Somehow we still carry on

di Birra fredda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Papà innamorato. ***
Capitolo 3: *** I just want Zacky. ***
Capitolo 4: *** Proud of him. ***
Capitolo 5: *** Andare avanti. ***
Capitolo 6: *** Nervosismo. ***
Capitolo 7: *** Sei un idiota e ti amo ***
Capitolo 8: *** True love. ***
Capitolo 9: *** Always by our side. ***
Capitolo 10: *** Caffè al gusto di nostalgia. ***
Capitolo 11: *** Dear God. ***
Capitolo 12: *** Misfits's t-shirt ***
Capitolo 13: *** I promise. ***
Capitolo 14: *** Flashback (prima parte). ***
Capitolo 15: *** Flashback (seconda parte). ***
Capitolo 16: *** Dear nobody... ***
Capitolo 17: *** Capodanno! ***
Capitolo 18: *** Jimmy era lì con loro. ***
Capitolo 19: *** As bottles called my name, I won't see you tonight ***
Capitolo 20: *** you're a fighter. ***
Capitolo 21: *** Marriages and births ***
Capitolo 22: *** Those eyes... ***
Capitolo 23: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


I personaggi non mi appartengono (purtroppo), non scrivo a scopo di lucro e bla, bla, bla.





Quel cd sarebbe stato grandioso.
Sarebbe stato assolutamente grandioso.
Jimmy non aveva smesso di pensarlo neanche durante quella giornata vuota in cui nessuno di loro aveva avuto qualche brillante idea per le canzoni.
Brian se ne stava allungato sul divanetto dello studio di registrazione con una mano davanti agli occhi. Non aveva fatto altro che ripetere che era stanco e che non ce la faceva proprio a suonare decentemente, motivo per cui più volte sia Jimmy che Matt erano andati a rompergli le palle o tirarlo in piedi di peso.
Zack e Johnny, al contrario, sembravano piuttosto euforici quel giorno. Non avevano fatto altro che suonare e suonare, sia improvvisando qualche musichetta stupida che provando le nuove canzoni. Persino per andare al cesso si erano portati dietro gli strumenti.
Sembravano due bambini iperattivi.
Lui invece aveva suonato molto. Era stato l’unico che si era impegnato seriamente insieme a Matt... a proposito, dov’era finito il cantante?
“Dov’è Matt?” chiese Jimmy, togliendosi le cuffie dalle orecchie e facendo roteare una bacchetta tra le dita.
“È tornato a casa un quarto d’ora fa” urlò Brian in risposta senza smuoversi dal divano, quasi volesse lasciarci l’impronta del corpo. “Ha detto che Val l’ha chiamato dicendogli che doveva parlargli urgentemente.”
“Va a finire che ha trovato l’anello nella scatola dei preservativi” rise il batterista trascinandosi dietro tutti gli altri.
Solo un idiota come Matt avrebbe potuto nascondere un anello di fidanzamento nella scatola dei preservativi.
“Almeno ci risparmierebbe la noia di dover stare a sentire le sue paranoie” disse Zacky sedendo su uno sgabello vicino a Jimmy.
Ah ragazzi non so se chiederglielo di sera o di mattina. Dite che appena sveglia potrebbe non capirmi? O poi sarebbe troppo assonnata?” continuò Johnny parlando con le stesse parole del cantante.
Tutti scoppiarono a ridere nell’esatto momento in cui il cellulare di Brian cominciava a suonare.
“Passamelo” ordinò il primo chitarrista al bassista, che non si scompose e glielo lanciò colpendolo in piena faccia.
Brian aprì bocca per insultarlo, ma quando vide campeggiare il nome del frontman sul display lasciò perdere e rispose.
“Dimmi Matt” disse.
“Brian Val... Val... oddio...”
Brian si mise a sedere. Matt era emozionato, quindi o Valary gli aveva detto di sì per il matrimonio o era uscita la nuova versione di Call Of Duty.
“Matthew, respira. Calmati, rimetti in ordine le idee, costruisci un discorso sensato nella testa e poi parla” continuò Brian mettendo il vivavoce per far sentire la conversazione anche agli altri che si erano raccolti attorno a lui, curiosi più che mai.
“Avanti Matt non tenerci sulle spine” lo esortò Jimmy. “Cos’è successo?”
“Valary è incinta.”
















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Pensavate di esservi liberati di me? E invece eccomi tornata con il Prequel della FF 'New Generation'.
Premetto che non c'è bisogno di leggere l'altra long per capire questa e ci tengo anche a dire che non c'è bisogno di sapere vita, morte e miracoli (?) delle vite sentimentali e private dei membri dei Sevenfold perché nel corso della storia saranno modificate come la mia mente comanda. Ad esempio i matrimoni avverrano in tutt'altri periodi e cose così C:

Grazie in anticipo a tutti quelli che leggeranno,
Echelon_Sun

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Capitolo 2
*** Papà innamorato. ***


Matt era nervoso quella mattina. Tanto nervoso che non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro lungo lo stretto corridoio del reparto dell’ospedale dove sua moglie Valary stava per dare alla luce la loro prima figlia.
Avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro.
Ritmicamente, con lo sguardo perso nel vuoto, Matt non aveva fatto altro.
Michelle e Syn avevano detto che sarebbero arrivati a breve ma, poiché erano ormai passate un paio d’ore da quando li aveva chiamati, Matt aveva la netta impressione che se la stessero prendendo comoda proprio per non dover subire né la sua ansia né quella di Valary.
“Finalmente ti ho trovato!”
Matt si voltò di scatto e un sorriso gli comparve spontaneo sul volto quando sentì quella voce.
“Che ci fai tu qui?” domandò il cantante alzando un sopracciglio, rivolto alla figura di Jimmy che gli sorrideva sornione.
“Oh sai passavo da queste parti e ho sentito che stai per avere un figlio” ironizzò il batterista battendogli una manata su una spalla. “Nervoso?” gli chiese subito dopo facendosi serio.
“Forse persino più di Val” borbottò Matt lasciandosi cadere su una sedia del corridoio seguito da Jimmy. “Per mesi ho atteso questo momento con tanta impazienza ed ora...” sospirò, cercando lo sguardo cristallino dell’amico a cui aggrapparsi, “ora non so se sono pronto a fare il padre.”
“Matt...”
“E se non sarò in grado di cambiarla, di darle da mangiare o di farla addormentare? E se si dovesse svegliare la notte e io non fossi in grado di capire cos’ha? E se non le piacessero le ninnananne che le ho scritto?”
Il Rev dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere. “Amico” esordì, “non ho mai conosciuto nessuno più pronto di te” disse con tanta convinzione che a Matt andò quasi di traverso la saliva. “Hai lasciato che Val stesse tranquilla e serena durante la gravidanza, l’hai sempre accompagnata alle visite mediche, avete già tutto pronto per l’arrivo della piccola, le hai scritto delle ninnananne, hai comprato tutti quei fottutissimi libri di nomi per bambini, negli ultimi mesi hai addirittura messo da parte i videogiochi per documentarti sui neonati e...”
“Per l’amor del cielo” esalò il cantante a quel punto, bloccando il discorso del batterista che, spaventato e ormai troppo preso dal suo monologo, sussultò. “Non abbiamo scelto ancora il nome” disse Matt prendendosi la testa tra le mani.
James si costrinse per la seconda volta in cinque minuti a non ridere. Sospirò e disse all’amico: “Sono sicuro che sarai un bravissimo papà.”
“Io...” borbottò Matt alzando appena la testa nell’esatto momento in cui un lamento piuttosto forte si udì dalla camera dov’era Valary.
Un attimo dopo un’infermiera si affacciò trafelata dalla porta e si rivolse al povero cantante in crisi. “Signor Sanders” disse la donna con il sudore che le scendeva a rivoli lungo il collo, “sta per avere il suo bambino, è questione di minuti. Vuole entrare?”
“...non lo s-”
“Certo che entra” si infiammò Jimmy, spingendo l’amico in piedi e esortandolo con lo sguardo a entrare in quella fottuta stanzetta da cui ormai si sentivano provenire sempre più gemiti e urli da parte della dolorante Valary.
Matt entrò nella stanzetta e si rese quasi subito conto che gli tremavano le ginocchia. Si impose di star calmo, però, alla visione di sua moglie su quel lettino d’ospedale, sudata e stanca, con tantissimi medici attorno e l’aria di chi non ce la fa davvero più.
“Val” sussurrò avvicinandosi a lei e prendendo una sua mano tra le sue. “Val sono qui” continuò parlandole all’orecchio.
“Matthew” esalò Valary voltandosi verso di lui con gli occhi spalancati dal dolore.
“Ci siamo quasi piccola, ancora un piccolo sforzo e avremo la nostra bambina” cercò di calmarla lui. “Sei stata bravissima, ora devi solo spingere.”
E Valary riacquistò tutta la sua determinazione. Mentre due infermieri le tenevano le gambe e il dottore la incitava a spingere, Matt le rimase accanto tenendole una mano e lasciandosi stritolare le ossa dalla sua stretta.
“Un’ultima spinta, ormai è quasi uscita” le disse il medico a un certo punto e il viso di Valary s’illuminò improvvisamente.
Matt la guardò come se non l’avesse mai vista. Lì, in quel momento, sudata, con i capelli appiccicati alla fronte, con le gambe aperte e i denti stretti dallo sforzo, pensò che non era mai stata più bella. E lì, proprio mentre Alicia veniva fuori dalla sua Val, Matt pensò che amava senza confini le sue donne.
Un urlo spezzò il silenzio, Val si lasciò cadere con la schiena contro il letto e Matt subito si sporse su di lei per baciarla sulle labbra.
“Ha già un nome?” chiese l’infermiera ai novelli genitori mentre teneva tra le braccia un fagotto urlante.
“Alicia” rispose Valary senza pensarci su due volte e lasciando che quella creatura le fosse deposta in seno. “Alicia Sanders.”
“Ciao Ali” sussurrò la giovane mamma cullando la bimba appena uscita dal suo grembo.
“Sei sicura Val?” domandò dolcemente Matt. “Alicia?”
“Sì” affermò lei continuando a guardare la piccola. “Alicia è il nome perfetto per lei.”
Alicia era una bambina splendida, che smise di urlare nell’esatto momento in cui si ritrovò tra le braccia della madre. Aveva gli stessi occhi del papà che, quando la prese in braccio, si preoccupò di non stringerla troppo per non stritolarla tra quell’ammasso di muscoli.
Matt, così preso nell’osservare sua figlia, si rese conto della presenza di Michelle solo quando un flash riempì la stanza.
“Ecco la prima foto della bimba col suo papà” annunciò felice la ragazza.
“Michelle!” esultò Valary mettendosi a sedere nel letto.
Le due donne si abbracciarono e subito dopo nella stanza entrarono anche Brian e Jimmy, entrambi con in viso stampata l’espressione di chi non sa bene dove si trova e perché.
“Hey” li salutò Matt con un filo di voce, notando che Alicia aveva chiuso gli occhi.
Jimmy si avvicinò immediatamente all’amico. Due ampie falcate e subito gli fu davanti e si chinò sulla neonata. Brian ci mise qualche istante di troppo. Titubante seguì Jimmy e osservò la nipote da sopra la spalla del suo migliore amico.
“È bellissima, papà” mormorò Jimmy allungando un dito per accarezzare la guancia paffuta della bimba.
“Ovvio, è figlia mia” commentò in fretta Matt nell’esatto momento in cui la porta si apriva di nuovo.
Zacky, Gena, Johnny, la sorella di Matt, i suoi genitori e quelli di Valary e Michelle riempirono la stanza.
In un attimo l’appena arrivata Alicia si ritrovò circondata dalla sua famiglia, dai visi dei suoi nonni, dei suoi zii, di tutte le persone che, una volta cresciuta, sarebbero state i suoi punti di riferimento e il suo orgoglio.
Matt la passò titubante tra le braccia del padre, borbottando che doveva stare attento e facendo ridere tutti quanti. Poi Alicia venne passata alla zia Michelle che a sua volta la mise tra le braccia impacciate di Brian che velocemente la scaricò alla nonna materna.
Solo dopo aver visto molti visi sopra il suo Alicia fu ripassata alla madre da un Johnny tutto dolce e premuroso. Valary riprese la sua piccola e si voltò a guardare Matt che rideva abbracciato alla sorella a una battuta di Jimmy e pensò che, senza ombra di dubbio, sarebbe stato uno splendido papà.
“Val” la chiamò Michelle chinandosi su di lei, “devo parlarti.”
“Cosa succede?” si preoccupò immediatamente la neo-mamma.
“Brian non ti è sembrato strano oggi?” le chiese Michelle abbassando ulteriormente il tono di voce. “Non hai notato nessun movimento sospetto?”
Valary rifletté. Dopotutto era stata parecchio occupata a partorire e a preoccuparsi di non perdere d’occhio la figlia che veniva passata a tutte le persone presenti nella stanza, quindi Michelle certo non poteva pretendere che in tutto quel caos lei fosse stata attenta ai movimenti del suo fidanzato, però qualcosa lo aveva notato.
Aveva notato, ad esempio, gli occhi del chitarrista che erano quasi sempre persi a fissare un punto vuoto o il pavimento, che era scattato come una molla quando Zacky, sorridente e saltellante, gli aveva passato un braccio attorno alle spalle e anche che quando aveva preso in braccio Alicia tremava come se fosse emozionato.
“Cos’ha combinato?” chiese con durezza Valary alla gemella, ben conoscendo i casini in cui spesso si andava a ficcare Brian.
“Non urlare, non voglio che gli altri lo sappiano adesso” la avvertì Michelle prima di trattenere il fiato e far preoccupare ulteriormente l’altra. “Sono incinta” sparò poi d’un fiato, trattenendo a stento un enorme sorriso.
Valary rimase per un momento immobile, poi sorrise a sua volta. “Ma è fantastico” esultò a voce bassa. “Alicia avrà un cuginetto o una cuginetta! E di quanto sei incinta?”
“Tre mesi” disse piano Michelle. “Lo sospettavo da un po’, ma poi ieri ho fatto dieci test di gravidanza e mi sono usciti tutti, così stamattina l’ho detto a Brian, che è rimasto scioccato dalla noti...”
“Posso riavere la mia bambina?”
Michelle si zittì e entrambe le sorelle DiBenedetto si voltarono di scatto verso Matt che aveva scoperto il suo sorriso tutto fossette.
“Ah, il paparino innamorato” lo prese in giro Jimmy facendo ridere tutti quanti e arrossire il cantante.










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Ecco a voi la nascita di Alicia :) Matt pieno di ansie e preoccupazioni e Jimmy... come farebbe quella montagna umana senza il suo batterista, eh?
Spero che questo capitolo vi piaccia e che la storia vi prenda. Suppongo che l'attenzione sarà incentrata maggiormente sulla storia tra Zack e Brian, ma nulla è ancora sicuro. Ho tantissime idee, poco tempo e troppa pigrizia LOL

A presto,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 3
*** I just want Zacky. ***


A Zacky quel dobbiamo parlare di Brian era puzzato molto. E non gli era ancora andato giù lo scatto che il primo chitarrista aveva fatto quando lui, in ospedale, l’aveva avvolto per le spalle.
C’era qualcosa che lui non sapeva e che proprio non riusciva a capire. E, tra l’altro, aveva la netta impressione che non fosse nulla di buono.
Zacky uscì di casa pensando a Matt che aveva appena portato le sue due donne a casa. Era adorabile vederlo fare il papà, vedere quell’essere minuscolo e indifeso avvolto tra le braccia enormi e tatuate di M. Shadows.
Camminò velocemente fino a raggiungere la casa del suo amate, Zack, e si fermò solo quando si ritrovò a bussare alla porta, con le mani che gli tremavano dal nervoso.
Conoscendo Brian, poteva aspettarsi di tutto.
“Zack sei in ritardo” lo ammonì Syn aprendo la porta e apparendo a petto nudo agli occhi dell’altro. “Michelle potrebbe tornare a momenti, cazzo. Perché non sei venuto prima?!”
“Oh calmati” si accigliò Zacky stringendosi nelle spalle. “Ho avuto da fare e... e poi tu non mi hai accennato niente, che ne sapevo che era una cosa tanto urgente?”
Brian sbuffò spazientito e si fece da parte per lasciarlo entrare. Non lo sopportava per niente quando faceva così, quando sapeva che avevano i minuti contati e si presentava in ritardo agli appuntamenti.
“Devi dirmi qualcosa?” chiese Zacky andando verso la cucina con l’intento preciso di prendersi una birra da casa Haner.
“Sì, ma è meglio se prima ti siedi” rispose in fretta Brian, seguendolo lungo la sala.
Zacky si prese tutto il tempo, più per irritare l’amico che per altro. Con calma si diresse in cucina, aprì il frigorifero, ci rovistò dentro, afferrò una lattina di birra, la aprì, bevve un sorso e infine si andò a sedere al tavolo.
“Potevi anche fare un caffè, tanto non abbiamo fretta” commentò acido il primo chitarrista, guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure.
“Puoi parlare” ribatté secco Zacky, sforzandosi di non cedere a un Synyster parecchio nervoso.
Ormai si conoscevano bene e Zack sapeva che riusciva per poco tempo a tener sollevato un muro di risposte secche e sguardi duri tra se stesso e Brian. Era troppo buono e lo amava fottutamente tanto.
Brian non disse nulla, si guardò la punta delle scarpe, atteggiamento parecchio insolito da parte sua.
“Allora?” incalzò il chitarrista ritmico leggermente più preoccupato di prima. “Si può sapere che problema c’è? Non ti lasci toccare in ospedale, mi rimproveri per il ritardo, te ne stai sulle tue e neanche mi parli?!”
Brian trattenne il fiato. Aveva una tempesta dentro ma cercò di non darlo a vedere più del dovuto. Voleva che Zacky fosse pronto a ciò che stava per dirgli ma allo stesso conto si rendeva conto che sarebbe stato male comunque e che non c’era un modo per prepararlo alla rivelazione.
“Ho combinato un casino” buttò lì Gates a voce bassa.
Zacky si riscosse. Con i precedenti di Brian aveva molta paura dei casini in cui andava a ficcarsi. “Che genere di casino?” chiese il più premuroso possibile, tentando in ogni modo di coprire la nota di rabbia nella voce.
“Ho messo incinta Michelle.”
Stop. Fine della corsa. Fine delle emozioni. Fine dell’amore.
Odio.
Odio.
Odio.
Fine delle giornate clandestine a coccolarsi nudi sotto le coperte di qualche motel di seconda categoria, fine dei baci rubati nei bagni sporchi dei backstage, fine degli abbracci innocenti dietro i palchi e delle palpatine durante gli show.
Fine dell’amore.
Inizio di una famiglia. Fine dell’amore clandestino.
Zacky neanche si rese conto che aveva cominciato a piangere. Così, all’improvviso, senza avere il tempo né di replicare né di realizzare a mente lucida ciò che stava accadendo, le lacrime avevano cominciato a scendere lungo le sue guance candide.
“Vee...” sussurrò Brian sinceramente dispiaciuto, andandogli vicino e chinandosi su di lui.
Zacky avrebbe voluto mandarlo a fanculo e basta, non avrebbe voluto permettergli di baciargli la testa, di stringerlo, di consolarlo. Avrebbe voluto allontanarlo, mollargli un paio di cazzotti e andare via. Andare da Jimmy, magari, ché lui sapeva sempre consolare tutti.
“Forza Zack non fare così” tentò nuovamente Brian chinandosi di più per poterlo guardare in faccia, cosa che Vengeance non gli permise alzandosi di scatto in piedi e coprendosi il viso con entrambe le mani.
“Bri sono tornata.”
Gelo.
Brian si voltò di scatto verso la fidanzata che se ne stava immobile sull’uscio della porta con due buste della spesa tra le mani.
“Tutto okay?” domandò ingenuamente lei, notando Zacky che singhiozzava semi-nascosto dalla figura di Brian.
“Ahm... Zack... ahm...”
“È successo qualcosa con Gena?” chiese Michelle muovendo qualche passo in avanti e fornendo, inconsapevolmente, una buona scusa al suo fidanzato.
“Esatto” disse lui in fretta. “Hanno litigato. Scusa Mich, ora vado, lo porto a fare un giro per schiarirsi le idee.”
Afferrò Zacky per un gomito e se lo trascinò dietro per la cucina e la sala fino alla macchina, a quel punto mise in moto e guidò fino all’angolo della strada, fermandosi in un punto dove sapeva che lo sguardo di Michelle non li avrebbe raggiunti.
Tante volte Zack si era fermato lì, negli ultimi periodi, per lasciargli un ultimo bacio prima di riportarlo a casa.
A quel punto Brian si decise a parlare.
“Zack, mi dispiace, ma non posso farci nulla” disse mentre l’altro cercava di domare i singhiozzi. “È successo e basta, okay? Non lo voglio un cazzo di figlio, voglio te, ma ormai non si può rimediare.”
Restarono in silenzio per qualche minuto, fino a che Zack non si fu calmato. O almeno fino a che fu in grado di pronunciare un’intera frase senza balbettare o essere interrotto da un singhiozzo.
“Ora vado” disse piano Vee, allungando una mano verso la portiera della macchina.
“In queste condizioni non vai da nessuna parte” lo sgridò Brian afferrandolo per un lembo della t-shirt. “Dimmi dove vuoi andare e ti ci porto, ma scordati che ti lasci da solo.”
“Sei anche senza maglietta” fu il solo commento che Zack fece.
“Vuoi andare da Jim, da Johnny? Da Matt è meglio di no, ha già la piccolina a cui pensare e... Zack, per favore, dimmi qualcosa. Sfogati, incazzati, insultami. Qualsiasi cosa che non siano solo lacrime.”
“Vaffanculo” disse lui stizzito, mentre nuove lacrime si apprestavano a solcargli ancora le guance. “Ti odio. Lasciami andare.”
“Sì, per poi doverti venire a cercare perché Gena mi chiamerà dicendomi che non sei tornato a casa e per poi ritrovarti ubriaco chissà dove” strepitò Syn ormai al limite della pazienza.
“Vado a casa” ribatté freddo Zacky incrociando le braccia al petto. “Promesso, voglio solo andare a casa.”
“Ti accompagno...”
“No, non rompere il cazzo Brian, vai a occuparti della tua ragazza incinta.”
Brian non fece in tempo a riacciuffarlo per la maglietta e rimase nella macchina a osservarlo che camminava svelto con le braccia penzoloni lungo i fianchi. Ci mise un po’ a rendersi conto che doveva riaccendere l’auto e tornare a casa, ma le sue mani sembravano non voler collaborare.
Certo, non si aspettava che Zacky la prendesse bene, ma neanche così male. Si era preparato psicologicamente a urla, vaffanculo e rabbia, non alle lacrime di delusione e a quello sguardo da cucciolo smarrito.
Lui amava Zachary. Lo amava e nulla, neanche un figlio, avrebbe potuto mettersi in mezzo tra loro due. E questo Zack doveva capirlo.
Brian decise che quella sera stessa sarebbe andato da lui, lo avrebbe fatto uscire di casa anche con la forza se necessario, e lo avrebbe portato sulla spiaggia a bere birra e gli avrebbe detto che anche se sarebbe diventato padre nulla nel loro rapporto si sarebbe spezzato.
 
“Brian suona il telefono!”
“Vai tu!”
“Sto sparecchiando! Alza il culo dal divano e vai tu!”
Brian sbuffò, ma dovette realizzare che Michelle aveva ragione. Lei stava sparecchiando la tavola mentre lui se ne stava spaparanzato sul divano a quattro passi dal telefono, così si alzò di malavoglia e andò a rispondere.
“Sì?” disse mollemente nella cornetta.
“Finalmente” esalò Jimmy dall’altro lato, “pensavo ti ci volesse un calcio in culo per farti arrivare fino al telefono.”
“Jimbo ma mi chiami subito dopo cena...” si difese il chitarrista.
“Non ti concedo diritto di replica in questo momento” si indispettì Jimmy, il che fece subito capire a Brian che doveva essere successo qualcosa. “Mi ha appena chiamato Gena: Zack non è tornato a casa dopo essere uscito per venire da te.”
“Cazzo.”
“Bri...”
“Ci vediamo tra dieci minuti all’inizio del lungomare, avvisa anche Johnny, Matt lascialo stare, d’accordo?”
“D’accordo.”
Brian dovette imporsi di non sbattere il telefono contro il mobiletto e di non tirare un calcio al muro. Inspirò profondamente nell’intento di calmarsi.
Ah, Zacky avrebbe fatto meglio a prepararsi a subire tutta la sua ira. Era un fottuto idiota bugiardo che non avrebbe dovuto lasciar solo dopo avergli dato una notizia come la gravidanza della sua ragazza.
“Tesoro è successo qualcosa?” chiese Michelle dalla cucina.
“Zack è sparito” disse in fretta Syn. “Vado a cercarlo, lo uccido e torno. Non aspettarmi, sta’ tranquilla.”
Brian non la sentì neanche la risposta della ragazza, impegnato com’era a infilarsi in fretta le scarpe saltellando per l’ingresso. In un baleno si ritrovò in auto a viaggiare superando bellamente il limite di velocità verso il lungomare di Huntington Beach.
Non appena parcheggiò vide subito la figura snella di Jimmy attenderlo fumando un sigaro. Accanto a lui Johnny non c’era ancora.
“Quel fottuto cretino...” borbottò Brian raggiungendo il suo migliore amico. “Gli ho detto di...” si bloccò, ricordandosi che lui e Michelle avevano deciso di invitare tutti a cena quel sabato per dare la notizia.
“Cosa?” si interessò il Rev.
“Ahm... è una sorpresa” spiegò Brian proprio mentre l’auto di Johnny si fermava di fianco a loro.
Brian non si sarebbe abituato facilmente alla vista di quel nano che scendeva con sguardo fiero dalla sua automobile enorme e troppo fottutamente alta per lui.
“Ci dividiamo?” chiese l’appena arrivato passandosi una mano tra i capelli con fare trafelato.
“Johnny tu risali in macchina e controlla la strada principale” disse in fretta Jimmy. “Brian tu percorri il lungomare mentre io vado a controllare i vicoli.”
Non ci volle molto per trovare Zack. Johnny solo dopo un paio di minuti lo vide seduto a un tavolino di una birreria che rideva da solo e si affrettò ad avvisare i suoi amici.
“Oh idiota ma che cazzo fai?!” strepitò il bassista afferrando l’ubriaco per le spalle e costringendolo a farsi guardare in faccia.
Per tutta risposta, Zacky continuò a sganasciarsi dalle risate come se non ci fosse un domani. Tra una risata e l’altra si aggrappò alle braccia di Johnny e rise piegandosi in avanti fino ad appoggiare la fronte contro il petto del ragazzo.
“Sta bene?” domandò affannato Jimmy raggiungendo i due di corsa.
“Insomma” rispose Johnny rendendosi conto che Zack ora non rideva più ma piangeva a grandi singhiozzi. “Dovremmo pagare il conto” aggiunse poi accarezzando la testa del chitarrista.
“Vado io, poi aspettiamo Brian e andiamo in spiaggia.”
Non appena Jimmy entrò nel locale per pagare tutto quello che si era scolato il suo amico, arrivò Brian persino più affannato del batterista e con la fronte imperlata di sudore.
“Ma cosa cazzo ti è venuto in mente?” strepitò immediatamente il primo chitarrista scansando distrattamente Johnny con una spallata e afferrando Zacky per il girocollo della maglietta.
“Brian...” cercò di rabbonirlo di bassista posandogli una mano su una spalla.
“Volevi forse farci morire di crepacuore?!” continuò, però, il più grande, imperterrito, scuotendo il povero Zacky come se fosse un fantoccio. “Cosa hai risolto ora? Niente! Sei un fottuto idiota!”
Per fortuna Jim proprio in quel momento si decise a raggiungere gli amici e così, aiutato da Brian, sollevò Zack e lo aiutò a camminare fino alla spiaggia. Lo lasciarono andare sulla sabbia e rimasero lì, tutti e quattro, in silenzio per un po’.
“Possiamo sapere il motivo di tutto questo?” chiese Jimmy dopo un po’ passeggiando nervosamente sulla spiaggia e infilando la punta delle scarpe sotto la sabbia.
“Ho messo incinta Michelle” sputò fuori Brian mandando a quell’altro paese il buon proposito di dire tutto sabato quando sarebbero stati tutti presenti.
“Ma è splendido!” si congratulò Johnny, bloccato subito da un’occhiata di fuoco degli amici. “Beh, di certo non per Zacky, ma un figlio è sempre una buona cosa” si affrettò a precisare.
“Io non lo voglio un fottuto figlio” si incazzò Brian. “Io voglio solo questo coglione ubriaco” continuò accennando con lo sguardo a Zack che se ne stava allungato al suo fianco e blaterava qualcosa di incomprensibile a mezza voce. “Io non voglio sposare Michelle, formare una famiglia con lei e riempirmi la casa di marmocchi. Io voglio solo Zacky.”
“Ormai il danno è fatto” disse duramente Jimmy. “Non puoi lasciare Michelle ora. Adesso ti assumerai le tue responsabilità e diventerai padre. E, chissà, magari sarai anche bravo col nuovo arrivato. Magari, Bri, un figlio nuocerà indelebilmente alla relazione tra te e Zack ma ti appagherà di più...”
“Devo vomitare.”
Tutti si voltarono di scatto verso Zacky che aveva parlato con voce quasi da sobrio. Jim si avvicinò svelto a lui.
“Alzati forza” gli disse afferrandolo per le braccia e aiutandolo a mettersi in piedi. Lo tenne stretto da dietro mentre vomitava e Brian si alzò a reggergli la fronte. Stettero bene attenti a non farlo sporcare e poi lo portarono a sedere sul muretto vicino alla scogliera, quello che era tanto caro a tutti loro.
Avevano passato su quel dannato muretto metà della loro adolescenza, in pratica.
Restarono lì tutta la notte, fino all’alba. Mentre Zacky si riprendeva dalla sbronza Brian, Jimmy e Johnny rimasero al suo fianco a prendersi in giro, a fumare e ridere.
“Mi raccomando Bri, sii un bravo papà” disse Jimmy a un certo punto all’amico, andandogli vicino e scompigliandogli i capelli.
“Al massimo la notte lo lascerò a te se piangerà troppo” scherzò il chitarrista scostandosi per impedirgli di rovinare la piega del suo cuoio capelluto.
Jimmy rise e tutti gli altri lo seguirono a ruota. Anche Zacky accennò un sorriso forzato. La sbronza gli stava passando e ora si sentiva in grado di prendere la notizia con lucidità.
“Un figlio non cambierà di certo il mio amore per te” disse Brian al suo amante mentre il sole faceva capolino diffondendo i suoi raggi piano piano su di loro.
“Resteremo quelli di sempre?”
“È una promessa.”











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Eccomi qui tornata con questo capitolo che vede Brian e Zacky infinitamente teneri :3
Putroppo partirò a breve per la Germania e potrò aggiornare solo al mio rientro, il 28 o il 29. In ogni caso, fino a che non sarò tornata inondatemi di recensioni, mi raccomando, che voglio assolutamente sapere la vostra impressione su questa FF.

