I Leggenda: Il Cuore di Sinnoh

di ellacowgirl in Madame_Butterfly
(/viewuser.php?uid=105187)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** ~ Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** ~ Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** ~ Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** ~ Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** ~ Capitolo Cinque ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


N.B.
In questa storia le relazioni fra i personaggi non saranno SEMPRE quelle canoniche e ce ne saranno di inventate. Tengo conto che ogni personaggio presente nell'anime/videogioco si trovi a Sinnoh. Buona lettura!


...Prologo...
 
 
Interrompiamo il programma televisivo per dare una notizia importante!
Una dei tre giudici più rinomati delle gare Pokémon di Curiopoli, Ilenia, è stata formalmente allontanata dalla sede dove si svolgono le varie competizioni.
L’accusa che le è stata imputata è di non essere più degna di ricoprire un tale ruolo e giudicata incompetente dallo stesso gestore dei giudici, Denis.
Si pensa che abbandonerà la regione, non potendo più essere riammessa nella struttura…
 
Calde lacrime le rigavano il volto, i capelli scuri attaccati al viso mentre la pioggia incessante continuava a battere su di lei.
Se ne stava lì, seduta ai piedi del Lago Verità, ad osservare il proprio riflesso su quello specchio d’acqua: come il suo volto s’increspava ad ogni goccia, ad ogni umiliazione che aveva subito in quei giorni, a quella forza di volontà che non aveva saputo tirar fuori nel momento giusto.
Si detestava, ma al contempo si compativa.
Si strinse nei propri abiti bagnati, lo scoiattolino bianco a righe azzurre le si strusciava sul kimono nella speranza di tirarla su di morale.
«Paaa...chi...» Cominciò a ringhiare, con quel vocino stridulo e tutt’altro che spaventoso.
Una figura le si avvicinò da dietro, coperta da un mantello scuro.
Si voltò di scatto, restando seduta sull’erba bagnata: i capelli fradici, gli occhi ancora rossi per le lacrime.
E Pachirisu che digrignava i denti sulle sue ginocchia.
Il ragazzo si tolse il mantello e lo appoggiò sulle spalle della ragazza, porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi: zaino in spalla, cappellino rosso, scarpetta bianca.
No, di lui non si sarebbe mai dimenticata.
 
 
(…)
 
(Due giorni dopo)
Interrompiamo il programma televisivo per darvi una comunicazione incredibile!
 
Una delle allenatrici della palestra di Evolpoli, che è necessario sconfiggere prima di giungere alla capo palestra, è stata oggi brutalmente cacciata!
A farlo è stata la capo palestra in persona, Gardenia, la quale ha sostenuto che la ragazza avesse infranto le regole da lei imposte, tentando addirittura di derubarla dei propri Pokémon!
Sembra infatti che Amelia, la più forte, parlasse continuamente della sua aspirazione a prendere il posto di capo palestra!
E’ perciò ricercata in tutta Sinnoh, si prega a chiunque la veda di comunicarlo alle autorità.
 
Una figura snella quanto prosperosa camminava rapidamente nel sentiero, gli alberi alti ed imponenti che svettavano ai suoi lati come minacciosi aggressori.
Ad ogni passo foglie secche o ramoscelli scricchiolavano ed ogni suono le provocava un brivido lungo tutta la spina dorsale: paura, tensione angoscia.
Continuò ad avanzare, imperterrita, ricorrendo a tutto il coraggio che avesse in corpo.
«Roooos...elia...» Sulla sua spalla stava una Pokémon fiore, le due rose unite pensosamente fra di loro, l’attenzione permanente nonostante l’aspetto dolce.
Soltanto un mantello scuro impediva di vederla in volto, confondendola nel buio delle tenebre che l’avvolgevano.
Poi una casetta, nel cuore del bosco, una finestrella illuminata appena da una candela interna.
Affrettò il passo, il vento che ululava scuotendo le cime degli alberi la metteva ulteriormente in soggezione, nonostante fosse il suo elemento.
Arrivò sino alla porta e bussò cautamente.
Nessuno rispose, nessun movimento, così bussò nuovamente, più forte e determinata.
Pochi passi ed una giovane donna dai capelli corti e scuri ornati da una fascia rossa, un lungo kimono giallo e arancione ed uno sguardo perplesso.
«Erika, sono io...» E la porta venne completamente aperta.
 
(…)
 
(Tre giorni dopo)
Interrompiamo il programma televisivo per darvi una comunicazione S-C-O-N-V-O-L-G-E-N-T-E!
Quest’oggi, il Superquattro Vulcano è sparito nel nulla alle prime luci dell’alba!
Si vocifera che avesse avuto una violenta discussione con gli altri tre membri, i quali gli si erano rivoltati contro.
Di lui si è persa ogni traccia da questa mattina, nessuno sembra aver notizie di lui se non che il suo allontanamento dalla Lega Pokémon sia stato del tutto volontario, con compiacimento degli altri tre allenatori.
Al momento la Campionessa non si espone a giudizi, ma è chiara l’instabilità dell’organizzazione in questo momento!
In ogni caso, al Superquattro Vulcano e ai suoi Pokémon è chiesto di tornare immediatamente alla sede della Lega!
 
Una mano che pareva avvolta in un guanto rosa spense la televisione con un click.
Gli occhi celesti ridotti ad una fessura si spostarono sulla figura di una bambina dai lunghi capelli castani, un vestitino rosa ed un copri spalle bianco a coprirle le braccia.
Lo sguardo fisso sulla televisione, in realtà perduto nel vuoto.
«Dobbiamo andare, Gothitelle» Una voce calma e pacata, dolce, soave, priva di imperfezioni.
La grande Pokémon nera fece un cenno di assenso col capo, sistemandosi i fiocchi bianchi sulla parte anteriore del corpo.
La Superquattro Catlina scese dal divano con un saltino delicato e misurato, prendendo un sacchettino da sopra un armadietto. «Questo ci sarà utile.» Disse volgendo uno sguardo alla propria compagna, la quale si era infilata sulle spalle uno zainettino rosa.
Aprì poi la porta della propria stanza ed entrambe scomparvero.



Angolo Autrice:
Salve Gente! :)
Spero che questa introduzione vi abbia un minimo incuriosito: come avrete notato non ci sono i "classici" protagonisti, ma ho voluto lasciare spazio anche a quegli allenatori ai quali non si dà molta attenzione se non per quel mezzo minuto nel quale si ha a che fare con loro.
Tranquilli, inserirò comunque più o meno tutti i personaggi (facendo riferimento soprattutto al videogioco)!
Ah, questa storia sarà parecchio intrigata e, spero, tutt'altro che scontata: tuttavia, visto che richiederà una certa mole di lavoro, la proseguirò solo se avrà un discreto numero di seguaci ;)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ~ Capitolo Uno ***


Note Autrice:
Tento con questo capitolo, dove metto parecchia carne al fuoco ed inserisco molti altri personaggi.
Spero che possa piacervi e indurvi a continuare a leggere la storia, dal prossimo ci saranno veri e propri scontri ;)


 
~ Capitolo Uno

 
Sistemava frettolosamente qualche strumento in uno zaino, le iridi chiare apparentemente perdute nel nulla, mentre la sua mente alternava ragionamenti finissimi ad imprecazioni.
Non sapeva spiegarsi ciò che era accaduto, al momento tutto ciò che gli interessava era raggiungere l’amico e cercare di capirci qualcosa.
Aiutarlo in qualsiasi caso.
Si infilò distrattamente la solita giacca blu con qualche borchia color oro, per poi tenere lo zaino su una spalla ed avviarsi vero l’uscita: il suo sguardo determinato, la preoccupazione crescente nonostante lo sguardo perennemente impassibile, impenetrabile.
Conosceva quello sconsiderato di un ricciolone rosso, si era di sicuro ficcato in un guaio più grande di lui e come al solito avrebbe dovuto rimetterlo in riga, tralasciando quella sensazione spiacevole che la questione fosse effettivamente seria.
Si incamminò verso la porta, la superò ed un vento fresco gli accarezzò immediatamente la pelle del volto, quel profumo di mare che ogni volta sapeva quietargli l’animo.
«Rai…chuuu…» Ad attenderlo, seduto sulla ringhiera di quella balconata, c’era il suo compagno fidato.
Un Raichu imponente, la stessa luce di determinazione nello sguardo del proprio allenatore.
Corrado non disse nulla, si avvicinò ed appoggiò entrambi i gomiti al metallo freddo: si concesse ancora uno sguardo al mare, da quella meravigliosa vista che il Faro di Arenipoli gli concedeva.
«In che guaio ti sei cacciato…» Biascicò sconsolato e scocciato allo stesso tempo, un interlocutore indefinito che certamente non poteva udirlo.
E se non era venuto da lui significava che non volesse coinvolgerlo, ergo che la questione fosse piuttosto seria.
Restò lì, immobile per qualche minuto, sin quando il suono sordo della terra che si muoveva pericolosamente non lo mise in allerta.
D’istinto fece un passo indietro, seguito a ruota dal Pokémon elettro, sin quando uno Steelix dalle dimensioni spropositate non si innalzò davanti a loro.
«Scusa, ti ho spaventato?» La voce timida e quasi impacciata proveniva da una ragazza dai lunghi capelli nocciola, coperta da un abito verde acqua, la quale se ne stava comodamente seduta sul muso del grande Pokémon d’acciaio.
A quella vista Corrado si rilassò, emettendo un semplice sospiro sconsolato.
«Sempre queste entrate teatrali, Jasmine…» La sua voce era ancora distaccata nonostante fosse felice di vederla.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma probabilmente lei era l’unica che volesse accanto in quel momento: erano molte le similitudini fra loro e questo non poteva che avvicinarli un passettino alla volta.
Lei sorrise semplicemente, per poi farsi improvvisamente più seria, pacata, senza riuscire a nascondere un velo di dispiacere.
«Ho saputo di Vulcano…» Disse semplicemente e non fu necessario aggiungere altro.
Non appena aveva udito la notizia era corsa immediatamente dal Capopalestra di Arenipoli, consapevole del legame d’amicizia che aveva sempre legato Corrado al Superquattro.
Calò il silenzio per qualche attimo, il biondo dagli occhi celesti socchiuse appena le iridi, per poi tornare a volgere lo sguardo alla ragazza.
«Credo si sia cacciato in un bel guaio.» Si limitò a dire, spiccio e di poche parole come sempre.
Ma Jasmine non sembrava curarsi di quel fare distaccato e ben poco loquace, si limitò ad arricciare le labbra, pensosa, per poi picchiettare appena sulla testa dello Steelix.
Questo reagì avvicinando lentamente il capo alla balconata, lasciando neanche mezzo metro di vuoto.
«Allora dovremmo andare.» Gli rispose accennando ad un sorriso.
Lui ci rifletté parecchio, dubbioso, tanto che rispose inarcando un sopracciglio, quasi contrariato.
«Prevedo che non sarà una situazione semplice, forse non è il caso che tu…» Ma non finì la frase, poiché l’espressione prima dolce e timida della ragazza si trasformò in una colma di determinazione, quasi indispettita. «Io cosa?» Gli domandò metaforicamente, senza lasciargli il tempo di rispondere.
«Devo ricordarti che sono una Capopalestra anche io? E non una delle più deboli, tra l’altro!» Terminò incrociando le braccia sul petto, fingendo un’espressione stizzita.
Il ragazzo si lasciò sfuggire un accenno di sorriso, incamminandosi verso lo Steelix assieme al proprio Raichu.
«Va bene va bene, hai vinto tu, Capopalestra di Olivinopoli.» Rispose con un’ironia ben mascherata, salendo sulla testa del grande Pokémon acciaio e sedendosi accanto a lei.
«Un’idea di dove trovarlo ce l’ho, comunque.»
 
 
(…)
 
Le offrì una tazza di tè caldo, fumante, mentre la faceva sedere comodamente su di un divanetto morbido, fatto soltanto di foglie, petali di fiori profumati ed altri elementi naturali.
Nell’ingresso di quella piccola capanna aleggiava un profumo intenso e ben definito, che chiunque avrebbe definito come sgradevole o addirittura puzzolente: chiunque, al di fuori di chi sapeva amare i Pokémon erba più di ogni altra creatura.
«Gloom, tesoro, chiudi le finestre per favore.» La voce cauta e dolce dell’allenatrice venne accolta piacevolmente dal Pokémon veleno, il quale procedette subito a chiudere i vetri delle varie finestre della stanza.
Erika si sedette poi davanti a quella che era stata una sua allieva, gli occhi di un verde intenso posati dolcemente su di lei. «Raccontami.» Le disse garbatamente, allungando una mano verso di lei per stringere la sua, movimenti sempre posati ed aggraziati che facevano di lei una figura estremamente raffinata, avvolta in quel kimono arancione.
Amelia bevve un sorso di quella bevanda calda, apprezzandone tutti gli aromi che la Capopalestra di Azzurropoli sapeva abilmente combinare.
Poi ispirò, prendendo forza e cominciando a parlare.
«E’… è stata una cosa strana, molto strana. Era come se io mi aspettassi che accadesse, ma al contempo non ne avessi la più pallida idea…»
 
