Il fiorista

di Son of a preacher man
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** Ricordi ***
Capitolo 3: *** Amore ***



Capitolo 1
*** Presentazione ***


Terza classificata al primo turno del contest "Autunno Originale" indetto da Faejer
 
Il fiorista
 
Non capisco quale sia il problema, sul serio.
Ammetto che vedere un fioraio a piedi nudi non sia cosa da tutti i giorni, ma in fin dei conti cosa c'è di così problematico? In fondo sono nel mio territorio, no? O meglio, sotto casa mia dato che abito al piano di sopra.
Fatto sta che non capisco come mai siano tutti così inquieti nel vedermi scalzo.
Mi piace. Le piastrelle sono fresche, soprattutto in queste afose giornate di Luglio.
Mi raddrizzo il cappello di paglia, mentre porgo un vaso di gerani alla vecchietta di fronte a me.
- La ringrazio. - esclama lei, porgendomi una banconota da dieci.
- Sono io a ringraziarla. - ribatto divertito, facendole l'occhiolino.
Mentre si allontana dal negozio, noto di aver dimenticato di darle il resto.
Corro immediatamente all'aperto, per porgerle quei pochi euro che ha dimenticato sul bancone.
Mi accorgo solo in questo momento del sole che sbatte in faccia i propri raggi, così dannatamente caldi.
Dubito che un altro avrebbe agito come ho fatto io, soprattutto in un mondo in crisi come il nostro.
Passo in mezzo alla strada, sperando di averla riconosciuta.
La luce cocente sta ustionando la mia pelle, ma non ci posso fare molto.
- Signora! Scusi, signora!
Lei si gira, mi riconosce e si avvicina.
- Ha dimenticato il resto.
Ride, mostrandomi la sua dentiera, e si raddrizza gli occhiali.
- Grazie caro, vedo che l'educazione esiste ancora nel nostro paese!
Le sorrido, prima di allontanarmi.
- Ma scusi, posso chiederle una cosa? - mi blocca lei, intimidita.
- Dica.
- Come mai va in giro a piedi nudi?
Il sole mi sta sciogliendo, sento un braccio che ha perso sensibilità e l'altro in preda a degli spasmi. Scrollo le spalle per rispondere alla signora, facendo finta di nulla, notando le dita che mi si stanno screpolando, insieme alle nocche che variano il loro colore verso il violaceo. L'occhio destro comincia a muoversi senza il mio consenso, si sta scaldando. Devo coprirmi, ora.
- Sicuro di stare bene? La vedo pallido.
Io annuisco, prima di scattare sotto una tettoia. Arrivato a destinazione, respiro profondamente e attraverso il mio labbro superiore con la lingua, notando che è screpolato e grigiastro, infine mi appoggio al muro, ancora col fiatone.
La mano sta riprendendo sensibilità.
Ci è mancato pochissimo, sarei potuto esplodere proprio in mezzo alla piazza.
Noto di essere fuori da un bar. I signori mi guardano malissimo, seduti ai tavoli. Non so come mai, probabilmente sempre per la storia delle scarpe.
E' un'abitudine che ho sviluppato negli ultimi anni. Non riesco a infilare nulla, nemmeno i calzini. Massimo sandali o infradito, ma solitamente girovago per la città scalzo. Sia chiaro, non ho un numero enorme o delle mutazioni genetiche alle gambe.
Con totale libertà dei piedi riesco a correre più veloce, sento il sangue scorrere meglio, mi tranquillizzo più rapidamente... è come se sentissi il contatto con la terra.
Gli altri non capiscono, ma non pretendo che possano farlo. Non sono come me, non lo saranno mai.
Ritorno dietro al bancone da fiorista, togliendomi il cappello e spettinandomi il ciuffetto biondo.
Le nocche stanno ritornando sul biancastro, le dita sembrano aver ripreso sensibilità.
D'estate rischiamo molto di più, il sole è molto più visibile e forte, la corruzione dentro di noi risale prima.
Non è una vita facile, ma  non ho altra scelta se non sopportare il dolore in silenzio.
Sbuffo, prima di sentire l'odore di un altro cliente e rimettermi in testa il cappello di paglia.
Un giovane sui quindici anni entra imbarazzato, prima di avvicinarsi e sorridermi.
Moro, bassino, lentiggini e occhi verdi, coperti da un paio di occhiali molto sottili.
- Salve, cosa posso fare per lei? - chiedo semplicemente, ricambiando la cortesia.
- Devo prendere dei semi di margherita.
Io annuisco, indicando con l'indice il distributore di bustine alla mia sinistra.
Lui mi ringrazia, io ricambio, notando che il sole sta battendo ancora fortissimo.