E... okay, io vi ricordo che ho scritto anche una Fan Fiction sui Suicide Silence a cui tengo molto e colgo l'occasione anche per pubblicizzarne una sui Pierce The Veil di cui vi lascio il link
:) 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2163263&i=1


Grazie mille a tutti quelli che leggono le mie storie un po' fuori di testa,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 4
*** Proud of him. ***


Johnny dormiva pacificamente nel suo letto, appagato dalla sensazione di tranquillità che quei giorni gli avevano trasmesso.
Nulla avrebbe potuto turbare il piccolo bassista degli Avenged Sevenfold in quel periodo. Tutto andava bene.
La piccola Alicia cresceva come cresceva la pancia di sua zia Michelle. Il nuovo cd procedeva per il meglio, ormai era quasi finito e Jimmy aveva anche scritto una nuova canzone. Stavano tornando in pista, stavano tornando più forti di prima e Johnny era felice. La sera prima si era sbronzato con i suoi amici e ora dormiva pacificamente nel suo letto.
Erano solo le sette e un quarto quando lo squillo del suo telefono irruppe nella camera da letto e lui fu costretto a rotolare fino al comodino per rispondere.
Ma poi, perché cazzo Matt doveva chiamarlo alle sette e un quarto del mattino?
“Oh...” borbottò nella cornetta irritato e con la voce impastata di sonno.
Udì un rumore strano dall’altro lato, come un singhiozzo, e allora scattò a sedere improvvisamente non più tanto assonnato.
“Matt?” disse in un bisbiglio, mentre il cantante continuava a emettere strani e lenti mugolii che a Johnny sembravano sempre più simili ai rumori di un pianto.
“Matt che succede?” chiese nuovamente con un filo di voce. “Matt cazzo parla!” si irritò, ormai preoccupato a livelli estremi.
“Vieni subito a casa di Jimmy” disse Matt con la voce rotta e tremante.
“Perché? Che succede? Non sta bene?” chiese Johnny scalciando da un lato le coperte e alzandosi dal letto di tutta fretta.
“Vieni...” singhiozzò ancora il cantante.
“Cos’ha?”
Nessuna risposta, solo nuovi piagnucolii.
“D’accordo, arrivo” concluse il bassista chiudendo la chiamata e correndo a vestirsi.
S’infilò un jeans sdrucito e una felpa, non si lavò neanche il viso, si mise le scarpe di fretta sui calzini sporchi della sera prima e si fiondò in auto.
Dire che era preoccupato era dire poco. Un nero presentimento stanziava sul suo petto. Jimmy prendeva dei farmaci e forse la sera prima si era sbagliato sulle dosi, ubriaco com’era. Ma Jimmy era forte, avrebbe superato qualunque cosa. Avrebbe sorretto il peso di una montagna su quelle spalle tatuate.
O forse era successo qualcosa a qualcun altro e il Rev aveva detto a tutti di incontrarsi a casa sua. Poteva essere Michelle, a star male, data la gravidanza. La piccola Alicia di certo no, altrimenti Matt sarebbe stato al suo fianco sull’ambulanza. O magari...
Johnny interruppe il flusso dei pensieri accostando davanti casa del batterista. C’era troppa gente per un semplice malore.
C’erano i vigili del fuoco, l’ambulanza, la famiglia di Jimmy e i suoi amici.
Decisamente troppa gente.
Johnny aveva capito. Il suo inconscio aveva capito, aveva la risposta alle sue domande davanti agli occhi. Ormai era chiaro. Sarebbe stato tutto limpido come l’acqua a chiunque.
Scese dalla macchina e si avvicinò a Brian, Matt e Zacky che fumavano uno accanto all’altro sotto un albero. Ogni passo che portava a termine lo avvicinava di più alla verità. Capì tutto a molti passi di distanza dai suoi amici, molto prima di vedere le lacrime sui loro volti, le loro espressioni perse, le nocche arrossate di Brian.
“Johnny...” mormorò Zacky quando lo vide, cominciando a far sgorgare le lacrime.
“Dov’è Jimmy?” chiese duramente il bassista ai suoi amici. “Dov’è?”
Matt si avvicinò a lui. “Lui...” cominciò mentre piangeva, tenendo una mano verso la spalla del più piccolo.
“Non è vero!” si infuriò Christ. “È in ospedale, vero? Cosa ha combinato questa volta? Si riprenderà...”
“Johnny, non c’è più” gli disse Matt singhiozzando e cercando di avvicinarlo ulteriormente per poterlo abbracciare.
“NON È VERO!” strepitò Jonathan. “VAFFANCULO” continuò allontanando il cantante con uno spintone.
Matt non si smosse di un millimetro con quella spinta. Con la vista appannata dal pianto afferrò il bassista per le spalle e lo attirò a sé, intrappolandolo tra le sue braccia forti.
Sentì un cazzotto contro la schiena ma non lo lasciò andare. Poi un altro, un altro e un altro ancora fino a che non si rese conto che Johnny era crollato. Piangeva nel suo abbraccio e aveva lasciato in un angolo la rabbia, piangeva realizzando che Jimmy era morto.
Morto.
Cazzo, sembrava un qualcosa di surreale.
Jimmy non c’era più.
Era troppo presto per realizzare lucidamente ciò che era accaduto. Troppo presto per capire realmente che alle loro spalle non ci sarebbe stato più Jimmy a dare il ritmo, troppo presto per comprendere quel vuoto dentro ognuno di loro.
Ma presto i quattro amici si sarebbero resi conto che con Jimmy se n’erano andate via troppe cose. La gioia, innanzitutto, ma anche il sorriso, il nuovo cd, le notti passate sulla spiaggia fantasticando sui nuovi palchi da calpestare, le birre ghiacciate in pieno pomeriggio sprofondati sui divanetti dello studio di registrazione.
Jimmy s’era portato via tutto.
Quando Matt e Johnny sciolsero l’abbraccio e si voltarono verso i loro amici, li trovarono accasciati a terra contro il tronco dell’albero. Brian piangeva, evento più unico che raro, e Zack lo teneva tra le braccia con gli occhi rivolti a un punto vuoto.
Johnny restò un attimo a guardarli.
Brian era il migliore amico di Jimmy praticamente da sempre e doveva aver preso a pugni qualcosa, considerano le nocche delle mani rosse. Stava anche per avere un figlio, un maschietto, e al posto di stare con sua moglie incinta se ne stava sotto un albero tra le braccia di Zack, il suo vero amore.
Accadde tutto in pochi istanti, senza che nessuno avesse aperto bocca o avesse premeditato qualcosa. In un attimo si ritrovarono tutti e quattro stretti in un abbraccio di gruppo, a terra, con l’erbetta curata e umida che bagnava i vestiti e i singhiozzi che si confondevano nel silenzio di quel giorno.
 
“Jimmy, lo chiameremo Jimmy.”
“Cosa?”
“Nostro figlio, Matt. Michelle è stata d’accordo con me e lo chiameremo Jimmy.”
Zacky si voltò di scatto a guardare quell’uomo che teneva la mano intrecciata alla sua. In quei giorni si era quasi dimenticato di Michelle, del bambino in arrivo, di Gena. Si era dimenticato di avere una vita, altre persone a lui vicine. Oltre a Brian non aveva voluto altri appoggi. Non aveva desiderato braccia da cui essere stretto se non quelle di Syn, nessuno da consolare se non lui.
Jimmy era andato via da nove giorni e Zack si era aggrappato con le unghie e con i denti alla sola sua certezza, alla sola persona che sapeva che sarebbe rimasto per sempre. Si era appigliato a Brian e Brian aveva fatto lo stesso, dimenticandosi quasi della presenza di tutti gli altri.
“Lui voleva che tu fossi un brava padre” disse Johnny piano. “Ti ricordi cosa ti aveva detto? Che non gli interessava se decidevi di restare con Michelle o di ufficializzarti con Zacky, ma il bambino doveva stare bene.”
Brian annuì. Se lo ricordava.
Sebbene il solo sentire il nome del suo migliore amico gli provocasse un fitta allo stomaco, aveva pensato molto a Jimmy in quei giorni. Aveva ripensato alla loro adolescenza e non era riuscito a contenere qualche sorriso tra le lacrime, ripensando a quante ne avevano passate insieme e a tutti i guai che avevano combinato. Aveva ripensato al suo sorriso strafottente, ai suoi occhi pieni di vita, ai suoi abbracci che ti toglievano il respiro, al suono della sua voce.
Aveva sentito la canzone che aveva scritto ma non era stato capace di seguirne il testo. Johnny lo aveva fatto e da un paio di giorni quando si parlava dei motivi per cui James era morto si rabbuiava e dopo pochi istanti usciva a fumarsi una sigaretta.
Era così strano pensare che Jimmy era morto. Proprio lui che lo meritava meno di chiunque altro. Proprio lui che sembrava aver dentro una gioia di vivere imparagonabile, che era un genio, una persona amata dagli amici e dalla famiglia.
Brian non era entrato all’obitorio. Era stato il solo a non averlo fatto. Michelle, incinta, era entrata, ma lui no. Il solo pensiero di dover vedere il suo migliore amico pallido, immobile e privo di vita lo terrorizzava. Voleva ricordarselo sorridente, Jimmy, a petto nudo che sparava una cazzata dietro l’altra. Non voleva vederlo morto.
“Ragazzi siete pronti?” Valary sorrise stancamente entrando in sala con la piccola Alicia assopita tra le sue braccia. “Andiamo?”
Tutti si riscossero sentendo il suono della sua voce e Brian lasciò di colpo andare la mano di Zack.
Dovevano andare al funerale di Jimmy.
Funerale.
Dio, nessuno di loro aveva pensato al funerale fino a che la mamma di Jimmy non aveva chiesto loro quali fossero le sue bacchette preferite per potergliele lasciare nella tomba.
Era strano pensare di doversene stare tutti benvestiti e immobili per più di un’ora a osservare il corpo del loro migliore amico rinchiuso dentro una tomba che veniva calato diversi metri sotto il suolo.
Matt si sforzò persino di ricambiare il sorriso a sua moglie. “Noi andiamo a lasciare la bambina dalla cugina di Val e poi vi raggiungiamo, voi andate” disse porgendo una mano a Zack per farlo alzare dal suo divano.
Uscirono uno dietro l’altro da casa Sanders e tutti notarono immediatamente un gruppo di persone ferme davanti al cancello. Gena, Michelle, la famiglia di Brian, quella di Matt, quella di Johnny e quella di Zack.
Brian andò subito da Michelle. “Hey” mormorò posando una mano sul suo pancione. “Come state?” le chiese poi, alludendo a lei e al bambino.
“Sicuramente meglio di te” rispose lei in un sussurro strozzato, avvicinandolo a sé per abbracciarlo.
Brian si abbandonò tra le braccia di quella donna che tradiva dal primo giorno di relazione. Si lasciò cullare da quelle braccia magre e deboli e pensò che le voleva bene. Non l’amava, amava solo Zacky, ma le voleva un bene immenso, per lei provava un affetto paragonabile solo a quello che provava nei confronti dei suoi compagni di band.
Era felice che lei sarebbe stata la madre del piccolo Jimmy, non avrebbe potuto desiderare donna migliore di lei.
Doveva essere un buon padre. Lo doveva a The Rev, perlomeno, a lui che fin dal primo istante gli aveva raccomandato di prendersi le sue responsabilità. James sarebbe stato orgoglioso di lui.
Se lo promise a se stesso guardando il cielo, Brian. In quel momento, mentre Michelle singhiozzava sulla sua spalla e il pancione della donna premeva contro il suo ombelico, si promise di essere un bravo padre.
E sapeva che Jimmy ci sarebbe stato a sostenerlo, in ogni caso.









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Non sono rimasta in Germania, eccomi qui tornata fresca fresca dopo taaante ore di pullman e solo la voglia di tornare indietro e barricarmi nell'Hard Rock Cafè di Monaco per poterci restare per sempre C:
Okay, questo capitolo l'ho scritto prima di partire e l'ho riletto giusto 15 minuti fa prima di pubblicarvelo. Ammetto che non piace chissà quanto, ci sono dei pezzi in cui sinceramente mi riconosco e mi rendo conto di aver fatto un buon lavoro, mentre altri che non mi fanno impazzire. Spero che a voi, comunque, piaccia :)

Grazie a tutti quelli che non mi hanno abbandonata durante questa assenza,

Echelon_Sun

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Capitolo 5
*** Andare avanti. ***


Zacky era preoccupato. Era passato più di un mese dalla morte di Jimmy e nessuno di loro aveva alzato un dito per cercare di far andare avanti la band.
Si sentiva in colpa perché avrebbe voluto togliersi di dosso quella sensazione di pesantezza che sentiva addosso ogni volta che pensava al suo fratello scomparso e andare avanti.
Già, andare avanti.
Che poi sarebbe stato proprio quello che Jimmy avrebbe voluto, no?
Zacky conosceva bene il batterista e sapeva benissimo che se in quel momento avesse potuto avrebbe impartito loro un bel cazziatone e li avrebbe trascinati uno a uno nello studio di registrazione tenendoli per le orecchie.
Ma se Zack non si era ancora rimboccato le maniche era per via di Brian.
Brian aveva bisogno di altro tempo.
Matt era quello che più di tutti aveva lottato per non crollare e la presenza di Alicia aveva aiutato molto. Doveva essere difficile abbattersi quando un neonato ti riscuote ogni ora gridando a pieni polmoni.
Lui e Johnny anche se la stavano cavando. Anche se la morte di Jimmy era ancora un qualcosa di troppo doloroso per parlarne o per decidere del futuro degli Avenged Sevenfold, sia lui che Johnny ce la stavano mettendo tutta per far capire agli altri due che non volevano mollare.
Se la band si fosse sciolta avrebbero causato solo ulteriori sofferenze ai fan, alle loro famiglie e soprattutto a loro stessi.
Anche se immaginarsi sul palco senza Jimmy sembrava surreale, era ancora più assurdo immaginarsi lontano dal palco o addirittura sul palco senza i suoi migliori amici.
Jimmy non avrebbe voluto che la band si sciogliesse, questo era sicuro.
Zack avrebbe insistito fino all’ultimo respiro sul continuare a fare musica insieme e se fino a quel momento era rimasto zitto era solo perché Brian era ancora troppo scosso per affrontare un discorso del genere.
Brian aveva bisogno di tempo.
Nessuno lo aveva mai visto anche solo lontanamente distrutto quanto lo era in quel periodo. Non che qualcuno considerasse anormale il suo comportamento, ma tutti erano molto preoccupati. Brian riusciva a distogliere l’attenzione persino dall’intimo dolore che ognuno provava per la morte di Jimmy.
“Amore se esci potresti passare a prendere un pacco di assorbenti?”
“Certo” borbottò Zacky a Gena che si era affacciata in sala.
Non convivevano ma da quando Jimmy era morto lei aveva passato molto tempo a casa sua. Avevano pranzato e cenato insieme quasi tutti i giorni e lei si era impegnata con tutta se stessa per tenergli impegnata la mente. Spesso e volentieri era rimasta anche a dormire da lui e lo aveva coccolato per ore aspettando che si addormentasse.
Zacky le sarebbe stato grato per sempre per quei piccoli gesti che in quei giorni lo avevano minimamente distratto da quell’assurda situazione che stava vivendo.
Ammetteva che la perdita di Jimmy non l’aveva ancora assorbita del tutto ed era anche consapevole del fatto che avrebbe sentito tutta l’assenza dell’amico solo una volta rimesso piede nello studio di registrazione, ma Jimmy già gli mancava moltissimo.
Era strano non poterlo chiamare per ogni minima stronzata, non poter uscire e andare a casa sua a ogni ora, non potergli scrivere un messaggio per parlargli di quanto gli desse fastidio veder crescere il pancione di Michelle e non uscire con lui.
Gli mancavano i suoi abbracci.
Jimmy era quel tipo di persona che anche se vi siete salutati dodici ore fa quando ti rivede ti salta addosso e ti stringe tanto forte da farti male e da far pensare a tutti i passanti che non vi rivedete da anni.
E a Zack mancava qualcuno che gli dimostrasse l’affetto che gli dimostrava Jimmy. Certo, c’era Gena che lo riempiva di coccole e baci, ma non era la stessa cosa. E Brian in quel momento doveva pensare a se stesso e al bambino in arrivo.
Forse la verità era che Zacky si sentiva solo. Come se Jimmy si fosse portato via anche un pezzo del suo cuore.
“Non dovevi andare da Johnny?”
Zack si mise a sedere sul divano e annuì. “Sì, ora vado” disse alla sua fidanzata.
Si alzò in piedi, le lasciò un bacio sulle labbra e uscì di casa di tutta fretta.
Johnny era il solo con cui sapeva di poter parlare del futuro della band. Johnny era l’unico dei suoi amici ch’era pronto ad affrontare un discorso del genere. Forse lo era anche Matt, ma Zack aveva deciso che voleva lasciargli tutto il tempo di fare il papà prima di chiamarlo.
Solo quando si ritrovò a suonare il citofono di casa del bassista si decise anche a interrompere il flusso dei pensieri e a darsi un’aria presentabile cercando di domare la sua chioma ribelle.
“Hey” lo salutò Johnny aprendogli la porta. “Cosa ci fa qui?”
Zacky lo osservò attentamente: mutande, felpa sporca, piedi nudi, occhi gonfi e rossi, capelli spettinati e pelle pallida.
“Da quanto non dormi?” fu la sua domanda entrando in casa dell’amico.
Johnny sospirò. Da quant’è che non dormiva? Da quanti giorni gli occhi azzurri del batterista continuavano a tormentarlo impedendogli di chiudere gli occhi e rilassarsi fino a lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo?
“Allora?” incalzò il chitarrista ritmico puntando alla cucina dell’amico. “E cos’hai fumato?”
“Sigarette” si indispettì velocemente Johnny, capendo subito dove il maggiore voleva andare a parare.
“Conosco i tuoi occhi sotto l’effetto di marijuana, Johnny Christ” ribatté Zack altrettanto svelto, cominciando ad aprire i vari cassetti presenti in cucina e rovistandoci dentro con mani tremanti dal nervoso.
Andava lì per sentirsi dire che non era il solo a non voler sciogliere gli Avenged Sevenfold e trovava il piccolo Johnny drogato. Gli toccava anche fare la mammina apprensiva.
“Non ho fumato marijuana” borbottò Johnny lasciandosi cadere pesantemente su una sedia.
“Ah no?” commentò sarcastico Zacky trovando finalmente la bustina che cercava, ovviamente piena di marijuana. Ormai Johnny era un libro aperto per lui, il piccoletto non sarebbe riuscito a ingannarlo neanche dopo aver frequentato un corso di recitazione. “E questa cos’è, camomilla?” continuò, sollevando la bustina in modo tale da mostrarla all’altro.
“Sei venuto a farmi la predica?” domandò Johnny stancamente. “Perché se è così puoi benissimo andare via. Non voglio stare a sentirti, non voglio sentire nessuno. Lasciatemi solo.”
Zacky sospirò. “Scordati che io ti lasci solo in questo momento” gli disse con forza avvicinandosi a lui.
“Tu non stai così perché non hai sentito Fiction” si infiammò Johnny, che effettivamente era stato il solo ad aver ascoltato quella canzone prestando attenzione alle parole. “Jimmy voleva morire. Lo sapeva. È stato un suicidio, il suo.”
Zack sentì un brivido lungo la schiena ma si impose di restare calmo. “Johnny, ascoltami bene” disse piano piazzandosi di fronte a lui. “Jimmy era pazzo per la vita. Era la persona più viva che io abbia mai conosciuto e non dirmi che mi sbaglio. Non provare a smentirmi perché diresti il falso e lo sai benissimo. L’hai forse dimenticata la luce negli occhi del Rev? Io no, me la ricordo perfettamente. Non l’ho mai vista in nessun’altro essere umano quella luce, quella voglia di vivere e di spaccare il mondo che aveva Jimmy. Lui ha vissuto ogni giorno come se fosse l’ultimo perché voleva morire senza rimpianti, ma amava la vita. L’amava molto più di me, te, Matt e Brian messi insieme. E lo sai Johnny. Lo sai che Jimmy non avrebbe mai fatto una cosa del genere, lo sai che non si sarebbe mai suicidato neanche se fosse caduto in depressione. Sapeva quanto noi avremmo sofferto in tal caso e non avrebbe mai e poi mai potuto darci un simile dispiacere, né a noi né alla sua famiglia.”
Johnny chinò ulteriormente il capo. Sapeva benissimo che Zack aveva ragione. Eppure quella maledetta canzone...
“Non sei il solo che ha perso il suo migliore amico e se vogliamo andare avanti dobbiamo stare uniti e farci forza a vicenda.”
“Questo non farà tornare Jimmy” controbatté Johnny stringendo i pugni guardandosi le ginocchia.
“Ma lo renderà fiero di noi” rispose immediatamente il più grande sedendogli di fronte. “Tutti stiamo male, Johnny” continuò poi. “Ma Jimmy non vorrebbe vederci così, vorrebbe vederci reagire. Vorrebbe vederci lavorare insieme in suo onore.”
Pronunciando quelle parole entrambi si resero conto di cosa c’era bisogno di fare.
Zack capì che aveva semplicemente tirato fuori con poche frasi ciò che il turbine di emozioni dentro di lui non era stato capace di tirare fuori in un mese. E Johnny capì che Zack aveva ragione.
Jimmy non sarebbe tornato, questa era la realtà dei fatti, però qualcosa potevano ancora fare, qualcosa che magari al batterista scomparso non sarebbe servita, ma che sicuramente lo avrebbe reso felice di avere degli amici come loro.
Loro lo avrebbero onorato scrivendo un cd dedicato a lui.
E la cosa, a pensarla, era talmente tanto semplice e ovvia che entrambi si sorpresero di non averla pensata prima.
Sarebbero andati avanti senza di lui ma per lui.
Perché Jimmy se lo meritava.
E loro avevano bisogno di ringraziarlo di tutto l’affetto, di tutte le sbronze, di tutti i sorrisi, di tutti gli abbracci e dell’amicizia sconfinata di quegli anni insieme.
E quale grazie migliore della musica?
E quale grazie sarebbe potuto andar bene più del nuovo cd a cui stavano lavorando tutti insieme?
Jimmy sarebbe stato fiero di loro, Johnny e Zack lo capirono sciogliendosi in un fiume di lacrime l’uno sulla spalla dell’altro.
Jimmy sarebbe stato fiero dei suoi fratelli.









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Eccomi qui dopo una settimana tragica a scuola. Studio, studio, studio. E la prossima settimana sarà ancora peggio. Nessuno di voi vuole offrirsi volontario a latino, storia e filosofia da parte mia? Nessuno nessuno?
Okay, sto impazzendo, lo riconosco.
Maledetta scuola.

Cooomunque, parlando del capitolo, come potete notare c'è la svolta, c'è quella cosa che fa capire ai ragazzi (o almeno a due di loro) che devono andare avanti anche senza Jimmy e devono farlo per lui.
Spero vi piaccia, come sempre non vi mangio se mi fate sapere cosa ne pensate (:
Vi ricordo anche, perché non fa mai male, che ho scritto anche una OS sui Suicide Silence, una sui Pierce The Veil e una sui My Chemical Romance. Se per sbaglio andaste a dar loro un'occhiatina mi fareste immensamente felice :3
Grazie a tutti quelli che seguono questa storia,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 6
*** Nervosismo. ***


Era la terza volta nell’arco del pomeriggio che Brian si alzava dal suo sgabello, si toglieva di dosso la chitarra, si imponeva con mani tremanti di poggiarla a terra e di non tirarla addosso a qualcuno e usciva a passo svelto fuori dallo studio di registrazione a fumare una sigaretta.
“Cosa facciamo?” chiese Johnny alzandosi a sua volta dallo sgabello.
“Zack...” mormorò Matt stancamente, cercando lo sguardo dell’amico.
“Non posso farci nulla” si difese all’istante il chitarrista ritmico. “Lo so che in questo momento avrei dovuto fare tutto tranne che scaricargli addosso ulteriori sofferenze, ma prima o poi avrei dovuto dirglielo ugualmente.”
Mike sospirò. Andava sempre peggio. Aveva accettato di buon grado di lavorare con gli Avenged Sevenfold per il cd in onore del Rev e, quando aveva detto di sì, si era preparato psicologicamente al dolore con cui avrebbe dovuto avere a che fare in quei giorni, ma più il tempo passava e più le cose sembravano mettersi male. Non pensava che i ragazzi stessero soffrendo così tanto. Ormai era febbraio e i ragazzi sembravano sempre più provati dall’assenza del loro batterista, come se il tempo al posto di curar loro le ferite gliele stesse infettando.
In modo particolare Brian sembrava star sempre più male. Nonostante avesse un figlio in arrivo e il conforto dei suoi amici, della sua famiglia e dei suoi fan, ogni giorno che passava sembrava essere più triste del precedente.
Non suonava più come prima, era quello che sbagliava maggiormente e che andava fuori tempo. Nessuno aveva osato mettergli pressione o dirgli che faceva schifo, ma dagli sguardi che lanciava ai suoi compagni di band ogni volta che dovevano interrompere una registrazione a causa sua sembrava che si sentisse infinitamente in colpa.
Per non parlare di So Far Away.
Quella canzone era una poesia, il tributo più bello da dedicare a un migliore amico scomparso, eppure Brian non riusciva a suonare quell’assolo che aveva scritto con le sue stesse mani.
Non ci era riuscito neanche una volta.
So Far Away di solito la provavano a fine giornata solo se era Synyster stesso a proporlo e alla fine la serata si concludeva sempre con lui che si innervosiva, scoppiava in lacrime e si chiudeva in bagno fino a che uno dei suoi amici non andava da lui a calmarlo e a riportarlo fuori.
“Posso sapere che succede?” chiese Mike dopo un po’. “Oggi mi pare che stia anche peggio del solito.”
“La mia ragazza è incinta” borbottò Zack senza neanche voltarsi a guardarlo, con lo stesso tono di voce che si usa per dare la notizia di un decesso.
Il batterista si aprì in un sorriso e quasi gridò auguri prima di rendersi conto che nessuno di loro era felice per via della bella notizia che, evidentemente, non era poi tanto bella.
Si rese conto da solo del motivo degli occhi lucidi di Zack e degli errori ancora più frequenti, in quel pomeriggio, di Brian.
Capì tutto da solo quando uscì insieme agli altri all’aria aperta e Vee si diresse a passo spedito verso Syn e lo abbracciò con trasporto singhiozzando nel suo petto.
Dire che era stato cieco fino a quel momento significava dire poco. Chiunque si sarebbe accorto che quei due erano innamorati. Sembravano calamitati uno all’altro e quando si abbracciavano sembrava che il corpo dell’uno andasse a compensare i vuoti di quello dell’altro.
 
Il giorno successivo non combinarono nulla.
Mike andò a casa dopo pranzo e disse ai ragazzi che si sarebbero rivisti con calma, che non c’era fretta e che dovevano prima rimettere a posto i cocci di loro stessi per poter completare quel dannatissimo cd.
Anche Matt decise che sarebbe tornato dalle sue donne prima del solito e lasciò Johnny, Zack e Brian in studio di registrazione abbandonati uno accanto all’altro su un divano con gli strumenti posati in un angolo della stanza e gli sguardi persi nel vuoto.
“Ragazzi lui è Tom, è un tecnico del suono” disse improvvisamente la voce di Larry, facendo riscuotere i tre che se ne stavano spaparanzati sul divano.
“’Sera” borbottarono quelli all’unisono a quell’uomo muscoloso quasi quanto Matt e con la barba malcurata.
A dire il vero non si sa come la situazione riuscì a precipitare. Un momento stavano parlando di Jimmy che aveva sempre vissuto come se ogni giorno fosse l’ultimo della sua vita e il momento dopo Brian era in piedi e urlava contro quel tecnico.
“Il tuo amico ha voluto vivere una vita da rockstar, una vita sopra le righe, e la vita lo ha ripagato. Sapeva benissimo che sarebbe morto giovane, è inutile disperarsi per qualcosa che si aveva già la certezza che sarebbe successa” disse Tom ormai nervosissimo a Brian.
“Tu non lo conoscevi, non devi permetterti neanche di nominarlo!” rispose urlando Brian prima che si scatenasse il putiferio.
Per giorni Synyster Gates era andato avanti sopravvivendo in un limbo che gli permetteva di continuare a esistere senza vivere realmente e senza lasciare che tutto il dolore accumulato dentro di lui sgorgasse fuori. Per giorni Brian aveva messo dentro in silenzio, sfogandosi solo col pianto, e in quel momento scoppiò.
Zacky non capì quasi nulla. Vide solo il suo amante addosso a quell’energumeno di nome Tom, vide Johnny che immediatamente cercava il cellulare nella tasca dei jeans per chiamare Matt e vide i gemelli Barry, Dan The Body e Larry che si mettevano in mezzo alla rissa.
“Brutto figlio di puttana” urlò Tom cercando di divincolarsi dalla stretta di Brian.
“Io ti ammazzo” strepitò il chitarrista a sua volta, tirando cazzotti alla cieca e sforzandosi in ogni modo di non lasciarsi sollevare in piedi dai roadie.
Successe tutto in fretta.
Brian era addosso a quell’uomo, Jason e Matt Barry cercavano di tenerlo fermo, Larry gli teneva un polso, Dan tentava di dividerlo da Tom e la mano di Syn non intrappolata dalla stretta di Larry centrò, chiusa a pugno, in pieno il volto del tecnico del suono.
Sangue.
“Brian!” urlò istericamente Zack, alzandosi finalmente dal divano per raggiungere l’innamorato.
Johnny si portò le mani alla bocca, pregando che non fosse successo nulla di grave e Jason finalmente riuscì, con uno strattone, a fare in modo che Gates lasciasse andare l’uomo.
“Ma sei un fottuto coglione” strepitò Dan spingendo via il chitarrista con una mano e aiutando Tom a mettersi in piedi.
Brian si lasciò tirare in piedi da Jason e Zack, osservò in silenzio quell’uomo che veniva accompagnato in bagno da Matt Barry e Dan The Body e poi si risedette sul divano prendendosi la testa tra le mani, capendo il casino che aveva combinato.
“Dio Gates, sei un fottutissimo cretino!” strepitò Larry alzando le braccia al cielo, nell’esatto momento in cui si sentiva il rumore della portiera di una macchina che sbatteva.
“Che succede?” domandò trafelato Shadows entrando in studio con ancora addosso i panni con cui aveva trascorso la giornata poiché non aveva avuto neanche il tempo di cambiarsi.
“Brian ha pestato il tecnico del suono” spiegò Johnny in un soffio.
Matt impallidì. “E ora come sta?”
“Sanguina.”
Restarono tutti in silenzio fino a che Matt Barry non uscì dal bagno e tutti si voltarono verso di lui come se fosse un medico appena uscito dalla sala operatoria.
“Allora?” domandò titubante Jason al fratello.
“Dan crede che abbia il naso rotto” borbottò lui piano. “E ci serve qualcuno che lo convinca a non sporgere denuncia.”
“Ma se è stato lui a provocarmi” si infiammò all’istante Brian.
“Tu taci” lo ammonì il cantante in una sottospecie di ringhio di rabbia. “Ci penso io a tirarti fuori dai guai, idiota.”
Matt si diresse a passo svelto verso il bagno e ci si chiuse dentro insieme a Tom e Dan per un intero quarto d’ora. Un quarto d’ora lunghissimo in cui Zack rimase immobile di fianco a Brian tenendogli una mano e pregando che le capacità persuasive del suo cantante non si fossero arrugginite per via dello scarso utilizzo di quegli ultimi mesi.
Quando M. Shadows, però, uscì dì lì con un viso stampato uno sbilenco sorriso, tutti capirono e tirarono un sospiro di sollievo.
“Grazie” mormorò Brian evitando lo sguardo dell’amico.
“Vai a casa. Vai a casa dalla tua famiglia e riposati.”












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Coloro che hanno letto New Generation potrebbero ricordarsi di questa scena, perché nell'altra FF Nicole ne parla. La scena l'ho inserita, per l'appunto, proprio per creare maggiore vicinanza tra questa Long e quella già completa che è il suo sequel.

Come sempre spero che il capitolo vi piaccia, mi piace moltissimo scrivere di Brian così infuriato e allo stesso tempo tormentato.
E come sempre vi chiedo di recensire, perché adoro leggere ciò che vi trasmettono le mie storie. E colgo anche l'occasione per ringraziare ufficialmente Ombra, che è la persona che più di chiunque altra mi sta vicina e mi sta seguendo costantemente nel 'cammino' con la FF.

