Please, forget me.

di Liveandlove
(/viewuser.php?uid=241343)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I. ***
Capitolo 2: *** Chapter II. ***
Capitolo 3: *** Chapter III. ***
Capitolo 4: *** Chapter IV. ***



Capitolo 1
*** Chapter I. ***



Please, froget me.

Chapter I

Ero scappato dalle mie responsabilità e adesso dovevo pagare delle conseguenze peggiori di quelle da cui ero fuggito. Solitudine, monotonia, senso di colpa.
Tutto questo mi massacrava a fuoco lento e con calma mi uccideva.
Quando davanti a quell'ospedale avevo trovato la forza di muovere anche solo un piede, lo feci nella direzione sbagliata. Esitai e mi rigirai verso la finestra che si affacciava verso di me, ma poi corsi sotto la pioggia scrosciante verso la parte opposta pur di non doverlo vedere, incontrare, sentirmi dire che non mi avrebbe mai perdonato e durante la corsa mentre il mio petto non faceva che alzarsi ed abbassarsi per le svariate emozioni che provavo e per la stanchezza, era come se assieme alle lacrime, gocce di sudore e alla pioggia che scivolavano sul mio corpo se ne fosse andato via tutto quello che mi era più caro.
Finalmente l'ultima camapana della giornata suonò e potei tornarmene a casa e star da solo, con i miei pensieri e la mia coscenza senza grida o brusii.
Varcai la soglia del portone trascinato dalla massa di adolescenti scalpitanti di raggiungere l'uscita, quando qualcuno mi prese per il colletto e mi sbatté contro uno muretto. Mi ritrovai faccia a faccia con Minho.
Mi ero quasi spaventato a morte ritrovandomi così vicino quei due enormi occhi a palla come quelli di un anime. Sempre così calmo, serio e pareva quasi passivo ma non lo era affatto. «Mi servono dei soldi.»
Alzai un sopracciglio e poi sbuffai con un angolo della bocca alzato.
Sapeva che se voleva ottenere qualcosa da me senza il mio consenso sarebbe dovuto arrivare alle mani. Così mentre ormai il cortile e l'entrata erano deserti, in quel vicolo cieco presto ci sarebbe stato molto sangue.
Minho si fece indietro e si fecero avanti i suoi amichetti senza cervello ma con molti muscoli con cui mi avrebbero potuto fare a pezzetti. Quella rana era così; attivo ma passivo. Improvvisamente sentii una dolore allo stomaco, mi sentii bruciare dentro e fisicamente.
La vista si fece sempre più opaca, offuscata.
Eppure mi avevano solo dato un gancio nello stomaco, mentre io che cercavo di sferrare qualche pugno non ne mandavo quasi nessuno a segno e quelli che ci andavano erano così deboli da non poter nemmeno distruggere un pezzo di porcellana a causa del mio fisico gracile.
Istintivamente le mie gambe cedettero e quando fui a terra mi rannicchiai su me stesso. Pensavo che di lì a poco sarei svenuto - ed il fatto che non lo fossi già era un miracolo, dati i molteplici contatti fisici e il dolore - per i troppi pugni, ma qualcuno lo impedì.
Guardai davanti a me e cercai di concentrarmi sulla figura dalla pelle olivastra e dalla corporatura abbastanza muscolosa e quando finalmente capii chi era e cosa stava realmente accadendo pensai di essere impazzito del tutto.
Non potevo credere di avere anche le allucinazioni; la solitudine ed il vuoto mi stavano facendo uscire di senno in un momento debole come quello.
Forse era solo un mio desiderio. I miei occhi scuri coperti dalle lenti grigie vedevano il ragazzo a cui aveva voltato le spalle e che aveva lasciato un vuoto dentro di me, salvarmi. Aveva un'espressione corrucciata - suo solito, quando era arrabbiato - tanto che sembrasse avere le sopracciglia unite. "Certe cose non cambiano mai.'" pensai supponendo che fosse tutto vero. Speravo che quello non fosse un sogno o un'allucinazione, ma prima di poter reagire o far qualcosa sussurai un «Jonghyun» che lui sentì benissimo e che attirò la sua attenzione verso di me, poi le mie palpebre si chiusero, sentì come se mi avessero colpito al capo provando un dolore tremendo e persi conoscenza.

