agitate. Anche se si trattavano di sette elementi notai che erano piuttosto indaffarate a sistemare delle macchine fotografiche su un tavolo che era stato appositamente messo per l’occasione, un altro collegava i pc portatili alle fotocamere e altri stavano sistemando delle grosse luci per regolare l’illuminazione del luogo nonostante fossimo all’aria aperta.
Mi avvicinai a un ragazzo giovane, dai capelli corti e neri, un piercing sul lato e dei piccoli dilatatori ai buchi delle orecchie. Parlava animatamente al telefono non restando fermo, e quando lo faceva, muoveva il piede agitato. Avevo il timore di avvicinarmi a lui e quando fui abbastanza vicina mi maledissi per non aver seguito il mio buon senso.
“Meno male che sei arrivata!”, disse continuando ad avere il cellulare attaccato all’orecchio. “Hai fatto in fretta… io sono Matt e tu sei? Non importa, scusa, mi dirai dopo il tuo nome… Adesso ho bisogno di due caffè lunghi, uno decaffeinato e uno corretto con della vodka, aggiungi un the per me… ho davvero bisogno di calmarmi…”, mi ordinò. Non avevo la minima idea di chi fosse, ma feci come mi chiese senza sapere neanche il motivo. Forse sarà stato il semplice fatto di non fare niente negli ultimi giorni che mi aveva spinto a prendere ordini da qualcuno che sapeva il fatto suo. Mi affrettai ad andare al bar che avevo notato all’interno del parco e tornai poco dopo con quello che mi aveva chiesto. "Eccellente, vedo che hanno migliorato il personale, ora le ragazze sono sia belle sia abili… di solito facevano solo disastri”, mi disse mettendosi il telefono in tasca e prendendo il supporto che conteneva i bicchieri. “Ti avverto: sarà una giornata dura e se fai bene il tuo lavoro, potresti anche fare una foto con la band”.
“Io in verità…”, provai a dire ma fui immediatamente interrotta. 
“Sì, Jack ti autograferà il reggiseno, però ora ho bisogno dei vestiti che la stilista ha portato… mi chiedo dove siano finiti quei completi idioti?", chiese guardando l'orologio. Mi posò in mano i bicchieri e tirò fuori, di nuovo, il cellulare dove compose un numero. "Rian!”, urlò. “Dove cazzo siete finiti?”, domandò. “C'è il servizio e l'intervista, muovete il culo e venite immediatamente qui… come sarebbe che non sapete dove è Alex?”, sembrava davvero imbestialito. “Non è un puffo, diamine, un idiota con degli strani capelli lo si nota subito!”, disse continuando a urlare attraverso il microfono di quel povero cellulare. “Aspettate… muovete il culo e venite sul set forse l’ho trovato", ribadì per poi chiudere la chiamata. Era davvero furioso. "Alex!", urlò a un ragazzo che era palesemente simile a lui e quando si voltò notammo che effettivamente era lui. Almeno uno della band era stato trovato, ora mancavano gli altri tre. "Mi spieghi cosa cazzo stai facendo?”, disse andandogli incontro. Lo seguii. “Perché gli altri non sono con te?"
"Sto aspettando Ally, te l'ho detto che veniva…”. 
“Ally?”, disse il mio nome. “Non... ”
“Alla buona ora!", dichiarò guardandomi, uno dei ragazzi sperduti interrompendo quello furioso. "Ti stavo aspettando da un bel po'”
“Sono andata a prendere dei caffè per la band”.
“Un pensiero un po’ troppo carino da parte tua... ”, chiese sospettoso.
“Me lo ha ordinato lui appena mi sono avvicinata”.
“Alex smettila di provarci con il personale!”, lo rimproverò il moro esasperato, mentre controllava per l’ennesima volta l’orologio.
“Matt è la mia fidanzata!”, gli fece notare lui. “È lei Ally e gli hai appena detto di portarci il caffè e chissà cos’altro le hai urlato dietro... ”, disse ridendo.
“Tu sei l’Ally di Alex?”, chiese questa volta a me come per confermare.
“Ehm… si…”, dissi portandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Era strano essere definite la «Ally di qualcuno» ma contemporaneamente mi rese felice, come se tutto quello che stavamo costruendo, Alex ed io, fosse qualcosa di sicuro. Sembrava che si stesse impegnando a far funzionare il nostro nuovo legame.
“Allora sono terribilmente mortificato, ti chiedo scusa…”, disse prendendo i bicchieri che tenevo ancora in mano come se si sentisse in colpa. “Non volevo darti degli ordini, purtroppo questi quattro disgraziati mi fanno perennemente arrabbiare e mi ritrovo a urlare con tutti…”, iniziò a giustificarsi. “…anche con i bambini, prima ne ho fatto piangere uno perché il suo pallone era rotolato fino ai miei piedi”, disse ridendo. “Sinceramente ora mi sento terribilmente in colpa… anche per il bambino”.
“Davvero… non c’è problema”, dissi sorridendogli. “In fondo può capitare, no?”
“Forza Matt, non lagnare!”, si lamentò Alex. “Se fai il bravo ti compro un Mickey Mouse da aggiungere alla tua collezione”.
“Non sfottere Gaskarth!”
“Siamo arrivati a chiamarci per cognome Flyzik?”, disse il ragazzo scompigliando i capelli con un pugno a quello che a quanto pare era il famoso Matt Flyzik.
“Alex, mi fai cadere i caffè se fai così!”, lo avvertì. “I caffè che ha portato la tua ragazza!”
“Mhm…”, disse smettendo di fare l’idiota con il suo amico. “Comunque lui è Matt!”, mi presentò il ragazzo che allungò la mano verso la mia. “Il nostro tour manager… che non dovrebbe essere qui… Matt cosa ci fai qui?”
“Mr. Tissera ha deciso di prendersi delle ferie e con un semplice «Ehi Flyzik, hai fatto un ottimo lavoro, continua a occuparti tu di loro! Ci vediamo il 14!» il tutto indossando un cappello di paglia e una camicia hawaiana…”, raccontò. “Aveva già le valigie in mano”
“Quindi siamo stati scaricati a te…”, notò. “In un certo senso ciò mi ferisce!”
“Evito di risponderti!”, disse porgendogli il suo caffè. “Ora spiegami dove sono gli altri?”
“Stanno arrivando, Sally e Cassadee si sono fermate in un negozio qui vicino e sai come sono le donne quando vedono…”, mi schiarii la voce, facendo notare che io ero lì ed ero una donna e che soprattutto non doveva parlare male della mia amica. “Non volevo dire tutte le donne… solo alcune…”.
“Non arrampicarti sugli specchi Alex!”, lo sgridai. “Facciamo poi i conti!”
“Quindi è lei che comanda nella coppia!”, affermò Matt ridendo.
“Solo perché mi piace essere sottomesso!”, scherzò il ragazzo. Era un’idiota. Non c’era nulla da aggiungere, però mi aveva fatto ridere e questo perdonava qualunque cavolata che avrebbe sparato durante il pomeriggio.
“Stanno arrivando!”, ci avvisò Matt vedendo cinque figure avvicinandosi di corsa verso di noi. Dovevano essere di sicuro loro.
“Eccoci!”, annunciò Rian correndoci incontro insieme a Zack, probabilmente erano i più atletici, infatti, quando arrivò Jack si chinò poggiando le mani sulle ginocchia e prendendo fiato. Invece, le due ragazze arrivarono con calma, parlando animatamente di qualcosa, una di fianco all’altra.
“Ehi Al!”, mi salutò Sally. Non la vedevo da qualche giorno, soprattutto da quando era andata a vivere da Jack lasciandoci tutti sbigottiti di come lui avesse preso l’iniziativa.
“Ciao Sal”, la salutai. “Ehm… ciao, io sono Ally”, dissi allungando una mano verso l’altra ragazza.
“Ciao”, mi salutò regalandomi un magnifico sorriso. “Io sono Cassadee… se non sbaglio ci siamo già incontrate…”.
“Esatto!”, affermò Sally. “Al compleanno di Jack, lei e Alex hanno organizzato tutto”.

“Complimenti... È stata una festa grandiosa", disse ridendo.
"Ragazzi!", li richiamò Matt. "Lasciate le ragazze a parlare mentre voi prendete il vostro caffè e sbrigatevi ad andare sul set!", disse passandoli i vari bicchieri. "Il caffè decaffeinato per Rian, l'altro per Zack, tranquillo Jack il tuo è stato accuratamente corretto così ti riprendi dall'enorme sforzo che hai fatto per correre e il the è per me, anche se ora come ora avrei preferito una tisana... O meglio una fiaschetta di alcool”.
"Non sapevo che oggi era la giornata «porta la tua ragazza al lavoro» ", fece notare Zack al gruppo di ragazze che affiancava tre quarti dei membri del gruppo. "Se lo sapevo mi sarei organizzato"
"Oh Zacky... sai che tu sei l'unico per me", scherzò Flyzik. "Però ora sul serio... al lavoro!"

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Capitolo 19
*** Chap diciannove. ***


Chap diciannove.
E anche quel pomeriggio era passato. Ero riuscita a distrarmi dall'ennesimo rifiuto e avevo passato un bel pomeriggio all'aria aperta in compagnia di due splendide ragazze con cui avevo parlato di tutto. Inoltre c'era anche la band che, beh, si comportava come se fossero in gita scolastica. Sembravano bambini di tre anni che si divertivano con poco. Era davvero esilarante vedere il loro buffo comportamento e come si divertivano mentre il fotografo li suggeriva delle pose per le foto.
"Allora, ti sei divertita oggi?", mi chiese Alex mentre stavamo tornando a casa. "Decisamente, è stato bello rilassarsi un po'“.
"Mi fa piacere", disse distogliendo momentaneamente lo sguardo dalla strada per guardarmi e sorridere contento. "Al... hai per caso qualcosa da dirmi?", mi chiese improvvisamente tornando a guardare la strada davanti a noi.
"Come?", è da quando siamo saliti in macchina che non la smetti guardarmi... la cosa mi lusinga ma mi mette in suggestione... mi è comparsa una seconda testa?", scherzò. "È più attraente di me... ora mi tradirai con lei, vero?", disse ridendo e lo seguì a ruota. "Non potrei sopportarlo... "
"No no tranquillo", lo rassicurai. "Nessuna seconda testa più attraente di te”.
"Allora cosa è che ti spinge a essere così interessata al mio volto?"
"Non penso che sia il volto, cioè... uhm... mi chiedo come i tuoi capelli riescano a restare in piedi... infrangono non so quante leggi della fisica e non penso che la lacca sia capace di vincere contro la forza di gravità", gli dissi allungando una mano verso quel confuso ammasso di capelli che andavano da tutte le direzioni.
"Ehi, non toccarli!", mi avvisò allontanando la mia mano. "Sono fantastici!"
"Uhm... hai usato troppa lacca"
"Già... forse i parrucchieri hanno esagerato un po'", rispose ridendo.
Parcheggiò sotto casa mia in quello che probabilmente era diventato il suo posto auto personale. Il cielo si stava oscurando, com’era tipico nei pomeriggi e sere estive. Dei nuvoloni grigi si avvicinavano in città per bagnare Baltimora prima di spostarsi a ovest.
Salimmo in casa prima che iniziasse a diluviare seriamente. Gettai le chiavi dell'appartamento nella ciotola appoggiata su una mensola di fianco alla porta e mi scrollai dai capelli la poca acqua che avevo preso.
"Ti andrebbe una pizza per cena?", propose il ragazzo che si era già seduto sul divano e aveva acceso la tv su una partita di football. Era incredibile come in così poco tempo era riuscito ad ambientarsi perfettamente in casa mia e come si sia organizzato per restare. Prima aveva portato qualche vestito per il cambio, poi qualche CD, in seguito aveva abbandonato una chitarra classica in un angolo della sala e alla fine aveva messo il suo spazzolino di fianco al mio. Forse le cose erano talmente affrettate ed eppure sembrava come se stessimo facendo le cose con calma. Non capivo questo strano meccanismo.
"Prendi la solita?", gli chiesi componendo il numero della pizzeria sotto casa. Lui annuì non distogliendo gli occhi dal televisore. Sarebbero state pronte verso le 7.30 e avrei mandato Alex a prenderle a calci nel sedere se non l'avesse smesso di urlare contro l'arbitro.  "Stanno giocando i Baltimore Ravens?", gli chiesi sedendomi vicino a lui sul divano.
"No, è un squadra canadese... loro giocheranno domani sera”.
"Quindi potresti andare a prendere le pizze qui davanti?", gli proposi spegnendo il televisore.
"In cambio cosa ottengo?"
"Lo stomaco pieno di deliziosa pizza?"
"Non mi basta... "
"Troveremo di sicuro un modo per ricambiare il favore... ", dissi sfiorandogli le labbra con un leggero bacio.
"Come fai a convincermi sempre?", rispose alzandosi dal divano e stiracchiandosi. La maglietta corta gli lasciò intravedere la pelle nuda del suo ventre e l'elastico dei boxer che indossava. Mi morsi il labbro iniziando a pensare a come mi ero ritrovata in quella ridicola situazione. Sapevo che i rapporti tra uomo e donna erano come un labirinto senza uscita, dove rimanevi intrappolato finché uno dei due non si sarebbe arreso e avrebbe trovato una soluzione per uscire da quel groviglio di nascondigli. Ed eppure, se tornassi a qualche mese fa, non mi sarei mai immaginata che tutto questo sarebbe stato possibile. Alex era stato l'origine dei miei problemi, ma era stato anche capace di risollevare il mio animo distrutto e questo valeva più di ogni cosa.
"Torno subito", disse il ragazzo che si era messo addosso una felpa rossa e si era coperto la testa con il cappuccio. Prese il portafoglio e se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans, fece lo stesso con il cellulare e si avviò verso l'ingresso per poi scomparire dietro la porta e giù lungo le scale.
La pizzeria non distava neanche cinquecento metti. Doveva semplicemente attraversare la strada e tornare indietro.
Approfittai della sua assenza per apparecchiare il tavolo e sistemare quel poco di disordine che c'era sparso per la stanza. Da quando Sally se ne era andata e da quando avevo molto più tempo libero, tenevo la casa più ordinata. Era una cosa che facevo per tenere la mia mente occupata.
“Je suis arrivé!”, annunciò entrando in casa.
“Parli francese?”, gli chiesi ridendo e prendendo i cartoni con le pizze e poggiandoli, poi, sul tavolo.
“Fingo di parlarlo… serve per rimorchiare!”
“E ha mai funzionato?”
“Sono una rockstar inglese che abita in America e che parla francese!”, disse. “Secondo te?”
“Penso che tu mi abbia dato una valida risposta!”, risi seguita a ruota da lui.
Ci accomodammo a tavola e iniziammo a mangiare continuando a parlare della giornata.
“Sai… oggi Matt ci ha informato sulle date del tour internazionale…”, disse esitante, come se avesse paura della reazione che avrebbero riscosso in me le sue parole.
“È una bella cosa”
“Questa volta starò via per molto più tempo…”.
“Appunto!”, ripetei ridendo. “È una bella cosa”
“Lo so che ti mancherò”, disse lanciandomi uno sguardo di sfida. “Anche se non lo ammetti, so di avere ragione!”. Mi sorprendeva ogni giorno sempre di più di come avesse imparato così velocemente a conoscermi. Sapeva del mio orgoglio e di quanto fosse difficile per me dire quelle parole.
“Non esserne così sicuro”, gli sorrisi nascondendomi dietro un bicchiere che mi portai alle labbra. “Quando partirai?”
“Dovrebbe iniziare a metà Agosto”
“Fra poco più di un mese…”
“Già…”
Non avevo ancora realizzato che a distanza di poco tempo sarei ritornata alla mia vita. Significava non avere più Alex tra le scatole e quindi a ritrovarmi molto più tempo libero rispetto a quello che avevo prima. Significava abitare in quella casa completamente da sola. Significava svegliarsi la mattina e non trovare più di fianco quel ragazzo che fingevo di odiare.
“Quindi cosa ne pensi?”, mi chiese riportandomi alla realtà dai miei pensieri. Aveva improvvisamente iniziato a parlare e non gli avevo prestato la minima attenzione alle sue parole, perdendomi nelle mie riflessioni. “Ally, ma mi hai ascoltato?”
“Ehm… scusami, ero sovrappensiero”
“Stavo dicendo che, oggi pomeriggio, scherzando con Matt, è uscita una battuta davvero divertente”.
“Ossia?”
“Matt ha detto che potresti fare l’assistente del tour manager, nota del potenziale in te”, sorrise. Aveva sul volto un’espressione di chi la sapeva lunga.
“Che cosa stai cercando di dirmi Alex?”
“Che in fondo non è una brutta idea…”, rispose stringendosi nelle spalle. “Potremmo restare insieme e tu avresti un lavoro”.
“Alex, stai di nuovo cercando di occuparti di un mio problema…”.
“Invece è stata un’idea di Matt…”
“Non gli avrai mica detto che sono…?”

“No, no…”, si affrettò a dire. “Lui era tipo «Sarebbe un’ottima assistente» ed io ero tipo «Già, sarebbe fantastico averla in tour con noi» e lui, poi, era tipo «potresti proporglielo» ed io infine «è un’idea fantastica!» e quindi eccoci qui!”, raccontò. “Allora?”, chiese guardandomi dall’altra parte del tavolo, con i suoi splendidi occhi castani. “Parti con me?”

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Capitolo 20
*** Chap venti. ***


Chap venti.
Senza rendermene conto era già arrivato Agosto e i giorni che avrei passato con lui diminuivano sempre di più, fino a essere catapultati al giorno della sua partenza definitiva.
“Ti chiamerò tutti i giorni, te lo prometto!”, mi disse Alex. Le sue mani sui miei fianchi mi spingevano verso di lui.
Alla fine avevo deciso di non accettare la sua proposta di seguirlo in tour. Era la cosa giusta da fare, soprattutto non volevo stargli in mezzo ai piedi nei suoi impegni quotidiani. Sarebbe stato occupato tutto il tempo ed io sarei diventata come un peso.
Sapevo per certo che non avrebbe mantenuto la sua promessa proprio per i suoi impegni da rockstar e non mi sarei arrabbiata per questa cosa. Non per una cavolata del genere.
“Non ti preoccupare”, mi limitai a dirgli sorridendogli.
“Una parte di me non vorrebbe ritrovarsi in questa situazione”, dichiarò, questa volta, stringendomi più stretta a lui. Automaticamente portai le mie braccia attorno al suo collo così da guardarlo dritto negli occhi, quegli occhi che mi avevano imprigionato e fatto innamorare.
“È il tuo lavoro ed è giusto che tu te ne vada immediatamente da qui se non vuoi che ti spedisca a calci nel sedere”.
“Come fai a essere così carina anche quando mi minacci?”
“Alex devi andare”, gli dissi continuando a tenere le mani incrociate dietro alla sua testa. Ero io la prima a non volerlo lasciare andar via.
“Sarò di ritorno prima di quanto immagini”, sospirai. Era un’altra promessa. Un’altra promessa che sarebbe stata infranta per dei giusti motivi.
“Ora Alex devi davvero andare, non voglio che Matt si arrabbi con te per non essere ancora salito sul bus”, dissi sciogliendomi amaramente dal suo abbraccio. Sospirai di nuovo. Dovevo farlo, dovevo dirlo. Dovevo prendere coraggio e buttarmi.  Gli diedi un piccolo bacio e poi sussurrai sulle sue labbra: “Mi mancherai”.
“Non sto andando in guerra, tornerò”, rispose sorridendo compiaciuto della sua battuta. “Mi stupisco che tu lo abbia detto!”, disse poi rubandomi un bacio inaspettato.
“Davvero?”, gli chiesi infastidita. “Provo a essere carina con te e tu mi prendi in giro?”
“Non ti lamentare!”, dichiarò. “Tu lo fai sempre nei miei confronti e non mi lamento mai”, continuò incrociando le braccia al petto e facendo un finto muso arrabbiato. Risi a quel suo atteggiamento così sciocco e immaturo, ma che mi faceva impazzire.
“Ok, scusa”, gli dissi posandoli una mano sul braccio e con fatica riuscii a farlo girare verso di me ritrovandomi il suo solito sorriso da prendere a schiaffi ben stampato sul volto. Scossi la testa sull’assurdità di tutta la faccenda. Sì, mi sarebbe decisamente mancato. Quei mesi senza di lui sarebbero stati totalmente vuoti e monotoni.
“Mi mancherai anche tu”, dichiarò pochi istanti dopo portandomi contro il suo corpo. Posai una mano sul suo petto coperto solo da una camicia a quadri e riuscivo a sentire perfettamente il suo cuore. Mi sarebbe mancata anche quella sottospecie di ninna nanna che mi faceva addormentare sempre.
“Come dici te: «Non sto mica andando in guerra» ”, gli feci eco cercando di imitare la sua voce.
“Io non parlo così!”, si lamentò ridendo. “La mia voce è più mascolina”, disse allontanandomi da lui e guardandomi negli occhi.
“So cosa stai cercando di fare!”, gli feci notare staccandomi da lui. “Non cercare di perdere tempo, ora muoviti a uscire da quella porta”, continuai a dire cercando di spingerlo verso l’ingresso. “Stanno arrivando gli invitati per la festa che ho organizzato!”
“Quale festa?”, chiese voltandosi prima di ricevere la porta in faccia. “Ally, quale festa?”, disse dall’altra parte del muro che ci divideva.
“Quello che ho organizzato per festeggiare la tua partenza!”, gli risposi ridendo.
“Scherzi vero?”, chiese lui. Potevo immaginare le sue sopracciglia piegarsi in un’espressione buffa. Non volevo perdermi quella scena così aprii la porta trovandolo davanti con il volto che effettivamente mi ero immaginata.
“Tranquillo Alex, vedrai le foto su Facebook!”, gli dissi sorridendo. Scosse la testa rispondendo al mio sorriso con uno uguale.
“Ti chiamerò per sapere come prosegue la festa”.
“Fai buon viaggio Alex”, pronunciai prima di vederlo scomparire giù dalle scale.
Richiusi la porta e guardai la casa. Anche se mi dispiaceva dirlo, mi ero davvero affezionata a lui ad averlo sempre in mezzo alle scatole e ora la casa era praticamente in silenzio, vuota, senza di lui. Sarebbe stato frustrante non vederlo per i successivi mesi ma sapevo che il tour era il suo lavoro, quello che lo rendeva felice e non sarei stata io a rovinargli quei giorni di completo divertimento tra i suoi amici e i fan.
Svegliarsi senza di lui sarebbe stato orribile. Ogni volta che mi alzavo la mattina, lo vedevo steso sul letto, al mio fianco, che dormiva beatamente, e puntualmente lo avrei svegliato mentre cercavo di vestirmi per una nuova giornata da affrontare e lui avrebbe cercato di riportarmi di nuovo a letto convincendomi di rimanere a casa insieme a lui. E alcune volte ci riusciva perfino. Oppure mi chiedevo come avrei fatto se mi fossi svegliata in piena notte per via di un incubo. Alex avrebbe sempre trovato un modo per farmi tornare a dormire, di solito usando il suo tocco così rilassante e rassicurante o la sua voce sexy che mi sussurrava parole che mi tranquillizzavano o una semplice canzone.
Stava di fatto che quella volta mi sarebbe mancato sul serio, più del nostro primo incontro, e non avrei mai immaginato di riuscire a legarmi così tanto a una persona tanto da preoccuparmi di cosa sarebbe stato di me senza di lui. Forse tutte quelle dicerie che si leggevano nei romanzi rosa provenivano da tutte ragazze innamorate e tormentate da sentimenti che non riuscivano a spiegare.
 
