Per un paio di francesine

di Sciarpata di verde
(/viewuser.php?uid=100808)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Per un paio di francesine

Prologo

Lei… la notai subito non appena mi passò davanti.

I suoi capelli parevano fili d’oro, lisci e lunghi; pensai che al tatto sarebbero sembrati come seta.

Gli occhi erano verdi e profondi. E sembravano studiarti l’anima con quello sguardo curioso, nascosto però da un paio di occhialetti rossi.

La bocca, dalle labbra sottili, ma delicate e carnose, erano velate di rosso.

Il profumo inebriante di zucchero filato che emanava si espandeva fino ad arrivare alle mie narici dolcemente come una carezza.

Il fisico era nascosto da un cappotto nero, di quelli larghi sotto, con sopra una lucida sciarpa verde.

Le mani affusolate che tenevano una borsa verde scuro probabilmente di marca, venivano coperte da degli elegantissimi guanti di pelle neri.

Sotto il cappotto, le gambe venivano fasciate da sottilissime calze nere ricamate.

Ai piedi, infine, calzava un paio di francesine a punta, scure e probabilmente francesi per davvero, il cui tacchetto risuonava sordo sull’asfalto.

Che movenze eleganti e raffinate… No, quella non sembrava una classica napoletana.

Era deciso, era lei che stavo cercando. Doveva assolutamente diventare la protagonista del mio libro! A qualunque costo!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Per un paio di francesine

Capitolo 1

IIII

L’inverno era quasi finito ma, nonostante questo, quel giorno faceva comunque molto freddo. A dirla tutta, io non ne soffrivo: venivo da Grenoble, e mi ero appena trasferito… in Francia sì che faceva freddo!

Difatti, quel mattino giravo per le strade di Napoli con un cappotto leggero, anche sbottonato, ed ero in cerca d’ispirazione. Perché Napoli? Beh… mi aveva incuriosito, mi sembrava una bella città… anche se non aveva esattamente l’aspetto pulito ed ordinato che aveva la mia cittadina francese…

- Ho deciso!- avevo esclamato d’un tratto, un giorno - Il mio libro sarà ambientato a Napoli! -, e l’avevo deciso così, all’improvviso.

Si, il mio intento era scrivere un libro, dall’argomento un po’ particolare. Ma mi serviva una protagonista vera, reale e nel contempo non comune. Ed ore ero in giro, cercando la mia musa. Tutti erano vestiti pesanti, non abituati a quel gelo polare in un paese marittimo, e ogni tanto si sentiva esclamare qualcosa in napoletano, dai suoni stentati e cadenzati del dialetto, che non riuscivo a comprendere bene… somigliava a qualche invocazione ai santi, di quelle che si sentono in chiesa, con la parola “fridd” (forse “freddo”) stampata sulle labbra.

In italiano me la cavo abbastanza! Dopotutto ho avuto un buon insegnante, mio fratello maggiore si trasferì a Firenze. È un pittore dalle grandi capacità, e devo a lui la mia creatività e sensibilità. Potrei dire che mi ha insegnato lui tutto quel che so. Anche se, personalmente alla pittura ho sempre preferito la scrittura.

La pioggerellina che aveva iniziato a cadere quasi non si sentiva, tanto fitta e leggera da parere foschia; il tempo grigio spegneva quella città che solitamente era luminosa e allegra. Le strade erano un tantino scivolose e avevo rischiato parecchie volte, ormai, di cadere col sedere per terra… Fortunatamente, avevo un buon equilibrio.

Al mio fianco camminava Corrado Cirillo, un tipo sulla trentina, non più alto di me, un italiano che aveva il compito di mostrarmi la città, anche se lui non era napoletano.

Era diventato una sorta di assistente, nonchè vicino di casa, dato che era stato grazie a lui se ero riuscito a trovare una casa in poco tempo… cioè, una casa che non sia stata solo un piccolo appartamento in centro.

Avevo trovato una casa carina, non lontano dal centro. Faceva parte di una serie di case a schiera, a due piani. Piccola, ma non male come stile, mi ci ero subito adattato.*

C’era molta gente…

Passò una ragazza dai capelli scuri, col taglio corto e asimmetrico, un trucco molto pesante sugli occhi e pelle olivastra. Scarsamente vestita (in inverno?), magra e piatta. E aveva una camminata alquanto svogliata, di chi se ne sta altamente fregando di ciò che la circonda. Gesticolava molto parlando al telefono, probabilmente era rivolta al proprio ragazzo.