Era Lunedì, uno dei giorni in cui la palestra non era aperta agli sfidanti.
Come ben sai, Gardenia ama profondamente le sue piante e pretende di potersene prendere cura adeguatamente tre giorni a settimana, nei quali dedica loro l’intera giornata di cure.
Noi allenatrici interne non siamo autorizzate ad entrare nell’edificio, in quei giorni, ma ad ognuna è stata naturalmente lasciata una chiave d’accesso.
Mi sentivo strana da qualche giorno, come se alternassi momenti di febbre ed altri in cui, invece, stavo benissimo, tutti nella stessa giornata!
Mi ero preoccupata, temevo che fosse legato all’evoluzione della mia Leafeon, così mi sono permessa di presentarmi comunque.
 La porta era chiusa, naturalmente, ho utilizzato la mia chiave per entrare e come sempre ogni luce era spenta, ad eccezione di quella che conduceva al corridoio dell’ufficio della capo palestra.
Mi sono incamminata cautamente, dopotutto non volevo disturbare il suo lavoro, ma giunta nei pressi della porta lasciata socchiusa mi sono accorta che non fosse sola.
La cosa mi insospettì, Gardenia in quelle giornate si chiudeva in un religioso silenzio con Pokémon e piante, per cui non ho resistito all’idea di appoggiare l’orecchio al legno della porta.
«Non è un po’ troppo frettolosa come conclusione, Gardenia?» La voce era maschile, piuttosto stridula e giovane.
L’avevo già sentita, ne ero certa, ma al momento non me ne ricordavo… Ma sicuramente non si trattava di alcuna persona che io sapessi vicina a lei, né tantomeno di qualche altro Capopalestra.
«No, ne sono quasi sicura. Lei è una dei tre Portatori…» La voce della capo palestra era leggermente strozzata, come se stesse ammettendo una colpa, qualcosa che la preoccupasse nel profondo.
Ci fu silenzio, e non mi fu per nulla chiaro di cosa stessero effettivamente parlando, un motivo in più per continuare ad ascoltare.
«L’hai vista… incontrarlo?» Le domandò ancora quello che sembrava un ragazzo, ma dal tono pareva piuttosto autoritario e sicuro di sé, non certamente di un qualsiasi allenatore che comunque Gardenia non avrebbe mai ricevuto.
«No, ma negli ultimi giorni non era in forma. La pressione le saliva e scendeva continuamente, la temperatura del corpo aumentava per poi crollare improvvisamente. Senza contare che le sia venuta quella strana voglia dietro il collo…» D’istinto mi toccai il collo, e soltanto ora mi resi conto che la capo palestra stava parlando di me.
Dunque si era accorta delle mie condizioni, nonostante mi impegnassi per nasconderlo.
E cosa ancora più impensabile aveva notato immediatamente quella strana voglia che mi era inspiegabilmente comparsa dietro il collo…
Volevo chiederle proprio di quello, se fosse una strana forma di malattia, ma da come ne stava parlando sembrava qualcosa di molto più serio.
Pensai ingenuamente che avesse chiamato uno specialista, che si fosse già informata o avesse preso provvedimenti, se la situazione era tanto grave. Ma non riuscivo a spiegarmi perché non me ne avesse parlato e soprattutto perché avesse citato questi “tre Portatori”.
Pensavo freneticamente a tutto questo, cercando di mettere in fila ogni tassello sin quando un gorgogliare strambo attirò l’attenzione di tutti.
«Cosa c’è, Toxicroak?» In quell’attimo un brivido freddo mi percorse la schiena, nel giro di pochi attimi la porta venne aperta da un leggerissimo spruzzare di fango proveniente dall’interno.
La luce all’interno della stanza illuminò la mia figura, mentre ero rimasta lì, impalata, pietrificata dalla paura e dallo stupore: il ragazzo che stava parlando con Gardenia in modo quasi confidenziale aveva i capelli blu, a punta ai lati, il fisico asciutto e la divisa del Team Galassia.
Saturno, il comandante in seconda di Cyrus.
Per quello che ne sapevo dovevano essere stati cacciati o imprigionati già da un anno ormai, ma a quanto pareva erano invece tornati e si erano già ben radicati di nuovo a Sinnoh.
Mi guardarono perplessi, almeno sul momento, l’espressione che Gardenia ebbe in quell’attimo mi è rimasta impressa come una cicatrice.
Un’espressione che da stupita e quasi preoccupata si trasformò immediatamente in rabbia.
«Cosa ci fai tu qui?!» D’istinto corsi via, lungo il corridoio, più veloce che potevo.
Sentivo che qualcosa mi inseguiva, probabilmente quel Pokémon rana, ma nel giro di qualche attimo Roselia mi precedette in fatto di tempestività ed uscì dalla sfera, paralizzandolo.
Corsi fuori assieme a lei a tutta velocità, senza sapere cosa dire, cosa pensare, dove andare…
Mentre dietro di me le urla di Gardenia mi intimavano ad andarmene e a non fare più ritorno, tra improperi ed insulti…
Ed il cuore che ancora mi batteva dalla paura.
 
«…e così sono venuta qui. Mi scusi, non sapevo dove andare, non sapevo più di chi dovessi fidarmi…» Abbassò lo sguardo e la mano di Erika strinse ulteriormente quella della ragazza.
Con l’altra le alzò dolcemente il mento, incrociando i suoi occhi chiari.
«Non devi avere paura, qui sei al sicuro.» La rassicurò con un sorriso.
Amelia le fu immensamente grata, non tanto per l’ospitalità in sé, quanto più perché sapeva che su di lei avrebbe sempre potuto contare.
Passò solo un attimo prima che Erika si alzasse dal divanetto, camminando pensosamente per la stanza.
«Comunque, da quello che ho capito, né quella voglia né le tue strane sensazioni psicofisiche sono frutto di un Pokémon. Avrei azzardato ad una malattia, ma quella voglia è troppo strana…»
La ragazza si portò di nuovo una mano alla macchia, leggermente in rilievo: anche Erika, come Gardenia, aveva avuto bisogno soltanto di uno sguardo per comprendere la stramba identità di quella voglia a forma di goccia.
«Cosa pensa che sia?» Le chiese in un misto di preoccupazione e al contempo curiosità, prendendo fra le braccia la Roselia che cominciò a strusciarsi, desiderosa di qualche coccola.
«Non lo so. Ma certamente se Gardenia ne parlava con un alto esponente del Team Galassia, le conclusioni sono semplici: stanno tramando qualcosa, e tu a quanto pare sei pienamente coinvolta.»
Non era una novità, dato quello che la ragazza aveva passato solo da una paio di giorni, eppure sentirselo dire tanto esplicitamente le aveva bloccato il fiato per un attimo.
Strinse ulteriormente la propria Pokémon al petto, lei istintivamente rilasciò un leggerissimo profumo tranquillizzante.
Nel mentre, Erika si era portata una mano alla tempia e rifletteva intensamente, l’altro braccio stretto sotto il seno.
«Se non conosco nemmeno cos’hai, non posso aiutarti a guarire, fisicamente soprattutto.» Constatò con un briciolo di disappunto: lei non solo era un’esperta di fiori, ma anche di rimedi naturali e piante medicinali, in molti le chiedevano qualche cura quando i farmaci non contavano.
«Andremo da Sabrina, forse lei capirà qualcosa.» Affermò convinta, nonostante il suo sguardo fosse ancora pensieroso.
Nell’udire quel nome sia Amelia che Roselia sgranarono gli occhi, riportando alla mente di chi si trattasse. «S-Sabrina? Lei è sicura che…» Ma lo sguardo deciso della sua mentore la fece tacere immediatamente, senza darle tempo e modo di replicare.
«Lei è l’unica che sono sicura essere imparziale, considerando che non le importi mai nulla delle questioni “umane”. Possiamo fidarci. La difficoltà starà nel convincerla ad aiutarci…»
 
(…)
 
 
«Guardate come dorme, povera, sarà stanchissima…»
«Ehi ma è ancora tutta bagnata, forse è il caso di toglierle i vestiti?»
«Barry, idiota, ti pare?!»
«Shhh, fate silenzio, così la sveglierete!»
Era un vociare continuo, bisbigli che si sopprimevano l’un l’altro senza riuscirci propriamente…
«mmmh?» Mugugnò qualcosa di apparentemente incomprensibile, sbattendo appena le palpebre.
Davanti a lei v’erano tre figure leggermente sfocate, una con i capelli biondi, una sul blu scuro e l’altra castani.
Sbatté le palpebre più volte, sin quando non riuscì a riconoscere pian piano i tre volti distinti: due ragazzi ed una ragazza, a lei noti.
«Dove… dove mi trovo?» Domandò confusa, trovando risposta nelle parole confortanti dell’amica Lucinda, che cordialmente le sorrideva dal fondo del letto.
«A casa di Lucas, a Duefoglie. Stai tranquilla» Ilenia tirò un sospiro di sollievo, socchiudendo nuovamente le palpebre per rilassarsi quando Barry le si parò improvvisamente davanti, con un garbo che lasciava del tutto desiderabile.
«Allora, cos’è successo? Eh?» Il solito entusiasmo che trapelava da ogni poro fece prendere un mezzo infarto alla povera giudice, tanto che Lucinda diede uno scappellotto in testa all’amico.
«E se non te lo dice la multi? Barry, un po’ di garbo, si è appena svegliata.» Lo ammonì la ragazza, le iridi di un blu scuro fisse sul biondo davanti a sé.
«Okay okay, scusate… però deve dircelo!» Ripeté alla fine scrollando le spalle, beccandosi un’occhiataccia degli altri due, con il solo scopo di ammonirlo.
«No, ha ragione…» Disse lentamente Ilenia, ancora scossa da quanto era successo.
Si trattenne dal scoppiare di nuovo a piangere poiché in pochi attimi il suo Pokémon scoiattolo saltò sul letto, cominciando a leccarle dolcemente una guancia.
«Sto bene, Pachirisu, grazie!» Gli disse coccolandolo, per poi volgere un’occhiata riconoscente e serena anche agli altri. «E grazie anche a voi. A te, Lucas, per essermi venuto a cercare…»
Gli disse trattenendo un velo di rossore, tanto che il ragazzo si trovò più in imbarazzo di lei.
«Di nulla, figurati! Era il minimo, dopo aver saputo quello che è successo…»
Cercò di declinare l’argomento, ma ormai era inevitabile doverlo affrontare.
Barry miracolosamente si trattenne dall’esprimere tutta la propria esuberanza, poiché fu Lucinda ad introdurre l’argomento, cercando di mantenere un tono tranquillo nonostante la questione fosse piuttosto delicata e preoccupante.
«Alla televisione ne hanno parlato tutti, Denis è stato di una durezza che nessuno avrebbe mai pensato, nei tuoi confronti…» Ma passò subito oltre, non volendo rattristare ulteriormente l’amica: era certa che quella situazione non le piacesse per niente e che di lacrime ne avrebbe versate ancora tante. «…ma ciò che ha sconvolto tutta la Regione è stata un’altra. Un giorno dopo l’altro, sono stati in tre ad essere cacciati in modo inspiegabile dalle loro istituzioni. Tu per prima, poi una certa Amelia della palestra di Evopoli ed infine il Superquattro Vulcano. E contro tutti e tre è in corso una campagna mediatica del tutto anomala, esagerata e violenta.» Descrisse con precisione e sintesi la situazione, senza riuscire a trattenere una nota di evidente perplessità.
Ilenia strabuzzò gli occhi nell’udire quel racconto, sollevandosi e mettendosi seduta sul letto: non avrebbe mai pensato che la situazione a Sinnoh fosse di questo tipo e per il momento non riuscì a formulare una propria opinione.
Lucas incrociò le braccia sul petto, la sua espressione che andava diventando sempre più seriosa man mano che si continuava a parlare dell’argomento.
«Ciò che non ci convince è che, improvvisamente, tre persone in vista ma non esageratamente popolari siano state cacciate con le scuse più disparate e che questo attacco mediatico sia evidentemente volto ad accanire la gente contro di voi. Lasciarvi soli, quasi a volervi indurre a fuggire lontano… Come se voi aveste un segreto pericoloso.»
Il suo ragionamento era lucido, preciso e soprattutto intuitivo.
Ilenia sbatté le palpebre più volte, sinceramente sbalordita da tali pensieri e parole: quando aveva incontrato Lucas più volte, durante le Gare, le aveva fatto subito una bella impressione… ma non pensava fino a questo punto.
Sospirò appena, abbassando lo sguardo, quasi si sentisse in colpa. «Sì, in effetti qualcosa c’è…»
Cominciò, per poi interrompersi improvvisamente e volgere uno sguardo quasi preoccupato verso i suoi amici, in un misto di ansia e al contempo sollievo nel vederli lì con lei.
«Ma se ve lo dico, poi potreste essere in pericolo!» Affermò d’improvviso, provocando un sorriso dolce in Lucinda e appena accennato in Lucas.
Per una volta, Barry intervenne nel momento giusto, portando il pugno chiuso davanti a sé con una certa determinazione.
«E da quando il pericolo ci fa paura? Abbiamo affrontato di peggio, e poi siamo tuoi amici!» Asserì convinto, strizzandole l’occhio.
Questo gesto rincuorò la ragazza, tanto che sorrise con quanta più sincerità avesse in corpo: mai avrebbe pensato che quei ragazzi, poco più che bambini solo qualche tempo fa, fossero capaci di qualcosa di tanto grande ed importante.
Non stavano salvando il mondo o compiendo qualche gesto eroico, ma prendersi cura di una persona per semplice affetto e coraggio era una qualità ben rara.
«Va bene» Disse, dopodiché si tirò su la manica, mostrando una strana voglia a forma di goccia proprio al centro dell’avambraccio, che i presenti osservarono senza capire poi molto.
«Mi è apparsa dal nulla, non l’avevo mai avuta prima.»Disse abbassando lo sguardo su quella stramba pigmentazione della pelle. «Ero nella Stanza dei Trofei, nella struttura che Ospita le Gare. E’ una zona che anche i visitatori, sotto prenotazione, possono vedere, poiché è aperta al pubblico. Lì sono custodite le coppe, i fiocchi e le fotografie di tutti i migliori coordinatori.» Descrisse brevemente, giusto per far comprendere il luogo a Barry, che non ricordava ne avesse mai affrontate, quelle Gare, concentrato com’era sulle singole lotte.
«Stavo guardando una fotografia in particolare, ritraeva un Mismagius con la sua allenatrice, di cui non ricordo il nome. Non ricordo perché mi avesse colpita, so solo che dopo pochi attimi mi sono sentita svenire, la vista si è annebbiata ed ho perduto i sensi…» Raccontava portandosi una mano alla tempia, quasi si sforzasse di ricordare dettagli di cui non sembrava avere memoria.
«E’ stato Denis a trovarmi… camminavo davanti a quella fotografia, come sotto ipnosi. Ma non ricordo nulla di ciò che è accaduto in quel frangente.»
Spiegò leggermente delusa da se stessa: non ricordava molto di quel giorno, ma il fatto che Denis l’avesse trovata e poi cacciata era sicuramente fonte di non poche perplessità.
Ma lei, naturalmente, questo non aveva avuto modo di spiegarlo, perché nessuno l’aveva ascoltata: era fuggita, senza una meta, ed era stata la forza d’animo dei suoi amici a salvarla dal baratro in cui volevano trascinarla.
Lucas e Lucinda ascoltarono in silenzio, perplessi, cercando di capirci qualcosa di quella situazione.
«Beh, di sicuro l’unica soluzione è cercare di farti ricordare…» propose Lucinda, ingenuamente.
«Oppure andare da Denis, cosa piuttosto difficile al momento, soprattutto per te.»
Propose Lucas, cercando di trovare qualche soluzione, ma non fecero in tempo a dire altro che un Barry leggermente preoccupato richiamò la loro attenzione, le iridi chiare volte oltre la finestra del primo piano.
«Ehm ragazzi… non per fare il guastafeste, ma abbiamo un problema. Anzi, più problemi!»
Ed il rumore di alcuni passi e versi tutt’altro che rassicuranti bastò per far capire loro la situazione: erano circondati.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ~ Capitolo Due ***


Note Autrice:
Primo di tutto, un ringraziamento particolarmente sentito a Euphemia, che spende parecchio del suo tempo per leggere la mia ficcy e recensirla con una precisione impeccabile: grazie per la grande soddisfazione che mi dai :')
Questo capitolo, diversamente da quello precedente, riguarda soltanto due dei tre personaggi: questo perchè il "terzo" occuperò tutto il prossimo capitolo!
In questo verranno svelate altre cosucce, ma ne resteranno celate molte, con l'aggiunta di qualche personaggio e soprattutto dei rapporti che intercorrono tra di essi.
Buona lettura!

