Makebelieve

di Vagabonde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I wanted to be a vagabond ***
Capitolo 2: *** Remember Me ***
Capitolo 3: *** One hand, two eyes, one voice ***
Capitolo 4: *** Would you trust me? ***
Capitolo 5: *** The fear that gave me wings ***
Capitolo 6: *** What kind of love I felt ***
Capitolo 7: *** This night, a bright star will shine for me ***



Capitolo 1
*** I wanted to be a vagabond ***


Sountrack: Ho messo via, Luciano Ligabue.

Vagabonda: Emily

“Life was just what happened while we were busy making plans.”

 

 

Perché a me va.

Una vigilia, un’epifania, forse l’inizio di una corsa, la porta su un mondo fantastico.

Strade parallele, come disse una volta il Commodoro Norrington.

“I nostri destini si sono intrecciati, Elizabeth, ma mai uniti”.

Uno strano diktat, qualcosa che nella vita succede, e succedendo, cambia le carte in tavola.

Un’enorme scacchiera, noi pedine, il destino una mano imparziale che ci mescola e rimescola fin quando non nascono delle strane combinazioni, magari per caso, magari senza intenzione.

Una maionese mai uguale di episodi ed emozioni, che sommati uno all’altro fanno una vita.

Una vita vissuta ai limiti.

Over the edge, over again.

Over and over again, finchè reggerà questo corpo, questo cuore.

Ma quale amore? Questa è verità.

E’ qualcosa di tangibile, che non si scrive.

A volte, si racconta.

Ma io sono una cantastorie. E’ mio dovere trascinare le persone nel mio mondo, aprire gli occhi facendoli chiudere per vedere, per sognare, cullati da una ninna nanna e da un materasso di parole scritto apposta per te.

Come diceva De Andrè, grazie a te ho una barca da scrivere, ho un treno da perdere.

Un aereo da prendere, ancora una volta, diretta all’ignoto, all’inconscio.

Nord, sud, oves, est, starò cercando lui o forse me.

Questa canzone. Una costante nella mia vita, che sbuca fuori dalle porte aperte dei bar, dagli altoparlanti di un ristorante, dallo stereo di un’auto, e mentre sto per mollare, mentre mio padre mi dice che quello che faccio non ha senso né futuro, capita che passi su radio 105 e mi faccia sobbalzare, e che io alzi il volume, e che lui cominci a dire:< Amore? Quale amore? Questo è un amore che non ha futuro>, e capita di essere in macchina per strade sconosciute, e capita che io apra la portiera di scatto mentre l’auto cammina e costringa mio padre a inchiodare, perché i miei occhi sono stati catturati da una scritta su un cartello.

60b.

Nel bel mezzo dell’Italia, tra i monti del salento, c’è la 60b.

Ricapitolo.

Amore senza futuro.

Nord Sud Ovest Est degli 883 nella radio.

60b.

Nemmeno mio padre può pretendere la ragione dal destino.

A volte nel mio mondo sembra di stare a una riunione degli alcolisti anonimi.

Pacche sulle spalle, anche virtuali, silenzi e abbracci, e < Non preoccuparti, non siamo matte. Solo diverse.>.

Perché anche noi abbiamo bisogno di una dimensione in cui stare, anche noi vagabonde, si, anche noi fan. Capita che un giorno ci svegliamo in una vita che sembra senza direzione, che guardiamo negli occhi di un poster di plastica e troviamo immediatamente una ragione per alzarci dal letto e tirare avanti, pensando che forse domani.

Forse domani salterà fuori da un angolo, forse domani ci sbatterò addosso, forse domani potrò guardarlo negli occhi e dirgli < Ehi, è una vita che ti aspetto.>.

Questo è un mestiere infame.

Chi non sogna non fa sognare, è meglio che questo mondo se lo metta in testa.

È meglio che tu te lo metta in testa, dovunque sei.

Anche tu un tempo sei stato un sognatore.

Ora guardo le tue foto e vedo l’ombra di un uomo che somiglia a te, e prego di arrivare in tempo.

Tu hai paura di noi.

Anche noi abbiamo paura di noi, qualche volta.

Ma siamo una cosa troppo diversa, troppo assurda per essere compresa.

La gente non si fida di quello che non può spiegare.

Ci fissa, e vede ore perse nel gelo, anni spesi a rincorrere un pezzo di cartone.

Ci guarda, e ci vede senza direzione.

Non è vero, Orlando.

Noi abbiamo sempre una direzione. Siamo sempre su un treno, col cuore o col corpo, su un aereo, in un porto di mare.

Le nostre direzioni spesso coincidono con le tue, ma qui nessuno ti ha scelto.

Ci sei capitato, come in una pesca miracolosa.

Sai, la gente è matta. E’ strana.

E chiama matte e strane noi per esorcizzare i suoi demoni.

E chi non ci reputa mentecatte, ci imita, credendo che quello basti.

Ma ci vogliono le unghie e i denti, e ci vogliono le palle.

Ci vogliono le palle per alzarsi e partire, a cercare la propria isola che non c’è in mezzo al insensatezza di questa vita immobile.

Anche Wendy chiamava Peter. Chiamava Peter tutte le sere come noi chiamiamo te. Ti cerchiamo per trovare una ragione, una ragione che vada bene per tutti noi che abitiamo in questo piccolo mondo, quello che se ne sta sotto terra, che fa girare questa palla fatta di acqua e terreno e sogni e veleno.

La facciamo girare con le mani come si fa con un mappamondo.

Raramente ci perdiamo in congetture, in paure inutili.

Sai, io credo a Shakespeare. Credo davvero che i nostri dubbi siano traditori, perché ci fanno perdere il bene che potremmo ottenere per la paura di tentare.

Noi ruotiamo intorno a te come dei satelliti, tutte le nostre energie sono convogliate verso il centro del tuo cuore, pregando per trasmetterti la nostra forza.

Ne ho conosciute di donne forti, di donne con le palle.

Ne ho conosciute su treni, su aerei, in mondi sempre uguali eppure sempre diversi.

Sono poche quelle che mi hanno colpito l’anima, ma moltissime quelle che mi hanno colpito il cuore.

Mille giorni di te e di me.

Un po’ più di mille, ormai.

Lo sai, che siamo matte?

Oh si. Forse si.

Qui in mezzo c’è un drappello che ti ritroveresti davanti, e non per scegliere chi sposare, no. Per darti forza, darti una mano, portarti a ballare la lambada quando non vuoi pensare, farti piangere stretto al cuore quando ne hai bisogno, coccolarti quando ti senti solo, farti cantare quando vorresti urlare.

Non sprecarlo, Orlando.

Noi eravamo sole, tu non lo sei, hai noi.

Noi eravamo abbandonate, ci siamo dovute rimboccare le maniche per trovarci qualcosa che ci salvasse la vita.

È così che scriviamo, cantiamo a squarciagola fuori al balcone, corriamo sotto la pioggia.

Ieri era un giorno di temporale.

Mi sono alzata, ho guardato fuori, ho infilato gli stivali antipioggia e ho corso.

Ho corso fino a te, dovunque tu fossi.

Poi, tornata a casa, mia madre mi ha fatto ridere e mi ha fatto piangere.

Conosci quella sensazione? Ridere nel pianto.

Per la prima volta le ho parlato per ore. Le ho parlato di Jools, di Cecil, di quello che scrivevamo. Le ho parlato anche di Michi, di Sara, di Narja, di tutte le amazzoni che Orlando ha tra le sue fila.

Le ho parlato dei miei progetti.

Le ho detto < Mamma, vado via.> e mamma non ha risposto.

Si è fermata a leggere “Smile Without a Reason Why” e “To our beloved ones”. E mi ha guardato, mi ha sorriso, e mi ha detto: < Sembrate la squadra dell’Actimel. Elle, Casei e Immunitas. Forza, andate a rinforzare le difese di Orlando.>

Ho riso, e poi via a cantare.

Dove sarai anima mia, non lo vedi che io vivo di te.

No, non lo vedi.

E intanto tu resti la musa che ispira i miei testi, i miei discorsi in versi, ora e per sempre, cielo aperto e il tuo ricordo viaggia in me.

Un cielo spettacolare oggi, sembra quello di Windows 95.

Un sole che asciuga la pioggia e le lacrime.

Questa è la prima pagina di una storia della nostra stravagante vita da vagabonde, con Peter alla finestra.

Elle, Casei e Immunitas.

Lo Stregato per discutere del senso della vita.

Il cappellaio matto per prendere un tè a metà pomeriggio, festeggiando tutti i non compleanni del mondo.

Le fiabe di Wendy e la mia polvere fatata per volare a pelo d’acqua sopra il laghetto dei Kengsinton Gardens.

Un messaggio scritto su un foglietto ai piedi della statua di Peter Pan, un messaggio per Londra, casa nostra, la casa d’angolo situata, ironia della sorte, nel quartiere di Bloomsbury.

Uncino per fare pratica di sfide.

Una spruzzata di mistico per pregare insieme a Pocahontas al centro della madre terra.