Come mostravano nei film mi risvegliai con la vista offuscata che migliorò gradualmente e un mal di testa tremendo, come se fossi reduce da una sbronza.
Guardai la stanza interamente bianca con alcune croci rosse ed i letti che parevano barelle sempre con coperte e fodere bianche.
I ricordi e quell'allucinazione mi investirono come un'uragano e involontariamente, anche se non stava uscendo la minima lacrima dai miei occhi mi scappò un singhiozzo.
Me l'ero solo immaginato e probabilmente dopo essere svenuto per le botte qualcuno mi aveva trovato e portato nell'infermeria della scuola; già doveva essere proprio così.
Mi alzai col busto e una signora sulla trentina dallo sguardo dolce e accogliente che doveva essere l'infermiera dati i suoi vestiti, entrò nella stanza.
«Dove mi trovo?» le chiesi, per assicurarmi della mia posizione.
Improvvisamente sentii di nuovo un grande dolore allo stomaco e notai la benda che lo copriva leggermente intrisa di sangue.
Mi coprii lo stomaco con una mano, come se mi potesse aiutare ad alleviare il dolore e infine constatai che avevo solo quella fasciatura, qualche livido e un cerotto sul labbro inferiore spaccato.
«Nell'infermeria della scuola. - dopo qualche secondo di silenzio mi chiese - Hai qualcuno che ti possa venir a prendere? Non so se in queste condizioni sarai in grado di tornare a casa da solo.» Sventolai la mano. Ovviamente non avevo nessuno da chiamare.
Avevo Taemin, ma non avrei voluto che mi vedesse in queste condizioni così dissi semplicemente «Non si preoccupi, casa mia non è distante da quì.»
Mentii, ma lei sembrò cascarci in pieno e dopo avermi restituito la borsa mi guardai allo specchio per rendermi conto del mio stato.
Guardai sbalordito i miei capelli biondi tutti spettinati ed arruffati che subito sistemai con le dita, il mio corpo mal ridotto e la matita colata che oscurava ancora di più la zona occhiaie. Ma c'era qualcosa di particolare. Sulla sbavatura il segno di una dito, come se qualcuno avesse cercato di pulirmela. Quella era una cosa che era solito fare il ragazzo delle mie allucinazioni. Un tempo, davanti a lui non esitavo nemmeno un secondo a far uscire tutte le lacrime e la tristezza oppresse dentro di me che lui ascoltava in silenzio senza perdersi nemmeno una parola, come se dicessi qualcosa di davvero interessante.
A fine sfogo mi passava un dito sul trucco colato e mi diceva in modo soave «Sei bellissimo.» facendomi tremare e sorridere estasiato alle sue parole e al suo tocco, facendomi dimenticare tutte quelle lacrime. Ma non poteva essere vero. Forse involontariamente mi ero strofinato gli occhi lasciando quel segno, perché anche se lui fosse stato realmente lì non mi avrebbe mai aiutato.
Perché io non l'avevo fatto con lui.
E finalmente mi avviai a fatica verso casa, questa volta sperando che nessuno mi prendesse nuovamente per il colletto. Durante il tragitto non passavo inosservato, poiché le mie condizioni erano uguali e quelle di in un invalido su una sedia a rotelle, eppure mi sentivo costantemente fissato e seguito ma più questa sensazione si faceva sentire e più il posto si faceva isolato. Forse dopo un pomeriggio di riposo mi sarei sentito meglio e più normale.
Appena a casa mi tuffai sul divano e non mi presi nemmeno la briga di cambiarmi i vestiti e mi addormentai subito. Quando aprii gli occhi la luce dalla finestra entrava tenue e calda e c'era una strana puzza di chiuso e metallo nell'aria.
Mi alzai indolenzito e mi ricordai del giorno precedente e capii il perché di quell'odore di metallo che era più di sangue, così andai in bagno e nella cassetta dei medicinali mezza vuota tirai fuori il disinfettante e delle bende.
Prima decisi di farmi un bagno e quando tolsi le bende sentii uno strano pizzichio su tutta la zona. Mi asciugai e poi disinfettai la pelle che sentivo bruciare e infine mi fasciai con delle nuove bende pulite. Il labbro era ancora rotto ma il cerotto era scomparso.
Forse nel sonno mi era cascato oppure me l'ero tolto involontariamente infastidito poiché ho sempre odiato i cerotti sulle labbra.
Da quando mi ero svegliato aveva completamente ingnorato che ora fosse e che sarei dovuto andare a scuola, così quando per caso buttai uno sguardo sull'orologio scattai come un militare.
Non ero in ritardo fortunatamente mi ero svegliato presto, ma avrei fatto meglio a sbrigarmi. Coprii il mio corpo gracile con il mio solito vestiario colorato e alla moda e non mi preoccupai nemmeno di cambiare i libri che avevo nella borsa poiché non avrebbe fatto alcuna differenza.
Fortunatamente non arrivai in ritardo perciò mi sedetti direttamente al mio posto, poggiai il capo sul banco con lo sguardo verso la finestra e chiusi gli occhi.
I compagni avevano notato che ero ammaccato, ma non si fecero scrupoli nel fare commenti a bassa voce ovviamente pensando che io non li sentissi perché se gli avessi risposto li avrei schiacciati anche con una sola parola e loro lo sapevano.
Dalla porta entrò una tipa molto bassa con i capelli grigi a caschetto e degli occhiali quadrati posati sul naso. Sbatté la cartella un paio di volte sulla cattedra per azzittire gli alunni - con scarso successo - e poi si sedette affranta, pronta a spiegare una lezione che quasi nessuno avrebbe seguito.
Ormai la lezione era già cominciata da un quarto d'ora e le mie palpebre si erano arrese ma le mie orecchie erano sull'attenti, quando qualcuno bussò alla porta e quella automaticamente si aprì.
Non mi presi la briga di controllare chi fosse entrato, sicuramente qualche compagno ritardatario e non alzai il capo nemmeno quando la professoressa disse che era un nuovo alunno. «Ragazzi, oggi abbiamo un nuovo alunno che a quanto pare anche il primo giorno di scuola è arrivato in ritardo. - la classe ridacchiò - Beh, si presenti.»
«Io vengo dalla Songdo High School.» Quando sentii quella voce mi ghiacciai e le mie pupille divennero più grandi di quelle di Minho.
Non era possibile. Quella era la sua voce.
Ciò voleva dire che l'altro giorno era tutto vero oppure avevo avuto un'allucinazione premonitrice, cosa alquanto improbabile.
Pian piano mi girai verso il ragazzo che stava in piedi alla cattedra.
Mi ripresi subito dallo shock e lo guardai dalla testa ai piedi. Istintivamente mi morsi un labbro e pensai "Cazzo. Sei ancora perfetto."
Il labbro ricominciò a sanguinare, ma non me ne accorsi e la presa del mio dente si face sempre più forte come la sensazione che avevo nel cuore.