“Non potrebbe mai essere adatta…”pensai.

- Che ne dici di quella? – Corrado mi indicò un’altra ragazza.

Una tipa dall’andatura sicura di sé, la voce fin troppo alta e stridula, i capelli ricci e disordinati di un castano chiaro, le labbra doppie e colorate di rosso, la pelle scura. Delle belle mani affusolate, ma dei forti muscoli alle spalle, forse era una nuotatrice.

- No… non mi piace! – ribadii.

- Beh, sai, se almeno mi dessi qualche indizio su come vuoi questa benedetta protagonista, forse ti saprei aiutare meglio! – non so quante volte da quella mattina mi aveva ripetuto quelle parole.

Voltammo l’angolo e da Via Duomo ci ritrovammo a Via Foria, una strada ancora più affollata di prima, se non più rovinata e poco curata. A fatica superammo la folla che si era creata sul marciapiede, vicino a una rosticceria. Quante ragazze con una dose smisurata di trucco in faccia, quante con scollature assurde nonostante il freddo, e quante con colori decisamente improbabili abbinati ad altri ancora più indecenti!

Forse avevo sbagliato città… forse mi ero illuso al riguardo!

Avevo fatto male a trasferirmi, forse avrei dovuto studiare meglio la questione a casa, analizzare mentalmente un piano, e invece ho voluto per una volta seguire l’istinto e mi sono lanciato, come la chiamo io, in una “grande impresa” speranzoso di avere un minimo di fortuna! Chissà se davvero era una passeggiata a vuoto, quella che stavo compiendo.

- Trovato! – esclamai.

- Cosa? – domandò.

- Voglio una tipa particolare… Proviamo a teatro! – mi incamminai verso il teatro Bellini.

- Come vuoi… - e con pazienza infinita Corrado mi seguì.

IIIII

 

Quando arrivammo era tutto chiuso e non c’era anima viva… a parte una vecchietta che tentava di attraversare la strada.

Niente da fare: un altro buco nell’acqua.

- Come non detto… torniamo indietro – dissi, deluso dalla strana situazione.

- E dove andiamo?–

- A Piazza Garibaldi… anche se non ne sono del tutto convinto. – risposi sbuffando.

Così ci incamminammo verso Piazza Cavour, dove avremmo preso il treno.

- Ti va se ti offro un caffè? – domandò il mio collega.

- Oui, merci… ne avrei proprio bisogno… -

IIIIII

 

Come poteva chiamarsi una grafferia, se non Parentesi Graffe? Una volta arrivati, più che di un caffè, mi venne una certa golosità di dolci; così, su consiglio di Corrado, ne presi alcuni buonissimi chiamati Via col vento.

Oh ouierano veramente squisiti!

- Sai, non c’è solo il tuo libro, in questo momento… dovremmo parlare anche del pagamento della casa… non c’è solo il tuo libro in questo momento. – mi ricordò il mio amico.

- Lo so. Prometto che pagherò. I soldi devono ancora arrivarmi da Grenoble – mi passai una mano in faccia, stanco.

Il piccolo bar era quasi vuoto ma, del resto, date le dimensioni forse avrebbe fatto meglio a rimanere tale: era un locale stretto dove a malapena entravano due tavolini ed un bancone. C’era un forte odore di zucchero e cioccolato, di dolci e bevande di tutti i tipi, ipercalorici. Oltre a noi due, c’era solo una coppia che parlava di musica. Insomma, era un posto davvero accogliente, il posto perfetto per una qualsivoglia tipo di uscita mattutina… o anche pomeridiana volendo.

- Perché non chiedi a tuo fratello di spedirteli? – Corrado prese un altro dolcetto.

- Perché è troppo occupato con la sua arte e con le modelle della sua arte… non so se mi spiego. –

Ridemmo insieme: erano piacevoli quei momenti... sembrava che non potessero diventare ancora più piacevoli.