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Capitolo 2
*** Ricordi ***


Il fiorista
Partecipante al secondo turno (ricordi) del contest Autunno Originale indetto da Faejer
Partecipante al Contest basato sull’idea di fanfiction di fanfiction indetto da darllenwr
(http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1751201&i=1)
Partecipante al contestA bit of creepyindetto da o0°Lucetta Streghetta°0o
 
 
La sigaretta sostava tra quelle sottili labbra come un termometro, oggetto molto più consono all’età e all’esile statura del ragazzo moro.
Avrà avuto quindici, forse sedici anni. Poggiava comunque lì, sulla parete vicino alla strada, indossando in modo sensuale una larga canottiera color pece e dei jeans bucati.
Nessuno parlava.
Nessuno domandava.
Nessuno sembrava in grado di avvicinarsi e dirgli “Torna a casa”.
La verità era che Roberto non ci sarebbe più andato, a casa.
Un soffice velo di ricordi, che comprendeva un’idilliaca infanzia in famiglia, ricopriva i suoi pensieri. E’ incredibile come qualcosa che si progetta di distruggere possa lasciare comunque un senso di disorientamento una volta dopo averlo perso per sempre.
Non sapeva cosa gli era preso, la sua selvaggia natura aveva veramente preso il sopravvento questa volta.
Cosa ci faceva lì? A vendere il proprio corpo per guadagnare quei pochi spiccioli? Nessuno lo sapeva, nessuno voleva nemmeno immaginarsi le ragioni del suo attuale lavoretto notturno. Forse nemmeno lui.
Roberto nascondeva un segreto, forse perfino a sé stesso, ma gli ultimi fatti accaduti rischiavano di rovinarlo per sempre.
Si sentiva bloccato sotto le macerie del suo mondo, caduto in mille pezzi per lasciare spazio ad uno nuovo, molto più pesante, doloroso e appuntito. Una metafora simile però, ha una parte di verità.
Da un po’ di anni notava del sangue fuoriuscire dalla sua schiena, con un dolore atroce.
Sotto quelle macerie appuntite, però, non poteva muoversi, quegli impercettibili movimenti che adottava per cercare di non impazzire non facevano altro che seppellirlo ancora di più sotto il disastro che lui stesso componeva.
Allo stesso tempo sapeva che, una volta conservato abbastanza denaro, se ne sarebbe andato per coprirsi dal suo nuovo universo.
Avrebbe abbandonato tutto, per ricominciare in posti paradisiaci come il Belgio. O la Nuova Zelanda.
Era soltanto un ragazzo con dei sogni al posto della ragione, così preso dai suoi viaggi mentali da non accorgersi della macchina che sostava a pochi passi da lui.
Vetri oscurati, voce rauca.
- Quanto vuoi?
- Duecento. – aveva risposto il ragazzo, con un tremolio che stava per far precipitare la sua sigaretta a terra.
Il labbro inferiore tremava, non solo per il freddo. Era già di un colorito smorto, oltre che irrimediabilmente pallido.
- Centocinquanta. – replicò l’uomo all’interno della vettura, con tono intimidatorio.
- Centosettanta.
- Ok, va bene. Sali.
A quelle parole, Roberto aveva ormai capito che non voleva sentire altro se non il cliente rifiutare l’offerta, lasciandolo in quella lugubre strada a riflettere sul da farsi.
Invece stava salendo su quella Seat Ibiza ammaccata, tremante e impaurito.
Ad accoglierlo c’erano due ragazzi, uno di loro calvo e l’altro con una ferita che lo ricopriva per metà volto.
Nessuna presentazione.
Roberto fluttuava lì, imbarazzato e con gli occhi lucidi, non certo pronto per dare via il culo.
Non lo era, non lo sarebbe mai stato.
E’ facile convincersi mentalmente, no?
Ci si sente molto sicuri senza aver passato certe esperienze sulla propria pelle, ma quando si è davanti a situazioni simili, l’unica cosa che sì può fare è maledirsi per la stupidità e ingenuità che si è dimostra tata in precedenza.
Il ragazzo calvo afferrò il giovane per un braccio, come se fosse una bestia.
L’altro cominciò a sfilargli i pantaloni, non badando alle lacrime del minorenne.
I suoi occhi spaventati si stavano chiudendo, sempre più.
Uno dei due ansimava pesantemente, prima di cominciare a schiaffeggiarlo e spogliarsi.
L’ultima cosa che Roberto percepì era un senso di unto accarezzargli l’interno coscia, mentre un bulbo oculare si stava letteralmente oscurando prima di far perdere i sensi al giovane.
 
