It happened one night

di annabll
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eyes Behind My Head ***
Capitolo 2: *** My Only Weakness ***
Capitolo 3: *** Clues Are All I Need ***
Capitolo 4: *** Fire Will Set Me Free ***
Capitolo 5: *** Breathless ***
Capitolo 6: *** Three Words ***
Capitolo 7: *** A Way To Remember ***



Capitolo 1
*** Eyes Behind My Head ***


 

                                                             EYES BEHIND MY HEAD

Capitolo primo

 

 

 

Spencer era in procinto di aprire gli occhi. Aveva un terribile mal di testa, come se qualcuno le avesse appena infilato un pugnale nel cervello. Udiva un forte brusio, voci confuse, urla, rumori assordanti, ma non riusciva a distinguerne nemmeno uno. Non sapeva cosa le stesse accadendo, né dove fosse. L’ultima cosa che ricordava la disorientava: era uscita dal bar, dopo aver preso un caffè, e si stava dirigendo verso casa di Emily, per incontrare le ragazze. Aveva qualcosa di importante da dir loro. Doveva aver fatto una scoperta sconvolgente, ma che al momento non le ritornava in mente. - Spence, apri gli occhi – ripeteva a se stessa. Ma ancora non aveva trovato il coraggio di farlo. Non ne conosceva il motivo, ma aveva un orribile presentimento.
BOOM BOOM BOOM! Un altro rumore assordante le stava trapanando i timpani, e sentiva le sue tempie fondersi. Provò allora ad avvicinare le mani alla testa per fare un po’ di pressione, ma non riusciva a muoverle, anzi, avvertiva la più forte insensibilità in tutte le parti del suo corpo. – Le mie mani sono sparite, cazzo! – iniziò a dare di matto – Spence, apri quei fottutissimi occhi, e vedi dove sono finite le tue mani! - .
In un baleno spalancò le palpebre. Non riusciva a vedere quasi nulla. Forme indefinite e sfocate le attraversavano le retine, colori scuri e confusi associava alle immagini. Riuscì a malapena a capire di essere stesa su un pavimento, forse più per il freddo che avvertiva che per l’uso della ragione. Aveva perso tutta la sua lucidità. Provò di nuovo a portare le mani alle tempie, ma stavolta si rese conto di una cosa che prima non aveva notato: ok, qualcuno mi ha legato le mani dietro la schiena . . . ma calma, Spence, almeno sono ancora attaccate al resto del tuo corpo, iniziò così a ragionare. Qualcuno l’aveva rapita, a questo ci era arrivata, ma non aveva ancora capito né chi né per quale motivo.
Provò ad alzare la testa, per provare a sedersi, ma nel momento esatto in cui ci provò, tutta la stanza in cui era reclusa cominciò a girare ad una velocità supersonica, tanto da costringerla a stendersi di nuovo. – Forse mi conviene star stesa qui, almeno posso provare a ragionare un po’ e a non dare di matto - . Voleva urlare, ma aveva paura di farlo. Anzi, aveva paura di non avere più nemmeno la voce. L’unica cosa che poteva fare era calmarsi, e cercare di ricordare più che poteva, prima di arrendersi al panico che le stava invadendo tutte le membra del corpo.



TRE ORE PRIMA . . . .


“ Lo bevi tutto quello? Ti hanno mai detto che alla tua età troppa caffeina fa male? “ esordì qualcuno alle spalle di Spencer. La ragazza, presa alla sprovvista, si girò repentinamente per trovarsi di fronte un uomo che non aveva mai visto prima. Lo scrutò da capo a piedi: sembrava avere all’incirca una trentina d’anni, era alto, molto magro, con capelli castani ricci e lunghi fin sopra le spalle. Sembrava un po’ impacciato, ma portava un cinturone, con una pistola in bella vista.
“tranquillo, chiunque tu sia, è decaffeinato” continuò la ragazza con circospetto.
“ Scusami, che maleducato, non mi sono ancora presentato. Sono il dr. Spencer Reid, lavoro per l’Unità Analisi Comportamentale dell’FBI” affermò con fierezza lo sconosciuto. Spencer si ritrovò un po’ sconcertata dall’ultima affermazione dell’uomo. Che ci faceva un agente dell’FBI a Roswood? E soprattutto: perché stava parlando con lei? “ Vedo che anche tu non gradisci granché i convenevoli!” disse il dr Reid con tono sarcastico.
“ Spencer . . . Mi chiamo Spencer Hastings, piacere” replicò con tono incerto stavolta la ragazza
“ Lo sapevo già, ma volevo sentirtelo dire” l’agente indossò un sorriso, sembrando quasi divertito dal timore che riusciva ad incutere.
Continuando: “ Non volevo indispettirti, anzi. Sono qui per aiutarti, o meglio, per aiutare tutte voi” abbassò la voce.
Sempre più sconvolta Spencer cominciò anche a balbettare: “ Tutte voi? “
“ Si. Conoscevo Alison DiLaurentis, anche se con il nome di Vivian Darkbloom. Non so come fosse riuscita a trovarmi. La prima volta che l’ho incontrata mi era sembrata spaventata da qualcosa . . . o meglio, da qualcuno. Era minacciata da uno stalker, che le lasciava messaggi e regali firmati –A, ma questo probabilmente già lo sai” iniziò anch’egli a sorseggiare un caffè “ allora ho deciso di cominciare ad aiutarla, ma dopo un po’ non l’ho vista più in giro, e, terrorizzato dal fatto che le fosse potuto succedere qualcosa, ho cominciato ad indagare su di lei, fino a scoprire che mi aveva fornito un falso nome e che . . . era stata assassinata” posò la tazza sul tavolino, e avvicinò la sedia sulla quale era seduto a quella della ragazza, come se le stesse per dire una cosa che non desiderava che orecchie indiscrete percepissero “ da un po’ di tempo sto osservando te e le tue amiche, dato che Viv . . volevo dire Alison mi aveva parlato molto di voi. Pensavo voi foste colpevoli sia dello stalking che dell’omicidio. Ma ben presto mi sono reso conto che anche voi, come Ali, state ricevendo messaggi anonimi firmati – A, e stavolta non permetterò che altre persone possano rischiare la vita, se io ho la possibilità di aiutarle”.
Spencer era quasi del tutto incredula. Le sembrava di sognare. Non sapeva se fidarsi o no di quell’uomo che all’improvviso era arrivato al suo cospetto, ma, in un modo o nell’altro le ispirava un forte senso di fiducia, e, dato che anche Ali aveva chiesto aiuto a lui, beh, forse era una persona con la quale sentirsi sicura. – Beh, magari prima di affidargli la mia vita, dovrei fare qualche ricerca. Ora come ora non possiamo permetterci di rischiare di prendere un abbaglio- aveva pensato la Hastings. Presa più coscienza in quel momento di quanto stava accadendo, concluse quell’interessante discorso con lo sconosciuto in questo modo: “ Se ciò che dice è vero, non può aspettarsi che le dia la mia fiducia per nulla. Poi forse sarebbe meglio se ne discutessi prima con le mie amiche”.
“ Questo è ovvio, prendetevi tutto il tempo che vi occorre. Io continuerò le mie ricerche, e, quando sarete pronte, chiamami. Ecco, questo è il mio biglietto da visita. Arrivederci, Spencer! “ replicò lui.
Afferrato il biglietto da visita stretto tra le dita, gli diede un’occhiata, per poi riporlo in una tasca della borsa. Uscì di corsa dal bar per chiamare le amiche.



ORA . . .


Per il momento non riusciva a ricordare altro. Forse era quello l’ultimo ricordo che aveva prima di risvegliarsi in quel posto. Il mal di testa le stava finalmente passando e la vista le sembrava meno sfocata di prima. Tuttavia stava cominciando a sentire uno strano odore. Non riusciva a catalogarlo, né a riconoscerlo, ma le sembrava familiare. In pochi secondi sentì le forze venirle meno, chiuse gli occhi, e cadde in un sonno profondo.