Fu in quel momento, che mi sentii come quando ci si perde ad osservare un uccellino appena atterrato sul davanzale della tua finestra, e ci si mette a fissarlo come qualcosa di incredibilmente raro; oppure, come quando ci si siede su una panchina stanchi della giornata appena passata e si rimane a fissare i rami degli alberi che si aprono verso il cielo limpido, e si comincia a pensare quanto sia pazzesca la natura. Fu così che mi sentii, nel momento in cui vidi entrare nella grafferia lei, la ragazza perfetta per il mio libro…

I capelli parevano fili d’oro, gli occhi erano verde smeraldo e le labbra, invece, leggermente rosate; un profumo inebriante di zucchero filato mi solleticò il naso nonostante l’odore del locale. Indossava un cappotto nero, di quelli larghi sotto, con sopra una lucida sciarpa verde: le sue mani affusolate erano coperte da elegantissimi guanti neri di pelle, e ai piedi portava un paio di francesine nere a punta…Si avvicinò al bancone con movenze eleganti e raffinate. No, quella non sembrava la classica napoletana…

- Aspetta! –sussurrai all’improvviso colto da un’ispirazione improvvisa.

Corrado si girò nella direzione in cui stavo guardando e capì che stavo chiamando la ragazza che aveva attirato la mia attenzione.

- Ma cos… Perché chiami quella ragazza? – io non lo ascoltai minimamente, mi alzai con uno slancio dallo sgabello alto e la raggiunsi con un passo. Lei non aveva badato a nulla, era concentrata su cosa ordinare.

- Io ti consiglierei i “Via col vento” sono ottimi – involontariamente e inaspettatamente mi venne da parlarle con il mio accento un po’ francese, e subito dopo mi resi conto che forse la stavo disturbando…

Lei in un primo momento mi guardò un po’ sorpresa… come se stesse analizzando lentamente la situazione.

- Oh! – esclamò all’improvviso – Diceva a me? –

- Oui – risposi accennando un sorriso.

- Grazie del consiglio! – e mi rivolse un dolce sorriso.

- Che diavolo combini?! – mi sussurrò arrabbiato il mio collega.

- L’ho trovata! – risposi.

- Mi scuso, signorina – mi rivolsi di nuovo a lei che sta volta mi stava prestando più attenzione – Non mi sono presentato! Mi chiamo Daniel Legrand e… -

- Molto piacere! – non mi fece finire la frase! – Vorrei qualche “Via col vento” da mangiare ora, grazie! – si rivolse alla commessa.

- Vorrei proporle… - tentai di continuare il mio discorso.

- Mi scusi solo un secondo – mi guardò dispiaciuta – Quant’è? – si rivolse di nuovo alla commessa.

Pagò, e si sedette al nostro tavolino che ormai avevamo lasciato vuoto.

- Mi dica… - appoggiò i dolci sul tavolo dove poco prima c’erano i nostri, si sfilò i guanti e prese a mangiare accavallando le gambe con nonchalance.

- Le piacerebbe diventare la protagonista del mio libro? – domandai velocemente senza fermarmi a pensare.

Lei si fermò con un dolcetto a mezz’aria, chiuse la bocca e mi guardò un po’ sorpresa.

- Cos’è? Un nuovo modo per rimorchiare? – e riprese a mangiare.

Mi scappò una leggera risata. In effetti avevo corso un po’ troppo… mi ero lasciato trascinare dall’entusiasmo, come al solito, e non avevo pensato alle conseguenze.

Il mio collega intanto, sapevo perfettamente che dietro a me si disperava pensando alla pessima figura che gli stavo facendo fare.

- Posso rubarle solo qualche minuto del suo tempo? – chiesi cordialmente.

- Okay… però faccia presto, a mezzogiorno ho un appuntamento importante –

IIII

 

- Il mio nome è Melinda Bloomwood – mi tese la mano.

Ormai eravamo tutti e tre seduti ad un tavolino a parlare, ed io le avevo spiegato chi ero, chi era il mio collega e perché la stavamo disturbando. Lei ascoltò con pazienza ma poi esclamò: - Sinceramente, non so se crederle… potrebbe essere chiunque –

- Non le do torto! – ribatté il mio amico guardandomi storto.

- Oui…je compris… troviamo un accordo – mi guardarono dubbiosi. Le porsi così il mio biglietto da visita.

