Blackout di Aura (/viewuser.php?uid=1032)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il loro passato ***
Capitolo 2: *** Il suo presente ***
Capitolo 3: *** Il risveglio ***
Capitolo 1 *** Il loro passato ***
blackout
***
Quando
Ivy ricordò quell'amore travolgente e unico, il dolore di averlo
perso le fece mancare il respiro.
***
Ivy e
Zach erano due ragazzi come tanti, in mezzo a una folla nessuno
avrebbe stretto l'inquadratura della telecamera su uno di loro; ma
insieme erano qualcosa di unico.
Tutti i loro amici lo
percepivano, se qualcuno li avesse chiesto cosa ne pensavano
avrebbero risposto che Ivy e Zach erano sicuramente destinati a stare
insieme fino alla fine dei loro giorni, ad amarsi in quella maniera
così pazzescamente felice.
Il loro amore era felice, come se ogni
momento lo scoprissero e ne festeggiassero, come se ogni loro bacio
fosse il primo e l'ultimo. Ed era in qualche modo contagioso, perché
la loro forza rendeva migliore chi li stava accanto, era un perenne promemoria
dell'evidente impossibilità di accontentarsi di un amore che non
fosse tale.
Si erano conosciuti quando Ivy aveva diciotto anni,
nel marzo del 2131, o meglio, in quell'occasione fu Ivy a conoscerlo
e a subire quello che comunemente si dice “colpo di fulmine”:
non appena lo aveva guardato, dopo che lo aveva sentito ridere con un
suo amico e raccontare qualcosa sull'esame che avevano appena
sostenuto all'università, il suo mondo era cambiato e non era più
stata capace di immaginarsi un futuro senza di lui.
La ragazza che le
avevano appena presentato, Sasha, si era messa ridere:
– È mio
fratello, vieni, te lo faccio conoscere!
Ma Ivy non si era mossa,
tenendo ben piantati i piedi a terra.
– Non credo di potercela
fare. – aveva detto, ancora trasognata. Poi aveva preso una birra e
si era andata a rintanare in un angolo della festa, cercando di far
rallentare il suo cuore che aveva preso a galoppare.
Zach
l'aveva conosciuta sei mesi dopo, quando anche Ivy si era iscritta
all'università. Aveva incontrato lei e Sasha che ripassavano su una
panchina del parco del campus, approfittando delle ultime giornate
calde, e Sasha era stata finalmente contenta di poterli presentare
l'uno all'altro: aveva sempre avuto una sensazione riguardo a loro
due, e non fu delusa quando vide la luce negli occhi del fratello
mentre porgeva la mano a Ivy.
Si allontanò con la scusa di dover
prendere dei libri che aveva dimenticato al dormitorio, sapendo che
ormai la sua presenza era del tutto superflua.
Zach si era seduto
accanto a lei.
– Che corso frequenti?
– Medicina. – Ivy era
sorpresa: avrebbe giurato che non sarebbe mai stata in grado di
parlare con lui, eppure in quel momento, per quanto felice, era in
qualche strano modo anche a suo agio.
– Perché sorridi? – le
aveva chiesto, sorridendole a sua volta.
Abbassò lo sguardo,
mentre l'imbarazzo iniziava a farsi sentire.
– Mi piace la tua
voce. – gli aveva confessato.
Zach le sfiorò la guancia.
– E a
me piacciono le tue fossette.
Ma l'imbarazzo era misto a una
strana felicità, una sensazione simile alla mattina di Natale: i
regali erano una sorpresa, ma anche una conferma, perché li aveva
aspettati e sapeva che sarebbero arrivati.
Così la sua
razionalità non si intromise a frenarla, e lasciò che il suo cuore
gioisse, mentre Zach la baciava: una sorpresa stupenda, ma al tempo spesso Ivy lo sapeva, era semplicemente destinata a lui.
Quando Paul gli chiedeva come mai avesse iniziato a fare
coppia fissa con quella matricola, lasciandolo solo con i vantaggi e le
difficoltà della vita da single, Zach alzava le spalle.
– È
l'amore della mia vita, non potevo lasciarmela scappare. – diceva,
come se fosse la cosa più ovvia del mondo, riuscendo chissà come a
risultare convincente.
Non era mai stato una persona sdolcinata e
sognatrice, aveva sempre vissuto la sua vita in maniera piuttosto
disincantata, e quell'affermazione era un semplice dato di fatto: non
poteva essere altrimenti.
Non quando fin dal primo giorno aveva
notato il rossore sulle sue guance e non ne era stato spaventato, non
quando aveva scoperto che baciarla era più normale e necessario di
respirare. Non dopo la volta che si erano addormentati uno di fianco
all'altro, non dopo essersi svegliati, quando fecero l'amore per la
prima volta, scoprendo come i loro corpi si incastrassero alla
perfezione, quasi come se non fossero progettati per fare altro per
tutta la vita. Poi Ivy non era solo quello, era anche il sorriso
felice che gli faceva quando lo guardava, i baci che gli dava
all'improvviso, le risate mentre lo prendeva per mano e iniziava a
correre quando andavano in spiaggia. Era gli sbadigli che faceva
mentre cercava di ripassare dopo una giornata al mare, soddisfatti e
pieni di vita, era la luce fiera nei suoi occhi quando gli aveva
mostrato i risultati del suo primo esame. Era il sussurro felice
quando gli aveva detto di amarlo.
Ivy era ogni giorno, ogni ora,
ogni minuto che la voleva nella sua vita.
Tre anni dopo non
era cambiato niente, Ivy si sentiva esplodere d'amore e di felicità
ogni secondo che stava con lui. Gli studi stavano andando bene, ed
era fiera della persona che stava diventando, ma avrebbe lasciato
tutto senza il minimo ripensamento, perché il fulcro più importante
della sua vita era sempre e comunque Zach. Avrebbe potuto abbandonare
la sua vita e andare a zappare le patate con lui, e la sua gioia non
sarebbe stata minimamente scalfita.
Sapeva di essere fortunata,
sapeva che in genere le persone non trovano la loro anima gemella a
diciotto anni, e sapeva che il fatto che dopo anni le ginocchia le
tremavano ancora per l'emozione ogni volta che lui la baciava era più
unico che raro.