A presto (spero!),
Echelon_Sun

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Capitolo 7
*** Sei un idiota e ti amo ***


Il piccolo Jimmy era perfetto. Michelle non era riuscita a definirlo in altro modo se non perfetto.
Somigliava più a lei che a Brian ed era un bimbo calmo e dormiglione. Erano tornati a casa da due giorni e si era svegliato solo una volta a notte, a differenza di sua cugina Alicia che faceva alzare a turno i genitori almeno tre volte nell’arco della nottata.
Michelle era felice.
Lei e Brian si sarebbero sposati a breve, a luglio probabilmente.
Lui le aveva fatto la proposto la sera stessa del parto. Mentre lei allattava Jimmy le si era seduto accanto e le aveva mormorato all’orecchio sposami Michelle, sposami.
Alla faccia dei dubbi di Valary! Lei lo sapeva che Brian aveva solo bisogno di un po’ di tempo e non aveva mai dubitato del fatto che prima o poi quella richiesta tanto attesa sarebbe giunta alle sue orecchie, come, invece, sua sorella Val aveva fatto più e più volte.
“Tesoro perché non vai a cambiarti?” le disse improvvisamente Brian sedendole accanto sul divano. “Prendo io Jim” aggiunse allungando le braccia verso il fagotto addormentato tra le braccia della ragazza.
“Grazie Bri” sorrise Michelle, lasciandogli il bambino e dirigendosi al piano di sopra per mettersi qualcosa per la cena di quella sera.
Avevano invitato a cenare da loro le loro famiglie e gli Avenged Sevenfold per poter dare a tutti la notizia del matrimonio.
Brian seguì per un po’ con lo sguardo la sua fidanzata che spariva su per le scale e poi rivolse uno sguardo tutto innamorato a suo figlio. Aveva tanto preso in giro Matt per quegli sguardi ricolmi di tenerezza rivolti ad Alicia e ora si ritrovava proprio lui, Synyster Fuckin’ Gates, a guardare allo stesso modo un neonato.
Aveva pensato, per un breve periodo che aveva preceduto la nascita di Jimmy, che avrebbe odiato suo figlio, il frutto di un amore inesistente tra lui e Michelle. Era arrivato a pensare che guardando quelle guance paffute avrebbe scorto la fine dell’amore con Zacky.
Aveva pensato che avrebbe odiato suo figlio e invece lo aveva amato dal primo urlo che aveva tirato fuori.
Lo aveva amato senza confini tenendolo in braccio per la prima volta, osservandolo curioso da sopra la spalla di sua sorella McKenna che, sebbene fosse molto più piccola di lui, sembrava assai più esperta con i bambini appena nati e aveva amato suo figlio persino quando lo stava guardando attraverso un vetro dormire nella culletta e Zack era andato a rivolgergli uno sguardo colmo di tristezza.
Sapeva che Zacky presto avrebbe capito che il loro amore era cosa completamente diversa da quello per i figli.
Lui si era pentito delle parole che aveva detto la notte in cui Zack si era ubriacato per via di Michelle incinta. Si era pentito amaramente di aver detto di non volere un figlio ma solo Zacky.
Non avrebbe rinunciato a tenere Jimmy tra le braccia per nulla al mondo, in realtà.
E Zack avrebbe capito tutto questo quando anche a lui sarebbe nato il bambino. Vee si sarebbe reso conto che il loro amore non sarebbe finito, figli o non figli.
Il suono del campanello fece destare lui dai suoi pensieri e Jimmy dal sonno; il bambino, irritato, prese a urlare istericamente.
“Chi si è azzardato a suonare?!” gridò altrettanto istericamente Michelle dalla sua camera da letto mentre si sfilava i pantaloni della tuta che aveva portato per tutto il giorno.
Brian si alzò cullando tra le braccia il figlioletto nervoso e si ritrovò di fronte Johnny e suo padre Brian Sr. che lo guardavano con aria colpevole.
“Papà” sospirò Synyster, “con quale coraggio hai potuto suonare il campanello dopo aver avuto a che fare con tre neonati, eh?”
“È stato Jonathan” si difese immediatamente l’uomo alzando le mani in segno di resa.
“Non è vero” si imbronciò il bassista, discolpandosi a sua volta.
Brian in un primo momento fu preso dalla voglia di chiudere loro la porta in faccia, ma scorse sullo sfondo i suoi fratelli che portavano un enorme pacco camminando lungo il vialetto di casa e si impose di star calmo.
“Okay, tu prendi Jim” asserì rivolto a suo padre, “e tu vieni con me ad aprire il tavolo in cucina” continuò parlando a Johnny mentre scaricava il piccolo fagotto urlante tra le braccia del nonno.
Il neo-papà si diresse in cucina col bassista e cominciarono a preparare la tavola per la cena mentre, dalla sala, si sentivano ancora gli urli di Jimmy e le lamentele da parte di Papa Gates.
“Bri...”
“Mh?”
“Sono sicuro che Jimmy ora sarebbe stato fiero di te” disse piano Johnny disponendo i bicchieri sul tavolo.
Brian si voltò a guardarlo di scatto. In quei giorni aveva fatto di tutto per non pensare a Jimmy e a come sarebbe stato con lui presente, ma non aveva potuto farci nulla: continuava a pensare a come il suo migliore amico avrebbe riso della poca somiglianza tra il neonato e il suo papà, a quante battute il Rev avrebbe snocciolato vedendolo tenere tra le braccia quel piccoletto strepitante, a tutte le volte che avrebbe portato il bambino in studio e James di sicuro sarebbe stato tutto preso da lui e non li avrebbe più degnati d’uno sguardo.
“Jimmy è fiero di noi, Johnny.”
Jonathan alzò lo sguardo su Synyster, i loro sguardi si scontrarono l’uno contro l’altro e rimasero così, fermi a fissarsi, a lasciarsi cadere uno negli occhi dell’altro.
Nessuno aveva bisogno di altro se non dei propri amici.
Ormai era da molto che lo avevano capito, ma avevano bisogno, di tanto in tanto, di ricordarlo a loro stessi, che senza gli Avenged Sevenfold non sarebbero riusciti andare avanti.
“Ragazzi sono arrivati Zack e Gena” sorrise Michelle entrando in cucina insieme a Gena e al suo pancione ancora poco visibile.
Johnny e Brian si riscossero e si voltarono a sorridere alla biondina appena arrivata. Subito dopo spuntò anche Zacky col piccolo Jimmy quasi assopito tra le braccia.
“Brian tuo figlio non ti assomiglia per niente” asserì il chitarrista ritmico. “Tu sei un rompicoglioni assurdo, mentre lui è adorabile e buono come una fetta di ciambella al cioccolato.”
Tutti risero alle sue parole, rischiando quasi di far di nuovo agitare il bambino.
“Ha ripreso tutto dalla zia” si intromise Valary entrando a sorpresa in cucina seguita da Matt che teneva in braccio Alicia.
“Dalla mamma, vorrai dire” la corresse Michelle avventandosi letteralmente sulle guancie paffute della nipotina mentre Matt accennava uno sguardo parecchio eloquente al suo primo chitarrista.
Brian alzò un sopracciglio, non capendo.
“Vado un momento a controllare una cosa in macchina” disse il cantante. “Mi accompagnate?” chiese lasciando passare lo sguardo sui suoi compagni di band.
“Certo” rispose svelto Brian prendendo il figlio dalle braccia di Zacky per lasciarlo tra quelle assai più sicure della sua fidanzata.
Uscirono uno dopo l’altro e andarono a sedersi sul marciapiede davanti casa di Brian.
“Sigaretta?” propose Brian a Zacky estraendo il suo fidato pacchetto di Marlboro e decidendo al momento di dirgli del matrimonio all’istante e non più tardi, quando sarebbero state presenti anche la sua famiglia, quella di Michelle e le loro mogli.
“Grazie” gli disse dolcemente Vee prendendo la sigaretta e lasciando cadere la testa sulla sua spalla.
“Vi ho fatti uscire perché devo dirvi una cosa” disse piano Matt alzandosi in piedi, troppo nervoso per stare fermo, mentre i due chitarristi si accendevano una Marlboro rossa a testa.
“Devo dirvi una cosa anche io” affermò immediatamente Brian mentre Zack toglieva il capo da sopra la sua spalla forte.
Cantante e chitarrista si guardarono negli occhi per un momento, poi parlarono all’unisono.
“Valary è di nuovo incinta.”
“Michelle ed io ci sposiamo.”
Restarono tutti in silenzio per un attimo, interiorizzando ciò che era appena accaduto. Johnny aprì bocca per commentare ironicamente le prestazioni sessuali del suo frontman, ma ci ripensò e stette zitto.
Zacky tirò dalla sua sigaretta. “Congratulazioni a entrambi” commentò abbozzando un sorrisetto tirato con voce vagamente spezzata.
“Zack, io...”
“Non dire nulla” si innervosì Vee, scattando in piedi come una molla. “Perché vuoi sposarla, eh? Per potermi finalmente lasciare? Per nascondere ancora meglio la nostra storia?”
“Così nessuno potrebbe mai dubitare della nostra eterosessualità” cercò di salvarsi in calcio d’angolo l’altro.
“Perché non me ne hai prima parlato?!” quasi gridò Zack, alzando le braccia al cielo con le lacrime agli occhi. “Hai deciso da solo! Hai fatto tutto tu sia per me che per te, hai deciso di stare ufficialmente con lei e non con me e me lo dici così...”
Brian aprì bocca per ribattere ma si zittì notando l’auto dei genitori di Michelle e Valary che si avvicinava sempre di più.
Johnny scattò in piedi. “Andiamo a fare due passi e poi veniamo” disse a Brian afferrando Zacky per le spalle e facendolo camminare nella direzione opposta rispetto a quella dove stavano parcheggiando i signori DiBenedetto.
 
“Dov’è finito Zachary?” domandò Gena sedendo tra Michelle e Valary sul divano di casa Haner.
Tutti si guardarono attorno spaesati.
Com’era possibile che nessuno l’avesse visto andare via? E poi solo due minuti prima stava parlando tranquillamente con Brent, il fratello di Brian.
“Era qui un attimo fa” commentò Brian confuso.
Lo aveva tenuto d’occhio per tutta la cena, riservandogli degli sguardi fin troppo lunghi mentre Michelle annunciava solennemente che lei e il suo Brian si sarebbero sposati probabilmente a luglio, e per quei pochi istanti in cui era stato al piano di sopra per controllare che Jimmy stesse bene, Zack era magicamente sparito.
“Non c’è neanche la macchina” asserì Valary con una punta di preoccupazione nella voce, affacciata alla porta principale.
“Andiamo a cercarlo” disse immediatamente Matt afferrando le chiavi della sua auto e trascinandosi dietro Brian tenendolo per un polso.
Tra una bestemmia, una maledizione e una preghiera, Matt, Johnny e Brian presero posto nell’auto del cantante e partirono alla svelta verso il centro di Huntington Beach.
“Forse è andato a casa” azzardò Johnny dopo un po’ affacciandosi dal sedile posteriore.
Brian strinse una mano a pugno mentre Matt fece per rispondere ma notò l’auto del chitarrista ritmico abbandonata a un lato della strada, così si zitti e accostò.
Si fiondarono praticamente di corsa da Zack. Brian si diresse dal lato del guidatore, Matt e Johnny da quello del passeggero, e cercarono di aprire le porte che, prevedibilmente, Zacky aveva chiuso dall’interno.
“Che cazzo hai intenzione di fare?!” urlò Brian tirando un pugno contro il vetro e facendo sussultare Vee che sembrava tutto concentrato a fare qualcosa che nessuno di loro tre riusciva a capire.
Zack lo guardò confuso e addirittura accennò un sorrisetto tranquillo.
Allora Brian capì.
Si alzò in punta di piedi e vide ciò che Zack teneva sulle cosce: una siringa piena di droga pronta per essere iniettata nelle vene.
Troppa droga.
Non che nessuno di loro avesse mai fatto uso di cocaina o eroina iniettandosela nel braccio, ma mai uno qualsiasi di loro aveva osato immettersene così tanta.
E Brian capì che se Zack voleva introdursi tanta droga in corpo era perché voleva procurarsi un’overdose e morire.
“Porca puttana Zack, apri immediatamente questa fottuta portiera” gridò sull’orlo di una crisi di nervi. “Non farlo, cazzo” continuò mollando due pugni contro il vetro, “esci fuori!”
Matt e Johnny capirono solo in quel momento ciò che Zack aveva intenzione di fare. Lo videro che sollevava quella siringa e il più grosso dei due spinse indietro l’altro con una mano e tirò un pugno contro il vetro dell’auto, che si ruppe all’istante.
La ragione di Matt sembrò essersi oscurata per qualche momento. Quasi non si rese effettivamente contro di aver fatto arretrare Johnny e di aver colpito il vetro, quasi non si rese conto del gesto folle pur di salvare Zacky.
Il dolore, però, lo sentì tutto, forte e chiaro.
“Cazzo Matt” si affannò Johnny afferrando la mano sanguinante del cantante tra le sue.
“Non...” borbottò Matt sfuggendo alla sua presa e stringendo i denti per il dolore. “Pensate a Zack.”
Non se lo lasciarono ripetere. Johnny aprì la sicura della macchina e in un attimo lui e Brian avevano provveduto a togliere la siringa dalle mani di Zack e a farlo scendere dalla vettura quasi gettandolo letteralmente a terra.
“Sei un fottuto coglione” disse Brian piangendo abbracciato a Zack sull’asfalto freddo.
“Volevo solo raggiungere Jimbo” piagnucolò a sua volta l’altro, aggrappandosi al corpo di Brian come se fosse una roccia di salvezza.
Brian si staccò da lui per scoccargli un’occhiata di fuoco. “Se adesso fosse qui ti staccherebbe le orecchie a morsi e poi ci farebbe il purè di patate.”
Nonostante tutto, Zack sorrise. “Dimmi che mi ami. Ti prego, dimmelo.”
“Sei un idiota e ti amo Zacky V.”













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Premetto che questo capitolo non mi piace moltissimo, ma spero di potermi far perdonare con il fatto che sia più lungo degli altri. Comunque spero che a voi piaccia, io Zack lo immagino sempre così dolce e pieno di dubbi, preoccupazioni e paure. Lui e Brian li vedo che lottano per potersi amare nonostante tutto e non riesco a fare a meno di scrivere queste scene di loro due così teneri.

Come sempre imploro recensioni, grazie a tutti quelli che stanno seguendo questa Long,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 8
*** True love. ***


Sapeva che quel giorno prima o poi sarebbe arrivato. Lo sapeva. Lo sapeva e aveva fatto di tutto per preparasi psicologicamente a non crollare, a restare forte e impettito al suo posto per tutto il tempo mentre l’amore della sua vita sposava una persona che non fosse lui. Per distrarsi, Zacky aveva passato gli ultimi tre giorni in sala di registrazione quasi completamente solo a suonare. Nightmare sarebbe uscito all’inizio della settimana successiva, ognuno di loro aveva dato il massimo per quel disco, ci aveva riversato sopra anima, corpo, cuore, arterie e tutto il resto. Il lavoro era finito e in quei giorni Brian era stato completamente assorbito dai preparativi per il matrimonio, cosa che era stato costretto a fare anche Matt sotto minaccia di Valary, così Zacky si era potuto prendere un po’ di tempo per sé.
Aveva pensato tanto al matrimonio di Brian in quei giorni. Nonostante il suo continuo cercare distrazione e il suo perpetuo scaricare la frustrazione sulla chitarra, non aveva potuto fare a meno di immaginarselo che pronunciava quel maledettissimo per Michelle e non per lui.
Per quanto si rendesse conto che sposare Michelle dopo la nascita di Jimmy fosse la cosa più giusta e sensata da fare, Zacky non riusciva a capacitarsi del fatto che a quel punto lui sarebbe rimasto solo l’amante di Brian.
Ormai erano anni che avevano deciso di restare solo amanti, ma questo non comprendeva il fatto che potevano, intanto, sposarsi con altre persone.
E a Zacky non era andata affatto giù la notizia del matrimonio del suo unico amore.
E aveva fatto la stronzata.
E non riusciva a imporsi di star calmo, né a dirsi che comunque Brian prima o poi se lo sarebbe dovuto aspettare.
In fondo Zacky non si dava la completa colpa di ciò che aveva fatto. C’era stato un turbinio di situazioni che gli erano piombate addosso e lui non aveva saputo far di meglio che chiedere a Gena di sposarlo. Gena aspettava una bambina, James era morto, lui aveva tentato il suicidio, Brian era diventato papà e stava per sposarsi e lui... insomma, Zack si pentiva amaramente di essersi proposto a Gena, ma in quel momento era stata l’unica cosa che era riuscito a pensare.
“Amore dobbiamo aspettarti ancora per molto?”
Zack si girò di scatto a sorridere a Gena. Sorriso forzato sotto le occhiaie e lo strato di fumo di sigaretta che gli aleggiava attorno.
Era bellissima, la donna, quel giorno. Solo Michelle, nel suo abito bianco e nel suo enorme sorriso, la superava. Gena era bellissima col suo vestito rosso scollato, col suo pancione tenuto ben in vista che la rendeva di una dolcezza spropositata.
Solo Zack, tutto preso da Brian, non aveva realmente fatto caso a quanto la sua futura moglie era affascinante quel giorno.
“No amore” rispose lui, allungando una mano verso il pancione della donna. “Finisco di fumare e vi raggiungo.”
Gena si avvicinò ulteriormente a lui, gli prese delicatamente la mano tra le sue e gli fece poggiare il palmo sul pancione.
Cherie si stava muovendo.
“Ciao piccoletta” mormorò Zack sentendo la sua bambina sotto il suo tocco caldo.
Gena sorrise dolcemente. Aveva lasciato che Zacky scegliesse il nome della bambina e, nel momento esatto in cui avevano scoperto che avrebbero avuto una femmina, aveva anche capito che sarebbe stato un padre meraviglioso.
Un po’ geloso, forse, ma pur sempre meraviglioso.
“Ma dov’è finito quell’idiota di Vengeance?!”
I due fidanzatini si guardarono trattenendo a stento una risata, udendo la voce tuonante del frontman degli Avenged Sevenfold così vicina e così incazzata.
“L’idiota è qui” rispose Zack cingendo le spalle di Gena con un braccio.
“Finalmente!” esalò Johnny, spuntando insieme a Matt da dietro la siepe. “Ti cerchiamo da tre ore ma questo posto è fottutamente enorme e tu hai lasciato il cellulare sul tavolo.”
“Come al solito” commentò Matt incrociando le braccia al petto.
Zacky sbuffò. “Hey, non è colpa mia se Brian ha scelto Hogwarts per sposarsi” rispose accigliato. “Posso sapere perché mi stavate cercando?” chiese ironico.
“Le foto” rispose tranquillamente Matt. “Brian e Michelle devono fare la foto con i testimoni, gli amici e il resto.”
Zack annuì, gettò il mozzicone della sigaretta e si lasciò condurre dai suoi amici e dalla minuscola mano di Gena fino al sentiero in breccia dove Brian se ne stava abbracciato a Michelle aspettando loro per fare le benedette foto.
Brian era bellissimo quel giorno. Nonostante il dolore e la rabbia nel vederlo sposare Michelle, Zacky non aveva potuto fare a meno di ammirarlo per la sua bellezza.
Aveva una luce particolare negli occhi che il chitarrista ritmico non aveva saputo ancora identificare, ma che di certo aveva conferito al suo amante una bellezza ancora più completa.
Fecero le foto. Zack si posizionò all’estremità della folla di gente, il più lontano possibile dagli sposi, e cercò di sfoderare un sorriso che sembrasse anche solo lontanamente sincero.
Successe tutto subito dopo l’ultimo scatto.
Avete presente quella sensazione del sentirsi come se dentro si scoppiasse? Come se un vaso di coccio fosse stato posizionato nella gabbia toracica, fosse stato sottoposto a continui scossoni e urti e poi alla fine fosse esploso, frantumandosi in milioni di piccoli pezzi che graffiano i muscoli e si incastrano dolorosamente tra le costole?
Dopo l’ultimo flash della macchinetta fotografica Zack crollò.
Senza preavviso.
Crollò e basta.
Il vaso si ruppe dentro di lui. I cocci schizzarono in tutte le direzioni, il sangue cominciò a sgorgare dai graffi, le costole urlarono di dolore.
Un lamentò uscì dalle labbra del chitarrista.
“Tutto okay?” si preoccupò immediatamente Gena, vedendolo improvvisamene ancora più pallido del solito e con le mani premute sullo stomaco.
“Mh, credo che il ragù mi abbia fatto male” finse Zacky. “Vado in bagno.”
In un attimo si affrettò a dirigersi verso il laghetto, l’unica parte di quell’immenso ristorante non ancora affollata dagli invitati di Brian e Michelle per via del pranzo infinito.
Zacky sedette sulla riva del laghetto, lontano da sguardi indiscreti, e pianse.
Pianse tutto quello che non aveva pianto dalla sera in cui Brian gli aveva comunicato che avrebbe sposato Michelle. Lasciò uscire tutte le lacrime di rabbia e amore per quel ragazzo che amava da anni e che mai sarebbe stato suo. Pianse per Brian come mai aveva fatto prima, neanche quando lo aveva lasciato per Gena e si era ritrovato con una guancia rossa e il corpo pieno di lividi.
Amava Brian.
Lo amava nonostante tutto e nonostante tutti.
Nonostante Gena e Michelle. Nonostante il piccolo Jimmy, simbolo di un dubbio amore tra Brian e la sua neo-sposa. E amava Brian anche nonostante Cherie, la sua piccoletta in arrivo che sia Brian che Matt gli avevano assicurato che avrebbe amato sopra ogni cosa.
“Vuoi un fazzoletto?”
Zacky sussultò al suono della voce di Matt, ma non si voltò e non gli rispose. Rimase immobile, con le ginocchia al petto e il viso rigato dalle lacrime nascosto tra le mani.
“Hey” cercò di consolarlo il cantante, sentendolo singhiozzare senza ritegno, e abbassandosi al suo fianco per poterlo abbracciare. “Pensa un po’, Synyster Gates che apre le danze con un lento” cercò di sdrammatizzare, riuscendo solo a far liberare ulteriori lacrime al povero Vee.
Matt lo abbracciò e lo strinse a sé con forza. Sapeva quanto l’amore tra Brian e Zacky fosse vero, duraturo e immenso. Conosceva i due, ormai, e sapeva come prenderli. Sapeva che quando Zacky stava male a causa di Brian non c’era nulla di meglio da fare se non lasciarlo sfogare, coccolarlo un po’ e aspettare che Brian andasse a consolarlo e a ribadirgli che lo amava.
“Lo sai che Bri la sta sposando solo perché è nato Jimmy” cercò nuovamente di dire il cantante al suo chitarrista ritmico. “Lo sai che ama solo te e che questo non cambierà mai, neanche se dovessero nascergli altri cinque figli.”
Zacky tirò su col naso. “Lo so” borbottò aggrappandosi alla giacca di Matt e nascondendo il viso nel suo petto. “Lo so, ma fa dannatamente male sapere che al posto di Michelle, ora, dovrei esserci io ad aprire con lui le danze con un lento.”
Matt trattenne a stento una risatina. “Forza Vee, ti ci vuole una bella scopata per far passare tutto” gli disse, facendolo finalmente ridacchiare.
Sentendolo appena più tranquillo, Matt lo costrinse ad alzare il viso prendendoglielo tra le mani enormi, gli asciugò le lacrime con i polpastrelli dei pollici e lo fece alzare in piedi tirandolo su di peso.
“Credo che dovresti concedere almeno un ballo alla tua futura moglie” disse piano il cantante tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette.
“Sta entrando nell’ottavo mese di gravidanza, non dovrebbe sforzarsi” rispose Zacky prima di realizzare quello che effettivamente il suo amico aveva detto. “Oh” disse poi avvampando improvvisamente. “E tu come fai a saperlo?”
“Gena non ha resistito a dirlo a Valary e io ero lì accanto quando le è arrivato il messaggio sul cellulare” rispose Matt con una scrollata di spalle. “È la cosa giusta da fare, Zack. Stai per diventare padre e stai facendo la cosa giusta, te lo assicuro.”
Zack dovette imporsi di non rispondere.
Ormai aveva capito che il matrimonio non si basava sull’amore, ma sul bisogno.
E lui aveva bisogno e aveva anche il dovere, in un certo senso, di sposare Gena.
E in quel momento si rese conto che per Brian era stato esattamente lo stesso e che, per quanto potesse fare male, il suo amante sarebbe rimasto sempre e solo un amante. Ma almeno tra loro due l’amore sarebbe stato vero.










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Oookay, questo capitolo mi piace più del precedente e vi sto anche scrivendo il prossimo (: visto come sono efficiente?
Ebbene, come al solito il povero Zack sta male per Brian, ma per fortuna ci sono gli amici (in questo caso Matt) che sanno sempre come consolarlo.
Spero che vi piaccia come sta procedendo la Long,
un abbraccio forte,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 9
*** Always by our side. ***


Era passato un anno. Un fottutissimo anno dalla morte di Jimmy e a Matt sembrava ancora di sentire addosso tutta la pesantezza di quel giorno.
Rimase a letto, rimase steso avvolto nelle coperte calde con gli occhi serrati e solo la voglia di non muovere un singolo passo in tutta la giornata.
In quei giorni non era stato troppo male, aveva cercato in ogni modo di non pensare, di non ricordare cosa stava facendo in quei momenti un anno esatto addietro.
In quell’ultima settimana aveva dedicato anima e corpo ad Alicia, ma non quel giorno.
No, quel giorno proprio non ce la faceva.
Il dolore per la morte di Jimmy era troppo, davvero troppo.
E Matt non riuscì a fare a meno di ripensare a quella stessa mattina di un anno prima. Non riuscì a non ripensare alla chiamata della sorella di James, alle sue lacrime immediate, all’abbraccio di Valary, alla sua corsa in auto.
Rivide davanti a sé il corpo del suo migliore amico abbandonato a terra nella cucina della sua casa, rivide quegli occhi azzurri spalancati in un grido di aiuto, la pelle lattea e fredda di Jimmy, risentì le grida della signora Sullivan.
Quel giorno maledetto in cui era stato costretto a chiamare Zack e Johnny, a dire loro di venire subito a casa di Jimmy senza avere la forza di rivelare il perché. Quel giorno in cui aveva singhiozzato a Zack di avvisare Brian perché lui non ne aveva il coraggio.
Quel giorno maledetto in cui tutto era cambiato.
Perché Matt lo sapeva che se Jimmy non fosse morto sicuramente le cose sarebbero andate meglio.
Valary avrebbe comunque perso il bambino, ma Jimmy sarebbe stato lì con loro e tutti erano consapevoli del fatto che l’assenza del Rev non aveva fatto altro che annerire ancor più la situazione, che già di per sé era parecchio nera.
Se Jimmy fosse rimasto forse Brian avrebbe comunque sposato Michelle e Zack avrebbe sposato Gena, ma le cose di certo sarebbero state diverse. Jimmy avrebbe reso migliori le loro giornate, coi suoi sorrisi avrebbe fatto passare il malumore a tutti, persino a Brian e Zacky dopo aver litigato, avrebbe sdrammatizzato ogni situazione, li avrebbe stretti tutti in uno dei suoi abbracci soffocanti e avrebbe oppresso la tristezza.
L’assenza del loro batterista pesava come un macigno pieno di cemento dentro ognuno di loro.
L’assenza di Jimmy, dopo un anno, pesava sempre di più.
E sia Matt che gli altri non potevano fare a meno di domandarsi ogni fottuto giorno come sarebbe stata la vita presente con Jimmy ancora in vita. Come sarebbe stato averlo ai loro matrimoni, cosa avrebbe pensato dei loro figli, come sarebbe stato il nuovo disco con una sua canzone e non con quella So Far Away che, sì, era splendida, ma nessuno di loro avrebbe mai immaginato di dover suonare, cantare e vivere.
E Jimmy sarebbe mai diventato padre?
Sarebbe stato meraviglioso con Alicia, Jim e Cherie, Matt ne era assolutamente certo. Se lo immaginava benissimo Jimmy che prendeva in braccio Alicia e la esortava a provare la sua batteria, o che sollevava Cherie con tutta la delicatezza del mondo per osservare quegli occhi immensi ripresi dal padre, o ancora che faceva il solletico al piccolo Jim e che lo prendeva dalle braccia del padre solo per suscitare il nervosismo di Brian.
Brian.
Nonostante la nascita di suo figlio gli avesse decisamente migliorato la vita, nessuno avrebbe potuto negare quella tristezza nello sguardo che sembrava non abbandonarlo mai. Brian era quello che, tra loro, era maggiormente cambiato dopo la morte di Jimmy. Era quello che era stato più inconsolabile, che si era lasciato andare, che non aveva reagito, era quello che aveva fatto più fatica di tutti a ritirarsi in piedi, quello che persino quando era nato suo figlio non era riuscito a far altro che a pensare che Jimmy non era c’era ad assistere a un evento tanto importante.
“Tesoro sei sveglio?”
Matt grugnì e si girò a pancia in giù nel letto, affondando il viso nel cuscino.
Non voleva alzarsi.
Non voleva vivere quella giornata.
“Matthew...”
Non voleva stare a sentire neanche lei, neanche Valary che amava come mai aveva amato nessuna.
Non voleva neanche vedere sua figlia, la sua piccola Alicia che, stranamente, si sentiva urlare, a volume parecchio ridotto, dalla cucina. Santa casa grande che permetteva di riposare anche con un bambino urlante al piano di sotto.
E fu questo pensiero che fece scattare a sedere Matt ancor prima che Valary riaprisse bocca per chiamarlo.
“Cos’ha Ali?” chiese immediatamente il ragazzo alla moglie, rendendosi effettivamente conto che la bambina continuava a piangere.
“Febbre. Non è alta, ma continua a piangere...” rispose Valary passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.
Matt si alzò in piedi e si diresse al piano di sotto di tutta fretta, trovandovi Michelle che teneva in braccio un’Alicia piangente e tutta imbacuccata di coperte.
“Mich che ci fai qui?” chiese Matt sorpreso.
Non se l’aspettava per niente di trovare Michelle a casa sua all’anniversario della morte di Jimmy. Non si aspettava di trovarla lontana da Brian in un giorno simile.
“Brian è uscito con Zack e hanno portato con loro Jim e Cherie” rispose la donna tranquillamente, cullando tra le braccia la nipote. “Mi ha detto che ha provato a chiamarti ma avevi il cellulare spento, poi Val mi ha detto che Ali stava male e allora ho pensato di venire a darvi una mano.”
Matt capì tutto all’istante a annuì.
Da quando era morto Jimmy non si era mai separato dal suo cellulare, in modo particolare di notte. Da quando il terrore del ricevere una chiamata importante e non accorgersene lo aveva attanagliato nella sua morsa, Matt non aveva mai spento il cellulare.
E allora capì che, semplicemente, in quel giorno Brian e Zack avevano fatto l’unica cosa giusta da fare: si erano presi una giornata con i loro figli.
E non era la cosa giusta da fare solo perché era troppo tempo che non passavano un’intera giornata dedicata al loro amore, non solo perché presto la tournèe sarebbe ricominciata e avrebbero visto i bambini molto meno. Era la cosa giusta da fare perché non dovevano lasciarsi sconfiggere dalla nostalgia per Jimmy, dovevano combatterla con le risate dei loro figli.
Matt si voltò a guardare Valary, la sua Val struccata e in preda all’ansia per via della febbre di Alicia, e capì che lui doveva seguire l’esempio dei suoi amici. Si avvicinò a sua moglie, impegnata a fare il caffè, e le baciò la nuca.
“Hey” le disse all’orecchio, abbracciandola da dietro. “Non agitarti, hai sentito il pediatra?”
“Sì, dice che non è nulla di grave” borbottò lei in risposta. “Mi ha detto che è un virus che sta girando, che molti bambini si stanno ammalando. Le ho dato la medicina che mi ha detto e... dio, non si era mai ammalata prima.”
“Val, sta’ calma, è solo un po’ di febbre” cercò nuovamente di tranquillizzarla lui stringendola un po’ di più nelle sue braccia forti.
“Hey, piccioncini, vorrei farvi notare che vostra figlia si è calmata” li interruppe Michelle, alzandosi in piedi con la piccoletta visibilmente più tranquilla, sebbene sempre con le guance pallide, in braccio.
Matt si avvicinò a sua figlia, le sfiorò la fronte con una mano. Era bollente. La prese in braccio dalla zia e andò a sedersi a tavola canticchiandole Dear God.
Alicia amava Dear God, ormai tutti lo sapevano. Quando non riusciva a dormire o si svegliava nel pieno della notte, a Matt bastava andarle vicino, prenderle una manina e cantarle quella canzone perché crollasse addormentata in poco tempo.
“Caffè anche per te Mich?” chiese Valary alla gemella sfoderando un sorriso stanco.
“No, grazie Val” le rispose Michelle prendendo la giacca abbandonata sulla poltrona. “Vado al cimitero, magari torno per un po’ dopo pranzo.”
Matt si irrigidì improvvisamente, smettendo di cantare. Per qualche minuto aveva dimenticato ch’era l’anniversario della morte di Jimmy. Per un po’ la sua testa era stata libera da quel peso enorme, ma a quelle parole si sentì di nuovo spossato, risentì tutto il macigno colmo di dolore e nostalgia pressare sul petto.
“Magari posso tenerla un po’ io” continuò Michelle a voce più bassa. “Voglio dire, posso stare io con Ali dopo pranzo, così anche voi due potete andare al cimitero.”
Valary aprì bocca per dire a sua sorella ch’era un angelo, per dirle che andava bene, che aveva bisogno di vedere la tomba di Jimmy e aveva bisogno, in quel giorno, di parlargli e di dirgli di proteggere tutti loro con le sue immense ali. Val aprì bocca per parlare, ma Matt fu più veloce.
“Non ti preoccupare, Mich, resto io con Ali, non voglio andare al cimitero.”
Per un momento Michelle fu tentata di dirgli che non aveva problemi a restare sola con la nipote, ma scambiò uno sguardo con la sorella e tacque.
Matt aveva bisogno di prendersi i suoi tempi e interiorizzare a modo suo la morte di Jimmy. E se il suo modo di interiorizzare il dolore non prevedeva visite alla tomba del batterista scomparso, lo avrebbero rispettato.
Non appena Michelle si chiuse la porta alle spalle, Matt riprese a canticchiare Dear God ad Alicia e Valary si avvicinò a loro due.
“Il caffè” disse piano la donna posando la tazza davanti al marito, che alzò il viso per poterla ringraziare.
Ringraziamento che non venne mai fuori. Matt si zittì, Valary stava piangendo. Non aveva solo gli occhi lucidi, stava proprio piangendo a grosse lacrime e a singhiozzi.
“Tesoro...” sussurrò Matt alzandosi in piedi lentamente e continuando a tenere stretta a sé Alicia. “Amore non piangere. Che succede?”
Valary affondò il viso nel suo petto stando attenta a non toccare Alicia, che intanto si era definitivamente calmata e, assonnata, aveva posato una guancia sulla spalla muscolosa del padre.
“Val...”
“Mi manca, Matt” singhiozzò Valary. “Jimmy mi manca da impazzire. Immagino questa situazione con lui in vita, lo immagino qui seduto sul nostro divano con Alicia in braccio che scherza e ride con te, lo immagino che cerca di tranquillizzarmi e che si spupazza Alicia come se fosse un bambolotto...”
“Tesoro non...”
“Mi manca, mi manca tantissimo.”
Matt la strinse contro il suo petto, lasciandola piangere mentre Alicia si rilassava sempre di più.
“Manca tanto a tutti noi” borbottò il cantante dopo un po’. “Ma dobbiamo essere forti, dobbiamo tenere vivo il suo ricordo e non dimenticare mai che, comunque, lui è sempre al nostro fianco.”
Valary alzò il viso e gli sorrise. Gli sorrise appena con le guance bagnate dal pianto e gli occhi rossi. Gli sorrise e basta, senza parlare, e Matt capì che aveva bisogno solo di quello che le aveva appena donato: un abbraccio e qualche parola che le ricordasse che Jimmy non li avrebbe mai abbandonati per davvero.
E capì anche che Jimmy non lo aveva fatto sul serio. Che anche se ogni tanto lo dimenticava, il suo migliore amico era sempre lì, al loro fianco, e che ci sarebbe rimasto per sempre. Invisibile, ma presente.