Le principesse che salvano i principi.

Tutte le nostre fiabe al contrario, tutti i nostri mondi segreti, aperti una volta e per tutte.

Mushu per darci qualche consiglio, cosicché non cada il disonore su di noi e le rispettive mucche.

Il mio taccuino CriCri, lo stesso Moleskine che aveva Hemingway, come diario di bordo.

La mia Sony H9 per fermare i momenti.

Parole mai stanche scritte solo per te da molti cuori.

Le cronache di guerriere vagabonde di un altro mondo.

Un viaggio alla ricerca di un lieto fine a cavallo di una lanterna, come Mulan.

Storie di partenze senza destinazione, senza andate né ritorni.

Vite vissute con le vene piene di ciò che siamo.

Fate sopra altalene che tu spingi, facendoci arrivare così in alto da accarezzare i confini del cielo.

Cosa vuoi farci, come dice Jovanotti, se pesassero il mio cuore al chilo scoprirebbero che pesa esattamente come te.

Come scrisse Vivian, passando dalla strada degli occhi e del cuore mi sei entrato dentro, e ora lo abiti. Abiti il mio cuore come si abita una casa.

E il mio cuore ha porte su altri luoghi pieni di libertà, finestre spalancate per farti respirare aria pura, scivoli per farti giocare e un letto soffice per farti riposare. Sui muri ci sono scritte tutte le storie nate per te.

Just to make you feel good.

To make you feel safe.

E allora avanti, la porta è aperta.

Volta pagina, e vieni a scoprire questi famosi materassi di parole scritti per farti tirare un sospiro, da queste vagabonde che se ne vanno raminghe per il mondo a fotografare la vita e farla passare dalle penne su fogli di carta, perché un giorno tu legga, e ti senta amato.

Va tutto bene, sei al sicuro ora, guerriero senza riposo.

Al sicuro e amato.

Tutto quello che nella vita si può cercare. Sicurezza e amore.

Un’acqua cheta.

Saremo noi, la tua acqua cheta, il tuo angolo di infinito, il tuo letto ai confini della Terra.

Lascia che sia. E sarà.

E se ti chiederai perché, apri un libro di James Matthew Barry. La risposta è proprio là, in mezzo alle pagine.

Because we belive. We do. We do.

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Capitolo 2
*** Remember Me ***


Sountrack: Remember Me This Way, Jordan Hill.

Vagabonda: Jools

“A part of you will never ever go away.”

 

 

Avere ventun anni e sentirsi trascinare indietro fino ai sedici.
Seduta su quella poltrona di pelle nera, in una camera stretta e lunga, un giorno di Gennaio.
Ma sì, vediamoci un pò questo film, "La Compagnia dell'Anello", chissà com'è.
Scoppiare a ridere fin dalla prima battuta di Gandalf, seguire attentamente tutta la storia, tremare nell'ombra e finalmente respirare, a Rivendell, con il sole caldo sulle foglie già dorate.
E pensare: "Però, che strana parodia di quel che accade qui. Avanza l'ombra ed ecco, la Natura si arresta, perde vita. Nessuno che rechi con sè un poco di calore, di luce?"
Mi chino a prendere la lattina di Coca e alzo gli occhi di scatto, trovandomi a fissare i tuoi.
Che non sono i tuoi.
Tu non hai gli occhi blu, Orlando.
Non hai nemmeno il viso color di luna, i capelli dorati, le orecchie a punta.
Però arrivi, arrivasti, come una risposta.
Al chè ricordo d'aver pensato: "... O dannazione."

Come accidenti hai fatto, quel giorno, a guardarmi oltre le lenti a contatto, oltre lo schermo di vetro, oltre tutto quel che non potevi sapere nè considerare, e vedermi, vedermi davvero?
Io che ho lottato e che lotto tuttora per essere seria, matura, responsabile, sicura, avere delle basi, fare la brava bambina, la buona figlia.
Che stress. Non mi ci voleva. Non mi ci volevi tu.
Ma ho deciso io di festeggiare l'esame di Letteratura Italiana scrivendo qualcosa su di te.
Gennaio, il 19. Qualche mese dopo aver lasciato nuovamente Londra, dopo anni che non ci andavo, dopo averne portata una fetta con me ed aver seminato là altri brandelli della mia anima.
Per ritrovare me e lei ho scritto quel qualcosa.
Un qualcosa che si è trasformato. Da un solo capitolo a 40.
E sentirmi cambiare, via via che studiavo le tue espressioni, ancora, le tue movenze, di nuovo, la tua voce, come una volta.
Mi sono dimenticata la lingua Sindarin, però ricordo ogni dettaglio del tuo volto.
Ecco perchè talvolta mi stacco dalla scrivania esclamando "Dannazione!".
Perchè l'ho evitato per cinque anni.
E poi sono andata a cercarmelo io.
Sono andata a cercare te.
Ti ho trovato.
Eccomi.

Io non lo so più, a questo punto, chi sono.
Ma come sono sto bene, al momento.
Tu chi sei?
Perchè sono cinque anni che me lo chiedo.
Cinque anni che resisto alla voglia di cercarti.
Cinque anni che non manchi di venirmi davanti.
Perchè lo fai?
Soprattutto, dato che neppure te ne accorgi, com'è possibile tu ci riesca?

Ora che mi ricordo di te - perchè ti avevo dimenticato, sai, Orlando? Perchè capita che la vita decida di essere più presente, più importante, più pressante di una fantasia da adolescente - riaffiorano anche i dolori e i rimorsi.
Ma tu che cosa ne sai, adorabile pirata. Di me. Di noi. Di ciò che è stato.
Sono qui a ricordare perchè mi hanno fatto ricordare.
Grazie a te.
A causa tua.
Vedila come preferisci, Orlando. Non sentirti responsabile di nulla. Questi sono vaghi, eterei pensieri d'una raminga dal cuore traballante come le luci dei fari di un teatro in disuso. Probabilmente non lo sentirai mai battere, il suo ritmo senza cadenze precise.
Però ogni tanto qualche accelerata è dovuta ad un tuo arrivo improvviso.
E per me è una bella cosa, sai.
Perciò no, non vederla come preferisci, perdonami, mi correggo da sola: vedila solo come un "Grazie a te."
Mi sta bene così.

Sole ti adorava ed era fermamente convinta che tu fossi davvero biondo e angelico. Ci ha ripensato guardandoti nelle vesti di Will Turner e ha detto che, se possibile, eri anche meglio. Sole fa parte dei ricordi e dei rimorsi che mi risvegli da quando mi sono intrappolata da sola nella ragnatela finemente intrecciata da un ragno errante e solitario, strano e pericoloso, insolito.
Quel ragno sono io.
Ma un'amicizia basata sull'entusiasmo e basta, poco a poco evapora e si dissolve, ragazzo mio.

E non te la prendere se ti chiamo così, non è un'offesa. Non sei mio. Non lo sarai mai, e mi sta più che bene.
Io non ti amo, Orlando. Non sogno per forza di fare l'amore con te.
L'amore si fa con qualcuno che si ama, non che si ammira, che si stima.
Eppure mento a me stessa, perchè se tu me ne dessi la possibilità, sai, dicono che potrei effettivamente renderti sereno.
Lo dicono creature dolcissime che meriterebbero di poter avere una vita eccelsa ed illuminata, gioiosa come i sorrisi che mi regalano.
Da parte mia, puoi giurarci che ci proverei. Di nuovo, con tutta me stessa, fino a spezzare i miei sogni e ignorare la mia volontà, pur di vederti felice. Perchè ti devo tanto, quasi troppo perchè tu lo sappia, perchè io lo possa dire a parole.
Non ti prometto l'assoluta perfezione, ma il benessere, la calma. Un pò di quiete, vagabondo come sei, vagabondo come me.
Che entro ed esco dall'eco della tua voce di notte e di giorno. Che mi mordo le labbra nel farlo ma aggiungo la tua ninnananna nel lettore mp3 e ti ascolto, raggomitolata nel letto, e ringrazio tutti gli Dei che conosco di avere un pò di te tutto per me, mentre mi canticchi "You'll still be the prettiest girl in town."
E' da tanto tempo che nessuno me lo dice, Orlando.
E' da troppo tempo che non amo.
Perchè anche amare è faticoso e non lo si può fare a senso unico. Così, quando ti accorgi che colui con cui dividi la tua vita non è che un vampiro, che ti priva della salute spirituale e delle tue energie, per forza di cose devi sacrificare te o lui.
Io ho scelto di sacrificare il mio cuore, per potermi salvare. Ho rinunciato al mio amore, che ancora scorreva come sangue.
Ma che non mi apparteneva più.
Non doveva appartenermi più. Non se volevo restare capace di aggrapparmi allo scoglio, invece di affondare nel blu più denso e buio.
Non per me, Orlando.
Mi sono salvata per coloro che mi amavano.
Perchè se ami qualcuno non vuoi che stia male, e chi mi voleva bene stava effettivamente male nel vedermi distrutta. Così, ad un passo dall'annientarmi, ho reagito.
E ho ucciso Cupido.