~ Capitolo Due
 
La terra tremava al suo passaggio, gli zoccoli sfioravano appena la terra da tanto che la velocità era elevata.
Sembrava volasse, quell’elegante e fiero cavallo di fuoco, la crine e la coda incendiate, lo sguardo di un rosso acceso e vivo come la più indomata delle creature.
«Non ti fermare, Rapidash!» La voce soffocata dell’uomo che gli restava saldamente sulla groppa era effimera, quasi distratta, mentre un mantello lo copriva quasi interamente.
Solo qualche ciuffetto rosso si intravvedeva da sotto il cappuccio, mentre quella corsa sfrenata contro il tempo continuava su di un sentiero sterrato.
Non c’era nulla, attorno a lui, nulla: solo distese e distese di terriccio friabile, derivante da una roccia scura non molto distante da dove si trovavano loro.
Il cavallo di fuoco continuò la sua corsa, sin quando un fulmine a ciel sereno colpì una roccia a pochi metri da loro, frantumandola e provocando un consistente boato.
Rapidash si spaventò, imbizzarrendosi e nitrendo con quanto fiato avesse in corpo.
Il suo allenatore restò in sella, dandogli piccole pacche sul morbido collo beige.
«Calmati, piccolo, calmati.» Lo rassicurò mantenendo un comportamento abbastanza tranquillo, per quello che poteva concedersi in un momento del genere.
Sentiva il battito del cavallo accelerare, e con esso il proprio.
Stavano ancora galoppando, ma l’ostacolo che gli si presentò davanti fu spiacevole quanto inatteso.
Alzò lo sguardo davanti a sé, una volta che Rapidash si fu calmato, e le iridi grigie delinearono una figura femminile a lui familiare: corporatura esile, un abito rosa antico ed una chioma di capelli nocciola particolarmente lunghi e voluminosi.
Sorrise amaramente e con non poca ironia dinnanzi a quella ragazza, immobile al centro del sentiero sterrato, a neanche una decina di metri da lui.
Ferma ed impassibile, fredda ed impenetrabile come sempre.
«Ma guarda, la bella addormentata si è svegliata… mi sento quasi onorato!» Asserì con una certa ironia, non v’era nulla di maligno in tali parole ma un piccolo accenno di disprezzo era palese.
«Inutile fuggire, Superquattro di Sinnoh. Il Destino ha scelto al tuo posto.» Era una voce estremamente dolce eppure fredda allo stesso tempo: pacata, quasi non fosse viva, appartenesse ad un altro mondo.
Vulcano sbuffò sonoramente, liberandosi del cappuccio e mostrando quella zazzera di capelli rosso fuoco, mentre Rapidash cominciava lentamente a battere uno zoccolo a terra, nervoso.
«Sempre a parlare in modo enigmatico, voi esperti di psiche… Secondo me avete qualcosa che non va!» Asserì in tutta sincerità, incrociando le braccia sul petto appena muscoloso.
Non era strafottente, il suo tono, ma certamente aveva tutte le intenzioni di irritarla.
L’altra, in tutta risposta, restò calma ed impassibile, le iridi ghiaccio fisse sul ragazzo e su quella sciarpetta rossa che portava al collo, la quale gli ricadeva sul petto.
Un altro fulmine colpì violentemente la terra, lasciando un solco sulle rocce circostanti per via della forza sprigionata, mentre al posto della luce comparve una Gothitelle, lo sguardo truce e perduto quanto la propria allenatrice.
Vulcano roteò le iridi al cielo a quella vista. «Ecco, lei mi mancava ancora meno.» Bofonchiò fra sé e sé, per poi sbuffare apertamente ed allargare le braccia con fare sconsolato.
«Non mi interessa combattere contro di te, Lady Catlina. Sei una Superquattro come loro.» Era un’affermazione più dura e al contempo sentita, il volto prima scherzoso ed ironico scomparve d’improvviso.
Non voleva avere più nulla a che fare con i Superquattro, non dopo quello che era successo.
Catlina non rispose, ma un secondo fulmine cadde di nuovo accanto a lei, dalla parte opposta rispetto a Gothitelle: un Pokémon che pareva gelatinoso, verde e sospeso in aria, una boccuccia rossa aperta come in un gran sorriso.
La Superquattro sbadigliò, portandosi regalmente una mano dinnanzi alle labbra.
«Reuniclus e Gothitelle non la pensano allo stesso modo, temo.» Non si sforzò nemmeno di sorridere ironicamente, tutt’altro: l’espressione dipinta su quel volto fin troppo giovane era quasi annoiata, distante anni luce dalla realtà, come sempre.
Vulcano strinse appena i denti, decisamente innervosito da quella situazione: aveva fin troppe grane perché si intromettesse anche una allenatrice di quel calibro, per di più con poteri paranormali che non gli erano mai piaciuti.
«Vuoi mettermi i bastoni fra le ruote, Catlina? Lavori per loro?!» Le domandò schiettamente e lei gli lanciò la prima occhiata viva che avesse visto da parte sua: determinata, fredda, tagliente, ma almeno non era assente.
«Voglio sapere, semplicemente.» Gli rispose in tutta tranquillità, come se stessero sorseggiando tranquillamente il tea delle cinque.
E questo lo irritò ulteriormente, tanto che alzò la voce.
«Ma dove credi di essere, nel tuo bel mondo fatato? Svegliati, qui non stiamo dormendo, stiamo per combattere una guerra! E tu faresti bene a rimettere i piedi per terra, ogni tanto!»
Le iridi di Catlina si illuminarono dinnanzi a quelle parole, il volto lontano anni luce dalla realtà prese vita solo per un attimo: un bagliore di irritazione, sulla perenne impassibilità, come se le questioni di quel mondo non le interessassero…
Ad eccezione di qualcuna.
«Il Destino ti guiderà verso la tua sorte, Superquattro di Sinnoh. La mia non è né una minaccia né un aiuto, pura e semplice curiosità.» La voce era di nuovo suadente, troppo delicata, troppo artificiale, troppo ingenua.
Vulcano perse totalmente la pazienza, scese dal cavallo infuocato e prese saldamente una sfera tra le mani.
«Questi tuoi discorsi paranoici mi hanno stancato… Se non vuoi lasciarmi passare con le buone, dovrò costringerti con le cattive!» Lanciò la sfera, dalla quale si liberò un Infernape particolarmente aggressivo e voglioso di combattere.
Nei suoi occhi lo stesso ardore del proprio allenatore, la stessa rabbia, la stessa frustrazione, la stessa sensazione di essere in gabbia.
«Ma come siamo permalosi, Superquattro di Sinnoh… Vi scaldate tutti così facilmente?» Domandò con quell’aria da finta ingenua che non poteva che irritarlo ulteriormente.
«Solo con coloro che non sanno distinguere la realtà dal sogno, Lady.» Disse sprezzante, i due Pokémon fuoco pronti ad attaccare ad un qualsiasi ordine.
Ma Catlina ancora non si muoveva, non dava indicazioni, né lasciava trasparire le proprie emozioni.
«Voglio solo sapere se lui ti ha contattato…. Sto parlando di Entei, ovviamente.»
Vulcano restò perplesso per qualche attimo, per poi alzare un braccio, pronto a dare un ordine, sfoderando un sorriso divertito quanto agguerrito.
«E perché mai un Pokémon Leggendario dovrebbe interessarsi a me?» Le domandò retoricamente, ricevendo uno sguardo di sfida altrettanto determinato.
Abbassò il braccio e la battaglia ebbe inizio, senza esclusione di colpi.
Non voleva aggredirla, non voleva farle del male: ma, come era prevedibile, non aveva esplicitato da che parte si fosse schierata e lui non poteva correre il rischio di essere catturato o parlare alla persona sbagliata.
Lui, coi Superquattro, aveva chiuso.
 