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Ebbene è passato già un anno, i bimbi stanno crescendo e i ragazzi si trovano ad fare il resoconto del tempo trascorso senza il loro amico. Qui c'è Matt, premuroso con la sua bimba ammalata e la sua Val, nel prossimo capitolo ci sarà Johnny e ci sarà Brian a sostenerlo.

Ci sentiamo la prossima settimana, per chiunque dovesse essere a Milano per il concerto di Mars, la ragazza che farà la notte fuori dal Forum, bassa, col dilatatore a un orecchio, i capelli corti pseudo-rossi e Dr. Martens ai piedi, sono io e siete autorizzati a venire a salutarmi (:


Grazie a tutti voi che leggete le mie storie,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 10
*** Caffè al gusto di nostalgia. ***


Se Johnny era grato a Jimmy per qualcosa, di sicuro gli era grato per non essergli mai andato in sogno. Non che lui credesse effettivamente nell’aldilà, che i morti comunicassero con i vivi nel sonno o a un qualsiasi altro metodo possibile di comunicazione tra le due realtà, ma di gran lunga aveva preferito andare avanti col ricordo di Jimmy e senza quell’immagine sbiadita del suo amico vista in un sogno.
Brian aveva sognato Jimmy spessissimo durante quell’anno. Lo aveva sognato sempre sorridente, lo aveva sognato che fumava spaparanzato su una nuvola, lo aveva sognato dietro la sua batteria, lo aveva sognato mentre teneva in braccio la neonata Cherie.
Brian era l’unico, tra loro, ad aver sognato il batterista tanto spesso. Anche Matt e Zack lo avevano rivisto in sogno, ma mai tanto frequentemente, mentre Johnny non lo aveva mai sognato.
E gli andava bene così.
Il solo pensiero di rivedere quegli occhi, quei capelli, quel sorriso e quelle braccia coperte di tatuaggi non dal vivo gli dava la nausea.
Sapeva, inoltre, che una volta svegliatosi la nostalgia sarebbe stata peggio del solito. Già alzarsi ogni mattina dal letto e realizzare concretamente che sarebbe stato inutile prendere il cellulare e scrivere al Rev era difficilissimo, quindi Johnny non osava neanche immaginare come sarebbe potuto essere affrontare la giornata col pensiero di un sogno che sembrava realtà pesare addosso.
Era infinitamente grato al suo amico per aver compreso questo suo strano bisogno di non rivederlo più in ‘carne ed ossa’.
Ed era infinitamente grato anche ai figli dei suoi amici che gli tenevano la testa impegnata. Era difficile lasciarsi prendere dalla rabbia per la scomparsa di Jimmy quando tre bambini facevano a gara a chi urlava più forte o uno dei tre ti guardava con gli occhi spalancati dalla curiosità.
Soprattutto in quel giorno, il bassista avrebbe tanto voluto avere almeno uno solo di quei marmocchi in giro per casa. Almeno non avrebbe pensato tanto al ventotto novembre dell’anno addietro, o ci avrebbe pensato meno.
E per quanto stesse cercando una distrazione, Johnny non riusciva a non rivedere le immagini di quel giorno come se fossero fotogrammi continui che gli passavano dinanzi agli occhi.
Ricordava persino la voragine nel petto che aveva sentito chiaramente crearsi dentro di lui nel momento esatto in cui aveva realizzato che Jimmy era morto. E ricordava i pugni contro la schiena di Matt, le guance bagnate di Zacky, le nocche arrossate di Brian.
Ricordava tutto alla perfezione e non avrebbe voluto.
Ed era anche sicuro del fatto che Jimmy non avrebbe voluto.
Tutti loro sapevano che se fossero stati concessi al loro amico cinque minuti di tempo sulla Terra, lui sarebbe andato da loro e li avrebbe rimproverati per tre minuti buoni per via del loro crogiolarsi continuo nel suo ricordo, mentre i due minuti restanti li avrebbe passati stretto ai loro corpi.
Dio, quanto gli mancavano gli abbracci di Jimmy.
Dio, quanto gli mancava sentirlo ridere, sentirlo dare il tempo dietro la sua batteria, vederlo sempre spensierato, come se nulla al mondo potesse turbare la sua pace interiore.
La verità era Jimmy mancava troppo.
Troppo.
Troppo.
Troppo.
E mancava anche a chi lo conosceva solo di vista, anche a chi ci aveva scambiato solo occasionalmente poche parole, mancava persino ai suoi vicini di casa che tanto si erano lamentati di lui, del suono della sua batteria a tutte le ore del giorno e della notte e del volume dello stereo perennemente troppo alto.
Johnny si rese conto di star piangendo solo quando vide le lacrime crollare nel caffè che si era preparato.
Caffè al gusto salato di lacrime, nuova ricetta ideata da Johnny Christ.
Caffè al gusto salato di ricordi dolorosi.
Caffè al gusto di nostalgia.
“’Fanculo” borbottò il bassista alzandosi in piedi di scatto. “’Fanculo” ribadì un istante dopo, afferrando la tazza di caffè e scaraventandola contro il muro. “Vaffanculo Jimmy, vaffanculo!”
Senza neanche cambiarsi uscì di casa. Uscì così com’era vestito, con il pantalone scolorito di una vecchia tuta, una felpa leggera dei Metallica e ai piedi le pantofole. Afferrò solo le chiavi dell’auto e si fiondò fuori, sbattendosi la porta di casa alle spalle.
Salì in auto e si diresse verso il lungomare di Huntington Beach.
Sperava solo che nessuno dei suoi amici avesse avuto la sua stessa idea, perché aveva bisogno di stare solo. Solo con i suoi pensieri e con l’ira repressa, e conservata accuratamente per un anno intero, nei confronti di Jimmy.
Non che volesse male al suo amico, assolutamente no. Diciamo che, se se lo fosse ritrovato davanti, prima di dirgli che gli mancava da impazzire e abbracciarlo, lo avrebbe preso a pugni.
Solo questo.
E magari gli avrebbe scongiurato di dirgli, anche mentendo, che il suo non era stato un suicidio.
Johnny si costrinse a restare calmo, a quel pensiero, scacciandolo dalla testa e imponendosi di concentrarsi solo sulla guida. La sua meta era vicinissima, tanto che, aprendo il finestrino, entrò nell’automobile un’intensa essenza di salsedine.
Parcheggiando, il bassista guardò di sfuggita quell’angolo di muraglione della spiaggia ed ebbe una flashback. Per un momento rivide se stesso, seduto proprio lì, molto più giovane e spensierato, che beveva una birra col suo primo basso posato a un lato.
Si rivide lì e immediatamente capì perché. Quel giorno se lo ricordava bene, era il giorno in cui aveva lasciato la scuola per la musica, il giorno in cui aveva mollato gli studi per poter inseguire il suo sogno di suonare con gli Avenged Sevenfold.
Scese dall’auto e si diresse a passo lento verso quel muro, sedette esattamente dove si era seduto anni addietro e dove si era seduto per molte notti durante l’adolescenza e durante quegli ultimi anni. Sedette lì e rimase a fissare il mare. Il mare che gli ricordava gli occhi di Jimmy. Quel mare infinito come il sorriso del batterista, quel mare agitato californiano e freddo d’inverno. Quel mare che d’estate li ospitava ogni giorno e ogni notte, quel blu immenso in cui conservava i suoi migliori ricordi.
Johnny rimase immobile in quell’angolo di spiaggia tanto caro a lui e agli altri. Quel posto in cui avevano suonato per intere notti, in cui avevano composto nuove canzoni, in cui si erano sbronzati e divertiti.
“Hey.”
La voce di Brian arrivò ovattata alle sue orecchie, tanto si era lasciato andare alle vecchie memorie.
“Ciao” borbottò il bassista dopo un po’, voltandosi a sorridere a Brian e al piccolo Jim. “Che ci fate qui?”
“Abbiamo appena riportato a casa Zacky e Cherie” rispose il chitarrista sedendo accanto all’amico. “Tu invece che stavi facendo?”
Johnny sospirò. “Pensavo.”
“Allora è un bene che io sia arrivato, se ho distolto l’attenzione dai tuoi pensieri riguardo Jimmy e tutto quello che abbiamo passato qui.”
Brian sorrideva tranquillo tenendo sulle ginocchia il figlio mezzo addormentato. Brian sorrideva tranquillo a un anno dalla morte di Jimmy.
“Bri...”
“Non sto dicendo che dovresti andare avanti” disse Syn chiudendo la lampo della giacca a Jim. “Nessuno di noi lo ha effettivamente fatto, io in primis. Sto solo dicendo che, forse, dovresti allontanare il rancore nei confronti di Jimmy.”
Il bassista si strinse nelle spalle nell’udire quelle parole.
Brian aveva colto il problema.
“Anche io mi sono incazzato con lui” continuò il chitarrista dopo un po’. “Anche io ho passato notti insonni cercando di non dargli la colpa di ciò che era successo, anche io l’ho insultato e ho avuto voglia di picchiarlo, ma ora non più. Ora non sono più arrabbiato con Jimmy.”
“Io...” biasciò Johnny confuso. Quelle parole erano le ultime che si aspettava di sentire, soprattutto da Brian. Avevano parlato molto di Jimmy tra di loro e tutti più volte avevano esposto le loro emozioni e i loro pensieri riguardo l’amico scomparso, ma Brian non era mai sembrato essere d’accordo con lui riguardo la rabbia nei confronti del batterista.
“Pensavo di essere il solo a essere infuriato con Jimbo” disse il più piccolo dei due in un soffio.
“Sei il solo a non essersi ancora reso conto che Jimmy è con noi in ogni momento” precisò Synyster con fermezza.
Johnny non rispose, si irrigidì e rimase lì, fermo con lo sguardo perso nel mare e i nei pensieri l’immagine di un ragazzino giovane, ribelle, dallo sguardo fiero, magro e alto, che rideva da dietro la sua batteria.
I ricordi lo stavano soffocando.
“Sei troppo occupato a lottare contro l’assenza fisica di Jimmy per poterti rendere conto che lui c’è” disse ancora Brian dopo un paio di minuti di silenzio. “Lo sentiamo tutti, Johnny. Io, Matt, Zack, Valary, Mich. Lo sentiamo qui, al nostro fianco. Anche se fisicamente non c’è, è rimasto con noi.”
Johnny si voltò a osservare il suo amico.
Brian se ne stava seduto al suo fianco con suo figlio sulle ginocchia e sul suo viso non v’era l’ombra neanche vaga della tristezza che lo aveva accompagnato fino alla nascita di Jim. Brian aveva trovato in suo figlio la sua salvezza, il suo porto sicuro, il suo rifugio quando era triste. Brian in suo figlio aveva trovato il modo di non crogiolarsi e lasciarsi andare nella malinconia per la morte del suo migliore amico.
“Bri.”
“Mh?”
“Credo che tuo figlio debba essere cambiato, arriva un certo odorino...”










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Eccomi qui tornata con questo capitolo che mostra quanto sia dolce e premuroso Brian. Johnny l'ho amato scrivendo questo capitolo, me lo sono figurato perfettamente nella testa così incazzato e allo stesso tempo intristito. Per fortuna che c'è Brian ad alleviare un po' la sua frustrazione, per fortuna ci sono gli amici.
Spero che vi piaccia come sta proseguendo la Long, grazie a tutti quelli che mi seguono,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 11
*** Dear God. ***


Matt si lasciò cadere stancamente sul divanetto del backstage. Era stata una lunga giornata, si era dovuto alzare presto perché Brian aveva portato Michelle dal dottore per l’ecografia di controllo mensile, con annesso pranzo fuori e passeggiata romantica sul lungomare, e gli aveva lasciato Jimmy.
Adorava suo nipote e adorava il fatto che Alicia avesse qualcuno con cui giocare, ma insieme erano davvero stancanti. Avevano urlato per tutto il tempo, corso per casa come due pazzi, per un paio di volte Jimmy si era tuffato a terra dal divano e nessuno dei due aveva voluto saperne nulla del sonnellino pomeridiano.
Valary, tra l’altro, si era presa uno di quei raffreddori allucinanti che le aveva impedito di aiutarlo a badare ai bambini per tutto il pomeriggio.
Risultato? Il povero cantante aveva mal di testa, mal di schiena e assolutamente nessuna voglia di salire sul palco e fare un concerto anche solo passibile.
Aveva poco più di un’ora da passare tranquillo prima che dovesse prepararsi per il concerto e il pensiero di Zacky da solo con i tre bambini, in quel momento, non era tra le sue preoccupazioni.
Era risaputo, infatti, che se Cherie si era già procurata diversi bernoccoli in testa, era ruzzolata giù dalle scale e un pomeriggio si era ritrovata da sola col cane a pochi millimetri dalla piscina, era solo colpa di Zacky. Non per caso, appunto, proprio in quei giorni Gena si trovava fuori casa.
In una situazione normale Matt non avrebbe mai permesso al chitarrista ritmico di passare anche solamente cinque minuti con i bambini, ma aveva seriamente bisogno di dormire. Sperava solo che né Valary né Michelle né Gena venissero a conoscenza di una situazione tanto pericolosa, perché, a quel punto, quello seriamente in pericolo sarebbe stato lui.
E, ancor più, sperava che i bambini uscissero illesi da quell’oretta sotto il controllo (che poi chiamarlo controllo era davvero un eufemismo) di Zachary.
Non si fidava del suo amico. Non si fidava per niente di lui e se fosse successo qualcosa a sua figlia o agli altri due Zack si sarebbe dovuto preparare a correre come mai prima, ma Matt non fece in tempo neanche a finire di elaborare il concetto nella testa che crollò assopito.
Si addormentò lì, steso su quel divanetto piccolo per lui e scomodo, e si lasciò andare a pochi momenti di tranquillità prima di doversi di nuovo destreggiare tra la carica pre-concerto e Alicia.
Nella stanza accanto, nel frattempo, Zacky teneva sotto controllo i bambini che, attivissimi, avevano ben deciso di giocare con le costruzioni sul tappeto della stanzetta.
Il giovane papà guardò la sua bambina, la sua splendida Cherie dagli occhi cristallini e dal viso bello come quello della madre. Amava Cherie proprio come Matt e Brian gli avevano preannunciato prima che nascesse, l’amava incondizionatamente, l’amava anche quando era costretto a cullarla alle tre di notte e lei non voleva saperne nulla di riaddormentarsi.
“’Ack gioca” disse improvvisamente Alicia, che parlava ormai da un paio di mesi, dopo aver pronunciato la sua prima parola papà.
“Volete che giochi con voi?” chiese Vee alla bambina, alzandosi in piedi dalla sedia per avvicinarsi a loro. “A cosa giochiamo?” continuò, vedendola annuire con la testolina biondiccia.
“A costruire un palazzo alto alto” rispose Alicia a bassa voce, alzandosi in piedi con fare solenne e prendendo una mano del chitarrista per farlo abbassare alla loro altezza.
“Mh” commentò Zacky divertito, chinandosi sulle ginocchia e notando che Jim si era già messo all’opera e stava cercando di creare una base per il palazzo. “E poi andiamo ad abitarci tutti insieme in questo palazzo?” domandò con un sorrisone.
“Nic” disse Cherie, cogliendo il ragazzo di sorpresa. Zack si bloccò e spalancò gli occhi, non credendo alla parola che aveva appena udito. Non che sua figlia non avesse mai abbozzato qualche parola, ma non aveva mai parlato tanto chiaramente.
“Cosa tesoro?” chiese cautamente, ben sapendo che poteva anche essersi immaginato di aver sentito il nome della bimba che sarebbe nata a Brian.
“Nic” ripeté convinta Cherie, guardando il papà con i suoi immensi occhi azzurri e sorridenti.
“Nicole?”
La bambina annuì con la testa sorridendo felice. “Nic” disse per la terza volta.
“Ci andiamo a vivere io, Cherie e Nicole nel palazzo alto alto” precisò Alicia osservando Zacky dritto negli occhi come se stesse parlando con uno stupido, con quella vocina acuta da bambina e, allo stesso tempo, già incredibilmente tuonante come quella del padre.
“Solo voi tre?” chiese ancora il ragazzo sedendosi tra sua figlia e Alicia.
“Sì” rispose la più grande. “Solo noi.”
“E Jim e Connor?”
“No, solo noi.”
Zack trattenne uno sghignazzo e allungò la mano per accarezzare la testolina piena di capelli di Jim, che osservava curioso la scena mangiucchiandosi un pupazzetto di gomma.
“Quindi solo voi tre, eh? Avete capito tutto delle vita belle...”
“Zack ma con chi parli?”
Il chitarrista ritmico si alzò in piedi di scatto e arrossì violentemente quando vide sull’uscio della porta non solo Brian, che aveva appena parlato, ma anche Michelle e il suo pancione immenso.
“E dov’è Matthew?” continuò la donna dirigendosi verso i bambini che avevano ripreso a giocherellare tranquilli tra loro.
“Era stanco...”
“E ti ha lasciato qui da solo con i bambini?” si indispettì velocemente lei, sottolineando con rabbia quel da solo e scoccandogli un’occhiata di fuoco mentre si chinava per prendere in braccio il piccolo Jimmy.
Zack aprì bocca per ribattere che, dannazione, ormai era un uomo capace di occuparsi dei bambini, che era responsabile e che comunque uno di quei bambini era anche figlia sua, ma Brian glielo impedì.
“Deve essere davvero molto stanco per non aver notato quanto tu sia instabile mentalmente” disse divertito avvicinandosi all’amante. “Dopotutto” continuò sorridendo, “ti ho appena sentito dialogare con una bambina di due anni.”
Zack sorrise a sua volte e si abbandonò all’abbraccio di Brian.
In quei giorni erano stati molto vicini del via della tournèe, avevano passato un periodo colmo di lunghi sguardi assonnati dalle cuccette del tour-bus, di baci rubati pochi istanti prima di salire sul palco, di abbracci infiniti in letti di alberghi sconosciuti e Zack sapeva benissimo che in seguito si sarebbero visti molto meno, poiché Michelle era incinta di due gemelli.
E già si mancavano a vicenda.
“Hey Bri, senti un po’ qui, i tuoi figli si muovono” li interruppe la donna improvvisamente, facendo sussultare all’unisono i due stretti ancora in un abbraccio caloroso.
Brian si diresse a passo svelto dalla moglie, le prese dalle braccia Jim e, con la mano libera, le sentì la pancia.
“Vuoi sentire i fratellini?” domandò dolcemente al bambino, che annuì contento.
Zack scelse il momento perfetto per scattare una fotografia. Proprio in quel momento tirò fuori il suo cellulare dalla tasca dei jeans e, rialzando lo sguardo, non riuscì a fare a meno di intenerirsi e scattare una foto.
E Zack non avrebbe mai pensato che quella scenetta, quel sorriso smisurato di Michelle, il suo pancione enorme, la manina di Jimmy posata lì sopra accanto a quella del padre, sarebbe stata incorniciata, pochi anni dopo, in camera di Jim. E mai avrebbe pensato che un Jimmy adolescente e introverso, dopo aver saputo della relazione omosessuale tra i due chitarristi, l’avrebbe gettata fuori dalla finestra con cornice annessa.
 
Matt si era ripreso abbastanza da reggere un concerto senza sbadigliare. Dopo essersi svegliato, aver realizzato che i bambini erano vivi e sani, aver capito che Michelle e Brian erano rientrati prima del previsto ed essersi preparato per lo show con Alicia attaccata a una gamba che non la smetteva di chiedergli Dear God, finalmente era salito sul palco al seguito dei suoi compagni.
Erano nel pieno dello show, era il momento di Brian, era il suo assolo durante Afterlife, quello che, dopo anni di amicizia, faceva riscoprire a Matt, Zacky e Johnny la bravura di Synyster Gates alla chitarra.
Brian si girò a lanciare uno sguardo a Zacky, lo faceva sempre prima di quell’assolo, quasi fosse il suo portafortuna, quasi si aggrappasse allo sguardo dell’altro prima del suo momento di gloria, quasi avesse bisogno, proprio lui, proprio Synyster Awesome Gates, di un appiglio per non crollare.
Brian si girò e trovò un sorriso sul viso di Zacky, sorriso che vide, un secondo dopo, anche dipinto sul volto di Matt che addirittura aveva voltato le spalle alla folla.
E Brian capì tutto con un istante di ritardo, quando sentì il suo polpaccio avvolto in una stretta calorosa, abbassò lo sguardo e vide sua nipote ancorata alla sua gamba.
“Hey” le disse lui mentre dalla folla si levava un boato di risate. “E tu che ci fai qui?” le chiese dolcemente chinandosi per poterla prendere in braccio.
Sollevandola, Brian si rese conto che aveva messo il broncio.
“Che succede?” le domandò avvicinandosi al microfono.
“’io Bri, papà non mi ha cantato Dear God” rispose la bambina a metà tra la rabbia e la tristezza.
Nuovo boato di risa da parte della folla, accompagnato dalle risate nel microfono di Zacky e Johnny.
“Che papà cattivo” commentò il bassista.
Matt si avvicinò a sua figlia a passo lento. “Amore che ne dici se ti canto solo un pezzetto insieme a tutta questa gente che è venuta qui stasera?” le propose sottovoce prendendola dalle braccia del cognato.
La bambina annuì, così Matt cominciò a intonare il ritornello di Dear God nel microfono tenendola stretta tra le sue braccia. Non l’aveva mai portata sul palco prima di allora, pensava che potesse mettersi a piagnucolare per via della folla o del caos e mai e poi mai avrebbe pensato che sarebbe sfuggita a Valary per andare dallo zio durante l’assolo di Afterlife.
Si pentì, in quel momento, di non averla mai portata sul palco neanche per qualche secondo. Vide il sorriso di sua figlia e i suoi occhi felici, vide i cuoricini stampati negli occhi delle ragazze in prima fila, vide la gioia sul volto di sua moglie, e capì che Alicia stava crescendo.
Alicia stava diventando qualcosa di più di una semplice bambina, in quegli anni sarebbe diventata una ragazzina con una sua personalità e un suo modo di fare e Matt si rese conto di essere un padre. Non più solo un adulto che doveva stare attento che non si facesse male e che mangiasse, ma un padre che la seguisse e che fosse presente e partecipe dei suoi progressi.
Si ripromise di essere un buon padre, per lei, in quel momento, cantando dear God the only thing I ask of you is to hold her when I’m not around, when I’m much too far away.








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Ebbene sì eccomi tornata a rompervi le scatole con questo nuovo capitolo tenerissimo che mette un po' al centro i bambini. Boh, scrivendo ho avuto di continuo gli occhi a cuoricino LOL

Colgo l'occasione per ringraziare tutte le meravigliose persone che seguono questa storia e in modo particolare coloro che recensiscono. Mi migliorate le giornate, ragazze.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 12
*** Misfits's t-shirt ***


“Avanti Zack prendila!”
Vee sussultò, scattando in piedi dalla sedia come una molla, al sentire la voce graffiante di Gena così vicina al suo orecchio.
“Cosa?” domandò confuso, stringendosi nelle spalle.
“La bambina” spiegò lei sorridendo, mostrandogli il minuscolo fagotto di coperte che teneva tra le braccia magre. “Non vuoi tenerla un po’ tu?”
“Certo” borbottò lui, tendendo le braccia verso quella piccoletta nata da poche ore che già aveva fatto innamorare sia il papà che il nonno.
Brian, quando l’aveva vista, aveva avuto una reazione ben diversa rispetto a quella avuta quando aveva tenuto Jim in braccio per la prima volta o quando aveva visto, pochi secondi prima di Nicole, Connor. Brian, alla vista di sua figlia, aveva assunto un colorito biancastro e Matt era stato costretto a farlo sedere perché temeva potesse svenire.
“Spaventato dalle donne?” aveva scherzato Valary mollando un pugno sulla spalla del cognato.
“Spaventato da quello che potrebbero farle” era stata la risposta del chitarrista, che aveva incassato il colpo senza smuoversi e aveva continuare a fissare un punto vuoto davanti ai suoi occhi.
Valary, al sentire quella risposta, si era fatta seria. Per qualche momento, addirittura, sul suo viso era comparsa una maschera di puro apprezzamento per Synyster Gates. Insomma, Synyster Gates che si preoccupa tanto per un’altra persona che non sia se stesso non è uno spettacolo da tutti i giorni.
Era stato un parto difficile, quello dei due gemelli Haner, i bambini non erano ben posizionati per poter uscire naturalmente e quindi era stato obbligatorio un parto cesareo, che Michelle avrebbe assolutamente voluto evitare.
Inoltre i bambini erano nati un po’ prematuri e quindi i medici avevano deciso che li avrebbero tenuti almeno per un paio di giorni nelle cullette termiche, motivo per cui la mamma si era molto preoccupata e motivo per cui il padre aveva passato le ultime ore abbracciandola e cercando di rassicurarla.
“Mh, vi lascio per un po’ e subito mettete a repentaglio la vita di mia figlia” scherzò Brian entrando a sorpresa nella stanza, facendo voltare tutti nella sua direzione.
“Perché?” domandò innocentemente Zack, che stava tranquillamente cullando tra le braccia la piccola Nicole.
“L’avevo affidata a Gena, persona responsabile, e la ritrovo in braccio a te” rispose Syn dirigendosi da Johnny, che invece teneva tra le braccia Connor.
“Oh, anche io sono una persona responsabile” si indispettì il chitarrista ritmico alzando un sopracciglio.
“Non ne dubito” fu il commento sarcastico di Brian, che fece ridacchiare tutti.
Zacky tornò a sedersi sulla sedia dov’era prima che Gena gli desse Nicole e osservò il viso paffuto di quella bimba che teneva nelle sue braccia tatuate. Era identica a Brian, esattamente come il suo gemello Connor. Mentre Jim dal padre aveva ripreso solo il naso, i due neonati avevano ripreso ogni singolo tratto somatico da lui, ignorando bellamente la presenza di Michelle.
Quella bambina aveva gli stessi occhi enormi e scuri di Brian, il suo stesso naso perfetto, le sue stesse labbra sottili, i suoi stessi lineamenti del volto.
Zack le sfiorò la punta del naso col polpastrello dell’indice e sorrise.
Sapeva quanto Brian avrebbe amato quella bimba. Sarebbe stato lo stesso tipo di amore che provava già nei confronti di Jim, che avrebbe provato per Connor e che lui provava per la sua Cherie.
“Zack a che pensi?”
Vee alzò il viso e i suoi occhi cristallini incontrarono quelli profondi del suo Brian. Sorrise. “A niente” borbottò, ma in realtà stava pensando.
Oh, sì che stava pensando.
 