Cupido che adesso si è vendicato, in maniera sottile e bastarda come solo l'amore può essere.
Perchè?
Hai ragione. Che cosa ti ho detto di me, fino ad ora?
Che cosa saprai mai di me, un domani, se non comincio?
Bene... la prima cosa che devi conoscere è questa.
Per me la memoria è essenziale.
Se io stessa ho qualcuno che si ricorderà di me, allora sarà come essere stata speciale per il mondo intero.
Indipendentemente dalla fama o dalla gloria raggiunte nella mia vita.
Avrò anche io posto per sempre nelle memorie di questa o quella persona, che così facendo mi passerà ai suoi conoscenti. Sarà come non andarsene mai del tutto.
E’ tutto legato alla memoria. Non c’è possibilità di un presente, senza la memoria.
Figuriamoci di un futuro. E non solo la memoria delle azioni, ma anche dei sogni, di quel che per noi valeva molto e per gli altri niente, e del motivo per cui per noi valeva così tanto.
E’ importante, perché è ciò che siamo, e dimenticarlo è commettere un crimine contro se stessi.
Ed io non intendo diventare un’assassina. Ci sono stata anche troppo vicina.

E tu mi chiederai che cosa c'entri questo con te.
Vedi, il fatto è che tu hai la possibilità di essere ricordato.
Io voglio darti quella di ricordare, allora.
Di ricordarti di tutte le sconosciute che pregano, tremano, tifano per te, per il ragazzo, non l'attore, e che tu ignori.
Non è colpa tua, lo so.
Ma è un dato di fatto: non conosci neppure i nostri volti.
Quelli che adesso ti guardano con affetto e simpatia al di là di una transenna. Quelli che ti esprimono gratitudine, che ti seguono, come i girasoli col sole.
Tante paia di occhi profondi, ognuno a suo modo, su di te.
Senza invadere; tutelando, proteggendo, benedicendo, semmai.
E tu non li incroci abbastanza a lungo, amico mio, piccolo mio - sì, piccolo mio, anche se hai dieci anni di più.
Perciò, ti prego, lascia che te li indichi io.
Così te li ricorderai, sempre, per sempre, e allora avrai un granello di noi in te, e noi un pensiero da parte tua, in qualche modo, in qualche tempo, in qualunque forma. Ci sta bene così.
Davvero, Orlando: a noi basta così.

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Capitolo 3
*** One hand, two eyes, one voice ***


Sountrack: Tear down these houses, Skin

Vagabonda: Cecil

“We are intrepid: we carry on!”



Ho ritrovato la 60b smarrita. Era proprio lì, accanto a me, e io nemmeno la vedevo. Stava giusto lì al mio fianco e mi pareva inavvicinabile. 

Allungavo la mano e quella si spostava, crudele e bastarda come solo la vita su questo pianeta sa essere.

Poi, una mano afferra la mia, due occhi mi guidano nel buio e una voce calda, solare, mi spinge a combattere. 

Mai arrendersi, quella non è la vita che fa per me.

Senza saperlo, ho scoperto una forza che non credevo d'avere. Un coraggio così grande che mi ha spinta a non cedere, a reagire alle mazzate tra capo e collo che continuamente mi si presentavano. 

Sai, il destino ti colpisce quando meno te l'aspetti, tutto va alla grande, non pensi minimamente che il prescelto sia tu, e, all'improvviso, bam, una delle tue certezze frana, si sbriciola tra le tue dita come una parete di cartongesso.

Se avevo una punto fermo due anni fa, era sapere che mia madre c'era, era lì, una presenza costante, vigile, che comunque sarebbe stata lì. 

Non mi aspettavo certo che da un momento all'altro dovessi contemplare l'idea di perderla. Notti e giorni passati nell'angoscia, le lacrime bloccate intorno agli occhi, scivolate giù solo due volte in un lungo e lento calvario. Credevo, pensavo che l'avrei persa.

Finchè arriva un ragazzo dai ricci ribelli e due occhi più profondi dell'oceano che mi dice che una speranza c'è sempre, che tutti si rialzano, tutti ce la possono fare. 

Quando tutto mi spingeva alla deriva, mi sbatteva da parte a parte, trasportata dagli eventi, quando ogni possibilità mi veniva negata, tu eri lì. Accanto a me, sentivo la tua presenza.

Così mentre Drew gioia per aver ritrovato la famigerata 60b, io sorridevo ritrovando la via smarrita. Una piccola figlia di Dante, che aveva perso il sentiero, infiltrandosi in luoghi oscuri e troppo bui per la sua piccola età. 

E da lì tutto prende a sorridere, tutto gioisce, tutto è armonia e colore. 

Quel sorriso spento, sedato dalle circostanze, annebbiato dal terrore e scombussolato dagli eventi, si fa spazio sul mio viso. Accanto al tuo, di suo riflesso.

Il tuo sorriso è la mia pace.

Non c'è stata una discesa ad attendermi, ma un'arrampicata mortale, dove se mettevi un solo piede nel modo sbagliato ti ritrovavi la testa fracassata in pochi secondi, senza che tu potessi neanche accorgertene. 

Ci sono delle cose che si realizzano così velocemente, che il tempo per razionalizzare non c'è, ti viene negato, solo col passare del tempo puoi tentare di capire e mai lo farai del tutto. 

Ancora mi chiedo perché sia successo a mia madre, lei che adesso sta alla grande, che ha reagito a mesi e mesi di chemio, sette giorni su sette di radio, un dolore dietro l'altro.

Mi chiedo se quella mia forza me l'abbia infusa tu. O forse se ne stava in un angolino di me, sperduta, senza scopo, trovandolo d'un tratto, scoprendo in te il suo tramite.

Ti investiamo di carichi così pesanti, noi fan. Ti ritrovi con macigni così pesanti sulla schiena, sai di dover agire nella corretta maniera perché noi, noi ti osserviamo. 

Ogni singolo passo, ogni piccola mossa, ogni spostamento. Arriva prima a noi, che alla tua famiglia.

Ma io non ti giudico. 

Come potrei? 

Colui che mi ha reso quel sorriso volato via, che mi ha tenuta aggrappata a questa assurda vita, che mi spinge ad andare avanti nonostante gli ostacoli sembrino insormontabili. 

Vivi, Orlando. Vivi.

E sogna. 

Sognare è quanto di più bello possa esistere nella mente umana, quel piccolo organo che si perde in congetture, non se ne sta mai fermo, mai un attimo di riposo, è capace di produrre il mondo. La mente, l'unica facoltà che sfugga al controllo, non si arresta mai, non puoi metterla in stand-by e non riesci a starle dietro. E' impossibile. Non dorme mai, nemmeno quando tu chiudi gli occhi e ti concedi il degno riposo del guerriero. Dopotutto è questa la vita, una lotta perenne contro le pugnalate nella schiena che ricevi dagli altri, dagli eventi, dal mondo. E il guerriero è lì che si contraddistingue dalla persona normale. Il guerriero non perde tempo a leccarsi le ferite, non massaggia la parte lesa. Il guerriero si alza, agguanta la spada e combatte. Non importa se poi perderà. Ha mostrato quel che valeva.

E allora sogno. 

There's nothing like a dream.

E in attimo sei nel posto che hai sempre sognato, circondato da fate dalle ali incantate, in un luogo così irreale che ti pare impossibile, eppure, ci sei. Con la mente, ma ci sei. Sei lì. 

Una sognatrice distratta, è così che mi vedo. 

Sogno dall'età di sei anni, da quando una piccola grande città tutta illuminata a giorno nonostante fosse notte inoltrata mi si parò davanti agli occhi, paralizzandomi. 

Quella è la mia metà. Quello a cui tendo.

Non pensare al sogno come qualcosa da raggiungere, il bello dei sogni è liberare la mente, farla vagare nello spazio e nel tempo, volare verso la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino in compagnia di Peter Pan. 

E' tutto lì, vivere. Sognare, crederci sempre, arrendersi mai. 

C'è sempre un posto a cui tornare. Può essere un posto che non hai mai visto, un posto a cui senti di appartenere, un posto in cui hai lasciato piccoli pezzi del tuo cuore. 

Non voglio certo insegnarti la vita, chi sono io per farlo?

Io che ne so così poco, vissuta solo per sentito dire, facendo volare via occasioni che avevo ad un palmo da me. Avrei potuto allungare la mano e afferrarle. Ma, no, non l'ho fatto.

Preferisco il bene altrui al mio, veder sorridere le persone che amo è quello che più desidero. 

Saper donare il sorriso, vederlo spuntare tra le lacrime di un'amica che ha perso la donna che l'ha messa al mondo senza aver avuto l'occasione, il tempo, il coraggio, di dirle addio, veder sgorgare gioia dalle labbra della gente, è quanto amo di questo viaggio folle e assurdo, che poi, chissà chi se lo è inventato.