*****
 
Era freddo, freddissimo.
La nebbia che avvolgeva ogni cosa indistintamente non accennava a diradarsi in alcun punto, ogni singolo angolo delle vie della cittadella era invaso da quella sostanza densa ed impenetrabile.
Camminavano avvolte da una mantella scura, affinché potessero confondersi in quell’ambiente estremamente ostile.
Non si fermarono, una prima figura avanzava a passo deciso, pur guardandosi intorno con fare circospetto, mentre la seconda pareva più timorosa e la seguiva discretamente.
Non si parlarono, procedettero in silenzio sin quando dinnanzi a loro non si erse un edificio stretto ed altissimo, di un grigio cupo, nessuna luce che provenisse dall’interno.
Amelia ebbe un brivido lungo la schiena nel momento in cui i suoi occhi chiari delinearono il profilo di quell’edificio già macabro all’apparenza.
«Siete… Siete sicura che dovremo entrare proprio lì dentro?» Era insicura ed intimorita, la voce della ragazza, qualche ciocca bionda che le fuoriusciva dal cappuccio mentre si avvicinava ulteriormente alla sua mentore.
«Sì, la Torre Memoria è il solo luogo dove possiamo trovarla, qui a Sinnoh.» Rispose con un tono calmo e dolce, come se ciò che avesse davanti fosse un normalissimo edificio.
Scesero i primi gradini sino a giungere all’entrata, poi Erika aprì lentamente la porta lasciando che un cigolio sordo e fastidioso echeggiasse in quelle tenebre densissime.
Pareva il nulla, l’oscurità più cupa le avvolse in un attimo, tanto che Amelia esitò ad abbandonare la luce alle proprie spalle.
I loro occhi si persero nel nero, senza trovare punti di riferimento: la ragazza strinse istintivamente la mano della Capopalestra, la quale invece rimaneva immobile, ferma nella sua posizione.
«Stai tranquilla.» Le disse benevolmente, ma quelle parole non sfiorarono minimamente la ragazza: potevano chiederle tutto, in quel contesto, ma non certamente di stare tranquilla!
Questione di pochi attimi ed una miriade di occhi rossi cominciò a contornarle, Amelia d’istinto si strinse ulteriormente ad Erika, portando lentamente una mano alle Pokéball che teneva in cintura.
«No, non serve combattere.» Non l’aveva vista, non avrebbe potuto con quel buio, eppure era stata capace di anticipare le sue intenzioni.
Questo spiegava perché Amelia non fosse ancora una Capopalestra.
Attesero ancora, in silenzio. Gli occhi rossi che aumentavano, alcuni si muovevano, molti si avvicinavano sfiorandole e provocando loro spiacevoli brividi.
«Gli spiriti bramano la vostra anima, umane…» Amelia ebbe un sussulto nell’udire quella voce: cupa, tetra, con un vago accento sadico. Nulla di rassicurante.
Echeggiò in quel luogo privo di tempo e di spazio per un paio di secondi, per poi proseguire senza essere interrotta, quegli occhi rossi che volteggiavano attorno a loro.
«Voi che avete osato profanare questo luogo… Ditemi… Quale impavida ingenuità porterebbe mai una creatura dinnanzi a morte certa quale è la vostra?» Davanti a loro cominciò a delinearsi la figura di una donna, appena accennata da un contro violaceo e mistico: snella, molto alta, i lunghi capelli sicuramente scuri, le iridi brillanti.
Amelia perse l’ennesimo battito, soprattutto dopo che altre figure sospese a mezz’aria avanzavano verso di loro assieme a quella donna del tutto inquietante: fantasmi, spiriti, spettri, forse demoni… difficile catalogare ciò che i loro occhi stavano vedendo.
«La sento vibrare, la paura… è viva, è sentita, è segregata dentro di voi e prima o poi vi farà a pezzi dall’interno e…»
«Gennarino!» Quella cantilena macabra quanto una marcia funebre venne bruscamente interrotta dalla voce allegra e felice di Erika, la quale si levò il cappuccio ed allargò le braccia, un sorriso solare e benevolo stampato in volto.
Il tempo sembrò fermarsi per qualche attimo, tutto tacque sin quando un Gengar di dimensioni spropositate non le si fiondò fra le braccia, gustandosi un abbraccio particolarmente affettuoso.
«No, no e no!» Gridò adirata la voce di poco prima, la donna indefinita davanti a loro schioccò le dita ed una serie di torce si accese attorno a loro, illuminando la stanza.
Molti spettri fuggirono dinnanzi alla luce, le ombre delle tombe di svariate dimensioni non contribuirono certamente a migliorare l’atmosfera.
Ma Amelia era ancora lì, impalata, sconvolta, le iridi puntate sulla sua mentore che coccolava uno spettro della peggior specie come fosse un cucciolotto, il quale non si tirava certamente indietro.
«Non puoi fare così, okay?! N-O-N P-U-O-I!» La donna davanti a loro strillò per un attimo, adirata, per poi portarsi una mano alle tempie con fare nervoso.
«Ci ho impiegato un mese per preparare quest’entrata scenica, okay? Un mese! Hai idea di quanto sia difficile coordinare tutta questa banda di spettri senza cervello?!»
Oh sì, era molto adirata, ed il suo sguardo violaceo era puntato sulla figura di Erika che lentamente allontanava quel Gengar coccolone, con tutto il garbo che avesse in corpo.
Sospirò, volgendo un accenno di sorriso alla donna davanti a lei.
«Anche io sono felice di vederti, Sabrina.»
Lo sguardo di Amelia passò rapidamente dall’una all’altra Capopalestra, ancora sconvolta da quella stramba scenetta che era stata messa in atto, di come il rapporto fra le due fosse evidentemente piuttosto particolare.
«Questo non l’ho detto!» Disse a denti stretti, per poi allungare un braccio verso il Gengar, prenderlo per la coda e lanciarlo all’indietro. «E tu che razza di compagno sei, che mi tradisci per due coccole sdolcinate?» Lo rimproverò, il lancio lo portò a schiantarsi contro la parete dietro di lui con un sonoro botto, tanto che la ragazza sbatté le palpebre un paio di volte.
«Ma… ma poverino! Si sarà fatto male» Si preoccupò d’istinto, scostandosi appena dalle spalle di Erika, ma ciò che ricevette fu soltanto uno sguardaccio della nuova conosciuta.
«Poverino? E’ uno spettro, ragazzina, e gli spettri non si fanno male. Lui fa solo della scena, gliel’ho detto di provare col teatro!» Disse osservando le proteste immediate del Gengar a qualche passo dietro di lei, il quale gesticolava e le faceva la lingua.
Lo ignorò con un gesto della mano, tornando alle sue due ospiti.
«Dunque, perché siete qui? Non mi pare di aver invitato nessuno, negli ultimi due o tre anni… o erano secoli?» Si domandò lanciando gli occhi al cielo con fare pensoso, mentre Amelia non poteva che pensare continuamente a quanto fosse bizzarra quella donna.
Bizzarra, folle, matta, con un’intelligenza viva e sveglia che sprizzava da ogni poro.
Gengar, nel mentre, tentò di contare con le dita… inutilmente, visto che non sapeva un tubo di matematica in quanto spettro.
«La mia allieva avrebbe un problema, quindi…» Ma non terminò la frase che Sabrina l’aveva già scostata di lato con una piccola spinta, portandosi ad un passo da Amelia, sempre più sconvolta.
La osservò dall’alto, assottigliando lo sguardo, quasi volesse studiarla.
«Lei ha il problema, lei tratta con me.» Disse ed Erika non oppose resistenza, si limitò ad accarezzare Gengar che era tornato da lei, mentre osservava e sperava per la sua allieva.
«Il tuo nome, mocciosa?» le chiese con ben poco garbo.
«A-Amelia…» Balbettò incredula, ancora timorosa, tanto che la Capopalestra psico sbuffò sonoramente. «Ohsantocielobenedetto, se questo è il tuo tono di voce non capirò una mazza! Allora, parla più forte.» La intimò, scocciata e frettolosa.
Amelia inspirò profondamente, deglutì ed infine riuscì ad avere un tono di voce quantomeno accettabile.
«Amelia. Mi chiamo Amelia.» Disse con più decisione, anche se non riusciva a sostenere lo sguardo violaceo e freddo di Sabrina per più di qualche istante.
Era profondo, penetrante, come se volesse entrarle nella mente e scoprire qualsiasi suo segreto più profondo e celato.
«Dunque, Amelia. Non sai spiegarti né l’entità né l’origine di quella voglia a forma di goccia, hai avuto una condizione psicofisica del tutto altalenante nell’ultimo periodo e ti senti tradita quanto sconvolta. Senza contare che aver visto la tua cara Capopalestra assieme ad un membro del Team Galassia ti abbia lasciata perplessa ancora di più, poiché non sai darti una motivazione e soprattutto non comprendi il nesso logico che potrebbe esserci tra i due. Senza contare che ti sia sentita chiamare “portatore” insieme ad altre due ipotetiche persone, privata di qualsiasi giustificazione a tale definizione poiché non hai mai sentito parlare di qualcosa di simile.» Parlò a raffica, senza fermarsi, senza fare paura, quasi senza respirare.
«Ho tralasciato qualcosa?» Domandò metaforicamente, accennando ad un sorriso beffardo.
Amelia era ulteriormente sconvolta –se possibile- motivo per cui resto con le labbra dischiuse, senza riuscire a dire una parola.
Sabrina le diede un paio di colpetti sulla guancia, una specie di carezza che non aveva assolutamente nulla di amorevole, ma nemmeno di maligno. «Sì, lo so, sono brava.»
Erika sospirò sconsolatamente, incrociando le braccia sotto il petto.
«E’ una veggente, ha previsto che tu le raccontassi tutto questo.» Spiegò alla sua allieva in tutta naturalezza, beccandosi l’ennesima occhiataccia dell’altra, che non sembrò minimamente preoccuparla. «Ma allora lo fai apposta?!»
Sospirò, scocciata, volgendosi di nuovo verso Amelia che a fatica riacquistava il controllo: meno male che non aveva avuto la brillante idea di sfidare tutte le Palestre di Kanto, aveva come l’impressione che scontrarsi con una come Sabrina le avrebbe rivoluzionato la psiche e l’esistenza…
«Allora, ragazzina, possiamo fare un accordo. Io ti dico quello che so su quella voglia: chi te l’ha procurata, quando ti è venuta e quant’altro, okay?» Le domandò e la bionda le sorrise ampiamente con espressione riconoscente, ma non fece in tempo a ringraziarla che la Capopalestra tra i più temuti delle regioni alzò un dito.
«Ma ogni cosa ha un prezzo!» Le rimembrò, sottolineando che un accordo avesse una “duplice facciata”.
Amelia si ricompose, osservando il dito di Sabrina che andava lentamente ad indicare la figura di Erika a pochi passi da loro. «Voglio la qui presente Biancaneve, okay?» Disse in tutta tranquillità e serietà, mentre sul volto di Amelia si dipingeva una discreta preoccupazione.
«Cosa?! Non posso lasciarvi la mia maestr…» Ma venne zittita da un cenno di Erika, la quale le fece segno di accettare.
La questione era grave, molto grave, ed Erika sapeva che il prezzo da pagare sarebbe stato molto alto, forse era addirittura venuta lì proprio per questo.
La ragazza rimase perplessa per qualche attimo, la sua preoccupazione si specchiò nelle iridi verdi della Capopalestra erba ma alla fine acconsentì, stringendo la mano di Sabrina: un sorrisetto soddisfatto comparve sul suo volto, tutt’altro che innocente.
«Molto bene, ora tocca a me.» Disse tutta soddisfatta, schioccò di nuovo le dita ed una serie di spettri si mossero per la stanza, portando poltroncine e sedie, assieme ad un tavolino con dei superalcolici sopra ed esattamente tre bicchieri.
«Servitevi, in fondo sono anni –o secoli?- che non ho ospiti.» Asserì cominciando a versarsi non si sa bene cosa di violaceo nel bicchiere, mentre Amelia rifiutava garbatamente.
«Grazie, ma non bevo ciò che non conosco.» Asserì più sicura di sé, sperando di non sembrare sgarbata.
Sabrina le volse un solo sguardo, preciso ed attento come non mai. «E’ una scelta saggia, anche se banale. Se volessi, potrei ficcartelo in bocca a forza.» La ragazza deglutì, ma non fece in tempo a protestare che la strega continuò. «Ma poi subirei l’ira della qui presente Biancaneve, e poi non mi divertirei più nel tempo che passeremo assieme per via di questo accordo» Disse con una mezza smorfia, mentre Erika restava composta nella propria posizione, le mani giunte in grembo, un sorriso perennemente dolce in volto, come se le parole ironiche e maliziose dell'altra non la toccassero.
No, non era venuta lì a caso, conosceva Sabrina meglio di chiunque altro.
«Cosa puoi dirmi, quindi, riguardo alla voglia?» La sua voce era più tranquilla, nonostante la “padrona di casa” continuasse ad utilizzare termini macabri ed i suoi spettri gironzolassero come cani affamati, danzando attorno a loro in una specie di rito satanico o qualcosa di simile.
«E’ stata Celebi a fartela.» Esordì stappando già le seconda bottiglia – sì, beveva con una velocità impressionante, e non sembrava sentirne alcun effetto.
Amelia miracolosamente non balbettò, né restò colpita in particolar modo da quella rivelazione: rimase così, immobile, seriosa, beccandosi un’occhiata torva di Sabrina. «Sì, lo so, dentro di te, te lo aspettavi. Questo perché lei ti ha fatto perdere volutamente la memoria, affinché tu lo sapessi e non lo sapessi allo stesso tempo.» Versò un quinto bicchiere di un liquido verdastro, passandolo questa volta ad Erika.
Lei lo prese, ringraziandola con un sorriso come sempre, ma appena distolse lo sguardo diede il bicchiere a Gennarino, che trangugiò tutto senza fare una piega.
«Non capisco…» Ammise, dopotutto quella spiegazione era tutto fuorché logica.
Sabrina sbuffò. «Umani…» Biascicò alzando le iridi al cielo, portandosi una bottiglia alla bocca e stappandola con i denti.
Il liquido, questa volta, era rosso. «Tu ed altri due siete destinati a risvegliare una creatura composta da tre parti, una creatura che riconoscerà soltanto coloro che posseggono quella voglia che hai sul collo, vicino alla nuca. Una creatura capace di cose straordinariamente belle quanto orribili. Dipende dai punti di vista.» asserì versandosi il liquido, alzò il capo solo per un attimo.
«Non male come favoletta, eh?» Un commento ironico, ma Amelia questa volta non si lasciò incantare.
«Tu come lo sai?» Le domandò e Sabrina, questa volta, nemmeno le concesse uno sguardo, ma trangugiò quella sostanza rossastra. «Questo non rientra nell’accordo, mi pare che l’argomento fosse la voglia.» Precisò, a prova che l’alcool non aveva sicuramente l’effetto di annebbiarle una mente troppo brillante.
«Tuttavia…» Asserì, aprendo la quarta bottiglia, una puzza incontenibile che costrinse la ragazza a tapparsi il naso, mentre Erika sembrava immune a tutto questo, abituata alle piante e ad ogni genere di odore. «Dirti chi sono gli altri due portatori mi sembra rientri nell’argomento.»
Amelia sorrise, dentro di sé in particolar modo, ma un sorriso le sfuggì dal volto.
No, decisamente quella Capopalestra non era spaventosa e crudele, o meglio, menefreghista ed impassibile come tutti l’avevano descritta.
Ma questo non sfuggì alla donna, la quale alzò il capo di scatto verso di lei, cogliendola impreparata e facendole prendere un mezzo infarto.
«Mi prendo la Capopalestra Erika, nonché tua mentore, come ostaggio, prigioniero o quello che ti pare. Non sai cosa le farò.  Non sono una buona
L’avere l’abilità di leggere nel pensiero le era sfuggita, oppure Sabrina era semplicemente molto intuitiva.
Si alzò improvvisamente in piedi, schioccò di nuovo le dita. «Gennarino, Alakazam, Mismagius.».
I tre Pokémon comparvero immediatamente al cospetto di Sabrina, in particolare i due spettri.
Lei diede ad entrambi una particolare occhiata, poi gli fece un cenno di assenso.
La donna alzò il volto verso il soffitto indefinibile, aprì le labbra e in quell’istante i due spettri le passarono attraverso: il tempo sembrò fermarsi per quei minuti, un rito del tutto anomalo e mistico ebbe inizio.
Una nuvola si creò al di sopra di lei, da quella nebbia densa si composero alcune immagini: un ragazzo, o meglio un uomo, i capelli rossi ed una sciarpa bordeaux sul collo, in un combattimento all’ultimo sangue con qualcuno di indefinito.
Lottava, lottava e lottava, ma nell’attimo di quella visione egli cadde in ginocchio, tutte le sue Pokéball a terra davanti a sé.
Poi la visione si interruppe, un vento sembrò agitare ogni cosa in quel luogo: spiriti, demoni, misticismo.
E la visione cambiò tanto rapidamente quanto era apparsa poco prima: una ragazza dai capelli nocciola e corti ed un abito elegante teneva stretta a sé un Pachirisu, mentre assieme ad altri tre ragazzi salivano sul tetto di un’abitazione. Un biondino, un castano ed una ragazza dai capelli scuri.
«Cough cough…» Tutto si interruppe, i due spettri terminarono il rito, Sabrina si strinse lo stomaco e vomitò un discreto quantitativo di sostanze liquide multicolori.
Amelia si alzò in piedi di scatto, a metà tra lo sconvolta e lo stupita.
«Io credevo… insomma… non pensavo che avesse bevuto per questo…» Balbettò confusa, beccandosi un’occhiataccia dell’altra. «Secondo te bevevo questa robaccia per piacere? Ma sei fumata?! Mica sono così scema!»
Non si sa per quale miracolo, ma la ragazza evitò di palesare il suo consenso a quella definizione: cos’aveva fatto di normale, Sabrina, da quando era arrivata?
«Roserade, Aromaterapia.» La voce delicata di Erika distrusse quell’atmosfera macabra e tesa. Una Roserade dai colori sfavillanti e vivi, segno di una salute invidiabile, si avvicinò a Sabrina, curando lentamente quel malessere dovuto ad un rito tutt’altro che comprensibile.
Ma la Capopalestra non sembrò curarsene più di tanto, nonostante avesse previsto anche questo.
«Non so altro, ma dovete unirvi, trovarvi, voi tre. Celebi ha messo delle informazioni nella tua testa, ma non posso tirarle fuori da te per adesso. Informazioni che nemmeno tu conosci, perché dovrai sfruttarle al momento opportuno senza darle al nemico troppo facilmente.» disse, riprendendosi lentamente.
«Nemico? Quale nemico?» Domandò Amelia senza capire, scambiando un paio di sguardi con la sua mentore, interrogativa.
Sabrina sorrise malignamente. «Non sono mica io l’eroina in questione.» Affermò con un certo accenno sadico, per poi fare un cenno all’Alakazam.
Questo, nel giro di pochi attimi, fu dinnanzi ad Amelia.
«Salutami il caro Saturno quando lo incontri. » Le disse allargando le labbra in un luminoso sorriso ironico e beffardo, come sempre troppo ambiguo per essere compreso.
«Alakazam, Teletrasporto.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** ~ Capitolo Tre ***


Note Autrice:
Mi scuso immensamente per il ritardo, ma ho dovuto traslocare :/
Annuncio che da oggi pubblicherò regolarmente ogni due settimane (sempre di Domenica) ma che non ho intenzione di abbandonare la storia, naturalmente! Grazie a chi continua a seguire, spero che questo capitolo dedicato completamente al gruppo BArry/Lucas/Lucinda/Ilenia possa piacervi!
Al momento sembrano ancora abbastanza "ingenui", forse passivi, ma dal prossimo le cose cominceranno a cambiare... non mi piace dare subito un gran vantaggio, sarebbe poco realistico.
PS. mi scuso se ci saranno degli errori, non ho avuto tempo di ricontrollarlo e lo farò domani... ma nel mentre non volevo farvi aspettare ancora ;)