- Qui ci sono il io indirizzo e il mio numero di telefono. La pregherei di chiamarmi, devo, diciamo… intervistarla. Ho bisogno della sua personalità per scrivere il libro, non della sua presenza. Anche se mi avrebbe ispirato di più – le sorrisi un po’ deluso e feci per andarmene.

Lei mi fermò.

- Aspetti! Io… io sono una persona molto ingenua generalmente… è per questo che cerco di non fidarmi di nessuno –

Che razza di ragionamento…??

- E’ per questo che ho scelto lei – risposi enigmatico e me ne andai seguito dal mio collega che esclamò:- Buona giornata signorina! – prima di allontanarsi al mio fianco.

III

 

Passarono ventiquattro ore, e lei non aveva mai chiamato. Ero a casa solo ed inconsolabile. Mi serviva ispirazione!! Mi serviva lei!! Perché diamine non faceva una semplice telefonata?? Avevo mille domande da porle!

Bussarono alla porta.

“Cavolo! Sarà lei?”

Ero talmente emozionato ed ansioso di incontrarla, di parlarle! Non volevo una conoscenza approfondita, ma, chessò, capire il suo carattere ed il suo modo di agire, e sapevo benissimo che se non si fosse fidata di me, non sarei mai riuscito a combinare niente!

- Melinda?! – esclamai aprendo la porta di corsa.

No… Corrado…

- Che vuoi?! – domandai seccato.

- Oh, grazie! Sono anche io felice di vederti! – ironizzò.

- Taglia corto! Diable! –

- Oggi è passato da me il proprietario di casa tua! – aveva un accento leggermente infuriato.

- Et alors?

- E allora? E allora?! Casa tua è intestata a me! E qualcuno non mi ha dato i soldi per finire di pagarla! – chiuse la porta dietro di se e si infuriò ancora peggio.

- Ti ho già detto che devo aspettare i soldi da Grenoble! –

- E quando arrivano questi maledetti soldi?! È una settimana che vivi qui a mie spese! –

- Okay… scusami – abbassai il tono.

Lui si fermò a guardarmi.

- Mi spiace, ti ho trascinato in questa specie di follia che mi è balenata in testa… non scriverò mai questo libro, e non so quando arriveranno i soldi che mi servono per sopravvivere. Ho sprecato due mesi di tempo per organizzare tutto, ed in poco tempo l’ho guastata. Appena mi arriveranno i soldi ti pagherò e tornerò a Grenoble… qui non ho più niente da fare. –

- Prima mi coinvolgi nei tuoi assurdi piani, e poi all’improvviso molli tutto! Non credi di essere un pochino frettoloso nel prendere le decisioni? - mi posò le mani sulle spalle guardandomi in faccia – Dovresti pensare prima di parlare! Facciamo così… io avrò ancora un po’ di pazienza. E tu cerchi di trattenerti dal fermare le persone in mezzo alla strada per domandare loro se vogliono far parte del tuo libro. Okay? –

Ci fu un momento di pausa, respirai a fondo ed affermai:- Okay, va bene, farò come dici tu… -

- Io torno a casa, ormai le mie finanze stanno andando in fumo! – girò sui tacchi e fece per andarsene.

- Ti ringrazio – gli urlai dietro.

- Non c’è di che – rispose per poi sparire dietro la mia porta.

Io passai la maggior parte del giorno su internet cercando di farmi venire idee originali, ma capii ben presto che su internet sono più le idee che se ne vanno piuttosto che quelle che vengono! Così decisi di fare quattro passi. Mi fermai a Piazza Cavour, dove si trovava un discreto spazio verde, mi sedetti su una panchina e mi fermai a pensare e ad osservare l’acqua della fontana che sgorgava.

Ogni tanto una gran folla usciva dalla metropolitana proprio lì affianco, e mi domandavo se gli altri si fermassero mai un secondo ad osservare. Io trovo interessante guardare le persone, i gesti che fanno, il modo in cui si comportano ed immaginare cosa si dicono… guardare ogni particolare e pensare quanto effettivamente siano diversi i francesi dai napoletani. E poi pensai, “Chissà che tipo è Melinda… sarà la classica napoletana?” e mentre immaginavo come sarebbe potuta essere la mia protagonista, mi appisolai sulla panchina per pochi minuti…

“Sarebbe bello se la rincontrassi di nuovo per caso… aveva delle deliziose francesine… scommetto che questa non era una coincidenza…”

 

 

 

 

Note:

* Non credo di aver mai visto a Napoli una serie di case a schiera vicino al centro… perdonatemi questa piccola immaginazione… ho pensato che sarebbe stata più carina una casetta, piuttosto che un appartamento.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Per un paio di francesine

Capitolo 2

IIIII

 

Bee-beep. Bee-beep.