Per quello, quando aveva scoperto di essere
incinta, era semplicemente stata ancora più felice: non aveva avuto
paura per i suoi studi o per il fatto che fossero giovani; e quando
poi aveva incontrato negli occhi di Zach la sua stessa felicità
senza riserve sapeva che niente li avrebbe fermati.
***
gennaio 2143
– Paul dov'è lui? Dov'è Zach? – gli aveva chiesto, quasi urlando.
Lui
l'aveva guardata con pietà, o almeno fu quello che Ivy lesse nei
suoi occhi.
– Lo sai, non vuole avere più niente a che fare con
te, in questi anni non è cambiato niente.
***
Febbraio 2135
Ivy
ancora non sapeva di essere incinta, lo avrebbe scoperto un paio di
giorni dopo; e la vita che stava crescendo dentro di sé le avrebbe
fatto dimenticare per alcuni mesi la conversazione che aveva sentito
per caso tra Zach e suo padre.
– Sei completamente impazzito? Non
si rinuncia a queste occasioni, hai lavorato una vita per ottenere la
borsa di studio.
– Non ne voglio discutere papà: è dall'altra
parte del mondo, non lascerò Ivy.
– Butti il tuo futuro all'aria
per una ragazzina?
– È lei il mio futuro, è più importante di
quel master.
Le aveva parlato di quella borsa di studio: era il
corso più importante a cui uno studente di scienze politiche potesse
ambire, e le graduatorie erano praticamente impossibili da superare:
solo tre persone su più di cinquemila in tutto il mondo potevano
accedervi, e le aveva detto che una posizione nei primi cinquecento,
alla quale puntava quando aveva fatto domanda, lo avrebbe
avvantaggiato enormemente quando l'anno successivo avrebbe cercato
lavoro come giornalista nella sezione politica dei principali
quotidiani nazionali.
– Non capisci la fortuna che hai avuto? Tre
persone su migliaia che hanno fatto domanda, e tu sei tra quei tre.
– Papà, non so più come dirtelo: non mi interessa: non è così che
voglio vivere la mia vita.
Lei avrebbe rinunciato a tutto, ma
non era pronta a come si sarebbe sentita nel sapere che anche lui lo
faceva; sapere che si stava lasciando scappare un'occasione tanto
unica le provocò una piccola crepa nel cuore: avrebbe voluto solo il
meglio per lui, e le faceva male essere lei l'ostacolo tra Zach e la
cosa migliore che potesse capitargli.
Poi quella conversazione
le scivolò dai ricordi per qualche mese: quello che stava succedendo
era più grande di loro, e di qualsiasi ambizione, in fondo; si
sentivano fatti per amarsi, e un figlio in arrivo era la più forte
prova tangibile che potesse esistere.
Ivy si incantava, guardando
Zach parlare con la sua pancia: sembrava nato per essere padre, anche
se si sforzava non riusciva a immaginare niente di più perfetto.
L'aveva accompagnata a tutte le visite, e anche quella mattina di
aprile era accanto a lei.
Ivy lo aveva capito non appena aveva
letto lo sconcerto negli occhi dell'ostetrica, ma aveva fatto finta
di niente, cercando di farsi forza, continuando a stringere la mano
di Zach che ancora sorrideva.
Sfogò in quella frazione di tempo
il suo lutto, in silenzio, nel petto un urlo soffocato, mentre il
dottore si avvicinava all'ecografo e scambiava con l'ostetrica uno
sguardo d'intesa.
L'avevano fatta rivestire e li avevano mandati
in un altro ambulatorio, dove quel dottore con la voce lenta e pacata
aveva detto quello che Ivy aveva già capito: il cuore di loro figlio
aveva smesso di battere.
Lei aveva guardato per tutto il tempo
Zach, incapace di distogliere lo sguardo dal suo viso quando anche
lui stava capendo, come se stesse guardando un incidente al rallentatore.
Aveva visto la gioia scomparire dal suo volto,
lasciando spazio al dolore, lo stesso che provava lei e che non
avrebbe mai voluto vedere negli occhi della persona che amava più
della sua stessa vita.
Zach era stato forte per lei, l'aveva
consolata con le migliori parole possibili, dicendole che avrebbero
avuto il loro bambino e la felicità di quel momento avrebbe
scacciato via i brutti ricordi di quello che stavano vivendo.
Ivy
era triste, sì, ma era preoccupata: non aveva avuto nessun segnale
di quello che stava succedendo, aveva paura del perché fosse
successo.
Il giorno dopo scese nel laboratorio della sua
facoltà.
– Mike, l'altro giorno ti ho portato due campioni di
sangue, ti ricordi?
L'assistente controllò il registro.
– Soggetto A e Soggetto B; i risultati per i test che mi hai chiesto
dovrebbero essere pronti nel pomeriggio.
– Sto facendo delle
modifiche nella mia ricerca, fai a tempo a fare un controllo sulla
compatibilità procreativa?
Lui aggiornò il registro.
– Mi
metto subito al lavoro, puoi passare a ritirarli verso le cinque.
A
e B erano lei e Zach.
Era come se sapesse
già il risultato, ancora prima di aprire la busta.
E nel
frattempo tutte le sue convinzioni crollavano, una ad una: rivedeva
la smorfia di dolore sul viso di Zach, mentre apprendeva che la
gravidanza si era interrotta, ricordava la conversazione che aveva
sentito mesi prima tra lui e suo padre.
Come potevano essere fatti
per stare insieme, se poi di fatto la natura diceva che non era così?
Se dovevano rinunciare a tutto l'uno per l'altro?
Ivy avrebbe
rinunciato a tutto per stare con lui, l'unica cosa a cui si rese
conto non poteva rinunciare era proprio la felicità di Zach.
Il
foglio le scivolò dalle mani, cadendo beffardamente in modo che
anche da terra potesse rileggere il risultato:
Incompatibili.
Nda:
Ho progettato questa storia come una one shot, ma al momento di
pubblicarla ho iniziato a tentennare, dividendola in tre capitoli; per
questo motivo la lunghezza dei capitoli sarà variabile,
perché preferisco dividerli per contenuti piuttosto che per
quantità di pagine, ecco perché l'ultimo capitolo
sarà il più lungo.
Che dire, eccovi presentati Ivy e Zach, ma questo non è che il
loro passato: da come si può intuire dalle ultime righe Ivy sta
iniziando a maturare una decisione che li allontanerà.