~ Capitolo Tre

Le iridi chiare di Barry riflettevano lo scenario davanti ai suoi occhi, tutt’altro che rassicurante ad essere sinceri: due jeep con a bordo quasi una decina di reclute del Team Galassia ed una specie di piccolo carro armato tra le due, il tettuccio soprastante dal quale si mostrava il metà busto di una donna dai capelli rosa sgargiante.
E no, non aveva nulla di amichevole.
Al biondo si affiancò immediatamente Lucas, il quale strinse appena i denti nel notare che fin troppi Pokémon venivano liberati dalle sfere nemiche, sicuramente con intenzioni tutt’altro che positive. «A quanto pare la situazione è seria per davvero…» Bisbigliò quasi fra sé e sé, beccandosi un’occhiataccia da Barry. «Ma non mi dire! Quanta perspicacia tutta in una volta!»
Lo canzonò senza ricevere risposta, l’esuberanza che lasciava chiaramente trasparire una certa preoccupazione.
Dietro di loro, Ilenia stava lentamente scendendo dal letto ma sia lei che Lucinda vennero fermate da un gesto del moro, il quale gli faceva segno di non mostrarsi: meno volti venivano riconosciuti, meglio era.
La comandante del Team Galassia ordinò alle tre vetture di fermarsi davanti all’abitazione, dopodiché prese un megafono fra le mani e lo portò alla bocca, lo sguardo diretto ai due ragazzi affacciati alla finestra. «Sappiamo che nascondete la signorina Ilenia! Consegnatecela senza opporre resistenza e non vi verrà fatto nulla!»  Disse quella voce con un pizzico di ironia, tanto che Barry sbuffò apertamente, senza curarsi di essere visto.
«Per chi ci hai presi, per dei polli?! Non vi crederemmo neanche sotto pagamento!» Gli gridò, del tutto convinto di quanto avesse detto, mentre Lucas affianco a lui aveva già portato la mano alle Pokéball: avrebbero dovuto combattere, di questo ne era certo, e nessuno di loro si sarebbe tirato indietro.
La codardia non valeva la vita di un’amica.
«Vorrà dire che useremo le maniere forti, allora!» Gli gridò dal megafono, lanciando una sfera davanti a sé.
Da questa venne liberata una Skuntank di dimensioni maggiori rispetto agli standard e contemporaneamente altre reclute chiamavano la sua pre-evoluzione.
«Andate e costringeteli ad uscire!» I Pokémon ubbidirono immediatamente, dirigendosi all’entrata dell’abitazione e buttando giù la porta con un semplice colpo.
I ragazzi ebbero un sussulto a quel rumore piuttosto violento, sentendo uno zampettare tutt’altro che piacevole provenire dal piano terra.
«Dobbiamo fermarli!»  Barry era già sul piede di battaglia, ball alla mano, sin quando dalla porta della stanza, chiusa a chiave da Lucinda poco prima, non cominciò a farsi largo un odore pressochè insopportabile.
Si tapparono tutti il naso, avvicinandosi prontamente alla finestra: restare lì significava morire dentro ad una camera a gas, poco ma sicuro. «Dobbiamo salire sul tetto!»
Propose Lucinda, avvicinandosi rapidamente alla finestra.
«Ma così faremo il loro gioco, ci vedranno tutti!» Esclamò Ilenia, decisamente in ansia per quanto stesse accadendo: mille sensi di colpa la invasero,ma non aveva il tempo materiale per prestargli attenzione.
«Non abbiamo scelta, qui soffocheremo!» Lucas aveva già spalancato completamente la finestra, cercando qualche appiglio per poter salire.
«Vediamo di rallentare la puzza… Staraptor!» L’enorme uccello dalle striature bianche venne richiamato dalla sfera del biondino, cominciando a sbattere le ali affinché quel nauseante odore rallentasse la propria avanzata.
Ilenia prese sulle spalle il piccolo scoiattolino bianco ed azzurro ed altrettanto  fece Lucinda con il suo Piplup, anch’egli già sul piede di guerra e contrario all’idea di non poter affrontare gli avversari al pian terreno.
Le due ragazze si avvicinarono alla finestra nel momento in cui Lucas era riuscito a salire sul tetto. Tese la mano per aiutarle e Lucinda andò per prima, il pinguino ben stretto allo zaino mentre l’allenatrice saliva.
«Bene bene… uno… due… tre…» Contava ad alta voce la Comandante, le braccia incrociate sotto il seno mentre lo sguardo beffardo osservava i tre che si aiutavano vicendevolmente.
Non era aggressivo, il suo sguardo, eppure bastava per lasciar trasparire la ferrea determinazione che la caratterizzava.
Quando anche Ilenia si trovò finalmente sul tetto, i tre indietreggiarono dal bordo, osservando con scetticismo il piccolo esercito che si trovavano dinnanzi: anche con tutta la buona volontà del mondo, forse un Comandante e dieci reclute erano un po’ troppe.
«Cosa facciamo?» Domandò Lucinda tutt’altro che tranquilla, nonostante non avesse intenzione di tirarsi indietro. Teneva Piplup fra le braccia, il quale si lamentava per non poter andare all’attacco, contrariamente a Pachirisu che se ne stava sulla spalla di Ilenia senza accennare a far nulla.
Lucas aggrottò la fronte, prese due sfere dalla cintura e liberò i propri Pokémon: un Infernape ed un Kadabra, entrambi apparentemente tranquilli, fin troppo, ma era evidente dal loro sguardo quanto fossero già concentrati.
«Sei sicuro?» Domandò la mora, le sue iridi blu riflettevano i Pokémon avversari che uscivano dalle sfere uno dopo l’altro.
«No. Ma adesso c’è ben poco di sicuro. Kadabra, confusione sulla prima Jeep!» Il Pokémon psico si contornò di una luce violacea, lo sguardo si fece più attento eppure apparentemente lontano anni luce da quel luogo.
Immediatamente le reclute a bordo della vettura scesero da essa, in tempo sufficiente per non essere sollevate in aria assieme ad essa.
«Aereoassalto, Golbat!» Un enorme pipistrello bluastro si gettò a capofitto sul Kedabra, ancora concentrato in quella manovra, ma prima che potesse ferirlo Infernape spiccò un salto sufficientemente rapido per intromettersi nella traiettoria, contrastando quell’attacco aereo con un sonoro graffio.
La jeep venne sollevata leggermente da terra, quanto bastava per consentire al Kadabra di allontanarla bruscamente dalla posizione precedente con l’ausilio dei propri poteri psichici.
Non appena la luce violacea che contornava il profilo del Pokémon svanì, questo si concesse un attimo di pausa, cercando di riprendersi dallo sforzo di sollevare un oggetto di tale portata quando una sfera rapidissima lo colpì di striscio, facendolo cadere di lato.
«Protezione, Kadabra!» Gli ordinò Lucas, mentre contemporaneamente teneva sotto controllo lo scontro tra la scimmia infuocata e l’enorme pipistrello.
La barriera appena visibile si stava lentamente formando quando una seconda sfera trasparente, probabilmente un condensato d’aria fin troppo rapido, non era nuovamente diretto in quella direzione: fu una scarica elettrica, questa volta, a respingere il colpo, ed uno scoiattolino timoroso affiancato al grande Pokemon psico.
«Ottimo, Pachirisu!» Gli sorrise dolcemente Ilenia, ma con la giusta determinazione, tanto che il piccolo Pokémon riprese pian piano coraggio.
Kadabra lanciò un’occhiata torva al piccoletto, mentre il suo sguardo andava a fulminare di indignazione il Pokémon che lo aveva aggredito: un Bronzong, immobile davanti alla sua altezzosa allenatrice.
Inarcò un sopracciglio violaceo nel vedere come i tre si stessero preparando a lottare, consapevoli che probabilmente in quelle condizioni non se la sarebbero cavata facilmente.
«Non pensate di essere un po’ troppo giovani, per un suicidio, piccoletti?» Li canzonò con fare strafottente, fin troppo sicuro di sé, mentre ad una serie di Pokémon volanti era stato ordinato un attacco da alcune reclute.
Lucinda mise mano ad una ball, decisa ad intervenire accanto ai compagni: non sarebbe rimasta a guardare, con Ash aveva affrontato situazioni forse ben peggiori.
«No, chiama Togekiss.» Il moro non la stava guardando, eppure non gli era sfuggito nulla: per anni era stato l’assistente più fedele del Professor Rowan, aveva imparato come comportarsi in molteplici situazioni, a non lasciare nulla al caso.
La ragazza si fermò, osservandolo con espressione perplessa, mentre Piplup si opponeva a quell’interruzione con svariati verseggiamenti. «Perché? Mamoswine potrebbe distruggere una jeep molto più facilmente!» Si oppose, riprendendo l’idea di chiamare la Pokémon ghiaccio di dimensioni spropositate.
Fu in quell’attimo, però, che tre Pidgeotto avvisarono del loro attacco imminente contro la ragazza: erano lì, a pochi metri da lei, il becco che già si illuminava nell’allungamento per quel colpo. Le iridi bluastre si dilatarono, spaventate: anche richiamando un Pokémon, non avrebbe fatto in tempo a difendersi.
Restò impalata, pronta a subire chissà quali danni quando sentì una spinta allontanarla da quella posizione. «Lucinda attenta!» Caddero entrambe sulle tegole del tetto, mentre i tre uccelli proseguivano nella loro traiettoria, tornando verso l’alto e preparandosi per un nuovo colpo.
Lucinda si riprese subito , l’attenzione andò immediatamente a posarsi sulla compagna distesa a poca distanza da lei. «Ilenia…» Balbettò nel vedere una profonda ferita sul braccio dell’amica, il sangue che aveva cominciato a colare senza ritegno.
Ilenia tentò immediatamente di tamponarla con la manica dell’altro braccio.
«Ma no, non è nulla…» Strinse i denti per il dolore al contatto del tessuto con la pelle viva, ma prima che l’amica potesse arrabbiarsi per quel gesto sconsiderato, la voglia a forma di goccia si illuminò appena. Sgranarono entrambe gli occhi dinnanzi a quell’avvenimento del tutto inaspettato, poiché ciò che stavano vedendo aveva dell’assurdo persino in un mondo come il loro: il sangue si era fermato, aveva addirittura cominciato a risalire il braccio sino a rientrare all’interno del corpo, lentamente, la ferita che sembrava rimarginarsi grazie a chissà quale potere.
«Ma… com’è possibile…» Teneva il braccio disteso, lo sguardo ammaliato ed ipnotizzato da tale scherzo del destino.
E Lucinda, immobile accanto a lei, non poteva avere espressione più sconcertata.
«Voi due, spostatevi!» Urlò loro Lucas in un momento di calma nelle due lotte che stava fronteggiando, le due ragazze si ripresero immediatamente tornando alla realtà: si lanciarono uno sguardo d’intesa, consapevoli che tutto ciò che stavano vivendo celasse segreti tutt’altro che superficiali.
Una folata di vento passò loro dinnanzi, costringendole a chiudersi gli occhi mentre un lamento di volatili echeggiò nell’aria.
La poca polvere presente sul tetto venne spostata sgarbatamente altrove, consentendo alle due di notare i tre Pidgeotto scaraventati lontano da quella furia del vento.
«Così imparate ad aggredire delle ragazze, razza di polli di vecchio stampo!» Li denigrò Barry in sella al suo Staraptor, il quale verseggiava contrariato nei confronti degli avversari.
Altri Pokémon arrivavano da ogni dove, cominciando ad affollarsi ai piedi di quell’abitazione già praticamente invasa.
E mentre Lucinda aiutava Ilenia a rialzarsi, ancora ben poco convinte di quanto fosse accaduto, le iridi scure di Lucas  stavano già andando oltre: fissava intensamente ogni singolo rivale, mentre i suoi compagni di mille avventure lottavano nel tentativo di difendere quanto gli restava.
«Ehi, bell’addormentato! Nel caso non te ne fossi accorto, siamo in un bel guaio e dovremmo pensare a come agire!» Barry non aveva mezzi termini, per niente e nessuno: la sincerità, oltre alla sfrontatezza, era fra le sue migliori qualità e non esitava a sfoggiarla in modo del tutto naturale.
Tuttavia, dietro quell’espressione tanto determinata e talvolta esuberante si nascondeva un coraggio che chiunque gli avrebbe invidiato, oltre ad una piena fiducia in quello che era stato un suo rivale.
Perché sì, lui più di ogni altro conosceva l’insana sofferenza dell’essere il numero due, ma non per questo non avrebbe imparato ad apprezzare gli sbagli per migliorarsi: anche se, naturalmente, questo non lo avrebbe mai detto.
Lucas rifletté solo qualche attimo, per poi volgersi in direzione dell’amico ancora in volo.
«Prendi Ilenia.» Disse serioso, deciso, tanto da lasciare l’altro senza parole.
«Ma…» Le parole gli morirono in bocca nel momento in cui l’altro lanciò il medesimo sguardo a Lucinda: uno sguardo che non avrebbe ammesso repliche.
«Chiama Togekiss, dovete andarvene.» Non era un ordine, ma un caloroso consiglio.
Ilenia sbatté le palpebre, quasi sicura di non aver sentito bene, eppure in cuor suo la risposta era un’altra.
«Ci stai chiedendo di abbandonarti?» Tradusse letteralmente quel gesto, mentre Barry stringeva i denti: sempre nobile d’animo, Lucas, sempre pronto a mettere gli altri prima di se stesso.
Rabbia, certo, forse invidia. Ma la stima continuava a crescere, assieme alla consapevolezza.
«No, vi sto chiedendo di proteggere qualcosa di più importante.» E lo sguardo continuava ad essere penetrante, maledettamente penetrante.
Lucinda balbettò qualcosa, sin quando Barry non condusse il suo Staraptor sino al tetto ed afferrò Ilenia per la vita, portandola a bordo del volatile.
«Ma… Barry! Lasciami!» Gli disse dimenandosi, mentre Lucinda sembrava ancora indecisa.
«Non c’è altra scelta, andiamo!» Disse in direzione della mora, la quale lentamente richiamava Togekiss fuori dalla ball.
Vi salì poco dopo, estrasse un’altra sfera ma ancora una volta Lucas la fermò.
«No, a voi servirà più aiuto di me…» Uno scambio di sguardi fra lui ed il biondo bastò, senza bisogno di dirsi altro: perennemente rivali, perennemente in competizione, ma capaci di mettere da parte tutto questo per qualcosa di molto più profondo.
Lucinda salì sul dorso del proprio Pokémon a malincuore, Piplup stretto fra le braccia poiché non sembrava intenzionato ad abbandonare il campo di battaglia.
Pachirisu, al contrario, si guardava bene dal mollare la presa dalla borsa della sua allenatrice.
Una volta che i tre cominciarono ad allontanarsi, Lucas richiamò un terzo Pokémon fuori dalla sfera: Clefable, evolutosi da poco ma già perfettamente in sintonia con un allenatore piuttosto esperto.
«Dove pensate di andare, ragazzini?» Giovia non sembrava della stessa opinione dei ragazzi, difatti non esitò ad ordinare un attacco nei confronti dei due Pokémon che si stavano allontanando in volo.
Tuttavia, Lucas non aveva compiuto una mossa casuale:  non sapeva per quale motivo, ma Ilenia era importante. E avrebbe fatto qualsiasi cosa perché quel destino sia avverasse, a costo di mettere in pericolo la vita.
«Coro.» La Pokémon di un rosa antico acconsentì, socchiuse appena le iridi e giunse le mani in grembo.
Cominciò ad intonare una canzone, note che volavano dirette verso avversari tutt’altro che dolci: improvvisamente si quietarono, si videro costretti ad indietreggiare, retrocedere, concedere a quei tre di allontanarsi quanto bastava per essere irraggiungibili.
«Non mollare!» La incitò Lucas, mentre la sua compagna cominciava già a cedere: una mossa appresa da poco ma soprattutto molto faticosa, se estesa in tal modo.
Anche Kadabra ed Infernape non mollarono, continuando a lottare con quante forze avessero in corpo, almeno sino a quando un sonoro terremoto non destabilizzò tutti i presenti, tuonando nell’intero paese: e le macerie di case e negozi andarono ad ammassarsi le une sulle altre.
 
