Immortal souls: Sangue di vetro

di Teyra Five
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Un capo solo per me. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - La pace. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Ricordi. ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Magùs. ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - L'ennesimo scontro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - Cattive notizie. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII - Il marchio dei Thunder. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII - Strani comportamenti. ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX - La mia casa. ***
Capitolo 10: *** Capitolo X - Promesso? ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI - E' possibile amare così tanto? ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII - La neve rossa. ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII - L'oceano di Elsa. ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV - Andrà tutto bene. ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV - La mia Lisa. ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI - Il momento della verità. ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII - Sangue di vetro ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII - Per sempre ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Un capo solo per me. ***


Immortal Souls:
Sangue di vetro
                                     



 Capitolo I: un capo solo per me.
 
Leggevo in santa pace il libro "Il mondo di oggi". Parlava delle importanti guerre, nelle quali ci fu il crollo totale degli umani.

Gli umani furono definitivamente sconfitti e si decise di dividere il mondo in quattro parti:
-la terra dei Vampiri, Vrykolakas;
-la terra dei Licantropi, Lycanthrope;
-la terra dei Maghi, Magùs;
-la terra degli Umani, Anthropini.

Questa era la parte che ci diedero da studiare in storia, ma lo sapevano già tutti e anche il fatto che gli umani, dopo le guerre, furono ridotti solo a 3 miliardi. Lasciai perdere quel libro, tanto io ero un vampiro e il potere della mia razza era il Superiore.
Uscii dalla mia stanza chiudendola, come sempre, a chiave. Guardai un attimo quella porta di legno di ciliegio e mi voltai di colpo imbattendomi in qualcosa.
O qualcuno.
Chiusi gli occhi perchè mi preparavo a sentire le porcate di quella persona per averla spinta.
Invece tutto quello che sentii fu il silenzio.. Riaprii i miei occhi color cacca (definiti dagli altri ''color oro'') e vidi il mio capo. Mi sorrideva nonostante tutto ed io lo guardavo come una stupida e probabilmente stavo sbavando.
Eh sì, voi avete pensato che il mio capo fosse un vecchio in pensione? Invece no. Certo che viveva da un'eternità, ma il suo aspetto gli dava massimo vent'anni. Aveva gli occhi profondi, colore del mare, e i suoi capelli biondi gli ricadevano sulla fronte, la sua pelle era pallida, bianca come il latte, come dei tutti i vampiri d'altronde. E poi le sue labbra...piene e morbide.
Insomma, era perfetto: bellissimo ed inoltre capo della più forte razza del mondo.
Continuavo a fissarlo come se guardassi un miliardo di dollari.
-Sei di fretta, Elsa? -mi chiese spostando un mio ciuffo di capelli castani lunghi fino alla vita.
-Ehm sì...cioè no! No! -risposi urlando.
-Bene, ti devo parlare.
''Oh sì, certo che ti voglio sposare...''-pensai.
Ma chi cavolo mi avrebbe mai fatto la domanda: Mi vuoi sposare?, non di certo Samuel.
Mi prese per mano accompagnandomi nella sua camera-ufficio. Ci ero stata già alcune volte quando i vampiri vi si riunivano.
Le pareti della sua stanza erano bianche come la nostra pelle, i mobili invece erano neri. Sulla sua scrivania di legno e sul comodino c'erano vasi di rose rosse, Samuel le coltivava da solo nel giardino.
Io e il nostro capo abitavamo nella ''Casa dei Vampiri'' insieme ad altri vampiri, i più forti della nostra razza. Qui c'era tutto per la vita: una camera per ogni coppia o per una persona, una grande sala dove mangiavamo tutti insieme, una cucina dove lavoravano i cuochi più bravi, negozi, giardini e anche una scuola...
Samuel mi fece sedere su una sedia, mentre lui si accomodò sulla scrivania di fronte a me.
-Lo sai, Elsa, che questa non è solo una casa per noi, ma è anche un luogo di storia e di cultura. Lo sai cosa intendo..
''La scuola'' -pensai.
-Ho la sensazione che tu non ti sappia comportare a scuola..
-No no, lo so..
-Spiegami tu allora perchè mi arrivano in continuazione le lamentele da tutti gli insegnanti?! -urlò.
Beh, cosa potevo rispondere? Lo so, ero sempre a chiaccherare durante le lezioni, ma non era colpa mia se da ogni parte c'erano i miei amici e quindi ero sempre girata e raramente verso la lavagna..
-Forse ho una ghiandola che produce l'ormone del ''chiaccherare'' -dissi.
Per un attimo mi pisciai quasi addosso perchè non sapevo come avrebbe reagito alla mia battuta. Avevo paura di mandarlo in bestia.
Per fortuna mi guardò sorridendo. Alleluia.
''Oh, guardati quanto sei bello mentre sorridi''
-Tesoro mio, non hai un cervello che dovrebbe fermarti ogni volta che stai per fare un'idiozia? -mi chiese dolcemente come per ridere di me.
''No comment, please''
-Scusa, Samuel, ma sono fatta così, non posso cambiare -dissi facendo spallucce.
Lui si alzò dalla scrivania e mi si avvicinò. Era così vicino, tanto da poter contare le diverse sfumature celesti e viola nei suoi occhi.
-Devi cambiare, Elsa. Se tutti si comportassero come vogliono saremmo rovinati. E son io a controllare l'ordine, quindi devi obbedire.
Si allontanò lasciandomi in testa quelle parole che rimbombavano nella mia mente in continuazione.
-Ed ora vai, Elsa, spero di essere stato abbastanza chiaro. Non pensare che ti faccia da maestrino, ma finchè sei qui si fa quel che dico io.
Dio mio, pensavo di esplodere.
''Dovrei fargli notare che non me ne frega niente delle sue stupide leggi''
-Senti, Samuel, cosa mi fai, sentiamo? Sai una cosa? Sono stanca di fare sempre quel che mi dicono gli altri! Quindi, se permetti, appenderò un bel cartellone intitolato ''La Costituzione di Elsa''! -urlai.
Non fu sorpreso della mia ribellione, come se la stesse aspettando.
-La Costituzione ha bisogno di paragrafi.
-Certo, eccoti i paragrafi:
1. Elsa ha sempre ragione.
2Se Elsa non ha ragione leggi il paragrafo numero uno.
Samuel scoppiò a ridere. Amavo vederlo ridere. Era come un raggio di luce che riscaldava il mio cuore.
-E gli altri paragrafi?
-Secondo te c'è bisogno di altri paragrafi? -chiesi inarcando le sopracciglia.
-Va bene, Elsa, ma se ci fosse davvero quella Costituzione mi contradirebbe, perciò abbandona questi stupidi sogni. Ah, un'altra cosa, stasera i Maghi verranno qui a firmare la pace, quindi fatti bella.
-Non voglio far colpo sui maghi, quindi non mi faccio bella.
-Eddai, fallo per me -disse avvicinandosi.
-P-p-perchè? -borbottai in un sussurro.
-Perchè se fai colpo su un mago lui ti sposa e finalmente te ne andrai di qua nel regno dei Maghi -disse sorridendo ed indicandomi la porta.
Mi alzai incavolata nera e prima di uscire gli urlai:
-Vaffanculo, Samuel!
-Solo se mi ci compri il biglietto -mi rispose.


                                                                                           Angolino d'autrice                                                                        
 
Ecco qui, la mia prima storia. In realtà la sto scrivendo da un bel pò, solo che non mi decidevo di pubblicarla. Ed ora, finalmente, ho preso la decisione.
In questo capitolo non c'è forse nulla d'interessante. Sinceramente se io lo avessi letto come lettrice mi sarei annoiata a morte. Ma vi prego, datemi una possibilità, non mollate qui la storia.
Ci tengo veramente a Immortal Souls, non solo perchè è la mia prima vera e propria storia, ma anche perchè Elsa, la protagonista, in gran parte assomiglia a me, al mio carattere.
Ovviamente non posso obbligare nessuno a continuare a leggerla, ma sappiate che ogni vostra recensione mi fa sorridere come a Natale (citazione della mia prof).
Accetto anche le recensioni critiche, ovvio.
Spero che continuiate a seguirmi, grazie per tutto.
A presto!

                                    Myrtus.

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Capitolo 2
*** Capitolo II - La pace. ***


   Capitolo II: la pace.
*Diana si legge in inglese.
E va bene, mi feci bella.
Ma non di certo per i maghi, bensì per il mio Samuel.
''Ma Samuel non è mio...amen'' -pensai.
Mi misi un abito nero lunghissimo senza spalline e un paio di scarpe col tacco. Indossai anche la mia collanina d'argento con la croce egiziana, simbolo della mia razza: ogni vampiro la indossava durante importanti riunioni.
Mi truccai leggermente, non volevo essere una scimmia come tutte le altre ragazze. Esse si mettevano sempre ombretti neri, rossetti neri, un chilo di fondotinta ecc.
Ma io ero diversa.
Forse perchè sono stata umana.
Uscii dalla mia stanza: i maghi erano già arrivati.
Per molti anni i vampiri erano in guerra con i maghi e quel giorno, finalmente, i nostri ''amici'' vennero a firmare la pace con noi.
Mi diressi verso la Grande Sala e mentre scendevo le scale una piccola bambina scivolò. Riuscii a prenderla per il braccio e la misi in piedi. Era una maga, lo dedussi dalla sua collana a forma di stella. La bimba mi guardò male e se ne andò senza neanche ringraziare.
''Mmm..il simbolo dei maghi è la stella, il nostro la croce egiziana, quella dei licantropi...ah sì, la mezzaluna. Gli umani, invece, non ne hanno''
Stupidi umani. Li odiavo, nonostante lo fossi stata.
Dodici anni fa, quando avevo solo cinque anni i miei genitori mi abbandonarono. Mi lasciarono sola in casa, senza mangiare, senza bere. Dissero che sarebbero tornati. Ma non tornarono mai più.
Un giorno, mentre ero nell'orto a raccogliere qualche pomodoro verde, arrivò il mio salvatore. Già, Samuel. Era lo stesso, la sua giovinezza non cambiò nel corso di tempo. Gli stessi occhi malinconici, le stesse labbra..
Insomma, mi morse e diventai un vampiro.

Mi avvicinai al gruppo di vampiri in cui c'era Samuel. Egli mi guardò dalla testa ai piedi e mi sorrise. Mi scioglievo come il burro nell'olio ogni volta che avevo l'onore di vedere quel sorriso.
Però poi si allontanò verso i maghi, essi lo salutarono con grandissimo rispetto. Una donna bellissima dai capelli rossi gli si avvicinò ed insieme andarono al centro della Grande Sala. Tutti, maghi e vampiri, si misero in cerchio attorno a quei due.
''Brutta stronza, prova a rivolgergli una parola e ti disintegro'' -pensai guardando quella donna che sorrideva a Samuel.
E lei gli parlò.
Ed io buttai per terra il bicchiere di cristallo che avevo tra le mani.
E tutti si voltarono verso di me.
Ed io feci un sorriso da ebete.
E Samuel mi guardò male.
Nonostante la mia bella dimostrazione ''Rossa, non toccare il mio Samuel'', quell'altra continuava a parlargli. Mentre guardavo loro due qualcosa mi spinse facendomi crollare e poi questo ''qualcosa'' mi cadde pure addosso.
Per un attimo rimasi calma per pensare quali parolacce avrei dovuto urlargli. Alzai la testa e vidi una ragazza dai capelli neri, come la notte, ondulatissimi. I suoi occhi erano blu scuro, stupendi, ma non come quelli di Samuel. In natura non potevano essere altri occhi così belli come i suoi.
O forse quelli del nostro figlio.
Che neanche esisteva e non sarebbe mai esistito.
La ragazza mi sorrideva maliziosa. Diventò rossa come un peperone e si alzò quando notò che facevo fatica a respirare...
Era una maga, lo capii quando vidi la sua collana.
-Scusa...scusa tanto! Non ti avevo proprio vista! -disse mettendosi una mano fra quei capelli meravigliosi.
-Allora comprati un paio di occhiali.
-Ma che spiritosa!
-Modestamente.
-Diana, piacere -mi disse e avvicinò la sua mano.
Gliela strinsi.
-Piacere, Elsa.
Avevo una strana sensazione, di solito quando facevo la ''spiritosa'', come disse Diana, nessuno continuava a parlarmi. Invece lei sì. Vuol dire che era speciale.
-Chi è quella là? -chiesi indicando col dito (medio, ovviamente) la donna dai capelli rossi.
E, di nuovo, Samuel mi guardò male.
-Quella? E' il nostro capo, Sylvia -rispose Diana.
-Ah...il vostro capo...
''Ecco perchè e vicino al mio Samuel, per firmare la pace''
-Quanti anni hai, Elsa?
-Diciassette, tu?
-Anche...
-Sei contenta per la pace?
-Certo, però sono un pò preoccupata per la reazione dei lupi mannari.
-Non penso che sia un affar nostro, per me potrebbero anche suicidarsi subito, così ci risparmiano una fatica immensa.
-Elsa! -scoppiò a ridere- Oh, shh, ora firmano la pace!
Mi voltai dall'altra parte per vedere meglio. In quel momento, Samuel si morse il polso facendo cadere le gocce del suo sangue, dall'odore così delizioso, su un foglio di carta.
Il suo sangue profumava come una rosa, ma non avrei mai potuto assaggiarlo visto che un vampiro poteva bere dall'altro solo se fossero sposati. Ed io non avrei mai sposato Samuel.
Nello stesso momento anche il capo dei maghi, Sylvia, si morse...un dito...pff, Samuel si morse mezza mano, invece quella solo un dito.
Così il sangue dei due rappresentanti delle nostre razze fu su quella carta che segnava la pace fra i vampiri e i maghi. Quella era la nostra firma.
-Guardi sempre quel ragazzo orrendo...ma ti piace? -chiese Diana gesticolando e toccandosi i capelli in continuazione.
Per un secondo non capii di chi stesse parlando, ma dopo un pò ci arrivai.
Di Samuel.
Del mio Samuel!
''Ma come ti permetti?!'' -pensai.
Le diedi un pugno in faccia che la fece stendere in un batter d'occhio. Tutti si voltarono a guardare me con il pugno chiuso ancora in aria e Diana che teneva le mani sul viso.
Non feci neanche in tempo a battere le ciglia che un'ombra nera mi prese e mi spostò nel corridoio buio dove non c'era nessuno. Aprii gli occhi ed incontrai lo sguardo infuriato di Samuel. I suoi occhi non erano più blu come il mare, ma rossi ed ardevano per la rabbia.
Mi strinse alla parete. Per me si metteva male.
Volevo scappare da quello sguardo intenso che prometteva poco di buono.
-Cosa ti salta in mente, eh? Ma, Elsa, te ne rendi conto? Stiamo firmando la pace e tu attacchi un mago? -mi urlò non distogliendo lo sguardo.
-Ma è lei che...
-Zitta, non voglio sentire niente, neanche una parola.
-Samuel...
-Vai in camera tua, sei in punizione.
-Non sono una bambina e non sei mio padre per punirmi!
-Elsa, sono già abbastanza arrabbiato. Come fai a non capire? Questa pace è così fragile, come una ragnatela...
-Hai paura che i maghi...
-Sylvia non era convinta quando le ho proposto la pace, penso che la sua razza non si fida ancora di noi e hanno ragione. La fiducia bisogna guadagnarsela.. -sospirò- ora vai, non ho tempo da perdere.
Mi diressi verso la Sala sperando che il mio capo avesse cambiato idea, ma mentre stavo per fare un passo, mi prese per mano e mi sussurrò all'orrecchio:
-La tua camera è in direzione opposta.

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Ricordi. ***


   Capitolo III: ricordi.
 
Uscii fuori di casa e mi diressi verso l'orto.
Non c'era nulla nel frigo. Ed io avevo fame. Tanta fame.
Vidi dei pomodori, ma erano verdi. La mamma metteva in tavola solo quelli rossi, diceva che si poteva mangiare solo quelli.
Ma io avevo fame.
Erano tanti giorni che non mangiavo. Non sapevo contare, ma mi sembrava un'eternità.
Presi un pomodoro, lo girai fra le mani. Pareva una mela, verde e dura. Lo assaggiai. Era schifoso. Continuai a divorarlo comunque.
Sentii il cancello aprirsi e poi dei passi.
Mamma e papà.
Erano tornati.
Corsi verso le ombre scure che mi si stavano avvicinando.
Erano in tre, tutti vestiti di scuro. Ed erano tutti maschi. Non c'era la mamma. Forse c'era il papà, non riuscivo a vedere i loro visi, erano coperti dai cappucci.
Il primo di loro si avvicinò ancora di più. Ora potevo vedere il suo volto. Aveva dei grandi occhi blu. La mamma aveva promesso che mi avrebbe portato al mare, mi faceva vedere le immagini, diceva che ci avrei nuotato e costruito i castelli di sabbia. L'acqua era limpida e pulita. E blu. Blu come gli occhi di quel uomo.
Avevo la sensazione di averlo già visto da qualche parte, forse era un mio lontano parente?
Sorrise quando mi vide. Gli tremavano le mani. Sembrava la mamma quando era nervosa.
Era zitto.
C'era silenzio. Troppo.
A me piaceva il chiasso, confusione. Perchè era vita. A volte accendevo la TV e me ne andavo in un'altra camera. Cominciai a farlo soprattutto quando i genitori se ne andarono. Perchè non mi sembrava di essere sola. La TV urlava, parlava il telegiornale ed io lo ascoltavo, anche se lo odiavo.
L'uomo allungò la sua mano aperta.
-Vieni con me.


Mi svegliai di colpo. Ero tutta sudata. Indossavo ancora il mio abito nero da sera, non mi ero neanche cambiata.
Il mio cuore martellava, batteva come se fosse impazzito, come se stesse per abbandonare quella gabbia toracica. Respiravo a fatica, mi mancava aria.
Perchè mi avete lasciato?
No, non ci dovevo più pensare.
Mi mancavate.
''No! Taci!''
E mi mancate anche ora...
''Sta' zitta!''
Corsi in bagno.
Perchè?!
Aprii il rubinetto e mi lavai il viso con l'acqua fredda.
Il mio respiro si faceva più regolare, mi stavo calmando.
Alzai lo sguardo allo specchio: ero un disastro.
''Se fossi la protagonista di un film, dovrebbero metterci il bollino rosso: vietato guardare ai bambini. Potrebbero scambiarmi per una strega o chissà cos'altro ancora''
Avevo le occhiaie ed il trucco di ieri sera tutto sbavvato.
Per i capelli non ne parliamo. Erano già grassi e sporchi come se ci avessi messo dell'olio di oliva nonostante li avessi lavati l'altro giorno.
Presi l'asciugamano ed andai verso la doccia. Mi tolsi l'abito e lo buttai per terra. Mi guardai di nuovo allo specchio. Quanto ero orrenda? Quegli occhi color cacca, quelle labbra troppo sottili, quelle guance grandi. Nemmeno il mio fisico era perfetto. Non ero nè grassa nè magra. Ma non mi piacevo.
Dicono che l'aspetto fisico non è la cosa più importante.
Il mio carattere era orrendo.
Ero orrenda. Sia dentro che fuori.
Cercai di scacciar via quei pensieri ed entrai nel box-doccia.

Stavo riordinando la camera quando sentii qualcuno bussare.
-Avanti! -urlai.
Nella mia stanza entrò Scott, un mio caro amico-confidente-psicologa. Era un bel ragazzo, alto e magro, aveva la pelle leggermente più scura rispetto ad altri vampiri, i capelli neri come la pece e gli occhi dello stesso colore.
Mi sorrideva e mi salutò con una mano. Chiuse la porta dietro di sè e si avvicinò.
-Come stai? E' da tanto che non ci parliamo...-mi disse preoccupato.
-Ehm...sì, sai...sono occupata, ultimamente...mi dispiace...
-Ma è tutto a posto?
-Certo! -mi alzai dalla sedia su cui ero seduta e mi avvicinai alla finestra. Spostai le tende scure, fuori splendeva il sole. Odiavo il sole. Tutti i vampiri lo odiavano, anche se non ci faceva danni molto gravi. Potevamo uscire fuori tranquillamente, ma non di certo metterci ad abbronzarci.
-Stai mentendo, ti conosco fin troppo bene.
-Sto bene! -urlai.
Scott rimase in silenzio, mi guardò disperato. Poi, all'improvviso mi prese il viso tra le mani.
Il mio cuore batteva di nuovo forte.
Scott mi amava. Me l'aveva detto alle elementari, poi alle medie ed infine alle superiori. Ma io rispondevo sempre: ''Ho già trovato il mio amore''.
Quanto era difficile per me ammettere d'amare qualcuno, era faticoso solo pensarci. A diciassette anni avevo ancora paura di pronunciare ''Ti amo'', le mie labbra sembravano incollate, la mia mente non riusciva a pensarci.
Eppure amavo Samuel più di qualsiasi cosa al mondo.
Ma non gliel'avrei mai detto. Mai.
Pregavo Dio, speravo che Scott non mi baciasse. Era troppo vicino. L'avrei rifiutato se ci avesse provato. E mi dispiaceva fargli del male.
-Cosa c'è che non va? -disse alla fine- Per colpa di chi stai così male? Fammi indovinare, di nuovo quel cretino di Samuel?!
-E questo cretino di Samuel sta per buttarti fuori dalla finestra -disse un'altra voce.
Mi voltai per vedere. Era Samuel, appoggiato alla porta e braccia incrociate.
-Ho bisogno di parlarti, Elsa. Da solo, preferibilmente -e lanciò un'occhiataccia a Scott che preferii non vedere.
Scott si era sempre mostrato corraggioso, era pronto a diffendermi e parlarmi anche alle tre di notte se avevo bisogno. Ma c'era un unico no: si pisciava addosso quando Samuel lo sfidava.
Scappò via come un cane, alla velocità della luce.
Samuel chiuse la porta. A chiave. Anche lui aveva la mania di chiudere ogni spazio possibile?
Camminò verso di me osservando ogni mio respiro.
Era così perfetto.
Perfino il suo modo di camminare mi sembrava perfetto.
Tu invece non sei perfetta.
Si fermò e mi guardò. Fissai come batteva le sue ciglia lunghe e nere, come i suoi occhi blu guardavano i miei color cacca. Ma non esprimevano nulla, un minimo di sentimento.
Avrei dovuto regalargli il premio Nobel per la ''non-espressività''.
-Mi hai fatto molto arrabbiare ieri, avrei sbranato chiunque avesse fatto una cosa del genere. Ma non te. Quindi, per la mia bontà mi devi ringraziare -disse.
''Oddio''.
-Cosa vuoi?! -urlai.
-Devi andare da quella ragazza che hai picchiato e chiederle scusa. Semplice. -continuò.
''Io?! A scusarmi?! Lui è più pazzo di mia nonna!''
-Io non vado da nessuna parte! -mi lamentai.
-Elsa -mi rimproverò.
-Ma neanche per scherzo!
-Sei di nuovo sulla strada giusta per farmi incavolare.
-Mi stai minacciando?
-No, ti sto solo avvisando.
-Beh, e tu sei sulla strada giusta per essere sbattuto fuori da questa stanza!
-Elsa, Elsa...come sei stancante...-borbottò.
-Potevi lasciarmi morire, allora, quel giorno.
Non sapevo come mi fosse sfuggita una cosa del genere, come quelle dannate parole mi uscirono dalla bocca. Gli avevo promesso che non ci avrei mai pensato. Eppure ci pensavo ogni giorno. Ora anche ogni notte.
Quando mi aveva portato a Vrykolakas avevo paura di tutto. Rivolgevo la parola solo a lui. A lui, unico. 
Ero già depressa perchè mi mancavano i miei genitori e poi le cose peggiorarono quando avevo scoperto che vivevo in mezzo ai succhia-sangue e che avrei dovuto berlo anch'io.
-Tutti bevono sangue -diceva Samuel -e lo berrai anche te.
-Non tutti. I bambini piccoli no. -rispondevo. Ed ogni volta lui mi portava in una famiglia dove c'era un bambino piccolo, aspettavamo che arrivasse la sua ora di mangiare e poi vedevo come la mamma del bimbo gli dava il biberon con il sangue.
Mi mancavano i miei genitori.
Solo una volta scoppiai a piangere davanti a Samuel, solo una volta. Non mi disse nulla, ma mi abbracciò così forte che sentivo quasi come mi si spezzavano tutte le ossa. Quel gesto sostituiva ogni parola.
E la storia si ripeteva di nuovo: ero sul punto di piangere. Mi si avvicinò. Era così vicino. Mi accarezzò i capelli castani e mi asciugò una piccola lacrima che scendeva lungo la mia guancia.
-Non ci pensare, Elsa, ti prego -sussurrò -avevi promesso, avevi detto che ti è passato tutto...non stare zitta, parlamene. Parlamene ogni volta che ne hai bisogno...Dio, Elsa, non piangere!
Ma era troppo tardi, stavo piangendo come una fontana. Mi mancava il fiato, singhiozzavo, mi bruciavano i polmoni.
Posai la mia testa sulla sua ampia spalla e sussurai:
-Ci andrò, Samuel. Andrò a chiederle scusa. Dammi solo un minuto...

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Magùs. ***


Capitolo IV: Magùs.

Rimasi così, abbracciata a Samuel, per quasi un'ora.
Mi sentivo così protteta e al sicuro con lui...ma gli avevo promesso che sarei andata a Magùs, quindi sciolsi l'abbraccio e gli dissi che dovevo prepararmi. Quando se ne andò, corsì nel bagno per lavarmi la faccia con l'acqua gelida. Sennò scoppiavo a piangere di nuovo.
Immaginate un palloncino. Ci soffi, soffi, ma non scoppia. Però c'è un limite.
Ecco, un limite c'era anche per me. Avevo bisogno, a volte, semplicemente di piangere.
-Crisi adolescenziale -diceva Scott.
Speravo che avesse ragione, non sarei riuscita a vivere con questo tormento. Non tutta l'eternità.