Mi sedetti sul davanzale interno della finestra e mi persi a guardare il cielo. Era stranamente buffo come aveva iniziato a piovere appena lui se ne fosse andato e non aveva smesso da giorni.
Si trattava di un altro giorno di pioggia, di un'altra scusa per me per non farmi vedere.
Il vetro si era completamente appannato e le gocce di pioggia continuavano la loro corsa lungo la superficie finestrata. Quasi inspiegabilmente mi ritrovai a scrivere il suo nome, come suggeriva la canzone «Rainy Day» dei Plain White T's che improvvisamente era iniziata a suonare dall’iPod.
Non c’era nulla di meglio che avere della buona musica e dei pensieri su cui riflettere in una piovosa giornata come quella.
Quel ragazzo era odioso, mi faceva sentire inadeguata e triste. A volte avrei voluto prenderlo semplicemente a sberle ma per qualche strana ragione mi ero legata a lui. Senza rendermene conto avevo cominciato a pensare sempre a lui, quasi ininterrottamente. Mi aveva detto che per un po’ di tempo non avremmo potuto vederci. Mi chiedevo se mi avesse pensato almeno un po’…
In Giappone, nel corso degli anni, si è diffusa una leggenda prettamente cinese. Si narra che ogni persona, dal momento della nascita, porta un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Seguendo questo filo si potrà trovare la persona che sta all’estremità opposta e che condivide lo stesso destino. Beh, non è difficile da immaginare che quell’altra persona si tratta esattamente della propria anima gemella.
Si racconta anche che qualunque evento, catastrofe, azione succeda, loro riusciranno a incontrarsi prima o poi, anche se sono in due città differenti, anche se sono lontani mille miglia. Niente potrà impedire loro di incontrarsi, conoscersi e innamorarsi.
Non tendevo a credere in certe leggente e tantomeno credevo che Alex ed io fossimo legati da quest’assurdo filo però una parte di me credeva fermamente che lui fosse il ragazzo giusto, anche se non rispecchiava pienamente i miei ideali di ragazzo perfetto.
Un’altra canzone fu riprodotta accumulandomi altri pensieri. «Raining In Baltimore» dei Counting Crows. Decisamente era la canzone che rispecchiava al meglio quello che provavo.
«Ci sono cose che ricordo, e cose che dimentico. Mi manchi credo sia normale. Tremilacinquecento miglia lontano da qui, ma cosa cambieresti se potessi? », cantava tristemente il vocalist della band. «E vorrei che questo fosse un piccolo mondo, perché sono troppo solo per le grandi città. Mi piacerebbe ascoltare una piccola chitarra, penso che sia tempo per una svolta».
E diamine! Adam Duritz aveva perfettamente ragione! Volevo sentire il suono di una chitarra echeggiare per tutta la casa, una voce che cantava di tutto, anche le cose assurde come la lista della spesa. Volevo una svolta ed ero intenzionata ad averla.

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Capitolo 21
*** Chap ventuno. ***


Chap ventuno.
“Ehilà Harry!”, mi salutò.
“Harry?”
“Sì, Harry Houdini, come il famoso illusionista!”, disse ridendo.
“Tu sei pazza!”
“E tu sei scomparsa”
“Parla quella che è andata a vivere in un’altra casa”, le risposi ridendo.
“Ok, ok, hai vinto!”, si arrese.
Non vedevo Sally da qualche giorno, esattamente da quando i ragazzi erano partiti per il tour. Mi ero chiusa in casa per via della pioggia, una cosa totalmente assurda poiché eravamo a fine Agosto! Quando mai si era visto piovere ad Agosto! Per fortuna quella terribile settimana piovigginosa era finita e il sole era ritornato a illuminare il cielo di Baltimora.
Si poteva percepire nell’aria il sollievo degli abitanti che camminavano per le strade in canottiera e in pantaloncini mentre andavano a prendere un gelato con gli amici o mentre portavano i propri figli a giocare al parco. E così anche Sally ed io eravamo emerse dalle nostre tane asciutte per andarci a prendere un caffè.
“Allora, cosa mi racconti?”, le chiesi bevendo poi un sorso dal mio bicchiere.
“Che cosa potrei raccontarti che ancora non sai?”, disse ridendo e poi imitando il mio gesto.
“Con Jack come va?”, le chiesi. “Intendo la distanza… come la gestite?”
“È davvero una cosa assurda, cioè… di solito ero abituata a vederlo sempre, mentre ora è così strano… penso che sia la stessa cosa per te…”, annuii. Aveva perfettamente ragione. “Mi sento a disagio a stare in casa sua senza di lui… anche se abitiamo insieme da qualche mese, mi sento ancora in suggestione”, disse ridendo e portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. “Però devo dire che riesco a colmare la sua assenza grazie alle infinite foto e video scemi che si fa col cellulare”, mi confessò ridendo. “Nonostante sia un completo idiota, mi manca”.
“La cosa assurda è che non riesco a immaginarmi un Jack Barakat innamorato e romantico”.
“Non sei l’unica”, ammise sogghignando. “Neanch’io me lo aspettavo ed eppure il piccolo Jacky ha un cuore”.
“Che storia!”, dissi enfatizzando la frase come se ci trovassimo in uno di quegli stupidi film. “Non mi dire!”
“E invece si!”, affermò. Ero proprio curiosa di conoscere quel lato romantico di Mr. Barakat che nascondeva a chiunque.
 
Sally P.O.V.
Quando avevo conosciuto Jack, non pensavo che sarebbe potuto diventare un possibile fidanzato, tantomeno immaginavo che lo avrei rivisto dopo quella notte ed eppure il giorno dopo mi aveva chiamato, e così anche quello successivo e quell’altro ancora tanto che ormai passavamo gran parte del nostro tempo insieme.
Era totalmente assurda come cosa e com’eravamo arrivati a quel punto. A com’eravamo arrivati ad abitare insieme. Appena avevo messo piede nella sua casa, la prima cosa che notai furono i vestiti sparsi da tutte le parti, chitarre disperse per la casa così come i vari palloni da football e da basket, le mazze da golf e qualche skate. Era esattamente la casa di uno scapolo. O meglio: era esattamente la casa di una rockstar troppo impegnata a divertirsi per iniziare qualcosa di serio, ma era riuscito a farmi ricredere, soprattutto negli ultimi giorni.
“Beh, non ci crederai mai ma l’altra sera, prima della grande partenza…”, iniziai a raccontare ad Ally.
 “Jack cosa diamine vuoi fare?”, mi lamentai cercando di liberarmi dalla sua presa. Mi aveva chiuso in camera per più di un’ora per poi bendarmi gli occhi con una cravatta nera pescata dal fondo del suo armadio e condurmi fuori dalla stanza. Non avevo la minima idea di dove mi stesse portando. “Jack, non ho voglia di scherzare, devo preparare la cena…”, non feci in tempo a finire la frase che il ragazzo mi tolse la benda così da poter vedere quello che aveva fatto.
Il soggiorno era completamente coperto da petali di rose di vari colori, il tavolo era rivestito da una tovaglia bianca e in centro un candelabro con delle candele accese, l’unica fonte di luce della stanza, esclusa la finestra aperta che lasciava entrare la luce di un lampione poco distante.
“Questa la useremo forse dopo…”, disse gettando la cravatta sul divano di pelle. “Siediti pure…”, aggiunse spostandomi la sedia come un vero gentiluomo, cosa che mi sorprese parecchio. Non pensavo neanche che conoscesse questa tattica da gentleman.
“Devo per caso chiamare l’FBI e dichiarare un rapimento alieno?”, gli chiesi spostando la sedia vicino al tavolo. “Dov’è il Jack cavernicolo?”, gli domandai ridendo.
“Jack stasera non c’è!”, dichiarò portando su un vassoio due piatti contenenti due fumanti porzioni di lasagne. “Stasera, signorina Sally Jhonson avrà al suo completo servizio il qui presente Jack Bassam Barakat”, disse inchinandosi per poi posare i piatti sul tavolo. “Pronto a esaudire ogni suo desiderio”
“Oh Jack!”, dissi ridendo.
“Mi scusi?”
“Signor Jack Bassam Barakat”, sospirai. “È un onore restare a cena da lei, cosa ha preparato di buono?”
“Per lei ho passato il pomeriggio a preparare delle squisite leccornie… come primo piatto avremo queste deliziose lasagne mentre, la seconda portata consiste in un magnifico pollo al limone contornato di patate e per dessert… avrà una sorpresa”.
“Hai cucinato tutto te?”, gli chiesi sospettosa, poggiando la forchetta sul tavolo prima di dare un morso al cibo. Jack poteva essere un bravo ragazzo e magari le sue intenzioni erano buone, ma non si poteva di sicuro dire che fosse un abile cuoco. Forse anche Ally riusciva a cavarsela meglio ai fornelli.
“Devo essere sincero, sono ricorso alla tecnologia e ai supermercati… tutto questo non sarebbe stato possibile se non grazie a queste grandiose invenzioni dell’uomo”, dichiarò mangiando tranquillamente la sua lasagna. “Volevo farti restare questo ricordo prima che partissi per il tour e un ricovero in ospedale per avvelenamento da cibo non era esattamente il ricordo che volevo lasciarti e quindi ringraziamo tutti insieme l’inventore del microonde, mio grande amico!”, almeno era stato sincero. Di sicuro non sarei morta per colpa sua, anche se il gesto era stato del tutto premuroso e davvero dolce.
“Hai il sospetto che mi possa dimenticare di te?”, gli chiesi.
“Non penso che qualcuno si possa dimenticare di Jack Barakat!”, dichiarò molto sicuro di se. “Più che altro volevo comportarmi almeno per una volta come un vero fidanzato e non come il cazzone di turno”.
“È un gesto davvero dolce Jack”, gli dissi sorridendoli teneramente. Era fantastico!
“Spero che la cena ti piaccia perché il dessert è una cosa che ti piace davvero tanto…”.
“Jack, non fare allusioni!”
“Non intendevo quello, anche se poi… magari… nel dopo cena… ok, ne parliamo dopo”, affermò ricevendo un mio sguardo fulminante. “Comunque si tratta del tiramisù”, mi si illuminarono gli occhi. “L’ho comprato oggi pomeriggio in quella pasticceria italiana, dove eravamo andati il mese scorso e ti era piaciuto tanto e…”.
“Jack è davvero fantastico tutto quello che hai fatto”, mi affrettai a dire interrompendolo. Mi alzai dal mio posto e lo baciai dolcemente sulle labbra. Non avevo mai visto quel suo lato romantico e dovevo ammettere che mi piaceva. Era davvero incantevole. Sarebbe stato sicuramente un bel ricordo da portarsi dietro appena lui se ne sarebbe andato. “Cosa ne pensi se saltiamo direttamente al dopocena e mangiamo il dessert più tardi?”, gli proposi non resistendo e iniziando a slacciargli i bottoni della camicia.
“Penso che sia un’ottima idea!”, rispose prendendomi in braccio e spostandoci nella stanza da letto.
Decisamente Jack era stato fantastico in quei giorni e la sua assenza si era fatta sentire particolarmente dopo il grande momento di piena dolcezza.
“Wow, Jack ha fatto davvero tutto ciò?”, mi chiese Ally incredula. E come potevo biasimarla.
“Sul serio”, affermai fiera di lui. “Non avrei mai immaginato una cosa del genere…”.
“Che storia…”, ripeté questa volta seriamente, rimanendo senza parole.
“Invece con Alex come va?”, le chiesi. “Intendo la convivenza… perché è questo che state facendo giusto?”, le dissi ridendo.
“Convivenza… sembra una parolona”, rispose lei ridendo a sua volta. “Diciamo che si è piazzato in casa gradualmente senza che me ne rendessi conto fino a quando un giorno ho realizzato che lo trovavo praticamente piazzato sul divano quasi tutte le sere”.
“Uomini!”, dissi. “Cosa ci vuoi fare?”
“Già…”, rispose non troppo convinta. Notai nei suoi occhi un velo di tristezza, non era da biasimare in fondo. Sentiva la mancanza di Alex così come io la sentivo di Jack, ma la conoscevo bene da sapere che non era solo quello il problema.
“Sai, mi chiedo perché tu non abbia seguito Alex…”, le dissi tutto d’un tratto.
“Probabilmente perché sono un’idiota”


Molly
Ok, questo capitolo non mi piace particolarmente, però ho pensato che sarebbe stato carino raccontare qualcosa della vita "privata" di Jack & Sally e di come lui nascondesse il suo lato romantico, ma alla fine lo sappiamo tutti che Jack è un inguaribile romanticone sotto quella corazza di uomo da una notte e via... (Jack 4 more bitches! Fuck Yeah!)
Ok, tralasciamo questo piccolo sfogo... ho appena gettato nel cesso quel briciolo di dignità che conservavo.
Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 22
*** Chap ventidue. ***


Chap ventidue. – Jack P.O.V.
Lo stava facendo di nuovo e non mi sarebbe piaciuto come sarebbe finita quella situazione, sapevo per certo che si sarebbe lasciato trasportare dalle sue stupide emozioni e avrebbe passato le giornate chiuse nel bunk del bus che ci avrebbe portato in giro per l'Europa e successivamente nel resto del Mondo.
Non avrei tollerato un'altra scenetta isterica di lui che si chiudeva in se stesso ad ascoltare canzoni deprimenti. Non faceva di certo bene a lui stesso, tanto meno alla band che viveva come se avesse bisogno di una strana dose di pazzia e perversione shakerato a un pizzico di buon senso e contenuto il tutto all'interno di un capiente bicchiere di allegria. Noi quattro, insieme, eravamo il mix perfetto. Il drink che tutti vorrebbero bere ma che solo pochi sanno reggere. Se solo fosse mancato un ingrediente sarebbe stato tutto inutile, una falsa cosa di quello che in realtà eravamo. Se io ero la perversione, Zack il buon senso e Rian la pazzia, mancava l'elemento portante, quello che ci avrebbe tenuto insieme ed era Alex con la sua allegria, che in questo giorni se ne stava letteralmente andando a puttane. Non dicevo che senza di lui noi tre non avremmo parlato, solo che era quel collante perfetto che riusciva a metterci tutti d'accordo.
Sapevo che dovevo fare qualcosa ma non sapevo precisamente cosa. Probabilmente dovevo parlargli. Esatto! Ero il suo migliore amico e dovevo assolutamente sollevarlo dai pesi che si portava dentro.
Quasi mensilmente Alex aveva bisogno di parlare con me, di sfogarsi seriamente, di urlare, di arrabbiarsi, di ridere e di scherzare e a volte di piangere solo perché aveva il brutto vizio di tenersi tutto dentro e archiviarlo in un angolo polveroso della sua mente e del suo cuore fino a quando quel grumolo di emozioni si stancava di rimanere lì e sbucava pronto a tormentarlo. Erano frequenti i suoi attacchi di panico dovuti all'ansia e mi sorprendeva come ancora non ne aveva avuto uno e la cosa mi preoccupava nello stesso tempo. Era come una bomba a orologeria, ed io lo sapevo bene, sarebbe potuto scoppiare quando meno ce lo si aspettava semplicemente perché si aveva erroneamente schiacciato un tasto sbagliato o per restare in tema: si aveva tagliato il filo blu anziché quello rosso e così la bomba aveva iniziato il suo conto alla rovescia per una catastrofica esplosione.
E questo era sicuramente un lavoro per l’artificiere Jack Barakat!
«Noi tutti sappiamo che i musicisti affrontano qualunque cosa in modo diverso dalle persone normali. Durante i tour è possibile trovare le rockstar nel loro ambiente naturale mentre scherzano tranquillamente con ogni persona che si trovano davanti nonostante siano appena state lasciate o abbiano semplicemente nostalgia di casa.
Grazie all'opportunità che abbiamo oggi di trovarci in un tour bus in viaggio per una nuova citta, possiamo studiare da vicino le determinate fasi che attraverseranno la mente e il corpo di questi ragazzi.
Prima fase: l'evitazione del problema. Le rockstar tendono ad evitare i loro problemi rifugiandosi negli scherzi e nelle chiacchiere animate con chiunque, facendo sembrare che sia tutto apposto e che non abbiano nessuna preoccupazione eccetto quella di riuscire a scrivere correttamente il proprio nome per un improvviso autografo e di avere abbastanza birre che vedremo poi nella fase successiva.
Seconda fase: l'autodistruzione. Da musicista degno di esserlo chiamato tale, esso affoga i propri dispiaceri nell'alcol e talvolta nelle droghe leggere, come facevano i poeti maledetti del Decadentismo. Questo solo per creare uno stato anormale dove la tristezza, la malinconia e il dolore non possono continuare ad affliggerli.
Terza fase: l'autocommiserazione. In questo caso dobbiamo entrare più nello specifico e analizzare ogni membro della band.
Per esempio, se il membro soggetto a malumore si tratta di un chitarrista o di un bassista esso passerà un'intera giornata a demoralizzarsi e commiserarsi per essere stato un idiota, ma tranquilli perché tornerà sul campo la sera stessa pronto a mettere in scena la fase due seguita dal primo stadio, il tutto non smettendo di sorridere come un idiota.
Se è il batterista a essere preoccupato vi consiglio dei tappi per le orecchio in quanto potrebbe continuare a suonare su qualunque cosa e con qualunque strumento abbia tra le mani. Ebbene sì, potrebbe anche riprodurvi "My Heart Will Go On" con un paio di cucchiaini e due pentole. Il risultato sarà che avrete una versione black-metal della canzone, ma che potrebbe fare un successo tale da essere scaricata sui vostri iPhone e utilizzarla come suoneria per le ex-fidanzate.
La faccenda diventa più seria se è il cantante il diretto interessato alla depressione. Preparatevi ad affrontare lagne, melodie e canzoni che parlando della magnifica storia d'amore e di come farà di tutto per riavere la sua lei o come ci si sente a essere così tristi quando tutto intorno a loro sembra andare avanti senza accorgersi di quanto loro stanno soffrendo. Sarà davvero una cosa pesante… e smielata… e pesante, ma probabilmente sarà di sicuro una canzone che sarà inserita nel successivo album e che sarà continuamente suonata live ai concerti.
Quindi, se ancora sei convinto ad intraprendere una vita da tour dopo queste indicazioni ti conviene andare dal proprio psicanalista di fiducia e farti rilasciare un certificato di sanità mentale!
Per oggi è tutto. Ci vediamo alla prossima puntata di: In Tour con Barakat!
Fuck you!»
Mi sentivo così idiota dopo aver pensato a questo stupido discorso. Lo facevo sempre prima di fare qualcosa di importante. Mi mettevo a parlare nella mia testa come se fossi un conduttore tv e iniziavo a dire cose estremamente stupide e che probabilmente avrebbero fatto ridere Alex se solo avessi trovato le parole giuste per spronarlo ad uscire dal suo bunk, rannicchiato dietro alla tenda nera così da non fare entrare la luce del giorno.
Bussai sul muro prima una vota, poi due, finché la testa del ragazzo fece capolino dalla tenda leggermente aperta.
"Posso essere invitato nel tuo letto o devo essere un vampiro che brucia alla luce del sole?", gli chiesi abbozzando un sorriso. Passarono diversi secondi, che sembravano minuti, prima che il mio compagno di tour aprisse la tendina per farmi accomodare.
Questi autobus potevano vantarsi di avere tutto eccetto lo spazio necessario per un decente letto. A volte il divano era decisamente più comodo che quei buchi che spacciavano per letti.
"Tutto questo buio non fa bene ai tuoi capelli tantomeno alla tua pelle che sembra assumere una tonalità grigiastra”.
"Cosa vuoi Jack?", chiese come se fosse scocciato della mia presenza.
"Cosa stai ascoltando?", gli domandai ignorando la sua domanda e prendendo una cuffia che si era tolto quando lo avevo disturbato. “I'm Lost Without You", dissi riconoscendo la canzone. "I Blink-182... un classico"
"Sei venuto per criticare i miei gusti musicali?"
"Non è per questo che sono qui... ", gli dissi incrociando le gambe e chiudendo la tenda nascondendoci dietro.
Sapevo che se avessi creato uno spazio privato, sicuro, tranquillo, dove fossimo solo noi due, sarei riuscito a farlo ragionare o almeno a parlarci senza provocare ulteriori danni. Però quel buio non mi piaceva, volevo un pretesto che lo obbligasse a guardarmi negli occhi e che capisse che tutto quello che stava facendo non andava per nulla bene, così mi limitai ad accendere la piccola lucina improvvisata su quella che poteva essere chiamata la base del bunk di sopra.
"Sono qui per parlare... ", inizia a dire. "È arrivata la seduta mensile di «Parla con Jack» ", scherzai. "Cosa ti affligge?", gli chiesi sapendo esattamente quello che lo tormentava da quanto era iniziato il tour. La nostalgia di casa, la nostalgia per Ally, il non essere abbastanza e le ulteriori preoccupazioni.
"Jack... ", disse soltanto, come se volesse continuare la frase ma che lasciò prontamente cadere senza aggiungere niente. Come se non trovasse le parole. come se non avesse il coraggio di dirle.
"So che ti manca Baltimora e che ti manca Ally, ma non puoi continuare a chiuderti qui dentro emulando il Signore delle Tenebre... ", gli dissi tutto d'un fiato. "... e sono stanco di essere battuto da Zack alla Playstation, quindi ho assolutamente bisogno del mio compagno di squadra che faccia il culo a quel ragazzo tutto muscoli e niente cervello", dissi forse alzando un po’ troppo la voce.
"Jack ti ho sentito!", urlò il diretto interessato dall'esterno di quel rifugio che si erano creati.
"Fottiti Zack!", gli risposi. "Vinci solo grazie ai tuoi muscoli... se li avessi anch'io le cose sarebbero diverse”.
"È solo invidia!", ribadì aprendo la tendina e mostrando il suo bel sorriso beffardo. "Lo sai anche te che appena dovrai aprire un barattolo di vetro avrai bisogno di me o di Rian perché le tue mani da mozzarella non riescono a fare nulla”.
"Oh tu non sai cosa riesco a fare con queste mani... ", lo avvertì maliziosamente. "Intanto potrei portarle attorno al tuo collo mentre dormi e poi voglio proprio vedere chi non ha muscoli”.
"Contaci!", rispose lui per poi chiudere la tendina. Scossi la testa ritornando al mio amico che aveva bisogno di me.
"E se si stancasse di me?", chiese improvvisamente. "E se si abituasse all'idea di non avermi più attorno?", domandò. "Se non avesse accettato la proposta perché non vuole più stare con me?"
"Alex non dire cazzate!", lo avvertì. "Ally ti vuole bene, forse anche più di quello che una persona normale riuscirebbe a provare per te", dissi cercando di tranquillizzarlo. "Non si è stancata di te, probabilmente avrà avuto i suoi buoni motivi e non è così semplice levarti dalle scatole, ti conosco da più di dieci anni e ancora mi ritrovo a prendermi cura di te... sei come un maledetto tarlo chiuso nella mia testa", dissi ridendo e finalmente vedendo un sorriso anche sul suo volto. "Quindi non vedo nulla di cui preoccuparti... ", lo rassicurai. "Appena ti tranquillizzerai vedrai che qualcosa si sistema”.
"Grazie Jack", disse semplicemente. Poteva fare qualunque gesto: abbracciarmi, picchiarmi, insultarmi e mandarmi a fanculo ed eppure si era limitato a dire grazie. Apprezzai quel gesto più di qualunque altra cosa. Era detto con sincerità e sull'angolo destro delle sue labbra c'era un sorriso che stava crescendo. Era tutto quello che pretendevo per il mio migliore amico. Volevo che stesse bene.
 