Il fresco venticello aveva fatto riprendere i sensi a Roberto.
Era nudo, sull’asfalto in mezzo alla strada, così come la macchina dei due stupratori, in fiamme.
Il ragazzo non riusciva ad alzarsi, era completamente immobilizzato.
Sentiva una forza premergli il cervello, quasi da spingergli la testa sottoterra.
Poi notò che il dolore più atroce proveniva dalle sue scapole.
Ali.
Avevano finalmente deciso di sbocciare, seppur riempiendo di sangue la schiena del ragazzo, per l’ultima volta.
Erano bianche e piumate come poche altre cose nel mondo.
Stava piangendo, accarezzando quei capelli diventati biondi con quelle braccia, piene di lividi violacei ed enormi, quasi color melma.
Provò ad usare una mano, per alzarsi. Purtroppo il dolore fisico, ma anche psicologico, non gli permetteva di spiccare il volo.
Non riusciva a capacitarsi dell’accaduto.
Ma i cadaveri poco distanti dei suoi due clienti, privi di testa e arti, non lasciavano altro che il segno di un qualcosa che lui aveva fatto.
Di nuovo.
Con sguardo spento, abbracciato a quella fredda stradina, Roberto fissava le due carcasse umane, lasciando che il vento notturno di quel giovedì gli smuovesse i capelli.
Quasi sorridendo, ma sempre inespressivo, passò un dito sul suo labbro, pulendo un rimasuglio di sangue.

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Capitolo 3
*** Amore ***


Partecipante al terzo turno (amore) del contest Autunno Originale indetto da Faejer


- Hey, tutto bene?
Voglio dire, guardami: mi hai chiesto come sto per il semplice fatto che sei sicuro della mia risposta. Sai benissimo che ti dirò di sì, anche se entrambi sapremo nel profondo di mentire a noi stessi.
Tu non sei interessato a sapere se va veramente tutto bene, come io non sono pronta a confessarti tutto.
Non lo sarò mai, come tu non sarai mai pronto a capire perché ti fisso con uno sguardo speciale, uno di quelli che non concederei nemmeno al più grande barattolo di Nutella presente al mondo.
La verità è che va male per colpa tua. Non sarai mai davvero mio, ma io sono davvero tua. Infinitamente.
Passo giornate a guardarti impacchettare fiori nel tuo chioschetto in centro, immaginando come deve essere poterti prendere la mano o, addirittura, abbracciarti. Lo giuro, mi accontenterei di un minimo contatto per essere felice.
Sei tu la chiave: puoi rendermi triste, felice, arrabbiata, esaltata, depressa, sorridente, euforica, stanca, rilassata, agitata con un semplice sguardo o sorriso. Tu puoi plasmarmi, ma io non posso fare lo stesso con la tua chioma bionda e il tuo immancabile cappello di paglia.
Non posso pretendere che tu mi noti, dato che lo fai, ma nel modo sbagliato.
Anche oggi, sul bus delle cinque e mezza, mi hai parlato. Ma sei completamente sicuro di ascoltarmi sul serio?
Voglio penetrare nella tua iride e scovare la tua anima, nascosta sotto quegli incantevoli bulbi oculari.
Li guarderei per ore, entrerei ogni giorno in quel negozio solo per sentire il suo odore, vederlo sorridere al mio “Arrivederci”... sorriso valido per tutti i suoi clienti abituali, dalla vecchia pensionata al brufoloso adolescente che compra una rosa rossa, affrettata per un primo appuntamento.
Lui sta al buio, esce il meno possibile di giorno. Cerca di nascondere la sua bellezza, ma come una lucciola.
Una lucciola, sapete, non può decidere di spegnersi da sola. Quando si fa buio, si accende come la mia passione ogni volta che lo incrocio sull’autobus del martedì sera. Io torno dalla mia giornata di lavoro mentre lui torna dal suo chioschetto.
Mi vien quasi da piangere, a vederlo, ma allo stesso tempo sono ancora fiera di quel giorno in cui, tutta decisa e sotto pressione, gli ho parlato: abbiamo riso e scherzato tutto il viaggio, una decina di minuti. Da quel giorno, ogni martedì, finiamo sempre per trovarci e parlare.
Sembro una bambina innamorata della scuola media, forse interiormente ancora lo sono.
Invitarlo a uscire? Io? Quandomai!
Sapete, subisco umiliazioni ogni giorno. Anzi, la mia vita è una vera e propria umiliazione, quindi manca poco perché possa davvero non farcela più.
- Scusi, tutto bene? – ripete lui, facendomi tornare alla dimensione terrena.
- Sì.
Il treno si ferma, lui mi sorride ed estrae dalla tasca alcune monetine.
- Tenga signora, vada a prendersi una bella focaccia calda. – aggiunge infine, prima di scendere.
Io gli sorrido, senza mostrare i miei denti cariati, e metto quelle poche monetine che procuro solitamente in cinque ore di lavoro nella tasca non bucata del mio vecchio e logoro giubbotto, rubato da un centro commerciale. Infine copro le lacrime con il mio foulard, per non farmi notare dagli altri passeggeri, che mi stanno fissando come se fossi un alieno.
Va tutto bene, mio caro fioraio, no si rovini la giornata a causa di un’inutile macchietta di olio presente nella sua vita; i miei problemi non possono preoccupare una persona così giovane, bella e dolce come lei.

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