***
Avere diciassette anni ed essere gay non era proprio semplice. A scuola erano in pochi quelli che sapevano della relazione clandestina tra Brian e Zack, e questi pochi erano Matt, Jimmy, Johnny e tre bulli della scuola che li avevano visti mentre si baciavano nel bagno durante le ore di lezione.
Stranamente i tre bulli non avevano divulgato la notizia. Stranamente agli occhi di tutti tranne di Zack, s’intende.
Perché Zacky, da quando era stato scoperto con Brian, era vittima del bullismo dei tre.
Ogni giorno, all’ora di pranzo, riuscivano a beccarlo prima che arrivasse a mensa e lo picchiavano. Calci nello stomaco, pugni in faccia, schiaffi e molte, troppe, offese. E, si sa, le parole sono quelle che fanno più male.
Zacky aveva diciassette anni, era innamorato, gay e vittima di bullismo.
Ci mise un po’ a rendersi conto di quanto facesse schifo. Inizialmente l’amore per Brian aveva offuscato il dolore dei colpi, quando le botte erano iniziate le aveva sopportate in silenzio pur di far sì che i bulli non diffondessero la notizia della relazione tra lui e il suo amico, ma ora non ce la faceva più.
Era straziante alzarsi la mattina con la consapevolezza che i dolori sul corpo, piuttosto che diminuire, sarebbero aumentati. Era triste camminare fino alla fermata del pullman, percorrere il tragitto fino a scuola e passare le ore di lezione sapendo che prima di pranzo sarebbe stato malmenato.
E Zack aveva esaurito le scuse da rifilare ai suoi amici. Già l’ultima volta, quando aveva detto loro che era inciampato nel gatto, non gli avevano creduto. Insomma, non che fosse possibile credere a uno che non ha mai posseduto gatti.
“Hey, Zack, sei tra noi?”
Zacky si riscosse dai suoi pensieri, Jimmy gli stava sventolando una mano davanti al volto.
“Sì” biascicò mettendosi seduto composto sulla sedia, rendendosi conto che il professore di matematica lo stava osservando accigliato con le braccia incrociate al petto.
“Bene, Baker, poiché non mi sembri interessato alla lezione, perché non te ne vai a fare un giro per i corridoi e passi anche a salutare il preside?”
Il giovane chitarrista sospirò e annuì con la testa. Doveva anche andare in bagno a pisciare, quindi si diede una mossa a uscire dall’aula e si diresse a passo svelto verso i bagni che erano in fondo al corridoio.
“Abbiamo qui il frocio dell’istituto giunto prima del previsto.”
Zack si bloccò sulla porta. Eccoli lì, tutti e tre, Harrison, Jordan e Rossi, i suoi tre incubi peggiori. Uno più grosso dell’altro, stupidi e dannatamente muscolosi e forti.
Rimase fermo al suo posto, spaventato come mai prima per via dei loro occhi. Avevano assunto droga, anche uno scemo se ne sarebbe accorto, e questo non faceva altro che peggiorare la situazione.
Zack, per la prima volta da quando quella storia era iniziata, mosse un passo indietro per scappare, ma non fece in tempo.
Fu un attimo, Harrison lo prese in tempo e lo sbatté con le spalle contro il muro, quegli occhi rossi a pochi centimetri dal suo volto, il ghigno storto così vicino a lui. Un cazzotto nello stomaco mentre Rossi provvedeva a chiudere la porta del bagno e a piazzarcisi davanti per bloccarla, un nuovo cazzotto e uno schiaffo in pieno viso.
“Allora, frocio, come state tu e il tuo amichetto del cazzo?” domandò Harrison prendendogli il viso tra due dita e costringendolo a osservare le nocche della sua mano enorme che si abbattevano sul suo naso.
Sangue.
Sangue che colava dal naso sulle labbra, che scendeva veloce sul mento e arrivava al collo e a sporcare maglietta.
Non lo avevano mai picchiato così duramente sul volto, probabilmente per paura che qualcuno potesse capire cosa gli stava accadendo.
Allora Zacky capì che in quel momento non erano lucidi, non erano in grado di capire quanto male potessero fargli; male che, per una volta, sarebbe potuto andare anche a loro discapito.
E si rese conto che era in serio pericolo.
“Niente da dire?” continuò beffardo Jordan, prendendo il posto del compagno e gettando Zacky a terra con uno spintone, facendolo cozzare con la testa contro la porta di una toilette.
“Ti ho chiesto se hai da ridire” disse ancora Jordan, chinandosi su di lui e costringendolo a guardarlo in faccia sollevandolo appena da terra tenendolo per il colletto della t-shirt dei Misfits che indossava.
Si era messo quella maglietta perché a Brian piaceva tanto, e gliel’avrebbe mostrata imbrattata di sangue.
Zack si morse un labbro per impedirsi di scoppiare in lacrime.
Gesto inutile, poiché l’attimo dopo si ritrovò stampata su una guancia l’impronta della manata di Jordan, e il secondo dopo aveva addosso i piedi di tutti e tre che lo colpivano ovunque.
Non seppe per quanto tempo rimase lì a piangere e singhiozzare mentre quei tre lo prendevano a calci ridendo. Il dolore era immenso, partiva dal punto dove veniva inflitto il colpo e si distendeva per tutto il suo corpo, Zack dopo un po’ si ritrovò a stringere i denti per non urlare.
Seppe solo che a un certo punto sentì le voci dei suoi amici. A un certo punto i calci cessarono, vide Harrison volare a terra con uno spintone di Jimmy, Jordan inchiodato al muro da Matt e vide Rossi che se la dava a gambe. Zack quasi non si rese conto di Brian e Johnny che lo aiutavano a mettersi in piedi tremando come foglie scosse dal vento autunnale, quasi non si accorse di loro due che lo tenevano stretto tra le braccia e lo aiutavano ad arrivare fino all’infermeria.
Zack, dopo molti anni, si sarebbe ricordato delle fitte allo stomaco per riuscire a salire su quel lettino immacolato aiutato da un infermiere e Brian, si sarebbe ricordato di aver afferrato un lembo della felpa del suo amore per impedirgli di andare via, gli avrebbe implorato di non lasciarlo solo e infine gli avrebbe chiesto scusa. Scusa perché non meritava di vederlo ridotto in quel modo.
E Brian negli anni avrebbe ricordato Zack adolescente e impaurito, Zack così fragile, quella mano pallida stretta nella sua mentre un’infermiera gli medicava le ferite, gli occhi chiari e lucidi di pianto che lo scrutavano come se si stesse addossando la colpa del pestaggio, la voce tuonante del preside che andava a comunicar loro che avevano sospeso non solo i tre bulli, ma anche Jimmy e Matt poiché erano stati maneschi.
E Zack si sarebbe poi ricordato del sorriso che aveva sfoderato Brian a quelle parole, perché la cosa l’aveva solo fatto ridere. Brian si sarebbe ricordato di Zack che aveva domandato al preside cosa sarebbe successo se i suoi amici non fossero arrivati in tempo; e entrambi avrebbero per sempre ricordato il silenzio dell’uomo.
***
 
“Ho messo la t-shirt dei Misfits” disse Zacky di punto in bianco, facendo voltare tutti, all’unisono, verso di lui.
“Eh?” domandò Gena, non capendo.
Matt lanciò uno sguardo molto eloquente a Johnny, mentre Brian sorrise.
Sorrise e basta, perché capì.
Zack aveva ricomprato quella maglietta che aveva anche da ragazzo, identica a quella che aveva, solo di una taglia più grande e non sporca di sangue, e l’aveva comprata per lui.
L’aveva comprata perché la settimana addietro, chiacchierando in qualche lurido motel di periferia, Brian aveva ripensato a Zack in quel lontano giorno nell’infermeria della scuola, pestato a sangue e dolorante, e Zack non aveva potuto fare a meno di ricordare che quel giorno si era messo quella maglietta proprio per lui.
“Ti sta benissimo” sussurrò Brian all’orecchio di Vee qualche minuto dopo, mentre gli prendeva dalle braccia una Nicole ormai crollata definitivamente tra le braccia di Morfeo.
“L’ho indossata per te, per il tuo giorno speciale” mormorò Zacky di rimando, stando attento a passargli la bambina il più delicatamente possibile. “E, perché tu lo sappia, i tuoi figli sono belli quanto te.”











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Okay, questo capitolo è stato scritto di getto qualche giorno fa ma ho ritardato a postarvelo per via della scuola che non dà tregua. Ora eccomi qui, due giorni prima del concerto, ed eccovi il nuovo capitolo. Come sempre spero che vi piaccia ed elemosino recensioni.

Ci vediamo a Milano bellezze (:
Echelon_Sun

 

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Capitolo 13
*** I promise. ***


Brian era stanco. Aveva passato la notte in piedi col piccolo Jim in braccio che non aveva voluto saperne nulla di dormire pacificamente. Era stanco e appena arrivato in ospedale si era dovuto sorbire anche la sfuriata di Michelle perché aveva fatto ritardo.
Non aveva avuto la forza di dirle che era crollato assopito sul tavolo della cucina mentre faceva colazione e aveva fatto tardi perché aveva guidato pianissimo per paura di un colpo di sonno, soprattutto nel tratto di strada in cui Jimmy era in macchina con lui per dover essere portato a casa dei nonni paterni.
Brian era stato zitto, era andato a salutare i gemelli insieme a sua moglie, aveva tenuto tra le braccia i suoi figli, cullato Connor che aveva piagnucolato un po’ e guardato negli occhi la sua Nicole.
Quanto era bella la sua bambina. Non si capacitava di quello sguardo vispo, curioso e già splendido, di quelle guance piene da mordere, di quelle manine piccole che sin dai primi momenti si erano mosse veloci verso il suo viso.
Sebbene non avrebbe mai voluto avere preferenze tra i suoi figli, Brian fu costretto a riconoscere che un occhio di riguardo per la femminuccia ce l’aveva e probabilmente l’avrebbe sempre avuto. Dopotutto, si sa, i padri sono sempre innamorati persi delle figlie femmine.
Pensare che da adolescente quella cosina minuscola sarebbe diventata una ragazzina con curve e matita intorno agli occhi era parecchio più strano che pensare che un giorno Jim e Connor sarebbero stati alti quanto lui e avrebbero frequentato la sua stessa scuola.
L’uomo si accese una sigaretta camminando svelto verso il giardino dell’ospedale. Gli piaceva quell’angolo di verde seminascosto tra i vari edifici dell’ospedale di Huntington Beach; si ricordò che da ragazzo, quando era stato operato di appendicite proprio il giorno prima del suo compleanno, i suoi amici gli avevano fatto trovare una torta e un cartellone proprio in quel giardino, dove lo avevano portato tenendolo in braccio per tre rampe di scale.
Sedette su una panchina e rimase a lì, immobile, a fissare il vuoto.
Ricordava quella medesima panchina il giorno dell’operazione alle corde vocali di Matt. Rivide Jimmy che cercava di tenere su il morale a tutti e che snocciolava una battuta dietro l’altra, Zack seduto di fianco a Johnny sulla panchina di fianco alla loro che stavano in silenzio e rivide se stesso accanto al suo migliore amico, un se stesso giovane, ribelle e fiero, un Synyster Gates incrollabile che non aveva idea di quanto spesso sarebbe franato al suolo in futuro.
Gli mancava Jimmy.
Soprattutto quando c’erano degli eventi importanti, gli mancava tantissimo. Anche quella notte ci aveva pensato percorrendo più e più volte a piedi il perimetro della sua camera da letto, se Jimmy fosse stato vivo non avrebbe esitato un momento a chiamarlo e a dirgli di raggiungerlo per fargli compagnia. Non che gli altri non sarebbero corsi da lui, ma Brian aveva avuto bisogno del suo migliore amico.
E a pensare che James in quei momenti di sicuro l’avrebbe sfottuto riguardo un improbabile futuro in cui Nicole sarebbe stata una sciacquetta, Connor avrebbe cominciato a drogarsi e Jim sarebbe stato un poco di buono, Brian sentiva nel petto una strana voragine che scavava sempre più a fondo.
Quasi poteva vedere l’immagine del batterista che prendeva Nicole tra le braccia tatuate e le diceva tra qualche anno il tuo papà mi costringerà a pedinarti per vedere che combini con quei maschi con cui esci da scuola sottobraccio.
“Ciao.”
Il chitarrista si voltò di scatto, al suono di quella voce cristallina.
Una ragazza si era seduta al suo fianco. Una ragazza magrissima, dalla pelle lattea, le guance leggermente incavate, le gambe ossute avvolte da una tuta verde scuro, una massa di capelli rossi legati in una coda disordinata dietro la testa e due immensi occhi azzurri.
Occhi azzurri dannatamente simili a quelli del Rev.
“Ciao” borbottò in risposta l’uomo, inspirando con veemenza il fumo dalla sua Marlboro.
“Come mai sei qui?” domandò la ragazza indicando con un dito affusolato il giardinetto in cui si trovavano.
“Mi è sempre piaciuto questo posto” rispose Brian piano.
“Anche a me” disse in fretta la ragazza. “Mi sembra un puntino di luce dentro un tunnel tutto nero.”
Syn si sedette meglio, schiacciando per bene la schiena contro lo schienale della panchina. Quella ragazza era strana e averla così vicina gli stava mettendo una certa ansia.
“Sei nuovo qui?” domandò la ragazza abbassando la voce e sporgendosi in avanti col busto.
“Non sono ricoverato, sono qui perché mi sono nati due bambini” spiegò Brian sorridendo appena nominando i suoi figli.
“Oh, scusami. Pensavo fossi...” la ragazza tentennò, tenne stretta tra le dita bianche il bordo della panchina. “Pensavo che anche tu fossi pazzo. Pazzo come me.”
“Non credo che tu sia pazza” commentò lui svelto. “Credo che tu sia una ragazza bellissima, hai degli occhi stupendi.”
La ragazza si bloccò. Rimase immobile a fissarsi i piedi inghiottiti da due ciabattone pelose, aggrappata ancora al bordo della panchina come se da un momento all’altro potessero strapparcela a forza.
Poi sorrise.
Si aprì in un sorriso che sembrò inglobarle l’intero volto. Sorrise la bocca, sorrise il naso, sorrise la fronte, sorrisero gli occhi.
“Grazie” disse rilassandosi al fianco dell’uomo e portando le ginocchia al petto. “Mi chiamo Denise.”
“Brian.”
Ci furono pochi istanti di silenzio, istanti in cui il chitarrista la osservò di sfuggita. Era davvero bellissima, aveva negli occhi una strana luce che la rendeva particolare e si chiese di cosa mai potesse soffrire per pensare di essere pazza.
“Perché pensi che io sia bellissima se faccio delle cose brutte?” chiese con un filo di voce la ragazza dopo un po’, abbracciandosi le gambe e sorridendogli cordialmente.
“Quali cose brutte fai?” domandò lui a sua volta senza riflettere su quella che sarebbe potuta essere l’eventuale risposta di Denise.
“Queste” rispose lei pratica alzandosi una manica del maglioncino nero che indossava per mostrargli una sfilza di tagli profondi su tutto il braccio.
Brian sentì un brivido partire dalla nuca e percorrere tutta la schiena fino a giungere all’osso sacro.
Quella ragazzina avrà avuto massimo diciotto anni ed era un’autolesionista. Quella ragazzina così bella, dal sorriso pieno, si faceva del male, si tagliava e si procurava del dolore da sé.
Brian si rivide dentro la vasca da bagno di casa di Jimmy, anni addietro, e rivide le lame del rasoio premute contro i suoi polsi. Non ricordava molto di quella sera, a dire il vero, ma ricordava che il motivo per cui aveva tentato il suicidio era che Zack lo aveva lasciato per Gena; poi ricordava Jimmy che prima lo aveva tirato fuori dalla vasca e poi, un secondo dopo l’arrivo di Matt e Johnny, si era dovuto sedere a terra per non svenire alla vista delle sue braccia martoriate.
“Perché lo fai?”
Denise lo guardò come se solo in quel momento si fosse resa conto della sua effettiva presenza al suo fianco su quella panchina arrugginita.
“Perché sono pazza” fu la sua risposta. “E perché quando mi taglio mi sento meglio, un po’ come quando alla radio passa quella canzone... come si chiama? Quella che dice I have so much to say but you’re so far away, la conosci?”
Brian dovette compiere un grosso sforzo per non stringere a pugno le mani tanto forte da lasciare il segno delle unghie sui palmi. Si impose di gettare a terra il mozzicone della sigaretta fingendo tutta la tranquillità di questo mondo.
Dentro di lui, in realtà, qualcosa di strano era avvenuto.
Si sentì immensamente lusingato per il fatto che la sua So Far Away, il suo personale e doloroso tributo per il suo migliore amico, la canzone che più di qualsiasi altra avrebbe voluto evitare di suonare, potesse far stare meglio una persona tanto tormentata quanto quella ragazza che gli stava di fianco.
So Far Away, in quel momento, gli sembrò tutt’altra canzone rispetto a quella per cui aveva passato tante serate chiuso nel bagno dello studio di registrazione a piangere.
Per la prima volta fu lui stesso a rendersi conto di quanto la musica salvasse.
“Sì, la conosco” disse con un filo di voce a Denise. “Si chiama So Far Away ed è una canzone molto particolare e speciale. Lo è perché è stata scritta da una persona alla morte del suo migliore amico, è una canzone che è stata scritta in un momento di dolore immenso, nel momento in cui la persona che l’ha scritta pensava che senza il suo amico non ci sarebbe stato futuro. O almeno non un futuro degno di essere vissuto. Ma sai cosa? Quella persona è ancora qui, forte, magari con tanta nostalgia addosso, ma pronta a lottare e a prendere la vita con due mani per poterla vivere al meglio.” Brian sospirò. “Questa persona ne ha passate tante, ha sofferto moltissimo, ma poi, grazie all’amore, all’amicizia e alla musica, ha capito che la vita è una sola e non vale la pena sprecarla così. Bisogna viverla appieno fino a che siamo in tempo.”
Denise allungò una mano a prendere quella dell’uomo. Gliela strinse debolmente. “Da come ne parli, sembra che tutto questo dolore l’abbia vissuto anche tu.”
“Tutti soffriamo, Denise” le disse lui ricambiando la stretta. “Nessuno può sfuggire al dolore, nessuno. Neanche le persone che camminano per strada con stampato in faccia il sorriso e che urlano al mondo che sono felici.”
“E come si fa ad andare avanti? Come si fa a smettere di pensare ossessivamente alla lametta sotto il cuscino?”
“Grazie alla musica o grazie alle persone che ci amano.”
“Davvero? Me lo giuri? Sei sicuro che potrei uscire dall’autolesionismo grazie a qualcuno che mi vuole bene e grazie alla musica?”
“Te lo giuro Denise. Te lo giuro. Fidati della persona per cui proverai l’amore vero e che ti farà sentire amata, fidati dell’amico che anche in piena notte verrà a casa tua per abbracciarti, fidati della musica che di sicuro ci sarà sempre per te.”
Denise sorrise appena. Scoprì una fila di denti piccoli e bianchi. “Quanti figli hai, Brian?” chiese avvicinandosi maggiormente all’uomo.
“Tre. Tre bambini.”
“Saranno fieri di te, sarai un padre meraviglioso.”
“E tu ti salverai, Denise. Promettimelo” asserì con vigore. “Promettimi che farai di tutto per salvarti, per riprenderti la tua vita.”
“Te lo prometto.”










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Scrivere questo capitolo con le immagini del concerto di Milano ancora addosso è stato stranissimo. Scrivevo e non facevo altro che rivedermi davanti i sorrisi dei ragazzi. Quindi boh, spero di aver scritto qualcosa di decente e... lo so che è un capitolo diverso dagli altri, ma mi è salito su spontaneamente e non l'ho voluto fermare.
Accetto consigli sul come far andare avanti la storia con questa ragazzina, se farla comparire di nuovo o no eccetera. Ho già in mente qualche idea, ma vorrei sapere cosa ne pensate voi.

Grazie a tutti,

Echelon_Sun

 

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Capitolo 14
*** Flashback (prima parte). ***


Brian si accese un’altra sigaretta, già la quarta da quando si era svegliato. Vide la figura minuta di quella ragazza, Denise, che scompariva dietro un edificio color grigio topo e poi si perse a osservare il vuoto.
Ricordava quel giorno: il giorno in cui aveva pensato seriamente che non gli interessava più vivere, il giorno in cui aveva tentato di uccidersi tagliandosi i polsi, il giorno in cui Zacky lo aveva lasciato per Gena.
 
***
“Dov’è Zack?”
“Boh, deve essersi svegliato presto, non l’ho visto per niente.”
Brian alzò un sopracciglio e allungò una mano verso i biscotti tenuti saldamente da Matt, quasi fossero un tesoro da custodire. Quella mattina si era svegliato male, aveva dormito poco e al suo risveglio non aveva trovato Zack al suo fianco nel lettone.
E quella sera ci sarebbe stata anche la festa a casa di Jimmy per il diploma della sorella. Festa organizzata dal batterista poiché la povera ragazza avrebbe solo voluto organizzare un pranzo in famiglia, e invece lui non gliel’aveva concesso perché dannazione sei diplomata e devi concederti una serata senza pensieri, e poi, sorellina cara, non puoi non offrirmi il tuo diploma come pretesto per organizzare una festa a casa.
“Per caso avete litigato?” chiese Matt dopo un po’, alzandosi da tavola per andare a mettere nella lavastoviglie la sua tazzina del caffè.
“No” rispose immediatamente Brian. “Ieri parlavamo di Gena e Michelle, di come fare per gestirle senza farci scoprire e per questo abbiamo un po’ discusso, ma... insomma, non abbiamo litigato. Perché avremmo dovuto?”
“Ma niente, tranquillo” divagò Matt. “Cioè” aggiunse un secondo dopo risiedendosi al fianco del chitarrista, “mi pare solo strano il fatto che sia uscito senza dire niente a nessuno e senza lasciare neanche un biglietto.”
“Hai provato a chiamarlo?”
“Ha lasciato il cellulare a casa.”
Brian strinse le labbra. Zack non aveva mai fatto una cosa del genere. Se si svegliava prima di tutti ed era di buonumore usciva di soppiatto a comprare i croissant per la colazione, al massimo, ma non era mai uscito di casa così.
“Buongiorno” tuonò Jimmy entrando in cucina con Johnny tenuto su una spalla come un sacco di patate.
“’Giorno” rispose Matt.
“Mettimi giù idiota” si lagnò Johnny mollando una gomitata contro la schiena del batterista, che non diede alcun segno di aver percepito la botta.
“Vee dorme ancora?” chiese Jimmy.
“No, è uscito. Senza dire niente a nessuno, senza lasciare un biglietto e senza portarsi dietro il telefono. Porca puttana” rispose svelto Brian lasciando trasparire tutto il suo nervosismo.
“Per caso avete litigato ieri sera o hai fatto una qualsiasi cosa che avrebbe potuto turbare il suo animo così sensibile?” domandò Johnny.
“No. O almeno non mi risulta” disse Synyster al culo di Christ.
Jimmy sospirò chinandosi per far scendere Johnny dalla sua spalla. “Ma dai Bri stai tranquillo” disse il più alto con una risatina dopo aver visto la faccia imbronciata del bassista, “sarà andato a fare rifornimento di cibo dato che stiamo andando avanti a biscotti e pizza surgelata.”
Brian non rispose, però si impose di credere alle parole di Jimmy. Sebbene il comportamento del chitarrista ritmico fosse alquanto strano, magari era semplicemente uscito e per caso non aveva avvisato nessuno e aveva dimenticato il cellulare sul divano.
La situazione cominciò a puzzare un po’ a tutti verso metà mattinata, quando di Zack non ancora si avevano notizie. Tra l’altro era anche l’ora in cui il secondo chitarrista cominciava, solitamente, ad animarsi per cucinare il pranzo e non vederlo in cucina che saltellava contento attorno ai fornelli con una pentola tra le mani era alquanto strano.
Brian era nervosissimo, se ne stava seduto sul gradino davanti la porta di casa fumando una sigaretta dietro l’altra mentre osservava Jimmy che, per non pensare, tosava l’erbetta del minuscolo giardino che avevano.
Matt all’una decise di cucinare un po’ di pasta e, dopo essersi quasi ustionato una mano scolando l’acqua, si ritrovò con i suoi amici a mangiare. C’era silenzio in cucina, un silenzio assurdo, un silenzio che in quella casa si poteva udire solo di notte se nessuno era sbronzo e se Zack e Brian non facevano l’amore, un silenzio che sembrava sfondare i timpani.
“Bri non mangi?” domandò il cantante dopo un po’, notando che l’amico stava solo giocherellando con la pasta nel piatto.
“Non ho fame.”
“Brian...” cercò di intromettersi Jimmy posando una mano sopra la spalla dell’altro.
“Quando torna giuro che gli faccio un occhio nero” sbottò Brian incazzato, incrociando le braccia al petto. “E non lo scopo per un mese. Giuro che camperò di seghe piuttosto che scoparmelo.”
Johnny non riuscì a trattenere una risatina dopo quell’ultima frase, ma una sberla sulla nuca da parte di Matt lo fece tacere.
Sebbene tutti fossero molto preoccupati, Johnny era quello più tranquillo. Era quello che aveva preso la scomparsa di Zack maggiormente alla leggera, pensava semplicemente che magari il chitarrista aveva avuto bisogno di starsene un po’ da solo e, con la dubbia intelligenza che si ritrovava, aveva dimenticato di avvisarli.
Rimasero in silenzio ancora a lungo. Johnny non spiccicò una parola sparecchiando la tavola e lo stesso fece Jimmy mettendo i piatti nella lavastoviglie. Nessuno disse nulla per un paio d’ore, rimasero tutti e quattro stesi sul divano a guardare un film scadente fino a che non sentirono il rumore dell’auto di Zack sul vialetto di casa.
“È tornato” disse Matt saltando in piedi come una molla e andando ad affacciarsi alla porta seguito dai suoi compagni.
Zacky scese lentamente dalla macchina, alzò lo sguardo sui suoi amici ammassati sull’uscio di casa e lo riportò subito a terra. Non sapeva se sentirsi un verme o risparmiarselo per quello che avrebbe fatto dopo.
Non fece in tempo a rientrare in casa che si ritrovò schiacciato contro il muro da un Brian furente di rabbia, con gli occhi lucidi e il fumo che usciva dal naso.
“Dove cazzo sei stato?” sibilò Synyster in faccia a Zack, tenendolo stretto per il girocollo della maglietta. “Hai idea di quanto siamo stati in pensiero? Sei sparito senza lasciare un fottuto messaggio, un post-it, niente! Tu...”
“Dobbiamo parlare” lo bloccò Zacky con un filo di voce.
Brian gli lanciò un’occhiata di fuoco ma non replicò, lo lasciò andare e andò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona aspettando che gli altri li lasciassero soli e se ne andassero al piano di sopra.
“Dimmi” disse duramente Brian osservando l’altro con i pugni serrati lungo i fianchi.
“Io... insomma, lo sai che ho conosciuto Gena, che è simpatica, carina, molto dolce...” abbozzò Zack senza avere la forza di guardare Synyster negli occhi. “Cioè... lei mi piace un sacco ed io stavo pensando che noi due... pensavo che io e te non...”
Una prima lacrima solcò il viso di Vee, che si affrettò ad asciugarla con la manica della maglietta. Brian si indispettì, aveva capito, aveva colto tutto troppo in fretta.
“Mi stai lasciando?” sputò fuori.
Zacky alzò la testa e mosse un passo verso di lui. “Bri lo sai che ti amo” disse mentre nuove lacrime gli bagnavano le guance. “Ti amo da morire ma ho paura, voglio una relazione normale, voglio una ragazza...”
Brian rimase di sasso. Si stavano lasciando. Stavano insieme da quando erano ragazzi che stavano nella stessa classe di biologia e ora Zack lo stava lasciando. No.
No.
No.
No.
“Zack è uno scherzo?”
“Bri...”
Brian non rifletté, agì d’istinto, senza quasi pensare lucidamente a ciò che stava facendo. In un attimo si catapultò addosso a Zack e lo schiacciò contro il muro come aveva fatto poco prima.
“Dimmi che stai scherzando!” gridò con la voce rotta. “Come puoi lasciarmi per una sciacquetta idiota come Gena?!”
“Non urlare...”
“Non urlare?!” si incazzò maggiormente Brian, alzando ulteriormente il tono di voce e rafforzando la presa sulla maglietta dell’altro.
“Mi stai facendo male...” si lamentò Zack, che si sentiva soffocare per via della stretta dannatamente troppo serrata delle mani di Brian attorno al girocollo della sua maglietta.
Uno schiaffo. Un ceffone il pieno viso e la consapevolezza, da parte di Zack, che gli sarebbe rimasto il segno rosso.
“Questo faceva male?” gli chiese rabbioso Brian con le lacrime agli occhi. “Eh?! O ne vuoi altri?” continuò.
Zacky non fece in tempo a ripararsi, che un nuovo ceffone lo colpì, lasciandolo senza fiato. Poi Brian lo lasciò libero, fece un passo indietro e tornò a colpirlo con un manrovescio che lo fece cadere a terra.
“Rispondimi cazzo” gli urlò mentre le lacrime cominciando a rigargli il viso e Zack, nonostante il dolore non riuscì a non sentirsi in colpa, vedendolo piangere a causa sua. “Ti sto facendo del male?”
“Sì!” gridò Zacky a sua volta, alzandosi faticosamente in piedi.
“Tu me ne stai facendo di più, stronzo” urlò istericamente il più grande, senza dargli il tempo di restare in piedi ancora per molto, mollandogli una ginocchiata nello stomaco.
Zack rimase a terra a farsi picchiare da Brian senza fiatare, solo cercando di ripararsi il viso. Rimase immobile a subire i calci nella pancia e i pugni sulle braccia fino a che non sentì i passi dei suoi amici lungo le scale.
“Brian ma che cazzo fai?!”
“Vieni via di lì!”
Brian gli sferrò un ultimo calcio di punta nella pancia, prima di essere allontanato da Zack per mano di Matt e Jimmy.
“Lasciatemi andare” urlò, dimenandosi come un pazzo per cercare di districarsi dalla presa salda dei suoi amici.
Johnny si occupò di Zack. Lo aiutò a mettersi seduto, lo abbracciò e lo accarezzò lasciandolo singhiozzare sulla sua spalla mentre osservavano insieme Brian che veniva immobilizzato a terra dagli altri due.
“Ma che cazzo ti è saltato in mente?!” strepitò Matt schiacciando una guancia del primo chitarrista contro il pavimento e tenendogli i capelli stretti in una morsa ferrea.
“Vaffanculo, lasciatemi” controbatté Brian, cercando di liberare i polsi che erano bloccati dietro la schiena dalle mani di Jimmy e continuando ad agitarsi convulsamente al suolo. Non si rese quasi conto di quanto la presa di Matt tra la sua chioma fosse forte e se fosse stato solo un po’ più lucido forse si sarebbe acconto del dolore.
“Cos’è successo?” chiese il Rev, lottando contro Brian, lasciando vagare lo sguardo da Zack che singhiozzava tra le braccia ossute di Johnny a Brian steso al suolo.
“Mi ha lasciato per quella troia, per la biondina stupida” singhiozzò Brian senza perdere il tono di voce elevato. “Dimmi che non mi ami, se davvero vuoi lasciarmi” schiamazzò poi muovendo convulsamente la testa sotto la presa di Matt per cercare lo sguardo di Zacky. “Dimmi che ami lei e non me.”
“Brian...” mugolò quest’ultimo, portandosi le mani al viso che sentiva andare in fiamme per via degli schiaffi ricevuti.
“Dillo!”
“Lascialo in pace” lo rimbeccò Matt con voce autoritaria. “E basta fare il coglione: alzati e smettila di agitarti, andiamo a fare due passi.”
Brian decise che era meglio non far arrabbiare M. Shadows in quel momento. Benché avesse solo voglia di prendere di nuovo a sberle Zack, si impose di restare calmo mentre Matt e Jimmy lo lasciavano lentamente andare e lo aiutavano a rimettersi in piedi per poi accompagnarlo fuori.













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Giornata di merda: capitolo di merda.
Sarà che oggi mi è arrivata una pallonata sull'anulare destro e adesso non riesco più a muoverlo, sarà che mi manca da morire l'ansia pre-concerto e mi mancano tutte le persone conosciute durante il mese di novembre nel gelo di Milano, ma oggi proprio non è giornata. Mi sono seduta davanti al mio computer ed è saltato fuori questo capitolo.
Mi dispiace se è troppo duro, ma oggi va così.
Spero che a voi, comunque, piaccia almeno un minimo di più di quanto non piaccia a me.