Indossai un paio di jeans neri e una semplice t-shirt. Mi misi un pò di trucco cercando di sembrare decente. Ma non ero decente affatto.
Fuori faceva caldo, eravamo in piena estate, ma non potevo mettermi neanche una canottiera perchè avrei rischiato di bruciarmi troppo. Potevamo camminare tranquillamente sotto il sole, ma non più di un'ora.
Non capivo come facessero le donne mature ad indossare abiti vittoriani con quel caldo. Erano lunghissimi, avevano più strati, corpetti...oddio. Solo le donne nate nei secoli precedenti erano così strette al passato, si mettevano quei vestiti, suonavano il violino o il pianoforte e non avevano neanche un cellulare. Scrivevano lettere.
Uscii dalla mia stanza. Non avevo alcuna voglia di andare da quella Diana, dopottutto non mi sentivo in colpa. Quel pugno le fece più che bene.
Andai verso i Cancelli Oscuri, ce n'era un paio in ogni città dei vampiri ed attraverso quelli potevamo spostarci da un posto all'altro. Era una specie di portale che trasportava anche da un Regno all'altro, non solo nelle città diverse.
Chiusi gli occhi e mi sentii inghiottire dalle ombre scure che avvolgevano tutto il mio corpo. Mi sembrava di volare.
All'improvviso, mi trovai davanti ai Cancelli Verdi, quelli dei maghi. Magùs era il regno più piccolo, i suoi abitanti erano in pochissimi e dopo la guerra con Vrykolakas rimasero in quattro gatti.
Samuel mi disse che Diana era la figlia dei uno dei maghi più potenti, quindi era certo che abitasse nella Casa Pura. Quel posto era come la nostra ''Casa dei Vampiri'', vi abitavano i più forti e le loro famiglie.
I Cancelli Verdi erano proprio davanti alla mia meta. Entrai dentro l'edificio. Tutto, lì, dentro, era puro. C'erano piante di ogni tipo dapertutto, ai maghi piaceva la vegetazione. Attraversai i lunghi corridoi bianchi: il pavimento era di cristallo blu trasparente, sembrava fosse d'acqua, e si potevano vedere perfino le nuvole.
Dimenticavo di dire: Magùs era l'unico regno sospeso in aria grazie alla magia.
Venni fermata da una guardia che prima dormiva in santa pace, ma mentre passavo proprio io si svegliò:
-E tu? Una...vampira?! -urlò guardando la mia collana con la croce egiziana- Cosa fai qui?! Cioè, scusa...posso esserti utile?
Notai che la guardia era confusa, potevo capirla. La pace improvvisa ci cascò giù come i sassi dalle nuvole, non abbiamo avuto il tempo di conoscere bene le nostre razze o stringere anche qualche amicizia.
-Ehm, sto cercando una ragazza di nome Diana...mi aiuti a trovarla?
-Ah, Diana, quella rompiscatole...immagino che sia in camera sua...ora ti accompagno.
-Grazie.
Seguii la guardia. Salimmo le scale e poi attraversammo ben cinque corridoi e solo in fondo ad uno di questi il mio accompagnatore si fermò davanti ad una porta.
-Ecco qua.
-Grazie mille -ringraziai e, come sempre, entrai senza bussare.
Rimasi sconvolta da quel che vidi. Diana era seduta sul bordo del letto dalle lenzuola color verde-limo e teneva fra le braccia un ragazzo dai capelli castani. Teneva gli occhi chiusi, si girava in continuazione senza riuscire a trovare la posizione giusta e gemeva.
E poi vidi il sangue sul suo collo.
Diana alzò la testa. Non sapevo se stava per uccidermi oppure chiedermi aiuto. Optai per la prima, perciò mi avvicinai alla porta.
-No! Ti prego! Aiutami! -urlò lei.
-C-c-cosa gli hai fatto? -balbettai.
-Volevo trasformarlo...-disse ed alzò la sua collana a forma di stella- Usiamo una delle punte della collana per trasformare. All'inizio la macchiamo con il nostro sangue, poi la affondiamo nel collo della vittima...è da tre ore così! Non si è ancora trasformato!
Il sangue era da ogni parte, sulle lenzuola, per terra, sul collo del ragazzo...oddio, stavo per diventare fuori di testa. Tutto quel sangue, aveva un odore così buono...avevo fame.
''No, non puoi. Non puoi e basta''
Andai verso Diana per guardare meglio quel povero disgraziato.
''E' sangue, Elsa, sangue. Vivo''
Non ci dovevo pensare.
-Ma lo sai che c'è un punto preciso in cui devi affondare la collana? -le chiesi.
-Ah sì?
Come pensavo.
''E più stupida di qualsiasi altra persona al mondo'' -pensai.
-Sì, Diana. Ed è la vena.
-Oddio, quindi è per questo..?
-Ma dai?! Fatti un applauso, hai scoperto l'acqua calda!
-E quindi...cosa devo fare?
-Oh, pronto? Dio? Ci sei? Aiutami! Santo cielo, devi...
-Ah sì, ho capito adesso -mi interuppe.
Diana prese di nuovo la sua collana, se la tolse dal collo, poi palpò quello del ragazzo per individuare la vena. Si graffiò la mano con una delle punte della stella e poi l'affondò nella vena. Il ragazzo urlò, ma la maga gli tappò la bocca con la mano sana. Dopo tutto questo processo, strappò un pezzo del lenzuolo e lo mise sulla ferita.
-Perchè non ti sei fatta aiutare dagli altri? -chiesi giocando con l'orlo della mia maglietta.
-Perchè mi è proibito trasformare. Ancora per lo meno.
-E come spiegherai la sua apparizione a Magùs?
-Ma nessuno saprà che l'ho trasformato io, non dobbiamo mica dire chi ha portato chi.
-Ah no? Da noi sì, è una legge.
-Voi siete vampiri, noi siamo maghi -pronunciò quelle parole con così tanta rabbia e disprezzo. Mi guardò con quegli occhi blu che contenevano così tanto odio. I brividi mi percossero tutta la schiena- Ora spiegami cosa ci fai qui.
-Ora me lo chiedi?
-No, domani, guarda.
-Devo tornare anche domani?
-No. Cioè, se vuoi...
-Ero venuta a scusarmi...per l'altra sera.
-Ah...ma no, non è niente.
-Ora almeno puoi capirmi. E' come se ti dicessi che questo tipo fa cagare -dissi indicando il ragazzo.
-Cosa vorresti insinuare?
-Come si chiama?
-Alex.
-Non dirmi che non ti piace, ho visto come lo guardi.
-Non è vero!
-E no anche.
-Shh! Non urlare, potresti svegliarlo!
Alex dormiva sereno come un angelo. Diana fissò il suo viso e lo accarezzò con un dito. Lo guardava così dolcemente ed io riconoscevo quello sguardo innamorato. Ero così anch'io agli occhi degli altri? Potevano davvero vedere quanto amore nascondevo dentro di me?
No, non lo avrebbe saputo mai nessuno. Avrei amato in silenzio.
-Non è bellissimo? -sussurrò la maga.
-Se lo dici tu...
-Cosa hai detto?
-Quello che hai detto su Samuel ieri.
-Allora ti faccio la stessa cosa che hai fatto a me!
-Sta zitta, non urlare! -la intimai quando vidi che Alex cominciò ad agitarsi.
All'improvviso, il ragazzo aprì gli occhi. Non avevo mai visto un colore così bello. Erano verdi, come l'erba, come le foglie sugli alberi, come le piante a Magùs. Era il colore della natura.
All'inizio posò il suo sguardo su Diana e poi su di me. Cercò di alzarsi, ma probabilmente era ancora troppo debole. Non capiva dove fosse, i suoi occhi giravano da una parte della stanza all'altra, guardò le morbide tende da cui filtrava poca luce solare. Era tramonto.
Adoravo il tramonto, era così romantico! Giallo, arancio, rosso, rosa...tutti questi colori si mischiavano uno con l'altro e creavano quello spettacolo stupendo, formavano un paesaggio meraviglioso.
Alex incontrò gli occhi dolci di Diana che lo fissava con amore. Sembrava così tenera e delicata, ma allo stesso tempo aveva i lineamenti del viso selvaggi, i capelli ondulati le scendevano lungo la schiena, sciolti e disordinati. Era d'una bellezza selvaggia. Eccentrica, innormale, pazza.
-Chi...chi sei? -parlò finalmente Alex. Diana gli accarezzò una guancia e disse con voce calma e rassicurante:
-Sono una maga. Ed ora lo sei anche tu, Alex...
Diventava un momento quasi intimo, forse dovevo andarmene.
-Come fai a sapere il mio nome?
-Ma come, non ti ricordi? Me l'hai detto tu.
-Ah.. -gemette il ragazzo e si mise una mano sulla fronte- Non ricordo niente.
-Ti passerà.
-E lei? -chiese indicandomi.
-Lei è Elsa, un vampiro.
Salutai il ragazzo con una mano e feci un piccolo sorriso.
-Elsa.
-Sì, spero che tu ti senta meglio.
-Grazie...-sussurrò Alex e continuò a guardarmi.
-Gli passerà tutto, Elsa, vedrai -s'intromise Diana.
''Ah ah, la gelosia fa brutti scherzi'' -pensai.
E proprio in quel momento mi venne in mente un'idea brillante.

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Capitolo 5
*** Capitolo V - L'ennesimo scontro. ***


Capitolo V: l'ennesimo scontro

I vampiri erano la razza più potente perchè avevano sia delle doti speciali fisiche, che ''magiche''.
Potevamo leggere nel pensiero, fare le illusioni mentali e cose del genere.
Samuel mi insegnò a creare forti barriere per chiudere la mente, diceva che ogni vampiro doveva saperlo fare.
Diana era ancora seduta sul bordo del letto mentre io ero di fronte a lei. Sfiorai la scrivania di legno accanto a me con le dita e fissai intensamente la maga, senza distrarmi. A poco a poco penetravo nella sua mente, nei suoi pensieri, nel suo mondo interiore.
I maghi potevano al massimo ''chiudere'' i pensieri più intimi, ma buttare fuori il vampiro dalla testa non era possibile.
Non mi interessava cosa pensava, cosa nascondeva. Volevo comunicare con lei attraverso il pensiero e farle una piccola, ma bellissima illusione.
Mi concentrai su Mr Areiv. Egli era il cuoco di Vrykolakas e fu trasformato circa due secoli fa. Era abbastanza bravo a cucinare, ma era uno sfigato e anche stupido. E poi era orrendo. Cercava sempre di farsi la cresta anche se aveva la testa quasi pelata, aveva gli occhi piccoli e marroni che mi guardavano sempre con disprezzo, e poi aveva i baffi. Che schifo.
Lo immaginai al posto di Alex, tra le braccia di Diana e cercai di aprirle ancora di più la mente. Era un pò faticoso, richiedeva molta energia, concentrazione e capacità. Il più bravo tra i vampiri a creare le illusioni era ovviamente Samuel.
''Mandai'' a Diana quel che immaginavo e osservai la sua reazione.
-Aaaaaaaaaaaaaaaaah!!! -urlò lanciando il povero Alex per terra.
-Ma sei fuori di testa? -la rimproverò il ragazzo.
-C-c-chi...s-s-sei...?!
Stavo ridendo come una matta, mi avvolsi perfino la pancia con le braccia.
''Dio, quant'è bello prenderla per il culo!'' -pensai continuando a ridacchiare.
-Oddio...-balbettai, non riuscivo a fermarmi.
Alex si alzò con fatica allontanandosi dalla maga, mentre lei si appoggiò alla scrivania con entrambe le mani. Non aveva capito ch'ero stata io. Si girò all'improvviso cercando, probabilmente, di scacciare quel pensiero e guardò il povero ragazzo.
-Alex...sei tu?
-No! Sono lo spirito santo! Perchè mi lanci così come se fossi una scarpa?
-Mi dispiace...è che...-si voltò verso di me e mi guardò male- Ma cosa ridi?!
-Sei così stupida! -ridacchiai.
-Aaaah, taci, ti prego!
-Sei pazza? -chiese Alex incollandosi alla parete.
-Ma no, ti prego, non devi pensare che sia fuori di testa! Mi sembrava che avessi tra le braccia uno vestito da cuoco e con baffi lunghissimi!
-E' veramente pazza -confermò il ragazzo guardandomi.
Misi una mano sulla mia bocca sperando di non scoppiare a ridere di nuovo. Diana mi fulminò con lo sguardo. Sguardo geloso. Era perchè Alex mi era troppo vicino?
-Mica voglio portartelo via, eh -pensai con un sorriso malefico. Sì, mi aveva sentito.
Mi guardò incredula, poi spostò lo sguardo su Alex che stava quasi per svenire, e poi di nuovo ritornò a me. Beh, la mia reazione sarebbe stata peggio se avessi scoperto che qualcuno mi leggeva nella mente. Soprattutto i miei pensieri perversi su Samuel.
-Samuel, Samuel, Samuel -pensai senza accorgermene.
-Samuel? -mi rispose Diana inarcando un sopracciglio.
-No no. Lui non c'entra nulla. Volevo dire che non devi essere gelosa, di tuo Alex non me ne frega niente, esistono tipi molto più fighi di lui. Basta che guardi oltre al tuo naso.
A quel pensiero Diana s'irrigidì e mi guardò male per l'ennesima volta. Mi pareva di vedere il fuoco nei suoi occhi, un mare incendiato. Mi odiava così tanto?
-Oltre ad Alex non esistono altri ragazzi belli -rispose, finalmente. Si sedette su una sedia mettendo una gamba sopra l'altra e cominciò a battere col dito sulla gonna di lino, aspettando la mia reazione. Alex, intanto, era già tornato a letto perchè era troppo debole per la trasformazione. Teneva la testa sul cusino e chiuse gli occhi con entrambi le mani cercando di dormire. Pareva un bambino nel profondo dei suoi sogni.
-Guarda che il mio capo è cento volte più figo del tuo scarso umano.
-Coooooosa?! -
si alzò dalla sedia.
Le cose per me si mettevano male, come sempre. Si avvicinava lentamente verso di me cercando di controllare la rabbia, ma invano.
Dovevo sparare qualche cavolata al più presto. Non era mica una cosa difficile. Samuel, quando era arrabbiato con me, diceva che ogni cosa che usciva dalla mia bocca era una cavolata unica.
Ero sicura al cento per cento che non avrebbe funzionato, visto che era una delle battute più ripetute nei film, ma dissi lo stesso:
-Hai...hai la gonna messa male...ti si vede tutto il culo...
-Come?! -si voltò per vedere se Alex non avesse visto.
''Incredibile...ha funzionato!''
Quello era il mio momento. Aprii la porta e corsii lungo il corridoio dal pavimento trasparente.
Ero veloce, come tutti i vampiri d'altronde. Potevo perfino fare un salotto e bere un thè caldo coi pasticcini nell'attesa di Diana. Ovviamente, però, non lo feci. Continuai a correre come matta e non sapevo neanche dove stessi andando. Mi fermai per capire dove fossi, ma da lontano vidi che Diana stava per raggiungermi, perciò entrai nella prima stanza che trovai.
Volevo sparire.
''Buttatemi giù dalla finestra, vi prego''.
Nella camera c'erano due che si sbaciucchiavano con molta...passione.
-Eheheh...scusate!! -dissi e uscii alla velocità della luce.
Non era per niente bello immaginarsi con Samuel al posto di quei due.
Mi appoggiai alla porta con gli occhi chiusi e sentii il respiro caldo di qualcuno sul mio viso.
Diana.
Aprii velocemente gli occhi, ma l'unica cosa che riuscii a vedere era il pugno della maga.
Che bello.
-Diana, che diavolo stai facendo? -urlò una voce calda e dannatamente familiare. Sentivo i passi dei tacchi sul pavimento di cristallo ed aprii uno dei due occhi. L'altro aveva ricevuto la visita del pugno di Diana.
Dietro a quest'ultima c'era la donna dai capelli rossi. Era fresca come una rosa: le labbra rosse e carnose mostravano un sorriso di scuse; il vestito lungo color rosa pastello senza spalline accarezzava le sue curve perfette mettendo in bella mostra il suo fisico.
Era la donna dell'altra sera.
Diana si voltò e quando la vide s'inginocchiò dicendo:
-Vostra maestà...
-Ne riparliamo dopo. Ora vai -rispose la rossa dolcemente.
Io, se avessi fatto quel caos, sicuramente avrei incontrato lo sguardo infuriato di Samuel e forse sarei finita su un letto dell'ospedale.
E a lei non fecero niente.
Non potevo accettarlo.
-Oh, cara mia ospite -disse e mi invitò a camminare accanto a lei.
Pregai il mio corpo e la mia mente di restare calma. Odiavo le persone false. Avrei potuto sbranarla e poi macinarla e darla a cena al mio gatto.
Gatto che neanche esisteva. E non sarebbe mai esistito perchè a Samuel non piacevano gli animali.
-Non ho mai ospitato un vampiro, a parte Samuel finora... -m'informò quella strega mentre camminava.
''Cosa? Samuel era venuto qui?'' -pensai.
-Cosa era venuto a fare?
-Come, prego?
-Ehm, ah! Capito!
''Era venuto a fare la proposta della pace''
-Sei venuta a trovare Diana?
-Sì...cioè, no...cioè sì...insomma, ero venuta per scusarmi per l'altra sera.
-Ah capisco...non dubitavo sulla buona educazione che dà Samuel a tutti.
''Cosa vorresti insinuare?!''
La guardai con la coda nell'occhio e maledissi lei e quella casa.
-Ma cosa vuoi da lui? -chiesi in modo brusco.
-Scusa?
''Sì sì, fai finta di non capire. Lo so che hai capito!''
-Uhm, niente. Dicevo che non mi piace il colore delle pareti.
-Lo cambierò, allora. Forse, un giorno, saremo una grande famiglia e quindi tutti devono essere accontentati.
-Una famiglia...noi? I vampiri e i maghi?!
Non ci potevo credere. Davvero quella befana sperava che Samuel la sposasse.
Solo passando sul mio cadavere.
''Beh, niente paura, Elsa. Una vecchia stupida maga non potrà fermare l'amore immenso che prova un cuore spezzato!
Da quando sono così poetica?''
No, Samuel non sarebbe mai stato con lei. Sicuramente Sylvia era stracotta di lui, si capiva da come lo guardava quella sera, da come arrossiva quando ne parlava.
Ma quanto stupida ero a pensare che lui mi avrebbe amata un giorno?
Mai. Mai avrebbe provato qualche sentimento verso di me. Non verso la bambina che ero.
-Arrivederci, maestà di Magùs. I vampiri sono vampiri, i maghi sono maghi. Siamo due razze completamente diverse. E non saremo mai compatibili -dissi e uscii senza voltarmi immaginandomi la faccia sconvolta della rossa.
Il mio viaggio a Magùs non era andato come previsto.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI - Cattive notizie. ***


Capitolo VI: cattive notizie

Finalmente tornai a Vrykolakas. Subito mi diressi nell'ufficio di Samuel per informarlo della mia bella visita a Magùs.
Entrai, senza bussare, ovviamente.
Era in piedi, al centro della stanza e guardava davanti a sè: si vedeva che gli frullava qualcosa in testa.
Indossava il mantello nero, lo portava solo quando andava da qualche parte fuori dal Regno. La sua collana con la croce brillava come il blu dei suoi occhi. Le sue labbra presero l'incurvatura per accennare un piccolo sorriso.
Si era accorto di me.
-Sei tornata -disse con gli occhi chiusi.
Mi allontanai dall'uscio della porta.
-Ehm, sì...ma non era andato tutto come previsto...
-Ah sì? -chiese ed aprì gli occhi -Oh...ohohoh, che bello quell'occhio viola...
Già, dopo il pugno di Diana. Meno male che i lividi sparivano in fretta ai vampiri.
-Sì, ma è colpa di quella stupida maga! Abbiamo cominciato a litigare, di nuovo, per niente!
-Calmati, Elsa. L'importante è che ti sei fatta vedere e che hai chiesto scusa. Il resto non ci deve interessare, che pensino quel che vogliono quei maghi.
-Ma...
-Shh -mi sussurrò e mi prese per il mento.
''Oh sì, baciami, che sei proprio più attraente di una calamita oggi...'' -pensai facendomi di nuovo strane idee perverse sul mio capo.
-Per fortuna è solo un livido. I maghi non sono tanto violenti -disse.
''No, tu adesso mi baci!'' -ma di certo non ebbi fegato di dirglielo.
-Non conosci bene Diana, quella mi butterebbe giù dal centesimo piano. E poi, c'è quella befana.
-Quale befana?
-Quella strega... -dissi e strinsi i pugni.
-Chi?
-Quella stupida della capa dei maghi! Ha detto che un giorno le nostre razze saranno un'unica famiglia!
Samuel scoppiò a ridere, non capivo che cosa ci fosse di tanto divertente. C'era da piangere.
-Elsa, pensi davvero che io lo accetti?
Non ci avevo pensato.
-Diceva in modo così convincente... -balbettai e diventai rossa in viso.
-Non badare a quella lì. Lasciala nel suo mondo dei sogni -disse e si sedette sul divano di pelle color latte e mi fece il gesto di accomodarsi accanto a lui.
Perchè voleva così tanta vicinanza?
Andai a sedermi, ero stanca, ma Samuel mi metteva in agitazione quando era così vicino.
-Ora passiamo a cose serie.
''Oddio''
-Ti devo fare una proposta -continuò.
''Una proposta di matrimonio?! E me lo chiedi anche?!''
-Uhm, quale? -chiesi cercando di non guardarlo negli occhi.
-Ho delle cattive notizie...cioè, non è detto che siano vere, ma ho un brutto presentimento. Dobbiamo controllare una cosa.
-Ehm, quale? -ripetei come un disco rotto guardando, stavvolta, fuori dalla finestra.
Fu la volta buona che, infuriato, mi prese il mento e mi girò fortemente verso di lui.
-Se ci sono cose più importanti là fuori, puoi anche andartene -disse incavolato.
-Ah, posso andarmene? -chiesi imbranata.
E beh, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mi trascinò verso la porta e urlò:
-Ma certo che puoi, basta volerlo! Vai, che mi stai facendo innervosire come non fa nessun altro in questa casa!
Io, però, non mi lasciai sbattere da lì. Ringhiai, sfidandolo.
Lo sapevo che avevo zero possibilità contro di lui, ma l'importante era provarci.
-Elsa, lo sai che è inutile -disse calmo e tranquillo, in modo quasi dolce.
Io feci il contrario, gli urlai in modo isterico:
-Perchè sei sempre così serio?! Stavo solo scherzando!
-Ma, Elsa, ti pare il momento di scherzare? Ti ho detto che ho delle orrende notizie ed è tutto il giorno che ci penso. Devi essere più seria, capisco che hai solo diciassette anni, ma un pò di maturità!
-Non ne posso più! Mi dici sempre che sono l'unica a mandarti in bestia! -dissi sfinita sentendo le lacrime sulle mie guance.
''Perchè piango?''
Perchè sei nessuno qui. Non ti vuole bene nessuno. Non servi a niente, sei solo un peso inutile. Ti hanno perfino abbandonato i tuoi stessi genitori!
''Taci, zitta!''
E per lui sei nessuno. Ti ha portato con sè, quel giorno, solo perchè provava pena per te. Ed ora se ne pente.
-Elsa...-sussurrò prendendomi la mano- ma che ti succede ultimamente? Dimmelo.
-Niente...-mentii cercando di cacciar via quei maledetti pensieri. Era come se nel mio corpo vivesse qualcun altro, oltre a me. Quella stupida voce la sentivo perfino nei sogni.
-Che c'è che non va? Non stare zitta, dannazione!
Era successo quando avevo sette anni. Samuel mi aveva trasformata, avevo imparato qualche cosa in più sui vampiri e avevo iniziato a bere il sangue. Nessuno mi parlava, nessuno ci faceva caso, nessuno mi notava. Ero sola. Come se non esistessi nemmeno. Allora andavo sempre su un'altalena, lontana da tutti e da tutto. Era il mio posto segreto.
Ma non potevo più stare così, sarei impazzita. Dovevo attirare in qualche modo l'attenzione.
Una sera, avevo visto un film in cui un alunno mise delle puntine sulla sedia della maestra e lei ci sedette sopra. L'idea mi era piaciuta.
Scelsi il giorno in cui c'era la maestra che odiavo più delle altre. Durante la ricreazione misi le puntine e dopo quella befana ci si sedette sopra. Fui mandata immediatamente da Samuel perchè tutti dissero che ero stata io. E certo, ero in una clsse in cui c'erano tutti purosangue. Mi odiavano, perciò mi tradirono subito.
Samuel era già giù di suo, all'inizio non voleva neanche vedermi. Al posto di ascoltare in silenzio le sue prediche feci la spiritosa. Stava per tirarmi uno shiaffo, ma non lo fece perchè ero scoppiata a piangere e per la prima volta gli raccontai tutto. Gli raccontai di come i miei genitori mi dissero che sarebbero andati al mercato a comprare qualcosa di buono, invece non tornavano più da due settimane e quando guardai nell'armadio mi accorsi che era vuoto. Gli raccontai di come non mi sentivo a casa, lì, a Vrykolakas. Gli raccontai di come mi sentivo sola. Rimase in silenzio, ad ascoltarmi, e al'improvviso si alzò dalla sedia e si inginocchiò accanto a me abbracciandomi.

Non poteva ripetersi mai più.
Mi allontanai da lui andando verso la porta, ma mi fermò, guardando però altrove. Il suo sguardo era lontano, perso nel vuoto. Poi, d'un tratto, i suoi occhi incontrarono i miei.
-E' perchè non ti piace qui? -mi chiese quasi sussurrando, sembrava che avesse paura delle sue stesse parole.
-Io sono contenta di non essere un'umana, ma...qualcosa non va in me, tutto qui.
-Smettila di dire queste cavolate, d'accordo?
-Io...
-Avevi detto che ti era passato, Elsa...
-Non mi è passato, contento? Lasciami andare, ti prego.
-Elsa, sono l'unico che ti ascolterà in questa dannata casa!
-Per favore, basta...-dissi e appoggiai la testa sulla sua spalla in segno di arresa.
-Non cercare di farmi diventare dolce -ridacchiò.
-No, non sei il tipo.
-Chissà.
-Rispondi solo ad una domanda. Promettimi che risponderai.
-Chiedi.
-Mi hai portata qui perchè ti facevo pena?
Samuel si irrigidì e si allontanò andando verso la sua scrivania. Il momento delle dolcezze era ufficialmente finito.
-No -rispose secco.
-Qual è il motivo, allora?
-Non devi ancora saperlo.
-Cosa?
Silenzio. Non rispose. Spostava gli occhi da una parte all'altra, confuso, picchiettava forte sulla scrivania finchè non si alzò e si diresse verso la finestra. Spostò le tende, era sera. Fuori faceva già buio e tante stelle erano in quel cielo scuro.
-Non ancora.
-Ci scommettevo che avresti risposto così.
-Ma è la verità.
-Sì, certo la verità che esce dalla tua bocca. Incredibile.
-Non ti ho mai mentito.
-Devo fidarmi?
-Ti sei fidata dodici anni fa quando ti ho proposto di diventare un vampiro.
-Purtroppo ti ho creduto.
-Non dirmi che non sei felice di avere poteri che nessun umano ha e l'immortalità. Non dirmelo neanche, risparmiatelo.
-Infatti non lo dico.
-Meno male, ci mancherebbe altro.
-Ma non è il senso della mia vita.
-Non esiste un senso in una vita infinita.
-Esiste, eccome esiste.
-Beh, allora, sentiamo questo tuo senso della vita.
-Beh, non ce l'ho -mentii. Era lui il mio senso della vita.
-Ecco, vedi? -mi guardò col trionfo negli occhi.
-Per adesso.
-No no, non ci sarà. Il mio era quello di diventare capo della più potente razza del mondo. Ora, guardami, ho realizzato il mio sogno e non so che farmene.
-Muori.
-Non vedi l'ora, eh?
-Non è che non vedo l'ora, ma uno se non sa cosa farsene di una vita immortale, che muoia allora.
-Hai ragione, ma prima devo avere degli eredi.
''Eredi? E la moglie non devi avercela prima? Ah, ma se vuoi, posso offrirmi io'' -pensai e lo guardai male come per dire: ''Che cavolo dici?''
-Cosa?! Non mi guardare così! Tu hai solo diciassette anni, non puoi capire, mentre io...aspetta, quanti ne ho io?
-Sei così vecchio che non ti ricordi neanche quanti anni hai?
-Ho perso il conto. Comunque, per dirti, sono nato nel Medioevo. Ma non importa! Non posso volere dei figli in tutti questi secoli?!
-Sì, certo...
-Non mi convinci.
-Perchè non sono convinta che tu abbia voglia di morire.
-Beh, aspetterò che i miei figli crescano.
-Solo?
-E aspetterò che muoiano.
-Cioè mai.
-Non lo so, mi stai confondendo!
-Secondo me, questa dei figli era solo una balla.
-Infatti ti stavo prendendo per i fondelli.
-Ho notato.
-Ma solo perchè ho paura che se, in futuro, dovessi avere dei figli, siano come te.
-Cosa?!
-L'uscita è dall'altra parte.
-E l'uscita per via 'Fanculo' e' dall'altra parte ancora.
-Oh, quanto mi dispiace, ma non posso accompagnartici.
Uscii dalla camera rompendo la porta.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII - Il marchio dei Thunder. ***


Capitolo VII: il marchio dei Thunder

Dovevo prepararmi per andare a cena, ma non avevo alcuna voglia di farmi decente.
Mi misi la solita T-shirt e una gonna in jeans nera, più di così non riuscivo a fare.
Erano le sette, mentre la cena cominciava sempre alla stessa ora, alle otto.
Qualcuno bussò alla mia porta, proprio mentre stavo per distendermi e riposare dopo quella faticosa giornata.
-Avanti! -urlai mettendo il viso tra i cuscini. Chiunque fosse, non era benvenuto. Neanche Samuel. Non dopo quel che mi aveva detto.
La porta si aprì e riconobbi i passi familiari, quelli di Scott.
-Ciao Elsa -mi disse con un sorrisone. Non era una persona magnifica?!
-Ciao...-dissi a fatica girandomi da un lato all'altro.
-A quanto pare stai male.
-Sì, hai indovinato.
-Come mai?
-Niente.
-Dai, Elsa, di me ti puoi fidare -disse sfiorandomi il braccio.
Mi misi a sedere coprendomi il più possibile le gambe nude, non volevo che mi guardasse male.
-Scusami, Scott...mi dispiace se non ci parliamo più come una volta, ma non è colpa tua, sono io...-dissi abbassando lo sguardo sulla coperta color miele.
-No. Sai qual è il problema? Che tu ti fidi troppo di quel Samuel! Elsa, è un capo freddo e distaccato, lo dicono tutti! E' soprannominato ''Il demonio''! Certo, si dice anche che un tempo non era così, ma non importa cos'era, importa chi è adesso! -mi urlò gesticolando nervoso.
Tenni lo sguardo basso, dovevo rimanere impassibile.
Il problema era che lo amavo così com'era. Il mio amore non aveva limiti. Lo amavo perfino quando mi sgridava, o forse anche di più. Perchè era se stesso.
-Ti sbagli. Io lo amo -risposi ad un certo punto.
Mi accorsi di averlo detto, non solo pensato, ma troppo tardi. Scott mi guardò indifferente, come se lo sapesse già.
-Lo so -rispose, infine.
-E come lo sai?
-E' cos' evidente, Elsa.
-Hai ragione, non è una novità, ma, Scott, non so con chi confidarmi! Devo sfogarmi!
-Ci sono io per te -disse e mi abbracciò.
Mi sentivo al sicuro con lui e lui stava bene con me, ma non potevo ricambiare il suo amore, non ci riuscivo, nonostante ci avessi provato sempre.
Rimanemmo abbracciati a lungo, poi mi staccai preparandomi a raccontare i miei problemi psicologici, soprattutto della relazione con il mio capo.
Mi misi comoda e cominciai:
-Vedi, quando lo guardo mi viene il mal di testa, mi gira tutto davanti agli occhi, sento perfino quelle stupide farfalle nello stomaco! Ma il fatto è che non mi ignora, anzi, è sempre nei dintorni, ma mi odia! Meglio essere ignorata o odiata?! In entrambi i casi avrò la crisi isterica, prima o poi, capisci?-
-No -rispose semplicemente.
Ero talmente esasperata che presi dalla mia scrivania il mio quaderno personale. Quando qualcuno lo vedeva pensava che fossi così brava e ordinata e che ci fosse qualcosa utile. Invece era solo riempito del nome di Samuel, dei disegni che lo rappresentavano e una parte dei miei sentimenti. Aveva la copertina nera con un teschio. Tutti i quaderni belli li usavo per i miei scopi personali, cioè niente.
Aprii una pagina vuota e cominciai a scarabocchiare mentre Scott mi osservava in silenzio, incuriosito.
Tutto il processo duro due minuti, quando finii il mio capolavoro lo mostrai con fierezza a Scott.