Alex P.O.V.
Appena Jack se ne era andato, la mia attenzione era stata catturata dal mio telefono che aveva iniziato a squillare. Guardai lo schermo cercando di  capire chi fosse, ma la troppa luce in contrasto con il buio all'interno del bunk mi diede fastidio così accettai la chiamata senza guardare chi avesse composto il mio numero.
"Pronto?", domandai nel microfono del telefono.
“Ehi Alex…”, riconobbi la voce. Era l'unica che al momento avrei voluto sentire.
“Tutto bene Ally?”
“Sì, ehm… dove sarete settimana prossima?”
“Penso in Italia, a Milano", le dissi e mi resi solo in quell’istante che era passato già tanto tempo.  “É incredibile, sono già passati due anni da quando ci siamo incontrati per la prima volta”.
“Si…”, disse distante. Forse anche lei soffriva della distanza come me.
“C’è qualcosa che volevi dirmi?”, chiesi speranzoso. “Di solito non ci sentiamo mai a quest’ora… soprattutto perché da te sono circa le quattro del mattino se i miei calcoli non sbagliano”.
“È solo che... è ancora libero quel posto da assistente?”, chiese quasi tutto un fiato.  Non ero certo di aver sentito bene ma speravo vivamente che quello che avesse appena detto fosse vero. Voleva venire qua. Voleva venire da me.
"Matt non ha assunto nessuno... posso chiedergli di prenotarti un volo per arrivare alla prossima tappa”.
"Non c'è problema", rispose semplicemente. Forse era interessata solo al lavoro.
"Non vedo l'ora di rivederti"
"Anch'io... ", disse lasciando sospesa la frase come se non sapesse cos'altro aggiungere. Ero un idiota ad averci sperato. Ad aver creduto alle insensate e banali parole dette da Jack. "Alex... "
"Dimmi... "
"Mi manchi"
"Anche te"
Ok, mi sentivo così stupido per essermi fatto mille paranoie. Lei era la stessa ragazza che mi aveva aspettato per più di un anno nonostante le avessi mentito, nonostante le avessi detto che l'avrei chiamata pur essendo fidanzato nascondendole questo piccolo particolare, e io mi ero posto mille dubbi su quella ragazza che come diceva Jack «ti vuole bene, forse anche più di quello che una persona normale riuscirebbe a provare per te». Ero stato un completo idiota a credere al contrario!
"Ora vai a dormire, ci sentiamo più tardi", le suggerii. Potevo immaginare che aveva passato la notte sveglia a pensare su come avrebbe potuto mettere da parte l'orgoglio e gettarsi a capofitto in quello che per lei era stata un'opportunità.
Riattaccai il telefono e mi decisi ad uscire da quel posto. Più che un bunk sembrava un bunker da come mi ero segregato dentro.
Mi stiracchiai e andai verso la cucina, volevo una birra fresca per dissetarmi e volevo trovare Jack per ringraziarlo come si doveva.
"Ehi Jack, non so se vi siete messi d'accordo ma... ", mi bloccai lasciando la frase a metà. "Jack cosa stai cercando di fare?", chiesi al mio amico che teneva un barattolo di burro d'arachidi sospeso per aria, pronto a buttarlo per terra per farlo aprire.
"Penso che stanotte ucciderò Zack", rispose con un tono vendicativo. "Sono anemico, diamine!", si lamentò. "Non posso morire perché non ho assunto una buona dose di ferro e vitamine”.
"Non penso che il burro d'arachidi possa aiutarti... “.
"Vuoi che soffochi anche te nel sonno?", mi disse con tono minaccioso.
"Dammi, te lo apro io", gli risposi aprendo il barattolo e porgendolo di nuovo a lui tenendo il coperchio in una mano e il vasetto color caramello nell’altra.
"Ora chi ha più bisogno di Zack?!"

Molly
Ok, lo ammetto: mi sono divertita a scrivere questo capitolo, soprattutto la parte di Jack che descrive la depressione dei musicisti. Non ho la più pallida idea se quello che ho scritto è reale o meno, l'ho semplicemente immaginato così come mi sono immaginata Jack vestito da escursionista, in tenuta militare con un capellino mimetico abbinato ai pantaloncini e alla camicia a maniche corte che si muove in punta di piedi, quasi cautamente all'interno del bus.
Forse dovrei semplicemente iniziare a cambiare spacciatore e smettere di bere o forse sono solo strana!
Hahahhahaha
Al prossimo capitolo :)
So long live us

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Capitolo 23
*** Chap ventitré. ***


Chap ventitré.
Alla fine avevo ceduto di nuovo. Mi ero lasciata trasportare dai sentimenti diventando quasi dipendente da quel ragazzo che s’impegnava così tanto per dimostrarmi il suo affetto.
Accettare quella proposta, probabilmente, era stata la cosa migliore da fare e se non fosse stato per Sally, sarei rimasta di sicuro a Baltimora a rimuginare su tutte le scelte sbagliate che avevo fatto nella vita per colpa del mio stupido orgoglio. Era esattamente lui la causa delle mie indecisioni, ma non potevo attribuirgli tutta la colpa.
Però ora stavo bene ed eppure non mi spiegavo come fosse possibile essere in Europa e vedere ancora la pioggia scendere lungo i finestrini del bus. Da quanto mi ricordavo, il brutto tempo arrivava pressoché a ottobre, novembre, non a settembre. 
Era così assurdo come tutto appariva grigio e buio nonostante fosse quasi mezzogiorno, ma era fantastico il gioco di luci che realizzava all’interno del bus.
"Non pensi che sia bellissimo?", gli chiesi bevendo l’ultimo sorso di thè caldo, non distogliendo lo sguardo dal cielo scuro fuori dal finestrino. I grossi nuvoloni, le gocce di pioggia che cadevano sull'asfalto e sulle superfici vetrate e come essere giocassero a creare pozzanghere e linee irregolari lungo i vetri. Ero sempre stata affascinata da questi spettacoli che ci offriva gratuitamente la natura.
"Da quando ti conosco, ho notato che sei attratta dalle catastrofi naturali...", disse ridendo. "...a partire da me"
"Alle catastrofi naturali si può rimediare, mentre con te ci abbiamo rinunciato tutti"
"Nonostante questo tutti hanno bisogno di me"
"Sbagliato!", lo corressi. "Tutti hanno bisogno del proprio Jack!", dissi. "Rose in Titanic, Sally in Nightmare Before Christmas e anche la nostra Sally ha bisogno del suo Barakat, gli alcolizzati cercano il proprio Jack Daniel's e sono pienamente convinta che anche la Perla Nera avesse bisogno di Sparrow"
"Le tue teorie non fanno una piega, però sono il sexy cantante super figo di una band abbastanza famosa, tecnicamente tutti mi amano!"
"Ne sei pienamente convinto rockstar?", gli chiesi ridendo. “Il tuo ego sta per scoppiare!”
"Non so cosa ti ha spinto a raggiungermi, ma ora sei qua... qualcosa vuole pur significare..."
"L'ho fatto solo per il lavoro e per intraprendere una carriera da groupie"
"Scherzi?", chiese tra il serio e l'ironico.
"Assolutamente no", risi. "Sono qui solo per Matthew che ha bisogno di distrarsi un po' da tutto questo stress che gli provocate"
"Ma Flyzik non è un membro della band!", si lamentò. "Io sono il cantante e tu dovresti essere la mia groupie"
"Lasciala stare Alex, ormai ha scelto me!", disse, sorprendendoci, il diretto interessato, arrivando alle mie spalle e sollevandomi di peso per posarmi su quello che apparentemente doveva essere il suo letto. "Ha scelto il migliore!", dichiarò ridendo, seguito a ruota da me.
Stare tutti in un unico bus aveva il suo lato positivo, ossia quello di stare in contatto con i propri migliori amici o comunque con delle persone con cui ci si trovava bene e si poteva scherzare liberamente, ma quest’avventura presentava anche un lato svantaggioso. Come si vuol dire: «ogni medaglia ha il suo rovescio» e quello negativo era che tutti potevano sentire o intervenire in qualunque discorso, perché dal momento in cui si metteva piede in quel bus, era diventato un condividere tutto, dalla felicità ai momenti di tristezza a quelli di pura rabbia. Il punto era che non si poteva mai stare completamente da soli fino a quando non si raggiungeva una tappa del tour e tutti scendevano per respirare aria pulita, non intrisa dall'odore di birra e di dopobarba diversi.
Tutto sommato non mi dispiaceva restare lì. Avevo Alex, parlavo di tutto con Zack tanto che si era offerto di insegnarmi ad andare sullo skate, cosi come Rian che aveva accettato la mia proposta di insegnarmi a suonare la batteria in cambio di aiutarlo a organizzare gli scherzi da fare a Jack. E soprattutto quest'ultimo, vittima di noi bulli, mi sorprese come reagì alla mia presenza sul bus. Pensavo che si sarebbe arrabbiato per il semplice fatto che io fossi qui con loro mentre Sally era rimasta da sola in città. E invece l'aveva presa con notevole diplomazia. In una delle nostre conversazioni notturne, quando entrambi non riuscivamo a prendere sonno, gli avevo chiesto se fosse arrabbiato con me e con mia sorpresa aveva semplicemente risposto che anche se Sally fosse stata con noi non sarebbe potuta restare a lungo perché aveva il suo lavoro e non voleva essere la causa di un suo licenziamento. 
In un primo momento sentii una stretta al cuore. Sentire quelle parole mi fecero un po' male. Io ero stata licenziata per una foto che mostrava un semplice bacio dato per gioco mentre a lei sarebbe capitato se avesse perso diversi giorni di lavoro per seguire uno «stupido musicista» come si definiva lui.
Però, uno dei motivi che mi aveva spinto a raggiungerli, per quanto egoista potevo sembrare, era stata proprio la proposta che aveva fatto Matthew ad Alex.
Matt mi trattava come una della troupe, come se fossi insieme con loro da tutta la vita. Scherzava con me come se lo avesse sempre fatto, mi ordinava cosa fare e m’indicava il programma della giornata. A volte mi urlava contro quando quei disgraziati gli facevano raggiungere l'apice della rabbia, ma andava bene così, lo faceva con tutti, indifferente dal sesso, dall'età e dalla specie. Probabilmente avrebbe urlato dietro anche alla Regina d'Inghilterra, al presidente Obama e al Papa se solo si fossero messi davanti alla sua strada ostacolandolo in qualunque modo, anche semplicemente avvisandolo che sua madre lo stava cercando al telefono da circa un’ora. Ciò nonostante c'era solo un modo per farlo calmare: fare quello che diceva lui... o prendere in ostaggio il suo pupazzo preferito di Mickey mouse ma quest’opzione era presa in considerazione soltanto in casi estremi, prima che al povero Matt gli scoppiasse un embolo.
Però andava bene così, non volevo che evitasse di urlarmi dietro solo perché ero la ragazza del cantante, non volevo favoritismi poiché lavoravo per lui.
"Comunque siamo quasi all'aeroporto di Parigi, abbiamo il volo tra poco per Londra e dopo quella tappa ci sposteremo a nord e infine suonerete in Irlanda per poi ancora più a nord dove il vostro culo si congelerà”, ci informò il tour manager sedendosi e facendo penzolare le sue gambe già dal letto, di fianco a me. “Farete delle tappe in Norvegia, Svezia, Finlandia e in Danimarca per poi volare nel grande e freddo Est, ma la vostra testolina vuota non vi permette di immagazzinare così tante città… quindi mi limiterò a dirvi che stiamo andando a prendere l'aereo per la terra del the e di Harry Potter!”, spiegò Matt senza prendere un attimo di respiro. “… e no Alex, non farete un concerto a Hogwarts!", disse infine non lasciando parlare il ragazzo che aveva solo aperto la bocca.
Era davvero bravo a fare il suo lavoro nonostante la sua giovane età. Probabilmente era proprio questo, quello che gli permetteva di essere in perfetta sintonia con il resto del gruppo.
Ero così felice di stare in mezzo a questa gabbia di matti.

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Capitolo 24
*** Chap ventiquattro. ***


Chap ventiquattro. 
Ho sempre amato Londra. Probabilmente se non mi fossi legata a Baltimora, ci sarei già andata a vivere. Mi sarebbe piaciuto alloggiare in una di quelle case bianche in stile vittoriano o in quelle che avevano la porta colorata nel quartiere di Notting Hill, e avrei sperato di scontrarmi con un attore famoso per puro caso, magari inciampando su di lui, e sarebbe poi nata una magnifica storia d'amore da cui sarà tratto in seguito un film. Tutto questo però era già stato realizzato da Hugh Grant e Julia Roberts. Mi sarei dovuta accontentare di incontrare il principe Harry, cosa che non mi dispiaceva per nulla poiché avevo sempre avuto un debole per la sua chioma rossa e il suo atteggiamento da ribelle. 
"A cosa stai pensando?", mi chiese improvvisamente Jack notando sul mio volto un sorriso ebete.
"Al principe Harry"
"Non capisco perché tutte sbavate dietro a quel Ginger”.
"Lo hai detto... per i capelli rossi, secondo te per cosa?"
"Beh, avrei immaginato per le sue prestazioni sessuali o almeno per le dimensioni del suo pene... “.

“Quindi mi stai dicendo che hai visto anche tu le foto del bel principe a Las Vegas?”
“Il suo culo era su tutte le riviste!”
"Come sei volgare Jack!", scherzai. "Dove sono i sentimenti?"
"Io non ho sentimenti!"
"Lasagne e tiramisù!", dissi soltanto e capii di aver toccato il suo punto debole da come si drizzò con la schiena e come le sue pupille diventarono piccole. "Io so!"
"Non devi dire niente!"
"Certo che non lo dirò... per ora!", lo ricattai.
"Che cosa vuoi in cambio?", domandò cercando di negoziare. "Qualunque cosa... "
"Uhm... ", dissi portandomi l'indice sul mento e assumendo l'aria di chi stava riflettendo sul serio per negoziare uno scoop che gli avrebbe rovinato per sempre la sua fama.
"Qualunque cosa... ", disse di nuovo.
"Sai una cosa?", gli chiesi. "Non voglio niente per ora, mi piace vederti vivere con il terrore che io possa farmi sfuggire qualcosa in qualunque momento", dissi aggiungendo un sorriso malefico.
"Lo sai che sei sadica?"
"Lo so!”, dissi imitando con le mani il signor Burns dei Simpson.
Tra qualche minuto ci saremmo fermati davanti al Southbank Centre, dove i ragazzi avrebbero tenuto un concerto insieme ad altri gruppi, una sottospecie di I-Day festival che si teneva in Italia, però notevolmente migliore.
Scendemmo dal bus. I cancelli dell'ingresso erano ancora chiusi ma si poteva percepire il vociare dei ragazzi dietro di esso che non vedevano l'ora di varcarlo per occupare le prime file.
Mi guardai attorno. Quel giorno, noi dello staff, saremmo stati davvero occupati a rendere grandiosa la performance degli All Time Low che si sarebbero esibiti per penultimi, dopo i The Dangerous Summer e i We The Kings, riscaldando la folla per un gruppo che aveva decisamente accompagnato la mia adolescenza, nonostante la loro età. Se avevo deciso di non prendere la mia vita troppo seriamente e di vivere alla leggera, ridendo e scherzando finché i miei polmoni non avevano più aria, era decisamente grazie a loro. Ed era proprio grazie a loro se la mia adolescenza era stata indiscutibilmente divertente. Era grazie ai Blink-182 che avevo iniziato a scrivere per diventare un'importante giornalista di una famosa rivista di musica.
Tutto quello che desideravo, era incontrare i tre ragazzi di San Diego e ringraziarli per quello che loro, attraverso la loro musica, avevano fatto rendendo la mia vita migliore.
"Non ci credo!", sussultai vedendo quella figura che ero abituata ad ammirare sul muro della mia stanza in Italia. Forse era il caldo, forse stavo andando in meno pausa o semplicemente mi stavo eccitando per il semplice fatto che Mark Hoppus si stava avvicinando a noi con il suo solito sorriso stampato in faccia e i suoi Ray-Ban leopardati. "Oh mio Dio!"
"Sono solo io, ma grazie", rispose il ragazzo con un sorriso beffardo sul viso. Mi stava forse prendendo il giro?
"Non te… ma lui lo è di sicuro!", gli risposi guardando dritto davanti a me, ancora incredula di chi avessi difronte.
"Ehi Alex!", salutò la «divinità» agitando la mano in aria, come per richiamare la sua attenzione, cosa assolutamente assurda visto che lui era Mark Hoppus, una sottospecie di leggenda, di Dio da venerare.
"Ehi Mark!", lo salutò tranquillamente il ragazzo mentre io mi sentivo sempre più in soggezione. Avevo davvero davanti agli occhi l'uomo che avrei voluto per migliore amico e non riuscivo a dire una parola. "Come stai?"
"Uhm... il mio ultimo tweet parla da solo", rispose stringendosi nelle spalle.
"In effetti, è un disastro... ", rispose Alex. "Mettere in pausa «Il trono di spade» è stato decisamente un colpo basso dalla BBC…”.
"Ho letto troppi spoiler per aspettare fino a settembre, io devo sapere cosa accadrà!", rispose quasi in modo maniacale. Era così adorabile anche quando faceva il nerd patito delle serie TV.
"Comunque ti voglio presentare Ally, lei è la nuova assistente di Flyzik... e anche la mia ragazza", mi presentò aggiungendo un sorriso dolce pronunciando l'ultima frase.
"Un vero piacere Ally!", disse lui porgendomi la mano e sorridendomi com’era abituato a fare.
"Ehm... forse non puoi capire, ma il piacere è tutto mio, sul serio, tu sei Mark Hoppus e sei di fronte a me in carne e ossa... ", iniziai a parlare a raffica. "... so che può sembrare il solito cliché, ma sono una vostra fan e... diamine, non riesco a trovare le parole ed eppure è la prima volta che mi capita... scusami, probabilmente ti sembro un'idiota ma quello che sto cercando di dirti è «grazie»!", dichiarai. "Grazie per le canzoni idiote, per quelle serie, per quelle più profonde e per quelle che mettono di buon umore... la vostra musica ha davvero reso la mia adolescenza migliore e non sai quanto vorrei essere nata prima per potervi seguire dall’inizio, così da vantarmi di dire letteralmente «io sono cresciuta con i Blink-182!» “.
"Ok, questa è decisamente la cosa più punk-rock che mi abbiano mai detto", affermò ridendo e senza rendermene conto finii tra le sue braccia. Mi abbracciò ed io ero totalmente incapace di rispondere a quel contatto fisico. Lo desideravo da tutta la vita e avrei voluto prendermi a schiaffi per star sprecando quell’occasione. "Grazie a te per essere nostra fan, sono le persone come te che ci spingono a fare musica", disse ora sciogliendo l'abbraccio. "Ehi Alex, posso rubartela per qualche minuto?", domandò.
"Certo!"
"Te la riporto sana e salva!", disse portandomi un braccio attorno alle spalle. "Vieni, ti faccio conoscere Thomas e Travis!"
Ormai ero completamente abbandonata a quell'uomo. Poteva chiedermi qualunque cosa e l'avrei fatta senza lamentarmi e senza dubbi. Avrebbe voluto la luna? Gliela avrei portata nel minor tempo possibile.
Mi accompagnò verso lo stand della band, dove c'erano diverse persone che stavano sistemando le ultime cose. Provavo decisamente più caldo, mi sentivo soffocare, mi mancava quasi l’aria per respirare. Probabilmente era tutta l'agitazione che si era accumulata nel vedere Mark e nell'essere stretta tra le sue braccia. Ci avvicinammo e fui felice di attribuire un volto all'ammasso di persone che si trovavano sotto il tendone, ma una in particolare attirò la mia completa attenzione. Si trattava di Thomas Matthew DeLonge. Il chitarrista con la voce più buffa del mondo. Il ragazzo che aveva avuto la pubertà a trent'anni. Quello che credeva nella massoneria e nelle cospirazioni. Colui che era chiamato «Hot Pants». La cui faccia aveva tappezzato i muri, i diari, il cellulare e qualunque altra cosa possibile nella mia stanza. Il mio sogno erotico e onirico. Il mio solo e unico ideale di uomo perfetto.
Tutto poteva essere riassunto in due parole: Tom DeLonge.
"Ehi Tom!", lo chiamò l'amico. Non capii bene cosa avvenne successivamente, mi ricordo solo di aver stretto la sua mano e improvvisamente tutto era diventato nero.
"Questo è l'effetto che faccio alle donne... ", fu l'ultima cosa che sentii prima di svenire ai suoi piedi e tra le sue braccia.
Ero stata un'idiota. Avevo avuto davanti l'uomo della mia vita ed ero svenuta come una pivella, non capace di reggere la sua presenza, ma era stato il suo sorriso, l’unico che faceva concorrenza a quello di Rian per una pubblicità di dentifrici sbiancanti, e il suo abbraccio caloroso che mi avevano letteralmente dato il colpo di grazia. Per giunta non ero neanche arrivata a incontrare Travis.
Avevo fatto sicuramente una pessima figura, dandogli l'idea di una stupida ragazza. Probabilmente avevo messo in imbarazzo la band e Alex, che a proposito, mi chiedevo dove fosse finito.