E' questo il mio pregio, donare solarità. Un piccolo clown in cerca di destinazione sicura, alla ricerca di quella meta lontana, quella terra promessa chiamata Londra che si avvicina sempre di più, che però, rimane coi piedi piantati al suolo, per terrore di vederla sfuggire all'ultimo momento, costretta a non afferrarlo davvero stavolta.

Però, sai una cosa? Io sorrido, me lo hai ricordato tu, perché Noa ha ragione, life is beautiful that way. Stiamo così tanto a rinnegare il passato, a sedarci la parte malmessa che perdiamo tutto il meglio.

Perciò, smile. Non c'è ragione per farlo, non deve esserci. 

E' questa la frase ricorrente nelle conversazioni con quella comitiva di pazze delle mie amiche. Conosciute grazie a te, merito tuo, anche questo. 

Come vedi siamo legati da un doppio filo, un cordone ombelicale che lega me a te. Non certo il contrario.

A me basta saperti felice, un po' quà e un po' là per il mondo, dove vuoi tu, errante, girovago, mai nello stesso punto.

Avrai degli angeli a vegliarti, a proteggere il cammino dorato che hai davanti. 

Quella strada luccicante e illuminata che si stende ai tuoi piedi, quella favola che potrà essere la tua vita futura, è per ciò che sei, per quello che significa per ognuna di noi ciò che riesci a trasmettere. Ad una per una. 

C'è Sara, così piccola e intelligente che fa tenerezza. C'è Mihi, come la chiamo io con quel mio diabolico dialetto fiorentino, il Grillo Parlante della situazione, la coscienza del gruppo. E ce ne sono tante altre, sai? 

Ma non spaventarti, non è un esercito pronto a chissà quali imprese, non solcheremo i mari ai confini del mondo. Il solo nostro scopo è ringraziarti, tutto quà.

Per essere ciò che sei. La mano tesa nel momento del bisogno, la spalla su cui piangere, l'appoggio che mai è mancato.

Ti sentivo accanto a me, tu che nemmeno sai della mia esistenza. Tu che ignori di essere così importante per persone di cui non sai nemmeno il nome, sperduti per il globo, che devono qualcosa a te. 

Come loro, io. 

Ci fu una mano che afferrò la mia stringendola a sè, due occhi color cioccolato che mi guidarono mentre brancolavo nel buio rendendomi più sicura dei miei passi e una voce calda che mi teneva compagnia, mi sorrideva la notte cullandomi nel sonno, tornando a trovarmi la mattina, per starmi accanto tutta la giornata, ridandomi la vita, la voglia di vivere. Quel coraggio necessario che possa rendere una vita degna di essere chiamata così.

Quella mano, quegli occhi, quella voce. 

Eri tu, Orlando.

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Capitolo 4
*** Would you trust me? ***


Soundtrack: Always come back to you, Natasha's Brother.

Vagabonda: Jools

“For once in your life a promise will come true.”

 

 

Cade nuovamente la connessione e la chiacchierata on-line si interrompe.
Tu non usi Msn, vero Orlando?
Mi pare d'aver sentito dire che non ti piacciono internet e la tecnologia.
Ami l'amore, odi i computer, hai una spiccata abilità nel fratturarti le ossa... Ovviamente sono ironica, ma in questo siamo uguali: potremmo fare a gara.
Per le altre due cose, siamo all'opposto. Nell'amore non ci credo quasi più, perchè ad ogni chance che gli concedo mi accoltella.
E il mio computer ha persino un nome, perchè c'è molto di me dentro.
Tutte le cose che ho scritto, ad esempio.
Quelle che stamattina credevo di poter vedere pubblicate, e che invece si sono ridotte in polvere e speranze illuse.

Perchè poi voglio così tanto pubblicare?
No, ti prego, non rispondere "Soldi e fama", ti scongiuro. Non tu. Non tu, che mi sei caro. Da un estraneo posso accettarlo, questo spregio. Non da te, o dalle mie splendide compagne vagabonde. Loro non lo direbbero: non farlo neppure tu.
Non è così. Sono altri due motivi, ben diversi.
Al posto dei soldi, la possibilità. Al posto della fama, il riscatto.
La possibilità di credere che ti possa capitare davanti qualche mio pensiero e che tu lo legga; il riscatto di quelle voci silenti che attraverso di esso ti direbbero ciò che già sai: siamo qui.

Oh, ragazzo mio, sapessi che benessere è sentirselo dire da chi neppure hai mai visto in vita tua, e sapere che però lo pensa davvero!
"Siamo qui, tesoro. Se ci chiami, siamo qui."
E' una vasca colma di acqua fumante e profumata, è la torta al cioccolato di Natale, è l'albero colorato con la stella in cima ed i coriandoli del Carnevale. E' tutto ciò che scalda e rassicura, protegge e culla. Fiocchi di cotone morbido e lieve. Neve tiepida, ecco. E' neve tiepida.

Ma perchè ti scrivo di questo, Orlando? Me lo chiedo anche io. Poi mi ricordo che non sei davanti a me a chiedermi di smettere, e che magari invece ti interessa sul serio. D'altronde te lo avevo detto che dovevo farmi conoscere.
Per farmi ricordare.
E come puoi farlo, se non mi apro un pò di più?
Ma di che cosa devo parlarti, piccolo mio? Del fatto che ti stia continuando a chiamare piccolo mio?
Scusami, ne sarai infastidito, forse. O incuriosito. Lasciamelo fare però, ti scongiuro.
Mi sento meno impotente, più capace di proteggerti. E le cose belle vanno tutelate.
Quel che cerco di fare con te, in sintesi. A distanza, ma ci provo. E' che a volte ti vedo così bene, con la mente, quando alla mattina ti svegli, con quell'aria a metà tra il confuso e l'assonnato, che tutto ciò che mi ricordi è proprio questo: un cucciolo. E ti rigiri su un fianco, magari, chiudendo di nuovo gli occhi.
Sai, a volte mi chiedo, nelle peregrinazioni della mia mente errante, di che colore siano i tuoi occhi, al mattino.
Perchè i miei sono cangianti. Ne ho uno più verde e uno più castano. Però quando mi sveglio, o nell'acqua del mare, o quando amo appassionatamente e lo sto dicendo sul serio attraverso le mie iridi pur senza pronunciare parola, riflettono solo il verde.
I tuoi? Sono sempre color cioccolata? Profondi, dolci, divertiti... insomma, cambiano mai i loro riflessi? Perchè temo di averteli visti cambiare. Incupirsi. Sempre nella mia mente, certo, ma l'ho visto bene.
In un brutto sogno, non so se mio o tuo, in cui soffrivi per qualcosa o per qualcuno: un passato contorto, una relazione dissolta.
E di nuovo, recentemente.
Temo di aver fatto un altro incubo, poco tempo fa. Purtroppo reale. Perchè Heath non c'è più.
Ma io, impotente, quell'incubo l'ho subìto.
Orlando... Orlando, mi ascolti?
Senti, ti prego, non ho che pochi anni, della vita conosco molto il bene e poco il male, perchè sono fortunata nonostante tutti i miei guai, anche se me lo scordo spesso. Però lascia che questa ragazzina ti parli e ti preghi.
Abbi cura di te.
Io non posso averne, io sono lontana, io sono... semplicemente sconosciuta. E tu non mi amerai mai, non mi vedrai mai, non mi stringerai mai - e va benissimo, te lo giuro, non occorre.
Però, proprio per questo, proprio perchè non posso difenderti di persona, fallo tu per me.
Perchè ti sono affezionata.
Perchè quando Heath ci ha lasciati, ho tremato e sofferto per te, anche.
Lui, povero angelo disperso. Era anche amico tuo. Era padre, marito e figlio. E c'è un'immagine struggente che mi perseguita. Quella bambina che non lo conoscerà mai, capisci, e potrà affermare con amarezza che le sue fan ne sapevano più di lei su suo padre. Mi si stringe il cuore se ci penso.
E tu, tu che non ci sei, qui, per farti proteggere da me, o da chiunque ti voglia per come sei, non per ciò che fai. E cerco di difenderti da qui, con le benedizioni che ti mando a distanza. E se ti chiedi perchè io sia convinta che tu sia una cosa bella, una cosa speciale, ti rispondo volentieri.

Nessuno si sarebbe lasciato baciare dieci secondi di fila da una sconosciuta davanti a mille telecamere, specie se fidanzato. Nessuno concede abbracci a perfetti ignoti così facilmente, solo se glielo chiedono. E secondo me, potresti anche essere l'unico Capricorno con cui io riuscirei ad andare d'accordo. E ti faccio presente che sono Sagittario puro.
Orlando, piccolo mio - perdonami, mi sorge spontaneo ormai -, ti hanno mai amato per il tuo sorriso? Per il modo in cui corrughi la fronte e per come ti stendi sul materasso quando dormi?
Hanno mai amato Orlando, invece di Orlando Bloom?
E tu, tu hai mai amato qualcuno così profondamente da farti male?
Qualcuno che non potevi avere? Qualcuno di irraggiungibile?