Al prossimo capitolo, il capitolo dei blackout! Ringrazio in anticipo chi si fermerà a scrivermi cosa ne pensa, a presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Il suo presente ***
blackout
********
30 giugno 2138
Il mal di
testa la costrinse a chiudere gli occhi.
– Ivy, va tutto bene? –
le chiese una voce preoccupata di fianco a lei, che non riusciva a
riconoscere.
Dopo una decina di respiri piano piano tornò tutto
normale, aprì gli occhi sentendosi disorientata, come appena
sveglia.
Accanto a lei un ragazzo la guardava, allarmato.
– Ivy, stai bene? – la stessa voce di prima.
Strizzò gli occhi
massaggiandosi le tempie, cercando di ricordare: Andrew, era Andrew,
il suo ragazzo. Non si ricordava niente, ma sapeva che era così, e
che aveva sempre pensato di stare bene con lui; fino a quel preciso
istante: lo guardò, e capì che c'era qualcosa che non andava.
– Vuoi un'aspirina? – le chiese.
– No, – disse, meravigliandosi
della sua stessa voce. – va meglio, grazie.
Continuarono a
camminare, e riconobbe il campus. Stavano andando verso quello che
sembrava l'edificio principale. Cercò di ricordare, la festa in
onore dei laureandi.
Non appena entrarono fu salutata da decine di
persone che non riusciva a riconoscere, per quanto impegno ci mise.
– Che faccia brutta che hai. – le disse poi una ragazza che
sembrava aver abbastanza confidenza con lei.
– Ha avuto un brutto
episodio di emicrania. – le stava spiegando Andrew.
Sasha, quella
era Sasha: come aveva fatto a non riconoscerla?
– Andrew ti
dispiace andarmi a prendere da bere? – gli chiese, sentendo il
bisogno di rimanere sola con lei.
– Tutto bene? – le chiese poi
Sasha, quando si fu allontanato.
Ivy si sentiva sul punto di
piangere, il mal di testa le offuscava tutto, non ricordava niente.
– Cosa mi sta succedendo? – le chiese, sperando che quella che
riconosceva come un'amica potesse dirle qualcosa.
Ma lei non
sembrava sapere niente.
– Non lo so.
Poi Ivy sentì una voce,
mischiata a quelle di centinaia di studenti e parenti; la riconobbe
tra tutte, quella voce le arrivò al cuore e il mal di testa cessò
improvvisamente.
Era a qualche metro da lei, si girò e incontrò
i suoi occhi, sentendosi trapassata da uno scroscio d'acqua mentre
tutto prendeva di nuovo significato. Lei era Ivy, e lui era...
era...
Divenne ancora tutto nero.
********
15 Agosto
2139
Sapeva che qualcuno aveva detto qualcosa di divertente,
perché ricordava che il mal di testa l'aveva colpita nel bel mezzo
di una risata.
Ma era l'unica cosa che ricordava.
Faceva fatica
a respirare, tra il dolore che le trapassava le tempie e le mandava
scariche in tutto il corpo e quella sensazione di paura. Non sapeva
dov'era, non sapeva chi era.
– Ivy? Sta svenendo, aiutatemi a
farla sdraiare. – sentì.
Non stava svenendo, aveva solo mal di
testa, e le mani sulle sue spalle non facevano altro che amplificare
quel dolore. Si scansò bruscamente.
– Ho un'emicrania. –
sillabò.
Bevve l'acqua che le porsero e riuscì ad aprire gli
occhi.
Era alla festa di laurea... no, da quella era passato un anno. E lei
non si ricordava niente di quel periodo, come se non fosse mai esistito. Ripensò alla festa: c'era una persona, stava per
riconoscerla ma per quanto provasse a sforzarsi non si riusciva a
ricordare chi fosse.
Fece un timido sorriso a Matt, il ragazzo
che sapeva di star frequentando in quel periodo pur senza ricordarlo,
e si guardò in giro.
Erano a un barbecue, e non conosceva la metà
delle persone che erano lì. Anzi, praticamente nessuno.
Vide un
ragazzo, alto e magro, che le ricordò qualcosa.
– Ehi, Paul. –
gli disse avvicinandosi, quando tutti ormai rassicurati dal fatto che
stava bene e avevano ripreso a festeggiare.
– Ivy. – la salutò
lui, con una strana luce negli occhi. – stai meglio?
Lei scosse la
testa.
– Onestamente? No. Non so cosa mi sta succedendo, non
capisco, sono disorientata.
– Sasha mi ha detto che ti era
capitato anche l'anno scorso, ti sei fatta visitare?
Ivy lo
guardò, preoccupata: non lo sapeva.
Ma sapeva che Paul era
l'unica figura famigliare lì intorno, e anche se provava uno strano
disagio nel stare con lui era la sua sola alternativa.
– Non so se
faccio bene a parlartene, ma ha...
– La frase di Paul fu interrotta
da un fischio nella sua testa, che le annebbiò tutto; cercò di
resistere, aveva la sensazione che stesse per dirle qualcosa di
importante, ma scivolò di nuovo nell'incoscienza.
********
31
dicembre 2140
– Dieci, nove, otto...
Nell'altra stanza qualcuno stava facendo
un conto alla rovescia, e lei era rannicchiata in un angolo
dell'ingresso, al buio.
La porta si aprì, entrò una persona che non sembrò
notarla, Ivy lo guardò, cercando di riconoscerlo, mentre il mal
di
testa si assopiva un poco.
Spalle larghe, cappotto nero, capelli
castani. Non le diceva niente, ma d'altra parte non sapeva nemmeno
dire chi fosse lei.
Si alzò, e senza capire bene cosa stesse
facendo scarabocchiò qualcosa su un foglietto.
“Scusami, ho
l'emicrania, – rifletté, mentre le tornavano alla mente i precedenti
episodi. – un'altra volta. – aggiunse. – Vado a casa. Ivy” firmò
poi.
Lanciò un'occhiata verso il salotto, dove il nuovo arrivato
veniva accolto così calorosamente che la mezzanotte di capodanno
passava in secondo piano.
Lui rideva. Quella risata...
Uscì
velocemente dalla casa, mentre quella risata le martellava in testa,
più fastidiosa dell'emicrania.
Quanto tempo era passato
dall'ultima volta?
Fermò un taxi e fornì all'autista un
indirizzo che non riconosceva, ma sperò di non
sbagliarsi.