SCHEMA: Essere o non essere? Questo è il problema.
Odiata-->crisi isterica-->depressione
Ignorata-->crisi isterica-->depressione
Amata-->ragazza più felice del mondo

Dopo aver guardato molto a lungo il mio schema, Scott mi lanciò un'occhiataccia che preferii non vedere.
Ecco di cosa era pieno il mio quaderno: schemi, schemi e ancora schemi, inutili, ma allo stesso tempo esprimevano quel che provavo, tutte le mie impotesi e conseguenze.
-Ora hai capito e non dire di no perchè non ripeto e non spiego. Non sono una prof di psicologia. Al massimo posso dirti: se qualcosa non ti è chiaro, rivolgiti al mio psicologa.
-Ma non esiste...
-Appunto.
-Ho capito tutto -rispose nel dubbio cercando di uscire da quella situazione in cui non poteva contraddirmi.
-Okay, perfetto. Allora continuiamo il nostro colloquio psichiatrico...
-Psicologico -mi interruppe.
-E' uguale! -urlai fino a farlo saltare dalla sedia- Comunque, proseguiamo. In tutti i casi, sono io quella che sta male, non Samuel! E' un'ingiustizia! Come posso farmi notare di più senza mandarlo in bestia?!
-Portalo a letto.
-Cosa hai detto? -feci finta di non averlo sentito, ma in realtà gli davo l'occasione di cambiare quella porcata che disse.
-No, nulla...
-Bene, cioè male! Non mi sei d'aiuto, Scott! Voglio idee decenti, non perverse!
-Uhm, fammi pensare...-sussurrò mettendosi un dito sul labbro inferiore per avere un'aria intelligente.
Non avevo tempo da perdere, tanto quell'altro faceva solo finta di pensare, ma in realtà si faceva quelle idee perverse.
Mi distesi e guardavo le lancette dell'orologio spostarsi, mentre io perdevo anche quei scarsi secondi della mia vita.
Il bello era che ero immortale e quindi potevo neanche badarci al tempo.
D'un tratto Scott balzò giù dalla sedia.
''Ha voglia di fare ginnastica? Che vada dalla prof, allora. Mamma mia, questo è il nostro futuro?'' -pensai guardandolo male.
-Devi essere più obbediente, Elsa! -gridò come se avesse vinto un millione di euro.
-Ma dai?! Vuoi il premio Nobel? Hai scoperto l'acqua calda.
-No, quella tiepida.
-Quella tiepida, si forma con l'acqua calda e quella fredda, mio caro.
-Vabbè.
-No, vabbè un corno.
-Beh, tu prova ad ubbidirgli e vediamo se ho ragione.
-Sì sì, stanne certo. Secondo te, vado ad umiliarmi e rovinare la mia reputazione di ''Ragazza-per-la-quale-non-esiste- a-parola-regole''?
-Ma ti assicurò che funzionerà, te lo garantisco. E se sarà così, cosa che accadrà di sicuro, tu mi darai un bacio.
-Nel mondo dei tuoi sogni. Comunque, va bene, sfida accettata.
-Okay, il bacio sulle labbra, intendiamoci.
-Ma sei matto?!
-No, ma visto che sei sicura che la mia idea è stupida, eccoti la punizione.
-Ah, beh, allora, in pratica, ti punisci da solo.
-Per me sarebbe un piacere baciarti, mentre per te è una punizione.
-No, lo è anche per te, perchè non so baciare.
-Ti darò delle lezioni, se vuoi, così quando bacerai Samuel andrete in tilt tutti due.
-Oh, senti, vuoi un pugno tra i denti? -dissi alzandomi e mi strinsi i pugni.
Lui, che si era rimesso sulla sedia prima, saltò di nuovo avvicinandosi alla porta.
-Bravo, bravo, quella porta è la tua unica salvezza.
-Elsa, calmati, a Samuel non piaciono ragazze nervose.
-E tu che ne sai?! -dissi con un tono di voce che fece paura perfino a me stessa.
-Con calma...
-Ti spezzo in due! -ripetei con la stessa voce maligna. Mi sentivo una santa che dominava sull'intero mondo. O forse, un diavolo?
-Aaaah! Mi ha fatto molto piacere vederti, ma ora ho altre facende da sbrigare...-disse cercando di aprire agitatamente la porta.
-Per esempio?
-Non lo so! Cioè, andare a cena!
-Ma se sono le sette e quaranta...
-Ma mi devo preparare!
-Cos'hai? Ti vedo fin troppo agitato.
-Guardati allo specchio!
Feci quel che mi disse. Non avrei dovuto. Ero diversa: i miei occhi erano rossi come il sangue, le pupille erano nere e vuote, i cannini erano più lunghi del solito e molto più tangenti, mentre le unghie erano artigli. E avevo il marchio della famiglia dei Thunder, lo stesso che aveva Samuel. Quel marchio gli appariva sul collo ogni volta che si trasformava. In breve, ogni vampiro si trasformava in una forma simile a quella quando gli aumentava il battito cardiaco, per colpa dello stress, o rabbia, o al contrario, felicità, o piacere, però ciascuno aveva un simbolo diverso sul collo, dipendeva tutto dalla famiglia o dal Clan.
Sembravo la versione femminile di Samuel, avevamo perfino la stessa sfumatura del rosso negli occhi, anche quella cambiava da un vampiro all'altro.
Quando mi voltai vidi la porta che sbatteva e di Scott non rimase alcuna traccia.
Mi girai di nuovo per guardarmi, ma ero già tornata normale, come sempre.
Non capii come mi stesse succedendo, ma avevo paura...paura che qualcosa in me fosse andato di nuovo qualcosa per il verso sbagliato.
Mi buttai sul letto e abbracciai uno dei miei cuscini viola pensando che fosse Samuel.
''Ho tanto bisogno di te''.


 

Angolino per me: 
Cari lettori,
ho notato che le visite dei capitoli sono in decrescita. Ho bisogno di consigli, e posso rivolgermi solo a voi: c'è qualcosa che non va con la storia? Sta diventando noiosa?
Rispondetemi, vi prego, perchè comincio ad essere in dubbio. Lo sapete, ormai, che accetto sia le critiche che commenti positivi, le vostre recensioni mi fanno sorridere (una volta sono perfino scivolata giù dal divano rovesciando il piatto con le patatine, ma sinceramente, ne rovescierei altri cento se trovassi dei bei commenti).
Scusate, è che non mi sento più all'altezza.
Aspetto le vostre risposte, a presto!
Myrtus

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII - Strani comportamenti. ***


Capitolo VIII: strani comportamenti

Erano le otto meno cinque, perciò mi incamminai verso la sala da pranzo.
Gli altri vampiri erano già lì, a volte mi sembrava che vi fossero ancora dalle sei. Ma era così solo per un motivo: aspettavano Samuel.
In realtà, la decisione della cena alle otto, era un'orario per lui, più che per noi. Nessuno avrebbe toccato cibo neanche se fosse arrivato a mezzanotte. Il mio capo era molto rispettato, anche troppo per i miei gusti.
Finalmente arrivò, puntuale. Tutti erano seduti sulle sedie di legno che sembravano appartenere ai secoli precedenti, ma quando Samuel entrò nella sala, i vampiri si alzarono subito. S'inchinarono per salutarlo.
''E se Scott avesse ragione?'' -pensai.
Decisi di seguire il suo consiglio e mi affrettai a chinarmi, cosa che non avevo mai fatto in vita mia e Samuel non commentava perchè sapeva che sarebbe stato inutile. Mi girò la testa, ma comunque riuscii a sedermi, senza fare incidenti, quando il capo ricambiò il saluto. Ma non mi degnò neanche di uno sguardo.
''Ma che cavolo, sono quasi caduta sotto il tavolo per portarti rispetto e non mi guardi neanche?!'' -pensai immaginando la mia faccia ridicola.
Stavo per mettermi a mangiare dopo aver guardato per dieci minuti l'invitante pollo arrosto con patatine fritte, cucinate così bene che il loro colore sembrava oro come il grano, ma mi fermai quando notai che tutti erano girati verso Samuel. Voleva dire che doveva comunicarci qualcosa.
-Mi dispiace interrompervi, ma questo è l'unico momento in cui siamo quasi tutti presenti. Vi devo informare che girano voci sulla pace tra i licantropi e umani, cosa che non avevamo previsto.
Tutti fecero quei versi del tipo ''Oh, mamma mia'', ''E' terribile'' ecc.
-Non sappiamo ancora nulla al riguardo e dobbiamo verificare appunto. Spiando gli umani, ovviamente. Ci sono volontari? -continuò.
Mi ero sempre accorta che il nostro capo raramente chiedeva aiuto a qualcuno, faceva tutto da solo, sapeva arrangiarsi e non voleva disturbare nessuno. Quando gli chiedevo il perchè di tale comportamento, lui mi rispondeva: ''Un buon capo non è quello che comanda, ma quello che fa qualcosa per rendere felice e sicura la sua nazione''.
Nessuno rispose, c'era solo un insopportabile silenzio che mi dava sui nervi, perchè mi metteva paura.
Facendo i miei calcoli, arrivai alla risposta giusta: giusto tra sette secondi si sarebbe alzato e andato in bestia.
Sentii la sedia scivolare lentamente all'indietro.
''Mancano quattro secondi''
E poi si alzò con lo sguardo incavolato ed urlò:
-Nessuno?! Ah, bene, fate così. Però quando i licantropi ci attacherano con quei poveri disgraziati umani, io me ne starò con le braccia conserte e non darò nessun ordine!
-No -lo interruppi- Mi offro io, mio signore.
Credetemi, non ero mai e poi mai stata così educata con lui. Avevo cercato di imitare altri vampiri che gli davano sempre del 'lei' e lo chiamavano 'signore' o 'padrone' o 'Vostra Maestà'.
Di solito gli davo del 'tu' e lo prendevo per i fondelli, ma si limitava a sorridermi anche se sapevo che cercava solo di contare fino a dieci per calmarsi. Ma se qualcun'altro si fosse comportato così, lui l'avrebbe sbranato senza lasciare neanche una traccia di sangue.
Samuel mi guardò sorpreso. Rimase a bocca aperta e di sicuro era per la mia incredibile gentilezza, più che per il fatto di essermi offerta volontaria.
Mi accennò un sorriso e chiuse per un attimo gli occhi dicendo:
-Elsa, lo apprezzo molto...ma non posso mandarti da sola...
-Ma, capo, non possiamo restare a guardare!
-Non posso mandarti da sola -ripetè e tornò a sedersi sulla sedia appoggiando i gomiti sul tavolo.
-Perchè no?
-E se fosse vero? E se davvero c'è la pace fra i lupi mannari e gli umani? Allora, sicuramente Anthropini sarà piena di licantropi. No, basta, è troppo pericoloso per te.
-Mio signore, non abbiamo scelta...-dissi insistendo.
-Ci penserò -disse infine. Voleva dire 'no'.
Mi sedetti e tutti cominciarono a mangiare. Spostai leggermente la sedia all'indietro per vedere Samuel, ma tutti lo coprivano con i loro volti orrendi.
Riposai lo sguardo sul pollo e patatine, ma l'unica cosa che ci trovai fu un pezzetto di rosmarino che usava Mr Areiv per decorare il piatto. Di solito, lo stesso piatto veniva messo in cinque punti diversi del tavolo, tutto ciò perchè eravano davvero in tanti nella ''Casa dei Vampiri''. Così io andavo a cercare il cibo che volevo, ma quella sera preferii non fare la mia maratona perchè dovevo comportarmi da una vera e propria signorina.
Precisiamo una cosa: i vampiri non si nutrivano solo con il sangue, quello per noi era:
1-come un dolce
2-come il vino per gli umani
3-come una vitamina
4-non lo so.
Quindi mangiavamo di più il cibo umano, modificando, ovviamente le ricette. Così presi un piatto di ''Aìma'', che era un cibo vampiresco. Era una specie di grigliata sulla quale si metteva il sugo di pomodori e anche il sangue.
Non avevo mai visto mangiare Samuel con appetito, sembrava sempre giù, ma forse era così che riusciva ad avere quel fisico perfetto. Sicuramente più spesso vedevo il mio capo con un bicchiere di sangue piuttosto che con la forchetta che teneva un pezzo di carne.
Quando si finiva di mangiare, i vampiri andavano da Samuel a baciargli la mano, era un gesto di grande rispetto, ma io non lo facevo mai. Non sapevo chi avesse inventato delle regole così stupide, ma ero sicura che questo qualcuno non era il capo perchè odiava il contatto fisico con le persone che conosceva poco. E noi eravamo in così tanti che non poteva di certo conoscerci tutti.
L'idea anche mi piaceva, ma dopo aver mangiato facevo troppo fatica a chinarmi quindi me ne andavo in santa pace e Samuel non avrebbe potuto rimproverarmi perchè mi sarei inventata la scusa di questo tipo: ''Preferiresti che ti vomitassi addosso? Non si può inchinarsi dopo aver mangiato''.
Ma odiavo quando delle stronzette andavano a baciargli le mani, perchè era solo un'altra scusa per attirare la sua attenzione. Un giorno avevo perfino lanciato un pomodoro ad una bionda che osò rivolgergli anche la parola.
Visto che dovevo comportarmi bene mi alzai e andai verso di lui, con un passo che assomigliava ad un angelo che vola.
Teneva una mano sul tavolo, mentre con l'altra reggeva la testa, perso nei suoi pensieri.
Perchè non era la mia quella mano così che avrei potuto sfiorargli la guancia?!
Presi l'altra mano fra le mie e gliela baciai sfiorando a malappena le dita con le labbra.
Poi alzai lo sguardo ed incontrai il suo, che era un misto tra sorpresa e quasi spavvento.
Gli sorrisi e mi alzai dirigendomi verso l'uscita, ma prima diedi un'ultima occhiata alla sala e a Samuel che mi aveva seguito con gli occhi ancora stupiti.
Uscii e salii i primi gradini della Scala che portava alle camere. Sui tavolini della Grande Sala c'erano i vasi con le rose nere, chiamate a Vrykolakas ''Màuro Louloùdi'' e si potevano coltivare solo lì perchè c'era poco sole e questi fiori crescevano di notte. Non sapevo come visto che i fiori normali fanno la fotosintesi grazie al sole. Ci avevo pensato tante volte, ma ero arrivata alla conclusione che era tutto grazie alla magia.
Sentii all'improvviso la porta aprirsi, ma non ci feci caso perchè pensavo che stesse uscendo o entrando una persona qualunque. Il rumore dei passi estranei si avvicinava ancora di più così mi voltai e per poco non caddi giù dalle scale. Però delle braccia calde riuscirono a prendermi al volo. Sentivo i brividi sulla schiena perchè riuscii a riconoscere quel tocco. Samuel.
-Attenta -disse ad aiutò a rimettermi in piedi.
-Grazie.
-Hai un momento -mi chiese sussurando.
''Oddio, la teoria di Scott stava funzionando!''
-Certo, mio signore.
-Riguardo al discorso di prima. Non mi fraintendere, mi fido di te. Ma non è te che volevo per questa cosa. Sei ancora troppo giovane...ed è pericoloso, capisci?
-Ma nessuno si era offerto...
-Non importa, l'avevo chiesto solo perchè speravo di fare un salto a Lycanthrope per vedere com'era la situazione lì. Ma mi sa che dovrò andare prima nel Regno Umano...
-Non posso venire con lei? Con lei sono al sicuro, no?
-Elsa, si può sapere che hai oggi? -cambiò l'argomento d'un tratto.
-Cos'ho? Non le piacciono i miei vestiti?
-No! -mi guardò dalla testa ai piedi soffermandosi sulle gambe nude. Forse la gonna era troppo corta.
-Ho i capelli messi male, allora? -dissi avvicinandomi.
''Oddio, sto veramente flirtando?!''
-Ma, Elsa, sei così strana! Hai le tue robe? -urlò diventando più rosso del sangue.
Ma io non ero stupida (o forse non fino a questo punto), mi diceva quelle porcate solo per farmi arrabbiare e allontanarmi, di conseguenza mandare all'aria il mio piano, perciò reagii con calma.
-Sa, Samuel, questa cosa non dovrebbe interessarla. E se davvero vuole capire le donne, si deve sforzare un pò di più, capisce?
-No, non sto capendo più niente...-disse passandosi una mano fra i capelli.
In quel momento la porta si aprì di nuovo e davanti a noi passò Scott e il suo amico. Mi rivolse un perfido sorriso che intendeva ''Hai visto che ti avevo detto?'' e mi fece l'occhiolino.
Così avrei dovuto risolvere anche il problema con lui.
Perchè non avevo mai baciato nessuno.
E il mio primo bacio non doveva essere con uno che non amavo.
Cioè con nessuno tranne Samuel.
-Allora quando partiamo? -ricominciai a parlare con il mio capo cercando di scacciar via dalla mente il sorriso perfido di Scott che prometteva poco di buono.
-Tra dodici ore.
-Sarò pronta anche prima.
-Lo spero.
-Non si fida di me?
-Mi fido, mi fido...
-Buonanotte, allora...-sussurai e corsii sù nella mia camera.
''Punto debole di Samuel: individuato! L'obbedienza!
Un punto per Elsa e... ehm, un miliardo per Samuel...''


 
Cari lettori.
Solo pochi hanno risposto alla mia domanda che avevo messo nel capitolo precedente.
Cercate di capirmi, ho bisogno di vostri consigli.
Io scrivo per voi, non sono il tipo che prende il computer e si mette a scrivere per se stessa, quindi vedendo anche una piccola recensione mi senti importante almeno per voi che leggete quel che scrivo.
Vi prego di non ignorarmi, perchè in alcuni momenti ho perfino pensato di smettere di scrivere ed eliminare la storia.
Se la storia vi piace e ritenete che prosegue bene, scrivetemi due parole. Mi farete felice.

Myrtus

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Capitolo 9
*** Capitolo IX - La mia casa. ***


Capitolo IX: la mia casa

La mattina seguente mi svegliai alle sei.
Quel giorno sarei dovuta andare con Samuel a spiare gli umani.
Solo io e lui.
E gli umani.
E forse i licantropi.
Avrei dovuto fermarmi a ''io e lui''.
Ero ancora distesa nel letto e mi godevo gli ultimi istanti di pace, tranquillità e riposo. Poi, decisi di alzarmi e prepararmi. Prima di tutto andai a farmi una doccia: tolsi i miei straccetti da notte e aprii il rubinetto del box-doccia. Sentii le goccioline gelide cadere, sulla mia pelle candida e ancora calda dopo il letto, e scendere lungo tutto il mio corpo. Mi sentivo fresca e rilassata, la mia mente era praticamente vuota, libera.
Rimasi così per una ventina di minuti, ma poi mi accorsi che stavo perdendo solo tempo. Cominciai a lavarmi i miei lunghi capelli castani.
''Forse è il caso di tagliarli'' -pensai.
Sin da bambina adoravo i miei capelli. Forse perchè piacevano a Samuel.

Era il mio sesto compleanno.
Mi svegliai presto, fuori faceva ancora buio. Sentii dei brividi, faceva freddo.
Mi alzai dal letto ed andai alla finestra. Stava nevicando. A me piaceva la neve.
Guardai il mio albero di Natale che avevo decorato assieme a Samuel. I vampiri non festeggiavano il Natale, ma visto che il mio compleanno era proprio il venticinque dicembre, Samuel mi promise due regali.
Tornai a letto e presi dei cioccolatini che avevo nascosto sotto il cuscino. Li avevo rubati a Mr Areiv: mi ero introdotta nella sua cucina e li avevo visti in un vasetto. Quando, però, Mr Areiv se n'era accorto mi cacciò via sventolando l'asciugamano che teneva sempre sulla spalla (non avevo mai capito perchè) e aveva urlato che si sarebbe lamentato con il capo. Ma io non avevo paura di lui, Samuel aveva detto che mi voleva bene.
Anche mamma e papà mi volevano bene. Eppure erano scappati da me. Una bambina-vampiro mi aveva detto che l'avevano fatto perchè ero un mostro.
Sentii qualcuno bussare alla porta. Riempii la bocca di cioccolata e buttai le cartucce sotto il letto.
Entrò Samuel con un sorrisone. Mi piaceva il suo sorriso.
Aveva una scatola tra le mani. La posò davanti a me e mi diede un bacio sulla fronte e mi augurò ''buon compleanno''.
-Aprilo -mi disse. Gli avevo chiesto di regalarmi un gatto, ma lui mi fece una domanda strana: ''Ci terresti di più al gatto o a me?''. Io gli avevo risposto: ''A te'', e lui: ''Allora nessun gatto''.
Aprii la scatola e tirai fuori una grande bambola. Era bellissima. Ne avevo vista una simile in Tv e l'aveva una bambina ricca. L'avevo chiesta alla mamma come regalo, ma lei mi aveva detto che era troppo cara.
Aveva i capelli biondi in boccoli e sopra la testa un cappello con fiori, gli occhi grandi e verdi con tante ciglia e indossava un abito lungo, verde come i suoi occhi pure quello.
-Ti piace? -mi chiese Samuel.
Lo abbracciai forte forte e gli urlai ''grazie''.
Adoravo già quella bambola. Nessuna ne aveva una come la mia. La mia era la più bella.
-C'è un'altra sorpresa per te -disse.
-Quale?
-E' una sorpresa.
-Ma io voglio sapere!
-Tra poco. Sù, stai ancora indossando il pijama, mettiti un bel vestito.
-Mi tagli i capelli? A me non piacciono e non so legarli. Mia mamma mi faceva sempre le trecce. Ma io non so farle.
-Ma sono così belli -Samuel prese una ciocca dei miei capelli. -Comunque, forse posso farti una treccia.
Mi pettinò i capelli e mi chiese di passargli un elastico e cominciò a fare una treccia. Le sue mani prendevano le ciocche proprio come quelle della mamma.
-Dove hai imparato a farle?
All'inizio Samuel non rispose. Dopo un pò disse:
-Non ha più importanza.