Annie Lennox ti ha chiesto scusa e ti ha concesso l'autografo dopo aver saputo chi sei. Se fossi stata al tuo posto non avrei ottenuto la stessa clemenza. Capisci che intendo?
Ora dimmelo, conferma o smentisci per sempre l'opinione che ho di te: se ti arrivasse davanti questa piccola ragazzina dagli occhi stravaganti e ti chiedesse un abbraccio serio, non di routine, un abbraccio perchè ti va di darglielo e non per educazione, che faresti? Immagina.
"Abbracciami per favore, ma solo se ti va. Solo se pensi che ne valga la pena. Altrimenti non me la prendo. Ti passo le mie energie anche da qui."
Riflettici e rispondi tra te e te.
E se lei ti dicesse: "Lo sai che mi preoccupo per te, e che vorrei che tu mi chiamassi qualora stessi male?", ti limiteresti ad annuire ringraziando o ci crederesti?
Perchè a me piacerebbe che tu ci credessi, sai. Io faccio di proposito poche promesse, perchè tengo a mantenerle una volta fatte; ma qui e ora ti prometto che se tu avessi bisogno, io ci sarei. Anche per una carezza soltanto. Anche per un minuto. Tu hai bisogno di me, ed io arrivo.
Stiamo in silenzio, se non te la senti di parlare, e a dieci metri di distanza, se preferisci non avere un contatto fisico. Non ti guardo, non ti parlo, non ti tocco, se vuoi. Certi malesseri vanno sfogati così, lo so.
Se invece lo preferissi, avresti da me parole, ninnananne, abbracci, vicinanza fisica e mentale finché ti vada.
Anzi, ti prendo e ti porto a Gloucester, c'è una pizzeria italiana favolosa. Ti racconto di come riesco dal nulla a fare emerite figure pietose, a cadere in ginocchio in mezzo ad e così tu torni a ridere, ed io mi sento realizzata, perchè ho mantenuto una promessa cui tengo davvero.
Ma tu me lo concederai mai questo, piccolo mio?
E se ti dicessi che no, non devi aver paura, sono ben lontana dal saltarti addosso, perchè francamente non credo che siamo i nostri rispettivi tipi, perciò puoi davvero fidarti... mi crederesti, in questo?
No, non lo faresti, non lo farai. E' giusto. Lo so.
Però considera l'eventualità, per favore.
Io lo so bene quanto faccia male fidarsi. Ma proprio per questo cerco di evitare di deludere chi si fida di me. A volte è un grandissimo peso, e ho terrore di finire per ferire chi mi cede una parte del suo cuore. Però lo faccio. Esattamente come te, che ne porti di pesi, di aspettative, sulle spalle. Io, Emily, Cecil, Sara, Micky, noi vagabonde erranti, noi tante stelle d'un solo cielo, noi ti aiuteremmo, sai, a togliertene un pò. A fare a turno.
Ma se tu non ce lo permetti, come fai a saperlo? A sapere che sì, c'è una tempesta, e sei circondato dalle tenebre, e la corrente è forte... Ma hai chi può farti da timoniere, da faro, da rifugio. Che se mai una promessa potrà realizzarsi davvero nella tua vita, è questa. Noi torneremmo sempre da te.

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Capitolo 5
*** The fear that gave me wings ***


Sountrack: You’ll be in my heart, Phil Collins.

Vagabonda: Emily

“The fear that gave me wings”

 

 

Si dice che a viaggiare troppo si perdano gli angeli custodi.

Non saprei dirti se è vero o no, posso solo assicurarti che per te è difficile perderli. Ci sarà sempre chi ti seguirà al galoppo, riacchiappando pezzi di cuore e riattaccandoteli con estrema attenzione, un po’ di ago e filo, chiedendoti di stare fermo quei due minuti necessari all’operazione, come una mamma che chiede al piccolo di stare buono, per favore, che deve mettergli la maglia perché fuori fa freddo.

È vero Orlando. Fuori si gela. Fa un freddo reale, brutale, crudele. Fa così freddo che a volte dimentichi l’estate.

Voglio raccontarti una fiaba.

“C’era una volta un principe coi riccioletti, proprio come i tuoi, che abitava in un grande castello in riva al mare.

Il principe guardava sempre l’orizzonte dalla finestra nelle ore del tramonto e dell’alba, domandandosi cosa succedeva là dove il cielo e il mare si fondevano, se gli uccellini incauti sbagliando rotta rischiavano di affogare, se un pesciolino finiva saltando per sbaglio impigliato in una nuvola.

Un giorno, quando fu abbastanza grande per badare a se stesso, il principe coi riccioli partì verso l’orizzonte, stanco di quella prigionia.

Il principe soffriva, e non sapeva perché. Eppure la regina lo amava molto, e così la sua sorellina, e il re, pur non essendo suo padre, non gli aveva mai fatto mancare nulla.

Era prigioniero di un mondo bellissimo, eppure restava un prigioniero.

Così decise di andare via, di esplorare, di portare quegli occhi color cioccolato su quella linea dell’orizzonte, per vedere se davvero i pesci giocavano con gli uccelli e le barche iniziavano a volare in cielo, per capire cosa pensava il mare quando una mano sconosciuta ci pucciava dentro il sole come fosse un biscotto, poco prima del sopraggiungere della notte.

Il principe partì, e man mano che i giorni passavano la situazione era sempre più strana.

Vedeva la riva allontanarsi sempre di più, eppure l’orizzonte non si avvicinava. Restava là, lontanissimo, irraggiungibile.

Un giorno, il principe si voltò e scoprì di non riuscire più a vedere la riva da cui era partito.

Si spaventò così tanto che si dimenticò anche che un giorno aveva sognato di raggiungere l’orizzonte, dimenticò il perché di quel viaggio e iniziò a vagare su e giù per la sua grandissima, bellissima barca, dove v’era acqua e cibo per una vita e v’era lusso in ogni angolo. Ma al principe non importava né del cibo, né dell’acqua, né del lusso.

Terrorizzato da quella scoperta, guardò verso l’orizzonte: era ancora lontano. Si voltò allora verso prua, ma la riva sicura da cui era partito non si vedeva più.

Il principe iniziò ad annaspare.

Era solo, tutti i suoi paggi dormivano, sicuri di poter tornare a casa non appena avessero voluto, ma lui non poteva.

Lui doveva arrivare a quell’orizzonte.

Ma quell’orizzonte gli sarebbe costato molto più di ciò che pensava.

Alla barca si avvicinò una sirena.

< Cosa ti spaventa, bel principe?> chiese la creatura, guardandolo al di là dei suoi grandi occhi.

Quand’era bambino, la regina lo aveva messo in guardia contro le sirene. < Sono creature effimere, e vuote, abitate da vanità e orgoglio.>.

Ma lui scelse di rispondere.

< Sono solo, sirenetta. Sto cercando di raggiungere l’orizzonte, ma è sempre laggiù e io sono sempre più lontano da casa.>

< Vieni con me, ti insegnerò io e ti farò compagnia.>

E fu così che il principe andò con la sirena, e molti giorni passarono, ma l’orizzonte era ancora lontano. La sirena chiese in regalo molti gioielli, molte perle, e quando ne ebbe a sufficienza gli disse:< Ora devo andare, ci sono altri che hanno bisogno di me.>

E il principe, che in quel periodo si era sentito meno solo, ne fu ferito e crollò in lacrime sul ponte.

< Perché se n’è andata? Io le avevo dato tutto il mio affetto, la mia compagnia, il mio oro! Ora sono solo, non riuscirò mai più a fidarmi di qualcuno.> sussurrò al vento, che gli scompigliò i riccioli.

Dopo qualche tempo, l’orizzonte era ancora là, e casa sempre più lontana.

I paggi non sembravano capire quanto lui fosse cambiato, quanto la strada che aveva intrapreso avesse inevitabilmente mutato qualcosa. Purtroppo, lui non poteva pretendere che capissero. Erano  abituati al principe di prima, quello nel castello. Non sapevano, non avendolo vissuto in prima persona, quanto un viaggio cambia nel profondo del cuore chi è disposto ad ascoltare. Quanto un sogno rompa le barriere del possibile, e rimetta in discussione le certezze di una vita intera.

Il principe ripensò al castello, agli abbracci di sua madre, ma sapeva che semmai fosse tornato, se si fosse arreso, nulla sarebbe più stato lo stesso,

Un giorno, un banco di meduse si avvicinò alla barca.

< Perché sei triste, dolce principe?> chiese una di loro.

< Sto cercando di raggiungere l’orizzonte, ma non ci riesco, e sono sempre più lontano da casa.> rispose il principe

< Non preoccuparti, ti faremo noi compagnia. Sappiamo come vanno queste cose, le abbiamo viste milioni di volte.> risposero quelle, e per un po’ il principe vagò insieme a loro, ma presto imparò che doveva tenersi a debita distanza anche quando gli era vicino, perché i loro tentacoli infiammavano la pelle.

Dopo un po’, le meduse si fecero vedere più di rado, e tornavano solo per infastidirlo, per spettegolare, per sapere di lui e della sua frustrazione.