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Capitolo 2
*** My Only Weakness ***


MY ONLY WEAKNESS

Capitolo secondo

 

L’aria era diventata gelida. Infatti probabilmente furono i brividi che fecero rinvenire nuovamente Spencer. Stavolta non si sentiva più disorientata, né affaticata, semplicemente era arrabbiata ed agitata. Non aveva ancora capito chi la tenesse segregata, né per quale motivo, né da quanto tempo.  – le ragazze avranno notato la mia sparizione, anche Toby sarà molto preoccupato . . . i miei genitori . . – Spencer provava a rincuorarsi, a calmarsi, perché era consapevole di riuscir a ragionare solo quando non era tesa. Ad un certo punto sentì una porta sbattere. Poi più niente per una manciata di secondi. Intravide un ombra che camminava avanti ed indietro, quasi come se fosse combattuta tra due opzioni. Cominciò a sentire i passi di una persona, che scendeva le scale, lentamente. Passo dopo passo il cuore della ragazza palpitava sempre di più, e non solo per la paura, anche per la curiosità che l’accompagnava da quando era nata. Gli scalini erano finiti. Ma c’era troppo buio per poter vedere altro oltre che ad una sagoma umana. L’unica luce presente si trovava esattamente posizionata sul soffitto in corrispondenza della testa della Hastings. Illuminava a mala pena quello stanzino vuoto minuscolo nel quale era rilegata. Inoltre c’erano delle sbarre che separavano la stanza di Spencer dall’atrio dinnanzi dove vi erano le scale e anche il rapitore. Non c’era la presenza nemmeno di una finestra, questo fece pensare alla ragazza di trovarsi in un seminterrato, o una cantina di qualche casa antica. Il suo flusso di pensieri fu interrotto dall’avvicinarsi di quella sagoma scura. Man mano che avanzava, la Hastings poteva cogliere piccoli dettagli riguardanti quell’uomo sconosciuto. Perché si, oramai era chiaro si trattasse di un uomo. Era molto alto, spalle larghe, ma più di questo non si poteva notare granché. Portava un completo nero, dei guanti, e persino un passamontagna. Pensò subito potesse essere un membro dell’ A team, ma non osò chiedere. Certamente non poteva essere Mona, e, magari, Cappotto Rosso aveva ingaggiato qualcun altro che potesse dare una mano alla psicopatica.  Ma tutto ciò apparteneva solo ed esclusivamente a teorie che Spencer stava mettendo appunto nella sua mente. Non aveva intenzione di parlare ad alta voce. Almeno non ancora. Si limitava a fissarlo con aria sospetta, senza mai distogliere lo sguardo. Nemmeno lui sembrava un tipo di molte parole. Prima di uscire di nuovo dalla gabbia, infatti, mise solo un bavaglio intorno agli occhi della ragazza. Fu un momento, il singolo istante in cui le fu oscurata la vista, che le portò alla mente un nuovo flashback.

 

TRE ORE PRIMA . . .

Spencer era appena uscita dal bar, dopo la chiacchierata con quel bizzarro agente dell’FBI. Camminava e rideva tra sé e sé perché non credeva che quell’uomo, esile com’era, potesse essere in grado di proteggere tutte e quattro loro dalla furia di Cappotto Rosso. Distratta completamente dai proprio buffi pensieri, fu colta alla sprovvista alle spalle. Qualcuno le aveva messo una mano sulla bocca, l’altra sugli occhi, e velocemente la stava conducendo in un vicolo. La sbatté al muro, però non con violenza. Le tolse la mano dalla bocca, e cominciò a baciarla. Al tocco delle labbra, la Hastings non ebbe più alcun dubbio su chi potesse essere. Lo strattonò e gli disse sottovoce: “ Toby, mi hai spaventata a morte! “. Di tutta risposta lui cominciò a sogghignare, indossando quel suo solito sorriso che lo faceva assomigliare ad un bambino il giorno di Natale. Spencer quando lo vedeva non poteva evitare di pensare che fosse talmente buffo . . . eppure dannatamente sexy.

“ Beh, inizialmente volevo farti una sorpresa . . . ma poi ho pensato che sarebbe stato più divertente farlo in questo modo “, mentre lo diceva non riusciva a far a meno di ridere.

“ C’è un motivo in particolare per il quale sei così felice oggi? “ chiese Spencer, intuendo già la risposta, quasi come se fosse stata una domanda retorica.

“ Si! Ho trovato un nuovo lavoro! In una falegnameria qui vicino avevano bisogno di un aiuto. Mi hanno accettato! “ disse entusiasta il ragazzo.

“ Wow! Sono contentissima per te!” fece la Hastings cercando di sembrare il più entusiasta possibile.

“ E tu, invece? Chi era quel tipo con cui parlavi al bar? “ domandò interessato Toby

“ Beh, ecco, è . . . un agente dell’FBI che si è offerto di darci una mano a capire chi è Cappotto Rosso …”  Spencer alzò un attimo lo sguardo, e vide il suo ragazzo confuso, allora cercò di spiegarsi meglio “ era un amico di Alison. . . . è una lunga storia . . . “.

“ ci possiamo . . . fidare di lui? “ chiese incuriosito il carpentiere.

“ non lo so ancora . . . ma c’è qualcosa in lui che mi ispira sicurezza e . . . “ Spencer fu interrotta dal suono improvviso del cellulare di Toby. Il ragazzo in fretta e furia prese il telefono, era un messaggio. Guardava il display terrorizzato, da un momento all’altro sembrava aver cambiato totalmente umore. – tutto ciò accade solo quando a mandare il messaggio è … - stava pensando la ragazza, prima che anche il suo ragionamento fosse interrotto, stavolta dalle parole del ragazzo: “ Scusami, Spence, ora devo scappare! Ti chiamo dopo! Ti amo! “, le diede un bacio frettoloso, ma senza darle il tempo di chiedergli il motivo di tanta fretta. Non era passato nemmeno un minuto che Spencer stessa aveva già ricevuto un messaggio:

 

Una volta tradita, la fiducia è difficile da riconquistare.

-          A.

 

ORA . . .

Quest’ultimo ricordo che aveva la sconcertava molto. Non capiva che significato attribuirgli. Era possibile che Toby fosse tornato a far parte dell’ A team? E se si, poteva essere stato lui a rapirla e segregarla in quella prigione? Ma a che pro? Forse per difenderla? Magari era serio quando diceva che si era unito a Cappotto Rosso per proteggerla . . . ma se invece avesse finto per tutto quel tempo? Se non l’avesse mai amata? A quel punto ebbe un crollo di nervi e scoppiò a piangere. Le si bagnò tutta la benda, ma non le importava. Quasi le mancava il respiro, ansimava, le faceva male il cuore. Sentiva tutte le membra del suo corpo tremarle. Era un vero e proprio attacco di panico. A peggiorare la situazione ci fu anche un altro pensiero che le aveva appena attraversato la mente: il rapitore non le aveva ancora portato né da mangiare né da bere. Ora i suoi scopi potevano essere due: farla morire di fame o disidratata, cosa poco probabile, oppure . . . non doveva essere rinchiusa lì da molto tempo, anche se le sembrava fossero trascorsi giorni. Così continuò a singhiozzare, ad urlare, a piangere, a digrignare i denti. Se fino a quel momento aveva voluto mantenere la calma per avere lucidità, adesso si era lasciata abbracciare completamente dal panico e dalla paura, a causa della sua unica debolezza: Toby Cavanaugh.

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Capitolo 3
*** Clues Are All I Need ***


CLUES ARE ALL I NEED

Capitolo terzo

 

 

 