Fortunatamente la chiave che aveva in tasca aprì la
porta della piccola villetta davanti alla quale si era fermato; da
quando aveva una villetta?
Vide nelle foto dell'ingresso lo stesso
viso che le restituiva il riflesso del vetro, era a casa.
Si
sdraiò sul divano, mentre il ricordo di quella risata la colpì
nuovamente, come un calcio sullo stomaco, e iniziò a piangere, fino
a quando l'oblio la prese di nuovo con sé.
********
23 settembre
2141
Aprì gli occhi di scatto.
– Sono passati dieci anni. – disse.
– Ti senti bene? – una mano
strinse la sua. Ivy si divincolò, chi era? L'uomo accanto a lei
assunse un aria preoccupata. – Ancora, Ivy? Guardami, guardami negli
occhi: tu sei Ivy, e io sono Sean. Ci dobbiamo sposare tra sei mesi,
siamo venuti a vedere il giardino botanico dove si terrà la
cerimonia.
Ivy si guardò intorno, non era un parco, non era il
parco del campus. E quella panchina non era dove...
– Sean non
posso sposarti. – disse, in preda al panico. Lui era il suo
fidanzato, lo sapeva, ma non poteva sposarlo, non poteva stare con
lui. Più guardava quella panchina più sentiva che la scatola
cranica si stringeva, comprimendo il suo cervello.
– Non dire
fesserie, Ivy, ora non sei in te, ma...
Fece qualche passo
indietro.
– No, non ti amo, non abbastanza.
Da che cosa erano
passati dieci anni? E perché una panchina le faceva
quell'effetto?
Quando aveva conosciuto Sean, prima o dopo l'ultima
emicrania?
Lui sembrava dannatamente tranquillo, come se ritenesse
le sue parole come il vaneggiamento di un pazzo.
– Torna qui, Ivy:
non sai quello che dici.
Scosse la testa, sfilandosi l'anello che
portava sulla mano sinistra.
– No, Sean, lo so benissimo: è
finita. Scusami. – disse, restituendoglielo, prima di correre
via.
Via da quella panchina che le stava facendo franare il
mondo.
********
31 dicembre 2142
Strinse il bracciolo
della poltrona dove era seduta, stava succedendo ancora.
E ancora
si sentiva stordita, in un mondo che non conosceva, senza sapere chi
fosse: l'unica cosa che sapeva con certezza era che c'era qualcosa
che mancava nella sua vita.
Era sola, quella mattina. Per la prima
volta era sola, e questo stranamente la calmava: non doveva aver
paura di non riuscire a riconoscere qualcuno, nessuno l'avrebbe vista
in quelle condizioni.
Il mal di testa la opprimeva, la luce le
feriva gli occhi, ma era preferibile al tenerli chiusi: almeno non
rivedeva quel sorriso che la stava tormentando.
Si alzò,
raggiunse la sua camera, aprì il secondo cassetto del suo comodino e
frugò alla cieca fino a che trovò un foglietto consumato.
Inconsciamente prese una matita e scrisse, in fondo:
XXXI
XXII MMCXLII.
Rimise il foglietto nel cassetto e si sdraiò
sul letto.
Nda:
Ecco il secondo capitolo, dove il senso della storia è
più chiaro, anche se immagino che qualcosa possa essere ancora
nebuloso.
Non temete, vedrete che con il prossimo capitolo anche voi capirete
cosa sta succedento a Ivy! Nel frattempo sapete già chi è
la persona che vede?
Fatemi sapere se vi sta piacendo, alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Il risveglio ***
blackout
Aprì gli occhi, incredula. Per la prima volta si
ricordava con chiarezza cosa era successo nel bel mezzo di un
emicrania. Sapeva di averla avuta, le ricordava tutte, anche se
paradossalmente più quei momenti erano vividi e più il resto della
sua vita diventava nebuloso; ma in quel momento sembrava di
secondaria importanza.
Si mise a sedere, cercò nuovamente il
foglietto e lo lisciò: era il programma della festa di laurea, sul
retro erano segnate delle lettere senza significato:
XXX VI
MMCXXXVIII
XV VIII MMCXXXIX
XXXI XXII MMCXL
XXIII IX MMCXLI
XXXI XXII MMCXLII
Cosa
erano quelle lettere, che cosa si era voluta appuntare? Più le
guardava più le vedeva mischiarsi sotto ai suoi occhi, era come se
un altra sé stessa avesse voluto lasciarle degli indizi da
risolvere.
Ma non era mai stata una brava in crittografia, non si
spiegava come le era venuto in mente di lasciarsi un messaggio
simile.
Una voce irruppe dall'altra stanza, era qualcuno al
telefono.
– Ivy? Ci sei? Sono Betty, passo a prenderti alle sette,
fatti trovare pronta...
Corse a rispondere.
– Betty? Non penso
di stare molto bene. – provò a declinare.
– E salteresti la festa
di capodanno? Scordatelo, mettiti due fette di cetriolo sugli occhi e
vatti a fare un bagno, vedrai che sarai come nuova. A dopo. – le
rispose l'altra ragazza, perentoria, prima di chiudere la
comunicazione.
Ivy seguì di controvoglia il consiglio, anche
se avrebbe voluto rimanere a casa e riflettere sul suo mistero; anche
perché, esattamente come in un episodio di emicrania, non si
ricordava chi fosse quella Betty.
Ma doveva cercare di comportarsi
normalmente, e inoltre sperava di poter incontrare qualcuno che la
potesse aiutare a sbloccare la memoria: la sua paura era quella di
tornare a scordarsi di quelle lettere, che il ricordo le scivolasse
dalle mani così come era spuntato, all'improvviso. Puntuale, alle
sette, il campanello di casa suonò, Ivy prima di uscire mise nella
borsetta il foglio con le lettere, come un amuleto che le avrebbe
impedito di dimenticare: aveva la sensazione che la soluzione a quel
mistero era quanto di più importante ci potesse essere.
Salì
sulla macchina salutando le ragazze, cercando di mascherare il suo
imbarazzo nel non riconoscerle.
– Allora, – le disse la bionda
alla guida, Betty, – sei pronta a incontrare il prossimo uomo della
tua vita?
Ivy sollevò un sopracciglio, stanca,
– Non sono
dell'umore adatto.
– Ehi, – si ribellò la rossa seduta dietro, –
io e Betty ci siamo fatte in quattro per trovartelo, e tu stasera lo
conoscerai! Vedrai, è completamente diverso da Sean.