 
Appena mi svegliai capii che era successo qualcosa, ma ero totalmente inconsapevole di cosa avessi combinato.
Aprii piano gli occhi e la prima cosa che vidi fu un soffitto di legno a qualche centimetro dalla mia testa. Non riuscii a capire dove fossi finché, cercando di alzarmi, allungai la mano destra verso l'esterno e spostai la tendina che mi nascondeva da un corridoio che ormai ero abituata a vedere. Ero finita nel bunk del tour bus dei ATL e non mi spiegavo come fossi arrivata lì visto che praticamente ero svenuta davanti a Thomas.
"Non così in velocemente", disse qualcuno seduto davanti al letto. 
"Cosa ci faccio qui?", chiesi non identificando la figura davanti a me. Avevo ancora la vista annebbiata.
"Sei svenuta e probabilmente hai sbattuto la testa, quindi resta sdraiata finché il medico non arriva”.
"Medico? ", domandai. "Non ce n’è bisogno... sto bene"
"Al resta lì ferma!", mi ordinò questa volta. Il tono di voce mi permise di associare un nome a quel volto sfocato, soprattutto grazie al ridicolo soprannome che mi aveva dato. Sembrava piuttosto tubato.
"Alex, cos'hai?"
"Niente!"
"Alex!", ripetei il suo nome duramente. Ciò mi diede la forza di mettermi seduta e sfidarlo. "Perché sei arrabbiato?"
"Non lo sono"
"Allora devo dedurre che ti piace assumere un tono adirato mentre parli con le persone?"
"Resta sdraiata, sei ancora debole"
"Sto bene così!", affermai. "Quindi?"
"Non mi ero mai accorto del tuo tatuaggio", disse riferendosi a quello che mi ero fatta diversi anni fa dietro all'orecchio.
"Sono dei semplici numeri... L'ho fatto dopo aver compiuto i diciotto anni, sai... quando pensi di avere il mondo nelle tue mani e ti senti libera e rivoluzionaria di fare quello che vuoi e allora decidi di farti un tatuaggio che esprima al meglio te stessa e quel 182 descriveva perfettamente me stessa”.
"Non sapevo che fossero la tua band preferita”.
"Alex, ci sono molte cose che non sai di me... “.
"Non so praticamente nulla di te, diamine!"
"Ed è colpa mia?"
"Voglio solo sapere perché non ti apri con me come io ho fatto con te!"
"Perché ho la tendenza a non fidarmi delle persone!"
"Quindi non ti fidi di me?"
"Non ho detto questo!"
"Allora perché?"
"Non voglio discuterne ora!"
"E quando potremmo farlo?", disse alzandosi in piedi, di fronte a me, imitando la mia reazione. "Quando ti deciderai a fidarti di me?"
"Perché diavolo stai urlando?"
"Perché sei svenuta!"
"É veramente questo il problema?", gli domandai esasperata. "Ti sei arrabbiato perché sono svenuta?"
"Sei svenuta davanti a Tom DeLonge!"
"Quindi ti preoccupa la figuraccia che ti ho fatto fare?", domandai più che altro alla sua schiena. "Puoi guardarmi in faccia? Non mi piace parlare con le tue spalle!".
Odiavo quando Alex faceva così. Odiavo il suo caratteraccio. Odiavo quando non voleva discuterne dei problemi. Lo odiavo quando non mi ascoltava. 
"Lascia stare, è inutile che ci torniamo su… ormai quello che è fatto è fatto”.
"Adesso dove stai andando?", gli chiesi maledicendo il suo stupido comportamento infantile. "Vuoi che gli vada a chiedere scusa o temi che ti possa far fare un'altra brutta figuraccia?"

"Non capisci!"
"Vai all'inferno, Alex!"

"Cazzo, Allyson!", disse sbattendo forte la mano contro il muro. "Sei svenuta dopo aver incontrato Thomas e pensi davvero che m’interessi qualcosa se mi hai fatto fare una figura di merda?", mi domandò tornando a guardarmi, tenendo chiusa la mano destra stretta a pugno. I suoi occhi erano diventati due fessure, impenetrabili. Le sue iridi avevano assunto un colore surreale, quasi nero. Così penetrante da far rabbrividire chi si trovava abbastanza vicino da poterle vedere, facendomi sentire in colpa. Facevano paura. "Sono arrabbiato perché hai avuto una reazione del genere, ma non lo sono con te soltanto su quello che ti è successo... cazzo, quell'uomo è riuscito a farti svenire semplicemente con un abbraccio, qualcosa deve essere scaturito nella tua testa un segnale o una cazzo di motivazione per farti perdere i sensi... appena ti ho visto in braccio a Tom mi sono chiesto cosa cazzo fosse successo e solo dopo che mi hanno raccontato mi sono sentito un idiota... probabilmente sono solo uno stupido che si è innamorato di una ragazza che ama un'altra persona!", disse tutto di un fiato. "Mi sento come rifiutato e il fatto che tu non mi dica niente di te e della tua vita mi ha fatto riflettere, e forse non sono io quello che vuoi... ti ho portato solo guai!"
"Ora ascoltami bene, perché sei davvero un idiota!", gli dissi duramente. "Come diamine ti è venuto in mente una cazzata colossale come questa, deve esserti spappolato il cervello a furia del volume troppo alto delle casse durante i tuoi show perché non ti ho mai dato motivo di sentieri rifiutato, non da quando abbiamo iniziato a stare insieme… e sì, mi hai dato diversi problemi, a prescindere dal nostro primo incontro, ma ora sono qui e non so se te ne sei reso conto, ma sono stata disposta a subire tutta la rabbia di Matthew per stare con te e se ancora non ti è chiaro ti posso fare un disegnino così che il tuo stupido cervello possa comprendere quello che sto cercando di dirti!", continuai a dirgli puntando l'indice contro il suo petto. "E sì, sono svenuta al semplice contatto con Thomas DeLonge e sai una cosa? Stavo per svenire anche con Mark! Ed è capitato solo perché loro sono il mio gruppo preferito, e non nego il fatto che sia particolarmente attratta da Tom ma non potrei mai farci niente se non idolatrarlo come una stupida ragazzina di dodici anni alle prese con le prime cotte per una boy band di cinque ragazzi di bell'aspetto", dissi portandomi le braccia al petto, "E se non ti parlo della mia vita è perché non c'è niente di così importante che debba essere detto... sono una normalissima ragazza che non ha nulla di emozionante da raccontare, forse qualche aneddoto e un paio di cene di Natale imbarazzanti, ma nulla a confronto con la vita movimentata che ti ritrovi a fare, la mia vita è piuttosto breve da raccontare", finii di dire.
Mi sorprese la successiva reazione di Alex. Mi sarei aspettata una qualunque reazione, una risposta o che se ne fosse andato da un momento all'altro mandandomi all'inferno ed invece mi aveva semplicemente abbracciato, stringendomi forte a lui. "Sei un idiota Alex!", affermai come ultima cosa restando beatamente tra le sue braccia.

Molly
Ok, questo capitolo è decisamente troppo lungo ma spero che vi sia piaciuto. Ho voluto inserire i Blink-182 perchè sono uno dei miei (tanti) gruppi preferiti e quindi mi ritrovo molto in quello che Ally dice a Mark. Amo Mark, amo Travis e amo Tom, forse fin troppo, forse non abbastanza. Insieme agli All Time Low e ai Simple Plan accompagnano le mie giornate.
Ok, questo è un piccolo momento di dolcezza, hahahahahahaha... scusatemi :)
Chiunque stia leggendo vorrei ringraziarlo per essere arrivato fin qui e vorrei ringraziare Rackunicornsr0mance per le continue recensioni. Mi rendono davvero felice :)
Peace!

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Capitolo 25
*** Chap venticinque. ***


Chap venticinque.
Indiscutibilmente la litigata che avevamo avuto quel pomeriggio era soltanto la prima di un'infinità di liti che avremmo avuto, a partire dal giorno successivo, dopo il mio piccolo incidente con Tom. Però non era solo lui il problema delle nostre litigate.
Il punto è che quando s’inizia a stare a stretto contatto con una persona bisogna abituarsi alle sue manie e soprattutto starne attente perché il detto «il lupo perde il pelo ma non il vizio» non era mai stato così vero come quella sera e lui stesso lo avevo dimostrato.
 
Il giorno dopo il grande festival, i ragazzi si sarebbero esibiti a Londra in un concerto come headline. Il locale era sicuramente più piccolo rispetto alla location della sera precedente, ma quei quattro riuscirono a riempire tutto il locale raggiungendo il sold out.
Era tutto pronto per la grande serata. La band di apertura stava scendendo dal palco per dare spazio al gruppo e la folla era letteralmente in visibilio mentre le luci sopra il palco si spensero e i quattro presero posto davanti ai loro microfoni.
Alex iniziò il suo riff di chitarra per primo seguito poi dalla batteria, dal basso e dalla seconda chitarra.
Mi faceva impazzire come introducevano i loro concerti. Mi piaceva da morire tutta quell’energia che mettevano nell’intro come se dovessero dimostrare la loro bravura a qualcuno. E ogni volta che li sentivo riprodurre quelle note, una strana carica, delle strambe emozioni, si riscuotevano in me.
Vederli dallo stage faceva decisamente uno strano effetto.  Era buffo come non mi fossi mai soffermata a sentire le canzoni del gruppo nonostante ora sia in tour con loro. Probabilmente milioni di persone vorrebbero essere al mio posto e di sicuro conoscevano ogni parola di ogni loro canzone, sapevano tutto ciò che c’era da sapere su quei quattro e probabilmente anche sul resto dello staff, ed era per questo che cercavo di dare il meglio di me in quello che realizzavo, soprattutto perché mi sembrava il minimo per quello che quei ragazzi stavano facendo per me, anche senza rendersene conto.
“Ehilà!”, disse una voce esterna, diversa da quella di Matt che ero abituata a sentire dall’auricolare. Mi voltai a vedere chi mi avesse appena salutato e rimasi sorpresa di chi avevo di fronte, di nuovo.
"Ehm... ciao", lo salutai imbarazzata. Mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e continuai a tenere lo sguardo basso come se avessi paura. E, in effetti, una parte di me era in soggezione di fronte a lui.
"Non sverrai di nuovo, vero?", chiese preoccupato vedendo che mi limitavo a non rispondere. Come facevo a dire qualcosa se davanti a me c'era, di nuovo, Tom DeLonge.
"Uhm... no, non ti preoccupare", gli risposi sorridendo.  "Sto decisamente molto meglio rispetto a ieri... probabilmente è stato il caldo a farmi avere un mancamento…", dissi ridendo. Forse avrebbe creduto alla palla che gli avevo appena detto.
"O forse sono stato proprio io... ", replicò con un sorriso malizioso stampato sul viso. Improvvisamente sentii caldo, di nuovo. Non poteva capitare nuovamente.
"È stato il tuo ego a dire ciò o lo pensi davvero?"
"Non è la prima volta che mi capita, non devi imbarazzarti... “.
"Beh... innanzitutto ti porgo le mie scuse per il pessimo modo di aver affrontato la situazione, è stata la prima volta che mi è capitato, sul serio... di solito sono più spigliata con i musicisti... sono abituata alla loro presenza", farfugliai.
"Abituata alla loro presenza?", disse ridendo. "Più spigliata?", ripetette quello che aveva appena detto. "Sei per caso una groupie?", chiese continuando a ridere. Quella sua affermazione mi offese, non perché lo avesse ipotizzato ma per come lo avesse detto, con quel sorriso stampato in faccia. Probabilmente Tom stava perdendo punti in fatto di «uomo perfetto» o forse era esattamente questo suo atteggiamento a piaceri tanto.
"Non sono una groupie!", dissi enfatizzando il «non sono». "Cosa te l’ha fatto pensare?"
"Il fatto che tu sia qui con la band... "
"E secondo te queste cuffie che ho in testa le uso come ferma capelli?", gli chiesi fin troppo sarcastica.
"Ok, questo piccolo particolare mi era sfuggito!", disse passandosi una mano tra i capelli. Inarcai un sopracciglio scuotendo la testa. "Sai, ti preferivo mentre eri svenuta... “.
"Ti preferivo quando eri solo appeso sulla parete di un muro e non davanti a me”.
"Sei simpatica, ma questa non è una risposta alla domanda che ti ho fatto... “.
"Non mi hai fatto nessuna domanda…"
"In verità bisognava leggere tra le righe... ", confessò continuando ad avere quello strano sorriso stampato sulle labbra. Mi ricordò Alex e di come all’inizio volevo toglierlo prendendolo a schiaffi. In effetti, Alex aveva sempre quel sorriso stampato sul viso, ormai mi ero abituata a come decorasse il suo volto tanto che aveva iniziato a piacermi sempre di più, ogni giorno che passasse. Avrei soltanto voluto baciare quelle labbra che mi rendevano felice. Invece quelle di Tom erano lontanamente dall’essere simili a quelle del cantante che si stava esibendo poco distante da noi. Thomas era decisamente più maturo rispetto a lui, di età sicuramente, non potevo dire lo stesso per il comportamento. Entrambi erano due bambini chiusi in dei corpi decisamente troppo grandi per loro, ed eppure a volte riuscivano a essere anche seri, ma quello che avevo davanti non era il Tom di parecchi anni fa, prima della Reunion, prima che i Blink-182 si sciogliessero, prima che diventasse profondo e ipersensibile con gli Angels And Airwaves. Quello di cui mi ero innamorata. Ormai un ricordo ben lontano da quello cresciuto che continuava a parlare davanti a me nonostante non lo stessi ascoltando. Mi ero totalmente persa nei miei pensieri. "Quindi?"
"Come?"
"Ti ho posto una domanda... è questa volta in modo diretto”.
"Scusa, non ti stavo ascoltando", ammisi sentendomi mortificata. Dovevo smetterla di perdere l'attenzione mentre qualcuno mi parlava.
"Ti avevo solo chiesto perché di solito eri abituata al contatto con i musicisti se non eri una groupie…”.
"All'inizio ero una giornalista di musica ma poi sono successe delle cose e ora lavoro come assistente del tour manager di questa band”.
"E cosa è successo per farti intraprendere questa vita «on the road»?"
"Vivere così fa decisamente più rock'n'roll non trovi?", risposi ridendo.
"No, sul serio... come sei passata da intervistare i musicisti ad aiutare chi gestisce il tour di una band?"
"Lo fai sembrare più brutto di quello che... mi piace come lavoro e mi permette di stare a contatto più ravvicinato con la musica", dissi stringendomi nelle spalle.
"... ma ancora ti ostini a non rispondere alle domande che ti pongo”.
"Non ti racconterò questa cosa... "
"Questo mi ferisce... "
"Non penso che una cosa del genere possa ferire sul serio un omone grande e grosso come te!", dissi puntandogli un dito sul petto. In effetti, Thomas era piuttosto grosso rispetto ad Alex. Era più alto, la sua corporatura più massiccia così come le spalle possenti. Mi accorsi soltanto in quel momento di apparire così piccola davanti a lui. "Durante la tua lunga vita ne avrai avute di delusioni... “.
"A proposito di lunga vita... quanti anni hai?", chiese appoggiandosi a un pannello. "Non sembri americana... "
"Sono italiana e ho ventidue anni... ", risposi portandomi le braccia al petto. "Vuoi anche sapere il mio gruppo sanguigno o è tutto per l'interrogatorio?", gli chiesi sarcasticamente ma inutile a dirlo che sorrise di nuovo. Quel maledetto sorriso.
"Sei così giovane... cioè... cosa ci fai in America?"
"Thomas non ti racconterò della mia vita!", mi affrettai a dire prima che potesse aggiunge qualche altra domanda. "Primo perché probabilmente ti dimenticherai di me appena te ne andrai quindi qualunque cosa ti dirò sarà irrilevante e secondo... beh, non mi piace parlare della mia vita privata”.
"Ok, va bene però posso almeno sapere come ti chiami?", chiese. "Questo almeno è possibile chiedertelo?"
"Allyson... mi chiamo Allyson, ma puoi chiamarmi anche Ally, forse lo preferisco", accennai un sorriso.
"Piacere Ally... ", disse allungando la mano destra verso di me. "Probabilmente mi avrai già visto sui muri di casa tua o in televisione... io sono Thomas, ma puoi chiamarmi Tom”.
"Cosa stai facendo?", gli chiesi confusa.
"Sto cercando di sistemare quello che tu ieri hai rovinato", rispose ridendo. "Secondo il galateo tu dovresti rispondere alla stretta di mano", aggiunse sussurrando, come se mi stesse suggerendo davanti a un pubblico. Gli strinsi la mano solo per fargli smettere quell'orribile scenetta.
"Cosa ci fai qui?"
"Volevo vedere come stavi... dopo l'episodio di ieri... “.
"E lo fai con tutte quelle che ti svengono davanti?"
"No, solo con quelle che fanno preoccupare Mark!"
"Ho fatto preoccupare Mark?", domandai sorpresa e confusa, ma comunque felice.
"In verità ti ha preso in simpatia e mi ha pregato di venire da te... ti aveva descritto come una ragazza così dolce e posata, una sottospecie di bambolina, invece mi sono ritrovata davanti ad un’ ragazza cinica, fredda e riservata... “.
"Non mi interessa se sei famoso o cos'altro ma nulla mi fermerà dal prenderti a schiaffi!", gli dissi forse un po' troppo direttamente. Nonostante mi superasse di parecchi centimetri sarei riuscita perfettamente a colpire quelle guance. Avevo sempre pensato che Tom fosse un ragazzo simpatico, forse un po' troppo vivace, ma invece mi trovavo davanti ad un ragazzo arrogante che non rispecchiava per nulla le mie aspettative.
"Ehi calma... scherzavo", si affrettò a dire abbozzando un sorriso, più teso. Diverso da quello che mi aveva rivolto prima. "Forse preferisci parlare con Mark, è da qualche parte qua in giro... “.
"Sarebbe carino salutarlo... ", risposi cercando di calmarmi.
"Ti andrebbe comunque una tazza di caffè, magari proviamo a fare due chiacchiere senza arrivare alle mani", disse questa volta ridendo.
"In verità io starei lavorando in questo momento... “.
"Allora dopo il lavoro?", propose.
"Non penso che la band si fermi per la notte, immagino che dovremmo ripartire subito... “.
"Beh allora se cambi idea potresti sempre chiamare questo numero o mandare un semplice messaggio... ", disse il ragazzo scarabocchiando dei numeri sul primo foglio della cartelletta che tenevo in mano. "Ora forse è meglio se vado a cercare Mark... “.
"Forse l'ho appena trovato... ", dissi indicando il palco. Mark stava ballando insieme ad Alex sulle note di quella che doveva essere «Weightless» mandando in visibilio la folla. Era stata una sorpresa anche per il ragazzo che era felice di condividere quel palco con un uomo del genere.
Sapevo che lo spettacolo stava finendo e ad annunciare l'ultima canzone furono proprio le note di «Dear Maria, Count Me In».
"Mi sa che lo abbiamo trovato", disse il ragazzo vedendo Mark uscire dal palco, raggiungendoci con uno splendido sorriso stampato sulle labbra.
Mi salutò con un caloroso abbraccio, preso dall'eccitazione del momento, percorso ancora dalla scarica di adrenalina.
"Ally!", disse una voce all'interno della mia testa. Forse stavo diventando pazza o forse il volume troppo alto delle casse mi stava facendo diventare sorda. "Ally, ci sei?", chiese. Mi toccai le orecchie e mi accorsi di stare indossando ancora le cuffie. Capii in quel momento che si trattava di Flyzik che cercava di comunicare con me dalla parte opposta del palco.
"Dimmi Matt!", risposi al walkie-talkie.
"Sapevi di questa improvvisa sorpresa?", chiese con un leggero filo di voce irritato. "Qualcuno sapeva che Mark Hoppus si sarebbe presentato sul palco con la band?"
"Penso di no a meno che uno del gruppo si sia dimenticato di avvisarti... ", dissi. "Però è andato tutto bene, no?", gli feci notare cercando di tranquillizzarlo. "Alex sembrava felice, così come il resto della band e al pubblico non è sembrato dispiacergli... “.
"Per fortuna!", disse prima di chiudere il contatto con me. Probabilmente potevo immaginare Matt che tirava un sospiro di sollievo perché tutto era andato senza complicazioni.
La band uscii qualche secondo dopo che fui tornata con dei grossi bicchieri di birra per i ragazzi che dovevano essere totalmente assetati. Ne portai due in più anche per Mark e per Tom che rimasero a parlare con il quartetto. Si spostarono nel camerino dove si rinfrescarono con una doccia e poi tornarono asciutti e profumati da quei due che stavano commentando l'esibizione del gruppo e cercavano di ricordarsi come erano loro a quei tempi, quando avevano ancora l'agilità di venticinquenni e non di quarantenni ormai propensi a una pensione punk-rock.
Alex non aveva parlato molto, qualcosa lo turbava e pochi minuti dopo si dileguò con una scusa banale. Probabilmente aveva visto me è Tom parlare durante il concerto, ma questo non era un buon pretesto per andarsene via e scomparire come il migliore degli illusionisti. Forse Alex era davvero un lontano parente di Houdini.
Stava di fatto che almeno doveva esserci una motivazione se era sparito all'improvviso lasciando i tre quarti della band a parlare con i due terzi dei Blink-182, così andai a cercarlo. Una mossa totalmente stupida da parte mia!


Molly
Ok, siamo arrivati al punto in cui tra poco partirò per le vancaze e questo, probabilmente, sarà il penultimo capitolo che pubblicherò prima di sparire in mezzo ai monti (insieme ad Heidi e a tutti i suoi amici strambi), però ne approfitterò col scrivere i successivi capitoli e finalmente dare una svolta alla storia. Deve accadere qualcosa di acclatante, no? Qualcosa riuscirò ad inventarmi, ma per ora spero che vi sia piaciuto quello che avete letto e, anche se è un classico cliché, sono favorevole alle recensioni, anche semplicemente per farmi sapere se vi piace la storia o è meglio che la elimini dal sito :)
Beh, a presto!