Tutto ciò non aveva il benché minimo senso per Spencer. L’unica cosa che avrebbe potuto salvarla in quel momento era il riaffiorare di tutti i suoi ricordi prima di essere rapita, altrimenti avrebbe potuto solo formulare  teorie, che fino a quell’istante non avevano fatto altro che distruggerla emotivamente. Adesso era finalmente intenzionata ad aprir bocca e parlare, non appena l’uomo in nero fosse tornato. Doveva chiedergli chi fosse, anche se probabilmente non le avrebbe risposto. Doveva sapere se davvero era Toby, anche se nel profondo della sua anima preferiva che tutto ciò rimanesse un mistero. Voleva scappare, ma come avrebbe potuto?! Non poteva vedere, aveva mani e piedi legati, né poteva alzarsi da terra. Non sapeva nemmeno dove fosse! Almeno aveva sempre avuto un udito impeccabile, cosa che le sarebbe tornata utile se fosse riuscita ad ascoltare la voce del suo rapitore. Improvvisamente sentì dei tonfi forti provenire dal piano di sopra, come se qualcuno stesse spostando un oggetto pesante sul pavimento. Spencer deglutì e cercò di respirare il meno affannosamente possibile, per poter prestar meglio attenzione a cosa accadeva di sopra. Qualcuno però nel frattempo stava scendendo le scale, cosa che fece istintivamente voltare la ragazza, nonostante fosse impossibilitata di vedere. Il suono dei passi le sembrava stranamente diverso. Era quasi ritmico, come se la persona in questione stesse ballando, ed inoltre era leggero, appena accennato e sicuramente molto più acuto rispetto alla volta precedente. Tra sé e sé Spencer pensò – Sembrano quasi . . . tacchi a spillo - . Bene, se prima sembrava che la situazione non avesse alcun senso, adesso era anche peggio. – Ora l’uomo in nero ha anche una complice?! O è solo uno che si diverte a travestirsi da donna?! -  rifletteva in modo sarcastico la Hastings. Intanto la presunta donna aveva attraversato il piccolo atrio, aveva aperto la cella ed era entrata all’interno del bugigattolo.  Ci furono istanti di interminabile silenzio, in cui, nonostante Spencer si sentisse nuovamente disorientata, sapeva che quella con i tacchi a spillo la stava osservando; lo sentiva sulla sua pelle, come se quello sguardo la stesse trafiggendo, come la lama di un coltello. Stava lentamente abbandonando i suoi buoni propositi di provare a comunicare con questa persona, perché, a differenza dell’altro, le incuteva paura in una maniera indescrivibile. Sentì un accenno di risata dall’altra parte, come se la donna potesse leggere nel pensiero, una risata che, però, le sembrava molto familiare. In quel momento fu sicura che dall’altro lato ci fosse una ragazza. Spencer aveva sempre avuto una memoria impeccabile, ma che non riuscì a tornarle utile in quello stanzino. Cercava disperatamente di dare un volto a quella risata, ma non ne era capace. La donna in tacchi a spillo probabilmente percepì anche l’improvvisa rassegnazione della Hastings, che mai come in quell’istante appariva fragile e vulnerabile, e, sfruttando tutto il potere che sapeva di avere nelle mani, le si avvicinò ulteriormente beffarda, quasi con un fare di arroganza, tanto da poter farle sentire il proprio respiro sul volto. Era lento e regolare, lungo e rumoroso, quasi come se volesse colpirla ripetutamente con l’aria che le fuoriusciva dalle narici. Ma non si era resa conto di essersi avvicinata forse un po’ troppo, tanto da dare a Spencer la possibilità di percepire il suo profumo, che diede all’intera faccenda una svolta sostanziale. Se da un lato era vero che la Hastings dal rumore della risata non era riuscita a comprendere chi fosse la donna misteriosa, dall’altro quell’odore acuto misto di shampoo alla fragola e eau de toilette l’avrebbe riconosciuto ovunque. Aveva finalmente capito. Ma non era sicura che potesse essere un bene, anzi, forse le aveva dato molto più di cui aver paura. Ma sentiva il bisogno di sapere se aveva ragione, se davvero sapeva chi avesse di fronte. Timidamente, quasi sussurrando, disse: “ Alison! Sei tu?! Ho riconosciuto il tuo profumo“. Sentì la donna indietreggiare rapidamente, come se non avesse messo in conto la possibilità di essere smascherata, per lo più per un dettaglio così banale. Si schiarì la voce, quasi come se stesse cercando di tener sotto controllo le sue emozioni e non lasciar trapelare nulla ulteriormente, ma era troppo tardi. Spencer se n’era accorta e tutto ciò la fece sentire più forte di prima. Forse il suo istinto non era fallace come aveva creduto fino a quel momento. A questo punto, quasi con tono di sfida, trovò il coraggio di affermare: “ Che c’è? La ragazzina che ha fatto finta di essere scomparsa per manie di grandezza credeva che non sarei mai potuta arrivarci?! Ahahah si vede che di me non hai mai capito nulla, Ali”. Tuttavia l’evidente provocazione non portò a nulla di concreto, dato che la ragazza, di tutta corsa, uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Spencer era nuovamente punto e a capo. Pur avendo avuto i suoi cinque minuti di coraggio illimitato, adesso aveva ricominciato a porsi tanti quesiti. – Alison . . . se davvero era Alison . . . che ci fa lei con Toby? O meglio: che ci fa lui con lei? – continuava a scervellarsi, ma non riusciva nemmeno in questa occasione a trovare una spiegazione plausibile. Stranamente il pensiero di Toby e Alison insieme non la fece rabbrividire. Aveva smesso di preoccuparsi per il suo ragazzo, dato che lui non l’aveva mai fatto per lei. In quella situazione il suo istinto di sopravvivenza era molto più sentito dell’amore per lui, un amore, a quanto pare, mai ricambiato, ma sempre e solo finto. Ad un certo punto, sentì di avere qualcosa nella tasca posteriore dei pantaloni. Era sottile, di forma rettangolare. Cercò di raggiungerlo con le mani, e, dopo qualche tentativo, riuscì a tirarlo fuori. Era ruvido, un cartoncino, ma ancora non aveva capito di cosa si trattasse. C’era qualcosa stampato sopra, in rilievo, che Spencer provò a percorrere con le dita, per leggerlo. – Dr Spen . . cer Re . . id! -  lesse. Ma certo! Era il biglietto da visita che le aveva dato quell’agente dell’FBI. Forse, in quel momento, era l’unica persona che potesse darle una mano, o così le sembrava. Avrebbe voluto chiamarlo, ma non sapeva in che modo, o meglio, sarebbe stato meglio se gli avesse raccontato tutta la storia di Alison, invece di non fidarsi di lui. Ma poi, improvvisamente, ecco che qualcosa le tornò in mente.

 

PRIMA DURANTE QUEL GIORNO . . .

Dopo aver ricevuto il messaggio di A, Spencer corse a casa di Hanna, radunando le altre con un “ S.O.S.” . raccontò loro di tutto ciò che le era capitato quella mattina: di quell’agente, di Toby, di A.

“ Non posso credere che Toby si sia fatto trascinare nel vortice nuovamente” disse allibita Emily.

“ Invece io non ne sono sorpresa. A è in grado di ricattare chiunque! “ continuò Hanna.

“ Si ma perché allora non raccontarlo a Spencer? Sa cos’ha dovuto passare quest’anno a causa sua! “ obiettò Aria.

“ Ragazze, io credo che la faccenda sia molto più seria. Abbiamo sempre voluto credere alla storia che Toby ci ha raccontato. Ma se avesse mentito? Se lui fosse invischiato in tutto ciò sin dal principio?” ipotizzò quasi in lacrime Spencer.

Le altre non fiatarono per un po’. Erano lì che si guardavano tra di loro, e, ogni tanto, volgevano uno sguardo di sottecchi all’amica sofferente. Spencer non poteva sopportare tutto ciò. Non voleva essere commiserata, tanto meno dalle sue amiche, né più voleva nascondersi. Era stufa di tutta quella situazione che le stava distruggendo la vita. Così, prese una decisione per la quale si sarebbe battuta fino alla fine, presa dallo sconforto e soprattutto a causa della sua testardaggine: “ sono stanca di essere vittima di Mona, Toby, Lucas, o chiunque sia A! qualsiasi cosa accada, io ora vado a parlare con il dr Reid! “

“ Spencer ferma!” urlarono in coro le altre tre, “ hai dimenticato cos’è accaduto alla Sullivan l’ultima volta che abbiamo provato a fare una cosa del genere. A riuscirebbe a rigirare la situazione a suo favore, in qualsiasi modo” continuò Emily, riscuotendo l’approvazione di Hanna e Aria.

“ Allora se le cose stanno così tanto vale suicidarsi e togliere il divertimento a quella bestia!” urlò disperata la Hastings, “ è l’unica alternativa che mi viene in mente!”

Le ragazze, preoccupate nuovamente per la salute mentale dell’amica, provarono a lungo a dissuaderla con parole dolci e diplomatiche, ma alla fine, minacciate da Spencer con le parole riguardanti il suicidio, approvarono a malincuore la decisione dell’amica, rifiutando comunque di accompagnarla. La Hastings non diede molto peso a tutto ciò, anzi, era euforica per il fatto di essere riuscita ad avere la meglio sulle altre ancora una volta. Forse, da quando Alison non c’era più, era stata lei a prendere le redini della situazione, con la sua determinazione e la sua furbizia. Aveva appena chiamato l’agente per dargli l’appuntamento, quando le arrivò improvvisamente un nuovo messaggio, che stavolta però lesse senza più paura negli occhi:

 

Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Spero che tu non sia il lupo in questione,

altrimenti mi toccherà bastonarti ancora.

-          A

Tutto ciò la fece sorridere, quasi come se volesse sfidare il suo persecutore, sicura che la stesse osservando in quel momento. Ora aveva un potente alleato dalla sua parte che avrebbe potuto aiutarla a liberarsi finalmente da quel peso opprimente che da due anni a quella parte le impediva di respirare liberamente.

 

 

ORA . . .

-        Che stupida che sono stata se ho creduto che qualcuno potesse fermare la furia di A, o meglio, di Cappotto Rosso! – pensava Spencer, dopo il riaffiorare dell’ultimo ricordo che le era venuto in mente. Tuttavia non sapeva ancora se era riuscita o meno ad informare il dr Reid, se mai l’aveva incontrato. Se tutto ciò era accaduto, aveva probabilmente messo in pericolo anche la sua vita. Questo pensiero le fece gelare il sangue. Le sue amiche l’avevano messa in guardia, e anche A l’aveva fatto, ma lei non aveva voluto sentire alcuna ragione. Ed ora? Ora era lì, segregata, affamata, da sola. Poi un altro flash le balenò nella mente: e se non fosse stata sola? Se lì da qualche parte ci fosse anche l’agente con cui aveva probabilmente parlato? Aveva bisogno di togliersi quella benda dagli occhi, per poter dare uno sguardo in giro, e vedere se il suo intuito anche stavolta aveva visto bene. In quel momento si limitò a riposarsi, perché era davvero troppo esausta per riflettere oltre. Però, a differenza di prima, aveva un barlume di speranza che le illuminava il viso: forse non era poi così sola come pensava.