Mi sentii vivo, lontano dalla mia voglia di calma e monotonia.
Un brivido di piacere mi percorse per tutto il corpo e la passione si riaccese improvvisamente in me, come una lampadina che si era fulminata.
Poi arrivò il momento in cui i nostri sguardi si incontrarono e allora trattenni il respiro.
Non seppi quanto tempo fosse passato.
Avrei potuto fissare quei bellissimi pozzi scuri in cui io vedevo l'universo, anche per giorni interi fino a quando la professoressa si schiarì la gola e disse «Sa' se ci dicesse il suo nome non ci dispiacerebbe.» Anche lui doveva aver trattenuto il respiro perché quando si girò verso la professoressa prese dei grandi respiri tremando leggermente,
poi chiuse gli occhi per qualche secondo.
Ripuntò i suoi nei miei e vidi una luce diversa che sembrava essere tra il malizioso e il malvagio, ma sapevo che quello sguardo era pieno di rabbia e delusione e che cercava semplicemente di dirmi qualcosa, e i suoi occhi mi dissero che si sarebbe voluto vendicare.
Uno sguardo che avrebbe fatto venire i brividi di paura a chiunque ma non a me e lui lo sapeva. «Kim Jonghyun.» soffiò infine lui.
Quando fissai il suo nuovo sguardo ritornai alla realtà dei fatti e a ciò che avevo fatto, perciò riposai subito il capo sul banco dalla parte opposta e chiusi gli occhi.
«Bene, adesso puoi andare a posto, puoi sederti in uno dei banchi vuoti. Sai, sei rimasto quì per una ventina di minuti ma hai detto solo qualche parola.»
Sentii i suoi passi venire verso di me e io sperai con tutto il cuore che non venisse al banco accanto al mio ma allo stesso tempo desideravo che lo fosse per osservare di nascosto ogni cosa di lui. Volevo memorizzare ogni cosa e vedere quanto era cambiato.
La sedia del banco accanto al mio strusciò sul pavimento e io col cuore a mille sentii il suo sguardo bruciare sulla mia schiena e farci un buco.
La mattinata passò apparentemente calma e monotona come fino a ieri desideravo, ma lì era tutto tranne che calmo.
Lui era lì che mi fissava e non faceva nulla per nasconderlo, mentre io facevo di tutto pur di evitare il suo sguardo.
Era impossibile sbirciare di nascosto poiché non staccava mai il suo sguardo da me. Sempre muto e impassibile, come avevo sempre fatto anch'io.
Questa situazione mi rendeva teso come una corda di violino e quando qualcuno mi parlava scattavo immediatamente sull'attenti agitato.
L'unico a sapere qualcosa era il piccolo maknae, Taemin.
Gli avevo accennato qualcosa sul perché ero diventato così.
A mensa istintivamente riempii due vassoi e quando vidi il mio nuovo compagno di classe seduto in fondo gliene posai uno sul tavolo e poi mi andai a sedere al tavolo accanto.
Lui lo fissò per quasi un minuto, prese la forchetta di plastica, girò la pasta e assaggiò solo uno spaghetto. Accanto a me il maknae fece la sua rumorosa comparsa.
Per sbagliò fece cadere il vassoio sul tavolo bianco sporco e prese posto sulla sedia accanto a me strusciandola.
Lo fulminai immediatamente con lo sguardo e lui in tutta risposta mi fece gli occhi dolci. «Scusa, Hyung.» Sventolai la mano, come a dire che non importava e gli si stampò in faccia uno dei suoi bei sorrisi mentre io con l'occhio non facevo che osservare il ragazzo del tavolo accanto.
«Hai notato anche tu quel ragazzo, vero?» mi chiese lui, spaventandomi.
«Mmh.» gli risposi per dire sì. «È carino.» commentò.
Mi irrigidii e per poco non gli lanciai una scarpa in testa. Però dissi solo «Sembra un dinosauro.» «Strano - disse ridacchiando - lo fissi da quando sei a mensa.»
Sbuffai e mi alzai cercando di scappare da quella tortura e andai a buttare i resti del mio pranzo che quasi non avevo toccato mentre il maknae rimase lì a pensare di sicuro a cos'avevo in mente.
Piano piano le acque si calmarono tra le lezioni di trigonometria, inglese e chimica fino a quando non sentii il brontolio dello stomaco del ragazzo accanto a me.
Per poco non scoppiai a ridere così mi alzai e andai verso la macchinetta. "Le sue abitudini non sono cambiate a quanto pare." pensai.
Presi un pacchetto di noccioline, il suo snack preferito e lo misi sul suo tavolo. A nessuno era passato indifferente il fatto che gli avessi comprato quel pacchetto e portato il cibo a mensa perciò tutti non facevano che parlare e bisbigliare.
Non lo facevo perché ero in debito con lui, lo facevo perché era quello che mi sentivo di fare e basta. Jonghyun mi guardò storto e se lo mise in tasca facendomi sorridere come un ebete. Forse un giorno ci saremmo riavvicinati.
L'ultima campana suonò ma la voglia di varcare la soglia del cancello era nulla.
Volevo rimanere lì. O almeno volevo poter osservare da lontano quel ragazzo che una volta non poteva far a meno di toccarmi. Mentre mi facevo trascinare da tutti quei teenagers ecco nuovamente qualcuno che mi prese per il colletto.
Trattenni il respiro pronto a sputare ancora sangue e a incontrare gli occhi di Minho.
Ma quando riaprii i miei, gli occhi che incontrai erano più piccoli, più scuri e dannatamente meravigliosi. Il ragazzo di fronte a me non mi sbatté da nessuna parte, anche se avrei voluto che lo facesse. Ci guardammo forse per qualche minuto e poi mi chiese irritato
«Spiegami che cosa vuoi. - "Dio, questa voce" pensai. - Cos'è cerchi di farti perdonare facendo il mio schiavetto? Sappi che non funziona. E sappi anche che non ci sarà modo che io ti perdoni, quindi lasciami stare. Nulla cambierà.»
«Non voglio. - risposi fermamente - Lo so che sono imperdonabile, ma ti prego dammi una chance.» Dicendo quelle parole sarei voluto scoppiare e dirgli che mi dispiaceva, che mi mancava e che vederlo così da lontano senza potregli parlare o poterlo toccare mi uccideva. Improvvisamente i miei occhi si fecero lucidi e quelle dannate lacrime non mi ascoltavano e stavano per uscire.
«Davvero. Mi dispiace.» ripetei cercando di sembrare fermo nonostante le lacrime stessero per tradirmi, ma fu così anche per la mia voce tremante che uscì dalla mia bocca. «Adesso basta.» sembrò quasi implorarmi lui con voce spezzata.
Quando sentii che anche la sua voce era cambiata e che l'aveva tradito, sentii come una pugnalata al cuore e le lacrime pungere ancora di più.
Non riuscivo a vederlo in quello stato e vedere me stesso in uno stato peggiore.
Fissai i suoi occhi lucidi pronto ad abbracciarlo e a dirgli che mi dispiaceva. Ma lui si girò e se ne andò.