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Capitolo 26
*** Chap ventisei. ***


Chap ventisei - Alex P.O.V.
Non potevo fingere di non aver visto Ally scherzare con Thomas DeLonge durante il concerto e non potevo neanche fingere che non mi avesse dato fastidio. Lui era un musicista famoso, la sua rockstar preferita, ma lei era pur sempre la mia ragazza e lui aveva una certa reputazione. Eppure in quel momento qualcuno era riuscito a catturare la mia attenzione distraendomi dai miei fottuti pensieri di quanto fossi geloso.
Dopo tutto quel tempo faceva uno strano effetto vederla di nuovo, ma ora era davanti a me, in un paese che non era suo, ma in cui avrebbe indiscutibilmente voluto vivere. Me lo aveva confessato una di quelle volte in cui avevamo avuto l'opportunità di visitare Londra.
"Ciao Alex” disse nel modo più innocente possibile. La sua voce mi fece rabbrividire. I bei ricordi che accompagnavano la sua voce mi tornarono in mente, come se stessi per morire e quelli erano il riassunto della mia vita che sarebbe stato trasmesso nella mia mente per ricordarmi di quanto avessi e di cosa avessi perso, ma poi m’investirono altri ricordi di lei, mentre era arrabbiata, furiosa, mentre mi la lanciava oggetti addosso e mentre cercava di picchiarmi con le sue piccole mani. E tutto fu terribilmente chiaro. Nonostante mi trovassi a pensare qualche volta ancora a lei, ero felice di essere sceso da quelle montagne russe che fingevamo di chiamare relazione.
"Ciao Lisa... "
"É bello rivederti... ti vedo in ottima forma... ", disse abbozzando un sorriso, forse un po' troppo forzato anche per lei che era abile a mentire. In fondo era grazie a lei che il nostro rapporto continuava a rimarginarsi fingendo semplicemente che andasse tutto bene.
"Sì... ehm... anch'io ti trovo in forma... ", quasi balbettai. Mi sentivo non poco a disagio con lei, ma di più. "Hai cambiato colore di capelli... ", dissi notante una chioma bionda, color miele, al posto di quella castana che avevo visto l'ultima volta.
"Già, volevo fare qualcosa di nuovo, sai… nuova città... nuovi amici... nuove abitudini... “.
"Ti sei trasferita a Londra?"
"No a Los Angels, mi trovo qui da una mia amica e visto che mi aveva invitato, ho colto subito l'occasione poiché Londra è... “.
"... la tua città preferita!", dissi finendo la sua frase. "Mi ricordo che me lo avevi accennato qualche anno fa... “.
"Già, ho sempre desiderato essere inglese... come te", sorrise questa volta più rilassata.
"Beh... London Calling, baby!", scherzai accennando a una canzone dei «The Clash».
"Mi mancavano le tue citazioni!", disse ridendo e portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lo faceva sempre quando cercava prendere tempo per trovare le parole giuste prima di dire qualcosa d’importante. E mi piaceva da impazzire quando lo faceva così come il modo di inumidirsi le labbra prima di parlare.
"Come mai sei qui?", le chiesi cercando di non apparire sgarbato.
"Ho visto che facevate un concerto e ho pensato di fare un salto solo per... beh, vedere come stavi..."
"Quindi niente annunci del genere «sono incinta e il bambino è tuo» o «ho appena ucciso un uomo e ho bisogno di un aiuto per nascondere il cadavere»?", scherzai.
" Volevo solo vedere come stavi e dirti che mi mancavi, tutto qui..."
"Tutto qui?", chiesi. "Solo questo?", sembrava voler dire altro. La conoscevo fin troppo bene e non si sarebbe limitata a un «mi mancavi». Si avvicinò di più a me e impiantò i suoi occhi azzurri dentro i miei. Quella mossa l'avevo inventata io! Stava esattamente mettendo in atto tutte quelle cose che facevo io prima... prima di tornare da lei. Erano tutti piccoli gesti che mettevo in pratica per farmi perdonare da lei.
Mi prese la mano e iniziò a giocare con le mie dita, intrecciandole con le sue, impreziosite da anelli e con le unghie perfettamente smaltate. Come sempre.
"Alex mi manchi e non poco...", cominciò a dire. "Ci sono abitudini difficili da dimenticare e non voglio scordarmi di tutto quello che abbiamo vissuto, sarebbe troppo da rimuovere..."
"Lisa... lo sai anche te che sarebbe totalmente sbagliato riprovarci"
"Non ho detto di voler riprovare... vorrei solo continuare quello che abbiamo interrotto...", disse mettendosi in punta di piedi nonostante portasse ai piedi dei tacchi altissimi. Il suo delicato naso quasi sfiorava il mio. Le sue labbra tinte erano a pochi centimetri dalle mie. Sapeva perfettamente come catturare la mia attenzione. "Dimentichiamo la litigata e ritorniamo a quando hai varcato la soglia di casa e mi hai preso in braccio"
"Sarebbe fantastico, ma non posso...", le risposi lasciando la sua mano, ma le sue braccia si chiusero dietro al mio collo e istintivamente posai le mani su di esse, incerto se toglierle o aspettare una sua successiva mossa.
“Mi sento così umiliata, noi stavamo insieme!”
“Lisa, cerca di calmarti… ”
"Alex... ogni volta che tu sbagliavi, io ti perdonavo sempre, accettavo ogni tuo errore, e ora tu potresti fare una piccola cosa per... potresti perdonarmi per quello che ti ho detto?"
"Sono cambiare diverse cose"
"Pensavo che non ti piacessero i cambiamenti..."
"Beh... invece sono stato felice di farli..."
"E quindi ora eviti il passato?"
"Evito quello che c'è stato di sbagliato nel passato...", la corressi.
"Pure tutte quelle volte che ci nascondevamo nei ripostigli prima che iniziasse uno dei tuoi concerti", chiese sempre più vicina alle mie labbra. "Tutte quelle volte che avevi voglia ed io ero lì... vuoi scordarti di quei momenti?", sussurrò. "Pensavo che ti piacessero ancora questo tipo di cose... una ragazza aggressiva, cattiva… forse non lo sono stata abbastanza?”, chiese non perdendo il contatto con i miei occhi. “Siamo stati bene insieme, ammettilo!”
“Le persone cambiano”
“Io non credo… tu no?”
Lisa sapeva bene che tipo di ragazzo ero. Sapeva come prendermi e sapeva cosa mi piaceva. Sapeva come mi sentivo ogni minima volta e sapeva leggermi nella mente e fu proprio questa sua capacità che mi lasciò senza parole e le diede il tempo di gettarsi sulle mie labbra prima che io potessi controbattere con qualche stupida frase o battuta indecente, perché solo questo sapevo fare. Nascondermi dietro a delle stupide battute cercando di nascondere quello che pensavo davvero. Eppure non mi spiegavo come continuassi ad avere Lisa avvinghiata a me e di come non facessi altro che pensare che dovevo allontanarla perché non era giusto nei confronti di Ally che era nel camerino con il resto della band, con Mark e Tom. Eppure non riuscivo a trovare la forza per allontanarla, per dire che tutto questo era sbagliato.
I miei pensieri erano troppo rumorosi perché permettano di concentrarmi su cosa stesse realmente accadendo. Non riuscii neanche a sentire dei passi che si avvicinarono a noi, ma delle voci mi portarono alla realtà della situazione. Delle voci che mi ferirono, come un coltello a doppia lama dritto nel petto.
"Complimenti!", disse la prima. Vidi il più totale disgusto all'interno dei suoi occhi. Mi sentii morire da quanto faceva male.
"Cazzo Alex!", notificò la seconda voce, quella che mi raggelò il sangue nelle vene. Sicuramente l'ultima che mi sarei aspettato di udire.
“Ally, aspetta!”, disse infine una terza.  Chi altro ancora doveva assistere a questa scena?
Cazzo, avevo fatto l'ennesimo casino da aggiungere sulla parete de «Le cazzate di Alexander William Gaskarth». Ormai quel muro era stracolmo. Prima o poi avrei vinto un premio. Un qualunque trofeo per essere il ragazzo più coglione sulla faccia della Terra e probabilmente di tutto l'Universo.

Molly
Ok, forse il capitolo è un po' corto ma appena tornerò dalle vacanze ce ne sarà un altro e sarà decisamente più lungo anche perchè accadranno diverse cose, ma non anticipo niente :)
Beh, lo ripeto: se siete arrivati fin qui, vi faccio i complimenti, non pensavo neanche che qualcuno leggesse questa storia (hahahhaha).
Non so cos'altro aggiungere se non ringraziare Rack e unicornsr0mance per le recensioni :). Tuttavia, vi auguro buone vacanze.
XoXo

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Capitolo 27
*** Chap ventisette. ***


Chap ventisette.
Cercare Alex era stata la peggiore mossa che avessi potuto fare. Avrei preferito rimanere all'oscuro di quello che stava facendo e invece mi ero preoccupata per lui e come una stupida ero andata a cercarlo.
Vederlo con quella ragazza, mentre la baciava, era stato decisamente fin troppo! Come aveva potuto fare una cosa del genere, soprattutto lì in mezzo al corridoio, dove tutti avrebbero potuto vederli. Non era decisamente una cosa saggia da fare, tanto meno furba! Anzi era proprio da idioti! Così come lo era stato lui!
Ero letteralmente furiosa, adirata, idrofoba, delusa, incazzata… non riuscivo a pensare a nient’altro che a quella scena orribile cui avevo assistito poco fa. Volevo trovare un modo per dimenticarmi di quell’evento catastrofico.
Totalmente presa dai miei pensieri rumorosi e dalle mie scarpe che calpestavano il pavimento come se ogni piastrella corrispondesse alla faccia di Alex, non mi accorsi di un paio di scarpe che m’inseguirono. Non era il classico suono delle converse dell’Idiota! Era un suono nuovo, completamente diverso, a me sconosciuto. Sinceramente non m’interessava neanche un po’ a chi appartenesse, volevo solo uscire dal retro del locale e prendere una boccata d’aria fredda, così da sbollire una parte della rabbia, ma qualcosa m’impedì di raggiungere l’esterno. Due grosse braccia m’imprigionarono bloccandomi prima che potessi fare un altro passo. Guardai attentamente quelle braccia cercando di liberarmi, pensando che magari Alex avesse avuto la brillante idea di seguirmi, ma non era così. Due grosse braccia, di cui una completamente tatuata, mi tenevano stretta contro la mia volontà. Mi dimenai, ma era inutile.
“Tom lasciami!”, urlai riconoscendo i disegni. “Jack digli di lasciarmi!”, ordinai all’altro ragazzo che mi trovavo davanti.
“Ally, calmati un attimo”, disse lui posandomi le sue mani sulle mie braccia come per calmarmi. “Fai due respiri profondi e guardami negli occhi!”
“Jack... voglio solo prendere una boccata d’aria”.
“Invece hai l’aria di chi vuole scappare!”
“Non essere stupido!”, gli dissi. “Non posso scappare… non saprei neanche da che parte andare!”
“Almeno sei consapevole del tuo pessimo orientamento”.
“Jack!”, gli dissi di nuovo. Mosse la mano in segno di lasciarmi andare e la stretta di Thomas divenne sempre più morbida fino a scomparire dietro di me.
“Grazie!”
“Come stai?”, mi chiese il ragazzo che mi aveva imprigionato.
“Davvero mi chiedi come sto?”, gli risposi forse un po’ troppo duramente. “Secondo te come potrei sentirmi?”
“Scusa…”
“Sono ferita, delusa, arrabbiata, addolorata, scontenta, infuriata!”, elencai. “Ci sono troppe emozioni che vorrei esternare, ma qualcosa mi blocca!”, sbottai. “Non riesco a trovare neanche la voglia di prenderlo a schiaffi!”
“Ally, forse faresti meglio a sederti un attimo”, si affrettò a dire Jack, guardandosi intorno come a cercare un supporto per farmi accomodare, ma non ne avevo nessun bisogno. Non stavo così male da avere un mancamento, ero totalmente lontana ad avere una reazione del genere.
“Sto bene Jack, non ce n’è bisogno…”, gli dissi. Feci un profondo respiro. “Sto bene, sul serio”, cercai di essere il più convincente possibile. “Non ti devi preoccupare”
“Jack se vuoi la tengo d’occhio io, tu… beh cerca di convincere qualcuno a restare qui per la notte, non penso che siate in grado di partire in queste condizioni”, si affrettò a dire Thomas. “Immagino che ci sia un po’ di scompiglio… raduna tutti e andare a bere qualcosa”, mi sorprese come Thomas gestiva la cosa, nonostante non mi conoscesse, si stava preoccupando per me e in quel momento riuscii a vederlo come una persona normale, lontano dai riflettori e da quell’idea che mi ero creata di lui.
Jack annuì e dopo avermi rivolto un’ultima occhiata per vedere se stavo bene o se fossi in procinto di una caduta emotivamente se ne andò lungo il corridoio che non mi ero accorta di aver percorso, tornando dai ragazzi che stavano confabulando e le cui urla arrivavamo fino a noi in modo confusionario, non riuscendo neanche a distinguere le voci.
“Ti va di uscire?”, chiese indicando con la testa la porta che si trovava davanti a noi. Annuii e lo seguì oltre la soglia. L’aria fresca mi colpì in pieno viso. Nonostante fossimo in piena estate, il fresco anglosassone alleggiava nell’aria e mi fece rabbrividire.
"Ti andrebbe di prendere quel caffè?", mi chiese. Non sapevo dove riuscisse a tirare fuori tutta quella gentilezza. Prima si comportava come uno sicuro di se e soprattutto di quello che è, usando un tono di voce totalmente diverso che lo faceva sembrare altezzoso, atteggiandosi da rockstar, come faceva Alex! Diamine lui! Che vada a fanculo! Lui e il suo nome! Quell'idiota! Aveva ventiquattro anni e non era capace di tenere allacciati i suoi pantaloni senza essere in grado di usare un organo diverso per ragionare, ma no! Quella volta aveva decisamente utilizzato un altro organo. Aveva ben pensato di inserire la sua fottuta lingua nella bocca di quella ragazza.
"Va bene", accettai il suo invito e ci spostammo in un bar non molto lontano, ma che Tom conosceva bene.
"Mi ci ha portato Mark la prima volta, fanno dei cappuccini fantastici", disse aprendo la porta e facendomi entrare per prima. Misi un piede davanti all'altro, camminando lentamente, come se avessi paura di ogni passo che facessi, paura di rivedere quello che avevo visto poco fa. "Ok, forse non dovrei dirlo poiché tu sei italiana e probabilmente te ne intendi meglio tu di caffè e affini, ma lo continuerò a pensare finché non berrò di meglio... è finora non mi ha mai deluso", continuò accennando un sorriso alla fine. Un sorriso amorevole, dolce, fraterno. Fin troppo perfetto.
Mi fece strada verso un tavolino nascosto dietro a delle piante, ben lontano dalla vista dei clienti all'interno del bar. Nonostante fossero le quasi le due, sembrava non importar alla gente che continuava a chiacchierare e a bere tranquillamente in compagnia.
"Quindi... ", continuò lui guardando la schiuma della birra scomparire mentre io continuavo a girare il cucchiaino all'interno della mia tazza da circa cinque minuti da quando una cameriera ci aveva portato le nostre ordinazioni.
"Già... "
"Se vuoi piangere o sfogarti... "
"Non ne sento il bisogno"
"Sicura?", chiese con un tono preoccupato. "Hai il volto di qualcuno che sta per crollare... “.
"Decisamente!", affermai. "... ma non ne vale la pena, ha fatto una cazzata e anche bella grossa a baciare quella ragazza ma non verserò neanche una lacrima per quello che ha fatto... probabilmente provo pietà per quella ragazza che sarà illusa da Alex, un'altra delle sue innocenti vittime... “.
Era così strano parlare quando dentro volevi solo urlare, ma non ce la facevi e quindi esternamente sembravi calma e avresti potuto mandare a fanculo chiunque avessi avuto davanti mantenendo un sorriso rilassato sul volto. Eppure dentro di me sembrava esserci una tormenta che non sapevo come gestire.
"Non sapevo che fossi così legata a lui... “.
"Non lo sapevo neanch'io e a quanto pare lui non diceva sul serio quando si era preoccupato della mia reazione nei tuoi confronti, probabilmente il semplice fatto che gli avessi detto che fossi attratta da te non lo aveva sfiorato minimamente... mi ero solo illusa... “.
"Sei attratta da me?", disse il ragazzo mutando il suo tono di voce da preoccupato a decisamente divertito, sollevando un sopracciglio e alzando un angolo delle sue labbra in un mezzo sorriso.
"É davvero l'unica cosa che hai sentito in tutta la frase che ti ho detto?"
"Beh, è stata la più interessante... ", rise. "Non so che strano rapporto di amicizia c'è tra voi due ma devi lasciarlo perdere... il suo atteggiamento non è stato decisamente dei migliori, ti ha ferito e penso che questo possa bastare per mandarlo a fanculo almeno finché non ti chiederà scusa in modo particolarmente convincente... “.
"Alex ed io non siamo amici... ", gli spiegai. Probabilmente non gli avevo accennato un piccolo particolare e tantomeno lo aveva fatto Mark nel presentarmi. Limitandosi con un «ehi, lei è Ally, una nostra fan!». "Io e quell'idiota stiamo insieme o almeno così pensavo prima che lo vedessi baciarsi con un'altra”.
"Ok, questa cosa mi era sfuggita... non sapevo che tu e Alex... beh... “.
"Non ti preoccupare, non è stato pubblicato sui giornali quindi meno gente lo sa e meglio è... per me”.
"L'anonimato non aiuta le coppie... "
"Tua moglie è felice di comparire sulle riviste di gossip?"
"Beh... è mia moglie... per ora non c'è nessuno scandalo”.
"Prima che vi sposasse... probabilmente anche tu hai combinato qualcosa... hai una certa reputazione per questo, no?", annuì. Vidi il suo sguardo spostarsi da me alla parete alle mie spalle come se stesse pensando a qualcosa del suo passato che lo fece diventare immediatamente serio.
"Senti Ally, noi uomini siamo degli esseri complicati, forse dovremmo nascere con un libretto delle istruzioni in mano così, chi ci sta attorno, possa usufruirne per comprenderci, soprattutto voi donne perché tra noi uomini ci basta un grugnito per capirci al volo", sorrise. "Quello che sto cercando di dirti è che non sempre le cose vanno per il verso giusto, ci saranno sempre delle complicazioni e il fatto che lui sia famoso non semplifica le cose, anzi rende le cose ancora più difficili perché non dovrai preoccuparti di una possibile amante, ma sarai in piena lotta con tutte le sue fans che cercheranno in tutti i modi di portartelo via e te lo sto dicendo per esperienza... ", disse guardandomi negli occhi. Improvvisamente aveva assunto un tono serio, così come la sua espressione. I suoi occhi castani erano decisamente diversi da quelli luccicanti che aveva all'inizio mentre scherzava e anche la sua chioma color miele sembrava aver assunto una pettinatura autorevole. Buffo direi. "E non lo dico per vantarmi, ma è capitato anche a me e non penso che finirà mai questa storia, almeno finché ci esibiremo sui palchi... è una cosa che affrontano tutti i musicisti, se non attori o chi altro di famoso... “.
"Quindi tu sei sempre così profondo o al momento degli alieni hanno preso il controllo del tuo cervello rendendoti serio?", scherzai. Forse era una battuta fuori luogo dopo il discorso sensato che aveva fatto, ma ciò nonostante vidi comparire sul suo volto uno splendido sorriso che mi fece ridere anche a me.
"Non sottovalutarmi!"
"Dico soltanto che non hai detto delle complete cavolate”.
"Spero solo che tu abbia capito quello che stavo cercando di dirti”.
"Sì... che dovrò vivere questa storia finché resto con lui... quindi dovrò vedermela con miliardi di fans che faranno di tutto per portarmi via Alex... “.
"In un certo senso... "
"È buffo come inizialmente scherzavo di non volerlo, facendo battutine su chi lo avrebbe potuto prendere e ora… diamine!”, dissi. “Cioè… era lì a baciarsi con un’altra ragazza, una che non fossi io e… non sembrava dispiacergli… hai visto anche tu come rimaneva appiccicato a lei”.
“Magari era solo una fan e lui stava cercando di spostarla… magari cercava di essere gentile…”.
“Anch’io sono gentile e non vado a baciare il primo che capita!”

“Ally, quello che sto cercando di dirti è che magari non è come sembra…”.
“Tom, hai visto anche tu quello…”
“Non significa che sia stato lui a baciarla!”, mi precedette. “Sei fuggita via e non gli hai dato il tempo di spiegare”.

“Siamo sinceri e guardiamo la realtà in faccia”, dichiarai guardandolo negli occhi. “Non mi ha seguito, non mi ha fermata, non mi ha neanche chiamata… non sembra essere così grave per lui”.
“Probabilmente è rimasto sconcertato, magari neanche lui se l’era aspettato… ci sono molte cose che capitano e neanche noi sappiamo come”, disse. “La vita è davvero una cosa assurda, forse la gente dovrebbe prendersi meno seriamente e ridere di più, dovrebbe cercare di dare una svolta e sistemare delle questioni irrisolte, quindi Ally, ora ti riaccompagno al bus e appena puoi cerca di parlare con Alex, cerca di sistemare il casino e soprattutto cerca di farti spiegare cosa è accaduto realmente….”, ribadì. “Dovresti essere dannatamente sicura di lasciare una persona, perché potresti non riaverla quando ti accorgi di aver sbagliato”, dichiarò infine sorridendomi dolcemente. “Siete giovani… tutto potrà essere rimesso in ordine”.