(…)
 
Staraptor cominciava ad essere un po’ troppo affaticato, il peso di due persone ed un Pokémon gravavano fin troppo sulle sue maestose ali.
Ma stringeva il becco, si tratteneva dal mostrare la fatica, mentre accanto a lui volava un Togekiss piuttosto affranto.
«Non dovevano lasciarlo… è stata un’imprudenza, gli faranno del male!» Ilenia non era ancora convinta di quanto fosse accaduto, ma soprattutto non dava pace a se stessa.
Come aveva potuto permettere che un amico si consegnasse al nemico tanto facilmente?
«Stai dando per scontato che io non riuscirò a proteggervi?» Scherzò Barry, anche se naturalmente il suo orgoglio doveva manifestarsi, prima o poi. «Dovrei multarti, per un insulto del genere!» Continuò gesticolando.
Il volatile fece una brusca sterzata, quasi avesse perso quota per un attimo, tanto che i due dovettero aggrapparsi al suo piumaggio quasi d’istinto.
«Ehi, tutto bene?» Gli domandò l’allenatore, abbandonando la diatriba.
«Sembra molto affaticato, Barry… Dovremmo fermarci.» Propose Lucinda, l’espressione ancora piuttosto abbattuta dipinta sul volto: non era la prima volta che avevano a che fare col Team Galassia e non era certamente la miglior combriccola con cui avere a che fare.
Lucas era in gamba, certo, ma lo era tanto quanto la cattiveria dei loro avversari.
«Se ci fermiamo potremmo perdere il vantaggio che abbiamo!»
«Ma non possiamo nemmeno far sfiancare Staraptor!»
«E’ abituato, ci siamo allenati parecchio!»
«Questo non ti dà l’autorizzazione a sfinirlo!»
«Ehm ragazzi…» tentò Ilenia.
«Ehi il Pokémon è il mio, non ci mettere becco!»
«E’ una creatura come le altre, và trattata con giudizio!»
«Ragazzi, sul serio, è meglio che…» ma niente da fare, i due non l’ascoltavano.
Continuavano la loro diatriba, mentre Ilenia sembrava essere stata l‘unica a rendersi conto di un fenomeno tutt’altro che normale che era accaduto davanti a loro: un paio di scariche, apparentemente fulmini ma dall’entità del tutto sconosciuta, erano scaturite dal cielo sino a colpire un punto particolare di un boschetto sotto di loro.
«Staraptor, meglio scendere…» propose la mora, accarezzando dolcemente il piumaggio del volatile.
Il Pokémon non se lo fece ripetere due volte e scese immediatamente, contrariamente alla volontà del suo allenatore.
«Ehi, io non ho detto nulla!» si lamentò il biondo, provocando una smorfia sul volto di Lucinda, che incrociò le braccia sotto il seno.
«Ecco il grande allenatore che si fa ascoltare dai suoi Pokémon…» Lo canzonò, per poi ricominciare quel battibecco quasi immediatamente.
Ilenia si limitò a sospirare mentre scendevano lentamente, sino ad addentrarsi in quel boschetto non troppo fitto.
I due Pokémon volanti vennero richiamati nelle sfere, dando quindi il tempo ai tre di guardarsi intorno.
«Bene, siamo scesi. Ma ora dove si va?» Effettivamente nessuno di loro tre aveva un’idea precisa del dove dirigersi, motivo per cui si limitarono a rimanere fermi per qualche attimo, vicini, in silenzio.
Solo il frusciare delle foglie.
«Non abbiamo nemmeno idea di chi cercare per farci aiutare… e nemmeno un luogo sicuro dove ripararci.» Constatò Lucinda con un groppo alla gola, decisamente l’ansia non avrebbe giovato nessuno di loro in quei momenti. «Senza contare che non sappiamo nemmeno il motivo di tutto questo, della tua voglia e quant’altro!»
Barry non era il top nel migliorare la situazione, tanto che le due ragazze si lanciarono un’occhiata tutt’altro che consolatoria in quell’attimo.
Sì, erano decisamente in un bel guaio.
«Voglia?» La voce che attirò la loro attenzione proveniva da dietro un albero, dietro il quale si scorgeva una figura femminile.
Occhi chiari, capelli lunghi e biondi, ed il musetto di una Roselia immobile sulla sua spalla.
Si osservarono per qualche attimo, diffidenti quanto sospettosi, sin quando Barry non si portò davanti alle due amiche.
«Come fai a sapere della voglia? Chi sei? Ci hai forse seguiti?!» La tempestò con un tono tutt’altro che amichevole: sentiva una strana pressione salirgli dall’interno, l’ansia di non poter essere ciò che avrebbe voluto, di non essere in grado di difenderle come era suo compito.
Lo sapeva, che non fossero due ragazze indifese, ma il suo orgoglio voleva convincerlo che fosse indispensabile.
Amelia rimase con le labbra dischiuse dinnanzi a quella reazione particolarmente esagerata, senza riuscire a rispondere prontamente: pensava che Sabrina l’avrebbe condotta dinnanzi a degli alleati, forse amici, non a persone pronte a darle addosso.
La situazione rimase tesa e quasi imbarazzante per qualche attimo, sin quando un sonoro schiaffo non colpì in pieno il povero Barry. «Sei il solito idiota!» Lo ammonì Lucinda tutt’altro che amichevole, facendo un passo in avanti.
«Lei è Amelia, è l’altra ragazza che è stata cacciata da una palestra e che suppongo c’entri con questa storia…» Azzardò, volgendole uno sguardo indagatore, ma soprattutto incuriosito.
La bionda si fece coraggio, mostrandosi completamente ed avanzando di un passo.
«Sì, sono io… Tu dovresti essere Ilenia, giusto?» Domandò volgendo lo sguardo alla mora, rimasta in disparte sino a quel momento.
L’altra annuì, entrambe si osservarono come avessero davanti un alieno, oppure un loro simile fin troppo vicino: erano state travolte da un uragano di eventi senza che potessero prenderne il comando, ed in quello sguardo compresero di capirsi più di ogni altro.
«Io… credo di dovervi dire delle cose, a riguardo. So che…»
«Bene. Molto bene.» Ad interromperli fu una voce maschile, ancora dispersa nella selva tanto da non essere individuata.
D’istinto Roselia creò una barriera protettiva attorno ad Amelia, mentre gli altri tre si avvicinarono l’un l’altro, coprendosi le spalle, pronti a reagire.
«Un teletrasporto in grado di portare una persona a diversi chilometri di distanza, addirittura con un altro Pokémon appresso, non può che appartenere ad un Alakazam degno di tale nome… e conosco soltanto una persona che ne possiede un esemplare del genere.»
Due lacci erbosi tentarono di afferrare Amelia ma la barriera la protesse, nonostante il contraccolpo la costrinse ad avvicinarsi ulteriormente agli altri tre.
Erano soli, lì in mezzo, in un luogo che non conoscevano.
Soli, senza avere uno straccio di informazione.
Udirono dei passi avvicinarsi e solo pochi attimi dopo si accorsero di essere circondati da un manipolo del Team Galassia: armi alle mani, sguardi fin troppo freddi.
Strinsero i denti, lo sguardo che vagava in cerca di una via di fuga, una qualsiasi, sin quando non andarono a focalizzarsi su un’unica figura: un uomo piuttosto giovane, i capelli blu e lo sguardo severo.
«Comunicazione di servizio: siete nei guai.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** ~ Capitolo Quattro ***


~ Capitolo Quattro
 
Erano accerchiati, uno più intimidito dell’altro.
Spalla contro spalla, tutti e quattro i ragazzi cercavano di trovare una soluzione a quella situazione tutt’altro che piacevole: quattro reclute del Team Galassia li fissavano, con alcuni Pokemon affianco, mentre Saturno andava lentamente palesandosi dai cespugli.
Uno sguardo fermo, rigido, impenetrabile.
Iridi ghiaccio che parevano intenzionate a fulminare letteralmente chiunque avesse davanti.
«Verrete tutti e quattro catturati e processati, questo mi sembra ovvio.» Affermò pacato, prima che Barry esplodesse rabbioso.
«Io non mi faccio catturare da una mezza checca, chiaro?!» Sbraitò irritato, ricambiando quell’intenso sguardo. «E poi, processati per cosa? Qua i criminali siete voi!» Continuò ad inveirgli contro, beccandosi un calcio nelle stinchi da Lucinda.
«Barry, non peggiorare la situazione, stupido!» Lo rimproverò, per quanto non potesse che essere d’accordo con l’amico.
Il Comandante non fece una piega, se non inarcare un sopracciglio sentendosi dare della “checca”, probabilmente per la voce fin troppo dolce per essere quella di un uomo, ma la corporatura ben definita lasciava chiaramente intuire tutt’altro.
«Si dà il caso che voi stiate proteggendo una ricercata ed una esiliata. I criminali, dunque, siete voi, e come tali verrete consegnati alla Giustizia Suprema.» Sentenziò cauto e glaciale, con quell’autorità decisamente superiore rispetto alla collega Giovia, incontrata poco prima.
Ilenia sbatté le palpebre, appena perplessa da tali parole: quel nome non le risultava nuovo, l’aveva sicuramente letto in un qualche volume della biblioteca.
«La Giustizia Suprema… è stato destituito da decenni, quel tribunale!» Esclama portando le iridi nocciola al Comandante del Team Galassia, quasi a chiedere spiegazioni, mentre gli altri tre ascoltavano perplessi.
«Non dovrebbe nemmeno più esistere…» Bisbigliò infine, abbassando lo sguardo, quasi a rifletterci: era un tribunale illegale, istituito per condannare i maggiori esponenti dello stato, torturarli e rinchiuderli affinché nessuno più li trovasse.
Allenatori così come Pokemon.
Un sorriso sghembo comparve sul volto maturo del Comandante, il quale s’allontanò una ciocca di capelli azzurri dal volto con un gesto rapido ma tremendamente elegante.
«Non esiste per chi vuol credere che non esista.» Rispose enigmatico, lasciando perplessa Ilenia così come gli altri.
«Ehi non cambiare discorso! I criminali secondo le leggi di Sinnoh siete voi e su questo non ci piove!» Intervenne di nuovo il biondo, stanco di quel battibeccare su insensatezze.
Ma mentre lui si scaldava, pronto ad un imminente scontro, le ragazze non poterono che scambiarsi una serie di sguardi preoccupati: dunque non c’era soltanto il Team Galassia a portare scompiglio, ma addirittura era stato rimesso in attività un tribunale illegale che aveva la fama di mietere vittime e misteriose scomparse come non mai.
Saturno volse uno sguardo al ragazzo, uno sguardo profondo, quasi a studiarlo, anche se con aria vagamente superiore.
«La tua voce è insopportabile, te l’hanno mai detto? Non staresti male con un bel bavaglio…» E fece un cenno ad una recluta di avvicinarsi e procedere.
«Ehi ma hai mai sentito la tua, di voce?!» Ricambiò l’altro, estraendo una sfera.
«Non mi toccherete! Anzi, non toccherete nessuno di noi! Empoleon, Hitmonlee!» richiamò i propri Pokemon fuori dalla sfera, dando quindi inizio ad un possibile scontro.
I due si schierarono davanti al ragazzo, che già ardeva per la battaglia imminente e così anche le ragazze si prepararono: Lucinda richiamò Ambipom, decisamente adatto alla lotta in un ambiente boschivo, mentre Ilenia si lasciò affiancare da una elegantissima Espeon.
Le quattro reclute si erano posizionate, ognuna ad affrontare uno dei Pokemon appena richiamati.
Amelia si guardò indietro per osservare il fare degli altri, ancora protetta dalla barriera della Roselia che le stava sulla spalla, sin quando Saturno non le si presentò a meno di un metro di distanza.
Freddo, impenetrabile, uno sguardo che non lasciava intuire nulla.
«Potrei evitarti qualche spiacevole interrogatorio, se tu mi dicessi dove si trova Sabrina in questo preciso momento.» Una provocazione, un ricatto, una sfida contro quella paura che l’assillava dal momento esatto in cui era venuta a contatto con quella voglia.
Rimase in silenzio per un attimo, non poteva indietreggiare poiché gli altri ragazzi –a lei sconosciuti- stavano combattendo.
Era una strega vera e propria, quella Sabrina. Si era presa la sua maestra senza la minima remora, aveva cercato di farle prendere un infarto per tutta la durata del tempo trascorso in quella dannata Torre e non sembrava minimamente interessata alla sua causa, se non sotto compenso.
Eppure si fidava, dannazione. Si fidava.
«No.» Affermò con quanta decisione le riuscisse in un simile momento. Lo sforzo per la Roselia cominciava ad essere un po’ tropo, nel mantenere perennemente quella difesa.
Ma Saturno aveva tempo, tutto quello necessario pur di far cedere quella biondina troppo prosperosa: sorrise, di nuovo, ironicamente, con l’espressione di chi la sa lunga.
«E’ nobile che tu voglia proteggere quella che tu credi un’alleata… ma vedi, Sabrina è una torturatrice.» Cominciò, avanzando appena di qualche passo in sua direzione, cautamente, con sufficienza.
«Ti avrà dato informazioni preziose, lei che sa più di quanto dovrebbe… eppure, se non ricordo male, lei pretende sempre un prezzo. Per tutto.» E sottolineò quella parola con tale amarezza che quasi sembrò una condanna, il cuore di Amelia perse un consistente battito.
Ma rimase calma, se lo impose: voleva metterla in dubbio, farla cedere, era sicuramente un trucchetto nel quale lei non sarebbe cascata.
«E ciò che tu le hai dato in cambio non tornerà da te. Non integro almeno.» Di nuovo scandiva quelle parole con una precisione ed una freddezza degne di nota.
Amelia esitò a rispondere, ancora. Sembrava maledettamente sincero ed il solo ricordo di quella stramba figura non faceva che dargli ogni ragione.
«Come puoi dire questo?» Ebbe il coraggio di chiedergli, una sorta di prova.
Lui allargò appena il sorriso ironico, consapevole di essere vicino alla sua meta.
«Sono stato una delle sue vittime.» Affermò serio, un tono appena affranto, o meglio, velato di un freddo sadismo.
Come capire se quella fosse o meno una menzogna?
Eppure Sabrina le aveva detto, poco prima di farla teletrasportare, di salutarle proprio lui, Saturno, come se lo conoscesse… dunque un legame, fra i due, doveva esistere.
«Cosa scegli, dunque, ragazzina?» Le domandò schiettamente, riportandola alla realtà, lontana da quei pensieri e soprattutto dal volto della sua maestra: tranquillo, semplicemente tranquillo.
Che sapesse già a cosa andava incontro?
E se sì, perché aveva accettato? Perché conosceva Sabrina ed i suoi modi?
«Scegli di proteggere una strega senza anima né cuore, oppure di ammortizzare quella condanna impressa sul tuo collo?»
Era chiara la decisione da prendere, non altrettanto scontata la risposta.
La barriera la protesse da un getto d’acqua violento, causato dall’Empoleon di Barry che aveva appena messo fuori gioco un Pokemon ragno avversario. Espeon faceva volteggiare un Golbat a mezz’aria grazie alla propria psiche, mentre Ambipom si ritrovava a doversi riparare tra gli alberi per non essere colpito.
Una battaglia senza esclusioni di colpi.
Amelia inspirò profondamente un paio di volte, socchiuse le iridi e quando le riaprì il suo sguardo era determinato, puntato in quelle iridi cerulee.
«Scelgo di lottare per ciò in cui credo.»
E si tappò il naso immediatamente.
«Roselia, sonnifero!»
 