© 2013 LiveandLove S.p.A., Roma
"Please, forget me."



In the next episode...

"Taemin look at me but his eyes are glistening. 
«You said, you forgot him.»"



OhYeah!
Sì una FanFiction sugli SHINee.
Non so che dire. Ahaha. Non l'ho ricontrollata, mi spiace.
Domani lo farò, promise!
Non è perfetta ma spero che vi piaccia.
Let me know ;)


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter II. ***



Please, forget me.
 
Chapter II.

 

Ho sempre amato la domenica. Solitamente la gente odia questo giorno perché è così vicino al lunedì ed è il giorno in cui si sta in famiglia o si va' a messa.
Io non ho più una famiglia e non pratico alcuna religione. La domenica faccio le pulizie, ascolto la musica e sto con me stesso e nessun'altro.
La domenica non sono costretto ad incontrare gente che non fa altro che parlare e giudicare; nulla, solo pace e silenzio.
Quella domenica pioveva a dirotto e avevo programmato di rimanere sotto le coperte ascoltando il rumore della pioggia e dialogando con me stesso.
Un dialogo piuttosto confuso e ripetitivo.
Un dialogo che non poteva non essere che sul ragazzo che mi torturava da qualche giorno ignorandomi e rifiutandomi.
Come avevo intuito si stava vendicando, perché ciò che stavo passando io in quel momento non era nemmeno paragonabile al suo dolore che io stesso gli avevo inflitto. 
Nonostante sapessi che la pioggia sarebbe potuta entrare facilmente aprii la finestra e mi affacciai fuori voltando il viso verso l'alto, chiusi gli occhi e aprii la bocca. Alcune gocce salate scivolarono suo mio palato e io sorrisi come se fossi un pazzo.
Mi sentivo in paradiso, anche se mi stavo fradiciando i capelli con acqua sporca che io stesso stavo bevendo. 
La pioggia mi aveva sempre ricordato Jonghyun. Jonghyun era il mio paradiso.
Anche se ho sempre odiato che qualcosa di sporco venisse a contatto con me, quando incontrai per la prima volta Jonghyun, all'età di dieci anni, pioveva come quella domenica e lui mi aveva trascinato sotto la pioggia e aveva guardato verso il cielo, chiuso gli occhi e aperto la bocca. Solo a pensarci una volta mi avrebbe fatto venire i brividi ma quando vidi lui farlo mi sembrò la cosa più bella del mondo e che l'acqua fosse la più pulita che esistesse. «Che aspetti?» mi aveva chiesto, vedendomi impalato lì a fissarlo con occhi estasiati.
Così l'avevo copiato e avevo percepito una sensazione indescrivibile.
Rimanemmo lì sotto la pioggia finché il cielo non si fece nuovamente azzurro e quando tornammo a casa tossendo, rimanemmo sotto le coperte per due settimane.
Dopo quasi una decina di minuti ritirai il capo dentro e chiusi la finestra.
Mi asciugai con un asciugamano e misi ad asciugare il pigiama poiché il colletto era tutto fradicio.
Mentre mi mettevo una felpa per coprirmi, qualcuno bussò alla porta.
Avrei voluto nascondermi e far finta che non ci fosse nessuno in casa poiché non avevo voglia di avere nessuno nei dintorni ma andai comunque ad aprire.
Tutto me stesso sperava che alla porta ci fosse Jonghyun disposto a perdonarmi, ma quando mi ritrovai un Taemin tutto fradicio ne rimasi deluso. Ma certo, come potevo pensare che fosse venuto a casa mia e soprattutto che mi avrebbe perdonato così all'improvviso? Fui sconvolto dalle condizioni del maknae alla mia porta e lo feci subito entrare obbligandolo a togliersi le scarpe e i calzini per evitare che il mio parquet diventasse un disastro. Non aveva nemmeno un ombrello perciò era fradicio dalla testa ai piedi e aveva con sé due borse enormi.
"Cosa diavolo ci fa' a casa mia con questi borsoni?" Mi chiesi.
Passai al volto del ragazzo e improvvisamente la mia parte materna si impossessò di me.
Sembrava un cucciolo bagnato ma il fatto era che i suoi occhi erano rossi e gonfi e le lacrime gli bagnavo tutte le guance, come se non era già abbastanza bagnato. Non sapevo che cosa gli era accaduto ma sapevo che aveva bisogno di me e anche se non ero mai stato bravo in questo genere di cose l'avrei aiutato. Mi andai a sedere vicino a lui e lasciai che si impossessasse del mio busto e della mia spalla consapevole del fatto che avrei dovuto cambiare nuovamente felpa e la fodera del divano.
Singhiozzava e tremava, una cosa inaccettabile da vedere e da sentire così allungai le braccia le chiusi sulla sua schiena a mo' d'abbraccio.
Era tutto quello che potevo fare e la cosa mi faceva star male, sembrava che mi stesse trasmettendo la sua angoscia. Rimanemmo così per dieci minuti e quando smise, si staccò da me tamponandosi il naso con un fazzoletto e mi disse con voce nasale, poiché aveva il naso tappato «Scusa Hyung, ti ho bagnato il divano e la felpa». «Tu sei in queste condizioni e ti scusi?» Lo presi in giro facendolo sorridere lievemente.
Lo asciugai come fanno le madri con i propri figli : gli misi un asciugamano in testa e lo sfregai, poi lo feci cambiare con dei vestiti che stranamente aveva portato con sé in una di quelle borse.
Poi ci sedemmo a gambe incrociate sul mio letto e ci coprimmo con il piumino per riscaldarci.
«Allora mi puoi raccontare cos'è questa situazione?» gli chiesi cautamente.
Ero riuscito a fatica a tranquillizzarlo ma a quella domanda prese a tremare di nuovo. Lo accolsi tra le mie braccia e gli accarezzai i capelli mormorando un «Sshh... Tranquillo...» «Hyung... P-penso di essere malato» balbettò lui. Era stato sotto la pioggia, era ovvio che si fosse ammalato.
«Stupido, sei venuto fino a quì senza ombrello e fino a poco fa eri tutto bagnato, mi pare ovvio.»
«No... Non intendo questo...» Mi accigliai non capendo di che cosa stesse parlando.
Forse aveva una malattia grave. Ma perché era venuto da me? Sarebbe dovuto andare in ospedale, oppure ne avrebbe dovuto parlare con i suoi genitori. «Taemin-ah per favore vai dritto al punto, mi stai facendo preoccupare.»