Il raggio che penetrava dalle veneziane rifletteva sugli specchi presenti nella mia camera illuminandola e colpendo anche me disteso sul letto. Sentii il calore delicato della luce che accarezzava un mio zigomo. Strizzai gli occhi svegliandomi lentamente. Mi sedetti sul letto vedendo nello specchio di fronte a me i miei capelli completamente spennati che formavano intrecci e forme indecifrabili, e pensando che forse avrei dovuto tagliarli! No, forse li preferisco così.

Mi strofinai gli occhi con le mani incurvando la schiena come un gatto per stiracchiarmi.

“Non avevo sentito un rumore poco fa?” pensai prima di voltare lo sguardo verso il comodino.

Cianfrusaglie varie ammucchiate coprivano la visuale della mia sveglia. Spostai un paio di libri scoprendo l’ora segnata: 8.45. Strano. Avrebbe dovuto suonare alle 9.00…

Bee-beep. Bee-beep.

Finalmente avevo percepito cos’era quel suono. Era il telefono, un messaggio!

“A quest’ora? Ma dove cavolo ho messo il cellulare?”

Sul comodino non c’era, quindi mi guardai un po’ attorno, per terra, dove c’erano vestiti sparsi del giorno prima. Mi allungai sul letto e raggiunsi i miei jeans appoggiati sulla poltrona un po’ al centro della stanza. Non era una stanza molto grande.

Infilai le mani in tutte le tasche dei pantaloni, ma non c’era. Mi guardai ancora attorno e lo vidi appoggiato sul comò di fronte al letto. Fui costretto ad alzarmi. Il pavimento era freddo ed io senza né pantofole né calzini, arricciai le dita dei piedi. Mi appuntai mentalmente di dover comprare un tappeto per la stanza… o un paio di pantofole.

Arrivai al mobile e presi il telefono, poi sbloccai la tastiera. Due messaggi non visualizzati, da un numero sconosciuto…

“E’ sicuro di voler intervistare me? M.”

A quel primo messaggio rimasi un attimo sbalordito, ed improvvisamente ero più sveglio. In un primo momento non capii cosa potesse essere quella “M”. Poi i miei occhi si illuminarono quando mi resi conto che finalmente avevo attirato l’attenzione della mia nuova musa.

Lessi il secondo messaggio.

“Mi scusi! Spero di non averla svegliata! Ho i messaggi gratis e ho preferito non chiamarla, ma non ho guardato l’orario! Mi ero svegliata pensando alla sua proposta… non è proprio un gran bel periodo per me in questi giorni e solo oggi ho potuto pensarci seriamente… ma perché vuole intervistare me? Insomma… non vi conosco affatto! E mi avete vista per due secondi! Non mi sento molto adatta per essere la protagonista di un libro! M.”

Mi scappò un sorriso divertito dalle parole della signorina… non credevo che dopotutto si sarebbe convinta. Salvai il suo numero nella rubrica mentre sedevo comodamente sulla poltroncina.

“Ma che carina…”pensai mentre le rispondevo.

 “Diamoci del tu, è più comodo. In effetti mi hai svegliato! Ma con una bella sorpresa… Allora, fammi capire: questi sms sono stati un modo indiretto per dirmi che accetti l’intervista?”

Inviai. Mi fermai qualche secondo a pensare: chissà se stavo facendo qualche errore…

Ma scacciai subito quelle parole dalla mia mente per poi alzarmi velocemente e precipitarmi per le scale raggiungendo la cucina, la stanza forse più illuminata della casa di mattina. Nonostante le tende, penetrava una luce gialla e calda che illuminava tutta la casa, e rifletteva sul fornello e sulla cappa di metallo. Ecco un’altra cosa che mi piaceva molto di Napoli: la mattina quella luce forte riesce a riscaldarti anche il cuore. Ed era ancora inverno! Figuriamoci d’estate!