Il principe soffriva molto, e ogni sera confidava i suoi pensieri al vento.

Il tempo passava e niente cambiava, e un giorno un’altra sirena passò di là.

< Posso esserti d’aiuto, bel principe?>

Il principe non vide alternative. Era abituato alle sirene, e frustrato dalla solitudine, così accettò la sua compagnia. Pur sapendo come sarebbe andata a finire, le regalò oro e gioielli, sperando in un’illusione.

E quella, dopo un po’, puntualmente svanì, dicendo che aveva altri da aiutare.

L’orizzonte era sempre lontano.

Una notte il principe, ormai così lontano da casa che aveva scordato anche cosa fosse stato prima di intraprendere quel viaggio, si rivolse in lacrime al cielo e chiese aiuto. E là vide una stella. Una stella triste, spenta di malinconia, circondata da tante altre stelle, che spiccavano nel cielo.

< Chi sei?> chiese il principe alla stella.

< Mio dolce principe, sono stata quassù a guardarti fin dal principio. Ma non ho pinne io, non posso muovermi, non ho i mezzi per avvicinarmi a te. Sono rimasta qui ad aspettare che tu alzassi lo sguardo, che mi notassi, per poterti aiutare. Anche se un po’ lontana, ho visto tutti i tuoi movimenti, ho pianto con te, ho quasi perso la mia luce. Avrei fatto qualsiasi cosa per esserti d’aiuto, per scendere a consolarti.

Ogni sera il vento mi portava le tue lacrime, ogni sera un po’ di luce mi lasciava per via della mia rabbia, e della mia impotenza nel vederti così prostrato.

Ho cercato di metterti in guardia, con un brillio insolito, un raggio più lucente che fendeva il tuo cuscino, ma tu non potevi vedere, mio povero principe.

Cosa avrei dato per essere là ad abbracciarti, scompigliarti i riccioli e dirti che andava tutto bene, che insieme ce l’avremmo fatta.

L’orizzonte non si può raggiungere, principino.

E’ una cosa da cercare, ma non si trova.

Sembra un paradosso, lo so, ma tu non lasciarti ingannare. E’ la ricerca che rende un viaggio interessante. Tendere alla cima. Non arrivarci, tendere, sforzarsi sulle punte di arrivare più in alto. Se ci riuscirai, scoprirai che anche le lame di un coltello non fanno poi così male, che niente e nessuno può ferirti, buttarti a terra. E che se dovesse succedere, tu ti rialzeresti.

Non preoccuparti, non sei solo. Ci sarò io qua, con la mia luce, a darti una mano. Ogni volta che mi vorrai, ti basterà alzare gli occhi per vedermi, sentirmi vicina. E ogni volta che mi dirai qualcosa, io la sentirò, anche se dovessi essere dispersa per l’Universo, e tu lontano un milione di anni luce.

Ti dono la mia luce, prendila. Ti occorrerà quando ti ritroverai in posti bui, senza nessuno al tuo fianco.>

Il principe, che aveva ascoltato attento, e un po’ diffidente, si stupì di quella proposta, < Ma… così tu ti spegnerai!> le disse.

< Non preoccuparti per me. Preferisco donarti la mia luce, piuttosto che vivere cent’anni col rimorso di non aver preservato il tuo cuore, proprio tu, che così piccolo, entusiasta, e innocente, mi irradiasti di luce immensa anche senza sapere nulla.>

Il principe, titubante, e un po’ arrabbiato per la scoperta di non poter raggiungere l’orizzonte, rifiutò quel regalo.

< Ti cercherò un giorno- le disse- e se ancora ti troverò, allora sarò sicuro della mia scelta.>

Passarono gli anni, e il principe era stato in molti posti. La stella era ancora là, ma non gli parlava, lui non le apriva il cuore. Voleva vedere. Capire.

Poi, una notte, chiamò la stella.

E la stella era lì, brillava al centro del cielo come un diamante in un astuccio di seta.

< Stella, ci sei ancora?>

< Mio piccolo principe, ma allora non hai capito. Io ci sarò sempre.>

E fu così che la stella scese sulla Terra e divenne un piccolo girocollo che si appoggiò intorno al collo del principe, e il principe con i riccioletti negli anni che vennero, fino alla fine dei suoi giorni, anche trovandosi ai confini del mondo non si sentì mai più lontano da casa.”

Vorrei una storia così. Una storia a lieto fine, che faccia contenti tutti.

Lo so, sono una sognatrice, spero ancora in un mondo perfetto. Un mondo in cui ai bambini sia permesso di essere bambini, in cui gli adulti si comportino da adulti, in cui a governare siano i sogni che una volta abbiamo avuto e non solo il denaro.

Un mondo in cui non dicano a Jools che è ‘discreta’, e poi pubblicano Moccia.

Lo so, utopie.

Utopie di cui non so fare a meno.

Questo mondo mi appartiene.

Conosci questa sensazione?

Sul tetto di un palazzo, la città docile ai tuoi piedi. Un mondo tuo, fatto di orizzonti lontani, che non si possono raggiungere ma che sono là per farti correre, e per farti scoprire quanto sia la corsa e non il fine quello che conta.

Perché mentre corri, se ti concentri sulle tue gambe e non sul traguardo, inciampi in realtà parallele che altrimenti non si possono conoscere, che restano sotterrate, come un osso da un cane geloso, proprio sotto i tuoi piedi, ma è facile che tu non le veda mai.

E invece no, nella mia corsa queste realtà sono venute fuori come radici dal terreno, mi hanno fatto inciampare, a volte cadere, sanguinare, imparare, vedere.

E l’orizzonte, sempre là.

Oltre il limite, ancora più in là, verso una terra in cui si leva l’alba, in cui il tè non lo prendo seduta in cucina davanti al pc mentre ti scrivo, ma sul soffitto di fianco a Mery Poppins.

Un mondo in cui so cantare, e mi esibisco davanti a una scelta platea di galline ovaiole.

Surreale, no?

Eppure è realtà.

Però io sono uno scrittore, e come diceva J.M.Barrie, gli scrittori non diventano mai veramente adulti.

Questo mondo ha bisogno di custodi.

Siamo passate tutte e tre porta a porta a mettere i sigilli di ceralacca a un’infanzia forse mai veramente avuta, e magari nella nostra Londra tra un anno a quest’ora mi vedrai camminare col naso in un libro di Barrie per Hyde Park, con le all-star con le coccinelle rosse e la tracolla a forma di chitarra.

Immutata eppure mutevole.

Come diceva il Liga, ‘io non cambio mai, e mi cambio tutti i giorni’.

Ancora piango di commozione davanti alle puntate di Naruto e credo che Lewis Carroll sia stato il più grande psicologo della storia dell’umanità.

Ancora, adesso che sto diventando grande, mi arriveranno messaggi con il testo ‘Premiere di Orlando il giorno x nella città x, questa non è un’esercitazione’ e in meno di tre ore saranno fatti i biglietti e pronti i bagagli.

Magari la vita la passeremo da gitane, con me che suono la chitarra in piazza e Jools e C e le altre Vagabonde, finalmente libere dalle catene, che cantano alla luna seguendo un ritmo strimpellato in attesa di te.

Magari, dico magari, è questa la perfezione.

Quella di Erasmo da Rotterdam.

Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell’uomo più passione che ragione, perché fosse tutto meno triste. Se i mortali si guardassero da qualunque rapporto con la saggezza, la vecchiaia neanche ci sarebbe. La vita umana non è altro che un gioco della follia: il cuore ha sempre ragione.

E’ diventato il mio diktat, e per ribadirlo oggi ho chiuso la tesi di 150 pagine per la maturità sull’emancipazione della donna e ho iniziato a scriverne una del tutto nuova che si chiama ‘Ragione e sentimento nel genere umano: come cielo e terra sulla linea dell’orizzonte’.
Come vedi, non posso fare a meno di essere me.

Di poggiare Neruda e alzare Shakespeare e poggiare Shakespeare e aprire Cohelo, di finire Cohelo e alzare Bambarèn.

Sono sempre circondata di libri.

‘You know Em, you’re kinda freak’ mi disse una volta qualcuno di molto saggio, e il bello è che mi sentii anche offesa.

Ma non è più così. Lo so, sono kinda freak.

Parecchio strana. Perché mi fermo ad accarezzare gli alberi o perché terrorizzo gli inglesi ai Kengsinton Gardens voltandomi continuamente di scatto perché dice Barrie che in questo modo è possibile cogliere le fate che si muovono sicure di non essere guardate.

Libri, vagabonde e fate sono le tre cose di cui sono costantemente circondata.

Uno dei miei film preferiti di sempre è Mr Magorium’s Wonders’ Emporium, seguito a ruota da Love Actually, Quattro matrimoni e un funerale, e il Favoloso Mondo di Amelie per la sola frase ‘Lei non ha le ossa di vetro, mia piccola Amelie. Quindi si butti.’.

Buttarmi è quello che ho imparato a fare.

Sono un essere che si nutre di emozioni, come ho la presunzione di credere anche tu.