«Beh... Penso delle cose... E vorrei anche farle quelle cose... Ma non sono cose che una persona normale farebbe, io sono malato... Io... Io... Non sono come lui!» disse inizialmente esitante per poi gridare quell'ultima frase. Come lui chi? Pensava a cose brutte? Forse voleva ammazzare qualcuno? No, il suo dolce Taemin no. E se anche fosse non era malato, anche io molto spesso avevo pensieri da omicida.
«Ehi, ehi. Calma. - cercai di tranquillizzarlo accarezzandogli la schiena - Se odi qualcuno così tanto da pensare che lo vorresti uccidere non c'è nulla di sbagliato in te, anzi...» Mi fermai perché Taemin mi guardò in modo ancora più disperato e suoi occhi ridivennero lucidi.
«Tu non capisci! Sto diventando come Minho!» urlò improvvisamente.
Come Minho? E adesso cosa centrava? Sentiva forse il bisogno di picchiare qualcuno? Voleva essere un bullo anche lui? Gli si stavano ingrandendo gli occhi? 
«Che vuoi dire con...?» «Voglio dire che sono attratto da un ragazzo, Hyung.» confessò alla fine lui mentre una lacrima percorreva la lunghezza della sua guancia. «E quel ragazzo è Minho...» sussurrai. «No, non è Minho....» negò il maknae accanto a me. «Anche Minho è attratto dai ragazzi... Lo so perché mi ha detto che io gli piaccio.» affermò lui leggendomi nel pensiero la domanda che gli stavo per rivolgere.
La mia mente in quel momento sbiancò. Non ero pronto a questo genere di situazione.
Potevo dirgli che anch'io ero attratto in un qualche modo dai ragazzi? Ma io non ne sapevo nulla di queste cose.
Anch'io ero attratto dal mio ex-migliore amico a cui cercavo ancora di riavvicinarmi, ma non ne ero innamorato.
L'attrazione non è amore, quindi ci si può benissimo innamorare di una ragazza.
Anch'io quando avevo capito questa cosa ero nelle sue stesse condizioni.
Ero pieno di domande a cui ancora non avevo trovato una risposta e di certo non potevo fargli da 'insegnante' perché ne sapevo quanto Taemin. Poi mi resi conto di cosa aveva detto su Minho. Minho era... Così... Perché non mi ero accorto di niente? Forse ero troppo occupato con il mio di problema. «Ti posso dire che non so quasi nulla riguardo a questo tipo di cose, ma ti assicuro che non sei malato e non hai nessun problema. Sai... Insomma... Anche io ho le tue stesse sensazioni.. Il tuo stesso problema.» Guardai subito fuori dalla finestra troppo imbarazzato per vedere la sua reazione, ma il mio occhio cadde comunque sulla sua espressione sollevata, quasi felice. Forse era felice di non essere il solo, oltre a Minho.
Continuai a fissare la finestra notando che ormai la pioggia era cessata e la strada ancora umida.
«Visto che ha smesso di piovere, andiamo allo zoo?» mi chiese Taemin felice come un bambino.
Era come se si fosse dimenticato di tutta la nostra conversazione, delle sue paure e delle sue domande.
Non volevo vederlo triste di nuovo, perciò accettai.
Andammo in quello più vicino che era anche il più grande zoo della città, poiché se avesse ricominciato a piovere non ci sarebbe stato nessun problema al ritorno. Pagammo i biglietti e entrammo. Lo zoo era quasi deserto, vagavano molte coppiette e alcuni studenti, ma quasi nessun bambino.
«Qual'è il tuo animale preferito?» mi chiese Taemin. «Il cane.» Si guardò intorno e disse «Quì non ci sono i cani e nemmeno i gatti.» si lamentò come un bambino piccolo. Ridacchiai e scossi la testa. «Negli zoo non ci sono mai i soliti animali domestici.»
«Davvero? Allora non ci sono proprio tutti gli animali. Sai non sono mai stato in uno zoo, questa è la prima volta.» «Allora immagino che sarò costretto a visitarlo tutto da cima a fondo.» Passammo di animale in animale imitando i loro versi e dando da mangiare a quelli docili. Mi divertiva guardare quegli animali inconsapevoli di quanto fossero fortunati ad avere vitto e alloggio e nessun problema a cui pensare. Mentre eravamo davanti alla vasca dei delfini, i preferiti del più piccolo, mi domandò «Il tuo ex-migliore amico è il ragazzo nuovo, vero?» Mi congelai sul posto e lo guardai esitante e scioccato. Gli avevo raccontato semplicemente che mi ero racchiuso in me stesso perché ero stato egoista con il mio migliore amico e lui doveva aver dedotto tutto dal mio sguardo. Ero davvero così ovvio?
«E sei attratto da lui. Mi sbaglio?» "Oh mio Dio." pensai. «Ti sbagli.» gli dissi cercando di sembrare indifferente.
«È vero quello è il mio ex-migliore amico. Ma non sono attratto da lui.» Dal suo sguardo capii che non ci era cascato e mi maledii da solo.
Quando era cresciuto il piccolo maknae? Perché non me ne ero accorto?
Entrammo nella zona dedicata agli acquari. Una delle cose più belle. Pareti sotto e sopra di vetro, circondati completamente da acqua in cui nuotavano moltissime creature marine di ogni specie. Tutto cosí silenzioso, calmo e colorato. Proprio come piaceva a me.
Taemin schiacciò il suo viso contro il vetro per osservare meglio uno squalo che se ne stava lì come niente fosse. Se non fosse per quella parete saremmo già tutti morti, perciò non osai nemmeno avvicinarmi. Invece fissai un pesce palla marrone con gli occhi tondi che ricambiava il mio sguardo con la stessa foga.
«Sai, tu ancora non mi hai chiesto chi è il ragazzo da cui sono attratto.» mi disse il piccolo, con il viso ancora spiaccicato sul vetro.
Ebbi una strana sensazione, come se non volessi saperlo perché la risposta non mi sarebbe piaciuta.
Non risposi e proseguì un lungo silenzio. Poi si staccò dal vetro, lasciando l'impronta del suo viso sul vetro e mi guardò.
Il suo sguardo non aveva nulla a che fare col suo viso dolce da ragazzino e non mi piacque per niente.
«Non credo di volerlo sapere...» sussurrai. Feci un passo indietro mentre lui ne fece uno in avanti verso di me e si avvicinò sempre di più fino ad arrivare ad un palmo dal mio viso. Trattenni il fiato, sbalordito dalla sua tenacia e terrorizzato allo stesso tempo. Poi mi sorrise con i suoi soliti occhi dolci e mi disse «Probabilmente non lo conosci.» Si allontanò da me sorridendomi e tirai su' un sospiro di sollievo.