Un abbraccio,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 15
*** Flashback (seconda parte). ***


Una volta usciti all’aria aperta, Brian crollò. Fino a quel momento aveva avuto solo voglia di picchiare Zack, mentre non appena sentì Jimmy che chiudeva la porta di casa, si rese conto di ciò che era effettivamente accaduto.
Synyster Gates si mise a piangere come un bambino, con tanto di singhiozzi soffocati tra le mani premute contro la faccia.
Jimmy avvolse le spalle del suo migliore amico con un braccio e lo condusse, camminando dietro Matt, fino alla panchina di fronte casa loro. Su quella panchina aveva passato lo scorso sabato sera, il batterista, dopo essere tornato a casa troppo sbronzo per avvisare gli altri e farsi aprire la porta.
“Avresti potuto fargli male sul serio” disse Matt dopo un po’, mentre Brian piangeva ancorato a Jimmy.
“Mi dispiace di averlo picchiato” borbottò il chitarrista. “Non ho riflettuto mentre lo facevo, mi dispiace...”
“Ssh” cercò di calmarlo il batterista accarezzandogli la testa e stringendolo più forte tra le braccia. “Stasera abbiamo la festa a casa dei miei, cerca solo di non pensare a Zack, svagati e bevi, che al resto ci penseremo dopo.”
 
Erano ormai le tre di notte e Zack era a letto da più di un’ora. Dopo avergli retto la fronte mentre vomitava per tre volte nel secchio dell’immondizia, Matt aveva deciso che sarebbe stato meglio portare l’amico a dormire, nella speranza che crollasse subito tra le braccia di Morfeo e non gli passasse per la testa di scendere nuovamente nella zona giorno della casa per cercare altri alcolici.
“Hai per caso visto Brian?” domandò Jimmy a Johnny, che se ne stava spaparanzato sul divano fumando una canna.
“Brian?” ripeté il bassista alzando un sopracciglio. “Non lo vedo da un bel po’” asserì subito dopo, espirando il fumo dal naso.
“Allora muovi il culo e aiutami a cercarlo” disse Jimmy afferrandolo per un braccio e costringendolo ad alzarsi in piedi. “E, per l’amor del cielo, basta droga, è già la terza canna che ti vedo in mano.”
“Ma...” cercò di discolparsi Johnny mentre vedeva l’amico che gli toglieva la canna dalle mani e la passava a una ragazza bionda che non conosceva.
“Saliamo al piano di sopra, magari è con Matt a controllare che Zack stia bene” propose Jimmy trascinandosi dietro il più piccolo su per le scale.
Andarono in camera del batterista, la sua camera da letto che sua madre, benché adesso non vivesse più lì, non aveva cambiato neanche di una virgola. Tutto era ancora al suo posto, compresi i giornalini di Playboy nascosti sotto il letto e lo strato di oggetti inutili sotto la scrivania.
Zack dormiva tranquillo nel letto abbracciato al cuscino, come se fino a all’ora prima non si trovasse a rigettare anche l’anima per via della sbronza colossale che si era preso. Matt era al suo fianco, seduto all’altezza dei suoi piedi, e si voltò di scatto sentendo la porta aprirsi.
“Come sta?” chiese Johnny in un bisbiglio alludendo a Zacky.
“Meglio, si è addormentato da una decina di minuti” rispose Matt alzandosi lentamente per non far rumore. “Brian dov’è?”
“Piacerebbe saperlo anche a noi” rispose Jim vagamente sarcastico. “Andiamo a cercarlo e il primo che lo trova fa uno squillo agli altri, siamo d’accordo?”
Matt e Johnny annuirono e così in meno di un secondo uscirono dalla vecchia camera da letto del batterista e si misero in moto per trovare Brian.
Non ci misero molto a trovarlo, in realtà, e per fortuna.
Jimmy andò immediatamente in bagno, aprì la porta e lo vide. Quell’immagine non se la sarebbe mai più tolta dalla testa. Anche a molti anni di distanza il suo sonno sarebbe stato tormentato dagli occhi semichiusi del suo migliore amico in quella notte, dalla vasca da bagno piena a metà di acqua rossastra, dai polsi sanguinanti di Brian e dalla sua pelle lattea.
The Rev cacciò, spontaneamente, una bestemmia, prima di correre verso il suo migliore amico. “Brian ma che cazzo hai combinato?” sussurrò affondando le mani nell’acqua e afferrandolo per tirarlo fuori dalla vasca.
“Aiuto!” urlò passandosi un braccio del chitarrista dietro il collo.
“Jim...” articolò a fatica Brian scosso dai tremiti di freddo.
“Aiutatemi!” urlò di nuovo il batterista riuscendo, con uno sforzo non indifferente, a far mettere in piedi l’amico e a sorreggerlo per qualche istante.
Istante che non durò a lungo, poiché non appena Jim abbassò lo sguardo per constatare se l’altro fosse effettivamente completamente nudo, l’occhio gli cadde su un altro particolare: sui polsi incisi e sanguinanti.
Se Matt e Johnny non fossero arrivati proprio in quel momento, probabilmente Brian sarebbe caduto indietro e avrebbe sbattuto la testa contro lo spigolo della finestra lasciata aperta.
“Cazzo” sputò fuori Matt correndo verso i suoi amici e riuscendo ad afferrare Brian un secondo prima che Jimmy si lasciasse cadere con sedere al suolo per non svenire totalmente.
Johnny bestemmiò, afferrò un ampio asciugamano e ci avvolse il chitarrista mentre Matt lo teneva ben stretto tra le braccia muscolose e lo aiutava ad uscire fuori dalla vasca per sedersi sul bordo.
“Che cazzo ti è saltato in mente?!” strepitò il cantante dopo qualche istante di sbigottimento generale. “Hai idea di ciò che sarebbe potuto succedere se non fossimo arrivati in tempo?”
Nessuno si sarebbe aspettato una risposta da Brian. Non in quel momento, non mentre si trovava nudo, bagnato da capo a piedi, col sangue che gocciolava sulle mani e Johnny che gli strofinava i piedi per non farlo ammalare; in quel momento nessuno si aspettava che Brian rispondesse sarei morto.
Jimmy sospirò e si impose di non affogarcelo con le sue stesse mani in quell’acqua colorata di sangue. “Perché l’hai fatto?” chiese cercando di mantenere un minimo di calma.
Brian non rispose, scoppiò solo a piangere e tentò di alzarsi, tentativo che Matt non gli permise di portare a termine abbracciandolo e tenendolo inchiodato col culo al bordo della vasca.
“Sei un fottuto idiota, Gates” borbottò il cantante all’orecchio dell’amico, mentre lo sentiva singhiozzare sulla sua spalla. “Sei un fottuto idiota che morirà assiderato se non si riveste immediatamente.”
Shadz si staccò dall’amico solo per andargli a prendere i vestiti. Aiutato da Johnny, lo rivestirono, gli asciugarono i capelli e gli medicarono le ferite mentre Brian sembrava aver perso ogni forza vitale, ogni capacità di muoversi autonomamente e di comandare al suo corpo cosa fare.
Alla fine di tutto, quando Brian si ritrovò seduto sul divano di casa dei genitori di Jimmy solo in compagnia del suo migliore amico e troppi pop-corn lasciati sui cuscini, pensò a Zack.
“Zacky come ha passato la serata?” chiese con un filo di voce lasciando cadere la testa sulla spalla di Jimbo.
“Si è ubriacato.”
“Bene.”
Jimmy si stese meglio sul divano portandosi dietro Brian per fargli posare la testa sul suo petto e cullarlo fino a farlo addormentare.
“Jim...”
“Cosa?”
“Credi che io e Zack torneremo insieme? Credi che si pentirà di avermi lasciato nonostante mi ami?”
Silenzio.
“Jim?”
“Non lo so Brian. So solo che vi amate troppo e andare avanti così, divisi senza che nessuno dei due lo voglia davvero, sarebbe distruttivo.”
***
 
Brian schiacciò a terra il mozzicone della sigaretta consumata fino all’ultimo. Ripensare a quel giorno faceva male, gli ricordava quanto l’amore tra lui e Zacky fosse stato tormentato e, nonostante tutto, sempre vero e forte.
Ripensare a quel giorno gli ricordava quanto entrambi soffrissero quando non stavano insieme, quasi che la consapevolezza di non avere l’altro fosse troppo pesante per pensare a una vita normale anche senza quei piccoli gesti giornalieri da coppia di fatto.
Lui non se la immaginava una vita senza Zacky. Un’esistenza senza le sue labbra carnose premute contro la sua pelle, non s’immaginava qualcuno da prendere, quando facevano l’amore, come prendeva Zack, qualcuno a cui sorridere sinceramente come sorrideva a lui.
Si amavano e basta, a prescindere dagli anni e a prescindere dalle loro famiglie. Quando un amore è così grande non si può far nulla, solo comprenderlo. Quando un amore è tanto grande, quando due persone sono immedesimate una con l’altra tanto da affermare di non poter vivere più come prima in assenza dell’anima gemella, non si può fare molto, se non star fermi e osservare.
Brian vide Johnny comparire da lontano, camminare lentamente verso di lui fumando una sigaretta e sorrise. Sorrise perché proprio in quel momento ripensò a quanto sia Johnny che Matt e Jimmy avessero ogni giorno lottato insieme a lui e a Zack per portare avanti il loro amore nel miglior modo possibile.











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Non commento nulla di questo capitolo, lascerò che lo facciate voi. Sono MOOOOLTO curiosa di sapere le vostre impressioni a riguardo.

Grazie a tutti quelli che leggono, recensiscono e hanno messo questo Long tra le preferite e/o le seguite,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 16
*** Dear nobody... ***


Caro Nessuno,
intanto perdonami l’appellativo, ma, ragiona con me, tu sei nessuno. Non sei mai nato, sei rimasto per un po’ nell’utero di tua madre e poi sei semplicemente andato via senza lasciarti conoscere da noi.
Sei nessuno. Solo una minuscola esistenza senza sesso e senza ragione. Un ipotetico bambino che non è mai nato.
Sei nessuno e mi manchi.
Come posso mancarti se non sono mai esistito?, mi chiederai, giustamente.
Non lo so.
Mi manca l’idea di averti. Mi manca il pensiero di te che tiri fuori il tuo primo grido, mi manca l’idea di vederti nella culletta, di prenderti in braccio e di chinarmi per mostrarti ad Alicia.
Sei andato via prima di conoscerci. Sei andato via in silenzio, senza far del male a Val e senza darci il tempo di parlare di te alla tua sorellina.
Sei andato via troppo in fretta e mi manchi.
Sai, Nessuno, la tua mamma è di nuovo incinta.
E oggi sono due anni dalla morte di Jimmy e sembra che lui ci stia facendo un regalo. Non riesco a smettere di sorridere. Ho sorriso persino sulla sua tomba, mentre i singhiozzi mi fracassavano le costole.
Ho sorriso tra i capelli di Valary e ho sorriso specchiandomi negli occhi verdi di Ali.
Ho deciso di scriverti, Nessuno, perché nonostante tutto tu ci sei stato. Sei stato il bambino mancato, sei stato quello che all’improvviso non si è sentito più, sei stato quello che mai abbiamo avuto l’onore di tenere in braccio, ma ci sei stato.
E il dolore per la tua perdita è stato più vivo che mai.
La tua mamma ha sofferto tanto quando ha saputo che tu non c’eri più e ha stretto forte i denti per non crollare. Ci siamo appigliati ad Alicia con anima e corpo per restare in piedi. Ci siamo appigliati a tua sorella, ai suoi progressi, per non crogiolarci nella sofferenza per la tua perdita.
Ed ora tu e Alicia avrete un fratello o una sorella.
Contento?
Io e la tua mamma lo siamo tantissimo. Non vediamo l’ora di diventare genitori di nuovo, non per la terza volta ma per la seconda, ma va bene lo stesso.
Si accettano anche le perdite.
Io ho accettato la tua come ho accettato quella di Jimmy.
E Valary ha fatto lo stesso.
E spero che in futuro non saremo più costretti ad accettare morti premature.
Non meritavi di morire, Nessuno. Non meritavi di andare via prima di vedere il sorriso splendido di tua madre, prima di sentire la risata di tua sorella e di vedere le sue fossette così simili alle mie. Non meritavi di andartene prima di arrivare.
Jimmy diceva che non importa quanto presto si muore se si vive fino all’ultimo respiro. Diceva che sarebbe morto giovane, ma intanto aveva vissuto al massimo.
E tu cosa hai vissuto, Nessuno? Tu sei morto troppo presto, sei andato via prima di avere il tempo di vivere. A te è stata tolta la possibilità di vivere al massimo, è stata tolta la possibilità di morire giovane e di gridare contro il mondo.
La verità è che la vita è ingiusta, ci strappa via le sue meraviglie come se stesse strappando via le pagine rovinate da un quaderno.
La vita è ingiusta, Nessuno, e forse non ti sarebbe neanche piaciuta.
Forse doveva andare semplicemente così. Forse saresti stato un ragazzino depresso o una donna suicida. Forse Dio ha deciso di troncare la tua vita prima che cominciasse per evitarti un’esistenza orribile.
Non lo so.
Spero solo che tu ora stia bene. Ovunque tu sia, spero che stia bene.
Dico solo che mi sarebbe almeno piaciuto sapere il tuo sesso, il colore dei tuoi occhi, sapere se anche tu avevi le mie fossette nelle guance.
Valary dice che sarebbe stato peggio. Dice che è meglio che tu sia morto così che dopo. Dice che già se fossi morto al quinto mese di gravidanza sarebbe stato molto peggio.
Eppure io avrei preferito sapere perlomeno il tuo sesso. Solo quello, solo per poter fantasticare su un qualche nome da affibbiarti o su una improbabile vita che avresti potuto portare avanti.
Ti ho sognato l’altra notte. Per l’esattezza ho sognato te e il Rev. Mi sono visto sul palco cantare il ritornello di Dear God tenendo tra le braccia Alicia e ho visto te in braccio a Jimmy a un lato del palco.
Eri un maschio, un bambino paffuto e dai capelli chiari che se ne stava tranquillo in braccio al batterista. Mi osservavate cantare in silenzio, immobili e assorti completamente dalla mia voce, dal sorriso splendente di Alicia rivolto alla folla e da quelli reciproci lanciati dai due chitarristi.
Magari saresti stato gay, Nessuno. Forse saresti stato gay come tuo zio Brian e come Zack ed io ti avrei detto sin dal primo momento che non m’importava, che eri libero di amare chi ti pareva e ciò che contava era solo che l’amore fosse vero.
Non hai mai conosciuto l’amore vero. Non mi hai mai visto osservare tua madre dormire e gettare giù su un foglio parole e parole come se fossero già state predestinate ad essere scritte. Non scriverò per te come ho scritto per Alicia. Non vedrai mai Zack prendere in braccio Connor e cominciare a tremare per la somiglianza incredibile col padre.
Non conoscerai l’amore.
Non conoscerai la musica.
Non ti è stata data l’opportunità di salire con me sul palco, di intimidirti dinanzi alla folla di Deathbat dinanzi a noi, di portare sulle orecchie le enormi cuffie per proteggerti dal volume troppo elevato, di godere del piacere di sentire la musica infrangere le corazze e farsi spazio nel cuore.
Dio è stato davvero un gran bastardo a non darti neppure l’opportunità di lasciarti sentire una delle mie ninnananne scritte alla nascita di sua sorella. È stato un grandissimo bastardo a non lasciarti vivere neanche un assolo di Synyster Gates.
Se ci penso mi sale una rabbia assurda.
Sì, sono incazzato, Nessuno. Incazzato con Dio che ha deciso di strapparti a me prima ancora di regalarti, incazzato perché oggi dovrei scrivere di quanto sia felice e non della mia ira.
Nonostante tutto sono felice, sì.
Il bambino o la bambina che nascerà sarà una rivincita, per me e per Valary. Sarà la dimostrazione che ce l’abbiamo fatta lo stesso, che non ci siamo lasciati andare, che siamo rimasti forti e abbiamo sorretto il peso della sofferenza.
Siamo dei guerrieri. L’ho capito sin dalla morte di Jimmy. Siamo dei guerrieri, pronti a combattere quando la vita non ci dà alternative migliori.
Crolli o lotti.
A te la scelta.
E noi tutti abbiamo scelto di lottare.
Brian per primo, restando con Michelle nel momento in cui avrebbe solo voluto sprofondare nelle braccia di Zack e affogarci dentro.
Johnny e Zack hanno deciso di lottare. Il nano ci ha messo un po’ di tempo per capirlo, ma poi si è fatto forza. E Zack ha sofferto molto, è crollato spesso, ha quasi compiuto il passo per raggiungere Jimbo, ma ora sta bene anche lui. Cherie è la sua gioia più grande.
Siamo dei guerrieri.
Anche io lo sono. Anche io che ancora mi sento sciogliere dentro quando Alicia mi chiama papà e mi dice che le serve il mio aiuto per fare qualcosa. Sono un guerriero quando Brian e Zack prima dei concerti si chiudono nel bagno del backstage e mi lasciano solo con i bambini e Johnny, e non so chi sia peggio da gestire. Sono un guerriero quando penso a come avrebbe sdrammatizzato Jimmy certe situazioni.
Sono un guerriero adesso, Nessuno.
Ho messo Alicia a letto poco fa, mi sono asciugato gli occhi ancora vagamente lucidi di lacrime dopo la visita alla tomba di James, e mi sono seduto qui a scriverti. Avevo bisogno di parlarti proprio oggi che si ricorda la morte di Jimmy, proprio oggi che Val mi ha comunicato che il test di gravidanza è positivo.
Sono un guerriero.
Sono un guerriero e se penso a te, ad Alicia e al bambino in arrivo non posso che sorridere. Voi siete l’innocenza, bambini, esseri senza pregiudizi né cattiveria. Siete buoni.
Ed io spero solo che Alicia da grande sarà forte come sua madre, sarà una guerriera come noi e una ragazza capace di non crollare al primo spiffero di vento. E farò di tutto affinché né lei né il nuovo arrivato possano essere degli illusi. Voglio che sappiano che la vita è una stronza, che Dio tradisce e che le persone pugnalano alle spalle. Voglio che sappiano la verità senza maschere o abbellimenti, voglio che si rendano conto che la morte c’è, esiste, e non si può evitare. Voglio che crescano con la consapevolezza del dolore, dovranno sapere che nessuno ne è esentato. Tutti soffriamo, prima o poi, ma loro saranno forti.
Come me, come i loro zii, come Valary, come Zack e Johnny, saranno dei guerrieri.
Il tuo papà, Matt
 
“Tesoro che fai?”
Matt si voltò di scatto. Valary gli stava dietro, a pochi metri di distanza, e lo osservava con un sopracciglio inarcato e una camomilla bollente tra le mani.
“Scrivo.”
Lei abbozzò un sorrisetto colpevole. “Ti lascio lavorare.”
Matt sorrise a sua volta alzandosi in piedi e raggiungendola con un paio di ampie falcate. “Come stai?” le chiese in un bisbiglio, avvolgendole i fianchi con le braccia.
“Ho sonno...”
Lui la prese in braccio. Delicatamente, senza quasi far smuovere il liquido nella tazza della donna, la prese tra le braccia possenti e la portò al piano superiore in silenzio. La fece sedere sul letto e rimase al suo fianco a coccolarla fino a che lei non si addormentò con la testa sul suo petto.
“Dio Valary quanto ti amo” borbottò giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.











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Ecco a voi la dolcezza di M. Shadows :3 dopo aver visto le sue fossette dal vivo mi sembra più reale figurarmelo durante la vita di tutti i giorni con la sua Val.

Vi lascio il link della mia ultima OS, una roba un po' particolare che non saprei come definirvi 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2336687&i=1
Spero che il capitolo vi piaccia, grazie a tutti voi,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 17
*** Capodanno! ***


Brian si lasciò pesantemente cadere sul divano di casa Sanders con un grosso sospiro di sollievo. “Finalmente pace” borbottò chiudendo gli occhi e allungando per bene le gambe per stare più comodo.
“Momento di pace finito” lo informò Matt con una risatina. “Sono arrivati anche Zack e Johnny.”
“Ti prego non farli entrare” si lagnò il chitarrista. “Voglio dormire.”
“Sì, e poi Zack depresso chi se lo sente?” rise il cantante andando ad aprire la porta di casa agli altri due.
“Ciao Matt” salutò Zack trasportando una cassa di birra con entrambe le braccia. “Dove la metto questa?” domandò poi entrando in casa.
“In cucina. Sempre dritto, prima e unica porta a destra” rispose allegro Shadows. “Johnny, che diavolo hai portato?” domandò subito dopo, notando il sacchetto che stava sventolando il bassista dinanzi ai suoi occhi.
“Cannabis” rispose innocente il più piccolo stringendosi nelle spalle.
“Cannabis?” si stupì Matt.
“Da quando sei diventato papà non ci stai più neanche a farti una bella canna in compagnia dei tuoi amici?” lo schernì Johnny ghignando.
Matt sospirò. “Se Val domani mattina torna e sente puzza di erba...”
“Ma quanto la fai lunga Matthew!” rise a sua volta Brian, urlando dalla sua posizione allungata sul divano. “È capodanno, pensa a divertirti per un po’ senza preoccuparti di Valary e Alicia.”
“Concordo!” gridò Zacky a sua volta riemergendo dalla cucina. “Abbiamo deciso di passare il capodanno da soli proprio per poterci riposare e rilassare un po’, quindi che erba sia.”
Il cantante osservò prima Johnny che sorrideva fiero tenendo tra le mani il pacchetto colmo di droga, poi Zack che si stava chinando su Brian per baciarlo, e infine si strinse nelle spalle dichiarando: “Ed erba sia.”
“Così ti voglio” esultò Johnny saltellando e trascinandoselo dietro fino al divano non occupato dai due amanti.
“Hey” si crucciò Matt notando che i suoi chitarristi erano già partiti con l’esplorazione sia della bocca dell’altro sia col suo membro. “Non procreate sulla mia poltrona.”
“E taci un po’” si lamentò Brian afferrando con entrambe le mani i glutei di Zack per poterlo avvicinare ancora di più a sé.
“Ma tu non avevi sonno?!”
“Mi è passato!”
“Vuoi una canna?” si intromise Johnny porgendone una già pronta al cantante che, rassegnato, annuì e se l’accese senza pensarci su un secondo di troppo.
In pochi minuti la situazione degenerò.
Matt, dopo la prima canna, provvide a fumarsene un altro paio steso sul tappeto del salotto e canticchiando continuamente frammenti di Save Me. Johnny faceva compagnia all’amico, fumando al suo fianco e sorseggiando una vodka liscia trovata in un angolo del frigo. Per quanto riguarda Brian e Zack, i soli a essere ancora del tutto lucidi, quasi non si erano resi conto degli altri due, troppo occupati a baciarsi con foga, ad accarezzarsi e lasciarsi succhiotti e morsi un po’ ovunque.
“Andiamo di sopra” sussurrò Brian a Zack a un certo punto.
“E questi due chi li controlla?” ribatté Zack ritirando la mano da dentro le mutande dell’altro.
Il primo chitarrista osservò i suoi amici stesi a terra uno accanto all’altro con in bocca una canna e una spessa coltre di fumo ad avvolgerli.
“Hai ragione” ammise Brian sedendosi composto sulla poltrona. “Aspettiamo che siano capaci almeno di parlare, poi mangiamo e andiamo a fare l’amore.”
Zacky sorrise. “Ti voglio” disse sedendo in braccio a Syn.
Brian non disse nulla, sorrise malizioso e ricominciò a toccarlo.
Era da tanto, troppo tempo, che non lo toccava davvero. Quelle poche ore passate insieme, negli ultimi due mesi, nel salotto di casa di Papa Gates non lo avevano soddisfatto. Lui non voleva fare l’amore con Zack solo perché ne sentiva il bisogno, lui voleva fare l’amore con Zack perché non sentire il sapore della sua pelle sudata, non sentire il suono dei suoi gemiti e non sentire la sua carne sotto i polpastrelli, gli stava dando alla testa.
Aveva bisogno di prenderlo.
E Zack aveva bisogno di essere preso.
“Voi due sì che siete innamorati, non come me e Kate” biascicò Johnny osservandoli da terra espirando il fumo dal naso.
Kate era una bella ragazza che il bassista stava frequentando da pochi mesi. Si piacevano ma Johnny non era uno fatto per stare con una ragazza seria e dolce come quella Kate, così la storia stava procedendo con molti alti e troppi bassi.
“Tu e Kate non vi amate, infatti” obiettò Zack. “Vi state conoscendo da troppo poco tempo per poter già parlare di amore.”
“Ma lei è così brava con me e mi fa sempre tante coccole dopo aver scopato...”
“Johnny, non c’importa” lo bloccò Brian prima che il discorso potesse degenerare.
“Ma anche voi due vi fate le coccole dopo il sesso?” domandò ancora il più piccolo. “E tu Matt? Tu le fai le coccole a Val dopo averci fatto l’amore?” chiese al cantante mollandogli un cazzotto sul petto per richiamare la sua attenzione.
“Io amo tanto Valary” rispose Matt intontito, afferrando una birra e portandola alle labbra. “La amo davvero tanto.”
“E le fai le coccole?”
“Certo, le faccio le coccole e le scrivo anche le poesie. Gliele lascio sul tavolo insieme a un cornetto caldo per colazione, così quando sono in studio e so che sta leggendo il mio pensiero mi viene sempre da sorridere.”
“E poi la sera fate sesso, vero?”
“Sempre.”
Zack e Brian scoppiarono a ridere.
Risero un po’ per l’assurdità di quel discorso e un po’ perché anche loro due le avevano fatte quelle cose. Anche Brian aveva cercato di svegliare dolcemente Zack qualche mattina di molti anni addietro, quando vivevano tutti insieme, suonando la chitarra al suo fianco. E anche Zack, dopo le notti che avevano passato negli alberghi che per poco non cadevano a pezzi, spesso era andato a portargli la colazione a letto.
“Ragazzi che ne dite se scaldiamo la pizza e ce la mangiamo?” domandò allegro Zack alzandosi in piedi.
I due ancora moribondi annuirono felici, mentre Brian si adoperò in fretta andando a mettere le pizze in forno. Dopo aver convinto Matt e Johnny a spegnere le canne e a sedersi sul divano, si ritrovarono a mangiare.
“Fame chimica” commentò con una risata Zack dopo un po’, notando che sia il cantante che il bassista si erano letteralmente gettati addosso al cibo e in pochissimo tempo avevano mangiato più del doppio di pizza consumata da lui e Brian.
“Non sfotterli per ciò che ti ha fatto ingrassare” lo punzecchiò Brian.
“’Fanculo, sono dimagrito.”
Brian gli mandò un bacino e gli fece l’occhiolino. “Dopo vedremo quanto sei dimagrito, lascia a me l’onore di scoprirlo.”
Zack, inevitabilmente, arrossì.
Sebbene ormai fosse una prassi fare certi discorsi con Brian in presenza degli altri e sebbene gli altri, da giovani, li avessero sentiti più e più volte far l’amore, non si sarebbe mai del tutto abituato alla schiettezza del suo amante anche in presenza di altri, anche se questi altri non erano capaci di comprendere qualcosa che andasse oltre il cibo.
Dopo mangiato rimasero tutti e quattro stesi sul divano di casa Sanders uno addosso all’altro, la puzza di droga e alcol che aleggiava attorno a loro e i cartoni ormai vuoti della pizza abbandonati sul tappeto.
Se qualcuno li avesse visti in quel momento non avrebbe mai pensato che potessero essere quattro uomini famosi, ricchi e che tre di loro fossero addirittura padri.
Brian pensò ai suoi figli, in quel momento, pensò ai suoi tre splendidi bambini che a quell’ora sicuramente stavano già dormendo nelle loro culle e pensò a Michelle che, in compagnia di sua sorella e di Alicia, stava aspettando la mezzanotte senza di lui.
Era un buon marito? Era un buon padre?
Si fece schifo per un momento, abbassando lo sguardo e trovando il corpo di Zack abbandonato tra le sue braccia.
I suoi figli non meritavano di nascere da un amore fasullo, e neanche Cherie lo meritava. Tantomeno Michelle e Gena meritavano di essere tradite. Erano due donne stupende e innamorate veramente, mentre loro due erano due uomini idioti che si amavano a vicenda e non potevano farne a meno.
“Zack” chiamò Brian dopo un po’, passando una mano tra i capelli corvini dell’altro.
“Mh?”
“Mi faccio ribrezzo se penso che a casa ho una moglie e tre figli” confessò sinceramente il primo chitarrista. “Ma ti amo. Che devo fare?”
“Amami e stai zitto” rispose Zack con un’alzata di spalle, alzando lo sguardo per far incontrare i suoi occhi cristallini con i pozzi scuri di Brian. “Seriamente Brian, vedi alternative?”
“No...”
“Allora che problema c’è?!” tuonò Matt risorgendo dallo stato semi-comatoso in cui sembrava essere sprofondato. “Voi due vi amate, amatevi!”
“Infatti” si intromise Johnny accucciandosi con la testa sulla spalla di Brian. “E portatemi a vomitare, sto malissimo.”
Brian si lasciò sfuggire una bestemmia. Si scrollò gli amici da dosso, afferrò il bassista per un braccio e lo trascinò in bagno, dove lo fece inginocchiare davanti al water nel caso avesse dovuto rimettere senza preavviso.
Quella situazione gli ricordò una notte di qualche anno addietro, una di quelle notti passate a bere in un pub di periferia e a fumare canne stesi sulla sabbia della spiaggia di Huntington Beach. Johnny era ubriaco marcio, quella sera, e anche Jimmy ci aveva dato abbastanza dentro, motivo per cui se ne stava seduto in un angolo del salotto di casa di Zack e fissava un punto vuoto da più di mezz’ora. Johnny doveva vomitare e Brian lo aveva letteralmente trascinato in bagno sotto esplicita richiesta isterica del chitarrista ritmico; dopo aver vomitato, il bassista aveva ringraziato Synyster per essergli stato accanto e gli aveva detto ti voglio bene.
Insomma, un ti voglio bene detto da Johnny Christ non è qualcosa di comune. Johnny non lo diceva quasi mai. E, se lo aveva detto da ubriaco, significava ch’era vero e sincero.
“Brian” borbottò il bassista dopo molti istanti di silenzio assoluto, aggrappato con entrambe le mani alla tavoletta del water.
“Dimmi.”
“Vi voglio bene, a te e agli altri. Ma bene davvero, davvero tanto, anche se non lo dimostro e se vi faccio passare i guai quando mi ubriaco. Vi voglio bene, e ne voglio anche a Jimmy e ai vostri figli.”
Brian aprì bocca per rispondere, ma la sua voce venne offuscata dalla salita improvvisa del vomito dell’altro.