Le mie vene pompano adrenalina e libertà, e vorrei fosse così per sempre.

Però non c’è certezza del domani, ed è per questo che credo che la vita vada vissuta attimo dopo attimo.

Ho avuto paura tante volte, ma il mio cuore è stato più potente. Sono sempre andata dove lui mi portava.

Per capire, mentre qualcuno con una penna stilografica metteva la parola fine ai guai dei miei anni e girava la pagina scrivendo ‘to be continued’, che era proprio quella paura a darmi le ali.

La paura e il bisogno di te.

La paura e il bisogno di vagare.

La paura e il bisogno di sfidare questa vita armata di polvere di fata e di chilometri macinati a poco a poco per le strade di questo mondo, dove i miei stivali hanno lasciato impronte numero 40 impresse nel cemento a imperitura memoria di chi dopo di me verrà a battere questi sentieri, a cercare questi sogni, a inciampare in questa vita, a imparare che oltre ad essere unica, è anche una. Una soltanto.

 

Grazie ragazze per il calore con cui ci avete accolte. Grazie Miolety, Bebe e Kiki per i bellissimi commenti, grazie Nar, Michi, Saretta (altrimenti note come ‘la gang delle vagabonde’ xD), , perché ci appoggiate, perché ci volete bene, perché ci mettete in forze quando qualcosa crolla, perché ci tirate su e ci spronate a combattere, perché ci insegnate che qua nessuno è discreto e siamo tutte straordinarie, per credere insieme a noi che un giorno nemmeno troppo lontano saremo tutte ‘singin in the rain’ sotto il Big Ben. O magari sopra. Su una lancetta. Pronte al decollo.

E grazie sorelle, Jools e C, per aver appoggiato questa ennesima follia di una mente pericolosa. Grazie di cuore.

E grazie Orlando, anche da parte della Fabriano e della Pigna, per tutti i pezzi di infinito (incalcolabili) in balia dei pezzi di carta (incalcolabili) su cui ho scaricato maree di penne biro (incalcolabili) raccontando tutti i modi in cui ho scoperto di poterti amare (incalcolabili).

Al prossimo aggiornamento, sempre che non legga qualche dipendente della Neuro, caso in cui saremmo costrette a continuare dalla cella del manicomio criminale in cui soggiorneremo.

Baci, abbracci e polvere fatata su tutte le vostre capoccette.

 

 

 

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Capitolo 6
*** What kind of love I felt ***


Soundtrack: Somewhere Out There, Linda Ronstadt

Vagabonda: Jools

“Someone's thinking of me and loving me tonight.”

 

 

Da qualche parte starai dormendo.
O amando.
Oppure sarai sveglio, come me, a guardare il cielo scuro. C'è una luna stupenda, stanotte. E' un arco, un arco pallido e soffuso. Mi accosto alla finestra e respiro il vento che mi raggiunge da Ovest. Da dove sei tu, disperso in una metropoli dove tanti vivono e cantano e amano e proteggono e scrivono, in questo momento. Da qualche parte c'è qualcuno che mi pensa e da qualche parte qualcuno che mi ama, stanotte. Altrove c'è chi mi conosce e non mi incontra da anni, e più lontano ancora chi mi incontrerà domani, tra un mese, nella prossima vita. Mi fa sentire meno sola. Mi fa sentire più simile a chi è lontano, a coloro che non mi vedranno mai nè che io potrò mai vedere, a quelli che ci sono stati prima di me e quelli che verranno dopo.
Il vento ci accarezza tutti, sempre. Quindi, per stanotte soltanto, gli rubo il tocco che ha sfiorato te, se permetti.
Giusto per condividerlo. Il vento non è mai egoista. E' come il cielo: aperto, generoso, include tutti senza lasciare fuori nessuno. E le stelle?
Quelle che guardi tu sono le stesse che guardo io. A me fa piacere pensare che siano un tramite.
Tutto ciò che è di tutti, è un tramite. Con tutti.
Quando andai in Inghilterra per la prima volta, incosapevole dell'amore che avrei poi provato nei confronti di Londra, mia madre prima di partire disse: "Tesoro, se in questi quindici giorni ti manco, ricorda che c'è la luna in cielo, e la luna è sempre stata una madre per tutti. Dì buonanotte a lei e ti risponderò io."
E me lo disse perchè in televisione stavano dando "Fievel sbarca in America". Tu forse non lo hai visto, ma c'è una canzone, una canzone che solo due bambini separati potrebbero comporre, che afferma:

"And even though I know how very far apart we are, it helps to think we might be wishing on the same bright star,
and when the night winds start to sing a lonesome lullaby, it helps to think we're sleeping underneath the same big sky."

Quindi stasera siamo quasi insieme. Perchè non starai guardando nè le stelle nè la luna, ma sei sotto il mio stesso cielo. E c'è il vento, che porta un pò di te da me, nel suo malinconico respiro.

Mi domando se, sapendolo, glielo permetteresti, di portarti da me in questo modo.
Se invece non gli rifiuteresti, rifiutandolo a me di conseguenza, di avvolgerti e farti scivolare via, tra lande desolate e città in fermento; se mi impediresti di sorridere e di pensare che i riflessi della luna colpiscono te quando me.
Perchè a volte sono cattiva, Orlando. Molto cattiva. Tutto il veleno che ho ingoiato mi invade le labbra e mi rende perfida, e mi fa pensare anche cose ingiuste. Mi fa pensare male anche dei tuoi stessi pensieri. Anche di te. Pensa che orrore, cosa arrivo a immaginare.
Non perchè sia tu, lo sai. Perchè semplicemente non ne ho diritto, nessuno ce l'ha. Non con qualcuno che non conosce. Ma penso, e penso cose spiacevoli.
Per esempio, che a te fondamentalmente di noi non potrebbe interessarti nulla.
Che quando avrai questo frammento di cuori diversi e tuttavia non dissimili, forse neppure lo leggerai.
E tuttavia, se anche lo farai, non ti cambierà niente, perchè noi siamo qui, e tu sei lì.
Ed è un "lì" che va ben oltre la distanza fisica. Lo sai bene.
Che quindi non ce lo permetterai mai, di essere il tuo sostegno, anche se tu incosapevolmente sei stato il nostro, a chi più e a chi meno, in certe occasioni.
E i nostri volti non avranno lineamenti precisi in quel caos di visi che ti seguono e gridano il tuo nome.
Mi innervosisce pensarlo, te lo giuro, perchè non vorrei credere queste cose che non ti onorano nè onorano la mia mente, ma te l'ho detto, c'è una sorta di veleno, instillato in me dai vampiri incontrati per la strada, che a volte ritorna e fluisce assieme al sangue delle mie vene. Sarà, come dice Shakespeare, "litigioso amore, amore odiato". Il famoso Cupido, Amore che si vendica, ricordi?
Quello che avevo e che si è appassito, sgretolandosi. E ci resto molto male, quando me ne accorgo. Quando mi rendo conto che forse sono diventata incapace di provare affetto che non sia affetto fraterno e filiale, amichevole.

Per chiarirti, quando affermo di voler bene a qualcuno dico sul serio, sai. Ed io, che amo della vita ogni pulviscolo, non esiterei a offrirla per coloro che mi sono cari.
Non c'è sorella ch'io chiami con questo nome senza che me la senta davvero fin nelle vene come tale.
Però è l'altro amore che mi manca. E al suo posto c'è questo veleno che a volte corrode. Che una volta era fluido vitale, mentre ora è acido, così come gli Orchi nacquero dagli Elfi mutilati e torturati. L'orrore dalla purezza. L'amore corrotto ed inquinato.
E questa amorfa essenza impietosa che a volte si risveglia e scorre, ha un nome ed un'essenza condivisa da molti.
Si chiama Disillusione, piccolo mio.
Quella che sottolinea il "lì". Quella che mi suggerisce che non potresti mai interessarti di noi, impegnato in altri affari, come è giusto che sia dopotutto.

Ma ho ancora i riflessi verdi negli occhi, Orlando.
Questo vuol dire che so amare, eccome. Me lo hanno ricordato splendide persone. Tante di loro lo hanno fatto tramite te. Pensa un pò.
Ecco perchè dico che ti devo parecchio.
Ed ecco perchè sputo il mio veleno adesso: mi salvano, mi hanno salvata, quelle persone. Tu non ti lasci salvare. Non ci provi neppure.

E magari invece no.
Voilà la cosa che più mi fa rabbia di tutta questa riflessione: potrei sbagliarmi clamorosamente.
Non ti conosco affatto, ho detto, ma forse invece sì, più di quel che credo addirittura.
E secondo una voce incisa da qualche parte nel mio animo, alla fine leggeresti sul serio questo manoscritto; leggeresti di noi, anche solo per curiosità; poi per interesse, poi per piacere. Perchè ti piaceremmo.
Ci vorresti vedere e parlare, e forse, chissà, darci quella possibilità di ricondurre in porto la tua nave. Diresti a Pete: "Oh, se si fanno vedere, chiamami, falle entrare, portale da me per favore."
E allora quel "lì" diventerà un "qui".
Noi insieme, tu l'uomo e noi le fanciulle, vagabondi allo stesso modo, guerrieri nelle stesse lotte, indifesi nel medesimo gelo, eppure protetti. Da noi. Uno stringe la mano dell'altra in una catena inossidabile, una barriera contro ogni attacco.