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Capitolo 4
*** Fire Will Set Me Free ***


 

Fire Will Set Me Free

capitolo quarto.

 

 

 

Spencer si trovava su una spiaggia. Poteva avvertire l’odore del mare, lo sfruscio delle onde, l’acqua bagnarle i piedi. Ma era buio. Era troppo buio. Vedeva solo in lontananza le luci dei fari che ruotavano periodicamente e il golfo di  fronte illuminato come un albero durante la vigilia di Natale. Faceva molto freddo, tanto da congelarle braccia e gambe; indossava un vestitino sbracciato a fiori, molto corto e aveva i capelli legati in una coda alta e fluente, tanto stretta da farle male alla testa. Aspettava qualcuno. Aspettava Toby. L’avrebbe visto di lì a poco e avrebbe finalmente potuto sapere la verità, riguardo ogni cosa. In lontananza notò la sua sagoma che si avvicinava, a piedi nudi, che affondavano pesantemente nella sabbia, alzandone quasi un vortice ogni volta che avanzavano. Ad un certo punto fu in grado di riconoscerne i tratti somatici: i suoi bellissimi occhi azzurri, nei quali era sempre riuscita a specchiarsi, che le sembravano sempre così sinceri. La sua bocca, che al momento inarcava in un sorriso lucente, che le dava continuamente tutta la sicurezza e il conforto di cui aveva bisogno. Continuava a progredire verso di lei, e l’unica cosa a cui Spencer riusciva a pensare era al momento in cui le loro labbra si sarebbero incontrate, dopo così tanto tempo, che rappresentava la ciliegina su quella torta che la ragazza aveva cucinato con grande fatica fino a quel momento. Esteriormente le sembrava perfetta, ma si sa, i dolci vanno sempre prima assaggiati per poterne decretare la bontà. Ma tutto ciò non la preoccupava minimante. Sapeva in cuor suo che non ci sarebbe stato nulla di amaro o non edibile in ciò che vedeva. Forse ne era troppo sicura. Quell’attesa la logorava, tanto da spingerla a correre, per gettarsi tra le braccia del suo amato. D’un colpo però lui arrestò la sua discesa. Lei fece lo stesso, perché notò qualcosa cambiare nei suoi occhi, osservò quel luccichio abbandonare le sue pupille, per essere sostituito da risentimento e rancore. Il sorriso da affabile divenne beffardo, tanto da spaventare per un momento la Hastings. Nascosto dietro al ragazzo c’era qualcun altro, che a rilento, quasi come se godesse della tensione portata dall’attesa della sua entrata in scena, era in procinto di mostrarsi. Una chioma bionda e fluente fu tutto ciò che servì a Spencer per capire di chi si trattasse. Iniziò a piangere. Alison le pose una mano sulla guancia, nel tentativo di asciugarle le lacrime, ma l’ex amica la schivò veloce.

 “ Dai, Spence, non fare così. Pensavi davvero di aver preso il mio posto a Rosewood? Credevi che qualcuno potesse prenderti sul serio? Di sicuro lui non l’ha fatto “ disse Ali indicando con la mano il ragazzo che, divertito, le guardava alle spalle. “ Non esserne sorpresa, in cuor tuo lo sapevi fin dal principio. Tutti mi amavano, chiunque voleva essere me. Il problema è che nessuno n’è mai stato in grado, tantomeno tu”. Continuò la ragazza che indossava un cappotto rosso lungo fino alle caviglie. Dall’apertura del capo sembrava che non avesse null’altro addosso. Adesso già era nuovamente al fianco di Toby, accarezzandogli i capelli. Avvicinò il suo viso a quello del ragazzo, sotto lo sguardo sofferente di Spencer, e in un secondo le loro labbra si ritrovarono in un bacio pieno di passione. Toby l’afferrò appena sotto la vita, per stringerla a sé, mentre la ragazza in rosso pose entrambe le braccia attorno al suo collo, affondando le mani tra i suoi capelli castani, stringendoli forte con le dita, come se ciò che provava fosse così forte da essere al confine tra ciò che fa bene e ciò che ferisce. 

 

Spencer era devastata. Sentiva le lacrime rigarle il viso e la testa provocarle un fortissimo dolore, come se le stesse per esplodere. Aveva avuto solo un brutto sogno, ma che le sembrava così vicino alla realtà da averle dato un piccolo assaggio di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Aprì gli occhi istintivamente. Vide la propria cella illuminata da una strana luce, quasi verde. Vide le sbarre che la segregavano in quello stanzino, vide i propri piedi nudi ( devono avermi tolto le scarpe perché non scappassi, o forse le ho perse prima di essere rapita – pensò). Passò ancora qualche istante prima che si rendesse conto di poter vedere di nuovo. Mentre dormiva probabilmente le avevano tolto la benda, anche se non ne capiva il motivo. Notò subito dopo di non essere più stesa sul pavimento, ma seduta su una vecchia sedia di legno, che scricchiolava ad ogni suo impercettibile movimento. Aveva ora una visuale completa e perfetta della scala, della porta, del locale in cui era rilegata. Ma ciò non le fu molto d’aiuto. In tal modo si era potuta rendere conto di essere completamente sola. Se aveva parlato con quell’agente, lui in quel momento non era lì. Pensò al peggio, che forse l’avessero già ucciso. Il pensiero di un Toby omicida la fece trasalire. Poi pensò al meglio, che magari era ancora incolume. In quel caso avrebbe dovuto trovare un telefono, o qualcos’altro, per chiamarlo, per farsi salvare. Cercò allora a terra, nelle sue tasche, sotto la sedia, ma il biglietto da visita era sparito. A quel punto lasciò andare la sua testa all’indietro, come per imprecare contro il cielo, ma forse non tutto era perduto.

 

PRIMA . . .

“ Mi stai dicendo che non è più Mona a ricattarvi, ma una bionda con un cappotto rosso? “ disse cercando di capire il dr Reid.

“ Esattamente “ concluse Spencer, tirando un sospiro di sollievo, come se si fosse appena liberata del peso più ingente che avesse mai dovuto portare sullo stomaco. Si sentiva libera da qualsiasi catena,  quasi spogliata di qualsiasi protezione, eppure provava una certa sicurezza in compagnia di quell’uomo, che era sicura l’avrebbe difesa da qualsiasi pericolo incombente sulla sua vita.

“ Accidenti! Non riesco a credere che siate riuscite a mantenere questo segreto per così tanto tempo. Tuttavia ciò che non comprendo è per quale motivo non siate andate prima dalla polizia . . . “ continuò incredulo l’agente.

“ Tutte le persone che sono venute a conoscenza di ciò sono state ferite o uccise o mandate via da questa città. Poi tra le forze dell’ordine ci sono troppi poliziotti corrotti, probabili complici di A, gente appartenente a club di pervertiti . . . “ la ragazza si fermò un attimo, guardò il volto del suo interlocutore, che sembrava non seguire più il filo logico del discorso; a quel punto sorrise e concluse: “ tranquillo, nulla di importante “.

“ Avete qualche idea su chi possa essere quella bionda? “ domandò ancora Reid.

“ Beh . . . “ rispose Spencer un po’ titubante “ si . .  . tutte noi abbiamo notato un’incredibile somiglianza con . . . Ali “.

A quel punto l’agente, ancora più sconcertato, quasi come se quella che stava ascoltando fosse la trama di un film giallo, affermò: “ Ma Ali è morta, non può essere lei. Cioè, poi per quale motivo avrebbe dovuto minacciare se stessa . . . no, è assolutamente . . . è una follia “ . Ci fu qualche istante di silenzio, nei quali entrambi riflettevano: il dr Reid continuava a scervellarsi cercando di effettuare qualche ipotesi verosimile, ma, nonostante il suo quoziente intellettivo assolutamente fuori dal comune, sembrava non trovare alcun collegamento che potesse essere valido; Spencer nel frattempo osservava le espressioni delle quali il volto dell’agente s’impadroniva. Lo guardava con meraviglia, ne era affascinata: era sicuramente un bell’uomo, forse dall’aspetto un po’ nerd, un po’ troppo magro, ma il fascino che la sua mente sprigionava ogni volta che apriva bocca per proferir parola, avrebbe catturato l’attenzione di qualsiasi donna fosse stata nelle vicinanze. La Hastings fu riportata alla realtà da quella stessa voce profonda che la portava a fantasticare, dato che l’agente aveva notato l’improvvisa distrazione della ragazza. “ Spencer, tutto bene? “ diceva lentamente Reid, scandendo le parole con il suo accento perfetto. “ Ti dispiace se fumo una sigaretta? “ continuò, aspettando l’approvazione dell’interlocutrice. Spencer annuì, cortese, e poi gli domandò: “ Non immaginavo fumassi . . . insomma, solitamente i fumatori hanno un odore riconoscibile in tutti loro, che tu però non possiedi “.