(…)
 
La luce era soffusa, bassa, segno che quel luogo si trovasse molto probabilmente nei sotterranei di qualche palazzone o qualcosa di simile, forse addirittura in una grotta o in una miniera: un luogo che, comunque, sarebbe stato molto difficile individuare dall’esterno.
Unico oggetto presente era un grande tavolo, lungo un paio di metri, al quale erano seduti diversi individui tra i più forti di tutta Sinnoh.
A capotavola, un uomo dai capelli blu scuro e gli occhi del medesimo colore aveva cominciato a parlare con voce profonda e forte, segno di una autorità che non andava assolutamente ignorata, la divisa grigiastra ed una “G” sul petto non potevano che enfatizzare tale posizione.
«Come vi ha anticipato Ferruccio, il tempo stringe. Secondo quanto stabilito dalla Leggenda, il Cuore di Sinnoh dovrebbe risvegliarsi nella seconda fase lunare, ovvero tra otto giorni precisi.» Spiegava con fermezza, lanciando solo un’occhiata rapida all’uomo seduto all’altro capo della tavola: capelli mogano, occhi di un viola scuro ed un mantello marrone a coprire la muscolatura degna di un grande lavoratore. Affianco a lui sedeva il figlio di cui andava tanto fiero, Pedro, anch’egli Capopalestra.
«Abbiamo individuato i tre Portatori, che dovrebbero a breve cadere nelle nostre mani… e sarà meglio non lasciarceli sfuggire, dico bene?» Lanciò un’occhiata ben poco rassicurante alla Capopalestra alla sua destra, Gardenia, la quale palesò una semplice smorfia e distolse lo sguardo da lui, quasi a non riuscire a reggerlo completamente.
«Temo sia sorto un imprevisto, Cyrus.» Asserì Omar con una certa noncuranza, la schiena completamente appoggiata alla sedia e le mani dietro la nuca, in una posa del tutto tranquilla e quasi disinteressata.
«Per quanto i tre Superquattro rimasti siano favorevoli alla cattura del terzo, Vulcano, la Campionessa non si è ancora espressa… potrebbe metterci i bastoni fra le ruote così come appoggiarci, non possiamo saperlo.» Fece notare con un certo acume, accarezzando distrattamente il Floatzel fedelmente al suo fianco.
Il Capo del Team Galassia parve rifletterci qualche attimo, prima di accennare ad un vago sorriso ironico, di chi ha già in mente come procedere, un obiettivo ben definito.
«E’ il caso di andarle a fare una visitina, allora…» Affermò, volgendo il capo alla sua sinistra, dove Plutinio prendeva silenziosamente nota di quanto venisse detto, affiancato da una figura femminile.
«Plutinio, Bianca, perché non andate ad esporre le nostre nobili intenzioni alla Campionessa Camilla?» Lasciò intuire i metodi e gli obbiettivi di quella visita, naturalmente.
Lo scienziato ricambiò il sorrisetto e annotò alcune cose, in perfetto accordo con il Capo, mentre al suo fianco la Capopalestra di Nevepoli pareva alquanto contrariata: il capo abbassato, le mani strette in due pugni, le intenzioni ben lontane da quelle della nuova organizzazione in atto.
«Devo dedurre che tu abbia un’idea differente, Bianca?» Le domandò esplicitamente, ma lei non cambiò né espressione né postura, rimanendo chiusa nel proprio conflitto interiore più che evidente: non erano affatto buone, le loro intenzioni, e lei lì dentro sembrava l’unica ad esserne consapevole.
Non rispose, ma Cyrus non lasciò correre altro tempo.
«O forse l’incolumità della tua amichetta non è poi così importante, per te?»
Alzò immediatamente lo sguardo freddo, puntandolo verso di lui con determinazione: potevano toccarle qualsiasi cosa, ma non Zoey.
E lei sapeva benissimo che quello fosse un terribile ricatto, che aiutare l’attuale Team Galassia nonché tribunale della Giustizia Suprema non fosse la cosa giusta da fare… ma temeva troppo per l’incolumità della propria amica, di cui non aveva notizie da alcuni giorni.
E l’unico modo che aveva per proteggerla era di acconsentire a quella brutalità.
«No. Farò quanto dici.» Asserì non troppo convinta, ma con la giusta fermezza che la caratterizzava.
Cyrus palesò un sorriso soddisfatto, scambiando un cenno di assenso con lo scienziato alla sua destra, conscio di avere la situazione in pugno.
«Molto bene.» Esordì dopo qualche minuto di silenzio. «Confido che quelle due ragazzine vengano presto recuperate dai tre Comandanti, dunque l’ultimo tassello che ci rimane è il Superquattro Vulcano…» Introdusse rapidamente l’argomento, prima che Pedro intervenisse.
«Una squadra lo sta già cercando, perdiamo le sue tracce a Monte Corona però… sembra che qualcuno si sia intromesso nella sua fuga.» Spiegò brevemente.
«Un ordine che non proveniva da noi.» Precisò Cyrus, pensieroso. Evidentemente quel “qualcuno” non doveva essere loro alleato… ma probabilmente nemmeno di Vulcano, considerando che sul terreno vi fossero segni di una lotta furiosa.
Curiosa e scomoda situazione, decisamente.
«Non andrà lontano. Recuperiamo le altre due Portatrici e rechiamoci al luogo dell’evocazione…» Gli sguardi furono portati su di lui, su quell’espressione soddisfatta, che già assaporava la vittorina. «…il nostro tempo è ormai giunto.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** ~ Capitolo Cinque ***


Note Autrice:
Spero di non impiegare più tutto questo tempo per un solo capitolo, purtroppo l’ispirazione era andata a farsi benedire!
Dunque, l’ho fatto più lungo ed ho inserito quattro momenti diversi, riprendendo situazioni e personaggi che avevo momentaneamente tralasciato.
E’ un capitolo che introduce gli avvenimenti del prossimo, dove si farà più chiarezza sulla storia in generale, anche se qui già ci sono vari indizi.
Buona lettura!


 
~ Capitolo Cinque
 
 
Abomasnow era a terra esanime, il suo corpo gelido aveva inspiegabilmente cominciato a riscaldarsi dopo quel Rogodenti di una potenza esorbitante.
A non molta distanza, un Rotom terrorizzato era corso dietro al proprio allenatore piuttosto in carne, il quale indietreggiava anch’egli con un certo timore, gli occhiali tondi che saltellavano sulla punta del naso per via dei brividi che lo percorrevano.
C’era un motivo, in fin dei conti, se quella era la Campionessa.
«Dannazione…» Bisbigliò a denti stretti l’uomo, soprattutto nel rendersi conto che l’arena dove avevano combattuto era stata chiusa ad ogni uscita nel momento esatto in cui vi avevano messo piede.
E lo sapeva, lo sapeva benissimo che il loro capo non avrebbe tollerato una simile sconfitta… e soprattutto che una del calibro di Camilla non si schierasse dalla loro parte.
Ma potevano anche solo sperare che una paladina della giustizia come lei si sarebbe davvero sottomessa? Era preparata a quel combattimento, lo era da molto tempo: quando i tre Superquattro avevano tradito la regione, la bionda Campionessa aveva provveduto a mettere in salvo il salvabile già dall’inizio – con un discreto successo, tra l’altro, se il team Galassia era arrivato a lei con così largo ritardo.
Dal canto suo, Bianca aveva i denti stretti per la rabbia e a fatica tratteneva le lacrime: no, non era di certo per quella sconfitta, se l’aspettava, quanto piuttosto per le conseguenze che avrebbe avuto… conseguenze che lei, ora, non aveva più modo di evitare.
Era inginocchiata accanto al suo Pokémon, il capo basso quanto le due trecce nere, sin quando non sentì sbattere violentemente un paio d’ali accanto a sé e qualcuno posarsi sul terreno, proprio alle sue spalle.
Non aveva il coraggio di guardarla nemmeno in volto, da tanta era la vergogna che provava: nonostante tutto si era schierata con quei pazzi, nonostante l’esser sempre stata a favore della giustizia aveva finito per combattere contro di lei, contro di loro.
Loro, i suoi amici, i suoi compagni di una vita.
La sentì avvicinarsi ma ancora non si mosse, si aspettò qualcosa, qualsiasi cosa: uno schiaffo, un insulto, persino un attacco di quel Garchomp apparentemente imbattibile…
Ma nulla arrivò, nulla la sfiorò, dunque si fece forza e voltò appena gli occhi nocciola davanti a sé, vedendo soltanto una mano tesa nella sua direzione.
Ed un sorriso appena accennato sul bel volto della Campionessa – non si scomponeva mai troppo, dopotutto.
«Andiamo a salvare Zoey.» Sgranò gli occhi sentendo quelle parole, un’espressione stupita e al contempo colma di gratitudine le inondò il volto: aveva capito, aveva capito da subito.
«Grazie…» Riuscì soltanto a bisbigliare, prendendo la mano dell’altra e rialzandosi, faticando a trattenere una misera lacrima di commozione – era pur sempre la Capopalestra ghiaccio, più di tanto non si poteva pretendere.
«B-Bianca, che diavolo fai? Stai tradendo Cyrus?!» Le inveì contro il vecchio scienziato, beccandosi un’occhiata decisamente tagliente da parte di entrambe.
«Ti correggo, Plutinio: state tradendo Cyrus.» E sottolineò quel plurale con una certa freddezza, lasciando quindi intendere che no, il vecchio non l’avrebbe passata liscia e soprattutto – volente o nolente – avrebbe collaborato con loro contro la stessa causa che lo aveva condotto lì.
Sbiancò.
«Garchomp, Falsofinale.»
 