Uscii dalla doccia e mi asciugai.
Andai verso l'armadio deprimendomi perchè non sapevo cosa indossare. Lo aprii:
-Questo no, questo neanche... -commentavo lanciando i vestiti da tutte le parti della stanza.
Dopo aver buttato fuori tutto l'armadio, mi sedetti per terra ancor più depressa di prima. Sembrava che avessi così tanti vestiti, eppure non sapevo cosa mettermi.
Alla fine scegli un paio di jeans e una canottiera nera. Tutto qui, semplice e comodo.
Presi la mia scatoletta dei trucchi che un tempo era delle mie scarpe e tirai fuori il mascara e una mattita nera. Qualche gesto ed ero pronta.
Salutai la mia camera e uscii. Mentre chiudevo a chiave la stanza spinsi qualcuno. Come al solito.
Ma non era Samuel, questa volta.
Era...Agatha?
Agatha era un vampiro purosangue dai capelli neri che le scendevano lungo la schiena in boccoli e gli occhi verdi che brillavano sempre quando vedeva Samuel.
Si comportava sempre come se fosse la sua fidanzatina, peccato che Samuel però la odiasse.
Indossava una canottiera non scollata, ma scollatissima che mi venne il dubbio a cosa le servisse, era come uscire nuda. Aveva addosso anche una mini-mini-gonna.
Stavo così bene prima di uscire dalla mia stanza e vedere certa gente che rovinava la nostra razza dei vampiri. Perfino Mr Areiv sembrava meglio di quella.
-Ma cosa mi guardi? Sono così bella, vuoi una mia foto? -le chiesi incavolata. Mi stava consumando con quei suoi occhietti da serpente.
-Senti, sarò veloce a dirtelo: stai lontana da Samuel... -disse con quella sua voce da oca.
-Ahahahahahah -scoppiai a ridere. No, davvero faceva ridere. Avrei dovuto piangere per la sua stupidità che raggiungeva veramente il livello critico -Cosa hai detto? No, non cercare la via per andartene, perchè non riuscirai a scapare. Ora mi ripeti cosa è uscito da quella bocca orrenda che hai.
-Non mi parlare così! -strillò battendo i piedi per terra. Quanti anni aveva? Due?
-Attenta che con quei piedi disgraziati stai rovinando il tapeto.
-Non mi interessa!
-Ah no? Credo che ora ti interesserà!
-Non mi comandare, gallina senza cervello!
-Chiudi quel forno o userò la tua testa come palla da bowling.
-Ma chi ti credi di essere?
-O mamma mia -dissi mettendomi le mani in testa -stai zitta, ti prego, che la tua voce fa male alle mie orecchie.
-Ah ah, che spiritosa.
Non la sopportavo più. La presi per il collo e la appesi per la canottiera su un chiodo (un tempo c'era un quadro, ma si era rotto quando stavo scappando l'ennesima volta da Mr Areiv).
-Toglimi!! -urlava come una gallina strozzata.
''Potrei nominare tutti gli animali dello zoo, tanto ciascuno le si addice'' -pensai soddisfatta.
-Chiudi la bocca -le dissi.
Agatha si strappò la canottiera cadendo a terra e all'improvviso si lanciò verso di me tirandomi i capelli.
Era tutto quello che sapeva fare.
Povera principiante.
Stavo per scaravventarla contro il muro opposto, quando d'un tratto qualcuno la staccò da me ringhiando.
Mi bruciava il piede: mi abbassai per guardare. Quella gallina era riuscita a graffiarmi con i suoi artigli. Mi sedetti per terra e coprii con la mano il graffio che sanguinava tantissimo.
''Sangue...'' -era il mio unico pensiero.
-Provaci ancora, Agatha, e ti cacciò via di qui! Quando torno parlerò con i tuoi genitori e vedi di non farti più vedere.
Riconobbi la voce di Samuel. Alzai gli occhi, mi guardava in modo dolce e preoccupante allo stesso tempo.
-Va tutto bene?
-Sì, mio signore -risposi tornando ad essere la brava signorina.
-Elsa, basta ti prego. Torna ad essere te stessa!
-Ma era lei che mi aveva detto di essere più obbediente.
-Allora ritiro tutto quello che ho detto!
-Ne è sicuro, capo? Potrei essere peggio di prima...
-Va bene! Non m'importa!
-Okay! Allora, hai visto, gallina, cosa succede quando mi fai innervosire?! -urlai contro Agatha che non mi stava neanche ascoltando.
-Non cambierai mai... -commentò Samuel.
-Mi hai detto tu di essere me stessa. Eccomi!
Chiuse gli occhi e sospirò esasperato.
-Visto che sei già pronta possiamo andare?
-Uh... va bene...
-Hai paura?
-No!
-E allora sù, andiamo.
Mi invitò a camminare verso l'uscita. Per tutto il tempo non mi disse neanche una parola. Uscimmo ed andammo verso i Cancelli Oscuri.
Come sempre, mi sentivo inghiottita dalle ombre nere. Ogni parte del mio corpo si divideva e veniva trasportata, come una foglia dal vento. In un batter d'occhio ci trovammo davanti ai Cancelli di Anthropini.
Mi sembrava così cambiata.
Era la prima volta in tutti quegli anni che rivedevo la mia patria, il mio mondo. Era tutto diverso: case, persone, perfino l'aria mi sembrava differente.
Era buio, il cielo era pieno di stelle. Quando da noi era giorno, ad Anthropini era notte.
Barcollai leggermente all'indietro, ma Samuel mi prese per mano.
La sua mano.
Che toccava la mia.
Diventai più rossa di un pomodoro, ma così tanto da bruciami le guance.
-Tutto bene? -mi si avvicinò preoccupato.
-Sì... è solo che... è tutto così... familiare... anche se sono cambiate così tante cose...
-Già, sei stata qui l'ultma volta dodici anni fa.
-Ma non importa! -sorrisi, non dovevo pensarci -Sam, ora dobbiamo svolgere questa nostra ''missione'', ma non ho capito neanche cosa dobbiamo fare...
-Sam? -ripetè inarcando un sopracciglio.
Oddio, come avevo potuto chiamarlo in quel modo?
-Ehm...sì, no...
-Nessuno mi chiamava così...
-Scusa...
-...tranne una persona...
-Non lo dirò più.
-...ma tu puoi. -concluse sorridendo- Ora ti spiego cosa dobbiamo fare. I Cancelli degli umani si trovano nel loro parallelo 0, ovvero Greenwich, Regno Unito.
''Non so niente della geografia anthropiniana. Anche se l'abbiamo studiata...'' -pensai.
-La base, però, cioè il posto dove ci sono le riunioni, dove sono tenuti i documenti più importanti o cose del genere, è in Germania, a Berlino.
-E' lontano?
Samuel mi guardò male. Aveva capito che non ne sapevo niente, dove si trovava Regno Unito o la Germania.
-Sì. Anche per noi è lontano -rispose.
-E come facciamo? Non possiamo mica salire su un treno!
-Ci ho già pensato. Potremo usare il teletrasporto, ma ci impiegherò molta energia, visto che siamo in due.
-Fa male?
-Elsa, dai, non fare la bambina.
-Cosa vuoi dire con questo?
-No, non fa male, contenta?
-Sì, no. Forse.
-Elsa! -la sua voce aumentò ancora di più.
-Sì?
-Sì un bel niente!
-Calmati, mamma mia.
-Basta, mi devo concentrare. E anche tu.
-Oh, una farfalla... -dissi guardando una farfalla notturna che volava sopra la testa di Samuel.
-Giuro che sto perdendo la pazienza.
-Ah sì?
-Dio, aiutami! Ma perchè mi devo sempre pentire?! -pregò esasperato come al solito.
-E poi dici che mi distraggo facilmente, guardati, ti sei messo a pregare.
-Ma parli tu che ti distrai per una farfalla?!
-Non ne ho viste da dodici anni.
-Scusa, Elsa, ma non siamo venuti qua per scoprire il pianeta Terra.
-Ma le nostre conoscenze aumentano.
-Le tue conoscenze dovrebbero aumentare a scuola, non adesso. Ora basta. Concentrati e pensa a Berlino.
-Non so com'è fatta Berlino.
-Un giorno Mr Areiv ha preparato i Wurstel, pensa a quelli.
-Ma così mi viene fame.
-Elsa, è un cibo tedesco. Devi concentrarti su qualcosa di tipico del paese, sennò ti perdi a metà strada e farò fatica a trovarti.
Pensai a ciò che mi aveva detto.
''Ho fame'' -fu il mio ultimo pensiero.


 
Allora, ciao!
Scusatemi se non ho scritto da tanto tempo. Non potrò più pubblicare i capitoli tutti i giorni, per la scuola, sapete, no?
Comunque, ringrazio davvero tanto le persone che si sono sforzate di scrivermi una recensione, mi hanno resa davvero contenta. Per quelli che mi hanno ignorata, beh, mi dispiace che vi comportiate così con me, era l'unica volta che avevo fatto una domanda.
Se avete delle storie vostre e volete che le legga, scrivetemi, sarò contenta di aiutarvi.
Cercherò di aggiornare al più presto.

Myrtus.

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Capitolo 10
*** Capitolo X - Promesso? ***


Capitolo X: promesso?

Mi svegliai all'improvviso.
Mi batteva forte il cuore, senza motivo. Mi sentivo allarmata.
Guardai la mia bambola che tenevo sul comodino, era quella che Samuel mi aveva regalato per uno dei miei compleanni. Da quel momento era passato un anno.
Sentivo una melodia triste, qualcosa di malinconico. Non mi piaceva. Odiavo la tristezza.
Mi alzai dal letto e uscii fuori dalla stanza. Non sembrava un'allucinazione, quella musica sembrava reale.
E lo era, infatti.
Quando ero uscita dalla camera si sentiva ancora meglio, sembrava provenisse dalla Grande Sala. Forse qualcuno stava suonando il pianoforte.
Ma non era il suono di un pianoforte, era qualcos'altro.
Scesi, cercando di non fare rumore.
La musica era ancora più forte.
Mi diressi verso la Grande Sala, la porta era quasi chiusa. Quasi.
Riuscivo a sentire benissimo la melodia, era un violino. Avevo visto un'orchestra piena di violini e li avevo sentiti suonare, perciò ero sicura fosse quello.
Sbirciai dentro.
Samuel era in piedi, in una mano teneva il violino, nell'altra spostava dolcemente l'archetto. Ma sembrava che lo facesse con così tanta rabbia.
La sua espressione di viso era ''incomprensibile'', che vuol dire ''non capibile'', così mi aveva spiegato Mr Areiv.
Continuava a suonare, non si era accorto di me.
Io lo guardavo in silenzio, non volevo disturbarlo. A me piaceva la musica. Decisi, quindi, di tornare nella mia camera, visto che avevo finito la mia missione (ovvero quella di controllare se non c'era nessun pericolo o se non fossi diventata pazza).
Ma mentre mi voltai per salire le scale, sentii qualcosa sbattere per terra.
Urlai, mi ero spaventata.
Quando mi girai per vedere cosa fosse successo, vidi il violino spaccato, completamente distrutto, per terra e Samuel che mi guardava.
Un giorno avevo visto un cagnolino che era stato abbandonato e, probabilmente, non mangiava da giorni. Aveva lo sguardo strano, come se volesse chiedere qualcosa, ma non sapeva come dire. Anche perchè i cani non parlano.
Beh, Samuel aveva lo stesso sguardo in quel momento.
Mi avvicinai piano, avevo capito che c'era qualcosa di strano in lui.
All'improvviso mi prese in braccio stringendomi forte.
Sentii solo che mi sussurrava all'orecchio: Elisaveta.


Aprii gli occhi, mi girava la testa.
All'inizio mi era sembrato di essere nella cucina di Mr Areiv e vederlo cucinare i wurstel, poi nella Grande Sala e alla fine tra le braccia di Samuel.
Sospirò, sembrava solevato. Ma nello stesso momento riuscì a guardarmi male.
Avevo combinato qualcosa, ma non mi ricordavo niente.
Sorrisi cercando di alzarmi, ma Samuel continuava a tenermi il broncio.
Elisaveta.
Cos'era quel nome?
Mi sembrò di averlo già sentito.
Ma dove?
Quando?
Perchè?
Non riuscendo a rispondere a tutte quelle domande, lasciai perdere. Probabilmente era solo frutto della mia fantasia.
-Sei impossibile -parlò alla fine.
-Non mi ricordo niente...e mi gira la testa...
-Ci credo, spostarsi da un posto all'altro continuamente.
-Come? -non capivo.
-Niente, non ne voglio parlare perchè rischierei di perdere il controllo. Ma ti avviso, la ramanziona te la farò lo stesso, però non ora. Abbiamo da fare qui.
Si alzò con fatica, mi sembrò stanco, non l'avevo mai visto così.
-Cos'è successo? -chiesi.
-Niente, Elsa, ti ho detto di concentrarti, ma tu ovviamente non mi ascolti. Sei finita di nuovo a Vrykolakas, nella cucina di Mr Areiv che ha cominciato ad urlare come matto quando ti ha visto, poi nella Grande Sala, non ho capito a fare cosa e ho dovuto fare giri pazzeschi per trovarti e riportarci qui. E sai perchè tutto questo? Perchè sei continuamente distratta, non ascolti mai neanche una parola e perciò ti sei persa per strada.
No comment.
-In che senso ''per strada''?
Sospirò di nuovo e si appoggiò ad un muretto.
-Te l'avevo già spiegato io, poi l'hai studiato anche a scuola...oh, scusa, è vero, tu non studi mai niente. Insomma, il telestrasposto funziona in questo modo: tu pensi al posto in cui devi andare, o a qualcosa di tipico del posto, se non ci sei mai stata, ma devi esseremolto concentrata. Invece tu pensi ad altro.
''E' vero...'' -pensai ammettendo di essere in colpa.
Samuel mi aveva detto che richiedeva molta energia, per questo era stanchissimo. E dovette pure girare mezzo universo per ritrovarmi.
-Mi dispiace...-sussurrai abbassando la testa.
Lui però rimase zitto.
''Ecco, per colpe delle mie stupidaggini qualcuno ci rimette''.
-Sam...ti devo chiedere una cosa.
-Dimmi.
-L'altro giorno, beh, mi sono trasformata e ho avuto il marchio dei Thunder...perchè?
-Perchè ti ho trasformata io, quindi appartieni alla mia famiglia.
''Oh sì! ''- arrossii.
-E basta?
-No, non basta. Ogni persona che viene trasformata, avrà i poteri di colui che l'ha resa così. Nel tuo caso tu sarai in grado di fare tutto quello che posso fare io. Per esempio, certi sanno dominare alcuni elementi. Io posso dominarli tutti, di conseguenza anche tu. Ma devi allenarti, ovvio.
''Oh, bene. Sono una super-vampira trasformata dal super-capo-dei-vampiri''.
-Perchè tu puoi dominare tutto?
-Perchè è nel mio DNA. Cioè, devi chiederlo ai miei genitori.
-Sono ancora vivi?
-No. Cioè sì, mio padre.
-E tua mamma?
-Non ho idea di chi sia.
All'improvviso qualcosa mi punse, lì, al cuore. Anche lui sapeva com'era essere soli? Riusciva davvero a capirmi?
No, almeno lui aveva suo padre.
Mentre io...
''Basta''.
-Ma perchè tuo padre non è nella Casa dei Vampiri?
-Ha altri compiti a Vrykolakas, ma non ne voglio parlare anche perchè dobbiamo muoverci.
-Sì.
Partimmo, di ''gran carriera'', come diceva una mia prof: Samuel sapeva dove si trovava la base, aveva detto che era fuori dalla città. Ma non ci avremmo messo troppo perchè i vampiri sono velocissimi, come un fulmine.

All'improvviso si fermò davanti a delle alte mura di mattoni. C'era un cancello di ferro, ma era troppo alto pure quello. Non potevamo saltarlo.
Pensai a come potessimo entrarci, ma mi vennero in mente solo le patatine fritte di Mr Areiv.
Alzai la testa: era buio, la luce della luna lasciava un'ombra dell'enorme edificio che avevo davanti, le stelle brillavano su quel telo nero. La notte mi piaceva. Anche le stelle. Erano così lontane, le vedevamo solo come dei puntini, come dei buchi in un lenzuolo nero. E non si spostavano mai, ed era un peccato: sarebbero rimaste per sempre sole.
Quindi non avrei mai voluto essere una stella.
Pensai di nuovo alle patatine fritte, ma cercai di scacciar via quei pensieri assurdi e guardai Samuel, che non era affatto preoccupato, perciò mi chiesi se stessimo pensando alla stessa cosa.
Avrei sposato Mr Areiv solo perchè faceva cibi perfetti o per prenderlo per i fondelli. Da piccola andavo sempre in cucina a tormentarlo, ma lui non era mai riuscito a mandarmi via decentemente. Così mi dava una gigante pizza o cioccolato ed io lo ringraziavo:
-Grazie vecchio.
-Io non sono ancora vecchio -rispondeva.
-Nooo, guarda, hai trecento anni e non sei ancora per niente vecchio.
Comunque..
Mentre pensavo a queste varie cavolate, Sam mi strinse leggermente la mano, forse per attirare la mia attenzione.
-Sì? -gli chiesi arrossendo a quel contatto.
-Ho un piano, ma non ti piacerà.
-Sentiamo -mi voltai perchè stavo bruciando. Mi teneva ancora per mano.
-C'è una guardia. Ha le chiavi. Devi attirare in qualche modo l'attenzione e far aprire il cancello. Inventati qualcosa, hai una fantasia enorme.
-No! Questo no! Voglio un pò d'azione! Non chiedere a un babeo come sta!
-Non devi chiedergli come sta.
-E cosa gli dico?
-Non penso che ti apra il cancello se gli fai una domanda del genere.
-Aspetta...cosa?! E' quello che sto pensando?!
-Beh, più o meno...digli che ti sei persa e non sai dove andare. Non ti preoccupare, qualsiasi cosa tu gli dica, ci sono io qui, Basta che lui apra il cancello, non c'è bisogno che entri.
Alzai le mani in segno di arresa e mi avvicinai al cancello. C'era un campanellino, dei tasti, probabilmente per la password e una video-camera. Suonai.
-Non distrarti. E fagli venire una crisi isterica, sei un master in questo -disse Samuel facendomi l'occhiolino. Gli tirai un sasso ma lui, ovviamente, riuscì a schivarlo e mi guardò male.
Dalla porta dell'edificio uscì un'uomo orrendo, perfino Mr Areiv mi sembrò meglio. Era grasso e basso, aveva i capelli raccolti in un codino e quando mi vide sorrise mostrando i suoi denti gialli.
Stavo per vomitare.
-Ma cosa ci fa una bella signorina tutta sola a quest'ora? -disse. Parlò in tedesco, ma stranamente riuscii a capire tutto.
Dio mio, stavo per picchiarlo attraverso le sbarre.
-Mi sono persa e non so dove andare -risposi, pure io, in tedesco. Cos'era, magia?
-Non ti preoccupare, bellezza, ci sono qua io. Vieni dentro, che ci divertiremo! -sorrise con quei denti sporchi. Odiavo quei sorrisi perversi.
Appena quello stupido aprì il cancello, in un batter d'occhio Samuel gli saltò addosso. Non guardai la scena, ma quando mi girai di nuovo, il guardiano era a terra k.o.
Sam tirò fuori dalla tasca un enorme mazzo di chiavi, chiuse il cancello lanciando il guardiano dall'altra parte dell'edificio.
Sussultai, stava per cominciare la mia vera missione. Inconsapevolmente strinsi la mano di Samuel.
-Tutto okay? -mi chiese preoccupato.
-Ho brutte sensazioni.
-Stai tranquilla, andrà tutto bene.
-Forse hai ragione...
-Elsa, devo mettere in atto la tua costituzione cambiando il tuo nome con il mio?
-Quella del ''io ho sempre ragione''? -sorrisi.
-Ne hai altre?
-Oh sì!
-Questa basta e avanza...comunque, ti spiego in breve. La base è divisa in quattro parti, proprio come il nostro mondo. Dobbiamo andare nella parte di Lycanthrope e cercare la pace, se c'è, tra i documenti. Se c'è, è sicuramente lì.
-Tu ci sei già stato?
-Una volta, durante la Prima Guerra.
Non sapevo cosa fosse quella Prima Guerra perchè non avevo mai aperto il libro di storia. No, forse due volte. Ma non parlava di certo di questi argomenti.
-E quando cominciò questa guerra?
Samuel mi guardò male.
-L'otto dicembre 1739.
-Wow, che epoca...
-Promettimi che starai attenta. -disse all'improvviso girandomi verso di lui.
Pochi centimetri ci dividevano, sentivo il suo respiro sul mio viso, i suoi occhi blu che si perdevano nei miei color cacca. Più lo guardavo, più mi rendevo conto di quanto fosse bello. Se non fossimo ad Anthropini, l'avrei baciato.
Forse.
-Promesso -balbettai.
Mi regalò uno dei suoi magnifici sorrisi e mi abbracciò.

 

Note d'autrice:
Ciao a tutti, perdonatemi se aggiorno così tardi, ma ho tantissime cose da fare.
La storia procede bene?
Ma cosa chiedo, tanto non leggete neanche.
Ho deciso di pubblicare un'altra storia, non so ancora quando, ma ho già deciso il trama e i personaggi. Parlerà di demoni. Mi seguirete?
Aspetto le vostre recensioni, ormai lo sapete che per farmi contenta bastano due parole.
A presto!

Myrtus.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI - E' possibile amare così tanto? ***


Capitolo XI: è possibile amare così tanto?

Entrammo nell'enorme edificio.
Era gigante.
Ed era vuoto.
Era strano che non ci fossero delle guardie, un posto come quello, secondo me, doveva essere protetto più del Presidente!
Ma, d'altronde, che cosa potevamo aspettarci da quei stupidi umani?
-Però anche tu eri un'umana -disse improvvisamente Samuel senza guardarmi e continuò a camminare con calma.
''Mi legge nei pensieri?! Con tutto quello che penso, è strano che non fosse ancora all'ospedale con l'arresto cardiaco!'' -pensai.
-Mi leggi nel pensiero? -urlai come matta.
-Sì. Ma solo ora, perchè eri silenziosa.
-Vergognati -dissi e camminai davanti a lui perchè non avevo voglia di stargli di fianco.

Arrivammo davanti a due grandi porte di legno (vi faccio notare il materiale, un posto così dovrebbe avere porte di metallo, almeno). Si vedeva che agli umani non fregava niente della base. Alzai lo sguardo sulla scritta su una delle due porte: Licantropi.
Guardai Sam come per chiedergli ''Entriamo?''. Lui rimase a fissarmi per un attimo, confuso. Poi, fece il cenno di ''sì'', ma molto dubbioso...
Spinsi la maniglia della porta ed entrai velocemente.
Mi bastò solo guardare da una parte della stanza all'altra per capire ch'eravamo circondati dalle guardie. Una di quelle mi puntò la pistola in testa.
Mi preparai a sentire dolore: coprii il viso con entrami le mani e feci uno degli urli simili a quelli che facevo quando vedevo Mr Areiv.
Strinsi ancora di più il viso fra le mani e...uno sparo.
Uno sparo che non arrivò a destinazione.
Aprii gli occhi e vidi la fontana di sangue attorno alla guardia stessa. Ovviamente era stato il mio capo ad averla ridotta così. Le aveva semplicemente spostato il braccio, così che aveva sparato a se stessa.
Samuel si spostò più vicino a me coprendomi. Eravamo al centro, le guardie ci stavano intorno.
-Lo sapevo che era fin troppo facile! -urlai.
-Loro sapevano dove stessimo andando. Ci hanno scoperti ancor prima che entrassimo dentro. -rispose secco.
-Aspetta, tu lo sapevi?!
-Certo che lo sapevo -rispose continuando ad attaccare gli umani.
Ci eravamo trasformati: entrambi avevamo il marchio dei Thunder.
Samuel usava il dominio di fuoco, grandi fiamme rosse inghiottivano le guardie una ad una. Combattere non mi piaceva. Era troppo crudele.
-E perchè non me l'hai detto? -chiesi urlando.
Distratta, non mi ero neanche accorta dell'umano che mi inficcò il pugnale nel polso. Alzai la mano sana e graffiai l'uomo facendolo allontanare.
Ci stavamo mettendo troppo. Appena eliminavamo le guardie, ne arrivavano sempre altre e ancora di più.
Avevo contribuito poco alla battaglia. No, quasi niente. Ma almeno rafforzavo Samuel moralmente.
Sì come no.
-Sono troppi, non possiamo continuare così, sennò finiamo le energie... -disse Sam respirando più veloce del solito.
-E cosa proponi di fare?
-Sta' a vedere.
Alzò entrambe le mani in alto. Sentii un freddo terribile, mi sentivo gelare. Era come se fossi in mezzo alla neve, la mia pelle diventò blu e stavo tremando. Mi stroffinavo le braccia nella speranza di riscaldarmi un pò, ma tutto invano.
All'improvviso tutte le guardie si gelarono: diventarono veri e propri blocchi di ghiaccio, come dei iceberg. I loro occhi erano fermi, immobili. Alcuni avevano espressioni di viso spaventate, gli altri ci guardavano con orrore.
-Fine -disse Samuel abbassando le mani e girandosi verso di me.
-Ma...restano ghiaccio? -chiesi tremando.
-No, cioè per ora sì. Ho diminuito la temperatura nella stanza. Si sono gelati, ma tra poco il ghiaccio si scioglie.
-Sono morti?
-No, Elsa, è una tecnica speciale. Non muoiono. Non uccido gli umani. Solo nel caso di necessità, insomma.
-Necessità?
-Dai, basta. Una guardia stava per ucciderti, per salvarti ho dovuto ammazzarla. Se, invece, posso farne a meno non lo faccio -rispose gesticolando irritato.
-Allora non sei così crudele... -sussurai, faceva ancora troppo freddo.
-Mi ritenevi crudele? -mi chiese prendendomi le mani fra le sue.
Erano calde. La sua pella era morbidissima, come quella dei bambini piccoli.
Non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, continuai ad osservare le mia dita che si intrecciavano alle sue.
All'improvviso mi sembrò di avere il fuoco tra le mani.
-Ti avevo già detto che hai le mie stesse capacità, devi solo svilupparle. Puoi dominare questa fiamma, ma non ti insegno come fare, ora non abbiamo tempo. Usala per riscaldarti.
Guardai la fiamma che ardeva tra le mie mani: sembrava una foglia secca che danzava in aria. Avete presente quando cadono giù lentamente dagli alberi spogli? Ecco, così era quel fuoco.
-Dai, sù, andiamo.
-Aspetta, parlamene di più! Cosa posso fare ancora?
-Non adesso, Elsa. Non vedi in che razza di situazione siamo?
-Per favore.
-Dai, dopo.
-Ti prego, ti prego -lo supplicai come facevo piccola quando gli chiedevo di regalarmi un gatto, ma lui si tappava le orecchia perchè non voleva neanche sentirne parlare.
-Basta ora. Se la smetti ti darò un bacio.
-Cosa?! -urlai.
Sicuramente il mio viso era rosso come un pomodoro, non volevo neanche immaginare la mia espressione.
Subito mi feci un casino di idee perverse.
Samuel si avvicinò ancora di più e si chinò verso di me.
-Ci sei cascata -sussurrò guardandomi in viso con il suo maledetto sorriso malefico.
Ecco cosa feci:
1. Intanto urlai come pazza:
-Stronzo!
2. Battei un piede per terra così forte da lasciare un buco, grande come la faccia di Mr Areiv, nel pavimento.
3. Urlai:
-Ma figurati voglio un tuo bacio! Preferirei baciare Mr Areiv!
(la più grande bugia del mondo)
4. La sua risposta era:
-Allora ti organizzo una serata speciale con lui.
Chiuso il discorso.
Rimasi senza commenti.
-Muoviti, Elsa, non siamo venuti qui a pensare a come baci il tuo Mr Areiv.
-Ripetilo e sei morto.
-Te lo ripeterò un'altra volta, non ora, sennò pensi troppo a lui. Adesso vai a vedere dentro quell'armadio laggiù: devi trovare il documento che è grande circa come la pagina del tuo diario e c'è scritto pace in rosso.
-Okay. Aspetta...cosa?! -un altro urlo- Hai letto il mio diario?!
-Certo. Ehm...quello che mi avevi fatto leggere tu stessa quando eri piccola -rispose spostando gli occhi di qua e di là.
Sospirai sollevata.
Quando ero una bambina, gli avevo letto il mio diario, così gli avevo dimostrato che non avevo segreti. La narrazione parlava della mia triste infanzia (da quando sono così poetica?!).
Mi calmai, per fortuna non aveva letto il mio diario attuale. Sennò si sarebbe addormentato per sempre.
Troppi sogni perversi, ehm.
-Potevi precisare subito -dissi.
-Perchè, mi nascondi qualcosa? -chiese senza troppi giri di parole.
Mi voltai dall'altra parte, verso l'armadio grigio che avrei dovuto perquisire. Non dovevo guardarlo, il mio viso mi avrebbe tradita.
-No! Certo che no! -risposi.
Ti amo.
''Ah, ma taci, quale amore!'' -mi rispondevo da sola.
Ti amo tanto.
''Sì sì, stai zitta! Zitta!''
Andai verso l'armadio, era chiuso a chiave, ma non mi ci volle tanto per aprirlo. Diedi due pugni ed il lucchetto cadde per terra, tutto spaccato. Aprii le porticine.
Era stra-pieno di carta. Presi dei fogli a caso. Lessi e rilessi i titoli, me li rigirai fra le mani, ma ancora nulla. Forse ci eravamo sbagliati. Li buttai tutti quanti per terra, alcuni li rovinavo strappandoli.
D'un tratto, in mezzo ad altre carte inutili, vidi un foglio simile alla pagina del mio diario. Lo tirai fuori, ma non era la pace.
Samuel stava cercando nell'armadio di fronte al mio, lo chiamai sussurrando il suo nome.
Si avvicinò inarcando un sopracciglio. Gli passai il foglio che tenevo fra le mani tremanti.
-Piano sull'eliminazione dei Vampiri e Maghi. Alleati: Licantropi e Umani. -lesse.
Lo guardai spaventata.
Cosa avevano intenzione di farci quei disgraziati?!
-Ah, smettila, Elsa, non aver paura di questi lupi mannari. Abbiamo sempre vinto noi, lo sai. -disse.
Ma io continuavo a tremare, i brividi mi percorrevano la schiena.
Stava per cominciare un'altra guerra. Avevo paura delle guerre. Certo, non ero coraggiosa, non lo ero mai stata. I vampiri più vecchi sapevano benissimo cos'era una guerra, mentre quello che immaginavo io erano cose terribili.
Quanti vampiri sarebbero morti?
Quante persone, umani, licantropi, maghi, qualsiasi razza, avrebbero lasciato questo mondo?
L'odio che provavamo uno per l'altro ci veniva imposto, proprio da queste guerre. Ma quanta gente innocente avrebbe voluto starsene tranquilla e in pace?
Quanti bambini e mogli avrebbero perso i loro padri e mariti?
Quanti?
Nessuno avrebbe potuto rispondermi.
Samuel mi prese il viso fra le mani, dovetti guardarlo negli occhi.
Nel giro di poche ore mi aveva toccata così tante volte. Il solo contatto della sua pelle con la mia accendeva la mia passione, tutto l'amore che provavo per lui.
Era possibile amare così tanto? -mi chiedevo, ogni tanto.
 