“ Arguta . . . “ egli constatò “ Non sono un fumatore, però, quando sento troppa ansia che mi permea, allora, per scaricarmi un po’, mi accendo una sigaretta . . . . vedi?! Non ho nemmeno un accendino con   me!  ”. Spencer sorrise a queste parole, ricordandosi di avere un accendino in borsa da qualche parte. Frugò per circa trenta secondi, senza distogliere però mai lo sguardo da quello del brillante agente, per poi trovarlo in un taschino laterale; lui, ringraziando, lo usò per poi restituirglielo, e, la Hastings, per non perdere altro tempo, lo mise nella tasca posteriore dei suoi pantaloni.

 

ORA . . .

Così cambiava tutta la situazione. Con le mani Spencer provò a toccare le corde con le quali le avevano legato i polsi. Come pensava: erano di cotone. Avrebbe potuto dar fuoco loro, con l’accendino che forse aveva ancora in tasca. Era una mossa rischiosa, ma non aveva avuto idee migliori. Cercò con fatica di avvicinare le mani al pantalone: toccò, toccò, toccò, fino a trovare ciò che cercava. Infilò le dita nella tasca e prese l’accendino. Provò ad accenderlo un paio di volte, senza ottenere molto altro che scintille. Il cuore le batteva a mille, cominciò a sudare freddo, ad avere emicranie e aveva una fretta tale da metterle un’ansia che  - avrebbe volentieri combattuto con una bella sigaretta – pensò sarcastica. Al terzo tentativo la fiamma si alzò alta, ma l’unica cosa che riuscì a bruciare fu il palmo della sua mano destra. Si impegnò davvero duramente per non urlare dal dolore. Finalmente fu capace di dar fuoco alle corde, che, pur ustionandole i polsi, la liberarono da quella posizione costrittiva. Con le mani doloranti slegò velocemente anche le caviglie. Si tolse la giacca, per spegnere quella piccola fiamma che si era creata intorno alle corde. – ed ora? Ora che faccio?! – ragionò tra sé e sé in preda al panico. Era spaventata tanto da non riuscir quasi a muovere un muscolo, ma una cosa la sapeva: pian piano continuava ad avvicinarsi sempre più alla verità.  

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Capitolo 5
*** Breathless ***


Breathless

capitolo quinto

 

 

 

Ora credeva di avere il coltello dalla parte del manico.  – Beh, più o meno – pensò, dato che era ancora rinchiusa in una cella nel bel mezzo del nulla con al piano di sopra la sua amica non morta e il suo ragazzo traditore, probabili assassini e suoi persecutori. Ma non aveva scelta. Se fossero scesi nel seminterrato e l’avessero trovata in quello stato, probabilmente non avrebbe più avuto un’occasione di scappare così succulenta. Cercava di assaporarla nel migliore dei modi, anzi, in tutti i modi possibili e immaginabili, ma comunque rigirasse la situazione, avvertiva un fortissimo retrogusto amaro, che la scoraggiò, ma non le fece perdere la speranza. Senza indugiare ulteriormente, si avvicinò furtiva alla porta della sua cella: era serrata con un lucchetto. Si tolse una forcina, che usò per aprirlo. L’aveva già fatto prima, soprattutto con i diari di Melissa fin da quando erano ancora entrambe delle bambine, perché si divertiva a ficcanasare tra gli affari della sorella. Come si aspettava, anche grazie alle sue esperienze passate, riuscì ad oltrepassare quelle grate di ferro, per arrivare ai piedi delle scale, che le sembravano più ripide e più lunghe di quanto non avesse notato in precedenza. C’era quasi. Oltre quella maniglia, lì in cima alla gradinata, sarebbe stata libera. Con ottimismo pensò alla possibilità che non ci fosse nessuno lì a sorvegliarla, che magari i suoi rapitori in luna di miele fossero andati a compiere non si sa quale azione importante e che l’avessero lasciata incustodita. D’altronde erano loro A, no? Dopo averla rapita dovevano pur continuare a importunare le altre! Ma i suoi pensieri fortunosi furono bruscamente interrotti dal brusio di voci che sentiva provenire dal probabile salottino che aveva sopra la testa. Ne riusciva a distinguere due: una, quella del ragazzo, a cui non riusciva a dare un volto, nemmeno quello di Toby, dato che non faceva altro che annuire e acconsentire a ciò che diceva l’interlocutrice; l’altra, quella della ragazza, era alta e squillante, che lasciava trapelare tanta rabbia e dolore, era inconfondibilmente, inesorabilmente, sicuramente quella di Alison. Salì lentamente e senza far rumore tutti i gradini della scala, fino ad arrivarne all’estremità, dove si fermò trattenendo anche il respiro. Ora riusciva a distinguere il tono alterato di Alison, che sembrava realmente infuriata con il suo complice. Lui d’altronde sembrava essere completamente subordinato alla ragazza, come se fosse l’anello debole del team, colui che esegue gli ordini, ma che non ha alcun diritto di impartirne. Spencer avvicinò il suo occhio sinistro allo spioncino, nella speranza di poter comprendere meglio con chi aveva a che fare. Vide, dalla sua prospettiva, che probabilmente non si trovava in una vecchia casa di campagna, e che sopra al suo stanzino non c’era un salotto, né una cucina, né un covo. Era semplicemente quella che sembrava essere una camera di un motel, anzi, anche di quelli scadenti. Le pareti erano di color ocra, con crepe vistose, soprattutto in prossimità di un quadro che Spencer aveva proprio di fronte, - altro che Monet e Van Gogh! Sembra quasi sia stato dipinto con i piedi! – rifletté la ragazza. Sulla sinistra vi era un letto a due piazze, che Spencer riusciva a vedere solo di striscio dallo spioncino, e, dritto davanti ad i suoi occhi, alla prospettiva che gli offriva quel buchetto dal quale guardava, riusciva a vedere il suo assalitore in nero, o almeno le sue spalle. Lei era presumibilmente rivolta verso la porta dalla quale la Hastings stava spiando, lo poteva notare dalla direzione dei suoi piedi, ma non mostrava il suo volto, dato che era coperto dal corpo del suo complice. Dopo qualche minuto di silenzio, Spencer sentì Cappotto Rosso dire: “ Allora siamo intesi: tu ora vai a rimediare al casino che hai combinato con quelle tre stronzette, e occupati anche di Mona, mi raccomando. Io invece finirò la quarta, quella che sta qui sotto. Se pure sospetta di noi, sta' tranquillo, tra cinque minuti non potrà più riferirlo ad anima viva “, ed entrambi scoppiarono in una risata malefica, quelle che a volte si sentono nei cartoni animati, ma che in quella rara occasione fece venire a Spencer i brividi. Il ragazzo corse fuori, si sentì il suono di un motore appena acceso, probabilmente quello di un motorino ( - Toby! – urlò la Hastings nella sua mente ), e, mentre A si allontanava andando chissà dove e Cappotto Rosso chiudeva la porta d’ingresso, Spencer stava pianificando il modo di scappare, dato che ora lo scontro sarebbe stato alla pari. Era troppo tardi però per la ragazza di poter constatare che quella fosse Alison, dato che aveva già indossato una maschera, prima di prendere le chiavi e dirigersi verso il seminterrato. Ma non le importava di scoprirlo in quel momento. Ora voleva solo uscire viva da quel posto, e fece appello a tutta la forza del suo istinto di sopravvivenza. Quella in rosso infilò la chiave nella serratura, e prima che potesse girarla, Spencer già si era armata di un tubo di ferro arrugginito che aveva trovato. Contava sull’effetto sorpresa. Non aspettò nemmeno che la porta fosse completamente spalancata per colpire alla testa la ragazza, che cadde a terra svenuta. La gettò giù per le scale, sperando di averla finita una volta per tutte, e chiuse la porta, ma, non trovando la chiave che sembrava misteriosamente sparita, la bloccò con una poltroncina che giaceva lì vicina. Corse verso l’ingresso ed uscì fuori: c’era il nulla. Aveva sbagliato di nuovo. Intorno a sé c’erano solo boschi e quella adesso sembrava avere tutta l’aria di una baita abbandonata a se stessa. Non c’era un sentiero, non c’era una strada. Poteva correre e seguire le tracce di pneumatico lasciate dalla moto, ma non credeva le sarebbe convenuto. Le dava l’aria di dover fare troppa strada a piedi, più di quanto potesse nelle sue condizioni e quindi l’avrebbero trovata subito. Ripensò alle parole della bionda in rosso, “Se pure sospetta di noi, sta' tranquillo, tra cinque minuti non potrà più riferirlo ad anima viva” : aveva intenzione di ucciderla già da prima, e fuggendo in quel momento, ma soprattutto in quel modo, sarebbero riusciti nel loro intento in poco tempo. Tornò in casa allora, assicurandosi, però, che la poltrona con cui aveva sbarrato l’ingresso al seminterrato fosse ancora lì. Non c’era pericolo. Cercò allora in giro un telefono, fisso o mobile che fosse, per poter chiamare la polizia. Gli sbirri non l’erano mai stati di grande aiuto! Sicuramente non sarebbero arrivati in tempo. Aveva tuttavia altra scelta!? Trovò in un cassetto un cordless con la batteria quasi scarica. Stava per digitare le cifre 911 quando, con l’angolo dell’occhio destro, notò sul comò di fronte al letto un cartoncino bianco. Corse lì per accertarsi che fosse ciò che pensava. Lo prese in mano, lesse, poi la sua espressione da cupa divenne euforica, come se avesse appena ritrovato tutto il coraggio e la sicurezza della quale aveva bisogno. Compose infine il numero, velocemente, e uscì da quell’angosciosa dimora. Il telefono squillava, ma ancora nessuno rispondeva. Improvvisamente: “ Pronto? Chi è? “ disse con voce calma e pacata il dr Reid.