Che alba. Presi il latte e il caffè del giorno prima dal frigo, poi una tazza abbastanza grande dalla credenza, zucchero e biscotti dal ripiano vicino al lavello. Mi sedetti a tavola per far colazione. Di fronte a me una vetrata coperta da delle tende arancioni un po’ trasparenti, mi davano la possibilità di ammirare quel paesaggio meraviglioso che era l’alba.

“Niente pensieri negativi” mi incoraggiai. Ed in quel momento un altro bee-beep ruppe il silenzio della mia casa.

“Non ho confidenza, per il momento preferisco il voi o il lei… comunque… non sono ancora del tutto decisa. Che tipo di domande vorrebbe farmi? M.”

Lessi velocemente mentre mangiavo un biscotto.

“Non sarebbe meglio parlarne da vicino? Magari davanti un caffè” inviai.

La risposta arrivò quasi subito.

“Va bene. Piazza del Plebiscito, 10.30. Ma poiché ancora non mi fido di lei, sappia che conosco il kung fu!”

 

IIII

 

Arrivato nel luogo stabilito, attesi con ansia il momento dell’incontro. C’era talmente tanta gente! Ovunque io mi fermassi parevo inadeguato, di troppo, eppure nessuno mi notava particolarmente, le persone mi lanciavano ogni tanto occhiatine veloci e timide e mi sentivo un po’ a disagio. Cambiavo postazione in continuazione, non c’era nessuno lì fermo.

Aspettai un po’, guardando in continuazione l’orario. Era in ritardo.

Poi finalmente un: - Ehi! – mi fece sobbalzare. Era la sua voce, ma guardandomi attorno non la vidi. Mi voltai un paio di volte prima di identificarla come una macchia nera, ma luminosa, strano che non l’avessi notata! Era spuntata all’improvviso dietro qualcuno.

“Mimetizzazione riuscita!”

- Bonjour! – le porsi la mano, gesto che lei inizialmente non ricambiò.

- Salve – sorrise con gentilezza per poi accorgersi del braccio teso in aria – Oh! – esclamò solo, prima di stringere la mia mano – Non c’è il vostro collega?

- Intende Corrado? Lui non è il mio collega, era un amico che mi accompagnava. Non necessito della sua compagnia…

- Capisco.

- Siete in ritardo! – dissi con ironia sorridendole.

- Voi francesi siete tutti così puntuali?– rise – Io sono in perfetto ritardo!

- Ah, bien! Basta saperlo – continuai a sorriderle. Pensai in quel momento che sembrava davvero una ragazza simpatica.

- Quindi… le offro un caffè mentre parliamo? – chiesi col mio solito accento francese.

- Okay! –abbassò lo sguardo.

E così, ci sedemmo ad un tavolino all’aperto di un bar. Un cameriere prese l’ordine e poi corse dentro.

Seduti, notai che Melinda non era molto rilassata, come invece lo ero io. Io sedevo tranquillamente con le gambe accavallate ed un gomito appoggiato al bracciolo decorato da ghirigori, quasi liberty.

Lei invece sedeva sulla punta, quasi volesse scappare, la schiena dritta, ma le spalle incurvate leggermente in avanti, probabilmente per insicurezza, e si torturava le mani, nonostante i guanti, forse per nervosismo. Quello sguardo sempre basso, ma che muoveva spesso, a volte rivolto verso le fioriere alla mia sinistra, a volte verso il tavolino di fronte a noi, a volte verso le altre persone sedute vicino.

- Sembri nervosa.

- Si, un po’ lo sono – sorrise ancora riportando lo sguardo su di me.

- Ne vous inquietéz pas. Non è un interrogatorio – la rassicurai.

- Sono una persona emotiva. Mi emoziono facilmente.

- Oui?

Ecco, era quello il momento. Il momento giusto per parlare. Presi dalla tasca del mio giaccone il mio piccolo registratore portatile, lo appoggiai sul tavolo e lo accesi.

- E così vi emozionate facilmente… - continuai col mio accento francese – Bene, cominciamo l’intervista – le sorrisi.

- Va bene – ricambiò.