Note d'autrice:
Ciao! Eccovi il capitolo undici!
Grazie mille per le recensioni e messaggi che mi avete lasciato riguardante l'avviso, sono molto contenta.
Intanto, avrei un piccolo compito da darvi: non so quale nome dare al protagonista maschile della mia prossima storia. Avete idee? Recensite.
A presto!

Myrtus.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII - La neve rossa. ***


Capitolo XII: la neve rossa

Non dobbiamo perdere altro tempo. Ormai non abbiamo più bisogno di cercare la pace, si capisce che i Licantropi si sono alleati con gli Umani. Dobbiamo sparire da qui, ma...-diceva Samuel finchè non lo interruppi.
-Ma?
-Sembra troppo facile. Mi auguro che non stiano preparando l'esercito.
-Possiamo usare il teletrasporto.
-Odio ammetterlo, ma non mi basterebbero le forze...
-Ah già...per colpa mia.
-Certo.
-Secondo me, visto che gli Umani si sono alleati con i Licantropi, dovrebbero essere anche loro qui, no? -dissi mettendo un dito sulle labbra per avere un'aria intelligente, ma alla fine sembravo ancor più stupida.
-Appunto, potrebbero farci delle visitine, perciò dobbiamo stare attenti, -concluse indicandomi con lo sguardo la porta.
Uscimmo entrambi dalla stanza. Samuel controllava con gli occhi ogni angolino, mentre io mi guardavo le unghie chiedendomi quale smalto avrei dovuto mettere:
''Rosa o bianco?''
Mi piacevano i colori teneri (così li definivo io). Quelli accesi, invece, mi sembravano fin troppo appariscenti.
Alla fine arrivai a questa conclusione: è inutile mettersi lo smalto se le unghie sono tutte mangiucchiate.

Arrivammo all'angolo del corridoio. All'improvviso Samuel mi prese per la vita e mi strinse forte a sè nascondendosi dietro la parete.
''Oddio, quanto gli sono vicina...'' -pensai ricominciando a farmi le mie idee perverse.
Mi tappò la bocca e mi sussurrò piano:
-Zitta, neanche una parola...
''Cosa?!'' -la cosa più orrenda, per me, era non avere il diritto alla parola. Avrei voluto scatenare una rivoluzione, ma poi mi venne in mente un altro pensiero che avrei dovuto aggiungere alla collezione delle ''Cavolate inutili alla società di Elsa'':
''Se comincio a parlare, limiterò la libertà di Samuel'' -per questo motivo, la mia rivoluzione non avvenne mai.
Sentii delle voci strane provenire dall'altro corridoio, sembrava che si avvicinassero a noi.
-Ti avevo detto che dovevamo andare di qua! -si lamentò una voce femminile, molto familiare.
Diana.
Era lei.
Tolsi la mano di Samuel dalla bocca e mi voltai verso di lui.
Stava per dire qualcosa, ma io gli posai un dito sulle labbra meravigliandomi stessa del gesto che avevo fatto:
-Sono i Maghi! Diana! -dissi piano.
-Cosa?! Maghi?! -ripetè Samuel con un tono di voce altissimo. Aveva quasi urlato.
''Sì, quello che diceva di stare zitti'' -pensai guardandolo male.
Gli feci il cenno di sì e ascoltai Diana che parlava in fretta al suo compagno. Non avevo capito niente.
''Spero che con lei non ci sia anche quella stupida...il capo dei Maghi...la befana rossa...uf, che rabbia!'' -pregai nei miei pensieri e stringendo le mani.
-Shh, ho sentito qualcuno gridare... -disse un'altra voce maschile.
Riconobbi anche quella voce: era Alex, l'amante di Diana...oh, che romantico!
''Aspetta, quindi la befana rossa non c'è! Evvai! Un altro punto per Elsa!'' -feci due saltelli al posto, contentissima.
-Sta parlando di te -dissi a Samuel con sguardo come per dire: tutta colpa tua.
-Ehm... -si vergognò mettendosi la mano fra i capelli.
Oh, i suoi capelli...
Perchè non ero io la sua mano?
I due maghi si avvicinavano lentamente al punto in cui eravamo nascosti io e il mio capo e quando ci videro...oh, beh...
Diana saltò in braccio ad Alex...urlando.
Ero senza commenti.
Tutti che urlavano.
La maga aveva urlato così tanto che sentimmo l'alarme di sicurezza accendersi.
-Ma sei fuori di testa?! -urlai stavvolta io.
-Ah, siete voi! I vampiri! -disse Diana sollevata.
-E ma dai? No, guarda, sono una cimice!
-Non ho paura di cimici.
-Chi te l'ha chiesto -affermai voltandomi dall'altra parte ed incrociai le braccia.
-Elsa, muoviti! -urlò Sam e mi prese per la mano trascinandomi via -Anche voi! Veloci! Ora arrivano le guardie!
-Sì...dai, Alex, mollami adesso, come ti permetti di prendermi in braccio -strillò Diana.
-Ma io...
-Stupido, mollami!! -continuò lei buttandosi per terra.
Che figura di...preferisco non dire.
Si alzò velocemente e prese per la maglia Alex trascinandolo come un povero cagnolino.
Correvano dietro di noi, finchè Samuel non si fermò.
Non riuscivo neanche a vedere dove stessimo andando, stavamo correndo troppo veloce.
-Oh, cazzo...-sussurrò Samuel.
-Che parole...-cominciai a dire, ma poi guardai dritto davanti a me: i Licantropi.
Erano animali, vere e proprie bestie quando si trasformavano. Non pensavano, non provavano alcun tipo di sentimento. Il loro unico scopo era eliminare i nemici.
Cioè noi.
Era la prima volta che combattevo contro i licantropi. Mi facevano paura, il loro aspetto era orribile: avevano la pelle nera come la notte, occhi gialli, denti aguzzi; gli artigli erano molto più lunghi e più taglienti dei nostri; avevano la parte superiore e quella inferiore del corpo perfettamente identiche dal punto di vista della lunghezza, perciò era facile per loro correre su quattro zampe.
Mi strinsi a Samuel.

Neve.
Non è più bianca.
Non è la neve pura che cade dal cielo.
Non è più fredda.
E' calda.
Ed è rossa.
Rossa come il sangue.
No. Quello era il sangue.
-Elisaveta!


Mi girava la testa, misi le mani fra i capelli: cos'erano quei pensieri?
Non riuscivo a vedere nulla, tutto si mischiava.
Chi è Elisaveta?
-Elsa! -mi strinse Samuel più forte.
Ma mi faceva male tutto, ogni osso, ogni muscolo e la testa sembra sul punto di scoppiare.
Diana si avvicinò a me e mi allontanò dal mio capo dicendogli qualcosa ma non riuscii a sentire.
I licantropi erano attorno a noi, eravamo circondati.
Appena alzai lo sguardo, mi accorsi che un lupo stava per saltarmi addosso.
Non ebbi tempo di muovere neanche un dito, rimasi ferma ad assaporare la mia morte.
Morte.
E mi sembrava di esser morta davvero.
Mi sembrava di essere nel mezzo di quella neve sporcata di sangue.
Mi sembrava di riconoscere quella voce che urlava.
Mi sembrava di riconoscere quel dolore.
Chiusi gli occhi.
Rumore dei denti che penetrano dentro la pelle.
Delle gocce di sangue schizzarono sulle mie labbra, sentivo il loro gusto metallico.
Ma non era sangue mio.
Aprii gli occhi, vedevo tutto buio. Solo oscurità.
Pian piano, però, le immagini diventavano sempre meno sfoccate.
Sentii le lacrime scendermi lungo le guance.
Non mi avevano colpita, però provavo dolore.
Di nuovo quel dolore.
Samuel era poggiato con una gamba per terra, mentre con l'altra cercava inutilmente di alzarsi. Un fiume di sangue macchiava la sua maglia bianca. La carne cercava di rimarginarsi, ma la ferita era troppo grande.
Il licantropo l'aveva graffiato sul petto.
Avevo sentito che in questo secolo avevano inventato degli artigli artificiali che potevano anche avvelenare.
I brividi mi percorrevano la schiena, posai una mano sulla bocca cercando di calmarmi, smettere di singhiozzare. Non sapevo cosa fare.
I guai succedevano sempre a Samuel, mi aveva protetta tantissime volte. Ed io ero così debole, non riuscivo neanche a non distrarmi.
''Ma perchè sono venuta?!'' -mi rimproveravo asciugandomi le lacrime.
-Elsa...Elsa, non dormire...-mi disse facendo pausa dopo ogni parola.
Dovevo aiutarlo, non potevo rimanere lì, mano in mano.
La mia missione era quella di non far cadere neanche un capello dalla testa di Sam.
Corsii da lui, coprendolo con il mio corpo.
Ma cosa potevo fare io, un'incapace?
Mi guardai intorno: tutta la folla dei lupi mannari era concentrata su Alex e Diana, visto che Samuel era fuori gioco.
Dovevo aiutarli.

 


Note d'autrice:
Ehi, buonasera, eccomi qui, finalmente con il dodicesimo capitolo!
Scusate se è un pò corto, ho avuto da fare ultimamente e poi volevo anche finire il primo capitolo della storia sui demoni.
No no, tranquilli, il titolo non sarà ''La storia dei demoni''. Sarà, invece, ''Raccoglitrice di anime''.
Più avanti, ovviamente, capirete anche il perchè.
Se riesco, pubblico oggi il capitolo uno, sennò domani.
Spero che continuerete lo stesso a seguira questa storia. Chi sarà la misteriosa Elisaveta? Avete idee? Vediamo!
A presto!

Myrtus.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII - L'oceano di Elsa. ***


Capitolo XIII- l'oceano di Elsa

La giovane donna stava camminando lentamente, attenta al lunghissimo abito di colore lilla.
Le foglie secche cadevano per terra, sembrava che danzassero in aria. Gli alberi erano nudi, spogli. Il cielo era limpido, non c'era neanche una nuvoletta. Era autunno. Alla ragazza non piaceva: le sembrava che
 tutto morisse.
Quella stagione, di solito, le ricordava la tristezza, ma quel autunno era il periodo più felice della sua vita.
Sotto un albero c'era una panchina di legno. La ragazza si sedette guardando il suo accompagnatore il quale le sorrise.
-Mi piace la primavera -disse lei- Tutto rinasce. Ogni pianta, ogni foglia su ogni albero, ogni fiore. E a voi?
-Avete ragione. -sorrise l'uomo.
-Adoro i fiori, vorrei fare giardinaggio perchè vorrei essere io a curare le mie piante, a farle crescere. Ma mia madre dice che è il compito dei nostri servi.
-Io ho il giardino tutto mio, penso che vi piacerà.
-Vorrei tanto vederlo.
Il giovane si accomodò accanto alla ragazza prendendole una mano baciandola. Lei tremò, sentiva i brividi.
Ormai erano tanti mesi che si conoscevano, uscivano di nascosto, parlavano di tutto e di più. Era abituata a sentire le labbra di lui sulle sue mani, ma ogni volta sentiva sensazioni nuove, come se fosse sempre per la prima volta.
Il ragazzo la guardò negli occhi regalandole un sorriso, un raggio di luce.
-I vostri occhi mi ricordano l'oceano. L'oceano di Elisaveta -le disse.
-L'oceano? Ma i miei occhi sono marroni!
-Oh, Lisa, l'oceano non si misura in base al colore, ma in base alla profondità del cuore.



Mi girava di nuovo la testa.
Quei ricordi, cos'erano?
Perchè quelle voci mi sembravano così tanto familiari?
Non riuscivo a vedere i volti delle due persone, ma mi sembrava di conoscerle.
Strinsi la testa fra le mani. Dovevo proteggere Samuel.
Lui si era alzato, deciso a combattere lo stesso, ma sapevamo entrambi che la sua situazione era critica, grave. La ferita era grande e non si rimarginava, i suoi vestiti erano zuppi di sangue l'dore del quale, però, non mi distraeva. Gli avevo detto di sedersi, che ci avrei pensato io, ma lui mi guardò male, con il suo tipico sguardo ''Ma-che-cavolo-stai-dicendo?'', ma non ci avevo badato, ignorandolo.
I licantropi erano concentrati sui due maghi. Se la cavavano abbastanza bene, ma forse avrei potuto, in qualche modo, migliorare la situazione.
Misi le dita in bocca per fare un fischio, ma alla fine ne uscì fuori un suono strano simile a quelli che fanno le galline.
Si voltarono tutti verso di me.
-Ci sono anch'io -dissi.

Alcuni lupi continuarono ad attaccare Alex e Diana, gli altri si avvicinarono a me. Strinsi forte i pugni, sentivo l'energia scorrere tra le vene. Potevo farcela, dopotutto ero considerata una Thunder. E poi, anche Sam mi aveva detto che avevo le sue stesse capacità solo che dovevo svilupparle. Ora ne avevo l'occasione.
I lupi mannari cominciarono a saltare su di me, ma riuscivo a schivarli, erano lenti. Ma non potevo fuggire per sempre, prima o poi avrei finito l'energia. Un licantropo tentò di avvicinarsi a Samuel che gli ringhiò guardandolo con i suoi occhi rossi. Faceva paura perfino a me.
Mi voltai di colpo. Il lupo ch'era davanti a me diventò cenere. Una fiamma enorme l'aveva inghiottito. C'era una puzza incredibile di fumo, infatti una nuvoletta grigia era ancora in aria.
Chi era? Samuel? No, non avrebbe potuto, era troppo stanco. I maghi? No, erano ancora occupati a combattere dall'altra parte della stanza e qui non avevano neanche guardato.
Chi?
-Chi? -sussurrai facendo la domanda a me stessa.
-Tu -rispose Sam, pallido, bianco come il latte.
-Io? E come ho fatto? -chiesi stupita.
-Elsa, stai attenta, non ora... -mi rispose, faceva fatica persino a parlare. Lo guardai con dolcezza non tormentandolo più con le mie stupide domande.
Solo che quella non era una stupida domanda.
Dovevo sapere come avevo fatto, così avrei potuto usare quella tecnica per combattere, visto che le altre non conoscevo. Era grazie ad un pensiero, un'emozione, un gesto? Cosa?
Avevo tantissimi licantropi su cui fare esperimenti, perciò mi voltai, come prima, e il lupo accanto a me prese fuoco.
Era lo sguardo, lo sguardo incendiato. Avevo capito come si faceva.

Diana se la cavava alla grande con i suoi poteri magici: riusciva a spostare gli oggetti con solo pensiero, per esempio. Infatti, spostò un licantropo facendolo cadere per terra, così forte da fare un buco nel pavimento. Riusciva a proteggere sia se stessa, sia Alex. Lui, invece, combatteva con la spada tradizionale dei maghi: era solo un lungo bastone di metallo con la punta d'argento, fatta apposta per daneggiare le cellule dei lupi.
Alex era cambiato dall'ultima volta, sia fisicamente, sia nella tattica. Aveva i capelli castani più lunghi, la frangia tagliata male spesso gli ricadeva sugli occhi che ora sembravano smeraldo, Il suo sguardo era sicuro, non come di quel ragazzino incerto che avevo incontrato a Magùs.
Ovviamente non era nulla in confronto al mio capo.

Lo difendevo con tutta me stessa allontanando chiunque. Se non pensavo al poco di energia che mi rimaneva, mi sembrava di averne ancora all'infinito.
I licantropi, ormai, erano rimasti in pochi e, comunque, erano sfiniti pure loro. Così, pensai di aver contribuito abbastanza ed andai verso Samuel che stava sempre peggio e peggio.
-Non migliora? -mi chinai su di lui.
Non rispose, sorrise solo. Non avrebbe mai e poi mai detto che stava male, anche se stesse sul punto di morire, troppo orgoglioso.
Riuscii a farlo alzare in piedi mettendo il suo braccio sulle mie spalle e tenendolo per la vita, non era poi così pesante. Avevo intenzione di spostarmi un pò da lì, così avrei potuto medicarlo un pò, ma non in quel caos.
Ci spostammo in un angolo del corridoio e appoggiai Samuel alla parete.
Il sangue dei vampiri era anche un antidoto: si poteva mettere sulla ferita un pò del liquido rosso che amavamo tanto, e aiutava a rimarginarsi, ma non per i tagli gravi come quelli di Samuel. Dubitavo fortemente.
Comunque, mi graffiai il braccio e feci scorrere il sangue sulla ferita di Sam, sperando che aiutasse almeno un pochino.
Con l'altra mano gli accarezzai la guancia fredda e pallida, il contatto con la sua pelle mi procurava brividi.
-Grazie... -sussurrò accennando un sorriso.
Ma come può dirti ancora grazie? E' solo colpa tua se ora non riesce neanche ad aprire bocca. Sei solo un'incapace! Non sai fare nulla, neanche proteggere se stessa, figuriamoci gli altri! Ma sei la vergogna di tutti i vampiri! Grazie ti dice anche? Ma per favore. E' solo colpa tua se si è ridotto così, solo perchè sei sempre distratta, solo perchè non ascolti mai, solo perchè...
''Basta!" -urlai alla mia mente che non voleva star zitta. Automaticamente, sentii i miei occhi inumidirsi, pieni di grosse lacrime.
Scoppiai a piangere, come una bambina.
-Elsa, che c'è? -chiese Sam preoccupato stringendo forte la mia mano, ma le lacrime continuavano a scendere lungo le guance.- Rispondi...
-Io...io...è tutta colpa mia...se fossi stata più attenta...
-Oh, stupida Elsa...-disse sorridendo e mi prese il volto fra le mani. Eravamo a pochi centimetri di distanza, stavamo respirando la stessa aria -Lo sai che sono venuto qui per proteggerti.
-Sì, ma...
-Niente ma. Forza, non abbiamo ancora finito qui -disse sciugandomi le lacrime.
-Okay, cosa de...
-Shh -mi interruppe- Senti dei passi? Preparati.
Aveva ragione, sentivo perfino l'odore di quei disgraziati licantropi. Mi alzai avvicinandomi all'angolo, ma era vuoto. Controllai per bene, annusando l'aria. Il licantropo era lì, ma non riuscivo a vederlo. Mi girai e sentii la carne strapparsi. Abbassai lo sguardo alla mia pancia: il lupo mi aveva traffitto con i suoi artigli.
Abbandonò il mio corpo che cadde a terra. Non ero in grado di muovermi, mi faceva male ogni muscolo. Misi la mano sulla ferita, sanguinava parecchio. Le forze mi lasciavano, gli occhi si chiudevano. All'improvviso mi sentii stringere, una forte energia ardeva accanto a me. Era forte, arrabbiata, incontrollabile, si espandeva da tutte le parti, come le fiamme che distruggevano ogni cosa che incontravano.
Erano le mani di Samuel a stringermi così forte. Mi prese fra le braccia e l'ultima cosa che vidi era il licantropo colpito dal fulmine.

 

        Angolo d'autrice       
Ciao, eccomi qui, ho continuato a scrivere, siete contenti?
Lo so, probabilmente ora sarete in quattro gatti a leggermi, ma mi basta.
Non ho voluto scrivere nel testo, ma ve lo spiego qui:
Elisaveta è un nome russo, può essere scritto sia con la che con la z nell'alfabeto italiano. Questo nome ha anche un'abbrevviazione, Lisa. Non sono due nomi diversi, in Russia sono la stessa cosa, solo che il primo è più colloquiale, mentre il secondo si usa in famiglia, amici ecc.

Vi ricordo l'altra storia, Raccoglitrice di anime, se avete voglia di leggerla la troverete nella mia pagina.

Mi piacerebbe che lasciaste una piccola recensione.
Sono disponibile a leggere le storie degli altri, se avete voglia scrivetemi.

A presto,

Myrtus.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV - Andrà tutto bene. ***


Capitolo XIV: andrà tutto bene

Non mi piaceva stare in mezzo alla gente.
Odiavo trovarmi in posti affolati, preferivo starmene da solo, per conto mio.
Odyn mi aveva portato con sè a quel ballo dicendo che avrei dovuto godermi la mia stupida vita, priva di senso.
Sapevo fare qualsiasi cosa: dipingere, suonare ogni strumento, conoscevo il nome di ogni pianta, parlavo tantissime lingue, conoscevo alla perfezione il greco e il latino e tante altre cose.
Ma forse c'era qualcosa che non sapevo fare: amare.
Il mio amico mi aveva abbandonato in mezzo alla sala e andò a ballare con una dama, mentre io, ero fermo a pensare a quanto avrei voluto andarmene da lì.
Finchè non la vidi.
Era in piedi, sembrava confusa. I suoi capelli castani erano raccolti in un elegante chignon, a parte qualche ciocca sfuggita. Gli occhi oro sembravano splendere quanto le stelle, ma timidi. Il labbro inferiore le tremava leggermente. Sembrava che avesse paura di tutto quel chiasso, di tutte quelle persone presenti al ballo.
Alzò la mano destra per rimettersi a posto il guanto bianco che scendeva scoprendole le dita sottili.
Qualcosa mi guidò verso di lei: il battito cardiaco troppo veloce, il respiro troppo irregolare, la mente troppo distratta dalla sua bellezza, il cuore di ghiaccio che stava per sciogliersi.
-Posso chiedervi questo ballo? -le chiesi allungando la mano. Cercai il suo sguardo e, quando finalmente lo incontrai, mi sorrise timidamente.
E mi diede la sua mano.



Mi svegliai nel mio letto.
Avevo ancora un forte mal di testa, quel sogno contribuì maggiormente.
Misi una mano sulla mia pancia ricordandomi della ferita che bruciava ancora un pò. Non mi ricordavo quasi niente dell'accaduto.
Mossi l'altra mano che sembrò tenere qualcosa. Aprii gli occhi e vidi una chioma bionda accanto a me.
Mi nascosi tra le coperte: Samuel era lì, nel mio letto, accanto a me, addormentato.
''Sù, è il momento per osservarlo meglio'' -pensai. 
Intrecciai le mie dita ai suoi capelli dorati, erano morbidissimi. Con l'altra mano accarezzai una guancia, dalla pelle candida come quella di un bambino, fino a scendere alle labbra. Erano più morbide di un petalo di rosa ed erano carnose. Le sfiorai a malappena e lui fece qualcosa di simile ad una smorfia.
Mi allontanai subito pensando che stesse per svegliarsi, invece continuò a dormire tranquillo.
Il mio cuore batteva troppo veloce, sembrava che avesse voglia di abbandonare quella gabbia toracica. Il mio piccolo muscolo cardiaco era come un canarino che cercava disperatamente di volare via dalla gabbia, appunto, ma non sapeva dove andare.
Pensavo, però, di aver trovato il posto giusto per lui: stare accanto a Sam.
Mi avvicinai al suo viso, ormai eran pochi centimetri a separarci, così decisi di accorciare questa distanza posando le mie labbra sulle sue.
Sentii le farfalle nello stomaco. Era un semplice bacio a stampo di cui avrei saputo solo io.
Peccato che per me era qualcosa di più di un semplice bacio.
-Mmm... -fece, così tornai al mio posto facendo finta di dormire.
Lui si stiracchiò e per un secondo il suo respiro si fermò.
Probabilmente aveva una reazione simile alla mia quando mi ero svegliata.
Aprii gli occhi incontrando i suoi, blu. Certi dicevano che erano lenti a contatto, ma i vampiri più vecchi, che lo conoscevano quasi da tutta la vita, affermavano che era impossibile visto che aveva sempre avuto quel colore e all'epoca le lenti non c'erano. Così era innaturale il suo colore degli occhi. Dopottutto lui non era una creatura naturale. I vampiri non furono creati dalla madre-natura, ma si diceva che fosse stata l'opera di un mago, che ora ogni razza (a parte gli umani, ovviamente) riteneva un Dio. 
-Elsa...-sussurrò dolcemente il mio nome.
-Sam...
-Come ti senti? -mi chiese.
-Oh, quasi bene direi, e tu? La tua ferita è molto più grave della mia...
-Stai tranquilla, sto bene...
-Bugiardo che non sei altro.
-Dico sul serio...
-Bugiardo -ripetei.
-Mmm...
-Dì la verità, stai ancora male, vero?
-No.
-Ti hanno curato?
-Sì, ma non come avrebbero dovuto. A te hanno fatto l'anestesia, così potevi dormire e riprendere le energie senza sentire dolore. Anche il tuo non era un semplice graffio.
-Già, l'anestesia la fanno solo quando si ha delle ferite gravi...ma perchè non te l'hanno fatta?!
-Non ho voluto, sennò non avrei scoperto come stavi.
-Sei un idiota.
-Forse. -disse e si alzò dal letto. Era più magro, la sua pelle era pallida. Si vedeva che non stava affatto bene.
-Dove vai?
-Ho tanto lavoro da fare, soprattutto ora che dobbiamo aspettarci un attacco. Cavolo, quanto mi hanno stuffato queste guerre.
-Cerca di stringere un patto con i licantropi.
-Mai -disse freddo riprendendo la sua voce dura di sempre.
-Perchè?
-Perchè sì, Elsa, perchè sì -mi rispose a grandi linee e stava per andarsene, ma lo presi per la mano, fermandolo. Si girò verso di me, gli occhi freddi e distaccati mi colpirono più forte di una spada nel cuore, ma si raddolcirono non appena vide la mia stupida faccia spaventata.
-Che c'è? -chiese guardandomi preoccupato.
-Ma dove vuoi andare conciato così?
-Elsa, piccola, te l'ho detto: ho da fare. Devo costruire i piani della battaglia, devo avvisare i maghi, devo preparare le armi, devo fare un casino di cose in modo che non ci prendano alla spovista.
-Sono preoccupata per te. E poi, è tutta colpa mia.
-Smettila, okay? -disse sorridendomi e si abbassò verso il mio viso- Andrà tutto bene.
E mi diede un bacio sulla fronte.
Uscì dalla stanza senza aggiungere nient'altro.
Mi alzai dal letto e presi la spazzola per pettinarmi i capelli.
Qualcuno bussò talmente forte alla porta che la spazzola mi volò dalle mani. Indossavo ancora l'abitino da notte e non potevo di certo presentarmi in quel modo.
Magari era quel pervertito di Mr Areiv, per esempio.
Aprii l'armadio e presi le prime cose che vidi, ovvero una camicetta bianca e un paio di jeans. Mi vesti velocemente e diedi un'occhiata allo specchio: almeno ero vestita e pettinata.
-Avanti! - urlai avvicinandomi alla porta.
Vidi la penultima persona che aspettavo.
Realizai tutto nel solito schema che proponeva mio cercello:
1- Samuel.
2- Qualcuno.
3- Qualcuno.
4- Qualcuno.
5- Il dottore.
6- Scott.
7- Qualcuno.
8- Mr Areiv.
9- Diana
10- Alex.
Infatti, Diana era di fronte a me con un sorrisone a trentadue denti. Indossava una tunica color limo con un paio di leggings bianchi. La sua collana con la stella splendeva come i suoi occhi azzurri.
Tra le mani teneva un libricino dalla copertina di pelle color rosso-ciliegio. Inclinò leggermente la testa a sinistra e disse continuando a sorridere:
-Sono felice che tu stia bene, Elsa.
-Sì come no, sapevo che volevi solo la mia morte.
-Spiritosa, come sempre -sospirò- Si vede che stai bene.
-Già...ehi, ma che ci fai ancora lì, sulla porta, vieni dentro!
-Sì, ma se tu mi lasci passare, mi hai coperto l'entrata con tutta la tua ciccia.
''Controllati, Elsa'' -pensai.
-Se io sono grassa, tu allora cosa sei? Non riesci neanche ad attraversare i Cancelli!
-Se lo dici tu...comun...
-Come ti permetti di mettere in dubbio le mie teorie?
-Le tue teorie su Samuel?
-Le mie...che? -urlai.
-Oddio, che rossa che sei. Quando Samuel si è fatto male ad Anthropini, giravi attorno a lui come la Terra intorno al Sole.
-Smettila, mi sentivo solo in colpa...
-Si vede che sei pazza di lui, non capisco come faccia a non accorgersene.
-Già...come fa...? Uhm, comunque...ma che ci facevate alla base?
-Samuel aveva avvisato il nostro capo della possibile pace tra gli umani e i licantropi, quindi siamo andati a verificare. 
-Capisco...
-Ah, ecco. Sono venuta per mostrarti una cosa di questo libro -disse sventolando l'oggetto.
Aprì una pagina piena di disegni e didascalie. All'inizio pensai che fosse un libro dei Maghi, ma poi mi accorsi che sulle pagine c'erano i simboli delle quattro razze: croce egiziana, stella, mezzaluna e un cerchio. Per quanto ne sapevo io, però, gli umani non avevano alcun simbolo visto che erano semplici esseri mortali. 
''Forse con la pace con i lupi hanno dovuto avere un simbolo anche loro, finora non avevano strinto un patto con nessuno'' -pensai.
Diana mi indicò una pagina. C'era un disegno con delle miniere o caverne e un vulcano.
-C'è scritto che l'argento è la miglior arma contro i licantropi. Da questo si possono fare le spade, coltelli, frecce con le punte ecc. -disse guardandomi seria.
-Ma si sa questo.
-E queste miniere sono richissime di argento e sono vicine ad un vulcano, praticamente nella stessa zona. Si trovano in un'isola di Antropini. Quindi è lì che sono andati i nostri ''innamorati'' -disse Diana facendo il gesto delle virgolette.
-Cosa? Non ho capito... chi è andato dove? 
-Ma come, non lo sai? Alex e Samuel hanno deciso di andarci in quell'isola, nelle miniere, perchè sia i maghi, sia i vampiri hanno finito le risorse di argento. Non hanno voluto portarci con loro, che stronzi...
-Ma Samuel non mi ha detto nulla!
-Sono maschi... -commentò Diana- Sono partiti proprio ora, Samuel deve aver usato di nuovo il teletrasporto. Avete un capo veramente figo: è ferito gravemente, ma va lo stesso ad Anthropini per il bene della propria razza...il nostro non è così.
-Ah, quella stupida rossa.
-Esatto.
-La odiate?
-Certo! Non merita di essere un capo! Non ha fatto mai nulla di buono per noi, a parte la pace con i Vampiri...ma per il resto...beh, chi sono io per criticare gli altri.
-Appunto.
-Pff, smettila.
-Taci, alexina.
 