“ Dr Reid sono Spencer! Spencer Hastings! La prego! Ho bisogno di aiuto! Vogliono uccidermi! “ la ragazza disse tutto questo d’un fiato e le vennero dei capogiri per mancanza di ossigeno.

“ Spencer dove sei?” continuò in una morsa di stupore e paura l’agente.

“ Non lo so, non lo so! So solo che sta per svegliarsi, aiuto!” urlò tra lacrime e sgomento Spencer. Aveva paura, ma tutta la calma che aveva mantenuto in quel seminterrato negli ultimi giorni era d’un tratto svanita. Aveva seriamente bisogno d’aiuto, e, l’unico che potesse aiutarla era quell’uomo, l’unico che lei vedesse come il suo eroe personale.

“ resta altri trenta secondi al telefono, così potrò rintracciare la chiamata, stai calma, tira un respiro! Sarò lì prima che tu possa accorgertene! Descrivimi l’ambiente dal quale sei circondata” cercò di fingere lui una tranquillità che in cuor suo sapeva di non avere.

Lei fece come le disse il suo eroe, e cominciò a descrivere: “ Ci sono tanti, tanti boschi qui in, intorno . . . “ aveva smesso di urlare e di piangere “ . . . alle mie spalle invece c’è la baita dalla quale sono scappata . . .”

“Spencer! Allontanati subito di lì! Va' più lontano che puoi non appena riesco a rintracciarti! Se come hai detto c’è ancora chi lì può farti del male, scappa! “ urlò l’agente. Spencer annuì con un gemito di paura, ma non disse nient’altro. Si era così rilassata al telefono con il dr Reid, che quasi dimenticava di avere alle sue spalle il covo dei suoi aguzzini. Ecco che l’uomo urlò ancora: “ Ecco! Ho le coordinate del luogo! Sono vicino! Corro! Tu nel frattempo allontanati! “.

Spencer a quel punto gettò il cordless a terra, correndo verso i boschi che si infoltivano sempre di più. Tuttavia prima che potesse realmente cominciare a correre fu colpita alle spalle. Cadde a terra e si voltò, ma prima che potesse sferrare un colpo alla sua assalitrice, già ella le si era messa a cavalcioni, ed era intenta a strangolarla con le sue mani, che, pur essendo piccole, sprigionavano una forza letale; per quanto Spencer provasse a dimenarsi, non riusciva a contrastare tutta quella potenza. Provava a schiaffeggiare con le sue mani deboli le braccia tese della bionda, senza che sortisse alcun effetto. Le forze stavano per abbandonare definitivamente il suo corpo, sentiva di stare per morire, che nessuno sarebbe arrivato in tempo per salvarla. Ma non poteva morire con quel dubbio. Doveva sapere chi si celasse dietro quella maschera. Con un leggero sforzo alzò la mano verso il volto della sua aguzzina. Le prese la maschera e con l’ultimo sprizzo di energia che le rimaneva in corpo la strappò via. Sgranò gli occhi. Non ci poteva credere. Era lei, era davvero Alison. Non che avesse qualche incertezza. Ma ora l’aveva vista per bene, ne aveva avuto la prova decisiva. Da lì sotto la guardava, la vedeva sorriderle mentre la stava strappando a questo mondo. Spencer era completamente frastornata. Non capiva più nulla. Sentiva le palpebre pesanti, che le si stavano per chiudere, forse per sempre, e lei non avrebbe mosso un dito mentre accadeva.

“ Toglile le mani di dosso o ti sparo!” disse forte una voce fuori campo. Il dr Reid, che lentamente si avvicinava, ma non perdeva mai la mira, tolse la sicura alla pistola “ Subito! “ continuò categorico.

Alison alzò le mani, nella sicurezza che lui non fosse riuscito a riconoscerla, dato che le stava alle spalle. Si alzava lentamente da terra, con il viso rivolto verso il corpo stremato di Spencer, prestando attenzione a non voltarsi ancora verso l’agente. Improvvisamente si sentì un fortissimo tonfo, che distrasse per una frazione di secondo il dr Reid, facendogli perdere la mira, quanto bastava ad Alison per scappare nei boschi.  Egli la inseguì con pistola alla mano, scendendo vertiginosamente tra gli alberi di pioppo che gli ostruivano la visuale a tal punto da non poter più prendere la mira. A quel punto voleva catturare quella ragazza che aveva provato a far del male a Spencer, ma si fermò per tornare indietro, preoccupato per la salute dalla Hastings. Corse verso di lei e le si inginocchiò accanto; la prese tra le braccia e la strinse in petto, così come farebbe un fratello maggiore. Le sussurrò all’orecchio: “ Spence? Sei ancora con me? Ho chiamato già polizia e ambulanza, stanno per arrivare “, il suo tono sembrava profondamente allarmato. Dal canto suo la ragazza stava riprendendo le forze, anche se a rallentatore, e si sentiva ancora un po’ frastornata.

Tuttavia riuscì a rispondere: “ Si, sto b-bene! Grazie di essere arrivato, davvero, sei fantastico! Credo di amarti, mio caro Dr Reid “, nel parlare sembrava quasi ubriaca, ma era stato a causa della mancanza di ossigeno prolungata. Il dr Reid cominciò a ridere, come se non prendesse sul serio ciò che la ragazza aveva appena detto. Spencer alzò allora lo sguardo, per incrociare quello dell’uomo che la stava abbracciando, in attesa di una risposta alla sua affermazione. A quel punto l’agente indossò un’espressione più seria, tuttavia sempre serena, e, dopo essersi immerso per almeno un minuto in quegli occhi di cioccolato, prese il volto di Spencer, per avvicinarlo al suo, e pose le labbra sulle sue, applicando non troppa pressione, come se avesse paura di farle male. I movimenti delle loro bocche sembravano voci che cantavano all’unisono, la stessa melodia, generando un suono armonioso così forte che l’avrebbero potuto sentire a chilometri di distanza. Furono interrotti dalle sirene dell'ambulanza che si avvicinava, seguita dalla volante di turno. Ce l'aveva fatta. Era salva e al sicuro. Le sembrava di sognare, finalmente, dopo giorni e giorni di incubi.