Ivy cercò
di ricordare l'uomo che sapeva di aver lasciato tempo prima, e si
chiese in che modo la persona che volevano presentarle fosse
diversa.
Parcheggiarono nel vialetto di una villa enorme, piena di
luci e di musica.
Colin era alto, vestito elegantemente come
ricordava Sean, ma aveva una barbetta ispida ad arte, e un piccolo
cerchietto nel sopracciglio.
– Che schianto, eh? – le sussurrò
“la rossa”.
Ivy sorrise debolmente, non aveva minimamente
voglia di passare la serata con quel tizio.
– Vado a prendere da
bere, volete qualcosa? – disse, per togliersi
d'impiccio.
Fortunatamente allontanandosi notò che Colin era
molto più interessato alla “rossa” che a lei, il che attutì il
suo senso di colpa, perché era lampante che anche “la rossa”
stravedeva per lui, spingendola a chiederle come mai allora volesse
presentarlo a lei.
– Dolce o secco? – le chiese un cameriere.
– Dolce, grazie.
Una voce famigliare attirò la sua attenzione,
– Il tempo passa ma i tuoi orrendi gusti rimangono uguali.
Si voltò
e vide Paul, lieta di riconoscerlo.
– Ciao, è... – tentennò,
sperando di non sbagliare. – È un po' che non ci si vede, vero?
Lui
scrollò le spalle,
– Abbastanza. Hai fatto qualcosa? – le chiese,
studiandola.
– In che senso?
Continuava a guardarla.
– Non
lo so, sembri diversa.
Doveva forse dirgli dei suoi ricordi persi
e ritrovati?
Chiacchierarono del più e del meno, fortunatamente
senza entrare troppo nei particolari, e Ivy riuscì a tenere la
conversazione senza perdersi, sentendosi normale.
– Hai intenzione
di rimanere? L'ultimo capodanno che abbiamo fatto insieme te la sei
data a gambe, avevi davvero mal di testa o non volevi vedere...
Ivy
non lo stava più ascoltando, osservava delle lettere che gli
spuntavano da sotto la camicia.
– Che cos'è? – chiese,
interrompendolo.
Paul alzò la manica, mostrando il tatuaggio: V X
MMCX
– La mia data di nascita. – rispose, con estrema
ovvietà.
Ivy si massaggiò la tempia.
– È una data? Tu sai
tradurle? – chiese, improvvisamente affannata.
Paul la guardò,
preoccupato.
– Non starai avendo un altro attacco, vero?
Le
dita tremavano, mentre raggiunse la chiusura della borsa. La fece
scattare, riuscì a tranquillizzarsi solo quando sentì la carta
logora del foglio. Sospirò, più sicura.
– Prometto di spiegarti
tutto, ma prima riesci a tradurmi queste date?
Paul guardò il
foglio che gli stava porgendo, dubbioso.
– Posso provare. – disse,
grattandosi la testa. Ivy era decisamente strana quella sera, l'aveva
intuito quando l'aveva incontrata e ora ne aveva la conferma.
Scrisse
su un tovagliolino le cifre corrispondenti.
– Ecco. – disse,
porgendoglielo.
Ivy lesse a mezza voce.
– Trenta sei
duemilacentotrentotto. Quindici otto duemilacentotrentanove...
– Sai cosa sono? – le
chiese.
Ivy scosse la testa.
– A te dicono qualcosa?
Lei non
sapeva niente della sua vita, magari gli altri potevano ricordare per
lei.
– Questo è il capodanno di due anni fa, e questo è quel
ferragosto... – si bloccò, sembrava aver trovato la soluzione, ma
era restio a comunicargliela.
– Vai avanti, Paul, per favore.
Lui
guardava lei e guardava il tovagliolo, indeciso.
– Queste due, la
data di oggi e il ventitré settembre duemilacentoquarantuno, non so
a cosa si riferiscono, ma le altre... sì, le altre corrispondono
alle date di quando Zach è tornato a casa.
Quel nome le passò da
una tempia all'altra.
– Chi? – boccheggiò.
– Zach. – ripeté
lui, serio.
Ivy non respirava più, chi era Zach? Prese le sue
cose, e corse da Betty, chiedendole di accompagnarla a
casa.
Zach.
La prima emicrania: la voce tra la folla, gli
occhi che aveva incontrato; era lui.
La seconda emicrania: c'era
anche lui a quel barbecue, per qualche strano motivo erano stati ai
poli opposti del giardino per tutto il tempo.
La terza emicrania:
era Zach quello che era arrivato allo scoccare della mezzanotte.
Ma
chi era Zach?
Cercò di ricordarsi di quel settembre, della
panchina: guardandola aveva ricordato che erano passati dieci anni,
ma dieci anni da cosa?
Poi, come una diga che all'improvviso va in
frantumi, tutti i ricordi la travolsero: dieci anni dal loro bacio,
Zach era Zach, il ragazzo che aveva amato con tutta sé stessa.
Come
aveva fatto a dimenticarlo, perché?
Insieme ai ricordi belli
erano arrivati anche quelli brutti, la borsa di studio, il figlio che
avevano perso, il sapere che non avrebbero mai potuto averne
insieme.
La decisione di lasciarlo senza una spiegazione, e
l'ipnosi e le medicine per sradicarlo dalla sua vita, per non
soffrire.
Tutti i suoi buchi erano cicatrici un tempo riempite da
lui.
Quando Ivy ricordò quell'amore travolgente e unico, il
dolore di averlo perso le fece mancare il respiro. Ancora. Dopo
tutti quegli anni ancora quel dolore, si chiese quanto sarebbe
durato, prima che l'ipnosi afferrasse nuovamente il suo inconscio,
per farla ritornare nell'oblio.
E a quel pensiero il respirò
sembrava non volerle tornare più, doveva trovarlo, a qualsiasi
costo, doveva guardarlo un ultima volta sapendo chi aveva davanti e
doveva dirgli tutto, il perché l'aveva lasciato.
Respirò dentro
a un sacchetto di carta, la sua unica speranza era Sasha, e doveva
trovarla: lei l'avrebbe portata da Zach.
Si collegò al sito del
suo corso universitario, stando a quello lavorava ancora in città, e
viveva a una cinquantina di chilometri da lì; doveva essere sua la
casa di quel capodanno che ricordava.