Come quando non ti serve un anello di fidanzamento per sentirti appartenere ad un individuo soltanto.
Tra milioni, miliardi di occhi, incontrerai sempre i suoi per primi. Non ci saranno cataclismi abbastanza sconvolgenti da impedirti di respirare, se in quel momento respirerà lui per te.
E' questo, Orlando, l'amore. Quello che intendo per amore. Che provavo io.

Perciò mi cullo nell'idea di te come ti credo essere, e non come la Disillusione vorrebbe che ti credessi.
Nella speranza di te che ci guardi negli occhi e provi davvero a fidarti di noi, a tentare questo salto. Quello che noi tentiamo ogni giorno, quello che abbiamo tentato scrivendo questa scheggia di anima.
E rido sotto i baffi immaginando un bel salotto chiaro, un tappeto steso a terra morbido e soffice, ed un cane nero con la testa sulle mie ginocchia, che si lascia grattare le orecchie; la televisione accesa su un programma divertente ed Emily che mi porge una fetta di pizza, tu una lattina di Coca, sorridendo perchè mi devo spostare per prenderla e Sidi borbotta infastidito, io che ti rispondo con lo stesso sorriso. Cecil che posa i tovaglioli distribuendoli in giro, Micky che si appoggia allo schienale del divano, Sara che afferra il telecomando abbassando il volume perchè stiamo parlando tutti insieme, allegri e sereni, e la trasmissione non deve coprire le nostre voci, tutte ridenti, gli sguardi rilassati.
Tutti amici.
Alla faccia della Disillusione e del suo acido veleno.

Io ci credo davvero a questa immagine, piccolo mio. Ne è prova il fatto che fino ad ora ti abbia chiamato solo un'altra volta così, nel corso di quest'altra favola a mio e tuo riguardo.
Infatti, quando il veleno scorre, mi cambia e mi contorce, rendendomi diversa e più ferina, più guardinga... meno me.
Non mi esprimo con tenerezza e passione, solo con cinismo e disincanto.
Ma dura poco, e grazie al cielo, dura sempre meno mano a mano che passa il tempo e che mi circondo nuovamente di fate e sogni.
Perchè alla fine, c'è sempre qualche bambino che batte le mani per riportarmi in vita.

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Capitolo 7
*** This night, a bright star will shine for me ***


Sountrack: What hurts the most, Rascal Flatts

Vagabonda: Cecil

“Watch over me this night”


Siamo state accusate di voler dar spettacolo, di volerci mettere in mostra sfruttando la tua popolarità, il tuo successo. Niente di più lontano da me. 

Sai, mi sento a mio agio soltanto nella massa, nascosta nell'ombra, con le spalle parate e protette dal gruppo, io che da sola non ci so stare, che mi sento in colpa a isolarmi, a chiedere due secondi per me, solo per me, sempre in prima linea per gli altri, una crocerossina assoluta che non bada a sè, se ne infischia, finchè crolla, stremata. 

Se solo sapessero, Orlando, se solo potessero davvero conoscermi. Il guaio è che io non mi apro, sto trincerata dietro i miei silenzi, coperta dalla peggior arma a doppio taglio che possa esistere, l'ironia.

Io che vivo di sogni, di speranze coltivate come pianticelle, di certezze mandate a puttane all'improvviso.

Permettimi di tenerti con me, almeno un po'. Almeno quando tutto mi sembrerà più buio, così oscuro da far tremare le ossa e battere i denti, permettimelo. 

Ti terrò lì, senza chiedere niente in cambio.

Appeso ad una parete, come sfondo sul portatile, un sorriso stampato nella mente, la voce roca e profonda nelle orecchie.

Fammi tenerti con me, al mio fianco.

Veglia tu su di me, adesso.

Oggi che mi sento così stanca, così fiacca che avrei voglia di tirare i remi in barca e lasciarmi trasportare per un po' dalla corrente, senza rimorsi, nè rimpianti.

Ma non lo faccio, è più forte di me. Non so starmene ferma ad aspettare, non ho la pazienza di guardare il tempo passare senza poter far qualcosa per fermarlo, per implorare che si arresti, aspettandomi. Io che arranco, che combatto le mie paure, che stritolo ogni mia forza, per andare avanti.

Guardami tu nel sonno tormentato che scandisce le mie notti, osserva la mia fronte corrugarsi mentre salto da un pensiero all'altro come un'ape nell'affannata ricerca del miele, sorridimi quando mi vedi volar via quel dannato sorriso, sollevami dolcemente, con un tocco d'angelo, il morale steso al suolo, abbracciami quando mi sentirò sola e indifesa. Proteggimi.

No, non lo farai mai. Niente di tutto questo avverà.

Ma a me sta bene così, sai?

Non ho niente da chiederti, niente di quello che tu possa darmi. Quella pace, quella stabilità e tranquillità interiore che tanto cerco, dovrei cercarle in me. Non pretenderle. Ma scoprirle.

Giulia qualche giorno fa mi ha detto che in quello che scrivo metto l'anima, così profondamente, con così tanta inconsapevolezza, che uno mi sfiora davvero leggendo. 

Mi ha paragonata a te, io che riesco a farmi sfiorare come fai tu.

Che tenera, dolce, magnifica fatina. Così meravigliosa da volersi portare a Londra tre pazze scalmanate, con così tanta adorabile incoscienza da far male, così grande da essere immensa.

Io che non merito tutti quei complimenti, se sapessero. Se solo sapessero. 

Tutti quì vedono un talento. Dove? Ma dove? Illuminami ti prego, perché davvero non vedo niente.

E no, non è per farmelo ripetere. Potresti dirmelo anche tu, sai, ma non ci crederei. Vedo negli altri dei giganti talmente grandi, qualcosa di insormontabile, che io a confronto mi sento piccola piccola, minuscola, una formichina tascabile.

Perché, caro il mio piccolo Lord, non ci fossi tu, molte cose sarebbero diverse da come in realtà sono.

Potrei fare un elenco infinito, ma non mi va di tediarti con queste cose. Quel che conta non è che tu ne sia consapevole, di illuminare a giorno paesaggi alquanto oscuri o di rendere la gioia a chi l'ha perduta.

L'importante è che continui a essere così, una certezza, una stella fissa nel cielo, piccolo punto luminoso che guida lo rotta di chi si sperde nell'azzurro. 

Sei così importante, per Em, per Giulia, per Sara, per Michela. Così tenere e indifese, che spaccherei il mondo per ogni legnata che continuamente gli propina.

E sai, vorrei chiederti un favore, un favore personale. 

Puoi vegliarle tu, stanotte? Sono talmente stanca, stanca persino da non aver voglia di dormire, così stanca che urlerei con tutto il fiato che non ho, che mi vien strappato a forza dalla gola, senza via d'uscita, nè possibilità d'appello.

Proteggile tu, che ne hai la possibilità. Perchè sai, leggere che una di loro sta male, che ha paura, che soffre, è un pugno nello stomaco, ti sconquassa i reni togliendoti il respiro. 

Ma tu, Orlando, tu puoi dar loro quel sorriso che adesso io non posso donare, fallo tu per me, solo per un po'.

Non temere, non ti investirò mai più di compiti così gravosi, tornerò a prendermi il mio incarico. 

Ogni tanto pure io ho necessità di staccare, di chiudermi in me e piangere un po', magari. Senza un motivo, così, solo perché le lacrime escono da sole, senza senso, nè spiegazione. Come questi pensieri sconnessi, alle una di notte.

Sai, vorrei fare come Emy, errare per il mondo inseguendo un sogno, sapendo che non lo si agguanterà che per brevi istanti ma continuare a farlo. Una piccola girovaga, una raminga dal cuore sognatore e la mente viaggiatrice. 

Emy, che ha così tanta forza da poterla cedere a chiunque e rimanerne sazia. Emy che ti difende con le unghie e coi i denti, sai? 

Tu, lo sai? Lo sai che noi esistiamo?

Che siamo quà, per te, quando vuoi, come vuoi? 

Tu chiama, un fischio, un sibilo, un cenno. Ovunque.

Lo sai della forza che hanno questi donnini quà? Sempre in prima linea, pronte a marciare, a combattere, a non cedere. 

Io non sono così, non adesso. Non ce la faccio Orlando. Non ce la faccio.

Vorrei solo ritrovare quel coraggio, quella forza che mi s'è manifestata all'improvviso. Dov'è adesso, dove si è nascosta proprio adesso che ne ho bisogno?

Vegliami tu, almeno stanotte, ora che ne ho un bisogno indispensabile, dammi il respiro, conta le ore, muovi il tempo e dammi la forza.

So che puoi, angelo mio.

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