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Capitolo 6
*** Three Words ***


Three Words

capitolo sesto

 

 

 

Un anno. Un mese. Una settimana. Per quanto tempo era stata rinchiusa in quella baita sperduta? E se fosse stato solo un incubo, frutto della sua immaginazione? Si sarebbe  risvegliata nella sua stanza adorata. E se invece quello che stava vivendo fosse solo il più utopico dei sogni? Se fosse stata ancora segregata? C’era un solo modo per scoprirlo: aprire gli occhi. Ancora una volta aveva paura di farlo, ancora una volta sentiva il suo battito cardiaco accelerare, mentre cercava il coraggio di compiere quell’intrepida mossa. Qualcosa però nell’aria la rassicurò. Qualcosa che le sue orecchie percepivano. Che cos’era? Un suono metodico e squillante, breve ma veloce. Sembrava quasi la spia di una macchina, un aggeggio. Improvvisamente quel rumore che cominciava ad infastidire Spencer fu sovrastato dal candido bisbigliare di una voce, molto familiare alla ragazza: “ Secondo me sarebbe meglio lasciarla riposare. Tutto ciò può aspettare. Finalmente l’abbiamo riavuta con noi sana e salva, e non sappiamo nemmeno cosa ricorda degli ultimi avvenimenti”. Spencer cominciò a piangere. Le lacrime sgorgavano come una cascata silenziosa dalle sue palpebre ancora socchiuse. – Hanna! Hanna! Hanna! Sei tu, vero? non sto sognando! – pensò in un impeto di gioia e sollievo la Hastings. Aprì gli occhi di scatto e vide le sue ragazze,  tutte e tre, che la stavano fissando con stupore. Forse avevano sentito ciò che stava pensando, o forse doveva averlo detto ad alta voce. Velocemente Aria si fiondò su Spencer per stringerla a sé, come per impedire che qualcun altro potesse portarla via. Hanna si sedette al suo fianco, cingendole una mano e sorridendole, mentre Emily rimase ai piedi del letto, appoggiando le dita intorno alla sbarra di sicurezza dinnanzi a lei. Prima che qualcuna di loro proferisse parola, Spencer si guardò un po’ attorno: era in una stanza di ospedale. Poteva avvertire il tipico odore di lattice e disinfettante che le riempiva le narici di disgusto. Tutto era così bianco che le annebbiava la vista; ogni piccolo rumore, che fosse un cercapersone o un annuncio all’altoparlante, le dava maledettamente noia, tanto da spingerla quasi a rimettersi a dormire. Era così euforica che non si era ancora resa conto di quanto dolore avesse alle tempie, e allo stomaco, o dei suoi muscoli completamente atrofizzati. Ma aveva bisogno di risposte e non era più disposta ad attendere oltre. La prima a rompere il silenzio, impaziente, fu proprio lei: “ Dov’è mia madre? “.

“ È appena andata a casa a riposarsi un po’. Non ha dormito per troppo tempo, ne aveva bisogno “, spiegò Hanna con tutta la gentilezza possibile.  

“ Cos’è successo? Come sono arrivata qui? “, continuò Spencer.

“ Polizia e ambulanza hanno ricevuto una chiamata anonima . . . “, esordì a voce bassa, quasi come in un sussurro, Aria “ . . . quando sono arrivati eri distesa a terra, completamente sola “, terminò ad occhi bassi, in un tripudio di dolore e orrore nell’immaginare la scena.

“ Avevi perso i sensi, eri stata senza ossigeno per troppo tempo. Hanno provato a rianimarti ma . . . “ improvvisamente la voce di Hanna si spezzò. Stava per piangere, ma cercava a tutti i costi di mantenere la calma, trattenendo le lacrime. Voleva mostrarsi più forte di quanto non fosse in quel momento.

Aria, a quel punto, con sguardo comprensivo, asciugò la goccia che involontariamente l’amica si era lasciata scappare sulla guancia, continuando al suo posto: “ . . . ma non rispondevi, in nessun modo; ti hanno somministrato dei farmaci, che però evidentemente, mischiati con le droghe che ti sono state somministrate, ti hanno provocato un arresto cardiaco . Quando ti hanno rianimata non sapevano ancora quanto gravi potessero essere i danni neurologici da te riportati. Ti hanno tenuta in terapia intensiva per quasi un giorno. Poi, dopo la risonanza positiva, hai mostrato segni di ripresa, così sei stata collocata qui, in attesa del tuo risveglio “.  Per qualche minuto il silenzio regnò indiscusso. Tutte fissavano incantate un punto diverso della stanza, come per riprendersi dalla dolorosissima gestazione del racconto. Tutte eccetto Emily, che continuava a tenere lo sguardo alto verso Spencer, quasi come di sfida e di rancore. La ragazza, anche se sveglia da poco e ancora confusa, non poté fare a meno di notare quel piccolo particolare, cosa che le provocò ancora più preoccupazioni. Ma non voleva curarsene in quel momento. Aveva la bocca ancora troppo secca, bisognosa di bere quanta più verità possibile per dissetarsi.

“ Per quanto tempo . . . ? “ domandò tremante la Hastings. Senza indugiare ulteriormente, quasi in coro, le tre ragazze risposero “ tre settimane “, per poi tornare a fissare con sguardo opaco il nulla. Tre settimane?! Com’era possibile? Aveva perso tre settimane di vita?! E la vita?! Era andata avanti senza di lei. La scuola era andata avanti senza di lei. I genitori. Le amiche. A. Un pensiero le balenò nella mente, che volle subito condividere con le altre: “ A ha continuato a . . . ? “, ancora una volta la sua frase fu incompiuta, stavolta interrotta semplicemente da Emily, che con tono secco e distaccato rispose con un “ no “. Non disse altro. Hanna e Aria si voltarono verso di lei, come se attendessero una spiegazione digressiva al suo sintetico cenno. Spencer, quasi come un cucciolo bastonato, a turno le fissava, vogliosa anche lei di capire di più. Aria, dopo aver alzato gli occhi al cielo, parlò ancora: “ A per i primi giorni cercava di invogliarci a cercarti con i suoi indizi, ma dopo un po’ . . . insomma, eravamo troppo preoccupate . . . la storia si ripeteva ancora . . . insomma . . . siamo andate alla polizia “.

“ Alla polizia? E cosa avete . . . ? “ era così curiosa e terrorizzata allo stesso tempo che non riusciva più a trattenersi.

“ Tutto “ ancora una volta Aria batté l’amica sul tempo. Poi proseguì: “ In realtà abbiamo chiesto aiuto all’agente di cui ci hai parlato, il dr Reid. Lui ha portato qui tutta la sua squadra, per indagare: hanno controllato i nostri telefoni, le mail, i messaggi e i regali . . . ma non hanno ancora alcuna pista da seguire “.

La storia che le era appena stata raccontata presentava però qualche incongruenza per Spencer. Lei ricordava vividamente cosa era accaduto negli ultimi momenti in quella baita. Aveva visto Alison. Aveva visto Reid. Ma allora perché la soffiata alla polizia era stata anonima, e all’arrivo dell’ambulanza lei era sola? Poteva aver immaginato tutto? Reid . . . Alison . . . Toby . . . Toby!

“ Ragazze, dov’è Toby? “, urlò quasi con un fremito di impazienza.

Tutte si guardarono confuse tra di loro, gettando un’occhiata sospetta all’amica lesa, come se la domanda che stesse ponendo non le spettasse di diritto. “ Spence, Toby . . . insomma, tu non ricordi cosa .  . . ? “, esordì Hanna, con cautela, come se volesse pesare le parole che usava, per non renderne troppo difficile la comprensione.

“ No. Cioè, ho problemi a ricordare ciò che è successo prima che . . . avete capito. Tutto è così buio, vuoto, freddo. Talvolta la memoria mi riporta alla mente qualche istante veloce di quella giornata, senza alcun senso “, cercò di spiegare la Hastings. Emily a quel punto sembrò interessarsi maggiormente al discorso, come se uno strattone l’avesse appena svegliata durante una lezione in classe particolarmente noiosa. Stavolta anche lei si avvicinò maggiormente all’amica sul letto.

“ Spence, davvero non ricordi nulla di ciò che è accaduto? “ accennò Emily, evidentemente sollevata dall’ultima scoperta. Sembrava che tutta la rabbia che prima le riempiva di sangue le guance, adesso stesse sbollendo. Era strano, ma Spencer aveva cose più importanti a cui pensare.

“ Dov’è Toby? “ uscì dalle labbra strette dell’ignara, che, ignorando le precedenti parole dell’amica, parlava con tono isterico. Il cuore di Spencer attendeva fremente quella risposta. Necessitava di saperlo. Palpitava velocemente, troppo velocemente. Se n’erano accorte tutte. Il suono meccanico che in precedenza aveva dato alla ragazza la certezza di stare al sicuro, in quel momento la informava che la situazione stava degenerando. Continuava a rumoreggiare all’impazzata. Sempre più veloce. Sempre più assordante. Hanna, Aria e Emily, completamente spaventate dall’andamento delle cose, provarono ad allontanarsi da quel letto, per poggiare le spalle contro il muro di fronte. Come se questo potesse calmarla. Come se questo potesse salvarla dall’inevitabile verità. Servivano solo tre parole per sbrigare la faccenda, tre parole che prese singolarmente sono inoffensive, ma che poste tutte insieme, possono diventare un’arma letale.

La più coraggiosa di loro fece due piccoli passi in avanti, titubanti, per essere sicura che Spencer recepisse il messaggio: “ Spence . . . Spence . . . Toby è morto “.

La Hastings non ebbe il tempo di elaborare queste parole, nonostante le avesse comprese in pieno. Erano già entrati i medici e le infermiere. Le sue amiche erano già state cacciate fuori. Il suo cuore aveva già smesso di battere.