       Angolo d'autrice      
Ciao, eccomi con il quattordicesimo capitolo!

Ho un indizio per voi:
nel sogno c'è un gesto, diciamo, simbolico che abbiamo già incontrato in uno dei capitoli precedenti. Se riuscite ad individuarlo, avete scoperto un segreto della storia.

Cercherò di pubblicare al più presto il seguito.

Vi ricordo l'altra mia storia: Raccoglitrice di anime.

Ps. Domani pubblicherò un extra per questa storia :)

Myrtus.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV - La mia Lisa. ***


Capitolo XV: la mia Lisa

Presi per la mano Diana trascinandola verso la porta. Non avevamo neanche discusso, nemmeno una parola o una frase del genere: '' Dobbiamo seguirli! Chissà dove sono andati!''.
No. Ci era bastato uno sguardo per capire le intenzioni dell'altra.
-Intanto, dove dobbiamo andare precisamente? -chiesi mentre stavamo scendendo le scale. Alcuni vampiri che ci stavano andando incontro mi guardarono per poi sussurrare qualcosa di simile a ''Si è già ripresa, peccato''.
-Nelle miniere, dove vuoi andare, scusa? Al cesso? -rispose Diana spostandosi la frangia nera.
-Hai scoperto l'America. Lo so che dobbiamo andare nelle miniere, ma dove sono? Hai detto che sono in un'isola, ma sai quante ce ne sono?
-Quante? -chiese fermandosi. I suoi occhi blu brillarono, mi prendeva in giro, ma non mi sembrava il momento migliore.
-Non lo so -le risposi continuando a guardarla, ma lei sorrise e ricominciò a camminare.
-Comunque, non mi ricordo come si chiama... -disse. Ci guardammo a vicenda con lo sguardo ''Ma-che-cavolo-mi-guardi?''.
-Guarda nel libro -le suggerì indicando il libro che teneva con la mano destra.
-Ah sì, è vero.
''Che genio''.
-Harwalli. No, aspetta. Harwai. No. Hawaii... -disse infine.
-Bene.
Ci dirigemmo verso la porta, ma andai a sbattere contro qualcuno. 
La ferita ricominciò a farmi male, una scossa elettrica mi attraversò il corpo ancora stanco e debole. Alzai lo sguardo verso il colpevole. Mr Areiv.
''Sei morto, Mr Areiv!'' -pensai guardandolo male.
Prima che potessi rimproverarlo lui mi parlò:
-Oh, mi dispiace. Dove andate così di fretta? -chiese aggiustandosi i suoi baffi da due centesimi. Che schifo.
-Ma cosa ti interessa? -s'intromise Diana chiudendo il libro e nascondendolo dietro la schiena.
-Veramente...ma sei ancora qui? Vai nella tua cucina! E comunque andiamo alle Harwaii! -dissi io.
-Hawaii, Elsa -mi corresse Diana.
-E' lo stesso!
-Non sei ancora la regina, quindi non darmi degli ordini. -rispose calmo Mr Areiv.
-Regina? -ripetei disorientata.
-Lo sanno tutti che da quando sei arrivata il capo ha perso la testa per te.
Arrossii sentendo le guance diventare calde, come se fossi in mezzo al fuoco. 
-Ma che dici...stupido finocchio...vai nella tua cucina... -balbettai guardando da un'altra parte.
-Va bene, arrivederci! -disse Diana e mi trascinò con sè verso la porta.
Vrykolakas, come tutti gli altri Regni tranne quello umano, erano dei mondi paralleli. Si diceva che furono creati dallo stesso mago, padre dei vampiri e i licantropi, grazie alla magia. Prima, tutte le razze abitavano sulla Terra, ma poi si decise di staccarsi e vivere nei mondi a sè. 
Nel Regno dei Vampiri, i raggi solari erano molto deboli, perciò non avevamo quasi danni se uscivamo fuori durante il giorno. Ma io stavo andando sulla Terra, dove tutto era diverso, perfino la luce, soprattutto in una zona come quell'isola.
Fuori faceva abbastanza fresco, un leggero venticello mi accarezzava il viso e i capelli si disperdevano nell'aria.
-Adoro il vento -disse Diana chiudendo gli occhi per godersi quel tempo calmo.
''Ed io odio la luce'' -pensai. Questo problema era abbastanza grave se ci avessimo messo molto tempo, ma, dopottutto, nelle miniere i raggi solari quasi non arrivano. Era l'unico pensiero che mi tranquillizava. E poi anche Samuel ci era andato.
Eravamo già vicine ai Cancelli Oscuri, quando Diana mi disse:
-Pronta?
-Certo!
Il mio corpo sembrò strapparsi a piccoli pezzettini, ma non provavo alcun tipo di dolore a parte la ferita. Mi sentivo pesante, la mente non riusciva a pensare a nulla ed era strano avercela completamente vuota, sembrava quasi di esser morti.
La morte.
All'improvviso pensavo di essermi addormentata e vedere un film, all'inizio non riuscivo a vedere nulla.

-Spero che ti sei vendicato, ora. -disse la donna dai lunghi capelli biondi e mossi. Le lacrime le rigavano il viso, la voce sembrava un sussurro, ma carico di odio e di sofferenza. Le mani tremavano mentre teneva fra le braccia il corpo di suo marito.
-Oh, Myriam. La mia vendetta è solo cominciata -le rispose l'uomo davanti a lei. Un sorriso apparve sul suo volto, ma non era un sorriso di gioia o di pace raggiunta, non era un sorriso di una persona che cercava vendetta. Era un sorriso spento e triste, pieno di dolore che non avrebbe potuto mai e poi mai descrivere a nessuno. 
-Sei terribile...guarda cosa hai fatto...hai ucciso Kendel e tante altre persone innocenti...sei un mostro... -continuò Myriam e le sembrò soffocare, così come morì 
prima suo marito.
-Mi parli tu dell'innocenza? Parli tu?! -urlò l'uomo.
-Kendel ha fatto una cosa orrenda, è vero, non ha...non aveva scuse per questo. Ma cosa c'entrava il nostro popolo?
-Soffri, Myriam, soffri. E non ti credo. Non ti interessa nulla del popolo, questa sì che è una scusa. Non ci crederò mai a quello che dici. Soffri. Soffri come soffro io.
-Non te lo perdonerò mai. Mai!
-Sarò io che dovrò perdonare te e la tua stupida razza. Ma la guerra è appena cominciata, e fino alla fine dei miei giorni non ti darò pace.
-Cosa ci avrà trovato in te quella povera ragazza...
-Non potrai mai capire, tu. E non osare nominarla -sussurrò il ragazzo con la voce tremante.


Mi ritrovai per terra con davanti la faccia di Diana che mi guardava preoccupata. Cercava di farmi aria con il libro, come se fosse un ventaglio. Quando vide che avevo aperto gli occhi, lasciò un sospiro, mettendo la mano sul cuore.
-Dio, pensavo fossi morta.
-Uhm... -balbettai alzandomi. Tenevo la testa fra le mani, il dolore mi attraversava ogni vena, ogni cellula del mio corpo bruciava. 
Cos'erano quei continui ricordi? Perchè non riuscivo a riconoscere i volti delle persone? Almeno la voce, perchè no? Mi sembravano solo degli urli lontani, cristallini.

Lui teneva l'altro uomo con la mano destra per il collo. 
Il poveretto era molto più adulto dell'altro. Aveva lunghi capelli neri e gli occhi gialli. Si era quasi trasformato, ma troppo tardi.
-Oh, stai soffocando? Proprio come la mia Lisa. -rise l'altro stringendo ancor più forte il collo. Il moro cercò di strappare la sua mano, ma era troppo forte -Dimmi come ci si sente, bene? Stava bene la mia Lisa? Stava bene?! Perchè stai zitto? Ah, scusami, non puoi parlare, Perchè ti manca l'aria, perchè stai soffocando, perchè non riesci a dire nulla visto che non hai fiato. Così si sentiva Lisa, così. E' bello sapere che stai per morire? Dimmi, è bello? Rispondi! Hai riso tu, quando lei stava morendo, hai solo riso. 
-S-s-scusami... -riuscì a mormorare il moro.
-Scusami? -ripetè l'altro- No. Mai e poi mai. Lisa non tornerà, non tornerà grazie alle tue scuse. O sì? Tornerà? Tornerà? 
-L-l-lasciami...
-Ti supplico! -urlò la moglie del moro, seduta in un angolino, con le ginocchia al petto e le lacrime lungo le guance.
-Guarda come sta tua moglie. Lei sì che ora potrà capire come mi sentivo io. La mia Lisa...dov'è, ora, la mia Lisa?! -chiese con un urlo soffocato e scareventò 
fortemente il corpo del moro contro il muro di pietra. E questo morì in un batter d'occhio.

-Oddio, non ce la faccio più, Diana, non ce la faccio più! -gridai stringendo più forte la mia testa che sembrava esser sul punto di scoppiare.
-Elsa, ma che ti succede? -mi accarezzò il braccio con le dita. La sua voce parve preoccupata, gli occhi erano quasi lucidi. Piangeva per me? -Siamo a Greenwich, è molto lontano dalle Hawaii...pensavo di usare il dominio dell'aria per trasportarci...ma ora che stai male...Dio, Elsa, come posso aiutarti?! Cerco di rintracciare Alex, verrà qui con Samuel, resisti...
Ma ormai non sentivo più nulla. Le ossa sembravano quasi spezzarsi, i muscoli erano duri e bruciavano, tutto il mio corpo tremava. Sentivo il battito del mio cuore in testa e nelle vene, non riuscivo a respirare. E svenni. Di nuovo.

Quando mi svegliai sentii il calore di un altro corpo accanto a me. Delle braccia forti mi stringevano al proprio petto. Mi sentivo bene, in quel momento. Nessun dolore, nessun brutto pensiero.
Delle gocce cadevano facendo rumore che sembrava quasi un eco. A parte quello, il posto in cui ero era silenzioso. Faceva anche più freddo, non che lo sentissi, ma la temperatura sembrava esser cambiata in modo brusco. Aprii gli occhi e notai che stavo stringendo con la mia mano una maglietta nera.
-Elsa... -sussurrò sorridendomi -Finalmente...mi hai fatto preoccupare...
-Samuel? Uhm, dove siamo? -chiesi guardandomi intorno. Delle mura di pietra ci circondavano e c'era il buio totale a parte un buco nel soffitto da cui sbuccavano alcuni raggi bianchissimi e cadevano dei fiocchi di neve.
-Nelle miniere. -rispose accarezzandomi i capelli.
-Ma...io...mi aspettavo...Diana aveva detto che c'era un vulcano...invece...nevica... -dissi confusa.
-Avete sbagliato completamente posto. Siamo in montagna, dall'altra parte della Terra.
''Ti pareva'' -pensai.
-Piccola, non devi più spaventarmi così... -continuò sfiorandomi con le sua dita il viso.
-Io...non so...è che...faccio dei sogni, delle visioni...mi spaventano...e, soprattutto, mi sembra di riconoscere le persone, ma alla fine non è così...cioè...
Samuel mi guardò allarmato smettendo per un attimo di accarezzarmi, ma poi, mi sorrise timido.
-Non pensarci.
-Tu ne sai qualcosa -dissi convinta.
-So solo che capita a tutti di avere le visioni.
-Ed essere quasi sul punto di morire?
-Taci, Elsa, taci.
-Sono più che sicura che stai di cosa stia parlando. Non sono pazza e neanche stupida.
-Shh.
-No...
-Basta...-si fermò sfiorandomi a malappena le labbra con il pollice.
Il cuore riprese a battere veloce, gli occhi blu mi guardavano. Tremai, i brividi mi percorrevano la schiena.
-Alex e Diana dove sono? -chiesi borbottando.
-Tornano fra poco.
-Uhm...mi sento ancora debole...
-Hai fame? -mi chiese. Sul suo viso, però, vidi lo sguardo ''ti-prego-dimmi-di-no''.
-Immagino che sia un problema trovarmi una fonte di sangue, qui, in montagna...
-Sì, è problematico... -rispose.
-Posso resistere. -dissi sorridendo, ma in realtà una fame incredibile si ribellava in me.
-Puoi bere da me.
''Puoi bere da me'' -mi ripetei la frase nel mio cervello. Davvero mi stava dicendo che potevo bere il suo sangue?
Le regole dei Vampiri, date dal mago che ci aveva creato, non che la nostra divinità ormai, dicevano che era illegale bere il sangue di un altro vampiro se non era il proprio/la propria marito/moglie. Era pure considerato un tradimento se il compagno assaggiava il sangue di un altro. Ovviamente, non c'era nessuno che avrebbe potuto punirci, visto che Samuel era il capo, ma comunque erano delle regole importanti che ogni vampiro cercava di seguire per il bene sociale.
-Ma è proibito... -dissi e arrosii. Avrei dato di tutto pur di assaggiarne almeno una goccia.
-Non ci vede nessuno.
-Ma...
-Allora stai qui. Alex e Diana sono andati nel bosco per prendere un pò di legna, hanno freddo.
-Tu puoi dominare il fuoco...
-Sì, ma non volevo averceli fra i piedi. Dicevo, vado a prenderti qualcosa.
-No, ti prego, resta. -lo fermai prima che si alzasse.
-Elsa, da quando non bevi? Ora che stai pure male, poi per la ferita...devi mangiare.
-Non andare. Non andare.
-E che facciamo, allora?
Mi alzai aggrappandomi al suo collo. Leccai la sua pelle morbida, sentivo di nuovo le farfalle nello stomaco, che erano così pesanti da sembrare dei bisonti. Stavo per bere il suo sangue. Del mio capo. Del mio amore. Sentii i denti allungarsi e lo morsi sentendo la sua pelle scoppiare un pochino. 
Era dolce, buono come il miele. Chiusi gli occhi e gemetti. Era una sensazione stupenda. Si diceva che si crea un forte legame tra i vampiri che bevono il sangue uno dall'altro, era un modo per guadagnarsi la propria fiducia.
Samuel mi cinse la vita con un braccio stringendomi forte a sè.

-Vi amo, Elisaveta -disse lui guardandola negli occhi.
Erano ormai tante le volte ch'egli le ripeteva la stessa frase, ma ella sorrideva timidamente ogni volta e il rossore le riappariva sul viso.
-Vi amo anch'io -rispose stringendo la mano di lui.


Era un altro ricordo o sogno o visione o altro. Ma fu l'unico che non mi preoccupò e mi sembrò innocente.
 

     Angolo d'autrice     

Allora, com'è? Ci state capendo qualcosa?
Non posso rivelarvi il gesto simbolico che era un indizio del capitolo precedente, ma ve lo ripeto di nuovo: è un gesto che si era verificato in uno dei sogni di Elsa, prima.
Chissà chi lo scopre ;)

Per ora non ho l'ispirazione giusta per Raccoglitrice di anime, ma scriverò al più presto, credo.

Le recensioni sono diminuite, ma ormai non ho più voglia di farci caso, tantomeno supplicarvi di scriverle, perchè è inutile e non mi servono assolutamente a nulla a parte alzare un pochino l'autostima scesa a zero.

A presto, miei cari :)

Myrtus.

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI - Il momento della verità. ***


Capitolo XVI: il momento della verità

Un leggero venticello le accarezzava il volto di ragazzina. I lunghi capelli castani si disperdevano nell'aria come le fiamme durante un incendio.
Seduta sull'altalena, l'unico rumore che c'era erano proprio la sua voce e le sue risate. Sorrideva chiundendo gli occhi per assaporare al meglio quel momento.
-Ho paura che tutto ciò finisca, prima o poi -disse la ragazza improvvisamente con la voce ridotta ad un sussurro. Il sorriso svanì dalle sue labbra rosa che presero una linea dura. Un triste silenzio calò in quel momento.
-Perchè, Lisa? Perchè dovrebbe finire? -le chiese il ragazzo che spingeva l'altalena per dondolarla. Sembrava ancora giovane dai tratti di viso: gli occhi blu splendevano sempre quando era con Lisa, i morbidi capelli biondi leggermente ondulati ricadevano sulla sua fronte dalla pelle un pò più pallida rispetto ad altre persone. Ma ogni volta che apriva bocca, le parole che uscivano da essa non sembravano affatto quelle di un ragazzo dell'età che gli davano.
-P-p-perchè...-balbettò la ragazza diventando rossa. Si mise una mano su una delle guance e poi fece un gesto come per scacciare i pensieri dalla sua mente.
-Lisa...non mi mentire, vi prego...
-Non è nulla, non è nulla -lo zittì sorridendo. Ma il ragazzo sapeva che quello era un sorriso falso: ormai sapeva distinguerli da quelli sinceri. -Oh, per favore, Samuel...-disse lei non appena vide l'espressione fredda sul viso di lui.
-Lisa, lo sapete quant'è importante la fiducia per me. Perchè non volete dirmi nulla?
-Non ho nulla da dirvi, non vi nascondo assolutamente niente...
-E' una bugia, questa.
-Vi prego, non arrabbiatevi, non voglio litigare con voi!
Il ragazzo fermò l'altalena e abbassò il suo viso verso quello di Lisa che, imbarazzata, diventò ancor più rossa di prima. Tuttavia non distolse lo sguardo da quegli occhi magnifici che l'avevano conquistata.
-I miei genitori vogliono che sposi un altro uomo... -disse Elisaveta* sospirando. Sentì le lacrime salate che le bruciavano gli occhi, ma una severa educazione a cui era stata abituata sin da bambina le proibiva di piangere.
Samuel rimase in silenzio per qualche minuto, poi accarezzò i capelli di Lisa dicendole:
-Pensate che ciò possa davvero fermarmi?
Lisa abbassò lo sguardo sulla mano di lui aperta, la stessa che le aveva proposto di ballare quella sera. Con lui avrebbe fatto qualunque cosa.
-Scappiamo, Elisaveta, lontano lontano...nessuno ci troverà...tu non sarai più Elisaveta Bronskaja, io non sarò più Samuel Thunder...saremo solo Lisa e Sam, come abbiamo sempre voluto...
Non poteva di certo dire di no.


Non me ne importava più niente dei sogni assurdi che faceva la mia mente. La mia unica preoccupazione era quella di godermi ogni goccia del sangue di Sam.
Le sue mani mi accarezzavano la vita mentre bevevo da lui, le mie, invece, s'intrecciavano avidamente ai suoi capelli ondulati. Sapevo che anche quel momento stava per finire, non potevo bere all'infinito. 
Quando mi staccai, sazia ormai da un bel pò, gli leccai le due feritine sul collo: si diceva che la saliva dei vampiri fosse una specie di antidoto ed era vero.
Sam aprì a metà gli occhi, quasi in estasi. Il bere sangue da un altro vampiro, in un certo senso, piaceva sia a colui che beveva sia all'altro. Per questo era considerata una cosa piuttosto intima e riservata solo ai vampiri sposati.
Mi leccò l'angolo delle labbra dove era rimasta una goccia di sangue. Tremai come una foglia soffiata dal vento. Le sue labbra carnose sfiorarono le mie, sospirai stanca di aspettare e mi abbandonai tra le sue braccia.
Il bacio che gli avevo rubato di nascosto mentre dormiva, non era considerato da me un bacio vero, perchè l'avevo voluto solo io.
Il mio primo, vero e proprio bacio era quello nella stupida fredda grotta, ma allo stesso tempo il posto più bello in cui fossi mai stata.
-Oh, Dio...Alex, girati e avviati verso l'uscita... -disse una voce. Diana, ovvio.
-Perchè, che c'è? Non vedo niente dietro tutta questa legna! -rispose lui.
Mi allontanai da Samuel appoggiandomi alla parete fredda della grotta fermando completamente il respiro. Incontrai gli occhi blu di Diana che mi guardavano colpevoli.
-Alex, Santo Cielo, esci da qua! -urlò lei dando un pugno al povero ragazzo che non capiva niente. Per colpa di quel gesto, egli fece cadere la legna per terra facendo un rumore incredibile. Ma neanche quel rumore servì per risvegliare Samuel che ancora sembrava un drogato.
-Quanto sei stupido, mamma mia, la tua stupidità non ha limiti -borbottò Diana e cominciò a raccogliere la legna.
Alex tentò di aiutarla ma lei lo guardò male dicendo che aveva già fatto tutto quel che poteva e lo mandò a sedersi perchè non voleva più vederlo.


Dopo un pò di tempo, Samuel tornò normale... o forse, sembrò normale. In realtà, non appena i nostri sguardi s'incontravano, distoglieva subito il suo per poi arrossire come un ragazzino. Io, invece, non osavo dire neanche una parola, semplicemente me ne stavo tranquilla davanti al fuoco riscaldandomi un pochino, non che ne avessi bisogno visto che i vampiri non hanno mai freddo. Diana, pure lei, non parlava e fulminava Alex con lo sguardo ogni volta che questo tentava di rivolgerle la parola.
Insomma, il gruppetto del silenzio.
Finalmente Alex si rivolse a Samuel, dopo aver provato inutilmente ad attaccare un bottone con Diana:
-Quindi, sarebbero qui le miniere d'argento?
-Sì, ma le grotte sono una specie di strada lunghissima, a volte sembra infinita, e solo in certi punti c'è l'argento. Sono pochi, questi punti, ma sono davvero piene di metallo e cristalli...tempo fa, i vampiri venivano spesso qui per raccogliere i cristalli di diverso colore e poi ne facevano delle collane.
-Wow, adoro queste cose! -disse Diana sorridendo.
-Già, piacciono molto a tutti...infatti i vampiri più anziani ne hanno almeno una, però poi queste miniere sono state dimenticare e quindi è un pò raro vedere qualcuno con queste collane.
-Tu ne hai una? -chiese la maga.
-Intendi dire che sono tanto vecchio? -sorrise Sam- Comunque, sì, ne ho una. Ma non la indosso più. Il cristallo era considerato un porta-fortuna, ma dopo...-si fermò esitando-...un...avvenimento...cominciai ad odiarla, ecco.
-Mmm... -mormorò Diana chiudendo gli occhi ma lasciando un sorrisetto malvagio sulle labbra.
-Beh, allora...andiamo? -chiese Samuel alzandosi.
Mi sembrò quasi di essere un fantasma: avevo sperato che Sam mi dicesse qualsiasi cosa, anche una cavolata, ma che mi parlasse...invece non mi aveva neanche guardata.
Alex e Diana annuirono e seguirono Samuel che indicò loro la strada, mentre io camminai dietro tutti loro trattenendo le lacrime.

Come aveva detto Samuel, il percorso era davvero lunghissimo: nel soffitto, ogni tanto c'erano dei buchi dai quali cadevano con estrema lentezza dei candidi fiocchi di neve.

Neve.
Sangue.
Tu.


Mi fermai un attimo cercando disperatamente di pensare ad altro, ma la mia mente ritornava comunque a quei fiocchi di neve, a quel loro colore bianco. 
All'improvviso, un rumore acuto cominciò a rimbombare nelle mie orecchia. Mi sembrò di vedere la neve riempirsi di sangue, diventare rossi. Misi le mani sul mio collo, mi mancava l'aria. Non riuscivo a respirare, la gola bruciava assieme ai polmoni come se dentro di me ci fosse un incendio. Mi sembrava di essere sul punto di morire, ma non arrivarci mai. Ed era una sensazione orribile: sfiorare la morte, ma essere ancora vivi, soffrire e non poter finalmente riposare in pace. L'unica cosa che potevo fare era pregare che tutto finisse al più presto possibile.
-Elsa! Elsa! -sentii gridare il mio nome. Volevo rispondere, ma non ce la facevo. La voce si spezzava, il grido non usciva dalla mia bocca.
Era la peggior tortura, quella.
-Dio, piccola, cos'hai?! -mi chiese Samuel quasi in modo isterico tenendomi fra le braccia.
Ma non riuscivo a rispondergli. Volevo solo chiudere gli occhi, liberarmene da quel incubo.