 


© 2013 LiveandLove S.p.A., Roma
"Please, forget me."




In the next episode...

"Continuammo a guardarci, nonostante la pioggia si stesse facendo più forte.
Vidi i suoi occhi lucidi e umidi.
Fece per andarsene ma lo presi per il polso costringendolo a guardarmi.
Con violenza riuscì a liberarsi e prima di andarsene mi urlò «Non hai ancora capito quanto tu mi sia mancato?!»"
 


Okayyy.
Odio questo capitolo. È noioso e palloso, anche se si scopre una nuovo lato del piccolo Taemin.
Fatemi sapere se vi sta piacendo e datemi dei consigli.
Thanks to everyone. <3


 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter III. ***


Please, forget me.

Chapter III

http://images4.fanpop.com/image/photos/16800000/jongkey-shinee-16881121-500-191.jpg

 


La visita allo zoo ci aveva impegnati per tutta la giornata e nel tardo pomeriggio tornammo a casa mia.
«Hyung... Sai non ti ho detto una cosa...»
Dal suo tono sembrava aver combinato qualcosa di grave e sembrava che stesse cercando di scusarsi, cosa c'era peggio di ciò che mi aveva rivelato?
«Sputa il rospo Taemin-ah.» «Ho detto ai miei genitori che sarei venuto a stare da te per due settimane...»
Allora c'era qualcosa di peggio. Aprii i due borsoni e ne scoprì il contenuto : vestiti, asciugamani, spazzolìno e libri.
Prima che potessi ribattere e sbatterlo fuori di casa mi disse «I miei sono partiti e non mi lasceranno rimanere a casa da solo, quindi non riuscirai a libererti di me.» Intanto ridacchiava e intanto avrei tanto voluto lanciargli una scarpa in testa. Quel maknae era disordinato e con poca memoria, ciò voleva dire che ogni secondo si sarebbe perso qualcosa e avrebbe sporcato qualcosa e ogni secondo c'era il rischio che mi cadessero tutti i capelli per lo stress.
Forse avrei dovuto fare appello alla mia pazienza nascosta e avrei dovuto resistere a questo tsunami.
«Prima di entrare in casa cambiati sempre le scarpe;
Quando finisci di fare la doccia non lasciare i tuoi vestiti in bagno;
Quando utilizzi qualcosa in cucina lavala subito;
Non lasciare i tuoi vestiti sparsi per la casa, nemmeno i tuoi libri o la tua borsa;
La mattina uso prima io il bagno;
Non entrare in camera mia quando io non ci sono e non spostare le cose e soprattutto non entrare in bagno quando io sono dentro. Queste sono le mie condizioni, arasso*?»
Lui annuì come un bravo soldatino, ma sapevo che si sarebbe ricordato a fatica di tirare lo sciacquone figuriamoci il resto.
Si tuffò letteralmente sul divano e accese la televisione.
Non ricordavo di avergli detto un «Fa come se fossi a casa tua.»
Mi rintanai in camera mia e dopo una mezzoretta quando tornai in salotto c'era un Taemin con le gambe e le braccia spalancate come se stesse abbracciando un qualcosa di invisibile e un po' di saliva all'angolo della bocca; dolcemente disgustoso o disgustosamente dolce.
Lo coprii con una coperta e mi appollaiai per guardarlo meglio.
E pensare che quel faccino innocente pensava cose erotiche su dei ragazzi.
Un brivido di orrore mi passò per la schiena e me ne ritornai in camera.
Mentre mi sotterravo sotto la mia coperta partì la suoneria del mio cellulare che afferrai e fissai cercando di restare calmo, ma il cuore non faceva che pompare e battere così velocemente rischiando di fuoriuscire e rompermi la cassa toracica. Risposi e mi portai lo Smartphone all'orecchio, ma quando sussurrai un «Pronto...?» tremolante udii solo un "Tu-tu-tu-tu". Guardai nuovamente lo schermo e vidi che aveva riattaccato.
Avrei voluto spaccare il cellulare e fare a pugni con me stesso, ma lo feci semplicemente rimbalzare dall'altra parte del letto e presi a pugni un cuscino. Successivamente ricevetti un messaggio che aprii con mani tremanti.
"Ho sbagliato numero, non ti fare strane idee e non mi richiamare. Ciao."
Con violenza presi la mia giacca di jeans rosa e uscendo silenziosamente cercai di infilarmela.
Stavo andando in escandescenza e odiavo che mi trattasse così, come se fossimo degli sconosciuti.
Poco fa' per una sua falsa telefonata avevo quasi avuto un attacco cardiaco.
Odiavo tutta quella situazione, odiavo la sua indifferenza, odiavo me stesso perché gli avevo fatto del male, odiavo lui perché non mi dava la possibilità di rimediare e mi odavo perché sapevo che avrei fatto lo stesso al suo posto.
Arrivai all'indirizzo che avevo di sfuggita visto in segreteria e mi fermai davanti al palazzo.
Avrei saputo riconoscere la sua finestra anche se fossi stato cieco.
Sul davanzale vi erano sempre delle girandole colorate che gli aveva regalato sua madre quando era piccolo.
Fissai la finestra buia non sapendo che fare e il perché fossi venuto.
Mi diedi un leggero cinquino sulla fronte e mi incamminai verso casa. Dovevo essere totalmente impazzito.
"Cosa diavolo ci faccio qui?" pensai.
Non mi ero accorto di essere ancora con i sandali e solo allora percepii il freddo penetrarmi in tutte le ossa, così strofinandomi le mani sulle braccia per creare calore corsi verso il mio piccolo appartamento.
Fortunatamente mi ero portato le chiavi e dopo essermi svestito ritornai sotto le coperte.
Chiusi gli occhi e cercai di addormentarmi, ma le uniche cose su cui riuscivo a concentrarmi erano i versi degli animali che provenivano da fuori e su cosa diavolo avrei fatto con quel ragazzo.
Mi tornò in mente quel giorno in cui Minho mi aveva fatto sputare sangue.
L'unica cosa che riuscivo a ricordare era il sangue, la mia allucinazione e quel segno sulla sbavatura.
Avrei voluto riavvolgere da capo il nastro e vedere se veramente me l'ero fatto da solo.
Perché se non era così avrei voluto sentirlo quel dito che sfregava sul mio volto.
Avrei voluto godermi a pieno il suo tocco. Avrei voluto essere sveglio e chiedergli il perché di quel gesto.
Avrei voluto chiedergli tante cose, soprattutto se gli ero mancato almeno un po'.
Se oltre a pensare di vendicarsi si era ricordato di tutti i nostri momenti, di tutte quelle volte che ci eravamo salvati a vicenda e del nostro maledetto bacio che io ricordavo ancora vivamente come se fosse accaduto ieri.
Aveva cominciato a fare caldo e le lacrime avevano cominciato a scorrere sulle mie guance come un rubinetto aperto.
Mi passai la mano sugli occhi e questa volta con più calma mi rimisi la giacca, mi misi degli stivaletti neri e uscii a prendere dell'aria fresca.
Non sapevo dove stessi andando ma non sarei di certo tornato sotto le coperte.
Mi fermai e guardai il cielo. Buio, scuro e magnifico come i suoi occhi.
Scossi la testa e mi soffiai il naso col fazzoletto nascosto nella tasca.
Ero uscito apposta per togliermi tutto quel groppo, quei pensieri che mi appesantivano ma non stava funzionando.
Ritornai a guardarmi intorno e in quel momento avrei avuto voglia di lanciarmi una scarpa da solo.
Come diavolo era possibile?
Fissai le girandole che si muovevano piano piano a causa del venticello e diedi uno sguardo alla finestra che era ancora buia.
Come se Dio avesse percepito il mio malessere delle gocce cominciarono a scendere sempre più pesantemente, finché non me ne resi conto.
Sospirai dandomi dello stupido e mi girai per andarmene pronto ad evitare il diluvio universale, ma qualcuno mi parò il passaggio. Sbarrai gli occhi cercando qualche giustificazione.
Ma l'unica cosa che mi venne in mente fu' "Cosa diavolo ci fa' a quest'ora in giro?".
«Mi avevi semplicemente di non richiamarti.» me la cavai con una delle mie solite frasi.
Lui mi guardò con gli occhi lucidi forse per il sonno o per qualcos'altro ma non poteva essere sbronzo,
non era il tipo e mi inchiodò lì fermo. «E io... Ti avevo detto di non fraintendere.»
Buffo come un messaggio di qualche parola avesse potuto creare tutto quello, quella conversazione, quella mia insonnia. «Non ho frainteso nulla.» Il cuore mi pompava nel petto e mi sentii come sotto l'effetto di migliaia di droghe messe insieme. Quella situazione, la pioggia, il cielo, noi, le stelle, le case... Perfino la cacca del cane dietro l'angolo sembrò essere importante. Non mi sarei fatto sfuggire anche quell'occasione.
«Per tutto questo tempo hai meditato solo alla vendetta? Ti sei veramente dimenticato di tutto quello che c'era prima? Davvero adesso non ti importa proprio più un accidente di me?» Gli urlai cercando di tenere sotto controllo me stesso. Lui mi sorpassò in silenzio, ma riuscii a prenderlo in tempo. «L-lasciami, per favore.»
La sua sembrò quasi una supplica, ma non si era reso conto che anch'io lo stavo supplicando da più di una settimana? «Non ti lascerò mai più, te lo giuro. Se davvero non lo vuoi girati, guardami negli occhi e senza alcun sentimento, senza alcuna emozione dimmi che non vuoi più vedermi e che durante tutto questo tempo non ti sono mancato nemmeno un po' e tutto quello a cui hai pensato è stata solo la vendetta, allora sì che ti lascerò andare per sempre.»
Si girò e vidi una lacrima scivolare sulla sua guancia.
Passò forse un minuto, ore o forse solo secondi guardandoci negli occhi potendo legger il dolore di ognuno negli occhi dell'altro e fu come guardare in uno specchio.
Finalmente lui cercò di liberarsi dalla mia presa ma io strinsi ancora di più.
Era disperato.
Riuscivo a leggere che non sarebbe mai riuscito a dirmi tutte quelle cose, perché erano tutte false.
Rallentai la presa e lui strattonò la mano e si girò.
Pensai di aver perso ma lui si rigirò un'ultima volta.
«Come puoi pensare che tu non mi sia mancato?
Come puoi pensare che io abbia dimenticato tutto?
Come puoi pensare che almeno per un solo secondo non abbia pensato a te?
E il nostro bacio? Cosa credi?
Tutti i giorni cerco di dimenticarmi di tutto questo ma riappare ogni volta che chiudo gli occhi.
Anche dopo quello che mi hai fatto. Perciò aiutami a dimenticarti e vattene dalla mia vita.»
Percepii tutte quelle parole stracolme di sentimento arrivare al mio cuore, entrare e espandersi come un tumore.
Non riuscii a riprendermi abbastanza velocemente da potergli impedire di scappare, così rimasi lì immobile.
Era come se fossimo tornati a quel giorno all'ospedale, ma questa volta la situazione era inversa.
Lui era scappato e non io.
Avevo tutti i capelli e i vestiti fradici e appiccicosi e quando percepii quella sensazione tornai alla realtà e mi incamminai verso casa per evitare un raffreddore.
Il cielo si stava schiarendo e il sole stava salendo ciò voleva dire che non erano passati solo minuti ma ore e mentre svoltavo l'angolo non mi resi conto che dietro ad un albero c'era stato per tutto questo tempo uno spettatore ferito e in lacrime.