 
….
Urla, polvere, dolore.
E poi il buio.
Ecco cosa ricordava poco prima di essere colpito quasi in pieno da un Aeroassalto, in quel combattimento dove la sua bravura, nel bene o nel male, non avrebbe potuto comunque tener testa ad un‘esagerata superiorità numerica.
«Lucas!» Una voce apparentemente lontana lo richiamava, ma era ancora troppo stordito per riconoscerla o considerarla reale. Si portò una mano alla tempia ma quelle fitte non sembravano dargli tregua.
«Lucas, allora, ti vuoi riprendere o no?!» Era una voce femminile, forte, decisa.
Cercò di muoversi e ottenne come unico risultato quello di cappottarsi giù da una sorta di brandina malridotta, ritrovandosi quindi con il volto sul freddo pavimento.
Ma quel momento servì a risvegliarlo quasi completamente, tanto che si mise immediatamente seduto, guardandosi attorno anche se ancora intontito.
E poi la vide, una chioma arancione ed una smorfia evidente, proprio al di là di quelle che sembravano sbarre.
«Buongiorno eh!» Lo ammonì con un accento vagamente scherzoso, salutandolo con un gesto della mano.
Lucas impiegò qualche attimo per focalizzarla, per poi alzarsi lentamente e con una certa fatica.
«Zoey? Tu cosa…» Ma venne interrotto immediatamente, la ragazza sembrava non avere poi molto tempo da perdere – forse perché in quel buco buio ne aveva passato fin troppo.
«Sono stata rapita dal Team Galassia, mi usano come ricatto verso Bianca. E’ abbastanza frustrante, quindi vediamo di trovare una soluzione per uscire di qui oppure…» Si morse un labbro, volgendo lo sguardo altrove.
Il ragazzo non poté non notare un simile atteggiamento, motivo per cui avanzò qualche passo verso di lei, in un misto di perplessità e timore.
«Oppure?» La incitò, mentre Zoey si stringeva tra le braccia, come se profonde angosce la stessero avvolgendo.
«Oppure finiremo come la Professoressa Aralia. Torturati a sangue.» Asserì con voce rotta, lo sforzo per trattenere una rabbia immensa era piuttosto evidente.
Lucas sgranò gli occhi.
«Se l’hanno rapita, vuol dire che…»
«Sì, che lei sa cosa diavolo stia succedendo.» Lo precedette, anche se il volto del ragazzo pareva perso in altri pensieri.
«O forse sa come fermarlo…» Bisbigliò quasi parlasse tra sé e sé, riacquistando la più completa attenzione dell’altra prigioniera. Non sapeva dire da quanto tempo fosse rinchiusa lì dentro, l’assenza di luce aveva una quantità non indifferente di effetti collaterali.
«Cosa?» Ripeté sbigottita, non avendo pensato ad una simile eventualità.
Dopotutto, se Lucas era l’assistente di un rinomato professore un qualche motivo c’era, no? Il problema sarebbe sorto se lo avessero utilizzato come ricatto, conoscendo il buon cuore del suo mentore.
«Ci sono altri prigionieri oltre a noi?» Domandò, ma Zoey si vide costretta a scuotere contrariamente la testa.
«Non ne ho idea, non ho visto nessun altro da quando sono qui… anche i pasti, me li portano sempre quando dormo. Senza contare che non ho idea di cosa abbiano fatto ai miei Pokémon…» Aggiunse spazientita, rendendo Lucas consapevole di essere nella medesima situazione.
Cominciò a guardarsi attorno, sperando in un miracolo, in un segno, qualsiasi indizio che potesse aiutarli ad uscire di lì, anche se privati di Pokémon, zaini e quant’altro sembravano poter davvero poco contro quelle sbarre e quel luogo sconosciuto.
Un’ombra cominciò a farsi avanti a poca distanza da loro, non sapevano dire da dove venisse, né cosa fosse, tanto che istintivamente entrambi indietreggiarono all’interno delle loro celle, incapaci di reagire in una situazione del genere.
Un passo, due passi, tre passi.
La figura era slanciata e sicura, le iridi blu brillavano di luce propria tra le tenebre.
L’espressione decisamente attonita di tutti e tre i presenti fu inevitabile.
«Jessie?» Domandò Lucas, mentre la donna dai lunghi capelli viola palesava una smorfia evidentemente scocciata.
«Bambocci?!» Sembrò quasi inveire, roteando le iridi al soffitto.
«Ho fatto tutta questa fatica per trovare voi? Possibile che siate sempre tra i piedi?!» Sbottò ancora, lanciando un’occhiata truce ad entrambi i prigionieri.
«A tal proposito avrei qualcosa da ridire…» Commentò sarcasticamente Zoey, beccandosi l’ennesima occhiataccia ed un insulto che venne prontamente anticipato da Lucas, già lungimirante sulla situazione.
«Ferme ferme, non è il momento! Cosa ci fai qui?» Domandò alla Rocket, la quale esitò a rispondere per un attimo, divenendo improvvisamente seria.
«Non vi riguarda.» Rispose secca, con tutte le intenzioni di voltargli le spalle ed andarsene da lì – in fondo cosa le importava di quei due? Assolutamente nulla.
«Ci riguarda eccome, visto che stai cercando qualcuno nella nostra stessa situazione!» Si bloccò nell’udire quelle parole, lentamente tornò a volgere lo sguardo al ragazzo, in un misto di stupore ed irritazione.
«Ma come…»
«Non hai la divisa del Team Galassia e ti sei evidentemente infiltrata qui di nascosto, non puoi essere dei loro. Stai cercando qualcuno.» Spiegò brevemente quella serie di intuizioni, costringendo Jessie a rimanere fissa sul suo sguardo.
Inarcò un sopracciglio, aveva capito dove volesse andare a parare.
«Non sono neanche dei vostri, se è quello che intendi.» Frecciò con una punta di acidità, l’irritazione cominciava ad essere un po’ troppa.
«Ma non ti è mai piaciuto lavorare da sola, no?» La provocò ancora, con quel tono fermo e deciso che in realtà non lasciava molto spazio all’ironia.
Aveva capito, doveva concederglielo.
James.
Un silenzio tombale cadde per qualche attimo, sin quando la donna non palesò uno sbuffo sonoro.
«Yanmega, Eterelama.» Ordinò secca ed un Pokémon coleottero di una certa stazza si palesò d’improvviso alle sue spalle, provvedendo a tagliare di netto le sbarre di quelle due celle.
Ma non si era scomposta, Jessie, pareva serbare un rancore ancora fin troppo profondo nonostante la situazione… eppure era altrettanto consapevole con quei folli del Team Galassia non c’era da scherzare, se quei bambocci avessero potuto esserle utili ne avrebbe certamente approfittato.
Tanto erano comunque troppo idioti e troppo onesti per fregarla o abbandonarla!
«Se rimanete indietro sono affari vostri.» Tagliò corto prima di voltargli le spalle ed incamminarsi per un corridoio buio.
Zoey e Lucas si scambiarono semplicemente uno sguardo d’intesa, per poi seguire la Rocket senza troppa esitazione: la situazione era decisamente drammatica, qualsiasi collaborazione sarebbe potuta essere utile.
 

Riaprì gli occhi di colpo, ritrovandosi seduto su quello che era un morbido letto di un rosa pallidissimo. Aveva male un po’ ovunque, i muscoli erano stati sforzati più del dovuto, eppure sul suo corpo non v’erano segni di maltrattamenti o simili… ma allora come diavolo era stato portato fin lì?
«Ben svegliato, bell’addormentato.» E quell’affermazione ricca di una sfrenata ironia fu l’immediata risposta a tutti i suoi quesiti, tanto che una smorfia si palesò istintiva.
Incredibile come una voce tanto angelica potesse portare ad altrettanta irritazione.
«Col Teletrasporto si fa molta meno fatica, vero Lady?» Ricambiò la frecciata massaggiandosi il polso, quasi a controllare di avere ancora tutto a posto, diffidente come non mai.
No, decisamente non si fidava, né si sarebbe mai fidato di qualcuno con poteri paranormali e che viveva in una torre passando le giornate a dormire o a straparlare.
Ma immediatamente un pensiero gli balenò nell’animo, tanto che volse di scatto il capo in direzione della Superquattro di Unima, la quale si stava tranquillamente pettinando i lunghi capelli.
«Sì, i tuoi Pokémon stanno bene. Non farò loro alcun male.» Lo precedette, provocando in lui un certo nervosismo oltre al sospetto che quella piccoletta sapesse anche leggere nel pensiero – in effetti non lo escludeva!
«Come se non gliene avessi fatto abbastanza.» Fu di nuovo la risposta di Vulcano, mentre si rialzava dal letto con fare abbastanza deciso: non avrebbe perso altro tempo, non in quel luogo almeno.
Catlina, dal canto suo, non sembrava minimamente turbata dall’impetuosità dell’uomo.
«Non andrai da nessuna parte sin quando non mi dirai cosa ti ha detto Entei.» Aggiunse candidamente, passando la spazzola più volte sui lunghi capelli.
Il rosso ebbe veramente l’istinto di lanciarle qualcosa – qualsiasi cosa -, ma ancora una volta il suo temperamento venne interrotto dalla voce pacata della Superquattro – la quale, tra l’altro, non lo aveva ancora nemmeno guardato in volto.
Non ne aveva bisogno, per conoscere le sue reazioni ed il suo stato d’animo, era decisamente prevedibile.
«Ma, visto che la collaborazione non sembra il tuo forte, posso offrirti una specie di patto.» Se l’aspettava, era tipico di gente come quella proporre accordi, stipulare patti.
E no, non c’era mai nulla di buono in ballo, se non un prezzo troppo alto da pagare.
Eppure che altra scelta aveva? Era intrappolato in un luogo che non conosceva, senza i suoi Pokémon, completamente disarmato ed impotente al di là del proprio animo impetuoso.
Non rispose, rimase in silenzio ad osservarla con lo stesso astio di poco prima.
«Lo prenderò come un segno d’accettazione.» Rispose lei, schioccando le dita.
Pochi istanti ed una specie di piccola gabbia si sollevò apparentemente dal nulla, da quella piattaforma sospesa a mezz’aria in cui i due Superquattro si ritrovavano.
E al suo interno era legata ed immobilizzata una delle Comandanti del Team Galassia, capelli rossi e sguardo omicida.
Martes.
Vulcano non poté fare a meno di palesare un’espressione perplessa, senza negare a se stesso che quella situazione cominciasse a piacergli sempre meno.
«E’ arrivata sul posto subito dopo la tua sconfitta, voleva che ti consegnassi a loro.» Esclamò pacatamente, quasi stesse parlando di una ricetta di cucina e non di un sanguinoso combattimento.
Martes non osò replicare, soprattutto quando Catlina le rivolse quello sguardo tanto angelico da dare effettivamente l’idea del demonio.
«Davvero in gamba, questo Team Galassia, se ti ha trovato così facilmente.» Si limitò a commentare, per poi riprendere a pettinarsi in tutta tranquillità, seduta sul proprio sgabello da principessa delle fiabe.
«Il mio patto è questo, Superquattro Vulcano: tu mi dici esattamente cosa ti ha detto Entei ed io farò in modo che questa fonte di informazioni ti riferisca ciò che vuoi sui loro piani e quant’altro.» E naturalmente si riferiva a Martes, la quale aveva sgranato gli occhi, inorridita: aveva già avuto un piccolo assaggio di cosa significasse mettersi contro una allenatrice esperta – e psicopatica? – come quella, di certo ripetere l’esperienza non sarebbe stato piacevole.
Tuttavia, quella proposta non poté che catturare completamente la curiosità di Vulcano, la cui mente cominciò ad elaborare un numero consistente di ipotesi: era una brutalità, decisamente, ma dopotutto quei folli non sembravano farsi alcuno scrupolo… dunque perché avrebbe dovuto rinunciare a quelle informazioni, avendo dunque la possibilità di salvare se stesso, gli altri due Portatori e probabilmente sventare una sorta di rivoluzione catastrofica?
Dopotutto Catlina era veramente disinteressata alla faccenda, era evidente, l’unica fonte di curiosità restava proprio quel Pokémon leggendario, null’altro.
Non era dalla sua parte, sì, ma non era neanche dalla loro… e forse era questo l’importante.
Non mancò, tuttavia, di lasciarsi pervadere da un accenno di effettiva perplessità, poiché i conti non gli tornavano tutti, ma ancora una volta fu l’altra a rispondergli prima ancora che le ponesse la domanda diretta: perché, se poteva farlo, non aveva esplorato la sua, di mente? Perché non aveva corrotto o costretto direttamente lui a parlare, invece che ricorrere ad un patto o ad un rapimento?
«Se Entei ti ha parlato o ha stretto un patto con te, significa che di te si fida. E conosco bene i Pokémon, quando si fidano di una persona sono disposti a molto pur di difenderla. Se io ti maltrattassi o invadessi la tua mente, Entei lo saprebbe. E mettersi contro un Pokémon Leggendario non rientra nei miei interessi
Era stata franca, sincera, proprio come dal principio.
Quella bella addormentata poteva avere tanti difetti, ma sicuramente non quello della menzogna.
E la furbizia, dannazione, era una sua caratteristica predominante – assieme al disinteresse più totale, ovviamente.
Rifletté pochi attimi, poi il suo sguardo si puntò direttamente su Martes, la quale non mancava di ricambiare in cagnesco.
Quei bastardi l’avrebbero pagata, eccome se l’avrebbero pagata.
«Accetto.»
 

Non c’era luce, in quella cella, nemmeno il bagliore più innocente.
Il suo respiro era irregolare, quasi assente, i suoi begl’occhi verde acqua chiusi senza nemmeno la forza di aprirsi.
Era ferita, stanca, spossata: sulle sue vesti v’erano i segni di una lunga tortura ed il camice bianco strappato in più punti.
La porta della cella si aprì con un fastidioso cigolio, un paio di passi pesanti si avvicinarono lentamente alla donna ancora legata a quella maledetta sedia, impossibilitata a difendersi, tantomeno a fuggire. Erano lenti, cauti, senza la benché minima fretta mentre il suo sguardo serio lasciava spazio ad un insano sadismo.
«Povera, povera la mia bella Professoressa Aralia…» Bisbigliò senza nemmeno l’ombra di una qualsivoglia pietà, il suo occhio rosso ben visibile che non si distoglieva da lei nemmeno per un istante.
Ma reagì, a quelle parole, un movimento impercettibile quanto faticoso le consentì ti accennare ad una smorfia, anche se ancora non aveva la forza di muoversi.
Ghecis ne fu quasi compiaciuto, camminò sino ad arrivarle a pochi centimetri, chinandosi lentamente verso di lei. Le fu ad un soffio, la donna poteva sentire il suo respiro gelido sulla pelle, mentre una mano guantata le prendeva il volto, costringendola ad alzarlo e ad allungare il collo poco più in alto.
«Sai che non sarei voluto arrivare a questo, mia cara… ma vedi, al momento quei tre Pokémon Leggendari mi servono con urgenza, non posso far aspettare troppo il Distruttore.» Un gemito dolorante fu tutto ciò che ottenne dalle flebili labbra della professoressa, costretta a muoversi nonostante le ferite, le torture subite, eppure lui sembrava soltanto giocare con un oggetto particolarmente prezioso.
«E tu sai bene di cosa sto parlando, non è vero?» Aprì lentamente gli occhi, quello sguardo solitamente comprensivo e benevolo ridotto ad una fessura di estrema riluttanza.
Lui sorrise: non era cambiata di una virgola, era sempre quella paladina della giustizia con un cervello fin troppo sopraffino.
«Non… avrai… ciò che vuoi… Ghecis…» Bisbigliò a fatica ma lui non parve minimamente colpito da tali parole, anzi, ne parve quasi divertito!
Si lasciò andare ad una piccola risata sadica, senza distogliere lo sguardo da quel volto che gli era mancato per troppo tempo.
«Ti sbagli, mia adorata. Ciò che voglio e che mi serve per raggiungere i miei scopi lo tengo già tra le mani.» E senza darle il tempo di reagire o pensare, azzerò le distanze tra le loro labbra, costringendola ad un bacio appassionato e colmo del più profondo risentimento.
La sua ascesa era cominciata.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2138338