- Madame Melinda Bloomwood, acconsentite la registrazione? –

- Certo, ma quel Madame – mi guardò un po’ infastidita e un po’ sarcastica - …No – aggiunse solo scuotendo velocemente la testa.

Risi.

- Sei tu che hai voluto dare del voi!

- Non ho detto che Madame andava bene! Okay, se vi trovate più a vostro agio col tu, ci daremo del tu! Bene! –

- Bon, parlami un po’ di te. Partiamo dalle cose più banali – feci un gesto con la mano per incitarla a parlare liberamente.

- Bene…Allora comincerò dalla cosa che mi rende più fiera: sono un’attrice teatrale, un po’ particolare – mentre spiegava il suo sorriso si era illuminato, i suoi occhi brillavano, le sue mani si erano calmate e un senso di estasi sembrava pervaderla.

 - Faccio parte di una piccola compagnia di attori, ma non recitiamo cose come Shakespeare, Goldoni eccetera… Per questo dico che sono un po’ particolare, perché le storie le scelgo io e molto spesso non sono quelle, poi altri miei colleghi scrivono il copione basandosi sulla mia idea, costruiscono le scenografie e cuciono i costumi. Io so fare un po’ tutto quindi cerco di dare una mano.

- Ah, quindi tu non reciti?

- Certo che recito! È la parte migliore! – sembrò irritata.

- Excuse, avevo capito male. Continua.

- Recitare per me è la cosa più bella, posso essere tutte le persone che voglio, non ne sono mai una sola. Forse soffro di personalità multipla! – disse ironicamente mentre il cameriere posava due caffè sul nostro tavolino – Ma è così bello, fuoriesce tutto ciò che è in me, tutta la mia passione. Quando sono sul palco sto bene. Eppure, devi sapere che io sono una persona molto timida, ma quando recito non lo sono. È un po’ difficile da capire perché tutti si chiedono “come fai a recitare e a ricordarti cosa dire ignorando te stessa?”. Ma io non è che ignoro me stessa, io tiro fuori quella mia parte di personalità che è la persona che sto interpretando…

- Interessante… Quindi…? – non mi fece terminare la frase.

- Quindi se puoi immaginarlo, puoi esserlo…

- Quanti anni hai? – chiesi un po’ sorpreso sorseggiando il caffè.

- Venti, perché? – lei invece mi guardò dubbiosa prendendo la sua tazzina.

- Sei davvero strana! – risi.

- Ahahah! Si, lo so! – rispose ridendo anche lei. La sua era una risata contagiosa e un po’ rumorosa. Un sorriso largo e simpatico.

In quel momento le squillò il cellulare… una suoneria francese! Ma quando vide il numero sul display il suo sorriso pian piano sparì, posò il caffè ed esclamò: - Ah… Fantastico… - con davvero poca emozione nel tono di voce.

- Scusami – mi disse prima di rispondere.

Misi in pausa il registratore, non volevo sprecare nastro. Si, sono l’unico al mondo che usa ancora cassette! Ultimamente non ne trovo più in giro purtroppo… sarò costretto a comprare un mp3.

Non ascoltai la conversazione di Melinda al telefono per intero, ma sentii il suo inveire contro quella persona, il suo turbamento. La vidi passarsi una mano tra i capelli per poi posarsi sotto gli occhiali, stringendo il setto nasale in segno di stress e stanchezza e chiudendo leggermente gli occhi. Sbiancò.

- D’accordo, ora arrivo… - aveva terminato la conversazione.

- Mi spiace, devo andare! – posò il cellulare, si alzò ed infilò di nuovo i suoi guanti di pelle – A quanto pare mi hanno sfrattata… - sorrise tristemente. Salutò e corse via velocemente. Io avevo teso solo una mano in avanti, verso di lei. Le parole rimasero non dette. Le mie labbra si erano a malappena dischiuse. La schiena protesa in avanti. Eppure sono uno scrittore… In quel momento non mi sentii in grado di parlare.

L’unica cosa che riuscii a pensare fu “Devo seguirla!”, ma era già lontana…

 

Angolo Autrice: Allora, questo capitolo è più dialogato che altro. Finalmente si parlano! XD  Chiedo sempre perdono per gli enormi ritardi  ):  Su, ancora un po’ di pazienza, al prossimo capitolo!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2143811