Molly
Eccomi qui. Sono tornata in città, ma partirò tra pochi giorni sempre in mezzo ai monti. Ho passato queste brevi vacanze continuando a leggere le FF e a continuare i capitoli della mia. Ci sono molte idee in arrivo.
Vorrei ringraziare chiunque l'abbia letta e soprattutto alle nuove recensioni e anche a quello vecchie (ma che mi fanno sempre piacere).
Non so davvero cosa dire, ma ecco qui finalmente un capitolo nuovo.
Alla prossima :)

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Capitolo 28
*** Chap ventotto ***


Chap ventotto – Alex P.O.V.
“Alex, penso che tu abbia un problema!”, mi fece notare Jack squadrandomi per bene.
Aveva spedito tutti quanti a bere qualcosa mentre io li avevo liquidati tornandomene sul bus, non sentendomi dell’umore giusto per festeggiare, perché di festeggiare non c’era proprio niente eccetto la mia stupidità. Però Jack si era offerto di farmi compagnia nonostante non me lo meritassi e si era limitato a fissarmi per un tempo notevolmente lungo senza dire nulla fino a quel momento. Aveva assistito all’intera scena di come un piccolo gesto aveva mandato a puttane una relazione. E così, come lui, lo aveva visto Ally e per completare il quadro avevo dato un motivo in più a DeLonge per starle accanto.
“Si lo so…”, sospirai abbastando lo sguardo sul tavolo di quella che apparentemente doveva essere il luogo ristoro dell’autobus. Eravamo seduti l'uno di fronte all’altro, con diverse bottiglie e lattine di alcolici sparse sulla superficie liscia che riproducevano perfettamente il disordine che avevo in testa. “Ho fatto un…”
“Sì, hai fatto un casino!”, sbottò lui di colpo, sovrastando la mia voce che sembrava un sussurro per la vergogna. Non mi ero mai sentito così e lo sguardo che mi rivolgeva, mi faceva sentire sempre peggio. Era la prima volta che glielo vedevo. Era deluso da me? “Ubriacarti fino a stare male non è una buona scusa, non rimedierai alla cazzata che hai combinato con qualche bottiglia di birra e di vodka”.
“Quando sono triste, mi diverto a fare questo gioco, così una parte della tristezza scompare”.
“No Alex, non è un gioco, si chiama alcolismo e i tuoi cazzo di problemi non puoi ignorarli apparentemente così!”
“Perché ora stai urlando?”
“Perché sei un coglione!”, disse sbattendo la mano sul tavolo facendo tremare le bottiglie e anche me.
Far arrabbiare Jack non era mai stata un’impresa facile e per farlo reagire in quel modo avevo fatto davvero una cosa terribile. Solo che non si era mai comportato così, neanche quando stavo con Lisa. Di solito si sarebbe buttato sul letto e mi avrebbe tartassato di domande su quali fossero le mie intenzioni o quando avrei deciso di portarmi a letto la «prescelta», come si divertiva a chiamarle. Jack era sempre stato un mio complice in tutte queste stupide avventure e solo in quel momento mi accorsi di quanto era cambiato. Di come tutti fossimo cambiati in così poco tempo. Forse Lisa aveva ragione. Forse ero davvero io il problema, forse avevo io qualcosa che non andava che mandava a puttane tutte le relazioni. Forse non avrei mai dovuto lasciarla sul serio.
“Ally non è una di quelle bamboline che eri solito a portati a letto!”, continuò. “Ally è una ragazza semplice, dolce, sensibile… e tu l’hai ferita e questo potrebbe portarla via da qui, lontano dal bus e da te! I ragazzi si sono abituati a lei, Matt è felice di essere aiutato ed è l’unica capace di calmarlo quando impazzisce, Zack e Rian si divertono con lei ed io ho trovato una buona amica… e proprio tu che eri così depresso quando inizialmente aveva scelto di non seguirti in tour, non dirmi che ti senti un idiota perché ti meriteresti concretamente parole peggiori, ma non sarò io a dirtele, anche se ho una terribile voglia di farlo!”.
“Non capisco perché ti arrabbi così tanto, non è la prima volta che faccio questo casino e tu non mi hai mai detto niente!”
“Ally non è come Lisa che ti perdonava ogni minima cazzata!”, disse puntandomi l’indice contro. “Non so neanche perché ti perdonasse ogni cosa, ma sinceramente non me ne fotte un cazzo perché è sempre stata una facile e in fondo vi completavate a vicenda no?”, dichiarò. “Non sono mai stato un suo grande fan… ho sempre pensato che non fosse la ragazza giusta per te…”.
“E perché non me lo hai mai detto prima?”, gli domandai irritato. “Gli amici dovrebbero dirsi tutto!”
“Infatti! E sono stato uno stupido a dirtelo solo adesso, ma ora sto cercando di farti aprire gli occhi su quello che hai fatto e se sono arrabbiato con te, è perché sono proprio un tuo amico!”, disse più calmo rispetto all’inizio. “Hai avuto la fortuna di avere la tua ragazza sul bus, con te, e ora te la stai facendo scappare… non hai neanche provato a rimediare!”
“Con Lisa non ce ne era bisogno!”
“Basta parlare di Lisa!”, sbottò di nuovo. “Vi siete lasciati, smettila di parlare di lei! Non dovresti neanche più vederla!”, sbuffai. Mi ero stancato del fatto che Lisa fosse diventato un argomento tabù. Ne avevo sempre parlato tranquillamente con tutti, perché ora non avrei potuto continuarlo a fare? Era comunque una persona, era comunque stata una mia fidanzata. Avevo il diritto di poter parlare di lei.
“Fai qualcosa per sistemare le cose con Ally!”
“Sembra che t’importi più a te che a me… perché non ci pensi tu?”
“La mia parte l’ho già fatta, ma non sono io il suo ragazzo e se non ti fossi accorto c’è Tom con lei… e sono da soli!”
“Buon per lei, allora!”, mi fulminò con lo sguardo.
“La verità è che tu sei totalmente spaventato dalla vostra relazione!”, disse lasciandomi di stucco. “Hai capito che sta diventando qualcosa di troppo serio e ti stai tirando indietro perché hai una fottuta paura che lei ti possa mollare da un momento all’altro. Sai che questa volta, la ragazza che ti lascerà, ti farà davvero male e quindi approfitti di quest’occasione prima che lei possa spezzare il tuo cuoricino, ma la verità è che lei è l’unica per te e tu sei un coglione perché non vuoi ammettere di esserti follemente innamorato di lei!”, finì il discorso tutto di un fiato e tutto quello che riuscii a fare era soltanto aprire e chiudere la bocca per un paio di volte, senza dire niente. “Dimmi se mi sbaglio…”
Probabilmente, se non fosse stato un mio amico, gli avrei riso in faccia e mentito spudoratamente, ma davanti a me c’era Jack Bassam Barakat ed era il mio migliore amico e lui aveva sempre ragione quando c’era da spiegare i miei sentimenti, forse perché era l’unico in grado di entrare nella mia testa e di capire cosa succedesse all’interno di quel bordello.
“Come immaginavo…”
“Non so neanche dove sia e probabilmente non vorrà neanche vedermi…”.
“Non ti preoccupare”, mi rassicurò ridendo. “Vedo tutti i CSI, so come rintracciarla…”, continuò più sereno. Sembrava essere tornato il Jack di sempre e mi rilassai un po’ anch’io, ma ancora non riuscivo a togliermi le sue parole dalla testa. “Tutti gli indizi portano a un’unica soluzione: lei è già qui!”, dichiarò indicando con la testa verso la zona letto. “È entrata prima, mentre degeneravi…”
“E non mi ha detto niente?”
“Ho preferito farti il cazziatone!”, disse stringendosi nelle spalle. “Ora però dovresti andare a dormire e lasciare sistemare a me, vedrai che domani sarà un altro giorno”, mi rassicurò sorridendomi e dandomi una pacca sulla spalla prima di scomparire lungo il corridoio.
Jack aveva ragione, domani sarebbe stato un altro giorno e avrei potuto parlarci. Spiegarle che quello che avevo fatto non era esattamente come sembrava, ma che era stata lei a volermi baciare. Avrei potuti iniziare col dirle «Mi dispiace, hai ragione ad essere delusa da me!”», ma non sarebbe bastato. Sarebbe stato un cliché già visto fin troppe volte.
Inoltre odiavo quelle stupide frasi fatte che si trovavano in giro stampate su dei ridicoli biglietti o che si sentivano spesso nelle commedie romantiche. Erano inutili e inventate per tutte quelle persone che avevano paura di reagire e si accontentavano di aspettare quello che non sarebbero mai accaduto. Io non ero mai stato quel tipo di persona, davo sempre ragione all’istinto che mi comandava più di quanto pensassi. Era proprio lui ad avere il controllo su di me e spesso era la causa di numerosi dei miei casini ma era anche lo stesso che faceva di tutto per rimediare a quello che avevo combinato. Perché ero fatto così: rompevo qualcosa e poi cercavo di aggiustare i cocci, in qualche modo. Così ero diventato nell'ultimo periodo. Passavo più tempo a rimediare alle merdate che a fare del bene verso le persone cui tenevo. Ero un totale fallimento e non potevo giustificarmi con qualunque scusa. Il problema ero proprio io, e Lisa aveva avuto fottutamente ragione a dirmi che ero io la causa di tutti quelle complicazioni e solo in quel preciso momento mi ero reso conto che in fondo aveva totalmente ragione.

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Capitolo 29
*** Chap ventinove. ***


Chap ventinove
“Ehi ragazzi, dobbiamo fermarci per fare benzina!”, annunciò l’autista del bus. Dopo qualche ora di viaggio volevo proprio camminare sulla terra ferma per respirare un po’ di aria pulita, non quella opprimente e viziata che girava all’interno dell’autobus. Però questa era probabilmente una scusa per allontanarmi da Alex e dai suoi occhi che continuavano a implorarmi qualche banalissima scusa.
Nessuno era a conoscenza di quello che era accaduto a Londra. Solo Jack e Tom avevano visto la scena e di sicuro non avrebbero pubblicato dei manifesti al riguardo, quindi Zack e Rian e il resto dello staff non si sarebbero preoccupati più di tanto se Alex ed io non ci fossimo rivolti parola.
“Finalmente!”, sospirai inalando una bella quantità d’aria come se dovessi fare la scorta prima di immergermi dentro un mare ghiacciato.
“Ally!”, mi chiamò Jack dalla porta del bus. Sembrava davvero preoccupato.
“Tutto bene?”, gli chiesi andandogli incontro cautamente, come se il pullman potesse scoppiare da un momento all’altro.
“Abbiamo un problema”, disse passandosi nervosamente una mano sui capelli. “Alex non sta bene”
“Non m’interessa!”, gli risposi duramente al suono del suo nome. “Può scendere dal bus e andare a vomitare in bagno”, dissi fermandomi e portandomi le braccia incrociate al petto. “È grande abbastanza da poter essere responsabile delle sue azioni, no?”
“So che sei arrabbiata con lui, ma ho veramente bisogno di te”, quasi mi supplicò. “Il pullman è vuoto e lui sta avendo un attacco di panico, non li aveva da un po’ e questo è decisamente forte”, disse. “Ti prego…”
Vedere i suoi occhi scuri così preoccupati mi fece ricordare la sera in cui l’Idiota si era presentato tutto confuso e triste a casa mia e di come Jack si fosse preso cura di lui. Mi ricordai anche il giorno in cui Alex mi aveva proposto di organizzare con lui la festa di compleanno per il moro e di come gli brillavano gli occhi mentre elencava le sue qualità e di come fosse grato dell’essere il suo migliore amico.
Non potevo negargli quell’aiuto, anche se avrei voluto evitare, però Jack sembrava davvero preoccupato e volevo aiutarlo in qualche modo per toglierli quell’espressione dal viso.
“Va bene”, dissi infine salendo la scaletta dell’autobus. Ero sempre più convinta che potesse scoppiare improvvisamente e in parte ci speravo, avrei evitato un incontro ravvicinato con Alex, ma dovevo farlo. Lo avrei fatto solo per Jack. “Dov’è?”, gli chiesi mentre il ragazzo se ne restava all’entrata.
“È nei bunk”, disse. “È pallido e respira affannosamente, non so più come calmarlo”.
“Tu dove stai andando?”, gli domandai guardandolo. Aveva uno strano sorriso compiaciuto sulle labbra e la preoccupazione sembrava essere scomparita.
“Scusa…”, disse soltanto prima di scendere velocemente i gradini e chiudersi la porta alle spalle.
“Jack, sei un figlio di…”, urlai correndogli incontro, ma finii col lasciare la frase in sospeso mentre i miei pugni cercavano invano di aprire la porta mentre Jack sventolava le chiavi.
“Ally…”, sentii dire, come un sussurro. Doveva per forza appartenerne ad Alex. “Ally?”, disse di nuovo. Mi avvicinai titubante al suo letto.  “Ally, mi dispiace…”
Lo trovai sdraiato sul letto, disteso sopra le coperte, con lo sguardo rivolto verso la base del letto sopra il suo, lo sguardo vitreo, senza quella luce che brillava sempre nei suoi occhi, le cui iridi avevano assunto un colore differente, più scuro del solito.
Mi avvicinai cautamente e m’inginocchiai ai piedi del bunk.
“Mi dispiace di averti deluso…”, disse questa volta guardandomi in volto.
“Alex, perché lo hai fatto?”, gli chiesi stupidamente, come se in quelle condizioni potesse davvero spiegarmi cosa gli fosse passato per la testa.
“Io… mi dispiace”
Sarebbe stato inutile parlare con lui in quel momento. Non avrebbe detto nient’altro, però riuscivo a percepire nella sua voce il senso di colpa. Non sapevo cosa fare o cosa dire per calmarlo. Era la prima volta che mi capitava e Jack si era limitato a chiudermi dentro quella gabbia senza darmi spiegazioni. A quanto pareva non era la prima volta che capitava ed eppure quel ragazzo era stato così stupido da sigillarci dentro senza preoccuparsi che avrei potuto ucciderlo, anche se non avrei mai avuto il coraggio di farlo.
Gli strinsi una mano e sentii immediatamente le sue dita stringersi strette attorno alle mie come se avesse paura che lo avrei lasciato da solo da un momento all’altro. Istintivamente, con la mano libera gli sistemai il ciuffo di capelli che gli cadeva disordinato davanti agli occhi e mi lasciai ipnotizzare da essi. Gli stessi occhi che avevano la capacità di ingabbiarmi in una prigione invisibile. Nonostante fossero spenti, riuscii a intravedere un’immensa gioia data dal fatto che fossi lì con lui e che non lo avessi lasciato da solo in un momento del genere. E avevo voglia di baciarlo, ma non era quello il momento adatto tantomeno era la cosa giusta da fare, però volevo farlo e l’istinto mi diceva di compiere quell’atto.
Volevo un ultimo bacio prima di sentire che non voleva più restare con me. Un ultimo bacio per ricordarmi che in fondo, stare con lui era stato effettivamente bello e divertente. Era forse un modo per zuccherare la pillola, per rimanere sospesi per qualche istante.
A quel pensiero tolsi immediatamente la mano dalla sua guancia, ma fu prontamente afferrata per il polso dalla sua.
“Ally, non te ne andare”
“È tutto sbagliato”
“Nulla è sbagliato… tu devi restare qui”, disse cercando di mettersi a sedere, in qualche modo, in quello spazio fin troppo stretto. “Questo è il tuo posto!”
“Stai farneticando… e sei ancora debole, devi restare sdraiato”, dissi provando a farlo sdraiare di nuovo, ma risultava sempre più forte di me in qualunque occasione. “Non devi sottovalutare gli attacchi di panico”.
“Attacchi di panico?”, chiese confuso. “Io non ho… ero solo sdraiato sul letto”
“Quindi non centri niente col fatto che Jack ci ha chiuso qui dentro fingendosi preoccupato per te?”
“Lui cosa ha fatto?”, dichiarò alzandosi in piedi. “Deve smetterla di vedere stupidi film, gli traviano il cervello e sta anche diventando fin troppo bravo a recitare”.
“ «House Arrest»!”, sospirai scuotendo la testa. “Dovevo immaginare una cosa del genere”
“Come?”
“ «Arresti familiari» ”, dissi di nuovo. “Jack ed Io lo abbiamo visto qualche sera fa… parla di due bambini che per non fare divorziare i propri genitori li chiudono in cantina finché non fanno pace”, lo informai. “Mi chiedo come abbia potuto pensare che un’idea del genere potesse funzionare”.
“Beh… tu sei qui e abbiamo anche l’occasione di poter parlare…”.
“Non penso che…”
“Ti prego Ally…”, sospirai spazientita.
“Perché lo hai fatto?”, portai i miei occhi nei suoi, decisa a mettere le cose in chiaro. Non potevo passare il resto della vita a ignorarlo e maledirlo. “Perché hai baciato quella ragazza?”
“Non sono stato io a baciare lei, ma è stata Lisa a baciarmi… voleva tornare insieme a me e…”.
“Quella ragazza era proprio quella Lisa?”, gli domandai. “La stessa Lisa che tu hai lasciato appena tornato dal tour?”
“Sì, chi pensassi che fosse?”
“Non lo so forse una fan o magari una probabile amante…”.
“Una probabile amante?”, chiese ridendo. “Lisa non potrebbe mai essere la mia amante… ho chiuso con lei”, disse facendo intrecciare le nostre dita. “C’è già qualcun’altra con cui dovrei e voglio stare… ed è proprio davanti a me”, sfilai immediatamente la mia mano dalla sua notando uno sguardo confuso negli occhi del ragazzo.
Quando la nostra storia era iniziata, sapevo che avrebbe fatto male quando ci saremmo lasciati. Sapevo anche che continuare a restare insieme avrebbe portato solo guai, per entrambi. Appartenevamo a due mondi diversi e anche noi lo eravamo, forse fin troppo. Se lui non si sarebbe deciso a farlo, avrei preso io l’iniziativa.
“Alex…”, lo chiamai sedendomi sul divanetto poco distante dai letti. Immediatamente si sedette di fianco a me. “Scommetto che se passassimo ancora un minuto insieme tu inizieresti a odiare la mia risata ed io il tuo modo di sorridere. Poi inizierei a odiare le tue abitudini, i tuoi scherzi e le tue battutine e tu faresti lo stesso e così finiremmo col litigare e penso che inizierei a detestarti e, davvero, non vorrei farlo”, confessai mantenendo lo sguardo fisso davanti a me, mentre guardavo i vetri scuri che riflettevano le nostre immagini. Feci una breve pausa cercando di prendere del tempo per trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. Dovevo avere fegato. Non dovevo scappare anche quella volta. “Penso che sia meglio se noi…”, mi bloccai. “No!”, dissi coprendomi gli occhi e distogliendoli da quello sguardo da cucciolo abbandonato che era comparso sul suo volto. Quegli occhi così grandi. Quelle labbra. Quelle guance rosse. Non potevo ignorarle e lui lo sapeva benissimo. “Per favore… non rendere la cosa più difficile”, sospirai.
“Cazzo Ally, mi stai lasciando!”, sbottò mettendosi davanti a me, ma non riuscivo ancora a guardarlo. “Volevo ridurre il colpo… dovrei davvero fingere di non provare quello che provo?”, domandò. “Sai che non potrei resistere…”
“A fare cosa?”
“A stare lontano da te!”
Il suono della sua voce mi fece sentire la persona peggiore del Mondo. I suoi occhi incollati su di me mi facevano sentire il peso delle parole che gli stavo per dire e del dolore che, insieme al mio, mi fece realizzare per la prima volta quanto facesse male.
“So di aver fatto degli errori”, iniziò a dire. “Sono il tipo di fidanzato di cui le ragazze si lamentano con le amiche, sono emozionalmente menomato e troppe poche volte esprimo i miei sentimenti. Passo la maggior parte del tempo in tour e quando non lo sono, a volte sono occupato con le interviste o i vari eventi e se ho un po’ di tempo libero lo passo a scrivere canzoni. Non posso fare a meno di guardare i Ravens in TV ogni volta che giocano una partita e vado allo stadio quando giocano in casa…”, disse tutto di un fiato. “Voglio solo che tu mi dia un’altra possibilità”.
“Non pensi che sia bastato già sbatterci la testa più di una volta?”, gli chiesi mettendomi davanti a lui.
“Può darsi che tra noi non funzionerà neanche questa volta, chi lo sa, ma almeno ci avremo provato….”, il suo tono si era fatto dolce, così come i sui gesti. Le sue mani sui miei fianchi non volevano allontanarmi e la sua fronte appoggiata alla mia ci permetteva di vederci nel profondo dell’anima.
“Quando mi hai baciato per la prima volta, quando eravamo a Milano, tu stavi con Lisa e ora hai fatto lo stesso baciando lei mentre stavi con me”, dissi a pochi centimetri dal suo volto. Mi sentivo ferita. “Come posso fidarmi di te se questo è accaduto già due volte e chissà quante altre… non voglio fare altri sbagli”.
“Io penso che lo sbaglio peggiore sia buttare via tutto quello che abbiamo costruito con difficoltà”.
“Non voglio che un musicista mi spezzi il cuore!”
“Fantastico!”, sbottò di colpo allontanandosi da me come se improvvisamente mi fosse diagnosticata una malattia contagiosa. Ero riuscita a farlo arrabbiare. “È stupendo essere ridotti al solito cliché”.
“È quello che sei…”
“Posso essere un bugiardo, un egocentrico. Sono così per me. Sono alla ricerca di un riconoscimento. Non sono interessato alla politica. Sto cercando di puntare in alto. Non dimenticherò mai le mie intenzioni. Mi è lecito preoccuparmi della mia vita assieme alla vita degli altri”, dichiarò. “Non puoi definirmi solo come un musicista, perché dopotutto, sono umano, come te, quindi non voglio che tu pensi di avere chissà chi davanti, sono solo un perdente che ha avuto fortuna, ma rimango sempre uno stupido”.
“Lo hai fatto di nuovo!”, gli feci notare non riuscendo a trattenere un sorriso. “Hai rubato di nuovo la frase a Pierre”
“Beh, Pierre è saggio!”, rispose serio, ma pochi istanti dopo sorrise anche lui. “Ally, so che non mi credi e che non ti fidi, ma sono stato un idiota e ti amo”, dichiarò lasciandomi sorpresa. “E sono innamorato di te… da parecchio tempo”, disse prendendo di nuovo le mie mani. “All’inizio pensavo che mi piacessi tantissimo, ma poi… invece... è diventato amore e non so neanch’io come, ma quella sera…”, non lo lasciai finire di parlare. Arrendersi a quelle due fatidiche paroline erano davvero da schiocche, ma avevano sempre lo stesso potere su qualunque persona. E così lo zittì baciandolo. Baciai quelle labbra che mi erano mancate nonostante fosse passato poco tempo dall’ultima volta. Eravamo solo noi due, nessun altro era stato invitato nella nostra bolla personale. Non ci accorgemmo neanche che qualcuno si era affacciato dalla porta del bus e stava osservando la scena.
“Avete fatto pace?”, chiese il diretto interessato. Ci staccammo e trovammo Jack con un sorriso stampato sul viso, completamente soddisfatto che il suo piano avesse funzionato.
“Fuck off Jack!”, urlò Alex mostrandogli il suo dito medio, ma l’altro rispose con una fragorosa risata.

