La solitudine di un buco nero.

di Fanuilos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 16 febbraio. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Camice bianco, capelli grigi, occhiali neri. Un uomo avvicinò le sue mani stanche ad un computer. "E' così che studiamo il cielo oggi". Niente di più bizzarro: studiare la volta celeste senza guardarla. Non c'è quasi nulla di poetico in questo, ma il progresso necessita studio, non poesia. Chissà cosa si provava, in passato, guardando attraverso un telescopio appena inventato e vedendo brillare migliaia di stelle, occhi fumanti. Chissà cosa provarono i primi, e cosa provarono i secondi. E' un po' come essere bambini: apri gli occhi e puoi guardare, puoi osservare, ma non capisci del tutto ciò che vedi; giorno dopo giorno, però, impari e inizi a capire che ci sono cose che per poterle comprendere è necessario conoscere. Le stelle sono tutte lì, brillano e i meravigliosi pianeti inabitati aspettano solo che tu li scopra e te ne innamori, ma nello spazio freddo si annidano cose invisibili, come il male nell'Uomo. Sono un po' solitare, le stelle, ma brillano di luce propria, sono uniche anche da sole. Ma per chi è emarginato e spento cosa resta? Soltanto la solitudine. L'uomo spense quel mostruoso aggeggio elettronico, che tutti amavano ed odiavano. Si ricordò di quando ancora studiava, di quando leggeva e si meravigliava e passava ore e ore ad immaginare come sarebbe bello poter viaggiare nello spazio, come sarebbe meraviglioso poter conoscere ogni cosa di ciò che lo circonda. Forse però era nato nel periodo sbagliato poiché non poteva saltare da stella a stella; gli restavano i sogni e una vita da vivere. Potrà sembrare strano, ma questo è ciò che Daniel voleva diventare.

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Capitolo 2
*** 16 febbraio. ***


Lungo una via tempestata di palazzetti rossi, Daniel svoltò a destra, ritrovandosi nella grande e larga strada sulla quale si affacciava il suo appartamento. Il sole di Febbraio gli riscaldava giusto il viso mentre guardava le nocche e le dita diventare leggermente rosse a causa del freddo; quel giorno aveva dimenticato i guanti a casa. Sul suo volto era spuntato un sorriso quando aveva saputo che le lezioni del suo corso si sarebbero tenute alcune ore in mattinata e altre in tardo pomeriggio, dato che poche cose amava di più che vedere la città quasi vuota, silenziosa, dove solamente qualche persona si recava a fare la spesa mentre postini consegnavano cartoline o bollette.
Daniel risalì il vialetto, salutò la padrona di casa e corse su per le scale. Vivere da solo non era per lui un problema, anzi, era la cosa migliore che gli potesse capitare. Non si può dire che fosse una persona disordinata, ma in quel momento il suo appartamento sembrava la tana di un sedicenne: il letto disfatto, cuscini per terra, maglioni marroni e neri ovunque, la tazza e i piatti della colazione giacevano ancora nel lavandino, come le briciole di biscotti sul tavolo; di mattina non riusciva a fare altro se non lavarsi, mangiare e prepararsi, perché l'ansia di doversi trovare precisamente alle otto in università per la prima lezione lo divorava. Si scompigliò  i capelli marroni, tolse le scarpe e sbadigliò come fosse un leone. "Dovrei sistemare" disse a se stesso, ma il suo sguardo ricadde sulla libreria scricchiolante e grondante di libri. Daniel ne prese uno, poi un altro e si gettò sulla sua poltrona preferita, quella marrone e comoda, che aveva trovato lì quando era arrivato e che era posizionata proprio davanti alla grande finestra che dava sulla strada. La trovava stupenda. Trovava stupendo quel piccolo appartamento e la sua città. Si era sentito libero trasferendosi lì, e ricordando l'emozione che aveva provato la prima volta che vi entrò si chiese se tutti la provassero. Almeno lo sperava.
"Storia dell'Universo", "Guida ai cieli notturni" lesse. Avvicinò ancora di più la poltrona al finestrone, posò i libri sulla panca sotto i vetri e vi appoggiò i piedi. Aprì uno dei due grandi libroni e iniziò a leggere velocemente, avidamente. Sin da piccolo aveva amato i libri: profumo, consistenza, bellezza. Si fermò e respirò profondamente. Vide le prime persone che iniziavano a correre frenetiche verso le proprie abitazioni, chi portando buste straripanti, chi zaini colmi di libri e abbandonò la sua lettura. Una donna con i capelli rossi parlava a telefono e Daniel immaginò che stesse litigando con qualcuno, magari un suo sottoposto, dato che era vestita come una donna d'affari e camminava su e giù per il vialotto, mentre un tassista la attendeva. Sembrava anche lui un po' contrariato, forse perché la donna aveva lasciato la portiera dell'auto aperta o forse perché sbraitava. Giusto sotto il palazzo due donne camminavano. Una era visibilmente più giovane e Daniel pensò che potesse essere la figlia. Forse tornavano insieme da una sessione di shopping, o da un club. Daniel sua madre non la ricordava; aveva sempre vissuto con suo padre poiché il sangue del suo sangue era morta e non aveva potuto fare niente per salvarla.
Un anziano camminava da solo, con gli occhi bassi e Daniel immaginò che stesse tornando a casa e sperò per lui che avesse qualcuno. Egli stesso non sentiva la solitudine, non sentiva la tristezza e non aveva bisogno delle braccia di nessuno; era forte da solo, aveva la sua vita e le sue cose, o per lo meno questo si ripeteva ogni volta che si rannicchiava sul divano con la coperta a scacchi rossa e nera. Guardò il dipinto naturale davanti ai suoi occhi e osservò le persone una ad una. Erano tutte così diverse, ma così simili.
Le sue pupille si dilatarono e le mani, ormai tornate ad un rosa chiaro più naturale, strinsero forte il divano. Se avessimo potuto vedere la sua faccia in quel momento ci saremmo resi subito conto che Daniel aveva visto su quella strada la risposta a tutto camminare pensierosa.

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