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Capitolo 7
*** A Way To Remember ***


 

A Way To Remember

capitolo settimo

 

 

 

 

 

Orazio diceva che il tempo seppellirà, cancellandone la memoria, le cose che risplendono. Spencer riteneva invece che il tempo avrebbe aiutato, riportando a galla la sua memoria, a ricordare gli eventi più dolorosi che le erano mai capitati fino a quel momento. Aveva perso la sua metà, stavolta per davvero, per sempre. Il ragazzo che le era sempre stato accanto, fin dal principio, che l’aveva protetta, che l’aveva amata, con cui era cresciuta. Per sempre. Davvero un bel po’ di tempo. Eppure non ricordava nulla di ciò, non riusciva a capacitarsene. Per lei non era mai accaduto. Le sembrava che tutti le raccontassero una storia propria della vita di un’altra persona, non della sua. Non aveva assistito nemmeno al suo funerale, né sapeva cosa ne avessero fatto del corpo, né voleva venirne a conoscenza. Preferiva crogiolarsi nell’illusione che Toby fosse fuori città, magari ad esplorare il mondo, magari per lavoro. Magari un giorno o l’altro sarebbe sbucato da qualche stradina buia per afferrarla, per baciarla, per amarla ancora più di prima. Come aveva potuto Spencer dubitare davvero di lui? Per tutto il tempo del suo sequestro lo aveva ritenuto colpevole, mentre in realtà giaceva già sottoterra. L’aveva sognato in compagnia di Alison, mentre probabilmente era stata proprio lei a privarlo della sua meravigliosa vita. I medici dicevano si trattasse di suicidio, ma no, Spencer lo conosceva meglio delle sue tasche: Toby non avrebbe mai potuto fare alle persone che gli volevano bene ciò che la madre aveva fatto a lui. Allora chi l’aveva ucciso? Cappotto rosso? Il suo complice? Ma soprattutto: chi diavolo era costui, ora che Toby era stato finalmente scagionato? Forse erano troppi pensieri in una volta per una sola ragazza, che tra l’altro era ancora in convalescenza. Era passata una settimana da quando era stata dimessa dall’ospedale, eppure non aveva ancora voluto parlare con nessuno. Stava lì, nella sua camera, rannicchiata sulla sedia a dondolo regalatale da Toby, vestita unicamente del vecchio felpone che il ragazzo le aveva regalato durante una delle loro prime uscite. Chiudendo gli occhi riusciva ancora a percepirne l’odore. Ma sapeva che prima o poi sarebbe sparito anche quello, insieme a tutto il resto. Qualcuno nel frattempo stava rumorosamente bussando alla porta da circa un minuto. Spencer non aveva voglia di vedere gente, tantomeno sua madre, che continuava ad assillarla da giorni, ma tutto quel fracasso disturbava decisamente la quiete che con tanta fatica s’era costruita intorno. Con uno scatto veloce già era dinnanzi alla porta, che girava la chiave nella serratura.

“ Oh . . . buongiorno Spence . . . “ disse con tono stupefatto la madre, come se fosse stato fin troppo facile convincere la figlia ad aprire la porta “ . . . come stai, tesoro . . . ? “ continuò in modo più dolce e sincero.

“ Bene . . . solo, troppo baccano per i miei gusti “ rispose aggrottando le sopracciglia e inarcando la bocca in una smorfia Spencer.

“ So che non hai voglia di vedere nessuno. Ma di sotto c’è qualcuno che ha un forte bisogno di parlarti “ continuò Veronica Hastings.

“ Non sono . . . cioè, non ho . . . di’ che sto riposando “ supplicò la ragazza.

“ Beh, questo non posso farlo . . . “ diventò più seria la sua voce “ . . . è l’FBI “.

 

Scendendo le scale, Spencer intravide di spalle due individui, un uomo e una donna, che sorseggiavano due caffè appoggiandosi al bancone nella sua cucina. Lui era alto, muscoloso, di carnagione molto scura; indossava un pullover nero, stretto, che sottolineava la sua eccellente forma, con dei jeans scuri ed in vita una vistosa cintura per la calibro 38. Lei invece sembrava più formale nel suo tailleur grigio chiaro, con i capelli biondi e morbidi che le arrivavano alle spalle; sembrava badare più all’aspetto che ad altro, quasi come se dovesse apparire in televisione. Spencer pensava che fosse una giornalista, fin quando non si fu girata, tanto quanto basta per mettere in mostra l’enorme pistola che aveva sul fianco sinistro.  

“ Salve “ s’introdusse timidamente la ragazza.

“ Ciao Spencer . . . “ cominciò la bionda che con i suoi occhioni azzurri sembrava catturare tutta l’attenzione della Hastings “ . . . io sono l’agente Jereau, e lui è il mio collega Derek Morgan, siamo dell’unità Analisi Comportamentale dell’FBI . . . siamo qui per porti qualche domanda “.

“ A proposito di cosa? Sapete, ne succedono tante qui “ continuò la ragazza.

“ Principalmente del tuo rapimento . . . “ proferì parola l’uomo, sedendosi sul divano di fronte a lei e guardandola con sguardo penetrante. Era talmente bello che avrebbe potuto fare il modello di professione, anzi entrambi forse avrebbero avuto ottime possibilità di riuscire ad entrare nel mondo della moda. Sembravano quasi attori che interpretavano il ruolo di poliziotti, ma Spencer sapeva che non si trattava di uno scherzo, né di un gioco. Erano morte troppe persone a lei care. “ . . . siamo stati chiamati qui dal nostro collega, il dr Reid, con il quale probabilmente hai già avuto modo di confrontarti . . . “ parlò lui, alzando gli occhi per avere conferma dall’interrogata, che annuì “ . . . e abbiamo notato che negli ultimi due anni, qui a Rosewood il tasso di criminalità e di omicidio è sensibilmente cresciuto, tanto da portarci a ritenere che sia colpa della stessa persona/stesse persone. Abbiamo già parlato con le tue amiche, che ci hanno confermato che sono ormai anni che siete perseguitate da questo “A”, e anche il dr Reid ci ha menzionato che gliene hai parlato.  Ora, sospettiamo che il tuo rapitore sia il vostro stalker, quindi, per capire di chi si tratta, devi darci una mano, Spencer “ concluse l’agente un discorso che sembrava quasi studiato in precedenza.

Spencer, ormai stanca di tutto ciò che le era capitato fino a quel momento, cominciò a parlare e a raccontare tutto ciò che ricordava di quel maledetto giorno, dei giorni successivi, della baita, dei sospetti su Toby, di Cappotto Rosso . . . Non menzionò però di aver visto Alison, perché temeva che l’avrebbero presa per pazza, né del salvataggio del dr Reid. Sapeva con certezza che era stata messa al sicuro da una chiamata anonima, ma allora perché vedeva scorrere nella sua mente con tanta nitidezza i ricordi riguardanti quegli ultimi istanti di coscienza?

“ Dov’è il vostro collega . . . il dr Reid? “ chiese incuriosita ad un certo punto la Hastings.

“ Beh, è alla centrale a lavorare al caso . . . perché lo chiedi? “ rispose e domandò a sua volta Jennifer Jereau.

“ Io ricordo di essere stata soccorsa da lui . . . quindi la faccenda della chiamata anonima non mi quadra, tutto qui “ parlò apertamente Spencer.

“ Ah, tranquilla, non ricordi male . . . “ proseguì sorridente e accomodante la bionda “ . . . è una tattica che abbiamo deciso di adottare in seguito al tuo ritrovamento: sospettiamo che a minacciarvi sia più di una persona, un gruppo o un clan. Con la trovata della chiamata anonima volevamo provare a mettere l’uno contro l’altro i tuoi aguzzini, facendo loro sospettare magari del tradimento da parte di qualcuno”.

“ Geniale “ fu tutto ciò che uscì dalle labbra della Hastings. Però aveva ancora qualcosa da chiedere: “ Perché allora non c’è anche lui qui con voi, dato che mi conosce? “.

Ci fu un minuto di silenzio imbarazzante, durante il quale i due estranei si guardarono reciprocamente con occhi quasi divertiti; poi l’uomo decise di rompere il silenzio: “ Abbiamo potuto appurare che c’è un certo coinvolgimento . . . sentimentale tra voi due. Forse non è più il caso che sia lui a svolgere le sue attività . . . lavorative con te “. Sembrava quasi che faticasse a non ridere. Spencer cominciò ad arrossire; aveva completamente dimenticato del bacio in quel bosco, prima che arrivassero i soccorsi. Ma non voleva pensarci, le sembrava di aver tradito Toby già abbastanza.

“ Sai . . . “ ruppe la bionda il suo flusso di pensieri “ c’è un modo per ricordare ciò che la tua mente sembra aver completamente cancellato “.

“ E cioè? “ chiese lei.

“ Intervista cognitiva . . . “ rispose lui “ . . .  un metodo colloquiale che utilizzeremo per farti ricordare ciò che è accaduto . . . . per te va bene? “.

Era così vogliosa di ricordare tutto che non ci pensò un attimo per rispondere con un “ Si “ squillante.

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