 

© 2013 LiveandLove S.p.A., Roma
"Please, forget me."
 

  arasso* -> In coreano vuol dire "Capito/capisci".
 
  




OhMyGod.
Honestly i hate this chapter.
I mean... Solita pioggia, solita tristezza nella storia. Ahah.
Se vi piace fatemelo sapere, se avete qualche giudizio da esprimere siete i benvenuti.
Nel prossimo capitolo finalmente arriverà Onew. Ahah povero, l'ho lasciato solo soletto. E scusate se è corto questo capitolo u.u


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter IV. ***







Please, forget.


Chapter IV




Non mi ero mai sentito peggio di così e l'unica cosa che non percepivo in quel momento era il battito del mio cuore; era come se non ci fosse più. La porta del mio appartamento era socchiusa ma nello stato confusionale in cui mi ritrovavo, questo non aveva alcuna importanza.
Avrebbe potuto entrare anche un ladro ma esclusi l'idea, anzi, nemmeno riuscii a raccimolare le forze per pensarlo. Con un gran sospiro affrontai mentalmente tutto quello che era appena successo e intanto varcai la soglia della porta. Era tutto così disordinato e tutto così silenzioso. Il ricordo che Taemin fosse a casa mia mi aveva appena sfiorato ma l'unica sua traccia erano i suoi bagagli, il divano disfatto e le coperte a terra. Invece di preoccuparmi di dove fosse o di riordinare mi rannicchiai sul divano e mi lasciai travolgere dalla stanchezza. Nemmeno dieci minuti dopo spalancai gli occhi come se avessi avuto un incubo mai avuto e sventolando la mano per farmi aria, mi sedetti. Cosa dovevo fare? Forse mi sarei dovuto dare una calmata e ritornare alla mia solita vita o forse cambiare scuola. 
Avrebbe funzionato?
«Come puoi pensare che tu non mi sia mancato? Come puoi pensare che io abbia dimenticato tutto? Come puoi pensare che almeno per un solo secondo non abbia pensato a te? E il nostro bacio? Cosa credi? Tutti i giorni cerco di dimenticarmi di tutto questo ma riappare ogni volta che chiudo gli occhi. Anche dopo quello che mi hai fatto. Perciò aiutami a dimenticarti e vattene dalla mia vita.»
Nemmeno da morto.
Fissai per un tempo indefinito l'orologio del maknae a forma di orso che aveva messo sul comodino e mi ricordai di una cosa : era lunedì. Questa volta osservai veramente l'orologio e notai che erano le 8; avrei fatto in tempo per la secondo ora. Così dopo un doccia fredda mi vestii velocemente, almeno per i miei standard, e con la mia borsa a tracolla di pelle nera con le borchie mi diressi verso scuola. I cancelli erano ancora aperti ed io mi trascinai dentro l'edificio. Sapevo di avere trigonometria in seconda ora ma non perché mi fossi appositamente studiato l'orario ma perché avevo una memoria infallibile che mi faceva andare avanti ogni anno senza mai toccare libro.
Mi sedetti su una delle panchine vicine al bar della scuola in attesa della seconda campana e stranamente, vidi il primo studente della scuola dal mio arrivo. La paura e l'ansia mi travolsero quando pensai che avrei potuto incontrarlo. Forse sarei rimasto lì a fissarlo, forse l'avrei ignorato o forse gli avrei detto qualche parola insensata. Non sarei mai riuscito a sopportare tutto questo per un lungo periodo; immaginare di dover vivere così per i prossimi anni mi mozzava il fiato. Non mi accorsiche il tic nervoso con le dita era iniziato e solo allora notai improvvisamente che qualcuno si era seduto accanto a me, poiché infastidito dal mio tic mise la mano sulla mia spaventandomi.
«Anyoung* Hyung!» riconobbi solo allora quella voce e il mio cappello nero con la visiera con i denti, sul suo capo. «Quello non è il mio cappello? E non dovresti essere a lezione?» gli chiesi chiaramente inquieto. «Si, ma dal momento che siamo coinquilini... Tutti i coinquilini si scambiano le cose! Comunque non hai sentito la campana? È appena suonata.» realizzai quelle parole solo pochi secondi dopo e scattai in piedi. Era suonata la seconda? Forse ero diventato sordo. Mi diressi verso la mia classe ma mi fermai un attimo e tornai a riprendere la mia borsa e mi riferii al ragazzo sulla panchina, «Quello ritorna nel mio armadio sano, salvo e pulito.» Lui mi sorrise ebete ed annuì come un bambino. Disgustosamente adorabile. Poi irruppi nella mia classe facendo presente del mio ritardo al ritardo che mi fece guadagnare un'occhiataccia dalla professoressa con gli occhiali tondi. Solo durante l'attesa che la prof mi congedasse dalla cattedra, ebbi modo di guardare la classe. Qualcosa mi portò a guardare quel banco altrettanto vuoto a fianco al mio, come se fosse una calamita e subito dopo la porta dietro di me si spalancò. Ebbi un brutto presentimento e istintivamente, come facevo fin troppo spesso quei giorni, trattenni il fiato e socchiusi gli occhi. L'arrivato mi stava perforando la schiena con lo sguardo, lo sentivo. E mentre si avvicinava il cuore mi martellava nel petto per l'eccitazione e per la paura. Mi ero accorto di avere paura. Ma di cosa?
«Scusi il ritardo, prof.» Quella voce. Mi faceva impazzire.
Istintivamente mi girai e notai subito sul suo volto due grandi occhiaie che però non sminuivano di certo la sua bellezza. «Oh, ma che bello. Oggi è il giorno dei ritardi? A posto tutti e due.» si lamentò congedandoci la professoressa. Entrambi ci inchinammo come segno di rispetto e ci andammo a sedere. Mi ero andato a sedere così velocemente e freneticamente che a poco sarei andato a sbattere o sarei caduto dalla sedia, mentre lui sembrava così calmo e rilassato, cosa che mi irritò.
Mentre cercavo di calmarmi sentii vibrarmi il cellulare nella tasca dei pantaloni così lo tirai fuori cercando di non farmi scoprire. Il mittente della chiamata mi stupì e mi lasciò di stucco ma avrei dovuto attendere la fine delle lezioni per rispondere, così chiusi la chiamata pigiando il tasto rosso e lo rimisi in tasca. Ero molto tempo che non lo sentivo, un po' per quello che era accaduto con Jonghyun e un po' per nostro padre. Presi un gran respiro e cercai di scacciare il ricordo del corpo di mio padre steso sul lettino dell'ospedale pallido e moribondo.
Erano passati anni eppure il sol pensiero mi faceva lo stesso effetto di anni fa, esattamente come l'effetto di quel ragazzo a cui avevo fatto del male ma che dopo tanti anni era di nuovo quì.
Odiavo pensare a cose che mi avevano fatto soffrire, ma una volta aperta una porta era difficile riuscirla a chiudere. Tutto il passato si stava ripresentando quì nel presente. Perché? Forse ciò che avevo passato fino ad all'ora non era abbastanza. L'affetto, l'amore e l'amicizia sono sempre le armi più potenti per far soffrire una persona.
Alzai il capo dal banco e ascoltai di sfuggita qualche parola della spiegazione «Gli Enzimi hanno una funzione...» e mi stupii di quanto fossero passate velocemente le ore, da trigonometria a biologia vi erano state coreano, inglese e storia ma a me pareva che fossero passati dieci minuti. La campanella cominciò a trillare e tutti si alzarono dalle proprie postazioni sollevati e contenti di poter tornare a casa. Mi alzai, presi la mia borsa, rimasi lì fermo in piedi e mi mordicchiai il labbro. Il mio vicino di banco stava lentamente rimettendo tutto dentro lo zaino e come se mi avesse chiesto di fermarmi ero lì che lo fissavo nervoso con la coda dell'occhio. Non vi era più nessuno nella classe, nemmeno il professore di biologia ma solo io e lui. Ero davvero stanco di tutta questa cosa. Era diventato impossibile farmi perdonare, tornare fra le sue braccia ma si sa' che tutte le cose impossibili sono quelle da cui veniamo attratti maggiormente. Non appena finì, uscì dalla classe ignorandomi ed io lo seguii lentamente da dietro. Osservavo ogni suo passo, ogni suo movimento. Nonostante fossi abbastanza lontana potevo percepire quasi il suo respiro.