-Molly
Sono tornata (di nuovo). Ho troppe storie da leggere e questa settimana le leggerò tutte, penso che ricomincierò dall'inizio perchè ne sono state pubblicate davvero tante e scommetto che ne vale la pena leggerle tutte. 
Per il resto, questo capitolo non mi ha convinto tanto, forse perchè è da tanto che non ci lavoro su questa FF, ma cercherò di rimediare coi successivi. Manca poco alla fine :)
XoXo

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Capitolo 30
*** Chap trenta ***


Chap trenta.
E anche quel problema era stato risolto, almeno apparentemente. Alex mi aveva lasciato letteralmente senza parole dopo che la sua voce aveva pronunciato quelle due paroline, quelle cinque lettere piene di significato. Tuttavia mi mettevano sempre ansia, anche quando le sentivo soltanto nei film o le leggevo in qualche libro. Semplicemente perché non avevo la minima idea di come l’altra persona avrebbe potuto rispondere e rimanevo così, col fiato sospeso, aspettando una possibile reazione del protagonista. Però questa volta mi ero trovata io in quella situazione e tutto quello che il mio cervello era riuscito a ordinarmi di fare era stato baciare le sue morbide labbra. E in quel momento andava perfettamente bene così, perché era esattamente quello che avrei voluto dare, ma nonostante ciò non gli avevo risposto e non sapevo neanche se dovessi dargli una risposta al momento. Non sapevo cosa dirgli. Non sapevo cosa fare.
L’unica cosa certa era che mi ero innamorata di lui, giorno dopo giorno, nonostante l’inizio mi avesse fatto dannare e lo avessi odiato come chissà cosa, ma ero innamora di lui e anche i muri l’avevano capito, eccetto la mia voce.
Eppure rimanevo totalmente convita di quello che avevo detto ad Alex all’inizio. Passavamo troppo tempo insieme e quel bus stava letteralmente diventato troppo stretto. Mi ero ritrovata più volte ad allontanarmi da lui cercando di stare con il resto dello staff o con Zack e Rian e con Jack solo per non diventare una di quelle coppie che passano tutto il loro tempo insieme dimenticandosi di chi avessero attorno. Probabilmente avrei iniziato a detestare tutto ciò se avessimo continuato così.
Amavo la musica, amavo i concerti, amavo restare in mezzo ai ragazzi della band, ma amavo anche il fatto di poter essere libera a casa mia. Amavo la vita tour, ma non faceva esattamente per me però amavo Alex e restavo qui per lui.
Era incredibile come la parola «amore» era adoperata spesso nelle frasi e di come quante volte l’avessi utilizzata io in questo stupido discorso con me stessa. Forse tutto quello di cui avevo bisogno era di schiarirmi le idee con qualche consiglio dato da una persona di cui mi potevo fidare, che avrebbe voluto il bene per entrambi e che, qualunque cosa fosse successa, ci avrebbe aiutato entrambi rimanendo comunque nella sua neutralità. Cercavo soprattutto qualcuno che fosse ancora sveglio a quell’ora.
“Possiamo parlare?”, gli chiesi sedendomi di fianco a lui sul divano.
“Al... non interrompermi!”, disse passandomi la sua mano davanti al viso e decidendo appositamente di ignorarmi. “Sto guardando Oprah!”
“Sul serio Jack?”, gli chiesi scocciata e togliendo la sua mano fastidiosa. “Oprah?”
“Devo capire se la moglie perdonerà il tradimento del marito”.
“Potresti sempre intrometterti e realizzare qualche piano idiota escogitato da dei bambini nei film per le famiglie”.
“Però ha funzionato!”
“Dovevamo risolverlo noi!”
“Non avreste fatto niente… e probabilmente tu te ne saresti andata e lui sarebbe stato perennemente depresso e vi sareste poi incontrati fra centottantadue anni ed io non sono sicuro di essere in grado di poter vivere così a lungo per poter vedere come finiva la faccenda!”, disse non distogliendo gli occhi dalla TV. “Ho solo voluto darvi una piccola spinta come fanno le mamme tartarughe con i loro piccoli per farli raggiungere l’oceano”.
“Ci hai appena definito come delle tartarughe marine?”
“Sono belle le tartarughe!”
“Tu…”, scossi la testa. “Aspetta… come siamo arrivati a parlare delle testuggini?”, gli chiesi confusa. Il ragazzo spense la TV e lanciò il telecomando sul divanetto di fronte.
“Penso che volevi avere un chiarimento sui tuoi sentimenti ma poi ho cercato volontariamente di ignorarti per vedere questa puntata che avevo già visto, e per la cronaca si scoprirà che la moglie scapperà con il capo di lui lasciandolo completamente in mutande!”
“Lo sai di essere totalmente un cretino?”, gli dissi colpendolo con un cuscino.
“Certo!”, rispose fiero togliendoselo dal volto. “Però mi adori e non puoi fare a meno di me!”
“E pensare che Matt era il mio preferito!”
“Così mi spezzi il cuore!”, dichiarò mostrandomi i suoi grossi e luccicanti occhi scuri. “Pensavo di essere sempre stato l’unico, fin dall’inizio…”.
“Con me non attacca!”, lo informai mettendo i miei palmi sui suoi occhi però mi prese i polsi costringendomi a guardarlo, ma i suoi occhi da cerbiatto mi provocavano soltanto da ridere e non riuscivo a farne a meno. “Ti prego, così sveglieremo tutti… non respiro più!”, continuai a ridere.
“Allora…”, disse dopo un po’ quando fosse arrivato il momento giusto per lui di smettere con quella tortura. “Apriti con il «Dottore dell’Amore Jack Bassam Barakat»!”, mi propose incrociando le gambe sul divanetto e poggiandoci sopra le mani. Imitai la sua postura mettendomi comoda davanti a lui.
“Ok, prima di tutto non mi abituerò mai al tuo secondo nome e come seconda cosa… da quando hai un dottorato?”
“Da quando sono il migliore amante che si possa avere”, rispose molto fiero di se. “Nessuno sa amare come lo faccio io!”
“Il tuo passato ti tradisce…”
“Sono solo piccoli e inutili scheletri nell’armadio”.
“Va bene «Dottore dell’Amore»…”, lo assecondai. “Non so come comportarmi… con Alex… lui ha dett…”.
“Lui ti ha detto «ti amo» e tu non sai come rispondere, tantomeno sai se lui si aspetta immediatamente una risposta e poi c’è anche un altro problema, vero?”, chiese. “Però non riesco a decifrarlo…”
“Mi fai rabbrividire!”, lo informai sconcertata e sorpresa da quello che aveva appena detto. “Per caso sei scivolato e caduto nella vasca da bagno colma d'acqua assieme all'asciugacapelli e per qualche ragione ti sei svegliato e hai iniziato a leggere i pensieri delle donne?”
“Sarebbe fantastico avere il potere di Mel Gibson ma no, non mi è ancora capitato”, disse ridendo. “Solo che ho imparato a capirti… non sei un libro totalmente difficile da leggere, bisogna soltanto decifrare alcune parti che all’apparenza sembrano difficili”, aggiunse sorridendo e ricambiai il sorriso.
“Sono indecisa se richiedere agli alieni il vecchio Jacky o tenermi stretto quello intelligente”.
“Io chiederei più birra… perché finisce sempre?”
“Non c’è bisogno che risponda…”, dissi scuotendo la testa. “Beh… a quanto pare sai già tutto, cosa mi consigli di fare?”
“Niente”, rispose semplicemente stringendosi nelle spalle.
“Come sarebbe «niente»?”
“Non devi fare niente!”, disse di nuovo. “Alex sa che gli vuoi bene e che ci tieni a lui, sa anche che sei innamorata di lui, tutti l’hanno capito, e non ti metterà fretta nel fartelo dire, quando sarai pronta lo renderai felicissimo, ma ora gli basta che tu resti al suo fianco e che lo sostieni… in fondo lui ti ama!”, aggiunse ridendo con l’ultima frase.
“E questo è un altro dei problemi…”
“Il fatto che ti ama?”
“Lo stare al suo fianco…”, sospirai. “Non fraintendermi, adoro stare qui e seguirlo in giro per il Mondo però tu non hai assistito a tutta la discussione… ho detto cose che mi hanno fatto riflette, cose in cui inizio a credere…”, feci una breve pausa lasciando la frase sospesa. “Sto considerando l’idea di tornare a Baltimora”.
“E lui lo sa?”
“Per ora è solo un’idea che si è formata nella mia mente, non so ancora se sia la cosa giusta da fare…
“Se è quello che vuoi dovresti farlo, ma…”, si fermò come se stesse cercando le parole giuste da dire. “Alex è un ragazzo delicato, anche se non lo da vedere… era veramente triste all’inizio del tour e quando lo hai raggiunto lo hai reso il ragazzo più felice sulla faccia della Terra, sembrava essersi ripreso immediatamente da un profondo coma”, spiegò. “So che gli ha fatto piacere averti qui con noi… ma so anche che potresti spezzargli il cuore”.
“Non ho intenzione di lasciarlo… vorrei solo tornare a casa mia…”, gli dissi. “Non so cosa fare, non voglio farlo soffrire, ma non posso stare qui, non è il mio posto… non è giusto”.
“Cerca solo di ferirlo il meno possibile, so che le tue intenzioni non sono cattive, ma lui è pur sempre il mio migliore amico, sarò io quello che dovrà consolarlo quando tu non ci sarai e tutto l’alcol del Mondo non basterà, quindi… cerca di ridurre il colpo!”, disse sorridendo. Non mi spiegavo come quel ragazzo riuscisse a passare dall’essere serio a essere scemo così velocemente, ma qualunque cosa fosse, facesse o utilizzasse per farlo ne ero grata. Riusciva sempre a risollevare la situazione.
“Ally, sono le tre e mezzo, vieni a letto!”, disse una terza voce mentre si strofinava l’occhio destro con la mano. Non mi ero accorta che Alex si era alzato e che mi fosse venuto a cercare. Ero completamente assorta nei miei pensieri e nella conversazione con Jack da non rendermi conto di quello che accadeva intorno.
“Arrivo…”, mi limitai a dirgli sorridendogli. “Finisco di parlare con Jack…”
“Jack non va da nessuna parte, potrai continuare a parlaci domani e qualunque altro giorno che vorrai…”.
Mi morsi il labbro nell’udire quella frase. Bassam forse non se ne sarebbe andato da nessuna parte, ma io avrei potuta allontanarmi da lui e non avevo la minima idea di come glielo avrei detto. Jack era riuscito a farmi venire ulteriori dubbi con i suoi consigli nonostante abbia cercato di aiutarmi.
Ancora non sapevo cosa avrei deciso, ma su una cosa ero certa: non avrei fatto soffrire Alex!
“Torniamo a letto!”, gli dissi infine baciandolo dolcemente sulle labbra. “Buonanotte Jack!”, aggiunsi prendendo la mano del ragazzo e raggiungendo il suo bunk.
“Sai, mi sono svegliato e tu non c’eri… ho fatto un brutto sogno”.
“Ora sono qui…”, gli sussurrai sul suo petto mentre con le braccia mi stringeva stretta a lui.
 
“Alex…”, lo chiamai costringendolo ad aprire gli occhi. Erano stranamente lucidi e la pupilla dilatata. Non aveva fatto nient’altro che tremare e agitarsi durante la notte.
“Mhm…”, mugugnò mentre mi allontanavo un po’ da lui per valutare la situazione.
“Hai una brutta cera”, lo informai prendendo il suo viso tra le mani e osservandolo bene alla luce del piccolo bunk che avevo improvvisamente acceso.
“In che senso?”, chiese preoccupato. “Sto per morire?”
“Nulla di così melodrammatico…”, gli risposi posando una mano sulla sua fronte. “Probabilmente hai solo un po’ di febbre”
“Quindi mi farai da infermierina sexy?”, chiese maliziosamente stringendosi nella sua coperta.
“Non ne godresti dei vantaggi”
“Cosa stai insinuando?”
“Che sei piuttosto bollente e hai bisogno di riposarti…”.
Lo stress e la stanchezza del tour gli aveva fatto salire la febbre alta e la stessa sera avrebbe avuto uno spettacolo. Matthew si sarebbe più che altro arrabbiato che preoccupato per la salute del cantante. Guardai l’orologio. Segnava le quattro e mezzo. Giusto un’ora da quando era venuto a chiamarmi. Probabilmente se non avesse avuto un incubo non si sarebbe mai accorto della mia assenza.
“Dove stai andando?”, gli chiesi fuori dal letto. “Diamine Alex, ti stai sforzando e non va bene”, lo rimproverai facendolo stendere di nuovo a letto e coprendolo con le coperte.
“Sto bene… è solo un po’ di febbre”
“Non è vero…”, obiettai. “È meglio se ti lascio qui a riposare”, dissi sporgendomi verso di lui per spegnere la lucina. “Sarai più comodo così”
“Resta con me…”, disse afferrando il mio polso prima che riuscissi a spostarmi.
“Rischieresti di attaccarmi la febbre e poi voglio vedere chi si prenderà cura di te e di chi farà calmare Flyzik”.
“Ti prego…”, sospirai. Non riuscivo a cedere a quella voce e a quegli occhi dolci.
“A mio rischio e pericolo… torno subito”, dissi andando a prendere un panno bagnato da posargli sulla fronte.
Il resto della notte passò piuttosto tormentosa tra gli incubi del ragazzo e il mio continuo controllarlo. Stare vicino a lui era come stare di fianco a una caldaia. Più volte avevo provato a raffreddarlo con il panno bagnato e lasciarlo sulla sua fronte bollente, ma era servito poco, così mi trovai la mattina successiva con un cantante da curare e un manager da calmare.
“Matt, calmati un attimo!”, cercai di tranquillizzarlo. “È sollo un po’ di febbre da stanchezza, vedrai che per stasera si sentirà meglio”.
“Forse non hai in mente cosa significa avere Gaskarth ammalato…”, disse portandosi le mani alle tempie e massaggiandosele. “Nessuno si avvicina ad Alex quando è ammalata… è come entrare nel Triangolo delle Bermuda”.
“Solo con più germi!”, aggiunse Zack ridendo mentre sorseggiava un frullato proteico. Era l’unico della band sveglio alle 7.30 del mattino solo per fare i suoi allenamenti.
“Diventa insopportabile e continua a lamentarsi… ti viene voglia di soffocarlo con un cuscino o peggio…”.
“Conosco un metodo, ma ti devi fidare di me”, dissi guardando J. Matthew. “Lo metterà KO per tutta la giornata e nel tardo pomeriggio sarà pronto per fare le prove”, sospirai. “Te lo prometto!”
“Va bene… è tutto nelle tue mani”, disse. “Sempre se ne uscirai viva…”
“Ok… dimmi solo se hai dello sciroppo per la tosse”.
“Cosa ci dovresti fare?”, chiese dubbioso.
“Un aperitivo di gruppo!”, gli risposi sarcasticamente. “Di solito due dosi dovrebbero stenderlo a tappeto… la sua è solo stanchezza, lo sciroppo servirà solo per farlo dormire”, gli spiegai. “Con mio fratello funzionava.
“Se funziona ti giuro che ti sposo!”, dichiarò Flyzik. “Ti giuro che non ti permetterò di andare da nessuna parte… farai tutti i tour con noi come mia assistente… non m’interessa se hai altro fare!”, iniziò a farneticare esaltato da questa scoperta mentre versavo due cucchiai di liquido rosso e appiccicoso all’interno di una tazza di latte caldo.
“Alex…”, sussurrai avvicinandomi cautamente al suo letto per svegliarlo dolcemente. Mi sedetti vicino a lui e lo guardai aprire gli occhi lentamente. “Bevi questo…”
“Cos’è?”, chiese annusando il profumo dolciastro.
“Solo del latte caldo, ti farà bene”
“Potresti farmi un favore?”, mi chiese tra un sorso e l’altro del liquido bianco. “Potresti chiedere scusa a Flyz? So che sarà furioso con me e so anche di non essermi comportato per niente da professionista… sono fatto così…”, disse. “Devo sempre arrivare al limite… devo distruggermi e rendermi uno straccio finché le cose non iniziano ad andare storte, finché non ci sbatto la testa contro…”, farneticò. “Perché è quello che faccio, no? Rovino sempre le cose belle…”
“Alex, stai degenerando, devi riposare ancora un po’”.
“Ally, è la verità, cioè… guarda noi! Ho fatto un casino e ti stai allontanando da me”.
“Lascia stare…”, lo rassicurai scuotendo la testa. “Cos’altro posso fare per farti stare bene?”
“Resta qui con me!”, disse prima di risistemarsi sotto le coperte e richiudere gli occhi. Presi la tazza dalle mani prima che il contenuto si fosse rovesciato su tutte le lenzuola. Attesi cinque minuti prima di controllare se Alex fosse ancora sveglio e sicura che si fosse riaddormentato lo lasciai riposare in pace. Era buffo come da quando avevamo iniziato a conoscerci non avevo fatto che prendermi cura di lui ogni qual volta che stava male. 


 

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Capitolo 31
*** Chap trentuno. ***


Chap trentuno.
“Uno show spettacolare!”, urlai abbracciandolo appena aveva raggiunto le quinte del palco. Ancora preso dall’adrenalina del momento, mi prese in braccio e mi baciò in un modo nuovo. Totalmente diverso dal solito morbido bacio e completamente differente da quello passionale che mi lasciava senza fiato. Era lui a comandare il gioco e lo lasciai fare divertita da tutta quella frenesia che aveva addosso. “Ehi Rocky!”, gli dissi staccandomi dalle sue labbra. “Forse è meglio se ti vai a fare una doccia, sei tutto sudato!”, gli feci notare scendendo dal suo abbraccio.
“Mi rende più virile l’odore di sudore”
“No, ti rende disgustoso e puzzolente!”, obbiettai non riuscendo a evitare di fare una smorfia, ma puntualmente scoppiai a ridere.
“Va bene bellezza! Ma quando torno, riprendiamo da dove ci siamo fermati!”, disse facendomi l’occhiolino e passandomi di fianco allungò una mano dandomi una pacca sul sedere facendomi sussultare.
Mi chiedevo cosa diavolo gli fosse preso quella sera, forse era l’effetto collaterale del troppo sciroppo.
 
Alex P.O.V.
“Fate spazio belve!”, urlai entrando nel camerino atteggiandomi da diva. “ «L’Uomo Dell’Anno» sta passando”, continuai la mia messa in scena. “Inchinatevi dinnanzi al mio regale cospetto!”
“Gaskarth non c’è abbastanza spazio per te e il tuo ego!”, rispose Zack lanciandomi una salvietta in pieno viso.
“Io opterei per tenerci il suo ego!”, disse Rian mentre se ne stava stravaccato su uno dei divanetti di pelle nera all’interno del camerino. “Almeno è invisibile e non occupa spazio come il suo proprietario e senza di lui non può parlare, quindi resterebbe in silenzio!”, osservò.
“Vorreste davvero scacciare dalla band il vostro cantante preferito?”, chiesi portando il braccio sinistro attorno alle spalle del bassista e trascinandolo sul divanetto dove era seduto il batterista.
“Non impiegheremmo neanche un secondo a trovare un valido sostituto!”
“Potrebbe essere una donna”, propose il ragazzo alla mia destra. “Magari con due tette così…”, disse portandosi le mani davanti al petto per simulare una taglia di reggiseno davvero esagerata.
“Tu hai già Cassadee!”, mi lamentai. “Cosa te ne faresti della cantante?”
“Potremmo chiedere a lei se vuole diventare la nostra vocalist!”, suggerì l’altro. Ero scoraggiato di come mi prendevano tranquillamente in giro. Soprattutto perché erano anche bravi a farti credere quello che volevano. Io però non ero come Jack! Era di lui che dovevano prendersi gioco.  Io ero quello sensibile.
Mi guardai attorno mentre quei due continuavano a ridersela. In effetti, di lui non c’era l’ombra.
“Voi siete due disgraziati!”, mi lamentai alzandomi da mezzo a loro. “Vado dall’unica persona che mi può capire! Vado da Jack!”, recitai. “Sapete dirmi dov’è?”
“Nelle docce, ma ora è pronto a dare il suo voto per la scelta del nuovo cantante”, annunciò il diretto interessato comparendo già vestito e con i capelli ancora bagnati. “Anch’io approvo la scelta della ragazza solo le sue tette sono davvero enormi e non rifatte… mi piace vederle ballonzolare mentre si agita per tutto il palco”, disse con un sorriso malizioso. Jack era fatto così! Era incorreggibile! Era un pervertito! “Tranquillo Alexander, troveremo una piccola parte da farti fare, potresti continuare a scriverci canzoni e poi inviarcele per email”, disse ridendo.
“Ve ne pentirete!”, li risposi a tutti e tre. Afferrai i miei vestiti puliti e il beauty per la doccia pronto per andare a farla. “Creerò una nuova band e la chiamerò «All Time Low Sucks»! O meglio, diventerò un cantante solista così che i fan adoreranno solo me!”, continuai. “E ora la «Nuova Stella della Musica» esce di scena!”, annunciai volgendoli le spalle a entrambi e andando verso la doccia.
Mi lavai velocemente. Volevo raggiungere al più presto Ally. Non sapevo cosa mi avesse reso così, ma desideravo davvero tanto restare totalmente da solo con lei. Nei giorni passati ne avevamo passate di tutti i colori. DeLonge, Lisa, quel maledetto bacio, le litigate, la gelosia, la fiducia, il «ti amo». La lista era decisamente lunga e avrei potuto continuarla ma avrei soltanto perso tempo. Tutto doveva essere cancellato e dimenticato. Sarebbe stato meglio così per entrambi. Questo tour ci aveva permesso di passare molto più tempo insieme, forse fin troppo, ma mi piaceva la sua compagnia, però iniziavo a sospettare che qualcosa non andasse per il verso giusto. Ultimamente era sempre distaccata. Passava le notti insonne, restava alzata fino a tardi a parlare sottovoce con Jack. Non era la stessa Al che era all’inizio del tour.
 