Guardò l'ora: era quasi
mezzanotte, non poteva presentarsi lì, avrebbe dovuto aspettare il
giorno dopo. Nel frattempo, però, sarebbe dovuta rimanere sveglia e
lucida: era l'unica speranza per continuare a ricordare.
Passò la
notte seduta sul divano, spossata dalle lacrime che continuavano a
scenderle, al pensiero di quello che aveva fatto.
Non che si
pentisse di averlo lasciato: lo aveva fatto per lui, per dargli
l'opportunità di avere una vita,e probabilmente era riuscita nel suo
intento; aveva sbagliato nel non dirgli il perché, nel fuggire e nel
dimenticarlo, perché conoscendolo sapeva che in quel modo lo aveva
ferito profondamente.
Tornò sul sito e lo cercò: aveva
frequentato quel famoso master, ma era tornato e si era preso il
posto che le aveva detto di volere, giornalista in una delle testate
più importanti della nazione.
Continuò a vagare su internet,
leggendo i suoi articoli, cinici ma sagaci, spiando i particolari
della sua vita: non si era mai sposato, ma aveva avuto un figlio. Non
stava con la madre, ma stando a quello che era riportato lo aveva
riconosciuto e provvedeva a lui.
Tutto quello che scoprì le fece
male e bene allo stesso tempo: Zach aveva fatto quello che lei aveva
sperato, ma sembrava che nella sua vita mancasse qualcosa, e sperava
di poter restituirglielo lei, confessandogli come erano andate
realmente le cose. Prima di dirgli addio un'ultima volta.
Alle
cinque si preparò un altro caffè, la determinazione aveva spazzato
via il sonno, complice anche il fatto che il pomeriggio prima aveva
dormito, ma voleva accumulare quanta più caffeina, in modo da poter
resistere il più a lungo possibile. Trovare qualcuno che le facesse
nuove sedute per rompere definitivamente l'ipnosi era impossibile, in
quei giorni di festa, e se si conosceva un po', se anche si fosse
annotata di farle, una volta tornata a scordare tutto si sarebbe
fidata di più del suo istinto di anni prima nel voler dimenticare, e
avrebbe ignorato la cosa.
Sapeva che non avrebbe potuto
bussare alla porta di Sasha di prima mattina, così una volta
arrivata nel suo quartiere attese che il sole si alzasse, ripetendo a
mezza voce il discorso che si era preparata.
Doveva partire col
dirle dell'ipnosi, perché Sasha l'ascoltasse.
Quando si sentì
finalmente pronta suonò il campanello, e aspettò ancora.
– Ivy? – sbadigliò mentre apriva la porta e la faceva entrare. – Sono anni
che non ti vedo, tutto bene? Come mai questa visita?
Registrò
l'affermazione, chiedendosi il motivo di quel distacco, dal momento
che attualmente era l'unica amica che ricordasse di avere.
– Ti
devo parlare, Sasha, è una cosa molto importante: scusami se sono
venuta qui senza avvisarti, ma devo risolvere tutto questo il più in
fretta possibile.
Sasha la precedette in cucina, e versò il caffè
in due tazze, facendola sedere.
– Parla, allora.
– Innanzitutto
devi sapere che quando ho lasciato Zach mi sono sottoposta a dei
cicli di ipnosi, per dimenticarlo. Ecco perché devo esserti sembrata
un po' strana.
Sasha si era innervosita a sentire nominare il
fratello da lei, lo capiva dal sopracciglio alzato, ma continuò,
raccontandole tutto, dai motivi del perché l'aveva lasciato alle
varie amnesie. Lei non fiatò, per tutto il tempo, rimanendo immobile
come una statua di sale.
Poi, quando Ivy finì, Sasha incrociò le
braccia.
– A questo punto fai una nuova ipnosi e dimentica di
nuovo tutto. – disse, aspra.
– Ma non capisci? Devo vedere Zach,
devo dirgli...
Sasha la interruppe.
– Tu non gli devi dire
niente, Ivy: anni fa gli hai spezzato il cuore, punto. Anni fa, non
ieri: non c'è niente che tu possa fare, ora, se non andartene, e non
azzardarti più a nominare mio fratello. Lascialo in pace.
Ivy era
sbalordita dalla sua freddezza, che l'aveva congelata. Sasha non
l'avrebbe aiutata a cercare Zach.
– Devo chiederti un'ultima cosa,
poi me ne andrò: come ti ho detto non ricordo praticamente nulla
degli ultimi anni, cosa è successo tra me e te?
– Non lo
immagini? Dopo come hai trattato Zach ci siamo allontanate, prima di
poco, poi finita l'università abbiamo iniziato a frequentarci sempre
meno. Quando mio fratello, stufo della tua presenza, mi ha chiesto di
non invitarti più se ci fosse stato anche lui, ho preferito tagliare
direttamente tutti i ponti con te. Non mi cambiava niente.
Ormai
era alla porta di casa.
– Sasha, nemmeno ora riesci a perdonarmi?
Neanche dopo che ti ho spiegato perché l'ho fatto?
– Dici che lo
hai fatto per lui, ma l'unica cosa che gli hai fatto è stato farlo
soffrire, non hai migliorato la sua vita. – sibilò, prima di
chiuderla fuori.
Ivy iniziò a camminare, senza una meta
precisa.
Ora la sua unica alternativa era cercare Paul, ma non
sapeva da dove iniziare, non sapeva niente di lui.
Chiamò Betty,
che dopo essersi lamentata della sua ritirata la sera prima gli diede
il numero di chi aveva organizzato la festa, l'unica risorsa che Ivy
aveva.
Fortunatamente Joe conosceva Paul, e riuscì a farsi dare
il suo numero.
Non rispose al telefono, ma aveva il servizio di
localizzazione attivato, e non era a più di tre chilometri da dove
si trovava lei; e imprecando contro il servizio taxi che sembrava non
volesse raggiungere quella zona iniziò a correre.
Arrivò davanti
a casa sua trafelata, e si attaccò al campanello, imponendosi di
svegliarlo: piuttosto avrebbe buttato giù la porta, ma Paul doveva
ascoltarla.
– Ma che diamine ci fai qua, Ivy? – disse, aprendole,
infastidito.
Lei entrò in casa, aveva paura che così come Sasha
non l'aveva voluta aiutare neanche Paul l'avrebbe fatto, soprattutto
dal momento che l'unico motivo per cui lo conosceva era perché era
amico di Zach.