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BUON NATALE!! ....ahm, okay, dovevo aggiornare ieri ma ero troppo presa a leggere
Invisible Monsters di Palahniuk e quindi ho aggiornato a Natale LOL
Spero che il capitolo vi piaccia e mangiate taanto, mi raccomando!
Echelon_Sun

 

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Capitolo 18
*** Jimmy era lì con loro. ***


Era stata una notte da ricordare, quella appena trascorsa. Zack si mise faticosamente a sedere nel letto e, aiutandosi con le mani, si alzò in piedi e si mise i boxer abbandonati a terra.
Lui e Brian avevano fatto l’amore come non lo facevano da tempo, tanto a lungo che entrambi, alla fine, ne erano venuti fuori sfiniti.
Era stato meraviglioso.
E Brian era stato dolcissimo, premuroso e aveva fatto di tutto per non fargli sentire troppo dolore. Lo aveva preso con una delicatezza estrema, baciandolo ovunque e spingendo piano per lasciare che si abituasse alla sua presenza prima di aumentare il ritmo.
Alla fine di tutto si erano stesi uno accanto all’altro e avevano sorriso, stanchi ma felici. E Zack, in quel sorriso, aveva visto tutto l’amore che Gena non avrebbe mai saputo donargli.
Avevano anche fatto la doccia insieme, nella vasca da bagno di Valary con l’idromassaggio. Brian lo aveva tenuto stretto a sé tutto il tempo e lo aveva coccolato di continuo, baciandolo ogni volta che lo sentiva emettere un minimo lamento di dolore.
Zacky si rivestì lentamente, senza far rumore e stando ben attento che Brian continuasse a dormire.
Andò al piano di sotto scalzo e solo al termine della scalinata di rimise le ciabatte che aveva rubato a Matt dalla scarpiera. La casa era un disastro. Ovunque c’erano bottiglie vuote di alcolici, c’era un’aria pesante che aleggiava sul salotto insieme a una spessa coltre di fumo, a terra c’erano i cartoni ormai vuoti di pizza, e Matt e Johnny dormivano sul divano uno addosso all’altro.
Zack sospirò. Chissà se dopo che lui e Brian erano saliti di sopra quei due avevano continuato a fumare cannabis e a bere alcolici. Quasi non voleva saperlo.
Si accertò che fossero vivi controllando che respirassero, però decise di non svegliarli e di lasciarli lì dov’erano. Aprì le finestre per far cambiare aria alla stanza, coprì gli amici con una coperta di pail trovata da quelle parti e andò a preparare la colazione.
Mise a fare il caffè e ricoprì di marmellata delle fette di pane tostato pensando a Jimmy. Sarebbe stato un capodanno diverso con lui. Sebbene fossero passati due anni dalla sua morte, durante le occasioni importanti veniva spontaneo pensare e se ci fosse stato Jimmy, come sarebbe andata? cosa ne avrebbe pensato lui? cosa avrebbe fatto?
Zack preparò la colazione anche per Brian. Era da un sacco di tempo che non lo faceva, a dire il vero, e in quel momento gli venne spontaneo afferrare un vassoio, metterci due tazzine di caffè, pane tostato con la marmellata e biscotti per poi portare tutto al piano di sopra.
Era da tanto tempo che non si concedevano tante premure prima, durante e dopo il sesso. Quando erano in tour era difficile, lo stress era molto e spesso dormivano sul tour-bus, cosa che impediva loro di andare oltre il bacio. E anche negli ultimi tempi, per via della nascita dei gemelli Haner, i due si erano visti pochi giorni e per poco tempo.
“Bri ti ho portato la colazione” sussurrò Zacky entrando nella camera da letto inutilizzata di casa Sanders.
Brian mugolò qualcosa di incomprensibile affondando la faccia nel cuscino.
“Pane e marmellata, biscotti e caffè” continuò Vee posando il vassoio sul letto e sedendo delicatamente sul materasso.
“Grazie” borbottò Brian a sua volta, mettendosi lentamente seduto e sporgendosi verso Zacky per baciarlo sulle labbra. “Un dolce risveglio per cominciare al meglio il nuovo anno” commentò con un sorriso, facendo arrossire il più piccolo.
“Dormito bene?” chiese Vee dopo un po’ afferrando un biscotto.
“Bene, sì” rispose Brian addentando una fetta di pane e marmellata. “Tu? E gli altri due idioti?”
“Io bene” disse Zack. “Matt e Johnny non lo so, quando sono sceso dormivano sul divano e mi sono solo assicurato che fossero ancora vivi.”
Syn ridacchiò. In quel momento, non riuscì a capire per quale motivo, pensò a Denise. A quella ragazzina autolesionista che aveva incontrato il giorno dopo della nascita di Connor e Nicole. Pensò a lei, ai suoi occhi azzurri così simili a quelli di Jimmy, ai suoi capelli rossi, al suo corpo scheletrico, ai suoi tagli spettrali.
“Bri, tutto okay?” si preoccupò Zacky, vedendolo fissare la tazzina piena di caffè come se dentro potesse leggerci un messaggio alieno.
Brian si ricosse all’improvviso. Di Denise non ne aveva parlato con nessuno. Non perché ci vedesse qualcosa di male, ma semplicemente perché non aveva trovato l’occasione giusta neanche per parlarne a Zack.
“Sai, il giorno dopo la nascita di Nic e Connor ho conosciuto una persona” buttò lì dopo aver preso una sorsata di caffè. “Una ragazzina, Denise.”
“Anni?” chiese curioso Zack.
“Diciassette” rispose svelto Brian. “Diciassette anni e troppi tagli sulle braccia. Mi ha detto che tagliarsi la fa sentire bene come quando ascolta So Far Away. Le ho detto di appigliarsi alla musica e alle persone che le vogliono bene, per non sprofondare nel buio.”
“Ha detto che So Far Away la faceva stare meglio?”
“Sì. Le ho raccontato la storia di quella canzone, senza però dirle che sono stato io ad averla scritta, e poi le ho detto che anche se tutti soffiamo alla fine possiamo comunque lottare per rimetterci in piedi.”
Zack allungò una mano a prendere quella di Brian, la strinse forte. “E lei che ti ha detto?”
“Mi ha detto che i miei figli saranno fieri di me. E poi mi sono fatto promettere che non si sarebbe più tagliata.”
“Sei un eroe, Brian.”
“Sono... che cosa?”
“Un eroe.”
Synyster, spontaneamente, si lasciò sfuggire una risatina.
“Non ridere, cretino. Sono serio” si crucciò Zack. “Sei un eroe, un eroe che crolla, che ama, che vive, che salva le persone.”
“Sono una testa di cazzo che tradisce sua moglie e che ha commerciato armi in nero” precisò Brian con una punta di sarcasmo nero nella voce.
“Errare è umano.”
“Tradire è meschino.”
Zack alzò un sopracciglio. “Lasciala se credi che possa essere la cosa migliore” disse. “Oppure lascia me” aggiunse con un filo di voce.
“Vaffanculo, Zachary, lo sai che ti amo” si irritò Brian. Quando Zack faceva così gli veniva voglia di prenderlo a sberle. Lo sapeva che lo amava e ogni volta che ritiravano fuori il discorso del tradimento di Michelle e Gena quell’idiota doveva dire una stronzata delle sue.
“Amiamoci e basta, come ha detto Matt ieri sera” disse Zacky dopo un po’ tenendo lo sguardo basso. “Senza pensare, solo vivendo giorno per giorno come se non ci fosse un domani.”
Brian si strinse nelle spalle. Pensò a Jimmy, a lui che ogni fottuto giorno viveva al massimo, spaccando tutto e urlando contro il mondo come se non potesse farlo mai più. Jimmy era morto giovane, ma aveva vissuto tutto, ogni singolo brandello di vita disponibile.
 
“Pensate un po’ se le nostre figlie andassero in giro insieme con tacchi alti e minigonne per il lungomare di Huntington” borbottò Matt poggiando i gomiti sul tavolino.
“Taci, per cortesia” si infiammò immediatamente Brian, mentre Zack, seduto sulle sue ginocchia, impallidì.
“Ma ascoltatemi!” gridò il cantante. “Potrebbe succedere sul serio. Alicia, Cherie e Nicole, bellissime come le loro madri e famose per via dei loro padri, che si lasciano sbattere da tutti i ragazzi più voluti della loro...”
“Matt, smettila!” lo bloccò Brian, fulminandolo con un’occhiataccia.
In realtà ci aveva pensato anche lui, al futuro dei ragazzi. Chissà se sarebbero stati simili a loro, scapestrati e con un sogno enorme da realizzare insieme ai migliori amici. Oppure sarebbero stati l’opposto di loro, introversi e studiosi. O magari sarebbero stati dei buoni a nulla, un gruppo di perdigiorno che avrebbe passato il tempo davanti alla televisione.
“Se tutte e tre continuano a crescere così belle...” abbozzò Johnny, prontamente bloccato da una nuova occhiata di fuoco dei due chitarristi. “In ogni caso, che ne dite di rimettere un po’ a posto la casa?”
“Dannazione” esalò Matt scattando in piedi come una molla. “È quasi ora di pranzo, tra poco Val sarà qui.”
Zacky, se possibile, impallidì ulteriormente. Voleva un bene immenso a Valary, a quella donna che nei primi anni in tour aveva svolto il ruolo di mamma con tutti loro, ma quando si arrabbiava era tutt’altro che una donna dolce e affabile, soprattutto in quel periodo di gravidanza.
“D’accordo, andiamo a pulire e a rimettere tutto a posto” si animò Brian, ben sapendo che se sua cognata avesse trovato un simile disastro avrebbero avuto problemi per settimane.
Accadde proprio mentre pulivano la sala. Matt e Brian stavano sollevando in due il divano per farlo tornare alla sua posizione originale, Zacky stava passando l’aspirapolvere e Johnny stava racimolando le bottiglie vuote di birra sparse un po’ ovunque. All’unisono, tutti e quattro, sentirono Jimmy. Non con un contatto fisico o col suono della voce o magari con un segno. No. Lo sentirono e basta. Percepirono la sua presenza nella stanza tutti nello stesso momento e si voltarono verso la porta d’ingresso. Dopo aver guardato tutti nella medesima direzione, sorrisero all’unisono. Jimmy era lì con loro.











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Okay, oggi ci voleva questo capitolo. Lo avevo scritto qualche giorno fa e ho deciso di pubblicarlo oggi per ovvi motivi.
Fatemi sapere cosa ne pensate (:

Rest in peace, The Rev.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 19
*** As bottles called my name, I won't see you tonight ***


Il freddo di gennaio pungeva contro il viso dell’uomo che fumava tranquillamente la sua sigaretta appoggiato alla ringhiera del balcone della sua camera da letto. Sua moglie e sua figlia erano uscite a fare shopping e lui aveva deciso di rilassarsi un po’.
Stava pensando a suo figlio Brian che non risentiva da un paio di giorni. Da quando erano nati i due gemelli sembrava essersi calato ancora di più nella parte di genitore modello e restava molto più tempo a casa con Michelle e i bambini.
Papa Gates aveva voglia di vedere i suoi nipotini, in quel momento, a dirla tutta, piuttosto che suo figlio.
Sorrise per qualche istante ripensando alla vocina di Jimmy che lo chiamava nonno, quando il suono del campanello lo richiamò alla realtà.
Spense la sigaretta e si diresse alla porta leggermente irritato da quell’interruzione del relax totale che si era programmato per quel pomeriggio, aprì e si ritrovò davanti suo figlio.
“Brian ma che cazzo...?” fece per chiedere, vedendolo con i capelli arruffati, le ciabatte ai piedi e le guance bagnate, ma la sua voce venne smorzata dall’abbraccio improvviso e soffocante di Syn.
Brian sr. rimase immobile per un momento, non capendo che diavolo avesse suo figlio, ma poi lo strinse dolcemente a sé e lo lasciò singhiozzare per un po’ sulla sua spalla prima di trascinarlo in casa.
“Posso sapere che succede?” chiese facendo sedere il ragazzo al tavolo della cucina.
“Zack...” mormorò in risposta Brian jr.
“Zack cosa?”
Synyster trattenne il respiro e chinò lo sguardo, deciso a non rispondere, come se il parlare potesse rendere tutto più reale di quanto non fosse.
“Bri...”
Una nuova lacrima solcò il volto del più giovane, che si affrettò ad asciugarsela con una mano.
“Brian che cazzo è successo?” insistette Papa Gates con una punta di nervosismo nella voce.
Insomma, quell’idiota non poteva presentarsi lì in quelle condizioni e pretendere di non dare neanche una fottuta spiegazione.
“Zack ne ha combinate una delle sue?” domandò nuovamente Brian sn. cercando di moderare il tono di voce.
“Si sposa” borbottò finalmente il più piccolo. “Quel fottuto coglione si sposa.”
Papa Gates dovette compiere un grandissimo sforzo per non mandarlo a fanculo e per non scoppiare a ridere.
“E posso sapere quale sarebbe il problema?”
Brian jr. fulminò il padre con un’occhiataccia. “Si sposa con quell’idiota di Gena. Zack, il mio Zack, si sposerà con una troietta bionda e non con me.”
“Ma anche tu sei sposato con una donna che non è lui!” replicò, logicamente, il padre, alzando gli occhi al cielo. “Pensavo che avessimo superato questo problema, Brian. Pensavo che ormai fosse chiaro che la vostra relazione resterà per sempre clandestina e, soprattutto, pensavo che tu te ne fossi fatto una ragione.”
“È ingiusto!” si incazzò il più piccolo, scattando in piedi come una molla. “Io non amo Michelle e lui non ama Gena, allora perché cazzo stiamo andando avanti con loro due?! Perché cazzo Zack non viene da me, non prende il coraggio a due mani e, perlomeno, non mi dice di persona che sposerà...”
“Zack non te l’ha detto di persona?” lo interruppe il più grande.
Syn boccheggiò e scosse la testa.
“E come...?”
“Me lo ha detto Michelle” rispose velocemente. “Prima stava allattando Connor e mi ha detto che le serviva un vestito per il matrimonio di Zack e Gena.”
Allora il più grande capì. Il problema di fondo non stava nel matrimonio in sé, ma nel fatto che Zack avesse agito senza prima parlarne con Brian.
“Vogliamo andare a suonare qualcosa?” propose l’uomo con un sospiro.
Il figlio annuì con la testa e seguì il padre su per le scale fino alla sala prove insonorizzata che tanto aveva utilizzato da ragazzo. Se ripensava a tutti i bei momenti passati lì dentro in compagni di Zack e dei suoi amici gli si riempiva il cuore.
Rivide su quella moquette se stesso diciottenne e beffardo, Zack così indifeso e paffuto rannicchiato addosso a lui, il Rev col solito sorriso strafottente stampato in faccia seduto in un angolo a rollarsi una canna, Matt abbandonato sulla poltrona con una matita in bocca e lo sguardo perso nel vuoto.
In quella stanza lui e Zack avevano fatto talmente tante volte l’amore che se Papa Gates l’avesse saputo non ci avrebbe messo più piede se non dopo averla fatta disinfestare.
In quella stanza Synyster aveva passato la maggior parte della sua adolescenza. Chiuso lì dentro aveva suonato la chitarra per pomeriggi interi, dimenticandosi del mondo circostante, aveva affinato la tecnica e aveva scritto i suoi primi assoli.
In quella stanza era nata I Won’t See You Tonight. Sebbene nel periodo di registrazione di Waking The Fallen gli Avenged Sevenfold vivessero tutti sotto lo stesso tetto, quel giorno erano stati a pranzo dalla famiglia di Brian sotto esplicita minaccia di Suzy che aveva scoperto che i ragazzi erano settimane che non si concedevano un pasto degno di essere chiamato tale. Appena finito di mangiare Papa Gates aveva proposto ai ragazzi di suonare qualcosa, e così si erano trovati a scherzare e cazzeggiare in quella sala prove disordinata fino a che Jimmy non si era messo dietro la pianola e aveva cominciato a suonare a caso. Dopo un po’ tutti si erano zittiti: Jimmy aveva avuto l’idea e Matt, come folgorato, era scattato in piedi e aveva afferrato un foglio scrivendoci sopra di getto.
Erano rimasti chiusi in quella stanza per sette ore consecutive senza rendersene conto e senza accorgersi neanche di Papa Gates che li avvisava che sarebbe uscito.
Erano rimasti lì dentro radunati a cerchio e mentre Brian aveva provato e riprovato la parte di chitarra, Matt aveva scritto di continuo.
Alla fine si erano guardati negli occhi e si erano detti ci siamo, questa è giusta, questa spacca i culi, e nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che anni e anni dopo i loro figli avrebbero sentito il cuore scoppiare ascoltando I Won’t See You Tonight Part I.
“A che pensi?”
Brian si riscosse con un sussulto. Era rimasto immobile al centro della stanza chissà per quanto tempo e suo padre, ovviamente, dopo un po’ si era insospettito.
“Mi sono ricordato di quando abbiamo scritto I Won’t See You Tonight” rispose il più giovane dirigendosi verso il divanetto.
“Strana giornata, quella” commentò il padre con un sorriso. “Mi ricordo che Jimmy suonava, all’inizio, e noi continuavamo a parlare tra noi, ma poi ha cominciato a suonare in modo diverso e noi ci siamo girati tutti verso di lui e...” Papa Gates socchiuse gli occhi, riportando alla mente quel ricordo ormai lontano. “Lui era dentro la musica, lui era già in quella canzone, la conosceva sebbene non ancora fosse stata scritta. Non ho mai visto nessuno fare una cosa del genere.”
Synyster si strinse nelle spalle. Da quando Jimmy era morto non erano più riusciti a scrivere una canzone spontaneamente, come se lei fosse lì per loro solo in attesa di essere suonata. Da quando Jimmy non c’era più era stato tutto più difficile dal punto di vista musicale.
“Con A Little Piece Of Heaven è successa la stessa cosa” disse. “Ci eravamo presi dieci minuti di pausa e poi lui si è seduto al pianoforte e ha cominciato a suonare. Era già tutto dentro di lui, quella musica inquietante veniva fuori come se già la conoscesse, e poi ha scritto una bozza di testo e ci ha detto che aveva trovato una nuova canzone per il disco.”
“Dio...”
“Se adesso Jimbo fosse qui mi direbbe che sono il solito orgoglioso del cazzo” borbottò dopo un po’ il giovane. “E avrebbe ragione.”
“Come sempre” disse il padre sedendogli accanto.
“Già.”
Prima di potersi dare un contegno, nuove lacrime solcarono il viso di Syn, che riprese a piangere come quando era arrivato a casa del padre. Era un orgoglioso del cazzo, va bene, però era anche vero che Zack non gliene aveva parlato. Non doveva chiedergli il permesso per sposare quella che era la sua fidanzata ufficiale da anni e la madre di sua figlia, questo no, neanche lui lo aveva fatto, ma avrebbe dovuto almeno avvisarlo.
Papa Gates avvolse suo figlio tra le braccia e lasciò che gli inzuppasse la maglietta di lacrime.
Non era di certo la prima volta che lo vedeva soffrire per Zack, una volta si era addirittura ritrovato in mezzo a una loro discussione e aveva assistito alla scena di Matt che andava a trascinare via il chitarrista ritmico per impedirgli di dare un pugno contro il muro.
Qualche anno addietro Zacky passava in quella casa talmente tanto di quel tempo che sembrava essere un altro figlio e di notte si sentivano i suoi gemiti soffocati mentre faceva l’amore con Brian, in quel momento, però, Papa Gates si rese conto che stava consolando suo figlio per via di una sofferenza diversa da quella a cui aveva assistito in quegli anni.
Suo figlio era maturato e così anche Zack, ed entrambi avevano deciso di prendere strade diverse, formando due famiglie per contro proprio, pur restando uniti. E quella unione costava, non era di certo un’unione semplice da portare avanti, era forse un qualcosa di troppo grande per poter essere sorretto solo da loro due. E Brian, per quanto si mostrasse forte e incrollabile, era fragile, dentro, e suo padre lo sapeva bene.
E Brian non stava più soffrendo per amore di Zack, quell’amore che ormai era chiaro che sarebbe rimasto tale per sempre. No, Brian soffriva per la relazione con Zack che andava man mano complicandosi.
“Hey, guarda che tu e Zacky potete incontrarvi clandestinamente qui quando volete” sussurrò l’uomo all’orecchio del figlio dopo qualche minuto di silenzio. “Lo so che adesso lui ti sembra lontanissimo, ma sappi che ti ama e che vorrebbe passare il resto della tua vita con te tanto quanto tu voglia passarla con lui.”
Brian avrebbe voluto rispondergli che non era vero, che Zack gli aveva taciuto del matrimonio per fargli capire che tra loro non poteva più andare avanti, che quell’amore clandestino forse era troppo difficile per loro, ma rimase in silenzio. Rivide davanti a sé il sorriso di Zacky di due giorni addietro, quando aveva cominciato a strimpellare Warmness On The Soul, e tacque.
Quel sorriso non poteva non essere di un innamorato. Non poteva.
















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Scusatemi per il ritardo ma in questi giorni sono stata impegnatissima, per farmi perdonare ho scritto un capitolo un po' più lungo del solito :')
Spero vi piaccia, imploro vostre recensioni LOL

Echelon_Sun

 

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Capitolo 20
*** you're a fighter. ***


M. Shadows si stava godendo la giornata. Sebbene quel giorno Jimmy avrebbe dovuto compiere trentuno anni, aveva deciso di starsene tranquillo a casa per rilassarsi. Sapeva che se Jimmy fosse stato lì con loro in quel momento sarebbe stato a casa sua, a dormire ancora per via dei postumi della sbronza della sera prima, passata tutti insieme attendendo la mezzanotte.
Ma Matt non aveva voglia di pensare a cosa sarebbe successo in quel giorni con Jimmy, poiché finalmente poteva godersi un po’ di tranquillità e non se la sarebbe di certo fatta scappare. Negli ultimi giorni, infatti, non aveva fatto altro che districarsi tra Zack e Brian, il primo depresso per via del matrimonio che stava organizzando e il secondo incazzato col primo sempre per via del matrimonio.
E a chi toccava consolare i due?
Sempre a lui. Mai che uno dei due, per una fottutissima volta, si fosse ricordato anche della presenza di Johnny che, per quanto potesse essere inutile, esisteva comunque. Né Brian né Zacky avevano deciso di sfogarsi una volta solo col più piccolo o di chiedergli un aiuto.
E va bene che Johnny si era fidanzato, ma lui era un uomo sposato con una donna incinta e aveva una figlia, aveva molto meno tempo dello Gnomo per star dietro ai due chitarristi complessati.
Tra l’altro, Brian aveva anche parlato a tutti loro, comprese Val e Mich, di Denise, e da quando l’aveva fatto non aveva smesso un momento di pensare a lei.
Quella ragazzina sembrava averlo, in qualche modo, stregato.
Matt non aveva mai visto Synyster Gates fissare il vuoto per un quarto d’ora consecutivo e sentirlo giustificarsi dicendo che stava pensando a qualcuno che non fosse se stesso.
“Amore!” urlò improvvisamente Valary dalla cucina, facendo scattare in piedi il cantante che se ne stava allungato sulla poltrona a osservare la figlia fare un disegno seduta sul tappeto.
“Sì?”
“Ti vogliono al telefono” disse lei affacciandosi dalla porta. “È la polizia” aggiunse sottovoce.
La prima cosa che Matt pensò fu che Brian e Zack avevano fatto pace e, nella foga del momento, avevano fatto sesso in un luogo pubblico.
Rispose al telefono pronto a scoppiare a ridere nell’orecchio di uno dei due chitarristi che gli avrebbe mestamente chiesto di andarli a riprendere, ma capì subito che la situazione non era poi così leggera.
“Il suo amico, Jonathan Seward è stato coinvolto in una rissa” gli comunicò l’agente. “Sta bene, ma la persona che ha picchiato purtroppo no: l’uomo è stato ricoverato in ospedale.”
Addio relax pensò Matt.
“Posso parlare con lui?” chiese con un sospiro.
“Certo. Poi può venire a riprenderlo alla centrale di polizia e...” Matt sentì l’agente trattenere per un momento una risatina. “Vorrei tanto sapere come il suo amico, così piccolo, sia riuscito a ridurre in quel modo un uomo grande e grosso.”
Il cantante sorrise. “Vorrei avere una risposta anch’io, agente.”
Matt attese che Johnny prendesse il telefono e, non appena lo sentì respirare, esplose come una bomba a orologeria.
“Ma si può sapere che cazzo ti è saltato in testa?! Facevamo queste cose quando avevamo vent’anni, Jonathan, adesso ne hai quasi trenta e ancora ti metti in mezzo alle risse? Me ne frego del motivo, cazzo. Me ne frego se stai bene o se ti sei fatto male! Dovrei lasciarti a marcire lì dentro, emerita testa di...”
“Ha tentato di violentarmi” biascicò Johnny nella cornetta, togliendo il fiato al cantante.
Matt dovette appoggiarsi al muro.
“Cosa?” chiese in una sorta di rantolo.
“Ieri sera stavo uno schifo, non riuscivo a togliermi di dosso il pensiero del compleanno di Jimbo e sono andato... insomma, cercavo qualcuno che mi vendesse della marijuana, era buio, lui mi ha preso da dietro e... eravamo a terra, me ne sono reso conto solo quando ha cercato di togliermi i pantaloni...” Johnny ritirò indietro le lacrime, non voleva mostrarsi così debole. “Non ci ho capito più niente. Non ero io, Matt. Non volevo...”
“Johnny...”
“Giuro, non volevo...” borbottò il bassista lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Matt cacciò una bestemmia tra i denti. “Arrivo, prendo i soldi per pagare la cauzione e arrivo” disse cominciando a sudare a freddo. “Tu... cerca solo di calmarti.”
Matt osservò Valary che puliva la cucina e gli lanciava occhiate preoccupate. Come dirle ciò che era successo? Matt non trovò le parole. La guardò negli occhi per un momento, poi sospirò e disse: “Il solito coglione che non sa tenere le mani a posto. Vado a salvagli il culo, di nuovo.”
Valary sorrise appena e gli lasciò un bacio sulle labbra prima di vederlo salutare con la mano Alicia tutta impegnata a disegnare e poi scomparire fuori casa.
Matt ci mise più tempo del previsto ad arrivare alla centrale di polizia. Quasi non si rese conto delle sue azioni mentre le svolgeva, come se non ne fosse il protagonista ma solo uno spettatore.
Avevano tentato di stuprare Johnny.
La cosa a pensarla sembrava surreale.
Dopotutto era logico cercare di abusare di qualcuno piccolo come lui, ma che potesse succedere una cosa del genere proprio a lui era davvero assurdo. Lui, Johnny, il nano da giardino che veniva sempre preso in giro e che tutti trattavano come un piccoletto un po’ idiota. Proprio lui, cazzo.
 
Johnny mandò giù un lungo sorso di Jack Daniels lasciando vagare lo sguardo sul mare sconfinato che si distendeva davanti ai suoi occhi con solo il vetro dell’auto del cantante a fare da schermo.
“Quanto è costata la cauzione?” chiese.
“Non importa” rispose velocemente Matt senza guardarlo. Non era riuscito a guardarlo negli occhi da quando lo aveva abbracciato appena usciti dalla centrale della polizia.
Era stato un abbraccio lunghissimo, quello che il bassista gli aveva riservato non appena si erano ritrovati da soli. Un abbraccio intenso che era valso molto più di milioni di ringraziamenti verbali.
“Ma...”
“Cazzo Johnny hanno tentato di stuprarti e tu pensi alla fottutissima cauzione?!” strepitò il più grande trattenendosi dal tirare un pugno contro il volante dell’auto.
Il bassista sospirò e buttò giù un’altra sorsata alcolica. Matt aveva ragione, e far finta di niente non avrebbe certo migliorato le cose. Le sentiva ancora addosso, le mani di quel gorilla, dopotutto.
“Quando mi stava tenendo schiacciato a terra e stava cercando di togliermi i pantaloni è successo qualcosa di strano” disse in un bisbiglio il più piccolo. “Non volevo picchiarlo in quel modo. Volevo solo impedirgli di farmi del male. E invece... non lo so, avevo paura di averlo ucciso...”
Matt lo fermò con un gesto della mano. “Devi capire che la tua è stata legittima difesa. Okay, magari sei stato un po’ troppo manesco” aggiunse con un sospiro, “ma se tu non avessi fatto nulla avrebbe abusato di te.”
Johnny rabbrividì, a sentire quelle parole. Un uomo avrebbe potuto abusare di lui. Il solo pensiero gli dava la nausea. Sebbene ormai fosse abituato a sentir parlare di sesso gay grazie ai due chitarristi, il metterlo in pratica non era certo tra le sue volontà.
“Ti va di venire a pranzo da noi?”
“Ieri ho lasciato Kate.”
“Perché?”
“Lei voleva una relazione seria, mentre io voglio solo del sesso” spiegò Johnny stringendosi nelle spalle. “Guarda un po’, oggi me lo avrebbero dato e...”
“Smettila” lo fermò Matt prima che potesse dire qualcosa di cui, poi, si sarebbe sicuramente pentito. Ormai lo conosceva bene, e sapeva che quando era frustrato sparlava.
Johnny bevve un altro lungo sorso di Jack Daniels.
“E basta bere, non è neanche mezzogiorno” lo rimbeccò Matt prendendogli dalle mani la bottiglia semivuota.
Da quando era diventato padre, Matt si era molto responsabilizzato, a differenza degli altri due chitarristi. Non che il cantante non fosse sempre stato il più maturo tra loro, ma dalla nascita di Alicia aveva assunto droga solo a capodanno, e ciò era molto strano considerando quello che facevano, e che faceva anche Matt, prima.
“Ma che cazzo, Matthew, non darmi ordini” si indispettì il più piccolo, cercando di riafferrare la bottiglia dalle mani del cantante.
“Intanto l’alcol è mio” precisò Matt, intrappolando i polsi dell’amico con una mano, “e poi ti ricordo che non voglio darti ordini solo per il gusto di farlo, ma solo fare in modo che tu stia bene. Come sempre.”
Johnny si liberò dalla presa dell’altro con uno strattone, lanciandogli un’occhiata di fuoco.
Sapeva benissimo che Matt aveva ragione. Se non fosse stato per la sua capacità di dare ordini e di restare inflessibile, probabilmente molti anni addietro lui sarebbe diventato un tossicodipendente.
Si ricordava di tutte le occasioni in cui il cantante gli aveva strappato dalle mani la droga di troppo o gli aveva impedito di iniettarsi nelle vene qualcosa di troppo forte.
“Cosa vuoi che faccia?” borbottò dopo un po’ il bassista, incrociando le braccia al petto.
“Sfogati” rispose semplicemente l’altro. “Tirami un pugno, incazzati, dai una testata contro il finestrino, urla. Quello che ti pare, Jonathan, ma fai qualcosa.”
Johnny capì. E colse al volo il consiglio. In meno di un minuto stava urlando, pugni serrati e voce acuta. Finalmente stava tirando fuori tutto quella che era successo quella mattina, le mani enormi di quell’uomo contro la sua pelle, la sua voce languida, la sua bava che colava. Urlò quello che era successo, gridò a pieni polmoni di quanto si fosse sentito libero togliendoselo di dosso e riempiendolo di pugni, di quanto si fosse sentito bene vedendolo sanguinare e sputare un paio di denti, di come si fosse sentito soddisfatto vedendolo soffrire dopo aver tentato di far soffrire lui.
“Sono una brutta persona?” chiese alla fine dello sfogo, lasciandosi ricadere pesantemente con le spalle contro il sedile.
“Hai solo impedito che ti facesse del male” replicò Matt. “Sei un guerriero.”
“Avrei potuto ucciderlo...”
“Ma ti sei fermato in tempo.”










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*si schiarisce la voce* questo capitolo devo spiegarvelo. Non è colpa mia se fa... beh, schifo. Lo so, la storiella di Johnny che viene quasi violentato fa pena, non è plausibile e blablabla. Avete ragione. Non cercherò neanche di evitare i pomodori marci che già vi vedo tra le mani.
Però oggi è stata una giornata orribile. Ho un mal di pancia senza precedenti, nausea, un gatto tutto rincoglionito appena fatto castrare che gira per casa barcollando come un idiota e stamattina ho scoperto che ieri ho studiato tutto il giorno gli argomenti sbagliati di storia e quindi ho fatto anche un compito in classe da 4.