Ally P.O.V.
“Mi manca la comodità di un letto normale!”, si lamentò stendendosi di fianco a me. Si era poggiato su un fianco e si reggeva la testa con una mano.
Quel buco che si ostinavano a chiamare letto era davvero troppo piccolo e stretto e soffocante. Eppure riuscivo a scivolare su queste piccolezze perché il suo sorriso bastava a mettermi l’anima in pace.
Con una mano cercai di sistemargli i capelli totalmente scompigliati mentre mi perdevo a osservare ogni minimo dettaglio del suo volto. Forse mi ero davvero innamorata e forse era arrivato anche il momento di dirglielo, solo che ero troppo codarda per farlo, ma dovevo farlo prima che fosse troppo tardi.
“Alex… io….”, sussurrai il suo nome facendo comparire un enorme sorriso sul suo volto. “Io penso che dovremmo rivestirci”, dissi spostandomi da lui e iniziando a ricompormi, raccogliendo i vestiti dal pavimento. Non ce l’avevo fatta neanche questa volta. “Gli altri potrebbero tornare a breve”
“È ancora presto”, si lamentò nonostante lo trovai a fare esattamente quello che gli avevo chiesto.
“Non lo è poi così tanto”
“Però torni di nuovo qui a letto?”
“Vado a darmi una rinfrescata…”
Mi chiusi la porta del bagno alle spalle e mi guardai allo specchio. Il mio riflesso non aveva nulla si sbagliato, tutto era come mi ricordavo eccetto che per le guance arrossate e i capelli scompigliati. Non dovevo temere niente, solo che non riuscivo a guardarlo negli occhi e dire quelle parole. Era tutto così tremendamente patetico. Io ero patetica. Come potevo pretendere di dirgli «ti amo» se non riuscivo neanche a dirgli che volevo tornare a Baltimora? Era assurdo! Avevo ventidue anni! Dovevo prendermi le mie responsabilità.
Aprii il rubinetto e mi sciacquai il viso con l’acqua gelida. Forse era arrivato il momento migliore per far valere i miei diritti di donna. Feci un lungo respiro e spalancai la porta.
“Vieni qua!”, disse Alex sorprendendomi e prendendomi in braccio per portarmi di nuovo sul suo letto. Stare sotto di lui mi suscitava sicurezza in un certo senso. Le sue braccia ai lati del mio corpo creavano una sottospecie di gabbia che mi faceva capire quanto non volesse lasciarmi andare così come le sue labbra che baciavano ogni parte di pelle scoperta. Mi lasciavo sempre trasportare da quella sensazione di quando le cose andavano perfettamente bene, ma mentivo a me stessa e mentivo a lui mentre passavo distrattamente un dito sul suo braccio tracciando linee confuse.
“Alex…”, lo chiamai. “Come mai questa sera se così… frenetico?”, gli domandai. Il ragazzo si fermò dal darmi tutte quelle attenzioni e impiantò i suoi occhi nei miei. “La medicina che ti ho dato non può averti fatto reagire così…”.
“So che hai qualcosa che non va e che vuoi parlarne ma non ci riesci… abbiamo avuto un brutto periodo e questa giornata è stata davvero bella, almeno i momenti in cui non ero in coma, e non vedo il motivo per cui dovremmo rovinarla”.
“Come sai che la rovineremo?”
“Dal fatto che ti stai trattenendo dal dirmi «dobbiamo parlare» ”, sostenne spostandosi di lato. “Se non era qualcosa di grave, di solito, l’avresti detta tranquillamente senza cercare le frasi giuste o fare giri di parole, perché qualunque cosa avresti detto saresti stata sicura che non abbia preoccupato chiunque ti avrebbe ascoltato”, disse continuando a fissare il soffitto del letto a castello. “Tu invece stai nascondendo qualcosa e sto aspettando che tu me lo dica però non ci riesci e non ti posso forzare o tiratelo fuori con le pinze, quindi sto impazzendo temendo il peggio, cercando di non pensare a quello che mi stai per dire. Forse non lo accetterò, forse mi arrabbierò, forse non so neanch’io come potrei reagire, ma ti prego! Se devi dire qualcosa fallo al più presto perché sto letteralmente impazzendo e so anche che Jack sa cosa ti affligge e mi dispiace vederlo nascondermi un segreto. Almeno fallo per lui…”, dichiarò. Per tutto il tempo non mi aveva guardato neanche una volta. Si era limitato a fare il suo discorso ed io non riuscivo a rispondergli, troppo sorpresa da quanto mi conoscesse in realtà. Forse non sapeva il nome dei miei genitori, forse non sapeva quale fosse il mio colore e cibo preferito, forse non sapeva neanche quale fosse il mio peso o quanto fossi alta, ma forse non gli importava neanche. Però sapeva leggermi dentro. Sapeva come ero fatto e sapeva capirmi come nessun altro. Ogni mio sguardo, ogni mio gesto, ogni mio sospiro, sapeva esattamente a cosa corrispondesse ed io lo avevo sottovalutato. “Mi vuoi lasciare?”, chiese dopo di quella che mi sembrò essere passata un’eternità.
“Ti amo!”, dissi senza neanche rendermene conto. Ero riuscita a dirglielo ed era stato così tremendamente facile.
“Davvero?”, chiese lui impressionato, voltando il suo viso verso di me come se non fosse certo di aver sentito bene quello che avevo appena pronunciato. “Ti amo anch’io”
“Amo il te privato, il te pubblico e soprattutto amo il te che gli altri non possono vedere!”
“Però non è quello che inizialmente mi dovevi dire, giusto?”, domandò.
“Se te lo dovessi dire le cose cambierebbero tra di noi”.
“Mi stai per lasciare?”, domandò di nuovo.
“Ti ho appena detto che ti amo, come puoi pensare che ti voglia lasciare?”, gli chiesi sorridendogli dolcemente.
“Non so ancora leggerti nella mente”, si giustificò sporgendo il labbro inferiore. “Allora… cosa c’è di così tremendo che mi devi dire?”
“Ho pensato di tornare a Baltimora”, confessai prendendo coraggio. “Questo continuo spostarsi, ogni notte passarla in movimento tra una città e l’altra. Questa vita frenetica non fa per me, è la tua, tu ci vivi, ed io mi sento come se stessi interferendo con la tua vita personale. Io faccio parte di quella privata e penso che stare qui complichi in un certo senso le cose”, dichiarai cercando di non essere troppo dura. “Sto solo dicendo che ho bisogno di tornare a casa. Adoro stare qui con te, ma non è il mio posto…”, aggiunsi posando la mia mano sulla sua guancia. Volevo averlo vicino. Volevo un suo contatto. Volevo che rispondesse invece di restare zitto a pensare. “Però manca poco meno di un mese alla fine del tour e quindi non è poi così tanto se ci pensi… ti ho aspettato per un anno, ti ho aspettato per tre mesi e ora ti aspetterò per un altro mese contando i minuti che ci mancano per rivederci”, gli sorrisi dolcemente. “Spero che tu possa capire quello che sto cercando di dirti… non ti sto chiedendo una pausa, tantomeno ti sto lasciando, voglio metterlo in chiaro. Desidero soltanto tornare a casa mia, a Baltimora”.
“Da quando consideri Baltimora casa tua?”, domando decidendosi finalmente a parlare.
“Da quando il ragazzo che amo ci abita ed è l’unico che mi fa sentire a casa…”.
“Quello che hai detto è un controsenso”
“Ti giuro che nella mia testa aveva perfettamente senso”, gli risposi ricambiando il sorriso. “Vorrei solo assicurarmi che tu starai bene…”.
“Un mese… sembra tanto…”
“Sono solo trenta giorni… quattro settimane… non lo è poi così tanto”, gli feci notare. “Basta guardare la faccenda da una diversa angolazione…”.
“Dovrei provarci…”
“Dovresti!”, gli accarezza di nuovo la guancia. “E poi ti ricordi quello che ti avevo detto qualche giorno fa sullo stare troppo insieme? Ti avevo spiegato che avrebbe rovinato il nostro rapporto….”, dissi. “Una parte del discorso non era vera, non riuscirei mai a odiarti completamente… non riuscirei neanche a detestare la tua risata o il tuo sorriso…”.
“È carino da parte tua, ma questo non giustifica che te ne vuoi andare via da me…”, disse un po’ deluso dalla mia scelta. “Quindi hai già deciso?”, domandò. “È veramente quello che vuoi?”
“Sì, è quello che ho bisogno… e so che può sembrare un gesto totalmente egoista da parte mia, ma penso che faccia bene per entrambi, no?”, annuì non molto convinto. “Quando stavi con Lisa non eri felice di tornare a casa da lei? Non eri felice di rivederla e recuperare il tempo perduto?”.
“Intendi con del sesso?”
“Non esattamente, ma è sempre un’idea… molti terapisti consigliano che per mantenere vivo il rapporto con il proprio partner bisogna farsi desiderare e quindi, più lunga è l’astinenza e migliore sarà…”.
“Te lo stai inventando!”, affermò interrompendomi con un bacio passionale, rimettendosi sopra di me. Riuscivo a sentire il peso del suo corpo sopra il mio e non mi dava affatto fastidio.
“Ti detesto quando m’interrompi quando parlo!”, mi lamentai allontanando le sue labbra dalle mie.
“Ed io quando non riesci a stare zitta mentre cerco di baciarti!”, disse fiondandosi di nuovo sulla mia bocca, ma lo allontanai di nuovo ridendo.
“Visto? Dobbiamo per forza allontanarci per un po’”, dichiarai. “Stiamo iniziando a detestarci…”
“I just want to see you when you're all alone. I just want to catch you if I can. I just want to be there when the morning light explodes on your face it radiates. I can't escape. I love you 'till the end”, canticchiò stampandomi un dolce bacio alla fine.
“Come fai a trovare tutte le canzoni giuste nel momento giusto?” gli domandai curiosa. “È scientificamente impossibile a meno che tu sia un jukebox umano…”.
“Ti prego stai zitta e fatti baciare in santa pace!”, dichiarò lui alzando gli occhi. Scossi la testa e lo attirai verso di me facendo quello che mi aveva chiesto.

Molly 
Ehilà gente! Eccomi qui!
Avete visto il nuovo video della band con Vic Fuentes? è spettacolare! Li adoro! è stato decisamente un bel risveglio e so esattamente cosa mi posso far regalare per il mio compleanno u.u

 

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Capitolo 32
*** Chap trentadue. ***


Chap trentadue.
Mi alzai dal letto. Non mi sembrava vero essere ancora lì. Il freddo pavimento mi fece rabbrividire, ma l’aria che respiravo riusciva a calmarmi perfettamente. Erano trascorsi tre mesi da quando avevo seguito Alex in tour e tornare a casa era stato come un toccasana, ma non potevo negare di aver fatto una mossa fin troppo azzardata. Mi mancava e il non averlo più intorno era davvero triste, ma tra meno di un mese sarebbe tornato e le cose sarebbero ritornate di nuovo opposto. Iniziai a girare per casa con una tazza di thè tra le mani, come avevo fatto la prima volta dopo che Sally si era trasferita da Jack. Come facevo da ormai una settimana, ma volevo godermi quegli attimi di pace.
Nessuna chitarra in sottofondo, nessun odore di birra, nessuna barzelletta sconcia, nessuna presenza umana eccetto me stessa. Regnava dopo tanto tempo la tranquillità, forse anche fin troppa. Avevo davvero bisogno di tutta quella calma dopo la tempesta di nome Alexander.
Tornai nella mia stanza e aprii l’armadio, mi sarei dovuta vestire per uscire. Dovevo di nuovo trovare un lavoro, ma forse sarei potuta tornare al giornale e strisciare e implorare David per riavere il mio posto da giornalista. Certo, avrei potuto e per farlo mi sarebbe servita un’enorme dose di coraggio, ma non sapevo, proprio, dove prenderlo finché qualcosa catturò la mia attenzione.
Una parte dell’armadio sembrava provenire dal negozio della Glamour Kills. Alex aveva così tanti capi di quella società che una parte l’aveva lasciata da me, una seconda era a casa sua e l’ultima in tour con lui.
Tirai fuori una maglietta e respirai il profumo che emanava. Era inconfondibile. Era esattamente il suo e non riuscii a fare a meno di sorridere. Tre settimane e sarebbe tornato.
Mi vestii in fretta indossando la sua maglietta e uscii da casa. Forse avevo trovato il mio coraggio.
Non mi resi conto di quanto avessi camminato veloce fino a quando non mi trovai sotto quell’edificio di mattoni. Faceva sicuramente più freddo rispetto a quando me ne ero andata. O meglio, da quando David mi aveva cordialmente mandato in pausa fino a un tempo indeterminato.
“Trohman! Lei è licenziato!”, si sentì urlare da una stanza in fondo al grande ufficio. Subito dopo udii una porta sbattere e un uomo uscire dalla porta e borbottare qualche insulto. Decisamente David aveva fatto di nuovo una delle sue carneficine. “Lei è un incapace! Non si faccia più vedere qui!”
Mi ero dimenticata di quanto fosse cattivo quando si arrabbiava e non potevo nascondere il fatto di essere terrorizzata all’idea di doverci parlare.
“Voi tornate al lavoro!”, continuò rivolgendosi agli impiegati. “Non c’è nulla da guardare!”, concluse chiudendosi per la porta alle spalle.
Dire che ero terrorizzata era davvero riduttivo e gli sguardi che qualche giornalista mi rivolgevano non aiutavano per niente. Sembravano suggerire di scappare via. Però quell’espressione terrorizzata nei loro occhi mi fece tornare in mente quella che avevano la crew appena Matthew perdeva le staffe e neanche David raggiungeva il suo livello.
Feci un profondo respiro e avanzai verso quella porta nera che tutti temevano e bussai cercando di essere più tranquilla possibile. In fondo, non c’era nessuno peggio di James Matthew Flyzik. Di cosa avrei dovuto avere paura?
“Avanti!”, rispose con un tono di voce ancora arrabbiato.
“È permesso?”, chiesi facendo capolino dalla porta con la testa.
“Porter! Quale buon vento la porta da queste parti?”, chiese facendo un cenno di sedermi con la mano.
“Il mio posto di lavoro!”
“Ha coraggio a presentarsi qui!”, rispose ridendo e adagiandosi alla sua poltrona.
“In verità sto nascondendo il mio nervosismo, ma il mio posto di lavoro è un argomento lasciato irrisolto e ora vorrei fare due chiacchiere con lei e arrivare a un compromesso”.
“Oh Allyson….”, sorrise. “Hai perfettamente ragione, ma sai come la penso…”.
“Lo so ed è per questo che sono qui… sono passati più di cinque mesi dall’accaduto e intanto non ci sono stati problemi, ho seguito la band in tour lavorando nello staff e non sono sorte incognite nonostante fossimo esposi a un eccessivo rischio e sinceramente non penso che sia giusto privarmi di qualcosa che amo fare e che, come ha detto lei, di cui ho le capacità solo perché ho una relazione con un musicista”, dichiarai tutto di un fiato. “Inoltre non siamo la Famiglia Reale che richiedono così tanta importanza e se capita qualcosa me ne assumo tutta la responsabilità e lei potrebbe sempre trarne vantaggio a scopo pubblicitario”.
“La sua determinazione mi ha lasciato senza parole, devo ammetterlo, e il suo discorso è convincente, ma…”.
“Ma?”, chiesi. “Sono dentro o sono fuori?”, gli domandai impazientita. Ero stata una pazza a essermi tuffata in una fossa di leoni soprattutto a rivolgermi in quel modo a un uomo concretamente più grande di me. Dovevo immaginare a un possibile rifiuto con un calcio nel sedere e un possibile allontanamento da tutti i giornali della città.
“Ok, va bene…”
“Come?”, chiesi non capendo cosa avesse detto. “Può ripetere?”
“È dentro signorina Porter!”, rispose facendo comparire un sorriso da sotto i suoi spessi baffi grigi. “Mi ha convinto e sinceramente lei è di gran lunga meglio di Trohman, da quando è qui ha combinato solo disastri!”, disse l’ultima parte con un tono di voce che mostrava tutto il suo disprezzo nei confronti di quell’uomo.
“Beh, è fantastico!”, esultai. “Cioè il fatto di poter tornare a lavorare qui… non per quell’uomo che è appena stato licenziato…”.
“Dov’è finita tutta la grinta con cui mi aveva affrontato prima?”, chiese ridendo. Mi sentivo decisamente più rilassata. “È quella che cerco nei miei giornalisti… niente pappamolla!”
“Certo!”, dissi. “Grazie mille… beh… per questa seconda possibilità, signore!”
“So che non mi deluderai, basta che ti presenti qui domani mattina al solito orario e tutto andrà bene!”, mi sorrise di nuovo alzandosi in piedi. Allungai la mia mano verso la sua e la strinsi forte, ringraziandolo per altre mille volte.
Ce l’avevo fatta! Era andato tutto bene ed ero riuscita a riottenere il mio vecchio lavoro senza aver preparato un discorso, ma mi era bastato un profondo respiro e tutto quello che dovevo dire era uscito dalla mia bocca senza preoccuparmi di quello che avrebbero potuto causare le mie parole. Forse era stata la maglietta di Alex, forse l’irascibilità di Matt, forse la mia voglia di scrivere. Qualunque cosa fosse stata a darmi coraggio aveva funzionato e ora non potevo chiedere di meglio.
 
Due settimane.
 
Tre settimane.
 
Mancava poco ormai. Era questione di giorni. Non avevo idea a che ora il suo aereo fosse atterrato. Non sapevo se sarebbe venuto subito a trovarmi. Non sapevo neanche se avesse avuto un improvviso impegno di lavoro.
L’unica cosa certa era la mia felicità nel poterlo rivedere tra breve, nel poterlo di nuovo avere intorno che girava per casa con una penna appoggiata sull’orecchio e dei fogli completamente scarabocchiati mentre provava a intonare qualche melodia. Era esattamente tutto quello di cui avevo bisogno.
“Pronto?”, risposi al cellulare che aveva interrotto i miei pensieri e anche il mio sonno.
“Al!”, disse l’altra voce.
“Alex?”
“Scusa, aspettavi la chiamata di qualcun altro?”
“Sono le due del mattino… non mi aspettavo la chiamata di nessuno, in verità!”
“Non dovresti essere sveglia a quest’ora…”.
“Alex, è successo qualcosa?”
“Perché dovrebbe succedere qualcosa?”
“Alex...!”, lo rimproverai.
“Volevo solo sentire come stati o se stavi ancora dormendo”
“Lo stavo facendo… prima che tu mi svegliassi”, gli feci notare adagiandomi di nuovo sul letto e chiudendo gli occhi.
“Scusa… però volevo dirti una cosa…”
“E cosa c’è di così importante da chiamarmi a quest’ora di notte?”
“Nulla… volevo dirti che stavo tornando”, disse con tutta la tranquillità del Mondo. Il contrario di me, che avevo aperto gli occhi cercando di capire bene quello che aveva appena detto.
“Puoi ripetere scusa?”
“Sto tornando a casa”
“Casa tua?”
“A casa”, ripetette rimanendo sempre tranquillo. In quel momento mi apparve in mente un libro che avevo letto: «On The road» di Jack Kerouac. Alex mi dava assolutamente l’impressione di quel ragazzo che faceva da protagonista alla storia. Nelle ultime righe del libro scriveva: «una macchina veloce, l'orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada»*. Era un po’ il riassunto della sua vita e sorrisi a quell’idea che mi si era formata in testa.
“Ora dove sei?”, gli chiesi alzandomi dal letto e iniziando a sistemare la stanza, come se avessi davvero la voglia e l’energia di poter fare qualcosa. “Immagino che andrai a letto… ti farebbe bene una bella dormita in un letto decente”
“Non hai tutti i torti, ecco perché dovresti immediatamente venire ad aprirmi la porta e lasciarmi entrare”
“Potresti ripete, scusa?”, gli chiesi. “Non penso di aver capito bene dove diavolo tu sia”
“Apri la porta e basta!”, rispose chiudendo la chiamata.
Non sapevo se stava scherzando o no, ma feci ugualmente quello che mi aveva chiesto. Mi alzai dal letto e percorsi il breve corridoio fino alla sala. Pensai a quanto fosse pazzo quel ragazzo. Probabilmente non avrei mai trovato un’altra persona come lui, forse Jack era quella che gli si avvicinava di più, ma lui era unico, almeno per me. I suoi occhi, le sue guance morbide, i suoi capelli sempre scompigliati e la sua risata, la sua voce, i suoi gesti e il suo comportamento da voler piacere a tutti in ogni caso. Erano tutti piccoli particolari che mi piacevano di lui, ma solo una cosa mi aveva fatto innamorare di lui: il suo modo di essere.
Girai la chiave nella serratura e stupidamente aprii la porta. Rimasi sorpresa nel trovarmi un ragazzo con un sorriso smagliante e con una chitarra sulle spalle.
“Sono a casa!”, disse osservandomi da sotto una visiera. Gli copriva con, la propria ombra, metà volto, lasciando libere le sue labbra. Questo però non m’impedì di scorgere i suoi occhi che brillavano di quella luce che mi faceva impazzire. Era un bagliore che avevo trovato solo in lui.
“Da quando questa è casa tua?”
“Da quando ho iniziato a passare più tempo qui che nella mia”
“Hai detto qualcosa di giusto… quindi adesso che si fa?”
“Io opterei per lasciarmi entrare e poi salutarmi come si deve”, disse concludendo la frase con uno dei suoi magnifici sorrisi. Portai le mie mani dietro al suo collo e feci quello che volevo fare da un mese. Il contatto con le sue labbra mi fece rabbrividire. Non mi ero dimenticata di quanto fossero morbide e buone. Non avrei mai potuto farlo.
“Bentornato Alex”, gli sussurrai a pochi centimetri da lui. Mi staccai a malincuore e lo lascia passare. Chiusi la porta alle mie spalle e appoggiandomi sopra. Mi ero persa a osservare quel ragazzo davanti a me. Mi chiedevo come fosse successo. Come fosse stato possibile tutto questo. A come mi ero innamorata di un ragazzo che avevo provato a detestare. Forse la frase «gli opposti si attraggono» era vera ed io iniziavo a crederci, ma questi erano solo stupidi pensieri che si formavano per mancanza di argomentazione, perché neanch’io sapevo come era potuto succedere eppure quel ragazzo mi aveva rapito. Aveva sempre avuto una capacità di attirarmi a se con un semplice sguardo e imprigionarmi in un Mondo dove tutto era perfetto. Eppure non avevo bisogno di un mondo perfetto quando potevo avere lui. Non era il ragazzo perfetto, ma era quello che mi faceva stare bene in qualunque momento e in qualunque posto e non c’era nulla che potessi desidera di più.
“Che c’è?”, chiese poggiando la chitarra sul divano e guardandomi con un sorriso felice sul volto. Lo vedevo particolarmente rilassato e tranquillo.
“Nulla… stavo pensando”
“A cosa?”
“A nulla…”
“Allora potresti spiegarmi perché indossi una delle mie camicie come pigiama…”
“Potrei spiegartelo, ma cadrei troppo nello sdolcinato”
“E sarebbe così assurdo per te?”
“Davvero vuoi restare qui a parlare di cosa indosso per dormire?”
“Potremmo restare qui a parlare… o scopre cosa indossi sotto”, propose spingendomi a se e posando le sue labbra sul mio collo. Mille brividi mi percorsero la schiena.
“Alex…”, sussurrai allontanandolo da me.
“Ally…”
“Che fai?”
“Non stavamo giocando a chiamarci?”
“Idiota!”, gli dissi ridendo e dandogli un leggero schiaffo sul braccio.
“Dimmi…”, mi chiese poggiando poi le sue mani sui miei fianchi. Mi sembrava un’eternità dall’ultima volta che mi avesse toccato. “Cosa volevi dirmi?”
“Mi sei mancato…”, il sorriso che comparve sulle sue labbra significava molto.
“Mi sei mancata anche te”, disse baciandomi lievemente e stringendomi forte in un abbraccio che mi sarei mai aspettata. “Cosa ne pensi se ora andiamo a dormire e domani mattina parleremo di tutto?”
“Penso che sia un’ottima idea!”

Molly
Ed eccoci alla fine di tutto. Finalmente esulterete per la fine di questa FF che ha assillato la pagina hahahahaha. In effetti è stata abbastnaza lunga e non me lo sarei aspettato neanch'io.
Comunque volevo ringraziarvi a voi che avete letto la storia e che siete coraggiosamente arrivati fin qui. E si, sto parlando specialemente di Rack e Lullabies :) Grazie mille ragazze. Mi avete fatto sorridere con le vostre recensioni... Diamine, come sono sdolcinata hahahah. E naturalmente non mi dimentico di unicornsr0mance e Layla!

*Ci sono due versioni di questa frase. Nel mio libro c'è scritto «Una macchina veloce, una costa da raggiungere e una donna alla fine della strada» mentre su internet è possibile trovare la frase che ho citato nel testo. Ho pensato che quest'utilma sia migliore rispetto alla prima elencata.


 

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