– Paul dov'è lui? Dov'è Zach? – gli chiese, quasi
urlando.
Lui l'aveva guardata con pietà, o almeno fu quello che
Ivy lesse nei suoi occhi.
– Lo sai, non vuole avere più niente a
che fare con te, in questi anni non è cambiato niente.
– Paul, ti
prego. Devo solo parlargli, ho poche ore per farlo, e non so neanche
quante di preciso. È difficile da spiegare, ieri mi hai aiutato a
ricordare alcune cose, e devo dirgliele assolutamente.
Paul le
mise una mano sulla fronte.
– Sei consapevole di avere la febbre,
vero?
Ivy si scansò.
– Ascoltami, è importante: mi sono fatta
ipnotizzare, per dimenticarlo, ma devo dirgli perché l'ho lasciato,
ho sempre saputo di doverglielo dire, ecco perché avevo quelle
emicranie, il mio subconscio cercava di farmi ricordare. Ora lo so,
ma non durerà a lungo, ecco perché devo trovarlo il prima
possibile.
– E stai anche delirando. – affermò Paul.
Ivy si
appoggiò al muro, sconsolata: non la stava cacciando come aveva
fatto Sasha, ma sapeva che non aveva modo di fargli cambiare idea.
Vide il suo cellulare,
appoggiato su una mensola, e cambiò strategia.
– Fammi un favore. – disse, più mansueta, – Dammi un'aspirina, e torno a casa.
Aspettò che lui si
allontanasse, e cercando di fare il meno rumore possibile raggiunse
il telefono, trovando il numero di Zach e copiandolo sul suo
cellulare. Poi, prima che Paul tornasse, uscì di casa e iniziò a
correre di nuovo.
Iniziò a rallentare, mentre il telefono tra le
sue mani sembrava bruciare: lo guardò, fece partire la chiamata, e
si fermò.
– Pronto? – la sua voce la raggiunse dopo un paio di
squilli, era identica a come si ricordava. Aveva sempre amato la sua
voce. – Pronto? – stava ripetendo.
– Non attaccare. – disse
allora, maledicendosi perché non sapeva cosa dirgli. Zach rimase in
silenzio, lei deglutì, e provò a parlare. – Zach, sono Ivy, non
attaccare, ti prego, ti devo parlare.
– Non voglio ascoltarti,
Ivy, cosa vuoi da me? – ora la sua voce le arrivò tagliente,
nervosa. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, mentre cercava le
parole da dirgli.
– Lo so, so che non vuoi, ma ti prego, dimmi
dove sei: ti devo parlare. È importante, poi ti lascerò in pace, te
lo giuro.
– Ivy smettila: non chiamarmi più.
– Zach, –
singhiozzò impaurita, sentendo che lui stava per chiudere la
conversazione. – Zach ascoltami, non ti cercherò più, non potrò
cercarti più, ma ora ti devo vedere, ti devo parlare, e ho poco
tempo per farlo: poi me ne dimenticherò.
– Smetti di piangere,
non si capisce quello che dici. Cosa vuol dire che te hai poco tempo?
Stai forse per morire e vuoi darmi l'ultimo saluto? Dedicalo a
qualcun altro, non ne vale la pena.
– No, non è quello, ti prego,
ti scongiuro. – Controllò lo schermo del suo telefono, anche lui
poteva essere localizzato e le diceva che era in città. – Ascolta,
sarò da te in meno di un'ora, aspettami. Te lo giuro, solo questa
volta, solo oggi, poi non ne saprai più niente di me.
Zach chiuse
la conversazione, ma ora sapeva dove trovarlo. Riprese a correre,
Paul aveva ragione, aveva la febbre, forse era una reazione fisica ai
suoi ricordi tornati a galla, ma ignorò le gambe che le cedevano e
la testa che pulsava odiosamente, ricordandole quanto fosse flebile
quel momento di lucidità, fino che raggiunse un posto dove un taxi
accettò di andarla a prendere. Riferì l'indirizzo che il telefono
le aveva evidenziato come posto dove si trovava Zach, e si staccò
dallo schienale, cercando di rimanere lucida: non poteva cadere
nell'oblio proprio in quel momento.
Lottò contro le palpebre che
si volevano abbassare, cercando di non lasciarsi cadere in tentazione
quando il suo corpo le suggeriva di chiuderle per un solo istante, e
quando finalmente il taxi si fermò sentì di nuovo le lacrime
affiorare. Era arrivata, poteva dire tutto a Zach: doveva solo farsi
ascoltare.
Il portone del condominio era aperto, fortunatamente,
lesse il piano sull'etichetta del citofono e raggiunse il suo
pianerottolo.
Guardò la porta che aveva di fronte: Zach si
trovava dietro di quella, a pochi metri.
Si portò una mano al
petto, come a voler rallentare inconsciamente il cuore che
martellava, impazzito, e suonò il campanello.
La porta si
spalancò di colpo.
– Cosa non ti era chiaro nella frase: “non
voglio parlare con te”?
Ivy però non lo sentiva.
Rimase
senza fiato a guardarlo, perfetto come si ricordava, forse anche di
più con un accenno di barba incolta e lo sguardo più maturo.
– Sei tu. – singhiozzò. – Sei proprio tu.
– Vattene Ivy: questa
storia non attacca. – disse infastidito, cercando di chiuderla fuori,
ma lei riuscì a scivolare tra la porta e lo stipite.
– Zach ti
prego ascoltami, è tutta mattina che corro, e ti cerco: se non ti
dico questa cosa non potrò farlo più, dammi quest'occasione, ti
scongiuro!
La stava guardando con una strana smorfia, Ivy lo
vedeva tra le lacrime che le offuscavano la vista, e capiva perché
si stava comportando così: non era difficile tornare a interpretare
i suoi occhi, era ancora arrabbiato, soffriva ancora nel trovarsela
di fronte.
– Parla, allora, dannazione! – esplose, perdendo la sua
apparente pacatezza. – Almeno la finisci: si può sapere cosa
vuoi?