Si stava dirigendo verso la fermata che avrei dovuto prendere anch'io e lì vidi già il maknae che aspettava l'autobus camminando avanti e indietro, agitato e teso. Ogni tanto si girava, arrossiva e poi tornava a passeggiare guardandosi i piedi. Mi girai verso la direzione in cui il maknae si voltava di continuo e capii il perché. Non appena mi rigirai per osservare ancora Jonghyun non lo trovai più. Era sparito. Mi morsi di nuovo il labbro e sospirai frustrato. L'autobus arrivò e Taemin, non avendomi visto salì velocemente e si sedette sollevato, poi se ne andò. Non volevo intromettermi tra Minho e Taemin ma non potevo evitare di osservare tutto ciò che accadeva fra di loro. Da quando l'avevo saputo mi sembrava che gli sguardi del primo verso il secondo fossero sempre sotto i miei occhi che mi urlavano "guardami! Sono sempre quì!". Poi, senza che me ne fossi reso conto, Minho mi aveva raggiunto e adesso si trovava accanto a me.
 «Allora biondino... Hai capito tutto, vero?» mi chiese lui con un tono quasi sarcastico. «Di qualunque cosa tu stia parlando non sono affari che mi interessano.» risposi con indifferenza. Sostenere una discussione di quel tipo con lui era come attraversare un campo pieno di mine. Non perché avessi paura, ma perché non erano fatti miei e perché volevo che Taemin riuscisse a risolvere la situazione da solo senza che ci fossi io in mezzo. 
«L'ho notato da quando è arrivato l'anno scorso quel ragazzino. Cazzo, rideva e sorrideva sempre ogni fottuta volta che lo guardavo. Poi quando è arrivato aveva quei capelli lunghi da femmina che quasi non si notava la differenza. Era carino quanto una ragazza e quando si è tagliato i capelli lo trovavo sempre più fottuta mente femminile, più di qualsiasi ragazza.» Rimasi in silenzio ascoltando le sue parole che non volevo udire e che non riuscivo ad interpretare. Non capivo se si stesse semplicemente sfogando, se mi stesse chiedendo di dargli un consiglio o di non dire una parola a nessuno su tutto questo. Però non volevo ascoltare altro, qualsiasi cosa volesse non ero intenzionato ad ascoltarlo perciò mi diressi verso la fermata dove l'autobus stava per arrivare ed aprire per le porte, ma Minho mi seguì e prima che potessi scappare sul mezzo, mi disse, anzi quasi urlò «Sappi solo che mi sono innamorato di quel bastardo.»
Poi salii sull'autobus e le porte si chiusero. Cercai un posto per sedermi e quando lo trovai mi ci sedetti e presi un grande respiro. Ora non bastavano solo i miei problemi, ma adesso anche quelli di quel coglione. Forse avrei dovuto raccontare tutto al diretto interessato? Oppure lasciare che lo scoprisse da solo? Ma io non centravo nulla. Avrei dovuto lasciare che se la sbrigassero fra di loro e così decisi di ignorare l'accaduto e di non pensare a nulla per qualche minuto. Poggiai la testa contro il finestrino e chiusi gli occhi, come se non avessi riposato abbastanza in classe.
Mentre la mia mente vagava nel vuoto più assoluto improvvisamente mi venne in mente che avrei dovuto richiamare quella persona che non sentivo da molto tempo e che era anche amico di Jonghyun. Ripresi in mano il mio Smartphone bianco e richiami l'ultimo numero fra le chiamate perse. Rispose la segreteria telefonica così decisi che avrei aspettato nuovamente la sua chiamata. Intanto arrivai a casa e come mi aspettavo trovai il mio nuovo ospite indesiderato, spaparanzato sul divano con un piatto di ramen che guardava la tv. L'occhio mi cadde subito sui suoi capelli e diedi ragione a Minho perciò cominciai a tossicchiare imbarazzato dal mio stesso pensiero e dopo averlo salutato mi rintanai in camera mia.
Quella notte riuscii per la prima volta dopo tanto tempo a dormire tranquillamente. Non appena la sveglia mi strappò via dalla mia dormita tranquilla, tutte le preoccupazioni tornarono ad incasinarsi nel mio cervello, ma almeno avevo recuperato un po' di sonno. Sul mio cellulare avevo cinque chiamate sempre dello stesso mittente di ieri. Perché quel cretino doveva chiamare di notte? Lo richiamai ma rispose nuovamente la segreteria telefonica, così mi arresi e mi preparai per la scuola. Vedevo il maknae sempre di meno e anche quella mattina se ne era già andato, così trovai come sempre la casa vuota e disordinata. Avevo come la sensazione che mi stesse evitando ma scacciai subito il pensiero e mi diressi verso scuola. Arrivai puntuale ed entrai in classe sedendomi sempre al mio stesso posto. Stranamente anche lui era già lì seduto al suo posto ed al mio arrivo non si smosse di una virgola. La prima ora procedette tranquillamente, ogni tanto gli lanciavo delle occhiate con la coda dell'occhio ma lui sembrava essere di marmo; fissava la lavagna inerme. Poi mezz'ora prima della ricreazione a una delle ragazze della classe suonò il cellulare ma come sempre il professore non disse nulla e all'improvviso, dopo aver letto il messaggio appena arrivato cominciò a spifferarne il contenuto a tutta la classe. Dopo nemmeno cinque minuti nella classe si era levato un brusio ed un chiacchiericcio che copriva anche la voce del professore che tentava di spiegare. Nonostante tutto quel casino rimasi col capo sul banco, disinteressato e Jonghyun continuò a fissare la lavagna. Quando arrivò la ricreazione tutta la classe accorse fuori unendosi al casino che si udiva di fuori ed il professore esasperato fermò una delle studentesse.
«Kim Soo Yoon, si può sapere che diavolo sta succedendo?» «È arrivato un nuovo senior. Si dice che abbia un IQ di 180 e che sia bello come un modello, che canti benissimo e che abbia una borsa di studio per la Columbia.» rispose eccitatissima la ragazza, poi scappò anche lei di fuori per vedere il nuovo arrivato. « - il professore scosse la testa - E questo dovrebbe essere più interessante della filosofia?» sbuffò e tornò a sedersi prendendo il giornale in mano. 
La giornata proseguì allo stesso modo. Ad ogni cambio dell'ora qualcuno veniva informato con delle nuove notizie sul nuovo arrivato ed in classe scoppiava il finimondo. A me non interessava affatto il nuovo arrivato, volevo solo poter proseguire la giornata in pace e le urla ed il casino non aiutavano affatto. Anche Jonghyun ne sembrò infastidito ed ogni tanto che si sollevavano delle urla sospirava pesantemente infastidito.
Quando l'ultima ora suonò tutti si diressero fuori, più rumorosamente che mai mentre io e lui sistemavamo le nostre cose con calma. Piano piano però le urla si avvicinarono sempre di più alla nostra classe; ciò voleva dire che il nuovo ragazzo stava passando di lì, ma non me ne interessai e continuai con calma a rimettere le cose nella mia borsa. Però non appena alzai il capo, notai Jonghyun immobile con lo sguardo verso la porta. Scorsi le persone ai lati della classe tutti ammassati ad osservare la scena e capii che alla porta c'era il nuovo arrivato, ma non capivo perché si fosse fermato in classe nostra così, osservai bene chi fosse e sbattei le palpebre un paio di volte, poi lui mi sorrise. «Non hai risposto alle mie telefonate Kibummie.» si sollevò ancora una volta un brusio ma lui li zittì con un gesto con la mano. «Che ci fai quì Hyung?» gli chiesi incerto e sorpreso. «Era questo che volevo dirti. Mi sono trasferito quì.» Seguì qualche secondo di silenzio poi lui si rivolse al mio vicino di banco. «Che fai non mi saluti?» gli chiese divertito dalle nostre reazioni. Fece un mezzo sorriso - che non vedevo da molto tempo - e disse «Ciao Jinki.»





Prima di tutto mi scuso per il ritardo. 
Inizialmente pubblicavo tutto a random e mo' una volta ogni morto del Papa. Comunque sia ringrazio chi segue, chi recensisce e tutto quanto, perché sennò avrei già cancellato la storia. Forse vi sarete dimenticati già di controllarla, ma spero proprio di no. Spero che ci sia ancora qualcuno interessato a questi due coglioni che invece di mettersi insieme si tormentano a vicenda... E che dire? Scusate per eventuali errori grammaticali, ma non l'ho potuta ricontrollare. Non so nemmeno se vi piacerà questo capitolo perché è sempre tutto molto intenso, ansioso e triste. 
C'è un'atmosfera che deprime anche me. 
Comunque sia fatemi sapere eventuali commenti negativi o positivi. 
Thanks for reading this story!

(Tra parentesi) Se guardate i drama, state guardando Heirs?
È stupendo ** Ahah. Io tifo per Choi Yong Dong anche se è uno stronzo.
Ahaha. Scusate per 'sto coso così lungo che di sicuro non leggerete.
Byee :*



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2134793