-Non capisco cos'ha. Ha continuamente queste...visioni, se si più definirle tali, o sogni, o ricordi...ma so solo che la stanno distruggendo. Non è una cosa normale, Samuel, lo sai meglio di me. Ho un'idea riguardo questo...c'è qualcuno che entra nella sua mente e la obbliga, diciamo, a pensarci...non so, qualcosa del genere... -sentii la voce di Diana.
-Ma chi può essere? Lei non ha nemici...no...non ne ha, Diana, capisci? Non c'è nessuno che...-rispose Samuel, ma fu subito interrotto da un vecchietto che non avevo mai visto prima.
Era basso, aveva una lunga barba bianca e gli occhi blu simili a quelli di Sam. Era seduto su una pietra tenendo fra le mani probabilmente il suo bastone.
Non si era accorto nessuno che mi ero svegliata.
-Sei solo uno stupido, Samuel. Il primo a farle male sei proprio tu! -urlò il vecchietto allungando il bastone verso Sam che lo guardò stupito dicendo:
-Ma che dici, padre? -Padre??- Io?! Ma è la cosa più preziosa che ho!
-Devi dirle la verità, devi solo raccontarla tutto. Immagina cosa può pensare! Da quel che ho capito, i ricordi che sogna sono proprio quelli di te ed Elisaveta...
-Non nominarla -disse bruscamente Samuel e suo padre (?) stette zitto.
Non capivo niente, assolutamente niente. L'unica cosa che sapevo era che volevo delle spiegazioni. Mi alzai con fatica sedendomi davanti a Samuel. Mi guardò sorpreso e stava per dire qualcosa, ma la mia espressione di viso lo fermò prima che potesse protestare.
-Da quant'è che sei sveglia?
-Raccontami e basta. Sono stanca delle bugie.
-Non ti ho mai mentito, Elsa...
-Samuel, per quanto pensi di ignorarla? -urlò il vecchietto agitando di nuovo il bastone.
-Ah, per favore, taci -lo zittì subito Sam.
-Come ti permetti?! Io che ti ho cresciuto...sei diventato un essere ingrato! -si lamentò suo padre.
-Mi sono cresciuto da solo mentre tu eri a governare e per alcuni giorni ti dimenticavi completamente della mia esistenza. Ora non fare il buon padre, che non lo sei e non lo sei mai stato. Mi arrangio da solo, non sono un bambino -disse Samuel freddamente e il vecchietto tremò nel sentire quelle parole dal figlio.
-Quanto sei crudele...ho davvero cresciuto un mostro...
-No, padre, non c'eri mai e per questo sono così! E smettila di fare il saggio qui perchè hai solo vent'anni in più di me che non sono niente in confronto a secoli! Ora basta, ne abbiamo parlato e riparlato e non mi sembra di tornare di nuovo su questo argomento. Ora andatevene tutti, voglio restare da solo con Elsa -rispose nervoso gesticolando ed indicò, infine, una stradina. Eravamo sempre nelle miniere, solo che ci trovavamo in mezzo ad una specie di piazza collegata a tante altre stradine.
Nessuno osò protestare e in due secondi eravamo solo io e Samuel.
-Uhm...quello è mio padre...beh, l'hai capito, no? Litighiamo sempre quando c'incontriamo...perciò, ormai, non ci faccio caso...
-Perchè è qui?
-E'...un eremita...ecco...insomma, lascialo perdere, è solo un vecchio che ha deciso di isolarsi dal resto del mondo.
-Ha solo vent'anni in più di te.
-Non importa, basta parlare di lui! Era l'Imperatore di Vrykolakas, un tempo, ma poi decise di consegnare il governo a me perchè la sua vita non aveva alcun senso, o qualcosa del genere, per questo ha deciso pure di invecchiare**...ma poi ha incontrato una giovane vampira, ma non lo voleva più visto che lei era...insomma, hai capito, ti immagini un vecchio che sembra avere settant'anni e una giovane di venti? Così ha deciso di vivere qui, con altri eremiti. E quindi non capisco, come si può definire una persona eremita se alla fine vive in una comunità...vabbè...
-Okay, questo ho capito...ora...tu sai solo una parte di ciò che sogno...
-Elsa...
-Per favore, dimmi come stanno le cose. Ho capito che c'è qualcosa che ci lega, non voglio più bugie...
-Ma cosa te ne frega del passato?! Dio, ma perchè non vuoi vivere il presente come fa ogni persona normale?!
-Perchè è un presente a cui voglio fuggire, Sam.
-Elsa...per quanto odiassi ammetterlo...hai ragione, sì: abbiamo un passato in comune. Tu non ti ricordi niente, perchè era una vita diversa la tua. Tu sei morta, sei rinnata dopo senza ricordi. Hai una vita nuova, cavolo. Io, invece, sono rimasto, eccomi! E, per me, il nostro passato è ancora una ferita aperta...e ho paura che non guarirà mai.
-Io sono...
-...la mia Lisa.
 

         Angolino d'autrice       

*Elisaveta è un nome russo (quindi potete capire che i ricordi di Elsa sono ambientati in Russia e più o meno l'epoca in cui troviamo). In Russia, tutti i nomi possono essere abbrevviati, una specie di diminuitivo, in questo caso Lisa.

**Ogni vampiro è immortale in questo senso: non invecchia come una persona umana, ma decide lui stesso quando crescere o meno. Questa decisione può essere presa solo quando il vampiro è maggiorenne (18 anni) ed è un patto che si fa con la divinità di Vrykolakas grazie alla collana con la croce egiziana (stessa cosa per i maghi e licantropi con le relative divinità e simboli).
In breve, quando un vampiro compie i diciotto può decidere di crescere o rimanere così e può cambiare l'opinione solo da quel momento.

Ciao, cari lettori. 
Lo so benissimo, non ho aggiornato da più di due settimane, perdonatemi, ho avuto tanto da fare.
Intanto la prof di storia ha dato 100 pagine da studiare in una settimane, perciò ogni sera ho dovuto vedermela con il libro piuttosto che col computer.
Siamo arrivati ad un punto importantissimo della storia: ma, ovviamente, non è finita qui. A parte tutto il racconto di Samuel, abbiamo ancora una guerra che sta per iniziare e dobbiamo ancora scoprire chi è che entra nella mente di Elsa.
Avete idee? Dite!

A presto, 
Myrtus.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII - Sangue di vetro ***


Capitolo XVII: sangue di vetro
*capitolo scritto completamente dal punto di vista di Samuel.
Inoltre, ci saranno delle parti che avevo già scritto: tutto ciò è programmato per darvi una cronologia.


L'amore diventò il mio punto debole perchè, finalmente, avevo trovato un senso nella vita. Forse non era la cosa più importante per gli altri, ma, per me, era il motivo per cui mi alzavo dal letto ogni mattina.

Russia, 29 maggio 1868

Non mi piaceva stare in mezzo alla gente.
Odiavo trovarmi in posti affolati, preferivo starmene da solo, per conto mio.
Odyn mi aveva portato con sè a quel ballo dicendo che avrei dovuto godermi la mia stupida vita, priva di senso.
Sapevo fare qualsiasi cosa: dipingere, suonare ogni strumento, conoscevo il nome di ogni pianta, parlavo tantissime lingue, conoscevo alla perfezione il greco e il latino e tante altre cose.
Ma forse c'era qualcosa che non sapevo fare: amare.
Il mio amico mi aveva abbandonato in mezzo alla sala e andò a ballare con una dama, mentre io, ero fermo a pensare a quanto avrei voluto andarmene da lì.
Finchè non la vidi.
Era in piedi, sembrava confusa. I suoi capelli castani erano raccolti in un elegante chignon, a parte qualche ciocca sfuggita. Gli occhi oro sembravano splendere quanto le stelle, ma timidi. Il labbro inferiore le tremava leggermente. Sembrava che avesse paura di tutto quel chiasso, di tutte quelle persone presenti al ballo.
Alzò la mano destra per rimettersi a posto il guanto bianco che scendeva scoprendole le dita sottili.
Qualcosa mi guidò verso di lei: il battito cardiaco troppo veloce, il respiro troppo irregolare, la mente troppo distratta dalla sua bellezza, il cuore di ghiaccio che stava per sciogliersi.
-Posso chiedervi questo ballo? -le chiesi allungando la mano. Cercai il suo sguardo e, quando finalmente lo incontrai, mi sorrise timidamente.
E mi diede la sua mano.

Ogni volta che la guardavo arrossiva; cercava di nascondere le felicità che provava, ma io la vedevo lo stesso: dopottutto avevo avuto molto tempo per conoscere l'animo delle persone.
-Come vi chiamate? -le chiesi mentre ballavamo. Lei sorrise, in modo impercettibile pensava, ma quel che vedevo io era un sorriso a trendadue denti.
-Sono Elisaveta Aleksandrovna Bronskaja. Non vi avevo mai visto finora...mi spiace di non essermi presentata subito, perdonatemi -rispose. La sua voce era dolce e trasmetteva una tenerezza indescrivibile. In quel momento avevo capito che, in tutto il resto della mia vita, infinita d'altronde, avrei voluto sentire solo quella voce, di Elisaveta.
-Già. Non ci siamo mai visti perchè sono arrivato poco fa in Russia. Finora vivevo in Inghilterra.
Elisaveta mi guardò sorpresa, aprendo leggermente la bocca. Era strano, infatti, per quell'epoca che in Russia ci fossero stranieri, soprattutto dall'Inghilterra poi. 
Le annuì chiudendo gli occhi e poi mi disse:
-Parlate così bene il russo che non avevo neanche notato che foste straniero...
-Non c'è nulla di grave -le sorrisi e il rossore sul suo viso apparve di nuovo- Mi chiamo Samuel Thunder, lieto di conoscervi, mademoiselle*1

Finito il ballo ci allontanammo uno dall'altro, anche se ci eravamo rivoltati più volte per darci un'ultima occhiata.
Ma io non volevo che fosse l'ultima per davvero.
Odyn, finalmente, tornò da me sorridendo. I balli in Inghilterra erano molto simili a quelli in Russia, tuttavia era comunque molto interessante scoprire gli usi di un nuovo paese. 
Avevo già vissuto in Germania, in Italia ed in Francia, ma dopo un pò di tempo, ogni paese mi dava noia, così decidevo di trasferirmi altrove.
Ora, la mia mente, non era altroché occupata da Elisaveta: qualcosa di lei mi aveva conquistato, e non riuscivo a pensare ad altro. 
-Ehi, Samuel? -mi chiamò Odyn notando che ero perso nei miei pensieri.
-Sì? -gli risposi riprendendomi un attimo.
-Ho detto: forse è meglio che andiamo?
-Oh, va bene. Cominciano ad andarsene tutti, ormai.
-Appunto.

Odyn era un mago: noi due eravamo amici sin da quando avevo sedici anni (quelli veri che risalgono ancora al Medioevo...) e da quel momento in poi nulla era riuscito a distruggere la nostra amicizia.
Nonostante mi fidassi completamente di Odyn, non avevo alcuna intenzione di raccontargli di Elisaveta: a lui interessava poco di amore e cose varie...
Alla fine, decisi di mandarle un mazzo di rose rosse con un biglietto e il giorno in cui riceveva la sua famiglia, sarei venuto a trovarla.

2 giugno 1868

La famiglia Bronskaja riceveva il venerdì: non potevo perdere questa occasione di rivedere Elisaveta.
Tutte le notti prima di quell'atteso giorno, sognavo il suo viso, i suoi capelli castani, il suo sorriso, le sue mani fra le mie. E il cuore mi batteva veloce. E la cosa mi spaventava sempre di più.
Per alcuni momenti avevo tentato, invano, di dimenticarla, di non pensarci, ma poi mi accorsi che l'effetto era contrario: la pensavo ancora di più.

Elisaveta sedeva su un divano nel grande salotto del suo palazzo e stava leggendo un libro. Silenziosamente voltava le pagine, ogni tanto le fuggiva un sorrisino e all'inizio non avevo capito perchè. Poi, all'improvviso, chiuse il libro e si voltò alla porta, da dove la osservavo senza dire una sillaba. Si era accorta di me da un bel pò.
Ci guardammo senza parlare: riconoscevo nei suoi occhi il bisogno di me, in carne ed ossa, non del ricordo rimasto dell'altra sera ed era la stessa cosa che provavo io.
-Siete venuto... -disse infine.
-Sono venuto.
Feci due passi verso di lei che sussultò posando le sue mani in grembo. 
Mi sedetti accanto a lei e le presi la mano baciandogliela con lo sguardo fisso nel suo.
Sentii quasi i brividi quando mi sorrise: mi era sembrato di aver ricominciato a respirare, cosa che non facevo da quel maledetto ballo.

Uscimmo nel giardino, parlavamo del più e del meno sia in russo, sia in inglese. Anche lei parlava perfettamente la mia lingua, però la differenza era il fatto che io sapevo parlare grazie alle mie capacità da vampiro, mentre lei aveva studiato davvero.
Ogni tanto il discorso fra noi cadeva perchè Elisaveta si accorgeva del fatto che la guardavo senza risponderle quando mi faceva una domanda. Probabilmente lei non mi richiedeva più perchè pensava non capissi, invece io non la ascoltavo, la osservavo soltanto. Non che non mi piacesse ascoltarla, no. Solo che avevo bisogno che parlasse, avevo bisogno di sentire la sua voce e le parole avevano perso ogni senso, in quel momento.

Non c'eravamo neanche accorti di quanto fosse diventato tardi. Nel cielo splendevano le stelle e l'aria era leggermente più fredda, ma comunque era meglio delle lunghe giornate di pioggia di Londra.
Mi voltai verso di lei leggendole la delusione negli occhi.
Nemmeno io voglio lasciarti -pensai non accorgendomi che gliel'avevo detto nel pensiero.
Elisaveta mi guardò non capendo, ma poi riprese l'espressione di viso di prima, il che mi spezzava il cuore. Non mi piaceva di vederla così sofferente.
-Dovete andare... -disse lei. Non era una domanda, era una semplice affermazione.
-Vorrei restare, ma si è fatto molto tardi.
-Certo, certo...non posso trattenervi ulteriormente...
-Voi potete farmi tutto quel che volete -le dissi prendendo la sua piccola mano. La liberai dal guanto, volevo un contatto con la sua pelle. Le sfiorai le noche e le dita con le labbra e lei tremò.
-Samuel...
All'improvviso tolse la mia mano dalla sua e per un attimo ebbi il momento in cui ti sembra che il mondo stia per crollarti addosso, credevo che le avesse dato fastidio. Invece, mi accarezzò la guancia con le dita. Mi guardava negli occhi, i suoi occhi marroni e mi sembrò che fossero i più belli che abbia mai visto.
Era vicina, sentivo il suo respiro sulla mia pelle. Allungai la mano fra i suoi capelli, che quel giorno erano sciolti e ricadevano in morbide onde lungo la sua schiena. 
Elisaveta chiuse gli occhi e la tentazione che provavo aumentava ogni secondo in più che restavo con lei.
Connettiti al cervello prima di fare qualcosa -diceva sempre Odyn ed io seguivo sempre il suo consiglio. Ma in quel momento desiderai spegnere quella stupida mente. E posai le mie labbra su quelle di Elisaveta.
Sapevo che aveva riaperto gli occhi sorpresa. Sapevo che non sapeva cosa fare. Sapevo che era indecisa se ricambiare il bacio o meno. Sapevo che li aveva chiusi di nuovo. E il risultato era il bacio che aspettavamo.

17 settembre 1868

Ormai erano mesi che io ed Elisaveta uscivamo di nascosto. I matrimoni, ormai, non erano più combinati, ma in qualche maniera Lisa mi fece capire che i suoi genitori si fidavano ben poco di me.
-Dicono che siete molto misterioso, che state poco nella società...e siete pure straniero...a loro sembrate...un ribelle, ecco...-aveva detto.
Ribelle? Io?! Ma davvero?

Era una giornata d'autunno. Le foglie secche cadevano per terra, sembrava che danzassero in aria. Gli alberi erano nudi, spogli. Il cielo era limpido, non c'era neanche una nuvoletta. 
Io ed Elisaveta stavamo facendo una passeggiata nel nostro bosco (era diventato il nostro anche se era suo, ma lei non l'aveva mai visitato perchè era troppo lontano da casa sua. Ero rimasto colpito da ciò perchè i nobili russi conoscevano solo i confini del proprio territorio immenso, ma non il territorio stesso ed in Inghilterra non era una cosa molto tollerante... *2).
A Lisa non piaceva quella stagione perchè le sembrava che tutto morisse, ma proprio quell'autunno era il più bello di tutti.
Trovammo una panchina di legno sotto un albero ed Elisaveta vi si sedette dicendo:
-Mi piace la primavera: tutto rinasce. Ogni pianta, ogni foglia su ogni albero, ogni fiore. E a voi?
-Avete ragione. -le risposi sorridendo.
-Adoro i fiori, vorrei fare giardinaggio perchè vorrei essere io a curare le mie piante, a farle crescere. Ma mia madre dice che è il compito dei nostri servi.
-Io ho il giardino tutto mio, penso che vi piacerà.
-Vorrei tanto vederlo.
Mi accomodai accanto a lei prendendo la sua mano e gliela baciai. Lei tremò, come al solito.
Ormai erano tanti mesi che ci conoscevamo, uscivamo di nascosto, parlavamo di tutto e di più. Era abituata a sentire le mie labbra sulle sue mani, ma ogni volta sentiva sensazioni nuove, come se fosse sempre per la prima volta.
La guardai negli occhi.
-I vostri occhi mi ricordano l'oceano. L'oceano di Elisaveta -le dissi.
-L'oceano? Ma i miei occhi sono marroni!
-Oh, Lisa, l'oceano non si misura in base al colore, ma in base alla profondità del cuore.

21 settembre 1868

Come avevo promesso ad Elisaveta, la invitai finalmente nel mio palazzo. Non era grande quanto il suo, ma non sembrava neanche la casetta di un contadino, ovviamente.
Subito mi chiese di mostrarle il mio giardino e non potevo dire di no a quegli occhi da cerbiatto.

Camminava di qua e di là osservando attentamente ogni cespuglio, ogni fiore, ogni albero. Ero fiero del mio giardino perchè ero stato io a curarlo con le mie mani, non grazie a quelle dei giardinieri.
Gli occhi di Lisa si fermarono ad un grande cespuglio di rose rosse; si voltò verso di me, sorridendo:
-Quelle rose che mi mandavate...le avete coltivato voi, vero?
Annuii soltanto.
-Le riconoscerei ovunque. Le tenevo nel vaso sulla mia scrivania fino all'ultimo. I camerieri mi chiedevano se fosse il caso di buttarle via, ma io rispondevo di no fino a quando non mi mandavate un mazzo nuovo.
-Vi piacciono così tanto? -le chiesi abbracciandola da dietro. Lisa mi accarezzò le braccia mentre la cullavo e poi rispose sussurrando:
-In realtà non mi ero accorta della loro bellezza finchè voi non me l'avete fatta notare. Ora so che ogni fiore è stupendo se viene cresciuto con amore.
-Ma voi restate comunque il fiore più bello -le dissi baciandole la testa.

6 ottobre 1868

Un leggero venticello le accarezzava il volto di ragazzina. I lunghi capelli castani si disperdevano nell'aria come le fiamme durante un incendio.
Seduta sull'altalena, l'unico rumore che c'era erano proprio la sua voce e le sue risate. Sorrideva chiundendo gli occhi per assaporare al meglio quel momento.
-Ho paura che tutto ciò finisca, prima o poi -disse Elisaveta improvvisamente con la voce ridotta ad un sussurro. Il sorriso svanì dalle sue labbra rosa che presero una linea dura. Un triste silenzio calò in quel momento.
-Perchè, Lisa? Perchè dovrebbe finire? -le chiesi spingendo l'altalena per dondolarla. 
-P-p-perchè...-balbettò lei diventando rossa. Si mise una mano su una delle guance e poi fece un gesto come per scacciare i pensieri dalla sua mente.
-Lisa...non mi mentire, vi prego...
-Non è nulla, non è nulla -mi zittì sorridendo. Ma io sapevo che quello era un sorriso falso: ormai sapevo distinguerli da quelli sinceri. -Oh, per favore, Samuel...-disse lei non appena vide l'espressione fredda sul mio viso.
-Lisa, lo sapete quant'è importante la fiducia per me. Perchè non volete dirmi nulla?
-Non ho nulla da dirvi, non vi nascondo assolutamente niente...
-E' una bugia, questa.
-Vi prego, non arrabbiatevi, non voglio litigare con voi!
Fermai l'altalena e abbassai il suo viso verso quello di Lisa che, imbarazzata, diventò ancor più rossa di prima. Tuttavia non distolse lo sguardo dai miei occhi.
-I miei genitori vogliono che sposi un altro uomo... -disse Elisaveta sospirando. Vedevo le sue lacrime salate che le bruciavano gli occhi, ma una severa educazione a cui era stata abituata sin da bambina le proibiva di piangere.
Rimasi in silenzio per qualche minuto, poi accarezzai i capelli di Lisa dicendole:
-Pensate che ciò possa davvero fermarmi?
Lisa abbassò lo sguardo sulla mia mano aperta.
-Scappiamo, Elisaveta, lontano lontano...nessuno ci troverà...tu non sarai più Elisaveta Bronskaja, io non sarò più Samuel Thunder...saremo solo Lisa e Sam, come abbiamo sempre voluto...
Mi sorrise e poi annuì. Le rubai un bacio e lei era d'accordo.

Vrykolakas, 27 ottobre 1868

Erano una ventina di giorni da quando Lisa fuggì da casa con me. Ci eravamo trasferiti definitivamente a Vrykolakas, poichè a casa mia in Russia, prima o poi, ci avrebbero trovati, invece qui gli umani non potevano raggiungerci.
Vrykolakas era stata fondata da mio padre un secolo prima e, all'inizio, era solo una specie di scuola per i vampiri purosangue. Io e mio padre abitavamo lì, ma poi lui decise di diventare eremita o qualcosa del genere e se ne andò chissà dove, ma la cosa non mi preoccupava perchè, per quanto fosse vergognoso ammetterlo, di mio padre non me importava più niente. Quando mia madre fu uccisa, lui non si preoccupò minimamente di me: all'epoca avevo solo sei anni e vedere la mia mamma morta per terra con gli occhi aperti non era la cosa più bella per un bambino. Mio padre, dopo la morte della mamma, si dedicò completamente alla piccola comunità che aveva creato riservata solo ai vampiri purosangue ed io, invece, dovetti costruire la mia vita da solo e quando mi chiedevano che lavoro facessero i miei genitori rispondevo ch'ero orfano perchè non volevo raccontare i miei problemi familiari.

Elisaveta non l'aveva presa molto male quando le raccontai che a Vrykolakas non c'era alcun essere umano, ma solo vampiri: mi aveva guardato sorpresa e poi svenne. Poteva andare peggio.
Comunque, aveva accettato la mia natura (anche se pensavo che in realtà lei non mi credeva), ma non mi aveva dato alcuna risposta quando le chiesi se voleva diventarlo anche lei.
Non poteva andare avanti in quel modo: io volevo sposarla, avere dei bambini, una famiglia insomma, la famiglia che non avevo mai avuto, ma restava il fatto che Lisa era un'umana ed io un vampiro, e non potevamo mescolare le nostre razze.
Aveva detto che ci avrebbe pensato ed io mi auguravo fosse davvero così.

Una sera eravamo abbracciati, stretti uno all'altro, nella mia stanza (dormivamo nelle camere diverse) e lei mi disse:
-Sam...ma voi, quindi, bevete sangue...? -sussurrò.
Non volevo risponderle perchè avevo paura che la cosa avrebbe potuto spaventarla. Io volevo che lei scegliesse di diventare un vampiro. Lo sapevo che la stavo quasi spingendo a farlo, ma era l'unico modo: io non potevo diventare un umano, quella era la sola unica via d'uscita ed era solo questione di tempo.
Ma io non volevo perder tempo. Ne avevo già perso abbastanza...
-Sì -risposi sincero- Ma non solo. I vampiri si nutrono anche del sangue, ma in gran parte di cibo umano.
Lisa mi guardò con gli occhi spaventati e solo in quel momento mi accorsi di quel che avevo detto:
-No no!! Non quello che avete pensato! Nel senso, mangiamo le stesse cose che mangiano gli umani! -lei sospirò- Ma, Lisa, cosa pensate di me? Mi avete preso per un cannibale?
-Perdonatemi, è che...questa cosa del sangue...
-Lo so che vi spaventa, ma non è così terribile...non finchè siete ancora un'umana...
-Per favore, Samuel, non farmi pressione.
-Scusate -la strinsi più forte baciando le sue guance, il suo naso, i suoi occhi ed infine le sue labbra.

Vrykolakas-Inghilterra, 13 gennaio 1869

Lisa non aveva ancora deciso e questa ansia mi stava distruggendo: avevamo persino litigato più volte e avevo scoperto un lato, così nervoso e capriccioso di lei, che mi faceva imbestialire ed uscire fuori dalla stanza sbattendo la porta. A calmarmi erano le mie sigarette, non di certo Elisaveta stessa.
Questo non significa che l'amavo di meno, anzì, i sentimenti che provavo verso di lei continuavano a crescere, ma avevo paura che quei litigi potessero causarci guai. E avevo ragione a preoccuparmi così tanto.

Quel 13 gennaio litigammo di nuovo: me ne andai dalla stanza (sbattendo, ovviamente, la porta perchè sapevo che a Lisa faceva impressione) a fumare nel giardino.
Litigare con Elisaveta, oltre a farmi incavolare, mi faceva soffrire molto, perchè avevo paura che quel piccolo ma grande legame che c'era tra di noi rischiasse di rompersi.
Era un pò da egoista abbandonarla lì, sola nella camera, ma era meglio se uscivo per qualche minuto per calmarmi. Sapevo che anche lei ci rimaneva male, ma, diavolo, perchè non voleva decidersi a diventare un vampiro?!
Non riuscivo a capirlo: certo, era un mondo totalmente nuovo per lei e le avevo dato tutto il tempo per abituarvici, ma quanto sarebbe andato avanti questo periodo?
Ripensai al suo sorriso e mi calmai: era veleno ed era antidoto.
Tornai nella stanza, ma Lisa non era lì. 
Andai nel salotto chiedendo ad un paio di vampiri se l'avessero vista, ma loro facevano solo il segno di no con la testa.
Il cuore cominciava a martellarmi: dov'era?
Guardai fuori dalla finestra: da lì si vedevano i Cancelli Oscuri. Già all'ora quelli servivano a spostarci da un mondo all'altro, ma sulla Terra erano molto nascosti e solo alcuni vampiri, maghi o licantropi sapevano della loro esistenza.
Elisaveta stava correndo verso di loro.
Mi affrettai per fermarla, correvo come impazzito non preoccupandomi neanche di Mr Areiv a cui avevo fatto cadere un piatto dalle mani, ma non ero riuscito a raggiungerla, se n'era già andata.
Quando decidi di usare i Cancelli non ti accorgi che passa molto tempo prima che tu arrivi a destinazione, il che significa che non sarei più riuscito a raggiungerla.
Se ne sarebbe andata, si sarebbe persa, non avrebbe trovato aiuto e cos'altro poteva accaderle in un paese sconosciuto?! I Cancelli del mondo umano si trovavano a Greenwich!

La distanza di tempo del trasferimento di Lisa e del mio era circa di due ore.
Quando arrivai a Greenwich sussultai per il freddo che c'era: nevicava, persino.
Cercai di usare i miei poteri mentali per trovare il percorso che aveva fatto Elisaveta, ma non ci riuscivo molto quando ero nervoso.
Quella donna mi aveva reso la vita impossibile, era la prima volta che non riuscivo a concentrarmi. Io che avevo sempre avuto il sangue freddo.
Comunque riuscivo a trovare mentalmente le sue impronte, in qualche maniera sarei riuscito a trovarla, ma quando? Lei aveva bisogno di me!

Arrivai in una piccola pianura che mi spaventava un pò: era coperta tutta di neve bianca come il latte, e solo un albero nudo e scuro rovinava il paesaggio.
E poi le urla.
E poi il sangue.
Il sangue rosso su quella neve bianca.
Ed era il sangue della mia Lisa.
Corsii da lei, era circondata da un gruppo di licantropi tra cui Kendel, il loro capo.
Non mi importava niente di loro, solo della mia Lisa.
Aveva la gola tagliata, si stava soffocando, le mancava l'aria. Mi chinai su di lei, non riuscivo a parlare. 
Avevo solo voluto che quello fosse un incubo, ma era la pura, crudele realtà.
-Elisaveta! -urlai il suo nome baciandole il volto, tentava di dire qualcosa, ma la fermai.
-Vi amo...S-s-s-amuel...vi amo...-diceva. Non riusciva più a respirare.
-Lisa...Lisa, no! Vi amo anch'io, sentite?!
-S-s-s-am...
-Amore mio...andrà tutto bene...-ma sapevamo entrambi che non sarebbe andato bene niente.
Sapevo che non sarei riuscito a salvarla, non c'era alcun modo. Ero disperato.
Questa disperazione si mescolava alla rabbia, al pensiero che non l'avrei rivista mai più, che non avrei più sentito la sua voce. Avevo voglia di morire, lì, con lei.
Un'antica leggenda diceva che, ritagliando il cuore di una persona che era morta, questa sarebbe potuta rinascere. Non si sa quando, non si sa dove. Ma una possibilità c'era.
In uno stato normale non avrei mai creduto ad una stupidaggine del genere, ma ero disperato e per un attimo quella mi sembrò la salvezza.
Presi la mia spada liberandola dalla custodia, posai la mano sul cuore di Lisa che batteva ancora...era ora di smetterla di farla soffrire.
-Non sono riuscito a prottegervi, Lisa, perdonatemi...-le dissi e affondai la spada nel suo petto. Le sue ultime parole furono: sono contenta di avervi conosciuto.