Ivy rimase ad osservarlo, in silenzio. Ora, trovandoselo
davanti, iniziava a pentirsi per non avergli dato l'opportunità di
scegliere lei, a dispetto di tutto: non avrebbe mai voluto sentirsi
un peso, un ostacolo tra lui e la felicità; ma d'altra parte sapeva
con assoluta certezza che per lei l'unica felicità si sarebbe
avverata accanto a lui. Non poteva essere altrimenti, lo amava
ancora, e lo sentiva con inaspettata chiarezza, nel suo inconscio non
aveva mai smesso di amarlo e di cercarlo.
– Sono qui per dirti la
verità, hai diritto di saperla. Quando ti ho lasciato ho deciso io
per te, come sarebbe stata la tua felicita e come sarebbe dovuto
andare il tuo futuro, mi rendo conto soltanto ora che volendo
assumermi io tutto ho solo fallito. Zach, se c'è una cosa a cui devi
credere è che se l'ho fatto è stato solo perché pensavo fosse il
tuo bene, ti amavo da impazzire, e in questo non è cambiato niente,
ti amo ancora oggi.
La smorfia si accentuò.
– Sei venuta solo
a confessarmi i tuoi sentimenti? – disse a mezza voce.
Ivy gli
raccontò tutto, a partire da quando aveva saputo del suo master,
quando aveva capito prima di lui di aver avuto un aborto, di come il
suo cuore si fosse doppiamente spezzato nel leggergli negli occhi il
dolore, mentre il dottore glielo comunicava. Del test che aveva
fatto, a sua insaputa, e di come tutto quello le avesse accecato
tutto, portandola a vedersi come un veleno nella vita di lui.
Zach
scivolò sul pavimento, turbato. Sembrava crederle.
Ivy si
inginocchiò di fronte a lui, aspettando che elaborasse le
informazioni, osservando i suoi occhi, che vagavano per la stanza e
poi su di lei, cercando di capire.
– Perché, – le chiese poi,
dopo un lungo silenzio, – non mi hai detto niente, in questi anni?
Perché solo ora?
Ivy strinse la mano in un pugno, quella
spiegazione le ricordava anche quanto fosse labile quel momento. Le
unghie si conficcarono nel palmo, spingendola a parlare, a
confessargli quell'ultima cosa.
Sussultò quando Zach posò la
mano sulla sua, aprendole il pugno. Abbassò gli occhi, guardando le
due mani una sull'altra.
– Non riuscivo a sopportare di averti
lasciato, così ho voluto dimenticarti. Mi sono iscritta a una
sperimentazione di ipnosi, e ti ho cancellato dalla mia testa.
Tornò
a guardarlo, le sembrò di leggere la pietà nei suoi occhi, e lo
capiva: si commiserava da sola.
– Col senno di poi, – continuò, –
se da un lato me ne pento, dall'altro non posso giurare di aver
sbagliato, non dopo aver scoperto che il mio cuore non vuole saperne
di smettere di amarti. In tutti questi anni quando ti vedevo, o
quando vedevo delle cose che potevano ricordarmi te, avevo delle
emicranie, erano dei momenti in cui non mi ricordavo più chi ero ed
ero più vicina a capire chi eri. Una volta finito me ne scordavo,
tutte le volte, fino a ieri. Ieri mi sono ricordata, ho trovato le
date delle emicranie, e ho trovato te. – si coprì la bocca con una
mano, cercando di impedire alle labbra di tremare. – Non dormo da più
di ventiquattro ore, avevo paura che se mi fossi addormentata mi
sarei scordata di nuovo tutto.
Zach prese la mano che le copriva
le labbra, abbassandola e scoprendole il volto.
– Perché ci
tenevi tanto a raccontarmi tutto? – le chiese, senza smettere di
guardarla negli occhi.
Ivy sentì l'ennesima lacrima sfuggirle,
rotolare giù per la guancia e cadere nel vuoto, andando a bagnare i
suoi pantaloni.
– Perché sapevo di averti rovinato la vita. –
ammise.
Zach abbassò la testa, sbuffando un sorriso stanco.
– È così, Ivy. Sei stata una stupida, hai deciso anche per me, e
davvero, mi hai rovinato la vita. – Ivy cercò di divincolare le mani
dalle sue, ma Zach le trattenne. – E ora lascia che sia io a decidere
per tutti e due: starai con me, e me la metterai a posto. Non ti farò
andare via di nuovo, non mi importa cosa diranno tutti: sei stata
stupida, stupida, tremendamente stupida, ma non posso ignorare che lo
hai fatto per me.
– Non so per quanto riuscirò a ricordarmi di
te.
– Ti farò fare un'altra ipnosi. – disse, sicuro.
– E se
non funzionasse?
– Non lo so, ma prima o poi ti riporterò da me,
troverò un modo. Ivy a me non importava niente, insieme ce la
saremmo cavata: non potevamo avere figli? Li avremmo adottati,
l'essenziale era che ci fossi tu nella mia vita, non un figlio con il
mio codice genetico. E quel master sai che fine ha fatto?
La tirò
a sé, e Ivy si strinse al suo petto.
– Scusami. – singhiozzò.
– Perché piangi ancora?
– Non sopporto l'idea di perderti.
Zach
le accarezzò la testa.
– Vedrai, non mi perderai. E comunque ora
sei qui, vero? Ti ricordi di me, vero? Non importa quanto durerà.
Ivy
sollevò il viso verso di lui, e mentre lo baciava pregò che lui
avesse ragione.
Ancora, le loro labbra unite, le mani e le gambe
intrecciate, avevano senso come poche cose nella vita.
Lo amava,
avrebbe voluto urlarlo con tutta la sua voce, e anche ogni centimetro
della sua pelle esplodeva per gridarlo.
Le accarezzò la
guancia.
– Dormi, Ivy: vedrai, ti farò di nuovo ricordarti di
me.
Le palpebre le tremavano, quasi chiuse del tutto, ma lei non
voleva ancora lasciarsi andare.
– Abbracciami. – sussurrò.
Zach,
sdraiato accanto a lei, la strinse, e Ivy si addormentò.
Nda:
Ecco il terzo e ultimo capitolo. Mi rendo conto che essendo la storia
il racconto di un sogno, sia molto più comprensibile per me che
per voi, e probabilmente avrei dovuto delineare meglio, evitare alcuni
stacchi della narrazione: oggi vi posto il terzo capitolo, ma un giorno
riprenderò in mano la storia, e la riscriverò, sperando
di riuscire a darle una forma migliore! Si spengono le luci su Zach e
Ivy, chissà se riusciranno a stare insieme...
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2143551
|