Insomma, perdonatemi, ma cercherò di far meglio col prossimo capitolo. Per ora questo resta dov'è.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 21
*** Marriages and births ***


Brian sedeva a terra, sulla sabbia calda estiva, con in braccio la piccola Nicole che lo osservava curiosa.
Nicole, tra tutti e tre, era quella più sveglia, come aveva previsto Michelle. Sebbene non avesse neanche un anno di vita, osservava sempre tutto e tutti come se capisse, come se vedesse dentro le persone e riuscisse a leggere i loro dilemmi.
Anche in quel momento in cui il suo papà l’aveva portata in spiaggia, lo guardava come se stesse capendo tutti i suoi problemi e la sua tristezza.
“Ah tesoro mio, spero che tu vivrai un amore più facile da gestire rispetto al mio” sussurrò Brian all’orecchio della bambina, tenendola delicatamente tra le braccia. “E spero che mi perdonerai per non essere il frutto di un amore completo” continuò poi, lasciandole un bacio sulla manina che si era mossa a sfiorargli una guancia.
Quella bambina, in qualche modo assurdo, adorava accarezzare le guance delle persone. E se avevano la barba poteva restarci anche delle ore, come faceva spesso col padre quando si trovavano soli.
Quel giorno Zacky si sarebbe sposato.
Alla fine avevano chiarito. Con un po’ di ritardo rispetto a quello che avrebbero voluto, ma l’avevano fatto. Brian si era infuriato, aveva urlato a pieni polmoni per infiniti minuti, poi Zack era scoppiato in lacrime, si era scusato, gli aveva spiegato che era stata tutta colpa della codardia, ed erano finiti a far l’amore sul pavimento della cucina di casa Baker ripetendosi di continuo ti amo e non mi lasciare mai.
Avevano chiarito dopo una riunione in studio con Matt e Johnny, quando si erano ritrovati a parlare del bassista che era quasi stato violentato.
Brian non aveva mai visto Johnny tanto vulnerabile come quel pomeriggio. Sebbene fossero amici da anni e lo avesse visto in tutte le situazioni possibili e immaginabili (anche in qualche situazione non immaginabile da una mente umana, a dire il vero), non aveva mai scorto in lui quell’ombra di totale fragilità interiore.
Dopo aver parlato a lungo e aver consolato il più piccolo, Zack e Brian avevano deciso di parlare un po’ per conto loro. Così erano andati a casa del secondo chitarrista e, prevedibilmente, non avevano solo parlato e avevano fatto pace.
E in quel giorno di luglio Zacky si sarebbe sposato. Brian era pronto, si era preparato a lungo per arrivare a quel giorno senza avere crolli nervosi o crisi di pianto, e si sentiva pronto ad affrontare tutto facendo finta di essere semplicemente uno dei migliori amici dello sposo.
“Hey.”
Brian si voltò di scatto al suono di quella voce. Era mattina presto, non si aspettava che qualcuno potesse essere sveglio oltre a lui e a Nicole.
“Buongiorno sposino” rispose Syn sorridendo appena.
Zack gli sedette accanto con un sospiro, si chinò su Nicole per baciarle la testa e poi lasciò un bacio sulle labbra di Brian.
“Non è affatto un buongiorno” cominciò Vee a sguardo chino. “E non ho neanche chiuso occhio stanotte, così non appena vi ho visti qui ho deciso di venire a farvi compagnia” disse poi prendendo una mano della bambina e lasciandola giocherellare con le sue dita.
“Avresti dovuto dormire, idiota” lo riprese Syn con un sospiro. “Sarà una lunga giornata e tu arriverai a stasera con gli occhi gonfi di sonno.”
Zack scosse le spalle. Non gl’importava, se avesse potuto avrebbe preso quel momento insieme a Brian e l’avrebbe reso infinito, si sarebbe dimenticato di Gena e di tutte le menate inutili che andavano oltre l’uomo seduto al suo fianco. Se avesse potuto, avrebbe abbracciato Brian e gli avrebbe chiesto di restare immobili in quel modo per sempre.
“Pronto per il grande evento?” cercò di sdrammatizzare Brian.
Il secondo chitarrista si strinse nelle spalle. Pronto o meno, ormai non sarebbe tornato indietro, ormai avrebbe sposato Gena e avrebbe lottato per portare avanti una famiglia con lei per il bene di Cherie.
Era troppo tardi per tornare indietro.
Troppo tardi per ricominciare con Brian.
“Che importa?” domandò sottovoce.
“Certo che importa, è la tua giornata oggi” disse il primo chitarrista avvolgendogli le spalle con un braccio. “Cerca di non pensare troppo e di lasciarti andare.”
Zacky annuì con la testa. Brian aveva ragione, era inutile passare la giornata a crogiolarsi nella tristezza e nei ma e nei se, quindi si stampò in faccia un sorriso, si alzò per andarsi a preparare e decise che avrebbe cercato in tutti i modi di passare una buona giornata.
Tutto andò bene, per fortuna.
La cerimonia fu tranquilla, solo qualche singhiozzo sommesso da parte della madre di Zack si sentì ogni tanto mentre i due sposi si scambiavano voti nuziali e anelli.
Gena era bellissima, portava un abito aderente le risaltava il fisico perfetto ed era radiosa. Zack era più impacciato, come suo solito, e al fianco della donna sembrava un po’ cadere dalle nuvole, ma aveva sorriso il più sinceramente possibile per tutta la cerimonia e per tutto il pranzo infinito.
Cherie era felice. Zacky e Gena le avevano messo un vestitino bianco con dei fiori verdi e rosa, era adorabile e aveva sorriso per tutto il tempo. La bambina non aveva fatto altro che gironzolare per la sala tutto il tempo in compagnia degli altri bambini mentre i suoi nonni la tenevano sotto controllo.
Zack e Brian erano riusciti a non guardarsi negli occhi troppo a lungo tutte le volte che i loro sguardi si erano incrociati, ed entrambi avevano recitato benissimo, senza mai mostrare un segno di cedimento e sorridendo a chiunque come se fosse, per entrambi, il giorno più felice della loro vita.
Tutti si erano divertiti molto e avevano mangiato un sacco, persino Gena che, nel frattempo, si era continuamente lamentata del fatto che l’abito da sposa le sarebbe diventato stretto entro la fine della giornata.
Era sera inoltrata quando la situazione tranquilla prese un’altra piega, il pranzo era finito da un paio di ore ed erano rimasti solo gli amici più stretti degli sposi in spiaggia con i due a bere gli alcolici avanzati dalla serata e a chiacchierare in riva alla spiaggia. I bambini erano stati tutti portati via, ormai dormienti da un pezzo, dai vari nonni, più che felici di occuparsi dei nipoti.
“Cazzo” disse improvvisamente Valary a un certo punto, zittendo il marito che si era messo in mezzo alla folla per fare un discorso per il neo-sposo.
“Che succede?” si preoccupò immediatamente Matt, vedendola con entrambe le mani premute sul pancione e il viso contratto in una smorfia a metà tra il dolore e lo stupore.
“Mi si sono rotte le acque...” rispose lei incredula.
“Ne sei sicura?” la interruppe la gemella correndo da lei rischiando di rompersi qualche osso per via dei tacchi a spillo.
“...e ho le contrazioni.”
Matt raggelò. Non era il momento giusto per avere un figlio, aveva bevuto un po’ più del solito e non si sentiva in condizioni di mettersi alla guida e... dannazione, Val l’aveva preso alla sprovvista.
“Allora Shadz, che ne dici di portare tua moglie in ospedale al posto di restare a fissarla come un idiota?” lo riscosse Michelle sventolandogli una mano davanti agli occhi.
“Ma ho bevuto” borbottò il cantante, rendendosi effettivamente conto che non se la sentiva di portare sua moglie in ospedale col tasso di alcol troppo alto nel corpo. “Nessuno potrebbe accompagnarci?”
“Non guardare me” si tirò immediatamente indietro Brian.
“Neanche me” lo seguì a ruota Johnny.
Matthew scattò verso Valary, che aveva assunto un colorito biancastro e aveva cominciato a barcollare, non capendo bene quello che stava facendo, e la sorresse fino alla macchina, la fece sedere sul sedile posteriore, si mise alla guida e ingranò verso l’ospedale.
Non poteva crederci.
Quel bambino non poteva nascere proprio il giorno del matrimonio di Zacky e Gena. Non era il momento, cazzo.
“Amore come va?” chiese lui dopo un po’ alla moglie.
Lei emise un lamento basso e rauco. “Bene” disse poi, sforzandosi di sorridergli dallo specchietto retrovisore, “non vedo l’ora di vedere nostro figlio.”
Lui le sorrise di rimando e svoltò verso l’ospedale sforzandosi di non pensare che stava portando Val a partorire guidando in stato di ebbrezza. Ormai erano quasi arrivati; non aveva paura che qualcosa potesse andare storto dopo l’aborto, come se dentro di sé già sapesse che quel bambino sarebbe esistito.
In ospedale visitarono Valary e le dissero che era praticamente quasi pronta per spingere, così dopo meno di mezz’ora di pianti isterici spappolando una mano di Matt, la donna si ritrovò col suo secondo figlio tra le braccia.
Figlio che assomigliava tantissimo a suo marito, proprio come lei aveva tanto sperato. Bambino dagli occhi verdi e con le fossette nelle guance proprio come suo padre.
“Nathan?” domandò Matt chinandosi su Val e cingendole le spalle con un braccio.
“Nathan James” specificò lei passandoglielo.
Matt prese in braccio quel fagottino che lo osservava curioso.
Nathan James. Quel bambino portava il nome del Rev e il secondo nome di Zack.
“Possiamo entrare?” chiese Michelle facendo capolino nella stanza.
“Certo” rispose Valary sorridendo.
Michelle corse ad abbracciare la sorella, mentre, dietro di lei, entravano anche Brian e Johnny.
“Abbiamo vietato a Zack di venire” spiegò Brian avvicinandosi a Matt per vedere il bambino, “altrimenti avrebbe avuto la prima lite con Gena da sposati.”
Il cantante annuì e mostrò Nathan ai suoi amici sorridendo felice. Non vedeva l’ora di dire ad Alicia che aveva un fratellino, erano settimane, ormai, che lei gli chiedeva quando sarebbe arrivato.
“Come si chiama?” domandò Johnny prendendolo dalle braccia del padre, che ormai si fidava a lasciarglielo dopo averlo visto tanto preso e felice con in braccio gli altri bambini.
“Nathan James” rispose Valary dal letto. “E, considerando che oggi sarebbe dovuta essere la giornata di Zack, direi che se lo merita pure il suo secondo nome affibbiato a nostro figlio.”
“Direi di sì” commentò Michelle con una risata.













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Ecco a voi il matrimonio di Zack e Gena con annessa nascita di Nathan! E dunque, siamo quasi alla fine di questa Long, ci saranno massimo un altro paio di capitoli e poi basta. Già mi manca, lo ammetto :')

Comunque, ho appena cominciato a scrivere una FF sugli All Time Low, o una cosa del genere.. insomma, leggete e scoprirete (:
vi lascio il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2404838&i=1

Grazie a tutti voi che leggete ancora questa roba un po' insana,
Echelon_Sun

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Capitolo 22
*** Those eyes... ***


Ventitré novembre duemilatredici, Zack se ne stava spaparanzato comodamente sul divanetto del backstage di fianco a Johnny mentre Brian parlava al telefono con Michelle e Matt scaldava la voce camminando per la stanza. Quella sera avrebbero suonato a Milano, in Italia, ed erano un sacco eccitati per via del caos micidiale che si sentiva.
“Dovremo far alzare il volume del microfono” commentò Johnny saltando in piedi dal divano con un sorriso enorme stampato sul viso.
Matt sorrise a sua volta. “Qualcosa mi dice che sarà una serata speciale” commentò.
Anche Brian aveva addosso quella sensazione, ma tacque. Salutò Michelle e, meno di cinque minuti dopo si ritrovò a seguire i suoi compagni sul palco.
Sorrise fieramente alla folla, Synyster Gates, cominciando a suonare e lasciando che l’urlo di tutti i ragazzi presenti gli sfondasse i timpani. Facevano proprio un sacco di casino, quegli italiani!
Lasciò vagare uno sguardo sulle prime file mentre esplodeva il boato per l’entrata sul palco di Matt e, proprio in quel momento, senza preavviso, la vide.
Lei.
Cresciuta, con i capelli rossi raccolti disordinatamente dietro la testa, schiacciata in prima fila con un sorriso enorme rivolto a lui, gli enormi occhi azzurri ricolmi di gioia e le braccia bianche lasciate scoperte.
Denise.
Proprio Denise.
Dopo due anni.
Denise.
Brian rimase per un momento paralizzato, a quella vista, ma si riprese non appena lei lo salutò con la mano. Le sorrise, un sorriso che fece urlare come due oche in calore le compagne di transenna della rossa, e lei gli strizzò l’occhio.
 
Denise alzò timidamente lo sguardo su Brian. Ora che sapeva chi fosse le faceva un po’ strano averlo così vicino e quasi non si capacitava del fatto che proprio Synyster Gates l’avesse aiutata ad uscire dall’autolesionismo.
Pensare che un qualsiasi giorno di due anni addietro aveva avuto una conversazione col primo chitarrista degli Avenged Sevenfold era stranissimo, e pensare che un tipo della sicurezza era andata a dirle, a fine concerto, che doveva andare con lui nel backstage, l’aveva fatta arrossire più dei suoi capelli.
Cioè, non solo Brian l’aveva riconosciuta all’inizio dello show e le aveva rivolto un’infinità di sguardi per tutto il tempo, ma voleva anche rincontrarla.
“Cosa ti ha portata in Italia?” le chiese lui aprendosi una birra.
“La voglia di continuare a vivere” rispose lei con un filo di voce stringendosi nelle spalle. “Dopo l’incontro con te sono diventata una persona nuova e ho smesso di tagliarmi” continuò, mostrandogli le braccia immacolate.
“Raccontami un po’, sono molto curioso” le disse lui sedendole accanto sul divanetto.
“Ahm, okay” disse lei un po’ imbarazzata, grattandosi la nuca con una mano e sentendo chiaramente le guance andare a fuoco. “Sono uscita dall’ospedale un paio di mesi dopo averti incontrato, dopo un po’ sono diventata maggiorenne, ho preso il diploma e mi sono fidanzata. È stato amore a prima vista, con Paul, è stato qualcosa di... non so come descriverlo... qualcosa di immenso, quando stavo con lui mi sentivo protetta, nel posto giusto... e ogni volta che lo guardavo negli occhi ripensavo alle tue parole, Brian, e pensavo che l’amore di cui mi avevi parlato doveva per forza essere in quel modo. Paul è stato la mia roccia, senza di lui, probabilmente, sarei tornata a tagliarmi. È stato tutto quello di cui avevo bisogno. Poi ho scoperto gli Avenged Sevenfold. Un giorno io e Paul eravamo a casa del suo migliore amico, che vi segue da anni, e lui stava ascoltando Dear God, così ti ho riconosciuto nel video, poi sono andata a cercare informazioni su di voi e ho capito che So Far Away è una vostra canzone e che, quando mi hai parlato della persona che l’ha scritta e della sua sofferenza, stavi parlando di te stesso. Vi seguo da un po’, insomma, siete la mia band preferita” disse l’ultima frase sorridendo con gli occhi, puntati in quelli del chitarrista. “Poi io e Paul abbiamo deciso di trasferirci qui a Milano. Voglio dire, avevamo il sogno di girare il mondo insieme e lui ha rimesso in sesto il vecchio camper di suo padre. Per ora abbiamo deciso di restare a Milano per un po’, ma non appena saremo messi decentemente con i soldi andremo in Inghilterra; guadagniamo quello che ci serve per vivere facendo lavoretti in giro. Robe un po’ così... sai, tipo vado a stirare per alcune signore, o a pulire le case, e anche Paul accetta di tutto, se proprio non trova nulla se ne sta nelle metropolitane ad aiutare i turisti che non sanno come organizzarsi e chiede un paio di euro, a volte sono anche gentili...”
Denise abbassò gli occhi e li puntò a terra, si vergognò di aver detto a Brian cosa erano costretti a fare lei e Paul per mangiare e avere un minimo di vita decente.
“Insomma, io e lui ora stiamo qui a Milano da quasi sei mesi e... dio, quando ho scoperto che avreste suonato qui ho saltato i pasti pur di avere i soldi per avere il biglietto per il vostro concerto!”
Brian sospirò. Non se lo aspettava proprio un racconto così. Denise sembrava aver trovato l’amore vero e sembrava felice, eppure sentirle dire che aveva dovuto saltare i pasti per mettere da parte i soldi per il biglietto del concerto gli aveva provocato una contrazione allo stomaco.
“Denise, senti, se hai bisogno di soldi io non avrei nessun problema...”
“No, Brian, grazie. Me la cavo” gli disse lei sforzandogli di sorridergli. “Tu, invece, come stai?”
Synyster scrollò le spalle e si concesse un altro sorso di birra. Le raccontò un po’ della sua famiglia e dei bambini che crescevano e che gli mancavano tantissimo, le fece vedere le loro foto e le raccontò un po’ i progressi che ognuno di loro stava facendo.
Non le disse nulla di Zack, non voleva che lo vedesse come un uomo che aveva sposato una donna solo per coprire la sua omosessualità. Non voleva che lo vedesse come un mostro che tradiva sua moglie da sempre e che aveva avuto tre figli da un amore incompleto, dopo averla aiutata tanto.
Le disse che quella sera ritrovarsela davanti agli occhi in transenna era stata una bellissima sorpresa e le disse che l’aveva osservata spesso, durante lo show, e gli erano venuti i brividi a vederla che cantava ogni parola di ogni canzone mettendoci tutta l’anima e la forza delle sue corde vocali.
“Mi hai salvato” ammise lei quando lui finì di parlare. “Senza le tue parole non so dove sarei adesso, potrei anche essere morta.”
Brian allungò una mano a prendere la sua, senza risponderle. Aveva salvato una vita, proprio lui, proprio l’ubriacone degli Avenged Sevenfold, il chitarrista che tradiva sua moglie e che aveva avuto tre figli con lei senza mai amarla per davvero.
Aveva salvato una vita.
“E anche i Sevenfold mi hanno aiutata tantissimo. Siete stati il mio sostegno, siete stati la mia forza. Senza la vostra musica non so se avrei avuto il coraggio di rimboccarmi le maniche in una città straniera e di lavorare per pochi spiccioli pur di portare avanti il sogno mio e di Paul.”
“Ti ho solo consigliato di lottare per riprenderti ciò che era tuo di diritto: la felicità.”
L’uomo sentì la mano della ragazza tremare contro la sua. “Ora sono felice, ora so che posso farcela. Ho superato tutto, la rabbia, la depressione, l’odio verso me stessa, l’autolesionismo, e sono qui con Paul e viviamo alla giornata e siamo felici.”
“Lotta sempre per i tuoi sogni, Denise” sussurrò lui, quasi senza rendersi conto di aver abbassato il tono di voce. “Nulla è importante quanto i sogni, nella vita di ogni persona, quindi difendili, e non permettere a niente e nessuno di mettersi in mezzo tra te e loro.”
Denise aprì la bocca per rispondere, ma la comparsa di Zack la interruppe. Zacky sembrava piuttosto intimidito dalla situazione, i suoi occhi chiari guizzavano continuamente da Brian a Denise.
“Hey” lo salutò Brian aprendosi in un enorme sorriso spontaneo. “Vieni qui” aggiunse subito dopo, allungando un braccio e invitandolo a sedersi sulle sue ginocchia.
Zack non se lo lasciò ripetere due volte, andò svelto verso i due e sedette in braccio al primo chitarrista avvolgendogli le spalle con un braccio.
“Denise, ti presento il membro più inutile della band, dopo Johnny ovviamente” disse Brian alla ragazza, facendola ridere.
Zack fu sul punto di mollare una gomitata nelle costole all’altro, ma non appena la vide ridere si immobilizzò. Era esattamente come se l’era immaginata, piccola e piena di paure. Senza una corazza a farle da scudo contro i mali del mondo.
“Piacere, io sono Denise” disse lei, tendendo una mano.
“So bene chi sei, Brian ci ha parlato molto di te” rispose Zack guardandola finalmente negli occhi.
Quegli occhi che avevano incantato Synyster Gates dal primo momento. Quegli occhi fottutamente identici a quelli di Jimmy. Il chitarrista ritmico boccheggiò, sprofondando nello sguardo di quella ragazza come se un’onda ghiacciata dell’oceano l’avesse colpito in pieno viso.
E capì perché Brian, quel giorno di due anni addietro, avesse deciso di aiutarla.
Perché quegli occhi, esattamente come quelli del Rev, erano nudi, limpidi e puri, scoperti, senza maschere, indifesi dalla cattiveria delle persone.
E capì che Brian aveva dato a Denise la forza di affrontare il mondo a sguardo alto e senza timore che le serviva e che nessuno, prima di Syn, aveva capito le servisse.










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Vi dico da subito che questo è l'ultimo capitolo della Fan Fiction prima dell'epilogo e... boh, già mi manca questa storiella ma intanto mi sto auto-consolando scrivendo una Jalex un po' tanto diversa dal solito xD se vi va andate a darci un'occhiatina che non fa mai male.
Ebbene, imploro recensioni
as always,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 23
*** Epilogo. ***


Era Natale. Sebbene fosse la fine di dicembre il sole splendeva limpido e deciso nel cielo di Huntington Beach, quasi servisse a ricordare a tutti che, in fin dei conti, ci si trovava in California.
Michelle era in cucina con Valary e stavano cucinando ormai da un bel pezzo, mentre Brian e Matt se ne stavano sul retro di casa Sanders con i bambini.
“E quindi pensi che dovremmo far uscire il disco nove febbraio, il giorno del compleanno di Jimmy?” domandò il chitarrista per l’ennesima volta, abbozzando un sorriso divertito al figlio maggiore che correva a perdifiato per il giardino rincorrendo la cugina.
“Sì, penso che sia una buona idea” rispose Matt lasciandosi cadere su una sedia, sfinito dopo una discussione con Nathan riguardo il bagno in piscina.
“Io e Zack dovremo andare in studio tutti i giorni per finire le registrazioni in tempo...”
“Ecco!” esalò il cantante alzando gli occhi al cielo. “Sei il solito pigro, Gates! Non cambi mai.”
Brian sorrise appena.
In quel giorno aveva pensato molto a Jimmy, era inevitabile nei giorni di festa. In quei momenti si sentiva ancora di più la sua assenza, la sentivano tutti più che mai. Synyster non aveva potuto fare meno di pensare a quello che avrebbe detto sul nuovo cd, agli abbracci che avrebbe regalato ai suoi figli, ai regali che avrebbe comprato, al suo sorriso, alle foto che avrebbe preteso sotto l’albero di Natale insieme ai bambini.
Era sicuro del fatto che avrebbe dato ragione a Matt, in quel momento, definendolo il peggior scansafatiche della Terra.
“Papà vieni a giocare?” gridò improvvisamente Nicole, attirando l’attenzione dei due adulti.
Il cantante si stravaccò maggiormente sulla sedia. “Richiedono te” disse con uno sbadiglio, lasciando al cognato il compito di andare a occuparsi dei bambini.
Matt adorava stare con i suoi figli e tutti gli altri. Davvero, avrebbe passato giornate intere da solo con loro, ma era stanchissimo. Se avesse potuto avrebbe passato quel periodo di festività a letto in stato vegetativo. Quel periodo ch’era andato dalla fine dell’estate alla metà di dicembre l’aveva spossato. Il nuovo disco era venuto bene, piaceva a tutti loro e sembrava un ulteriore miglioramento dopo Hail To The King e, sebbene si sentisse la mancanza del Rev, a tutti sembrava un lavoro migliore di quello partorito dopo la sua morte.
Poi Alicia aveva cominciato la scuola e Nathan l’asilo. E, per quanto Alicia andasse abbastanza volentieri a scuola, era stressante in un modo inumano dover lasciare il piccoletto alle maestre sebbene questi si aggrappasse alla gamba del genitore piangendo disperato.
La prima volta che era andata Valary a lasciarlo, era tornata a casa piangendo più del figlio. Mentre la prima volta in cui era stato Matthew a doverlo lasciare a scuola, era arrivato allo studio con mezz’ora di ritardo e di pessimo umore.
“Perché non andiamo a cambiarci? La mamma vi ha portato il cambio da mettervi per questa sera e ci tiene che siate vestiti bene.”
Matt saltò su dalla sua posizione, sentendo Brian dire quelle parole. Non poteva lasciarlo di nuovo solo con i bambini.
“Ti hanno già messo a terra?” disse improvvisamente una voce alle spalle del cantante, che si voltò a sorridere a Zack che teneva per mano Cherie.
“Lasciamo perdere, Nate prima era tutto intenzionato a farsi il bagno in piscina e non c’era verso di ragionarci” rispose Shadows allungando una mano verso la bambina per strizzarle una di quelle guance paffute che si ritrovava.
Zacky ridacchiò. “Amore perché non vai dagli altri? Guarda, c’è Ali che ti sta chiamando” disse rivolto alla figlia, notando che Brian veniva verso di loro tenendo in braccio entrambi i gemelli tutti imbacuccati nelle loro giacche.
“Non provate a ridere” disse il primo chitarrista ai due amici non appena se li ritrovò davanti. “Michelle mi ammazza se non li faccio vestire, e questi due non vogliono prepararsi a meno che non li porti in braccio fino alla fine delle scale.”
Matt quasi si strozzò con la sua stessa saliva, mentre Zack abbassò lo sguardo, cercando di controllarsi.
Vedere Brian fare il padre era sempre un divertimento. Era assolutamente negato con i bambini. E dire negato era dire poco. Non sapeva mai come prenderli, se essere severo o no, non sapeva imporsi e la metà delle volte in cui facevano o dicevano qualcosa di sbagliato rideva per mezz’ora prima di rendersi contro che avrebbe dovuto rimproverarli.
Michelle aveva perso le speranze con lui, che ormai lasciava correre anche quando i bambini urlavano parolacce o si picchiavano con qualsiasi oggetto trovato in giro.
“Allora, papà modello del duemilaquindici, mentre tu compi la tua impresa io e Mr. Porchetta riportiamo dentro il resto della combriccola e allestiamo un angolo gioco in sala” disse Matt alzandosi in piedi e battendo una manata sulla spalla di Zack che, nonostante il giaccone, si piegò per la botta presa.
Brian annuì e rientrò in casa mentre i gemelli lo abbracciavano all’unisono con l’intento di scaldarlo.
“Johnny quando viene?” s’informò Zack seguendo Matt per andare a recuperare i bambini.
“Spero il prima possibile, almeno lui mi tiene Nate.”
Assurdo come quel bambino adorasse Johnny. Benché all’inizio Matt non si fosse capacitato della fissazione di suo figlio per il bassista, e benché gli avesse raccontato espedienti non proprio adatti alla sua tenera età riguardanti Jonathan, Nathan era rimasto attaccato all’uomo in un modo allucinante.
Ne era ossessionato.
Una volta aveva pianto per un pomeriggio intero richiedendo il bassista e alla fine, per esaurimento, Matt era stato costretto a portarlo a casa di Johnny e lì si era calmato.
Nonostante inizialmente Shadows non avesse concepito e accettato del tutto il fatto che suo figlio potesse essersi tanto legato a Johnny, ora gli faceva comodo. Quando c’era il più piccolo della band, lui aveva solo Alicia da guardare, dopotutto.
“Allora bambini, vogliamo rientrare dentro che qui comincia a fare freddo?” attirò l’attenzione dei più piccoli il cantante, sovrapponendo le loro voci concitate col suo vocione.
“Non fa freddo papà, se ti muovi non senti freddo” ribatté Nathan da saputello, alzando il mento per guardare il padre negli occhi.
Zack trattenne una risata: vedere M. Shadows in difficoltà con delle persone alte quanto una sua gamba era uno spettacolo da non perdere.
“Tra poco arriveranno anche tutti gli altri, anche Johnny” disse l’uomo cercando di sembrare il più autoritario possibile, mentre il bambino si apriva in un sorriso enorme e cominciava a correre verso l’interno della casa.
“Andiamo?” disse Zack agli altri, porgendo una mano alla figlia che si era stesa a terra e guardava il cielo assorta come se fosse la cosa più interessante del mondo.
“Ma Babbo Natale davvero viaggia su una slitta?” fece la bambina mettendosi lentamente a sedere.
“Sì, e la slitta è guidata da renne volanti” rispose Alicia saltellando sul posto.
“E le renne come fanno a fare il giro di tutta la Terra in una notte senza stancarsi?” chiese nuovamente la piccola Baker, afferrando la mano del padre per tirarsi in piedi.
“Si allenano tutto l’anno per la notte di Natale, così poi non si stancano” disse Jimmy aggrappandosi con entrambe le mani ai jeans dello zio per riuscire a camminare dritto mentre rispondeva a Cherie.
“E se una si ammala?”
“Si mette la sciarpa e il cappello” rispose Alicia come se fosse ovvio, aprendo la porta di servizio di casa.
Matt e Zack non riuscirono a non scoppiare in una fragorosa risata, alla fine di quella strana conversazione tra i bambini, che si accentuò ancor più quando videro Nathan tutto arrabbiato che cercava di togliersi il cappotto e la sciarpa senza riuscirci, e che quindi sbatteva a terra i piedini con la sciarpa tirata su fino alla fronte, barcollando come un ubriaco e con una manica del giaccone penzoloni fino a toccare per terra.
Il cantante dovette riconoscere una cosa, mentre aiutava il figlio a svestirsi. Dovette riconoscere che, nonostante tutto, nonostante la stanchezza di essere genitore e la voglia, a volte, di far finta che i suoi figli non esistessero per un paio di giorni, non sarebbe più riuscito a vivere senza di loro.
I suoi figli, i suoi nipoti e Cherie gli avevano reso la vita migliore, con le loro urla isteriche, i loro pianti infiniti, i capricci, i bronci, i sorrisini impacciati e furbi. Con la loro innocenza.
“Nate guarda chi è arrivato.”
“Johnny!”
Il bassista non fece neanche in tempo a aprire la zip della giacca che indossava. Vide il piccolo Sanders che gli correva incontro e si chinò a prenderlo.
“Jonathan finalmente” esalò Valary spuntando dalla cucina con addosso un grembiule tutto imbrattato sugo e farina. “Nathan non vedeva l’ora di giocare a nascondino con te.”
Michelle si affiancò alla gemella ma non fece in tempo ad aprir bocca che vide i suoi gemelli e suo marito scendere dal piano superiore di casa Sanders. Brian aveva fatto cambiare i bambini, e per la prima volta non aveva messo a nessuno dei due qualche indumento storto.
Nicole sorrise alla madre, non appena la vide. “Papà mi ha detto che sono bellissima” disse afferrando un lembo della gonna scozzese che indossava.
“Lo sei amore, lo sei.”
 
Ormai era tardi a casa Sanders, la cena era finita da un bel pezzo e i bambini erano (quasi) tutti assopiti. Michelle aveva preso i due maschietti ed era tornata a casa con loro, Valary aveva portato i suoi figli a dormire nelle loro stanze e stava finendo di pulire la cucina in compagnia di Gena.
Cherie dormiva sul divano rannicchiata accanto a Johnny, che beveva la sua birra cercando di muoversi il meno possibile per non svegliarla.
Matt e Zacky stavano facendo una gara di flessioni. Il chitarrista stava perdendo miseramente, era già la seconda volta che si accasciava sul tappeto biascicando che non ce la faceva tra le risate.
Brian era assorto nei suoi pensieri. Aveva la figlia sulle ginocchia (che, non si sa come, era ancora bella sveglia e vispa nonostante la giornata piena che aveva avuto) e guardava la foto di Jimmy attaccata alla parete del salotto.
In quel momento Jimmy avrebbe di sicuro intrattenuto Nicole con qualche stupidaggine e le avrebbe detto qualcosa riguardo la lardosità (?) di Zack.
“Papà, non essere triste” disse improvvisamente la bambina al padre, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a fargli spostare lo sguardo dalla foto del Rev ai suoi occhi. “James è sempre con noi.”



























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E con questo epilogo metto fine alla long! ...insomma, l'ho chiusa con una scenetta natalizia perché mi piaceva l'idea che l'ultimo capitolo di
New Generation fosse a sua volta ambientato a Natale e poi ci ho messo quell'ultima parte dolce tra figlia e paparino perché è l'ultima immagine di Nicole prima di perdere i sensi e finire in coma sempre in New Generation.
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che sono arrivati fino a qui, in modo particolare chi ha messo questa storia tra le seguite, le preferite e chi l'ha recensita. So much love per tutti voi anche se i Linkin Park hanno deciso di andarsene solo a
Milano (fuck!).
Ma comunque.... grazie infinite a tuuuuutti, alla prossima storia malata che mi verrà in mente,
Echelon_Sun

 

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