Kendel ed i suoi licantropi eran rimasti ad osservarmi: in una mano tenevo la mia spada sporca di sangue della mia Lisa, nell'altra il suo cuore.
Mi guardavano spaventati, come se fossi la cosa più terrificante che abbiano mai visto. Facevano bene ad avere paura. Ma avrei aspettato. La mancanza di Elisaveta si sarebbe fatta sentire al più presto e, di conseguenza, sarebbe cresciuta pura la mia rabbia e mi sarei, quindi, vendicato per bene.
-Perchè? -chiesi soltanto.
Kendel abbassò gli occhi, mentre gli altri licantropi fecero qualche passo indietro.
-Ho chiesto: perchè?! -urlai, stavvolta.
-Conosco suo padre, ha detto che era scappata con un ribelle inglese...ha detto di ucciderla in silenzio, senza che nessuno lo sappia...eravamo qui per puro caso, forse l'ha voluto il destino...
Ma io non ci credevo: il padre voleva morta la propria figlia? Perfino il mio non si sarebbe abbassato a questo livello.
-Me la pagherai, Kendel, stanne certo -dissi voltandomi verso il corpo di Lisa privo di vita.

Vrykolakas, 6 febbraio 1869

Lisa avrebbe compiuto i diciannove anni quel giorno.

Avevo sepolto il corpo di Elisaveta nel giardino di Vrykolakas, sotto un cespuglio di rose rosse. Qualcuno dei vampiri s'era lamentato dicendo che questo non era un cimitero, ma ci pensai già a come farli chiudere le bocche così che non riescono neppure a guardare nella mia direzione.

Dalla sua morte fino a qualche giorno fa non avevo mangiato niente. Potevo resistere senza cibo per molto tempo. Odyn aveva pensato che stavo cercando di suicidarmi lentamente ed in un modo molto doloroso, ma ero forte e avevo ancora una piccola speranza.
E se Lisa sarebbe rinnata?
Dovevo vivere, non avevo perso il senso della mia vita, come pensavo.
Avevo capito che il vero motivo della mia stupida inutile vita era l'amore che provavo per Lisa. Lei era morta, ma i sentimenti che nutrivo per lei erano ancora vivi ed eterni. Ecco perchè dovevo vivere.

In modo quasi automatico mi alzai dal letto: sapevo dove stavano per portarmi le mie gambe.
Lycanthrope.

Lycanthrope, 7 febbraio 1869

Era notte tra il sei e il sette.
Stavo camminando verso il castello di Kendel e sua moglie, Myriam. Ad ogni mio passo c'era una scossa nel terreno.
Non provavo più niente, né rabbia, né odio. Tutto succedeva in modo involontario: feci scoppiare gli incendii nei boschi di Lycanthrope, terremoti e tempeste. I fulmini colpivano le case, gli alberi che cadevano per terra distruggendo tutto quello che c'era sotto.
Ero come una macchina di distruzione: non volevo far male al popolo licantropo che non aveva alcuna colpa, ma, dall'altra parte, non avevo fatto niente per fermarmi.

-Kendel, è completamente solo! -sentii la voce femminile da un salotto del castello.
-Non è possibile che sia da solo! Controlla bene! -le rispose quel disgraziato.
-Tua moglie ha ragione, Kendel. Myriam è sempre stata una donna attenta -dissi entrando nella stanza.
Myriam si nascose dietro suo marito anche se, in fondo al cuore, sapevamo tutti e tre che Kendel era solo un codardo e se avesse avuto qualche possibilità di fugga se ne sarebbe andato a gambe levate senza preoccuparsi di sua povera moglie.
-Che c'è, Kendel, paura? -chiesi sussurrando.
Un gruppo di guardie era entrato puntando le armi verso di me:
-Andatevene e non vi farò niente -dissi e loro mi ascoltarono. Il loro capo era sconvolto dal fatto che le sue guardie se n'erano così, ma era perchè non sapeva che l'avevo quasi imposto nella loro mente.
-Allora, che la sfida abbia inizio? -chiesi.

Tenevo Kendel con la mano destra per il collo. 
Era molto più adulto di me. Aveva lunghi capelli neri e gli occhi gialli. Si era quasi trasformato, ma troppo tardi.
-Oh, stai soffocando? Proprio come la mia Lisa. -risi stringendo ancor più forte il collo. Il moro cercò di strappare la mia mano, ma ero troppo forte -Dimmi come ci si sente, bene? Stava bene la mia Lisa? Stava bene?! Perchè stai zitto? Ah, scusami, non puoi parlare, Perchè ti manca l'aria, perchè stai soffocando, perchè non riesci a dire nulla visto che non hai fiato. Così si sentiva Lisa, così. E' bello sapere che stai per morire? Dimmi, è bello? Rispondi! Hai riso tu, quando lei stava morendo, hai solo riso. 
-S-s-scusami... -riuscì a mormorare il capo dei licantropi.
-Scusami? -ripetei- No. Mai e poi mai. Lisa non tornerà, non tornerà grazie alle tue scuse. O sì? Tornerà? Tornerà? 
-L-l-lasciami...
-Ti supplico! -urlò la moglie di Kendel, seduta in un angolino, con le ginocchia al petto e le lacrime lungo le guance.
-Guarda come sta tua moglie. Lei sì che ora potrà capire come mi sentivo io. La mia Lisa...dov'è, ora, la mia Lisa?! -chiesi con un urlo soffocato e scareventai fortemente il corpo del moro contro il muro di pietra. E questo morì in un batter d'occhio.

-Spero che tu ti sia vendicato, ora. -disse la donna dai lunghi capelli biondi e mossi. Le lacrime le rigavano il viso, la voce sembrava un sussurro, ma carico di odio e di sofferenza. Le mani tremavano mentre teneva fra le braccia il corpo di suo marito.
-Oh, Myriam. La mia vendetta è solo cominciata -le risposi. Un sorriso apparve sul mio volto, ma non era un sorriso di gioia o di pace raggiunta, non era un sorriso di una persona che cercava vendetta. Era un sorriso spento e triste, pieno di dolore che non sarei riuscito mai e poi mai descrivere. 
-Sei terribile...guarda cosa hai fatto...hai ucciso Kendel e tante altre persone innocenti...sei un mostro... -continuò Myriam e le sembrò soffocare, così come morì prima suo marito.
-Mi parli tu dell'innocenza? Parli tu?! -urlai.
-Kendel ha fatto una cosa orrenda, è vero, non ha...non aveva scuse per questo. Ma cosa c'entrava il nostro popolo?
-Soffri, Myriam, soffri. E non ti credo. Non ti interessa nulla del popolo, questa sì che è una scusa. Non ci crederò mai a quello che dici. Soffri. Soffri come soffro io.
-Non te lo perdonerò mai. Mai!
-Sarò io che dovrò perdonare te e la tua stupida razza. Ma la guerra è appena cominciata, e fino alla fine dei miei giorni non ti darò pace.
-Cosa ci avrà trovato in te quella povera ragazza...
-Non potrai mai capire, tu. E non osare nominarla -sussurrai con la voce tremante.

Da quel momento fui chiamato l'Ultor*3 e cominciò la Prima Guerra tra tutte le razze. La morte di Lisa non era l'unica causa degli scontri che nacquero: era solo come la goccia che fece traboccare il vaso.

Russia, 19 luglio 2001

La mattina mi svegliavo con il ricordo di Lisa, e la sera andavo a dormire pensando a lei.

Ormai avevo perso ogni speranza, ma riuscivo a vivere comunque. Avevo un regno enorme da governare, i piccoli vampiri a cui davo lezioni e a cui potevo dare l'affetto di troppo che c'era in me: ne ero pieno, dovevo pur sfogarlo su qualcuno.
Ero il capo della razza più potente del mondo, tuttavia non ero felice.
Nessuna donna dopo Elisaveta era riuscita a conquistarmi, ma forse perchè non ero ancora pronto a farmi conquistare. Mi mancava ancora, avevo il peso continuo della sua anima sul mio cuore. Il suo, invece, di cuore, l'avevo nascosto nella scatola in cui, tempo fa, Lisa teneva i suoi gioielli e il pettine (su cui eran rimasti i suoi capelli...no no, ero diventato quasi pazzo, ma avevo conservato anche quelli). Quella scatola sarà per sempre al sicuro in una stanza chiusa a chiave, che ho solo io, sotto la Casa dei Vampiri.

In questi secoli erano successe molte cose, in breve posso dire che sono il migliore capo del mondo (e non sto scherzando) poichè il popolo di Vrykolakas è contento, ora che non ci sono più quelle sanguinose guerre (spero) che avevo, appunto, vinto tutte.

Odyn, il migliore amico, era morto durante una battaglia lasciando il regno alla sua piccola figlia Sylvia, ma questa era troppo giovane per salire al potere e suo padre biologico non se lo ricorda nemmeno: infatti, sua madre aveva sposato un imbecille che mi aveva dichiarato guerra e Sylvia lo riteneva (e lo ritiene ancora) suo vero papà. Per fortuna anche questo muorì e in qualche maniera spinsi Sylvia a prendere in mano il governo e fare la pace con i vampiri. E' uguale a suo padre: ha i capelli rossi e gli occhi verdi, è testarda come un mulo. Provo un sincero affetto verso di lei perchè mi ricorda Odyn che mi manca tantissimo.

Il 19 luglio ero in un gruppo di vampiri in Russia, quel paese mi riportava indietro con gli anni, ma stavo svolgendo una missione quindi non potevo abbandonarmi ai dolci ricordi della mia Lisa.
Eravamo vestiti come persone umane, felpe e jeans, nessuno avrebbe pensato che fossimo dei vampiri.
Mentre camminavamo vidi una casetta: sulla finestra tutta sporca, piena di ragnatele c'era un gatto nero che, quando mi guardò, miagolò e corse chissà dove. 
Poi ritornò e miagolò di nuovo, guardandomi. Si girò di nuovo nell'altra direzione e corse, così decisi di seguirlo (non che di solito seguissi i gatti, però questo aveva un comportamento particolarmente strano).
Il gatto si fermò davanti ad un piccolo orto e poi si avvicinò ad un pomodoro verde ch'era appena caduto. Una bambina di circa cinque-sei anni si abbassò verso la verdura, ma quando si voltò il mio cuore smise di battere.


Riconobbi la mia Lisa, che ora era nei panni di una piccola bambina. Mi avvicinai a lei e le allungai la mia mano, come avevo fatto con Elisaveta per chiederle un ballo, e le dissi:
-Vieni con me.
E lei, ovviamente, mi diede la sua manina e nei suoi occhi lessi la fiducia che cominciò a nutrire verso di me.

Il resto lo sai. Ecco perchè, per me, il tuo è il 
sangue di vetro*4: la tua vita è fragile, come il vetro. Ma questa volta riuscirò a prottegerti.
 
*1mademoiselle - In Russia, all'epoca, ogni persona appartenente al ceto sociale dei nobili, parlava perfettamente sin da bambino il russo, ovvio, l'inglese e il francese.

*2 La Russia era l'unico paese d'Europa che non aveva cambiato le sue tradizioni e gli usi: infatti, c'erano pochissime famiglie nobili che avevano territori giganti e tanta gente povera (tant'è vero che nel resto dell'Europa era già stata abolita la servitù della gleba, mentre in Russia era rimasta ancora). Questo mondo in cui il potere era nelle mani dei nobili, verrà spazzato via dalla Rivoluzione d'Ottobre.

*3Ultor -''vendicatore'', in latino.

*4 sangue di vetro - è un'espressione che si usava a Vrykolakas per definire una persona molto cara a cui ci si tiene molto. Il sangue, per i vampiri, è la vita. Quindi possiamo tradurre come ''la tua vita è molto importante per me''.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII - Per sempre ***


Capitolo XVIII - Per sempre
capitolo non corretto.

Mentre Samuel mi raccontava, sentivo i brividi. Mi tremavano le mani, non ero riuscita a dirgli nulla quando aveva concluso.
Mi aveva amata così tanto.
In realtà, quando parlava, mi sembrava che raccontasse di un'altra persona, non di me. Io non mi sentivo la sua Elisaveta. Io ero diversa. Ero peggio, non ero abbastanza.
Mi sembrava che ciò che provava Sam, quei sentimenti, non era per me. 
Lui era convinto ch'io fossi Lisa, solo per questo dodici anni fa mi ha portato con sè. Aveva costretto se stesso ad amarmi solo perchè sapeva che io ero la reincarnazione della sua amata. Peccato che Lisa ed io eravamo completamente diverse.
Eppure un poco dell'immenso dolore che provava ero riuscita a capire. Aveva perso la persona che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo, la sua ragione di vita. Una vita eterna...
Non piansi, non dissi una parola.
Sapevo che mi stava guardando aspettando qualcosa, ma non avevo nulla da dire. Avevo paura di alzare lo sguardo verso di lui, non volevo incontrare i suoi occhi.
Potevo definirmi alla grande un'egoista: Samuel si era aperto con me, aveva raccontato la sua storia, si era fidato di me. Ma mi amava davvero oppure era una semplice convinzione?
Mi morsi il labbro inferiore stringendo tra le mani l'orlo della maglietta. Avevo voglia di piangere, ultimamente era diventata l'unica cosa che sapevo fare bene. In realtà, cercavo sempre di apparire forte davanti a Sam, una roccia, d'acciaio, ma probabilmente lui mi vedeva solo come un pezzo di carta: facile da strappare ed impossibile da rimettere insieme senza evidenti segni.
-Ti amo, Elsa -disse all'improvviso sussurrando. La sua voce sembrò solo un eco in quella grotta in cui c'era solo un raggio di luce, silenziosa e buia. 
A quelle parole alzai lo sguardo ed incontrai il suo. Per la prima volta nella mia vita avevo visto gli occhi di Samuel così belli: il suo colore del mare, di solito, trasmetteva un mare gelido, un oceano nell'Antartide, un estremo distacco; ma, in quel momento, sembravano caldi come non mai, come quel mare che i miei genitori mi avevano tanto promesso. Ed infatti, quello sguardo sembrava proprio una promessa.
La neve continuava a scendere lentamente dall'unico buchetto da cui proveniva quel piccolo raggio di luce. I fiocchi di neve cadevano davanti ai nostri volti, ai suoi occhi blu ed ai suoi capelli biondi. Nella sua espressione non c'era un minimo di dubbio, non sembrava una persona insicura che non sa cosa dire, no. Lui mi osservava aspettando una risposta.
Aprii la bocca per dirgli ''Ti amo anch'io'', ma non ero riuscita a farlo.
Non ama te, ama semplicemente il ricordo di lei. Ma tu non sei lei. Non sei abbastanza.
Chiusi gli occhi e mi alzai dalla pietra fredda su cui ero rimasta seduta per tutto il tempo, ma la sua mano mi bloccò. Tremai a quel contatto cercando di liberarmi, ma mi fece girare verso di lui. Il suo viso era vicino al mio, i nasi si sfioravano, i petti si toccavano mentre respiravamo quell'aria gelida.
-Non mi credi -affermò cercando i miei occhi, ma non riuscivo a resistere al suo sguardo bisognoso. -Elsa, parlami, ti supplico.
Sospirai soltanto e tremai di nuovo. All'improvviso mi sembrò di avere freddo, la sensazione che nessun vampiro poteva provare. E poi, quando meno me l'aspettavo, mi baciò. 
Le sue labbra carnose sapevano di dolce, di sangue e di sigaretta, sapevo che ogni tanto fumava anche se non l'avevo mai visto farlo. Mi strinse a sè attirandomi per la vita e trasmettendomi quel poco di calore che bastò per riscaldarmi. Aprii la mia bocca per sentire meglio il suo sapore, la sua lingua che cercava la mia. Mi morse il labbro inferiore e fui certa che tra qualche secondo sarei morta di arresto cardiaco.
Quel bacio era lento, ma bisognoso. Lo aspettavo anch'io da così tanto tempo, ma non da quanto lui. Lui che mi aveva aspettata per secoli. Me o Elisaveta?
-Te -mi rispose nel pensiero continuando a baciarmi.
''Mi legge nel pensiero?! Quindi sa tutto?!'' -pensai cercando di separarmi da lui. Era sbagliato entrare nella mia mente in un momento di tale debolezza. Oppure mi aveva baciata apposta per sapere cosa ne penso?
-Amo te. Tu sei Elisaveta, lo so che sei tu. Nessuno mi aveva mai dato una conferma del fatto che tu fossi la sua reincarnazione, ma io l'ho sempre saputo. Perchè avete la stessa anima. Elsa, Lisa ti può sembrare diversa, ma non lo è. Lei è vissuta in un'epoca diversa, ma quello che aveva dentro era uguale a ciò che c'è ora in te. Lei amava la vita quanto te, era vivace anche se non poteva mostrarlo perchè la mentalità delle persone non era uguale a quella di adesso. Doveva avere sempre un comportamento adeguato in presenza di altre persone, ma con me era davvero se stessa. Se vi chiamo con nomi diversi e non dico ''tu sei morta, tu sei andata via'' ecc, non è perchè per me tu e lei siete diverse. Se dico che amo Lisa, vuol dire che amo te; se dico che amo te, vuol dire che amo lei. -mi rispose dopo essersi staccato da me.
-Forse non lo sai neanche tu chi ami...-gli dissi cercando di allontanarmi, ma Samuel mi strinse ancora più forte allungando la mano verso la mia guancia.
-Fiducia, mai sentito parlarne?
-Ho bisogno delle dimostrazioni, Samuel, non posso basarmi sulla fiducia.
-Devi, Elsa, devi. Se non sceglierai me solo perchè non riesci a fidarmi, con gli altri non sarà diverso. Ogni persona che ti vorrà e che vorrai tu, pretenderà da te la fiducia. Se non c'è, non si può costruire nulla.
-Tu non capisci...
-Capisco invece.
-Io voglio vivere felice, convinta di quello che provi per me! -urlai- Non voglio dirti ''sì, va bene, mi fido'' perchè non è vero! Non ci credo! Non ci credo e basta! E poi, non dirmi che da quando Lisa è morta non hai avuto nessun'altra relazione!
-E questo che c'entra?!
-Rispondi!
-Ah Dio, basta, basta. -disse chiudendosi le orecchia con le mani- Sei veramente uguale a lei, nervosa e capricciosa e non sai neanche tu stessa cosa stai dicendo! Vuoi sapere se ho avuto altre di relazioni? La risposta è no, perchè aspettavo te e sapevo che, prima o poi, saresti tornata. E ora dimmi cosa c'entra con la fiducia!
-Senti, Sam, vai a fanculo tu e la tua Elisaveta e tutto ciò che è stato tra di voi. Non mi interessa niente, lasciami in pace. -dissi voltandomi verso la stradina che portava in un altro angolo della grotta.
-Tu non vai da nessuna parte!
-Ah sì? E perchè? Sono di tua proprietà adesso?
-Lo sei sempre stata, ammettilo.
-Non farmi ridere, ti prego.
-So che quando torneremo a Vrykolakas non bacerai Scott, perchè ami me.
-Cosa?!
E in quel momento mi ricordai della terribile scommessa che avevo fatto con Scott: mi aveva proposto il piano ''comportarmi educatamente ed obbedire a Samuel''. Se avesse funzionato, gli avrei dato un bacio. Ed aveva funzionato.
Ma la domanda era: come faceva a saperne Sam?!
-Come fai a saperlo? -chiesi mettendo le mani sui fianchi.
-Eh, Scott, Scott...sai quanto gli faccio paura -disse sorridendo maliziosamente.
-Ti ha raccontato tutto? Anche del fatto che...
-Sì, Elsa, ma non avevo bisogno di lui per sapere che non ero indifferente per te. Elsa, tu fai soffrire me e te stessa. Lo so che hai bisogno di tempo, è successo tutto così in fretta...io non avevo intenzione di rivelartelo ora, ma questi sogni, le visioni che fai...non volevo che ti facessero paura, insomma...ero preoccupato per te, per come ti comportavi dopo, per la tua reazione...ho dovuto raccontarti, capisci?
-Stiamo solo litigando, Sam...
-Lo so, non era ciò che volevo... -disse avvicinandosi a me. -E' che non mi credi...e non so cosa devo fare pur di fartelo capire...
Mi abbracciò annusando i miei capelli castani. Chiusi gli occhi lasciandomi cullare dalle sue forti braccia.
-Voglio solo che tu ricominci da capo. -gli dissi posando il viso sul suo petto.
-Da capo?
-Sì. Voglio che lasci perdere tutto ciò che è successo con Lisa e che ricominci una nuova vita con me. Boh, insomma, puoi cominciare già a corteggiarmi regalandomi tipo dei fiori appena torniamo a casa... -ridacchiai.
-Tutto quello che vorrai, Elsa...-sussurrò baciandomi i capelli.
All'improvviso, un urlo ruppe quel silenzio. Ci voltammo entrambi nella direzione da cui proveniva. Era una voce femminile, ma ero sicura che non fu Diana. Samuel s'irrigidì fissando a lungo la stradina e disse:
-Puzza di licantropi.
-Lupi mannari?!
-Uhm -annuì annusando l'aria. I suoi occhi diventarono rossi da quell'indaco-blu che amavo tanto. -Resta qui.
-No.
-Non protestare. Può essere pericoloso.
Vidi un'ombra che si avvicinava pian piano con una mano posata sul ventre. Gocce di sangue scendevano lungo quelle lunghe e magre gambe del corpo femminile, e cadevano per terra, sulla neve bianca richiamandomi la memoria alla morte di Elisaveta.
Samuel mi coprì lo stesso, anche se entrambi sapevamo che quella ragazzina debole e ferita non poteva farci niente. Finalmente riuscii a vedere il suo volto: era pallida, solo le guance erano rosse per il freddo, le labbra erano sottili e rosa, due occhi grandi color verde-acqua che avevano perso ogni luce, tanto da sembrare spenti e senza colore. I capelli erano d'uno colore particolare, nè rossi nè castani e nemmeno biondi, una via di mezzo, forse color miele. Era piuttosto alta e molto magra, sembrava un pò malaticcia.
-Licantropo -ringhiò Samuel guardando la ragazzina che poteva al massimo avere dodici-tredici anni.
-Sam, guarda com'è ridotta... -m'intromisi.
-Ah, per favore. Cosa vuoi, che le faccia pure da medico?
Mentre il mio vampiro brontolava come al solito, la ragazza cadde in ginocchio. Mi avvicinai abbassandomi verso di lei, come se all'improvviso sentissi un istinto materno.
-Aiutatemi, vi prego...-sussurrò. Non avevo più dubbi, era poco più di una bambina, lo capii dalla sua voce.
-Che ti è successo? -le chiesi con calma spostandole i capelli lunghi fino alle spalle perchè le arrivavano in faccia ma non aveva neanche la forza per alzare la mano.
-Io...non...
-Elsa, è un licantropo, non possiamo aiutarla! -urlò Samuel, ma lo zittì subito guardandolo male.
-Dimmi -incoraggiai la ragazza- come ti chiami?
-I-i-i-isabel...
-Sei un licantropo?
-Uhum...
-Certo che lo è! -intervenne di nuovo Samuel.
-Non badare a lui. Racconta cosa ti è successo e perchè sei qui. -continuai.
-Io...io...non l'ho fatto apposta! Io...Myriam...
-Myriam?! Quella putt...-ricominciò Sam ma gli urlai di smetterla, così si sedette su una pietra arrendendosi definitivamente.
-Sì, che ti ha fatto? -chiesi ad Isabel che tremava tutta.
-Io...insomma, ho tradito la mia razza...
-In che modo?
-Myriam...il nostro capo...voleva...insomma, ha preparato un piano per eliminare i vampiri...e mio padre è uno dei generali più forti...e me ne ha parlato...ma io non volevo una nuova guerra...siamo già messi male, completamente sottomessi a voi...così ho organizzato una rivolta contro il governo pessimo di Myriam e ho scoperto che non ero l'unica a pensarla così...e lei...mi ha fatto picchiare e mi hanno portato qui...-raccontò tutto d'un fiato.
Guardai Samuel nella speranza che potesse cambiare idea, ma mi lanciò un'occhiataccia e si lamentò:
-E credi in queste scemenze? E' chiaro che sia una spia!
-Ma cosa dici, guardala com'è ridotta!
-No no e ancora no! Non la portiamo di certo a Vrykolakas!
-Samuel...-dissi con voce tenera e provocante e mi sedetti sul suo ginocchio. Cominciai ad accarezzargli i capelli leggermente ondulati intrecciandovi le mie dita e dissi- Quando hai detto che faresti di tutto per me, dicevi sul serio? Beh, comincia già da ora.
Sam tratteneva il fiato e poi sospirò continuando a guardarmi male, ma anche sorpreso dei gesti che stavo facendo. Sospirò un'altra volta e poi mi cinse la vita con un braccio dicendo:
-Solo per te, piccola.
Gli diedi un veloce bacio sulla fronte e poi mi diressi dalla ragazza per aiutarla ad alzarsi mandando Samuel a cercare Diana ed Alex.
 
Fine prima parte

Ciao a tutti!
Perdonate la mia lunghisssssssima assenza, ma avevo davvero tante cose da fare, per esempio organizzare il compleanno di mio fratello che ieri ha compiuto un anno!
Ultimamente ho tante verifiche e quindi devo studiare, ma ora ho trovato un pò di tempo per scrivere (ah sì, ho preso un 10 in matematica, applausi, grazie).
Comunque, vi state chiedendo perchè ho scritto ''fine prima parte''. La risposta è: questa parte della storia, per ora, è finita. Nel senso, ho chiamato apposta Immortal Souls: Sangue di vetro così per differenziarla da un'altra che scriverò più tardi. 
Più tardi quando?
Eh, non so rispondervi di preciso, ma ricomincio verso febbraio, più o meno.
Ma non è che smetterò di scrivere, anzi. Ho ''deciso'' (tra virgolette, da notare) di pubblicare un'altra storia. Non so quale, perchè di storie in quella stupida testa che ho ce ne sono tante, per cui dò a voi la scelta, ma prima un altro piccolo avviso:
per favore, coloro che stanno leggendo e se vi interessa qualcosa, commentate. 
Praticamente vi propongo due storie e voi scrivete quale preferite in un commento. Sceglierò in base ai voti (per questo vi prego di recensire).

1) Darker than black
Lei è una bibliotecaria. Va all'università dove studia lingue. E' nervosa, agitata, ma timida e dolce, con una bassa autostima. Ha diciannove anni e ama leggere e scrivere.
Lui studia psicologia. Ha ventidue anni e un carattere difficile estremamente influenzato da un passato più scuro del nero. Sembra forte, ma in realtà è fragile come una scheggia di vetro. Ha gli occhi grigi, come le nuvole, e che solo una persona riesce a leggere il loro interno.

2) Senza titolo (per ora)
Lei frequenta il liceo classico: è la più brava della classe, non ha mai avuto relazioni con i ragazzi e ne ha paura quasi come degli animali: perciò, pensa che i sia qualcosa che non vada in lei e cerca di cambiare se stessa in tutte le maniere possibili, senza riuscirci.
Lui è il suo nuovo professore di storia e latino, ha solo venticinque anni, ma è trattato da tutti i suoi colleghi con grande rispetto, tanto da essere chiamato ''Il Dominus'' (=signore, capo ecc).
Ama le sue materie, parla poco. Adora il cioccolato e tutti i dolci. Ma ama lei più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Recensite :)

Myrtus.

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